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Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 16.35
"Dov'è
House?"
Cuddy entrò nell'ufficio, mentre Tredici stava cominciando a
radunare le cartelle sparse sul tavolo di vetro.
"Credo
sia in clinica"
"In clinica?"
"Sì. Foreman è appena uscito. Chase e Taub sono
con la paziente per l'ultimo ciclo di chemio"
"Ok."
Cuddy si girò, ma non uscì dalla stanza. Si
voltò verso la dottoressa più giovane.
"Ho
sentito del tuo litigio con Foreman. E' tutto a posto?"
"Sì. E' stato solo un litigio è…ancora
un po' difficile separare la nostra vita privata dal lavoro"
"Sei
sicura sia tutto ok?"
"Eravamo
insieme. Ora è geloso perché io e Chase abbiamo
un ottimo rapporto di amicizia. E'…solo geloso"
"E' un peccato che non avere la possibilità di parlarci
spesso"
Tredici
era sorpresa dalle parole del suo capo. Quando mai Cuddy era stata
gentile con lei. Quando mai aveva avuto una conversazione amichevole.
Non era mai capitato, ma ad entrambe serviva una breve discussione con
qualcuno. Troppo lavoro, troppa voglia di avere una vita normale, e gli
amici erano passati in secondo piano. Erano entrambe troppo impegnate
ad avere una vita perfetta.
"Già. Forse perché qui in ospedale siamo troppo
impegnate a lavorare, e al di fuori siamo in cerca di una relazione che
possa…"
"Durare più delle precedenti…"
Cuddy allontanò una sedia dal tavolo e vi ci sedette sopra.
Tredici fece lo stesso.
"Mi
sono innamorata per la prima volta a 17 anni. Lui ne aveva 30. Avrei
dovuto sapere che non sarebbe durata a lungo, ma ero solo una
ragazzina. Pensavo di avere trovato il grande amore - ride - e invece
era solo il primo di molti buchi nell'acqua"
"Mi dispiace. La mia prima cotta l'ho avuta ad un campo estivo. Avevo
12 anni e avevo degli occhiali enormi. Sembravo un piccolo
mostriciattolo - ride - lui è stato il mio primo bacio. Dopo
ho avuto varie cotte. Passavo da un ragazzo all'altro. Poi ho
cominciato a studiare medicina e ho messo la testa a posto,
finchè…"
"Non hai conosciuto House…"
Cuddy si porta una mano alla testa e ride.
"Già.
Poi lui se ne è andato e sono ritornata la Lisa di sempre.
Quella che partecipa alle feste, ma studia per tutto il resto del tempo
libero."
"E'
sempre stato così?"
"House?"
"Sì,
voglio dire è sempre stato così arrogante e
cinico?"
"Era
conosciuto in tutto il campus per il genio che prendeva in giro i
professori e che si portava a letto una ragazza diversa ogni notte. Era
House"
Tredici sorrise all'espressione della donna di fronte a lei. Era quasi
radiosa.
"Ho
una malattia che mi porterà alla morte in meno di 10-15
anni. Ho paura di non trovare un uomo che possa affrontare la cosa con
me, qualcuno che mi sia di sostegno. Sento di averne bisogno."
"Sei ancora giovane e qualcuno troverai che ti possa amare e che possa
vivere con te questa malattia. Non devi arrenderti"
"E tu ti sei arresa?"
"Forse…"
"Lucas è l'uomo della tua vita?"
"Non ne sono più molto sicura."
Tredici rimase in silenzio, mentre entrambe assaporavano
quell'atmosfera di silenzio.
"Non
sono mai riuscita ad avere una vera relazione. Ho avuto decine di
appuntamenti che non avevano mai un seguito. Sembrava quasi che gli
uomini rimanevano delusi da me. C'è stato un uomo, Don, che
avevo conosciuto in una chat e House lo aveva scoperto. Prima ha
rovinato il mio appuntamento al bar, poi si è presentato a
casa mia. Quando sono rientrata in salotto, Don mi ha detto che con
House tutto è diverso, quasi come se il mondo si fermasse e
solo noi esistessimo. E' stato strano vederlo uscire dalla mia casa
dopo quel discorso. Da lì ho cercato di sistemare le cose
con House. C'è stato l'incidente, la morte di Amber e poi
Kutner e in fine Mayfield. Poi ho conosciuto Lucas. Lui mi fa sentire
protetta; si prende cura di mia figlia e anche di me. Ma ultimamente
è diverso."
"Lucas
è diverso?"
"Ciò che provo per lui è diverso. Non so
perché ci sia stato questo cambiamento, ma forse non dovrei
prestargli attenzione. Forse dovrei continuare a vivere come negli
ultimi mesi, non preoccupandomi troppo per mia figlia perché
tanto c'è qualcuno a casa con lei la sera quando io faccio
tardi. C'è qualcuno che finalmente mi aspetta quando rientro
dopo una lunga giornata."
"Forse dovresti lasciarti andare invece. Sono quasi tre anni che sono
qui. Tutti noi vediamo il vostro comportamento. E ho notato il tuo
cambiamento quando lui è stato a Mayfield e ora posso notare
anche quello di House. Esternamente rimane il solito bastardo, ma ora
so che ha un cuore anche lui. E proprio quando lui è pronto
ad avere una storia, tu non ci sei per lui. La mia conclusione
è che dovreste regolare bi vostri orologi e provarci una
volta per tutte."
Cuddy continuò a guardare la ragazza seduta a pochi
centimetri da lei. Lo sguardo di tredici perso nel vuoto, ma la sua
mente fissa su quelle parole che aveva appena liberamente pronunciato
al suo capo.
"Spetta
a te decidere."
Tredici si alzò, raccolse le ultime cartelle dal tavolo,
mentre Cuddy rimase seduta su quella sedia, che in quel momento
sembrava troppo scomoda per continuare a starci seduta.
Guardò
l'orologio appeso alla parete di fronte a lei. House sarebbe uscito
dall'ospedale alle 17. Aveva 10 minuti per raggiungerlo in clinica.
Si
alzò e prese a camminare verso la clinica, ancora non
curante di ciò che avrebbe detto tra pochi minuti.
"Annota:
sono le 5 e il dottor House se ne va dalla clinica"
"Non sono ancora le 5 e c'è un solo paziente in sala visite,
può…"
L'infermiera tentò di fermarlo, ma invano. Nonostante il
bastone e il dolore alla gamba, House era riuscito a sfuggire alla
presa della donna che, un po' scettica, continuava a fissarlo camminare
verso la porta.
"Dove
credi di andare House?"
Cuddy
gli si tagliò di fronte con la sua piccola mole, impedendo
al diagnosta di continuare la sua fuga.
"Me ne vado a casa. Sono le 5 e ho risolto il caso"
House scivolò verso destra, ma fu bloccato dalla donna di
fronte a lui.
"Cuddy,
basta giochetti. Se vuoi che ti salti addosso, almeno andiamo nel tuo
ufficio!"
"Ok, seguimi."
Cuddy
attraversò la clinica, diretta verso le porte in vetro del
suo ufficio. Lo sguardo serio dipinto sul suo volto, mentre House la
continuava a fissare esterrefatto.
Forse
era stata troppo esplicita con quel comando, forse si era semplicemente
lasciata andare al nervosismo. House la seguì immediatamente.
Cuddy
aprì la porta del suo ufficio, la tenne aperta per farlo
entrare e poi la chiuse. Non girò la chiave, non
abbassò le tende.
Superò
House, in piedi nel mezzo del suo ufficio. Si sedette sul divanetto
beige e con la mano indicò ad House di sedersi.
"Wilson
mi ha detto della sua storia con Sam"
"Non è che passino inosservati. Le urla si sentivano dal mio
ufficio."
Cuddy trattenne il sorriso. House si avvicinò e si sedette
in parte a lei.
"Cosa
ne pensi di lei?"
"La penso nello stesso modo in cui la pensavo prima del loro matrimonio
anni fa. Le donne di Wilson non mi piacciono"
"Perché?"
"Non ci lasciava mai giocare a poker insieme."
"House, per favore"
"E non potevamo neanche guardare Monster Truck"
"Tu hai paura di perdere l'unico amico che hai, non è vero?"
House rimase zitto, toccato nel punto dolente da quella domanda. Il suo
punto debole che per anni aveva tentato di coprire, ora era stato
trovato da quella domanda un po' diretta. Cuddy sapeva di aver fatto
breccia in quel muro, assotigliatosi nell'ultimo periodo. E quando lui
continuò a rimanere in silenzio, lei continuò.
"Wilson
è venuto nel mio ufficio questa mattina. E' preoccupato per
te. Pensa che potresti rifiutare di nuovo Sam."
"E' parte della sua vita. Se lui la ama veramente io non ci posso fare
niente."
Cuddy posò la sua mano su quella del diagnosta, come per
rassicurarlo. Lui spostò la sua immediatamente. Lo sguardo
ferito di Cuddy lo fece quasi rabbrividire. Quel suo gesto ormai
automatico si era reso uno strumento di dolore per qualcun altro.
"Cuddy,
non fare questo"
Lei riaprì gli occhi e lo guardò fisso.
"Farti
cosa?"
House spostò lo sguardo verso la sua mano.
"Far
finta di interessarti a me. Continuare a parlare con me, nonostante tu
non voglia. Non ti devi preoccupare per me."
"Ma come posso non preoccuparmi?"
"Semplicemente non farlo"
Rimasero in silenzio per qualche minuto, aspettando che l'altro
prendesse l'iniziativa per primo.
"Sono
sempre stato uno stronzo. Ho trattato male tutte le persone con cui
entravo in contatto. Sono sempre stato un bastardo con i miei pazienti
e soprattutto tutte le persone che si avvicinavano a me finivano per
essere ferite. Per tutti questi motivi tu non dovresti preoccuparti per
me. Non lo avresti mai dovuto fare."
Detto questo si alzò dal divano e raggiunse la porta senza
guardare indietro. E quando la porta si chiuse alle sue spalle
sospirò.
Loft
di House e Wilson. Ore 22.30
Wilson
entrò in casa abbracciando Sam. Ridevano, sembravano felici.
House li vide percorrere il corridoio attraverso le ombre che
proiettavano sul muro in sfondo alla televisione.
"Avete
passato una bella serata?"
"Sì.
Uno splendido film. Noi ce ne andiamo a dormire se non ti dispiace"
"Le pareti sono insonorizzate . Divertitevi"
Sam
stava ridendo mentre Wilson, mezzo ubriaco tentava di slacciarsi le
scarpe.
La
coppietta era ormai in camera, quando qualcuno bussò alla
porta.
Cuddy
era di fronte a lui. In una mano aveva la sua borsa, mentre nell'altra
stringeva il cappotto.
"Che
ci fai qui?"
"Dobbiamo parlare"
"Credo che ci siamo detti tutto prima nel tuo ufficio"
"No. Tu hai detto ciò che volevi, ora lascia parlare me. Ho
sempre avuto paura di vivere il resto della mia vita da sola, senza
un'altra persona che potesse vivere con me ogni giorno e affrontare
ogni difficoltà insieme. Ho visto in Lucas quello che non ho
visto in nessun altro per molto tempo. Sono uscita di nuovo con lui
perché in quel momento sembrava l'unico che mi potesse
capire, l'unico che mi dava supporto morale. Mi aiutava con Rachel e
con il lavoro. Poi quella che sembrava semplice amicizia, si
è trasformata in qualcosa di più per entrambi."
"E' quello che hai sempre desiderato. Non sei contenta di avere
ottenuto tutto questo?"
"Ne ero pienamente soddisfatta. Ma ora non lo sono. C'è
troppa confusione nella mia testa. C'è qualcosa che mi fa
comportare in un altro modo. Qualcosa che ancora mi lega
a…te"
Cuddy allungò un'altra volta la sua mano verso di lui.
Questa volta la appoggiò sul suo braccio, mentre il cappotto
toccava il pavimento.
"Cuddy…"
"Stai zitto House…"
Cuddy portò l'altra mano sul petto dell'uomo. Strinse la
maglietta tra le dita e abbassò il suo viso al proprio
livello.
"Cosa
faresti se ti sentissi come me?"
"Io me la posso cavare, ma tu no. Tu ti pentirai, avrai rimorsi per
molto tempo."
"E
se a me non importassero questi rimorsi? Se io volessi cambiare il modo
in cui le cose stanno andando in questo ultimo periodo? Tu cosa faresti
se sentissi qualcosa che ti lega al passato in modo indissolubile?"
"Mi lascerei andare"
Erano ormai troppo vicini per tornare indietro. Le loro fronti erano
premute una contro l'altra, mentre i loro nasi mantenevano una certa
distanza tra loro. I loro colli si spostarono di lato, accorciando le
distanze di un paio di centimetri. Le loro labbra si sfiorarono, dando
il via a quel gioco.
Loft
di House e Wilson.
Ore 4:15 Dall’altra
parte della stanza l’orologio digitale scandiva i minuti con
quella sua luce
rossa intermittente. Cuddy pensò che quella sveglia era
simile alla sua. Sotto
le fredde coperte cercava di non pensare a ciò che aveva
appena fatto. Un uomo
era sdraiato in parte a lei, un suo braccio la stringeva per la vita e
la
teneva stretta a sé. Lui aveva ragione, i suoi sensi di
colpa cominciarono a
scalciare freneticamente dentro la sua testa e le attanagliavano il
petto.
Che
cosa avrebbe fatto ora? Che cosa
avrebbe detto a lui?
House
si rigirò nel sonno. Fece in tempo a vedere un
dolce sorriso sulla bocca di lui.
E’
successo veramente, nessuno lo può negare.
Nessuno potrà dire il contrario. E’ accaduto. E
Cuddy non sapeva cosa sarebbe
potuto succede dopo quella notte.
Spostò
il braccio di House e strisciò fuori dal
letto in punta di piedi. Guardò la stanza, ma la pochissima
luce non rendeva
possibile vedere i vestiti sparsi sul pavimento.
Si
inginocchiò e riuscì a recuperare i suoi vestiti.
Cercando di non fare il minimo rumore, Cuddy si rivestì in
fretta. Prese la sua
borsa ancora in salotto, indossò ilo cappotto leggero e si
lascio la porta alle
spalle. Si appoggiò alla parete fredda di quel corridoio
buio.
Che
cosa ho fatto?
House
si rigirò nuovamente tra le lenzuola. Questa
volta però non c’era nessuno ad impedirgli di
muoversi liberamente. Senza
aprire gli occhi, allungò un braccio verso l’altra
metà del letto. Non trovando
nessuno, aprì gli occhi. Quando si adattarono al buio della
stanza, non vide
nessuno con lui nella stanza. Era di nuovo solo. Questa volta non era
stato lui
ad andarsene, ma era stata lei.
Ha
capito di avere sbagliato, sa di
avere fatto qualcosa che può cambiare le cose.
Tutto
ciò che aveva creato negli ultimi mesi lo
aveva fatto crollare in una notte. O forse no.
House
si alzò lentamente, facendo attenzione alla
sua gamba, che da qualche settimana continuava a fargli male.
Camminò per la
stanza cercando i suoi vestiti. Li trovò ai piedi del letto
insieme al suo
bastone. Lo prese tra le mani e cominciò a camminare verso
il bagno. Si guardò
allo specchio, e ripetendo quell’azione di quasi un anno
prima, si portò una
mano alla guancia e cancellò il segno del rossetto. Era
successo. Cosa potesse
significare questo ancora non lo sapeva. Ma di una cosa ne era certo:
era
successo.
Casa
di Cuddy. Ore 4:45 Cuddy
entrò in casa sua. Una casa silenziosa, forse troppo. Ma
dopotutto non erano
nemmeno le 5 del mattino. Appoggiò la borsa e si tolse il
cappotto e le scarpe.
Non voleva svegliare Rachel e Marina. Ormai la povera baby-sitter
sarebbe
rimasta qui tutta la giornata.
“Lisa…”
“Ciao Marina. Scusa se torno solo adesso.”
“ Non c’è alcun problema, pensavo si
fosse fermata dal suo compagno.”
“Già. Rachel?”
“Si è addormentata alle 9 ed è ancora
nel mondo dei sogni. Se non le dispiace
io andrei a casa a farmi una doccia.”
“Certo, vai pure”
“Ci vediamo tra poco.”
“Sì, grazie. A dopo allora”
Marina
si chiuse la porta alle spalle. Cuddy si
appoggiò alla parete alle sue spalle. Sospirò
presa dai pensieri che la
tormentavano.
Solo
ora si accorgeva dell’enorme sbaglio che aveva
commesso. La sera precedente non le sembrava un errore mentre era presa
da
tutte quelle emozioni. Ma come aveva sempre pensato negli anni
precedenti,
qualcuno ne sarebbe rimasto ferito. Ma questa volta non sarebbe stata
lei.
Salì
le scale lentamente ed entrò nella stanza della
piccola. Dormiva beatamente tra le sue coperte leggere. Cuddy
ascoltò il suo
respiro lento e calmo. In quel momento avrebbe voluto essere una
bambina come
quella che di fronte a lei dormiva beatamente. Non avrebbe dovuto
prendersi
tutte quelle responsabilità. Pensare a cosa è
giusto, cosa è sbagliato,
sarebbero stati pensieri a lei estranei. Avrebbe solo fatto
ciò che voleva e
desiderava, evitando ciò che poteva renderla infelice.
Infelice. Era infelice?
No, non lo era. In quel momento era ancora presa da certe emozioni,
troppo
forti da descrivere. Emozioni che aveva provato pochissime volte. Come
la prima
volta sulle montagne russe. Il brivido della novità, la
paura dell’altezza, ma
nonostante il terrore, arrivi alla fine e sorridi, perché
sai di avercela fatta
indenne. Lei sarebbe arrivata indenne alla meta? O meglio, sarebbe
arrivata da
qualche parte?
Decise di farsi una doccia. Si tolse i vestiti man mano che si muoveva
verso il
bagno, lasciandosi alle spalle i pensieri, negativi e positivi.
Era ancora sotto la doccia quando qualcuno entrò nella
stanza. Uscì dal bagno
avvolta nell’accappatoio. Si asciugò i capelli con
una salvietta e solo in
seguito notò che Lucas la stava osservando.
“Hei,
cosa ci fai sveglia?”
“Ciao. Non riuscivo a dormire. Come è andato
l’appostamento?”
“Abbastanza bene. L’ennesimo marito
infedele”
L’ennesimo
marito infedele.
Loro non erano sposati, ma lei lo aveva tradito. Lei era infedele.
“Lisa?
Ci sei?”
“Sì, scusa. Ho un po’ di mal di
testa.”
“Mi dispiace. Posso fare qualcosa?”
“No, grazie. Vorrai dormire adesso”
“Sì, sono un po’ stanco. Ma se vuoi ti
faccio compagnia”
“Non ce ne è bisogno. Devo finire del lavoro.
Altre pratiche da compilare mi
aspettano”
“Ok.”
Lucas si avvicinò e la baciò dolcemente.
“Buona notte”
“Grazie, buon…lavoro allora”
Cuddy
rientrò nel bagno e chiuse la porta alle sue
spalle. Che cosa stava facendo? Perché non riusciva a
dimenticare tutto quello
che era successo? Tutte le immagini le tornavano nitide e chiare nella
mente
stanca dopo una notte fatta di atti fisici e torture psicologiche. Si
guardò
allo specchio, ma riportò il suo sguardo verso il pavimento.
Non
riesco nemmeno a guardarmi allo
specchio. Ho tradito Lucas. L’ho tradito.
Si
vestì lentamente. Ogni sua azione era rallentata
e allungata nel tempo, in modo da darle il minimo tempo per pensare.
Doveva
occupare la sua mente con qualcosa di diverso. Tuffarsi nel lavoro per
dimenticare, se mai ce l’avesse fatta.
Loft
di House e Wilson. Ore 7:30 “House,
io e Sam usciamo”
“Ok”
“A che ora hai intenzione di presentarti a lavoro?”
“Non lo so. Credo più tardi del solito”
“Clinica?”
“No….”
“James, andiamo o farò tardi. Ciao House”
Wilson e Sam si chiusero la porta alle spalle, lasciandolo solo per
l’ennesima
volta quella mattina. Non era riuscito a togliersi dalla testa quello
che era
successo q distanza di poche ore. Si ricordò di averla
baciata, di averla
lentamente spogliata, di aver trattenuto il respiro per non farsi
sentire, la
stringeva a sé con un braccio e poi la stanza vuota. Lei se
ne era andata.
Sarebbe andato in ospedale più tardi del solito. Non voleva
trovarsi a parlare
con Cuddy. Doveva chiarire le idee prima di creare un
“qualcosa”. Gli serviva
un piano, doveva pianificare i suoi prossimi passi. Per la prima volta
si trovò
ad archiviare i propri pensieri in maniera scrupolosa. Cosa fare prima.
Coma
fare dopo. Cosa dirle. A chi dirlo.
Non
l’ho detto nemmeno a Wilson…
Non
l’aveva detto a Wilson. Ormai lui aveva Sam, non
aveva bisogno di un amico che gli stesse tra i piedi e Sam era ormai
abituata
al comportamento da bastardo di House. Rendere la vita delle persone un
inferno
era stato il suo obiettivo negli anni passati. Se lui non poteva essere
felice,
anche le altre persone non potevano esserlo. Questo era ciò
che Sam pensava di
lui. Aveva forse ragione?
House finì la sua colazione, prese il cappotto e il
suo zaino e uscì dall’appartamento. Chiuse il
portone e salì sulla sua auto,
diretto verso l’ospedale.
Princeton
Plainsboro Teaching
Hospital. Ufficio di Cuddy. Ore 8.00 Come un orologio
svizzero, Lisa
Cuddy alle 8 in punto varcò le porte a vetri
dell’ospedale, ma a differenza di
un giorno qualunque, non alzò la testa e non
salutò nessuno dei medici e delle
infermiere e nemmeno il resto del personale che incontrava per
l’atrio. E solo
quando si chiuse la porta del suo ufficio alle spalle, ebbe il coraggio
di
alzare la testa e guardare dritto di fronte a lei. Che diavolo le stava
prendendo? Una notte insieme ad un uomo non l’aveva mai fatta
comportare così.
Prese posto alla sua scrivania e, mentre accarezzava il liscio e scuro
legno di
cui era fatta, ricordò il motivo per cui quel mobile era
lì con lei. Era stato
House a cercarlo a sua madre e a farlo arrivare in tempo per la fine
dei
lavori. Cuddy
cercò di scacciarlo per
l’ennesima volta dalla sua mente. Fece il giro della
scrivania e prese la sua
borsa. Nel farlo, intravide la fotografia che le sorrideva da una
cornice
sottile. Era una sua foto. La osservò. Era giovane, ancora
ignara di dove gli
anni successivi l’avrebbero portata. Tradire il proprio
compagno con l’uomo che
ha sempre cercato di allontanare e dimenticare. Ma come poteva
dimenticare un
uomo che rendeva la sua vita un qualcosa fuori
dall’ordinario. Quelle richieste
assurde, i loro battibecchi, gli sguardi, le battute. Era questo
ciò che
rendeva quel loro strano rapporto originale e dannatamente complicato.
Era
questo o, meglio, lui che la rendeva felice? Quell’uomo da
cui era sempre stata
attratta e il quale era attratto a sua volta da lei. Lo
stesso uomo con cui aveva passato la notte.
Qualcuno bussò alla porta e per la prima volta,
alzò lo sguardo per vedere
Wilson aprire lentamente a porta.
“Buongiorno. Hai parlato con House di quello che ti avevo
chiesto?”
“Sì”
“E…”
“Ha detto che la pensa come qualche anno fa. Le tue fidanzate
non sono mai
state le persone a lui più simpatiche. Però non
si intrometterà nella vostra
storia, perché non può cambiare ciò
che provi per lei.”
“Perciò non si intrometterà?”
“Non più di quanto faccia di solito con tutte le
tue storie, credo. Ma penso
anche che a lui Sam piaccia, ma che abbia solo paura di perdere
l’unico amico
che ha.”
“Può sempre contare su di te, anche se ora
c’è Lucas, giusto?”
Wilson la osservava con quegli occhi scuro. Cuddy pensò che
non la stava solo
osservando, ma la stava scrutando nel profondo. Come se il suo viso
avesse
scritto i suoi pensieri tramite la sua espressione.
“Certo…”
Cuddy rabbrividì leggermente nel sentire la sua voce
echeggiare nel vuoto della
stanza. Wilson si girò verso la porta, concedendo a Lisa il
primo respiro
profondo da quando era entrato.
“Sarà meglio che vada. Grazie Lisa per avergli
parlato”
“Nessun problema”
“E, comunque, credo che lui sia, in un certo senso, passato
oltre. A te,
intendo…”
Wilson si rigirò verso la donna con sguardo serio, come se
ora si stesse
liberando di un grosso peso.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Credo sia stato con una donna l’altra
notte”
Cuddy prese a tremare leggermente, ritornò dietro alla sua
scrivania e afferrò
il freddo legno. Wilson sapeva qualcosa?
“Ah, perché me lo dici?”
“Solo per informarti che puoi andare tranquilla con
Lucas”
“Ah, grazie Wilson”
L’oncologo si chiuse la porta alle spalle lasciando il tempo
a Cuddy di
riprendere fiato. Stava tremando ancora: le sue mani erano coperte da
un
leggero strato di sudore, mentre le sue gambe sembravano non sostenerla
stabilmente. Era sempre così quando era nervosa. Le ore
successive sarebbero
state le più dure, come si sarebbe dovuta comportare nei
prossimi giorni con
House era l’unica cosa che le passava per la mente.
Sicuramente avrebbero
dovuto parlare di ciò che era successo, prendere una
decisione: fermare tutto
in quel momento, o continuare con… con che cosa? Una relazione? Aveva provato a se stessa
di poter avere una storia
grazie a Lucas, ma non sapeva se House ne sarebbe stato in grado. Ma
dopotutto
lui era stato insieme a Stacy per anni, ne era in grado. In un qualche
modo lui
era stato con lei. Ma come poteva lasciare Lucas e mettersi con un
altro? Gli
avrebbe dovuto confessare il suo peccato, ciò che ogni
persona colpevole vuole
trattenere dentro sé il più a lungo possibile.
La sua storia con Lucas l’aveva riportata alla vita dopo un
anno in cui, come
un cagnolino, inseguiva House. Era riuscita a provare a se stessa che
niente
era andato perduto: poteva ancora essere
felice. Aveva nascosto quel sentimento dietro una maschera
di felicità. Per
mesi aveva speso le sue giornate con un uomo più giovane di
lei che la faceva
sentire viva. Eppure quelle frasi che aveva detto ad House la sera
precedente
le aveva pensate e le aveva accompagnate con quel suo sentimento tenuto
rinchiuso negli ultimi mesi, in una gabbia chiusa a chiave. E le
chiavi, che
parevano essere state seppellite sotto altri sentimenti, erano tornate
tra le
sua mani proprio quel pomeriggio. E solo quella sera aveva preso
coraggio e
aveva aperto quella gabbia ormai arrugginita. Ma non poteva decidere da
sola.
Doveva parlare con lui. Ma non ora.
Princeton
Plainsboro Teaching
Hospital. Ore 9:00 Quando House
varcò le porte
dell’ospedale, il suo orgoglio sembrava sparito insieme alla
sua abitudine di
arrivare a lavoro oltre le 10. Senza alzare lo sguardo dal pavimento,
percorse
il tratto di corridoio che lo separava dall’ascensore.
Passò diritto, senza
lanciare il suo solito sguardo all’interno
dell’ufficio del primario di
medicina. Si appoggiò alla parete, aspettando che
l’ascensore facesse il suo
arrivo.
“House! Che ci fai già qui?”
“Mi annoiavo”
“E per toglierti dal circolo vizioso della noia vieni a
lavoro? Da quando?”
“Da quando vado a letto con il capo”
“House, quella era solo un’allucinazione”
“Grazie per avermelo ricordato”
Wilson si fece serio. Le sue sopraciglia erano leggermente inclinate.
“House, ma stai scherzando?”
“Cuddy non tradirebbe mai il suo ragazzino”
“Già. Comunque eri con qualcuno stanotte,
vero?”
“No”
“House…”
“Piuttosto tu devi smetterla di ubriacarti ogni volta che
esci con Sam.”
“Ti preoccupi per me?”
“No. Quando ti ubriachi poi la notte urli come un matto e non
mi lasci dormire”
“House, io…”
Wilson arrossì improvvisamente, sapendo che quello che il
suo amico stava
dicendo aveva il suo sfondo di verità. Rimase senza parole,
mentre House
sorrideva lievemente.
“Stavo scherzando Wilson.”
“E..smettila di cambiare discorso. Tu stanotte eri con
qualcuno. Ne sono
sicuro”
“Ero da solo. E ora la vuoi smettere di farmi domande?
Cos’è, l’inquisizione
spagnola?”
“Scusa…pranziamo insieme?”
“Non pranzi con la tua mogliettina oggi?”
“No”
“Ti ha abbandonato?”
“No, non mi ha abbandonato. Deve recuperare un turno in
clinica”
“Ok. Paghi tu”
“Come sempre, ho qualche scelta?”
“Non pranzare con me…”
“Per quanto tu possa essere antipatico e rompi scatole, mi fa
piacere pranzare
con te, anche se devo pagare io anche per te ogni singola
volta”
Uscirono entrambi dall’ascensore, procedendo ognuno verso il
proprio ufficio.
House entrò nell’ufficio laterale, dove il team
già lo stava aspettando.
“Ciao”
Chase, Foreman, Taub e Tredici lo guardarono confusi.
“Da quando saluti?”
“Da quando osate farmi delle domande?”
Zittì le loro domande con la sua. Non aveva voglia di essere
disturbato con
domande idiote e non voleva nemmeno entrare in discussioni sterili.
“Avete un caso?”
“Non ancora. Cuddy ha detto che lo avrebbe portato, ma non
è ancora arrivata”
“Probabilmente il suo boy-toy la deve aver sfinita
stanotte”
House si guadagnò uno sguardo minaccioso da Tredici.
“Tu sai qualcosa che io non so?”
“E se così fosse, quali sarebbero i motivi per cui
dovrei dirtelo?”
“Sono il tuo capo e…sono il tuo capo”
Tredici spostò il suo sguardo verso la figura alle spalle di
House, che stava
per fare il suo ingresso nella stanza. Cuddy entrò
velocemente nell’ufficio,
salutò i presenti senza nemmeno alzare lo sguardo e
posò la cartella sul tavolo
al centro della stanza. Consegnato il documento girò sui
tacchi e uscì dalla
porta, seguita dallo sguardo di Tredici.
“E’ successo qualcosa tra voi due?”
“No”
“Ne sei sicuro?”
“Certo, sono il diretto interessato. Se fosse successo
qualcosa di sicuro non
sarei qui con voi, ma sarei con lei a fare cosa da adulti e poi andare
a letto
con il capo avrebbe portato molte opzioni a mefavorevoli”
“Arrivare in ritardo a lavoro non conta. Tu arrivi lo stesso
tardi”
“Questo potrebbe significare due cose: o io ho dormito con
Cuddy per tutte le
notti degli ulitmi 20 anni, o me ne frego delle regole di questo
ospedale… no
aspetta… in realtà me ne frego di tutte le regole
in generale”
Il team prese a leggere la cartella, mentre House seguiva con lo
sgiardo Cuddy,
che si allontanava dal suo ufficio. Non
aveva neanche alzato lo sguardo dal pavimento per guardarlo.
Mentre la sua
mente registrava passivamente le informazioni che il team analizzava,
il suo
pensiero fisso era il comportamento di Cuddy. Solo quando il rumore dei
tacchi
di Cuddy era inaudibile, House si girò verso la squadra che,
ancora una volta,
lo guardava confusa.
“Fatele tutti gli esami che vi vengono in mente. Foreman oggi
sei tu il capo”
Tredici, Chase e Taub, più confusi che mai, continuavano a
guardare gli altri
due medici.
“Forza…vi raggiungo tra un attimo”
Detto questo Foreman si alzò e seguì House
nell’ufficio personale di
quest’ultimo.
“Che cosa significa questo?”
“Voglio vedere come te la cavi”
House era serio, mentre guardava Foreman ancora stupito da quella
scelta
improvvisa.
“Questo lo hai già visto, non capisco dove vuoi
arrivare con questa bravata”
“Ti do l’opportunità di gestire un caso,
comandando a bacchetta un team di tre
ottimi medici, tra cui c’èa nche la tua ex, e mi
dici che non capisci? Se non
vuoi, posso sempre a chiedere a uno degli altri tre di
coordinare”
“No, accetto volentieri il compito, ma mi sembra
strano”
“E’ strano, e allora? Sei un ottimo medico, su
questo non si può discutere. E
credo che dovresti andare ad ammaestrate la banda giù in
laboratorio”
Il neurologo si allontanò di poco, ma fu fermato dalla voce
di House.
“Sia chiaro però: non intendo condividere la mia
scrivania, palle comprese con
te. E un’ultima cosa: non mandare a quel paese le cose con
Tredici come hai
fatto l’ultima volta. Il potere ti da alla testa”
Foreman lo guardò confuso, ma poi uscì
dall’ufficio del diagnosta trattenendo
un sorriso. House si sedette alla sua scrivania e prese tra le mani la
sua
pallina da tennis. Aveva seguito il consiglio di Nolan: quando le cose
avrebbero cominciato ad andare a rotoli per un qualche motivo, doveva
cominciare a trattare le persone a lui vicine in modo più
gentile. Ma
cancellato il suo disgusto verso il comportamento da lui appena
adottato nei confronti
del suo team, la sua mente si era rimessa in moto per chiarire il
comportamento
di Cuddy di poco prima. Ha vergogna di quello che è successo
tra loro, questo
era ciò a lui chiaro. Non aveva neanche alzato lo sguardo
verso il team,
qualcuno sapeva qualcosa. E lo sguardo di Tredici era solo
solidarietà
femminile o lei sapeva qualcosa? Ma Cuddy non ha mai parlato con
Tredici.
Riprese a concentrarsi sul suo programma. Erano ore che cercava le
parole per
quel loro inevitabile discorso, ma senza successo.
Princeton
Plainsboro Teaching
Hospital. Laboratorio. Ore 10:00 Foreman
entrò in laboratorio con
un sorrisetto stampato sul viso.
“Hai parlato con House?”
“Sì”
“E cosa ti ha detto?”
“Ha detto che merito un compito come questo e che siamo tutti
ottimi medici”
“House che fa complimenti?”
“Già. Credo che sia successo qualcosa tra lui e
Cuddy. Avete notato il loro
comportamento?”
“Sì. Ma non credo siano stati,
ehm…insieme. Credo ci sia qualche solito
problema probabilmente riguardante la clinica. Così Cuddy lo
ha obbligato a
metterti a capo del caso per questa settimana.”
“Ottima deduzione, ma come spieghi tutti i suoi complimenti
nei nostri
confronti?”
“O lo ha fatto per pararsi il c*lo, o… forse lo
pensa veramente e vuole
mostrare il suo lato, come posso dire…umano”
“Beh, credo che la prima opzioni sia quella più
plausibile”
“E comunque si è anche messo a dare consigli.
Specialmente sulla nostra vecchia
storia”
I due medici si concentrarono di nuovo sugli esami, mentre Tredici
seguiva con
lo sguardo Foreman allontanarsi diretto verso l’ufficio del
primario di
medicina.
Princeton
Plainsboro Teaching
Hospital. Ufficio di Cuddy. Ore 10:45 Lisa Cuddy era
seduta dietro la
sua scrivania, intenta a compilare dei documenti, quando qualcuno
bussò di
nuovo alla sua porta. Alzò lo sguardo e vide Foreman entrare.
“Dimmi: cosa ha combinato ora House?”
“Ha deciso di mettermi a capo del caso”
Schietto e diretto come sempre. Niente giri di parole da parte sua, era
sempre
stato così. Il suo atteggiamento di quando era al comando,
pensò Cuddy.
“Che cosa? Lo ha fatto di sua spontanea
volontà?”
“Sì, è un problema?”
“Non per te, ma per lui sì.”
“Devo continuare con questa sua bravata o devo rimettermi ai
suoi ordini?”
Cuddy si prese un minuto per incassare la notizia e trovare le parole
giuste,
perché in quel momento ragionare era una cosa troppo
difficile e complicata.
“No, puoi continuare, ma io devo parlare con House. Non
può fare una cosa del
genere senza informarmi.”
“Ok…”
“Immagino se ne sia andato a casa…”
“No, è nel suo ufficio”
“Vai pure.”
Il neurologo si chiuse la porta alle spalle, lasciando Cuddy,
nuovamente a
pensare ad House. Per quale motivo aveva deciso di affidare il caso a
Foreman e
rimanerne esterno? I puzzle erano ciò che più lo
appassionava, ciò che la
mattina lo faceva entrare in quell’ospedale. E nonostante il
suo comportamento,
era il medico che salvava la maggior percentuale di pazienti. Voleva
provare
qualcosa a Cuddy o era solo una sua bravata? E se volesse mettere alla
prova
Foreman per poi lasciargli il suo posto? House se ne vuole andare? I
sensi di
colpa di Cuddy tornarono a tormentarla. Oltre ad aver tradito il suo
compagno
ora aveva costretto House ad abbandonare l’ospedale.
Cuddy chiuse la
cartella di fronte a lei e prese in mano il suo
cellulare.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio
di House. Ore 11:15 House
era seduto dietro la sua scrivania, lo sguardo
perso nel vuoto, le sopracciglia inarcate nell’atto di
riflettere. Chi fosse
passato di lì, avrebbe tradotto la sua espressione come uno
dei tanti suoi
momenti di riflessione, ma solo Cuddy avrebbe capito ciò che
lui stava
pensando. Solo la donna al centro dei suoi pensieri lo avrebbe capito.
Nemmeno
Wilson avrebbe potuto scavare in quegli occhi e trovare la risposta.
Il suo cellulare vibrò leggermente nella sua tasca facendolo
sobbalzare
leggermente. Lo prese in mano e lesse il mittente: Cuddles. Un
soprannome. Era
il suo modo di relazionarsi con le persone: dare dei soprannomi,
enfatizzare i
loro difetti e non prendere nemmeno in considerazione i loro pregi. Per
lui
ogni loro punto debole di ogni persona era chiaro e salvato nel suo
archivio
mentale. Rilesse il nome sullo schermo e dopo qualche minuto
aprì il messaggio.
Non vi era nessun saluto, solo un ordine nudo e crudo. “Dobbiamo
parlare.” House rilesse il messaggio
innumerevoli volte. Un messaggio troppo impersonale, non vi era neanche
un
saluto e non aveva neanche firmato. Scorse i messaggi ricevuti e lesse
il primo
messaggio di Cuddy che gli capitava alla mano. “Ciao,
tanto per renderti partecipe della vita qui all’ospedale ti
ricordo che HAI un CASO. Ti voglio nel tuo ufficio in orario. E
ricordati il
turno in clinica. C” Tutto ciò che lui
chiedeva in quel momento era un
saluto e la C in fondo al messaggio. Quella C che dava il tocco di
classe ad un
messaggio, anche se di minaccia.
Ma questo gli fece capire tutto in un momento, tutto si presentava
chiaro nella
sua mente. Non sarebbero mai riusciti ad avere una storia e tutto
sarebbe
cambiato tra loro quello stesso giorno. Il loro comportamento, gli
sguardi e i
messaggi, si sarebbero ripetuti ogni singolo giorno fino a quando
entrambi non
sarebbero crollati sotto il peso di quel tremendo segreto, che
già cominciava a
graffiare la superficie per poter emergere e fare la sua entrata
trionfale.
Anche se il messaggio di Cuddy era chiaro e fin troppo diretto, lui non
si
mosse dal suo ufficio. Rimase lì seduto su quella sedia che
cominciava ad
essere scomoda, mentre la gamba cominciava a reclamare attenzione.
Rimase lì
seduto con lo sguardo fisso su di un punto agli altri ignoti, i suoi
pensieri
ora procedevano in fila indiana seguendo un certo filo logico e un
senso
profondo anche questi comprensibili solo a lui.
Foreman entrò in quel momento.
“Sono stato dalla Cuddy. Le ho detto che mi hai affidato il
caso”
“Eh lei si è incazzata…”
“Non saprei. Era strana…”
“Non più arpia del solito”
“E’ successo qualcosa tra voi due?”
“No, e la mia vita privata non è affar
tuo”
“Già, sarà meglio che vado dal resto
della squadra.”
Il neurologo aveva quasi raggiunto la porta, quando si girò
di scatto,
cogliendo di sorpresa House.
“Quattro anni fa, quando stavamo controllando la casa di
Cuddy, tu hai detto a
me e a Chase che ti comporti come un verme con le donne con cui sei
stato a
letto”
“Non sono stato a letto con la Cuddy”
“Certo, lei ha una reputazione da mantenere e anche un
ragazzo”
“Riposta sbagliata: io non sono stato a letto con la
Cuddy”
Foreman sorrise alla ripetizione del diagnosta.
“House, tutti mentono, tu compreso…”
Il medico afro-americano si chiuse la porta alle spalle trattenendo un
sorriso,
lasciando House ai suoi pensieri.
Princeto
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di Wilson. Ore
13:00 House
entrò senza bussare e si sedette sulla poltrona
di fronte alla scrivania dell’oncologo.
“Dammi cinque minuti e sono pronto per pranzare”
“Fai con calma. Mi devo nascondere dalla Cuddy.”
“Clinica?”
“No. Ho affidato il controllo su questo caso a Foreman e lei
ora è incazzata”
“Hai affidato il caso a Foreman?”
“E’ quello che ho appena detto, stai invecchiando
tesoro mio”
“No, pensavo di aver sentito male. Lo hai fatto
veramente?”
“Nolan”
“Cosa ti ha detto?”
“Mi ha chiesto di seguire il suo ultimo consiglio”
“Quale consiglio?”
“Creare un rapporto con le persone con cui lavoro”
Wilson guardò il suo migliore amico sorpreso. Il
sopracciglio destro
leggermente alzato era ciò che caratterizzava la sua
espressione sorpresa.
“Lo hai fatto veramente per un buon motivo o volevi solo far
incazzare Cuddy?”
“L’ho fatto perché non avevo niente di
meglio da fare oggi e in questo modo
seguo il mio programma di recupero”
“Wow”
“Wow?”
“Sì, wow. E’ impressionante”
“Ho qualcosa sulla faccia?”
“Il tuo comportamento è impressionante, non
pensavo saresti arrivato a questo
punto.”
“E invece eccomi qui, e ho fame”
“Ok…”
“House si diresse verso la porta seguito da Wilson.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Caffetteria. Ore
13:20 House
aprì le porte della caffetteria con il suo
bastone, spaventando la gente immersa tranquilla nel proprio pranzo.
Dopo aver
riempito i loro vassoi, si sedettero al loro solito tavolo, mentre Sam
emergeva
dalle porte seguita da Cuddy.
“Ehi”
Wilson le vide e fece cenno di raggiungerli. House che dava le spalle
alle
porte, non aveva visto il loro arrivo. E quando si girò vide
Cuddy prendere la
sua insalata, ma questa volta non si sedette con loro e Sam. Prese il
suo
pranzo ed uscì dalla caffetteria.
“Ciao Jimmy. House…”
“Sam…”
“Sam, sai il motivo per cui Cuddy non si è seduta
con noi?”
“Immagino che avesse del lavoro da fare”
“Io invece scommetto che è colpa tua,
House”
“Che c’entro io?”
“House, cosa hai combinato questa volta?”
“Non ho fatto niente”
“Ha affidato il comando a Foreman per questo caso e Cuddyincavolata.”
Sam guardava House confusa.
“Hai dato il comando a Foreman di tua spontanea
volontà?”
House se ne stette zitto, mentre rubava le patatine dal piatto di
Wilson.
“Lo ha fato sul serio, Sam”
“Wow”
“L’ho detto anch’io”
House si alzò dalla sedia tenendosi la gamba.
“House dove stai andando?”
“Vado. Preferisco non sentire i vostri discorsi”
Mentre Sam e Wilson lo guardavano uscire, House strinse i denti
all’ennesima
fitta alla gamba.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore
16.55 House
aveva passato l’intero pomeriggio con il team
cercando di risolvere il caso. Era riuscito a tenere occupata la sua
mente per
qualche ora, senza distogliere l’attenzione con i fatti della
notte precedente.
Erano quasi le 17 ed era ancora nel suo ufficio, seduto sulla sessa
sedia della
mattina. Guardò l’orologio. Erano le 16:55. Si
alzò e cominciò a radunare gli
oggetti sparsi sulla sua scrivania e sul pavimento, quasi a preparare
il campo
di battaglia per la sempre più vicina conversazione con
Cuddy. La squadra era a
fare gli ultimi controlli sul paziente.
“Foreman ha fatto un ottimo lavoro oggi”
La voce di Cuddy lo sorprese. Era calma, quasi soffocata.
“Sì, dopotutto sono un ottimo maestro”
“Questo è vero”
House si sedette alla sua scrivania, mentre Cuddy si
appoggiò alla parete.
Rimasero in quella posizione, avvolti nello stesso silenzio che li
aveva
accompagnati quella mattina nella stanza di lui.
“House, dobbiamo parlare”
“Lo so”
Cuddy lo guardò, ma non riuscì a vedere i suoi
occhi. I gomiti di House erano
appoggiati alla scrivania e teneva le mani sulla fronte.
“Stai bene, House?”
“Sì”
Rimasero in silenzio ancora per qualche minuto, quando entrambi
ripresero
coscienza sulla situazione.
“Mi dispiace per quello che è successo”
“L’abbiamo voluto entrambi”
“Sì, ma abbiamo sbagliato”
“Già.”
“Non ti preoccupare, non lo sa nessuno”
“Lo so”
“Foreman è convinto che siamo andati a letto
insieme”
“Cosa?”
“Ma come ho già detto non ti devi
preoccupare”
“Uno dei dipendenti sa che siamo andati a letto insieme e io
non dovrei
preoccuparmi”
“Lui lo crede, non lo sa per certo”
“Non sono stupida House, e nemmeno Foreman lo
è”
Silenzio. Di nuovo. Ma questa volta carico di tensione.
“Non lo griderò dalla balconata”
Cuddy trattenne un sorriso.
“Beh, questo è il minimo”
“Credo che sarebbe meglio se ci dimenticassimo
tutto”
Era tornato il vecchio House. Quello che se ne frega delle relazioni,
quello
che si diverte a giocare con i sentimenti delle persone.
“Lo credo anch’io”
“E’ stato un errore. Specialmente per te”
“Per me?”
“Sì. Hai una tua famiglia ora”
Cuddy lo guardò sorpresa.
“Quando sono entrata in questo ufficio poco fa, pensavo che
il vecchio House
fosse tornato. Invece mi sbagliavo. Fino all’anno scorso non
ti saresti
preoccupato della mia reputazione e neppure della mia famiglia. Ora che
ho una
figlia e un compagno tu ti comporti gentilmente. Mi lasci spiazzata
ogni volta”
“Cosa vuoi che faccia? Che vada a dire a Lucas che abbiamo
fatto sesso, o
preferisci che lo urli di nuovo a tutto il personale?”
House aveva alzato leggermente la voce, lasciando Cuddy confusa per
l’ennesima
volta.
“House, io non…”
“Lascia stare Cuddy…”
House prese il suo zaino e fece qualche passo, ma fu bloccato dalla
voce di
Cuddy.
“Posso sapere perché hai dato il comando a
Foreman?”
“Non mi andava di lavorare su un altro caso”
“Avevi solo questo di caso”
“Fino a poco fa no”
“Quindi io ero l’altro caso?”
“Non tu…noi”
“Quindi non te ne vuoi andare?”
“Andarmene? Non ci ho nemmeno pensato”
“Pensavo te ne saresti andato…”
“Questi sono i tuoi sensi di colpa”
“Smettila di prendere sempre in mezzo i miei sensi di
colpa”
“Non deve succedere di nuovo…”
“Mai più…”
“Andiamo avanti come se nulla fosse successo”
Detto questo entrambi presero le proprie strade, lasciando la notte
passata
solo ai momenti di solitudine e malinconia.
Non
deve succedere di nuovo…non succederà mai
più…
E’
stato un errore…un errore madornale…
Andiamo
avanti come se nulla fosse successo…anche se è
successo ed è
stato dannatamente
Mayfield.
Ufficio
del Dr Nolan. Ore 9:00.
House era seduto sugli scomodi sedili nel corridoio. Mentre le sue dita
giocavano con il bastone, il suo sguardo percorreva irrequieto le
grandi porte
scure che si aprivano su quel corridoio deserto e cupo. Neppure una era
aperta.
Alcune erano chiuse a chiave dall’interno, segno che i medici
proprietari di
quello studio stavano ricevendo i loro pazienti.
Un’infermiera gli passò di fronte e lo
salutò biascicando un ciao. House alzò
lo sguardo troppo tardi per poterla vedere in faccia, ma riconobbe
l’andatura
di quella infermiera che lo aveva aiutato più volte nel suo
internato in quel
posto un po’ lugubre.
Un tono di voce più alto proveniente dall’ufficio
di fronte lo informava che
tra pochi secondi sarebbe uscito il paziente e sarebbe stato il suo
turno.
Sentì i passi pesanti del medico avvicinarsi alla porta.
House poteva percepire
i movimenti dei due uomini: si stringevano la mano professionalmente,
mentre uno
apriva la porta dell’ufficio.
House rimase seduto finché l’uomo non se ne fu
andato e Nolan gli fece cenno di
entrare. Si sedette nella solita postazione. Una poltrona comoda,
imbottita,
ancora calda del calore dell’uomo che vi ci era appena stato
seduto. Nolan
prese due tazze di caffè e ne porse una ad House, che senza
fiatare la prese
tra le sua mani e la appoggiò sulla scrivania. Appena Nolan
si sedette,
cominciò a parlare.
“Allora, come stai Greg?”
House si strinse la coscia tra le mani per bloccare
l’ennesima fitta di dolore.
Digrignò i denti leggermente, ma Nolan vide tutto.
“ Non posso sopportare il dolore alla gamba”
“Neanche con l’ibuprofene?”
“No…”
“Da quanto ti fa male?”
House sorrise ironico a quella domanda.
“Una decina di anni…”
“Intendevo…”
“Lo so...”
“Allora?”
“Circa un mese…”
House sussurrò l’ultima risposta quasi temendo di
rivelarsi troppo all’uomo di
fronte a lui, causando solo uno sguardo più preoccupato sul
viso dell’uomo più
anziano.
“Hai provato altri farmaci?”
“Sì”
“E il Vicodin?”
“No…”
Greg, se…”
“No. Non ho preso il Vicodin”
“Ok, mi fido…”
“Non dovresti…”
House non lo stava guardando. Il suoi occhi azzurri erano proiettati
all’esterno dello studio. Guardavano l’immenso
giardino che si sviluppava
intorno all’edificio. Era tornato il sole da qualche giorno,
non faceva ancora
caldo, ma era una di quelle giornate ottime per fare un giro sulla sua
moto che
non guidava da troppo tempo. Nolan seguì il suo sguardo e
rimase a fissare quel
giardino insieme a lui.
“Il tuo amico, il Dr Wilson, mi ha chiamato”
“Allora te lo ha detto…”
“Vorrei sentirmelo dire anche da te”
“Cosa vuoi che ti dica? Lui ha ricoperto il suo amore per la
Prima-Ex-Signora-Wilson.Io
sono solo l’amico
che si è impadronito di una stanza della sua nuova casa, e
ora devo andarmene
altrimenti infrango il loro sogno d’amore, con la mia
austera, ingombrante e
intelligentissima presenza.”
“Era preoccupato”
“Lo sa che non deve preoccuparsi. Sono un bimbo grande
ora”
“House…”
I suoi occhi erano ancore fissi alla finestra, mentre con una mano
raggiunse la
tazza di caffè e la portò alle labbra. Bevve un
sorso di quel liquido caldo,
che gli riscaldò il petto. Nonostante il sole splendesse
all’esterno, in quel
luogo non faceva molto caldo.
“Ho il mio vecchio appartamento. Tornerò a vivere
lì.”
“Ne sei sicuro?”
“Certo…”
“Quel posto potrebbe riportarti a certe abitudini. Tornare a,
come posso dire…tornare
sulla vecchia strada”
House spostò finalmente lo sguardo verso l’uomo
seduto di fronte a lui. Lo
guardava con quel suo sguardo, quello con cui aveva guardato Wilson, lo
stesso
momento in cui gli aveva chiesto di lasciare Sam e lui vivere da soli. Ok. Così gli aveva risposto.
Si era
chiuso la porta alle spalle ed era andato in un bar. E poi,
ciò che era
successo non se lo ricordava. “Non succederà…”
“Se fossi in te prenderei in affitto un altro
appartamento…”
“Perché dovrei? Ne ho già uno”
“Devi fare come ti senti. Se a tuo parere sei in grado di
poter tornare a
vivere lì, buon per te. Sarebbe l’ennesimo passo
avanti”
Nolan tacque cercando di decifrare lo strano comportamento di House.
Dovevano
vedersi la settimana precedente, ma alla fine lui non si era
presentato. Aveva
provato a chiamarlo, ma senza ottenere un risultato, lui non richiamava
neppure
dopo aver ascoltato i messaggi lasciati in segreteria. E poi lo aveva
chiamato
per confermare il loro incontro di quella mattina.
“Tu non sei un paziente come un altro, lo
sai…”
House riprese la tazza di caffè e ne bevve di nuovo un
sorso, anche se ormai
era freddo. Ma poi riportò lo sguardo alla finestra.
“Come hai fatto a procurarti quel livido?”
“Un paziente in clinica…”
“Ti devo credere?”
“Sì. Perché dovrei mentire?”
“Perché sei tu quello che dice che tutti
mentono”
Rimasero in silenzio per qualche minuto ancora.
“Ho provato a creare una relazione con il mio team”
“E come è andata?”
“Ho affidato gli ultimi casi a Foreman per vedere come se la
cavava.”
“Tutto qui?”
“Ho cercato di parlare anche con gli
altri…”
“Sono passi avanti Greg”
“Lo so…”
“Hai seguito il mio consiglio allora…”
“Già…”
House rimase zitto, assaggiando di nuovo il suo caffè mentre
Nolan , a sua
volta, faceva la stessa azione.
“Sono stato con una donna”
Il medico più anziano lo guardò sorpreso dopo
quella dichiarazione.
“E’ per questo che non sei venuto
all’appuntamento settimana scorsa?”
“No…”
“E allora perché non c’eri?”
“Ero impegnato con un paio di casi e la clinica”
“Ed eri così impegnato da non poter nemmeno
parlare al telefono o lasciare un
messaggio…”
House rimase zitto per l’ennesima volta. Lasciando che i suoi
pensieri
ronzassero in modo disordinato nella sua testa.
“La conoscevi o era una prostituta?”
“La conoscevo…”
“Una delle tue vecchie prostitute?”
House sorrise lievemente pensando a quella volta in cui aveva
incontrato Cuddy
fuori dall’ospedale con quel completino da tennis.
“No…”
“Come mai sorridi?”
“Stavo pensando ad una cosa”
“Puoi dirmela…”
“Meglio di no…”
“Ok…”
“Ok?”
“Sì, puoi fare a meno di
dirmelo…”
“Strano, solitamente se ti tengo nascosto qualcosa ti arrabbi
e diventi
nercvoso…”
“Questa volta no…”
“Ok…”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, mentre Nolan raccoglieva le
tazze
vuote e le appoggiava sul mobile, vicino alla macchina del
caffè.
“La vedi spesso questa donna?”
“Ogni giorno…”
“Ed ogni giorno voi…”
“No. E’ stata solo una notte e niente di
più”
“Vi siete chiariti?”
“Sì. Abbiamo deciso che non deve succedere mai
più”
“E’ stato uno sbaglio per lei? Ti ha detto
questo?”
“Lei non lo ha detto. L’ho detto io, ma lo pensava
anche lei”
“Ne sei sicuro?”
“Sì, lei ha un fidanzato, non può
stare…”
“Questa donna è la ex moglie del tuo
amico?”
Al solo pensiero di un fatto del genere, House scattò dalla
poltrona e si mise
a sedere eretto.
“Non potrei mai fare una cosa del genere a Wilson. Sono uno
stronzo, ma non a
questo punto”
“Va bene, era solo una domanda che mi era venuta
spontanea”
House in quel momento cominciò a guardare il suo bastone,
mentre lo girava tra
le mani, giocando.
“Quindi andrai avanti come se nulla fosse con Cuddy”
Il diagnosta ora guardava Nolan confuso. Il medico poteva leggere nei
suoi
occhi anche la rabbia repressa nell’uomo di fronte a lui. Lo
leggeva in quegli
occhi azzurri, che ora si erano chiusi intorno alle mani
dell’uomo.
“Lei te ne ha parlato…”
“L’ho chiamata il giorno in cui non ti sei
presentato. Lei era convinta che tu
avessi partecipato al nostro incontro perché tu non ti eri
presentato in
ufficio e nemmeno in clinica quella mattina. Ora mi chiedo dove tu sia
stato
per tutto quel tempo…”
“Ero a casa…”
“Wilson non ti ha visto quella mattina…”
House portò le mani sulla gamba. Una nuova fitta di dolore
attraversò la
coscia, penetrando dove una volta c’era tessuto muscolare.
“Me ne devo andare”
“No, non te ne vai”
“Invece sì, io sono qui volontariamente. Posso
andarmene quando voglio”
“Non posso lasciarti andare.”
House si alzò dalla poltrona appoggiando il suo peso
completamente sul bastone.
Raggiunse la porta lentamente.
“Non credo di avere più bisogno di incontri di
alcun genere.”
“Quindi è l’ultima volta che ti
vedrò qui?”
“Spero sia l’ultima volta che ci vedremo”
House si allontanò lentamente, zoppicando più
accentuatamente verso l’enorme
portone scuro.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 11:00. “House!
Che diavolo ti prende!?”
“Cosa vuoi Wilson?”
“Poco fa mi ha chiamato Nolan. Mi spieghi il motivo di quella
scenata?”
“Non sono affari tuoi”
“Eccome se lo sono.”
“E invece no…”
“House, stai distruggendo tutto quello che hai creato
nell’ultimo anno. Non
comportarti così!”
“Comportarmi come?”
Wilson si avvicinò per osservare il livido che circondava
l’occhio del suo
migliore amico.
“Come ti sei fatto quel livido?”
“Ho battuto contro il comodino”
“Certo, e da quando il comodino lascia il segno delle nocche
che non ha?”
“Come ho già detto non sono affari tuoi”
“E come ho anch’io già detto, sono tuo
amico”
“E con questo?”
Wilson si allontanò dall’uomo, ma si
fermò sulla porta. Stava per girarsi, ma
all’ultimo momento si chiuse la porta alle spalle. House
osservò l’oncologo
allontanarsi nel corridoio, finchè l’ascensore non
lo inghiottì in pochi
istanti.
Il diagnosta si sedette dietro la sua scrivania, cercando di sgomberare
la
mente dagli ultimi avvenimenti. Ma ogni volta che tentava di cancellare
i
ricordi e scacciare i pensieri, dopo pochi minuti tutto tornava come
prima.
Faceva finta che quella notte non fosse mai successa, ma invece si
accorgeva
che negare l’evidenza lo faceva stare male.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del
Primario di Medicina. Ore 11:30
Wilson entrò nell’ufficio del primario senza
bussare.
“Nolan mi ha chiamato…”
Cuddy alzò lo sguardo dai documenti. Guardava
l’oncologo in modo furioso, ma
allo stesso tempo era incuriosita da quell’entrata improvvisa.
“Non parlarmi di House…”
“Che…che cosa? Cuddy è una cosa
seria…”
“Nelle ultime settimane sei sempre entrato nel mio ufficio
dicendomi che House
ne ha combinata una delle sue. Sono stanca, tu e Nolan dovete smetterla
di
accudirlo come un bambino.”
Wilson la guardò spiazzato.
“Che cosa ti prende!? Perché ti comporti
così?”
“Perché sono stanca di tutto questo”
“Non mi sembra un buon motivo per abbandonare un
amico”
“Lo sai che io e lui non siamo mai
stati…amici”
“Già, non siete mai stati amici…siete
sempre stati innamorati uno dell’altro…”
“Adesso basta!”
Cuddy si alzò dalla sedia di scatto, appoggiando le mani
alla scrivania; un
gesto fatto quasi per trattenere la rabbia, che mano a mano cominciava
a salire
dal profondo. Wilson rimase a guardarla, mentre lei si lasciava
scivolare di
nuovo sulla sedia. Appoggiò i gomiti alla scrivania e
strinse la testa tra i
palmi delle mani, cercando di massaggiarsi le tempie che cominciavano a
pulsare
velocemente, dandole fastidio.
“Non ce la faccio più Wilson, mi
dispiace”
“Cuddy, io…”
“Non è colpa tua. E’ tutta colpa
mia…”
Cuddy si raddrizzò sulla sedia, cercando di mantenere in
piedi quella maschera
che aveva costruito nelle ultime settimane. Una maschera che mostrava
solo ciò
che lei voleva, ma che cominciava a sgretolarsi sotto il peso della
stanchezza
e del rimorso.
“Due settimane fa, io ed House abbiamo parlato. Abbiamo
deciso che avremmo
vissuto separati uno dall’altro per sempre. Niente
più scherzi, niente più
battibecchi, niente battute sul mio corpo e così
via…”
Wilson si sedette sul divano, mentre Cuddy lo raggiungeva.
“Perché avete litigato?”
Cuddy lo guardò. Gli occhi scuri del medico si confusero nel
messaggio infinito
che quegli occhi celesti nascondevano da ormai troppo tempo.
“No, abbiamo avuto una discussione a quanto pare
civile.”
Cuddy abbassò lo sguardo. Si fissava le mani. Stringeva i
pugni tanto da
lasciare i segni delle unghie nella carne del palmo. Wilson, le prese
le manie
le strinse nelle sue.
“Ti ha ferita di nuovo, mi dispiace…”
“No…”
Wilson le afferrò le mani, per impedirle di graffiare la
pelle con le unghie.
“Non è colpa tua. Anch’io sono stato
poco gentile con lui da quando sono con
Sam.”
“No, tu non c’entri niente…”
“E invece sì. Gli ho chiesto di andarsene da casa
mia, perchè voglio tornare a
vivere con Sam.”
“Non è questo il problema,
Wilson…”
“E invece sì. Mi sento in
colpa…”
“Anch’io…”
“Sappiamo come è House. Sappiamo il modo in cui
reagisce a certe notizie.”
Rimasero in silenzio per qualche secondo cercando di immaginare le
sensazioni
che House aveva provato in quell’ultimo periodo. Ma solo
Cuddy poteva
avvicinarsi a quelle emozioni. Solo lei poteva percepire ogni pensiero
dell’uomo che aveva amato per troppo tempo. Wilson non sapeva
niente di quello
che era successo, era facile mentirgli. Si fidava delle persone
ciecamente, si
lasciava abbindolare dalle loro scuse insulse, a cui ormai lui non
badava
neppure.
“Cosa ti ha detto Nolan?”
Wilson si fece sempre più serio. Cuddy lo osservò
a lungo aspettando la sua
risposta che dall’espressione del medico non preannunciava
niente di buono.
Allontanò la presa dalle mani della donna e se le
appoggiò sulle sue ginocchia,
giocando con il tessuto dei pantaloni perfettamente stirati.
“Ha detto che House ha fatto una scenata questa mattina. Non
vuole più seguire
la terapia.”
Cuddy aprì leggermente la bocca, ma non riuscì a
formulare una frase coerente
in poco tempo. Osservò le mani dell’oncologo
eseguire quei piccoli cerchi
imperfetti sul tessuto dei pantaloni, perdendo quasi la concentrazione,
finchè
le parole non uscirono da sole dalle sue labbra, quasi in un sussurro.
“Non può smettere con la terapia, non possono
lasciarglielo fare.”
“Invece può. Lui è entrato nel percorso
volontariamente. Sta a lui scegliere
quando smettere con gli incontri.”
Cuddy si rialzò, ma pochi secondi e si risedette tenendosi
la testa tra le
mani.
“Lisa, stai bene?”
“Sì, è solo un po’ di mal di
testa.”
“Sei sicura di star bene?”
“Sì, non ti preoccupare. E’ solo lo
stress…”
“Mi devo fidare?”
“Sono un medico anche io…”
“Prendi qualcosa, il mal di testa non passa da solo”
Cuddy sorrise.Si
alzò e si sedette
dietro la scrivania. Aprì il cassetto e prese un piccolo
flacone di pillole. Lo
aprì e ne estrasse due. Le osservò inconsciamente
per un po’ di tempo, poi le
inghiottì insieme all’acqua che Wilson gli porgeva.
“Grazie”
“Hai visto House questa mattina?”
“No, perché?”
“Ha un occhio nero. Gli ho chiesto come se lo sia fatto, ma
ha detto che ha
battuto contro il comodino”
“Di questo ci penso io, Wilson. Tu vedi di parlare con lui, e
digli che lo
aspetto nel mio ufficio più tardi. E voglio che ci sia qui
anche tu.” Cuddy prese in mano
il telefono, mentre
Wilson camminava ancora verso la porta a vetri.
“Ah, Wilson. Non dirgli che te l’ho detto”
Il medico annuì e si incamminò nel corridoio,
lasciando il capo da solo nel suo
ufficio.
Cuddy compose il numero e appoggiò l’orecchio alla
cornetta.
“Lucas, ho bisogno che controlli cosa ha fatto House
nell’ultima settimana. E’
urgente”
Princeton.
Appartamento Di House. Ore 14:00
Insieme al team aveva diagnosticato la malattia del paziente e
finalmente
poteva tornarsene a casa. Questa volta, al semaforo, non
svoltò a sinistra, ma
a destra. Ormai non sarebbe tornato nel loft di Wilson, nemmeno per
prendere i
suoi vestiti e le sue altre cose. Avrebbe mandato qualcuno della
squadra a fare
quel lavoretto. Ormai non era più il loft di Wilson e House,
Sam lo aveva
rimpiazzato. Non ci sarebbero più state le serate
all’insegna del poker e dei
porno. Solo serate noiose tra televisione e libri in completa
solitudine. Ma
per fortuna c’era sempre la sua musica.
Percorse il viale alberato e si fermò davanti al portone
verde. Una folata di
vento mosse gli alberi alle sue spalle, mentre procedeva lento, ma
sicuro verso
la porta d’entrata.
Appoggiò la mano alla maniglia, ma la porta si
aprì rivelando l’interno al
proprietario. Nulla era stato toccato, ma qualcuno era lì
seduto al piano. La
musica riempiva la stanza, mentre House cominciava a varcare
l’ingresso a passi
lenti, ma questa volta incerti.
Osservò l’uomo seduto al piano. Lo conosceva, ma
rimase sorpreso nel vederlo.
Lo riportò ai ricordi di quella mattinata.
Richiamò anche quei mesi passati in
quel luogo lontano da casa. Una delle persone a cui voleva bene,
sì, forse gli
voleva veramente bene, era seduta lì.
“Hei”
“Che ci fai qui? Non dovresti essere a Mayfield?”
“Mi hanno dimesso la settimana scorsa. Ti ho cercato, ma ho
trovato solo il tuo
appartamento vuoto.”
“Già, sono stato da un amico per un po’.
Ma ora sono di nuovo qui.”
“Sono stato qui da solo tutto il tempo. Credo che ora
però me ne debba andare”
Alvin prese la sua borsa intatta appoggiata al divano e
salutò l’uomo.
“Che cosa ci facevi qui?”
“Cercavo te. Siamo amici no?”
“Credo di sì. Sei stato qui tutto il
tempo?”
“Sì. Mi sono intrattenuto con il piano. Beh, ci
vediamo in giro House”
Il ragazzo si allontanò lentamente verso la porta. Quando la
varcò non si voltò
a guardare la scena alle sue spalle. E contrariamente a ciò
che aveva pensato,
una voce lo chiamò dall’interno.
“Alvin. Puoi rimanere qui se vuoi.”
“Sul serio?”
“Non passo molto tempo a casa…”
“Sul serio?”
House rimase zitto mentre Alvin si avvicinava a lui, e con lo stessi
gesto di
quasi un anno prima lo abbracciava sorridendo. House si
allontanò da
quell’abbraccio poco dopo, un po’ schifato come
sempre quando qualcuno mostrava
un po’ di affetto nei suoi confronti. Si ricordò
del suo abbraccio con Chase
quasi tre anni prima, quando aveva mentito a tutto l’ospedale
fingendosi un
malato terminale per accaparrarsi un posto in un trial contro il dolore.
“Regola numero 1: Non farlo mai più”
Alvin sorrise, e rimase a fissarlo imbambolato.
“Si signore, non succederà
più”
Il diagnosta si sedette sul piano. Contemplò la sua figura
imponente. Percorse
con i suoi occhi chiari, la forma perfetta e il perimetro perfetto di
quello
strumento perfettamente calibrato nel peso e nel suono. Il legno nero e
liscio
non era coperto di polvere come il resto dei mobili e questo colpi la
sua
attenzione maggiormente.
“Pulirlo è stata la prima cosa che ho
fatto”
“Grazie”
House passò la mano ruvida sulla superficie perfettamente
liscia, lasciando le
tracce delle dita leggermente sudate. Fece scorrere le mani sui tasti,
senza
premere, solo per assaporare quella sensazione. Poi fece lo stesso
gesto
premendo le singole chiavi. La scala di note echeggiava nella stanza,
in una
melodia semplice e perfetta.
Alvin si avvicinò a lui e gli porse dei fogli ingialliti e
scarabocchiati.
“Pensavo tu non avessi bisogno di spartiti per ricordare le
note.”
“Infatti non ne ho bisogno.”
“E questi fogli cosa sono allora?”
House osservò quei fogli. Li fece scorrere sotto il suo
sguardo da intenditore.
Non aveva mai dato un nome a quella melodia che aveva scritto tempo
prima.
Aveva evitato di dare un nome ad ogni sua composizione,
perché se ne avessero
avuto uno avrebbero perso quella magia che si libra nell’aria
ogni singola
volta nell’ascoltarle.
“L’ho composta io”
L’uomo più giovane si sedette al suo fianco e
cominciò a premere le dita sui
tasti bicolore, cercando di leggere quei fogli che House teneva in
mano, con la
coda dell’occhio. Sbagliò una nota e House
sogghignò.
“Hai sbagliato”
“Se non mi fai vedere lo spartito è
ovvio!”
“Pensavo l’avessi già
memorizzata”
House appoggiò i fogli sulla panca e chiuse gli occhi.
Appoggiò le mani sulla
superficie liscia delle chiavi e, senza aprire gli occhi,
cominciò a suonare.
Le sue dita si muovevano delicatamente sulle chiavi. Ora lentamente,
ora velocemente,
mentre la musica invadeva la casa impolverata. Rimase con gli occhi
chiusi
anche dopo aver terminato quella melodia.
“Ho provato a suonarla, ma il risultato non era lo
stesso.”
“E’ ovvio. Io sono un genio e tu no.”
“Certo, certo. Intendevo dire che tu ci metti qualcosa che io
non ho”
Alvin prese gli spartiti e rimase a fissarli come in cerca di una
risposta a
quella sua domanda silenziosa.
“L’ho composta per una persona che ho perso un
po’ di tempo fa”
“L’hai persa? Mi dispiace…perdere una
persona è sempre una brutta cosa”
“Non è morta. L’ho solo persa”
“Parli di quella donna tedesca?”
Al pensiero di Lydia, House rabbrividì leggermente. Gli
tornarono alla mente
dei ricordi. Gli stessi ricordi di cui aveva parlato a
quell’uomo sul letto di
morte, mentre era bloccato in stanza con lui. Si era liberato di un
peso, ma
non aveva voluto ammettere tutta la verità. Aveva parlato di
Lydia, ma non
aveva voluto parlare di quella donna che lo aveva assillato come un
enigma per
molto più tempo. Forse non gliene aveva parlato
perché era un fatto così ovvio,
che ormai anche i pazienti se ne accorgevano senza fare domande.
“No…”
“A proposito che fine ha fatto?”
Che fine aveva fatto Lydia? La donna con cui aveva passato insieme una
notte,
con cui si era confidato, per cui aveva pianto, per cui aveva sofferto
e non
fatto soffrire. Pensò a quando aveva saputo che sarebbe
partita, che lo avrebbe
abbandonato per rimanere con la sua famiglia. Dopo quasi un anno si
rese conto
che aveva fatto al scelta giusta ad andarsene e a lasciarsi alle spalle
quella
storia senza alcuna possibilità di riuscita.
“Non ne ho idea”
“Beh, amico…era una bella donna”
“Già…”
“Ma è anche vero che la donna per cui hai scritto
questo pezzo potrebbe essere
meglio”
House sorrise insieme al suo vecchio compagno di stanza, ora nuovo
coinquilino.
“Pomeriggio all’insegna della musica?”
“Perché no?”
Alvin rimase seduto sulla panca di fronte al piano, mentre House
afferrava la
chitarra dal suo sostegno e cominciava ad accordarla per il meglio.
Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio Di Cuddy. Ore 16:00 “Ciao tesoro, ho portato quello che mi hai
chiesto”
Lucas entrò nell’ufficio della sua compagna senza
bussare. Si avvicinò alla
scrivania e si sporse verso la donna per baciarla. Cuddy non
rifiutò il bacio e
poco dopo prese la busta che Lucas le aveva portato.
“Cosa
ha combinato House questa volta?”
“Niente. Oltre a rompere macchinari e ad insultare i pazienti
e i suoi
collaboratori?”
Il ragazzo annuì distrattamente mentre si sdraiava sul
divanetto senza
togliersi le scarpe. Cuddy lo osservò mentre appoggiava la
testa sulle mani
incrociate dietro la nuca. Le sorrise guadagnandosi un altro sorriso.
“Lo sai…”
“So cosa?”
“Sono fortunato ad avere trovato una come te”
Cuddy si alzò e si avvicinò a lui ammiccante.
Lucas rimase lì sdraiato, mentre
la dottoressa si sedeva vicino a lui e lo baciava.
“Anche se lavori troppo…”
“Lo sai che il mio lavoro è molto
impegnativo”
“Ma nonostante questo trovi il tempo per me e per
Rachel”
“Vorrei poter spendere più tempo con mia
figlia…”
“Beh, allora andiamo da qualche parte per un paio di giorni.
Niente lavoro,
niente documenti, niente House che entra nel tuo
ufficio…”
“Che c’entra House adesso? Perché tutti
lo mettete in ogni discorso?”
“Scusa Lisa. Lui ha fatto parte della tua vota per molto
tempo, e…”
“Ed è tuttora parte della mia vita. Ma a
differenza di un po’ di tempo fa, lui
è solo un mio impiegato.”
Lucas sorrise ricambiando alla risata del medico di fronte a lui. Si
avvicinò
di nuovo a lei e le rubò l’ennesimo bacio, prima
di scattare in piedi.
“Ti aspetto per cena. Io e Rachel prepariamo la cena
stasera”
“Grazie…”
“A dopo allora…”
“A dopo…”
“Ciao tesoro mio…”
“Ciao…”
Cuddy andò verso al sua scrivania lentamente, fissando la
busta preoccupata dal
contenuto che nascondeva. Ne osservò il colore: uno strano
giallo o forse
marrone; era quasi indecifrabile. Indecifrabile come ciò che
si vedeva
all’interno. La prese tra le mani e rimase sorpresa da quanto
leggera fosse.
Conteneva a malapena un paio di fogli. La aprì lentamente,
fissando la carta
che si lacerava senza alcun vincolo. La lama scorreva lentamente lungo
uno dei
lati più corti senza trovare alcun ostacolo. Cuddy
osservò la carta lacerarsi
lentamente. Ogni secondo sembrava amplificato anche quando la busta era
finalmente
aperta ed il suo contenuto era stato svuotato sulla scrivania.
Cuddy osservò quel piccolo foglio che era caduto dalla
busta. Immediatamente
prese il telefono.
“Wilson, ti voglio il prima possibile nel mio ufficio. E
voglio anche House.”
Princeton.
Appartamento Di House. Ore 16:45 Gli
ABBA cominciarono a suonare nell’appartamento
distogliendo l’attenzione dei due uomini intenti a suonare un
vecchio pezzo dei
Rolling Stones. House si avvicinò al telefono, ma appena
vide il numero sul
display decise di non rispondere. Ritornò alla sua
postazione precedente,
mentre Alvin lo fissava confuso.
“Perché non rispondi?”
“E’ il mio ex migliore amico. Il
traditore”
“Ah. Sei sicuro che non vuoi rispondere?”
House annuì sommessamente, mentre le sue mani pizzicavano le
corde della
chitarra in modo sapiente.
Il telefono riprese a suonare e questo costrinse Alvin ad alzarsi dal
piano in
direzione del telefono. Lo prese in mano e lo mise al suo orecchio,
guadagnandosi uno sguardo curioso di House.
“Pronto…”
“House? Non sarai ubriaco?”
“Chi è House?”
“Chi sei tu?”
“Chi sei tu?”
“Chiunque tu sia, devo parlare con House
immediatamente”
“Mi dispiace, ma non è in casa”
“E dove è?”
“Sarà andato a farsi un giro in qualche locale,
amico”
“Ma tu chi sei?”
“Sono il suo nuovo migliore amico”
House osservava il giovane amico, ascoltando quell’assurda
conversazione
telefonica che lo stava in un certo senso divertendo. Si
alzò e prese il
telefono.
“Che hai Wilson?”
“House! Ma allora sei stato lì tutto il tempo ad
ascoltare?”
“Che vuoi Wilson?”
“Cuddy vuole vederti immediatamente nel suo ufficio”
“Perché?”
“Deve parlare con te. Immediatamente House”
“Farò un salto più tardi. Ora sono
impegnato”
“House, non sto scherzando. Dovete parlare”
“E da quando tu sei il suo assistente? Perché non
ha chiamato lei?”
“Mi ha chiesto un favore, sperando che tu mi
ascoltassi”
“Dille che verrò più tardi”
House chiuse la telefonata brutalmente. Erano settimane che non aveva
una
discussione con Cuddy. Avevano cercato di evitare ogni contatto visivo,
ogni
giorno nessuno dei due alzava lo sguardo verso l’altro. Solo
la mattina si
salutavano distrattamente e ognuno ritornava al proprio lavoro.
Alvin osservò l’espressione dell’animo,
era un po’ confuso da questo suo
comportamento. Dopotutto lui e Wilson erano migliori amici, e per
quanto House
lo negasse, loro lo sarebbero sempre stati, anche se Alvin ora viveva
con lui.
“Devo andare in ospedale più tardi”
“Ho sentito.”
“Credo tu possa rimanere da solo ancora per un
po’”
“Sì, non ti preoccupare. Ho alcune cose da fare
qui”
House raccolse il bastone inerme appoggiato alla spalliera del divano.
Prese la
giacca dall’attaccapanni e rimase a fissare la scena. Era di
nuovo a casa sua,
nessuno gli avrebbe impedito di vivere la sua vita.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del
Primario di Medicina. Ore 17:45 House
entrò nell’ufficio del primario senza bussare.
Fu accolto dagli sguardi dei due medici, che lo attendevano
nervosamente.
Wilson sedeva su una delle poltrone alla sua destra, mentre Cuddy era
appoggiata alla sua scrivania. House li osservò a lungo
prima di cominciare a
parlare.
“Sono qui. Di cosa volete parlare?”
House inquadrò Wilson, senza permettere di catturarsi
nemmeno un minimo centimetro
di Cuddy nella sua visuale. L’oncologo scosse la testa,
facendo capire ad House
che lui ancora non sapeva niente.
“Allora capo. Cosa vuoi da me?”
Si guardarono negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. Gli
occhi
azzurri di lei si persero di nuovo in quelli celesti di lui.
Così
maledettamente celesti, pensò lei. Si girò di
scatto verso la sua scrivania e
prese un foglietto. Quel foglietto che aveva fissato per quasi tutto il
pomeriggio, sperando che quello fosse solo l’ennesimo scherzo
di Lucas. Ma non
lo era. Quello era la verità. Una cosa che il vecchio House
avrebbe fatto, che
il nuovo lui avrebbe solo considerato un ricordo dei vecchi tempi.
“Guarda questo”
Cuddy gli porse quel biglietto così anonimo. Lui lo prese
tra le mani e quasi
senza leggerlo, lo accartocciò tra le dita.
Il rumore della carta che si accartocciava sotto le fredde mani del
diagnosta
sembrò rimbombare nell’ufficio, rompendo
l’ennesimo momento di silenzio che
aveva di nuovo riempito l’ufficio.
“Devo rendere conto di ogni mia singola azione ora?”
“House, non si tratta di questo, tu…”
“Io cosa? Non sono nemmeno libero di andare in un bar ed
ubriacarmi?”
“Sei libero di bere quanto vuoi. Lo hai sempre
fatto.”
Cuddy rispose così seccamente, quasi impersonalmente.
Lasciò tutte le emozioni
fuori da quel discorso. O almeno cercò di comportarsi
nell’interesse
dell’ospedale e non nel suo.
“House, tu hai scatenato una rissa. Ci sono stati anche colpi
di pistola…”
“Oh mio dio, qualcuno è stato ferito?”
Wilson si alzò dalla poltrona scandalizzato.
Guardò Cuddy, lei scosse la testa.
Il medico fece un giro su se stesso e si risedette.
“House, che diavolo avevi in mente?”
House guardò l’amico e sorrise ironico.
“Pensi che io abbia programmato una rissa? Che io lo abbia
fatto di mia spontanea
volontà così da attirare un po’
l’attenzione?”
“Non voglio dire questo, ma…”
“Mi state trattando come un bambino”
“Non ti stiamo trattando come un
bambino…”
Di nuovo si ritrovarono nel silenzio più assoluto, tranne
che per le voce
leggere che cominciavano a sentirsi dalla clinica. Si poteva sentire il
chiacchiericcio dei pazienti che aspettavano di essere visitati, anche
a
quell’ora.
“Cuddy, solo perché tu sei il capo non significa
che hai il permesso di
intrometterti nella mia vita ogni volta che vuoi…”
“House, siamo amici…”
“No, non lo siamo mai stati”
“Io sono…”
“Tu non sei mia amica. Non lo sei mai stata”
Wilson e Cuddy rimasero a guardarlo, mentre usciva chiudendosi la porta
dell’ufficio alle spalle.
“Sono un idiota”
“Non lo sei James. Qui la str*nza sono io”
“Lo sai che quello che ha detto non è
vero…”
“E invece è vero.”
“Lisa, c’è qualcosa che devo
sapere”
“Cosa?”
“Perché tutti questi sensi di colpa nei suoi
confronti? E’ ancora per la storia
della gamba? Sono passati anni, lascia perdere…”
“Non è per la gamba, Wilson.”
“E allora qual è il motivo?”
Cuddy si alzò e si sedette sulla poltrona di fronte
all’amico, rannicchiandosi
nella comoda e soffice imbottitura. Wilson si raddrizzò
leggermente e
continuava a fissare Cuddy. Quando lei rialzò lo sguardo,
l’uomo vide le
lacrime solcare il viso perfetto della donna.
“James, io non ce la faccio
più…”
“Qual è il problema?”
“Io e House siamo stati insieme”
“So già della vostra storia al college, ma non
vedo come la cosa possa
collegarsi a questo momento”
“Circa tre settimane fa, quando mi hai chiesto di parlare con
lui riguardo a
Sam, sono stata a casa vostra. Ne avevamo già parlato nel
mio ufficio, ma
dovevamo…chiarire alcune cose. Eravamo in salotto quando gli
ho detto che ero
confusa, che forse provavo ancora qualcosa per lui”
“Cuddy, tu ed House avete passato la notte insieme? Eri tu
quella donna…”
“Wilson, mi dispiace così
tanto…”
“Lisa, tu non hai nessuna colpa.”
“Invece sì, lui mi odia ora.”
“Lui non ti odia. Odia me. Questa è solo la sua
reazione al fatto che io e Sam
vogliamo andare a vivere insieme.”
“Ma le sbronze e la rissa, queste sono colpa mia”
“No…Lisa, calmati. Non hai nessuna colpa.
Parlerò con House. Voglio che torni a
vivere con me e se a Sam non andasse bene, può sempre
rimanere nel suo appartamento.”
“Wilson abbiamo combinato un casino.”
“No, House è la causa di tutti i suoi
casini”
Wilson si avvicinò a Cuddy e la abbracciò forte.
“Sistemeremo tutto…”
“Lo spero…ma tu non dirgli niente di quello che ti
ho appena detto.”
“Non lo farò Lisa.”
Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio
di
House. Ore
18:25 “House,
possiamo parlare?”
“Pensavo avessimo parlato abbastanza”
Wilson entrò nell’ufficio, camminò
verso House e si sedette dall’altra parte
della scrivania.
“No…voglio che torni a vivere nel loft”
“No”
“Se a Sam non va bene, può rimanere a vivere nel
suo appartamento.”
“Capisci Wilson, io non ho bisogno di te.”
Detto questo si alzò ed uscì dal suo ufficio,
lasciando l’oncologo a fissare la
sedia di fronte a lui, ora vuota.
Circa
due settimane dopo…
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario. Ore 10:00 House
varcò le grandi porte a vetri dell’ospedale dopo
l’ennesima notte in bianco.
Gli occhiali da sole nascondevano il celeste intenso dei suoi occhi.
Camminava
zoppicando appoggiando tutto il peso sul bastone logorato dal tempo.
“Buongiorno House…”
“Buongiorno…”
Cuddy tentò di fermarlo, ma lui camminava già
verso l’ascensore. Cuddy gli si
parò davanti per sbarrargli la strada.
“Possiamo parlare?”
“Ehm, no. Ho un caso…”
“No, non hai un caso. Sono il tuo capo dimentichi?”
Cuddy sorrise leggermente.
“Posso offrirti un caffè?”
House la osservò esitante per qualche secondo, ma senza
smettere di fissare il
suo sorriso stampato sul volto, annuì.
Camminarono fianco a fianco verso la caffetteria.
“Come ai vecchi tempi eh?”
“Sembrerebbe…”
Presero il loro caffè e si sedettero ad uno dei tavoli. La
caffetteria era
semideserta nonostante l’orario. Ognuno stava svolgendo il
proprio dovere senza
problemi.
“Volevo parlare con te”
“Questo lo hai già detto”
“Grazie genio.”
House la osservò, Stava ancora sorridendo.
“Il tuo boytoy ti ha soddisfatta?”
“Lucas ultimamente sta lavorando molto”
“Credevo che senza sesso tu tornassi la solita arpia, ma mi
sbagliavo.”
“Sono felice…”
“Lo vedono tutti questo…”
“Rachel ha detto la sua prima parola ieri
sera…”
“Ho la marmocchia non parla già?”
“House, ha poco più di un
anno…”
“Buddah appena nato già
parlava…”
“Mia figlia non è Buddah…”
“Ah davvero?”
Sorrisero.
“E’ bello potersi parlare di nuovo.”
House bevve il suo caffè silenziosamente, cercando ogni
minimo particolare di
ogni singola persona che varcava le porte d’ingresso al bar.
“Mi piacciono questi momenti…”
“Questi momenti?”
“Sì…io, te e un caffè. Mi
piace”
“Lo so che ti piaccio, ma…”
“House, intendevo…”
“Lo so cosa intendi…”
“E’ divertente…”
“Cosa è divertente?”
“Tu mi hai detto che non siamo amici e che mai lo siamo
stati. Lo pensi
veramente?”
“Lo pensavo”
“E ora non lo pensi più?”
“Ho cambiato idea…”
“Mi fa piacere…Penso che dovremmo prendere un
caffè insieme più spesso, non
trovi?”
“Se paghi sempre tu, a me va bene”
“Certo, chi dovrebbe pagare se non io?”
“Così si ragiona…brava
Cuddles.”
“Ciao House…”
House la osservò allontanarsi e come sempre
osservò il rapido movimento dei
suoi fianchi. Se non posso averla per me, tanto vale
tornare ai vecchi tempi.
Princeton. Casa Cuddy. Ore 21:00
“Lucas, sono a casa”
“Ehi tesoro siamo in camera”
“Arrivo…”
Cuddy si tolse la giacca, appoggiò la borsa
nell’entrata e si tolse le scarpe.
Salì le scale velocemente finchè non raggiunse la
stanza della piccola Rachel.
“Ehi piccola mia…”
Cuddy si avvicinò lentamente alla piccola. Appena vide la
madre, la bambina
allungò le braccia verso la donna. Lisa la prese in braccio
e le stampò un
bacio sulla guancia.
“Mi sei mancata tesoro mio…”
“Mama…”
“E’ tutto il pomeriggio che lo
dice…”
Luca la guardava raggiante, come se quella fosse una sorpresa.
“Lo so, ha cominciato ieri sera…”
“E non mi hai detto niente?”
“Scusa…ma eri a lavoro e non volevo
disturbarti…”
“Non fa niente…”
Lisa sorrise, mentre Lucas le dava un dolce bacio sulle labbra.
“E’ ora di andare a dormire
rospetto…”
Lucas prese Rachel tra le braccia e la mise a letto. Cuddy si sedette
in parte
a lei e le lesse una storia. La piccola si addormentò in men
che non si dica.
“Era distrutta…”
“Sì, siamo stati al parco
oggi…”
“Grazie…”
“Di niente tesoro…”
Scesero verso la cucina.
“Scusa se non ti ho aspettato a cenare, ma stavo morendo di
fame…”
“Oh dio…sono le 9 e mezza?
“Ehi, lo so come è il tuo lavoro,
perciò ti ho fatto le lasagne vegetariane
come piacciono a te”
“Uhm, grazie. Come farei senza di te”
“Moriresti di fame”
“Sono sopravvissuta per anni senza che nessuno cucinasse per
me”
“Hai vissuto mangiando insalate...dubito che tu sappia
cucinare del tutto”
“Non è vero…io so cucinare, il problema
è che non ho tempo…”
Lucas cominciò a massaggiarle le spalle, mentre Cuddy
divorava la sua porzione
di lasagne.
“Mi chiedevo se…”
“Sì?”
“Niente…”
“Dai, dimmelo…”
“Siamo insieme da un po’ di tempo e…mi
chiedevo se, fosse il caso di, ufficializzare
la cosa…”
Cuddy lo guardò per qualche secondo.
“Lucas, tu mi stai chiedendo
di…di…”
“Di ufficializzare la cosa.”
“Mi stai chiedendo di sposarti?”
“Credo di sì”
“Credi di sì?”
“Sì.”
“Sì, cosa?”
“Sì, ti sto chiedendo di sposarmi”
Cuddy sorrise, per poi tornare seria.
“Lucas, io…”
“Lo so, è troppo presto. Mi dispiace avere
rovinato la serata. Scusa…”
“Lucas, io ho bisogno di un po’ di tempo. Non ti
sto rifiutando. Dico solo che
ho bisogno di pensarci un po’ su.”
“Pensaci quanto vuoi Lisa. Voglio solo che tu sappia che sei
speciale per me”
“Sei speciale anche tu”
“Ci guardiamo un film prima di andare a dormire?”
“Certo, faccio una doccia e ti raggiungo, ok?”
“Certo. Ti amo Lisa”
Troppo tardi, Cuddy aveva ormai chiuso la porta del bagno.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del
Primario del Primario. Ore 17:45 Sifermò
qualche secondo fuori dalla porta dell’ufficio di Cuddy. Lo
studio era aperto,
ma le tende erano tirate per nascondere ciò che succedeva
all’interno. Puntò il
bastone sulla porta ed entrò, come al solito, senza bussare.
Cuddy gli dava le spalle. La tuta blu scuro le copriva le gambe, mentre
la
camicia rosa le copriva il busto. Nel sentire la porta aprirsi, si
voltò e lo vide
camminare verso di lei.
“Un edificio è crollato, ci sono feriti, parto con
la squadra di soccorso”
“La cosa non mi interessa. Tieni”
House le porse un involucro ocra, lei lo prese senza dare attenzione a
ciò che
poteva contenere. Aprì la busta e ne estrasse il pesante
contenuto. Osservò la
copertina del libro, e la accarezzò lentamente, come se
facesse arte di un
veccio ricordo. Lesse con attenzione ciò che vi era scritto:
“Introduzione alle malattie
dell’addome
acute” di Ernest T. Cuddy.
“Il mio bisnonno…”
“E’ solo un vecchio libro…”
Cuddy lo guardò sorpresa mentre House timidamente
gesticolava.
“Aprilo…” A Lucas E Lisaper un nuovo inizio…Greg A Cuddy si gelò il sangue delle vene. I suoi
polmoni cominciarono a farle
male quando si accorse che non stava respirando. Rilesse quelle righe,
scritte
con la calligrafia dell’uomo che le stava di fronte in quel
momento. Le lesse
attentamente per una decina di volte, ma le parole sfuggivano alla sua
attenzione, girovagavano nella sua mente senza una meta precisa. Era
confusa,
tra l’ennesima confusione causata da uno che poteva sembrare
il gesto più
normale in una circostanza del genere. Ma quella non era una
circostanza
normale, come non lo erano quelle due persone che si contendevano lo
sguardo.
Cuddy ruppe il silenzio, fu l’unica ad esserne in grado. “Cosa sarebbe questo? Un modo per darci la tua
benedizione”
House la guardava quasi dolcemente, come se il suo lato umano si fosse
fatto
rivivo nuovamente nella sua anima confusa. La osservava. Vedeva le sue
rughe
d’espressione e le apprezzava. Avrebbe voluto fare un
commento, per farla
arrabbiare e innervosire, invece rimase a fissare quelle linee che
marcavano la
sua pelle e che la rendevano ancora più bella. House fece un
respiro profondo,
ripensando al discorso che già si era preparato.
Perché per le poche volte che
si trovava con lei, lui doveva già programmare tutto o
avrebbe fatto scena
muta, preso dalle emozioni e dalle delusioni.
“E’ un grande passo quello che stai per fare.
Voglio solo congratularmi con te,
con voi due. Lo so che può essere vista come la cosa
più stupida, ma…”
Cercò di moderare il suo tono di voce, cercò di
renderlo il più vero e
cordiale. Più vero, pensava di poter autoconvincersi che
quello a cui Cuddy
stava andando incontro sarebbe stato il meglio per lei. Una vita senza
di lui.
Lei sarebbe andata a vivere con Lucas, non avrebbe avuto più
tempo per lui. Lo
avrebbe ritenuto uno dei suoi dipendenti, ma dopotutto lui era uno dei
suoi
dipendenti. Lui non era più speciale per lei, ma ancora lo
sperava.
“Come fai a saperlo?”
Cuddy non smise di fissarlo. Rigirava il libro nelle sue mani, mentre
con lo
sguardo ripercorreva per l’ennesima volta i lineamenti del
visi del diagnosta.
Ormai li conosceva a memoria. Avrebbe potuto descriverlo nei minimi
particolari.
Solo gli occhi, non poteva descriverli. Quegli occhi erano solo i suoi,
non
aveva mai trovate le parole giuste per descriverli. Si era solo
limitata a
perdersi dentro quell’immenso oceano di pensieri.
“Ho le mie fonti qui in ospedale e la voce gira da un
po’ di tempo. Se le mie
fonti sono corrette, beh. congratulazioni”
Cuddy si girò dandogli nuovamente le spalle,
cercò velocemente di rivestirsi,
ma le risultò impossibile. House la aiutò.
“Grazie…”
House notò il suo tono di voce. Ora cercava di evitarlo.
Biascicò quel grazie e
non alzò più lo sguardo finchè non lo
superò di qualche passo.
“Problemi in paradiso?”
“No, tutto è incantato come al solito”
Cuddy uscì dalla porta, lasciando il diagnosta a contemplare
l’ufficio vuoto.
Lanciò un ultimo sguardo alla scrivania e al libro che
giaceva chiuso sul
margine. Prese le chiavi della sua moto dalla tasca. Avrebbe scoperto
quale era
il problema di Cuddy. Avrebbe scoperto a cosa era dovuto il suo
comportamento
così distante. L’avrebbepotuta aiutare,
se lei lo avesse voluto, se lui ne fosse stato capace.
Luogo
del crollo. Ore 20:00
House spense il motore della sua Honda. Intorno a lui regnava il caos.
Gente
che urlava, piangeva e si dimenava nel buoi. Rantoli di terrore, gente
folle
dalla paura che si accasciava al suolo perdendo conoscenza.
Allargò il suo
campo visivo. Cercò una tuta blu scuro, tra le altre. I
soccorsi erano giunti
già da un pezzo, ma lui imperterrito cercava Cuddy. La vide
fasciare il braccio
di un uomo sulla quarantina.
Lei alzò lo sguardo per incontrare quello di lui.
Aspettò che si avvicinasse.
La sua voce, si fece largo oltre le urla.
“House, abbiamo bisogno di una mano qui.”
Gli indicò la fila di persone sedute in parte ad una delle
ambulanze. Volti
pieni di sangue, braccia rotte. Gemiti di dolore.
“Come può aiutare uno zoppo?”
“Non giocare la carta dello zoppo. Hai due mani, puoi
aiutare”
Il diagnosta si allontanò da lei, camminò
lentamente portando con se uno
stetoscopio. Si sedette di fronte ad una donna sulla ventina. Il sangue
secco
le macchiava la fronte fino alla guancia. Lo sguardo spento cercava di
percepire ogni singolo movimento in parte a lei.
“Come ti chiami?”
La donna non gli rispose, ma rimase a fissarlo impaurita.
“Sai dove sei?”
Rimase a fissarlo senza dire una parola.
“Mi riesci a sentire?”
Niente. Rimase immobile.
“Cuddy, questa deve essere portata in ospedale.”
“Tutti vanno portati in ospedale”
“Se non va subito in ospedale il suo cervello
fuoriescerà dal suo cranio”
“Mettila sulla prima ambulanza pronta a partire, ma sia
chiaro: tu rimani qui!”
Dopo aver aiutato uno dei paramedici a caricare la ragazza sul veicolo,
House
si avvicinò di nuovo a Cuddy.
“Ci sono problemi con Lucas?”
“Possiamo parlarne in un altro momento. Magari più
tardi?”
Cuddy riprese a medicare il paziente, mentre House testava i riflessi
di
questo.
“Adesso è passato un po’ di tempo.
Allora c’è qualche problema?”
“No, nessun problema. E’ tutto ok. Anzi, direi che
va tutto più che bene”
Gli sorrise, come per convincerlo. Ma Cuddy sapeva che non avrebbe
dovuto
convincere lui, ma avrebbe dovuto convincere se stessa.
“Allora perché questo tuo comportamento
strano?”
“House, aspetta.”
Si girò verso uno dei medici alle sue spalle, gli disse
qualcosa e poi afferrò
House per un braccio e lo portò lontano dal caos.
“House, quando tu mi hai dato il libro, non pensavo fosse un
regalo per, come
posso dire, darmi il benvenuto in una nuova casa, ma pensavo fosse un
regalo
per il mio matrimonio”
Il diagnosta rimase a guardarla. Si perse nell’espressione
del suo viso. Era
seria, non lo stava prendendo in giro. Era sincera.
“L’anello…”
“E’ nel mio ufficio.”
“Ma prima non…”
“Sapevo che sarei venuta qui, perciò
l’ho lasciato nel cassetto. E’ successo
l’altra sera.”
“Ok…”
House si allontanò, lasciando Cuddy a fissarlo. Con ogni
passo si allontanava
da lei e dalla realtà circostante. Non sentiva alcun rumore,
la sua mente era
concentrata su quella strana emozione. Si sedette sui resti di un muro
crollato. Trattene il respiro per qualche secondo poi
respirò profondamente. Sarebbe
cambiato tutto da quel momento. Lui sarebbe stato il Dr House, lei la
Dr Cuddy.
Niente battibecchi, niente scherzi. Solo lavoro. Solo richieste
improvvise, urla
e poi lui se ne sarebbe tornato nel suo ufficio con un nuovo esame da
fare pur
di accontentare il primario e non perdere il posto.
Perso nei suoi pensieri, vide Cuddy massaggiarsi le tempie e
raggiungerlo.
“Avrei preferito che tu lo sapessi in un altro modo”
“Pensavo tu non volessi dirmelo”
“Non sarebbe stato giusto”
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Lui rimase seduto, mentre
Cuddy
camminava di fronte a lui in cerchio.
“Credo che dovremmo tornare a lavoro. Le persone non escono
dalle macerie da
sole”
Cuddy annuì sommessamente e si allontanò. House
si alzò, ma qualcosa lo fece
fermare. Sentì un rumore sordo. Come lo sbattere di metallo
contro altro
metallo.
“Cuddy, c’è qualcuno qui sotto”
“Cosa?”
“Ho detto che c’è qualcuno qui
sotto”
“Come fai a saperlo?”
Di nuovo quel rumore. Questa volta più forte tanto da far
sobbalzare Cuddy.
“Chiamo la squadra”
Luogo del crollo. Ore 22:00 Cuddy e House rimasero a fissare i soccorsi per quasi un’ora, in completo silenzio. Nessun rumore si era sentito da sotto le macerie, nemmeno quel frastuono di metallo contro metallo, che prima aveva svegliato loro due da quei pensieri.
“Qui sotto non c’è nessuno, mi dispiace.”
“Non siamo idioti, abbiamo sentito dei rumori”
“Mi dispiace ma qui…”
Tam Tam Tam.
“Ci credete degli idioti?”
La squadra di soccorso cominciò a scavare le macerie sotto gli occhi attenti di House. Poco dopo quando un piccolo varco era stato aperto, lui si girò verso Cuddy.
“Lì sotto tu non ci vai. Torna ad aiutare dall’altra parte dell’edificio”
“No.”
“Cuddy, non voglio discutere”
“Nessuno dei due metterà piede lì sotto. Lasciamo che i soccorsi facciano la loro parte, poi potremo curare chiunque si trovi là sotto.”
House annuì leggermente e tornò ad osservare i soccorritori. Tutto d’un tratto un urlo straziante coprì ogni rumore circostante. In gruppo i soccorritori cominciarono a radunarsi verso la donna che giaceva sotto le macerie. Cuddy corse verso la donna mentre House dietro di lei camminava il più velocemente possibile. Osservò la donna man mano che si avvicinava. La parte superiore del suo corpo era libera dalle macerie, ma le sue gambe erano bloccate sotto un enorme blocco di cemento.
“Fermi, non tentate nemmeno di levarla da lì.”
“Che diavolo dice? Dottoressa Cuddy, dobbiamo tirarla fuori da lì”
“No… La pressione del cemento sulla gamba blocca la circolazione. Estrarla dalle macerie potrebbe portare a scompensi che ne causerebbero la morte. O riuscite a diminuire gradualmente la massa sovrastante o dovremo amputare.”
Cuddy si girò verso House. Lo sguardo del diagnosta seguiva il movimento del peto della paziente sdraiata al suolo. Fece allontanare i soccorritori e si sedette in parte a lei.
“Come ti chiami?”
“Hannah”
“Sai dove ti trovi?”
“Morirò?”
“Rispondi alla mia domanda sai dove sei?”
“Credo di sì…”
“Dimmelo…”
“Trenton…”
“Quanti anni gai?”
“38”
House osservò Cuddy mentre esaminavala paziente. Tremava leggermente ed era pallida in volto, chiuse gli occhi quando una fitta la costrinse a portarsi una mano al capo.
“Cuddy, ti senti bene?”
“Ho un po’ d’influenza, niente di che”
“Alzati e seguimi”
“Dobbiamo finire con la paziente!”
“Non possiamo fare nient’altro finchè la squadra non toglie il cemento dalla sua gamba…”
House camminò verso l’ambulanza che li aveva raggiunti in quel punto dell’edificio. Cuddy lo seguiva lentamente.
“Sali…”
House fece un passo verso di lei e le afferrò la mano in modo da aiutarla nel salire. Cuddy gli prese la mano e si sedette.
“House, sto bene…”
“Tu non stai bene…”
“E’ solo influenza…”
“E da quando l’influenza dura più di 4 settimane?”
Cuddy rimase zitta. Dopo provato la pressione e aver fatto i soliti esami di routine, House inarcò il collo e appoggiò la testa alla parete della vettura. E quando chiuse gli occhi, cominciò a parlare.
“Cuddy, credo che tu sia incinta…”
Il decano rimase ad osservarlo criticamente, mentre nascondeva la testa tra le mani.
“Non è possibile…”
“Ti vedo ogni mattina in ospedale. Ogni volta che ti alzi da una sedia lo fai lentamente e afferri il tavolo o la scrivania. Quando entri in caffetteria l’odore del caffè ti disgusta. Passi metà mattina a fare avanti e indietro dalla scrivania al bagno. Tu sei decisamente incinta”
“Tu ti stai sbagliando. E’ solo influenza.”
“Credi a quello che vuoi.”
Detto questo uscì dall’ambulanza lasciandola sola. Camminò lentamente verso la paziente e vi si sedette a lato.
“Ti ricordi ancora come ti chiami?”
“Hannah”
“Anni?”
“38. Come mai queste domande?”
“Non m’interessa la tua vita privata, sia chiaro. Sono domande standard per casi di trauma ecc…”
“Ok…Che cosa è successo alla sua ragazza?”
“Cuddy? Non è la mia ragazza…”
“Oh, scusa…”
“Ha un po’ d’influenza…”
“E’ ancora seduta sull’ambulanza…”
Hannah osservò a lungo Cuddy, mentre lentamente si avvicinava a loro. La terra sotto i loro piedi tremò di nuovo provocando l’ennesimo urlo di dolore della donna.
“La prego salvi il mio bambino”
Cuddy era ormai al loro fianco, si piegò in avanti e afferrò la mano della donna distesa sotto le macerie, con l’altra mano accarezzò la sua fronte spostando i capelli che le pizzicavano gli occhi. Hannah osservò i suoi gesti premurosi, mentre con lo sguardo percorreva i lineamenti dei due medici di fronte a lei in cerca di una risposta vera.
“Faremo tutto il possibile”
Il diagnosta osservò lei confortare Hannah. Perfino Cuddy aveva perso la speranza nel riuscire ad estrarla dalle macerie. Sicuramente lui non avrebbe lasciato che le amputassero la gamba, ma ora che la paziente aveva confessato di essere incinta, qualcosa nella sua mente gli diceva che avrebbe veramente dovuto dare il suo consenso come medico ad un operazione così rischiosa. Doveva salvare Hannah e il suo bambino, non riusciva ancora a capirne la vera e pura ragione, ma qualcosa lo spingeva verso di lei.
“Hannah, credo che l’amputazione ora sia l’unica opzione rimasta pur di salvarti.”
Hannah non disse nulla, rimase immobile in silenzio. Una singola lacrima scese dai suoi occhi sbarrati dal dolore. Strinse con più forza la mano di Cuddy che ormai aveva chiuso gli occhi. Quando sentì la stretta farsi più forte, alzò il suo sguardo verso l’uomo che la stava osservando.