Ritorno a Terabithia

di Weamar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sogno di May Belle ***
Capitolo 2: *** La verità di May Belle ***



Capitolo 1
*** Il sogno di May Belle ***


Nevicava. Il gelo dei fiocchi aveva il sapore dell’infinito. Ogni cosa, attorno alla casa della famiglia Hutcherson, era completamente vuota. E non esisteva neanche una sublime luce a rischiarare i paesaggi innevati che la neve aveva portato con sé. Solo i tremuli contorni dei lampioni lontani estendevano il proprio fascio chiaro nelle vicinanze di una panchina di legno; un legno antico che conservava ancora l’umidità dell’aria bianca. Lì una sola figura si crogiolava silenziosa. Aveva le lacrime agli occhi, il viso tenuto basso e le mani strette a pugni sulla gonnella leggera. Singhiozzo. Disperazione. Un tremore causato sia dal freddo che dal pensiero crogiolato dentro la sua mente.
Non era stata una giornata serena per May Belle, bambina visionaria che viveva in una piccola villetta nella periferia del New Jersey. Nata e cresciuta lì da ormai dieci anni, la piccola May Belle aveva acquisito ogni caratteristica di periferia: capelli sempre raccolti in una coda sbarazzina, abiti non firmati ma molto “rustici” (come era solito dire dai suoi compagni di classe) e l’odore tipico di chi vive avvolto da arbusti secolari.
Era quasi mezzanotte, e Lei era seduta ancora su quella panchina. Aveva nuovamente fatto quel sogno, lo stesso identico sogno che si riproponeva ormai da molti giorni, se non settimane. Non esisteva più una cognizione temporale che le potesse permettere di stabilire con precisione l’intercorso dal primo all’ultimo sogno: « Devi aiutarmi, May Belle! ». I pugni, a quel ricordo, si serrarono ancora di più. Le pieghe della gonnellina si stropicciarono appena allorché fu il viso ad alzarsi per la prima volta dopo chissà quanto tempo. Un’occhiata attonita al cielo nero, una lacrime caduta sul terreno placido e immacolato: « Leslie, come hai potuto? Perché, con la tua scomparsa, hai lasciato a me e Jess questo peso nell’anima? » . Non riuscii a dire nient’altro.
Da quando la piccola – piccola … come tutto il vicinato era abituato a chiamarla – Leslie era morta, il fratello di May Belle era rimasto chiuso in una spirale di pura riservatezza. Era tornato ad essere irascibile, solitario e arrogante. Ma la cosa peggiore che a Jess potesse capitare, a detta di May Belle, fu la totale dimenticanza di Terabithia, il regno magico che Lui e Leslie avevano creato pochi mesi fa.
E tra quei pensieri terribili, il visino della bimba si alzò di più. Avrebbe potuto continuare all’infinito, avrebbe potuto continuare a cantare le sue grida in eterno, ma non ci riusciva maledizione. Non ci riusciva. E più gli occhi della bambina si macchiarono di neve, più il Mondo scomparve a poco a poco. Improvvisamente cadde a terra. Non ci fu suono, non ci fu schianto. Un vortice di colori opachi attraversa i suoi occhi chiusi, i movimenti del suo corpicino non erano collegati al cervello.
Solo allora, un Mondo le apparve. Ci volle qualche minuto, prima che potesse riprendere cognizione di spazio e tempo. Si guardò intorno, la neve sembrava essersi dissolta. Persino la raduna di casa sua non esisteva più. Furono le mani a poggiarsi sulle labbra, in segno di pura sorpresa: « Sono sulla Luna? ». E la risposta non tardò a giungere dietro le sue spalle. Una voce femminile: «Sei sulla Luna, May Belle. La stessa Luna che, fino a pochi mesi fa, io e Jess dipingevamo sui muri del nostro Regno! ». Le lacrime di May Belle non tardarono a farsi vive. Forse erano le uniche cose reali lì dentro. Un passo avanti. La polvere alzata dai suoi passi penetrava i polmoni e li ustionava di un dolore sconosciuto.
Leslie non era minimamente cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista da viva. La pelle sempre pallida, l’abbigliamento stravagante che la distingueva in ogni dove. Solo i capelli si erano allungati fino all’altezza delle spalle. Un biondo cenere che in riflesso alla luce chiara della notte, era ancora più vivo del solito. « Leslie, Leslie? Perché … » non riuscii a terminare, giacché le parole della ragazza morta giunsero a concludere: « … vi ho lasciato questo peso nell’anima? Perché è una vita sporca, la nostra. Fatta di speranze che in pochi possono coltivare. La vita, quella che ci accingiamo a iniziare e finire, non è che una ruota. E’ giunto il mio momento, adesso. Ma, sappilo, io sono con te e con Jess ogni giorno! Ma … ». Silenzio. Lo stesso silenzio che, al suo interno, conteneva più di cento voci. Un’anima sentinella era Leslie agli occhi della bambina.
May Belle, impulsiva e scattante come sempre, non la fece terminare: « Aveva bisogno ancora di Te, Jess! Senza di Te, per Lui in questo Mondo piove freddo! ». Non ci furono bisogno di parole o di eventuali spiegazioni. Leslie era sempre stata una ragazzina fin troppo perspicace, acuta e intelligente. Un passo avanti. « Vieni qui, May Belle! ». Il corpo della ragazza, ringiovanito, si avvicinò a quello della bambina per afferrarla da un fianco e stringersela attorno. Un abbraccio importante, fatto di molteplici sensazioni offuscate. Istintivamente, le braccia esili della bimba si attorcigliarono al corpo del fantasma.
I lunghi capelli mozzavano un occhio a Leslie. Dopo lunghi attimi di silenzio, fu May Belle a parlare per prima: « Torna con Noi! Torna da Lui, ti prego! ». Supplica innocente. Ad occhio esterno, sarebbero potute apparire certo come due sorelle o, in casi più estremi e maliziose, come due innamorate.
Leslie dipanò un sorriso sugli zigomi pallidi: « Si, tornerò. Ed è per questo che ti ho chiamata sempre più spesso, sempre più frequentemente in questo periodo. Ho bisogno di te, May Belle! Devi portare Jess a Terabithia, devi nuovamente farlo credere in quel sogno creato assieme e che solo tu hai coltivato dopo la mia morte! Ci rivedremo un giorno, e allora potremmo affermare di aver veduto assieme l’Eternità! Tutti e tre assieme … ».
May Belle non poteva capire,aveva troppe domande da porle eppure si rese conto che il tempo le era ostile. Ogni secondo che passava era un secondo bruciato, arso come la stessa legna nel caminetto di casa sua: « Dimmi in che modo! Dimmelo, ti prego! ». Capricciosa.
Un sorriso sbocciò tra i lineamenti di Leslie. Un sorriso che poteva dire tutto e niente, a seconda della prospettiva ideologica del momento: « Fallo credere ancora. Riaprigli le ali della fantasia. Solo così arriverai ad ogni cosa! ». Il tempo per una controbattuta si sprecò, e prima che May Belle potesse rispondere il Mondo scomparve. Di nuovo sola, di nuovo sulla panchina della raduna. Gli occhi avevano estinto ogni lacrima. Si alzò e volse il viso verso la porta principale che era ancora aperta. Ormai era l’alba, e la neve aveva smesso la propria danza estatica. Non ci volle poi molto a capire che era stato solo un sogno. Un maledetto sogno dentro una dimensione onirica. Avrebbe voluto dirgli altro, fare altro. E quando tutto sembrò perduto, la mano inconsciamente toccò la clavicola del collo che conservava qualcosa di estraneo: una catenina in argento. Un cuore a far da ciondolo che con un semplice gesto si aprì fecendo intravedere agli occhi della piccola un piccolo foglietto bianco: “ Fallo May Belle! Torna a farlo sognare! “. Lacrima e sorriso. Le aveva lasciato un ricordo della missione affidatole. Non ci fu niente da fare, purtroppo. Incominciò a correre per il lungo tratto di strada che la distanziavano da casa. Aveva ritrovato Leslie, anche dopo la morte. E lei, tra sorrisi, respiri, illusioni affascinanti e paure indicibili sulla pelle, non avrebbe saputo definire la luce, in una lontananza che sa di eternità, nelle notti di neve.
Pronta per qualcosa di nuovo, pronta per far credere a suo fratello che quel magico mondo esisteva ancora. Magari tra le dita di Leslie stessa che presto, molto presto, a detta di May Belle, sarebbe tornata a regnare in quelle magiche terre.

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Capitolo 2
*** La verità di May Belle ***


- May Belle -

Pioveva ancora. Erano tre giorni che, incessantemente, il cielo continuava a versare le sue lacrime senza mai smettere del tutto. Delle volte qualche fioco raggio di sole compariva ma, com’era prevedibile, il tutto scemava per rilasciare nuove gocce piovane. E sbattevano sui cardini delle finestre, provocando una melodia lenta e malinconica simile alle sinfonie suonate così egregiamente durante i funerali.
May Belle se ne stava seduta vicino la finestra, ad osservare il nulla. Solo le gambe, a volte, si muovevano impercettibilmente mentre le braccia erano tenute conserte all’altezza del suo seno inesistente. Gli enormi occhi verdi – che sua madre aveva sempre paragonato a quelli dello smeraldo più puro – s’ingrigirono appena, sebbene il cambiamento non si sarebbe notato poi più di tanto. In silenzio, sbuffò appena; quegli sbuffi che appaiono più liberatori e confusionari, a dire il vero. Ci sarebbero stati silenzi in cui Lei avrebbe gioito, fantasticato o scritto romanzi per la scuola … ma non questo. Questo silenzio che al suo interno conteneva sofferenza, caos interiore e piani mentali emancipati da chissà quale strenua conseguenza. Le sue labbra si schiusero appena, per la prima volta dopo chissà quanto tempo: « Come faccio? Perché non trovo il coraggio di dirglielo? ». Calda, bassa, d’influsso innocente e infantile la voce della bambina echeggiò per due volte dentro la stanza disordinata. Gli occhi fissi in quelli d’un quadro, poco più lontano. Da quando parlò (?) con Leslie, non ebbe più neanche il coraggio di guardare negli occhi Jess. Un senso di sporcizia interiore, che fece letteralmente rabbrividire la bambina. Doveva trovare il coraggio, doveva scuotere suo fratello. Ma come? La risposta non fu trovata, neanche questa volta.
Se avesse deciso di piangere, l’avrebbe fatto adesso. Gli occhi brillarono appena, eppure May Belle decise di non versare neanche una lacrima: doveva farlo per Leslie, per Jess e per Terabithia.
Così, mentre la sua mente sembrò svuotarsi per qualche flebile secondo, si alzò scattosa facendo scricchiolare la sedia in maniera pericolosa, incominciando a muovere qualche passo verso la porta che di lì a poco si sarebbe chiusa senza neanche un singolo rumore. Attraversò il breve corridoio sino a giungere di fronte a porta del fratello. Lesse più di una volta il cartello “NON ENTRARE” affisso sulla porta bianca, analizzando per filo e per segno ogni singola lettera e sbavatura. Bussò tre volte e se ne pentì all’istante. Il silenzio di quel frangente, era straziante e le sue labbra subito furono prese a morsi dai dentini bianchi che si macchiarono di sangue.
Sarebbe potuta andare via, ma qualcosa la tratteneva e, se fosse stata completamente pazza, avrebbe persino percepito la figura di Leslie al suo fianco. Fece un passo indietro quando, da dentro la stanza, la voce di Jess divampò forte e chiara: « Avanti! ». No! Non poteva più scappare, il danno era fatto e si doveva andare fino in fondo. Questione di maturità, d’intelligenza di evoluzione. Con non poca titubanza, May Belle aprì la porta con estrema nonchalance. « Hey Jess! La Maestra Windur ci ha assegnato un compito che non sono in grado di fare. Vuole che disegniamo un paesaggio innevato, giusto per entrare nel clima natalizio che ci attende. Puoi darmi una mano? ». Lui la guardò intensamente, con quei capelli spettinati e quell’abbigliamento molto casuale che non aveva mai abbandonato. Innalzò appena un sopracciglio, quasi non fosse convinto delle parole della piccola. Durò un attimo, sempre e solo un attimo. « Chiudi la porta e portami un foglio! Devi dirmi come lo vuoi e che caratteristiche deve avere! ». Il tono apparve svogliato ma, in tutta risposta, May Belle non se ne curò. Chiuse la porta di legno come gli era stato ordinato e si diresse pacatamente sulla scrivania, estraendo qualche foglio e prese qualche tempera per porgergliele con grazia e riconoscimento: « A dire il vero non ci ha dato nessuna caratteristica o imposizione. Ha detto di lasciar sgombra la mente e disegnare ciò che crediamo opportuno. Possiamo metterci fate, sirene o elfi! ». Lui sorrise appena: « Delle sirene in mezzo ai ghiacciai? Mi pare un po’ assurda come idea … però vediamo cosa possiamo fare! ».
La sua matita incominciò a scarabocchiare qualcosa sul foglio bianco; la precisione minuziosa con cui calcava quei tratti era una cosa che May Belle non si sarebbe mai spiegata. Suo padre la definì una “mano da artista” e non sarebbe stata di certo Lei a denigrare quel termine di paragone. Restarono in silenzio per un paio di minuti mentre gli unici rumori concessi erano quelli del respiro e della matita su foglio che si facevano sempre più veloci e netti. « Sai Jess, stavo pensando … » fu la voce di May Belle ad accendersi per prima, sebbene il fratello non alzò lo sguardo: « … perché non mi disegni Terabithia? ».
Lui si bloccò all’istante, senza alzare lo sguardo. Fu come se il tempo si fosse sospeso in aria, dentro una qualsiasi bolla di ghiaccio. Ci volle qualche attimo per rendere concreto quel nome, prima che Jess potesse alzare il capo verso May Belle: « Che cosa? ». Le uniche parole che concesse a quella richiesta e May Bell non ebbe neanche il frangente per rispondere poiché, probabilmente colpito nel suo punto debole, Jess strappò il foglio con foga a dir poco terrificante e lo scagliò a terra: « Quante volte ti ho detto di non pronunciarmi più quel nome? QUANTE? » il tono di voce si alzò di tantissimi decibel: « Terabithia non esiste. Non è mai esistita e così come io mi sono convinto di ciò, anche tu dovresti! Adesso fuori di qui! FUORI DI QUI! ». Il suo dito si puntò in direzione della porta, mentre un passo in avanti costrinse May Belle a farne uno indietro: « Ma Jess! Ho visto Leslie. Leslie mi ha detto di farti tornare lì, che vuole rivederti e che vuole riparlarti … guarda mi ha lasciato anche questo … » non finì mai la frase. Jess la prese per la spallina del suo vestitino azzurro e la cacciò fuori con una violenza titanica che provocò una fitta alla ragazzina. « Leslie è morta … M O R T A! Adesso vattene via! ». Ebbe paura, la piccola May Belle. Terribilmente paura.
Fu sbattuta fuori mentre la porta si chiuse di fronte a Lei con un tonfo violento. Il rumore della chiave che girava per ben due volte, fu l’ultimo a concretizzarsi nel posto in cui si trovava.
Rimase lì, inerme e senza muovere un singolo muscolo. Incominciava a sentire caldo agli occhi e non poté trattenere le lacrime che, velocemente, incominciavano a scendere dagli occhi per giungere sulle guance. Sempre più spesse, sempre più calde. Non ebbe neanche la forza per asciugarle o farle smettere. Non ne aveva nessuna intenzione. Come un cane bastonato, incominciò a muoversi verso la sua stanza e improvvisamente gli si creò un piccolo ricordo: aveva gli occhi lucidi, Jess, prima di chiudere la porta. Forse non aveva dimenticato tutto; forse il ricordo di Leslie era ancora indelebile dentro il suo cuore, dentro la sua anima.
Aprì la porta di camera sua e …


***

Note:
- Chiedo scusa per il ritardo. Maledetti esami universitari >.<
- Grazie alle due lettrici che hanno recensito, spero di esser stato sempre sulla stessa lunghezza d'onda del primo capitolo *_*

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