2. cioccolata amara
Stavo
correndo.
Altissime
pareti di roccia delimitavano
lo stretto sentiero che costituiva la gola del burrone. Alzai gli
occhi verso il sole, ormai alto nel cielo, che picchiava
furiosamente. Nessun albero o caverna per ripararmi,potevo solo
procedere dritta con la speranza che i miei inseguitori si
stancassero prima di me.
Sentivo
alle mie spalle gli sciacalli che guadagnavano terreno, implacabili
nella loro caccia.
Percepivo
il loro fiato sul mio collo, i loro denti trasmutati in spaventosi
ghigni all'odore della mia paura.
Correvo
senza fermarmi, senza più fiato, solo con la consapevolezza che se
mi fossi arresa, se solo mi fossi fermata a riposare, per me sarebbe
stata la fine.
Poi
all'orizzonte apparve un'alta figura. Man mano che mi avvicinavo
riuscii a distinguerne maggiormente i tratti finché non prese le
sembianze di mio padre.
Papà...
con gli ultimi residui di fiato cominciai ad invocare il suo nome
come una preghiera.
Lui
mi avrebbe protetta, come sempre aveva fatto nella mia vita. Lui mi
avrebbe salvato dagli sciacalli.
Meno
di tre metri ci dividevano quando ad un tratto lo vidi svanire,
lasciando solo una frase dietro di se. “Mi dispiace, non sapevo
come dirtelo.” Mi aveva abbandonata.
Esanime
crollai al suolo, senza la forza nemmeno di piangere, aspettando i
miei aguzzini che pronti mi saltarono alla gola.
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Mi svegliai. Senza lacrime. Senza
urla. Semplicemente aprii gli occhi.
Quello era solo l'ultimo di una
serie di incubi che affollavano le mie notti tormentate nell'ultima
settimana.
Decisamente non era stata una
settimana facile.
Il giorno seguente alla famosa
cena mi alzai talmente spossata dal pianto notturno e triste da
apparire febbricitante agli occhi ansiosi di una mamma medico. Mia
madre mi spedì a letto etichettandomi come “influenzata”.
Quanto avrei voluto aver solo una
semplice influenza.
Passai la giornata nel letto,
chiusa in camera. Non volli nemmeno vedere Joulse quando venne a
trovarmi quel pomeriggio.
Saltai il pranzo. E la cena.
La giornata seguente scorse
identica alla precedente, mia madre non uscì nemmeno per andare a
lavorare talmente era preoccupata.
-Emy non puoi continuare a restare
a letto per tutto il giorno.- Esordì Felicity entrando in camera
come un tornado.
-Almeno mangia qualcosa!- Aggiunse
mia madre giunta subito dopo con Jade in braccio.
-Non ho fame mamma...- non alzai
nemmeno lo sguardo mantenendolo fisso sul poster del musical Mamma
Mia! appeso vicino al letto.
Emy
ma cos'hai tesoro? Così i fai preoccupare seriamente.
Strinsi gli occhi per non far
notare a mia madre il dolore che sapevo li aveva attraversati
percependo quelle parole.
-Va bene tesoro. Torno tra un po'
a vedere se hai bisogno di qualcosa.- sussurrò mia madre chinandosi
per darmi un bacio sulla fronte per poi uscire on Filly.
Stavo per ricominciare a piangere
quando sentii Jade che si arrampicava sul letto, pensavo fosse
uscita.
-Milly non piangere, ci sono io
qui con te.!- disse avvolgendo le sue piccole braccia intorno al mio
collo e dandomi un bacino sulla guancia.
-Dopo facciamo un disegno
insieme?- sorrisi debolmente a quelle parole.
Piccola dolce Jade. Sollevai il
capo per guardarla meglio occhi verdissimi che al momento rilucevano
di lacrime represse.
Mi sentii profondamente in colpa
per aver fatto preoccupare quello scricciolo.
-Piccolina mi dispiace...-
L'abbracciai forte, accarezzandole i riccioli castani per poi
baciarle la testa.
-Non piango più va bene? Dopo
facciamo un bel disegno!- Vidi i suoi occhi cambiare espressione e un
dolce sorriso invaderle il tenero e paffuto faccino.
-Va bene Milly! Ci vediamo dopo!-
disse sorridendo prima di scoccarmi un sonoro bacio e correre fuori
dalla stanza.
Solo lei mi chiamava Milly, perché
quando era piccola e stava imparando a parlare non riusciva a
pronunciare “Emily”. Le usciva solo “Mily”. Milly! Milly!
Buttai l'occhio all'orologio. Che
troneggiava sul mio comodino accanto agli occhiali e al pupazzetto di
di Sailor Moon che mi aveva regalato mia mamma da piccola.
Le 19,40. Il rosso del led pareva
sottolineare che dopo venti minuti la mia famiglia si sarebbe seduta
a tavola e avrebbe voluto che ci fossi anche io..
sentii che non potevo scappare per
sempre, che dovevo scendere prima o poi.
Mi alzai a fatica dal letto e
stavo per scendere quando sentii bussare alla porta e la voce di mio
padre che mi chiedeva il permesso di entrare.
Sperai che il mio “certo” non
fosse risuonato carico dell'ansia che mi stava trafiggendo.
Mi sedetti sul bordo del letto
stringendo il plaid rosa nel pugno destro.
Mio padre entrò in camera per poi
sedersi accanto a me e fissarmi negli occhi.
-Tesoro cos'hai? Tua madre dice
che sei influenzata ma ha capito, come me del resto, che c'è
dell'altro che ti fa star male. Perfino Jade che ha 5 anni se ne è
accorta!-
Il suo tono di voce era dolce e
basso, gli occhi erano ansiosi mentre scrutavano i miei.
Tesoro...
parlami... dimmi cosa ti fa star male...
“Non papà non posso”
Non potevo renderlo partecipe del mio dolore, avrei dovuto spiegare
troppe cose.
-Niente papà, non ho nulla. Sarà
il tempo... o il cambio di stagione. Sono solo un po' triste.- cercai
di sembrare convincente, in primis per me stessa.
-Emy, siamo a maggio, la stagione
è cambiata da un bel pezzo, e da quattro giorni c'è un sole che
spacca le pietre.
Sorrisi debolmente, ma senza
riuscire a guardarlo negli occhi per più di qualche secondo. Avevo
paura che potesse leggere dentro di me, Ironico vero? Ero io quella
capace di farlo.
Riuscii a convincerlo ad andare a
cena, a me era passata nuovamente la fame. V
verso le undici però il mio
corpo, nonostante tutte le preoccupazioni, decise di farmi pagare i
due giorni di digiuno con un interminabile brontolio di pancia.
Decisi quindi di fare un
incursione in cucina per prendere qualche cosa.
Scovai in frigo un vasetto di
yogurt. Sgraffignai dalla dispensa un pacchetto di cracker e
sgattaiolai in camera con la mia refurtiva.
I successivi quattro giorni
procedettero così.
Di giorno passavo il tempo per lo
più a letto, con l'unica compagnia di Jade e di Joulse. Quest'ultima
mi raccontava dei compiti e dei pettegolezzi giornalieri meritandosi
tutta la mia dis-attenzione.
La sera invece verso le undici
scendevo in cucina per mangiare qualcosa, visto che il mio corpo
esigeva cibo, per poi tornare a letto e iniziare l'ennesimo incubo di
quella settimana.
Il tempo fluì così, tra gli alti
e i bassi, più bassi che alti, fino a quella sera.
L'incubo mi era parso ancora più
vivido del solito. Riuscivo ancora a vedere gli sciacalli che mi
correvano incontro solo chiudendo gli occhi.
Respirai a fondo e mi diressi in
bagno per lavarmi il viso. Quando alzai la testa dal lavandino e
fissai lo specchio rimasi sconvolta.
Davanti a me c'era una ragazza
diversa, gli occhi spenti, i capelli, solitamente ricci e luminosi,
erano opachi e mosci, il viso, oddio il viso, era leggermente
scavato.
E tutto questo solo in una
settimana!
Fu in quel momento che decisi di
reagire, di uscire da quel mio coma in cui ero caduta.
Scesi in cucina, decisa a
prepararmi una cioccolata calda con tanta panna, il mio corpo
reclamava zuccheri!
Grande fu la sorpresa quando al
tavolo trovai seduto mio padre, intento a sorseggiare da una tazza. Dal
profumo era cioccolata. Sorrisi complice verso di lui che mi rispose
di rimando.
-Ehi ricciola vuoi un po' di
cioccolata?-
-Si grazie!- mi sedetti
porgendogli la tazza e afferrando la bomboletta di panna spray.
-Allora, perchè non mi racconti
cosa sta succedendo?- chiese cauto versando la cioccolata.
Capii che dovevo dirglielo, che
dovevo raccontargli tutto.
-E va bene papi... ma ti prego di
credere ad ogni parola, anche se credo che non ti sarà difficile
dopo quello che ti confesserò.- aspettai un suo cenno di assenso
prima di continuare.
-Qualche mese fa mi è successa
una cosa strana.- Gli raccontai di com'era cominciata, del litigio
con Kate, dei voti a scuola... gli raccontai tutto, fino ad arrivare
a quella sera.
-Quando ti ho sentito pronunciare
quella frase... mi son sentita morire.- quelle parole furono appena
sussurrate dalla mia bocca ma pesarono come macigni nell'aria tiepida
della cucina.
I miei occhi erano fissi sulla
tazza, improvvisamente la panna aveva attirato tutta la mia
attenzione.
Mio padre voleva dirmi qualcosa,
lo sapevo, ma non trovava le parole. Aprì la bocca parecchie volte
prima di trovare il coraggio di parlare.
-Capisco... non è facile per me
credere a quello che mi hai detto... ma non posso nemmeno ignorare il
fatto che conosci il mio “segreto”. Ti racconterò tutto ma devi
promettermi che affronterai la cosa con coraggio perchè dovrai
sostenere le tue sorelle e soprattutto tua madre.- la voce suonava innaturalmente calma e controllata, tanto che mi vennero i
brividi.
-Il mese scorso ho avuto un
malore, ho avuto una violenta fitta allo stomaco e sono svenuto.
Fortuna vuole che mi trovassi al pronto soccorso perchè ero andato a
ritirare gli esami del sangue di Felicity.
Al mio risveglio Micheal, il
dottor Morris, si è avvicinato e mi ha detto che hanno trovato un
tumore nel mio stomaco..-
fece una pausa per vedere la mia
reazione. Io ero paralizzata ma gli feci segno di andare avanti.
-Sfortunatamente non è operabile
perchè in stadio troppo avanzato.-
-Quanto... quanto ti rimane?- mi
costò non poco pronunciare quelle parole ma l'urgenza di saperlo
aveva vinto il terrore della scoperta.
-Due, tre mesi al massimo.- Poi il
silenzio cadde tra di noi.
Io fissavo lui. Lui fissava me.
Dopo parecchi minuti alzai la mano
verso il suo viso e lui, in quel momento così intimo, così
drammatico, fece l'unica cosa che non mi aspettavo.
Sorrise.
E sorrisi anche io.
Sorrisi a quel padre devoto che
ormai aveva accettato il suo destino.
Sorrisi per le mie sorelle che
sarebbero cresciute senza di lui, soprattutto per Jade che non ha
ancora avuto la possibilità di conoscerlo davvero.
Ma sorrisi soprattutto per mia
madre, per far capire a lui che non l'avrei mai lasciata sola, che le
sarei stata accanto e che l'avrei aiutata ad andare avanti.
Tra la morte e la vita, sorrisi
alla vita.
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