Vita. di Sammael (/viewuser.php?uid=93953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogno e Rinascita. ***
Capitolo 2: *** Terrore e Salvezza. ***
Capitolo 3: *** Vittoria e Famiglia. ***
Capitolo 4: *** Dovere e Bisogno ***
Capitolo 5: *** Dolore e Desiderio. ***
Capitolo 6: *** Purezza e Gelosia. ***
Capitolo 7: *** Amore e Morte. ***
Capitolo 8: *** Mancanza e Vendetta. ***
Capitolo 9: *** Ricordo e Sofferenza. ***
Capitolo 10: *** Tradimento e Intermezzo. ***
Capitolo 11: *** Incubo e Speranza. ***
Capitolo 12: *** Perdita e Sorpresa. ***
Capitolo 13: *** Eternità e Sconfitta. ***
Capitolo 1 *** Sogno e Rinascita. ***
Bene! Prima storia che riesco a concludere. E ho pensato di divulgarla un po' nella speranza che piaccia a qualcuno leggerla quanto a me è piaciuto scriverla. Ordunque. Innanzitutto c'è un neonato e un buon cuore. E, poi, molti nomi. E quelli sono importanti, si sa. A volte condizionano la... vita delle persone. Irrimediabilmente.
Ci troviamo in Persia, circa quattromila anni fa. La vita è bella e gioiosa come una donna incinta. Ma per quanto resterà così?
Sogno e Rinascita
Sono nudo, ma il caldo sole che sorge
sulle montagne lontane scaccia il freddo e la notte. Ma il gelo resta
dentro, e
nulla può portarselo via. Un ritmico dondolio mi culla, ma
non riesco ad essere
tranquillo. Piango. Chi è quest’uomo? Cosa vuole
da me? Mi tiene in braccio e
mi guarda con tenerezza, ma mi fa paura. I suoi capelli sono scuri e
lucenti,
come la sua pelle e i suoi occhi. La barba che gli copre la
metà inferiore del
viso sembra ispida, ricciuta. È diverso da qualunque uomo io
abbia mai visto prima
di adesso. Il
dondolio continua, e finalmente mi
addormento.
Lei non è la mia
mamma. Questa donna
non è la mia mamma. Dove sono? Cosa è successo?
Dov’è mia madre? Piango. Mia
madre non c’è, e ho come la sensazione che non la
rivedrò più. La donna mi
culla dolcemente, mi stringe al petto, mi dice che sono suo, suo, suo,
il suo
Kamal, la sua preghiera esaudita dagli dei, il frutto di un dono divino
che mi
ha portato tra le sue braccia. Non smette di cullarmi e di baciarmi la
fronte.
Mentre una lacrima cade lungo il suo viso scuro, rigandole una guancia,
io cado
di nuovo nel sonno.
Un giaciglio allestito
all’ultimo
momento è il mio letto. Di tanto in tanto – forse
sogno, forse ricordo, forse
scherzo del dormiveglia – apro gli occhi e vedo il viso di
quella donna. Che
non è mia madre. Però mi vuole bene, e lo so
perché me lo sussurra in
continuazione. Vuole bene a me, al suo, suo, suo piccolo Kamal. Troppo
stanco
anche per mugolare. Mi nutre, mi rimbocca la coperta di lino candido
attorno al
corpo, mi accarezza, mi guarda. Chiudo ancora gli occhi.
Stavolta
li apro davvero, ed è giorno, ed è oggi,
è adesso ed è vita, vita vera, che mi
strappa da un’età confusa e mi riversa tra gli
altri bambini. Sono scuri,
piccoli e in carne. Io no, io sono diverso. Li vedo osservare
interessati i
miei occhi chiari, la mia pelle candida. Ma non mi scacciano. Giochiamo
insieme
a rincorrerci, e mi cercano, quando non ci sono. Vengono a chiamarmi
davanti
casa e urlano il mio nome finché non metto la testa fuori
dalla porta e con una
risata li seguo.
“Kamal,
Kamal, Kamal”.
Li
attraggo, li affascino, li attiro intorno a me come se fossero insetti,
e io il
fiore. Un fiore che non ha spine, è appena nato, ma
crescerà. Obbediscono a
tutto ciò che dico, fanno ciò che desidero. Mi
seguono correndo nel mercato, ma
le mie gambe sono più lunghe, più svelte,
più bianche delle loro. Li semino e
li riprendo, li scaccio e li accolgo, a mio piacimento.
Ho
sette anni, e mi sento il padrone del mondo.
Un
mondo che è il villaggio attorno alla reggia, le case
piccole e ordinate,
accoglienti. Un mondo che è le braccia di mia madre, e anche
quelle sono
piccole e accoglienti. Non le ho ancora chiesto perché sono
così diverso. Da
lei, da mio padre, da tutti. Ma non ce n’è
bisogno. «Sei un dono, Kamal. Gli dei ci hanno dato
in dono il figlio più bello. La perfezione. Come il tuo
nome». Me lo
ripete spesso, e nella mia mente di fanciullo mi credo un dio.
Andrò presto a
lavorare come paggio a palazzo, con gli altri, con mia madre.
Sarà divertente.
Vedrò il re, che mio padre nomina di rado con tanto rispetto.
Ho
nove anni, e sto pulendo gli ori nella sala d’ingresso. Con
me ci sono Adel e
Aram. Adel è il mio migliore amico, è
l’unico che riesca a tenermi testa ed ad
atterrarmi quando giochiamo alla lotta. Mi ha fatto mangiare la
polvere, e da
allora siamo inseparabili. Ha un anno in più di me, ma a
volte sembra quasi che
ne abbia molti, molti di più. Il suo sguardo è
così diverso da quello di tutti
gli altri.
Mi
lancia addosso la sua pelle di yak, unta di oli, con cui stava pulendo
una
coppa intarsiata. E ride. Ride. Si piega in due, tenendosi la pancia.
Ed è così
bello quando ride, gli compaiono due minuscole fossette ai lati della
bocca.
Resterei ad osservarlo, ma la vendetta e il gioco e il bisogno di
prenderlo a
pizzichi diventano insostenibili. Mi lancio contro di lui, cacciando un
urlo
che quando ci picchiamo è il nostro inno di battaglia. Aram
ride piano, ma non
prende parte al gioco: sa che non è bene intromettersi tra
me e Adel, sa che
finiremmo per coalizzarci contro di lui, così piccolo e
gracile. È calmo, come
il suo nome.
Tanto
per cambiare, Adel riesce ad atterrarmi. Non ha smesso un attimo di
ridere, e
appena vede che sto ansimando per il gioco e che ho bisogno di
riprendere
fiato, si lancia sui miei fianchi, mettendo in atto ciò che
avrei voluto fare
io, ovvero prenderlo a pizzichi. Ma è una tortura piacevole,
almeno fino a
quando le mie risa non giungono alle orecchie di un cortigiano di
passaggio.
Kamal, come avrete intuito, significa "perfezione", in persiano.
Aram invece ha il significato di "quieto, calmo". ^.^ |
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Capitolo 2 *** Terrore e Salvezza. ***
Terrore e Salvezza
«Cosa state facendo?!».
Io
e Adel ci ricomponiamo in fretta e chiniamo il capo seguendo
l’esempio di Aram.
Non è il sovrano, ma un suo consigliere –
“intimo” direbbe mio padre – ed
è
giovane e bello, anche se il suo tono di altezzoso rimprovero me lo
rende
subito antipatico. Ci ordina freddamente di continuare il nostro
lavoro, prima
di sferrare un duro colpo ad Adel, ancora al mio fianco. Lo colpisce su
una
spalla.
A
me sembra che per un secondo tutto si faccia bianco e oro, e forse
è il
riflesso dei gioielli preziosi nella sala, forse è la luce
del mattino che
colpisce i mosaici sulle pareti, forse sono talmente in collera con
quel lurido
leccapiedi da non vederci più.
È
più alto, più forte, più robusto di me
e sicuramente mi supera anche in età, di
dieci anni più adulto. Praticamente un uomo. E io,
praticamente un bambino.
Ma
non m’importa, perché Adel è stato
colpito anche per colpa mia, ed è il mio
migliore amico e gli voglio bene, e non posso tollerare la vista della
sua
pelle serica che è più scura del solito per colpa
di quell’uomo.
Lancio
il mio urlo di guerra, schiantandomi contro le sue gambe, e mi faccio
male. Mi
fanno male anche le mani, quando comincio ad usarle per prendere a
pugni ogni
spazio di pelle che riesco a raggiungere. Ovviamente,
quell’uomo non impiega
molto tempo a prendermi per i capelli e a fermarmi. Urlo,
perché mi sembra che
lo scalpo mi si stia staccando dal resto del corpo, però non
smetto di
dimenarmi, artigliando l’aria e scalciando come un impiccato.
Mi lancia via con
facilità e atterro sui mosaici del pavimento, duri e
dolorosi almeno quanto
sono belli. Gemo, mi fa male un braccio, e mi sembra di avere la testa
spaccata
in due. L’ultima cosa che penso è che per la mia
impulsività, Adel e Aram
adesso debbano pulire tutto il sangue che ha macchiato il pavimento.
Sento
delle voci. Mia madre sta supplicando. C’è
qualcuno che mi tiene la testa, la
sento poggiare sul morbido. Apro gli occhi e a fatica distinguo il viso
di
Adel, al contrario, che sta guardando dritto davanti a sé
con quello sguardo
troppo serio per un bambino di dieci anni. Però ha le
fossette sulle guance,
perché le sue labbra sono strette e serrate. Con il forte
desiderio che lui
faccia altrettanto, sorrido, prima di rendermi conto di quello che
è appena
successo, di quello che ho appena fatto.
«È solo un bambino,
per favore...»
sento dire mia madre. Sta piangendo. Mia madre sta piangendo. E il
motivo può
essere uno e uno soltanto.
Mi
faranno del male.
Mi
faranno del male, e la botta che ho preso rovinando a terra
potrà essere
comparata al solletico di Adel. Lo so. Me lo sento nelle mani, che
cominciano a
tremare. Ho attaccato il prediletto del dio sovrano e, malgrado abbia
solo nove
anni, malgrado non gli abbia fatto assolutamente nulla, sarò
punito.
Trovo
la forza, nonostante la paura, di alzare il viso per guardare chi altro
c’è
nella stanza. Il cortigiano sta sbraitando, mia madre continua ad
implorare,
Adel osserva la scena con estrema serietà. Io non riesco a
capire cosa stanno
dicendo, cosa quell’uomo stia decidendo sulla mia vita, e la
cosa mi getta
ancor più nel panico.
E
poi, cala il silenzio.
«Hesìam, cosa
succede?».
Questa
voce, me lo sento, è la mia salvezza. Volto la testa giusto
in tempo per vedere
il re, il dio, il sovrano di Persia, scendere i gradini con calma ed
eleganza.
E la cosa mi stupisce, come sorprendente è anche il suo
aspetto semplice,
pulito, gradevole. E la sua voce, così gentile.
«Nulla, Kiyan» risponde il
cortigiano, chinando il capo.
Sento
le mani di Adel tremare sulle mie spalle. Vorrei dirgli di stare
tranquillo,
che il re è giusto e che andrà tutto per il
meglio, ma gli occhi scuri del
cortigiano mi inceneriscono non appena apro la bocca, neanche mi avesse
letto
nel pensiero. Mi vuole morto, quella lama arrugginita*.
Poi
anche il re si volta a guardarmi, con calma, come se il suo fosse un
gesto
casuale. La sua veste bianca e dorata ondeggia dolcemente, mossa dal
suo
movimento.
Mi
guarda, e sorride.
Kiyan è l'appellativo del sovrano. L'insulto "lama arrugginita" è dovuto al significato del nome Hesìam: "spada affilata". ^.^
Me la merito una recensione? *w* |
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Capitolo 3 *** Vittoria e Famiglia. ***
Vittoria e Famiglia
«Kiyan, non vole...».
La voce del
cortigiano si spegne gradualmente, fino a che non rimane solo il
silenzio quasi
perfetto interrotto dai passi lievi del re di Persia, che mi si
avvicina, e dal
respiro ritmico di Adel.
Cerco
di mettermi per lo meno seduto, anche se so che dovrei inchinarmi fino
a terra
davanti al mio signore, ma è lui stesso ad impedirmelo,
alzando lievemente un
braccio. Non smette di sorridermi. Volta per un attimo lo sguardo verso
mia
madre, che rapidamente abbassa il suo e china la testa in segno di
rispetto.
«Mi dispiace, Kiyan» mormoro, ma
prima che possa aggiungere altro, il sorriso sul volto del sovrano si
fa più
ampio. E poi, fa una cosa che non mi sarei mai aspettato. Si accuccia,
posando
il peso sulle piante dei piedi, per potermi osservare da
un’altezza e da una
vicinanza più favorevoli. La sua veste sfiora il pavimento e
io spero solamente
di averlo pulito per bene, perché non potrei mai perdonarmi
di insozzare
qualcosa che appartiene a quest’uomo.
«Come ti chiami?» domanda. Ora che è
più vicino, vedo che i suoi occhi sono gentili e calmi,
quasi brillanti,
completamente neri. Rimango incantato ad osservarli, tanto che lui
ride. I miei
occhi si spalancano per la sorpresa nell’udire quel suono:
è come acqua che
sgorga dalla fontana, è limpida, è chiara,
è fresca.
«Kamal, mio signore». Adel mi viene
in aiuto, come sempre. Non guarda il sovrano, tiene lo sguardo basso e
non sta
fissando nemmeno me.
Il
re si alza e muove qualche passo in direzione di mia madre. «Certo,
come avrebbe potuto essere
altrimenti?» mormora, senza tuttavia rivolgersi a nessuno in
particolare, o almeno così mi sembra. Mi guarda ancora, per
molti istanti. «Hesìam, vai. Donna, tu porta tuo
figlio a
casa e curalo, e fai avere i miei omaggi al generale».
L’espressione
di venerazione sul volto di mia madre non riesce a distrarmi da quella
che vedo
stampata sul viso del cortigiano: è completamente
interdetto. Apre la bocca un
paio di volte e la chiude ripetutamente, come un pesce tirato fuori
dall’acqua
vitale del fiume.
Il
suo capo chino e le spalle basse quando si allontana sembrano avere
inciso a
fuoco la sua sconfitta, e la mia salvezza.
«Mamma, parlami
ancora del Kiyan»
sussurro chiudendo gli occhi quando l’acqua tiepida mi scorre
sul viso. Quando
li riapro, delle piccole gocce mi sono rimaste sulle ciglia, e le
scaccio con
un gesto della mano.
Mia
madre sorride e riprende a passare la stoffa sul mio petto, togliendomi
di
dosso lo sporco. Il contrasto incredibile fra il colore della sua pelle
e
quello della mia la rende silenziosa e le fa corrugare la fronte.
«Mamma» ripeto, riscuotendola dai
suoi pensieri e incoraggiandola ad esaudire la mia richiesta.
Lei
sospira, mentre l’unico altro rumore che percepisco
è quello dell’acqua nel
catino in cui mi trovo, e i passi e le voci «delle persone
nella piazza, oltre
la finestra. «Kamal, cosa vuoi
sapere?» domanda mia madre con un sorriso stanco.
La
risposta sincera sarebbe “tutto”, ma dubito che mi
prenderebbe sul serio. Sono
passati quattro giorni dall’incidente con il cortigiano, e
sono quattro giorni
in cui mi sento gli occhi del sovrano di Persia fissi addosso, in
qualunque
momento, quando sono a palazzo. E, quando mi volto, lui è
sempre lì, a
regalarmi un sorriso e un ondeggiare di candido lino, prima di sparire
dietro
un arco o una colonna.
«Perché mi guarda?» domando infine,
rivolto a mia madre, guardando le sue palpebre abbassate. La stoffa che
mi
corre sulla pelle è morbida.
Lei
non risponde subito. Mi fa cenno di uscire dal catino e io le obbedisco
meccanicamente. Mi avvolge un panno intorno al corpo e prende ad
asciugarmi i
capelli. Sto per richiamare insistentemente la sua attenzione, ma il
rumore
della porta di casa che si apre mi fa smettere di pensare. Il panno mi
scivola
di dosso e i miei piedi nudi percorrono veloci lo spazio che mi separa
da mio
padre. Mi aggrappo alle sue ginocchia, invocando il suo nome con
sentimento,
mentre lo sento ridere perché adesso mia madre
sarà costretta a lavarmi di
nuovo.
Chiedo umilmente perdono ai lettori! >__> Dato che questa storia è già scritta e terminata - perciò mi limito solamente a postarla, capitolo per capitolo - come un idiota ho fatto confusione e saltato questo! *ha voglia di uccidersi* Chiedo ancora scusa e vi prego di perdonarmi! >///< |
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Capitolo 4 *** Dovere e Bisogno ***
Dovere e Bisogno.
«Kamal, non lo farai!».
Inarco
un sopracciglio e sorrido all’espressione di Adel, osservando
per un lungo
istante i suoi occhi scuri, le sue sopracciglia aggrottate. Il mio
sguardo scivola
sulle sue mani, appoggiate sui fianchi in una posa che mi ricorda mia
madre.
Rido. «Vuoi scommettere?» ribatto,
avvicinandomi di un passo al trono. La sala enorme sembra accogliere il
rumore
dei miei piedi e rimandarlo alle orecchie di Adel. I suoi occhi si
socchiudono
ancora un po’. «Non puoi farlo e
basta!» esclama, innervosito dal mio atteggiamento.
Ma
è divertente farlo arrabbiare. Muovo ancora un passo e mi
godo il suo viso.
Ho
dodici anni, e in questo momento dovrei pulire gli intricati mosaici
del
pavimento della sala del trono – lo dimostra lo straccio
stretto ancora fra le
mie dita – ma l’oro intarsiato sullo schienale che
è stato toccato solo e
soltanto dal re di Persia e da suo padre prima di lui, mi è
parso troppo bello
e luminoso per potergli resistere. È proibito sedersi sul
trono del sovrano, lo
so io e lo sa Adel. Ma in questo momento la sala è deserta,
non mi vedrà
nessuno.
Adel
mi si avvicina fissandomi negli occhi, come se guardandomi in quel modo
potesse
farmi desistere. Mi arriva molto vicino. Malgrado sia più
grande di me, lo
supero in altezza, e la cosa sembra non piacergli per niente. Ma nei
suoi occhi
di onice c’è qualcos’altro oltre alla
rabbia, adesso, lo capisco subito. E so
anche che davanti a quello sguardo diverso l’unica cosa che
devo fare è
sorridere.
E
lo faccio, prima di mormorare: «Non
finirò nei guai. Te lo prometto».
Adel
non risponde. Continua a guardarmi e a non dire nulla.
«Starò attento. A quest’ora non
arriverà
nessuno».
Lui
resta ancora in silenzio, e il mio sorriso svanisce.
«Perché devi fare sempre il contrario di
ciò
che è lecito?!» esclama all’improvviso,
i pugni stretti. «L’altro giorno hai attraversato a
nuoto il
fiume quando tua madre ti aveva espressamente vietato di farlo, hai
rubato gli
aranci dall’albero del nonno di Ali, hai fatto scappare le
capre e Amjad ha
impiegato un’ora, un’ora,
a calmarle
e ricondurle nel recinto!» quasi urla. Adel sta urlando. Non
trovo la
voglia né la forza di ribattere, nemmeno quando aggiunge:
«Se scoprissi che è vietato morire, saresti
capace di ammazzarti solo per il gusto di infrangere una
regola!».
Non
so se essere mortificato, sorpreso o arrabbiato. È la prima
volta che Adel si
rivolge a me con simili parole, è la prima volta che lo vedo
davvero irato. Non
sorride, non sta sorridendo, e la mancanza di quelle sue fossette sulle
guance
sembra spezzarmi il cuore e farmi mancare il respiro. E non so come
porre
rimedio al suo dispiacere, perché non mi sono mai trovato in
una situazione in
cui il mio sorriso innocente di ragazzino non sortisce
l’effetto sperato.
Non
ho idea di cosa sto facendo – o non ne sono completamente
sicuro – mentre mi
avvicino a lui. Adel continua a guardarmi, ma adesso, come poco fa,
c’è
qualcos’altro nei suoi occhi. Sospetto, forse. Non mi
importa. Gli prendo il
viso fra le mani e accosto le mie labbra alle sue, perché mi
sembra l’unica
cosa giusta da fare e ho voglia di farla. Lo bacio, e le mie mani
scivolano
lungo le sue spalle strette quasi quanto le mie. E non è un
gioco, come quelli
che fanno gli altri ragazzini per la curiosità di scoprire
il sesso: è bisogno,
bisogno disperato di vederlo sorridere.
Adel
non si scosta. Sento le sue labbra ferme e socchiuse contro le mie e,
anche se
ho gli occhi chiusi e non posso vederlo, so che è sorpreso.
Lo so perché è il
mio migliore amico, il mio complice, l’unica persona che
voglio al mio fianco.
Adesso
la bellezza e il luccichio dorato del trono non mi sembrano
più così
irresistibili.
Il
cielo è stellato e ampissimo, davanti ai miei occhi. Colma i
miei sensi e il
mio campo visivo, sembra quasi soffocarmi. Mi lascio sfuggire un
sospiro e
Adel, sdraiato accanto a me, si porta su un fianco per potermi guardare
in
faccia.
Non
volto la testa per ricambiare il suo sguardo. Continuo a osservare il
cielo e
mi sento immensamente piccolo e inutile, davanti a tutto questo.
«Non ti vedrò più, vero?»
domanda
Adel in un mormorio che a malapena riesco a sentire. Intuisco le parole
perché
è circa la centesima volta che le sento uscire dalla sua
bocca.
«Perché, dove hai intenzione di andare?»
chiedo a mia volta con un sorriso a metà. Piego le braccia
dietro la testa e
con quel lieve movimento l’erba morbida acquista un
po’ di frescura e fa da
refrigerante alla mia pelle.
Lancio
un’occhiata ad Adel giusto in tempo per vedere il suo viso
imbronciato. «Hai capito cosa intendo. Quando entrerai al
servizio del re, non potrò più vederti. Non mi
sarà permesso» dice,
senza guardarmi.
È
triste, lo sento dal suo tono. Anch’io lo sono, ma sono certo
che le sue sono
esagerazioni. So ciò che mi attende, nelle stanze del
sovrano di Persia, che
entro un paio di giorni diverranno praticamente anche le mie.
Il
Kiyan ha espresso il desiderio di avermi come servitore privato. Mia
madre me
lo ha riferito qualche mese fa, e dai suoi occhi ho capito che era
grata al
sovrano per aver concesso a me e quindi a tutta la mia famiglia un tale
onore,
ma anche preoccupata per ciò che comporta un tale compito.
A
me non importa. So cosa mi aspetta e so anche che sarà molto
diverso dagli
esperimenti compiuti finora sul corpo giovane e glabro di Adel, che non
mi ha mai
permesso di andare oltre qualche carezza e qualche bacio.
Sembra
aver capito che fra breve non saremo più una cosa sola, e
che non sarò più una
sua esclusiva proprietà. Sento che sta male per questo,
perché sono anni che ci
apparteniamo. Siamo l’uno dell’altro, ma il suo
senso del dovere gli impedisce
di infrangere un ordine sottointeso del sovrano.
Ma,
lo so e lo sa anche lui, il re di Persia potrà anche
prendere il mio corpo e
farne ciò che vuole, ma la mia anima è la stessa
di Adel. E da lui non può
essere separata.
«Ti amo, stupido» mormoro,
accarezzandogli la testa.
E
lui sorride.
|
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Capitolo 5 *** Dolore e Desiderio. ***
Dolore e Desiderio
Adesso
ho paura.
Lui
è sopra di me, mi sfiora il collo con le labbra, poi la
fronte, le spalle, le
clavicole. Il suo respiro è caldo sulla mia pelle. Rovente.
Mi fa rabbrividire.
Le sue mani sono ovunque, mi sento inerme, indifeso, così
piccolo sotto il suo
corpo di uomo.
Tremo,
e lui se ne accorge. Mi sorride, e anch’io mostro i denti di
rimando; definirlo
sorriso sarebbe una spudorata menzogna.
«Kamal».
Mormora
il mio nome, un attimo prima di esplorare la mia bocca con la lingua.
Quella
stessa lingua che poi passa ad accarezzare le labbra, mentre le sue
mani
scendono e si fermano sui miei fianchi. Sono così calde.
«Kamal».
Mi
sento una bambola di pezza, in balìa dei giochi di una
bambina perversa e
bellissima. Mi sembra che sia tutto così assurdamente
sbagliato e irreale.
Quasi non mi accorgo che lui mi ha sollevato i fianchi dalla stuoia,
portando
il bacino ad appoggiarsi sulle sue ginocchia.
«Kamal».
Il
dolore è lancinante. Mi
sembra che
presto mi strapperà in due. Non posso credere che faccia
così male. I battiti
del mio cuore sembrano impazziti, troppo veloci. Stringo fra le dita la
prima
cosa che mi capita, consistente nella coperta ricamata. Ansimo
rumorosamente.
«Kamal».
“No, no, no! Vattene, togliti,
scostati! Non
voglio, non voglio! Fa male, per dio, fa maledettamente male. Non
voglio,
basta. Smettila!”.
Ma
le sue mani che mi stringono i fianchi mi ricordano di chi sono,
adesso. Questo
corpo bianco e tremante non mi appartiene più, e solo ora mi
rendo conto di
quanto sia orribile tutto questo.
«Kamal».
Un
forte gemito di dolore mi sorge spontaneo alle labbra, quando lo sento
farsi
strada ancora più in profondità. Ho come la
sensazione che lo sentirò fino in
gola. Ho il respiro affannoso, irregolare, veloce. Brucia da morire,
è come se
qualcuno mi stesse raschiando dall’interno con uno strigile.
Contraggo i
muscoli, ma sembra non servire a niente, anzi. Fa solo più
male.
«Kamal».
“Non mi piace, non voglio, non
voglio più. Ti
prego, ti prego, ti prego, basta.
Non
ce la...”.
Un
gemito che è dolore ma che insieme è
già qualcosa di diverso mi fa riaprire gli
occhi. Non ricordavo di averli chiusi. Il suo volto è
vicino, sento il suo
respiro sulle labbra. Non si muove, è fermo dentro di me.
Questo mi permette di
ritrovare il respiro. Una sua mano lascia il mio fianco e sale ad
accarezzarmi
il viso, e sento che la mia bocca si socchiude a quel gesto. Capisco
che lui
non vuole farmi del male, e quella sensazione strana e nuova che ho
sentito
prima me ne convince.
«Kamal».
Spinge
ancora un po’, e quasi non sento più il dolore.
Una scossa mi tocca la spina
dorsale e arriva fino alla nuca. Gemo. Non capisco se è
piacevole o no,
comprendo solo che non fa male e quindi la accetto volentieri. Esce un
po’,
ritorna, esce, ritorna. Ancora. E ancora. Brucia lo stesso, ma stavolta
capisco
che presto svanirà, e che posso sopportare se quella
sensazione torna di nuovo.
E lo fa, ad ogni affondo. Torna e mi fa gemere. Forte.
«Kamal».
Mentre
i movimenti si fanno sempre più ampi e più
veloci, non riesco a fare a meno di
lasciarmi sfuggire un esclamazione di piacere. Sento la sua mano che
arriva al
mio sesso e comincia a muoversi allo stesso ritmo con cui si fa strada
dentro
di me, scacciando ogni altra cosa.
Se
prima era il dolore ad essere inconcepibile, ora il piacere ha preso il
suo
posto. Ed è qualcosa di assolutamente indefinito. Mi sento
sballottato da una
parte all’altra del mio essere, completamente perso,
completamente soggiogato.
Le
sue labbra sulle mie sono calde, morbide e umide. La sua saliva mi
brucia la
lingua. Non esiste nulla, oltre questo. I suoi ansiti e i suoi gemiti
sembrano
arrivare alle mie orecchie quasi attutiti. Seppellisce il viso nel
tenero
incavo del mio collo, ansimando rumorosamente. È
così caldo, così giusto.
Voglio
appartenergli. Sono suo. Completamente, nel corpo e nei sensi. Sento
quel
piacere indescrivibile salire d’intensità, sembra
quasi che voglia rompere la
barriera delle labbra e riversarsi nella sua bocca, perché
è da lui che viene,
e a lui deve tornare.
L’orgasmo
mi sorprende e fa contrarre ogni muscolo del mio corpo. È assoluto
e perfetto,
non ha nulla a che fare con tutto ciò che conosco. Mi
riempie, sembra farmi
scoppiare. E gemo rumorosamente, respirando forte, singhiozzando di
piacere,
aggrappandomi non più alla coperta di lino, ma alle sue
spalle ampie.
Lo
sento liberarsi dentro di me, e mi sembra quasi di morire.
Possa
io morire altre mille volte.
«...Morad» ansima sulla mia pelle.
E
in quel momento capisco che se Kamal appartiene e sempre
apparterrà ad Adel,
Morad è di proprietà del sovrano di Persia. Ed
è felice di esserlo.
Morad significa "desiderio".
Dunque. ^^ Grazie a NemuChan per la sua recensione! ^.^ E, soprattutto, per i suoi complimenti! Ti spiego la questione della brevità dei capitoli, che in effetti è molto semplice e riconducibile al carattere del personaggio. Va ad emozioni. Questo capitolo, appena postato, credo riesca a far intuire bene la questione. Credimi, non potrebbe essere altrimenti! Aspetto con ansia la tua opinione su questo nuovo capitolo! ^.^ |
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Capitolo 6 *** Purezza e Gelosia. ***
Purezza e Gelosia
La
corteccia sotto la mia schiena causa una sorta di piacevole prurito.
Vedo il
cielo cercare di penetrare le fronde dell’albero su cui mi
sono arrampicato, e
quel verde scuro e l’azzurro sembrano essere due cose
completamente diverse, ma
complementari. Come se non potessero esistere senza mescolarsi e
confondersi,
mantenendo intatta la loro essenza.
Mi
sfugge un sorriso al logico paragone. Ma non sono sicuro di essere io
il cielo.
Cerco di capire per quale assurda ragione la mia mente abbia deciso di
compararmi all’azzurro invece che al verde, ma una voce, due
o tre metri più in
basso, mi distrae. Volto la testa e il busto per vedere chi
è che sta parlando.
Ah,
ecco perché mi sono distratto.
Adel
mi sta chiamando. Muove qualche passo incerto sull’erba, e mi
sembra quasi di
sentire la consistenza del suolo sotto i piedi nudi, come la avverte
lui.
Finalmente, entra nel mio campo visivo, e mi stupisco di come il suo
corpo stia
cambiando ad una velocità incredibile, mentre il suo viso
rimane quasi identico
a quello del ragazzino a cui ho regalato un bacio tre anni fa, nella
sala del
trono. Mi chiama ancora, e mi sfugge un sorriso.
Le
sue preoccupazioni non si erano rivelate infondate come avevo sperato.
Il Kiyan
è molto protettivo, nei miei confronti. Qualche giorno fa ha
fatto frustare un
suo consigliere perché aveva osato mettermi una mano sulla
spalla e sorridermi
conciliante. In effetti non mi stupisce che adesso le persone a
malapena mi
rivolgano la parola. Ma non ha importanza. Finché posso
tornare a casa e dare
un bacio a mia madre e sorridere a mio padre, e vedere Adel
pressoché tutti i
giorni, niente mi fa sentire segregato.
Adel
mi chiama ancora. Cerca di non farsi sentire troppo, ovviamente. Quando
sono
salito su quest’albero, più o meno
un’ora fa, i giardini del palazzo erano
deserti. Probabilmente lo sono anche adesso, ma Adel è molto
prudente, lo è
sempre stato.
Decido
di mettere fine a questa sorta di gioco sadico. Con un salto, scendo
dal ramo e
atterro sull’erba, ad un metro da lui. Si volta di scatto e
per un attimo leggo
nei suoi occhi una domanda – “Da dove accidenti sei
uscito?” – poi si spostano
verso i rami dell’albero sopra di noi e le sue labbra
compiono il miracolo del
sorriso.
«Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi
per quanto tempo, esattamente?» domando, quando non lo vedo
muoversi
verso di me.
Lui
ride, e finalmente si avvicina. Si guarda intorno, prima di sfiorarmi
la
guancia con una carezza. «Non ti ha
mai dato fastidio essere osservato» mormora. Anche se lo vedo
tutti i
giorni, la sua voce ultimamente mi lascia un po’ confuso.
È diventata più roca,
più profonda, più matura, anche se il timbro
è lo stesso.
Piego
la testa per assecondare il movimento lieve della sua mano, prima di
stringerla
con la mia e portarmela alle labbra, sfiorando il palmo con la bocca
semiaperta. Chiudo gli occhi, e mi sfugge un sospiro.
«Non dovresti» mormora Adel, e sento
la sua mano tremare contro le mie labbra. Cerca di ritrarla, ma non lo
vuole
davvero e io lo trattengo. Apro gli occhi per osservare la sua
espressione: è
combattuta, come al solito.
«Non devi per forza dare retta al tuo nome»
sussurro, leccando lascivamente il palmo. Stavolta la ritrae sul serio,
e io mi
sento bizzarramente inutile, quando non c’è
più contatto fra la nostra pelle.
Gli lancio un’occhiata e mi accorgo che è
eccitato. Muovo un passo, sorridendo,
fino a far sfiorare il mio petto sulle sue braccia incrociate.
«Potresti ascoltare il tuo corpo, ogni tanto»
aggiungo, ampliando il sorriso.
Lui
si scosta ancora, di un passo. Non mi guarda. «Non usare
certi subdoli stratagemmi con me. Pensavo che il tuo signore
ti accontentasse abbastanza, sotto questo punto di vista»
dice, sempre
senza guardarmi.
Oh,
è geloso, è geloso da morire. Non mi è
sfuggita la piccola smorfia di rabbia
quando ha nominato il Kiyan. Mi avvicino di nuovo. «Non
essere ridicolo, Adel. Lui non ha niente a che fare con noi»
mormoro, sfiorandogli un avambraccio con le dita.
Mi
lancia un’occhiata sconvolgente. È un miscuglio
omogeneo di rabbia, gelosia e
desiderio. «Mi sembra invece che
abbia molto da fare, con te. La regina passa quasi ogni notte da sola,
nelle
sue stanze» dice, socchiudendo gli occhi e di conseguenza
intensificando
quello sguardo.
«Allora perché non vai a farle
compagnia?»
domando, velenoso, muovendo qualche passo per allontanarmi da lui.
Ovviamente,
mi ferma, afferrandomi un braccio e tirando affinché possa
guardarmi in faccia.
Non importa quanto rancore ci sputiamo addosso, lui non scappa.
Affronta ogni
situazione, ed è sempre pronto a riprendermi, quando per me
tutto diventa
insostenibile.
Non
mi piace che parli della regina. In realtà odio il fatto che
sulla sua bocca ci
sia il nome di qualsiasi donna. È una cosa che non ho mai
sopportato, ma da
qualche settimana so che la sua famiglia ha combinato un matrimonio con
una tale
Shireen, e la questione mi manda ai pazzi. Non so come accidenti sia
fatta, e
Adel non me l’ha mai presentata. Sa perfettamente che potrei
strapparle il
cuore dal petto e darlo in pasto a sua madre. Ne sarei capace.
«Io devo,
Kamal» mormora, gli occhi adesso velati di tristezza, come se
avesse
capito quello che sto pensando e volesse rassicurarmi. Ma a me non
importa
nulla dei suoi maledetti doveri. Non me ne è mai importato
niente, perché
quello che c’è o ci dovrebbe essere tra di noi
è oltre delle stupide
convenzioni sociali e ogni senso di giustizia. Pensare che quella
stupida
ragazzina potrà avere quello che io ho tanto desiderato e
non ho mai potuto
ottenere mi fa impazzire.
Involontariamente,
stringo i pugni. «Alla malora i tuoi
doveri!» esclamo, senza guardarlo. Con un secco movimento del
braccio,
gli faccio lasciare la presa. Lui, rapido, mi afferra di nuovo, e
stavolta non
riesco a liberarmi. Mi divincolo, ma non serve a niente. Io vivo negli
agi, lui
non ha mai smesso di lavorare, di rafforzare i suoi muscoli.
È troppo forte la
sua stretta, ma il potere che ha su di me lo è molto di
più. Rinuncio e chino
il capo, il respiro lievemente affannoso.
«Mi dispiace» mormora. Quando lo
guardo negli occhi, capisco che è vero. Ma ciò
non scaccia la rabbia e il
dolore. Lo sento allontanarsi da me, giorno dopo giorno. Il rapporto
che c’è
fra di noi va affievolendosi di minuto in minuto. E mi sembra di non
poter fare
nulla per mettere fine a questa tortura.
Sto
per dirgli qualcosa, ma delle voci giungono alle nostre orecchie e sono
costretto a zittire le mie parole sul nascere. Il Kiyan ha concluso la
sua
riunione con il capo di un villaggio vicino, e sembrano essere giunti
ad un
accordo favorevole per entrambe le parti. Sorridono, ridono, parlano a
voce
alta disegnando grandi gesti nell’aria con le mani. Poi il re
mi nota.
Ovviamente. Lo vedo compiere un grande sforzo per non lanciare ad Adel
– che
fortunatamente mi ha lasciato il braccio giusto in tempo –
un’occhiata omicida.
Sa quanto tengo a lui e difficilmente lo punirebbe. Mi fa cenno di
avvicinarmi.
Il
capo del villaggio alleato mi osserva, sbalordito. Quando mai i suoi
occhi di
popolano, per quanto ricco, hanno mai visto una pelle così
bianca?
Non
appena sono abbastanza vicino, il Kiyan mi porta un braccio intorno
alle spalle
e mi attira a sé. «Lui è
Parsa»
dice, e io sorrido educatamente, chinando il capo in segno di rispetto.
Ultimamente ha preso a chiamarmi in questo modo. Ma, lo capisce anche
quest’uomo, deve esserci un fondo di ironia nelle parole del
sovrano. Infatti
sorride divertito.
Ad
un certo punto mi chiedo persino se abbiano davvero parlato di
alleanze, prima.
Dopo
che sono rimasti per un po’ a fissarmi, tutti e due, il Kiyan
mormora: «Vai, e aspettami», dandomi una
leggera pacca sulla schiena per invitarmi ad entrare a palazzo. Rivolgo
un
sorriso gentile al capo villaggio, uno decisamente meno pudico e
remissivo al
sovrano, e varco l’uscio, diretto alle sue stanze.
Non
mi accorgo che Adel ha lasciato i giardini senza farsi vedere.
La frase "Non devi per forza dare retta al tuo nome" deriva dal significato del nome Adel, "giusto".
Grazie ancora a NemuChan per le sua sua spassosissima recensione al precedente capitolo! XD (E sì, è il pensiero che conta... ^^)
Mi scuso nuovamente con tutti i lettori per aver saltato un capitolo! *si prostra a terra* Il terzo, per la precisione! >__< *si vergogna come un ladro*
Detto questo, spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Alla prossima! ^^ |
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Capitolo 7 *** Amore e Morte. ***
Amore e Morte
Sto
già sospirando e la mia schiena è inarcata per il
piacere crescente che mi
invade le viscere, quando il Kiyan si ferma. Riapro gli occhi e lo
guardo
sorridendo, prima di accorgermi che nella sua espressione
c’è qualcosa che non
va.
«Tutto bene?» domando, osservandolo.
Senza
un minimo di preavviso, mi afferra un braccio e me lo porta davanti
agli occhi.
Dei, c’è un livido. Voglio morire. «Non
è niente. Sono cadu...».
«Kamal». Non è un rimprovero, non
è
una frase segnata dal disprezzo e dalla delusione, non è
rabbia. È solo il mio
nome, ma mi basta per tremare.
«Chi è stato?» domanda lui. Adesso
l’ira la avverto eccome, è un sibilo sulle sue
labbra. «Non sei caduto. Parla».
Scuoto
la testa e serro gli occhi. Non voglio guardarlo, mi fa sentire in
colpa. Con
la mano libera mi prende il mento fra pollice e indice e mi costringe a
fermare
quel gesto di disperato rifiuto. Sono obbligato a guardarlo.
Deglutisco. «Non... non l’ha fatto apposta. Non
voleva»
dico, abbassando gli occhi.
«Adel» mormora. E il suono di quel
nome tanto amato viene deformato dalla voce del sovrano, da qualcosa
nel suo
tono che mi rende disperato. Lascia il mio braccio.
«Non voleva, mio signore, non voleva... vi
prego, vi pre...». Scosta con facilità la mia mano
posata sulla sua
spalla, e si allontana. Mi da le spalle, seduto sulla stuoia. Mi alzo
in
ginocchio, ma non oso toccarlo. Ho la gola improvvisamente secca, e
inumidirmi
le labbra non serve a nulla.
«Ti ha toccato» dice, e vedo le sue
spalle ampie e scure tremare lievemente. Si volta a guardarmi. Non ho
mai visto
i suoi occhi in quello stato. Non c’è nulla di
calmo e gentile e amorevole, in
loro. «Ti ha toccato!»
ripete, quasi urlando.
Ho
paura.
«Io amo solo voi, mio signore»
mormoro. Mi avvicino e accolgo con stupore e felicità il
fatto che non si
ritragga. «Siete il mio re e...».
«Ti sei concesso a lui».
«No!».
Stavolta sono io a urlare. È un’esclamazione
disperata, la mia, perché lo vedo
alzarsi e raccogliere la sua veste. E so cosa ha intenzione di fare.
«No, mio signore. Mai. Mai. Io sono solo
vostro...».
«NON MENTIRMI!».
Taccio
e abbasso lo sguardo e la testa. Deglutisco, mentre i miei occhi si
muovono
sulla coperta scomposta, come se tra le sue pieghe potessi trovare una
soluzione a questa situazione straziante.
«Tu e quel tuo sguardo da ragazzino! Sei un
demone, ecco cosa sei! Attrai gli uomini a tuo piacere e rubi la loro
anima!»
urla, fuori di sé dalla rabbia. «Avrei
dovuto farti ammazzare anni fa! Quando ne ho avuto
l’occasione! E invece sei
riuscito a ingannarmi con il tuo aspetto fin dal primo...».
«Non vi sto ingannando! Lo giuro, ve lo
giuro... Adel non mi ha mai avuto! Io amo solo voi, mio signore... solo
voi...».
I singhiozzi mi impediscono di parlare. Voglio morire. Voglio morire.
Se Adel
verrà ucciso per colpa mia, morirò. Lo so. Me lo
sento. Non posso vivere con la
consapevolezza che la mia stupidità l’abbia
mandato a morte. Mi copro il viso
con le mani, piangendo disperatamente.
Il
Kiyan si placa. Come se le lacrime che mi sento scorrere tra le dita
abbiano
portato via la sua ira. Lo sento lasciarsi cadere in ginocchio davanti
a me, ma
non ho la forza di guardarlo. Mi sento più piccolo di
com’ero tre anni fa, più
impotente di allora, più debole di quanto sarei mai stato in
tutta la mia
esistenza.
Inaspettatamente,
mi abbraccia e mi stringe al suo petto nudo e caldo. «Vi
prego, mio signore... vi prego...» continuo a mormorare. E
non m’importa di implorare, non m’importa di
pregare, di prostrarmi, umiliarmi,
annullarmi, se servirà a
convincerlo.
«Lui deve morire».
«NO!» urlo, scostandomi. «Non potete! Non
potete farlo! Mio signore,
vi prego...».
«Tu lo ami».
Un
singhiozzo mi si strozza in gola.
«Lo ami».
«No, io...».
Lo
schiaffo che mi colpisce una guancia è forte e secco, mi fa
voltare la testa.
Non riesco a muovermi. I miei occhi sono spalancati e confusi,
atterriti, ma
immobili.
«Lui deve
morire» ripete il Kiyan, il re, il sovrano di Persia. Colui
che fino ad
ora è stato il mio signore e maestro, il mio unico dio.
Non
riesco a smettere di tremare. C’è qualcosa dentro
di me che mi scuote le
membra, e non ho la forza necessaria nemmeno per tentare di placarlo.
Quel
qualcosa mi fa avvizzire il cuore nel petto, mi annebbia il cervello,
mi causa
un dolore che è anche fisico. Mi porto inconsciamente una
mano al petto, su
quel cuore morente, e senza accorgermene graffio la pelle, stringendo
le dita
in un pugno tremante, come tutto il resto del mio candido, perfetto e
inutile
corpo.
La
porta della stanza si chiude con un duro colpo di legno contro legno.
Non
sussulto, continuo a tremare. Continuo a versare lacrime silenziose e
terribili. Continuo a piangere. Continuo a maledire quella perfezione
che porto
addosso e che ha sempre irrimediabilmente condizionato la mia vita.
L’ha
distrutta. L’ha devastata. L’ha
uccisa.
E
ora Adel sarà la sua ennesima vittima.
E
io con lui.
Io
con lui.
Con
lui.
Adel.
Alors.
MatyXV: innanzi tutto, grazie per aver commentato. *si inchina* La questione della carnagione chiara di Kamal è molto semplice: è stato trovato. ^.^ (pensavo si intuisse dal primo capitolo...) Non è persiano. ^.^ Comunque son contento che la storia ti sia piaciuta.
NemuChan: carissima commentatrice assidua! ^.^ Parsa nell'antica lingua significa "casto, puro". (e, ovviamente, nel caso di Kamal va inteso in senso ironico. XD) Comunque non l'ho scritto nelle note di fine capitolo perchè lo dirà Kamal stesso prossimamente. ^.^ Mmm. ...sei davvero sicura di amare il Kiyan, adesso? *ride*
Per tutti gli altri lettori anonimi, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. (So che ci siete! Tremate! XD)
Alla prossima! ^.^ *si inchina* |
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Capitolo 8 *** Mancanza e Vendetta. ***
Mancanza e Vendetta
Adel
è bellissimo, e completamente nudo. Ogni muscolo del suo
corpo è deciso e
disegnato, la sua pelle è lucida e bronzea, troppo calda. Ma
così familiare.
Percorro
le sue spalle e le sue braccia con le dita, rimarcando le linee
perfette che
gli dei gli hanno concesso. Le ridisegno ancora, e ancora, e ancora,
mai sazio
di quel calore e di quella levigatezza infantile sul suo corpo adulto.
È
fuoco, il mio Adel. È fuoco ed è carne, muscoli
guizzanti e tendini tesi. È
l’unica cosa che esiste, dentro e fuori di me. Il piacere
è assoluto, è acqua
bollente, è il cielo stellato sopra di noi, è
tutto il mio mondo. È un piacere
che cresce, e cresce, e cresce e...
Apro
gli occhi. Un tiepido e gentile raggio di sole mi sfiora il viso e le
coperte
candide sono una cornice così adatta alla bella giornata
fuori dalla finestra.
Lo
cerco accanto a me, ma non c’è.
Non
c’è.
Era
un sogno. Un altro. L’ennesimo. Così reale e
orribile, così finto e
meraviglioso. Così dolce da fare male.
Mi
raggomitolo e piango. Ancora.
Sono
trascorsi due mesi. Sono sempre solo, sempre stanco, sempre triste. Non
esco
dalle mie stanze per nessuna ragione, e il Kiyan ha smesso di venire a
trovarmi
ogni notte. Non lo vedo da giorni.
Giorni
interi che passo sdraiato sulla stuoia, a piangere e dormire, quando
proprio
non riesco più a sopportare il dolore. Mia madre mi porta
del cibo tre volte al
giorno, e tre volte al giorno riporta tutto indietro, intatto.
Non
mi stupisce che il Kiyan non voglia più avermi. Sono troppo
debole per
rispondere ai suoi gesti e tanto magro da disgustarlo. Quando ci penso,
sento
un sorriso tirarmi la pelle. È ciò che voglio.
Voglio
distruggermi. Voglio fa scomparire quella bellezza che è
stata la causa di
tutti i miei mali. È stata anche alla base di qualche misera
felicità, ma ora
che Adel non c’è più non ha importanza.
Niente ha importanza.
Adel.
Voglio
morire.
«Vattene».
La voce è un sussurro
arrochito, ansante, irriconoscibile. Mi costa un immenso sforzo
pronunciare
quell’unica parola. Dei, sto per svenire.
«Kamal, devi mangiare».
Chiudo
gli occhi, insensibile ai singhiozzi di mia madre. Non riesco a
dispiacermi
nemmeno del fatto che non mi causino nulla. Sono così
stanco...
Il
suono di un paio di piedi che si posano sul pavimento è
così forte da farmi
dolere la testa. Due braccia mi tirano a sedere, e non riesco a
oppormi. Non
riesco a muovere le labbra nemmeno per mormorare un flebile diniego. Me
le
schiudono a forza e qualcosa di liquido, fresco e dolce mi
scorre
sulla lingua. La tosse che mi scuote il petto è tanto forte
da rischiare di
spezzarmi le ossa. Ma subito si placa e mi scopro di nuovo ad odiare il
mio
corpo perché vuole quel nutrimento. Cerco di sopprimerlo,
come ho fatto per
giorni e notti, notti e giorni, ma non ci riesco.
Bevo,
e mentre mia madre e mio padre ridono di gioia, mi sembra che quel
mondo fino
ad oggi così categoricamente rifiutato mi stia crollando
addosso.
Di
nuovo.
«Morad».
Alzo
gli occhi e il suo viso è davanti al mio. Lo guardo per un
istante, poi
abbandono di nuovo la testa sulla stuoia, voltata di lato. Non mi
interessa
guardarlo.
La
mia disarmante passività non sembra sortire effetti, su di
lui. È dentro di me
da qualche minuto, lo so perché ho contato ogni secondo
passare. La prossima
volta conterò i suoi gemiti, quella dopo i suoi sospiri. La
volta scorsa ho
contato le sue spinte. È arrivato a duecentoottantasette,
poi è uscito dal mio
corpo e se n’è andato.
«Morad».
Si
è fermato. Ancora, nel pronunciare il mio nome. Vuole che lo
ascolti. Che
faccia almeno caso, che dia una seppur minima importanza al fatto che
stia
facendo del sesso con me. Lui lo sta facendo. A me non interessa. Non
sono
eccitato e non ho voglia di esserlo.
Aspetto
che pronunci il mio nome ancora una volta e poi riprenda a muoversi.
“Cinquantotto, cinquantanove,
sessanta.
Quattro minuti. Uno, due, tre...”.
Ho
deciso che sedurrò ogni singolo uomo che mi
passerà davanti, da oggi. Il Kiyan
non potrà mettere a morte tre quarti dei suoi cortigiani,
no? Magari deciderà
di uccidere me, però. Questo non fa altro che spingermi a
perseguire il mio
scopo.
Il
mio sorriso è molto simile – non identico
– a quello che rivolgevo al sovrano
fino a qualche mese fa, quando mi avvicino ad una coppia di soldati
intenti a
fare la guardia ai lati del maestoso ingresso del palazzo. Auguro loro
una
buona giornata, e con una scusa qualsiasi rimango a parlare con loro.
Entro
pochi minuti, i loro sguardi sono decisamente meno attenti e meno
rapidi a
volgersi in direzione dei servi che di tanto in tanto varcano la
soglia.
Continuo a sorridere e a blaterare cose del tutto prive di un vero
interesse,
fino a che non accuso un giramento di testa e invito il più
alto dei due ad
accompagnarmi alle mie stanze.
Un
vero peccato che il Kiyan sia occupato con i suoi generali, al momento.
Ma non
è ancora l’ora di godere per
l’espressione che vedrò nascere sul suo viso nel
vedermi posseduto da qualcun altro, e nel sentirmi gemere rumorosamente
ad ogni
spinta.
Magari
gli verrà in mente cosa so ancora fare con questa bocca.
Eccoci qua. ^.^
Ringrazio come sempre MatyXV e NemuChan per le loro recensioni. *si inchina*
Grazie anche a tutti i lettori che hanno aggiunto questa storia tra i preferiti e le seguite. Grazie davvero. *quasi commosso* (XD)
Al prossimo capitolo! ^.^
|
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Capitolo 9 *** Ricordo e Sofferenza. ***
Ricordo e Sofferenza
Il
paio di mani che mi corrono sulla pelle sono scurissime, sembrano quasi
fredde
al confronto con la mia pelle bollente. Mi abbandono al loro sfiorare
ed
esplorare, chiudendo gli occhi mentre l’aria mi esce dalle
labbra in lievi
sospiri.
È
tutto calcolato. Fra poco il Kiyan tornerà qui, nelle mie
stanze. E non mi
troverà da solo; l’uomo che ho scelto non
è bello, né alto. Non ha nulla di
interessante in quei capelli grigi che cominciano a sparire sulle
tempie. Ma
non importa. È un uomo e tanto basta.
Appoggio
ginocchia e palmi sulla stuoia, non voglio guardarlo in faccia. La
lieve
eccitazione che sento scorrere calma sotto la pelle potrebbe sparire, e
a me
serve. Mi serve per fare del male a me stesso e al sovrano di Persia. E
io
desidero disperatamente entrambe le cose.
È
dentro di me e lo sento gemere e invocare il mio nome, che appena
l’ho adescato
l’ha fatto sorridere. Parsa: casto, puro. Mi viene quasi da
ridere. Al momento
non esiste nessuno al mondo più corrotto e sporco di me.
Nessuno tanto disposto
a mandare alle ortiche una vita che potrebbe essere meravigliosa per lo
sciocco
dolore di un amico perduto. Adel. Che non era soltanto quello. Era
molto più di
un amico, un amante e un fratello. Era l’altra parte di me. E
adesso è morto. E
con lui quel lato del mio essere è scomparso, come se non
fosse mai esistito. E
mi ha lasciato vuoto, e finto, e svuotato, e inutile.
Inarco
un poco la schiena, gemendo. Mi sembra quasi di sentire i passi del
Kiyan, un
attimo prima che la porta della stanza si apra e mi volti giusto in
tempo per
osservare quell’espressione che per molte notti e molti
giorni è stata l’unica
cosa che mi ha fatto andare avanti e mi ha impedito di aprirmi le vene
con uno
di quei coltelli gemmati nella sala d’ingresso.
È
addolorato. Sconvolto. Sorpreso, anche. Ma, soprattutto, è
furioso. L’uomo ha
cominciato ad implorare perdono già da diversi istanti, mi
porto a sedere per
osservarlo allungare le braccia in direzione del re, piangendo
disperato.
Guardo il suo corpo nudo e prostrato, e non posso fare a meno di
compararlo ad
un grosso e viscido verme. Non c’è ansia
né paura dentro di me. Solo quiete.
Il
Kiyan ha mosso qualche passo e si è portato alle sue spalle.
Tremano le sue braccia
e trema la mano che ha appena sfoderato un pugnale. Le gemme sul manico
sembrano quasi brillare alla luce del sole che penetra nella stanza. La
mano
libera si dirige fra i radi capelli dell’uomo inginocchiato e
tira.
Lo
sguardo terrorizzato di quel cortigiano non mi causa nulla.
Non
c’è rumore. La lama recide la tenera carne della
gola senza emettere un suono.
Mi scanso perché il sangue non mi sporchi. Il corpo cade sul
pavimento con un
tonfo. Sorrido, alzando lo sguardo verso il sovrano. Trema
un’ultima volta, poi
scappa, sbattendosi la porta alle spalle.
La
macchia si allarga sul pavimento, e mi scopro osservarla affascinato.
Raggiunge
la stuoia, ma non me. E questo è quello che conta. So che
sono stato io la
causa della morte di quest’uomo inutile e disgustoso, ma non
voglio essere
toccato dal suo maledetto sangue. Non era mia la mano che reggeva il
coltello.
Io
sono innocente.
Pensavo
che stanotte non sarebbe venuto da me.
E
invece è qui, e le sue spinte sono rapide, forti, feroci e
incredibilmente
dolorose. Non riesco ad escluderlo, come ho fatto da parecchie lune. Fa
male.
Non
è mai stato così.
Ma
sento che ogni fremito nelle sue mani lo uccide, esattamente come sta
uccidendo
me. Ogni spinta è un insulto sputato sulla pelle scoperta e
sudata. Ogni
ringhio e ogni ansito sono minacce di infiniti tormenti.
Finché
il dolore e la rabbia gli pervadono i sensi, sopporterò.
È
una bella giornata.
Il
sole splende nei giardini del palazzo e gli alberi sono carichi di
frutti.
L’erba sotto i piedi nudi è tiepida e umida. Un
paio di ragazzini mi sfrecciano
accanto, ridendo. Sorrido, almeno fino a che non li sento urlare e non
vedo i
loro piccoli corpi cadere a terra e le loro risate ansanti non mi
giungono alle
orecchie.
Chino
la testa e riprendo a camminare.
«PERCHE’
LO FAI?!».
«Ne ho voglia».
Lo
vedo tremare da capo a piedi per sopprimere l’ennesimo urlo
che minaccia di
spaccargli il petto in due. Sorrido, quasi dolcemente.
«Tu vuoi punirmi! Tu vuoi uccidermi!»
esclama, stringendo con forza quel pugnale ormai macchiato del sangue
di
innumerevoli uomini.
«Sì».
Ammutolisce. «Vuoi uccidermi...» mormora,
lo sguardo perso e immobile.
«Sì» ripeto in tono soave.
Spero
che quella mano tremante mi diriga contro la lama e metta fine ad ogni
cosa.
Sono praticamente certo che mi ucciderà, quando si avvicina.
Ma
il pugnale cade a terra con un suono attutito dalle mani e dalle labbra
del
Kiyan che mi invadono il viso e la bocca. Non faccio nulla.
Mi
prende per le spalle e mi scuote con forza. Mi limito a sorridergli.
«Non puoi farmi questo! Non puoi...».
La sua voce si affievolisce fino a non permettergli di emettere anche
il minimo
suono.
Rimango
in silenzio.
«Tu sei mio... sei mio! Mi hai capito?! SEI
MIO!» urla. «Non permetterò
che qualcun altro ti tocchi!» aggiunge. Lo vedo cercare
qualcosa nei
miei occhi, ma non trova nulla. Tutta l’ammirazione,
l’amore, l’affetto, la
venerazione che provavo per lui. Sono sparite. Si sono accartocciate su
loro
stesse fino a crepitare, come immerse nel fuoco, e sono scomparse. La
loro
cenere è il suo dolore. E la mia forza.
Perché
l’ho amato. In un modo completamente diverso da Adel, ma
l’ho amato. Fin da
quando mi ha salvato, ancora bambino, anni fa, dall’invidia
del suo protetto di
allora. Era il mio dio. Era il mio signore. I miei occhi di fanciullo e
poi di
ragazzo in lui non vedevano altro che bontà, giustizia,
gentilezza. Ed ero suo,
solo suo.
Fra
le sue braccia bollenti e scure, non c’era nulla che potesse
farmi del male.
Una
lama di sottile e crudele sofferenza sembra lacerarmi il petto.
Conosceva
la mia pelle meglio di quanto la conoscessi io. Sapeva farmi tremare da
capo a
piedi con un sospiro che andava ad infrangersi nel punto giusto. Le sue
mani
sul mio corpo erano l’unica cosa vera e fisicamente presente
che riuscissi a
concepire. Le sue labbra e la sua lingua lasciavano scie gentili e
bramose fino
a farmi gemere. E lo amavo. Perdutamente. Terribilmente.
Ma
se serve fingere di averlo sempre odiato, ebbene, lo farò.
Riporterò alla mente
ogni istante in cui mi ha fatto sentire un oggetto, ogni secondo di
ogni notte
che passava con la regina, lontano dalla mia stuoia e dalle mie labbra.
Ricorderò i sorrisi complici a accondiscendenti che mi
lanciavano gli altri a
corte. Rammenterò le ore passate a piangere e a dormire,
devastato nell’anima e
nel corpo.
Le
volte in cui mi faceva sentire al centro del mondo non sono mai
esistite. Mai.
E eccoci di nuovo qui. ^^
Grazie come sempre a Nemuchan per la sua recensione. ^^ Sai, il Kyian è un personaggio, a mio parere, piuttosto affascinante. *ride* Quindi capisco la tua indecisione sul cosa pensare di lui. ^^
Grazie anche a coloro che leggono restando in virtuale silenzio. *si inchina*
Alla prossima!
P.S. Vi avviso da ora, comunque. Il prossimo capitolo sarà molto breve, e non posso fare a meno di postarlo così com'è. ^^ Comunque come potete vedere aggiorno molto spesso e, perciò, non vi farò penare molto. ^^ |
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Capitolo 10 *** Tradimento e Intermezzo. ***
Tradimento e Intermezzo
«Kamal, forse non
dovresti...».
«Non dovrei cosa?» ribatto, fulmineo.
Odio questo maledetto discorso. Mia madre lo tira fuori ogni volta che
vengo a
trovare lei e mio padre a casa. Perché deve rovinare in
questo modo quei pochi
momenti che trascorriamo tutti insieme, come se fossimo ancora la
famiglia che
non siamo mai veramente stati?
«Kamal...». Mio padre mormora il mio
nome. Avverto una nota di lieve rimprovero. Non tanto per come mi sto
comportando da qualche tempo con tutti gli uomini che incrociano la mia
strada
e con il Kiyan, quanto per aver risposto in malo modo a mia madre. Sa
che non è
mia intenzione trattarla in questa maniera. Ma non riesco a farne a
meno.
Fingo
di non aver capito perché mi ha rimproverato in modo tanto
blando. «Se lo merita. Adel è morto per colpa sua.
L’ha ucciso lui» mormoro, abbassando lo sguardo.
Avrei voluto mantenere
un tono fermo e gelido, ma la mia voce pare incrinarsi ogni volta che
pronuncio
quel nome. Come se il suo ricordo mi accoltellasse alla gola.
Mia
madre rimane in silenzio. Ma lo sguardo di mio padre che si abbassa ed
evita di
guardarmi, mi spinge a rialzare la testa. «Cosa?»
domando, fissandolo.
Mio
padre mi ha sempre adorato. Anche ora, anche quando sento di non
meritarmi affatto
il suo amore, lui me lo regala. E a ondate. Ma c’è
qualcosa che mi spinge a
credere che lo faccia solo perché non può farne a
meno. E non riesce a
mentirmi.
«Papà» mormoro, cercando di
intercettare i suoi occhi. Mi scopro a rabbrividire lievemente.
È molto, molto
improbabile che sia stato lo stesso Kiyan ad uccidere Adel. Il re di
Persia ha
tagliato la gola a molti uomini che ha trovato nel mio letto negli
ultimi
tempi, ma Adel deve averlo ucciso qualcun altro.
La
bocca mi diventa improvvisamente secca.
Stavolta,
non c’è la presa salda di Adel a trattenermi dal
fuggire.
Il
mio respiro è ancora affannato e irregolare, quando appoggio
la schiena al
tronco di un albero. Ho attraversato il fiume a nuoto, incurante delle
grida
delle donne impegnate a lavare le vesti, e sono arrivato
involontariamente in
questo posto.
Guardo
in alto e mi aspetto quasi di rivedere il cielo stellato e immenso che
i miei
occhi hanno osservato anni fa. Ma c’è solamente
quell’azzurro accecante e
l’impronta del corpo mio e di Adel non piega più
gli steli d’erba.
Muovo
qualche passo all’interno della piccola radura. Sento il
cuore battermi
ferocemente in petto per la corsa. Vorrei continuare a correre e
sperare che
questo organo ostinato si fermi, ma la milza mi duole e rinuncio,
lasciandomi
cadere a terra. Ho i capelli bagnati, ma al momento non mi importa.
Scosto una
ciocca che sembra voglia strangolarmi e socchiudo gli occhi per
osservare il
cielo.
«Chissà che mi avresti detto, Adel, se
avessi potuto» mormoro con un sorriso che non è
gioia né melanconia. È
più una sorta di lacerante rassegnazione e terribile
consapevolezza. Scuoto la
testa e mi lascio scappare un lieve sbuffo. Mi avrebbe detto
– no, ordinato
– di andare avanti senza di
lui. Consapevole quanto me che non ne sarei stato capace o che gli
avrei
disobbedito solo per il piacere di farlo.
Un
pizzicore all’interno del naso mi fa ringhiare. Mi sono
stancato di piangere.
Non voglio più farlo. Sono passati sei mesi da quando Adel
se n’è andato e
continuare a versare lacrime non me lo ridarà indietro.
Chiudo gli occhi,
sperando che arrivi qualche fiera a sbranarmi.
Un
rumore lieve di foglie smosse e di erba piagata sotto il peso sembra
giungere
alle mie orecchie come una preghiera esaudita.
Come vi avevo detto, questo capitolo è molto breve. ^^ E so già che qualcuno mi odierà, per questo... XD
NemuChan Ci saranno ancora tre capitoli, poi "Vita" sarà conclusa. ^^ Per ora, non sto scrivendo nulla, ma ho in mente di continuare questa storia. Sfortunatamente, quest'anno ho gli esami di maturità - maturità di cosa, poi... XD - quindi non ho il tempo nè - mi costa ammetterlo - l'ispirazione per narrare ancora di Kamal.
Come sempre, grazie ai lettori! ^^
Alla prossima! ^^ |
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Capitolo 11 *** Incubo e Speranza. ***
Incubo e Speranza
«Kamal».
Sono
morto. Devo essere morto. È stato tutto così
veloce... non ho nemmeno sentito
dolore. Ma l’erba sotto la schiena e le gambe nude sembra
così reale. Tengo gli
occhi chiusi, ho paura che, se li aprissi, quella voce sparirebbe. Di
nuovo.
Ho
trascorso mesi a ricordarla, ma ora i pensieri che la mia mente ha
elaborato
nell’agonia mi sembrano scialbi e insipidi. Quasi tremo.
E
se fosse solo l’ennesimo sogno?
«Kamal...».
«Non voglio svegliarmi» mormoro quasi
senza accorgermene. Il vuoto dietro le palpebre chiuse si fa
più scuro. Qualcosa
ha impedito al sole di colpirmi il viso. Stavolta tremo davvero;
è qualcosa di
incontrollato che parte dalle mani e arriva a rizzarmi i capelli sulla
nuca.
Un
respiro mi accarezza le labbra. Che io sia dannato se questo non
è l’odore di
Adel. È talmente vicino che posso sentire il suo sapore in
bocca. Mi sfugge un
sospiro tremante, mentre delle dita mi sfiorano una guancia.
«Mi dispiace...» mormora la voce.
E
finalmente apro gli occhi.
Dei,
sto per morire davvero, adesso.
Non
ho il tempo di realizzare nulla, il mio corpo non concede nemmeno un
istante al
cervello per elaborare e metabolizzare l’evento. Mi lancio su
di lui.
Vorrei
chiedergli come fa ad essere ancora qui, vorrei domandargli che fine ha
fatto
in questi mesi. Ma al momento ho le labbra occupate a baciare ogni
singolo
lembo della sua pelle abbastanza vicino.
Capisco
che è un sogno non appena realizzo che non si ritrae.
Così mi scosto io.
«Sto sognando» dico, impossibilitato
a non guardarlo. Dei, è così bello. Non potrei
staccargli gli occhi di dosso
nemmeno se lo volessi davvero. Ma non può, non
può essere qui. Non può essere
fisicamente qui. È morto. È morto. Sei mesi fa.
«Adel...».
Stavolta
è lui ad avvicinarsi. Mi abbraccia, forte. Sembra quasi che
voglia soffocarmi.
Mi bacia la testa, la fronte, le guance, ritorna ai capelli. «Mi
dispiace... ho dovuto farlo... Kamal...»
lo sento mormorare, lievemente ansante.
Scuoto
la testa in un gesto totalmente istintivo. «Tu... non...».
Mi
ferma mettendomi le mani sulle guance. «Sono
qui. Sono qui».
“No, non sei qui. Non puoi. Sei
morto. Morto.
Ed è stata colpa mia...” penso, ma non
riesco a dare vita a questo dolore.
Non riesco a crederci. Perché non è vero.
Ma,
che cada il cielo e mi strappino i settecento veli del cuore, se la sua
pelle
non è serica come la ricordavo. Se il suo sapore non
è accecante e se il suo
odore non riesce a stordirmi tanto da farmi rabbrividire.
Mi
accorgo di piangere solo quando lo sento asciugarmi il viso con i
pollici. Le
lacrime mi tirano la pelle delle guance. Sembra tutto così
reale...
«Il Kiyan non ha ordinato la mia morte,
Kamal. Avrebbe voluto, ma non l’ha fatto... ho solo avuto
l’obbligo di
abbandonare la città e non farmi mai più
vedere... No, non... non fare così...»
dice, vedendomi scuotere la testa.
Dei,
voglio morire.
Non
è qui. Non... «Adel...». Ho la
voce roca. Ma non tento di schiarirla con un colpo di tosse.
È un groppo al
centro esatto del petto che me lo impedisce. E somiglia tragicamente
all’angoscia. Mi sembra che ogni volta che pronuncio il suo
nome qualcosa
dentro di me si laceri senza possibilità di rinsavire.
Avvicina
il suo viso al mio. Lo vedo chiudere gli occhi. «Mi
dispiace...».
«Mio padre... lui...».
«Sa tutto. Mi ha aiutato ad uscire dalla
città senza farmi vedere da nessuno. Tu non... dovevi sapere».
Le sue
parole sembrano giungermi alle orecchie con qualche secondo di ritardo.
Ma
quando arrivano, esplodo. «TU NON SAI
QUELLO CHE HO PASSATO!» urlo. Sono assolutamente sconvolto.
Sento la
gola bruciarmi, ma è come se non fossi davvero io, a
gridare. «Cosa ho fatto! Cosa mi avete fatto...».
Non riesco più a parlare, ma non smetto di guardarlo. Dei,
non ci riuscirei
nemmeno se ne valesse della mia vita.
Di
nuovo, mi ritrovo con il viso seppellito sulla tenera carne del suo
petto.
Esalo un sospiro tremante. Un singhiozzo mi scuote il petto.
«Ti amo».
Non
pensavo che sarei mai tornato a sorridere.
Invece
lo faccio. Tutti i giorni.
Adel
si è accampato nel bosco oltre il fiume. Vado da lui ogni
volta che mi è
possibile. E il sesso con il Kiyan è tornato ad essere
abbandono.
Con
Adel no. Con lui è fuoco. Un fuoco amico, che scalda, ma non
brucia. Facciamo
l’amore ogni volta che ci vediamo.
A
volte penso che non sia mai cambiato nulla. Vedo il suo corpo adulto e
posso
sentirlo sotto le dita senza rimorso. Ma ha le fossette sulle guance.
È il mio
Adel. È il bambino che mi ha bloccato a terra, ansante e
stremato, e che mi ha
battuto nella corsa e nella lotta. È il ragazzo che ho
imparato ad amare e
conoscere ogni istante della mia vita fino ad adesso; sempre nuovo e
uguale. È
l’uomo che sto vivendo e che voglio vivere fino a quando non
smetterò di
respirare.
E
anche dopo, forse.
«Non
l’hai più sposata, quella?».
La
risata che gli scuote il petto arriva fino alla mia testa, posata sulla
sua
pelle. La sua mano corre come sempre tra i miei capelli. Sospira; sento
quasi
l’aria che gli invade i polmoni e viene rilasciata.
Lo
prendo per un no. «Non l’ho mai vista»
aggiungo. Il lieve moto d’irritazione che provavo quasi un
anno fa a pensare
alla promessa sposa del mio migliore amico è un sottofondo
che sa di ricordo e
di tenerezza.
«È bella» mormora.
La
mia testa si alza di scatto dal suo petto e i miei occhi si socchiudono
nel
giro di qualche istante. Però sorrido, perché lo
sta facendo anche lui. «Le donne sono stupide e
fragili»
dico, senza smettere di sorridere. «E
non sanno nulla dell’amore».
«E tu sì?» mi rimbecca lui, alzando
un sopracciglio.
Rido. «Io ho te».
«...e il Kiyan» aggiunge Adel,
corrugando la fronte e guardando altrove.
«Non è lui che mi fa sorridere» ribatto,
fissandolo.
Adel
sospira, ma vedo una fossetta sulla guancia visibile e capisco che non
è
arrabbiato. «È riuscito ad avere un
figlio?»
domanda.
Le
mie sopracciglia si inarcano. «No».
Silenzio,
per qualche istante.
«La Regina mi odia» mormoro, accoccolandomi
di nuovo sul suo corpo. Accarezzo distrattamente il suo petto. Il suo
respiro
sembra quasi cullarmi.
«Comprensibile».
Gli
schiaffeggio l’addome, non troppo forte. Lo sento ridere.
«Gliel’hai rubato» spiega. Le sue
dita mi corrono sulla schiena e si fermano in basso, attirandomi a lui.
Posa le
labbra sui miei capelli e il lieve movimento mi fa capire che sta
sorridendo. «Ma è comprensibile anche
questo»
aggiunge.
Sorrido. «Stupido». Mi sfugge un
sospiro e una tenue risata. «Comincio
a temere che ordini a qualche sua serva di avvelenarmi il cibo, prima o
poi».
Faccio una pausa, ma Adel non coglie l’occasione.
«Se ce ne andassimo...».
Non
riesco nemmeno a concludere il pensiero. «No» dice.
Alzo
lo sguardo. Non sorride. Incrocia i miei occhi. «Sono vivo
grazie a lui. Si è preso cura di te da sempre, Kamal. Non
puoi abbandonarlo».
Vorrei
ribattere, ma è la verità.
Ebbene, sì. Siete tutti liberissimi di odiare me e Kamal. *ride*
Lilandh (che come nickname mi piace proprio! E' così musicale! *w*) Comunque. ^^ Grazie per aver recensito, sono contento che ti piaccia. *si inchina*
Orbene, anche questo capitolo è concluso. ^^ Ricordo a tutti che ce ne saranno altri due, poi questa storia si concluderà. ^^
Alla prossima! ^^ |
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Capitolo 12 *** Perdita e Sorpresa. ***
Perdita e Sorpresa
Mio
padre è partito per la guerra una settimana fa. Di recente
è stato promosso a
comandante del battaglione d’attacco. Ho visto giovani uomini
partire con lui,
il terrore negli occhi e l’orgoglio nascosto. Ormai ho sedici
anni. Se non
fossi il concubino del Kiyan, quella sarebbe anche la mia sorte.
Non
so se essere contento o sentirmi, per l’ennesima volta nella
mia vita, diverso
da tutti gli altri. Ma qui c’è Adel, che mi
aspetta ogni giorni al di là del
fiume. Lontano da tutto il resto, con le sue labbra sulle mie, riesco a
scordare qualsiasi cosa.
È
lui a consolarmi, quando vedo passare i giorni e i mesi, e a palazzo
giunge la
notizia che la battaglia è stata persa. E mio padre
è morto.
Non
riesco ad essere arrabbiato con il sovrano, per aver ordinato agli
uomini di
andare a combattere. È il suo dovere. E so che, se non fosse
stato per lui,
Adel non sarebbe qui, adesso. Non sarebbe qui ad accarezzarmi i capelli
e a
dirmi che mio padre è morto con onore. Non sarebbe qui ad
asciugarmi le lacrime
con le labbra.
Ma
mia madre ora è sola, e triste, e vuota.
Vedo
in lei ciò che io sono stato, e questo mi distrugge.
Rinuncio sempre più spesso
di attraversare il fiume e recarmi da Adel. Mia madre ha bisogno di me.
So che
non toccherebbe cibo, in mia assenza.
Sono
diviso, lacerato.
Dirigo
tre vite, in contemporanea, e tutte mi sono indispensabili. Ma ora sto
cominciando a pensare che prima o poi una delle tre mi
inghiottirà.
«Kamal...».
Alzo
la testa per guardarlo negli occhi. Ma in un istante comprendo che
ciò che trova
lui nei miei non gli piace affatto. Vedo le sue sopracciglia
aggrottarsi un
poco e avrei voglia di baciarle per far distendere la sua fronte, ma
non lo
faccio.
Non
dice nulla, il mio Adel. Mi guarda, come se fosse in attesa. Ma cosa
sta
aspettando? L’ennesima rassicurazione sul mio maledetto umore?
«Per favore, Adel...» mormoro in tono
vagamente supplichevole, posando ancora la guancia sulla sua pelle
scura e
calda. Sento il suo cuore che batte. E mi sembra quasi che sia quello a
parlarmi al posto suo.
Chiudo
gli occhi, ho solamente voglia di dormire. Sto per scivolare in un
sonno
annoiato, poco dopo, ma lui si sposta e mi toglie il sostegno. Alzo
ancora il
capo, e lo osservo per qualche istante.
«Devi dirmi cosa c’è che non va»
dice, incatenando i miei occhi ai suoi. È serissimo, e la
cosa, invece di
spaventarmi, aumenta la noia e l’apatia che da qualche tempo
hanno messo radici
all’interno del mio essere.
Piego
un braccio sotto la testa. «Non c’è
niente che non va» rispondo, chiudendo ancora gli occhi. Sono
perfettamente consapevole che non mi crederà mai. Ma non
m’importa. Voglio
smettere di pensare, perché ultimamente quel tipo di
attività cerebrale mi fa
bruciare gli occhi e partorisce il groppo in gola che tanto odio.
Lo
sento avvicinarsi. Posa le labbra in quell’incavo appena
accennato, sotto
l’orecchio. «Stai mentendo»
mormora, e avverto il suo respiro sulla pelle. Ma il suo tono mi fa
capire che
la questione sta per passare in secondo piano.
Mi
viene naturale e automatico alzare una mano per accarezzargli i
capelli. Scendo
lungo la nuca e solletico la leggera peluria che gli ricopre il retro
del
collo, in punta di dita. Lo graffio delicatamente. So che gli piace ma,
come
ogni volta, me ne da la conferma afferrandomi un fianco con decisione,
attirando il mio corpo al suo. Mi lascio sfuggire un mugolio
d’approvazione,
circondandogli un fianco con la gamba.
«Sei un demonio» mormora, in un
sorriso, prima di infilarmi la lingua in bocca senza troppe cerimonie.
Lo
conduco ad un ritmo più lento e, mentre gli mordo
delicatamente le labbra e la
sua mano arriva lentamente alla mia schiena per pressarmi contro di
sé,
finalmente il mio cervello smette di funzionare.
«Avete sete, mio
signore?».
Lo
vedo, grazie alla tenue e pallida luce che filtra dalla finestra,
annuire. Mi
sfugge un sorriso sereno, quando i miei occhi scorrono meccanicamente
sul suo
corpo semiscoperto, sdraiato sulla stuoia. Il contrasto fra le coperte
candide
e il suo torace e le sue gambe nude è qualcosa di
così familiare da
intenerirmi.
Mi
cingo i fianchi con un pezzo di stoffa, solamente perché so
che il Kiyan non
vuole che nessuno mi veda nudo. I miei piedi scalzi non fanno quasi
rumore,
posandosi piano sul pavimento del palazzo addormentato.
L’aria
all’esterno è tiepida e fresca allo stesso tempo.
Qualche soffio di vento che
muove le foglie degli alberi nel giardino illuminato dalla luna
è l’unico
rumore che riesco a percepire, mentre giungo rapidamente alla fontana e
attingo
l’acqua.
Solo
qui a palazzo è così pulita. Nei pozzi scavati
nella terra, giù al villaggio,
assume sempre quel colore sporco ma familiare della sabbia persiana.
È
limpida, fredda.
Ma
non quanto quel qualcosa che d’improvviso sento stringermi un
braccio. Il
catino che ho in mano scivola lungo il bordo di pietra della fontana e
cade a
terra, rompendosi. Riesco a malapena a percepire l’acqua che
mi sfiora i piedi
nudi.
Poi
mi volto.
Eccoci qui con il penultimo capitolo. ^^
Grazie a Lilandh per la sua recensione! *si inchina* Come hai visto, nemmeno questo capitolo è molto lungo, ma ho pensato fin da subito che Kamal sia più sensazioni e istinti, che parole. ^^ Spero comunque che ti abbia offerto una piacevole, seppur breve, distrazione! ^^
Grazie ai lettori e a chi continua a seguire questa storia che sta giungendo al termine. *si inchina*
Alla prossima! ^^ |
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Capitolo 13 *** Eternità e Sconfitta. ***
Eternità e Sconfitta
Non
riesco a muovermi.
Ho
una fugace visione di un volto molto vicino al mio, prima che il freddo
giunga
alla gola. Non sono sicuro di urlare. Non capisco cosa sta succedendo.
Le
pietre che circondano la fontana sono ruvide, e graffiano la pelle
scoperta.
Sento l’unica cosa che indosso scivolare via e per un attimo
mi sembra quasi
che tutto avvenga al rallentatore. Gli istanti si dilatano, e si
rincorrono, ma
quando comincio a capire è troppo tardi.
Mi
rialzo, ma cado. Sento il ginocchio bagnato e non capisco se
è acqua o sangue.
Forse entrambe le cose. Riesco a mettermi a carponi, ma le gambe
tremano e non
è facile alzarsi. Non ho tempo per voltarmi. Ho paura di
farlo.
Mosso
dall’istinto, riesco a mettermi in piedi, ma faccio a
malapena un paio di passi
prima di sbattere contro qualcosa di duro e freddo. Rovino ancora a
terra.
Stavolta sento distintamente i palmi delle mani bruciare.
Non
faccio in tempo a voltarmi per riuscire ad alzarmi. Mi sento pressare a
terra.
Urlo. Di dolore e paura. Non riesco a muovermi. Non riesco a muovermi.
Rabbrividisco,
quando sento distintamente il gelo scostarmi quasi gentilmente i
capelli dalla
nuca. Delle dita corrono sulla spina dorsale. Tremo. Sto tremando.
D’improvviso,
il peso sparisce.
Mi
riesce difficile realizzare la cosa. Riesco ad alzare il busto dalla
pietra
grazie alle braccia, ma sento che il mio petto è
praticamente scorticato e
brucia da morire. Mettermi anche solo in ginocchio mi appare
un’impresa.
Il
dolore allo scalpo è lancinante. Urlo di nuovo, prima che
qualcosa mi tappi la
bocca. Cerco di artigliare quella che ho capito essere una mano, ma a
quanto
pare non serve a niente. Mi sta tenendo per i capelli. È
orribile. Sto per
morire.
Stavolta,
mi sento atterrare sul morbido e sul fresco. Ma i gracili fili
d’erba sulla
pelle rovinata mi causano un inferno bruciante nella testa.
Di
nuovo, quel peso sembra quasi bloccarmi il respiro.
Non
posso crederci. Cerco di urlare, per attirare l’attenzione e
chiedere aiuto. Ma
sembra avermi letto nel pensiero. Mi sento così debole...
Ancora mi chiude la
bocca con una mano. Chiudo gli occhi. Devo placare il respiro. Devo
calmarmi.
Devo ricordarmi che ho anche un naso e posso usare quello per
respirare.
Inspiro, espiro. Ancora. E ancora.
Ma
il cuore mi batte furioso nel petto. Lo sento rimbombare contro la
cassa
toracica come se volesse romperla. Me lo sento in gola, nella testa.
Non riesco
a muovermi.
Tento
un’altra, debole, inutile resistenza. La tenue risata che mi
si infrange contro
la nuca mi fa spalancare gli occhi e rabbrividire da capo a piedi.
Strattono le
spalle, ma ottengo solo un nuovo fiatone e
l’impossibilità di riprendere fiato.
Aiuto.
Non riesco a...
Sento
la pelle della spalla lacerarsi. Sento freddo. Ho freddo. Sto per
morire. La
ferita brucia, sembra essere l’unica parte del mio corpo a
conservare un minimo
di calore. Non capisco. Non capisco. Sento qualcosa di bagnato, freddo
e
appiccicoso scivolarmi lungo il braccio. È troppo buio, non
riesco a vedere
nulla.
Il
battito frenetico e irregolare nelle tempie ritarda il suono che
però in breve
tempo riconosco come un ansimare ritmico, soffocato. Ma non sono io. Io
non sto
respirando. Non ci riesco. Mi divincolo ancora. Comprendo che
è completamente
inutile. Scalcio, strattono, urlo. Non serve a niente.
Mi
sento voltare sulla schiena. E, finalmente, riesco a vedere in faccia
questo
essere che fino ad un secondo fa stava bevendo il mio sangue. Ma
conoscere la
fisionomia del suo viso non mi concede alcun giovamento. Ora so
soltanto che
viso ha il mio assassino. Morirò. Non ha tolto la sua mano
dalla mia bocca. Ma
vedo che non fa nulla, per il momento. Riesco a calmarmi.
Resto
immobile per parecchi minuti. Lui anche. Sembra quasi che non stia
nemmeno
respirando. Riprendo fiato, anche se il cuore continua a martellarmi
nel petto.
Finalmente, mi permette di respirare anche con la bocca.
«Io... io ti darò qualunque cosa. Qualunque
cosa. Ti prego... ti prego, non...». Mi posa
l’indice sulle labbra. Poi
compie lo stesso gesto su di sé. Mi sorride e ammicca.
Quello
che vedo nella sua bocca mi lascia terrorizzato e stupito allo stesso
tempo. È
un demone. Un demone, giunto dai meandri della notte. Quando ero
piccolo,
pensavo che le storie che mi raccontava mia madre per scoraggiarmi ad
uscire di
casa dopo il tramonto fossero solamente leggende.
Ma
quell’incubo infantile ha preso vita. Ed è venuto
ad uccidermi.
«La tua pelle è chiara». La sua voce
è una sorta di sibilo roco. Mi fa rizzare i peli sulla nuca,
neanche fossi
stato immerso nell’acqua gelida. E ha un modo strano di
pronunciare le parole.
Fa delle strane pause fra le sillabe. L’indice posato sulle
mie labbra va ad
accarezzarmi il viso, dalla tempia al mento.
Rabbrividisco.«Molto chiara» ripete, guardandomi.
Vedo quei denti assurdi scoprirsi e il battito del mio cuore aumenta a
dismisura.
«Ti prego...» mormoro, ansimando. Non
voglio morire. Non voglio morire. Chi si prenderà cura di
mia madre? Come farà
Adel, il mio Adel, a sopportare per tutta la vita ciò che io
ho passato nei sei
mesi più lunghi della mia esistenza?
L’essere
non pare avermi sentito. «E sei
bello. Sì. Molto bello. Bellissimo» dice. Vedo la
sua lingua rossa
passare sui canini e istintivamente distolgo lo sguardo.
«Io... vuoi il mio corpo? È tuo. Ma ti prego, non...».
Mi
interrompe di nuovo. Sento gli occhi colmarsi di lacrime mentre
percepisco il
suo alito freddo a contatto con la pelle. Tremo.
E
poi torna il dolore. È una lama che trapassa la pelle e la
carne. Brucia. Mi fa
piangere. Mi fa singhiozzare. Non riesco nemmeno ad alzare le braccia
per
spingerlo via. È come se fossi paralizzato. Non voglio, non
voglio, non voglio morire.
Lo
sento respirare piano contro il mio collo. Sento le sue labbra gelide
che si
portano via la mia gioventù e la mia vita. Tutto insieme.
È
bizzarro come adesso mi tornino alla mente ricordi che non pensavo
nemmeno di
avere. Prima sepolti nella mia mente, e ora alla luce, come se
volessero vivere
il loro momento di gloria. O deridermi, passandomi davanti agli occhi.
Mia
madre che mi accarezza la fronte prima di coricarsi accanto a mio
padre,
convinta che stia dormendo. Le corse nel bosco oltre il fiume con Adel
e gli
altri, le arance rubate al mercato e i rimproveri mai ricevuti. E
l’oro del
palazzo, i mosaici, gli occhi del Kiyan. Le labbra di Adel. Il dolore
di mia
madre.
Non
posso lasciare tutto questo.
«Fammi diventare come te» riesco a
dire. E spero che mi abbia sentito, perché sto morendo e
parlare è difficile.
Non riuscirei ad alzare la voce nemmeno se non ci fosse questo gelo ad
attanagliarmi le viscere.
Lo
sento fermarsi.
Sorride,
e non riesco nemmeno a trovare orribili e spaventosi i suoi canini.
Sento le
palpebre abbassarsi. Ho sonno. Tanto sonno. Ma non riaprirò
mai più gli occhi.
No.
Di
nuovo, il suo fiato e le sue labbra.
Ma
nessun dolore.
«Yashar».
Yashar significa "eterno".
Dunque.
Eccoci qui.
"Vita" è conclusa ma, come ho accennato in una risposta in uno dei passati capitoli, probabilmente avrà il suo seguito. Anche se probabilmente finirete per l'essere indecisi sull'odiare Kamal alla follia o di amarlo perdutamente (e una non esclude l'altra, parlo per esperienza personale... XD)
Beh. Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia fino alla fine! *afferra i fazzoletti* Sarei immensamente felice di vedere un commento finale all'intera storia, ora che è conclusa, anche da coloro che non hanno mai recensito. ^^
Detto questo, vi saluto! *si inchina*
Con affetto,
Sammael |
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