Fools' Gold - Non è tutto oro ciò che luccica

di Red_Hot_Holly_Berries
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Fools’ Gold

Capitolo 1:

Fu quando Alfred pose per la prima volta il piede all’ombra degli alberi che si rese chiaramente conto di non capire cosa ci facesse lì.
Americano DOC, alto, dai corti capelli biondi, occhi azzurrissimi, occhiali Texas, inseparabile giubbotto da aviatore: per quanto brillante studente di una prestigiosa università, faticava comprendere cosa ci facesse lì in Irlanda.
E non a Dublino, o a Belfast, o in una qualche altra città interessante, ma nel bel mezzo del più sperduto nulla, da qualche parte a ovest del paese.
Aveva sempre sentito parlare dei fratelli dei suoi nonni rimasti in madrepatria, ma perché tutto d’un tratto da, appunto, una voce, erano diventati una realtà?
Quando aveva detto ai suoi che quell’estate voleva andare in Europa, non intendeva in quel posto sperduto, ma in Francia, Spagna, Italia, Grecia! Lui voleva andarci con i suoi amici, voleva andare al mare, divertirsi, festeggiare!
Ma a quanto pareva i suddetti parenti avevano deciso di conoscere il sangue del loro sangue, e lui, da eroe qual’era, non aveva potuto far altro che mettere da parte i suoi programmi per far felici gli anziani nonni.
Un brivido corse lungo la schiena di Alfred, mentre questi camminava tra gli alberi, colpito improvvisamente dalla perdita del tenue calore della luce del sole.
Dietro di lui si snodava il sentiero tra i campi che dal retro della casa dei nonni lo aveva condotto lì, mentre davanti a lui si stendeva il bosco.
Ma questo non era come quei boschetti a cui era abituato, di alberelli distanziati regolarmente tra loro, alti e slanciati, dai rami protesi verso il cielo, con prati d’erba ai loro piedi.
Qui il suo intero essere si ritraeva davanti a quegli alberi, alti, imponenti, dalle opulente fronde che pendevano basse, talmente vicini tra loro che queste si intrecciavano quasi nascondendo il cielo.
Il suo sguardo vagava su quel mondo alieno come in un sogno: i massicci tronchi dalla spessa corteccia avvolti da un mantello di muschio; le grandi radici nodose che emergevano dal terreno creando cavità forse usate come tana da qualche animale; il fitto sottobosco di cespugli, felci, arbusti e rami rotti, che quasi nascondeva il terreno coperto interamente da strati e strati di foglie cadute.
Lentamente, Alfred camminava come un sonnambulo lungo un sentiero serpeggiante, sotto una volta di sottili rami carichi di foglie che lo sfioravano gentilmente.
Ogni suo passo produceva un suono morbido, e sentiva il lastricato di foglie morte umido e cedevole sotto le suole, leggermente infossato rispetto il livello degli alberi per il continuo passaggio.
Provava repulsione e attrazione allo stesso tempo, tanto appariva quello un mondo assolutamente diverso, che no, non poteva appartenere alla sua vita, e gli sembrava davvero di essere in un sogno: c’era così tanto, troppo, da vedere, da toccare, da sentire.
Non aveva più idea di dove stesse andando: gli occhi mezzo chiusi, seguiva quel sentierino con passo fermo senza nemmeno rendersene conto, voltandosi su se stesso per cercare di abbracciare quella sensazione nella sua totalità.
Si sentiva come stordito, tanto i suoi sensi erano soverchiati dalla quella moltitudine di immagini, di odori, di suoni, e voleva tanto ridere quanto piangere per la frustrazione di non riuscire a isolarli, a riconoscerli.
Fece ancora un passo, e d’un tratto il sole lo colpì, immobilizzandolo.
Guardandosi attorno, si rese conto che il sentiero costeggiava una piccola radura prima di curvare dolcemente. Non che fosse una gran radura: in quel piccolo angolo di bosco gli alberi erano semplicemente un po’ più radi, ritagliando un pezzo di cielo che facesse da baldacchino.
Eppure…
Eppure le loro fronde parevano curvarsi protettive sul piccolo spiazzo dove verde e lucida erba emergeva dal tappeto di foglie.
Eppure vi era un piccolo ruscello che sbucava dal sottobosco, scorrendo lucente e dolce tra le rocce e i sassi che ne formavano il letto.
Eppure vi era un giovane sdraiato al sole, a fianco dell’acqua, adagiato in un cantuccio tra le rocce e il ceppo di un albero.
Eppure ad Alfred tornarono in mente tutte le storie sul Piccolo Popolo che gli erano state raccontate da piccolo, storie in cui le vite degli umani che incontravano degli esseri fatati venivano per sempre legate ad un altro mondo.
Istintivamente Alfred si nascose dietro il tronco più vicino, continuando però ad osservare il giovane.
Aveva corti e ribelli capelli biondi, che ombreggiavano un viso dai tratti dolci di chi manterrà una parvenza di infanzia per tutta la sua vita, e indossava una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti color panna, infilata in un paio di pantaloni marrone scuro, a loro volta infilati dentro stivali scamosciati al ginocchio di un marrone più chiaro, fermati, rispettivamente, da una cintura di cuoio lavorato e da alcune fibbie dorate.
Steso sulla schiena, il ragazzo non sembrava essersi accorto di lui, assorbito com’era dalla presenza di un corvo appollaiato sul suo petto, con cui stava giocando a tira-e-molla con un rametto di bacche rosse, tenuto da una parte da due dita e dall’altra da un lucido becco nero.
Il biondo lasciò all’improvviso andare il rametto e il corvo, che stava tirando piantando fermamente la sue zampette artigliate nella camicia, barcollò all’indietro sbattendo le ali, e guardò offeso il ragazzo scosso dalle risate, anche se dalla sua bocca aperta non uscì nessun suono. Una gentile carezza, e l’uccello sembrò perdonarlo, ma mentre stava per assaggiare il suo premio, voltò di scatto la testa e stridendo si levò in un volo in un gran frullare di piume, indicando con un volteggio il nascondiglio di Alfred prima di volare via.
Il giovane, pur colto alla sprovvista, si alzò in piedi con la rapidità di un gatto, e lo fissò negli occhi.
Fu allora che Alfred scoprì quanto il sangue conservi le memorie del passato: sfiorato, trapassato, avvolto, schiacciato, accarezzato, toccato, da quello sguardo di un verde assoluto e totale, senza rendersene conto cercò il trifoglio di legno appeso al suo collo, e lo strinse forte.
Un lento sorriso si allargò sulle labbra del giovane, mentre quei profondi occhi verdi come l’erba attorno ai suoi piedi lo liberavano dalla loro prigionia.
Invece di andarsene, come Alfred si era aspettato, Occhi-verde raccolse da terra il ramo di bacche e lo tese al corvo appollaiato su un ramo sopra di lui, che volò definitivamente via solo dopo aver emesso un gracchio di protesta, venendo congedato da un ampio cenno con la mano di Occhi-verde.
Fatto ciò, il ragazzo si sedette sulla giacca piegata che fino a poco prima aveva usato come cuscino e immerse una mano nel torrente, lasciando che la corrente giocasse con le sue dita, il tutto senza guardare Alfred nemmeno una volta.
Questi, poiché non gli era stato mosso nessun invito ad andarsene, si avvicinò a ragazzo-verde e si sedette poco distante da lui. -Scusa se ti ho spaventato. Non volevo.- esordì Alfred, e finalmente l’altro si girò a guardarlo.
-Non mi hai spaventato. Mi hai solo colto di sorpresa.- disse, corrugando appena le bionde sopracciglia cespugliose, con un tono che contraddiceva l’espressione apparentemente offesa.
Giudicandolo ad occhio e croce più piccolo di lui, l’americano lo aveva anche creduto più giovane, ma guardandolo più da vicino, si rese conto di come in realtà i suoi lineamenti suggerissero una età maggiore rispetto a quella che dimostrava. Per non parlare della profondità di quegli occhi…
Sentendo quella risposta semi-scontrosa, Alfred ritrovò incredibilmente la sua sicurezza, e lo prese in giro come suo solito: -Ceeerto- concordò condiscendente, intendendo “e che differenza c’è?” L’altro lo guardò male, anche un angolo della bocca era ancora piegato in un sorrisino-
-È vero!- rispose stizzito –Non mi ero accorto di te, perciò mi sono sorpreso. Ma non aveva paura perché sapevo che non mi avresti fatto del male.- disse in tono calmo e logico.
E qui la successiva domanda di Alfred era d’obbligo:
-E come facevi a saperlo? Avrei potuto essere un maniaco!- lo sfottè.
-Avresti cercato subito di approfittarti di me. E saresti finito molto male.- concluse, con un ghigno abbastanza maligno.
Silenzio, e poi...
-Chi sei?- parlando con Occhi-Verdi aveva perso parte di quell’inspiegabile timore ed era riuscito a non chiedere "Cosa sei?”, come era stato il primo istinto di fare.
-Puoi chiamarmi Inghilterra.- rispose quello distratto, notando un luccichio sul fondo del torrente.
Alfred scoppiò a ridere.
-Ommiodddio, Che nome assurdo! No, dimmi un nome che non sia inventato.-
Il ragazzo dagli occhi verdi lo guardò molto, ma molto male, senza riuscire però a fargli sparire quel sorriso insolente dalla faccia. -Non ridere, dannazione!- gli ringhiò contro, immergendo il braccio fino al gomito nell’acqua per afferrare qualcosa.
-Non sono solito rivelare il mio nome alla leggera, e soprattutto non senza avere qualcosa in cambio. E in ogni caso io sono nato in Inghilterra, e sono anche cresciuto lì.-
Alfred decise di dargli corda: dopotutto, si stava divertendo.
Ci avrebbe messo molto, troppo a capire quanto quel piccolo inganno lo avrebbe fatto soffrire.
-Hai ragione. Nelle vecchie storie si diceva sempre di non dare il proprio nome se non in cambio di quello dell’altro, no? Io mi chiamo Alfred.-
Occhi-Verdi si voltò di scatto verso di lui, e il suo sguardo si ammorbidì all’improvviso.
-Capisco.- si rigirò tra le dita l’oggetto che aveva trovato, che brillava ai raggi del sole.
-Il mio nome è Arthur.- disse, lasciando che il suo nome gli scorresse sulla lingua come un sorso di whisky. Poi: -Pirite.- osservò, sfiorando con il pollice la pietra nella sua mano.
-L’oro degli stolti. I leprecauni amano imboscarne ovunque, solo per vedere cosa sarebbero disposti a fare gli uomini per ottenerlo.- si rivolse direttamente ad Alfred.
-Faresti bene a non fidarti mai di ciò che non conosci. Non è tutto oro ciò che luccica.-
-Questo comprende te, Arthur?- chiese l’americano, sorridendo.
-Sì. Oh, sì.-

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Esochan: in effetti, è uno dei pairing più amati, testa a testa con Italia/Germania, credo…. E sì, io adoro i finali ad effetto (quando riesco ad inventarne uno). Questo è stato semplicemente un colpo di genio… il titolo della storia è nato da lì! Inganni, inganni e ancora inganni… MUAHAHAH!! (<- risata diabolica)
Ballerinaclassica: idem come sopra… viva usuk! Sono contenta di aver finalmente imparato a trasmettere con la mia scrittura sensazioni e presentimenti, oltre che semplici immagini! ^___^ io sono un’appassionata di mitologia celtica, e mi ha schokkato scoprire che nessuno ha mia accostato l’idea di “personificazione dell’’Inghilterra” a quella di “sidhe”. Ma ho provveduto… yuk yuk yuk
Alaska Ame Chan: non hai idea di quanto le tue lodi mi facciano felice! Anche se è solo una riga di commento, fai sempre felice un autore! Si scrive per proprio piacere, è vero, ma si va avanti per amore dei commenti! Mi raccomando, fatemi sapere se mai la storia diventa troppo piena di descrizioni e poco scorrevole mi capita spesso!
JunROFTL: …. Grazie, hai centrato in pieno quello che volevo sentirmi dire. Io vivo in una casetta minuscola al limitare di un bosco, e per me è come una seconda casa… volevo provare a trasmettere ai “cittadinotti” (XD) cosa si prova a trovarsi in un posto simile… oh? Un’altra appassionata di mitologia? Mettiti comoda, cara, ho in arrivo un bel milkshake di leggende e favole, servite condite con tanto ukus e tanto ammmorre….XD


-Faresti bene a non fidarti mai di ciò che non conosci. Non è tutto oro ciò che luccica.-
-Questo comprende te, Arthur?- chiese l’americano, sorridendo.
-Sì. Oh, sì.-


Capitolo 2:

Un lungo silenzio accolse le parole di Arthur, a metà tra scherno e avvertimento, mentre il nuovo arrivato lo osservava con curiosità per nulla celata.
Occhi verdi ne cercarono di azzurri, e in questi Arthur vide ciò che aveva visto tante volte: quel ragazzo sapeva che c’era qualcosa, qualcosa di strano, di diverso, in lui. Era come se…
-Tieni- disse improvvisamente Inghilterra, tendendogli la pietra dorata e luccicante, distraendolo per infantile ripicca dal suo tentativo di capire.
-Uh… grazie…- disse impacciato Alfred, accettandola e osservandola da vicino.
Arthur sorrise. Un ragazzino. Si divertiva di più, con i ragazzini.
-Ti porterà fortuna, sai? Quasi quanto quel ciondolo.- Lo vide stringere il trifoglio, e il suo era lo sguardo diffidente di chi ha la ferma convinzione di essere il soggetto di una battuta inespressa.
Cosa poi vera.
-Me l’ha dato mia nonna… Ha detto che è per protezione.- rispose sulla difensiva Alfred a quell’accusa di superstizione, e davanti a quella scusa infantile Arthur sorrise, un ghigno poco affidabile tra il beffardo e il saccente.
-Protezione da cosa?- lo punzecchiò, e gongolò nel vederlo arrossire d’imbarazzo. Per cosa, poi…
[1] -Creature Unseelie.- rispose sottovoce Alfred.
[2] -Già, con i Seelie non funziona, soprattutto non con i Sidhe di alto livello come me. Perciò puoi anche smettere di stringerlo così; mica ti mangio, sai?-
Non fosse stato per la sua palese ignoranza, si sarebbe davvero offeso per essere stato scambiato per un Unseelie. Un Unseelie! Lui, un Sidhe Seelie in comunione con la terra stessa!
[3] -Sidhe?- ripeté Alfred confuso, inclinando il capo di lato come un cucciolo, ed Inghilterra sbuffò.
Quel ragazzo faceva bene a ringraziare che lui non fosse uno da ritenere l’ignoranza punibile, come molti Sidhe. Se così fosse stato, la popolazione mondiale sarebbe calata drasticamente.
-Non sei di queste parti.- fu il commento di Arthur.
A parte l’accento terribile, gli Irlandesi puri sembravano riconoscere i Sidhe a pelle, e questo tizio, chiaramente, non ne era capace.
-Da dove vieni? Da una delle vecchie colonie?- chiese, tornando a sdraiarsi nella culla formata dalle sporgenti radici dell’albero tagliato, le mani intrecciate dietro la testa, e il capo appoggiato contro il ceppo, in modo da poter guardare in faccia Alfred.
Questi fu un attimo interdetto dalla maniera in cui era stata posta la domanda, ma poi scosse le spalle ai suoi dubbi interiori e rispose eccitato: -Sì, vengo dalla grande America!- a cui seguì una posa eroica, ed Inghilterra sbuffò.
-Stati Uniti, eh? Piccoli ingrati- borbottò sottovoce.
-Ingrati? Noi siamo degli eroi!- replicò offeso l’altro biondo, e Arthur sospirò.
-Lascia perdere, è una storia vecchia. Piuttosto, la tua famiglia era originaria di queste parti, vero?-
-Sì. I tre quarti di Boston vengono dall’Irlanda.- rispose Alfred, decidendo che, in vista di una lunga discussione, poteva anche mettersi anche lui comodo, sdraiandosi sull’erba su un fianco, piegando una gamba verso di sé e sorreggendosi con il gomito.
-Perché sei tornato in madrepatria?- fu la successiva domanda di Arthur.
-Sono venuto a trovare dei miei parenti…- forse Alfred avrebbe anche aggiunto altro, ma il sorriso sorto all’improvviso sul volto dell’altro, cancellando l’espressione corrucciata, lo attirò nelle profondità di quegli occhi verdi, come la luce di una lanterna che attiri una lucciola.
-Adair aveva ragione… C’è ancora qualcuno che è tornato da noi…-
Arthur era felice.
Per quanto fosse nato in Inghilterra e fosse l’incarnazione di quella terra, lui apparteneva a tutte le isole britanniche, e sebbene considerasse tutti gli abitanti la sua “sua” gente, molti avevano smesso di credere in lui, abbandonandolo.
Sebbene fosse molto legato ai fratelli, li vedeva così di rado, ed era stanco, stanco, di commiserarsi per la sua solitudine.
Sì, avrebbe preso quel ragazzo – così istintivo, così vitale, quello che la sua stirpe non era più da molto tempo – sotto la sua protezione, come prova che lui, per qualcuno, esisteva ancora.
-Se vuoi, ti posso far vedere la zona. Posso insegnarti molte cose sul passato di questo posto, posso mostrarti cose che non avresti mai immaginato. Cose che i più hanno dimenticato.- offrì Arthur, ma lo scintillio dei suoi occhi colmi di speranza tradì la supplica nascosta in quelle parole.
-Perché no?- rispose allegro Alfred. -Tanto non è che abbia molto da fare-
Arthur fece per rispondere, ma all’improvviso si irrigidì: un’invisibile sensazione aveva percorso il mondo, attraversando erba, aria e acqua come un’onda. Alfred non se n’era accorto (come avrebbe potuto?) ma lui si sentì toccare nell’intimo da un tremito, un sospiro, un pizzicore, una carezza.
Inghilterra esalò un tremulo respiro che non si era accorto di trattenere: quella era la scossa – quasi elettrica – che indicava l’increspatura del limitare di Faerie. [4]
Adair, Adair era tornato, Adair lo stava chiamando.
Arthur saltò su con un’espressione sollevata, e con un aggraziato salto era già oltre il torrente.
-Dove vai?- chiese Alfred, evidentemente sconcertato dalla sua mossa improvvisa.
Arthur si girò verso di lui: -Devo andare dal mio Deartháir, da mio fratello. Ci vediamo!- [5]
-Ma non sai nemmeno dove abito!- esclamò Alfred saltando in piedi, guardandolo, di nuovo, con l’aria di un cucciolo; al che il Sidhe rimase a fissarlo, dibattuto tra due scelte.
Dopo un attimo sospirò, e si mosse per tornare dal ragazzo, sentendosi quasi in colpa a lasciarlo così. Un attimo prima era di là dell’acqua: un battito di ciglia, e uno stupito Alfred se lo ritrovò davanti, che gli afferrava il bavero e lo forzava ad abbassarsi.
-Ti giuro che mi rivedrai- sussurrò, baciandogli gentilmente i capelli, soffici e serici come quelli di un bambino.
Un altro battito di palpebre, e Inghilterra era tornato dall’altro lato della radura, come se non si fosse mai mosso. Arthur non sapeva cosa fosse rimasto all’altro di quel suo tocco, ma sulle sue labbra aleggiava un sapore di caramello e zucchero.
-Ti troverò ovunque tu possa essere!- queste parole a metà tra l’affettuoso e il minaccioso furono pronunciate senza voltarsi, alzando giusto una mano in segno di saluto, mentre s’incamminava verso gli alberi e, giuntovi, posò una mano sul tronco dietro il quale Alfred si era nascosto prima, un vecchio nocciolo che si biforcava alla base.
Sapendo che da dove si trovava il ragazzo non poteva vederlo, afferrò il lembo del mondo di Faerie lo scostò di lato come un drappo, scavalcando la “V” formata dai due tronchi, e lasciandolo poi ricadere dietro di sé.
Così vicino al limitare dei mondi poteva ancora vedere Alfred, e lo osservò girare intorno ai due alberi gemelli, cercando di capire dove diavolo fosse sparito.
Arthur rise e gli accarezzò una guancia a quel fantasma dai contorni confusi, prima di voltarsi e seguire il fiume quasi solido di luci che nell’altro mondo era solo un torrentello, chiamando il Sithen. Era sicuro che dovesse essere da quelle parti e… eccolo! Sentendo la sua impazienza per una volta gli aveva fatto il favore di evitargli la solita caccia al tesoro…
-Perché diamine il Sithen si diverte così tanto a giocare a nascondino con me, quando li fa sempre entrare subito quei bastardi dei miei fratelli?- mugugnò Arthur, tenendo il broncio.
Il Sithen era una sorta di piega nella struttura di Faerie, che veniva usato dai Sidhe come casa. Gli unici Sithen permanenti erano quelli delle due Corti che, in accordo con la natura dei Sidhe reali che accoglievano, seguivano il fluire di Faerie, cambiando perciò continuamente posto rispetto agli altri mondi. I Sidhe raminghi, invece, quando decidevano di fermarsi in un luogo, creavano un Sithen temporaneo nelle vicinanze dei varchi tra i mondi (come quello appena attraversato da Arthur), ancorandolo in parte al mondo al di là, in modo che non si spostasse troppo: tenerlo completamente fisso era impossibile, data la natura stessa di Faerie, in continuo mutamento.
Con un profondo sospiro di soddisfazione, Arthur entrò nel Sithen, non varcando una vera e propria porta, ma semplicemente entrandovi: un attimo prima era tra gli alberi di Faerie, e un attimo dopo era in una stanza dal soffitto fatto d’illusori tendaggi e pareti coperte da complicati arazzi di fitto muschio dai disegni intricati.
Come un profumo che aleggiasse intorno a lui, sentiva una presenza crepitante ed elettrica, e l’odore di ozono che precedeva un temporale. Athol era in casa.
Poi sentiva una presenza fluire pigra avvolgendo il suo corpo, quasi solida, e l’odore di umidità che aleggiava attorno a una cascata. E quello era Adylan.
E infine… sì, c’era una presenza secca, che ora si espandeva e ora si ritraeva, tendendosi prepotente verso di lui, e l’odore inebriante dell’ossigeno puro. Era Adair!
[6] -Foghlaidh!- chiamò una voce, e quando Arthur si voltò, si trovò davanti al maggiore dei suoi fratelli, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro sul viso cosparso di lentiggini, e gli occhi del suo stesso verde assoluto che brillavano di gioia.
In un attimo Arthur si era già gettato tra le sue braccia aperte, abbracciandolo più forte che poteva, e aveva nascosto il viso nei suoi lunghi e riccioluti capelli rosso fiammante, scoprendo che Adair aveva lo stesso rassicurante odore di cenere di sempre.
[7] - Éire, Éire! Mi sei mancato così tanto!- Ed eccolo lì, il Sidhe che era la personificazione di uno dei più potenti imperi del suo tempo, che in un attimo era ritornato a essere solo un bambino.
-Anche tu, piccolo mio.- rispose Adair, scostando con un gesto affettuoso la frangia ribelle dell’altro, per poi posare un bacio leggero come il tocco di una farfalla sulle sue labbra, prima di premere su quello inferiore per chiedere di più.
-Ben arrivato, fratello. Era pure ora che arrivassi.- intervenne una voce, più profonda e roca.
Arthur alzò lo sguardo e vide Athol che li guardava appoggiato con fare arrogante alla soglia della stanza, le braccia incrociate sul petto.
-Hai un bel coraggio ad arrivare per ultimo a un incontro organizzato nel tuo stesso paese e di attaccarti subito ad Arthur!- lo punzecchiò, arruffandosi con una mano i corti e ribelli capelli di una tonalità molto scura di rosso.
In contrasto con l’aperta allegria di Adair, tutto del secondo fratello più vecchio comunicava una sensazione di durezza e superiorità, dalla corporatura muscolosa (sebbene più giovane dell’irlandese, era più alto), alla sottile cicatrice sulla guancia destra, alle rade lentiggini, agli occhi verde scuro come le profondità della foresta, tentatori nella loro palese minaccia.
-Ma sta’ zitto- sbuffò Adair, tornando a coprire la bocca di Arthur con la sua, assaggiandone la lingua morbida e umida, e trovando sollievo per il suo calore bruciante.
Fu solo un attimo, e prima che l’altro potesse protestare, Adair strinse a sé il più giovane, immergendo il viso nei suoi capelli come prima l’altro aveva fatto.
[8] Tutti i Fey, Sidhe compresi, erano creature della carne e dei sensi: quando erano turbati, cercavano istintivamente sicurezza nel reciproco contatto fisico, senza vergogna né pudore.
Gli umani avrebbero potuto trovarci qualcosa di sessuale, ma non era per forza così: il sesso poteva essere mezzo per confortarsi a vicenda, era vero, ma non era affatto l’unica cosa che avevano in mente, strusciandosi tra di loro come una a cucciolata di gattini.
L’Irlandese perciò venne lasciato fare, crogiolandosi nell’odore di polvere vecchia, di legno scaldato dal sole, di muschio nascosto sotto una roccia, di felci bagnate di rugiada.
Adair rialzò lo sguardo verso l’altro fratello: mentre un umano avrebbe distolto lo sguardo per dar loro un po’ di privacy, tra i Sidhe non vi erano tabù sull’intimità, e Athol non aveva distolto gli occhi da loro neanche un attimo, fissandoli con espressione illeggibile – o forse un po’ gelosa?
-Come se tu non gli fossi stato addosso fino adesso- ironizzò il maggiore, cogliendo una traccia dell’odore dell’altro sulla pelle di Arthur. Athol si avvicinò a grandi passi, facendo per rispondere, ma il suddetto biondo bloccò in anticipo il battibecco, pestando con forza un piede di Adair e lanciando un’occhiataccia all’altro.
-Smettetela di parlare di me come se non fossi presente!- li sgridò Arthur, cercando di tenere il suo solito broncio, ma la felicità nata dall’incontro con quel ragazzo umano ancora aleggiava dentro di lui, impedendoglielo, e i due fratelli lo notarono, stupiti che non gli avesse ancora imprecato dietro.
-Perché così sorridente, Arthur? Ti sei trovato un amante umano?- ridacchiò Adair, ma tanto al sua risata quanto il ghigno di Athol caddero quando l’altro rispose cinguettando: -Proprio così!-
-COSA!?- esclamarono in coro, fissandolo stupefatti.
[9] -Dov’è Adylan, Alba? Voglio dirlo anche a lui!- domandò Arthur, seguito dall’irlandese:
[10] -Già, dov’è Cymru? Non è ancora venuto a salutarmi, quella lucertola!-
-Si sta facendo il bagno, credo…- rispose frettolosamente Athol, ma il suo desiderio di tempestare il minore di domande fu frustrato da un grido proveniente dall’altra stanza: -Arrivo, arrivo!-
E infatti dopo un attimo comparve l’ultimo fratello, il più giovane dopo Arthur, nudo a parte un asciugamano di quello che sembrava a tutti gli effetti muschio legato intorno alla vita, strofinandosi i corti e lisci capelli castano chiaro con un altro.
Un giovane molto bello, nella media dei Sidhe, ma la sua particolarità era un’altra: il tatuaggio di un drago rosso sulla spalla destra, dalla testa e il collo serpentino disegnati a lato della sua gola, un’alata aggrappata alla clavicola e l’altra semi-spiegata sulla scapola, il corpo affusolato accoccolato sull’avambraccio e la lunga coda avvolta intorno al braccio.
Nel suo complesso era incredibilmente realistico, dettagliato fino all’ultima scaglia dai colori vividi: sembrava pronto a spigare le ali e staccarsi dalla pelle di Adylan da un momento all’altro.
-Mi stavo asciugando. In ogni caso, bentornato, fratellone - si scusò questi, prima di abbracciare Adair e sfregarsi affettuosamente sotto il mento dell’altro, con l’aria di un animale selvatico che accolga un membro del branco.
-Avevo ragione: sei sempre il solito maniaco di lucertole- dichiarò allegramente Adair, dandogli un pizzicotto neanche tanto leggero sul braccio destro, e strappandogli un urletto molto poco virile.
-Ti vanti tanto, ma non lo liberi mai! Siamo forse meno dotati di quanto si dica in giro, fratellino?- Athol sghignazzò alla battuta, mentre tutto ciò che Adylan rispose fu uno sbuffo altezzoso, nascondendo però il tatuaggio avvolgendosi le spalle con il secondo asciugamano.
-Piuttosto- disse il terzogenito, cambiando discorso –Cos’è questa storia del tuo nuovo amante, Arthur? Pensavo avessi deciso di non farlo più, non dopo l’ultima volta…-
Il biondo sembrò illuminarsi, sorridendo ai suoi fratelli maggiori.
-Si chiama Alfred, e credo valga la pena di rischiare...-



Alcune note , per coloro che sono poco pratici di conoscenze sulla mitologia celtica&co:
[1] e [2] Gli Unseelie e i Seelie sono le due Corti maggiori in cui si dividono le creature fatate, rispettivamente Corte della Luce e dell’Oscurità.
[3] I Sidhe sono le creature fatate dall’aspetto più umano, chiamati anche “elfi”. Sono una sorta di elite rispetto alle altre creature, anche se hanno una loro aristocrazia interna.
[4] Faerie è un mondo parallelo al nostro, il reame in cui vivono le creature fatate, in cui le leggi dello spazio e del tempo agiscono in maniere diversa.
[5] Deartháir: in gaelico, vuol dire “fratello”.
[6] Foghlaidh: sempre in gaelico, vuol dire “pirata”. Il perché Adair lo chiami così si scoprirà più tardi…
[7] Éire: il nome dell’Irlanda nella sua lingua.
[8] “Fey” è il nome con cui le creature fatate chiamano sé stesse.
[9] Alba: il nome della Scozia nella sua lingua.
[10] Cymru: il nome del Galles nella sua lingua.

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