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È ufficiale. Le writingcommunities mi danno alla
testa. xD
Ebbene sì, eccomi
tornata con un’altra strampalata raccolta! Questa è basata sui 15
Hugs, i quindici abbracci (che, secondo le regole della
community, non vanno intesi necessariamente in senso romantico; pertanto vi
saranno anche dei capitoli incentrati sull’amicizia, la stima e/o altro).
Dal momento che non
sono riuscita a focalizzarmi su un solo pairing di un
solo fandom, anche questa sarà una raccolta
crossover; ma ciò non significa che i vari pairing
saranno crossover. Semplicemente, utilizzerò coppie tratte da molteplici
fandom. Nello specifico: Card Captor Sakura, Death Note, Pokémon
(per gli anime), Alice inWonderland (per i film), Cronache del Mondo Emerso, Harry Potter (per i libri), Kingdom Hearts
(per i videogiochi).
Sarà l’occasione
ideale per trattare – tutti in una volta xD –
alcuni dei miei pairing preferiti in assoluto. In questo primissimo caso è la volta di Harry e Hermione *-* Siate buoni, considerate che è la prima
volta che scrivo su di loro.
Hope
you like it <3
Tre brevi passi
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Harry Potter, HermioneGranger
Genere: Sentimentale, Slice of life
Rating: Verde
Ambientazione: Quinto anno a Hogwarts
Prompt: #14. Balcony (Balcone)
Il
silenzio sovrastante la torre era rotto solo dal fruscio delle penne d’oca
sulle pergamene. A tratti vi si aggiungeva il rumore di una qualche manopola di
un qualche cannocchiale regolato – spesso – inutilmente.
Sospirò
di frustrazione. Nulla da fare, non riusciva a districarsi. Al suo fianco, la
ragazza continuava incessantemente a guardare il cielo, per poi chinarsi a
scrivere nel compito i nomi delle stelle che vedeva, in quella sua grafia
piccola e arrotondata.
Lui
sospirò di nuovo. Esitò. Lanciò un’occhiata alla
professoressa Sinistra, e vide che era ancora al capo opposto della balconata,
insieme al gruppo di Corvonero che seguiva la lezione
insieme ai Grifondoro.
Soltanto
allora si decise a chiamarla in un sussurro.
«
Psst…Hermione. »
Lei
non si voltò neppure, troppo presa a controllare nel telescopio la
posizione di chissà quale stella.
«
Cosa, Harry? »
Il
ragazzo abbassò ulteriormente la voce. « Hermione,
aiutami, ti supplico. »
Lei
tornò a chinarsi sul foglio, e di nuovo non lo degnò di uno
sguardo. « Non se ne parla, Harry. »
Harry
trattenne un gemito. Avrebbe dovuto immaginarlo. Eppure, aveva davvero bisogno del suo aiuto.
«
Hermione… »
Hermione sbuffò. Non gli
permise di aggiungere altro, e lo rimbeccò sempre senza alzare gli occhi
su di lui.
«
Cos’hai fatto oggi, Harry? Cos’hai fatto per tutto il giorno? Io te
l’avevo detto di studiare per
la verifica di astronomia. Ma no, il signor
Harry Potter e il suo degno compare Ronald Weasley
hanno cose più importanti da fare. Interessi più alti da coltivare. »
«
Hermione, mi manca soltanto un pianeta, davvero… »
«
Interessi quali gli eccitantissimi Fuochi d’Artificio Freddi del Dottor Filibuster, che quei due geni sottovalutati dei gemelli Weasley hanno riveduto, corretto e potenziato. Altro che
robetta banale come l’astronomia, figuriamoci. »
«
Hermione, ti sto implorando.
»
«
Prova ne è che il suddetto compare del signor Harry Potter è attualmente ricoverato in infermeria
con metà del viso completamente bruciacchiata…
»
«
Hermione, se proprio vuoi umiliarmi abbi almeno la
compiacenza di guardarmi in faccia! »
Hermione lo guardò,
accigliata. Harry resistette all’impulso di controllare di nuovo se la
professoressa fosse nei paraggi. Sostenne invece quegli occhi accusatori,
sperando con tutto il cuore di vedervi scorgere un lume di comprensione e di
compassione.
E
alla fine, sorprendentemente, il miracolo avvenne.
L’espressione
della ragazza si addolcì, e lei emise un buffo suono a metà tra
un sospiro e una risata.
«
Oh, e va bene. Avanti, qual è il problema? »
Soffocò
sul nascere un sorriso. « Non riesco a trovare Venere. »
Hermione si guardò
alle spalle, vide che l’insegnante era ancora fuori portata d’orecchio
e si voltò di nuovo, allontanandosi dalla propria postazione per
raggiungere la sua, tre brevi passi più in là.
«
Beh, tanto per cominciare non stai guardando nella direzione giusta… »
Con
un breve sguardo al cielo, senza neppure chinarsi sulla lente, prese la mano di
lui e la guidò sul telescopio, ruotandolo di qualche grado ad est. Nel farlo,
pose l’altra mano sulla sua spalla, e strinse affettuosamente.
Non so se stupirmi o
preoccuparmi della velocità con cui sto affrontando questa raccolta xD Voglio dire, ho già finito cinque capitoli, non
è cosa da poco! Soprattutto se si considera il fatto che sto qui ad
aggiornare invece che studiare per l’esame di domani o__ò Ah, beh,
forse sì, devo preoccuparmi.
Ad ogni modo, questa
è la volta di Death Note! ^^
Ho rinunciato al conteggio parole, perché mi sono resa conto che
sarà estremamente difficile rispettare i limiti posti dalle drabble e dalle flashfic. Infatti
questo secondo abbraccio è molto più elaborato del precedente;
spero solo di non aver strafatto e di non essere scivolata nell’OOC .///.
Ringrazio immensamente
ogni singolo lettore, e chi ha inserito la raccolta tra le storie
preferite/seguite/da ricordare. E un GRAZIE megagalattico a Rein94 (non mi stancherò mai, mai di ringraziarti) che ancora mi
sopporta e si sorbisce ogni mia – più stupida – storia,
recensendo con una puntualità e una dolcezza che semplicemente non
appartengono a questo mondo. Grazie, Rein, dico
davvero. <3
Buona lettura a tutti!
Sequestro di persona
Fandom: Death Note
Personaggi: Misa Amane, L Lawliet
Genere: Commedia, Sentimentale
Rating: Verde
Ambientazione: Dopo
l’inizio della convivenza tra L e Light e della reclusione di Misa
Prompt: #4. Ticklish (Solletico)
Continuare
a far scorrere le unghie dipinte di nero sulla sponda di quel basso divanetto
stava diventando alquanto seccante. Sospirò, ravviò con un solo
gesto i lunghi capelli biondi e si alzò in piedi, guardandosi in giro
con sguardo scocciato. Se almeno ci fosse stato Light con lei – e invece
quel rompiscatole di Ryuuzaki aveva pensato bene di
separarli tenendoselo con sé, che rabbia!
A
sorpresa, il ricevitore sul tavolino da tè gracchiò. Ne
uscì la voce inespressiva che ormai aveva imparato a riconoscere.
«
Tutto bene, Amane? »
Misa si voltò di scatto a guardare
il microfono – dal momento che non aveva idea di dove fossero posizionate
le telecamere – portandosi le mani ai fianchi.
«
Misa-Misa si annoia,
Ryuuzaki-san » chiarì a gran voce.
L’altro
si prese un istante prima di rispondere. Di certo si stava sollazzando con quei
suoi immancabili dolcetti ipercalorici. Bah.
«
Mi rincresce moltissimo, Amane, ma francamente ho altro a cui pensare che non
sia il tuo tempo libero. »
Sbuffò.
« Oh, bene, ora Ryuuzaki-san fa anche lo
spiritoso. Come se quello di Misa-Misa possa definirsi tempo libero! Sequestro di persona, ecco cos’è »
aggiunse, incenerendo il microfono con lo sguardo.
«
Non dovresti essere così tragica, Amane. Anche se…
»
Lasciò
la frase in sospeso. Suo malgrado, Misa era curiosa.
«
Anche se…? »
Questa
volta le sembrò che stesse sorridendo.
«
Anche se, lo confesso, ciò rende la situazione molto più
divertente. »
Si
lasciò cadere di nuovo sul divanetto, arrabbiata. « Ryuuzaki-san è veramente un maniaco depravato!
» Accavallò le gambe e incrociò le braccia, riflettendo
intensamente. Poi s’illuminò. « Ora l’unico modo che Ryuuzaki ha per farsi perdonare da Misa
è venire qui insieme a Light a farle compagnia » concluse,
trionfante.
«
E cosa ti fa credere che io voglia farmi perdonare, Amane-san?
»
Dio,
questo ragazzo era insopportabile.
«
Misa-Misa si annoia! »
ripeté, lamentosa. « Ha bisogno di parlare con qualcuno che non
stia dall’altra parte di un microfono! Ha bisogno del suo Light! O di una
qualunquepersona disposta a farle un po’ di compagnia! »
Per
qualche lungo istante ci fu silenzio. Misa
giocherellava con un cuscino. Forse Ryuuzaki si era
spazientito e aveva interrotto la comunicazione, chissà. Che razza di
maleducato, però; almeno avrebbe potuto salutarla.
Invece,
alla fine, sentì di nuovo quella sfumatura divertita nella sua voce.
«
D’accordo, Amane-san. Vedrò di
accontentarti. »
«
C’era bisogno di arrivare a tanto, Ryuuzaki?
»
«
Di certo non lo faccio perché mi va di farlo, Light-kun…
»
«
Oh! È questo che intendevi quando parlavi di cose tra maschietti e dicevi che dovevate stare insieme
ventiquattro ore su ventiquattro?… Non sarai mica gay, Ryuuzaki-san?! »
«
Ho appena detto che non lo faccio perché mi va di farlo, chiaro? »
Misa era stupita. Anche molto seccata.
Ma, in effetti, era più stupita che seccata.
Per
chissà quale motivo, di fronte alla sua richiesta, Ryuuzaki
era venuto da lei da solo,
interrompendo la sorveglianza su Light. Ok, di sicuro aveva fatto in modo di
ammanettarlo a qualcun altro – ma non era questo il punto. Cosa poteva averlo spinto ad un’azione del genere? Non
era assolutamente da Ryuuzaki! Che stesse cercando di
tenerla lontana da Light? Ma non aveva senso, dal momento che insieme a loro ci
sarebbe stato anche lui… O forse era solo che…?
«
Sicura di non voler neanche assaggiare la tua fetta di torta, Amane? »
La
domanda di Ryuuzaki la scosse dai suoi interrogativi.
Rinunciò a capire come funzionasse la sua mente da maniaco e, per
l’ennesima volta, sbuffò.
«
Misa-Misa non si stancherà mai di ripetertelo: i-dolci-fanno-ingrassare.
»
«
Un vero peccato. » Ryuuzaki era accovacciato
sul divano al suo fianco, tutto intento a gustarsi con calma una delle due
fette di torta alle fragole che aveva portato con sé. Alla sua risposta,
si sporse per prendere anche il suo piatto. « Vorrà dire che la
mangerò io. Io non ho di questi problemi. »
Misa non riusciva a credere a tanta
insolenza. Non solo non aveva portato Light da lei, ma si permetteva pure di
starsene lì a mangiare, invece
che fare conversazione come tra gente civile.
Lo
guardò di sbieco. « È davvero così buona, quella
torta? »
«
Oh, sì. » Lui masticò con cura il boccone. « Molto.
»
Quanti secondi ci
volevano a perdere la pazienza con lui? Troppo pochi, decisamente.
«
Vorresti dire che non c’è nulla,
in questa stanza, in grado di coinvolgere la tua attenzione quanto quella
torta? Nulla e nessuno?…
Neanche Misa-Misa? »
Ryuuzaki smise di masticare,
ma i suoi occhi rimasero concentrati sul secondo piatto, che aveva appena attaccato
con la forchetta. Passò qualche secondo prima che parlasse.
«
Amane, tanta insistenza è quantomeno bizzarra. Devo dedurre che tu sia
gelosa di un dolce? »
«
Razza di pervertito! » Misa gli scagliò
contro un cuscino, ma quello non gli provocò che uno svolazzare di
capelli sulla nuca. « Misa-Misa non è affatto gelosa! Solo… Gradirebbe che Ryuuzaki-san almeno la guardasse,
invece di limitarsi ad ingozzarsi come ha fatto senza sosta da quando è
entrato! »
Ryuuzaki non batté
ciglio né replicò. Mise in bocca un altro boccone e
ricominciò a masticare scrupolosamente.
Misa era esasperata. Poi di colpo ebbe
un’idea. Scivolò verso di lui sul divano, fino a fermarsi ad una
spanna di distanza, e mosse una mano verso il suo fianco.
Ryuuzaki abbassò gli
occhi per un attimo sul suo dito teso, prima di tornare a concentrarsi sulle
fragole.
Misa mosse il polpastrello sulla maglia
sottile del giovane, su e giù, appena appena
– ma non ottenne l’effetto sperato.
«
Ti informo che non ho mai sofferto il solletico, Amane-san
» disse Ryuuzaki, laconico.
Sbuffò
ancora, contrariata, e incrociò le braccia. « Misa-Misa
riuscirà comunque a farsi
guardare da te. »
Un
pezzo di dolce nascose il lampo di un sorriso.
«
Ma davvero? »
«
Davvero! » E Misa scattò, lanciandoglisi addosso a mani tese.
Se
anche il solletico non gli procurò alcun fastidio, Ryuuzaki
non poté evitare il contraccolpo del contatto. Caddero entrambi
semidistesi sul divano, lei sopra di lui, e la torta si sparpagliò un
po’ ovunque.
Quando
smise di torturargli il costato e sollevò lo sguardo, senza sciogliersi
da quel bislacco abbraccio non voluto, Misa vide
quegli occhi neri e indecifrabili puntati nei suoi, in un’espressione di
muta meraviglia che la fece scoppiare a ridere.
«
Hai perso, Ryuuzaki-san… » Con la punta
del dito tolse un briciolo di panna dalla sua guancia. « E sei anche
arrossito. »
E per festeggiare il totalmente inaspettato quanto estremamente gradito 30 e lode all’esame
di stamani, eccomi qui con il nuovo aggiornamento! xDSantissimissimoLawliet,
ancora non posso crederci!! Ehmmm, perdonatemi,
è che ora la tensione si scarica tutta insieme. ^///^’
Cooomunque: terzo capitolo! Uno degli abbracci
che avrei voluto descrivere da più tempo <3 Amo questi due personaggi
insieme, sono troppo pucci, sul serio.
Ringraziamenti di cuore a
tutti i lettori! Per le recensioni:
Dany92:
Mocciau, Dany-chan! ^^ Ti ringrazio per aver commentato
anche questa; ti confesso che mi sono sentita lusingata dal fatto che la prima
cosa che tu abbia letto su Harry Potter
sia stata la mia shot! *-* Quindi non hai letto
neppure i libri, nee? Se è così, ti
consiglio di farlo, sono immensamente migliori dei film e una volta che li
conosci tutti e sette rimani lì così à ç//////ç Ma…Ma…Ma…*divisa tra l’intento
omicida verso la scrittrice che ha creato un similmente perfetto ciclo – perché,
anche se all’inizio non sembra, alla fine si rivela tutto collegato –
e quello da fangirl perché l’ultimo
libro offre veramente di che fangirlare.* Scusami se mi dilungo, è che HP mi
esalta proprio, e come ho detto sono onorata di averti incuriosita abbastanza
da leggere la Harry x Hermione ^^ Grazie come sempre… Anche per gli auguri per l’esame! Come
vedi è andato bene, per fortuna!! xD
Rein94:
Ma non preoccuparti, Rein, fai già tantissimo
leggendo sempre le mie storie *////* Mi auguro tu possa risolvere presto i
problemi di connessione… Sono proprio
fastidiosi, lo so u.ù Grazie ancora, e
tranquilla per i commenti, l’importante è che tu risolva! Ti abbraccio
forte! <3
Buona lettura a tutti, di
nuovo. Hopeyoulikeit :3
Senza spazi
Fandom: Kingdom Hearts
Personaggi: Naminè, Sora
Genere: Sentimentale, Triste
Rating: Verde
Ambientazione: Epilogo diKingdom Hearts:Chain of Memories
Prompt: #7. Hold me tight (Stringimi forte)
All’ultimo
piano del Castello dell’Oblio, il silenzio suonava diverso.
«
Devo entrare là dentro, vero? »
Lei
guardò il suo profilo. Per una volta non seppe decifrare il suo stato
d’animo… Preoccupato, forse?
Annuì.
« Quando ti sveglierai, sarai di nuovo te stesso. »
«
No, non è vero. » Si voltò verso di lei, con una strana
espressione. « Sarò me stesso senza il ricordo di te. »
All’improvviso
capì cosa fosse ad incrinargli la voce, a tendere all’ingiù
gli angoli della sua bocca, a smorzare l’azzurro dei suoi occhi. Non era
riuscita a capirlo prima, semplicemente perché era assurdo che una cosa simile potesse capitare a lui, che i concetti
‘Sora’ e ‘tristezza’ si legassero in qualche modo.
Cercò
di sorridergli.
«
Va bene così, Sora. Tu hai un cuore. Tu non sei come me. Vivendo i tuoi
sentimenti, puoi fare a meno dei ricordi. Sono quelli come me a non avere altro… »
Il
ragazzo scosse debolmente la testa. Piano, tese una mano, sfiorò la sua
con la punta di un dito. Lei rimase immobile, sorpresa dal contatto; non era la
prima volta, ma questa era diversa.
Seguì per riflesso la sua mano che si sollevava, posando il palmo contro
il suo, finché le pelli aderirono, senza spazi. Come avrebbe dovuto
essere, come era stato in quei ricordi falsi e ormai già perduti.
«
Io non voglio fare a meno di questo » sussurrò lui, «non
voglio fare a meno di te. Non
m’importa di quel che è successo, non importa cosa tu pensi di
essere; tu sei reale. Sei la ragazza
che volevo salvare e proteggere. Sei tu,
Naminè. »
«
Sora… »
Si
morse le labbra, avvertendo il sapore salato delle lacrime risalire dalla gola
fino agli occhi. Che assurdità: i Nessuno non piangevano. Non potevano
permetterselo – non ne avevano il diritto.
«
Che cosa posso fare? Cosa posso fare per essere sicuro che riuscirò a
ricordarti, un giorno? »
«
Lo vuoi davvero? »
«
Certo che sì! »
«
Allora stringimi. »
Lui
la fissò, confuso. Ma fu solo per un istante. Sciolse l’intreccio
dalle sue dita, soltanto per avvolgerla con le braccia e attirarla contro il
proprio petto. Così esile, minuto, vivo.
Ricambiò
l’abbraccio – più
forte, più forte; non lasciarlo andare via così – e per
un tempo che le parve infinito, il battito del cuore di Sora le scaldò
la guancia.
« Ho promesso che ti avrei protetta, e che non ti avrei fatto piangere.
Mai.
Perciò
non piangere; sorridi… Mi piace vederti
sorridere.
Mi
piaceva nei miei falsi ricordi, ma quello che sento adesso no, non è una
menzogna… È reale. »
Si
distaccarono timidi.
«
Grazie, Sora. »
«
Per cosa? »
«
Per avermi fatto sentire una Qualcuno. Per avermi fatto sentire il tuo cuore.
»
Sora
sorrise, il primo sorriso da quando erano entrati nel silenzio che precedeva la
separazione. Poi fece una cosa strana, una cosa che – Naminè
lo sapeva – non aveva mai fatto, neppure con lei.
«
Non ti dimenticherò» le sussurrarono le sue labbra contro la
fronte. « È una promessa. »
« Non ricordare qualcosa non vuol
dire averlo perso completamente. »
Un
ultimo sorriso, un ultimo gesto con la mano aperta.
«
A presto, Naminè. »
La
capsula bianca si chiuse sul suo sguardo di nuovo luminoso, e gli nascose la
vista di quell’ultima lacrima.
«
Addio, Sora. »
All’ultimo
piano del Castello dell’Oblio, il silenzio suonava illuso.
Nuovo capitolo! Basato su
una coppia che amo sempre di più *-* Nonostante persino a me appaia un
po’ bislacca. xD Viva le assurdità!
Grazie infinite a tutti i
lettori! <3 E in particolare per le recensioni a:
Dany92:
Ti sono grata per le tue parole, ci tenevo moltissimo alla Sora x Naminè *///* So di non avere espresso al meglio l’angoscia
di Naminè di fronte alla perdita dell’unica
persona che l’abbia mai fatta sentire vera,
ma sono contentissima che ti sia piaciuta! E riguardo Harry Potter, ti assicuro,
i libri valgono tutto il tempo che ci vuole a leggerli xD
Personalmente trovo che soltanto i primi due film rendano loro giustizia (il
terzo è una ca*ata pazzesca, il quarto
è carino, il quinto e il sesto sono quasi reinventati °-°)…
Oh, beh. Grazie ancora, Dany, di vero cuore! ^^
RiruSevilla: Ma grazie! *-* Hai commentato la shot precedente anche se non conoscevi il fandom; significa molto per me, davvero. Purtroppo spiegare
la trama di Kingdom Hearts è complicato (io
stessa devo capirci ancora molto xD) ma davvero, ti
sono grata dei complimenti. E starei qui ore a raccontartela se solo ne avessi
il tempo xD Un bacio!
ShadowEyes:
Guarda, quando ho letto la tua recensione alla L x Misa
non riuscivo a crederci. Sul serio, io amo
le tue fic su Death Note, proprio oggi ti ho inserita
tra gli autori preferiti. E mi lusinga che la mia umilissima storia ti sia
piaciuta! *-* Grazie mille, grazie infinite!
Grazie anche a chi
inserisce la storia tra le preferite, seguite o storie da ricordare!
Buona lettura a tutti. Hopeyoulikeit :)
[ PS. Colgo l'occasione per un piccolo avvertimento: ho deciso di inserire anche Un ponte per Terabithia tra i fandom trattati. ^^ ]
Fili
d’estate e risa graziose
Fandom: Alice in
Wonderland
Personaggi: MadHatter, Alice Liddell [o Kingsley, che dir si
voglia xD]
Genere: (Potenzialmente) Nonsense, Romantico
Rating: Verde
Ambientazione: Poco dopo
l’arrivo di Alice a Sottomondo
Prompt: #13. Masterpiece (Capolavoro)
Il Cappellaio
Matto non stava nella pelle. Che giorno felice, che giorno assolutamente
felice! La fanciulla giusta era finalmente arrivata. Occorreva festeggiare.
Occorreva festeggiare con qualcosa di più del tè – e dire
che per lei aveva preparato un tè squisito, da leccarsi i baffi, come
giustamente stavano facendo il leprotto marzolino e il ghiro rannicchiato sulla
teiera migliore del suo servizio migliore, ansiosi di iniziare il banchetto di
benvenuto. Anche perché a loro,
evidentemente, dell’ospite non importava granché.
Ma
no, ci voleva qualcosa di più speciale del tè. Qualcosa come… Qualcosa come…
«
Alice, vorresti un cappello? »
La
ragazza – troppo piccola, era
troppo piccola – alzò gli occhi su di lui, dal bordo della
tazzina su cui era seduta.
«
No, ti ringrazio, Cappellaio. »
«
Ma io voglio farti un cappello.
»
«
Grazie, no, Cappellaio. »
Il
Cappellaio Matto inclinò la testa, confuso. « Perché no?
»
Alice
si strinse nelle spalle, esitante. « Perché…Beh… »
«
Perché?… » Il Cappellaio Matto si versò dell’altro
tè, in una delle poche tazze col fondo, corrugando la fronte dinanzi
all’interrogativo. « Perché?
Perché un corvo assomiglia ad una scrivania? »
Il
tè strabordò dalla tazza sbeccata ed Alice sollevò
automaticamente il vestito. Lo guardò accigliata.
«
Cosa c’entrano adesso i corvi e le scrivanie? »
«
Entrare? Entrare dove? Nel cappello? In un cappello no che non entrano corvi e
scrivanie » e il Cappellaio sorrise, trionfante. « È logico, Alice! »
«
… »
«
… »
«
… Non ti seguo più, Cappellaio. »
Il
Cappellaio Matto lasciò cadere sul tavolo la teiera, che rovesciò
il tè restante sulla tovaglia già imbevuta, e si alzò in
piedi tutto contento.
«
Seguirmi! Giusto, seguimi. »
E
afferrata la piccola Alice, se la posò su una spalla e si
allontanò velocemente dalla tavola imbandita e dal ghiro e dal leprotto.
Alice si aggrappò al bavero della sua giacca con le microscopiche
manine.
«
Dove andiamo? »
«
A farti un cappello! »
«
… Cappellaio… »
Lui
non l’ascoltava nemmeno, mentre marciava spedito nel bosco vuoto in cui
da pochissimo tempo era tornato a splendere il sole e a scorrere il tempo.
«
… Un grande, grandissimo cappello, che ti faccia da rifugio quando sei
piccola e da portafortuna quando sei grande e da riparo quando sei giusta, e
che sia intessuto di fili d’estate e di risa graziose…
»
«
Non vado matta per i cappelli. »
«
Oh, certo che no. Non sono mica i cappelli a rendere matte le persone » e
alle parole il Cappellaio Matto accompagnò una lunga risata.
«
Così tu sei un cappellaio? »
«
È da molto tempo ormai che non faccio più cappelli. Così come
non festeggio più il non-compleanno. Così come non ballo
più la deliranza. »
«
E perché non hai più fatto nessuna di queste cose? »
«
Aspetto l’Alice giusta. »
«
… Proprio così, il cappello più speciale di tutti per
l’Alice più speciale di tutte…
Sarà il mio capolavoro, senza alcun dubbio. »
«
Cappellaio? »
«
Sì, Alice? »
Le
braccia della ragazza risalirono fino alla sua guancia, si allargarono per
circondarla. Il Cappellaio Matto si fermò, sorpreso, nel cuore del
bosco, a meravigliarsi di quel bizzarro abbraccio e di quanto seppur piccolo
gli sembrasse grande.
Parole che iniziano
con la M: morbido…
E
Alice sorrise contro il suo viso, anche se lui non poteva vederla.
Attenzione: spoiler
per chi non conosce del tutto la trama originale del fandom.
A dirla tutta, ma proprio
tutta, questo capitolo non mi
convince. Penso che avrei potuto carpire e definire meglio le sensazioni del
personaggio, specie in un momento così definitivo. Ma più ci penso più mi areno, perciò
pazienza, lo pubblico così com’è, nella speranza che
piaccia comunque.
Ribadisco che purtroppo
non ho letto il libro Un ponte per Terabithia; ho visto soltanto il remake del film, ed
è da quello che sono tratte le citazioni – seppure vagamente
adattate al contesto. Chissà, forse è anche per questa consapevolezza
che Leslie mi ha un po’ “frenata”; di lei conosco soltanto la
versione cinematografica, il che, temo, può essere un handicap. Oh,
siate buoni, in fondo siamo qui per migliorare. ^^’
Ringrazio tutti i lettori,
e un ringraziamento particolare alla mia Dany92
per la dolcissima recensione (spero che il compito sia andato bene, Dany-chan! ^^).
Buona lettura!
Unbattito
di ciglia
Fandom: Un ponte per Terabithia
Personaggi: Leslie Burke, JesseAarons
Genere: Drammatico, Introspettivo
Rating: Giallo
Ambientazione: Il momento della
caduta di Leslie nel fiume
Prompt: #9. Falling(Cadendo)
Tra la
corda e il fiume c’era uno spazio di mezzo metro. E nello spazio di mezzo
metro si può vivere un’attesa eterna.
Leslie
sapeva; aveva sentito distintamente la corda – la corda magica, sì, proprio quella – spezzarsi, aveva
avuto il tempo di vedere la piena sotto di sé – era piovuto tanto
quella notte. Sapeva cosa ci fosse ad attenderla, e forse da qualche parte
aveva anche un po’ di paura.
Ugualmente,
sperava ancora – soltanto
– di vederlo arrivare.
Lo
aveva aspettato, quella mattina, ma lui non era venuto. Che strano. Di solito
non si faceva aspettare. Non più, almeno; non da quando erano diventati
amici.
Amici.
Jess era il suo unico
amico.
Però
quel giorno non c’era.
Quaranta
centimetri dal pelo dell’acqua.
Che
cosa stupida, no, che cosa ridicola.
Eccolo, Jess – il suoJess, stava arrivando. Veniva
correndo sulla sponda del fiume, saltava giù dal tronco, le tendeva la
mano.
Peccato,
non sorrideva. Le piaceva quando sorrideva.
Forse
proprio perché non lo faceva quasi mai.
Venticinque
centimetri dal pelo dell’acqua.
E
adesso la sentiva, quella mano, sentiva che la stringeva e la tirava su. Palpabile. Reale. E com’era rassicurante.
La
portava in salvo, di nuovo sulla riva, con lui. E un po’ la sgridava anche,
per non aver fatto attenzione, per essere andata là senza di lui.
Le
venne voglia di sorridere. Era la prima volta che l’abbracciava
così.
Venti
centimetri dal pelo dell’acqua.
E
lei cercava di rispondere a quell’accusa, anche se le parole si fermavano
da qualche parte nella gola, ostacolate dalla sorpresa della caduta.
Perché non
sei venuto prima? Perché ho dovuto aspettarti anche stavolta?
Come
qualche mese prima, quando lo aveva battuto in una corsa, e lui non aveva
risposto né alle sue parole né alla sua mano tesa.
Quindici
centimetri.
E
perché, dannazione, perché
non sentiva la sua risposta?
Dieci
centimetri.
Eppure
lui c’era. Lo avvertiva, lo sentiva lì con lei, vicino come non
mai. Sentiva il suo respiro affannato per la corsa; le scaldava le labbra.
Dunque
era solo una speranza, quell’abbraccio?
Cinque.
Quattro. Tre. Due. Uno.
«
Quella corda è vecchia, non c’è da fidarsi. »
«
Pensa se ci fosse un regno incantato che conosciamo solo noi due… Se l’unico modo che abbiamo per entrarci
fosse lanciandoci con quella corda magica! »
Quando
il suo corpo toccò l’acqua, Leslie tornò al presente.
Un
battito di ciglia. Una comprensione dolorosa.
No,
Jess non c’era.
Un
solo pensiero le attraversò la mente, nell’istante precedente
all’urto contro la roccia fredda e liscia.
Peccato.
Non lo avrebbe più visto sorridere.
Nello spazio di mezzo metro si
possono ricordare mille momenti, ma non se ne può dimenticare nessuno.
Comincio col dire che
questa shot potrebbe intendersi come una furry, ossia una fanfic con
presenza di personaggi-animali: beh, sono esigenze di copione dovute al prompt – e tra l’altro questo abbraccio mi
piace quasi di più così che in versione umana…
Vi è anche una possibile presenza di slash,
ma potete rilevarla o meno, a vostro piacimento; questo è uno di quei
capitoli in cui non è
necessario trovare a tutti i costi del romanticismo.
Passo subito a
ringraziare tutti i lettori (vi adoro, vi adoro davvero <3), in particolare
per le recensioni:
Dany92:
Sono felice che ti sia piaciuto il precedente capitolo, e che pensi che l’essenziale
ci fosse ^^ In effetti, come hai detto anche tu, l’idea della velocità del momento mi ha
costretta a pensieri brevi e quasi frammentati, e forse soprattutto per questo l’introspezione
di Leslie non mi convinceva del tutto; ma sono lieta che ti sia piaciuta, sul
serio. A quanto pare ti sto costringendo ad interessarti a parecchi libri, eh?
^////^’ Un bacione, grazie mille come sempre!
Elos: Non hai idea di quanto mi abbiano colpita
le tue recensioni. Dico davvero, a giudicare dalle tue parole ciò che
scrivo mi sembra migliore .__. Non so come ringraziarti, tanto per i
complimenti quanto per i suggerimenti riguardo lo stile (riguardo il secondo
capitolo hai ragione, Misa parla di sé in
terza persona nella versione originale; io ho seguito l’anime soltanto in
italiano, come te, ma mi piaceva l’idea di renderla un po’
più fedele a se stessa: spero di esserci riuscita!). Spero anche che
continuerai a seguire la mia raccolta, perché le tue recensioni sono
veramente costruttive e, come dire, stimolanti.
^^ Grazie di cuore, davvero.
Buona lettura a tutti –
hopeyoulikeit :)
Troppo umano
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Remus Lupin, SiriusBlack
Genere: Introspettivo, Sentimentale
Rating: Giallo
Ambientazione: Quinto anno a Hogwarts dei Malandrini
Prompt: #12. Fur (Pelo,
pelliccia)
Lo
sapevano tutti, a Hogsmeade. La Stamberga Strillante
era il posto più infestato di tutta la Gran Bretagna. Per davvero.
Peccato
non potessero immaginare che i fantasmi che sentivano urlare erano i suoi, i demoni di un unico essere
dannato.
Il
Lupo Mannaro giaceva prostrato sul pavimento polveroso, ringhiando ansante. La
luce della luna piena filtrava appena dalle finestre sbarrate, ma incendiava il
fuoco nei suoi occhi spalancati – un fuoco in cui la furia andava
sopendosi, lasciando il posto ad una più quieta disperazione. Man mano
che l’umanità si riprendeva il proprio posto nel corpo e nella
mente bestiali, anche i pensieri tornavano a vertere sul lato umano, e portavano
con sé i primi dolorosi segni del senso di colpa e della vergogna.
Il
visetto terrorizzato gli aleggiava ancora davanti al muso, gli occhi spalancati
e la bocca tremante…
Un
odore familiare giunse alle narici dilatate. Il Lupo Mannaro sollevò la
testa e ringhiò all’entrata dell’intruso.
Pensavo avessi
capito che volevo restare da solo.
L’enorme
cane nero entrò trotterellando dalla porta scardinata, diretto verso di
lui con imperterrito sangue freddo.
Pensavo sapessi che
per me ogni occasione è buona per far saltare i nervi al buon vecchio Lunastorta.
Il
Lupo Mannaro ringhiò ancora, ma lasciò ricadere la mascella sulla
zampa, socchiudendo gli occhi.
Non c’è
nulla su cui scherzare. Ho rischiato di aggredire una bambina.
Il
cane sedette sulle zampe posteriori. Sbadigliò, mostrando una fila di
lunghi denti bianchissimi e acuminati; poi si grattò il collo con una
zampa, ostentando la massima indifferenza.
James e Peter sono
con lei. L’hanno riportata al sicuro, al villaggio. Non credo che sua
madre la lascerà tornare tanto presto a sconfinare verso il castello… Non hai nulla di che preoccuparti, è
tutto sotto controllo.
Il
lupo emise un basso verso roco che nel silenzio suonò come una risatina
lugubre. Il cane si scrollò; probabilmente, se avesse potuto, avrebbe
sbuffato.
Dannazione, Remus, piantala di fare il…
Un
ennesimo ringhio coprì quelle che avrebbero potuto definirsi le sue
parole; il Lupo Mannaro sollevò di nuovo il muso.
Come puoi ostinarti
ancora a non vedere la realtà? Come puoi stare lì a scherzarci
sopra? Non hai idea di quel che sarebbe potuto succedere alla ragazzina se…?
Silenzio.
Lontano, da qualche parte ad ovest – forse proprio sopra Hogwarts – echeggiò un tuono.
Il
cane nero guardava il lupo con intensità, come sfidandolo a continuare,
gli occhi neri scintillanti nel buio. Neppure un verso in risposta. Del resto gli
animali hanno molti modi per esprimere il proprio stato d’animo.
Il
Lupo Mannaro rantolò all’improvviso, uggiolò quasi – faceva
male, ed era un dolore troppo umano. Stava tornando se stesso nel modo
più doloroso possibile: con l’anima.
Dio, non avrei mai dovuto
lasciare che tu e gli altri entraste in questa storia. Voi non potete capire.
Non mi pare la
pensassi così stamattina, quando progettavamo insieme nel dormitorio i
particolari della nostra scorrazzata notturna…
Non è
divertente, Sirius. È una cosa mostruosa. Io sono una cosa mostruosa.
Il
cane mostrò i denti, quasi un ghigno.
Di certo sei
mostruosamente seccante quando ti piangi addosso.
Il
lupo respirò profondamente, quasi un sospiro.
Iniziava
a piovere.
«
I miei complimenti, Felpato. Non avrei mai immaginato che potessi diventare Animagus in soli
cinque anni. »
«
Cos’è quest’ironia, Lunastorta?
Avevo la certezza che non possedessi alcun senso dell’umorismo. »
«
Sappi che potrei morderti per questo. »
«
Oh, davvero? Uuuu! Licantropo in libertà! Salvatemi!
Uuuu! »
E
rotolano insieme nell’erba, tra le risate di Codaliscia
e Ramoso.
Il
cane nero si mosse all’improvviso. Ora era abbastanza vicino da poter
posare una zampa su quella del lupo.
Non è colpa
tua, Remus.
Il
Lupo Mannaro lo scrutò con un vago riflesso di umana amarezza.
E di chi vuoi che
sia? Tua? Di James? Di Peter?
Non sei tu a volere
questo. Non l’hai mai voluto.
E
tra i pensieri, tra i sentimenti, affiorarono anche i ricordi. Il lampo bianco di
denti, il dolore sordo del morso, il momento in cui la vita era diventata una
dannazione.
Mentre
tornava a sentirsi un ragazzo di quindici anni,il lupo – il mostro – chiuse stancamente gli occhi.
No.Mai.
Il
cane nero gli si accucciò al fianco. Per un attimo rimase là,
come incerto; poi, con un lieve uggiolio di condivisione, gli lambì il
muso con la lingua. Il lupo non si mosse, così come non rifuggì
il contatto quando il cane posò il muso sopra la sua testa. Pelo nel
pelo, zampa su zampa, ma con gli artigli ritratti.
Sotto
la pioggia, per una volta, i fantasmi della Stamberga Strillante quasi tacevano.
In nome del sommo Lawliet, vi supplico di perdonarmi. So di essere in-de-cen-te-men-te in ritardo con gli aggiornamenti. ç///ç
Purtroppo l’accademia
assorbe molto del mio tempo, e anche se le idee sono sempre là pronte
nella mia testa sovraffollata spesso mi riesce difficile trovare il tempo di
metterle per iscritto. Sono davvero mortificata.
Tra l’altro, sono
reduce dallo shock di essere tornata a trattare un fandom
che non frequento da millenni *__* Benché Card Captor Sakura abbia segnato il mio
amore per gli anime e per le fanfiction, e
benché su di esso abbia scritto moltissime fortunate fic,
è stato, come dire?, strano
tornare a concentrarmi su Shao e Saku,
che da così tanto tempo stavano là zitti nello strato più
quiescente del mio cervello… Tutto ciò
per dirvi che anche il capitolo in sé ha assorbito parecchio tempo per
essere concepito e scritto. Ancora una volta, chiedo perdono.
Ho anche fatto pasticci
con l’ambientazione, temo: questa shot è
ambientata nel periodo di San Valentino, ma contemporaneamente anche nel
periodo immediatamente successivo al trasferimento di Shaoran
in Giappone [quando ancora sembrava attratto da Yukito
– saprete già che ciò era dovuto solo agli influssi lunari
di Yue, che condizionavano il comportamento di Shaoran quasi come se ne fosse innamorato]; onestamente non
so se questi due lassi di tempo coincidano, e nel caso non sia così,
sono nuovamente imperdonabile. A questo punto posso solo invocare la licenza
poetica. ^^’
Un grazie megagalattico a
Elos che
ha commentato il capitolo precedente, e a coloro che ancora hanno la
pazienza di seguire questa raccolta!
Vi lascio alla lettura. Hopeyoulikeit <3
[Shounen-ai marginale ]
Mai e poi mai
Fandom: Card Captor Sakura
Personaggi: Sakura Kinomoto, Li Shaoran
Genere: Commedia, Romantico
Rating: Verde
Ambientazione: Prima che Shaoran capisca di essere innamorato di Sakura
Prompt: #5. Chocolate(Cioccolato)
Di
norma, economia domestica non rientrava tra le materie preferite di Sakura Kinomoto.
A
dirla proprio ma proprio tutta, se
non fosse stato per Tomoyo non sarebbe mai stata in
grado di cucinare neanche un uovo al tegamino.
C’era
un che di innaturale nella passione della sua migliore amica per i fornelli; Tomoyoadorava
starsene per ore in cucina a sperimentare, creare, esprimersi attraverso le
pietanze anziché le parole, e mettere poi in tavola il succulento risultato
e aspettare con tranquillità che i suoi commensali le donassero un
giudizio – che puntualmente non poteva essere che positivo. Le piaceva
quasi quanto le piaceva cantare, o riprendere e fotografare Sakura, o
confezionare abiti assurdamente originali per lei.
Ovvio
che, in quel caso, Sakura fosse ricorsa al suo aiuto e alla sua pazienza.
«
Devi aiutarmi, Tomoyo. »
«
Che cosa succede? »
«
Il nuovo progetto per economia domestica. »
«
Il cioccolato per San Valentino? »
«
Sì… Sì. Quello. »
«
Ma Sakura, immagino che tu sappia come preparare un po’ di cioccolato… »
«
Sì, beh…Io…Ecco… Non so…
»
«
Sakura, che ti prende? Perché sei così rossa? »
C’era
voluto del bello e del buono, ma alla fine l’aveva ammesso. Voleva che Tomoyo l’aiutasse più del solito, che le desse
ripetizioni di cucina, se necessario –
perché quel cioccolato non era soltanto un compito scolastico. Era
qualcosa di speciale.
Sarebbe
stato il suo primo regalo per Yukito.
Oh,
non che Tomoyo si fosse fatta pregare. Lei era stata
più che entusiasta di dare il suo contributo, allenandola con la teoria
e la pratica del cioccolato per settimane. Il guaio – quello che ancora
la rendeva nervosa, la impacciava, e a volte la faceva sprofondare nella
depressione – era un altro…
Shaoran.
Shaoran aveva sentito,
quando lei aveva confessato a Tomoyo di voler
regalare il cioccolato per San Valentino a Yukito.
Aveva sentito e subito aveva messo su quell’espressione infastidita che
adottava tutte le volte che Sakura parlava di lui.
Sakura
sapeva da un pezzo che anche il compagno cinese provava dei sentimenti per YukitoTsukishiro. Quel che non si sarebbe mai immaginata era che Shaoran s’impegnasse con tanta energia per preparare
a sua volta del cioccolato – il destinatario del quale, era evidente, non
poteva essere che lo stesso.
Forse
per questo, per via di tutti questi imbarazzanti e fastidiosi pensieri, quella
mattina cucinare allo stesso tavolo di Shaoran si
stava rivelando un’esperienza così
pasticciona.
«
Sakura, psst! » Tomoyo
le tirò una manica del grembiule, sporgendosi dal suo tavolo nella
seconda fila. « Fai attenzione. Sta colando tutto. »
Sakura
sussultò e tornò al presente. Il cucchiaio con cui stava
mescolando la crema scura nella terrina sgocciolava sul tavolo; per fortuna
l’insegnante non era nei paraggi. Si affrettò a tuffarlo di nuovo
dentro il recipiente, schizzandosi sul viso, per poi pulire il piano con uno
straccio.
Alla
sua destra, Shaoran le lanciò
un’occhiata in tralice e sogghignò appena. Sakura si sentì
arrossire.
«
Avete ancora cinque minuti, ragazzi. Correte ad infornare, presto! »
Ubbidiente,
la classe si mosse per raccogliere i contenuti delle ciotole in piccole teglie
o stampi che poi andarono tutti a cuocere nei forni. L’aula di economia
domestica fu percorsa dai sussurri eccitati delle ragazze e quelli scocciati
dei ragazzi.
Sakura
osservò dal di qua dei vetri il proprio operato: non le sembrava un
granché, ma l’importante era che fosse buono.
Doveva essere buono. Doveva
essere buono per Yukito.
Ci teneva così tanto…
«
Benissimo. E ora a lavare mani e utensili. »
Sakura
vide Tomoyo accodarsi a Rika
e Chiharu verso il lavabo. I loro sguardi s’incrociarono,
e Sakura sorrise, ancora profondamente grata all’amica per il suo
sostegno. Quindi si voltò per raccogliere i vari recipienti sporchi di
cacao, farina e quant’altro dal tavolo che aveva condiviso con Shaoran.
Il
ragazzo stava facendo lo stesso, e presto finì per urtarle la mano con
la sua. Sobbalzarono entrambi, sorpresi.
Sakura
alzò gli occhi e vide Shaoran distogliere con
stizza i suoi, prima di allontanarsi risolutamente da lei.
No,
quel compito non facilitava affatto il suo rapporto con l’erede cinese di
ClowReed.
* * *
Il
giorno di San Valentino aveva sempre infastidito oltre ogni dire Li Shaoran.
Forse
perché le sue quattro sorelle, con le loro classiche smancerie e
sdolcinatezze da adolescenti, gliel’avevano fatto odiare a priori.
Allora
per quale motivo – si chiese mentre percorreva immusonito le stradine
poco affollate di Tomoeda, la mano stretta
convulsamente sul pacchetto che aveva in tasca – per quale dannatissimo motivo stava andando a
regalare del cioccolato a uno che, alla fin fine, era un emerito sconosciuto?
Il
solo pensiero lo fece arrossire. Tsukishiro era un ragazzo, era più grande di lui,
ed era il migliore amico del fratello della sua acerrima nemica. Roba che le
soap-opera si sognavano. Si era dato dell’idiota mille volte, per quell’illogico
batticuore che gli provocava la presenza di Tsukishiro
nel suo campo visivo e auditivo; era arrivato a schiaffeggiarsi da solo nella
speranza di darsi una scrollata, quando di colpo si fermava a pensare a lui e
avvertiva il senso crescente d’imbarazzo e isterismo irrigidirgli le
membra e mozzargli la lingua.
Inutilmente.
E
infatti adesso stava andando a regalargli del cioccolato.
Roba.
Da. Matti.
D’altro
canto non gli piaceva neppure il fatto di doverlo andare a cercare a casa di Kinomoto. Era quasi sicuro che l’avrebbe trovato
lì, da quell’idiota di Touya. Ma questo
comportava infilarsi dritto dritto nella tana della Catturacarte. E dire che si era promesso di evitarla, santo
cielo!
Quando
si rese conto di star quasi stritolando il pacchetto di cioccolatini nella
tasca del cappotto, si fermò – a pochissima distanza da casa Kinomoto – e inspirò profondamente per
calmarsi. Andava tutto bene. Non c’era nulla di cui innervosirsi. Avrebbe
suonato alla porta, avrebbe chiesto se Tsukishiro era
in casa, e in caso affermativo sarebbe andato direttamente da lui e gli avrebbe
consegnato il cioccolato senza una parola; poi sarebbe tornato difilato a casa.
Il tutto senza degnare i Kinomoto di uno sguardo. Sì,
ecco, nessun problema. Poteva farcela. Sì.
Armato
di una nuova determinazione, riprese a camminare.
Ma
si fermò di nuovo, suo malgrado, appena giunse in vista del cancelletto
d’ingresso.
Sakura
Kinomoto era seduta lì e piangeva e
singhiozzava senza ritegno.
Spiazzato,
Shaoran ci mise qualche secondo a riprendersi da
quella vista. La Catturacarte gli era sembrata un’ingenua,
una testarda e una ragazzina un po’ sciocca, ma di certo non una che piangesse – mai. Non gli aveva mai
dato l’idea di una persona che cedesse facilmente alle lacrime. Anche se,
beh, certo, non la conosceva poi da molto.
Oh,
ma perché doveva starsene là a ragionare su di lei? Era un altro
il motivo della sua presenza lì, no?
E
allora perché esitava e
restava piantato sul posto a guardare le lacrime di quella stupida ragazzina?!
In
quella, la ragazzina in questione alzò gli occhi e lo vide. Erano ad
almeno quindici metri di distanza, ma anche così Shaoran
poté vedere la confusione entrare prepotente nei suoi occhi in luogo
della tristezza, o della rabbia, o di quel cavolo che era a farla piangere.
«
L-Li? Cosa…Che…
Cosa ci fai qua? »
Shaoran si avvicinò.
Avrebbe potuto dirle la verità – chiederle se in casa c’era Tsukishiro
– fare quel che doveva e poi sparire dalla circolazione.
Invece
si sentì dire qualcosa che non
sapeva di aver avuto l’intenzione di chiedere.
«
Che ti è successo? »
Si
fermò di fronte a lei, confuso. Un momento. A lui che gliene importava?
La
ragazza s’imbronciò di nuovo. Le sfuggì un altro
singhiozzo, mentre con un gesto rabbioso della mano si asciugava le guance.
«
Q-quello stupido di mio fratello. H-ha
mangiato t-tutto il cioccolato c-che avevo preparato per Yukito.
»
Pronunciare
quel nome la fece arrossire, più o meno come succedeva sempre a Shaoran.
Lui
la fissò ancora per qualche istante, combattuto. Da un lato era tronfio,
esaltato; Tsukishiro
non avrebbe ricevuto il cioccolato della Catturacarte,
ma il suo sì. Ma da un altro lato…Beh… Doveva
ammettere che TouyaKinomoto
si era comportato in modo estremamente egoista e arrogante. Come al solito.
Le
lacrime ripresero a scendere sulle guance rosse della ragazza, aumentando il dolore
nei suoi occhi verdi.
Shaoran tentennò. Non
gli piaceva, no, non gli piaceva per niente quella tristezza nel suo sguardo. Era
così inusuale… Così non-da-Sakura.
Aveva
ancora la mano in tasca, sul pacchetto. Lo strinse debolmente. Soppesò l’idea
che gli era venuta – assurdo,
assurdo; perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere? – e sospirò
di sconforto.
Per
tutte le carte di ClowReed,
in che razza di situazione s’era andato a cacciare.
Riluttante,
con la mezza intenzione di filare via senza neppure informarsi sulla presenza
di Tsukishiro in casa sua, trasse dalla tasca il
pacchetto e lo tese alla compagna.
«
Tieni. »
Lei
sollevò di nuovo il viso. Andò con lo sguardo dal pacchetto a lui
e di nuovo al pacchetto, senza capire. Shaoran sbuffò.
«
È quello che ho cucinato io. Puoi… Puoi
dargli questo. A… A Tsukishiro,
intendo. »
Sakura
lo fissò e smise del tutto di piangere; i suoi lineamenti rimasero solo
pervasi di uno stupore immenso.
«
P-posso…Cosa?
» La sua voce era poco più che un sussurro. « Tu… Tu sei disposto a…
Tu mi daresti…? »
Shaoran sbuffò di
nuovo, spazientito, e le agitò la scatola davanti al viso. « Senti,
prendilo prima che cambi idea. E non farla tanto lunga…
In fondo è solo cioccolato. »
Sakura
tese automaticamente una mano. Accettò il pacchetto che le porgeva, e le
dita sfiorarono le sue, come quel giorno in classe quando avevano cucinato
insieme e – in un certo senso – l’uno contro l’altra. Per
qualche oscura ragione, il contatto gli diede più fastidio ora che
quella prima volta; probabilmente perché aveva appena ceduto alle
lacrime di una ragazza… Già, si stava rammollendo,
decisamente.
Prima
che potesse rendersene conto, Sakura aveva sorriso radiosa – che strano: il sorriso regalava una luce
tutta nuova ai suoi occhi pieni di lacrime – e gli era saltata al collo.
Shaoran barcollò,
esterrefatto e imbarazzatissimo.
«
K-Kinomoto! Che ti salta in mente?! »
«
Grazie, Li-kun » gli rise all’orecchio
lei, col tono di chi non potrebbe essere più felice.
Era
sempre più strano… Adesso, per qualche ancor più oscura ragione, il
contatto era più…accettabile… Quasi
interessante.
Si
sentì avvampare, ma grazie al cielo fu solo per un attimo.
Sakura
si ritrasse di colpo e si allontanò di corsa lungo la stessa strada che
lui aveva percorso per arrivare fin lì, salutandolo gioiosa con la mano.
«
Vado da Yukito… Grazie mille, Li, davvero, sei
un amico! »
Shaoran rimase imbambolato
a guardarla sparire. Amico… Amico? Ma se erano rivali…
Si
toccò lentamente una guancia, là dove aveva sentito più
forte il suo profumo e il suo respiro…
Poi
scosse la testa con energia e riaffondò le
mani nelle tasche. Che assurdità.
Era il primo ed ultimo favore che faceva a Sakura Kinomoto.
Si
decise infine a tornare sui suoi passi, sconsolato…
Non solo aveva fatto un viaggio a vuoto, ma aveva persino ceduto alla Catturacarte il suo cioccolato…
E così sarebbe stato lui a non
regalare nulla a Tsukishiro per San Valentino…
Gli
occhi verdi e raggianti di Sakura gli scorsero di nuovo nella mente, e la
sensazione di essere smascherato dalla loro beata ingenuità lo fece
avvampare di nuovo.
No.
Non sarebbero mai stati amici. Mai e poi mai.
E
scalciò via un sasso, tentando di strapparsi di dosso quell’insopportabile e familiare
senso di calore allo stomaco che quell’abbraccio imprevisto gli aveva
provocato.
Ho scritto questo
capitolo un bel po’ di tempo fa; il prompt
è stato uno dei primi a ispirarmi, e i due personaggi coinvolti non
potevano essere che quelli… Ad ogni modo, se ci
ho messo tanto a pubblicarlo è per via della scarsa stima che ho nei
confronti di gran parte dei miei lavori. In qualche modo, mi sembrava e mi
sembra tuttora che in questo breve episodio ci sia dell’incompleto, del
non detto. Ma ragionandoci ho capito che è giusto così,
perché quando si parla di Death
Note c’è quasi sempre
qualcosa di non detto. ^^ Ulteriore nota: il pairing
non va assolutamente inteso come romantico – cioè, non voglio dire
che non sia possibile trovare delle affinità romantiche tra i due
(soprattutto per le amanti dello yaoixD), ma non c’è alcun romanticismo in questo determinato contesto. u.u
Ringrazio tutti i
lettori; e per le recensioni:
Elos: Sono felice che la shot ti sia piaciuta anche se non conoscevi CCS *-* In
effetti sì, anch’io ho trovato un po’ scioccante l’inizio
dell’anime, quando sembrava che Shaoran e
Sakura condividessero una cotta per la stessa persona…
E posso solo immaginare quanto possa esserlo stato per te! ^__^’’ Per
quanto riguarda Shaoran, beh: lui è incantevole. Sempre. E sentirmi
dire che è incantevole anche
come l’ho reso io, lo considero un serio motivo di orgoglio. *///* Ti
ringrazio ancora!
Dany92: Waaa, sono lieta di sapere della tua gita nell’assolata
Spagna *-* Spero tu ti sia divertita tantissimo!! Ma quale perdono?! Anzi,
grazie mille per le tue dolcissime parole ^///^ Per me è un onore
ritrovare intatti i tuoi complimenti, dopo aver tralasciato CCS per una vita;
temevo seriamente di averci perso la mano x’DD Ti abbraccio forte, Dany-chan!
Vi lascio – buona
lettura a tutti!
Una cosa da bambini
Fandom: Death Note
Personaggi: Near / Nate River, L Lawliet
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: Verde
Ambientazione: Durante
l’infanzia di Near alla Wammy’s
House
Prompt: #1. Teddy bear (Orsacchiotto)
Mucchi
di stoffa lisa sul pavimento scuro. Il ragazzino biondo aveva fatto davvero un
ottimo lavoro; la sua caratteristica rabbia distruttiva aveva ancora una volta
lasciato il segno. L’imbottitura bianca e soffice come ovatta era
fuoriuscita quasi del tutto dall’ampio strappo, i fili restavano sciolti
sotto le cuciture saltate, e le membra del pupazzo sembravano appassite,
abbandonate.
Al
bambino era piaciuto tanto, quel pupazzo. Ma, come molte cose che gli erano
piaciute, anche quello apparteneva già al passato.
Eppure
non riusciva a scacciare quella brutta sensazione dolorosa agli angoli degli
occhi.
Rimase
sorpreso quando una mano pallida – quasi
quanto le sue – entrò nel suo campo visivo, sfiorando con un
dito l’orsetto di peluche squarciato. Non aveva sentito entrare nessuno.
Poi alzò gli occhi, e comprese.
Quel
ragazzo strano – ma in fondo erano tutti
strani in quel posto, no? – che aveva già avuto modo di conoscere
se ne stava lì curvo, gli occhi neri fissi sull’orsacchiotto. La
sua espressione era vagamente impressionata, come se non avesse mai immaginato
che qualcuno potesse ridurre in quello stato un semplice giocattolo.
Era
naturale che non l’avesse sentito. Girava sempre a piedi scalzi. Proprio
come lui.
Si
rese improvvisamente conto di quanto dovesse sembrare infantile al famoso, al grande, all’unico L trovarsi a tu per tu con uno degli
orfani destinati a seguire le sue orme e vederlo piangere per un pupazzo scucito.
Si passò la manica troppo lunga del pigiama bianco sugli occhi, sperando
che il ragazzo non avesse notato nulla.
«
Non ce n’è bisogno. »
Alzò
di nuovo lo sguardo, sorpreso.
L
si era accovacciato di fronte a lui. Aveva preso l’orso in grembo, e
sembrava che lo studiasse, ma le sue parole chiarirono che, sì, aveva
notato le sue lacrime.
«
È una reazione naturale, non c’è motivo di vergognarsene.
» Per la prima volta lo guardò, inespressivo. « Piangere non
è una cosa da bambini. È una cosa da persone. Persone che sanno
cosa significhi essere bambini e sanno cosa significhi crescere. »
Riprese
a soppesare il peluche, rigirandolo lentamente da tutti i lati. Nate
fissò il suo viso neutro – quasi
quanto il suo – e forse fu grato di non poterne incrociare di nuovo
lo sguardo.
«
Succede anche a te? »
L’aveva
chiesto senza pensare, senza volere. Il ragazzo, inspiegabilmente, sorrise.
«
A volte. »
Nate
non ebbe il tempo di essergli grato di non averlo guardato, mentre pronunciava
quelle parole.
Lui
portò una mano dietro di sé, cercò qualcosa nella tasca
posteriore dei pantaloni. Quando tornò a toccare l’orso, il
bambino vide un oggetto lucente e puntuto tra le sue dita. Il ragazzo aveva gli
occhi bassi, ma parve notare comunque la sua curiosità.
«
Qualcuno mi ha insegnato che non fa mai male portare con sé un ago e del
filo. »
Nate
si era avvicinato impercettibilmente. Aveva paura di porre la domanda
successiva; ma questa volta la risposta arrivò da sola, senza soste e
senza remore – come se anche lui
avesse bisogno di tornare bambino, ogni tanto.
«
Una donna a cui volevo molto bene. »
«
Sei L? »
«
Sì. E tu chi sei? »
«
… »
«
… »
«
Non posso dirti il mio nome. »
«
Ma davvero? »
«
Bisogna tenersi stretta la propria identità. È più sicuro
così. »
«
… Cominci già ad assomigliarmi, piccolo. »
Si
scambiano un’occhiata, e Nate River non è sicuro di vedere
approvazione in quegli occhi neri.
Il
ragazzo si chinò, tagliò il filo con i denti e rimise l’ago
in tasca. Poi lo guardò e gli tese l’orso, in silenzio.
Il
bambino rivide il pupazzo com’era prima che il ragazzino biondo lo distruggesse.
La stessa stupida stoffa sorridente che gli aveva fatto compagnia senza
chiedere nulla in cambio, lo stesso inutile involucro morbido che quel giorno
– per la prima volta da quando era arrivato lì – lo aveva
reso triste e ora lo stava facendo sorridere.
Pensò
che l’orsetto era come L.
Pensò
che L era come lui.
Forse
fu per questo, forse no. Seppe soltanto riconoscere le lacrime che
ricominciavano a premere agli angoli degli occhi, e che stavolta non si
fermarono lì.
Non
si curò di asciugarle, non più. Non si vergognava di piangere di
fronte a L. Anche L piangeva. L sapeva cosa significasse crescere. Crescere soli.
Passò
sotto le sue mani tese, strisciò verso le sue ginocchia sollevate e
piano piano le costrinse verso il pavimento. Quando
trovò i suoi vestiti troppo larghi – quasi quanto i suoi – vi premette contro il viso e vi si
aggrappò con le mani, soffocando i singhiozzi.
L
sussultò appena, ma non lo respinse. Abbassò soltanto le braccia
e lo ascoltò piangere.
So di essere
mostruosamente in ritardo, ma cercate di capirmi. Sono nella piena fase esami
universitari e…
No, ok, così non
va. Il fatto è che ho postato altre storie, nel frattempo, pur
preparando gli esami, perciò questa non è una buona giustificazione.
Penso di aver
semplicemente perso per un po’ il mio interesse verso questa raccolta. E
sono consapevole di aver appena detto poco meno di una blasfemia, visto che ero
partita tutta gasata della serie ‘Evvai, ho
un’idea che ho già sviluppato mentalmente fin nei minimi dettagli,
stavolta non accumulerò blocchi su blocchi’. Non so che dire.
È semplicemente andata così.
Spero solo di riuscire a
farmi perdonare. .__.
Ad ogni modo, voglio
festeggiare il 23 ed il 26 di questa mattina condividendo con voi la mia primissimaRiku x Sora :3 [ Dunque stavolta lo shounen-aic’è.
] A questo riguardo vi prego di avere pazienza: come ho detto è la primissima
che scrivo e, beh, mi è uscita così. xP
GrazieinfiniterrimeaElos, Dany92eShadowEyesper
aver recensito lo scorso capitolo; grazie a chiunque ha ancora la pazienza di
seguirmi; grazie ad ogni singolo lettore, come sempre.
Hopeyoulikeit. <3 [ Corre a studiare
per i prossimi esami xD ]
Nota 1.
Non sono ancora sicura di nulla, ma potrei decidere di utilizzare anche Kuroshitsuji tra
gli anime.
Nota 2.
Una mia amica mi ha consigliato di postare i vari capitoli come shot distinte, perché secondo lei è molto
difficile che si vadano a cercare fanfic su un fandom nella sezione Crossover – il che in fondo
è vero. Chiedo il vostro parere. Voi che ne pensate? .__.
Fallo per
me
Fandom: Kingdom Hearts
Personaggi: Riku, Sora
Genere: Commedia, Romantico
Rating: Verde
Ambientazione: Prima del viaggio
di Sora & Co. tra i mondi, ipoteticamente durante le scuole medie
Prompt: #15. Kiss (Bacio)
Se
c’era una cosa che, alla soglia dei quattordici anni, Riku
aveva imparato a proprie spese, era che Kairi era
pericolosa.
Oh,
non pericolosa nel senso che ti si avvicinava di soppiatto nella notte con un
coltello in mano ed un ghigno grondante sangue. Ci mancherebbe. Il suo era un
tipo di dannosità molto più ‘umano’, per così
dire – e forse proprio per questo molto più allarmante.
In
un certo senso questo gli piaceva, di lei. Almeno era sicuro che con lei e Sora
non si sarebbe mai annoiato.
Sora.
Ecco, accidenti, era arrivato a Sora.
Tanto lo sapeva che sarebbe stata questione di minuti.
Ed
era inutile dire che, in quel tipo di pericolo che Kairi
rappresentava per Riku, Sora era nato per sguazzarci.
«
Riku, giochiamo? »
«
Mh? »
«
E dai, Riku, giochiamo. »
«
Sora, non vedi che sto cercando di studiare? »
«
Oh, non fare il guastafeste! E dai…Kairi ha detto che vuole organizzare un gioco. »
«
Non so perché ma non prevedo nulla di buono. »
«
E dai, Riku! E daaai! Che
ti costa? Non vuoi giocare con Kairi e con me?
»
Accidenti
a quegli occhioni blu. Accidenti agli occhi di Sora.
Riku l’aveva sempre odiato, il gioco della bottiglia.
«
Vediamo, Riku dovrà baciare…
» La voce allegra di Kairi si fece molto meno
allegra, molto più fievole, mentre il suo sguardo seguiva il rallentare
di quella stupida bottiglia di plastica ed il suo fermarsi con
quell’odiosa aria di sfida – oh, di sfida, sì, quella
bottiglia lo stava sfidando. E,
accidenti, lui avrebbe tanto voluto perdere,
per una volta.
La
ragazza non terminò la frase, ma nell’aula affollata soltanto da
quei pochi ragazzi che non erano corsi in cortile per la ricreazione
calò un silenzio di piombo.
Riku deglutì.
Non può
essere vero.
Kairi guardava dalla bottiglia a Sora,
spiazzata. Selphie guardava da Kairi
a Sora a Riku, incerta. Tutti guardavano da Kairi a Sora a Riku incerti. Ma Riku non
guardava altri che Sora, che se ne stava lì con gli occhi fissi sulla
bottiglia – come fosse un oggetto alieno – ed uno stupore
indicibile stampato in faccia.
Finché,
di colpo, Sora scoppiò a ridere, facendo sobbalzare Riku
e Kairi e Selphie e tutti
gli altri.
«
Che razza di stupidaggine » le risate quasi gli impedivano di parlare,
« che stupidaggine assurda!
»
Riku rimase a fissarlo allibito.
«
Sora… » Kairi
aveva l’aria di una che avrebbe preferito mangiare carta igienica
piuttosto che dire ciò che stava per dire. Ma bisognava darle atto:
andò fino in fondo. « La bottiglia indica te. »
«
Cosa? Oh, andiamo, Kairi » se ne uscì
lui, sempre con l’aria di spassarsela. « Non ti aspetterai mica che
Riku lo faccia perdavvero?! »
Silenzio.
Riku continuò a fissare Sora allibito.
«
Ma la bottiglia indica te »
ripeté Selphie, probabilmente pensando che
Sora non era abbastanza sveglio da capire il concetto al primo colpo.
«
Beh, e con questo? » Lui la guardò, a metà ancora
divertito, a metà sorpreso. « Questa è una cosa così
stupida che nessuno può
prenderla in considerazione. Riku farà girare
di nuovo la bottiglia, niente di più facile. No? »
Silenzio.
Riku continuò a fissare Sora allibito.
…
Stupida. Una cosa così stupida.
Era
una cosa così stupida che Sora non
avesse mai capito niente.
Riku strinse un pugno, sforzandosi di
mantenere un’espressione indecifrabile, ma a quel punto l’interesse
di Sora si era spostato su di lui. Lo vide alzare gli occhi su di sé,
mentre il sorriso gli spariva lentamente dalle labbra, lasciando il posto alla
confusione.
«
Riku? Che stai aspettando? »
Riku sospirò. Allentò la
stretta delle dita.
Peccato;
avrebbe voluto che il contesto fosse diverso.
Si
alzò tanto improvvisamente da far sobbalzare Tidus,
marciò verso Sora, si chinò sul ginocchio, lo afferrò per
il mento, ignorò spudoratamente il suo verso di sorpresa [o di
protesta?] e lo baciò direttamente sulle labbra.
E
il silenzio era ancora assordante, ma, oh, quant’erano morbide le labbradiSora.
Tre
secondi, e a malincuore Riku si staccò e
tornò a sedersi senza incrociare lo sguardo di nessuno. Solo quando
riguadagnò il suo posto poté vedere nuovamente Sora, rimasto
lì, attonito e paonazzo, a fissarlo forse senza nemmeno vederlo. Da
qualche parte, Kairi chinò il viso,
nascondendo una qualche espressione dietro i lunghi capelli rossi.
Sì,
avrebbe tanto voluto che il contesto fosse diverso.
Sora
esplose all’improvviso, ma per Riku fu come la
liberazione da un macigno.
«
Ma che ti salta in mente? Sei impazzito?! »
Impazzito?
Uh, probabile.
«
Le regole sono regole, Sora. » Alzò gli occhi al cielo. Del resto,
per lui era sempre così facile fingere. « Adesso perché non
fai girare quella bottiglia? Tocca a te; vedi di spicciarti. »
E
con quelle parole Riku si alzò di nuovo,
impotente, e questa volta si allontanò dalla scena di quel grottesco
giochino – non perché non aveva la forza di affrontare le
conseguenze, ma semplicemente perché non avrebbe potuto sopportare la
vista di Sora che baciava qualcun altro.
Sora
il suo migliore amico. Sora che non aveva mai capito. Sora l’unico motivo
per il quale, a volte, Rikusorrideva.
Era
per cose come questa che Kairi era pericolosa, accidenti.
* * *
«
Razza di stupido. »
Riku non aveva ben chiaro nella mente quando esattamente Sora lo aveva seguito
in cortile, si era fermato dietro di lui e aveva fatto scivolare le braccia
sotto le sue, aggrappandoglisi attorno come ad un
cuscino troppo grande. Non lo ricordava e neppure gli interessava ricordarlo.
Erano così calde, le mani di Sora.
«
Stupido, stupido, stupido. Perché devi essere così stupido, eh, perché? »
Stupido
lui? Oh, grandioso. Sora si permetteva di essere totalmente, assurdamente,
atrocemente cieco per anni, e dava dello stupido a lui.
Rimase
in silenzio. In fin dei conti era più facile e più bello stare
fermi a sentire il suo contatto, oltre che i suoi insulti, piuttosto che
allontanarlo fisicamente e verbalmente…
«
E sei tanto stupido che non hai neanche il coraggio di rispondermi. Non hai
neanche il coraggio di guardarmi in faccia. »
Beh,
ok, a tutto c’era unlimite.
Riku si voltò di scatto,
divincolandosi dalla sua stretta, schiuse la bocca ancora in cerca di una risposta
abbastanza cattiva e si ritrovò dritto davanti al faccino imbronciato
– e rosso, rossissimo – di Sora…
Poi
non poté dire proprio nulla, perché Sora si sollevò sulle
punte dei piedi e gli tappò la bocca.
Con
la sua.
« Ehi, Riku, perché non torniamo da scuola insieme? »
« Riku, fa freddo. Posso venire più vicino a te?
»
« Riku, giochiamo? »
« E dai, Riku…Falloperme. »
Era
una cosa così stupida che Riku non avesse mai
capito niente.
Adesso
sì, adesso il contesto era proprio
come l’avrebbe voluto lui.
Adesso
sì, adesso poteva benedire la
pericolosità di Kairi.
«
Di’ un po’; perché sarei uno stupido? »
«
Perché ti ci è voluta una cosa cretina come il gioco della bottiglia per deciderti a
farlo. »
Immagino sia poco –
anzi, il minimo – dirvi quanto mi dispiace per questo immenso ritardo. Odio il mio computer, lo odio davvero. Potrei
stare qui ad elencarvi tutti i problemi che mi ha dato ma farei notte, e in
più non voglio annoiarvi con queste cose. Forgive
me. ç__ç
Però, beh, rieccomi! ^-^ Decimo capitolo, e stavolta si parla di Pokémon. Anche stavolta è una delle mie ‘prime
volte’, ossia si tratta della mia prima Drew x Vera *-* Aw, spero di non aver fatto casini. In realtà ho
seguito pochissimo l’anime nel corso della sesta serie (e ho smesso del
tutto a partire dalla settima, ma è un dettaglio u.u),
dunque di Drew non è che sappia poi così tanto; spero di non
essere andata troppo OOC. Comunque il prompt mi
sembrava proprio giusto per questi due. xD
Riguardo le due note nel
capitolo precedente: la shot su Kuroshitsuji
ci sarà, almeno spero xD Il prompt più adatto c’è; mi occorre solo
un po’ di sana ispirazione, che mi auguro di non perdere strada facendo. E
riguardo il modo di pubblicazione di questa raccolta, beh, ho pensato che fosse
meglio continuare così – magari più in là
posterò qualcuno dei capitoli che reputo migliori (uhh,
non che siano tanti, eh xD) come shot
singole. Il fatto è che, come giustamente osservato da Akachi, non
voglio perdere il senso originario di questa raccolta.
Grazie per le vostre
opinioni, mi hanno aiutato molto! ^^
Grazissime a tutti coloro che stanno leggendo
queste parole, e grazie soprattutto a:
Elos: Ti dirò, anche a me piace il threesomeRiSoKaixD E in realtà è da poco che mi sono
appassionata al Riku x Sora. Riku
è un personaggio un po’ ermetico per me o__ò Con questo non
intendo dire che non capisco come la pensa, ma mi riesce stranamente difficile
raccontare qualcosa dal suo punto di vista. Perciò sono ancor più
felice che la precedente shot ti sia piaciuta! *-*
Akachi: Kyah, una
nuova lettrice! Sono onorata di fare la tua conoscenza! *si inchina profondamente*
Ti ringrazio, sei davvero gentilissima ^^ Spero che continuerai a seguirmi e
che anche i prossimi capitoli ti piacciano! A presto!
Dany92: Naaa, c’erano (e ci sono) tutti i motivi per
infierire xD Ma davvero ti è piaciuta? Davvero-davvero?! *////* Ossantoelle,
ti confesso che avevo il terrore che non ti piacesse, ricordavo bene che non
eri un’appassionata dello shounen-ai… Ma
ora che ti ho fatto piacere anche la mia stupidissima Riku
x Sora posso dire di sentirmi realizzata *__* xD
Grazie davvero, Dany-chan, ci tenevo tanto al tuo
parere!
Vi lascio al capitolo.
Buona lettura a tutti! <3
Ad un soffio
Fandom: Pokémon
Personaggi: Vera, Drew
Genere: Commedia, Romantico
Rating: Verde
Ambientazione: Sesta serie
dell’anime
Prompt: #3. Stucktogether
(Appiccicati)
Solitamente,
quando si ritrovava in una situazione spiacevole, Vera stilava con diligenza
dentro di sé tutti i lati negativi del contesto e se li analizzava per
bene, uno alla volta. Diceva a se stessa che quello era l’unico modo per
trovare una via di scampo nei problemi; di fatto, però, la cosa
risultava più utile per arrabbiarsi
meglio – per maledire un problema alla volta.
Dunque, cominciamo.
In
primo luogo, era evidente che il Team Rocket aveva
deciso di cambiare stile. Che avessero capito che una buca più piccola avrebbe
limitato i movimenti dei suoi occupanti o che avessero semplicemente voluto
risparmiare sul lavoro di vanghe, poco importava; il risultato invariabile era
quello di un cubicolo minuscolo in cui a malapena passava ossigeno sufficiente
a respirare. Perciò, maledetti loro, come sempre.
In
secondo luogo c’era il fatto che tutti i suoi pokémon
erano rimasti al Pokémon Center, sotto le cure
dell’infermiera Joy di turno, il che costituiva già di per
sé una catastrofe – perché senza le liane di Bulbasaur non vedeva proprio come avrebbe potuto uscire di
lì. Andando ad aggiungervi l’evidente intenzione del Team Rocket di dirigersi proprio al suddetto Pokémon
Center, c’era già di che disperarsi. Perciò, maledetto Team
Rocket, di nuovo.
In
ultimo, ma non per importanza, Ash non l’aveva
vista uscire, e sicuramente ci avrebbe messo un bel po’ ad accorgersi
della sua assenza e di ciò che le era successo. Perciò, maledetto
A…
«
Potresti smetterla di agitarti tanto, per cortesia? È già la
terza volta che mi pesti un piede. »
Ah,
già. E c’era anche lui.
«
Si può sapere perché continuo ad incontrarti ovunque? Non mi
starai pedinando, per caso? »
«
Oh, no, tranquilla. Se mai mi verrà voglia di pedinare una ragazzina che
non sa nulla su come si diventa coordinatori, te lo farò sapere. »
«
A chi hai dato della ragazzina?! »
Lui aveva
attraversato le porte di vetro con un sorrisetto di scherno, e lei aveva
piantato in asso i suoi compagni e gli era corsa dietro.
«
Povero principino viziato, la mamma non ti ha detto che bisogna essere gentili
con le ragazze? »
«
Ma guarda un po’. Pare che ora sia tu a seguire me. »
«
Sì, certo, ti piacerebbe, eh? Guarda che ti perseguiterò
finché non mi avrai chiesto scusa. »
«
Che tecnicamente equivale a ciò che ho detto io. Mi stai seguendo. »
«
… Invece no! »
«
Lo dicevo. Sei solo una ragazzina. »
«
E tu sei un essere insopportabile! »
Si erano fermati a
scrutarsi, torvi, l’uno di fronte all’altra, e all’improvviso
la terra sotto i loro piedi era franata.
Sopra
di loro, tre voci li avevano esortati a prepararsi a passare dei guai.
Guai molto grossi, appunto.
Vera
si scostò quel tanto che lo spazio ristretto le consentiva, ma era
ancora – e suo malgrado – incastrata lì, tra la parete di
terra ed il petto di una delle persone più irritanti dell’universo
dopo quella peste di fratello che si ritrovava sempre appresso.
«
Oh, scusami tanto, signorino ‘sono-intoccabile-mantengo-sempre-il-sangue-freddo’,
ma ti faccio notare che siamo finiti in una trappola. »
A
poca distanza dal suo viso, Drew inclinò la testa da un lato e le
indirizzò un sorriso ironico.
«
Ma dai? Non ci sarei mai arrivato da solo. Allora sei intelligente, qualche volta. »
Se solo avesse potuto
muovere appena un po’ di più le braccia lo avrebbe ammazzato.
«
Invece di sprecare tempo ed energie prendendomi in giro, perché non
provi a fare qualcosa per farci uscire? »
«
Mi rincresce molto, ma ho ancora qualche problema con la levitazione. »
«
Parlavo di usare i tuoi pokémon, genio. »
«
Ero al centro medico come te, nel caso avessi dimenticato. Anch’io ho
lasciato i miei pokémon lì. »
«
Oh, no, non è possibile! » Vera perse tutta la voglia di
lanciargli frecciatine. Disperata, sollevò le mani e prese a tastargli i
vestiti, in cerca di una qualsiasi pokéball,
di una qualsiasi speranza. «
Non può essere, non può essere… Non
posso trovarmi davvero in questo pasticcio con te. »
Questa
volta Drew non rispose. Vera ci mise un po’ a rendersi conto che, fin da
quando lei lo aveva toccato, si era irrigidito nervosamente. Sollevò lo
sguardo e, ad un soffio dal suo viso – era una sua impressione, o era arrossito? – si ritrovò
a pensare che non aveva mai notato quanto i suoi occhi fossero…verdi… quanto fossero intensi.
Poi
si ricordò di aver lasciato le mani inerti sul suo addome, e
scattò indietro con uno squittio sconvolto. Neanche a dirlo, il colpo
della parete della trappola sulle sue scapole fu tanto forte da farla ritrarre
di nuovo, sbilanciandola in avanti; soltanto allora Drew si mosse, alla
velocità del fulmine, circondandole la vita con le braccia perché
non gli precipitasse addosso in tutto il suo peso.
Vera
rimase immobile contro di lui, gli occhi [terrorizzati]
all’altezza dell’incavo della sua spalla, le guance che sfioravano
il tessuto della sua maglietta, il respiro affannoso. Per qualche motivo
assolutamente illogico, il cuore prese a batterle all’impazzata, e
sembrò fermarsi di botto quando Drew chinò la testa per parlarle
direttamente nell’orecchio.
«
Possibile che tu debba essere sempre così goffa, ragazzina? »
Il
fremito che le provocò quel sussurro tra i capelli fu tale da impedirle
persino di aggredirlo.
A
quale punto era arrivata? Il quarto, giusto? Bene. Maledetto Drew.
Ora
non poteva fare altro che aspettare con ansia che Ash
e gli altri sventassero i piani del Team Rocket e li
trovassero. Già, aspettare… con ansia…che…
Drew
fece scorrere una mano sul suo fianco, su, su lungo la schiena, mentre la sua
bocca si spostava verso il suo viso.
Se non avete ancora visto l’anime e non volete
rovinarvi tutta la serie e anche
l’inizio di Kuroshitsuji II, NON leggete!
Oddio O__O Ma cosa ho
scritto?! Waa, è incredibile quanto mi sia
venuta nonsense la shot su Seb
e Ciel.
Ok, sinceramente non so
davvero che dire su questo capitolo. Avrei voluto insistere molto più
sul prompt che su ciò che ci sta intorno; non
so, è come se mi fossi allontanata dall’idea originale che mi era
venuto in mente di rappresentare. Però non saprei come cambiarla
perché in questo momento mi piace così com’è. Anche
se è incasinatissima. xD
Lo shounen-ai
è praticamente implicito e trascurabile; questo non perché non mi
piaccia il Sebastian x Ciel, ma perché se avessi forzato la mano sul
loro rapporto sarei finita molto probabilmente OOC, ed era l’ultima cosa
che volevo fare. Ci sono anche dei riferimenti Ciel x Elizabeth, ma nulla di
esagerato. La dirò in altre parole: interpretatela pure come volete ^^
(Resta il fatto che l’abbraccio è tra Seb
e Ciel :P <3)
Ma grazie! Sono
così felice che lo scorso capitolo sia piaciuto *__* Ehh
sì, lo sapevo, il “Ma anche
no” ha sempre successo xD
Rispondo alle recensioni:
Elos: Yup, il
Team Rocket REGNA x’DD No, seriamente, mi fa
davvero piacere il tuo commento. In effetti è proprio questo il motivo
per cui ho lasciato il finale così in sospeso; il tema principale
è l’abbraccio, era quello che mi interessava…
Poi, se Ash è arrivato in tempo per salvare Vera
o se Drew ha elegantemente deciso di approfittare della situazione, affari loro
xD Scherzo! Povera Vera. Grazie mille come sempre!
Dany92:
Sono così lusingata *-* Te lo confesso, la faccenda della “trama
semplice” per me è sempre stata un fantasma personale. Ho sempre
paura che una storia non piaccia quando la trama è debole – il che
mi succede molto spesso, perché purtroppo mi trovo più a mio agio
nell’interpretare i personaggi nella loro introspezione che non nel contesto
di avvenimenti in cui si muovono. Per cui, le tue parole mi confortano! *-* Ti
abbraccio fortissimo!
Fede_Wanderer: Kyah, Fede-chan! Sono così dispiaciuta ç__ç
Quanto tempo è passato dall’ultima chiacchierata che ci siamo
fatte? (Se solo potessi uccidere MSN
>.< Per ora sto usando spesso il pc di mia
cugina, ma non posso certo monopolizzarle il computer ç__ç) Ohh, ok, parliamo della storia adesso. Inutile dire che
sono stata onoratissima di averti ritrovata anche qui *-* Come avrai notato,
questo capitolo è incentrato sul nostro recente interesse! E visto che
è tutto merito tuo se conosco Kuroshitsuji,
spero tanto che ti piaccia <3 Bacioni!
Colgo l’occasione
per dirvi che in questi giorni sarò un po’ occupata, causa festa
patronale di paese, e non so se potrò aggiornare molto presto. Mille
scuse in anticipo. :(
« Sì… Un po’. Cercherò di essere il
più delicato possibile… »
« No.
Fa’ in modo che sia più doloroso che puoi. Scolpisci il dolore
della mia esistenza nella mia anima. »
« Yes, my lord. »
Non
era come si aspettava.
C’era
buio, tutto intorno. Non era il buio tipico delle notti a Villa Phantomhive. Non era freddo e vuoto; questo era un buio
vivo, un buio pronto a circondarlo e ad ingoiarlo senza neanche un rumore.
Eppure
non era ancora il nulla.
Perché sono
qui?
Percepiva
con tutti i sensi la propria presenza, tangibile, in quel buco nero e caldo e
pieno dell’odore della vita e non della morte. Un odore familiare.
Cos’era… Fiori? Fiori di campo? No… Un giardino. Che strano.
E
le voci, le voci. Le sentiva. Ma come
poteva esserci qualcuno lì con lui? Quella era la sua fine.
La
cosa più strana era che ridevano.
« Ciel, Ciel! »
Elizabeth?
« Ciel, sei
troppo veloce! Non riesco a seguirti! »
«
Sbrigati, Lizzie, sbrigati! È arrivata la zia
Anne! »
Aveva
visto e vissuto troppe cose irrazionali, in quegli ultimi due anni di non-vita,
per sorprendersi anche di questa.
Il
buio si popolò. Non erano immagini di sogni o di ricordi. Non erano
fantasmi. Era tutto vero, atrocemente
vero. Due bambini attraversarono di corsa l’oscurità davanti a
lui, ridendo. Una era la sposa che non avrebbe mai avuto. L’altro era lui
a sei anni.
« Sei troppo
veloce, Ciel… »
«
Ehi, Lizzie, guarda! »
Il
suo piccolo sé si era fermato a guardarlo. Faceva davvero uno strano
effetto guardare se stessi, soprattutto perché quello era un se stesso
che non sarebbe tornato mai, che non sarebbe potuto tornare in alcun caso. Un
se stesso i cui occhi avevano ancora lo stesso colore.
Una
fitta di rimpianto inutile gli percorse il corpo – non puoi recuperarla quell’innocenza, Ciel Phantomhive,
non puoi – e il buio tornò un mostro addormentato.
« Zia Anne, zia Anne! »
Una
macchia di rosso nel nero profondo.
Una
donna avanzò dalle ombre. Tra le sue braccia il bambino di poco prima.
Ridevano insieme, sembravano felici. Così
tanto.
Il
suo sguardo vagò su quel viso a sua volta appartenente al perduto, sulla
pelle bianca contrastante con i capelli, le labbra, l’abito di fuoco. Da lei
si irradiava lo stesso odore di fiori che aveva già sentito. Rose, le
stesse che gli aveva portato lui come ultimo saluto. Rose rosse per
l’assassina – rosso al
sangue, rosso alla morte! Venite a vedere tutti, signori miei, che la morte
è rossa e non nera.
« Zia Anne, tu sai chi è
quel ragazzo? »
Si
voltarono entrambi a guardarlo. Il bambino curioso, la donna sorpresa.
Come
potevano essere così reali? E soprattutto, cosa pensavano, mentre
guardavano il suo essere muto e immobile spettatore della loro felicità?
Una
nuova fitta, più lacerante – non
puoi riaverlo quell’abbraccio, Ciel Phantomhive,
non puoi – mentre quelle figure sparivano nel luccichio di una lunga
lama dentellata, comparsa dal buio vivo e di nuovo morta in esso, accompagnata
da una risata di squalo rosso anche lui.
« Continuate a
combattere! Dobbiamo proteggere il signorino! »
«
Finian, togliti di mezzo o colpirò te! »
«
Non potete, non potete farlo, non potete prendere la villa! »
Altre
immagini, altre persone. Tre sagome in guerra, non tra di loro ma per lui.
E
lui vedeva, sentiva, annusava: era tutto vero. Tutto vero. Gli spari, le grida.
La paura. Avevano paura, ma avevano un compito. Lo avrebbero portato a termine
perché era il loro riscatto sulla vita, ed era la loro promessa fatta
tra le macerie ad un maggiordomo nero, ed era la loro espiazione.
Il
dolore stavolta si fece sentire più a lungo – non puoi ritrovarla quella lealtà, Ciel Phantomhive,
non puoi – più penetrante. Cadde in ginocchio nel buio e ne
sentì la consistenza calda e stranamente morbida.
Avrebbe
fatto male, gli aveva detto lui. Ed
era giusto così. Voleva che
fosse così.
Ma
non aveva immaginato quanto male
potesse fare.
« Ciel? »
Di
nuovo la sua voce, ma ora Elizabeth aveva di nuovo dodici anni. Si aggirava, lo
cercava, lo chiamava, tra le fiamme alte che ora nascondevano i corpi dei tre
combattenti, dei tre amici. In lacrime.
Lo
cercava e questa volta non lo vedeva.
« Ciel, perché non mi
rispondi, perché non torni da me? »
Perché non
posso, perché non posso.
Sentì
le unghie affondare nei palmi mentre stringeva i pugni, ma non era paragonabile
al dolore che aveva dentro, nel petto – non puoi asciugarle quelle lacrime, Ciel Phantomhive,
non puoi – lì dove, beffardo, il suo cuore batteva ancora.
Le
fiamme di Londra lambirono la ragazza, la plasmarono – “London Bridge isfalling down, falling down, falling down”.
La trasformarono in qualcosa che lui aveva già visto e che non avrebbe
voluto vedere mai più.
L’occhio
di sua madre lo scrutava dal viso di suo padre.
No, questo no, questo no!
Si
accasciò su se stesso, sfuggendo a quella vista, e vomitò anche
l’anima. Quell’anima che lui
ancora non era venuto a prendersi, maledetto demone.
Stava
crollando, come ogni altra pedina. Scacco al re. E non ci sarebbe stata una
prossima mossa, mai, mai, mai.
Gli
ci volle un po’ per rendersi conto che le presenze e le voci ormai erano
soltanto ricordi, per quanto reali e tangibili.
« Sbarazzati dell’impuro.
»
Non voglio
ascoltarti di nuovo!
« Zhou
sognò di essere una farfalla. O forse fu la farfalla a sognare di essere
Zhou? »
Un
altro sparo. Un uomo che cadeva.Aberlain, razza di stupido.
« Hai la possibilità di
riavere il tuo futuro. Non devi dimenticarlo. »
Bugiardo.
Una
risatina acuta.
« Hai finalmente deciso di
prendere posto nella tua speciale bara? »
Una musica di campane, il ricordo di
una falsa pace.
« Ciel…
Ti vogliamo bene. »
Basta! Basta! Basta!
Cercò
di gridarlo, ma la bile si era portata via la sua voce. Aprì gli occhi
– entrambi, sì, perché ora erano liberi, ora non
c’era più ragione di nasconderne uno – e urlò solo
con la mente le sue domande.
Perché mi
stai mostrando tutto questo? Che senso ha? Perché non mi strappi
l’anima dal corpo e non mi lasci al nulla?
Il
buio di colpo si placò. Le fiamme sparirono, le voci tacquero. Soltanto
una presenza, ancor più definita delle altre, ma invisibile al suo
sguardo – dov’erano, dov’erano quegli occhi rossi? E poi
l’unica voce che avrebbe potuto donargli il sollievo e che però
glielo negava.
« Perché perdere la
propria anima, signorino, significa ridurla in mille frammenti: le scelte fatte
e le occasioni perse, i rimpianti e i ricordi; e vederli scorrere via da
sé. È per questo che fa male. »
Non
puoi sopportare di perdere la tua infanzia, Ciel Phantomhive,
non puoi.
Scacco al re.
Il
tempo nella bestia buia non esisteva, perciò Ciel Phantomhive
non poteva sapere quanto ne fosse passato quando si ritrovò tra le
braccia del maggiordomo nero, aggrappato a lui come all’ultimo appiglio,
all’ultimo pezzo destinato a lasciarlo vuoto.
Singhiozzava.
Per la prima volta da molto tempo, Ciel Phantomhive
si ritrovava a fronteggiare il senso di perdita con le lacrime, l’ultima
cosa che gli era rimasta e l’ultimo sollievo che avrebbe potuto avere.
Sebastian
Michaelis lo cullò tra le braccia, amorevole,
ironica imitazione di conforto – o forse era buffo proprio perché
era vero anche questo?
«
Ha fatto molto male, vero, signorino? »
Non
gli rispose. Tra le cose che il buio gli aveva portato via c’erano anche
le parole.
Il
demone gli carezzò quasi dolcemente i capelli e lo tenne stretto
contro di sé, mentre l’oscurità circostante sembrava farsi
meno viva, meno crudele, più vuota e simile alle notti vere, a quelle
che si limitano a osservare indifferenti e non ti divorano dentro.
«
State tranquillo. »
Sentì
il suo sorriso. Chiuse gli occhi e si augurò di non dimenticare anche
quello.
Udite-udite, gente! Non so come, ma sto aggiornando
dopo unsologiorno! xD Ah, beh, connessione e famiglia permettono e io ne approfitto.
Passiamo alle Cronache del Mondo Emerso <3 Non sono
sicura che sia un capitolo ben riuscito, ma sono gli effetti della scrittura in
preda all’insonnia xP
Tutte le frasi
pronunciate dai personaggi – anche interiormente – appartengono al
primo libro della trilogia (Nihal della Terra del
Vento). Tutto il resto è il risultato dei miei viaggi mentali sull’adorabilissimo
Sennar adolescente.
Elos: Nuuu, dai,
che brutto, ti hanno già detto praticamente il peggio ç__ç
Però coraggio, ti assicuro io che il finale ci sta tutto; è
triste ma incompleto, per cui in un certo senso ti lascia sperare. Difatti in KuroshitsujiII… Alt, non voglio farti
spoiler anch’io! xD Sono contenta che il
capitolo ti sia piaciuto nonostante le libertà grafiche ^^’
Purtroppo quella è una cosa di cui non riesco a fare a meno. Immagino
dipenda dai temi della storia; a volte sono superfissata con l’impaginazione
perfetta, altre volte me ne esco con cose come l’ultima shot, perché se una storia trascende nel nonsense
anche la grafica fa la sua parte ^^ Grazie ancora per i complimenti, come
sempre!
Fede_Wanderer: ç__ç Io con Ciel ho un
rapporto di amore/odio, però ti confesso che spesso mi fa una tenerezza
infinita. Come nell’ultimo episodio, appunto. E ti sono veramente,
veramente, veramente grata per quel che mi hai detto. Averti fatta piangere per
lui è una cosa che non mi sarei mai aspettata, e non ci sono abbastanza
parole per ringraziarti delle tue. <3 Per quanto riguarda Kuroshitsuji II, beh, io ho visto i primi due
episodi, ma non sono sicura che continuerò a seguirlo: anche se
Sebastian e tutti gli altri (eh
già, hai capito bene ^^) sono presentissimi, i nuovi personaggi sono
decisamente odiosi è__é (a tale proposito, no, l’unica cosa
della shot che si ricollega un po’ alla nuova
serie è la frase “Ora potete dormire”; il resto è un
altro mio viaggio mentale u///ù) Grazie ancora, Fede, davvero. Spero tanto
di riuscire a sentirti al più presto. <3
Akachi: Ma grazie *-* Davvero anche tu ti eri
spoilerata il finale? Ma no xD
Uffa, ci siamo cascate tutte allora!! Ti ringrazio davvero tanto per i
complimenti, spero che la raccolta continui a piacerti ^^ Un bacio!
Dany92: Awww *__* Guarderai Kuroshitsuji? Kyah, spero tanto
che ti piaccia! Sissì, Sebastian-san
è così affascinante, come
darti torto? *megasospiro* Sono felicissima
che tu abbia letto comunque il capitolo, e che ti sia piaciuto; se sono
riuscita ad incuriosirti anche con un fandom che non
conoscevi non posso che esserne felice *__* Grazie infinite, ancora e ancora!
Ringrazio come sempre
tutti i lettori di questa bislacca raccolta. Uno ad uno. God bless you. <3
Buona lettura a tutti!
Un velo di fumo
Fandom: Cronache del Mondo
Emerso
Personaggi: Sennar, Nihal
Genere: Romantico, Introspettivo
Rating: Verde
Ambientazione: Durante la notte
precedente all’iniziazione di Sennar alla magia
Prompt: #6. Sleeping (Dormendo)
Da
quando la ragazzina dai capelli blu era comparsa sulla sua strada, per Sennar non c’era più stato un attimo di
tregua.
Beh,
d’accordo, forse non era andata proprio così. In fin dei conti non
era stata lei a pararsi sulla strada
di lui. Semmai il contrario; era stato lui
a recarsi a Salazar per sfidare quella curiosa bambina con le orecchie a punta
che tutti dicevano tanto invincibile nel duello. Era stato lui a voler conoscere lei e a volerle dimostrare che non si
dovrebbe mai combattere, specie se per gioco. Era stato lui a batterla e a guadagnarsi il suo eterno rancore.
Nulla
di cui stupirsi che poi se la fosse ritrovata sulla porta della casa di Soana, con la richiesta di imparare la magia e il tacito
intento di usarla per vendicarsi di lui.
Ma
non era questo il punto.
Da
quando aveva incontrato Nihal, da quando vivevano
insieme con la maga al limitare della foresta, Sennar
era rimasto travolto dagli avvenimenti. Prima di lei c’era stato lo studio lo studio lo studio lo studio.
Nulla contava se non imparare e migliorare; Soana era
una maestra esigente – una brava donna, senza dubbio, ma in primo luogo
una maestra esigente. Lui non aveva avuto molte occasioni di vivere qualcosa
che non fosse la preparazione teorica e pratica alle arti magiche, in quei
primi sette anni trascorsi con lei, a dimenticare la vita sui campi di
battaglia e a cercare di imparare a costruire una strada per la pace.
Ma
poi era arrivata Nihal. E per Sennar
non c’era più stato un attimo di tregua.
Tanto
per cominciare, le giornate in casa di Soana erano
diventate molto più chiassose. Se prima la maga sedeva a leggere in
silenzio mentre lui si esercitava o studiava, adesso erano entrambi costretti a
guardarsi dall’ultimo disastro involontario provocato da Nihal; se prima Sennar poteva
contare sulla totale solitudine durante un incantesimo particolarmente
complicato, adesso il più delle volte si scopriva spiato dalla
ragazzina, che puntualmente – una volta smascherata – faceva
schizzare il naso all’insù e se ne andava via con aria di saccente
sufficienza, come se fosse capitata lì nei pressi per puro caso e non
fosse semplicemente curiosa da morire.
E
poi c’erano state le prime notti. Sennar
pensava di essere piuttosto bravo a far finta di niente, ma aveva capito
benissimo che Nihal era imbarazzata all’idea di
dividere la stanza con lui, e che si ostinava a mangiarselo a furia di
rispostacce soltanto per non dargli a vedere la sua parte più timida e
femminile. Anche questo era un problema che non c’era mai stato, prima
– non si era mai dovuto preoccupare di mettere qualcuno a proprio agio,
perché Soana a volte era tanto fredda e
distante che in un certo senso era quasi come se vivessero lontanissimi. Nihal era tutta un’altra cosa; era fragile. E lo camuffava
in tutti i modi.
Proprio
come quella sera, quando lui era andato a cercarla nella foresta per
tranquillizzarla, e lei lo aveva prima preso a pugni e poi era scoppiata a
piangere tra le sue braccia.
«
Stanotte sto qui con te, così potrai dormire tranquilla. Ma domattina me
ne vado: devi o non devi sostenere una prova? »
E
oggi, a distanza di due anni, le cose erano ulteriormente cambiate.
Disteso
nella penombra del pavimento, Sennar guardava la ragazzina
addormentata nel letto, avvolta nella sua coperta, e rimuginava senza sosta.
Erano
diventati amici. Grandi, grandissimi amici. Eppure c’era ancora una sorta
di barriera tra di loro, un velo di fumo che lui non riusciva ad oltrepassare
in alcun modo, e che era costituito dagli incubi di Nihal.
Avrebbe
tanto voluto capire cosa le stesse succedendo.
Fin
dalla prima volta, quando lei era entrata nel cuore della notte in camera sua
– dopo che Soana si era risolta a dividerli
– stritolandosi le mani e supplicandolo di lasciarla dormire con lui, si
era detto che qualcosa non andava. Nihal non
ammetteva facilmente di avere paura. Lei le affrontava, le sue paure, o
comunque quando non ci riusciva si limitava a sopprimerle dentro di sé
perché non le vedesse nessuno. C’era qualcosa di strano in quella
dimostrazione inedita di bisogno, in quella richiesta di aiuto. Gli aveva detto
che aveva avuto « un incubo », e lui non aveva chiesto nulla di
più. Soltanto, l’aveva fatta stendere nel suo letto e
l’aveva guardata assopirsi, senza capire.
A
quell’episodio ne erano seguiti altri, invariabilmente; ogni volta Nihal cercava di resistere fino alla fine, ma poi,
imbarazzata, il visetto chino e le guance rosse, bussava alla sua porta e
quando lui le apriva si lanciava tra le sue lenzuola sfatte. Mai una volta che
gli avesse raccontato la natura di quegli incubi. Mai.
A
diciassette anni, Sennar era – perché
mancavano solo poche ore ormai – a tutti gli effetti un mago, era
bravissimo a leggere gli animi delle persone e sapeva anche come era più
giusto confortarle e aiutarle. Eppure, ancora si struggeva perché non
riusciva a capire fino in fondo la sua migliore amica.
Si
alzò cautamente dal pavimento, senza un rumore. Nihal
dormiva di un sonno agitato. Si chiese in quale misura potesse dipendere dalla
sua recente cotta adolescenziale per Fen, o dalle
parole che lui stesso le aveva rivolto in proposito – lascialo perdere, lui ama Soana, lascialo perdere se non vuoi soffrire. Quanto
dipendeva invece dai suoi fantasmi?
Neanche
avesse avuto modo di sentire i suoi pensieri, la ragazza iniziò ad
agitarsi. Mormorò addirittura qualcosa nel sonno, un miagolio di
lamento, un suono così innaturale
da parte sua che Sennar si spaventò.
Rimase
a fissarla, improvvisamente triste. Come poteva aiutarla? Come poteva riuscire
a liberare la sua anima dai demoni, se lei si chiudeva così – se non vedeva che lui era lì per lei,
con le mani tese ad aspettare di poterle dare di nuovo l’abbraccio che li
aveva uniti nella foresta?
«
Sennar, posso farti una domanda? »
«
Dimmi. »
«
Sei mai stato innamorato? »
Nihal si agitò un po’ di
più. A sorpresa, le lacrime le solcarono il viso, ma lei non si
svegliò. Sennar non sapeva davvero che fare.
Disperato, si distese al suo fianco e la circondò con le braccia.
Su, su, non
piangere. Ora ci sono qui io. È tutto finito.
E
miracolosamente, dopo qualche lunghissimo istante, fu tutto come allora. Le
membra di Nihal si rilassarono, il suo corpo scosso
dai singhiozzi si premette un po’ di più contro il suo, e Sennar ebbe ancora una volta la conferma che avrebbe voluto
fare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa,
per comprendere e cancellare per sempre quel dolore.
Le
accarezzò i capelli, sfiorando la punta di un lungo orecchio. Gli
sembrò che la ragazza sorridesse nel buio, pacificata. Allora sorrise
anche lui.
Forse
c’era ancora un velo di fumo tra di loro, ma prima o poi avrebbe trovato
il modo di disperderlo nel vento e di vederla sorridere ancora.
«
Beh… Credo di sì. »
Da
quando la ragazzina dai capelli blu era comparsa sulla sua strada, per Sennar il mondo era del colore viola degli occhi di lei.
Festa passata, tempo
trovato, e raccolta completata. Ebbene sì, da questo momento in poi non
avrete che da aspettare i miei aggiornamenti (e questo, purtroppo, equivale a
dire “che il mio pc esca dalla fase mestruale”
– sempre che ne esca, prima o poi).
Visto che vado di fretta,
dal momento che anche stavolta il computer che sto usando non è il mio,
vi auguro velocemente una buona lettura. Spero che vi piaccia il capitolo AkuRoku. *-*
Grazie infinite a Fede_Wanderer
per la recensione <3 E a tutti voi lettori, come sempre.
Perché
il tramonto è rosso
Fandom: Kingdom Hearts
Personaggi: Roxas, Axel
Genere: Introspettivo, Romantico
Rating: Verde
Ambientazione: Il momento in cui Roxas lascia l’Organizzazione XIII in 358/2 days
Prompt: #8. Bear-hug
(Abbraccio da orsi)
«
Non puoi voltare le spalle all’Organizzazione! Ti porteranno dalla parte
sbagliata e poi ti distruggeranno! »
«
Nessuno sentirebbe la mia mancanza. »
«
Non è vero… Io sì.
»
Roxas si fermò, sorpreso.
«
Io sono Axel. A-X-E-L.
L’hai memorizzato? »
«
… »
«
Ah, beh, ci arriveremo con calma. »
Sentire
la mancanza… Non era un sentimento anche quello?
Come
poteva un Nessuno sentire la mancanza di qualcosa – di un altro Nessuno,
poi? Loro non avevano un cuore con cui poter soffrire.
Si
voltò a guardarlo, incerto, e lo vide lì al suo posto accanto al
muro con le spalle incurvate e gli occhi bassi. Triste. Ma come…?
D’altro
canto, gli era sempre sembrato che Axel non fosse un
Nessuno come gli altri.
«
Andiamo a prenderci un gelato. »
«
Perché? »
«
Come sarebbe a dire, ‘perché’?! Perché siamo amici,
no? »
Gli
diede di nuovo le spalle. Era… strano. Spiacevole. Va bene, sì,
lui non poteva provare nulla veramente,
ma comunque non gli piaceva l’espressione sul viso di Axel.
O la sua voce piena di qualcosa che somigliava così tanto alla rabbia,
alla frustrazione. Quella voce che sembrava tanto la voce di un Qualcuno, quel
viso che non si era spento anche se non c’erano più i battiti
necessari ad animarlo.
“Sentire
la mancanza” era un sentimento come l’amicizia, giusto?
Ma
allora, se Axel poteva sentire la mancanza di Roxas, anche lui poteva sentire la mancanza di Axel?
Per
qualche istante dimenticò il mondo tutt’intorno, riflettendo.
Aveva fatto la sua scelta: avrebbe abbandonato l’Organizzazione, avrebbe
trovato altrove il suo vero posto, e non aveva intenzione di guardarsi indietro
e tornare sui suoi passi. Però questo voleva dire anche rinunciare a
quelle poche cose che rendevano la sua esistenza degna di essere chiamata vita.
Un
tuono rombò sul Mondo Che Non Esiste, ma Roxas
non vi badò.
A
lui cosa sarebbe mancato di Axel?
«
Vorrei chiederti una cosa, Axel. »
«
Spara. » […]
«
Tu sai cos’è l’amore? »
Tutto,
si rispose. Gli sarebbe mancato tutto
di lui.
Il
suo sguardo luminoso, addirittura allegro,
ogni volta che sedevano insieme alla Torre dell’Orologio a mangiare il
gelato insieme.
Il
suo sorriso sbruffone, quasi soddisfatto,
ogni volta che Saïx affidava loro una missione
che Roxas era felice
di dover svolgere con Axel.
La
sua risata piena e trascinante, ogni volta che lo coglieva di sorpresa con
quella sua pazza mania.
{ Gli si avvicinava di soppiatto.
Spesso lui e Xion neanche lo vedevano arrivare. Si gettava
fra di loro rapido e improvviso come un fulmine – qualche volta facendo
loro il solletico, qualche volta urlando « Buuu! » come i ragazzini di
Halloween Town. Ma sempre, immancabilmente, li stritolava tra le sue braccia
forti – ed era strano, oh sì, piacevolmente
strano sentirsi così vicini, sentire così forte il contatto
di Axel – e spesso cadevano tutti e tre e ogni
volta scoppiavano a ridere tutti e tre, e una volta Roxas
si era detto che chiunque li avesse visti in quei momenti non avrebbe mai immaginato
che loro tre non avessero un cuore. }
Pioveva,
adesso, ma non badò neanche a questo.
Poteva
sopportare di dire addio a tutto. Alla sua missione, a ciò che ci si
aspettava da lui. Ai membri dell’Organizzazione che per lui era stata un
po’ come una famiglia. Al gelato al sale marino. Ai tramonti. Persino a Xion, forse.
Ma
ad Axel?
Tornò
presente a se stesso solo quando si sentì circondato da un altro di
quegli abbracci – molto meno allegro del solito, e in un certo senso
molto più doloroso – e si rese conto che a bagnargli i capelli non
era più la pioggia, ma le stesse lacrime che sentiva ora nella voce di Axel.
«
Resta. Ti prego. »
«
Ehi, Roxas. Scommetto che non sai perché il
tramonto è rosso. »
Rimase
immobile e stupefatto per un minuto infinito, prima di trovare chissà
dove il coraggio di voltarsi e di premere il viso sul suo petto vuoto quanto il
suo, le braccia ancora inerti, gli occhi serrati con forza.
«
Non posso. »
La
stoffa spessa del cappotto bagnato smorzò il suo bisbiglio, ma Axel sembrò capire lo stesso. Lo strinse più
forte, e Roxas si chiese se l’avesse mai
abbracciato così e quanto gli sarebbe mancato questo e se gli sarebbe mancato più di tutto il resto.
Sapeva
già la risposta.
« Chi te
l’ha chiesto? Sapientone. »
Il
tramonto era rosso perché il rosso era il colore che viaggiava
più veloce.
Il
tramonto era bello perché gli ricordava Axel.
L’ultima
cosa che pensò, prima di svanire nel varco oscuro, fu che dire addio ad Axel faceva così male perché Axel era l’unico ad averlo
sempre fatto sentire come se anche lui avesse un cuore.
{ Non molto tempo
dopo, Axel avrebbe confessato la stessa cosa ad un
ragazzo che aveva gli stessi occhi di Roxas }
xD Ok, scrivere questo nuovo capitolo su Pokémon
è stato un vero spasso. La cosa mi ha stupita parecchio perché
all’inizio mi sembrava quello più banale della raccolta. Invece poi
mi sono messa alla tastiera e ho ridacchiato dall’inizio alla fine, ininterrottamente.
Sembravo UndertakerxD
Ho la sensazione che Ash sia venuto un pochino OOC nella prima parte, in un
certo senso è come se il suo carattere e quello di Misty
si fossero “scambiati di posto”… Però non so, io ce lo
vedo anche a comportarsi così :P
Ah, tra l’altro man
mano che la scrivevo mi sono accorta che questa shot
si incastra benissimo tra gli episodi 3 e 4 *-* Infatti nel terzo episodio Ash cattura Caterpie/Metapod e Pidgeotto attraversando
con Misty il Boscosmeraldo
alla volta di Pewter City – dove incontreranno Brock – mentre nel quarto, proprio all’inizio
della puntata, i due vedono un Weedle e Ash intende catturarlo, fallendo per via dell’arrivo
del samurai che lo sfida. Fidatevi, ho la videocassetta di questi due episodi e
da bambina l’ho vista talmente tante volte da ricordarmeli quasi a
memoria. xD Leggendo capirete perché dico che
ci si incastra bene.
Ringrazio sentitamente
tutti i lettori, e per le recensioni:
Dany92:
Sono assolutamente d’accordo con te. Non serve un cuore per amare. Ecco
perché Aku e Roku
sono così legati *-* Ehmm, sto divagando. Grazie
davvero, Dany-chan, sono felice di averti
appassionata a questi due e ti adoro sempre di più quando mi lasci di
questi commenti <3 A presto, spero!
Fede_Wanderer: Aw <3
Grazie per aver recensito tanto il capitolo precedente quanto la shot ripubblicata. Mi pareva il minimo per ringraziarti,
sul serio. E appena avremo l’occasione ti parlerò un pochino di Kingdom Hearts,
sissìxD (Un nuovo
progetto? Ommioelle, un nuovoprogetto?! o///o Nuuu sono così curiosa!! Per caso è una nuova
fic su Kuroshitsuji? Fammi sapere, ti pregooo
^^) Grazie ancora di cuore, ti abbraccio forte!
Non riesco a credere che
siamo già al penultimo capitolo della raccolta…
Mi sembrava di procedere così a rilento, e invece eccoci qui xD
Buona lettura a tutti!
Pernientefacile
Fandom: Pokémon
Personaggi: AshKetchum, Misty Waterflower
Genere: Comico, Sentimentale
Rating: Verde
Ambientazione: Tra gli episodi 3
e 4 della prima serie, durante il viaggio per Pewter
City attraverso Boscosmeraldo
Prompt: #2. Glomp! (intraducibile – Salto al collo,
potremmo dire xD)
Ash sbuffò per
la – vediamo – trecentoquarantasettesima
volta nell’arco della giornata, mentre l’isterica ragazza dietro di
lui strillava per la quattrocentocinquantottesima
– ehi, al confronto lui si era contenuto, eh.
«
E adesso che cosa succede? » le
domandò esasperato, voltandosi.
Misty era aggrappata con le unghie al
tronco di un albero, le gambe tremanti, le pupille ridotte a due puntini neri
negli occhi sgranati dall’orrore.
«
D-dietro di te! Ce n’è un altro! »
Ash fece un mezzo giro su se stesso,
senza scomporsi. Un solitario Weedle,
l’ennesimo da quando si erano inoltrati nella foresta, strisciava
pacifico tra i cespugli pensando ai casi suoi. Si voltò di nuovo verso Misty, piccato.
«
Hai intenzione di fare una scena simile ogni volta che vediamo un pokémon, vero? »
Domanda
retorica, dal momento che l’esperienza di quegli ultimi giorni di viaggio
gliene aveva già dato conferma.
Misty lo fulminò con
un’occhiata, ma non si allontanò dall’albero. « Non
‘ogni volta che vediamo unpokémon’,
idiota, ma sicuramente ogni volta che vediamo un pokémon
insetto. Quante volte te lo devo dire che odio gli insetti? »
«
Non c’è bisogno che me lo ripeta. Mi bastano gli strilli e le
brutte smorfie che fai. »
«
Come osi, AshKetchum?! Ritira immediatamente quello che hai detto!
»
La
ragazza – ma siamo sicuri che fosse
proprio una ragazza? Sembrava più una vipera, ad essere onesti
– scattò in avanti e prese a ricoprirlo di insulti. Ash scambiò uno sguardo eloquente con Pikachu: di buono c’era che Misty
aveva mollato l’albero, e che finalmente potevano muoversi di lì.
«
Perché non mi rispondi? Mi stai ascoltando o no? »
«
No. » Ash si guardò intorno, ignorando a
bella posta la rinnovata ira di lei. « Si sta facendo buio, non
l’avevo notato. Ci toccherà fermarci qui per la notte. »
Misty si sgonfiò come un
palloncino. « In che senso, ‘fermarci’? »
«
Sai quando uno smette di camminare e si riposa in un posto? Beh, più o
meno quello… »
«
Guarda che ho capito benissimo, non sono stupida »
s’infiammò lei di nuovo, con la voce appena un po’
più tremula del normale.
Ash sogghignò, sadico. « Ma
davvero? Eppure lo sembri proprio tanto. I miei complimen…
»
Il
ceffone arrivò più improvviso e immensamente più doloroso
di una delle scariche elettriche di Pikachu, mentre Misty si allontanava sdegnosa da lui e tirava fuori il
sacco a pelo dalla borsa.
«
Spera solo di arrivare vivo a domani mattina, Ketchum.
Gli insetti che a te piacciono tanto
potrebbero anche decidere di convergere tutti insieme sul tuo faccino e di
papparti in un boccone, cosa che mi auguro dal profondo del mio cuore. »
S’interruppe. Poi riprese in tono ancora più isterico. « E
spera anche che quello schifoso verme se ne sia andato, per il tuo stesso bene. »
Ash si sfregò la guancia irritata
dal colpo, e la guardò male.
«
Si può sapere perché mi stai seguendo? »
«
Perché ti considero responsabile della distruzione della mia bici!
»
…
Donne.
Si
rigirava. E si rigirava. E si rigirava ancora.
«
Vuoi dormire o no, accidenti?! »
«
Non ci riesco! » Misty emerse dal suo sacco a
pelo e si sollevò di scatto a sedere nel buio della radura, a qualche
metro da lui; Ash intuì che stava scrutando il
sottobosco in stato di paura febbrile. « Questo posto pullula di insetti. Come diavolo fai a
restare lì disteso immobile come se non ti facesse alcun effetto?
»
«
Forse perché davvero non mi fa
alcun effetto. »
Al
suo fianco, Pikachu si contorse tutto e cercò
una posizione migliore, schiacciandosi le lunghe orecchie sul cranio con le
zampine. Gli fece pena, poverino; anche lui era costretto suo malgrado a
sopportare le urla di quella psicopatica che si stavano trascinando dietro da
giorni. Per fortuna almeno Metapod e Pidgeotto erano al sicuro nelle loro pokéball.
Misty tornò alla carica, indefessa.
« Ma… »
«
Senti » Ash si spazientì e si
sollevò a sua volta, facendo sobbalzare il pokémon
elettrico appoggiato al suo braccio fino ad un secondo prima. « Neanche a
me piace, ok? Dipendesse da me, sarei già a Pewter
City a combattere contro il capopalestra, o a qualche
miglio da qui a catturare nuovi pokémon, lontano da te. Ma non sono stato io a volerti dietro. Hai fatto tutto da
sola, hai preferito fare di testa tua invece di aspettare che ti ripagassi
quella stupida bicicletta come ti avevo promesso. Perciò, se proprio hai
deciso di darmi il tormento, vedi almeno di lasciarci dormire in pace! »
Misty aprì la bocca per ribattere
– alla debole luce delle stelle la sua espressione furibonda era davvero
impagabile – ma la richiuse subito, d’un tratto allarmata.
Anche
Ash lo sentì. Il ronzio inconfondibile di uno
sciame di Beedrill a caccia di vittime da
punzecchiare fino all’osso.
In
un lampo si sentì stringere dolorosamente al collo: Misty
era schizzata via dal suo posto per correre a rifugiarsi da lui, rischiando
però di soffocarlo. Oh, fantastico, quindi se non l’avessero
finito i Beedrill ci avrebbe pensato lei.
Il
suono si fece più vicino e Pikachu si
raddrizzò scrollandosi il sonno di dosso. Ash
attese ancora, pronto… Sarebbe bastata una
parola perché il suo piccolo amico li salvasse da uno spiacevole e
doloroso incontro notturno…
Ma
non accadde nulla. Il ronzio diminuì d’intensità, segno che
i Beedrill si stavano allontanando.
Quando
sulla foresta calò nuovamente il silenzio, Ash
trasse un sospiro di sollievo e abbassò gli occhi per ordinare a Misty di lasciarlo
respirare, visto che il pericolo sembrava scampato.
Si
stupì di vedere i suoi occhi pieni di lacrime.
Un
momento…Misty? Misty
era in grado di fare una cosa femminile
come piangere?
Rimase
tanto sorpreso da non riuscire a dirle nulla. Lei lo lasciò andare e si
allontanò lentamente, voltandogli le spalle e tornando al suo posto
senza una parola.
Ash guardò ancora Pikachu, smarrito, e soltanto l’aria di rimprovero
nei suoi occhi liquidi e scuri gli fece capire che forse, dopotutto, quelle
lacrime avevano a che vedere con lui.
«
Ehi… Ehi, Misty.
» Deglutì. Non era per niente facile da dire, propriono. « Scusa
per… per prima. Davvero. Mi dispiace. »
Nessuna
risposta. La ragazza riassestò il sacco a pelo, tenendo il viso al di
fuori del suo campo visivo. Ash iniziò a
sentirsi seriamente in colpa.
«
Misty…? »
Sentì
che Pikachu gli dava un leggero colpetto di coda al
gomito, quasi d’incoraggiamento, e abbassando lo sguardo vide che si
raggomitolava nell’erba con uno sbadiglio degno di un Charizard.
Sempre
più turbato, Ash strisciò sulle
ginocchia verso la sua stramba compagna di viaggio, all’inutile ricerca
di qualcosa da dire. In fondo aveva
ragione lui, cavolo.
«
Misty, guarda che io…
»
Arrivò
alla distanza giusta per poterle toccare una spalla, ma il suo braccio era
ancora teso a mezz’aria quando lei si voltò di scatto,
mostrandogli un ghigno che definire satanico sarebbe stato poco.
Lui
rimase letteralmente a bocca aperta.
«
Incredibile! » sghignazzò Misty. «
Anche AshKetchum,
l’essere più insensibile del cosmo, è capace di chiedere scusa, se messo alle strette
dalle lacrime di una ragazza. Davvero incredibile! »
Ash lasciò ricadere il braccio,
attonito, mentre lei tornava a stendersi e rideva e rideva e rideva. Gli ci
volle un po’ per reagire a un tale oltraggio, ma alla fine sbuffò
– ancora! – e
ritornò anche lui al suo sacco a pelo, accanto a un Pikachu
già praticamente addormentato.
«
Va bene » esclamò, lasciandosi cadere con le braccia dietro la
nuca, e scoccando al cielo stellato e ormai privo di Beedrill
un’occhiata velenosa. « Ridi, ridi finché vuoi. Ti assicuro
che il prossimo Weedle che vedremo sarà mio, anche soltanto per il puro gusto di farti
dispetto. Vedremo chi riderà allora. »
Misty smise all’istante di ridere.
« Non oserai. »
«
Oh sì che oserò. »
«
Ti odio, Ketchum. »
«
Il sentimento è reciproco. »
… E dire che,
quando l’aveva vista sull’orlo delle lacrime, gli era sembrata persino carina.
Non fatevi spaventare dal cambiamento di nickname, sono
sempre io xD
Ultimo capitolo ç__ç
L’ho scritto secoli
fa, in realtà. Ci ho rimuginato su a lungo perché ogni volta che
lo rileggo mi sembra che manchi qualcosa. È un po’ la stessa cosa
che mi bloccava con il capitolo su Near –
guarda caso, anche ora si parla di Death
Note. Sarà destino. Oh, beh, io vi ho avvisati.
[Di nuovo un rapporto assolutamente
non romantico – solo paterno. Dio sa se non è importante
anche quello.]
Grazie a Dany92 e Fede_Wanderer per le recensioni
al precedente capitolo; non merito tanti complimenti, proprio no.
Grazie a Rein94, RiruSevilla, ShadowEyes e YunaRoseMasen per aver inserito
la raccolta tra le preferite.
Grazie a pralinedetective
e Rein94 per averla inserita tra le
ricordate.
Grazie a Akachi, bika, Dany92, Elos, Nuit e Raimbow per averla seguita.
Cosa posso dire, se non
che è tutto merito vostro se sono arrivata fino a qui?
Vi adoro.
Spero di ritrovarvi al
più presto con una nuova storia. E adesso, buona lettura.
Hopeyoulikeit <3
Abisso
Fandom: Death Note
Personaggi: Watari / QuillshWammy, L Lawliet
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: Verde
Ambientazione: Molti anni prima
del caso Kira
Prompt: #10. Worsedays (I
giorni peggiori)
Quando
era arrivato all’istituto, il bambino aveva faticato ad ambientarsi.
Lui
lo aveva visto vagare nei corridoi, lentamente e senza meta, per ore intere,
prima di crollare a sedere in quella maniera curiosa sul pavimento nudo. Lo
aveva visto rifiutare ogni genere di cibo che non fosse zuccherato a livelli
impensabili, e supplire a modo suo all’eventuale carenza, immergendo le
caramelle nel miele purissimo o riempiendosi la tazza della colazione con
più zollette di zucchero che caffelatte. Lo aveva visto guardarsi intorno
con occhi sbarrati, quasi a voler capire
meglio, a cercare qualcosa che tuttavia non riusciva a vedere.
Eppure
mai, neppure una volta, lo aveva visto cedere.
Era
quando chiudeva gli occhi e vedeva la neve.
Il
bambino lo sapeva, sapeva benissimo che era solo un effetto del ricordo e della
nostalgia e delle cose sopite. Ma la consapevolezza non gli impediva di
sentire, ogni volta che trovava il bianco della neve ad aspettarlo nel buio
della mente, lo stesso freddo di quella prima volta (…)
Quella
notte QuillshWammy era
sveglio. Il recente viaggio all’estero aveva stravolto il suo fuso orario
mentale, impedendogli di riadattarsi subito all’abituale ritmo
giorno/notte. Perciò, quando i passi risuonarono fuori dalla sua porta,
strappandolo ai suoi pensieri e al suo lavoro al computer, non esitò un
istante ad interrompersi e ad uscire in corridoio.
Il
bambino era lì nell’ombra, seminascosto in un pigiama troppo
grande, la manina aperta sul muro. Si voltò a guardarlo piano, negli
occhi nessuna traccia di espressione.
L’uomo
lo fissò, sorpreso, ma non preoccupato. « Cosa succede? »
«
Non riesco a dormire. »
Preciso,
puntuale, sintetico. Neanche un’inflessione nel tono di voce.
«
Hai bisogno di parlare? »
Scosse
la testa. « Ho bisogno di capire. »
L’uomo
sorrise, incoraggiante. « Capire cosa? »
Quegli
occhi immensi e neri perforavano i suoi.
«
Capire perché mi sento così. »
Era
quando restava in silenzio e sentiva le campane.
E
succedeva spesso, non importava il luogo o il contesto. E non serviva neppure
tapparsi le orecchie, infilare la testa sotto un cuscino, canticchiare qualcosa
a mezza voce; le campane erano sotto la sua pelle e dentro la sua testa e gli
rimbombavano nel petto – non le senti, non le sentite? Ma come fate
a non sentirle? (…)
L’uomo
rimase immobile a guardarlo. Non li separavano che pochi metri, ma in quello
spazio in penombra giaceva un abisso.
Il
bambino proseguì, sempre in quel suo tono lucido. Come se non gli
importasse del dolore intrinseco di quella domanda cruda.
«
Io non ho niente dentro. Eppure fa male. Perché? »
La
manina sul muro – se ne accorse all’improvviso – si era
chiusa a pugno.
Era
quando restava da solo, come era successo in quei giorni (…)
«
Non è così… »
«
Certo che è così. Io sono vuoto, lo sono adesso più che
mai. Ed è colpa tua » concluse, in tono piatto, fissandolo senza
accusa.
L’uomo
non capiva. Ricambiò lo sguardo, anche se gli faceva male – era così distaccato, Dio, così
terribilmente adulto. Così sbagliato.
«
Perché dici questo? »
Era
quando non sentiva la sua mano pronta a sorreggerlo, come era
successo in quei giorni (…)
«
Perché te ne sei andato via. Per troppo
tempo. E a me è rimasto il vuoto. »
‘Per troppo tempo’.
Era
stato via per pochi giorni.
In
quel momento – soltanto in quel momento – i suoi occhi neri e
immensi si riempirono di lacrime. Che scesero giù, sempre più
giù, in silenzio.
Il
bambino si portò la mano al viso, evidentemente sorpreso. Si
toccò una guancia, avvicinò i polpastrelli agli occhi. Forse gli
venne voglia di assaggiarli. Ma l’uomo non gli diede il tempo di fare
altro.
In
pochi passi superò l’abisso, cadde in ginocchio e se lo strinse al
petto.
Lui
non si mosse, ma QuillshWammy
sentì che, dentro la stretta, tornava davvero bambino.
«
Non me ne andrò mai più. Non ti lascerò più solo.
Te lo prometto. »