Hug ~ Healing Underneath Gently

di Feel Good Inc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre brevi passi ***
Capitolo 2: *** Sequestro di persona ***
Capitolo 3: *** Senza spazi ***
Capitolo 4: *** Fili d'estate e risa graziose ***
Capitolo 5: *** Un battito di ciglia ***
Capitolo 6: *** Troppo umano ***
Capitolo 7: *** Mai e poi mai ***
Capitolo 8: *** Una cosa da bambini ***
Capitolo 9: *** Fallo per me ***
Capitolo 10: *** Ad un soffio ***
Capitolo 11: *** Tra le macerie ***
Capitolo 12: *** Un velo di fumo ***
Capitolo 13: *** Perché il tramonto è rosso ***
Capitolo 14: *** Per niente facile ***
Capitolo 15: *** Abisso ***



Capitolo 1
*** Tre brevi passi ***


È ufficiale. Le writing communities mi danno alla testa. xD

Ebbene sì, eccomi tornata con un’altra strampalata raccolta! Questa è basata sui 15 Hugs, i quindici abbracci (che, secondo le regole della community, non vanno intesi necessariamente in senso romantico; pertanto vi saranno anche dei capitoli incentrati sull’amicizia, la stima e/o altro).

Dal momento che non sono riuscita a focalizzarmi su un solo pairing di un solo fandom, anche questa sarà una raccolta crossover; ma ciò non significa che i vari pairing saranno crossover. Semplicemente, utilizzerò coppie tratte da molteplici fandom. Nello specifico: Card Captor Sakura, Death Note, Pokémon (per gli anime), Alice in Wonderland (per i film), Cronache del Mondo Emerso, Harry Potter (per i libri), Kingdom Hearts (per i videogiochi).

Sarà l’occasione ideale per trattare – tutti in una volta xD – alcuni dei miei pairing preferiti in assoluto. In questo primissimo caso è la volta di Harry e Hermione *-* Siate buoni, considerate che è la prima volta che scrivo su di loro.

Hope you like it <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre brevi passi

 

 

 

 

 

Fandom: Harry Potter

Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger

Genere: Sentimentale, Slice of life

Rating: Verde

Ambientazione: Quinto anno a Hogwarts

Prompt: #14. Balcony (Balcone)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il silenzio sovrastante la torre era rotto solo dal fruscio delle penne d’oca sulle pergamene. A tratti vi si aggiungeva il rumore di una qualche manopola di un qualche cannocchiale regolato – spesso – inutilmente.

Sospirò di frustrazione. Nulla da fare, non riusciva a districarsi. Al suo fianco, la ragazza continuava incessantemente a guardare il cielo, per poi chinarsi a scrivere nel compito i nomi delle stelle che vedeva, in quella sua grafia piccola e arrotondata.

Lui sospirò di nuovo. Esitò. Lanciò un’occhiata alla professoressa Sinistra, e vide che era ancora al capo opposto della balconata, insieme al gruppo di Corvonero che seguiva la lezione insieme ai Grifondoro.

Soltanto allora si decise a chiamarla in un sussurro.

« Psst… Hermione. »

Lei non si voltò neppure, troppo presa a controllare nel telescopio la posizione di chissà quale stella.

« Cosa, Harry? »

Il ragazzo abbassò ulteriormente la voce. « Hermione, aiutami, ti supplico. »

Lei tornò a chinarsi sul foglio, e di nuovo non lo degnò di uno sguardo. « Non se ne parla, Harry. »

Harry trattenne un gemito. Avrebbe dovuto immaginarlo. Eppure, aveva davvero bisogno del suo aiuto.

« Hermione… »

Hermione sbuffò. Non gli permise di aggiungere altro, e lo rimbeccò sempre senza alzare gli occhi su di lui.

« Cos’hai fatto oggi, Harry? Cos’hai fatto per tutto il giorno? Io te l’avevo detto di studiare per la verifica di astronomia. Ma no, il signor Harry Potter e il suo degno compare Ronald Weasley hanno cose più importanti da fare. Interessi più alti da coltivare. »

« Hermione, mi manca soltanto un pianeta, davvero… »

« Interessi quali gli eccitantissimi Fuochi d’Artificio Freddi del Dottor Filibuster, che quei due geni sottovalutati dei gemelli Weasley hanno riveduto, corretto e potenziato. Altro che robetta banale come l’astronomia, figuriamoci. »

« Hermione, ti sto implorando. »

« Prova ne è che il suddetto compare del signor Harry Potter è attualmente ricoverato in infermeria con metà del viso completamente bruciacchiata… »

« Hermione, se proprio vuoi umiliarmi abbi almeno la compiacenza di guardarmi in faccia! »

Hermione lo guardò, accigliata. Harry resistette all’impulso di controllare di nuovo se la professoressa fosse nei paraggi. Sostenne invece quegli occhi accusatori, sperando con tutto il cuore di vedervi scorgere un lume di comprensione e di compassione.

E alla fine, sorprendentemente, il miracolo avvenne.

L’espressione della ragazza si addolcì, e lei emise un buffo suono a metà tra un sospiro e una risata.

« Oh, e va bene. Avanti, qual è il problema? »

Soffocò sul nascere un sorriso. « Non riesco a trovare Venere. »

Hermione si guardò alle spalle, vide che l’insegnante era ancora fuori portata d’orecchio e si voltò di nuovo, allontanandosi dalla propria postazione per raggiungere la sua, tre brevi passi più in là.

« Beh, tanto per cominciare non stai guardando nella direzione giusta… »

Con un breve sguardo al cielo, senza neppure chinarsi sulla lente, prese la mano di lui e la guidò sul telescopio, ruotandolo di qualche grado ad est. Nel farlo, pose l’altra mano sulla sua spalla, e strinse affettuosamente.

 

 

Venere. Pianeta terrestre. Circonferenza orbitale: 680.000.000 chilometri.

Simboleggia la sensibilità. Influenza la dolcezza. Condiziona le attività e i rapporti con gli altri. Governa gli affetti.

Nella mitologia viene associato alla dea romana dell’amore.

 

 

« Trovato. »

Gli piaceva, sentire la sua mano sulla spalla.

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Capitolo 2
*** Sequestro di persona ***


Non so se stupirmi o preoccuparmi della velocità con cui sto affrontando questa raccolta xD Voglio dire, ho già finito cinque capitoli, non è cosa da poco! Soprattutto se si considera il fatto che sto qui ad aggiornare invece che studiare per l’esame di domani o__ò Ah, beh, forse sì, devo preoccuparmi.

Ad ogni modo, questa è la volta di Death Note! ^^ Ho rinunciato al conteggio parole, perché mi sono resa conto che sarà estremamente difficile rispettare i limiti posti dalle drabble e dalle flashfic. Infatti questo secondo abbraccio è molto più elaborato del precedente; spero solo di non aver strafatto e di non essere scivolata nell’OOC .///.

Ringrazio immensamente ogni singolo lettore, e chi ha inserito la raccolta tra le storie preferite/seguite/da ricordare. E un GRAZIE megagalattico a Rein94 (non mi stancherò mai, mai di ringraziarti) che ancora mi sopporta e si sorbisce ogni mia – più stupida – storia, recensendo con una puntualità e una dolcezza che semplicemente non appartengono a questo mondo. Grazie, Rein, dico davvero. <3

Buona lettura a tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sequestro di persona

 

 

 

 

 

Fandom: Death Note

Personaggi: Misa Amane, L Lawliet

Genere: Commedia, Sentimentale

Rating: Verde

Ambientazione: Dopo l’inizio della convivenza tra L e Light e della reclusione di Misa

Prompt: #4. Ticklish (Solletico)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continuare a far scorrere le unghie dipinte di nero sulla sponda di quel basso divanetto stava diventando alquanto seccante. Sospirò, ravviò con un solo gesto i lunghi capelli biondi e si alzò in piedi, guardandosi in giro con sguardo scocciato. Se almeno ci fosse stato Light con lei – e invece quel rompiscatole di Ryuuzaki aveva pensato bene di separarli tenendoselo con sé, che rabbia!

A sorpresa, il ricevitore sul tavolino da tè gracchiò. Ne uscì la voce inespressiva che ormai aveva imparato a riconoscere.

« Tutto bene, Amane? »

Misa si voltò di scatto a guardare il microfono – dal momento che non aveva idea di dove fossero posizionate le telecamere – portandosi le mani ai fianchi.

« Misa-Misa si annoia, Ryuuzaki-san » chiarì a gran voce.

L’altro si prese un istante prima di rispondere. Di certo si stava sollazzando con quei suoi immancabili dolcetti ipercalorici. Bah.

« Mi rincresce moltissimo, Amane, ma francamente ho altro a cui pensare che non sia il tuo tempo libero. »

Sbuffò. « Oh, bene, ora Ryuuzaki-san fa anche lo spiritoso. Come se quello di Misa-Misa possa definirsi tempo libero! Sequestro di persona, ecco cos’è » aggiunse, incenerendo il microfono con lo sguardo.

« Non dovresti essere così tragica, Amane. Anche se… »

Lasciò la frase in sospeso. Suo malgrado, Misa era curiosa.

« Anche se…? »

Questa volta le sembrò che stesse sorridendo.

« Anche se, lo confesso, ciò rende la situazione molto più divertente. »

Si lasciò cadere di nuovo sul divanetto, arrabbiata. « Ryuuzaki-san è veramente un maniaco depravato! » Accavallò le gambe e incrociò le braccia, riflettendo intensamente. Poi s’illuminò. « Ora l’unico modo che Ryuuzaki ha per farsi perdonare da Misa è venire qui insieme a Light a farle compagnia » concluse, trionfante.

« E cosa ti fa credere che io voglia farmi perdonare, Amane-san? »

Dio, questo ragazzo era insopportabile.

« Misa-Misa si annoia! » ripeté, lamentosa. « Ha bisogno di parlare con qualcuno che non stia dall’altra parte di un microfono! Ha bisogno del suo Light! O di una qualunque persona disposta a farle un po’ di compagnia! »

Per qualche lungo istante ci fu silenzio. Misa giocherellava con un cuscino. Forse Ryuuzaki si era spazientito e aveva interrotto la comunicazione, chissà. Che razza di maleducato, però; almeno avrebbe potuto salutarla.

Invece, alla fine, sentì di nuovo quella sfumatura divertita nella sua voce.

« D’accordo, Amane-san. Vedrò di accontentarti. »

 

 

« C’era bisogno di arrivare a tanto, Ryuuzaki? »

« Di certo non lo faccio perché mi va di farlo, Light-kun… »

« Oh! È questo che intendevi quando parlavi di cose tra maschietti e dicevi che dovevate stare insieme ventiquattro ore su ventiquattro?… Non sarai mica gay, Ryuuzaki-san?! »

« Ho appena detto che non lo faccio perché mi va di farlo, chiaro? »

 

 

Misa era stupita. Anche molto seccata. Ma, in effetti, era più stupita che seccata.

Per chissà quale motivo, di fronte alla sua richiesta, Ryuuzaki era venuto da lei da solo, interrompendo la sorveglianza su Light. Ok, di sicuro aveva fatto in modo di ammanettarlo a qualcun altro – ma non era questo il punto. Cosa poteva averlo spinto ad un’azione del genere? Non era assolutamente da Ryuuzaki! Che stesse cercando di tenerla lontana da Light? Ma non aveva senso, dal momento che insieme a loro ci sarebbe stato anche lui… O forse era solo che…?

« Sicura di non voler neanche assaggiare la tua fetta di torta, Amane? »

La domanda di Ryuuzaki la scosse dai suoi interrogativi. Rinunciò a capire come funzionasse la sua mente da maniaco e, per l’ennesima volta, sbuffò.

« Misa-Misa non si stancherà mai di ripetertelo: i-dolci-fanno-ingrassare. »

« Un vero peccato. » Ryuuzaki era accovacciato sul divano al suo fianco, tutto intento a gustarsi con calma una delle due fette di torta alle fragole che aveva portato con sé. Alla sua risposta, si sporse per prendere anche il suo piatto. « Vorrà dire che la mangerò io. Io non ho di questi problemi. »

Misa non riusciva a credere a tanta insolenza. Non solo non aveva portato Light da lei, ma si permetteva pure di starsene lì a mangiare, invece che fare conversazione come tra gente civile.

Lo guardò di sbieco. « È davvero così buona, quella torta? »

« Oh, sì. » Lui masticò con cura il boccone. « Molto. »

Quanti secondi ci volevano a perdere la pazienza con lui? Troppo pochi, decisamente.

« Vorresti dire che non c’è nulla, in questa stanza, in grado di coinvolgere la tua attenzione quanto quella torta? Nulla e nessuno?… Neanche Misa-Misa? »

Ryuuzaki smise di masticare, ma i suoi occhi rimasero concentrati sul secondo piatto, che aveva appena attaccato con la forchetta. Passò qualche secondo prima che parlasse.

« Amane, tanta insistenza è quantomeno bizzarra. Devo dedurre che tu sia gelosa di un dolce? »

« Razza di pervertito! » Misa gli scagliò contro un cuscino, ma quello non gli provocò che uno svolazzare di capelli sulla nuca. « Misa-Misa non è affatto gelosa! Solo… Gradirebbe che Ryuuzaki-san almeno la guardasse, invece di limitarsi ad ingozzarsi come ha fatto senza sosta da quando è entrato! »

Ryuuzaki non batté ciglio né replicò. Mise in bocca un altro boccone e ricominciò a masticare scrupolosamente.

Misa era esasperata. Poi di colpo ebbe un’idea. Scivolò verso di lui sul divano, fino a fermarsi ad una spanna di distanza, e mosse una mano verso il suo fianco.

Ryuuzaki abbassò gli occhi per un attimo sul suo dito teso, prima di tornare a concentrarsi sulle fragole.

Misa mosse il polpastrello sulla maglia sottile del giovane, su e giù, appena appena – ma non ottenne l’effetto sperato.

« Ti informo che non ho mai sofferto il solletico, Amane-san » disse Ryuuzaki, laconico.

Sbuffò ancora, contrariata, e incrociò le braccia. « Misa-Misa riuscirà comunque a farsi guardare da te. »

Un pezzo di dolce nascose il lampo di un sorriso.

« Ma davvero? »

« Davvero! » E Misa scattò, lanciandoglisi addosso a mani tese.

Se anche il solletico non gli procurò alcun fastidio, Ryuuzaki non poté evitare il contraccolpo del contatto. Caddero entrambi semidistesi sul divano, lei sopra di lui, e la torta si sparpagliò un po’ ovunque.

Quando smise di torturargli il costato e sollevò lo sguardo, senza sciogliersi da quel bislacco abbraccio non voluto, Misa vide quegli occhi neri e indecifrabili puntati nei suoi, in un’espressione di muta meraviglia che la fece scoppiare a ridere.

« Hai perso, Ryuuzaki-san… » Con la punta del dito tolse un briciolo di panna dalla sua guancia. « E sei anche arrossito. »

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Capitolo 3
*** Senza spazi ***


E per festeggiare il totalmente inaspettato quanto estremamente gradito 30 e lode all’esame di stamani, eccomi qui con il nuovo aggiornamento! xD Santissimissimo Lawliet, ancora non posso crederci!! Ehmmm, perdonatemi, è che ora la tensione si scarica tutta insieme. ^///^’

Cooomunque: terzo capitolo! Uno degli abbracci che avrei voluto descrivere da più tempo <3 Amo questi due personaggi insieme, sono troppo pucci, sul serio.

Ringraziamenti di cuore a tutti i lettori! Per le recensioni:

Dany92: Mocciau, Dany-chan! ^^ Ti ringrazio per aver commentato anche questa; ti confesso che mi sono sentita lusingata dal fatto che la prima cosa che tu abbia letto su Harry Potter sia stata la mia shot! *-* Quindi non hai letto neppure i libri, nee? Se è così, ti consiglio di farlo, sono immensamente migliori dei film e una volta che li conosci tutti e sette rimani lì così à ç//////ç Ma… Ma… Ma… *divisa tra l’intento omicida verso la scrittrice che ha creato un similmente perfetto ciclo – perché, anche se all’inizio non sembra, alla fine si rivela tutto collegato – e quello da fangirl perché l’ultimo libro offre veramente di che fangirlare.* Scusami se mi dilungo, è che HP mi esalta proprio, e come ho detto sono onorata di averti incuriosita abbastanza da leggere la Harry x Hermione ^^ Grazie come sempre… Anche per gli auguri per l’esame! Come vedi è andato bene, per fortuna!! xD

Rein94: Ma non preoccuparti, Rein, fai già tantissimo leggendo sempre le mie storie *////* Mi auguro tu possa risolvere presto i problemi di connessione… Sono proprio fastidiosi, lo so u.ù Grazie ancora, e tranquilla per i commenti, l’importante è che tu risolva! Ti abbraccio forte! <3

Buona lettura a tutti, di nuovo. Hope you like it :3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Senza spazi

 

 

 

 

 

Fandom: Kingdom Hearts

Personaggi: Naminè, Sora

Genere: Sentimentale, Triste

Rating: Verde

Ambientazione: Epilogo di Kingdom Hearts: Chain of Memories

Prompt: #7. Hold me tight (Stringimi forte)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’ultimo piano del Castello dell’Oblio, il silenzio suonava diverso.

« Devo entrare là dentro, vero? »

Lei guardò il suo profilo. Per una volta non seppe decifrare il suo stato d’animo… Preoccupato, forse?

Annuì. « Quando ti sveglierai, sarai di nuovo te stesso. »

« No, non è vero. » Si voltò verso di lei, con una strana espressione. « Sarò me stesso senza il ricordo di te. »

All’improvviso capì cosa fosse ad incrinargli la voce, a tendere all’ingiù gli angoli della sua bocca, a smorzare l’azzurro dei suoi occhi. Non era riuscita a capirlo prima, semplicemente perché era assurdo che una cosa simile potesse capitare a lui, che i concetti ‘Sora’ e ‘tristezza’ si legassero in qualche modo.

Cercò di sorridergli.

« Va bene così, Sora. Tu hai un cuore. Tu non sei come me. Vivendo i tuoi sentimenti, puoi fare a meno dei ricordi. Sono quelli come me a non avere altro… »

Il ragazzo scosse debolmente la testa. Piano, tese una mano, sfiorò la sua con la punta di un dito. Lei rimase immobile, sorpresa dal contatto; non era la prima volta, ma questa era diversa. Seguì per riflesso la sua mano che si sollevava, posando il palmo contro il suo, finché le pelli aderirono, senza spazi. Come avrebbe dovuto essere, come era stato in quei ricordi falsi e ormai già perduti.

« Io non voglio fare a meno di questo » sussurrò lui, «non voglio fare a meno di te. Non m’importa di quel che è successo, non importa cosa tu pensi di essere; tu sei reale. Sei la ragazza che volevo salvare e proteggere. Sei tu, Naminè. »

« Sora… »

Si morse le labbra, avvertendo il sapore salato delle lacrime risalire dalla gola fino agli occhi. Che assurdità: i Nessuno non piangevano. Non potevano permetterselo – non ne avevano il diritto.

« Che cosa posso fare? Cosa posso fare per essere sicuro che riuscirò a ricordarti, un giorno? »

« Lo vuoi davvero? »

« Certo che sì! »

« Allora stringimi. »

Lui la fissò, confuso. Ma fu solo per un istante. Sciolse l’intreccio dalle sue dita, soltanto per avvolgerla con le braccia e attirarla contro il proprio petto. Così esile, minuto, vivo.

Ricambiò l’abbraccio – più forte, più forte; non lasciarlo andare via così – e per un tempo che le parve infinito, il battito del cuore di Sora le scaldò la guancia.

 

 

« Ho promesso che ti avrei protetta, e che non ti avrei fatto piangere. Mai.

Perciò non piangere; sorridi… Mi piace vederti sorridere.

Mi piaceva nei miei falsi ricordi, ma quello che sento adesso no, non è una menzogna… È reale. »

 

 

Si distaccarono timidi.

« Grazie, Sora. »

« Per cosa? »

« Per avermi fatto sentire una Qualcuno. Per avermi fatto sentire il tuo cuore. »

Sora sorrise, il primo sorriso da quando erano entrati nel silenzio che precedeva la separazione. Poi fece una cosa strana, una cosa che – Naminè lo sapeva – non aveva mai fatto, neppure con lei.

« Non ti dimenticherò» le sussurrarono le sue labbra contro la fronte. « È una promessa. »

 

 

 « Non ricordare qualcosa non vuol dire averlo perso completamente. »

 

 

Un ultimo sorriso, un ultimo gesto con la mano aperta.

« A presto, Naminè. »

La capsula bianca si chiuse sul suo sguardo di nuovo luminoso, e gli nascose la vista di quell’ultima lacrima.

« Addio, Sora. »

All’ultimo piano del Castello dell’Oblio, il silenzio suonava illuso.

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Capitolo 4
*** Fili d'estate e risa graziose ***


Nuovo capitolo! Basato su una coppia che amo sempre di più *-* Nonostante persino a me appaia un po’ bislacca. xD Viva le assurdità!

Grazie infinite a tutti i lettori! <3 E in particolare per le recensioni a:

Dany92: Ti sono grata per le tue parole, ci tenevo moltissimo alla Sora x Naminè *///* So di non avere espresso al meglio l’angoscia di Naminè di fronte alla perdita dell’unica persona che l’abbia mai fatta sentire vera, ma sono contentissima che ti sia piaciuta! E riguardo Harry Potter, ti assicuro, i libri valgono tutto il tempo che ci vuole a leggerli xD Personalmente trovo che soltanto i primi due film rendano loro giustizia (il terzo è una ca*ata pazzesca, il quarto è carino, il quinto e il sesto sono quasi reinventati °-°)… Oh, beh. Grazie ancora, Dany, di vero cuore! ^^

RiruSevilla: Ma grazie! *-* Hai commentato la shot precedente anche se non conoscevi il fandom; significa molto per me, davvero. Purtroppo spiegare la trama di Kingdom Hearts è complicato (io stessa devo capirci ancora molto xD) ma davvero, ti sono grata dei complimenti. E starei qui ore a raccontartela se solo ne avessi il tempo xD Un bacio!

Shadow Eyes: Guarda, quando ho letto la tua recensione alla L x Misa non riuscivo a crederci. Sul serio, io amo le tue fic su Death Note, proprio oggi ti ho inserita tra gli autori preferiti. E mi lusinga che la mia umilissima storia ti sia piaciuta! *-* Grazie mille, grazie infinite!

Grazie anche a chi inserisce la storia tra le preferite, seguite o storie da ricordare!

Buona lettura a tutti. Hope you like it :)
[ PS. Colgo l'occasione per un piccolo avvertimento: ho deciso di inserire anche Un ponte per Terabithia tra i fandom trattati. ^^ ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fili d’estate e risa graziose

 

 

 

 

 

Fandom: Alice in Wonderland

Personaggi: Mad Hatter, Alice Liddell [o Kingsley, che dir si voglia xD]

Genere: (Potenzialmente) Nonsense, Romantico

Rating: Verde

Ambientazione: Poco dopo l’arrivo di Alice a Sottomondo

Prompt: #13. Masterpiece (Capolavoro)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Cappellaio Matto non stava nella pelle. Che giorno felice, che giorno assolutamente felice! La fanciulla giusta era finalmente arrivata. Occorreva festeggiare. Occorreva festeggiare con qualcosa di più del tè – e dire che per lei aveva preparato un tè squisito, da leccarsi i baffi, come giustamente stavano facendo il leprotto marzolino e il ghiro rannicchiato sulla teiera migliore del suo servizio migliore, ansiosi di iniziare il banchetto di benvenuto. Anche perché a loro, evidentemente, dell’ospite non importava granché.

Ma no, ci voleva qualcosa di più speciale del tè. Qualcosa come… Qualcosa come…

« Alice, vorresti un cappello? »

La ragazza – troppo piccola, era troppo piccola – alzò gli occhi su di lui, dal bordo della tazzina su cui era seduta.

« No, ti ringrazio, Cappellaio. »

« Ma io voglio farti un cappello. »

« Grazie, no, Cappellaio. »

Il Cappellaio Matto inclinò la testa, confuso. « Perché no? »

Alice si strinse nelle spalle, esitante. « Perché… Beh… »

« Perché?… » Il Cappellaio Matto si versò dell’altro tè, in una delle poche tazze col fondo, corrugando la fronte dinanzi all’interrogativo. « Perché? Perché un corvo assomiglia ad una scrivania? »

Il tè strabordò dalla tazza sbeccata ed Alice sollevò automaticamente il vestito. Lo guardò accigliata.

« Cosa c’entrano adesso i corvi e le scrivanie? »

« Entrare? Entrare dove? Nel cappello? In un cappello no che non entrano corvi e scrivanie » e il Cappellaio sorrise, trionfante. « È logico, Alice! »

« … »

« … »

« … Non ti seguo più, Cappellaio. »

Il Cappellaio Matto lasciò cadere sul tavolo la teiera, che rovesciò il tè restante sulla tovaglia già imbevuta, e si alzò in piedi tutto contento.

« Seguirmi! Giusto, seguimi. »

E afferrata la piccola Alice, se la posò su una spalla e si allontanò velocemente dalla tavola imbandita e dal ghiro e dal leprotto. Alice si aggrappò al bavero della sua giacca con le microscopiche manine.

« Dove andiamo? »

« A farti un cappello! »

« … Cappellaio… »

Lui non l’ascoltava nemmeno, mentre marciava spedito nel bosco vuoto in cui da pochissimo tempo era tornato a splendere il sole e a scorrere il tempo.

« … Un grande, grandissimo cappello, che ti faccia da rifugio quando sei piccola e da portafortuna quando sei grande e da riparo quando sei giusta, e che sia intessuto di fili d’estate e di risa graziose… »

« Non vado matta per i cappelli. »

« Oh, certo che no. Non sono mica i cappelli a rendere matte le persone » e alle parole il Cappellaio Matto accompagnò una lunga risata.

 

 

« Così tu sei un cappellaio? »

« È da molto tempo ormai che non faccio più cappelli. Così come non festeggio più il non-compleanno. Così come non ballo più la deliranza. »

« E perché non hai più fatto nessuna di queste cose? »

« Aspetto l’Alice giusta. »

 

 

« … Proprio così, il cappello più speciale di tutti per l’Alice più speciale di tutte… Sarà il mio capolavoro, senza alcun dubbio. »

« Cappellaio? »

« Sì, Alice? »

Le braccia della ragazza risalirono fino alla sua guancia, si allargarono per circondarla. Il Cappellaio Matto si fermò, sorpreso, nel cuore del bosco, a meravigliarsi di quel bizzarro abbraccio e di quanto seppur piccolo gli sembrasse grande.

Parole che iniziano con la M: morbido

E Alice sorrise contro il suo viso, anche se lui non poteva vederla.

« Parole che iniziano con la M: meraviglioso. »

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Capitolo 5
*** Un battito di ciglia ***


Attenzione: spoiler per chi non conosce del tutto la trama originale del fandom.

A dirla tutta, ma proprio tutta, questo capitolo non mi convince. Penso che avrei potuto carpire e definire meglio le sensazioni del personaggio, specie in un momento così definitivo. Ma più ci penso più mi areno, perciò pazienza, lo pubblico così com’è, nella speranza che piaccia comunque.

Ribadisco che purtroppo non ho letto il libro Un ponte per Terabithia; ho visto soltanto il remake del film, ed è da quello che sono tratte le citazioni – seppure vagamente adattate al contesto. Chissà, forse è anche per questa consapevolezza che Leslie mi ha un po’ “frenata”; di lei conosco soltanto la versione cinematografica, il che, temo, può essere un handicap. Oh, siate buoni, in fondo siamo qui per migliorare. ^^’

Ringrazio tutti i lettori, e un ringraziamento particolare alla mia Dany92 per la dolcissima recensione (spero che il compito sia andato bene, Dany-chan! ^^).

Buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un battito di ciglia

 

 

 

 

 

Fandom: Un ponte per Terabithia

Personaggi: Leslie Burke, Jesse Aarons

Genere: Drammatico, Introspettivo

Rating: Giallo

Ambientazione: Il momento della caduta di Leslie nel fiume

Prompt: #9. Falling (Cadendo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra la corda e il fiume c’era uno spazio di mezzo metro. E nello spazio di mezzo metro si può vivere un’attesa eterna.

Leslie sapeva; aveva sentito distintamente la corda – la corda magica, sì, proprio quella – spezzarsi, aveva avuto il tempo di vedere la piena sotto di sé – era piovuto tanto quella notte. Sapeva cosa ci fosse ad attenderla, e forse da qualche parte aveva anche un po’ di paura.

Ugualmente, sperava ancora – soltanto – di vederlo arrivare.

Lo aveva aspettato, quella mattina, ma lui non era venuto. Che strano. Di solito non si faceva aspettare. Non più, almeno; non da quando erano diventati amici.

Amici. Jess era il suo unico amico.

Però quel giorno non c’era.

Quaranta centimetri dal pelo dell’acqua.

Che cosa stupida, no, che cosa ridicola. Eccolo, Jess – il suo Jess, stava arrivando. Veniva correndo sulla sponda del fiume, saltava giù dal tronco, le tendeva la mano.

Peccato, non sorrideva. Le piaceva quando sorrideva.

Forse proprio perché non lo faceva quasi mai.

Venticinque centimetri dal pelo dell’acqua.

E adesso la sentiva, quella mano, sentiva che la stringeva e la tirava su. Palpabile. Reale. E com’era rassicurante.

La portava in salvo, di nuovo sulla riva, con lui. E un po’ la sgridava anche, per non aver fatto attenzione, per essere andata là senza di lui.

Le venne voglia di sorridere. Era la prima volta che l’abbracciava così.

Venti centimetri dal pelo dell’acqua.

E lei cercava di rispondere a quell’accusa, anche se le parole si fermavano da qualche parte nella gola, ostacolate dalla sorpresa della caduta.

Perché non sei venuto prima? Perché ho dovuto aspettarti anche stavolta?

Come qualche mese prima, quando lo aveva battuto in una corsa, e lui non aveva risposto né alle sue parole né alla sua mano tesa.

Quindici centimetri.

E perché, dannazione, perché non sentiva la sua risposta?

Dieci centimetri.

Eppure lui c’era. Lo avvertiva, lo sentiva lì con lei, vicino come non mai. Sentiva il suo respiro affannato per la corsa; le scaldava le labbra.

Dunque era solo una speranza, quell’abbraccio?

Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno.

 

 

« Quella corda è vecchia, non c’è da fidarsi. »

« Pensa se ci fosse un regno incantato che conosciamo solo noi due… Se l’unico modo che abbiamo per entrarci fosse lanciandoci con quella corda magica! »

 

 

Quando il suo corpo toccò l’acqua, Leslie tornò al presente.

Un battito di ciglia. Una comprensione dolorosa.

No, Jess non c’era.

Un solo pensiero le attraversò la mente, nell’istante precedente all’urto contro la roccia fredda e liscia.

Peccato. Non lo avrebbe più visto sorridere.

Nello spazio di mezzo metro si possono ricordare mille momenti, ma non se ne può dimenticare nessuno.

 

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Capitolo 6
*** Troppo umano ***


Comincio col dire che questa shot potrebbe intendersi come una furry, ossia una fanfic con presenza di personaggi-animali: beh, sono esigenze di copione dovute al prompt – e tra l’altro questo abbraccio mi piace quasi di più così che in versione umana… Vi è anche una possibile presenza di slash, ma potete rilevarla o meno, a vostro piacimento; questo è uno di quei capitoli in cui non è necessario trovare a tutti i costi del romanticismo.

Passo subito a ringraziare tutti i lettori (vi adoro, vi adoro davvero <3), in particolare per le recensioni:

Dany92: Sono felice che ti sia piaciuto il precedente capitolo, e che pensi che l’essenziale ci fosse ^^ In effetti, come hai detto anche tu, l’idea della velocità del momento mi ha costretta a pensieri brevi e quasi frammentati, e forse soprattutto per questo l’introspezione di Leslie non mi convinceva del tutto; ma sono lieta che ti sia piaciuta, sul serio. A quanto pare ti sto costringendo ad interessarti a parecchi libri, eh? ^////^’ Un bacione, grazie mille come sempre!

Elos: Non hai idea di quanto mi abbiano colpita le tue recensioni. Dico davvero, a giudicare dalle tue parole ciò che scrivo mi sembra migliore .__. Non so come ringraziarti, tanto per i complimenti quanto per i suggerimenti riguardo lo stile (riguardo il secondo capitolo hai ragione, Misa parla di sé in terza persona nella versione originale; io ho seguito l’anime soltanto in italiano, come te, ma mi piaceva l’idea di renderla un po’ più fedele a se stessa: spero di esserci riuscita!). Spero anche che continuerai a seguire la mia raccolta, perché le tue recensioni sono veramente costruttive e, come dire, stimolanti. ^^ Grazie di cuore, davvero.

Buona lettura a tutti – hope you like it :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Troppo umano

 

 

 

 

 

Fandom: Harry Potter

Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black

Genere: Introspettivo, Sentimentale

Rating: Giallo

Ambientazione: Quinto anno a Hogwarts dei Malandrini

Prompt: #12. Fur (Pelo, pelliccia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo sapevano tutti, a Hogsmeade. La Stamberga Strillante era il posto più infestato di tutta la Gran Bretagna. Per davvero.

Peccato non potessero immaginare che i fantasmi che sentivano urlare erano i suoi, i demoni di un unico essere dannato.

Il Lupo Mannaro giaceva prostrato sul pavimento polveroso, ringhiando ansante. La luce della luna piena filtrava appena dalle finestre sbarrate, ma incendiava il fuoco nei suoi occhi spalancati – un fuoco in cui la furia andava sopendosi, lasciando il posto ad una più quieta disperazione. Man mano che l’umanità si riprendeva il proprio posto nel corpo e nella mente bestiali, anche i pensieri tornavano a vertere sul lato umano, e portavano con sé i primi dolorosi segni del senso di colpa e della vergogna.

Il visetto terrorizzato gli aleggiava ancora davanti al muso, gli occhi spalancati e la bocca tremante…

Un odore familiare giunse alle narici dilatate. Il Lupo Mannaro sollevò la testa e ringhiò all’entrata dell’intruso.

Pensavo avessi capito che volevo restare da solo.

L’enorme cane nero entrò trotterellando dalla porta scardinata, diretto verso di lui con imperterrito sangue freddo.

Pensavo sapessi che per me ogni occasione è buona per far saltare i nervi al buon vecchio Lunastorta.

Il Lupo Mannaro ringhiò ancora, ma lasciò ricadere la mascella sulla zampa, socchiudendo gli occhi.

Non c’è nulla su cui scherzare. Ho rischiato di aggredire una bambina.

Il cane sedette sulle zampe posteriori. Sbadigliò, mostrando una fila di lunghi denti bianchissimi e acuminati; poi si grattò il collo con una zampa, ostentando la massima indifferenza.

James e Peter sono con lei. L’hanno riportata al sicuro, al villaggio. Non credo che sua madre la lascerà tornare tanto presto a sconfinare verso il castello… Non hai nulla di che preoccuparti, è tutto sotto controllo.

Il lupo emise un basso verso roco che nel silenzio suonò come una risatina lugubre. Il cane si scrollò; probabilmente, se avesse potuto, avrebbe sbuffato.

Dannazione, Remus, piantala di fare il…

Un ennesimo ringhio coprì quelle che avrebbero potuto definirsi le sue parole; il Lupo Mannaro sollevò di nuovo il muso.

Come puoi ostinarti ancora a non vedere la realtà? Come puoi stare lì a scherzarci sopra? Non hai idea di quel che sarebbe potuto succedere alla ragazzina se…?

Silenzio. Lontano, da qualche parte ad ovest – forse proprio sopra Hogwarts – echeggiò un tuono.

Il cane nero guardava il lupo con intensità, come sfidandolo a continuare, gli occhi neri scintillanti nel buio. Neppure un verso in risposta. Del resto gli animali hanno molti modi per esprimere il proprio stato d’animo.

Il Lupo Mannaro rantolò all’improvviso, uggiolò quasi – faceva male, ed era un dolore troppo umano. Stava tornando se stesso nel modo più doloroso possibile: con l’anima.

Dio, non avrei mai dovuto lasciare che tu e gli altri entraste in questa storia. Voi non potete capire.

Non mi pare la pensassi così stamattina, quando progettavamo insieme nel dormitorio i particolari della nostra scorrazzata notturna…

Non è divertente, Sirius. È una cosa mostruosa. Io sono una cosa mostruosa.

Il cane mostrò i denti, quasi un ghigno.

Di certo sei mostruosamente seccante quando ti piangi addosso.

Il lupo respirò profondamente, quasi un sospiro.

Iniziava a piovere.

 

 

« I miei complimenti, Felpato. Non avrei mai immaginato che potessi diventare Animagus in soli cinque anni. »

« Cos’è quest’ironia, Lunastorta? Avevo la certezza che non possedessi alcun senso dell’umorismo. »

« Sappi che potrei morderti per questo. »

« Oh, davvero? Uuuu! Licantropo in libertà! Salvatemi! Uuuu! »

E rotolano insieme nell’erba, tra le risate di Codaliscia e Ramoso.

 

 

Il cane nero si mosse all’improvviso. Ora era abbastanza vicino da poter posare una zampa su quella del lupo.

Non è colpa tua, Remus.

Il Lupo Mannaro lo scrutò con un vago riflesso di umana amarezza.

E di chi vuoi che sia? Tua? Di James? Di Peter?

Non sei tu a volere questo. Non l’hai mai voluto.

E tra i pensieri, tra i sentimenti, affiorarono anche i ricordi. Il lampo bianco di denti, il dolore sordo del morso, il momento in cui la vita era diventata una dannazione.

Mentre tornava a sentirsi un ragazzo di quindici anni, il lupo – il mostro – chiuse stancamente gli occhi.

No. Mai.

Il cane nero gli si accucciò al fianco. Per un attimo rimase là, come incerto; poi, con un lieve uggiolio di condivisione, gli lambì il muso con la lingua. Il lupo non si mosse, così come non rifuggì il contatto quando il cane posò il muso sopra la sua testa. Pelo nel pelo, zampa su zampa, ma con gli artigli ritratti.

Sotto la pioggia, per una volta, i fantasmi della Stamberga Strillante quasi tacevano.

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Capitolo 7
*** Mai e poi mai ***


In nome del sommo Lawliet, vi supplico di perdonarmi. So di essere in-de-cen-te-men-te in ritardo con gli aggiornamenti. ç///ç

Purtroppo l’accademia assorbe molto del mio tempo, e anche se le idee sono sempre là pronte nella mia testa sovraffollata spesso mi riesce difficile trovare il tempo di metterle per iscritto. Sono davvero mortificata.

Tra l’altro, sono reduce dallo shock di essere tornata a trattare un fandom che non frequento da millenni *__* Benché Card Captor Sakura abbia segnato il mio amore per gli anime e per le fanfiction, e benché su di esso abbia scritto moltissime fortunate fic, è stato, come dire?, strano tornare a concentrarmi su Shao e Saku, che da così tanto tempo stavano là zitti nello strato più quiescente del mio cervello… Tutto ciò per dirvi che anche il capitolo in sé ha assorbito parecchio tempo per essere concepito e scritto. Ancora una volta, chiedo perdono.

Ho anche fatto pasticci con l’ambientazione, temo: questa shot è ambientata nel periodo di San Valentino, ma contemporaneamente anche nel periodo immediatamente successivo al trasferimento di Shaoran in Giappone [quando ancora sembrava attratto da Yukito – saprete già che ciò era dovuto solo agli influssi lunari di Yue, che condizionavano il comportamento di Shaoran quasi come se ne fosse innamorato]; onestamente non so se questi due lassi di tempo coincidano, e nel caso non sia così, sono nuovamente imperdonabile. A questo punto posso solo invocare la licenza poetica. ^^’

Un grazie megagalattico a Elos che ha commentato il capitolo precedente, e a coloro che ancora hanno la pazienza di seguire questa raccolta!

Vi lascio alla lettura. Hope you like it <3

[ Shounen-ai marginale ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mai e poi mai

 

 

 

 

 

Fandom: Card Captor Sakura

Personaggi: Sakura Kinomoto, Li Shaoran

Genere: Commedia, Romantico

Rating: Verde

Ambientazione: Prima che Shaoran capisca di essere innamorato di Sakura

Prompt: #5. Chocolate (Cioccolato)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di norma, economia domestica non rientrava tra le materie preferite di Sakura Kinomoto.

A dirla proprio ma proprio tutta, se non fosse stato per Tomoyo non sarebbe mai stata in grado di cucinare neanche un uovo al tegamino.

C’era un che di innaturale nella passione della sua migliore amica per i fornelli; Tomoyo adorava starsene per ore in cucina a sperimentare, creare, esprimersi attraverso le pietanze anziché le parole, e mettere poi in tavola il succulento risultato e aspettare con tranquillità che i suoi commensali le donassero un giudizio – che puntualmente non poteva essere che positivo. Le piaceva quasi quanto le piaceva cantare, o riprendere e fotografare Sakura, o confezionare abiti assurdamente originali per lei.

Ovvio che, in quel caso, Sakura fosse ricorsa al suo aiuto e alla sua pazienza.

 

 

« Devi aiutarmi, Tomoyo. »

« Che cosa succede? »

« Il nuovo progetto per economia domestica. »

« Il cioccolato per San Valentino? »

« Sì… Sì. Quello. »

« Ma Sakura, immagino che tu sappia come preparare un po’ di cioccolato… »

« Sì, beh… Io… Ecco… Non so… »

« Sakura, che ti prende? Perché sei così rossa? »

 

 

C’era voluto del bello e del buono, ma alla fine l’aveva ammesso. Voleva che Tomoyo l’aiutasse più del solito, che le desse ripetizioni di cucina, se necessario – perché quel cioccolato non era soltanto un compito scolastico. Era qualcosa di speciale.

Sarebbe stato il suo primo regalo per Yukito.

Oh, non che Tomoyo si fosse fatta pregare. Lei era stata più che entusiasta di dare il suo contributo, allenandola con la teoria e la pratica del cioccolato per settimane. Il guaio – quello che ancora la rendeva nervosa, la impacciava, e a volte la faceva sprofondare nella depressione – era un altro…

Shaoran.

Shaoran aveva sentito, quando lei aveva confessato a Tomoyo di voler regalare il cioccolato per San Valentino a Yukito. Aveva sentito e subito aveva messo su quell’espressione infastidita che adottava tutte le volte che Sakura parlava di lui.

Sakura sapeva da un pezzo che anche il compagno cinese provava dei sentimenti per Yukito Tsukishiro. Quel che non si sarebbe mai immaginata era che Shaoran s’impegnasse con tanta energia per preparare a sua volta del cioccolato – il destinatario del quale, era evidente, non poteva essere che lo stesso.

Forse per questo, per via di tutti questi imbarazzanti e fastidiosi pensieri, quella mattina cucinare allo stesso tavolo di Shaoran si stava rivelando un’esperienza così pasticciona.

« Sakura, psst! » Tomoyo le tirò una manica del grembiule, sporgendosi dal suo tavolo nella seconda fila. « Fai attenzione. Sta colando tutto. »

Sakura sussultò e tornò al presente. Il cucchiaio con cui stava mescolando la crema scura nella terrina sgocciolava sul tavolo; per fortuna l’insegnante non era nei paraggi. Si affrettò a tuffarlo di nuovo dentro il recipiente, schizzandosi sul viso, per poi pulire il piano con uno straccio.

Alla sua destra, Shaoran le lanciò un’occhiata in tralice e sogghignò appena. Sakura si sentì arrossire.

« Avete ancora cinque minuti, ragazzi. Correte ad infornare, presto! »

Ubbidiente, la classe si mosse per raccogliere i contenuti delle ciotole in piccole teglie o stampi che poi andarono tutti a cuocere nei forni. L’aula di economia domestica fu percorsa dai sussurri eccitati delle ragazze e quelli scocciati dei ragazzi.

Sakura osservò dal di qua dei vetri il proprio operato: non le sembrava un granché, ma l’importante era che fosse buono.

Doveva essere buono. Doveva essere buono per Yukito. Ci teneva così tanto…

« Benissimo. E ora a lavare mani e utensili. »

Sakura vide Tomoyo accodarsi a Rika e Chiharu verso il lavabo. I loro sguardi s’incrociarono, e Sakura sorrise, ancora profondamente grata all’amica per il suo sostegno. Quindi si voltò per raccogliere i vari recipienti sporchi di cacao, farina e quant’altro dal tavolo che aveva condiviso con Shaoran.

Il ragazzo stava facendo lo stesso, e presto finì per urtarle la mano con la sua. Sobbalzarono entrambi, sorpresi.

Sakura alzò gli occhi e vide Shaoran distogliere con stizza i suoi, prima di allontanarsi risolutamente da lei.

No, quel compito non facilitava affatto il suo rapporto con l’erede cinese di Clow Reed.

 

 

* * *

 

 

Il giorno di San Valentino aveva sempre infastidito oltre ogni dire Li Shaoran.

Forse perché le sue quattro sorelle, con le loro classiche smancerie e sdolcinatezze da adolescenti, gliel’avevano fatto odiare a priori.

Allora per quale motivo – si chiese mentre percorreva immusonito le stradine poco affollate di Tomoeda, la mano stretta convulsamente sul pacchetto che aveva in tasca – per quale dannatissimo motivo stava andando a regalare del cioccolato a uno che, alla fin fine, era un emerito sconosciuto?

Il solo pensiero lo fece arrossire. Tsukishiro era un ragazzo, era più grande di lui, ed era il migliore amico del fratello della sua acerrima nemica. Roba che le soap-opera si sognavano. Si era dato dell’idiota mille volte, per quell’illogico batticuore che gli provocava la presenza di Tsukishiro nel suo campo visivo e auditivo; era arrivato a schiaffeggiarsi da solo nella speranza di darsi una scrollata, quando di colpo si fermava a pensare a lui e avvertiva il senso crescente d’imbarazzo e isterismo irrigidirgli le membra e mozzargli la lingua.

Inutilmente.

E infatti adesso stava andando a regalargli del cioccolato.

Roba. Da. Matti.

D’altro canto non gli piaceva neppure il fatto di doverlo andare a cercare a casa di Kinomoto. Era quasi sicuro che l’avrebbe trovato lì, da quell’idiota di Touya. Ma questo comportava infilarsi dritto dritto nella tana della Catturacarte. E dire che si era promesso di evitarla, santo cielo!

Quando si rese conto di star quasi stritolando il pacchetto di cioccolatini nella tasca del cappotto, si fermò – a pochissima distanza da casa Kinomoto – e inspirò profondamente per calmarsi. Andava tutto bene. Non c’era nulla di cui innervosirsi. Avrebbe suonato alla porta, avrebbe chiesto se Tsukishiro era in casa, e in caso affermativo sarebbe andato direttamente da lui e gli avrebbe consegnato il cioccolato senza una parola; poi sarebbe tornato difilato a casa. Il tutto senza degnare i Kinomoto di uno sguardo. Sì, ecco, nessun problema. Poteva farcela. Sì.

Armato di una nuova determinazione, riprese a camminare.

Ma si fermò di nuovo, suo malgrado, appena giunse in vista del cancelletto d’ingresso.

Sakura Kinomoto era seduta lì e piangeva e singhiozzava senza ritegno.

Spiazzato, Shaoran ci mise qualche secondo a riprendersi da quella vista. La Catturacarte gli era sembrata un’ingenua, una testarda e una ragazzina un po’ sciocca, ma di certo non una che piangesse – mai. Non gli aveva mai dato l’idea di una persona che cedesse facilmente alle lacrime. Anche se, beh, certo, non la conosceva poi da molto.

Oh, ma perché doveva starsene là a ragionare su di lei? Era un altro il motivo della sua presenza lì, no?

E allora perché esitava e restava piantato sul posto a guardare le lacrime di quella stupida ragazzina?!

In quella, la ragazzina in questione alzò gli occhi e lo vide. Erano ad almeno quindici metri di distanza, ma anche così Shaoran poté vedere la confusione entrare prepotente nei suoi occhi in luogo della tristezza, o della rabbia, o di quel cavolo che era a farla piangere.

« L-Li? Cosa… Che… Cosa ci fai qua? »

Shaoran si avvicinò. Avrebbe potuto dirle la verità – chiederle se in casa c’era Tsukishiro – fare quel che doveva e poi sparire dalla circolazione.

Invece si sentì dire qualcosa che non sapeva di aver avuto l’intenzione di chiedere.

« Che ti è successo? »

Si fermò di fronte a lei, confuso. Un momento. A lui che gliene importava?

La ragazza s’imbronciò di nuovo. Le sfuggì un altro singhiozzo, mentre con un gesto rabbioso della mano si asciugava le guance.

« Q-quello stupido di mio fratello. H-ha mangiato t-tutto il cioccolato c-che avevo preparato per Yukito. »

Pronunciare quel nome la fece arrossire, più o meno come succedeva sempre a Shaoran.

Lui la fissò ancora per qualche istante, combattuto. Da un lato era tronfio, esaltato; Tsukishiro non avrebbe ricevuto il cioccolato della Catturacarte, ma il suo sì. Ma da un altro lato… Beh… Doveva ammettere che Touya Kinomoto si era comportato in modo estremamente egoista e arrogante. Come al solito.

Le lacrime ripresero a scendere sulle guance rosse della ragazza, aumentando il dolore nei suoi occhi verdi.

Shaoran tentennò. Non gli piaceva, no, non gli piaceva per niente quella tristezza nel suo sguardo. Era così inusuale… Così non-da-Sakura.

Aveva ancora la mano in tasca, sul pacchetto. Lo strinse debolmente. Soppesò l’idea che gli era venuta – assurdo, assurdo; perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere? – e sospirò di sconforto.

Per tutte le carte di Clow Reed, in che razza di situazione s’era andato a cacciare.

Riluttante, con la mezza intenzione di filare via senza neppure informarsi sulla presenza di Tsukishiro in casa sua, trasse dalla tasca il pacchetto e lo tese alla compagna.

« Tieni. »

Lei sollevò di nuovo il viso. Andò con lo sguardo dal pacchetto a lui e di nuovo al pacchetto, senza capire. Shaoran sbuffò.

« È quello che ho cucinato io. Puoi… Puoi dargli questo. A… A Tsukishiro, intendo. »

Sakura lo fissò e smise del tutto di piangere; i suoi lineamenti rimasero solo pervasi di uno stupore immenso.

« P-posso… Cosa? » La sua voce era poco più che un sussurro. « Tu… Tu sei disposto a… Tu mi daresti…? »

Shaoran sbuffò di nuovo, spazientito, e le agitò la scatola davanti al viso. « Senti, prendilo prima che cambi idea. E non farla tanto lunga… In fondo è solo cioccolato. »

Sakura tese automaticamente una mano. Accettò il pacchetto che le porgeva, e le dita sfiorarono le sue, come quel giorno in classe quando avevano cucinato insieme e – in un certo senso – l’uno contro l’altra. Per qualche oscura ragione, il contatto gli diede più fastidio ora che quella prima volta; probabilmente perché aveva appena ceduto alle lacrime di una ragazza… Già, si stava rammollendo, decisamente.

Prima che potesse rendersene conto, Sakura aveva sorriso radiosa – che strano: il sorriso regalava una luce tutta nuova ai suoi occhi pieni di lacrime – e gli era saltata al collo.

Shaoran barcollò, esterrefatto e imbarazzatissimo.

« K-Kinomoto! Che ti salta in mente?! »

« Grazie, Li-kun » gli rise all’orecchio lei, col tono di chi non potrebbe essere più felice.

Era sempre più strano… Adesso, per qualche ancor più oscura ragione, il contatto era più… accettabile Quasi interessante.

Si sentì avvampare, ma grazie al cielo fu solo per un attimo.

Sakura si ritrasse di colpo e si allontanò di corsa lungo la stessa strada che lui aveva percorso per arrivare fin lì, salutandolo gioiosa con la mano.

« Vado da Yukito… Grazie mille, Li, davvero, sei un amico! »

Shaoran rimase imbambolato a guardarla sparire. Amico… Amico? Ma se erano rivali…

Si toccò lentamente una guancia, là dove aveva sentito più forte il suo profumo e il suo respiro…

Poi scosse la testa con energia e riaffondò le mani nelle tasche. Che assurdità. Era il primo ed ultimo favore che faceva a Sakura Kinomoto.

Si decise infine a tornare sui suoi passi, sconsolato… Non solo aveva fatto un viaggio a vuoto, ma aveva persino ceduto alla Catturacarte il suo cioccolato… E così sarebbe stato lui a non regalare nulla a Tsukishiro per San Valentino…

Gli occhi verdi e raggianti di Sakura gli scorsero di nuovo nella mente, e la sensazione di essere smascherato dalla loro beata ingenuità lo fece avvampare di nuovo.

No. Non sarebbero mai stati amici. Mai e poi mai.

E scalciò via un sasso, tentando di strapparsi di dosso quell’insopportabile e familiare senso di calore allo stomaco che quell’abbraccio imprevisto gli aveva provocato.

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Capitolo 8
*** Una cosa da bambini ***


Yay, aggiornamento in anticipo! :D

Ho scritto questo capitolo un bel po’ di tempo fa; il prompt è stato uno dei primi a ispirarmi, e i due personaggi coinvolti non potevano essere che quelli… Ad ogni modo, se ci ho messo tanto a pubblicarlo è per via della scarsa stima che ho nei confronti di gran parte dei miei lavori. In qualche modo, mi sembrava e mi sembra tuttora che in questo breve episodio ci sia dell’incompleto, del non detto. Ma ragionandoci ho capito che è giusto così, perché quando si parla di Death Note c’è quasi sempre qualcosa di non detto. ^^ Ulteriore nota: il pairing non va assolutamente inteso come romantico – cioè, non voglio dire che non sia possibile trovare delle affinità romantiche tra i due (soprattutto per le amanti dello yaoi xD), ma non c’è alcun romanticismo in questo determinato contesto. u.u

Ringrazio tutti i lettori; e per le recensioni:

Elos: Sono felice che la shot ti sia piaciuta anche se non conoscevi CCS *-* In effetti sì, anch’io ho trovato un po’ scioccante l’inizio dell’anime, quando sembrava che Shaoran e Sakura condividessero una cotta per la stessa persona… E posso solo immaginare quanto possa esserlo stato per te! ^__^’’ Per quanto riguarda Shaoran, beh: lui è incantevole. Sempre. E sentirmi dire che è incantevole anche come l’ho reso io, lo considero un serio motivo di orgoglio. *///* Ti ringrazio ancora!

Dany92: Waaa, sono lieta di sapere della tua gita nell’assolata Spagna *-* Spero tu ti sia divertita tantissimo!! Ma quale perdono?! Anzi, grazie mille per le tue dolcissime parole ^///^ Per me è un onore ritrovare intatti i tuoi complimenti, dopo aver tralasciato CCS per una vita; temevo seriamente di averci perso la mano x’DD Ti abbraccio forte, Dany-chan!

Vi lascio – buona lettura a tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una cosa da bambini

 

 

 

 

 

Fandom: Death Note

Personaggi: Near / Nate River, L Lawliet

Genere: Introspettivo, Malinconico

Rating: Verde

Ambientazione: Durante l’infanzia di Near alla Wammy’s House

Prompt: #1. Teddy bear (Orsacchiotto)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mucchi di stoffa lisa sul pavimento scuro. Il ragazzino biondo aveva fatto davvero un ottimo lavoro; la sua caratteristica rabbia distruttiva aveva ancora una volta lasciato il segno. L’imbottitura bianca e soffice come ovatta era fuoriuscita quasi del tutto dall’ampio strappo, i fili restavano sciolti sotto le cuciture saltate, e le membra del pupazzo sembravano appassite, abbandonate.

Al bambino era piaciuto tanto, quel pupazzo. Ma, come molte cose che gli erano piaciute, anche quello apparteneva già al passato.

Eppure non riusciva a scacciare quella brutta sensazione dolorosa agli angoli degli occhi.

Rimase sorpreso quando una mano pallida – quasi quanto le sue – entrò nel suo campo visivo, sfiorando con un dito l’orsetto di peluche squarciato. Non aveva sentito entrare nessuno. Poi alzò gli occhi, e comprese.

Quel ragazzo strano – ma in fondo erano tutti strani in quel posto, no? – che aveva già avuto modo di conoscere se ne stava lì curvo, gli occhi neri fissi sull’orsacchiotto. La sua espressione era vagamente impressionata, come se non avesse mai immaginato che qualcuno potesse ridurre in quello stato un semplice giocattolo.

Era naturale che non l’avesse sentito. Girava sempre a piedi scalzi. Proprio come lui.

Si rese improvvisamente conto di quanto dovesse sembrare infantile al famoso, al grande, all’unico L trovarsi a tu per tu con uno degli orfani destinati a seguire le sue orme e vederlo piangere per un pupazzo scucito. Si passò la manica troppo lunga del pigiama bianco sugli occhi, sperando che il ragazzo non avesse notato nulla.

« Non ce n’è bisogno. »

Alzò di nuovo lo sguardo, sorpreso.

L si era accovacciato di fronte a lui. Aveva preso l’orso in grembo, e sembrava che lo studiasse, ma le sue parole chiarirono che, sì, aveva notato le sue lacrime.

« È una reazione naturale, non c’è motivo di vergognarsene. » Per la prima volta lo guardò, inespressivo. « Piangere non è una cosa da bambini. È una cosa da persone. Persone che sanno cosa significhi essere bambini e sanno cosa significhi crescere. »

Riprese a soppesare il peluche, rigirandolo lentamente da tutti i lati. Nate fissò il suo viso neutro – quasi quanto il suo – e forse fu grato di non poterne incrociare di nuovo lo sguardo.

« Succede anche a te? »

L’aveva chiesto senza pensare, senza volere. Il ragazzo, inspiegabilmente, sorrise.

« A volte. »

Nate non ebbe il tempo di essergli grato di non averlo guardato, mentre pronunciava quelle parole.

Lui portò una mano dietro di sé, cercò qualcosa nella tasca posteriore dei pantaloni. Quando tornò a toccare l’orso, il bambino vide un oggetto lucente e puntuto tra le sue dita. Il ragazzo aveva gli occhi bassi, ma parve notare comunque la sua curiosità.

« Qualcuno mi ha insegnato che non fa mai male portare con sé un ago e del filo. »

Nate si era avvicinato impercettibilmente. Aveva paura di porre la domanda successiva; ma questa volta la risposta arrivò da sola, senza soste e senza remore – come se anche lui avesse bisogno di tornare bambino, ogni tanto.

« Una donna a cui volevo molto bene. »

 

 

« Sei L? »

« Sì. E tu chi sei? »

« … »

« … »

« Non posso dirti il mio nome. »

« Ma davvero? »

« Bisogna tenersi stretta la propria identità. È più sicuro così. »

« … Cominci già ad assomigliarmi, piccolo. »

Si scambiano un’occhiata, e Nate River non è sicuro di vedere approvazione in quegli occhi neri.

 

 

Il ragazzo si chinò, tagliò il filo con i denti e rimise l’ago in tasca. Poi lo guardò e gli tese l’orso, in silenzio.

Il bambino rivide il pupazzo com’era prima che il ragazzino biondo lo distruggesse. La stessa stupida stoffa sorridente che gli aveva fatto compagnia senza chiedere nulla in cambio, lo stesso inutile involucro morbido che quel giorno – per la prima volta da quando era arrivato lì – lo aveva reso triste e ora lo stava facendo sorridere.

Pensò che l’orsetto era come L.

Pensò che L era come lui.

Forse fu per questo, forse no. Seppe soltanto riconoscere le lacrime che ricominciavano a premere agli angoli degli occhi, e che stavolta non si fermarono lì.

Non si curò di asciugarle, non più. Non si vergognava di piangere di fronte a L. Anche L piangeva. L sapeva cosa significasse crescere. Crescere soli.

Passò sotto le sue mani tese, strisciò verso le sue ginocchia sollevate e piano piano le costrinse verso il pavimento. Quando trovò i suoi vestiti troppo larghi – quasi quanto i suoi – vi premette contro il viso e vi si aggrappò con le mani, soffocando i singhiozzi.

L sussultò appena, ma non lo respinse. Abbassò soltanto le braccia e lo ascoltò piangere.

In fondo, L era come lui.

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Capitolo 9
*** Fallo per me ***


… Dunque.

So di essere mostruosamente in ritardo, ma cercate di capirmi. Sono nella piena fase esami universitari e…

No, ok, così non va. Il fatto è che ho postato altre storie, nel frattempo, pur preparando gli esami, perciò questa non è una buona giustificazione.

Penso di aver semplicemente perso per un po’ il mio interesse verso questa raccolta. E sono consapevole di aver appena detto poco meno di una blasfemia, visto che ero partita tutta gasata della serie ‘Evvai, ho un’idea che ho già sviluppato mentalmente fin nei minimi dettagli, stavolta non accumulerò blocchi su blocchi’. Non so che dire. È semplicemente andata così.

Spero solo di riuscire a farmi perdonare. .__.

Ad ogni modo, voglio festeggiare il 23 ed il 26 di questa mattina condividendo con voi la mia primissima Riku x Sora :3 [ Dunque stavolta lo shounen-ai c’è. ] A questo riguardo vi prego di avere pazienza: come ho detto è la primissima che scrivo e, beh, mi è uscita così. xP

Grazie infiniterrime a Elos, Dany92 e Shadow Eyes per aver recensito lo scorso capitolo; grazie a chiunque ha ancora la pazienza di seguirmi; grazie ad ogni singolo lettore, come sempre.

Hope you like it. <3 [ Corre a studiare per i prossimi esami xD ]

 

Nota 1. Non sono ancora sicura di nulla, ma potrei decidere di utilizzare anche Kuroshitsuji tra gli anime.

Nota 2. Una mia amica mi ha consigliato di postare i vari capitoli come shot distinte, perché secondo lei è molto difficile che si vadano a cercare fanfic su un fandom nella sezione Crossover – il che in fondo è vero. Chiedo il vostro parere. Voi che ne pensate? .__.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fallo per me

 

 

 

 

 

Fandom: Kingdom Hearts

Personaggi: Riku, Sora

Genere: Commedia, Romantico

Rating: Verde

Ambientazione: Prima del viaggio di Sora & Co. tra i mondi, ipoteticamente durante le scuole medie

Prompt: #15. Kiss (Bacio)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se c’era una cosa che, alla soglia dei quattordici anni, Riku aveva imparato a proprie spese, era che Kairi era pericolosa.

Oh, non pericolosa nel senso che ti si avvicinava di soppiatto nella notte con un coltello in mano ed un ghigno grondante sangue. Ci mancherebbe. Il suo era un tipo di dannosità molto più ‘umano’, per così dire – e forse proprio per questo molto più allarmante.

In un certo senso questo gli piaceva, di lei. Almeno era sicuro che con lei e Sora non si sarebbe mai annoiato.

Sora. Ecco, accidenti, era arrivato a Sora. Tanto lo sapeva che sarebbe stata questione di minuti.

Ed era inutile dire che, in quel tipo di pericolo che Kairi rappresentava per Riku, Sora era nato per sguazzarci.

 

 

« Riku, giochiamo? »

« Mh? »

« E dai, Riku, giochiamo. »

« Sora, non vedi che sto cercando di studiare? »

« Oh, non fare il guastafeste! E dai… Kairi ha detto che vuole organizzare un gioco. »

« Non so perché ma non prevedo nulla di buono. »

« E dai, Riku! E daaai! Che ti costa? Non vuoi giocare con Kairi e con me? »

 

 

Accidenti a quegli occhioni blu. Accidenti agli occhi di Sora.

Riku l’aveva sempre odiato, il gioco della bottiglia.

« Vediamo, Riku dovrà baciare… » La voce allegra di Kairi si fece molto meno allegra, molto più fievole, mentre il suo sguardo seguiva il rallentare di quella stupida bottiglia di plastica ed il suo fermarsi con quell’odiosa aria di sfida – oh, di sfida, sì, quella bottiglia lo stava sfidando. E, accidenti, lui avrebbe tanto voluto perdere, per una volta.

La ragazza non terminò la frase, ma nell’aula affollata soltanto da quei pochi ragazzi che non erano corsi in cortile per la ricreazione calò un silenzio di piombo.

Riku deglutì.

Non può essere vero.

Kairi guardava dalla bottiglia a Sora, spiazzata. Selphie guardava da Kairi a Sora a Riku, incerta. Tutti guardavano da Kairi a Sora a Riku incerti. Ma Riku non guardava altri che Sora, che se ne stava lì con gli occhi fissi sulla bottiglia – come fosse un oggetto alieno – ed uno stupore indicibile stampato in faccia.

Finché, di colpo, Sora scoppiò a ridere, facendo sobbalzare Riku e Kairi e Selphie e tutti gli altri.

« Che razza di stupidaggine » le risate quasi gli impedivano di parlare, « che stupidaggine assurda! »

Riku rimase a fissarlo allibito.

« Sora… » Kairi aveva l’aria di una che avrebbe preferito mangiare carta igienica piuttosto che dire ciò che stava per dire. Ma bisognava darle atto: andò fino in fondo. « La bottiglia indica te. »

« Cosa? Oh, andiamo, Kairi » se ne uscì lui, sempre con l’aria di spassarsela. « Non ti aspetterai mica che Riku lo faccia per davvero?! »

Silenzio. Riku continuò a fissare Sora allibito.

« Ma la bottiglia indica te » ripeté Selphie, probabilmente pensando che Sora non era abbastanza sveglio da capire il concetto al primo colpo.

« Beh, e con questo? » Lui la guardò, a metà ancora divertito, a metà sorpreso. « Questa è una cosa così stupida che nessuno può prenderla in considerazione. Riku farà girare di nuovo la bottiglia, niente di più facile. No? »

Silenzio. Riku continuò a fissare Sora allibito.

… Stupida. Una cosa così stupida.

Era una cosa così stupida che Sora non avesse mai capito niente.

Riku strinse un pugno, sforzandosi di mantenere un’espressione indecifrabile, ma a quel punto l’interesse di Sora si era spostato su di lui. Lo vide alzare gli occhi su di sé, mentre il sorriso gli spariva lentamente dalle labbra, lasciando il posto alla confusione.

« Riku? Che stai aspettando? »

Riku sospirò. Allentò la stretta delle dita.

Peccato; avrebbe voluto che il contesto fosse diverso.

Si alzò tanto improvvisamente da far sobbalzare Tidus, marciò verso Sora, si chinò sul ginocchio, lo afferrò per il mento, ignorò spudoratamente il suo verso di sorpresa [o di protesta?] e lo baciò direttamente sulle labbra.

E il silenzio era ancora assordante, ma, oh, quant’erano morbide le labbra di Sora.

Tre secondi, e a malincuore Riku si staccò e tornò a sedersi senza incrociare lo sguardo di nessuno. Solo quando riguadagnò il suo posto poté vedere nuovamente Sora, rimasto lì, attonito e paonazzo, a fissarlo forse senza nemmeno vederlo. Da qualche parte, Kairi chinò il viso, nascondendo una qualche espressione dietro i lunghi capelli rossi.

Sì, avrebbe tanto voluto che il contesto fosse diverso.

Sora esplose all’improvviso, ma per Riku fu come la liberazione da un macigno.

« Ma che ti salta in mente? Sei impazzito?! »

Impazzito? Uh, probabile.

« Le regole sono regole, Sora. » Alzò gli occhi al cielo. Del resto, per lui era sempre così facile fingere. « Adesso perché non fai girare quella bottiglia? Tocca a te; vedi di spicciarti. »

E con quelle parole Riku si alzò di nuovo, impotente, e questa volta si allontanò dalla scena di quel grottesco giochino – non perché non aveva la forza di affrontare le conseguenze, ma semplicemente perché non avrebbe potuto sopportare la vista di Sora che baciava qualcun altro.

Sora il suo migliore amico. Sora che non aveva mai capito. Sora l’unico motivo per il quale, a volte, Riku sorrideva.

Era per cose come questa che Kairi era pericolosa, accidenti.

 

 

* * *

 

 

« Razza di stupido. »

Riku non aveva ben chiaro nella mente quando esattamente Sora lo aveva seguito in cortile, si era fermato dietro di lui e aveva fatto scivolare le braccia sotto le sue, aggrappandoglisi attorno come ad un cuscino troppo grande. Non lo ricordava e neppure gli interessava ricordarlo. Erano così calde, le mani di Sora.

« Stupido, stupido, stupido. Perché devi essere così stupido, eh, perché? »

Stupido lui? Oh, grandioso. Sora si permetteva di essere totalmente, assurdamente, atrocemente cieco per anni, e dava dello stupido a lui.

Rimase in silenzio. In fin dei conti era più facile e più bello stare fermi a sentire il suo contatto, oltre che i suoi insulti, piuttosto che allontanarlo fisicamente e verbalmente…

« E sei tanto stupido che non hai neanche il coraggio di rispondermi. Non hai neanche il coraggio di guardarmi in faccia. »

Beh, ok, a tutto c’era un limite.

Riku si voltò di scatto, divincolandosi dalla sua stretta, schiuse la bocca ancora in cerca di una risposta abbastanza cattiva e si ritrovò dritto davanti al faccino imbronciato – e rosso, rossissimo – di Sora…

Poi non poté dire proprio nulla, perché Sora si sollevò sulle punte dei piedi e gli tappò la bocca.

Con la sua.

 

 

« Ehi, Riku, perché non torniamo da scuola insieme? »

« Riku, fa freddo. Posso venire più vicino a te? »

« Riku, giochiamo? »

« E dai, Riku… Fallo per me. »

 

 

Era una cosa così stupida che Riku non avesse mai capito niente.

 

Adesso sì, adesso il contesto era proprio come l’avrebbe voluto lui.

Adesso sì, adesso poteva benedire la pericolosità di Kairi.

 

« Di’ un po’; perché sarei uno stupido? »

« Perché ti ci è voluta una cosa cretina come il gioco della bottiglia per deciderti a farlo. »

 

 

« Riku, lo sai che ti voglio bene? »

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Capitolo 10
*** Ad un soffio ***


Immagino sia poco – anzi, il minimo – dirvi quanto mi dispiace per questo immenso ritardo. Odio il mio computer, lo odio davvero. Potrei stare qui ad elencarvi tutti i problemi che mi ha dato ma farei notte, e in più non voglio annoiarvi con queste cose. Forgive me. ç__ç

Però, beh, rieccomi! ^-^ Decimo capitolo, e stavolta si parla di Pokémon. Anche stavolta è una delle mie ‘prime volte’, ossia si tratta della mia prima Drew x Vera *-* Aw, spero di non aver fatto casini. In realtà ho seguito pochissimo l’anime nel corso della sesta serie (e ho smesso del tutto a partire dalla settima, ma è un dettaglio u.u), dunque di Drew non è che sappia poi così tanto; spero di non essere andata troppo OOC. Comunque il prompt mi sembrava proprio giusto per questi due. xD

 

Riguardo le due note nel capitolo precedente: la shot su Kuroshitsuji ci sarà, almeno spero xD Il prompt più adatto c’è; mi occorre solo un po’ di sana ispirazione, che mi auguro di non perdere strada facendo. E riguardo il modo di pubblicazione di questa raccolta, beh, ho pensato che fosse meglio continuare così – magari più in là posterò qualcuno dei capitoli che reputo migliori (uhh, non che siano tanti, eh xD) come shot singole. Il fatto è che, come giustamente osservato da Akachi, non voglio perdere il senso originario di questa raccolta.

Grazie per le vostre opinioni, mi hanno aiutato molto! ^^

 

Grazissime a tutti coloro che stanno leggendo queste parole, e grazie soprattutto a:

Elos: Ti dirò, anche a me piace il threesome RiSoKai xD E in realtà è da poco che mi sono appassionata al Riku x Sora. Riku è un personaggio un po’ ermetico per me o__ò Con questo non intendo dire che non capisco come la pensa, ma mi riesce stranamente difficile raccontare qualcosa dal suo punto di vista. Perciò sono ancor più felice che la precedente shot ti sia piaciuta! *-*

Akachi: Kyah, una nuova lettrice! Sono onorata di fare la tua conoscenza! *si inchina profondamente* Ti ringrazio, sei davvero gentilissima ^^ Spero che continuerai a seguirmi e che anche i prossimi capitoli ti piacciano! A presto!

Dany92: Naaa, c’erano (e ci sono) tutti i motivi per infierire xD Ma davvero ti è piaciuta? Davvero-davvero?! *////* Ossantoelle, ti confesso che avevo il terrore che non ti piacesse, ricordavo bene che non eri un’appassionata dello shounen-ai… Ma ora che ti ho fatto piacere anche la mia stupidissima Riku x Sora posso dire di sentirmi realizzata *__* xD Grazie davvero, Dany-chan, ci tenevo tanto al tuo parere!

 

Vi lascio al capitolo. Buona lettura a tutti! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad un soffio

 

 

 

 

 

Fandom: Pokémon

Personaggi: Vera, Drew

Genere: Commedia, Romantico

Rating: Verde

Ambientazione: Sesta serie dell’anime

Prompt: #3. Stuck together (Appiccicati)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solitamente, quando si ritrovava in una situazione spiacevole, Vera stilava con diligenza dentro di sé tutti i lati negativi del contesto e se li analizzava per bene, uno alla volta. Diceva a se stessa che quello era l’unico modo per trovare una via di scampo nei problemi; di fatto, però, la cosa risultava più utile per arrabbiarsi meglio – per maledire un problema alla volta.

Dunque, cominciamo.

In primo luogo, era evidente che il Team Rocket aveva deciso di cambiare stile. Che avessero capito che una buca più piccola avrebbe limitato i movimenti dei suoi occupanti o che avessero semplicemente voluto risparmiare sul lavoro di vanghe, poco importava; il risultato invariabile era quello di un cubicolo minuscolo in cui a malapena passava ossigeno sufficiente a respirare. Perciò, maledetti loro, come sempre.

In secondo luogo c’era il fatto che tutti i suoi pokémon erano rimasti al Pokémon Center, sotto le cure dell’infermiera Joy di turno, il che costituiva già di per sé una catastrofe – perché senza le liane di Bulbasaur non vedeva proprio come avrebbe potuto uscire di lì. Andando ad aggiungervi l’evidente intenzione del Team Rocket di dirigersi proprio al suddetto Pokémon Center, c’era già di che disperarsi. Perciò, maledetto Team Rocket, di nuovo.

In ultimo, ma non per importanza, Ash non l’aveva vista uscire, e sicuramente ci avrebbe messo un bel po’ ad accorgersi della sua assenza e di ciò che le era successo. Perciò, maledetto A…

« Potresti smetterla di agitarti tanto, per cortesia? È già la terza volta che mi pesti un piede. »

Ah, già. E c’era anche lui.

 

 

« Si può sapere perché continuo ad incontrarti ovunque? Non mi starai pedinando, per caso? »

« Oh, no, tranquilla. Se mai mi verrà voglia di pedinare una ragazzina che non sa nulla su come si diventa coordinatori, te lo farò sapere. »

« A chi hai dato della ragazzina?! »

Lui aveva attraversato le porte di vetro con un sorrisetto di scherno, e lei aveva piantato in asso i suoi compagni e gli era corsa dietro.

« Povero principino viziato, la mamma non ti ha detto che bisogna essere gentili con le ragazze? »

« Ma guarda un po’. Pare che ora sia tu a seguire me. »

« Sì, certo, ti piacerebbe, eh? Guarda che ti perseguiterò finché non mi avrai chiesto scusa. »

« Che tecnicamente equivale a ciò che ho detto io. Mi stai seguendo. »

« … Invece no! »

« Lo dicevo. Sei solo una ragazzina. »

« E tu sei un essere insopportabile! »

Si erano fermati a scrutarsi, torvi, l’uno di fronte all’altra, e all’improvviso la terra sotto i loro piedi era franata.

Sopra di loro, tre voci li avevano esortati a prepararsi a passare dei guai.

Guai molto grossi, appunto.

 

 

Vera si scostò quel tanto che lo spazio ristretto le consentiva, ma era ancora – e suo malgrado – incastrata lì, tra la parete di terra ed il petto di una delle persone più irritanti dell’universo dopo quella peste di fratello che si ritrovava sempre appresso.

« Oh, scusami tanto, signorino ‘sono-intoccabile-mantengo-sempre-il-sangue-freddo’, ma ti faccio notare che siamo finiti in una trappola. »

A poca distanza dal suo viso, Drew inclinò la testa da un lato e le indirizzò un sorriso ironico.

« Ma dai? Non ci sarei mai arrivato da solo. Allora sei intelligente, qualche volta. »

Se solo avesse potuto muovere appena un po’ di più le braccia lo avrebbe ammazzato.

« Invece di sprecare tempo ed energie prendendomi in giro, perché non provi a fare qualcosa per farci uscire? »

« Mi rincresce molto, ma ho ancora qualche problema con la levitazione. »

« Parlavo di usare i tuoi pokémon, genio. »

« Ero al centro medico come te, nel caso avessi dimenticato. Anch’io ho lasciato i miei pokémon lì. »

« Oh, no, non è possibile! » Vera perse tutta la voglia di lanciargli frecciatine. Disperata, sollevò le mani e prese a tastargli i vestiti, in cerca di una qualsiasi pokéball, di una qualsiasi speranza. « Non può essere, non può essere… Non posso trovarmi davvero in questo pasticcio con te. »

Questa volta Drew non rispose. Vera ci mise un po’ a rendersi conto che, fin da quando lei lo aveva toccato, si era irrigidito nervosamente. Sollevò lo sguardo e, ad un soffio dal suo viso – era una sua impressione, o era arrossito? – si ritrovò a pensare che non aveva mai notato quanto i suoi occhi fossero… verdi… quanto fossero intensi.

Poi si ricordò di aver lasciato le mani inerti sul suo addome, e scattò indietro con uno squittio sconvolto. Neanche a dirlo, il colpo della parete della trappola sulle sue scapole fu tanto forte da farla ritrarre di nuovo, sbilanciandola in avanti; soltanto allora Drew si mosse, alla velocità del fulmine, circondandole la vita con le braccia perché non gli precipitasse addosso in tutto il suo peso.

Vera rimase immobile contro di lui, gli occhi [terrorizzati] all’altezza dell’incavo della sua spalla, le guance che sfioravano il tessuto della sua maglietta, il respiro affannoso. Per qualche motivo assolutamente illogico, il cuore prese a batterle all’impazzata, e sembrò fermarsi di botto quando Drew chinò la testa per parlarle direttamente nell’orecchio.

« Possibile che tu debba essere sempre così goffa, ragazzina? »

Il fremito che le provocò quel sussurro tra i capelli fu tale da impedirle persino di aggredirlo.

A quale punto era arrivata? Il quarto, giusto? Bene. Maledetto Drew.

Ora non poteva fare altro che aspettare con ansia che Ash e gli altri sventassero i piani del Team Rocket e li trovassero. Già, aspettare… con ansia… che…

Drew fece scorrere una mano sul suo fianco, su, su lungo la schiena, mentre la sua bocca si spostava verso il suo viso.

… ma anche no.

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Capitolo 11
*** Tra le macerie ***


Warning, attention, achtung, atención, attenzione, chūmoku! SPOILER pesantissimo!

Se non avete ancora visto l’anime e non volete rovinarvi tutta la serie e anche l’inizio di Kuroshitsuji II, NON leggete!

 

Oddio O__O Ma cosa ho scritto?! Waa, è incredibile quanto mi sia venuta nonsense la shot su Seb e Ciel.

Ok, sinceramente non so davvero che dire su questo capitolo. Avrei voluto insistere molto più sul prompt che su ciò che ci sta intorno; non so, è come se mi fossi allontanata dall’idea originale che mi era venuto in mente di rappresentare. Però non saprei come cambiarla perché in questo momento mi piace così com’è. Anche se è incasinatissima. xD

Lo shounen-ai è praticamente implicito e trascurabile; questo non perché non mi piaccia il Sebastian x Ciel, ma perché se avessi forzato la mano sul loro rapporto sarei finita molto probabilmente OOC, ed era l’ultima cosa che volevo fare. Ci sono anche dei riferimenti Ciel x Elizabeth, ma nulla di esagerato. La dirò in altre parole: interpretatela pure come volete ^^ (Resta il fatto che l’abbraccio è tra Seb e Ciel :P <3)

 

Ma grazie! Sono così felice che lo scorso capitolo sia piaciuto *__* Ehh sì, lo sapevo, il “Ma anche no” ha sempre successo xD

Rispondo alle recensioni:

Elos: Yup, il Team Rocket REGNA x’DD No, seriamente, mi fa davvero piacere il tuo commento. In effetti è proprio questo il motivo per cui ho lasciato il finale così in sospeso; il tema principale è l’abbraccio, era quello che mi interessava… Poi, se Ash è arrivato in tempo per salvare Vera o se Drew ha elegantemente deciso di approfittare della situazione, affari loro xD Scherzo! Povera Vera. Grazie mille come sempre!

Dany92: Sono così lusingata *-* Te lo confesso, la faccenda della “trama semplice” per me è sempre stata un fantasma personale. Ho sempre paura che una storia non piaccia quando la trama è debole – il che mi succede molto spesso, perché purtroppo mi trovo più a mio agio nell’interpretare i personaggi nella loro introspezione che non nel contesto di avvenimenti in cui si muovono. Per cui, le tue parole mi confortano! *-* Ti abbraccio fortissimo!

Fede_Wanderer: Kyah, Fede-chan! Sono così dispiaciuta ç__ç Quanto tempo è passato dall’ultima chiacchierata che ci siamo fatte? (Se solo potessi uccidere MSN >.< Per ora sto usando spesso il pc di mia cugina, ma non posso certo monopolizzarle il computer ç__ç) Ohh, ok, parliamo della storia adesso. Inutile dire che sono stata onoratissima di averti ritrovata anche qui *-* Come avrai notato, questo capitolo è incentrato sul nostro recente interesse! E visto che è tutto merito tuo se conosco Kuroshitsuji, spero tanto che ti piaccia <3 Bacioni!

 

Colgo l’occasione per dirvi che in questi giorni sarò un po’ occupata, causa festa patronale di paese, e non so se potrò aggiornare molto presto. Mille scuse in anticipo. :(

Buona lettura a tutti, e a tutti grazie ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le macerie

 

 

 

 

 

Fandom: Kuroshitsuji

Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis

Genere: Introspettivo, Drammatico

Rating: Giallo

Ambientazione: Epilogo dell’ultimo episodio dell’anime

Prompt: #11. Childhood (Infanzia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« Farà male? »

« Sì… Un po’. Cercherò di essere il più delicato possibile… »

« No. Fa’ in modo che sia più doloroso che puoi. Scolpisci il dolore della mia esistenza nella mia anima. »

« Yes, my lord. »

 

 

Non era come si aspettava.

C’era buio, tutto intorno. Non era il buio tipico delle notti a Villa Phantomhive. Non era freddo e vuoto; questo era un buio vivo, un buio pronto a circondarlo e ad ingoiarlo senza neanche un rumore.

Eppure non era ancora il nulla.

Perché sono qui?

Percepiva con tutti i sensi la propria presenza, tangibile, in quel buco nero e caldo e pieno dell’odore della vita e non della morte. Un odore familiare. Cos’era… Fiori? Fiori di campo? No… Un giardino. Che strano.

E le voci, le voci. Le sentiva. Ma come poteva esserci qualcuno lì con lui? Quella era la sua fine.

La cosa più strana era che ridevano.

« Ciel, Ciel! »

Elizabeth?

« Ciel, sei troppo veloce! Non riesco a seguirti! »

« Sbrigati, Lizzie, sbrigati! È arrivata la zia Anne! »

Aveva visto e vissuto troppe cose irrazionali, in quegli ultimi due anni di non-vita, per sorprendersi anche di questa.

Il buio si popolò. Non erano immagini di sogni o di ricordi. Non erano fantasmi. Era tutto vero, atrocemente vero. Due bambini attraversarono di corsa l’oscurità davanti a lui, ridendo. Una era la sposa che non avrebbe mai avuto. L’altro era lui a sei anni.

« Sei troppo veloce, Ciel… »

« Ehi, Lizzie, guarda! »

Il suo piccolo sé si era fermato a guardarlo. Faceva davvero uno strano effetto guardare se stessi, soprattutto perché quello era un se stesso che non sarebbe tornato mai, che non sarebbe potuto tornare in alcun caso. Un se stesso i cui occhi avevano ancora lo stesso colore.

Una fitta di rimpianto inutile gli percorse il corpo – non puoi recuperarla quell’innocenza, Ciel Phantomhive, non puoi – e il buio tornò un mostro addormentato.

« Zia Anne, zia Anne! »

Una macchia di rosso nel nero profondo.

Una donna avanzò dalle ombre. Tra le sue braccia il bambino di poco prima. Ridevano insieme, sembravano felici. Così tanto.

Il suo sguardo vagò su quel viso a sua volta appartenente al perduto, sulla pelle bianca contrastante con i capelli, le labbra, l’abito di fuoco. Da lei si irradiava lo stesso odore di fiori che aveva già sentito. Rose, le stesse che gli aveva portato lui come ultimo saluto. Rose rosse per l’assassina – rosso al sangue, rosso alla morte! Venite a vedere tutti, signori miei, che la morte è rossa e non nera.

« Zia Anne, tu sai chi è quel ragazzo? »

Si voltarono entrambi a guardarlo. Il bambino curioso, la donna sorpresa.

Come potevano essere così reali? E soprattutto, cosa pensavano, mentre guardavano il suo essere muto e immobile spettatore della loro felicità?

Una nuova fitta, più lacerante – non puoi riaverlo quell’abbraccio, Ciel Phantomhive, non puoi – mentre quelle figure sparivano nel luccichio di una lunga lama dentellata, comparsa dal buio vivo e di nuovo morta in esso, accompagnata da una risata di squalo rosso anche lui.

« Continuate a combattere! Dobbiamo proteggere il signorino! »

« Finian, togliti di mezzo o colpirò te! »

« Non potete, non potete farlo, non potete prendere la villa! »

Altre immagini, altre persone. Tre sagome in guerra, non tra di loro ma per lui.

E lui vedeva, sentiva, annusava: era tutto vero. Tutto vero. Gli spari, le grida. La paura. Avevano paura, ma avevano un compito. Lo avrebbero portato a termine perché era il loro riscatto sulla vita, ed era la loro promessa fatta tra le macerie ad un maggiordomo nero, ed era la loro espiazione.

Il dolore stavolta si fece sentire più a lungo – non puoi ritrovarla quella lealtà, Ciel Phantomhive, non puoi – più penetrante. Cadde in ginocchio nel buio e ne sentì la consistenza calda e stranamente morbida.

Avrebbe fatto male, gli aveva detto lui. Ed era giusto così. Voleva che fosse così.

Ma non aveva immaginato quanto male potesse fare.

« Ciel? »

Di nuovo la sua voce, ma ora Elizabeth aveva di nuovo dodici anni. Si aggirava, lo cercava, lo chiamava, tra le fiamme alte che ora nascondevano i corpi dei tre combattenti, dei tre amici. In lacrime.

Lo cercava e questa volta non lo vedeva.

« Ciel, perché non mi rispondi, perché non torni da me? »

Perché non posso, perché non posso.

Sentì le unghie affondare nei palmi mentre stringeva i pugni, ma non era paragonabile al dolore che aveva dentro, nel petto – non puoi asciugarle quelle lacrime, Ciel Phantomhive, non puoi – lì dove, beffardo, il suo cuore batteva ancora.

Le fiamme di Londra lambirono la ragazza, la plasmarono – “London Bridge is falling down, falling down, falling down. La trasformarono in qualcosa che lui aveva già visto e che non avrebbe voluto vedere mai più.

L’occhio di sua madre lo scrutava dal viso di suo padre.

No, questo no, questo no!

Si accasciò su se stesso, sfuggendo a quella vista, e vomitò anche l’anima. Quell’anima che lui ancora non era venuto a prendersi, maledetto demone.

Stava crollando, come ogni altra pedina. Scacco al re. E non ci sarebbe stata una prossima mossa, mai, mai, mai.

Gli ci volle un po’ per rendersi conto che le presenze e le voci ormai erano soltanto ricordi, per quanto reali e tangibili.

« Sbarazzati dell’impuro. »

Non voglio ascoltarti di nuovo!

« Zhou sognò di essere una farfalla. O forse fu la farfalla a sognare di essere Zhou? »

Un altro sparo. Un uomo che cadeva. Aberlain, razza di stupido.

« Hai la possibilità di riavere il tuo futuro. Non devi dimenticarlo. »

Bugiardo.

Una risatina acuta.

« Hai finalmente deciso di prendere posto nella tua speciale bara? »

Una musica di campane, il ricordo di una falsa pace.

« Ciel… Ti vogliamo bene. »

Basta! Basta! Basta!

Cercò di gridarlo, ma la bile si era portata via la sua voce. Aprì gli occhi – entrambi, sì, perché ora erano liberi, ora non c’era più ragione di nasconderne uno – e urlò solo con la mente le sue domande.

Perché mi stai mostrando tutto questo? Che senso ha? Perché non mi strappi l’anima dal corpo e non mi lasci al nulla?

Il buio di colpo si placò. Le fiamme sparirono, le voci tacquero. Soltanto una presenza, ancor più definita delle altre, ma invisibile al suo sguardo – dov’erano, dov’erano quegli occhi rossi? E poi l’unica voce che avrebbe potuto donargli il sollievo e che però glielo negava.

« Perché perdere la propria anima, signorino, significa ridurla in mille frammenti: le scelte fatte e le occasioni perse, i rimpianti e i ricordi; e vederli scorrere via da sé. È per questo che fa male. »

Non puoi sopportare di perdere la tua infanzia, Ciel Phantomhive, non puoi.

Scacco al re.

Il tempo nella bestia buia non esisteva, perciò Ciel Phantomhive non poteva sapere quanto ne fosse passato quando si ritrovò tra le braccia del maggiordomo nero, aggrappato a lui come all’ultimo appiglio, all’ultimo pezzo destinato a lasciarlo vuoto.

Singhiozzava. Per la prima volta da molto tempo, Ciel Phantomhive si ritrovava a fronteggiare il senso di perdita con le lacrime, l’ultima cosa che gli era rimasta e l’ultimo sollievo che avrebbe potuto avere.

Sebastian Michaelis lo cullò tra le braccia, amorevole, ironica imitazione di conforto – o forse era buffo proprio perché era vero anche questo?

« Ha fatto molto male, vero, signorino? »

Non gli rispose. Tra le cose che il buio gli aveva portato via c’erano anche le parole.

Il demone gli carezzò quasi dolcemente i capelli e lo tenne stretto contro di sé, mentre l’oscurità circostante sembrava farsi meno viva, meno crudele, più vuota e simile alle notti vere, a quelle che si limitano a osservare indifferenti e non ti divorano dentro.

« State tranquillo. »

Sentì il suo sorriso. Chiuse gli occhi e si augurò di non dimenticare anche quello.

« Ora potete dormire. »

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Capitolo 12
*** Un velo di fumo ***


Udite-udite, gente! Non so come, ma sto aggiornando dopo un solo giorno! xD Ah, beh, connessione e famiglia permettono e io ne approfitto.

Passiamo alle Cronache del Mondo Emerso <3 Non sono sicura che sia un capitolo ben riuscito, ma sono gli effetti della scrittura in preda all’insonnia xP

Tutte le frasi pronunciate dai personaggi – anche interiormente – appartengono al primo libro della trilogia (Nihal della Terra del Vento). Tutto il resto è il risultato dei miei viaggi mentali sull’adorabilissimo Sennar adolescente.

 

Elos: Nuuu, dai, che brutto, ti hanno già detto praticamente il peggio ç__ç Però coraggio, ti assicuro io che il finale ci sta tutto; è triste ma incompleto, per cui in un certo senso ti lascia sperare. Difatti in Kuroshitsuji II Alt, non voglio farti spoiler anch’io! xD Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto nonostante le libertà grafiche ^^’ Purtroppo quella è una cosa di cui non riesco a fare a meno. Immagino dipenda dai temi della storia; a volte sono superfissata con l’impaginazione perfetta, altre volte me ne esco con cose come l’ultima shot, perché se una storia trascende nel nonsense anche la grafica fa la sua parte ^^ Grazie ancora per i complimenti, come sempre!

Fede_Wanderer: ç__ç Io con Ciel ho un rapporto di amore/odio, però ti confesso che spesso mi fa una tenerezza infinita. Come nell’ultimo episodio, appunto. E ti sono veramente, veramente, veramente grata per quel che mi hai detto. Averti fatta piangere per lui è una cosa che non mi sarei mai aspettata, e non ci sono abbastanza parole per ringraziarti delle tue. <3 Per quanto riguarda Kuroshitsuji II, beh, io ho visto i primi due episodi, ma non sono sicura che continuerò a seguirlo: anche se Sebastian e tutti gli altri (eh già, hai capito bene ^^) sono presentissimi, i nuovi personaggi sono decisamente odiosi è__é (a tale proposito, no, l’unica cosa della shot che si ricollega un po’ alla nuova serie è la frase “Ora potete dormire”; il resto è un altro mio viaggio mentale u///ù) Grazie ancora, Fede, davvero. Spero tanto di riuscire a sentirti al più presto. <3

Akachi: Ma grazie *-* Davvero anche tu ti eri spoilerata il finale? Ma no xD Uffa, ci siamo cascate tutte allora!! Ti ringrazio davvero tanto per i complimenti, spero che la raccolta continui a piacerti ^^ Un bacio!

Dany92: Awww *__* Guarderai Kuroshitsuji? Kyah, spero tanto che ti piaccia! Sissì, Sebastian-san è così affascinante, come darti torto? *megasospiro* Sono felicissima che tu abbia letto comunque il capitolo, e che ti sia piaciuto; se sono riuscita ad incuriosirti anche con un fandom che non conoscevi non posso che esserne felice *__* Grazie infinite, ancora e ancora!

 

Ringrazio come sempre tutti i lettori di questa bislacca raccolta. Uno ad uno. God bless you. <3

Buona lettura a tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un velo di fumo

 

 

 

 

 

Fandom: Cronache del Mondo Emerso

Personaggi: Sennar, Nihal

Genere: Romantico, Introspettivo

Rating: Verde

Ambientazione: Durante la notte precedente all’iniziazione di Sennar alla magia

Prompt: #6. Sleeping (Dormendo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da quando la ragazzina dai capelli blu era comparsa sulla sua strada, per Sennar non c’era più stato un attimo di tregua.

Beh, d’accordo, forse non era andata proprio così. In fin dei conti non era stata lei a pararsi sulla strada di lui. Semmai il contrario; era stato lui a recarsi a Salazar per sfidare quella curiosa bambina con le orecchie a punta che tutti dicevano tanto invincibile nel duello. Era stato lui a voler conoscere lei e a volerle dimostrare che non si dovrebbe mai combattere, specie se per gioco. Era stato lui a batterla e a guadagnarsi il suo eterno rancore.

Nulla di cui stupirsi che poi se la fosse ritrovata sulla porta della casa di Soana, con la richiesta di imparare la magia e il tacito intento di usarla per vendicarsi di lui.

Ma non era questo il punto.

Da quando aveva incontrato Nihal, da quando vivevano insieme con la maga al limitare della foresta, Sennar era rimasto travolto dagli avvenimenti. Prima di lei c’era stato lo studio lo studio lo studio lo studio. Nulla contava se non imparare e migliorare; Soana era una maestra esigente – una brava donna, senza dubbio, ma in primo luogo una maestra esigente. Lui non aveva avuto molte occasioni di vivere qualcosa che non fosse la preparazione teorica e pratica alle arti magiche, in quei primi sette anni trascorsi con lei, a dimenticare la vita sui campi di battaglia e a cercare di imparare a costruire una strada per la pace.

Ma poi era arrivata Nihal. E per Sennar non c’era più stato un attimo di tregua.

Tanto per cominciare, le giornate in casa di Soana erano diventate molto più chiassose. Se prima la maga sedeva a leggere in silenzio mentre lui si esercitava o studiava, adesso erano entrambi costretti a guardarsi dall’ultimo disastro involontario provocato da Nihal; se prima Sennar poteva contare sulla totale solitudine durante un incantesimo particolarmente complicato, adesso il più delle volte si scopriva spiato dalla ragazzina, che puntualmente – una volta smascherata – faceva schizzare il naso all’insù e se ne andava via con aria di saccente sufficienza, come se fosse capitata lì nei pressi per puro caso e non fosse semplicemente curiosa da morire.

E poi c’erano state le prime notti. Sennar pensava di essere piuttosto bravo a far finta di niente, ma aveva capito benissimo che Nihal era imbarazzata all’idea di dividere la stanza con lui, e che si ostinava a mangiarselo a furia di rispostacce soltanto per non dargli a vedere la sua parte più timida e femminile. Anche questo era un problema che non c’era mai stato, prima – non si era mai dovuto preoccupare di mettere qualcuno a proprio agio, perché Soana a volte era tanto fredda e distante che in un certo senso era quasi come se vivessero lontanissimi. Nihal era tutta un’altra cosa; era fragile. E lo camuffava in tutti i modi.

Proprio come quella sera, quando lui era andato a cercarla nella foresta per tranquillizzarla, e lei lo aveva prima preso a pugni e poi era scoppiata a piangere tra le sue braccia.

 

 

« Stanotte sto qui con te, così potrai dormire tranquilla. Ma domattina me ne vado: devi o non devi sostenere una prova? »

 

 

E oggi, a distanza di due anni, le cose erano ulteriormente cambiate.

Disteso nella penombra del pavimento, Sennar guardava la ragazzina addormentata nel letto, avvolta nella sua coperta, e rimuginava senza sosta.

Erano diventati amici. Grandi, grandissimi amici. Eppure c’era ancora una sorta di barriera tra di loro, un velo di fumo che lui non riusciva ad oltrepassare in alcun modo, e che era costituito dagli incubi di Nihal.

Avrebbe tanto voluto capire cosa le stesse succedendo.

Fin dalla prima volta, quando lei era entrata nel cuore della notte in camera sua – dopo che Soana si era risolta a dividerli – stritolandosi le mani e supplicandolo di lasciarla dormire con lui, si era detto che qualcosa non andava. Nihal non ammetteva facilmente di avere paura. Lei le affrontava, le sue paure, o comunque quando non ci riusciva si limitava a sopprimerle dentro di sé perché non le vedesse nessuno. C’era qualcosa di strano in quella dimostrazione inedita di bisogno, in quella richiesta di aiuto. Gli aveva detto che aveva avuto « un incubo », e lui non aveva chiesto nulla di più. Soltanto, l’aveva fatta stendere nel suo letto e l’aveva guardata assopirsi, senza capire.

A quell’episodio ne erano seguiti altri, invariabilmente; ogni volta Nihal cercava di resistere fino alla fine, ma poi, imbarazzata, il visetto chino e le guance rosse, bussava alla sua porta e quando lui le apriva si lanciava tra le sue lenzuola sfatte. Mai una volta che gli avesse raccontato la natura di quegli incubi. Mai.

A diciassette anni, Sennar era – perché mancavano solo poche ore ormai – a tutti gli effetti un mago, era bravissimo a leggere gli animi delle persone e sapeva anche come era più giusto confortarle e aiutarle. Eppure, ancora si struggeva perché non riusciva a capire fino in fondo la sua migliore amica.

Si alzò cautamente dal pavimento, senza un rumore. Nihal dormiva di un sonno agitato. Si chiese in quale misura potesse dipendere dalla sua recente cotta adolescenziale per Fen, o dalle parole che lui stesso le aveva rivolto in proposito – lascialo perdere, lui ama Soana, lascialo perdere se non vuoi soffrire. Quanto dipendeva invece dai suoi fantasmi?

Neanche avesse avuto modo di sentire i suoi pensieri, la ragazza iniziò ad agitarsi. Mormorò addirittura qualcosa nel sonno, un miagolio di lamento, un suono così innaturale da parte sua che Sennar si spaventò.

Rimase a fissarla, improvvisamente triste. Come poteva aiutarla? Come poteva riuscire a liberare la sua anima dai demoni, se lei si chiudeva così – se non vedeva che lui era lì per lei, con le mani tese ad aspettare di poterle dare di nuovo l’abbraccio che li aveva uniti nella foresta?

 

 

« Sennar, posso farti una domanda? »

« Dimmi. »

« Sei mai stato innamorato? »

 

 

Nihal si agitò un po’ di più. A sorpresa, le lacrime le solcarono il viso, ma lei non si svegliò. Sennar non sapeva davvero che fare. Disperato, si distese al suo fianco e la circondò con le braccia.

Su, su, non piangere. Ora ci sono qui io. È tutto finito.

E miracolosamente, dopo qualche lunghissimo istante, fu tutto come allora. Le membra di Nihal si rilassarono, il suo corpo scosso dai singhiozzi si premette un po’ di più contro il suo, e Sennar ebbe ancora una volta la conferma che avrebbe voluto fare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa, per comprendere e cancellare per sempre quel dolore.

Le accarezzò i capelli, sfiorando la punta di un lungo orecchio. Gli sembrò che la ragazza sorridesse nel buio, pacificata. Allora sorrise anche lui.

Forse c’era ancora un velo di fumo tra di loro, ma prima o poi avrebbe trovato il modo di disperderlo nel vento e di vederla sorridere ancora.

 

 

« Beh… Credo di sì. »

 

 

Da quando la ragazzina dai capelli blu era comparsa sulla sua strada, per Sennar il mondo era del colore viola degli occhi di lei.

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Capitolo 13
*** Perché il tramonto è rosso ***


Festa passata, tempo trovato, e raccolta completata. Ebbene sì, da questo momento in poi non avrete che da aspettare i miei aggiornamenti (e questo, purtroppo, equivale a dire “che il mio pc esca dalla fase mestruale” – sempre che ne esca, prima o poi).

Visto che vado di fretta, dal momento che anche stavolta il computer che sto usando non è il mio, vi auguro velocemente una buona lettura. Spero che vi piaccia il capitolo AkuRoku. *-*

Grazie infinite a Fede_Wanderer per la recensione <3 E a tutti voi lettori, come sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perché il tramonto è rosso

 

 

 

 

 

Fandom: Kingdom Hearts

Personaggi: Roxas, Axel

Genere: Introspettivo, Romantico

Rating: Verde

Ambientazione: Il momento in cui Roxas lascia l’Organizzazione XIII in 358/2 days

Prompt: #8. Bear-hug (Abbraccio da orsi)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« Non puoi voltare le spalle all’Organizzazione! Ti porteranno dalla parte sbagliata e poi ti distruggeranno! »

« Nessuno sentirebbe la mia mancanza. »

« Non è vero… Io sì. »

Roxas si fermò, sorpreso.

 

 

« Io sono Axel. A-X-E-L. L’hai memorizzato? »

« … »

« Ah, beh, ci arriveremo con calma. »

 

 

Sentire la mancanza… Non era un sentimento anche quello?

Come poteva un Nessuno sentire la mancanza di qualcosa – di un altro Nessuno, poi? Loro non avevano un cuore con cui poter soffrire.

Si voltò a guardarlo, incerto, e lo vide lì al suo posto accanto al muro con le spalle incurvate e gli occhi bassi. Triste. Ma come…?

D’altro canto, gli era sempre sembrato che Axel non fosse un Nessuno come gli altri.

 

 

« Andiamo a prenderci un gelato. »

« Perché? »

« Come sarebbe a dire, ‘perché’?! Perché siamo amici, no? »

 

 

Gli diede di nuovo le spalle. Era… strano. Spiacevole. Va bene, sì, lui non poteva provare nulla veramente, ma comunque non gli piaceva l’espressione sul viso di Axel. O la sua voce piena di qualcosa che somigliava così tanto alla rabbia, alla frustrazione. Quella voce che sembrava tanto la voce di un Qualcuno, quel viso che non si era spento anche se non c’erano più i battiti necessari ad animarlo.

“Sentire la mancanza” era un sentimento come l’amicizia, giusto?

Ma allora, se Axel poteva sentire la mancanza di Roxas, anche lui poteva sentire la mancanza di Axel?

Per qualche istante dimenticò il mondo tutt’intorno, riflettendo. Aveva fatto la sua scelta: avrebbe abbandonato l’Organizzazione, avrebbe trovato altrove il suo vero posto, e non aveva intenzione di guardarsi indietro e tornare sui suoi passi. Però questo voleva dire anche rinunciare a quelle poche cose che rendevano la sua esistenza degna di essere chiamata vita.

Un tuono rombò sul Mondo Che Non Esiste, ma Roxas non vi badò.

A lui cosa sarebbe mancato di Axel?

 

 

« Vorrei chiederti una cosa, Axel. »

« Spara. » […]

« Tu sai cos’è l’amore? »

 

 

Tutto, si rispose. Gli sarebbe mancato tutto di lui.

Il suo sguardo luminoso, addirittura allegro, ogni volta che sedevano insieme alla Torre dell’Orologio a mangiare il gelato insieme.

Il suo sorriso sbruffone, quasi soddisfatto, ogni volta che Saïx affidava loro una missione che Roxas era felice di dover svolgere con Axel.

La sua risata piena e trascinante, ogni volta che lo coglieva di sorpresa con quella sua pazza mania.

{ Gli si avvicinava di soppiatto. Spesso lui e Xion neanche lo vedevano arrivare. Si gettava fra di loro rapido e improvviso come un fulmine – qualche volta facendo loro il solletico, qualche volta urlando « Buuu! » come i ragazzini di Halloween Town. Ma sempre, immancabilmente, li stritolava tra le sue braccia forti – ed era strano, oh sì, piacevolmente strano sentirsi così vicini, sentire così forte il contatto di Axel – e spesso cadevano tutti e tre e ogni volta scoppiavano a ridere tutti e tre, e una volta Roxas si era detto che chiunque li avesse visti in quei momenti non avrebbe mai immaginato che loro tre non avessero un cuore. }

Pioveva, adesso, ma non badò neanche a questo.

Poteva sopportare di dire addio a tutto. Alla sua missione, a ciò che ci si aspettava da lui. Ai membri dell’Organizzazione che per lui era stata un po’ come una famiglia. Al gelato al sale marino. Ai tramonti. Persino a Xion, forse.

Ma ad Axel?

Tornò presente a se stesso solo quando si sentì circondato da un altro di quegli abbracci – molto meno allegro del solito, e in un certo senso molto più doloroso – e si rese conto che a bagnargli i capelli non era più la pioggia, ma le stesse lacrime che sentiva ora nella voce di Axel.

« Resta. Ti prego. »

 

 

« Ehi, Roxas. Scommetto che non sai perché il tramonto è rosso. »

 

 

Rimase immobile e stupefatto per un minuto infinito, prima di trovare chissà dove il coraggio di voltarsi e di premere il viso sul suo petto vuoto quanto il suo, le braccia ancora inerti, gli occhi serrati con forza.

« Non posso. »

La stoffa spessa del cappotto bagnato smorzò il suo bisbiglio, ma Axel sembrò capire lo stesso. Lo strinse più forte, e Roxas si chiese se l’avesse mai abbracciato così e quanto gli sarebbe mancato questo e se gli sarebbe mancato più di tutto il resto.

Sapeva già la risposta.

 

 

« Chi te l’ha chiesto? Sapientone. »

Il tramonto era rosso perché il rosso era il colore che viaggiava più veloce.

Il tramonto era bello perché gli ricordava Axel.

 

 

L’ultima cosa che pensò, prima di svanire nel varco oscuro, fu che dire addio ad Axel faceva così male perché Axel era l’unico ad averlo sempre fatto sentire come se anche lui avesse un cuore.

{ Non molto tempo dopo, Axel avrebbe confessato la stessa cosa ad un ragazzo che aveva gli stessi occhi di Roxas }

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Capitolo 14
*** Per niente facile ***


xD Ok, scrivere questo nuovo capitolo su Pokémon è stato un vero spasso. La cosa mi ha stupita parecchio perché all’inizio mi sembrava quello più banale della raccolta. Invece poi mi sono messa alla tastiera e ho ridacchiato dall’inizio alla fine, ininterrottamente. Sembravo Undertaker xD

Ho la sensazione che Ash sia venuto un pochino OOC nella prima parte, in un certo senso è come se il suo carattere e quello di Misty si fossero “scambiati di posto”… Però non so, io ce lo vedo anche a comportarsi così :P

Ah, tra l’altro man mano che la scrivevo mi sono accorta che questa shot si incastra benissimo tra gli episodi 3 e 4 *-* Infatti nel terzo episodio Ash cattura Caterpie/Metapod e Pidgeotto attraversando con Misty il Boscosmeraldo alla volta di Pewter City – dove incontreranno Brock – mentre nel quarto, proprio all’inizio della puntata, i due vedono un Weedle e Ash intende catturarlo, fallendo per via dell’arrivo del samurai che lo sfida. Fidatevi, ho la videocassetta di questi due episodi e da bambina l’ho vista talmente tante volte da ricordarmeli quasi a memoria. xD Leggendo capirete perché dico che ci si incastra bene.

 

Ringrazio sentitamente tutti i lettori, e per le recensioni:

Dany92: Sono assolutamente d’accordo con te. Non serve un cuore per amare. Ecco perché Aku e Roku sono così legati *-* Ehmm, sto divagando. Grazie davvero, Dany-chan, sono felice di averti appassionata a questi due e ti adoro sempre di più quando mi lasci di questi commenti <3 A presto, spero!

Fede_Wanderer: Aw <3 Grazie per aver recensito tanto il capitolo precedente quanto la shot ripubblicata. Mi pareva il minimo per ringraziarti, sul serio. E appena avremo l’occasione ti parlerò un pochino di Kingdom Hearts, sissì xD (Un nuovo progetto? Ommioelle, un nuovo progetto?! o///o Nuuu sono così curiosa!! Per caso è una nuova fic su Kuroshitsuji? Fammi sapere, ti pregooo ^^) Grazie ancora di cuore, ti abbraccio forte!

 

Non riesco a credere che siamo già al penultimo capitolo della raccolta… Mi sembrava di procedere così a rilento, e invece eccoci qui xD

Buona lettura a tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per niente facile

 

 

 

 

 

Fandom: Pokémon

Personaggi: Ash Ketchum, Misty Waterflower

Genere: Comico, Sentimentale

Rating: Verde

Ambientazione: Tra gli episodi 3 e 4 della prima serie, durante il viaggio per Pewter City attraverso Boscosmeraldo

Prompt: #2. Glomp! (intraducibile – Salto al collo, potremmo dire xD)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ash sbuffò per la – vediamo – trecentoquarantasettesima volta nell’arco della giornata, mentre l’isterica ragazza dietro di lui strillava per la quattrocentocinquantottesima – ehi, al confronto lui si era contenuto, eh.

« E adesso che cosa succede? » le domandò esasperato, voltandosi.

Misty era aggrappata con le unghie al tronco di un albero, le gambe tremanti, le pupille ridotte a due puntini neri negli occhi sgranati dall’orrore.

« D-dietro di te! Ce n’è un altro! »

Ash fece un mezzo giro su se stesso, senza scomporsi. Un solitario Weedle, l’ennesimo da quando si erano inoltrati nella foresta, strisciava pacifico tra i cespugli pensando ai casi suoi. Si voltò di nuovo verso Misty, piccato.

« Hai intenzione di fare una scena simile ogni volta che vediamo un pokémon, vero? »

Domanda retorica, dal momento che l’esperienza di quegli ultimi giorni di viaggio gliene aveva già dato conferma.

Misty lo fulminò con un’occhiata, ma non si allontanò dall’albero. « Non ‘ogni volta che vediamo un pokémon’, idiota, ma sicuramente ogni volta che vediamo un pokémon insetto. Quante volte te lo devo dire che odio gli insetti? »

« Non c’è bisogno che me lo ripeta. Mi bastano gli strilli e le brutte smorfie che fai. »

« Come osi, Ash Ketchum?! Ritira immediatamente quello che hai detto! »

La ragazza – ma siamo sicuri che fosse proprio una ragazza? Sembrava più una vipera, ad essere onesti – scattò in avanti e prese a ricoprirlo di insulti. Ash scambiò uno sguardo eloquente con Pikachu: di buono c’era che Misty aveva mollato l’albero, e che finalmente potevano muoversi di lì.

« Perché non mi rispondi? Mi stai ascoltando o no? »

« No. » Ash si guardò intorno, ignorando a bella posta la rinnovata ira di lei. « Si sta facendo buio, non l’avevo notato. Ci toccherà fermarci qui per la notte. »

Misty si sgonfiò come un palloncino. « In che senso, ‘fermarci’? »

« Sai quando uno smette di camminare e si riposa in un posto? Beh, più o meno quello… »

« Guarda che ho capito benissimo, non sono stupida » s’infiammò lei di nuovo, con la voce appena un po’ più tremula del normale.

Ash sogghignò, sadico. « Ma davvero? Eppure lo sembri proprio tanto. I miei complimen… »

Il ceffone arrivò più improvviso e immensamente più doloroso di una delle scariche elettriche di Pikachu, mentre Misty si allontanava sdegnosa da lui e tirava fuori il sacco a pelo dalla borsa.

« Spera solo di arrivare vivo a domani mattina, Ketchum. Gli insetti che a te piacciono tanto potrebbero anche decidere di convergere tutti insieme sul tuo faccino e di papparti in un boccone, cosa che mi auguro dal profondo del mio cuore. » S’interruppe. Poi riprese in tono ancora più isterico. « E spera anche che quello schifoso verme se ne sia andato, per il tuo stesso bene. »

Ash si sfregò la guancia irritata dal colpo, e la guardò male.

 

 

« Si può sapere perché mi stai seguendo? »

« Perché ti considero responsabile della distruzione della mia bici! »

Donne.

 

 

Si rigirava. E si rigirava. E si rigirava ancora.

« Vuoi dormire o no, accidenti?! »

« Non ci riesco! » Misty emerse dal suo sacco a pelo e si sollevò di scatto a sedere nel buio della radura, a qualche metro da lui; Ash intuì che stava scrutando il sottobosco in stato di paura febbrile. « Questo posto pullula di insetti. Come diavolo fai a restare lì disteso immobile come se non ti facesse alcun effetto? »

« Forse perché davvero non mi fa alcun effetto. »

Al suo fianco, Pikachu si contorse tutto e cercò una posizione migliore, schiacciandosi le lunghe orecchie sul cranio con le zampine. Gli fece pena, poverino; anche lui era costretto suo malgrado a sopportare le urla di quella psicopatica che si stavano trascinando dietro da giorni. Per fortuna almeno Metapod e Pidgeotto erano al sicuro nelle loro pokéball.

Misty tornò alla carica, indefessa. « Ma… »

« Senti » Ash si spazientì e si sollevò a sua volta, facendo sobbalzare il pokémon elettrico appoggiato al suo braccio fino ad un secondo prima. « Neanche a me piace, ok? Dipendesse da me, sarei già a Pewter City a combattere contro il capopalestra, o a qualche miglio da qui a catturare nuovi pokémon, lontano da te. Ma non sono stato io a volerti dietro. Hai fatto tutto da sola, hai preferito fare di testa tua invece di aspettare che ti ripagassi quella stupida bicicletta come ti avevo promesso. Perciò, se proprio hai deciso di darmi il tormento, vedi almeno di lasciarci dormire in pace! »

Misty aprì la bocca per ribattere – alla debole luce delle stelle la sua espressione furibonda era davvero impagabile – ma la richiuse subito, d’un tratto allarmata.

Anche Ash lo sentì. Il ronzio inconfondibile di uno sciame di Beedrill a caccia di vittime da punzecchiare fino all’osso.

In un lampo si sentì stringere dolorosamente al collo: Misty era schizzata via dal suo posto per correre a rifugiarsi da lui, rischiando però di soffocarlo. Oh, fantastico, quindi se non l’avessero finito i Beedrill ci avrebbe pensato lei.

Il suono si fece più vicino e Pikachu si raddrizzò scrollandosi il sonno di dosso. Ash attese ancora, pronto… Sarebbe bastata una parola perché il suo piccolo amico li salvasse da uno spiacevole e doloroso incontro notturno…

Ma non accadde nulla. Il ronzio diminuì d’intensità, segno che i Beedrill si stavano allontanando.

Quando sulla foresta calò nuovamente il silenzio, Ash trasse un sospiro di sollievo e abbassò gli occhi per ordinare a Misty di lasciarlo respirare, visto che il pericolo sembrava scampato.

Si stupì di vedere i suoi occhi pieni di lacrime.

Un momento… Misty? Misty era in grado di fare una cosa femminile come piangere?

Rimase tanto sorpreso da non riuscire a dirle nulla. Lei lo lasciò andare e si allontanò lentamente, voltandogli le spalle e tornando al suo posto senza una parola.

Ash guardò ancora Pikachu, smarrito, e soltanto l’aria di rimprovero nei suoi occhi liquidi e scuri gli fece capire che forse, dopotutto, quelle lacrime avevano a che vedere con lui.

« Ehi… Ehi, Misty. » Deglutì. Non era per niente facile da dire, proprio no. « Scusa per… per prima. Davvero. Mi dispiace. »

Nessuna risposta. La ragazza riassestò il sacco a pelo, tenendo il viso al di fuori del suo campo visivo. Ash iniziò a sentirsi seriamente in colpa.

« Misty…? »

Sentì che Pikachu gli dava un leggero colpetto di coda al gomito, quasi d’incoraggiamento, e abbassando lo sguardo vide che si raggomitolava nell’erba con uno sbadiglio degno di un Charizard.

Sempre più turbato, Ash strisciò sulle ginocchia verso la sua stramba compagna di viaggio, all’inutile ricerca di qualcosa da dire. In fondo aveva ragione lui, cavolo.

« Misty, guarda che io… »

Arrivò alla distanza giusta per poterle toccare una spalla, ma il suo braccio era ancora teso a mezz’aria quando lei si voltò di scatto, mostrandogli un ghigno che definire satanico sarebbe stato poco.

Lui rimase letteralmente a bocca aperta.

« Incredibile! » sghignazzò Misty. « Anche Ash Ketchum, l’essere più insensibile del cosmo, è capace di chiedere scusa, se messo alle strette dalle lacrime di una ragazza. Davvero incredibile! »

Ash lasciò ricadere il braccio, attonito, mentre lei tornava a stendersi e rideva e rideva e rideva. Gli ci volle un po’ per reagire a un tale oltraggio, ma alla fine sbuffò – ancora! – e ritornò anche lui al suo sacco a pelo, accanto a un Pikachu già praticamente addormentato.

« Va bene » esclamò, lasciandosi cadere con le braccia dietro la nuca, e scoccando al cielo stellato e ormai privo di Beedrill un’occhiata velenosa. « Ridi, ridi finché vuoi. Ti assicuro che il prossimo Weedle che vedremo sarà mio, anche soltanto per il puro gusto di farti dispetto. Vedremo chi riderà allora. »

Misty smise all’istante di ridere. « Non oserai. »

« Oh sì che oserò. »

« Ti odio, Ketchum. »

« Il sentimento è reciproco. »

… E dire che, quando l’aveva vista sull’orlo delle lacrime, gli era sembrata persino carina.

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Capitolo 15
*** Abisso ***


Non fatevi spaventare dal cambiamento di nickname, sono sempre io xD

 

Ultimo capitolo ç__ç

L’ho scritto secoli fa, in realtà. Ci ho rimuginato su a lungo perché ogni volta che lo rileggo mi sembra che manchi qualcosa. È un po’ la stessa cosa che mi bloccava con il capitolo su Near – guarda caso, anche ora si parla di Death Note. Sarà destino. Oh, beh, io vi ho avvisati.

[Di nuovo un rapporto assolutamente non romantico – solo paterno. Dio sa se non è importante anche quello.]

 

Grazie a Dany92 e Fede_Wanderer per le recensioni al precedente capitolo; non merito tanti complimenti, proprio no.

Grazie a Rein94, RiruSevilla, Shadow Eyes e YunaRoseMasen per aver inserito la raccolta tra le preferite.

Grazie a pralinedetective e Rein94 per averla inserita tra le ricordate.

Grazie a Akachi, bika, Dany92, Elos, Nuit e Raimbow per averla seguita.

Cosa posso dire, se non che è tutto merito vostro se sono arrivata fino a qui?

Vi adoro.

 

Spero di ritrovarvi al più presto con una nuova storia. E adesso, buona lettura.

Hope you like it <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Abisso

 

 

 

 

 

Fandom: Death Note

Personaggi: Watari / Quillsh Wammy, L Lawliet

Genere: Introspettivo, Malinconico

Rating: Verde

Ambientazione: Molti anni prima del caso Kira

Prompt: #10. Worse days (I giorni peggiori)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando era arrivato all’istituto, il bambino aveva faticato ad ambientarsi.

Lui lo aveva visto vagare nei corridoi, lentamente e senza meta, per ore intere, prima di crollare a sedere in quella maniera curiosa sul pavimento nudo. Lo aveva visto rifiutare ogni genere di cibo che non fosse zuccherato a livelli impensabili, e supplire a modo suo all’eventuale carenza, immergendo le caramelle nel miele purissimo o riempiendosi la tazza della colazione con più zollette di zucchero che caffelatte. Lo aveva visto guardarsi intorno con occhi sbarrati, quasi a voler capire meglio, a cercare qualcosa che tuttavia non riusciva a vedere.

Eppure mai, neppure una volta, lo aveva visto cedere.

 

 

Era quando chiudeva gli occhi e vedeva la neve.

Il bambino lo sapeva, sapeva benissimo che era solo un effetto del ricordo e della nostalgia e delle cose sopite. Ma la consapevolezza non gli impediva di sentire, ogni volta che trovava il bianco della neve ad aspettarlo nel buio della mente, lo stesso freddo di quella prima volta (…)

 

 

Quella notte Quillsh Wammy era sveglio. Il recente viaggio all’estero aveva stravolto il suo fuso orario mentale, impedendogli di riadattarsi subito all’abituale ritmo giorno/notte. Perciò, quando i passi risuonarono fuori dalla sua porta, strappandolo ai suoi pensieri e al suo lavoro al computer, non esitò un istante ad interrompersi e ad uscire in corridoio.

Il bambino era lì nell’ombra, seminascosto in un pigiama troppo grande, la manina aperta sul muro. Si voltò a guardarlo piano, negli occhi nessuna traccia di espressione.

L’uomo lo fissò, sorpreso, ma non preoccupato. « Cosa succede? »

« Non riesco a dormire. »

Preciso, puntuale, sintetico. Neanche un’inflessione nel tono di voce.

« Hai bisogno di parlare? »

Scosse la testa. « Ho bisogno di capire. »

L’uomo sorrise, incoraggiante. « Capire cosa? »

Quegli occhi immensi e neri perforavano i suoi.

« Capire perché mi sento così. »

 

 

Era quando restava in silenzio e sentiva le campane.

E succedeva spesso, non importava il luogo o il contesto. E non serviva neppure tapparsi le orecchie, infilare la testa sotto un cuscino, canticchiare qualcosa a mezza voce; le campane erano sotto la sua pelle e dentro la sua testa e gli rimbombavano nel petto – non le senti, non le sentite? Ma come fate a non sentirle? (…)

 

 

L’uomo rimase immobile a guardarlo. Non li separavano che pochi metri, ma in quello spazio in penombra giaceva un abisso.

Il bambino proseguì, sempre in quel suo tono lucido. Come se non gli importasse del dolore intrinseco di quella domanda cruda.

« Io non ho niente dentro. Eppure fa male. Perché? »

La manina sul muro – se ne accorse all’improvviso – si era chiusa a pugno.

 

 

Era quando restava da solo, come era successo in quei giorni (…)

 

 

« Non è così… »

« Certo che è così. Io sono vuoto, lo sono adesso più che mai. Ed è colpa tua » concluse, in tono piatto, fissandolo senza accusa.

L’uomo non capiva. Ricambiò lo sguardo, anche se gli faceva male – era così distaccato, Dio, così terribilmente adulto. Così sbagliato.

« Perché dici questo? »

 

 

Era quando non sentiva la sua mano pronta a sorreggerlo, come era successo in quei giorni (…)

 

 

« Perché te ne sei andato via. Per troppo tempo. E a me è rimasto il vuoto. »

Per troppo tempo’.

Era stato via per pochi giorni.

In quel momento – soltanto in quel momento – i suoi occhi neri e immensi si riempirono di lacrime. Che scesero giù, sempre più giù, in silenzio.

Il bambino si portò la mano al viso, evidentemente sorpreso. Si toccò una guancia, avvicinò i polpastrelli agli occhi. Forse gli venne voglia di assaggiarli. Ma l’uomo non gli diede il tempo di fare altro.

In pochi passi superò l’abisso, cadde in ginocchio e se lo strinse al petto.

Lui non si mosse, ma Quillsh Wammy sentì che, dentro la stretta, tornava davvero bambino.

« Non me ne andrò mai più. Non ti lascerò più solo. Te lo prometto. »

 

 

Era quando si ricordava di essere un bambino.

Erano i giorni peggiori.

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