Una vita nell'Atlantide

di Tetide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Una vita nell'Atlantide



UNA VITA NELL’ATLANTIDE



Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non mi appartengono, ma sono di proprietà dell’autrice Riyoko Ikeda, della casa editrice Shueisha e della Tokio Movie Shinsha. Questa storia non è stata scritta a fini di lucro, ma con intento esclusivamente amatoriale. Il diritto d’autore dei personaggi originali appartiene all’autrice Tetide.

Premessa: il mito dell’Atlantide mi ha sempre affascinata. L’idea di un continente perduto, che con la sua civiltà ha anticipato di millenni la nostra, è radicato da sempre nella mitologia di ogni Paese Europeo; esistono addirittura teorie (alle quali confesso di credere) che collegano questo antichissimo mito (le cui origini si perdono nella notte dei tempi) al mistero del Triangolo delle Bermuda, sotto il quale alcuni ritengono possano trovarsi i resti dell’antica civiltà scomparsa, che per qualche sconosciuta ragione risucchia le esistenze dei malcapitati che si trovino a passare da quelle parti in un’altra dimensione, parallela alla nostra, forse per effetto di una qualche avanzatissima tecnologia scoperta dagli Atlantidei e a tutt’oggi incontrollata, che continuerebbe ancora ad agire dopo millenni.
Senza entrare nel merito di teorie troppo complicate, che non conosco più di tanto, mi limiterò ad intrecciare questa affascinante leggenda con le vicende sentimentali dei nostri eroi, aggiungendovi un po’ di fantasia qui e là.
Prima di iniziare, un’ultima notazione: gli studi ed esperimenti sull’ ipnosi, al tempo di Oscar ed André, non erano ancora effettivamente nati, ma era presente il loro precursore, il mesmerismo (che suscitò l’attenzione dello stesso Luigi XVI al punto da fargli nominare una commissione per esaminare questa teoria un po’ troppo fantasiosa), così chiamato dal nome del suo fondatore, il Tedesco Mesmer, che, pur partendo da presupposti medici totalmente assurdi, elaborò le basi per quella che sarebbe poi divenuta la terapia dell’ipnosi nel secolo successivo.
Premesso ciò, buona lettura a tutti.



CAPITOLO 1

Per l’ennesima volta quella notte, Oscar si rigirò nel letto.
E per l’ennesima volta, smaniò.
Non era quasi riuscita a chiudere occhio, quella notte, quella dannata notte; come tutte le notti da un mese e mezzo circa.
Da quella notte.
Non poteva più dimenticarla: era diventata il suo tormento.
La notte in cui Fersen aveva brutalmente respinto i suoi sentimenti a quel dannato ballo, quel ballo che aveva spezzato per sempre le timide speranze del suo fragile cuore di donna che per la prima volta si affacciava al mondo, senza nascondersi.
Si portò una mano alla testa, smaniando ancora una volta, e si trovò madida di sudore; si sentiva come se avesse avuto la febbre, la gola secca, il respiro corto, un peso al centro del petto, giusto sopra il cuore… ma perché non la lasciava mai, quel tormento?
Eppure, lei e Fersen avevano avuto un franco colloquio, sere dopo: un colloquio nel quale si erano entrambi confessati apertamente ed onestamente, lui dichiarandole (se mai ce ne fosse stato bisogno) che il suo cuore sarebbe sempre appartenuto soltanto alla regina, e lei rinunciando per sempre alle sue folli speranze d’amore.
Rinunciare, sì: era questa la sola cosa da fare, per lei; lei che né Fersen, né nessun altro aveva mai visto come una donna, nemmeno sotto un quintale di belletto e fasciata dentro ad un abito che somigliava più ad un’armatura, aveva dovuto ascoltare dalla voce di colui che amava follemente quelle parole atroci: “Se avessi saputo prima che donna meravigliosa siete…”.
Donna? Come poteva sperare che lui l’avesse mai vista sotto una tal luce? Per lui, lei era stato solo e sempre un amico, un amico maschio, per di più! Era folle anche solo il voler credere diversamente!
E di colpo, come una pugnalata, le tornarono alla mente altre parole…
Mi chiedo perché Dio vi abbia fatto nascere donna!
Ma perché una donna non poteva essere capace di vivere liberamente, come faceva lei? Perché, per farlo, per esercitare questo suo naturale, sacrosanto diritto, il più consono alla natura umana che esista, doveva rinunciare alla sua femminilità, all’esser donna, all’amore? Perché, perché il mondo, la società, Versailles erano così crudeli ed inumani da imporre una scelta simile ad una persona?
Si rigirò nel letto, mentre una lacrima le scendeva giù per la guancia, suo malgrado.
Non pensare a lui! Dimenticalo!, si disse.
Già, dimenticare: erano questi i patti, i patti che aveva fatti con sé stessa, quando, quella sera, era ritornata, sconfitta, a palazzo Jarjeays. Un impegno che aveva preso con tutto l’impegno di cui era capace; ma, a dispetto di ciò, non era stata in grado di mantenervi fede.
Ed ora, il suo corpo si ribellava.
Da circa un mese, infatti, non riusciva più a dormire bene; andava a dormire sempre prima, attendendo un sonno che non voleva saperne di venire; allora, si alzava, scendeva nel salone divenuto freddo e buio a quella solitaria ora della notte, prendeva una bottiglia ed iniziava a bere. Da sola: non voleva che qualcuno la vedesse in quelle condizioni, nemmeno il suo caro André, il suo fratello, il suo amico da una vita. Per tutti, lei era e doveva rimanere il gelido ed intoccabile comandante Oscar.
Eppure, a palazzo Jarjeays, il suo precario stato di salute non era passato del tutto inosservato: tutti, a partire da Nanny fino a sua madre, si erano accorti che qualcosa non andava; persino suo padre, in una sera di folle sensibilità, le aveva chiesto come mai avesse quel colorito così pallido e quelle occhiaie bluastre sul viso.
Ma lei si era limitata a rispondere a tutti che si trattava solo di stanchezza, che i turni a Versailles erano molto pesanti di quei tempi, a causa delle minacce ricevute dai sovrani, e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Non che a Versailles il suo stato fosse sfuggito: la regina Maria Antonietta e lo stesso re le avevano consigliato di prendersi una pausa, ma lei aveva sempre declinato l’offerta, dicendo che il suo posto era accanto a loro, per proteggerli.
Ma tutto questo, naturalmente, le costava: l’aver voluto ricacciare in fondo al suo cuore l’amaro dolore ricevuto a quel ballo come donna le aveva aperta una ferita interiore che ora stava riaffiorando in altra maniera, vale a dire sul suo corpo.
La mancanza di sonno e la continua oppressione che sentiva sul petto erano causa di ricorrenti e pesanti fastidi: una volta, poco mancò che Girodel la sorprendesse nelle scuderie semisvenuta, di fianco al suo cavallo.
Possibile che solo André non si fosse accorto di niente? Proprio André, che le era accanto da sempre, che conosceva tutto di lei, che conosceva i suoi pensieri  prima ancora che lei li formulasse? No, non poteva essere. Allora perché era l’unico a non chiedere nulla, quando perfino Fersen si era preoccupato nel vederla in quelle condizioni ad un’udienza delle loro maestà?
Ma la risposta è ovvia, si disse Oscar: proprio perché la conosceva da sempre come e forse anche di più di sé stesso, André capiva benissimo che lei non apprezzava che le si facessero delle domande sul suo stato di salute; e, discreto e comprensivo come sempre, taceva per compiacerla.
Come farei senza di te, André… grazie amico mio!, pensò, con il cuore pieno di tenerezza ed affetto.

                                     **********

Il sole stava calando; lo poteva vedere ancora bene, dal suo unico occhio, André; aveva appena finito di pulire la stalla, ed ora con in mano un secchio ed una pezzuola fradicia, si avviava all’uscita, verso il cortile, inondato dalla luce rossastra del tramonto.
Tra non molto, Oscar sarebbe rientrata; si rallegrò al pensiero di rivederla, ma un attimo dopo si rattristò, pensando alle sue deplorevoli condizioni di salute: era da un mese e forse anche più, ormai, che Oscar non stava bene.
In silenzio, dal suo oscuro cantuccio di servitore-amico-fratello, l’aveva osservata bene; e non gli erano sfuggiti i suoi continui mal di testa, la sua stanchezza persistente; non gli era sfuggito che, ultimamente, la vista del cibo le provocava ribrezzo: persino la sua amata cioccolata non le era più gradita come un tempo.
Ed il suo cuore pianse.
Sapeva benissimo cosa, anzi chi, fosse la causa di tutto ciò: quella dannata sera l’aveva vista, lei, Oscar, rientrare a palazzo con gli occhi gonfi di un pianto a stento trattenuto; aveva visto con quanta furia, ancora sulle scale, si era strappata dai capelli il diadema, e poi gli orecchini: quegli scomodi orpelli, ora che tutto era finito, non facevano che apparire, agli occhi sconvolti di lei, come una beffa, la quale non faceva altro che rimarcare il dolore appena ricevuto.
Dal modo brutale in cui Oscar si era accanita sui suoi abiti da donna, emergeva chiaramente quanto odiasse la sua parte femminile, quella parte che, uscendo alla luce, l’aveva resa fragile, esponendola così ad un colpo più mortale di qualunque stoccata avversaria all’arma bianca: aveva lacerato quei poveri abiti (per lo meno, così Nanny li aveva trovati la mattina successiva, sul pavimento della sua stanza) come avrebbe voluto fare con la sua femminilità, appena nata, eppure già così barbaramente assassinata.
E da allora, dentro di lei era nata una lotta.
Ma a differenza delle precedenti battaglie, questa non l’avrebbe vinta tanto facilmente: perché era la battaglia contro sé stessa.
Da una simile battaglia, l’unico ad uscirne sconfitto sarebbe stato soltanto il suo corpo, ed ora così era, martoriato da una malattia di origine psicosomatica che Oscar si rifiutava di credere di avere.
André abbassò il suo sguardo smeraldino, ed una lacrima gli corse giù da una guancia.
Perché non mi vedi, Oscar? Non mi hai mai visto davvero, non hai mai visto il mio amore, che pure sarebbe stato l’unico amore in grado di sanare la lacerazione che vive dentro di te e che ti sta succhiando via la vita! Io ti amo, Oscar! Ti amo da sempre, non ti ho mai visto diversa dalla donna meravigliosa che sei; perché tu sei una donna, Oscar, e solo il mio amore ti avrebbe dato il coraggio di accettarlo, perché io, per primo, non ho mai voluto cambiarti: ti amo per quella che sei, e sei sempre stata. Certamente, non ho mai avuto bisogno di un corsetto o di una bella acconciatura per vedere in te una donna: tu sei te stessa, sei una donna ed un soldato insieme, tu sei Oscar. Non vi è nulla di inconciliabile in questo!
Non è certo la remissività o la debolezza a rendere una donna tale ed attraente agli occhi di un uomo!
Perché, perché hai preferito rivolgere il tuo sguardo ed il tuo cuore ad un uomo che non riesce a vedere al di là degli stupidi pregiudizi che questa società corrotta impone alle donne, facendone le serve ed il sollazzo degli uomini?
Io sarei stato diverso, Oscar.
Io ti avrei amata davvero.
Per quello che sei.
E ti avrei manifestato il mio amore nel modo più giusto che esista: lasciandoti essere te stessa.
Tu, una donna ed un soldato.
Libera di vivere.
Se avessi contraccambiato il mio amore, la tua lacerazione si sarebbe sanata.
Così come la mia, il dolore senza fine di vederti lontana da me mille miglia, anche se così vicina.
Ma il destino ha voluto diversamente.
Ed ora stiamo qui, a consumarci, schiavi dei nostri rispettivi tormenti.
Io, mangiato vivo dal mio amore non corrisposto, e tu squartata dalla tua personalità divisa tra l’essere uomo e l’essere donna.
Due anime in pena, sospese nel nulla.

La vide rientrare mentre attraversava il cortile; nella luce incerta del crepuscolo, si voltò verso di lui, e gli sorrise.
Poi, tornò a guardare verso l’ingresso del palazzo, ed entrò.
Ma dopo poco, dovette appoggiarsi ad una colonna, sfinita.
E dare di stomaco sul pavimento.

Ciao a tutti, sono  tornata nella sezione di Lady Oscar!! E spero proprio che questa nuova storia vi piaccia!
E' una storia ricca di sorprese, anche se più "canonica" delle mie precedenti su questo bellissimo anime, ed ho voluto intrecciarla con un tema che da sempre mi ha affascinata.
I personaggi, per lo più, seguono il carattere originario, con solamente qualche differenza in senso, spero, migliorativo... soprattutto, André NON strappa la camicia ad Oscar, facendo l'uscita peggiore della sua vita!
Non so come riuscirà questo esperimento... me lo farete sapere voi, O.K.?
Ninfea 306: ho scritto questa storia pensando a quando, tempo fa. mi chiedesti di scrivere una fic più classica su Oscar ed André, quindi posso tranquillamente dedicartela; attendo il tuo giudizio, che qui più che mai mi sarà prezioso;
Vitani: ecco un'altra delle mie "stramberie" di intrecci: a volte mi vengono fuori da sé... ma non dimenticarti di lasciarmi un commento, sai quanto ci tengo!
Bay: ehi, fatti viva!! Sbaglio, o una volta mi hai detto che questo anime ti piaceva? 
A tutti gli altri fan di Lady Oscar: buona lettura!


 

 
 


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2 CAPITOLO 2

André fu il primo a sopraggiungere in suo soccorso; poi, arrivarono anche il generale e Nanny.
“Oscar! Che ti succede? Guardami, Oscar, svegliati, ti prego!!” André stava praticamente gridando, mentre scuoteva per le spalle una semisvenuta Oscar,
“Oscar, che cos’hai? Che è successo, per l’amor di Dio?”, il generale era livido per lo spavento; si rivolse ad André: “Perché è svenuta? Tu non eri con lei?”,
“No, signore, non oggi. Lei mi ha chiesto di non seguirla a Versailles”.
Nanny, le lacrime agli occhi, reggeva sul grembo la testa della sua “bambina”, tirandole dei leggeri buffetti sulle guance per farla riprendere.
André ed il generale si volsero a guardarla; il cuore del ragazzo si strinse in una morsa, vedendo l’oggetto del suo amore sdraiata per terra, priva di vita e di coscienza, ma con la mano destra saldamente stretta attorno all’elsa della spada: perfino tra i tormenti della malattia, qualunque essa fosse, ella si aggrappava disperatamente al suo voler essere uomo! Perfino tra i gorghi della sua coscienza annebbiata, sentiva che quella era la sola via d’uscita al suo male, la sola via d’uscita a quelle sofferenze, che non avevano altra origine che la sua lacerazione spirituale; ed in un disperato ed irrazionale istinto di sopravvivenza, la sua mano ne aveva cercato il simbolo più tangibile, vale a dire la sua spada.
André abbassò gli occhi, sconsolato.
“Avanti, non perdiamo tempo! Portiamola immediatamente in camera sua!” ordinò il generale prendendo in braccio la figlia,
“Faccio chiamare il dottor Lassonne, signore?” chiese André,
“Sì, certo, grazie André!”, gli rispose l’uomo; poi tornò a pensare a voce alta “Lo avevo detto che non mi sembrava star bene da un po’ di tempo!”.
In poco tempo, Oscar fu messa a letto; il dottor Lassonne arrivò circa mezz’ora dopo; la visitò, poi uscì nel corridoio, dove il generale e la moglie, fatta chiamare in tutta fretta da Versailles, lo stavano aspettando con ansia; un po’ più defilati, ma non meno preoccupati, se ne stavano André e Nanny.
“Allora, dottore?” gli chiese il generale, in ansia; l’altro abbassò gli occhi.
“E’ una strana patologia, signor generale; non so nemmeno io come definirla. Ma una cosa è certa: non ha basi organiche evidenti”,
“Che significa? Che non è riuscito a capire da cosa ha origine?”,
“Esattamente”,
“Ma era il suo compito! Lei è un medico! Cosa ha fatto là dentro tutto quel tempo, allora?”,
“Ecco vedete, generale… vostro figlio… scusate, vostra figlia soffre di un malessere manifesto da diverso tempo, ma ne tiene celata l’origine”,
“Ehh? Ma che discorsi sono?”,
“Quel che voglio dirvi, generale, è che la causa dei suoi mali non risiede nel suo corpo, bensì nella sua anima, nella mente”,
“Ma che razza di… E allora che dovremmo fare, secondo voi?”,
“Per prima cosa, ha bisogno di riposo: dovrà chiedere un periodo di congedo dalla Guardia Reale; poi, dovrà rilassare la sua mente: il come lo sa solo lei, anche se credo che l’unico mezzo di guarigione sia l’allontanamento dalla fonte dei suoi turbamenti; voi dovrete limitarvi a starle vicino durante la convalescenza, badando di non farle mai mancare nulla e, soprattutto, di non fare parola di questa nostra conversazione con lei: dato che nemmeno a me, madamigella Oscar ha voluto esporre quale fosse il motivo della sua sofferenza interiore, è evidente che non ne vuol parlare, quindi, costringendola a rivangarlo continuamente non fareste che farle altro male. E’ molto meglio che se ne distacchi da sola, naturalmente”,
“Ed in che modo?”,
“Ripeto quanto ho già detto: solo madamigella conosce quale sia la ragione del suo male, e quindi solo lei conosce anche il modo di distaccarsene; limitatevi ad accettare le decisioni che prenderà, e tutto andrà per il meglio”.
Detto questo, il dottore salutò ed uscì.
I coniugi Jarjeays si guardarono, interrogativi.
“Dunque, cosa contate di fare, Renier?” madame ruppe il silenzio,
“Voi cosa proponete?”, le passò la domanda di rimpallo,
“Dovremmo parlare con Oscar, e consigliarle di prendere congedo per un po’ da Palazzo; per il resto… sta a lei, lo avete sentito!”,
“Mi sembra un’ottima idea. Deciderà lei cosa è più giusto fare per star meglio. Ma se potessimo almeno sapere cosa la turba…”,
“Non possiamo, lo avete sentito”,
“No, noi no… ma forse c’è qualcuno che potrebbe, qualcuno con cui Oscar si confida sempre…”.
Il generale alzò lo sguardo verso l’angolo opposto del corridoio, quello accanto alla porta chiusa, dove stavano il giovane attendente e la vecchia governante.
“André!”, chiamò con tono alto e burbero come sempre,
“Agli ordini, generale!”,
“Hai sentito, no? Nei prossimi giorni dovrai stare molto vicino ad Oscar, sei il suo unico vero amico, e di te si fida molto; qualunque cosa lei ti confidi riguardo la sua malattia, dovrai riferirmela! Intesi?”,
“Sì, generale”.
Ma in cuor suo, André sapeva benissimo che non avrebbe mai tradito il doloroso segreto di Oscar, che peraltro già conosceva.
 
                                      **********

“Allora? Che cosa vi ha detto il dottore?”.
Oscar stava fissando alternativamente ora il padre, ora la madre, che erano entrati nella sua camera, ed avevano preso posto accanto al suo letto, ed ora la guardavano con uno strano sguardo di benevolenza dipinto sul viso.
“Ha detto che hai bisogno di riposarti, cara. Sei solo stressata”, fu la risposta di madame,
“Proprio così, Oscar. Ho già chiesto un permesso a Sua Maestà il re per te: potrai restare in congedo per un periodo di circa due mesi”,
“Ma, padre… non era necessario… così tanto tempo…”,
“No, Oscar, non voglio sentire storie! Tu non stai bene ed hai bisogno di riposo. Penseremo noi a rimetterti in sesto, vedrai!”.
Oscar era perplessa: sebbene il generale ostentasse l’aria burbera di sempre, e la madre facesse di tutto per apparire normale, entrambi sembravano nasconderle qualcosa; il padre aveva un che di intimorito nella voce, e la madre aveva cercato di non incrociare il suo sguardo per tutto il tempo.
Ma quello che le pareva più strano era André.
Per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che osservarla, con l’aria di chi la sa lunga, fermo in un angolo della stanza; ma ogniqualvolta che i loro occhi si erano incrociati per un attimo fuggevole, lui le era sembrato più protettivo ed appassionato del solito, con una luce che gli brillava in fondo all’unico occhio color smeraldo.
Ma che avranno tutti?, si chiese Oscar, non riuscendo a darsi risposta.
Quando i genitori furono usciti dalla sua stanza, André si sedette sul letto, accanto a lei.
“Come ti senti?”, chiese; Oscar sbuffò.
“Ti ci metti anche tu, adesso? Benissimo, mi sento benissimo. E’ stato solamente un capogiro, uno stupido capogiro, e nulla di più. Non capisco davvero perché vi dobbiate tutti preoccupare così tanto!”,
“Oscar… nel caso in cui non te ne fossi accorta, hai dato di stomaco!”.
Oscar sbottò, esasperata “E allora? A Palazzo si mangia da fare schifo, di questi tempi! Infilano burro e zucchero ovunque! Anche altri nobili si sono sentiti poco bene, dopo quei banchetti assurdi! Perfino Girodel lamentava un mal di testa violento da tossico, l’altra settimana! Il mio stomaco avrà pur il diritto di dire la sua, o no?!?”.
André abbassò gli occhi, dolcemente “Certo, Oscar…” disse.
In quel momento, entrò nella stanza Nanny, con un vassoio in mano.
André la guardò, e scosse la testa, sorridendo.
“Nonna, guarda che non potrà mangiarli quelli, per ora. Ha rovesciato, ma tu sembri averlo dimenticato”,
“Taci, tu! So ben io cosa serve alla mia bambina!”, la vecchia governante, infatti, aveva portato un vassoio colmo di croissant.
Oscar la guardò, e sorrise leggermente: povera dolce, testarda vecchina, pensò, sempre così convinta delle sue idee, anche quando esse erano tanto palesemente sbagliate! E sempre così piena di attenzioni per lei! Proprio come André.


Quanto ad attenzioni, Oscar ne fu letteralmente sommersa, in quelle settimane: Nanny le portava i pasti in camera tre/quattro volte al giorno, viziandola con manicaretti di ogni tipo; la madre le portava ogni giorno i saluti della regina, venendo al contempo a vedere come stava, e perfino il padre, contravvenendo al suo solito modo di fare burbero, le aveva regalato tre nuovi libri, di scrittori illuministi per di più, per farle passare il tempo nelle lunghe ore in cui era costretta a rimanere a letto.
Ma, inutile a dirsi, colui che superò tutti in premure era André.
Lui, infatti, non la lasciò da sola un attimo, tranne che nei momenti in cui era Oscar stessa a richiedergli di poter restare un po’ per conto proprio; per il resto del tempo, le rimase accanto, ricordando insieme a lei gli episodi più divertenti della loro infanzia assieme, mostrandole stampe illustrate di Paesi lontani di cui le raccontava le usanze (si era procurato alcuni libri in proposito, presso un mercatino di roba usata di Parigi), e perfino imboccandola quando non voleva mangiare.
Quando poi, lei fu in grado di alzarsi lasciando il letto, iniziarono a passeggiare su e giù per il grande parco di Palazzo Jarjeays (di andare a cavallo da sola, per ora, non se ne parlava proprio, il dottor Lassonne era stato tassativo!), godendo della vicinanza l’uno dell’altra.
Che strana sensazione, averlo sempre vicino! In questi giorni, mi è stato ancor più vicino di prima… ed io mi sono sentita bene! André è come un balsamo che mi ha aiutato ad allontanare da me il fantasma di quella notte con Fersen… quella notte… ma io, sono uomo o donna? Cosa sono veramente? O meglio, cosa voglio essere veramente?

In meno di tre settimane, Oscar si riprese quasi del tutto, fisicamente parlando; ma riguardo alla sua psiche, il discorso era affatto diverso.
Le cure e l’affetto ricevuti, da André soprattutto, l’avevano rimessa in piedi, in forze; ma Oscar non era una stupida, sapeva bene a cosa era stato dovuto il suo malessere, ed era ben conscia del fatto che, se non avesse risolto il conflitto che le si agitava dentro circa la sua natura, i problemi fisici sarebbero ritornati.
Dunque, che fare?
Un pomeriggio, sul finire di Marzo, lei ed André si trovavano sul prato sulle rive del laghetto, quasi ai confini della grande tenuta Jarjeays: quello era da sempre il loro luogo preferito. Quante volte, da bambini, avevano corso su quel verde prato? A quante scazzottate, a quanti finti duelli, a quante risate avevano assistito quei verdi fili d’erba silenziosi? Quante confidenze avevano ascoltato le placide acque del laghetto?
Adesso, se ne stavano sdraiati sull’erba, a poca distanza da una macchia d’alberi che stavano iniziando a rimettere le foglie  dopo il lungo inverno; le placide acque del laghetto lambivano indolenti le punte dei loro piedi.
Oscar si portava un filo d’erba alle labbra, in un gesto che le era molto familiare: praticamente, lo faceva da quando era molto piccola; le piaceva sentire quella carezza umida sfiorarle la pelle, la carezza della natura…
… E socchiudeva gli occhi, lasciandosi cullare dai ricordi della sua infanzia.
Perché la vita non è sempre facile come quando si è piccoli?, si chiese.
Voltò la testa, appoggiando una guancia sull’erba; e vide André, steso accanto a lei.
Mio compagno da sempre… da quanto tempo mi sei vicino, André? Non riesco a ricordare la mia vita quando tu ancora non c’eri! Non riesco ad immaginare la mia vita senza di te.
E’ strano, ma solo in questi ultimi giorni di sofferenza ho capito quanto tu mi sia indispensabile, come la mia vita non sarebbe mai potuta essere quella che è, senza di te.
Sei stato sempre vicino a me: mi hai tenuto compagnia per non farmi sentire il peso delle mie sofferenze, raccontandomi di futilità senza senso solo per distrarmi, siamo saliti insieme a cavallo per interminabili passeggiate sulle ali del vento, mi portavi il pane con la cioccolata… se penso a queste ultime settimane, non posso fare a meno di vederti in ogni momento, in ogni luogo, sempre.
Tu sei stato la mia medicina.
Ed è solo grazie a te se ho trovato la tranquillità necessaria a ricucire la mia lacerazione.
E’ solo grazie a te se sono riuscita a trovare la mia strada.
Sì, la mia strada: perché oggi, Oscar François De Jarjeays ha deciso che cosa essere.
Un uomo.
E niente altro.
Questa è la mia scelta, la scelta di Oscar François De Jarjeays.
Inizierò una vita da uomo, da soldato. Lascerò la Guardia Reale, per un reggimento duro ed inflessibile, dove poter dimostrare al mondo, ma soprattutto a me stessa, le mie capacità di uomo e di soldato.
E ricomincerò daccapo.
Ho stabilito tutto.
Ma allora perché continuo a sentire questa oppressione sul cuore?
Perché questa sensazione di stare sbagliando tutto?
Basta, ho deciso! Questa è la mia scelta.
Domani la comunicherò a mio padre.

Ciao a tutti!! A grande richiesta, ecco a voi il secondo capitolo!
So che non è bellissimo, e che probabilmente la storia sta proseguendo, per ora, su binari un poco diversi da quelli che tutti voi magari desideravate... ma abbiate fiducia in me! ;-)
E adesso, i ringraziamenti:
Ninfea 306: sì, i tormenti di Oscar sono palesi, ma forse la loro origine ha radici molto più oscure e profonde di quelle che lei stessa crede... André, invece, è, come sempre, il suo sostegno, anche se lei, al momento, sembra avere frainteso l'affetto e le premure di lui; ma, l'ho detto, fidatevi di me!! In quanto a certe "credenze", non voglio anticipare nulla (per lo meno, per non guastare la sorpresa agli altri lettori; se vuoi, ne parliamo via mail): ogni cosa a suo tempo!
Beatrix 1291: felice di accoglierti tra i miei lettori: un bacio!
Patrizialasorella: anche a te dico la stessa cosa che ho detto a Ninfea: ogni cosa a suo tempo. Ma non vi deluderò (almeno spero).
Lady in blue e Bradamante: grazie di cuore, attendo con ansia le tue recensioni!
Audreyny: idem come sopra :-)
Cipria: credo che anche tu abbia capito più o meno quale sarà l'iter di questa storia... ma non ti anticipo niente.
Bay: non preoccuparti, André non soffrirà! ;-) Scusa, invece, se mi dovesse capitare di andare OOC.
Vitani: ci seeiii?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 CAPITOLO 3

Il generale Jarjeays se ne stava seduto alla sua scrivania con gli occhi sgranati per lo stupore e l’incredulità. Non riusciva davvero a credere a quanto aveva appena sentito.
Seduta davanti a lui stava sua figlia Oscar, con uno sguardo fiero e deciso che mai le aveva visto prima.
“Oscar, sei sicura di quello che dici? Sei davvero sicura di volerlo?”, il generale tentò di riprendere il suo solito contegno, o almeno ci provò,
“Sì, padre. E’ deciso. Voglio lasciare la Guardia Reale”.
Il generale si sentì come se fosse stato seduto sui carboni ardenti; si alzò dalla poltroncina, e si girò verso la grande finestra, dando le spalle a sua figlia.
“E dove vorresti andare?”, non si era sentito davvero di farle quella domanda guardandola negli occhi,
“In un altro reggimento. Qualunque altro reggimento, purché sia duro ed inflessibile, e mi consenta di mettere a frutto tutto ciò che voi mi avete insegnato, padre”.
Il generale non disse nulla; in altri tempi, sarebbe montato su tutte le furie, l’avrebbe certamente schiaffeggiata o chissà che altro; ma ora era diverso. Era tutto diverso.
La sera in cui Oscar era crollata sul pavimento in mezzo a quella pozza di lerciume che le era appena uscito dallo stomaco, il vecchio militare aveva sentito in un attimo crollare anche buona parte delle sue vecchie convinzioni da nobile feudatario d’altri tempi: l’idea di poter perdere sua figlia, la sua figlia più cara e prediletta, che lui stesso aveva cresciuto personalmente, si era affacciata all’improvviso nella sua mente; l’essersi accorto che anche lei, come tutti gli altri, non fosse invulnerabile come il suo orgoglio si ostinava a credere, che fosse fatta di carne ed ossa come tutti, e come tutti sottoposta al rischio della morte, l’aveva scosso molto. Anche se non lo dava a vedere (anzi faceva di tutto per mascherarlo), l’episodio lo aveva profondamente scioccato.
Ed in fondo al suo cuore si era accorto anche di qualcos’altro: una cosa chiamata affetto.
Un sentimento strano, quasi proibito per un soldato.
Ma naturalissimo per un uomo.
E lui lo nutriva nei confronti di sua figlia.
Capì all’improvviso di essere legato a lei molto più di quanto la sua posizione gli permetteva. E capì di non volerla perdere.
Ragion per cui, doveva guarire. Oscar doveva star bene, ad ogni costo.
Anche se ciò significava rinunciare a ciò che lui aveva progettato per lei.
Il dottore era stato chiaro: la causa del male la conosceva solo Oscar, e solo lei poteva quindi rimuoverla; dunque, una volta rimessasi, doveva aver lasciato campo libero: che scegliesse pure cosa voleva fare, pur di sradicare ciò che l’aveva tanto fatta soffrire!
Tutto questo, affinché tornasse a stare bene.

L’uomo si girò, le mani congiunte dietro la schiena, in una posizione che gli era abituale, e si rivolse alla figlia:
“Hai già deciso il reggimento?”,
“No, lascerò che siano le Loro Maestà a farlo per me”.
Il generale abbassò gli occhi; in fondo, non c’era nulla di disonorevole nella scelta di Oscar… avrebbe continuato a servire nella carriera militare… non era ciò che lui voleva, in fondo? Non l’aveva educata per questo?
Anzi, semmai un reggimento più duro e severo poteva solo conferire maggior lustro ad Oscar, regalando a sua volta più onore alla famiglia ed al nome dei Jarjeays.
E non erano questi i suoi sogni, i progetti che aveva in serbo per Oscar?
A ben vedere, non stava accadendo nulla che fosse contrario ai suoi progetti. Dunque, che motivo aveva di opporsi?
“Va bene, Oscar. Accolgo la tua richiesta. Domani mattina stesso puoi andare a presentarla ai sovrani”,
“Grazie, padre”, la donna si era alzata; salutato il padre con un inchino del capo, uscì.
Nel corridoio, vide André in un angolo, che la guardava con sguardo rattristato.
Sarà ancora preoccupato, pensò.
Ma la tristezza di Andrè aveva ben altre origini.
Perché, Oscar?
Perché ti ostini a non voler vedere la verità?
Tu sei una donna, una bellissima donna, e questo non potrai mai nasconderlo a nessuno, tanto meno a te stessa.
Una rosa non potrà mai essere un lillà, resterà sempre una rosa.
Prosegui la tua vita da soldato se ti rende felice, lascia pure la Guardia Reale se vedere Fersen ti è divenuto insopportabile perché ti ricorda l’omicidio della tua femminilità in quella dannata notte! D’altronde, io non potrei mai immaginarti diversa dalla splendida donna forte e libera che sei: tu sei una donna ed un soldato, questo è il tuo essere. Ed è meraviglioso, Oscar.
Ma non nascondere la tua femminilità, non tentare di ucciderla più di quanto abbia già fatto Fersen! Non capisci che fai del male solo a te stessa?
Ed anche a me!!
Sì, perché dalla mia follia, fors’anche dal mio egoismo, io odio quell’uomo che ti ha spinto a ricacciare nei recessi del tuo cuore quella femminilità forte e determinata che è la parte più bella e vitale di te, e di cui io potevo godere ogni attimo vivendoti accanto, anche se nascostamente, come un ladro: adesso, a causa sua, tu vorresti cancellare questa parte meravigliosa che è la tua vera essenza, per sostituirla con una virile rudezza che non ti appartiene, né ti si addice, e che è arida come un deserto di rocce ingiallite!
Tu mi uccidi, Oscar: non stai uccidendo lentamente solo te stessa, stai uccidendo anche me, me che ti amo di un amore segreto e proibito.
Non hai compreso il significato delle mie premure, Oscar? Non riesci a capire che esse sono state dettate dall’amore di un uomo verso una donna?
No, per te sono solo l’amico consolatore.
Il fratello con cui sei cresciuta.
Nemmeno tra le spire del tuo mal di vivere hai saputo vedere la verità!

                                      **********

Sera inoltrata. Oscar sedeva al piano, nel suo salottino privato; suonava una melodia di Bach.
Il suo sguardo, sebbene facesse di tutto per apparire sereno, nascondeva un mare in tempesta di pensieri contrastanti.

Ho deciso: ho scelto quale sarà la mia vita, d’ora in avanti.
Ho scelto di vivere come un uomo.
E di lasciare Versailles. Di lasciare Fersen.
Ho scelto di allontanarmi per sempre dall’uomo che ha fatto vacillare le mie certezze di una vita, e che mi ha regalato solo dolore.
Non riesco a dimenticare ciò che mi ha fatto.
Preferisco non rivederlo più.
Non mi importa di dove le Loro Maestà mi manderanno a servire: tutto ciò che desidero è allontanarmi il più possibile da Versailles, mettendo quanta più strada posso tra me e lui.
Penso questo, e razionalmente mi sento bene. So di stare facendo la cosa giusta.
Razionalmente, appunto.
Ma qualcosa, in fondo a me, continua a dirmi che sto sbagliando: qualcosa che di razionale ha ben poco.
E questo è il primo dei miei tormenti: che cosa è questa “voce” che da qualche tempo alberga in me? Da dove viene?
Non so dire quando è venuta: ha iniziato ad esistermi dentro, e basta; è come se mi si fosse svegliato dentro qualcosa che c’era sempre stato.
E non mi dà pace.
Perché?
Dice che sbaglio. Ma cosa sbaglio? E cosa dovrei fare, allora? Cosa sarebbe più giusto?
Ed il tormento, silenzioso, mi assale.
Mi opprime il petto, sale a chiudermi la gola. Mi opprime continuamente, non mi lascia mai in pace.
Qualunque cosa io faccia, lo avverto: il tormento.
Perché? Perché? Perché?

Involontariamente, Oscar perse la melodia, e lasciò cadere le mani sui tasti, pesantemente; una sequenza inarticolata di suoni ravvicinati si diffuse per la stanza.
Rimase in quella posizione, le braccia accasciate sui tasti del pianoforte, immobile, gli occhi chiusi strizzando le palpebre, quasi a non voler più vedere i propri affanni.
Ma chiudere gli occhi non serve a non vedere i propri tormenti interiori! E lei lo sapeva bene.
In quel momento, sentì bussare alla porta.
Si ricompose “Avanti!”, gridò.
André entrò nella stanza, portandole una tazza di cioccolata fumante su di un vassoio.
Quando lo vide, Oscar ebbe un improvviso quanto inaspettato moto di sollievo: non avrebbe saputo dire il perché, ma la vista di André aveva fatto tacere la voce del suo continuo tormento, anche se solo momentaneamente.
“Grazie, André”. Lui le sorrise.
Si avvicinò ad un tavolino, e vi depose il vassoio.
Oscar si alzò dal pianoforte, e gli si avvicinò.
Prese la tazza tra le mani, iniziando a sorseggiare la bevanda calda.
“André, ascolta… domani saprò che cosa Sua Maestà la regina ha deciso per me: mi verrà comunicato qual è il mio nuovo reggimento”.
André ascoltava, in silenzio.
“E nella mia nuova destinazione… non credo ci sia posto per un attendente”.
Perché stava dicendo quelle parole? Le facevano male, le tagliavano le labbra mentre le uscivano dalla bocca, come coltelli affilati; ma allora, perché le stava dicendo?
“… Dunque, André…”.
Stava per dirgli “non ho più bisogno di te”, ma qualcosa la fermò dal farlo.
Un NO! Gridato da qualche parte dentro di lei le chiuse la bocca, impedendole di parlare; un attimo di silenzio, di riflessione per lei.
“Volevo dirti che, da ora in poi, ci potremo vedere di meno… io passerò buona parte del tempo presso il nuovo reggimento, qualunque esso sia… ma quando sarò a casa, saremo insieme, come sempre”.
Per tutto il tempo, Oscar aveva continuato a fissare dentro la tazza; ora che aveva finito di parlare, alzò lo sguardo ad incrociare quello dell’uomo, e vi lesse una profonda tristezza.
Vederla di meno… sarà una tortura, per me!

Oscar aprì la bocca per parlare… per un paio di secondi le parole restarono come sospese a mezz’aria; poi, prese coraggio.
“Non devi rattristarti: anche se non sarai più il mio attendente, saremo sempre insieme, qui, come lo siamo stati sempre; siamo cresciuti insieme, siamo amici, quasi fratelli: non potrei mai fare a meno di te!”.
Ma che accidenti sto dicendo?, si chiese Oscar; eppure, quelle parole che aveva appena pronunciate corrispondevano a verità.
Bastava ripensare ai giorni della sua degenza per rendersene conto: la presenza di André accanto a lei era stata la sola costante che l’aveva condotta alla guarigione, o ad un surrogato di essa; surrogato, sì, perché l’origine di tutto, quel tormento, era ancora lì, da qualche parte dentro di lei…
Ed anche questo si aggiungeva: non avrebbe saputo dire perché, ma in qualche modo sentiva che la presenza di André leniva i suoi tormenti, almeno in parte.
Lui la stava ancora fissando, ma ora il suo sguardo aveva assunto un’aria più decisa.
“Scusa, Oscar, posso farti una domanda?”,
“Certo, dimmi pure”,
“Perché vuoi cambiare reggimento? O meglio… perché vuoi vivere come un uomo a tutti i costi?”.
A sentire quelle parole, Oscar si era quasi affogata con la cioccolata. “Ma… che razza di domande sono?” chiese, seccata.
“Mi hai sentito: perché vuoi vivere come un uomo?”,
“Perché mio padre mi ha cresciuto per questo” Oscar aveva ripreso il controllo di sé stessa, come al solito,
“Oscar, ascolta…” André fece un passo verso di lei “Una rosa è sempre una rosa…non potrà mai essere un lillà: essa rimarrà sempre una rosa!”,
“Che cosa?? Ma che vai dicendo, André?”,
“Sto dicendo che non potrai mai cancellare di essere una donna, Oscar”,
“Chiudi il becco! Che ne sai, tu?”,
“Le cose stanno proprio così, cara Oscar: sei una donna, e non potrai mai essere un uomo”.
Oscar perse la testa: posata la sua tazza sul tavolino, si avvicinò ad Andrè, e lo colpì in viso con un pugno.
“Stai zitto, hai capito? Taci!!”.
Lui si rialzò, asciugandosi un rivoletto di sangue che gli colava giù dal naso.
“Vuoi fare a botte? Ti accontento subito, Oscar. D’altronde non ho mai avuto problemi ad accettare che, nella lotta, tu fossi più brava di me, che pure sono più forte: tu sei più agile, e mi hai sempre battuto; come nella scherma, nelle gare a cavallo sei sempre stata la più brava. Ma sei e resti una donna, Oscar! Lo devi accettare! Ed ancora di più devi accettare che essere donna non significhi affatto essere debole, né inferiore! Non significa non poter continuare a fare la vita che fai! Ragion per cui, accettati, Oscar: accetta di essere una donna, e smetti di voler sembrare un uomo a tutti i costi!!”.
Mentre André pronunciava queste parole, i due avevano continuato a darsele di santa ragione; fino a quel momento, Oscar aveva però avuto la meglio.
André continuò “O forse, tutto questo lo sai benissimo; è stato solo il dolore che un altro ti ha inflitto a farti odiare il tuo essere donna! Non è così, Oscar?”.
A sentir questa evidente verità piantatale in faccia così crudamente, Oscar perse la concentrazione e vacillò; quanto bastò ad André per stenderla del tutto a terra, con un colpo nello stomaco.
Era la prima volta che ci riusciva.
Lei rimase a terra, piegata in due dal dolore; ma non si trattava di dolore fisico: il colpo che André le aveva dato non era stato poi molto forte; era il dolore che sentiva nel suo orgoglio a farle male.
Era ancora a terra, il respiro ansante, la testa piegata in avanti; vedendola, André si sciolse in lacrime, e si accovacciò accanto a lei.
“Perdonami, Oscar… non volevo farti male… giuro che non lo farò mai più… perdonami… ma non ce la facevo più… a vederti cercare di uccidere la tua femminilità, così forte e meravigliosa… perché io l’adoro… io ti amo, Oscar! Ti ho sempre amato! E non ce la facevo davvero più a vederti fare a brandelli il tuo essere donna come hai fatto con quel vestito, per uno che non ti merita, che non ti capisce…”.
Oscar aveva ascoltato lo sfogo dell’amico con stupore crescente: André la amava! La amava come una donna, nonostante non le avesse mai visto indosso un corpetto od una crinolina! Come era possibile?
Il suo amico di sempre, il suo fratello acquisito da una vita era divenuto un innamorato disperato che si nascondeva da sempre nel buio! Non poteva essere! Non poteva!
L’essere donna le aveva fatto anche questo: le aveva portato via l’amico di sempre, per sostituirlo con un perfetto sconosciuto!
No, ora più che mai desiderò essere uomo.
E vivere come un uomo.

Salve a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo.
Diciamo che in questo capitolo ho voluto riscattare un pò tutti: il vecchio generale, che qui diventa più "umano", un padre affettuoso, anche se severo; André, che non compie più il suo terribile tentativo di violenza su Oscar, pur sfogandosi (doverosamente) con lei e confessandole il proprio amore; ed infine Oscar, che non ferisce brutalmente il nostro André, buttandolo via come uno straccio vecchio (quel "non ho più bisogno di te" era davvero tremendo, e poi stonava davvero, nelle mia storia; più avanti capirete il perché). Non so se vi  piacerà, spero di sì =) Intanto, ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa mia storia, e vi mando un grande bacio.
Tetide.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4 CAPITOLO 4

Oscar finì di firmare i dispacci ricevuti e si lasciò andare sullo schienale della poltrona, accasciandosi; sospirò, portandosi una mano sulla fronte e socchiudendo gli occhi.
Da quasi un mese, ormai, si trovava al comando dei Soldati della Guardia, il suo nuovo reggimento. Ma da quasi un mese, i suoi affanni si erano quadruplicati, per diverse ragioni.
Primo: il reggimento era composto da uomini indisciplinati e rissosi, lontani anni luce dai compìti damerini della Guardia Reale; tutti, o quasi, si erano arruolati per fame, o per sfamare le famiglie. Comandare uomini di questo tipo sarebbe già stato difficile per chiunque, figuriamoci per lei che veniva da una situazione antecedente tutt’altro che rilassata, e che, quindi, mancava della lucidità necessaria a quel complicatissimo compito.
Secondo: dopo aver saputo, per puro caso, che il loro nuovo comandante era una donna, la maggioranza dei soldati si era rifiutato di prestarle obbedienza. Già il primo giorno, alla parata in onore del nuovo comandante non si era presentato praticamente nessuno: tutti le erano palesemente ostili.
L’unica eccezione tra quei tosti sconosciuti era un ragazzone di nome Alain, un tipo alto e robusto, che portava sempre un fazzoletto rosso legato intorno al collo, ed ostentava un sorriso beffardo perenne sul viso. “Diamole una possibilità”, l’aveva sentito dire rivolto ai suoi compagni, una sera che si era trovata a passare davanti alle camerate “Se una donna ha avuto il coraggio di darsi alla vita militare, e di venire a comandare in mezzo a tipacci come noi, deve saperci fare davvero! E poi, a me piace: mi convince quel suo sguardo sicuro e fiero. Non è affatto una svenevole damina, si vede subito!”.
A queste parole era seguìto un coro di proteste, ma il ragazzone le aveva ignorate, ed aveva proseguito con i suoi argomenti; e dato che sembrava essere il loro capo, a lei ne era venuta per lo meno la possibilità di tentare di eseguire il suo incarico, anche se sotto sotto il malcontento continuava a serpeggiare, pronto ad esplodere da un momento all’altro nella forma più parossistica possibile.
Ma la cosa che più l’aveva sconvolta era stato ritrovare tra quegli individui da taverna André. Sì, proprio lui, André, il suo André, che dopo la scazzottata (conclusasi drammaticamente) di quella notte, era sparito da casa Jarjeays per un po’ di giorni, per poi ricomparire il giorno in cui Oscar, ricevuto l’incarico, era andata a presentarsi ai suoi soldati.
Davvero, non si era aspettata di trovarlo lì; lo aveva visto, come un fulmine a ciel sereno, mentre faceva l’appello, distrattamente, ai suoi nuovi soldati; e quando aveva letto il suo nome, aveva sentito in fondo al cuore un misto di sorpresa, sbigottimento, imbarazzo e… conforto. Sì, conforto: perché sapere di averlo lì, accanto a lei, le aveva data come la sensazione di essere tornata a casa.
Ma… ma cosa andava a pensare?!? Un soldato, un uomo, non ha di questi pensieri! E lei era un uomo, adesso!
Ciononostante, quella sensazione non passava; e, ciò che la faceva andare su tutte le furie più di ogni altra cosa, era che a lei quella sensazione piaceva. Sì, le piaceva: perché alleviava quel tormento interiore che da mesi, ormai, non le aveva più dato pace.
Ed ecco l’ultima, e più grave, ragione dei suoi affanni: il tormento.
Quell’oscuro nemico che abitava dentro di lei, che da troppo tempo aveva preso dimora nel suo animo, non l’aveva lasciata nemmeno quando aveva iniziata la sua nuova vita da uomo; ciò aveva scombinato tutti i suoi calcoli: il tormento permaneva anche dopo il distacco da Fersen! Non poteva più trattarsi di lui, o del proprio conflitto interiore uomo/donna ormai, era chiaro. Lei aveva scelto cosa essere, un uomo, e come vivere. Ma se non era questo, allora cos’era? E perché questo oscuro e temibile compagno sembrava placarsi solo in presenza di André?
In un certo senso sono contenta che tu ci sia, pensò, rivolta ad André; ricordò in un attimo il loro colloquio, avuto dopo la sorpresa di trovarselo lì, quando lo aveva convocato con una scusa nel proprio ufficio per parlargli.

“Perché sei qui?”,
“Te l’ho detto, Oscar: io ti amo, e voglio starti vicino; l’idea di vederti solo per poche ore la sera non mi piaceva per niente”,
“Tua nonna è molto preoccupata per te, non ti vede da giorni”,
“Allora dille dove sono! So badare a me stesso, non sono un bambino!”.
Oscar sospirò. Quell’uomo era testardo come un mulo! Eppure, era convinta che il ricordo della scazzottata di quella notte bruciasse anche a lui, dopo la confessione che le aveva fatto in lacrime, chino su di lei. E nonostante questo, aveva avuto il coraggio di seguirla fin laggiù: doveva essere davvero innamorato, pensò.
“Fai come ti pare!” gli aveva detto dandogli le spalle, e fingendo un tono seccato; in realtà, provava un gran sollievo al suo tormento, nell’averlo lì con lei.

Oscar riaprì gli occhi, rivolgendoli fuori dalla finestra: era quasi il tramonto, l’ora di tornare a Palazzo Jarjeays. Si apprestò ad uscire, quando la testa le girò, e dovette appoggiarsi allo stipite della porta.
Il colonnello D’Agout le venne prontamente in aiuto.
“Comandante, state bene? Siete pallidissima! Comandante Oscar!”.
La donna si scosse lentamente dal suo torpore “Sì, colonnello, non preoccupatevi, sto bene. E’ stato solo un capogiro, debbo essere molto stanca”.
Il colonnello le fece il saluto, e si congedò.
Oscar, invece, era assai di più che stanca: era spaventata.
Perché negli attimi in cui aveva perso il controllo del proprio corpo, aveva avvertito, chiarissimo, sulla pelle un forte bruciore, come se fosse stata toccata da qualcosa di infuocato.
E non aveva avuto percezione di null’altro: in quegli attimi, anche la stessa voce del colonnello sembrava venire da lontane ed inaccessibili profondità.
Allucinazioni tattili, pure! Andiamo bene! Ora si comincia davvero ad esagerare… che mi stia per andare in carriola il cervello?
Si ricompose, sprimacciandosi la divisa, e si avviò per il corridoio verso le stalle.
Montato che ebbe Cesar, si avviò verso casa; mentre procedeva, ripensava allo strano episodio occorsole poco prima; ma più ci pensava, meno riusciva a trovare una spiegazione.
Quello non era stato uno strappo, od una distorsione ad un tendine, no… le conosceva bene quelle sensazioni, da tanti anni di allenamenti; era proprio una scottatura, un qualcosa di inferto con un ferro caldo! Che assurdità! Non c’era nessun ferro caldo vicino a lei, in quel momento!
Giunta che fu a palazzo, la prima cosa che fece fu di correre in camera sua, spogliarsi e mettersi davanti allo specchio, osservando con attenzione il punto dove aveva avvertito quella strana sensazione: come si era aspettata, non c’era nulla: nessun segno, nessuna bruciatura, nulla. La sua pelle era bianchissima e liscia come sempre.
Si rivestì e si sedette sul letto per riflettere. La sensazione che aveva avvertita era stata chiara, niente che facesse pensare ad un’impressione o cose simili; Né poteva credere di essersi involontariamente ferita da qualche parte, il candore della sua pelle glielo mostrava chiaramente.
Forse la peste…, si spaventò Oscar; ma poi scosse la testa: da quasi un secolo, ormai, non si era più sentito di epidemie di peste bubbonica, ed anche singoli casi isolati erano molto rari, e lontani nel tempo (1). E poi, i sintomi di quella terrificante malattia erano ben diversi.
Istintivamente, si strofinò con la mano il punto dove aveva avvertito la strana sensazione: era la spalla destra, nel punto da cui da questa partiva il braccio.
Socchiuse gli occhi, sospirando; nonostante tutti quei dubbi che le turbinavano in testa, il tormento non l’aveva affatto lasciata; anzi, se possibile, si era fatto ancora più pressante. Addirittura, ricordava di averlo sentito crescere, con forza, dentro di sé, fino al momento in cui… aveva avvertito quel dolore!
Che cosa strana, si disse, perché mai è successa una cosa del genere? Che le due cose siano collegate?
Sì, molto probabilmente era così: da qualche parte aveva sentito che, quando una sofferenza dell’anima diventa troppo forte, viene scaricata sul corpo, anche dandoci dolori fittizi dall’origine incerta; e questo doveva essere ciò che era successo a lei.
E così, si ritornava al punto di partenza: il tormento.
Cosa era? Perché non la lasciava?
Si sdraiò sul letto, la testa che si era fatta pesante; tutti quei pensieri le turbinavano dentro, senza riuscire a trovare una sistemazione razionale, anzi! Più ci pensava e meno ci capiva.
Piano, piano, la stanchezza ebbe il sopravvento, le riflessioni cedettero il passo al sonno.
E Oscar, sfinita, cadde addormentata.
E sognò.
Si trovava in quello che assomigliava ad un antico tempio, simile a quelli di Paestum od al Partenone di Atene che aveva visto raffigurato in alcuni libri di suo padre; bianche, altissime colonne sorreggevano un immenso soffitto adorno di marmi; alle pareti, erano effigiate scene mitologiche di lotte tra uomini e centauri, immagini di déi ed eroi di vario genere; torce accese illuminavano quello che sembrava esser l’ingresso di un buio corridoio.
Oscar sentiva di esser lì, di conoscere quel luogo da sempre, sebbene fosse la prima volta che lo vedeva; e sentiva anche qualcos’altro: un senso di angoscia, di pericolo imminente che si riversava su di lei.
Si voltò, e vide accanto a sé due figure incappucciate e scure; dai cappucci calcati sul viso non si potevano scorgere i tratti. Una delle due figure la tratteneva forte per un braccio.
Abbassò gli occhi su di sé: indossava una lunga tunica verde scuro, consunta e strappata in varie parti, ed un paio di sandali, alla maniera delle donne dell’antichità.
Stava percorrendo il corridoio, scortata dalle due sinistre figure; le torce rischiaravano qua e là la penombra; i loro passi echeggiavano per le immense lastre di pietra dell’edificio.
Aveva paura: non sapeva perché, ma aveva paura. Sapeva di stare andando incontro a qualcosa di spaventoso.
Giunsero alla fine del lungo corridoio, in una grande sala quadrata, al centro della quale troneggiava un focolare; dalle pareti, pendevano strumenti per l’incatenamento dei prigionieri.
Un' alta figura si fece loro incontro: era un uomo calvo e grosso, con gli occhi rossastri e scintillanti come due tizzoni ardenti; indossava un mantello di colore viola scuro, con dei disegni ricamati sopra.
L’uomo le si avvicinò, e con un sogghigno le sollevò il mento con due dita; istintivamente, lei venne attraversata da una scarica di paura, ma non glielo diede a vedere, continuando a mostrare il suo sguardo fiero e battagliero.
L’uomo l’afferrò con forza per un polso, trascinandola fino agli spaventosi aggeggi che pendevano dai muri, per legarla per le braccia ad uno di essi; poi si allontanò, mentre una delle due figure che l’avevano scortata sin lì stava prendendo qualcosa dal focolare acceso.
La figura alzò la testa incappucciata, e si mosse nella sua direzione; la donna impallidì, vedendo che quella sinistra visione recava tra le mani un tizzone acceso.
Le si fece vicino e, dette poche parole, le impresse il tizzone ardente sulla sua spalla destra.
La donna lanciò un altissimo grido, mentre in sottofondo le giungeva la risata cupa dell’uomo calv
o e le sue parole, che (sebbene fossero pronunciate in quella strana lingua di poco prima) dicevano chiaramente “Non avresti dovuto, Derania”.
Oscar si svegliò di soprassalto, urlando; si sedette sul letto, madida di sudore, riprendendo lentamente conoscenza di dove si trovasse: era nel suo letto, nella sua stanza; doveva aver avuto un incubo.
Si passò una mano sulla fronte, tirando un lungo respiro; come aveva potuto avere quel terribile incubo? Non aveva mangiato molto, la sera precedente, a cena, e non era neppure particolarmente in ansia… se si escludeva il 
solito tormento. Dunque, quale ne era stata la causa?
Lentamente, poggiò i piedi a terra, scendendo giù dal letto; si diresse alla finestra, l’aprì: era l’alba, ed il cielo stava sfumando in un tenue rosa, preannunciando l’aurora; tra poco avrebbe dovuto alzarsi, era inutile ritornare a dormire. Respirò invece a pieni polmoni l’aria pulita di quell’ora mattiniera, cercando di ricacciare indietro il senso di tormento, il quale le rimarcava che anche lui, suo triste compagno, si era svegliato.
Tentando di ignorarlo, Oscar rivolse il suo pensiero ai compiti che l’attendevano quel giorno in caserma: la parata, gli addestramenti con le sciabole, i dispacci da completare… pensò ad Alain, quel simpatico ragazzone che, unico tra quegli uomini, le aveva dato fiducia, e sorrise; poi, inevitabilmente, il suo pensiero andò ad André.
Ed un senso di sollievo lo accompagnò.
Sollievo istantaneo dal tormento.
Come era possibile?
Oscar richiuse la finestra e rientrò nella stanza; da quando in qua, il pensiero di André la faceva star così bene, al punto da alleviare, anche se solo per poco, il suo tormento? Cosa c’entrava André con il suo tormento?
E soprattutto, cosa era veramente quel suo tormento?
Ripensò allora al sogno: era davvero strano che il suo aguzzino l’avesse marchiata proprio nello stesso punto dove, la sera prima, aveva creduto di sentir dolore; ed era strano che l’avesse marchiata con il fuoco, quando, la sera prima, lei era convinta di aver sentito sulla pelle proprio una scottatura.
Sciocchezze, devo essermi autosuggestionata! Il dolore di ieri sarà stato dovuto ad uno strappo, o a qualcosa di simile, ed io ho permesso che il pensarci troppo mi facesse avere quell’incubo! Tutto qui.
Ma a ben vedere, c’era qualcosa d’altro di strano, in quel sogno, che lei non aveva considerato in un primo momento, e cioè che i due uomini del suo sogno, o meglio del suo incubo, le avevano parlato in una lingua che lei, coscientemente, sapeva benissimo di non conoscere: non sapeva nemmeno di che lingua si trattasse. Eppure, nel sogno, aveva compreso molto bene il significato delle loro parole. Com’era possibile ciò?
Troppi misteri, decisamente!, si disse Oscar mentre si vestiva; poi uscì per andare a far colazione.
Nella sala dove la famiglia Jarjeays abitualmente pranzava, trovò solo il padre, con Nanny accanto che lo stava servendo.
“Buongiorno, Oscar!” la salutò il generale “Non hai una bella cera; che succede? Hai dormito male?”.
Lei si avvicinò al tavolo e si sedette “No, non molto, padre. C’era freddo, stanotte”,
“Freddo? Ma se siamo quasi all’inizio dell’estate! Forse hai la febbre!”,
“Sì, è probabile” mormorò lei, persa nei propri pensieri.
Nanny le si fece vicina “Cosa ti porto, bambina?”,
“Cioccolata, grazie”, le rispose,
“Arriva subito”, l’anziana donna uscì dalla stanza.
Oscar prese una brioche “Scusate, padre” cominciò “sapete dirmi se i Jarjeays hanno avuto un’antenata di nome Derania?”,
“Eh? Cosa?” il generale rimase con la mano a mezz’aria,
“Sì, insomma… tra gli annali di famiglia non risulta questo nome?”,
“Non che io sappia” rispose il generale “Perché questa strana domanda, Oscar?”,
“Niente di particolare, così…”, lo sguardo di Oscar era tornato a perdersi nel vuoto dei suoi pensieri.

                                       **********

Quando giunse in caserma, i soldati erano già tutti pronti per la parata; vide Alain, e i due si scambiarono un caldo sorriso; poi cercò con lo sguardo André.
Lo vide in fondo alla fila, e nel suo cuore sentì qualche cosa di simile ad un cielo che si schiariva; impercettibilmente, gli sorrise, di un sorriso che solo loro due potevano capire. Poi, diede inizio alla parata.


Nel tardo pomeriggio, Oscar stava rivedendo e firmando un gruppo di dispacci, oppressa come al solito dal suo tormento; le finestre erano aperte, e i rumori ed i profumi leggeri e festosi dell’inizio dell’estate si facevano strada nello studio.
Oscar interruppe il suo lavoro, ed appoggiò la testa sulle mani; perché aveva continuato a pensare a quello strano sogno per tutto il giorno?
Aveva deciso, quella sera sarebbe andata lei stessa in biblioteca a consultare gli annali della famiglia Jarjeays, finché non avesse trovato un riferimento, anche piccolo, a qualcuno che si chiamasse Derania: perché doveva esserci un nesso logico e razionale, in tutto quello!
Si alzò dalla scrivania, si avvicinò al tavolino e prese una fetta del dolce che la ragazza delle pulizie aveva portato come omaggio al nuovo comandante: cioccolato e latte, come piaceva a lei; eppure, neanche quel sapore così gradito riusciva ad alleviarla dalle sue sofferenze, oramai divenute una costante.
A dir la verità, non c’era più nulla che ci riuscisse, ormai. Solo André.
Lentamente, si era resa conto che l’idea di averlo accanto non toglieva nulla alle sue capacità militari, al contrario, il fatto che lui fosse lì le dava un senso di sollievo e calore che non nascondeva più a sé stessa; ed anche i soldati, complice Alain, stavano iniziando ad accettarla, avendo potuto verificare di persona le sue qualità come comandante, anche se era una donna.
Era un buon soldato, anche se donna.
Questo era ciò che andava scoprendo sempre più.
Ma è davvero così necessario essere un uomo, per essere un buon soldato?
Fu questa la constatazione che emerse nitidamente nella sua mente.

 



















(1) All’epoca di Oscar, l’ultima epidemia di peste in Francia si era verificata nel 1720, a Marsiglia, ma non aveva mai raggiunto Parigi.

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Ecco il quarto capitolo; ed ecco che le cose iniziano a cambiar piega: Oscar è tormentata come al solito, ma per altre ragioni... scusate se il capitolo è un pò lungo, ma non potevo spezzarlo più di così; ed ora, i ringraziamenti:
Bay: a quanto sembra, la malattia di Oscar non riguarda Fersen più di tanto... ma non ti anticipo niente!
Patrizialasorella: grazie sempre dei tuoi complimenti, questa storia è molto impegnativa, e sono contenta che stia riscuotendo successi.
Beatrix 1291: sì, ho cercato di riscattare alcuni personaggi dell'anime; ma la piega che la storia prenderà da adesso si allontana un pò da quella classica dell'anime, come avrete avuto modo di leggere in questo capitolo.
Lady in blue: è vero, di solito metto parecchia fantasia nelle mie storie, allontanandole anche di parecchio dall'originale... ma finora, sembra che piaccia, quindi continuo... soprattutto per chi, come te, è ansiosa di leggere il seguito!
Ninfea 306: Oscar doveva per forza sentirsi dir la verità in faccia da André, per potersi rendere conto che non c'è incompatibilità tra il suo esser donna e la sua vita da soldato... ma ho voluto un pò ammorbidire le cose (André è più dolce, così!! E poi, sapevo ti sarebbe piaciuto); spero che la storia continui a piacerti.
Pry: In questa storia sto mettendo più monologhi del solito, non so come mi siano venuti; se ti piacciono, fammelo sapere.
Un grande Grazie anche a tutti coloro che leggono senza recensire.
Tetide.


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5 CAPITOLO 5

Oscar aveva trascorso un’intera giornata, la sua sola giornata di licenza dal servizio, a scartabellare gli annali della sua famiglia, cercando un’antenata che avesse potuto chiamarsi Derania, ma… niente! Quel nome non esisteva affatto tra i Jarjeays, nemmeno all’epoca delle Crociate.
Ma com’era possibile? Oscar non si dava pace: doveva esserci un nesso logico a tutto quello!
Chiuse l’ennesimo annale e si lasciò andare sullo schienale della poltroncina all’indietro, gli occhi socchiusi; era la prima volta in vita sua che una ricerca non le dava esito positivo.
Il tormento, invece, continuava bellamente, quasi a volersi fare beffe delle sue febbrili ricerche; erano passati mesi da quando era iniziato, ormai; ed in quei mesi, di cose ne erano accadute, eccome! La decisione di lasciare la Guardia Reale, in seguito a quel disastroso ballo, la malattia, il suo trasferimento alla Guardia Cittadina, i primi tempi così difficili, i miglioramenti successivi…
Beh, quanto meno qualcosa di buono era riuscita ad ottenerlo: la stima ed il rispetto dei suoi uomini. Adesso, loro la stimavano ed ubbidivano come un buon comandante, fregandosene del suo sesso. Già, il suo sesso… perché, in tutto quel tempo, anche un’importante realtà le si era affacciata agli occhi: quella di essere una donna! Innegabilmente, inconfutabilmente una donna. Ed un buon comandante.
Lentamente, il conflitto sulla propria natura che l’aveva lacerata si era andato richiudendo. Aveva accettato la sua vera natura, dando così un senso profondo alle parole di André.
Già, André… la sua presenza costante al suo fianco le dava ogni giorno più conforto dai suoi mali: insieme ad Alain (di cui era divenuta buona amica), si riunivano spesso nel suo studio dopo la ritirata, per parlare della difficile situazione che stava attraversando la Francia. I tumulti, le sommosse sempre più frequenti la preoccupavano molto; ma bastava incrociare lo sguardo smeraldo di André perché anche questi suoi dubbi si placassero.
Era una presenza calda e rassicurante, di cui aveva capito di non poter più fare a meno; forse che anche questo faceva parte del suo essere donna?
Donna e comandante. Donna e soldato. In perfetto accordo.
Se si voltava indietro, e volgeva il suo pensiero a Fersen, si accorgeva di non provare più alcun dolore; sì, perché quel sentimento, seppure all’epoca tanto forte, era legato ad una visione della realtà e della sua natura completamente distorta: donna e soldato in conflitto tra loro. Ed ora che aveva capito non essere così, quella di Fersen era una ferita ormai rimarginata.
Andrè, invece, andava assumendo un’importanza sempre maggiore dentro di lei, anche se ancora non avrebbe saputo attribuirle un nome.
E in tutto questo mare calmo dopo la tempesta restava solo un alto, inaccessibile scoglio: il tormento!!  
Ma da che accidenti proveniva, ora che erano fuori gioco sia Fersen che il suo “strappo” personale?
E, soprattutto, perché la sola presenza di André lo acquietava?

Era stanca. Stanca di porsi continuamente domande a cui non riusciva a trovare risposta; e stanca di essere oppressa da quell’oscuro male.
Si alzò e ripose il libro. Uscì dalla biblioteca, dove l’aria si era fatta troppo pesante per i dubbi irrisolti, e si diresse nella sua camera.
Lungo il tragitto, incontrò Nanny, che reggeva in mano una vassoiata di biscotti; le sorrise.
“Ci sono ospiti?”,
“Sono per te, tesoro. Ti vedo sempre così debole, e sei molto dimagrita. Immagino come si mangi male, in caserma! Povero il mio André! Ma almeno ci sono io a provvedere a voi due!”.
Oscar rise; le premure di quella dolce vecchina le facevano un’infinita tenerezza.
Raggiunsero la sua stanza; Nanny entrò, deponendo il vassoio sul tavolo.
“Ecco: sono frollini d’uovo; dimmi come ti sembrano. Domani ne porterò un cesto anche ad André”.
Detto questo, uscì.
Oscar rimase di nuovo sola. Sola col suo tormento.
Si accasciò su di una sedia, prendendosi la testa fra le mani; per alcuni istanti, alzò lo sguardo ai biscotti: Magari avessi voglia di mangiarli! Ma di questi tempi, il mio appetito è andato via con la mia tranquillità!, pensò.
Dunque, nella sua famiglia non c’era stato nessuno di nome Derania; ma nonostante tutto, lei era ormai sicura che quell’incubo e le sue segrete sofferenze fossero legate da un filo rosso. Quale poteva essere?
Concentrò la sua attenzione sui particolari del sogno, anzi dell’incubo: indossava una sorta di tunica, un abito che andava di moda nell’antichità prima di Cristo, quindi non doveva stupirsi più di tanto se negli annali della sua famiglia, che si era originata nel tardo Medioevo, non aveva trovato nulla; lo strano luogo in cui si trovava era una sorta di tempio… Egizio, forse? Poteva essere, ma sembrava assai più grande; e quei segni sulle pareti, poi… potevano essere simboli, sorta di geroglifici. Ma che luogo poteva essere? E di quale civiltà antica?
Si alzò e si avvicinò alla sua libreria personale, prendendo in mano un libro di storia antica; iniziò a scartabellare le pagine, antica Grecia, Roma, Mesopotamia, persino Vichinghi… niente da fare! L’Egitto era quello che gli assomigliava di più, ma le dimensioni non combaciavano: quelle del suo incubo erano molto più colossali.
Ripensò agli strani personaggi che l’avevano torturata: uno sembrava un sommo sacerdote, mentre gli altri due soltanto due carnefici, due esecutori. Sfogliò ancora il libro, cercando adesso immagini di quei curiosi abbigliamenti; ne trovò di molto simili nell’Assiria, a Creta ed ancora in Egitto. Dunque, il suo sogno, anzi il suo incubo, era da situarsi presso una civiltà lontana e forse scomparsa da millenni.
Ma perché proprio lì? E quale poteva essere il nesso col suo perenne tormento?

                                 **********

Qualche sera dopo, André ed Alain erano riuniti nell’ufficio di Oscar; la ritirata era passata da un bel pezzo, e gli altri soldati dormivano beatamente.
Alain sgranocchiava i biscotti di Nanny “Ottimi, davvero! Sei fortunato, amico, ad avere una nonna così brava ai fornelli!”, disse ad André,
“Di questi tempi, bisogna godersi le cose buone il più possibile”, aggiunse questo, piluccando un biscotto,
“Già! I tempi cambiano e le cose precipitano. Il popolo è in rivolta” rispose Alain.
Oscar non aveva detto nulla, era rimasta con gli occhi fissi sulla scrivania, il viso appoggiato sul dorso delle mani.
“Comandante, non dite nulla?” le chiese Alain,
“Cosa? Ah, scusa Alain, non ti avevo sentito. Che dicevi?”,
“Ultimamente, vi vedo sempre distratta, comandante. Siete preoccupata per la rivoluzione alle porte?”,
“La rivoluzione?”, fece lei, gli occhi sgranati per l’incredulità,
“Sì, la rivoluzione. Il popolo ha superato ogni limite di sopportazione verso i privilegi dei nobili. Adesso, anche gli Stati Generali si stanno rivelando un fallimento. Se il re non si deciderà a fare qualcosa di concreto, le cose potrebbero mettersi molto male”,
“E’ già così grave la situazione, Alain?”,
“Anche peggio. Da figlio del popolo, io vivo ogni giorno sulla mia pelle le terribili condizioni a cui la gente è sottoposta; e credetemi comandante, la sofferenza prima o poi si tramuta in rabbia, e la rabbia esplode. I nobili non si rendono conto di questo!”.
Oscar rivolse lo sguardo ad André, che era rimasto in silenzio, dubbiosa. Era dunque questo, il destino che attendeva la Francia? E lei, cosa avrebbe fatto? Da quale parte sarebbe stata? Da quella dei nobili o da quella del popolo?
Mentre guardava André, sentiva dentro al cuore uno strano calore, come di conforto; anche André era figlio del popolo, ed avrebbe sicuramente sostenuto i più deboli; e lui le era troppo caro per perderlo; quindi, in fin dei conti, a ben vedere lei si sarebbe trovata a scegliere tra la sua famiglia, che era nobile, ed André, il suo caro amico di sempre, per il quale da tempo nutriva strani ed incomprensibili sentimenti.

Cosa mi stai facendo, André? Perché quando ti ho vicino mi sento a casa? Mi sento protetta, felice! Dio mio, che succede? Un soldato non dovrebbe avere simili pensieri! Ma oltre ad essere un soldato, io sono una donna… ed è stato proprio lui a farmelo capire! Ed ora che ho accettato ciò che sono, è forse per questo che accanto a lui sto così bene?
Perché plachi il mio tormento, André? Cos’è quel dolore sordo che mi accompagna quando lascio la caserma da sola, per tornare a casa? Ogni mattina, non vedo l’ora di esser qui per averti vicino, anche solo per vederti… forse che… ti amo?!? Oscar ama André?!? Amore… solo una volta l’ho provato… è abbastanza per capire se sta succedendo di nuovo?

“Credo che tu abbia ragione, Alain. Per troppi secoli, la nobiltà ha abusato della pazienza del popolo, ha vissuto sulle spalle di un’intera popolazione; ed anche se io ne faccio parte, non sono tanto stupida da negare la verità. Ma una rivoluzione… mi fa paura, davvero, e non solo perché sono una nobile: ci sarebbe chi cercherebbe di approfittarne. Ma nonostante ciò, ritengo che una rivoluzione sarebbe giusta, necessaria anche: i privilegi ingiusti devono finire, siamo tutti esseri umani!”.
André, che fino a quel momento se ne era rimasto zitto, prese la parola “Credo che con una rivoluzione, tramonterebbe il sole di un’epoca, un’epoca che è durata troppi secoli, e che si è fondata su di un’etica sbagliata, quella della guerra e dei guerrieri invincibili, e che ha fatto soffrire moltissime persone: sarebbe una cosa giusta, moralmente”.
In fondo al cuore, Oscar gli diede ragione.
La donna si alzò dalla sua scrivania, avvicinandosi alla finestra; il cielo scuro di Maggio era trapunto di stelle, lontane e luminose. Le guardò, piena di una malinconia strana.
I suoi pensieri si persero, in un tempo lontano…

“Ce ne andremo di qui, Derania. Non ci potranno fermare. Né Idion, né nessun altro potranno far nulla quando saremo fuggiti da qui. Avranno ben altro a cui pensare, poi: le eruzioni e poi le gelate di quest’anno hanno messo a dura prova i raccolti; il popolo è in rivolta contro la casta dei gran sacerdoti e dei guerrieri, è di quello che dovranno preoccuparsi, non di una coppia di fuggiaschi!”.
Lei alzò gli occhi, e lo accarezzò con una mano “Ti amo, Iram. Ti amerò sempre, anche se le divisioni sociali ce lo vorrebbero impedire!”.
I due si scambiarono un appassionato e lungo bacio; la donna si perse, affondando le mani nei capelli scuri di lui, bello quanto una delle statue del palazzo reale.
“Giurami che non mi costringerai a tradire la mia gente” sussurrò lei,
“Non lo farò mai, te lo giuro! Significherebbe non amarti come ti amo”, l’uomo la guardò intensamente con i suoi occhi verdi.

“Oscar! Oscar, stai bene? Che sta succedendo, Oscar?”,
“Comandante, tornate in voi! Colonnello D’Agout! Il comandante sta male, c’è bisogno di un medico!”.
Riprese conoscenza, in modo confuso; era sorretta dalle braccia di André, mentre Alain le stava sollevando i piedi.
“Mettiamola sul divanetto, presto! Il dottore sta arrivando” il gigante dal cuore d’oro aveva preso in mano la situazione,
“Ma che è successo? Sembrava star bene…”,
“Non ne ho idea, André. A dir il vero, è da un po’ che la tua amata è strana: pallida, stanca, debole. E non sembra migliorare!”.
Le voci le giungevano confuse, attutite. Non capiva quando aveva perso il contatto con la realtà, perdendosi all’improvviso lontano da lì, in un mondo lontano ed irreale, eppure così… vero! Si era ritrovata lì, e basta. E nonostante fosse tanto lontano, era tutto così… suo!
Adesso non poteva più credere alla coincidenza, né ad uno sfogo dei suoi tormenti sul proprio mondo onirico: quella era stata un’allucinazione vera e propria, che l’aveva colta da sveglia. Ed era stata reale, troppo reale, per pensare ad un sogno.
Che cosa aveva a che fare lei con quelle persone vissute in quel mondo tanto lontano? E perché quei due somigliavano così tanto a lei e André?
“Il dottore è arrivato” André lo fece accomodare. Visitò Oscar, poi le prescrisse una settimana di riposo assoluto, a casa.

                                    **********

Due giorni. Due giorni erano già passati da quando aveva dovuto mettersi in licenza, e già non lo sopportava. Si sentiva inutile.
Passare le giornate a passeggiare in giardino, per una persona attiva come lei, era la peggiore delle torture. E per cosa poi? I dottori non avevano davvero idea di quale fosse il suo male. La sua inattività avrebbe potuto anche durare all’infinito, attendendo che qualcuno trovasse un rimedio.
L’unica consolazione in quei giorni era André; aveva fatto avere anche a lui una licenza, per poterlo avere accanto, e lui ne era stato felice, dolce ed affettuoso come sempre. Lo osservò curare le rose bianche del giardino, illuminato da un raggio di sole.
Quant’è bello! Sembra una divinità antica, con quegli occhi smeraldo e le spalle così larghe e forti! Le stesse spalle di Iram…
Si bloccò. Iram? Chi era questo Iram, di cui aveva sentito il nome nella sua visione? Come faceva a conoscerlo?
Quella storia la stava davvero facendo impazzire.

Sentì bussare alla porta “Avanti!” disse.
Entrò Nanny “Oscar, c’è una visita per te”,
“Di chi si tratta?” chiese lei; ma Nanny era già uscita dalla camera.
Si diresse nel salone; entrò e rimase di sale vedendo il conte di Fersen.
“Fersen! Voi qui?”,
“Sì, Oscar. Ho saputo della vostra malattia, e non ho potuto non venire a farvi visita”.
Lo guardò: era sempre bellissimo: capelli castani che incorniciavano un volto dai tratti fini con due grandi occhi azzurri, tutto ciò esaltato dall’uniforme delle Guardie Reali.
Ma non c’è paragone con André, il mio André!, si ritrovò a pensare Oscar.
Ma cosa vado a pensare!, si disse un istante dopo, arrossendo impercettibilmente. Ultimamente, aveva pensieri un pò troppo “liberi” nei confronti del suo amico di sempre; si andava convincendo sempre più che il suo fosse amore.
“E’ gentile da parte vostra, Fersen. Ma non ho molto da dirvi, purtroppo; nemmeno i dottori sono stati in grado di spiegarmi l’origine del mio male”.
L’uomo si avvicinò “Perdonatemi! Perdonatemi, Oscar! Se sono stato io la causa del vostro male, come credo, non potrò mai perdonarmi per questo! Non ho saputo vedere la vostra meravigliosa natura di donna, vi ho ferita, e forse fatto ammalare! Sono stato cieco, per colpa dell’amore che mi lega a Sua Maestà!”, il conte piangeva.
Oscar ebbe compassione di lui.
“Non fate così, Fersen. Voi non avete colpa alcuna, al cuore non si può comandare! Io non vi porto alcun rancore, Fersen: forse è grazie a voi, che ho scoperto cosa realmente c’era nel mio cuore!”.
“Permettetemi, madamigella”, si asciugò le lacrime “di far qualcosa per voi, per dimostrarvi il mio pentimento più sincero: desidero aiutarvi nella vostra guarigione”,
“Vi ringrazio davvero, ma non vedo come potreste”,
“E’ presto detto: è da poco arrivato a corte un ospite dalla Germania: pare sia un valente medico, anche se usa metodi poco ortodossi; si chiama Mesmer(1). I suoi metodi hanno funzionato con molta gente, ed ora anche il re si è incuriosito, e lo ha invitato per ascoltare le sue teorie”.
Oscar era perplessa “Ma… questo dottore… se davvero usa metodi poco ortodossi… ci sarà da fidarsi?”,
“Con molte persone c’è riuscito. Permettetegli di provarci almeno, Oscar!”.
Cosa ho da perdere?
“E come potrei avere un incontro con lui, dato che non metto piede a corte?”,
“Lasciate fare a me: posso chiedere alla regina di farvi avere un incontro privato qui a palazzo Jarjeays”,
“D’accordo, Fersen. Vi ringrazio della vostra generosità”.

                                       **********

Due sere dopo, un uomo dal viso cadente e dagli occhi penetranti stava sistemando uno strano liquido in una tinozza, mentre alcuni suoi assistenti maneggiavano strani aggeggi.
Indossando una lunga camicia, Oscar osservava il dottor Mesmer preparare il suo “bagno magnetico”, che, lui diceva, avrebbe dovuto ristabilire all’interno del suo corpo la giusta quantità di fluido vitale.
“Potete accomodarvi, madamigella” le indicò la tinozza. Oscar si sollevò leggermente l’orlo della camicia, ed entrò nel fluido.
Quel liquido pizzicava sulla pelle; il medico si avvicinò, e le pose una specie di bacchetta metallica sulla fronte, fermandola con dei nastri; collegò poi la bacchetta ad alcuni magneti.
“Scusate dottore, potrei sapere cosa state facendo?” chiese Oscar,
“Certamente, madamigella. Vi sto applicando i magneti che fungeranno da poli per concentrare su di voi il fluido di vita”,
“E… quale effetto sortiranno?”,
“Vi faranno cadere in una sorta di trance, dalla quale emergerà la causa del vostro male”,
Trance?”,
“Sonnambulismo artificiale. Indotto. Quello che vedrete e direte in un tale alterato stato di coscienza farà emergere qual è la causa delle vostre sofferenze. A quel punto, potremo curarle”,
“In che modo, dottore?”.
Il medico finì di sistemare i magneti “Ricomponendo la frattura che si è avuta nel passato nella vostra vita”,
“Eh? Di che parlate, dottore?”. Il medico si sedette.
“Ascoltate, madamigella. Ciascuno di noi ha vissuto molte vite prima di questa, e molte ancora ne vivrà dopo; in ognuna di queste vite ci sono stati traumi, errori, dolori. E spesso, non basta reincarnarsi in un altro corpo per cancellarli, ragion per cui ce li portiamo nella vita successiva. Ma scoprendoli, possiamo porvi rimedio, anche se una vita dopo”.
Oscar era esterrefatta: non riusciva a credere di stare a parlare razionalmente di cose simili, un tempo ci avrebbe fatta una risata considerandole roba da folli; ma nelle sue attuali condizioni (già abbastanza fuori della razionalità) non esisteva più follia.
“E’ pronta?” chiese il dottore ad Oscar,
“Sì”,
“Si dìa inizio all’esperimento!” ordinò Mesmer ai suoi assistenti.









(1)In realtà, Luigi XVI nominò una commissione esaminatrice sulle teorie del mesmerismo nel 1784,  non nel 1789 (epoca di questa storia), e di questa commissione fecero parte alcuni valenti scienziati (tra cui Benjamin Franklin) ed un allievo dello stesso Mesmer, ma senza il maestro.

O.K.!! Con questo capitolo credo di aver soddisfatto la curiosità di molti!! Chiedo scusa in anticipo per le imprecisioni storiche su Mesmer, ma ho dovuto spostarlo di qualche anno, per far andare avanti la storia. Il rating arancione apposto a questa storia è dovuto soprattutto a queste scene dell'esperimento, che ho ritenuto essere alquanto inquietanti per un pubblico molto giovane o molto sensibile; più avanti, poi, vi saranno altre scene un tantino cruente...
E ora, passo ai ringraziamenti:
Ninfea 306: come avevi fatto ad indovinare tutto, mi hai letto nel pensiero? Comunque, bravissima!!
Pry: eh, tra nottambuli ci si intende!! Però no, non ho studiato psicologia, almeno non nel senso canonico del termine "studiare"... sono laureata in Economia, ma ho acquisito in passato una certa dimestichezza con le questioni psicologiche...
Beatrix 1291: credo proprio che tu abbia ragione, dovrei apporre la nota OOC... è una cosa che metto spesso nelle mie storie, forse perché la fantasia finisce per prendermi un pò troppo la mano, anche quando avevo deciso di restare aderente al personaggio; in quanto al sogno, Freud non c'entra, ed in questo capitolo hai avuto modo di capire il perché!
Patrizialasorella: sono lieta che la mia Oscar ti piaccia, in fondo io l'ho sempre vista così... forte e femminile insieme.
Lady in blue: fammi sapere se ho soddisfatto la tua curiosità con questo capitolo.
Bay: grazie sempre della tua attenzione e dei tuoi complimenti!!
StregaGrianne: non so quale fosse la tua idea, se era uguale a quella di Ninfea, allora ci avevi preso anche tu... e grazie ancora dei complimenti!
Baby Elisa: se ti piacciono le storie misteriose, con me hai trovato l'autrice giusta!!
Un grande grazie anche a chi sta leggendo senza commentare: GRAZIE!! UN BACIO!!



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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6 CAPITOLO 6

Luce. Immensa, accecante.
Luce di una latitudine calda, assolata, ricca di frutti e vegetazione.
E mura. Altissime mura che non si lasciano violare dalla fitta vegetazione, dai boschi lussureggianti, fitti come jungle.
Cerchi concentrici, alternati, di terra e d’acqua: torri che coronano le mura; i cerchi sono disposti a digradare, come delle grandi scalinate; sulla cima, sorge il tempio.
Alla base, c’è il porto; all’ingresso del porto, tre colossali statue, tra le gambe delle quali entrano le navi; in cima alle statue, atterrano i velivoli.
Vi è un osservatorio, ed una grande piazza; ovunque, statue grandissime degli déi(1).
Vi sono studiosi, saggi e guerrieri; ma la casta più importante in assoluto è quella dei sacerdoti: ad essa tutte le altre sono subordinate(2).
Cammino per le vie, oggi è giorno di mercato; c’è il sole sembrano tutti felici. Vado al lavoro.
Mi chiamo Derania, e sono l’ultima discendente di un’antica casata di guerrieri ormai caduta in rovina. La mia famiglia non possiede più nulla, ad eccezione della casa dove abitiamo, io, mia madre e mio fratello Mon. Nostro padre è stato giustiziato tanto tempo fa, quando, a capo di un gruppo di famiglie guerriere, osò opporsi allo strapotere dei sacerdoti che volevano continuare all’infinito le guerre.
Per mio padre, la guerra era una follia pura. Che senso aveva distruggere ed uccidere vite, solo per appropriarsi di territori e ricchezze? Gli esseri umani devono vivere felici ed in pace, diceva.
Ma i sacerdoti non la pensavano così. Per loro, la ricchezza era tutto. E la volevano, ad ogni costo. E conoscevano un solo modo per ottenerla: la guerra. Uccidere, devastare i territori altrui, solo per portar via le loro ricchezze. Ed alla guerra, avevano consacrato l’intero apparato della città: un esercito immenso, fortissimo, addestrato rigorosamente; le famiglie con più figli maschi venivano premiate, poiché fornivano guerrieri ulteriori all’esercito; ciò, di converso, penalizzava fortemente le donne: d’altronde, a ben vedere, ogni penalizzazione della donna nasce da questa delirante esaltazione del maschio guerriero e della guerra.
Da questa falsa etica, fatta di devastazione e morte.
Da questa logica del tutto illogica, più adatta alla bestia che all’uomo, dell’uccidere per poter prendere.
Prendere: non conoscevano altra parola all’infuori di questa.
Possedere.
Ed il loro immenso potere glielo permetteva, un potere che nasceva dalla superstizione del popolo, che temeva le loro presunte doti magiche, e dall’avidità dei guerrieri, che da loro ottenevano privilegi.
Ma non tutti i guerrieri erano così. Vi erano anche guerrieri come mio padre, che non tolleravano questo sistema basato solo sull’odio e sull’ingiustizia: non tolleravano il clima di terrore che i sacerdoti avevano creato, condannavano il riprovevole stato di soggezione in cui erano tenute le donne, e fustigavano apertamente il terrore instillato nel popolo al fine di spingerlo a pagare le tasse, tasse che, ovviamente, avrebbero finanziato le guerre.
I sacerdoti non conoscevano la parola Amore.
Mio padre ed altri si unirono in una congiura per rovesciare il potere, e poter dare ad Atlantide un governo giusto ed umano.
Ma una notte, la loro congiura fu scoperta.
Furono tutti arrestati e giustiziati, nell’unico, atroce modo che veniva usato dai sacerdoti: infilati nell’olio bollente.
E le loro famiglie, vennero ridotte alla miseria, e private del titolo nobiliare un tempo posseduto.
Tra queste, la mia.
Ed ora, dobbiamo lavorare per vivere.
Mi sto recando al mercato, come ogni mattina, per vendere i frutti della terra che mia madre e mio fratello coltivano nel campo dietro la nostra casa; là, mi aspettano i miei amici: lavoriamo assieme, come un’unica famiglia. Ci vogliamo bene.
“Buongiorno a tutti!” dico arrivando,
“Ciao, Derania!” mi risponde Varan, uno dei miei amici più cari; anche sua madre partecipò alla congiura, e finì immersa nell’olio bollente; ma nonostante tutto, lui è sempre solare, allegro; tutto il contrario di me, che covo da anni dentro una segreta ed insaziabile sete di giustizia.
Questo popolo sofferente, che si vede portar via tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, per vederlo consumato in assurde guerre senza senso, grida in silenzio; ma il suo grido si fa ogni giorno più forte: verrà un tempo nel quale quel silenzio verrà squarciato.
Varan fischietta, allacciandosi meglio la fascia rossa che porta in vita a cingergli la tunica; è girato, mi dà le spalle larghe; vederlo così, per me, ha sempre significato una sorta di protezione, come se mi dicesse “Ci sono io, non aver paura!”.
Lo guardo, con sguardo carico di affetto: Varan è l’altro mio fratello, quello scelto consapevolmente.
Un uomo si avvicina al mio banco; non l’ho mai visto, prima, da queste parti. Lo guardo bene, e mi accorgo che è davvero bello: alto, spalle larghe quasi quanto quelle di Varan, capelli neri tagliati asimmetrici e profondi occhi verdi; un ciuffo ribelle gli cade su di un occhio, conferendogli un’aria misteriosa ed affascinante; di tanto in tanto, lui lo sposta, rivelando uno sguardo intenso e cristallino, accompagnato da un dolce sorriso.
E’ proprio bello, si deve ammetterlo.
Ma anche lui sembra esser attirato da qualcosa di me, perché mi guarda a lungo.
Poi, Varan si avvicina e rompe il silenzio.
“Iram! Che ci fai da queste parti?”,
“La nostra domestica si è ammalata, così ho pensato che questa era una buona scusa per vedere com’è fatto un mercato!”.
Varan sembra conoscerlo; gli si fa più vicino, e gli dà un’amichevole pacca sulla spalla.
“”E bravo il nostro nobile populista! Sai che se qualcuno ti riconosce, e lo va a dire ai sacerdoti, passi un bel po’ di guai?”.
Qui ad Atlantide, è proibito ai nobili mischiarsi alla gente del popolo: chi trasgredisce, viene punito duramente. Le ragioni sono sempre le stesse.
“Non preoccuparti, nessuno mi riconoscerà. La mia faccia si vede poco, qui in giro, dato che sono sempre oltremare per studi; mi prenderanno per un artigiano perdigiorno che tralascia la sua bottega per andare dagli amici!”,
“Sei sempre il solito! Non cambi mai!”. I due ridono; poi Varan si rivolge a me.
“Derania, ti voglio presentare il miglior amico che ho su questa terra assieme e te ed alla tua famiglia: lui è Iram, nobile, ma pazzamente egualitario!”,
“Esageri sempre!!”, risponde lui rivolto all’amico,
“Felice di conoscerti” dico io, e gli porgo la mia mano. Ed allora succede un fatto strano: nello stesso istante in cui la mia pelle sfiora la sua, sento una scossa attraversare le mie dita, e risalire la mano, su fino al polso, per poi perdersi nel braccio.
E so bene cosa vuol dire.
La nostra vecchia indovina, ora morta, ce ne parlava sempre, a me ed a mio fratello: diceva che “quando si incontra la propria anima gemella, si avverte una fitta simile ad una scossa, e da quel momento in avanti, le vostre anime sono legate per sempre: niente e nessuno potrà mai separarle, né le avversità, né gli uomini, né il tempo e lo spazio, né tantomeno la morte. Le anime gemelle sono condannate a cercarsi anche attraverso i secoli”.
Ed io ho appena trovato la mia. Lui.
Anche lui ha provato lo stesso per me?
Le anime gemelle si riconoscono sempre, quando si incontrano.
Ma un mondo intero ci divide.
Lui, un nobile ed io, una contadina.
Lui, un privilegiato ed io, una reietta.
Potremo mai davvero amarci?
Forse, non in questa vita.

“Madamigella, svegliatevi!!”.
Lentamente ed a fatica, Oscar riaprì gli occhi.
Era ancora nella vasca, immersa in quella specie di fluido dentro al quale galleggiavano quegli strani aggeggi in grado di dare quelle scosse (elettrodi, li chiamava il professore); osservando la sua pelle, la vide piena di piccole escoriazioni nei punti in cui probabilmente quegli aggeggi l’avevano toccata; vi erano anche alcune piccole vesciche.
“Allora, dottore? Com’é andata?”,
“Prima uscite da lì e vestitevi. Ho parecchie cose da dirvi, e questa non mi pare la sede più adatta”.

                                        **********

Oscar era rimasta con gli occhi sgranati, la tazza di cioccolata tenuta a mezz’aria e la bocca spalancata per lo stupore.
“IO AVREI RACCONTATO QUESTO?”.
Il medico annuì.
“Esattamente, madamigella. E dai dettagli che ne avete dati, posso affermare che non si trattasse di vostre fantasie”.
Oscar posò la tazza sul tavolino “Ma… ma è assurdo! Queste cose non esistono! Io non ci credo!”,
“Temo che dovrete ricredervi, madamigella. La vostra esperienza di oggi ha il potere di cambiare le convinzioni che vi hanno animata sin qui”,
“Io… vissuta nell’Atlantide! E caduta in disgrazia, per aver cercato di migliorare le abiette condizioni di un popolo tenuto volontariamente in miseria da una casta corrotta! Questa è roba da romanzo!”,
“I romanzi sono molto più vicini alla vita di quanto crediamo. E due vite tra loro apparentemente molto lontane possono divenire all’improvviso molto vicine”,
“E… ditemi… cosa sarebbe stato a fare… affiorare in me certi… come li avete definiti… ricordi inconsci?”,
“Un violento trauma psichico, madamigella. Ma quale sia, non lo conosco”.
Oscar abbassò lo sguardo, pensierosa. Lei sapeva bene quale fosse quel trauma: e riandò col pensiero alla sera del ballo.
“E ditemi, dottore” riprese “se la vostra teoria fosse vera, cosa dovrei fare adesso per far cessare il mio tormento? Il solo ricordare la mia vita precedente è stato sufficiente?”,
“Se l’aveste ricordata per intero, sì: con molta probabilità, in quell’epoca si è prodotta una lacerazione; solo ricomponendo questa lacerazione possiamo chiudere la ferita che, in questa vita, si è aperta in voi”.
Oscar scosse il capo, con fare scettico.
“Madamigella, ascoltate” lo scienziato si sporse in avanti “le cose non succedono mai a caso, soprattutto nelle connessioni con le esistenze passate: i conti, prima o poi, vanno saldati. Se in quel tempo tanto lontano qualcosa vi è stato tolto, forse questo è il tempo per riprenderselo; non dimenticate che c’è Qualcuno sopra di noi, che manovra ciò che nella nostra vita sfugge al nostro controllo, poiché si tratta di cose che ci trascendono immensamente, e che pertanto noi non siamo in grado di comprendere. Forse, da lassù, è stato deciso che ora è arrivato per voi il tempo di chiudere i conti col passato, e questi vostri tormenti non sono che segnali di ciò”.
Osca non seppe cosa rispondere; apparentemente, il ragionamento del medico filava perfettamente, ma quelli erano argomenti con i quali lei non era abituata a trattare: troppo irrazionali, troppo difficili da credere per una persona ordinata e concreta come lei.
E poi, c’era qualcosa che la inquietava più di tutto…
Iram. Anzi, André.
La somiglianza tra i due era innegabile: durante la sua “visione”, Oscar aveva avuto modo di vederlo bene, ed aveva visto che i due erano assai più che simili, erano praticamente identici.
Possibile che André fosse la reincarnazione di Iram, come lei lo era di Derania? Per quanto incredibile ed irrazionale, doveva essere vero.
Come richiamato dai suoi pensieri, in quell’istante, André entrò nella stanza.
Nel vederlo, il viso di Oscar si illuminò: da un bel po’ di tempo, ormai, vederlo le faceva quell’effetto; Andrè era stato l’artefice della riconciliazione tra il suo essere donna ed il suo essere soldato, era l’uomo la cui sola presenza era sufficiente a portarle il sole nel cuore anche in una giornata di pioggia, era l’uomo di cui credeva… sì, ormai lo doveva ammettere, di cui credeva di essere innamorata.
E di chi altri, se non di lui, la da poco consapevolmente donna Oscar avrebbe potuto esserlo? André era la sua ombra, quando lei era la luce, era la sua sicurezza nei pericoli, era la presenza costante che dava un senso alla sua vita, era l’altra metà di sé stessa con cui confrontarsi, la metà più bella, quella che con un sorriso e la sua dolcezza bastava a presentarle davanti la realtà così come essa era, senza orpelli ed artifici, ed attenuandone i lati peggiori.

“Vi debbo lasciare, ora, madamigella” fece Mesmer alzandosi “ho abusato fin troppo della vostra ospitalità, è necessario che io faccia ritorno a corte. Ma se avrete ancora bisogno di me, sarà sempre un onore venire in vostro aiuto”.
Oscar lo accompagnò alla porta. Poco prima di uscire, l’uomo si voltò ed aggiunse:
“Un’ultima cosa, madamigella. Dato che adesso vi siete riconnessa ai vostri ricordi remoti, è possibile che altri momenti della vostra passata esistenza affiorino spontaneamente: il passato può ritornare a pezzi, ora che la porta è stata aperta”.
Detto questo, lo scienziato uscì.
“Cosa ti ha detto quel dottore straniero?” le chiese André una volta che Mesmer se ne fu andato.
Senza rispondere alla sua domanda, Oscar gli disse “Tu credi nelle esistenze precedenti, André?”.

                                      **********

Stavano sdraiati sulla paglia di una stalla abbandonata, nel buio; solo la notte era testimone del loro amore segreto.
“Questa notte, abbiamo infranto ogni regola”, sussurrò lei, il viso appoggiato sul petto nudo dell’uomo,
“E te ne dispiace?”, rimarcò lui,
“No, affatto” la donna sollevò il viso per guardarlo negli occhi “era giusto, Iram!”.
Lui allungò una mano nei suoi capelli per accarezzarla, scendendo poi sulla guancia “Sai cosa ti aspetta se verremo scoperti?” le chiese,
“La marchiatura a fuoco. Ma io non ho paura. Ti amo, Iram”,
“Anche io ti amo, Derania”.
Si baciarono con passione, riprendendo a toccare l’uno la pelle dell’altro, nudi. Derania avvolse il corpo dell’amante con le proprie gambe, stringendolo per farlo suo.
Fecero l’amore ancora, protetti dal silenzio e dal buio; poi rimasero abbracciati, per assaporare la loro vicinanza che, fra non molto, il sorgere del giorno avrebbe di nuovo spezzato.
“La situazione è diventata insostenibile” pensava Iram ad alta voce “il popolo non ha diritti, è ridotto alla totale servitù ed alla miseria; c’è gente che non ha di che mangiare e vede morire di stenti i propri figli! Non può continuare così!”,
“Ed una popolana, per di più figlia di un congiurato giustiziato, ha una storia d’amore con il figlio di una famiglia guerriera e nobile, contravvenendo alla legge che vieta questo genere di unioni per mantenere pura la stirpe dei guerrieri. Questo mondo sta per rovesciarsi!”,
“Sì, è proprio così. Il malcontento serpeggia ovunque, questa volta, e non solo tra pochi nobili illuminati, come ai tempi di tuo padre; se ci sarà una rivolta, la casta dei sacerdoti non avrà scampo”.
Derania si sollevò sulle braccia “Iram, non mi dire che tu… vuoi seguire la strada di mio padre! E’ così?”,
“Perché, tu non vorresti seguire la strada di tuo padre? Non vorresti che tutti vivessero liberi e felici, anziché dover sacrificare tutto ad un’etica di violenza?”.
Lei non seppe rispondergli; si limitò a guardarlo, intensamente.
“Siamo folli, Iram”,
“Tu saresti con me?”,
“Sempre e comunque”.

 Oscar si svegliò di soprassalto, e si mise a sedere nel letto. Un altro sogno che veniva dal passato, da Atlantide. Un altro pezzo del passato che le rivelava un po’ del suo presente.
Ormai, non c’era più bisogno dei magneti.
Decisamente, il passato sta tornando a pezzi, pensò Oscar.

___________________________________________________
(1)Ho cercato di mantenere la descrizione data di Atlantide da Platone, con i cerchi concentrici e le statue; il resto l’ho messo di mio.
(2)Sull’organizzazione sociale di Atlantide, mi sono inventata tutto; d’altronde, dovevo pur dare a questa organizzazione un volto disumano, per giustificare gli avvenimenti successivi.

Eccomi qua, sono tornata!! Ed in questo capitolo si chiariscono molte cose. Ho messo molto di mio, mantenendo la descrizione che di Atlantide ha dato Platone solo nella struttura della città; quella della casta dei sacerdoti corrotti è un'invenzione mia, necessaria per ricreare il parallelismo tra la situazione di Atlantide e quella della Francia pre-Rivoluzione.
Adesso, le risposte ai commenti:
Khristh: felice che la storia ti piaccia; era da un pò che volevo scrivere qualcosa di sovrannaturale, ed ho deciso di provare con Lady Oscar; a quanto pare, l'esperimento è andato bene... I nomi li ho inventati, ispirandomi un pò a quelli dell'antica Mesopotamia e dell'antico Egitto;
Beatrix 1291: eh, sì, qui i sogni sono messaggi venuti decisamente dall'alto...
Pry: ho pensato di alternare l'azione al pensiero per non spezzare la continuità del racconto, cercando invece di mantenerlo sempre vivo; non so se ci sono riuscita;
Ninfea 306: a quanto pare, mi hai letto nel pensiero... e spero di avere soddisfatto la tua curiosità con questo capitolo (ma è solo l'inizio ;-));
Patrizialasorella: in effetti, il mesmerismo veniva usato per curare gli "squilibri" nel fluido vitale che, secondo Mesmer, erano causa di molte malattie; ma altrove si dice che l'ipnosi possa far regredire la memoria fino ad una vita passata...
Lady in blue: lo avevo detto che era una scena da rating arancione... d'ora in avanti, le cose andranno da sole;
StregaGrianne: che te ne pare di questo seguito della storia?
Bay: ti ringrazio per aver messo la storia tra i preferiti;
Baby Elisa: e adesso entra in gioco André...
Audeyny: credo di aver messo qualche incongruenza temporale di troppo, in questo capitolo...
Bradamante: come ti sembra la mia descrizione di Atlantide?
Un grande ringraziamento anche a tutti coloro che stanno leggendo senza recensire.







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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7 CAPITOLO 7

“… Lo so che ti sembro matta, André, ma ti assicuro che è quello che è successo!”, Oscar appoggiò stancamente la testa sul dorso della mano, il braccio piegato sul gomito che poggiava sulla scrivania del suo ufficio; non riusciva a guardare in viso il suo interlocutore, e teneva lo sguardo rivolto stancamente al ripiano del tavolo.
Il sogno di quella notte l’aveva sconvolta, il vedere sé stessa come una popolana pronta a congiurare contro la classe dirigente di un mondo scomparso, e l’avere ricollegato il tutto alle rivelazioni fattele chissà in che modo sotto ipnosi, era stato troppo persino per lei.
Ma quello che l’aveva sconvolta maggiormente, a dire il vero, era stato vedere quell’altra sé stessa di tanti secoli prima giacere segretamente con un uomo, un uomo che per di più somigliava spaventosamente ad André, colui che da poco aveva scoperto di amare.
Non ne poteva davvero più: aveva deciso di sfogarsi; e, paradossalmente, aveva deciso di farlo proprio con chi le causava lo stravolgimento più grande.
In fondo, lui era sempre stato il suo sostegno, o no? Sempre al suo fianco, sempre presente, sempre protettivo… con nessun altro avrebbe potuto aprirsi! Se poi ne era davvero innamorata, doveva fidarsi di lui e del suo giudizio…
Per tutto il tempo, André aveva ascoltato il suo racconto senza scomporsi, limitandosi a guardarla con la sua solita espressione benevola che la metteva a proprio agio; ora che Oscar taceva, doveva darle una risposta.
“So che è incredibile, non sai cosa dire, forse quel Mesmer mi ha drogata o chissà cosa…”,
“Io ci credo, Oscar!” fu la risposta decisa di lui,
“Cosa?” la donna rialzò la testa, stranita,
“Credo alla verità di quello che mi hai raccontato”,
“Ma… ma… è assurdo! Queste cose non esistono! Come si può pensare che io stia vivendo una faccenda sensata?”,
“Ascolta, Oscar” André si sistemò meglio sulla sedia dove sedeva di fronte a lei “ci sono cose che non ci è dato conoscere, ma non per questo non esistono; semplicemente, sono più grandi di noi, sono più in alto; mi stupisco che proprio tu, che hai sempre avuto una fede incrollabile in Dio, non riesca a capacitartene. Se credi a ciò che è trascendente, perché non ammettere che esistono cose, create da Dio, che Lui ha stabilito di tenerci celate per il nostro bene?”.
Oscar non sapeva cosa dire. Il ragionamento di André era perfettamente plausibile, però…
“E allora perché avrebbe deciso di rivelarle proprio a me, se è bene che restino celate?”, chiese di rimando,
“Questo non lo so. Lo sa solo Dio. Forse è come ti ha detto quell’uomo, i conti di una vita vanno saldati nella successiva, e per te era stato stabilito questo”.
Oscar sospirò “Immagino di sì… e allora, che dovrei fare, adesso?”,
“Magari dovresti continuare con le sedute di ipnosi: forse, ricordando qualcos’altro, la soluzione ti si presenterebbe da sé”.
Oscar ci pensò: il consiglio di André non era così assurdo, anzi sembrava l’unico plausibile.
“Se non hai più bisogno di me, io mi ritirerei nelle camerate. I ragazzi si staranno chiedendo dove sono andato a finire”,
“Sì, hai ragione” disse Oscar mentre si alzava per accompagnarlo alla porta; sull’uscio appena socchiuso, gli disse ancora “Un’altra cosa, André: domani vorrei parlarne anche con Alain: è un tipo a posto e molto saggio, se i soldati mi stimano è merito suo; e poi, quel… Varan del mio sogno gli somiglia molto, potrebbe essere la sua reincarnazione”,
“Come vuoi, Oscar” André le sorrise dolcemente, come sempre; era a pochissimi millimetri dal viso di lei, poteva sentirne chiaramente il respiro; anche Oscar era in imbarazzo; erano entrambi in sospeso tra quello che sentivano di fare e la paura di farlo.
Accadde senza che se ne accorgessero: i loro visi si avvicinarono ancor di più, fino a che le loro labbra si sfiorarono appena.
Appena un tocco, leggerissimo, ma che fu sufficiente a dar loro una scossa forte come quella di un fulmine.
Si separarono immediatamente, e André uscì dallo studio, diretto alle camerate; Oscar richiuse la porta.
Devo essere ammattita!, pensò imbarazzatissima E’ vero che lo amo, ma chi me lo dice che lui mi ami ancora? E’ rimasto sì ad ascoltarmi, ma da amico… meglio non farsi illusioni!
Infatti, sebbene Oscar avesse raccontato tutto ad André, su un particolare aveva sorvolato: la somiglianza tra lui ed Iram.
Se fosse la sua reincarnazione? Se il mio avvicinamento ad André fosse il ricongiungimento di Iram e Derania dopo secoli? Potrebbe esser parte del “saldare i conti col passato”…

André, dal canto suo, aveva fatto tutto il corridoio dandosi dello stupido. Che gli era saltato in mente? L’aveva quasi baciata!
Vero era che lei non si era ribellata, anzi si erano avvicinati spontaneamente l’uno all’altra, ma questo non significava nulla. Lei era sconvolta, fragile a causa di tutta quella storia, e probabilmente aveva solo voluto cercare conforto in quel modo… era meglio non farsi troppe speranze.

                                **********

“Coraggio, madamigella, sedetevi!” ordinò Mesmer.
Oscar obbedì.
La stanza era in penombra, in modo che lei non potesse scorgere André ed Alain che sedevano all’altro capo; era stata lei a volere che anche il suo miglior soldato (come lo definiva) fosse presente a quell’esperimento, per darle fiducia; per la stessa ragione aveva voluto anche la presenza di André, che la faceva sentire protetta e sicura in ogni situazione.
Il medico si sedette di fronte ad Oscar; prese un piccolo pendolo, ed iniziò a lasciarlo ondeggiare davanti agli occhi di lei, ipnotizzandola.
“Meno male che stavolta non usa gli elettrodi! Oscar mi ha detto che erano un po’ dolorosi” sussurrò André rivolto all’amico e commilitone,
“Ma siete sicuri di quello che state facendo?” gli rispose Alain,
“Coma si fa ad essere sicuri di una cosa tanto… diversa? Ma Oscar crede che sia l’unica via per uscirne”,
“Contenti voi…”,
“Silenzio!” intimò la voce bassa, ma ferma, del dottor Mesmer “Madamigella Oscar è sotto ipnosi, e non dovete svegliarla per nessuna ragione!” poi tornò a rivolgersi alla paziente “Adesso, ditemi ciò che succede”.
Lei iniziò a raccontare.

Iram ed io siamo stati scoperti; è scoppiato uno scandalo. Io sono stata marchiata con il fuoco; Iram, invece, in virtù della sua condizione di nobile, è stato solo rimproverato dal gran sacerdote Idion, che gli ha proibito di prendere parte ai giochi di Marte per castigo.
Il popolo è in agitazione: le tasse impostegli per finanziare l’esercito sono diventate troppo alte. Si parla dappertutto di un’imminente rivoluzione contro la casta sacerdotale.
Nonostante le punizioni, io ed Iram continuiamo a vederci: ci amiamo appassionatamente, ed abbiamo deciso di lasciare Atlantide per poter vivere insieme; Iram vorrebbe portarmi in Egitto, dove ha studiato; laggiù, direbbe a tutti che siamo due nobili sfuggiti all’imminente rivolta. Io non so nulla dell’Egitto, so soltanto che è un grande Paese che si trova oltre il mare, e che buona parte delle sue terre sono occupate dai deserti, ma proprio al centro, lungo le sponde di un grande fiume, sorgono città e templi bellissimi, e fertili coltivazioni. Sono tutte cose che mi ha dette Iram.
Lui è colto, laggiù potrebbe divenire uno scriba, ed io sarei la sua sposa. Potremmo vivere felici, lontani da qui.
Ma non siamo così ciechi da non vedere quello che sta succedendo nel nostro Paese: il popolo soffre la fame, ogni giorno i soldati di Idion portano via il raccolto a qualche contadino con figli da sfamare; molti bambini muoiono di stenti ai lati delle strade dei quartieri più poveri; le restrizioni contro le donne stanno inasprendosi, alle mogli e figlie dei guerrieri non è consentito uscire da casa da sole.
Tutti ciò è assurdo. Disumano.
Idion pensa sempre più alla guerra, soltanto alla guerra: è la sua ossessione, a cui sarebbe pronto a sacrificare tutto il popolo.
Molte volte ci riuniamo tutti e tre, io Iram e Varan, per parlare di questa situazione; Varan è il più convinto che la rivoluzione ci sarà, che è solo questione di tempo. E lui vi prenderà parte: lo deve anche alla sorella, Ridinia, che è stata violentata ed uccisa dai soldati di Idion per non aver voluto sottomettersi al divieto di uscire da sola.
Solo ora vedo che il mio solare amico di sempre nascondeva nel suo cuore un grande senso di giustizia, mascherato dietro una corazza di allegra pazienza: in lui, arde lo stesso mio fuoco, che grida equità ed uguaglianza per tutti gli esseri umani di questa sfortunata terra.
Atlantide ricca, Atlantide invidiata… cosa sanno gli altri popoli, lontani, di noi, a parte questo? Non sanno quale sia la verità su Atlantide!
No, non posso fuggire ora… non prima di aver visto questa terra, la mia terra, respirare un’aria di giustizia, non prima che Idion ed i suoi crudeli gregari siano stati sconfitti, non prima che ad Atlantide sia cambiato qualcosa! Ho deciso: rimarrò per combattere a fianco del mio popolo.

“Potete svegliarvi, madamigella”.
Oscar riaprì gli occhi; l’esperimento era finito.
“Che cosa… ho detto stavolta?” si rivolse immediatamente ad André ed Alain,
“Eh! Sapeste, comandante!” Alain rispose nel suo solito modo sornione.
Oscar si riassettò, accompagnando il medico che si apprestava ad andarsene; fuori dalla porta, il generale aveva camminato su e giù per tutto il tempo, nervoso e scosso da quanto stava accadendo.
“Allora, dottore? Ditemi pure!” gli andò incontro.
I due uomini rimasero a parlare per un poco.
Alain si avvicinò ad Oscar “Comandante, c’è qualcosa che vorrei dirvi”,
“Dimmi pure”,
“Il popolo ha iniziato ad assaltare i depositi di armi. Vuole resistere al re, il quale, invece, minaccia di radunare a Parigi diversi reggimenti armati per sedare la rivolta. Vuole puntare le armi contro il suo popolo!!”.
Oscar sgranò gli occhi “Questo significa che… che…”,
“Sì, comandante. Molto presto ci verrà dato l’ordine di unirci ai soldati e combattere contro la folla!”,
“Ma è una pazzia… è assurdo… il re non può fare una cosa del genere…” Oscar lasciò cadere gli occhi nel vuoto.
Mandato via Mesmer, il generale si era avvicinato a loro.
“Figlia mia, è vero quanto ho sentito?”,
“Sì, padre”,
“Hai combattuto per la giustizia in un’altra vita!”.
I tre rimasero sbigottiti; non si sarebbero mai aspettate quelle parole dal generale, lui, così attaccato alle tradizioni ed alla Corona, stava parlando di giustizia riferendosi ad una rivolta popolare?!?
“Padre, ma…”,
“La mia reazione ti stupisce, lo so. Ma vedi, Oscar, negli ultimi tempi sono molto cambiato. La paura di stare per perderti mi ha fatto capire cosa conta veramente in questa nostra breve vita terrena: ho capito che nessuno merita di essere schiacciato da un altro, perché la sofferenza non risparmia nessuno; l’ho capito quando io stesso l’ho provata sulla mia carne a causa della tua malattia. Ho compreso che un ideale è tale, e va onorato fino alla morte, solo quando esso porta all’uguaglianza ed alla giustizia di tutte le persone, perché siamo tutti esposti davanti alla sofferenza. Ho pensato che, se io ho temuto di perdere mia figlia, ci sono, tra il popolo, tanti altri padri che ogni giorno perdono i loro figli per fame e per stenti, e non soffrono meno o più di me perché io sono un nobile. Davanti al dolore, si è tutti uguali! Dunque, perché non lo si dovrebbe essere anche in ogni altro aspetto della vita?”.
Oscar aveva le lacrime agli occhi “Padre… voi non… non sapete il dono che mi state facendo con queste parole!”.
Lo abbracciò, ed il vecchio generale ricambiò l’abbraccio “Segui il tuo cuore, poiché il tuo cuore è giusto, Oscar. Lo è adesso, così come lo era ad Atlantide. Io ti benedirò, qualunque sarà la tua scelta! Per troppo tempo ho sbagliato nella mia vita, con te, con tua madre, con coloro che soffrono; ma se sono ancora in tempo, voglio rimediare!”.
Oscar si staccò dall’abbraccio, asciugandosi le lacrime; il generale, strinse la mano ad André e ad Alain, dicendo loro “Siete due gran bravi ragazzi. So che veglierete sulla mia Oscar, qualunque sarà la sua decisione”.

                                     **********

Rientrati che furono in caserma, Alain si diresse alle camerate, mentre Oscar e André si chiusero nell’ufficio di lei.
Devo dirglielo! Deve saperlo!! Non so cosa accadrà domani, potremmo anche esser morti, e non avrei pace se il mio André non avesse saputo quello che sento per lui, anche se forse per lui non è più così verso me.
Devo dirgli che l’amo.

“André, io… devo dirti qualcosa”,
“Certo Oscar, dimmi pure”,
“Molto probabilmente, da un momento all’altro ci verrà dato l’ordine di combattere contro il popolo, il nostro popolo. E’ atroce. Ma io non lo farò: se ci verrà dato quest’ordine, io diserterò e mi unirò al popolo in rivolta. Non posso chiederti di unirti a me, il tuo unico occhio potrebbe non sopportare la fatica di un combattimento dall’esito incerto”.
André la ascoltava in silenzio.
“Sei libero di scegliere, André. Ma prima, voglio che tu sappia una cosa”.

“Restiamo, Iram! Restiamo e combattiamo fino alla fine! E’ per la giustizia, per Atlantide! Poi, ti seguirò ovunque vorrai. Dirò addio a mia madre ed a Mon, sicura di averli lasciati in un Paese migliore”,
“Sai quanto ti amo, Derania. Non potrei mai rischiare di perderti; resterò con te: se cadremo, cadremo insieme!”.

“André, io… una volta ho amato un altro, ma mi sono resa conto di aver fatto un errore, un grave errore. Non riuscivo a vedere che l’amore perfetto era qui, accanto a me. Eri tu”.
Il viso dell’uomo si illuminò.
“Qualcuno sopra di noi ha voluto che io venissi a conoscenza della verità in questo modo così strano, e sarò per sempre grata a Derania per avermi aperto gli occhi: io ti amo, André”.
Lo abbracciò, e lui ricambiò l’abbraccio.
“André, perdonami… io ti ho fatto tanto soffrire… forse tu non mi ami più, ti posso capire…”,
“No, Oscar. Io ti amo ancora. Ti amo da sempre, da millenni: dal tempo in cui un crudele e meschino individuo di nome Idion tentò di dividerci, inutilmente”.
Oscar alzò la testa, gli occhi spalancati per lo stupore “André, tu allora… sapevi tutto?”,
“Sì, Oscar. Fersen è stato così leale da convincere la regina a farmi avere un incontro con il dottor Mesmer, a Versailles. Sono stato ipnotizzato anch’io, ed ora so tutto. So di essere il tuo Iram, so che noi due siamo uniti da sempre”,
“Oh, André, André…”. Si abbracciarono con passione, André affondava le mani tra i capelli di Oscar baciandola, lei gli inumidiva le guance con le sue lacrime.
“Ti resterò vicino. Sempre. Te l’ho già promesso una volta”.
Ripresero a baciarsi. Poi, Oscar lo trascinò fino al divanetto, ed iniziò a spogliarsi.
“Voglio che ci uniamo, André. Voglio fare l’amore con te. Questa potrebbe essere la nostra ultima notte, e non voglio sprecarla”.
Anche André iniziò a spogliarsi; ma riuscì a togliersi appena la giubba e la camicia, che non poté fermarsi dall’abbracciarla: la sua Oscar nuda era bellissima.
La distese sul letto, accarezzando la sua pelle vellutata e continuando a baciarla dappertutto, mentre lei gemeva; infine, si unirono.
E fu la notte più lunga della loro vita.

“Amami, Iram! Domani combatteremo assieme al popolo, forse moriremo! Ma ora, desidero che mi ami!”,
“Se anche moriremo, nulla ci impedirà di ritrovarci: ci volessero anche millenni, io ti ritroverò, perché noi siamo uniti!”.

Si risvegliarono l’uno nelle braccia dell’altra; fuori sorgeva l’alba.
L’alba del 13 Luglio.

Rivestitisi, raggiunsero le camerate. Dovevano annunciare ai soldati la loro decisione di combattere a fianco del popolo.

Che ve ne pare di questo capitolo? Mi è uscito tutto in una volta, questo pomeriggio... aspetto di leggere i vostri pareri!!
Ninfea Blu: innanzitutto, complimenti per il tuo nuovo nick, è assai romantico; poi, non so davvero come ringraziarti dei tuoi complimenti, grazie, grazie, mi spronano ad andare avanti. A dire la verità, io non so molto sull'organizzazione sociale di Atlantide, ma ho inventato qualcosa che potesse essere consono al parallellismo con la situazione Francese del tempo dei nostri eroi; i gran sacerdoti di Atlantide assomigliano, per falsità e superbia, ai farisei descritti nel Vangelo; per la loro ferocia, invece, mi sono ispirata a quello che accadeva in tutte le società antiche, dove la sola attività conosciuta era la guerra (intesa come "uccidere per prendere"), ed i sacerdoti ne erano i capi;
Lady in blue: immaginavo che la storia di Derania ed Iram ti sarebbe piaciuta; mi è venuto molto difficile costruirla in somiglianza con quella di Oscar ed André, ma se piace, vuol dire che me la sono cavata... P.S.: riguardo alla scena dell'ipnosi, hai perfettamente ragione, io sarei stata paralizzata dalla paura!!
Pry: il racconto parallelo delle due vite di Oscar, quella passata e quella presente, è stata una delle cose più complicate di questa storia, e si infittisce nel corso di questi ultimi capitoli; vedrete... se vorrete seguirmi ;-)
Khristh: che dicevi dei padri? :-) Diciamo che ho cercato di riscattare il generalone in questa mia follia mentale... quanto alla società di Atlantide, come ho detto ho un pò inventato, ma non discostandomi poi di molto dal vero (ammesso che Atlantide sia esistita veramente...), dato che in tutte le società antiche prima di Cristo vigevano queste disumane regole, basate sul "ti ammazzo e mi prendo le tue risorse", che è stata anche l'origine di molti pregiudizi tuttora esistenti; per questa ragione, le civiltà antiche non mi sono mai piaciute troppo, nel senso che non avrei mai voluto viverci;
Beatrix 1291: spero di aver soddisfatto la tua curiosità sulla storia di Iram e Derania;
Patrizialasorella: era questo che avevi immaginato? Non è ancora finita, comunque...
Arte: non so che dire, sono davvero lusingata per i tuoi bellissimi complimenti, non so se li merito... sono commossa, a dire il vero, dai complimenti di tutti voi! A me piace "stravolgere" un pò le storie (però apprezzo anche le storie più canoniche), per variare le cose in modo sempre nuovo: li chiamo "esperimenti", non so mai come mi riescano; da quando sono arrivata nel sito, ne ho fatti parecchi, e tutti sono andati piuttosto bene, a parte qualche incertezza qua e là; quindi, continuerò!!
StregaGrianne: ho voluto anche io sottolineare l'eternità di questa coppia in questo capitolo; spero di esserci riuscita.
Un altro grande GRAZIE anche a chi legge senza recensire: un bacio!! Tetide.



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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8 CAPITOLO 8

Oscar aveva parlato senza alzare lo sguardo dal ripiano del rozzo tavolo in legno che troneggiava al centro della camerata; sulla sua spalla, ferma e rassicurante, stava la mano di André, da adesso in poi il suo compagno, in piedi dietro di lei che, come faceva da una vita, l’approvava e la sosteneva.
Quando finalmente si decise a sollevare lo sguardo, quello che vide non la stupì affatto: visi sorridenti, luminosi, pieni di speranza ed ammirazione erano dipinti sulle facce dei suoi uomini.
Nel muto stupore, l’entusiasmo era tale da non riuscire a venire fuori per mezzo di semplici parole, e nessuno riusciva a rompere il silenzio.
Come al solito, a farlo pensò Alain.
“Me l’aspettavo da voi, comandante!” disse, balzando in piedi “Una persona così leale non poteva continuare a fare il cane dei nobili!”; ma subito dopo corresse il suo sproposito, ricordandosi che Oscar era nobile di nascita “Oh, scusate!!”.
Lei sorrise “Non preoccuparti, ti comprendo benissimo. Ed hai ragione: i privilegi nobiliari vanno abbattuti una volta per tutte! Per questo, io ed André andremo ad unirci al popolo in rivolta, come certamente farete anche voi”,
“Naturale! Solo… chi dice che dobbiamo farlo separatamente?”,
“Che vuoi dire, Alain?”,
“Voi siete stata fino a mezz’ora fa il nostro comandante, e pure un ottimo comandante; perché volete smettere di esserlo?”,
“Giusto!” gridò qualcuno dal fondo della camerata “Continuate a guidarci, guidateci voi contro i nobili dalla parte del popolo!”,
“E’ vero!” si unì un altro “Siete coraggiosa, e sapete tenere bene il comando. Da soli, saremmo sbandati, ma con voi alla nostra testa saremo una forza invincibile!”,
“Viva il comandante!!” si unirono altri.
“Ma…” Oscar restò perplessa,
“Non puoi deluderli” intervenne il saggio come sempre André “dicono il vero, da soli sarebbero sbandati; invece, con te saremmo un piccolo esercito, e potremmo anche organizzare il popolo: non dimenticare che si combatte contro guarnigioni ben armate e addestrate”.
Oscar capì che, ancora una volta, la pacata saggezza del suo uomo aveva visto lontano.
“Va bene” disse.
Un urlo di gioia si diffuse per tutta la camerata.
“Adesso siamo pronti” la voce di Alain ristabilì un po’ d’ordine “però, prima, vi siete dimenticati una cosa, zoticoni: dobbiamo far gli auguri a questa bellissima coppia, la più bella che la Francia abbia mai vista!”, disse strizzando loro l’occhio.
In pochi istanti, tutti i soldati si diedero ad abbracciare ora Oscar, ora André, rinforzando gli auguri con vigorose pacche sulle spalle.
Erano felici.

Erano felici.
Avevano scelto la loro strada.
Quel giorno avrebbero combattuto per la libertà e la giustizia. Quel giorno si sarebbero battuti a fianco del popolo oppresso in rivolta.
Mentre camminavano in mezzo ad una moltitudine di contadini, artigiani e poveri armati in modo improvvisato di spade ed entusiasmo, Iram e Derania erano convinti della loro scelta.
Era inutile abbandonare Atlantide, se laggiù i loro parenti, familiari ed amici avrebbero continuato a soffrire, schiavi degli oppressori: bisognava abbattere la tirannia, perché questo veniva prima di tutto.
Anche prima della propria felicità personale.
Cosa avrebbero raccontato, un giorno, ai loro nipoti, dicendo che erano fuggiti abbandonando i loro cari ad un destino crudele?
Non era possibile. Dovevano rimanere. E combattere.

Lo squadrone uscì dalla caserma al galoppo, diretto verso Parigi; alla testa c’era una Oscar fiera e piena di coraggio, ma con in più gli occhi colmi di una luce nuova, quella luce che solo due occhi profondamente innamorati sanno avere.
Dalla prima fila, a fianco di Alain, André la guardava pieno d’amore ed orgoglio: la sua Oscar.
Sua, come l’aveva sempre amata, per quel suo fuoco così forte ed inconsapevolmente femminile… quel damerino Svedese non era stato in grado di comprendere quanta bellezza e femminilità ci fosse in quel fuoco!
Nessuno ne sarebbe stato in grado: solo lui vi era riuscito. Ed era per questa ragione che solo lui poteva essere l’amore di Oscar. Il suo uomo.
Giunsero a Parigi quando era sorta da poco un’altra mattina di resistenza: dappertutto, gente in armi, uomini con zappe e picche, donne che imbracciavano forconi, perfino bambini armati di bastoni rudimentali. Ovunque, barricate improvvisate, fatte con mobili presi dalle case, ruote di carri, attrezzi da fabbro, da contadino: tutto quanto potesse servire al combattimento ed alla difesa, veniva portato in strada.
Qualcuno stava anche distribuendo casse di fucili e munizioni, procurate il giorno precedente dall’assalto del Palazzo degli Invalidi.
Il reggimento di Oscar venne immediatamente fermato da una folla minacciosa e armata, che li credeva al servizio del re; ma Oscar, coraggiosamente, non si lasciò intimorire e, fermato il cavallo, scese in mezzo a loro per parlare.
“Ascoltatemi, popolo! Ascoltatemi tutti!”. La folla le si fece intorno, vicinissima.
“Io ed i miei soldati abbiamo deciso di unirci a voi nella lotta alla tirannia. Abbiamo deciso di lasciare tutto, per seguire la giusta causa!”.
Tra la folla serpeggiava il sospetto.
“E perché dovremmo credere ad un nobile?” gridò qualcuno dal fondo; Oscar abbassò gli occhi.
“E’ vero, io sono nobile…”.
Diverse canne di fucili le vennero puntate contro.
Rialzò gli occhi.
“… Ma i miei uomini non lo sono! Essi sono figli del popolo, come voi!! Ed è a loro che dovete credere: a loro che stanno rischiando la corte marziale per combattere accanto ai loro amici e parenti questa lotta giusta!”.
“Io ti credo, Oscar”, una voce giunse dal fondo della piazza; Oscar rimase senza parole. Era Bernard, insieme a Rosalie.
I due si fecero largo tra la folla, fino a raggiungere Oscar ed a stringerle la mano con calore; Rosalie l’abbracciò anche.
“Bernard Chatelet, amico di Robespierre e Saint-Just… se gli crede lui, ci possiamo fidare…”, voci ed umori confusi serpeggiavano tra la folla, per sciogliersi presto in una dimostrazione di aperta fiducia.
Gli insorti si avvicinarono ai soldati, stringendo loro le mani e dimostrando affetto e cameratismo; il cuore di Oscar si riempì di felicità autentica.

Il gruppo degli insorti si era ingrandito lungo il cammino, fino a divenire una vera e propria folla davanti al palazzo dei sacerdoti; iniziarono a tentare di sfondarne l’ingresso con un ariete di legno, mentre venivano scagliate frecce, a cui gli assediati rispondevano con bombe di pece infuocata.
Derania e Iram non si tiravano indietro: lei scagliava frecce e sassi, mentre lui e Varan partecipavano allo sfondamento della porta. La furia del popolo, dopo secoli di oppressione, stava scoppiando.
“Avanti, avanti! Sta per cedere!”, incitava Varan.
I soldati del tempio si stavano scontrando con le ultime file della folla; dappertutto, era un turbinìo di polvere insanguinata, grida, un cozzare di armi; i caduti erano parecchi da ambo le parti.

La colonna di soldati al galoppo procedeva come un rullo compressore, travolgendo qualunque cosa si trovasse sulla sua strada; alla guida, c’era Oscar.
Avevano già sbaragliato due reggimenti di soldati, attaccandone uno posteriormente e l’altro dal fianco, di sorpresa; sebbene i nemici fossero in numero superiore, non avevano potuto opporre resistenza a quegli attacchi fulminei.
Si trovavano adesso in una piazza, dove si stava svolgendo un altro furioso combattimento; Oscar menava poderosi fendenti con la sua spada, mentre Alain e gli altri sparavano in mezzo al mucchio, facendo cadere gruppi di uomini come mazzetti di erba secca.
André stava battendosi contro un soldato molto violento, che aveva picchiato un vecchio inerme sotto gli occhi della figlia e del nipote: in poche parate, ebbe la meglio su di lui.
Si girò allora verso il vecchio e la figlia, aiutando l’uomo a rialzarsi; “Tutto bene?” chiese.
La ragazza, in lacrime, lo abbracciò. “Grazie infinite, signore!” gli disse singhiozzando.
“André! Vieni, dobbiamo andarcene da qui!” lo chiamò uno dei compagni.
Salutatili con un sorriso, André seguì il commilitone.
Si riunirono agli altri, che avevano fatto cerchio intorno ad Oscar.
“Dunque, la situazione è questa: abbiamo avuto la meglio, ma si trattava di un piccolo reggimento; quelli più grandi, ormai, sanno tutto di noi e ci staranno aspettando appostati in qualche passaggio obbligato; inoltre, anche noi abbiamo avuto delle perdite. Dunque, la cosa più saggia da fare, a questo punto, mi sembra quella di unirci alla gente di Bernard e Rosalie, radunata in Place Vendome”.
Si udì un mormorìo diffuso. Alain prese la parola.
“Comandante, è pericoloso! Dovremmo attraversare mezza città, e siamo solo una ventina, stanchi e con poche munizioni”.
Oscar annuì “Hai perfettamente ragione, ma se restassimo qua la situazione non cambierebbe di molto: gli altri reggimenti ci staranno cercando, e se non andiamo via noi, verranno loro qui, e trovando qui queste persone, faranno una carneficina, con la scusa di volersi vendicare del nostro tradimento; quindi, la cosa più saggia che possiamo fare, anche se pericolosa, è raggiungere Bernard e gli altri”.
Tutti furono d’accordo.

Il portone cedette.
La folla sfondò le ultime difese, e si precipitò all’interno del cortile, attraversando come un fiume in piena il cortile ed il giardino dell’intoccabile casta, dove nessun cittadino del popolo aveva mai messo piede.
Dall’alto delle loro finestre, i sommi sacerdoti osservavano la scena con terrore: mai avevano visto il popolo ribellarsi a quel modo! Cercarono di barricarsi dentro la sala del consiglio, mentre già si udivano gli scalpiti e le grida su per le scale.
Un fendente di mannaia si abbatté pesantemente sull’uscio; i sacerdoti fremettero; un attimo dopo, una marea umana sciamò dentro la sala, come un fiume in piena che avesse rotti gli argini.
“Morte ai tiranni!” fu il grido comune, l’ultima cosa che due degli assediati riuscirono a sentire prima di cadere al suolo come fili d’erba tagliati da un netto colpo di falce.
“Fermi!! State profanando un tempio sacro ed i suoi ministri! Gli dèi vi puniranno!!”, gridò uno dei sopravvissuti,
“A chi credi di darla a bere, vecchio?” Varan lo fronteggiò “Noi non siamo delle animelle intimidite! Sappiamo bene a cosa mirano le vostre assurde dicerie!”.
Un coro di approvazione si levò dalla folla, che lo circondava.
“Bada, uomo” quello lo fissò negli occhi, senza mostrare paura “questa tua avventatezza potrebbe costarti molto cara!”,
“Davvero? E cosa vorreste farmi? Cuocermi nell’olio bollente, come avete fatto con mia madre? Non chiedo di meglio che fare la sua stessa fine, la fine di un’eroina martire per la libertà!” gridò lui in risposta.
Il vecchio tremò impercettibilmente: quella gente non era disposta a fermarsi davanti a nulla! Sotto il mantello scarlatto, iniziò a cercare il contatto della propria mano con un affilato pugnale.
“Dunque, non hai niente da dire prima di morire, vecchio?”, continuò Varan,
“Non a te, villano usurpatore!” sibilò quello, con gli occhi scintillanti,
“Peccato, io sì! Ho un debito nei confronti di mia sorella e di mia madre, ed ora vengo a saldarlo” lo afferrò per il bavero del  mantello.
In quel mentre, a sorpresa, il sacerdote gridò “Guardie, a me!”.
Una porta nascosta sul fondo della sala si spalancò, ed un mucchio di uomini armati a volto coperto ne uscì.
“Bastardo traditore!!” gridò Varan; in quel mentre, approfittando della confusione e della momentanea distrazione creatasi, il vecchio uscì la mano armata da sotto il mantello, tentando di colpire Varan; ma questo se ne avvide e gli bloccò il polso per tempo.
“Vigliacco!” sibilò a denti stretti per la fatica Varan; il suo braccio e quello del suo avversario avevano ingaggiato un braccio di ferro serrato.
Nel frattempo, gli improvvisati eroi stavano lottando con tutte le loro forze contro le guardie armate; Iram si era trovato contro tre avversari.
Varan si accorse che le forze del vecchio stavano cedendo, e con uno strattone riuscì a prendere il controllo della situazione, rivolgendo la mano armata del sacerdote contro lui stesso; poi disse: “Per te, mamma! Per te, Ridinia!”, e lo trafisse.
“Derania…” un grido strozzato attirò l’attenzione della guerriera che aveva appena sbaragliato un uomo più grosso e vecchio di lei. Si girò e vide il suo Iram a terra, in una pozza di sangue, mentre con una mano si premeva il petto all’altezza del cuore.
“Iram, cosa ti hanno fatto? Iram, noo!”.
Si gettò sull’amato, che zampillava sangue ed andava perdendo conoscenza.
“Iram… Iram non mi lasciare… non mi lasciare amore… dobbiamo andarcene via, ricordi… ti prego… ti prego amore…”.
La voce della donna si andava facendo via via più fievole ad ogni parola che le usciva di bocca; lo scontro era terminato con la vittoria degli insorti, ed ora tutti i compagni si accalcavano intorno alla coppia.
“Derania… è meglio se vieni via” Varan le parlava con un filo di voce,
“Non posso farlo, Iram sta male, non vedi?” rispose l’altra con una strana vocina “Iram sta male, Iram ha bisogno di me…”.
Due ragazze presero Derania, che aveva perduto ogni volontà, e la trascinarono pietosamente via, senza che lei opponesse resistenza alcuna, mentre Varan si occupava del corpo ormai senza vita di Iram.

Stavano appostati sotto ad un ponte, i venticinque sopravvissuti, pronti a riprendere la strada per raggiungere i compagni al comando di Bernard; Oscar per prima si sporse, guardando fuori: c’era un solo soldato di guardia, in quel momento distratto; in silenzio, gli andò dietro, e quando fu abbastanza vicina, estrasse la pistola e fece fuoco; contemporaneamente, però, anche l’uomo si era voltato ed aveva sparato. Si udirono due spari, ravvicinati. Un attimo dopo, il soldato cadeva a terra, morto. Oscar si voltò “Tutti bene?” chiese.
“Sì, comandante” le rispose Alain. André tremava: la pallottola era passata a pochi millimetri dalla sua spalla, evitandolo per un soffio.
“Va bene, andiamo allora!” ordinò Oscar.
Uscirono nel tramonto; la strada appariva deserta. Si avviarono verso Place Vendome.
Avevano perso i cavalli, ed a piedi erano consapevoli di essere molto più vulnerabili; ciononostante avanzavano, cauti.
Non appena ebbero raggiunto la sponda del fiume, si udirono alcuni spari; Oscar e i suoi si appiattirono contro un muro, rispondendo al fuoco; ma poco dopo, vi fu di nuovo silenzio, probabilmente doveva essersi trattato di un gruppo isolato.
Proseguirono per la strada, ma ad un certo punto si trovarono davanti un intero squadrone.
“Ci hanno presi come topi in trappola!” sibilò Alain, accanto ad Oscar ed André,
“Venderemo cara la pelle!” gridò Oscar iniziando a rispondere al fuoco.
Gerard Lasalle cadde per primo, seguito da altri soldati.
“Comandante, sono troppi! Non ce la faremo mai!!”.
Oscar sapeva bene che era vero, ma continuava disperatamente a combattere.
All’improvviso, si udirono altri spari, e nelle file nemiche i caduti aumentarono.
“Che succede?” Oscar si voltò.
In lontananza, si vedeva una moltitudine avanzare verso di loro, immensa, armata; lo squadrone nemico iniziò a retrocedere.
“Sono Bernard e gli altri! Siamo salvi!”.
“Plotone, ritirata!” gridò il comandante nemico; in poco tempo, i soldati si dileguarono, obbedendo al suo ordine.
La folla, invece, avanzava verso il manipolo di sopravvissuti di Oscar.
“Era ora!!” Alain non perdeva mai il suo spirito scherzoso.
“Ragazzi! Siamo qui!!” Bernard corse ad abbracciare Oscar, mentre Rosalie saltò al collo di André,
“Che gioia vedervi!” Oscar era sollevata,
“Anche per noi. Siamo arrivati appena in tempo, eh?”,
“Dobbiamo seppellire i caduti” André abbassò pietosamente lo sguardo a terra,
“Certamente. Ma non è bene rimanere a parlare in un luogo tanto scoperto: venite alla nostra base. A proposito” fece un cenno con il braccio verso due figure “vi voglio presentare i due maggiori capi di questa rivoluzione: loro sono Maxime Robespierre e Louis Saint-Just”,
“Molto piacere” fece Oscar stringendo la mano ai due,
“La famosa donna-comandante? Ce ne vorrebbero di più, di donne come te!” esclamò Robespierre ricambiando la stretta,
“E’ la mia futura moglie, sapete!” faceva André rivolto a Saint-Just con aria orgogliosa,
“Sei fortunato, allora! Però, cerca di rigare diritto, a casa, non si sa mai!” scherzò quello, in risposta.


“Iram, Iram!” Derania delirava fra le lacrime; nulla poteva la vicinanza dei suoi compagni di lotta, ora che aveva perduto il suo amore.
“Sorella mia…” Varan lacrimava, confondendo l’immagine di lei con quella della propria sorella “Dobbiamo essere forti. Non possiamo cedere ora: Iram non lo avrebbe voluto. Dobbiamo andare avanti, e raggiungere il palazzo di Idion”,
“Idion! E’ colpa sua se Iram è morto! Lo ucciderò con le mie mani! Giuro che la pagherà!” Derania recuperò la sua coscienza, ora piena di rabbia.

Era ormai notte. La grande sala era illuminata da fioche candele, per rendersi meno individuabili.
Tutti i suoi occupanti avevano deciso il da farsi.
“Domani attaccheremo la Bastiglia, il simbolo del potere della nobiltà” ordinava Robespierre.
Tutti si trovavano d’accordo, il suo carisma era indiscutibile.
“Noi comanderemo i cannoni” fece eco Oscar indicando i suoi uomini,
“Molto bene. Allora, se siamo tutti d’accordo, non ci resta che attendere che sia giorno. Bernard si è premurato di radunare una gran folla che ci aiuti nell’impresa”.


Il sole era già alto quando una gran folla armata iniziò a radunarsi ai piedi della Bastiglia, la poderosa fortezza che da secoli rappresentava il potere ingiusto della nobiltà sul popolo; intorno alle undici, ecco arrivare anche i soldati di Oscar con i cannoni.
Bernard de Launay, il governatore della Bastiglia, non si capacitava: “Ma dove hanno trovato quei cannoni? E i fucili? Ieri erano armati solo di picche e spade!”,
“Ho sentito dire che hanno assaltato il Palazzo degli Invalidi” gli rispose qualcuno,
“Dobbiamo far qualcosa…” diceva il governatore pensieroso, guardando la folla radunata sul piazzale.
Alain e gli altri stavano già caricando i cannoni; tra la folla serpeggiava la rabbia di secoli di oppressione.

“Morte al tiranno!” gridava una folla inferocita radunata sotto il palazzo del gran sacerdote Idion.
“Bifolchi!! Vi farò vedere che succede a destabilizzare un ordine costituito!” ringhiava lui, da dietro le finestre.
“Signore, attendiamo ordini” disse il comandante della sua guardia personale, in piedi dietro di lui,
“Sterminateli, allora! Che state aspettando?”,
“Agli ordini, mio signore!” rispose quello, inchinandosi; poi, lasciò la sala.
“E portatemi il loro capo! Vivo!” aggiunse,
“Signorsì!”.
Derania era alla testa della folla; davanti a lei, solo l’ultimo, dolce sorriso del suo Iram.
“La pagherai, bastardo! E per te sarà ancora più terribile, perché a colpirti sarà proprio una donna!”.
Alzò la testa “Forza! Sfondiamo quel portone!” disse, facendo un ampio cenno col braccio agli uomini che portavano l’ariete.
Il poderoso attrezzo d’assedio si abbattè contro il portone di  legno, una, due, tre,… infinite volte; l’ingresso si spalancò.
“Strano che non ci fossero soldati ad attenderci…” pensò ad alta voce Varan.
Per la seconda volta, la folla sciamò all’interno del palazzo; a guidarla, Derania.
Ma una volta raggiunto il cortile d’onore, ecco pararsi dinnanzi a loro una guarnigione enorme, armata fino ai denti.
“Soldati, all’attacco!” fece quello che sembrava il comandante.
La folla si intimidì per un attimo, per la sorpresa inaspettata; poi, riprese coraggio e avanzò verso il nemico.
I due schieramenti si scontrarono, si fusero, in un enorme, orribile e sanguinoso scontro; a chi avesse visto la scena dall’alto, sarebbe sembrato un gigantesco ballo di piazza, con una folla multicolore che si avvolgeva su sé stessa.
I ribelli si battevano con grande coraggio, ma erano male in armi e stanchi per i precedenti scontri già sostenuti; i militi, al contrario, erano bene armati e riposati.
Derania menava fendenti di spada spaventosi, decapitando i nemici che le si presentavano davanti; la sua furia era incontrollabile: voleva eliminare ogni ostacolo per poter raggiungere Idion, l’assassino del suo amore e causa di tutti i mali di Atlantide.
“Via, bastardo!!” gridò, spaccando la spalla ad uno dei soldati e dirigendosi verso le scale che portavano all’interno del palazzo.
Nei corridoi trovò altri soldati; riuscì a sfuggire ad alcuni e ne uccise altri, proseguendo il suo tragitto, inesorabile, fino a raggiungere la stanza dove si trovava Idion.
Spalancò la porta.
“E’ me che volevi, bastardo?” gridò.
Il vecchio la guardò torvo, ruggendo sommessamente; capì di trovarsi di fronte il capo della rivolta.
“Così sei stata tu! Dovevo aspettarmelo!”,
“Che cosa? Che la tua vittima si vendicasse? O che una donna venisse a punirti per i tuoi misfatti, avido bastardo?”,
“Sporca popolana!” Idion sguainò la spada,
“Pagherai per la morte di Iram!” gridò lei, mettendosi in guardia.
L’uomo l’attaccò.
“Vi siete ribellati agli déi, ed ora la pagherete!”,
“Quali déi? Quelli che ci propinate per poter continuare ad arricchirvi? Non ci ho mai creduto! Io credo che esiste un solo Dio, e che sia giusto e buono, che non tolleri le vostre nefandezze! Egli non tollera il vostro voler essere più simili alla bestia che all’umano!”,
“Che accidenti vai dicendo, donna?”,
“La verità! Una verità che a quelli come te piace poco!”.
I due stavano combattendo furiosamente, nella stanza vuota; si udiva solo il cozzare delle loro lame e le loro parole concitate.
La furia di Derania era cieca e feroce; cionondimeno, ella non era abituata al combattimento più di tanto: i pochi insegnamenti avuti dal padre in merito erano lontani anni, oramai.
In breve, l’avversario riuscì a metterla in difficoltà, facendola finire spalle al muro; la sua spada volò via, mentre la lama di Idion le puntò la gola.
“E’ finita, donna ribelle!” le disse,
“No, non è affatto finita. Puoi uccidermi adesso, ma i tuoi misfatti non sopravviveranno: tra cento anni, mille, duemila, diecimila… verrà il momento per te di pagare tutte le tue nefandezze. E sarò io a punirti, dovessi attraversare i secoli per farlo!”,
“Taci, strega!!” gridò il vecchio, trafiggendola.
Il corpo di Derania scivolò lungo il muro, fino a terra; sul viso, un sorriso compiaciuto; nella mente, l’ultimo pensiero “Iram, vengo da te…”.
Giù nel cortile, continuava ad infuriare la battaglia.

“Fuoco!!” Oscar alzò in aria la spada; un secondo dopo, un tremendo colpo echeggiò, ed una palla di piombo andò a sfondare il ponte levatoio della Bastiglia.
Era già il quarto colpo che veniva sparato contro la fortezza, ed il ponte stava ormai per cedere; la folla non aspettava altro che entrare per fare strage di soldati, sfogando la sua rabbia.
“Fuoco!!” un altro colpo si abbattè sul legno. Il ponte cedette.
Una folla urlante si precipitò al’interno della tetra costruzione.
Mentre li osservava, Oscar fu presa da uno dei suoi “ricordi inconsci”: una folla immensa, armata, che sfondava le difese di un grande palazzo, simbolo di oppressione ed ingiustizia, in un altro tempo ed un altro luogo…
E’ la resa dei conti…
Non seppe dire cosa fosse, ma sentì l’impulso di entrare anche lei.
L’immagine di un vecchio dallo sguardo viscido e crudele le si parò davanti.
Allora, capì.
“Oscar, dove vai?” le gridarono dietro André ed Alain.
Lei non rispose; sguainò la spada e con passo deciso si unì al popolo che entrava nella Bastiglia.
L’ultima cosa… per chiudere con il passato. Attendimi, André! Poi, ci saremo solo noi due, ed il nostro futuro insieme.
La folla si stava battendo con successo contro la guarnigione; Oscar attraversò il corridoio senza che nessuno la attaccasse, quasi fosse stata invisibile.
Cento anni, mille, duemila, diecimila…
Nessuno sfugge alla propria nemesi!
Guidati da un percorso invisibile, i suoi piedi sapevano dove dovevano andare. Salì le scale, dove giacevano corpi di soldati e persone comuni morti, diretta alla sala di guarnigione.
La porta era aperta, de Launay era solo.
Non appena la sentì entrare, si voltò.
“TU!!” l’uomo spalancò la bocca, anche lui catturato da una memoria che veniva da un altro tempo,
“Io, Idion! Te lo avevo detto: attraverserò i secoli per ritrovarti!”,
“Ti ho eliminato già una volta!” ruggì il governatore,
“Non puoi più sfuggirmi, ora!” Oscar gli si avvicinò; l’uomo sguainò la spada.
Iniziò il duello.
“Cosa hai fatto alla mia gente dopo la mia morte, tiranno?”,
“Credevo che quelle fandonie che Cagliostro mi aveva detto riguardo alla reincarnazione fossero solo storielle della sua mente malata, finché non ho iniziato ad avere quelle visioni!”, rispose lui,
“I conti si saldano sempre, in una vita o nell’altra. Ti avevo avvertito!”.
Il duello sembrava volgere decisamente a favore di de Launay; ma con uno scatto inaspettato, Oscar lo disarmò, facendolo cadere a terra.
“Ti ho riconosciuta da quando ti ho vista là sotto!”,
“Quali sono le tue ultime parole?” Oscar gli puntava la spada alla gola,
“Non morirò per mano di una donna!”,
“Vedo che non hai perso il vizio di considerare l’essere umano simile alla bestia, e di comportarti di conseguenza! Ma ora è finita, Idion! Finita davvero!”,
“No!!” l’uomo gridò con tutte le sue forze, cercando di riprendere la propria spada a pochi passi da lui per colpire Oscar, ma lei fu più veloce, e gli trapassò la gola.
Il comandante della Bastiglia cadde in avanti, gli occhi sbarrati che si facevano sempre più vitrei.
“Giustizia è fatta!” mormorò Oscar.
“Oscar! Dove sei?” André entrò nella sala, seguito da Alain; videro l’uomo morto a terra, poi guardarono Oscar.
“E’ finita!” disse lei per tutta risposta “Come va, là sotto?” aveva ripreso un po’ il controllo di sé stessa.
“Bene, comandante” fece Alain “la guarnigione ha ceduto: abbiamo conquistato la Bastiglia. Adesso inizia la Rivoluzione, davvero!”.
“Molto bene, soldato Alain” fece lei “adesso, ho due ordini per te. Primo, non chiamarmi più “comandante”, chiamami Oscar; secondo: vuoi farci da testimone alle nostre nozze?”.
Il gigante bonaccione fece un largo sorriso “Ne sarei onorato, Oscar!”,
“Grazie, Alain. Ora lascio a te l’incarico di “mettere in ordine” qui; io ed André andiamo a dare una mano agli altri”.
Forse per l’ultima volta, Alain fece il saluto militare.
Oscar ed André iniziarono a scendere le scale; all’improvviso, André si fermò, voltandosi “Ho sentito bene? Vuoi davvero sposarmi?”,
“Sì, mio Iram! Avevi dubbi in merito?”.
André la prese tra le braccia e la baciò; poi, guardandola intensamente chiese “Era lui, vero?”,
“Sì, André, era lui. Ma adesso è finita; la nostra porta col passato si è chiusa. Abbiamo davanti a noi solo un magnifico presente ed un bellissimo futuro”.
Si baciarono ancora.
Intorno a loro, da ogni parte giungevano le urla festose della folla vittoriosa.

                                         **********

Settembre 1792.
Oscar ed André sedevano al tavolo come ogni sera, insieme a Bernard e gli altri.
Erano entrati nel club dei giacobini per meriti d’onore, e tutti li stimavano e li volevano bene.
“Dunque, queste sono le ultime leggi che ho proposto. Che ve ne pare?” stava chiedendo un giovane deputato.
Robespierre si grattava il mento, pensieroso “A me sembrano ottime. Tu che ne dici, Oscar?”.
La donna sorrise; sebbene non fossero molte le donne che frequentavano quel club, lei era stata stimata e benvoluta dal primo istante, forse in virtù del suo valore e del suo coraggio dalla parte del popolo; André ne era contento quanto lei.
“Sono d’accordo. La povera gente ha diritto ad una vita dignitosa”,
“Molto bene. Allora domani la legge sarà discussa ed approvata” concluse Robespierre.
“Scusate, noi dobbiamo proprio andare. Sono le nove, e si è fatto tardi per Pierre, vorrà mangiare!” Oscar si alzò.
“Ma… non c’è Rosalie con lui?” chiese Saint-Just,
“Certo, ma un bambino di quattro mesi vuole vedere anche i genitori, ogni tanto” gli rispose scherzosamente André,
“D’accordo. A domani, allora!” li salutò Robespierre mentre Bernard li accompagnava alla porta.
“Ci vediamo, non fate tardi, eh?”, diceva loro Bernard,
“Non preoccuparti!” fu la risposta di André, che abbracciava la moglie.
Lo salutarono un’ultima volta, poi salirono sul loro calesse.
Si guardarono intensamente negli occhi: la loro vita era felice, al contrario di quella che non aveva potuto essere di Iram e Derania; i loro antenati si erano sacrificati affinché loro due potessero avere un mondo migliore in cui vivere: sebbene fossero morti, qualcosa di loro rimaneva nelle loro gesta immortali, ed in quello che di buono avevano lasciato in eredità ai secoli successivi: il senso di giustizia e l’uguaglianza.
O forse non erano mai veramente morti, ma avevano solo fatto un salto attraverso le epoche per potere avere un’altra occasione: in circolazione per la seconda volta, se così si vuole dire.

Nota: Bernard de Launay, governatore della Bastiglia al tempo della Rivoluzione, fu in realtà portato fuori dalla fortezza dopo che questa era caduta, ed ucciso a colpi di picca; non aggiungo particolari al raccapricciante trattamento riservato al suo corpo dopo la sua morte... non avevo nulla contro di lui, ma la sua identificazione con Idion è stata necessaria a fini narrativi.

E con questo capitolo, si chiude questa storia; spero che vi sia piaciuta, e desidero innanzitutto ringraziare sentitamente tutti coloro che mi hanno sostenuta ed incoraggiata con le loro bellissime recensioni, e che hanno apprezzato questa storia scritta in tempi e modi improbabili, ma con il cuore; desidero poi augurare BUONA PASQUA a tutti, e mandare un bacione grande a chi mi segue già da tempo. Adesso, i ringraziamenti personali:
Ninfea Blu: grazie sempre, sei un vero tesoro, e spero che questo lieto fine ti sia piaciuto; aspetto i tuoi commenti, e le tue prossime storie!
Bay: se ci sei, fatti viva...
StregaGrianne: come hai fatto a capirlo?
Beatrix 1291 e Lady in blue: in effetti, sapevo bene che il repentino cambiamento del generale avrebbe fatto storcere il naso a qualcuno :-) (ha fatto sorridere persino me), ma ho voluto dargli un'altra opportunità... in fondo, tutti abbiamo diritto ad una seconda occasione, no? :-)
Patrizialasorella: hai perfettamente ragione quando dici che il capitolo precedente è stato un tantino affrettato, io stessa l'ho pubblicato un pò perplessa... e solo rileggendolo, dopo la pubblicazione, mi sono resa conto che un lieve rallentamento alle vicende dei nostri eroi non sarebbe stato tanto male; ma tant'è...
Khristh: anche questo capitolo è giocato sui due piani temporali che si intrecciano, non so se sono riuscita a renderli... ad ogni modo, fammi sapere!
Pry:  ti ringrazio dei complimenti, penso che la vigilia di un grande evento come una rivoluzione sia quanto di più bello e difficile ci sia da descrivere; tanto più che io adoro il periodo della Rivoluzione Francese, la base dell'epoca moderna!
Un bacio anche a chi ha letto senza recensire e a chi ha messo questa storia tra i preferiti ed i seguiti (spero di non dimenticare nessuno).
A presto, Tetide.


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