Don't You Try To Judge Me

di Red_Hot_Holly_Berries
(/viewuser.php?uid=38898)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Where The Truth Shows Itself ***
Capitolo 2: *** Where Your World Falls Down ***



Capitolo 1
*** Where The Truth Shows Itself ***


Don’t You Try To Judge Me


Capitolo 1:

La personificazione di una delle più grandi superpotenze, America, non sapeva assolutamente cosa ci facesse davanti a quella lucida porta di mogano, e nemmeno perché la sua mano fosse sul pomello d’ottone.
Sospirò.
Il giorno prima era atterrato all’aeroporto di Parigi con il suo aereo (avendo giurato solennemente che non sarebbe mai salito su un aereo se non come pilota) ed era stato accolto da Francia a braccia aperte e con una proposta oscena sulle labbra.
Fingendosi più ingenuo di quanto già non fosse, America era riuscito ad evitare di ricorrere alla violenza (e di causare un incidente diplomatico) solo con una buona quantità di faccia tosta e ricordandosi di avere un accordo commerciale da discutere.
La sera, a contrattazioni chiuse, erano andati a cena in un ristorante nel centro di Parigi, dove America, stordito dal jet lag, dal cibo buono e abbondante e dalle chiacchiere di Francia, era stato indotto dal francese a bere molto più vino di quanto avrebbe fatto normalmente.
Perciò puntualmente, quella mattina si era svegliato con la testa pesante, un sapore orrendo in bocca e in un letto sconosciuto, fortunatamente da solo, scoprendo poi di essere nella stanza degli ospiti di Francia.
Dopo che questi gli aveva detto che sì, aveva pianificato di farlo ubriacare (aggiungendo che era stata una scena molto divertente) e che no, non si era approfittato di lui (asserendo che non ci sarebbe stato gusto), gli aveva fatto notare che non era nelle condizioni di volare, proponendogli dunque di approfittarne per fare una visita a sorpresa al suo vicino inglese.
Non del tutto in possesso delle sue facoltà mentali, America aveva accettato, ed ora era davanti alla ben conosciuta casa di Inghilterra, con Francia appollaiato su una spalla che lo incitava ad annunciare la loro presenza.
Con un altro sospiro, America suonò il campanello, ma nessuno rispose.
-Forse non è in casa?- suggerì al francese, ma questi sorrise e scosse la testa: -No, ne sono sicuro. Lo conosco bene, fidati di me.- con queste parole assai poco rassicuranti, Francia suonò di nuovo, con più insistenza.
-Francia, senti…- cominciò America, ma l’apertura improvvisa della porta da parte di un irritato inglese lo interruppe.
-Bloody hell, che cazzo vuoi, rana?- ringhiò Inghilterra prima di rendersi conto di chi si trovasse sulla sua soglia.
L’americano, dal canto suo, lo fissava a bocca aperta: quel tizio non poteva essere Inghilterra, no… non il suo rigido, professionale Inghilterra, nonostante quei profondi occhi verdi e quelle sopracciglia cespugliose fugassero ogni dubbio sulla sua identità.
Ma il resto… Invece del solito completo quasi militare che gli aveva visto portare per decenni, era a piedi nudi, indossava un paio di jeans lisi ma robusti, e una camicia a maniche corte grigia e nera, la cui metà superiore era occupata da un intreccio di fiori stilizzati, teschi ghignanti e pugnali.
E poi, diavolo, quegli anellini d’argento che luccicavano al labbro inferiore e al sopracciglio sinistro di Inghilterra erano dei piercing, o lui non era più un eroe!
-Cher Arthùr, come va?- domandò cordiale Francia, chiudendo la porta dietro di sé, avendo spinto avanti lo schokkato America, ridacchiando davanti alla sua reazione. Era ancora meglio di quanto si era immaginato: sembrava un bue stordito da una mazzata in testa.
Anche se non per i motivi che immaginava: i pensieri che in quel momento si susseguivano nella mente di America andavano da “non avrei mai pensato che Inghilterra potesse essere figo” a un più carnale “cazzo, cosa non darei per scoparmelo”.
Inghilterra ringhiò ancora: -Male, come vuoi che vada? Guarda cosa mi avete fatto fare!-
Scostò la mano che teneva a coppa intorno all’orecchio sinistro, mostrando il sangue che gli macchiava tanto le dita quanto il lobo a cui tre orecchini erano agganciati.
-Mon cher, cosa ti sei fatto?- chiese Francia, avvicinandosi per osservare quello scempio.
-Quando avete suonato quel cazzo di campanello mi stavo svestendo, e per la fretta un orecchino mi si è impigliato nel maglione- spiegò, un luccichio sospetto negli occhi mentre l’altro sfiorava la parte lesa.
America, che a quella vista si era riavuto, vide che la pelle intorno al secondo dei tre buchi era lacerata e gonfia, e lanciò un’occhiata all’altro orecchio, sano a parte i quattro piercing che lo ornavano fino al bordo superiore.
Francia sospirò, con aria desolata: -Andiamo di là, mon cher, dobbiamo pulire questo casino-. disse, mettendogli un braccio intorno alla vita e pilotandolo verso una stanza che si rivelò essere la cucina, segno per America che il francese conosceva bene tanto la casa quanto il suo proprietario.
-Cosa ci fate qui? Alla tua abitudine di piombare in casa mia senza avvisare sono abituato, ma lui?- domandò Inghilterra indicando America, prima di scostare una sedia dal tavolo e sedervisi.
-Il nostro cowboy era venuto a trovarmi e ho pensato che fosse un peccato che se ne andasse senza nemmeno farti un saluto.- fu la risposta di Francia mentre prendeva una spugnetta e la bagnava nel lavandino.
Conoscendo il suo pollo, Inghilterra si voltò scettico verso la sua ex-colonia, e mentre si puliva le mani con uno fazzoletto, gli chiese con un sogghigno: -Ti ha fatto ubriacare?-
America mise il broncio.
-Come fai a dirlo? Io sono un eroe, non mi sbronzo mai.- Insomma, non poteva essere così evidente, no?
-Esperienza pluricentenaria, Alfred.- rispose l’altro alla domanda inespressa, lanciando poi un’occhiataccia a Francia, mentre questi tornava da lui.
-Ti giuro che non gli ho fatto niente di male.- lo anticipò il francese, leggendogli nel pensiero. -E ora, preparati- avvisò, prima di cominciare a pulire delicatamente l’orecchio dal sangue.
Inghilterra si irrigidì e strinse i denti. Sì, era un impero plurisecolare, ma hey, le orecchie sono delicate!
-Questo è per essere sempre troppo frettoloso.- lo rimproverò Francia.
-Ma senti chi parla! Perché tu non sei frettoloso, soprattutto quando si tratta di scegliere chi portarti a letto, vero?- ribatté l’altro, disposto a cercare la lite pur di trovare un modo per ignorare il dolore.
-Humpf- sbuffò Francia, senza distogliere gli occhi dal suo lavoro –Non mi pareva che fossi così pronto a giudicarmi quando sceglievo te.-
Peccato che l’unico orecchio che Francia riuscisse a vedere fosse quello sanguinante, in quanto era sicuro che l’inglese avesse le orecchie in fiamme.
-Ancora una parola, rana, e giuro che ti taglio la lingua e te la faccio mangiare.- sibilò Inghilterra voltandosi verso l’altro, ed emettendo un guaito di dolore per aver tirato il lobo ferito, che se non altro aveva smesso di sanguinare.
Le risate di Francia e le imprecazioni di Inghilterra furono interrotte dall’esclamazione a scoppio ritardato di America, della cui esistenza si erano dimenticati entrambi:
-VOI AVETE FATTO COSA!?-
-Siamo andati a letto insieme. E più di una volta, n’est-ce pas, Arthùr?- rispose serafico Francia, passando le braccia intorno al collo di questi e stringendolo contro il suo petto.
Si vedeva lontano un miglio che Inghilterra avrebbe dato qualunque cosa per poterlo negare: ma quelle parole avevano l’orribile sapore della verità, sapore che impastò anche la bocca di America quando lo vide piegare la testa in avanti perché i suoi capelli più spettinati del solito gli nascondessero gli occhi lucidi di vergogna.
-Di cosa ti vergogni, mon petit Arthùr? Non ti ricordavo così timido. Di sicuro non a letto…- lo punzecchiò Francia, che improvvisamente si ritrovò col culo a terra tenendosi lo stomaco colpito da un potente pugno, guardando dal basso verso l’alto un inglese magnifico quanto spaventoso nella sua furia.
-TACI! Abbiamo scopato, è vero, ma non sono tuo! Non lo sono mai stato! Prima di dire simili stronzate, prova a ricordare chi era a fottere chi!- sibilò, aprendo e chiudendo i pugni spasmodicamente, gli occhi verdi offuscati dall’ira fino a renderli quasi neri.
Inghilterra era furioso, furioso e ferito. Anche se aveva sempre saputo che prima o poi America lo avrebbe scoperto, non avrebbe voluto che succedesse così, non in quel momento, non in quel momento.
Perché Arthur amava Alfred.
Lo aveva amato come un figlio, quando lo aveva preso sotto la sua protezione, stanco della solitudine.
Lo aveva amato, e aveva cercato di farlo crescere al riparo di tutto ciò che era brutto e cattivo.
Ma il tempo era passato…
E lo aveva amato come si amano i fantasmi del passato, dopo essere stato abbandonato come una giocattolo rotto nel mezzo di un campo di battaglia sotto la pioggia.
Lo aveva amato, piangendo ad ogni invisibile ferita che infliggeva spietatamente al cuore di America, mentre in quello di Inghilterra scorreva solo un odio totale e assoluto.
E il tempo era passato ancora.
Era così giunto ad amarlo come si ama qualcosa di irraggiungibile.
Lo amava, e volontariamente si teneva lontano da lui, costruendo un muro di accettazione e rifiuto tra loro. Perché lui accettava di amare Alfred, ma rifiutava di entrare nella sua vita, o di farlo entrare nella sua: non voleva nessuno in quel cantuccio di finzione che era il suo rifugio.
Sì, fingere, fingere era l’unica cosa che lo faceva andare avanti; fingere e in realtà sapere di non farlo affatto. E Alfred, Alfred che era solo America, semplicemente avrebbe non potuto capire
Sapeva che il più giovane non aveva mai smesso di cercare la sua approvazione, anche se spesso Alfred stesso non se ne accorgeva, eppure non aveva mai ceduto alla tentazione di svelargli i suoi segreti.
E ora, che lui lo volesse o meno, era riuscito a sbirciare cosa ci fosse dietro quella porta custodita così gelosamente.
-Mi scuso per quel che ho detto, ma non mi scuserò per ciò che abbiamo fatto in passato. Questo non puoi togliermelo.- disse Francia serio, rialzandosi per fronteggiare l’inglese.
L’americano li osservò guardarsi in cagnesco a vicenda, e decise che era dovere di un eroe come lui impedire una zuffa in piena regola (e un’altra guerra secolare, già che c’era).
-Non per cambiare discorso- cominciò, anche se ciò era esattamente il suo scopo –Ma, Inghilterra, hai del sangue sulla camicia. -
I due litigando guardarono stupiti prima lui (si erano dimenticati di nuovo della sua presenza!?) e poi le macchie rosse imbevute nel tessuto sulla spalla sinistra di Inghilterra.
-Acqua fredda.- suggerì Francia, saltando sull’occasione per tornare in termini civili.
-Sì, se la metto a lavare in fretta non dovrebbe lasciare traccia.- fu d’accordo Inghilterra, istintivamente cominciando slacciare i bottoni superiori, prima di rendersi conto di cosa stesse facendo e cercare di rimediare aggiungendo: -Tanto, mi stavo spogliando comunque.-
-E, tra parentesi, hai i pantaloni slacciati.- aggiunse servizievole America.
Gli sguardi delle due nazioni più vecchie raggiunsero il suo fissandosi sui jeans di Inghilterra, il quale doveva ringraziare solo il loro essere stretti di natura per il fatto che non gli fossero ancora scivolati giù dalle anche con i suoi movimenti convulsi, dato che non era chiusa né la zip né il bottone superiore.
L’inglese arrossì come un pomodoro quando si rese conto che non indossando mutande di sorta, era in bella vista tanto l’incavo tra le anche e la parte superiore del pube, quanto la serica peluria bionda che li ricopriva, che si diradava man mano che si allungava sotto la camicia.
-Quando siamo arrivati hai detto qualcosa riguardo allo “spogliarsi”… Esattamente cosa stavi facendo? Non volevamo disturbare…- disse con finta preoccupazione Francia, con un ghigno che andava da un orecchio all’altro mentre Inghilterra si affrettava a ridarsi una parvenza di decenza.
-Stai zitto!- ringhiò questi, ma l’imbarazzo gli strozzava la voce rendendola più simile al miagolio di un gattino arrabbiato.
-Mi stavo per fare una doccia e mi sono rivestito in fretta senza fare caso a cosa mettevo- disse, ma non osò guardare nessuno dei due in faccia, sempre più rosso.
-Hummm… ma siamo sicuri? Vuoi dire che se salgo in camera tua non ci trovo un Gilbert molto arrapato? Questo- indicò l’orecchio ferito –mi pare sia molto simile a ciò che ti aveva lasciato l’ultima volta…- suggerì il francese in torno da cospiratore, cingendo le spalle di Inghilterra con un braccio.
America osservò meglio il suo aspetto complessivo, dai capelli spettinati, al rossore del viso, e d’un tratto la sua mente, per conto suo, tolse all’immagine alcuni bottoni della camicia e aggiunse un’espressione di desiderio in quegli occhi verdi, che li rendeva lucidi di lussuria…
America non poté impedirselo: arrossì, ma grazie al cielo gli altri due erano troppo impegnati per accorgersi di quella madornale gaffe. Un eroe non cade mai preda dell’eccitazione, anche se Inghilterra sembrava capace di svegliare istinti molto poco eroici…
Fu allora che America notò un’altra cosa, ovvero che Francia (nel tentativo di calmare Inghilterra che continuava a imprecargli contro), gli stava massaggiando le spalle, e così facendo aveva involontariamente sollevato il bordo della camicia dell’inglese.
-Cos’e quello, Inghilterra?-
Se America pensava che nulla ormai l’avrebbe più stupito, si sbagliava di grosso.
-Quello cosa?- fu la risposta, mentre riusciva finalmente a togliersi di dosso il francese.
-Quello.- ripeté America, indicando il fiore che spuntava dal bordo dei suoi pantaloni, inciso in inchiostro nero sotto la delicata pelle dell’anca: una rosa dal capo piegato verso il basso, che sebbene non fosse del tutto aperta, aveva già alcuni petali che sembravano sul punto di cadere.
-È un tatuaggio, Alfred.- disse Inghilterra, chiaramente ritenendolo un idiota.
-Non ci posso credere! Hai…- si fermò un attimo per contare –Nove piercing, e anche un tatuaggio! Perché cazzo lo hai fatto?-
Francia rise. –Mon Dieu! Ma sentilo! Che effetto fa essere rimproverati dal proprio figlio, Arthur?-
Ma l’interpellato si limitò a scacciare il commento con un gesto della mano, senza smettere di fissare America sogghignando. -Ad essere precisi, ne ho dodici.-
-Dodici!?-
-Dodici.- confermò l’altro –Solo perché non li vedi non vuol dire che non ci siano.-
Francia lo fissò con aria critica. –Quand’è che ti sei fatto l’ultimo? Io ne ricordo solo undici… È anche quello in un posto che non si può esibire in pubblico? Non so se ti ricordi quale metodo ho dovuto usare per trovarli tutti…-
In tutta risposta Inghilterra gli fece la linguaccia, schernendolo, e mostrando il piercing dalla pallina d’argento che l’attraversava, al che Francia rise, sollevato.
-Bon, trovato l’ultimo. Amérique, ti lascio il piacere di scoprire dove sono gli altri.- disse il francese con un sorriso lascivo, al che Inghilterra procedette e sferrargli un altro pugno, stavolta fortunatamente evitato.
-Ma perché? Va bene i piercing, ti sarai finalmente stufato della tua stessa noiosità, ma un tatuaggio? Perché? Non è da te, Inghilterra!- Stavolta America intendeva ottenere una risposta, e l’avrebbe avuta, Cristo!
-Di nuovo, in realtà i tatuaggi sarebbero tre…- cominciò Francia, pronto a far ripartire la discussione, ma uno sguardo al viso di Inghilterra lo fece zittire.
America si sarebbe aspettato di tutto: che Inghilterra cominciasse a imprecare contro tutti e due, gridando loro di non farsi i cazzi suoi, o che altezzoso se ne andasse, dissociandosi da quella discussione così volgare.
E invece, ciò che America ottenne fu vedere per la prima volta nella sua vita una vera espressione preoccupata sul volto di Francia, mentre questi si chinava per essere allo stesso livello degli occhi (vuoti, vuoti, vuoti) di un Inghilterra che alle ultime parole di America si era accasciato, sconfitto, stanco, senza forze, triste. -Non capisce, non può capire.- gli sussurrò. –Ascoltami Arthur! È troppo giovane per poterlo fare!-
-Non è più un bambino!- ribatté Inghilterra, la voce stanca, stanca, stanca.
-E allora tu smetti di trattarlo come se lo fosse! Svegliati Arthur, non sei suoi padre, non lo sei mai stato, cazzo! Non puoi proteggerlo per sempre! La sai una cosa? Ne ho abbastanza di vederti soffrire al posto suo! È ora che impari a portare il suo, di dolore, dannazione!-
Di nuovo, America non aveva mai visto Francia arrabbiarsi in quel modo… serio. Da come stavano discutendo, intuì non fosse la prima volta che quei due iniziavano quella discussione.
-Tu… l’hai fatto apposta di portarlo qui, oggi! Perché mi vedesse, e io fossi costretto a parlargli!- Inghilterra non urlò, non propriamente, ma il suo tono incredulo ci andò molto vicino.
-E magari mi chiedi anche perché l’ho fatto?- chiese ironico il francese, prima di voltarsi verso il più giovane e sibilare tra i denti: -Non ti sei mai chiesto, piccolo ingrato, perché la tua cazzo di Indipendenza lo ha fatto stare così male? Dopotutto tu non sei la prima colonia che si è ribellata contro il suo conquistatore. Ti sei mai chiesto perché lui è l’unico a soffrirne ancora dopo duecento fottuti anni?-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Where Your World Falls Down ***


Arthur Iggy Kirkland: Erano anni che sognavo di scrivere del vero Arthur! O meglio, dell'Arthur che si nasconde dietro la facciata di Gentleman Inglese! COme fondere rock e eleganza? Lasciata fare alla vostra Lily, e se siete amanti dell'angst, non potrete più staccare gli occhi dal computer... MUAHAHAH!
artemis89: Nel caso non sia chiaro, la storia era nata come una one-shot. Ma superando le 6 pagine, ho deciso si tagliarla: ecco perchè le fini dei capitoli sono così brutali e mozzafiato (e perchè devo riprendere le ultime righe all'inizio del nuovo capitolo...) e sì, ero stufa della solita immagine di una Francis mollaccione che nonsa fare niente. U__U
mua: certo che è fAigo. U___U vorrei anche mettere, lo'ho scritto io! E invidiami, cara, che per poter andare anvanti con la storia, sono costretta (che sofferenza, eh?) a sognarlo tutte le notti... sai, l'ispirazione... XD





-Non ti sei mai chiesto, piccolo ingrato, perché la tua cazzo di Indipendenza lo ha fatto stare così male? Dopotutto tu non sei la prima colonia che si è ribellata contro il suo conquistatore. Ti sei mai chiesto perché lui è l’unico a soffrirne ancora dopo duecento fottuti anni?-

Capitolo 2: Where Your World Falls Down

-Forse perché sotto la sua scorza seria, è in realtà un sentimentale?- suggerì America, alzando le spalle.
-E allora perché nessuno l’ha mia visto piangere quando l’Australia si è separata? O l’India? O il Canada? Ti sei mai reso conto, moccioso egoista, che non ha mai pianto per nessun altro?- lo accusò Francia, digrignando i denti, in una mossa molto poco elegante e molto ferale.
-Non credo che lo abbia mai fatto, non è da lui.- Dopo le veementi accuse dell’altro, finalmente Inghilterra aveva rialzato lo sguardo e stava guardando negli occhi lui, America, per la prima volta nella sua vita con la serietà di due pari.
-Dato che questa stupida rana ci ha trascinato fino a questo punto, tanto vale ormai…- ma nella sua voce non c’era solo rassegnazione, oh, no, c’era anche una certa dose di sollievo: basta fingere, basta soffrire un dolore inutile, basta rimandare. E così cominciò.
-Il mio più grande desiderio, da millenni, è essere padre. Ho avuto molte colonie, prima e dopo di te, ma tu sei colui che più ho desiderato fosse davvero mio figlio.-
Sembrava avere poco più di vent’anni, ma all’improvviso, mentre si appoggiava allo schienale della sua sedia, reclinando il capo all’indietro, America si rese conto di come in realtà tutto di lui lasciasse trasparire il fatto che si era visto passare accanto più di… quanti anni ormai? Tremilacinquecento? Quattromila?
-Chiamalo l’errore di un vecchio, se vuoi, ma l’unica cosa che volevo era solo essere tuo padre. Non è ridicolo? Un impero che giura di proteggere un bambino con più senso di giustizia di lui!- risata priva di allegria.
-Questa storia piacerebbe anche a me sentirla. Nessuno di noi era riuscito a capire perché sei cambiato così all’improvviso.- intervenne Francia, sedendosi sul bordo del tavolo mentre Inghilterra si alzava e prendeva a camminare per la cucina, abbracciandosi da solo in cerca di calore e sicurezza. Non ce la faceva a stare seduto….
-Cambiato?- domandò curioso America. A lui non sembrava che fosse minimamente cambiato, negli ultimi quattrocento anni.
-Ecco, vedi? Non sa neanche che suo padre era un assassino, Cristo santo!-
-Un… CHE COSA!?- sì, decisamente era la giornata delle esclamazioni stupide.
-Il nostro Arthur qui presente ha sempre avuto un certo… disprezzo per le leggi.-
-Non sono un cazzo di bue a cui mettere il giogo!- replicò Inghilterra guardando male Francia, per poi decidersi ad appoggiarsi contro il muro.
-Neanche io, ma non per questo per tutta la mia vita ho cercato la compagnia di criminali e fuorilegge, né mi sono divertito a terrorizzare i sette mari al comando di pendagli di forca della peggior specie, come hai fatto tu, Capitano Kirkland.- ironizzò il francese.
-Aspetta! Stai parlando di quando era un pirata? Allora è vero?- domandò America, con gli occhi che luccicavano come quelli di un bambino, immaginando storie di avventura, di navi e di isole piene di tesori.
Sì, forse era da lì che veniva il suo complesso dell’eroe… Ma una risata aspra lo fece ritornare alla realtà, come se gli avesse letto nella mente.
-Oh no Alfred, essere un pirata non voleva dire essere un eroe.- disse Inghilterra con un ghigno amaro, e un attimo dopo, con una mossa talmente veloce da non poterlo seguire, era accanto America, con un coltello estratto da chissà dove premuto contro la sua gola.
-Essere un pirata era rubare, uccidere, stuprare, saccheggiare. Era avidità, era lussuria, era rabbia.- Così gli sussurrò nelle orecchie il giovane dagli occhi verdi, stringendo la morsa tanto del suo braccio intorno al suo collo quanto quella della lama.
-Era libertà solo rubandola agli altri, era perdere tutto da un momento all’altro, era essere temuti e osannati, era essere maledetti a vista. Era essere sempre sul filo della morte. Era questo.- disse con un sospiro tremulo (cosa reprimeva? Paura? Dolore? Nostalgia? Desiderio?), incidendogli con una mossa la pelle del collo, abbastanza da trarre sangue ma non abbastanza da procurare vero danno.
America, sconvolto, si alzò e cercò di afferrarlo, ma l’altro era schizzato via con la rapidità di un serpente che si ritiri dopo aver attaccato il nemico, e di nuovo contro il muro lo osservò tastarsi la gola con espressione impassibile.
-Perché cazzo l’hai fatto?- ringhiò America, accettando il fazzoletto che Francia gli porgeva e tamponando la ferita, ma rabbrividendo dentro di sé nel vedere Inghilterra leccare noncurante la lama prima di riporla nei pantaloni. No, non avrebbe attaccato il più vecchio, non ora.
-Tu non sai niente di me. Sono molto diverso da come ti mi credi.- fu la risposta, quasi derisoria.
-Per tutta la mia vita sono sempre andato contro il potere. Ho creato le mie leggi, e solo quelle ho rispettato. Nessuno è mai riuscito a impormi la sua volontà, e anche se poi me ne pentivo, ho sempre fatto ciò che volevo io. Sono stato un criminale per millenni, ma quando ho trovato te, quando ho deciso d allevarti… non volevo che diventassi come me.-
America davvero non ci stava capendo più nulla. Prima cercava di sgozzarlo e ora faceva il nostalgico?
-Ho cercato di essere il genitore che ci si aspettava fossi per te, ma non so se è stata una così buona idea. Se fossi stato più me stesso, forse, non te ne saresti andato. Non te l’avrei mai permesso… sono sempre stato possessivo e geloso delle mie cose, sai.- Altro sospiro. Ma che diavolo..?
-Essere “Inghilterra” è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto, e non resistevo mai molto: in casa ero tuo padre, tuo fratello, ed era un ruolo che mi piaceva, ma fuori, sul mare, ero il demone più temuto al mondo, ed era… esaltante.-
-Cominci a capire, America… Alfred? Capisci la differenza?-
Lo stava guardando negli occhi, ed era la stessa persona che lo aveva cresciuto… eppure perché lo sentiva così lontano? Così diverso? Aveva paura, voleva il suo fratellone indietro, voleva colui che lo faceva dormire con lui perché aveva paura dei fantasmi! Non voleva questo uomo (sì, perché riconosceva che lo era più di lui, ora lo capiva) che gli stava presentando qualcosa di troppo grande per lui.
-Inghilterra non può permettersi di alzare la testa, non da dopo la Seconda Guerra Mondiale. La sue economia è a malapena in positivo, e in campo politico non viene neanche più considerato, se non come un peso. Non ha diritto di esigere niente dal mondo. Capisci? Inghilterra, essendo una nazione, è legato alla sua Regina, alle sue leggi, a come il mondo lo vede.-
America lanciò uno sguardo disperato a Francia, ma quello si rifiutò di incontrarlo, tenendo la testa bassa. Anche lui….? Cosa stava succedendo al suo mondo?
Un estraneo dai capelli biondo cenere e gli occhi verdi gli stava dando le risposte alle domande che non aveva mai avuto il coraggio di fare.
E, pezzo per pezzo, il suo mondo stava crollando.
-Ma Arthur, Arthur è libero di essere ciò che vuole. Arthur è un delinquente, e gli piace esserlo. Se ne fotte delle leggi, dell’autorità. Arthur non deve niente a nessuno. Arthur è libero di odiare… e di amare. Arthur è umano.-
E quella fu la stoccata finale.
Il più giovane (chi era lui? America? Alfred? Una colonia? Un ragazzino che non ha capito nulla del mondo?) si lasciò cadere sulla sedia.
-Noi… non siamo umani. Siamo nazioni! Siamo immortali!- Cosa altro potevano essere?
Lo sguardo dell’altro si addolcì.
-Quando siamo nati, eravamo umani. Avevamo tutti una madre e un padre, solo che non ce ne ricordiamo. Forse appena nati il nostro destino era già segnato, e ben presto sono scomparsi dalla nostra vita.-
-Come fai a esserne sicuro?- lo apostrofò, quasi disperato. Non aveva mai davvero pensato alla sua nascita, aveva sempre dato per scontato che un bel giorno, semplicemente, era arrivato in questa vita. C’era un’altra spiegazione?
-Perché ho cresciuto te.- rispose l’altro sorridendo con tenerezza, avvicinandosi a lui ed accarezzandogli i capelli. Ma che cavolo…? Era in menopausa o cosa, quel tizio, per avere simili cambiamenti d’umore!?
-Noi personificazioni non ci ammaliamo mai, se non quando il nostro paese sta male. Invece tra te, tuo fratello, Australia, Nuova Zelanda, Hong Kong, Seychelles e gli altri, da piccoli vi siete presi più raffreddori e malattie infantili di quante ne possa ricordare.-
-Io me le ricordo!- Si intromise Francia. -Varicella, morbillo, orecchioni, rosolia, scarlattina, influenze varie…- contò sulle dita, ma l’altro lo zittì, stizzito.
-È facile parlare per te, che non hai dovuto prenderti cura di loro! Senza contare che riuscivano ad ammalarsi nello stesso dannato momento pur essendo in parti opposte del mondo, io dovevo occuparmi di tutti loro!- disse quasi mettendo il broncio, facendo ridere il francese.
-Quello che Arthùr sta cercando di dire- continuò questi –è che da bambini eravamo umani. È stato crescendo, che siamo diventati quello che siamo adesso. Perché però, ancora non lo sappiamo.-
Il più giovane stette in silenzio ancora un attimo, cercando di mettere in ordine tra i suoi pensieri.
-Perché me lo dite solo adesso?- chiese infine, e ebbe l’amara soddisfazione di vedere il viso dell’inglese incupirsi per il senso di colpa, mentre lasciava cadere la mano con cui gli aveva arruffato i capelli.
-Se lasciati a noi stessi, è una cosa che impariamo presto. Il fatto di essere due persone diverse, intendo.- chiarificò Arthur. No, ormai non poteva più chiamarlo “Inghilterra”.
-Ce ne rendiamo conto perché vediamo le persone intorno a noi invecchiare e morire. So che può sembrare ingenuo, ma… come ti ho detto, ti amavo, e volevo proteggerti. E ci sono riuscito fin troppo. Non volevo che tu sperimentassi il dolore di sapere che prima o poi se ne vanno tutti, perciò invece di crescerti come un bambino, ti ho cresciuto come una nazione.-
Essere una nazione aveva tante peculiarità, ed una in particolare, come l’essere pressoché immortali, aveva un doppio faccia: la memoria. Proprio perché hanno una vita che copre i secoli, al contrario degli umani, che del passato ricordano solo le esperienze più importanti, le nazioni non dimenticano nulla, neanche il più piccolo dettaglio.
Ed adesso Arthur stava facendo i conti con i suoi ricordi di quando cercava di addomesticare quel cucciolo selvatico che era America, anni di pura gioia interrotti in modo così brutale.
Percependolo, Francis gli circondò le spalle con un braccio, gesto per una volta scevro di ogni tentativo di flirt, semplicemente cercando di confortarlo con la sua comprensione.
Alfred osservò Arthur accettare il contatto e appoggiarsi contro il petto dell’altro, ancora seduto sul tavolo, e sentì un gelido nucleo di gelosia e inutilità dentro di sé.
Per la prima volta nella sua vita, si sentì completamente tagliato fuori. Troppo giovane, troppo ingenuo e, aveva appena scoperto, anche troppo ignorante.
Poteva mai sperare di instaurare un rapporto di tale empatia con il suo ex-conquistatore, da cui ancora dipendeva così tanto? Quei due davanti a lui avevano condiviso migliaia di anni di lotte, guerre, battaglie, scontri, paci pagate col sangue. Eppure erano così vicini…
Come si sentiva sciocco, coi suoi miseri quattrocento anni, avendo vissuto appena un decimo di quello che loro avevano sperimentato in una sola vita!
-Se ricordi bene, la casa in cui hai vissuto era lontano dalla città. C’eravamo solo tu ed io, e quando non c’ero, facevo in modo che venisse una cameriera ad occuparsi di te, ma non era mai la stessa. Vivendo in questo isolamento, e avendo la possibilità di conoscere la gente solo quando ti portavo in città, per il tempo in cui… hai voluto la tua indipendenza, avevo radicato in te l’idea che gli umani vivessero in un mondo completamento diverso dal nostro, e che non c’era bisogno di cercare la loro amicizia, che ti bastava quelle delle altre nazioni, come quella di tuo fratello.-
Quell’accenno casuale al suo gemello del nord fece bruscamente uscire America dalla sua trance.
-Canada!- Esclamò, con il tono di chi comprende all’improvviso una cosa, attirando gli sguardi curiosi degli altri due, stupiti dal cambio di argomento.
-Cosa c’entra Matthieu?- chiese Francis, che aveva appoggiato una guancia sulla sommità del capo di Arthur, incredibilmente calmo tra le sue braccia.
-Posso dirlo anche a lui, vero? Cioè, non è un segreto che abbiamo due personalità, no?- chiese Alfred, tentennante eppure eccitato.
L’inglese sospirò: -Idiota, non farlo sembrare una malattia mentale! Non siamo in uno dei tuoi dannati film esagerati. E comunque…-
-E comunque lui lo sa già.- completò il francese, e l’americano lo guardò senza capire.
-Pensavo l’avessi capito… tu sei l’unico di noi a non saperlo. Questa… questa discussione non è normale. Non è come rivelare chissà quale verità segreta.- Francis sembrava davvero a disagio nel trovare le parole per spiegarlo, e fu la volta di Arthur di stringergli una mano, incitandolo ad andare avanti. In teoria doveva essere compito suo, ma la rana stava facendo un buon lavoro per conto suo, quindi…
-Non ho mai dovuto parlane apertamente a Matthieu, non è come spiegare il sesso a un bambino… Sarebbe molto più facile. Essendo un bambino, questa nostra… convenzione di vivere, come nazioni e come umani, l’ha imparata crescendo con me e poi con Arthur, vedendo come ci comportavamo noi ed emulandoci. Anche se le nostre colonie hanno avuto il vantaggio di trovarsi la pappa già pronta, mica come noi che abbiamo dovuto impararlo da soli, eh, Arthùr?-
Se il suddetto inglese aveva sopportato di essere usato come poggiatesta, non sembrava altresì disposto a farsi arruffare i capelli (non che facesse gran differenza…), e si ribellò divincolandosi violentemente dalla sua stretta, sibilandogli sottovoce qualche imprecazione.
-Il fatto è che per noi sei… come un’anomalia- disse Arthur dopo essersi ricomposto.
-Molti non hanno apprezzato il mio… “esperimento”, come lo hanno chiamato.-
Com’era acido quel sorriso! E come faceva paura quell’ombra latente nel suo sguardo! Sì, Alfred lo ricordava bene, quanto lui fosse protettivo con i suoi “cuccioli”. Come aveva detto lui stesso, aveva sempre cercato di proteggerlo. Che sciocco, a non accorgersene…
-Soprattutto Yao… sai, Cina. È lui che mi ha fatto più pressione perché te lo facessi capire. È il più vecchio di noi, e avrei dovuto dargli ascolto prima.-
Sospiro. Alfred ripensò al paragone con il sesso. Davvero era così difficile spiegarlo? Quanto lo era per lui capirlo?
-Tutti, sapendolo, ti hanno assecondato, ma adesso la situazione sta diventando insostenibile.- Lo guardò di nuovo negli occhi.
-Riesci a capirlo? Cerchi di sfogare come nazione i tuoi desideri personali, ma non puoi! Hai il diritto di fare lo sbruffone quanto vuoi, e anche di fare il bullo, ma…- Arthur colse il suo sguardo allucinato.
-Sì, per quanto mi secchi ammetterlo, ne hai il diritto: tra di noi è tutto un gioco di forza, e tu sei una delle nazioni trainanti, quindi ne hai il pieno diritto.-
-Il fatto è che… oh, cazzo! Come nazione devi pensare solo e solamente all’interesse della tua gente. Niente, niente vale di più di quello, e devi essere pronto a fare qualunque cosa per ottenerlo. Per questo non puoi permettere ai… tuoi giudizi sulle altre personificazioni di interferire.-
Ad Arthur non piaceva la faccia sperduta di Alfred. Lo faceva sentire ancora più colpevole di… pervertirlo in quel modo. Di dirgli che sì, c’è un mostro sotto il letto.
-Non importa se ti sta simpatico o al contrario lo odi, semplicemente non puoi metterti a fare amicizia durante un accordo di qualunque genere!-
-Ma PERCHÈ? Chi cazzo lo ha deciso?- urlò Alfred, saltando di nuovo in piedi e serrando i pugni.
-Non ha senso! Perché no!?- A quel commento, quasi da bambino viziato, fu la volta di Arthur di arrabbiarsi.
-NON L’HO DECISO IO! Credi che A ME piaccia? Credi che piaccia A NESSUNO DI NOI!?-
-E allora perché lo fate!? DAMMI UNA CAZZO DI RAGIONE, Cristo!- Era sull’orlo delle lacrime.
-Non è la cosa migliore, ma è quella che alla lunga fa meno male.-
Incredibilmente, Arthur era riuscito a dirlo in tono controllato, anche se non calmo.
-Pensa a te stesso. Dopo duecento anni, hai voluto diventare un paese indipendente e hai lottato per diventarlo.-
-Questo è ciò che America voleva, ciò che ha fatto. America era diventato troppo grande per essere una colonia. Non aveva più bisogno di Inghilterra, anzi, doveva allontanarsi da lui.-
Mentre si urlavano contro, si erano avvicinati senza rendersene conto. E ora, Arthur gli accarezzò una guancia, asciugando con un pollice la solitaria lacrima che era sfuggita.
-Ma se avessi saputo di poter anche essere Alfred, solo Alfred, senza che il tuo paese ne soffrisse… America non poteva sopportare la vista di Inghilterra, ma Alfred poteva ancora andare a trovare chi aveva cercato di ficcargli qualcosa in quella zucca vuota…-
Nonostante il tentativo di scherzare, altre lacrime si accumularono negli occhi del più giovane, mentre la verità lo colpiva. Oh, sì, adesso capiva…
Arthur lo abbracciò, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, per nascondere la sua espressione dilaniata.
-Non avresti comunque potuto amarmi?-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=481151