Things Will Never Be The Same

di Princess Kurenai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Abstinence ***
Capitolo 2: *** 2. Chocolate ***
Capitolo 3: *** 3. Angel ***
Capitolo 4: *** 4. Amore Senza Speranza ***
Capitolo 5: *** 5. Profumo ***



Capitolo 1
*** 1. Abstinence ***


Titolo: Things Will Never Be The Same
Titolo del Capitolo: Abstinence
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Victoria Kirkland), Cina (Liang Wang)
Genere: Introspettivo, Drammatico
Rating: Arancione
Avvertimenti: Flashfic, Genderbend, Yuri
Conteggio Parole: 2007 (FiumiDiParole)
Note: 1. Il titolo della raccolta, Things Will Never Be The Same è il titolo di una canzone dei Roxette,
2. Storicamente si ambienta alla fine della Prima Guerra dell’Oppio, mi sono presa però qualche licenza poetica: do un premio a chi capisce cosaXD
3. La fic parla di genderbend e la caratterizzazione delle due ragazze è mia. In alcuni versi è simile a quella originale ma, essendo donne, in qualcosa si differenzia. I nomi li ho scelti io, e ci tengo a precisarlo. Victoria è stato scelto perché è un nome che ispira forza ed è quello di una delle più note Regine inglesi. Per Cina invece, nonostante Yao sia unisex, ho scelto Liang in quanto ha lo stesso significato del nome Yao. Ovvero brillante, sono solo scritti con due ideogrammi differenti.
4. I sintomi descritti per l’oppio (e gli oppiacei) sono veri. Non sono mie invenzioni. E nella fic ho inserito altre due piccole cose: il fumo nella stanza cinese mostra l’usanza dei cinesi di fumarlo l’oppio, e quest’ultimo nel the rappresenta invece un’usanza inglese.
5. Scritta per il Meme della Quaresima - I Settimana, indetto da michiru-kaiou7, con prompt Astinenza
6. Scritta per la mia tabella del contest La Tabella dei Prompt, indetto sull’Axis Powers Hetalia ~Shipping Community, con prompt Droga.
7. Partecipa a FiumiDiParole.

{ Things Will Never Be The Same ~
- 1. Abstinence -



Percorreva i corridoi dell’immenso palazzo cinese a gran passi, era accompagnata dal rumore dei suoi stivali contro il pavimento e nonostante la regolarità nel suo cammino si poteva scorgere una certa tensione in ogni suo movimento - dagli occhi che controllavano tutti gli angoli di quel corridoio, alle mani che spesso andavano a chiudersi spasmodiche sulla sua divisa militare.
Molti dei suoi soldati in quel momento stavano festeggiando e, sicuramente, in Patria quella notizia era stata accolta con gioia, ma lei non riusciva appieno a godersi quella vittoria in una guerra durata per ben tre anni: il suo corpo e la sua mente le impedivano anche solo di pensare alle sue conquiste. Tutti i suoi sensi erano rivolti alla sua droga, quella che quando smetteva di circolare nel suo corpo bloccava tutti i muscoli, li tirava come a volerli strappare via da sotto la pelle e che l’aveva condotta a delle notti insonni, fatte di infinite ore deliranti nella più completa astinenza.
Erano state poche le dosi che aveva potuto mischiare nel suo the in quegli anni, ed aveva dovuto dire addio alla pace che solo con l’oppio riusciva ad incontrare nei suoi sogni. Era arrivata addirittura a perdere peso, cadendo in uno stato simile all’apatia dal quale aveva faticato a risollevarsi, ma fortunatamente ci era riuscita ed aveva sconfitto Cina su tutti i fronti. Quel solo pensiero la faceva quasi sorridere, era conscia che in quell’istante poteva non solo vendicarsi, ma anche riottenere tutto quello che aveva perso a causa della Nazione cinese.
E, all’entrata nella sua stanza - che aveva scelto per sé in quel immenso palazzo per farla riposare in quegli ultimi giorni di dopo guerra -, si sentì subito accogliere da un calore quasi rassicurante e da un profumo familiare che, solo per un istante, fece rilassare i suoi muscoli come se questi fossero stati presi dalle mani di un abile massaggiatore. La sua espressione dura però non cambiò e, cacciando i soldati a guardia della camera, chiuse la porta a chiave: nessuno doveva uscire o entrare se non era lei a volerlo.
Si guardò attorno, adocchiando subito una teiera di the fumante su un tavolino - l’aveva espressamente ordinato -, e compiaciuta si disse che aveva fatto un’ottima scelta nel volere per sé quella camera. Era arredata alla orientale, colori caldi ed eccitanti: il marrone dei legni della Cina, l’oro ed i drappi rossi, il tutto un po’ offuscato dal fumo della sua droga. Le pizzicavano gli occhi per via di quella lieve coltre grigia ma non era importante e l’eccitazione, dovuta alla vittoria e a tutto quello che aveva conquistato, la travolse come un’ondata calda - era una sensazione meritata ma in cuor suo sapeva che era anche merito della sua droga.
Camminò lenta verso l’immenso letto a baldacchino, ammantato da altrettante stoffe scarlatte, puntando le sue iridi verdi su quelle castane, arrossate e gonfie, della sua prigioniera e schiava che, nonostante la sua scomoda e nuova posizione, indossava un abito elegante dai colori carmini e verdi.
Era un vestito che rappresentava degnamente colei che lo indossava, nella sua bellezza e ricchezza.
Cina era la sua nemica, un’abile guerriera che però niente aveva potuto contro la sua forza e quella del suo invincibile esercito inglese. Sorrise, era una stupenda sensazione quella di poterle portarle via tutto, di piegarla sotto di sé e di vederla con gli occhi rossi per il pianto che, sicuramente, l’aveva colta dalla sconfitta fino a quel momento - non erano le ferite e la fine, per lei negativa, della guerra a farla piangere, ma l’aver perso il suo amato fratello: ormai nelle mani di Inghilterra -, ma quello che la compiacque di più era la catena che portava al collo e che non le permetteva di allontanarsi troppo dal letto.
Se quella situazione era umiliante per Cina, l’inglese sapeva che quello era solo l’inizio di quel che le avrebbe fatto passare in quel prossimo futuro.
“ Tu non sai che cosa ho patito...”, sussurrò con voce bassa. “ Le notti insonni, dolori... tutto a causa tua.
Non ottenne risposta, avvertì solo un basso singhiozzo trattenuto e poté vedere gli occhi dell’altra abbassarsi ed i suoi pugni stringersi sull’abito.
“ Liang, Liang...”, mormorò, assumendo un tono più intimo mente la chiamava per nome, andando a sedersi sul letto per poter iniziare a slegare i legacci che tenevano chiusi gli stivali, con lentezza ed eleganza. “ Non fare la vittima... ti sei cercata tutto questo. Se tu non avessi bloccato le esportazioni dell’oppio ora io non sarei qui e tu saresti con il tuo amato fratellino...”
“ Tu non sai a cosa stai andando incontro...”, mormorò piano Cina, con voce carica di astio e rotta da quei bassi singhiozzi che non riusciva a trattenere. “ Tu non hai visto la tua gente morire a causa di quella droga... sei una egoista, pensi solo a te Victoria.”
“ Se io sto bene, sta bene anche la mia Nazione.”, ribatté semplicemente Inghilterra, sistemando gli stivali ai piedi del letto, voltandosi per guardare l’altra.
Stai morendo dentro.”, Cina invece osservava un punto imprecisato del letto e non prestava attenzione alla Nazione inglese - non voleva guardarla, non voleva mostrarsi così debole e cercava di nascondersi dietro i capelli lasciati sciolti, che ricadevano lisci fino ad oltre le spalle.
Li osservò - erano lucenti e sembravano morbidi e setosi - poi, allungando la mano, li afferrò strattonandoli con forza. Strappò alla cinese un gemito di dolore e, finalmente, ottenne quello che voleva mentre andava a specchiarsi nei suoi grandi occhi a mandorla un po’ terrorizzati: desiderava vederli sempre così.
“ Voglio la tua attenzione mentre ti parlo.”, dichiarò con foce ferma e sicura. “ Ora... portami il the.”, ordinò poi, lasciandola libera di muoversi e di alzarsi. La catena al collo tintinnò e strisciò prima sul materasso poi sul pavimento mentre Cina si avvicinava al tavolino dove stava la bevanda di Inghilterra, poi silenziosa e con la schiena piegata eseguì la disposizione dell’altra.
Ricordati l’oppio, Liang.”, aggiunse l’inglese, sistemandosi meglio in una posizione più comoda sul letto, inspirando il fumo ed il suo profumo: si sentiva già meglio.
Cina non rispose ma, ovviamente, fece come le era stato ordinato e poco dopo si trascinò fino all’altra, accompagnata ancora dal tintinnare e lo strisciare della catena.
“ Brava.”, la lodò prendendo il piattino con la piccola tazzina fumante. La avvicinò al naso e si lasciò trasportare per qualche istante dal suo aroma, iniziando a sorseggiarlo lentamente permettendo al caldo liquido di percorrerle la gola, riscaldandole tutto il corpo. Sin da subito i muscoli si rilassarono ulteriormente e la sua mente iniziò a schiarirsi, facendole dimenticare il dolore e le pene dell’astinenza.
“ La felicità che provi è una felicità apparente. I sogni che ti porterà quella droga sono finti... e quando lo capirai sarà tardi. Quando lo capirai, Victoria, sarà davvero troppo tardi.”, soffiò, con astio e saggezza, Cina.
Zitta, Liang.”, continuò a bere, piano, gustando appieno quel sapore che le era tanto mancato in quegli anni di guerra, nei quali aveva dovuto farsi durare il più possibile tutto l’oppio che le era rimasto e quello che riusciva a strappare ai cinesi durante la guerra. “ Massaggiami i piedi. Sono stanca.
Cina emise un basso gemito umiliato, andare contro Inghilterra in quel momento sarebbe stato deleterio, non aveva forze ed il suo esercito non era pronto ad un’altra guerra. Inoltre Victoria aveva nelle sue mani Hong Kong - il suo piccolo fratellino che tanto amava - e la sola idea che potesse fargli del male la faceva morire: non poteva permettere che accadesse. Si costrinse quindi ad ubbidire ancora, andando con le mani fasciate - le ferite erano ancora aperte e il suo corpo, piegato da tutti quegli accordi che era stata costretta a firmare, faticava a rimarginarle - a massaggiare i piedi nudi dell’altra Nazione, cercando di essere il più brava possibile.
Evitava ancora di guardarla ma sapeva che Inghilterra stava ancora bevendo quel suo the drogato e cercava il più in fretta possibile di dimenticare quell’astinenza che per anni l’aveva fatta quasi impazzire. In cuor suo Liang aveva sperato che Victoria capisse il grave errore che aveva commesso e cercasse di disintossicarsi - l’aveva vista diventare sempre più magra e avere l’aspetto di un morto durante la battaglia, solo per colpa dell’oppio - ma era testarda e la sua testa era troppo immersa nei fumi di quella droga. Cina era gentile - ovviamente sapeva essere anche crudele e vendicativa, non era una Nazione facile da sconfiggere - e aveva sempre quel forte senso materno che la spingeva a cercare del buono in tutti, e anche in Inghilterra aveva provato ad intravedere un piccolo barlume di umanità. Ma in quel momento non vedeva nulla in Victoria che, appoggiando la tazzina vuota sul pavimento, si lasciò andare ad un mugolio compiaciuto per quel massaggio che i suoi piedi stanchi stavano ricevendo. Non parlò per gran parte di quel buon lavoro della cinese - non c’era niente da dire -, e quando si ritenne soddisfatta decise di agire con decisione e violenza: afferrando la catena e strattonando l’altra Nazione verso di sé, mozzandole il fiato.
Liang tossì per l’improvvisa mancanza d’aria e si ritrovò dinnanzi al viso della nemica - gli occhi verdi erano offuscati dalla droga e un poco lucidi -, sentiva il suo respiro calmo sulle sue labbra e tremò, cercando per la prima volta di ribellarsi - poteva sottomettersi, poteva portarle il the e massaggiarle i piedi, ma non si sarebbe mai fatta toccare da lei, Cina non avrebbe mai abbandonato quell’ultimo trancio di orgoglio che le era rimasto. Si tirò indietro alla ricerca di una via di fuga ma la catena venne ancora strattonata, accompagnata da una lieve risata da parte di Victoria - la derideva e la costringeva vicino al suo corpo, facendola sentire sempre più debole di quanto già non lo fosse.
“ Che fai, Liang? Scappi?
Lasciami!”, esclamò, prendendo più fiato possibile da quello che le era rimasto.
Devo vendicarmi. Voglio che tu senta tutto il dolore che ho provato io durante quell’astinenza...”, sussurrò Inghilterra, afferrandola ancora per i capelli - ma con più forza, rispetto a quella che le aveva riservato in quello stesso gesto compiuto poco prima.
Aveva semplicemente voglia di farle male e di farla sua, di sentirla urlare e lamentarsi, di vederla piangere e arrossire per l’imbarazzo. La strattonò ancora per i capelli e la baciò con forza e insistenza, ignorando i suoi tentativi di fuga - la preferiva in quello stato al suo essere sottomessa di poco prima, c’era più divertimento nel combattere per ottenere quello che si anelava - e permettendosi di assaporare il sapore di Cina misto a quello della sua droga.
Amava quel gusto e avrebbe continuato a baciarla per ore, carezzandole la lingua ed il palato, scappando dai suoi denti e tirandole con forza quei suoi lunghi capelli castani per punirla, ma avrebbe ripetuto ancora quel gesto soprattutto quando la sentì mugugnare. Quel verso le donò un lungo brivido sulla spina dorsale e, lasciandola senza fiato, la fece allontanare da quella bocca che si ritrovava ad anelare ancora quasi quanto la sua droga.
Victoria non si era mai sentita come in quel momento, sentiva di avere il totale potere dell’intero mondo e tutto il suo corpo ed i suoi sensi brindavano per la sua vittoria. Chiuse gli occhi, rilassata e soddisfatta - tenendo ancora Liang contro di sé - e, quasi senza rendersene conto, l’oppio la condusse nei suoi ritrovati sogni di gloria e felicità, dove talvolta aveva ancora il piccolo e chiassoso America a scorrazzare per casa o dove, come aveva intenzione di fare poco prima, sottometteva e toccava Cina, beandosi di tutti i suoi gemiti e lamenti.
Liang la osservò, spaventata e con il fiato corto, iniziando a rilassarsi lentamente quando apprese che Inghilterra si era addormentata. Riuscì lentamente ad allontanarsi e si distese a sua volta, stravolta come non mai e, chiudendo a sua volta gli occhi, si lasciò a sua volta trasportare dalla droga che tanto l’aveva ferita e che aveva portato solo disgrazie.
Al risveglio di Victoria non sapeva che sarebbe successo ma, quando sarebbe accaduto, voleva essere pronta e riposata.


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Capitolo 2
*** 2. Chocolate ***


Titolo: Things Will Never Be The Same
Titolo del Capitolo: Chocolate
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Belgio (Bella), Olanda (Conrad), Lussemburgo (Adrian)
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: Oneshot, Threesome, Incest
Conteggio Parole: 676 (FiumiDiParole)
Note: 1. Il titolo della raccolta, Things Will Never Be The Same è il titolo di una canzone dei Roxette.
2. Il carattere di Belgio è tutta una mia invenzione. Il suo nome Bella è quello che le danno i fan stranieri. I nomi di Olanda (Conrad) e Lussemburgo (Adrian) sono scelti da me, ed anche il loro carattere è una mia invenzione ù.ù
3. Scritta per il Meme della Quaresima - II Settimana, indetto da michiru-kaiou7, con prompt Digiuno
4. Scritta per la mia tabella del contest La Tabella dei Prompt, indetto sull’Axis Powers Hetalia ~Shipping Community, con prompt Cioccolato.
5. Partecipa a FiumiDiParole.

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- 2. Chocolate -



Belgio amava il suo cioccolato.
Non aveva niente da invidiare a quello svizzero o a quello italiano e per lei - e per ogni ramo e giusto patriota della sua terra - il cioccolato belga era il migliore.
Anche i suoi fratelli, Olanda e Lussemburgo, sapevano di questa sua passione e conoscevano perfettamente le sue abitudini. Dopo ogni pasto, puntuale, Bella prendeva il suo amato cioccolato, ne offriva un po' anche a loro - che accettavano sempre di buon grado, visto che non solo quel dolce era veramente molto buono ma anche perché, non meno importante, volevano entrambi rendere felice la giovane donna condividendo con lei quel momento -, poi tornando sulla sua sedia, si abbandonava su di essa per gustare il suo amato cioccolato.
Il viso della loro sorellina si rilassava in quegli istanti, mangiava e sorrideva, e anche loro erano più felici, soprattutto perché Belgio, di cattivo umore, non era un bene per nessuno.
Per tutto questo quando, finita la cena di quella domenica, non videro la giovane donna alzarsi per prendere la cioccolata un po’ si preoccuparono, e dopo essersi scambiati un’occhiata decisero di indagare.
“ Bella?”, esordì Lussemburgo, avvicinandosi leggermente alla sorella.
“ Mh?”, era scura in volto, un po’ imbronciata e triste, ma non era ancora ai livelli del famoso cattivo umore che poteva essere molto pericoloso.
“ Stai male?”
“ No...”
“ Allora ci puoi dire che cavolo ti prende?!”, esclamò duro Olanda, non elaborava bene la preoccupazione e per cercare di mantenere una certa parvenza seria finiva sempre per peggiorare le cose.
Conrad!”, lo riprese subito l’altro, prendendo la mano di Belgio che, a sua volta guardò molto male il fratello maggiore.
“ Ti preparo una camomilla se sei così agitato.”, ringhiò.
“ Bella, tranquilla... lascialo perdere. È un animale.”, dichiarò in risposta Adrian. “ Allora, sei sicura di non stare male?”
“ No, non sto male...”, si carezzò la pancia con l’altra mano.
“ Quel bastardo dell’italiano non ti avrà mica messa incinta?!”, esclamò Olanda, notando il gesto. “ Idiota.”, ribatté la belga, arrossendo appena all’idea di avere un figlio - o una figlia - da Romano. “ Le Nazioni non possono rimanere incinte!”, borbottò.
“ Certo che sei proprio scemo, Conrad.”, mormorò Lussemburgo.
“ Si carezza la pancia, che devo pensare?”
Che sono grassa!
Calò un silenzio alquanto imbarazzante.
“ Tu?”, domandò Adrian.
“ Sì.”
“ Poi sono io l’idiota?”, ribatté Olanda.
“ Io sono grassa... e ho deciso di ridurre la mia consumazione di cioccolato... sono a digiuno da cioccolata da una settimana...”, e questo si rifletteva negativamente sul suo carattere.
“ Non lo sei.”, la rassicurò Lussemburgo.
“ Chi ti ha messo in testa una simile cazzata?”, chiese irritato Conrad, aveva già in mente come uccidere Romano se fosse uscito il suo nome.
“ Nessuno. Io mi vedo grassa.”
Che stupida.
Conrad!”, esclamò Adrian, rivolgendosi poi alla sorella. “ Bella, non sei affatto grassa. Fidati dei tuoi fratelli. Siamo quelli che ti conoscono meglio.”
“ Ma proprio perché siete i miei fratelli non mi dite la verità...”
Andiamo anche a letto insieme se è per questo.”, ringhiò Olanda, ricevendo in risposta una pedata da parte di Belgio - il suo umore si stava pericolosamente avvicinando alla sua parte più negativa.
“ Digiunando non risolverai nulla. Devi fare movimento ed esercizi, poi lo sanno tutti che il cioccolato aiuta a stare bene.”, disse saggiamente Lussemburgo.
“ Mh...”
Adrian le carezzò i capelli poi si alzò per andare a prendere il cioccolato, dividendolo in parti uguali per tutti e tre.
“ Ora lo mangiamo poi...”
“ Poi andiamo a fare esercizio fisico e ti faccio dimenticare quell’idiota dell’italiano.”, dichiarò Olanda senza nascondere una cerca gelosia nella sua voce.
Sei tu l’idiota.”, ribatté Belgio, mordendo il suo pezzo di cioccolato, lasciandosi riscaldare dal suo dolce sapore: le era mancato tantissimo.
“ Va meglio?”, domandò Lussemburgo, facendo annuire la sorella che, finendo il suo dolce, si sporse per abbracciarlo e donargli un leggero bacio a stampo.
Grazie Adrian.
“ Ehi.”, borbottò Olanda sempre più geloso, facendo però finalmente sorridere Belgio che, allungando la mano verso di lui, lo baciò come aveva fatto con l’altro fratello.
Certo, spesso tutti e tre litigavano, ma Bella sapeva che senza di loro spesso starebbe stata persa.

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Capitolo 3
*** 3. Angel ***


Titolo: Things Will Never Be The Same
Titolo del Capitolo: Angel
Fandom: Axis Powers Hetalia Personaggi: Francia (Francis Bonnefoy), Polonia (Feliks Łukasiewicz) [Nominata: Jeanne d’Arc]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Oneshot, Yaoi
Conteggio Parole: 1447 (FiumiDiParole)
Note: 1. Il titolo della raccolta, Things Will Never Be The Same è il titolo di una canzone dei Roxette.
2. La fic è nata dopo aver visto un’immagine di Polonia che mi ha ricordato Jeanne d’Arc
3. La dedico a Kuromi. Questa fic è tutta per te tesoro!
4. Scritta per il Meme della Quaresima - III Settimana, indetto da michiru-kaiou7, con prompt Preghiera
5. Scritta per la mia tabella del contest La Tabella dei Prompt, indetto sull’Axis Powers Hetalia ~Shipping Community, con prompt Lacrime.
6. Partecipa a FiumiDiParole.

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- 3. Angel -



Le mani erano congiunte vicino al petto in segno di preghiera, sfioravano quasi distrattamente la piccola croce che teneva al collo e che si posava sui chiari abiti che indossava - erano maschili, ma guardandoli parevano quasi femminili nella loro delicatezza.
A osservare il suo corpo, fermo in preghiera, si aveva quasi l'impressione di avere davanti un essere etereo - forse un angelo.
I capelli biondi erano raccolti in una piccola coda e alcuni, quelli più corti che sfuggivano all’elastico, erano ritirati da delle piccole forcelline - un piccolo vezzo nella sua sconcertante semplicità. Aveva un viso delicato, femminile, chiaro e liscio come la porcellana, con le guance - sfiorate delicatamente dalle lunghe ciglia - leggermente colorate da una naturale tonalità rosata. Teneva le labbra socchiuse, muovendole per soffiare la sua muta preghiera rivolta al suo Dio.
Francia, osservando la sua figura dall'entrata della piccola chiesetta, per poco ebbe l'impressione di vedere davvero un fantasma o, meglio, le parole giuste per descrivere quella sua visione era l'aver visto un angelo - perché altrimenti, come poteva spiegare le ali che gli pareva vedere su quella esile schiena?
Per qualche istante si dimenticò di tutto, anche del motivo della sua entrata in quella chiesetta, limitandosi ad osservare il semi profilo di quell’essere etereo, unica cosa che riusciva a vedere da quella posizione - avrebbe volentieri fatto qualche passo se non si sentisse completamente pietrificato dalla paura di distruggere quel magico istante - ma, nonostante la lontananza, ciò che aveva davanti era inspiegabilmente bello.
Lei... era lì. In quella piccola chiesetta a pregare, come l'aveva vista fare tantissime altre volte.
Silenziosa e bella, una guerriera saggia con un passato da contadina analfabeta che, con il suo dono era riuscita a risollevare le sorti della sua Nazione in una guerra lunga un secolo. Era devota al suo Dio e alla Francia, si fidava ciecamente di quei due indispensabili elementi sacri della sua vita, ma era stata proprio quella devozione ad averla condotta alla morte.
Francia non l'aveva mai dimenticata, il suo ricordo era sempre rimasto immortale nel suo cuore ed in quell'istante, nel vederla in quella posizione, nel compiere quel gesto così familiare, gli parve di sentire gli occhi riempirsi di lacrime. Lacrime che aveva versato ogni anno dal giorno della scomparsa della donna che più di tutte aveva amato e che anche in quel momento gli rigavano il viso.
Non si era mai preoccupato di esternare i suoi sentimenti e quel silenzioso pianto non era altro che una semplice esternazione di quel che il suo cuore sentiva.
" Jeanne...", mormorò piano senza trattenersi, venendo poi tradito dall'eco della chiesetta che fece riecheggiare quel nome, sussurrato, fino a distruggere quella magica atmosfera che si era creata. Temette di vederla sparire - non sarebbero più state lacrime di felicità e di nostalgia quelle che avrebbe versato, ma di dolore per averla persa ancora - ma non accadde, lei rimase lì, tangibile e reale, con quella dolce espressione di stupore nel bel viso e gli occhi verdi che lo fissavano senza capire, confusi.
Alla fine, nell'osservare quelle iridi, Francia comprese che la magia si era veramente infranta: la sua Jeanne aveva gli occhi del cielo e non quelli dei prati color della speranza.
Infame allucinazione creata da una ferita mai chiusa e che era destinata a riaprirsi nel capire che quell'angelo non era altro che una Nazione come lui, immortale ma con un aspetto che aveva spesso tratto in inganno pure lui, la grande Francia.
" Francis.", la voce dell'altro era dolce e felice, ma un poco stupita e, sopratutto, aveva un tono non propriamente femminile che gli faceva ricordare chi aveva davanti. Era andato lì proprio per lui.
" Feliks."
Lo osservò farsi strada tra le panche, leggero e attento a non fare tanto rumore in quel luogo sacro, si fermò però a pochi passi da Francia.
" Stai bene?", domandò, scrutando il viso, apparentemente disteso dell'altro, rigato ancora dalle lacrime.
" Sì.", mentì.
" Dici una bugia dentro la Casa del Signore? Stai piangendo, non stai bene."
Quella frase ebbe il potere però di far sorridere malinconicamente Francia che si ricordò di un avvenimento legato proprio alla sua Jeanne - " Nella Casa di Dio siamo tutti uguali. Non abbiamo bisogno di alcuna maschera perché Lui ci conosce da quando ci ha creati. Qui possiamo smettere di mentire, al mondo e a noi stessi.", poi aveva iniziato a piangere appoggiandosi alla sua Nazione, sconvolta dai crimini e dalle morti che quella guerra le aveva fatto conoscere.
" Non mi piace quel sorriso.", borbottò Polonia, allungando una mano per asciugare le lacrime dell'altro che, fissandolo negli occhi, lo lasciò fare. Si beò di quella dolce carezza poi gli bloccò l'arto con il suo, portandolo alle labbra per baciarvi il palmo.
" F-francis!", una leggera risatina sfuggì al polacco, accompagnata da un lieve arrossire per quel gesto.
" Prima...", esordì Francia stringendogli la mano. " Mi è parso di vedere un angelo."
" Joanna d'Arc?1", domandò in risposta Polonia.
" Oui."
La stretta sulla mano venne ricambiata ed un altro sorriso illuminò il viso della Nazione.
" Hai capito, vero?"
" Sì.", assentì. " Ma io, non sono né un angelo né la donna che hai amato, Francis.", da una parte il somigliare a quella Santa - almeno in quel momento agli occhi del francese - piaceva al polacco: lo faceva sentire importante.
" Lo so. Ma posso ugualmente guardarti con venerazione, come se tu fossi speciale."
Polonia gli carezzò il viso con l'altra mano, arrossendo ancora dinnanzi allo sguardo e alle parole di Francia. Era un tipetto abbastanza smaliziato ma davanti a quella Nazione, ai suoi gesti romantici e alle sue dichiarazioni, spesso si ritrovava ad arrossire come una ragazzina.
" Io sono speciale.", lo corresse, piegando le labbra in una finta smorfia offesa.
" Vero. Ma allora, posso guardarti?"
" Sì, ma non troppo. E non piangere."
" Non lo farò.", si incamminarono lentamente verso l'uscita.
" Non mentire nella Casa del Signore.", continuò il polacco.
" Non farò neanche questo.", rispose sincero Francia, osservando i raggi del sole che baciavano il volto di Polonia e che facevano brillare la croce che indossava - non somigliava alla sua Jeanne ma nel suo cuore entrambi avevano un posto speciale.
" Francis..."
" Oui?"
" Non devi mentire neanche a me e non devi mai stare con me perché-"
Un veloce bacio zittì le preoccupazioni - forse fondate, vista la situazione - del polacco.
" Non amo mentire. E tu sei tu. Sei Feliks. Sei Polonia. E, soprattutto, sei mio."
L'altro si imbronciò, lamentandosi in un borbottio di varie cose che in quella frase non gli andavano bene. " Esistono tanti angeli, ed io sono stato fortunato visto che ne ho potuti conoscere due. Uno mi proteggerà in eterno dall'alto dei cieli, mentre l'altro...", fu lui in quel momento a carezzare il volto di Polonia. " L'altro è qui con me, e lo sarà altrettanto in eterno. Solo che potrò toccarlo e abbracciarlo. Dirgli che lo amo."
" Non sono un angelo.", lo riprese il polacco, un po' divertito.
" Allora perché hai delle ali sulla schiena?", sorrise Francia, guardando verso le spalle dell'altro.
" Ali?", Feliks si girò appena, inconsciamente, a quelle parole, venendo poi sollevato da terra dal francese.
" Visto, voli.", scherzò.
" Ringrazia che non ho la gonna, non avrei voluto dare mostra delle mie belle mutandine davanti ad una Chiesa.", si lamentò fintamente, allungando le braccia per abbracciare l'altro.
" Già. Le posso vedere solo io quelle.", gli baciò la fronte, tenendolo stretto per paura - ovviamente infondata e stupida ma che in quel momento, dopo la visione che aveva avuto, lo intimoriva veramente - di vederlo volare via per davvero.
" La prossima volta aspettami a casa, non venirmi a prendere in Chiesa, ok?"
" Perché?"
" Perché non mi piace che tu veda in me altre donne - visto che io non lo sono, ed è una cosa che seriamente mi da fastidio - e che, soprattutto, ti metta a piangere.", aveva un tono scherzoso anche se nei suoi occhi c'era un po' di preoccupazione, che scomparve fortunatamente poco dopo.
" D'accordo. Ma ti assicuro che sei meglio uomo."
" Dai e prendi, infondo.", commentò malizioso Polonia.
" Non si dicono certe cose qui."
" Dio sa quel che facciamo, è ovunque. E no: non commentare quest'affermazione perché so quello che vuoi dire."
" Je t'aime, mon ange.", sussurrò divertito cercando di baciarlo ancora, cosa che gli venne però negata.
" Mh... così va meglio."
" E tu? Non rispondi?", esclamò contrariato.
" No.", Polonia si incamminò verso la loro abitazione. " Forse. A casa. Se riesci a strapparmi le parole di bocca."
Francia lo seguì subito sorridendo ancora, sentendosi sempre più rilassato e felice.
" Ti strapperò ben altro."
" Non ho dubbi."
Era veramente contento di avere un angelo come Feliks vicino, e per quanto Jeanne fosse importante, quello era il momento di vivere e non di pensare al passato. Il presente, infondo, era così bello.


1: Joanne d'Arc sarebbe Jeanne d'Arc in PoloniaXD L'ho visto sulla Wiki

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Capitolo 4
*** 4. Amore Senza Speranza ***


Titolo: Things Will Never Be The Same
Titolo del Capitolo: Amore Senza Speranza
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Prussia (Gilbert Weillschmidt), Ungheria (Elizaveta Héderváry)
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: Verde
Avvertimenti: Flashfic, Het
Conteggio Parole: 476 (FiumiDiParole)
Note: 1. Il titolo della raccolta, Things Will Never Be The Same è il titolo di una canzone dei Roxette.
2. La citazione appartiene a Pablo Neruda.
3. Scritta per la mia tabella del contest La Tabella dei Prompt, indetto sull’Axis Powers Hetalia ~Shipping Community, con prompt Catene.
4. Partecipa a FiumiDiParole.

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- 4. Amore Senza Speranza -


Solo chi ama senza speranza conosce il vero amore



Prussia amava combattere, era nato per quello infondo, e in tutte le guerre alle quali aveva partecipato lui ci aveva messo sempre il corpo e l'anima pur di arrivare alla vittoria, ma c'era stata una battaglia che aveva perso in partenza e che si era rifiutato di combattere, ed era quella per il cuore di Ungheria.
La amava da sempre ma era conscio che il suo era un amore senza speranza.
Da secoli la conosceva e lei era stata in grado di incatenarlo a sé con la sua bellezza, forza e intelligenza. A Prussia piaceva tutto della donna - addirittura le piaceva anche quando lo picchiava - ma non le aveva mai detto che cosa provava veramente nei suoi confronti, principalmente perché non era una persona romantica - non sarebbe mai andato a regalarle dei fiori, né l'avrebbe invitata a cena fuori né, tanto meno, avrebbe assunto dei musicisti per accompagnarlo con delle melodie smielate durante la dichiarazione - ma, in realtà, non l'aveva mai fatto perché non era neanche così stupido da andare a dichiararsi alla donna che desiderava soprattutto se questa aveva già un legame con qualcun'altro che, alla fin fine, era stato più furbo e veloce di lui.
Era un classico: lei amava un altro uomo, e quest'altro era assolutamente perfetto - ovviamente dall'ottica di una donna. Austria era ricco, elegante e anche abbastanza intelligente da riuscire a far innamorare di sé Ungheria, sposarla, e ottenere in quel modo la forza del suo esercito. Aveva attratto l'ungherese con i suoi modi da damerino e con le melodie del suo pianoforte, incatenandola in una trappola chiamata matrimonio.
Prussia aveva odiato Austria quando gli era giunta voce di quella nuova alleanza - dell'Impero Austro-Ungarico -, e aveva anche odiato Ungheria per essere caduta come una stupida in quell'inganno - la detesto sopratutto quando la senti dichiarare di amare suo marito.
Non si rendeva assolutamente conto che l'austriaco l'aveva sempre sfruttata, sin da quando vivevano nella casa del Sacro Romano Impero, ma per Prussia tutto era chiaro così come l'assurdo amore che provava per lei.
Spesso aveva anche provato a liberarsi dalle catene che lo legavano a Ungheria ma queste si stringevano sempre di più, tagliandogli la pelle e ferendolo più di una spada.
Più lei si allontanava e più aiutava Austria, più quella sua prigione si rimpiccioliva, togliendo l'aria a Prussia fino a lasciarlo senza forze: non voleva combattere contro di lei.
Ed era chiaro che l'amore non si poteva battere, era troppo forte esattamente come quelle catene che lo costringevano a rinunciare a ferire Ungheria e che, quando nessuno poteva vederlo, lo facevano sospirare al solo pensiero di quello che sarebbe accaduto se lui fosse stato al posto di Austria.
Soffriva tantissimo e su tutto aveva solo un'amara consolazione, che il suo era un vero amore perché solo chi ama senza speranza - chi viene ferito da quelle invisibili catene - poteva conoscerlo.


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Capitolo 5
*** 5. Profumo ***


Titolo: Things Will Never Be The Same
Titolo del Capitolo: Profumo
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Vietnam, OC!India
Genere: Introspettivo, Erotico
Rating: Giallo
Avvertimenti: Flashfic, Yuri
Conteggio Parole: 479 (FiumiDiParole)
Note: 1. Il titolo della raccolta, Things Will Never Be The Same è il titolo di una canzone dei Roxette.
2. La caratterizzazione di Vietnam mi appartiene visto che l’autore non si è degnato di descriverla. Se volete trarre ispirazione da le avvertitemi perché potrei denunciarvi per aver copiato un mio Original Character visto che sono stata la prima ad utilizzarla e a darle un carattere nel fandom italiano.
3. India è un altro mio Original Character.
4. Il Vietnam e l’India sono in buoni rapporti, l’India ha supportato il Vietnam non solo durante la Guerra, ma anche durante la strada dell’indipendenza dalla Francia. Ed entrambe le Nazioni non hanno buoni rapporti con la Cina.
5. Scritta per la mia tabella del contest La Tabella dei Prompt, indetto sull’Axis Powers Hetalia ~Shipping Community, con prompt Profumo.
6. Partecipa a FiumiDiParole.

{ Things Will Never Be The Same ~
- 5. Profumo -



Ballava per lei, ondeggiando come l’erba sospinta dal vento, riuscendo nel quasi impossibile intento di attirare il suo sguardo, che si era fatto più interessato nonostante l’espressione sempre seccata.
Seguiva con gli le mani della donna, le sue gambe, il seno e il bacino in tutti i suoi movimenti sensuali mentre, piccole gocce di sudore scivolavano lente lungo il ventre scoperto, bronzeo e liscio, sparendo nei fini indumenti che indossava.
Ogni tanto anche gli occhi di India si posavano sui suoi e quei pozzi d’ambra brillavano maliziosi, soddisfatti per quello che leggeva in quelli di Vietnam: era interessata e lo sapeva. Questo però non piaceva alla vietnamita, perdere le redini di quel gioco era l’ultima cosa che desiderava, soprattutto con l’alleata.
“ Quando finisce questo tuo penoso spettacolino?”, domandò, usando una voce piatta e indifferente.
“ Non ti piace?”, ribatté l’indiana, fermandosi appena per poter sorridere e guardare divertita la compagna.
“ Ho detto penoso spettacolino.”, ripeté Vietnam, restando immobile mentre India saliva sul letto, cosparso di morbidi cuscini sulla quale era semi distesa l’altra.
“ So che ti piace.”
“ Devo ancora ripetere quello che ho detto?”
“ Ripeterei anch’io che ti piace.”, si sporse verso la vietnamita, sporgendosi fin quasi a sfiorarle la bocca con fare malizioso. “ Lo leggo nei tuoi occhi.
Aveva un buon profumo, delicato ma forte, si insinuava nelle sue narici fino all’interno della sua testa. Era erotico e le piaceva, ma Vietnam non l’avrebbe mai detto a India.
“ Leggi male.”, ghignò infatti in risposta, sporgendosi per baciarla, leccandole le labbra per poi morderle, facendola gemere appena. “ Questo però ti è piaciuto.”
“ È stato un penoso tentativo di seduzione.
“ Esattamente come il tuo.”, ribatté la vietnamita, inspirando ancora il profumo dell’indiana. Era come una droga, più lo sentiva più voleva avvertirlo su di sé, era sensuale come il corpo vicino al suo e, maledizione, doveva essere sua.
La afferrò per le braccia e la spinse sotto di sé, facendola sussultare stupita. La costrinse contro i cuscini e la guardò negli occhi.
“ Sei sempre la solita manesca, Vietnam!”, esclamò India. “ Mi rovini il vestito! E...”, le parole si bloccarono nel sentire le labbra e il naso dell’altra sul suo collo.
“ Zitta...”, sussurrò la vietnamita, socchiudendo gli occhi e maledicendo quel profumo che le stava facendo perdere la testa. Strinse più forte la mani sulle braccia dell’altra che si lamentò ancora prima di ribellarsi, allontanandola con forza.
“ Mi stavi facendo male.”
“ Come se non ti piacesse.”, ribatté ancora.
“ Sono per la resistenza non violenta ora.”, rispose, ritrovandosi ancora assalita da Vietnam che ormai ci aveva preso gusto nello starle addosso - infondo poco prima India stava ballando proprio per sedurla.
“ Appunto.”, la baciò ancora, mordendole le labbra per prenderla con energia per i fianchi. “ Non ribellarti. È questa la tua resistenza non violenta.
“ Non rigirare le parole!”, dichiarò, ridendo divertita e rispondendo ai modi bruschi della vietnamita: infondo era quello che voleva.


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