Emily Queen: attento a quello che pensi!

di Zebraviola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La ragazza dietro la maschera ***
Capitolo 2: *** 2.Cioccolata Amara ***
Capitolo 3: *** 3. La forza della vita ***
Capitolo 4: *** Bum! ***



Capitolo 1
*** 1. La ragazza dietro la maschera ***


Emily Queen

1.La ragazza dietro la maschera.


Il mondo esterno tende a farci indossare delle maschere. Ad ogni età, dal bambino che non vuole essere scoperto per aver fatto una marachella, all'adulto che di marachelle ne combina anche troppe e ben più gravi di un vasetto rotto.

Ma ci sono anche maschere che dobbiamo portare per costrizione. Questo è il mio caso.

Mi chiamo Emily Queen, sono una tipica ragazza inglese come ce ne sono tante disperse per il mondo.

Sono nata a Kinross, un piccolo paesino vicino a Perth. Mio padre e mia madre, entrambi medici, avevano deciso di lasciare i grandi ospedali della città per crescere me e le mie due sorelle minori, Jade e Felicity, in quel paesino, aprendo uno studio tutto loro.

Quel paesino è stato la culla della mia giovinezza, dei miei sogni di bambina di diventare inizialmente una principessa, come tutte le bambine che si rispettino, e in seguito una scrittrice.

Ma oltre ai miei sogni, quel paesino piccolo che per molti rappresenta solo un puntino sul mappamondo, ha anche visto nascere quello che per me rappresenta il motivo della mia diversità, il mio segreto, la mia maschera.

Non so spiegare come sia potuto accadere, so solo che una mattina, una Emily adolescente si è alzata dal letto, una nuova me.

Notai piccoli cambiamenti, come ad esempio un brusio costante e martellante in testa. Inizialmente diedi la colpa alla “leggera” (nemmeno tanto a dir la verità) sbronza della sera precedente alla festa di compleanno di Joulse, la mia migliore amica.

Ma con il passare delle ore il brusio invece di diminuire aumentò fino a diventare non più suoni accozzati ma parole vere e proprie.

La sconvolgente rivelazione di quanto mi stesse accadendo la ebbi sul bus quella stessa mattina.

Come ogni mattina Joulse mi aveva riservato il posto e come ogni mattina pensavo di trovarla sbuffante e annoiata. Non potevo sbagliarmi di più.

Non appena salii restai abbagliata dal suo sorriso smagliante e mi sedetti dubbiosa accanto a lei.

  • Cos'è quel sorrisone a queste ore antelucane?-

  • Sorrisone? Io???- Vidi il suo sorriso aumentare e gli occhi sfavillare. Tuttavia ancora non voleva dirmi i motivi di tale euforia.

Mia cara non ti dirò mai cosa ho combinato ieri sera!!!

  • Perchè? Cosa hai combinato ieri sera?- chiesi interessata a quelle parole.

  • Scusa? Non ho detto nulla!-

  • Ma si, hai detto che non avresti mai detto cosa hai combinato ieri sera!- Ribattei prontamente io.

  • Davvero? Credevo di averlo solo pensato! Si vede che sto ancora dormendo!-

Sto proprio ammattendo, adesso do voce anche ai miei pensieri... per fortuna che Emi non ha insistito sulla storia di ieri sera.

Ok... con calma. La frase che avevo appena sentito... l'avevo sentita! Ma Joulse...non aveva aperto bocca. I casi erano due.

O stavo impazzendo del tutto o c'era qualcosa di strano. Joulse aveva ripreso a parlare, o pensare, o parlare... non capivo più nulla! Cercai di chiudere gli occhi e di sgombrare la mente ma i brusii della mattina ormai erano diventati un vociare continuo e martellante che mi stava trapanando il cervello.

Non ce la facevo più, il mal di testa ormai era micidiale, suoni, rumori, parole, risate si affollavano prepotenti nella mia mente.

Poi ad un tratto il buio.

Mi risvegliai nel mio letto parecchie ore dopo a giudicare dalla luce fioca del pomeriggio che penetrava dalle persiane della finestra.

Cercai a tentoni gli occhiali sul comodino ma invano. Il mal di testa di qualche ora prima fortunatamente si era molto attenuato e questo mi permise di ragionare lucidamente su quanto accaduto.

Mi sdraiai nuovamente ripensando a Joulse e alle sue parole. Sapevo di non essere pazza e quindi la spiegazione, per quanto assurda potesse sembrare, era che avevo sentito quello che la mia migliore amica aveva pensato.

Assurdo lo so...

Quella sera a tavola presi piena coscienza di quello che stava succedendo. Mio padre stava pensando al torneo di poker che doveva giocare la serata seguente... mia madre pensava alla pila della roba da stirare che aveva programmato per la serata... Risi percependo l'ansia di Jade che aveva preso una nota a scuola e non sapeva come tirare fuori il discorso e rimasi intenerita dai pensieri di Filly, che all'epoca aveva solo 5 anni, che trattavano di giocattoli e di cartoni animati.

Quella sera, nonostante la giornata per niente leggera, andai a letto contenta e rasserenata.

Il mattino seguente salii sul bus con un sorriso furbesco, decisa com'ero a sfruttare quello che avevo appena scoperto per cercare di tirare su un po' i miei voti.

Quel giorno l'interrogazione di storia andò benissimo e tornai a casa con ancora nell'orecchio i complimenti dell'insegnante, ignara di avermi suggerito lei stessa le risposte.

Seguirono mesi nel complesso sereni, non raccontai a nessuno del mio dono, nemmeno ai miei genitori, sempre più stupiti del mio miglioramento a scuola ma anche di alcuni miei comportamenti come la mia improvvisa rottura con Kate, la mia seconda migliore amica.

Ebbi modo di appurare, grazie alla mia capacità, che la mia cosiddetta amica raccontava tutto quello che mi riguardava ad un'altra ragazza, che io personalmente ho sempre odiato.

Inoltre scoprii che era stata lei l'anno precedente a rubare un mio regalo al compleanno, un braccialetto d'oro bianco che mi avevano regalato i nonni materni

La odiai, mi sentii ingannata e derisa, l'avevo sempre considerata una delle mie migliori amiche.

Credevo che quella fosse stata la cosa peggiore che mi potesse capitare, scoprire il tradimento tramite i suoi pensieri più segreti. Capii che il mio dono rappresentava anche una maledizione, ma ancora non era successo il peggio.

Una sera come tante. Una cena come tante.

Dopo le giornate circondata da falsità e giudizi la mia famiglia rappresentava con la sua tranquillità la mia ancora, la mia spugna per cancellare il nero delle mie giornate.

E così quella sera stavo mangiando il mio polpettone con purè ascoltando metà le conversazioni attive e per metà quelle che io chiamavo passive, ovvero i pensieri della mia bellissima famiglia.

Domani devo andare a prendere le orchidee per lo studio, o forse è meglio un ficus? No dai le orchidee, così Emily è contenta.

Sorrisi leggermente alle parole di mia madre, felice che si ricordasse che le orchidee erano, e sono, il mio fiore preferito.

Chissà se Jhon mi sta pensando? Magari dopo lo chiamo, anzi no... ma forse si... Uhm...

Jhon??? Da quando la mia sorellina Jade ha smesso di essere “ina” e ha cominciato a pensare ai ragazzi?

Stavo pensando ad un discorsetto da fare alla mia ex-sorellina quando una pensiero mi bloccò.

Una frase di mio papà. Una frase che mi fece gelare il sangue nelle vene.

Come faccio a dir loro che sto per morire?



Zebrotta's Corner

Salve! Sono abbastanza nuova come “produttrice” ma ho tante idee e spero di riuscire a metterle giù in una maniera abbastanza decente.

Questa storia nasce come un gioco di scrittura creativa su forum Inchiostro Creativo http://inchiostrocreativo.forumcommunity.net/ e ogni settimana danno una parola chiave che deve essere d'ispirazione per il nuovo “capitoletto”. Arrivati a 15 parole il racconto si deve concludere quindi penso che questa storia avrà altrettanti capitoli minimi, poi se vedo che la storia piace e le idee non scarseggiano allora la continuerò.

Che altro dire...

Sarei molto contenta se mi lasciaste un commentino, una recensioncina, anche negativa purchè costruttiva.

Grazie a tutti e alla prossima settimana ^_^ P.S.:Questo capitolo può sembrare molto riassuntivo in alcune parti, volevo far sapere che è una cosa voluta perchè la storia vera e propria comincia dal capitolo successivo mentre questo serviva per presentare il personaggio.

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Capitolo 2
*** 2.Cioccolata Amara ***


2. cioccolata amara


Stavo correndo.

Altissime pareti di roccia delimitavano lo stretto sentiero che costituiva la gola del burrone. Alzai gli occhi verso il sole, ormai alto nel cielo, che picchiava furiosamente. Nessun albero o caverna per ripararmi,potevo solo procedere dritta con la speranza che i miei inseguitori si stancassero prima di me.

Sentivo alle mie spalle gli sciacalli che guadagnavano terreno, implacabili nella loro caccia.

Percepivo il loro fiato sul mio collo, i loro denti trasmutati in spaventosi ghigni all'odore della mia paura.

Correvo senza fermarmi, senza più fiato, solo con la consapevolezza che se mi fossi arresa, se solo mi fossi fermata a riposare, per me sarebbe stata la fine.

Poi all'orizzonte apparve un'alta figura. Man mano che mi avvicinavo riuscii a distinguerne maggiormente i tratti finché non prese le sembianze di mio padre.

Papà... con gli ultimi residui di fiato cominciai ad invocare il suo nome come una preghiera.

Lui mi avrebbe protetta, come sempre aveva fatto nella mia vita. Lui mi avrebbe salvato dagli sciacalli.

Meno di tre metri ci dividevano quando ad un tratto lo vidi svanire, lasciando solo una frase dietro di se. “Mi dispiace, non sapevo come dirtelo.” Mi aveva abbandonata.

Esanime crollai al suolo, senza la forza nemmeno di piangere, aspettando i miei aguzzini che pronti mi saltarono alla gola.

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Mi svegliai. Senza lacrime. Senza urla. Semplicemente aprii gli occhi.

Quello era solo l'ultimo di una serie di incubi che affollavano le mie notti tormentate nell'ultima settimana.

Decisamente non era stata una settimana facile.

Il giorno seguente alla famosa cena mi alzai talmente spossata dal pianto notturno e triste da apparire febbricitante agli occhi ansiosi di una mamma medico. Mia madre mi spedì a letto etichettandomi come “influenzata”.

Quanto avrei voluto aver solo una semplice influenza.

Passai la giornata nel letto, chiusa in camera. Non volli nemmeno vedere Joulse quando venne a trovarmi quel pomeriggio.

Saltai il pranzo. E la cena.

La giornata seguente scorse identica alla precedente, mia madre non uscì nemmeno per andare a lavorare talmente era preoccupata.

-Emy non puoi continuare a restare a letto per tutto il giorno.- Esordì Felicity entrando in camera come un tornado.

-Almeno mangia qualcosa!- Aggiunse mia madre giunta subito dopo con Jade in braccio.

-Non ho fame mamma...- non alzai nemmeno lo sguardo mantenendolo fisso sul poster del musical Mamma Mia! appeso vicino al letto.

Emy ma cos'hai tesoro? Così i fai preoccupare seriamente.

Strinsi gli occhi per non far notare a mia madre il dolore che sapevo li aveva attraversati percependo quelle parole.

-Va bene tesoro. Torno tra un po' a vedere se hai bisogno di qualcosa.- sussurrò mia madre chinandosi per darmi un bacio sulla fronte per poi uscire on Filly.

Stavo per ricominciare a piangere quando sentii Jade che si arrampicava sul letto, pensavo fosse uscita.

-Milly non piangere, ci sono io qui con te.!- disse avvolgendo le sue piccole braccia intorno al mio collo e dandomi un bacino sulla guancia.

-Dopo facciamo un disegno insieme?- sorrisi debolmente a quelle parole.

Piccola dolce Jade. Sollevai il capo per guardarla meglio occhi verdissimi che al momento rilucevano di lacrime represse.

Mi sentii profondamente in colpa per aver fatto preoccupare quello scricciolo.

-Piccolina mi dispiace...- L'abbracciai forte, accarezzandole i riccioli castani per poi baciarle la testa.

-Non piango più va bene? Dopo facciamo un bel disegno!- Vidi i suoi occhi cambiare espressione e un dolce sorriso invaderle il tenero e paffuto faccino.

-Va bene Milly! Ci vediamo dopo!- disse sorridendo prima di scoccarmi un sonoro bacio e correre fuori dalla stanza.

Solo lei mi chiamava Milly, perché quando era piccola e stava imparando a parlare non riusciva a pronunciare “Emily”. Le usciva solo “Mily”. Milly! Milly!

Buttai l'occhio all'orologio. Che troneggiava sul mio comodino accanto agli occhiali e al pupazzetto di di Sailor Moon che mi aveva regalato mia mamma da piccola.

Le 19,40. Il rosso del led pareva sottolineare che dopo venti minuti la mia famiglia si sarebbe seduta a tavola e avrebbe voluto che ci fossi anche io..

sentii che non potevo scappare per sempre, che dovevo scendere prima o poi.

Mi alzai a fatica dal letto e stavo per scendere quando sentii bussare alla porta e la voce di mio padre che mi chiedeva il permesso di entrare.

Sperai che il mio “certo” non fosse risuonato carico dell'ansia che mi stava trafiggendo.


Mi sedetti sul bordo del letto stringendo il plaid rosa nel pugno destro.

Mio padre entrò in camera per poi sedersi accanto a me e fissarmi negli occhi.

-Tesoro cos'hai? Tua madre dice che sei influenzata ma ha capito, come me del resto, che c'è dell'altro che ti fa star male. Perfino Jade che ha 5 anni se ne è accorta!-

Il suo tono di voce era dolce e basso, gli occhi erano ansiosi mentre scrutavano i miei.

Tesoro... parlami... dimmi cosa ti fa star male...

Non papà non posso” Non potevo renderlo partecipe del mio dolore, avrei dovuto spiegare troppe cose.

-Niente papà, non ho nulla. Sarà il tempo... o il cambio di stagione. Sono solo un po' triste.- cercai di sembrare convincente, in primis per me stessa.

-Emy, siamo a maggio, la stagione è cambiata da un bel pezzo, e da quattro giorni c'è un sole che spacca le pietre.

Sorrisi debolmente, ma senza riuscire a guardarlo negli occhi per più di qualche secondo. Avevo paura che potesse leggere dentro di me, Ironico vero? Ero io quella capace di farlo.

Riuscii a convincerlo ad andare a cena, a me era passata nuovamente la fame. V

verso le undici però il mio corpo, nonostante tutte le preoccupazioni, decise di farmi pagare i due giorni di digiuno con un interminabile brontolio di pancia.

Decisi quindi di fare un incursione in cucina per prendere qualche cosa.

Scovai in frigo un vasetto di yogurt. Sgraffignai dalla dispensa un pacchetto di cracker e sgattaiolai in camera con la mia refurtiva.

I successivi quattro giorni procedettero così.

Di giorno passavo il tempo per lo più a letto, con l'unica compagnia di Jade e di Joulse. Quest'ultima mi raccontava dei compiti e dei pettegolezzi giornalieri meritandosi tutta la mia dis-attenzione.

La sera invece verso le undici scendevo in cucina per mangiare qualcosa, visto che il mio corpo esigeva cibo, per poi tornare a letto e iniziare l'ennesimo incubo di quella settimana.

Il tempo fluì così, tra gli alti e i bassi, più bassi che alti, fino a quella sera.

L'incubo mi era parso ancora più vivido del solito. Riuscivo ancora a vedere gli sciacalli che mi correvano incontro solo chiudendo gli occhi.

Respirai a fondo e mi diressi in bagno per lavarmi il viso. Quando alzai la testa dal lavandino e fissai lo specchio rimasi sconvolta.

Davanti a me c'era una ragazza diversa, gli occhi spenti, i capelli, solitamente ricci e luminosi, erano opachi e mosci, il viso, oddio il viso, era leggermente scavato.

E tutto questo solo in una settimana!

Fu in quel momento che decisi di reagire, di uscire da quel mio coma in cui ero caduta.

Scesi in cucina, decisa a prepararmi una cioccolata calda con tanta panna, il mio corpo reclamava zuccheri!

Grande fu la sorpresa quando al tavolo trovai seduto mio padre, intento a sorseggiare da una tazza. Dal profumo era cioccolata. Sorrisi complice verso di lui che mi rispose di rimando.

-Ehi ricciola vuoi un po' di cioccolata?-

-Si grazie!- mi sedetti porgendogli la tazza e afferrando la bomboletta di panna spray.

-Allora, perchè non mi racconti cosa sta succedendo?- chiese cauto versando la cioccolata.

Capii che dovevo dirglielo, che dovevo raccontargli tutto.

-E va bene papi... ma ti prego di credere ad ogni parola, anche se credo che non ti sarà difficile dopo quello che ti confesserò.- aspettai un suo cenno di assenso prima di continuare.

-Qualche mese fa mi è successa una cosa strana.- Gli raccontai di com'era cominciata, del litigio con Kate, dei voti a scuola... gli raccontai tutto, fino ad arrivare a quella sera.

-Quando ti ho sentito pronunciare quella frase... mi son sentita morire.- quelle parole furono appena sussurrate dalla mia bocca ma pesarono come macigni nell'aria tiepida della cucina.

I miei occhi erano fissi sulla tazza, improvvisamente la panna aveva attirato tutta la mia attenzione.

Mio padre voleva dirmi qualcosa, lo sapevo, ma non trovava le parole. Aprì la bocca parecchie volte prima di trovare il coraggio di parlare.

-Capisco... non è facile per me credere a quello che mi hai detto... ma non posso nemmeno ignorare il fatto che conosci il mio “segreto”. Ti racconterò tutto ma devi promettermi che affronterai la cosa con coraggio perchè dovrai sostenere le tue sorelle e soprattutto tua madre.- la voce suonava innaturalmente calma e controllata, tanto che mi vennero i brividi.

-Il mese scorso ho avuto un malore, ho avuto una violenta fitta allo stomaco e sono svenuto. Fortuna vuole che mi trovassi al pronto soccorso perchè ero andato a ritirare gli esami del sangue di Felicity.

Al mio risveglio Micheal, il dottor Morris, si è avvicinato e mi ha detto che hanno trovato un tumore nel mio stomaco..-

fece una pausa per vedere la mia reazione. Io ero paralizzata ma gli feci segno di andare avanti.

-Sfortunatamente non è operabile perchè in stadio troppo avanzato.-

-Quanto... quanto ti rimane?- mi costò non poco pronunciare quelle parole ma l'urgenza di saperlo aveva vinto il terrore della scoperta.

-Due, tre mesi al massimo.- Poi il silenzio cadde tra di noi.

Io fissavo lui. Lui fissava me.

Dopo parecchi minuti alzai la mano verso il suo viso e lui, in quel momento così intimo, così drammatico, fece l'unica cosa che non mi aspettavo.

Sorrise.

E sorrisi anche io.

Sorrisi a quel padre devoto che ormai aveva accettato il suo destino.

Sorrisi per le mie sorelle che sarebbero cresciute senza di lui, soprattutto per Jade che non ha ancora avuto la possibilità di conoscerlo davvero.

Ma sorrisi soprattutto per mia madre, per far capire a lui che non l'avrei mai lasciata sola, che le sarei stata accanto e che l'avrei aiutata ad andare avanti.

Tra la morte e la vita, sorrisi alla vita.


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Capitolo 3
*** 3. La forza della vita ***


3.La forza della vita

3. La forza della vita

Tre mesi. Può tutta una vita essere rinchiusa in soli tre mesi? 90 giorni, 2160 ore, 129600 minuti. Passai un'ora con la calcolatrice in mano continuando a moltiplicare e moltiplicare e moltiplicare... cercando i trovare una falla, un errore che mi dicesse che i conti erano sbagliati, che restava più tempo.
Ma il risultato implacabile rimaneva lo stesso.
Quella sera in cucina rimarrà marchiata a fuoco nella mia mente; ricordo tutt'ora ogni singolo istante, ogni singolo gesto, ogni singola rughetta sul volto appena quarantacinquenne di mio padre.
Il primo mese scorse tranquillo, niente sembrava cambiato.
Io ripresi la mia vita con il tran tran quotidiano tra scuola e amiche.
C'era però un sostanziale cambiamento; il mio “dono” se ne era andato, così com'era venuto, un giorno di mal di testa e di vociare continuo fino al silenzio totale.
Questa cosa mi parve strana, ma rappresentava una liberazione troppo agognata per non gioirne.
Il secondo mese iniziò male; durante la prima settimana papà stette male. Io non ero in casa, mi trovavo a casa di Joulse per festeggiare il suo compleanno. Diciassette anni.
Il mio cellulare squillò proprio mentre stavamo cantando “Tanti Auguri a Te”.
  • Mamma? -
  • Emily, puoi venire a casa?-
la voce suonava spenta, come se fosse svuotata. Questo mi fece drizzare le orecchie e orientarle verso la verità a cui almeno per un pomeriggio avevo deciso di non pensare.
  • E' successo qualcosa mamma?-
  • Papà... si è sentito male. È appena andato via il dottore. Vieni a casa ti prego.-
Non mi serviva altro. Salutai velocemente le mie amiche e diedi un abbraccio a Joulse, dicendole che l'avrei chiamata in serata per raccontarle tutto.
Non credo di aver corso mai così tanto e così in fretta.
Impiegai poco più di dieci minuti per arrivare davanti al cancelletto del mio giardino; mi fermai per riprendere fiato.
Forza Emi... ce la puoi fare! Adesso un respirone e poi entri.
Aprii il cancelletto bianco e mi diressi verso la porta di casa che fu prontamente spalancata da mia madre che mi abbracciò. Stava piangendo silenziosamente.
La abbracciai d'istinto, lasciando cadere la borsa per terra. Chiusi gli occhi mentre le accarezzavo la testa e le sussurravo che sarebbe andato tutto bene.
Lei mi guardò negli occhi cercando una spiegazione che non ero pronta a darle, chiedendomi tacitamente come mai io sapessi della situazione, come mai fossi così calma.
  • Vieni mamma, andiamo in sala.-
La presi per mano portandola sul divano color verde pisello. Mi venne un sorrisetto ripensando al momento in cui io, piccola bimba di cinque anni, mi ero imposta al negozio perchè volevo quel colore li. Mi ero messa anche a piangere perchè mia mamma preferiva un orrendo color albicocca. Mio padre alla fine mi aveva preso in braccio dicendomi che se piaceva a me allora avremmo preso quello verde.
Dopo dodici anni mia mamma ancora si lamentava di quanto stesse male quel colore nel nostro salotto... ma non penso che in quel momento la situazione sarebbe stata diversa se fosse stato color albicocca.
Abbracciai mia mamma, lasciandola sfogare... è tremenda una madre che piange, nessun figlio vorrebbe vederla.
  • Mamma ti prego... non fare così-
  • E dimmi cosa dovrei fare? Come dovrei fare?-
  • Papà non vorrebbe questo...-
  • Sta morendo... cosa farò senza di lui? Senza il mio George?-
  • Andrai avanti amore mio...-
Fu mio padre a parlare, sulle scale. Aveva sentito tutto ovviamente. Mia madre alzò gli occhi dal mio abbraccio posandoli su di lui.
  • Andrai avanti e non sarai mai sola... Mi rendo conto che sembrano le classiche frasi da film strappalacrime ma è vero. Forse non ci sarò io accanto a te ma abbiamo tre splendide figlie che non ti abbandoneranno mai.-
Disse queste parole avanzando, fino a sedersi sul divano, accanto a mia mamma.
  • Perchè non me lo hai detto prima?-
  • Non volevo fartelo pesare amore... anche per me non è facile dire addio a te, a voi...-
  • E credi sia stato meglio così? Venire a saperlo da un dottore? Da un estraneo?-
  • Sempre meglio di come l'ho scoperto io...-
Intervenni titubante, decisa a raccontarle dello strano episodio di cui ero stata protagonista.
Quando mia sorella Filly entrò in casa ci trovò abbracciati tutti e tre su quell'orrendo divano verde.
Quella sera, dopo cena, ci trovammo intorno al tavolo noi quattro, dopo aver messo a letto Jade.
Mio padre raccontò per filo e per segno ogni cosa, dal momento del primo sintomo fino a quel giorno. Mia sorella pianse. Molto. E mia madre con lei. Erano ormai le quattro quando finalmente tutti si erano calmati. La cioccolata calda stava scorrendo a fiumi accompagnata da montagne di panna.
  • sappiate che non voglio un funerale triste. Mi deprimerei ancora di più se vi vedessi tristi! Posso osare qualche richiesta?-
Mio malgrado scoppiai a ridere! Voleva pure dettare condizioni sul suo funerale? Sarà stata l'ora, sarà stata la cioccolata, sarà stata la panna... ma scoppiammo tutti a ridere.
  • E sentiamo, che richieste vorresti porre?-
  • Innanzitutto il nero mi fa schifo! Quindi vorrei che nessuno lo indossasse.-
  • E che colore invece ti aggrada?- feci io allora
  • Uhm direi che tutti gli altri vanno bene ma se ne devo scegliere uno dire l'azzurro.-
  • Azzurro eh? Si potrebbe fare.-
Mia madre emise un sospiro, ormai rassegnata al triste destino. Si alzò mettendo le tazze nel lavandino per poi aprire l'acqua calda e lasciarla scorrere.
  • Come vuoi tu, George... come vuoi tu.-
Poche parole che però bastarono a tutti per capire che lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per far si che quel giorno fosse come lui lo voleva, esattamente come in vent'anni di matrimonio aveva fatto ogni cosa possibile per renderlo felice. Mio padre si alzò dalla sedia e la abbracciò da dietro, sussurrandole dolci parole all'orecchio. Riuscii a scorgere un leggero sorriso affacciarsi sul viso triste e stanco di mia madre.
  • Ah! Un'altra cosa..- disse di colpo girandosi verso il tavolo e indicandomi con il dito.
  • Dimmi papi-
  • Mi piacerebbe che tu cantassi, lo sai che io adoro la tua voce e vorrei che allietasse anche il mio funerale.-
Ogni volta che pronunciava la parola funerale mi veniva un groppo in gola ma non potevo piangere, gli avevo promesso che sarei stata forte, almeno io.
  • Va bene, te lo prometto.-
Mia madre finì di lavare le tazze e dopo averle messe nello scolapiatti decise che era ora di andare a riposare almeno un po'.
Era il 7 aprile. Dopo esattamente due settimane, in barba ai medici che gli davano ancora più di un mese abbondante di vita, mio padre morì.
Il funerale fu organizzato per domenica 22 aprile, alle tre del pomeriggio.
Quella mattina la casa si svegliò silenziosa, ormai nessuno di noi aveva più lacrime da versare e sapevamo che lui ci avrebbe castigato se avessimo osato piangere.
La prima ad alzarsi fu mia mamma che preparò i pancake per colazione. Quando arrivai in cucina la trovai ai fornelli, con il grembiule bianco con tanti dolci ricamati sopra, che faceva saltare i pancake nella padella, con un lieve sorriso che sapeva molto di malinconia.
Erano buoni i pancake della mamma, piacevano un sacco anche a papà, penso che fosse per quel motivo che li aveva preparati.
Subito dopo giunse Filly con in braccio Jade che dopo aver annusato l'aria disse esultante:
  • Pancake!-
Fu una colazione strana. Nonostante le circostanze “particolari”, fu la colazione più serena degli ultimi tempi.
Alle dieci doveva arrivare mia zia Clara da Londra insieme alla famiglia. Erano già le nove e quindi ci andammo subito a vestire.
Nella mail che mia mamma aveva inviato a tutti aveva espressamente detto di non vestirsi di nero, ma di preferire qualsiasi capo di vestiario che fosse molto colorato.
Jade entrò di corsa nella mia camera, stupenda nel suo vestitino di raso e tulle color turchese con tanti fiorellini bianchi ricamati sulla gonna.
  • Milly sei in ritardo! Sei ancora in mutande!-
  • Jade! Dai esci che adesso finisco di prepararmi.-
  • Posso stare qui?-
  • Va bene, ma fai la brava.-
La guardai arrampicarsi sul letto prima di girarmi nuovamente verso il vestito appeso alla stampella di fronte a me. Era un vestito azzurro pastello, di seta, con una stampa giapponese con un ciliegio in fiore. Me lo avevano regalato i miei genitori al mio compleanno, l'estate passata. Avrei sicuramente avuto freddo ma ci tenevo particolarmente ad indossare proprio quel vestito.
Lo indossai, fissandomi allo specchio.
  • Stai benissimo Milly!-
Disse Jade sorridendomi. Le sorrisi di rimando prima di indossare i sandali e la pashmina, entrambi bianchi.
Scesi in salotto giusto in tempo per vedere mia madre aprire la porta per far entrare mia zia Clara e mio zio Johnatan. Li abbracciai dolcemente mentre loro mi facevano le condoglianze.
  • Niente condoglianze zia, papà non le vorrebbe. Ma... dov'è David? Non è venuto?-
chiesi guardando la porta che si era appena chiusa dietro le loro spalle. David è mio cugino, anche se non siamo propriamente cresciuti insieme ci siamo sempre voluti molto bene, giocavamo sempre insieme quando andavo a trovarli a Londra o quando passavamo le estati insieme sul Derwentwater, uno dei laghi del Lake District. La mia famiglia ha una casa li da molto tempo, e le nostre due famiglie passano sempre le estati insieme su quel lago.
  • No tranquilla, è andato solo a comprare le sigarette per tuo zio, arrivano subito.-
  • Arrivano?-
  • Si, non te l'ha detto Audrey? È venuto anche un amico di David che sta da noi per questi giorni.-
  • Ah no, mia mamma si è dimenticata. Ok allora li aspetto.-
Mi defilai in cucina per bere qualcosa, afferrai la bottiglia di acqua menta e il mio bicchiere preferito viola di vetro soffiato. Mentre stavo mettendo il bicchiere nel lavabo vidi mio cugino e il suo amico avanzare nel vialetto.
Rimasi colpita dal nuovo arrivato. Era più alto di David, il che voleva dire che era alto almeno 1,85, aveva i capelli riccioli neri. Molto elegante con un completo color panna e la camicia azzurra.
Avanzavano ridendo tra di loro. Non riuscivo a levargli gli occhi di dosso. Poi ad un tratto il ragazzo alzò gli occhi verso la finestra e mi vide chinandosi poi verso David che guardò nella mia direzione agitando la mano.
Sorrisi correndo verso la porta spalancandola; mi trovai davanti mio cugino e lo abbracciai stretto. Era un bel po' che non lo vedevo.
  • Ehi scricciola, come stai? Mi dispiace molto per lo zio.-
  • Non ti preoccupare Dave, va tutto bene.-
Continuai ad abbracciarlo finchè non ricordai del suo amico e mi districai dall'abbraccio per presentarmi.
  • Piacere io sono Emily.-
  • Piacere mio, io mi chiamo Gabriel. Mi dispiace solo di averti conosciuta in queste circostanze.-
Gabriel, così si chiamava. Mentre gli stringevo la mano riuscii a vedere i suoi occhi, di un verde brillante.
  • Oh non ti preoccupare! Volete qualcosa da bere?-
Li portai in cucina e li feci accomodare servendogli poi del succo di frutta.
Parlammo per un bel po', scoprii così che i due andavano in classe insieme e che i genitori di Gabriel erano partiti per una crociera, una seconda luna di miele, lasciando lui dai miei zii per due settimane.
L'ora del pranzo arrivò fin troppo presto, seguita a ruota dall'ora X.
La chiesa era molto raccolta, non conteneva più di trenta persone. Tutti, notai con piacere, indossavano vestiti non neri, principalmente colori pastello, i più arditi erano vestiti di rosso.
Mi sedetti insieme a mia madre e alle mie sorelle nel primo banco aspettando il mio turno di parlare.
L'inizio fu abbastanza pesante, le parole del parroco parvero macigni, intristendo gli animi dei presenti. A mia madre scappò più di una volta qualche lacrima, nonostante si fosse promessa di non piangere.
Finalmente arrivò il mio turno di salire all'altare. Il mio passo non era molto fermo ma avanzai a testa alta verso l'ambone. Due passi, un passo. Un respiro.
  • Buon pomeriggio a tutti, vi ringrazio a nome della mia famiglia di aver preso parte a questa funzione... un po' inusuale. Ma del resto George Queen non è mai stata una persona banale; ha sempre cercato di distinguersi in ogni modo possibile. È stato un medico eccezionale, sempre pronto ad ascoltare i pazienti anche quando questi di malato non avevano nulla.
    Dopo aver conosciuto mia madre il resto del genere femminile ha smesso di esistere, ovviamente questo esclude me e le mie sorelle. Infatti se c'è una cosa che ha fatto meglio di essere un marito devoto è stato essere un padre unico nel suo genere, condannato a vivere in una famiglia di sole donne. Ricordo ancora quando mia madre era incinta di Jade... lui fino all'ultimo sperava fosse un maschio, diceva sempre che gli avrebbe insegnato a pescare, cosa che sia io che Felicity, purtroppo, ci siamo sempre rifiutate di imparare.
    Quando scoprì che era un'altra femmina ricordo che mi disse “pazienza, sarà per la prossima volta”. Purtroppo non ci sarà un'altra volta... ma papà non ti preoccupare, ti prometto che imparerò io a pescare e poi lo insegnerò a Jade.
    Dicevo, era un uomo inusuale. Anche il fatto che oggi non indossate il nero dipende da lui. Mi fece sorridere quando ce lo chiese, anzi ce lo impose. Pensai “ma che egoista, non solo ci vuole lasciare ma pretende pure di dettare condizioni”.-
La mia voce si incrinò, ma dovevo resistere. Volsi lo sguardo alle persone davanti a me incontrando quello di Joulse che mi sorrise incoraggiante. Le avevo promesso che non avrei pianto e non piansi.
  • E' stato egoista si... ma chi eravamo noi per dire di no? Dopo anni che lui non riusciva a dire di no a me questo è il minimo. Ricordo ancora una volta che ci trovavamo tutti insieme ad un Luna Park e io mi ero impuntata che volevo lo zucchero filato. Mia madre non voleva perchè avevo già mangiato un gelato e una granita, ma io non volevo sentir ragioni. Mi impuntai finchè mio papà, prendendosi una bella lavata di capo da mia madre, non mi comprò lo zucchero filato.
    Ovviamente poi stetti malissimo. Ricordo ancora le parole che mio papà mi disse: “bisogna accontentarsi.” Non so se ho imparato ad accontentarmi, l'unica cosa che è certa è che non ho più voluto mangiare lo zucchero filato.-
Sentii delle piccole risatine provenire da alcuni dei presenti, soprattutto mia madre che sorrise al ricordo di una piccola Emily di sette anni che faceva una scenata in mezzo al Luna Park.
  • Adesso però è arrivato il momento di soddisfare l'ultima delle richieste che mi ha mosso il mio inusuale padre. Come sapete era un grande amante di Mozart e da quando mi chiese di cantare qualcosa al suo funerale ho continuato a pensare a cosa avrei potuto cantare.
    Se mia madre mi accompagna all'organo adesso canterò l'Ave Verum di Mozart.-
mia madre si alzò dal suo posto e si diresse verso l'organetto.
Per te papà, solo per te. Pensai solo questo prima di chiudere gli occhi e cominciare a cantare. Ogni nota era intrisa di amore, dolore, dolcezza, amarezza, gioia, frustrazione... tutte le emozioni che si erano accumulate durante l'ultimo periodo confluirono nella mia voce, infondendo a delle semplici note delle sfumature che non sarei mai più riuscita a riprodurre.
Quando l'ultima nota dell'organo chiuse il pezzo dai banchi si levò un applauso. Vidi i volti sorridenti dei miei familiari, quelli commossi del resto dei presenti... perfino il volto di mio padre sulla gigantografia accanto alla bara bianca mi parve più sorridente di prima.
Alla fine della funzione il prete ci ha ringraziato, dicendoci che non aveva mai assistito a un funerale così ricco di positività e di speranza.
Ci trasferimmo tutti a casa mia dove mia madre aveva allestito un piccolo rinfresco. Dopo aver preso un bicchiere colmo di aranciata mi diressi verso il giardino, sedendomi sulla panchina di marmo bianco posta sotto il ciliegio.
  • Oh, un fiore tra i fiori!-
Alzai gli occhi verso mio cugino che stava arrivando verso di me insieme al suo affascinante amico. Si avevo deciso che era affascinante! Non avevo mai avuto grandi amori, nemmeno medi amori. A dir la verità nemmeno piccoli amori. Sempre amori non corrisposti, l'ultimo un mio compagno di classe che mi trattava malissimo e ancora non capivo come aveva fatto a piacermi uno stronzo così grande.
Decisi che Gabriel poteva essere l'ennesimo mio amore non corrisposto. Cominciavo seriamente a pensare che lo facessi apposta a tenermi la mente occupata con ragazzi impossibili, come se ci trovassi gusto a soffrire.
Comunque in quel momento la mia nuova pseudo cotta si sedette alla mia destra e mio cugino alla mia sinistra.
  • Proprio un fiore tra i fiori.-
  • Si può sapere cosa stai dicendo Dave?-
chiesi sorridendo.
  • C'è che hai un vestito con un albero di ciliegio in fiore e sei sotto un albero di ciliegio in fiore.-
  • Mmmm ok... cos'hai preso?-
Gabriel scoppiò a ridere davanti all'espressione di mio cugino che sembrava indispettito.
  • Dai Dave sto scherzando!-
  • Si Dave sta scherzando!-
Disse lui, rimarcando sul nomignolo che io gli avevo affibbiato quando eravamo piccoli.
  • Emi quante volte ti ho detto di non chiamarmi Dave?-
  • Solo un migliaio cuginetto caro, troppo poche!-
David si alzò con le mani verso l'alto, inveendo contro qualche divinità sconosciuta per poi comunicarci che andava a prendere qualcosa da bere in casa.
Rimanemmo soli, su quella panchina, io e il mio angelo Gabriel.
  • Sai che canti proprio bene?-
Esordì lui, rompendo il silenzio che si era creato.
  • Davvero? Mi è sempre piaciuto cantare ma è solo una cosa sporadica. Tu sei esperto?-
  • Più o meno. A Londra canto come tenore nel Westminster Choir.-
Disse con un leggero tono orgoglioso. E lo capivo. Cantare in quel coro è qualcosa di unico, la Abbazia stessa è una cosa unica. Per entrare a farne parte bisogna sostenere un esame, prima con il direttore e poi di fronte a tutto il coro.
  • Beato te, se abitassi a Londra mi piacerebbe tentare...-
  • Se abitassi a Londra entreresti di sicuro!-
Fu poco più di un complimento, ma arrossii come se mi avesse detto che ero bellissima.
Non riuscii a rispondere perchè David tornò con in mano due bicchieri di birra, porgendone uno a Gabriel. Dietro di lui apparve anche Joulse che si sedette accanto a me abbracciandomi.
  • Sei stata grandiosa oggi pomeriggio. Io non sono stata altrettanto coraggiosa...-
Le parole della mia migliore amica erano dolci, ricche di affetto e comprensione. L'anno prima era morto suo padre, investito da un pirata della strada; fu un giorno tristissimo e io le stetti accanto in ogni modo possibile. La strinsi a me dandole un bacio sui capelli sorridendo tristemente ai due ragazzi che ci guardavano senza parlare, rispettosi del momento che pareva quasi solenne.
Passammo un'ora buona a parlare del più e del meno quando fummo interrotti da mia madre che voleva fare un annuncio.
Ci trasferimmo nel salotto dove ci fece accomodare sul divano verde.
  • Allora... quello che devo comunicarvi non è una cosa facile. Come sapete io e George ci siamo trasferiti qui non appena sposati e per quanto questo paesino sia stato importante per me, per noi, credo sia giunto il momento di cambiare.- fece una pausa cercando di andare avanti.
  • Mamma? Cosa stai dicendo?-
  • Sto dicendo che Clara mi ha detto che gli affittuari dell'appartamento sopra il suo se ne sono andati e io ho pensato che la City fosse pronta per noi.
    Sto dicendo che ci trasferiamo a Londra.-
La guardai allibita per poi sedermi sul divano continuando a fissarla.

Zebrotta's Corner

Mi rendo conto che sono in ritardo, tremendamente in ritardo. per farmi perdonare questo capitolo è molto lungo, il doppio degli altri. Questo perchè ho messo insieme due parole creando un capitolo lungo e  ricco di eventi e di emozioni.

Le parole che ho unito sono Amore e Musica. 

Amore per un padre scomparso, ma anche per l'affacciarsi di questo sentimento verso Gabriel. il suo angelo salvatore. 

Musica per il canto di Emily e questa sua passione che si scopre adesso.

Spero che mi sia piaciuto, vi prego lasciate un commentino!

Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Bum! ***


Bum! è esplosa la mia pazienza xD
no scherzo, dai. comunque ho deciso di chiudere la storia, tanto non la leggeva nessuno.
ho deciso di chiuderla e di riscriverla da capo, devo modificare un po' di cosucce qua e là.
Grazie ai pochi che hanno letto questo mio scompenso letterario!
baci

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