The Bitter End

di SissiCuddles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Open and Shut ***
Capitolo 2: *** The Choice Parte I ***
Capitolo 3: *** The Choice Parte II ***
Capitolo 4: *** The Choice Parte III ***
Capitolo 5: *** A Place Called Home Parte I ***
Capitolo 6: *** A Place Called Home Parte II ***
Capitolo 7: *** A Place Called Home Parte III ***
Capitolo 8: *** Help Me Parte I ***
Capitolo 9: *** Help Me Parte II ***



Capitolo 1
*** Open and Shut ***




The Bitter End


Capitolo 1: Open and Shut



Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 16.35

"Dov'è House?"
Cuddy entrò nell'ufficio, mentre Tredici stava cominciando a radunare le cartelle sparse sul tavolo di vetro.


"Credo sia in clinica"
"In clinica?"
"Sì. Foreman è appena uscito. Chase e Taub sono con la paziente per l'ultimo ciclo di chemio"


"Ok."
Cuddy si girò, ma non uscì dalla stanza. Si voltò verso la dottoressa più giovane.


"Ho sentito del tuo litigio con Foreman. E' tutto a posto?"
"Sì. E' stato solo un litigio è…ancora un po' difficile separare la nostra vita privata dal lavoro"


"Sei sicura sia tutto ok?"

"Eravamo insieme. Ora è geloso perché io e Chase abbiamo un ottimo rapporto di amicizia. E'…solo geloso"
"E' un peccato che non avere la possibilità di parlarci spesso"


Tredici era sorpresa dalle parole del suo capo. Quando mai Cuddy era stata gentile con lei. Quando mai aveva avuto una conversazione amichevole. Non era mai capitato, ma ad entrambe serviva una breve discussione con qualcuno. Troppo lavoro, troppa voglia di avere una vita normale, e gli amici erano passati in secondo piano. Erano entrambe troppo impegnate ad avere una vita perfetta.
"Già. Forse perché qui in ospedale siamo troppo impegnate a lavorare, e al di fuori siamo in cerca di una relazione che possa…"
"Durare più delle precedenti…"
Cuddy allontanò una sedia dal tavolo e vi ci sedette sopra. Tredici fece lo stesso.


"Mi sono innamorata per la prima volta a 17 anni. Lui ne aveva 30. Avrei dovuto sapere che non sarebbe durata a lungo, ma ero solo una ragazzina. Pensavo di avere trovato il grande amore - ride - e invece era solo il primo di molti buchi nell'acqua"
"Mi dispiace. La mia prima cotta l'ho avuta ad un campo estivo. Avevo 12 anni e avevo degli occhiali enormi. Sembravo un piccolo mostriciattolo - ride - lui è stato il mio primo bacio. Dopo ho avuto varie cotte. Passavo da un ragazzo all'altro. Poi ho cominciato a studiare medicina e ho messo la testa a posto, finchè…"
"Non hai conosciuto House…"
Cuddy si porta una mano alla testa e ride.


"Già. Poi lui se ne è andato e sono ritornata la Lisa di sempre. Quella che partecipa alle feste, ma studia per tutto il resto del tempo libero."

"E' sempre stato così?"
"House?"


"Sì, voglio dire è sempre stato così arrogante e cinico?"

"Era conosciuto in tutto il campus per il genio che prendeva in giro i professori e che si portava a letto una ragazza diversa ogni notte. Era House"
Tredici sorrise all'espressione della donna di fronte a lei. Era quasi radiosa.


"Ho una malattia che mi porterà alla morte in meno di 10-15 anni. Ho paura di non trovare un uomo che possa affrontare la cosa con me, qualcuno che mi sia di sostegno. Sento di averne bisogno."
"Sei ancora giovane e qualcuno troverai che ti possa amare e che possa vivere con te questa malattia. Non devi arrenderti"
"E tu ti sei arresa?"
"Forse…"
"Lucas è l'uomo della tua vita?"
"Non ne sono più molto sicura."
Tredici rimase in silenzio, mentre entrambe assaporavano quell'atmosfera di silenzio.


"Non sono mai riuscita ad avere una vera relazione. Ho avuto decine di appuntamenti che non avevano mai un seguito. Sembrava quasi che gli uomini rimanevano delusi da me. C'è stato un uomo, Don, che avevo conosciuto in una chat e House lo aveva scoperto. Prima ha rovinato il mio appuntamento al bar, poi si è presentato a casa mia. Quando sono rientrata in salotto, Don mi ha detto che con House tutto è diverso, quasi come se il mondo si fermasse e solo noi esistessimo. E' stato strano vederlo uscire dalla mia casa dopo quel discorso. Da lì ho cercato di sistemare le cose con House. C'è stato l'incidente, la morte di Amber e poi Kutner e in fine Mayfield. Poi ho conosciuto Lucas. Lui mi fa sentire protetta; si prende cura di mia figlia e anche di me. Ma ultimamente è diverso."

"Lucas è diverso?"
"Ciò che provo per lui è diverso. Non so perché ci sia stato questo cambiamento, ma forse non dovrei prestargli attenzione. Forse dovrei continuare a vivere come negli ultimi mesi, non preoccupandomi troppo per mia figlia perché tanto c'è qualcuno a casa con lei la sera quando io faccio tardi. C'è qualcuno che finalmente mi aspetta quando rientro dopo una lunga giornata."
"Forse dovresti lasciarti andare invece. Sono quasi tre anni che sono qui. Tutti noi vediamo il vostro comportamento. E ho notato il tuo cambiamento quando lui è stato a Mayfield e ora posso notare anche quello di House. Esternamente rimane il solito bastardo, ma ora so che ha un cuore anche lui. E proprio quando lui è pronto ad avere una storia, tu non ci sei per lui. La mia conclusione è che dovreste regolare bi vostri orologi e provarci una volta per tutte."
Cuddy continuò a guardare la ragazza seduta a pochi centimetri da lei. Lo sguardo di tredici perso nel vuoto, ma la sua mente fissa su quelle parole che aveva appena liberamente pronunciato al suo capo.


"Spetta a te decidere."
Tredici si alzò, raccolse le ultime cartelle dal tavolo, mentre Cuddy rimase seduta su quella sedia, che in quel momento sembrava troppo scomoda per continuare a starci seduta.


Guardò l'orologio appeso alla parete di fronte a lei. House sarebbe uscito dall'ospedale alle 17. Aveva 10 minuti per raggiungerlo in clinica.

Si alzò e prese a camminare verso la clinica, ancora non curante di ciò che avrebbe detto tra pochi minuti.



Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Clinica. Ore 16.55

"Annota: sono le 5 e il dottor House se ne va dalla clinica"
"Non sono ancora le 5 e c'è un solo paziente in sala visite, può…"
L'infermiera tentò di fermarlo, ma invano. Nonostante il bastone e il dolore alla gamba, House era riuscito a sfuggire alla presa della donna che, un po' scettica, continuava a fissarlo camminare verso la porta.


"Dove credi di andare House?"

Cuddy gli si tagliò di fronte con la sua piccola mole, impedendo al diagnosta di continuare la sua fuga.
"Me ne vado a casa. Sono le 5 e ho risolto il caso"
House scivolò verso destra, ma fu bloccato dalla donna di fronte a lui.


"Cuddy, basta giochetti. Se vuoi che ti salti addosso, almeno andiamo nel tuo ufficio!"
"Ok, seguimi."


Cuddy attraversò la clinica, diretta verso le porte in vetro del suo ufficio. Lo sguardo serio dipinto sul suo volto, mentre House la continuava a fissare esterrefatto.

Forse era stata troppo esplicita con quel comando, forse si era semplicemente lasciata andare al nervosismo. House la seguì immediatamente.

Cuddy aprì la porta del suo ufficio, la tenne aperta per farlo entrare e poi la chiuse. Non girò la chiave, non abbassò le tende.

Superò House, in piedi nel mezzo del suo ufficio. Si sedette sul divanetto beige e con la mano indicò ad House di sedersi.

"Wilson mi ha detto della sua storia con Sam"
"Non è che passino inosservati. Le urla si sentivano dal mio ufficio."
Cuddy trattenne il sorriso. House si avvicinò e si sedette in parte a lei.


"Cosa ne pensi di lei?"
"La penso nello stesso modo in cui la pensavo prima del loro matrimonio anni fa. Le donne di Wilson non mi piacciono"
"Perché?"
"Non ci lasciava mai giocare a poker insieme."
"House, per favore"
"E non potevamo neanche guardare Monster Truck"
"Tu hai paura di perdere l'unico amico che hai, non è vero?"
House rimase zitto, toccato nel punto dolente da quella domanda. Il suo punto debole che per anni aveva tentato di coprire, ora era stato trovato da quella domanda un po' diretta. Cuddy sapeva di aver fatto breccia in quel muro, assotigliatosi nell'ultimo periodo. E quando lui continuò a rimanere in silenzio, lei continuò.


"Wilson è venuto nel mio ufficio questa mattina. E' preoccupato per te. Pensa che potresti rifiutare di nuovo Sam."
"E' parte della sua vita. Se lui la ama veramente io non ci posso fare niente."
Cuddy posò la sua mano su quella del diagnosta, come per rassicurarlo. Lui spostò la sua immediatamente. Lo sguardo ferito di Cuddy lo fece quasi rabbrividire. Quel suo gesto ormai automatico si era reso uno strumento di dolore per qualcun altro.


"Cuddy, non fare questo"
Lei riaprì gli occhi e lo guardò fisso.


"Farti cosa?"
House spostò lo sguardo verso la sua mano.


"Far finta di interessarti a me. Continuare a parlare con me, nonostante tu non voglia. Non ti devi preoccupare per me."
"Ma come posso non preoccuparmi?"
"Semplicemente non farlo"
Rimasero in silenzio per qualche minuto, aspettando che l'altro prendesse l'iniziativa per primo.


"Sono sempre stato uno stronzo. Ho trattato male tutte le persone con cui entravo in contatto. Sono sempre stato un bastardo con i miei pazienti e soprattutto tutte le persone che si avvicinavano a me finivano per essere ferite. Per tutti questi motivi tu non dovresti preoccuparti per me. Non lo avresti mai dovuto fare."
Detto questo si alzò dal divano e raggiunse la porta senza guardare indietro. E quando la porta si chiuse alle sue spalle sospirò.




Loft di House e Wilson. Ore 22.30

Wilson entrò in casa abbracciando Sam. Ridevano, sembravano felici. House li vide percorrere il corridoio attraverso le ombre che proiettavano sul muro in sfondo alla televisione.

"Avete passato una bella serata?"

"Sì. Uno splendido film. Noi ce ne andiamo a dormire se non ti dispiace"
"Le pareti sono insonorizzate . Divertitevi"


Sam stava ridendo mentre Wilson, mezzo ubriaco tentava di slacciarsi le scarpe.

La coppietta era ormai in camera, quando qualcuno bussò alla porta.

Cuddy era di fronte a lui. In una mano aveva la sua borsa, mentre nell'altra stringeva il cappotto.

"Che ci fai qui?"
"Dobbiamo parlare"
"Credo che ci siamo detti tutto prima nel tuo ufficio"
"No. Tu hai detto ciò che volevi, ora lascia parlare me. Ho sempre avuto paura di vivere il resto della mia vita da sola, senza un'altra persona che potesse vivere con me ogni giorno e affrontare ogni difficoltà insieme. Ho visto in Lucas quello che non ho visto in nessun altro per molto tempo. Sono uscita di nuovo con lui perché in quel momento sembrava l'unico che mi potesse capire, l'unico che mi dava supporto morale. Mi aiutava con Rachel e con il lavoro. Poi quella che sembrava semplice amicizia, si è trasformata in qualcosa di più per entrambi."
"E' quello che hai sempre desiderato. Non sei contenta di avere ottenuto tutto questo?"
"Ne ero pienamente soddisfatta. Ma ora non lo sono. C'è troppa confusione nella mia testa. C'è qualcosa che mi fa comportare in un altro modo. Qualcosa che ancora mi lega a…te"
Cuddy allungò un'altra volta la sua mano verso di lui. Questa volta la appoggiò sul suo braccio, mentre il cappotto toccava il pavimento.


"Cuddy…"
"Stai zitto House…"
Cuddy portò l'altra mano sul petto dell'uomo. Strinse la maglietta tra le dita e abbassò il suo viso al proprio livello.


"Cosa faresti se ti sentissi come me?"
"Io me la posso cavare, ma tu no. Tu ti pentirai, avrai rimorsi per molto tempo."


"E se a me non importassero questi rimorsi? Se io volessi cambiare il modo in cui le cose stanno andando in questo ultimo periodo? Tu cosa faresti se sentissi qualcosa che ti lega al passato in modo indissolubile?"
"Mi lascerei andare"
Erano ormai troppo vicini per tornare indietro. Le loro fronti erano premute una contro l'altra, mentre i loro nasi mantenevano una certa distanza tra loro. I loro colli si spostarono di lato, accorciando le distanze di un paio di centimetri. Le loro labbra si sfiorarono, dando il via a quel gioco.

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Capitolo 2
*** The Choice Parte I ***


The Bitter End

Capitolo 2 : The Choice

 

Loft di House e Wilson. Ore 4:15
Dall’altra parte della stanza l’orologio digitale scandiva i minuti con quella sua luce rossa intermittente. Cuddy pensò che quella sveglia era simile alla sua. Sotto le fredde coperte cercava di non pensare a ciò che aveva appena fatto. Un uomo era sdraiato in parte a lei, un suo braccio la stringeva per la vita e la teneva stretta a sé. Lui aveva ragione, i suoi sensi di colpa cominciarono a scalciare freneticamente dentro la sua testa e le attanagliavano il petto.

Che cosa avrebbe fatto ora? Che cosa avrebbe detto a lui?

House si rigirò nel sonno. Fece in tempo a vedere un dolce sorriso sulla bocca di lui.

E’ successo veramente, nessuno lo può negare. Nessuno potrà dire il contrario. E’ accaduto. E Cuddy non sapeva cosa sarebbe potuto succede dopo quella notte.

Spostò il braccio di House e strisciò fuori dal letto in punta di piedi. Guardò la stanza, ma la pochissima luce non rendeva possibile vedere i vestiti sparsi sul pavimento.

Si inginocchiò e riuscì a recuperare i suoi vestiti. Cercando di non fare il minimo rumore, Cuddy si rivestì in fretta. Prese la sua borsa ancora in salotto, indossò ilo cappotto leggero e si lascio la porta alle spalle. Si appoggiò alla parete fredda di quel corridoio buio.

Che cosa ho fatto?

House si rigirò nuovamente tra le lenzuola. Questa volta però non c’era nessuno ad impedirgli di muoversi liberamente. Senza aprire gli occhi, allungò un braccio verso l’altra metà del letto. Non trovando nessuno, aprì gli occhi. Quando si adattarono al buio della stanza, non vide nessuno con lui nella stanza. Era di nuovo solo. Questa volta non era stato lui ad andarsene, ma era stata lei.

Ha capito di avere sbagliato, sa di avere fatto qualcosa che può cambiare le cose.

Tutto ciò che aveva creato negli ultimi mesi lo aveva fatto crollare in una notte. O forse no.

House si alzò lentamente, facendo attenzione alla sua gamba, che da qualche settimana continuava a fargli male. Camminò per la stanza cercando i suoi vestiti. Li trovò ai piedi del letto insieme al suo bastone. Lo prese tra le mani e cominciò a camminare verso il bagno. Si guardò allo specchio, e ripetendo quell’azione di quasi un anno prima, si portò una mano alla guancia e cancellò il segno del rossetto. Era successo. Cosa potesse significare questo ancora non lo sapeva. Ma di una cosa ne era certo: era successo.

Casa di Cuddy. Ore 4:45
Cuddy entrò in casa sua. Una casa silenziosa, forse troppo. Ma dopotutto non erano nemmeno le 5 del mattino. Appoggiò la borsa e si tolse il cappotto e le scarpe. Non voleva svegliare Rachel e Marina. Ormai la povera baby-sitter sarebbe rimasta qui tutta la giornata.

“Lisa…”
“Ciao Marina. Scusa se torno solo adesso.”
“ Non c’è alcun problema, pensavo si fosse fermata dal suo compagno.”
“Già. Rachel?”
“Si è addormentata alle 9 ed è ancora nel mondo dei sogni. Se non le dispiace io andrei a casa a farmi una doccia.”
“Certo, vai pure”
“Ci vediamo tra poco.”
“Sì, grazie. A dopo allora”

Marina si chiuse la porta alle spalle. Cuddy si appoggiò alla parete alle sue spalle. Sospirò presa dai pensieri che la tormentavano.

Solo ora si accorgeva dell’enorme sbaglio che aveva commesso. La sera precedente non le sembrava un errore mentre era presa da tutte quelle emozioni. Ma come aveva sempre pensato negli anni precedenti, qualcuno ne sarebbe rimasto ferito. Ma questa volta non sarebbe stata lei.

Salì le scale lentamente ed entrò nella stanza della piccola. Dormiva beatamente tra le sue coperte leggere. Cuddy ascoltò il suo respiro lento e calmo. In quel momento avrebbe voluto essere una bambina come quella che di fronte a lei dormiva beatamente. Non avrebbe dovuto prendersi tutte quelle responsabilità. Pensare a cosa è giusto, cosa è sbagliato, sarebbero stati pensieri a lei estranei. Avrebbe solo fatto ciò che voleva e desiderava, evitando ciò che poteva renderla infelice. Infelice. Era infelice? No, non lo era. In quel momento era ancora presa da certe emozioni, troppo forti da descrivere. Emozioni che aveva provato pochissime volte. Come la prima volta sulle montagne russe. Il brivido della novità, la paura dell’altezza, ma nonostante il terrore, arrivi alla fine e sorridi, perché sai di avercela fatta indenne. Lei sarebbe arrivata indenne alla meta? O meglio, sarebbe arrivata da qualche parte?
Decise di farsi una doccia. Si tolse i vestiti man mano che si muoveva verso il bagno, lasciandosi alle spalle i pensieri, negativi e positivi.
Era ancora sotto la doccia quando qualcuno entrò nella stanza. Uscì dal bagno avvolta nell’accappatoio. Si asciugò i capelli con una salvietta e solo in seguito notò che Lucas la stava osservando.

“Hei, cosa ci fai sveglia?”
“Ciao. Non riuscivo a dormire. Come è andato l’appostamento?”
“Abbastanza bene. L’ennesimo marito infedele”

L’ennesimo marito infedele. Loro non erano sposati, ma lei lo aveva tradito. Lei era infedele.

“Lisa? Ci sei?”
“Sì, scusa. Ho un po’ di mal di testa.”
“Mi dispiace. Posso fare qualcosa?”
“No, grazie. Vorrai dormire adesso”
“Sì, sono un po’ stanco. Ma se vuoi ti faccio compagnia”
“Non ce ne è bisogno. Devo finire del lavoro. Altre pratiche da compilare mi aspettano”
“Ok.”
Lucas si avvicinò e la baciò dolcemente.
“Buona notte”
“Grazie, buon…lavoro allora”

Cuddy rientrò nel bagno e chiuse la porta alle sue spalle. Che cosa stava facendo? Perché non riusciva a dimenticare tutto quello che era successo? Tutte le immagini le tornavano nitide e chiare nella mente stanca dopo una notte fatta di atti fisici e torture psicologiche. Si guardò allo specchio, ma riportò il suo sguardo verso il pavimento.

Non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio. Ho tradito Lucas. L’ho tradito.

Si vestì lentamente. Ogni sua azione era rallentata e allungata nel tempo, in modo da darle il minimo tempo per pensare. Doveva occupare la sua mente con qualcosa di diverso. Tuffarsi nel lavoro per dimenticare, se mai ce l’avesse fatta.

Loft di House e Wilson. Ore 7:30
“House, io e Sam usciamo”
“Ok”
“A che ora hai intenzione di presentarti a lavoro?”
“Non lo so. Credo più tardi del solito”
“Clinica?”
“No….”
“James, andiamo o farò tardi. Ciao House”
Wilson e Sam si chiusero la porta alle spalle, lasciandolo solo per l’ennesima volta quella mattina. Non era riuscito a togliersi dalla testa quello che era successo q distanza di poche ore. Si ricordò di averla baciata, di averla lentamente spogliata, di aver trattenuto il respiro per non farsi sentire, la stringeva a sé con un braccio e poi la stanza vuota. Lei se ne era andata.
Sarebbe andato in ospedale più tardi del solito. Non voleva trovarsi a parlare con Cuddy. Doveva chiarire le idee prima di creare un “qualcosa”. Gli serviva un piano, doveva pianificare i suoi prossimi passi. Per la prima volta si trovò ad archiviare i propri pensieri in maniera scrupolosa. Cosa fare prima. Coma fare dopo. Cosa dirle. A chi dirlo.

Non l’ho detto nemmeno a Wilson…

Non l’aveva detto a Wilson. Ormai lui aveva Sam, non aveva bisogno di un amico che gli stesse tra i piedi e Sam era ormai abituata al comportamento da bastardo di House. Rendere la vita delle persone un inferno era stato il suo obiettivo negli anni passati. Se lui non poteva essere felice, anche le altre persone non potevano esserlo. Questo era ciò che Sam pensava di lui. Aveva forse ragione?
House finì la sua colazione, prese il cappotto e il suo zaino e uscì dall’appartamento. Chiuse il portone e salì sulla sua auto, diretto verso l’ospedale.

 

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Capitolo 3
*** The Choice Parte II ***


The Bitter End

Capitolo 2 : The Choice Parte II

 

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di Cuddy. Ore 8.00
Come un orologio svizzero, Lisa Cuddy alle 8 in punto varcò le porte a vetri dell’ospedale, ma a differenza di un giorno qualunque, non alzò la testa e non salutò nessuno dei medici e delle infermiere e nemmeno il resto del personale che incontrava per l’atrio. E solo quando si chiuse la porta del suo ufficio alle spalle, ebbe il coraggio di alzare la testa e guardare dritto di fronte a lei. Che diavolo le stava prendendo? Una notte insieme ad un uomo non l’aveva mai fatta comportare così.
Prese posto alla sua scrivania e, mentre accarezzava il liscio e scuro legno di cui era fatta, ricordò il motivo per cui quel mobile era lì con lei. Era stato House a cercarlo a sua madre e a farlo arrivare in tempo per la fine dei lavori.  Cuddy cercò di scacciarlo per l’ennesima volta dalla sua mente. Fece il giro della scrivania e prese la sua borsa. Nel farlo, intravide la fotografia che le sorrideva da una cornice sottile. Era una sua foto. La osservò. Era giovane, ancora ignara di dove gli anni successivi l’avrebbero portata. Tradire il proprio compagno con l’uomo che ha sempre cercato di allontanare e dimenticare. Ma come poteva dimenticare un uomo che rendeva la sua vita un qualcosa fuori dall’ordinario. Quelle richieste assurde, i loro battibecchi, gli sguardi, le battute. Era questo ciò che rendeva quel loro strano rapporto originale e dannatamente complicato. Era questo o, meglio, lui che la rendeva felice? Quell’uomo da cui era sempre stata attratta e il quale era attratto a sua volta da lei. Lo stesso uomo con cui aveva passato la notte.
Qualcuno bussò alla porta e per la prima volta, alzò lo sguardo per vedere Wilson aprire lentamente a porta.
“Buongiorno. Hai parlato con House di quello che ti avevo chiesto?”
“Sì”
“E…”
“Ha detto che la pensa come qualche anno fa. Le tue fidanzate non sono mai state le persone a lui più simpatiche. Però non si intrometterà nella vostra storia, perché non può cambiare ciò che provi per lei.”
“Perciò non si intrometterà?”
“Non più di quanto faccia di solito con tutte le tue storie, credo. Ma penso anche che a lui Sam piaccia, ma che abbia solo paura di perdere l’unico amico che ha.”
“Può sempre contare su di te, anche se ora c’è Lucas, giusto?”
Wilson la osservava con quegli occhi scuro. Cuddy pensò che non la stava solo osservando, ma la stava scrutando nel profondo. Come se il suo viso avesse scritto i suoi pensieri tramite la sua espressione.
“Certo…”
Cuddy rabbrividì leggermente nel sentire la sua voce echeggiare nel vuoto della stanza. Wilson si girò verso la porta, concedendo a Lisa il primo respiro profondo da quando era entrato.
“Sarà meglio che vada. Grazie Lisa per avergli parlato”
“Nessun problema”
“E, comunque, credo che lui sia, in un certo senso, passato oltre. A te, intendo…”
Wilson si rigirò verso la donna con sguardo serio, come se ora si stesse liberando di un grosso peso.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Credo sia stato con una donna l’altra notte”
Cuddy prese a tremare leggermente, ritornò dietro alla sua scrivania e afferrò il freddo legno. Wilson sapeva qualcosa?
“Ah, perché me lo dici?”
“Solo per informarti che puoi andare tranquilla con Lucas”
“Ah, grazie Wilson”
L’oncologo si chiuse la porta alle spalle lasciando il tempo a Cuddy di riprendere fiato. Stava tremando ancora: le sue mani erano coperte da un leggero strato di sudore, mentre le sue gambe sembravano non sostenerla stabilmente. Era sempre così quando era nervosa. Le ore successive sarebbero state le più dure, come si sarebbe dovuta comportare nei prossimi giorni con House era l’unica cosa che le passava per la mente. Sicuramente avrebbero dovuto parlare di ciò che era successo, prendere una decisione: fermare tutto in quel momento, o continuare con… con che cosa? Una relazione? Aveva provato a se stessa di poter avere una storia grazie a Lucas, ma non sapeva se House ne sarebbe stato in grado. Ma dopotutto lui era stato insieme a Stacy per anni, ne era in grado. In un qualche modo lui era stato con lei. Ma come poteva lasciare Lucas e mettersi con un altro? Gli avrebbe dovuto confessare il suo peccato, ciò che ogni persona colpevole vuole trattenere dentro sé il più a lungo possibile.
La sua storia con Lucas l’aveva riportata alla vita dopo un anno in cui, come un cagnolino, inseguiva House. Era riuscita a provare a se stessa che niente era andato perduto: poteva ancora essere felice. Aveva nascosto quel sentimento dietro una maschera di felicità. Per mesi aveva speso le sue giornate con un uomo più giovane di lei che la faceva sentire viva. Eppure quelle frasi che aveva detto ad House la sera precedente le aveva pensate e le aveva accompagnate con quel suo sentimento tenuto rinchiuso negli ultimi mesi, in una gabbia chiusa a chiave. E le chiavi, che parevano essere state seppellite sotto altri sentimenti, erano tornate tra le sua mani proprio quel pomeriggio. E solo quella sera aveva preso coraggio e aveva aperto quella gabbia ormai arrugginita. Ma non poteva decidere da sola. Doveva parlare con lui. Ma non ora.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ore 9:00
Quando House varcò le porte dell’ospedale, il suo orgoglio sembrava sparito insieme alla sua abitudine di arrivare a lavoro oltre le 10. Senza alzare lo sguardo dal pavimento, percorse il tratto di corridoio che lo separava dall’ascensore. Passò diritto, senza lanciare il suo solito sguardo all’interno dell’ufficio del primario di medicina. Si appoggiò alla parete, aspettando che l’ascensore facesse il suo arrivo.
“House! Che ci fai già qui?”
“Mi annoiavo”
“E per toglierti dal circolo vizioso della noia vieni a lavoro? Da quando?”
“Da quando vado a letto con il capo”
“House, quella era solo un’allucinazione”
“Grazie per avermelo ricordato”
Wilson si fece serio. Le sue sopraciglia erano leggermente inclinate.
“House, ma stai scherzando?”
“Cuddy non tradirebbe mai il suo ragazzino”
“Già. Comunque eri con qualcuno stanotte, vero?”
“No”
“House…”
“Piuttosto tu devi smetterla di ubriacarti ogni volta che esci con Sam.”
“Ti preoccupi per me?”
“No. Quando ti ubriachi poi la notte urli come un matto e non mi lasci dormire”
“House, io…”
Wilson arrossì improvvisamente, sapendo che quello che il suo amico stava dicendo aveva il suo sfondo di verità. Rimase senza parole, mentre House sorrideva lievemente.
“Stavo scherzando Wilson.”
“E..smettila di cambiare discorso. Tu stanotte eri con qualcuno. Ne sono sicuro”
“Ero da solo. E ora la vuoi smettere di farmi domande? Cos’è, l’inquisizione spagnola?”
“Scusa…pranziamo insieme?”
“Non pranzi con la tua mogliettina oggi?”
“No”
“Ti ha abbandonato?”
“No, non mi ha abbandonato. Deve recuperare un turno in clinica”
“Ok. Paghi tu”
“Come sempre, ho qualche scelta?”
“Non pranzare con me…”
“Per quanto tu possa essere antipatico e rompi scatole, mi fa piacere pranzare con te, anche se devo pagare io anche per te ogni singola volta”
Uscirono entrambi dall’ascensore, procedendo ognuno verso il proprio ufficio. House entrò nell’ufficio laterale, dove il team già lo stava aspettando.
“Ciao”
Chase, Foreman, Taub e Tredici lo guardarono confusi.
“Da quando saluti?”
“Da quando osate farmi delle domande?”
Zittì le loro domande con la sua. Non aveva voglia di essere disturbato con domande idiote e non voleva nemmeno entrare in discussioni sterili.
“Avete un caso?”
“Non ancora. Cuddy ha detto che lo avrebbe portato, ma non è ancora arrivata”
“Probabilmente il suo boy-toy la deve aver sfinita stanotte”
House si guadagnò uno sguardo minaccioso da Tredici.
“Tu sai qualcosa che io non so?”
“E se così fosse, quali sarebbero i motivi per cui dovrei dirtelo?”
“Sono il tuo capo e…sono il tuo capo”
Tredici spostò il suo sguardo verso la figura alle spalle di House, che stava per fare il suo ingresso nella stanza. Cuddy entrò velocemente nell’ufficio, salutò i presenti senza nemmeno alzare lo sguardo e posò la cartella sul tavolo al centro della stanza. Consegnato il documento girò sui tacchi e uscì dalla porta, seguita dallo sguardo di Tredici.
“E’ successo qualcosa tra voi due?”
“No”
“Ne sei sicuro?”
“Certo, sono il diretto interessato. Se fosse successo qualcosa di sicuro non sarei qui con voi, ma sarei con lei a fare cosa da adulti e poi andare a letto con il capo avrebbe portato molte opzioni a me  favorevoli”
“Arrivare in ritardo a lavoro non conta. Tu arrivi lo stesso tardi”
“Questo potrebbe significare due cose: o io ho dormito con Cuddy per tutte le notti degli ulitmi 20 anni, o me ne frego delle regole di questo ospedale… no aspetta… in realtà me ne frego di tutte le regole in generale”
Il team prese a leggere la cartella, mentre House seguiva con lo sgiardo Cuddy, che si allontanava dal suo ufficio. Non aveva neanche alzato lo sguardo dal pavimento per guardarlo. Mentre la sua mente registrava passivamente le informazioni che il team analizzava, il suo pensiero fisso era il comportamento di Cuddy. Solo quando il rumore dei tacchi di Cuddy era inaudibile, House si girò verso la squadra che, ancora una volta, lo guardava confusa.
“Fatele tutti gli esami che vi vengono in mente. Foreman oggi sei tu il capo”
Tredici, Chase e Taub, più confusi che mai, continuavano a guardare gli altri due medici.
“Forza…vi raggiungo tra un attimo”
Detto questo Foreman si alzò e seguì House nell’ufficio personale di quest’ultimo.
“Che cosa significa questo?”
“Voglio vedere come te la cavi”
House era serio, mentre guardava Foreman ancora stupito da quella scelta improvvisa.
“Questo lo hai già visto, non capisco dove vuoi arrivare con questa bravata”
“Ti do l’opportunità di gestire un caso, comandando a bacchetta un team di tre ottimi medici, tra cui c’èa nche la tua ex, e mi dici che non capisci? Se non vuoi, posso sempre a chiedere a uno degli altri tre di coordinare”
“No, accetto volentieri il compito, ma mi sembra strano”
“E’ strano, e allora? Sei un ottimo medico, su questo non si può discutere. E credo che dovresti andare ad ammaestrate la banda giù in laboratorio”
Il neurologo si allontanò di poco, ma fu fermato dalla voce di House.
“Sia chiaro però: non intendo condividere la mia scrivania, palle comprese con te. E un’ultima cosa: non mandare a quel paese le cose con Tredici come hai fatto l’ultima volta. Il potere ti da alla testa”
Foreman lo guardò confuso, ma poi uscì dall’ufficio del diagnosta trattenendo un sorriso. House si sedette alla sua scrivania e prese tra le mani la sua pallina da tennis. Aveva seguito il consiglio di Nolan: quando le cose avrebbero cominciato ad andare a rotoli per un qualche motivo, doveva cominciare a trattare le persone a lui vicine in modo più gentile. Ma cancellato il suo disgusto verso il comportamento da lui appena adottato nei confronti del suo team, la sua mente si era rimessa in moto per chiarire il comportamento di Cuddy di poco prima. Ha vergogna di quello che è successo tra loro, questo era ciò a lui chiaro. Non aveva neanche alzato lo sguardo verso il team, qualcuno sapeva qualcosa. E lo sguardo di Tredici era solo solidarietà femminile o lei sapeva qualcosa? Ma Cuddy non ha mai parlato con Tredici.
Riprese a concentrarsi sul suo programma. Erano ore che cercava le parole per quel loro inevitabile discorso, ma senza successo.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Laboratorio. Ore 10:00
Foreman entrò in laboratorio con un sorrisetto stampato sul viso.
“Hai parlato con House?”
“Sì”
“E cosa ti ha detto?”
“Ha detto che merito un compito come questo e che siamo tutti ottimi medici”
“House che fa complimenti?”
“Già. Credo che sia successo qualcosa tra lui e Cuddy. Avete notato il loro comportamento?”
“Sì. Ma non credo siano stati, ehm…insieme. Credo ci sia qualche solito problema probabilmente riguardante la clinica. Così Cuddy lo ha obbligato a metterti a capo del caso per questa settimana.”
“Ottima deduzione, ma come spieghi tutti i suoi complimenti nei nostri confronti?”
“O lo ha fatto per pararsi il c*lo, o… forse lo pensa veramente e vuole mostrare il suo lato, come posso dire…umano”
“Beh, credo che la prima opzioni sia quella più plausibile”
“E comunque si è anche messo a dare consigli. Specialmente sulla nostra vecchia storia”
I due medici si concentrarono di nuovo sugli esami, mentre Tredici seguiva con lo sguardo Foreman allontanarsi diretto verso l’ufficio del primario di medicina.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di Cuddy. Ore 10:45
Lisa Cuddy era seduta dietro la sua scrivania, intenta a compilare dei documenti, quando qualcuno bussò di nuovo alla sua porta. Alzò lo sguardo e vide Foreman entrare.
“Dimmi: cosa ha combinato ora House?”
“Ha deciso di mettermi a capo del caso”
Schietto e diretto come sempre. Niente giri di parole da parte sua, era sempre stato così. Il suo atteggiamento di quando era al comando, pensò Cuddy.
“Che cosa? Lo ha fatto di sua spontanea volontà?”
“Sì, è un problema?”
“Non per te, ma per lui sì.”
“Devo continuare con questa sua bravata o devo rimettermi ai suoi ordini?”
Cuddy si prese un minuto per incassare la notizia e trovare le parole giuste, perché in quel momento ragionare era una cosa troppo difficile e complicata.
“No, puoi continuare, ma io devo parlare con House. Non può fare una cosa del genere senza informarmi.”
“Ok…”
“Immagino se ne sia andato a casa…”
“No, è nel suo ufficio”
“Vai pure.”
Il neurologo si chiuse la porta alle spalle, lasciando Cuddy, nuovamente a pensare ad House. Per quale motivo aveva deciso di affidare il caso a Foreman e rimanerne esterno? I puzzle erano ciò che più lo appassionava, ciò che la mattina lo faceva entrare in quell’ospedale. E nonostante il suo comportamento, era il medico che salvava la maggior percentuale di pazienti. Voleva provare qualcosa a Cuddy o era solo una sua bravata? E se volesse mettere alla prova Foreman per poi lasciargli il suo posto? House se ne vuole andare? I sensi di colpa di Cuddy tornarono a tormentarla. Oltre ad aver tradito il suo compagno ora aveva costretto House ad abbandonare l’ospedale.

 

Cuddy chiuse la cartella di fronte a lei e prese in mano il suo cellulare.

“Dobbiamo parlare.”

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Capitolo 4
*** The Choice Parte III ***


The Bitter End

Capitolo 2 : The Choice Parte III

 

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 11:15
House era seduto dietro la sua scrivania, lo sguardo perso nel vuoto, le sopracciglia inarcate nell’atto di riflettere. Chi fosse passato di lì, avrebbe tradotto la sua espressione come uno dei tanti suoi momenti di riflessione, ma solo Cuddy avrebbe capito ciò che lui stava pensando. Solo la donna al centro dei suoi pensieri lo avrebbe capito. Nemmeno Wilson avrebbe potuto scavare in quegli occhi e trovare la risposta.
Il suo cellulare vibrò leggermente nella sua tasca facendolo sobbalzare leggermente. Lo prese in mano e lesse il mittente: Cuddles. Un soprannome. Era il suo modo di relazionarsi con le persone: dare dei soprannomi, enfatizzare i loro difetti e non prendere nemmeno in considerazione i loro pregi. Per lui ogni loro punto debole di ogni persona era chiaro e salvato nel suo archivio mentale. Rilesse il nome sullo schermo e dopo qualche minuto aprì il messaggio. Non vi era nessun saluto, solo un ordine nudo e crudo.
Dobbiamo parlare.”   House rilesse il messaggio innumerevoli volte. Un messaggio troppo impersonale, non vi era neanche un saluto e non aveva neanche firmato. Scorse i messaggi ricevuti e lesse il primo messaggio di Cuddy che gli capitava alla mano. “Ciao, tanto per renderti partecipe della vita qui all’ospedale ti ricordo che HAI un CASO. Ti voglio nel tuo ufficio in orario. E ricordati il turno in clinica. C” Tutto ciò che lui chiedeva in quel momento era un saluto e la C in fondo al messaggio. Quella C che dava il tocco di classe ad un messaggio, anche se di minaccia.
Ma questo gli fece capire tutto in un momento, tutto si presentava chiaro nella sua mente. Non sarebbero mai riusciti ad avere una storia e tutto sarebbe cambiato tra loro quello stesso giorno. Il loro comportamento, gli sguardi e i messaggi, si sarebbero ripetuti ogni singolo giorno fino a quando entrambi non sarebbero crollati sotto il peso di quel tremendo segreto, che già cominciava a graffiare la superficie per poter emergere e fare la sua entrata trionfale. Anche se il messaggio di Cuddy era chiaro e fin troppo diretto, lui non si mosse dal suo ufficio. Rimase lì seduto su quella sedia che cominciava ad essere scomoda, mentre la gamba cominciava a reclamare attenzione. Rimase lì seduto con lo sguardo fisso su di un punto agli altri ignoti, i suoi pensieri ora procedevano in fila indiana seguendo un certo filo logico e un senso profondo anche questi comprensibili solo a lui.
Foreman entrò in quel momento.
“Sono stato dalla Cuddy. Le ho detto che mi hai affidato il caso”
“Eh lei si è incazzata…”
“Non saprei. Era strana…”
“Non più arpia del solito”
“E’ successo qualcosa tra voi due?”
“No, e la mia vita privata non è affar tuo”
“Già, sarà meglio che vado dal resto della squadra.”
Il neurologo aveva quasi raggiunto la porta, quando si girò di scatto, cogliendo di sorpresa House.
“Quattro anni fa, quando stavamo controllando la casa di Cuddy, tu hai detto a me e a Chase che ti comporti come un verme con le donne con cui sei stato a letto”
“Non sono stato a letto con la Cuddy”
“Certo, lei ha una reputazione da mantenere e anche un ragazzo”
“Riposta sbagliata: io non sono stato a letto con la Cuddy”
Foreman sorrise alla ripetizione del diagnosta.
“House, tutti mentono, tu compreso…”
Il medico afro-americano si chiuse la porta alle spalle trattenendo un sorriso, lasciando House ai suoi pensieri.

Princeto Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di Wilson. Ore 13:00
House entrò senza bussare e si sedette sulla poltrona di fronte alla scrivania dell’oncologo.
“Dammi cinque minuti e sono pronto per pranzare”
“Fai con calma. Mi devo nascondere dalla Cuddy.”
“Clinica?”
“No. Ho affidato il controllo su questo caso a Foreman e lei ora è incazzata”
“Hai affidato il caso a Foreman?”
“E’ quello che ho appena detto, stai invecchiando tesoro mio”
“No, pensavo di aver sentito male. Lo hai fatto veramente?”
“Nolan”
“Cosa ti ha detto?”
“Mi ha chiesto di seguire il suo ultimo consiglio”
“Quale consiglio?”
“Creare un rapporto con le persone con cui lavoro”
Wilson guardò il suo migliore amico sorpreso. Il sopracciglio destro leggermente alzato era ciò che caratterizzava la sua espressione sorpresa.
“Lo hai fatto veramente per un buon motivo o volevi solo far incazzare Cuddy?”
“L’ho fatto perché non avevo niente di meglio da fare oggi e in questo modo seguo il mio programma di recupero”
“Wow”
“Wow?”
“Sì, wow. E’ impressionante”
“Ho qualcosa sulla faccia?”
“Il tuo comportamento è impressionante, non pensavo saresti arrivato a questo punto.”
“E invece eccomi qui, e ho fame”
“Ok…”
“House si diresse verso la porta seguito da Wilson.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Caffetteria. Ore 13:20
House aprì le porte della caffetteria con il suo bastone, spaventando la gente immersa tranquilla nel proprio pranzo. Dopo aver riempito i loro vassoi, si sedettero al loro solito tavolo, mentre Sam emergeva dalle porte seguita da Cuddy.
“Ehi”
Wilson le vide e fece cenno di raggiungerli. House che dava le spalle alle porte, non aveva visto il loro arrivo. E quando si girò vide Cuddy prendere la sua insalata, ma questa volta non si sedette con loro e Sam. Prese il suo pranzo ed uscì dalla caffetteria.
“Ciao Jimmy. House…”
“Sam…”
“Sam, sai il motivo per cui Cuddy non si è seduta con noi?”
“Immagino che avesse del lavoro da fare”
“Io invece scommetto che è colpa tua, House”
“Che c’entro io?”
“House, cosa hai combinato questa volta?”
“Non ho fatto niente”
“Ha affidato il comando a Foreman per questo caso e Cuddy  incavolata.”
Sam guardava House confusa.
“Hai dato il comando a Foreman di tua spontanea volontà?”
House se ne stette zitto, mentre rubava le patatine dal piatto di Wilson.
“Lo ha fato sul serio, Sam”
“Wow”
“L’ho detto anch’io”
House si alzò dalla sedia tenendosi la gamba.
“House dove stai andando?”
“Vado. Preferisco non sentire i vostri discorsi”
Mentre Sam e Wilson lo guardavano uscire, House strinse i denti all’ennesima fitta alla gamba.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 16.55
House aveva passato l’intero pomeriggio con il team cercando di risolvere il caso. Era riuscito a tenere occupata la sua mente per qualche ora, senza distogliere l’attenzione con i fatti della notte precedente. Erano quasi le 17 ed era ancora nel suo ufficio, seduto sulla sessa sedia della mattina. Guardò l’orologio. Erano le 16:55. Si alzò e cominciò a radunare gli oggetti sparsi sulla sua scrivania e sul pavimento, quasi a preparare il campo di battaglia per la sempre più vicina conversazione con Cuddy. La squadra era a fare gli ultimi controlli sul paziente.
“Foreman ha fatto un ottimo lavoro oggi”
La voce di Cuddy lo sorprese. Era calma, quasi soffocata.
“Sì, dopotutto sono un ottimo maestro”
“Questo è vero”
House si sedette alla sua scrivania, mentre Cuddy si appoggiò alla parete. Rimasero in quella posizione, avvolti nello stesso silenzio che li aveva accompagnati quella mattina nella stanza di lui.
“House, dobbiamo parlare”
“Lo so”
Cuddy lo guardò, ma non riuscì a vedere i suoi occhi. I gomiti di House erano appoggiati alla scrivania e teneva le mani sulla fronte.
“Stai bene, House?”
“Sì”
Rimasero in silenzio ancora per qualche minuto, quando entrambi ripresero coscienza sulla situazione.
“Mi dispiace per quello che è successo”
“L’abbiamo voluto entrambi”
“Sì, ma abbiamo sbagliato”
“Già.”
“Non ti preoccupare, non lo sa nessuno”
“Lo so”
“Foreman è convinto che siamo andati a letto insieme”
“Cosa?”
“Ma come ho già detto non ti devi preoccupare”
“Uno dei dipendenti sa che siamo andati a letto insieme e io non dovrei preoccuparmi”
“Lui lo crede, non lo sa per certo”
“Non sono stupida House, e nemmeno Foreman lo è”
Silenzio. Di nuovo. Ma questa volta carico di tensione.
“Non lo griderò dalla balconata”
Cuddy trattenne un sorriso.
“Beh, questo è il minimo”
“Credo che sarebbe meglio se ci dimenticassimo tutto”
Era tornato il vecchio House. Quello che se ne frega delle relazioni, quello che si diverte a giocare con i sentimenti delle persone.
“Lo credo anch’io”
“E’ stato un errore. Specialmente per te”
“Per me?”
“Sì. Hai una tua famiglia ora”
Cuddy lo guardò sorpresa.
“Quando sono entrata in questo ufficio poco fa, pensavo che il vecchio House fosse tornato. Invece mi sbagliavo. Fino all’anno scorso non ti saresti preoccupato della mia reputazione e neppure della mia famiglia. Ora che ho una figlia e un compagno tu ti comporti gentilmente. Mi lasci spiazzata ogni volta”
“Cosa vuoi che faccia? Che vada a dire a Lucas che abbiamo fatto sesso, o preferisci che lo urli di nuovo a tutto il personale?”
House aveva alzato leggermente la voce, lasciando Cuddy confusa per l’ennesima volta.
“House, io non…”
“Lascia stare Cuddy…”
House prese il suo zaino e fece qualche passo, ma fu bloccato dalla voce di Cuddy.
“Posso sapere perché hai dato il comando a Foreman?”
“Non mi andava di lavorare su un altro caso”
“Avevi solo questo di caso”
“Fino a poco fa no”
“Quindi io ero l’altro caso?”
“Non tu…noi”
“Quindi non te ne vuoi andare?”
“Andarmene? Non ci ho nemmeno pensato”
“Pensavo te ne saresti andato…”
“Questi sono i tuoi sensi di colpa”
“Smettila di prendere sempre in mezzo i miei sensi di colpa”
“Non deve succedere di nuovo…”
“Mai più…”
“Andiamo avanti come se nulla fosse successo”
Detto questo entrambi presero le proprie strade, lasciando la notte passata solo ai momenti di solitudine e malinconia.

Non deve succedere di nuovo…non succederà mai più…

E’ stato un errore…un errore madornale…

Andiamo avanti come se nulla fosse successo…anche se è successo ed è stato dannatamente

fantastico.

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Capitolo 5
*** A Place Called Home Parte I ***


The Bitter End

Capitolo 3: A Place Called Home

Circa 2 settimane dopo

Mayfield. Ufficio del Dr Nolan. Ore 9:00.
House era seduto sugli scomodi sedili nel corridoio. Mentre le sue dita giocavano con il bastone, il suo sguardo percorreva irrequieto le grandi porte scure che si aprivano su quel corridoio deserto e cupo. Neppure una era aperta. Alcune erano chiuse a chiave dall’interno, segno che i medici proprietari di quello studio stavano ricevendo i loro pazienti.
Un’infermiera gli passò di fronte e lo salutò biascicando un ciao. House alzò lo sguardo troppo tardi per poterla vedere in faccia, ma riconobbe l’andatura di quella infermiera che lo aveva aiutato più volte nel suo internato in quel posto un po’ lugubre.
Un tono di voce più alto proveniente dall’ufficio di fronte lo informava che tra pochi secondi sarebbe uscito il paziente e sarebbe stato il suo turno. Sentì i passi pesanti del medico avvicinarsi alla porta. House poteva percepire i movimenti dei due uomini: si stringevano la mano professionalmente, mentre uno apriva la porta dell’ufficio.
House rimase seduto finché l’uomo non se ne fu andato e Nolan gli fece cenno di entrare. Si sedette nella solita postazione. Una poltrona comoda, imbottita, ancora calda del calore dell’uomo che vi ci era appena stato seduto. Nolan prese due tazze di caffè e ne porse una ad House, che senza fiatare la prese tra le sua mani e la appoggiò sulla scrivania. Appena Nolan si sedette, cominciò a parlare.
“Allora, come stai Greg?”
House si strinse la coscia tra le mani per bloccare l’ennesima fitta di dolore. Digrignò i denti leggermente, ma Nolan vide tutto.
“ Non posso sopportare il dolore alla gamba”
“Neanche con l’ibuprofene?”
“No…”
“Da quanto ti fa male?”
House sorrise ironico a quella domanda.
“Una decina di anni…”
“Intendevo…”
“Lo so...”
“Allora?”
“Circa un mese…”
House sussurrò l’ultima risposta quasi temendo di rivelarsi troppo all’uomo di fronte a lui, causando solo uno sguardo più preoccupato sul viso dell’uomo più anziano.
“Hai provato altri farmaci?”
“Sì”
“E il Vicodin?”
“No…”
Greg, se…”
“No. Non ho preso il Vicodin”
“Ok, mi fido…”
“Non dovresti…”
House non lo stava guardando. Il suoi occhi azzurri erano proiettati all’esterno dello studio. Guardavano l’immenso giardino che si sviluppava intorno all’edificio. Era tornato il sole da qualche giorno, non faceva ancora caldo, ma era una di quelle giornate ottime per fare un giro sulla sua moto che non guidava da troppo tempo. Nolan seguì il suo sguardo e rimase a fissare quel giardino insieme a lui.
“Il tuo amico, il Dr Wilson, mi ha chiamato”
“Allora te lo ha detto…”
“Vorrei sentirmelo dire anche da te”
“Cosa vuoi che ti dica? Lui ha ricoperto il suo amore per la Prima-Ex-Signora-Wilson.  Io sono solo l’amico che si è impadronito di una stanza della sua nuova casa, e ora devo andarmene altrimenti infrango il loro sogno d’amore, con la mia austera, ingombrante e intelligentissima presenza.”
“Era preoccupato”
“Lo sa che non deve preoccuparsi. Sono un bimbo grande ora”
“House…”
I suoi occhi erano ancore fissi alla finestra, mentre con una mano raggiunse la tazza di caffè e la portò alle labbra. Bevve un sorso di quel liquido caldo, che gli riscaldò il petto. Nonostante il sole splendesse all’esterno, in quel luogo non faceva molto caldo.
“Ho il mio vecchio appartamento. Tornerò a vivere lì.”
“Ne sei sicuro?”
“Certo…”
“Quel posto potrebbe riportarti a certe abitudini. Tornare a, come posso dire…tornare sulla vecchia strada”
House spostò finalmente lo sguardo verso l’uomo seduto di fronte a lui. Lo guardava con quel suo sguardo, quello con cui aveva guardato Wilson, lo stesso momento in cui gli aveva chiesto di lasciare Sam e lui vivere da soli. Ok. Così gli aveva risposto. Si era chiuso la porta alle spalle ed era andato in un bar. E poi, ciò che era successo non se lo ricordava.
“Non succederà…”
“Se fossi in te prenderei in affitto un altro appartamento…”
“Perché dovrei? Ne ho già uno”
“Devi fare come ti senti. Se a tuo parere sei in grado di poter tornare a vivere lì, buon per te. Sarebbe l’ennesimo passo avanti”
Nolan tacque cercando di decifrare lo strano comportamento di House. Dovevano vedersi la settimana precedente, ma alla fine lui non si era presentato. Aveva provato a chiamarlo, ma senza ottenere un risultato, lui non richiamava neppure dopo aver ascoltato i messaggi lasciati in segreteria. E poi lo aveva chiamato per confermare il loro incontro di quella mattina.
“Tu non sei un paziente come un altro, lo sai…”
House riprese la tazza di caffè e ne bevve di nuovo un sorso, anche se ormai era freddo. Ma poi riportò lo sguardo alla finestra.
“Come hai fatto a procurarti quel livido?”
“Un paziente in clinica…”
“Ti devo credere?”
“Sì. Perché dovrei mentire?”
“Perché sei tu quello che dice che tutti mentono”
Rimasero in silenzio per qualche minuto ancora.
“Ho provato a creare una relazione con il mio team”
“E come è andata?”
“Ho affidato gli ultimi casi a Foreman per vedere come se la cavava.”
“Tutto qui?”
“Ho cercato di parlare anche con gli altri…”
“Sono passi avanti Greg”
“Lo so…”
“Hai seguito il mio consiglio allora…”
“Già…”
House rimase zitto, assaggiando di nuovo il suo caffè mentre Nolan , a sua volta, faceva la stessa azione.
“Sono stato con una donna”
Il medico più anziano lo guardò sorpreso dopo quella dichiarazione.
“E’ per questo che non sei venuto all’appuntamento settimana scorsa?”
“No…”
“E allora perché non c’eri?”
“Ero impegnato con un paio di casi e la clinica”
“Ed eri così impegnato da non poter nemmeno parlare al telefono o lasciare un messaggio…”
House rimase zitto per l’ennesima volta. Lasciando che i suoi pensieri ronzassero in modo disordinato nella sua testa.
“La conoscevi o era una prostituta?”
“La conoscevo…”
“Una delle tue vecchie prostitute?”
House sorrise lievemente pensando a quella volta in cui aveva incontrato Cuddy fuori dall’ospedale con quel completino da tennis.
“No…”
“Come mai sorridi?”
“Stavo pensando ad una cosa”
“Puoi dirmela…”
“Meglio di no…”
“Ok…”
“Ok?”
“Sì, puoi fare a meno di dirmelo…”
“Strano, solitamente se ti tengo nascosto qualcosa ti arrabbi e diventi nercvoso…”
“Questa volta no…”
“Ok…”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, mentre Nolan raccoglieva le tazze vuote e le appoggiava sul mobile, vicino alla macchina del caffè.
“La vedi spesso questa donna?”
“Ogni giorno…”
“Ed ogni giorno voi…”
“No. E’ stata solo una notte e niente di più”
“Vi siete chiariti?”
“Sì. Abbiamo deciso che non deve succedere mai più”
“E’ stato uno sbaglio per lei? Ti ha detto questo?”
“Lei non lo ha detto. L’ho detto io, ma lo pensava anche lei”
“Ne sei sicuro?”
“Sì, lei ha un fidanzato, non può stare…”
“Questa donna è la ex moglie del tuo amico?”
Al solo pensiero di un fatto del genere, House scattò dalla poltrona e si mise a sedere eretto.
“Non potrei mai fare una cosa del genere a Wilson. Sono uno stronzo, ma non a questo punto”
“Va bene, era solo una domanda che mi era venuta spontanea”
House in quel momento cominciò a guardare il suo bastone, mentre lo girava tra le mani, giocando.
“Quindi andrai avanti come se nulla fosse con Cuddy”
Il diagnosta ora guardava Nolan confuso. Il medico poteva leggere nei suoi occhi anche la rabbia repressa nell’uomo di fronte a lui. Lo leggeva in quegli occhi azzurri, che ora si erano chiusi intorno alle mani dell’uomo.
“Lei te ne ha parlato…”
“L’ho chiamata il giorno in cui non ti sei presentato. Lei era convinta che tu avessi partecipato al nostro incontro perché tu non ti eri presentato in ufficio e nemmeno in clinica quella mattina. Ora mi chiedo dove tu sia stato per tutto quel tempo…”
“Ero a casa…”
“Wilson non ti ha visto quella mattina…”
House portò le mani sulla gamba. Una nuova fitta di dolore attraversò la coscia, penetrando dove una volta c’era tessuto muscolare.
“Me ne devo andare”
“No, non te ne vai”
“Invece sì, io sono qui volontariamente. Posso andarmene quando voglio”
“Non posso lasciarti andare.”
House si alzò dalla poltrona appoggiando il suo peso completamente sul bastone. Raggiunse la porta lentamente.
“Non credo di avere più bisogno di incontri di alcun genere.”
“Quindi è l’ultima volta che ti vedrò qui?”
“Spero sia l’ultima volta che ci vedremo”
House si allontanò lentamente, zoppicando più accentuatamente verso l’enorme portone scuro.

Lì, non ci sarebbe più tornato…

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Capitolo 6
*** A Place Called Home Parte II ***


The Bitter End

Capitolo 3: A Place Called Home Parte II

 

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 11:00.
“House! Che diavolo ti prende!?”
“Cosa vuoi Wilson?”
“Poco fa mi ha chiamato Nolan. Mi spieghi il motivo di quella scenata?”
“Non sono affari tuoi”
“Eccome se lo sono.”
“E invece no…”
“House, stai distruggendo tutto quello che hai creato nell’ultimo anno. Non comportarti così!”
“Comportarmi come?”
Wilson si avvicinò per osservare il livido che circondava l’occhio del suo migliore amico.
“Come ti sei fatto quel livido?”
“Ho battuto contro il comodino”
“Certo, e da quando il comodino lascia il segno delle nocche che non ha?”
“Come ho già detto non sono affari tuoi”
“E come ho anch’io già detto, sono tuo amico”
“E con questo?”
Wilson si allontanò dall’uomo, ma si fermò sulla porta. Stava per girarsi, ma all’ultimo momento si chiuse la porta alle spalle. House osservò l’oncologo allontanarsi nel corridoio, finchè l’ascensore non lo inghiottì in pochi istanti.
Il diagnosta si sedette dietro la sua scrivania, cercando di sgomberare la mente dagli ultimi avvenimenti. Ma ogni volta che tentava di cancellare i ricordi e scacciare i pensieri, dopo pochi minuti tutto tornava come prima. Faceva finta che quella notte non fosse mai successa, ma invece si accorgeva che negare l’evidenza lo faceva stare male.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario di Medicina. Ore 11:30
Wilson entrò nell’ufficio del primario senza bussare.
“Nolan mi ha chiamato…”
Cuddy alzò lo sguardo dai documenti. Guardava l’oncologo in modo furioso, ma allo stesso tempo era incuriosita da quell’entrata improvvisa.
“Non parlarmi di House…”
“Che…che cosa? Cuddy è una cosa seria…”
“Nelle ultime settimane sei sempre entrato nel mio ufficio dicendomi che House ne ha combinata una delle sue. Sono stanca, tu e Nolan dovete smetterla di accudirlo come un bambino.”
Wilson la guardò spiazzato.
“Che cosa ti prende!? Perché ti comporti così?”
“Perché sono stanca di tutto questo”
“Non mi sembra un buon motivo per abbandonare un amico”
“Lo sai che io e lui non siamo mai stati…amici”
“Già, non siete mai stati amici…siete sempre stati innamorati uno dell’altro…”
“Adesso basta!”
Cuddy si alzò dalla sedia di scatto, appoggiando le mani alla scrivania; un gesto fatto quasi per trattenere la rabbia, che mano a mano cominciava a salire dal profondo. Wilson rimase a guardarla, mentre lei si lasciava scivolare di nuovo sulla sedia. Appoggiò i gomiti alla scrivania e strinse la testa tra i palmi delle mani, cercando di massaggiarsi le tempie che cominciavano a pulsare velocemente, dandole fastidio.
“Non ce la faccio più Wilson, mi dispiace”
“Cuddy, io…”
“Non è colpa tua. E’ tutta colpa mia…”
Cuddy si raddrizzò sulla sedia, cercando di mantenere in piedi quella maschera che aveva costruito nelle ultime settimane. Una maschera che mostrava solo ciò che lei voleva, ma che cominciava a sgretolarsi sotto il peso della stanchezza e del rimorso.
“Due settimane fa, io ed House abbiamo parlato. Abbiamo deciso che avremmo vissuto separati uno dall’altro per sempre. Niente più scherzi, niente più battibecchi, niente battute sul mio corpo e così via…”
Wilson si sedette sul divano, mentre Cuddy lo raggiungeva.
“Perché avete litigato?”
Cuddy lo guardò. Gli occhi scuri del medico si confusero nel messaggio infinito che quegli occhi celesti nascondevano da ormai troppo tempo.
“No, abbiamo avuto una discussione a quanto pare civile.”
Cuddy abbassò lo sguardo. Si fissava le mani. Stringeva i pugni tanto da lasciare i segni delle unghie nella carne del palmo. Wilson, le prese le manie le strinse nelle sue.
“Ti ha ferita di nuovo, mi dispiace…”
“No…”
Wilson le afferrò le mani, per impedirle di graffiare la pelle con le unghie.
“Non è colpa tua. Anch’io sono stato poco gentile con lui da quando sono con Sam.”
“No, tu non c’entri niente…”
“E invece sì. Gli ho chiesto di andarsene da casa mia, perchè voglio tornare a vivere con Sam.”
“Non è questo il problema, Wilson…”
“E invece sì. Mi sento in colpa…”
“Anch’io…”
“Sappiamo come è House. Sappiamo il modo in cui reagisce a certe notizie.”
Rimasero in silenzio per qualche secondo cercando di immaginare le sensazioni che House aveva provato in quell’ultimo periodo. Ma solo Cuddy poteva avvicinarsi a quelle emozioni. Solo lei poteva percepire ogni pensiero dell’uomo che aveva amato per troppo tempo. Wilson non sapeva niente di quello che era successo, era facile mentirgli. Si fidava delle persone ciecamente, si lasciava abbindolare dalle loro scuse insulse, a cui ormai lui non badava neppure.
“Cosa ti ha detto Nolan?”
Wilson si fece sempre più serio. Cuddy lo osservò a lungo aspettando la sua risposta che dall’espressione del medico non preannunciava niente di buono. Allontanò la presa dalle mani della donna e se le appoggiò sulle sue ginocchia, giocando con il tessuto dei pantaloni perfettamente stirati.
“Ha detto che House ha fatto una scenata questa mattina. Non vuole più seguire la terapia.”
Cuddy aprì leggermente la bocca, ma non riuscì a formulare una frase coerente in poco tempo. Osservò le mani dell’oncologo eseguire quei piccoli cerchi imperfetti sul tessuto dei pantaloni, perdendo quasi la concentrazione, finchè le parole non uscirono da sole dalle sue labbra, quasi in un sussurro.
“Non può smettere con la terapia, non possono lasciarglielo fare.”
“Invece può. Lui è entrato nel percorso volontariamente. Sta a lui scegliere quando smettere con gli incontri.”
Cuddy si rialzò, ma pochi secondi e si risedette tenendosi la testa tra le mani.
“Lisa, stai bene?”
“Sì, è solo un po’ di mal di testa.”
“Sei sicura di star bene?”
“Sì, non ti preoccupare. E’ solo lo stress…”
“Mi devo fidare?”
“Sono un medico anche io…”
“Prendi qualcosa, il mal di testa non passa da solo”
Cuddy sorrise.  Si alzò e si sedette dietro la scrivania. Aprì il cassetto e prese un piccolo flacone di pillole. Lo aprì e ne estrasse due. Le osservò inconsciamente per un po’ di tempo, poi le inghiottì insieme all’acqua che Wilson gli porgeva.
“Grazie”
“Hai visto House questa mattina?”
“No, perché?”
“Ha un occhio nero. Gli ho chiesto come se lo sia fatto, ma ha detto che ha battuto contro il comodino”
“Di questo ci penso io, Wilson. Tu vedi di parlare con lui, e digli che lo aspetto nel mio ufficio più tardi. E voglio che ci sia qui anche tu.”
 Cuddy prese in mano il telefono, mentre Wilson camminava ancora verso la porta a vetri.
“Ah, Wilson. Non dirgli che te l’ho detto”
Il medico annuì e si incamminò nel corridoio, lasciando il capo da solo nel suo ufficio.
Cuddy compose il numero e appoggiò l’orecchio alla cornetta.
“Lucas, ho bisogno che controlli cosa ha fatto House nell’ultima settimana. E’ urgente”

Princeton. Appartamento Di House. Ore 14:00
Insieme al team aveva diagnosticato la malattia del paziente e finalmente poteva tornarsene a casa. Questa volta, al semaforo, non svoltò a sinistra, ma a destra. Ormai non sarebbe tornato nel loft di Wilson, nemmeno per prendere i suoi vestiti e le sue altre cose. Avrebbe mandato qualcuno della squadra a fare quel lavoretto. Ormai non era più il loft di Wilson e House, Sam lo aveva rimpiazzato. Non ci sarebbero più state le serate all’insegna del poker e dei porno. Solo serate noiose tra televisione e libri in completa solitudine. Ma per fortuna c’era sempre la sua musica.
Percorse il viale alberato e si fermò davanti al portone verde. Una folata di vento mosse gli alberi alle sue spalle, mentre procedeva lento, ma sicuro verso la porta d’entrata.
Appoggiò la mano alla maniglia, ma la porta si aprì rivelando l’interno al proprietario. Nulla era stato toccato, ma qualcuno era lì seduto al piano. La musica riempiva la stanza, mentre House cominciava a varcare l’ingresso a passi lenti, ma questa volta incerti.
Osservò l’uomo seduto al piano. Lo conosceva, ma rimase sorpreso nel vederlo. Lo riportò ai ricordi di quella mattinata. Richiamò anche quei mesi passati in quel luogo lontano da casa. Una delle persone a cui voleva bene, sì, forse gli voleva veramente bene, era seduta lì.
“Hei”
“Che ci fai qui? Non dovresti essere a Mayfield?”
“Mi hanno dimesso la settimana scorsa. Ti ho cercato, ma ho trovato solo il tuo appartamento vuoto.”
“Già, sono stato da un amico per un po’. Ma ora sono di nuovo qui.”
“Sono stato qui da solo tutto il tempo. Credo che ora però me ne debba andare”
Alvin prese la sua borsa intatta appoggiata al divano e salutò l’uomo.
“Che cosa ci facevi qui?”
“Cercavo te. Siamo amici no?”
“Credo di sì. Sei stato qui tutto il tempo?”
“Sì. Mi sono intrattenuto con il piano. Beh, ci vediamo in giro House”
Il ragazzo si allontanò lentamente verso la porta. Quando la varcò non si voltò a guardare la scena alle sue spalle. E contrariamente a ciò che aveva pensato, una voce lo chiamò dall’interno.
“Alvin. Puoi rimanere qui se vuoi.”
“Sul serio?”
“Non passo molto tempo a casa…”
“Sul serio?”
House rimase zitto mentre Alvin si avvicinava a lui, e con lo stessi gesto di quasi un anno prima lo abbracciava sorridendo. House si allontanò da quell’abbraccio poco dopo, un po’ schifato come sempre quando qualcuno mostrava un po’ di affetto nei suoi confronti. Si ricordò del suo abbraccio con Chase quasi tre anni prima, quando aveva mentito a tutto l’ospedale fingendosi un malato terminale per accaparrarsi un posto in un trial contro il dolore.
“Regola numero 1: Non farlo mai più”
Alvin sorrise, e rimase a fissarlo imbambolato.
“Si signore, non succederà più”
Il diagnosta si sedette sul piano. Contemplò la sua figura imponente. Percorse con i suoi occhi chiari, la forma perfetta e il perimetro perfetto di quello strumento perfettamente calibrato nel peso e nel suono. Il legno nero e liscio non era coperto di polvere come il resto dei mobili e questo colpi la sua attenzione maggiormente.
“Pulirlo è stata la prima cosa che ho fatto”
“Grazie”
House passò la mano ruvida sulla superficie perfettamente liscia, lasciando le tracce delle dita leggermente sudate. Fece scorrere le mani sui tasti, senza premere, solo per assaporare quella sensazione. Poi fece lo stesso gesto premendo le singole chiavi. La scala di note echeggiava nella stanza, in una melodia semplice e perfetta.
Alvin si avvicinò a lui e gli porse dei fogli ingialliti e scarabocchiati.
“Pensavo tu non avessi bisogno di spartiti per ricordare le note.”
“Infatti non ne ho bisogno.”
“E questi fogli cosa sono allora?”
House osservò quei fogli. Li fece scorrere sotto il suo sguardo da intenditore. Non aveva mai dato un nome a quella melodia che aveva scritto tempo prima. Aveva evitato di dare un nome ad ogni sua composizione, perché se ne avessero avuto uno avrebbero perso quella magia che si libra nell’aria ogni singola volta nell’ascoltarle.
“L’ho composta io”
L’uomo più giovane si sedette al suo fianco e cominciò a premere le dita sui tasti bicolore, cercando di leggere quei fogli che House teneva in mano, con la coda dell’occhio. Sbagliò una nota e House sogghignò.
“Hai sbagliato”
“Se non mi fai vedere lo spartito è ovvio!”
“Pensavo l’avessi già memorizzata”
House appoggiò i fogli sulla panca e chiuse gli occhi. Appoggiò le mani sulla superficie liscia delle chiavi e, senza aprire gli occhi, cominciò a suonare.
Le sue dita si muovevano delicatamente sulle chiavi. Ora lentamente, ora velocemente, mentre la musica invadeva la casa impolverata. Rimase con gli occhi chiusi anche dopo aver terminato quella melodia.
“Ho provato a suonarla, ma il risultato non era lo stesso.”
“E’ ovvio. Io sono un genio e tu no.”
“Certo, certo. Intendevo dire che tu ci metti qualcosa che io non ho”
Alvin prese gli spartiti e rimase a fissarli come in cerca di una risposta a quella sua domanda silenziosa.
“L’ho composta per una persona che ho perso un po’ di tempo fa”
“L’hai persa? Mi dispiace…perdere una persona è sempre una brutta cosa”
“Non è morta. L’ho solo persa”
“Parli di quella donna tedesca?”
Al pensiero di Lydia, House rabbrividì leggermente. Gli tornarono alla mente dei ricordi. Gli stessi ricordi di cui aveva parlato a quell’uomo sul letto di morte, mentre era bloccato in stanza con lui. Si era liberato di un peso, ma non aveva voluto ammettere tutta la verità. Aveva parlato di Lydia, ma non aveva voluto parlare di quella donna che lo aveva assillato come un enigma per molto più tempo. Forse non gliene aveva parlato perché era un fatto così ovvio, che ormai anche i pazienti se ne accorgevano senza fare domande.
“No…”
“A proposito che fine ha fatto?”
Che fine aveva fatto Lydia? La donna con cui aveva passato insieme una notte, con cui si era confidato, per cui aveva pianto, per cui aveva sofferto e non fatto soffrire. Pensò a quando aveva saputo che sarebbe partita, che lo avrebbe abbandonato per rimanere con la sua famiglia. Dopo quasi un anno si rese conto che aveva fatto al scelta giusta ad andarsene e a lasciarsi alle spalle quella storia senza alcuna possibilità di riuscita.
“Non ne ho idea”
“Beh, amico…era una bella donna”
“Già…”
“Ma è anche vero che la donna per cui hai scritto questo pezzo potrebbe essere meglio”
House sorrise insieme al suo vecchio compagno di stanza, ora nuovo coinquilino.
“Pomeriggio all’insegna della musica?”
“Perché no?”
Alvin rimase seduto sulla panca di fronte al piano, mentre House afferrava la chitarra dal suo sostegno e cominciava ad accordarla per il meglio.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio Di Cuddy. Ore 16:00
“Ciao tesoro, ho portato quello che mi hai chiesto”
Lucas entrò nell’ufficio della sua compagna senza bussare. Si avvicinò alla scrivania e si sporse verso la donna per baciarla. Cuddy non rifiutò il bacio e poco dopo prese la busta che Lucas le aveva portato.

“Cosa ha combinato House questa volta?”
“Niente. Oltre a rompere macchinari e ad insultare i pazienti e i suoi collaboratori?”
Il ragazzo annuì distrattamente mentre si sdraiava sul divanetto senza togliersi le scarpe. Cuddy lo osservò mentre appoggiava la testa sulle mani incrociate dietro la nuca. Le sorrise guadagnandosi un altro sorriso.
“Lo sai…”
“So cosa?”
“Sono fortunato ad avere trovato una come te”
Cuddy si alzò e si avvicinò a lui ammiccante. Lucas rimase lì sdraiato, mentre la dottoressa si sedeva vicino a lui e lo baciava.
“Anche se lavori troppo…”
“Lo sai che il mio lavoro è molto impegnativo”
“Ma nonostante questo trovi il tempo per me e per Rachel”
“Vorrei poter spendere più tempo con mia figlia…”
“Beh, allora andiamo da qualche parte per un paio di giorni. Niente lavoro, niente documenti, niente House che entra nel tuo ufficio…”
“Che c’entra House adesso? Perché tutti lo mettete in ogni discorso?”
“Scusa Lisa. Lui ha fatto parte della tua vota per molto tempo, e…”
“Ed è tuttora parte della mia vita. Ma a differenza di un po’ di tempo fa, lui è solo un mio impiegato.”
Lucas sorrise ricambiando alla risata del medico di fronte a lui. Si avvicinò di nuovo a lei e le rubò l’ennesimo bacio, prima di scattare in piedi.
“Ti aspetto per cena. Io e Rachel prepariamo la cena stasera”
“Grazie…”
“A dopo allora…”
“A dopo…”
“Ciao tesoro mio…”
“Ciao…”
Cuddy andò verso al sua scrivania lentamente, fissando la busta preoccupata dal contenuto che nascondeva. Ne osservò il colore: uno strano giallo o forse marrone; era quasi indecifrabile. Indecifrabile come ciò che si vedeva all’interno. La prese tra le mani e rimase sorpresa da quanto leggera fosse. Conteneva a malapena un paio di fogli. La aprì lentamente, fissando la carta che si lacerava senza alcun vincolo. La lama scorreva lentamente lungo uno dei lati più corti senza trovare alcun ostacolo. Cuddy osservò la carta lacerarsi lentamente. Ogni secondo sembrava amplificato anche quando la busta era finalmente aperta ed il suo contenuto era stato svuotato sulla scrivania.
Cuddy osservò quel piccolo foglio che era caduto dalla busta. Immediatamente prese il telefono.
“Wilson, ti voglio il prima possibile nel mio ufficio. E voglio anche House.”

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Capitolo 7
*** A Place Called Home Parte III ***


The Bitter End

Capitolo 3: A Place Called Home Parte III

Princeton. Appartamento Di House. Ore 16:45
Gli ABBA cominciarono a suonare nell’appartamento distogliendo l’attenzione dei due uomini intenti a suonare un vecchio pezzo dei Rolling Stones. House si avvicinò al telefono, ma appena vide il numero sul display decise di non rispondere. Ritornò alla sua postazione precedente, mentre Alvin lo fissava confuso.
“Perché non rispondi?”
“E’ il mio ex migliore amico. Il traditore”
“Ah. Sei sicuro che non vuoi rispondere?”
House annuì sommessamente, mentre le sue mani pizzicavano le corde della chitarra in modo sapiente.
Il telefono riprese a suonare e questo costrinse Alvin ad alzarsi dal piano in direzione del telefono. Lo prese in mano e lo mise al suo orecchio, guadagnandosi uno sguardo curioso di House.
“Pronto…”
“House? Non sarai ubriaco?”
“Chi è House?”
“Chi sei tu?”
“Chi sei tu?”
“Chiunque tu sia, devo parlare con House immediatamente”
“Mi dispiace, ma non è in casa”
“E dove è?”
“Sarà andato a farsi un giro in qualche locale, amico”
“Ma tu chi sei?”
“Sono il suo nuovo migliore amico”
House osservava il giovane amico, ascoltando quell’assurda conversazione telefonica che lo stava in un certo senso divertendo. Si alzò e prese il telefono.
“Che hai Wilson?”
“House! Ma allora sei stato lì tutto il tempo ad ascoltare?”
“Che vuoi Wilson?”
“Cuddy vuole vederti immediatamente nel suo ufficio”
“Perché?”
“Deve parlare con te. Immediatamente House”
“Farò un salto più tardi. Ora sono impegnato”
“House, non sto scherzando. Dovete parlare”
“E da quando tu sei il suo assistente? Perché non ha chiamato lei?”
“Mi ha chiesto un favore, sperando che tu mi ascoltassi”
“Dille che verrò più tardi”
House chiuse la telefonata brutalmente. Erano settimane che non aveva una discussione con Cuddy. Avevano cercato di evitare ogni contatto visivo, ogni giorno nessuno dei due alzava lo sguardo verso l’altro. Solo la mattina si salutavano distrattamente e ognuno ritornava al proprio lavoro.
Alvin osservò l’espressione dell’animo, era un po’ confuso da questo suo comportamento. Dopotutto lui e Wilson erano migliori amici, e per quanto House lo negasse, loro lo sarebbero sempre stati, anche se Alvin ora viveva con lui.
“Devo andare in ospedale più tardi”
“Ho sentito.”
“Credo tu possa rimanere da solo ancora per un po’”
“Sì, non ti preoccupare. Ho alcune cose da fare qui”
House raccolse il bastone inerme appoggiato alla spalliera del divano. Prese la giacca dall’attaccapanni e rimase a fissare la scena. Era di nuovo a casa sua, nessuno gli avrebbe impedito di vivere la sua vita.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario di Medicina. Ore 17:45
House entrò nell’ufficio del primario senza bussare. Fu accolto dagli sguardi dei due medici, che lo attendevano nervosamente.
Wilson sedeva su una delle poltrone alla sua destra, mentre Cuddy era appoggiata alla sua scrivania. House li osservò a lungo prima di cominciare a parlare.
“Sono qui. Di cosa volete parlare?”
House inquadrò Wilson, senza permettere di catturarsi nemmeno un minimo centimetro di Cuddy nella sua visuale. L’oncologo scosse la testa, facendo capire ad House che lui ancora non sapeva niente.
“Allora capo. Cosa vuoi da me?”
Si guardarono negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. Gli occhi azzurri di lei si persero di nuovo in quelli celesti di lui. Così maledettamente celesti, pensò lei. Si girò di scatto verso la sua scrivania e prese un foglietto. Quel foglietto che aveva fissato per quasi tutto il pomeriggio, sperando che quello fosse solo l’ennesimo scherzo di Lucas. Ma non lo era. Quello era la verità. Una cosa che il vecchio House avrebbe fatto, che il nuovo lui avrebbe solo considerato un ricordo dei vecchi tempi.
“Guarda questo”
Cuddy gli porse quel biglietto così anonimo. Lui lo prese tra le mani e quasi senza leggerlo, lo accartocciò tra le dita.
Il rumore della carta che si accartocciava sotto le fredde mani del diagnosta sembrò rimbombare nell’ufficio, rompendo l’ennesimo momento di silenzio che aveva di nuovo riempito l’ufficio.
“Devo rendere conto di ogni mia singola azione ora?”
“House, non si tratta di questo, tu…”
“Io cosa? Non sono nemmeno libero di andare in un bar ed ubriacarmi?”
“Sei libero di bere quanto vuoi. Lo hai sempre fatto.”
Cuddy rispose così seccamente, quasi impersonalmente. Lasciò tutte le emozioni fuori da quel discorso. O almeno cercò di comportarsi nell’interesse dell’ospedale e non nel suo.
“House, tu hai scatenato una rissa. Ci sono stati anche colpi di pistola…”
“Oh mio dio, qualcuno è stato ferito?”
Wilson si alzò dalla poltrona scandalizzato. Guardò Cuddy, lei scosse la testa. Il medico fece un giro su se stesso e si risedette.
“House, che diavolo avevi in mente?”
House guardò l’amico e sorrise ironico.
“Pensi che io abbia programmato una rissa? Che io lo abbia fatto di mia spontanea volontà così da attirare un po’ l’attenzione?”
“Non voglio dire questo, ma…”
“Mi state trattando come un bambino”
“Non ti stiamo trattando come un bambino…”
Di nuovo si ritrovarono nel silenzio più assoluto, tranne che per le voce leggere che cominciavano a sentirsi dalla clinica. Si poteva sentire il chiacchiericcio dei pazienti che aspettavano di essere visitati, anche a quell’ora.
“Cuddy, solo perché tu sei il capo non significa che hai il permesso di intrometterti nella mia vita ogni volta che vuoi…”
“House, siamo amici…”
“No, non lo siamo mai stati”
“Io sono…”
“Tu non sei mia amica. Non lo sei mai stata”
Wilson e Cuddy rimasero a guardarlo, mentre usciva chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle.
“Sono un idiota”
“Non lo sei James. Qui la str*nza sono io”
“Lo sai che quello che ha detto non è vero…”
“E invece è vero.”
“Lisa, c’è qualcosa che devo sapere”
“Cosa?”
“Perché tutti questi sensi di colpa nei suoi confronti? E’ ancora per la storia della gamba? Sono passati anni, lascia perdere…”
“Non è per la gamba, Wilson.”
“E allora qual è il motivo?”
Cuddy si alzò e si sedette sulla poltrona di fronte all’amico, rannicchiandosi nella comoda e soffice imbottitura. Wilson si raddrizzò leggermente e continuava a fissare Cuddy. Quando lei rialzò lo sguardo, l’uomo vide le lacrime solcare il viso perfetto della donna.
“James, io non ce la faccio più…”
“Qual è il problema?”
“Io e House siamo stati insieme”
“So già della vostra storia al college, ma non vedo come la cosa possa collegarsi a questo momento”
“Circa tre settimane fa, quando mi hai chiesto di parlare con lui riguardo a Sam, sono stata a casa vostra. Ne avevamo già parlato nel mio ufficio, ma dovevamo…chiarire alcune cose. Eravamo in salotto quando gli ho detto che ero confusa, che forse provavo ancora qualcosa per lui”
“Cuddy, tu ed House avete passato la notte insieme? Eri tu quella donna…”
“Wilson, mi dispiace così tanto…”
“Lisa, tu non hai nessuna colpa.”
“Invece sì, lui mi odia ora.”
“Lui non ti odia. Odia me. Questa è solo la sua reazione al fatto che io e Sam vogliamo andare a vivere insieme.”
“Ma le sbronze e la rissa, queste sono colpa mia”
“No…Lisa, calmati. Non hai nessuna colpa. Parlerò con House. Voglio che torni a vivere con me e se a Sam non andasse bene, può sempre rimanere nel suo appartamento.”
“Wilson abbiamo combinato un casino.”
“No, House è la causa di tutti i suoi casini”
Wilson si avvicinò a Cuddy e la abbracciò forte.
“Sistemeremo tutto…”
“Lo spero…ma tu non dirgli niente di quello che ti ho appena detto.”
“Non lo farò Lisa.”

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 18:25
“House, possiamo parlare?”
“Pensavo avessimo parlato abbastanza”
Wilson entrò nell’ufficio, camminò verso House e si sedette dall’altra parte della scrivania.
“No…voglio che torni a vivere nel loft”
“No”
“Se a Sam non va bene, può rimanere a vivere nel suo appartamento.”
“Capisci Wilson, io non ho bisogno di te.”
Detto questo si alzò ed uscì dal suo ufficio, lasciando l’oncologo a fissare la sedia di fronte a lui, ora vuota.

 

Circa due settimane dopo…

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario. Ore 10:00
House varcò le grandi porte a vetri dell’ospedale dopo l’ennesima notte in bianco. Gli occhiali da sole nascondevano il celeste intenso dei suoi occhi. Camminava zoppicando appoggiando tutto il peso sul bastone logorato dal tempo.
“Buongiorno House…”
“Buongiorno…”
Cuddy tentò di fermarlo, ma lui camminava già verso l’ascensore. Cuddy gli si parò davanti per sbarrargli la strada.
“Possiamo parlare?”
“Ehm, no. Ho un caso…”
“No, non hai un caso. Sono il tuo capo dimentichi?”
Cuddy sorrise leggermente.
“Posso offrirti un caffè?”
House la osservò esitante per qualche secondo, ma senza smettere di fissare il suo sorriso stampato sul volto, annuì.
Camminarono fianco a fianco verso la caffetteria.
“Come ai vecchi tempi eh?”
“Sembrerebbe…”
Presero il loro caffè e si sedettero ad uno dei tavoli. La caffetteria era semideserta nonostante l’orario. Ognuno stava svolgendo il proprio dovere senza problemi.
“Volevo parlare con te”
“Questo lo hai già detto”
“Grazie genio.”
House la osservò, Stava ancora sorridendo.
“Il tuo boytoy ti ha soddisfatta?”
“Lucas ultimamente sta lavorando molto”
“Credevo che senza sesso tu tornassi la solita arpia, ma mi sbagliavo.”
“Sono felice…”
“Lo vedono tutti questo…”
“Rachel ha detto la sua prima parola ieri sera…”
“Ho la marmocchia non parla già?”
“House, ha poco più di un anno…”
“Buddah appena nato già parlava…”
“Mia figlia non è Buddah…”
“Ah davvero?”
Sorrisero.
“E’ bello potersi parlare di nuovo.”
House bevve il suo caffè silenziosamente, cercando ogni minimo particolare di ogni singola persona che varcava le porte d’ingresso al bar.
“Mi piacciono questi momenti…”
“Questi momenti?”
“Sì…io, te e un caffè. Mi piace”
“Lo so che ti piaccio, ma…”
“House, intendevo…”
“Lo so cosa intendi…”
“E’ divertente…”
“Cosa è divertente?”
“Tu mi hai detto che non siamo amici e che mai lo siamo stati. Lo pensi veramente?”
“Lo pensavo”
“E ora non lo pensi più?”
“Ho cambiato idea…”
“Mi fa piacere…Penso che dovremmo prendere un caffè insieme più spesso, non trovi?”
“Se paghi sempre tu, a me va bene”
“Certo, chi dovrebbe pagare se non io?”
“Così si ragiona…brava Cuddles.”
“Ciao House…”
House la osservò allontanarsi e come sempre osservò il rapido movimento dei suoi fianchi.
Se non posso averla per me, tanto vale tornare ai vecchi tempi.

Princeton. Casa Cuddy. Ore 21:00
“Lucas, sono a casa”
“Ehi tesoro siamo in camera”
“Arrivo…”
Cuddy si tolse la giacca, appoggiò la borsa nell’entrata e si tolse le scarpe. Salì le scale velocemente finchè non raggiunse la stanza della piccola Rachel.
“Ehi piccola mia…”
Cuddy si avvicinò lentamente alla piccola. Appena vide la madre, la bambina allungò le braccia verso la donna. Lisa la prese in braccio e le stampò un bacio sulla guancia.
“Mi sei mancata tesoro mio…”
“Mama…”
“E’ tutto il pomeriggio che lo dice…”
Luca la guardava raggiante, come se quella fosse una sorpresa.
“Lo so, ha cominciato ieri sera…”
“E non mi hai detto niente?”
“Scusa…ma eri a lavoro e non volevo disturbarti…”
“Non fa niente…”
Lisa sorrise, mentre Lucas le dava un dolce bacio sulle labbra.
“E’ ora di andare a dormire rospetto…”
Lucas prese Rachel tra le braccia e la mise a letto. Cuddy si sedette in parte a lei e le lesse una storia. La piccola si addormentò in men che non si dica.
“Era distrutta…”
“Sì, siamo stati al parco oggi…”
“Grazie…”
“Di niente tesoro…”
Scesero verso la cucina.
“Scusa se non ti ho aspettato a cenare, ma stavo morendo di fame…”
“Oh dio…sono le 9 e mezza?
“Ehi, lo so come è il tuo lavoro, perciò ti ho fatto le lasagne vegetariane come piacciono a te”
“Uhm, grazie. Come farei senza di te”
“Moriresti di fame”
“Sono sopravvissuta per anni senza che nessuno cucinasse per me”
“Hai vissuto mangiando insalate...dubito che tu sappia cucinare del tutto”
“Non è vero…io so cucinare, il problema è che non ho tempo…”
Lucas cominciò a massaggiarle le spalle, mentre Cuddy divorava la sua porzione di lasagne.
“Mi chiedevo se…”
“Sì?”
“Niente…”
“Dai, dimmelo…”
“Siamo insieme da un po’ di tempo e…mi chiedevo se, fosse il caso di, ufficializzare la cosa…”
Cuddy lo guardò per qualche secondo.
“Lucas, tu mi stai chiedendo di…di…”
“Di ufficializzare la cosa.”
“Mi stai chiedendo di sposarti?”
“Credo di sì”
“Credi di sì?”
“Sì.”
“Sì, cosa?”
“Sì, ti sto chiedendo di sposarmi”
Cuddy sorrise, per poi tornare seria.
“Lucas, io…”
“Lo so, è troppo presto. Mi dispiace avere rovinato la serata. Scusa…”
“Lucas, io ho bisogno di un po’ di tempo. Non ti sto rifiutando. Dico solo che ho bisogno di pensarci un po’ su.”
“Pensaci quanto vuoi Lisa. Voglio solo che tu sappia che sei speciale per me”
“Sei speciale anche tu”
“Ci guardiamo un film prima di andare a dormire?”
“Certo, faccio una doccia e ti raggiungo, ok?”
“Certo. Ti amo Lisa”
Troppo tardi, Cuddy aveva ormai chiuso la porta del bagno.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Help Me Parte I ***


Capitolo breve, scusate!

The Bitter End

Capitolo 4: Help Me Parte I

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario del Primario. Ore 17:45
Si  fermò qualche secondo fuori dalla porta dell’ufficio di Cuddy. Lo studio era aperto, ma le tende erano tirate per nascondere ciò che succedeva all’interno. Puntò il bastone sulla porta ed entrò, come al solito, senza bussare.
Cuddy gli dava le spalle. La tuta blu scuro le copriva le gambe, mentre la camicia rosa le copriva il busto. Nel sentire la porta aprirsi, si voltò e lo vide camminare verso di lei.
“Un edificio è crollato, ci sono feriti, parto con la squadra di soccorso”
“La cosa non mi interessa. Tieni”
House le porse un involucro ocra, lei lo prese senza dare attenzione a ciò che poteva contenere. Aprì la busta e ne estrasse il pesante contenuto. Osservò la copertina del libro, e la accarezzò lentamente, come se facesse arte di un veccio ricordo. Lesse con attenzione ciò che vi era scritto: “Introduzione alle malattie dell’addome acute” di Ernest T. Cuddy.
“Il mio bisnonno…”
“E’ solo un vecchio libro…”
Cuddy lo guardò sorpresa mentre House timidamente gesticolava.
“Aprilo…”
A Lucas E Lisa  per un nuovo inizio…Greg
A Cuddy si gelò il sangue delle vene. I suoi polmoni cominciarono a farle male quando si accorse che non stava respirando. Rilesse quelle righe, scritte con la calligrafia dell’uomo che le stava di fronte in quel momento. Le lesse attentamente per una decina di volte, ma le parole sfuggivano alla sua attenzione, girovagavano nella sua mente senza una meta precisa. Era confusa, tra l’ennesima confusione causata da uno che poteva sembrare il gesto più normale in una circostanza del genere. Ma quella non era una circostanza normale, come non lo erano quelle due persone che si contendevano lo sguardo. Cuddy ruppe il silenzio, fu l’unica ad esserne in grado.
“Cosa sarebbe questo? Un modo per darci la tua benedizione”
House la guardava quasi dolcemente, come se il suo lato umano si fosse fatto rivivo nuovamente nella sua anima confusa. La osservava. Vedeva le sue rughe d’espressione e le apprezzava. Avrebbe voluto fare un commento, per farla arrabbiare e innervosire, invece rimase a fissare quelle linee che marcavano la sua pelle e che la rendevano ancora più bella. House fece un respiro profondo, ripensando al discorso che già si era preparato. Perché per le poche volte che si trovava con lei, lui doveva già programmare tutto o avrebbe fatto scena muta, preso dalle emozioni e dalle delusioni.
“E’ un grande passo quello che stai per fare. Voglio solo congratularmi con te, con voi due. Lo so che può essere vista come la cosa più stupida, ma…”
Cercò di moderare il suo tono di voce, cercò di renderlo il più vero e cordiale. Più vero, pensava di poter autoconvincersi che quello a cui Cuddy stava andando incontro sarebbe stato il meglio per lei. Una vita senza di lui. Lei sarebbe andata a vivere con Lucas, non avrebbe avuto più tempo per lui. Lo avrebbe ritenuto uno dei suoi dipendenti, ma dopotutto lui era uno dei suoi dipendenti. Lui non era più speciale per lei, ma ancora lo sperava.
“Come fai a saperlo?”
Cuddy non smise di fissarlo. Rigirava il libro nelle sue mani, mentre con lo sguardo ripercorreva per l’ennesima volta i lineamenti del visi del diagnosta. Ormai li conosceva a memoria. Avrebbe potuto descriverlo nei minimi particolari. Solo gli occhi, non poteva descriverli. Quegli occhi erano solo i suoi, non aveva mai trovate le parole giuste per descriverli. Si era solo limitata a perdersi dentro quell’immenso oceano di pensieri.
“Ho le mie fonti qui in ospedale e la voce gira da un po’ di tempo. Se le mie fonti sono corrette, beh. congratulazioni”
Cuddy si girò dandogli nuovamente le spalle, cercò velocemente di rivestirsi, ma le risultò impossibile. House la aiutò.
“Grazie…”
House notò il suo tono di voce. Ora cercava di evitarlo. Biascicò quel grazie e non alzò più lo sguardo finchè non lo superò di qualche passo.
“Problemi in paradiso?”
“No, tutto è incantato come al solito”
Cuddy uscì dalla porta, lasciando il diagnosta a contemplare l’ufficio vuoto. Lanciò un ultimo sguardo alla scrivania e al libro che giaceva chiuso sul margine. Prese le chiavi della sua moto dalla tasca. Avrebbe scoperto quale era il problema di Cuddy. Avrebbe scoperto a cosa era dovuto il suo comportamento così distante. L’avrebbe  potuta aiutare, se lei lo avesse voluto, se lui ne fosse stato capace.

Luogo del crollo. Ore 20:00
House spense il motore della sua Honda. Intorno a lui regnava il caos. Gente che urlava, piangeva e si dimenava nel buoi. Rantoli di terrore, gente folle dalla paura che si accasciava al suolo perdendo conoscenza. Allargò il suo campo visivo. Cercò una tuta blu scuro, tra le altre. I soccorsi erano giunti già da un pezzo, ma lui imperterrito cercava Cuddy. La vide fasciare il braccio di un uomo sulla quarantina.
Lei alzò lo sguardo per incontrare quello di lui. Aspettò che si avvicinasse. La sua voce, si fece largo oltre le urla.
“House, abbiamo bisogno di una mano qui.”
Gli indicò la fila di persone sedute in parte ad una delle ambulanze. Volti pieni di sangue, braccia rotte. Gemiti di dolore.
“Come può aiutare uno zoppo?”
“Non giocare la carta dello zoppo. Hai due mani, puoi aiutare”
Il diagnosta si allontanò da lei, camminò lentamente portando con se uno stetoscopio. Si sedette di fronte ad una donna sulla ventina. Il sangue secco le macchiava la fronte fino alla guancia. Lo sguardo spento cercava di percepire ogni singolo movimento in parte a lei.
“Come ti chiami?”
La donna non gli rispose, ma rimase a fissarlo impaurita.
“Sai dove sei?”
Rimase a fissarlo senza dire una parola.
“Mi riesci a sentire?”
Niente. Rimase immobile.
“Cuddy, questa deve essere portata in ospedale.”
“Tutti vanno portati in ospedale”
“Se non va subito in ospedale il suo cervello fuoriescerà dal suo cranio”
“Mettila sulla prima ambulanza pronta a partire, ma sia chiaro: tu rimani qui!”
Dopo aver aiutato uno dei paramedici a caricare la ragazza sul veicolo, House si avvicinò di nuovo a Cuddy.
“Ci sono problemi con Lucas?”
“Possiamo parlarne in un altro momento. Magari più tardi?”
Cuddy riprese a medicare il paziente, mentre House testava i riflessi di questo.
“Adesso è passato un po’ di tempo. Allora c’è qualche problema?”
“No, nessun problema. E’ tutto ok. Anzi, direi che va tutto più che bene”
Gli sorrise, come per convincerlo. Ma Cuddy sapeva che non avrebbe dovuto convincere lui, ma avrebbe dovuto convincere se stessa.
“Allora perché questo tuo comportamento strano?”
“House, aspetta.”
Si girò verso uno dei medici alle sue spalle, gli disse qualcosa e poi afferrò House per un braccio e lo portò lontano dal caos.
“House, quando tu mi hai dato il libro, non pensavo fosse un regalo per, come posso dire, darmi il benvenuto in una nuova casa, ma pensavo fosse un regalo per il mio matrimonio”
Il diagnosta rimase a guardarla. Si perse nell’espressione del suo viso. Era seria, non lo stava prendendo in giro. Era sincera.
“L’anello…”
“E’ nel mio ufficio.”
“Ma prima non…”
“Sapevo che sarei venuta qui, perciò l’ho lasciato nel cassetto. E’ successo l’altra sera.”
“Ok…”
House si allontanò, lasciando Cuddy a fissarlo. Con ogni passo si allontanava da lei e dalla realtà circostante. Non sentiva alcun rumore, la sua mente era concentrata su quella strana emozione. Si sedette sui resti di un muro crollato. Trattene il respiro per qualche secondo poi respirò profondamente. Sarebbe cambiato tutto da quel momento. Lui sarebbe stato il Dr House, lei la Dr Cuddy. Niente battibecchi, niente scherzi. Solo lavoro. Solo richieste improvvise, urla e poi lui se ne sarebbe tornato nel suo ufficio con un nuovo esame da fare pur di accontentare il primario e non perdere il posto.
Perso nei suoi pensieri, vide Cuddy massaggiarsi le tempie e raggiungerlo.
“Avrei preferito che tu lo sapessi in un altro modo”
“Pensavo tu non volessi dirmelo”
“Non sarebbe stato giusto”
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Lui rimase seduto, mentre Cuddy camminava di fronte a lui in cerchio.
“Credo che dovremmo tornare a lavoro. Le persone non escono dalle macerie da sole”
Cuddy annuì sommessamente e si allontanò. House si alzò, ma qualcosa lo fece fermare. Sentì un rumore sordo. Come lo sbattere di metallo contro altro metallo.
“Cuddy, c’è qualcuno qui sotto”
“Cosa?”
“Ho detto che c’è qualcuno qui sotto”
“Come fai a saperlo?”
Di nuovo quel rumore. Questa volta più forte tanto da far sobbalzare Cuddy.
“Chiamo la squadra”

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Capitolo 9
*** Help Me Parte II ***


The Bitter End

Capitolo 4: Help Me Parte II

Luogo del crollo. Ore 22:00
Cuddy e House rimasero a fissare i soccorsi per quasi un’ora, in completo silenzio. Nessun rumore si era sentito da sotto le macerie, nemmeno quel frastuono di metallo contro metallo, che prima aveva svegliato loro due da quei pensieri.

“Qui sotto non c’è nessuno, mi dispiace.”
“Non siamo idioti, abbiamo sentito dei rumori”
“Mi dispiace ma qui…”

Tam Tam Tam.

“Ci credete degli idioti?”

La squadra di soccorso cominciò a scavare le macerie sotto gli occhi attenti di House. Poco dopo quando un piccolo varco era stato aperto, lui si girò verso Cuddy.

“Lì sotto tu non ci vai. Torna ad aiutare dall’altra parte dell’edificio”
“No.”
“Cuddy, non voglio discutere”
“Nessuno dei due metterà piede lì sotto. Lasciamo che i soccorsi facciano la loro parte, poi potremo curare chiunque si trovi là sotto.”

House annuì leggermente e tornò ad osservare i soccorritori. Tutto d’un tratto un urlo straziante coprì ogni rumore circostante. In gruppo i soccorritori cominciarono a radunarsi verso la donna che giaceva sotto le macerie. Cuddy corse verso la donna mentre House dietro di lei camminava il più velocemente possibile. Osservò la donna man mano che si avvicinava. La parte superiore del suo corpo era libera dalle macerie, ma le sue gambe erano bloccate sotto un enorme blocco di cemento.

“Fermi, non tentate nemmeno di levarla da lì.”
“Che diavolo dice? Dottoressa Cuddy, dobbiamo tirarla fuori da lì”
“No… La pressione del cemento sulla gamba blocca la circolazione. Estrarla dalle macerie potrebbe portare a scompensi che ne causerebbero la morte. O riuscite a diminuire gradualmente la massa sovrastante o dovremo amputare.”

Cuddy si girò verso House. Lo sguardo del diagnosta seguiva il movimento del peto della paziente sdraiata al suolo. Fece allontanare i soccorritori e si sedette in parte a lei.

“Come ti chiami?”
“Hannah”
“Sai dove ti trovi?”
“Morirò?”
“Rispondi alla mia domanda sai dove sei?”
“Credo di sì…”
“Dimmelo…”
“Trenton…”
“Quanti anni gai?”
“38”

House osservò Cuddy mentre esaminava la paziente. Tremava leggermente ed era pallida in volto, chiuse gli occhi quando una fitta la costrinse a portarsi una mano al capo.

“Cuddy, ti senti bene?”
“Ho un po’ d’influenza, niente di che”
“Alzati e seguimi”
“Dobbiamo finire con la paziente!”
“Non possiamo fare nient’altro finchè la squadra non toglie il cemento dalla sua gamba…”

House camminò verso l’ambulanza che li aveva raggiunti in quel punto dell’edificio. Cuddy lo seguiva lentamente.

“Sali…”

House fece un passo verso di lei e le afferrò la mano in modo da aiutarla nel salire. Cuddy gli prese la mano e si sedette.

“House, sto bene…”
“Tu non stai bene…”
“E’ solo influenza…”
“E da quando l’influenza dura più di 4 settimane?”

Cuddy rimase zitta. Dopo provato la pressione e aver fatto i soliti esami di routine, House inarcò il collo e appoggiò la testa alla parete della vettura. E quando chiuse gli occhi, cominciò a parlare.

“Cuddy, credo che tu sia incinta…”

Il decano rimase ad osservarlo criticamente, mentre nascondeva la testa tra le mani.

“Non è possibile…”

“Ti vedo ogni mattina in ospedale. Ogni volta che ti alzi da una sedia lo fai lentamente e afferri il tavolo o la scrivania. Quando entri in caffetteria l’odore del caffè ti disgusta. Passi metà mattina a fare avanti e indietro dalla scrivania al bagno. Tu sei decisamente incinta”

“Tu ti stai sbagliando. E’ solo influenza.”

“Credi a quello che vuoi.”

Detto questo uscì dall’ambulanza lasciandola sola. Camminò lentamente verso la paziente e vi si sedette a lato.

“Ti ricordi ancora come ti chiami?”
“Hannah”
“Anni?”
“38. Come mai queste domande?”
“Non m’interessa la tua vita privata, sia chiaro. Sono domande standard per casi di trauma ecc…”
“Ok…Che cosa è successo alla sua ragazza?”
“Cuddy? Non è la mia ragazza…”
“Oh, scusa…”
“Ha un po’ d’influenza…”
“E’ ancora seduta sull’ambulanza…”

Hannah osservò a lungo Cuddy, mentre lentamente si avvicinava a loro. La terra sotto i loro piedi tremò di nuovo provocando l’ennesimo urlo di dolore della donna.

“La prego salvi il mio bambino”

Cuddy era ormai al loro fianco, si piegò in avanti e afferrò la mano della donna distesa sotto le macerie, con l’altra mano accarezzò la sua fronte spostando i capelli che le pizzicavano gli occhi. Hannah osservò i suoi gesti premurosi, mentre con lo sguardo percorreva i lineamenti dei due medici di fronte a lei in cerca di una risposta vera.

“Faremo tutto il possibile”

Il diagnosta osservò lei confortare Hannah. Perfino Cuddy aveva perso la speranza nel riuscire ad estrarla dalle macerie. Sicuramente lui non avrebbe lasciato che le amputassero la gamba, ma ora che la paziente aveva confessato di essere incinta, qualcosa nella sua mente gli diceva che avrebbe veramente dovuto dare il suo consenso come medico ad un operazione così rischiosa. Doveva salvare Hannah e il suo bambino, non riusciva ancora a capirne la vera e pura ragione, ma qualcosa lo spingeva verso di lei.

“Hannah, credo che l’amputazione ora sia l’unica opzione rimasta pur di salvarti.”

Hannah non disse nulla, rimase immobile in silenzio. Una singola lacrima scese dai suoi occhi sbarrati dal dolore. Strinse con più forza la mano di Cuddy che ormai aveva chiuso gli occhi. Quando sentì la stretta farsi più forte, alzò il suo sguardo verso l’uomo che la stava osservando.

“Vado a chiamare il Dottor…”

“No. Lo farò io…”

 

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