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Note dell’autrice:Questa storia è nata da una mia voglia
improvvisa di scrivere una fiction ambientata in un’epoca passata, quando
non esistevano ancora le comodità che possiamo permetterci oggi, quando
la gente per portare a casa un pezzo di pane era co
Note dell’autrice:Questa storia
è nata da una mia voglia improvvisa di scrivere una fiction ambientata
in un’epoca passata, quando non esistevano ancora le comodità che
possiamo permetterci oggi, quando la gente per portare a casa un pezzo di pane
era costretta anche a spezzarsi la schiena dal tanto lavoro, quando la vita per
le persone era difficile… e forse, allo stesso tempo, facile. Non ho idea
se la Storia Universale avrà
un qualche riscontro sulla Storia dei personaggi, ora come ora è una
storia senza tante pretese che però vorrebbe
raccontare qualcosa di importante: una storia d’amore qualunque, che
spero possa riuscire a toccare il
vostro cuore.
È
scesa la neve, divina creatura
a visitare
la valle.
È
scesa la neve, sposa della stella,
guardiamola
cadere:
Dolce!
Giunge senza rumore, come gli esseri soavi
che temono di far male.
Così scende la luna, così scendono i sogni....
guardiamola scendere.
Pura! Guarda la valle tua, come sta ricamandola
di gelsomino soffice.
Ha
così dolci dita, così lievi e sottili che sfiorano senza toccare.
G.
Mistral
“È scesa la neve”
I
Giorni d’estate
Maggio 1755
Villaggio di Bedlington, Wansbeck
(1)
L’estate s’era decisa ad arrivare,
raggiungendo persino le sperdute campagne del Wansbeck, riportando alla vita la
terra divenuta secca e priva calore nel periodo invernale.
L’inverno era stato particolarmente rigido quell’anno e troppo a lungo
aveva trattenuto tutti noi nella sua gelida morsa di ghiaccio e neve; sembrava
quasi voler durare per sempre e marzo non fu tanto diverso da febbraio,
così come aprile non lo fu da marzo.
Venti gelidi provenienti dal nord avevano
infuriato impietosi nella brughiera e nella campagna, strappando dai rami i
fiorellini appena nati gettandoli a terra senza alcun ritegno, mentre la neve
per un desiderio irrazionale e crudele era caduta fino alla fine di marzo,
ghiacciando anche i primi accenni di primavera e di nuova vita che con coraggio
erano spuntati da quel manto freddo e crudele. Ma
adesso era finita.
Con
l’arrivo di maggio la stagione calda s’era
finalmente decisa ad uscire allo scoperto, portando un po’ di allegria e
colori nei prati e nelle campagne assieme al promettente caldo di
un’estate ormai prossima; con la bella stagione anche le mandrie adesso
potevano uscirsene fuori dalle stalle e trascorrere le
loro oziose giornate nei pascoli verdi, mugghiando tranquille e beate al riparo
dei muretti di pietra.
Per quanto mi riguardava, ero
più che mai propensa a godermi fino all’ultimo istante il caldo
tepore del sole sul viso, seduta comodamente sull’erbetta verde e fresca,
giocherellando con i ciuffetti fragranti, passandoli tra le dita e magari
raccogliendo qualche fiore da portare a casa, l’ombra della quercia
secolare era una panacea nelle ore più calde della giornata e dalla sua
posizione strategica – sopra la collina – era perfetta come ‘torre’
di vedetta, ottima per osservare il villaggio poco distante dai pascoli, oppure
per dare un’occhiate alle greggi di pecore, cosa che mi
stavo curando assolutamente di non
fare: era una giornata troppo bella per essere
sprecata a tenere d’occhio un branco di ovini puzzolenti e noiosi…
ma la coscienza ricordò a me stessa che ero pagata per tenerli
d’occhio, perciò non potevo permettermi alcuna distrazione.
Sbuffai contrariata e mi misi lunga
distesa sotto l’ombra della grande quercia,
crogiolandomi tra i canti estatici degli uccelli e godendomi appieno quel
piacevole tepore estivo; non mi era mai piaciuto badare al bestiame, ma se
questo poteva evitarmi una giornata intera immersa fino al gomito in compiti
come: spolverare, cucinare, lavare i panni o una qualsiasi faccenda avesse a
che fare con mansioni femminili… avrei anche accettato di fare la
guardiana di porci anche tutta la vita, piuttosto!
Non
che non fossi in grado di svolgere lavori tipici da donna come ad esempio
rammendare calzini o camicie, ma non lo trovavo per niente edificante; al
contrario di mia sorella, che trascorreva la maggior parte delle sue giornate
tappate dentro casa a cucinare e rammendare, io amavo l’aria aperta:
sentire l’aria fresca sul viso, assaporare il profumo dei fiori, persino
starmene distesa all’ombra di un albero a contemplare le nuvole passare
velocemente nel cielo estivo era bello. Non c’era proprio paragone.
Dovevo essermi addormentata;
quando sentii una voce maschile chiamarmi a gran voce balzai immediatamente a
sedere, provando un lieve stordimento mentre la testa
prese a girarmi come una trottola. Me la presi tra le mano
e la infilai tra le ginocchia, aspettando alcuni secondi, intanto la voce
continuava a chiamarmi con insistenza, senza darmi il tempo di rispondere:
<< Maddy! Maddy! Maddy! >> continuava aripetere.
<< Che c’è?
>> urlai io di rimando, senza accennare a sollevare la testa.
I passi adesso
erano più vicini e il ragazzo in pochi secondi fu vicino a me, sotto
l’albero.
Quando la testa
smise di girare su sé stessa decisi di alzarla
verso la persona che aveva continuato a invocare
Il mio nome a gran voce, come
uno scongiuro.
Il viso arrossato
per la corsa fino alla cima della collina, le labbra dischiuse in un costante
boccheggiare senza respiro, gli occhi scuri ed espressivi di John Maverick non
mi abbandonavano un secondo, quasi volesse farmi
capire quello che voleva dirmi attraverso di essi.
Mi
stiracchiai languidamente e sospirai, sentendomi appagata e rilassata, gli
sorrisi tranquillamente.
<< Ehi,
John, che ci fai qui? Non dovresti essere nei campi assieme
a tuo padre? >> domandai.
<< Lo stavo facendo!
>> sbottò lui e il viso si arrossò
ancora di più per la rabbia. Strinse i pugni contro i fianchi, quasi
avesse voluto trattenersi dal picchiarmi, ma la sua era solo
una facciata: John aveva diciassette anni ma aveva ancora un viso infantile e
nonostante fosse un ragazzo era più alto di me di appena una decina di
centimetri, tra l’altro non si sarebbe mai permesso di picchiarmi,
perché non glielo avrei mai permesso.
John inspirò
ed espirò più volte, quando ebbe ritrovato la
calma riprese a parlare. << Ero venuto a controllare che non ti
fosse accaduto nulla, ma adesso che ti ho vista… capisco tutto. >>
Lo guardai
piccata, aggrottando le sopracciglia, allora mi alzai da terra ed iniziai ad
assettarmi con cura l’ampia gonna di cotone grezzo, togliendo i pezzetti
di rami che si erano attaccati e anche le foglie verdi
della quercia. << Di che parli? >>
John roteò
gli occhi e poi indicò bruscamente l’ampio raggio dei campi che si
stendeva a perdita d’occhio all’orizzonte; la maggior parte degli
uomini del villaggio era intenta a mietere il fieno maturo e giallo, altri
invece erano tornati a prendersi cura dei campi adesso che la bella stagione
era tornata; John avrebbe dovuto essere assieme a suo padre…
<< Le pecore che dovevi
tenere d’occhio sono arrivate fino al campo… e adesso stanno
scorrazzando allegramente sotto il naso degli altri! Per questo sono venuto a
cercarti! Credevo che ti fosse accaduto qualcosa di male! E
invece tu… >>, fece una smorfia di puro disgusto, << te ne
stavi in panciolle sotto la quercia… a dormire. >>
Le pecore erano
scappate? Stava scherzando?... no, a vedere il
tratteggio duro della sua mascella e gli occhi ricolmi di rabbia, doveva essere
maledettamente serio.
<< Oh, mio Dio… allora
mi sono davvero addormentata?
>>
<< Così sembrerebbe
>>, disse lui sarcastico.
<<
Accidenti, e adesso che faccio? Mia sorella mi ammazza se lo
scopre! >> Mi misi le mani tra i capelli ed iniziai a scompigliarmeli
nervosamente, sperando di trovare una soluzione.
John
borbottò qualcosa di incomprensibile, poi mi
afferrò la mano ed iniziò a correre a precipizio lungo la
collina.
<< Dove mi porti? >> sbottai
dando dei forti strattoni cercando di liberarmi da quella morsa. Ma era
inutile.
John non si
voltò a guardarmi. << Dobbiamo riportare indietro le pecore
scappate, altrimenti saranno guai. >>
Era più
grande di me di un anno, eppure sin da piccolo a volte assumeva un
atteggiamento dispotico e autoritario nei miei confronti, quasi avesse avuto dei diritti inalienabili su di me; certo, ogni
volta che cercava di alzare la cresta nei miei confronti avevo sempre avuto
cura di rimettere quel galletto superbo al suo posto… ma tuttavia lui
stesso mi aveva fatto notare che le pecore non sarebbero tornate indietro da
sole, perciò occorreva sbrigarsi, e al più presto.
Trovammo quei
maledetti ovini impudenti al ruscello, intenti ad abbeverarsi placidamente
nelle fresche acque gorgoglianti oppure a brucare le erbette fresche che
crescevano vicino alla riva, incuranti del fatto che avrebbero potuto mettermi
nei guai con mio padre, o peggio… mia sorella.
John si raccolse il calzoni malandati fino al ginocchio, guardò per
alcuni istanti quell’acqua indubbiamente gelida, nonostante fosse maggio
inoltrato, poi prese a saltellare come una rana da un masso all’altro,
cercando di raggiungere quelle stupide pecore che, nonostante i nostri sforzi
per recuperarle, continuavano
Ad abbeverarsi e
a brucare il muschio fresco che cresceva vicino ai massi scivolosi.
Scivolò
sul sasso cui aveva appena appoggiato il piede, ondeggiò pericolosamente
per alcuni secondi, prima di ristabilire un minimo di controllo su quella
superficie scivolosa. << Dio… >>, fece per lanciare un
imprecazione, ma si fermò subito.
<<
John, forse… >>
<< Taci,
Maddy! Hai già fatto abbastanza, non ti pare?
>> sbottò a denti stretti, senza guardarmi negli occhi.
Imbecille pensai tra me e me; mi sistemai meglio la
gonna e mi sedetti su un tronco marcio, aspettando che finisse
di guadare il ruscello, lanciandogli delle occhiate annoiate, di tanto in
tanto.
Non so quanto tempo
impiegò, sempre troppo per i miei gusti; ci mancava solo un ultimo
masso, e questo era completamente ricoperto di muschio verde…
<<
John, aspetta… >>
Non feci in tempo.
Appena appoggiò la scarpa consunta sul
sasso, il piede cedette sotto quella scivolosa superficie verde, perse
l’equilibrio, ritrovandosi in acqua, bagnato fino ai calzoni.
La sua dipartita
contro quel nefasto nemico suscitò la mia ilarità e, ne
sono sicura, anche quella delle pecore. Quando affondò nella superficie
ciottolosa del rigagnolo sollevò spruzzi su
spruzzi d’acqua, accompagnati da un urlo sorpreso e spaventato da parte
sua; risi come se non fossi in grado di smettere, mi vidi costretta persino ad
afferrarmi la pancia con le mani per attenuare i dolori che sentivo, ma non
serviva aniente, continuavo a
sghignazzare senza sosta.
Quando cadde in
acqua, l’imprecazione che aveva trattenuto solo pochi
minuti prima, uscì dalla sua bocca, la urlò a gran voce
come se chi fosse nei paraggi fosse obbligato ad ascoltarlo, e io non smettevo
di ridere. Mi lanciò delle occhiate di fuoco, quasi avesse
voluto incenerirmi con solo l’aiuto degli occhi ma come era
prevedibile, non serviva a nulla.
Vedendo
che l’avevo offeso – e parecchio –, con tutte quelle risate,
mi tappai la bocca con le mani, soffocando il continuo scroscio di risa e
trasformandolo in una serie di singhiozzi isterici e ripetuti.
<<
Ridi, ridi pure! >> sbottò lui una volta uscito dall’acqua.
<< Ho cercato di
dirtelo >>, ansimai io, sentendo le costole scricchiolare contro
le stecche del corpetto per quelle continue risate soffocate e quelle
precedenti. Mi calmai un poco, riacquistando così una parvenza di serietà,
con le nocche mi asciugai le lacrime che stavano
colando dagli occhi, gli sorrisi allegra. << Ho cercato di avvertirti, ma
tanto non mi avresti ascoltato. >> Scrollai le
spalle, come se fosse un dato di fatto.
Conquistai
un’altra occhiata truce e malevola da parte sua, ma non ci feci caso. John si levò la camicia di lino grezzo e
prese a strizzarla con le mani: il suo petto glabro e magro era pieno di
goccioline che brillavano al sole quasi il suo petto fosse stato cosparso di
preziosi diamanti, i capezzoli gli si erano irrigiditi per l’acqua gelida
e lui non faceva che borbottare imprecazioni a tutto spiano, incomprensibili
alle mie orecchie.
Distolsi lo
sguardo, concentrandomi sulle pecore dalla parte opposta del ruscello: si erano
allontanate almeno due metri, rispetto a quando le avevamo trovate.
John mi
lanciò un’occhiata di tralice e gli ricambiai guardandolo con la
coda dell’occhio; mi parve di scorgere un sorriso sulle sue labbra
infantili. << Non mi dire! >> esclamò, improvvisamente
allegro. Si passò il palmo della mano sul viso umido, i capelli scuri
adesso gli si erano attaccati al viso e al collo quasi fosse stati
mescolati al miele; finì di strizzare la camicia logora e adesso
bagnata, poi se la appoggiò sulle spalle magre e ossute, si gonfiò
il petto quasi fosse stato un galletto superbo. << Non mi dire! Madelaine
Newbery… ti senti a disagio? >> il tono della sua voce aveva un che
di esultante e canzonatorio nei miei confronti.
Scossi brevemente
la testa, istupidita da quell’affermazione. << Perché
dovrei? >>
I suoi occhi
scuri si dilatarono, forse per la sorpresa, o per l’incredulità.
<< Come sarebbe a dire ‘perché dovrei’? >>
Con gli occhi tornai sulla sua figura magra, ancora a petto
nudo. Oh, adesso capivo…
Sorrisi. <<
Credimi John… potresti mostrarti a me anche senza calzoni… ma non
otterresti niente di più che un ‘Oh’ da parte mia. >>
Le sue guance
magre presero colore ancora una volta, mentre un’espressione rabbiosa e
di sdegno nei miei confronti si faceva strada nei suoi occhi. <<
‘Oh’? >> disse incredulo.
<< Diresti solo ‘oh’?
>> L’ostilità era quasi palpabile e fu difficile trattenere
un sorriso.
<< Esatto >>, replicai
convinta. << Stai insinuando che il tuo uccellino è cresciuto,
negli ultimi anni? >> domandai ingenuamente, inclinando la testa di lato.
Il colore delle
sue guance si fece ancora più scuro, diede un’ultima strizzata
alla camicia e se la rimise, borbottando insulti incomprensibili. << Ha!
Per quel che mi importa! >>
<< Come
se non sapessi che a te, gli uomini non interessano! >>
Quell’improvvisa
affermazione mi lasciò interdetta, soprattutto perché non riuscii
a capirne il senso. Aggrottai le sopracciglia confusa
e poi mi avvicinai un po’ di più a lui, guardandolo dal basso
verso l’alto, nonostante in realtà non ce ne fosse bisogno, lui
distolse lo sguardo e allora io gli girai attorno, guardandolo in viso.
<< Chi è stato a
dirlo? >>
Mi guardò in tralice e increspò le labbra, ma
non disse nulla.
<<
John… >> Odiavo le frasi dette a metà: se si iniziava un
discorso era perlomeno educato terminarlo, invece John era del tutto
intenzionato a farmi perdere la pazienza, gli tirai un pugno
all’avambraccio magro, lui gridò per la sorpresa e poi si
allontanò con un balzo.
<<
Sei impazzita? >> Prese a massaggiarsi il braccio, mentre i suoi occhi
cercavano di incenerirmi con la sola forza del pensiero.
Piegai le braccia
sui fianchi e lo guardai severa, del tutto intenzionata a farlo parlare.
<< Allora, sentiamo. Cos’è questa storia che non sarei interessata agli uomini? >> Dovetti usare un
tono di voce più duro di quanto volessi; John mi lanciò
un’occhiata piena di risentimento, e per un attimo pensai non mi avrebbe
dato alcuna risposta.
<< Lo sanno tutti, ala
villaggio… >> borbottò a mezza voce.
<< Cosa? >>
<< … Che vuoi restare
zitella. >>
<< Non è vero!
È una bugia! >> esclamai sdegnata.
Avevo solo sedici
anni e in tutta sincerità non pensavo ancora al matrimonio, oppure ad
accalappiare un uomo… ma evidentemente le donne anziane avevano avuto da
ridire a proposito: la maggior parte delle donne del villaggio si maritavano in
giovane età, la maggior parte delle volte accadeva che avessero appena
compiuto quindici anni… ma per me era
un’età piuttosto delicata, il mio primo pensiero la mattina non
era pensare al fabbisogno dell’uomo che condivideva con me il letto
oppure crescere con cura la sua prole. Ero giovane e – che quelle fossero
d’accordo o meno – ero ancora una ragazzina; il matrimonio non era
ancora nei miei pensieri.
<< Solo perché non
sono ancora chiusa in casa a sfornare figli e a cucinare, non significa che gli
uomini non mi interessino! >> sbottai infastidita.
John sgranò gli occhi
all’invero simile per la sorpresa e il suo viso si arrossò ancora
di più.
<< Bada a quello che dici,
ragazzina! >>
<< Non fare la voce grossa
con me! >> lo redarguii io con voce acida.
Voltandomi di nuovo verso
quelle maledette pecore, piegai il pollice e l’indice, portandoli poi
alle labbra; bastò un fischio breve, e subito
i tre ovini rizzarono attenti le orecchie e, nel giro di qualche secondo, me le
ritrovai appresso, tutte belanti e bagnate mentre premevano contro le mie
sottane, quasi stessero cercando qualcosa. Con le pecore di nuovo al mio
seguito, ero pronta a tornare indietro.
John mi rivolse
un’occhiata sgomenta e sorpresa, io invece mi limitai a scimmiottare una
riverenza da gran dama, sollevai l’orlo logoro della gonna e lui ebbe
modo di vedere un pezzo della seconda sottana, arrossì vistosamente e
stornò lo sguardo, scatenando la mia ilarità.
*
<< Ventisette, ventotto,
ventinove… trenta! >> esclami trionfante dopo aver terminato la
conta.
Aggiungendo le pecore che
erano scappate e le tre trovate al ruscello, adesso il gregge era al completo.
John sbuffò
rumorosamente. << Non ci vedo nessun motivo per esultare >>, disse
brusco.
Lo fulminai con
lo sguardo. << Solo perché tu
non sei riuscito a riportarle indietro da solo, mentre una povera donna
come me, invece, c’è riuscita alla grande! >>
Mi guardò
di sbieco e arricciò le labbra, quasi avesse voluto ribattere, alla fine
scosse la testa e lasciò perdere. << Sei sempre,
ad avere l’ultima parola. >>
<< Mi sembra ovvio
>>, dissi conciliante.
Diedi
un’occhiata al
sole in cielo: le nuvole avevano iniziato a scurirsi, divenendo poso a poco di
un colore roseo con alcuni cenni più scuri, il cielo adesso era del
colore stesso del sole, quasi che un pittore distratto li avesse colorati in
ugual modo, quella palla infuocata, che rendeva il giorno caldo e piacevolmente
afoso; adesso non scottava più così tanto e nemmeno bruciava gli
occhi se la si guardava. Era ora di tornare.
Mi diedi una rapida assettata alla gonna
e con le dita cercai di pettinarmi i capelli, talmente scompigliati e intrigati
da sembrare un nido d’uccelli, John aspettò in silenzio poco
distante da me, quasi la troppa vicinanza gli desse fastidio.
<< Hai finito? >> mi
chiese burbero.
<< Certo. >>
Con
l’ennesimo fischio, incitai il numeroso gregge a seguirmi e queste
ubbidienti come dei pulcini che seguono la chioccia,
presero a camminare belando allegramente, sapendo che, una volta tornate nel
loro ovile avrebbero ricevuto una generosa dose di foraggio e erba medica.
Io e John non parlammo molto durante il ritorno, più perché
lui era chiuso in un silenzioso riserbo nei miei confronti ed io mi
accontentavo del continuo belare allegro del gregge, seguito anche dai suoni
dei loro campanacci.
Giungemmo al
villaggio che il cielo adesso era come una pozza uniforme di sangue
mentre il sole spariva poco a poco
verso le colline, finendo chissà dove; la prima stella della sera era
già sorta, era davvero tardi.
Mi sorpresi molto
quando John si offrì di portare a casa lui le pecore, ma accettai, visto
che i ritardi non erano visti molto di buon occhio, a
casa mia.
Il piccolo
cottage dove vivevamo era appena fuori dal villaggio,
bastava percorrere la strada che utilizzavano i carri da fieno per portare il
foraggio al mercato oppure a portarlo nelle stalle, perciò non era
difficile camminare sulla strada già battuta dalle ruote.
Presi a correre
lungo la strada secca e polverosa, incurante che la mia corsa sollevasse una
quantità considerevole di polvere e che si attaccasse inevitabilmente
all’ampia gonna dell’abito; nel giro di poco il piccolo profilo del
cottage in pietra entrò nella mia visuale: non eravamo mai stati ricchi
e anche il fatto che fossimo costretti a vivere in cinque in una casa
così piccola poteva essere davvero un problema, ma a noi andava bene
anche così, non eravamo abituati a vivere in spazi ampi.
Il cottage era
costruito appena fuori dalla strada, completamente
immerso nel verde dei campi, un basso muretto in pietra segnava l’inizio
della proprietà accompagnato poi da alcune piante aromatiche come il
prezzemolo o l’erba cipollina e con l’aggiunta di qualche fiore di
campo e delle erbacce, nati senza che qualcuno glielo chiedesse, ma poi curati
da mia madre quasi fossero state le rose più belle del mondo. A
prendersene cura adesso era Elisa, mia sorella, da quando nostra madre era morta.
Le luci erano
già accese e alcune candele erano state appoggiate dietro le
tende davanti alle finestre, forse Papà aveva messo Fletcher di guardia
alla finestra, in modo che potesse avvisarlo del io ritorno, ma adesso sembrava
non esserci nessuno.
La porta d’ingresso
cigolò rumorosamente quando la aprii, annunciando il mio ritorno.
<< Sono to… >>
<< Era ora! >> La voce
dura di Elisa mi accolse all’ingresso, facendomi sobbalzare.
Mia sorella era
davanti alla porta da dove ero appena entrata, gli occhi verdi oscurati dalla
rabbia e le labbra piene e sensuali increspate quasi si stesse trattenendo da
urlare come una pazza. i capelli biondi erano raccolti
alla meglio sulla testa per impedire che le cadessero davanti agli occhi mentre
cucinava, il grembiule che quella mattina era intonso prima che uscissi di
casa, adesso era come se il colore bianco e il pulito, non li avesse mai
conosciuti. Mi puntellai timidamente da un piede
all’altro, lo sguardo ostinatamente piantato a terra.
<< Ti avevo detto di tornare
a casa presto, perché avevo bisogno di aiuto per la cena! >> disse
brusca.
<< Me ne sono dimenticata
>>, ammisi a malincuore.
Roteò gli
occhi esasperata e sbuffando come una teiera piena d’acqua bollente.
<< Madelaine, ti deciderai
ma a crescere, una buona volta? >> La sua voce era stanca, come se fossi
stata un caso disperato.
A
quell’affermazione avrei potuto arrabbiarmi e
ribattere a quelle parole, ma si dava il caso che Elisa avesse completamente ragione e, soprattutto,
non era saggio contraddirla quando era arrabbiata; persino Erial – suo
marito – sapeva di doverla lasciar sfogare quando era in collera.
<< Mi dispiace, Elisa.
Prometto di ricordarmene, la prossima volta. >>
<< Ah, Maddy! La prossima volta, la prossima volta!
esiste sempre e solo il futuro, per te? non riesci proprio a pensare al
presente?! >>
Non replicai nemmeno
stavolta.
<< Almeno hai portato a casa
i soldi? >> Una piccola luce speranzosa brillò nei suoi occhi
azzurri.
Oh, no! avevo dimenticato di
riscuotere il denaro dal proprietario del gregge!
<< Ehm, io… >>
Se possibile, chinai ancora di più la testa, pronta all’ennesima
tirata da parte di mia sorella.
<< LI HAI DIMENTICATI?!
>> strepitò incredula, vedendo i miei tentennamenti. Il suo urlo
fu talmente forte che se avessimo avuto i vetri alle finestre, questi avrebbero
vibrato.
<< Elisa, aspetta…
>>
<< Madelaine, quei soldi ci
servono, lo capisci? >> Sembrava si stesse rivolgendo a me come se fossi
stata una pazza, e mi infastidii.
<< Sì che lo so!
>> sbottai piccata.
<< E allora perché
non hai preteso subito il pagamento? >>
<< Perché…
>>
Mi mordicchiai il labbro
inferiore, restia a parlare a Elisa di John.
<< Perché? >>
<< Perché le pecore le ha
riportare indietro John! >> ammisi alla fine con esasperazione.
<< John? >>
Una voce bassa e rauca mi
giunse lontana e lieve come un soffio nel vento. Papà.
Corsi subito nel
piccolo salotto che fungeva anche da camera da letto. Mia sorella aveva deciso
di accogliere il marito nella propria casa per non lasciarmi completamente sola
a prendermi cura di Papà e Fletcher, la camera che una volta era stata di Papà e Mamma andò a Elisa e al
consorte, Fletcher dormiva in salotto sul pavimento e con un materasso fatto di
stracci vecchi, io invece dormivo su di un piccolo letto malandato in
una piccola stanza vicino
alla piccola cucina.
Papà era
sdraiato sul suo ‘letto’ con tre cuscini – tutti quelli che eravamo riusciti a reperire – e imbacuccato
Con almeno cinque coperte,
ovvero tutte quelle che avevamo in casa, tutte sgualcite e che in inverno ti
riscaldavano a malapena, ma adesso era impossibile sentire freddo, con la
calura di maggio.
Mi inginocchiai a terra
accanto a lui e gli toccai il viso segnato dalla vecchiaia e dalla malattia, Papà
tossì.
<< Papà, ti senti
bene? >> domandai, aggrottando le sopracciglia.
Lui mi sorrise, nonostante si
vedesse appena, sotto quella folta barba. << Sto meglio, Maddy. Non ti
preoccupare. >>
Sorrisi e sospirai quando lui
mi accarezzò dolcemente la testa. Non mi ero del tutto abituata al fatto
che fosse così gentil, insomma, si sa come sono i padri, o meglio, so
come era il mio prima!
Ha educato me e i miei
fratelli in un modo autoritario e gentile al contempo, con il pugno di ferro e
il guanto di velluto, come si suol dire.
Non l’ho
mai considerato una persona ingiusta, anzi il più delle volte è
sempre stato buono con me, Elisa e Fletcher, non ci ha mai puniti a caso, solo
perché gli andava… ma, ragazzi! quando ce
lo meritavamo ci faceva vedere i sorci verdi! Non ho mai conosciuto –
grazie a Dio – una persona che usasse la cinghia
così, ogni colpo che andava a segno bruciava come se fossi finita dritta
all’inferno e il mio povero sedere gemeva assieme a me ad ogni colpo,
chiedendo pietà; era anche vero però che io, essendo testarda
come un mulo di natura, mi limitavo a qualche guaito di disapprovazione e
niente più. Solo quando il supplizio terminava, io mi riabbassavo
dignitosamente la gonna e camminavo impettita dentro casa, e lì mi
aggrappavo alle gonne di mia madre e scoppiavo in un pianto disperato, mentre
lei mi accarezzava la testa con dolcezza, sussurrandomi parole di consolazione.
Quando il vaiolo
si portò via nostra madre, Papà smise di alzare le mani su di
noi. Non lo fece nemmeno una volta, anche se facevamo
qualche danno, lui si limitava a sgridarci: io, Elisa, Fletcher, chi di noi
avesse combinato un danno, veniva ammonito severamente e, se il danno combinato
era serio, magari veniva spedito a letto senza cena, ma niente di più.
<< È stato il figlio di Rufus a darti una mano con le
pecore? >> mi chiese, senza smettere di passare la mano ruvida e callosa
tra i ricci scarmigliati della mia testa. Annuii.
Un fischio prolungato
richiamò la nostra attenzione, e io voltai la testa. Appostati sulla
soglia del salotto, con gli abiti logori e impolverati e con addosso
l’odore di terra e il fetore pungente di maschio non lavato, Fletcher ed
Erial annunciarono il loro ritorno a casa.
<< John Maverick, eh?
>> domandò mio fratello con un ghigno divertito. << Che
dici, Maddy, dobbiamo preoccuparci che chieda la tua mano entro la fine
dell’estate? >>
La battuta – per niente
divertente – di Fletcher fu accompagnata da uno scroscio di risate,
persino Elisa, adesso meno furibonda, si mise a ridere, e lo stesso fece
Papà.
Scattai in piedi con un balzo
e in poche falcate raggiunse Fletcher, ancora impegnato a prendermi in giro;
senza dargli il tempo di reagire gli assestai un gran calcio allo stinco, e lui
uggiolò come un cane per il dolore, prendendo a saltellare come uno
zoppo.
<< Ma dico, sei impazzita?
>> strepitò furioso.
Io in tutta
risposta sollevai con fare altezzoso il mento, e lo ignorai. << Cosa dovrei dire io allora. Hai già diciannove anni e
non hai ancora trovato moglie! Se non altro, nel caso nessuno volesse chiedere
la mia mano, ho sempre John come rimpiazzo! >>
mi cacciai indietro un ricciolo di capelli dandomi un’aria di contegno.
<< Povero John se dovesse
prenderti in moglie! >>
Altro scoppio di ilarità, stavolta più forte e meno
contenuto. Sentii le guance farsi più calde e come minimo ero diventata
rossa come un pomodoro, alzai il pugno puntandolo verso il soffitto. <<
Bada a te, Erial Pacy, se non vuoi rimetterci un occhio! >> dissi
minacciosa.
<< Guai a te se ti azzardi a
toccare mio marito! >> protestò immediatamente mia sorella,
parandosi davanti ad Erial, quasi avesse voluto fargli da scudo.
Io e mia sorella
ci stavamo per lanciare in uno scontro all’ultimo sangue, contando di
aggiungere alle parole graffi e morsi, e magari pugni, essendo abituata a
litigare con dei maschi avevo imparato a difendermi usando le mani e Fletcher
mi aveva insegnato a tirare qualche gancio; se mai ce ne fosse stato bisogno,
Elisa era spacciata.
Proprio mentre la
nostra discussione mortale ebbe inizio, qualcuno bussò alla porta,
interrompendo ogni cosa. Erial andò alla porta. Aspettammo tutti quanti
in silenzio che il visitatore se ne andasse, o
entrasse, non avevo idea di cosa potesse succedere; quando sentii un
‘grazie’ da parte di mio cognato, capii che il visitatore
non si sarebbe
trattenuto.
Erial tornò subito in
salotto, e tra le mani reggeva un piccolo sacchetto di cuoio completamente
gualcito, un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
<< Il caro John è
passato apposta per portarci i soldi che Maddy aveva dimenticato. Si vede che
è proprio innamorato, eh? >> disse guardando mio fratello, il
quale ricambiò con un sospiro trasognato e gli occhi sognanti.
<< Oh, Maddy… >>
disse, come se fosse stato un perfetto ragazzo innamorato.
<< SMETTILA FLETCHER!
>> sbraitai, puntando il pugno dritto verso di lui. << Non ti
è bastato quel calcio? >>
<< Maddy ti amoo,
credi a meee… se nonsei, il
mio cuore batte solo per tee! >> cantilenò lui, con una voce
talmente stonata che avrebbe ucciso un sordo.
Evidentemente, non gli
bastava.
*
La notte fu davvero breve e
non riuscii a dormire. Sarebbe spuntata l’alba di lì a poco.
Avevo immaginato
di dormire fino a tardi, come facevano le donne che appartenevano
all’aristocrazia che passavano la notte tra
banchetti e balli continui, e rincasavano a mattina già inoltrata,
svegliandosi poi a metà pomeriggio; non era la mia massima aspirazione
di vita alzarmi a un orario così indecente, però in fondo in
fondo pensavo che sarebbe stato divertente, provarci almeno per una vola. Non
ebbi successo.
Forse stavo davvero per
addormentarmi, stanchissima per la notte passata praticamente
in bianco, riuscivo a vedere il sonno vero e proprio affacciarsi dallo stato di
dormiveglia in cui versavo da parecchie ore ormai… ma fui interrotta.
Fui strappata
bruscamente alla realtà quando un paio di mani
estranee mi tolsero di dosso la coperta, lasciandomi con addosso solo la
camiciola di lino che usavo per dormire in estate, e le gambe nude in mostra.
Cacciai uno strillo sconcertato, cercando qualcosa con cui coprirmi, ma non
riuscivo a trovare le lenzuola, perché?
<< Svegliati pigrona.
Il sole è già alto. >>
Riconobbi la voce
di Elisa, ma non riuscii a distinguere la sua figura,
che era poco più che una massa di indumenti resa sfocata e confusa dal
sonno, mi strofinai gli occhi e nel giro di poco riuscii a distinguere i
dettagli del suo viso.
<< Ma che… >> Mi
coprii la bocca, soffocando uno sbadiglio. << … che ore sono?
>>
<< Il sole è alto
già da due ore, faresti meglio a vestirti! >> sbottò lei e
subito dopo, con un turbinare di sottane azzurro chiaro, se ne tornò in
cucina.
Mi grattai la
testa, sentendomi ancora intontita dal sonno e dal fatto che non avevo praticamente dormito, reprimendo un altro sbadiglio mi
decisi ad alzarmi e andai alla finestra e tirai lo spesso strato di stoffa che
fungeva da tenda, il sole mi accecò. Chiusi immediatamente gli occhi e
diedi le spalle a quella luce abbacinante, a tentoni mi diressi verso la sedia dove
appoggiavo sempre i vestiti; la trovai.
Dopo aver
indossato il corpetto e le sottane mi diedi una spazzolata ai capelli –
anche se non li resi presentabili – e uscii dalla stanza.
Elisa mi accolse
nella cucina gettandomi addosso un grembiule bianco e
ordinandomi di indossarlo, me lo legai attorno alla vita ma non senza
brontolare qualche insulto silenzioso; detestavo indossare i grembiuli, e lei
lo sapeva. Lo sapeva benissimo.
<< Tieni. >>
Mi gettò
il borsellino in cuoio che John ci aveva portato la sera prima, lo afferrai al
volo e le monetine che vi erano dentro tintinnarono piacevolmente.
<< Vai al villaggio a comprare un
po’ di latte e qualche uovo per la cena >>, disse
perentoria riprendendo a muoversi nel piano cottura con una velocità sorprendente,
nonostante la sua mole.
<< Sicura che, ehm, non devo
fare altro? >>
<< Perché me lo chiedi?
>> disse, visibilmente sorpresa dalla mia domanda.
Scrollai le
spalle. << Be’, insomma… sai com’è, il
bambino… >>
<< Oh! >> esclamò
lei, come se si fosse ricordata solo in quel momento di essere in attesa.
Si tastò
appena il ventre gonfio e pieno come un pomodoro maturo, sorridendo dolcemente
quando in tutta risposta, il bimbo dentro di lei scalciò.
<< Non preoccuparti, ci
vorrà ancora un po’ di tempo prima che il piccolo nasca; ma, se
proprio ci tieni… >>
<< Ehm… >>
<< Questa volta vedi di non
startene in giro a bighellonare per il villaggio, e vedi di non spendere
più del necessario magari comprando del cibo che non ci occorre. Quando torni a casa vedrò di tenerti occupata con
qualche faccenda domestica. Ora che ci penso: le camicie di Erial
e Fletcher devono essere rammendate, lo stesso i calzini di Papà, poi
sarebbe il caso che dessi una rassettata anche alla casa. Siamo poveri, ma non
viviamo mica in un porcile! E poi… >>
<< Ho capito, ho capito!
>> esclamai disperata. << Vedrò di essere a casa presto, non
ti preoccupare! >>
Afferrai con un
gesto rapido della mano il cesto di vimini che mi stava porgendo e corsi fuori
di casa.
L’aria del mattino era
piacevolmente fresca, in quel caso anche troppo nonostante fosse maggio, fui
felice di avere indossato lo scialle di cotone, il sole non era completamente
alto nel cielo e quindi era anche impossibile che facesse caldo, una leggera nebbiolina
veleggiava leggera sulla strada sterrata, gli alberi ai fiochi raggi solari
rilucevano di rugiada quasi fossero stati carichi di
pietre preziose e lo stesso si poteva dire dell’erbetta tenera e verde
che cresceva sul ciglio della strada. Diedi una lieve annusata a
quell’aria fresca e umida e mi avviai lungo la strada battuta.
Nonostante fosse
ancora presto Bedlington era già in pieno fermento nei preparativi della
nuova giornata di lavoro, nell’aria assieme al profumo di erba bagnata si
avvertiva con piacere anche il buon odore di pane appena sfornato mescolato a
quello di fieno appena falciato, così come si poteva udire il rumore
delle secchiate d’acqua che venivano tirate su dal pozzo della piccola
piazza per essere portate in casa e messe a bollire per preparare il tè.
Lungo la strada
incontrai la vecchia Etta, una delle donne più
anziane del villaggio. La salutai e lei ricambiò con un sorriso rugoso e
sdentato, poi procedette per la sua strada: aveva la schiena curva come una
collina e il viso segnato da una ruga per ogni sentiero che aveva percorso
durante la sua lunga vita; ognuno dei suoi passi lenti sembrava costarle una
fatica immane.
Le donne più giovani
era già al lavoro da tempo così come quelle che, nonostante
l’età avanzata, erano ancora in grado di rendersi utili, ma
ugualmente considerate delle donne anziane.
Il lattaio di
Bedlington non era un vero lattaio. Possedeva un cottage fuori
dal villaggio, dato che le sue mucche da latte producevano gran
quantità di latte ad ogni mungitura, Maurice prendeva quello in eccesso
e lo vendeva al villaggio, sperando di ricavarne qualche scellino. Assieme al
cestino per le uova Elisa mi aveva dato anche un secchio apposta per il latte,
mentre le uova le chiesi alla figlia acquisita della vecchia Etta, quando la
incontrai al villaggio.
Una volta sbrigati i compiti assegnatimi da mia sorella mi
ritrovai seduta sulla piattaforma in sassi del vecchio pozzo di pietra, con un
secchio stracolmo di latte in una mano e un cestino con delle uova nell’altra;
il sole s’era fatto più caldo e fui costretta a ripiegare lo
scialle dentro al cestino intrecciato sopra le uova fresche. Sentendo la gola
seccarsi per la sete feci calare la corda alla cui estremità c’era
un vecchio secchio consunto, lo calai dentro al pozzo e grazie ad una ruota
arrugginita tirai la corda, ottenendo della buona acqua fresca in pochi
secondi, raccogliendola poi con un mescolo di metallo; il liquido fresco
entrò nella mia gola calda annaffiandola gentilmente e scorrendo sempre
più giù, qualche goccia d’acqua sfuggì dal mescolo e
mi scivolò lungo il collo, raggelandomi.
Una volta sazia
mi passai il palmo della mano sulle labbra umide e sospirai di contentezza.
<< Non dovresti bere
così velocemente… >> Una voce maschile e attraente
richiamò la mia attenzione. << Potrebbe venirti il mal di pancia,
poi. >>
L’acqua che
avevo appena ingurgitato rischiò di uscirmi nuovamente dalla bocca per
lo spasmo di emozione che provai, vedendolo. Avevo detto che cercare un marito per ora non mi interessava…
ma avrei potuto facilmente cambiare idea, se a farmi la proposta fosse stato
William MacDonald, il figlio dell’unico possessore di una locanda in
tutta Bedlington.
<< Will… >>
Tossicchiai imbarazzata, sentendo la voce venirmi meno per l’imbarazzo.
William Cameron
era scozzese; la sua famiglia si trasferì nella
piccola contea del Wansbeck all’epoca della Grande Sommossa che aveva
portato l’esercito scozzese di Bonnie Prince ad una colossale disfatta.
Stando alle voci delle vecchie comari, il nonno di Will non era un sostenitore
del principe, e nonostante il laird (2) del clan Cameron decise di sostenere la causa Stuart,
William Cameron prese moglie e figli e scappò dalla Scozia, raggiungendo
questo piccolo villaggio nella speranza di ricominciare tutto capo, per
sé e per i suoi eredi.
Will aveva venti
anni. Nonostante fossero coetanei era più alto di Erial,
nonostante lui stesso fosse un uomo di altezza non indifferente; aveva i
capelli scuri come le ali di un corvo, divisi in morbide onde tenute
costantemente ferme da un legaccio di cuoio, gli occhi di un verde caldo e
profondo… e un sorriso che lasciava profondamente il segno. Il sorriso conscio e un poco impudente di un uomo che sa di poter
ottenere ciò che vuole.
<< Vedo che sei mattiniera,
Maddy >>, disse sistemandosi meglio i sacchi di farina che portava sulle
spalle, il suo sorriso mi spezzò il cuore, lasciandomi confusa e un poco
stordita.
Non mi fossi
dovuta preoccupare di controllare l’improvvisa ondata di
emozioni che la sua sola vista aveva scatenato dentro di me, avrei anche
potuto azzardare ad un saluto cordiale, ma l’unico risultato che ottenni
furono smozzichi di parole dette a metà, il viso accaldato per
l’emozione e il cuore che sembrava volermi uscire dal petto.
<< Ciao… Will.
>>
Sorrise di nuovo
e io temetti di non arrivare viva al giorno successivo. Per alleviare la
tensione che sentivo, mi passai un ricciolo ribelle dietro l’orecchio,
guardando rigorosamente il terreno polveroso e pieno di sassi.
<< Devi, ehm, fare delle
commissioni per tuo padre? >> chiesi, trovando finalmente il coraggio di
parlare.
Scrollò le
spalle larghe con indolenza. << Abbiamo finito la farina per fare il
pane, così sono andato a prenderne un po’ dal mugnaio. >>
<< Ah. >>
Il principio di
conversazione che avevamo avviato morì subito con quel mio commento
completamente inutile.
<< Io invece sono venuta a
prendere del latte e qualche uovo! >> esclamai senza trovare nulla di
intelligente da dire.
Will
lanciò un’occhiata curiosa al secchio pieno di latte, dentro al
quale iniziavano a radunarsi delle mosche golose, mentre le uova erano nascoste
dal mio logoro scialle. << Vedo. >>
<< Adesso però credo
di dover tornare a casa >>, mi affrettai ad aggiungere, conscia che se mi
fossi trattenuta un minuto di più, Elisa mi avrebbe fatta a pezzi e
servita con il brodo a colazione.
Aggrottò
le folte sopracciglia nere. << Devi? >>
Annuii
vigorosamente e mi passai ancora una volta un rissaiolo dietro
l’orecchio. << Allora, ehm… ci vediamo. >>
Raccattati il
cestini intrecciato e il secchio con entrambe le mani e tenendo la testa bassa
lo sorpassai, avviandomi verso l’uscita del villaggio.
<< Maddy!
>>
Il cuore mi
balzò dritto in gola appena la sua voce profonda e maschia chiamò
il mio nome; girai appena la testa. << Sì? >>
<< Sarai presente alla festa
di Litha? >>
Il solstizio
d’estate era la festa che celebravamo durante il periodo caldo, per
augurarci un buon raccolto e cibo abbondante da conservare poi nel periodo
freddo, c’era anche un piccolo banchetto e musica e danze per divertirci
tutti assieme, facendo bagordi fino a tardi, un lusso che potevamo concederci
solo poche volte durante l’intero anno. Io adoravo la festa di Litha.
<< Certo che ci sarò,
perché? >>
Il sorrisetto consapevole
e un po’ spudorato affiorò sulle sue labbra piene e sensuali.
<< Mi stavo giusto chiedendo se avessi già un cavaliere per la
festa. >> I suoi occhi brillavano di una luce che non conoscevo.
Mi sentii
arrossire fino alla punta dei piedi e boccheggiai alcune parole sconnesse che
non riuscii a capire.
<< No, non ce l’ho.
>>
Mi girai e corsi
via, lasciandolo solo.
Tornando a casa da villaggio, mi sentii
finalmente tranquilla, non avendo il bel viso di Will davanti agli occhi, ma la
mia testa era piena di lui, sembrava non esserci spazio per niente e nessun
altro.
La sua voce, il
suo viso, il suo magnifico corpo… c’era solo lui, e il ricordo
della sua risata.
Note :
1)Wansbeck è un piccolo distretto locale della contea del
Northumberland, Inghilterra.
2)Laird èuna parola in gaelico scozzese usata per indicare
l’uomo che guida il clan.
Note dell’autrice: grazie mille per essere state così tante
a commentare
Note dell’autrice: grazie
mille per essere state così tante a commentare. Sinceramente non credevo
che questa storia potesse riscuotere un simile successo, soprattutto
perché già la sezione ‘Originali’ di per sé
non è molto frequentata (almeno credo), ho pensato che nemmeno un racconto
storico avrebbe potuto raccogliere un successo sufficiente… invece
sbagliavo! XD
La storia è nata senza un
motivo particolare e senza troppe pretese, ma sono felice che sia stata
apprezzata!
In particolare,
ringrazio le sei meravigliose persone che hanno deciso di commentare il primo
capitolo:energia pura, oriway yume, barbarizia, la mia adorata
Padme,arcobaleno e infine Roby.
Vi ringrazio per i complimenti,
riguardanti soprattutto il mio modo di scrivere, credetemi, è sempre un
piacere sentirselo dire, soprattutto quando ti fai un mazzo tanto per scrivere
qualcosa di decente e scorrevole al tempo stesso! Questa storia non è
complicata e non ha nessun particolare scopo, come ad esempio vincere il Nobel
per la scrittura, o che so io… eppure è stato un vero travaglio
trasportarla dalla mia testa alle pagine virtuali di Word, e credetemi se
continuo a ripetere che è una gioia sentirsi lodare per il proprio modo
di scrivere!XD
Prima
di cominciare, di tengo a rispondere alla domanda di barbarizia.
Mi dispiace, ma non
ho letto molti romanzi storici: ‘La figlia del matematico’
(Kinsale), ‘Un’estate da ricordare’(Balogh) e ‘La saga
di Claire Randall’(Gabaldon) e ‘Uccelli da preda’(Smith)
Ecco, questi sono
tutti i romanzi a tema storico che ho letto fino ad ora; mi piacciono un sacco
e vorrei leggerne tanti altri in futuro, ma non ho mai sentito nominare questa
Woodiwiss, sorry -_-‘
Ho impiegato un bel po’ di tempo
ad aggiornare, ma spero che il capitolo scritto possa risollevarvi il morale per
questa lunga attesa. Al prossimo aggiornamento.
Redarcher
II
Litha(1)
giugno,
alcuni
giorni prima di Litha
Dieci paia di
occhi erano puntati addosso a me, come se fossero stati degli spilloni;
osservavano con attenzione ogni mio gesto o accenno di movimento, erano
perfettamente concentrati anche su come muovessi le labbra mentre parlavo.
<< ‘ No, mia cara Bestia’>>, dissi con dolcezza, volendo
imitare una voce carezzevole e suadente, <<
‘ voi non morirete’ , le disse la Bella. ‘Voi vivrete per diventare mio sposo: da questo momento io vi do
la mia mano, e giuro che non sarò d'altri che di voi...’ Appena la Bella
ebbe pronunziato queste parole, ecco che tutto il castello appare risplendente
di lumi: i fuochi di artifizio, la musica, ogni cosa annunziava una gran festa.
Ma queste meraviglie non incantarono punto i suoi occhi: ella si voltò
verso la sua cara Bestia, il cui pericolo la teneva in tanta agitazione. E
quale fu il suo stupore! La
Bestia era sparita, ed essa non vide ai suoi piedi che un
Principe bello come un amore, il quale la ringraziava per aver rotto il suo
incantesimo. Sebbene questo Principe meritasse tutte le sue premure, ella non
poté stare dal chiedergli dove fosse la Bestia. << ’Eccola
ai vostri piedi’, le disse il Principe, ‘una fata maligna mi aveva condannato a restare sotto
quell'aspetto finché una bella fanciulla non avesse acconsentito a
sposarmi, e mi aveva per di più proibito di far mostra di spirito.
Così in tutto il mondo non ci voleva che voi, per lasciarsi innamorare
dalla bontà del mio carattere: ed offrendovi la mia corona, non posso
sdebitarmi del gran bene che mi avete fatto.’ >> Simulai un gesto aggraziato con la mano, come se avessi voluto porgerla ad
un cavaliere immaginario, magari quello della fiaba…(2)
<< Eh? ma finisce così?
>> chiese Lloyd il figlio del fattore, particolarmente deluso da come si
era conclusa la fiaba. L’amico seduto accanto a lui annuì, si
passò la mano sporca sotto naso, lasciando così uno sbafo di
sporco sotto il setto nasale.
<< Io pensavo che la Bestia fosse morta!
>> esclamò contrariato e irritato: sarebbe stato più
contento se la storia fosse finita in una valle di lacrime. Uomini, ha!
La sorella di Lloyd, Mary,
fulminò il fratello minore con lo sguardo e lui sussultò
paurosamente, facendosi poi piccolo piccolo, come se avesse voluto sparire.
Mary prese tra le mani i lembi della mia gonna e li strattonò
dolcemente, come a voler richiamare la mia attenzione.
<< E poi cos’è
successo? >> chiese affascinata.
Le sue due
amichette si avvicinarono ancora di più, palpitanti come non mai per
sapere la fine; sorrisi a ognuna della bambine e poi raccolsi alcune falde
della mia rozza gonna color ruggine, roteai appena su me stessa e le mie gonne
turbinarono assieme a me.
<< Alla fine della favola, la Bella e il Principe di
sposano, e… >>
<< E
vissero felici e contenti. Per sempre. >>
Una voce anziana
mi riportò bruscamente alla realtà, strappandomi via il mio
meraviglioso sogno. Mi girai e il volto rugoso e gioviale di Mr Duncan, il
libraio, mi portò a sorridere a mia volta a quel volto da furetto con il
naso all’insù, il sorriso buono e accondiscendente come solo un
nonno poteva avere.
<< Ancora con quella favola,
Maddy? >> mi chiese, senza smettere di sorridere, a me e ai bambini.
Io e le altre
bambine sorridemmo assieme. << È la mia preferita, signore! Di
tutte le favole che conosco, questa è di sicuro quella che mi è
più cara! >> esclamai estasiata, senza a contenere l’ondata
di piacere che sentivo sbocciare dentro al mio petto.
<< Adoro questa favola, Maddy!
>> esclamò trasognata la piccola Elsie, di soli cinque anni.
Tesi le mani
verso di lei e la presi in braccio, stringendola forte. << Anche a me
piace Elsie >>, dissi con dolcezza, guardando negli specchi azzurro
chiaro di quella bambina.
Mi guardò per qualche istante con
esitazione, come se non fosse sicura di qualcosa, poi vidi le sue guance
paffutelle arrossarsi leggermente, mi lanciò un’altra occhiata
esitante, e poi mi domandò: << Pensi che anch’io, un giorno,
sposerò un bellissimo principe? >> le sue guance si fecero ancora
più rosse e poi si
schermò il visetto con le manine cicciotelle, come se si vergognasse
profondamente.
Ridacchiai divertita, ma la
strinsi più forte. << Certo che sì, Elsie! Ad ogni fanciulla
è destinato un magnifico principe, quindi anche tu lo sposerai, ne sono
sicura. >>
Elsie mi
guardò dritta negli occhi per qualche secondo, quasi stesse controllando
se mentivo oppure se ero sincera, ma poi un largo sorriso comparve sulle sue
labbra infantili e rise allegra.
<< Maddy. >>
La comparsa di
Elisa mi colse di sorpresa, e nel contempo mi rammentò che eravamo
venute al villaggio: la festa di Litha si sarebbe tenuta la settimana
successiva e io avevo accompagnato
mia sorella al villaggio per fare qualche acquisto in vista di quel giorno;
né Erial né Fletcher avevano il tempo per farlo a causa del loro
lavoro, Papà si stava ancora rimettendo dal raffreddore che lo aveva
colpito qualche settimana prima, perciò restavo solo io. Senza che se ne
accorgesse, mi ero allontanata da lei ed ero giunta alla piazza del villaggio,
dove al centro di essa era posta una piccola fontana dove era possibile
attingere l’acqua, ed era un luogo di ritrovo per donne e uomini.
Lì avevo trovato Mary e gli altri bambini, i quali mi avevano supplicato
di raccontare loro una favola; li avevo accontentati, ma adesso che Elisa mi
aveva trovata non avrei potuto raccontarne altre. Non riuscivo a comprenderne
il motivo, ma a mia sorella non piacevano le favole: storie di bestie che si
trasformano in principi, ragazze che dopo aver perso una scarpetta poi trovano
il loro amore nel principe…
Magia, sentimenti, romanticismo…
nonostante mia sorella avesse trovato l’amore della sua vita – o
almeno così credevo – in suo marito, perché non poteva
pensare che le favole potessero essere vere?
I suoi occhi si strinsero
nel guardare me, ma credo che solo io riuscii ad accorgermene, con un gesto
leggero delle dita di mise un ricciolo dietro l’orecchio e mi vece un
breve cenno con la testa. << Coraggio, Maddy. È ora di tornare a
casa. >> Accennò a qualche passo.
<< No, Maddy! >> la piccola
Elsie mi afferrò per i capelli, facendomi anche male, mentre Mary e la
sua amichetta mi afferrano la gonna, tutte e tre mi guardarono con occhi grandi
e supplichevoli. << Devi per forza andare? >> chiesero imploranti,
come se con quel gesto le stessi offendendo tutte e tre.
Non risposi subito:
lentamente posai a terra Elsie, sorrisi alle bambine.
<< Sì, purtroppo.
>>
Le bambine
abbassarono la testa remissive, stringendo con forza le proprie rozze gonne.
<< Ma alla festa ve ne
racconterò tante altre >>, aggiunsi, con un sorriso rivolto a
tutte e tre.
Mary alzò
la testa con uno scatto rapido, rinfrancata dalle mie parole. << Dici sul
serio? >> chiese.
<< Certo. >>
<< Per
tutta la notte? >> chiese speranzosa la piccola Elsie.
Feci una piccola
smorfia. << Diciamo… finché non sarà ora di andare a
dormire, d’accordo? >>
<< D’accordo! >>
*
<< Non avresti dovuto farlo.
>>
Guardai Elisa con
tanto di occhi, sorpresa e confusa.
<< Cosa? Cosa non… avrei
dovuto fare? >>
Il passo di mia
sorella era un po’ più lento del mio a causa della gravidanza
ormai avanzata, tuttavia apparte il fiato un poco affannato, non sembrava essere
per niente stanca.
Elisa girò
la testa per guardarmi negli occhi: delusione, rammarico, rimprovero, potevo
leggere questo in quegli occhi verde chiaro. Increspò leggermente le
labbra, e poi mi rispose.
Chiuse gli occhi
con lentezza, come se fosse improvvisamente stanca. << Non raccontare
più favole ai bambini, Maddy. È un favore che ti chiedo. >>
Nonostante io ed Elisa fossimo
praticamente sempre in contrasto a causa delle nostre convinzioni, non mi
capitava quasi mai di contestare ad alta voce il suo pensiero, anche se non lo
condividevo, era pur sempre mia sorella, ed era più grande di me, perciò non mi sarei mai nemmeno sognata di
discutere le sue parole; eppure quel giorno…
<< Perché? >> chiesi,
parlando con voce più acida di quanto volessi realmente.
Aggrottò
le sopracciglia bionde contrariata, ma non mi negò la risposta. <<
Non voglio che tu illuda quelle bambine. La vita è già difficile
di per sé, e non è con le bugie che renderai la loro migliore.
>>
<< Non sono bugie! >>
obbiettati nuovamente io, più contrariata che mai. Strinsi con forza i
pugni, appiattendoli con forza contro i fianchi. << Non lo sono…
>>
Elisa scosse la testa rassegnata, e mi
fulminò con il verde dei suoi occhi. << Non farlo mai più.
Punto e basta. >>
<< Ma, Elisa… >>
<< Maddy!
>>
L’urlo
sgraziato di Fletcher mi fece sobbalzare brutalmente, impedendomi di terminare
ciò che volessi dire a Elisa. Mia sorella sorpassò lentamente mio
fratello, uscito fuori di casa per venirci incontro.
Mi venne incontro e posò la sua
mano enorme sulla mia testa, come se stesse consolando una bambina piccola. Lo
guardai storta e cercai di appioppargli un bel calcio nello stinco, ma lui
senza smettere un secondo di fare lo stupido si scansò di lato. <<
Una volta mi freghi, la seconda però no, Maddy! >>
Cercai di allontanarmi, ma lui con le
braccia mi prese e mi sollevò di peso, facendomi ondeggiare
pericolosamente. Gridai allarmata. << FLETCHER, SMETTILA! >> urlai
isterica.
Solo quando
Papà uscì anche lui di casa e guardò storto il figlio
maschio primogenito, allora Fletcher si convinse a lasciarmi andare. Mi
allontanai con rapidità da quella bestia, guardandolo di sbieco, come se
fossi stata pronta a morderlo, in caso di necessità.
<< Si può sapere che
ti prende? E poi, perché non sei nei campi con Erial? >>
Senza smettere un
attimo di sorridere radioso, Fletcher scrollò indolente le spalle.
<< L’ho saputo, sorellina! >>
Lo guardai sorpresa, aggrottando
perplessa le sopracciglia. << Che cosa? >>
Si passò
le mani tra i capelli castano chiaro, mentre i suoi occhi chiari sembravano
danzare, tanto era di buon umore. << A quanto pare Will MacLeod ti ha
chiesto di danzare assieme a lui, alla festa di Litha! >> sorrise
malizioso, come se sapesse cose di cui io ero completamente all’oscuro.
Bastò il
semplice nominare Will, e il mio viso sembrò andare in fiamme per
l’imbarazzo; abbassai la testa, improvvisamente timida.
<< Allora è vero! >>
esclamò lui entusiasta.
Lanciò un
urlo esultante e cercò di afferrami di nuovo, ma io mi scansai prontamente.
<< Stai alla larga! >> gli intimai.
Lui si allontanò non senza
però continuare a ridacchiare ed esultare come se fosse completamente
impazzito. Sconcertata guardai Papà. << Ma che gli prende?
>> indicai mio fratello.
Papà scosse lentamente la testa,
sospirando. << Se il figlio di MacLeod ha invitato te, di conseguenza,
– o almeno così pensa quella testa di legni di mio figlio –
pensa che se William è impegnato, potrà invitare alla festa la
figlia di Dursley. >>
Dovetti fare una
smorfia, perché anche Papà annuì in un gesto di assenso,
come se avesse voluto darmi ragione. Nonostante avessi solo sedici anni e fossi
considerata ancora una bambina, ero abbastanza intelligente da capire che mio
fratello, in quanto a donne… avesse davvero un pessimo gusto. Non che Agnes Dursley fosse una brutta ragazza,
questo no!
Volendo essere
sinceri, per avere solo due anni in più di me era cresciuta davvero in
fretta: i capelli rosso fuoco si dividevano in morbidi boccoli lunghi fino alla
schiena, gli occhi azzurri avevano la forma leggermente allungata, dandole un
aspetto seducente e accattivante; uno sguardo da gatta, in poche parole. Se si
contavano i bei lineamenti del viso e quei capelli simili a lingue di fuoco, si
poteva dire fosse una bella ragazza, ma bastava aggiungere il seno procace
costantemente messo in mostra, le labbra piene e rosee come rose in fiore, i
fianchi larghi e perfetti – una fattrice perfetta, insomma –…
se il viso e i capelli erano di per sé un buon elemento di bellezza, con
quelle piccole aggiunte diveniva un bocconcino appetitoso per quasi tutti gli
uomini di Ipswich!
Non conoscevo i gusti di Will, ma
ero certa che nemmeno lui era indifferente al fascino di Agnes… e questo
mi faceva male. Tanto male.
Scossi brevemente
la testa, allontanandomi da quei pensieri deprimenti, e concentrandomi su
Fletcher.
<< Pensi che Agnes
accetterà di ballare assieme a te? >> domandai dubbiosa.
Non che la figlia
di Dursley avesse qualche motivo per rifiutare la corte di Fletcher, in fondo
anche mio fratello, nonostante avesse il cervello di una gallina, era di
bell’aspetto, e tanto bastava; per una come Agnes, se non altro.
Fletcher gonfiò il petto
largo e mascolino con fierezza e la rozza camicia – una volta bianca
– si modellò attorno ad esso, i bottoni sembravano pronti ad
esplodere da un momento all’altro…
<< Ho capito, ho capito! Adesso
smettila però! >> gli intimai severa.
Ridacchiando
divertito si passò la grossa mano tra i capelli biondo castano, dandosi
un’aria quasi da dandy. << Dico, vuoi scherzare? Con un viso e un
corpo così, chi mai mi rifiuterebbe? >>
Alzai gli occhi
al cielo, sospirando. << Già… chi sarebbe così pazza?
>> dissi debolmente.
Mi guardò
in tralice e poi mi diede una portentosa pacca sulla testa, io mi allontanai
quasi subito, guaendo dissentita. << Ma che…? >>
Sorrise radioso. << Vedrai, Maddy.
Andrà tutto bene! >>
Sulle prime non
capii il senso di quelle parole, e non vi diedi peso. Non immaginavo neanche
lontanamente che, da lì a poco, sarebbe tutto cambiato.
*
<< Ma non sei ancora pronta?
>> Elisa sbuffò spazientita, guardandomi con occhi severi.
La guardai nel
riflesso dello specchio rotto che c’era nel salotto e strinsi gli occhi,
guardandola di sbieco. << Lo sarei se questi dannati capelli stessero al
loro posto, una volta tanto! >> sbottai infastidita mentre, con la
spazzola, cercavo di pettinare quei ricci ribelli, senza riuscirci minimamente.
Ero praticamente
pronta per uscire, con il mio nuovo vestito giallo con un fiocco arancione in vita
che gli dava un’aria graziosa e quasi civettuola, il pizzo che vi avevo
aggiunto io sulla scollatura, in modo che non fosse troppo evidente… mi
sentivo bellissima e a mio agio nel nuovo vestito, e quei dannati capelli
invece…
Con uno scatto
d’ira improvvisa gettai la spazzola a terra, la quale rimbalzò sul
pavimento di legno e scivolò lontana da me; mi coprii il viso con le
mani ed iniziai ad emettere singulti di rabbia e tristezza, ma non stavo
piangendo; ero troppo arrabbiata per farlo!
Un paio di mani
gentili iniziarono ad accarezzarmi i capelli, passando le dita affusolate e
femminili tra quei riccioli aggrovigliati, tirandoli appena e facendomi
trattenere un’esclamazione di fastidio, le dita poi furono sostituite
dalla spazzola che Elisa evidentemente aveva recuperato.
Mia sorella mi guardò nel
riflesso dello specchio incrinato. << Non dovresti comportati in modo
così infantile, lo sai >>, la sua mano stringeva saldamente la
spazzola, e questa scivolava senza problemi sulla mia testa, accarezzando e
sciogliendo anche i boccoli più ostinati. << Rimarrai una zitella
per tutta la vita, se non decidi a correggere questo tuo caratteraccio, Maddy.
>> Mi sembrò si scorgere un sorriso sul suo viso. << Sei
stata già fortunata ad essere invitata a danzare dal giovane MacLeod,
non fare niente di compromettente, d’accordo? >>
Non riuscii a non
arrossire per l’imbarazzo. << Che… che vorresti dire?
>> biascicai impacciata.
Elisa mi
tirò l’orecchio e io emisi un gridolino sorpreso. << Nel
senso che non devi mostrargli quanto sei scorbutica e ostinata! >> disse
severa.
<< Se dovesse puntare gli
occhi su un’altra ragazza, Dio ce ne scampi, dovremo sorbirci questa
sorellina ostinata per chissà quanto altro tempo! >>
La voce di
Fletcher impedì ad Elisa di finire la sua frase. Entrambe ci girammo a
guardare nostro fratello, appena comparso sulla soglia della mia stanza. Io lo
fulminai con lo sguardo, mentre Elisa annuì dandogli ragione. <<
Proprio quello che volevo dire io, fratello. >>
<< Adesso basta! >> con
uno scatto nervoso mi alzai dalla sedia sbilenca sulla quale ero seduta e feci
per uscire dalla stanza, ma mia sorella mi bloccò afferrandomi per un
braccio. << Aspetta, Maddy. Non ho ancora finito con te. >>
Senza che potessi
dire nulla, Elisa mi fece riaccomodare sulla sedia e mi diede qualche altro
colpo di spazzola, lisciando ancora un po’ i capelli.
Alla fine la
sentii armeggiare un po’ con i miei riccioli, modellandoli fino a formare
una treccia lunga e morbida, che fermò con un nastro giallo.
<< Lo usavo sempre a legarmi i
capelli quando indossavo questo vestito, è giusto che lo faccia anche
tu. >>
Mi guardai nello
specchio che, a causa del vetro rotto rifletteva la mia immagine in modo
vagamente sproporzionato e sbilenco, concentrata su quella punta di colore che
i miei capelli castani adesso avevano, le mie guance si fecero poco a poco
più calde e, imbarazzata, abbassai la testa, mormorando un
ringraziamento a mia sorella. Elisa mi posò la mano calda e materna
sulla spalla e la strizzò leggermente. << Non c’è di
che. >>
<< Pensate di essere pronte, oppure dobbiamo aspettare
l’anno prossimo? >> con un ghigno divertito, anche Erial
entrò nella mia stanza. Risposi sia a lui che a Fletcher con una
linguaccia. << Adesso arriviamo! >>
*
Quando arrivammo al villaggio la festa
era già bella che iniziata.
Flauti e violini
erano intenti a suonare una musica festosa e allegra, mentre uomini e donne di
tutte le età erano avvolti in un turbinio allegro di colori al ritmo
degli strumenti, il sole veleggiava ancora nel cielo, non era ancora pronto a
cedere il posto alla luna, in fondo Litha era la notte più breve di
tutto l’anno!
<< Maddy, Maddy! Sono qui!
>>
Sentendomi
chiamare girai la testa in direzione della voce femminile che stava richiamando
la mia attenzione. Dovetti aguzzare un po’ la vista, ma non mi ci volle
molto nel vedere i capelli nero pece di Charlot, sciolti e ondeggianti in
quella lieve brezza estiva.
mi venne in
contro facendosi largo tra la folla intenta nei festeggiamenti e quando fu
abbastanza vicina, mi gettò le braccia al collo, stringendomi con forza.
<< Meno male che sei arrivata!
Temevo non saresti venuta! >>
Le diedi qualche
colpetto sulla schiena, un po’ per rassicurarla e po’ per
convincerla a lasciarmi andare. << Certo che sono venuta, non mi sarei
persa la festa per nulla al mondo! >>
<< Senza contare che devi ballare
assieme a MacLeod, o sbaglio? >>
<< Taci,
Fletcher! >>
Charlot aprì leggermente la bocca
in una o sorpresa. << MacLeod? Accidenti Maddy, ma perché non me
l’hai detto subito? >>
<< Maddy, io e Erial andiamo a
ballare, d’accordo? >>
Fletcher invece
si guardò un po’ attorno e, quando alla fine sembrò trovare
ciò che stava cercando, con la scusa di andare a prendere qualcosa da
mangiare, si allontanò, lasciando me e Charlot da sole. <<
Raccontami tutto. >>
Non ci fu molto
da dire, ma lo feci ugualmente.
<< Oh be’,
accipicchia, quanto sei fortunata! >> esclamò lei estasiata alla
fine del racconto.
Abbassai lo
sguardo con timidezza, accarezzando pensierosa la mia folta treccia di capelli.
<< Fortunata… >>, ripetei con un mormorio confuso.
<< Certo che lo sei >>, la
sentii sospirare, << se Fletcher mi avesse chiesto di ballare assieme a
lui questa sera, avrei accettato immediatamente. >>
Charlot era innamorata di mio fratello.
Non era una infatuazione come potrebbe accadere a tante ragazze tra i quindici
e i sedici anni no, lei amava sul serio
quell’idiota di mio fratello, e lui non se n’era mai accorto.
Che il motivo
fosse da ricercare nel fatto che Charlot era mia amica e di conseguenza una
bambina, oppure perché non fosse abbastanza bella per i suoi gusti, non
l’ho mai saputo.
Charlot non era
una bella ragazza, ma a parere mio nemmeno brutta, cosa che non sembrava
pensare sua madre. ‘A quest’ora sarebbe già sposata, se solo
non avesse un aspetto così comune’, era questo che diceva sempre
la signora Lucas ogni volta che parlava di sua figlia, pensando che avendo
già vent’anni avrebbe già dovuto essere sposata, e
invece…
Charlot era molto più alta delle
altre ragazze di Ipswich e il fatto che fosse un po’ più rotonda
delle altre evidentemente non la aiutava con gli uomini, eppure aveva un bel
viso, dai lineamenti regolari e dagli occhi grandi e dolci, ma forse davvero
non era abbastanza per un pretendente, chi lo sa!
Si passò
una mano tra i lunghissimi capelli neri, portandosi qualche ciocca dietro
l’orecchio, e sospirò.
<< Forse, se fossi un po’
più simile ad Agnes, forse Fletcher… >>
Scossi
vigorosamente la testa e le afferrai entrambe le mani. << Andiamo a
ballare >>, la incalzai io, con un enorme sorriso.
In mezzo alla
bolgia danzante trovammo anche John che, come al solito, cercava di invitare a
ballare qualche ragazza… ma purtroppo nessuna di loro accettava, e
così alla fine si ritrovava sempre a ballare con Lydia, la sua sorellina
di dodici anni.
<< Vuoi il cambio, Libby?
>> le chiese Charlot con cortesia, sorridendole.
Per un attimo,
gli occhi della ragazzina parvero brillare e, come se niente fosse,
staccò le proprie mani da quelle del fratello e corse via, andando a
cercare i suoi amici. Per qualche secondo guardammo attonite il punto in cui
Lydia era sparita, poi guardammo John che, come era prevedibile, arrossì
come un pomodoro maturo e cercando di dissimulare il proprio imbarazzo prese a
tossicchiare.
Io e Charlot
scoppiammo a ridere, meritandoci così dal figlio del pastore uno sguardo
furente.
*
<< Vedrai che arriva, aspetta
ancora qualche minuto >>, disse Charlot con un sorriso dolce e
comprensivo mentre addentava con voracità il suo pezzo di carne arrosto.
La guardai per
qualche secondo con occhi inespressivi, poi osservai per qualche tempo il mio
piatto sul quale riposavano, inviolati, un pezzo di agnello arrosto, e una
patata bollita; sospirai e non mi arrabbiai nemmeno quando John afferrò
con una mano sporca di unto il mio pezzo di agnello e se lo cacciò
completamente in bocca.
<< Accidenti, allora è
grave! >> esclamò lui a bocca piena mentre masticava, dando a me e
a Charlot una completa visione di quello che stava masticando.
Io e lei
arretrammo in simultanea inorridite, facendo entrambe una smorfia disgustata. <<
Che c’è? >> chiese allora lui, una volta mandato giù
il boccone e dopo essersi leccato le dita con impudenza.
Una voce possente voce femminile
chiamò a raccolta tutte le ragazze nubili di Ipswich. << Le
ragazze ancora nubili vengano qui! >> gridò lei a gran voce.
Io e Charlot ci
guardammo in simultanea, sapendo bene cosa sarebbe accaduto di lì a
pochi minuti. Senza dire una parola di più ci alzammo dalla panca di
legno e ci unimmo al gruppo estasiato di ragazze nubili.
Era tradizione
che durante i festeggiamenti del solstizio d’estate, le ragazze nubili si
facessero in un certo senso ‘predire’ il futuro attraverso il
piombo liquefatto dentro una padella, oppure attraverso la chiara d’uovo
mescolata in un bacile pieno d’acqua; io non credevo a cose simili,
perciò non ci tenevo particolarmente a sapere se mi sarei sposata quello
stesso anno, oppure sapere quale sarebbe stato il mestiere del mio futuro
marito, tuttavia…
<< A me, a me! Voglio sapere
del mio futuro marito! >> esclamò estasiata Agnes Dursley.
<< Oh, vi
prego signora Timms, predite il mio futuro! >> la scongiurò Margaret,
la sorella maggiore di John. << Mi sposerò entro l’anno?
>> chiese speranzosa. Era risaputo, in un certo senso, che Margaret
Maverick temesse molto più della povertà e della malattia, una
possibile condizione di zitella.
<< Maddy, vieni qui >>, mi
incalzò la signora Timms, volendo dare a intendere a tutte le altre
ragazze che io sarei stata la prima. Con piccoli passi esitanti, attraversai il
gruppo di ragazze che si aprì ai miei lati per lasciarmi passare,
lanciandomi poi, ognuna di loro, un’occhiata furente e inceneritrice.
<< Sì? >>
chiesi, una volta davanti alla donna. << Cosa c’è? >>
La donna di mezza
età mi lanciò uno sguardo ricco di rimprovero, ma lasciò
perdere quasi subito. Ruppe il guscio dell’uovo, separando la chiara d’uovo
e la versò dentro il piccolo bacile con l’acqua. Dovetti attendere
qualche secondo prima che l’albume smettesse di muoversi e di tremolare
dentro il liquido trasparente e poi, alla fine assunse una forma molto simile a…
<< Una maschera? >>
chiesi stranita, guardando con attenzione quella forma irregolare dal naso
esageratamente allungato.
Le ragazze dietro
di me iniziarono a ridacchiare sommessamente, come se fosse un motivo di
ilarità la mia predizione. Ma se per loro poteva essere qualcosa di cui
ridere, per me non si poteva dire altrettanto: Will non faceva l’attore
di teatro.
<< Magari farà una
fuga d’amore con un attore di teatro! >> mormorò Agnes
divertita, scatenando un altro coro di risatine e di sghignazzi sommessi da
parte delle sue amiche.
Brutta oca! Pensai
tra me e me.
La signora Timms
prese la chiara d’uovo e la gettò via, poi mi guardò dritta
in viso con i suoi occhi porcini, dandomi a intendere che quello che stava
pensando era serio.
<< Vai fino alla chiesetta,
sai quello che devi fare.(3) >>
Senza dire una
parola di più accettai il coltello, e mi allontanai da quel gruppo di
ragazze agitate.
*
<< Qui c’è il
coltello, dove è il fodero? >> cantilenai io, al quinto giro
attorno alla piccola chiesa di Ipswich.
Mi fermai davanti al piccolo portone
chiuso, guardai poi la piccola lama scintillante nella notte e senza troppo
entusiasmo, la inserii dentro la serratura. Non successe niente.
<< Basta! >> sbottai
spazientita. << Ma a che serve una sciocchezza simile? >> chiesi a
me stessa, sedendomi poi per terra, accostando la schiena al portone chiuso.
<< Alla fine non è venuto,
non ha senso continuare >>, mormorai rassegnata, guardandomi la punta
delle logore scarpette che indossavo quella sera.
Avevo aspettato così
tanto a lungo questo giorno, sin da quella mattina di maggio, io…
<< Ti ho aspettato Will, e tu
invece… >>
Una lacrima
galeotta mi scivolò dall’occhio e percorse tutta la guancia, fino
a raggiungere il collo; immediatamente la sfregai via, facendomi poi piccola
piccola, come se avessi voluto sparire dentro me stessa, ingoiata viva dal mio
stesso corpo.
<< Perché, Will? >>
singhiozzai sommessamente. << Perché non sei venuto? >>
<<
Madelaine? >> un sibilo nella notte mi spinse ad alzare immediatamente la
testa.
Disorientata guardai davanti a me,
vedendo solo una scura macchia di cespugli nella notte, una sagoma nera e
minacciosa, ai miei occhi.
<< Chi…
chi è? >> sibilai di rimando, tirandomi su a sedere senza gesti
troppo rapidi. << C’è qualcuno? >> con la schiena
saldamente adesa al portone della chiesa, cercai a tentoni il manico del
piccolo coltello che avevo conficcato nella serratura. Lo trovai.
<>
ripetei di nuovo, incoraggiata dal piccolo manico consunto che adesso stringevo
con una mano, ancora conficcato dentro la serratura. << Fatti vedere!
>> lo incalzai io, adesso forse con troppa baldanza.
La macchia scura di cespugli iniziò
a fremere e a tremare, come se dentro di essa vi fosse un qualche animale, un
tasso, o magari una volpe… ma non era così; sapevo che cosa ci
fosse la dietro…
Deglutii con
forza, pronta ad attaccare chiunque fosse dentro quel cespuglio, spinta dal
puro spirito di sopravvivenza.
Papà ci
aveva raccontato che, durante la
Sommossa non fosse raro che gruppi di disertori oppure di
Dragoni inglesi o, peggio ancora, di traditori scozzesi, facessero incursione nei
villaggi, saccheggiassero tutto il saccheggiabile… e stuprassero le
donne. Era una realtà lontana vent’anni e ancora molto più
lontana per noi di Ipswich, ma non potevamo escludere briganti e furfanti di
ogni sorta. Quelli c’erano sempre, in qualsiasi caso.
Dal cespuglio balzò fuori
una figura nera e io per poco non lanciai un urlo, un po’ per volerla
spaventare con il mio strillo improvviso… e un po’ perché avevo
paura.
<< Vattene! >> urlai io,brandendo
il coltello con entrambe le mani e puntandolo contro quella figura alta e
scura. << Vattene via! >> la incitai io, disperata e senza sapere
bene cosa fare.
<< Maddy, sono io! >>
una voce maschile attirò la mia attenzione, spingendomi ad abbassare
immediatamente l’arma.
Strinsi appena gli occhi velati di lacrime,
come a voler mettere a fuoco la figura. Battei appena le palpebre, e le lacrime
scivolarono lungo le guance. << Will? >> chiesi, sospettosa, ma non
spaventata.
<< Sì, sono io. >> Mi
sembrò di sentire una risata smorzata provenire da lui, ma non vi badai
più di tanto. Iniziò ad avvicinarsi e, quando la luce della luna
illuminò il suo viso dagli lineamenti decisi e mascolini, tirai un lungo
respiro di sollievo; fu in quel momento che notai come fosse vestito.
A differenza delle solite camice di lino
grezzo e dei calzoni larghi e consunti, quella sera portava i capelli neri
sciolti lungo le spalle, in modo da formare morbide onde nere sulle sue spalle
larghe e mascoline, indossava una camicia bianca e pulita, di un tessuto
differente dal solito lino grezzo, infine un kilt(4) di cui però non
riuscii a comprendere il colore, era avvolto attorno al suo meraviglioso corpo
maschile e lo fasciava alla perfezione. Era talmente bello da togliermi il
fiato.
<< Santo cielo, cosa ci facevi
là dietro? >> gli chiesi dopo qualche secondo, quando il mio cuore
tornò a battere normalmente.
Scrollò appena le spalle,
abbozzando un sorriso. << Ero venuto a cercarti. Sono arrivato in ritardo
e quando ho visto la figlia del signor Lucas le ho chiesto dove eri, e
così… >> Scrollò nuovamente le spalle, facendomi
capire quello che era successo qualche secondo prima.
Aggrottai le sopracciglia, guardandolo
in tralice. << Perché eri dietro a quella macchia di cespugli? >>
Sorrise di nuovo,
e il cuore mi si fermò in petto. << Volevo farti uno scherzo!
>> esclamò allegro.
<< E perché? >> gli
chiesi, usando un tono molto più acido di quanto volessi.
Lui tuttavia non
vi badò. Lo sguardo ilare e allegro cedette immediatamente il passo ad
uno più duro e serio. Aggrottò leggermente le sue folte sopracciglia
nere e per un attimo, i suoi occhi verdi sembrarono risplendere di una luce
diversa… quasi selvatica. Ne ebbi paura.
<< Will… >>, biascicai
spaventata, senza trovare niente da dire, se non pronunciare il suo nome.
<< Volevo
punirti >>, disse con un sussurro.
Con un gesto
fulmineo mi afferrò per le spalle, e io sussultai per la paura. <<
Will, no! >>
<< Tu avevo detto di aspettarmi, e
tu invece… >> Adesso la sua voce non sembrava dura come pochi
secondi prima, ma ferita. Sembrava che soffrisse per qualcosa, come se io ne
fossi la causa…
Lo guardai negli occhi, senza dire
niente di concreto o di importante, e lui fece lo stesso. I suoi occhi
sembrarono addolcirsi e poi passò la sua mano grande e calda sul mio
viso, possibilmente ancora più accaldato. << Maddy >>, mi
sussurrò con dolcezza, accarezzandomi appena la guancia, e scendendo poi
lungo il mio collo sottile. << Piccola, dolce Maddy… >>,
ripeté con voce carezzevole, quasi mi stesse rivolgendo una preghiera.
<< Maddy, voglio baciarti >>
disse con la voce leggermente strozzata, come se fosse un assetato che non vede
una goccia d’acqua da tempo… ed io ero l’acqua; tutta l’acqua
che voleva. Il mio cuore capì per primo, battendo con insistenza contro
le costole e togliendomi quasi il fiato, il corpetto mi soffocava, le stecche
mi soffocavano… respiro, respiro… non riesco più a respirare…
La debole luce
della luna lontana danzava sul suo viso con un perfetto gioco di ombre e luci;
Will alzò la mano e fece scorrere nuovamente le nocche, lievi come
piume, lungo la mia mascella raggiungendo poi il mento.
<< Lascia che ti baci, Maddy
>>, sussurrò carezzevole, quasi rassicurante.
Lentamente chiusi
gli occhi, annuendo appena con la testa. Sentii le sue mani fermarsi ai lati
della mia vita, tirandomi poi in avanti fino a che il suo torace non
sfiorò appena il mio seno, e poi più vicino. In cerca di
equilibrio alzai le mani e le posai sulle sue spalle larghe, sentendo un’improvvisa
intimità a contatto con Will, e il suo corpo. Aprii gli occhi e vidi il
suo volto molto vicino al mio, lo sguardo fisso sulle mi labbra. E poi mi
baciò.
Le sue labbra erano dischiuse. Provai
un improvviso sgomento il calore umido dell’interno della sua bocca e il
suo fiato caldo contro la mia guancia. Per qualche istante mi abbandonai a
sensazioni più carnali di quanto avessi mai sospettato. La sua lingua prese
ad accarezzarmi la linea delle labbra , trasmettendomi una sensazione indecente
giù per la gola e giù nel seno e giù…
La sua mano era
ben ferma dietro la mia vita, no, al di sotto, e mi stava attirando contro di sé
in modo da aderire con le sue cosce contro le mie e…
Sapevo bene cosa portasse un uomo
sotto al kilt – e cioè niente –, Papà me lo aveva
detto, e adesso quella cosa sembrava
spingere con insistenza contro di me, facendomi avvertire tutta la sua durezza
e…
Lo allontanai con
una spinta, lottando contro il caos delle sensazioni e delle emozioni
sconosciute che stavano turbinando nel mio cervello, sconvolgendomi. Non avevo
mai baciato nessun uomo, apparte John, il che rientrava più in una
semplice forma di saluto oppure un gioco infantile… ma Will non era un bambino… e ormai non la
ero più neanche io.
<< Grazie Will, ma…
>>, io stessa sentivo la voce tremula per l’emozione, tirai una
lunga boccata d’ossigeno, prima di parlare ancora. << Credo che…
sia meglio, credo che sia sufficiente a… >>
A cosa? Cosa era
sufficiente? … non lo sapevo nemmeno io.
<< Maddy. >> Eravamo
ancora vicinissimo e dall’alto della sua statura mi dominava, la testa
piegata un poco di lato. Non fece alcun tentativo per abbracciarmi, non mi
sfiorò nemmeno e teneva le mani sui fianchi, dandomi a intendere che non
avrebbe fatto nessun altro gesto azzardato. Tuttavia, se non avessi avuto il
portone della chiesa dietro di me, avrei cercato di arretrare di qualche passo,
per mettere un po’ di distanza tra noi, non perché non mi fidassi
di lui, ma piuttosto di me. Se mi
avesse baciata di nuovo… non osavo nemmeno pensarci.
<< Maddy, io ti amo.
>>
Cosa? Lo fissai
ammutolita, senza trovare nulla da dire.
1) Litha, festa del solstizio d’estate, di solito attorno al 21
giugno, una festa tradizionale risalente fino alla lontana epoca dei celti.
Litha segna il punto dell’anno in cui il Sole si trova simbolicamente al
culmine dei suoi poteri e così anche il Dio. È il giorno
più lungo dell’anno. Nonostante nel Settecento fossero o cattolici
o protestanti, in qualche villaggio si festeggiavano ancora le vecchie feste
pagane, e il villaggio dove vive Maddy è uno di questi.
2) No, mia cara Bestia… estratto dalla favola “La Bella e la Bestia”, di Leprince
De Beaumont.
3) Il coltello…per trovare la propria
anima gemella si camminava intorno ad una chiesa nove volte e si metteva alla
fine di ogni giro un coltello nella serratura del portone, dicendo: “Qui
c'è il coltello, dove è il fodero?” Il simbolismo è
evidente...
Non è una tradizione
tipica dell’Inghilterra (essendo il Suffolk in Inghilterra), ma ho voluto
comunque inserire questa piccola tradizione:)
4) Il kilt è un indumento maschile che consiste in un pezzo di stoffa arrotolato intorno alla vita (simile
alla gonna
femminile) ed allacciato. Anticamente il kilt era realizzato con un pezzo di
stoffa lungo abbastanza da essere poi appoggiato sulla spalla (dopo essere
stato arrotolato intorno alla vita). Per una maggiore comprensione e per chi
non conoscesse la cultura scozzese:) :
Chiedo umilmente
perdono per averci messo così tanto, ma non è per niente facile
aggiornare questa fanfiction, soprattutto perché non voglio scrivere
capitoli inutili dove non succede niente di interessante… be’,
forse dovrei starmene zitta, dato che nei primi due non è successo
praticamente niente… e come al
solito mi sotterro da sola-_-‘
Ringrazio come al solito la mia cara Padme,sai che apprezzo tantissimo i
commenti che lasci^^, barbarizia,sono
contenta che stessi aspettando il seguito, anche se mi dispiace di averti fatto
attendere così tanto^^’, Owarinai
yume,eheh… credo che non ci vorrà
molto, per sapere chi è ‘l’uomo mascherato’:D, shandril, yay, una new entry!x3 Grazie per i complimenti, sono
contenta che Maddy ti piaccia… piace anche a me, ma del resto sono sua
‘Madre’, come potrei non amarla?^^
Will… eh, Will
penso che a lungo andare si beccherà un sacco di nomi… e
finirà sulla lista nera di molti… -_-‘
Al solito, chiedo scusa per averci messo
così tanto ad aggiornare, ma non è facile essere puntuali con gli
aggiornamenti, quando si è all’ultimo anno delle superiori,
perciò vi prego, non mettetemi in croce, d’accordo?^^’
Spero che anche questo capitolo
possa piacervi e… alla prossima!
Redarcher
III
Confusione
Quella notte non chiusi
occhio. Senza sosta, continuai a girarmi e rigirarmi sotto le coperte
completamente accaldata e confusa. Le parole di Will erano marcate a fuoco
dentro di me, e ogni secondo di più bruciavano nel mio cuore come se
avessero voluto incenerirlo.
‘Diventa mia moglie’.
Scossi brutalmente la testa,
cercando di togliermi dalla mente le sue parole, tirandomi il lenzuolo fresco
sopra la testa. Ero riuscita a fuggire da lui dicendogli che dovevo fare
ritorno a casa, e così avevo fatto… ma avevo il presentimento
– anzi la convinzione! – che in futuro non avrei più potuto
lasciare in sospeso la faccenda. Will era molto più grande di me, ed era
un uomo forte e orgoglioso… non avrebbe accettato un no come risposta, o
meglio, non mi avrebbe lasciata fuggire senza chiarire la situazione.
Il mese successivo avrei compiuto
diciassette anni, ed ero in età da marito già a
quattordici… Papà non mi avrebbe lasciata senza marito a lungo, ne
ero certa, a causa anche delle nostre scarse possibilità economiche,
senza contare che Elisa era incinta, e Fletcher sembrava voler ritardare il
più a lungo possibile, il momento di scegliere una moglie… io non
avevo scelta. Prima o poi sarebbe successo, che io lo volessi o meno,
perciò forse avrei fatto bene ad accettare la proposta di Will…
<< Madelaine!
Madelaine, svegliati! >> La voce di Elisa mi raggiunse da dietro la porta
malandata della mia stanza, strappandomi un sussulto.
<< Arrivo! >> le
risposi, balzando fuori dal materasso sfondato del letto.
Mi vestii nel buio della
stanza, sistemandomi la camiciola di mussola e aggiungendovi sopra il corpetto
e le gonne; aprii la finestra e una luce pallida entrò nella stanza,
facendo danzare il pulviscolo sul pavimento, mi legai i capelli con lo stesso
nastro giallo della sera prima e uscii dalla stanza.
Elisa era già sveglia e
pronta a iniziare la sua giornata, il grembiule bianco annodato e i capelli
raccolti in una crocchia improvvisata. Si voltò lentamente, sentendo i
miei passi.
<< Oh, buongiorno >>,
disse tranquilla, riconcentrandosi sulla colazione.
<< Buongiorno
>>, risposi, mentre mi annodavo anch’io il mio grembiule bianco.
Nella stanza permeava
l’odore pungente del porridge e di zuppa di erbe, se eravamo fortunati ci
sarebbero stati alcuni pezzetti di pane raffermo da inumidire nella zuppa
calda.
<< Manca
l’acqua, ti dispiace andare a prenderla? >>
Non risposi, limitandomi ad
uscire dalla porta della cucina, ritrovandomi così nel retro del piccolo
cottage. Con il secchio in una mano andai nella piccola stella – che in
realtà era solo una tettoia – dove lì accanto c’era
la botte dove raccoglievamo l’acqua, a volte era acqua piovana, altra
andavo fino al fiume con due secchi e poi andavo avanti e indietro
finché la botte non era piena.
Una volta recuperata l’acqua
tornai in casa, trovando Papà, Fletcher ed Erial svegli e seduti a
tavola con la loro colazione fumante davanti al naso, lasciai il secchio al
piano di cottura e mi sedetti al mio posto, congiunsi le mani, aspettando che
Papà iniziasse la funzione.
Si alzò da tavola, di
modo che la sua voce chiara e ben udibile, abbassammo il capo, pronti a
recitare la preghiera.
La sua voce, nonostante
l’età, era profonda e ben udibile, senza alcuna incertezza.
<<Signore, il pane non manca sulla nostra tavola.I nostri zaini contengono cibo a
sufficienza,anzi qualche volta
ne portiamo fin troppo. >> Fece una pausa, << Siamo affamati per il cammino e la
fatica della strada, e ora ci dai la gioia di nutrirci. >>
Fletcher
emise un lungo sospiro, pensando al fatto che noi, in realtà, fossimo
sempre affamati, e poche volte avevamo la gioia di nutrirci. Per me non era un
problema, non più di tanto, almeno; mangiavamo poco, ma
Non
sembravo risentire granché della mancanza di cibo… Fletcher invece
era sempre affamato, e poche possibilità di nutrirsi a dovere.
Intanto
Papà continuava a recitare la preghiera.
<< Fa’ che non perdiamo mai il gusto delle cose semplici,
che non diventiamo schiavi delle cose superflue o inutili. Insegnaci a dividere
il nostro pane con chi ne è privo e a non sprecare mai le risorse e le
vivande che abbiamo. >>
No, non avremmo mai perso il gusto
delle cose semplici, perché era l’unica cosa di cui disponevamo.
Alla fine
intonò le ultime parole. <<
Donaci sempre la fame di Te. >> (1)
<< Amen. >>
Riaprii
finalmente gli occhi e afferrai il mio cucchiaio di legno, posto accanto alla
scodella calda.
Sorbimmo
il nostro magro pasto in religioso silenzio, scambiandoci qualche parola di
tanto in tanto, ma nessuna di esse era di fondamentale importanza.
Una volta
terminato di mangiare, Erial, Fletcher e Papà si recarono assieme nei
campi, pronti per una nuova giornata di lavoro. Aiutai Elisa a raccogliere le
stoviglie, versai un po’ d’acqua in un catino e diedi una
sciacquata alle scodelle e una volta terminata l’operazione, portai
l’acqua nella stalla, versandola nel secchio di Joshua, il piccolo bramantino
che usavamo per arare i campi e, saltuariamente, per raggiungere la contea di
Babergh (2), ma la maggior parte del tempo la trascorreva dentro alla piccola
tettoia che fungeva da stalla, con il suo fieno e il foraggio fragrante.
<< Ehi, Joshua >>, gli
dissi amichevole, battendo lievemente il palmo sulla sua testa piccola e
raffinata, sentendo sotto le dita l’accumulo di polvere e fango e altre
lordure, sul pelo sporco e pieno di sudiciume.
Joshua in
tutta risposta esalò un nitrito gutturale di saluto, piantando il grosso
muso sulla mia mano, e tirando una lunga annusata, avvertendo molto
probabilmente la zaffata di avena e erbe assieme.
<< Bravo ragazzo
>>dissi conciliante, mentre versavo l’acqua nel suo catino.
*
<<
Qualcosa non va? >>
Alzai gli occhi dal mio lavoro di cucito,
soffermandomi sul viso dai tratti regolari di Elisa, intenta a scrutarmi con
attenzione.
<<
Perché? >> chiesi, senza capire cosa volesse dire.
Si
passò un ciuffo di capelli dietro le orecchie, tirando una lunga boccata
d’aria, quasi stesse cercando le parole giuste.
<< Ieri sei
tornata a casa da sola, come mai? >>
<<
Oh. >> Mi riconcentrai prontamente sui calzini che stavo rammendando, un
odore forte e pungente di maschio fuoriusciva da essi, pizzicandomi leggermente
il naso; Fletcher per avere solo diciannove anni sudava peggio di un uomo di
trenta.
Scossi lentamente la testa e
alcuni riccioli mi caddero davanti al viso, impedendomi di vedere cosa stessi
facendo; con un gesto rapido me li tolsi di torno.
<< Ero stanca, perciò
sono tornata a casa? >>
<< Da
sola? >>
Annuii di
nuovo. Sapevo bene il perché di quella domanda. Se le vecchie comari di
Ipswich mi avessero vista tornare a casa con un uomo, di sicuro avrebbero
potuto fare ipotesi azzardate sulla mia persona: sarei potuta ritrovarmi
fidanzata con un uomo nel giro di poche ore – ovviamente senza saperlo
– oppure essere una ragazza dal deplorevole… che meraviglia.
<< Hai incontrato il
figlio del locandiere? >> Non riuscii a trattenere un fremito, sentendo
menzionare Will. Intuendo che sarei potuta andare avanti a lungo, poggiai sul
grembo la calza di Fletcher, guardando sconsolata la pila di altri indumenti da
rammendare.
<< Chi te l’ha detto?
>> Riuscii a simulare un tono tranquillo, nonostante fossi tutt’altro
che tranquilla, in quel momento.
Elisa scrollò le spalle,
riprendendo le sue faccende. << Oh, è stato lui a chiedermi di te.
stavo ballando assieme ad Erial, quando me lo sono visto davanti agli occhi. Mi
ha chiesto dove fossi, così gli ho detto che molto probabilmente eri con
Charlot e il figlio del pastore. >>
<< Infatti >>, dissi,
più rivolta a me stessa che a mia sorella.
<<
L’hai visto? >>
Stavolta
non dissi la verità. << No, sono tornata a casa prima. >>
<< Ah. >> Elisa
concluse così la sua sequela di domande, riprendendo a preparare il
pranzo.
Non avrei
mai potuto dire a Elisa della proposta di matrimonio da parte di Will; sapevo
che anche solo a menzionare una cosa simile, lei si sarebbe prodigata con tutta
sé stessa affinché io e lui convolassimo a nozze prima del
compimento dei miei diciassette anni… e per adesso non avevo simili
intenzioni, non subito, almeno.
<< Sarebbe il caso che tu
andassi al fiume, oggi. >>
<<
Ah, sì? >> chiesi, sollevando nuovamente il naso dal rammendo,
stavolta di una camicia di Erial.
Elisa
annuì brevemente. << Ti darei volentieri una mano, ma come
vedi… >> Girò su sé stessa, esibendo al meglio il suo
ventre rigonfio.
Scossi leggermente la testa.
<< Non importa, me la caverò anche da sola. >>
Chinai
nuovamente il capo sul lavoro di rammendo, e stavolta non fui interrotta.
*
Dopo un
pranzo frugale raccattai tutti i panni sporchi, presi un’assa di legno e
un frammento di liscivia e un catino in cui infilare il tutto, mi annodai un
fazzoletto sulla testa e andai al fiume, sotto un battente sole estivo.
Il piccolo ruscello scorreva
placidamente in mezzo ad una generosa distesa di massi verdi di muschio
più o meno grandi; solitamente la maggior parte delle donne di Ipswich
si raccoglieva al ruscello per lavare i panni e, ovviamente, per spettegolare
tra loro… ma oggi non sembrava così.
Troppo
accaldate per starsene a lavare i panni sotto al sole cocente, le donne
evidentemente avevano preferito starsene tappate in casa a sbrigare le faccende
di casa, piuttosto che svenire per il caldo. Io non ero della stessa opinione.
Mi ero
munita di un fazzoletto, accuratamente annodato sopra la mia testa,
perciò non temevo né il caldo né nessun svenimento in
particolare.
Appoggiai
il catino su di una roccia dalla forma smussata e piatta sulla sommità,
raccolsi al meglio le maniche della camicia e mi tirai su le gonne fino alle
ginocchia, lasciando il polpaccio pallido esposto alla luce del sole.
C’era una differenza spaventosa tra la pelle delle mie gambe e quella
delle braccia, molto più abbronzate e di un colore più salutare
rispetto alle mie gambe.
Una volta tolte anche le logore scarpe,
mi immersi poco a poco in acqua, rabbrividendo fino alla radice dei capelli per
l’acqua fredda, i sassi scivolosi pungevano e pizzicavano sotto i miei
piedi, ma non si feci granché caso: ero abituata a lavare i panni nel
fiume.
Presi una
manciata di vestiti e me li posai accanto, la logora assa di legno e la
liscivia; iniziai a lavare i panni, stando ben attenta a non sprecare
inutilmente troppa liscivia.
Nonostante
il caldo, era una giornata perfetta per lavare i panni, di sicuro sarebbero
anche asciugati in fretta con tutto quel caldo. I panni si inumidivano in acqua
e si lasciavano impastare dolcemente dalle mie mani esperte, ruvide per i
lavori manuali cui erano state ‘costrette’ fin quando ero bambina.
Con un così bel tempo, il
sole che scaldava piacevolmente la mia schiena sudata e il resto del mio corpo,
mi riusciva impossibile pensare a quello che era accaduto solo la note
precedente; ora come ora, Will non era altro che un pallido riflesso nella mia
mente, che tendeva a svanire poco a poco ad ogni strizzata che davo ai vestiti.
Dovevo trovare una soluzione, sapevo di non poter ritardare a lungo, ma adesso
sembrava una cosa così lontana, quasi impossibile… ci avrei
pensato più tardi, ma non adesso. Ero troppo impegnata.
Il nitrito acuto di un cavallo non
troppo lontano, mi distolse dal lavoro, facendomi perdere la concentrazione.
Sollevando la testa dai panni, i miei occhi cercarono il cavallo, venuto molto
probabilmente ad abbeverarsi. Di sicuro con lui c’era anche il suo
cavaliere, ma non sarebbe stato difficile nemmeno trovare l’equino
completamente solo, magari sfuggito dal recinto e adesso intento a farsi una
bella passeggiata in solitaria.
Lo trovai
non troppo lontano da dove ero appostata io. Chinato sulle lunghe zampe
muscolose, un grosso roano con dei rapidi colpi della grossa lingua rosa
raccoglieva generose quantità d’acqua, dissetandosi completamente.
Non troppo lontano dal grosso roano trovai il suo cavaliere… e il mio
cuore perse un colpo.
Will bucò improvvisamente
da una macchia di cespugli li accanto, le mani poggiate sulla patta dei
pantaloni e un’espressione sollevata in viso. Raggiunse il cavallo e si
inginocchiò lì accanto, chiuse la mani a coppa e raccolse una
generosa quantità d’acqua, versandosela poi sulle labbra generose.
Deglutii
profondamente, vedendolo sorbirsi quel liquido ghiacciato quasi fosse stato il
più buono dei nettari. Non era difficile capire perché la maggior
parte delle ragazze del villaggio sperasse di andare in sposa al figlio del
locandiere. Will era bello e gentile, quasi quanto era imprevedibile e
‘pericoloso’, guardarlo in quei profondi occhi verdi voleva dire scegliere
deliberatamente di perdersi in quelle profondità del colore dello
smeraldo.
Forse era proprio per questo che
ero così restia ad accettare la sua proposta di matrimonio. Non ero
sicura di conservare la mia integrità, la mia anima, se avessi scelto
lui… e la mia anima era una delle poche cose che erano mie, e mie
soltanto.
Una volta
che anche il cavallo ebbe finito di abbeverarsi, William gli afferrò le
redini e gli diede un leggero colpetto sul muso, sussurrandoli delle paroline
incomprensibili all’orecchio.
<< Murtagh, mo mhùirnìn bàn
(3), sei pronto a ripartire? >> chiese allo stallone con dolcezza.
Con uno
scatto agile e molleggiato, risalì in groppa alla propria cavalcatura,
il cavallo sollevò la grossa testa in risposta allo sprono delle
briglie, Will poi lo incitò a partire con uno schiocco secco della
lingua; il cavallo ubbidì, e nel giro di poco mi ritrovai nuovamente
sola.
Forse sposare William era
soluzione migliore. Era un bravo ragazzo, aveva i soldi ed un nome
rispettabile, nonché una casa sua propria, ma allo stesso tempo, una
parte di me gridava con tutto il fiato che aveva in corpo di non accettare
l’offerta. Non ero vanitosa, non potevo sperare – né volevo
– di avere un uomo migliore di lui, il prestigio e il denaro erano
l’ultima cosa che mi interessasse… ma allora cosa volevo?
Con quella domanda ancora stampata
a fuoco dentro di me, ritornai ai panni.
*
Tornai a
casa giusto per l’ora di cena, i panni lavati e umidi nel catino, e
un’espressione soddisfatta dipinta in viso. Andai sul retro del cottage
dove, piantati nel terreno secco, c’erano due grossi pali di legno e un
filo dove stendere la biancheria bagnata. Vedendomi, Joshua si lanciò in
una sequela di nitriti gutturali in segno di saluto.
<< Ciao Joshua >>, gli
risposi, senza guardarlo, troppo impegnata a terminare il lavoro per prestargli
attenzione.
Ai nitriti
allegri di Joshua, si aggiunse un altro, molto più potente.
Era strano; Joshua era
l’unico cavallo che possedevamo, ed era un evento raro ricevere visite,
almeno per noi, tuttavia non poteva essere altrimenti.
Girandomi
verso la piccola stalla, temetti che il cuore mi scoppiasse da un momento
all’altro.
Murtagh,
il grosso roano che avevo visto quel pomeriggio, adesso era impastoiato nella
piccola stalla assieme a Joshua, occupando tutto lo spazio disponibile al
piccolo bramantino, relegandolo in un angolo.
Che ci faceva a casa nostra il
cavallo di Will?
Appena mi
posi quella domanda, un campanello d’allarme attirò la mia
attenzione, gelandomi il sangue.
<< Non può
essere…! >> Lasciai gli abiti lavati nel catino, raccolsi le gonne
affinché non mi impedissero i movimenti, e mi precipitai in casa.
<< Elisa! >> esclamai
a gran voce, una volta entrata dalla porta.
Il cuore
mi batteva violento nel petto, stringendomi sempre più le stecche del
corpetto contro e lasciandomi senza fiato.
<< Elisa…! >>
Senza fiato, la voce mi uscì come un rantolo allarmato.
<<
Cosa c’è? >> Non riesco a descrivere il sollievo che provai,
vedendo il volto di mia sorella, rilassato e sorpreso.
<< È di là,
assieme ad un ospite >>, disse lei senza una particolare emozione nella
voce.
<< Ospite? >> La voce
mi tremò come se avessi freddo, togliendomi anche gli ultimi residui
d’aria rimasti.
Lei
annuì, nonostante la mia domanda fosse retorica.
<< Il figlio del
locandiere è venuto a casa nostra. Voleva parlare con Papà.
>>
Oh, no.
no, non poteva essere, non stava accadendo veramente, non stava…
<< Maddy? Figliola,
sei tu? >> Dall’altra stanza mi giunse la voce di Papà.
Non gli
risposi, limitandomi a camminare a testa bassa, raggiungendolo.
La vista di Will,
comodamente seduto sulla poltrona sgangherata della piccola stanza che fungeva
da soggiorno, mi fece male al cuore… ma non fu piacevole.
Non era
difficile immaginare il motivo per cui fosse qui, era fin troppo ovvio.
Will,
vedendo la mia indecisione, aveva deciso di prendere il toro per le corna,
decidendo di parlare personalmente con Papà. Non aveva minimamente
tenuto in considerazione le mie opinioni, mi aveva deliberatamente messa da
parte.
<< Maddy, non essere
scortese! >> esclamarono Papà ed Elisa all’unisono. <<
Saluta il nostro ospite >>, mi intimò mia sorella, spingendomi
verso William.
<< Eh… ah… io,
io… >>, mi morsi leggermente la lingua, imponendomi di non
balbettare, << … buonasera. >> La mia voce non era più
che un sussurro strozzato.
Lui mi sorrise cordialmente,
chinando lievemente il capo, in segno di cortesia. << Buonasera. >>
<<
Papà io… >>
<< Credo che sia il
momento che me ne vada. >> Will interruppe qualsiasi mia parola,
alzandosi dalla sedia. Elisa cortesemente gli porse il cappello a tesa larga,
lui la ringraziò, calcandoselo poi sopra la testa.
<< Ve ne andate di
già, MacLeod? >> chiese Papà, quasi con una punta di
rammarico nella voce.
Lui
annuì, quasi distrattamente. << Si è fatto tardi, è
il caso che faccia ritorno a casa. >>
<< Capisco >>,
Papà si alzò dalla propria poltrona, tendendo la mano al giovane.
<< Vi ringrazio MacLeod. Rifletterò sulla vostra proposta molto
attentamente. >>
Will
strinse la mano callosa e piena di rughe di Papà, una stretta giovane ed
energica. << Sono io a dover ringraziare voi, signore. >>
<< Mrs. Pacy >>,
disse, rivolto a mia sorella. Le afferrò cortesemente la mano, e vi
poggiò appena le labbra. << Servo vostro, madam. >>
<< Onorata, Mr.
MacLeod >>, disse mia sorella, con la pari cortesia.
<<
Maddy. >> Il fatto che usasse il mio nome in tono così
confidenziale mi lasciò senza parole, ma in fondo, era anche vero che ci
conoscevamo da una vita, io e lui. Eppure, allo stesso tempo, sentivo di non
conoscerlo affatto.
Prese la mia mano nella sua,
posandovi completamente le lebbra, un fremito mi scosse da capo a piedi,
provocandomi un fremito in tutto il corpo, i suoi occhi verdi sembrarono
accendersi di una luce che non conoscevo, mentre si soffermavano sul mio viso.
<< Mia cara, ti auguro la buonanotte. >>
Fece per
lasciare la mia mano, ma per un istante, strinse la presa, quasi fosse stato un
monito, e io annuii, senza sapere cosa dire.
Uscendo
dalla porta Will fu costretto ad abbassare la testa, dato che era molto
più alto; prima di uscire completamente, però, lanciò
un’ultima occhiata in tralice nella mia direzione.
Capivo il motivo di quello
sguardo… non avrei fatto come mi pareva. Aveva anticipato qualsiasi mia
mossa, intrappolandomi completamente.
*
<< Papà, che
cosa vi siete detti? >>
<< Non lo immagini?
>> Elisa aveva un tono di voce serio, sembrava arrabbiata, e non ne capii
il motivo.
<< Io… >>
Abbassai lo sguardo, senza sapere cosa dire.
Papà
tirò un lungo respiro, quasi stesse cercando le parole giuste da usare.
<< Il giovane MacLeod ha chiesto la tua mano, figliola >>, si
batteva le dita rigide sulla coscia, soppesando le parole una ad una, <<
… e io gli ho dato il permesso. >>
<< Cosa…?
>> la voce mi uscì di bocca come un tremolio incredulo. <<
Perché Papà? Perché l’hai fatto? >> esclamai,
sentendomi tradita. Papà sapeva cosa ne pensassi del matrimonio in
così giovane età… e io sapevo che ero alle dirette
dipendenze di mio padre. Lo sapevo, eppure…
Papà si accarezzò
lievemente i baffi grigi con la mano, senza rispondere subito alla mia domanda.
<< Abbiamo bisogno che ti sposi, Maddy. >>
<< Perché non ci sono
soldi? >> chiesi, completamente basita e incredula. << È
solo per questo? Io conto così poco, per te? >>
Non avrei dovuto dirlo. Gli occhi
grigi di Papà si fissarono su di me come gli occhi di un predatore; una
scossa di rabbia lo fece fremere, spaventandomi.
<< Non ti azzardare,
ragazzina >>, disse rabbioso. << Se non mi importasse niente di te,
ti avrei data in sposa appena compiuti quattordici anni. Hai idea di quanti
uomini abbiano chiesto la tua mano, in questi tre anni? >> i suoi occhi
sembravano brillare di una luce animalesca, cancellando ogni parvenza di
civiltà.
Si
alzò dalla poltrona e in poche falcate mi fu addosso. Mi afferrò
per le braccia e mi scosse talmente forte, fino a farmi battere i denti.
<< Ho rifiutato più di dieci uomini, perché sapevo quanto
fossi restia a sposarti! Tutti quegli uomini avevano almeno quindici anni in
più di te, credi che avrei mai potuta lasciare ad uno di loro? >>
Sputava addosso a me tutto il veleno che aveva in corpo, urlando come un
ossesso e spaventandomi.
<< Papà, mi sai
facendo male! >>
<<
Avrei potuto lasciarti ad uno di loro, ma ho preferito aspettare… adesso
che quel ragazzo mi offre la possibilità di dar mia figlia ad una brava
persona… buon Dio, sei davvero così ottusa, Madelaine!? >>
Non sapevo cosa rispondere. Le
parole erano intrappolate in fondo alla gola, mentre dei singhiozzi mi
scuotevano tutta, togliendomi il fiato.
<< Papà… ti
prego… >>
Alla fine
riuscì a calmarsi. Lasciò andare le mie braccia, e io mi
allontanai il più possibile da lui, sfregandomi le braccia tra loro,
cercando di farmi forza. Papà perdeva la pazienza facilmente, ma non ci
aveva mai picchiati se non per un giusto motivo; la reazione di quella sera, invece,
era peggio di venti cinghiate senza sosta.
<< William MacLeod
è un bravo ragazzo, Madelaine >>, disse, dopo che la rabbia si fu,
attenuata; la voce era ancora tremula, ma Papà sembrava calmo. <<
Nonostante sia uno scozzese, è un buon partito, è l’unico
erede e suo padre possiede una locanda, hai i soldi, una casa tutta per
sé… Maddy, non possiamo rifiutare una simile opportunità,
capisci? >>
No, avrei voluto dire. Non capisco
il vostro egoismo e non voglio nemmeno stare sotto le vostre regole… ma
non dissi nulla. Mi limitai ad annuire leggermente con il capo.
Papà
si avvicinò nuovamente, e mi cinse la testa con un braccio, calmando
appena i tremori che ancora mi scuotevano.
<< Capisco, Papà
>>, tirai su con il naso, << e accetto la proposta. >>
Annuii
appena con la testa. << Sposerò William MacLeod. >>
*
Riuscii a
convincere Papà ad uscire fuori casa per qualche minuto. Avevo bisogno
di starmene un po’ da sola, senza che lui o Elisa mi stessero vicini.
Il sole
era ancora alto in cielo, che aveva iniziato a stemperarsi nei colori
più cupi della notte, assumendo sfumature arancio, rosse e qualche
screziatura violacea qua e là; una leggera brezza soffiava nei campi,
facendo danzare l’erba selvatica e i fiori di campo, un brivido mi scosse
leggermene, allorché mi avvolsi stretta nello scialle leggero che avevo
preso con me.
Una ragazza del villaggio, di
fronte ad una simile opportunità avrebbe implorato il padre
affinché potesse sposare il ragazzo, nonostante fosse scozzese e, per
questo, un traditore della Corona
inglese… ma a Papà questo non sembrava importare, era più
interessato al fatto che Will fosse affidabile e che si comportasse come un
buon marito. Normalmente avrei dovuto essere felice di una simile
opportunità, ma io…
Strinsi i
denti e raccolsi alcune delle lacrime che mi erano sfuggite dalle palpebre,
asciugando poi la mano umida contro la gonna.
Il sole
stava calando in fretta, forse era il caso di far ritorno a casa…
Tuttavia
non lo feci. Con passi rapidi e decisi, camminai fino al villaggio, salutando
frettolosamente gli uomini che incontravo, intenti a tornarsene a casa dalle
proprie famiglie, a gustare una deliziosa cena.
Alla fine raggiunsi la
locanda gestita dalla famiglia MacLeod; entrai dentro, decisa più che
mai a trovarlo.
<< Maddy! >>
William
era distante pochi metri da me. Indossava un grembiule sopra la rozza camicia
di lino e stava servendo un uomo tarchiato e barbuto, che reclamava a gran voce
una pinta di birra.
Mi fece
cenno di aspettare un istante, disse qualcosa nella sua strana lingua a suo
padre, che lo lasciò andare.
Si tolse
il grembiule e mi raggiunse, il viso forte e robusto piacevolmente rubicondo,
forse per la felicità.
<< Che ci fai qui? >>
mi chiese, senza smettere di sorridermi ammiccante.
Distolsi
lo sguardo, puntandolo sul pavimento sporco di birra e liquori vari, ormai
asciutti.
<< Vorrei parlarti, se
non ti dispiace >>, dissi con un mormorio cupo.
<<
Oh, certo. Non c’è problema. >> Con un gesto puramente
cavalleresco, mi prese a braccetto. << Ti riaccompagno a casa,
d’accordo? >>
Annuii,
lasciando che mi conducesse fuori.
*
I capelli sciolti ondeggiavano
piacevolmente nella brezza serotina, e avvertii il sentore di maschio non
lavato, mentre Will era vicino a me; un odore forte e muschiato, non
particolarmente sgradevole.
Non
avevamo ancora instaurato una parvenza di conversazione, io mi limitavo a
starmene sulle mie, e lui cortesemente attendeva. Ma non lo fece a lungo.
<< Maddy, io… >>
I suoi occhi sembravano affranti, quasi dispiaciuti. Non credevo che fosse
dispiaciuto per me, per il fatto che mi avesse praticamente costretta a diventare sua moglie,
tuttavia i suoi occhi…
<< … mi dispiace, non
intendevo ferirti >>, disse alla fine, con voce dimessa.
Scossi
lievemente la testa, e alcune ciocche di capelli mi caddero davanti al viso.
<< Non ti preoccupare, in
fondo hai ottenuto quello che volevi, no? >> Fui più sgarbata di
quanto intendessi essere, e me ne dispiacqui.
Lui non
disse nulla, limitandosi a distogliere lo sguardo. << Will, io non…
>>
Mi diede le spalle, distaccandosi
da me il più possibile. << Will, non volevo offenderti! >>
Mi sentii
il cuore congelarsi una gelida morsa, lasciandomi stordita e piena di dolore. Non
mi piaceva l’idea di essere sua moglie, o meglio, non mi piaceva
l’idea di sposarmi così presto, ma non volevo che a causa della
mia testardaggine lui soffrisse, dopo tutto io…
<< Will! >> lo
chiamai ancora, sperando che non se ne tornasse a casa, lasciandomi sola.
Non avevo
paura a tornare a casa da sola, ma la sua presenza vicino era una specie di
amuleto, qualcosa che sembrava tenermi al sicuro, senza contare che la sua
presenza era più che rassicurante, viste la sua stazza.
Contrariamente alle mie
aspettative, lo vidi inginocchiarsi sul ciglio della strada sterrata,
armeggiò con le mani in quella posizione per qualche secondo, poi si
rimise in piedi, voltandosi nuovamente verso di me.
<< Will… >> Non
riuscivo a dire nient’altro al di fuori del suo nome, gli occhi mi
pungevano con insistenza, e le lacrime ormai erano giunte al punto di non
ritorno.
<< Mi dispiace, Maddy.
>> La sua voce era sincera, così come lo erano i suoi occhi.
Quando fu
abbastanza vicino, riuscii a vedere le corolle di alcuni fiorellini di campo,
che crescevano su ciglio della strada. Forse era un gesto per scusarsi, un modo
per fare ammenda, e ottenere il mio perdono.
Me li porse, ma non li accettai
subito, rimasi a guardarlo, in silenzio.
<<
Non volevo essere avventato, davvero. >> Si mordicchiò il labbro
inferiore, un’ovvia dimostrazione di disagio.
<< Non ti prometto niente,
ma vedrai che farò del mio meglio >>, disse alla fine, imbarazzato
e a disagio.
<<
Cosa…? >>
<< Farò di
tutto per essere un bravo marito, Maddy. Non ti farò mancare niente, te
l’assicuro. >>
Rimasi in
silenzio, osservando quel semplice dono floreale, e il volto imbarazzato e
forte del mio promesso sposo.
Come potevo rifiutarlo?
Nonostante
le mie reticenze, dovevo ammettere che Papà aveva ragione. Era un bravo
ragazzo, serio, votato al lavoro e di sani principi. Con lui sarei stata
felice, molto di più che con altri uomini.
Senza dire nulla, tesi la mano verso il
piccolo mazzo di fiori, mentre un dolce sorriso si faceva strada sulle mie
labbra, rivolto al mio futuro marito.
Note:
1)Signore, il pane non manca mai… si tratta della preghiera della cena; so
che non è molto azzeccata, dato che si tratta della colazione, ma non ne
ho trovate di preghiere che parlassero della colazione, scusate^^’
2)Babergh è il distretto confinante con
quello di Ipswich, ed entrambi fanno parte della contea del Suffolk.
3)Mo mhùirnìn bàn: frase di origine gaelica, significa
‘Mio caro/mia cara’. Per intenderci, il gaelico è la lingua
parlata nelle Highlands, la parte più settentrionale della Scozia^^
Mi
dispiace di averlo pubblicato solo ora, ma negli ultimi tempi ho intrapreso la
stesura di ben due fanfiction ‘Originali’, e a volte non riesco a
metterci poco come vorrei, magari è dovuto anche al fatto che non sono
molto veloce a battere a computer, tuttavia non mi sono mai cronometrata,
quindi me ne frego!XD
Dal quarto capitolo in poi la
storia dovrebbe entrare nel ‘vivo’ (si fa per dire) della
narrazione, perciò spero tanto che ci sarà un po’
più di cui parlare, da adesso in poi…
Sono
rimasta stupita e piacevolmente colpita da quante persone apprezzino questa
fanfiction, di fatti, mi sono resa conto che in ben 10 persone l’hanno inserita tra i propri
‘Preferiti’, quindi non posso che essere felice. senza contare le
persone che hanno sempre commentato dal primo capitolo^^
Oriway
yume in primis, dato che è stata la prima a lasciare il commento al
capitolo^^
Mi
dispiace di aver impiegato così tanto ad aggiornare, ma come ho
già detto nel precedente capitolo, non è facile portare avanti un
racconto storico, per ovvi motivi^^’ Stavolta spero di non averci messo
così tanto. A proposito: ti ringrazio per aver commentato l’altra
mia fanfiction… anche se, per pura superbia mi piace chiamarlo
‘libro’, sai… l’ego di uno scrittore può essere
particolarmente sviluppato, e il mio non fa eccezione. XDD
Colgo
l’occasione per rispondere alla tua domanda. No, mi dispiace, non ho intenzione
di proseguirla, almeno su EFP, per il fatto che ho intenzione di sottoporla ad
una casa editrice, ma puoi seguire la storia su EFP fino al quinto capitolo;
spero possa tirarti su di morale^^
shandril
quanti complimenti! Vi avverto che se continuate così, il mio ego si
gonfierà come un pallone! Ti prego, non smettere di adularmi! Scherzi a
parte… spero che le sorprese siano sufficienti, in questo capitolo^^
eiby la new entry! Sono contenta che Maddy piaccia a così
tante persone! È ancora una ragazzina, ma conto che nel proseguire della
storia possa maturare abbastanza da poter diventare una vera donna. Sono molto
affezionata a lei, è stata la seconda protagonista che è nata
dalla mia testa ed è completamente diversa da sua ‘sorella’,
perciò non avevo idea di come avrebbe potuto affrontare un pubblico di
lettori… adesso però mi sento più tranquilla^^
barbarizia non so cosa dirti, altrimenti farei spoiler gratuiti e non richiesti!XD
Hai
detto che la Woodiwiss è la tua scrittrice preferita, giusto? Per caso
è una scrittrice di romanzi in costume?
Scusa
la domanda, la mia è semplice curiosità. Solo una cosa: se ti
piacciono le storie d’amore ambientate nel passato, allora spero non ti
dispiaccia se ti consiglio una serie di romanzi che, senza troppi giri di
parole, mi ha fatto e mi fa battere tutt’ora il cuore, al solo pensarci.
Questa serie è della
scrittrice americana Diana Gabaldon
e il primo libro della serie si intitola ‘La
straniera’. Ricordo di averne già parlato nel secondo
capitolo, ma anche a rischio di sembrare noiosa, non posso non parlare di
questa serie. Per chi ama non solo le storie d’amore, ma anche il passato,
gli intrighi, azione, guerre, le storie tristi ma che, dopo tanto penare
terminano con un lieto fine, allora questo libro è quello giusto. ^^
…
Okay, adesso che ho finito il mio soliloquio su questa meravigliosa serie,
credo di poter passare ad altro.
Prima
di iniziare ci tengo anche a ringraziare Roby
e Untitoled, che hanno apprezzato e
commentato i primi due capitoli. Grazie mille!
Redarcher
Notaultramegapocoimportante:
prima
di iniziare, ci tengo particolarmente a dire che la storia subirà un
cambiamento, sia spaziale che temporale. A causa alcuni miei errori di
valutazione, mi vedo costretta a cambiare luoghi e tempo.
La
contea in cui si svolge la storia è quella diNorthumberland, per quanto invece
riguarda il tempo, invece, tutto inizia nel 1755, cioè dieci anni dopo la disfatta di Culloden,
e non venti.
Un ulteriore cambiamento invece
è stato apportato nel titolo, che, in un futuro prossimo, diverrà
‘Ranuncolo d’inverno’.
Adesso vi lascio veramente al capitolo
IV
Colui che tradisce
Tutto sembrò
acquistare un senso, poco a poco. L’idea di divenire la sposa di William
MacLeod con il passare del tempo iniziò a divenire più
sopportabile, un po’ perché non avevo scelta, un po’
perché Will ci teneva particolarmente a tutto questo. Non me lo disse
mai, ma sembrava sinceramente interessato a prendere me come moglie, e non si
sarebbe accontentato della nostra futura unione davanti a Dio; lui voleva di
più… e io iniziavo a pensare che, col tempo, glie l’avrei
dato.
Non era il mio corpo che lui
voleva, non solo, almeno. Lui voleva anche il mio cuore, non mi avrebbe presa a
metà, ne ero sicura.
Credo che fosse per quel
motivo se, ogni qual volta ne aveva possibilità, veniva a farci visita
al nostro cottage dimesso e incredibilmente piccolo, e devo ammettere che mi ci
stavo abituando, ormai, alla sua presenza. Ai suoi sguardi dolci, il tocco
carezzevole delle sue dita sulla mia mano piena di calli e vesciche, la sua
voce profonda e bella...
Will poco a poco stava
divenendo qualcosa di presente e costante, nella mia vita… e io mi ci
stavo abituando.
Quel giorno ero andata al
fiume, munita di bastone e due secchi vuoti posti alle estremità di
esso, ondeggiavano rumorosamente ad ogni mio momento, producendo rumori
cacofonici lungo il sentiero; la botte che utilizzavamo a raccogliere
l’acqua era quasi vuota, perciò toccava a me andare al fiume e
riempire i secchi. Era una bella giornata, ma di tanto in tanto, gonfi nuvoloni
di pioggia si avvicinavano troppo al sole, oscurandolo per alcuni minuti, poi
tornava sereno; ma io avevo la netta sensazione che entro sera sarebbe piovuto.
<< Il figlio del locandiere
viene spesso a trovarti. >> Non era una domanda.
Distolsi l’attenzione
dai secchi, per concentrarmi sul viso magro e infantile di John, intento a
grattare le orecchie ad Arn, il cane da caccia di suo padre. Rufus Maverick non
era un cacciatore, perciò l’ottimo olfatto, la capacità
all’ubbidienza nel lavoro di campagna e le doti di cane da ferma di Arn
erano sprecate; la maggior parte del tempo John se lo portava appresso e il
cane lo seguiva ovunque andasse, negli ultimi tempi però, il figlio del
pastore insisteva col dire che voleva diventare un cacciatore, e quindi le doti
di Arn erano necessarie.
<< Sì, e allora?
>> Posai una lieve carezza sulla testa di Arn, e la sua coda lunga e
sfrangiata si mosse nell’immediato, dandomi a intendere che fosse felice.
John aggrottò le sopracciglia
scure e mi lanciò un’occhiata torva, le sue dita cercarono a
tentoni sulla distesa di ciottoli su cui era seduto, trovò un sassolino,
e lo gettò nel ruscello.
<< Ti ha fatto la proposta?
>> mi chiese, cercando di usare un tono distaccato.
<< No, certo che no.
>> Papà aveva deciso di ritardare il più possibile
l’annuncio ufficiale del nostro fidanzamento, o meglio, questa era la
condizione che aveva posto a Will per potermi sposare.
<< Voglio che il fidanzamento sia
reso ufficiale a luglio; il giorno del compleanno di Maddy. >>
Queste erano state le sue
esatte parole, visto che anch’io ero presente. Papà non voleva che
il fidanzamento fosse reso ufficiale prima di quel giorno, perciò aveva
imposto a me e a Will di non parlarne ad anima viva; nonostante John fosse uno
dei miei più cari e vecchi amici, non potevo disubbidire a mio padre,
perciò avevo mentito.
<< Accetteresti? >>
<< Che cosa? >>
John sbuffò
spazientito e si alzò in piedi, iniziando a dare calcia ai sassi.
<< Se lui ti chiedesse in moglie, accetteresti? >> La sua voce era
un continuo tremito, quasi stesse trattenendo un vero e proprio scoppio
d’ira. << Allora? >>
Mi strinsi nelle spalle, e
ripresi a riempire il secchio. << Forse. >> Così, una volta
che il fidanzamento sarà reso ufficiale, non avrà rimostranze o
lamentele contro di me da presentare.
<< Ha! >>
esclamò sprezzante. << Tutte uguali, voi donne! >>
<< Perché, scusa?
>> Forse, una vaga idea di dove volesse andare a parare ce
l’avevo… e questo mi infastidiva.
<< Basta che un bell’uomo
vi faccia la corte, e voi subito gli gettate le braccia al collo. >> La
sua voce era un chiaro disprezzo verso tutto ciò che era la natura
femminile, o almeno così sembrava.
Afferrai il secchio e, con tutta la
forza che avevo nelle braccia, glielo scagliai addosso. L’acqua gli cadde
addosso con la stessa intensità di un vortice, bagnandolo da capo a
piedi; John lanciò un’imprecazione con tutta la voce che aveva nei
polmoni e fece scappare qualche passero appostato sugli alberi, lanciando grida
di allarme.
<< Impara anche
questo, John >>, gli dissi maligna, tra una risata e l’altra.
<< Non metterti mai contro una donna che ha in mano un secchio pieno
d’acqua! >>
<< Ti farà soffrire,
Maddy! >> proruppe allora, tutto in una volta.
<< Come? >>
John strinse le labbra, quasi non
fosse sicuro se dire o no quello che stava pensando.
<< John, che vuoi dire?
>>
Alla fine non riuscì a
resistere. << Se accetti la sua proposta ti farà soffrire… e
non potrai farci niente. >>
Corse via; Arn lo seguì
prontamente, raggiungendolo in poche rapide falcate. Sparirono tra i cespugli,
diretti chissà dove.
Cosa significavano quelle
parole? Era sincero, oppure lo aveva detto così, mosso istintivamente da
uno scatto d’ira? Non sapevo se potevo credergli.
John ha sempre avuto la
cattiva abitudine di parlare a sproposito, sin da quando era piccolo, quindi
avrei potuto accantonare senza problemi quelle parole velenose, e concentrarmi
sul mio compito.
<< Sei uno stupido, John
Maverick >>, borbottai a mezza voce, mentre riprendevo a riempire il
secchio vuoto.
Forse, in un certo senso, me
lo aspettavo. Will poteva essere gentile, bello e poteva anche essere il
possessore di una casa tutta sua… ma era pur sempre un uomo, accidenti! Non
avrebbe reso conto a me di ciò che avrebbe potuto fare, anche se fossi
divenuta sua moglie, questo non toglieva il fatto che avrei avuto
l’opportunità di alzare la cresta, con lui. Non era raro che una
donna venisse picchiata dal proprio marito, in caso di ribellione nei confronti
del suddetto.
Conoscevo Will sin da quando
ero piccola, e lui ha sempre mostrato la parte migliore di sé… ma
potevo crederci? Chi mi assicurava che sarebbe cambiato, nel tempo?
Purtroppo non avevo
garanzie, né certezze a riguardo. Avevo una sola convinzione, e
cioè che lui mi aveva promesso di essere un buon marito, e io speravo in
questo, con tutta me stessa.
*
<< Quei secchi devono essere
pesanti. >>
Il mio cuore perse un colpo e
poi cominciò a battere sempre più forte quando, alzata la testa,
avevo scorto tra la massa di riccioli ribelli che avevo, la figura alta e
massiccia di Will.
Ridacchiò brevemente
e, con un tocco lieve e appena accennato, raccolse i miei riccioli e me
ripassò dietro l’orecchio; mi sentii improvvisamente in imbarazzo.
Nonostante i continui cambiamenti del tempo, la giornata era calda e umida, e
mi era praticamente impossibile non sudare, la mia camiciola era zuppa di
sudore e aderiva al mio corpo come una seconda pelle, i capelli impigliati tra
loro e appiccicati alla mia testa dal sudore e dalla lordura… oddio,
avrei dovuto darmi almeno una lavata!
<< Ehm, grazie…
>>, borbottai imbarazzata, sentendo le guance sempre più calde,
<< Dovere >>, disse
dolcemente, indugiando con le dita sulla mia guancia.
L’allontanò e io
per un istante sentii la mancanza del contatto della sua mano, ma fu una cosa
breve.
Non sentii più il peso
del bastone sulle mie spalle, e per un attimo pensai di averlo fatto cadere a
terra… ma non era così. Will con un movimento rapido aveva
afferrato il bastone con le sue grosse mani e se l’era portato sulle
proprie, di scapole, molto più robuste e resistenti delle mie.
<< Will, no fa niente!
>> replicai imbarazzata, cercando di recuperare i secchi, ma lui mi
scartò con un movimento rapido, e l’acqua dentro ai secchi
sobbalzò.
<< Non ti preoccupare,
Maddy. Non è un problema. >> Mi sorrise e si incamminò
verso il cottage.
<< Ma, ma è…
è un lavoro da donne! >> esclamai, sempre più rossa in
viso. << Non dovresti farlo tu! >> aggiunsi poi.
Si fermò ad
aspettarmi. Quando gli fui davanti per ribadire le mie parole, non trovai il
coraggio di dire altro.
I suoi occhi verde muschio
brillavano di imbarazzo e ilarità insieme, fece una piccola smorfia e
riuscì a mozzarmi il respiro.
<< Allora, spero tanto che
tu non vada a raccontarlo in giro, intesi? >> Si sistemò meglio il
bastone e riprese la marcia. << Posso mettermi in ridicolo, per te
>>, proseguì sempre con allegria, << … ma
anch’io ho il mio orgoglio, aye? >>
<< Oh. Ah… sì.
>> Non seppi cosa rispondere, perciò gli diedi ragione, e lo
lasciai trasportare i secchi fino a casa.
Camminammo in silenzio per
qualche tempo, godendo molto probabilmente della presenza reciproca e niente
altro, alcune ghiandaie lanciavano allegre strida e le cicale frinivano nella
calura estiva, perciò lasciammo che fossero loro a parlare al posto
nostro. In prossimità del cottage, mi accorsi che Murtagh era impastoiato
sotto la tettoia e, con un’arroganza senza pari, si stava sbafando la
razione di fieno di Joshua, incastrato in un angolino della tettoia, con la
testa fuori ed esposta al sole.
<< Ma tu non hai mai niente
da fare? >> esclamai trattenendo una breve risata. << Tuo padre non
ha bisogno di te alla locanda? Ultimamente vieni sempre a trovarmi e…
>>
<< Oh, certo che gli serve
aiuto! >> esclamò allegro, guardando anche lui la scena della
tettoia.
Abbassò la testa per
guardarmi negli occhi, e un’espressione di indicibile dolcezza apparve
nei suoi occhi.
<< Tuttavia mi ha dato il
permesso di corteggiarti a dovere, sai? >>
<< Ma se praticamente siamo
già fidanzati? >> dissi e ma stessa, ma lui riuscì a
sentire.
<< Voglio che tu ti abitui
alla mia presenza poco alla volta, così che non nasca qualche problema
in seguito. Be’, non so se sono riuscito a rendere l’idea…
>>, disse allora, il viso leggermente roseo per l’imbarazzo.
<< Ti sei spiegato benissimo
>>, replicai con un sorriso e, mossa da un desiderio improvviso, gli
sfiorai il gomito robusto e peloso con le dita. Non so perché avessi
deciso di farlo, ma lo volevo; volevo sentire un contatto con il suo corpo, con
una parte di lui…
Lui mi guardò di
nuovo, e stavolta non seppi interpretare la sua espressione… allora
lasciai ricadere la mano lungo il fianco, interrompendo il nostro contatto.
<< Scusa… >>,
dissi a mezza voce.
<< Non devi, Maddy. >>
Un’allegra risata
uscì dalle sue labbra. << Dopo il matrimonio non ci sarà
spazio per la titubanza >>, disse allegro, i suoi occhi brillavano.
<< Che tu lo voglia o no, mia cara, entrerai in contatto con diverse parti del mio corpo. >>
<< Will, smettila!
>> Le mie guance presero fuoco, avevo capito a cosa si stesse riferendo,
e questo mi metteva profondamente a disagio. Sapevo benissimo cosa sarebbe
successo se io, se lui…
<< Dùn di bheal (1) Murtagh! >> esclamò
brutalmente Will contro il roano che, vedendo il proprio cavaliere fare
ritorno, aveva iniziato a scalciare e nitrire gioiosamente in segno di saluto.
Lo aiutai a togliersi il bastone
dalle scapole, poi versammo l’acqua fresca nella botte, poi vi misi sopra
un coperchio di legno e lo fermai con un masso pesante.
<< Serve altra acqua?
>> mi chiese lui, i secchi già stretti nelle sue grosse mani.
Scossi la testa e sorrisi.
<< No, ormai la botte è colma, non serve altra acqua. >>
Mi feci consegnare i due secchi ed
entrai nella porta laterale, ritrovandomi in cucina.
<< Hai riempito la botte di acqua?
>> mi chiese Elisa, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro di
cucito. Le sue mani bianche stringevano un piccolo pezzo di stoffa grigia che,
con il passare del tempo, aveva iniziato ad assumere l’aspetto di una
vestina piccola piccola.
<< Sì, ho appena
finito >>, replicai, lanciando occhiate ansiose verso la porta sul retro.
Speravo con tutta me stessa che Will non decidesse di entrare, altrimenti Elisa
avrebbe potuto equivocare, o meglio, avrebbe ritenuto sconveniente che ci
trovassimo da soli prima che il fidanzamento
fosse reso ufficiale.
<< Dovresti andare a
raccogliere dell’ortica >>, disse lei dopo qualche minuto di
silenzio. << Mi serve per la cena di stasera. >>
<< Oh, va bene. Ci vediamo
dopo! >>
Uscii dalla porta di servizio
il più velocemente possibile… e mi ritrovai tra le braccia di
Will, forti e dure, che mi stringevano contro il suo petto ampio.
<< Vai da qualche parte, a nighean? >> chiese carezzevole,
mentre passava le dita i miei capelli.
<< A mia sorella serve
dell’ortica per la cena. >> Senza che lo volessi realmente, mi
lasciai sfuggire un pesante sospiro contro il suo petto, mentre le sue grandi
mani mi accarezzavano con dolcezza.
Potevamo concederci un simile
contatto? Il nostro fidanzamento non era ancora ufficiale, ma era anche vero
che mancavano solo pochi giorni al mio compleanno… tuttavia certi
contatti potevano essere ritenuti sconvenienti, prima del matrimonio…
Alla fine Will
cancellò qualsiasi mia insicurezza… interrompendo lui stesso il
contatto.
<< Vieni, conosco un posto
dove ci sono un sacco di ortiche. >>
Sciolse le pastoie di Murtagh
e con un movimento rapido ed elegante, montò in sella al grosso roano.
Feci per prendere la sella e
le briglie di Joshua, ma Will mi interruppe. << Ti porto io. >>
Ricordandosi delle regole del
galateo, scese dalla sella e, afferratami per la vita, mi issò sopra il
grosso cavallo, e poi fece lo stesso.
<< Mettimi le braccia
attorno alla vita >>, mi ordinò e io ubbidii all’istante,
appena spronò Murtagh a partire con un movimento delle briglie e uno
schiocco della lingua.
Il cavallo partì
subito all’incitamento da parte del proprio cavaliere, e per un attimo mi
sentii sbalzare di sella, ma era solo una mia impressione. Con le cosce strette
al corpo del cavallo e le braccia perfettamente allacciate al busto di William,
non correvo certo un simile rischio; gli zoccoli del roano battevano
sollevavano polvere e alcuni pezzi di terra, l’aria fresca mi sferzava
piacevolmente il viso accaldato, e tutto quello che volevo era che quel momento
non finisse mai.
*
Non conoscevo la radura in
cui Will mi aveva portato, ma contenta di vedere che la macchia di ortiche di
cui mi aveva parlato, era completamente esposta ai raggi del sole. Non che
fosse una cosa importante, ma il potere urticante dell’ortica era meno
forte dopo la pioggia o nelle ore di maggior sole; sorrisi tra me e me, vedendo
i fiorellini viola chiaro e bianchi spuntare qua e là tra quelle foglie
verde menta.
<< Stai attenta >>, mi
intimò Will, tornato al mio fianco dopo aver impastoiato il cavallo.
<< Non ti preoccupare
>>, lo blandii io, << mi pungerò ugualmente, anche se il
dolore sarà meno forte. >>
Chinatami leggermente sulle ginocchia e
ben attenta a non scoprire le caviglie – per pura pudicizia – inizia
a pizzicare e raccogliere con sapienti strappi le foglie verdi, sentendo solo
un leggero pizzicore sulle dita, qua e là.
Il pensiero di una minestra
con ortiche bollite o di una vellutata crema verde scacciò con decisione
ogni dolorino fastidioso che sentivo; una volta tanto avremmo accompagnato al
pane raffermo qualcosa di diverso dal brodo di verdure. Non mi lamentavo del
cibo che avevamo in tavola, questo no... però qualche volta era
piacevole mangiare qualcosa di diverso.
<< Ahi! >> La
foglia che avevo appena raccolto mi punse più delle altre, e la lasciai
cadere a terra.
<< Accidenti…
>>, dissi a mezza voce, stringendomi la mano dolorante al petto, quasi
stessi pensando di alleviare il dolore.
<< Maddy…
>> Will mi afferrò le dita intorpidite e le strinse nella sua
mano, mi sfuggì un sussulto per la sorpresa, e lui se ne accorse.
<< Ti ho fatto male?
>>mi chiese ansioso,
guardando con attenzione se fossero già spuntate le bollicine rosse che
causavano un prurito fastidiosissimo, peggiorando poi la situazione.
Scossi lievemente la testa.
<< No, non ti preoccupare >>, deglutii pensatemene, avvertendo il
contatto della sua mano, così calda, il tocco piacevole… <<
È normale che spuntino quelle bolle rosse, non sei tu che mi fai
male… >>
Le parole di John mi colpirono con così tanta violenza, che per
un attimo mi sentii mancare, ma non svenni, mi sentivo solo confusa, e un
po’ stordita.
Will mi aiutò ad
alzarmi in piedi e, senza che glielo chiedessi, mi portò fino ad un
piccolo ruscello accanto alla macchia di ortiche; immerse la mia mano arrossata
dentro l’acqua fredda, e il sollievo fu immediato, anche se in qualche
punto, avvertivo ancora un pizzicore insopportabile e la mia pelle bianca era
ancora arrossata. Sapeva che non doveva sfregare la mia pelle per farmi passare
il prurito, perché altrimenti lo sfogo sarebbe tornato fuori, si
limitava solo a tenere stretta la mia mano, immersa assieme alla sua in
quell’acqua praticamente ghiacciata.
<< Grazie,
William… adesso posso riprendere a… >> Ripresi la mia mano e
me la strinsi al petto, se si fosse appena scottata, e tornai alle ortiche.
Quando ne ebbi raccolte a
sufficienza, le avvolsi strette attorno al mio grembiule e le posai non molto
lontane da me; i miei occhi scovarono un punto in quella radura completamente
avvolto dall’ombra delle folte fronde degli alberi. Ne approfittai e mi
andai a sedere fra quell’erbetta fresca e tenera, alcuni fiorellini di
campo spuntavano qua e là, di colori sgargianti che andavano dal rosso,
all’arancione, giallo, rosa, bianco e ce n’erano alcuni anche blu e
azzurri.
Will s’era fermato a bere al
ruscello, perciò non ero sicura che mi avrebbe trovato, tuttavia adesso
non mi importava molto; iniziai a strappare qualche piccola margherita e
qualche fiorellino rosso e arancione e giallo, intrecciandoli tra loro.
Quando William mi raggiunse,
dall’intreccio di quel piccoli fiori, avevo ottenuto una piccola corona
profumata, e adesso la stava guardando con aperta soddisfazione.
<< Allora eri qui! >>
esclamò lui con un ghigno divertito.
Gli sorrisi lievemente e lo
osservai avvicinarsi, fino a che si lasciò cadere accanto a me, tirando
un lungo sospiro soddisfatto. << Signore, se fa caldo! >>
esclamò, prendendo a farsi aria con la mano grande, le sue tempie erano
leggermente umide, così come i suoi riccioli neri e scompigliati,
sfuggiti dalla coda bassa in cui erano stati legati.
<< Non ti danno
fastidio? I capelli lunghi, intendo. >> Se non sbagliavo Will, apparte
suo padre, era uno dei pochi uomini del villaggio che portasse i capelli
così lunghi.
Scosse il capo, sorridendo
lievemente. << È una tradizione scozzese, o almeno credo >>,
disse pensieroso, come se non fosse sicuro di quello che stava dicendo.
<< Porto i capelli
lunghi sin da quando ero piccolo, e mio padre mi ha sempre detto che dovevo
portarli così, perciò… >> Scrollò le spalle,
dandomi a intendere che avesse poca importanza.
La luce del sole accendeva di
riflessi differente quelle ciocche corvine e belle; allungai la mano e glieli
ravviai lievemente, di modo che non gli cadessero davanti agli occhi.
<< Ecco fatto >>,
dissi a bassa voce, soddisfatta.
Il mio cuore si fermò
all’improvviso nel petto, vedendo quegli occhi verde scuro fissi su di me
come due spilloni, sentii il calore montare con forza nelle guance, mentre
Will, incredibilmente serio, si faceva più vicino al mio viso.
<< Maddy…
>> La sua voce era poco più che un sussurro roco, il suo respiro
caldo sul mio viso, le labbra invitanti…
<< Will, ti
prego… >> E non sapevo se volessi dire ‘Ti prego, non ti
avvicinare’ o ‘Ti prego, baciami’.
Fu lui a decidere per me.
Le sue labbra lambirono le
mie lentamente, toccandole appena, quasi avesse avuto timore di farmi del male,
poi mi accarezzarono dolcemente, saggiando e carezzando lentamente… e io
non sapevo più chi ero. Mi sentii sprofondare verso qualcosa di
sconosciuto e nuovo, e tuttavia piacevole e sconvolgente. Perché
desideravo tanto un contatto con lui? cosa c’era in lui che mi spingeva a
tenerlo stretto, come se fosse stato un prezioso tesoro. Quando la sua lingua ricalcò
la linea delle mie labbra, sentii un fremito appagato in tutto il corpo, come
se non avessi aspettato altro da lui, sospirai pesantemente e le mie labbra si
dischiusero, per ricevere il suo bacio.
<< Sei il mio tesoro,
Maddy >>, disse con un mormorio strozzato, << sei il mio tutto,
Madelaine… >>
Le mie labbra si unirono alle
sue, e io sentii come una scossa percorrermi da capo a piedi, lasciandomi senza
fiato e stordita; la sua lingua giocò birichina con la mia, e io me ne
stavo lì, senza sapere bene cosa fare, come comportarmi…
Non avevo dimenticato il bacio che
ci eravamo scambiati la notte di Litha; era stato tutto così improvviso,
così sconvolgente, e poi la sua successiva dichiarazione… mi aveva
colta di sorpresa e non avevo idea di come poter reagire. Adesso era diverso:
era come se fosse una cosa giusta, non mi spaventava più un simile
contatto, perché dopo tutto aveva ragione: sarebbe diventato mio marito,
e che io lo volessi o meno, prima o poi sarei entrata in contatto con ogni
parte del suo corpo, senza esclusioni.
Mi lasciai andare a quelle
sensazioni oscenamente e piacevolmente terrene, le mani che si toccavano, le
labbra che si cercava e si assaggiavano a vicenda, le mani di Will che mi
accarezzavano il viso, i capelli, le spalle.
Sentii il contatto
dell’erba fresca contro la schiena, i capelli aperti a come un ventaglio
su quella piacevole distesa verde ricca di fiori, non sapevo dove fosse finita
la corona, e non mi importava; l’unica cosa che mi importava, adesso, era
Will, e il contatto con il suo solido corpo.
Mi diede un bacio leggero sul
collo, e io rabbrividii rilasciando un profondo sospiro contro il suo viso, le
mie dita artigliarono il suo braccio duro come una sbarra di ferro, e lui non
sembrò sentire nulla, non so come, ma i miei piedi non erano più
costretti dentro le logore scarpe, le mie dita avvertirono il contatto fresco
con l’aria aperta; solo in quel momento mi resi conto che la mano di Will
era scesa così in basso, e adesso accarezzava la mia caviglia nuda,
girandole attorno e indugiando appena sul polpaccio. Trattenni il respiro
quando lo strizzò appena, quasi avesse voluto constatarne la
solidità, e non si fermò.
Più che vederlo, lo
sentii armeggiare con le mie gonne, lanciare deboli grugniti nella sua lingua,
quasi stesse inveendo contro il tessuto… e io rimasi pietrificata.
<< Will… >> lo
chiamai, scalciando appena per indurlo a smettere, ma lui non sembrò
recepire il messaggio.
<< Will, per favore…
>>, ripetei, stavolta con meno convinzione. Se avesse continuato
così, mi sarei ritrovata con le gonne fino alle orecchie.
Scalciai più forte, e
lui in tutta risposta mi afferrò la caviglia e strinse con forza, quasi
avesse voluto indurmi a starmene buona e ferma. << Will, per favore,
smettila >>, implorai, sentendomi ormai prossima alle lacrime. Con i
pugni afferrai dell’erba, piantandomi a terra il più possibile,
mentre riprendevo a scalciare, stavolta con tutta la forza che avevo in corpo,
mossa dal terrore di quello che sarebbe potuto succedere se non l’avessi
fermato subito.
<< WILL FERMATI! >>
Stavolta ottenni qualche
risultato. Alzò la testa dalla mia gamba e una luce strana balenò
nei suoi occhi verdi. Sembrava sorpreso, come se non si aspettasse una simile
reazione da parte mia; ancora scosso, lasciò andare le mie caviglie, e
io approfittai dell’occasione per raggomitolarmi su me stessa, a riccio,
dandogli la schiena.
<< Madelaine, io…
>>
<< Will, non mi parlare.
>> Mi sentivo ferita, spaventata, la mia voce non smetteva di tremare e
le lacrime adesso scendevano copiose dal mio viso. << Lasciami
stare… >> ripetei, sperando che se ne andasse davvero. Ma non lo
fece.
Quando sentii la sua mano grande
posarsi sulla mia spalla, non riuscii a non impedirmi di tremare, mi
sfuggì un singhiozzo terrorizzato dalle labbra, mentre un freddo blocco
ghiacciato permeava dentro al mio stomaco.
<< Mi dispiace, a nighean. >> Le sue labbra calde si
posarono sulla mia tempia, scendendo lungo la guancia e indugiarono sulla curva
del mento; non si avvicinò nemmeno alle labbra.
<< Te l’assicuro
Maddy; non era mia intenzione farti del male. >>
Ma l’avresti fatto, anche se inconsciamente.
<< Tesoro, scusami, non sai
quanto mi dispiaccia io… io non volevo farti… >>
Deglutì pesantemente, e allontanò la sua mano dalla mia spalla.
Lo sentii scostarsi il più
possibile da me, andandosi a sedere un po’ più lontano da dove ero
io. Mi sentii male, avvertendo tutta quella lontananza tra noi, ma il mio cuore
batteva ancora forte per lo spavento, mentre sentivo ancora le sue mani forti
su di me, senza poter fare nulla per impedirgli di toccarmi. Buon Dio, mi
sentivo così male…
<< È sbagliato.
>> Dissi solo quelle poche parole, non trovando altro da dire.
<< Come? >>
Alla fine mi alzai in piedi e
mi ravviai appena i capelli, anche se sapevo non sarebbe servito a nulla;
scacciai via le lacrime con il palmo della mano e tirai su con il naso, dovevo
guardarlo negli occhi, altrimenti sentivo che non l’avrei fatto mai
più in vita mia.
<< Quello che stavi
per fare, non… è sbagliato >>, dissi incerta, senza trovare
valide argomentazioni. << Quello che un uomo… vuole fare con una
donna, è sbagliato, è peccato… prima del matrimonio, almeno.
>> Le mie guance erano talmente calde che avrei potuto cuocervi la
farinata d’avena.
La risata poderosa di William riuscì a farmi sentire ancora di
più in imbarazzo, si asciugò gli occhi con le nocche e quando mi
guardò negli occhi i suoi parevano brillare.
<< Mi dispiace, Maddy. Su questo
hai ragione da vendere. >> La sua grossa mano si posò sulla mia
testa e mi accarezzò amorevolmente, facendomi sentire
all’improvviso una bambina piccola e stupida, inadatta ad affrontare
qualcosa di importante come il matrimonio.
Con un movimento fluido, Will
si alzò in piedi e mi tese la mano. << Vieni, a nighean. Ti riporto a casa. >>
*
Ho sempre pensato che il
matrimonio fosse qualcosa di troppo lontano, per me. Mi sono sempre ritenuta
troppo giovane per una cosa del genere e davo la priorità alla famiglia
e alla vita di ogni giorno, pensando al fatto che dopo aver svolto le faccende
avrei potuto andare a trovare Charlot, oppure salire su fino al pascolo a
trovare John e Ian e aiutarli a badare alle pecore. La mia non è mai
stata avventurosa o piena di avvenimenti particolari, ma mi piaceva così
come l’ho sempre conosciuta.
Non mi ritengo una ragazza
cinica oppure fredda, ma non ho mai pensato all’idea di amare un uomo, di
sentire con tutta me stessa che volevo diventare sua moglie, condividere con
lui le mie giornate, dargli dei bambini… non l’ho mai ritenuto
importante, e mai avrei pensato di vedere Will sotto quella luce, pensarlo come
marito e padre dei figli che gli avrei potuto dare in futuro.
Adesso era tutto diverso. Non
pensavo di essere innamorata di lui, non ancora, ma sentivo un sentimento di
tenerezza subentrare dentro di me quando ci incontravamo, quando veniva a
trovarmi… ho sempre ritenuto che fosse un bravo ragazzo, oltre che bello
e sveglio, perciò non immaginavo non ci sarebbe voluto molto, prima che
l’amore prendesse il posto del rispetto e dell’affetto che sentivo
per lui.
Con mia grande sorpresa, mi
accorsi che stavo contando i giorni con ansia, aspettando il giorno del mio compleanno.
Mancava ancora una settimana, e poi finalmente sarei stata la sua fidanzata, la
sua promessa sposa… Oh, il solo pensarci mi riempiva il cuore di
felicità.
<< Maddy ho bisogno che tu
vada al villaggio, oggi. >>
Stavo spazzando il pavimento
leggermente dissestato del soggiorno, con una scopa ormai troppo vecchia per
raccogliere qualsivoglia tipo di sporcizia o anche della semplice polvere.
<< Dove devo andare?
>> domandai ad Elisa che, imperterrita, proseguiva il suo lavoro di
cucito per il futuro nascituro. Lo sollevò un istante e osservò
se le calzine di cotone grezzo fossero della stessa misura, poi, soddisfatta, e
ripose da parte e cominciò il suo lavoro di rammendo.
<< Mr Bennet aveva chiesto
in prestito la pala di Papà, qualche tempo prima, ma dato che non
l’ha ancora restituita, ho pensato che potessi andarci tu. >>
Mi fermai un istante e,
sentendo la schiena leggermente dolorante, mi tolsi di dosso il fazzoletto con
cui tenevo stretti i capelli. Le sorrisi. << Certo, non ti preoccupare.
>>
Forse non avrei dovuto pensare in
simili termini, ma Will era già qualche giorno che non si faceva vedere
a casa nostra, era sconveniente pensarlo, ma volevo approfittare di
quell’occasione per andare a fargli un saluto. No, forse non era così
sconveniente. Anche se in città non lo sapeva nessuno, prima o poi
avremmo annunciato il fidanzamento, così anche le vecchie comari e le
loro lingue velenose, si sarebbero azzittite.
Uscii di casa nel primo
pomeriggio e con un fazzoletto legato stretto sopra la testa, mi recai al
villaggio. L’aria era piacevolmente calda sulla mia pelle, anche se
quella cortina di nuvole scure continuava a indugiare nel cielo, per niente
limpido e tutt’altro che tranquillo.
Sul ciglio della strada notai
qualche fiore selvatico di colore rosso e giallo, mi chinai e ne raccolsi
qualcuno, mi sfilai il fazzoletto dalla testa e me li infilai tra i capelli. Mi
sentivo così felice e di buon umore, avevo come il presentimento che
nulla sarebbe potuto andare storto, quel giorno.
E nemmeno immaginavo, quanto
in realtà potessi sbagliarmi.
Non pensavo minimamente che,
con una semplice folata di vento, la mia vita sarebbe cambiata così
drasticamente.
*
Non passai subito dai Bennet,
perché rimasi attratta dal clima goliardico e di festa che si respirava
nella piazza del paese. La gente lanciava grida esultanti e allegre, altri
esultavano e continuavano a ripetere ‘Congratulazioni’ o
‘Auguri e figli e maschi!’; qualcuno aveva annunciato il proprio fidanzamento.
I ragazzi ridevano e facevano commenti
volgari in merito alla coppia fidanzata, le ragazze invece parlottavano tra
loro e, a quanto sembrava non sembravano contenti di questo fidanzamento; il
grosso della festa si teneva si teneva nella piazza del villaggio, nei pressi
della locanda di Will, dove c’erano anche il pozzo, la bottega del fabbro
e la casa del magistrato, nonostante una figura fosse pressoché inutile,
in un villaggio così piccolo.
<< Maddy, mia cara! >>
Margaret, scorgendomi in mezzo alla folla mi strinse forte, soffocandomi contro
il suo petto generoso. << Oh, quanto è che non ti vedo! Dalla
festa di Litha, vero? >>
Iniziò allora una
sequela di domande su come stessi, le condizioni di Elisa, il bambino e tutto
ciò che riguardava la mia famiglia; le risposi, nonostante fossi
maggiormente interessata a sapere chi fossero interessati. Allungai il collo e
scrutai con attenzione la folla allegra e, a mio parere, parecchio rinfrancata
da un’eccessiva dose di birra.
<< Come mai la gente sembra
così… allegra? >> Non riuscii a trovare una parola migliore,
anche se non esprimeva al meglio ciò che stavo vedendo.
<< Oh, è stato il
locandiere >>, disse con uno svolazzo incurante della mano. << Ha
offerto da bere a tutti, sai, per festeggiare. >>
<< Festeggiare? E cosa?
>>
Il mio cuore prese a battere
più veloce di prima, mentre un’orribile sensazione si stava
facendo strada dentro di me, togliendomi il respiro, e spaventandomi.
Perché…
<< Oh, è per suo
figlio. >>
Qualcosa sembrò
strattonarmi le caviglie, tirandomi verso il basso. Oh, no. cosa volevano dire
quelle parole? Che stava dicendo, Margaret?
<< Will? >> chiesi,
con un filo di voce. << E cosa c’entra? >> Perché
domandare? La risposta tanto…
<< Perché si
sposa, mi pare ovvio. >> Sbuffò pesantemente, lanciando occhiate
velenose verso l’ingresso della locanda. << Alla fine Agnes
è riuscita ad accaparrarselo. Quella cagna maledetta. >> Non mi
interessavano le parole velenose di Margaret, non mi interessava a chi MacLeod
avesse offerto da bere.
<< Devo… lui…
vederlo… >>
Senza curarmi degli
schiamazzi di Margaret, barcollai fino all’ingresso della locanda,
spintonata e gettata da parte dalla folla festante. Il cuore batteva con un
ritmo tanto serrato che non sentivo altro che quello, stretto alla mia cassa
toracica, lentamente mi soffocava, rendendo il corpetto stretto, sempre più
stretto. Deglutii pesantemente, mentre la vista si stava appannando sempre
più. Stavo piangendo?
Alla fine, lo trovai.
Seduto comodamente su una
panca della locanda, un boccale stracolmo di birra in mano, il viso rubicondo e
di buon umore, rispondeva a domande più che indelicate a degli uomini
resi audaci dalla birra e dal clima in generale. La sua futura sposa sedeva
accanto a lui, il boccale semi vuoto e le guance ancora più rosse di
quelle del futuro consorte, con una mano stringeva quella si Will lì
accanto, quasi avesse voluto dire a tutti i presenti: << Lui è
mio. >>
I genitori dei giovani discutevano
animatamente probabilmente a come si sarebbero svolte le future nozze, di tanto
in tanto di scambiavano pacche amichevoli sulle spalle e poi guardavano i
rispettivi figli con un amore e un affetto che solo un genitore avrebbe potuto
avere.
Era troppo. Non poteva
essere… anzi, no; poteva essere eccome.
Deglutendo il più possibile, diedi le spalle alla folla nel pieno della
festa, non sentivo più il battito del mio cuore, solo un’improvvisa
stanchezza. E freddo. Tanto freddo.
Mi lasciai spintonare dalla
folla senza dire o fare niente, non mi sentivo in vena di ribattere, oppure di
farmi largo o scansarmi. Non sentivo niente, se non quell’opprimente
senso di desolazione.
Era già stato
promesso ad Agnes? Se era così, perché mi aveva chiesto di
sposarlo?
Quelle domande mi assillarono
a lungo, e io non potevo fare nulla per impedire loro di farmi stare male.
Camminando verso casa, mi
sfilai uno ad uno i fiori che avevo infilato tra i capelli… e li
calpestai.
Note:
1)Dùn di bheal in gaelico significa “sta’ zitto!”
Un’ultima cosa: per due settimane starò lontana dal
computer, perché sarò in vacanza. Quindi, chi aspetta con ansia
gli aggiornamenti, devo chiedergli di attendere un po’, e di essere
paziente.
Note dell’autrice: finalmente sono tornata dalle vacanze, e adesso
ho intenzione di dedicarmi alla prosecuzione delle storie che ho tra le
mani… anche se, mi dispiace dirlo, darò la massima priorità
alla stesura di quello che – spero – diventerà il mio l
Note
dell’autrice: finalmentesono tornata dalle vacanze, e adesso ho intenzione di dedicarmi
alla prosecuzione delle storie che ho tra le mani… anche se, mi dispiace
dirlo, darò la massima priorità alla stesura di quello che
– spero – diventerà il mio libro, perciò vi prego di
usare clemenza nei miei confronti, e attendere pazientemente^^’
Grazie a Owarinai yume – maledizione! Ho sempre sbagliato a scrivere
il nome!! >.<’’’ – per aver commentato anche
questo capitolo, sono contenta che la storia ti piaccia, e spero ardentemente
che, con il passare del tempo, possa continuare a piacerti^^
Bychan sii la benvenuta
dentro al mondo di Maddy, allora!^^
Sono
contenta che la storia ti piaccia, e conto che anche in futuro tu possa
apprezzare questi personaggi e la storia in generale^^
Per quanto riguarda Will, credo
proprio che nessuno abbia apprezzato
il suo comportamento, e nemmeno mi aspetto che qualcuno gli si pari davanti per
fargli scudo dalla condanna degli altri lettori… senza contare che,
nonostante sia sua ‘madre’, penso di potermi aggiungere
ufficialmente agli odiatori di questo ‘traditore scozzese’
Barbarizia sono davvero contenta
che la storia ti piaccia e, un pochino, sono contenta che tu abbia, in un certo
senso ‘toppato’ al pensare che Will fosse questo misterioso lord.
No, Will sin dalla prima volta in cui ha iniziato a formarsi nella mia mente
è sempre stato un personaggio negativo, perciò, mi dispiace, ma
non credo proprio che possa essere lord Allenton. Il fatto che risponda ogni
volta ai vostri post, è un modo per ringraziarvi dei numerosi commenti
che mi lasciate^^
Per quanto riguarda i libri,
be’… diciamo che lo faccio solo per diletto personale, e
perché sostengo con tutta me stessa che CHIUNQUE ami le storie d’amore
come quella raccontata ne ‘La
Straniera’, dovrebbe semplicemente IDOLATRARE questi libri e chiamare
‘REGINA DELL’UNIVERSO’ Diana Gabaldon… ma queste sono
solo le parole di una pazza fanatica di questa serie, il giudizio va sempre a
chi legge XD
Shandril
i tuoi sospetti sono sempre stati fondati, non posso che darti ragione ed
elogiare la tua perspicacia!!^.^
Grazie
per i complimenti, spero di fare del mio meglio anche stavolta!!:D
Grazie anche ad eiby! In fondo, anche uno scrittore
è un essere umano come gli altri, anche noi ci stanchiamo e, per un
po’, abbiamo bisogno di staccare la spina… e io ne avevo davvero
bisogno!!XD
Anche
a te Will non piace, mmm… credo che siamo davvero in tante a
disprezzarlo… e io che dovrei ADORARLO solo per il semplice fatto che
è di origini scozzesi *ç*
Rubs devo immaginare che tu
sia Roby, giusto?:D
Grazie
ancora per i tuoi complimenti, sia per quanto riguarda il mio modo di scrivere
e, ancora di più, per il fatto che sia preparata in, em… immagino
sugli eventi della storia, giusto?^^’
Un po’ mi vergogno a dirlo, ma in
quanto alla storia della Scozia, ho saputo delle sue orribili vicende
solo… l’estate scorsa, se non sbaglio, prima non avevo nemmeno idea
di quali orribili conseguenze gli scozzesi furono costretti, dopo Culloden ;_;
Non l’ho mai detto
apertamente, ma sto facendo tutto ciò che è in mio potere per
studiare al meglio la storia del XVIII secolo, anche se ahimé noi ce ne
ricordiamo solo per la Guerra di Indigenza da parte dell’America e per la
Rivoluzione francese. La Sommossa giacobita è durata fino al 1745,
quando migliaia di Highlander furono sterminati dall’esercito inglese in
solo 30, drastici minuti.
… Bene, adesso credo di potervi
lasciare al continuo della storia, augurandovi di rivederci nel prossimo
capitolo.
SE QUALCUNO DI VOI VOLESSE MANDARMI UNA MAIL, ANCHE
SOLO PER CHIACCHERARE, FATELO SENZA PROBLEMI^^
V
Notte di bufera
<< Che cosa!? >> La
voce incredula di Papà rimbombò contro le pareti fragili del
cottage, facendolo tremare.
Fletcher, seduto sulla poltrona
sgangherata, sentendo le mie parole balzò in piedi e mi afferrò
per le spalle, scrollandomi talmente forte da lasciarmi intontita.
<< Stai scherzando, spero!
>> La sua voce era dura come un pezzo di roccia, mi infastidì sentirlo
usare quel tono, quasi stesse pensando che avessi appena mentito solo
perché magari, presa da un improvviso attacco di paura per via del
matrimonio con Will. È vero, prima ero spaventata, e anche nelle ultime
settimane sentivo come una stretta allo stomaco che mi lasciava senza fiato e
spaurita, ma ormai mi ci stavo. Prima di quello che era appena accaduto,
almeno.
Mi divincolai con uno strattone e
lo guardai con occhi furenti e pieni di risentimento.
<< Non sto mentendo,
Fletcher >>, dissi e denti stretti, guardandolo in cagnesco.
Presa da un improvviso atto
di nervosismo mi alzai in piedi e, senza sapere bene cosa fare, cercai di dare
un’assettata al soggiorno, al momento spaventosamente disordinato e pieno
di sporcizia, ai miei occhi.
<< Non credo ci sia niente
di male, no? >> La voce, nonostante non lo volessi, mi tremolò
leggermente.
<< Will ha cambiato
idea, e allora? >>
<< Bastardo >>, disse
Erial, che fino a quel momento se n’era stato seduto sul divano,
impegnato a tranquillizzare Elisa che, venuta a sapere dell’accaduto,
aveva avuto come un mancamento.
<< Lo ucciderò,
per questo. >> Fletcher prese a crocchiarsi le dita, con raccapriccianti
schiocchi secchi.
<< Madelaine…
>>
Papà mi distolse per
un attimo dal mio ‘lavoro’, afferrandomi per le spalle e
stringendomi contro il suo petto largo, fu un po’ difficile data la sua
pancia prominente, ma alla fine ci riuscì. Prese ad accarezzarmi quella
folta criniera scompigliata e riccioluta che erano i miei capelli, mormorandomi
parole di conforto di tanto in tanto.
<< Mi dispiace, figliola. Se
fossi stato più accorto, forse in qualche modo… >> Non
riuscendo a trovare parole efficaci, alla fine lasciò cadere la
conversazione, limitandosi solo ad accarezzarmi la testa, quasi fossi stata una
bimba spaventata.
<< Ti assicuro che non sono
triste come credi, Pa’ >>, lo blandii io, la voce ferma e senza
espressione.
Abbozzai un sorriso e mi
discostai appena. << In fondo non era mia intenzione sposarlo, fin
dall’inizio. Perciò non ci vedo niente di male,
nell’aspettare qualcun altro, no? >>
Non sembrò convinto, i
suoi occhi verdi brillavano di incredulità, sotto le sopracciglia folte
come un bruco peloso.
<< Andiamo al villaggio.
>> Fletcher, avendo finalmente compreso che non mentivo, si era riseduto
sulla poltrona sgangherata, e adesso fissava in modo truce e vendicativo le
braci del camino, in procinto di spegnersi.
Erial si alzò e, afferrato
qualche ciocco di legno ravvivò il fuoco. << Adesso? >>
domandò, guardando il cognato dritto negli occhi. Sembrava impaziente
quanto mio fratello di partire alla volta del villaggio, e gonfiare di botte il
futuro consorte di Agnes Dursley.
<< Prima iniziamo, prima
finiremo il lavoro. >> Fletcher si sistemò i calzoni e strinse
meglio la rozza corda che usava per tenerli su e poi si diressero entrambi
verso la porta.
<< No! >> Agguantai la
manica della rozza camicia di Fletcher e lo strattonai, cercandolo di
riportarlo in salotto.
Lui mi guardò
dall’alto in basso, con una chiara nota di disprezzo nei miei confronti,
i suoi occhi brillarono di rabbia trattenuta a stento, e una gran voglia di
menare le mani. Diede uno strattone al braccio e io per poco non mollai la
presa, ma non cedetti, avvoltolai ancora di più le braccia attorno al
suo e conficcai le dita nella carne calda e palpitante di rabbia, sentendo la
consistenza dei muscoli e delle ossa. Fletcher cacciò un guaito di
protesta e mi piantò una mano sulla testa, cercando di allontanarmi.
<< Madelaine lasciami,
porca troia! >> imprecò a pieni polmoni, cercando sempre di
togliermi di dosso.
<< No, Fletcher! >> Scossi
più volte la testa, tanto che i capelli mi finirono davanti agli occhi,
accecandomi. << Non ti lascerò finché non ti sarai
risieduto sul divano, calmo e tranquillo! >>
<< Spero tu stia scherzando!
>> esclamò lui, incredulo e furioso.
Lo guardai in quei suoi occhi
chiari, con tutta la serietà che possedevo. << No. >>
<< … Cristo. >>
Fletcher fu scosso da un brivido, mi fissò con occhi atterriti, quasi
orripilati, ma alla fine la tensione e la rabbia sembrarono sgonfiarlo,
lasciando il braccio molle e senza forza tra le mie mani.
Erial, tornato anche lui in
soggiorno, mise le grosse mani sulle spalle di mio fratello, e mormorandogli
qualcosa all’orecchio, lo fece sedere accanto ad Elisa, che se
n’era stata in silenzio fino a quel momento.
<< Maddy, tu…
>>, esitò qualche istante, come se non avesse voluto pronunciare
simili parole.
<< Lo ami? William, intendo.
>> Mi guardò per la prima volta, dopo aver fissato a lungo il
pavimento dissestato e sudicio, i suoi occhi verdi sembravano ricoperti da una
patina trasparente: tristezza, compassione, non era ben chiaro, ma sentii una
specie di dolore al petto, vedendo quegli occhi.
Scossi la testa con decisione. <<
No, non lo amo. >> Presi un lungo respiro, e la guardai a mia volta.
<< Era solo un matrimonio combinato, il nostro. Forse – e dico forse – avrei potuto amarlo, con
il tempo. Ma visti gli ultimi eventi… >> Scrollai le spalle, dando
a intendere che non avesse senso terminare la frase.
Elisa sospirò a fondo e si
passò un ricciolo dietro l’orecchio. << Dopo tutto è
stata una fortuna, decidere di annunciare il vostro fidanzamento appena tu
avessi compiuto diciassette anni. Se l’avessimo fatto prima, a
quest’ora saresti stata svergognata da tutto il villaggio, e
nessun’altro uomo ti avrebbe più chiesta in moglie. È stata
una fortuna >>, ripeté a mezza voce, più a sé stessa
che a me.
Mi mordicchiai l’interno
della guancia. << Adesso… credo sia ora di andare a dormire, per
me. È stata una lunga giornata, e domattina devo andare al pascolo.
>>
Con questa scusa mi congedai
dal resto della mia famiglia, e andai nella mia stanza.
Una volta dentro, chiusi la porta
e mi andai a sedere sul letto dal materasso sfondato, sentendomi sprofondare
nell’imbottitura scomoda, mi rialzai e con un gesto repentino tolsi il
pesante telo che utilizzavo come tenda e, in inverno, venendo fissato con dei
grossi chiodi, come vetro.
L’odore di notte, terra
smossa e erba secca mi pizzicò le narici, mentre una folta di vento
freddo mi raggelò le guance, le nuvole si stavano addensavano nel cielo
l’una sopra all’altra, una torre di Babele fatta di nubi scure e
minacciose.
<< Il tempo sta cambiando
>>, dissi tra me e me, pensierosa.
In montagna non era difficile
che il tempo cambiasse facilmente, un momento poteva esserci freddo e nuvoloso,
l’attimo dopo le nubi potevano essere sparite e il sole faceva capolino
nel cielo azzurro; Bedlington era un piccolo villaggio ai piedi di una collina,
ben lontano dai monti e dal loro clima dispettoso… eppure il tempo stava
cambiando, con la stessa velocità con cui una donna di buona famiglia
cambiava un abito ancora buono.
Un brivido freddo mi scese lungo
la schiena, lasciandomi quasi stordita. Stringendomi nello scialle che avevo
indosso, rimisi il telo davanti alla finestra, e me ne andai a dormire.
*
Mi rimisi dritta e piegai
leggermente la schiena all’indietro, sentendo i muscoli indolenziti e
doloranti per essere stati costretti per tanto tempo in una posizione scomoda,
mi passai la mano sulla fronte, raccogliendo le goccioline di sudore che mi si
erano formate sulla fronte per il caldo, sentivo la testa calda e pesante e pensai
che forse, usare solo un fazzoletto come protezione dal sole non era
granché.
<< Sei già stanca?
>>
John, ancora intento a legare
tra loro le spighe di grano era chinato e con lo sguardo basso, la camicia rozza
ripiegata accuratamente da una parte, mentre il suo possidente era impegnato a
svolgere quel lavoro tedioso e fastidioso.
<< No, mi fa solo male
la schiena >>, dissi piccata e punta sul vivo da quella constatazione.
<< Allora vedi di
riprendere il lavoro, che ne dici? >>
Lo guardai torva e gli feci
la linguaccia, per poi rimettermi all’opera. << Lo faccio solo
perché sono gentile e ben disposta verso il prossimo, altrimenti adesso
te ne staresti qui, completamente solo, sotto il sole battente a raccogliere
spighe e a intrecciarle tra loro. >>
John fece uno sgradevole verso dal
naso, ma non alzò lo sguardo per lanciarmi un’occhiataccia, o per
ribattere alle mie parole velenose.
<< È stato un
festeggiamento con i fiocchi, sai. >> Era da un po’ di tempo che
non stavamo parlando, e sobbalzai vistosamente quando John aprì
nuovamente bocca.
<< Di che stai parlando?
>> gli chiesi, senza sollevare la faccia dalle spighe che stavo
intrecciando con lo spago.
<< Del fidanzamento di William
e Agnes, mi sembra ovvio. >>
Sapevo a cosa si stesse
riferendo, ma avrei comunque voluto ficcargli in gola le spighe che stavo
intrecciando; era proprio necessario che ne parlasse?
<< Ah sì? Mi fa
piacere per loro; sei riuscito ad arraffare almeno una pinta di birra, oppure
sei rimasto a secco? >> Usai un tono di voce più acido e scontroso
di quanto in realtà volessi, e anche John se ne accorse.
<< Maddy… lui non
faceva per te, credimi >>, disse dopo un lungo silenzio, quasi a voler
giustificare il fatto che ne stessimo parlando.
<< Ah, sì? E
dimmi, chi sarebbe l’uomo adatto a me? … e comunque non mi importa
niente, io non volevo sposarlo. >>
Sentii una sgradevole fitta
al petto, ma la ignorai, continuando con quel lavoro tedioso.
<< Se non ti importa,
allora perché sei così? >> Mi guardò,
un’espressone offesa e scorbutica dipinta negli occhi scuri e seri.
Ricambiai l’occhiataccia,
interrompendo il lavoro a metà. << Non credo siano affari tuoi, o
sbaglio? >>
<< No, non sono affari miei,
però ho ragione, giusto? >> Anche lui smise di lavorare, si
passò il braccio sulla fronte imperlata di sudore e tirò su con
il naso, mentre una gocciolina gli era scivolata lungo il naso leggermente a
patata. << Se non te ne importasse nulla di quello là >>,
fece un gesto spazientito in direzione di Bedlington, << allora non
saresti così irritata… o triste. >>
Questo era il colmo.
<< Vedi di lasciarmi in pace, John
Maverick, non sono in vena di ricevere ramanzine… tantomeno da uno come te. >>
Ci lanciammo delle occhiate
in cagnesco per qualche secondo, poi lui decise di interrompere quel silenzio
pieno di astio. << Lo dico solo per il tuo bene, Madelaine. >>
<< Se è così
allora puoi anche startene zitto! >> sbraitai, non riuscendo più a
contenere la mia rabbia.
<< LI HO VISTI, DANNAZIONE!
>> Anche lui alla fine esplose, gridando con tutto il fiato che aveva in
corpo, e spaventando delle ghiandaie appollaiate sugli alberi, che si levarono
in volo lanciando strida d’allarme.
<< William… e
Agnes… loro… assieme… >>
<< Co... cosa?
>>
John si mordicchiò il
labbro inferiore, una chiara espressione di disagio negli occhi. << Non
sarebbe potuto essere altrimenti, Maddy. È per questo che io…
mm… ti ho detto che… che ti avrebbe fatta soffrire. Perché
li ho visti assieme. >>
Gli chiesi quando fosse successo, ma lui
sembrava restio a raccontarmi qualsiasi altra cosa in proposito… ma io
non avevo intenzione di accettare quel suo cocciuto silenzio.
Con due rapide falcate colami
la distanza che ci separava, non potendolo afferrare per la camicia…
ripiegai sui calzoni. Con le dita agili e cogliendolo di sorpresa, gli infilai
la mano nei calzoni, e strinsi con forza. John avvampò per la rabbia e
l’imbarazzo, lanciando un ruggito rabbioso, si divincolò come un
pesce fuor d’acqua, ma alla mia seconda strizzata, si bloccò
immediatamente, guardandomi con occhi di brace pieni di furia.
<< Adesso, tu mi dirai
tutto… >>
<< Brutta stronza…
>> disse, la voce roca e flebile per la rabbia e il dolore.
Strinsi ancora un po’.
<< Vedi di dirmi tutto John… altrimenti ti staccherò
l’uccello a mani nude. >> La mia era una minaccia bella e buona, e
lui lo sapeva.
*
Nonostante le reticenze varie
e le minacce a vuoto che mi rifilò, alla fine decise di raccontare ogni
cosa; dapprima una specie di racconto breve e strascicato, ma che poi si
trasformò in una confessione torrenziale, se io stringevo la presa sul
suo cazzo.
John era uscito assieme ad alcuni
amici per bersi un boccale di birra dopo una lunga giornata di lavoro.
S’erano trattenuti fino e tardi e molti di loro era ubriachi fradici,
persino John, che di solito si limitava ad un contegnoso boccale, s’era
ritrovato con la testa pesante e confusa, annebbiato leggermente dai fumi
dell’alcol.
<< Non ero ubriaco
come gli altri, tuttavia non riuscivo a vederci bene e mi sembrava di
galleggiare, tanto mi sentivo la testa leggera… >> Con un colpetto
della mano scacciò un insetto che gli faceva il solletico sulla spalla.
<< Me ne stavo tornando a casa quando, be’, non mi sono sentito
granché bene e… >>
Colto all’improvviso da un
conato di vomito, s’era infilato nel primo vicolo che aveva trovato,
s’era messo ginocchioni… e aveva rimesso anche l’anima. Una
volta terminati i conati s’era rimesso in piedi e dandosi una rapida
assettata agli abiti e cercando di assumere un’aria sobria s’era
incamminato verso casa.
<< È stato in quel
momento che li ho visti. >>
Non lontani dal vicolo in cui
s’era nascosto a vomitare, John aveva sentito una serie di risolini
chiocci e dei sospiri, di tanto in tanto sfuggivano anche dei lamenti di
piacere, o almeno così era sembrato a lui; incuriosito da quei versi
soffusi, s’era avvicinato al vicolo… e li aveva scorto Agnes
Dursley, con le gonne sollevate fino alle ginocchia, e le gambe bianche avvolte
attorno alla vita di Will, le sue grosse mani accarezzavano il seno chiaro e
scoperto della ragazza, mentre le loro bocche erano incollate tra loro…
<< Me ne sono andato subito
a casa, cercando di non farmi sentire >>, fece una smorfia sprezzante,
<< anche se dubito fortemente che avrebbero potuto scoprirmi. >>
<< Tu lo sapevi…
>> dissi a voce talmente bassa, che poteva sembrare un sussurro lugubre e
minaccioso.
<< Be’, io…
um… sì, lo sapevo; ma non l’avrei mai raccontato se…
>>
<< È PROPRIO
QUESTO IL PUNTO, IMBECILLE! >> Gli diedi uno spintone talmente forte che,
nonostante fossi più piccola e magra di lui, lo mandai con il culo per
terra. John lanciò imprecazione tra i denti, mentre con la mano si
massaggiava il culo dolorante.
Mi guardò con aria
malevola e come se avesse avuto voglia di strozzarmi, ma questa svanì
quasi all’istante, vedendo i miei occhi. Serrai le labbra il più
possibile, per evitare di lanciargli maledizioni o comunque di inveire contro
di lui con tutta la rabbia e la frustrazione che avevo.
<< Tu lo sapevi…
e non mi hai detto niente, ma ti rendi conto, di cosa hai fatto? >> Non
lo avrei mai voluto, ma la voce adesso tremolava come la luce di una candela
esposta al vento, gli occhi mi pungevano…
<< Maddy, mi dispiace
io non… non credevo possibile che… >>
<< Sta’ zitto!
>> lo minacciai. Mi tappai le orecchie con forza, e chiusi gli occhi.
<< Mio Dio, sta’ zitto! >> Non volevo sentire, non volevo
vedere, volevo solo andarmene via, andarmene lontano, sparire…
<< Maddy…
>>
<< Non rivolgermi
più la parola, John. Non cercarmi, non venire da me… >> lo
guardai con tutto l’astio che potevo, << … sparisci. >>
Mi levai il fazzoletto con un
gesto nervoso e impaziente e me ne tornai a casa, lasciandolo ancora steso a
terra, con un’infinità di spighe ancora da legare.
*
L’ultima persona che
avrei mai voluto vedere sulla faccia della terra, si presentò davanti ai
miei occhi.
Ero al fiume a lavare qualche panno e,
tanto per gradire, a raccogliere qualche secchiata d’acqua per le
abluzioni; l’ultima volta che mi ero lavata nel vero senso della parola,
era stato per la notte di Litha, da quel momento in poi invece mi ero lavata a
pezzi raccogliendo qualche secchiata d’acqua. Sudore stantio, polvere
panni sporchi, cibo, erbe essiccate, tutti questi odori li avevo addosso come
se fossero stati una seconda pelle, e per un attimo mi balenò in mente
in pensiero di un bagno caldo, pieno di profumi e Sali costosi, dentro una
vasca piena di acqua calda… scossi la testa e ripresi a sfregare la
camicia di Papà con la liscivia, passandolo dove il puzzo di sudore si
era ormai attaccato al lino grezzo della sua camicia.
Un’ombra imponente mi
oscurò la visuale. Quando la sentii parlare, per poco la liscivia non mi
sfuggì di mano.
<< Maddy… >>
Il cuore mi fece una capriola
nel petto, falciandomi il respiro; strinsi con forza la camicia di Papà,
in quel momento umida e sfuggente come un’anguilla.
Nonostante non volessi
incontrare quegli occhi verde muschio, il mio orgoglio mi impedì di
tenere la testa bassa. Oh, Signore, era bello come me lo ricordavo.
I capelli lunghi e trascurati
legati alla perfezione con un legaccio di cuoi, le ossa forti e decise del
viso, le labbra piene e morbide, e quegli occhi… quegli occhi!
Boccheggiai delle parole che non
avevano suono, e quando Will mi si avvicinò fu difficile evitare di fare
uno scatto all’indietro, e poi correre via, verso casa.
<< … Cosa c’è?
>> Mi misi un ricciolo umido di acqua e sudore dietro l’orecchio,
cercando di stare tranquilla e impassibile.
<< Io volevo… >>,
tacque un attimo, quasi intimidito. << Volevo vederti. >>
<< Ah, davvero? >>
chiesi, stavolta sentendomi più forte. Misi da parte la camicia bagnata
e passai ad una camiciola di Elisa, ormai completamente lisa dal tempo e dallo
sfruttamento.
<< Non pensi che Agnes si
arrabbierebbe, vedendoti qui, assieme a me? >>
Fu scosso da un fremito e
sgranò gli occhi per la sorpresa, evidentemente non aspettandosi una
frase simile. Incurvò appena le spalle larghe e massicce, passandosi poi
un ciuffo corvino dietro l’orecchio, come avevo fatto io. << Dunque,
lo sai? >> La sua voce uscì solamente come un mormorio appena
udibile, pieno di rammarico.
Gettai la camiciola di Elisa
a terra. << Sì, lo so! >> Lo guardai dritto negli occhi e
sperai potessero rimanere incenerito dal mio sguardo.
<< Pensi che non
l’avrei saputo? Che avrei aspettato davanti all’altare in trepida
attesa del mio sposo, per poi venire a sapere che avrei sposato un’altra?
Be’, mi dispiace, William, io non sono così! >>
<< Maddy, aspetta, lascia
che almeno ti spieghi… >>
Mi alzai lentamente in piedi,
guardandolo in tutta la sua altezza, gli occhi freddi e inespressivi. <<
Il fidanzamento è sciolto, William. È per questo che sei venuto,
no? >> Agitai brevemente la mano. << Coraggio, vai. sei libero di
tornartene dalla tua Agnes, adesso. >>
Stanca di quella conversazione,
iniziai a raccattare tutti i panni, per poi tornarmene a casa.
<< ASPETTA! >> Mi
afferrò per il braccio e, senza che me ne accorgessi, mi ritrovai
stretta contro il suo petto, la presa delle sue braccia talmente forte che
avrebbe potuto stritolarmi.
Iniziai a prendere a pugni il suo
petto robusto, urlando e grugnendo, per cercare di allontanarlo. <<
LASCIAMI, MALEDETTO BASTARDO, LASCIAMI! >>
<< Non posso, Maddy!
>> La sua voce era rotta dall’emozione, sembrava quasi
sofferente… ma non mi importava. Lo colpii allo stinco con un calcio ben
assestato, e lui con un guaito strozzato mi lasciò andare.
<< Sei impazzito, per caso?
>> Avevo il fiato corto e il cuore mi batteva forte per la paura, ma la
rabbia aveva dissipato, per un po’, quel sentimento.
<< Sei vuoi abbracciare
qualcuno, torna a casa dalla tua promessa sposa, maledetto imbecille! >>
Cercai di avere un tono di
voce duro e, possibilmente irritato, ma alla fine la mia voce fu incrinata da
un singulto. Gli occhi presero a pizzicarmi nervosamente, e io mi girai,
sfregandomi il viso con le mani.
<< Maddy, se ci fosse stata
un’altra soluzione, credimi io… >>
<< Un’altra soluzione?
>> Mi girai verso di lui. << Si probabilmente ci sarebbe stata
>>, dissi sorridendo.
Avresti potuto tenerti
l’uccello nei pantaloni, invece che venire a piagnucolare da me a fatti
compiuti.
Will si avvicinò di qualche passo,
ma io mi allontanai, temendo che potesse abbracciarmi di nuovo.
<< Madelaine, io non ti
mentivo, quel giorno, nel prato. >> I suoi occhi sembravano brillare,
come se stesse trattenendo a malapena le lacrime, ma non provai pietà, o
tenerezza; solo una gran rabbia… e umiliazione.
<< Tu… tu sei la cosa
più preziosa, per me, ma io… Agnes… >>
<< Non mi interessa, William.
Potrò anche essere un prezioso tesoro per te… >>
Ma questo non ti ha impedito di infilare il tuo cazzo
dentro Agnes, fottuto bastardo!
Scossi brevemente la testa,
liquidando la faccenda. << Lasciami andare a casa, la discussione
è terminata. >>
Gli diedi la schiena e, raccolta di
nuovo la cesta, mi avviai verso casa.
<< È incinta!
>> Quell’esclamazione strozzata uscì dalle sue labbra come
un grido disperato. << Io… io l’ho messa incinta, e adesso
devo prendermi le mie responsabilità. >>
Deglutì pesantemente,
e poi buttò fuori l’aria. << Credimi, vorrei tanto che
questo non fosse mai accaduto. Madelaine… >>
<< Auguri, e figli
maschi. >>
Non riuscii a trattenermi
oltre. Stringendomi la cesta al petto, mi lanciai in una corsa senza freni verso
casa.
*
La mia vita prese una piega
inaspettata all’improvviso, senza che io me ne accorgessi.
Nel bel mezzo della notte fui svegliata
da una conversazione a bassa voce, nei pressi della mia stanza. Dopo essermi
rotolata su un fianco, ancora intontita dal sonno, mi stropicciai gli occhi per
levarmi la patina di sonno che avevo addosso; mi alzai da letto e mi avvolsi un
logoro scialle attorno alle spalle, rendendomi conto solo in quel momento che
c’era particolarmente freddo, mentre un sentore di umido aleggiava in
tutta la stanza. Una luce abbagliante filtrò dalla mia finestra, e poi
venne un rumore assordante, accompagnato dalla pioggia battente. Un temporale.
Strofinandomi energicamente
le braccia, uscii dalla mia stanza, e trovai Fletcher e Erial l’uno
accanto all’altro, quest’ultimo con una candela in mano.
<< Il bambino è
in arrivo >>, annunciò mio fratello, vedendomi sveglia. Si
stirò appena e alcune ossa crocchiarono, mentre i muscoli si tendevano.
<< Un po’ prematuro, Erial? >>
<< Non saprei. Forse
di qualche giorno, credo. >> Erial sorrideva in un modo rapido e nervoso.
<< Bisogna chiamare la
levatrice. >> Papà sbucò dal buio, venendo dalla camera di
Elisa e suo marito.
<< Non possiamo
cavarcela da soli? >> chiese Erial, alzando gli occhi al cielo con fare
esitante, sentendo il ruggito di un tuono lì vicino. Non sembrava molto
propenso all’idea di uscire.
Papà gli lanciò
un’occhiata di sufficienza. << Tu eri girato al contrario, ragazzo,
senza l’aiuto di una levatrice, a quest’ora non saresti qui.
>>
Detto questo afferrò Erial
per la spalla e lo condusse da sua moglie, Fletcher, dopo una serie di
borbottii incomprensibili recuperò un cappellaccio sgualcito, se lo
calcò in testa e poi infilò un vecchio mantello, per potersi
riparare dalla pioggia.
<< Torna a letto,
Maddy. Quando ti sveglierai, domattina, avrai tuo nipote da tenere in braccio.
>>
<< Vengo con te! >>
Senza dargli il tempo di
replicare, tornai in camera mia e, pochi minuti dopo, ero avvolta in un mantello
di lana blu scuro con il cappuccio sulla testa. << Andiamo >>, lo
esortai, uscendo dalla porta prima di lui e dirigendomi verso la tettoia di
Joshua.
Fletcher impiegò
qualche minuto buono prima di preparare cavallo e carretto, senza contare che
era un’impresa particolarmente complessa, mettere briglie e legare un
cavallo ad un piccolo carro con solo l’ausilio di una lanterna, sorretta
da me, mentre fuori sembrava appena scoppiato il Giorno del Giudizio.
Dopo una mezz’oretta buona,
riuscimmo a partire verso il villaggio di Ashington.
<< Tcha! >> Incitato dall’incoraggiamento di Fletcher,
nonché dal frustino, Joshua partì al galoppo – per quanto
la strada e il peso del carrettodelle persone glielo consentissero – alla volta del villaggio
vicino.
Bedlington, purtroppo era un
villaggio piccolo e senza una propria levatrice e, proprio per questo motivo,
eravamo costretti a recarci nel villaggio vicino, a notte fonda, sotto una
pioggia battente, e con la strada inagibile per la pioggia e il fango.
<< Credi che Elisa
resisterà fino all’arrivo della levatrice? >> urlai sotto
l’ululato del vento, rivolgendomi a Fletcher.
Non distolse un istante lo sguardo dalla
stradina piena di fango, le mani erano ben strette alle redini e il passo si
Joshua era veloce e sostenuto.
<< Mi auguro di sì,
Madelaine! >> rispose lui.
La strada era completamente
buia, e solo la lanterna che io tenevo avanti riusciva a illuminare un
po’ la strada. C’erano buche piene di acqua e fango ovunque, gli
zoccoli del cavallo affondavano e incespicavano ogni qual volta incappavamo in
un tratto dove la strada era cedevole, e ci mancò poco perché
venissimo sbalzati fuori dal carro. La debole luce della lanterna saltava e
tremolava assecondando i miei sobbalzi a causa della strada accidentata,
Fletcher imprecava tra i denti e stringeva sempre più forte la presa, il
cappellaccio talmente calcato sulla testa che gli occhi sembravano sparire; io
ero completamente bagnata e infreddolita, ma non mi lamentai una sola volta.
Joshua scartò
nervosamente di lato e il carro iniziò a tremolare bruscamente, tanto
che dovetti aggrapparmi alle assi, per non cadere.
<< Che succede? >>
urlai a Fletcher, il cui viso era a malapena visibile in mezzo a tutto quel
buio, ma quando mi rispose, sembrava preoccupato.
<< Non lo so, ma tu tieniti
stretta, per l’amor di Dio! >> Ubbidii, ma servì a poco.
Il nitrito di allarme del
cavallo fu come una specie di segnale. Joshua si inarcò pericolosamente
e poi cadde a terra; mi sentii come strattonata da qualcosa, il carro si
girò, e io e mio fratello finimmo a gambe all’aria in mezzo
all’acqua e al fango.
Forse svenni, per qualche
minuto, perché quando tornai in me, trovai la carcassa del carro
completamente rivoltata, Joshua – di nuovo in piedi – impastoiato a
quello che sembrava un albero. Provai ad alzarmi e sentii una fitta lancinante
al sedere, più una serie di tanti altri dolorini che mi lasciarono senza
fiato, il vestito che indossavo era completamente bagnato e inzaccherato di
fango, i capelli mi stavano incollati alla testa per la pioggia e
l’eventuale lordura che gli si era attaccata addosso.
Mi aggrappai con tutte le mie forze a un
mucchio di erbacce che cresceva sul ciglio della strada, incespicando e
arrancando fuori dal fosso in cui ero finita; quando riuscii a riemergere,
trovai Fletcher, adesso nient’altro che una sagoma nera, intento a
rimettere a posto il carro.
<< Stai bene? >> mi chiese.
Non mi sfuggì la punta di sollievo nella sua voce.
Annuii, anche se sapevo non
potesse vedermi. << Cosa è successo? >>
Brontolò qualcosa, ma non riuscii
subito a capire. << La strada era cedevole a causa della pioggia, ed
è franata mentre noi ci stavamo passando sopra. >>
<< E adesso? Che si fa?
>>
<< Per prima cosa, devo
disincagliare questo stupido carretto, altrimenti non possiamo arrivare fino
Ashington. >> Si chinò sotto il carro e, prendendo un bastone
trovato chissà dove, iniziò a fare pressione sulle ruote
incastrate nel fango, grugnendo e ansimando come un animale sotto sforzo.
<< Lascia perdere! >>
esclamai, cercando di togliergli di mano il bastone.
<< Ma che stai dicendo?
>> disse incredulo. << Se non rimetto in sesto il carretto non
possiamo proseguire…! >>
<< Ci penso io! >>
<< Tu? >> Non mi
sfuggì il tono poco convinto della sua voce.
Approfittai di quel momento
per prendergli di mano il bastone. << Prendi Joshua e va ad Ashington,
poi torna a prendermi, e io nel frattempo avrò rimesso in sesto il
carro. >>
Fletcher sembrò
riflettere a lungo sulle mie parole. << Maddy, sarai da sola, se io mi
allontano. Non hai paura? >>
Mi strinsi nelle spalle.
<< È una notte troppo brutta persino per dei briganti >>, mi
giustificai, poi gli diedi una leggera spintarella, indirizzandolo verso il
cavallo.
<< Adesso vai. >>
Nonostante fosse
tutt’altro che convinto dal lasciarmi sola e senza protezione, alla fine
montò in sella al cavallo, e partì alla volta del villaggio.
Attesi per qualche istante che
fosse abbastanza lontano, mi tolsi dagli occhi i capelli umidi e freddi,
dopodichè mi avvicinai alla carcassa del carro.
Non riuscivo a vedere niente in
mezzo a tutto quel buio, e la lanterna purtroppo si era spenta, perciò
non mi restava altra soluzione se non fare come aveva fatto mio fratello,
nonostante anche lui avesse lavorato alla cieca, senza avere la vaga idea di
come rimettere dritto il carro.
Strinsi il bastone con tutte
le forze che avevo, lo feci scivolare sotto il legno del carretto, poi, quando
sentii il contatto legno contro legno, iniziai a spingere verso il basso,
meravigliandomi di quanto fosse difficile, come procedura.
Impiegai non so quanto tempo
a spingere verso il basso, grugnendo in un modo tutt’altro che femminile,
per lo sforzo, ma non lo mossi neanche di un millimetro.
Fu allora che vidi una luce. O
meglio, delle luci.
Una forma massiccia e scura
nel buio, illuminata solo da qualche piccola luce, che mi suggerirono la sua
forma. Una carrozza.
Il cocchiere era una figura nera e
indistinta nella pioggia e nella notte, vidi solo il movimento delle braccia,
quando fermò i cavalli, accanto a me. Questi sbuffarono e agitarono
nervosamente la testa, ma alla fine ubbidirono.
Una voce profonda, quasi
spettrale, mi rivolse la parola; poco lontana rispetto a dove ero io.
<< Avete bisogno di aiuto?
>> La voce dell’uomo non aveva l’accento di quelle parti,
perciò ipotizzai non potessero essere Lord Ashington, il più
grande proprietario terriero del Wansbeck.
Questo dubbio mi fu
confermato quando, avvicinatami un poco, vidi lo stemma araldico della famiglia
del gentiluomo. Un leone alato accovacciato con una corona gemmata in testa, mentre
tra le grosse zampe artigliate stritolava un serpente. No, non era lo stemma
famigliare degli Ashington.
<< Allora?
>> domandò spazientito, l’uomo dentro la carrozza.
<< Oh! Io, io non… non
vorrei disturbarla, ma grazie! La ringrazio per la sua bontà
d’animo, mi creda! >>
Non sapevo chi fosse quel
nobiluomo, ma in fondo, anche se l’avessi conosciuto, vi avrei girato
alla larga ugualmente. Era molto meglio che sistemassi il carro da sola.
Feci per tornarmene al mio lavoro,
quando la portiera della carrozza si aprì. Ne uscì fuori una
figura non troppo alta e tarchiata, la schiena dritta come se avesse avuto un
bastone su per il culo; senza degnarmi di uno sguardo mi superò e, con
un cenno al cocchiere, lo incitò a scendere dal sedile dove era seduto,
e insieme si diressero verso il mio carro.
<< Non ce n’è
bisogno, signore! Sul serio! >> protestai io, cercando di interrompere il
lavoro di quei due.
Il nobiluomo non mi diede ascolto
e così nemmeno i suoi due servitori.
Impiegarono qualche minuto
prima di capire come dovessero agire, borbottando qualche frase smozzicata e
incomprensibile tra loro, ma alla fine gettarono il ramo che avevo usato fino a
quel momento, poi si chinarono ed iniziarono a sollevarlo.
<< Il cavallo non
c’è >>, fu il commento del lord, ancora comodamente seduto
in carrozza, all’asciutto.
<< Come? >> chiesi
allarmata.
L’uomo in tutta
risposta emise un brontolio spazientito, poi vidi qualcosa di lungo passarmi
accanto, e io mi ritrassi con un grido allarmato… per accorgermi troppo
tardi che si trattava di un bastone da passeggio.
<< Il vostro cavallo non
c’è >>, disse secco. << È scappato, per caso?
>>
<< Oh. Oh, no milord! >>
esclamai, sentendomi una stupida, a parlare con quell’uomo. <<
L’ha… l’ha preso mio fratello, signore. Mia sorella sta
partorendo e ci stavamo recando al villaggio vicino per chiedere aiuto alla
levatrice, ma abbiamo avuto un incidente e… >>, mi strinsi nelle
spalle, << mio fratello ha preso il cavallo, e io lo stavo aspettando qui,
sperando di riuscire a rimettere in sesto il carro, prima del suo arrivo.
>> Con una mano mi scrollai via un po’ d’acqua via dai
capelli, infilandomi di nuovo il cappuccio del mantello sulla testa.
<< E non avete paura?
>> si sincerò lui, sospettoso.
<< No, signore. È una
brutta nottata anche per briganti e ladri tagliagole. L’unico rischio che
corro è essere aggredita da un cinghiale. >>
<< Siete molto
coraggiosa… per essere una ragazzina. >> Non seppi come
interpretare quell’ultima affermazione, perciò mi limitai ad un
breve sorriso di circostanza; né cordiale né ostile.
<< Come vi chiamate,
ragazza? >>
<< Madelaine, signore
>>, mi affrettai poi ad aggiungere, << ma di solito mi chiamano
Maddy. >>
Madelaine era un nome troppo
altisonante per essere quello di una contadina, perciò sia Papà
sia tutti quelli che mi conoscevano, mi chiamavano semplicemente Maddy.
<< Madelaine…
>> disse pensieroso, quasi stesse parlando da solo.
<< Milord, il carro
è a posto! >> Una voce maschile squillante e da un insolito
accento attirò nuovamente la mia attenzione, e solo in quel momento mi
resi conto che il carro era nuovamente su strada, dritto.
L’uomo corpulento che
era sceso dalla carrozza si affrettò a risalire, e il peso del mezzo ondeggiò
pericolosamente quando questi risalì. Il cocchiere invece si
affrettò a tornare al suo posto sul trespolo, in attesa di nuovi ordini
dal suo signore.
Feci una riverenza profonda,
cercando di imitare una donna d’alta classe, senza pensare che per lui,
magari, sarebbe potuto risultare offensivo.
<< Vi ringrazio per la
benevolenza, milord. Pregherò ogni giorno per l’uomo clemente e di
buon cuore che siete. >>
<< Quante sciocchezze!
>> inveì lui, zittendomi all’istante.
Mi rimisi dritta, zittendomi
all’istante, per paura di dire qualcos’altro che lo facesse
infuriare.
<< Mi dispiace,
io… >>
<< Lascia perdere,
ragazzina >>, disse brusco.
Senza che potessi aggiungere
altro, la portiera della carrozza si aprì una seconda volta, e la voce
spettrale e profonda di quel nobiluomo parlò di nuovo.
<< Salite. >>
<< No, signore! Non
posso! >>
Se pochi secondi prima
pensavo che, nonostante la voce spaventosa, fosse un uomo di buon cuore, quei pensieri
svanirono in una bolla di sapone. Quell’uomo non era gentile, non mi
aveva aiutata per semplice bontà…
Indietreggiai, sentendo un gelo
improvviso avvilupparsi attorno al mio corpo, ghiacciando ogni parte di esso, e
lasciandomi tremante e spaurita.
<< Mio… mio fratello
sarà qui a momenti, non posso salire, si preoccuperebbe e…
>>
Ogni mia protesta venne
ignorata.
Una figura alta e massiccia scese
dalla carrozza, mi si avvicinò con passo talmente svelto che non riuscii
nemmeno a vedere i suoi movimenti; mi afferrò per il braccio e per poco
non me lo torse, tanto la sua stretta fu forte, lanciai un grido di dolore, ma
lui lo ignorò.
<< Salite. >> La sua voce era dura come un pezzo di granito, e
fredda come la pioggia che cadeva dal cielo.
Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo
della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come
al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea,
nonché della stesura del mio libro, ho sempre p
Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo
della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come
al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea,
nonché della stesura del mio libro, ho sempre poco tempo per
aggiornare^^’
mAd wOrLdgrazie per il tuo commento, senza contare che sei una new
entry nel gruppo! Che dire, la storia non sarebbe affascinante se non ci
fossero alcune interruzioni sul più bello stile ‘Beautiful’,
no?
owarinai yume mi dispiace per aver
fatto terminare il capitolo così, ma avevo già deciso che Maddy
venisse costretta a salire sulla carrozza di quel nobiluomo,
perciò… spero di averti soddisfatta in questo:D
shandril non ti preoccupare
per Will, non creerà altri problemi, forse…
Maddy rapita? Non ho scritto niente del genere nello scorso
capitolo! °_°’
Grazie per gli auguri, spero di finire il libro prima di
dicembre, è anche troppo tempo che me lo trascino dietro, ormai. XD
Bychan ringrazio tantissimo
anche te per i complimenti, e pensare che a volte mi sembra di scrivere delle
vere porcherie!! Evidentemente lo percepisce solo la mia mente distorta!!XDD
Anche tu parli di rapimento? Ma no, se è questo che
pensate allora scordatevelo! Maddy non è stata rapita… non
esattamente, almeno -.-‘
Summers84 anche a te piacciono i
romanzi storici? Allora siamo in due!:D
Ormai sta diventando una domanda di repertorio, ma non posso fare
a meno di domandare: Hai ma letto ‘La Straniera’? se la tua
è una risposta è ‘no’, allora ti consiglio di cercare
questo libro, anche solo per dare un’occhiata alla trama; ne vale la
pena, te l’assicuro ;) … anche se a dirlo è una pazza
fanatica per questa serie!XD
Eiby, ciao!^^
Be’, credo che qui la pensiamo tutti così a
proposito di Will, ma se lui si fosse comportato in modo retto, tenendo a freno
i propri istinti… Maddy lo avrebbe sposato, invece di… ops,
rischiavo di dire più del necessario!! °.°’
Be’,
contando anche Rayne, le new
entry stavolta sono addirittura tre,
wow!:D
Grazie per i complimenti e anche per aver inserito questa storia
tra i tuoi preferiti che, con mia grande gioia, hanno raggiunto la quota 16. Grazie mille vi amo con tutto il
cuore!!^^
Visto che
l’altra volta vi ho snocciolato delle nozioni storiche che avrebbero
fatto dormire anche un insegnante della suddetta materia, questa volta non
dirò niente, e vi lascerò alla lettura immediatamente;
però prima sarei curiosa di sapere una cosa.
Qualche settimana fa
mi è arrivata una mail da un indirizzo che portava il nomebuffy1984@yahoo.it
Ho risposto a questa mail per sapere con chi stessi parlando, ma
non mi è ancora giunta una risposta. Se per caso uno di voi lettori
è il proprietario di questo indirizzo e-mail, allora vi prego di
contattarmi, sarei felice di parlare nuovamente con voi^^
Redarcher
VI
Fanny
Fuori imperversava una tempesta che, con la sua forza
demolitrice sembrava volesse cancellare ogni cosa; dentro, la carrozza veniva
squassata e tremolava come un pudding al latte a causa della strada accidentata
e scarsamente agibile. Ero seduta vicino all’uomo basso e tarchiato che,
sceso dalla carrozza sotto ordine del proprio padrone, aveva dato una mano al
cocchiere, dalla parte opposta della carrozza, il nobiluomo senza volto si
accaparrava l’intero sedile rivestito di velluto rosso scuro ricco di
decori dorati incomprensibili ai miei occhi, io invece dovevo farmi piccola piccola per impedire al grassone accanto a me di inglobarmi
dentro al suo corpo flaccido.
I vestiti stavano iniziando ad
asciugarsi ma io ero completamente infreddolita e perciò non fu colpa
mia se mi sfuggì uno starnuto, allarmando la palla di grasso accanto a
me che sobbalzò e si appiattì contro la parete del veicolo, quasi
avesse voluto fuggire da un’appestata. Be’, almeno adesso avevo un
po’ più di spazio… ma non potevo permettermi di starmene
tranquilla e rilassata come se niente fosse. Quello sconosciuto mi stava
portando chissà dove e io lo avevo seguito, mossa unicamente da un
improvviso moto di paura verso quell’uomo di cui, a causa della penombra
che regnava nella carrozza, non riuscivo nemmeno a vedere il volto.
Deglutii pesantemente e i miei
occhi inquieti si soffermarono sul cupo paesaggio fuori dal finestrino,
completamente battuto dalla pioggia e illuminato unicamente dalla caduta di un
fulmine e seguito poi dallo scoppio di un tuono, a volte troppo vicino, per i
miei gusti. Fu difficile tenere calmi i miei nervi, già fortemente
provati, quando cadde l’ultimo… troppo vicino per i miei gusti.
Cacciai un urlo allarmato e saltai sul sedile, coprendomi istintivamente le
orecchie con le mani e chiudendo gli occhi, sperando che una volta riaperti, mi
sarei ritrovata nel nostro cottage dimesso, nella mia stanza piena di spifferi,
dentro al mio letto sgangherato, finalmente al sicuro.
<< Non temete un
attacco da parte di una banda di briganti… >> La voce sorpresa e
cavernosa di quell’uomo mi costrinse ad aprirli. << … Ma di
un semplice tuono sì? >>
Era esterrefatto, come se non potesse credere a ciò che i suoi occhi
vedevano.
<< I tuoni mi fanno paura,
signore >>, ammisi con un sussurro strozzato, sfregandomi le braccia
l’una con l’altra, tentando di scaldarmi.
<< Hm. >> Fu
l’unica cosa che disse, poi si zittì, lasciandomi quasi credere
che avessi parlato da sola.
L’ennesimo sobbalzo
della carrozza mi gettò dal mio posto, mandandomi dritta contro
l’uomo corpulento seduto accanto a me, che lanciò uno strillo
soffocato, scansandomi brutalmente con le mani grasse come salsicce. Si
sistemò la parrucca incipriata e diede un violento colpo al tettuccio
della carrozza.
<< Laurent per l’amor
del cielo! Vuoi andare più piano?
>> gridò rabbioso verso il cocchiere.
In tutta risposta
arrivò un colpo dal tetto, seguito poi da una serie di parole che non
riuscii a capire, ma non c’era alcun dubbio che fossero insulti verso
l’uomo imparruccato e incipriato.
<< Vostra grazia >>,
iniziai, la voce il più bassa possibile.
<< Cosa? >> Sussultai, sentendo la sua voce bassa e rabbiosa.
<< Io… io devo
tornare a casa >>, dissi, cercando il mio coraggio da qualche parte,
dentro di me. << La mia famiglia ha bisogno di me, io devo andare…
>>
Con un gesto insofferente mi
indusse al silenzio e, nonostante mi sentissi fortemente umiliata, la paura mi
azzittì.
<< Non mi interessa
>>, disse dopo un lungo silenzio, dandomi a intendere che la
conversazione era terminata.
<< Ma io… >>
<< Non hai sentito Lord Cumbrae
(1), ragazzina? >> esclamò spazientito l’uomo grasso.
<< Non gli interessa, perciò vedi di startene zitta! >> E
con uno sbuffo spazientito si accomodò meglio sul sedile imbottito di
velluto rosso, facendo ondeggiare la carrozza e facendo sì che da fuori
provenissero altri rimbrotti nella lingua sconosciuta del cocchiere.
Attesi in silenzio qualche
minuto, cercando di trovare un modo per sfuggire dalle grinfie di
quell’uomo che, con ogni probabilità, avrebbe potuto abusare di me
per soddisfare le sue voglie, e poi gettarmi nuovamente in mezzo alla strada,
senza troppi rimpianti. La mia mente pensava a vuoto, perché onestamente
non vedevo nessuna soluzione possibile all’infuori di…
Stringendo convulsamente i pugni
mi alzai con uno scatto improvviso, e il grassone ebbe appena il tempo di dire:
<< Che…? >>
Mi lanciai verso la maniglia
della portiera e con dita svelte e agili – nonostante tremassi da capo a
piedi, e non solo per il freddo – e appena la sentii aprirsi, mi raccolsi
le gonne… e saltai.
*
L’impatto con il
terreno fu meno disastroso di quanto mi fossi aspettata, atterrai in mezzo ad
un cespuglio dall’odore pungente mescolato a quello dell’acqua e
del fango, sulla lingua sentivo il disgustoso sapore di fango e erba, sputai in
un angolo più volte, cercando di togliermi quel sapore orrendo dal
palato, ma sembrava intenzionato a restarmi sulla lingua, perciò alla
fine decisi di ignorarlo.
I miei abiti si erano inzuppati di nuovo,
ma prima che questo pensiero potesse sfiorarmi la mente, ignorando i dolori che
sentivo in tutto il corpo, mi alzai in piedi, barcollando e sentendo il terreno
mancarmi sotto i piedi; raccogliendo i capelli completamente infangati dentro
al cappuccio del mantello, mi raccolsi le gonne inzaccherate di fango e acqua e
arrancai fuori sulla strada, liberandomi qualche minuto dopo delle scarpe;
completamente inutili, visto che non facevano che venire inghiottite dalla
poltiglia fangosa e impedendomi di muovermi come avrei voluto.
Riuscii a raggiungere il sentiero,
anche se alla cieca, visto che era talmente buio da non riuscire a vedere a un
palmo dal mio naso, mi diedi una rapida strizzata ai lembi della gonna, pensando
a cosa avrei potuto raccontare a casa, per spiegare l’attuale stato dei
miei abiti. Una luce fioca distante da me qualche metro attirò la mia
attenzione, sembravano delle lanterne… una locanda? Ashington?
Con il cuore gonfio di
speranza zoppicai lungo la strada piena di fango, senza accorgermi dei tuoni
che squarciavano il cielo e l’ululato del vento che squassava gli alberi
sul sentiero, camminavo a fatica e i miei movimenti sembravano quelli di una
papera ubriaca, ma se avessi raggiunto Ashington, se avessi trovato
Fletcher…
<< Eccola, è qui!
>>
Sentendo quella voce mi
sembrò di sprofondare ancora di più nel fango, pensando
‘Mio Dio, perché?’
Non riuscii nemmeno a girare
su me stessa e trovare una macchia di cespugli in cui nascondermi… venni
riacciuffata. Sentii delle dita grandi e grosse come salsicce agguantarmi le
braccia e trascinarmi verso le luci soffuse della carrozza, senza mollare la
presa nonostante scalciassi come un puledro recalcitrante e gli urlassi di
lasciarmi andare; borbottando parole per niente gentili, mi spinse nuovamente
dentro la carrozza, picchiai le ginocchia contro il pavimento e sentii qualcuno
pungolarmi con il bastone, mentre le gelide parole: << Rimettetevi seduta
>> mi gelavano il corpo con la stessa intensità di una bufera di
neve.
Fu per un semplice impulso, se
afferrai l’estremità del bastone da passeggio di Lord Cumbrae, e
guardando nel modo peggiore possibile, gli dissi:
<< Non sono uno dei vostri
cani, milord >>, dissi con voce cupa.
Mi sentii strattonare
all’indietro e lanciai un gridolino strozzato, quando incontrai il viso
paffuto e malevolo dell’uomo che, all’improvviso, iniziai pensare
fosse il maggiordomo di Lord Cumbrae.
<< I cani di Lord Cumbrae
sono mille volte meglio di te, stracciona.
>> La sua voce sibilò con disgusto quella parole, che vibrò
dentro al mio cuore con la stessa intensità di una stoccata al petto.
Mi dimenai come una trota
dalle sue mani grosse e grasse, appiattendomi poi contro la parete della
carrozza.
<< Sarò anche povera
>>, dissi con lo stesso odio, << ma non sono una stracciona.
>> Alzai il mento con fare superbo, come se fossi stata una gran dama, o
comunque di un rango superiore di quell’uomo odioso.
<< Come ti permetti,
maledetta… >>
L’uomo fece per saltarmi
addosso e scaraventarmi fuori dalla carrozza, che nel frattempo aveva ripreso
la sua corsa… ma la voce cavernosa e terrificante del padrone
richiamò il maggiordomo al silenzio.
<< Fa’ silenzio,
Tatcher >>, gli intimò il Lord con voce brusca.
<< Ma signore, io…
>>
Ogni protesta del maggiordomo
fu sepolta nel silenzio con un solo sguardo di quell’uomo, che con
un’ultima occhiata di disprezzo verso di me, si mise sul sedile,
finalmente in silenzio.
Stavolta il maggiordomo mi
costrinse a sedermi dalla parte opposta, lontano dalla portiera: <<
Così non ti verrà in mente di scappare >>, disse burbero
mentre si sistemava la parrucca bianca e incipriata.
Tanto ci proverò di nuovo
fu il mio improvviso pensiero, mentre cercavo un modo per congedarmi da
quell’uomo inquietante che era Lord Cumbrae.
Lord Cumbrae…
mmm… perché quel nome non mi suonava nuovo? Dove l’avevo
già sentito?
Mentre cercavo di ricordare
dove avessi sentito nominare quel nome, la carrozza si fermò sotto
incitamento del cocchiere. I cavalli probabilmente slittarono sul terreno,
perché il veicolo impiegò qualche istante buono, prima di
fermarsi completamente; io mi alzai in piedi in automatica e, senza pensare che
la carrozza fosse ancora in movimento, persi l’equilibrio, battendo la faccia
contro il sedile opposto.
<< Vuoi stare ferma, ragazzina? >> Tatcher mi
afferrò per l’orlo logoro della gonna e con uno strattone
cercò di rimettermi in piedi.
<< Che diavolo state
facendo? >> Afferrai a mia volta la sottana, cercando di staccare le sue
dita grasse dal mio vestito. Uno spiacevole rumore di stoffa strappata
ferì le mie orecchie, mentre un pezzo della mia gonna cadeva a terra.
<< Il mio vestito…
>>
<< Avreste dovuto lasciare
andare la presa, invece di tirare a vostra volta. >> La voce altera e
superiore di quell’uomo insulso e odioso mi dava ai nervi.
<< Mi avete strappato il
vestito, dannazione! >> Avrei afferrato volentieri il bavero della sua
giacca di alta sartoria e farla a pezzi davanti ai suoi occhi, ma il buon senso
ebbe il sopravvento e io mi chiusi in un silenzio ostile, temendo molto di
più le frustrate che avrei potuto beccare, usando insubordinazione sul
servitore di un nobile. Elisa si sarebbe arrabbiata, e parecchio, ma la sua
lingua non feriva allo stesso modo di una frusta.
<< Siamo arrivati. >>
Lord Cumbrae disse solo quelle poche parole e, appena il cocchiere aprì
la portiera al proprio padrone, scivolò fuori dalla carrozza, svanendo
come se fosse stato un fantasma. Tatcher scese dopo di me e mi diede uno
spintone ben calcolato, facendomi finire lunga distesa sul pavimento della
carrozza. Imprecando tra i denti, cercai di rialzarmi in piedi, incespicando
tra le gonne e le sottogonne del mio vestito.
Una mano dalle dita lunghe e
affusolate venne tesa verso di me e, risalendo il braccio magro, avvolto in una
giacca dal taglio di alata sartoria, incontrai un pallido viso affilato, mentre
due occhi scuri come la notte sembravano esprimere rammarico. Senza sapere bene
come comportarmi, accettai la mano e l’uomo – il cocchiere, supposi
– dimostrò molta più forza di quanta immaginassi, dato il
fisico mingherlino e la statura considerevole.
Comportandosi da vero
gentiluomo mi aiutò a scendere dalla carrozza, come se fossi stata una
donna dell’alta società.
<< Je suis désolé, mademoiselle >>, mi
sussurrò, una volta scesa dalla carrozza. Non avevo mai sentito una
lingua simile, e dubitavo fortemente che fosse inglese, nonostante i dialetti
dell’Inghilterra variassero fortemente da contea a contea. I miei occhi
curiosi si soffermarono un istante sul suo viso affilato, gli occhi piccoli e
scuri, il naso lungo e all’insù, le labbra sottili, il mento
sfuggente… no, quell’uomo non era inglese, ne ero sicura.
<< Venez a l'intérieur, vous êtes
tout mouillé >>, disse poi,
spingendomi verso l’entrata di quella che riconobbi come una locanda. Non
tanto grande e dall’aria dimessa, alcune candele però erano
accese, e davano un’aria di benvenuto e accoglienza ai viandanti stanchi.
Molto meglio che quella carrozza buia e fredda, in ogni caso.
<< Vite, vite >>, mi incitò il cocchiere, vedendomi
indugiare all’ingresso. Mi lasciai spintonare dentro, capendo ormai che
ogni mio tentativo di fuga sarebbe stato inutile.
All’interno,
l’aspetto della locanda non migliorò. Una scala dall’aria
sgangherata e fragile conduceva al piano superiore, mentre il pianterreno
fungeva da taverna e da sala in cui mangiare o fare bagordi fino a tardi,
bevendo birra e cantando ad alta voce. Non avevo idea di che ore fossero, ma
doveva essere tardi, visto che, apparte la moglie del locandiere, non
c’era nessuno ancora sveglio.
Lord Cumbrae stava conversando con
lei, mentre Tatcher stava accanto al suo datore di lavoro come un cane fedele
in attesa di un ordine, qualche volta vidi voltarsi nella mia direzione e,
nonostante la luce fornita dalle candele fosse poco più che un bagliore
soffuso, riuscivo a vedere senza problema la luce ostile che brillava nei suoi
occhi porcini.
<< Maudit porc anglais >>, borbottò l’uomo accanto
a me, guardando nella stessa direzione di Tatcher.
<< Laurent, vieni qui.
>> La voce cavernosa di Lord Cumbrae risuonò spettrale
nell’androne della locanda, un brivido mi percorse tutta la schiena,
facendo rizzare ogni singolo pelo del mio corpo.
<< Oui Monsieur! >> Svelto come una lepre, Laurent
sgambettò in direzione del padrone, pronto ad ubbidire agli ordini del
suo signore. In fondo; non tanto diverso tanto da Tatcher pensai acida,
osservando il cocchiere accogliere gli ordini con attenzione.
Con un movimento
rapido, Lord Cumbrae si girò verso di me, e io sobbalzai come un
coniglio spaventato.
<< Voi >>, disse
spazientito, indicandomi con il bastone, << venite qui. >>
Avrei tanto
voluto non farlo, ma sapevo bene cosa mi aspettava, se mai avessi deciso di
disubbidire. Trascinando lentamente i piedi nudi sul pavimento sporco e pieno
di polvere, raggiunsi il mio rapitore e chinai il capo, aspettando che dicesse
chissà cosa.
<< Dite a questa donna il
nome di vostro fratello. >>
<< Come? >> Alzai gli
occhi verso quell’uomo che, potei constatare, al buio e avvolto nel
proprio mantello, era un vero e proprio gigante. << Perché lo
vuole sapere? >>
Non avevo idea
del perché lo volesse sapere, ma qualcosa dentro di me urlava di stare
zitta, di non ubbidire a quell’ordine.
<< Cosa volete da mio
fratello? >>
Quando Lord
Cumbrae si voltò a guardarmi in tutta la sua altezza, sentii come una
vertigine, mentre un blocco di ghiaccio si formava dentro al mio stomaco,
gelandomi fino alla punta delle dita. I suoi occhi erano azzurri come un cielo
estivo… ma freddi come l’inverno. Non sembrava esserci vita, dietro
quelle pupille chiare.
<< Fate come vi dico
>>, ringhiò a mezza voce, intimandomi di ubbidire.
<< No! non farò
niente di quello che dite, almeno finché… >>
La locandiera di
intromise nella conversazione, interrompendo il mio inevitabile disastro. <<
Vostra grazia è stato così gentile da propormi di mandare qualche
garzone ad avvisare tuo fratello, per dirgli che state bene, e che non deve
preoccuparsi. >> Non riuscii a distinguere i contorni del volto di quella
donna, ma la sua voce era dolce e materna, come se avesse voluto rassicurarmi.
Ancora reticente, e meno che
convinta a fidarmi di quell’uomo, alla fine borbottai ‘Fletcher
Newbery’, mentre stropicciavo senza interruzione le falde del mio
mantello impillaccherato di fango e ancora bagnato.
<< Molto bene. >> Con
un rapido turbinare di sottane, la donna sparì dietro una porta, che io
notai solo in quel momento, per tornare qualche minuto dopo con una lanterna
accesa e un ragazzino sui dodici anni che la seguiva a ruota, ondeggiando e
sbadigliando come se fosse appena stato tirato giù dal letto, e forse,
era davvero così.
Senza dire una
sola parola, Lord Cumbrae gettò una moneta alla donna che lo
ringraziò e uno scellino al ragazzino, il quale fece un inchino servile,
prima do sparire fuori dalla porta d’ingresso, la lanterna in mano e
avvolto in un mantellaccio sdrucito e sporco.
<< Vorrei una camera
per stanotte, Mrs. La migliore che avete. >> Il gentiluomo accennò
a sfilarsi il mantello dalle spalle, e subito Tatcher si prodigò a
sfilarglielo, prendendolo lui stesso in consegna
<< Da questa
parte, milord. >> Con una candela in mano, la donna iniziò a
salire le scale, che cigolarono pericolosamente sotto il suo peso e quello di
Lord Cumbrae.
<< Tu resta qui,
Tatcher. >>
Nel caso tenti di
nuovo la fuga pensai mestamente mentre, sfilandomi a mia volta i mantello,
avanzavo all’interno della locanda, camminando alla cieca.
Avvalendomi del
tatto, individuai una panca e usando il mantello come cuscino, mi ci sdraiai
sopra. Sentii Tatcher borbottare qualcosa, ma non riuscii a capire le sue
parole; solo quando sentii il mio corpo farsi sempre più pesante e le
palpebre sempre più difficili da tenere aperte, mi resi conto di quanto
fossi stanca.
Lasciai chiudere
i miei occhi sempre più pesanti, mentre in lontananza, un tuono cadeva
dal cielo.
*
Sognai di essere
seduta in un campo pieno di fiori in boccio, i quali ad ogni mio passo
fiorivano all’improvviso, aprendosi come sei io fossi stata il sole,
mostrandomi i loro colori vivaci e piacevoli a vedersi: rossi, gialli,
arancioni, bianchi… tutto era ricoperto dai fiori in boccio, e io ero
testimone di quella magnificenza.
Fui strappata bruscamente dal mio
sogno da un paio di mani che, afferratami per le spalle, iniziarono a scuotermi
con violenza. Aprii gli occhi di scatto ed ebbi l’impulso di spingere
lontano il mio aggressore, decisa poi a darmela a gambe appena avuta occasione…
tuttavia dovetti desistere.
<< Coraggio, tesoruccio. È
ora di alzarsi. >>
Non conoscevo il
viso di quella donna, ma quando sentii la sua voce provai un moto di sollievo:
la moglie del locandiere.
<< Mmm… >> Mi
alzai a sedere e soffocando uno sbadiglio, mi stropicciai velocemente gli
occhi, levando la patina di sonno e gli ultimi residui di sonnolenza.
<< Coraggio, coraggio. È
ora di alzarsi, piccina >>, mi incitò lei, strattonandomi
leggermente per il braccio, affinché mi alzassi.
Mi passai
lentamente una mano tra i capelli, sentendoli innaturalmente rigidi e pieni di
nodi. Solo quando mi rimase in mano un mucchietto di fango secco, mi resi conto
di quanto fossi sporca.
Mi guardai
attorno con occhi circospetti, cercando individuare la massa di grasso di
Tatcher, o la figura imponente di Lord Cumbrae, magari imboscati da qualche
parte, in attesa di intercettare la mia prossima fuga.
Con le imposte aperte e la luce
del giorno – di un bel giorno,
per essere precisi – la locanda non aveva quell’aspetto abbandonato
o usurato; certo, dovevano essere mesi che la moglie del locandiere non dava
una spazzata per terra oppure non toglieva le ragnatele dal soffitto, ma nel
complesso era molto simile alla locanda gestita da Mr Cameron…
L’improvvisa
fitta che sentii al petto mi lasciò indispettita e infuriata, sia con
quel traditore di Will… sia con me stessa. Decidendo finalmente di
prendere il toro per le corna, guardai la locandiera.
<< Dov’è Lord
Cumbrae, mistress? >> domandai sospettosa.
<< Oh, se n’è
andato >>, disse lei.
<< Andato? >> domandai
istupidita, vedendo la sua figura tonda ancheggiare per la stanza comune,
recuperando da qualche parte una vecchia scopa e iniziando a togliere la
sporcizia lasciata durante la notte.
<< Ma dove? Cioè, mi
ha lasciata qui? >> Non riuscivo a comprendere perché fossi
così sorpresa dalla piega che gli eventi avevano assunto. Dopo tutto non
poteva che essere una fortuna, per me. Adesso potevo tornarmene a casa, e avevo
la possibilità di dimenticare la notte passata…
<< È tornato nel Cumbrae,
nei suoi possedimenti. A quanto mi ha detto, era solo di passaggio da queste
parti. >>
<< Oh, d’accordo.
>>
La notizia che
quell’uomo vivesse in un’altra contea era un motivo di gioia, per
me. Con il morale rinnovato mi alzai dalla panca, pensando solo in quel momento
che, di sicuro, quella donna avrebbe preteso di essere pagata, visto che avevo
dormito nella sua locanda.
<< Oh, non ce n’è
bisogno, tesoro >>, disse allegramente, quando glielo chiesi.
Inclinai la testa
con fare interrogativo. << Perché? >>
<< Sua grazia ha
pagato anche per te, cara. >> Detto questo, mi disse che se volevo c’era
un pezzo di pane sul bancone e una tazza di tè caldo, nel caso avessi
avuto fame.
Una volta
considerato portato a termine il proprio compito, la donna riprese a spazzare
il pavimento.
Bevvi avidamente
la tazza di tè caldo, temendo che magari la donna decidesse all’improvviso
di cambiare idea, fui talmente veloce a mandare giù quel liquido
corroborante che nemmeno feci caso al sapore, poi, nascosta la pagnotta nelle
tasche dell’abito, ringraziai la locandiera e uscii fuori.
Nonostante il temporale furioso
della notte precedente, quel giorno si prospettava soleggiato, e caldo, molto
caldo.
Passeggiando per
le strade del villaggio in cui mi trovavo, non potevo fare a meno di domandarmi
come avrei potuto fare per tornare a casa, a Bedlington; quel villaggio non mi
era famigliare e non mi sembrava di esserci mai stata, le strade erano
già affollate di contadini e mercanti, mentre le donne passeggiavano per
strada con secchi pieni di acqua fresca o con dei panieri, bambini sporchi e
scalzi correvano per strada brandendo bastoni e urlando a squarciagola, mentre
quelli più grandi aiutavano i genitori con il lavoro.
Non era tanto
diverso dal mio villaggio, eppure non potevo fare a meno di provare una
sensazione di estraniamento, come se fossi stata una straniera, in mezzo a
tutta quella gente.
Pensando che non
avesse senso continuare a indugiare, presi il coraggio a due mani e fermai una
donna per strada.
Aveva le guance scarne e i capelli
sporchi erano raccolti sotto una cuffia, solo qualche ciocca scura era sfuggita
fuori, mi guardò ostile per qualche istante, ma vedendo il mio aspetto
cencioso e sporco sembrò rabbonirsi.
<< Che vuoi? >> mi
domandò, usando una voce scortese.
<< Mi sai dire dove siamo? >>
domandai senza tanti giri di parole, guardandola dritta negli occhi.
<< Che? >>
<< Che villaggio è,
questo? >> domandai, indicando con le braccia allargate i gruppi di case
irregolari e dimesse e altri edifici che lo compensano.
La donna si
pulì il naso nella manica del vestito sporco. << Questo è
Newbiggin (2) >>, disse senza emozione.
Senza aspettare
ulteriori domande, riprese a camminare per la propria strada.
Newbiggin? Ma era da tutt’altra parte, rispetto ad Ashington…
Imprecando fra i
denti, iniziai a domandare a chiunque avesse un carretto, se potesse portarmi
fino a Bedlington, in caso contrario, magari fino a metà strada.
Non ho idea di
quanto tempo rimasi nella piazza del villaggio, ripetendo in giro quella stessa
domanda; stavo iniziando a pensare che avrei dovuto farmela interamente a piedi
(impiegando almeno una giornata intera prima di arrivare almeno nei pressi di
Bedlington, non potevo mancare da casa un altro giorno e pensare che Papà,
Elisa, Fletcher ed Erial non si preoccupassero per me), qualcuno mi strattono
appena per la manica del vestito.
Era una ragazza piccola e graziosa
come un fiore, il viso ricoperto di lentiggini e i lunghi capelli biondi cenere
nascosti sotto ad un fazzoletto colorato, gli occhi brillanti come due stelle e
un sorrisetto vispo sulle labbra.
<< Ho sentito che devi
andare a Bedlington >>, mi disse senza perdere tempo.
<< Sì, infatti.
>>
Il suo sorriso si
allargò ancora di più. << Io sono diretta lì. Se vuoi,
puoi venire con me. >>
<< Ti ringrazio >>,
dissi, lasciando trasparire la mia sorpresa. << Sei davvero gentile.
>>
<< Mi auguro che tu abbia
dei soldi, con te. >>
Ah, già. Per
forza era stata così gentile; anche la bontà d’animo aveva
un prezzo dopo tutto.
Cercando di non
mettermi a ridere, le feci vedere meglio il mio vestito. << Tu che dici? Pensi
che possa avere del denaro, con me? >>
Lei fece un gesto incurante della
mano. << Niente soldi, niente passaggio. >> E fece per andarsene.
<< Aspetta! >> Agguantai la
manica del suo vestito – non ridotto meglio del mio –
<< Posso pagarti >>, le
dissi.
<< Oh, davvero? >> La sua
voce suonava annoiata, come se in realtà sapesse che non avevo nemmeno
uno scellino con me.
<< Se ti accontenti di un pezzo di
pane, posso pagarti con quello. >>
I suoi occhi
sembrarono accendersi, e io capii che non avrebbe rifiutato la mia offerta. Nonostante
il denaro fosse più importante, nessuno si sarebbe rifiutato di prendere
anche un pezzo di pane, come pagamento. Che fosse una cosa positiva o no, tutti
i poveri ragionavano allo stesso modo, e quella ragazza non era da meno.
Trattenendo un
sorrisetto trionfante, tirai fuori dalla tasca il pezzo di pane bianco che mi
aveva dato la locandiera, le sue labbra tremolarono un istante, mentre le sue
mani si allungavano verso il pagamento.
<< Non così in
fretta. >> Io però fui più svelta. Prima che potesse
succedere qualsiasi cosa, nascosi il bottino dentro le tasche del mio vestito. <<
Ti pagherò quando avrò raggiunto Bedlington. >>
Non mi facevo imbrogliare
così facilmente, non l’avrei lasciata scappare con il pane senza
darmi quello che aveva promesso.
La giovane
serrò le labbra indispettita, ma poi fece il gesto di seguirla. <<
Andiamo, ho perso già abbastanza tempo. >>
Mi lasciai condurre da quella
ragazza, mentre la speranza sbocciava dentro al petto, e la voglia di rivedere
la mia famiglia si faceva sempre più urgente.
*
Mi guidò
attraverso una serie di stretti viottoli maleodoranti, pieni di sporcizia,
liquami e immondizia varia. Normalmente non mi sarebbe importato di camminare
in mezzo a tutta quella sporcizia, ma si dava il caso che le mie scarpe, le mie
uniche scarpe, in quel momento fossero disperse chissà dove nella
brughiera, perciò feci molta attenzione a quello che calpestavo.
<< Comunque io sono Fanny
>>, disse di punto in bianco, voltandosi poi verso di me, un mezzo
sorriso sulle labbra. << Fanny Hayes. >>
Non vedendoci
nulla di male nel dirle il mio nome, decisi di rispondere. << Madelaine
Newbery. >>
Fanny in tutta
risposta fece un lungo fischio di ammirazione. << È un nome da
cortigiana. >>
Cercando di
controllare il rossore di disagio che stava spuntando sulle mie guance, cercai
di trovare una risposta. << Tutti mi chiamano semplicemente Maddy
>>, dissi infine.
<< Come vuoi, Maddy. >>
Camminammo per
qualche minuto buono, poi, all’improvviso, Fanny svoltò in un
altro vicolo e io dovetti raccogliere le gonne per riuscire a starle dietro. Il
posto in cui mi ritrovai era lo squallore fatto a persona. Le case davano segno
di decadenza e anzi, sembravano quasi disabitate, non c’era nessuno in
giro, apparte la figura piccola e scattante della ragazza avanti a me.
<< Che posto è
questo? >> le domandi, una volta raggiunto il suo passo svelto.
Fanny si strinse
nelle spalle, con fare incurante. << Semplicemente, è la zona
più degradata del villaggio. >>
<< Oh. >>
<< Noi viviamo un po’ lontano,
rispetto alla maggior parte dei cittadini, i quali vivono nei pressi della
piazza. È una zona abbastanza tranquilla, per quanto povera che sia.
>>
Non sapendo cosa
dire, rimasi zitta, lasciando che lei mi guidasse in quei vicoli sporchi e
maleodoranti.
Si fermò
davanti a quella che, una volta, doveva essere una bottega. Delle grosse travi
di legno adesso sprangavano l’entrata nel locale; un cavallo sauro dall’aria
irrequieta batteva con insistenza gli zoccoli sul terreno sporco, mentre le
grosse mandibole mangiucchiavano il morso, un uomo dalla corporatura massiccia
stava sistemando delle cose dentro al carro; agitando allegramente la mano,
Fanny lo chiamò.
<< Abel! >>
Sentendo chiamare
il proprio nome, Abel girò la testa, e i suoi occhi parvero illuminarsi,
appena vide Fanny. Lei gli gettò le braccia al collo e lui la
afferrò per la vita e le scoccò un sonoro bacio sulla bocca;
cercando di farmi gli affari miei, distolsi timidamente lo sguardo. Fanny era
così giovane, non avrei mai immaginato che fosse già sposata.
<< Maddy, muoviti! >>
Vedendo che mi stava chiamando, raggiunsi Fanny, che mi presentò a suo
marito.
Abel mi sorrise
con gentilezza e, presa la mia mano piena di calli e sporca di fango, vi
premette leggermente le labbra, in segno di saluto e galanteria.
Rimasi interdetta
da quel gesto, nemmeno Will lo aveva mai fatto… no, non dovevo più
pensarci! Il fidanzamento era sciolto, l’unica cosa che mi interessava
adesso era tornare a casa da Papà e dagli altri.
<< Sono Abel Hayes, il
marito di Fanny. >>
Era difficile
riuscire a guardarlo negli occhi, vista la sua corporatura massiccia e la sua
altezza allarmante, tuttavia non era difficile pensare che fosse un bell’uomo.
I capelli crescevano lunghi e trascurati fino alle spalle, dividendosi in
morbidi riccioli castano chiaro, i suoi occhi verde slavato invece sembravano
esprimere gentilezza e bontà.
<< Ehi, ehi,
giù quegli occhi da civetta da mio marito! >> Quasi avesse voluto
fargli da scudo, Fanny si frappose tra me e lui, scatenando l’ilarità
del marito.
<< Allora, cosa hai
combinato questa volta? >> le domandò bonario, riferendosi
ovviamente a me.
<< Devo raggiungere
Bedlington, e tua moglie si è offerta di darmi un passaggio, visto che
vi state recando là. >> Frugai brevemente nelle tasche della gonna
e tirai infine fuori il pane.
<< Non ho soldi con
me, ma se vi va bene, posso pagarvi con questo tozzo di pane. >>
Abel scrutò
con attenzione il pane che reggevo tra le mani, mentre Fanny sembrava fremere
dalla voglia di afferrarlo e metterlo al sicuro; suo marito scosse brevemente
la testa, riprendendo a sistemare un poco il carro.
<< Non ti
ruberò il pane di bocca. >>
<< Cosa?! >>
Fanny lo afferrò per la manica della camicia, cercando di farlo voltare.
<< Ma che stai dicendo, Abel? Abbiamo bisogno di cibo, ci serve! >>
<< Sì, hai
ragione >>, i suoi occhi scivolarono su di me, << ma intendo
comportarmi come un ladro. >>
L’ombra di
un sorriso comparve sul suo viso. << Ti accompagneremo gratuitamente a
Bedlington, rimetti pure via il tuo cibo. >>
Feci come mi
aveva detto; Fanny scosse mestamente la testa, rilasciando un sospiro. <<
Sei troppo buono, Abel. L’ho sempre detto. >>
<< Ma è proprio
per questo, che mi ami. >>
<< Ti prego, non me lo
ricordare. >>
Note:
1)Il Cumbrae (o Cumbria) è una contea
dell’Inghilterra confinante con il Northumberland. Visto che non riuscivo
a trovare niente di meglio per il nome del nostro lord, ho deciso di dargli
questo nome. La mia è pura negligenza professionale!
2)Newbiggin è un villaggio facente parte del Wansbeck,
tuttavia, visto che non ho idea di quanto disti da Bedlington, non fate caso
alle distanze che Maddy percorrerà prima di tornare a casa, ecc. visto
che il suo nome completo ricorda un posto di mare, dovrebbe essere quella la
sua collocazione, mentre Bedlington penso sia più nell’entroterra…
comunque sia, vi prego di non farci troppo caso, okay? ^^’
Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza e
la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia
passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro
Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza
e la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia
passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro.
Con mia grande
sorpresa, si è aggiunta una nuova new entry, flori che a proposito, ringrazio per la recensione lasciata,
inoltre, gli utenti che hanno aggiunto questa storia tra i propri
‘Preferiti’ sono adesso, ben 17.
Vi ringrazio di cuore.
Owarinai Yume come al solito ti
ringrazio per il commento postato. Sono contenta che la storia ti appassioni,
spero di non essere manchevole, con il proseguire della storia.
Rayne, grazie anche a te.
che dire, se Fanny e Abel sono brave persone, be’…
Shandril sono sicura che a casa, la
famiglia di Maddy sarà più
che preoccupata, credimi. Sono contenta che Fanny e Abel abbiano riscontrato
una buon opinione, ne sono felice^^
Rubs, a essere sincera,
ero certa sin dall’inizio che Lord Cumbrae avrebbe suscitato simili
sensazioni nei lettori. Eh, sì, le loro strade si sono già
divise, e sinceramente non so nemmeno quando si rincontreranno!!
Mi dispiace barbarizia,
se Lord Cumbrae ti ha lasciato una brutta impressione. Sarà che io so
com’è in realtà, perciò non mi esprimo a riguardo,
ma visto che voi leggete la storia dal punto di vista di Maddy… be’
sì, non è che sia un modello di galanteria e gentilezza, questo
è vero-_-‘
Grazie infinite come al solito; ci vediamo al prossimo
aggiornamento.
Mi dispiace se il capitolo è risultato più corto
degli altri. Vedrò di fare meglio la prossima volta.
Redarcher
VII
Ritorno a casa
<< Lord Cumbrae, hai detto? >> Fanny si passò le dita tra i
boccoli biondi con agilità, inumidendosi la folta chioma con
l’acqua del torrente che avevamo incontrato lungo il tragitto, e dove
avevamo deciso di fare una sosta.
Annuii, mentre immergevo una
bottiglia di vetro vuota nell’acqua fredda, stando ben attenta a non
raccogliere del greto di fiume oppure del crescione. Mossi leggermente la
bottiglia piena e me la misi davanti agli: l’acqua era leggermente
torbida, ma non c’era traccia di sassi o erbe d’acqua. Andava bene.
Mi raccolsi le maniche della
camicia e immersi le braccia in acqua, rabbrividendo per il freddo; mi passai
l’acqua sulle braccia sporche, mi inumidii i capelli, crespi e
inzaccherati di fango, mi lavai la faccia togliendomi lo sporco del viaggio e
della notte passata a cercare di fuggire da quell’uomo…senza
riuscire nel mio intento. Adesso però ero libera, e stavo ritornando a
casa; la mia fortuna aveva iniziato a girare.
Fanny raccolse l’acqua con
le mani a coppa e bevve un lungo sorso d’acqua. La temperatura, a causa
del temporale, s’era abbassata parecchio, ma il sole quel giorno aveva
ripreso a picchiare e, visto che l’estate era breve e spesso segnata da
intemperie, quel calore improvviso calore era accolto con gioia.
La mia compagna di viaggio
fischiò sommessamente, un gesto di pura ammirazione. << Cosa hai
fatto per costringerlo a rapirti in una notte così schifosa? >>
domandò sbalordita, gli occhi brillanti di curiosità.
<< È questo il punto!
>> sbottai, tirando un piccolo ciottolo in acqua, che la rese torbida e
agitata. << Non riesco a capire perché mi abbia portata fino a
Newbiggin, e poi mi abbia lasciata in quella locanda.>> Con il conto
pagato, oltretutto, ma questo lo tenni per me.
Fanny schioccò la
lingua e si sistemò il fazzoletto sulla testa, attenta a serrarlo bene.
<< Be’, un comportamento simile, per uno come lui, è
assolutamente nella norma, credimi. >>
Smisi si muovere le braccia
dentro l’acqua, girandomi verso di lei. << Che intendi dire?
>>
<< Andiamo, lo sanno tutti,
nella contea! >> esclamò agitando la mano, quasi avesse voluto
dirmi ‘Smettila di scherzare!’ Vedendo i miei occhi, evidentemente,
riuscì a comprendere che non sapevo nulla, l’espressione rilassata
si fece un po’ più seria, la voce si abbassò, assumendo un
tono confidenziale, quasi lugubre.
<< Sai almeno chi sia, Lord
Cumbrae? >> chiese a bassa voce.
Scossi la testa. <<
L’ho sentito nominare ieri per la prima volta. >> Ed era vero.
Conoscevo Lord Ashington, ovviamente, il maggior possidente terriero del
Wansbeck – e proprietario del terreno in cui sorgeva il nostro cottage,
per giunta –, più qualche altro piccolo possidente terreno delle
mie parti, ma non avevo la minima idea di chi fosse quell’uomo senza
volto, con quella voce cavernosa agghiacciante.
Fanny scosse la testa sospirando
rumorosamente, mi lanciò un’occhiata piena di biasimo, poi
iniziò a raccontare.
<< Hai mai sentito parlare
della Grande Sommossa? >>
Annuii con la testa. Avevo
solo sette anni allora, e ovviamente non potevo ricordare cosa accadde,
soprattutto perché non giunse mai dalle nostre parti.
Fanny annuì a sua
volta. << Quindi immagino saprai anche del massacro di Culloden, giusto?
>>
Mi schiarii brevemente la gola,
sentendo una sgradevole sensazione salirmi lungo le pareti dello stomaco.
<< Sì, in un certo senso. >>
Le mie informazioni a
riguardo erano molto scarse. L’unica cosa che Papà mi aveva raccontato
riguardava un esiguo gruppo di Highlanders ribelli, capeggiati da Charles
Stuart, un principe esiliato il cui padre era stato re di Scozia, prima
dell’annessione di quest’ultima al regno britannico. Stando alle
parole di Papà, quello scellerato – così lo chiamava
– di Bonnie Prince Charlie aveva marciato con il suo esiguo esercito di
selvaggi Highlanders, marciando fino a Culloden… dove erano andati
incontro alla morte. Il principe era riuscito a salvarsi e a fuggire
all’estero, ma gli scozzesi…
<< Oh, bene >>, disse
lei, adesso di buon umore. << Dieci anni fa, l’esercito britannico
scese in guerra contro quei bastardi scozzesi… e Lord Cumbrae era tra
loro. Era un soldato, e stando alle voci che giravano a quel tempo, era anche
un ottimo militare. Marciò con
il suo squadrone di dragoni inglesi contro quei fottuti selvaggi assieme al
resto delle giubbe rosse… e vinsero, come ben sai. >>
Annuii, non riuscendo a
comprendere che nesso ci fosse tra la Sommossa e quel nobiluomo.
D’accordo, era sceso in guerra, e ovviamente aveva vinto, ma ancora non
riuscivo a comprenderne il nesso.
<< È a Culloden che
è successo tutto. È stato in quel frangente che la vita di Lord
Cumbrae è finita. >>
Un brivido freddo mi
scivolò lungo la schiena, lasciandomi senza fiato.
<< Quel povero diavolo,
durante la frenesia della battaglia fu separato dal resto dell’esercito
inglese; venne attaccato da tre ribelli, armati di spadoni lunghi quanto le
zampe di un cavallo, la lama scintillante e letale intrisa del sangue dei
nemici falciati, le asce smussate luccicanti di vendetta e morte…
>>
<< Smettila Fanny, non
voglio sentire… >>
Il cuore mi martellava nelle
tempie ad un ritmo serrato e folle, intontendomi al massimo, una sensazione
nauseabonda saliva lungo la bocca dello stomaco…
<< Lo ferirono gravemente,
ma lui riuscì comunque ad abbatterli tutti e tre, uno dopo
l’altro. >> A dimostrazione di ciò mosse il braccio in un
serie di affondi e stoccate, come se fosse stata un perfetta spadaccina.
<< Purtroppo, quando vedi la
morte degli occhi, non è facile conservare la sanità mentale, mi
spiego? >> Si strinse nelle spalle, proseguendo con il suo racconto.
Riuscì ad abbattere
due nemici riportando solo ferite superficiali al costato e in qualche altro
punto, ma non lo misero a rischio… il terzo però…
<< Il terzo uomo lo
ferì alla testa con un’ascia… SPAT! Ci mancò poco che non gli tagliasse la faccia a
metà! >> esclamò lei, infervorata dal racconto. <<
Secondo le chiacchere, persino il suo occhio sinistro fu spaccato a
metà, dicono anche che cadde a terra, riversandosi in un liquido
trasparente e appiccicoso, mescolandosi assieme al sangue del conte…
>>
<< Uh! >> Un urto di
vomito mi piegò a metà. Fui scossa da lunghi conati di vomito, ma
non rilasciai niente, visto che non avevo messo niente nello stomaco, quella
mattina. Solo del tè caldo.
Quando i conati cessarono, mi
rimisi in ginocchio a stento, sentendo un bruciore insopportabile al ventre,
mentre una sapore acido mi fermentava in bocca. Mi sciacquai ancora una volta
il viso con l’acqua, trovando immensamente piacevole quel contatto gelido
sulla mia pelle accaldata.
<< Ti senti meglio? >>
Fanny se n’era rimasta in disparte, dando un’assettata al proprio
aspetto, mentre io cercavo di vomitare nel torrente.
<< In realtà, quello
è solo un racconto, messo in giro da qualche idiota >>, disse con
tono annoiato, pensando in realtà che quello fosse molto più interessante. << Lord Cumbrae
rimase gravemente ferito in quella battaglia e, quando tornò a casa,
rimase a letto per settimane, ferito gravemente e con la pelle incandescente
per la febbre; nessuno pensava che potesse riuscire a sopravvivere. >>
<< Ma? >> dissi,
com’era ovvio che fosse.
Fanny annuì. <<
Ma ce la fece. Anche se non era più lo stesso, quando fece ritorno.
>>
Il conte fece ritorno dal regno dei
morti, ma quando si svegliò non era più lui. era un uomo che
aveva visto la morte in faccia, e aveva vissuto l’inferno sulla propria
pelle, vivendo per settimane in un coma febbricitante che avrebbe ucciso
qualsiasi uomo; e alla fine aveva vinto… ma aveva perso la sua anima. La
sua sanità mentale.
<< Non conosco i dettagli
della storia. Mi è stata raccontata da una ragazza che prestava servizio
presso di lui da quasi dieci anni, ed era stata licenziata. Mi disse che il
conte licenziò la maggior parte dei domestici, al castello, tenendone
solo una piccola parte; Linda – così si chiamava – mi
raccontò che, il giorno che se ne andò di casa, vide Lord Cumbrae
per la prima volta, dal suo ritorno a Culloden.
Il viso era nascosto da una
maschera, gli occhi blu luccicavano di una luce folle e disumana, i suoi
capelli erano scompigliati e gli stavano ritti sulla testa come se fosse stato
un demonio >>, Fanny ridacchiò, << quella poveraccia si fece
il segno della croce, appena lo vide; per questo lui la licenziò.
>>
<< Senza motivo? >>
domandai sconvolta.
Scosse la testa. << Oh,
no! Un motivo c’era! >> mi assicurò.
<< Lord Cumbrae era
posseduto dal demonio. >>
*
Dopo quella breve sosta lungo
il torrente, Abel ci informò che eravamo pronti a ripartire.
Mi ero sistemata dietro al
carretto, in mezzo a piccoli mobili pieni di tarli e realizzati, molto
probabilmente, da Abel stesso; l’odore pungente di carne essiccata e
formaggio mi stordiva, mentre il piccolo carro avanzava cigolando e ondeggiando
lungo la strada acciottolata, lasciandomi un vago senso di nausea. Fanny si era
sistemata accanto a me, le gonne raccolte sotto al sedere e le gambe tornite e
pallide in bella vista, alla luce del sole sembravano quasi brillare, tanto
erano chiare. Si era tolta le rozze scarpe che aveva indosso, e adesso muoveva
le piccole dita dei piedi con frenesia, come se stesse assaggiando la
libertà.
<< Hai qualcuno a casa?
>> mi domandò lei di punto in bianco.
Annuii. << Vivo assieme
a mio padre e a mio fratello maggiore. Mia sorella vive assieme a noi e a suo
marito, per il momento, senza contare che, ormai, dovrebbe essere arrivato
anche il loro primogenito >>, sorrisi tra me e me, pensando ad Elisa con
in braccio un frugoletto piagnucoloso e irritato.
Fanny sbuffò e
liquidò la mia vicenda familiare con una mano. << Molto toccante,
davvero… ma io mi riferivo a qualcun’altro.
>> L’occhiata eloquente che mi lanciò riuscì solo a
confondermi ancora di più.
Aggrottai le sopracciglia e
sporsi il labbro in avanti. << Non ho idea di cosa tu stia parlando
>>, sentenziai alla fine, con acidità.
La mia compagna di viaggio
roteò gli occhi e sbuffò, puntandomi un dito grassoccio tra le costole,
io sussultai per la sorpresa. << Ce l’hai un uomo, a casa? >>
mi chiese, per amor della comprensione.
<< Oh! >> esclamai,
riuscendo finalmente a capire cosa intendesse. << Intendi se sono
promessa a qualcuno? Be’, no. Nessuno mi ha chiesta in sposa, finora.
>>
Apparte un bastardo traditore di
mia conoscenza. E tuttavia non mi andava di parlare di una situazione simile
assieme a Fanny; poteva essere simpatica e disponibile – nei limiti
contadini, ovvio – quanto volessi, ma era pur sempre una donna incontrata
solo da poche ore. Andava bene essere gentili e affabili, ma non ingenui. Anche
i poveri erano costretti a guardarsi dai propri simili, la comune malasorte non
doveva rincretinirmi.
<< Mmm. >> Fanny si
portò un dito sotto al mento, mugugnando qualche parola tra
sé.
<< E tu, allora?
Immagino che tu e Abel siate sposati, giusto? >> Con la coda
dell’occhio osservai la schiena curva ed enorme di quel gigante gentile, pensando
a quanto Fanny fosse fortunata. Almeno in apparenza, Abel sembrava un uomo
gentile e dolce, disponibile ad aiutare il prossimo senza chiedere nulla in
cambio, nonostante – a giudicare la qualità dei loro effetti
personali – avessero loro stessi un disperato bisogno di denaro.
Fanny si strinse nelle spalle, guardando
prima il marito, poi me, come se non fosse sicura se potermi raccontare la loro
storia. Alla fine scrollò le spalle co incuranza, e si decise a
raccontare.
<< Non c’è
molto da dire, in verità. Sono un’ex-prostituta. >>
<< Oh! >>
<< Guarda che ero una
semplice battona di strada, non è il caso di sorprendersi così
tanto! >> disse acida, trovando, evidentemente, particolarmente irritante
la mia reazione.
<< Mio padre mi vendette a
un bordello a dodici anni per pagarsi da bere – era poco più di un
mendicante, sai –, e la proprietaria della casa di malaffare mi ha messa
in strada, facendomi bazzicare le strade del porto in cerca di qualche marinaio
allupato in vena di allentare il borsellino; per otto anni non ho fatto che
vivere di questo, sai… >>, si passò distrattamente le mani
sulle cosce, << aprire le gambe a qualsiasi uomo lo richiedesse, e fosse
in grado di pagare, pensavo non esistesse altro modo per sopravvivere nel
mondo… finché non ho incontrato Abel. >> I suoi occhi
scivolarono sulla schiena del marito, un misto di dolcezza e venerazione per
quell’uomo buono, e gentile.
<< E poi? >> domandai,
senza riflettere. << Oh, scusa! Non volevo essere invadente…
>>
Fanny liquidò la
faccenda con un movimento della mano. << Figurati, tanto sono io che ho
iniziato a parlarne! >>
Si schiarì la gola e
riprese il racconto. << Ho conosciuto Abel al porto, com’era ovvio
che fosse. Stavo discutendo con un marinaio il prezzo che avrebbe dovuto
sborsare per farmi aprire le gambe – quel maledetto taccagno non voleva
allentare il cordino della borsa, che bastardo! –, stavamo litigando di
brutto… così Abel ha messo fine alla discussione. >>
<< E come? >> La cosa
più sensata, vedendo la sua corporatura e l’aria di possanza che
emanava, era ovvio pensare che lui e quell’uomo fossero venuti alle
mani… ma dopo averlo conosciuto, non ero certa che fosse capace di fare
del male volontariamente, o comunque con intenzione di ferire.
<< Mi comprò al posto
del marinaio >>, disse, con una semplicità disarmante.
Ridacchiò, arrossendo
un pochino, rievocando i propri ricordi; non riuscii a impedirmelo, le mie
guance divennero più calde e, ne sono sicura, presero colore, pensando a
cosa potesse essere successo tra loro due.
<< Mi trascinò in una
locanda del porto e… be’, diciamo che mi accese come un fiammifero,
non so se mi spiego. >> E mi tirò un’altra gomitata nelle
costole.
Abel, seduto sul carretto, si
agitò a disagio, tossendo rumorosamente. Quella storia doveva
imbarazzarlo, e non poco.
<< Per qualche mese non
facemmo altro, sai, lui veniva al porto, mi portava in una locanda, facevamo
l’amore, e poi trascorrevamo il tempo a parlare, anche di cose futili,
per poi rifare l’amore di nuovo… >> Fanny sospirò, un
suono pieno di malinconia, ma non rimpianto, ne ero sicura. << Mi
innamorai di lui, e dopo un po’ smisi di farmi pagare per il servizio,
non potevo farlo pagare, capisci? Divenne il mio amante, anche se era un
segreto – la Maitresse non
voleva che avessimo degli amanti –, solo clienti paganti. >>
Come era logico pensare, anche Abel si
innamorò di Fanny e, non potendo tollerare che altri uomini potessero
averla, cercò di riscattare l’amata alla matrona del
bordello… ma la situazione si rivelò più complicata di
quanto avessero pensato all’inizio.
Secondo la Maitresse, nonostante Fanny non fosse
una bella ragazza, riscuoteva parecchio successo tra gli uomini, i guadagni
della ragazza erano notevoli, e la padrona sarebbe stata una sciocca a lasciare
che un uomo, venuto da chi sa dove, potesse riscattarla così,
lasciandosi sfuggire una delle sue migliori fonti di guadagno. Così, non
vedendo altra soluzione, i due fuggirono assieme.
<< Ci siamo nascosti nei
sobborghi di Newbiggin, lontani dagli occhi della padrona, e da quelli delle
altre puttane, se è per questo. Io mi nascondevo in casa, senza mai
uscire, e Abel svolgeva dei lavori che lo tenessero lontano dal porto,
lavorò anche come aiuto maniscalco, per qualche tempo – ci ha
permesso di vivere nella sua soffitta, pensa –; ma non potevamo
continuare così, vivendo e nascondendoci come ratti… così
abbiamo deciso di tentare la fortuna nel Cumbrae! >> esclamò lei
con allegria. << Ho sentito che è possibile trovare facilmente
lavoro nella contea di Carlisle, è lì che ci stiamo recando.
>>
<< Non so che dire…
>>
<< Non è
necessario che tu lo faccia >>, esclamò Fanny con ironia.
Scossi brevemente la testa, e
i capelli mi caddero davanti agli occhi. << Non pensavo che, sì
insomma, che la tua storia fosse… >>
Fanny mi tirò un pugno
leggero sulla spalla, mi allontanai, cacciando un guaito sorpreso.
<< Non è necessario che ti
metti a frignare, stupida! >> disse con voce dura. << La mia vita
è stata uno schifo, è vero, ma adesso ho la possibilità di
ricominciare daccapo, di rifarmi una vita, nel Cumbrae. Ho un marito che amo e
rispetto, che mi protegge e non mi fa mancare nulla – per quanto le
nostre possibilità siano scarse –, cosa potrei volere di
più, dalla vita? >>
<< Già, hai ragione.
>>
Mi tolsi un pezzetto di fango
secco dalla sottana, pensando a quanto in realtà invidiassi Fanny.
Certo, la mia vita paragonata alla sua era un giardino delle Delizie, ma mi era
impossibile pensare che, se Will mi fosse stato fedele, se avesse mantenuto la
promessa, se fosse stato sincero…
io a quest’ora sarei stata a casa, a Bedlington, assieme a un marito che,
col tempo, avrei imparato ad amare, che forse, un pochino, già
amavo… e invece, dov’ero? In viaggio verso casa, assieme ad
un’ex-prostituta e un ex-maniscalco, diretti nel Cumbrae per cercare di
rifarsi una vita assieme. Se solo avessi potuto…
Mi passai la mano davanti al viso,
cercando di dissipare quella coltre di malinconia che mi stava avvolgendo.
Papà, Elisa, Fletcher ed Erial mi stavano aspettando, solo quello
contava.
*
Impiegammo due giorni a
raggiungere Bedlington, con l’andatura traballante e lenta che aveva
Chester, il vecchio sauro di Abel; era molto più vecchio e lento di
Joshua, ebbi modo di constatare, durante il viaggio.
Tra Newbiggin e Bedlington non
c’erano villaggi, solo insediamenti di una decina di casupole al massimo,
perciò Abel dovette fare appello alla clemenza di qualche contadino,
affinché permettessero, almeno a me e Fanny di dormire nella stalla, su
qualche distesa di paglia, rannicchiate nei nostri mantelli da viaggio.
Nonostante l’odore pungente e pensante di cavallo – o mucca, a
seconda dei casi –, cibo masticato e feci animali, il calore degli
animali all’interno della stalla era confortante, così come il
loro respiro pensante mentre dormivano; mi rannicchiavo nel mio mantello,
sentendomi al sicuro e protetta da quelle quattro mura, il contatto con il
corpo di Fanny mi dava una sensazione di conforto, di calore; non avrei mai
pensato che le natiche grassocce di una sconosciuta premute contro le mie
potessero farmi sentire così tranquilla, a casa.
Fanny però non sembrava
della stessa opinione. Nonostante mi addormentassi senza timore, il mio sonno
era comunque leggero, pronto a cogliere il minimo cambiamento
dell’ambiente attorno a me. Nonostante lei si muovesse con passo felpato,
e il più discretamente possibile, sentivo benissimo il cigolio della
porta della stalla, mentre lei usciva nel freddo della notte, per stare assieme
a lui, a suo marito… per poi tornare solo con l’approssimarsi dell’alba,
quando la gente si alzava da letto per andare a lavorare nei campi.
Nonostante Abel non volesse essere
pagato per il passaggio, fui più che felice di condividere la mia
pagnotta di pane assieme a loro, provando un senso di piacevole comunione a
spartire quel poco che avevo con i miei compagni di viaggio, con cui avevo
iniziato ad instaurare un rapporto che andava al di là dal viaggiare
assieme a causa delle circostanze e delle condizioni di viaggio.
Mi ero talmente abituata alla
loro presenza, che quasi provai un punta di tristezza, nel vedere i primi
gruppi di tetti che componevano il villaggio, il mio villaggio.
<< Sarà strano,
proseguire il viaggio senza di te; mi stavo quasi abituando alla tua presenza,
Maddy. >> Fanny si tolse il fazzoletto e si passò la mano tra i
capelli, appiccicati alla testa per il sudore e per lo sporco.
<< Davvero? >> dissi,
parlando con incuranza, come aveva fatto lei, ma sentendo distintamente un
piccolo groppo fastidioso serrarmi la gola con forza.
<< È quella? >>
domandò Abel, puntando bruscamente il mento in direzione della casupola.
Il senso di tristezza e di
perdita che mi aveva avvolta sin quando avevo iniziato a riconoscere la strada,
passando davanti al mulino d’acqua ormai in disuso, alla collina della
quercia, dov’ero solita condurre le pecore al pascolo; tutte quelle
sensazioni tristi e deprimenti vennero sostituite da un senso di urgenza
incontenibile. Ero a casa, finalmente!
Ero mancata solo per qualche
giorno, ma mi sembrava di essermi assentata per degli anni, e ora, come il
Figliol Prodigo, facevo ritorno alla casa del padre.
Deglutii pesantemente, mentre
un sorriso si affacciava sulle mie labbra. << Sì; è quella.
>>
Non riuscendo a trattenermi oltre,
smontai dal carretto con un balzo e, raccolte appena le gonne per non
intralciarmi in movimenti, corsi come un disperata verso casa, divorando i
metri che mi separavano dal piccolo cottage malandato. Dal comignolo una
piccola serpentina di fumo bianco scivolava fuori per sparire nel cielo, il
giardino di erbacce della Mamma era sempre lo stesso, il muretto mezzo
distrutto segnava l’ingresso nella ‘nostra’ – si fa per
dire – proprietà… no, non era cambiato nulla. era tutto
uguale. Tutto come al solito.
Attesi che Abel e Fanny mi
raggiunsero assieme a Chester, fermandosi davanti al muretto semi-distrutto.
<< … Mi aspettavo
qualcosa di più, sinceramente >>, commentò Fanny con
delusione.
La fulminai con lo sguardo.
<< Ti ho detto che eravamo poveri! Non racconto bugie >> sbottai
tutto in una volta.
<< Allora, sei arrivata
>>, commentò lei, grattandosi pensosa il mento. << Immagino
che questo sia un addio… >>
<< Suppongo di sì.
>> A meno che, per ragioni assolutamente incomprensibili, non decidessi
di recarmi nel Cumbrae, affrontando un viaggio che mi avrebbe tenuta lontana da
casa almeno una settimana.
Con mia grande sorpresa,
Fanny si sporse oltre il bordo del carro, avvolgendomi con forza tra le sue
braccia calde e morbide, un effluvio di sudore stantio e sporcizia e polvere mi
pizzicò le narici, ma fu solo una zaffata.
<< Stammi bene,
Madelaine >>, disse sommessamente.
<< Ti ho detto che mi chiamo
Maddy >>; dissi a mia volta, stringendola con la stessa intensità,
quasi avessi voluto stritolarla.
<< Fa’ lo stesso.
>>
<< Ah, volete fermarvi
un po’, per riprendere le forze, rifocillarvi, magari. Se volete,
possiamo ospitarvi in casa… >>
Abel sorrise gentilmente, ma
scosse la testa, declinando l’invito. << Sei molto gentile, e ti
ringrazio, ma è ora di andare. >>
<< Vogliamo raggiungere il
Cumbrae il più in fretta possibile >>, aggiunse Fanny, toccando
appena la spalla di Abel, sorridendomi.
<< Sì, capisco.
>> Eppure avrei voluto che si fermassero, almeno per quella notte.
Dopo un altro, breve scambio
di saluti e di ‘buona fortuna’ reciproci, i coniugi Hayes
proseguirono per la loro strada, arrancando sul loro carro dimesso, condotto da
un sauro vecchio e spossato.
Mi girai verso il piccolo
cottage, il cuore aveva iniziato a battermi veloce, e le mani sudavano senza
controllo, mi passai i palmi bagnati più volte sulla gonna, nel
tentativo di asciugarli, presi un paio di boccate, trovando finalmente la
calma.
I cardini della porta cigolarono
rumorosamente appena la aprii, mentre un silenzio quasi innaturale mi
trasportò all’interno della casa.
<< Elisa? >> domandai
con incertezza, avanzando di qualche passo dentro casa.
Il piccolo salotto era vuoto,
Papà doveva essere nei campi assieme a Erial e Fletcher… ma Elisa?
Dove poteva essere?
<< Oh, no… >>
Un’orribile pensiero si
affacciò nella mia mente, pensando a quante volte fosse capitato, anche
in un villaggio piccolo come Bedlington. Ma non lei! Non a mia sorella! Non
poteva essere…
<< Elisa! >> chiamai
di nuovo, l’angoscia e l’urgenza mi distorcevano la voce, trasformandola
in un verso gracchiante che non aveva nulla di umano. << Elisa! >>
Mi raccolsi ancora le gonne e
iniziai a salire le scale di legno, che cigolarono e gemettero sotto il mio
peso, protestando e inveendo contro di me, ma non mi importava. L’unica
cosa che volevo, che mi interessava…
Ero così impegnata a
pensare a quali orribili esiti avesse potuto portare la gravidanza di mia
sorella, alla possibilità che lei e il bambino potessero essere morti,
che nemmeno mi accorsi del vagito sommesso, eppure squillante, che proveniva
dalla camera da letto di Elisa e Erial.
°~Ω~°
Non era così che
immaginavo l’incontro con Timothy.
Aprii la porta con talmente tanta
foga, che questa si schiantò contro il muro, staccando qualche pezzo di
legno del battente, e aumentando l’intensità degli strilli del
bambino.
<< Dio Santissimo,
Madelaine! >> urlò mia sorella collerica, abbrustolendomi con
l’intensità e la rabbia del suo sguardo verde. << Mi hai
fatto venire un colpo, per Dio! >> sbottò, mentre intanto cercava
di elargire paroline dolci all’infante che stringeva tra le braccia,
mormorando parole sommesse ed emettendo versetti che, per miracolo, riuscirono
ad azzittirlo. Il piccolo emise ancora qualche piccolo verso di protesta, ma
poi, inevitabilmente, chiuse gli occhi, appoggiandosi al seno di Elisa, di
nuovo tranquillo.
<< È… insomma,
è lui? >>sussurrai
incredula, vedendo quel piccolo fagotto avvolto nelle logore copertine che
nostra madre aveva usato per lei, Fletcher e me.
Elisa annuì appena, e
io, il più silenziosamente possibile, mi avvicinai al suo capezzale, gli
occhi avidi di quella piccola creatura addormentata.
Era piccolo, molto più
piccolo di quanto in realtà mi aspettassi. La testa era piccina e tonda,
con della peluria leggera castano chiaro sulla sommità, il naso era
praticamente invisibile e le mani erano talmente piccole che quasi faticavo a
vedergli le unghie; era il bambino più bello che avessi mai visto.
<< Come si chiama? >>
domandai a bassa voce, il petto gonfio di orgoglio come se fossi stata io
stessa, la madre.
Elisa mi lanciò
un’occhiata sprezzante e strinse gli occhi, serrando poi le labbra.
<< Sei lercia, Madelaine >>, mi disse compassata, stringendosi al
petto il bambino con fare possessivo.
<< Io… >> Mi allontanai, prendendo il suo commento
come un invito sgarbato ad allontanarmi.
Elisa ripose il piccolo
accanto a sé, poggiandolo in un piccolo giaciglio fatto di coperte
spiegazzate, quasi fosse stata la cuccia di un cane, poi tornò a guardare
me, gli occhi chiaramente severi, e forse, preoccupati.
<< Ma che diavolo hai
combinato? >> mi domandò dura, facendomi sentire enormemente in
colpa, per essere stata lontana da casa così a lungo, nonostante non
fosse stata una mia decisione.
Strinsi con forza i lembi
logori della mia gonna inzaccherata di fango e polvere, e alcuni pezzi di terra
secca si staccarono, volando a terra.
Gli occhi di Elisa si strinsero
ancora di più, e io provai il desiderio di scomparire alla sua vista, e
dalla sua rabbia a stento contenuta.
<< Mi dispiace, sorella. Io
non… >> Le parole mi morirono in gola, non trovando spiegazioni
adatte da darle. Come avrei potuto giustificare l’incontro con
quell’uomo… Lord Cumbrae? Non avrebbe mai creduto alle mie parole, per
quanto vere fossero. Nessun gentiluomo se ne andava in giro per le campagne
inglesi, in una notte di tempesta, ad aiutare delle volgari contadine, per
quanto in difficoltà potesse trovarsi la suddetta; i nobili – o
ricchi che fossero – non aiutavano la povera gente. Ma lui… e
ancora non riuscivo a spiegarmene il motivo.
Non potendo rispondere a simili
domande, me ne restai zitta, aspettando la tirata di mia sorella, pronta a
sopportare in silenzio.
Mi scrutò a lungo,
soppesando le mie gonne strappate con quattro dita di fango, come minimo, i
capelli assurdamente arruffati e imbrattati di sporcizia di ogni sorta, dal
pezzetto di fango rappreso, alla foglia di un albero oppure ad un rametto secco
incastrato tra tutti quei nodi; sospirò pesantemente e scosse la testa
bionda.
<< Vai a darti una
strigliata, Maddy. >> Gesticolò appena con la mano indicando la
porta, segno che la conversazione era terminata.
Annuii e mi girai verso la
porta, indirizzandomi verso le scale sgangherate e scricchiolanti.
<< Al tuo ritorno, voglio
sapere anche dove sono finite le scarpe >>, mi annunciò, mentre mi
chiudevo la porta alle spalle.
Scesi le scale di fretta e
cercando anche di essere il più leggera possibile; in cucina tirai fuori
un catino vuoto, dove vi gettai una grossa scaglia di liscivia e dei panni
sporchi che raccattai in giro per casa, mi diressi a grandi passi verso il
fiume, mentre il pensiero di togliermi la sporcizia di dosso diveniva un
richiamo irresistibile.
Un saluto a tutte le persone che hanno letto
questa storia e amato (e odiato) i personaggi nati dalla tastiera del mio
computer. Sono molto dispiaciuta di avervi lasciate
così, come dire, “a bocca asciutta” per così tanto
tempo (caspita! Un anno e mezzo, ormai! chiedo
perdono!), purtroppo questa storia nacque come semplice esperimento, e per
staccare un po’ da un’altra mia produzione (paranormal romance) su EFP che negli ultimi tempi mi stava facendo
letteralmente impazzire (avete presente il “blocco dello scrittore”?
ecco, questo simpaticone sembra essersi stabilito in
pianta stabile a casa mia, da un anno a questa parte), perciò diciamo
che, quando ha iniziato a essere ‘qualcosa di più’ di un
semplice raccontino per tenermi in allenamento, mi sono sentita davvero male,
per come avevo così impunemente maltratto la storia e i suoi personaggi.
Forse per qualcuno non ha molto senso ciò che sto dicendo, e non
chiedo nemmeno di essere capita, però quando ridiedi un’occhiata
ai capitoli scritti, mi venne male, al pensiero di aver postato simili obbrobri.
Non ho cancellato i capitoli per pura
affezione, se così possiamo dirlo, ma sappiate che da qualche tempo ho
ripreso la storia in mano e la sto letteralmente riscrivendo (solo il PLOT, per ora, ma spero di poterci rimettere le mani, in
futuro) e sto anche facendo un mucchio di ricerche sul periodo storico, dagli
abiti, a come fosse la vita dei nobili, ecc. ecc.
La ricerca storica è molto difficile e
non sempre riesco a trovare ciò che cerco, ma ho fiducia nelle
capacità di internet, e anche nei libri che di
tanto in tanto consulto.
Forse a qualcuno non farà piacere,
altri saranno contenti, altri ancora si arrabbieranno, in ogni caso, ho
intenzione, anche se non nell’immediato futuro, di riscrivere, e stavolta
per bene, la storia di Maddie e “La Bestia di Carlisle”. (risata)
Per ora scrivo il PLOT
o faccio ricerche storiche, ma solo quando la mia opera paranormal romance non riesce a proseguire, quindi tutto procede
molto a rilento, per cui, mi dispiace informarvi che non ci saranno modifiche o
aggiornamenti, non nell’immediato futuro, almeno.
Spero comunque che, se mai questo giorno
arriverà, tutte le persone che mi hanno apprezzata
e seguita continuino ad esserci.
Grazie, tutti i vostri commenti, ma anche solo
le vostre letture, hanno significato tantissimo, per me.
Ultimo, ma non meno importante, volevo che
sapeste che, anche se tutto procede in modalità
“slow”, sono comunque arrivata a pensare che e avventure di Maddie
non avranno conclusione con un solo “racconto”, per così
dire, ma proseguirà per altri due, se riesco a trovare le idee giuste, e
informazioni a sufficienza!
Per ora vi saluto, ma spero che questo sia
solo un “arrivederci”, e non un addio.