Artemisia

di Me91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Artemisia

Capitolo 1

To die, to sleep;
To sleep: perchance to dream: ay, there's the rub

(“Hamlet”, W. Shakespeare)

 

Il vento scuote l’erba, facendola oscillare, e ballare, bagnata di quella liquida e argentea luce lunare.
Il buio inghiotte il prato; opprimente, invalicabile.
Ma lei è là, là al centro. Una visione di bianco; una candida veste al vento.
I capelli, grano maturo, velati d’argento di luna, si muovono come vessilli nell’aria.
Nessun suono. Il vento tace e l’erba e l’abito e la chioma d’oro ballano in silenzio.
La sua pelle, immacolata neve, risplende di bianca luce, in quel buio.
I suoi occhi, cerulei zaffiri, son fissi in avanti, attenti, sereni.
Allora muove appena le rosee labbra, sussurrando qualcosa. E’ il vento a trasportare la voce, dolce, soave, che poi risuona per il prato come una bella melodia.
Un nome. Solo un nome.
... Artemisia.

 
Artemisia...
Apre gli occhi; i suoi occhi grigi, intensi.
L’ha sognata di nuovo.

Artemisia, Artemisia... Oh, pena del mio cuore, terra di salvezza, mela che desidero. Ti ho amato, e t’amo in sogno, e ti cerco, e ti cercherò in veglia, mio angelo bianco. Chi sei? Perché non ti sveli? Perché continui a chiamarmi, ma non riesco a trovarti? Ti diletta vedermi penare, angosciarmi, consumarmi... io, che così tanto ti bramo? Maledetta, maledetta e bellissima agonia del mio spirito, riuscirò a trovarti, riuscirò a farti mia... Presto consumerò la mia vendetta; sarai al mio fianco, opprimente e rassicurante Artemisia. Mia pena, mio amore.    
Si alza, scansando le morbide coperte rosso cupo, e poi inizia a vestirsi lentamente, con in volto un’espressione pensierosa.
Mentre si abbottona la camicia candida, il suo sguardo è perso fuori, oltre i vetri della finestra di quella lussuosa camera.
Scruta la notte, sorvolando con lo sguardo le fitte chiome del bosco, e poi fissa la luna, rimirando la sua struggente bellezza.
Non può non pensare ancora a lei, Artemisia. Quante notti passate a cercarla, quanti sonni inquieti, più inquieti del solito. E che agonia dentro di sé, ad ogni alba contemplata senza lei accanto, perché quel dì sarebbe stato un ennesimo sogno tormentato.
Indossa il mantello nero, nero come i suoi folti e lucidi capelli, nero come il suo abito, nero come il suo spirito.
Corruga leggermente la fronte, stringendo un po’ i pugni mentre di nuovo il volto di lei torna ad assillare la sua mente.

Se non ho più un’anima, come posso ancora amare? Perché non si sono portati via anche il mio cuore? Quante sofferenze, quanti dolori mi sarei potuto risparmiare...
Attraversa fluidamente e silenzioso varie stanze del suo castello sontuoso, illuminato appena dalla fioca luce offerta da tante candele, e si ferma nel salone centrale.
Si avvicina al tavolo e va ad afferrare tranquillamente la busta sigillata posata sul legno. La scruta in silenzio, assorto nei suoi pensieri, poi la apre, scoprendo così un invito ufficiale per un ballo in una villa di un nobile. Lo aveva con sé l’uomo da cui si era nutrito la notte precedente.

Un ballo... un ballo importante.
Ci riflette un attimo, rileggendolo. E’ per quella sera.
Allora si apre pian piano in un sorriso compiaciuto, mostrando appena i suoi canini affilati, così innaturali.
E’ ora di cena. 

Inghilterra del 1800.
Non si era mai fermato a riflettere su quanti anni avesse ormai. Però ora, immobile nel buio con lo sguardo fisso sulla luminosa villa in festa in fondo al vialetto davanti a sé, mentre osserva le ultime giovani dame dirigersi verso la casa ridacchiando tra di loro, non può fare a meno di ripensare alla sua gioventù, quando ancora era un ragazzo come altri, perennemente in cerca di donne e svago. Improvvisamente, i suoi anni - quanti? Non ricorda - gli pesano gravemente sulle spalle. Da quando, in quegli ultimi mesi, Artemisia ha iniziato a fargli visita in sonno, la vita gli è parsa più vuota che mai. Giovinezza eterna, è vero, ma che farsene se si è soli? Vivere per sempre, ma come si può senza di lei? Senza Artemisia, come potrebbe ancora esistere?
Chiude gli occhi, irrigidendo i tratti del viso. Cerca di ritrovare la calma e la concentrazione; impiega qualche istante, poi può riaprire gli occhi, rilassato.
Ora non è il momento per le pene d’amore.
Un ennesimo sorriso eccitato gli si dipinge in viso.
Una festa lo aspetta.
Si avvia per il vialetto, con una camminata elegante e fluida. Lo osservano tutti, attratti dal suo passo sicuro e silenzioso, dal suo aspetto affascinante e seducente, dal suo odore ammaliante. Tutti, uomini e dame, incantati.
«Il vostro invito, signore?» chiede una guardia all’ingresso della villa.
Lui sorride appena, abbagliandolo con il suo tenebroso fascino, e gli allunga la busta aperta con un delicato movimento della mano. La guardia, stregata da tanta grazia e bellezza, senza parlare, né afferrare la busta, si sposta di lato per lasciarlo passare.
Lui fa un leggero inchino con il capo, sorridendo ancora, ed entra con calma.
Al suo passaggio, gli invitati si voltano a guardarlo, gustando la sensazione di pace e di tranquillità che sembra irradiare intorno a sé. Tutto in lui, dal suo aspetto al suo odore, al modo in cui si muove nella sala, attrae e affascina. La musica leggera che aleggia nella stanza sembra accompagnare il suo morbido passo, come un tributo a quell’armonia.
Si ferma accanto un tavolo con addobbi floreali e cibo, continuando ad osservare gli invitati intorno a lui che ancora al passaggio non possono fare a meno di voltarsi a guardarlo. E quindi lui sorride delicatamente alle dame e china rispettosamente il capo agli uomini, rimanendo immobile al suo posto.

Sciocchi. Sciocchi e ciechi che non riuscite a veder oltre la mia apparenza. Se solo sapeste dove si trova ora la mia anima... Provo compassione per voi, insignificanti esseri incapaci di comprendere quanto sia vuota la vostra vita. Sarò caritatevole; vi libererò da questa pena. Molti di voi verranno graziati dal mio morso di morte, mediante il quale potrete finalmente dire addio a questo nulla che continuate a chiamare vita. Altri, invece, continueranno a vivere e soffrire, e io rimpiango queste vostre povere anime destinate a vagare ancora per questa terra, vuote e senza scopo.
Io sono il Dio di questo mondo mortale. Solo chi riterrò degno verrà liberato dalla maledizione della carne. Non pregatemi, non sfuggitemi... non potete farlo.
Avrebbe agito a momenti, all’ora del valzer finale.
Socchiude gli occhi, concentrandosi. Dal suo corpo freddo inizia a propagarsi un’aria gelida, che invade pian piano la grande sala. Le luci delle candele tremolano tutte insieme, come infreddolite da quell’improvviso gelo. Mentre parte il valzer, e i primi invitati iniziano a lamentarsi per il freddo, le candele si spengono contemporaneamente. Diviene buio.
Si alza qualche gridolino spaventato, la musica si ferma e gli invitati iniziano ad agitarsi.
Lui rimane ad occhi chiusi, gustando quel miscuglio di sensazioni che percepisce chiaramente invadere i corpi delle persone intorno a lui. Irritazione, sorpresa, agitazione, paura. Sospira di piacere e freme appena. E’ eccitato, come sempre prima di agire.
Riapre gli occhi grigi, riuscendo a vedere anche meglio al buio. Distingue chiaramente le sagome degli invitati, ogni particolare caratteristica dei loro abiti, anche le rughe più sottili sui loro volti. Arriccia lievemente il labbro superiore, scoprendo i canini affilati, vagando con lo sguardo tra la gente per scegliere il primo da graziare con la sua misericordia.
E’ in quel momento, in quel preciso momento, che vede lei.

Artemisia...
Percepisce i muscoli del corpo irrigidirsi come pietra, mentre il cuore, anche se fermo da anni, sembra aver ripreso a battere all’improvviso. E batte più forte che mai, togliendogli il respiro; anche se, in realtà, lui non respira più da parecchio tempo. I sensi sembrano offuscarsi di un colpo, lasciandolo confuso, smarrito. L’espressione è sorpresa e colpita da tanto splendore.
Nel buio, lei sembra irradiare luce e grazia. Indossa un abito di un rosso cupo, quasi nero, lucido e brillante, decorato con rose in rilevo sulla stoffa; i capelli dorati, raccolti, cadono in pochi e morbidi ricci sulle spalle; sul viso angelico è dipinta un’espressione calma, forse solo gli occhi color del cielo sono sorpresi da quell’improvviso buio sceso sulla sala. Si trova tra la folla, visibilmente per nulla turbata, al contrario degli altri vicino a lei.

Artemisia...
Arretra d’istinto un paio di passi, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso. Ora che finalmente l’ha trovata, ne sembra spaventato. O forse è solamente meravigliato.

Sei proprio tu, Artemisia? ... E come potresti non esserlo? Angelo che cammini tra così tanti dannati, rosa fresca tra queste spoglie pietre, oh, non riesco a credere ai miei occhi. La tua bellezza è così fulgida che temo che la mia mente mi stia ingannando. Può esistere a questo mondo un essere così magnifico? Artemisia, incantevole creatura celeste dagli occhi cerulei, perché mai sei scesa dal cielo, allontanandoti dai tuoi compagni, per giungere qui, in questo mondo maledetto? Perché mai soffrire tra così tante anime vuote e penose, tu, che di cotanta luce risplendi? Oh, Artemisia... Desidero così tanto salvarti che donerei nuovamente la mia anima agli Inferi, per te. Riuscirò a farti mia, liberando il tuo spirito dalla sofferenza di questa carne mortale, e ci ameremo per sempre, mio fulgido angelo.
Si muove rapidamente verso l’uscita della sala, sparendo presto fuori, nel buio, non notato.
E’ turbato e ancora sorpreso da quell’apparizione. Ha bisogno di ritrovare la lucidità.
Appena uscito dalla stanza, l’aria ritorna tiepida e piacevole. Scompaiono la paura e l’agitazione, anche se rimane il buio. Mentre i domestici si danno da fare per riaccendere le candele, lei, sospirando con un’aria stanca, si dirige alla porta, intenzionata ad andarsene.
«Lady Green, ve ne andate? Non trovate sia troppo presto?» la ferma lord Baker sfiorandole un braccio con le dita.
Lei gli volge lo sguardo e risponde tranquillamente:
«Scusatemi, lord Baker, ma sono veramente stanca. E’ stata una bellissima festa. Ancora auguri per l’incarico ricevuto da sua maestà in persona.» china rispettosamente il capo.
«Non vorrà andarsene a causa di questo imprevisto.» insiste lui, sorridendole e alludendo al buio sceso in sala «E privarmi così della vostra splendida visione.»
Lei sorride appena, facendo brillare i suoi bellissimi occhi.
«Mi lusingate, davvero.»
«Il vostro sorriso è in grado di illuminare anche l’oscurità più fitta.» sussurra lord Baker, avvicinandosi ancor più e prendendole una mano. Gliela bacia delicatamente sul dorso, senza staccare gli occhi scuri da quelli splendenti di lei. Lady Green ritira quindi la mano lentamente, con un gesto elegante, e dice infine con la sua voce soave:
«Perdonatemi ancora, ma devo andare.»
«Certo.» sussurra lord Baker, sorridendole.
E’ tornata tutta la luce.
Lady Green non aggiunge altro, si volta ed esce dalla sala. 

Il suo sguardo azzurro è perso fuori, verso la luna alta nel cielo. Le mani posate sull’elaborata balaustra di pietra del piccolo balcone della sua stanza e addosso solo un abito da notte di seta bianca. Aderisce al suo corpo, mostrandolo perfetto e immacolato, come la stoffa dell’abito.
I capelli, sciolti, danzano dolcemente all’aria, disegnando forme indefinite ed astratte.
Abbassa le palpebre, godendo di quella piacevole e fresca sensazione della brezza sulla sua pelle.
Sul volto si dipinge un’espressione serena.
C’è silenzio tutt’intorno, spezzato solamente dal canto della notte che si alza dagli alberi del grande giardino della casa assopita.
E lui là, là sul tetto, che la osserva. Seduto sulle tegole, con un ginocchio alzato su cui ha posato il braccio, lo sguardo intenso fisso su di lei. Il mantello scuro fruscia appena nella brezza e i suoi capelli neri seguono la stessa dolce danza di quelli oro di lei.
La osserva e non può farne a meno. E’ come rivivere il suo sogno, che così tanto lo tormenta. Ed è una sensazione meravigliosa sapere che non si tratta solamente di un sogno. Artemisia è vera, vera, più vera che mai. E’ vero il suo corpo, il suo profumo incantevole; sono veri i suoi morbidi capelli, i suoi occhi color del mare, del cielo. Ed è vero, e tangibile, l’amore che prova per lei.

Mia bella Artemisia...
Distoglie gli occhi da lei, attratto dal suono di passi leggeri che si stanno avvicinando al balcone. Così nota la giovane domestica in abito da notte affacciarsi di fuori e dire con preoccupazione:
«Lady Green, non dovreste stare qui... Vostro padre si è molto raccomandato; per la vostra salute cagionevole sarebbe meglio che non prendeste freddo.»
«Sto bene.» la rassicura lei, rimanendo ad occhi chiusi e mostrando ancora quell’espressione rilassata.
«Ma lady, davvero, non vorrei...» prova ancora a dire la ragazza, a disagio.
Lei sospira e rialza le palpebre, per poi voltarsi verso la domestica.
«D’accordo, vengo dentro. Effettivamente avrei bisogno di riposare.» afferma con ancora quell’aria stanca e ritorna in camera, seguita subito dall’altra ragazza.
Lui corruga leggermente la fronte, meditabondo.

Mia Artemisia, sei dunque malata? Questa terra immonda sta inquinando la tua anima così tanto da farti star male? Oh... angelo del mio cuore... Non sai quanta pena mi porta saperti sofferente...
Si sporge silenziosamente dal tetto della casa, solo per riuscire a sentir meglio cosa stiano dicendo, lady Green e la domestica, dentro la camera. Grazie al suo fine udito, nonostante le due stanno parlando a mezza voce per non svegliare nessuno, riesce a sentirle chiaramente come se si trovasse nella stanza con loro.
«E’ stata una bella festa?» domanda la domestica, preparando un bicchiere d’acqua per lady Green che sta scostando le morbide coperte del letto.
«Noiosa.» asserisce l’altra con aria seccata, sedendosi sul materasso e posandosi la trapunta leggera sulle gambe «Troppo formale.»
«Era una festa importante. In onore di lord Baker.» la domestica le porge il bicchiere.
«Ah, evita di nominarlo.» beve un istante con una smorfia irritata «Che uomo insistente. E assillante, direi. La sua presenza, il suo odore perfino, mi toglie il fiato.»
«Sembra un uomo per bene, di ottima famiglia.» le ricorda la ragazza, sistemando bicchiere e brocca su un vassoio «Vostro padre sarebbe onorato di vedervi in sposa a lord Baker.»
«Non è ciò che desidero, però.» le fa notare lei, decisa «Non ho mai conosciuto uomo più viscido e meschino. Mi domando come potrei, piuttosto, liberarmene...»
«Basterebbe trovare un uomo altrettanto adatto da entrare nelle grazie di vostro padre.»
Lady Green scuote la testa in un chiaro segno sconsolato.
«Non è affatto semplice soddisfare mio padre...»
«Oh, lady, non so che dirle...»
«Non dire nulla.» fa un gesto con la mano per far intendere di voler chiudere lì la questione «Lasciami riposare.»
«Certo.» la ragazza china un po’ il capo «Buona notte, lady.» esce poi dalla camera.
Lei invece sospira, esausta, e posa il capo sui cuscini, fissando i teli del suo letto a baldacchino. Con aria pensierosa, torna infine a volgere lo sguardo al cielo, appena visibile attraverso il piccolo spiraglio concesso dalle candide tende della finestra.
 Eh... l’Amore. Nulla di più impossibile da ottenere in questa triste e grigia città. Il velo di malinconia che ricopre il mio cuore si fa sempre più spesso. Nessun uomo è stato ancora in grado di scostarlo e far così respirare il mio spirito per la prima volta. E ho sempre meno tempo... La mia anima è inquieta e tormentata; smaniosa di trovare l’Amore, la cosa che più bramo al mondo. Ma il mio corpo è stanco... Le membra sono sempre più pesanti e a volte prendere fiato è una pugnalata al petto e un dolore fitto e terribile. So già che arriverà il giorno in cui invocherò disperatamente la morte con le mani alzate al cielo. Spero solo che Dio sarà abbastanza misericordioso da concedermela senza farmi soffrire oltre ciò che posso ancora sopportare...
Si assopisce. 

E’ ancora notte fonda e quindi lui è lì, nella stanza, e la osserva.
A pochi passi dal letto, ha lo sguardo fisso sul suo viso; sta contemplando la sua straordinaria bellezza.
Lei dorme; il respiro leggero e calmo e un’aria pacata. E’ una visione.

Mio spirito bianco e puro... Rimarrei per sempre qui, solamente a guardarti. Sei bella, bella oltre ogni dire. E il tuo odore, perfino il tuo nome, mi infondono un calore forte nel petto... Mi sento vivo. Vivo come sono stato, forse, un tempo, ma nemmeno un tempo mi sono mai sentito così bene. E pronuncerei il tuo nome continuamente, al vento, alle stelle, solo per godere del suo suono così dolce. Il tuo nome, semplicemente il tuo nome, sussurrato nella notte, al buio, nel silenzio, come un’armonia di un’arpa, come il canto di un uccello, come il vento su di un campo di grano. Il tuo nome... solo il tuo nome...
Si china verso di lei e avvicina le labbra al suo orecchio, per poi mormorare con voce calda:
«Artemisia...»
Lei alza le palpebre, svegliata da quel sussurro ignoto.
Ha ancora il volto verso la finestra, è così che nota che è aperta. Le tende frusciano, mosse dalla brezza notturna, e il canto dei grilli si diffonde chiaro per la camera.
Sorpresa, scosta con calma le coperte e scende poi dal letto. Si avvia a piedi nudi alla finestra e la chiude. Scruta la luna per un’ultima volta, poi si gira per dirigersi al letto.
Sobbalza e reprime un grido a stento, notando lui sdraiato sul materasso, di fianco, con un gomito sulla trapunta e il capo posato sul palmo della mano per tenerlo rialzato. Le rivolge uno sguardo intenso, grigio cenere, e la sta osservando con aria assorta.
«Mio Dio, chi siete?» chiede subito lady Green, punta e ancora un po’ spaventata «Da dove siete entrato?»
Lui sorride appena, con ironia, come se la cosa fosse ovvia, e risponde con un tono calmo e suadente:
«Dalla finestra.»
Lei lancia uno sguardo stupito ai vetri, poi torna a rivolgerlo al suo “ospite”, mostrandosi irritata.
«Siete pregato di andarvene immediatamente.» dichiara con aria decisa «Mi metterò ad urlare a momenti e voi verrete arrestato.»
«Con quale accusa?» domanda tranquillamente lui, rimanendo calmo, quasi impassibile.
«Vi siete introdotto nella mia camera per rubare qualcosa o magari rapirmi.» afferma lei, aggrottando le sopracciglia e indicandolo con l’indice «Poco cambia. Alle guardie basterà sapere che siete entrato senza il mio permesso.»
«Perdonatemi, allora. Non sono stato cortese ed educato.» si alza dal letto con un unico movimento fluido che lascia lady Green meravigliata.
Le si avvicina e le si ferma a pochi passi di distanza, guardandola negli occhi; lei arretra d’istinto, colpita da quella sensazione rassicurante e calda che sembra emanare. Ogni cosa di lui, dal modo in cui la guarda al profumo dolce che lo circonda, l’attrae e la confonde. Rimane spiazzata, senza parole.
«Posso darti del “tu”?» chiede quindi lui, chinando appena il capo.
Lei sembra riprendersi e risponde immediatamente, infastidita:
«Naturalmente no. Che cosa fate ancora qui? Andatevene prima che...»
«Che?» la incita muovendosi in avanti e fermandosi a qualche centimetro dal suo viso.
Lei arretra ancora, fino a toccare il muro alle sue spalle. Perde sicurezza in presenza di quell’uomo.
«Che... che chiami qualcuno.» riesce a concludere, tirando un po’ le labbra, a disagio.
«Perché non l’hai già fatto, dunque?» le sorride lievemente, con una strana espressione intensa, mostrando un po’ i suoi candidi denti.
«Perché...» esita lei, fissando i canini acuminati. Percepisce il cuore accelerare i battiti, capendo.
Si sente gelare dentro per l’orrore.
«Voi siete...» mormora, la voce un poco mossa «Un non-morto. Un demone... Un essere immondo.»
«Mi riempi di complimenti.» commenta lui senza cambiare espressione «Vampiro va più che bene.»
Lady Green soffoca a stento un gemito spaventato.
Lui percepisce chiaramente la sua paura e un po’ ne gode, come fa sempre, ma subito se ne preoccupa. E’ la donna che ama, non vuole che sia spaventata da lui.
«Non temere, mia bella Artemisia.» abbassa il tono, socchiudendo gli occhi e avvicinandosi con le labbra al collo della ragazza, che si irrigidisce «Senza il tuo permesso non oserò ferirti in alcun modo. Se tu lo vorrai, invece...» mostra un po’ i denti, pericolosamente vicino alla pelle di lei, che infatti percepisce il suo fiato caldo su di sé.
«Non lo voglio!» afferma decisa lady Green, prendendo coraggio e scivolando via da lui, che rimane fermo nella sua posa, immobile, osservandola con la coda dell’occhio tornare al letto e sedersi sulla sponda, per poi portandosi una mano al petto. Fissa il pavimento, più bianca del solito. Sembra però avere meno paura di prima. Forse ha capito... che lo ha in pugno.
Lui rimane tranquillo, raddrizzandosi e voltandosi appena verso di lei.
«Non desideri una vita immortale?» le domanda con voce calda, alzando leggermente un sopracciglio.
Lei rialza gli occhi, fissandoli sui suoi coraggiosamente. Si fa seria, quando dice con risolutezza:
«Perché mai dovrei volerla?»
«Suvvia, Artemisia... tutti i mortali desiderano cambiare il proprio destino!» sospira lui con un’aria furba «Io lo so bene...»
«Io il mio destino l’ho accettato.» dichiara lei con forza, guardandolo con un’espressione decisa «Non sono una codarda.»
«Non ti rimane molto da vivere. Io ci penserei bene... Ti offro la possibilità di cambiarlo.» insiste lui con voce suadente.
«Solo chi non crede in Dio, o chi ci crede ma ha un’anima troppo sporca per salvarsi, ha paura di morire.» ribatte lady Green con calma e fermezza «Voi vi siete lasciato tentare. Avevate così tanta paura di morire?» si zittisce, rimanendo un po’ tesa. Forse ha calzato troppo la mano...
Ma lui rimane impassibile, anche quando chiede dopo qualche attimo di silenzio:
«Perché... tu non ne hai nemmeno un po’?»
«Ho fiducia nella mia fede. Ella mi salverà.» afferma la ragazza fieramente.
«La fede... già...» mormora lui, socchiudendo appena gli occhi.
«Non potete capirmi, perché non credete in Dio.»
«Chi ti dice che non vi creda?» il tono è ironico «So perfettamente dov’è andata a finire la mia anima... Ora brucia tra le orrende fiamme dell’Inferno, schernita dagli altri dannati come me. Non l’avrò mai più indietro...»
Lei corruga lievemente la fronte.
«E questo non vi spaventa? Non è maggiormente terribile questo, che il fatto di dover morire al termine di una vita piena? Io non vi capisco... Che senso ha continuare ad esistere in questo modo? E’ orribile...»
«Artemisia, non porti domande retoriche.» scuote appena il capo «Pensi davvero che se avessi avuto la certezza di salire in cielo avrei scelto questa “vita”? ... No... il fatto è che la mia anima era già dannata da molto tempo.»
Lady Green tira un po’ le labbra, comprendendo, e non risponde. Si corruccia invece un po’, confusa, e chiede:
«Perché continuate a chiamarmi “Artemisia”?»
Lui rimane visibilmente spiazzato a questo punto.
«E’ il tuo nome.» afferma con convinzione.
Lei alza un sopracciglio.
«Vi siete mal informato.» dice con un’aria vagamente sarcastica «Il mio nome è Helen, mio padre è lord Green. E comunque, vi ricordo di non avervi dato il permesso di darmi del “tu”.»
«Helen?» ripete lui, abbassando lo sguardo pensieroso e confuso «Non è possibile...» rialza gli occhi su di lei «Eppure... eppure sei la stessa persona... ne sono sicuro.» ignora completamente l’ultima frase pronunciata dalla ragazza.
«Di che parlate?» chiede Helen Green, increspando lievemente la fronte.
«Parlo di Artemisia.» si avvicina, fermandosi di fronte a lei con un ginocchio a terra e afferrandole una mano «Parlo di te
La sua pelle è gelida; al contatto, Helen rabbrividisce.
«Non capisco...» si irrigidisce un po’, a disagio a così poca distanza da lui «Non...»
«Sei tu.» insiste, guardandola con intensità negli occhi «Sei tu quella meravigliosa visione che popola i miei sogni... Come potrei sbagliarmi? Non posso. Sei proprio tu.»
«Mi... mi avete sognata?» sembra perplessa.
Lui annuisce con il capo.
«E ti sogno ancora, giorno dopo giorno. Riempi poi la mia mente per tutta la veglia. Non hai idea da quanto tempo ti sto cercando...»
«Cercavate me?» ripete lei, sorpresa «Per questo siete qui? Per incontrarmi di proposito?»
«Proprio così.» le stringe più forte le mano «Artemisia è il nome che sento aleggiare nell’aria delle mie visioni. L’unico suono tra tanto silenzio...»
«Ma non è il mio nome. Mi confondete con un’altra.» prova a ritirare la mano, ma lui la ferma, serrando ancor di più la presa.
«Invece sono sicuro di non sbagliarmi.» dichiara con convinzione «Helen o Artemisia non fa differenza. Sei comunque la donna che ho scelto di amare.»
«Voi mi amate?» mormora lady Green, turbata.
Lui continua a guardarla con un’intensità struggente. Va a socchiudere gli occhi, senza staccare lo sguardo dal viso di lei, poi sussurra delicatamente:
«Ti ho amata dalla prima volta che ti ho sognata. Ti amo solo come si può amare una boccata di aria fresca dopo attimi di apnea; come si possono amare le stelle in cielo dopo un temporale; come si ama la parte di anima che sentiamo ci manca... Io, che son morto e poi tornato ad esistere, sono riuscito finalmente a vivere di nuovo ora che ti ho incontrata. Sei come l’aria che non respiro più da anni; il mio cuore è tornato a battere in tua presenza. Sono vivo, di nuovo, ed è come se avessi ritrovato la mia anima perduta, perché con te non mi sento più vuoto dentro. Sei l’angelo che mi ha ridato la vita, come potrei non amarti?»
Lei tira un po’ le labbra, sentendo il cuore batterle all’impazzata.

Mi ama... Mi ha sognata e mi ama...
Si sente confusa più che mai. Quelle parole che le ha detto... sono bellissime. Nessuno le si era mai dichiarato così. Come si può amare in quel modo? Non lo sa; non ha mai amato in vita sua e non sa, quindi, cosa si provi di preciso. Ma davvero l’amore è così bello? Davvero merita di essere amata in quel modo? Lui nemmeno la conosce, come può essersi innamorato così solamente da un sogno? E poi... poi lui è un vampiro.
Un brivido percorre la schiena di lady Green.
Un vampiro si è innamorato di lei. Vorrebbe sprofondare, morire, al solo pensiero. Amarlo significherebbe solamente soffrire perché presto se ne sarebbe andata, mentre lui avrebbe continuato a vivere. Per rimanere con lui, invece, avrebbe dovuto dannarsi... E come avrebbe potuto farlo? Dio non avrebbe mai compreso una cosa simile. E lei ha paura delle fiamme dell’Inferno.
Per questo ritira subito la mano dalla stretta dell’altro e si alza in piedi, fermandosi accanto la finestra con lo sguardo puntato in basso. Gli dà le spalle.
Lui si rialza lentamente, guardandola con un’espressione attenta.
Dopo qualche attimo di silenzio, Helen mormora:
«Non devi amarmi, invece.»
Lui si corruccia un po’, chiedendole:
«E perché mai?»
«Perché io non intendo rischiare la dannazione eterna per te.» dichiara lei, fissando il cielo stellato con un’aria pensierosa.
«Vorresti dire che non vuoi nemmeno provare ad amarmi?» domanda, incupendosi.
«Pensavi di impietosirmi o altro venendo qui, dicendomi che mi stai cercando da moltissimo tempo e confessandomi il tuo amore?» il tono è un po’ punto «Pensi che sono una donna così facile? Ho i miei principi.»
Lui non risponde subito.
Rimangono a fissarsi negli occhi, con un’incredibile intensità. E’ lei a distogliere lo sguardo per prima, dirigendolo altrove.
Lui è serio e composto, ma non sembra affatto turbato o altro. E’ freddo e quasi impassibile, come una statua pensierosa.
Dopo un po’, raddolcisce l’espressione del viso, tranquillo.
«Sai, Artemisia, penso che tu abbia solamente bisogno di tempo. Ti desidero così tanto che non credo mi arrenderò facilmente. Alla fine cadrai anche tu nel baratro senza fondo dell’Amore, agonizzante, come lo sono io ogni volta che ti penso ma tu non sei al mio fianco.»
Lei storce leggermente le labbra, commentando con disappunto:
«Sembra orribile... Per questo starò attenta e non commetterò il tuo stesso errore.»
Lui accenna appena un sorriso, forse divertito.
«E poi non chiamarmi Artemisia. Ti ho già detto che non è il mio nome.» ribadisce lady Green, tornando seria.
«Perdonami, ma per me sei e rimarrai sempre Artemisia.» ribatte alzando le spalle con noncuranza.
Helen sembra un po’ infastidita da quelle parole e quindi non attende a dire:
«Ti sei presentato qui, in camera mia, svegliandomi in piena notte e spaventandomi a morte; mi dici che mi ami come se nulla fosse; non mi porti rispetto, fai l’arrogante... e io non so nemmeno il tuo nome.»
«E’ vero, hai ragione!» si prostra in un elegante inchino, facendo oscillare il mantello «Scusami, Artemisia, ma in tua presenza, abbagliato e annebbiato com’ero da tanta bellezza, mi sono dimenticato le buone maniere.» torna a guardarla, notando con piacere che lei è lievemente arrossita.
Continua a guardarla, dicendo con tono affabile:
«Chiami pure Edgar.»
«Edgar...» ripete lei, con aria pensierosa «Avrai pure un cognome, no? Un casato, una famiglia...»
«Il nome di famiglia l’ho perso da anni, forse secoli. Non sono nemmeno sicuro di riuscire a ricordarmelo.» sospira lui con disinvoltura «Sono solamente Edgar, adesso.»
«Un vampiro senza nemmeno un nome...» la sua voce è lievemente ironica «Interessante...»
«Tutto di me è interessante.» afferma Edgar con sicurezza, con un’aria forse di scherno.
«Ma non mi dire...» commenta lei con tono piatto.
Lui torna immediatamente freddo e, in un movimento rapidissimo, che lei riesce appena a notare, le si avvicina, fermandosi alle spalle.
Helen rabbrividisce e sente il suo corpo irrigidirsi quando Edgar, dietro di lei, avvicina le labbra al suo orecchio, sussurrando:
«Avrai modo di scoprirlo.»
«Chi ti dice che voglia rivederti?» mormora lei, con i battiti del cuore impazziti.
Lui le va a cingere delicatamente la vita con le braccia, rispondendo avvicinando le labbra al suo collo:
«Fidati.»
Lei rabbrividisce di nuovo e posa quindi le mani su quelle di lui.
«Lasciami...» mormora con voce lievemente tremante. Avrebbe voluto dirlo con più forza e convinzione, ma la vicinanza di Edgar pare come annebbiare i suoi sensi.
Lui rialza con calma il capo, annusandole i capelli con gli occhi chiusi, come in estasi; non sembra affatto intenzionato a lasciarla.
«Smettila.» Helen pare abbia riacquistato un po’ più di lucidità.
Lui riapre gli occhi e si stacca lentamente da lei, che si gira immediatamente a guardarlo.
«Vattene, ora.» gli ordina guardandolo con decisione, ma il suo corpo ancora un po’ tremante la smentisce.
Edgar se ne accorge quindi accenna un sorriso compiaciuto.
«Sì, vado per questa notte. Tra poco farà l’alba e ho bisogno di riposo.»
Si avvia alla finestra, aprendola ed uscendo sul balcone. Si volta infine indietro, osservando lady Green sull’uscio con le braccia incrociate per proteggersi un po’ dal freddo della notte, un po’ da quella forte emozione che sembra invadere il suo petto.
Si guardano negli occhi.
«Tornerò domani notte, Artemisia.» le annuncia con calma «Mi attenderai?»
«No, non credo.» dichiara lei, ma con poca risoluzione.
«Ti troverò ovunque andrai.» afferma Edgar, con un’aria quasi sofferente e tormentata «Non posso perderti.»
Lei increspa lievemente la fronte, tirando un po’ le labbra.
Edgar sale quindi sulla balaustra di pietra e, dopo averle lanciato un ultimo sguardo, salta giù, atterrando silenziosamente nel giardino e allontanandosi.
Lady Green non accenna a voler rientrare.
Ha lo sguardo fisso in avanti, nel punto in cui si trovava lui fino a pochi istanti fa.
Il cuore non ha ancora smesso di battere all’impazzata.

Il destino si prende gioco di me... Si diverte a vedermi soffrire. Continua a sferzare i suoi colpi su questo cuore stanco, indebolendomi sempre di più. Non so cosa fare...
Si lascia scivolare di spalle contro il muro e finisce quindi seduta a terra, lentamente. Punta lo sguardo in basso, con un’espressione persa.
Le ritornano in mente le parole del vampiro, la sua aria tormentata e sofferente.
Certo non aveva mai pensato a quanto fosse doloroso amare.
Il cielo va intanto a schiarirsi e lei rialza quindi gli occhi, osservando il sole spuntare dietro gli alberi.
Abbassa le palpebre, desiderando di morire all’istante.
Meglio la morte che la sofferenza, questo è certo. 

L’alba.
Edgar è in piedi sopra un tetto di una vecchia casa della periferia e osserva il sole nascere; lo sguardo pensieroso puntato sul disco dorato e in volto un’espressione serena.
L’alba non è mai stata così dolce e amara allo stesso tempo.
E’ la prima che osserva con la certezza che finalmente potrà riposare più tranquillo. Però, allo stesso modo, sa che il suo spirito sarà comunque tormentato, perché non potrà vedere lei finché non giungerà nuovamente la notte.
Non può restare fuori troppo a lungo; la luce del sole lo ferisce. Non che gli bruci la pelle, come si crede, ma gli procura comunque un dolore intenso, come se fosse arso vivo.
Ma l’alba quel giorno è particolarmente bella.
Resterà ancora un po’ a rimirarla.

Continua...

Beh, eccomi qua con la mia prima fic sui vampiri... Spero vi piaccia! =)
Lascio l'indirizzo del concorso a cui ho partecipato, nel caso vogliate dare un'occhiata anche alle storie delle altre concorrenti. ^^

http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8773987&p=1

Questo contest consisteva nel scegliere una frase e/o un'immagine e inserire entrambe (o, appunto, una delle due) nella storia, che chiaramente doveva parlare di almeno un vampiro.
La frase che ho scelto è questa: "Hai mai desiderato qualcuno al punto di smettere di esistere?
L'immagine, invece, è questa qua: http://it.tinypic.com/view.php?pic=10h7ebs&s=3

La fic ha vinto anche altri premi, ovvero: "La migliore interpretazione della frase e immagine scelta"; "La fic più originale"; "Il miglior stile"; "La preferita dalla giuria"; "La fic più triste".

Aggiornerò ogni due o tre giorni; ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno. ^^ 
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Solo tu hai il potere di rendermi triste o donarmi gioia e conforto

(Eloisa a Abelardo)

 

«Mia cara, hai proprio una brutta cera questa mattina.» nota lord Green versandosi del caffé in una tazza «Sei stata male questa notte?» domanda poi con un tono preoccupato.
«Va tutto bene, padre.» sospira Helen, fissando senza appetito la sua colazione «Sono solamente un po’ stanca.»
Lord Green rimane a guardarla intensamente e, lisciandosi un baffo brizzolato, domanda con la sua voce profonda:
«Allora dimmi... E’ stata una bella cerimonia?»
«Come? Oh, ieri sera...» la giovane pare riscuotersi e quindi aggiunge con un’aria annoiata:
«Sai bene che non adoro particolarmente questo tipo d’eventi.»
«Invece la tua presenza era importante.» asserisce suo padre, deciso, afferrando con una mano la tazza e con l’altra il giornale appena portato da un suo servitore «Se non avessi avuto quel convegno sarei andato io stesso... ma credo che alla fine lord Baker abbia preferito la tua presenza alla mia.» increspa le labbra in un sorriso, un po’ nascosto dai folti baffi.
Helen preferisce non rispondere e allora lord Green, dispiegando il quotidiano, prosegue tranquillamente:
«Lord Baker è davvero un ottimo partito. Possiede molti terreni e la sua rendita è più che discreta; per non parlare dell’ottima famiglia da cui discende. Credo proprio che faccia al caso tuo.»
«Ti prego, padre, non voglio parlare di lord Baker.» lo interrompe la lady, storcendo le labbra «Sai bene quanto lo trovi insopportabile.»
«Questo non significa nulla, Helen.» insiste lord Green, continuando a leggere i titoli con noncuranza «Queste faccende vanno oltre certe formalità, quali la “simpatia” o la “piacevolezza”.»
«Ma io non lo amo, padre!» esclama allora Helen, con una punta di disperazione nella voce.
«Credi che sia questo ciò che conta?» lord Green abbassa di scatto il giornale rivolgendosi alla figlia con un’espressione dura e un tono autorevole «Il matrimonio va oltre l’amore! Credi che io amassi tua madre, o che lei amasse me, quando ci siamo sposati? In seguito, poi, abbiamo imparato a conoscerci e ad amarci; per te sarà lo stesso, se proprio desideri amare
«Ma voi due eravate straordinari, insieme! Eravate simili, vi capivate.» ribatte la ragazza «Mentre io so bene che non riuscirei mai ad amare un uomo come lord Baker.»
«Farai senza l’amore, dunque!» dichiara il lord con convinzione.
«Ma che cos’è un matrimonio senza amore, padre?» insiste Helen, con coraggio.
«E’ affari! E’ convenienza! Ecco che cos’è!» ribadisce lord Green con foga «Helen, queste non sono cose che tu possa gestire; non sei abbastanza matura per farlo. Perciò, lascia che sia io a dirigere le trattative; tu limitati a fare ciò che deve essere fatto. E’ solamente questo il tuo compito; abbandona questi tuoi sogni infantili e insensati, è il momento di crescere! Hai ormai vent’anni; dovresti sapere come funzionano certe cose.»
Helen abbassa lo sguardo, mordendosi un labbro e stringendo i pugni, frustrata.
«Parlerò oggi stesso con lord Baker. Organizzerò un incontro tra voi entro questa settimana.» decide lord Green, tornando alla sua rivista con calma «E ora va a cambiarti: ti aspettano i tuoi cugini per una cavalcata, non ricordi? Non farli attendere troppo.»
«Sì, padre.» mormora lei, alzandosi con un’aria incupita e allontanandosi dal grande tavolo.
«Ah, Helen...» lord Green alza gli occhi dal giornale per guardarla.
Anche lei gli rivolge lo sguardo, in attesa.
Sul volto di lui è dipinta un’espressione accurata quando si rassicura:
«Mi raccomando: non affaticarti.»
Lei annuisce con il capo ed esce dalla stanza.  

Helen si avvia lentamente per il prato dietro la villa, dirigendosi alle stalle.
I suoi passi frusciano tra l’erba armoniosamente, mentre il vento fa danzare il suo foulard di seta bianca al suono di quella musica.
Il suo cuore, stretto in una morsa ferrea, pare voglia scoppiare; non sembra essere più in grado di reggere così tante emozioni e sentimenti.
Helen tira le labbra, con lo sguardo puntato al suolo, proseguendo ad avanzare malinconicamente tra l’erba.

Non so che fare... vorrei solamente fuggire. Ma andare dove?
«Cugina Helen! Finalmente!» la saluta con eccitazione un’allegra giovane dalla chioma bruna e gli occhi di un verde intenso.
Helen si costringe a sorridere e si mostra a proprio agio, salutando a sua volta:
«Cugina Cecily, è davvero un piacere rivederti.»
«Perché, vedere noi non ti aggrada?» domanda un ragazzo fascinoso, sui trenta; cugino Gordon.
«Per caso non entriamo più nelle tue grazie?» aggiunge suo fratello minore Millard con un sorriso smagliante, mentre Cecily ridacchia divertita.
«Non sia mai, cugino.» Helen sorride affabilmente.
«Meno male; mi sarei offesa, altrimenti.» dichiara con sarcasmo Marion, la bella cugina maggiore; l’unica sposata tra i cinque.
Partono poi con i cavalli, galoppando per i boschi vicini della campagna inglese, chiacchierando con disinvoltura.
«Ah, fratello, il prossimo mese compirai ventisei anni... quando pensi di trovare moglie, eh?» chiede Gordon ridendo.
«Poni certe domande proprio tu, fratello, che di sposarti proprio non ne hai la minima intenzione?» lo sbeffeggia Millard, affiancando il proprio cavallo a quello dell’altro.
«Suvvia, non dirmi che la vita da scapolo non ti diverte!» esclama Gordon «Tu, tutto fissato con le donne, della vita non hai capito proprio nulla!»
«Senza amore non c’è vita.» asserisce l’altro con convinzione.
«Ah, stolto! Non hai ancora aperto gli occhi? Una donna ti taglia semplicemente le ali!» ribatte il fratello.
«Non è necessario che ti innamori di una donna, cugino Gordon.» fa notare Marion con un sorriso divertito.
«Non sia mai!» Gordon scuote il capo con disgusto.
«La verità è che non vuoi crescere.» afferma Cecily con un’aria furba «Non vuoi prendere in mano le tue responsabilità.»
«E’ ancora presto per prendere in mano certe responsabilità.» sbotta Gordon «Non intendo nemmeno pensarci!»
«Cambierai idea appena avrai trovato la donna adatta a te.» lo contraddice Millard annuendo con il capo.
«La donna che cerco non esiste.» sospira il fratello «L’unica che potrebbe soddisfare i miei canoni, è solamente cugina Helen.» sorridendo come gli altri, gira lo sguardo verso la suddetta, persa nei suoi pensieri, e dice ad alta voce per farsi sentire, sovrastando il rumore prodotto dagli zoccoli dei cavalli sul terriccio:
«Helen, accetteresti la mia mano?»
Lei alza lo sguardo di scatto, tornando in sé, e lo guarda confusa.
«Perdonami, non stavo ascoltando.» si scusa.
«Gordon si sta dichiarando.» ridacchia Millard.
«E non sarebbe la prima volta!» sospira Marion con gli occhi al cielo.
«Dunque, Helen? Vuoi essere mia sposa?» domanda ancora Gordon con il suo sorriso.
Lei scuote il capo e, sospirando con esasperazione, dice:
«Ti stancherai mai, Gordon? Fin da quando eravamo bambini non fai altro che chiedermelo... Mi spiace davvero, ma non sei il marito che desidero.»
«E nemmeno zio Arnold è mai stato d’accordo!» aggiunge Millard.
«In questo caso sono contenta, perché mio padre mi dà ragione.» commenta Helen, con un piccolo sorriso.
«Oh, beh, allora smetterò di chiedertelo.» sospira Gordon, poi rivolge lo sguardo alla cugina più piccola, dicendo con calore:
«Cecily, sono anni che non ci vediamo... direi che sei diventata a dir poco stupenda. Chiedo il tuo permesso per corteggiarti.»
«Uhm... non saprei... vediamo prima se riuscirai a raggiungermi!» Cecily, ridendo, sprona la sua cavalcatura e parte veloce per la strada.
Divertito a sua volta, Gordon si sbriga a seguirla, con alle spalle Millard, mentre Marion e Helen continuano a camminare tranquillamente in groppa ai propri destrieri.
«Non cambieranno mai...» commenta Marion.
«Infatti.» concorda l’altra.
Dopo qualche istante di silenzio, Marion si rivolge alla cugina con un tono più serio:
«Helen, va tutto bene? Sembri turbata.»
«Davvero?» fa la ragazza a mezza voce, con gli occhi fissi sulla criniera castana del suo cavallo.
«Ho saputo di lord Baker... tuo padre vuole davvero combinare il tuo matrimonio con lui?»
Helen si limita ad annuire appena con il capo.
Marion rimane silenziosa qualche istante, poi inizia a dire premurosamente:
«Helen, purtroppo non sono cose che possiamo gestire noi povere figlie di ricchi signori...»
«Parli proprio come mio padre.» sospira Helen, malinconica.
«Questa è la realtà.» le fa notare la cugina che, dopo una pausa, chiede a voce bassa:
«Per caso... sei innamorata di qualcuno in questo momento?»
Helen stringe con forza le briglie, adombrandosi.
Marion nota la reazione e, sorpresa, domanda subito:
«E tuo padre lo sa?»
«“Sa” cosa?» chiede l’altra, guardandola.
«Che nel tuo cuore c’è un altro uomo.»
«Non c’è nessun uomo nel mio cuore.» nega Helen, distogliendo di scatto lo sguardo. Ripensandoci, quella frase le sembra alquanto ambigua.

Lui non è più un uomo...
Scuote con forza la testa per scacciare quei pensieri.
Marion, preoccupata, insiste:
«Helen, sai che a me puoi dire ogni cosa... sono la tua più fidata amica, oltre che tua cugina.»
«Lo so.» calmandosi, la giovane torna a guardarla con uno sguardo confortato «Non temere, Marion, sarai la prima a sapere ogni cosa, appena ne saprò di più io stessa.»
«Sei così tanto confusa in questo momento?» si meraviglia l’altra.
«Eh... più di quanto tu creda.»  

*

Il vento continua a far danzare l’erba, nella notte, sempre nel più assoluto silenzio.
La bella lady è sempre lì, al centro; fulgida figura bianca nel buio.
I suoi occhi cerulei son sempre fissi in avanti; dolci; incantevoli.
Ed ecco: muove le rosee labbra.
Un sussurro trasportato dal vento.
... Artemisia.
 

Edgar si desta immediatamente, percependo la notte appena calata.
Si alza e si veste fissando il cielo stellato e la luna e intanto ripensa a lei e al suo sogno.
Perché mai quel nome? Artemisia... Quale significato cela la sua visione?

Eppure, nonostante la curiosità del mistero, tutto sta perdendo il suo significato, ora che finalmente l’ho trovata. Nulla vale più al suo confronto. Solo Artemisia, Helen Green, ha significato per me.
Esce poi dal suo castello, non curandosi nemmeno di partire alla ricerca di cibo, e si dirige alla villa di Artemisia. 

Helen si trova già sul balconcino della sua stanza con lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione scura sul volto.
Posa le mani sulla balaustra e tira un po’ le labbra, a disagio.

Che sto facendo qui? Sto cercando una conferma che non sia stato solamente un sogno quello dell’altra notte? Spero forse che solo di un sogno si sia trattato per trovare così conforto? Forse non dovrei rimanere ancora qua fuori... sarebbe meglio rientrare.
Tesa, si volta di scatto, facendo frusciare la veste da notte, e si muove verso la porta a vetri aperta per tornare dentro, quando una strana e famigliare sensazione la invade improvvisamente e una voce, affascinante e tenebrosa allo stesso tempo, esordisce alle sue spalle con un tono piacevolmente sorpreso:
«Artemisia... mi stavi dunque attendendo?»
Helen si volta immediatamente, posando lo sguardo ceruleo su quello perlaceo dello scuro e freddo vampiro appoggiato tranquillamente alla balaustra di pietra del suo balconcino, e, tornando lucida dopo essere stata colta un attimo da un brivido, dice con calma:
«Credo che tu abbia frainteso. Sì, ti stavo aspettando, ma solamente per dirti di andartene e evitare di ripresentarti qui in futuro. Non ho alcuna intenzione di passare del tempo con te.»
«Per quale motivo, Artemisia?» chiede lui, rilassato «Non credo di darti alcun fastidio.»
«La tua presenza mi infastidisce. Il tuo odore, la tua persona.» ribatte lei con voce ferma «Che cosa vuoi da me, vampiro? Io non ti temo; temo solamente la tua condizione. Ma tu hai fatto voto che non mi avresti trasformata come te se io non avessi voluto, perciò posso evitare di temere anche questo perché non ti darò mai il mio consenso.»
Edgar increspa appena la fronte, rimanendo in silenzio, e Helen prosegue:
«L’unica cosa che potrai ottenere da me è la mia morte, se la desideri.»
«Come potrei desiderarla?» mormora lui, serio.
La giovane alza allora il capo, affermando:
«Dunque non avrai niente da me; preferirei morire che esaudire i desideri di un dannato. E la morte non la temo affatto.»
Edgar rimane silenzioso a guardarla qualche altro istante, poi dice con la sua voce piena:
«Sei la donna più coraggiosa che abbia mai incontrato. Non posso che stimarti, mia bella Artemisia. Ma allo stesso modo le tue parole mi feriscono: mi trovi davvero così terribile?»
«Vorresti negare di essere un mostro?» lo sfida lei con decisione.
«Come potrei negare un’evidenzia simile?» mormora allora Edgar, cupo «So bene in cosa mi sono trasformato.»
«E allora come puoi pensare che io possa trovarmi a mio agio con te?» gli fa notare, alzando un po’ il tono di voce.
Il volto di lui si trasfigura di colpo in una maschera sofferente, quando dice:
«Ti prego, non condannarmi prima ancora di conoscermi.»
Helen scuote il capo, asserendo:
«Io non intendo conoscerti, Edgar. Non intendo innamorarmi di te.»
«D’accordo, Artemisia.» rilassa i tratti del viso «Non ti costringo a far nulla. Ti chiedo solamente di passare del tempo con me. La tua presenza mi riempie di una gioia che non provavo da parecchio tempo... una gioia che forse non ho ma provato.»
Helen rimane a guardarlo, tornata a disagio, e lui la supplica ancora:
«Ti chiedo solamente questo. Nient’altro, se non vuoi che lo faccia.»
«Non vorrei nemmeno passare del tempo con te, in realtà.» dice lei, perdendo però un po’ di sicurezza.
«Suvvia, si tratterà solamente di parlare amabilmente qualche ora...» le sorride e lei si sente sciogliere dentro, colpita da quel fascino oltre misura «Davvero, nulla di più.»
Rimangono in silenzio qualche attimo, infine lei, con un mezzo sospiro, dichiara la resa.
Helen si volta ed entra in camera senza ancora parlare e Edgar, colto da incredibile felicità ed eccitazione, riesce a malapena a contenere le emozioni e rimanere tranquillo, mentre la segue all’interno. 

«Ma dimmi... come hai fatto a diventare un... vampiro?» si decide a chiedergli, con un tono un po’ esitante.
«Sai, non ricordo con precisione.» Edgar si porta una mano al mento, riflettendo «Il mio passato, in particolare quel giorno, è così... confuso. Una macchia indistinta di ricordi, qualche immagine, qualche emozione. Ciò che so con certezza è che ho provato un dolore inimmaginabile, pari forse solo a quello che si può provare alla nascita, quando entriamo in questo mondo ignoto abbandonando un confortevole riparo... Già, ho provato cosa significa morire.»
«Morire...» mormora Helen, corrugando lievemente la fronte.
Lui annuisce con il capo, dicendo:
«Sì, morire. Quando un vampiro ti morde, si muore. Se invece decide di farti diventare come lui, e dunque inietta il suo veleno in te, si muore comunque, per poi rinascere la notte successiva del tutto diverso.»
La giovane appoggia i palmi indietro, sulle morbide coperte del letto, inarcando così di un po’ la schiena, e continua a fissare intensamente l’altro, seduto a un paio di braccia da lei sulla sponda del materasso. Sono lì da qualche ora, a parlare e confrontarsi, oppure semplicemente a guardarsi negli occhi, in silenzio. Non sa di preciso che cosa sta facendo: si trova seduta sul proprio letto a pochi centimetri del predatore più letale del mondo. Eppure, non ha paura.
Helen storce un po’ le labbra e si ritrova a commentare:
«La morte non è così orribile come la descrivi.»
«Ma davvero... e tu, che l’hai già provata, sai bene di che parli, vero?» fa lui, ironico.
«Tu la morte la temevi.» ribatte lei, decisa «Ecco perché l’hai trovata orribile.»
Edgar alza un sopracciglio, affermando:
«La teoria sulla morte più affascinante che abbia mai udito... Davvero credi, quindi, che se non si teme la morte questa può divenire la cosa più dolce e bella a cui un uomo può aspirare?»
«Naturalmente sì.»
«E tu Artemisia? Dici di non temerla; perciò sei certa che sarà un’esperienza meravigliosa? La più bella?» la interroga lui, incuriosito.
Helen abbassa lo sguardo, pensierosa. Dopo una pausa, mormora:
«Semplicemente, per me la morte sarà un sollievo. Una liberazione. Andrò in posto migliore.»
«Una liberazione?» ripete Edgar, incupendosi.
Lei annuisce con il capo.
«Sono così stanca... il male che ho dentro mi sta distruggendo. La mia unica consolazione è che mi troverò meglio, dopo
«Artemisia, no...» Edgar le si fa più vicino e le prende delicatamente una mano, cercando il suo sguardo azzurro che è sfuggevole e triste.
«Se è una liberazione ciò che cerchi, ti prego... accetta quella che ti offro io.» le chiede a mezza voce, intensamente.
Lei si morde un labbro.
«Edgar... non posso.» ritira la mano e si alza in piedi, fermandosi davanti la finestra chiusa.
«Ma se non temi la morte, non temere ciò che ti sto offrendo...» insiste lui con lo stesso tono di prima, rimanendo sul letto.
«Ho paura, in realtà, del Giudizio Finale. Dio condanna i deboli di spirito, i dannati.» mormora lei, tremante e con le lacrime agli occhi.
«Artemisia, io voglio solamente salvarti. Puoi credermi: è così. Non desidero altro che tu viva... puoi anche non accettarmi, ma ti supplico: vivi.»
«Ti prego, smettila.» si porta di scatto le mani al viso, singhiozzando lievemente «Edgar... basta così...»
Lui, incupendosi, si alza quindi dal letto e le si fa vicino, per poi abbracciarle delicatamente la vita.
Lei singhiozza un po’ più forte, mentre le lacrime le rigano il volto.
«La mia proposta ti fa davvero così tanta paura?» sussurra Edgar, comprensivo.
Helen annuisce, tremando ancora.
Lui avvicina il viso ai suoi capelli, chiudendo gli occhi e assaporandone il buon odore. Lei continua a piangere, disperata.

Non piangere, Artemisia...
Il volto del vampiro si tira in un’espressione di sofferenza.
«Artemisia...» mormora, aprendo di un poco gli occhi «Non voglio che tu soffra per le mie parole. Perdonami.»
«Se non vuoi che soffra...» lei prova a voltarsi verso di lui che quindi la lascia per far sì che gli occhi lucidi di lei s’incontrino con i suoi addolorati.
Helen conclude con voce poco ferma:
«Allora non propormi più di diventare come te.»
Edgar tira le labbra, irrigidendosi.
«Se davvero mi ami come dici... devi farmi questa promessa.» ribadisce lei, mentre nuove lacrime le scivolano sulla pelle.
«Io...» il vampiro s’incupisce, esitando.
«Ti prego.» sussurra lei con occhi lucidi.
Dopo qualche istante di silenzio Edgar distoglie quindi lo sguardo e, con un’espressione amareggiata, dice a mezza voce:
«Va bene, Artemisia... se è ciò che vuoi...»
«Grazie...» sussurra lei, abbassando gli occhi e dirigendosi al letto.
Edgar si volta verso la ragazza, che si è seduta sulla sponda, e le chiede:
«Posso comunque continuare a farti visita?»
«Ci tieni così tanto?» gli domanda di rimando, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto ricamato.
«Ma certo, mio angelo.» risponde lui con enfasi.
Lei lo guarda intensamente, per poi enunciare con dolcezza:
«
Solo tu hai il potere di rendermi triste o donarmi gioia e conforto. Il mio amore ha raggiunto tali vette di follia che rubò a se stesso ciò che più agognava... Ad un tuo cenno, subito cambiai il mio abito e i miei pensieri, per dimostrarti che sei tu l'unico padrone del mio corpo e della mia volontà...»
Edgar mostra un sorriso sghembo, commentando:
«Uhm... appropriato.»
«Sono parole che pronuncia Eloisa ad Abelardo.» anche Helen sorride lievemente «Possono perfettamente essere assegnate anche a te, non trovi? La passione che provava Eloisa è molto simile alla tua.»
«Ma nella vicenda, anche Abelardo è follemente innamorato...» fa notare lui.
«Quella è solo una storia, in fondo.» lo contraddice Helen.
Edgar sospira e poi recita con emozione:
«
Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
ma quando dormo, essi nei sogni vedono te,
e, oscuramente luminosi, sono luminosamente diretti nell’oscuro

«Shakespeare...» capisce Helen, colpita.
«Anche questi versi sono molto appropriati, non trovi Artemisia?» sorride lui, volgendo intanto lo sguardo fuori.
Sta per albeggiare.
Anche Helen se ne accorge, quindi domanda:
«E’ quasi giorno... devi andartene?»
Lui dapprima abbassa lo sguardo, poi torna a rivolgerlo a lei, dicendo:
«Se vuoi che resti...»
«Ma cosa ti accade se ti esponi alla luce del giorno?» lo interroga, incuriosita.
Lui storce un po’ le labbra, rispondendo di malavoglia:
«Un dolore intenso, sulla pelle, come se un fuoco mi divori... come se improvvisamente mi ritrovassi all’Inferno tra le fiamme.»
«Ma è orribile...» fa lei allarmata.
«Poco m’importa, Artemisia, se, in cambio di questo dolore, posso passare più tempo con te.» la rassicura il vampiro con decisione.
«No... non voglio che resti. Non voglio che ti veda mio padre.» ribatte lei, lanciando uno sguardo alla porta della camera «E’ troppo rischioso.»
«Come vuoi...» cede lui, del tutto succube della ragazza «Tornerò appena farà buio.»
«Dovrei dormire, ogni tanto.» prova a dire lei, ma senza nemmeno troppa convinzione.
Edgar le sorride, dicendo:
«Dormi pure quando passo a trovarti, se vuoi; vederti dormire mi rende sereno.»
«Mi sentirei a disagio.» commenta lei storcendo le labbra.
Lui ride; una risata limpida e oscura allo stesso tempo.
Alla giovane manca quasi il fiato, colpita da quel meraviglioso suono.
«Stai bene, Artemisia?» lui, che sembra capire, le si rivolge con uno sguardo ironico.
«La tua presenza mi sta letteralmente annebbiando i sensi.» si porta una mano in fronte, presa da un lieve capogiro.
«Potrei dire lo stesso per te.» sorride lieve Edgar di rimando.
«Immagino sia una caratteristica di voi esseri.» lo ignora Helen «Così... affascinanti e ammalianti.»
«Caratteristica che usiamo in genere per confondere e stregare le nostre vittime, in effetti.» spiega il vampiro con disinvoltura.
«Sarei una tua vittima, dunque?» Helen sembra punta.
«Se potessi evitare di influenzarti in questo modo con i miei poteri, davvero lo farei, Artemisia. Purtroppo, non è una cosa che posso controllare.» sospira Edgar, spiacente.
Lei rimane a guardarlo in silenzio ancora un po’, infine si decide a chiedere, cupa:
«Sei mai stato attratto dal mio sangue?»
Edgar mostra un’espressione sofferta quando risponde:
«Non potrei mai farti una cosa simile.»
«Cosa accade se non ti... nutri?» pronuncia l’ultima parola con evidente disgusto.
Edgar abbassa gli occhi, adombrandosi e dicendo:
«Il mio corpo appassirà lentamente, finché, privo di gran parte delle forze, non sparirò per sempre, tramutandomi in cenere trasportata poi via dal vento.»
Helen non sa che dire. Si limita a continuare a fissarlo, pensierosa.
Non può quindi fuggire dalla sua condizione... In questo siamo davvero molto simili.
Il vampiro increspa un po’ la fronte, mentre il primo raggio di sole, filtrato attraverso le tende semiaperte della porta a vetri, va ad accarezzare la chiara pelle del suo volto.
Helen se ne accorge e quindi dice:
«Ora vai. Il tuo riposo ti attende.»
Edgar le sorride lievemente ed esce sul balconcino.
La ragazza si affaccia per vederlo salire sulla balaustra, girarsi verso di lei e pronunciare:
«Tornerò appena mi sarà possibile, mia bella Artemisia.»
Sta per saltare, quando lei lo ferma, chiedendogli d’impulso:
«Mi ami davvero come dici?»
«Non potrei mai mentirti.» dichiara Edgar, serio.
«Davvero non puoi vivere senza di me? Veramente sono ormai l’unica cosa che conta per te?» insiste lei, seria a sua volta.
«Non mi credi, Artemisia?» mormora lui.
Helen tira appena le labbra.
«Non capisco come tutto ciò sia possibile.» confessa a mezza voce.
Edgar le rivolge lo sguardo più intenso che mai, sussurrando:
«
Hai mai desiderato qualcuno al punto di smettere di esistere? Al punto di rifiutarti di fare qualsiasi altra cosa, di stare in qualsiasi altro posto, che non sia in sua compagnia? Ecco dunque, Artemisia, che da quando ti ho incontrata ho deciso di morire nuovamente, per rinascere ancora... per vivere una vita dove tu sei presente. E questa volta no, la morte non mi ha spaventato; sarà forse perché, come dici tu, l’ho intesa come la cosa più bella che mi sia mai capitata. Non esisto più in tua assenza, Artemisia: sei tu il mio punto di riferimento, ora. Perciò, credimi: non mentirò mai sui miei sentimenti in tua presenza.»
Helen rimane in silenzio, mentre il cuore pare non voglia smettere di rallentare i suoi battiti.
Edgar volge lo sguardo al sole nascente e nasconde a malapena una smorfia di dolore; colpito in pieno dalla luce. Torna quindi a guardare Helen, dicendo con un tono dispiaciuto:
«Perdonami, ora, ma devo andare.»
Senza attendere risposta, salta dal balconcino e sparisce in un istante.
Helen rimane sulla soglia della porta a vetri, cercando di respirare; è invasa dentro da una tale emozione che il corpo pare non risponda più alla sua volontà. E’ pietrificata, con lo sguardo nel vuoto, nel punto in cui, fino a poco prima, si trovava il vampiro; il vampiro che ha appena pronunciato delle parole bellissime.

Hai mai desiderato qualcuno al punto di smettere di esistere?
Si porta una mano al petto, sentendo chiaramente il cuore non rallentare la sua corsa.
Non so più cosa pensare...
Colta da un malore, torna lentamente in camera, lasciandosi cadere di fianco sul letto.
I suoi respiri sono faticosi, ora, e la vista si sta annebbiando, mentre nel petto infiamma il dolore per un cuore malato.
Tossisce un poco, poi rimane immobile sul letto, aspettando che passi.
Lentamente il dolore si placa e lei, sfinita, abbassa le palpebre, tremando un po’ per il freddo.
Credo di essermi innamorata di un mostro...
Una lacrima le riga la guancia, mentre sprofonda in un sonno agitato.

Continua...

Eccomi di nuovo qua! =)

Grazie tantissimo a tutti coloro che hanno letto e in particolare a chi ha recensito:

storyteller lover: Grazie tantissimo dei complimenti! Mi fa piacere vederti tra i lettori; dopo aver letto la tua fic e aver iniziato a stimarti per il tuo gran talento (anzi io! xD) mi sento onorata di leggere una tua rece. =) Sono contenta che la storia ti piaccia, spero sarà così fino alla fine (ancora altri due capitoli). ^^ Ah, no, le frasi in corsivo sono pensieri dei personaggi usciti dalla mia testolina bacata... le citazioni sono quelle in grassetto all'inzio dei capitoli e altre due citazioni si trovano in questo secondo capitolo (le ho indicate: una è di Eloisa ed Abelardo, l'altra è di Shakespeare). Beh, lo prendo come un complimento se ti piacciono così tanto! =) Ciao!

Achiko: Ciao! =) Sono davvero contenta che la storia ti piaccia; spero di non averti deluso in questo secondo capitolo. ;) Grazie tantissimo dei complimenti: è sempre un piacere riceverli! ^//^ Davvero sarai la mia lettrice numero 1? Wow, che bello! =) Allora alla prossima, ciao!

Grazie anche a chi ha aggiunto la storia alle Preferite e Seguite. ^^

Aggiornerò questo venerdì o sabato... a presto! =)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Che cos'altro è l'amore, se non una pazzia molto discreta, una amarezza che soffoca, e una dolcezza che fa bene?

(“Romeo e Giulietta”, W. Shakespeare)

 

L’erba danza, armoniosa, e il vento fa ballare anche gli steli più lunghi, piegandoli, flettendoli.
La luna brilla nel cielo e la sua luce accarezza i dintorni, per poi sparire un po’ più in là, mangiata dal buio.
La bella è al centro e guarda in avanti, silenziosa, mentre i suoi canditi abiti e suoi dorati capelli ballano con la brezza.
Sta per muovere le labbra, quando la visione cambia d’improvviso; una morbida nebbia invade il prato, rada, e uno scintillio alle spalle della giovane la fa voltare, come incuriosita.
Dietro la bella lady fa la sua apparizione un lago argenteo e, lontano, un famigliare castello. La ragazza guarda in quella direzione, senza parlare; è di spalle, ora, e non si scorge più, quindi, il suo volto angelico.
La nebbia si alza ancora un po’ e il sogno cambia nuovamente; nel più assoluto silenzio, la bella avanza in avanti, per poi fermarsi appena i suoi piedi, scalzi, vengono bagnati dalle placide acque del lago. In quell’istante, i suoi immacolati abiti iniziano a macchiarsi di un nero cupo, come è nera la notte, così come i capelli; l’oro muta, diviene nero.
La lady si muove ancora; si china con calma e strappa dalla terra una piccola pianta biancastra; quindi si rialza e la tiene in mano, tornando a rivolgere lo sguardo al lontano castello.
Sempre silenzio.
Nessun suono.
Nessuna voce.
Nessun nome.
E infine la visione sparisce, inghiottita da quel nero.
 

Edgar balza seduto sul letto, respirando affannosamente; in volto un’espressione sconcertata. Stringe con forza le coperte, non riuscendo a calmarsi.
Perché quel sogno? Perché quel cambiamento? Perché Artemisia rimane in silenzio, tinta ora di nero?
Gira gli occhi verso la finestra dalle tende chiuse; si intravede appena la luce del giorno che rischiara i dintorni. E’ pieno dì.
Distoglie lo sguardo, non riuscendo ancora a regolare il respiro; agitato, balza giù dal letto e inizia a girare intorno nella sua stanza, con una mano tra i capelli.
«Che vuol dire, maledizione! Che sia un oscuro presagio?» si domanda, senza fermarsi.
Ricorda il sogno; il lago, il castello. Si affaccia immediatamente alla finestra, ignorando il bruciore del sole, e volge lo sguardo al limpido laghetto che si estende alla sua sinistra, oltre il cortile.
Il lago, il castello... Il mio castello e il mio lago.
Ora capisce.
«Che voglia significare che Artemisia infine accetterà?» si chiede, allontanandosi dalla finestra e tornando a girare intorno con un po’ più calma «Vorrà diventare come me? Verrà a vivere qui? Che significhi questo, il fatto che nella visione da candida e pura si tramutava, si tingeva di nero? ... Non lo so proprio.»
Si ferma e appoggia la schiena al muro, passandosi una mano sul volto stanco e provato.
Prima d’ora, non si era mai svegliato in quel modo in pieno giorno, né tanto meno aveva mai rinunciato a mangiare una sera. Probabilmente era in grado di resistere senza nutrirsi per qualche altro giorno, ancora; decisamente una fortuna, visto che di mangiare non è proprio in vena in quel momento. Allo stesso modo, sa che non riuscirà a dormire ancora per quel giorno.
Posa il capo indietro sulla parete, pensieroso.
Devo controllare come sta... devo stare con lei di più.
Si rende conto di non riuscire più a sopportare l’assenza di Artemisia nemmeno nelle ore di sonno.
Forse è per questo che ho avuto l’incubo... Devo tornare da lei.
Si stacca dal muro e si prepara; vuole raggiungerla subito. 

«Cugina...» con un sorriso, il volto allegro della dolce Cecily fa la sua apparizione da dietro il tronco del grande salice sotto la cui ombra è seduta Helen, che alza gli occhi verso l’altra, sorpresa.
«Cecily! Pensavo fossi ripartita questa mattina... che fai ancora qui?» chiede Helen, mentre Cecily si va a sedere al suo fianco.
«Mio padre ha avuto un contrattempo.» sospira la giovane mora, visibilmente seccata «Partiamo tra poco... In questo modo, però, saremo a casa solamente quando calerà la notte; avevo programmato già tutto il mio pomeriggio e ora non potrò più fare niente.» torna a sorridere guardando la cugina «In ogni modo, non ho saputo resistere e sono venuta a salutarti.»
«Sai che mi fa piacere stare in tua compagnia.» anche Helen le sorride dolcemente «Potevi venire a pranzo... Se avessi saputo che non saresti partita subito ti avrei invitato sicuramente.»
«No, sono qui solo per un veloce saluto.» le spiega l’altra «Ti passerò a trovare presto, comunque.»
«Sarebbe fantastico.» annuisce Helen.
Cecily si mostra preoccupata quando dice:
«Ho sentito che sei stata male questa notte e che ti sei alzata dal letto solo verso mezzodì... come stai ora cugina Helen?»
«Meglio.» la rassicura, posando una mano sul petto «Solo un dolore passeggero.»
Cecily non sembra affatto rincuorata.
«Mi dispiace molto cugina... Vorrei tanto che guarissi...» confessa tristemente.
Helen distoglie lo sguardo, puntandolo al suolo.
«Credo che non potrò mai guarire.» mormora con un’espressione scura.
Cecily va ad abbracciarla con affetto, dicendo:
«Non smettere mai di sperare. Io sono certa che presto starai bene.»
«Grazie.» Helen ricambia l’abbraccio.
Le due si dividono e Cecily, tornando allegra per tirare l’altra su di morale, indica il libro che Helen tiene in una mano ed esclama:
«“Romeo e Giulietta”? Cugina, che cos’è tutto questo romanticismo improvviso?»
«Oh, questo...» Helen abbassa gli occhi sul libro, arrossendo «Ho avuto semplicemente voglia di leggerlo di nuovo...» prova a dire in imbarazzo.
«Uhm, qui c’è di mezzo un uomo...» Cecily le rivolge uno sguardo furbo «Non ho dubbi! ... Per caso hai deciso di accettare la mano di cugino Gordon?» si mette a ridere.
«Giammai!» anche Helen ride con lei.
«Signorina Cecily...» si avvicina una domestica.
«Sì?» fa la giovane, asciugandosi gli occhi lacrimanti per il gran ridere.
«La vostra carrozza è pronta. Vostro padre vi sta aspettando.» conclude la donna.
«Oh, è già ora di andare...» storce le labbra, dispiaciuta.
«Torna a trovarmi presto, d’accordo?» si rassicura Helen.
«Sì, sì, cugina, non temere! A presto!» la saluta Cecily, alzandosi e avviandosi poi alla carrozza insieme la domestica.
«A presto.» le dice dietro Helen, guardandola andarsene.
Non stacca lo sguardo da quella direzione finché non vede la carrozza allontanarsi. Con un sospiro, quindi, si raddrizza, pronta a continuare la sua lettura, quando una voce famigliare alle sue spalle la fa sobbalzare:
«Davvero una giovane piena di gioia di vivere, tua cugina.»
Helen si gira di scatto, notando così Edgar di fianco il tronco dell’albero con le braccia incrociate e una spalla postata sul legno.
«Che ci fai qui?» si stupisce la lady, incredula «E’ pieno giorno! E’ da poco passata l’una!»
«Lo so bene.» Edgar fa una smorfia «Il sole è particolarmente cocente, in effetti. Ma quest’ombra mi dà un po’ di sollievo.»
«Starai soffrendo molto...» constata Helen, impensierita.
«Sbaglio, Artemisia, o ti stai preoccupando per me?» sorride furbo lui, compiaciuto.
«Ti sbagli!» Helen distoglie lo sguardo, mentre le guance le si colorano lievemente di rosso.
Lui sorride ancora un po’ e, sedendosi elegantemente al fianco della giovane, domanda:
«Ti spiace se siedo qui?»
La ragazza scuote appena il capo, tornando a rivolgere lo sguardo sulla copertina del libro, pensierosa.
Edgar nota il titolo e, con un tono suadente, afferma:
«Questa tua “voglia” di Shakespeare è nata grazie a me e alle mie parole, vero?»
«Sbagli di nuovo, vampiro.» nega fieramente Helen, posando a terra il libro «Un’idea d’amore così fine e profonda che solo Shakespeare, in particolare in “Romeo e Giulietta”, riesce a trasmetterti, non può in alcun modo essere associata ai tuoi modi, o alle tue parole.»
«Dunque non mi trovi abbastanza fine e profondo?» chiede Edgar alzando con ironia un sopracciglio.
«Infatti.» asserisce lei, guardandolo con un’aria di sfida.
Lui le rivolge uno sguardo intenso e pungente, ribattendo in un sussurro:
«L’amore che provo per te non può essere paragonato in alcun modo a dei versi di Shakespeare?»
Helen storce un po’ le labbra, non sapendo ora che rispondere.
«Ecco, vedi Artemisia? Ti lascio a corto di parole come solo delle frasi di un fine e profondo poeta posso fare.» constata Edgar, sicuro.
La giovane volta il capo verso la campagna che si estende davanti a loro e, con un sospiro malinconico, dice:
«Forse non hai ancora compreso che devi dimenticarmi.»
«Come posso farlo?» le chiede Edgar, portando il busto in avanti per avvicinarsi di più a lei «Artemisia, non posso!»
«E invece devi.» Helen torna a rivolgergli con decisione lo sguardo «Continuerai solamente a soffrire in questo modo. E soffrirei anch’io, lo ammetto.»
«Perché mi fai questo, Artemisia?» insiste lui, con un accenno di disperazione nella voce, che è quasi un sussurro «Perché ti fai questo?»
Helen increspa un po’ la fronte.
«Non so di che parli.»
«Perché non accetti di amarmi?» le mormora Edgar guardandola fissa negli occhi.
Lei attende qualche istante prima di rispondere a mezza voce:
«Io non ti amo.»
«Perché non puoi amarmi?» replica il vampiro con la stessa espressione intensa di prima.
«Per via della tua condizione.» risponde Helen, con lo stesso tono di prima.
Non posso amare un vampiro... un mostro...
Si ripete, convinta.
«Allora, se rifiutassi la mia condizione, tu mi ameresti?» domanda Edgar dopo un istante.
Helen alza le sopraciglia, incredula.
«Non puoi farlo.» esclama, certa.
«Posso farlo, invece.» dichiara lui, serio «Se questo mi permetterà di stare con te... di farmi accettare da te.»
«Ma... come...?» balbetta lei, spiazzata.
«Sei certa di non voler diventare come me?» le chiede Edgar in un sussurro.
«Sì.» risponde subito lei, senza pensarci troppo.
Lui la guarda con un’aria meditabonda, poi dice lentamente:
«Quindi accetti il tuo destino... Accetti di morire a causa del tuo male.»
Helen annuisce appena con il capo, scura in volto.
Edgar rimane in silenzio qualche momento, poi riprende a dire con lo stesso tono di prima:
«D’accordo, Artemisia; tu hai fatto la tua scelta. E dunque io faccio la mia... Senza di te per me non c’è vita. Senza di te non posso più esistere. Ecco quindi che ho deciso: morirò con te.»
Helen spalanca gli occhi, stupefatta, ed esclama, allarmata:
«Non puoi, Edgar!»
«Invece sì.» insiste lui, deciso «Rifiuto così la mia condizione di vampiro. Rifiuto di nutrirmi. Rifiuterò anche di riposare al dì per stare con te e vegliare la notte su di te.»
«Morirai!» quello che esce dalle labbra della giovane è quasi un grido carico di disperazione.
Helen si porta quindi una mano alla bocca, mentre gli occhi, senza il suo permesso, divengono lucidi di lacrime.
Edgar rimane composto, con uno sguardo tranquillo e un’aria serena.
«Artemisia...» le dice con voce calda «Quindi tieni a me?»
«Non voglio che tu muoia a causa mia.» la voce le trema lievemente, e le lacrime iniziano a scendere, incontrollate «Mi sentirei in colpa... io non...»
Non riesce a concludere; Edgar ha posato una mano sul suo volto e la sta accarezzando dolcemente, rimanendo sereno.
«Se lo stai facendo per convincermi ad accettare la tua proposta di diventare come te... davvero, non posso... non puoi farmi questo...» continua a dire lei, sempre più disperata.
«No, davvero, non è per questo.» le mormora lui, accarezzandole ora i capelli «Io rispetto la tua decisione e non insisterò oltre. Perciò tu rispetta la mia, ti prego.»
«Non posso...» si morde un labbro, sentendosi in colpa.
«Artemisia, non temere per me.» le sorride appena, pacato «Questa volta non ho paura di morire, perché starò al tuo fianco. Ho vissuto fin troppo e fin troppo inutilmente. Ora sei tu il senso della mia esistenza e se tu hai deciso che è ormai l’ora, per te, di lasciarti morire, che senso ha, quindi, che io continui a vivere? Te l’ho detto: non c’è vita senza di te. Accetto dunque il mio destino, che è solo questo: vivere gli ultimi momenti della mia esistenza con te; attendendo insieme la morte liberatrice.»
«Preferisci quindi rinunciare a convincermi a passare una vita con te per sempre, per poter morire ora con me come io ho deciso?» domanda lei, non riuscendo ad accettare la cosa.
«Sì, lo preferisco.» dichiara Edgar senza esitare.
«Perché?» chiede Helen, non volendo arrendersi.
Edgar risponde a mezza voce, cupo:
«Perché non voglio che tu divenga un mostro.»
«Cos...?» rimane lievemente con le labbra dischiuse, stupita.
«Se è solo un mostro ciò che vedi in me, questo è ciò che poi penserai di te stessa quando sarai nella mia stessa condizione. E non è quel che voglio.» fa una breve pausa, poi riprende:
«Davvero, non fartene una colpa. Tu mi hai ridato la vita, Artemisia. Sono io che ho deciso di scegliere la morte. Ciò che sto vivendo con te in questi giorni è così intenso e vero che non può essere paragonato a nessun periodo della mia lunga esistenza. Preferisco quindi vivere pienamente con te questi pochi attimi, che continuare poi una vita vuota e priva di senso.»
Le prende delicatamente il volto tra le mani; lei rabbrividisce per il freddo contatto.
I suoi occhi perlacei guardano gli azzurri e lucidi di lei con una forza e convinzione tale che Helen si stente quasi vacillare.
«Edgar...» mormora, tremante.
Lui le si fa un po’ più vicino con il viso, sussurrando:
«Non aver paura di me, Artemisia.»
Lei socchiude gli occhi, ribattendo con un fil di voce:
«Non ne ho affatto.»
Le loro labbra sono così vicine che i respiri caldi vanno a legarsi insieme.
«Ti amo, Artemisia.» afferma Edgar in un sussurro e infine raggiunge le labbra di lei, che non si sottrae.
La bacia intensamente, a lungo; entrambi chiudono gli occhi e Helen alza una mano, posandola su quella di lui che è ancora appoggiata alla sua guancia.
Il cuore della giovane batte impazzito e anche Edgar sente battere il proprio cuore, nonostante ciò sia impossibile perché fermo da tempo.
Il corpo del vampiro freme appena, colto dentro da una profonda emozione, mentre Helen è persa del tutto nella bellezza di quel contatto. Si sente ammaliata, si sente bene, benissimo, e ha dimenticato del tutto il fatto che sta baciando un vampiro. Ma lui non è più un vampiro; ha rinnegato la sua condizione e l’ha fatto per lei, solamente per lei.
Come può rifiutare colui che l’ama così tanto da decidere di smettere di esistere? Non può farlo.
Ed ecco, dunque, che Helen ha capito davvero ciò che intendeva Edgar con le sue parole.
In quel momento, lui riapre improvvisamente gli occhi e, con un movimento fulmineo, sparisce in un attimo.
Anche Helen rialza le palpebre, confusa; è sparito così in fretta che è riuscita appena a percepire il movimento.
Senza capire, si guarda intorno, cercandolo, quando vede qualcuno avvicinarsi.
«Oh, no...» storce le labbra con disappunto.
«Lady Green! Eccovi, finalmente.» sorride lord Baker, raggiungendola.
«Lord Baker... che sorpresa...» fa lei con un tono piatto.
Lui si inchina e la invita a fare una passeggiata insieme.
Lei riesce a stento a non sospirare, esasperata, quindi è costretta ad accettare a malincuore.
Lord Baker le offre il braccio e insieme si avviano per il prato, allontanandosi dal salice; Helen lancia un ultimo sguardo speranzoso in quella direzione, ma non vede nessuno.
«E’ una splendida giornata, non trovate?» esordisce l’uomo, indicando il cielo limpido.
«Bellissima.» commenta la lady senza entusiasmo.
«Già.» fa lord Baker senza aggiungere altro.
Helen gli rivolge quindi uno sguardo serio, asserendo:
«Vi prego di smetterla di tergiversare. Vi ha invitato mio padre, non è così?»
«Infatti, Helen.» risponde lui, con un mezzo sorriso compiaciuto «Vostro padre mi ha proposto di venire a parlarvene.»
«Non c’è proprio nulla da dire, August.» afferma lei, distogliendo lo sguardo «Mio padre vi avrà già comunicato il mio parere, suppongo.»
«Mi ha solamente detto che siete ancora un po’ scettica.» fa un gesto con la mano per indicare noncuranza «Vi capisco, Helen, non ci conosciamo molto bene.»
«Un po’ scettica?» ripete lei, staccandosi da lord Baker e rivolgendogli uno sguardo duro «Forse non avete compreso: io non intendo sposarvi, lord Baker.»
«Ciò va oltre la vostra decisione, Helen.» insiste lui, calmo «Vostro padre è d’accordo; il nostro matrimonio è già stabilito.»
«Scordatevelo.» sibila la lady, decisa.
Lui le rivolge un sorriso sicuro e ironico e dice:
«Helen, fatevene una ragione. Questo maggio diventerete mia sposa.»
«Mi rifiuto.» insiste Helen con fermezza.
«A costo di portarvi con la forza sull’altare, noi ci sposeremo tra due mesi.» ribadisce lord Baker, sta volta serio «Sono venuto solamente a comunicarvelo. Ora perdonatemi, lady, ma sono pieno d’impegni.» si inchina ancora «A presto, mia sposa.»
Helen gli dà immediatamente le spalle e si dirige al salice. Lord Baker le lancia un ultimo sguardo di trionfo e se ne va a sua volta.
La ragazza raggiunge il salice e, frustrata, appoggia pesantemente la schiena al tronco, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Artemisia...»
Helen alza subito lo sguardo e, sorpresa, vede Edgar seduto su un ramo che la sta guardando.
«Edgar...»
Lui salta a terra e le prende una mano, dicendo premurosamente:
«Ti proteggerò io, Artemisia.»
«Di che parli?» chiede lei, ancora un po’ annebbiata a causa di tutti quegli avvenimenti concentrati in pochi attimi.
«Terrò quell’uomo lontano.» spiega Edgar, serio.
Lei scuote il capo.
«Lascia stare. Ci penso io.»
«Cosa intendi fare?»
«Parlerò con mio padre.» sospira «So come fare.»
Edgar la guarda intensamente.
«Sei sicura?»
Lei gli sorride con dolcezza.
«Certo.»
Lui avvicina il suo viso a quello di lei, annusandole i capelli con gli occhi socchiusi, estasiato.
«Scusa se prima mi sono nascosto.» le mormora, tornando a rivolgerle lo sguardo «Penso sia una buona cosa non farmi vedere.»
«Sì, è meglio.» annuisce Helen, andando ad accarezzargli un braccio teneramente «Sarà il nostro segreto.»
«Oh, che bel segreto, Artemisia.» Edgar le sorride con la gioia negli occhi.
Lei avvicina le labbra a quelle del vampiro e gli sussurra:
«Ora va, amor mio... ti aspetto questa notte.»
Si baciano ancora, fremendo entrambi per l’emozione.
«Aspettami, allora. Non sarò lontano.» si rassicura Edgar, appena dividono le labbra.
Lei allora gli chiede:
«Dove si trova la tua dimora?»
Lui dirige lo sguardo oltre il prato, rispondendo:
«Là, sulle sponde del laghetto.»
«Oh, quel bel castello?» chiede la lady, osservando la sagoma lontana di torri e tetti.
«Sì, proprio quello laggiù.» le sorride lui.
«Pensavo fosse disabitato...» confessa Helen.
«In un certo senso è così.» ridacchia Edgar, senza staccare gli occhi da lei.
Allora anche Helen torna a guardarlo e dice:
«Un giorno me lo farai vedere.»
«Volentieri.»
Rimangono in silenzio a sorridere lievemente.
«Sta sera stessa parlerò con mio padre.» è Helen a parlare di nuovo «Ti riferirò più tardi.»
«Va bene.» Edgar le accarezza un’ultima volta la guancia, poi sparisce in un attimo.
Helen, sospirando sognante, posa il capo al tronco, chiudendo gli occhi.
Che meraviglioso sogno sta vivendo.

Edgar torna al suo castello e inizia a girare per le stanze in penombra, senza una meta precisa, ignorando il bruciore della luce del sole che a tratti filtra attraverso la fessura delle tende socchiuse.
Si sente euforico.
Raggiunge la sua camera e si lascia cadere supino sul letto, con lo sguardo perso tra le morbide pieghe del telo rosso sopra di lui del suo letto a baldacchino.
Nel petto gli è esplosa una gioia immensa; una gioia che non ha mai provato prima, che ora gli scorre dentro come corrente elettrica.
E’ felice; felice come non mai.
Incredibilmente, è felice di morire. La morte non gli era mai sembrata così dolce. Morirà per lei; per Artemisia. Morirà, finalmente.
Perché è così contento? Non lo sa di preciso, non sa spiegarlo. E’ come se... se stesse facendo la cosa giusta. E questo lo riempie di gioia.
Artemisia... Prima di conoscerti vedevo; vedevo bene intorno a me. E c’erano tanti sentieri da seguire; più facili, alcuni, altri intricati e oscuri. E io non sapevo mai quale scegliere. Ecco poi che sei giunta tu e mi hai indicato la strada. E’ proprio quella che avevo scartato fin dall’inizio e che temevo di percorrere perché la trovavo la peggiore di tutte le altre. Ebbene tu me l’hai mostrata come la più bella, la più giusta. Ti sei già avviata per quel sentiero, facendomi luce. E io ti seguo, Artemisia, perché finalmente riesco a vedere davvero... Adesso so cosa fare. E mi sento bene, benissimo.

Cosa accadrà dopo la morte? Non lo sa. Non gli interessa. L’importante è che se ne andrà con lei; stringendole la mano.
E giunti al cospetto degli angeli, tu tornerai con loro, Artemisia, e io andrò all’Inferno. Eppure non soffrirò affatto; perché a te affiderò il mio cuore. Tu lo porterai con te in Paradiso e staremo insieme per l’eternità; non in terra, bensì in cielo.
Si sente sfinito, stranamente. Non si era mai sentito così prima.
Sospira, stanco, e chiude gli occhi.
Riposerà un po’, per poi andare da lei. 

«Padre...»
Arnold Green alza gli occhi dal giornale che sta leggendo, comodamente seduto su una poltrona di velluto, e dirige lo sguardo verso sua figlia, appena entrata nello studio.
«Oh, Helen... Suppongo tu abbia parlato con August.» asserisce lord Green, togliendosi gli occhiali.
«E’ proprio di ciò che volevo parlarti.» Helen va a sedersi di fronte a lui con un’espressione cupa.
Il padre si accorge del suo stato d’animo e le chiede, preoccupato:
«Non ti senti bene, Helen?»
«Padre...» la giovane trae un breve sospiro, guardandolo intensamente «Non voglio sposare quell’uomo.»
Lord Green aggrotta le sopracciglia, iniziando a dire:
«Ne abbiamo già discusso; non è...»
«Fallo per me.» gli occhi le si velano di calde lacrime «Sto morendo...»
Lui si pietrifica, sbiancando.
«Helen...» mormora, a corto di parole.
«Non prendiamoci in giro, padre.» lei scuote il capo, tirando le labbra «Hai sentito il dottore, vero? Non ci sono speranze di guarigione.»
«Sciocchezze.» ribatte lord Green, cercando di mostrare sicurezza «Era solamente un ciarlatano. Ti riprenderai presto, figlia mia.»
«Non è vero e tu lo sai bene quanto me.» insiste lei, con gli occhi lucidi «Va sempre peggio... mi sento sempre peggio. Sono sempre più debole, ho sempre meno appetito, dormo sempre meno alla notte...»
«Helen, no...» lord Green si passa una mano sul volto, mentre si contrae in un’espressione profondamente addolorata «Non dire queste cose...»
«Padre...» Helen gli afferra una mano «Davvero, io non ho paura di morire.»
Lord Green non resiste e lucide lacrime iniziano a rigare le sue guance barbute.
«Sei così giovane, piccola mia...» si dispera a mezza voce, accarezzandole la mano «Non posso perderti... Non riesco ad accettarlo...»
«Ti prego di farlo, o io soffrirò di più.» ribatte lei, piangendo a sua volta.
Lui va ad abbracciarla, stringendola forte a sé; Helen si inginocchia a terra, ricambiando l’abbraccio.
«Quindi ti supplico, padre mio...» mormora tra le lacrime, ancora stretta a lui «Non voglio sposare lord Baker. E’ il mio ultimo desiderio... Vorrei solamente rimanere qui, con te, fino a che mi sarà concesso.»
Lord Green la stringe ancor di più, chiudendo con forza gli occhi carichi di lacrime; poi, annuendo con il capo, le dice:
«Sì, figlia mia, d’accordo... Parlerò domani stesso con lord Baker.»
«Grazie...» Helen sorride lievemente; felice.

Continua...

Ciao a tutti! =)

Ormai manca solamente un capitolo per concludere... spero che fin qui vi sia piaciuta. ;)
Un ringraziamento per tutti coloro che hanno letto e chi ha aggiunto la storia alle Seguite e Preferite (nel prossimo e ultimo capitolo metterò l'elenco completo). ^^

Achiko: Ehi, ciao! =) Mi segui davvero, wow... che coraggio! xD Ammetto di aver ideato la storia solo per partecipare al concorso, quindi non è tanto una fic come quelle che "posto comunemente", nel senso che magari ho sottolineato certi aspetti invece che altri... ad esempio, punto caratteristico è l'amore struggente di Edgar che, sì, è molto più umano che vampiresco... E' vero, certe cose andrebbero cambiate, ma non seguo i tuoi consigli solo perché la fic è già conclusa, se no l'avrei fatto volentieri. =) Accetto sempre consigli, figurati! Anzi, mi aiutano a migliorarmi in seguito. ^^ Sono contenta che comunque la storia ti piaccia: grazie! *//* E se hai qualcos'altro da farmi notare, non esitare a farlo! Chissà, forse un giorno rimodificherò la fic per poi postarla nuovamente... non si sa mai. -_^ Ciao!

Il prossimo e ultimo aggiornamento sarà mercoledì sera. A presto! ;)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 Il tuo veleno è rapido; e così, con un bacio, io muoio

(“Romeo e Giulietta”, W. Shakespeare)

 

Ancora quel vento silenzioso per il prato, che muove tutto senza produrre alcun suono.
La lady non è più bianca, pura; è ancora di spalle, vestita di nero. Anche i suoi capelli color dell’oro sono ora più neri della notte.
Sta guardando il castello, in lontananza, bagnandosi i piedi nelle acque del lago.
E’ immobile.
Poi, ecco: si muove. Si china e afferra una pianta biancastra, per poi raddrizzarsi e tornare a guardare il castello, che pian piano viene inghiottito dalla nebbia sempre più fitta. E sparisce.
Scompare anche il lago, e l’erba. E infine scompare anche lei, avvolta dalla nebbia e dal buio nel silenzio più totale.
 

Con un gemito soffocato, Edgar si ritrova seduto sul suo letto, grondante di sudore freddo e con il respiro affannoso.
Si porta una mano al petto e si stringe la camicia, fissando con occhi sbarrati le coperte.
Ancora questo sogno...
Si passa la mano tra i capelli, chiudendo gli occhi e calmandosi a poco a poco.
Quel sogno così inquieto non gli dà tregua. E’ solo la seconda volta che lo vive - è talmente reale...-, eppure lo colpisce dentro come se fossero dì e dì che ha quella visione.
Inizia a preoccuparsi... 

Helen sta volteggiando per la camera in abito da notte, ballando ad occhi chiusi un valzer che sta suonando il suo cuore. Quella musica che solo lei riesce a sentire la rende leggera e felice; ad occhi chiusi continua a ballare.
«Sei stupenda.» commenta Edgar con uno sguardo dolce, appena entrato dalla finestra socchiusa.
Lei apre gli occhi e si ferma, sorridendogli con calore.
«Mi lusinghi.» fa un piccolo inchino, scherzando con lui.
Edgar la raggiunge con un fluido movimento e le si ferma alle spalle, cingendole la vita con delicatezza.
Lei volta il capo indietro per guardarlo negli occhi, poi si baciano intensamente.
«Hai parlato con tuo padre?» le chiede lui appena dividono le labbra.
Helen annuisce con il capo, sorridendo di gioia.
«Non sono più costretta a sposare nessuno.»
«Allora accetta la mia mano, Artemisia.» sussurra Edgar con enfasi, avvicinando il volto a quello di lei.
«I nostri cuori sono già uniti.» mormora Helen, socchiudendo gli occhi e percependo il fiato caldo di lui sulle labbra «E il nostro matrimonio sarà celebrato dagli angeli.»
«Mi sposerai dopo la morte?» sorride Edgar, guardandola intensamente.
«Sì; ti troverò, ovunque andrai, e ti porterò con me.» dichiara lei.
«Non avrai bisogno di cercarmi; ti lascerò il mio cuore.» le accarezza i capelli con una mano «Così, anche se saremo divisi da Inferno e Paradiso, in realtà i nostri spiriti saranno insieme... per sempre.»
Le loro labbra si uniscono ancora, ardenti. 

Helen apre gli occhi, svegliata dalla calda luce del sole che bagna il suo viso.
Ha lo sguardo verso la finestra dalle tende aperte. Mai una mattina di sole le è sembrata più bella.
Si gira nel letto e dirige lo sguardo verso Edgar, sdraiato di fianco accanto a lei.
Lui la sta guardando con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Buongiorno, Artemisia.»
Lei storce lievemente le labbra, lanciandogli uno sguardo obliquo.
«Uhm... ti sei vestito.» commenta con un tono deluso.
Edgar la va ad abbracciare, accarezzandole le braccia nude come il resto del corpo nascosto dalla trapunta, e le chiede in modo suadente:
«Mi desideri ancora?»
«Sei piuttosto bravo.» anche lei sorride, divertita.
Edgar le sfiora le labbra con le sue, per poi affermare:
«E’ stata la più bella, tra le notti.»
Helen lo guarda dolcemente, scostandogli, delicata, dei ciuffi neri di capelli da davanti gli occhi perlacei.
«Tu sei bello.» ribatte la ragazza.
«Non quanto te, Artemisia.» sussurra lui con un sorriso.
Lei gli passa le dita sul viso, seguendone i lineamenti perfetti illuminati dalla luce del sole che lo colpisce in pieno.
Si mostra preoccupata.
«E’ meglio chiudere le tende.» decide, muovendosi come per alzarsi, ma Edgar la ferma, tenendola ancora stretta a sé e ribattendo con calma:
«Non ce n’è bisogno.»
«Sì, invece. Non voglio che tu soffra in questo modo...» gli posa una mano sulla guancia, guardandolo ancora con un’aria impensierita.
Lui posa una mano su quella di lei ancora appoggiata al suo viso e dice con un tono rassicurante:
«Davvero, Artemisia, non è importante. E poi, questa luce dorata fa brillare la tua morbida pelle e illumina i tuoi occhi come cerulei zaffiri... non mi priverei di questa visione per nulla al mondo.»
Rimangono in silenzio qualche istante, poi Helen insiste:
«Dovresti riposare un po’. Rimani qui, se vuoi, a dormire; chiuderò a chiave la porta. Potrai raggiungermi più tardi; ti aspetterò in giardino dopo pranzo, sotto il salice.»
Lui scuote il capo, adombrandosi.
«Non intendo dormire.»
«Per qual motivo?»
Edgar abbassa lo sguardo, cupo in volto.
«Ti sogno ancora, Artemisia, ma la visione non è più piacevole.» confessa, fremente appena «E’ buia; cupa. Non fai più luce. Temo sia uno scuro presagio...»
Lei gli rivolge il sorriso più dolce, quando dice:
«Edgar... E’ solo un sogno.»
«Proprio in sogno ti vidi per la prima volta.» ribatte lui, tornando a guardarla.
Helen sospira.
«Faccio anch’io molti sogni, ma pochi si avverano.» si mette a sedere tranquillamente «E in genere si avverano proprio quelli in cui credo con tutta me stessa. Quindi, Edgar, ti basterà non credere in quella visione e questa non avverrà.»
Lui le lancia un sguardo stupito e la giovane conclude con un sorriso rassicurante:
«Il sogno di incontrarmi si è avverato perché tu desideravi con tutto te stesso che si avverasse.»
«Non smetterai mai di sorprendermi!» esclama Edgar, ridendo.
Anche lei ride, cristallina.
Qualcuno bussa alla porta.
Edgar volta immediatamente il capo in quella direzione, fiutando attentamente l’aria.
«E’ la domestica.» afferma il vampiro, alzandosi in piedi in un attimo.
«Oh...» fa Helen, sorpresa, guardando l’orologio della camera «Sono già le otto...»
«Lady, siete sveglia? Sono le otto.» la maniglia si inizia ad abbassare, segno che la domestica sta per entrare.
«Edgar!» bisbiglia Helen, guardandolo allarmata.
Lui capisce e, rapido, esce in balcone e sale sul tetto con un salto.
In quel momento, la domestica apre la porta.
«Oh, lady, siete sveglia.»
Helen, seduta ancora sul letto, si mostra assonnata.
«Sì, mi sono alzata proprio ora.» mente, simulando un piccolo sbadiglio.
«Ma siete completamente svestita!» si sorprende la domestica, chiudendo subito la porta della camera.
Helen si sbriga a dire per salvare la situazione:
«Ho avuto caldo questa notte...»
«Oh, cielo...» sospira l’altra, immergendosi nell’armadio in cerca di buoni abiti.
Helen, sorridendo divertita, lancia uno sguardo alla finestra socchiusa, immaginando che Edgar abbia sentito.
Infatti il vampiro, seduto sul tetto, trattiene a stento le risate, divertito a sua volta. 

«Avevi caldo questa notte?» ride Edgar, spuntando da dietro il tronco del salice.
Helen, seduta a terra sull’erba, ride a sua volta.
«Non sapevo che altro inventare!»
Lui le si siede accanto, senza perdere il sorriso, e chiede:
«Hai caldo anche adesso? Se vuoi posso aiutarti io a spogliarti...» le posa una mano sull’allacciatura del vestito blu che indossa.
Helen gli scosta il braccio, ribattendo con ironia:
«Immagino già la faccia di mio padre se ci scoprisse... sarebbe felicissimo.»
«Naturalmente scherzavo, Artemisia.» Edgar le accarezza dolcemente una guancia «Non farei mai nulla del genere senza il tuo consenso.»
Lei lo guarda teneramente, dicendo:
«Sei molto cambiato dalla prima volta che ti ho incontrato.»
«Mi hai cambiato tu.» annuisce lui.
«Spero in bene...»
«Naturalmente.»
Helen sorride e guarda il cielo grigiastro a causa delle argentee nubi che incombono sul prato.
«Pare dovrà piovere...» commenta, sospirando, poi torna a rivolgergli lo sguardo «Per lo meno, l’assenza della luce del sole ti dà un po’ di sollievo.»
«Sì, infatti.» asserisce Edgar, sdraiandosi a terra supino.
Helen gli propone:
«Riposati. Starò al tuo fianco.»
«Non voglio smetterti di guardarti nemmeno un istante, Artemisia.» dichiara lui, rifiutando l’offerta.
Helen gli si sdraia accanto, mormorandogli all’orecchio:
«E allora sognami.»
Edgar le rivolge un piccolo sorriso, afferrandole una mano. Lei stringe la presa e lo incita ancora a dormire.
Il vampiro sospira profondamente e cede; chiude gli occhi senza lasciarle la mano.
Si addormenta immediatamente; sfinito.

«Non direte sul serio, lord Green.» sibila lord Baker, aggrottando le sopracciglia.
Lord Green, in piedi accanto la finestra del salotto, lancia uno sguardo fuori, al cielo, sospirando malinconicamente:
«Cercate di capire...»
«Mi avevate promesso la mano di vostra figlia.» insiste l’altro con decisione, muovendo un passo avanti e posando le mani sullo schienale della poltrona davanti a lui «Dicevate di essere un uomo di parola.»
«Ed è così, lord, credetemi.» lord Green storce un po’ le labbra, a disagio «Dovete quindi perdonarmi... Helen è la mia unica figlia e per lei voglio solo il meglio.»
«Io sono il meglio per vostra figlia!» esclama lord Baker, punto.
«Helen non vi desidera.»
«Pensavo che questo fosse irrilevante.» sbotta l’altro uomo, stringendo con ira la presa sulla poltrona di velluto chiaro.
«Non posso più ignorare il fatto che le manca poco tempo da vivere.» ribatte lord Green, mostrandosi ora irremovibile «E sono pronto a soddisfare ogni suo desiderio, perché presto non l’avrò più con me. E lei non desidera sposarvi. La questione finisce qui, August; non avevamo firmato nessun accordo e nessun patto è mai stato suggellato, quindi ritiro semplicemente la mia proposta e mi scuso ancora per il disturbo che vi ho recato. Spero vogliate tornare a farci visita in futuro, dimenticando ogni contrasto.»
Lord Baker tira le labbra, visibilmente irritato, e, con un tono falsamente calmo, si limita a dire:
«Certamente, Arnold... ci rivedremo.»
Si volta ed esce dal salotto senza aggiungere altro.
Lord Green sospira di nuovo, lasciandosi cadere seduto sulla poltrona.
«Farei di tutto per te, mia piccola Helen...» si dice tra sé e sé, tornando a guardare il cielo con aria pensierosa.
Lord Baker, furioso, esce quindi dalla villa, avviandosi per la stradina di ghiaia verso la carrozza che lo sta aspettando. Appena giunto alla carrozza, però, dirigendo lo sguardo verso il prato, nota Helen Green seduta di spalle sotto un bel salice; lo stesso sotto cui si trovava il giorno precedente.
Increspando la fronte, seccato, muove qualche passo in direzione dell’albero, con l’idea di parlarle. E’ in quel momento che si accorge di una sagoma vestita di scuro sdraiata a terra accanto a lei.
Si ferma di colpo, sorpreso.
Sembra un uomo; un uomo assopito sotto i rami del salice. Helen Green pare lo stia guardando, immobile... gli stringe la mano.
Lord Baker si sente pietrificare, colto dentro da una rabbia incontenibile.
E dunque lady Green preferisce la compagnia di un altro uomo alla sua...
Stringendo i pugni con ira, torna alla sua carrozza, salendovi e ordinando al cocchiere di partire immediatamente.
In testa ha ancora le immagini appena viste.
Frustrato, continua a stringere i pugni, bisognoso di sfogarsi.
E così, Helen, mi rifiuti...
Rivolge lo sguardo fuori, attraverso il piccolo vetro dello sportello, e sul volto si dipinge un’espressione cupa.
Ma se non posso averti io, Helen, non potrà averti nessun altro.
Questa è una promessa.
E lui è un uomo di parola. 

*

La lady è ancora di spalle; il vento si è fatto stranamente più violento e, quasi con rabbia, le scuote i capelli neri e l’abito scuro, agitandoli in una danza non più armoniosa.
In mano ha quella pianta biancastra; il vento non la smuove. I suoi rametti sono fermi, immobili e freddi.
Il castello non si vede più; inghiottito dalla nebbia e dal buio.
Sta sparendo anche il lago e, presto, se ne andrà anche lei...
Vorrebbe urlarle, chiamarla, ma le labbra gli si muovono e da esse non esce alcun suono.
Disperato, continua a gridare silenzioso, ed ecco che lei pare udirlo.
Lentamente, con un movimento quasi innaturale, la lady inizia a voltarsi verso di lui, mentre il lago viene divorato sempre più dalla nebbia.
E infine lei si volta a guardarlo; e lui si sente gelare dentro.
Gli occhi sono solamente orbite vuote, nere, che sanno di morte: gli zaffiri sono stati trafugati; al loro posto un baratro buio.
La lady tende il braccio in avanti e lascia andare la pianta; il vento la trasposta rapida verso di lui, mentre le labbra di lei si muovono ed esce l’unico suono della visione... non più una musica, bensì un grido di morte.
E la foschia e l’oscurità si mangiano tutto. 

«Nooo!» il vampiro si desta all’istante, trovandosi seduto in un bagno di sudore gelido.
«Edgar, calmati!» Helen va ad abbracciarlo immediatamente «Era solo un sogno.»
«Oh, Artemisia!» Edgar la stringe forte a sé, strizzando gli occhi e immergendo il viso tra i suoi capelli dorati «E’ stata la visione peggiore di tutte!»
«Era solo un sogno.» ripete lei con un tono rassicurante «Nulla più.»
«Come puoi non temere un simile presagio di morte?» le chiede allora lui, stringendola ancor di più «Non posso più ignorarlo...»
Lei tira le labbra, adombrandosi.
«Io morirò comunque, Edgar, tra qualche tempo.» inizia a dire a mezza voce «Magari è questo che vedi... In ogni modo, non ci trovo nulla di sbagliato in questo sogno: perché in effetti un giorno me ne andrò per sempre.»
Edgar rimane in silenzio qualche istante, puntando gli occhi in un luogo imprecisato alle spalle di Helen. Poi mormora con un’aria incupita:
«Allora forse questo sogno sta a significare che non sono ancora pronto a lasciarti andare.»
Helen increspa lievemente la fronte e si stacca da lui per guardarlo negli occhi; lo sguardo del vampiro freme appena e sembra profondamente tormentato.
«Edgar...» abbassa gli occhi, senza capire «Pensavo avessi fatto una scelta...»
«Ed è così, Artemisia; avevo scelto.» lui le afferra una mano, parlandole con un tono un po’ sofferto «Però ora ho paura... ho paura non tanto di morire, quanto di veder morire te.»
«E perché dovresti temere questo se io stessa non lo temo?» ribatte Helen, tornando a guardarlo intensamente.
Lui storce un po’ le labbra, visibilmente angosciato.
«Io...» si ferma e abbassa gli occhi su la mano che le sta stringendo «Io non posso lasciarti morire.»
Helen rimane in silenzio, con in volto un’espressione scura. Distoglie lo sguardo, rivolgendolo alla campagna. Poi sospira brevemente.
«Che illusa che sono stata...» dice ad un certo punto con voce cupa «Solamente un’illusa.»
Lui torna a guardarla, con un’aria tormentata.
«Mi ero illusa che mi amassi davvero.» conclude lei, socchiudendo gli occhi.
«Ma è vero, Artemisia!» va a stringerle anche l’altra mano «Ti amo con tutto me stesso, te lo giuro.»
«Allora perché non sei in grado di accettare la mia scelta?» ribatte lei, tirando le labbra.
«Non ci riesco...» il volto del vampiro si contrae in una smorfia di dolore, quasi.
«Dunque vattene ora, Edgar, e non sarai costretto a soffrire ancora.» sentenzia Helen, mostrandosi impassibile e dura.
«Artemisia, ti prego...» le sussurra lui, sofferente «Non farmi questo...»
«Smettila.» ordina lei, scostandosi e rifiutandosi di guardarlo «E vattene.»
«Ti supplico, amor mio...» insiste con forte sconforto «Non farmi questo... se davvero tieni a me, non farlo.»
«Vattene via, Edgar.» ripete Helen, chiudendo gli occhi.
Lui si morde un labbro, disperato, e sparisce.
Helen si volta indietro, notando che lui non c’è più. E allora inizia a piangere silenziosamente, stringendo tra i pugni la gonna dell’abito e maledicendolo. 

«Posso entrare, lady?» dopo aver bussato, la domestica socchiude la porta e sbircia all’interno della camera.
Helen, seduta sul letto con uno sguardo perso tra le pieghe delle coperte, mormora:
«Sì, Dorothy, entra pure.»
La domestica si chiude la porta alle spalle e mostra il vassoio che ha in mano, dicendo:
«Vostro padre si chiedeva se ora non aveste voglia di mangiare... sono le tre del pomeriggio.»
La giovane lancia un fugace sguardo all’orologio della stanza, poi risponde con un sospiro spento:
«No, non ho fame.»
Dorothy si mostra impensierita.
«Vi è capitato qualcosa, lady? Sembrate molto triste... pare abbiate pianto a lungo.»
Helen non risponde, incupendosi ancor di più.
La domestica fa un piccolo inchino con il capo.
«Perdonatemi, lady, sono stata importuna.» si volta per andarsene, ma l’altra la ferma, spiegando con un tono scuro:
«In effetti sì, Dorothy, sono molto triste.»
La domestica si gira a guardarla, premurosa e attenta.
Helen alza gli occhi verso di lei, chiedendole con un’aria malinconica:
«Dorothy, se ci fosse un uomo che dichiara di amarti con tutto se stesso... un uomo che anche tu ami follemente perché diverso, perché è l’uomo che stavi cercando da una vita... ma se ci fosse una condizione da accettare per poterlo amare per sempre; una condizione che ti permetterà di stare con lui per l’eternità... tu cosa faresti? Accetteresti, oppure no?»
«Oh, lady, accetterei, certo.» sorride dolcemente l’altra.
Helen increspa lievemente la fronte, aggiungendo a malincuore:
«Ma se questa condizione fosse terribile? Se ti facesse molta paura, nonostante lui ti assicura di rimanerti accanto e aiutarti a superare il terrore?»
La domestica rimane pensierosa qualche momento, poi inizia a dire lentamente:
«Non so di quale condizione possa trattarsi, lady... ma una cosa so con certezza. Se l’amore è grande, puro, bello, allora è in grado di sostenerci anche nelle prove più terribili. Non conosco condizione abbastanza orribile da oscurare la bellezza dell’amore. Non ne esiste una tale.»
«E se ti dicessi che questa è la più terribile di tutte?» la interroga Helen, tormentata.
Dorothy la guarda intensamente.
«Lady... voi amate questo uomo?»
La giovane annuisce con il capo, mentre gli occhi le si fanno lucidi.
«E siete certa dell’amore che prova lui per voi?» chiede ancora l’altra.
«Me ne ha dato la prova.» mormora la ragazza «Ha detto, e mi ha dimostrato, che è disposto a tutto per me...»
Tranne che vedermi morire...
Aggiunge mentalmente, fremendo.
La domestica quindi conclude seriamente:
«Allora lady, se le cose stanno così, fossi in voi io accetterei qualsiasi condizione. Anche la più orribile. Per l’amore, lo farei.»
Helen abbassa lo sguardo, pensierosa.
Le lacrime vanno a rigarle le guance, calde.
«Se è una liberazione ciò che cerchi, ti prego... accetta quella che ti offro io.»

Si morde un labbro, fremendo.
«Se non temi la morte, non temere ciò che ti sto offrendo...»
«Io voglio solamente salvarti. Puoi credermi: è così. Non desidero altro che tu viva... puoi anche non accettarmi, ma ti supplico: vivi.»

«Edgar...» sussurra Helen, così piano che Dorothy non riesce a sentire.
Forse dovrei accettare... 

«Oh, tesoro, ti senti meglio?» chiede lord Green, alzando gli occhi e rivolgendoli alla figlia appena entrata nel salotto.
«Sì, meglio.» annuisce Helen, andando a sedersi al tavolino da the con il padre.
«Arrivi giusto in tempo per bere qualcosa; sono le cinque.» sorride lord Green, mostrandole poi l’elaborata bottiglia che ha in mano.
Questa contiene un liquido di un verde acceso, trasparente e limpido.
«Assenzio?» chiede la giovane, sorpresa.
«Me l’ha lasciata lord Baker; è un dono per dimostrarci che non porta rancore. Sta per partire per l’America per affari; crede che non potrà più tornare in Inghilterra.» spiega lord Green.
«Sai bene, padre, che è meglio che tu non beva certe cose.» lo ammonisce lei «Hai una certa età.»
«Lo so, lo so...» sospira il padre con noncuranza «Ne farò a meno. Ma almeno tu provalo; è un dono, in fondo.»
«E va bene, ne bevo un sorso.» si arrende Helen, poi gli sorride dolcemente «Mi tirerà un po’ su.»
«Lo spero, figlia mia.» lord Green ne versa un po’ in un bicchiere; il liquido risplende alla poca luce pomeridiana di quel giorno grigiastro. Dopo di che, lord Green posa l’apposito cucchiaino forato sull’orlo del bicchiere e vi mette sopra una zolletta di zucchero. Afferra poi la brocca con l’acqua fredda, versandone un po’ nel bicchiere da sopra il cucchiaino; l’assenzio viene così diluito finché non supera la metà del bicchiere, perdendo la lucentezza e divenendo di un colore opaco, lattiginoso.
«Ecco qua.» lord Green afferra il cucchiaino, posandolo in un piatto, e Helen va ad afferrare il bicchiere con il distillato.
«Grazie.»
«Di nulla.» suo padre si prepara una tazza di the «Io mi accontenterò del the.» ridacchia, aggiungendo lo zucchero.
Helen avvicina il bicchiere alle labbra e beve un poco; mostra un’espressione disgustata, appoggiando di nuovo il bicchiere sul tavolo.
«L’assenzio non mi è mai piaciuto molto.» commenta, pulendosi le labbra con una salvietta.
«Lo so bene.» ride suo padre «Oh, beh; se a te non piace e io non posso berlo, credo proprio che questa bottiglia prenderà la polvere tra gli altri liquori e distillati!»
«Meglio così, padre.» ribatte Helen con un sorriso.
«Vai a prendere una boccata d’aria, Helen; pare che domani pioverà, meglio approfittarne oggi.» le consiglia lord Green «Ti fa bene stare all’aperto.»
«Sì, hai ragione.» la ragazza si alza e decide di raggiungere il suo salice. 

Appena giunta sotto l’albero, la giovane si siede e sospira. Posando distrattamente una mano a terra, si accorge di averla appoggiata sul libro che ha lasciato lì il giorno precedente; “Romeo e Giulietta”.
Lo afferra, osservando la bella copertina con in mente mille pensieri.
Mentre è così, pensierosa e immobile a contemplare il libro, il cuore inizia a batterle un po’ più forte, recandole un leggero fastidio. Sorpresa, si porta quindi una mano al petto, mentre anche il capo inizia a dolerle. Il corpo prende a tremare e lei sente caldo.
Il libro le cade dalle mani, mentre respirare diviene sempre più faticoso.
Con un gemito soffocato cade a terra di fianco, contraendo il volto in una smorfia sofferente.
Suda; si agita a terra, dolorante, e si sente sempre più debole.
Il cuore inizia a rallentare, sempre più stanco.
Helen si sente soffocare; la vista è annebbiata e sta per perdere coscienza.
«Ed... Edgar...» rantola, chiudendo gli occhi.
Il cuore rallenta sempre più.
E infine si ferma. 

Edgar è in camera sua, seduto sul letto con le mani tra i capelli e i gomiti posati sulle ginocchia.
E’ immobile ed è in quella posa, con le palpebre abbassate e un’aria afflitta e angosciata, da quando ha lasciato Helen quella mattina.
Le tende della stanza sono aperte; filtra la poca luce e gli brucia la pelle, ma lui ormai non sente più nemmeno il dolore.
Mia Artemisia... Come posso vivere senza di te? Ero così certo di aver trovato la strada giusta, ma ora non ne sono più tanto sicuro. Mi pare di nuovo quella più terribile e vorrei solamente salvarti, farti cambiare via... Mia Artemisia...
In quel momento, inaspettata, l’immagine della lady senz’occhi, vestita di scuro, si materializza nella sua mente in modo violento, per poi sparire di nuovo.
Edgar balza in piedi, spaventato, e si guarda intorno con un’aria confusa.
Cos’è accaduto? ... Questa sensazione che mi sento dentro... cosa...?
Si gela, ora certo di aver compreso.
Non può essere...
Scatta immediatamente verso la finestra, lanciandosi contro i vetri e frantumandoli. Atterra nel cortile sottostante e parte di corsa verso la villa della sua amata.
Pochi istanti, ed è arrivato sotto il salice.
Si immobilizza.
Lei è là, all’ombra dei rami, sdraiata. Pare dormire; è perfettamente immobile, bellissima. La pelle chiara e immacolata brilla ancora nella fioca luce pomeridiana che filtra come piccole perle attraverso le poche aperture offerte dai rami del salice; i capelli paiono una cascata d’oro e vanno a bagnare l’erba, scossi appena da una piccola brezza. Gli occhi sono però celati dalle palpebre e le labbra sono lievemente aperte, come nell’atto di dire qualcosa.
Helen Green è perfetta nella sua immobilità; pare il soggetto di un bellissimo dipinto ad olio; del più grande, tra i maestri di pennelli.
Non può essere...
Si ripete, congelato nella sua posa.
Non è possibile...
Le si avvicina lentamente, con un’espressione atona; le si inginocchia poi accanto, prendendola tra le braccia delicatamente, come per non svegliarla.
Sembra davvero assopita. La contempla in silenzio, perdendosi con lo sguardo sui lineamenti perfetti del suo bel viso puro.
Il male che avevi dentro ti ha sopraffatto?
Tira le labbra, in un’espressione sofferente.
In quel momento, un odore particolare raggiunge il suo naso; colto subito dal suo fine olfatto.
Sembra assenzio, ma c’è qualcosa di strano... del veleno.
Un veleno ha ucciso Helen Green.
«Veleno...» mormora, con una voce cupa e spenta «Ti hanno ucciso, mio angelo? Oh, stolti, che siano maledetti...» tira il volto in una smorfia di dolore, stringendo ancor di più a sé il corpo della giovane «Chi ti ha fatto questo non ha capito di aver commesso il peggiore dei peccati. Ha strappato dal prato il fiore più bello; e ora il prato appassisce, piangendo.»
Le scosta teneramente dei piccoli ricci biondi dalla fronte, per poi avvicinare il viso a quello di lei e sussurrarle con gli occhi socchiusi e una voce spezzata dalla sofferenza:
«Mi dispiace, Artemisia... Questo non sarebbe dovuto accadere. Se avessi saputo... io...»
Ancora l’odore del distillato solletica il suo naso, addolorandolo ancor di più.
Poi increspa lievemente la fronte, pensieroso.
Assenzio...
Si irrigidisce, comprendendo all’improvviso.
Ecco perché Artemisia... Ecco cos’era quella pianta biancastra che Helen Green teneva in mano nella sua visione... Ecco perché quel presagio di morte.
L’Assenzio deriva dai fiori e le foglie dell’Artemisia...
Era tutto così semplice, quindi. Aveva sognato, sì, la donna a cui avrebbe donato il cuore, ma oltre che trovarla avrebbe dovuto salvarla... ma ora è troppo tardi.
«Dolce Helen, perdonami, ti prego...» le dice a mezza voce, fremendo appena «Per tutto questo tempo ho continuato a chiamarti Artemisia, senza immaginarmi che orribile significato avesse in realtà questo nome. Nel sogno continuavi a ripetermelo; volevi che ti salvassi. Guardavi il mio castello, in lontananza, e mi chiedevi aiuto... E io non avevo capito nulla... e ora tu sei morta.»
Chiude con forza gli occhi, sentendoli carichi di lacrime.
«Che stolto sono stato; il mio errore è imperdonabile. Tu non dovevi morire, Helen... Era l’unica cosa che volevo davvero. Mi ero illuso di riuscire a lasciarti andare e ti avevo promesso anche di morire con te. Io la morte non la temo più da quando ti ho incontrata, ma, semplicemente, non potevo accettare la tua. Perché non si sono presi la mia, di vita? Perché tu, Helen, così pura creatura? Nessuno più di te meritava ancora di vivere in questo sporco e corrotto mondo terreno... nessuno.»
Edgar riapre gli occhi, tornando a guardarla.
Ora si sono diradate un po’ di nubi; la luce del sole risplende per il prato, facendo brillare il viso di lei.
Lui la stringe di più a sé e alza gli occhi al cielo.
«Gli angeli ancora risplendono, anche se è caduto quello più splendente* mormora, chiudendo ancora gli occhi.
Dopo un attimo torna lentamente a guardare la giovane, mentre delle lacrime vanno a rigare il suo viso. Non piange da moltissimo tempo; non credeva di esserne ancora in grado. E invece sì, ora piange. Piange per lei; fredda, silente.
«Sei morta, Helen... e se sei morta tu, mia stella, mio punto di riferimento, mia anima... lo sono anch’io.» socchiude gli occhi e avvicina quindi il viso a quello di lei.
Non teme più la morte, ormai. D’altronde, perché dovrebbe temerla? Trova maggiormente terribile una vita senza di lei, che le fiamme dell’Inferno. E poi si sente stanco; stanco come non mai. E aveva fatto una scelta; le aveva fatto una promessa.
E dentro è già morto; è morto nell’istante in cui l’ha vista lì, sotto il salice, immobile.
Quando le sue labbra giungono a sfiorare quelle morbide di lei, Edgar infine sussurra, leggermente fremente:
«
Bacerò le tue labbra: c’è rimasto forse un po’ di veleno a darmi morte
*2
La bacia delicatamente, chiudendo del tutto le palpebre e bagnandole il viso con le sue lacrime.
Il vento si alza dunque un po’ più forte e il vampiro svanisce in una nube di cenere trasportata via dalla brezza, lasciando solamente il suo cuore abbracciato a quello della bella Helen Green...
Per sempre insieme; non in terra, bensì in cielo.  
  

Fine
 

* Frase di Shakespeare
*2
 Da “Romeo e Giulietta” di Shakespeare

Perdonate l'enorme ritardo, ma in questi giorni sono stata molto impegnata e ho passato pochissimo tempo al computer. ^^'
La storia termina qui. Ringranzio chi mi ha seguito, sperando di non aver deluso nessuno con questo finale. =)
Un ringraziamento speciale ad Achiko, che ha inserito la storia tra le Preferite, poi a chi ha aggiunto la storia alle Seguite, ovvero: Arwen Woodbane; Bella_kristen; egypta; Isy_264; LuNa1312; sono_io; storyteller; zero2757.
E infine un grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo:

Achiko:
Grazie di avermi seguito fino alla fine; sono contenta che la storia ti sia piaciuta. =) Grazie anche dei consigli, che sicuramente cercherò di seguire in una futura storia sui Vampiri. ^^ Spero che l'ultimo capitolo non ti sia dispiaciuto... sai, prima ancora di capire bene come avrei svolto tutta la vicenda, la fine era bella stampata nella mia testa! xD Non potevo modificarla, quindi, eheh. Ciao! =)
 
Bella_kristen:
Oh, sì, anche tu partecipavi al concorso! Ti sei dovuta ritirare, però, vero? Spero che posterai la tua storia: sono curiosa! ** Ho letto anch'io le altre fic partecipanti - tutte quelle che hanno postato fino adesso, se non mi sono scordata qualcuno xP - e devo dire che alcune sono davvero belle, non trovi? (La mia non è compresa <.< ... xD) Mi fa piacere sapere che la storia finora non ti è sembrata affatto male: spero che anche quest'ultimo capitolo sia di tuo gradimento! ;) Ciao!

Un bacione a tutti e... alla prossima! ^^
by, Me91

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