The Voice of Heart di Evie08 (/viewuser.php?uid=52958)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destino ***
Capitolo 2: *** Chicago 1918 ***
Capitolo 3: *** L'odore del tuo sangue ***
Capitolo 4: *** La Spagnola ***
Capitolo 5: *** Incontro ***
Capitolo 6: *** Sospiro ***
Capitolo 7: *** Il Medaglione ***
Capitolo 8: *** Una melodia solo per te ***
Capitolo 9: *** Inconsolabile ***
Capitolo 10: *** Al crepuscolo ***
Capitolo 11: *** Senza meta ***
Capitolo 12: *** Edward Cullen ***
Capitolo 13: *** Nuova vita ***
Capitolo 14: *** Fuoco ardente ***
Capitolo 15: *** Tutto quello che ho ***
Capitolo 16: *** Segreti e bugie ***
Capitolo 17: *** Caccia selvaggia ***
Capitolo 18: *** Esme ***
Capitolo 19: *** Ultime volontà ***
Capitolo 20: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 21: *** Finalmente Chicago ***
Capitolo 22: *** Per uno strano ma bellissimo scherzo del destino ***
Capitolo 23: *** Tutta l'eternità per amarti ***
Capitolo 24: *** Amor carnale ***
Capitolo 25: *** Nient'altro che noi ***
Capitolo 26: *** La voce del cuore ***
Capitolo 27: *** La Corte degli Aranci ***
Capitolo 28: *** La sua vita prima di me ***
Capitolo 29: *** Non addio, ma arrivederci ***
Capitolo 1 *** Destino ***
The
Voice of Heart
1.Destino
Cosa
accadrebbe se il Destino bussasse alla vostra porta?
Potreste
scegliere di aprirlo oppure no.
A
me è successo.
Il
Destino ha bussato alla mia porta e io gli ho aperto invitandolo ad
entrare.
Grande
sbaglio o grande opportunità?
“Morirai”
mi disse
Non
l’ascoltai.
Capii
presto che aveva dannatamente ragione.
Fine
della storia?
No.
Questo
è solo l’inizio.
Quando
le porte del cielo mi si spalancarono davanti, qualcosa mi
riportò alla vita, una vita inautentica, eterna, che io non
ho mai scelto di vivere.
A
volte mi fermo a pensare che sarebbe stato meglio morire in quel
momento, ma c’è qualcosa che mi fa cambiare idea
continuamente.
Forse
il Destino ha fatto la cosa giusta.
Io
ho fatto la cosa giusta aprendogli la porta.
Questo
lo chiarirà meglio il tempo…
E
se non gli avessi dato retta?
Cosa
sarebbe successo?
Purtroppo
questo non lo saprò mai…
L’uomo
si illude di essere il fautore della propria vita, ma esistono forze ed
elementi superiori che guidano e controllano i passi di ognuno di noi.
Che
si chiami Destino o intervento Divino, ciò che è
realmente certo è che le nostre azioni non sono il risultato
del libero arbitrio…
Josephine
Heart
NOTE
DELL’AUTRICE
Questa
è la mia prima fan fiction e spero tanto vi
piaccia.
Volevo
avvisarvi che d’ora in poi la storia verrà narrata
in terza persona, ma che sporadicamente Josephine interverrà
per dire la sua e commentare particolari eventi della sua vita.
Spero
inoltre che presto imparerete ad amare questo personaggio
così come lo amo io che l’ho creato.
Commentate,
commentate, commentate!!!!!!!!!!!!!!!!
Evie
|
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Capitolo 2 *** Chicago 1918 ***
2. Chicago 1918
Era
una splendida giornata di sole.
L’estate
volgeva al termine come ormai anche la Grande Guerra che dal 1914 aveva
sconvolto il mondo intero.
La
tensione era percettibile persino lontano dai campi di battaglia dove
era da poco giunta la notizia dell’abbassamento della soglia
di età richiesta per la chiamata alle armi a 18 anni.
La
grande nave mercantile attraccò al porto di Chicago,Illinois.
In
tempo di guerra si rendeva difficoltoso il commercio di generi di prima
necessità ma soprattutto il trasporto di civili da un
continente all’altro.
I
pochi che erano riusciti a comprare un viaggio per sé e per
le proprie famiglie iniziarono a scendere dalla nave.
“Tesoro
aspetta. Ti do una mano” disse una donna porgendo un
ombrellino da passeggio alla figlia che l’aveva preceduta
sulla passerella.
La
ragazza si voltò, prese l’ombrellino color crema
con inserti in pizzo italiano e continuò a scendere.
“Tranquilla
mamma. Ce la faccio. Non sono ancora arrivata al punto di non riuscire
a camminare da sola.
Piuttosto
dà un’occhiata a Katie… Credo stia
litigando ancora con il fiocco del cappello!” disse la
giovane ragazza accennando una risata che venne presto soffocata da un
colpo di tosse che le fece perdere l’equilibrio.
Prontamente
suo padre le si avvicinò e la sorresse cingendole i fianchi.
“Josephine
cara, stai bene?” le chiese con preoccupazione
“Si.
Stai tranquillo. E’ un malessere passeggero! Lo ha detto
anche il dottor Rivelli. Con il tempo passerà” lo
rassicurò Josephine, nonostante fosse lei stessa poco
convinta di quello che aveva appena detto.
A
quelle parole, che però sembravano convincenti alle orecchie
di chi le ascoltava, gli occhi dell’uomo si riempirono di
lacrime.
Lacrime
che cercò di nascondere mentre prendeva sua figlia
sottobraccio per scortarla all’auto parcheggiata sul molo.
Durante
quel breve viaggio, la mente di Josephine fu affollata da pensieri di
diversa natura, tra i quali prevalsero quelli riguardanti le sue appena
trascorse vacanze italiane.
Ricordi
certamente non gradevoli come aveva sperato e come si era aspettata da
quel viaggio.
Poche
parole che aveva origliato in un momento di dormiveglia riecheggiavano
insistenti nella sua memoria.
“Mi
dispiace ma vostra figlia è grave. E’ molto debole
per via dell’infezione ai polmoni… Con il tempo
potrebbe dare cenni di miglioramento ma purtroppo penso non ci sia
più nulla da fare.
Le
resta al massimo un anno…Cercate di godervi Josephine
appieno in questo periodo.”
All’inizio
quelle parole le fecero molto male ed il solo pensarle la faceva
sussultare allora come un mese prima, quando le aveva inavvertitamente
ascoltate per la prima volta.
I
suoi genitori non si davano per vinti.
In
fretta avevano organizzato il viaggio di ritorno per gli Stati Uniti,
e non appena Josephine si riprese partirono.
Avevano
la seria intenzione di farla visitare da un medico che era stato loro
consigliato dal dottor Rivelli e che operava proprio lì, a
Chicago.
Dopo
pochi minuti di viaggio , arrivarono presso un’abitazione in
stile ottocentesco, con ampie vetrate ed ornata da una splendida edera
fiorita tutt’intorno.
Josephine
respirava a fatica.
I
polmoni le bruciavano come se qualcuno le avesse appiccato un incendio
nel mezzo del petto.
Sua
madre la aiutò a scendere dall’auto e ad entrare
in casa dove li attendevano i domestici, pronti ad esaudire ogni loro
desiderio ed ogni singolo capriccio della viziatissima Catherine.
“Vado
in camera mia a riposare” annunciò Josephine
salendo la grande scalinata in marmo, lo sguardo ansioso dei suoi
genitori l’accompagnava.
Dopo
aver scoperto la sua malattia, Josephine stava imparando ad apprezzare
il gusto della solitudine, dello stare da sola a pensare, ad ascoltare
il fragile suono del silenzio che in certi momenti di sconforto
diventava un boato assordante, ma che in altri era di compagnia.
L’unico
che non le avrebbe mai fatto domande.
Si
sfilò i guanti di seta, poggiò il cappellino sul
letto e si sedette vicino alla finestra che dava sulla strada, portando
saltuariamente alla bocca piccoli acini d’uva fresca.
Rimase
lì per tutto il pomeriggio.
Alla
sera, Lia Heart, bussò alla porta.
“Posso
entrare?” chiese poggiando delicatamente le nocche sulla
porta di acero.
“Entra
pure”
“Credevo
stessi dormendo. Come ti senti?”
“Bene.”
Gli splendidi occhi acquamarina della ragazza brillavano nel buio.
“Vuoi
che ti porti qualcosa da mangiare?”
“No
grazie. Sto bene così”
“Almeno
fa che ti accenda la luce” disse infine Lia
“Tranquilla.
Non ho paura del buio.
Non
più.”
Fine
del secondo capitolo!
Volevo
ringraziare tutte coloro che hanno commentato il primo capitolo
incoraggiandomi ad andare avanti!
Spero
che continuerete a seguire questa storia con passione!
Bacioni
a tutte…
Evie
|
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Capitolo 3 *** L'odore del tuo sangue ***
3.
L’odore del tuo sangue
Il
giorno seguente Jonathan Heart prese un appuntamento con il medico
indicatogli da Andrea Rivelli, il dottore che aveva diagnosticato la
malattia di Josephine.
Era
la loro ultima speranza.
Il
solo che avrebbe potuto salvare la loro bambina.
Quel
pomeriggio si recarono insieme all’ospedale, ma solo sul
tardi riuscirono ad incontrarlo.
“I
signori Heart? Scusate l’attesa ma c’è
stato un grave incidente che ha richiesto la mia presenza.
Comunque
mi presento: sono il dottor Carlisle Cullen.
Lieto
di fare la vostra conoscenza.”
Era
molto diverso da come se l’erano immaginato ascoltando le
descrizioni del dottor Rivelli.
Carlisle
era l’uomo più bello che avessero mai visto.
I
suoi splendidi occhi color dell’oro fissavano i volti
sbalorditi di Jonathan e Lia Heart.
Era
cosciente del’effetto che faceva sugli esseri umani ma non
finiva mai di sorprendersi.
Scoppiò
in una sonora risata.
“Scusate
ma la vostra reazione non mi è nuova! Conosco Andrea e so
cosa può avervi detto di me tanto da farvi credere che fossi
un medico parecchio anziano.”
“In
effetti non credevamo fosse così giovane dottor
Cullen” disse Jonathan
“La
mia età non vi deve preoccupare. Quello che Andrea dice di
me, professionalmente parlando, è vero.
Non
voglio farvi perdere altro tempo. Dov’è la nostra
Josephine?”
Sentendo
pronunciare il suo nome, la ragazza si voltò, distogliendo
lo sguardo dallo splendido panorama che si stava gustando dalla
finestra del terzo piano.
Carlisle
rimase a bocca aperta.
Non
era possibile!
Non
poteva essere sopravvissuta così a lungo…
Se
suo padre non gli avesse parlato della grave malattia della figlia,
Carlisle l’avrebbe scambiata per una come lui, un vampiro.
Era
pallida e straordinariamente bella.
Josephine
gli si avvicinò mostrando il suo sorriso più
dolce, e gli porse la mano bianca come la neve.
Il
contatto con quella gelida del giovane medico la fece rabbrividire.
“Allora
Josephine devi venire con me per alcuni accertamenti e poi potrai
tornare a casa.
Prometto
che la visita non durerà molto”
Carlisle
la condusse in una stanza, alla fine di quel corridoio dalle pareti
fredde e dalla tristezza infinita.
“Accomodati
pure Josephine. Voglio metterti a tuo agio quindi, che ne dici se ti
faccio qualche domanda di routine?” disse lui mentre un
pizzicore iniziava a diffondersi nella sua gola.
“Certo.
Cosa vuole sapere?” Josephine portò i ricci di uno
splendido castano cinereo su di una spalla.
Era
solita fare quel gesto quando si sentiva a disagio.
Gesto
avventato in quel caso, ma lei non poteva saperlo.
Il
pizzicore nella gola di Carlisle si accentuò creandogli dei
problemi nel parlare.
“Dimmi
un po’…quanti anni hai?”
“Diciassette.
Tutto bene dottore?” chiese vedendo che il medico si
portò una mano alla gola.
“Si.
Tutto bene grazie. Sei molto giovane…
Mi
ricordi tantissimo una ragazza che conoscevo quando avevo la tua
età… il mio primo amore londinese... Sicura di
non essere inglese?”
“Assolutamente
si. Sono americana per parte di padre e italiana per parte di
madre… Ma a pensarci bene ho una zia inglese”
“E’
un buon inizio” aveva smesso di respirare.
Era
finalmente riuscito a capire cosa stava irritando così la
sua gola tanto da impedirgli di parlare per più di un paio
di minuti: il suo odore.
Era
semplicemente irresistibile…
Dolciastro,
simile al miele d’acacia, sensuale come il profumo di un
fiore…
La
sua mente si stava lentamente appannando.
Iniziava
a perdere la lucidità.
Era
sul punto di buttare all’aria più di due secoli di
autocontrollo conquistato difficilmente seguendo una dieta
‘vegetariana’.
“Dottor
Cullen? Sicuro di stare bene?” chiese Josephine poggiando una
mano sul suo braccio.
Era
pericolosamente vicina.
Cosa
gli stava succedendo?
Non
gli era mai capitato prima di quel giorno, con nessun altro dei suoi
pazienti.
Di
scattò Carlisle ritrasse il braccio e si alzò con
la scusa di aprire la finestra per far circolare un po’
d’aria ‘pulita’, appoggiandosi con la
schiena al davanzale.
“Josephine,
ti va di raccontarmi come è iniziata questa
storia?” chiese facendo un respiro profondo.
“Bè…ci
trovavamo in Italia da ormai un anno vista
l’impossibilità di partire per via della
Guerra..” interruppe il suo racconto un attimo per tossire
“ all’incirca un mese fa stavamo trascorrendo la
vacanze estive sulla costa siciliana, quando una febbre altissima mi
costrinse a letto per diversi giorni.
All’inizio
tutti credettero che fosse un insolazione, ma la febbre non accennava a
diminuire ed in più le si era aggiunta una terribile
bronchite.
Dopo
una settimana mi venne diagnosticata da dottor Rivelli
un’infezione polmonare che se presa in tempo sarebbe potuta
guarire, ma nel mio caso non fu così…
Pare
che la forma che ho contratto io sia una delle peggiori e quindi
incurabile.
Dottore,
non voglio passare il resto del tempo che mi rimane rinchiusa in una
camera d’ospedale”.
Josephine
osservava attenta l’espressione sul viso di Carlisle.
Quel
dottore era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto finora.
“Ti
prometto che riuscirò a salvarti in un modo o
nell’altro. Fosse l’ultima cosa che
faccio” le disse lui per tranquillizzarla.
Pensandoci
bene quella era l’occasione giusta per crearsi una compagna
che fosse come lui. Erano anni che cercava qualcuno con cui trascorrere
quell’infinita eternità, qualcuno che ne fosse
all’altezza, e ora ne aveva
l’opportunità.
“Ora
devo farti un piccolo prelievo. Non guardarmi
così… non ti farò male” il
suo sorriso era bellissimo e rassicurante.
Prese
gli strumenti necessari da uno scaffale, le strinse il braccio con il
laccio emostatico e con grande delicatezza infilò
l’ago in un punto appena sotto la giuntura del gomito.
Smise
nuovamente di respirare.
I
Volturi lo avevano avvertito, gli avevano detto che un giorno si
sarebbe trovato dinnanzi una tentazione irresistibile, alla quale
avrebbe dovuto cedere.
Ma
lui non voleva. Non poteva. Almeno in quel momento.
L’odore
del suo sangue gli dava alla testa nonostante stesse trattenendo il
respiro.
“Dottor
Cullen, va tutto bene? C’è qualcosa che non
va?” chiese Josephine appena Carlisle le sfilò
l’ago dal braccio.
“Si…E’
solo… bè l’odore del tuo
sangue…è ‘inebriante’
direi” disse sorridendo
“Come
sarebbe a dire inebriante?” Josephine dovette soffocare una
risata
“Consideralo
un complimento”
“Dire
che ho degli splendidi occhi è un complimento. No che il mio
sangue è inebriante”
“Detto
da me è un complimento fidati. Sono un esperto in questo
campo”
Era
sempre più convinto.
Doveva
trasformarla quando lei era in punto di morte.
Ma
avrebbe avuto la forza di starle accanto fino ad allora senza farle del
male?
Ed
eccomi qui con il terzo capitolo della mia fiction!
E’
stato scritto un po’ di fretta ma spero vi piaccia ugualmente!
Vorrei
ringraziare mia sorella Frefro, Gx_Gse e Lolitosa per aver messo la mia
storia tra i loro preferiti!!!
Grazie!!!!!!!!!!
Mi
raccomando continuate a commentare!!!!!!!!
Un
bacio a tutte…
Evie
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Capitolo 4 *** La Spagnola ***
4.
La Spagnola
Con
il passare del tempo divenne più facile per Carlisle stare
accanto a Josephine.
Da
ormai più di due settimane la giovane ragazza si trovava
ricoverata all’ospedale di Chicago per seguire la terapia
propostale dal dottor Cullen.
“La
cura che abbiamo scelto per Josephine sembra sortire effetti positivi
su vostra figlia” disse quel giorno Carlisle ai
preoccupatissimi coniugi Heart.
Quello
stesso pomeriggio di metà settembre, Catherine Heart si
recò a far visita a sua sorella.
“Questi
sono per te con tutto il mio affetto” disse con uno splendido
sorriso stampato in viso, porgendo il piccolo bouquet ad una commossa
Josephine.
“Grazie
Katie”
Le
due sorelle erano molto diverse sia per aspetto fisico che per
carattere: Josephine, la maggiore, aveva lunghi ricci di un bellissimo
castano cenere, tra i quali spuntavano luminose ciocche color rame,
colore che diventava più evidente e marcato sulle punte e
che dava luce al suo colorito pallido per via della malattia.
Katie,
invece, aveva liscissimi capelli color del grano che scendevano liberi
sulle spalle, il piccolo naso alla francese spruzzato da lentiggini ed
una dolcissima fossetta sul mento, ereditata da suo padre Jonathan.
L’unica
cosa che le due sorelle avevano in comune erano gli occhi, di un
magnifico colore acquamarina, ereditati da Lia.
Mentre
le due ragazze chiacchieravano del più e del meno, Carlisle
entrò come ogni pomeriggio a quell’ora nella
camera 324.
“Come
sta la mia paziente preferita?” esordì gioviale
come al solito.
“Meravigliosamente
dottore!” rispose Josephine sorridendo.
“Oh,
salve Catherine.” salutò la ragazza che continuava
ad osservarlo con grande ammirazione.
Non
aveva mai visto un uomo così bello.
“
Che bei fiori” disse lui indicando il bouquet ancora nelle
mani di Josephine.
“E’
vero. Katie, me lo faresti un favore? Cercheresti un vaso per i fiori
prima che si rovinino?” chiese alla sorella ancora incantata
a guardare il bel dottore.
Lei
biascicò un si, prese i fiori e uscì dalla camera.
“Te
lo chiederò d nuovo” disse Carlisle non appena
rimasero soli “ come stai?”
La
guardava con quegli splendidi occhi color miele, ai quali non si potava
mentire.
Si
sedette accanto a lei sul letto aspettando una sua risposta.
“In
tutta confidenza? Fisicamente bene… moralmente un
po’ male. Voglio tornare a casa Carlisle. Me lo
devi.” rispose stringendogli le mani tra le sue.
“Josephine
ho promesso ai tuoi genitori che ti avrei salvata, ma tu me ne devi
dare il modo.” cercò di convincerla dolcemente.
“Lo
so. Mi dispiace per loro… Stanno spendendo un capitale per
darmi tutte le cure necessarie alla mia guarigione.”
Josephine poggiò la fronte sulla spalla del medico, che per
un attimo dovette trattenere il respiro.
La
sete era ancora forte, ma lui stava imparando nuovamente a reprimere
quell’istinto irrefrenabile.
Doveva
farlo per lei.
Liberò
una mano dalla stretta della ragazza e prese ad accarezzarle i capelli.
“Fallo
per loro. Resisti fino a fine mese e poi potrai tornare a casa e fare
quello che vuoi, sempre sotto mia stretta sorveglianza” non
poteva perderla di vista.
“Va
bene” sospirò
“Però
devi ammettere che seguendo la mia terapia ti senti molto
meglio!”
“Lo
confesso.” rise alzando la testa e guardando Carlisle negli
occhi.
“Sai,
semmai un giorno dovessi avere una figlia, vorrei fosse come
te” poggiò la mano sulla sua guancia, accarezzando
con il pollice il piccolo neo che Josephine aveva sotto
l’occhio destro.
“Non
credo ti convenga! Sono un tipino abbastanza difficile da
trattare.”
Era
la prima volta dopo due settimane che la vedeva ridere di gusto.
Il
suono cristallino della sua voce sembrava musica.
“Scusami
per lo sfogo” disse lei mentre Carlisle si alzava per andare
via “e scusa anche per la mia presa di confidenza. Forse un
po’ troppo inadeguata…”
“Non
ti preoccupare. Tu puoi farlo quando vuoi. Sarà il nostro
piccolo segreto.”
Quella
stessa sera un gran trambusto spinse i pazienti ed i
visitatori dell’ospedale ad uscire dalle loro stanze.
Le
ambulanze viaggiavano da una parte all’altra della
città a sirene spiegate.
Stava
succedendo qualcosa di grave.
Tutti
i reparti vennero invasi da uomini, donne e bambini deliranti sulle
loro barelle mentre altri contagiati, invece, conservavano un
atteggiamento dignitoso nonostante la grande sofferenza.
Ai
pazienti venne subito dato dai dottori l’ordine di non uscire
dalle proprie stanze per nessun motivo, in modo da evitare il contagio.
Incurante
di questo ed approfittando della confusione generale, Josephine
uscì nel corridoio del suo piano e si fermò
dinnanzi la chiesetta di fronte le scale.
Riconobbe
immediatamente l’infermiera che si prendeva cura di lei
insieme la dottor Cullen da quando era ricovera là, salire
su per quelle scale correndo.
Dietro
la donna, dei portantini reggevano due barelle: su di una vi era
sdraiata una donna, mentre sull’altra un uomo, entrambi
svenuti e non più giovanissimi.
Velocemente
le si avvicinarono, correndo verso il reparto della malattie infettive,
situato su quel piano.
Riconobbe
anche Carlisle. Non l’aveva mai visto così agitato.
Accanto
a lui un giovane ragazzo dai capelli ramati saliva le scale concitato,
seguendo i due sulle barelle.
Josephine
notò immediatamente i suoi splendidi occhi color smeraldo,
quando le passò accanto e i loro sguardi si incrociarono.
“Non
puoi rimanere qua!” le urlò contro Carlisle
prendendola per le spalle.
“Cosa
sta succedendo?”
“Torna
subito in camera tua!
La
spagnola è arrivata.”
E
finalmente pubblico questo mio quarto capitolo.
Mi
ci è voluto un po’ per finirlo ma oggi ce
l’ho fatta.
Ringrazio
Momob per la sua recensione! Spero che ora sia più chiaro
l’aspetto fisico di Josephine!
Il
suo carattere (e quello di Kate) si capirà più in
là con l’evolversi degli eventi.
Ringrazio
anche Rakiy, Gx_Gse e Bella4 per aver commentato i primi capitoli!!!!
Spero
stiate continuando a seguire la storia!!
Un
grazie speciale va a mia sorella che mi incoraggia ogni giorno! TVB
Mi
raccomando commentate e fatemi sapere se è il caso di
continuare!
Baci…
Evie
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Capitolo 5 *** Incontro ***
5. Incontro
“La
spagnola?”
“Si. Vai in camera tua e non uscire fino ad un mio ordine,
chiaro? Cerca di riposare” Carlisle era veramente arrabbiato.
Se c’era una cosa che odiava del suo mestiere era proprio
perdere un paziente.
Josephine tornò nella solitudine della sua fredda stanza.
Erano passate le undici e nell’ospedale regnava ormai la
tranquillità.
Sembrava non fosse mai successo nulla.
Carlisle era passato da lei, alla fine del suo turno, per accertarsi
che stesse dormendo.
Ma il sonno sembrava non volesse impossessarsi della ragazza, che
passò la serata a rileggere per l’ennesima volta
lo stesso libro.
Non appena il dottor Cullen fu lontano, Josephine decise di disobbedire
per la prima volta ad un ordine datole: posò il libro sul
comodino, afferrò la vestaglia in cotone e sangallo e
uscì dalla stanza decisa a fare una passeggiata.
Appena uscita dalla camera un fortissimo odore di alcool e medicinali
le bruciò il naso.
Per sua fortuna il corridoio era deserto.
Tutti i dottori e le infermiere condannati al turno di notte, erano
intenti ad occuparsi del gran numero di pazienti arrivati qualche ora
prima in preda a febbri altissime che non accennavano a scendere.
Josephine si fermò per la seconda volta quella sera davanti
la chiesetta, tra i due reparti.
Il fitto tendaggio color porpora copriva le vetrate che circondavano
quella stanza così speciale.
La luce fioca che brillava da dietro le tende fu come un invito ad
entrare in quella infinita pace, dove nulla era corrotto da tutto
ciò che succedeva all’esterno.
C’era qualcuno seduto al secondo banco, dinnanzi un grande
crocifisso che sovrastava maestoso il piccolo altare in marmo
girgio-rosato.
Josephine si avvicinò ad un tavolino basso sul quale erano
disposte delle candele ancora spente, ne prese una e l’accese
servendosi della fiamma dell’unica candela accesa.
Facendosi il segno di croce andò a sedersi accanto
all’unica persona nella chiesetta, un ragazzo.
“Va tutto bene?” chiese Josephine sedendosi.
Il ragazzo biascicò un si.
Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le
mani. Stava piangendo forse.
Josephine si sfilò di tasca un fazzoletto in cotone con
rifiniture in macramè e glielo porse “Per
te” disse sussurrando.
Lo sconosciuto alzò la testa e si voltò a
guardare quella ragazza ficcanaso per dirle di lasciarlo in pace, ma
non appena incontrò quegli occhi così sinceri e
il suo dolce sorriso, soffocò in gola le parole che stava
per dire e prese il fazzoletto che gentilmente lei gli porgeva.
“Sei qui per pregare o per cercare un po’ di
pace?”
“Entrambe le cose… credo…”
Josephine riconobbe in lui il ragazzo che aveva visto qualche ora
prima, quando era scoppiato il pandemonio in ospedale.
“J. H.” sussurrò il ragazzo leggendo le
iniziali sul fazzoletto che rigirava tra le dita.
“Josephine Heart” disse lei
“E. A. M.”
Josephine rise. “Sta per…?”
“Edward Anthony Masen”
“Piacere di conoscerti Edward.
Erano i tuoi genitori gli ultimi due che hanno portato nel
reparto poco fa vero?”
“Si” rispose Edward poggiando la fronte sui pugni
chiusi.
“Che crudeltà… Dopo tutte le barbarie
che la guerra ha portato questa non ci voleva proprio” disse
Josephine tra sé e sé guardando il grande
crocifisso in legno di acero “Anche tu sei di
Chicago?”.
Edward si voltò a guardarla e sorrise.
Sorrise guardando quella ragazza sforzarsi ad essergli di conforto.
Sorrise del suo così discreto tentativo di fare amicizia.
Sorrise del suo brusco cambiamento di discorso allo scopo di tirargli
su il morale.
Continuava a sorridere quando lei si voltò e notò
per la prima quanto fosse bella.
“Allora?” chiese lei attendendo la risposta.
“Si anche io sono di Chicago. Ci sono nato, cresciuto ma non
penso ci morirò”
“Perché?”
“Bè penso avrai sentito parlare
dell’abbassamento della soglia di età per la
chiamata alle armi… e io sono prossimo all’entrata
in guerra nell’esercito americano…Mancano pochi
mesi.
Mia madre è preoccupatissima”
“E tu?”
“Io no. Anzi sono eccitato all’idea di potermi
rendere utile al mio paese!
E’ l’unico pensiero ch mi fa andare avanti in
questo momento” Edward continuava a rigirarsi tra le mani il
fazzoletto di Josephine, sfiorando con le dita le delicate iniziali in
rilievo.
“Mi dispiace…” biascicò
Josephine
“Per cosa?” chiese Edward riprendendo a guardala,
gli occhi verde smeraldo brillavano alla luce delle due candele nella
penombra.
“Per tutto. Per la guerra e tutte le sue conseguenze, per le
vittime della spagnola, per i tuoi genitori…”
Non appena lì nominò, il volto del ragazzo si
rabbuiò.
Notando questo brusco cambiamento di umore, Josephine gli
posò una mano sulla spalla dicendo mantenendo il tono di
voce sempre basso “Non ti preoccupare. Si
sistemerà tutto”
“Lo spero” disse lui con un nodo in gola.
“Vi ho visti arrivare con il dottor Cullen…
Carlisle è in gamba e sta sicuro che farà
l’impossibile per salvare i tuoi genitori”
continuò a rassicuralo.
“Lo sta facendo anche per te?”
“Si. Ma quello che ho io non è molto grave.
Passerà presto.” disse con quel suo sorriso
contagioso e scacciapensieri.
Trascorsero minuti di assoluto silenzio, un silenzio assordante, un
silenzio affollato dai diversi pensieri dei due ragazzi, un silenzio
che fu Edward a spezzare.
“Ho paura”
“Lo so. Ne ho molta anche io.”
“Avrei preferito che la spagnola avesse preso anche me invece
che vivere tutta questa terribile situazione contro la quale non posso
fare nulla. Mi sento uscire pazzo!” disse Edward prendendosi
la testa tra le mani con rabbia.
Vederlo in quello stato straziava il cuore di Josephine.
E’ vero, era solo uno sconosciuto incontrato per caso, ma lei
in quei pochi minuti passati con lui si era immedesimata in quella sua
orribile sofferenza, nel suo stato di impotenza contro gli eventi della
vita.
Impulsivamente gli si avvicinò di più, lo prese
per le spalle e lo strinse tra le braccia.
Edward incredulo appoggiò la fronte alla sua spalla,
lasciandosi cullare da quel caldo abbraccio.
“Ricorda sempre una cosa Edward” disse Josephine
“nella vita non sarai mai solo. Ci sarà sempre
qualcuno pronto a tenderti una mano nei momenti di sconforto, una
persona che ti farà pensare che la vita non fa poi tanto
schifo, qualcuno per cui vale la pena vivere.
Forse è una persona che conosci già da tempo,
oppure la devi ancora incontrare. E allora si che ringrazierai il cielo
per non averti tolto la vita nel momento sbagliato, vita che sarai
pronto a perdere per lei, per proteggerla ad ogni costo.
Mi raccomando non dimenticarlo mai, qualsiasi cosa succeda”
Non se l’aspettava.
Quando l’aveva vista la prima volta, non credeva che quella
piccola impicciona lo avrebbe fatto riflettere e gli avrebbe riacceso
una piccola scintilla della sua voglia di vivere proprio lì,
in mezzo al petto.
Con un movimento veloce ricambiò con forza a
quell’inaspettato abbraccio.
Ora era Josephine tra le braccia di Edward.
“Grazie” le sussurrò in un orecchio.
Per fortuna la semi oscurità impedì al ragazzo di
vedere avanzare il rossore che le stava colorando le guance.
Non voleva farlo, ma Josephine si divincolò da
quell’abbraccio.
Dopo la loro chiacchierata aveva capito che nel suo stato era meglio
evitare di affezionarsi eccessivamente ad una persona alla quale
avrebbe fatto solo del male.
“Devo andare” si diresse con passo veloce alla
porta della stanza, posò una mano sulla maniglia e si
voltò “Buonanotte Edward”
“A presto Josephine”
Mamma mia come mi
è venuto lungo questo capitolo che pubblico eccezionalmente
il giorno del mio onomasticoXD!
Spero sia di vostro
gradimento^_^
Ringrazio Bella4 e
Alice Brendon Cullen per aver aggiunto la mia fiction tra i loro
preferiti!
Se avete
suggerimenti o consigli per migliorare questa storia fatemelo sapere!
Commentate in
tanti!!!
Bacioni…
Evie
|
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Capitolo 6 *** Sospiro ***
6.
Sospiro
Non
riusciva a non pensarci.
Non
riusciva a non pensare a quello che era successo la sera prima.
Era
incredibile come il pensiero di quell’ imprevista
chiacchierata l’assorbiva così tanto, tanto da non
lasciarla dormire.
Ma
ormai aveva preso la sua decisione, anche se un po’ sofferta.
Aveva
deciso che non si sarebbe legata più a nessuno, che non
avrebbe partecipato al dolore altrui tanto da immedesimarsi, ma
soprattutto aveva deciso di non affezionarsi a lui.
Già
, lui, il ragazzo dagli occhi verdi che entrava nei suoi pensieri senza
preavviso, nei momenti in cui cercava un rifugio sicuro tra le lenzuola
del suo letto e serrava gli occhi per abbandonarsi in quel dolce oblio
che tutti comunemente chiamano sonno.
“Non
lo conosco neanche”
continuava a cercare un alibi per il battere aritmico del suo cuore.
Perché
si sentiva così?
Non
riusciva a capirlo.
Il
mattino non tardò ad arrivare.
Josephine
dormiva ancora quando sua madre prima, ed il dottor Cullen un paio
d’ore più tardi, entrarono nella sua camera.
“Dorme
ancora?” chiese Carlisle con un tono di voce impercettibile.
Lia
annuì sollevando gli occhi dal lavoro di ricamo che aveva
per le mani.
Stava
seduta accanto al letto della figlia osservando le varie espressioni
che si alternavano sul suo volto assopito.
“E’
normale. La terapia che sta seguendo la stanca parecchio, ma questa
tortura finirà presto” sorrise Carlisle.
“Dottore
lei ha detto che a fine mese potremmo riportarla a casa con noi. Ma
sarà prudente allontanarla
dall’ospedale?” Lia aveva posato definitivamente il
suo lavoro per parlare con il dottore.
“Signora
Heart, sarebbe inutile tenere Josephine rinchiusa qui.
Quest’ambiente non farebbe altro che farla ammalare
ulteriormente e io non voglio che questo accada. Naturalmente
continuerei a seguire sua figlia ugualmente.
Ho
a cuore Josephine, più di quanto lei creda.”
Solo
allora Carlisle fece caso alla straordinaria somiglianza tra le due
donne.
L’una
era la copia perfetta del’altra.
“Mio
marito ed io abbiamo piena fiducia in lei dottore.” sorrise
la donna accarezzando la testa della sua bambina.
“Grazie.
E’ meglio che Josephine riposi ancora un po’.
Tornerò a farle visita in serata…”
“La
spagnola continua a fare vittime, non è vero
dottore?”
“Purtroppo
si… per due pazienti che muoiono ne arrivano altri tre
contagiati. Alcuni riescono a mantenere la lucidità fino
alla fine, mentre altri perdono conoscenza ancora prima di arrivare in
ospedale e muoiono poche ore dopo.”
“E’
uno strazio. Non bastavano le morti causate dalla
guerra…?”
Passarono
poche ore dalla visita del dottor Cullen nella camera 324.
Il
sole risplendeva ormai alto nel cielo ed i suoi caldi raggi filtravano
tra le veneziane, illuminando parzialmente il volto di Josephine.
La
ragazza portò una mano sugli occhi strofinandoli e
nascondendosi da quella luce accecante.
“Mamma…?”
biascicò notando un ombra seduta sulla sedia accanto al suo
letto.
“Quanto
ho dormito?” chiese facendo fatica ad aprire gli occhi per
via della luce.
“Un
bel po’ a quanto so io” conosceva quella voce, ma
non era quella di sua madre.
Si
mise a sedere di scatto nel mezzo del letto aprendo finalmente gli
occhi e ciò che riuscì a vedere la
stupì non poco.
Edward
era seduto là, accanto la finestra socchiusa, uno splendido
sorriso disegnato sulle labbra.
“Buongiorno”
disse con voce calda.
“E
tu che ci fai qui???”
Era
incredibile!
Tutto
si aspettava tranne che vedere lui seduto là, in camera sua
come se nulla fosse, come se fosse stata un’abitudine di
sempre, immobile come la più bella delle statue di cera.
“Tua
madre è andata a portare Katie alla sua lezione di piano
e… bè… eri sola e ho pensato che un
po’ di compagnia ti avrebbe fatto piacere al tuo risveglio.
E’
brutto svegliarsi e non trovare nessuno accanto a
sé.” disse con un’infinita tristezza
negli occhi.
“Non
dovresti essere qui”
“Lo
so…ma che ci vuoi fare? Mi mancavi…”
“Come
ti può mancare una persona che non conosci
neanche?” Josephine cercava di mantenere le distanze proprio
come si era ripromessa, ma era più difficile di quanto
pensasse.
“Non
lo so ma è così. Non faccio altro che pensare a
ieri sera, a quello che mi hai detto, al tuo profumo, a
te…”
“No
no no no. Edward ti prego no!” disse Josephine scendendo dal
letto dalla parte opposta a quella dove era seduto il ragazzo.
“Perché?
Cosa c’è di male in tutto questo?”
Edward si alzò a sua volta.
“Non
devo affezionarmi a te…non posso” Josephine teneva
lo sguardo fisso a terra.
Non
riusciva ad incrociare il suo sguardo.
Se
l’avesse fatto non sarebbe più riuscita a
mantenere la sua linea dura.
Edward
le si avvicinò.
“Stamattina
mi hanno detto che con molta probabilità mio padre non
supererà la notte.”
“Oddio
mi dispiace” aveva infranto la regola che si era imposta
quando era andata a letto, ma quella frase le uscì di bocca
prima che potesse riflettere.
“Già…figurati
che per poterlo vedere devo indossare un camice e una mascherina per
evitare il contagio e non posso stare con lui per più di un
ora al giorno. Ha perso di nuovo conoscenza… mia madre
è più forte… almeno lei è
ancora lucida…”
Josephine
si fece scappare un sospiro.
“E
la cosa peggiore è che oltre il dolore, dentro di me
c’è un altro sentimento che ha il potere di
annullarlo…Com’è strana la vita vero?
Fino ad ieri ignoravo la tua esistenza e credevo che la morte fosse
l’unica soluzione ai miei problemi. Ma ora è
diverso. Mi sento uno stupido a dirti questo dopo neanche 24 ora che ti
conosco…”
Non
poteva non fare a meno di guardarlo.
Edward
non aveva bisogno di descriverle il sentimento che anche lei provava.
I
suoi occhi brillavano non per effetto della luce e Josephine ne era
incantata.
“Vieni
con me” Edward la prese per mano, sbirciò fuori la
porta assicurandosi che il corridoio fosse deserto, ed uscirono diretti
alle scale.
“Dove
mi porti?”
“Lo
vedrai presto”
Salirono
su per un paio di piani fino a quando giunsero davanti una porta che
Edward aprì.
Dava
sulla terrazza più alta dell’ospedale.
“Wow!
Il mondo visto da qui è bellissimo…”
disse Josephine affacciandosi.
“Sapevo
ti sarebbe piaciuto questo posto” Edward le poggiò
le mani sulle spalle, fermandosi ad osservare Chicago da
quell’altura.
“E
crudele…” sospirò Josephine
“Cos’
è crudele?”
“Bè,
il fatto che si possa godere di una così bella vista solo da
un ospedale…”
Edward
rise di gusto affondando il viso tra i suoi capelli profumati di
lavanda.
“E’
incredibile quanto stia bene con te…”
“Non
ti affezionare troppo a me Edward… Potresti
soffrire… Non resterò qui a lungo.” il
respiro di Josephine iniziò a farsi affannoso e il solito
dolore in mezzo al petto esplose con violenza, tanto da costringerla a
soffocarlo con un lungo sospiro, le mani strette sul petto.
“Non
importa dove andrai perché io sarò con
te” le sussurrò in un orecchio.
“Dico
sul serio. Ti farò soffrire. Nel posto dove devo andare non
potrai venire con me…”
“Josephine”
sospirò il suo nome facendola voltare per guardarla in viso.
Con
una mano le accarezzava una guancia, mentre l’altra la teneva
poggiata delicatamente sul suo fianco destro.
Le
lacrime non poterono fare a meno di scendere lungo le sue guance,
bagnando la mano di Edward.
Il
ragazzo prese il viso di Josephine tra le sue mani e lo
avvicinò al suo, sfiorando le morbide labbra della ragazza
con le sue.
Neanche
il tempo di assaporare la dolcezza di quel soffice bacio, che Josephine
svenne tra le sue braccia.
Sembrava
morta.
“Josephine?”
Edward si sedette a terra stringendo la ragazza tra le braccia.
“Josephine
svegliati” continuava a chiamarla scuotendola, ma la ragazza
non accennava ad aprire gli occhi.
“JOSEPHINE!”
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Capitolo 7 *** Il Medaglione ***
7.
Il medaglione
La
disperazione stava prendendo pieno possesso di Edward.
Era
finalmente riuscito a confessarle i suoi sentimenti ed ora Josephine
giaceva inerte tra le sue braccia, il viso sempre più
pallido, spaventosamente cadaverico.
“Rispondimi
ti prego” le disse Edward accarezzandole il viso ancora caldo.
Poggiò
un orecchio sul suo petto, in corrispondenza del cuore e
sentì che il battito diminuiva con il passare dei secondi.
D’impulso
si alzò prendendola di peso in braccio.
Scese
le scale con il passo più veloce che poteva e raggiunse la
stanza di Josephine, al terzo piano.
In
quello stesso istante i genitori della ragazza si stavano avvicinando
alla sua stanza
quando
la videro senza sensi tra le braccia di quello sconosciuto.
Lia
guardò bene la figlia e lanciò un urlo sovrumano,
urlo che attirò Carlisle che passava per quel corridoio.
“Edward!
Cos’è successo?” gridò
avvicinandosi ai ragazzi.
“Dottor
Cullen deve fare assolutamente qualcosa per lei” disse Edward
in preda al panico “stavamo parlando quando ad un tratto
è svenuta”.
Carlisle
prese Josephine in braccio e la portò nella sua stanza.
Era
l’occasione che aspettava, ma non credeva ci sarebbe voluto
così poco tempo.
Però
il vampiro non aveva fatto i conti con le circostanze…
c’era troppa gente con lui. Un’infermiera lo aveva
seguito quando era entrato della camera della ragazza e aveva lasciato
la porta aperta.
“Cosa
hai fatto a mia figlia?” urlò Jonathan Heart
contro Edward, sferrandogli un pugno in pieno volto.
Il
ragazzo cadde a terra e non trovò la forza per rialzarsi.
Era
veramente stata colpa sua ciò che era successo a Josephine
sulla terrazza?
Jonathan
gli si avvicinò e lo prese per il bavero della camicia.
“Non
ti azzardare mai più ad avvicinarti a mia figlia, hai
capito? Non farti vedere mai più, sparisci dalla mia
vista”
Edward
portò la mano al naso insanguinato, mentre Carlisle decideva
di dare un’altra possibilità a Josephine, prima
della trasformazione.
Passarono
diverse ore prima che Carlisle lasciasse la stanza di Josephine dicendo
ai suoi genitori che la ragazza era ormai fuori pericolo e che la crisi
era passata.
Edward
aveva passato l’intero pomeriggio appoggiato alla vetrata
esterna della chiesa, tenendo d’occhio tutti i movimenti
davanti la stanza 324.
Aveva
appena acceso tre candele in chiesa e si rigirava ancora il fiammifero
bruciacchiato fra le dita.
Non
appena vide il medico uscire da quella stanza che gli stava tanto a
cuore gli si avvicinò:
“Come
sta?”
“Si
riprenderà presto.”
“E’
stata colpa mia. Non avrei mai dovuto farla uscire dalla sua
stanza”
“Sarebbe
stato meglio evitare in effetti… ma tu non potevi conoscere
le sue condizioni di salute”
“Mi
sento responsabile comunque…”
Carlisle
gli sorrise affettuoso, infilò una mano nella tasca del
camice e ne estrasse uno splendido medaglione rotondo in oro bianco,
con strane incisioni in rilievo sul davanti.
“Le
è caduto quando la tenevi in braccio” disse
Carlisle porgendo il medaglione al ragazzo.
Edward
gettò via il fiammifero e prese quello strano ciondolo in
mano, notando una piccola incisione sul retro:
“Alla
nostra bambina con infinito amore”
“Penso
sarà più contenta se sarai tu a darglielo al suo
risveglio” e il dottore sparì nel reparto dove
erano ricoverati i genitori del ragazzo.
Quella
notte trascorse lenta per tutti.
Le
condizioni del padre di Edward peggiorarono fino a degenerare,
portandolo alla morte.
L’uomo
spirò tra le braccia del figlio disperato, mentre sua moglie
si struggeva nel dolore della sua perdita.
Josephine
si risvegliò il mattino seguente.
Aprì
gli occhi ed il suo cuore sussultò dalla gioia: Edward era
seduto accanto a lei come il mattino precedente, tenendosi le testa fra
le mani e ondeggiando avanti e indietro sulla sedia.
La
ragazza spostò la mascherina dell’ossigeno dalla
bocca.
“Edward…”
sussurrò.
Immediatamente
lui sollevò la testa guardandola.
Lei
allungò una mano verso il ragazzo che subito la prese tra le
sue e la portò alla bocca baciandola.
“Mi
dispiace” le sussurrò
“No
Edward. Sono io a dovermi scusare… Ti ho fatto prendere un
bello spavento…” disse respirando ancora un
po’ a fatica.
“L’importante
è che stai bene adesso”
La
ragazza gli sorrise debolmente.
“Tuo
padre come sta?” gli chiese ricordando le sue parole il
giorno prima.
Improvvisamente
il volto di Edward si rabbuiò.
“Non
ce l’ha fatta.” sibilò portandosi la
mano della ragazza alla fronte.
Lei
prese ad accarezzargli la testa “Mi dispiace tanto
Edward” e una lacrima le bagnò il viso
bianchissimo.
Alcune
lacrime bagnarono un lembo del lenzuolo. Josephine sollevò
il viso contratto dal pianto di Edward.
“Si
dice che il Signore ci dia un grande dolore solo per prepararci ad una
gioia più grande…”
Edward
appoggiò la testa sul braccio di lei continuando a piangere
ancora per un po’.
Passarono
diversi minuti di assoluto silenzio durante i quali Josephine consolava
silenziosamente Edward.
“Grazie”
sussurrò ad un tratto il ragazzo sollevando i suoi
bellissimi occhi verdi arrossati dal pianto.
“Figurati.
E’ un piacere.” sorrise la ragazza sfiorandogli la
guancia con un dito.
“Ho
una cosa che penso ti appartenga” Edward sfilò
dalla tasca il medaglione rotondo datogli da Carlisle qualche ora prima.
“Il
mio ciondolo!”
“Ti
è caduto prima quando sei svenuta” disse lui
appoggiandolo in una sua mano.
“L’hai
tenuto tu fino ad ora? Ti ringrazio” ogni volta che lo
guardava, il suo sorriso gli sembrava ancora più bello.
Con
uno scatto si alzò dalla sedia per sedersi sul letto accanto
ad una Josephine perplessa.
Le
prese il viso tra le mani dicendo “vogliamo riprendere il
nostro discorso da dove si è interrotto?”.
Josephine
annuì in modo impercettibile e si avvicinò ad
Edward baciandolo delicatamente.
Il
ragazzo rispose a quel bacio con passione, assaporando appieno la
dolcezza delle sue labbra che tanto aveva desiderato.
“Ho
avuto tanta paura di perderti amore mio” Edward stringeva
Josephine al suo petto baciandole la testa, il suo respiro caldo la
avvolgeva.
E
fu proprio il calore a far staccare Josephine da
quell’abbraccio.
Subito
lei posò una mano sulla fonte bollente del ragazzo.
“Ma
tu hai la febbre! Edward devi stare a riposo”
“Non
ti agitare. Io sto benissimo! E’ solo un po’ di
stanchezza, tranquilla tesoro”
“Sicuro?”
Edward
annuì portando nuovamente tra le sue braccia la ragazza che
si mise all’ascolto del battito frenetico del suo cuore.
Ed eccomi di nuovo
tra di voi!!!
Mi scuso per il
ritardo con cui pubblico questo capitolo e mi scuso anche con Bella4 e
Frefro per l'infarto collettivo che vi ho fatto predere alla fine del
capitolo precedente!
Mi dispiace ma
sono fatta così^_^
Spero di essermi
fatta in parte perdonare con questo capitolo....
Ringrazio Soad per
avere aggiunto la mia storia tra i suoi preferiti!! Grazie!!!!!
Commetate in
tanti!!!!
Bacioni...
Evie
|
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Capitolo 8 *** Una melodia solo per te ***
8.
Una melodia solo per te
“Salva
mio figlio Carlisle! Te ne prego”
“E’ molto grave , Elizabeth.”
“Dov’è adesso?”
biascicò la donna
“Nella corsia d’emergenza. Le camere sono tute
piene e lui è troppo grave per essere salvato”
“Tu lo devi fare Carlisle! Tu puoi
l’impossibile!” disse stringendogli più
che poteva la mano, un attimo prima di spirare.
Era una giornata molto uggiosa.
La pioggia cadeva incessante su Chicago per la prima volta da cinque
mesi; Edward entrò nella stanza di Josephine tutto zuppo
d’acqua.
“Guarda che ti ho portato?” disse sfilandosi il
cappotto e lasciandolo cadere su una vecchia poltroncina accanto alla
porta.
“Fa’ vedere! Sono curiosa!”
Con un gran sorriso Edward estrasse dal sacchetto di carta che aveva in
mano un cofanetto ovale in argento intarsiato e lo porse alla ragazza.
“Che bello” Josephine sorrideva accarezzando il
dorso in tessuto rosso damascato di quello che lei credeva essere un
semplice portagioie.
“Ti piace?”
“Tantissimo! Grazie! Hai avuto un bel pensiero”
“Questo e altro per te” disse Edward baciandola.
“Dai, aprilo” continuò sedendosi sul
letto accanto a lei.
Delicatamente, Josephine girò la piccola chiave
d’argento e sollevò il coperchio.
Una dolcissima melodia si profuse per tutta la stanza fondendosi
armoniosamente con il rumore della pioggia.
“Ma è un carillon!” esclamò
sorpresa la ragazza.
Nel vedere la sua espressione mista di incredulità e
sorpresa, Edward scoppiò in una fragorosa risata.
“E ti dico di più” disse guardando gli
splendidi occhi acquamarina di lei riflessi nel piccolo specchio
rettangolare del carillon “la melodia che stai ascoltando e
mia”
“Non ci credo!Non mi avevi detto di saper suonare il
piano…”
“Ci sono ancora tante cose che non sai di me. Ma avrai tutto
il tempo di scoprirle”
A quelle parole Josephine chiuse di scatto il carillon.
Edward la guardava preoccupato.
“Ho detto qualcosa di sconveniente?” chiese
sollevandole il viso con una mano.
“No” sussurrò lei accennando un sorriso
visibilmente forzato.
“Sai..non sapevo quale fosse il tuo compositore preferito e
così ho pensato di fare da me…” disse
Edward per smorzare la tensione.
“Beethoven. Adoro la sua sonata al Chiaro di Luna…
romantica, sognante, ma forte allo stesso tempo.”
“Che strano…anche io adoro una sonata al Chiaro di
Luna ma non è di Beethoven.” Disse sogghignando.
“E’ di Debussy, vero?”
“Sei un’appassionata di musica classica a quanto
vedo!” disse poco sorpreso della scoperta.
“Mia madre era una cantante dell’Opera di Parigi ed
è stata lei a trasmettermi l’amore per la musica
classica e per l’opera.
Ricordo che quando ero piccola passavo molto tempo a teatro con lei qui
a Chicago o quando le capitava di essere chiamata a Parigi.
Purtroppo, però, dopo la nascita di Katie ha abbandonato
questa passione ma continua tutt’ora a cantare per noi, solo
per noi.”
Mentre raccontava quella storia, Josephine sentiva il respiro caldo di
Edward premerle sul collo.
Si voltò a guardare il ragazzo, ancora zuppo di acqua
piovana, e si accorse che lui non aveva fatto nulla per guarire dalla
febbre dei giorni precedenti.
“Edward! Ma tu scotti!!” disse poggiando una mano
sulla sua fronte, alzando il tono di voce più del solito.
“Non è nulla” disse scostando la mano
della ragazza e alzandosi troppo in fretta, tanto da cadere per terra a
seguito di un giramento di testa.
Josephine scese dal letto e gli si avvicinò cercando di
rianimarlo, ma il ragazzo aveva perso conoscenza.
Immediatamente lei uscì dalla stanza per cercare aiuto.
“Infermiera, infermiera! Mi aiuti! Il mio ragazzo ha avuto un
malore e non riesco a rianimarlo!”
“Cosa succede Josephine?” Carlisle Cullen
uscì dalla stanza di fronte alla 324.
“Edward… è per lui! Carlisle si
è sentito male all’improvviso… aveva la
febbre l’altro giorno ma poi non se l’è
curata…e oggi è uscito sotto la
pioggia…”
“Josephine calmati! E’ in camera tua
adesso?”
La ragazza annuì e seguì il dottore.
Carlisle si avvicinò al ragazzo disteso per terra e premette
due dita sulla carotide per sentire il battito.
“Carlisle?”
“Dobbiamo immediatamente trasferirlo nell’altro
reparto.”
“Carlisle cosa succede?”
“Temo proprio sia più grave di una semplice
febbre…”
“Cos’è allora? Puoi dirmelo, te ne
prego!” disse la ragazza inginocchiandosi accanto al dottore.
“Josephine… ho paura che sia uno stadio troppo
avanzato di Spagnola”
“E quindi?”
Josephine si sentì morire.
Guardava con un misto di speranza e dolore Carlisle, mentre il suo
sguardo lasciava presagire un acquazzone di lacrime.
Mi scuso per il
tremendo ritardo ma non è stata colpa mia...
Al mio pc
è venuta la felice idea di romepersi e per questo l'ho
riavuto indietro solo pochi giorni fa...
Ma cmq finalmente
sono riuscita a finire questo ottavo capitolo anche se non è
venuto proprio come volevo io...
Ringrazio tutti
coloro che stanno seguendo questa vicenda e che l'hanno inserita tra i
loro preferiti!!!! VVB
Vi prometto che
presto diventerà moooooolto più avvincente,
potete crederci! ^_^
Per ora vi saluto...
A prestissimo!
Bacioni...
Evie
|
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Capitolo 9 *** Inconsolabile ***
9.Inconsolabile
“Cosa
facciamo?” chiese Josephine in lacrime.
“Tu non farai niente. A lui ci penso io. Sta alla larga da
Edward!” ringhiò Carlisle uscendo dalla stanza
sostenendo il ragazzo che aveva ripreso in parte conoscenza.
La giovane rimase seduta sul pavimento stordita
dall’infinità delle emozioni che le vorticavano
nello stomaco come farfalle impazzite.
Non trovava la forza né la volontà per sollevarsi
da quello stato, finché una figura sfocata apparve alla
porta.
“Josy! Che ci fai li?” disse concitata Katie,
inginocchiandosi accanto alla sorella.
“E’ andato via…”
sibilò Josephine tra un singhiozzo e l’altro.
“Chi è andato via?” chiese Katie
asciugandole le lacrime con un fazzoletto.
“E-Ed-Edward!”
“Oh tesoro… Se non ti calmi non capirò
mai cosa è successo…” Katie
cercò di consolarla abbracciandola.
Prendendola per le spalle la fece alzare, portandola a sedere sul letto.
“Bene. Ora che siamo più comode…
spiegami cosa è successo di così grave da ridurti
in questo stato mentre io ero via…”
Josephine fece un respiro profondo cercando di soffocare i singhiozzi
che le esplodevano in petto; quando infine prese fiato
iniziò la sua spiegazione:
“Eravamo qui in camera, tranquilli fino a qualche minuto fa.
Pensa che Edward mi ha anche regalato quel bellissimo
carillon…” indicò l’oggetto
ai piedi del letto.
Catherine lo avvicinò, posandoselo sulle ginocchia e
aprendone il coperchio.
“E’ bellissimo…”
sospirò ascoltando la melodia al suo interno.
“Di più…” Josephine sorrise
appena
“E poi? Cosa è successo?”
“Stavamo parlando seduti sul letto quando ad un certo
punto… lui scottava, si è alzato di scatto e poi
è caduto per terra…Non sapevo cosa
fare” disse con voce incrinata.
Katie posò il carillon e la abbracciò come non
aveva mai fatto in 15 anni.
Alcune ciocche biondissime dei suoi capelli dorati si posarono sulla
camicia da notte della sorella, bagnandola appena.
Le lacrime continuavano ad uscire incessantemente dagli occhi di
Josephine.
“In più Carlisle si è
arrabbiato… Mi ha urlato di stare alla larga da
Edward” continuò.
“Il dottor Cullen?? Non sembra il tipo…Ma ti ha
detto almeno il perché?”
“Ha solo accennato che potrebbe essere affetto da
spagnola…non ha neanche considerato che forse è
semplicemente una febbre un po’
trascurata…”
“Josy, il dottor Cullen è un uomo in gamba.
Saprà certamente cosa è meglio per Edward.
Non possiamo escludere che le sue impressioni siano fondate
però…vivendo qui sai meglio di me quante vittime
sta facendo la spagnola e quante ancora ne farà. Si sta
diffondendo molto velocemente ed è probabile che anche lui
ne sia affetto…
Suo padre è morto così e…”
“Basta!!! Catherine non te lo lascio dire! Edward non deve
morire! Non può!”
“Josephine non volevo dire questo!”
“E allora cosa volevi dire? Dato che i suoi genitori hanno
sfortunatamente contratto questa malattia è matematico che
lui debba morire nello stesso modo???”
“Non è questo il punto! Volevo semplicemente dire
che è possibile che lui stando a contatto con la sua
famiglia abbia contratto il morbo e non che debba morire per
questo!”
“Cosa mi succede Katie?”
“Nulla sorellina…sei solo preoccupata per lui.
E’ normale la tua reazione. Tieni molto a quel
ragazzo”
“E’ la prima volta che litighiamo
così”
“C’è sempre una prima volta!”
Katie sorrise per la prima volta da quando era entrata nella stanza
della sorella quel pomeriggio.
“Ed ora cosa succederà?” gli occhi delle
ragazze si incrociarono cercando l’una l’appoggio
dell’altra.
“Andrà tutto per il meglio, Josy. Non ci resta che
aspettare e sperare…”
Quella stessa sera Josephine uscì di nascosto dalla sua
stanza.
Doveva sapere come stava, dov’era e se si era
ripreso…
Non voleva disubbidire a Carlisle ma non poteva neanche restarsene con
le mani in mano, a logorarsi in attesa di una notizia che non sarebbe
arrivata molto presto.
Entrò per la prima volta nel reparto adibito alle malattie
infettive e quello che vide le mise in cuore una sconfinata tristezza:
uomini, donne e persino bambini piccolissimi, lasciati
all’abbandono su delle barelle nei corridoi del reparto.
Le stanze stracolme di malati in agonia assisti dai disperati
familiari, ancora non infetti.
Quella vista era straziante.
Josephine portò una mano alla bocca e trattenne a stento un
singhiozzo quando lo vide: anche lui come tanti altri, era sdraiato su
di una barella nel corridoio che portava alla sala operatoria.
“Edward” sussurrò avvicinandosi al
ragazzo apparentemente addormentato.
Le lacrime non poterono fare a meno di uscire dai suoi splendidi occhi
acquamarina, cadendo sul bellissimo volto del ragazzo assopito.
Era incredibile come, nonostante quel male che gli faceva contrarre il
viso per il dolore, la sua bellezza fosse rimasta intatta.
Era affascinante persino da malato.
Per alcuni minuti Josephine gli stette accanto stringendogli una mano
tra le sue e dandogli ripetuti baci sul volto.
“Sapevo saresti venuta nonostante te lo avessi proibito per
il tuo bene” disse all’improvviso la voce di
Carlisle alle sue spalle.
“Mi dispiace.” sussurrò lei voltandosi.
“Anche a me.”
“Quindi? E’ sicuro? E’
spagnola?” chiese timorosa di sapere la verità.
Carlisle non rispose, ma si limitò ad accennare un
“si” con il capo.
“Oddio…” Josephine si voltò a
guardare Edward, scoppiando nuovamente in lacrime, l’ennesima
volta quel giorno.
Carlisle le si avvicinò e le posò una mano sulla
spalla.
La ragazza si girò nella sua direzione e si fece abbracciare
dal dottore che la strinse forte al petto.
D’un tratto ricordò la sensazione che la sua
vicinanza gli provocava i primi tempi, quando si incontrarono la prima
volta.
Ma non allentò la stretta, anzi.
Continuava a tenersela stretta nonostante la gola avesse ripreso a
pizzicargli.
“Credevo di non avere più lacrime dopo questo
pomeriggio” singhiozzò Josephine
“Non avrai mai abbastanza lacrime per questo mondo, piccola
mia. Torna in camera tua adesso. Ci vediamo domani”
|
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Capitolo 10 *** Al crepuscolo ***
10.
Al crepuscolo
L’indomani
mattina una valigia di pelle marrone giaceva già pronta sul
letto di Josephine.
Quella
notte non era riuscita a chiudere occhio e aveva preso la sua decisione
definitiva: avrebbe lasciato l’ospedale quello stesso giorno.
Sedeva
sulla sedia accanto alla finestra, aspettando la visita dei suoi
genitori e quella di Carlisle per comunicare la sua decisione.
Nessuno
entrò nella stanza prima delle nove.
Carlisle
bussò alla porta.
“Avanti”
“Cosa
devo fare con te?” disse l’uomo appoggiandosi allo
stipite della porta e guardando la ragazza già pronta per
uscire e la valigia.
“Ti
riferisci a questo?” chiese incurante lei indicando il
vestito azzurro che indossava.
“Avevamo
fatto un patto o lo ricordo solo io?”
“Ho
preso una decisione e voglio che sia rispettata dato che è
una delle ultime che prenderò in questa vita.”
“Posso
farti ragionare in qualche modo?”
“Carlisle,
tu hai già fatto tanto per me in queste settimane e grazie a
te mi sento molto meglio. Ma ora voglio tornare a casa.”
L’uomo
osservava la determinazione della ragazza con un pizzico di orgoglio.
La
sua futura figlia era una ragazza davvero in gamba.
Sorrise
e uscì dalla stanza.
In
quello stesso istante i genitori della ragazza salivano le scale per
raggiungere la stanza della figlia.
Carlisle
era sul pianerottolo ad aspettarli per comunicargli la sua decisione:
“Buongiorno
signori Heart. Vi stavo aspettando”
Jonathan
portò la valigia della figlia in macchina mentre lei e sua
moglie salutavano il dottor Cullen.
“La
ringrazio di tutto dottore.” disse Lia prima di raggiungere
il marito in macchina.
“Allora
te ne vai veramente. Un po’ mi dispiace.” disse
Carlisle accarezzandole amorevolmente la testa.
“Anche
a me Carlisle. Però la situazione era diventata
insostenibile in ospedale. Non potevo più
rimanere… ci sono troppi ricordi legati a lui… a
proposito come…” tentennò.
“Male
Josephine, molto male. Non avrei voluto dirtelo…”
“Tranquillo.”
Josephine lo abbracciò “prenditi cura di lui, mi
raccomando.”
I
suoi occhi erano velati da un sottilissimo strato di lacrime che la
ragazza trattenne a fatica.
“Ci
vediamo” la salutò lui baciandole la fronte.
Quel
giorno le nuvole avevano lasciato temporaneamente il posto al
sole che risplendeva come non mai.
Sopra
quel settimino intarsiato, tra le spazzole e gli specchi, il piccolo
carillon che Edward aveva regalato a Josephine continuava a suonare
senza sosta da ormai due giorni.
La
ragazza usciva a stento dalla camera, suo rifugio.
Aveva
cercato di riprendere la sua vita come se niente fosse mai successo ma
non appena varcò la soglia di casa le sembrò
tutto più difficile, quasi impossibile.
I
suoi familiari cercavano in tutti i modi di tirarle su il morale ma
nessuno poteva realmente capire quello che la giovane nutriva in cuor
suo.
La
sua vita aveva perso realmente di significato come sosteneva lei?
Quel
pomeriggio sua madre entrò nella sua stanza per darle una
notizia che a suo dire le avrebbe fatto riacquistare parte del suo
solito buonumore.
“Tesoro,
ho una splendida notizia!” disse Lia entrando e spalancando i
vetri del balconcino e quelli della finestra.
“Cosa?”
chiese Josephine assonnata.
“Su
alzati ti devi preparare! Zia Constance ci ha invitato al party che
terrà questa sera! Non è magnifico? Avremo modo
di uscire un po’ da questa casa e vedere i vecchi
amici.” continuò entusiasta sedendosi sul letto
accanto alla figlia.
“E’
una bella notizia” commentò Josephine con tono
amorfo.
“Tesoro,
vedrai che d’ora in poi le cose andranno molto meglio per
noi” disse infine Lia baciando la figlia.
“Ne
sono certa anche io”
“Mammaaaaaaaaaaaaa!!
Dove sei? Vieni subito qui!! Sono in crisi!” urlò
Katie dalla stanza accanto.
“Preparati”
sussurrò all’orecchio della figlia maggiore prima
di uscire sorridendo dalla camera.
“Mamma
muoviti! Ma è possibile che non abbia neanche uno straccio
di vestito da mettere??” continuava ad urlare Katie mettendo
sottosopra in suo armadio.
“Ma
se hai un milione di abiti che metti solo una volta e basta!”
replicava sua madre.
Josephine
si coprì la testa con il cuscino.
Era
incredibile come un giorno Catherine potesse essere la persona
più dolce e matura del mondo e come il giorno dopo
diventasse la ragazzina più viziata e odiosa
dell’universo.
“Allora?
Siete pronte?” chiese Jonathan due ore più tardi,
chiamando le tre donne dal piano di sotto.
“Stiamo
scendendo” lo avvisò Lia appuntando la spilla sul
corsetto dello splendido abito blu che indossava, iniziando a scendere
le scale.
“Papà!
Come sto?” chiese Katie subito dietro la madre,
pavoneggiandosi come al suo solito nel suo abito in voile giallo.
“Sei
stupenda cara. Il giallo ti dona molto.”
“Sempre
la solita tu, eh? Non cambierai mai Katie…” la
ammonì sorridendo Josephine, sistemandosi un nastro bordeaux
tra i capelli.
“Cara
sei bellissima!” si complimentò con lei sua madre.
“Una
meraviglia” disse il padre baciandole la fronte
“Ora muoviamoci o faremo tardi”.
Zia
Constance abitava esattamente dalla parte opposta della
città, a circa tre quarti d’ora da casa Heart.
Era
ormai il crepuscolo e dal lato della strada che dava sul mare si poteva
osservare meglio che in qualsiasi altro posto il tramutare del giorno
in notte.
Le
prime stelle iniziavano a trapuntare il cielo sopra Chicago.
Ma
un imprevisto costrinse Jonathan a frenare di colpo.
“Cosa
succede?” chiese Lia preoccupata al marito.
Jonathan
indicò i tre uomini dall’aria minacciosa fermi
davanti la loro auto.
“E
questi cosa vogliono?” sussurrò Katie a sua
sorella, la quale si strinse nelle spalle.
I
tre si avvicinarono all’auto iniziando a colpirla
violentemente nel tentativo di aprire gli sportelli, chiusi con la
sicura.
“Mamma
ho paura! Papà fa qualcosa!”
“Se
il vostro intento è quello di rapinarci siamo disposti a
darvi tutti i gioielli che possediamo in questo momento, basta che non
facciate del male a mia moglie ed alle mie figlie”
cercò di contrattare Jonathan.
Ma
come si potrebbe far ragionare tre mostri assetati di sangue?
Uno
dei tre riuscì a spaccare un vetro ed a tirare via lo
sportello dalla parte di Jonathan.
“Scappate!!!!”
urlò alla moglie ed alle figlie.
Le
due ragazze riuscirono ad uscire dall’auto mentre due dei tre
uomini aggredivano i loro genitori, mordendoli al collo.
Josephine
si voltò indietro vedendo quella terribile scena, mentre il
terzo mostro le sia avventava addosso.
“Corri
Katie!! Più veloce che puoi!!!” urlò
tentando di divincolarsi dalla stretta di quella creatura demoniaca
che, con un brivido d’eccitazione, infilò i suoi
canini nel collo della povera ragazza.
Sensazioni
strane e contrastanti si susseguivano in Josephine.
Dapprima
un dolore acuto fece smettere di battere il cuore della giovane per
pochi secondi, poi un calore mai provato avvolse il suo corpo
lasciandola senza forze e senza fiato.
Raccolse
tutte le sue forze, le ultime, per divincolarsi da quella morsa e ci
riuscì, cadendo al suolo stremata.
Portò
una mano al collo insanguinato cercando di trascinarsi nella direzione
in cui Katie stava scappando.
“Josephine!”
urlò la ragazza tornando indietro per raggiungere la sorella.
“Va
via!” gracchiò Josephine con le poche forze
rimaste, ma i suoi sforzi si rivelarono inutili:
il
suo aggressore si era appena avventato sulla ragazza per fare di lei il
dessert della sua cena.
“Lasciala”
raccogliendo le poche forze rimaste nel suo corpo, Josephine si mise in
piedi a fatica, trascinandosi verso il mostro.
Un
rumore attirò però l’attenzione di
tutti: i due vampiri che avevano attaccato Lia e Jonathan, stavano
spingendo l’auto, con i due coniugi all’interno,
giù per la scarpata.
“No!”
le lacrime bruciavano sul viso di Josephine che aveva assistito inerme
alla scena, senza poter fare nulla per salvare i suoi genitori.
In
quell’istante, approfittando della momentanea distrazione del
vampiro, anche Katie si divincolò dalla sua stretta
raggiungendo la sorella.
“Katie”
sibilò Josephine.
I
loro splendidi occhi si incrociarono l’ultima volta prima che
i tre vampiri le accerchiassero.
Le
due sorelle si trascinarono verso il bordo del burrone, cercando invano
di scappare dai loro aggressori, ma ormai il loro Destino era
già stato scritto.
I
due che avevano ucciso i loro genitori le sollevarono prendendole per
le spalle:
“Bene
bene, sarete contente ora che raggiungerete mammina e
paparino” ringhiò il terzo vampiro, che con un
gesto d’assenso diede l’ordine di liberare le
povere malcapitate giù per il burrone, dove i loro corpi si
sarebbero persi tra le onde del mare.
Durante
la caduta le due sorelle riuscirono a prendersi per mano come facevano
quando da bambine correvano insieme nel giardino di casa.
In
quegli istanti che sembrarono un’eternità,
Josephine tra le lacrime trovò la forza di sorridere per
l’ultima volta a sua sorella, la quale rispose con uno
sguardo intenso, carico di emozione e dolore allo stesso tempo.
Nello
stesso momento Carlisle aveva preso la decisione più
importante della sua vita: raccolse tutto il coraggio di cui disponeva
e con un piccolo gesto diede ad Edward
l’opportunità di vivere una seconda volta.
E
questa volta sarebbe stata per sempre.
PICCOLO
AVVISO:
Questo a mio parere è il capitolo più importante
di tutta la vicenda, in quanto segna una svolta decisiva.
Vi prometto che
d’ora in poi tutta la storia diventerà meno triste
ma ci saranno dei personaggi ad affiancare i protagonisti( soprattutto
Josephine) che daranno un tono più ottimistico e allegro
alle situazioni…
Grazie a Wind che ha
commentato gli ultimi capitoli e grazie a tutti quelli che li hanno
letti^_^.
Un particolare
ringraziamento va alla canzone dei Last Goodnight
“Return
to Me” che mi ha ispirato
l’atmosfera delle ultime scene( vedi la caduta delle due
sorelle).
Un bacio a
tutti…
Evie
|
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Capitolo 11 *** Senza meta ***
11.
Senza meta
Oblio.
Era
l’unica cosa di cui avevo reale coscienza al mio risveglio.
Non
ricordavo quasi nulla di quanto fosse accaduto prima.
Non
sapevo neanche come fossi finita su quella spiaggia, lontana da casa.
Ma
non appena mi guardai intorno, tutto fu immediatamente chiaro.
Come
in un film, le immagini degli eventi accaduti giorni prima mi passarono
dinnanzi agli occhi.
Già,
perché erano passati diversi giorni dalla catastrofe che
aveva colpito me e la mia famiglia, ma in quell’istante non
me ne resi conto completamente.
Mi
misi a sedere molto lentamente.
Ricordo
di aver passato giorni di inferno prima che mi svegliassi…
Un
dolore cupo aveva attraversato il mio corpo e con le sue lance
infuocate lo aveva dilaniato sino a farmi perdere completamente il
senso della realtà.
Quando
finalmente, guardando il mio vestito da sera color panna macchiato di
sangue, ricordai per filo e per segno la dinamica
dell’aggressione.
Mi
alzai di scatto per raggiungere il luogo dove questa era accaduta e lo
feci con una velocità sovrumana.
Il
mio corpo era cambiato parecchio: sentivo una forza distruttrice
esplodermi nelle vene, una forza che stentavo a contenere.
E
questo mi piaceva.
Mi
piaceva l’adrenalina che il potere mi dava.
Arrivai
a destinazione.
Guardando
quell’altura mi meravigliai subito: come avevo fatto a
sopravvivere?
Mi
arrampicai velocemente.
L’asfalto
era ancora macchiato del sangue mio e di mia sorella; gli sportelli
della nostra auto giacevano incustoditi sul ciglio del precipizio.
Vidi
un’ auto avvicinarsi in lontananza e pensai subito di
nascondermi.
Salii
in alto, sulla parete rocciosa attigua alla strada.
Dall’auto
scesero tre uomini, uno dei quali mi sembrò essere un medico.
Pochi
minuti dopo, un’altra auto sopraggiunse sul luogo.
Due
agenti della polizia si avvicinarono ai tre uomini che stavano
esaminando la scena.
“Abbiamo
trovato l’auto infondo alla scarpata” disse un
poliziotto.
“Dei
corpi ci sono tracce?” chiese il medico.
“Si
e purtroppo sono loro. Abbiamo sperato sino all’ultimo
istante, ma Jonathan e Lia Heart erano nell’auto, senza
vita”
A
quelle parole mi sentii morire.
Il
ricordo di quello che era successo era tremendo.
Ma
la conferma lo fu ancora di più.
“Voi
avete scoperto qualcosa?”
“Sembra
tutto tranne che un incidente. Le macchie di sangue
sull’asfalto ce l’hanno confermato”
“E’
molto strano. Chi voleva la loro morte? Era gente rispettabile, non
avevano nemici… è tutto molto strano”
disse il secondo agente.
“Le
figlie? Erano con loro?”
“No.
I loro corpi non sono stati ancora ritrovati. Appena avremo notizie vi
contatteremo noi.” salutò un agente risalendo in
macchina.
Un
senso di vuoto mi attanagliava lo stomaco.
L’idea
che il corpo di mia sorella fosse sparito assieme al mio mi faceva ben
sperare, ma la speranza cedette il posto all’angoscia ed alla
disperazione.
Avevo
una gran voglia di piangere e mi sforza per far uscire le lacrime,
senza successo.
Questo
faceva parte della nuova Josephine?
Della
Josephine forte, veloce e atletica?
La
nuova Josephine non mi piaceva affatto, ma c’era qualcosa che
mi affascinava di quella mia nuova condizione.
Non
sapevo dire bene cosa fosse, ma fondamentalmente quello stato mi
piaceva.
Non
appena le due auto ripartirono, decisi di ritornare a casa.
Trovai
la casa dei miei genitori assediata!
Tra
la tanta gente presente all’interno ed in giardino, riconobbi
Constance la vecchia zia di mio padre, sua figlia Lara con il marito e
altri parenti alla lontana.
Tutti
piangevano la nostra morte.
Guardando
dalla finestra, notai che zia Constance reggeva in mano una foto di
famiglia scattata almeno un anno prima.
Mi
si strinse il cuore nel vedere la tenerezza con cui quella donna
osservava i nostri volti fissati in quella cornice d’argento.
Senza
farmi vedere da nessuno, salii in camera mia per prendere alcune cose.
Ormai
avevo capito che non potevo vivere più in quella casa.
Ceraci
di fare meno rumore possibile nell’aprire la porta della mia
stanza.
Gli
occhi mi caddero automaticamente sul carillon di Edward.
Già
Edward… chissà come stava…
Nell’avvicinarmi
al settimino, il mio volto si riflesse nello specchio postovi sopra.
Avevo
perso completamente quel poco di colorito che avevo guadagnato durante
la cura di Carlisle, ma per il resto ero rimasta la stessa.
Tranne
che per un piccolo particolare, che per me significava molto: i miei
occhi.
Del
mio corpo erano l’elemento che preferivo in assoluto.
Quel
particolare colore acquamarina che li aveva caratterizzati nei primi 17
anni della mia vita, aveva lasciato il posto ad un rosso vino alquanto
inquietante.
Distolsi
in fretta lo sguardo e presi il carillon.
Mi
avvicinai al comodino per prendere una foto di famiglia simile a quella
che zia Constance reggeva in mano, quando sentii un rumore.
Non
potevo farmi vedere da nessuno.
L’unica
via di uscita era la finestra.
D’altro
canto ero indistruttibile, non mi sarei fatta niente cadendo dal
secondo piano.
Un
attimo prima che qualcuno aprisse la porta, saltai giù e
quella notte iniziai a vagare senza meta.
PICCOLO
REFERENDUM:
Allora dato che sono molto indecisa chiedo un vostro parere.
Preferite
che d'ora in poi sia Josephine a raccontare la sua storia o preferite
che contunui a scrivere in terza persona?
Fatemi
sapere così inizio a scrivere il capitolo successivo!
Comunque
ringrazio tantissimo Wind,
Melf e
Lialian per
i bellissimi commenti che avete lasciato lo scorso capitolo!!! Thanks^_^
Ringrazio
anche Melf,
Honey Evans e ysellTheFabulous per
aver aggiunto la mia storia tra i vostri preferiti! Grazie mille!!
Un
bacione grande...
Evie
Ps: la
canzone che questa volta ha dato il ritmo ai pensieri di Josephine
è "If I
talk to God" dei LastGoodnight.
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Capitolo 12 *** Edward Cullen ***
12.
Edward Cullen
“Edward,
Edward. Mi senti?” Carlisle sedeva accanto al letto del
ragazzo.
Erano ormai passati tre giorni dalla sua trasformazione e il ragazzo si
sarebbe svegliato a momenti…
Aprì gli occhi.
“Edward!” disse Carlisle sollevato.
Fino all’ultimo aveva temuto che non si risvegliasse, che lui
avesse fallito…
“Cosa è successo?” biascicò
il ragazzo sollevandosi per mettersi seduto.
“Mi dispiace Edward ma non avevo altra scelta..tu stavi
morendo..”
“Dottor Cullen, lei mi ha salvato la vita. Perché
si scusa?” chiese limpidamente Edward accennando un sorriso.
Più riprendeva conoscenza, e più si sentiva
strano…diverso.
Fissava gli occhi dorati del dottore cercando una risposta al suo
comportamento quando sentì qualcosa.
“Ho
rischiato. Avrei potuto perdere il controllo ma non l’ho
fatto… Spero solo che lui capisca.”
Carlisle non aveva parlato.
Com’era possibile che lui avesse udito una cosa che
quell’uomo non aveva detto?
“Dottore cosa dovrei capire?” gli chiese
Carlisle lo guardava frastornato.
“Edward ti senti bene?”
“Si certo. Mi sento molto più forte di
prima…solo che è strano…”
“E’ comprensibile Edward. Vedi quando ti sei
ammalato io mi sono trovato davanti a un bivio: salvarti sacrificando
la tua mortalità, o lasciarti morire.
Io ho scelto la prima”
“Non capisco… che significa sacrificare la mia
mortalità?”
“Vedi Edward, tu ora sei cambiato molto” prese un
lungo respiro “ sei diventato un vampiro”
Quell’ultima parola rimbombava nelle sue orecchie.
I vampiri non esistevano!
“Cosa sta dicendo dottore?”
“Esattamente quello che hai sentito.
Io sono un vampiro da quasi due secoli ormai. Ho cercato a lungo un
compagno che riuscisse a sopportare il mio stile di vita, che fosse
disposto a rinunciare a nutrirsi di sangue umano ma niente.
Era ormai da tempo che pensavo a questa possibilità fino a
quando tre giorni fa le tue condizioni si sono aggravate dandomi la
possibilità di realizzare il mio proposito.”
“I vampiri non esistono! Ho letto molto a riguardo ma sono
solo leggende! Com’è possibile che
io…io sia diventato un…vampiro?”
“Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi le sofferenze che
ti ho procurato in questo giorni…”
“E
che ti procurerò con la mia dieta”
Era successo di nuovo.
“Di che dieta parla dottore?”
“Chiamami Carlisle. Non ho parlato di nessuna dieta. Non
sarà…”
“Cosa?”
Carlisle si alzò di scatto dalla sedia avvicinandosi alla
finestra del suo appartamento.
“E’
possibile. In fondo è già successo… I
Volturi ne sono una prova… Non sarebbe il primo...”
“I Volturi? Cosa è già
successo?”
Carlisle si votò a guardare il ragazzo sorridendo.
“Sei più speciale di quanto pensassi ragazzo
mio.”
Edward era ancora confuso.
Si alzò dal letto.
“E Josephine? Anche lei è un vampiro
adesso?”
Carlisle non parlò.
Lasciò che fosse Edward a scoprire la verità
leggendo la sua mente.
“La
sua famiglia ha avuto un incidente tre giorni fa…non hanno
ancora ritrovato il suo corpo. L’ho cercata anche io per
cercare di salvarla, ma sembra sparita nel nulla…”
“E’ tutto vero? Lei
è…morta?”
Carlisle annuì.
“La tua capacità di leggere il pensiero
potrà servirti in futuro…ma potrebbe rivelarsi
anche una condanna per te, almeno finché non imparerai a
padroneggiarlo”
Non riusciva a pensare ad altro.
La sua vita si era completamente stravolta.
Ora era un vampiro, un essere immortale.
Poteva leggere nella mente delle persone che lo circondavano senza che
loro lo sapessero.
Ma la donna della sua vita, il suo grande amore , era morta.
Che senso aveva vivere in eterno senza di lei.
A Carlisle non servì saper leggere il pensiero per capire
cosa stava pensando suo ‘figlio’.
“Sarà difficile figliolo, ma con il tempo
passerà. Non dico che la dimenticherai… questo
sarà impossibile.
Se lo vorrai, da questo momento in poi tu sarai un Cullen.
Vivrai con me e ti insegnerò a cacciare a modo
mio.” Disse infine poggiandogli le mani sulle spalle.
Edward annuì.
Era la soluzione migliore.
Quella sera andò a casa della ragazza credendo di trovarla
vuota.
Invece un sacco di gente a lui sconosciuta si era riunita attorno ai
parenti della famiglia Heart.
La porta era aperta e lui decise di entrate.
In soggiorno un folto gruppetto circondava una donna singhiozzante su
una poltrona.
“Povera
donna…”
pensò un uomo alla sua destra.
“Erano
i suoi unici parenti qui a Chicago”
pensò un’altra donna seduta su una sedia in un
angolo.
D’un tratto un sacco di voci invasero la sua mente.
Pensieri di diversa natura si accavallavano, alcuni troppo deboli per
attirare l’attenzione, altri troppo forti da sopportare.
Uscì dal soggiorno.
Un odore particolare invase il suo naso.
Decise di seguirlo su per le scale.
Si fermò davanti la porta di una stanza da letto, socchiusa.
Aspettò un paio di secondi prima di aprirla completamente.
Era vuota.
La finestra era aperta e la tenda svolazzava assecondando il movimento
dell’aria quasi notturna.
Eppure gli sembrò di sentire una presenza…
Si guardò intorno e capì immediatamente di aver
trovato la sua stanza.
Ne ebbe la conferma quando avvicinandosi al settimino accanto alla
finestra, vide una sua foto.
Quella era Josephine.
Il suo splendido volto sorrideva in quella cornice ovale.
Sarebbe stato difficile vivere senza di lei.
Mise la foto in tasca ed uscì dalla finestra, raggiungendo
la sua nuova casa.
A quell’ora il porto era deserto.
Josephine sedeva sul bordo della passerella per l’imbarco,
sola.
Pensava a tutto quello che le era successo in quei giorni, tutto quello
che aveva cambiato la sua vita per sempre.
Teneva il carillon sulle ginocchia.
“Per poco non mi scoprivano per colpa tua” disse
aprendolo e perdendosi in quella dolce melodia, la sua
melodia.
Improvvisamente sentì una presenza alle sue spalle.
Si voltò di scatto.
“Finalmente ti ho trovata, Josephine Heart.”
Ringrazio
Wind
per il suo consiglio!!! Grazie di cuore!
Spero
che il nuovo capitolo vi piaccia...
A
presto...
Evie
|
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Capitolo 13 *** Nuova vita ***
13. Nuova vita
“E
tu chi sei?”
La
ragazza si voltò a guardare il giovane alle sue spalle.
Come
faceva a sapere il suo nome?
In
fondo lei per tutti era morta.
Il
ragazzo sorrise dinnanzi la sua reazione.
Le
si avvicinò lentamente e con sguardo penetrante disse:
“Non
devi aver paura degli amici… Devo dire che stentavo a
crederci quando ti ho vista a casa tua poco fa.
Sei
molto veloce e starti dietro non è stato facile per un
vecchietto come me.”
Quel
ragazzo le sembrava sempre più strano e sospetto.
Quando
fu abbastanza vicino da essere illuminato dal fascio di luce di un
lampione, Josephine riuscì ad osservarlo meglio notando i
suoi bellissimi occhi neri come il carbone.
Le
si sedette accanto continuando a scrutarla con aria amichevole,
osservando attentamente i tratti del suo viso come se non li vedesse da
molto tempo.
“Sai,
sono stato sulla scena dell’incidente e ho capito
immediatamente cosa fosse successo alla tua famiglia.
Vampiri…
brutto affare”
“Tu
come..?”
Il
ragazzo misterioso annuì.
“Dalla
bellezza di cinque anni” rise con voce roca.
Josephine
non accennava ad abbassare la guardia.
Rimanendo
seduta sulla banchina portuale, si allontanò dal ragazzo
stringendo al ventre il carillon.
“Come
hai fatto a riconoscermi?” disse mentre ciocche di capelli si
liberavano dalla stretta del fermaglio sopra la sua nuca.
“Sei
una neonata e per quanto tu possa essere prudente è stato
facile rintracciarti.
Hai
un odore inconfondibile…”
“Perché
hai perso tempo a cercarmi? Che vuoi da me?” disse aggressiva
mostrando gli affilati canini nuovi di zecca.
“Ehi
non ti scaldare chérie! Non ti ricordi proprio di me,
eh?”
Josephine
lo guardò perplessa.
“Abbassa
la guardia Josy! Marco Modigliani ti dice qualcosa?”chiese
lui scostandosi i capelli nerissimi dagli occhi.
La
ragazza scosse la testa confusa.
Il
nome gli diceva qualcosa ma quel tipo non le ricordava nulla.
“La
caduta ti ha fatto parecchio male… Però
pensandoci bene ne è passato di tempo dall’ultima
volta…”
“Marco
Modigliani… mi è familiare…
Marco…” ripeteva tra sé “Sei
il fratello di Elisa, la mia più cara amica
d’infanzia! Come sta tua sorella?
Adesso
ricordo tutto! Non ci vediamo da più di sei anni, da quando
vi siete trasferiti a Detroit…” esclamò
colta da un improvviso lampo di genio.
“Finalmente!
Mi sono messo sulle tue tracce non appena ho saputo
dell’incidente…mi dispiace per i tuoi genitori e
per la piccola Katie…
Deve
essere difficile per te…adesso…”
“Già”
“Sai,
tu mi ricordi tanto mia sorella” Marco si avvicinò
nuovamente alla ragazza “Entrambe avete questo neo, proprio
qui sotto l’occhio” continuò
accarezzandole la guancia destra.
“Marco
lei come sta? Le è successo qualcosa?”
“Ci
sono molte leggende a riguardo. C’è chi dice che
le donne che hanno un neo sulla via delle lacrime, siano destinate a
versarne molte nella loro vita…
Altro
che leggenda…
Elisa
si è sposata un anno fa.”
“Che
bella notizia! Sono felice per lei!”
“Con
un ufficiale della marina militare… E’ partito
qualche mese dopo il matrimonio e ora mia sorella non fa altro che
piangere nella speranza che lui torni sano e salvo e al più
presto…”
“Mi
dispiace… povera Elisa… e tu? Come sei finito
qui?”
“Non
rimaniamo qui! Avrai bisogno di fare un bel bagno rilassante e di
cambiarti d’abito. Ti racconterò tutto nel mio
appartamento” disse Marco alzandosi e porgendole la mano
“Ti va?”
“Dove
sei stato? Lo sai che sei pericoloso in questo momento e che potresti
far del male a qualcuno?”
Edward
chiuse la porta alle sue spalle.
“Scusa
ma avevo da fare”
“Edward
dobbiamo essere molto prudenti. Potresti perdere il controllo in
qualsiasi momento… Non sei ancora pronto a stare in mezzo
alla gente.”
“Risparmiati
la paternale. Non sei mio padre. Lui è morto e in
realtà lo sarei anche io
tecnicamente…”
“Cosa
ti prende adesso? Fino a un attimo fa eri diverso…”
“Bè
ti ci abituerai. Io seguo la tua dieta e non uccido innocenti, e tu ti
adatti al mio comportamento.”
“E
allora visto che ci sei, preparati… Tra un’ora si
va a caccia”
NOTE:
Grazie Wind
e Lialian
per i vostri bellissimi commenti!!! VVB
Per
Wind:
hai ragione Edward dovrebbe essere un pò meno
controllato...Grazie per avermelo fatto notare e cercherò di
mettere in pratica il tuo consiglio in fututo! Thanks^_^
Ringrazio anche le persone che hanno aggiunto recentemente la mia
storia tra i loro preferiti e tutti coloro che la stanno seguendo!
Grazie :)
A
prestissimo...
Evie
|
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Capitolo 14 *** Fuoco ardente ***
14.
Fuoco ardente
Nella
piccola stanza aleggiava il profumo dei sali da bagno che Josephine
aveva versato nella vasca.
Sfregava
con forza una spugna sul suo corpo di alabastro, laddove prima vi erano
numerose ferite ricoperte di sangue e delle quali ora non restava
alcuna traccia.
Nella
stanza accanto, Marco aveva acceso un tiepido fuoco per rendere
l’atmosfera più calda e accogliente per la sua
ospite.
Una
mezzora più tardi Josephine entrò nel piccolo
soggiorno dell’appartamento in periferia del suo amico
d’infanzia.
“Bene.
Vedo che ho indovinato la tua taglia” le disse quando la vide
entrare con indosso l’abito che lui le aveva lasciato sul
letto.
“E
anche i gusti” rispose lei facendo una giravolta.
Quel
vestito le donava molto: era composto da una gonna lungo sino le
caviglie che lasciava intravedere la punta e un po’ di
più degli stivaletti bianchi e neri.
Una
grossa cinta gioiello intrappolava la camicia di seta a collo alto
nella gonna color avorio, e le maniche scendevano morbide sulle
braccia, stringendosi al livello dei polsi in splendidi bottoni di
madreperla.
Josephine
aveva i capelli ancora leggermente bagnati e per questo si
avvicinò al fuoco per farli asciugare.
“Ora
possiamo parlare?” chiese sedendosi con le spalle al fuoco.
Marco
che fino a quel momento se ne stava sprofondato nella poltrona di pelle
marrone, alla richiesta della ragazza si sollevò e
iniziò il suo racconto.
“Tutto
ha avuto inizio quando mi sono arruolato nell’esercito.
Era
in corso un’esercitazione e tutto sembrava andare bene quando
ad un certo punto successe un imprevisto: un cadetto azionò
inavvertitamente un cannone dall’alto di una torre e
rischiò di fare una strage.
Io
mi trovavo nella traiettoria.
Il
colonnello Meyer mi urlò qualcosa che in quel momento non
capii se non quando mi voltai ed ebbi giusto il tempo di capire cosa
stesse succedendo.
Diedi
l’ordine ai miei uomini di correre e mettersi in salvo.
Una
decina di loro rimase ferita, ma non in pericolo di vita.
Tre
non ce la fecero e morirono. Me compreso.
O
meglio così tutti credono ancora oggi.”
“Chi
ti ha trasformato?”
“Il
mio ‘slavatore’ fu proprio il colonnello Meyer.
Strano
ma vero.
Dopo
quell’incidente mi portò via, il più
lontano possibile da occhi indiscreti, e mi rese immortale
All’epoca
ero appena un ventiduenne.
Sono
passati cinque anni da allora.”
“Mi
dispiace tanto…” sospirò la ragazza
portandosi i lunghi capelli su una spalla sola.
Marco
la guardava con un affetto infinito nello sguardo.
L’aveva
vista crescere e per lui era come una sorella.
Le
voleva molto bene nonostante da piccoli non facessero altro che
litigare.
“Che
c’è?” chiese Josephine guardandolo con
espressione interrogativa.
“Nulla.
Pensavo ai tempi passati.” rispose vago “E ora tu
che hai intenzione di fare per
l’eternità?” chiese sarcastico.
“Per
ora diciamo che vorrei mangiare qualcosa… ma non
è proprio fame la mia… non so è una
sensazione troppo strana…” cercò di
spiegare portandosi le mani alla gola.
“E’
sete, chérie. Diciamo che è la versione
vampiresca della fame.”
“Bene
allora voglio mangiare!”
Marco
scoppiò in una sonora risata.
“E
ora che hai da ridere?”
“Non
è così facile come andare in un ristorante Josy!
Dobbiamo trovare il momento e la persona
giusta…”
“Perché
la persona giusta? Una non vale l’altra?”
Non
era un bel pensiero, affatto.
Ma
era più forte di lei.
Non
avrebbe mai voluto fare a nessuno ciò che lei aveva passato
in prima persona, ma forse questo faceva parte della sua nuova
condizione…
Non
riusciva a capire cosa fosse, ma sentiva dentro di sé un
fuoco ardente che le bruciava nelle vene, laddove prima scorreva il suo
sangue.
“Josephine
Heart! Non sono discorsi da te questi! Bene visto che dovrò
educarti alla giusta caccia e a vivere come una persona civile nei
limiti del possibile, che ne dici di rimanere qui, a vivere con
me?”
“Bè…
non ho un altro posto dove andare, e poi hai detto caccia? Ma non
è una cosa da uomini la caccia?”
“Non
questa chérie. Questa è da vampiri”
“Allora
va bene. Resterò qui con te. Ma adesso spiegami qualcosa in
più su questa caccia da vampiri.
In
passato ho letto diversi libri sull’argomento, e tutti erano
molto raccapriccianti. E’ tutto così come viene
descritto nei libri?” chiese preoccupata legando i capelli
ormai asciutti.
“Quasi
tutto. La maggior parte delle cose sono leggenda… Ti dico
sin da ora che non dovrai dormire in una bara, semplicemente
perché non sentirai il bisogno di dormire.
E
che l’aglio puzza e basta. Non serve a niente contro di noi.
Ah,
se vuoi puoi anche fare a meno di respirare, non serve ma io ti
consiglio di farlo, almeno quando saremo in pubblico”
“In
pubblico?”
“Certo!
Il generale Meyer mi ha educato come si deve. E io lo farò
con te.
Oh
oh…mi sa che dovremmo rimandare la nostra prima caccia
insieme.
Sta
diluviando.” disse il ragazzo indicando fuori.
“Peccato…”
“Aspetta!
Credo di avere un paio di mantelli di là. Torno
subito”
Non
appena Marco si allontanò, Josephine aprì le ante
del balcone uscendo all’esterno, tendendosi al riparo sotto
una tettoia.
La
sua vita era cambiata e lei doveva accettare quel cambiamento.
Sarebbe
stato difficile dimenticare il passato, forse impossibile.
Ma
ormai non poteva tornare indietro.
Doveva
andare avanti e Marco l’avrebbe aiutata, nonostante il suo
desiderio di fuggire, anche da lui, si alimentasse ogni secondo di
più.
“Trovati!”
l’esclamazione del suo amico la distolse dai suoi pensieri.
“Cosa
c’è Josephine?”
“Andiamo
via da qui”
“Dove
vorresti andare, chérie?” le chiese avvolgendola
in uno dei mantelli.
“Lontano
da Chicago”
Per Lialian:
Tranqui Edward e Josephine si rincontreranno presto!
Per
Wind:
Sono contenta ti sia piaciuto l'Eddy ribelle^_^!! Ah sto iniziando a
leggere la tue fiction e devo dirti che "Ranocchio Mortale"
mi è piaciuta davvero tanto!!! Sei proprio brava!!
Buon
week-end a tutti!!!
Besos...
Evie
|
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Capitolo 15 *** Tutto quello che ho ***
Bene,
eccomi qui all’esordio con la mia prima song-fiction.
Diciamo
che è nata per caso ascoltando questa canzone di Matteo
Branciamore( l’unica che mi piace) e indovinate chi mi
è venuto subito in mente???
Lo
avrete capito sicuramente…
Ebbene
immaginate il nostro adorato Edward, solo e sconsolato, coricato sul
suo lettino che osserva scendere la pioggia su Chicago, si volta e sul
comodino vede la sua foto…
E
così inizia a scrivere una lettera che non
spedirà mai.
15. Tutto quello che ho
Piove
anche qui
E
aspetto che
Passi
un pensiero
Diverso
da te
Piccola
mia,
quanto
tempo è passato da quel giorno.
Pioveva
a dirotto, ma io ostinatamente uscii lo stesso quella mattina.
Quanto
ti arrabbiasti quando Catherine te lo disse!
Desideravi
che mi curassi bene l’influenza, ma non potrò mai
scordare il tuo sorriso quando entrai nella tua stanza.
Mi
fece dimenticare in un secondo che ero zuppo d’acqua sin
dentro le scarpe.
Ora
la pioggia è per me un tormento...
E
me ne resto qui nell’impossibilità di agire
aspettando che il tempo guarisca le ferite, aspettando che passi un
pensiero diverso da te.
Uno
sguardo per
Rendermi
conto che
Che
mi intristisco un po’
È
una fotografia
Rubata
in casa tua
Quand’eri
con me
Per
me
Con
me
Ma
mi risulta tutto più difficile da quando non ci sei.
Mi
volto e ti vedo là, in quella splendida fotografia che in un
attimo di impulsività ho rubato a casa tua la sera del mio
risveglio, quando ormai tu non dormivi più là.
Pensieri
di te
Di
tutti quei piccoli momenti
Che
fan grande
un
giorno con te
Lo
pagherei oro e argento
Riso
e pianto
Tutto
quello che ho
Non
passa un giorno che non rivolga un singolo pensiero a te, a tutti i
pochi e fugaci momenti che abbiamo passato insieme.
Da
quello strano incontro in ospedale, alla paura di perderti da un
momento all’altro…
Ma
ancora un solo giorno, uno solo in tua compagnia io chiedo al cielo.
Sono
disposto a pagarlo a peso d’oro.
Persino
con la vita.
Con
tutto quello che ho.
In
fondo sai
Gli
errori miei
Io
li ho commessi
Inseguendo
un “Se poi..”
Ho
commesso un errore fondamentale che mi ha allontanato da te.
Che
ti ha fatta fuggire…
L’ho
letto nella mente di Carlisle e ti chiedo scusa…
Dovevo
darti retta.
Avrei
dovuto dare peso alle tue preoccupazioni, così magari sarei
guarito in tempo.
In
tempo per legarti a me per sempre.
Chiuso
dentro di me
Senza
un vero perché
Io
non ne esco mai
Basta
fotografie
Appese
a nostalgie
Ti
voglio per me
Con
me
Per
me
Ora
mi chiudo come un riccio che ha paura del mondo esterno.
Non
riesco a vivere come dovrei.
Guardo
quella fotografia, un appiglio per i miei ricordi.
Ma
anche per le mie nostalgie.
Ti
vorrei qui, adesso, al mio fianco, abbracciata a me sul mio petto
freddo.
Ritorno
da te
Da
tutti quei piccoli momenti
Che
fan grande
un
giorno con te
Lo
pagherei oro e argento
Riso
e pianto
Tutto
quello che ho
Carlisle
non lo sa, ma ogni singolo giorno io ritorno da te.
Mi
fermo a sentire il tuo profumo nella tua stanza, e lì in
ospedale dove ci siamo conosciuti e dove per me sei rimasta.
Ho
bisogno di te, dei nostri piccoli momenti che mi hanno aiutato a
crescere, delle tue paure e delle mie che venivano automaticamente
annullate da un tuo sguardo, dei sorrisi e delle lacrime che ora non
riesco più a versare.
Ho
bisogno di te.
E
anche un singolo istante di nuovo con te lo pagherei tutto quello che
ho.
Eternamente
tuo
Edward
Ringrazio
Wind. Lialian e Storytellerlover per i bellissimi commenti che avete
lasciato lo scorso capitolo.Grazie!!!
Ringrazio anche tutti coloro che continuano ad aggiungere la ma storia
tra i loro preferiti e anche chi la legge( e siete in tanti davvero)!!!
Continuate a seguire le vicende di Josephine ed Edward!!
A presto.... Besos...
Evie
|
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Capitolo 16 *** Segreti e bugie ***
16.
Segreti e bugie
Era
passato ormai più di un mese dalla mia trasformazione e
dall’ incontro con Marco.
“Chérie, vivere con te è una
pacchia” mi disse Marco sdraiato sul grande letto in camera
mia, nella nostra nuova abitazione temporanea.
“Lo sai anche tu che è per poco tempo. Non
possiamo trattenerci a lungo qui.
Si insospettirebbero” gli dissi tormentandomi le mani per
l’ansia.
“Dai rilassati sorellina. Lo so che presto dovremmo partire,
anche se mi dispiacerebbe lasciare San Francisco…
E’ un bel posto”
“Piace anche a me, ma lo sai quanto mi costi mantenere
l’autocontrollo ancora. Vivere con altra gente, per giunta
gentile e generosa con noi, non mi sembra la soluzione ideale in questo
momento.
Ho paura di far loro del male…”
Me ne stavo appoggiata al grande finestrone che dava sul balcone,
mentre la pioggia scrosciante bagnava i vetri nella notte.
“Ehi, non devi preoccuparti. Ci sono io con te. Non
succederà nulla che tu non voglia.
Vieni qui”
Guardai Marco sorridendo.
Era davvero molto premuroso con me.
Lo era sempre stato.
Mi avvicinai a mi sdraiai sul letto, accoccolandomi tra le fredde
braccia del mio nuovo fratello.
“Tranquilla Josephine” mi sussurrò
all’orecchio “Andrà tutto bene”
“Ti prego, continua a parlare. Sai quanto mi irriti la
pioggia…”
“Ti ci dovrai abituare. Siamo nella stagione delle
piogge”
Il giorno prima nel parco di San Francisco.
“Allora siamo intesi? Se qualcuno ti chiede qualcosa e tu non
puoi fare a meno di scappare, tu sei Gloria Modigliani ma se puoi
scappa.
Aspettami qui e qualsiasi cosa succeda…”
“…resta il più lontano possibile dagli
esseri umani. Torna presto Marco.” lo supplicai stringendogli
le mani nelle mie.
Mi sorrise come faceva quando c’era un problema e lui doveva
rassicurarmi ad ogni costo.
“Stasera avremo una casetta splendida dove stare, tutta per
noi.
Te lo prometto”
Non appena lui si allontanò, mi sedetti su una panchina,
all’ombra di una grande quercia.
Quella mattina il sole pungeva ed era particolarmente fastidioso.
Non prometteva nulla di buono.
Sentivo che il tempo sarebbe cambiato da un momento all’altro
e che la pioggia avrebbe presto bagnato anche la baia di San Francisco.
Mi stava inseguendo o cosa?
Ero immersa in questi bizzarri pensieri quando, circa
un’oretta più tardi, un uomo anziano, sulla
settantina mi si avvicinò sorridente.
Passeggiava con disinvoltura accompagnandosi ad un bastone in legno con
la testa in argento, avvolto in un lungo cappotto nero.
Un elegante cilindro copriva la testa canuta, e due baffetti si
aprivano come un piccolo siparietto di teatro ogni qual volta
l’uomo sorrideva.
Ricambiai il sorriso per semplice cortesia.
Distolsi immediatamente lo sguardo riprendendo a fissare il tronco di
una betulla un paio di metri più avanti.
“E’ occupato questo posto, signorina”
disse la voce calda e profonda di quell’uomo rivolgendosi a
quanto pare, proprio a me.
Il mio istinto mi diceva di scappare.
Era troppo presto per relazionarmi con esseri umani.
Sentii per la prima volta dopo più di un mese il terrore
invadere il mio corpo, che ormai credevo insensibile a queste
sensazioni.
A quanto pare mi sbagliavo.
Feci un cenno ambiguo con la testa che quello sconosciuto
interpretò come un si.
Scivolai il più lontano possibile.
Sentivo il suo odore penetrarmi nella testa, ma dovevo essere
più forte.
Dopo tutto durante il viaggio in treno ce l’avevo
fatta…
Pare che tutte quelle sevizie facessero parte della mia educazione.
“Bel pomeriggio non trova” mi chiese vago scrutando
il cielo.
“Sta arrivando la pioggia” dissi freddamente
continuando a fissare la betulla.
“Che occhio. Nonostante il cielo sia limpido, lei
è riuscita ad andare oltre le apparenze… a
sentire il sottile odore della pioggia nell’aria.
Complimenti” mi sorrise benevolo.
Evitavo di incrociare il suo sguardo.
“Lei è straniera, vero?” disse indicando
le valigie accanto alle mie gambe “Viaggio di
nozze?” indicò l’anello in oro bianco al
mio anulare sinistro, regalatomi da mia madre.
Per la prima volta mi girai a guardarlo accigliata.
“Mi scusi. Non sono affari miei” si scusò
Mi voltai di nuovo a fissare la betulla.
“Non sono sposata. Sono qui con mio fratello che in
questo momento sta cercando una sistemazione provvisoria per la
notte”
“Capisco. Ma sa una cosa? Guardandola meglio lei somiglia
molto ad una cantante lirica che conobbi qualche anno fa a Parigi,
all’Opera.
Si chiamava Lia, siete per caso parenti?” disse
scrutando curioso il mio profilo.
Perfetto.
Non sapevo se fosse un mio superpotere da vampira, ma era certo che ci
volesse una grande abilità per riuscire ad incontrare
l’unico abitante di San Francisco che conoscesse mia
madre…
“No, mi dispiace” mentii spudoratamente.
Avevo da sempre saputo della mia fin troppo evidente somiglianza con
mia madre e speravo di tutto cuore di aver convinto quel tizio.
“Eppure credevo di non poter mai più rivedere
questo colore di capelli…è particolare, unico nel
suo genere…”
Ora guardava i miei capelli.
Devo ammettere che ne andavo molto orgogliosa.
Era davvero un colore unico.
Mi girai per sorridergli “Gloria Modigliani.
Piacere” dissi d’un getto porgendogli la mano che
lui sfiorò con le labbra.
“Lord Arthur Winchester”
“Lei è un lord? Ma allora è
inglese!” dissi sorpresa.
“Esattamente cara. Per diritto di nascita. Mio nonno
arrivò qui in America per concludere alcuni affari e dopo
qualche anno decise di trapiantarsi qui, pur continuando a fare il
pendolare.”
“Ho sempre desiderato andare in Inghilterra… ma
purtroppo non so quando questo accadrà…”
“Suvvia Gloria, non disperi.” mi disse notando un
mio rabbuiamento improvviso.
“Mi scusi. E’ un periodo terribile per me e mio
fratello… vede, abbiamo perso i genitori un mese fa e siamo
venuti qui per ricostruirci una vita nuova”
Non credevo alle mie orecchie.
Per quale assurdo motivo mi stavo confidando con quello sconosciuto non
lo sapevo.
In fondo non parlavo della morte dei miei genitori da troppo
tempo…un piccolo sfogo mi avrebbe fatto bene
dopotutto…
“Sono costernato. Mi dispiace molto… Se posso
esserle utile in qualche modo…”
Mentre Lord Arthur pronunciava l’ultima frase, vidi Marco
agitare una mano nella mia direzione.
“Abbiamo un posto dove stare per un paio di giorni,
dopodiché dobbiamo cercarci un’altra
sistemazione…niente male per essere il primo
giorno” disse quando si avvicinò.
“Va bene. Allora arrivederla lord Arthur. Grazie per la
compagnia…”
“Aspetti Gloria. Se non le dispiace vorrei offrire a lei e a
suo fratello una sistemazione… potrete rimanere quanto
vorrete.” mi propose guardando curioso il colore impossibile
dei miei occhi.
Io guardai Marco scuotendo la testa in modo impercettibile.
Lui annuì sorridendo.
“La ringraziamo lord Arthur” accettò per
tutti e due.
Lo fulminai con un occhiataccia.
“Sarà un buon modo per continuare il tuo
addestramento chérie.” mi sussurrò
velocemente all’orecchio.
Feci una smorfia di disapprova mento.
“Benissimo! Allora se vogliamo andare, il mio autista ci
aspetta” disse esultante offrendomi il braccio.
Marco mi fece l’occhiolino prendendo le valigie.
Dopotutto, cosa mi costava rendere felice quell’adorabile
vecchietto?
Note:
Ebbene a grande richiesta e per vostra felicità, Edward e
Josephine si rincontreranno prima di quanto avessi previsto!!! Come
avete notato qst capitolo è un tantino più lungo
degli altri per agevolare il loro ritrovamento^____^
Dovrete
avere ancora una manciata di capitoli di pazienza.
Sono
contenta vi sia piaciuta la song fiction!!!
Wind: Grazie per
le tue recensioni sempre bellissimeeee!!!!
Storytellerlover:
Come hai notato ho seguito uno dei tuoi preziosi consigli e ho scritto
qst capitolo seguendo il punto di vista di Josephine! Grazie mille
anche a te!
Bimbaemo: anche
per me le storie vivono e mi aiutano a vivere in un mondo che non
esiste in quanto 1. i vampiri non esistono ed è stato
provato, 2. le storie d'amore aimè non durano in eterno...
Continua a seguire la storia!
_Tessy_:Grazie
per i complimenti! Come ho già detto Josephine e Edward si
rincontrenno prestissimo!
Raga
a prestissimo
Besos
Evie
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Capitolo 17 *** Caccia selvaggia ***
17.
Caccia selvaggia
Josephine
POV
1921.
Trascorsero
la bellezza di tre anni.
Tre
anni di completa immobilità.
Tre
anni durante i quali la mia vita non subì grandi variazioni.
Tre
anni che abitavo nella stessa casa.
Ebbene
sì.
Nonostante
fossi io la prima a volermene andare, in tre lunghi anni non trovai il
coraggio di farlo e né Marco mi spinse ad una decisione.
Mi
doleva il cuore al sol pensiero di lasciare il povero lord Arthur.
Si
era talmente affezionato a me da considerarmi come una figlia e, come
tale, non avrei mai e poi mai voluto dargli un dispiacere
così grande.
Nell’ultimo
periodo aveva iniziato a soffrire di cuore, ed un mio abbandono gli
sarebbe stato fatale.
D’altro
canto, il mio autocontrollo migliorava giorno dopo giorno. Marco era
molto orgoglioso, ed allo stesso tempo strabiliato per le
capacità che in quel breve lasso di tempo ero riuscita ad
acquisire ed affinare.
Ogni
giorno di più non finivo di meravigliarmi di tutto quello
che mi succedeva, che succedeva al mio corpo ed alla mia mente.
Perdevo
molto spesso la concentrazione, è vero, ma nulla
è paragonabile all’adrenalina che ti dà
la scoperta di un nuovo potere.
Ben
presto mi accorsi che la superforza e la velocità facevano
parte di quel bouquet di piccoli dettagli che caratterizza un vampiro
alla sua nascita.
Ma
alcuni di noi si riescono a distinguere con un dono speciale.
La
sua provenienza è un mistero, come è un mistero
il perché solamente pochi prescelti ne possano avere uno.
Io
ho messo un po’ di tempo per scoprire quale fosse il mio.
Illusione.
Così
l’ha definito Marco.
Confusione
totale.
L’avevo
definito io.
Già
confusione, perché in fondo era quello che facevo.
Con
un sottile gioco della mente riuscivo a confondere le persone che mi
stavano accanto, facendo loro credere di vedere cose o provare
sensazioni che in realtà non esistevano.
Era
tutto fittizio, un sogno.
Bellissimo
per alcuni.
Orrendo
per altri.
E
già, perché dopo un mio primo momento di
smarrimento, iniziai ad avere una padronanza assoluta di questo nuovo
mistero.
E
la cosa mi divertiva molto.
La
mia mente era diventata molto più spaziosa e questo si
rivelò in parte un vantaggio, in parte uno svantaggio per le
continue distrazioni…
Per
imparare a gestire il tutto, feci un po’ di pratica con
un’abitante della villa: lady Margaret, la perfida nuora di
lord Arthur, sposa di quell’avido di suo figlio Max.
Quell’ossuta,
insipida donnina ci aveva dato filo da torcere sin dal primo momento
che mettemmo piede in casa Winchester.
Non
dimenticherò mai la sua espressione terrorizzata, quando una
notte, mi intrufolai in camera sua con gli abiti macchiati di sangue e
con profonde ferite sul collo, brandendo un pugnale d’argento
con l’intento di ucciderla.
Se
non fosse stata solo una, a mio parere, divertente illusione nulla mi
avrebbe trattenuto dal farlo.
Ancora
tremante, Margaret svegliò ogni singolo abitante della casa
accusando me di un’ infamia.
Ovviamente
tutti si schierarono dalla mia parte dando a lei della pazza.
Da
quel giorno Margaret mi stette alla larga, rivolgendomi la parola a
stento ed uscendo dalle stanze nelle quali entravo io.
Marco
mi sgridò non poco, rammentandomi i rischi che avevo corso
con il mio gesto. Ma io gli lessi in fondo agli occhi quel pizzico di
orgoglio che non lo faceva pentire di avermi allevata.
Solo
una cosa mi turbava:i ricordi.
Ogni
giorno sembravano allontanarsi sempre più dalla mia mente,
mi sfuggivano di mano e dovevo fare uno sforzo assurdo per trattenerli
con me.
Fu
per questo motivo che decisi di tenere un diario.
Così
tutto ciò che mi era accaduto nella vita da umana era
fissato li tra le pagine del mio diario.
E
proprio mentre fissavo un altro ricordo, Marco entrò nella
mia stanza.
“Chérie,
stasera si caccia. Preparati. Ho trovato un posticino nei bassifondi di
una provincia qua vicino che ci darà un’ampia
scelta di criminali di cui nutrirci”
“Bene!”
esultai perdendomi nello squillare melodioso della mia voce
“Mi preparo subito così possiamo partire
prima”.
Marco
annuì con forza uscendo dalla mia camera.
Un’ora
più tardi eravamo là, tra la feccia della feccia
della provincia di San Francisco.
Era
una nostra abitudine, ed in qualche modo una questione morale il fatto
che ci nutrissimo solo di persone che avevano fatto del male ad altri.
Era
un nostro modo per vendicare le vittime dei loro soprusi.
E
per fare ciò, avevamo una tecnica: io cantando li attiravo
in vicolo poco illuminati, e Marco li attaccava alle spalle.
Quella
notte ero più affamata del solito.
Mi
avventai sul primo alla mia destra prima dell’entrata in
scena di mio fratello, succhiando avidamente tutte le gocce della sua
linfa vitale.
Il
mio corpo riprese immediatamente calore: sentii le guance colorirsi e
le occhiaie violacee diventare meno pesanti, mentre gli altri
malcapitati ebbero solo pochi attimi di vita per fissarmi disgustati e
troppo terrorizzati per scappare.
Fu
una strage, è vero.
Ma
non mi pento un solo istante di quello che facciamo.
Perché
dovrei?
Edward
POV
Correvamo
velocissimi.
Più
veloci di quanto avessimo mai fatto.
La
sottile afa pomeridiana accarezzava i nostri corpi come un manto
vellutato.
La
sete mi faceva bruciare la gola, ma cercavo di non pensarci.
Mi
concentravo sui magnifici dettagli della nuova foresta.
Già,
nuova perché Carlisle ed io ci eravamo da poco trasferiti.
Avevamo
dovuto allontanarci da Chicago.
Troppi
ricordi impregnavano l’aria ed i luoghi della
città dell’Illinois.
Cercai
di non pensarci ma ero facile preda della distrazioni.
Carlisle
diceva che pensare ai miei ricordi umani avrebbe fatto sì
che non li perdessi del tutto, così per ovviare alla noiosa
vita di provincia oppure alla sete, pensavo all’ultimo
periodo della mia vita, quello passato con la mia Josephine.
Il
più bello in assoluto.
Poi
la mia mente si perdeva improvvisamente nei ricordi della mia infanzia,
delle feste di compleanno circondato dai miei cari.
Quei
cari che la spagnola mi aveva portato via.
Pochi
mesi dopo la mia rinascita, scoprii che altri miei parenti erano morti
infettati dal virus.
Questo
non fece altro che aggiungere dolore al dolore.
Carlisle
colse al volo i miei pensieri.
“Concentrati
Edward!” mi ammonì mentre perdevo momentaneamente
la via della caccia.
“Scusa.
Farò più attenzione”
“Dobbiamo
stare più attenti qui Edward. Primo perché
è pomeriggio. Secondo perché questo bosco
è a ridosso della città. E’ facile
perdere la scia da seguire”.
“Va
bene”.
Quella
notte Carlisle avrebbe avuto il turno in ospedale e quindi ci toccava
cacciare il pomeriggio.
Che
seccatura…
Odiavo
cacciare quando il sole era ancora alto in cielo.
Ma
la sete era troppa e troppo forte per poter resistere ancora un giorno.
Fui
io a chiedere a Carlisle una battuta di caccia extra.
In
poco tempo trovammo il nostro bersaglio: quattro puma placidamente
acquattati sotto delle antiche betulle.
Un
gioco da ragazzi.
Corsi
più veloce del mio compagno.
Era
diventato gradevole correre con lui nell’ultimo periodo.
Senza
fare il minimo rumore, mi misi in posizione di caccia e mi avventai
sulla mia ignara preda.
Non
ebbe il tempo di reagire che i miei canini affilatissimi gli si
conficcarono dritti in gola.
“Avevi
davvero sete allora” mi disse Carlisle agguantando e
uccidendo la sua preda.
Non
gli risposi e continuai la mia caccia inseguendo i due animali che ci
erano sfuggiti poco prima.
Quello
stile di vita non mi piaceva.
Non
mi riuscivo a saziare.
E
il mio cuore sapeva bene che presto mi sarei ribellato.
Perdonate
il mio ritardo ma le feste sono state più dispersive di
quanto mi aspettassi.
Inanzitutto
BUON ANNO!!!!
Poi
passando al capitolo, come avrete notato è diviso in due
parti e narrato da due diversi punti di vista.
Inoltre
assistiamo al ritorno del nostro Eddy( lo so che il suo racconto
è più corto ma avrà più
spazio in fututo).
Ringrazio
quindi tutti coloro che leggono e recensiscono la mia storia, chi la
legge e basta e chi continua ad aggiungerla nei propri preferiti!
Grazie!!!!^_^
Esulto
anche per il ritorno alla lettura di mia sorella che non leggeva da
tempo la mia storia! TVTTTTTTTTTTTTTB
Besitos
amigos!!!
A
prestissimo(spero)
la
vostra...
Evie
|
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Capitolo 18 *** Esme ***
Note:
alloooraaa, prima
di tutto mi scuso per i due secoli che ho messo per scrivere questo
benedetto capitolo, poi vorrei fare delle precisazioni: nella prima
parte(eddy pov) vi faccio sbirciare un po’ nel futuro(che
avverra’ tra 2 o 3 chappy)… nella seconda parte
invece mi riallaccio al capitolo 17, precisamente al dopo caccia di
eddy e carlisle.
Thanks
to:
-la
mia amica sabry che ha scoperto da poco la mia fiction! La prossima
volta ti avviso prima promesso!!!
-wind
per tuoi bellissimi commy!!!
-storytellerlover:
ebbene si josephine si ricorda benissimo di Edward ma questo si
capira’ solo nel prossimo capitolo!!
-my
sister: adoro i tuoi commy kilometrici! TVB
-lithia
del sud che mi ha aggiunta tra i suoi autori preferiti!
E
ora buona lettura!!!!!!!
18. Esme
Edward
POV
4
Giugno 1922
Finalmente
ci ero riuscito.
Ce
l’avevo fatta.
Era
scappato da Carlisle, da quel suo mondo contro natura, dal suo modo di
pensare che a mio avviso era sbagliato.
Da
quel momento presi in mano le redini della mia vita come avrei dovuto
fare dal primo giorno della mia nuova vita.
E
così ero tornato dove tutto era iniziato.
Chicago.
La
mia bella Chicago.
Là
ero nato e morto allo stesso tempo.
Era
là che avrei vissuto il resto della mia vita con lei.
Se
solo avessimo avuto un po’ più di tempo.
Se
solo il destino non ci avesse separati prematuramente.
Tornavo
in quel mio piccolo mondo del passato quasi a voler una conferma.
Non
riuscivo a rassegnarmi per la morte di Josephine e in fondo al cuore
credevo di poterla rivedere di nuovo, a casa sua.
Carlisle
aveva cercato in più modi di farmi cambiare idea, ma la mia
decisione restava troppo radicata dentro di me.
Esme
era disperata.
Mi
si era affezionata molto, ed io a lei.
Poco
dopo la sua trasformazione aveva sposato Carlisle… amore a
prima vista.
Era
frustrante rimanere con loro, con il loro amore che penetrava non
volendo la mia testa in continuazione.
Ancora
non ero in grado di isolarmi al punto da non sentire…
Quella
mattina passeggiavo per le vie di Chicago a me care.
Era
una giornata molto assolata, una vera disgrazia per quelli come
noi…Carlisle mi aveva raccomandato più volte di
non espormi alla luce del sole in presenza di un essere umano, e
lì ce n’erano parecchi.
Così
cercai ti ripararmi il più possibile sotto i viali alberati
o provvidenziali zone d’ombra qua e là.
Distrattamente
camminavo senza una meta, quando eccola: la villa in stile ottocentesca
degli Heart troneggiava dinnanzi i miei occhi.
Tutto
era rimasto uguale all’ultima volta che l’avevo
vista.
Solo
un piccolo particolare differiva: l’abitazione era tornata a
vivere dopo anni di immobilità.
Era
stata venduta.
Non
potevo crederci… un senso di vuoto mi attanagliò
lo stomaco nel sentirne le voci all’interno.
Una
giovane donna, nella cucina, stava dipingendo un paesaggio da regalare
alla padrona di casa.
Altri
due uomini giocavano a carte nel soggiorno.
Sembrava
una famiglia felice, umana quasi, se non fosse stato per il loro odore.
Vampiri.
Dei
vampiri abitavano la casa della mia Josephine?
Mentre
questi pensieri prendevano forma nella mia vastissima mente, fui
distratto da un odore più forte.
Aguzzai
bene la vista e notai che sotto il portico, nell’ombra,
c’era qualcuno.
Una
figura immobile, una giovane donna, stava seduta sugli scalini
appoggiata passivamente alla ringhiera di legno.
Sarebbe
sembrata una statua di cera se non fosse stato per il su e
giù del petto ad ogni suo automatico respiro.
Mi
colpì il modo in cui era vestita, non convenzionale alla
moda del tempo: solo un prendisole beige copriva il suo corpo perfetto,
lasciando scoperte le ginocchia e anche un po’ di
più.
Talvolta
interrompeva la sua immobilità stiracchiandosi le gambe o
giocherellando con il fiore rosso che stringeva tra le mani.
Una
cosa mi disturbava:l’impossibilità di scorgere il
suo volto, nascosto da un ampio cappello di paglia, cinto da un nastro
porpora.
La
scena rassomigliava ad uno splendido dipinto in bianco e nero se non
per quei due particolari purpurei.
Non
ci credevo.
Più
stavo lì ad osservarla e più mi convincevo
dell’impossibile: quella ragazza somigliava in modo
incredibile a Josephine!
Impossibile
appunto. Ma tutti i suoi piccoli gesti mi ricordavano lei.
Se
solo avessi potuto vederle il volto!
Una
folata di vento mi invase le narici con il suo
profumo…irresistibile. La ragazza del mistero sapeva di
primavera, di fresie e spezie orientali.
Ero
inebriato da quella fragranza. Era come se quella sconosciuta mi
attirasse involontariamente a sé.
Un
risolino acuto le scosse le spalle. Sicuramente aveva ascoltato le
imprecazioni provenienti dal soggiorno.
La
donna nella cucina si affacciò dalla finestra:
“Gloria
l’ho finito! Ho bisogno del giudizio di una persona di gusto
però! Sai che ci tengo molto al tuo
regalo…”
“Arrivo
subito.” rispose lei con voce argentina.
Gloria.
Quindi
lei si chiamava così.
Tutte
le speranze che avevo serbato sino all’ultimo si frantumarono
nel sentirne il nome.
Anche
la voce non era la sua, troppo squillante.
Ma
ciò non mi avrebbe impedito di tornare da lei.
Gloria
entrò in casa muovendosi troppo velocemente per un essere
umano, abbandonando il fiore rosso sullo scalino dove prima lei era
seduta.
A
quel punto agii d’impulso: mi guardai intorno per appurare
che non ci fosse nessuno e nel momento giusto attraversai la strada a
grande velocità, raccolsi il fiore e mi allontanai,
riprendendo il mio vagare, perdendomi nel suo profumo impresso su quel
fiore rosso sangue.
Carlisle
POV
Circa
8 mesi prima…
“Ho
il turno di notte oggi. Hai bisogno di qualcosa?” chiesi ad
Edward non appena tornammo a casa dopo la caccia.
“No
grazie. Pensò che studierò un po’ dei
tuoi libri per occupare il tempo. Incredibilmente mi sto appassionando
alla medicina.”
“Si
in effetti se continui così, presto ne saprai più
di me”
Era
raro vedere mio
figlio
sorridere.
Mi
faceva piacere.
Uscii
prima quella sera. Ne avrei approfittato per mettere un po’
in ordine le scartoffie nel mio ufficio.
Mi
ero da poco messo a sistemare uno scaffale in legno quando un mio
collega entrò nel mio ufficio senza bussare.
“Carlisle
c’è un’emergenza e siamo a corto di
personale…”
“Arrivo
subito” lo interruppi abbandonando due grossi volumi su di
una sedia.
L’emergenza
di cui parlava era al pronto soccorso.
Arrivati
al piano terra trovammo altri medici e infermiere immobili attorno un
lettino imbrattato di sangue.
“Cosa
succede?” chiesi avvicinandomi, ma la risposta non venne da
una delle persone là presenti.
Una
donna dalle sembianze a me note, giaceva sfigurata sul lettino.
Mi
voltai a guardare una delle infermiere, la quale scosse la testa
asciugandosi gli angoli degli occhi con le dita.
“Si
è buttata da una scogliera questa mattina. Povera
donna…doveva essere davvero disperata per tentare una gesto
così…così estremo”
Morta.
Mi
fissai a guardare meglio la donna esanime riconoscendola a stento.
“Esme”
sussurrai
“La
conosce dottore?” mi chiese una voce alla mia destra.
Annuii.
Esme
Anne Platt la ragazzina che circa dieci anni prima si ruppe una gamba
nel tentativo maldestro di salire su un albero e che io curai.
La
piccola Esme era diventata una donna.
Non
avrei mai creduto di rincontrarla in quelle drammatiche circostanze...
Improvvisamente
ci fu un gemito, impercettibile ma ci fu.
Era
viva.
Qualcosa
dentro di me mi diceva che dovevo agire.
“La
porto io in obitorio” mi offrii e quel mio desiderio non mi
venne negato dai miei colleghi, che mi osservarono spingere la barella
oltre la porta più odiata.
Cosa
l’aveva portata al suicido?
Cosa
l’aveva sconvolta a tal punto?
Non
era il momento di farsi domande.
Mi
avvicinai lentamente a lei e la morsi nel modo più dolce e
indolore che conoscessi.
Per
un istante lei spalancò gli occhi e inarcò la
schiena per poi tornare a giacere inerme sul lettino, come prima.
Passarono
tre lunghissimi giorni durante i quali non mi allontanai da Esme.
Subito
dopo la trasformazione, l’avevo portata nella casa dove
vivevamo Edward ed io.
Edward
non era stato molto d’accordo con la mia decisione.
La
considerava un atto puramente egoistico, come quello che a suo parere
mi aveva spinto a trasformare anche lui anni prima.
Per
me era diverso.
Ad
Edward mi legava un sorta di affetto paterno, affetto che si era
intensificato nel periodo della spagnola.
Con
Esme era tutta un’altra cosa.
Inizialmente
un forte sentimento di compassione mi aveva portato a salvarle la vita,
ma durante quei giorni le cose erano cambiate.
Un
qualcosa di profondo mi aveva tenuto incollato su quella sedia per tre
giorni interi, senza farmi uscire di casa, costringendomi a prendere il
mio primo periodo di “malattia” a lavoro.
Finalmente
capivo cosa aveva provato Edward durante la malattia di Josephine.
La
grandezza di quel sentimento mi era d’un tratto chiara.
“Si
sta svegliando” disse Edward comparendo improvvisamente al
mio fianco.
Spostai
automaticamente lo sguardo su mio figlio.
Aveva
sentito tutto, lui era il solo al quale non avrei mai e poi mai potuto
mentire.
Un
mugolio attirò la nostra attenzione.
Lentamente
Esme stava riprendendo conoscenza.
Aprì
gli occhi, si guardò confusamente intorno e con uno scatto
scese dal letto.
“Dove
mi trovo?” disse in un sibilo
“Esme
non aver paura” la rassicurai andandole incontro e posando le
miei mani sulle sue spalle.
Scrutò
il mio volto con attenzione “dottor Cullen?” chiese
incerta.
Le
sorrisi annuendo stancamente e lei buttò le sue braccia
attorno al mio collo abbracciandomi con calore.
Sentì
Edward trattenere il respiro e mi voltai vedendo la sua espressione
sconvolta.
“Cosa
c’è?”
“
Niente. Ho letto nella sua mente…”
“Carlisle
cosa sta succedendo? Cosa è successo? Perché sono
ancora viva?” d’un tratto Esme tornò ad
appiattirsi alla parete ricordando la situazione spiacevole che aveva
vissuto, tornando alla realtà.
“Esme
devo darti un po’ di spiegazioni, dopo potrai scegliere cosa
fare.
Siediti
accanto a me”
Evie
|
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Capitolo 19 *** Ultime volontà ***
Dedico
questo capitolo
A
Giada ed alla nuova arrivata,
la
piccola Rebecca,
le
due stelline del mio
cuore.
19.
Ultime volontà
Josephine
POV
Quella
giornata era cominciata davvero male.
Me
ne stavo tranquilla e beata in camera mia quando una terribile notizia
stravolse i piani della mia mattinata: le condizioni di lord Arthur era
decisamente peggiorate nella notte.
Quasi
sicuramente non sarebbe sopravvissuto abbastanza da vedere
l’alba dell’indomani.
Il
maggiordomo di casa Winchester era piombato nella mia camera dandomi
l’annuncio.
“Signorina
Gloria, lord Arthur ha chiesto di vederla. Ho già avvisato
suo fratello delle condizioni del signore.” aveva detto con
le lacrime agli occhi.
Senza
neanche dirlo, uscii immediatamente dalla mia stanza e trovai mio
“fratello” ad attendermi in corridoio.
“Hai
saputo?” mi chiese camminandomi accanto.
Annuii
concentrandomi per camminare nella maniera più disinvolta
che conoscessi.
“Ieri
sera ho letto il tuo diario…sai per aggiungere dei
particolari che ricordo della nostra infanzia…”
“..E?”
“…e
ho notato che non hai scritto niente su lui…
è successo qualcosa che io non so?”
Smisi
all’istante di camminare e voltandomi verso Marco dissi:
“Edward
è l’unico ricordo che non ho bisogno di fissare su
un patetico foglio di carta. Sarà sempre impresso nella mia
mente e nel mio cuore. Il suo ricordo è un tormento, un
terribile tormento che mi accompagnerà per il resto della
mia esistenza.
Ma
ti prego, non chiedermi di scrivere di lui. E’
l’unica cosa che non potrò mai fare.”
Raggiungemmo
la stanza di lord Arthur in religioso silenzio.
Bè,
forse ero stata troppo dura con Marco… mi sarei scusata con
lui più tardi.
“Gloria,
Marco… siete voi” una voce roca più del
solito e stanca ci chiamò dal fondo della stanza.
Sul
letto a baldacchino giaceva sofferente lord Arthur, l’unica
persona che fosse mai stata gentile con noi.
Mi
avvicinai sedendomi sul letto, accanto a lui, stringendo una sua mano
gelida tra le mie.
Con
la mano libera fece un debole cenno al dottore e ad una cameriera
lì presenti, chiedendo loro di uscire dalla stanza.
Marco
si sedette su una poltrona in velluto oro accanto a dove ero io.
“Sono
contento di vedervi ancora un’ultima volta” disse
ansante.
“No,
non dica così. Questa non sarà l’ultima
volta. Ricorda la nostra promessa? In primavera andremo a fare un pic
nic in riva al lago, su al nord…” mentii
conoscendo le sue reali condizioni di salute.
“Oh,
mia cara, tu ci andrai. Vedrai tante primavere nella tua vita e mi
auguro che presto ritroverai la persona che si è preso il
tuo splendido sorriso”
Lo
guardavo interrogativa.
Mi
voltai a guardare Marco che si strinse nelle spalle.
“Oramai
sono vecchio, ed è giusto che siate voi giovani ad andare
avanti. Questo è l’ultimo atto di una vita
splendida, fatta di tante gioie e grandi dolori…”
si interruppe per riprendere fiato, scrutando i nostri volti privi di
lacrime ma addolorati.
“Figli
miei, vi prego solo di una cosa: non piangete la mia morte,
poiché io sarò felice. Nel Regno dei Cieli
incontrerò finalmente la mia adorata moglie e la mia piccola
Claire, che come ben sapete ha lasciato questo mondo troppo
presto.” ora quel poco di voce che gli era rimasta, era
diventata un debolissimo sussurro.
“Lord
Arthur…”
“No
Marco. Non dire nulla. Avete riempito questi ultimi miei anni di vita
altrimenti vuoti e tristi, con il calore del vostro affetto. Mi ha
colmato di gioia la vostra presenza nella mia casa. Non è
necessario che mi ringraziate.” disse prendendo la mano di
Marco e posandola sulla mia, stringendole insieme.
Avevo
il cuore straziato.
Ogni
qual volta fissavo i suoi occhi acquosi, una sensazione di vuoto mista
a pianto mi riempiva la testa. Forse era così che ci si
sentiva quando si piangeva da vampiri.
“Gloria,
bambina mia. Più il tempo passa, e più esso marca
la tua somiglianza con tua madre” rise raucamente guardandomi
con infinita tenerezza.
“Mia
madre?” chiesi perplessa, ricordando improvvisamente il
nostro primo discorso.
“Per
te è un argomento dolente lo so. Ed è per questo
motivo che non ti ho mai chiesto niente in tutti questi anni, e non ti
chiederò niente neanche adesso. Però concedimi
questo ultimo paragone, adesso che sono lucido”.
Annuii
debolmente.
Non
avevo il coraggio di mentirgli ancora.
“Mia
madre mi cantava sempre una canzone, somigliava molto ad una ninna
nanna…”
“Era
molto brava. Cantala per me, per favore…”
“Se
non ricordo male fa così…
Take
a look at my body,
look
at my hands
there's
so much here that I don't understand
Your
face saving promises,
whispered
like prayers
I
don't need them.
Cuz
I've been treated so wrong
I've
been treated so long as if I'm becoming untouchable... “
E
così continuai a cantare quel motivo, sino al suo ultimo
respiro nel buio di quella camera.
Il
funerale fu un’esperienza nuova, strana.
Prima
di allora avevo partecipato al funerale del mio nonno paterno quando
avevo solo sei anni, ma conservavo pochi e confusi ricordi di
quell’esperienza.
Tutti
guardavano Marco e me in modo circospetto.
Mi
fratello mi aveva confessato di aver sentito la perfida Margaret
sparlare di noi con altre pettegole…Pare fossero
insospettite non solo dal nostro aspetto, ma anche e soprattutto dal
nostro atteggiamento apparentemente freddo.
Viste
da fuori, ammetto che le nostre reazioni non erano delle più
normali in un’occasione del genere, ma ciò non
costituiva un buon motivo per criticarci così aspramente.
Ma
ignoravamo che la nostra vendetta avrebbe preso forma solo due giorni
più tardi.
Un
pomeriggio uggioso si presentò alla porta della villa il
notaio, il signor Harrold.
“Buon
pomeriggio signori” ci salutò entrando “
Sono qui su richiesta di Lord Arthur in persona. Innanzitutto vi porgo
le mie più sentite condoglianze. Ora se volete accomodarvi
procederei alla lettura del testamento.” disse indicando
anche me e Marco.
Ci
dirigemmo nel grande salone, disponendoci attorno al tavolo da pranzo
ovale.
Lanciai
un’occhiata dubbiosa a Marco. Cosa c’entravamo lui
ed io con quella storia?
Marco
mi si sedette accanto gongolante, cingendomi le spalle con un braccio.
Che
sapesse qualcosa a me sconosciuto?
Il
notaio aprì un grosso plico contenete un sostanzioso
fascicolo.
Iniziò
a leggere le diverse formalità fin quando arrivò
al punto cruciale del testamento:
“…
lascio ai miei due figli, naturali e riconosciuti, Marco e Gloria, i
miei interi possedimenti inglesi e americani, nonché tutti i
beni liquidi e i gioielli del tesoro di famiglia.
Al
mio fido maggiordomo lascio il mio ranch di Dallas, assecondando
così il suo grande desiderio di una tranquilla vita di
campagna, e una rendita annua atta a fornirgli uno stile di vita
dignitoso.
Al
resto della servitù ho già assicurato un posto di
lavoro da alcuni miei conoscenti di cui vi verranno forniti gli
indirizzi dal notaio Harrold.
Per
quanto riguarda mio figlio Max, l’ultimo consiglio che posso
dargli è quello di trovarsi un lavoro, dal momento che non
potrà più vivere sulle spalle del suo vecchio
padre, e dispongo che lui e sua moglie si trasferiscano in altro luogo
entro cinquanta giorni dalla lettura del
testamento…”
Ero
assolutamente sbalordita!
Non
riuscivo a credere alle mie orecchie…Nonostante avessi una
mente molto più ampia, ci misi un po’ a recepire
il reale significato di quelle parole.
Istintivamente
mi girai a guardare Marco, più tranquillo e sicuro di quanto
fossi io.
Mi
fece cenno di guardare Max e Margaret: le loro espressioni erano
indescrivibili.
Passavano
dall’arrabbiato, al deluso, dallo shoccato, allo
sconvolto…
“Sono..sono…indignata!”
strillò Margaret alzandosi e uscendo dalla stanza seguita a
ruota dal marito.
Wow
che vittoria, che bella vittoria!
Il
notaio finì di dare le ultime disposizioni e
lasciò la casa poco dopo.
Quando
ci ritrovammo da soli nel piccolo studio di lord Arthur, seduti accanto
al camino scoppiettante, chiesi spiegazioni a Marco:
“Tu
sapevi qualcosa di questa storia?”
“Effettivamente
si. Giorni fa lord Arthur mi mandò a chiamare dicendomi di
aver incluso anche noi nel suo testamento, ma non immaginavo ci avesse
lasciato tutto.
Lui aveva parlato di un piccolo dono”
“Alla
faccia del dono…”
Marco
sorrise “Diciamo che è stato un bello stratagemma
per impedirci di fuggire subito dopo la sua morte”
“Già.”
tornai a fissare il fuoco, restando pochi minuti in silenzio.
“E
ora? Che facciamo?” mi chiese Marco rompendo il silenzio.
Ci
pensai un po’ su…
“Io
un’idea ce l’avrei. Torniamo a Chicago!”
“Come
a Chicago? Ma Josephine non è prudente! Qualcuno potrebbe
riconoscerti immediatamente”
“Dimentichi
che ho un grande potere fratello… sarà lui ad
aiutarci!”
“Ma
scusami, credevo non volessi tornare più nella tua
città natale…”
“Bè
vedi, mi sono ricordata che devo fare ancora una cosa lì,
anzi che tu devi fare.”
“Cioè?
Ma ti senti bene chérie?”
“Magnificamente!
Visto che adesso abbiamo un bel po’ di denaro disponibile, mi
è venuto in mente un buon affare…”
“Non
avrai intenzione di…???”
“Esattamente”
Note:
ebbene avete visto che non ci ho messo due secoli a postare questa
volta??? Donne di poca fede! Ahahahahah!
Cmq
questo capitolo l’ho scritto in un giorno appena,
ispiratissima come non mai dalla nascita della bimba di una mia amica,
la piccola Rebecca!!!!!!!!! Tesoro mio sei uno
spettacolooooooooooooo!!!!!!!
Thanks
to:
-Sabry
tesoro mio sono contenta che ti piaccia la storia!!! Hai visto che ho
postato subito??? E preparati che ora arriva la parte piu’
bella e spero di postare piu’ spesso!
-Storyteller
lover: tranqui che manca davvero poco
all’incontro tra Eddy e Josy!!! Thnx per il tuo bellissimo
commy cm sempre. Hai ragione i chappy sono un po’ corti ma
diciamo che e’ una scelta per rendere il tutto piu’
scorrevole e piacevole per voi. Ma se vi fa piacere cerchero’
di farli piu’ lunghi!
-wind
e frefro: che fine avete fatto????????????? Mi mancano i
vostri commyyyyyyyyyyyyyyyyy!!! Tornate a commentare presto mi
raccomando!
-Sabry
87 sono davvero contenta che la mia story ti piaccia e
spero continuerai a seguirla con passione! Grazie!
Grazie
anche a tutti coloro che leggono e continuano ad inserire questa
fiction tra i loro preferiti!
Ps:
la canzone di cui riporto la prima strofa è di Natalie Merchant
e si intitola My Skin
e vi preannuncio che avrà spazio interamente quando Eddy e
Josy si rincontraranno!
Un
kiss a tutti…
Evie
|
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Capitolo 20 *** Casa dolce casa ***
A
tutti i miei lettori
che
mi sostengono
continuamente
e mi
invogliano
a coltivare la mia
passione.
20.
Casa dolce casa
Marco
POV
Come
Josephine mi aveva chiesto, mi ero recato per conto suo a Chicago.
Non
potevo crederci quando mi aveva spiegato nel dettaglio il suo intento:
“Marco
devi aiutarmi a comprare la mia vecchia casa, te ne prego” mi
aveva chiesto implorante due giorni fa.
Ed
ora io mi trovavo proprio lì ad esaudire ogni suo desiderio.
Inutile
dirlo ma stravedevo per lei!
Era
la luce dei miei occhi, lo era sempre
stata…l’unica persona su cui potessi contare ora e
per sempre.
In
una parola sola: sorella.
Non
avrei fatto nulla se non fosse stato importante per lei.
Arrivai
a Chicago sotto una violenta grandinata.
“Accidenti!
Non ci voleva proprio!” esclamai disturbato
dall’idea.
Nonostante
questo, mi diressi direttamente a villa Heart.
Nel
giardino, proprio sul vialetto che portava all’ingresso, una
cartello annunciava che la casa era in vendita.
“Bene”
pensai “La
fortuna è dalla mia qualche volta!”
Mi
guardai intorno per controllare se ci fosse qualcuno che potesse darmi
indicazioni, ma niente.
D’altronde
era prevedibile che con quel tempaccio non uscisse nessuno di casa.
L’unico
matto per strada nel giro di un chilometro ero forse io.
Forse
appunto.
D’un
tratto, mentre mi avviavo a cercare un riparo, una figura deformata
dalla pioggia battente apparve da lontano.
Mi
si avvicinò e mi coprì con il suo grande ombrello.
Era
una donna molto bella, con lunghi capelli rossicci, grandi occhi
ambrati circondati da profonde occhiaie violacee ed un profumo
inebriante.
Era
un vampiro, e che bel vampiro!
Guardandola
meglio notai che sulla mantella aveva cucito un piccolo giglio rosa, e
sapevo bene cosa significava…
“Posso
aiutarla?” mi chiese con la sua voce sottile.
“Bè
effettivamente si. Saprebbe dirmi a chi dovrei rivolgermi per
l’acquisto di quella casa?” domandai indicando la
vecchia casa di Josephine.
“Ma
a me naturalmente.
Mi
presento: sono Isabelle Adams, la sua nuova vicina di casa.
O
ma lei è tutto bagnato!
Venga
dentro ad asciugarsi.”
Josephine
POV
Era
passata ormai una settimana da quando Marco era partito alla volta di
Chicago ed ora era arrivato il mio momento di lasciare San Francisco,
come d’accordo.
Lasciai
la mia nuova casa in consegna al maggiordomo in attesa che Max e sua
moglie trovassero un nuovo alloggio.
Dopodiché
lui stesso mi avrebbe riportato le chiavi prima di trasferirsi
definitivamente a Dallas.
Arrivai
nel primo pomeriggio nella mia cara città natale.
Era
strano tornarci ancora una volta, ma non nascondo che ebbi una
bellissima sensazione non appena misi piede alla stazione.
Il
mio potere era notevolmente aumentato tanto che ormai potevo includere
nelle mie illusioni ben cinque persone.
Mi
guardai intorno ed in un battito di ciglia, modificai il colore dei
miei occhi: verde smeraldo.
Solo
c’era un piccolo difetto in tutto questo: non riuscivo ad
agire a distanza in modo da poter modificare anche il rosso porpora di
Marco.
Sperai
tanto che non avesse terrorizzato il tizio che avrebbe dovuto venderci
la casa.
Feci
scaricare le mie valigie dal treno e mi feci accompagnare a casa.
Già.
Ero
di nuovo a casa!
Scesi
dall’auto e mi fermai a contemplare la meraviglia del mio
ritorno.
Il
quartiere era sempre lo stesso, la mia villa era sempre la stessa:
l’edera che copriva parte della facciata non era sfiorita, il
giardino era curato esattamente come quando se ne occupava
papà nel tempo libero ma soprattutto la cassetta delle
lettere segnava ancora il nostro nome.
Era
come se non avessimo mai smesso di abitare lì.
Marco
apparve sulla porta, sorridendo radioso, mi venne incontro.
“Finalmente
sei arrivata! Bentornata a casa Josephine!” mi disse
abbracciandomi.
“E’
bello essere di nuovo qui!” risi euforica.
“Vieni,
entra” Marco prese le valigie e mi precedette nel vialetto
che portava dentro casa.
Entrai
timorosa.
Temevo
che all’interno tutto fosse stato stravolto, che non avrei
ritrovato più nulla al suo posto, contrariamente
all’esterno.
E
invece mi sbagliavo: ogni singolo elemento era rimasto nel posto
originario, come mamma lo aveva predisposto.
La
prima cosa che feci fu cercare le nostre foto sul camino e sulla
console all’entrata del grande soggiorno: erano ancora
lì!
I
volti dei miei cari mi sorridevano senza tempo nelle cornici argentee,
fissando momenti di vita passata.
La
mia preferita era al centro di tutte quelle sulla console: era stata
scattata un pomeriggio di tante estati fa… sotto un grande
albero, su un’altalena in legno stavo io inginocchiata e
fissavo una figura alla mia sinistra: mia madre.
Lei
mi guardava amorevole cingendomi la vita con una mano per non farmi
cadere.
Avevo
quattro o cinque anni al massimo.
“Ehi
tutto bene?”
Mi
voltai a guardare Marco alle mie spalle.
Volevo
piangere, gridare spaccare tutto in nome di quel dolore che non si era
ancora placato, ma d’altra parte la gioia di ritornare
laddove la mia vita era stata felice, era grande, forse un pizzico in
più del dolore.
“Si
tutto bene. E’ solo che fa un certo effetto ritornare in
questi luoghi…dopo quello che è
successo.”
“Capisco
perfettamente. Chérie, voglio presentarti due
persone” mi annunciò Marco con un sorrisino
compiaciuto.
Mi
voltai e sulla soglia c’erano due persone, sconosciuti ai
miei occhi.
“Josephine
ho il piacere di presentarti Isabelle e Cristopher Adams, i nostri
nuovi vicini di casa nonché ex-proprietari di
questa.”
Erano
davvero molto belli, (lei rossiccia, lui biondo) ma quello che mi
colpì di più fu il colore dei loro occhi: oro
colato.
Meraviglioso!
“Piacere”
dissi cortesemente restando però sulla difensiva.
La
donna dai capelli castano-rossicci mi si avvicinò e ma
strinse forte tra le sue braccia, come una madre che rivede dopo tanto
tempo una figlia.
“Oh
cara che bello rivederti!” esclamò con la sua voce
dolcissima.
Non
ci capivo più niente, ero davvero stranita.
L’uomo
si avvicinò a noi due e mi porse la mano sorridendo.
“Vedi
Josephine, Isabelle e Cristopher sono fratello e sorella e sono stati
proprio loro a incontrarmi e a facilitare l’acquisto della
casa. Pensa che non ci è costata nulla!” mi
spiegò Marco sempre più entusiasta.
“Come
nulla? Ma Marco io…”
“La
casa è tua Josephine, ti appartiene. Il nostro compito
è stato quello di custodirla in attesa di un tuo eventuale
ritorno.”
“Come
facevate a sapere che sarei tornata?”
“Josephine
è una storia molto interessante…ti converrebbe
ascoltare cosa hanno da dirti.”
Annuii
poco convinta.
C’erano
molte cose che non mi tornavano: primo che ci facevano due vampiri con
la mia casa?
Secondo:
se realmente erano vampiri, e lo erano, perché mai i loro
occhi non erano terrificanti come i nostri?
Queste
mie brevi considerazioni durarono giusto il tempo di un respiro primo
che Marco innescasse la miccia della mia furia:
“Cristopher
poi sei riuscito a rilevare quello studio legale di cui mi hai
parlato?”
L’uomo
che fino a quel momento non aveva aperto bocca, parlò con un
tono di voce suadente:
“Si
ho concluso le trattative proprio l’altro giorno. Pare che
quel piccolo appartamento appartenesse ad un certo Edward
Masen
o giù di lì…un poveraccio che
è morto per spagnola diversi anni fa insomma….Non
che sia un granché ma almeno ci posso gestire i miei affari
per un po’”.
La
strafottenza con cui pronunciò quelle parole
rimbombò insistente nella mia mente per diversi secondi
prima che una reazione molto violenta… afferrai una delle
valigie che avevo accanto ai piedi, la più grossa, e la
lanciai contro quell’essere spregevole con tutta la forza che
avevo in corpo.
Lui
si accorse di questo mio gesto ed evitò il colpo,
permettendo così che la valigia frantumasse il mobile alle
sue spalle, spargendo tutto il suo contenuto per la stanza.
“Se
ti sei permesso di dire queste cose adesso, non farlo mai
più, hai CAPITO??? Lurido verme schifoso esci subito da casa
mia o altrimenti…”
“Altrimenti
cosa ragazzina?”
Ebbe
giusto il tempo di pronunciare quelle parole che mi fiondai su di lui
furiosa, emettendo un ringhio agghiacciante.
“Josephine
fermati!” Marco ci fu vicino in pochi secondi e con uno
strattone mi allontanò a fatica da Cristopher.
“Cristopher”
sibilò Isabelle fulminandolo con lo sguardo.
“Chérie
va di sopra, cerca di calmarti adesso. Isabelle
potresti…?”
“Ma
certo. Vieni con me cara.”
Nel
giro di un secondo mi ritrovai seduta sul letto della mia vecchia
stanza da letto.
Mi
guardai intorno confusa mentre Isabelle sistemava il mio beauty sul
comò.
“Tesoro,
mio fratello non voleva offendere te o il signor Masen… vedi
lui è fatto così purtroppo e un secolo non
è servito a cambiarlo molto. Ti chiedo scusa per
lui…lui non sa…”
“Non
è colpa tua. Non voglio più vedere quel tizio a
casa mia e provvederò a risarcirvi il prezzo della casa al
più presto.”
“No!
Non devi Josephine! L’abbiamo fatto col cuore tesoro
mio” si sedette sul letto e mi prese le mani tra le sue.
Un
brilluccichio attirò la mia attenzione: al dito medio della
mano destra lei portavo un anello identico in tutto al mio.
Era
molto antico, in oro giallo e con una fascia in argento e diamanti.
“Isabelle,
il tuo anello…” le feci notare mettendolo a
confronto con il mio.
“Oh
si. Solo due esemplari sono stati prodotti all’inizio
dell’800, solamente due: uno per me e uno per mia sorella
Madelene.”
“Madelene?
Questo nome mi è familiare…”
“E’
il nome della tua bisnonna, la nonna di tuo padre…pensaci
bene…”
“Quindi
tu…ma com’è possibile?”
“Ti
racconterò tutto con calma, più tardi. Marco gli
ha spiegato tutto e tra poco Cristopher verrà a chiederti
scusa.”
Pochi
secondi dopo bussò alla porta.
Edward
POV
“Edward
pensaci bene, te ne prego” Esme cercava di convincermi a
restare svuotando il borsone che io stavo riempiendo delle mie cose.
“Esme
ormai ho deciso. Me ne vado e niente e nessuno potrà farmi
cambiare idea. E per favore smetti di svuotare la valigia!”
“Tesoro
ti prego non andare via… potremmo risolvere tutto parlandone
un po’”
“Non
c’è più niente da dire. Capiscimi bene,
non ho niente contro di te…”
“Ma
contro Carlisle…”
“Esme,
ti voglio molto bene ma ora è tempo che io vada per la mia
strada.
Non
odiarmi per questo…”
“Non
lo farei mai figlio mio”
Continua…
Note: Scusate
tanto il mio ritardo ma questa volta non e’ dovuto a blocchi
dello scrittore o cose simili ma all’influenza come
sabry_cullen ben sai…
Ma
cmq ora sono tornata! Spero tanto che questo capitolo vi piaccia anche
se non e’ questo granche’…
Thanks
to:
_Sabry: i tuoi
commy sono sempre molto belli!!!!!! TVB
_Storyteller Lover:
dovresti dare piu’ peso ai tuoi poteri magici!! Sono
gia’ due volte che ci azzecchi! WOW!!!!! TVB
_Sabry87: sono
davvero contenta che continui a seguire la mia storia! Mi fa davvero
taaaaaaaantoooo piacere! TVB
_tutte
le persone
che leggono e continuano ad aggiungere la mia fiction tra i loro
preferiti! VVB
PS: Vi
annuncio che il prossimo capitolo vi piacera’ molto, e quando
dico molto intendo mooooooooooooooooltoooooooooo!
Hihihi…spero di avervi incuriosite…
PS_2: Il modo
in cui ho scritto "Cristopher" senza la 'H' dopo la 'C' e' volontario e
non un errore.
Bye
bye…
Evie
|
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Capitolo 21 *** Finalmente Chicago ***
A mia cugina Anna,
che ha
pazientemente letto
e riletto alla
nausea questo
capitolo
correggendo le
mie sviste.
Grazie di
esistere!
21.
Finalmente Chicago
Josephine
POV
Trascorsero
otto mesi da quel giorno.
Ricevere
tutte quelle informazioni in una volta non fu piacevole inizialmente.
Cristopher
salì in camera mia per farmi le sue scuse.
Mi
sembrò realmente pentito.
Poco
dopo seppi che mio fratello aveva raccontato la mia triste storia a
Isabelle, per questo lei aveva capito la mia reazione.
Passammo
diverse ore a parlare sedute sul letto della mia stanza, proprio come
facevo quando abitavo lì con la mamma.
Scoprii
tante che cose che non avrei mai immaginato, davvero incredibili.
“Vedi
Josephine, la tua bisnonna Madelene aveva un fratello ed una sorella
prematuramente scomparsi dopo aver partecipato ad una festa.
Era
una fredda notte di un gelido inverno ottocentesco”
così era iniziato il suo racconto.
I
due fratelli scomparsi prematuramente erano lei, Isabelle e Cristopher,
e la festa era quella di fidanzamento di Isabelle con un certo Mark
Harris.
Si
sarebbero dovuto sposare il mese successivo, ma purtroppo la sposa non
arrivò all’altare.
“La
carrozza su cui viaggiavamo Cristopher ed io fu attaccata, proprio come
è successo alla tua macchina, e come puoi immaginare
l’esito è stato lo stesso.
Madeline
era piccina all’epoca e ricordava molto poco dei suoi
fratelli.
Ricordo
la disperazione della mia famiglia, del mio Mark, che osservavo da
lontano.
L’ho
sempre fatto fin’ora.
Abbiamo
seguito tutti i momenti della vita della nostra piccola sorellina,
dall’infanzia alla maturità, dal matrimonio alla
nascita dei suoi bambini, fino a te.
L’anello
che porti al dito apparteneva a lei ed è stato tramandato
per tre generazioni, da Madelene a te.
Avrei
voluto fare lo stesso anche io ma come vedi mi è stato
impedito”.
Mi
colpì la serenità con cui parlava della sua
condizione.
Forse
ci sarei riuscita anche io tra un secolo o due.
Pensavo
a tutto quello mentre la mattina del 4 giugno 1922 scendevo le scale
della mia grande casa.
Sentii
Isabelle canticchiare in cucina; da un po’ di tempo si era
fissata con la pittura e in quel momento era impegnata a dipingere un
tipico paesaggio montano per il mio soggiorno.
Già…dimenticavo:
lei e suo fratello si erano da poco aggregati ad una famiglia di
vampiri vegetariani a Denali, in Alaska.
Vegetariani
perché si cibavano di sangue animale.
“Non
ti sazia come quello umano, ma almeno non distruggi una vita
umana” mi aveva spiegato cercando di convincermi a seguire il
suo stesso stile di vita, senza ottenere risultati.
Cosa
che temevo sarebbe riuscita fare con Marco.
Nell’ultimo
periodo i due si erano avvicinati parecchio…magari cupido
stava per scoccare una delle sue frecce…
Entusiasta
per l’arrivo della bella stagione, passai dal soggiorno per
salutare gli uomini di casa intenti a giocare a carte, prima di passare
per l’ingresso e sfilare un fiore rosso dalla splendida
composizione sulla console.
Uscìì
fuori e mi sedetti nel pergolato a prendere un po’
d’aria.
Appoggiata
alla ringhiera in legno, continuai a fare il bilancio di quegli ultimi
otto mesi.
Il
mio rapporto con Cristopher era decisamente migliorato, anche se
navigava un pizzico di imbarazzo ancora tra noi.
“Instaurare
un rapporto per Cristopher non è mai stato semplice. Ma con
te è diverso…ha superato le mie più
rosee aspettative” mi disse Isabelle durante una passeggiata
qualche giorno prima.
Durante
quella stessa passeggiata mi aveva rivelato un dettaglio che mi aveva
un po’ confusa, un dettaglio che non avrei mai potuto
scorgere con i miei grandi occhi da umana: Carlisle Cullen, il bel
dottore che voleva salvarmi la vita era come me, o meglio come Isabelle.
Pare
che la famiglia alla quale si erano uniti i due fratelli Adams, vantava
una lunga e vampiresca parentela con Carlisle.
“Non
appena siamo arrivati a Chicago sono passata a trovarlo. Era tempo che
non ci vedevamo e devo dire che mi piacerebbe sapere dove è
andato dopo… Ah sai che si è creato un compagno?
Un bel ragazzo, certo un po’ scontroso e cupo ma molto bello.
Non
riesco a ricordarne il nome…mmmm… magari se un
giorno decidessi di venire a Denali con noi potrebbe succedere che li
incontriamo e chissà…”
smaliziò ridendo e immaginando un improbabile coppia formata
da me e quel ragazzo.
Mi
stavo godendo il tiepido sole di giugno quando proprio Isabelle mi
chiamò dalla finestra della cucina.
“Gloria
l’ho finito! Ho bisogno del giudizio di una persona di gusto
però! Sai che ci tengo molto al tuo
regalo…”
“Arrivo
subito.”
Gloria.
Quel
nome mi continuava a perseguitare.
Era
la mia maschera pubblica.
Josephine
nel privato, Gloria nella vita sociale.
Entrai
in casa lasciando cadere inavvertitamente sugli scalini il fiore che
avevo “rubato” dalla composizione.
Mi
affacciai osservando da lontano il suo capolavoro:
“Wow!
Devo dire che sono davvero sbalordita! E’
meraviglioso!”
“Lo
credi sul serio?”
“Certo!”
Non
feci in tempo a finire quell’affermazione che…
“Oddio
che odoraccio tremendo! Che ti sei inventata questa volta brutta copia
di una pseudo artista?” Cristopher entrò in cucina
ringalluzzito dalla vittoria a carte su Marco.
“Non
stare ad ascoltarlo. Lui non capisce niente d’arte”
difesi a spada tratta l’opera di Isabelle.
“Io
non capirei nulla d’arte? Senti un po’ ragazzina io
ho una cultura artistica che tu neanche ti sogni!”
“Si
ma per il resto…”
Conoscevo
bene quello sguardo.
Cristopher
mi si avvicinò furtivo e con un balzo mi afferrò
per la vita.
Cercai
di divincolarmi senza alcun risultato, ridendo a crepapelle per il
solletico che mi faceva con la mano libera.
In
quei piccoli momenti di gioco mi sentivo ancora una bambina.
Continuavamo
a giocare quando mi accorsi che Isabelle fissava un qualcosa fuori
dalla finestra.
Aveva
un’espressione tra lo sbalordito ed il terrorizzato e si
scambiava strani sguardi con Marco.
“Cos’è
successo? Sembra che abbiate appena visto un fantasma”
“Che
ne dite se andiamo ad appendere il quadro in soggiorno?”
“Buona
idea! Corro a prendere chiodi e martello” disse Marco
sparendo in pochi secondi.
Isabelle
uscì dalla stanza stingendo il quadro tra le braccia, con la
stessa espressione turbata di prima.
Cristopher
mi teneva ancora in braccio:
“Qui
c’è qualcosa che non mi convince” mi
sussurrò mentre mi faceva scendere.
“Dobbiamo
scoprire cosa ci stanno nascondendo” dissi dirigendomi in
soggiorno con Cristopher al mio fianco.
Quella
sera si teneva l’annuale ballo di beneficenza in maschera che
noi avevamo, ovviamente, generosamente sostenuto.
Avevo
appena indossato il mio abito in pizzo nero quando Isabelle
entrò in tutto il suo splendore.
“Allora?
Come sto?” disse pavoneggiandosi nel grande abito in tulle e
seta indaco.
In
quello mi ricordava molto mia sorella Katie.
“Sei
meravigliosa”
“Oh
tesoro anche tu sei splendida! Vedo che alla fine hai ceduto al fascino
del giglio rosa” commentò indicando il ricamo che
lei stessa aveva applicato quel pomeriggio sul decolté del
mio abito.
“Come
se avessi avuto altra scelta”
“Suvvia
Josephine! Siamo una famiglia, dobbiamo distinguerci in qualche
modo”.
Già
una famiglia… tempo addietro Marco mi aveva spiegato il
significato di quel giglio rosa.
Pare
che alcune famiglie ben consolidate di vampiri, in genere vegetariani,
solessero ricamare su alcuni vestiti un fiore proprio per
contraddistinguere la famiglia ed avvisare gli altri vampiri che le
singole persone appartenevano ad un clan più grande.
Il
clan di Denali aveva come simbolo il giglio rosa.
Così
per quella sera, anche se noi non appartenevamo al clan di Denali,
Marco ed io avevamo deciso di accontentare Isabelle, lui per
“amore”, io per parentela.
Indossammo
le nostre maschere e scendemmo al piano di sotto, dove i nostri
accompagnatori ci aspettavano.
“Wow”
esclamarono all’unisono non appena ci videro.
Quella
scena mi ricordava terribilmente gli ultimi istanti di vita della mia
famiglia.
Mi
scrollai quella brutta sensazione di dosso, nascondendo il dolore
dietro al più raggiante dei miei sorrisi.
Quando
giungemmo alla festa, la sala del palazzo antico era già
gremita di gente e in pochi istanti attirammo tutta
l’attenzione dei presenti su di noi.
“Come
dar loro torto” ironizzò Marco stringendo la mano
di Isabelle.
In
sottofondo una delicata musica da camera accompagnava i discorsi e le
inutili cerimonie di circostanza.
“Balliamo?”
mi chiese Cristopher sogghignando.
“Certo.
Ma perché ridi?” domandai iniziando a volteggiare
con lui al centro della pista.
“Oh
nulla. Così ho sentito dei discorsi e mi è venuto
da ridere”.
Poco
dopo anche Marco e Isabelle si unirono a noi, così come gran
parte degli invitati.
Nonostante
le maschere, tutti avevano riconosciuto tutti.
“Che
utilità ha fare un ballo in maschera se tutti sanno chi
c’è dietro la maschera?” commentai
continuando a ballare.
Ad
un certo punto qualcuno ci spinse e io urtai contro un ragazzo fermo ai
margini della pista.
“Mi
scusi” dissi senza neanche fermarmi a guardarlo bene in viso.
“Non
si preoccupi” mi rispose svanendo nel nulla poco dopo.
“Che
buon profumo…Mi è stranamente familiare la sua
colonia…”
pensai.
Mi
strinsi nelle spalle e ripresi a ballare con Cristopher, mentre lo
stupore si dipingeva nuovamente sui volti di Marco e Isabelle.
La
serata trascorse tranquilla tra balli e chiacchiere.
Furono
in pochi ad avere il coraggio di avvicinarci.
Belli
e impossibili ci avevano definito.
Osservavo
le scenette che mi si paravano dinnanzi quando uno strano uomo
tarchiato e dall’aria sospetta mi si avvicinò
furtivo.
“Posso
parlarle in giardino miss Winchester?”
“Lady
Winchester” lo corressi quasi stizzita.
“Mi
perdoni milady. Può seguirmi?”
Diedi
un’occhiata alla mia famiglia che ovviamente si era accorta
di quello che stava succedendo.
Marco
si stava avvicinando, ma io lo fermai con un gesto della mano.
“Facciamo
in fretta.” dissi sbrigativa precedendolo alla portafinestra
“Bene di che si tratta?”
“Mia
bella signora non fare la sostenuta con me. Ti ho riconosciuta sai?
Credevi di aver convinto tutti con la storia del nome finto eccetera.
Certo non ho idea di come tu abbia fatto a cambiare il colore dei tuoi
occhi…”
“Cosa
intende dire?” chiesi allontanandomi.
“Dai
Josephine…perché tu sei Josephine Heart,
vero?”
“Si
sbaglia. Io questa Josephine Heart non la conosco e non so chi
sia”
“Non
ti ricordi di me? No, è passato tanto tempo
dall’ultima volta… ero il giardiniere di casa
tua…ti sto tornando in mente?”
Ricordai
la sua losca faccia.
I
miei genitori l’avevano licenziato dopo che io
l’avevo visto ubriacarsi in giardino.
Ero
stata io la causa della sua diciamo “rovina”.
“Impossibile.
La mia dimora è sempre stata a San Francisco. Questo
è il primo viaggio che faccio a Chicago… e poi
non le devo tutte queste spiegazioni”
“Però
sei un “fantasma” dal bel
caratterino…”
Mi
guardai intorno e vidi che eravamo abbastanza lontani da sguardi
indiscreti.
Fissai
la mia futura vittima con un ghigno stampato in faccia.
L’espressione
spavalda sparì dal suo volto, lasciando spazio ad uno strano
stupore.
Mi
avvicinai e con movimenti veloci all’inverosimile, lo
trascinai nel punto più buio di quella strada.
“Ti
sei messo contro la persona sbagliata mio caro. Non si scherza con
Josephine Madeline Heart” e conficcai i denti nel suo caldo
collo, bevendo il suo sangue fino all’ultima goccia.
Vidi
un’ombra davanti a me.
Alzai
gli occhi e un rivolo di sangue mi uscì da un angolo della
bocca.
Non
ci potevo credere.
Una
figura slanciata, un ragazzo bellissimo, mi fissava con aria
sbalordita, la stessa che si poteva leggere sul mio viso.
“Josephine”
sussurrò e la luce del lampione illuminò
interamente il suo volto.
Impossibile.
Lui
era morto.
La
spagnola… e tutto il resto…oddio no!
Carlisle!
Ecco
il compagno di Carlisle…bello ma cupo…
“Edward!
Ma sei davvero tu?”
Un
sorriso incerto gli si aprì sul volto.
Di
scatto abbandonai il corpo che tenevo ancora in grembo e corsi verso di
lui.
Mi
avvicinai tanto da sentire il naso infiammato dal suo profumo misto
all’acqua di colonia.
Posai
le mani sul suo viso, indugiando sul profilo delle labbra.
Lui
istintivamente mi cinse la vita.
“Sei
cambiata” disse esibendo il suo sorriso sghembo che adoravo
alla follia.
“Molto?”
“No.
Poco”
Gli
buttai le braccia al collo incredula ma entusiasta per quella splendida
sorpresa.
Finalmente
Chicago ci aveva regalato il tanto atteso lieto fine.
Note:
Come avrete notato io la mezza misura non la conosco, ma non so neanche
cosa sia!
O
i miei capitolo sono troppo corti o sono troppo
lunghi…mah…abbiate pazienza!
Scusatemi
tanto per il ritardo e per la fretta…non posso ringraziare
tutti nello specifico ma lo farò nel prossimo capitolo!
Grazie
alle mie fedelissime Sabry_Cullen, Storyteller lover e Sabry87 alle
quali si è ri-aggiunta Bimbaemo!
Grazie
di cuore a tutti!
VVBBBBBB!!!!!
Kiss
kiss
Evie
|
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Capitolo 22 *** Per uno strano ma bellissimo scherzo del destino ***
"Non troverai mai la
verità
se non sei disposto ad accettare
anche ciò che non ti
aspetti."
Eraclito
22. Per uno strano ma
bellissimo scherzo del destino
Edward
POV
Poche ore prima…
Arrivai a casa di Carlisle dopo più di un’ora di
passeggiata.
Fortunatamente avevo con me le chiavi.
Aprì la porta ed entrai; posai il borsone sulla sedia
nell’ingresso polveroso e andai ad aprire le finestre per
arieggiare la casa ormai chiusa da anni, e mi fermai ad osservare il
panorama.
L’aria calda riempì in pochi istanti
l’appartamento.
Era molto piacevole.
Portai le mie cose nella mia vecchia stanza e, per abitudine, andai a
controllare la posta.
“Che stupido” pensai mentre controllavo la cassetta
delle lettere che sarebbe dovuta essere vuota, e invece…
Mi ritrovai tra le mani una lettera dalla carta ruvida, la
aprì.
In bella calligrafia venivo ufficialmente invitato ad un ballo di
beneficenza per quella sera stessa.
Chi avrebbe mai potuto invitare una persona che non abitava
più là?
Perché mi facevo tutti quei problemi?
Tanto io non ci sarei mai andato.
Appoggiai la lettera sul tavolo della cucina accanto al fiore di Gloria.
Chissà se l’avrei mai rivista…
Ma perché pensavo a lei?
Cercai di togliermi il suo pensiero dalla mente…forse era
dovuto al fatto che in lei rivedevo la mia Josephine.
Ovviamente non poteva essere lei.
Sarebbe stato bellissimo, ma restava un sogno che non si sarebbe
realizzato mai.
Mi affacciai dal piccolo balcone della stanza di Carlisle,
l’unica parte della casa ad essere in ombra.
Assaporavo il profumo dell’estate che stava arrivando quando
sentii dei pensieri provenire dalla strada.
Un uomo non molto alto, robusto, leggermente stempiato e
dall’aria vagamente losca e sospetta si era fermato giusto
sotto il mio balcone.
“ Finalmente, dopo tanti anni, la mia occasione di vendetta
è arrivata. Questa sera, al ballo di beneficenza,
avrò modo di avvicinarla e la sua rovina avrà
inizio”
Era un matto.
Una serie di pensieri sconnessi seguirono i primi e tutti avevano a che
fare con una vendetta… ma di chi avrebbe voluto vendicarsi?
“Dai pensa il suo nome…avanti” pensai
incuriosito.
“…tutti la credono morta ma solo io so che la
bella lady venuta da San Francisco in realtà è la
figlia maggiore degli Heart, la stessa bambina ficcanaso che mi ha
fatto licenziare e che mi ha creato terra bruciata intorno…
Maledetta Josephine! Preparati a dire addio alla tua maschera
Gloria.”
Come?
Cosa aveva pensato quel tizio?
No no no, non era possibile! I miei sospetti coincidevano alla
perfezione con le certezze di quell’uomo così
vendicativo.
Mi sporsi di più per vedere se era ancora lì, ma
aveva appena attraversato la strada.
Avrei potuto raggiungerlo in meno di un secondo, ma la
gravità di quei pensieri mi teneva incollato al pavimento,
impossibilitando ogni mio movimento.
Dovevo reagire, dovevo fare qualcosa.
Se quella donna era realmente Josephine dovevo andare da lei,
avvertirla, proteggerla…
Ripercorsi con la memoria i pensieri appena ascoltati…la
lady di San Francisco, la figlia maggiore degli Heart… non
poteva essere che lei.
Le conclusioni potevano essere solo due: primo Josephine si era
miracolosamente salvata dall’incidente; secondo lei era come
me.
Rientrai in casa e aprì l’armadio di Carlisle e vi
trovai un vecchio smoking.
“Perfetto. Ora manca solo la maschera”.
Alle otto ero davanti il palazzo antico che ospitava il ballo di
beneficenza.
Sistemai il fiore rosso sull’occhiello, consegnai il mio
invito ed entrai a cercarla.
Mi guardai intorno ma di lei non c’era traccia.
Mi sistemai ai margini di quella che era diventata da poco la pista da
ballo.
“Vuole ballare?” mi chiese una ragazzina graziosa
ma non abbastanza attraente per i miei gusti.
“No, grazie. Non so ballare” mentii per non essere
scortese.
Lei andò via delusa, mentre un qualcosa, anzi no qualcuno mi
venne addosso.
Riconobbi immediatamente il profumo.
Era lei, la ragazza di quel pomeriggio.
Mi sforzai di sentire la sua voce attraverso i suoi pensieri, ma nulla.
“Mi scusi” mi disse senza neanche voltarsi a
guardarmi.
“Non si preoccupi” le risposi allontanandomi troppo
velocemente.
Era lei.
Non poteva essere solo un caso!
Una nuova scarica di adrenalina attraversò il mio corpo,
tanto che ebbi l’impressione di sentire il mio cuore battere
ancora una volta.
All’improvviso vidi quello strano uomo dai pensieri
vendicativi.
Osservai la scena da lontano.
Si era avvicinato a Josephine e le aveva chiesto di parlare in privato
con lei.
I suoi compagni avevano intuito il pericolo: il tizio alto, con i
capelli neri si era avvicinato a quella che lui chiamava “sua
sorella” ma lei lo aveva bloccato con un gesto della mano,
mentre le altre due persone parlavano fitto.
Mi concentrai su di lei.
Cosa le passava per la mente? Non aveva intuito il pericolo?
Era frustrante non conoscere i suoi pensieri… in quattro
anni non mi era mai capitata una cosa così strana e
improbabile.
Scrutavo i suoi occhi porpora dietro la maschera nera in pizzo e piume
e notai le varie emozioni che li attraversava: curiosità,
paura di essere scoperta, sorpresa, e una spiazzante sicurezza delle
sue capacità.
Lo seguì sino in giardino e così feci io
tenendomi a distanza.
Mi levai la maschera e la conservai in tasca.
Lui le lanciava le sue accuse addosso, sicuro di non sbagliare, mentre
lei rimaneva impassibile e continuava con il suo gioco, portandolo nel
punto più buio di quella strada.
Inaspettatamente perse il controllo e gli avvicinò con
movimenti veloci e aggraziati.
Lo trascinò ancora più lontano da occhi
indiscreti e con una delicatezza che lui non meritava, gli morse il
collo, cibandosi del suo sangue.
Quindi la mia seconda ipotesi era quella giusta.
Incredibile!
Era tutto così surreale, così impossibile eppure
lei era là, seduta bellissima anche in quell’atto
così disgustoso.
Quando ebbe terminato, sollevò il viso e un rivolo di sangue
le uscì da un angolo della bocca.
La sua espressione oscillava tra l’incredulo ed il sorpreso.
“Josephine” sussurrai a mezza voce.
“Edward! Ma sei davvero tu?”
Sorrisi e mi avvicinai al punto dove era lei.
Josephine si alzò abbandonando il corpo che teneva in grembo
e corse da me togliendosi la maschera e lasciandola cadere accanto al
corpo morto.
Era bellissima, nonostante gli occhi rossi sangue.
Sorrideva radiosa tracciando con le dita il profilo del mio viso,
mentre io le cingevo la vita con un abbraccio.
“Sei cambiata” le dissi sorridendo.
“Molto?”
“No. Poco”.
Sentivo la sua felicità congiunta alla mia in
quell’abbraccio quando lei affondò il suo viso
nell’incavo della mia spalla.
“Ancora non ci credo. Non mi sembra vero” le
sussurrai all’orecchio.
Lei sospirò, si staccò leggermente da me e
premette le sue labbra contro le mie che subito assecondarono il suo
bacio.
Sentivo il sapore del sangue sulle labbra e questo non fece altro che
aumentare la mia eccitazione.
Ed eccoci là, per uno strano ma bellissimo scherzo del
destino eravamo tornati ad amarci e nulla al mondo avrebbe mai e poi
mai potuto separarci di nuovo.
Note:
Ed eccomi tornata subito subito! Non ve l’aspettavate eh???
Ieri mi è venuta un’ispirazione pazzesca e in una
mezzoretta ho scritto questo capitolo che praticamente riparte dal
momento in cui Eddy, dopo avere visto Gloria a casa Heart, se ne va
moggio moggio a casa di Carlisle e fa le sue scoperte, raccontando
tutta la storia dell’incontro dal suo personalissimo punto di
vista.
Thanks
to:
-Sabry_Cullen:
ciao beddissima mia! Ma stai tranquilla i tuoi commy mi piacciono
tantissimo e nn sono idiozie come pensi tu! E cmq ora sono io che
aspetto…..continuo ad aspettare……..e
ancora…………TVB
-Storyteller lover:
sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo!!!! Viva me! Ora viene il
bello!!!!!!! TVB
-Sabry87:
grazie sempre per i tuoi commy! Sono davvero contenta che la storia ti
stia appassionando così tanto! TVB
-Tessy: e
finalmente torni a commentare! Ebbene si la tua pazienza è
stata premiata alla grande!!!!! Continua a seguire mi raccomando! TVB
-
grazie a tutti coloro che leggono i miei chappy e a tutti coloro che
continuano ad aggiungere la mia storia tra i loro preferiti! VVB
A
presto!
Kiss
kiss
Ps: per chi
fosse interessato ho pubblicato un’altra storia che si
intitola “Per
tutta la vita” e la potete trovare nella sezione
Harry Potter.
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! SMACK!
Evie
|
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Capitolo 23 *** Tutta l'eternità per amarti ***
"Fu
il tuo bacio, amore, a rendermi immortale. "
Margaret
Fuller
23. Tutta
l’eternità per amarti
Josephine
POV
Edward mi stringeva ancora tra
le sue braccia, a metà tra il sogno e la realtà.
L’incredulità
e lo stupore potevano essere facilmente letti sui visi di entrambi.
“Da quanto
tempo ho desiderato questo momento...” sussurrai al suo
orecchio stringendomi ancora al suo collo.
“A chi lo dici
amore mio”.
Eravamo immersi
l’una nell’altro quando sentimmo dei rumori.
Istintivamente Edward mi
strinse più forte a sé, guardandosi intorno,
pronto all’attacco.
Marco, Cristopher e
Isabelle uscirono dall’oscurità della notte
estiva, mostrandosi a noi.
“Quindi…non
mi ero sbagliata!” sentii Isabelle sussurrare a Marco.
“Josephine
stai bene?” mi chiese lui guardandomi preoccupato.
“Perché
non si vede?” gli risposi spostando lo sguardo da lui ad
Edward.
“Ragazzi, lui
è Edward. Quell’ Edward” spiegai fugando
ogni dubbio dalla facce confuse dei miei amici.
“Wow…”
“Già”
si limitò a sospirare Edward sorridendo amichevole.
“Ma
cos’è successo qui?” domandò
Cristopher notando solo allora il corpo senza vita nel fondo del vicolo
cieco.
“Dobbiamo
sbarazzarcene. Josephine, voi tornate alla festa. Fatevi vedere un
po’ là e non appena arriveremo noi potremmo
tornare a casa…così parleremo un po’ in
santa pace.”
Raccolsi la mia maschera
da terra e ci incamminammo alla festa.
Edward mi cingeva la
vita con un braccio, io poggiavo la testa sulla sua spalla.
Finalmente.
Pensavo che quel momento
non sarebbe mai arrivato.
Per fortuna mi sbagliavo.
“Che
c’è?” mi chiese Edward osservando la mia
aria sognante
“Sono
felice” mi limitai a rispondere sorridendo come non facevo da
anni.
Entrammo nuovamente
nell’edificio che ospitava il ballo.
“Josephine,
tesoro,” mi sussurrò Isabelle
all’orecchio “tocca a te. Confondi un po’
le loro menti così che credano che tu non ti sei mai
allontanata da qui. Ce la puoi fare…abbiamo provato tante
volte” mi incoraggio spingendomi leggermente.
Effettivamente avevamo
passato diversi giorni a provare e riprovare quella tecnica di
manipolazione dei ricordi, e tanto più mi avvicinavo alle
mie “vittime” e più risultava efficace.
Mi guardai intorno.
C’era troppo
gente!
“Ti va di
ballare?” mi chiese Edward e in quel momento la stessa idea
passò dalle nostre menti.
Gli sorrisi porgendogli
la mano destra e iniziò il primo giro di valzer.
Ero troppo concentrata a
penetrare le menti altrui, per rendermi conto del momento che stavo
vivendo: il mio primo ballo con Edward!
Quante emozioni tutte
insieme!
Per un attimo persi il
contatto con la realtà e notai Isabelle storcere il naso
preoccupata.
Mi ripresi subito
concentrandomi per raggiungere più persone possibili.
“Hai davvero
un bel potere ma manchi di concentrazione tesoro mio” mi
sgridò e sul suo viso apparve quello splendido sorriso
sghembo…
“Capita anche
ai migliori” risposi senza fiato “E tu? Hai qualche
abilità particolare?”
“Si. Leggo la
mente della gente ma stranamente con te non
riesco…”
Intanto la musica
riempiva l’aria e altre coppie ci raggiunsero sulla pista.
Che fortuna!
Urtando spalla a spalla
con dame e cavalieri il mio compito si facilitò e
finì prima del previsto.
“Andiamo?”
sussurrò Edward al mio orecchio non appena Marco e
Cristopher apparvero sulla porta.
“Hanno fatto
presto” commentai mentre li raggiungevamo.
“Troppo”
sorrise Edward guardandomi con la coda dell’occhio.
Pochi minuti dopo ci
ritrovammo riuniti nel salotto di casa mia.
C’erano troppe
cose in sospeso che andavano chiarite.
Notai che Marco era
stranamente agitato: passeggiava su e giù per la stanza
pensieroso, quasi preoccupato.
Edward ci
raccontò la sua storia ed io gli raccontai la mia, dal
giorno in cui lascia l’ospedale, all’incidente,
dall’incontro con Marco, al nostro soggiorno a San Francisco
fino al ritorno a Chicago e il conseguente incontro con Isabelle e
Cristopher.
“E pensare che
sarebbe potuto andare tutto in modo diverso…”
commentò lui dopo aver ascoltato il racconto.
“Lo
so” dissi stringendogli le mani tra le mie.
Istintivamente Edward si
voltò a guardare Isabelle che sino a quel momento non aveva
aperto bocca.
“Sei stata tu
a mandare quell’invito a casa di Carlisle, non è
vero?” le domandò Edward.
Isabelle sorrise.
“Quando
sei passato di qui, questo pomeriggio, non potevo credere ai miei
occhi. Credevo fosse una mia impressione ma la somiglianza era troppa
per lasciare il minimo dubbio.
Così mi
ricordai di te quel giorno che venni a trovare Carlisle, poco prima la
vostra partenza e ho avuto quell’idea che oserei definire
geniale”.
Gli occhi ambrati le
brillavano come quando guardava Marco, dello stesso entusiasmo.
“E quindi tu
sapevi già…”
“Veramente
anche io lo sapevo” mi interruppe Marco, appoggiato al marmo
del camino.
Notai un certo astio
nelle sue parole, nel modo in cui le aveva pronunciate a denti stretti.
“Che ti prende
Marco?”
“Se
è per quello puoi stare tranquillo. Non sono tornato per
portartela via.” disse Edward rispondendo ad una sua muta
domanda.
“E chi me
l’assicura?” controbatté mio fratello
leggermente agitato.
L’oggetto
della disputa quindi ero io!
Scoppiai immediatamente
a ridere e tutti si voltarono a guardarmi stupiti.
Non ridevo
così da molto tempo.
“E’
questo il problema?” chiesi ridendo ancora.
“Vedi
Josephine, tuo fratello teme che io ti allontani da lui e mi vede come
una minaccia… diglielo anche tu che non ha nulla di cui
preoccuparsi. Io sono qui per restare, se mi accetterete, con voi.
Voglio far parte della vostra famiglia.”
“E’
quello che ho desiderato in questi anni, ogni singolo giorno, ogni
notte insonne ho sognato che tu facessi di nuova parte della mia vita.
Ed ora che sei qui, non ti lascerò andare via tanto
facilmente”
“Non ne ho la
minima intenzione amore mio” disse posando le sue labbra
sulle mie, in un dolcissimo bacio.
“E voi? Che ne
dite?” chiesi poi alla mia famiglia.
“La tua
felicità è anche la nostra” rispose
Isabelle venendomi incontro e abbracciandomi.
“Sono
d’accordo con lei. Tanti auguri piccola” disse
Cristopher baciandomi la fronte e stringendo la mano ad Edward in segno
di benvenuto.
“E tu
Marco?” mi alzai raggiungendo mio fratello.
“Ti ho visto
soffrire per tutto questo tempo…come potrei rovinare la tua
felicità? Ti auguro il bene di tutto il mondo sorellina
mia”
“Grazie”
dissi abbracciandolo forte.
Dopo pochi attimi Marco
si staccò dal mio abbraccio e si diresse verso Edward.
“Benvenuto in
famiglia cognato”
“Grazie
mille”
“Sapete una
cosa?”dissi abbracciandomi ad Edward
“Cosa?”
“Tutto sommato
ora non mi dispiace più essere un vampiro”
“E
perché mai?” mi chiese Edward interrogativo.
“Bè
adesso ho tutta l’eternità per amarti”
Mi scuso con tutti voi per
l'assurdo ritardo con cui pubblico questo capitolo.
Ho avuto seri
problemi per causa dei quali mi è stato molto difficile
portare avanti entrambe le mie storie,
ma ora sembra essere
tornato il sereno.
Vi chiedo ancora
scusa e un pò di pazienza se dovessi tardare di molto anche
con il prossimo capitolo.
Ringrazio tutti
coloro che nonostante tutto mo continuano a sostenere commentando o
semplicemente leggendo e inserendo tra i preferiti questa storia.
Non posso
ringraziarvi tutti adesso, lo farò nel prossimo capitolo.
Vi mando un
grandissimo bacio ed un forte abbraccio!
VVB^_^
La vostra...
Evie
|
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Capitolo 24 *** Amor carnale ***
"Spesso lo sguardo ha
fame
può
saziare l’appetito
ma
l’amor carnale
non consuma
tutti i sì
la tua
bellezza sale
fino in fondo
all’anima"
Bastard
sons of Dioniso
24. Amor carnale
Edward
POV
Correvamo
veloci come il vento nella tiepida notte di Chicago.
Correvamo
con il vento tra i capelli ed il profumo dell’aria estiva che
ci avvolgeva nel suo tepore accompagnando la nostra corsa.
Correvamo
mano nella mano, finalmente.
Mi
voltai a guardarla: era bellissima così concentrata e serena.
Si
accorge del mio sguardo e mi fissa a sua volta, sorridendomi radiosa.
Era
la prima volta che cacciavamo insieme ed entrambi provavamo quello
strano timore di mostrare all’altro il nostro lato peggiore,
quello del mostro.
Lessi
questo nei suoi occhi, specchio dei miei.
Correvamo
diretti al molo per cercare lì le nostre ignare vittime.
Dopotutto
non facevamo nulla di male o sbagliato; quella era la nostra
natura e non potevamo far nulla per cambiarla.
L’unica
cosa da fare era accettarla serenamente e cercare di vivere al meglio
quel pizzico di eternità che ci era stata affibbiata.
Con
lei al mio fianco sarebbe stato tutto più semplice e
gradevole.
Avevamo
passato tutto la notte ed il giorno precedente a parlare, a raccontarci
le nostre storie dolorose e a cercare di raccapezzarci tra
immortalità e bizzarri poteri.
la
cosa strana che notammo subito era che se uno dei due usava il suo
potere sull’altro questo non lo avverte: io non le potevo
leggere la mente ed a mia volta ero immune dalle sue illusioni.
La
spiegazione? Introvabile.
Questo
sarebbe stato un caso perfetto per Carlisle, ma per una scemenza del
genere non sarei di certo tornato da lui.
Saremmo
sopravvissuti ugualmente.
Arrivammo
al molo. Apparentemente non vi era anima viva, ma con un pizzico di
concentrazione avvertii il battere concitato di più cuori ed
una muta richiesta d’aiuto.
“Dietro
quel casermone c’è qualcuno” mi
avvertì Josephine.
“Si
me ne sono accorto. Avviciniamoci. C’è qualcuno in
pericolo e dai loro pensieri sembrano non avere buone
intenzioni…”
“Bè
gliele spegneremo noi”
Ci
avvicinammo senza far rumore: in quello spazio vi erano due persone che
minacciavano con un coltello un uomo seduto in un angolo.
“Se
non saldi subito il tuo debito questa notte dormirai con in pesci del
mare” lo intimò quello più grosso.
L’uomo
non ebbe la forza di replicare. Chiedeva solo aiuto pur sapendo che le
sue speranze erano vane.
“Interveniamo”
disse Josephine “ non serve saper leggere la mente per sapere
che quell’uomo ha i minuti contati”
“Andiamo”
Agilmente
salimmo sul tetto di quella costruzione e piombammo come pipistrelli
sui due malviventi.
Era
da giorni che non mi nutrivo ed essere apparso davvero terrificante
perché l’uomo che avevamo appena salvato raccolse
le ultime forze e scappò via urlando.
“Che
ingrato. Neanche un “grazie che mi avete salvato la
pellaccia”” commentò Josephine
sollevando la testa dal suo pasto per guardare l’uomo in fuga.
Risi
tornando alla mia vittima che ormai non respirava neanche
più.
Un’ora
più tardi tornammo a casa.
L’adrenalina
correva forte accompagnata dal sangue che ci scorreva temporaneamente
nelle vene.
Ci
guardammo e non ci fu bisogno di parlare.
Strinsi
Josephine tra le braccia e iniziammo a baciarci, ritrovandomi ad aprire
la porta con il piede.
La
casa era tutta nostra perché Marco aveva trovato in coraggio
di dichiararsi a Isabelle e passava tutto il tempo a sua disposizione
con lei.
Josephine
ed io eravamo dell’idea che presto lei sarebbe riuscita a
convertirlo al loro modo di vivere.
Ma
l’importante era che fossero felici insieme.
Salì
le scale portando Josephine in braccio e continuando a baciarla.
Entrammo
nella sua stanza, fu un attimo e ci ritrovammo sdraiati sul letto a
spogliarci l’un l’altra.
L’adrenalina
continuava a salire ogni volta che ci sfioravamo con dolci carezze e
baci poco casti.
I
respiri affannati erano l’unica parola in quel nostro
paradiso.
Mi
sollevai per guardare Josephine, splendida come non mai, mi guardava
con desiderio crescente, lo stesso che io provavo per lei.
Non
la feci aspettare.
Mi
avvicinai per baciarla, posando una mano su una sua coscia mentre
iniziavo a farla mia.
Con
entrambe le mani lei si aggrappò alla mia schiena
conficcando le unghie nella carne man mano entravo in lei accelerando
il ritmo.
Portai
entrambe le mani ai lati del suo viso, intrecciandole con i suoi
capelli.
Accelerai
ancora.
Sentivo
i suoi gemiti di piacere crescere di intensità, gli occhi
quasi del tutto chiusi, la schiena inarcata ad assecondare il mio
movimento altalenante.
Arrivammo
al punto cruciale, quando il piacere toccò l’apice
più alto, il Paradiso in terra.
Josephine
strinse le cosce attorno i miei fianchi e intrecciò le gambe
alle mie, mentre poggiava una mano sulla mia spalla destra stringendola
forte e con l’altra si aggrappava al mio avambraccio.
Entrambi
raggiungemmo il piacere massimo, insieme.
Un
minuto dopo ricaddi come senza forze sul petto della mia donna.
Era
mia in tutti i sensi.
Sentivo
il suo respiro caldo sulla mia testa mentre lei mi accarezzava i
capelli.
“Oh
amore mio” sospirò con voce ancora rauca.
Mi
sollevai mettendomi supino per poter stringere tra le mie braccia
Josephine.
Lei
appoggiò la testa sul mio petto e con le dita disegnava
cerchi invisibili sulla mia pelle.
Era
una sensazione meravigliosa, un misto di appagamento e gioia allo stato
puro.
Se
fosse stato un sogno, non avrei voluto svegliarmi mai.
“Edward,
posso farti una domanda?”
“Certo
che puoi! Dimmi pure amore”
“Se
le cose fossero andate diversamente, tu mi avresti sposata?”
Respirai
a fondo prima di rispondere.
“Te
lo avrei chiesto non appena fossimo usciti dall’ospedale.
Sapevo che tu stavi male ma credevo saresti stata dimessa presto, ma
poi gli eventi sono precipitati.”
“Grazie.
Sono contenta”
“Certo
che basta poco a farti felice”
“Basti
tu a rendere il mio mondo perfetto”
Si
sollevò per baciarmi.
“Ti
amo”
“Ti
amo da morire anche io”disse baciandomi di nuovo.
“Non
stuzzicarmi ragazzina, non so come potrei reagire” le dissi
scherzando maliziosamente.
“Bè
se la reazione è quella di prima, continuo a stuzzicarti
molto volentieri” rispose baciandomi qua e là il
petto.
Le
presi il viso tra le mani baciandola a mia volta.
“Pronta
per il secondo tempo?”
“Mai
stata più pronta di così”.
Ricominciammo
ad amarci per la seconda volta quella notte.
Allora spero di non avervi
fatto attendere più del dovuto ma sto cercando di giostrarmi
tra tre diverse storie e rischio di impazzire.
Per quanto
riguarda questo capitolo perdonatemi perchè non sono molto
brava a descrivere scene così intime ma spero che nel
complesso vi piaccia ugualmente.
Passiamo ai
ringraziamenti:
-Sabry tesoro
mio grazie per il tuo commy (sempre la prima tu eh!)! Mi ha fatto
piacere la citazione nel commento^_^! TVB
-Sabry87
grazie grazie grazie per il tuo commy! TVB
-Bellas
tranqui che la storia non ho nessuna intenzione di troncarla!
Mi piace troppo troppo troppo per poterlo fare!!! Grazie
perchè hai scelto di seguire la mia storia! TVB
-Tessy contenta
adesso che sono di nuovo insieme!! Mi fa piacere che sei tornata a
commentare di nuovo! Grazie mille! TVB
Grazie a tutti
raga!!!!!!!!!
Continuate a
seguire la storia ed a commentare ( mi diverto a leggere i vostri
commy!)!
Un bacione
enorme...
Evie
|
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Capitolo 25 *** Nient'altro che noi ***
"Nel
vero amore è l'anima che abbraccia il corpo."
Friedrich
Nietzsche
25. Nient’altro che
noi
Josephine
POV
Ancora
dovevo farci l’abitudine.
Nonostante
fosse passato un po’ di tempo, stentavo a crederci che alla
fine tutto si fosse sistemato per il meglio.
Edward
ed io eravamo di nuovo insieme e nulla avrebbe potuto cambiare le cose,
né ora né mai.
Stavo
ancora facendo l’abitudine a “svegliarmi”
con lui accanto, quando sentii Edward sghignazzare.
“Che
hai?” gli chiesi sollevandomi e poggiando il mento sul suo
petto marmoreo.
“Niente,
niente. Ma ci conviene vestirci alla svelta” mi rispose
continuando a sfoggiare quel suo sorriso sghembo e accarezzandomi i
capelli.
“Perché
mai? Abbiamo visite?”
“Diciamo
di si. Su andiamo. Oggi avremo una bella sorpresa”
Due
minuti dopo suonò il campanello, come aveva previsto Edward.
Noi,
naturalmente eravamo già al piano di sotto ad attenderli.
Aprii
la porta e mi apparvero due raggianti Marco e Isabelle.
“Buongiorno.
Disturbiamo?” chiese Isabelle entrando.
“Figuratevi!
Lo sapete che non disturbate mai”
In
quel momento vidi Edward guardare in modo abbastanza serio mio fratello
e dalla sua espressione capii che c’era sicuramente qualcosa
che li preoccupava.
Ci
avrei scommesso qualsiasi cosa.
“Josephine
abbiamo una splendida notizia” annunciò Isabelle
sempre più felice.
“Accomodiamoci
in soggiorno allora.” dissi prestando maggior attenzione a
quello che il sorriso di Marco nascondeva.
Preso
posto Isabelle continuò:
“Josephine,
Edward, Marco ed io abbiamo notizie magnifiche. Glielo dici
tu?” disse lei voltandosi a guardarlo.
“Edward
già lo sa. Ricordi?” le rammentò il
potere di Edward, portandosi un dito alla tempia.
“Già
dimenticavo.. Che sfortuna, così la sorpresa è
rovinata” sbuffò Isabelle abbracciando uno dei
cuscini del divano.
“Ma
Josephine non lo sa” intervenne Edward cingendomi le spalle
con il braccio.
“Giusto!
Allora provvedo subito: Marco ed io vogliamo sposarci!”
“Cosa?
Dici sul serio? Ma è..meraviglioso!” mi alzai
andando incontro a Isabelle per farle i miei migliori auguri.
Abbracciai
Marco, ma il suo sguardo continuava a preoccuparmi.
“Non
sei felice?” gli sussurrai in un orecchio.
“Certo
che lo sono. Ti spiegherà tutto Edward, più tardi
ok?”
I
giorni seguenti trascorsero tra le isterie di Isabelle che organizzava
tutto per la sua partenza in autunno, i continui sbuffi di Cristopher
che non sopportava più la sorella, e la velata tristezza di
Marco che da una parte amava Isabelle tanto da seguirla in capo al
mondo, mentre dalla’altra aveva dispiacere a lasciare me.
Il
giorno stesso dell’annuncio di Isabelle, Edward mi aveva
spiegato lo strano comportamento di Marco:
“Tuo
fratello è semplicemente preoccupato per te. Isabelle ha
messo una clausola per il loro matrimonio: Marco dovrà
adottare il suo stile di vita e per questo all’inizio
dell’autunno si trasferiranno a Denali, in Alaska per questo
motivo.
Solo
dopo un anno di disintossicazione si potranno sposare.
Marco
è felicissimo ma teme la tua lontananza. Siete molto legati
e ha paura che così andando le cose non avrete
più modo di rivedervi o di vivere insieme
nuovamente”
Nonostante
abbia diverse volte ed in diversi modi tranquillizzato mio fratello,
Marco è deciso a non attenuare il suo stato di stress.
Così
sono stata costretta a promettere mie frequenti visite a Denali dopo
l’anno di disintossicazione.
Non
avrei mai immaginato che Marco potesse essere così
affezionato a me.
Come
se non bastasse da un periodo consistente, precisamente da un paio di
giorni dopo che ci eravamo ritrovati, notavo Edward inquieto, alla
costante ricerca di un qualcosa di cui ignoravo l’esistenza.
Girava
su e giù per casa come un matto e non aveva intenzione di
rivelarmi l’oggetto delle sue continue ricerche.
Quando
non smaniava come un pazzo, suonava il piano oppure giocava a carte con
Marco e Cristopher, lasciandomi sola in balia delle frenesie di
Isabelle.
Quella
mattina era arrivata posta.
“Strano”
pensai “Nessuno
sa che abitiamo qui”.
Presi
il plico dalla cassetta delle lettere e aspettai d’esser in
casa per aprirlo.
Tutti
abbandonarono le loro postazioni per raccogliersi attorno a me e vedere
di cosa si trattasse.
Aprii
il pacchetto e dal suo interno ne cadde un mazzo di chiavi.
“Queste
le riconosco! Sono le chiavi della nostra casa a San
Francisco.” esclamò Marco prendendole tra le mani.
“Hai
ragione..e qui c’è una lettera:
‘Lady
Gloria, Lord Marco,
mi
scuso per l’enorme ritardo con cui vi consegno le chiavi
delle vostra residenza di San Francisco, lasciatavi dal vostro defunto
padre.
Purtroppo piccoli inconvenienti, ma non certamente gravi, mi
hanno impedito di essere lì presente oggi per consegnarvele
personalmente come avrei voluto.
Subito dopo la vostra partenza, lady Gloria, la
servitù ha iniziato ad abbandonare la casa recandosi ai vari
posti di lavoro, indirizzati dal notaio Harrold.
Tutti erano molto tristi, sapete, per la partenza di
vo’ signorie, ma d’altro canto sono stati molto
felici di liberarsi una volta per tutte del figlio di Lord Arthur e
della sua perfida sposa.
Per quanto riguarda Max e Margaret, come ben ricorderete il
testamento li costringeva a lasciare l’abitazione di vostro
padre, e così han fatto. Sapeste dove vivono adesso!
Ricordate gli appartamenti in periferia, quelli che affittava
la signora Smith?Ebbene, signori miei, è proprio
lì che adesso vivono quei due snob.
La signora Margaret dà tutta la colpa di quello
successo a suo marito e personalmente non credo che resteranno ancora
molto insieme. Anzi temo che la signora sia alla ricerca di un partito
migliore a cui spillare danaro.
Ben gli sta a tutti e due! dico io pensando agli stira piedi
che abbiamo dovuto subire in questi ultimi anni.
Per quanto mi riguarda, attualmente mi trovo nella mia nuova
abitazione a Dallas. Il ranch è meraviglioso e mi
dà molte soddisfazioni. La vita di campagna è
molto più salutare di quella della città, sapete?
Qualche mese fa ho incontrato una persona, una donna, che mi
ha fatto o fermar il respiro tra cuore e polmoni’ come dice
lei milady.
Anita è una persona davvero speciale e poco dopo
il nostro incontro abbiamo deciso di sposarci. La mia
felicità è alle stelle signori e spero che la
vostra sia altrettanto in alto.
Per qualsiasi cosa abbiate bisogno, sapete dove trovarmi.
Per
sempre al vostro servizio.
Vostro affezionatissimo
Antonio ‘
“Che
bella notizia, vero Marco?” chiesi appena ebbi finito di
leggere.
“Si.
Sono davvero felice per Antonio, gli ero molto affezionato. Dovremmo
inviargli una risposta”
“Certo.
Lo faremo domani. Ora è tardi e non ho molta voglia di
scrivere. Preferirei ascoltare Edward al piano, che ne dici?”
Mi
voltai a guardarlo: lui mi sorrideva sereno.
Annuì
e si sedette al piano.
Per
prima cosa suonò un Requiem di Mozart, e quando restammo da
soli, mi invitò a sedere accanto a lui.
Partì
la mia melodia, quella del carillon.
Non
l’avevo mai sentita suonare dal vivo.
Chiusi
gli occhi per assaporarne l’intensità e la
dolcezza.
Sentivo
le dita di Edward scorrere veloci sui tasti del pianoforte e a mezza
voce sussurrare la melodia come se la stesse scrivendo per la prima
volta sotto ispirazione.
Sorrisi
e lui se ne accorse.
La
musica finì.
Riaprii
gli occhi e vidi Edward estrarre un oggetto dalla tasca dei pantaloni.
“E’
quello che cercavi” chiesi notando il suo sorriso
più sereno e eccitato.
“Esattamente.”
Stringeva
tra le mani una scatoletta quadrata quando si inginocchiò di
fronte a me e l’aprì immaginavo già
cosa fosse:
protetto
dal satin nero, l'anello che doveva esser appartenuto ad Elizabeth
Masen brillava alla luce del lampadario e di qualche candela sparsa per
la sala.
Era
un ovale allungato, coperto da file oblique di pietre tonde e
luccicanti.
La
montatura era d'oro giallo, sottile e delicata.
L'oro
formava una rete finissima attorno ai diamanti.
Non
avevo mai visto nulla del genere.
“Avrei
voluto chiedertelo da tantissimo tempo, ma senza di questo mi era
difficile” dissi con quel suo sorriso che adoravo e
schiarendosi la voce continuò:
“Josephine
Madeline Heart, insieme e divisi per le vicissitudini della vita ne
abbiamo passate tante.
Ma
se guai a non finire fossero il prezzo da pagare per avere con me la
tua presenza sempre, io sarei disposto a sopportarli.
Quindi,
Josephine vuoi diventare mia moglie e passare con me il resto
dell’eternità?”
Se
avessi saputo come fare, avrei sicuramente pianto dalla gioia a sentire
quelle parole.
“E’
la dichiarazione d’amore più bella che abbia mai
sentito.
Si,si
si si e ancora e per sempre si amore mio!” risposi
buttandogli le braccia al collo e baciandolo appassionatamente.
Edward
mise l’anello di sua madre al mio anulare sinistro.
Ci
stava davvero bene!
Lo
riguardai diverse volte per metabolizzare quello che in pochissimi
minuti era successo.
“D’ora
in poi staremo ufficialmente insieme” mi sussurrò
all’orecchio baciandomi di nuovo.
“Nient’altro
che noi”.
Sorry
per il ritardo ma ormai ci sarete abituati (perdono*.*) ma ho avuto
taaaaaaaaaanto da fare per il mio nuovo forum( che vi invito a visitare
ed a farne parte^_^ http://lesfleursdumal-fanfiction.forumcommunity.net/)
!
Meglio
tardi che mai no??
Passiamo
ai ringraziamenti:
Sabry87:
Graaaaaaazieeeeeeeeeee!!!!! Questa volta è stata la tua la
prima recensione! Sono contenta che ti sia piaciuto il chappy! TVB
Bellas: Grazie mille
per la tua recensione!!!! Davvero bella! Ma i fa piacere
sapere che la mia storia ti appassiona così tanto!! TVB
Sabry_Cullen: Amore mio
grazieeeeee!!!!! hai visto che sorpresona vi ho fatto???? Spero che
quella di questo chappy non sia da meno! TVB
_New_Moon_:
Hai davvero letto la storia tutta d'un fiato??????? Wow! Brava! Grazie
per i tuoi mille complimenti!^_^!!! Comunque anche io ho lo
stesso problema della "cipolla"....siamo due persone emotivissime, eh?!
Sono contenta di avere una nuova fan! TVB
_tessy_: Bè
dopo tanto tempo passato lontano, è pure giusto che si diano
da fare! Grazie per la bella recensione! TVB
storyteller
lover:
Tesoro miooooooooooooooo mi sei
mancatissimaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!T_T!!!!!! Mi dispiace
per il tuo periodo stressante... Comunque ti sei fatta superperdonare
con la tua bella recensione! Mi raccomando non mi abbandonare
più!!! In bocca al lupo per gli esami! TVB
Altri ringraziamenti alle persone che l'hanno aggiunta tra i
preferiti...:
1 - alice brendon cullen
2 - annuxiaaa
3 - Bella4
4 - bella5
5 - bella95
6 - Bellas
7 - bimbaemo
8 - blinkina
9 - coppolina93
10 - deneb91
11 - devo
12 - dora92
13 - elly247
14 - Ether
15 - frefro
16 - Giu__xX
17 - Gx_Gse
18 - hitomi
19 - Honey Evans
20 - irly18
21 - KikyCullen
22 - lolitosa
23 - masychan
24 - Melf
25 - mijagi
26 - miki18
27 - nihal_soana93
28 - pazzerella_92
29 - Remember
30 - RockAngelz
31 - Sabry87
32 - Sabry_Cullen
33 - Sheba_94
34 - soad
35 - storyteller lover
36 - Tay_
37 - twinings
38 - ysellTheFabulous
39 - _Nessie_
40 - _New_Moon_
41 - _tessy_
...e le amiche delle
seguite:
1
- Mary___02
2 - Sophie x Daniel
3 - _New_Moon_
A
presto spero!
kisskiss
Evie
|
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Capitolo 26 *** La voce del cuore ***
“...
il nostro cuore parla a tutti noi
tramite una
voce inconfondibile.
Bisogna
aver pazienza e ascoltare
quello
che ha da dirci, perchè il cuore è
l'unico amico
che non ci mentirà mai”
Josephine Heart
26.
La voce del cuore
Josephine
POV
“Dici davvero??” urlò con la sua voce
squillante Isabelle guardandomi più felice che stupita.
“Si! Edward mi ha chiesto di sposarlo, ieri sera!”
“Oh mio Dio che notizia meravigliosa!” disse
abbracciandomi come mai aveva fatto prima.
“Tanti auguri Josephine!” sentii la mano di
Cristopher stringere la mia spalla.
Mi liberai dall’abbraccio di Isabelle per
ringraziare Cristopher. “Te lo meriti!” mi
sussurrò all’orecchio stringendomi a sé.
“Eh cognato, che spirito di emulazione hai avuto! Vedo che
Isabelle ed io ti siamo stati di grande ispirazione!” disse
Marco stingendo la mano al mio futuro sposo.
“Bè diciamo che questo ‘spirito di
emulazione’ l’avevo in serbo da qualche annetto,
solo che prima mi mancava la sposa, e poi, quando l’ho
ritrovata, era sparito l’anello.. E’ difficile
chiedere la mano di qualcuno quando mancano questi elementi!”.
Scoppiammo a ridere a quelle parole.
Finalmente il mio grande sogno si stava realizzando.
Edward ed io per sempre.
“E a quando il grande giorno?” chiese Isabelle
ancora tutta eccitata.
“Il più presto possibile.” disse Edward
abbracciandomi da dietro “anche domani”.
“Impossibile! Dobbiamo organizzare tutto come si
deve!” disse Isabelle saltellando sul posto come una bimba a
cui hanno fatto un grandissimo regalo e non vede l’ora di
provarlo.
“Non c’è molto da organizzare visto che
saremo solo noi…” le dissi stringendole una mano.
“Perché non ti fai gli affari tuoi
tu…”l’ammonì Cristopher
punzecchiandola su un braccio.
“Lasciami stare! Ma Josephine cara.. è il giorno
più bello della tua vita! Anche se siamo solo noi i pochi
fortunati a potervi assistere, voglio che sia tutto perfetto per te. Ti
voglio bene come se fossi mia figlia..dopotutto sei sangue del mio
sangue e per questo sei speciale…”
“E va bene.. Organizziamo questo matrimonio!”
Isabelle di slancio abbracciò sia me che Edward.
“Sarà tutto bellissimo!” disse con gli
occhi che le brillavano.
“Avete scelto la chiesa?” domandò Marco
seduto all’angolo del tavolo del salotto.
“Pensavamo a quella chiesetta fuori città.
Piccola, intima e perfetta per noi. Siamo già andati a
vederla questa mattina presto.” gli rispose Edward
raggiungendo lui e Cristopher.
“E il celebrante? Lo avete già?” fu
Cristopher a parlare.
“Veramente no..” ci pensai solo allora: ci mancava
il prete!
“Bè se volete potrei sposarvi io.. tempo fa avevo
ottenuto una licenza dal vescovo, ma non credo sia ancora valida. Ma in
ogni caso mi servirà appena una settimana per ottenerla di
nuovo…sempre che voi vogliate che…” non
fece in tempo a finire la frase che noi demmo subito il nostro consenso
entusiasta “Ma certo!!!! Che bella idea! Grazie!”.
“Bè a questo punto mi pare ovvio che
tu…” Edward si rivolse a Marco con uno sguardo
inequivocabile.
“Sarò il testimone!!!” esultò
lui abbracciando il cognato.
“Quindi Isabelle, tu sarai la mia damigella d’onore
e testimone” conclusi io suscitando l’esultanza di
Isabelle.
Ognuno aveva ricevuto il suo compito per il matrimonio, e stabilita la
data per il 27 non mancava che aspettare, preparando i singoli dettagli.
Il giorno dopo dall’annuncio Edward ed io andammo a chiedere
il permesso di occupare la chiesa per il sabato seguente, permesso che
ci venne accordato immediatamente da un annoiato sacrestano al quale
Edward fece una richiesta: non esserci il giorno delle nozze.
L’anziano uomo, inizialmente stupito per la singolare
richiesta, non fece domande dopo aver ricevuto un bel po’ di
danaro in cambio della sua disponibilità e del suo silenzio.
Il mio Edward sapeva essere molto persuasivo quando voleva…
Lo stesso giorno Cristopher partì per ricevere il permesso
di sposarci; sarebbe stato di ritorno il giorno prima del matrimonio.
Quel pomeriggio invece Isabelle mi trascinò in centro, in
giro per negozi in cerca del mio abito da sposa.
“Ma non potrei adattare quello di mia madre” le
chiesi quando uscimmo dal secondo negozio a mani vuote.
“Assolutamente no! L’abito da sposa è
una cosa importantissima e ogni sposa deve avere il suo.”
“Come vuoi tu” sbuffai per quella che secondo me
era un’inutile ricerca.
Entrammo nel terzo negozio, ospitato da un locale molto più
piccolo degli show room che avevamo appena visitato.
“Buongiorno” salutammo aprendo la porta.
Si udì un tonfo nella stanza sul fondo e poi una vocina che
diceva: “Sono subito da voi”.
Qualche istante dopo ci raggiunse nell’ingresso una piccola
donnina di mezz’età, non molto alta,
dall’aspetto un po’ gracilino e dall’aria
estremamente simpatica.
“In cosa posso esservi utile?” chiese pulendo le
spesse lenti degli occhiali alla manica del vestito.
“Vorremmo vedere i suoi abiti da sposa. I più
belli naturalmente” annunciò Isabelle solenne.
La signora infilò gli occhiali e ci guardò
meglio, squadrandoci dalla testa ai piedi.
Entrambe notammo la sorpresa sul suo volto.
“Che strane
persone” deve aver pensato nel
vedere due giovani donne così pallide e belle.
“Abiti da sposa? Si si certo! Seguitemi” disse
precedendoci nello stanzone infondo al locale.
Lì regnava il caos più totale: macchine da
cucire, fili sparpagliati qua e là, stoffe di ogni genere e
misure ammassate su una sedia, un manichino caduto a terra ed un altro
ancora in piedi e semivestito.
“Dove mi hai portato?” sussurrai a Isabelle.
Lei si voltò guardandomi come a chiedermi scusa e
invitandomi a portare pazienza.
“Scusate il disordine” disse la donnina
spostando i tessuti da una sedia a una poltroncina.
Ad un certo punto, mentre Isabelle e la signora Smiff ( così
recitava l’insegna fuori al locale) guardavano dei modelli
che potessero starmi bene, notai un luccichio dietro la finestra semi
aperta.
Il debole sole pomeridiano si rifletteva parzialmente sul pizzo bianco
sporco tendente all’ecru di un abito meraviglioso, confinato
nella penombra della stanza.
Mi avvicinai per sentire la stoffa sotto le mani e per vedere meglio i
particolari: l’abito aveva anche una fascia in pura seta
bianca appena sotto il seno e un semplicissimo velo di organza da
abbinarci.
Non era particolarmente pomposo o sfarzoso, ma cadeva semplice con una
leggera svasatura alla fine.
“Wow” sussurrai meravigliata dalla bellezza del mio
abito “E’ lui” dissi voltandomi a cercare
gli occhi di Isabelle.
Lei mi sorrise annuendo.
Una sera la passai interamente con Edward.
Eravamo coricati nella nostra stanza a parlare, a dirci tutto quello
che non avremmo potuto dirci nelle 24 seguenti, durante le quali, come
per tradizione, gli sposi dovevano rimare separati.
“Sarebbe stato meraviglioso se i nostri genitori ci avessero
potuto vedere oggi.” dissi poggiando la testa sul petto di
Edward.
“Già. Sarà dura non averli al
matrimonio… soprattutto per te” prese ad
accarezzarmi i capelli.
“Molto..non posso pensarci.. che vita la nostra! Ci si
potrebbe scrivere un romanzo alla “Tristano e
Isotta” o “Romeo e Giulietta”..”
“Ehi ma quelle sono storie finite tutte male!”
“Hai ragione! Per questo dovrebbero scriverne uno solo per
noi” dissi ridendo.
“Ah ma ti ho mai raccontato di quando tuo padre mi ha preso a
pugni?”
“Cosa? Mio padre ti ha preso a pugni?” scoppia
nuovamente a ridere come una pazza “Non ci posso
credere!”
“Ma dico sul serio!”
“Si lo so. Solo che non posso credere che io mi sono persa
quella scena!”.
Ormai ridevo rotolandomi da una parte e dall’altra del letto.
“Se non la smetti di butto dal letto!” mi minaccio
Edward sfoggiando il mio sorriso preferito.
“Ok, la smetto. A patto che tu mi racconti tutta la
storia”
Edward mi imitò mettendosi a sedere sul letto e iniziando il
suo racconto:
“Ricordi il giorno dopo al nostro incontro, quando ti portai
sulla terrazza dichiarandomi?”
Annuii.
“Quindi ricorderai che quando ci baciammo tu svenisti.. io
presi uno spavento terribile che superò solamente la notizia
della tua morte. Preso dal panico ti presi in braccio riportandoti al
tuo piano e cercando aiuto.
In quello stesso momento arrivarono i tuoi genitori e tuo padre
credendomi, a ragione, la causa del tuo malessere mi prese a pugni.
Fu uno dei momenti più brutti della mia vita… non
tanto per il pugno, ma ho avuto veramente paura, per la prima volta in
vita mia.”
“Amore mio” mi avvicinai e lo baciai sulle labbra.
“Non ridi più adesso” mi dissi
sorridendo beffardo.
Scossi la testa continuando a baciarlo.
“Non so fino a che punto tuo padre sarebbe stato contento di
questo matrimonio..”
“Lui ti avrebbe amato come ti amo io… Diciamo che
sei stato il ragazzo sbagliato, nel posto sbagliato!”
“Davvero… che avventura…”
“In compenso piacevi a mia madre ed a Katie! Sai cosa mi
diceva sempre mia madre?”
“Cosa?”
“Che il nostro cuore parla a tutti noi tramite una voce
inconfondibile. Bisogna aver pazienza e ascoltare quello che ha da
dirci, perchè il cuore è l'unico amico che non ci
mentirà mai... me lo ripeté anche quando le dissi
di amarti”.
“E il tuo cosa ti sta dicendo?” mi disse Edward
avvicinandosi pericolosamente.
"Di amarti più di ogni altra cosa, come non ho mai fatto in
vita mia e come non farò mai, Edward” sussurrai
mente lui prendeva a baciarmi.
Il 27 arrivò più velocemente di quanto mi
aspettassi.
Non lo credevo, ma il tipico panico della sposa aveva contagiato anche
me.
Quella mattina ero ancora più agitata di quanto avessi mai
sognato da umana.
Isabelle non faceva altro che ripetermi di stare calma e respirare a
fondo, e ogni volta che me lo diceva la mia risposta era la stessa:
“Ma se i miei polmoni non funzionano più da
anni!!”.
Isabelle era già pronta da ore; indossava un bellissimo
abito a base crema e con un ampio volant sul marrone chiaro che formava
una morbidissima coda.
Mi aggiravo nella mia stanza come un corvo sulla sua preda, avevo
l’impressione che da un momento all’altro il cuore
prendesse a battermi come un tempo.
Isabelle tolse il vestito dalla fodera che ci aveva dato la sarta e lo
posò sul mio letto: era ancora più bello di
quanto mi ricordassi.
Sembrerà strano, ma non appena vidi il mio abito, mi
tranquillizzai un po’.
Lo indossai e mi avvicinai allo specchio della toletta per guardarlo
meglio.
In quel momento Isabelle rientrò nella mia stanza rimanendo
di sasso sulla soglia.
“Mio Dio Josephine! Sei stupenda.. non ho parole! Indosso a
te questo vestito sembra mille volte più bello di quello che
è”.
Le sorrisi e abbracciandola vidi due cose nelle sue mani: il mio
bouquet, un trionfo di fiori bianchi e rosa e una scatolina.
“L’hai fatto tu?” chiesi prendendo quella
meraviglia tra le mani.
“Si, come il resto delle composizioni che vedrai presto! Su
ora siediti che a te ci penso io.”
Mi porse la scatola che teneva nella mano, “Qualcosa di
blu” disse mentre l’aprivo e scoprivo uno splendido
fermaglio a forma di farfalla tempestato da zaffiri e diamanti.
Nell’ora seguente Isabelle si occupò della mia
acconciatura e del trucco.
In un portagioie nella stanza che era stata dei miei genitori, trovai
degli orecchini pendenti ed un bracciale di perle, gli stessi che mia
madre indossò al suo matrimonio.
“Se fosse stata qui oggi, li avrebbe dati a me, come fece sua
madre con lei quando sposò mio padre.” sussurrai a
Isabelle mentre indossavo il bracciale a doppio filo di perle
“E con questo siamo al completo: qualcosa di vecchio e
‘prestato’”.
“E’ ora” mi informò la mia
amica guardando il pendolo nel corridoio.
Fissai il velo all’acconciatura e scesi le scale: fiori
bianchi e rosa, di ogni genere e misure avevano invaso
l’ingresso della mia abitazione inondando la casa di un
profumo inebriante.
“Oh Isabelle… Grazie!”
Le mi sorrise sorreggendo il velo mentre scendevo le scale e
raggiungevamo la macchina, una Rolls Royce bianca e nera con alla guida
mio fratello.
Marco scese dall’auto come una freccia per venirmi incontro.
Mi prese le mani baciandole e guardandomi emozionatissimo negli occhi
mi disse: “Sei meravigliosamente bella, sorellina.”
Se avessi potuto piangere lo avrei di sicuro fatto.
Abbracciai commossa mio fratello, lo strinsi forte come se stessi per
partire per la guerra e non potessi vederlo mai più.
Sentivo attorno agli occhi una sensazione come di pianto e di bruciore.
Marco mi aprì lo sportello dell’auto e
aiutò me e Isabelle a salirvi.
In meno di dieci minuti raggiungemmo la chiesa.
Già da lontano si notava il tocco artistico di Isabelle: la
chiesa era stracolma degli stessi fiori che inondavano casa,
all’entrata sorrette da due colonne in marmo rosa, due grandi
composizioni cadevano a cascata fino a toccare terra.
Scendendo dalla macchina notai un sentiero fatto di petali che portava
direttamente all’altare e una melodia suonata da archi e
pianoforte.
Isabelle ci precedette in chiesa sfilando con in mano un bouquet simile
al mio, ma leggermente più piccolo.
Non appena apparimmo sulla porta, la marcia nuziale ebbe inizio.
Io mi aggrappai ancora più forte al braccio di Marco,
cercando di andare a tempo con la musica.
Ma tutta la paura sparì al primo passo, quando incrociai i
suoi occhi che mi fissavano luminosi dall’alto della navata.
Percorsi lo spazio che ci divideva non più con paura o
agitazione, ma con una grande emozione e gioia.
Arrivati Marco baciò la mia fronte e porse la mia mano
sinistra ad Edward, che la sfiorò con le labbra.
Mio fratello raggiunse il mio futuro sposo alla sua destra, mentre con
un gran sorriso salutavo Cristopher.
La cerimonia ebbe inizio.
Prima della partenza di Cristopher, avevamo con lui concordato di
cambiare un parte della formula tradizionale del rito, modificando il
“finché morte non ci separi” in un
più appropriato “per il resto
dell’eternità che vivremo”.
La cerimonia fu splendida e breve.
Dopo il “vi dichiaro marito e moglie”, una dose
eccessiva di riso e petali di rose ci piovette addosso e al tutto
seguì una serie di baci, abbracci e felicitazioni.
Mi sentivo al settimo cielo.
Usciti dalla chiesa un’altra sorpresa ci attendeva sul retro:
dove prima regnava assoluta una sterpaglia incolta, ora aveva lasciato
il posto ad un bellissimo giardino, con il prato all’inglese
e un grande gazebo sotto il quale si sistemò
l’orchestra.
Su un tavolo rettangolare, circondata da fiori a cascata, vi era una
torta nuziale di ben cinque piani, con in cima due sposini identici ad
Edward e me.
“E’ tutto meraviglioso” ringrazia
Isabelle.
L’orchestra iniziò a suonare.
“Mi concede questo ballo, signora Masen?” Edward mi
porse la sua mano con un elegante inchino.
Signora Masen.
Suonava benissimo.
“Con piacere”.
Ballammo a lungo sulle note di quella splendida canzone che di sicuro
sarebbe diventata la colonna sonora della nostra vita insieme.
Note
dell'autrice
Inanzitutto vi
chiedo scusa per l'enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo ma
ho avuto seri problemi con il mio lavoro che hanno ostacolato
il mio lavoro.
Farò
il possibile per farmi perdonare la prossima volta.
Poi, seconda
cosa, oggi ricorre l'anniversario di The Voice of Heart e quale modo
migliore per festeggiare che con un bel matrimonio????????
Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto, come è piaciuto a me scriverlo!
Thanks
to:
-_tessy_ :
grazie cara per tutto quello che dici nelle tue recensioni! Tranquilla
ti capisco benissimo e intuisco quello che provi leggendo! Grazie TVB.
-Sabry_ Cullen:
amore mio hai visto?? Finalmente vi ho accontentate!!!!!!! Che bello!
Spero ti sia piaciuto il chappy!TVB.
- storiteller lover:
sono contenta che tu non mi abbia abbandonata! In tutta
sincerità anche io preferisco la mia Josephine a quel
piccione del malaugurio di Bella! Proprio non la tollero quella...xd!
Grazie! TVB.
-Bellas: grazie
mille per la tua recensione! Io vivo questa storia con voi, di pari
passo, e sono contenta quando a voi piace! Grazie! TVB.
-Sabry87: W
il nostro romanticissimo Eddy!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Grazie per il commy
tesò! TVB.
-_New Moon_:
tranquilla, finchè non vedrai la parola The End alla fine di
uno dei miei chappy io non abbandonerò MAI questa storia! E
spero non lo farai neanche tu! Grazie per le recensioni bellissime che
mi lasci! TVB.
Ora, non mi resta
che darvi appuntamento al prossimo capitolo e dirvi che sul mio forum
potrete trovare i volti dei personaggi inediti di The Voice of Heart
e ,udite udite, l'abito da SPOSA
di Josephine!!!!!!!!
A presto gals!
Kizzkizz
Evie
|
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Capitolo 27 *** La Corte degli Aranci ***
27.
La Corte degli Aranci
Eravamo
sposati esattamente da due settimane e un giorno.
Mi trovavo sul ponte della grande nave che ci avrebbe portato a
destinazione.
Destinazione a me ignota.
Fissavo l’acqua torbida accarezzata dalla prua della nave,
mentre due delfini ci precedevano nel camminino.
Edward chiacchierava allegramente con il comandante Niles. Aveva
proibito a chiunque a bordo di rivelarmi la nostra destinazione. Doveva
essere una sorpresa.
Mi godevo il venticello fresco, quando mio marito ed il comandante si
avvicinarono:
“Cara, il capitano mi ha appena detto che ci vorranno al
massimo altri due giorni di navigazione per arrivare a
destinazione” mi annunciò entusiasta.
“Bene, dopo un po’ la nave stanca.” dissi
sorridendo al capitano.
“Signora Masen, se fosse per me non la farei scendere mai
dalla mia nave. E’ una piacevole compagna di
viaggio.”
“Grazie capitano. E’ molto galante.”
Il capitano si allontanò lasciandoci soli a goderci quello
splendido crepuscolo.
Dopo esattamente due giorni di navigazione, giungemmo finalmente a
destinazione e sorpresa delle sorprese quello era il porto di Messina!
Non potevo crederci ma ero tornata nella mia amata Sicilia dopo quattro
anni di assenza.
Mi voltai a guardare Edward emozionatissima. Lui mi sorrideva
guardandomi raggiante.
“Sorpresa!” disse baciandomi sulla guancia.
“Oh Edward…” riuscii a dire solo quelle
due parole.
“Mi sono documentato da Marco e ho scoperto un po’
di cose sulla tua infanzia.” disse mentre scendevamo la
scaletta della nave.
Ma certo! Ecco perché passavano tutto quel tempo a
confabulare quei due!
“E adesso? Dove andiamo?”.
“Prendiamo una macchina. Ah eccola lì! Ci sta
già aspettando” indicò un tizio che si
sbracciava a bordo di una decapottabile rossa.
Ci avvicinammo e l’uomo scese dall’auto.
“Il signor Masen immagino. Salve, questa è
l’auto che ha richiesto. Buona vacanza. Signora..”
disse consegnando le chiavi a Edward.
Un altro uomo si avvicinò e caricò i nostri
bagagli sull’auto.
Salimmo a bordo e partimmo.
“Mi togli una curiosità?” chiesi mente
lasciavo che il vento mi scompigliasse i capelli.
“Tutto quello che vuoi”
“Come hai fatto?”
“A fare cosa?”
“Tutto questo! E’ meraviglioso e
l’organizzazione… hai tutti ai tuoi piedi anche
oltreoceano! Come fai?”
“E’ tutta questione di organizzazione - come hai
detto tu- e… carisma!”
L’auto sfrecciava veloce appena fuori la campagna Messinese.
Edward era un matto!
Spingeva l’auto al massimo della velocità. Pareva
che la cosa lo eccitasse molto.
Dopo un paio d’ore arrivammo nei pressi di un casale
bellissimo.
“Ti piace?” mi disse mio marito non appena
imboccammo il viale che portava all’ingresso.
“Molto…” mi guardavo intorno sempre
più sbalordita.
“L’abbiamo preso in affitto a tempo
indeterminato” mi comunicò Edward scaricando i
bagagli dall’auto.
Improvvisamente uscì una signora dalla porta della piccola
cucina rustica.
“Oddio siete arrivati!” disse quasi urlando.
La signora sulla quarantina, saltellava qua e là presa dal
panico.
Entrò ed uscì dalla piccola porta di legno una
decina di volte, fin quando un ragazzino venne a prendere le nostre
valigie.
“Salve!” salutò sorridente.
Io risposi con un cenno del capo, mentre mi avviavo con Edward
all’interno della casa.
Raggiungemmo la nostra stanza al secondo piano.
La camera affacciava su un aranceto immenso, sul retro del casolare.
Il balcone era spalancato e le tende bianche svolazzavano
all’interno della stanza; il grande letto a baldacchino si
trovava al centro esatto e si rifletteva nella specchiera
dell’armadio.
La stanza era arieggiata e fresca. Mi avvicinai al balcone per ammirare
gli aranceti; d’un tratto mi tornarono alla mente le
splendide arance della Corte degli Aranci, la tenuta estiva dei miei
nonni materni.
Si trovava a qualche chilometro da Taormina. Chissà se
c’era ancora?
“A cosa pensi?” mi chiese Edward con un pizzico di
frustrazione nella voce.
“Alle arance. Mi piacerebbe rivedere quelle dei miei
nonni…”
“La Corte degli Aranci?” domandò
abbracciandomi dalla vita.
“Si. Sarei curiosa di sapere se c’è
ancora qualcuno da quelle parti.”
“Se vuoi ci possiamo andare domani”, propose Edward
facendomi voltare.
“Sarebbe magnifico!” dissi buttandogli le braccia
al collo.
Lui mi baciò teneramente prendendomi in braccio.
“Adesso.. abbiamo da
fare…però!” disse tra un bacio e un
altro portandomi verso il letto.
“Dopo tutto siamo in viaggio di nozze”, mi
posò sul letto delicatamente accarezzandomi la guancia.
Io lo attirai a me facendolo letteralmente sdraiare sul mio corpo.
In un attimo mi ritrovai con solo la sottoveste azzurra addosso, mentre
cercavo di sbottonare la camicia di Edward.
Ma lui si muoveva troppo!
Così presi un iniziativa: con una mossa veloce ribaltai le
nostre posizioni, mettendomi a cavalcioni su di lui.
Edward dapprima mi guardò stupito, poi esibì il
suo sorriso sghembo che adoravo alla follia.
“Almeno così stai fermo” dissi finendo
di sbottonare la camicia, scostandola per ammirare il petto granitico
al di sotto.
“Bè… questa prospettiva mi
piace..” disse lui sempre con quel sorriso stampato in volto.
A me venne da ridere.
Edward si fece serio e lentamente si sollevò, poggiandosi
sui gomiti, per baciarmi.
Sentivo distintamente le sue labbra morbide sfiorare le mie spalle, il
collo, la gola fino a salire verso il mento e a trovare la bocca.
Fu una sensazione meravigliosa.
Le sue mani gelide si posarono sulle mie cosce, mentre lui continuava a
riempirmi di baci.
Sospirai per il piacere che il suo tocco mi provocava.
Lo spinsi nuovamente verso il letto.
Vedevo nei suoi occhi amaranto il desiderio crescere, come quando il
cacciatore si avvicina pericolosamente alla sua preda.
Lui era il cacciatore ed io la preda.
Mi avvicinai sbottonandogli i pantaloni.
Lui sospirò dicendo: “Un giorno di questi mi farai
diventare matto”, e mi avvicinò a sé
aggrappandosi ai miei fianchi.
Il suo profumo era forte e inebriante, e mi piaceva.
Chiusi gli occhi e lentamente iniziai a muovermi su di lui, aumentando
sempre di più la velocità con il crescere
dell’eccitazione.
All’improvviso fu Edward a cambiare le carte in tavola e io
mi ritrovai con la schiena immobilizzata al materasso, mentre lui mi
entrava dentro.
Fu bellissimo, più del solito.
Sarà stato per l’atmosfera sicula, per il forte
profumo di arance che riempiva la stanza… ma fatto sta che
quello fu speciale.
L’indomani mattina partimmo alla volta della Corte degli
Aranci.
Lasciammo la casa nella mani della custode, che ci aveva preparato un
pranzo al sacco, non sapendo ovviamente che noi non ci nutrivamo nella
maniera convenzionale.
La strada era lunga, e per ingannare il tempo cantai qualcosa per
Edward, o chiacchieravamo come al solito.
Raccontai ad Edward delle mie estati passate nella campagna siciliana,
tra gli aranceti dei miei nonni e i bagni a mare a fine agosto.
La mia infanzia fu davvero felice.
Gli raccontai tutto, fino a quell’estate di quattro anni
prima, quando il dottor Rivelli mi diagnosticò la mia brutta
malattia, la stessa che mi fece incontrare prima Carlisle Cullen, e poi
mio marito.
Ma fu anche per colpa sua – della malattia- e del
mio egoismo che persi la mia famiglia.
Secondo Edward non dovevo farmene una colpa.
Era destino e di certo non sarei stata io a cambiarlo.
Sarebbe stato come lottare contro i mulini a vento: una battaglia persa
in partenza.
Finalmente nel pomeriggio giungemmo a destinazione: in lontananza, tra
uliveti e gelsomini, si ergeva maestosa la Corte degli Aranci, la
tenuta estiva della famiglia di mia madre.
Edward imboccò il viale di ciottoli e parcheggiò
la nostra auto di fronte l’ingresso.
Scesi e iniziai a guardarmi intorno: non era cambiato nulla, a parte il
fatto che la casa sembrava disabitata.
D’impulso corsi verso il retro, seguita da Edward, per vedere
l’aranceto.
Era lì, bello e verde come sempre.
Era lì e sembrava aspettasse qualcuno, magari il mio ritorno.
D’un tratto sentii dei passi alle mie spalle; passi
strascicati e molto lenti.
“Chi va là?” gridò la voce
gracchiante di una donna in là con gli anni.
Entrambi ci voltammo a guardare la “padrona” di
quella voce e con mio grande stupore era una persona di mia conoscenza.
In un sussurro, non riuscii a fermare quella parola che uscì
spontanea e nostalgica dalle mie labbra, mormorai:
“Nonna!”
Edward mi guardò allarmato.
La donna rimase a bocca aperta.
“Josephine? Se tu?”
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Capitolo 28 *** La sua vita prima di me ***
28.
La sua vita prima di me
Edward
POV
Quello
non l’avevo previsto.
Come
avevo potuto essere così superficiale e distratto?
Era
un lusso che non avrei dovuto permettermi.
Mi
ero rilassato laddove avrei dovuto tenere i sensi all’erta,
ma qualcosa mi era sfuggito.
Preso
dall’entusiasmo di Josephine mi ero distratto perdendo il
contatto con il reale.
Eppure
avrei giurato di non aver sentito
nulla.
Assolutamente
silenzio.
Quella
casa che a primo acchito mi era sembrata morta, era in
realtà più viva di me. In essa la vita scorreva
lenta e triste, come se un filo si fosse spezzato lasciando il vuoto
attorno agli aranceti, i giardini e la casa.
Ebbi
come una specie di visione: immaginai dei bambini che correvano felici
nascondendosi nei campi dove delle donne raccoglievano le arance.
Una
di quei bambini era la mia Josephine.
Correva
in quell’abitino giallo della foto che conservava nel salotto
della casa di Chicago, correva felice, le guance rosee, i ricci
costretti da grandi fiocchi in due codini che le circondavano il viso
paffutello e già bellissimo.
Fu
come quella bambina si fermasse davanti a me e, guardandomi
incuriosita, mi porgeva l’arancia che stringeva in mano.
Ad
un tratto l’immagine svanì nel suo sorriso allegro
e davanti gli occhi ritrovai la bambina diventata donna e mi guardava
non con il candido stupore con cui si indaga il volto di uno
sconosciuto, no.
Ma
era come se il panico avesse il pieno possesso di lei.
La
guardai allarmato, e poi finalmente sentii.
L’incredulità
regnava nei pensieri dell’anziana signora sulla porta.
“Non
può essere! Un miracolo!”
continuava a ripetersi sperando con tutte le sue forze che fosse vero,
che quella non fosse solo una visone, quello che volevano vedere i suoi
stanchi occhi.
“Josephine!
Sei tu?” chiese con un filo di voce.
Mia
moglie mi guardò strabuzzando gli occhi. Era evidente che
non sapesse che fare.
A
quel punto intervenni io.
“Ci
scusi signora dell’intromissione. Credevamo che la casa fosse
disabitata e dato che mia moglie aveva voglia di arance abbiamo deciso
di fermarci un attimo.”
Mi
avvicinai a Josephine portandola più in ombra possibile, un
orecchio teso ai pensieri della donna.
“Josephine…
deve essere lei…” pensava
avvicinandosi a noi.
“E
ora che facciamo?” mi chiese Josephine in un sussurro.
Le
strinsi la mano sulla spalla, concentrandomi sul volto della donna.
Notai
una grande somiglianza tra lei e mia moglie: la bocca soprattutto era
identica
“Non
vi preoccupate. Prendete pure tutte le arance che volete, tanto qui non
le mangia nessuno. Dopo la scomparsa di mia nipote Josephine gli
aranceti sono stati abbandonati. Persino il mio povero marito smise di
mangiare il suo frutto preferito.” ci raccontò
avvicinandosi sempre più.
Fortunatamente
Josephine aveva attivato il suo potere, nascondendo il rosso borgogna
dei nostri occhi anche se io ignoravo il risultato.
La
donna allungò una mano prendendo quella fredda di Josephine.
Sussultò
al contatto, ma non lo diede a vedere.
“Sapete
signora, voi mi ricordate incredibilmente mia nipote Josephine. Aveva
gli stessi occhi azzurri che avete voi. Siete incredibilmente
bella…”
Occhi
azzurri?
Josephine
si voltò dalla mia parte.
“Edward…”
e capii cosa voleva dirmi.
Annuii
sorridendole.
“Signora,
vostra nipote si chiamava Josephine Heart vero?”
“Come
fa a saperlo?”
pensò la donna spalancando gli occhi dallo stupore.
Poi
annuì tremando, con le lacrime agli occhi.
“Ed
era figlia di Lia, vostra figlia… la
minore…”
La
donna non la fece finire che già la stringeva tra le braccia.
“Oh
Josephine! Tesoro mio…” le lacrime sgorgavano
copiose dagli occhi quasi vitrei dell’anziana signora.
L’emozione
era palpabile.
Quando
le due si staccarono continuarono a guardarsi negli occhi stringendosi
a vicenda le mani.
“Figlia
mia… che mani fredde hai. Ma venite dentro, che maleducata
sono.” disse asciugandosi le lacrime con un fazzolettino di
lino.
“Nonna,
ti presento Edward Masen, mio marito” disse solennemente mia
moglie stringendomi un braccio.
La
donna, Caterina si chiamava, mi porse la mano che sfiorai con le labbra
all’uso di quei tempi.
“Davvero
un bel giovane. Ma venite dentro che faccio preparare il
tè”.
Caterina
ci fece strada in quella che un tempo era anche la casa estiva di mia
moglie. Salimmo le scale fino a raggiungere un salottino dal gusto
retrò a metà tra il barocco ed il neoclassico.
Quella
sala era l’unica ad essere illuminata in tutta la casa, oltre
alla cucina dove una donna si affaccendava a preparare del
tè con dei biscotti per noi.
“Nonna
non è necessario” aveva detto Josephine, ma come
si fa a dire di no alle donne di quella famiglia?
Impossibile!
Ed
io l’avevo imparato a mie spese.
Ci
accomodammo su delle comode poltroncine rivestite con stoffe damascate
oro e argento.
“Devi
raccontarmi tutto. Cosa è successo davvero in
quell’incidente cara?”
“Allora,
ero appena stata dimessa dall’ospedale dove il dottor Cullen
aveva fatto un ottimo lavoro con me. E’ li che ho conosciuto
Edward..” disse guardandomi con occhi adoranti.
Risposi
allo sguardo con la stessa intensità stringendole la mano.
“Quella
sera stavamo andando alla festa organizzata da zia Constance,
dall’altra parte della città ed è nel
tragitto che abbiamo avuto il tragico incidente.
Ricordo
urla, il sangue sul mio abito bianco e niente più. Al mio
risveglio mi ritrovai ai piedi della scogliera, senza memoria e senza
passato.
Vagai
per giorni in cerca di aiuto finché non incontrai un vecchio
amico che mi portò con lui a San Francisco.
Solo
pochi mesi fa ho fatto ritorno a Chicago dove lui aveva acquistato per
mio conto la casa dei miei genitori e lì ho rincontrato il
mio Edward”.
Era
evidente quanto Josephine avesse falsato la storia ma di certo non
avrebbe mai potuto dirle che la sua famiglia era stata attaccata da
vampiri e che lei stessa era rimasta vampirizzata.
Avvertivo
il dolore e la disperazione nei pensieri della donna a me di fronte.
Una
carrellata di ricordi le invase la mente e scoppiò di nuovo
a piangere.
“Solo
tu sei sopravvissuta?” chiese tra un singhiozzo e
l’altro.
Josephine
annuì abbassando gli occhi.
Voltandomi
sulla destra notai sulla parete uno splendido ritratto di famiglia: non
mancava nessuno.
Caterina
notò il mio mal celato interesse per quel dipinto e mi
spiegò che quello era stato fatto pochi giorni prima la
partenza della famiglia Heart per l’America, quattro anni
prima.
“Sono
tutti morti tranne Josephine ed io” disse alla fine
riprendendo a piangere sommersa da altri ricordi.
Stinsi
con più forza la mano di una Josephine sofferente al ricordo.
“Ma
non parliamo di cose tristi. Allora, raccontatemi del vostro
matrimonio. Raccontatemi” il suo fu più un
implorarci che una richiesta.
Mia
moglie mi guardò sorridendo e iniziò:
“Come
ti ho già accennato, Edward ed io ci siamo conosciuti
durante il mio ricovero in ospedale. I suo genitori avevano contratto
la Spagnola.” si interruppe guardandomi.
“Josephine
fu talmente carina a consolarmi che mi innamorai di lei in un
attimo” continuai io, mentre lei annuiva incoraggiandomi a
continuare il discorso, “Mi dichiarai immediatamente e avevo
progettato di chiederla in sposa non appena entrambi saremmo usciti
dall’ospedale ma i miei progetti andarono in fumo. Io
contrassi la spagnola e lei fu dimessa il giorno dopo, e poi
l’incidente… nei quattro anni successivi ho
vissuto con la convinzione che il mio grande amore era scomparso per
sempre. Il mio padrino, il dottor Cullen, mi ha preso sotto la sua ala
protettrice e sono stato con lui e con sua moglie per qualche tempo,
fin quando ho deciso di tornare a Chicago e lì ho ritrovato
Josephine.”
“Che
storia meravigliosa… non immaginate neanche il piacere che
ho ad avervi qui da me adesso! Ora posso morire felice” disse
Caterina asciugandosi un’altra lacrima.
Josephine
si alzò e si appoggiò al bracciolo della sua
poltrona stringendole la mano.
“Oh
nonna! Proprio adesso vorresti morire? Ora che siamo finalmente
insieme?”.
Passammo
il resto dell’estate alla Corte degli Aranci.
Fu
una vacanza molto piacevole e la nonna di Josephine era davvero una
brava donna. Ci aveva accolto con grande amore senza chiedere nessuna
garanzia in cambio.
Diceva
che era il suo cuore a darle la certezza delle nostre
identità.
Le
giornate trascorrevano tra chiacchiere, ricordi e racconti che le due
donne mi facevano per rendermi familiare a quei luoghi a loro tanto
cari.
Un
giorno Caterina chiamò alla tenuta un pittore e con nostra
grande sorpresa ci chiese di posare con lei. Nel giro di un paio di
giorni il dipinto fu terminato e attaccato alla parete accanto a quello
della famiglia.
Venne
il giorno della partenza, e la nonna ci tenne ad accompagnarci al
porto.
“Queste
sono per voi” disse porgendomi un grosso cesto con dentro
bellissime arance.
“Josephine
questi sono i semi dei nostri aranceti. Portali con te in America e
piantali nel tuo giardino quando farà freddo. E’
un pezzo di Sicilia che viene via con te.”
Josephine
ringraziò e abbracciò la nonna e finalmente
partimmo dopo mille e una raccomandazione.
A
questo punto Silente avrebbe detto “Mi apro alla
chiusura” ed è quello che vado a fare io in questo
momento.
Ebbene
si avete letto bene con il prossimo capitolo “The Voice of
Heart” termina qui. Ma non è assolutamente un
addio!
Ho
deciso di prendermi un brevissimo periodo sabbatico nel quale
porterò avanti dei progetti che brulicano nella mia testa da
un po’ e inoltre inizierò la stesura del secondo
volume della mia storia preferita!
E
si avete letto bene, “The Voice of Heart”
avrà un seguito di cui svelerò il titolo nel
prossimo e ultimo capitolo.
Ma
davvero credevate che avrei abbandonato Josephine e Edward
così????? Ahahahahah!
Comunque
i ringraziamenti saranno alla fine ma ci tenevo a mandare un abraccio
particolare alla mia amica Sabrina che mi sopporta da tanto tempo e che
le fan fiction mi hanno permesso di conoscere!
Come
farei senza di te?????? TVB
Ringrazio
tutti voi che state qui ad ascoltare ancora le mie chiacchiere e vi
abbraccio in attesa della fine.
Evie
|
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Capitolo 29 *** Non addio, ma arrivederci ***
Abemus Papam!!!!
E finalmente
questo pomeriggio grazie all'aiuto e sostegno della mia adorata
cuginetta Anna,
sono riuscita a
terminare questo tanto atteso capitolo...
Ebbene si, siamo
giunti alla fine di questa splendida esperienza...
Ma questo non
è altro che un nuovo inizio, l'inizio di una nuova
bellissima avventura insieme.
Perchè
The Voice of Heart avrà un seguito, che
pubblicherò a breve e che spero voi
seguiate come
avete fatto con questa FF.
Bando alle
ciance, vi lascio leggere l'ultimo capitolo della mia storia....
Buona lettura!
“Io sono
una peccatrice, ma attorno a me
Non vedo
Santi”
Josephine
Heart
29. Non
addio, ma arrivederci
Josephine
POV
I
mesi erano volati.
Ci
erano scivolati tra le dita senza che ce ne accorgessimo, ed il momento
tanto temuto era arrivato.
Quella
mattina Marco, Isabelle e Cristopher stavano preparando le valigie per
la partenza definitiva.
A
malincuore avevano deciso di traslocare nella fredda Alaska, a Denali
dove risiedeva un altro clan di vampiri, che a differenza nostra si
definivano “vegetariani”.
Per
me quella era una vera e propria pagliacciata.
I
“vegetariani”, parlando di esseri umani,
generalmente si nutrono con i prodotti della terra, prediligendo le
verdure ed evitando la carne, ma includendo latte e uova.
Applicata
ai vampiri questa teoria cambia di poco: i vampiri, quelli veri, si
nutrono di sangue umano, e questo comporta l’uccisione di
persone, a volte innocenti, a volte no.
Al
contrario, i vampiri come Isabelle ed il clan di Denali, i
“vegetariani” appunto, sono quelli che decidono di
farsi violenza, di andare contro natura e praticare
l’astinenza dal sangue umano, optando per quello animale, che
non nutre come il primo ma consente la sopravvivenza.
Ecco
uno dei motivi per cui mio marito aveva deciso di allontanarsi da
Carlisle.
Lui
era un vegetariano convinto.
“Perché
hai fatto questa scelta?” chiesi seduta sul letto di
Isabelle, mentre lei ultimava la sua valigia.
“Vedi
Josephine… ero stufa di sentirmi un mostro”.
Fu
la sua risposta.
Non
capivo bene cosa provasse Isabelle, cosa intendesse per sentirsi un
mostro, ma queste parole mi risuonarono nella mente a lungo.
“E’
per questo che hai chiesto a Marco di cambiare? Credi che lui possa
davvero modificare le sue abitudini in un solo anno?”.
Mio
fratello aveva chiesto alla mia migliore amica di sposarlo, ma lei
aveva posto una clausola: prima Marco avrebbe dovuto affrontare un anno
di “disintossicazione” e convertirsi al suo stile
di vita.
“Si,
è per questo, e lui ha accettato per amore mio”.
“E’
molto innamorato se fa una scelta del genere. Sei davvero fortunata
Isabelle”
“Lo
so.”
Il
momento della partenza fu il più brutto di tutta la giornata.
Cristopher
e Marco caricarono la macchina che li avrebbe portati alla stazione,
aiutati da Edward, mentre Isabelle mi consolava tra le sue braccia.
“Mi
raccomando scrivimi sempre, non ti dimenticare di me” la
pregai mentre affondavo il viso tra i suoi folti capelli rossi.
“Tranquilla!
Ma tu promettimi che verrete al nostro matrimonio… tra un
anno esatto.”
“Sai
quanto sarà difficile convincere Edward…
E’ molto probabile che Carlisle sia a Denali. Edward aveva
letto questo progetto nella sua mente prima di
partire…” .
“Capisco..
bè troveremo sicuramente una soluzione”, mi
rassicurò carezzandomi la spalla.
Marco
si affacciò dalla porta:
“Tesoro,
è ora di andare.”
Isabelle
annuì e insieme raggiungemmo la macchina a noleggio.
“Allora…
questo è un addio?” chiese Marco amaramente,
temendo la risposta o forse conoscendola già.
“No,
non è un addio, ma un arrivederci.” dissi
abbracciando mio fratello.
“Mi
mancherai chérie…”
“Anche
tu.. scrivimi continuamente, hai capito?” gli raccomandai con
la voce strozzata da un pianto impossibile.
Marco
annuì allontanandosi per salutare Edward.
“Marco
conto su di te.” sentii mio marito sussurrare queste parole
all’orecchio di mio fratello, ma fui subito distratto
dall’improvviso abbraccio di Cristopher.
“A
presto” mi disse baciandomi la fronte.
La
tristezza prese il sopravvento quando la macchina scomparve
all’orizzonte.
Passarono
diversi giorni prima che succedesse qualcosa di diverso in
città.
Quel
giorno Edward tornò a casa esibendo il suo solito,
bellissimo, irresistibile sorriso.
Teneva
le mani dietro la schiena, nascondendo evidentemente qualcosa.
“Indovina?”
mi disse baciandomi.
“Cosa?
Edward sono un vampiro non un’indovina!”
“Ho
una sorpresa per te… credo ti
piacerà…”
“Cosa
cosa?” chiesi cercando di scoprire il segreto dietro la sua
schiena.
Edward
si allontanò mostrando finalmente il regalo.
“Signora,
le andrebbe di accompagnarmi a teatro questa sera?” disse
inchinandosi leggermente e porgendomi i due biglietti che stringeva tra
due dita.
“Bè,
per questa volta.. magari potrei fare
un’eccezione… E’ una vita che non ci
vado!” commentai prendendo uno dei biglietti.
“Sapevo
ti sarebbe piaciuta l’idea.”, Edward mi guardava
con aria adorante.
Era
felice di sapermi felice, e questo gli bastava.
Io
mi nutrivo del suo amore e lui del mio.
Eravamo
perfetti insieme, e lo saremmo sempre stati.
Nulla
avrebbe potuto rompere il nostro idillio.
“Cosa
c’è in programma stasera?” chiesi ad
Edward che stava leggendo il programma della serata.
“la
Traviata di Giuseppe Verdi. La conosci?”
“l’ho
solo sentita nominare… ricordo che mia madre mi cantava
sempre un’aria di quest’opera che aveva a che fare
con un certo Alfredo.. e poi ripeteva sempre una frase: Ah
della traviata sorridi al desìo a lei deh perdona, tu
accoglila, o Dio.”
Il
teatro di Chicago era uno dei più grandi in quel periodo.
Gente
elegante e altolocata affollava la hall causando un brusio soffuso che
si perdeva nelle varie nuvole di profumo che riempivano
l’ambiente.
Edward
ed io spiccavamo tra tutti, non per nostra volontà, ma il
fascino del vampiro era una clausola invitabile nel nostro contratto di
non-morte.
Con
disinvoltura ci allontanammo da quegli sguardi indiscreti e dai
commenti d’apprezzamento, raggiungendo il nostro palchetto
privato.
Entrambi
eravamo curiosi di conoscere la storia di quel contrastato amore.
Anche
se sapevamo del finale tragico.
L’opera
iniziò e finì troppo presto per i miei gusti.
Alla
fine l’intero teatro era stato preso da una silente
commozione, chi perché compativa il triste amore di Violetta
e Alfredo, e chi perché forse vedeva nella sua storia
personale un po’ dei sentimenti e delle situazioni quella
sera rappresentate sul palco.
Prima
di tornare a casa decidemmo di fare una lunga passeggiata nella notte
fredda di Chicago.
“Allora?
Ti è piaciuto il tuo regalo?” mi chiese Edward
cingendomi le spalle con il suo braccio.
“Tantissimo
amore mio. Grazie” ,mi voltai per baciarlo sulle labbra.
“E’
stato un piacere. Basta così poco per renderti
felice…”
“Mi
basta avere te accanto ogni singolo giorno per essere felice. E questo
non è poco.”
Edward
rise, e quella piccola risata fece vibrare il suo petto sotto il
cappotto.
Era
un suono idilliaco, che non mi sarei mai stancata di sentire.
Era
circa mezzanotte quando imboccammo la via di casa.
Ci
accorgemmo subito che c’era qualcosa di strano
nell’aria circostante.
“Sento
qualcosa, ma non capisco bene cos’è..”,
disse Edward inchiodandosi improvvisamente al terreno.
Anche
io avvertivo una strana presenza.
E
la risposta apparve davanti ai nostri occhi.
A
casa nostra, ai piedi del pergolato, una figura scura spiccava sullo
zerbino sotto la porta d’ingresso.
Cautamente
Edward si avvicinò lasciandomi indietro per proteggermi.
Salimmo
lentamente le scale e lo stupore prese il sopravvento: una piccola
cesta di vimini giaceva silenziosa dinnanzi ai nostri increduli occhi.
Al
suo interno il rumore di un piccolo cuore che batte.
Mi
avvicinai per sollevare un lembo della coperta.
“Edward
è un bambino!”.
CONTINUA...
RINGRAZIAMENTI:
Ringrazio tutti
voi che mi avete seguita dall'inizio della mia avventura e tutte voi
che mi avete scoperta pian piano, quando la storia aveva già
preso forma e carattere.
Ringrazio anche
tutte le persone che hanno commentato i capitoli e quelle che li hanno
solo letti!
Grazie a tutti
voi che avete aggiunto la mia storia tra i preferiti e tra le storie
seguite! Siete davvero tanti!!!!!
Grazie grazie
grazie a tutti coloro che continueranno a seguirmi e sostenermi
nell'avvincente seguito di The Voice of Heart!
Ps: la storia
rimmarrà visibile sul mio profilo per chi avesse voglia di
rileggerla o di iniziare a leggerla!
Un grande
bacio...
Sempre vostra..
Evie
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