Wishing On a Star [Traduzione di besemperadreamer]

di Herbologist
(/viewuser.php?uid=44538)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Paradosso all'Alba ***
Capitolo 2: *** Ferito a Mezzanotte ***
Capitolo 3: *** Buttandosi il passato alle spalle ***



Capitolo 1
*** Un Paradosso all'Alba ***


Wishing On A Star
Titolo italiano: Una stella fortunata dalla sua

Traduzione a cura di besemperadreamer

Disclaimers: va da se senza doverlo specificare ovviamente, ma dichiaro di non possedere nessun personaggio di Harry Potter o il suo universo magico creato da J.K. Rowling. Sto scrivendo questa storia puramente per divertimento e non per trarne profitto.

N/A: questa storia deve parte della sua ispirazione al lavoro di questi autori:
"Why Not" e "No Matter the Cost" di NorthAngel27, "A Valentine's Quartett" di Snappettes.

Specialmente le prime due, nella mia testa, sono diventate quasi parte del canon, e non sarei stata capace di scrivere una Snape/Sinistra, senza esserne influenzata. Sono grandi storie che vi raccomando di leggere.

Note della traduttrice: ovviamente l'autrice si riferisce a storie in inglese che non ho tradotto. Come specifica lei, ad ogni modo, non è assolutamente necessario leggerle per capire la storia, anche se l'hanno di certo influenzata. Se non fosse per tutte queste email da creare per l'account di ogni autore le tradurrei subito...vedremo!



Capitolo primo:
Un paradosso all'alba


Il sole del primo mattino che si stava levando al di sopra di Hogwarts illuminò una scena di distruzione e di caos. I giardini erano ricoperti dai corpi senza vita di creature differenti ed anche il castello aveva risentito molto della battaglia. La Torre di Astronomia, tuttavia, era ancora in piedi, scagliando la sua consistente ombra giù nel cortile sottostante. Al di sopra della sua piattaforma di osservazione, una piccola figura femminile poteva essere scorta, appoggiata all'inferriata, mentre la brezza mattutina le scombinava gli abiti e i lunghi capelli.

La professoressa Aurora Sinistra si abbandonò al vento e chiuse gli occhi. Il suo stomaco provò a dirle che che avrebbe dovuto essere alla festa, con tutti gli altri, ma aveva bisogno di stare sola, ed era dimentica delle proteste dello suo stomaco come lo era dei cerchi scuri sotto i suoi occhi ed del dolore alla schiena e alle gambe. Come ogni altro portava i segni di una notte senza riposo, una notte di combattimento, di timore, di lacrime, seguita da una vittoria insperata.

Vittoria. Tu-Sai-chi non esisteva più. Gli orrori dell'anno scorso, quando i Mangiamorte avevano spadroneggiato sulla scuola, erano finiti. Eppure, a lei, non sembrava l'inizio, ma la fine di ogni speranza. La stella più luminosa della sua vita era precipitata. Quell'opprimente vuoto interiore la sovrastava come un'enorme buco nero, che risucchiava tutta la felicità, e la compattava in una massa di pesantezza infinita.

Lasciò scorrere le sue lacrime, che fuoriuscirono dai suoi occhi in calde scie, ma ciò non le portò nessuna consolazione, nessuna aiuto, nessuna liberazione. Aveva sempre saputo che Severus era dalla loro parte. Lo conosceva meglio di qualunque altro dei suoi colleghi, naturalmente, ma, tuttavia, era rimasta delusa da come tutti avevano creduto prontamente al suo tradimento apparente. Al contrario di lei, non erano riusciti a vedere come lui li stesse invece proteggendo dal peggio. Da vera Ravenclaw, tuttavia, era stata così saggia da non mostrare lealtà e sostegno in suo favore apertamente. Niente, per lui, poteva essere più pericoloso. Camminava su una linea sottile, mantenendo le apparenze di un devoto Mangiatore che dirigeva la scuola nel miglior interesse del Signore Oscuro, mentre preveniva i peggiori atti di crudeltà verso gli allievi. Il meglio che aveva potuto fare era stato non causargli alcuna difficoltà aggiuntiva, che era esattamente il contrario di quello che si poteva dire del resto del corpo docenti, che non aveva fatto nessun tentativo per nascondere la propria avversione e disapprovazione. “Hai sempre detto che avresti dovuto affrontare tutto da solo. Non hai mai contato su nessuno e facevi bene,' pensò.

Si asciugò le lacrime con la manica dei suoi abiti blu notte ed si lasciò sfuggire un singhiozzo rumoroso. Aveva passato alcuni dei momenti più felici della sua vita lì sulla Torre di Astronomia e non erano da attribuire al suo amore per le stelle. Mentre faceva scorrere la mano sulla pietra fredda che componeva la parete vicino a lei, le immagini del giovane, scuro, Professore di Pozioni che la pressava proprio contro quella parete le fluttuarono nella mente, immagini di lui che la baciava appassionatamente, mentre le sue mani aggraziate vagavano sul suo corpo ed i suoi occhi neri intensi sembravano volessero perforarla. Adesso tutte quello che le era rimasto di lui erano ricordi, ma in quei ricordi, avrebbe vissuto per sempre.

Per parecchi anni, avevano condiviso una relazione segreta ed il sesso era stato molto soddisfacente, effettivamente. Ma mentre i suoi sentimenti per lui erano cresciuti col passare del tempo, per lui, sembrava che non fosse stato nulla più di una situazione di convenienza. L'anno in cui Tu-Sai-Chi era ritornato, lui aveva chiuso con lei senza dire neanche una parola, ma lasciandola nella certezza che fosse finita. E mentre lui ritornava a trattarla con la stessa distaccata formalità usata con tutti gli altri suoi colleghi, lei lo desiderava sempre di più. Il suo cuore batteva ogni volta che le passava oltre nei corridoi, ogni volta che sentiva la sua voce profonda e sonora alle riunioni dei professori, ogni volta che i loro occhi brevemente si incontravano passandosi vicino nella biblioteca. Infatti, aveva trascorso una certa quantità assolutamente inutile in biblioteca, nella speranza di avere la strana opportunità di rimanere sola con lui. E in tutti quegli anni, non aveva mai perso la speranza che un giorno, una volta finiti quei tempi oscuri, avrebbero potuto ritornare insieme. Ora il giorno era arrivato, ma le sue speranze si erano sgretolate.

Lentamente, discese le scale che conducevano giù dalla torre e vagò tra i corridoi del castello, senza una meta. Ma quando si ritrovò improvvisamente davanti all'ufficio del preside, realizzò che  aveva voluto andare lì sin dall'inizio. Il gargoyle giaceva, frantumato, sul pavimento e lasciò andare appena un debole gemito quando Aurora vi passò di sopra continuando per salire la scala a chiocciola. La porta dell'ufficio era aperta a metà. Titubante, sentendosi come un bambino che sta facendo qualcosa di proibito, entrò.

Non era stata all'interno di quella stanza dalla morte di Silente. Severus aveva protetto quel posto come un santuario personale. Anche le riunioni dei professori erano state tenute nella stanza del personale e, per quanto ne sapeva, nessun degli altri insegnanti aveva messo piede lì dentro durante la sua carica. Forse temeva che le indiscrezioni di qualche ritratto lo avrebbe potuto fare scoprire? Adesso però, sembrava che l'accesso fosse permesso a tutti.

Dando uno sguardo intorno, notò quanto poco era cambiato dal tempo in cui Silente lo aveva occupato. Su una tavolo nell'angolo, gli stessi strumenti d'argento curiosi ronzavano ancora e soffiavano tranquillamente, la pertica di Fanny era ancora dietro lo scrittorio, anche se la fenice aveva lasciato Hogwarts, e il pesante pensatoio di pietra di Silente giaceva sul davanzale della finestra. Era come se Severus avesse lasciato esattamente tutto come prima. “Non hai mai pensato di appartenere qui, vero? Per te, ha continuato sempre ad essere l'ufficio di Silente,' rifletté.

C'era poco che avrebbe potuto testimoniare che un Professore di Pozioni aveva occupato ultimamente l'ufficio, non c'era nessuno dei vasi e le bottiglie che contenevano sostanze viscose, o piante ed animali marinati, che una volta avevano ornato le pareti dell'ufficio di Severus nei sotterranei. Tranne forse per il fatto che l'armadietto da esposizione di Dumbledore, che aveva usato per  raccogliere a suo tempo i ricordi, ora conteneva una collezione di bottiglie di pozioni. Scrutò attraverso la lastra di vetro per leggere le etichette, scritte con la calligrafia spigolosa e fitta di Severus : “Pozione Senza Sogni“, "Filtro Rinvigorente“, "Essenza del Dittamo“ "Felix Felicis“ "Pozione Rimpolpa Sangue" “Pozione Che Rafforza Capacità Cognitive" “Veritas Serum"

“Era naturale che avrebbe tenuto una riserva dell'essenziale" pensò. L'autosufficienza era stata necessaria per lui durante tutto l'anno scorso. Se soltanto avesse preso un po' della Felix Felicis la notte prima, forse sarebbe stato ancora vivo. C'era inoltre una fiala molto piccola, contenente un liquido chiaro, di cui l'etichetta non portava la stessa scrittura a mano delle altre, su cui si poteva leggere “Lacrime di Fenice"  blasonate su essa in grandi linee ampie. Si chiese se fosse stata scritta da Silente.

L'unica altra aggiunta alla stanza era il grande ritratto dietro la sedia a forma di trono. La placca incisa d'oro nella parte inferiore del telaio lo identificava come Silente. L'occupante, tuttavia, era assente, così come tutti gli altri direttori e direttrici dei tempi passati. Apparentemente anche loro erano andati nella Sala Grande, dove era tenuta la festa.

Si piegò sopra lo scrittorio intagliato elaboratamente al di sotto del ritratto e diede un'occhiata al pesante libro rilegato in cuoio che era aperto su esso. Sembrato molto, molto vecchio ed era scritto in un dialetto di rune che lei non era in grado di decifrare. Che cosa stava leggendo Severus così prossimo alla sua morte? Fece scorrere, quasi teneramente, la punta delle sue dita sulle pagine, come se avesse potuto mettersi in contatto in qualche modo con lui, toccando la pergamena su cui la mano di lui si era posata così recentemente. Una penna nera dell'aquila giaceva sullo scrittorio al lato del libro. La prese e con fare amoroso fece scorrere le morbide piume sul suo palmo. L'avrebbe tenuta come segno per ricordarle le belle mani che l'avevano usata. Chiudendo i suoi occhi, la pressò contro il suo petto, ricordandosi come tempo addietro quelle mani le prendevano i seni e li stringevano delicatamente, mentre le sue labbra depositavano baci roventi dietro il suo orecchio e la sua eccitazione pressava dietro di lei...

Venne riscossa improvvisamente della sua fantasticheria da una voce esperta, che le si rivolgeva parlandole da dietro.

“Ah, Aurora, persa nei ricordi dell passato?"

Lei si girò, leggermente imbarazzata, sperando che la sua espressione non la tradisse sulla natura dei suoi pensieri. Silente era tornato nel suo ritratto e le stava sorridendo benevolo.

Ed in quel momento, ebbe un'epifania. Non avrebbe dovuto esserci un ritratto di Severus? Secondo Minerva, il ritratto di Silente era comparso magicamente a meno di un'ora dalla sua morte. Era antica tradizione che chiunque avesse ricoperto la carica di Preside, non importava se per poco tempo, venisse ricordato ai posteri allo stesso modo. Poteva Hogwarts essere davvero così ingrata, da negare a Severus quell'ultimo riconoscimento? Oltraggio e indignazione proruppero nel suo cuore al pensiero di questa mancanza di considerazione per l'uomo che aveva dato la sua vita per la loro causa.

“Albus, perché Severus non ha un ritratto come il tuo?" chiese, amaramente.

“Perché qualcuno lo ha salvato, suppongo," spiegò  tranquillamente l'anziano mago, “e sono felice di vedere che quella persona sia tu, Aurora."

Qualsiasi risposta si aspettava, questa non era neppure lontanamente vicina. Imbambolata, le ci vollero diversi secondi per elaborare l'informazione.

“Purtroppo, penso che tu abbia torto, Albus. Non ricordo neppure di averlo visto ieri sera," rispose stancamente ed ancora piuttosto confusa, “e non penso nemmeno di essere stata sotto la Maledizione Imperius."

“Ah, questo è perché non l'hai fatto ancora," rispose Silente, i suoi occhi azzurri che mostravano il loro caratteristico scintillio.

Al contrario della maggior parte delle persone, Aurora non aveva mai incontrato difficoltà a seguire le dichiarazioni spesso misteriose di Silente. Lui raramente spiegava esattamente le cose, un'abitudine, che lei sospettava, aver acquisito dai lunghi anni di insegnamento. Ma come Ravenclaw, doveva essere  brava a risolvere enigmi, o non sarebbe nemmeno riuscita ad entrare nella sua Stanza Comune. E così le ci vollero solo alcuni momenti per capire che cosa lui volesse dire.

L'unica risposta possibile, naturalmente, era viaggiare nel tempo. Come Insegnante di Astronomia della scuola, i misteri dello spazio e del tempo rientravano nelle sue competenze ed aveva sempre tenuto una lezione sull'argomento nella sua classe che attendeva i GUFO. Poteva quasi sentire la propria voce nella testa, mentre parlava ad una folla di allievi leggermente interessati.

“I viaggi nel tempo sono pericolosi, poiché generano una rottura nella continuità spazio-temporale in modi che potrebbero facilmente portare voi e altri sull'orlo della pazzia. Immaginate se vi trovaste improvvisamente di fronte al vostro doppione del futuro! È quindi essenziale che i viaggiatori del tempo rimangano inosservati. Dovete anche stare estremamente attenti alle vostre azioni, poiché potreste cambiare facilmente il corso del futuro in modi imprevedibili ed indesiderabili. Anche con la più grande precauzione, tutto il cambiamento che determinate conduce alla creazione di fenomeni paradossali. Troverete cose incompatibili con la vostra comprensione del mondo e non potrete spiegarle se non dopo, quando avrete realmente intrapreso il viaggio. È per questo motivo che i viaggi nel tempo sono stati regolamentati sempre rigorosamente dal Ministero. Per esempio, non è permesso andare indietro per più di un giorno. E recentemente, le autorità hanno deciso che i rischi superano i benefici e che è meglio evitare del tutto...'

Allora era questo uno dei suddetti paradossi? Non c'era nessun ritratto, perché, nell'avvenire, lei sarebbe andata indietro a cambiare il passato? Non c'era nessun ritratto, perché Severus era realmente vivo? Ma per viaggiare indietro lungo l'asse di tempo, avrebbe avuto bisogno di un Gira-Tempo ed il Ministero li aveva distrutti tutti. No?

“Albus, non dirmi che possiedi un Gira-Tempo non autorizzato nascosto da qualche parte?" chiese.

“Ah, nascosto non è la parola giusta" disse l'anziano direttore, a malapena in grado di sopprimere un sorriso. “Ma ho ritenuto che fosse prudente tenerne uno a portata di mano. Spesso vedrai che la miglior strategia per celare qualcosa, è di metterla in bella vista."

Allora lei capì. Si avvicinò al piccolo tavolo nell'angolo, dove la collezione di Silente di strumenti bizzarri e meravigliosi continuava a ronzare ed oscillare innocentemente, e certamente, poggiato in maniera poco appariscente nel mezzo, c'era un Gira-Tempo d'argento elaboratamente intarsiato. Non era per niente sorpresa che il piccolo segreto dell'anziano preside fosse passato inosservato. Poche persone avevano mai dato agli aggeggi di Silente un secondo sguardo, pensando che fossero capricci superflui di un eccentrico uomo anziano la cui sanità mentale era stata messa in discussione da molti.

Con un senso di reverenza, si avvicinò per rimuovere lo strumento prezioso dalle altre curiosità del tavolo ed si mise la sua catena intorno al collo. Ora avrebbe solo dovuto trovare un modo per aiutare Severus in un modo che non avrebbe compromesso gli eventi delle ore passate.

“Albus, le lacrime di Fenice potrebbe curare il genere di ferite che Severus ha dovuto sopportare?

“Certamente," confermò l'anziano mago sagace, il suo volto raggiante.

Aurora camminò fino all'armadietto nell'angolo e prese la piccola fiala dalla relativa mensola, mettendola in una tasca dei suoi abiti con le bottiglie Pozione Rimpolpa-Sangue, Filtro Rinvigorente e Felix Felicis. Prima che potesse scivolare fuori della stanza, il dipinto di Silente la chiamò.

“Aurora, non devo ricordarti di stare attenta, vero?"

“Non preoccuparti, Albus, so cosa sto facendo."

Il suono dell'allegro chiacchiericcio e del tintinnio dei calici poteva ancora essere sentito attraverso le porte della Sala Grande, mentre camminava oltre loro verso la Stamberga Strillante, sentendosi sicura che la sua assenza non sarebbe stata notata.



Note della traduttrice: ciao a tutti!
Eccoci con un'altra fantastica storia di Herbologist:-) La storia al momento conta solo due capitoli ed è una WIP (work in progress), ma personalmente già l'adoro e mi impegno a tradurre ogni capitolo appena verrà caricato su Fanfiction.net
Recensite numerosi!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ferito a Mezzanotte ***


A/N:

Cari lettori, grazie per le vostre osservazioni ed i vostri meravigliosi incoraggiamenti. Non ero sicura se continuarla, ma non c'è niente di più motivante di postare un capitolo e ricevere molte risposte. La mia mente è entrata in modalità creativa e adesso ho delle grandi idee per trasformare questa in una vera e propria storia.

Sono una scrittrice lenta e ho ripreso a lavorare a tempo pieno, per questo chiedo scusa se impiegherò molto tempo ad aggiornare. C'è un modo in cui mi potete farmi scrivere più velocemente comunque: continuare a cliccare il tasto delle recensioni, funziona veramente!

Dei ringraziamenti molto speciali vanno a Mark Darcy per correggere e ricercare errori nel mio inglese, a besemperadreamer per la traduzione di questa storia per i lettori italiani a velocità lampo e a ZairaAlbereo per l'onesta critica e ore di fruttuose discussioni.

Ferito a Mezzanotte
Traduzione a cura di besemperadreamer

Alla chiara luce solare, niente di lugubre poteva essere percepito nella Stamberga Strillante. Era solo una sbilenca costruzione malmessa, non esattamente invitante, ma certamente non sinistra. Eppure, per qualche motivo che non riusciva bene ad identificare, Aurora non se la sentiva di aprirne la porta.La ragione le ricordava che a causa di quello che stava per fare, non avrebbe dovuto esserci nient'altro dall'altro lato, nessun corpo, niente sangue, niente di spaventoso. Forse era superstizione, ma decise che preferiva non scoprirlo. E così rimase all'esterno, mentre girava le manopole complicate del dispositivo d'argento che ciondolava intorno al suo collo.

Non aveva mai usato un GiraTempo prima. Era l'esperienza più meravigliosa che si potesse immaginare. Con ogni giro, il sole si avvicinava all'orizzonte a est. Mentre il sole spariva, guardò, affascinata, il cielo scurirsi e le stelle comparire nel firmamento, puntate nella direzione sbagliata. Quando la posizione delle costellazioni indicò la mezzanotte, smise di girare le manopole, ritrovandosi ancora al di fuori della Stamberga Strillante, titubante, domandandosi come esattamente dovesse procedere. Fu bruscamente scossa dai suoi ragionamenti quando la porta venne spalancata, quasi colpendola sulla fronte, facendola sprofondare maggiormente nell'ombra della costruzione.

Un momento dopo, l'ombra di una figura alta e sottile comparve, allontanandosi da lei, e la porta si chiuse con un forte rumore. La creatura aveva la testa calva, bianca come l'avorio, e lunghe dita ossute che non sembravano appartenere ad un essere vivente. Un serpente voluminoso era raggomitolato intorno alle sue spalle. Quando realizzò chi fosse, un freddo gelo corse lungo la sua schiena. Era lui, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, l'oscuro mago più malvagio e pericoloso di tutti i tempi. Sentì il bisogno di smaterializzarsi sul posto, ma, fortunatamente, lui non la aveva notata. Quando lui sparì nella foresta, Aurora tirò un sospiro di sollievo. Ed allora realizzò che cosa doveva essere appena accaduto all'interno della stamberga. Severus - questo era il suo momento per agire.

Pulì un piccolo angolo della sudicia finestra con la manica del suo abito, per poter scrutare all'interno. La scena che le si presentò davanti, illuminata dalla debole luminescenza della bacchetta di qualcuno, le fece quasi fermare il cuore.

La notizia di come e dove il Preside fosse morto si era sparsa come un incendio violento fra la folla riunita nella Sala Grande. Lei aveva udito solo le parti cruciali dalla conversazione di un gruppo di allievi che sedevano al tavolo, e quello che aveva sentito l'aveva fatta sentire così debole e nauseata, che aveva sentito il bisogno di lasciare i festeggiamenti per ritirarsi in un posto isolato e all'aria aperta. Ma vederlo con i suoi stessi occhi era decisamente peggio. Severus giaceva sul pavimento, scosso da spasmi, in una pozza del suo stesso sangue. La sua mano stava disperatamente afferrando il suo collo. “Deve provare così tanto dolore” pensò con il suore spezzato.

Harry era inginocchiato al fianco dell'uomo morente, i suoi due amici in piedi dietro di lui. Lei guardò, mentre Severus dava le sue memorie al ragazzo che, conseguentemente, avrebbe vissuto. Impaziente, attese che i ragazzi andassero via, ma loro rimasero semplicemente fermi a guardare, scossi da ciò di cui erano stati appena testimoni, o poco disposti ad aiutare a causa del loro odio per il mago sul pavimento. Avrebbe voluto correre all'interno, scuoterli e dire loro di andare a chiamare Madame Pomfrey. Ma sapeva che non doveva permettere loro di vederla. E così attese. Con ogni secondo che passava, la sua ansia aumentava, fino ad arrivare a livelli quasi insopportabili. Severus aveva smesso di muoversi ed era disteso immobile con gli occhi chiusi. E se fosse già troppo tardi? Se fosse già morto? La voce della ragione all'interno della sua testa le diceva che tutto sarebbe andato bene, che data l'assenza del ritratto, lei doveva essere riuscita a salvarlo. Ma il suo cuore non voleva ascoltare e batteva contro le sue costole come un uccellino disperato intrappolato all'interno della propria gabbia.

Alla fine, i ragazzini sparirono da qualche parte nella parte posteriore della stanza. C'era un porta sul retro? Sollevata da quell'attesa forzata, Aurora corse all'interno, la piccola fiala di lacrime di Fenice pronta all'uso. S’inginocchiò al lato della forma prona di Snape e sfibbiò il colletto ed i lacci dei suoi abiti con mani tremanti, esponendo le profonde ferite a puntura nel suo collo, da cui il sangue ancora sgocciolava in un flusso costante. Lasciò cadere alcune gocce del liquido madreperlaceo su esse. Quando toccarono la sua pelle, bollirono, volatilizzandosi in un fumo argenteo e le ferite sparirono semplicemente. Stupita, lasciò la sua mano vagare lungo la perfetta pelle pallida, che ora era miracolosamente intatta e si meravigliò del potere curativo contenuto all'interno di quella piccola fiala. C'erano ancora alcune gocce rimaste, che lei versò nella sua bocca semiaperta, prima di sedersi indietro e aspettare con nervosa anticipazione che lui si muovesse.

* * *

Se c'era qualcosa di cui Severus Snape era rimasto veramente sorpreso, era quanto facile fosse morire. Doveva ammetterlo, il dolore che si è espanso dal suo collo in tutto il suo corpo era orrendo, ma presto anche quello sarebbe finito. L'unica cosa che aveva importanza era che avesse compiuto la sua missione, anche se esalando il suo ultimo respiro, e che avesse consegnato il messaggio di Silente.

E così, con un ultimo sguardo negli occhi verdi del giovane mago piegato sopra di lui, si era concesso di mollare tutto. I suoi muscoli, che fino a un momento prima si contraevano senza controllo a causa del veleno che scorreva nelle sue vene, ora erano flaccidi, e lui ne aveva perso ogni controllo. Anche i suoi sensi sembravano non rispondere più, ma l'immagine di quegli occhi verdi persisteva nel profondo della sua coscienza.

Adesso appartenevano ad una bella giovane donna con ardenti capelli rossi. Il suo viso era raggiante e la sua risata, chiara e pura come il canto di un uccello, riverberava nella sua testa. Era così grato che fosse lei ad accompagnarlo in quell'ultimo viaggio, rispetto a tutti gli altri volti che infestavano normalmente i suoi sogni. Si sentiva inconsistente e confuso, e la testa gli girava. Era come se stesse ballando con lei, volteggiando sempre più, sciocchi e liberi da ogni preoccupazione come due bambini.

Alla fine, il dolore si arrestò, e venne sostituito da una piacevole sensazione di calore. Poteva sentire mani delicate toccargli il collo. Lei lo stava realmente toccando! Era meraviglioso e si ritrovò semplicemente a sperare che lei sarebbe rimasta lì per tutta l'eternità. Poteva anche tastare qualcosa di dolce nella sua bocca. Era possibile? L'aveva baciato? Desideroso di scoprirlo, si rese conto che poteva muovere le sue palpebre di nuovo, o almeno ne aveva la convinzione, e decise di schiuderle per dare uno sguardo adeguato alla situazione. Quando lo fece, una debole luce investì le sue pupille e, lentamente, mise a fuoco l'offuscata figura davanti lui. Ma una volta che riconobbe le sue forme, ne rimase deluso.

“No… Non tu…" gracchiò.

L'aveva contata fra le persone rimaste in vita e si addolorò nel vederla lì. Un'altra vita persa. In qualche modo, si sentiva come se fosse colpa sua. Lei non aveva un bell'aspetto. I suoi capelli erano scombinati, il suo viso era cinereo ed i suoi occhi sembravano gonfi. Sperò soltanto che non avesse sofferto.

Lei lo guardò, leggermente offesa, ma non disse niente.

Lui si schiarì la gola per riguadagnare il controllo della sua voce. “Come sei morta?" domandò, ancora suonando un poco rauco.

A quelle parole, lei esplose improvvisamente in una risata, una risata che suonava stranamente allegra.

“Non sono morta, Severus, e neanche tu."

Che cosa? Cominciò a sentirsi irritato. Che cosa stava succedendo? Dove era Lily, e che cosa ci faceva lei qui?

“Che diavolo ci fai qui, Aurora?" ringhiò.

“Non è meraviglioso? Il potere curativo delle lacrime di Fenice..." cinguettò, sollevando la piccola fiala che lui riconobbe appartenere al suo ufficio.

Prima che potesse protestare, lei gli aveva messo un'altra bottiglia sulle labbra ed aveva versato il relativo contenuto nella sua bocca. Lui non ebbe altra scelta che inghiottire, per evitare di rimanere soffocato. E se aveva bisogno di qualche altra cosa in più per convincerlo che fosse, di fatto, vivo, il gusto metallico della Pozione RimpolpaSangue tolse ogni dubbio a riguardo. I suoi occhi le lanciavano occhiate affilate.

“Per la barba di Merlino! Non potevi lasciare un uomo morire in pace?" saltò su appena riguadagnò il respiro.

“Ed io che pensavo saresti stato riconoscente..." rispose con una traccia del suo secco senso dell'umorismo. “Non ti preoccupare...Sono sicura che un Professore di Pozioni come te può produrre qualcosa per raggiungere lo stesso obiettivo con meno dolore e maggior dignità. Almeno ora hai la possibilità di scegliere.."

Non era sicuro di volere quella scelta. Aveva fatto appena pace con il mondo e non era per niente felice di ritrovarsi gettato nuovamente dentro. Per un momento, rimase silenzioso, mentre cercava di ricordarsi che cosa fosse successo poco prima e che cosa avrebbe dovuto fare dopo.

Ah, sì. C'era ancora una battaglia da combattere.

“Tieni, bevi." disse, estraendo un'altra bottiglia dai suoi abiti.

Lui la strappò rapidamente dalla sua mano, prima che lei avesse la possibilità di forzarlo a bere e diede un'occhiata all'etichetta.

“Che cosa ti ha fatto sentire in diritto di saccheggiare il mio armadietto delle pozioni?" la rimproverò, ma in un tono che sbordava nel conciliatorio. Il suo Filtro Rinvigorente - aveva la sua approvazione. Svitò il tappo e prese un sorso, prima di offrirla a lei. “Mi sembra che anche tu ne abbia bisogno."

Lei scosse vigorosamente la testa, uno sguardo di disgusto sul suo viso. “No, grazie, sto benissimo."

“Fa come credi, " brontolò e, con un sorso, si scolò la pozione restante.

Quello che seguì fu un silenzio lungo e scomodo. Lei non aveva ancora risposto alla sua domanda e lui non riusciva ad immaginare perché un membro del personale sarebbe dovuto accorrere alla Stamberga Strillante mentre Hogwarts stava combattendo la battaglia delle battaglie. Perché diamine avrebbe dovuto sprecare quelle preziose lacrime di Fenice su un Mangiamorte, per salvarlo da un destino che tutti avevano sicuramente sperato?

Anni fa, aveva condiviso un certo grado di intimità con la giovane attraente Professoressa di Astronomia, ma si era domandato sempre che cosa mai vedesse in lui, per concedersi così volentieri. E di certo, proprio come gli anni di servizio per l'Ordine della Fenice, anche quello non contava più niente? Ma ora, quella domanda era il minimo delle sue preoccupazioni. Aveva dato a Potter le sue memorie, un atto di disperazione assoluta che lo fece rabbrividire ora che l'aveva ricordato. Non doveva essere troppo tardi per fermare il ragazzo. Doveva tornare indietro nel suo ufficio ed intercettare Potter prima che potesse usare il Pensatoio che Silente gli aveva lasciato. Allora avrebbe potuto continuare con il suo piano originale.

Finalmente, si sentiva abbastanza bene da potersi alzare. Toccò la tasca dei suoi abiti per controllare la sua bacchetta e fu soddisfatto di costatare che fosse ancora al suo solito posto. Sentiva una sensazione umida e appiccicosa al posto di quella familiare della lana grezza del suo cappotto, il ché gli fece realizzare di essere coperto di sangue, il suo stesso sangue. Si mosse di nuovo per la sua bacchetta, questo volta prendendola dal suo mantello. Mentre scagliava un incantesimo pulente rimase soddisfatto nel vedere che i suoi poteri non avessero risentito del trauma. Le lacrime di Fenice erano proprio una sostanza meravigliosa. Si sentiva ancora un po’ rigido ed i suoi muscoli dolevano ancora, ma riuscì a levarsi in piedi con un movimento rapido e camminò verso la porta zoppicando leggermente.

“No, no, no, rimani qui!" ordinò lei, “Che cosa credi di fare?"

Si voltò e la fissò con uno sguardo sprezzante. “Il mio lavoro." rispose con un tono di chi sta dichiarando una cosa evidente.

“Non capisci, Severus. Ho viaggiato indietro nel tempo per salvarti. Eri - voglio dire, tutti pensano che tu sia morto. I ragazzini ti hanno visto morire. Non puoi uscire là e tornare ad Hogwarts come se niente fosse. E poi, prima che il sole sorga, Harry avrà ucciso il tuo Oscuro Signore e non avrà bisogno del tuo aiuto..."

Sembrò che gli ci volle un momento per elaborare completamente l'informazione. Aurora osservò la forma torreggiante del mago scuro di fronte a lei, sentendo la pelle d'oca sotto l'intensità del suo sguardo penetrante. Non riusciva a ricordarsi quando era stata l'ultima volta che era stata così vicina a lui. Si è levata in piedi, per mettersi all'altezza dei suoi occhi.

“Stai forse insinuando che sei tornata indietro dal futuro?" chiese sospettoso, i suoi occhi che si assottigliavano quasi impercettibile. “Ti spiacerebbe spiegarmi come sei riuscita in una tale impresa?

Invece di rispondere alla sua domanda, lei indicò semplicemente il pendente d'argento elaborato che ciondolava dalla relativa catena intorno al suo collo.

“Un GiraTempo? Dove l'hai preso?"

“Dal tuo ufficio, era proprio sotto il tuo enorme naso, " rispose con un sorriso compiaciuto.

Una traccia di sorpresa comparve sul suo volto. Chiuse gli occhi prendendo il ponte del suo naso tra pollice e indice.

“Maledizione, quella vecchia volpe sleale..." borbottò. “Albus ti ha mandato qui? Ha trovato un altro burattino per le sue richieste?"

Aurora si sentì in dovere di difendere l'anziano mago. “Sono venuta di mia spontanea volontà."

“Perché? Perché me? Non c'erano vittime più degne di essere salvate?"

“Sei realmente così stupido, Severus? Certamente un uomo del tuo intelletto avrebbe dovuto capito ormai."

“Lasciami indovinare… Così da poter continuare a seccarmi?"

“Devo proprio dirtelo chiaro e tondo? Perché ti amo!"

Lui sussultò come se fosse stato schiaffeggiato. Aurora rabbrividì interiormente alle sue stesse parole, imbarazzata da quanto ridicole fossero suonate, dopo averle veramente pronunciate. Ma allo stesso tempo si sentì sollevata. Ecco, adesso aveva gettato tutte le carte in tavola. Almeno non si sarebbe domandata tutta la vita 'E se'. Sperò che lui le rispondesse con una battuta sarcastica, ma lui rimase semplicemente a guardarla. Lo sguardo indagante nei suoi occhi neri era scomodo tanto quanto quel silenzio. Se soltanto avesse saputo cosa gli stava passando per la testa. Poteva dire che era molto, anche troppo, probabilmente.

“Che cosa ti aspetti che ti dica, Aurora?" disse infine. “Che anche io ti amo? Non sono capace di amare. Non essere infelice. Avresti dovuto lasciarmi morire."

Lei provò a non mostrare quanto l'avessero ferita quelle parole, ma le sue guance erano in fiamme, tradendo i suoi migliori sforzi. Ed allo stesso tempo era impaurita, aveva paura che lui se ne sarebbe semplicemente andato via, che non lo avrebbe mai più rivisto.

“Beh, sei libero di ricominciare da zero, Severus, cominciare una nuova vita. Vuoi realmente essere un bastardo solitario ancora una volta? Potrei venire con te, tenerti compagnia..." Era felice che fosse riuscita a parlare senza far tremare la sua voce.

“Assolutamente no. Sai che non amo la compagnia." rispose freddamente.

“C'era un periodo in cui sembravi godere la mia..."

“Mi hai sentito, Aurora. Posso avere avuto dei momenti di debolezza nel passato, ma questo non è uno di quelli."

Come era possibile che una voce così profonda e vellutata potesse trasportare parole affilate che sembravano pugnalate nel suo petto? Era realmente questo che sentiva riguardo alla loro relazione passata, riguardo a quelle stesse memorie che lei serbava ancora nel suo cuore come il migliore periodo della sua vita? Realmente riteneva che fossero nient'altro che un momento di debolezza, un errore? Aveva sempre attribuito il suo comportamento freddo verso lei al suo ruolo difficile di spia, al suo senso del dovere ed al pericolo costante in cui si trovava. Ma ora, quale era la sua giustificazione? Lei era lì, avendogli appena salvato la vita, pronta a seguirlo dovunque dovesse andare, e lui aveva appena liquidato i sentimenti che lei provava e li aveva usati per ferirla. Si sentì male quasi fisicamente, sentì le sue ginocchia deboli ed un nodo doloroso si formò nel suo petto. Se soltanto avesse avuto alcune di quelle lacrime di Fenice rimaste, per arrestare l'emorragia all'interno del suo cuore. Ma tutto quello che aveva era un'altra bottiglia delle sue pozioni e si domandò persino perché l'avesse portata lì. Mettendosi un'espressione coraggiosa, prese il piccolo flacone e lo passò a lui.

“Ti auguro buona fortuna allora, Severus," disse freddamente, incontrando i suoi occhi senza batter ciglio, anche se internamente si sentiva come un agnello condotto al macello.

Snape esaminò l'articolo nella sua mano con fare domandante, prima di prenderlo con un brusco cenno del capo. Alzò un sopracciglio, mentre studiava l'etichetta con un'espressione sdegnosa sul suo viso ed infine fece scivolare il discutibile oggetto nella sua tasca.

Poi girò i tacchi, e, in un vortice di vesti nere, era sparito.


Note della traduttrice: ciao a tutti^^
Ecco pronto il secondo capitolo...sfortunatamente la scrittrice non ha ancora pubblicato il terzo perciò ci sarà da aspettare ma credo proprio che ne varrà la pena, personalmente mi sono già innamorata della sua storia^^
Grazie mille a chi ha inserito la storia tra le seguite, e chi ha speso un  pò del proprio tempo per lasciare un commento come
Jiulia Weasley: sono contenta che il pairing ti appassioni, anche io conosco la fanfiction di Shes_a_star, veramente divertente ed ironica, ma qui la nostra Aurora non è esattamente come quella descritta lì, ed il bello, come dicevi, è proprio questo:-) spero che questo capitolo abbia risposto in maniera soddisfacente alla tua domanda sul canon. Continua a seguirci!
sS_FrA_sS: grazie per i complimenti sulla traduzione^^ e grazie ovviamente da parte dell'autrice. Sono felice di poter condividere storie che mi piacciono con altri lettori, mi diverto moltissimo a tradurle dall'inglese e mi esalto se le persone apprezzano e seguono^^
erigre spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto^^

Alla prossima!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Buttandosi il passato alle spalle ***


A/N:

Scuse per il fortissimo ritardo, ho promesso che non avrei mai abbandonato questa storia e non l’ho fatto. E’ solo che non ho avuto molto tempo per scrivere quest’anno e quando ne ho avuto, la mia musa è stata più generosa per le mie altre storie. Ma eccoci qui. Non vi posso promettere un capitolo la settimana, ma vi posso assicurare che per il prossimo non ci saranno tempi così lunghi… E probabilmente dovrei darvi un'indicazione sulla trama, per aiutarvi a decidere se vale l'attesa:

Questa sarà una storia romantica tra Sinistra e Piton, ma con uno sguardo critico al suo carattere. Il suo personaggio è interamente votato alla redenzione. A questo punto, potreste ribattere dicendo che ha pagato per i peccati della sua gioventù, ma è ancora amaro, crudele, emotivamente chiuso e terribile presuntuoso - qualcosa che forse non è del tutto colpa sua, ma non lo rende esattamente il candidato ideale per essere un marito premuroso. Quindi, riuscirà a cambiare da questo punto di vista e dove lo porterà un cambiamento del genere?

Ringrazio tutti quelli che la stanno ancora seguendo e in particolare chi mi ha spronato recensendo!

 

Buttandosi il passato alle spalle

Traduzione a cura di besemperadreamer

Il silenzio che regnava in quella strada, completamente deserta e avvolta dall’oscurità, fu infranto da un debole schiocco. Se ci fosse stato qualcuno lì intorno a testimoniare l’evento, sarebbe rimasto decisamente turbato, poiché con quello schiocco, un uomo alto, dai lineamenti spigolosi, sembrò comparire dal nulla. Egli procedette verso l’ingresso di una casa con falcate decise e con le lunghe vesti nere, uscite da chissà quale film d’epoca, che gli svolazzavano dietro. I capelli neri gli ricadevano retti sulle spalle, incorniciando un volto scarno, che sarebbe stato sgradevole anche senza l'espressione torva che vi era dipinta sopra.

Ma fortunatamente, non c’erano molti passanti in quella parte desolata della città. La maggior parte delle proprietà sembrava abbandonata. Erano modeste casette Vittoriane a schiera, indistinguibili l’una dall’altra se non per le porte verniciate di colori diversi. Aleggiava un'aria di trasandatezza su tutta la zona, aggravata dall'odore di fogna intasata. L'unico altro essere vivente nel raggio di miglia era una volpe dall’aspetto malaticcio, che fiutava speranzosa una confezione vuota di patatine gettata nel canale di scolo. La presenza dello sconosciuto sembrò impaurire la creatura, che abbandonò la possibilità di cibarsi per trovare rifugio in un cespuglio.

L'uomo dall’aria cupa entrò in una delle case, la cui porta non doveva essere stata chiusa, poiché egli non si premurò di fare uso delle chiavi. Dopo esservi sparito all'interno, un debole barlume tremolante comparve dietro le finestre.

La porta conduceva direttamente a un piccolo salotto, le cui pareti erano del tutto ricoperte da scaffali pieni di libri. La luce fioca rivelò uno spesso strato di polvere coprente ogni superficie e delle ripugnanti ragnatele appese agli angoli del soffitto. L'enigmatico uomo era Severus Piton, ultimo preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e – ancora egli stesso ignaro – prossimo eroe del mondo magico britannico, un mondo che egli aveva appena abbandonato per sempre. Si mise davanti al camino, poggiando le mani sul frontale, con la testa incassata tra le spalle, a fissare le fiamme che divoravano i grossi ceppi che vi erano accatastati dentro.

Odiava quel posto, anche se tecnicamente era casa sua. Era piena di ricordi di un'infanzia infelice, vissuta nella povertà e nell'emarginazione, a guardare i suoi genitori impegnati a rendersi la vita miserabile, e risentire in prima persona del fallimento del loro matrimonio. L'unico motivo per il quale era andato lì, era che non aveva nessun altro posto dove andare. Ce l’aveva con colei che l’aveva messo in quella situazione. Perché non l’aveva lasciato al suo destino? –Il destino di morire sul campo di battaglia, portando a compimento la sua ultima missione, espiando i suoi peccati e allo stesso tempo ponendo fine alla sua sventurata vita? Perché si era dovuta intromettere nei suoi affari?

Amore… Non aveva veramente né il tempo, né l'inclinazione, di avere a che fare con la sconsiderata infatuazione di quella lì. Era stato innamorato soltanto una volta, e cosa ne aveva ricavato? Soltanto dolore e umiliazione. Nel corso degli anni, aveva imparato ad allontanare tali sentimenti e apprezzava la capacità di controllo che ciò gli aveva dato, l’abilità di concentrarsi solo sui suoi doveri e sui suoi interessi intellettuali. Sì, si era abbandonato occasionalmente ai piaceri carnali, ma questo certo non significava che avrebbe dovuto sopportare la compagnia di qualcuna dopo aver soddisfatto i suoi bisogni fisici, né mai più si sarebbe reso così vulnerabile.

Il suo stomaco brontolò, ricordandogli gli altri inconvenienti dell’esser vivo. Con uno sbuffo sprezzante, si allontanò dal fuoco e sparì attraverso una porticina incassata fra gli scaffali. La cucina era ancora più piccola e ancor meno invitante del salotto, poiché oltre all’onnipresente polvere e alle ragnatele c’erano pure sporcizia e odore di muffa. Frugò nelle dispense, i cui cardini cigolavano forte mentre apriva e chiudeva le ante, ma trovò soltanto una pagnotta ammuffita e un pacchetto di biscotti che si sbriciolarono non appena li ebbe toccati. Per il disgusto, il suo volto si contorse in una smorfia. Avrebbe potuto trasfigurare quella roba in qualcosa di più appetitoso, ma di sicuro non aveva così fame da ricorrere a misure così disperate.

I suoi occhi ricaddero su una polverosa bottiglia di vetro verde lasciata fuori sul ripiano da lavoro davanti a lui, ancora piena per metà di liquido scuro. Quando la stappò e ne fiutò l'apertura, il caldo e dolce aroma di vino elfico sommerse i suoi sensi. Dopo un attimo d'esitazione, prese un bicchiere da una delle credenze, scagliando un incantesimo pulente prima di riempirlo di vino vermiglio. Piton beveva raramente. Nella sua testa, era un’ignobile abitudine che gli ricordava fin troppo suo padre. Ma di certo, in quella situazione, sfuggito all’abbraccio della morte per un soffio, un bicchierino era giustificabile, o almeno così pensava mentre lasciava la cucina con la bevanda in mano.

Con un sospiro, si lasciò sprofondare sul misero, vecchio sofà davanti al camino. La nube di polvere che si alzò dal tessuto liso sotto il suo peso avrebbe indotto quasi chiunque a starnutire ma, dopo essere stato esposto tutti quegli anni ai vapori delle pozioni, il suo naso era abituato anche a peggio. Allungando le gambe, prese un corposo sorso di vino, chiudendo gli occhi mentre sentiva il liquido scivolare giù nella gola. Sentì una piacevole sensazione di calore irradiarsi dal suo stomaco, che contribuì a scacciare il freddo mortale che gli si era insinuato nelle ossa.

Spesso si diceva che essere messo davanti alla propria mortalità facesse apprezzare maggiormente la vita, ma Piton sentiva solo un tedioso senso di vuoto. La sua vita non era mai stata piacevole. Durante la sua infanzia non aveva conosciuto altro che povertà e umiliazione e poi, nella sua gioventù, c’era stato un periodo in cui era stato consumato dalla rabbia, dall’odio e da una feroce ambizione, che l’avevano solo fatto sprofondare in un abisso di dolore, senso di colpa e disprezzo di se stesso, lasciandolo con un debito che avrebbe richiesto una vita per essere saldato. Ironicamente, era stato proprio quel debito che per la maggior parte delle ultime due decadi aveva dato alla sua vita un senso, e ora che aveva adempiuto il suo ultimo dovere, si sentiva completamente perso. Nella sua vita non aveva niente per cui valeva la pena vivere. Non aveva mai provato felicità e dubitava che sarebbe successo ora. Il pensiero di poter giungere alla veneranda età del suo predecessore, Albus Silente, un’età per niente inconsueta per un mago, accompagnato unicamente dalla sua disillusione, bastava a tentarlo di puntarsi contro la sua stessa bacchetta. Ma sarebbe stato decisamente da codardi - e un vigliacco era l'ultima cosa che Piton aveva mai voluto essere.

Dopo aver bevuto il vino rimasto, posò il bicchiere sul traballante tavolino basso accanto a lui, dove rimase in equilibrio precario in cima a un’ altissima pila di libri. Sebbene la bevanda avesse di gran lunga contribuito ad alleviare i crampi del suo stomaco, c’era ancora qualcosa che lo infastidiva. Scorrendo le sue lunghe dita tra i capelli, li trovò ancora piuttosto appiccicosi e pregni dell’odore metallico del sangue, a dispetto dell’incantesimo pulente che aveva scagliato prima su di sé. Era uno dei suoi più grandi fastidi, che nessun incantesimo inventato fino ad allora potesse fare concorrenza ad acqua e sapone Babbano quando si parlava d’igiene personale. Mentre molti maghi e streghe godevano nel farsi lunghi bagni caldi tanto quanto i Babbani – e l’enorme quantità di ricette per essenze da bagno magiche ne era la prova - Piton avrebbe felicemente fatto a meno della necessità di immergersi in acqua una volta ogni tanto. Rassegnandosi al fatto che, in quella situazione, sarebbe stato inevitabile, decise quantomeno di togliersi il pensiero il prima possibile. E così, fu con crescente terrore che si alzò dal sofà e salì le scale verso il bagno.

La piccola stanza si presentava triste esattamente come la ricordava, con le sue sudice mattonelle rotte, la vasca da bagno arrugginita e l’infisso dell’unica finestra presente del tutto marcio. L'unica cosa che si poteva prendere era lo specchio sopra al lavabo, che da tempo non rifletteva più e che dunque aveva la decenza di non ricordargli quanto la natura non fosse stata generosa con lui per quanto riguardava l'aspetto fisico.

Fece Evanescere quella che sembrava una fila di escrementi di topo dal fondo della vasca e girò le manopole dell’acqua. Cigolarono e gorgogliarono miseramente, come se volessero protestare per esser state maneggiate in quel modo, ma non vi uscì comunque nulla. Poiché Piton era un mago, tuttavia, mormorò appena un incantesimo per risolvere il problema.

Disfece i molti bottoni dei suoi vestiti con dita pratiche, liberandosi strato dopo strato degli indumenti, prima di entrare cautamente nella vasca. La sensazione dell'acqua calda non era del tutto sgradevole e, sebbene la vasca fosse troppo piccola per distendere completamente le lunghe gambe, contribuì notevolmente a ridargli le forze. L'obiettivo principale di quel teatrino, tuttavia, era lavarsi i capelli. Su un piccolo sgabello di legno a fianco della vasca c’era una tazza scheggiata, che era sempre stata utilizzata per quello scopo. La prese e cominciò a versarsi l'acqua sopra la testa finché la massa nera dei suoi capelli non fu del tutto zuppa. Dopodiché usò un pezzo di sapone grigio e dall’aspetto poco invitante, preso dallo stesso sgabello, per fare un po’ di schiuma. Il suo odore inconsistente e asettico era terribilmente familiare, e lo portò indietro a un tempo di cui non ricordava neppure di avere memoria.

“Severus! Guardati, sei tutto sporco! Veloce! Entra nella vasca! Tuo padre sarà a casa da un momento all’altro…”

Il ragazzino dai capelli scuri voleva protestare. Aveva fame e avrebbe preferito cenare prima, ma uno sguardo a sua madre gli disse che qualsiasi forma di resistenza sarebbe stata inutile. E così la seguì fino al bagno e la guardò mentre riempiva la vasca.

“Che cosa stai aspettando? Togliti i vestiti e salta dentro!”

Mentre obbediva, la guardò pulire i suoi vestiti appena levati con la sua bacchetta, domandandosi perché non poteva fare lo stesso con lui, se lo stava facendo solo per punirlo e se sapeva che era stato ancora giù al fiume, dove gli era proibito giocare. Odiava farsi il bagno, soprattutto farsi lavare i capelli, specialmente perché sua madre era sempre di fretta, e non stava attenta a non fargli andare il sapone negli occhi né faceva sforzo alcuno per essere delicata.

Mentre era seduto nella vasca, sopportando stoicamente quell’ardua prova con gli occhi serrati, la porta venne improvvisamente spalancata e sua madre, che stava sfregando vigorosamente la sua testa, gelò sul posto. Severus aprì un po’ gli occhi, malgrado il pericolo che sapone li facesse bruciare. Suo padre era davanti alla porta e aveva uno sguardo indefinibile, strano. Emanava lo stesso odore disgustoso che diceva sempre a Severus di tenersi alla larga da lui. Ma ora era intrappolato nella vasca. E vedeva che sua madre era spaventata.

“Eccoti qui, puttana, a nasconderti da me,”  farfugliò suo padre.

“Per favore, Tobias, non ora, il bambino… “lo supplicò.

Ma suo padre non sembrava averla sentita affatto. Le afferrò il braccio e la strattonò per farla alzare da dov’era inginocchiata accanto alla vasca, spingendola fuori dal bagno. La donna rivolse al figlio un ultimo sguardo carico di panico da sopra la spalla.

“Severus, finisci di lavarti, va bene?”

La sua voce tremava e stonava proprio con quello che aveva appena detto. Un momento dopo, sentì sbattere la porta della stanza attigua, la camera da letto dei suoi genitori, quindi un tonfo, un grido represso, uno schiaffo e un altro ancora. Poi sembrava che sua madre stesse gemendo e sentì degli strani rumori, come se qualcuno stesse ansimando. Si ficcò le dita nelle orecchie, non voleva sentire. Aveva paura. Non sapeva esattamente di cosa aveva paura, ma capiva che c’era qualcosa che non andava. La schiuma gli stava colando giù sulla faccia e dovette strizzare gli occhi perché questa non li facesse bruciare. Rimase lì seduto, circondato dall’oscurità e dal suono del suo stesso sangue che gli rombava nelle orecchie, sentendo solo l'odore tagliente del sapone e l'acqua che diventava sempre più fredda. Cominciò a tremare, sperando che sua madre ritornasse per farlo uscire dalla vasca, ma lei non venne.

Alla fine si rese conto che avrebbe dovuto passare la notte nell'acqua fredda, se non si fosse riscosso e si fosse preso cura da solo di se stesso. Piegandosi, provò a immergere la testa sotto l'acqua, sfregando le mani sul viso e sui capelli per lavare via il sapone. Finalmente poté aprire di nuovo gli occhi. Uscì dalla vasca con i denti che battevano e si asciugò con il vecchio asciugamano ruvido di famiglia, prima di scivolare nuovamente dentro i suoi vestiti che si trovavano ancora a terra accanto alla vasca, adesso freschi di bucato.

La casa era scura e silenziosa mentre scendeva le scale in punta di piedi verso la cucina. Il suo stomaco era ora così vuoto da quasi dolere. Alla tavola della cucina c’era seduta sua madre, con la testa tra le mani. Sembrava triste, ma non riusciva a capire se stesse piangendo. Quando lo sentì avvicinare, sollevò lo sguardo e sorrise, un sorriso che non sembrava felice come invece avrebbe dovuto. Severus voleva chiederle se andava tutto bene, ma non sapeva come prendere l’argomento.

“Severus, è ora di cena,” gli disse cinguettando, come se niente fosse accaduto, continuando ad aprire e chiudere gli sportelli della credenza, recuperando un piatto e un po’ di pane, mentre lui si sedeva.

Quando infine gli mise davanti al suo pasto, Severus era quasi eccitato. Era meglio del solito, poiché il consueto pane raffermo era accompagnato da un pezzo di formaggio e c’era persino una mela. Sua madre lo guardò mentre trangugiava affamato il cibo. Si domandò se questo trattamento fosse un segno di amore, ma lo sguardo di sua madre era triste e non ne poteva essere tanto sicuro.

“Adesso fila a letto, tu,” disse non appena ebbe finito.

Voleva darle l’abbraccio della buonanotte, ma gli sembrava così distante, e non sapeva se fosse una buona idea. Così invece, salì riluttante le scale senza dire una parola, strisciò nel suo letto e si tirò le coperte fin sopra le orecchie.

La luce fioca dell'alba stava già filtrando attraverso il vetro sporco dell’unica finestra presente quando Severus Piton riemerse dal quel cupo ricordo. Erano anni che non pensava a sua madre. Non sapeva bene cosa provasse per lei. Certo, pensava che fosse sua, in gran parte, la colpa dell’infelicità che aveva provato quand’era bambino -  sua e di quell’ubriacone di marito che si era scelta - ma allo stesso tempo lei stessa era stata una vittima e innamorarsi dell’uomo sbagliato sembrava essere un tipico errore della maggior parte delle donne. Ricordandosi l’ultimo esempio di una tale stupidità con il viso corrucciato, uscì dalla vasca e si scagliò addosso un incantesimo asciugante.

Mentre si vestiva, si rese conto di avere un piccolo oggetto arrotondato nel taschino dei suoi abiti. Lo prese e quando vide cosa era, il suo ghigno diventò ancora più cupo. Felix Felicis - o fortuna liquida, come veniva chiamata, era una pozione che Piton si divertiva a fabbricare per la sfida che essa rappresentava, ma non si sarebbe mai sognato di usarla, tranne forse in circostanze disperate. Non aveva mai contato sulla fortuna ed era una buona cosa, perché non ne aveva mai avuto. Solo gli stupidi credevano nella fortuna. Lui, invece, aveva realizzato tutto nella vita contando sulla propria abilità, intelligenza e duro lavoro. A partire dalle circostanze più sfavorevoli, era riuscito persino a ricoprire la carica di Preside di Hogwarts, una posizione di cui andava più fiero di quanto volesse ammettere. Il suo ritratto avrebbe raggiunto quelli dei più grandi nell'ufficio del Preside, in cui sarebbe stato per sempre ricordato e rispettato, se non fosse stato per quella sciocca malata d'amore alla quale doveva la piccola bottiglia in suo possesso.

Si voltò bruscamente, estraendo la bacchetta per far sparire l'acqua dalla vasca insieme alla pozione. Ma quello che vide lo gelò sul posto. Era possibile che ci fosse stato ancora così tanto sangue nei suoi capelli? L'acqua era rossa.

L'acqua era rossa. Era sangue, c’era sangue dappertutto, strisciato sulle mattonelle, gocciolato sul pavimento. Un momento prima, cercava sua madre per le stanze silenziose di casa sua, desideroso di comunicarle i risultati dei suoi MAGO. Sette MAGO, tutti Eccezionale, tranne che per un’O in Antiche Rune, avrebbero veramente reso lei e la sua Casa fiere. Ma la persona che stava cercando era dentro la vasca, senza vita, con la testa reclinata e i capelli che ricadevano come una cascata nera sul pavimento.

No. Non un altro viaggio nei suoi ricordi. Ricacciò indietro quelle immagini sgradite, ma si sentì male quasi fisicamente ed era veramente felice che il suo stomaco fosse vuoto. Doveva andarsene. Non sopportava di stare in quella casa un momento di più.

Scese velocemente le scale per l’ultima volta. La porta principale si richiuse dietro di lui con un tonfo mentre si allontanava in la strada con lunghe falcate. All'esterno, era sopraggiunto il nuovo giorno, l'aria era fredda e tonificante e il sole faceva capolino all’orizzonte al di sopra della fabbrica abbandonata. Era una mattina gloriosa, ma Piton non aveva lo spirito per godersela. Era arrabbiato. La sua intera vita era stata un macello e tutto era cominciato da lì - nato in povertà, trascurato e maltrattato dai suoi stessi genitori, evitato dai suoi arroganti parenti maghi, preso costantemente in giro e umiliato dai suoi compagni di Hogwarts, ignorato dal suo Capocasa e dagli insegnanti malgrado i suoi ottimi voti – doveva sorprendere che fosse stato attirato dalle uniche persone che riconoscevano i suoi meriti? Le uniche da cui si sarebbe dovuto tenere alla larga? Anche dopo aver voltato le spalle al lato Oscuro, era stato soltanto usato e manipolato stato dai suoi cosiddetti alleati, non ricevendo altro se non disprezzo e ingratitudine da quelli per la cui protezione aveva rischiato la vita. Aveva sempre saputo che la vita non era giusta, ma era come se l'intero mondo avesse cospirato contro di lui ed era stanco, stanco di pescare sempre il bastoncino più corto*. Lasciò che la sua rabbia prendesse il sopravvento, sommergendo tutti i suoi sensi, concentrandosi e amplificandosi attraverso il suo braccio teso verso la sua bacchetta. Quando la rilasciò, ci fu un’esplosione vigorosa che fece tremare la terra sotto i suoi piedi. I mattoni e gli altri materiali usati per fabbricare casa sua non potevano reggere una tale forza magica, un così rabbioso potere. Vennero distrutti, scagliati in aria da un'esplosione che poteva essere sentita anche a miglia di distanza.

Mentre la polvere si depositava, Piton rimase fermo, immobile, a fissare le rovine della sua casa d'infanzia con un’improvvisa sensazione di calma. Questa volta, tutto sarebbe stato diverso. Aveva ancora un asso nella manica. E che fosse proprio lui il produttore della pozione non lo rendeva forse l'architetto della sua stessa fortuna? Quel pensiero, da solo, sembrava rendere il suo impiego più accettabile. All’orizzonte, sentiva le sirene dei vigili del fuoco Babbani in avvicinamento. Stavano venendo a causa dell’esplosione, e non voleva dar loro l'occasione d’interrogarlo. Con una rinnovata risoluzione, stappò la boccetta a sua portata, ne deglutì il contenuto, e sparì nel nulla con un debole schiocco.

A/N: Ancora interessati? Ritagliatevi un momento per recensire e farmi sapere che ne pensare, per favore! Potrebbe pure servire per farmi scrivere più veloce!

*Si allude a un tipo di conta. Si mettono dei bastoncini (o fili di paglia) in mano, e chi pesca il più corto, perde. Qui è usato come metafora per la sfortuna.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=482272