The Voice of Heart

di Evie08
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destino ***
Capitolo 2: *** Chicago 1918 ***
Capitolo 3: *** L'odore del tuo sangue ***
Capitolo 4: *** La Spagnola ***
Capitolo 5: *** Incontro ***
Capitolo 6: *** Sospiro ***
Capitolo 7: *** Il Medaglione ***
Capitolo 8: *** Una melodia solo per te ***
Capitolo 9: *** Inconsolabile ***
Capitolo 10: *** Al crepuscolo ***
Capitolo 11: *** Senza meta ***
Capitolo 12: *** Edward Cullen ***
Capitolo 13: *** Nuova vita ***
Capitolo 14: *** Fuoco ardente ***
Capitolo 15: *** Tutto quello che ho ***
Capitolo 16: *** Segreti e bugie ***
Capitolo 17: *** Caccia selvaggia ***
Capitolo 18: *** Esme ***
Capitolo 19: *** Ultime volontà ***
Capitolo 20: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 21: *** Finalmente Chicago ***
Capitolo 22: *** Per uno strano ma bellissimo scherzo del destino ***
Capitolo 23: *** Tutta l'eternità per amarti ***
Capitolo 24: *** Amor carnale ***
Capitolo 25: *** Nient'altro che noi ***
Capitolo 26: *** La voce del cuore ***
Capitolo 27: *** La Corte degli Aranci ***
Capitolo 28: *** La sua vita prima di me ***
Capitolo 29: *** Non addio, ma arrivederci ***



Capitolo 1
*** Destino ***


The Voice of Heart

1.Destino

Cosa accadrebbe se il Destino bussasse alla vostra porta?
Potreste scegliere di aprirlo oppure no.
A me è successo.
Il Destino ha bussato alla mia porta e io gli ho aperto invitandolo ad entrare.
Grande sbaglio o grande opportunità?
“Morirai” mi disse
Non l’ascoltai.
Capii presto che aveva dannatamente ragione.
Fine della storia?
No.
Questo è solo l’inizio.
Quando le porte del cielo mi si spalancarono davanti, qualcosa mi riportò alla vita, una vita inautentica, eterna, che io non ho mai scelto di vivere.
A volte mi fermo a pensare che sarebbe stato meglio morire in quel momento, ma c’è qualcosa che mi fa cambiare idea continuamente.
Forse il Destino ha fatto la cosa giusta.
Io ho fatto la cosa giusta aprendogli la porta.
Questo lo chiarirà meglio il tempo…
E se non gli avessi dato retta?
Cosa sarebbe successo?
Purtroppo questo non lo saprò mai…
L’uomo si illude di essere il fautore della propria vita, ma esistono forze ed elementi superiori che guidano e controllano i passi di ognuno di noi.
Che si chiami Destino o intervento Divino, ciò che è realmente certo è che le nostre azioni non sono il risultato del libero arbitrio…

Josephine Heart





NOTE DELL’AUTRICE
Questa è la mia prima fan fiction e spero tanto vi piaccia.
Volevo avvisarvi che d’ora in poi la storia verrà narrata in terza persona, ma che sporadicamente Josephine interverrà per dire la sua e commentare particolari eventi della sua vita.
Spero inoltre che presto imparerete ad amare questo personaggio così come lo amo io che l’ho creato.
Commentate, commentate, commentate!!!!!!!!!!!!!!!!


Evie

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Capitolo 2
*** Chicago 1918 ***


2. Chicago 1918






Era una splendida giornata di sole.
L’estate volgeva al termine come ormai anche la Grande Guerra che dal 1914 aveva sconvolto il mondo intero.
La tensione era percettibile persino lontano dai campi di battaglia dove era da poco giunta la notizia dell’abbassamento della soglia di età richiesta per la chiamata alle armi a 18 anni.
La grande nave mercantile attraccò al porto di Chicago,Illinois.
In tempo di guerra si rendeva difficoltoso il commercio di generi di prima necessità ma soprattutto il trasporto di civili da un continente all’altro.
I pochi che erano riusciti a comprare un viaggio per sé e per le proprie famiglie iniziarono a scendere dalla nave.
“Tesoro aspetta. Ti do una mano” disse una donna porgendo un ombrellino da passeggio alla figlia che l’aveva preceduta sulla passerella.
La ragazza si voltò, prese l’ombrellino color crema con inserti in pizzo italiano e continuò a scendere.
“Tranquilla mamma. Ce la faccio. Non sono ancora arrivata al punto di non riuscire a camminare da sola.
Piuttosto dà un’occhiata a Katie… Credo stia litigando ancora con il fiocco del cappello!” disse la giovane ragazza accennando una risata che venne presto soffocata da un colpo di tosse che le fece perdere l’equilibrio.
Prontamente suo padre le si avvicinò e la sorresse cingendole i fianchi.
“Josephine cara, stai bene?” le chiese con preoccupazione
“Si. Stai tranquillo. E’ un malessere passeggero! Lo ha detto anche il dottor Rivelli. Con il tempo passerà” lo rassicurò Josephine, nonostante fosse lei stessa poco convinta di quello che aveva appena detto.
A quelle parole, che però sembravano convincenti alle orecchie di chi le ascoltava, gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime.
Lacrime che cercò di nascondere mentre prendeva sua figlia sottobraccio per scortarla all’auto parcheggiata sul molo.
Durante quel breve viaggio, la mente di Josephine fu affollata da pensieri di diversa natura, tra i quali prevalsero quelli riguardanti le sue appena trascorse vacanze italiane.
Ricordi certamente non gradevoli come aveva sperato e come si era aspettata da quel viaggio.
Poche parole che aveva origliato in un momento di dormiveglia riecheggiavano insistenti nella sua memoria.
“Mi dispiace ma vostra figlia è grave. E’ molto debole per via dell’infezione ai polmoni… Con il tempo potrebbe dare cenni di miglioramento ma purtroppo penso non ci sia più nulla da fare.
Le resta al massimo un anno…Cercate di godervi Josephine appieno in questo periodo.”
All’inizio quelle parole le fecero molto male ed il solo pensarle la faceva sussultare allora come un mese prima, quando le aveva inavvertitamente ascoltate per la prima volta.
I suoi genitori non si davano per vinti.
In fretta avevano organizzato il viaggio di ritorno per gli Stati Uniti, e non appena Josephine si riprese partirono.
Avevano la seria intenzione di farla visitare da un medico che era stato loro consigliato dal dottor Rivelli e che operava proprio lì, a Chicago.
Dopo pochi minuti di viaggio , arrivarono presso un’abitazione in stile ottocentesco, con ampie vetrate ed ornata da una splendida edera fiorita tutt’intorno.
Josephine respirava a fatica.
I polmoni le bruciavano come se qualcuno le avesse appiccato un incendio nel mezzo del petto.
Sua madre la aiutò a scendere dall’auto e ad entrare in casa dove li attendevano i domestici, pronti ad esaudire ogni loro desiderio ed ogni singolo capriccio della viziatissima Catherine.
“Vado in camera mia a riposare” annunciò Josephine salendo la grande scalinata in marmo, lo sguardo ansioso dei suoi genitori l’accompagnava.
Dopo aver scoperto la sua malattia, Josephine stava imparando ad apprezzare il gusto della solitudine, dello stare da sola a pensare, ad ascoltare il fragile suono del silenzio che in certi momenti di sconforto diventava un boato assordante, ma che in altri era di compagnia.
L’unico che non le avrebbe mai fatto domande.
Si sfilò i guanti di seta, poggiò il cappellino sul letto e si sedette vicino alla finestra che dava sulla strada, portando saltuariamente alla bocca piccoli acini d’uva fresca.
Rimase lì per tutto il pomeriggio.
Alla sera, Lia Heart, bussò alla porta.
“Posso entrare?” chiese poggiando delicatamente le nocche sulla porta di acero.
“Entra pure”
“Credevo stessi dormendo. Come ti senti?”
“Bene.” Gli splendidi occhi acquamarina della ragazza brillavano nel buio.
“Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare?”
“No grazie. Sto bene così”
“Almeno fa che ti accenda la luce” disse infine Lia
“Tranquilla. Non ho paura del buio.
Non più.”



Fine del secondo capitolo!
Volevo ringraziare tutte coloro che hanno commentato il primo capitolo incoraggiandomi ad andare avanti!
Spero che continuerete a seguire questa storia con passione!
Bacioni a tutte…
Evie

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Capitolo 3
*** L'odore del tuo sangue ***


3. L’odore del tuo sangue





Il giorno seguente Jonathan Heart prese un appuntamento con il medico indicatogli da Andrea Rivelli, il dottore che aveva diagnosticato la malattia di Josephine.
Era la loro ultima speranza.
Il solo che avrebbe potuto salvare la loro bambina.
Quel pomeriggio si recarono insieme all’ospedale, ma solo sul tardi riuscirono ad incontrarlo.
“I signori Heart? Scusate l’attesa ma c’è stato un grave incidente che ha richiesto la mia presenza.
Comunque mi presento: sono il dottor Carlisle Cullen.
Lieto di fare la vostra conoscenza.”
Era molto diverso da come se l’erano immaginato ascoltando le descrizioni del dottor Rivelli.
Carlisle era l’uomo più bello che avessero mai visto.
I suoi splendidi occhi color dell’oro fissavano i volti sbalorditi di Jonathan e Lia Heart.
Era cosciente del’effetto che faceva sugli esseri umani ma non finiva mai di sorprendersi.
Scoppiò in una sonora risata.
“Scusate ma la vostra reazione non mi è nuova! Conosco Andrea e so cosa può avervi detto di me tanto da farvi credere che fossi un medico parecchio anziano.”
“In effetti non credevamo fosse così giovane dottor Cullen” disse Jonathan
“La mia età non vi deve preoccupare. Quello che Andrea dice di me, professionalmente parlando, è vero.
Non voglio farvi perdere altro tempo. Dov’è la nostra Josephine?”
Sentendo pronunciare il suo nome, la ragazza si voltò, distogliendo lo sguardo dallo splendido panorama che si stava gustando dalla finestra del terzo piano.
Carlisle rimase a bocca aperta.
Non era possibile!
Non poteva essere sopravvissuta così a lungo…
Se suo padre non gli avesse parlato della grave malattia della figlia, Carlisle l’avrebbe scambiata per una come lui, un vampiro.
Era pallida e straordinariamente bella.
Josephine gli si avvicinò mostrando il suo sorriso più dolce, e gli porse la mano bianca come la neve.
Il contatto con quella gelida del giovane medico la fece rabbrividire.
“Allora Josephine devi venire con me per alcuni accertamenti e poi potrai tornare a casa.
Prometto che la visita non durerà molto”
Carlisle la condusse in una stanza, alla fine di quel corridoio dalle pareti fredde e dalla tristezza infinita.
“Accomodati pure Josephine. Voglio metterti a tuo agio quindi, che ne dici se ti faccio qualche domanda di routine?” disse lui mentre un pizzicore iniziava a diffondersi nella sua gola.
“Certo. Cosa vuole sapere?” Josephine portò i ricci di uno splendido castano cinereo su di una spalla.
Era solita fare quel gesto quando si sentiva a disagio.
Gesto avventato in quel caso, ma lei non poteva saperlo.
Il pizzicore nella gola di Carlisle si accentuò creandogli dei problemi nel parlare.
“Dimmi un po’…quanti anni hai?”
“Diciassette. Tutto bene dottore?” chiese vedendo che il medico si portò una mano alla gola.
“Si. Tutto bene grazie. Sei molto giovane…
Mi ricordi tantissimo una ragazza che conoscevo quando avevo la tua età… il mio primo amore londinese... Sicura di non essere inglese?”
“Assolutamente si. Sono americana per parte di padre e italiana per parte di madre… Ma a pensarci bene ho una zia inglese”
“E’ un buon inizio” aveva smesso di respirare.
Era finalmente riuscito a capire cosa stava irritando così la sua gola tanto da impedirgli di parlare per più di un paio di minuti: il suo odore.
Era semplicemente irresistibile…
Dolciastro, simile al miele d’acacia, sensuale come il profumo di un fiore…
La sua mente si stava lentamente appannando.
Iniziava a perdere la lucidità.
Era sul punto di buttare all’aria più di due secoli di autocontrollo conquistato difficilmente seguendo una dieta ‘vegetariana’.
“Dottor Cullen? Sicuro di stare bene?” chiese Josephine poggiando una mano sul suo braccio.
Era pericolosamente vicina.
Cosa gli stava succedendo?
Non gli era mai capitato prima di quel giorno, con nessun altro dei suoi pazienti.
Di scattò Carlisle ritrasse il braccio e si alzò con la scusa di aprire la finestra per far circolare un po’ d’aria ‘pulita’, appoggiandosi con la schiena al davanzale.
“Josephine, ti va di raccontarmi come è iniziata questa storia?” chiese facendo un respiro profondo.
“Bè…ci trovavamo in Italia da ormai un anno vista l’impossibilità di partire per via della Guerra..” interruppe il suo racconto un attimo per tossire “ all’incirca un mese fa stavamo trascorrendo la vacanze estive sulla costa siciliana, quando una febbre altissima mi costrinse a letto per diversi giorni.
All’inizio tutti credettero che fosse un insolazione, ma la febbre non accennava a diminuire ed in più le si era aggiunta una terribile bronchite.
Dopo una settimana mi venne diagnosticata da dottor Rivelli un’infezione polmonare che se presa in tempo sarebbe potuta guarire, ma nel mio caso non fu così…
Pare che la forma che ho contratto io sia una delle peggiori e quindi incurabile.
Dottore, non voglio passare il resto del tempo che mi rimane rinchiusa in una camera d’ospedale”.
Josephine osservava attenta l’espressione sul viso di Carlisle.
Quel dottore era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto finora.
“Ti prometto che riuscirò a salvarti in un modo o nell’altro. Fosse l’ultima cosa che faccio” le disse lui per tranquillizzarla.
Pensandoci bene quella era l’occasione giusta per crearsi una compagna che fosse come lui. Erano anni che cercava qualcuno con cui trascorrere quell’infinita eternità, qualcuno che ne fosse all’altezza, e ora ne aveva l’opportunità.
“Ora devo farti un piccolo prelievo. Non guardarmi così… non ti farò male” il suo sorriso era bellissimo e rassicurante.
Prese gli strumenti necessari da uno scaffale, le strinse il braccio con il laccio emostatico e con grande delicatezza infilò l’ago in un punto appena sotto la giuntura del gomito.
Smise nuovamente di respirare.
I Volturi lo avevano avvertito, gli avevano detto che un giorno si sarebbe trovato dinnanzi una tentazione irresistibile, alla quale avrebbe dovuto cedere.
Ma lui non voleva. Non poteva. Almeno in quel momento.
L’odore del suo sangue gli dava alla testa nonostante stesse trattenendo il respiro.
“Dottor Cullen, va tutto bene? C’è qualcosa che non va?” chiese Josephine appena Carlisle le sfilò l’ago dal braccio.
“Si…E’ solo… bè l’odore del tuo sangue…è ‘inebriante’ direi” disse sorridendo
“Come sarebbe a dire inebriante?” Josephine dovette soffocare una risata
“Consideralo un complimento”
“Dire che ho degli splendidi occhi è un complimento. No che il mio sangue è inebriante”
“Detto da me è un complimento fidati. Sono un esperto in questo campo”
Era sempre più convinto.
Doveva trasformarla quando lei era in punto di morte.
Ma avrebbe avuto la forza di starle accanto fino ad allora senza farle del male?

Ed eccomi qui con il terzo capitolo della mia fiction!
E’ stato scritto un po’ di fretta ma spero vi piaccia ugualmente!
Vorrei ringraziare mia sorella Frefro, Gx_Gse e Lolitosa per aver messo la mia storia tra i loro preferiti!!!
Grazie!!!!!!!!!!
Mi raccomando continuate a commentare!!!!!!!!
Un bacio a tutte…
Evie






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Capitolo 4
*** La Spagnola ***


4. La Spagnola





Con il passare del tempo divenne più facile per Carlisle stare accanto a Josephine.
Da ormai più di due settimane la giovane ragazza si trovava ricoverata all’ospedale di Chicago per seguire la terapia propostale dal dottor Cullen.
“La cura che abbiamo scelto per Josephine sembra sortire effetti positivi su vostra figlia” disse quel giorno Carlisle ai preoccupatissimi coniugi Heart.
Quello stesso pomeriggio di metà settembre, Catherine Heart si recò a far visita a sua sorella.
“Questi sono per te con tutto il mio affetto” disse con uno splendido sorriso stampato in viso, porgendo il piccolo bouquet ad una commossa Josephine.
“Grazie Katie”
Le due sorelle erano molto diverse sia per aspetto fisico che per carattere: Josephine, la maggiore, aveva lunghi ricci di un bellissimo castano cenere, tra i quali spuntavano luminose ciocche color rame, colore che diventava più evidente e marcato sulle punte e che dava luce al suo colorito pallido per via della malattia.
Katie, invece, aveva liscissimi capelli color del grano che scendevano liberi sulle spalle, il piccolo naso alla francese spruzzato da lentiggini ed una dolcissima fossetta sul mento, ereditata da suo padre Jonathan.
L’unica cosa che le due sorelle avevano in comune erano gli occhi, di un magnifico colore acquamarina, ereditati da Lia.
Mentre le due ragazze chiacchieravano del più e del meno, Carlisle entrò come ogni pomeriggio a quell’ora nella camera 324.
“Come sta la mia paziente preferita?” esordì gioviale come al solito.
“Meravigliosamente dottore!” rispose Josephine sorridendo.
“Oh, salve Catherine.” salutò la ragazza che continuava ad osservarlo con grande ammirazione.
Non aveva mai visto un uomo così bello.
“ Che bei fiori” disse lui indicando il bouquet ancora nelle mani di Josephine.
“E’ vero. Katie, me lo faresti un favore? Cercheresti un vaso per i fiori prima che si rovinino?” chiese alla sorella ancora incantata a guardare il bel dottore.
Lei biascicò un si, prese i fiori e uscì dalla camera.
“Te lo chiederò d nuovo” disse Carlisle non appena rimasero soli “ come stai?”
La guardava con quegli splendidi occhi color miele, ai quali non si potava mentire.
Si sedette accanto a lei sul letto aspettando una sua risposta.
“In tutta confidenza? Fisicamente bene… moralmente un po’ male. Voglio tornare a casa Carlisle. Me lo devi.” rispose stringendogli le mani tra le sue.
“Josephine ho promesso ai tuoi genitori che ti avrei salvata, ma tu me ne devi dare il modo.” cercò di convincerla dolcemente.
“Lo so. Mi dispiace per loro… Stanno spendendo un capitale per darmi tutte le cure necessarie alla mia guarigione.” Josephine poggiò la fronte sulla spalla del medico, che per un attimo dovette trattenere il respiro.
La sete era ancora forte, ma lui stava imparando nuovamente a reprimere quell’istinto irrefrenabile.
Doveva farlo per lei.
Liberò una mano dalla stretta della ragazza e prese ad accarezzarle i capelli.
“Fallo per loro. Resisti fino a fine mese e poi potrai tornare a casa e fare quello che vuoi, sempre sotto mia stretta sorveglianza” non poteva perderla di vista.
“Va bene” sospirò
“Però devi ammettere che seguendo la mia terapia ti senti molto meglio!”
“Lo confesso.” rise alzando la testa e guardando Carlisle negli occhi.
“Sai, semmai un giorno dovessi avere una figlia, vorrei fosse come te” poggiò la mano sulla sua guancia, accarezzando con il pollice il piccolo neo che Josephine aveva sotto l’occhio destro.
“Non credo ti convenga! Sono un tipino abbastanza difficile da trattare.”
Era la prima volta dopo due settimane che la vedeva ridere di gusto.
Il suono cristallino della sua voce sembrava musica.
“Scusami per lo sfogo” disse lei mentre Carlisle si alzava per andare via “e scusa anche per la mia presa di confidenza. Forse un po’ troppo inadeguata…”
“Non ti preoccupare. Tu puoi farlo quando vuoi. Sarà il nostro piccolo segreto.”
Quella stessa sera un gran trambusto spinse i pazienti ed i visitatori dell’ospedale ad uscire dalle loro stanze.
Le ambulanze viaggiavano da una parte all’altra della città a sirene spiegate.
Stava succedendo qualcosa di grave.
Tutti i reparti vennero invasi da uomini, donne e bambini deliranti sulle loro barelle mentre altri contagiati, invece, conservavano un atteggiamento dignitoso nonostante la grande sofferenza.
Ai pazienti venne subito dato dai dottori l’ordine di non uscire dalle proprie stanze per nessun motivo, in modo da evitare il contagio.
Incurante di questo ed approfittando della confusione generale, Josephine uscì nel corridoio del suo piano e si fermò dinnanzi la chiesetta di fronte le scale.
Riconobbe immediatamente l’infermiera che si prendeva cura di lei insieme la dottor Cullen da quando era ricovera là, salire su per quelle scale correndo.
Dietro la donna, dei portantini reggevano due barelle: su di una vi era sdraiata una donna, mentre sull’altra un uomo, entrambi svenuti e non più giovanissimi.
Velocemente le si avvicinarono, correndo verso il reparto della malattie infettive, situato su quel piano.
Riconobbe anche Carlisle. Non l’aveva mai visto così agitato.
Accanto a lui un giovane ragazzo dai capelli ramati saliva le scale concitato, seguendo i due sulle barelle.
Josephine notò immediatamente i suoi splendidi occhi color smeraldo, quando le passò accanto e i loro sguardi si incrociarono.
“Non puoi rimanere qua!” le urlò contro Carlisle prendendola per le spalle.
“Cosa sta succedendo?”
“Torna subito in camera tua!
La spagnola è arrivata.”




E finalmente pubblico questo mio quarto capitolo.
Mi ci è voluto un po’ per finirlo ma oggi ce l’ho fatta.
Ringrazio Momob per la sua recensione! Spero che ora sia più chiaro l’aspetto fisico di Josephine!
Il suo carattere (e quello di Kate) si capirà più in là con l’evolversi degli eventi.
Ringrazio anche Rakiy, Gx_Gse e Bella4 per aver commentato i primi capitoli!!!!
Spero stiate continuando a seguire la storia!!
Un grazie speciale va a mia sorella che mi incoraggia ogni giorno! TVB
Mi raccomando commentate e fatemi sapere se è il caso di continuare!
Baci…

Evie




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Capitolo 5
*** Incontro ***


5. Incontro




“La spagnola?”
“Si. Vai in camera tua e non uscire fino ad un mio ordine, chiaro? Cerca di riposare” Carlisle era veramente arrabbiato.
Se c’era una cosa che odiava del suo mestiere era proprio perdere un paziente.
Josephine tornò nella solitudine della sua fredda stanza.
Erano passate le undici e nell’ospedale regnava ormai la tranquillità.
Sembrava non fosse mai successo nulla.
Carlisle era passato da lei, alla fine del suo turno, per accertarsi che stesse dormendo.
Ma il sonno sembrava non volesse impossessarsi della ragazza, che passò la serata a rileggere per l’ennesima volta lo stesso libro.
Non appena il dottor Cullen fu lontano, Josephine decise di disobbedire per la prima volta ad un ordine datole: posò il libro sul comodino, afferrò la vestaglia in cotone e sangallo e uscì dalla stanza decisa a fare una passeggiata.
Appena uscita dalla camera un fortissimo odore di alcool e medicinali le bruciò il naso.
Per sua fortuna il corridoio era deserto.
Tutti i dottori e le infermiere condannati al turno di notte, erano intenti ad occuparsi del gran numero di pazienti arrivati qualche ora prima in preda a febbri altissime che non accennavano a scendere.
Josephine si fermò per la seconda volta quella sera davanti la chiesetta, tra i due reparti.
Il fitto tendaggio color porpora copriva le vetrate che circondavano quella stanza così speciale.
La luce fioca che brillava da dietro le tende fu come un invito ad entrare in quella infinita pace, dove nulla era corrotto da tutto ciò che succedeva all’esterno.
C’era qualcuno seduto al secondo banco, dinnanzi un grande crocifisso che sovrastava maestoso il piccolo altare in marmo girgio-rosato.
Josephine si avvicinò ad un tavolino basso sul quale erano disposte delle candele ancora spente, ne prese una e l’accese servendosi della fiamma dell’unica candela accesa.
Facendosi il segno di croce andò a sedersi accanto all’unica persona nella chiesetta, un ragazzo.
“Va tutto bene?” chiese Josephine sedendosi.
Il ragazzo biascicò un si.
Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani. Stava piangendo forse.
Josephine si sfilò di tasca un fazzoletto in cotone con rifiniture in macramè e glielo porse “Per te” disse sussurrando.
Lo sconosciuto alzò la testa e si voltò a guardare quella ragazza ficcanaso per dirle di lasciarlo in pace, ma non appena incontrò quegli occhi così sinceri e il suo dolce sorriso, soffocò in gola le parole che stava per dire e prese il fazzoletto che gentilmente lei gli porgeva.
“Sei qui per pregare o per cercare un po’ di pace?”
“Entrambe le cose… credo…”
Josephine riconobbe in lui il ragazzo che aveva visto qualche ora prima, quando era scoppiato il pandemonio in ospedale.
“J. H.” sussurrò il ragazzo leggendo le iniziali sul fazzoletto che rigirava tra le dita.
“Josephine Heart” disse lei
“E. A. M.”
Josephine rise. “Sta per…?”
“Edward Anthony Masen”
“Piacere di conoscerti Edward.
Erano i tuoi genitori gli ultimi due che hanno portato nel reparto poco fa vero?”
“Si” rispose Edward poggiando la fronte sui pugni chiusi.
“Che crudeltà… Dopo tutte le barbarie che la guerra ha portato questa non ci voleva proprio” disse Josephine tra sé e sé guardando il grande crocifisso in legno di acero “Anche tu sei di Chicago?”.
Edward si voltò a guardarla e sorrise.
Sorrise guardando quella ragazza sforzarsi ad essergli di conforto.
Sorrise del suo così discreto tentativo di fare amicizia.
Sorrise del suo brusco cambiamento di discorso allo scopo di tirargli su il morale.
Continuava a sorridere quando lei si voltò e notò per la prima quanto fosse bella.
“Allora?” chiese lei attendendo la risposta.
“Si anche io sono di Chicago. Ci sono nato, cresciuto ma non penso ci morirò”
“Perché?”
“Bè penso avrai sentito parlare dell’abbassamento della soglia di età per la chiamata alle armi… e io sono prossimo all’entrata in guerra nell’esercito americano…Mancano pochi mesi.
Mia madre è preoccupatissima”
“E tu?”
“Io no. Anzi sono eccitato all’idea di potermi rendere utile al mio paese!
E’ l’unico pensiero ch mi fa andare avanti in questo momento” Edward continuava a rigirarsi tra le mani il fazzoletto di Josephine, sfiorando con le dita le delicate iniziali in rilievo.
“Mi dispiace…” biascicò Josephine
“Per cosa?” chiese Edward riprendendo a guardala, gli occhi verde smeraldo brillavano alla luce delle due candele nella penombra.
“Per tutto. Per la guerra e tutte le sue conseguenze, per le vittime della spagnola, per i tuoi genitori…”
Non appena lì nominò, il volto del ragazzo si rabbuiò.
Notando questo brusco cambiamento di umore, Josephine gli posò una mano sulla spalla dicendo mantenendo il tono di voce sempre basso “Non ti preoccupare. Si sistemerà tutto”
“Lo spero” disse lui con un nodo in gola.
“Vi ho visti arrivare con il dottor Cullen… Carlisle è in gamba e sta sicuro che farà l’impossibile per salvare i tuoi genitori” continuò a rassicuralo.
“Lo sta facendo anche per te?”
“Si. Ma quello che ho io non è molto grave. Passerà presto.” disse con quel suo sorriso contagioso e scacciapensieri.
Trascorsero minuti di assoluto silenzio, un silenzio assordante, un silenzio affollato dai diversi pensieri dei due ragazzi, un silenzio che fu Edward a spezzare.
“Ho paura”
“Lo so. Ne ho molta anche io.”
“Avrei preferito che la spagnola avesse preso anche me invece che vivere tutta questa terribile situazione contro la quale non posso fare nulla. Mi sento uscire pazzo!” disse Edward prendendosi la testa tra le mani con rabbia.
Vederlo in quello stato straziava il cuore di Josephine.
E’ vero, era solo uno sconosciuto incontrato per caso, ma lei in quei pochi minuti passati con lui si era immedesimata in quella sua orribile sofferenza, nel suo stato di impotenza contro gli eventi della vita.
Impulsivamente gli si avvicinò di più, lo prese per le spalle e lo strinse tra le braccia.
Edward incredulo appoggiò la fronte alla sua spalla, lasciandosi cullare da quel caldo abbraccio.
“Ricorda sempre una cosa Edward” disse Josephine “nella vita non sarai mai solo. Ci sarà sempre qualcuno pronto a tenderti una mano nei momenti di sconforto, una persona che ti farà pensare che la vita non fa poi tanto schifo, qualcuno per cui vale la pena vivere.
Forse è una persona che conosci già da tempo, oppure la devi ancora incontrare. E allora si che ringrazierai il cielo per non averti tolto la vita nel momento sbagliato, vita che sarai pronto a perdere per lei, per proteggerla ad ogni costo.
Mi raccomando non dimenticarlo mai, qualsiasi cosa succeda”
Non se l’aspettava.
Quando l’aveva vista la prima volta, non credeva che quella piccola impicciona lo avrebbe fatto riflettere e gli avrebbe riacceso una piccola scintilla della sua voglia di vivere proprio lì, in mezzo al petto.
Con un movimento veloce ricambiò con forza a quell’inaspettato abbraccio.
Ora era Josephine tra le braccia di Edward.
“Grazie” le sussurrò in un orecchio.
Per fortuna la semi oscurità impedì al ragazzo di vedere avanzare il rossore che le stava colorando le guance.
Non voleva farlo, ma Josephine si divincolò da quell’abbraccio.
Dopo la loro chiacchierata aveva capito che nel suo stato era meglio evitare di affezionarsi eccessivamente ad una persona alla quale avrebbe fatto solo del male.
“Devo andare” si diresse con passo veloce alla porta della stanza, posò una mano sulla maniglia e si voltò “Buonanotte Edward”
“A presto Josephine”




Mamma mia come mi è venuto lungo questo capitolo che pubblico eccezionalmente il giorno del mio onomasticoXD!
Spero sia di vostro gradimento^_^
Ringrazio Bella4 e Alice Brendon Cullen per aver aggiunto la mia fiction tra i loro preferiti!
Se avete suggerimenti o consigli per migliorare questa storia fatemelo sapere!
Commentate in tanti!!!
Bacioni…
Evie

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Capitolo 6
*** Sospiro ***


6. Sospiro





Non riusciva a non pensarci.
Non riusciva a non pensare a quello che era successo la sera prima.
Era incredibile come il pensiero di quell’ imprevista chiacchierata l’assorbiva così tanto, tanto da non lasciarla dormire.
Ma ormai aveva preso la sua decisione, anche se un po’ sofferta.
Aveva deciso che non si sarebbe legata più a nessuno, che non avrebbe partecipato al dolore altrui tanto da immedesimarsi, ma soprattutto aveva deciso di non affezionarsi a lui.
Già , lui, il ragazzo dagli occhi verdi che entrava nei suoi pensieri senza preavviso, nei momenti in cui cercava un rifugio sicuro tra le lenzuola del suo letto e serrava gli occhi per abbandonarsi in quel dolce oblio che tutti comunemente chiamano sonno.
Non lo conosco neanche” continuava a cercare un alibi per il battere aritmico del suo cuore.
Perché si sentiva così?
Non riusciva a capirlo.

Il mattino non tardò ad arrivare.
Josephine dormiva ancora quando sua madre prima, ed il dottor Cullen un paio d’ore più tardi, entrarono nella sua camera.
“Dorme ancora?” chiese Carlisle con un tono di voce impercettibile.
Lia annuì sollevando gli occhi dal lavoro di ricamo che aveva per le mani.
Stava seduta accanto al letto della figlia osservando le varie espressioni che si alternavano sul suo volto assopito.
“E’ normale. La terapia che sta seguendo la stanca parecchio, ma questa tortura finirà presto” sorrise Carlisle.
“Dottore lei ha detto che a fine mese potremmo riportarla a casa con noi. Ma sarà prudente allontanarla dall’ospedale?” Lia aveva posato definitivamente il suo lavoro per parlare con il dottore.
“Signora Heart, sarebbe inutile tenere Josephine rinchiusa qui. Quest’ambiente non farebbe altro che farla ammalare ulteriormente e io non voglio che questo accada. Naturalmente continuerei a seguire sua figlia ugualmente.
Ho a cuore Josephine, più di quanto lei creda.”
Solo allora Carlisle fece caso alla straordinaria somiglianza tra le due donne.
L’una era la copia perfetta del’altra.
“Mio marito ed io abbiamo piena fiducia in lei dottore.” sorrise la donna accarezzando la testa della sua bambina.
“Grazie. E’ meglio che Josephine riposi ancora un po’. Tornerò a farle visita in serata…”
“La spagnola continua a fare vittime, non è vero dottore?”
“Purtroppo si… per due pazienti che muoiono ne arrivano altri tre contagiati. Alcuni riescono a mantenere la lucidità fino alla fine, mentre altri perdono conoscenza ancora prima di arrivare in ospedale e muoiono poche ore dopo.”
“E’ uno strazio. Non bastavano le morti causate dalla guerra…?”

Passarono poche ore dalla visita del dottor Cullen nella camera 324.
Il sole risplendeva ormai alto nel cielo ed i suoi caldi raggi filtravano tra le veneziane, illuminando parzialmente il volto di Josephine.
La ragazza portò una mano sugli occhi strofinandoli e nascondendosi da quella luce accecante.
“Mamma…?” biascicò notando un ombra seduta sulla sedia accanto al suo letto.
“Quanto ho dormito?” chiese facendo fatica ad aprire gli occhi per via della luce.
“Un bel po’ a quanto so io” conosceva quella voce, ma non era quella di sua madre.
Si mise a sedere di scatto nel mezzo del letto aprendo finalmente gli occhi e ciò che riuscì a vedere la stupì non poco.
Edward era seduto là, accanto la finestra socchiusa, uno splendido sorriso disegnato sulle labbra.
“Buongiorno” disse con voce calda.
“E tu che ci fai qui???”
Era incredibile!
Tutto si aspettava tranne che vedere lui seduto là, in camera sua come se nulla fosse, come se fosse stata un’abitudine di sempre, immobile come la più bella delle statue di cera.
“Tua madre è andata a portare Katie alla sua lezione di piano e… bè… eri sola e ho pensato che un po’ di compagnia ti avrebbe fatto piacere al tuo risveglio.
E’ brutto svegliarsi e non trovare nessuno accanto a sé.” disse con un’infinita tristezza negli occhi.
“Non dovresti essere qui”
“Lo so…ma che ci vuoi fare? Mi mancavi…”
“Come ti può mancare una persona che non conosci neanche?” Josephine cercava di mantenere le distanze proprio come si era ripromessa, ma era più difficile di quanto pensasse.
“Non lo so ma è così. Non faccio altro che pensare a ieri sera, a quello che mi hai detto, al tuo profumo, a te…”
“No no no no. Edward ti prego no!” disse Josephine scendendo dal letto dalla parte opposta a quella dove era seduto il ragazzo.
“Perché? Cosa c’è di male in tutto questo?” Edward si alzò a sua volta.
“Non devo affezionarmi a te…non posso” Josephine teneva lo sguardo fisso a terra.
Non riusciva ad incrociare il suo sguardo.
Se l’avesse fatto non sarebbe più riuscita a mantenere la sua linea dura.
Edward le si avvicinò.
“Stamattina mi hanno detto che con molta probabilità mio padre non supererà la notte.”
“Oddio mi dispiace” aveva infranto la regola che si era imposta quando era andata a letto, ma quella frase le uscì di bocca prima che potesse riflettere.
“Già…figurati che per poterlo vedere devo indossare un camice e una mascherina per evitare il contagio e non posso stare con lui per più di un ora al giorno. Ha perso di nuovo conoscenza… mia madre è più forte… almeno lei è ancora lucida…”
Josephine si fece scappare un sospiro.
“E la cosa peggiore è che oltre il dolore, dentro di me c’è un altro sentimento che ha il potere di annullarlo…Com’è strana la vita vero? Fino ad ieri ignoravo la tua esistenza e credevo che la morte fosse l’unica soluzione ai miei problemi. Ma ora è diverso. Mi sento uno stupido a dirti questo dopo neanche 24 ora che ti conosco…”
Non poteva non fare a meno di guardarlo.
Edward non aveva bisogno di descriverle il sentimento che anche lei provava.
I suoi occhi brillavano non per effetto della luce e Josephine ne era incantata.
“Vieni con me” Edward la prese per mano, sbirciò fuori la porta assicurandosi che il corridoio fosse deserto, ed uscirono diretti alle scale.
“Dove mi porti?”
“Lo vedrai presto”
Salirono su per un paio di piani fino a quando giunsero davanti una porta che Edward aprì.
Dava sulla terrazza più alta dell’ospedale.
“Wow! Il mondo visto da qui è bellissimo…” disse Josephine affacciandosi.
“Sapevo ti sarebbe piaciuto questo posto” Edward le poggiò le mani sulle spalle, fermandosi ad osservare Chicago da quell’altura.
“E crudele…” sospirò Josephine
“Cos’ è crudele?”
“Bè, il fatto che si possa godere di una così bella vista solo da un ospedale…”
Edward rise di gusto affondando il viso tra i suoi capelli profumati di lavanda.
“E’ incredibile quanto stia bene con te…”
“Non ti affezionare troppo a me Edward… Potresti soffrire… Non resterò qui a lungo.” il respiro di Josephine iniziò a farsi affannoso e il solito dolore in mezzo al petto esplose con violenza, tanto da costringerla a soffocarlo con un lungo sospiro, le mani strette sul petto.
“Non importa dove andrai perché io sarò con te” le sussurrò in un orecchio.
“Dico sul serio. Ti farò soffrire. Nel posto dove devo andare non potrai venire con me…”
“Josephine” sospirò il suo nome facendola voltare per guardarla in viso.
Con una mano le accarezzava una guancia, mentre l’altra la teneva poggiata delicatamente sul suo fianco destro.
Le lacrime non poterono fare a meno di scendere lungo le sue guance, bagnando la mano di Edward.
Il ragazzo prese il viso di Josephine tra le sue mani e lo avvicinò al suo, sfiorando le morbide labbra della ragazza con le sue.
Neanche il tempo di assaporare la dolcezza di quel soffice bacio, che Josephine svenne tra le sue braccia.
Sembrava morta.
“Josephine?” Edward si sedette a terra stringendo la ragazza tra le braccia.
“Josephine svegliati” continuava a chiamarla scuotendola, ma la ragazza non accennava ad aprire gli occhi.
“JOSEPHINE!”







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Capitolo 7
*** Il Medaglione ***


7. Il medaglione

La disperazione stava prendendo pieno possesso di Edward.
Era finalmente riuscito a confessarle i suoi sentimenti ed ora Josephine giaceva inerte tra le sue braccia, il viso sempre più pallido, spaventosamente cadaverico.
“Rispondimi ti prego” le disse Edward accarezzandole il viso ancora caldo.
Poggiò un orecchio sul suo petto, in corrispondenza del cuore e sentì che il battito diminuiva con il passare dei secondi.
D’impulso si alzò prendendola di peso in braccio.
Scese le scale con il passo più veloce che poteva e raggiunse la stanza di Josephine, al terzo piano.
In quello stesso istante i genitori della ragazza si stavano avvicinando alla sua stanza
quando la videro senza sensi tra le braccia di quello sconosciuto.
Lia guardò bene la figlia e lanciò un urlo sovrumano, urlo che attirò Carlisle che passava per quel corridoio.
“Edward! Cos’è successo?” gridò avvicinandosi ai ragazzi.
“Dottor Cullen deve fare assolutamente qualcosa per lei” disse Edward in preda al panico “stavamo parlando quando ad un tratto è svenuta”.
Carlisle prese Josephine in braccio e la portò nella sua stanza.
Era l’occasione che aspettava, ma non credeva ci sarebbe voluto così poco tempo.
Però il vampiro non aveva fatto i conti con le circostanze… c’era troppa gente con lui. Un’infermiera lo aveva seguito quando era entrato della camera della ragazza e aveva lasciato la porta aperta.
“Cosa hai fatto a mia figlia?” urlò Jonathan Heart contro Edward, sferrandogli un pugno in pieno volto.
Il ragazzo cadde a terra e non trovò la forza per rialzarsi.
Era veramente stata colpa sua ciò che era successo a Josephine sulla terrazza?
Jonathan gli si avvicinò e lo prese per il bavero della camicia.
“Non ti azzardare mai più ad avvicinarti a mia figlia, hai capito? Non farti vedere mai più, sparisci dalla mia vista”
Edward portò la mano al naso insanguinato, mentre Carlisle decideva di dare un’altra possibilità a Josephine, prima della trasformazione.

Passarono diverse ore prima che Carlisle lasciasse la stanza di Josephine dicendo ai suoi genitori che la ragazza era ormai fuori pericolo e che la crisi era passata.
Edward aveva passato l’intero pomeriggio appoggiato alla vetrata esterna della chiesa, tenendo d’occhio tutti i movimenti davanti la stanza 324.
Aveva appena acceso tre candele in chiesa e si rigirava ancora il fiammifero bruciacchiato fra le dita.
Non appena vide il medico uscire da quella stanza che gli stava tanto a cuore gli si avvicinò:
“Come sta?”
“Si riprenderà presto.”
“E’ stata colpa mia. Non avrei mai dovuto farla uscire dalla sua stanza”
“Sarebbe stato meglio evitare in effetti… ma tu non potevi conoscere le sue condizioni di salute”
“Mi sento responsabile comunque…”
Carlisle gli sorrise affettuoso, infilò una mano nella tasca del camice e ne estrasse uno splendido medaglione rotondo in oro bianco, con strane incisioni in rilievo sul davanti.
“Le è caduto quando la tenevi in braccio” disse Carlisle porgendo il medaglione al ragazzo.
Edward gettò via il fiammifero e prese quello strano ciondolo in mano, notando una piccola incisione sul retro:
“Alla nostra bambina con infinito amore”
“Penso sarà più contenta se sarai tu a darglielo al suo risveglio” e il dottore sparì nel reparto dove erano ricoverati i genitori del ragazzo.
Quella notte trascorse lenta per tutti.
Le condizioni del padre di Edward peggiorarono fino a degenerare, portandolo alla morte.
L’uomo spirò tra le braccia del figlio disperato, mentre sua moglie si struggeva nel dolore della sua perdita.

Josephine si risvegliò il mattino seguente.
Aprì gli occhi ed il suo cuore sussultò dalla gioia: Edward era seduto accanto a lei come il mattino precedente, tenendosi le testa fra le mani e ondeggiando avanti e indietro sulla sedia.
La ragazza spostò la mascherina dell’ossigeno dalla bocca.
“Edward…” sussurrò.
Immediatamente lui sollevò la testa guardandola.
Lei allungò una mano verso il ragazzo che subito la prese tra le sue e la portò alla bocca baciandola.
“Mi dispiace” le sussurrò
“No Edward. Sono io a dovermi scusare… Ti ho fatto prendere un bello spavento…” disse respirando ancora un po’ a fatica.
“L’importante è che stai bene adesso”
La ragazza gli sorrise debolmente.
“Tuo padre come sta?” gli chiese ricordando le sue parole il giorno prima.
Improvvisamente il volto di Edward si rabbuiò.
“Non ce l’ha fatta.” sibilò portandosi la mano della ragazza alla fronte.
Lei prese ad accarezzargli la testa “Mi dispiace tanto Edward” e una lacrima le bagnò il viso bianchissimo.
Alcune lacrime bagnarono un lembo del lenzuolo. Josephine sollevò il viso contratto dal pianto di Edward.
“Si dice che il Signore ci dia un grande dolore solo per prepararci ad una gioia più grande…”
Edward appoggiò la testa sul braccio di lei continuando a piangere ancora per un po’.
Passarono diversi minuti di assoluto silenzio durante i quali Josephine consolava silenziosamente Edward.
“Grazie” sussurrò ad un tratto il ragazzo sollevando i suoi bellissimi occhi verdi arrossati dal pianto.
“Figurati. E’ un piacere.” sorrise la ragazza sfiorandogli la guancia con un dito.
“Ho una cosa che penso ti appartenga” Edward sfilò dalla tasca il medaglione rotondo datogli da Carlisle qualche ora prima.
“Il mio ciondolo!”
“Ti è caduto prima quando sei svenuta” disse lui appoggiandolo in una sua mano.
“L’hai tenuto tu fino ad ora? Ti ringrazio” ogni volta che lo guardava, il suo sorriso gli sembrava ancora più bello.
Con uno scatto si alzò dalla sedia per sedersi sul letto accanto ad una Josephine perplessa.
Le prese il viso tra le mani dicendo “vogliamo riprendere il nostro discorso da dove si è interrotto?”.
Josephine annuì in modo impercettibile e si avvicinò ad Edward baciandolo delicatamente.
Il ragazzo rispose a quel bacio con passione, assaporando appieno la dolcezza delle sue labbra che tanto aveva desiderato.
“Ho avuto tanta paura di perderti amore mio” Edward stringeva Josephine al suo petto baciandole la testa, il suo respiro caldo la avvolgeva.
E fu proprio il calore a far staccare Josephine da quell’abbraccio.
Subito lei posò una mano sulla fonte bollente del ragazzo.
“Ma tu hai la febbre! Edward devi stare a riposo”
“Non ti agitare. Io sto benissimo! E’ solo un po’ di stanchezza, tranquilla tesoro”
“Sicuro?”
Edward annuì portando nuovamente tra le sue braccia la ragazza che si mise all’ascolto del battito frenetico del suo cuore.



Ed eccomi di nuovo tra di voi!!!
Mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo capitolo e mi scuso anche con Bella4 e Frefro per l'infarto collettivo che vi ho fatto predere alla fine del capitolo precedente!
Mi dispiace ma sono fatta così^_^
Spero di essermi fatta in parte perdonare con questo capitolo....
Ringrazio Soad per avere aggiunto la mia storia tra i suoi preferiti!! Grazie!!!!!
Commetate in tanti!!!!
Bacioni...
Evie

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Capitolo 8
*** Una melodia solo per te ***


melodia 8. Una melodia solo per te

“Salva mio figlio Carlisle! Te ne prego”
“E’ molto grave , Elizabeth.”
“Dov’è adesso?” biascicò la donna
“Nella corsia d’emergenza. Le camere sono tute piene e lui è troppo grave per essere salvato”
“Tu lo devi fare Carlisle! Tu puoi l’impossibile!” disse stringendogli più che poteva la mano, un attimo prima di spirare.

Era una giornata molto uggiosa.
La pioggia cadeva incessante su Chicago per la prima volta da cinque mesi; Edward entrò nella stanza di Josephine tutto zuppo d’acqua.
“Guarda che ti ho portato?” disse sfilandosi il cappotto e lasciandolo cadere su una vecchia poltroncina accanto alla porta.
“Fa’ vedere! Sono curiosa!”
Con un gran sorriso Edward estrasse dal sacchetto di carta che aveva in mano un cofanetto ovale in argento intarsiato e lo porse alla ragazza.
“Che bello” Josephine sorrideva accarezzando il dorso in tessuto rosso damascato di quello che lei credeva essere un semplice portagioie.
“Ti piace?”
“Tantissimo! Grazie! Hai avuto un bel pensiero”
“Questo e altro per te” disse Edward baciandola. “Dai, aprilo” continuò sedendosi sul letto accanto a lei.
Delicatamente, Josephine girò la piccola chiave d’argento e sollevò il coperchio.
Una dolcissima melodia si profuse per tutta la stanza fondendosi armoniosamente con il rumore della pioggia.
“Ma è un carillon!” esclamò sorpresa la ragazza.
Nel vedere la sua espressione mista di incredulità e sorpresa, Edward scoppiò in una fragorosa risata.
“E ti dico di più” disse guardando gli splendidi occhi acquamarina di lei riflessi nel piccolo specchio rettangolare del carillon “la melodia che stai ascoltando e mia”
“Non ci credo!Non mi avevi detto di saper suonare il piano…”
“Ci sono ancora tante cose che non sai di me. Ma avrai tutto il tempo di scoprirle”
A quelle parole Josephine chiuse di scatto il carillon.
Edward la guardava preoccupato.
“Ho detto qualcosa di sconveniente?” chiese sollevandole il viso con una mano.
“No” sussurrò lei accennando un sorriso visibilmente forzato.
“Sai..non sapevo quale fosse il tuo compositore preferito e così ho pensato di fare da me…” disse Edward per smorzare la tensione.
“Beethoven. Adoro la sua sonata al Chiaro di Luna… romantica, sognante, ma forte allo stesso tempo.”
“Che strano…anche io adoro una sonata al Chiaro di Luna ma non è di Beethoven.” Disse sogghignando.
“E’ di Debussy, vero?”
“Sei un’appassionata di musica classica a quanto vedo!” disse poco sorpreso della scoperta.
“Mia madre era una cantante dell’Opera di Parigi ed è stata lei a trasmettermi l’amore per la musica classica e per l’opera.
Ricordo che quando ero piccola passavo molto tempo a teatro con lei qui a Chicago o quando le capitava di essere chiamata a Parigi.
Purtroppo, però, dopo la nascita di Katie ha abbandonato questa passione ma continua tutt’ora a cantare per noi, solo per noi.”
Mentre raccontava quella storia, Josephine sentiva il respiro caldo di Edward premerle sul collo.
Si voltò a guardare il ragazzo, ancora zuppo di acqua piovana, e si accorse che lui non aveva fatto nulla per guarire dalla febbre dei giorni precedenti.
“Edward! Ma tu scotti!!” disse poggiando una mano sulla sua fronte, alzando il tono di voce più del solito.
“Non è nulla” disse scostando la mano della ragazza e alzandosi troppo in fretta, tanto da cadere per terra a seguito di un giramento di testa.
Josephine scese dal letto e gli si avvicinò cercando di rianimarlo, ma il ragazzo aveva perso conoscenza.
Immediatamente lei uscì dalla stanza per cercare aiuto.
“Infermiera, infermiera! Mi aiuti! Il mio ragazzo ha avuto un malore e non riesco a rianimarlo!”
“Cosa succede Josephine?” Carlisle Cullen uscì dalla stanza di fronte alla 324.
“Edward… è per lui! Carlisle si è sentito male all’improvviso… aveva la febbre l’altro giorno ma poi non se l’è curata…e oggi è uscito sotto la pioggia…”
“Josephine calmati! E’ in camera tua adesso?”
La ragazza annuì e seguì il dottore.
Carlisle si avvicinò al ragazzo disteso per terra e premette due dita sulla carotide per sentire il battito.
“Carlisle?”
“Dobbiamo immediatamente trasferirlo nell’altro reparto.”
“Carlisle cosa succede?”
“Temo proprio sia più grave di una semplice febbre…”
“Cos’è allora? Puoi dirmelo, te ne prego!” disse la ragazza inginocchiandosi accanto al dottore.
“Josephine… ho paura che sia uno stadio troppo avanzato di Spagnola”
“E quindi?”
Josephine si sentì morire.
Guardava con un misto di speranza e dolore Carlisle, mentre il suo sguardo lasciava presagire un acquazzone di lacrime.


Mi scuso per il tremendo ritardo ma non è stata colpa mia...
Al mio pc è venuta la felice idea di romepersi e per questo l'ho riavuto indietro solo pochi giorni fa...
Ma cmq finalmente sono riuscita a finire questo ottavo capitolo anche se non è venuto proprio come volevo io...
Ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa vicenda e che l'hanno inserita tra i loro preferiti!!!! VVB
Vi prometto che presto diventerà moooooolto più avvincente, potete crederci! ^_^
Per ora vi saluto...
A prestissimo!
Bacioni...

Evie

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Capitolo 9
*** Inconsolabile ***


9.Inconsolabile

“Cosa facciamo?” chiese Josephine in lacrime.
“Tu non farai niente. A lui ci penso io. Sta alla larga da Edward!” ringhiò Carlisle uscendo dalla stanza sostenendo il ragazzo che aveva ripreso in parte conoscenza.
La giovane rimase seduta sul pavimento stordita dall’infinità delle emozioni che le vorticavano nello stomaco come farfalle impazzite.
Non trovava la forza né la volontà per sollevarsi da quello stato, finché una figura sfocata apparve alla porta.
“Josy! Che ci fai li?” disse concitata Katie, inginocchiandosi accanto alla sorella.
“E’ andato via…” sibilò Josephine tra un singhiozzo e l’altro.
“Chi è andato via?” chiese Katie asciugandole le lacrime con un fazzoletto.
“E-Ed-Edward!”
“Oh tesoro… Se non ti calmi non capirò mai cosa è successo…” Katie cercò di consolarla abbracciandola.
Prendendola per le spalle la fece alzare, portandola a sedere sul letto.
“Bene. Ora che siamo più comode… spiegami cosa è successo di così grave da ridurti in questo stato mentre io ero via…”
Josephine fece un respiro profondo cercando di soffocare i singhiozzi che le esplodevano in petto; quando infine prese fiato iniziò la sua spiegazione:
“Eravamo qui in camera, tranquilli fino a qualche minuto fa. Pensa che Edward mi ha anche regalato quel bellissimo carillon…” indicò l’oggetto ai piedi del letto.
Catherine lo avvicinò, posandoselo sulle ginocchia e aprendone il coperchio.
“E’ bellissimo…” sospirò ascoltando la melodia al suo interno.
“Di più…” Josephine sorrise appena
“E poi? Cosa è successo?”
“Stavamo parlando seduti sul letto quando ad un certo punto… lui scottava, si è alzato di scatto e poi è caduto per terra…Non sapevo cosa fare” disse con voce incrinata.
Katie posò il carillon e la abbracciò come non aveva mai fatto in 15 anni.
Alcune ciocche biondissime dei suoi capelli dorati si posarono sulla camicia da notte della sorella, bagnandola appena.
Le lacrime continuavano ad uscire incessantemente dagli occhi di Josephine.
“In più Carlisle si è arrabbiato… Mi ha urlato di stare alla larga da Edward” continuò.
“Il dottor Cullen?? Non sembra il tipo…Ma ti ha detto almeno il perché?”
“Ha solo accennato che potrebbe essere affetto da spagnola…non ha neanche considerato che forse è semplicemente una febbre un po’ trascurata…”
“Josy, il dottor Cullen è un uomo in gamba. Saprà certamente cosa è meglio per Edward.
Non possiamo escludere che le sue impressioni siano fondate però…vivendo qui sai meglio di me quante vittime sta facendo la spagnola e quante ancora ne farà. Si sta diffondendo molto velocemente ed è probabile che anche lui ne sia affetto…
Suo padre è morto così e…”
“Basta!!! Catherine non te lo lascio dire! Edward non deve morire! Non può!”
“Josephine non volevo dire questo!”
“E allora cosa volevi dire? Dato che i suoi genitori hanno sfortunatamente contratto questa malattia è matematico che lui debba morire nello stesso modo???”
“Non è questo il punto! Volevo semplicemente dire che è possibile che lui stando a contatto con la sua famiglia abbia contratto il morbo e non che debba morire per questo!”
“Cosa mi succede Katie?”
“Nulla sorellina…sei solo preoccupata per lui. E’ normale la tua reazione. Tieni molto a quel ragazzo”
“E’ la prima volta che litighiamo così”
“C’è sempre una prima volta!” Katie sorrise per la prima volta da quando era entrata nella stanza della sorella quel pomeriggio.
“Ed ora cosa succederà?” gli occhi delle ragazze si incrociarono cercando l’una l’appoggio dell’altra.
“Andrà tutto per il meglio, Josy. Non ci resta che aspettare e sperare…”

Quella stessa sera Josephine uscì di nascosto dalla sua stanza.
Doveva sapere come stava, dov’era e se si era ripreso…
Non voleva disubbidire a Carlisle ma non poteva neanche restarsene con le mani in mano, a logorarsi in attesa di una notizia che non sarebbe arrivata molto presto.
Entrò per la prima volta nel reparto adibito alle malattie infettive e quello che vide le mise in cuore una sconfinata tristezza:
uomini, donne e persino bambini piccolissimi, lasciati all’abbandono su delle barelle nei corridoi del reparto.
Le stanze stracolme di malati in agonia assisti dai disperati familiari, ancora non infetti.
Quella vista era straziante.
Josephine portò una mano alla bocca e trattenne a stento un singhiozzo quando lo vide: anche lui come tanti altri, era sdraiato su di una barella nel corridoio che portava alla sala operatoria.
“Edward” sussurrò avvicinandosi al ragazzo apparentemente addormentato.
Le lacrime non poterono fare a meno di uscire dai suoi splendidi occhi acquamarina, cadendo sul bellissimo volto del ragazzo assopito.
Era incredibile come, nonostante quel male che gli faceva contrarre il viso per il dolore, la sua bellezza fosse rimasta intatta.
Era affascinante persino da malato.
Per alcuni minuti Josephine gli stette accanto stringendogli una mano tra le sue e dandogli ripetuti baci sul volto.
“Sapevo saresti venuta nonostante te lo avessi proibito per il tuo bene” disse all’improvviso la voce di Carlisle alle sue spalle.
“Mi dispiace.” sussurrò lei voltandosi.
“Anche a me.”
“Quindi? E’ sicuro? E’ spagnola?” chiese timorosa di sapere la verità.
Carlisle non rispose, ma si limitò ad accennare un “si” con il capo.
“Oddio…” Josephine si voltò a guardare Edward, scoppiando nuovamente in lacrime, l’ennesima volta quel giorno.
Carlisle le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla.
La ragazza si girò nella sua direzione e si fece abbracciare dal dottore che la strinse forte al petto.
D’un tratto ricordò la sensazione che la sua vicinanza gli provocava i primi tempi, quando si incontrarono la prima volta.
Ma non allentò la stretta, anzi.
Continuava a tenersela stretta nonostante la gola avesse ripreso a pizzicargli.
“Credevo di non avere più lacrime dopo questo pomeriggio” singhiozzò Josephine
“Non avrai mai abbastanza lacrime per questo mondo, piccola mia. Torna in camera tua adesso. Ci vediamo domani”

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Capitolo 10
*** Al crepuscolo ***


Katie Heart 10. Al crepuscolo

L’indomani mattina una valigia di pelle marrone giaceva già pronta sul letto di Josephine.
Quella notte non era riuscita a chiudere occhio e aveva preso la sua decisione definitiva: avrebbe lasciato l’ospedale quello stesso giorno.
Sedeva sulla sedia accanto alla finestra, aspettando la visita dei suoi genitori e quella di Carlisle per comunicare la sua decisione.
Nessuno entrò nella stanza prima delle nove.
Carlisle bussò alla porta.
“Avanti”
“Cosa devo fare con te?” disse l’uomo appoggiandosi allo stipite della porta e guardando la ragazza già pronta per uscire e la valigia.
“Ti riferisci a questo?” chiese incurante lei indicando il vestito azzurro che indossava.
“Avevamo fatto un patto o lo ricordo solo io?”
“Ho preso una decisione e voglio che sia rispettata dato che è una delle ultime che prenderò in questa vita.”
“Posso farti ragionare in qualche modo?”
“Carlisle, tu hai già fatto tanto per me in queste settimane e grazie a te mi sento molto meglio. Ma ora voglio tornare a casa.”
L’uomo osservava la determinazione della ragazza con un pizzico di orgoglio.
La sua futura figlia era una ragazza davvero in gamba.
Sorrise e uscì dalla stanza.
In quello stesso istante i genitori della ragazza salivano le scale per raggiungere la stanza della figlia.
Carlisle era sul pianerottolo ad aspettarli per comunicargli la sua decisione:
“Buongiorno signori Heart. Vi stavo aspettando”

Jonathan portò la valigia della figlia in macchina mentre lei e sua moglie salutavano il dottor Cullen.
“La ringrazio di tutto dottore.” disse Lia prima di raggiungere il marito in macchina.
“Allora te ne vai veramente. Un po’ mi dispiace.” disse Carlisle accarezzandole amorevolmente la testa.
“Anche a me Carlisle. Però la situazione era diventata insostenibile in ospedale. Non potevo più rimanere… ci sono troppi ricordi legati a lui… a proposito come…” tentennò.
“Male Josephine, molto male. Non avrei voluto dirtelo…”
“Tranquillo.” Josephine lo abbracciò “prenditi cura di lui, mi raccomando.”
I suoi occhi erano velati da un sottilissimo strato di lacrime che la ragazza trattenne a fatica.
“Ci vediamo” la salutò lui baciandole la fronte.
Quel giorno le nuvole avevano lasciato temporaneamente il  posto al sole che risplendeva come non mai.

Sopra quel settimino intarsiato, tra le spazzole e gli specchi, il piccolo carillon che Edward aveva regalato a Josephine continuava a suonare senza sosta da ormai due giorni.
La ragazza usciva a stento dalla camera, suo rifugio.
Aveva cercato di riprendere la sua vita come se niente fosse mai successo ma non appena varcò la soglia di casa le sembrò tutto più difficile, quasi impossibile.
I suoi familiari cercavano in tutti i modi di tirarle su il morale ma nessuno poteva realmente capire quello che la giovane nutriva in cuor suo.
La sua vita aveva perso realmente di significato come sosteneva lei?
Quel pomeriggio sua madre entrò nella sua stanza per darle una notizia che a suo dire le avrebbe fatto riacquistare parte del suo solito buonumore.
“Tesoro, ho una splendida notizia!” disse Lia entrando e spalancando i vetri del balconcino e quelli della finestra.
“Cosa?” chiese Josephine assonnata.
“Su alzati ti devi preparare! Zia Constance ci ha invitato al party che terrà questa sera! Non è magnifico? Avremo modo di uscire un po’ da questa casa e vedere i vecchi amici.” continuò entusiasta sedendosi sul letto accanto alla figlia.
“E’ una bella notizia” commentò Josephine con tono amorfo.
“Tesoro, vedrai che d’ora in poi le cose andranno molto meglio per noi” disse infine Lia baciando la figlia.
“Ne sono certa anche io”
“Mammaaaaaaaaaaaaa!! Dove sei? Vieni subito qui!! Sono in crisi!” urlò Katie dalla stanza accanto.
“Preparati” sussurrò all’orecchio della figlia maggiore prima di uscire sorridendo dalla camera.
“Mamma muoviti! Ma è possibile che non abbia neanche uno straccio di vestito da mettere??” continuava ad urlare Katie mettendo sottosopra in suo armadio.
“Ma se hai un milione di abiti che metti solo una volta e basta!” replicava sua madre.
Josephine si coprì la testa con il cuscino.
Era incredibile come un giorno Catherine potesse essere la persona più dolce e matura del mondo e come il giorno dopo diventasse la ragazzina più viziata e odiosa dell’universo.

“Allora? Siete pronte?” chiese Jonathan due ore più tardi, chiamando le tre donne dal piano di sotto.
“Stiamo scendendo” lo avvisò Lia appuntando la spilla sul corsetto dello splendido abito blu che indossava, iniziando a scendere le scale.
“Papà! Come sto?” chiese Katie subito dietro la madre, pavoneggiandosi come al suo solito nel suo abito in voile giallo.
“Sei stupenda cara. Il giallo ti dona molto.”
“Sempre la solita tu, eh? Non cambierai mai Katie…” la ammonì sorridendo Josephine, sistemandosi un nastro bordeaux tra i capelli.
“Cara sei bellissima!” si complimentò con lei sua madre.
“Una meraviglia” disse il padre baciandole la fronte “Ora muoviamoci o faremo tardi”.
Zia Constance abitava esattamente dalla parte opposta della città, a circa tre quarti d’ora da casa Heart.
Era ormai il crepuscolo e dal lato della strada che dava sul mare si poteva osservare meglio che in qualsiasi altro posto il tramutare del giorno in notte.
Le prime stelle iniziavano a trapuntare il cielo sopra Chicago.
Ma un imprevisto costrinse Jonathan a frenare di colpo.
“Cosa succede?” chiese Lia preoccupata al marito.
Jonathan indicò i tre uomini dall’aria minacciosa fermi davanti la loro auto.
“E questi cosa vogliono?” sussurrò Katie a sua sorella, la quale si strinse nelle spalle.
I tre si avvicinarono all’auto iniziando a colpirla violentemente nel tentativo di aprire gli sportelli, chiusi con la sicura.
“Mamma ho paura! Papà fa qualcosa!”
“Se il vostro intento è quello di rapinarci siamo disposti a darvi tutti i gioielli che possediamo in questo momento, basta che non facciate del male a mia moglie ed alle mie figlie” cercò di contrattare Jonathan.
Ma come si potrebbe far ragionare tre mostri assetati di sangue?
Uno dei tre riuscì a spaccare un vetro ed a tirare via lo sportello dalla parte di Jonathan.
“Scappate!!!!” urlò alla moglie ed alle figlie.
Le due ragazze riuscirono ad uscire dall’auto mentre due dei tre uomini aggredivano i loro genitori, mordendoli al collo.
Josephine si voltò indietro vedendo quella terribile scena, mentre il terzo mostro le sia avventava addosso.
“Corri Katie!! Più veloce che puoi!!!” urlò tentando di divincolarsi dalla stretta di quella creatura demoniaca che, con un brivido d’eccitazione, infilò i suoi canini nel collo della povera ragazza.
Sensazioni strane e contrastanti si susseguivano in Josephine.
Dapprima un dolore acuto fece smettere di battere il cuore della giovane per pochi secondi, poi un calore mai provato avvolse il suo corpo lasciandola senza forze e senza fiato.
Raccolse tutte le sue forze, le ultime, per divincolarsi da quella morsa e ci riuscì, cadendo al suolo stremata.
Portò una mano al collo insanguinato cercando di trascinarsi nella direzione in cui Katie stava scappando.
“Josephine!” urlò la ragazza tornando indietro per raggiungere la sorella.
“Va via!” gracchiò Josephine con le poche forze rimaste, ma i suoi sforzi si rivelarono inutili:
il suo aggressore si era appena avventato sulla ragazza per fare di lei il dessert della sua cena.
“Lasciala” raccogliendo le poche forze rimaste nel suo corpo, Josephine si mise in piedi a fatica, trascinandosi verso il mostro.
Un rumore attirò però l’attenzione di tutti: i due vampiri che avevano attaccato Lia e Jonathan, stavano spingendo l’auto, con i due coniugi all’interno, giù per la scarpata.
“No!” le lacrime bruciavano sul viso di Josephine che aveva assistito inerme alla scena, senza poter fare nulla per salvare i suoi genitori.
In quell’istante, approfittando della momentanea distrazione del vampiro, anche Katie si divincolò dalla sua stretta raggiungendo la sorella.
“Katie” sibilò Josephine.
I loro splendidi occhi si incrociarono l’ultima volta prima che i tre vampiri le accerchiassero.
Le due sorelle si trascinarono verso il bordo del burrone, cercando invano di scappare dai loro aggressori, ma ormai il loro Destino era già stato scritto.
I due che avevano ucciso i loro genitori le sollevarono prendendole per le spalle:
“Bene bene, sarete contente ora che raggiungerete mammina e paparino” ringhiò il terzo vampiro, che con un gesto d’assenso diede l’ordine di liberare le povere malcapitate giù per il burrone, dove i loro corpi si sarebbero persi tra le onde del mare.
Durante la caduta le due sorelle riuscirono a prendersi per mano come facevano quando da bambine correvano insieme nel giardino di casa.
In quegli istanti che sembrarono un’eternità, Josephine tra le lacrime trovò la forza di sorridere per l’ultima volta a sua sorella, la quale rispose con uno sguardo intenso, carico di emozione e dolore allo stesso tempo.
Nello stesso momento Carlisle aveva preso la decisione più importante della sua vita: raccolse tutto il coraggio di cui disponeva e con un piccolo gesto diede ad Edward l’opportunità di vivere una seconda volta.
E questa volta sarebbe stata per sempre.


PICCOLO AVVISO: Questo a mio parere è il capitolo più importante di tutta la vicenda, in quanto segna una svolta decisiva.
Vi prometto che d’ora in poi tutta la storia diventerà meno triste ma ci saranno dei personaggi ad affiancare i protagonisti( soprattutto Josephine) che daranno un tono più ottimistico e allegro alle situazioni…
Grazie a Wind che ha commentato gli ultimi capitoli e grazie a tutti quelli che li hanno letti^_^.
Un particolare ringraziamento va alla canzone dei Last Goodnight “Return to Me”  che mi ha ispirato l’atmosfera delle ultime scene( vedi la caduta delle due sorelle).
Un bacio a tutti…
Evie

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Capitolo 11
*** Senza meta ***


11. Senza meta

Oblio.
Era l’unica cosa di cui avevo reale coscienza al mio risveglio.
Non ricordavo quasi nulla di quanto fosse accaduto prima.
Non sapevo neanche come fossi finita su quella spiaggia, lontana da casa.
Ma non appena mi guardai intorno, tutto fu immediatamente chiaro.
Come in un film, le immagini degli eventi accaduti giorni prima mi passarono dinnanzi agli occhi.
Già, perché erano passati diversi giorni dalla catastrofe che aveva colpito me e la mia famiglia, ma in quell’istante non me ne resi conto completamente.
Mi misi a sedere molto lentamente.
Ricordo di aver passato giorni di inferno prima che mi svegliassi…
Un dolore cupo aveva attraversato il mio corpo e con le sue lance infuocate lo aveva dilaniato sino a farmi perdere completamente il senso della realtà.
Quando finalmente, guardando il mio vestito da sera color panna macchiato di sangue, ricordai per filo e per segno la dinamica dell’aggressione.
Mi alzai di scatto per raggiungere il luogo dove questa era accaduta e lo feci con una velocità sovrumana.
Il mio corpo era cambiato parecchio: sentivo una forza distruttrice esplodermi nelle vene, una forza che stentavo a contenere.
E questo mi piaceva.
Mi piaceva l’adrenalina che il potere mi dava.
Arrivai a destinazione.
Guardando quell’altura mi meravigliai subito: come avevo fatto a sopravvivere?
Mi arrampicai velocemente.
L’asfalto era ancora macchiato del sangue mio e di mia sorella; gli sportelli della nostra auto giacevano incustoditi sul ciglio del precipizio.
Vidi un’ auto avvicinarsi in lontananza e pensai subito di nascondermi.
Salii in alto, sulla parete rocciosa attigua alla strada.
Dall’auto scesero tre uomini, uno dei quali mi sembrò essere un medico.
Pochi minuti dopo, un’altra auto sopraggiunse sul luogo.
Due agenti della polizia si avvicinarono ai tre uomini che stavano esaminando la scena.
“Abbiamo trovato l’auto infondo alla scarpata” disse un poliziotto.
“Dei corpi ci sono tracce?” chiese il medico.
“Si e purtroppo sono loro. Abbiamo sperato sino all’ultimo istante, ma Jonathan e Lia Heart erano nell’auto, senza vita”
A quelle parole mi sentii morire.
Il ricordo di quello che era successo era tremendo.
Ma la conferma lo fu ancora di più.
“Voi avete scoperto qualcosa?”
“Sembra tutto tranne che un incidente. Le macchie di sangue sull’asfalto ce l’hanno confermato”
“E’ molto strano. Chi voleva la loro morte? Era gente rispettabile, non avevano nemici… è tutto molto strano” disse il secondo agente.
“Le figlie? Erano con loro?”
“No. I loro corpi non sono stati ancora ritrovati. Appena avremo notizie vi contatteremo noi.” salutò un agente risalendo in macchina.
Un senso di vuoto mi attanagliava lo stomaco.
L’idea che il corpo di mia sorella fosse sparito assieme al mio mi faceva ben sperare, ma la speranza cedette il posto all’angoscia ed alla disperazione.
Avevo una gran voglia di piangere e mi sforza per far uscire le lacrime, senza successo.
Questo faceva parte della nuova Josephine?
Della Josephine forte, veloce e atletica?
La nuova Josephine non mi piaceva affatto, ma c’era qualcosa che mi affascinava di quella mia nuova condizione.
Non sapevo dire bene cosa fosse, ma fondamentalmente quello stato mi piaceva.
Non appena le due auto ripartirono, decisi di ritornare a casa.
Trovai la casa dei miei genitori assediata!
Tra la tanta gente presente all’interno ed in giardino, riconobbi Constance la vecchia zia di mio padre, sua figlia Lara con il marito e altri parenti alla lontana.
Tutti piangevano la nostra morte.
Guardando dalla finestra, notai che zia Constance reggeva in mano una foto di famiglia scattata almeno un anno prima.
Mi si strinse il cuore nel vedere la tenerezza con cui quella donna osservava i nostri volti fissati in quella cornice d’argento.
Senza farmi vedere da nessuno, salii in camera mia per prendere alcune cose.
Ormai avevo capito che non potevo vivere più in quella casa.
Ceraci di fare meno rumore possibile nell’aprire la porta della mia stanza.
Gli occhi mi caddero automaticamente sul carillon di Edward.
Già Edward… chissà come stava…
Nell’avvicinarmi al settimino, il mio volto si riflesse nello specchio postovi sopra.
Avevo perso completamente quel poco di colorito che avevo guadagnato durante la cura di Carlisle, ma per il resto ero rimasta la stessa.
Tranne che per un piccolo particolare, che per me significava molto: i miei occhi.
Del mio corpo erano l’elemento che preferivo in assoluto.
Quel particolare colore acquamarina che li aveva caratterizzati nei primi 17 anni della mia vita, aveva lasciato il posto ad un rosso vino alquanto inquietante.
Distolsi in fretta lo sguardo e presi il carillon.
Mi avvicinai al comodino per prendere una foto di famiglia simile a quella che zia Constance reggeva in mano, quando sentii un rumore.
Non potevo farmi vedere da nessuno.
L’unica via di uscita era la finestra.
D’altro canto ero indistruttibile, non mi sarei fatta niente cadendo dal secondo piano.
Un attimo prima che qualcuno aprisse la porta, saltai giù e quella notte iniziai a vagare senza meta.


PICCOLO REFERENDUM: Allora dato che sono molto indecisa chiedo un vostro parere.
Preferite che d'ora in poi sia Josephine a raccontare la sua storia o preferite che contunui a scrivere in terza persona?
Fatemi sapere così inizio a scrivere il capitolo successivo!
Comunque ringrazio tantissimo Wind, Melf e Lialian per i bellissimi commenti che avete lasciato lo scorso capitolo!!! Thanks^_^

Ringrazio anche Melf,
Honey Evans e ysellTheFabulous per aver aggiunto la mia storia tra i vostri preferiti! Grazie mille!!
Un bacione grande...
Evie
Ps: la canzone che questa volta ha dato il ritmo ai pensieri di Josephine è "If I talk to God" dei LastGoodnight.
 

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Capitolo 12
*** Edward Cullen ***


Edward 12. Edward Cullen

“Edward, Edward. Mi senti?” Carlisle sedeva accanto al letto del ragazzo.
Erano ormai passati tre giorni dalla sua trasformazione e il ragazzo si sarebbe svegliato a momenti…
Aprì gli occhi.
“Edward!” disse Carlisle sollevato.
Fino all’ultimo aveva temuto che non si risvegliasse, che lui avesse fallito…
“Cosa è successo?” biascicò il ragazzo sollevandosi per mettersi seduto.
“Mi dispiace Edward ma non avevo altra scelta..tu stavi morendo..”
“Dottor Cullen, lei mi ha salvato la vita. Perché si scusa?” chiese limpidamente Edward accennando un sorriso.
Più riprendeva conoscenza, e più si sentiva strano…diverso.
Fissava gli occhi dorati del dottore cercando una risposta al suo comportamento quando sentì qualcosa.
“Ho rischiato. Avrei potuto perdere il controllo ma non l’ho fatto… Spero solo che lui capisca.”
Carlisle non aveva parlato.
Com’era possibile che lui avesse udito una cosa che quell’uomo non aveva detto?
“Dottore cosa dovrei capire?” gli chiese
Carlisle lo guardava frastornato.
“Edward ti senti bene?”
“Si certo. Mi sento molto più forte di prima…solo che è strano…”
“E’ comprensibile Edward. Vedi quando ti sei ammalato io mi sono trovato davanti a un bivio: salvarti sacrificando la tua mortalità, o lasciarti morire.
Io ho scelto la prima”
“Non capisco… che significa sacrificare la mia mortalità?”
“Vedi Edward, tu ora sei cambiato molto” prese un lungo respiro “ sei diventato un
vampiro
Quell’ultima parola rimbombava nelle sue orecchie.
I vampiri non esistevano!
“Cosa sta dicendo dottore?”
“Esattamente quello che hai sentito.
Io sono un vampiro da quasi due secoli ormai. Ho cercato a lungo un compagno che riuscisse a sopportare il mio stile di vita, che fosse disposto a rinunciare a nutrirsi di sangue umano ma niente.
Era ormai da tempo che pensavo a questa possibilità fino a quando tre giorni fa le tue condizioni si sono aggravate dandomi la possibilità di realizzare il mio proposito.”
“I vampiri non esistono! Ho letto molto a riguardo ma sono solo leggende! Com’è possibile che io…io sia diventato un…vampiro?”
“Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi le sofferenze che ti ho procurato in questo giorni…”
“E che ti procurerò con la mia dieta”
Era successo di nuovo.
“Di che dieta parla dottore?”
“Chiamami Carlisle. Non ho parlato di nessuna dieta. Non sarà…”
“Cosa?”
Carlisle si alzò di scatto dalla sedia avvicinandosi alla finestra del suo appartamento.
“E’ possibile. In fondo è già successo… I Volturi ne sono una prova… Non sarebbe il primo...”
“I Volturi? Cosa è già successo?”
Carlisle si votò a guardare il ragazzo sorridendo.
“Sei più speciale di quanto pensassi ragazzo mio.”
Edward era ancora confuso.
Si alzò dal letto.
“E Josephine? Anche lei è un vampiro adesso?”
Carlisle non parlò.
Lasciò che fosse Edward a scoprire la verità leggendo la sua mente.
“La sua famiglia ha avuto un incidente tre giorni fa…non hanno ancora ritrovato il suo corpo. L’ho cercata anche io per cercare di salvarla, ma sembra sparita nel nulla…”
“E’ tutto vero? Lei è…morta?”
Carlisle annuì.
“La tua capacità di leggere il pensiero potrà servirti in futuro…ma potrebbe rivelarsi anche una condanna per te, almeno finché non imparerai a padroneggiarlo”
Non riusciva a pensare ad altro.
La sua vita si era completamente stravolta.
Ora era un vampiro, un essere immortale.
Poteva leggere nella mente delle persone che lo circondavano senza che loro lo sapessero.
Ma la donna della sua vita, il suo grande amore , era morta.
Che senso aveva vivere in eterno senza di lei.
A Carlisle non servì saper leggere il pensiero per capire cosa stava pensando suo ‘figlio’.
“Sarà difficile figliolo, ma con il tempo passerà. Non dico che la dimenticherai… questo sarà impossibile.
Se lo vorrai, da questo momento in poi tu sarai un Cullen.
Vivrai con me e ti insegnerò a cacciare a modo mio.” Disse infine poggiandogli le mani sulle spalle.
Edward annuì.
Era la soluzione migliore.

Quella sera andò a casa della ragazza credendo di trovarla vuota.
Invece un sacco di gente a lui sconosciuta si era riunita attorno ai parenti della famiglia Heart.
La porta era aperta e lui decise di entrate.
In soggiorno un folto gruppetto circondava una donna singhiozzante su una poltrona.
“Povera donna…” pensò un uomo alla sua destra.
Erano i suoi unici parenti qui a Chicago”  pensò un’altra donna seduta su una sedia in un angolo.
D’un tratto un sacco di voci invasero la sua mente.
Pensieri di diversa natura si accavallavano, alcuni troppo deboli per attirare l’attenzione, altri troppo forti da sopportare.
Uscì dal soggiorno.
Un odore particolare invase il suo naso.
Decise di seguirlo su per le scale.
Si fermò davanti la porta di una stanza da letto, socchiusa.
Aspettò un paio di secondi prima di aprirla completamente.
Era vuota.
La finestra era aperta e la tenda svolazzava assecondando il movimento dell’aria quasi notturna.
Eppure gli sembrò di sentire una presenza…
Si guardò intorno e capì immediatamente di aver trovato la sua stanza.
Ne ebbe la conferma quando avvicinandosi al settimino accanto alla finestra, vide una sua foto.
Quella era Josephine.
Il suo splendido volto sorrideva in quella cornice ovale.
Sarebbe stato difficile vivere senza di lei.
Mise la foto in tasca ed uscì dalla finestra, raggiungendo la sua nuova casa.

A quell’ora il porto era deserto.
Josephine sedeva sul bordo della passerella per l’imbarco, sola.
Pensava a tutto quello che le era successo in quei giorni, tutto quello che aveva cambiato la sua vita per sempre.
Teneva il carillon sulle ginocchia.
“Per poco non mi scoprivano per colpa tua” disse aprendolo e perdendosi in quella dolce melodia, la
sua melodia.
Improvvisamente sentì una presenza alle sue spalle.
Si voltò di scatto.
“Finalmente ti ho trovata, Josephine Heart.”


Ringrazio Wind per il suo consiglio!!! Grazie di cuore!
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia...
A presto...
Evie

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Capitolo 13
*** Nuova vita ***


13.  Nuova vita

“E tu chi sei?”
La ragazza si voltò a guardare il giovane alle sue spalle.
Come faceva a sapere il suo nome?
In fondo lei per tutti era morta.
Il ragazzo sorrise dinnanzi la sua reazione.
Le si avvicinò lentamente e con sguardo penetrante disse:
“Non devi aver paura degli amici… Devo dire che stentavo a crederci quando ti ho vista a casa tua poco fa.
Sei molto veloce e starti dietro non è stato facile per un vecchietto come me.”
Quel ragazzo le sembrava sempre più strano e sospetto.
Quando fu abbastanza vicino da essere illuminato dal fascio di luce di un lampione, Josephine riuscì ad osservarlo meglio notando i suoi bellissimi occhi neri come il carbone.
Le si sedette accanto continuando a scrutarla con aria amichevole, osservando attentamente i tratti del suo viso come se non li vedesse da molto tempo.
“Sai, sono stato sulla scena dell’incidente e ho capito immediatamente cosa fosse successo alla tua famiglia.
Vampiri… brutto affare”
“Tu come..?”
Il ragazzo misterioso annuì.
“Dalla bellezza di cinque anni” rise con voce roca.
Josephine non accennava ad abbassare la guardia.
Rimanendo seduta sulla banchina portuale, si allontanò dal ragazzo stringendo al ventre il carillon.
“Come hai fatto a riconoscermi?” disse mentre ciocche di capelli si liberavano dalla stretta del fermaglio sopra la sua nuca.
“Sei una neonata e per quanto tu possa essere prudente è stato facile rintracciarti.
Hai un odore inconfondibile…”
“Perché hai perso tempo a cercarmi? Che vuoi da me?” disse aggressiva mostrando gli affilati canini nuovi di zecca.
“Ehi non ti scaldare chérie! Non ti ricordi proprio di me, eh?”
Josephine lo guardò perplessa.
“Abbassa la guardia Josy! Marco Modigliani ti dice qualcosa?”chiese lui scostandosi i capelli nerissimi dagli occhi.
La ragazza scosse la testa confusa.
Il nome gli diceva qualcosa ma quel tipo non le ricordava nulla.
“La caduta ti ha fatto parecchio male… Però pensandoci bene ne è passato di tempo dall’ultima volta…”
“Marco Modigliani… mi è familiare… Marco…” ripeteva tra sé “Sei il fratello di Elisa, la mia più cara amica d’infanzia! Come sta tua sorella?
Adesso ricordo tutto! Non ci vediamo da più di sei anni, da quando vi siete trasferiti a Detroit…” esclamò colta da un improvviso lampo di genio.
“Finalmente! Mi sono messo sulle tue tracce non appena ho saputo dell’incidente…mi dispiace per i tuoi genitori e per la piccola Katie…
Deve essere difficile per te…adesso…”
“Già”
“Sai, tu mi ricordi tanto mia sorella” Marco si avvicinò nuovamente alla ragazza “Entrambe avete questo neo, proprio qui sotto l’occhio” continuò accarezzandole la guancia destra.
“Marco lei come sta? Le è successo qualcosa?”
“Ci sono molte leggende a riguardo. C’è chi dice che le donne che hanno un neo sulla via delle lacrime, siano destinate a versarne molte nella loro vita…
Altro che leggenda…
Elisa si è sposata un anno fa.”
“Che bella notizia! Sono felice per lei!”
“Con un ufficiale della marina militare… E’ partito qualche mese dopo il matrimonio e ora mia sorella non fa altro che piangere nella speranza che lui torni sano e salvo e al più presto…”
“Mi dispiace… povera Elisa… e tu? Come sei finito qui?”
“Non rimaniamo qui! Avrai bisogno di fare un bel bagno rilassante e di cambiarti d’abito. Ti racconterò tutto nel mio appartamento” disse Marco alzandosi e porgendole la mano “Ti va?”

“Dove sei stato? Lo sai che sei pericoloso in questo momento e che potresti far del male a qualcuno?”
Edward chiuse la porta alle sue spalle.
“Scusa ma avevo da fare”
“Edward dobbiamo essere molto prudenti. Potresti perdere il controllo in qualsiasi momento… Non sei ancora pronto a stare in mezzo alla gente.”
“Risparmiati la paternale. Non sei mio padre. Lui è morto e in realtà  lo sarei anche io tecnicamente…”
“Cosa ti prende adesso? Fino a un attimo fa eri diverso…”
“Bè ti ci abituerai. Io seguo la tua dieta e non uccido innocenti, e tu ti adatti al mio comportamento.”
“E allora visto che ci sei, preparati… Tra un’ora si va a caccia”



NOTE: Grazie Wind e Lialian per i vostri bellissimi commenti!!! VVB
Per Wind: hai ragione Edward dovrebbe essere un pò meno controllato...Grazie per avermelo fatto notare e cercherò di mettere in pratica il tuo consiglio in fututo! Thanks^_^
Ringrazio anche le persone che hanno aggiunto recentemente la mia storia tra i loro preferiti e tutti coloro che la stanno seguendo! Grazie :)
A prestissimo...
Evie

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Capitolo 14
*** Fuoco ardente ***


14.  Fuoco ardente

Nella piccola stanza aleggiava il profumo dei sali da bagno che Josephine aveva versato nella vasca.
Sfregava con forza una spugna sul suo corpo di alabastro, laddove prima vi erano numerose ferite ricoperte di sangue e delle quali ora non restava alcuna traccia.
Nella stanza accanto, Marco aveva acceso un tiepido fuoco per rendere l’atmosfera più calda e accogliente per la sua ospite.
Una mezzora più tardi Josephine entrò nel piccolo soggiorno dell’appartamento in periferia del suo amico d’infanzia.
“Bene. Vedo che ho indovinato la tua taglia” le disse quando la vide entrare con indosso l’abito che lui le aveva lasciato sul letto.
“E anche i gusti” rispose lei facendo una giravolta.
Quel vestito le donava molto: era composto da una gonna lungo sino le caviglie che lasciava intravedere la punta e un po’ di più degli stivaletti bianchi e neri.
Una grossa cinta gioiello intrappolava la camicia di seta a collo alto nella gonna color avorio, e le maniche scendevano morbide sulle braccia, stringendosi al livello dei polsi in splendidi bottoni di madreperla.
Josephine aveva i capelli ancora leggermente bagnati e per questo si avvicinò al fuoco per farli asciugare.
“Ora possiamo parlare?” chiese sedendosi con le spalle al fuoco.
Marco che fino a quel momento se ne stava sprofondato nella poltrona di pelle marrone, alla richiesta della ragazza si sollevò e iniziò il suo racconto.
“Tutto ha avuto inizio quando mi sono arruolato nell’esercito.
Era in corso un’esercitazione e tutto sembrava andare bene quando ad un certo punto successe un imprevisto: un cadetto azionò inavvertitamente un cannone dall’alto di una torre e rischiò di fare una strage.
Io mi trovavo nella traiettoria.
Il colonnello Meyer mi urlò qualcosa che in quel momento non capii se non quando mi voltai ed ebbi giusto il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Diedi l’ordine ai miei uomini di correre e mettersi in salvo.
Una decina di loro rimase ferita, ma non in pericolo di vita.
Tre non ce la fecero e morirono. Me compreso.
O meglio così tutti credono ancora oggi.”
“Chi ti ha trasformato?”
“Il mio ‘slavatore’ fu proprio il colonnello Meyer.
Strano ma vero.
Dopo quell’incidente mi portò via, il più lontano possibile da occhi indiscreti, e mi rese immortale
All’epoca ero appena un ventiduenne.
Sono passati cinque anni da allora.”
“Mi dispiace tanto…” sospirò la ragazza portandosi i lunghi capelli su una spalla sola.
Marco la guardava con un affetto infinito nello sguardo.
L’aveva vista crescere e per lui era come una sorella.
Le voleva molto bene nonostante da piccoli non facessero altro che litigare.
“Che c’è?” chiese Josephine guardandolo con espressione interrogativa.
“Nulla. Pensavo ai tempi passati.” rispose vago “E ora tu che hai intenzione di fare per l’eternità?” chiese sarcastico.
“Per ora diciamo che vorrei mangiare qualcosa… ma non è proprio fame la mia… non so è una sensazione troppo strana…” cercò di spiegare portandosi le mani alla gola.
“E’ sete, chérie. Diciamo che è la versione vampiresca della fame.”
“Bene allora voglio mangiare!”
Marco scoppiò in una sonora risata.
“E ora che hai da ridere?”
“Non è così facile come andare in un ristorante Josy! Dobbiamo trovare il momento e la persona giusta…”
“Perché la persona giusta? Una non vale l’altra?”
Non era un bel pensiero, affatto.
Ma era più forte di lei.
Non avrebbe mai voluto fare a nessuno ciò che lei aveva passato in prima persona, ma forse questo faceva parte della sua nuova condizione…
Non riusciva a capire cosa fosse, ma sentiva dentro di sé un fuoco ardente che le bruciava nelle vene, laddove prima scorreva il suo sangue.
“Josephine Heart! Non sono discorsi da te questi! Bene visto che dovrò educarti alla giusta caccia e a vivere come una persona civile nei limiti del possibile, che ne dici di rimanere qui, a vivere con me?”
“Bè… non ho un altro posto dove andare, e poi hai detto caccia? Ma non è una cosa da uomini la caccia?”
“Non questa chérie. Questa è da vampiri”
“Allora va bene. Resterò qui con te. Ma adesso spiegami qualcosa in più su questa caccia da vampiri.
In passato ho letto diversi libri sull’argomento, e tutti erano molto raccapriccianti. E’ tutto così come viene descritto nei libri?” chiese preoccupata legando i capelli ormai asciutti.
“Quasi tutto. La maggior parte delle cose sono leggenda… Ti dico sin da ora che non dovrai dormire in una bara, semplicemente perché non sentirai il bisogno di dormire.
E che l’aglio puzza e basta. Non serve a niente contro di noi.
Ah, se vuoi puoi anche fare a meno di respirare, non serve ma io ti consiglio di farlo, almeno quando saremo in pubblico”
“In pubblico?”
“Certo! Il generale Meyer mi ha educato come si deve. E io lo farò con te.
Oh oh…mi sa che dovremmo rimandare la nostra prima caccia insieme.
Sta diluviando.” disse il ragazzo indicando fuori.
“Peccato…”
“Aspetta! Credo di avere un paio di mantelli di là. Torno subito”
Non appena Marco si allontanò, Josephine aprì le ante del balcone uscendo all’esterno, tendendosi al riparo sotto una tettoia.
La sua vita era cambiata e lei doveva accettare quel cambiamento.
Sarebbe stato difficile dimenticare il passato, forse impossibile.
Ma ormai non poteva tornare indietro.
Doveva andare avanti e Marco l’avrebbe aiutata, nonostante il suo desiderio di fuggire, anche da lui, si alimentasse ogni secondo di più.
“Trovati!” l’esclamazione del suo amico la distolse dai suoi pensieri.
“Cosa c’è Josephine?”
“Andiamo via da qui”
“Dove vorresti andare, chérie?” le chiese avvolgendola in uno dei mantelli.
“Lontano da Chicago”


Per Lialian: Tranqui Edward e Josephine si rincontreranno presto!
Per Wind: Sono contenta ti sia piaciuto l'Eddy ribelle^_^!! Ah sto iniziando a leggere la tue fiction e devo dirti che "Ranocchio Mortale" mi è piaciuta davvero tanto!!! Sei proprio brava!!
Buon week-end a tutti!!!
Besos...
Evie

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Capitolo 15
*** Tutto quello che ho ***


Bene, eccomi qui all’esordio con la mia prima song-fiction.
Diciamo che è nata per caso ascoltando questa canzone di Matteo Branciamore( l’unica che mi piace) e indovinate chi mi è venuto subito in mente???
Lo avrete capito sicuramente…
Ebbene immaginate il nostro adorato Edward, solo e sconsolato, coricato sul suo lettino che osserva scendere la pioggia su Chicago, si volta e sul comodino vede la sua foto…
E così inizia a scrivere una lettera che non spedirà mai.

15. Tutto quello che ho

Piove anche qui
E aspetto che
Passi un pensiero
Diverso da te

Piccola mia,
quanto tempo è passato da quel giorno.
Pioveva a dirotto, ma io ostinatamente uscii lo stesso quella mattina.
Quanto ti arrabbiasti quando Catherine te lo disse!
Desideravi che mi curassi bene l’influenza, ma non potrò mai scordare il tuo sorriso quando entrai nella tua stanza.
Mi fece dimenticare in un secondo che ero zuppo d’acqua sin dentro le scarpe.
Ora la pioggia è per me un tormento...
E me ne resto qui nell’impossibilità di agire aspettando che il tempo guarisca le ferite, aspettando che passi un pensiero diverso da te.

Uno sguardo per
Rendermi conto che
Che mi intristisco un po’
È una fotografia
Rubata in casa tua
Quand’eri con me
Per me
Con me

Ma mi risulta tutto più difficile da quando non ci sei.
Mi volto e ti vedo là, in quella splendida fotografia che in un attimo di impulsività ho rubato a casa tua la sera del mio risveglio, quando ormai tu non dormivi più là.

Pensieri di te
Di tutti quei piccoli momenti
Che fan grande
un giorno con te
Lo pagherei oro e argento
Riso e pianto
Tutto quello che ho

Non passa un giorno che non rivolga un singolo pensiero a te, a tutti i pochi e fugaci momenti che abbiamo passato insieme.
Da quello strano incontro in ospedale, alla paura di perderti da un momento all’altro…
Ma ancora un solo giorno, uno solo in tua compagnia io chiedo al cielo.
Sono disposto a pagarlo a peso d’oro.
Persino con la vita.
Con tutto quello che ho.

In fondo sai
Gli errori miei
Io li ho commessi
Inseguendo un “Se poi..”

Ho commesso un errore fondamentale che mi ha allontanato da te.
Che ti ha fatta fuggire…
L’ho letto nella mente di Carlisle e ti chiedo scusa…
Dovevo darti retta.
Avrei dovuto dare peso alle tue preoccupazioni, così magari sarei guarito in tempo.
In tempo per legarti a me per sempre.

Chiuso dentro di me
Senza un vero perché
Io non ne esco mai
Basta fotografie
Appese a nostalgie
Ti voglio per me
Con me
Per me

Ora mi chiudo come un riccio che ha paura del mondo esterno.
Non riesco a vivere come dovrei.
Guardo quella fotografia, un appiglio per i miei ricordi.
Ma anche per le mie nostalgie.
Ti vorrei qui, adesso, al mio fianco, abbracciata a me sul mio petto freddo.


Ritorno da te
Da tutti quei piccoli momenti
Che fan grande
un giorno con te
Lo pagherei oro e argento
Riso e pianto
Tutto quello che ho

Carlisle non lo sa, ma ogni singolo giorno io ritorno da te.
Mi fermo a sentire il tuo profumo nella tua stanza, e lì in ospedale dove ci siamo conosciuti e dove per me sei rimasta.
Ho bisogno di te, dei nostri piccoli momenti che mi hanno aiutato a crescere, delle tue paure e delle mie che venivano automaticamente annullate da un tuo sguardo, dei sorrisi e delle lacrime che ora non riesco più a versare.
Ho bisogno di te.
E anche un singolo istante di nuovo con te lo pagherei tutto quello che ho.




Eternamente tuo

Edward

Ringrazio Wind. Lialian e Storytellerlover per i bellissimi commenti che avete lasciato lo scorso capitolo.Grazie!!!
Ringrazio anche tutti coloro che continuano ad aggiungere la ma storia tra i loro preferiti e anche chi la legge( e siete in tanti davvero)!!!
Continuate a seguire le vicende di Josephine ed Edward!!
A presto.... Besos...
Evie
 


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Capitolo 16
*** Segreti e bugie ***


16. Segreti  e bugie

Era passato ormai più di un mese dalla mia trasformazione e dall’ incontro con Marco.
“Chérie, vivere con te è una pacchia” mi disse Marco sdraiato sul grande letto in camera mia, nella nostra nuova abitazione temporanea.
“Lo sai anche tu che è per poco tempo. Non possiamo trattenerci a lungo qui.
Si insospettirebbero” gli dissi tormentandomi le mani per l’ansia.
“Dai rilassati sorellina. Lo so che presto dovremmo partire, anche se mi dispiacerebbe lasciare San Francisco… E’ un bel posto”
“Piace anche a me, ma lo sai quanto mi costi mantenere l’autocontrollo ancora. Vivere con altra gente, per giunta gentile e generosa con noi, non mi sembra la soluzione ideale in questo momento.
Ho paura di far loro del male…”
Me ne stavo appoggiata al grande finestrone che dava sul balcone, mentre la pioggia scrosciante bagnava i vetri nella notte.
“Ehi, non devi preoccuparti. Ci sono io con te. Non succederà nulla che tu non voglia.
Vieni qui”
Guardai Marco sorridendo.
Era davvero molto premuroso con me.
Lo era sempre stato.
Mi avvicinai a mi sdraiai sul letto, accoccolandomi tra le fredde braccia del mio nuovo fratello.
“Tranquilla Josephine” mi sussurrò all’orecchio “Andrà tutto bene”
“Ti prego, continua a parlare. Sai quanto mi irriti la pioggia…”
“Ti ci dovrai abituare. Siamo nella stagione delle piogge”

Il giorno prima nel parco di San Francisco.
“Allora siamo intesi? Se qualcuno ti chiede qualcosa e tu non puoi fare a meno di scappare, tu sei Gloria Modigliani ma se puoi scappa.
 Aspettami qui e qualsiasi cosa succeda…”
“…resta il più lontano possibile dagli esseri umani. Torna presto Marco.” lo supplicai stringendogli le mani nelle mie.
Mi sorrise come faceva quando c’era un problema e lui doveva rassicurarmi ad ogni costo.
“Stasera avremo una casetta splendida dove stare, tutta per noi.
Te lo prometto”
Non appena lui si allontanò, mi sedetti su una panchina, all’ombra di una grande quercia.
Quella mattina il sole pungeva ed era particolarmente fastidioso.
Non prometteva nulla di buono.
Sentivo che il tempo sarebbe cambiato da un momento all’altro e che la pioggia avrebbe presto bagnato anche la baia di San Francisco.
Mi stava inseguendo o cosa?
Ero immersa in questi bizzarri pensieri quando, circa un’oretta più tardi, un uomo anziano, sulla settantina mi si avvicinò sorridente.
Passeggiava con disinvoltura accompagnandosi ad un bastone in legno con la testa in argento, avvolto in un lungo cappotto nero.
Un elegante cilindro copriva la testa canuta, e due baffetti si aprivano come un piccolo siparietto di teatro ogni qual volta l’uomo sorrideva.
Ricambiai il sorriso per semplice cortesia.
Distolsi immediatamente lo sguardo riprendendo a fissare il tronco di una betulla un paio di metri più avanti.
“E’ occupato questo posto, signorina” disse la voce calda e profonda di quell’uomo rivolgendosi a quanto pare, proprio a me.
Il mio istinto mi diceva di scappare.
Era troppo presto per relazionarmi con esseri umani.
Sentii per la prima volta dopo più di un mese il terrore invadere il mio corpo, che ormai credevo insensibile a queste sensazioni.
A quanto pare mi sbagliavo.
Feci un cenno ambiguo con la testa che quello sconosciuto interpretò come un si.
Scivolai il più lontano possibile.
Sentivo il suo odore penetrarmi nella testa, ma dovevo essere più forte.
Dopo tutto durante il viaggio in treno ce l’avevo fatta…
Pare che tutte quelle sevizie facessero parte della mia educazione.
“Bel pomeriggio non trova” mi chiese vago scrutando il cielo.
“Sta arrivando la pioggia” dissi freddamente continuando a fissare la betulla.
“Che occhio. Nonostante il cielo sia limpido, lei è riuscita ad andare oltre le apparenze… a sentire il sottile odore della pioggia nell’aria. Complimenti” mi sorrise benevolo.
Evitavo di incrociare il suo sguardo.
“Lei è straniera, vero?” disse indicando le valigie accanto alle mie gambe “Viaggio di nozze?” indicò l’anello in oro bianco al mio anulare sinistro, regalatomi da mia madre.
Per la prima volta mi girai a guardarlo accigliata.
“Mi scusi. Non sono affari miei” si scusò
Mi voltai di nuovo a fissare la betulla.
 “Non sono sposata. Sono qui con mio fratello che in questo momento sta cercando una sistemazione provvisoria per la notte”
“Capisco. Ma sa una cosa? Guardandola meglio lei somiglia molto ad una cantante lirica che conobbi qualche anno fa a Parigi, all’Opera.
 Si chiamava Lia, siete per caso parenti?” disse scrutando curioso il mio profilo.
Perfetto.
Non sapevo se fosse un mio superpotere da vampira, ma era certo che ci volesse una grande abilità per riuscire ad incontrare l’unico abitante di San Francisco che conoscesse mia madre…
“No, mi dispiace” mentii spudoratamente.
Avevo da sempre saputo della mia fin troppo evidente somiglianza con mia madre e speravo di tutto cuore di aver convinto quel tizio.
“Eppure credevo di non poter mai più rivedere questo colore di capelli…è particolare, unico nel suo genere…”
Ora guardava i miei capelli.
Devo ammettere che ne andavo molto orgogliosa.
Era davvero un colore unico.
Mi girai per sorridergli “Gloria Modigliani. Piacere” dissi d’un getto porgendogli la mano che lui sfiorò con le labbra.
“Lord Arthur Winchester”
“Lei è un lord? Ma allora è inglese!” dissi sorpresa.
“Esattamente cara. Per diritto di nascita. Mio nonno arrivò qui in America per concludere alcuni affari e dopo qualche anno decise di trapiantarsi qui, pur continuando a fare il pendolare.”
“Ho sempre desiderato andare in Inghilterra… ma purtroppo non so quando questo accadrà…”
“Suvvia Gloria, non disperi.” mi disse notando un mio rabbuiamento improvviso.
“Mi scusi. E’ un periodo terribile per me e mio fratello… vede, abbiamo perso i genitori un mese fa e siamo venuti qui per ricostruirci una vita nuova”
Non credevo alle mie orecchie.
Per quale assurdo motivo mi stavo confidando con quello sconosciuto non lo sapevo.
In fondo non parlavo della morte dei miei genitori da troppo tempo…un piccolo sfogo mi avrebbe fatto bene dopotutto…
“Sono costernato. Mi dispiace molto… Se posso esserle utile in qualche modo…”
Mentre Lord Arthur pronunciava l’ultima frase, vidi Marco agitare una mano nella mia direzione.
“Abbiamo un posto dove stare per un paio di giorni, dopodiché dobbiamo cercarci un’altra sistemazione…niente male per essere il primo giorno” disse quando si avvicinò.
“Va bene. Allora arrivederla lord Arthur. Grazie per la compagnia…”
“Aspetti Gloria. Se non le dispiace vorrei offrire a lei e a suo fratello una sistemazione… potrete rimanere quanto vorrete.” mi propose guardando curioso il colore impossibile dei miei occhi.
Io guardai Marco scuotendo la testa in modo impercettibile.
Lui annuì sorridendo.
“La ringraziamo lord Arthur” accettò per tutti e due.
Lo fulminai con un occhiataccia.
“Sarà un buon modo per continuare il tuo addestramento chérie.” mi sussurrò velocemente all’orecchio.
Feci una smorfia di disapprova mento.
“Benissimo! Allora se vogliamo andare, il mio autista ci aspetta” disse esultante offrendomi il braccio.
Marco mi fece l’occhiolino prendendo le valigie.
Dopotutto, cosa mi costava rendere felice quell’adorabile vecchietto?



Note: Ebbene a grande richiesta e per vostra felicità, Edward e Josephine si rincontreranno prima di quanto avessi previsto!!! Come avete notato qst capitolo è un tantino più lungo degli altri per agevolare il loro ritrovamento^____^
Dovrete avere ancora una manciata di capitoli di pazienza.
Sono contenta vi sia piaciuta la song fiction!!!
Wind: Grazie per le tue recensioni sempre bellissimeeee!!!!
Storytellerlover: Come hai notato ho seguito uno dei tuoi preziosi consigli e ho scritto qst capitolo seguendo il punto di vista di Josephine! Grazie mille anche a te!
Bimbaemo: anche per me le storie vivono e mi aiutano a vivere in un mondo che non esiste in quanto 1. i vampiri non esistono ed è stato provato, 2. le storie d'amore aimè non durano in eterno... Continua a seguire la storia!
_Tessy_:Grazie per i complimenti! Come ho già detto Josephine e Edward si rincontrenno prestissimo!

Raga a prestissimo
Besos
Evie

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Capitolo 17
*** Caccia selvaggia ***


17. Caccia selvaggia

Josephine POV

1921.
Trascorsero la bellezza di tre anni.
Tre anni di completa immobilità.
Tre anni durante i quali la mia vita non subì grandi variazioni.
Tre anni che abitavo nella stessa casa.
Ebbene sì.
Nonostante fossi io la prima a volermene andare, in tre lunghi anni non trovai il coraggio di farlo e né Marco mi spinse ad una decisione.
Mi doleva il cuore al sol pensiero di lasciare il povero lord Arthur.
Si era talmente affezionato a me da considerarmi come una figlia e, come tale, non avrei mai e poi mai voluto dargli un dispiacere così grande.
Nell’ultimo periodo aveva iniziato a soffrire di cuore, ed un mio abbandono gli sarebbe stato fatale.
D’altro canto, il mio autocontrollo migliorava giorno dopo giorno. Marco era molto orgoglioso, ed allo stesso tempo strabiliato per le capacità che in quel breve lasso di tempo ero riuscita ad acquisire ed affinare.
Ogni giorno di più non finivo di meravigliarmi di tutto quello che mi succedeva, che succedeva al mio corpo ed alla mia mente.
Perdevo molto spesso la concentrazione, è vero, ma nulla è paragonabile all’adrenalina che ti dà la scoperta di un nuovo potere.
Ben presto mi accorsi che la superforza e la velocità facevano parte di quel bouquet di piccoli dettagli che caratterizza un vampiro alla sua nascita.
Ma alcuni di noi si riescono a distinguere con un dono speciale.
La sua provenienza è un mistero, come è un mistero il perché solamente pochi prescelti ne possano avere uno.
Io ho messo un po’ di tempo per scoprire quale fosse il mio.
Illusione.
Così l’ha definito Marco.
Confusione totale.
L’avevo definito io.
Già confusione, perché in fondo era quello che facevo.
Con un sottile gioco della mente riuscivo a confondere le persone che mi stavano accanto, facendo loro credere di vedere cose o provare sensazioni che in realtà non esistevano.
Era tutto fittizio, un sogno.
Bellissimo per alcuni.
Orrendo per altri.
E già, perché dopo un mio primo momento di smarrimento, iniziai ad avere una padronanza assoluta di questo nuovo mistero.
E la cosa mi divertiva molto.
La mia mente era diventata molto più spaziosa e questo si rivelò in parte un vantaggio, in parte uno svantaggio per le continue distrazioni…
Per imparare a gestire il tutto, feci un po’ di pratica con un’abitante della villa: lady Margaret, la perfida nuora di lord Arthur, sposa di quell’avido di suo figlio Max.
Quell’ossuta, insipida donnina ci aveva dato filo da torcere sin dal primo momento che mettemmo piede in casa Winchester.
Non dimenticherò mai la sua espressione terrorizzata, quando una notte, mi intrufolai in camera sua con gli abiti macchiati di sangue e con profonde ferite sul collo, brandendo un pugnale d’argento con l’intento di ucciderla.
Se non fosse stata solo una, a mio parere, divertente illusione nulla mi avrebbe trattenuto dal farlo.
Ancora tremante, Margaret svegliò ogni singolo abitante della casa accusando me di un’ infamia.
Ovviamente tutti si schierarono dalla mia parte dando a lei della pazza.
Da quel giorno Margaret mi stette alla larga, rivolgendomi la parola a stento ed uscendo dalle stanze nelle quali entravo io.
Marco mi sgridò non poco, rammentandomi i rischi che avevo corso con il mio gesto. Ma io gli lessi in fondo agli occhi quel pizzico di orgoglio che non lo faceva pentire di avermi allevata.
Solo una cosa mi turbava:i ricordi.
Ogni giorno sembravano allontanarsi sempre più dalla mia mente, mi sfuggivano di mano e dovevo fare uno sforzo assurdo per trattenerli con me.
Fu per questo motivo che decisi di tenere un diario.
Così tutto ciò che mi era accaduto nella vita da umana era fissato li tra le pagine del mio diario.
E proprio mentre fissavo un altro ricordo, Marco entrò nella mia stanza.
“Chérie, stasera si caccia. Preparati. Ho trovato un posticino nei bassifondi di una provincia qua vicino che ci darà un’ampia scelta di criminali di cui nutrirci”
“Bene!” esultai perdendomi nello squillare melodioso della mia voce “Mi preparo subito così possiamo partire prima”.
Marco annuì con forza uscendo dalla mia camera.
Un’ora più tardi eravamo là, tra la feccia della feccia della provincia di San Francisco.
Era una nostra abitudine, ed in qualche modo una questione morale il fatto che ci nutrissimo solo di persone che avevano fatto del male ad altri.
Era un nostro modo per vendicare le vittime dei loro soprusi.
E per fare ciò, avevamo una tecnica: io cantando li attiravo in vicolo poco illuminati, e Marco li attaccava alle spalle.
Quella notte ero più affamata del solito.
Mi avventai sul primo alla mia destra prima dell’entrata in scena di mio fratello, succhiando avidamente tutte le gocce della sua linfa vitale.
Il mio corpo riprese immediatamente calore: sentii le guance colorirsi e le occhiaie violacee diventare meno pesanti, mentre gli altri malcapitati ebbero solo pochi attimi di vita per fissarmi disgustati e troppo terrorizzati per scappare.
Fu una strage, è vero.
Ma non mi pento un solo istante di quello che facciamo.
Perché dovrei?

Edward POV

Correvamo velocissimi.
Più veloci di quanto avessimo mai fatto.
La sottile afa pomeridiana accarezzava i nostri corpi come un manto vellutato.
La sete mi faceva bruciare la gola, ma cercavo di non pensarci.
Mi concentravo sui magnifici dettagli della nuova foresta.
Già, nuova perché Carlisle ed io ci eravamo da poco trasferiti.
Avevamo dovuto allontanarci da Chicago.
Troppi ricordi impregnavano l’aria ed i luoghi della città dell’Illinois.
Cercai di non pensarci ma ero facile preda della distrazioni.
Carlisle diceva che pensare ai miei ricordi umani avrebbe fatto sì che non li perdessi del tutto, così per ovviare alla noiosa vita di provincia oppure alla sete, pensavo all’ultimo periodo della mia vita, quello passato con la mia Josephine.
Il più bello in assoluto.
Poi la mia mente si perdeva improvvisamente nei ricordi della mia infanzia, delle feste di compleanno circondato dai miei cari.
Quei cari che la spagnola mi aveva portato via.
Pochi mesi dopo la mia rinascita, scoprii che altri miei parenti erano morti infettati dal virus.
Questo non fece altro che aggiungere dolore al dolore.
Carlisle colse al volo i miei pensieri.
“Concentrati Edward!” mi ammonì mentre perdevo momentaneamente la via della caccia.
“Scusa. Farò più attenzione”
“Dobbiamo stare più attenti qui Edward. Primo perché è pomeriggio. Secondo perché questo bosco è a ridosso della città. E’ facile perdere la scia da seguire”.
“Va bene”.
Quella notte Carlisle avrebbe avuto il turno in ospedale e quindi ci toccava cacciare il pomeriggio.
Che seccatura…
Odiavo cacciare quando il sole era ancora alto in cielo.
Ma la sete era troppa e troppo forte per poter resistere ancora un giorno.
Fui io a chiedere a Carlisle una battuta di caccia extra.
In poco tempo trovammo il nostro bersaglio: quattro puma placidamente acquattati sotto delle antiche betulle.
Un gioco da ragazzi.
Corsi più veloce del mio compagno.
Era diventato gradevole correre con lui nell’ultimo periodo.
Senza fare il minimo rumore, mi misi in posizione di caccia e mi avventai sulla mia ignara preda.
Non ebbe il tempo di reagire che i miei canini affilatissimi gli si conficcarono dritti in gola.
“Avevi davvero sete allora” mi disse Carlisle agguantando e uccidendo la sua preda.
Non gli risposi e continuai la mia caccia inseguendo i due animali che ci erano sfuggiti poco prima.
Quello stile di vita non mi piaceva.
Non mi riuscivo a saziare.
E il mio cuore sapeva bene che presto mi sarei ribellato.


Perdonate il mio ritardo ma le feste sono state più dispersive di quanto mi aspettassi.
Inanzitutto BUON ANNO!!!!
Poi passando al capitolo, come avrete notato è diviso in due parti e narrato da due diversi punti di vista.
Inoltre assistiamo al ritorno del nostro Eddy( lo so che il suo racconto è più corto ma avrà più spazio in fututo).
Ringrazio quindi tutti coloro che leggono e recensiscono la mia storia, chi la legge e basta e chi continua ad aggiungerla nei propri preferiti! Grazie!!!!^_^
Esulto anche per il ritorno alla lettura di mia sorella che non leggeva da tempo la mia storia! TVTTTTTTTTTTTTTB
Besitos amigos!!!
A prestissimo(spero)
la vostra...

Evie

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Capitolo 18
*** Esme ***


Note: alloooraaa, prima di tutto mi scuso per i due secoli che ho messo per scrivere questo benedetto capitolo, poi vorrei fare delle precisazioni: nella prima parte(eddy pov) vi faccio sbirciare un po’ nel futuro(che avverra’ tra 2 o 3 chappy)… nella seconda parte invece mi riallaccio al capitolo 17, precisamente al dopo caccia di eddy e carlisle.
Thanks to:
-la mia amica sabry che ha scoperto da poco la mia fiction! La prossima volta ti avviso prima promesso!!!
-wind per tuoi bellissimi commy!!!
-storytellerlover: ebbene si josephine si ricorda benissimo di Edward ma questo si capira’ solo nel prossimo capitolo!!
-my sister: adoro i tuoi commy kilometrici! TVB
-lithia del sud che mi ha aggiunta tra i suoi autori preferiti!
E ora buona lettura!!!!!!!


18. Esme

Edward  POV

4 Giugno 1922

Finalmente ci ero riuscito.
Ce l’avevo fatta.
Era scappato da Carlisle, da quel suo mondo contro natura, dal suo modo di pensare che a mio avviso era sbagliato.
Da quel momento presi in mano le redini della mia vita come avrei dovuto fare dal primo giorno della mia nuova vita.
E così ero tornato dove tutto era iniziato.
Chicago.
La mia bella Chicago.
Là ero nato e morto allo stesso tempo.
Era là che avrei vissuto il resto della mia vita con lei.
Se solo avessimo avuto un po’ più di tempo.
Se solo il destino non ci avesse separati prematuramente.
Tornavo in quel mio piccolo mondo del passato quasi a voler una conferma.
Non riuscivo a rassegnarmi per la morte di Josephine e in fondo al cuore credevo di poterla rivedere di nuovo, a casa sua.
Carlisle aveva cercato in più modi di farmi cambiare idea, ma la mia decisione restava troppo radicata dentro di me.
Esme era disperata.
Mi si era affezionata molto, ed io a lei.
Poco dopo la sua trasformazione aveva sposato Carlisle… amore a prima vista.
Era frustrante rimanere con loro, con il loro amore che penetrava non volendo la mia testa in continuazione.
Ancora non ero in grado di isolarmi al punto da non sentire…
Quella mattina passeggiavo per le vie di Chicago a me care.
Era una giornata molto assolata, una vera disgrazia per quelli come noi…Carlisle mi aveva raccomandato più volte di non espormi alla luce del sole in presenza di un essere umano, e lì ce n’erano parecchi.
Così cercai ti ripararmi il più possibile sotto i viali alberati o provvidenziali zone d’ombra qua e là.
Distrattamente camminavo senza una meta, quando eccola: la villa in stile ottocentesca degli Heart troneggiava dinnanzi i miei occhi.
Tutto era rimasto uguale all’ultima volta che l’avevo vista.
Solo un piccolo particolare differiva: l’abitazione era tornata a vivere dopo anni di immobilità.
Era stata venduta.
Non potevo crederci… un senso di vuoto mi attanagliò lo stomaco nel sentirne le voci all’interno.
Una giovane donna, nella cucina, stava dipingendo un paesaggio da regalare alla padrona di casa.
Altri due uomini giocavano a carte nel soggiorno.
Sembrava una famiglia felice, umana quasi, se non fosse stato per il loro odore.
Vampiri.
Dei vampiri abitavano la casa della mia Josephine?
Mentre questi pensieri prendevano forma nella mia vastissima mente, fui distratto da un odore più forte.
Aguzzai bene la vista e notai che sotto il portico, nell’ombra, c’era qualcuno.
Una figura immobile, una giovane donna, stava seduta sugli scalini appoggiata passivamente alla ringhiera di legno.
Sarebbe sembrata una statua di cera se non fosse stato per il su e giù del petto ad ogni suo automatico respiro.
Mi colpì il modo in cui era vestita, non convenzionale alla moda del tempo: solo un prendisole beige copriva il suo corpo perfetto, lasciando scoperte le ginocchia e anche un po’ di più.
Talvolta interrompeva la sua immobilità stiracchiandosi le gambe o giocherellando con il fiore rosso che stringeva tra le mani.
Una cosa mi disturbava:l’impossibilità di scorgere il suo volto, nascosto da un ampio cappello di paglia, cinto da un nastro porpora.
La scena rassomigliava ad uno splendido dipinto in bianco e nero se non per quei due particolari purpurei.
Non ci credevo.
Più stavo lì ad osservarla e più mi convincevo dell’impossibile: quella ragazza somigliava in modo incredibile a Josephine!
Impossibile appunto. Ma tutti i suoi piccoli gesti mi ricordavano lei.
Se solo avessi potuto vederle il volto!
Una folata di vento mi invase le narici con il suo profumo…irresistibile. La ragazza del mistero sapeva di primavera, di fresie e spezie orientali.
Ero inebriato da quella fragranza. Era come se quella sconosciuta mi attirasse involontariamente a sé.
Un risolino acuto le scosse le spalle. Sicuramente aveva ascoltato le imprecazioni provenienti dal soggiorno.
La donna nella cucina si affacciò dalla finestra:
“Gloria l’ho finito! Ho bisogno del giudizio di una persona di gusto però! Sai che ci tengo molto al tuo regalo…”
“Arrivo subito.” rispose lei con voce argentina.
Gloria.
Quindi lei si chiamava così.
Tutte le speranze che avevo serbato sino all’ultimo si frantumarono nel sentirne il nome.
Anche la voce non era la sua, troppo squillante.
Ma ciò non mi avrebbe impedito di tornare da lei.
Gloria entrò in casa muovendosi troppo velocemente per un essere umano, abbandonando il fiore rosso sullo scalino dove prima lei era seduta.
A quel punto agii d’impulso: mi guardai intorno per appurare che non ci fosse nessuno e nel momento giusto attraversai la strada a grande velocità, raccolsi il fiore e mi allontanai, riprendendo il mio vagare, perdendomi nel suo profumo impresso su quel fiore rosso sangue.

Carlisle POV

Circa 8 mesi prima…

“Ho il turno di notte oggi. Hai bisogno di qualcosa?” chiesi ad Edward non appena tornammo a casa dopo la caccia.
“No grazie. Pensò che studierò un po’ dei tuoi libri per occupare il tempo. Incredibilmente mi sto appassionando alla medicina.”
“Si in effetti se continui così, presto ne saprai più di me”
Era raro vedere mio figlio sorridere.
Mi faceva piacere.
Uscii prima quella sera. Ne avrei approfittato per mettere un po’ in ordine le scartoffie nel mio ufficio.
Mi ero da poco messo a sistemare uno scaffale in legno quando un mio collega entrò nel mio ufficio senza bussare.
“Carlisle c’è un’emergenza e siamo a corto di personale…”
“Arrivo subito” lo interruppi abbandonando due grossi volumi su di una sedia.
L’emergenza di cui parlava era al pronto soccorso.
Arrivati al piano terra trovammo altri medici e infermiere immobili attorno un lettino imbrattato di sangue.
“Cosa succede?” chiesi avvicinandomi, ma la risposta non venne da una delle persone là presenti.
Una donna dalle sembianze a me note, giaceva sfigurata sul lettino.
Mi voltai a guardare una delle infermiere, la quale scosse la testa asciugandosi gli angoli degli occhi con le dita.
“Si è buttata da una scogliera questa mattina. Povera donna…doveva essere davvero disperata per tentare una gesto così…così estremo”
Morta.
Mi fissai a guardare meglio la donna esanime riconoscendola a stento.
“Esme” sussurrai
“La conosce dottore?” mi chiese una voce alla mia destra.
Annuii.
Esme Anne Platt la ragazzina che circa dieci anni prima si ruppe una gamba nel tentativo maldestro di salire su un albero e che io curai.
La piccola Esme era diventata una donna.
Non avrei mai creduto di rincontrarla in quelle drammatiche circostanze...
Improvvisamente ci fu un gemito, impercettibile ma ci fu.
Era viva.
Qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo agire.
“La porto io in obitorio” mi offrii e quel mio desiderio non mi venne negato dai miei colleghi, che mi osservarono spingere la barella oltre la porta più odiata.
Cosa l’aveva portata al suicido?
Cosa l’aveva sconvolta a tal punto?
Non era il momento di farsi domande.
Mi avvicinai lentamente a lei e la morsi nel modo più dolce e indolore che conoscessi.
Per un istante lei spalancò gli occhi e inarcò la schiena per poi tornare a giacere inerme sul lettino, come prima.

Passarono tre lunghissimi giorni durante i quali non mi allontanai da Esme.
Subito dopo la trasformazione, l’avevo portata nella casa dove vivevamo Edward ed io.
Edward non era stato molto d’accordo con la mia decisione.
La considerava un atto puramente egoistico, come quello che a suo parere mi aveva spinto a trasformare anche lui anni prima.
Per me era diverso.
Ad Edward mi legava un sorta di affetto paterno, affetto che si era intensificato nel periodo della spagnola.
Con Esme era tutta un’altra cosa.
Inizialmente un forte sentimento di compassione mi aveva portato a salvarle la vita, ma durante quei giorni le cose erano cambiate.
Un qualcosa di profondo mi aveva tenuto incollato su quella sedia per tre giorni interi, senza farmi uscire di casa, costringendomi a prendere il mio primo periodo di “malattia” a lavoro.
Finalmente capivo cosa aveva provato Edward durante la malattia di Josephine.
La grandezza di quel sentimento mi era d’un tratto chiara.
“Si sta svegliando” disse Edward comparendo improvvisamente al mio fianco.
Spostai automaticamente lo sguardo su mio figlio.
 Aveva sentito tutto, lui era il solo al quale non avrei mai e poi mai potuto mentire.
Un mugolio attirò la nostra attenzione.
Lentamente Esme stava riprendendo conoscenza.
Aprì gli occhi, si guardò confusamente intorno e con uno scatto scese dal letto.
“Dove mi trovo?” disse in un sibilo
“Esme non aver paura” la rassicurai andandole incontro e posando le miei mani sulle sue spalle.
Scrutò il mio volto con attenzione “dottor Cullen?” chiese incerta.
Le sorrisi annuendo stancamente e lei buttò le sue braccia attorno al mio collo abbracciandomi con calore.
Sentì Edward trattenere il respiro e mi voltai vedendo la sua espressione sconvolta.
“Cosa c’è?”
“ Niente. Ho letto nella sua mente…”
“Carlisle cosa sta succedendo? Cosa è successo? Perché sono ancora viva?” d’un tratto Esme tornò ad appiattirsi alla parete ricordando la situazione spiacevole che aveva vissuto, tornando alla realtà.
“Esme devo darti un po’ di spiegazioni, dopo potrai scegliere cosa fare.
Siediti accanto a me”

 
Evie

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Capitolo 19
*** Ultime volontà ***


Dedico questo capitolo
A  Giada ed alla nuova arrivata,
la piccola Rebecca,
le due stelline del mio
cuore.


19. Ultime volontà

Josephine POV

Quella giornata era cominciata davvero male.
Me ne stavo tranquilla e beata in camera mia quando una terribile notizia stravolse i piani della mia mattinata: le condizioni di lord Arthur era decisamente peggiorate nella notte.
Quasi sicuramente non sarebbe sopravvissuto abbastanza da vedere l’alba dell’indomani.
Il maggiordomo di casa Winchester era piombato nella mia camera dandomi l’annuncio.
“Signorina Gloria, lord Arthur ha chiesto di vederla. Ho già avvisato suo fratello delle condizioni del signore.” aveva detto con le lacrime agli occhi.
Senza neanche dirlo, uscii immediatamente dalla mia stanza e trovai mio “fratello” ad attendermi in corridoio.
“Hai saputo?” mi chiese camminandomi accanto.
Annuii concentrandomi per camminare nella maniera più disinvolta che conoscessi.
“Ieri sera ho letto il tuo diario…sai per aggiungere dei particolari che ricordo della nostra infanzia…”
“..E?”
“…e ho notato che non hai scritto niente su lui… è successo qualcosa che io non so?”
Smisi all’istante di camminare e voltandomi verso Marco dissi:
“Edward è l’unico ricordo che non ho bisogno di fissare su un patetico foglio di carta. Sarà sempre impresso nella mia mente e nel mio cuore. Il suo ricordo è un tormento, un terribile tormento che mi accompagnerà per il resto della mia esistenza.
Ma ti prego, non chiedermi di scrivere di lui. E’ l’unica cosa che non potrò mai fare.”
Raggiungemmo la stanza di lord Arthur in religioso silenzio.
Bè, forse ero stata troppo dura con Marco… mi sarei scusata con lui più tardi.
“Gloria, Marco… siete voi” una voce roca più del solito e stanca ci chiamò dal fondo della stanza.
Sul letto a baldacchino giaceva sofferente lord Arthur, l’unica persona che fosse mai stata gentile con noi.
Mi avvicinai sedendomi sul letto, accanto a lui, stringendo una sua mano gelida tra le mie.
Con la mano libera fece un debole cenno al dottore e ad una cameriera lì presenti, chiedendo loro di uscire dalla stanza.
Marco si sedette su una poltrona in velluto oro accanto a dove ero io.
“Sono contento di vedervi ancora un’ultima volta” disse ansante.
“No, non dica così. Questa non sarà l’ultima volta. Ricorda la nostra promessa? In primavera andremo a fare un pic nic in riva al lago, su al nord…” mentii conoscendo le sue reali condizioni di salute.
“Oh, mia cara, tu ci andrai. Vedrai tante primavere nella tua vita e mi auguro che presto ritroverai la persona che si è preso il tuo splendido sorriso”
Lo guardavo interrogativa.
Mi voltai a guardare Marco che si strinse nelle spalle.
“Oramai sono vecchio, ed è giusto che siate voi giovani ad andare avanti. Questo è l’ultimo atto di una vita splendida, fatta di tante gioie e grandi dolori…” si interruppe per riprendere fiato, scrutando i nostri volti privi di lacrime ma addolorati.
“Figli miei, vi prego solo di una cosa: non piangete la mia morte, poiché io sarò felice. Nel Regno dei Cieli incontrerò finalmente la mia adorata moglie e la mia piccola Claire, che come ben sapete ha lasciato questo mondo troppo presto.” ora quel poco di voce che gli era rimasta, era diventata un debolissimo sussurro.
“Lord Arthur…”
“No Marco. Non dire nulla. Avete riempito questi ultimi miei anni di vita altrimenti vuoti e tristi, con il calore del vostro affetto. Mi ha colmato di gioia la vostra presenza nella mia casa. Non è necessario che mi ringraziate.” disse prendendo la mano di Marco e posandola sulla mia, stringendole insieme.
Avevo il cuore straziato.
Ogni qual volta fissavo i suoi occhi acquosi, una sensazione di vuoto mista a pianto mi riempiva la testa. Forse era così che ci si sentiva quando si piangeva da vampiri.
“Gloria, bambina mia. Più il tempo passa, e più esso marca la tua somiglianza con tua madre” rise raucamente guardandomi con infinita tenerezza.
“Mia madre?” chiesi perplessa, ricordando improvvisamente il nostro primo discorso.
“Per te è un argomento dolente lo so. Ed è per questo motivo che non ti ho mai chiesto niente in tutti questi anni, e non ti chiederò niente neanche adesso. Però concedimi questo ultimo paragone, adesso che sono lucido”.
Annuii debolmente.
Non avevo il coraggio di mentirgli ancora.
“Mia madre mi cantava sempre una canzone, somigliava molto ad una ninna nanna…”
“Era molto brava. Cantala per me, per favore…”
“Se non ricordo male fa così…

Take a look at my body,
look at my hands
there's so much here that I don't understand
Your face saving promises,
whispered like prayers
I don't need them.
Cuz I've been treated so wrong
I've been treated so long as if I'm becoming untouchable...

E così continuai a cantare quel motivo, sino al suo ultimo respiro nel buio di quella camera.  

Il funerale fu un’esperienza nuova, strana.
Prima di allora avevo partecipato al funerale del mio nonno paterno quando avevo solo sei anni, ma conservavo pochi e confusi ricordi di quell’esperienza.
Tutti guardavano Marco e me in modo circospetto.
Mi fratello mi aveva confessato di aver sentito la perfida Margaret sparlare di noi con altre pettegole…Pare fossero insospettite non solo dal nostro aspetto, ma anche e soprattutto dal nostro atteggiamento apparentemente freddo.
Viste da fuori, ammetto che le nostre reazioni non erano delle più normali in un’occasione del genere, ma ciò non costituiva un buon motivo per criticarci così aspramente.
Ma ignoravamo che la nostra vendetta avrebbe preso forma solo due giorni più tardi.
Un pomeriggio uggioso si presentò alla porta della villa il notaio, il signor Harrold.
“Buon pomeriggio signori” ci salutò entrando “ Sono qui su richiesta di Lord Arthur in persona. Innanzitutto vi porgo le mie più sentite condoglianze. Ora se volete accomodarvi procederei alla lettura del testamento.” disse indicando anche me e Marco.
Ci dirigemmo nel grande salone, disponendoci attorno al tavolo da pranzo ovale.
Lanciai un’occhiata dubbiosa a Marco. Cosa c’entravamo lui ed io con quella storia?
Marco mi si sedette accanto gongolante, cingendomi le spalle con un braccio.
Che sapesse qualcosa a me sconosciuto?
Il notaio aprì un grosso plico contenete un sostanzioso fascicolo.
Iniziò a leggere le diverse formalità fin quando arrivò al punto cruciale del testamento:
“… lascio ai miei due figli, naturali e riconosciuti, Marco e Gloria, i miei interi possedimenti inglesi e americani, nonché tutti i beni liquidi e i gioielli del tesoro di famiglia.
Al mio fido maggiordomo lascio il mio ranch di Dallas, assecondando così il suo grande desiderio di una tranquilla vita di campagna, e una rendita annua atta a fornirgli uno stile di vita dignitoso.
Al resto della servitù ho già assicurato un posto di lavoro da alcuni miei conoscenti di cui vi verranno forniti gli indirizzi dal notaio Harrold.
Per quanto riguarda mio figlio Max, l’ultimo consiglio che posso dargli è quello di trovarsi un lavoro, dal momento che non potrà più vivere sulle spalle del suo vecchio padre, e dispongo che lui e sua moglie si trasferiscano in altro luogo entro cinquanta giorni dalla lettura del testamento…”

Ero assolutamente sbalordita!
Non riuscivo a credere alle mie orecchie…Nonostante avessi una mente molto più ampia, ci misi un po’ a recepire il reale significato di quelle parole.
Istintivamente mi girai a guardare Marco, più tranquillo e sicuro di quanto fossi io.
Mi fece cenno di guardare Max e Margaret: le loro espressioni erano indescrivibili.
Passavano dall’arrabbiato, al deluso, dallo shoccato, allo sconvolto…
“Sono..sono…indignata!” strillò Margaret alzandosi e uscendo dalla stanza seguita a ruota dal marito.
Wow che vittoria, che bella vittoria!
Il notaio finì di dare le ultime disposizioni e lasciò la casa poco dopo.
Quando ci ritrovammo da soli nel piccolo studio di lord Arthur, seduti accanto al camino scoppiettante, chiesi spiegazioni a Marco:
“Tu sapevi qualcosa di questa storia?”
“Effettivamente si. Giorni fa lord Arthur mi mandò a chiamare dicendomi di aver incluso anche noi nel suo testamento, ma non immaginavo ci avesse lasciato tutto. Lui aveva parlato di un piccolo dono”
“Alla faccia del dono…”
Marco sorrise “Diciamo che è stato un bello stratagemma per impedirci di fuggire subito dopo la sua morte”
“Già.” tornai a fissare il fuoco, restando pochi minuti in silenzio.
“E ora? Che facciamo?” mi chiese Marco rompendo il silenzio.
Ci pensai un po’ su…
“Io un’idea ce l’avrei. Torniamo a Chicago!”
“Come a Chicago? Ma Josephine non è prudente! Qualcuno potrebbe riconoscerti immediatamente”
“Dimentichi che ho un grande potere fratello… sarà lui ad aiutarci!”
“Ma scusami, credevo non volessi tornare più nella tua città natale…”
“Bè vedi, mi sono ricordata che devo fare ancora una cosa lì, anzi che tu devi fare.”
“Cioè? Ma ti senti bene chérie?”
“Magnificamente! Visto che adesso abbiamo un bel po’ di denaro disponibile, mi è venuto in mente un buon affare…”
“Non avrai intenzione di…???”
“Esattamente”



Note: ebbene avete visto che non ci ho messo due secoli a postare questa volta??? Donne di poca fede! Ahahahahah!
Cmq questo capitolo l’ho scritto in un giorno appena, ispiratissima come non mai dalla nascita della bimba di una mia amica, la piccola Rebecca!!!!!!!!! Tesoro mio sei uno spettacolooooooooooooo!!!!!!!
Thanks to:
-Sabry tesoro mio sono contenta che ti piaccia la storia!!! Hai visto che ho postato subito??? E preparati che ora arriva la parte piu’ bella e spero di postare piu’ spesso!
-Storyteller lover: tranqui che manca davvero poco all’incontro tra Eddy e Josy!!! Thnx per il tuo bellissimo commy cm sempre. Hai ragione i chappy sono un po’ corti ma diciamo che e’ una scelta per rendere il tutto piu’ scorrevole e piacevole per voi. Ma se vi fa piacere cerchero’ di farli piu’ lunghi!
-wind e frefro: che fine avete fatto????????????? Mi mancano i vostri commyyyyyyyyyyyyyyyyy!!! Tornate a commentare presto mi raccomando!
-Sabry 87 sono davvero contenta che la mia story ti piaccia e spero continuerai a seguirla con passione! Grazie!
Grazie anche a tutti coloro che leggono e continuano ad inserire questa fiction tra i loro preferiti!
Ps: la canzone di cui riporto la prima strofa è di Natalie Merchant e si intitola My Skin e vi preannuncio che avrà spazio interamente quando Eddy e Josy si rincontraranno!
Un kiss a tutti…
Evie

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Capitolo 20
*** Casa dolce casa ***


A tutti i miei lettori
che mi sostengono
continuamente e mi
invogliano a coltivare la mia
passione.


20. Casa dolce casa

Marco POV

Come Josephine mi aveva chiesto, mi ero recato per conto suo a Chicago.
Non potevo crederci quando mi aveva spiegato nel dettaglio il suo intento:
“Marco devi aiutarmi a comprare la mia vecchia casa, te ne prego” mi aveva chiesto implorante due giorni fa.
Ed ora io mi trovavo proprio lì ad esaudire ogni suo desiderio.
Inutile dirlo ma stravedevo per lei!
Era la luce dei miei occhi, lo era sempre stata…l’unica persona su cui potessi contare ora e per sempre.
In una parola sola: sorella.
Non avrei fatto nulla se non fosse stato importante per lei.
Arrivai a Chicago sotto una violenta grandinata.
“Accidenti! Non ci voleva proprio!” esclamai disturbato dall’idea.
Nonostante questo, mi diressi direttamente a villa Heart.
Nel giardino, proprio sul vialetto che portava all’ingresso, una cartello annunciava che la casa era in vendita.
“Bene” pensai “La fortuna è dalla mia qualche volta!”
Mi guardai intorno per controllare se ci fosse qualcuno che potesse darmi indicazioni, ma niente.
D’altronde era prevedibile che con quel tempaccio non uscisse nessuno di casa.
L’unico matto per strada  nel giro di un chilometro ero forse io.
Forse appunto.
D’un tratto, mentre mi avviavo a cercare un riparo, una figura deformata dalla pioggia battente apparve da lontano.
Mi si avvicinò e mi coprì con il suo grande ombrello.
Era una donna molto bella, con lunghi capelli rossicci, grandi occhi ambrati circondati da profonde occhiaie violacee ed un profumo inebriante.
Era un vampiro, e che bel vampiro!
Guardandola meglio notai che sulla mantella aveva cucito un piccolo giglio rosa, e sapevo bene cosa significava…
“Posso aiutarla?” mi chiese con la sua voce sottile.
“Bè effettivamente si. Saprebbe dirmi a chi dovrei rivolgermi per l’acquisto di quella casa?” domandai indicando la vecchia casa di Josephine.
“Ma a me naturalmente.
Mi presento: sono Isabelle Adams, la sua nuova vicina di casa.
O ma lei è tutto bagnato!
Venga dentro ad asciugarsi.”

Josephine POV

Era passata ormai una settimana da quando Marco era partito alla volta di Chicago ed ora era arrivato il mio momento di lasciare San Francisco, come d’accordo.
Lasciai la mia nuova casa in consegna al maggiordomo in attesa che Max e sua moglie trovassero un nuovo alloggio.
Dopodiché lui stesso mi avrebbe riportato le chiavi prima di trasferirsi definitivamente a Dallas.
Arrivai nel primo pomeriggio nella mia cara città natale.
Era strano tornarci ancora una volta, ma non nascondo che ebbi una bellissima sensazione non appena misi piede alla stazione.
Il mio potere era notevolmente aumentato tanto che ormai potevo includere nelle mie illusioni ben cinque persone.
Mi guardai intorno ed in un battito di ciglia, modificai il colore dei miei occhi: verde smeraldo.
Solo c’era un piccolo difetto in tutto questo: non riuscivo ad agire a distanza in modo da poter modificare anche il rosso porpora di Marco.
Sperai tanto che non avesse terrorizzato il tizio che avrebbe dovuto venderci la casa.
Feci scaricare le mie valigie dal treno e mi feci accompagnare a casa.
Già.
Ero di nuovo a casa!
Scesi dall’auto e mi fermai a contemplare la meraviglia del mio ritorno.
Il quartiere era sempre lo stesso, la mia villa era sempre la stessa: l’edera che copriva parte della facciata non era sfiorita, il giardino era curato esattamente come quando se ne occupava papà nel tempo libero ma soprattutto la cassetta delle lettere segnava ancora il nostro nome.
Era come se non avessimo mai smesso di abitare lì.
Marco apparve sulla porta, sorridendo radioso, mi venne incontro.
“Finalmente sei arrivata! Bentornata a casa Josephine!” mi disse abbracciandomi.
“E’ bello essere di nuovo qui!” risi euforica.
“Vieni, entra” Marco prese le valigie e mi precedette nel vialetto che portava dentro casa.
Entrai timorosa.
Temevo che all’interno tutto fosse stato stravolto, che non avrei ritrovato più nulla al suo posto, contrariamente all’esterno.
E invece mi sbagliavo: ogni singolo elemento era rimasto nel posto originario, come mamma lo aveva predisposto.
La prima cosa che feci fu cercare le nostre foto sul camino e sulla console all’entrata del grande soggiorno: erano ancora lì!
I volti dei miei cari mi sorridevano senza tempo nelle cornici argentee, fissando momenti di vita passata.
La mia preferita era al centro di tutte quelle sulla console: era stata scattata un pomeriggio di tante estati fa… sotto un grande albero, su un’altalena in legno stavo io inginocchiata e fissavo una figura alla mia sinistra: mia madre.
Lei mi guardava amorevole cingendomi la vita con una mano per non farmi cadere.
Avevo quattro o cinque anni al massimo.
“Ehi tutto bene?”
Mi voltai a guardare Marco alle mie spalle.
Volevo piangere, gridare spaccare tutto in nome di quel dolore che non si era ancora placato, ma d’altra parte la gioia di ritornare laddove la mia vita era stata felice, era grande, forse un pizzico in più del dolore.
“Si tutto bene. E’ solo che fa un certo effetto ritornare in questi luoghi…dopo quello che è successo.”
“Capisco perfettamente. Chérie, voglio presentarti due persone” mi annunciò Marco con un sorrisino compiaciuto.
Mi voltai e sulla soglia c’erano due persone, sconosciuti ai miei occhi.
“Josephine ho il piacere di presentarti Isabelle e Cristopher Adams, i nostri nuovi vicini di casa nonché ex-proprietari di questa.”
Erano davvero molto belli, (lei rossiccia, lui biondo) ma quello che mi colpì di più fu il colore dei loro occhi: oro colato.
Meraviglioso!
“Piacere” dissi cortesemente restando però sulla difensiva.
La donna dai capelli castano-rossicci mi si avvicinò e ma strinse forte tra le sue braccia, come una madre che rivede dopo tanto tempo una figlia.
“Oh cara che bello rivederti!” esclamò con la sua voce dolcissima.
Non ci capivo più niente, ero davvero stranita.
L’uomo si avvicinò a noi due e mi porse la mano sorridendo.
“Vedi Josephine, Isabelle e Cristopher sono fratello e sorella e sono stati proprio loro a incontrarmi e a facilitare l’acquisto della casa. Pensa che non ci è costata nulla!” mi spiegò Marco sempre più entusiasta.
“Come nulla? Ma Marco io…”
“La casa è tua Josephine, ti appartiene. Il nostro compito è stato quello di custodirla in attesa di un tuo eventuale ritorno.”
“Come facevate a sapere che sarei tornata?”
“Josephine è una storia molto interessante…ti converrebbe ascoltare cosa hanno da dirti.”
Annuii poco convinta.
C’erano molte cose che non mi tornavano: primo che ci facevano due vampiri con la mia casa?
Secondo: se realmente erano vampiri, e lo erano, perché mai i loro occhi non erano terrificanti come i nostri?
Queste mie brevi considerazioni durarono giusto il tempo di un respiro primo che Marco innescasse la miccia della mia furia:
“Cristopher poi sei riuscito a rilevare quello studio legale di cui mi hai parlato?”
L’uomo che fino a quel momento non aveva aperto bocca, parlò con un tono di voce suadente:
“Si ho concluso le trattative proprio l’altro giorno. Pare che quel piccolo appartamento appartenesse ad un certo Edward Masen o giù di lì…un poveraccio che è morto per spagnola diversi anni fa insomma….Non che sia un granché ma almeno ci posso gestire i miei affari per un po’”.
La strafottenza con cui pronunciò quelle parole rimbombò insistente nella mia mente per diversi secondi prima che una reazione molto violenta… afferrai una delle valigie che avevo accanto ai piedi, la più grossa, e la lanciai contro quell’essere spregevole con tutta la forza che avevo in corpo.
Lui si accorse di questo mio gesto ed evitò il colpo, permettendo così che la valigia frantumasse il mobile alle sue spalle, spargendo tutto il suo contenuto per la stanza.
“Se ti sei permesso di dire queste cose adesso, non farlo mai più, hai CAPITO??? Lurido verme schifoso esci subito da casa mia o altrimenti…”
“Altrimenti cosa ragazzina?”
Ebbe giusto il tempo di pronunciare quelle parole che mi fiondai su di lui furiosa, emettendo un ringhio agghiacciante.
“Josephine fermati!” Marco ci fu vicino in pochi secondi e con uno strattone mi allontanò a fatica da Cristopher.
“Cristopher” sibilò Isabelle fulminandolo con lo sguardo.
“Chérie va di sopra, cerca di calmarti adesso. Isabelle potresti…?”
“Ma certo. Vieni con me cara.”
Nel giro di un secondo mi ritrovai seduta sul letto della mia vecchia stanza da letto.
Mi guardai intorno confusa mentre Isabelle sistemava il mio beauty sul comò.
“Tesoro, mio fratello non voleva offendere te o il signor Masen… vedi lui è fatto così purtroppo e un secolo non è servito a cambiarlo molto. Ti chiedo scusa per lui…lui non sa…”
“Non è colpa tua. Non voglio più vedere quel tizio a casa mia e provvederò a risarcirvi il prezzo della casa al più presto.”
“No! Non devi Josephine! L’abbiamo fatto col cuore tesoro mio” si sedette sul letto e mi prese le mani tra le sue.
Un brilluccichio attirò la mia attenzione: al dito medio della mano destra lei portavo un anello identico in tutto al mio.
Era molto antico, in oro giallo e con una fascia in argento e diamanti.
“Isabelle, il tuo anello…” le feci notare mettendolo a confronto con il mio.
“Oh si. Solo due esemplari sono stati prodotti all’inizio dell’800, solamente due: uno per me e uno per mia sorella Madelene.”
“Madelene? Questo nome mi è familiare…”
“E’ il nome della tua bisnonna, la nonna di tuo padre…pensaci bene…”
“Quindi tu…ma com’è possibile?”
“Ti racconterò tutto con calma, più tardi. Marco gli ha spiegato tutto e tra poco Cristopher verrà a chiederti scusa.”
Pochi secondi dopo bussò alla porta.

Edward POV

“Edward pensaci bene, te ne prego” Esme cercava di convincermi a restare svuotando il borsone che io stavo riempiendo delle mie cose.
“Esme ormai ho deciso. Me ne vado e niente e nessuno potrà farmi cambiare idea. E per favore smetti di svuotare la valigia!”
“Tesoro ti prego non andare via… potremmo risolvere tutto parlandone un po’”
“Non c’è più niente da dire. Capiscimi bene, non ho niente contro di te…”
“Ma contro Carlisle…”
“Esme, ti voglio molto bene ma ora è tempo che io vada per la mia strada.
Non odiarmi per questo…”
“Non lo farei mai figlio mio”

Continua…


Note: Scusate tanto il mio ritardo ma questa volta non e’ dovuto a blocchi dello scrittore o cose simili ma all’influenza come sabry_cullen ben sai…
Ma cmq ora sono tornata! Spero tanto che questo capitolo vi piaccia anche se non e’ questo granche’…
Thanks to:
_Sabry: i tuoi commy sono sempre molto belli!!!!!! TVB
_Storyteller Lover: dovresti dare piu’ peso ai tuoi poteri magici!! Sono gia’ due volte che ci azzecchi! WOW!!!!! TVB
_Sabry87: sono davvero contenta che continui a seguire la mia storia! Mi fa davvero taaaaaaaantoooo piacere! TVB
_tutte le persone che leggono e continuano ad aggiungere la mia fiction tra i loro preferiti! VVB

PS: Vi annuncio che il prossimo capitolo vi piacera’ molto, e quando dico molto intendo mooooooooooooooooltoooooooooo! Hihihi…spero di avervi incuriosite…
PS_2: Il modo in cui ho scritto "Cristopher" senza la 'H' dopo la 'C' e' volontario e non un errore.
Bye bye…

Evie




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Capitolo 21
*** Finalmente Chicago ***


A mia cugina Anna,
che ha pazientemente letto
e riletto alla nausea questo
capitolo correggendo le
mie sviste.
Grazie di esistere!


21. Finalmente Chicago

Josephine POV

Trascorsero otto mesi da quel giorno.
Ricevere tutte quelle informazioni in una volta non fu piacevole inizialmente.
Cristopher salì in camera mia per farmi le sue scuse.
 Mi sembrò realmente pentito.
Poco dopo seppi che mio fratello aveva raccontato la mia triste storia a Isabelle, per questo lei aveva capito la mia reazione.
Passammo diverse ore a parlare sedute sul letto della mia stanza, proprio come facevo quando abitavo lì con la mamma.
Scoprii tante che cose che non avrei mai immaginato, davvero incredibili.
“Vedi Josephine, la tua bisnonna Madelene aveva un fratello ed una sorella prematuramente scomparsi dopo aver partecipato ad una festa.
Era una fredda notte di un gelido inverno ottocentesco” così era iniziato il suo racconto.
I due fratelli scomparsi prematuramente erano lei, Isabelle e Cristopher, e la festa era quella di fidanzamento di Isabelle con un certo Mark Harris.
Si sarebbero dovuto sposare il mese successivo, ma purtroppo la sposa non arrivò all’altare.
“La carrozza su cui viaggiavamo Cristopher ed io fu attaccata, proprio come è successo alla tua macchina, e come puoi immaginare l’esito è stato lo stesso.
Madeline era piccina all’epoca e ricordava molto poco dei suoi fratelli.
Ricordo la disperazione della mia famiglia, del mio Mark, che osservavo da lontano.
L’ho sempre fatto fin’ora.
Abbiamo seguito tutti i momenti della vita della nostra piccola sorellina, dall’infanzia alla maturità, dal matrimonio alla nascita dei suoi bambini, fino a te.
L’anello che porti al dito apparteneva a lei ed è stato tramandato per tre generazioni, da Madelene a te.
Avrei voluto fare lo stesso anche io ma come vedi mi è stato impedito”.
Mi colpì la serenità con cui parlava della sua condizione.
Forse ci sarei riuscita anche io tra un secolo o due.
Pensavo a tutto quello mentre la mattina del 4 giugno 1922 scendevo le scale della mia grande casa.
Sentii Isabelle canticchiare in cucina; da un po’ di tempo si era fissata con la pittura e in quel momento era impegnata a dipingere un tipico paesaggio montano per il mio soggiorno.
Già…dimenticavo: lei e suo fratello si erano da poco aggregati ad una famiglia di vampiri vegetariani a Denali, in Alaska.
Vegetariani perché si cibavano di sangue animale.
“Non ti sazia come quello umano, ma almeno non distruggi una vita umana” mi aveva spiegato cercando di convincermi a seguire il suo stesso stile di vita, senza ottenere risultati.
Cosa che temevo sarebbe riuscita fare con Marco.
Nell’ultimo periodo i due si erano avvicinati parecchio…magari cupido stava per scoccare una delle sue frecce…
Entusiasta per l’arrivo della bella stagione, passai dal soggiorno per salutare gli uomini di casa intenti a giocare a carte, prima di passare per l’ingresso e sfilare un fiore rosso dalla splendida composizione sulla console.
Uscìì fuori e mi sedetti nel pergolato a prendere un po’ d’aria.
Appoggiata alla ringhiera in legno, continuai a fare il bilancio di quegli ultimi otto mesi.
Il mio rapporto con Cristopher era decisamente migliorato, anche se navigava un pizzico di imbarazzo ancora tra noi.
“Instaurare un rapporto per Cristopher non è mai stato semplice. Ma con te è diverso…ha superato le mie più rosee aspettative” mi disse Isabelle durante una passeggiata qualche giorno prima.
Durante quella stessa passeggiata mi aveva rivelato un dettaglio che mi aveva un po’ confusa, un dettaglio che non avrei mai potuto scorgere con i miei grandi occhi da umana: Carlisle Cullen, il bel dottore che voleva salvarmi la vita era come me, o meglio come Isabelle.
Pare che la famiglia alla quale si erano uniti i due fratelli Adams, vantava una lunga e vampiresca parentela con Carlisle.
“Non appena siamo arrivati a Chicago sono passata a trovarlo. Era tempo che non ci vedevamo e devo dire che mi piacerebbe sapere dove è andato dopo… Ah sai che si è creato un compagno? Un bel ragazzo, certo un po’ scontroso e cupo ma molto bello.
Non riesco a ricordarne il nome…mmmm… magari se un giorno decidessi di venire a Denali con noi potrebbe succedere che li incontriamo e chissà…” smaliziò ridendo e immaginando un improbabile coppia formata da me e quel ragazzo.
Mi stavo godendo il tiepido sole di giugno quando proprio Isabelle mi chiamò dalla finestra della cucina.
“Gloria l’ho finito! Ho bisogno del giudizio di una persona di gusto però! Sai che ci tengo molto al tuo regalo…”
“Arrivo subito.”
Gloria.
Quel nome mi continuava a perseguitare.
Era la mia maschera pubblica.
Josephine nel privato, Gloria nella vita sociale.
Entrai in casa lasciando cadere inavvertitamente sugli scalini il fiore che avevo “rubato” dalla composizione.
Mi affacciai osservando da lontano il suo capolavoro:
“Wow! Devo dire che sono davvero sbalordita! E’ meraviglioso!”
“Lo credi sul serio?”
“Certo!”
Non feci in tempo a finire quell’affermazione che…
“Oddio che odoraccio tremendo! Che ti sei inventata questa volta brutta copia di una pseudo artista?” Cristopher entrò in cucina ringalluzzito dalla vittoria a carte su Marco.
“Non stare ad ascoltarlo. Lui non capisce niente d’arte” difesi a spada tratta l’opera di Isabelle.
“Io non capirei nulla d’arte? Senti un po’ ragazzina io ho una cultura artistica che tu neanche ti sogni!”
“Si ma per il resto…”
Conoscevo bene quello sguardo.
Cristopher mi si avvicinò furtivo e con un balzo mi afferrò per la vita.
Cercai di divincolarmi senza alcun risultato, ridendo a crepapelle per il solletico che mi faceva con la mano libera.
In quei piccoli momenti di gioco mi sentivo ancora una bambina.
Continuavamo a giocare quando mi accorsi che Isabelle fissava un qualcosa fuori dalla finestra.
Aveva un’espressione tra lo sbalordito ed il terrorizzato e si scambiava strani sguardi con Marco.
“Cos’è successo? Sembra che abbiate appena visto un fantasma”
“Che ne dite se andiamo ad appendere il quadro in soggiorno?”
“Buona idea! Corro a prendere chiodi e martello” disse Marco sparendo in pochi secondi.
Isabelle uscì dalla stanza stingendo il quadro tra le braccia, con la stessa espressione turbata di prima.
Cristopher mi teneva ancora in braccio:
“Qui c’è qualcosa che non mi convince” mi sussurrò mentre mi faceva scendere.
“Dobbiamo scoprire cosa ci stanno nascondendo” dissi dirigendomi in soggiorno con Cristopher al mio fianco.

Quella sera si teneva l’annuale ballo di beneficenza in maschera che noi avevamo, ovviamente, generosamente sostenuto.
Avevo appena indossato il mio abito in pizzo nero quando Isabelle entrò in tutto il suo splendore.
“Allora? Come sto?” disse pavoneggiandosi nel grande abito in tulle e seta indaco.
In quello mi ricordava molto mia sorella Katie.
“Sei meravigliosa”
“Oh tesoro anche tu sei splendida! Vedo che alla fine hai ceduto al fascino del giglio rosa” commentò indicando il ricamo che lei stessa aveva applicato quel pomeriggio sul decolté del mio abito.
“Come se avessi avuto altra scelta”
“Suvvia Josephine! Siamo una famiglia, dobbiamo distinguerci in qualche modo”.
Già una famiglia… tempo addietro Marco mi aveva spiegato il significato di quel giglio rosa.
Pare che alcune famiglie ben consolidate di vampiri, in genere vegetariani, solessero ricamare su alcuni vestiti un fiore proprio per contraddistinguere la famiglia ed avvisare gli altri vampiri che le singole persone appartenevano ad un clan più grande.
Il clan di Denali aveva come simbolo il giglio rosa.
Così per quella sera, anche se noi non appartenevamo al clan di Denali, Marco ed io avevamo deciso di accontentare Isabelle, lui per “amore”, io per parentela.
Indossammo le nostre maschere e scendemmo al piano di sotto, dove i nostri accompagnatori ci aspettavano.
“Wow” esclamarono all’unisono non appena ci videro.
Quella scena mi ricordava terribilmente gli ultimi istanti di vita della mia famiglia.
Mi scrollai quella brutta sensazione di dosso, nascondendo il dolore dietro al più raggiante dei miei sorrisi.
Quando giungemmo alla festa, la sala del palazzo antico era già gremita di gente e in pochi istanti attirammo tutta l’attenzione dei presenti su di noi.
“Come dar loro torto” ironizzò Marco stringendo la mano di Isabelle.
In sottofondo una delicata musica da camera accompagnava i discorsi e le inutili cerimonie di circostanza.
“Balliamo?” mi chiese Cristopher sogghignando.
“Certo. Ma perché ridi?” domandai iniziando a volteggiare con lui al centro della pista.
“Oh nulla. Così ho sentito dei discorsi e mi è venuto da ridere”.
Poco dopo anche Marco e Isabelle si unirono a noi, così come gran parte degli invitati.
Nonostante le maschere, tutti avevano riconosciuto tutti.
“Che utilità ha fare un ballo in maschera se tutti sanno chi c’è dietro la maschera?” commentai continuando a ballare.
Ad un certo punto qualcuno ci spinse e io urtai contro un ragazzo fermo ai margini della pista.
“Mi scusi” dissi senza neanche fermarmi a guardarlo bene in viso.
“Non si preoccupi” mi rispose svanendo nel nulla poco dopo.
“Che buon profumo…Mi è stranamente familiare la sua colonia…” pensai.
Mi strinsi nelle spalle e ripresi a ballare con Cristopher, mentre lo stupore si dipingeva nuovamente sui volti di Marco e Isabelle.
La serata trascorse tranquilla tra balli e chiacchiere.
Furono in pochi ad avere il coraggio di avvicinarci.
Belli e impossibili ci avevano definito.
Osservavo le scenette che mi si paravano dinnanzi quando uno strano uomo tarchiato e dall’aria sospetta mi si avvicinò furtivo.
“Posso parlarle in giardino miss Winchester?”
“Lady Winchester” lo corressi quasi stizzita.
“Mi perdoni milady. Può seguirmi?”
Diedi un’occhiata alla mia famiglia che ovviamente si era accorta di quello che stava succedendo.
Marco si stava avvicinando, ma io lo fermai con un gesto della mano.
“Facciamo in fretta.” dissi sbrigativa precedendolo alla portafinestra “Bene di che si tratta?”
“Mia bella signora non fare la sostenuta con me. Ti ho riconosciuta sai? Credevi di aver convinto tutti con la storia del nome finto eccetera. Certo non ho idea di come tu abbia fatto a cambiare il colore dei tuoi occhi…”
“Cosa intende dire?” chiesi allontanandomi.
“Dai Josephine…perché tu sei Josephine Heart, vero?”
“Si sbaglia. Io questa Josephine Heart non la conosco e non so chi sia”
“Non ti ricordi di me? No, è passato tanto tempo dall’ultima volta… ero il giardiniere di casa tua…ti sto tornando in mente?”
Ricordai la sua losca faccia.
I miei genitori l’avevano licenziato dopo che io l’avevo visto ubriacarsi in giardino.
Ero stata io la causa della sua diciamo “rovina”.
“Impossibile. La mia dimora è sempre stata a San Francisco. Questo è il primo viaggio che faccio a Chicago… e poi non le devo tutte queste spiegazioni”
“Però sei un “fantasma” dal bel caratterino…”
Mi guardai intorno e vidi che eravamo abbastanza lontani da sguardi indiscreti.
Fissai la mia futura vittima con un ghigno stampato in faccia.
L’espressione spavalda sparì dal suo volto, lasciando spazio ad uno strano stupore.
Mi avvicinai e con movimenti veloci all’inverosimile, lo trascinai nel punto più buio di quella strada.
“Ti sei messo contro la persona sbagliata mio caro. Non si scherza con Josephine Madeline Heart” e conficcai i denti nel suo caldo collo, bevendo il suo sangue fino all’ultima goccia.
Vidi un’ombra davanti a me.
Alzai gli occhi e un rivolo di sangue mi uscì da un angolo della bocca.
Non ci potevo credere.
Una figura slanciata, un ragazzo bellissimo, mi fissava con aria sbalordita, la stessa che si poteva leggere sul mio viso.
“Josephine” sussurrò e la luce del lampione illuminò interamente il suo volto.
Impossibile.
Lui era morto.
La spagnola… e tutto il resto…oddio no!
Carlisle!
Ecco il compagno di Carlisle…bello ma cupo…
“Edward! Ma sei davvero tu?”
Un sorriso incerto gli si aprì sul volto.
Di scatto abbandonai il corpo che tenevo ancora in grembo e corsi verso di lui.
Mi avvicinai tanto da sentire il naso infiammato dal suo profumo misto all’acqua di colonia.
Posai le mani sul suo viso, indugiando sul profilo delle labbra.
Lui istintivamente mi cinse la vita.
“Sei cambiata” disse esibendo il suo sorriso sghembo che adoravo alla follia.
“Molto?”
“No. Poco”
Gli buttai le braccia al collo incredula ma entusiasta per quella splendida sorpresa.
Finalmente Chicago ci aveva regalato il tanto atteso lieto fine.



Note: Come avrete notato io la mezza misura non la conosco, ma non so neanche cosa sia!
O i miei capitolo sono troppo corti o sono troppo lunghi…mah…abbiate pazienza!
Scusatemi tanto per il ritardo e per la fretta…non posso ringraziare tutti nello specifico ma lo farò nel prossimo capitolo!
Grazie alle mie fedelissime Sabry_Cullen, Storyteller lover e Sabry87 alle quali si è ri-aggiunta Bimbaemo!
Grazie di cuore a tutti!
VVBBBBBB!!!!!
Kiss kiss

Evie

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Capitolo 22
*** Per uno strano ma bellissimo scherzo del destino ***





"Non troverai mai la verità
se non sei disposto ad accettare
anche ciò che non ti aspetti."

                                           Eraclito


22. Per uno strano ma bellissimo scherzo del destino

Edward POV

Poche ore prima…

Arrivai a casa di Carlisle dopo più di un’ora di passeggiata.
Fortunatamente avevo con me le chiavi.
Aprì la porta ed entrai; posai il borsone sulla sedia nell’ingresso polveroso e andai ad aprire le finestre per arieggiare la casa ormai chiusa da anni, e mi fermai ad osservare il panorama.
L’aria calda riempì in pochi istanti l’appartamento.
Era molto piacevole.
Portai le mie cose nella mia vecchia stanza e, per abitudine, andai a controllare la posta.
“Che stupido” pensai mentre controllavo la cassetta delle lettere che sarebbe dovuta essere vuota, e invece…
Mi ritrovai tra le mani una lettera dalla carta ruvida, la aprì.
In bella calligrafia venivo ufficialmente invitato ad un ballo di beneficenza per quella sera stessa.
Chi avrebbe mai potuto invitare una persona che non abitava più là?
Perché mi facevo tutti quei problemi?
Tanto io non ci sarei mai andato.
Appoggiai la lettera sul tavolo della cucina accanto al fiore di Gloria.
Chissà se l’avrei mai rivista…
Ma perché pensavo a lei?
Cercai di togliermi il suo pensiero dalla mente…forse era dovuto al fatto che in lei rivedevo la mia Josephine.
Ovviamente non poteva essere lei.
Sarebbe stato bellissimo, ma restava un sogno che non si sarebbe realizzato mai.
Mi affacciai dal piccolo balcone della stanza di Carlisle, l’unica parte della casa ad essere in ombra.
Assaporavo il profumo dell’estate che stava arrivando quando sentii dei pensieri provenire dalla strada.
Un uomo non molto alto, robusto, leggermente stempiato e dall’aria vagamente losca e sospetta si era fermato giusto sotto il mio balcone.
“ Finalmente, dopo tanti anni, la mia occasione di vendetta è arrivata. Questa sera, al ballo di beneficenza, avrò modo di avvicinarla e la sua rovina avrà inizio”
Era un matto.
Una serie di pensieri sconnessi seguirono i primi e tutti avevano a che fare con una vendetta… ma di chi avrebbe voluto vendicarsi?
“Dai pensa il suo nome…avanti” pensai incuriosito.
“…tutti la credono morta ma solo io so che la bella lady venuta da San Francisco in realtà è la figlia maggiore degli Heart, la stessa bambina ficcanaso che mi ha fatto licenziare e che mi ha creato terra bruciata intorno… Maledetta Josephine! Preparati a dire addio alla tua maschera Gloria.”
Come?
Cosa aveva pensato quel tizio?
No no no, non era possibile! I miei sospetti coincidevano alla perfezione con le certezze di quell’uomo così vendicativo.
Mi sporsi di più per vedere se era ancora lì, ma aveva appena attraversato la strada.
Avrei potuto raggiungerlo in meno di un secondo, ma la gravità di quei pensieri mi teneva incollato al pavimento, impossibilitando ogni mio movimento.
Dovevo reagire, dovevo fare qualcosa.
Se quella donna era realmente Josephine dovevo andare da lei, avvertirla, proteggerla…
Ripercorsi con la memoria i pensieri appena ascoltati…la lady di San Francisco, la figlia maggiore degli Heart… non poteva essere che lei.
Le conclusioni potevano essere solo due: primo Josephine si era miracolosamente salvata dall’incidente; secondo lei era come me.
Rientrai in casa e aprì l’armadio di Carlisle e vi trovai un vecchio smoking.
“Perfetto. Ora manca solo la maschera”.

Alle otto ero davanti il palazzo antico che ospitava il ballo di beneficenza.
Sistemai il fiore rosso sull’occhiello, consegnai il mio invito ed entrai a cercarla.
Mi guardai intorno ma di lei non c’era traccia.
Mi sistemai ai margini di quella che era diventata da poco la pista da ballo.
“Vuole ballare?” mi chiese una ragazzina graziosa ma non abbastanza attraente per i miei gusti.
“No, grazie. Non so ballare” mentii per non essere scortese.
Lei andò via delusa, mentre un qualcosa, anzi no qualcuno mi venne addosso.
Riconobbi immediatamente il profumo.
Era lei, la ragazza di quel pomeriggio.
Mi sforzai di sentire la sua voce attraverso i suoi pensieri, ma nulla.
“Mi scusi” mi disse senza neanche voltarsi a guardarmi.
“Non si preoccupi” le risposi allontanandomi troppo velocemente.
Era lei.
Non poteva essere solo un caso!
Una nuova scarica di adrenalina attraversò il mio corpo, tanto che ebbi l’impressione di sentire il mio cuore battere ancora una volta.
All’improvviso vidi quello strano uomo dai pensieri vendicativi.
Osservai la scena da lontano.
Si era avvicinato a Josephine e le aveva chiesto di parlare in privato con lei.
I suoi compagni avevano intuito il pericolo: il tizio alto, con i capelli neri si era avvicinato a quella che lui chiamava “sua sorella” ma lei lo aveva bloccato con un gesto della mano, mentre le altre due persone parlavano fitto.
Mi concentrai su di lei.
Cosa le passava per la mente? Non aveva intuito il pericolo?
Era frustrante non conoscere i suoi pensieri… in quattro anni non mi era mai capitata una cosa così strana e improbabile.
Scrutavo i suoi occhi porpora dietro la maschera nera in pizzo e piume e notai le varie emozioni che li attraversava: curiosità, paura di essere scoperta, sorpresa, e una spiazzante sicurezza delle sue capacità.
Lo seguì sino in giardino e così feci io tenendomi a distanza.
Mi levai la maschera e la conservai in tasca.
Lui le lanciava le sue accuse addosso, sicuro di non sbagliare, mentre lei rimaneva impassibile e continuava con il suo gioco, portandolo nel punto più buio di quella strada.
Inaspettatamente perse il controllo e gli avvicinò con movimenti veloci e aggraziati.
Lo trascinò ancora più lontano da occhi indiscreti e con una delicatezza che lui non meritava, gli morse il collo, cibandosi del suo sangue.
Quindi la mia seconda ipotesi era quella giusta.
Incredibile!
Era tutto così surreale, così impossibile eppure lei era là, seduta bellissima anche in quell’atto così disgustoso.
Quando ebbe terminato, sollevò il viso e un rivolo di sangue le uscì da un angolo della bocca.
La sua espressione oscillava tra l’incredulo ed il sorpreso.
“Josephine” sussurrai a mezza voce.
“Edward!  Ma sei davvero tu?”
Sorrisi e mi avvicinai al punto dove era lei.
Josephine si alzò abbandonando il corpo che teneva in grembo e corse da me togliendosi la maschera e lasciandola cadere accanto al corpo morto.
Era bellissima, nonostante gli occhi rossi sangue.
Sorrideva radiosa tracciando con le dita il profilo del mio viso, mentre io le cingevo la vita con un abbraccio.
“Sei cambiata” le dissi sorridendo.
“Molto?”
“No. Poco”.
Sentivo la sua felicità congiunta alla mia in quell’abbraccio quando lei affondò il suo viso nell’incavo della mia spalla.
“Ancora non ci credo. Non mi sembra vero” le sussurrai all’orecchio.
Lei sospirò, si staccò leggermente da me e premette le sue labbra contro le mie che subito assecondarono il suo bacio.
Sentivo il sapore del sangue sulle labbra e questo non fece altro che aumentare la mia eccitazione.
Ed eccoci là, per uno strano ma bellissimo scherzo del destino eravamo tornati ad amarci e nulla al mondo avrebbe mai e poi mai potuto separarci di nuovo.




Note: Ed eccomi tornata subito subito! Non ve l’aspettavate eh??? Ieri mi è venuta un’ispirazione pazzesca e in una mezzoretta ho scritto questo capitolo che praticamente riparte dal momento in cui Eddy, dopo avere visto Gloria a casa Heart, se ne va moggio moggio a casa di Carlisle e fa le sue scoperte, raccontando tutta la storia dell’incontro dal suo personalissimo punto di vista.
Thanks to:
-Sabry_Cullen: ciao beddissima mia! Ma stai tranquilla i tuoi commy mi piacciono tantissimo e nn sono idiozie come pensi tu! E cmq ora sono io che aspetto…..continuo ad aspettare……..e ancora…………TVB
-Storyteller lover: sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo!!!! Viva me! Ora viene il bello!!!!!!! TVB
-Sabry87: grazie sempre per i tuoi commy! Sono davvero contenta che la storia ti stia appassionando così tanto! TVB
-Tessy: e finalmente torni a commentare! Ebbene si la tua pazienza è stata premiata alla grande!!!!! Continua a seguire mi raccomando! TVB
- grazie a tutti coloro che leggono i miei chappy e a tutti coloro che continuano ad aggiungere la mia storia tra i loro preferiti! VVB
A presto!
Kiss kiss

Ps: per chi fosse interessato ho pubblicato un’altra storia che si intitola “Per tutta la vita” e la potete trovare nella sezione Harry Potter. Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! SMACK!

Evie




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Capitolo 23
*** Tutta l'eternità per amarti ***


"Fu il tuo bacio, amore, a rendermi immortale. "

Margaret Fuller


23.  Tutta l’eternità per amarti

Josephine POV

Edward mi stringeva ancora tra le sue braccia, a metà tra il sogno e la realtà.
L’incredulità e lo stupore potevano essere facilmente letti sui visi di entrambi.
“Da quanto tempo ho desiderato questo momento...” sussurrai al suo orecchio stringendomi ancora al suo collo.
“A chi lo dici amore mio”.
Eravamo immersi l’una nell’altro quando sentimmo dei rumori.
Istintivamente Edward mi strinse più forte a sé, guardandosi intorno, pronto all’attacco.
Marco, Cristopher e Isabelle uscirono dall’oscurità della notte estiva, mostrandosi a noi.
“Quindi…non mi ero sbagliata!” sentii Isabelle sussurrare a Marco.
“Josephine stai bene?” mi chiese lui guardandomi preoccupato.
“Perché non si vede?” gli risposi spostando lo sguardo da lui ad Edward.
“Ragazzi, lui è Edward. Quell’ Edward” spiegai fugando ogni dubbio dalla facce confuse dei miei amici.
“Wow…”
“Già” si limitò a sospirare Edward sorridendo amichevole.
“Ma cos’è successo qui?” domandò Cristopher notando solo allora il corpo senza vita nel fondo del vicolo cieco.
“Dobbiamo sbarazzarcene. Josephine, voi tornate alla festa. Fatevi vedere un po’ là e non appena arriveremo noi potremmo tornare a casa…così parleremo un po’ in santa pace.”
Raccolsi la mia maschera da terra e ci incamminammo alla festa.
Edward mi cingeva la vita con un braccio, io poggiavo la testa sulla sua spalla.
Finalmente.
Pensavo che quel momento non sarebbe mai arrivato.
Per fortuna mi sbagliavo.
“Che c’è?” mi chiese Edward osservando la mia aria sognante
“Sono felice” mi limitai a rispondere sorridendo come non facevo da anni.
Entrammo nuovamente nell’edificio che ospitava il ballo.
“Josephine, tesoro,” mi sussurrò Isabelle all’orecchio “tocca a te. Confondi un po’ le loro menti così che credano che tu non ti sei mai allontanata da qui. Ce la puoi fare…abbiamo provato tante volte” mi incoraggio spingendomi leggermente.
Effettivamente avevamo passato diversi giorni a provare e riprovare quella tecnica di manipolazione dei ricordi, e tanto più mi avvicinavo alle mie “vittime” e più risultava efficace.
Mi guardai intorno.
C’era troppo gente!
“Ti va di ballare?” mi chiese Edward e in quel momento la stessa idea passò dalle nostre menti.
Gli sorrisi porgendogli la mano destra e iniziò il primo giro di valzer.
Ero troppo concentrata a penetrare le menti altrui, per rendermi conto del momento che stavo vivendo: il mio primo ballo con Edward!
Quante emozioni tutte insieme!
Per un attimo persi il contatto con la realtà e notai Isabelle storcere il naso preoccupata.
Mi ripresi subito concentrandomi per raggiungere più persone possibili.
“Hai davvero un bel potere ma manchi di concentrazione tesoro mio” mi sgridò e sul suo viso apparve quello splendido sorriso sghembo…
“Capita anche ai migliori” risposi senza fiato “E tu? Hai qualche abilità particolare?”
“Si. Leggo la mente della gente ma stranamente con te non riesco…”
Intanto la musica riempiva l’aria e altre coppie ci raggiunsero sulla pista.
Che fortuna!
Urtando spalla a spalla con dame e cavalieri il mio compito si facilitò e finì prima del previsto.
“Andiamo?” sussurrò Edward al mio orecchio non appena Marco e Cristopher apparvero sulla porta.
“Hanno fatto presto” commentai mentre li raggiungevamo.
“Troppo” sorrise Edward guardandomi con la coda dell’occhio.

Pochi minuti dopo ci ritrovammo riuniti nel salotto di casa mia.
C’erano troppe cose in sospeso che andavano chiarite.
Notai che Marco era stranamente agitato: passeggiava su e giù per la stanza pensieroso, quasi preoccupato.
Edward ci raccontò la sua storia ed io gli raccontai la mia, dal giorno in cui lascia l’ospedale, all’incidente, dall’incontro con Marco, al nostro soggiorno a San Francisco fino al ritorno a Chicago e il conseguente incontro con Isabelle e Cristopher.
“E pensare che sarebbe potuto andare tutto in modo diverso…” commentò lui dopo aver ascoltato il racconto.
“Lo so” dissi stringendogli le mani tra le mie.
Istintivamente Edward si voltò a guardare Isabelle che sino a quel momento non aveva aperto bocca.
“Sei stata tu a mandare quell’invito a casa di Carlisle, non è vero?” le domandò Edward.
Isabelle sorrise.
 “Quando sei passato di qui, questo pomeriggio, non potevo credere ai miei occhi. Credevo fosse una mia impressione ma la somiglianza era troppa per lasciare il minimo dubbio.
Così mi ricordai di te quel giorno che venni a trovare Carlisle, poco prima la vostra partenza e ho avuto quell’idea che oserei definire geniale”.
Gli occhi ambrati le brillavano come quando guardava Marco, dello stesso entusiasmo.
“E quindi tu sapevi già…”
“Veramente anche io lo sapevo” mi interruppe Marco, appoggiato al marmo del camino.
Notai un certo astio nelle sue parole, nel modo in cui le aveva pronunciate a denti stretti.
“Che ti prende Marco?”
“Se è per quello puoi stare tranquillo. Non sono tornato per portartela via.” disse Edward rispondendo ad una sua muta domanda.
“E chi me l’assicura?” controbatté mio fratello leggermente agitato.
L’oggetto della disputa quindi ero io!
Scoppiai immediatamente a ridere e tutti si voltarono a guardarmi stupiti.
Non ridevo così da molto tempo.
“E’ questo il problema?” chiesi ridendo ancora.
“Vedi Josephine, tuo fratello teme che io ti allontani da lui e mi vede come una minaccia… diglielo anche tu che non ha nulla di cui preoccuparsi. Io sono qui per restare, se mi accetterete, con voi. Voglio far parte della vostra famiglia.”
“E’ quello che ho desiderato in questi anni, ogni singolo giorno, ogni notte insonne ho sognato che tu facessi di nuova parte della mia vita. Ed ora che sei qui, non ti lascerò andare via tanto facilmente”
“Non ne ho la minima intenzione amore mio” disse posando le sue labbra sulle mie, in un dolcissimo bacio.
“E voi? Che ne dite?” chiesi poi alla mia famiglia.
“La tua felicità è anche la nostra” rispose Isabelle venendomi incontro e abbracciandomi.
“Sono d’accordo con lei. Tanti auguri piccola” disse Cristopher baciandomi la fronte e stringendo la mano ad Edward in segno di benvenuto.
“E tu Marco?” mi alzai raggiungendo mio fratello.
“Ti ho visto soffrire per tutto questo tempo…come potrei rovinare la tua felicità? Ti auguro il bene di tutto il mondo sorellina mia”
“Grazie” dissi abbracciandolo forte.
Dopo pochi attimi Marco si staccò dal mio abbraccio e si diresse verso Edward.
“Benvenuto in famiglia cognato”
“Grazie mille”
“Sapete una cosa?”dissi abbracciandomi ad Edward
“Cosa?”
“Tutto sommato ora non mi dispiace più essere un vampiro”
“E perché mai?” mi chiese Edward interrogativo.
“Bè adesso ho tutta l’eternità per amarti”



Mi scuso con tutti voi per l'assurdo ritardo con cui pubblico questo capitolo.
Ho avuto seri problemi per causa dei quali mi è stato molto difficile portare avanti entrambe le mie storie,
ma ora sembra essere tornato il sereno.
Vi chiedo ancora scusa e un pò di pazienza se dovessi tardare di molto anche con il prossimo capitolo.
Ringrazio tutti coloro che nonostante tutto mo continuano a sostenere commentando o semplicemente leggendo e inserendo tra i preferiti questa storia.
Non posso ringraziarvi tutti adesso, lo farò nel prossimo capitolo.
Vi mando un grandissimo bacio ed un forte abbraccio!
VVB^_^
La vostra...
Evie

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Capitolo 24
*** Amor carnale ***


"Spesso lo sguardo ha fame
può saziare l’appetito
ma l’amor carnale
non consuma tutti i sì
la tua bellezza sale
fino in fondo all’anima"


Bastard sons of Dioniso


24. Amor carnale

Edward POV

Correvamo veloci come il vento nella tiepida notte di Chicago.
Correvamo con il vento tra i capelli ed il profumo dell’aria estiva che ci avvolgeva nel suo tepore accompagnando la nostra corsa.
Correvamo mano nella mano, finalmente.
Mi voltai a guardarla: era bellissima così concentrata e serena.
Si accorge del mio sguardo e mi fissa a sua volta, sorridendomi radiosa.
Era la prima volta che cacciavamo insieme ed entrambi provavamo quello strano timore di mostrare all’altro il nostro lato peggiore, quello del mostro.
Lessi questo nei suoi occhi, specchio dei miei.
Correvamo diretti al molo per cercare lì le nostre ignare vittime.
Dopotutto non  facevamo nulla di male o sbagliato; quella era la nostra natura e non potevamo far nulla per cambiarla.
L’unica cosa da fare era accettarla serenamente e cercare di vivere al meglio quel pizzico di eternità che ci era stata affibbiata.
Con lei al mio fianco sarebbe stato tutto più semplice e gradevole.
Avevamo passato tutto la notte ed il giorno precedente a parlare, a raccontarci le nostre storie dolorose e a cercare di raccapezzarci tra immortalità e bizzarri poteri.
la cosa strana che notammo subito era che se uno dei due usava il suo potere sull’altro questo non lo avverte: io non le potevo leggere la mente ed a mia volta ero immune dalle sue illusioni.
La spiegazione? Introvabile.
Questo sarebbe stato un caso perfetto per Carlisle, ma per una scemenza del genere non sarei di certo tornato da lui.
Saremmo sopravvissuti ugualmente.
Arrivammo al molo. Apparentemente non vi era anima viva, ma con un pizzico di concentrazione avvertii il battere concitato di più cuori ed una muta richiesta d’aiuto.
“Dietro quel casermone c’è qualcuno” mi avvertì Josephine.
“Si me ne sono accorto. Avviciniamoci. C’è qualcuno in pericolo e dai loro pensieri sembrano non avere buone intenzioni…”
“Bè gliele spegneremo noi”
Ci avvicinammo senza far rumore: in quello spazio vi erano due persone che minacciavano con un coltello un uomo seduto in un angolo.
“Se non saldi subito il tuo debito questa notte dormirai con in pesci del mare” lo intimò quello più grosso.
L’uomo non ebbe la forza di replicare. Chiedeva solo aiuto pur sapendo che le sue speranze erano vane.
“Interveniamo” disse Josephine “ non serve saper leggere la mente per sapere che quell’uomo ha i minuti contati”
“Andiamo”
Agilmente salimmo sul tetto di quella costruzione e piombammo come pipistrelli sui due malviventi.
Era da giorni che non mi nutrivo ed essere apparso davvero terrificante perché l’uomo che avevamo appena salvato raccolse le ultime forze e scappò via urlando.
“Che ingrato. Neanche un “grazie che mi avete salvato la pellaccia”” commentò Josephine sollevando la testa dal suo pasto per guardare l’uomo in fuga.
Risi tornando alla mia vittima che ormai non respirava neanche più.
Un’ora più tardi tornammo a casa.
L’adrenalina correva forte accompagnata dal sangue che ci scorreva temporaneamente nelle vene.
Ci guardammo e non ci fu bisogno di parlare.
Strinsi Josephine tra le braccia e iniziammo a baciarci, ritrovandomi ad aprire la porta con il piede.
La casa era tutta nostra perché Marco aveva trovato in coraggio di dichiararsi a Isabelle e passava tutto il tempo a sua disposizione con lei.
Josephine ed io eravamo dell’idea che presto lei sarebbe riuscita a convertirlo al loro modo di vivere.
Ma l’importante era che fossero felici insieme.
Salì le scale portando Josephine in braccio e continuando a baciarla.
Entrammo nella sua stanza, fu un attimo e ci ritrovammo sdraiati sul letto a spogliarci l’un l’altra.
L’adrenalina continuava a salire ogni volta che ci sfioravamo con dolci carezze e baci poco casti.
I respiri affannati erano l’unica parola in quel nostro paradiso.
Mi sollevai per guardare Josephine, splendida come non mai, mi guardava con desiderio crescente, lo stesso che io provavo per lei.
Non la feci aspettare.
Mi avvicinai per baciarla, posando una mano su una sua coscia mentre iniziavo a farla mia.
Con entrambe le mani lei si aggrappò alla mia schiena conficcando le unghie nella carne man mano entravo in lei accelerando il ritmo.
Portai entrambe le mani ai lati del suo viso, intrecciandole con i suoi capelli.
Accelerai ancora.
Sentivo i suoi gemiti di piacere crescere di intensità, gli occhi quasi del tutto chiusi, la schiena inarcata ad assecondare il mio movimento altalenante.
Arrivammo al punto cruciale, quando il piacere toccò l’apice più alto, il Paradiso in terra.
Josephine strinse le cosce attorno i miei fianchi e intrecciò le gambe alle mie, mentre poggiava una mano sulla mia spalla destra stringendola forte e con l’altra si aggrappava al mio avambraccio.
Entrambi raggiungemmo il piacere massimo, insieme.
Un minuto dopo ricaddi come senza forze sul petto della mia donna.
Era mia in tutti i sensi.
Sentivo il suo respiro caldo sulla mia testa mentre lei mi accarezzava i capelli.
“Oh amore mio” sospirò con voce ancora rauca.
Mi sollevai mettendomi supino per poter stringere tra le mie braccia Josephine.
Lei appoggiò la testa sul mio petto e con le dita disegnava cerchi invisibili sulla mia pelle.
Era una sensazione meravigliosa, un misto di appagamento e gioia allo stato puro.
Se fosse stato un sogno, non avrei voluto svegliarmi mai.
“Edward, posso farti una domanda?”
“Certo che puoi! Dimmi pure amore”
“Se le cose fossero andate diversamente, tu mi avresti sposata?”
Respirai a fondo prima di rispondere.
“Te lo avrei chiesto non appena fossimo usciti dall’ospedale. Sapevo che tu stavi male ma credevo saresti stata dimessa presto, ma poi gli eventi sono precipitati.”
“Grazie. Sono contenta”
“Certo che basta poco a farti felice”
“Basti tu a rendere il mio mondo perfetto”
Si sollevò per baciarmi.
“Ti amo”
“Ti amo da morire anche io”disse baciandomi di nuovo.
“Non stuzzicarmi ragazzina, non so come potrei reagire” le dissi scherzando maliziosamente.
“Bè se la reazione è quella di prima, continuo a stuzzicarti molto volentieri” rispose baciandomi qua e là il petto.
Le presi il viso tra le mani baciandola a mia volta.
“Pronta per il secondo tempo?”
“Mai stata più pronta di così”.
Ricominciammo ad amarci per la seconda volta quella notte.


Allora spero di non avervi fatto attendere più del dovuto ma sto cercando di giostrarmi tra tre diverse storie e rischio di impazzire.
Per quanto riguarda questo capitolo perdonatemi perchè non sono molto brava a descrivere scene così intime ma spero che nel complesso vi piaccia ugualmente.
Passiamo ai ringraziamenti:
-Sabry tesoro mio grazie per il tuo commy (sempre la prima tu eh!)! Mi ha fatto piacere la citazione nel commento^_^! TVB

-Sabry87 grazie grazie grazie per il tuo commy! TVB

-Bellas  tranqui che la storia non ho nessuna intenzione di troncarla! Mi piace troppo troppo troppo per poterlo fare!!! Grazie perchè hai scelto di seguire la mia storia! TVB

-Tessy  contenta adesso che sono di nuovo insieme!! Mi fa piacere che sei tornata a commentare di nuovo! Grazie mille! TVB

Grazie a tutti raga!!!!!!!!!
Continuate a seguire la storia ed a commentare ( mi diverto a leggere i vostri commy!)!
Un bacione enorme...

Evie

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Capitolo 25
*** Nient'altro che noi ***


"Nel vero amore è l'anima che abbraccia il corpo."
Friedrich Nietzsche


25. Nient’altro che noi

Josephine POV

Ancora dovevo farci l’abitudine.
Nonostante fosse passato un po’ di tempo, stentavo a crederci che alla fine tutto si fosse sistemato per il meglio.
Edward ed io eravamo di nuovo insieme e nulla avrebbe potuto cambiare le cose, né ora né mai.
Stavo ancora facendo l’abitudine a “svegliarmi” con lui accanto, quando sentii Edward sghignazzare.
“Che hai?” gli chiesi sollevandomi e poggiando il mento sul suo petto marmoreo.
“Niente, niente. Ma ci conviene vestirci alla svelta” mi rispose continuando a sfoggiare quel suo sorriso sghembo e accarezzandomi i capelli.
“Perché mai? Abbiamo visite?”
“Diciamo di si. Su andiamo. Oggi avremo una bella sorpresa”
Due minuti dopo suonò il campanello, come aveva previsto Edward.
Noi, naturalmente eravamo già al piano di sotto ad attenderli.
Aprii la porta e mi apparvero due raggianti Marco e Isabelle.
“Buongiorno. Disturbiamo?” chiese Isabelle entrando.
“Figuratevi! Lo sapete che non disturbate mai”
In quel momento vidi Edward guardare in modo abbastanza serio mio fratello e dalla sua espressione capii che c’era sicuramente qualcosa che li preoccupava.
Ci avrei scommesso qualsiasi cosa.
“Josephine abbiamo una splendida notizia” annunciò Isabelle sempre più felice.
“Accomodiamoci in soggiorno allora.” dissi prestando maggior attenzione a quello che il sorriso di Marco nascondeva.
Preso posto Isabelle continuò:
“Josephine, Edward, Marco ed io abbiamo notizie magnifiche. Glielo dici tu?” disse lei voltandosi a guardarlo.
“Edward già lo sa. Ricordi?” le rammentò il potere di Edward, portandosi un dito alla tempia.
“Già dimenticavo.. Che sfortuna, così la sorpresa è rovinata” sbuffò Isabelle abbracciando uno dei cuscini del divano.
“Ma Josephine non lo sa” intervenne Edward cingendomi le spalle con il braccio.
“Giusto! Allora provvedo subito: Marco ed io vogliamo sposarci!”
“Cosa? Dici sul serio? Ma è..meraviglioso!” mi alzai andando incontro a Isabelle per farle i miei migliori auguri.
Abbracciai Marco, ma il suo sguardo continuava a preoccuparmi.
“Non sei felice?” gli sussurrai in un orecchio.
“Certo che lo sono. Ti spiegherà tutto Edward, più tardi ok?”

I giorni seguenti trascorsero tra le isterie di Isabelle che organizzava tutto per la sua partenza in autunno, i continui sbuffi di Cristopher che non sopportava più la sorella, e la velata tristezza di Marco che da una parte amava Isabelle tanto da seguirla in capo al mondo, mentre dalla’altra aveva dispiacere a lasciare me.
Il giorno stesso dell’annuncio di Isabelle, Edward mi aveva spiegato lo strano comportamento di Marco:
“Tuo fratello è semplicemente preoccupato per te. Isabelle ha messo una clausola per il loro matrimonio: Marco dovrà adottare il suo stile di vita e per questo all’inizio dell’autunno si trasferiranno a Denali, in Alaska per questo motivo.
Solo dopo un anno di disintossicazione si potranno sposare.
Marco è felicissimo ma teme la tua lontananza. Siete molto legati e ha paura che così andando le cose non avrete più modo di rivedervi o di vivere insieme nuovamente”

Nonostante abbia diverse volte ed in diversi modi tranquillizzato mio fratello, Marco è deciso a non attenuare il suo stato di stress.
Così sono stata costretta a promettere mie frequenti visite a Denali dopo l’anno di disintossicazione.
Non avrei mai immaginato che Marco potesse essere così affezionato a me.
Come se non bastasse da un periodo consistente, precisamente da un paio di giorni dopo che ci eravamo ritrovati, notavo Edward inquieto, alla costante ricerca di un qualcosa di cui ignoravo l’esistenza.
Girava su e giù per casa come un matto e non aveva intenzione di rivelarmi l’oggetto delle sue continue ricerche.
Quando non smaniava come un pazzo, suonava il piano oppure giocava a carte con Marco e Cristopher, lasciandomi sola in balia delle frenesie di Isabelle.
Quella mattina era arrivata posta.
“Strano” pensai “Nessuno sa che abitiamo qui”.
Presi il plico dalla cassetta delle lettere e aspettai d’esser in casa per aprirlo.
Tutti abbandonarono le loro postazioni per raccogliersi attorno a me e vedere di cosa si trattasse.
Aprii il pacchetto e dal suo interno ne cadde un mazzo di chiavi.
“Queste le riconosco! Sono le chiavi della nostra casa a San Francisco.” esclamò Marco prendendole tra le mani.
“Hai ragione..e qui c’è una lettera:
    
    ‘Lady Gloria, Lord Marco,
mi scuso per l’enorme ritardo con cui vi consegno le chiavi delle vostra residenza di San Francisco, lasciatavi dal vostro defunto padre.
    Purtroppo piccoli inconvenienti, ma non certamente gravi, mi hanno impedito di essere lì presente oggi per consegnarvele personalmente come avrei voluto.
    Subito dopo la vostra partenza, lady Gloria, la servitù ha iniziato ad abbandonare la casa recandosi ai vari posti di lavoro, indirizzati dal notaio Harrold.
    Tutti erano molto tristi, sapete, per la partenza di vo’ signorie, ma d’altro canto sono stati molto felici di liberarsi una volta per tutte del figlio di Lord Arthur e della sua perfida sposa.
    Per quanto riguarda Max e Margaret, come ben ricorderete il testamento li costringeva a lasciare l’abitazione di vostro padre, e così han fatto. Sapeste dove vivono adesso!
    Ricordate gli appartamenti in periferia, quelli che affittava la signora Smith?Ebbene, signori miei, è proprio lì che adesso vivono quei due snob.
    La signora Margaret dà tutta la colpa di quello successo a suo marito e personalmente non credo che resteranno ancora molto insieme. Anzi temo che la signora sia alla ricerca di un partito migliore a cui spillare danaro.
    Ben gli sta a tutti e due! dico io pensando agli stira piedi che abbiamo dovuto subire in questi ultimi anni.
    Per quanto mi riguarda, attualmente mi trovo nella mia nuova abitazione a Dallas. Il ranch è meraviglioso e mi dà molte soddisfazioni. La vita di campagna è molto più salutare di quella della città, sapete?
    Qualche mese fa ho incontrato una persona, una donna, che mi ha fatto o fermar il respiro tra cuore e polmoni’ come dice lei milady.
    Anita è una persona davvero speciale e poco dopo il nostro incontro abbiamo deciso di sposarci. La mia felicità è alle stelle signori e spero che la vostra sia altrettanto in alto.
    Per qualsiasi cosa abbiate bisogno, sapete dove trovarmi.
Per sempre al vostro servizio.
            Vostro affezionatissimo
                    Antonio ‘


“Che bella notizia, vero Marco?” chiesi appena ebbi finito di leggere.
“Si. Sono davvero felice per Antonio, gli ero molto affezionato. Dovremmo inviargli una risposta”
“Certo. Lo faremo domani. Ora è tardi e non ho molta voglia di scrivere. Preferirei ascoltare Edward al piano, che ne dici?”
Mi voltai a guardarlo: lui mi sorrideva sereno.
Annuì e si sedette al piano.
Per prima cosa suonò un Requiem di Mozart, e quando restammo da soli, mi invitò a sedere accanto a lui.
Partì la mia melodia, quella del carillon.
Non l’avevo mai sentita suonare dal vivo.
Chiusi gli occhi per assaporarne l’intensità e la dolcezza.
 Sentivo le dita di Edward scorrere veloci sui tasti del pianoforte e a mezza voce sussurrare la melodia come se la stesse scrivendo per la prima volta sotto ispirazione.
Sorrisi e lui se ne accorse.
La musica finì.
Riaprii gli occhi e vidi Edward estrarre un oggetto dalla tasca dei pantaloni.
“E’ quello che cercavi” chiesi notando il suo sorriso più sereno e eccitato.
“Esattamente.”
Stringeva tra le mani una scatoletta quadrata quando si inginocchiò di fronte a me e l’aprì immaginavo già cosa fosse:
 protetto dal satin nero, l'anello che doveva esser appartenuto ad Elizabeth Masen brillava alla luce del lampadario e di qualche candela sparsa per la sala.
Era un ovale allungato, coperto da file oblique di pietre tonde e luccicanti.
 La montatura era d'oro giallo, sottile e delicata.
 L'oro formava una rete finissima attorno ai diamanti.
Non avevo mai visto nulla del genere.
“Avrei voluto chiedertelo da tantissimo tempo, ma senza di questo mi era difficile” dissi con quel suo sorriso che adoravo e schiarendosi la voce continuò:
“Josephine Madeline Heart, insieme e divisi per le vicissitudini della vita ne abbiamo passate tante.
Ma se guai a non finire fossero il prezzo da pagare per avere con me la tua presenza sempre, io sarei disposto a sopportarli.
Quindi, Josephine vuoi diventare mia moglie e passare con me il resto dell’eternità?”
Se avessi saputo come fare, avrei sicuramente pianto dalla gioia a sentire quelle parole.
“E’ la dichiarazione d’amore più bella che abbia mai sentito.
Si,si si si e ancora e per sempre si amore mio!” risposi buttandogli le braccia al collo e baciandolo appassionatamente.
Edward mise l’anello di sua madre al mio anulare sinistro.
Ci stava davvero bene!
Lo riguardai diverse volte per metabolizzare quello che in pochissimi minuti era successo.
“D’ora in poi staremo ufficialmente insieme” mi sussurrò all’orecchio baciandomi di nuovo.
“Nient’altro che noi”.



Sorry per il ritardo ma ormai ci sarete abituati (perdono*.*) ma ho avuto taaaaaaaaaanto da fare per il mio nuovo forum( che vi invito a visitare ed a farne parte^_^  http://lesfleursdumal-fanfiction.forumcommunity.net/) !
Meglio tardi che mai no??
Passiamo ai ringraziamenti:

Sabry87: Graaaaaaazieeeeeeeeeee!!!!! Questa volta è stata la tua la prima recensione! Sono contenta che ti sia piaciuto il chappy! TVB

Bellas: Grazie mille per la tua recensione!!!! Davvero bella!  Ma i fa piacere sapere che la mia storia ti appassiona così tanto!! TVB

Sabry_Cullen: Amore mio grazieeeeee!!!!! hai visto che sorpresona vi ho fatto???? Spero che quella di questo chappy non sia da meno! TVB

_New_Moon_: Hai davvero letto la storia tutta d'un fiato??????? Wow! Brava! Grazie per i tuoi mille complimenti!^_^!!!  Comunque anche io ho lo stesso problema della "cipolla"....siamo due persone emotivissime, eh?! Sono contenta di avere una nuova fan! TVB

_tessy_: Bè dopo tanto tempo passato lontano, è pure giusto che si diano da fare! Grazie per la bella recensione! TVB

storyteller lover: Tesoro miooooooooooooooo mi sei mancatissimaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!T_T!!!!!! Mi dispiace per il tuo periodo stressante... Comunque ti sei fatta superperdonare con la tua bella recensione! Mi raccomando non mi abbandonare più!!! In bocca al lupo per gli esami! TVB

Altri ringraziamenti alle persone che l'hanno aggiunta tra i preferiti...:

1 - alice brendon cullen 
2 - annuxiaaa 
3 - Bella4 
4 - bella5 

5 - bella95 
6 - Bellas 
7 - bimbaemo 
8 - blinkina

9 - coppolina93 
10 - deneb91 
11 - devo 
12 - dora92 
13 - elly247 
14 - Ether 
15 - frefro
16 - Giu__xX 
17 - Gx_Gse 
18 - hitomi 
19 - Honey Evans 
20 - irly18 
21 - KikyCullen
22 - lolitosa 
23 - masychan 
24 - Melf 
25 - mijagi 
26 - miki18 
27 - nihal_soana93 
28 - pazzerella_92
29 - Remember 
30 - RockAngelz 
31 - Sabry87 
32 - Sabry_Cullen 
33 - Sheba_94 
34 - soad 
35 - storyteller lover 
36 - Tay_ 
37 - twinings 
38 - ysellTheFabulous 
39 - _Nessie_ 
40 - _New_Moon_ 
41 - _tessy_

...e le amiche delle seguite:

1 - Mary___02 

2 - Sophie x Daniel 

3 - _New_Moon_


A presto spero!
kisskiss

Evie

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Capitolo 26
*** La voce del cuore ***



“... il nostro cuore parla a tutti noi
tramite una voce inconfondibile.
 Bisogna aver pazienza e ascoltare
 quello che ha da dirci, perchè il cuore è
l'unico amico che non ci mentirà mai”


Josephine Heart


26. La voce del cuore

Josephine POV

“Dici davvero??” urlò con la sua voce squillante Isabelle guardandomi più felice che stupita.
“Si! Edward mi ha chiesto di sposarlo, ieri sera!”
“Oh mio Dio che notizia meravigliosa!” disse abbracciandomi come mai aveva fatto prima.
“Tanti auguri Josephine!” sentii la mano di Cristopher stringere la mia spalla.
 Mi liberai dall’abbraccio di Isabelle per ringraziare Cristopher. “Te lo meriti!” mi sussurrò all’orecchio stringendomi a sé.
“Eh cognato, che spirito di emulazione hai avuto! Vedo che Isabelle ed io ti siamo stati di grande ispirazione!” disse Marco stingendo la mano al mio futuro sposo.
“Bè diciamo che questo ‘spirito di emulazione’ l’avevo in serbo da qualche annetto, solo che prima mi mancava la sposa, e poi, quando l’ho ritrovata, era sparito l’anello.. E’ difficile chiedere la mano di qualcuno quando mancano questi elementi!”.
Scoppiammo a ridere a quelle parole.
Finalmente il mio grande sogno si stava realizzando.
Edward ed io
per sempre.
“E a quando il grande giorno?” chiese Isabelle ancora tutta eccitata.
“Il più presto possibile.” disse Edward abbracciandomi da dietro “anche domani”.
“Impossibile! Dobbiamo organizzare tutto come si deve!” disse Isabelle saltellando sul posto come una bimba a cui hanno fatto un grandissimo regalo e non vede l’ora di provarlo.
“Non c’è molto da organizzare visto che saremo solo noi…” le dissi stringendole una mano.
“Perché non ti fai gli affari tuoi tu…”l’ammonì Cristopher punzecchiandola su un braccio.
“Lasciami stare! Ma Josephine cara.. è il giorno più bello della tua vita! Anche se siamo solo noi i pochi fortunati a potervi assistere, voglio che sia tutto perfetto per te. Ti voglio bene come se fossi mia figlia..dopotutto sei sangue del mio sangue e per questo sei speciale…”
“E va bene.. Organizziamo questo matrimonio!”
Isabelle di slancio abbracciò sia me che Edward.
“Sarà tutto bellissimo!” disse con gli occhi che le brillavano.
“Avete scelto la chiesa?” domandò Marco seduto all’angolo del tavolo del salotto.
“Pensavamo a quella chiesetta fuori città. Piccola, intima e perfetta per noi. Siamo già andati a vederla questa mattina presto.” gli rispose Edward raggiungendo lui e Cristopher.
“E il celebrante? Lo avete già?” fu Cristopher a parlare.
“Veramente no..” ci pensai solo allora: ci mancava il prete!
“Bè se volete potrei sposarvi io.. tempo fa avevo ottenuto una licenza dal vescovo, ma non credo sia ancora valida. Ma in ogni caso mi servirà appena una settimana per ottenerla di nuovo…sempre che voi vogliate che…” non fece in tempo a finire la frase che noi demmo subito il nostro consenso entusiasta “Ma certo!!!! Che bella idea! Grazie!”.
“Bè a questo punto mi pare ovvio che tu…” Edward si rivolse a Marco con uno sguardo inequivocabile.
“Sarò il testimone!!!” esultò lui abbracciando il cognato.
“Quindi Isabelle, tu sarai la mia damigella d’onore e testimone” conclusi io suscitando l’esultanza di Isabelle.
Ognuno aveva ricevuto il suo compito per il matrimonio, e stabilita la data per il 27 non mancava che aspettare, preparando i singoli dettagli.
Il giorno dopo dall’annuncio Edward ed io andammo a chiedere il permesso di occupare la chiesa per il sabato seguente, permesso che ci venne accordato immediatamente da un annoiato sacrestano al quale Edward fece una richiesta: non esserci il giorno delle nozze.
L’anziano uomo, inizialmente stupito per la singolare richiesta, non fece domande dopo aver ricevuto un bel po’ di danaro in cambio della sua disponibilità e del suo silenzio.
Il mio Edward sapeva essere molto persuasivo quando voleva…
Lo stesso giorno Cristopher partì per ricevere il permesso di sposarci; sarebbe stato di ritorno il giorno prima del matrimonio.
Quel pomeriggio invece Isabelle mi trascinò in centro, in giro per negozi in cerca del mio abito da sposa.
“Ma non potrei adattare quello di mia madre” le chiesi quando uscimmo dal secondo negozio a mani vuote.
“Assolutamente no! L’abito da sposa è una cosa importantissima e ogni sposa deve avere il suo.”
“Come vuoi tu” sbuffai per quella che secondo me era un’inutile ricerca.
Entrammo nel terzo negozio, ospitato da un locale molto più piccolo degli show room che avevamo appena visitato.
“Buongiorno” salutammo aprendo la porta.
Si udì un tonfo nella stanza sul fondo e poi una vocina che diceva: “Sono subito da voi”.
Qualche istante dopo ci raggiunse nell’ingresso una piccola donnina di mezz’età, non molto alta, dall’aspetto un po’ gracilino e dall’aria estremamente simpatica.
“In cosa posso esservi utile?” chiese pulendo le spesse lenti degli occhiali alla manica del vestito.
“Vorremmo vedere i suoi abiti da sposa. I più belli naturalmente” annunciò Isabelle solenne.
La signora infilò gli occhiali e ci guardò meglio, squadrandoci dalla testa ai piedi.
Entrambe notammo la sorpresa sul suo volto.
“Che strane persone” deve aver pensato nel vedere due giovani donne così pallide e belle.
“Abiti da sposa? Si si certo! Seguitemi” disse precedendoci nello stanzone infondo al locale.
Lì regnava il caos più totale: macchine da cucire, fili sparpagliati qua e là, stoffe di ogni genere e misure ammassate su una sedia, un manichino caduto a terra ed un altro ancora in piedi e semivestito.
“Dove mi hai portato?” sussurrai a Isabelle.
Lei si voltò guardandomi come a chiedermi scusa e invitandomi a portare pazienza.
 “Scusate il disordine” disse la donnina spostando i tessuti da una sedia a una poltroncina.
Ad un certo punto, mentre Isabelle e la signora Smiff ( così recitava l’insegna fuori al locale) guardavano dei modelli che potessero starmi bene, notai un luccichio dietro la finestra semi aperta.
Il debole sole pomeridiano si rifletteva parzialmente sul pizzo bianco sporco tendente all’ecru di un abito meraviglioso, confinato nella penombra della stanza.
Mi avvicinai per sentire la stoffa sotto le mani e per vedere meglio i particolari: l’abito aveva anche una fascia in pura seta bianca appena sotto il seno e un semplicissimo velo di organza da abbinarci.
Non era particolarmente pomposo o sfarzoso, ma cadeva semplice con una leggera svasatura alla fine.
“Wow” sussurrai meravigliata dalla bellezza del mio abito “E’ lui” dissi voltandomi a cercare gli occhi di Isabelle.
Lei mi sorrise annuendo.

Una sera la passai interamente con Edward.
Eravamo coricati nella nostra stanza a parlare, a dirci tutto quello che non avremmo potuto dirci nelle 24 seguenti, durante le quali, come per tradizione, gli sposi dovevano rimare separati.
“Sarebbe stato meraviglioso se i nostri genitori ci avessero potuto vedere oggi.” dissi poggiando la testa sul petto di Edward.
“Già. Sarà dura non averli al matrimonio… soprattutto per te” prese ad accarezzarmi i capelli.
“Molto..non posso pensarci.. che vita la nostra! Ci si potrebbe scrivere un romanzo alla “Tristano e Isotta” o “Romeo e Giulietta”..”
“Ehi ma quelle sono storie finite tutte male!”
“Hai ragione! Per questo dovrebbero scriverne uno solo per noi” dissi ridendo.
“Ah ma ti ho mai raccontato di quando tuo padre mi ha preso a pugni?”
“Cosa? Mio padre ti ha preso a pugni?” scoppia nuovamente a ridere come una pazza “Non ci posso credere!”
“Ma dico sul serio!”
“Si lo so. Solo che non posso credere che io mi sono persa quella scena!”.
Ormai ridevo rotolandomi da una parte e dall’altra del letto.
“Se non la smetti di butto dal letto!” mi minaccio Edward sfoggiando il mio sorriso preferito.
“Ok, la smetto. A patto che tu mi racconti tutta la storia”
Edward mi imitò mettendosi a sedere sul letto e iniziando il suo racconto:
“Ricordi il giorno dopo al nostro incontro, quando ti portai sulla terrazza dichiarandomi?”
Annuii.
“Quindi ricorderai che quando ci baciammo tu svenisti.. io presi uno spavento terribile che superò solamente la notizia della tua morte. Preso dal panico ti presi in braccio riportandoti al tuo piano e cercando aiuto.
In quello stesso momento arrivarono i tuoi genitori e tuo padre credendomi, a ragione, la causa del tuo malessere mi prese a pugni.
Fu uno dei momenti più brutti della mia vita… non tanto per il pugno, ma ho avuto veramente paura, per la prima volta in vita mia.”
“Amore mio” mi avvicinai e lo baciai sulle labbra.
“Non ridi più adesso” mi dissi sorridendo beffardo.
Scossi la testa continuando a baciarlo.
“Non so fino a che punto tuo padre sarebbe stato contento di questo matrimonio..”
“Lui ti avrebbe amato come ti amo io… Diciamo che sei stato il ragazzo sbagliato, nel posto sbagliato!”
“Davvero… che avventura…”
“In compenso piacevi a mia madre ed a Katie! Sai cosa mi diceva sempre mia madre?”
“Cosa?”
“Che il nostro cuore parla a tutti noi tramite una voce inconfondibile. Bisogna aver pazienza e ascoltare quello che ha da dirci, perchè il cuore è l'unico amico che non ci mentirà mai... me lo ripeté anche quando le dissi di amarti”.
“E il tuo cosa ti sta dicendo?” mi disse Edward avvicinandosi pericolosamente.
"Di amarti più di ogni altra cosa, come non ho mai fatto in vita mia e come non farò mai, Edward” sussurrai mente lui prendeva a baciarmi.

Il 27 arrivò più velocemente di quanto mi aspettassi.
Non lo credevo, ma il tipico panico della sposa aveva contagiato anche me.
Quella mattina ero ancora più agitata di quanto avessi mai sognato da umana.
Isabelle non faceva altro che ripetermi di stare calma e respirare a fondo, e ogni volta che me lo diceva la mia risposta era la stessa: “Ma se i miei polmoni non funzionano più da anni!!”.
Isabelle era già pronta da ore; indossava un bellissimo abito a base crema e con un ampio volant sul marrone chiaro che formava una morbidissima coda.
Mi aggiravo nella mia stanza come un corvo sulla sua preda, avevo l’impressione che da un momento all’altro il cuore prendesse a battermi come un tempo.
Isabelle tolse il vestito dalla fodera che ci aveva dato la sarta e lo posò sul mio letto: era ancora più bello di quanto mi ricordassi.
Sembrerà strano, ma non appena vidi il mio abito, mi tranquillizzai un po’.
Lo indossai e mi avvicinai allo specchio della toletta per guardarlo meglio.
In quel momento Isabelle rientrò nella mia stanza rimanendo di sasso sulla soglia.
“Mio Dio Josephine! Sei stupenda.. non ho parole! Indosso a te questo vestito sembra mille volte più bello di quello che è”.
Le sorrisi e abbracciandola vidi due cose nelle sue mani: il mio bouquet, un trionfo di fiori bianchi e rosa e una scatolina.
“L’hai fatto tu?” chiesi prendendo quella meraviglia tra le mani.
“Si, come il resto delle composizioni che vedrai presto! Su ora siediti che a te ci penso io.”
Mi porse la scatola che teneva nella mano, “Qualcosa di blu” disse mentre l’aprivo e scoprivo uno splendido fermaglio a forma di farfalla tempestato da zaffiri e diamanti.
Nell’ora seguente Isabelle si occupò della mia acconciatura e del trucco.
In un portagioie nella stanza che era stata dei miei genitori, trovai degli orecchini pendenti ed un bracciale di perle, gli stessi che mia madre indossò al suo matrimonio.
“Se fosse stata qui oggi, li avrebbe dati a me, come fece sua madre con lei quando sposò mio padre.” sussurrai a Isabelle mentre indossavo il bracciale a doppio filo di perle “E con questo siamo al completo: qualcosa di vecchio e ‘prestato’”.
“E’ ora” mi informò la mia amica guardando il pendolo nel corridoio.
Fissai il velo all’acconciatura e scesi le scale: fiori bianchi e rosa, di ogni genere e misure avevano invaso l’ingresso della mia abitazione inondando la casa di un profumo inebriante.
“Oh Isabelle… Grazie!”
Le mi sorrise sorreggendo il velo mentre scendevo le scale e raggiungevamo la macchina, una Rolls Royce bianca e nera con alla guida mio fratello.
Marco scese dall’auto come una freccia per venirmi incontro.
Mi prese le mani baciandole e guardandomi emozionatissimo negli occhi mi disse: “Sei meravigliosamente bella, sorellina.”
Se avessi potuto piangere lo avrei di sicuro fatto.
Abbracciai commossa mio fratello, lo strinsi forte come se stessi per partire per la guerra e non potessi vederlo mai più.
Sentivo attorno agli occhi una sensazione come di pianto e di bruciore.
Marco mi aprì lo sportello dell’auto e aiutò me e Isabelle a salirvi.
In meno di dieci minuti raggiungemmo la chiesa.
Già da lontano si notava il tocco artistico di Isabelle: la chiesa era stracolma degli stessi fiori che inondavano casa, all’entrata sorrette da due colonne in marmo rosa, due grandi composizioni cadevano a cascata fino a toccare terra.
Scendendo dalla macchina notai un sentiero fatto di petali che portava direttamente all’altare e una melodia suonata da archi e pianoforte.
Isabelle ci precedette in chiesa sfilando con in mano un bouquet simile al mio, ma leggermente più piccolo.
Non appena apparimmo sulla porta, la marcia nuziale ebbe inizio.
Io mi aggrappai ancora più forte al braccio di Marco, cercando di andare a tempo con la musica.
Ma tutta la paura sparì al primo passo, quando incrociai i suoi occhi che mi fissavano luminosi dall’alto della navata.
Percorsi lo spazio che ci divideva non più con paura o agitazione, ma con una grande emozione e gioia.
Arrivati Marco baciò la mia fronte e porse la mia mano sinistra ad Edward, che la sfiorò con le labbra.
Mio fratello raggiunse il mio futuro sposo alla sua destra, mentre con un gran sorriso salutavo Cristopher.
La cerimonia ebbe inizio.
Prima della partenza di Cristopher, avevamo con lui concordato di cambiare un parte della formula tradizionale del rito, modificando il “finché morte non ci separi” in un più appropriato “per il resto dell’eternità che vivremo”.
La cerimonia fu splendida e breve.
Dopo il “vi dichiaro marito e moglie”, una dose eccessiva di riso e petali di rose ci piovette addosso e al tutto seguì una serie di baci, abbracci e felicitazioni.
Mi sentivo al settimo cielo.
Usciti dalla chiesa un’altra sorpresa ci attendeva sul retro: dove prima regnava assoluta una sterpaglia incolta, ora aveva lasciato il posto ad un bellissimo giardino, con il prato all’inglese e un grande gazebo sotto il quale si sistemò l’orchestra.
Su un tavolo rettangolare, circondata da fiori a cascata, vi era una torta nuziale di ben cinque piani, con in cima due sposini identici ad Edward e me.
“E’ tutto meraviglioso” ringrazia Isabelle.
L’orchestra iniziò a suonare.
“Mi concede questo ballo, signora Masen?” Edward mi porse la sua mano con un elegante inchino.
Signora Masen.
Suonava benissimo.
“Con piacere”.
Ballammo a lungo sulle note di quella splendida canzone che di sicuro sarebbe diventata la colonna sonora della nostra vita insieme.


Note dell'autrice
Inanzitutto vi chiedo scusa per l'enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo ma ho avuto seri problemi con  il mio lavoro che hanno ostacolato il mio lavoro.
Farò il possibile per farmi perdonare la prossima volta.

Poi, seconda cosa, oggi ricorre l'anniversario di The Voice of Heart e quale modo migliore per festeggiare che con un bel matrimonio????????
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come è piaciuto a me scriverlo!

Thanks to:

-_tessy_ : grazie cara per tutto quello che dici nelle tue recensioni! Tranquilla ti capisco benissimo e intuisco quello che provi leggendo! Grazie TVB.

-Sabry_ Cullen: amore mio hai visto?? Finalmente vi ho accontentate!!!!!!! Che bello! Spero ti sia piaciuto il chappy!TVB.

- storiteller lover: sono contenta che tu non mi abbia abbandonata! In tutta sincerità anche io preferisco la mia Josephine a quel piccione del malaugurio di Bella! Proprio non la tollero quella...xd! Grazie! TVB.

-Bellas: grazie mille per la tua recensione! Io vivo questa storia con voi, di pari passo, e sono contenta quando a voi piace! Grazie! TVB.

-Sabry87: W il nostro romanticissimo Eddy!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Grazie per il commy tesò! TVB.

-_New Moon_: tranquilla, finchè non vedrai la parola The End alla fine di uno dei miei chappy io non abbandonerò MAI questa storia! E spero non lo farai neanche tu! Grazie per le recensioni bellissime che mi lasci! TVB.

Ora, non mi resta che darvi appuntamento al prossimo capitolo e dirvi che sul mio forum potrete trovare i volti dei personaggi inediti di The Voice of Heart e ,udite udite, l'abito da SPOSA di Josephine!!!!!!!!

A presto gals!
Kizzkizz

Evie





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Capitolo 27
*** La Corte degli Aranci ***


27. La Corte degli Aranci

Eravamo sposati esattamente da due settimane e un giorno.
Mi trovavo sul ponte della grande nave che ci avrebbe portato a destinazione.
Destinazione a me ignota.
Fissavo l’acqua torbida accarezzata dalla prua della nave, mentre due delfini ci precedevano nel camminino.
Edward chiacchierava allegramente con il comandante Niles. Aveva proibito a chiunque a bordo di rivelarmi la nostra destinazione. Doveva essere una sorpresa.
Mi godevo il venticello fresco, quando mio marito ed il comandante si avvicinarono:
“Cara, il capitano mi ha appena detto che ci vorranno al massimo altri due giorni di navigazione per arrivare a destinazione” mi annunciò entusiasta.
“Bene, dopo un po’ la nave stanca.” dissi sorridendo al capitano.
“Signora Masen, se fosse per me non la farei scendere mai dalla mia nave. E’ una piacevole compagna di viaggio.”
“Grazie capitano. E’ molto galante.”
Il capitano si allontanò lasciandoci soli a goderci quello splendido crepuscolo.

Dopo esattamente due giorni di navigazione, giungemmo finalmente a destinazione e sorpresa delle sorprese quello era il porto di Messina!
Non potevo crederci ma ero tornata nella mia amata Sicilia dopo quattro anni di assenza.
Mi voltai a guardare Edward emozionatissima. Lui mi sorrideva guardandomi raggiante.
“Sorpresa!” disse baciandomi sulla guancia.
“Oh Edward…” riuscii a dire solo quelle due parole.
“Mi sono documentato da Marco e ho scoperto un po’ di cose sulla tua infanzia.” disse mentre scendevamo la scaletta della nave.
Ma certo! Ecco perché passavano tutto quel tempo a confabulare quei due!
“E adesso? Dove andiamo?”.
“Prendiamo una macchina. Ah eccola lì! Ci sta già aspettando” indicò un tizio che si sbracciava a bordo di una decapottabile rossa.
Ci avvicinammo e l’uomo scese dall’auto.
“Il signor Masen immagino. Salve, questa è l’auto che ha richiesto. Buona vacanza. Signora..” disse consegnando le chiavi a Edward.
Un altro uomo si avvicinò e caricò i nostri bagagli sull’auto.
Salimmo a bordo e partimmo.
“Mi togli una curiosità?” chiesi mente lasciavo che il vento mi scompigliasse i capelli.
“Tutto quello che vuoi”
“Come hai fatto?”
“A fare cosa?”
“Tutto questo! E’ meraviglioso e l’organizzazione… hai tutti ai tuoi piedi anche oltreoceano! Come fai?”
“E’ tutta questione di organizzazione - come hai detto tu-  e… carisma!”
L’auto sfrecciava veloce appena fuori la campagna Messinese.
 Edward era un matto!
Spingeva l’auto al massimo della velocità. Pareva che la cosa lo eccitasse molto.
Dopo un paio d’ore arrivammo nei pressi di un casale bellissimo.
“Ti piace?” mi disse mio marito non appena imboccammo il viale che portava all’ingresso.
“Molto…” mi guardavo intorno sempre più sbalordita.
“L’abbiamo preso in affitto a tempo indeterminato” mi comunicò Edward scaricando i bagagli dall’auto.
Improvvisamente uscì una signora dalla porta della piccola cucina rustica.
“Oddio siete arrivati!” disse quasi urlando.
La signora sulla quarantina, saltellava qua e là presa dal panico.
Entrò ed uscì dalla piccola porta di legno una decina di volte, fin quando un ragazzino venne a prendere le nostre valigie.
“Salve!” salutò sorridente.
Io risposi con un cenno del capo, mentre mi avviavo con Edward all’interno della casa.
Raggiungemmo la nostra stanza al secondo piano.
La camera affacciava su un aranceto immenso, sul retro del casolare.
Il balcone era spalancato e le tende bianche svolazzavano all’interno della stanza; il grande letto a baldacchino si trovava al centro esatto e si rifletteva nella specchiera dell’armadio.
La stanza era arieggiata e fresca. Mi avvicinai al balcone per ammirare gli aranceti; d’un tratto mi tornarono alla mente le splendide arance della Corte degli Aranci, la tenuta estiva dei miei nonni materni.
Si trovava a qualche chilometro da Taormina. Chissà se c’era ancora?
“A cosa pensi?” mi chiese Edward con un pizzico di frustrazione nella voce.
“Alle arance. Mi piacerebbe rivedere quelle dei miei nonni…”
“La Corte degli Aranci?” domandò abbracciandomi dalla vita.
“Si. Sarei curiosa di sapere se c’è ancora qualcuno da quelle parti.”
“Se vuoi ci possiamo andare domani”, propose Edward facendomi voltare.
“Sarebbe magnifico!” dissi buttandogli le braccia al collo.
Lui mi baciò teneramente prendendomi in braccio.
“Adesso.. abbiamo da fare…però!” disse tra un bacio e un altro portandomi verso il letto.
“Dopo tutto siamo in viaggio di nozze”, mi posò sul letto delicatamente accarezzandomi la guancia.
Io lo attirai a me facendolo letteralmente sdraiare sul mio corpo.
In un attimo mi ritrovai con solo la sottoveste azzurra addosso, mentre cercavo di sbottonare la camicia di Edward.
Ma lui si muoveva troppo!
Così presi un iniziativa: con una mossa veloce ribaltai le nostre posizioni, mettendomi a cavalcioni su di lui.
Edward dapprima mi guardò stupito, poi esibì il suo sorriso sghembo che adoravo alla follia.
“Almeno così stai fermo” dissi finendo di sbottonare la camicia, scostandola per ammirare il petto granitico al di sotto.
“Bè… questa prospettiva mi piace..” disse lui sempre con quel sorriso stampato in volto.
A me venne da ridere.
Edward si fece serio e lentamente si sollevò, poggiandosi sui gomiti, per baciarmi.
Sentivo distintamente le sue labbra morbide sfiorare le mie spalle, il collo, la gola fino a salire verso il mento e a trovare la bocca.
Fu una sensazione meravigliosa.
Le sue mani gelide si posarono sulle mie cosce, mentre lui continuava a riempirmi di baci.
Sospirai per il piacere che il suo tocco mi provocava.
Lo spinsi nuovamente verso il letto.
Vedevo nei suoi occhi amaranto il desiderio crescere, come quando il cacciatore si avvicina pericolosamente alla sua preda.
Lui era il cacciatore ed io la preda.
Mi avvicinai sbottonandogli i pantaloni.
Lui sospirò dicendo: “Un giorno di questi mi farai diventare matto”, e mi avvicinò a sé aggrappandosi ai miei fianchi.
Il suo profumo era forte e inebriante, e mi piaceva.
Chiusi gli occhi e lentamente iniziai a muovermi su di lui, aumentando sempre di più la velocità con il crescere dell’eccitazione.
All’improvviso fu Edward a cambiare le carte in tavola e io mi ritrovai con la schiena immobilizzata al materasso, mentre lui mi entrava dentro.
Fu bellissimo, più del solito.
Sarà stato per l’atmosfera sicula, per il forte profumo di arance che riempiva la stanza… ma fatto sta che quello fu speciale.

L’indomani mattina partimmo alla volta della Corte degli Aranci.
Lasciammo la casa nella mani della custode, che ci aveva preparato un pranzo al sacco, non sapendo ovviamente che noi non ci nutrivamo nella maniera convenzionale.
La strada era lunga, e per ingannare il tempo cantai qualcosa per Edward, o chiacchieravamo come al solito.
Raccontai ad Edward delle mie estati passate nella campagna siciliana, tra gli aranceti dei miei nonni e i bagni a mare a fine agosto.
La mia infanzia fu davvero felice.
Gli raccontai tutto, fino a quell’estate di quattro anni prima, quando il dottor Rivelli mi diagnosticò la mia brutta malattia, la stessa che mi fece incontrare prima Carlisle Cullen, e poi mio marito.
Ma fu anche per colpa sua – della malattia-  e del mio egoismo che persi la mia famiglia.
Secondo Edward non dovevo farmene una colpa.
Era destino e di certo non sarei stata io a cambiarlo.
Sarebbe stato come lottare contro i mulini a vento: una battaglia persa in partenza.
Finalmente nel pomeriggio giungemmo a destinazione: in lontananza, tra uliveti e gelsomini, si ergeva maestosa la Corte degli Aranci, la tenuta estiva della famiglia di mia madre.
Edward imboccò il viale di ciottoli e parcheggiò la nostra auto di fronte l’ingresso.
Scesi e iniziai a guardarmi intorno: non era cambiato nulla, a parte il fatto che la casa sembrava disabitata.
D’impulso corsi verso il retro, seguita da Edward, per vedere l’aranceto.
Era lì, bello e verde come sempre.
Era lì e sembrava aspettasse qualcuno, magari il mio ritorno.
D’un tratto sentii dei passi alle mie spalle; passi strascicati e molto lenti.
“Chi va là?” gridò la voce gracchiante di una donna in là con gli anni.
Entrambi ci voltammo a guardare la “padrona” di quella voce e con mio grande stupore era una persona di mia conoscenza.
In un sussurro, non riuscii a fermare quella parola che uscì spontanea e nostalgica dalle mie labbra, mormorai: “Nonna!”
Edward mi guardò allarmato.
La donna rimase a bocca aperta.
“Josephine? Se tu?”





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Capitolo 28
*** La sua vita prima di me ***


28. La sua vita prima di me

Edward POV


Quello non l’avevo previsto.
Come avevo potuto essere così superficiale e distratto?
Era un lusso che non avrei dovuto permettermi.
Mi ero rilassato laddove avrei dovuto tenere i sensi all’erta, ma qualcosa mi era sfuggito.
Preso dall’entusiasmo di Josephine mi ero distratto perdendo il contatto con il reale.
Eppure avrei giurato di non aver sentito nulla.
Assolutamente silenzio.
Quella casa che a primo acchito mi era sembrata morta, era in realtà più viva di me. In essa la vita scorreva lenta e triste, come se un filo si fosse spezzato lasciando il vuoto attorno agli aranceti, i giardini e la casa.
Ebbi come una specie di visione: immaginai dei bambini che correvano felici nascondendosi nei campi dove delle donne raccoglievano le arance.
Una di quei bambini era la mia Josephine.
Correva in quell’abitino giallo della foto che conservava nel salotto della casa di Chicago, correva felice, le guance rosee, i ricci costretti da grandi fiocchi in due codini che le circondavano il viso paffutello e già bellissimo.
Fu come quella bambina si fermasse davanti a me e, guardandomi incuriosita, mi porgeva l’arancia che stringeva in mano.
Ad un tratto l’immagine svanì nel suo sorriso allegro e davanti gli occhi ritrovai la bambina diventata donna e mi guardava non con il candido stupore con cui si indaga il volto di uno sconosciuto, no.
Ma era come se il panico avesse il pieno possesso di lei.
La guardai allarmato, e poi finalmente sentii.
L’incredulità regnava nei pensieri dell’anziana signora sulla porta.
“Non può essere! Un miracolo!” continuava a ripetersi sperando con tutte le sue forze che fosse vero, che quella non fosse solo una visone, quello che volevano vedere i suoi stanchi occhi.
“Josephine! Sei tu?” chiese con un filo di voce.
Mia moglie mi guardò strabuzzando gli occhi. Era evidente che non sapesse che fare.
A quel punto intervenni io.
“Ci scusi signora dell’intromissione. Credevamo che la casa fosse disabitata e dato che mia moglie aveva voglia di arance abbiamo deciso di fermarci un attimo.”
Mi avvicinai a Josephine portandola più in ombra possibile, un orecchio teso ai pensieri della donna.
“Josephine… deve essere lei…” pensava avvicinandosi a noi.
“E ora che facciamo?” mi chiese Josephine in un sussurro.
Le strinsi la mano sulla spalla, concentrandomi sul volto della donna.
Notai una grande somiglianza tra lei e mia moglie: la bocca soprattutto era identica
“Non vi preoccupate. Prendete pure tutte le arance che volete, tanto qui non le mangia nessuno. Dopo la scomparsa di mia nipote Josephine gli aranceti sono stati abbandonati. Persino il mio povero marito smise di mangiare il suo frutto preferito.” ci raccontò avvicinandosi sempre più.
Fortunatamente Josephine aveva attivato il suo potere, nascondendo il rosso borgogna dei nostri occhi anche se io ignoravo il risultato.
La donna allungò una mano prendendo quella fredda di Josephine.
Sussultò al contatto, ma non lo diede a vedere.
“Sapete signora, voi mi ricordate incredibilmente mia nipote Josephine. Aveva gli stessi occhi azzurri che avete voi. Siete incredibilmente bella…”
Occhi azzurri?
Josephine si voltò dalla mia parte.
“Edward…” e capii cosa voleva dirmi.
Annuii sorridendole.
“Signora, vostra nipote si chiamava Josephine Heart vero?”
“Come fa a saperlo?” pensò la donna spalancando gli occhi dallo stupore.
Poi annuì tremando, con le lacrime agli occhi.
“Ed era figlia di Lia, vostra figlia… la minore…”
La donna non la fece finire che già la stringeva tra le braccia.
“Oh Josephine! Tesoro mio…” le lacrime sgorgavano copiose dagli occhi quasi vitrei dell’anziana signora.
L’emozione era palpabile.
Quando le due si staccarono continuarono a guardarsi negli occhi stringendosi a vicenda le mani.
“Figlia mia… che mani fredde hai. Ma venite dentro, che maleducata sono.” disse asciugandosi le lacrime con un fazzolettino di lino.
“Nonna, ti presento Edward Masen, mio marito” disse solennemente mia moglie stringendomi un braccio.
La donna, Caterina si chiamava, mi porse la mano che sfiorai con le labbra all’uso di quei tempi.
“Davvero un bel giovane. Ma venite dentro che faccio preparare il tè”.
Caterina ci fece strada in quella che un tempo era anche la casa estiva di mia moglie. Salimmo le scale fino a raggiungere un salottino dal gusto retrò a metà tra il barocco ed il neoclassico.
Quella sala era l’unica ad essere illuminata in tutta la casa, oltre alla cucina dove una donna si affaccendava a preparare del tè con dei biscotti per noi.
“Nonna non è necessario” aveva detto Josephine, ma come si fa a dire di no alle donne di quella famiglia?
Impossibile!
Ed io l’avevo imparato a mie spese.
Ci accomodammo su delle comode poltroncine rivestite con stoffe damascate oro e argento.
“Devi raccontarmi tutto. Cosa è successo davvero in quell’incidente cara?”
“Allora, ero appena stata dimessa dall’ospedale dove il dottor Cullen aveva fatto un ottimo lavoro con me. E’ li che ho conosciuto Edward..” disse guardandomi con occhi adoranti.
Risposi allo sguardo con la stessa intensità stringendole la mano.
“Quella sera stavamo andando alla festa organizzata da zia Constance, dall’altra parte della città ed è nel tragitto che abbiamo avuto il tragico incidente.
Ricordo urla, il sangue sul mio abito bianco e niente più. Al mio risveglio mi ritrovai ai piedi della scogliera, senza memoria e senza passato.
Vagai per giorni in cerca di aiuto finché non incontrai un vecchio amico che mi portò con lui a San Francisco.
Solo pochi mesi fa ho fatto ritorno a Chicago dove lui aveva acquistato per mio conto la casa dei miei genitori e lì ho rincontrato il mio Edward”.
Era evidente quanto Josephine avesse falsato la storia ma di certo non avrebbe mai potuto dirle che la sua famiglia era stata attaccata da vampiri e che lei stessa era rimasta vampirizzata.
Avvertivo il dolore e la disperazione nei pensieri della donna a me di fronte.
Una carrellata di ricordi le invase la mente e scoppiò di nuovo a piangere.
“Solo tu sei sopravvissuta?” chiese tra un singhiozzo e l’altro.
Josephine annuì abbassando gli occhi.
Voltandomi sulla destra notai sulla parete uno splendido ritratto di famiglia: non mancava nessuno.
Caterina notò il mio mal celato interesse per quel dipinto e mi spiegò che quello era stato fatto pochi giorni prima la partenza della famiglia Heart per l’America, quattro anni prima.
“Sono tutti morti tranne Josephine ed io” disse alla fine riprendendo a piangere sommersa da altri ricordi.
Stinsi con più forza la mano di una Josephine sofferente al ricordo.
“Ma non parliamo di cose tristi. Allora, raccontatemi del vostro matrimonio. Raccontatemi” il suo fu più un implorarci che una richiesta.
Mia moglie mi guardò sorridendo e iniziò:
“Come ti ho già accennato, Edward ed io ci siamo conosciuti durante il mio ricovero in ospedale. I suo genitori avevano contratto la Spagnola.” si interruppe guardandomi.
“Josephine fu talmente carina a consolarmi che mi innamorai di lei in un attimo” continuai io, mentre lei annuiva incoraggiandomi a continuare il discorso, “Mi dichiarai immediatamente e avevo progettato di chiederla in sposa non appena entrambi saremmo usciti dall’ospedale ma i miei progetti andarono in fumo. Io contrassi la spagnola e lei fu dimessa il giorno dopo, e poi l’incidente… nei quattro anni successivi ho vissuto con la convinzione che il mio grande amore era scomparso per sempre. Il mio padrino, il dottor Cullen, mi ha preso sotto la sua ala protettrice e sono stato con lui e con sua moglie per qualche tempo, fin quando ho deciso di tornare a Chicago e lì ho ritrovato Josephine.”
“Che storia meravigliosa… non immaginate neanche il piacere che ho ad avervi qui da me adesso! Ora posso morire felice” disse Caterina asciugandosi un’altra lacrima.
Josephine si alzò e si appoggiò al bracciolo della sua poltrona stringendole la mano.
“Oh nonna! Proprio adesso vorresti morire? Ora che siamo finalmente insieme?”.

Passammo il resto dell’estate alla Corte degli Aranci.
Fu una vacanza molto piacevole e la nonna di Josephine era davvero una brava donna. Ci aveva accolto con grande amore senza chiedere nessuna garanzia in cambio.
Diceva che era il suo cuore a darle la certezza delle nostre identità.
Le giornate trascorrevano tra chiacchiere, ricordi e racconti che le due donne mi facevano per rendermi familiare a quei luoghi a loro tanto cari.
Un giorno Caterina chiamò alla tenuta un pittore e con nostra grande sorpresa ci chiese di posare con lei. Nel giro di un paio di giorni il dipinto fu terminato e attaccato alla parete accanto a quello della famiglia.
Venne il giorno della partenza, e la nonna ci tenne ad accompagnarci al porto.
“Queste sono per voi” disse porgendomi un grosso cesto con dentro bellissime arance.
“Josephine questi sono i semi dei nostri aranceti. Portali con te in America e piantali nel tuo giardino quando farà freddo. E’ un pezzo di Sicilia che viene via con te.”
Josephine ringraziò e abbracciò la nonna e finalmente partimmo dopo mille e una raccomandazione.


A questo punto Silente avrebbe detto “Mi apro alla chiusura” ed è quello che vado a fare io in questo momento.
Ebbene si avete letto bene con il prossimo capitolo “The Voice of Heart” termina qui. Ma non è assolutamente un addio!
Ho deciso di prendermi un brevissimo periodo sabbatico nel quale porterò avanti dei progetti che brulicano nella mia testa da un po’ e inoltre inizierò la stesura del secondo volume della mia storia preferita!
E si avete letto bene, “The Voice of Heart” avrà un seguito di cui svelerò il titolo nel prossimo e ultimo capitolo.
Ma davvero credevate che avrei abbandonato Josephine e Edward così????? Ahahahahah!
Comunque i ringraziamenti saranno alla fine ma ci tenevo a mandare un abraccio particolare alla mia amica Sabrina che mi sopporta da tanto tempo e che le fan fiction mi hanno permesso di conoscere!
Come farei senza di te?????? TVB
Ringrazio tutti voi che state qui ad ascoltare ancora le mie chiacchiere e vi abbraccio in attesa della fine.


Evie








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Capitolo 29
*** Non addio, ma arrivederci ***


Abemus Papam!!!!
E finalmente questo pomeriggio grazie all'aiuto e sostegno della mia adorata cuginetta Anna,
sono riuscita a terminare questo tanto atteso capitolo...
Ebbene si, siamo giunti alla fine di questa splendida esperienza...
Ma questo non è altro che un nuovo inizio, l'inizio di una nuova bellissima avventura insieme.
Perchè The Voice of Heart avrà un seguito, che pubblicherò a breve e che spero voi
seguiate come avete fatto con questa FF.
Bando alle ciance, vi lascio leggere l'ultimo capitolo della mia storia....
Buona lettura!


“Io sono una peccatrice, ma attorno a me
Non vedo Santi”
Josephine Heart


29. Non addio, ma arrivederci



Josephine POV


I mesi erano volati.
Ci erano scivolati tra le dita senza che ce ne accorgessimo, ed il momento tanto temuto era arrivato.
Quella mattina Marco, Isabelle e Cristopher stavano preparando le valigie per la partenza definitiva.
A malincuore avevano deciso di traslocare nella fredda Alaska, a Denali dove risiedeva un altro clan di vampiri, che a differenza nostra si definivano “vegetariani”.
Per me quella era una vera e propria pagliacciata.
I “vegetariani”, parlando di esseri umani, generalmente si nutrono con i prodotti della terra, prediligendo le verdure ed evitando la carne, ma includendo latte e uova.
Applicata ai vampiri questa teoria cambia di poco: i vampiri, quelli veri, si nutrono di sangue umano, e questo comporta l’uccisione di persone, a volte innocenti, a volte no.
Al contrario, i vampiri come Isabelle ed il clan di Denali, i “vegetariani” appunto, sono quelli che decidono di farsi violenza, di andare contro natura e praticare l’astinenza dal sangue umano, optando per quello animale, che non nutre come il primo ma consente la sopravvivenza.
Ecco uno dei motivi per cui mio marito aveva deciso di allontanarsi da Carlisle.
Lui era un vegetariano convinto.
“Perché hai fatto questa scelta?” chiesi seduta sul letto di Isabelle, mentre lei ultimava la sua valigia.
“Vedi Josephine… ero stufa di sentirmi un mostro”.
Fu la sua risposta.
 Non capivo bene cosa provasse Isabelle, cosa intendesse per sentirsi un mostro, ma queste parole mi risuonarono nella mente a lungo.
“E’ per questo che hai chiesto a Marco di cambiare? Credi che lui possa davvero modificare le sue abitudini in un solo anno?”.
Mio fratello aveva chiesto alla mia migliore amica di sposarlo, ma lei aveva posto una clausola: prima Marco avrebbe dovuto affrontare un anno di “disintossicazione” e convertirsi al suo stile di vita.
“Si, è per questo, e lui ha accettato per amore mio”.
“E’ molto innamorato se fa una scelta del genere. Sei davvero fortunata Isabelle”
“Lo so.”

Il momento della partenza fu il più brutto di tutta la giornata.
Cristopher e Marco caricarono la macchina che li avrebbe portati alla stazione, aiutati da Edward, mentre Isabelle mi consolava tra le sue braccia.
“Mi raccomando scrivimi sempre, non ti dimenticare di me” la pregai mentre affondavo il viso tra i suoi folti capelli rossi.
“Tranquilla! Ma tu promettimi che verrete al nostro matrimonio… tra un anno esatto.”
“Sai quanto sarà difficile convincere Edward… E’ molto probabile che Carlisle sia a Denali. Edward aveva letto questo progetto nella sua mente prima di partire…” .
“Capisco.. bè troveremo sicuramente una soluzione”, mi rassicurò carezzandomi la spalla.
Marco si affacciò dalla porta:
“Tesoro, è ora di andare.”
Isabelle annuì e insieme raggiungemmo la macchina a noleggio.
“Allora… questo è un addio?” chiese Marco amaramente, temendo la risposta o forse conoscendola già.
“No, non è un addio, ma un arrivederci.” dissi abbracciando mio fratello.
“Mi mancherai chérie…”
“Anche tu.. scrivimi continuamente, hai capito?” gli raccomandai con la voce strozzata da un pianto impossibile.
Marco annuì allontanandosi per salutare Edward.
“Marco conto su di te.” sentii mio marito sussurrare queste parole all’orecchio di mio fratello, ma fui subito distratto dall’improvviso abbraccio di Cristopher.
“A presto” mi disse baciandomi la fronte.
La tristezza prese il sopravvento quando la macchina scomparve all’orizzonte.

Passarono diversi giorni prima che succedesse qualcosa di diverso in città.
Quel giorno Edward tornò a casa esibendo il suo solito, bellissimo, irresistibile sorriso.
Teneva le mani dietro la schiena, nascondendo evidentemente qualcosa.
“Indovina?” mi disse baciandomi.
“Cosa? Edward sono un vampiro non un’indovina!”
“Ho una sorpresa per te… credo ti piacerà…”
“Cosa cosa?” chiesi cercando di scoprire il segreto dietro la sua schiena.
Edward si allontanò mostrando finalmente il regalo.
“Signora, le andrebbe di accompagnarmi a teatro questa sera?” disse inchinandosi leggermente e porgendomi i due biglietti che stringeva tra due dita.
“Bè, per questa volta.. magari potrei fare un’eccezione… E’ una vita che non ci vado!” commentai prendendo uno dei biglietti.
“Sapevo ti sarebbe piaciuta l’idea.”, Edward mi guardava con aria adorante.
Era felice di sapermi felice, e questo gli bastava.
Io mi nutrivo del suo amore e lui del mio.    
Eravamo perfetti insieme, e lo saremmo sempre stati.
Nulla avrebbe potuto rompere il nostro idillio.
“Cosa c’è in programma stasera?” chiesi ad Edward che stava leggendo il programma della serata.
“la Traviata di Giuseppe Verdi. La conosci?”
“l’ho solo sentita nominare… ricordo che mia madre mi cantava sempre un’aria di quest’opera che aveva a che fare con un certo Alfredo.. e poi ripeteva sempre una frase: Ah della traviata sorridi al desìo a lei deh perdona, tu accoglila, o Dio.”

Il teatro di Chicago era uno dei più grandi in quel periodo.
Gente elegante e altolocata affollava la hall causando un brusio soffuso che si perdeva nelle varie nuvole di profumo che riempivano l’ambiente.
Edward ed io spiccavamo tra tutti, non per nostra volontà, ma il fascino del vampiro era una clausola invitabile nel nostro contratto di non-morte.
Con disinvoltura ci allontanammo da quegli sguardi indiscreti e dai commenti d’apprezzamento, raggiungendo il nostro palchetto privato.
Entrambi eravamo curiosi di conoscere la storia di quel contrastato amore.
Anche se sapevamo del finale tragico.
L’opera iniziò e finì troppo presto per i miei gusti.
Alla fine l’intero teatro era stato preso da una silente commozione, chi perché compativa il triste amore di Violetta e Alfredo, e chi perché forse vedeva nella sua storia personale un po’ dei sentimenti e delle situazioni quella sera rappresentate sul palco.
Prima di tornare a casa decidemmo di fare una lunga passeggiata nella notte fredda di Chicago.
“Allora? Ti è piaciuto il tuo regalo?” mi chiese Edward cingendomi le spalle con il suo braccio.
“Tantissimo amore mio. Grazie” ,mi voltai per baciarlo sulle labbra.
“E’ stato un piacere. Basta così poco per renderti felice…”
“Mi basta avere te accanto ogni singolo giorno per essere felice. E questo non è poco.”
Edward rise, e quella piccola risata fece vibrare il suo petto sotto il cappotto.
Era un suono idilliaco, che non mi sarei mai stancata di sentire.
Era circa mezzanotte quando imboccammo la via di casa.
Ci accorgemmo subito che c’era qualcosa di strano nell’aria circostante.
“Sento qualcosa, ma non capisco bene cos’è..”, disse Edward inchiodandosi improvvisamente al terreno.
Anche io avvertivo una strana presenza.
E la risposta apparve davanti ai nostri occhi.
A casa nostra, ai piedi del pergolato, una figura scura spiccava sullo zerbino sotto la porta d’ingresso.
Cautamente Edward si avvicinò lasciandomi indietro per proteggermi.
Salimmo lentamente le scale e lo stupore prese il sopravvento: una piccola cesta di vimini giaceva silenziosa dinnanzi ai nostri increduli occhi.
Al suo interno il rumore di un piccolo cuore che batte.
Mi avvicinai per sollevare un lembo della coperta.
“Edward è un bambino!”.


CONTINUA...


RINGRAZIAMENTI:

Ringrazio tutti voi che mi avete seguita dall'inizio della mia avventura e tutte voi che mi avete scoperta pian piano, quando la storia aveva già preso forma e carattere.
Ringrazio anche tutte le persone che hanno commentato i capitoli e quelle che li hanno solo letti!
Grazie a tutti voi che avete aggiunto la mia storia tra i preferiti e tra le storie seguite! Siete davvero tanti!!!!!
Grazie grazie grazie a tutti coloro che continueranno a seguirmi e sostenermi nell'avvincente seguito di The Voice of Heart!

Ps: la storia rimmarrà visibile sul mio profilo per chi avesse voglia di rileggerla o di iniziare a leggerla!

Un grande bacio...


Sempre vostra..

Evie

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