moonlight

di Juliet94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** secondo capitolo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


moonlight1

 MOONLIGHT

La mia storia ha inizio in una fredda mattinata nebbiosa di fine ottobre.

Mentre aspettavo che passasse l’autobus che mi avrebbe portato a scuola, scorsi un ragazzo dirigersi verso la mia fermata, l’unica del paese in cui abitavo.

Il ragazzo indossava una felpa viola col cappuccio calcato sugli occhi. Nonostante ciò, riuscì a scorgere un ciuffo di capelli neri che gli ricadeva sull’occhio sinistro.

Il suo colorito era molto pallido e aveva due chiazze rosse sulle guance, segno che il freddo faceva il suo effetto.

Era a circa un metro di distanza da me.

Guardava fisso oltre gli alberi del boschetto vicino alla piazza dove si trovava la fermata.

D’un tratto alzò lo sguardo e lo puntò su di me.

I suoi occhi color del ghiaccio mi trafissero e per un attimo smisi di respirare.

Fui scossa da un brivido. E non era solo paura.

Per fortuna in quel momento arrivò l’autobus e finalmente fui liberata dall’ingorgo dei suoi occhi.

Mi sedetti in un posto isolato, in fondo al mezzo.

Con piacere notai che il misterioso ragazzo si era seduto davanti.

Gettai lo sguardo oltre il finestrino e pensai a quello che mi aspettava: cinque ore di lezione, fra cui interrogazione di latino. Fantastico.

Decisi di tirare fuori il libro e ripassare ancora un po’.

Niente da fare: declinazioni e verbi non erano per me.

Mi rassegnai e chiusi il libro. Non riuscivo proprio a concentrarmi: la mia attenzione era puntata su quel misterioso ragazzo che sedeva davanti e lasciava vagare lo sguardo oltre il finestrino, perso in chissà quali pensieri.

Gettai uno sguardo oltre il vetro appannato del mezzo, ma tutto ciò che scorsi fu uno spesso strato di nebbia che avvolgeva ogni cosa e costringeva il bus ad andare a velocità particolarmente bassa.

Odiavo la nebbia. Oltre al fatto che non riuscivo a vedere a un palmo dal naso, odiavo il fatto che c’insinuava nei capelli, lasciandoli umidi e appiccicosi.

Fortunatamente, dopo quella che mi parve un eternità, riuscì a scorgere la punta scura del campanile della chiesa dove si trovava la fermata in cui dovevo scendere.

Suonai appena in tempo il campanello e scesi velocemente dal mezzo, notando che anche il ragazzo misterioso era sceso con me.

Attraversai la strada e mi diressi velocemente verso la scuola, seguendo il lungo marciapiede che mi avrebbe condotta fino al cancello scolastico.

Decisi di non voltarmi indietro e continuai imperterrita il cammino, a capo chino e a velocità sostenuta.

Alla fine però cedetti all’impulso e mi voltai: del ragazzo nessuna traccia. Forse l’avevo seminato.

Quando varcai la soglia del cortile scolastico, non c’era anima viva: mi aspettavo che a causa del lieve ritardo del bus, qualcuno fosse già arrivato a scuola, invece niente.

Guardai l’orologio. Fra venti minuti sarebbero cominciate le lezioni.

Diedi un occhiata in giro.

Niente da fare. Il cortile era deserto.

Mi sfregai le mani nel tentativo di scaldarmi e cercai una panchina per sedermi, visto che a quell’ora non si poteva entrare in aula dato che era ancora troppo presto.

Cominciai a credere che forse avrei potuto prendermela con più calma, vista l’ora.

Sbuffai. Una nuvoletta di fumo uscì dalla mia bocca. Faceva proprio freddo.

Mi strinsi nel mio giubbotto nero, cercando di pensare ad altro.

Quel giorno era il compleanno di mia madre. Non avevo ancora pensato a cosa regalarle.

Lei odiava i regali. Anzi, lei odiava festeggiare il suo compleanno: trovava insensata l’idea di rallegrarsi del fatto di invecchiare.  Alla fine però lo festeggiava lo stesso.

Dovevo assolutamente andarle a comprare qualcosa dopo la scuola.

Persa nei miei pensieri, non mi accorsi che intanto la porta dell’edificio scolastico si era aperta, e potevo finalmente entrare.

Appena attraversai la soglia mi sentii invadere dal caldo: grazie al cielo i termosifoni erano accesi.

Qualche bidello gironzolava qua e là e intanto qualche studente si aggirava per la scuola.

Mi diressi verso la mia aula e mi sedetti nella penultima fila, in un banco accanto alla finestra, accuratamente chiusa.

Guardai fuori dal vetro: finalmente la nebbia si era alzata e un pallido sole era spuntato nel cielo.

Decisi di prenderla con più calma la prossima volta.

Non c’era motivo di sentirsi a disagio per colpa di quel ragazzo.

 Mi avvicinai al termosifone dell’aula, decisa a non staccarmi più.

Pian piano cominciarono ad arrivare tutte le mie compagne, che mi salutarono con un gesto della mano.

Quando la campanella suonò per indicare l’inizio delle lezioni, tornai al mio posto e cercai in tutte le maniere di prestare attenzione alla lezione.

 

-------

 

Dopo circa mezzora di lezione, qualcuno bussò alla porta e l’attenzione generale fu catturata dall’ingresso di un ragazzo moro, dagli occhi verdi, il colorito pallido e le gote rosee, che si avvicinò alla cattedra, porgendo un foglietto che l’insegnante firmò frettolosamente.

-Lui è il vostro nuovo compagno di classe-, annunciò il prof. –Prego, presentati pure…-, continuò, rivolto al nuovo arrivato.

Il ragazzo esitò un attimo, mentre il suo sguardo vagava da un alunno all’altro, poi disse deciso:

-Mi chiamo Edward, ho 17 anni, arrivo dall’Italia, e mi sono trasferito qui in Inghilterra da poco. Spero di trovarmici bene-, concluse, soffermando per un istante lo sguardo su di me.

-Grazie, Edward. Puoi sederti laggiù in fondo, in quel banco vuoto-.

Così dicendo il prof proseguì con la lezione.

Io ero letteralmente senza parole. Non ci potevo credere. Era lo stesso misterioso ragazzo che avevo notato stamattina in fermata…

Il mio intento di seguire la lezione fu inutile. Percepivo solo il flusso disordinato dei miei pensieri e  il suo sguardo perforarmi la schiena. Ma cosa voleva? Perché non mi lasciava stare?

Ero infastidita.

Forse dovevo tranquillizzarmi. Era normale che facessi quell’effetto sugli umani.

Le povere piccole prede attratte e allo stesso tempo spaventate dal cacciatore.

Poveri. Piccoli. Stupidi. Insulsi esseri umani.

Lui però era diverso. Mi faceva sentire a disagio come non mai.  Cercai di non prestargli attenzione e all’ora di pranzo mi diressi automaticamente in mensa, con lo sguardo perso nel vuoto e l’andatura lenta e fluida.

Comprai una soda e un insalata e mi sedetti nell’angolo più remoto della sala, dove era già seduto mio fratello.

Lo salutai con un cenno del capo e appoggiai il cibo sul tavolo.

-Lily, hai notato il nuovo arrivato?-, mi domandò, curioso, guardandomi intensamente coi suoi occhi dorati.

Annuii.

-Spero vivamente che non sia un Cacciatore-, dissi.

Lui mi fissò inespressivo, poi posò lentamente lo sguardo sul ragazzo, seduto qualche tavolo più in là di noi.

-Ho avvertito una strana sensazione quando l’ho visto, questa mattina-, continuai.

-Già…anche io. In effetti ti fissa in modo strano-, concluse, lanciandomi un occhiatina dorata e scoprendo leggermente i canini.

Gli sfiorai la mano, fredda come sempre.

-Calmati, Matteo…se è un Cacciatore dobbiamo stare attenti e non dare nell’occhio-, sussurrai.

Lui sembrò tranquillizzarsi, ma non distolse gli occhi da Edward neanche per un secondo.

Cercai di inghiottire qualche boccone di insalata e mandai giù un sorso di soda, nonostante sapessi benissimo che il mio corpo aveva bisogno di ben altro tipo di cibo. Ma occorreva salvare le apparenze.

Consigliai Matteo di fare altrettanto.

-Oggi non riesco proprio a sforzarmi di mangiare-, disse.

-Sei assetato? Se vuoi oggi possiamo uscire…-, proposi.

-No, per questa settimana sono a posto, tranquilla-.

Restammo in silenzio per un po’, mentre piluccavo distrattamente l’insalata.

-Non preoccuparti, fratellone. Non mi farò scoprire-, dissi infine, scompigliandogli i lisci capelli biondi, morbidi e vellutati.

Mi sorrise.

-D’altronde, di cosa dobbiamo aver paura? Lui è solo…-, continuai, divertita.

-E se ti da fastidio, giuro che lo farò fuori personalmente-, disse, scoprendo leggermente i suoi canini appuntiti.

Sbuffai, roteando gli occhi.

In quel momento la campanella segnò la fine della pausa pranzo.

Presi il vassoio con gli avanzi di cibo e versai il contenuto nel cestino, poi mi diressi nell’aula di biologia, dove si sarebbe svolta la prossima lezione.

 

                                                                        * * *

 

Il suono della campanella fu un sollievo.

Afferrai in fretta lo zaino e sgusciai fuori dall’aula, impaziente di andarmene, prima che Edward mi notasse.

I corridoi si affollarono velocemente e sperai di notare mio fratello in quel trambusto.

Non appena lo intercettai, gli corsi a fianco e insieme varcammo la soglia dell’edificio scolastico.

-Ti do un passaggio?-, domandò lui, quando arrivammo di fronte alla sua bella moto rossa fiammante.

-No, devo andare in centro a fare una commissione. Prenderò il tram più tardi-.

 –Non hai ancora comprato il regalo alla mamma, eh?-, disse, sorridendo.

Annuii imbarazzata.

Lui borbottò qualcosa, ridendo fra i denti.

Gli feci la linguaccia.

In quel momento si bloccò, fissando un qualcosa dietro le mie spalle. O meglio, qualcuno.

Mi voltai lentamente.

Un gruppetto di studenti chiacchierava fra loro animatamente, ridendo e scherzando ai piedi della scalinata della scuola. Tra questi, scorsi un paio di occhi verdi scrutarmi attentamente.

Edward.

-Giuro che se non la smette di fissarti gli strapperò quegli occhietti dalla faccia-, sibilò Matteo.

Mi voltai verso mio fratello.

-Lascia stare, non ne vale la pena-, dissi, infastidita da quello sguardo insistente.

Matteo intanto indossò il casco e inforcò la moto.

-Sicura di non voler venire con me?-, domandò.

Rifiutai un'altra volta.

-Come vuoi allora…ma stai attenta-, disse, lanciando un occhiata di traverso a Edward.

Lo tranquillizzai con lo sguardo.

-Non temere…cosa vuoi che mi possa fare un piccolo essere umano?Ho io il coltello dalla parte del manico-.

Sorrisi, e lui fece altrettanto, rincuorato dalla risposta.

Aspettai che uscisse dal cancello scolastico, sfrecciando via con la sua moto.

Poi mi avviai lungo il marciapiede che costeggiava l’edificio scolastico, sperando di non essere seguita da nessuno.

Qualche negozio era addobbato con pipistrelli finti e zucche sorridenti, che dimostravano quanto Halloween fosse ormai vicino.

Svoltai a destra e attraversai la piazza semideserta.

Trovai un negozietto dall’aria graziosa. Mi fermai davanti alla vetrina, guardano i capi esposti.

Il mio sguardo si soffermò su un paio di guanti viola di morbido velluto, impreziositi da un cinturino violaceo su cui spiccava una piccola ametista brillante.

Decisi di entrare. Un delicato aroma di cannella mi colpì l’olfatto sensibile e mi rilassò.

La commessa dietro al bancone mi guardò, piegando le labbra scarlatte in un sorriso. Riccioli neri le incorniciavano il viso. Occhi verdi scintillanti mi scrutavano attentamente.

-Desidera?-, domandò.

-Ho notato dei guanti viola in vetrina. Mi chiedevo se è possibile guardarli meglio-.

-Ma certo-, disse, sorridendo e dirigendosi verso la vetrina per prendere i delicati guanti violacei.

Li adagiò piano sul bancone e li osservai attentamente.

La stoffa morbida e vellutata era davvero ottima e la piccola ametista del cinturino era veramente bellissima e sfolgorante, nonostante le dimensioni.

-Quanto vengono?-, domandai.

-Sedici euro-.

Il prezzo era buono. A mia madre sarebbero piaciuti di sicuro. In caso contrario, me li sarei tenuti per me.

Sorrisi.

-Li prendo. Potrebbe incartarmeli, per piacere?-, chiesi.

La commessa annuì e prese una piccola scatola violacea, in cui adagiò i guanti.

Poi la mise dentro una borsa nera di cartone, dove era impresso a caratteri eleganti il nome del negozio.

Estrassi dal portafoglio una banconota da venti e la porsi alla donna, attendendo il resto.

-Ecco a te…Grazie e a presto-, disse, increspando le labbra in un sorriso.

-Arrivederci-.

Uscì dal negozio soddisfatta. Il regalo per la mamma era perfetto.

Mi diressi verso la fermata dell’autobus, attendendo pazientemente. L’autobus sarebbe passato tra poco.

Non c’era più freddo come stamattina. Un pallido sole sostava nel cielo.

L’aria era fresca e piacevole.

Erano quasi le quattro. La scuola era finita ormai da un ora, ma c’era ancora qualche studente che girava per la città, in compagnia o da solo.

Ad un tratto sentii vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni neri attillati.

Lo presi svogliatamente e lessi velocemente il messaggio ricevuto: “Sabato c’è la mia festa di compleanno: ci troviamo alle 9 al Gold Garden. Ti aspetto. Baci. Jessi”. 

Sorrisi e scrissi un messaggio di risposta: “Ci sarò. Ci vediamo al Gold Garden fra tre giorni. Baci. Lily”.

Oh. Festeggiava il suo compleanno il giorno di Hallowen. Bene. I vampiri non sarebbero mancati.

Finalmente l’autobus arrivò e mi accomodai in fondo al mezzo, gettando subito lo sguardo fuori dal finestrino e cercando di pensare a cosa avrei fatto appena tornata a casa. Dovevo distrarmi. O sapevo benissimo dove mi avrebbero condotta i miei pensieri: verso quello stupido e insulso essere umano che mi tormentava in continuazione. Ma cosa voleva? Perché non mi lasciava in pace? Se era veramente un Cacciatore non avrebbe dovuto farsi notare così tanto.

Non volevo essere costretta a eliminarlo per la sua sfacciataggine. Doveva lasciarmi stare.

Riuscivo a ricordarne l’odore: dolce e delicato, ma abbastanza forte da indurmi a desiderarlo troppo…e abbastanza violento da rovinare la facciata ben costruita in tutto questo tempo di permanenza qui. Ma perché era venuto qui in Inghilterra a tormentarmi? Perché non se ne tornava in Italia? Già, in Italia. Avevo qualche parente nei pressi di Venezia e qualche volta passavo la mia estate là. Mi piaceva. Ma ora che sapevo che lui proveniva da là, cominciavo a provare una specie di ribrezzo per quel luogo. E io non volevo odiare niente e nessuno. Perché dovevo rovinarmi la vita a causa di quello sciocco individuo?

 Comunque per ora non stava facendo nulla di veramente preoccupante. Speravo solo che la situazione non precipitasse.

Dovevo cercare di comportarmi normalmente e non agitarmi. Era importante che non dessi nell’occhio.

Suonai il campanello e scesi dall’autobus.

Camminai lungo il piccolo viale che mi avrebbe condotta fino a casa mia. Questa via infatti si snodava per circa un kilometro fino a perdersi in un boschetto, dove in uno spiazzo erboso spiccava una casa dall’intonaco rosa pallido.

La bella moto di Matteo era parcheggiata vicino al garage chiuso.

Tirai fuori le chiavi dallo zaino e aprii la porta di casa.

Mi diressi verso la mia stanza e gettai la cartella sul pavimento. Poi misi la giacca nera sull’attaccapanni e nascosi il regalo per la mamma dentro l’armadio.

I miei non sarebbero tornati prima di sera, quindi avrei avuto la casa libera per un po’.

Sapevo che Matteo non era qui, altrimenti l’avrei sicuramente sentito aggirarsi per la casa.

Probabilmente era uscito a cacciare: stamattina aveva detto che non ne aveva bisogno, ma la precauzione non era mai troppa.

Decisi di fare i compiti per il giorno seguente e non appena li finii, scesi in salotto e aprii la finestra: avevo bisogno di aria fresca. Poi accesi la tv e mi sdraiai sul divano rosso.

Guardai le previsioni meteo: preannunciavano piogge e maltempo per i prossimi due giorni.

Bene. La pioggia mi piaceva. E comunque era sempre meglio della nebbia fitta di stamattina.

Ripensai alla mattinata trascorsa con un brivido e cacciai subito il pensiero.

Cercai di concentrarmi sul televisore. Ora c’era la pubblicità.

All’improvviso qualcuno scavalcò la finestra aperta e si catapultò all’interno della casa.

- Com’è andata la caccia?-, chiesi, senza staccare gli occhi dal televisore.

Matteo fece una smorfia e si gettò sul divano, di fianco a me.

-Non avevo voglia di cacciare così mi sono fatto un giro... Tu piuttosto hai preso il regalo per la mamma?-, domandò.

Sorrisi, mostrando la chiostra di denti bianchi e affilati.

-Certo-, mormorai, soddisfatta.

-E come è andata col tuo amichetto?-.

Tornai a fissare il televisore.

Il mio viso divenne una maschera di granito.

-Non mi ha dato nessun fastidio-. Udii la sfumatura fredda nella mia voce.

Lui parve non accorgersene.

-Lo spero-. La voce ridotta ad un sussurro appena percepibile.

Restammo così, immobili, a guardare la tv in silenzio, finché i nostri genitori arrivarono.

-Ciao, ragazzi. Com’è andata oggi a scuola?-, domandò mia madre, facendo ondeggiare i suoi bei boccoli castani e appoggiando la borsa e il cappotto su una sedia.

Mia madre mi somigliava molto, -avevamo gli stessi occhi verdi-, tranne per i capelli, che portava appena un po’ più corti dei miei e, a differenza dei suoi, i miei erano lisci, molto lisci.

Mio fratello invece aveva preso tutto dal padre: alto e biondo, differiva solo per gli occhi castano-dorati.

-Bene-, risposi automaticamente.

Matteo s’intromise.

-C’è un nuovo arrivato a scuola-, disse.

-Ah davvero? -. Mio padre sembrò interessato.

-Già…un Cacciatore-, continuò mio fratello.

-Cosa??-. La mamma si girò di scatto, gli occhi ridotti a due fessure.

-Non ne siamo ancora certi…Potrebbe non esserlo, d’altronde non ha fatto ancora niente di male-. Lanciai un occhiataccia a Matteo.

-Non dobbiamo preoccuparci. Basta che non diate nell’occhio, ma nel frattempo sorvegliatelo. Non si sa mai-, disse mio padre, guardandoci attentamente.

Annuii.

La mamma sembrò tranquillizzarsi, anche se una ruga di preoccupazione continuò a solcarle la fronte.

Mi avvicinai a lei.

-Mamma…non c’è nulla da temere, fidati-.

Mi sorrise. La ruga non accennò a scomparire.

-Bè, oggi è un giorno speciale, non guastiamolo con queste preoccupazioni inutili-, esclamò mio padre, dirigendosi in cucina e aprendo una bottiglia di spumante, appositamente comprata per l’occasione.

Ne versò il liquido dorato in quattro bicchieri che ci porse sorridendo.

-Perché mai dovremo brindare?-, domandò mia madre.

-Ma cara, oggi è il tuo compleanno…Non ti ho preso la torta solo perché sarebbe stata troppo piccola per contenere tutte le candeline che occorrevano-, rispose, bonario.

-Vogliamo ricordare quanti anni hai tu, caro?-.

-Ne ho ben 650, e ti ho aspettata per 80 anni, mia cara-.

Lei sorrise.

-Un brindisi alla mamma, dunque. Che possa vivere felice per molti anni ancora-.

Detto questo, quattro bicchieri scintillanti si scontrarono all’unisono, tra la gioia generale.

Avvicinai il calice alle labbra, cercando di mandar giù quel liquido dorato, ben sapendo con cosa l’avrei compensato in seguito.

Lo spumante ci piaceva. Era una delle poche cose degli umani che non ci disgustava e potevamo permetterci di berne un sorso, senza conseguenze.

Il cibo invece era orribile. Certo, potevamo mangiarlo, ma solitamente più di qualche boccone non potevamo mandar giù. Disgustoso. E gli umani ne andavano pazzi.

D’un tratto mi ricordai del regalo e sgusciai velocemente in camera mia, tirandolo fuori dall’armadio e scendendo subito in cucina.

Un umano non si sarebbe accorto di nulla. Troppo veloce per i suoi occhi deboli.

-Mamma, questo è per te…lo so che non ti piacciono i regali, ma non ho resistito-, dissi, sorridendole.

Lei prese il pacchetto, increspando le labbra scarlatte in un sorriso.

-Grazie-, disse, aprendo la confezione e guardandone il contenuto.

-Sono bellissimi…-.

-Sapevo ti sarebbero piaciuti-.

Mio fratello ammiccò. –Ottima scelta…ma il mio le piacerà di più-, sussurrò. Solo io lo sentii.

Gli feci una piccola linguaccia.

-Ehi mamma, ti ho comprato qualcosa anch’io-. Le porse una scatolina rossa.

-Oh, ragazzi…non dovevate disturbarvi-, disse, leggermente commossa, aprendo il regalo di Matteo.

Erano due orecchini d’argento a forma di rosa, ornati da fregi d’oro.

La mamma sorrise e se li mise subito.

-Grazie, tesoro-, sussurrò.

Matteo era visibilmente compiaciuto.

Io ero senza parole. Possibile che trovasse sempre il modo per farsi apprezzare più di me?

Mio padre sorrise. –Ho anche io qualcosa per te, cara-. Dalla tasca del suo gilet grigio estrasse una piccola scatolina nera.

Si trattava di una collana d’argento, con un ciondolo a forma di rosa che pendeva graziosamente.

-Ah vi siete messi d’accordo voi due-, esclamò la mamma sorridendo.

Mio padre ammiccò a Matteo.

-Vi ringrazio molto. Tutti i regali sono stupendi-, disse lei, guardandoci con i suoi brillanti occhi verdi, screziati di rosso. Aveva sete. E mio padre l’aveva sicuramente notato, infatti disse:

-Io e vostra madre usciamo. Rientreremo presto. Voi intanto preparatevi perché domani c’è scuola-.

Ma certo. Avevamo una nottata intera per prepararci, quindi potevamo anche prendercela con calma.

I miei intanto uscirono nella fredda aria della notte, chiudendosi piano la porta alle spalle.

Io ne approfittai del momento e accesi lo stereo, tenendo il volume non troppo alto, perché sapevo che i miei potevano lo stesso sentirlo, per quanto lontano fossero.

Matteo sbuffò e mi avvicinai a lui, cantando e costringendolo a ballare un po’ con me.

Così ci scatenammo sulle note di una canzone rock, aggiungendovi la nostra voce melodiosa e muovendoci a ritmo.

 

***

ciaooooo :) eccomi ritornata con una nuova fic :) fatemi sapere :)

baci

giuly

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Capitolo 2
*** secondo capitolo ***


moonlight2

L’indomani mattina, quando aprii gli occhi, interrompendo il mio stato di dormiveglia, un timido raggio di sole illuminava la mia camera ed io ero stranamente di buonumore.

Era ancora presto ovviamente. Mi ero svegliata all’alba, e la scuola sarebbe iniziata fra due ore abbondanti.

Nonostante ciò, scesi giù dal letto e spalancai le finestre, lasciando che un soffio d’aria fredda m’investisse in pieno. Inspirai lentamente, guardando quella massa di nuvole grigie che minacciavano pioggia da un momento all’altro. Il momento che precedeva il temporale era elettrizzante. Mi era sempre piaciuto.

Fortunatamente quella mattina non c’era nebbia e già quello era un buon segno, per me.

Mi cambiai velocemente e corsi davanti allo specchio che avevo appeso al muro azzurro pallido della mia stanza. Mi sistemai i lisci capelli castani in una lunga coda e guardai attentamente la mia immagine riflessa nello specchio.

Il mio viso, leggermente ovale, era molto pallido, -sfiorava la tonalità biancastra-, e la mia carnagione chiara risaltava gli occhi verdi,  screziati di rosso.

Avrei potuto benissimo fare a meno di cacciare per oggi, ma allora il colore degli occhi sarebbe pian piano diventato sempre più rosso e se qualche umano, disgraziatamente, si sarebbe accorto del loro colore, sarebbe stato un guaio.

Perciò dovevo assolutamente andare a cacciare.

Pensai a ciò che stava per compensare lo spumante di ieri sera. La gola cominciò a bruciarmi, arsa dal desiderio. Si, dovevo cacciare. Meglio non correre rischi.

Uscii piano dalla mia camera e mi diressi verso quella di mio fratello, sostando davanti alla porta chiusa.

Mi aprì dopo mezzo secondo.

-Si?-, domandò, gli occhi dorati che mi scrutavano attentamente.

-Vado a cacciare, ci vediamo a scuola-.

Annuì e posò piano le sue labbra fredde sulla mia fronte.

-Ci vediamo dopo-, sussurrò.

Sorrisi.

Scesi le scale e mi diressi verso l’entrata. In un attimo ero già fuori.

Corsi nella foresta e mi fermai soltanto quando fui nel cuore della fitta vegetazione.

La fioca luce del sole non riusciva a entrare nel sottobosco, perciò mi trovavo più o meno al buio. Non era un problema: ci vedevo benissimo.

Una scarica di adrenalina mi pervase quando finalmente percepii l’odore di un branco di cervi. Si trovavano a circa un centinaio di metri da me.

Mi avvicinai di soppiatto, mimetizzandomi nel verde e tendendo le orecchie, pronta a scattare.

Individuai un cervo poco lontano da me, solo e inerme, che brucava l’erba.

Decisi che quella sarebbe stata la mia preda.

Povera creatura. Non sapeva che ormai la sua ora era giunta. Ma questa era la vita.

Prede e predatori. Non c’era nulla da fare. Avrei sacrificato la sua vita per quella di un mostro terrificante e ripugnante. Le avrei succhiato via la vita, distruggendole l’anima.

Scacciai via il pensiero e uscii dal cespuglio dove mi ero nascosta, scattando verso l’animale e lasciandomi guidare dall’istinto.

Il cervo non poté far nulla. Non ebbe il tempo nemmeno di provare paura. Ero troppo veloce.

Gli spezzai il collo rapidamente, cosicché non avrebbe sentito troppo dolore, e vi appoggiai le labbra bevendo avidamente il nettare prezioso, finché non ne rimase neanche una goccia.

Non appena ebbi finito, mi diressi lentamente verso casa.

Non aveva ancora iniziato a piovere.

In casa non c’era nessuno. Probabilmente i miei erano già andati in ospedale, -dove lavoravano da circa cinque anni-, e Matteo era a scuola. D’altronde mancava poco più di un quarto d’ora all’inizio delle lezioni. Avevo fatto un po’ tardi, meglio sbrigarsi.

Salii in camera mia, presi la tracolla con l’occorrente per la scuola, e mi infilai la giacca nera. Diedi un occhiata fugace allo specchio. Ora gli occhi erano di un verde brillante. Sorrisi e scesi in salone.

Uscii e chiusi la porta a chiave.

Non avevo preso l’autobus di proposito. Dovevo evitare Edward il più possibile.

Avrei voluto farmi una bella corsa, ma di certo non era il modo migliore per passare inosservati.

Andai in garage, sperando di trovare la moto di Matteo. E la trovai. Probabilmente aveva intuito che non avrei preso l’autobus quel giorno e si era diretto a scuola con la sua bella Porsche nera, lasciandomi la moto a disposizione. Di sicuro avrebbe dato nell’occhio, ma sperai che quel giorno tutti fossero abbastanza distratti dalla pioggia per notare una bella Porsche nel parcheggio scolastico. No, Matteo non era così stupido da parcheggiare nella scuola. L’avrebbe lasciata da qualche altra parte, nei dintorni.

Portai la moto fuori dal garage, che poi chiusi accuratamente.

La inforcai decisa, e mi diressi a scuola sfrecciando sulla strada.

Arrivai con dieci minuti di anticipo.

Parcheggiai la moto ed entrai in classe, sedendomi al solito posto.

Edward era già lì che parlava con alcuni compagni di banco. Non mi rivolse il minimo sguardo.

Non appena il professore entrò, ogni chiacchiericcio si interruppe e mi costrinsi a prestare attenzione alla lezione. Che noia. Sapevo quasi a memoria tutti i libri di scuola. Nessuno avrebbe potuto cogliermi impreparata.

Nonostante ciò, tirai fuori il libro di antologia e cercai di seguire la voce monotona del prof.

Quando finalmente suonò la campanella che indicava la pausa pranzo, sgusciai fuori dall’aula e mi avviai con calma in mensa. Durante il tragitto mi raggiunse Jessi Springs.

-Ehi Lily-, disse, affiancandomi mentre camminavo lungo il corridoio.

-Si?-.

-Sono contenta che verrai al mio compleanno-. Mi sorrise.

-E io sono contenta dell’invito. Chi ci sarà?-, domandai, curiosa.

-Tutta la classe, ovviamente. Penso che inviterò anche qualche vecchia compagna di classe che avevo alle medie-. Mi sorrise. Un ricciolo biondo le sfuggì dal grande chignon che traballava sulla sua testa ad ogni movimento.

–Ah, questi capelli non stanno mai a posto-, mormorò, cercando di aggiustarsi la ciocca con una forcina.

-Perché non li fermi con un cerchietto? Ti starebbero d’incanto e non avresti problemi-, dissi.

Lei ci rifletté un attimo.

-Forse hai ragione tu. Ci proverò-. Sorrise.

Ormai eravamo arrivati in mensa.

-Perché non ti fermi nel nostro tavolo? Così stiamo tutti in compagnia-, propose, indicandomi un tavolo dove erano seduti due ragazzi, -uno moro, l’altro biondo-, e tre ragazze, tutte castane, che ridevano e scherzavano tra loro.

-Mio fratello mi aspetta. Scusa, sarà per un'altra volta-, dissi, indicando Matteo che sedeva ad un tavolino appartato, davanti a un vassoio con una mela, una fetta di pizza e una Coca.

Non volevo lasciarlo solo.

Lei piegò leggermente le labbra all’ingiù. –Ok, allora ci vediamo dopo in classe-.

Annuii e andai al bancone a comprarmi la solita soda e una fetta di pizza.

Mi sedetti al tavolo di mio fratello e vi appoggiai il vassoio.

-Hai preso la moto stamattina?-, domandò.

Annuii e sorrisi. –Grazie-, sussurrai.

Alzò lo sguardo dorato su di me.

-Hai intenzione di andare alla festa di Jessi?-.

Edward ci sarebbe andato? Sperai di no.

-Non so…può darsi-.

Matteo non disse niente. Continuava a tormentare la sua fetta di pizza con le sue dita pallide.

Era leggermente nervoso. Qualcosa lo preoccupava. E sapevo benissimo di che si trattava.

-Pensi che verrà anche il tuo amico?-, chiese, dopo un attimo di silenzio.

-Spero di no-. Feci una smorfia al solo pensiero.

-Credo che dovresti andarci comunque-.

-Cosa?-, sbottai, guardandolo fisso negli occhi, per capire se stesse scherzando.

Sorrise.

-Non devi evitarlo. Comportati normalmente, o capirà che gli nascondi qualcosa. Se è veramente un Cacciatore, non sarà certo uno sprovveduto-.

Riflettei un attimo. Non potevo continuare ad evitarlo, come avevo fatto stamattina, o avrebbe avuto ancora più sospetti. La cosa migliore da fare era seguire il consiglio di Matteo. Aveva perfettamente ragione. Che sciocca. Avrei dovuto pensarci anch’io.

Non dovevo condizionarmi la vita per causa sua. Chi era questo piccolo insignificante essere umano che riusciva a mettermi in difficoltà solo con la sua presenza? Anche se era un Cacciatore, rimaneva pur sempre un essere umano, e non avevo motivo di temerlo più di tanto.

Anzi. Era lui quello che doveva temere me.

-Hai ragione. Penso che andrò alla festa-, conclusi, addentando un pezzo di pizza.

-Quando è?-.

-Sabato-.

-Hallowen?-, domandò, ironico.

Annuii.

Emise una risatina melodiosa.

Qualche ragazza lì vicino lo fissò imbambolata.

Non potei fare a meno di soffocare una risata.

Matteo mi guardò curioso.

Sapeva del fascino che esercitavamo sugli umani, ma pareva non farci molto caso.

Era ovvio che gli umani erano attratti da noi. Eravamo bellissimi. Creature demoniache nascoste da un viso angelico. Se solo avessero saputo che cosa eravamo veramente sarebbero scappati via urlando.

Il sorriso mi scomparve immediatamente dalle labbra.

Potevamo far credere agli umani che eravamo come loro, ma non potevamo ingannare noi stessi.

Guardai Matteo. Ora nei suoi occhi non c’era più curiosità. Mi fissava preoccupato, cercando di capire cosa mi avesse fatto cambiare così velocemente espressione.

Cercai di sorridere, ma il risultato non lo soddisfò.

Mi sfiorò la mano con le dita gelate.

-Andrà tutto bene. Calmati. Il tuo amico ti sta fissando-, sussurrò, gettando lo sguardo oltre la mia spalla, ad un tavolo poco lontano da noi, dove Edward era sicuramente seduto con gli amici. Non mi voltai a verificare.

Il buonumore di stamattina era svanito. Non sapevo se sarei riuscita a reggere altre due ore di lezione in sua presenza.

Strinsi un poco la mano di mio fratello, in cerca di un briciolo di sicurezza e conforto. Ricambiò con forza.

Quel poco di contatto fisico bastò a rinvigorirmi abbastanza da sopportare le ore di lezione che mi aspettavano.

In quel momento il suono della campanella indicò la fine della pausa pranzo. Mi alzai riluttante dal tavolo e gettai gli avanzi di cibo nella spazzatura.

Matteo fece lo stesso. Poi mi affiancò sorridendo.

-Ti accompagno in classe-, disse.

Annuii.

Qualche ragazza mi guardò con un filo di invidia. Chissà cosa avrebbero dato per essere al mio posto, in quel momento.

Fortunatamente non conoscevano la mia vera natura. In questo caso, l’ignoranza era una benedizione per gli umani.

Quando arrivai di fronte alla mia aula, Matteo mi lasciò.

-Tranquilla. Resisterai. Ci vediamo dopo-, sussurrò.

Nessuno lo sentì.

Entrai in classe seguita da qualche mia compagna, che subito si rimise al suo posto.

Mi sedetti al mio banco e attesi l’arrivo del professore.

Edward entrò dopo qualche minuto.

Mi lanciò un occhiata fugace e si sedette al suo posto.

Fortunatamente l’insegnante non si fece attendere.

-Goodmorning, students-.

-Goodmorning, teacher-.

La professoressa distribuì un test a sorpresa, visto che per oggi dovevamo aver terminato la lettura in inglese di Romeo e Giulietta.

Qualche ragazzo si guardò attorno preoccupato, in cerca di qualcuno che fosse impreparato come lui.

Il test era piuttosto facile. Le domande non richiedevano risposte particolarmente dettagliate, ma solo le linee generali.

Consegnai con un quarto d’ora d’anticipo e cercai di concentrarmi sulle venature del banco per non rivolgere la mia attenzione al ragazzo seduto in fondo all’aula, dall’altra parte della stanza.

Dopo qualche minuto anche Edward consegnò il test.

Mi concessi di lanciargli uno sguardo e trovai i suoi occhi di ghiaccio fissi su di me.

Ebbi un fremito, ma cercai di sostenere lo sguardo, finché non lo volse altrove.

Il suo dolce profumo speziato mi colpì allo stomaco, ma riuscii a controllarmi, visto che la mattina mi ero nutrita.

Non saprei descrivere come mi sentissi di preciso in quel momento. Ma dovevo assolutamente cercare di evitare ogni contatto visivo, per schermare la mia anima, -se l’avevo mai avuta-, dai suoi occhi inquisitori. Non volevo carpisse i miei segreti e indagasse nei più remoti angoli della mia coscienza.

Era l’unico essere umano che si era rivelato in grado di reggere il mio sguardo così a lungo.

Fortunatamente in quel momento suonò la campanella.

L’ora seguente fu la più rapida che avessi mai passato.

Forse perché non avevo per niente prestato attenzione alla lezione, intenta a pensare al miscuglio di emozioni che provavo al mio interno.

Quando sgusciai fuori dall’aula, al termine della scuola, trovai mio fratello che mi aspettava all’uscita.

-Tutto ok?-, domandò, guardandomi preoccupato.

Sulle prime non seppi che rispondere.

Lo guardai confusa.

-S-si-, sussurrai, dopo un attimo di silenzio.

Mi guardò scettico.

-Sto benone, fidati-. Ammiccai.

Lui si tranquillizzò un poco.

- Bene. Allora ci vediamo a casa-.

Annuii e mi diressi verso la moto.

Ovviamente Matteo non aveva parcheggiato nel cortile scolastico. Infatti uscì dal cancello della scuola e svoltò dietro l’angolo.

Inforcai la moto e sfrecciai sulla strada, impaziente di tornare a casa.

Non appena avrei preso la patente, mi sarei comprata anch’io una bella macchina come quella di Matteo. Dovevo aspettare ancora due anni, e dopo sarei stata maggiorenne come lui. Finalmente.

Arrivai a casa per prima e mi rinchiusi nella mia stanza. Decisi che il pomeriggio sarei andata in biblioteca. Avevo bisogno di leggere qualcosa.

Intanto mi costrinsi a fare i compiti di Latino, l’unica materia che non riusciva proprio ad entrarmi in testa e che detestavo con tutta me stessa.

Sospirai e aprii il libro, cercando di tradurre sensatamente le versioni che ci erano state assegnate dal prof.

La voce di mio fratello interruppe il mio tentativo di fare i compiti.

-Che fai?-, domandò, appoggiato allo stipite della porta.

Grugnii per tutta risposta.

-Ah. Latino, suppongo-.

Annuii. –Ma dimmi te: perché devo trovare un senso alla versione che in realtà un senso non ce l’ha??-, esclamai.

-Impegnati e ce la farai. D’altronde sei bravissima in tutte le materie, non perderti in un bicchier d’acqua. Basta applicarsi-.

-Bicchier d’acqua. È questo che pensa….-, borbottai fra i denti.

Sbuffò.

-Ok ti lascio in pace-. E se ne andò.

Mi concentrai sulla versione.

Fortunatamente riuscì a finire tutti i compiti prima delle 6, così da poter fare un salto in centro.

Indossai il cappotto e uscii di casa, diretta alla fermata dell’autobus. Avrei dovuto camminare per  un bel pezzo prima di raggiungerla. Non importa. Mi sarei fatta una corsa.

In quel momento iniziò a piovere. Fantastico. Perché non aveva piovuto stamattina?

Digrignai i denti, leggermente infastidita. La pioggia mi piaceva, ma solo se la guardavo dal vetro della mia finestra.

Mi inzuppai un po’ i capelli, ma riuscii a prendere l’autobus.

Non c’era molta gente. Anzi, c’era solo qualche vecchia signora che sicuramente aveva appena fatto la spesa e si affrettava a tornare a casa. In effetti, a quest’ora il cielo stava cominciando ad imbrunire.

Mi sedetti in fondo al mezzo e guardai lo scrosciare ininterrotto della pioggia, persa nei miei pensieri, come al solito.

Dopodomani sarei dovuta andare alla festa di Jessi. Matteo mi aveva consigliato di andarci per non far insospettire Edward. D’altronde, se non ci fossi andata Jessi sarebbe stata molto dispiaciuta e non volevo farla star male.

Comunque non era sicura che sarebbe venuto anche Edward. Non c’era bisogno di preoccuparsi così tanto.

Inoltre dovevo pensare al regalo adatto da fare a Jessi. Che cosa le sarebbe piaciuto avere?

Forse avrei potuto comprarle una collana o un bracciale. O magari un libro. Chissà.

Suonai il campanello e scesi in piazza.

Mi diressi verso la piccola ma ben fornita biblioteca della città, correndo sotto la pioggia e riparandomi sotto i portici davanti all’edificio.

Entrai e un occhialuta bibliotecaria mi squadrò da capo a piedi da dietro la sua scrivania.

Cercai di assumere la più angelica delle espressioni.

-Vorrei sapere se è possibile prendere in prestito questo libro-, dissi, porgendole un foglietto col titolo e l’autore del libro.

Lei lo prese colle sue dita grassocce, leggendolo attentamente.

Poi scrisse qualcosa al computer che aveva davanti. Dopo qualche secondo annuì lievemente.

-Certo-, affermò, -Vado subito a prenderlo-.

Attesi pazientemente finché non tornò con un piccolo volume verde tra le mani.

Le porsi la tessere della biblioteca e ritornò a scrivere al computer.

-Ecco a te-, disse, porgendomi il libro e la tessera.

-Grazie-. Mormorai un saluto e me ne andai contenta.

Finalmente avevo il libro che desideravo leggere da un pezzo. Me l’aveva consigliato Matteo.

Diceva che a scuola ne avevano letto qualche capitolo. Pensava che potesse piacere anche a me, visto che lui l’aveva molto gradito.

Bighellonai un po’ per la città, in cerca di un negozietto carino dove avrei potuto comprare un regalo a Jessi.

Attraversai la piazza e svoltai a sinistra, camminando lungo il marciapiede e dando un’occhiata alle vetrine.

D’un tratto scorsi una profumeria. Un profumo? Si avrei potuto regalargliene uno. Magari le sarebbe piaciuto. Anche a me piacevano molto, nonostante non avessi bisogno di usarli, visto che per gli umani avevamo un odore talmente delizioso che non c’era bisogno di aggiungerne un altro.

Decisi di entrare nel negozio.

Una miriade di fragranze mi colpì l’olfatto sensibile.

La commessa era già impegnata con un'altra cliente, quindi cominciai a fare una selezione dei possibili profumi che sarebbero piaciuti a Jessi.

Mi trovai di fronte a un enorme scaffale pieno zeppo di profumi dalla svariate forme e colori.

Di solito le fragranze preferite dalle ragazze della mia età erano la fragola o la vaniglia, profumi delicati ma molto gradevoli.

Ne provai qualcuna, ma nessuna riusciva a soddisfarmi: erano o troppo forti o troppo leggere e certe non avevano un profumo convincente.

Notai una confezione rossa con fregi dorati. Mi avvicinai e me ne spruzzai un po’ sul polso biancastro.

Delizioso. Sapeva di rose fresche. Dolce e delicato allo stesso tempo.

Decisi di comprarlo e mi diressi alla cassa, appoggiando la confezione sul bancone.

La commessa sorrise.

-Ottima scelta. È una fragranza particolare, molto buona. Te la devo incartare?-, domandò.

-Si, grazie-. Le rivolsi il sorriso più dolce e gentile che potei.

Sembrava simpatica. E aveva un buon profumo di vaniglia che stuzzicò un po’ la mia sete.

Incartò il regalo e lo mise in una sportina che mi porse gentilmente.

Le sorrisi.

-Ciao e grazie-. Non seppe fare a meno di ricambiare il mio sorriso.

-Arrivederci-.

Uscii contenta dal piccolo negozio, sicura che Jessi avrebbe apprezzato il regalo.

Camminai lungo il viale sotto i portici, dando ogni tanto un occhiata alle vetrine e alla piazza ormai semideserta.

D’un tratto ero ansiosa di tornare a casa.

Affrettai il passo e non appena svoltai l’angolo trattenni il fiato.

Edward.

Mi scrutava attentamente con uno sguardo indecifrabile.

Ero impalata di fronte a lui, paralizzata dai suoi occhi.

Con orrore notai che si stava dirigendo lentamente verso di me.

Ero terrorizzata, ma non lo diedi a vedere. Non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi nel panico. Se era veramente un Cacciatore, non poteva aggredirmi ora, o qualcuno l’avrebbe sicuramente notato.

Ormai era a pochi passi da me. Il suo dolce profumo,- di ciliegia, oserei dire-, mi colpì in pieno come la prima volta.

Che cosa stava per fare? Perché stava venendo verso di me? Aveva intenzione di parlarmi?

Cercai di controllarmi.

-Ciao-, disse.

Non avevo mai sentito la sua voce, perlomeno non così distintamente, nonostante il mio udito sensibile. A scuola parlava sempre piano, come se avesse paura di farsi sentire, e non avevo mai provato a concentrarmi sulla sua voce, -per il semplice fatto che volevo far finta che non esistesse-.

-Ciao-, risposi. La mia voce melodiosa riecheggiava nell’aria.

-Tu devi essere Lily-.

Pareva non provare affatto timore o imbarazzo nei miei confronti.

Strano che la mia presenza non lo scalfisse minimamente. Ma sapevo che probabilmente il suo comportamento non avrebbe dovuto sorprendermi.

Era un Cacciatore. Il mio sesto senso non sbagliava mai.

Annuii. Gettai una rapida occhiata intorno. Non c’era anima viva, a parte noi. Possibile che la gente non c’era mai quando doveva esserci?

D’un tratto mi spinse contro il muro, piazzandosi di fronte a me e bloccandomi ogni via d’uscita.

Avrei potuto benissimo dargli una spinta e farlo volare via, ma ero paralizzata.

Un misto di sorpresa e paura mi attanagliava lo stomaco.

Mi fissava stranamente. Gli occhi grigio-verdi puntati nei miei.

Mi si bloccò il respiro.

-So tutto-, sussurrò.

Cosa sapeva? E se veramente sapeva qualcosa, perché me lo stava dicendo?

Una marea di punti interrogativi mi spuntò nella testa, prima che il suo dolce profumo speziato mi investì in pieno. Sgranai gli occhi. Era ancora più forte e intenso di prima.

Cosa c’era di più inebriante del sangue umano? Potevo già sentirne il sapore sulla lingua.

La gola arse dal desiderio.

Cercai invano di controllarmi.

L’avrei morso.

Non m’importava più nulla di niente e nessuno.

Volevo solo affondare i denti nella sua carne tenera.

D’un tratto estrasse un pugnale dalla tasca, avvicinandolo alla mia gola con scatto fulmineo.

-Non ci provare-, sibilò. Molto probabilmente aveva intuito la mia intenzione. Ma cosa pensava di fare con un misero coltello?

Fortunatamente un soffio di vento improvviso spazzò via il suo dolce profumo, permettendomi di respirare e tornare a pensare lucidamente.

Cosa aveva intenzione di fare? Credeva davvero di potermi uccidere così?

Ringhiai e lo spinsi via forte, facendolo sbattere contro il muro, a una decina di metri da me.

Si rialzò velocemente da terra e si asciugò un rivolo di sangue dalla bocca.

Gli rivolsi tutta la violenza del mio sguardo.

Fremette appena. Ma era forte. Un normale essere umano sarebbe dovuto andare di corsa in ospedale.

Invece lui pareva non essersi fatto nulla. Un'altra conferma ai miei sospetti.

Purtroppo ora ne avrebbe avuta una anche lui.

Imprecai a denti stretti e mi avvicinai di scatto a lui.

Pochi centimetri ci distanziavano.

-Anch’io so tutto-, sibilai. Gli occhi fiammeggianti.

Mi rivolse uno sguardo indecifrabile.

Ci fissammo a lungo. Nessuno dei due voleva distogliere lo sguardo per primo.

Ma chi si credeva di essere questo stupido umano? Non sarebbe di certo stato un Cacciatore a uccidermi. Né ora né mai.

Gli rivolsi un ultima occhiata di sprezzo, prima di allontanarmi da lui e dal suo profumo inebriante.

-Non finisce qui-. La sua voce, seppur ridotta ad un flebile sussurro, giunse distinta alle mie orecchie.

Lo ignorai e svoltai l’angolo, guardandomi intorno nel caso qualcuno ci avesse visti.

Non c’era anima viva.

Mi diressi alla fermata, dove tra poco sarebbe passato l’autobus.

 

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ciaoooooo :) ed ecco anche il 2 chappy!! ok ho inserito un pò di azione altrimenti sarebbe risultato monotono....per quanto riguarda la spiegazione su Cacciatori & co. avrete presto chiarimenti...! ;)

fatemi sapere cosa ne pensate...

baci
giulia

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