Black.

di Hayley Lecter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black. ***
Capitolo 2: *** Black -- Il seguito. ***



Capitolo 1
*** Black. ***


Black.

Ogni riferimento a cose o fatti è puramente casuale. Questa fanfiction non ha assolutamente scopi di lucro,
è stata semplicemente creata con l'intenzione di riversare sulla carta,
un mondo che appartiene alla sottoscritta, appartiene solo a me.
E sono felice, di avere questo piccolo spazio, questa piccola terra dove rifugiarmi.
Tu ci sei sempre stato per me, c'è stato un periodo in cui pensavo che evitarti sarebbe stato meglio.
Ho negato a me stessa, quel pezzo di cuore che è sempre stato mio. Sempre.
Ma non l'avevo capito.
E adesso che ho compreso quanto tu possa essere importante, chiudo qui questo piccolo prologo,
che ho aperto solo per far sapere al mondo, che dietro un lurido pc, ci sono anch'io.
Non troverete nulla di speciale in questa storia, almeno non per me, non riesco ad accontentarmi mai per quello che faccio.
Comunque, un commento non guasta ù.ù, accetto critiche, di tutto >_<


- Non posso.. -
Bill era stordito, confuso. Sembrava essere entrato in trance, guardava fisso il pavimento,
mentre stava seduto, gli occhi vitrei e senza espressione.
Jessica gli sfiorò la mano destra, che penzolava, poggiata sulla rispettiva gamba.
Ma a quel contatto, Bill si scansò, e in quel momento lei capì.
Si rese conto in quell'attimo di aver perso tutto, tutto quello che aveva bramato, lo aveva ora perso,
ed era già cosciente, che nessuno avrebbe mai potuto ridarglielo.
Lo conosceva e proprio per questo, era arrivata alla conclusione che forse era meglio così,
non voleva infierirgli altro male, non era quello che si meritava.
La sua figura alta e imponente, si erse ed uscì dalla stanza, senza proferir parola.
Non si voltò, non ci fu gesto che Jessica pregava in quel momento che Bill potesse fare.
Semplicemente, sapeva che da quel momento in poi i loro occhi non si sarebbero mai più incontrati.
Lei vagò per i corridoi, nella speranza di trovarlo, asciugandosi in fretta le lacrime che le imperlavano il viso,
ma tutto quello che le rimaneva di Bill si trovava tre piani più sù, nella camera dove avevano dormito la sera scorsa,
e l'ultima probabilmente dove avrebbero dormito insieme.
Jessica salì i gradini a due a due, non si preoccupò nemmeno di prendere l'ascensore.
Le lenzuola erano ancora smosse, il telecomando poggiato sul settimanile, proprio lì dove Bill lo aveva lasciato,
prima di andare a fare colazione. Era successo tutto troppo in fretta, ma doveva acccadere.
Lei non avrebbe più potuto vivere con un tale peso sulla coscienza, e così di punto in bianco, adesso, si ritrovava a piangere solo e soltanto per causa sua,
circondata da quelle quattro mura proprio dove lei e il suo ragazzo, avevano atteso che il sole sorgesse,
l'una tra le braccia dell'altro.
In quel momento, mentre Bill la circondava amorevolmente con affetto, le fu chiaro che non meritava altro dolore.
Non avrebbe più sofferto per causa sua.
Afferrò delicatamente quel lenzuolo,
quasi per timore che potesse polverizzarsi tra le sue dita e rimase in attesa di un suono, che non arrivò.
Passò dieci minuti buoni, a singhiozzare tra quelle coperte,
inspirando il profumo che aveva lasciato il suo corpo, pentendosi come mai.
Si rifiutava di ammettere qual'era stata la fortuna che l'aveva baciata, continuò a ripetersi che non l'aveva mai meritata.
Si alzò lentamente, trascinando il lenzuolo con sè, finchè imboccò nel bagno e sul lavandino trovò una matita nera.
L'afferrò senza pensarci due volte e la strinse talmente forte da farsi male, le unghie le perforarono la carne,
tanto aveva stretto le mani in pugni.
Piccoli rivoli di sangue le scivolarono sulle dita, non le importava, oramai non le importava più nulla di cosa fosse il dolore,
o di quanto ne stesse provando. Niente più contava.
Poteva solo pregare in silenzio, che la morte sopraggiungesse presto su di lei.
Si guardò allo specchio, e non vide altro che un viso sfigurato dal pianto, dalla menzogna, dalla disonestà.
Il trucco era già colato via, somigliava tanto ad un clown, con gli occhi cerchiati di nero, la bocca e le guance arrossate.
Proprio l'altra sera, davanti a quello specchio, Bill le stava dicendo quanto effettivamente stesse bene anche senza trucco.
Lui l'aveva accettata così com'era, senza uno specifico make-up nè acconciature strane,
non aveva mai preteso nulla da lei, tranne forse di rifornire casa sua di dolci e schifezze,
quando si davano appuntamento lì e passavano le serate libere, davanti alla tv,
condividendo il divano e rimpinzandosi di caramelle gommose e patatine.
Ma adesso, tutto questo apparteneva al passato, e un chiaro e lucido ricordo, venne assalito da una strana nebbia,
divenne nebuloso e le immagini si allontanarono velocemente e niente l'aiuto a riprenderne il possesso,
proprio come se avesse provato ad acchiappare dell'aria con le mani.
Riuscì a malapena ad uscire da quella stanza, senza voltarsi, afferrò il pomello della porta e la sbattè alle sue spalle.
Aveva visto abbastanza, decisamente troppo.
Ripose frettolosamente la matita nera e il lenzuolo, che adesso sembrava più un fagotto bianco,
ripiegato malamente, sul fondo della borsa.
Scese le scale, incontrò un cameriere che la guardò allibito, passò in rassegna a diverse porte,
finchè dopo una seconda rampa di scale, giunse nella hall,
dove un paio di valigie erano state allineate davanti all'entrata principale, e avevano un'aria familiare.
- Il signor Kaulitz? Sono la sua ragazza... -
Le tremolò la voce, quando debolmente si sforzò di pronunciare quelle parole.
Sapeva di non essere più degna di poterlo fare, ma voleva almeno per un'altima volta, vederlo.
Il portiere, la scrutò attentamente, poi le rivolse uno sguardo dolce,
e Jessica si sentì sprofondare ancor di più nel senso di colpa.
- Attende con il resto della band nel salottino, signorina. La navetta per l'aereoporto stà per arrivare. -
Fluttuò per il corridoio, cercando di non cedere, le gambe non le avrebbero retto,
e intanto continuava ad avanzare, con il cuore in gola e la testa vuota, che le rimbombava.
Nell'istante in cui attraversò di un millimetro l'ingresso del salottino, fece appena in tempo a scansarsi,
che i ragazzi passarono in fila indiana, uno dietro l'altro, senza guardarla in faccia.
Bill era l'ultimo, e mentre Jessica teneva lo sguardo basso, lui la fulminò con il suo, poi girò la testa dall'altra parte,
e si diresse a passo svelto verso l'uscita dove il giovane facchino, che aveva già caricato la sua valigia in vettura,
lo attendeva speranzoso per una mancia.
Lei tirò sù col naso, studiando la sua figura allontanarsi, scendere gli scalini e poi, salire sulla navetta.
Si avvicinò al vetro della grande finestra del salottino, scostò una tenda e da lì,
poteva ben vedere Georg e Gustav che scambiavano due parole, e dietro, nei sedili posteriori sedevano Tom e Bill.
Il primo, aveva l'aria imbronciata. Chiaramente irritato tentò di proferir parola a Bill, che forse per caso, gettò uno sguardo sulla finestra.
I loro occhi si incrociarono, e in quel momento entrambi seppero che no, una prossima volta non ci sarebbe mai più stata.
La vettura partì, Jessica udì il suo motore rombare fino ad un certo punto,
finchè pian piano andò ad affievolirsi e sparì, inghiottito dai chilometri che li distanziavano.

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Capitolo 2
*** Black -- Il seguito. ***


Black.
Il seguito.

 

Bene, non sò come, ma presa dall'ispirazione ho deciso di scrivere il seguito di Black.
Quindi, eccovi un'altra One-Shot.
Spero che abbiate gradito il primo episodio, e che questo, il secondo e l'ultimo, non sia da meno :)
 
 
Chiuso in soffitta, c'era un vecchio scatolone.
Di quelli dal cartone spesso, tre dita di polvere l'avevano assalito e dopo aver gettato uno starnuto,
Jessica si asciugò il naso e lo aprì con mani tremanti.
Fremeva, oramai eran passati anni, dall'ultima volta che lo aveva aperto,
troppi anni e temeva che le cose al suo interno si fossero rovinate.
Si chiese come mai, di tanti posti di gran lunga migliori, avesse scelto proprio uno scatolone,
ma la risposta le arrivò subito alla bocca.
La casa in cui abitava precedentemente era troppo piccola, la sua stanza era poco più grande di uno sgabuzzino,
e per questo motivo le era stato imposto che se voleva tenere le cose più care,
avrebbe dovuto riporle in una scatola di cartone.
Si lasciò sulle dita un pò di polvere, dopo averlo aperto, poi strofinandosi le mani sulla maglietta,
afferrò meccanicamente la prima cosa che le era capitata a tiro.
Un bracciale di bigiotteria, non era di marca conosciuta, e non aveva nulla di speciale,
se non delle rifiniture dorate e due iniziali scolpite.
Lo stomaco di Jessica fece una capriola, se ne era dimenticata.
Se lo rigirò nelle mani, finchè non l'ebbe studiato con cura, poi lo mise da parte.
C'erano tre cd ben allineati sul fondo della parte destra della scatola,
la plastica che li conteneva era diventata opaca e qualche graffio le davano un'aria vissuta.
Anche quelli, dopo essere stati controllati a dovere, furono messi da parte.
Ma quel che più di tutto, le colpì il cuore, fu un foglio ripiegato in quattro parti.
Lo trovò mentre rovistava il contenuto, che comprendeva due t-shirt e una felpa piegate con meticolosa attenzione.
Lo dischiuse con curiosità, chiedendosi quali parole celasse quella carta.
Si alzò e aprì la finestra, facendo si che la soffitta fosse investita dalla luce del sole.
Non appena posò gli occhi sul foglio, le si mozzò il respiro.
Riconobbe la calligrafia pulita e un pò sghemba, a tratti frettolosa.
In cima c'era una data, 25.12.08
Il giorno di Natale.
Allora, aveva ancora sedici anni.
Fu come se la bocca le si fosse riempita di ovatta,
deglutì sonoramente e continuò a leggere, avida di sapere.
Ripercorse momenti, che la sua mente aveva cestinato,
ma adesso la sua memoria era stata rinfrescata da oggetti e parole,
e si pentì, di non averli custoditi per bene, perchè avevano un valore, un valore che secondo lei,
chiunque altro avrebbe potuto conservare in modo migliore.
Fu del tutto strano riconoscere ciò che voleva fino a pochi anni fa, e ciò che si era meritata, per ritrovarsi qui.
Lesse il tutto quattro o cinque volte, forse anche di più, per un tempo indeterminato.
Poi accortasi che i suoi occhi viaggiavano senza conoscere freni in ogni parte del foglio,
semplicemente per imprimere nella mente ogni dettaglio, decise di passare ad altro,
e si trovò tra le mani una boccetta vuota di bolle di sapone, un fazzoletto bianco e un biglietto aereo.
Tutto quello che aveva messo da parte tre anni fa,
e che aveva rimosso volontariamente, per farsene una ragione.
Bill non sarebbe mai più rientrato a far parte della sua vita e a lei,
sebbene i primi due anni avesse sofferto molto per questo, andava bene così,
il dolore che gli aveva procurato e il senso di colpa che gli nasceva dentro,
quasi fosse un prodotto infiammabile che al suo contatto si incendiava, le avevano impartito una lezione.
Dopo quelle ore trascorse in soffitta, tra vecchi oggetti e ricordi,
che aveva preferito accantonare, scese le scale e si diresse verso il salotto.
I suoi cagnetti le fecero le feste, scondinzolando allegramente al suo ritorno.
Ma in quell'istante qualcosa nella loro espressione cambiò,
i loro piccoli volti pelosi si erano contratti e cominciarono ad abbaiare furiosamente,
dirigendosi all'entrata e grattando sulla porta.
Jessica si diresse all'uscio ancora frastornata,
aveva ancora la boccetta vuota delle bolle di sapone in mano e l'aria assente,
e di certo la presenza che vide in attesa alla porta, non appena l'aprì, non l'aiutò.
Bill Kaulitz in persona le balenò di fronte, aveva i capelli tirati all'indietro e tenuti a bada da un bel pò di gel,
indossava una giacca in pelle nera lucida, un pantalone stretto e nero e un paio di stivali a cinghie grosse.
Il trucco gli incorniciava gli occhi nocciola, sembrava uscito da un istituto di bellezza,
almeno quello traspariva l'effetto che dava agli altri.
Invece era bello sempre, aveva imparato a scegliere vestiti, a curarsi l'aspetto autonomamente,
e persino molte ragazze per questo lo invidiavano.
Lo sguardò di Jessica era privo di espressione,
non avrebbe mai immaginato una comparsa del genere sull'ingresso di casa,
e sembrò disorientata quando Bill le chiese gentilmente:
- Mi faresti entrare un secondo? -
Lei annuì, basita, chiedendo a sè stessa se il destino,
avesse voluto far coincidere quel ritorno ai vecchi tempi.
Fu Bill ad intavolare il discorso per primo, solitamente fra i due, Jessica era sempre stata la più silenziosa,
adesso il mutismo le aveva divorato ogni possibilità che aprisse bocca.
- Allora, come vanno le cose? -
Sembrava tranquillo, pacifico.
Il suo viso, era sempre rimasto lo stesso, angelico, impassibile, assolutamente stupendo.
- Direi bene.. si. E tu? -
Jessica cercò con tutte le forze, di nascondere l'emozione e la vergogna,
e lo fece evitando di guardarlo in faccia. Come poteva dopotutto? Era stata lei a tradirlo.
- Idem.. abbiamo un nuovo progetto, per un disco, sai?
Credo che anche stavolta, utlizzeremo qualcosa di elettronico, proprio come per Humanoid. -
Stava accarezzando i cani, che rimasero nella stessa posizione per svariati minuti,
conquistando l'attenzione del ragazzo, facendosi coccolare.
Un silenzio di tomba calò tra i due, stavolta fu Jessica a porgere una domanda.
- E tuo fratello, sta bene?! Gli altri? -
Dopo aver accarezzato un ultima volta i cagnolini, Bill le rispose.
- Bene, stanno tutti bene... tutti, tranne me. -
Jessica si sentì sprofondare, nel momento in cui l'aveva visto sulla soglia,
aveva temuto che lui le rinfacciasse ogni cosa, e quel momento sembrava prendere una piega.
- Se stai male, è solo colpa mia. Sono pronta, puoi dirmi quel che vuoi, sò benissimo che ho sbagliato,
sono cosciente del fatto che... tu mi amavi. E io, da perfetta idiota, ho sbagliato, so bene che ho sbagliato.
Non sai quanto io mi senta il colpa per questo, non sai quante notti insonni io abbia passato,
e quanti giorni abbia trascorso pensandoti, perchè non meritavi tutto il dolore che ti ho inferto,
non sai per quanto tempo mi sono augurata la morte per ciò che ti ho fatto e come vorrei che tu non mi abbia mai incontrata in passato,
se non mi avessi conosciuta tutto ciò non sarebbe mai accaduto. -
Di colpo, il mattone che aveva sullo stomaco sembrò materializzarsi e il nodo alla gola si sciolse,
facendole salire le lacrime, che aveva cercato di trattenere,
ma a quel punto si rese conto che impedire loro di scorrere sulle sue guancie avrebbe fatto ancor più male,
sopprimere quella sua voglia liberatoria sarebbe stato controproducente.
Fu in quel momento, che calde lacrime le scesero giù, implacabili le marchiarono il volto.
Si mise la testa fra le mani e desiderò di non essere mai nata, si ripudiava,
le sembrò di essere ritornata a quel giorno, tre anni indietro, di rivivere quell'incubo.
Bill la guardò senza commentare, aveva aggrottato la fronte e restò di sasso,
evidentemente non si aspettava una tale reazione.
- Non sai per quanto tempo ho desiderato chiamarti. Volevo rintracciarti, ma.. capivo che non era la cosa giusta da fare.
Ripetevo a me stesso, che tu avevi creato questo pasticcio e tu dovevi scontarlo.
Continuavo a tenere il cellulare in mano senza motivo, magari sperando che fossi tu a volermi sentire,
ma sò che sei una persona orgogliosa e ho smesso di sperare, sò che quando sbagli, sai perfettamente riparare e imparare.
Per me, è stato un colpo troppo basso, una pugnalata, capisci? Non realizzavo, non immaginavo che tu arrivassi ad un gesto del genere. -
Si erano seduti sul divano un paio di minuti prima di parlare, Bill le si era avvicinato e adesso la guardava,
mentre lei singhiozzava e scuoteva il capo.
- Non voglio nemmeno immaginare quanto tu sia stato male per colpa mia..
Ti devo molto, qualsiasi sia lo scotto da pagare, mi preoccuperò di farlo a dovere. -
Jessica lo guardò intensamente, con gli cerchiati di rosso e le mani affette da un tremolio,
sembrava perfettamente sicura di quel che diceva,
evidentemente aveva vissuto per cosi tanto tempo con questo peso sulle spalle,
che ci aveva fatto l'abitudine e non contenta, voleva dell'altro, quanto aveva già sofferto non le bastava.
Bill la fissò preoccupato, qualsiasi fosse lo scopo per il quale era venuto a farle visita,
non era certo per spargere altro sangue.
- Credo che tu abbia già pagato abbastanza,
adesso tutto quello che devi fare è asciugarti il naso e calmarti. -
Accorse verso di lei, estraendo dalla borsa un pacchetto di fazzoletti,
poi porgendoglieli restò seduto al suo fianco, sperando che si riprendesse.
- Invece no, invece credo che tutto quello che mi merito, è stare da sola.
Tu non dovresti essere qui. -
Accigliato, lui le domandò:
- E perchè non dovrei essere qui? Ho sempre fatto di testa mia,
anch'io ho un orgoglio e una morale sù come stare al mondo.
Ho una mia concezione sull'amore, ce l'ho sempre avuta ed è rimasta tale fino ad oggi.
Ma sono pronto a perdonare le persone, Jè.. soprattutto se fra queste ci sei tu. -
Lei era impassibile, perchè?
Perchè non capiva, che non voleva ferirlo di nuovo?
- Io no, Bill.. io non sono pronta a perdonarmi.
Come fai a provare così tanta compassione per me?
Come hai fatto ad inghiottire un boccone così amaro? -
Lui sorrise accondiscendente.
Si, si era lasciato alle spalle tutto.
Aveva incontrato tante persone false ed invidiose nella sua vita,
anche prima che acquisisse fama e popolarità, ma di certo era stato capace di scegliere quali erano marcie e quali no.
E anche se aveva commesso un grave errore, Jessica le sembrò indifesa in quell'istante.
Non sapeva spiegarsi bene il perchè, ma dopo quei tre anni passati a disperarsi per lei,
non poteva non ammettere almeno a sè stesso, che ne era ancora innamorato.
- Tu non sei cattiva, non lo sei mai stata. E neanch'io. E questo vorrà pur dire qualcosa. -
Ognuno di loro, aveva esposto ciò che lo opprimeva nel profondo, avevano esternato i propri punti di vista,
così i loro occhi si incontrarono per la prima volta dopo tre anni, per una frazione di secondo.
- Perchè sei qui? -
Ecco, la domanda le era sfuggita prima di poterla frenare, e aspettare ancora un pò,
giusto per acquistare qualche secondo in più, e soffermare l'attenzione sugli occhi che aveva dolorosamente asportato via,
come se quegli occhi fossero stati infettati da una malattia, e lei non aveva avuto altra scelta,
se non rimpiazzarli con altri, che non sarebbero mai riusciti a compensare quel vuoto, quel buco nero.
Lo stesso buco nero che le aveva risucchiato la ragione, e aveva risputato soltanto frustrazione e rassegnazione.
Con entrambe aveva imparato a convivere, dopo la scomparsa di Bill dalla sua vita.
- Perchè non sopportavo l'idea di starti lontano, non più. -
Era adulto ormai, ma Bill non era riuscito ad estirpare la timidezza, non più di quanto avesse sperato,
e cominciò a giocherellare con le cinghie degli stivali, rosso in volto.
Irresistibile fu l'idea di abbracciarlo, non appena udì quelle parole uscirgli dalla bocca,
quella bocca di cui non conosceva più il sapore.
- Che cosa dici? -
Jessica era arrivata al limite della sopportazione, ma da una parte non credeva alle proprie orecchie,
non credeva possibile che lui le avesse rivelato ciò che aveva appena sentito.
- Solo questo. -
Detto ciò, Bill si sporse e cogliendola impreparata la baciò.
Non era un bacio passionale, ma distaccato, quasi timoroso che avesse preso la scossa a contatto con le labbra di lei.
Si, Jessica aveva sperato che tutto questo avvenisse.
Nonostante fosse emotivamente distrutta, e moralmente un rottame, Jessica aveva sempre sperato in un lieto fine,
o quantomeno che il senso di colpa si sarebbe alleviato e le avrebbe concesso di vivere il resto dei suoi anni in pace.
Decisamente, il suo cuore sembrò essersi resettato, dopo quel bacio.
Poi si alzò, salì in fretta le scale, mentre Bill la guardava con interesse,
e arrivò con un oggetto piccolo e nero fra le mani.
- Questa è tua, ricordi? -
Porse a Bill, la matita nera che tre anni fa, lui aveva lasciato sul lavandino,
in hotel, il giorno stesso in cui tutto era andato catastroficamente a pezzi.
- E pensare che l'ho cercata come un matto! Possibile, che è sempre colpa tua? -
Risero insieme.
I loro visi erano distesi, Jessica non si era mai sentita così leggera.
- Mangi qui? -
Bill annuì energicamente, balzò in piedi e corse fuori, in giardino seguito a ruota dai cani,
che presero a rincorrerlo e a giocare.
Cosa si era impossessato di lei, tre anni fa?
Sorrise, guardandolo togliersi la giacca e buttarla in un angolo,
per poi rotolarsi per terra, come un bambino troppo cresciuto.
Nel contempo, pensò con tristezza ai momenti passati in totale isolamento e solitudine.
C'era ancora tanto, da vivere al fianco di quel ragazzo che le aveva sconvolto l'esistenza e pensare a cosa sarebbe venuto dopo,
non le mise ansia, anzi la rallegrò.
Dirsi tra sè e sè, che niente era più perduto, rivederlo, tutto aveva avuto la funzione di un tonico.
Non era stata solo fortuna o pietà.
Il loro destino si era intrecciato, poi diviso e adesso riunito, per un'ultima volta volta,
Jessica sentì scendere sullo zigomo una lacrima, che il trucco aveva reso nera.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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