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Come promesso, questa è la continuazione di “Apocalypse”.
Prima di cominciare, però, è necessario spendere due
paroline, in modo che non si creino incomprensioni o eventuali problemi.
Allora: questa storia è ambientata dopo Water Seven (6
mesi circa e più o meno un anno dopo “Apocalypse”). Volevo dirvi di stare
tranquilli perché, sebbene legga gli spoiler, non ci sono anticipazioni di
nessun genere. Dato che ho iniziato a pensarla e a scriverla due estati fa
(periodo in cui si cominciava a fare luce sul personaggio di Robin) avrebbero
potuto esserci, ma dato che si riferivano tutti al numero 41 (l’ultimo uscito
al momento) non c’è più pericolo. Quello che è accaduto dopo non ha influito
minimante sulle mie decisioni che, ormai, avevo già preso da tempo.
Quindi, vorrei chiedervi un favore: se fra di voi c’è
qualcuno che legge spoiler e che volesse lasciare una recensione, lo pregherei
di non scriverci cose del tipo “Ma lo sai che Oda non ha fatto così?” oppure
“Ci hai azzeccato!”, se volete parlarne contattatemi direttamente così da non
rovinare la sorpresa a chi aspetta pazientemente e non legge spoiler.
Detto questo, vi dico cosa ho ipotizzato per scrivere
questa storia:
1-Nico Robin e Usop tornano a far parte della ciurma
2-Visto il volo che ha fatto la Merry, ho optato per una
nuova nave
3-Franky diventa il nuovo carpentiere
Bene, mi sembra di aver detto tutto…vi lascio, buona
lettura.
Un ragazzo, coperto da un ampio mantello scuro e da un
cappuccio calato fin sopra il viso, era appoggiato nell'oscurità dietro ad un
muro ansimante. Ormai erano giorni che non faceva altro che correre: la sua
fatica, il suo fiato corto testimoniavano il suo ennesimo fallimento.
I suoi inseguitori, forti del fatto che non dovevano
contare sulle proprie gambe per stargli addosso, non gli davano tregua.
Rombi di motore, il sangue raggelò, quegli aggeggi a due
ruote andavano come il vento e per lui, stanco e a digiuno, era sempre più
difficile riuscire a seminarli.
Un faro lo illuminò all'improvviso «Merda!»
Ricominciò a correre.
Sbuffò prepotentemente dalle narici " Non posso
andare avanti così...andare al castello, tentare, farmi scoprire, scappare e
riprovare..." odiava il suo paese, la sua gente e le sue regole assurde.
Si ritrovò fuori dai vicoli, la luce che invase i suoi
occhi sembrò rinvigorirlo: corse più forte.
Le gambe si muovevano veloci, in poco tempo si ritrovò sui
ponti che collegavano i canali della parte est della città.
Saltò, sorprendendo i suoi inseguitori, su un ponte più
basso e tornò indietro: il porto era la sua unica via d'uscita, frenò di colpo
la sua andatura scivolando sulla sabbia che preannunciava l'ingresso nella zona
sud.
Mentre le statue dalle forme spigolose, raffiguranti
antiche divinità, scorrevano veloci ai fianchi della strada principale non poté
far a meno di pensare a quanto fosse stupida la sua gente: perché era nato in
un posto simile? In un luogo dove le persone non avevano un'identità propria?
Era inutile negarlo, c'erano i canali come nella Grande Metropoli Dell'Acqua a
dimostrarlo, le piramidi come ad Alabasta a confermarlo e l'imponente castello,
che nella realtà scrutava dall'alto della sua ubicazione con maestosità il
regno di Drum, a ribadirlo.
Una nave in partenza, proprio quello che faceva al caso
suo " Le cose devono cambiare ma io da solo posso fare poco...anzi,
diciamo la verità, non posso fare nulla ma cercherò una soluzione e la troverò,
costi quel che costi..."
Lo avevano raggiunto, ancora.
" Non ti preoccupare, non ti sto
abbandonando...tornerò a salvarti, te lo giuro, mia regina"
Una forte luce accecò i motociclisti, quando gli occhi
ricominciarono a vedere, della loro preda non vi era più traccia.
Franky si passava dubbioso le dita sul mento spigoloso
fissando la navigatrice che, con un'abilità magistrale, mescolava fra di loro
quaranta carte «Qui c'è qualcosa che non quadra...secondo me, voi barate...»
Nami lo guardò appena di striscio porgendogli il mazzo
affinché coppasse «E' impossibile, le carte le diamo una volta per uno...io e
Robin non possiamo di certo barare quando le date tu o Sanji...»
Spezzò la pila poco più sotto della metà «Allora non avete
spiegato bene le regole...non è possibile che vinciate sempre e, soltanto, solo
voi! Abbiamo fatto già quattro partite ai quarantuno e più di venti punti non
siamo mai riusciti a fare...»
La rossa cominciò a distribuirne cinque alla volta «Le
regole sono semplici, ognuno ha dieci carte, il primo decide che segno giocare
e gli altri devono rispondere con lo stesso seme a meno che non ne sia a
corto...la carta che batte tutte le altre è il tre, seguita dal due, dall'asso
e poi dalle altre carte in ordine decrescente...i punti sono così fatti:
figure, tre e due valgono un terzo di punto mentre gli assi valgono un punto
così come l'aggiudicarsi dell'ultima mano...»
«E poi ci sono i buongiochi, lo so...»
«Allora non ti lamentare, zitto e gioca!»
Rufy girovagava ormai da ore per tutta la nave in cerca di
un po' d’attenzione ma Chopper era impegnato in una di quelle sue strane e
noiosissime ricerche che al capitano risultavano incomprensibili; Usop
smanettava con cacciaviti, chiodi e martelli fra mille invenzioni nella sua
Factory e non voleva essere disturbato, almeno per ora e Zoro lo aveva
liquidato con un secco «Sparisci!» non appena aveva provato a disturbare il suo
sonno...senza parlare, poi, di quei quattro che giocavano a carte, ormai, da un
tempo infinito.
«Ma non è possibile!» sbottò Franky battendo le grosse
mani sul tavolo della cucina.
Il ragazzo di gomma entrò richiamato dal botto «Che
succede?»
«Hanno vinto ancora...» spiegò stizzito il carpentiere
Il cuoco sbuffò cuori di fumo «Le mie dee sono bravissime,
non si può nulla contro di loro!»
«E poi come si fa a giocare con un compagno che tiene per
gli avversari?!?»
Nami lo punzecchiò mentre, con le mani, radunava il
bottino appena racimolato «Non te la prendere, ti andrà meglio la prossima
volta...»
«Non ci sarà una prossima volta...o le cose cambiano o io
con voi non ci gioco più»
Robin sorrise «Puoi sempre provare a ripiegare sul
capitano...»
Rufy scosse velocemente il capo «No, no, no...a quel gioco
no! Che senso ha chiamarsi Tressette quando se si ha tre sette non si vince?
Assolutamente nessuno...»
Il cyborg alzò le spalle «Ecco appunto...mi darò alla
pesca»
Le ragazze risero
«Amori miei, gradite uno spuntino dolce come il vostro
sorriso?» Sanji porse davanti a loro un vassoio pieno di prelibate squisitezze.
Appena il capitano realizzò che davanti a lui era appena
passato del cibo cominciò a sbavare copiosamente dalla bocca «Anch'io voglio
mangiare! FAAAAAAAME!»
Ad un enorme tavolo erano sedute dieci persone a consumare
la loro cena nel più rigoroso silenzio, gli unici rumori udibili erano lo
scontro delle posate argentee sui piatti di porcellana e dei bicchieri che
venivano riposati sul tavolo dopo una centellinata bevuta.
Ad un capo della tavola vi era seduto un vecchio calvo
vestito di un kimono chiaro, una grossa spada era appoggiata ad un bracciolo
della sedia. Davanti a lui, seduti uno di fronte all'altro, vi erano quattro uomini
vestiti in eleganti abiti scuri.
L'altro lato era occupato da altri quattro uomini e una
vecchia signora in abiti colorati di bianco e di azzurro.
I camerieri arrivarono portando grossi vassoi di frutta.
Appena la servitù uscì dalla stanza l'uomo pluridecorato, con un grosso
gabbiano sul cappello e un pizzetto tanto lungo quanto curioso prese la parola
«Prima di tutto vi ringrazio per essere venuti qui...credo che ognuno di voi
conosca il motivo di questa riunione...»
Tutti i presenti annuirono
«Quindi, se avete accettato il mio invito, significa che
la pensate come me...è inammissibile, l'era della pirateria...tsk...il nostro è
diventato il mare del peccato: i pirati, la feccia dell'umanità, conquistano
sempre maggior potere tanto che la Marina, per farvi fronte, ha dovuto creare
una delle più grandi macchie della sua storia, la Flotta dei Sette. Ha
legalizzato i traffici dei pirati più pericolosi, la corruzione si è allargata
a dismisura fra quelli che dovevano proteggere la giustizia...la gente non si
fida più di noi, preferisce chiedere aiuto a bande di altri pirati...»
«Cappello di Paglia e la sua cricca al villaggio di Coco
nel Mare Orientale...» disse uno degli uomini in nero grattandosi la vistosa
voglia sulla fronte
«Cappello di Paglia ad Alabasta...» aggiunse, in un
soffio, Aokiji dall'altro capo della tavola incrociando le mani davanti alla
bocca.
«Per non parlare della figuraccia che abbiamo fatto a
Water Seven: il CP9, la nostra agenzia più segreta, smascherata e debellata...»
disse l'uomo dai rasta e con una grossa cicatrice sulla tempia sinistra,
stuzzicando nervosamente il suo bastone.
«Aggiunto al fallito tentativo di cattura di Nico
Robin...il che significa che il nuovo Progetto C deve essere rimandato
ancora...» sbuffò da sotto i lunghi e folti baffi bianchi un altro degli uomini
in nero.
La vecchia Tsuru colse qualche chicco da un grosso
grappolo d'uva nera «Che cosa ha intenzione di fare?»
Il grande ammiraglio Sengoku si alzò «E' l'ora che tutto
questo trovi la parola fine!»
«Che cosa ha in mente?» chiese curioso Kizaru
«Smantelleremo la Flotta Dei Sette!»
Tutti i presenti sbottarono all'unisono «Lei è pazzo!»
«Nient'affatto, è l'unico modo...e per quanto riguarda
Cappello di Paglia, fra poco sarà sistemato»
A Tsuru andò la frutta per traverso «Non gli avrà mica
mandato...?»
«Esattamente...il cancro che li roderà dall'interno,
questo è ciò che si merita»
Akainu lo guardò «Chi supervisionerà il tutto?»
«Sindel...l' ho già mandato a chiamare»
Aokiji rise «Vuoi proprio male a questi ragazzi...»
«Taci...è l'unico modo per far sì che le cose cambino»
L'unico uomo in nero che ancora non aveva parlato, quello
con una grossa cicatrice sul petto prese finalmente parola «E cosa farai di
Nico Robin e dell'unico sopravvissuto dell'ultimo Progetto C?»
«Loro saranno nostri!»
Un uomo era seduto a più di trenta metri di altezza su di
una scogliera a strapiombo sul mare.
Le gambe dondolavano giocherellando nel vuoto con non
curanza del luogo in cui si trovavano.
I suoi occhi guardavano verso il sole, la figura di un
gabbiano passò sopra la sua testa:
portò una mano alla bocca e appoggiando due dita sulle
labbra fischiò con un'intensità quasi assordante.
L'uccello, richiamato da quel suono, atterrò vicino a lui:
sulla testa aveva un cappello scuro e al collo una borsa con scritto "
Newspaper".
«Lo so che di norma non consegni posta normale...ma lo
farai per me, vero?» disse porgendo verso il pennuto un grosso pesce e un
sacchetto pieno di monete.
Il gabbiano annuì veloce divorando in un soffio il cibo a
lui appena offerto.
«Perfetto...» da una tasca dei pantaloni tirò fuori una
busta bianca «Questa lettera deve arrivare chiusa sulla nave di Cappello di
Paglia e mi raccomando fai in modo che la riceva una delle ragazze della
ciurma, intesi?»
L'uccello aprì il becco e dal suono stridulo che ne uscì,
l'uomo poté capire che l'animale aveva recepito il messaggio.
La bestia fece per andarsene ma una mano si strinse veloce
attorno al suo becco bloccandola «Ricordati che io avrò comunque modo di sapere
se hai fatto o meno il tuo lavoro...non so se hai capito cosa intendo...»
Il postino deglutì a vuoto e annuì ancora
«Ma sono sicuro che non mi darai motivo per lamentarmi del
tuo operato...ora va, prima partirai, prima porterai il messaggio a
destinazione»
Il gabbiano prese il volo e sparì dopo poco nella luce
accecante del sole.
Eccoci al secondo capitolo, dove
è necessario fare una precisazione. Quando lo scrissi ancora non
era uscito il numero in cui si spiegava per filo e per segno il rapporto che si
instaura fra chi ha ingerito un Frutto Del Diavolo e l’acqua in generale.
Ebbene prima di allora io pensavo che solo l’acqua di mare fosse in grado di
indebolirli mentre immaginavo che quella dolce non sortisse alcun tipo di
effetto, per cui qui ho utilizzato questa mia ipotesi anche se, in realtà,
ora si sa che entrambe hanno su di loro il medesimo effetto.
Grazie infinite a chi ha già
recensito il primo capitolo.
Alla prossima
Eagle
CAPITOLO 2
- CHEESE! -
Smoker girava, nervoso, avanti e indietro per tutta la
sala. I sigari che stava fumando avevano costantemente la punta accesa e il
fumo usciva copioso da entrambi gli angoli della sua bocca «I pezzi grossi devono
essere impazziti... come credono di poter ripulire il mare dal male
comportandosi da vigliacchi e meschini loro stessi?»
Hina spostò lo sguardo verso di lui inarcando un
sopracciglio, tirò l'ultima boccata dalla sua sigaretta e accavallando le gambe
spense la cicca nel posacenere appoggiato sul tavolo al quale era seduta «Sei
tu ad essere impazzito, caro Smoker... hai sempre visto la Flotta Dei Sette
come il più grande errore della Marina e ora che hanno deciso di smantellarla
te ne lamenti?»
L'uomo si fermò di colpo davanti a lei «Non mi stavo
riferendo a quello, lo sai...»
La donna si alzò a sua volta accendendosi una nuova
sigaretta «Cappello di Paglia, ovvio... ti rendi conto di quello che stai
dicendo?»
«Certo...»
«E ti rendi conto che se qualcun altro avesse ascoltato
questi discorsi, saresti stato nei guai fino al collo?»
Smoker le diede le spalle fissando il grosso stemma,
raffigurante un gabbiano blu stilizzato, sulla parete bianca davanti a lui
«Perché? Perché non sono d'accordo ad usare subdoli sotterfugi per eliminare un
problema? Come si può perseguire l'ideale di un mare senza pirati se per
raggiungere questo fine bisogna comportarsi come gli individui più spregevoli
di quella stessa classe?» si girò di scatto col furore negli occhi e con un
colpo secco frantumò il tavolino «E perché cazzo hanno mandato proprio Tashigi
a chiamare quel mostro di Sindel?»
Hina spostò i lunghi capelli rosa dalle spalle e incrociò
le braccia al petto «Perché così ti hanno dimostrato che nemmeno tu puoi fare
niente, sia che il loro operato sia giusto che sbagliato... ma non sarebbe
servito, perché tu non hai intenzione di fare nulla, vero?»
Il Cacciatore Bianco si abbandonò sulla sedia «Anche
volendo? Cosa potrei fare?»
L'ancora entrò con un tonfo sordo nell'acqua.
«Evviva, siamo arrivati! Finalmente si mangia!» il
capitano saltò giù al volo dalla nave, i piedi sprofondarono nella soffice
sabbia bianchissima «Ehi, ma qui è splendido!»
Nami si affacciò dalla balaustra appoggiandosi sui gomiti
«Già, è davvero un paradiso...» si stirò «Vorrà dire che sfrutteremo la
settimana per la registrazione del magnetismo per farci una bella vacanza»
Franky uscì da sottocoperta in costume con tanto di
occhialoni da sole sulla testa «Grandissima idea Nami, tutti all' hotel più lussuoso
dell'isola! Questa settimana non si bada a spese!»
Usop tirò fuori un taccuino e iniziò a scrivere «Yeah!
Allora, ci serve: una beauty farm per rilassarci e staccarci dagli ultimi
avvenimenti accaduti, una piscina per permettere anche a chi non può di fare il
bagno e naturalmente ci servono camere super accessoriate con letti ad acqua,
frigobar e assolutamente un condizionatore per il nostro Chopper!»
«Grazie amico...» disse il giovane medico ansimante
mentre, sventolando un ventaglio, cercava di farsi un po' di fresco.
Alla cartografa cominciarono a saltare i nervi «E come
pensate di poter permettervi tutto questo lusso?»
Sanji le arrivò accanto saltellando felice «Ma con i soldi
che ci hanno dato in cambio del tesoro che avevamo racimolato su Skypiea... o
meglio quelli che ci sono rimasti dopo che Franky se li è rubati»
La ragazza si pietrificò... l'avevano scoperta.
Lo spadaccino passò accanto ai due senza neanche guardarli
«Guarda che lo sappiamo che Iceburg, alla fine, la nuova nave non ce l' ha fatta
pagare...»
Nami lo guardò per un attimo, poi volse di colpo le spalle
stizzita.
Robin si avvicinò all'amica «Dai, su... un po' di relax
non può altro che farci bene»
La rossa sorrise «Lo so benissimo ma lo sai come sono
fatta quando altri spendono i MIEI soldi»
La mora la guardò fissa negli occhi tirandole una
nicciolata sul naso «Ma quelli non sono i TUOI soldi, sono NOSTRI!»
Il nuovo carpentiere passò davanti alle due donne mostrando
una sfacciata boccaccia «Così impari a vincere sempre e a svuotarmi in
continuazione le tasche!»
Nami lo squadrò «Mi sto solo riprendendo poco alla volta i
duecento milioni che ci hai rubato...» poi lo guardò in tono di sfida «...sai
che questo significa guerra?»
Franky strinse i pugni e li picchiò fra loro «E guerra
sia!»
Tashigi camminava lenta lungo un grosso corridoio
praticamente al buio, il suo passaggio era rischiarato solo dalla luce di poche
candele. Le ombre intorno a lei formavano i disegni più strani ed inquietanti
dando all'atmosfera un aspetto ancora più lugubre. Goccioline di sudore
cadevano dalla sua fronte imperlata, la gola deglutiva a vuoto in continuazione
mentre la mano stringeva tremante l'elsa della spada che rappresentava, in quel
momento, la sua unica sicurezza.
Non era mai stata in quel punto della base e non era di
certo contenta di aver avuto l'onore di vederlo in quel momento. Finalmente la
porta...tuttavia non era sicura se, l'essere arrivata alla fine del corridoio,
fosse stato un bene o un male. Prese fiato ed entrò: le candele erano più
grosse e numerose ma la luce rimaneva sempre scarsa. I suoi occhi, già abituati
alla penombra, notarono subito la figura che si muoveva in su e in giù al
centro della stanza: un ragazzo era attaccato con le mani a due sbarre
parallele e, con una foga impetuosa, faceva delle trazioni.
Le gambe erano piegate all'indietro coperte da dei leggeri
pantaloni scuri, la schiena muscolosa era completamente scoperta lasciando ben
visibile l'enorme tatuaggio che la ricopriva raffigurante una donna angelo piangente
avvolta dalle ombre mentre sulla sua testa risplendeva un sole raggiante.
Si accorse della presenza della ragazza e smise di
svolgere i suoi esercizi, prese un asciugamano e cominciò a liberarsi del
sudore: lo passò sulla testa di capelli neri e lunghi dalla strana acconciatura
che li lasciavano sparati all'indietro, solo qualche ciocca ribelle scendeva
sulla sua fronte. Improvvisamente i suoi occhi profondi color nocciola si
fissarono sulla figura che avevano davanti «Che cosa vuoi?»
La gola di Tashigi sembrò seccarsi all'improvviso, non
riusciva a parlare.
Un uomo le arrivò alle spalle: aveva i capelli biondi
tagliati in un modo curioso ma la marine non riuscì a capire il colore dei suoi
occhi, sebbene intuiva fossero chiari. Indossava pantaloni lunghi neri e una
felpa con zip dello stesso colore a collo alto che arrivava a coprire fin sopra
la bocca «Ti ha fatto una domanda...»
La ragazza si riprese «Il Grande Ammiraglio Sengoku ti
manda a chiamare per sapere se tutti i preparativi sono stati messi appunto...»
Sindel si sedette e si coprì con una maglia «Puoi dirgli
che sarò da lui al più presto...» poi si girò verso l'altro uomo «E tu cosa sei
venuto a fare?»
Quello rispose senza dargli troppa attenzione «Il Dottor
Graves vuole sapere se hai istruito la tua spia a dovere perché non perdonerà
in caso di errori per quel che riguarda il Progetto C»
Il moro si alzò «Dì al tuo Dottore che non si deve
preoccupare, tutto andrà come previsto e avrà ciò che vuole»
Usop arrivò urlando a squarciagola di corsa «Arriva la
bombaaaaaaaaaaaaaaaa!» si diede un grosso slancio sul trampolino dell'enorme
piscina dell'albergo: con un tonfo assordante e spruzzi altissimi venne avvolto
dalle acque.
Franky appoggiò il cocktail sul bordo della vasca a cui
era appoggiato e si tolse gli occhiali per ripulirli dall'enormi gocce «C'era
bisogno di fare tutta questa scena?»
Sanji arrivò con un paio di occhialetti sulla fronte «Ehi,
zucca verde, facciamo una gara?»
«Certamente, sopracciglia strambe... a te la scelta del
numero di vasche» Zoro non si lasciò certo sfuggire il gusto dell'ennesima
sfida con il biondo.
Il cuoco fece due calcoli veloci «Facciamo quattro? Cento
metri?»
Lo spadaccino rise «Non ti vedrò nemmeno...»
«Non canterei vittoria troppo presto, ti ricordo che c'è
molto lavoro di gambe»
«Se, se... quando vuoi»
Chopper si riprese dalla posizione "morto a
galla", potersi concedere un bagno che non fosse adibito al lavaggio era un
fatto molto raro per tutti quelli che, come lui, avevano mangiato un Frutto del
Diavolo «Ragazzi, ve lo do io il via, ok?»
I due sfidanti annuirono
«Allora: pronti, attenti... via!»
Si gettarono.
«Uffa, anch'io voglio fare il bagno!» implorò Rufy col
tipico modo di fare dei bambini piccoli.
Nami lo guardò sbuffando «Siamo d'accordo che l'acqua
della piscina non ha su di te lo stesso effetto dell'acqua di mare... ma tu non
sai nuotare a prescindere dal fatto che tu abbia mangiato un Frutto del Diavolo»
Il capitano tirò fuori il labbro inferiore piagnucolando «Ma...
ma io...» assunse la sua tipica faccia del "adesso la faccio grossa" «Va
beh, mi butto lo stesso! Geronimoooooooo!» si lanciò malamente nell'acqua «Ah...»
tossì «Annego... aiu... aiuta-temi!»
I due gareggianti dovettero interrompere la sfida e si
lanciarono al salvataggio del loro amico cretino.
Sanji lo tirò fuori adagiandolo su un bordo «Che cosa
volevi fare stupida scimmia gommosa? Eppure lo sai che non sei in grado di nuotare!»
Zoro aveva iniziato a pigiare sulla pancia del ragazzo
dalla quale bocca cominciava a fuoriuscire il liquido quasi assassino «Incosciente!
Comunque stavo vincendo io...»
«Cosa?!?»
Nami si accoccolò nell'asciugamano posto sulla sua sdraia
coperta da un solo bikini mozzafiato «Io l'avevo avvisato...»
Robin sorrise sdraiata per terra accanto all'amica, in un
"abbigliamento" molto simile a quello della rossa «Non sarai un po'
troppo severa?»
«Proprio per niente...» si sporse da un bracciolo così da
incontrare gli occhi della mora « ...comunque mi è venuta proprio voglia di fare
un bel bagno, vieni con me?»
«Mi dispiace ma io non sono così incosciente come il
nostro capitano...»
«Che cosa vuoi dire?»
Nico si stirò portandosi a sedere «Che, purtroppo, nemmeno
io sono in grado di nuotare...»
Nami si alzò di scatto «Cosa?»
La donna la guardò stranita «Non c'è nulla di strano... ho
perso i miei genitori troppo presto e anche prima di allora non è che sia stata
molto con loro...»
La naturalezza delle parole uscite dalla sua bocca e il
distacco della sua voce lasciarono una strana sensazione nell'animo della
navigatrice, riuscì solamente a dire «Allora ti insegnerò io!»
Questa volta la battuta si ribaltò «Cosa?»
Nami si risedette «E che cosa c'è di male? Ah, ho
capito... ti vergogni»
All'archeologa non riuscì di mentire «Beh, sì... un po'»
Le strizzò l'occhio «Ok, ho capito... allora andiamo a
fare un po' di shopping»
Robin si stupì «E adesso che c'entra?»
«Gli allenamenti li faremo in notturna, così sarai lontana
da occhi indiscreti... ora andiamo, ah dimenticavo, hai sete?»
«Mi sbaglio o nei tuoi occhi c'è un lampo di sadismo che
accompagna questa domanda?»
La rossa scosse la testa «Nooo, cosa te lo fa pensare?»
«Non so chi sia la tua vittima ma ho un vago sospetto...»
«Per cui accetti? Dai, sorellona!»
La mora si alzò e si coprì con un pareo «Mi dispiace, ma
me ne tiro fuori, sorellina... ti aspetto nella hall, ci vediamo là»
«Signore, ecco a lei il suo conto...» un cameriere porse
un pezzo di carta su di un piattino verso il cyborg ancora intento a sciallarsi
attaccato al bordo della piscina.
Franky abbassò gli occhiali «Io non ho chiesto nessun
conto... ma già che l' ha portato, grazie...» aprì il foglietto, sbiancò «Ve...
ventimila Berry per questo cocktail?!?»
L'uomo in bianco e nero precisò «Quel cocktail e la
costosissima bottiglia di vino d'annata che quella ragazza ha detto di mettere
sul suo conto»
Il carpentiere seguì con lo sguardo la direzione indicata
dall'indice del cameriere: Nami lo guardava con una smorfia di scherno sulla
faccia, si ricordò delle sue parole " Va bene, d'accordo... allora faremo
così ma i soldi del fondo comune serviranno solo a coprire le spese di tutti,
quelle personali come, ad esempio, un qualsiasi comfort aggiunto, dovranno
essere pagate di tasca propria. Sono stata chiara?" «Maledetta ragazzina!»
«Guardie, guardie! Al ladro, fermate quel mascalzone! Al
ladro!»
Un ragazzo dai lunghi capelli blu che gli scendevano fin
sopra le spalle e dagli occhi viola correva all'impazzata. La sua camicia
hawaiana azzurra dai grandi fiori bianchi, aperta per il gran caldo, svolazzava
all'aria prodotta dalla sua precipitosa fuga, così come la placchetta di
metallo attaccata ad una collanina legata al suo collo. Le gambe si muovevano
veloci coperte da un paio di bermudoni candidi che arrivavano fino ai polpacci.
Dovette fermare la sua corsa, aveva imboccato un vicolo cieco, due guardie gli
bloccarono l'entrata che purtroppo costituiva anche la sua unica via d'uscita.
«Sei nostro!»
Il ragazzo fece una smorfia «Ne siete proprio sicuri?» unì
gli indici e i pollici di entrambe le mani come per creare l'obbiettivo di una
macchina fotografica «Fatemi un bel sorriso!»
Un flash accecante costrinse i suoi inseguitori a chiudere
gli occhi, se la svignò.
Quando fu abbastanza lontano decise di rallentare il passo
" Uff... quante storie per aver rubato qualcosa da mangiare, comunque ora
è finita"
«Eccolo, prendiamolo!»
" Come non detto... ma quanto sono insistenti!"
ricominciò a correre: scappava così veloce che non si rese conto di essere
entrato nella zona dei centri commerciali. Improvvisamente sentì un forte
colpo, come se avesse urtato contro qualcosa e rovinò a terra, fortunatamente
era qualcosa di morbido.
Nami si massaggiò il sedere che aveva appena battuto
violentemente a terra «Accidenti che male e guarda, tutta la mia roba
rovesciata dappertutto! Che razza di modi, ma ti sembra la maniera di andare in
gir... ?» si fermò, allibita guardò l'amica, anche lei caduta a terra, ma sopra
aveva disteso un ragazzo le cui mani stavano appoggiate sulle sue prosperose
forme.
La cow-girl cominciò ad irritarsi, lo sconosciuto sembrava
non volersi spostare «Io mi leverei subito da lì... a meno che tu non voglia
fare una brutta fine!»
Le parole taglienti della donna che aveva sotto di sé lo
fecero tornare alla realtà, arrossì violentemente rendendosi conto di quel che
stava facendo «Vi prego, scusatemi... sono mortificato!» si alzò e cominciò ad
aiutarle a radunare le loro cose.
Le guardie avanzarono facendosi largo fra la gente «Fermate
quel ragazzo, è un ladro!»
Il giovane dai capelli blu lasciò cadere nuovamente a terra
le borse che stava porgendo alla mora «Scusatemi, devo andare... scusatemi
ancora di tutto!» scappò.
Nami guardò la sua compagna di shopping stranita «Ma chi
era quello?»
Robin seguì con lo sguardo i poliziotti lanciati al suo
inseguimento «Non ne ho la più pallida idea... ma se è vero che era un ladro,
perché a noi non ha preso niente?»
Capitolo 4 *** - TWO HUNDRED FIFTY MILLION BERRY BABY - ***
CAPITOLO 3
- TWO HUNDRED FIFTY MILLION BERRY
BABY -
Un piccolo agglomerato di case decadenti. Accanto al muro
dell'unico edificio in condizioni impeccabili vi era appoggiata una bicicletta,
la porta di legno di quercia laccato era chiusa dall'interno.
La luce cominciava a farsi largo attraverso le tendine
tirate della finestra dell'enorme camera da letto posta all'ultimo piano.
La ragazza, rannicchiata sotto le coperte di raso rosso,
si svegliò. L'uomo accanto a lei continuava a dormire, sugli occhi aveva una
mascherina per la notte e non sembrava, quindi, risentire dei raggi solari che
avevano invaso, ormai, tutta la stanza.
Allungò mollemente il braccio verso l'orologio antico
posto sul comodino accanto al letto: le undici e mezza. Decise di alzarsi, anche
se il dover abbandonare il tepore delle coperte non le si presentava come una
proposta allettante ma l'idea di dover rimanere ancora accanto a quell'uomo le
dava i brividi.
Scostò le lenzuola: un sussulto le percorse tutto il corpo
e una leggera pelle d'oca si alzò sulla sua epidermide candida e nuda per il
repentino, seppur contenuto, sbalzo di temperatura.
I lunghi capelli biondi e mossi scendevano fino alla metà
esatta della schiena, qualche ciocca le ricadeva sul petto coprendo i seni
torniti, con un gesto delle mani le ricacciò indietro.
Allungò le gambe e con un movimento veloce dei piedi
recuperò slip e reggiseno. Finalmente scese dal letto e si avviò verso l'enorme
bagno completamente piastrellato sui toni del rosa e del bianco. Aprì il
rubinetto del lavandino ma lo richiuse immediatamente e optò per la doccia,
della vasca ne aveva abbastanza.
Era quasi mezzogiorno quando ne uscì, con piacere constatò
che l'uomo dormiva ancora. Si avvicinò alla poltrona dove, la sera prima, aveva
appoggiato i suoi vestiti: iniziò dalle leggere calze a rete, le fissò con cura
alle giarrettiere e continuò con la lunga gonna viola dagli enormi spacchi
laterali. Prese la corta canottiera rosa dall'abbondante scollatura e la infilò
senza fretta... sbuffò, dov'era? Se c'era una cosa che odiava era proprio il
fatto che le trattassero male il suo collarino, quella sera glielo aveva tolto
con poca grazia e lanciato chissà dove. Un piccolo luccichio sul pavimento, lo
prese: era di cuoio nero ricoperto di piccole borchie in metallo quadrate, lo
legò al collo. Si mise gli stivali dal tacco alto e si sistemò la rivoltella in
una giarrettiera " La mia unica vera amica..."
Si avvicinò al gruppo di abiti accatastati del suo
compagno di letto, mise una mano nella tasca del giaccone e ne tirò fuori un
portafogli ben fornito.
«Non ti dispiace se prendo un po' di più di quello che
avevamo stabilito, vero?» nessuna risposta «Beh, chi tace acconsente...» si
guardò i polsi ancora arrossati e i fazzoletti legati alla testata del letto
" Soprattutto così imparerai a chiedermi certi giochetti..."
Si sistemò velocemente i capelli davanti ad uno specchio,
si sorprese a fissare i propri profondi occhi neri e ne rimase scossa: tutte le
persone che la incontravano non facevano che ripetere le stesse due parole...
angelo decaduto.
Scacciò via quei pensieri quasi con rabbia, che cosa ne
sapeva la gente di lei? Assolutamente niente. S'incamminò verso la porta
d'ingresso, protese fugace la mano sull'appendiabiti e prese la giacchetta
corta in pelle rossa. Guardando i suoi vestiti si accorse di non avere un
particolare senso del gusto, anzi, gli abbinamenti di colore erano piuttosto
azzardati e non piacevoli alla vista ma a lei non fregava un accidente, aveva i
suoi soldi e con essi poteva vivere e mangiare, insomma le andava bene così,
uscì.
Persa nei suoi pensieri, però, non si accorse che proprio
fra il denaro da lei appena racimolato vi era un piccolo foglio bianco che
sarebbe stato l'inizio di tutti i suoi guai.
Il ragazzo dai capelli blu camminava tranquillo, mani in
tasca, lungo un piacevolmente ventilato viale alberato: finalmente avevano
rinunciato ad inseguirlo anche se c'erano voluti giorni per farli desistere.
Sbuffò e sovra pensiero si ritrovò ad armeggiare con la
placchetta legata al suo collo da una fine catenina. Passò le dita sopra le
lettere incise con cura, le lesse: Tristan Lange Anni 15. Sul suo labbro si
dipinse un lieve sorriso, più amaro che caloroso: erano, ormai, passati dieci
anni da allora. Da quando era nato, a partire dal suo primo compleanno, quello
era sempre stato il suo regalo, ogni anno la stessa cosa solo con una cifra
diversa. Si chiese che cosa l'aveva sempre trattenuto dallo stringerla in un
pugno, tirare con forza e lanciarla lontano, ma non riuscì a trovare risposta.
Ripensò a ciò che si era imposto di fare, la ricerca fino a quel momento non
aveva dato alcun frutto e vista la reputazione che aveva cominciato a farsi
decise che quella città, anzi, l'intera isola cominciava ad andargli stretta:
era giunto il momento di ripartire.
Un urlo stridulo lo riportò alla realtà, si girò: alcuni
ragazzini stavano lanciando dei sassi ad uno strano gabbiano, l'aveva già visto
da qualche parte.
«Ehi, piantatela!»
I bambini lo guardarono, risero e ripresero il loro gioco.
Tristan si spazientì, andò verso di loro e ne prese uno
per la collottola «Lasciate in pace quella povera bestia, intesi?!»
Il piccoletto lo guardò spaventato e annuì velocemente, lo
lasciò andare. Appena ebbe rimesso i piedi per terra gli fece una sonora
linguaccia e scappò insieme ai suoi amici teppistelli. L'animale poté, così,
riprendere il volo.
" Che razza di monelli..." si accorse che il
gabbiano aveva lasciato un pacchetto di fogli per terra, lo prese: erano le
taglie dei ricercati, ce n'erano di tizi strani ma fortunatamente la sua faccia
non era fra quelle. Si fermò guardando stupito il volto di un uomo, era
piuttosto inquietante: il viso era corrucciato in un'espressione di rabbia, gli
occhi gelidi mettevano i brividi persino attraverso la fotografia e a sottolineare
la sua pericolosità vi era una cifra spropositata, cinquecento milioni di
Berry.
La sua attenzione venne richiamata da un gruppetto di
avvisi legati insieme, erano sette. Il primo riportava già una certa sommetta, ne
seguirono due più elevati...la ragazza aveva un viso familiare " Ma certo,
è una delle due di qualche giorno fa... non avrei mai creduto potessero fare
parte di una banda di pirati... e che banda!" Man mano che sfogliava le
cifre continuavano ad aumentare spaventosamente. Arrivò all'ultima, non credeva
ai proprio occhi, aveva per le mani una ciurma da ottocentodieci milioni.
Sorrise soddisfatto, quelle erano proprio le persone che
stava cercando.
Il postino del mare, ancora scosso per il tiro mancino fattogli
da quei ragazzini, pensò solamente a volare lontano da quell'isola e non si
accorse della nuova caravella, ormeggiata in un anfratto di costa piuttosto
nascosto e del suo vessillo nero al vento sul quale spiccava un teschio bianco
ridente con un cappello di paglia.
La settimana di vacanza della ciurma era, ormai, giunta a
suo termine: ci vollero le spranghe per sradicare Rufy, Chopper e Usop dalle
sdraio della piscina; usarono quintali di scollante per staccare Sanji dal
piano bar dove tutte le sere cantava un'avvenente signorina; trascinarono,
letteralmente, Zoro fuori dal comodissimo letto ad acqua; Nami e Franky
dovettero sganciare migliaia di Berry per pagare i rispettivi e salati conti
che l'uno faceva aumentare all'altra e viceversa, inutile dire che avevano
entrambi un diavolo per capello; solo Robin sembrava non essere toccata
dall'imminente partenza, in realtà anche lei era leggermente dispiaciuta di
abbandonare quel posto... proprio ora che l'amica le aveva insegnato a nuotare,
certo non era ancora un asso ma stare a mollo la rilassava non poco.
«Uffa... io volevo rimanere ancora!» sbuffò il capitano
mentre portava mollemente alcune delle valigie.
Nami lo guardò con fare assassino e gli ringhiò contro «E
voglio nuotare, e voglio rimanere qui, e voglio mangiare, e voglio l'avventura,
e voglio diventare il re dei pirati... voglio, voglio, VOGLIO! Deciditi una
volta per tutte! E comunque ora si parte, chiuso!»
Tutti si bloccarono a guardarla.
Rufy rimase a bocca aperta «Ma che cosa ho fatto?»
L'archeologa si avvicinò al ragazzo di gomma «Niente di
più di quello che fai sempre... ma sai com'è la nostra navigatrice quando perde
tanti soldi...»
«Isterica!» grugnì.
Sanji si avviò verso la cucina con le borse degli alimenti
freschi adibiti alla ricarica del frigorifero deserto «Preparerò uno spuntino
dolcissimo che la calmerà»
Il cecchino lo guardò mentre con fatica cercava di levare
l'enorme ancora «A... auguri!»
Zoro lo guardava contorcersi quasi divertito «Chiedere
aiuto no, eh?»
«Posso farcela...» con uno sforzo enorme vi riuscì «Ah,
ah... vist... ?!» si bloccò non appena alzate le braccia «Chopper!!! Aiuto!»
Il medico si precipitò dall'amico «Che hai fatto?» appena
si rese conto del suo gesto lo rimproverò «Ma che ti è saltato in mente?
Fortunatamente non è niente di grave ma avresti potuto procurarti qualcosa di
più serio di un semplice stiramento!»
Nel marasma più totale, la nave riuscì a partire.
La tensione sembrò affievolirsi fin da subito, pure Nami
aveva cominciato a calmarsi. Un violento colpo di vento, come se un razzo fosse
passato davanti a loro alla velocità della luce, lasciò allibiti gli occupanti
del ponte: un ragazzo scivolò con forza lasciando due lunghe strisce nere sul
legno incerato e andò a fermarsi con la schiena a pochi centimetri dalla
paratia opposta a quella da dove era arrivato.
«Tu chi sei?» intimò Zoro, già pronto a sguainare le spade
Gli occhi viola di quello si posarono su di lui, alzò le
mani in segno di resa «Ehi, calma... non ho cattive intenzioni»
Robin lo riconobbe, d'altronde avevano avuto un incontro
ravvicinato «Sei il tizio dell'altro giorno...»
Il ragazzo vedendo la donna si ricordò dell'episodio
imbarazzante ma piacevole, almeno per lui, che li aveva fatti incontrare:
arrossì imbarazzato «Sì, sono io... mi chiamo Tristan Lange... e mi scuso
ancora per quella faccenda...»
Chopper chiese ingenuamente «Quale faccenda?»
Nami arrivò salvando sul gong il nuovo venuto «Che cosa ci
fai qui?»
Quello rispose di un fiato sicuro del pericolo scampato
«Voglio chiedere di essere preso in questa ciurma...» si girò verso la mora «
...quindi chiedo il permesso di rimanere a bordo, capitano»
La donna lo guardò allibita «Come?»
Rufy lo toccò su una spalla e si autoindicò «Guarda che il
capitano sono io...»
Tristan sembrava confuso «Ma come? Io ho sempre creduto
che in una ciurma quello ad avere la taglia più alta dovesse essere il
capitano...»
La piccola renna sottolineò una cosa apparentemente palese
«Infatti è lui ad avere la taglia più alta...»
«Ne siete sicuri?»
In quel momento si aggiunsero al gruppo pure il cuoco e il
carpentiere.
Sanji si avvicinò alla rossa accendendosi una sigaretta
«Che succede?»
Nami gli rispose, anche se nemmeno lei era tanto sicura di
aver capito bene la situazione «Questo ragazzo vuole entrare a far parte della
nostra ciurma... tuttavia crede che Robin sia il nostro capitano...»
«E perché?» chiese Franky incuriosito
Usop rispose per lei «Perché dice che è Nico ad avere la
taglia più alta...»
Il ragazzo parve offendersi da quell'affermazione che
metteva in dubbio la sua sincerità «Io non dico... ho le prove, guardate!» tirò
fuori da una delle tasche diversi fogli. Squadrò bene i visi che aveva di
fronte e pian piano ne distribuì uno a ciascuno, solo il cyborg rimase senza.
Chopper guardò l'avviso di cattura riportante la sua
fotografia «Trenta milioni...»
Usop iniziò a tremare «Sono già morto, cinquanta
milioni... i cacciatori di taglie mi staranno tutti addosso!»
«Addosso a te? Vorranno prendere tutti me! Io valgo la tua
stessa cifra ma bisogna aggiungerci che sono molto più carina...» piagnucolò
Nami.
«Ehi, lattugona... i tuoi sessanta milioni impallidiscono
davanti ai miei ottanta» si vantò il biondo, sventolando la sua taglia sotto il
naso dello spadaccino.
Zoro non si scompose e mostrò la sua al cuoco «Credo
proprio che io e i miei centocinquanta milioni non impallidiremo proprio per
niente, ciglione!»
A Rufy brillavano gli occhi, come ad un bambino davanti
alla cioccolata «Duecento milioni!»
Nami si picchiò una mano sulla fronte «Ma come si fa ad
essere contenti di una cosa del genere?! Comunque questo toglie ogni dubbio,
giusto Robin? A quanto ammonta la tua taglia?»
La donna guardava ancora incredula la sua foto aggiornata.
Il capitano implorò «Su, non tenerci sulle spine...»
«Duecentocinquanta milioni...»
Tutti sbottarono all'unisono «Cosa?»
Tristan sorrise «Ve l'avevo detto io...»
Rufy s'incupì «Non è giusto...»
Franky tirò le somme «Valete ottocentodieci milioni
ragazzi, complimenti...»
«A proposito, perché tu non ci sei?» chiese d'un tratto il
medico.
Il carpentiere cercò una probabile risposta «Avranno
aggiornato i vostri avvisi subito dopo gli avvenimenti di Water Seven, magari
non sanno ancora che faccio parte della ciurma...»
Il capitano continuava a piagnucolare «E io che credevo di
averlo quasi raggiunto! E invece l' ha eguagliato prima lei...»
Usop sbuffò «Ma chi?»
«Jacq...»
Nami fece partire un destro poderoso verso il ragazzo di
gomma scaraventandolo a metri e metri di distanza «Che cosa stavi per dire,
cretino?!»
Il nuovo venuto la guardò stranito «E' così che trattate
il vostro capitano su questa nave?»
La rossa ringhiò «Se lo merita quel deficiente...» "
Fortunatamente, Robin sembra non aver sentito..."
Rufy si riprese dalla botta «Allora, Tristan, che cosa sai
fare?»
Quello ci pensò un po' su «Diciamo che sono un messaggero
rapido e sicuro... in più, in casi di necessità, posso creare ottime vie di
fuga...»
«Non ho capito un accidente... ma va bene, sei a bordo!»
Tristan fu sorpreso di quella risposta immediata ma dato
che non faceva altre domande perché preoccuparsi? Era andata meglio del
previsto, fece un inchino «Sono onorato...»
La mora gli sorrise: un sorriso sincero, seppur un po'
spento «Benvenuto a bordo, allora... ragazzi, se mi cercate sono nella mia cabina»
La cartografa in quel momento si rese conto, aveva
sentito.
Robin entrò in camera sua chiudendo la porta: la Marina e
il Governo avevano preso proprio male la faccenda di Water Seven... quei
maledetti bastardi, avevano cancellato la sua gente, le avevano ucciso il padre
e massacrato la madre... e là stavano per portagli via i suoi amici. Un giorno
avrebbero pagato tutto, con gli interessi... tuttavia sembravano aver riservato
un destino diverso per lei, la volevano così tanto da affibbiarle una taglia da
duecentocinquanta milioni, una taglia come la sua... o meglio, com'era la
sua... curioso il destino, no?
Guardò sulla scrivania, in mezzo alle penne in un piccolo
barattolino vi era un iris viola: lo sfiorò con le dita quasi sognante, girò la
chiave nella piccola serratura del cassetto più in alto, lo aprì e ne estrasse
l'unica lettera in esso contenuta.
Si sdraiò sul letto sprofondando la testa nel cuscino, non
la lesse, sapeva a memoria quel che diceva «Perché... perché non torni da me?»
TO BE CONTINUED…
Eccoci qui con il capitolo tre.
Sperando che sia di vostro gradimento vi saluto e in
particolare:
Shainareth: Grazie mille di tutto ^_^ E vedrai che i tuoi
Marine preferiti avranno un discreto ruolo in questa storia.
Eneri: Mille grazie (invertiamo per evitare la monotonia)
anche a te! Per quanto riguarda il rapporto di amicizia fra Nami e Robin, era
già maturato nella precedente ff e, poi, mi piace tantissimo la coppia che
formano quelle due :D
Intorno a lei tantissime persone su uno sfondo scuro,
impossibile riconoscerle: tutte indossavano una maschera che copriva quasi o
interamente il volto, si toccò il viso con le mani, anche lei ne indossava una.
Una musica abbastanza movimentata si fece largo nell'aria, un'unica persona le si parò davanti: i suoi occhi avevano qualcosa di
particolare, una voglia di ballare incontenibile le attraversò tutto il corpo.
Strano, la danza non le era mai piaciuta, non era nel
suo stile... tuttavia nella sua vita di intrighi e sotterfugi si era vista
costretta ad imparare quest'arte ed era un peccato che non le andasse a genio
perché era incredibilmente brava. Una mano le venne
offerta come invito... titubò, si guardò intorno e alla fine si arrese a quella
voglia matta di muoversi, allungò la sua per accettare. Le loro mani non
riuscirono nemmeno a sfiorarsi che due colpi violenti fecero cessare la musica:
tutti scomparvero, anche il suo cavaliere.
Robin aprì lentamente gli occhi, il viso era ancora
sprofondato nel morbido cuscino e il corpo rannicchiato sotto le tiepide
coperte.
La navigatrice fece capolino dalla
porta «Oh, scusami... non pensavo dormissi ancora...»
La mora si stirò e un leggero suono
gutturale dimostrò tutto il suo disappunto, non era da lei dormire sino a tardi ma si sentiva così stanca.
Nami la guardò sorridendo «Se vuoi passo più tardi...» fece per andarsene ma la donna
la fermò «No, aspetta... ora mi alzo...» sbadigliò
sonoramente « ...almeno credo»
L'amica entrò nella stanza
richiudendo la porta alle sue spalle e andò a sedersi sul letto accanto a lei
«Come mai sei così stanca? In questa settimana non hai fatto neppure un turno
di notte... per non parlare del periodo di vacanza che ci siamo presi
sull'isola scorsa...» la
guardò, era ancora sdraiata e non accennava ad alzarsi «Non è che ti senti male
e non ce lo vuoi dire?»
Con uno sforzo apparentemente
sovraumano, l'archeologa si tirò a sedere «No, sto bene... è che ultimamente
non ho sonni tranquilli... faccio degli strani sogni e quando mi sveglio sono
più stanca di quando sono andata a dormire»
«Uhm... strano davvero... non saranno
mica sogni premonitori?»
Robin si passò una mano sul volto e la fece scivolare lungo il
collo, finalmente si alzò «Non credo proprio che ballerò con qualche
sconosciuto ad una festa in maschera su uno sfondo buio tanto presto...» si pentì subito di quella
confessione ma cercò di non farlo natura e si avviò verso il bagno, lei era
l'unica oltre a Nami ad averlo in cabina.
La cartografa la guardò in tono
malizioso «Altro che sogni premonitori, tu i sogni li fai a luci rosse! Un
ballo in maschera con un fusto sconosciuto... ti credo che poi ti svegli stanca»
La mora si affacciò allibita da
dietro lo stipite della porta «Nami... certo che sei
di una malizia impressionante...»
Quella in tutta risposta rise
allegramente e la raggiunse «Dai, stavo solo scherzando... almeno così ti ho
svegliato un po'... anche se al momento ne ho trovato
uno migliore»
«Ho paura a chiedertelo...
ma sarebbe?»
«Questo!» fece schioccare la mano sul
pelo dell'acqua, che aveva riempito velocemente il lavandino, schizzando goccioloni da tutte le parti, soprattutto addosso
all'archeologa.
«Ma brutta... adesso me la paghi!»
cercò di prenderla ma quella le sgusciò via dalle mani
come una saponetta bagnata.
Le fece una linguaccia «Non mi
prenderai mai!»
Robin inarcò un sopracciglio fissandola sicura, incrociò le
braccia al petto «Ne sei proprio certa? SixFleur!»
Sei braccia apparvero all'improvviso
e legarono la navigatrice come un salame «Ma così non vale!»
«Sapevi con chi avevi a che fare
quando mi hai sfidato!» le si parò dietro alla schiena
e con poche semplici spinte la fece entrare, nonostante le sue proteste, dentro
alla doccia. Aprì il rubinetto dell'acqua fredda al massimo «Rinfrescati le
idee!»
Mihawk era preoccupato: la Marina aveva lasciato campo libero
alla Flotta dei Sette per troppo tempo, non che fosse dispiaciuto dal non avere
pupattoli in bianco e blu fra i piedi ma il fatto che
nemmeno un minuscolo controllore si era fatto vivo gli dava da pensare e non
solo a lui, dato che anche dagli altri non si era visto nessuno. I maledetti
stavano tramando qualcosa, magari insieme a quelli del
Governo. Certamente era anche per quello che le taglie della ciurma di Cappello
di Paglia erano aumentate così tanto: RoronoaZoro valeva adesso centocinquanta milioni, gli sarebbe
piaciuto testare con la sua spada i progressi fatti da quel giovane spadaccino,
era in gamba e chissà, forse un giorno l'avrebbe superato... forse.
Un rumore, si appiattì contro ad un muro: era giorno, il sole era alto nel cielo e non
poteva rischiare di farsi scoprire. Era riuscito a sapere da fonti attendibili
che, quel giorno, ci sarebbe stata una riunione dei pezzi grossi ed era una
buona occasione per cercare di capire cosa diavolo stava succedendo
ma non si era ancora visto nessuno, eppure l'ora era quella. Solo in
quel momento, Occhi di Falco si accorse di essere caduto in trappola come un
novellino: sfoderò la spada ed attese che il suo avversario si facesse vivo,
ormai era inutile nascondersi, quello era lì per lui. Tese i nervi, pronto a
scattare al minimo movimento, solo la sua ombra sembrava fargli compagnia,
eppure lo sapeva che c'era. Sgranò gli occhi: la sua figura scura si era mossa
quasi impercettibilmente... eppure lui era fermo. Stava perdendo la concentrazione,
non era da lui, quel maledetto stava sfruttando la sua rabbia di essersi fatto
fregare a suo vantaggio «Vieni fuori, maledetto!»
Fu un attimo, non gli parve vero: uno
squarcio si aprì sulla sua schiena e un altro ancora sul petto. Cadde a terra incredulo, ciò che l'aveva colpito era stata la sua
stessa spada.
«Questa nave è un sudiciume, quando
vi deciderete a darci una pulita?» sbuffò Sanji
passando il dito sul cornicione al quale rimase attaccato uno strato pesante di
sporco e di salsedine.
Zoro lo considerò appena continuando a svolgere i suoi
esercizi «Perché non lo fai tu?»
«Perché io mi occupo già della
cucina: preparo da mangiare e la tengo pulita... mi sembra abbastanza...» si giustificò il biondo.
«Allora fallo fare alle due donne, è
il loro compito, no?» suggerì Franky, sicuro della
reazione del biondo, mentre era alle prese con una miriade di corde
aggrovigliate che nemmeno la persona dotata di più pazienza al mondo avrebbe
potuto separare.
Il cuoco s'imbestialì «Come osi dire
queste cose, barbaro che non sei altro? Nami e Robin sono le principesse di questa nave e il loro unico
lavoro è di fare ciò che vogliono»
«E magari anche quello di tenerti
compagnia nelle fredde notti d'inverno...» aggiunse il cyborg sghignazzando.
Sanji andò in visibilio al solo pensiero «Sarebbe un sogno...
la mia Nami, la mia Robin...
con me sotto le coperte...» guardòZoro, nessuna reazione... era un po' che l'amico si
comportava in un modo strano.
«Tu sei malato!» lo canzonò il
carpentiere.
Tristan si avvicinò al gruppetto «Se volete posso pensarci io
alle pulizie del ponte... mi dite dove posso trovare sapone, straccio e secchio
e mi metto al lavoro»
Rufy si precipitò appena udito che una povera vittima si era
offerta di lavare la nave «Tu sei pazzo... però ti
ammiro»
Anche Usop
si avvicinò «Non t'invidio proprio per niente, amico... ti ci vorranno ore»
Il ragazzo lo guardò con i suoi
grandi occhi viola «Io dico, invece, che mi ci vorranno solo dieci minuti...»
«Seeeeee...
sogna!» lo derise il capitano
«Scommettiamo?» lo sfidò il nuovo arrivato
Franky alla parola "scommessa" quasi si spaventò «Per
carità, non parliamo di soldi... tuttavia sono curioso di vedere quello che sai
fare»
«Vorrà dire che per questa volta vi
offrirò lo spettacolo gratis» disse ridendo mentre si
armò di secchio e stracci.
Sanji si accese una sigaretta «Siamo tutt'occhi...»
«Allora cominciamo... pronti, via!» scattò.
Rimasero a bocca aperta, persino lo
spadaccino fermò i suoi allenamenti: era un fulmine.
La ragazza dai capelli biondi e dagli
occhi neri e profondi come pozzi camminava tranquilla in un vicolo di quella
che, da qualche anno a quella parte, era diventata la sua città. Era
particolarmente serena e tranquilla quel giorno, non
avrebbe lavorato per un po'... al momento era a posto così.
*Le si avvicinò
un tizio dalle intenzioni non troppo amichevoli, puzzava di alcol e, in
effetti, non doveva essere molto sobrio «Ehi, ragazza...»
«Come posso aiutarti, amico?» gli
rispose lei con il sorriso più falso dell'universo, se c'era una cosa che aveva
imparato era che non bisognava mai contraddire una persona ubriaca a meno che
non fosse stato propriamente necessario.
«Avrei bisogno di un po' di compagnia
e tu mi sembri una bella bambolina»
Era propriamente necessario, non gli
avrebbe mai concesso il suo corpo... dagli ubriachi doveva starne alla larga.
Chi non era in sé non l'avrebbe mai avuta, fosse stato l'uomo più ricco e
potente del mondo, quella era la sua unica regola.
«Mi dispiace, caro, ma ho appena
finito il mio turno... per oggi sono chiusa»
Come previsto, non la prese bene
«Senti carina, non mi va di star qui a discutere, ho avuto una giornataccia e
l'unica cosa di cui ho bisogno adesso è di possedere una donna e quindi non
sarò di certo contento di essere scaricato da una battona, tanto più che ho
soldi da buttare»
«Allora buttali su qualcun'altra...
in quello stato una come me non la reggi»
L'uomo si alterò ulteriormente «Stai
mettendo in dubbio la mia virilità? Mi hai stancato puttana...»
tirò fuori una pistola e la puntò su di lei « ...puoi
anche andare all'inferno»
Quella lo guardò quasi dolcemente
«Oh, tesoro... hai appena fatto l'errore più grande della tua vita... perché,
vedi, io di sicuro all'inferno ci andrò ma non per
mano tua» con un gesto veloce estrasse la rivoltella dalla giarrettiera e
sparò: bastò un solo colpo, non c'era più nessun problema.*
Soffiò sulla punta della canna
fumante «Da me non vige la regola che il cliente ha sempre ragione...»
«Vuoi essere sempre tu a condurre il
gioco, non è vero Claire?»
La ragazza si voltò di scatto: dietro
di lei v'era, seduto su una cassa, un bell'uomo dai
capelli rossi e dagli occhi azzurri. Indossava un giubbetto di pelle nera
aderente senza maniche, le braccia erano nude e alle mani portava dei guanti.
Aveva, inoltre, un paio di jeans chiari ricoperti da ceps
in cuoio marrone, ai suoi piedi luccicavano gli speroni dorati fissati
saldamente ai talloni dei suoi stivali.
«Mi hai spaventato, Fazo...» gli rispose lei «Come mai
sei qui?»
Quello saltò giù dalla sua
"poltrona", il metallo degli speroni tintinnò «Guardavo se avevi bisogno di aiuto...»
La biondina non fu rassicurata da
quella risposta «Sai bene che non ti devi immischiare nelle mie faccende... tu
ti occupi solo delle relazioni con i pezzi grossi, o te lo
sei dimenticato?»
Il rosso le si
avvicinò e le prese il mento fra le dita «Non sei per niente carina, lo
sai? Io mi stavo solo preoccupando per te...»
Claire girò la faccia con poca grazia liberandosi dalla presa
«Vallo a raccontare a qualcun'altra...»
«Come siamo permalose oggi...»
sospirò «In un caso diverso da questo mi sarei molto arrabbiato, ma ti va bene
anche perché in fin dei conti non hai tutti i torti...»
incrociò le braccia al petto e fissò gli occhi dritti
nei suoi «Sono qui a causa del tuo ultimo incontro speciale... ho ricevuto
delle lamentele»
«Che genere di lamentele?» fu
percorsa da uno strano brivido «Se è per i soldi che ho preso in più, io...»
La zittì bruscamente «Non è per i
soldi... da quel punto di vista ha precisato che come te non c'è nessun'altra e se avesse avuto
altri soldi te li avrebbe dati, il problema è differente...»
La ragazza non capiva «Come
differente?»
«Tu hai preso qualcosa che non dovevi
prendere...»
«Io non ho preso assolutamente
niente»
Quello sbuffò «Claire,
Claire, Claire... fino adesso
abbiamo giocato e andava bene, ma ora non tollero più che tu mi dica delle bugie...»
«Non so di cosa stai parlando...»
Le si avvicinò «Non costringermi a
diventare cattivo... sarebbe un peccato se il tuo bel faccino venisse rovinato... sei così bella»
In tutta risposta lei si allontanò,
sapeva cosa era capace di fare e cominciava ad avere paura «Tu mi spaventi, Fazo...»
«Non devi temermi, Claire... tu dammi quello che hai preso non volendo e
faremo come se nulla fosse successo»
«Ma io non ho preso nulla!» ripeté,
ormai i nervi erano sul punto di cedere.
«Ho capito, non vuoi proprio darmi
altra scelta... se non vuoi dirmelo di tua spontanea volontà te lo dovrò far
dire io, alla mia maniera»
Scattò verso di lei, la ragazza ormai
nel panico mise mano alla rivoltella e sparò: lo colpì in piena fronte.
Fazo barcollò per un po' imprecando dal dolore
ma pochi istanti dopo era di nuovo in posizione eretta e la guardava non
troppo amichevolmente «Mi hai fatto male, puttana... eppure lo sai che le
pallottole su di me non hanno effetto»
Caricò un pugno, Claire
capì di essere giunta al capolinea... ma cosa diavolo
stava cercando da lei? Un'ombra le passò davanti, trovò il coraggio di
guardare: un altro uomo stringeva prepotentemente il braccio del rosso quasi
incrinato per lo sforzo. Era di schiena e addosso ai vestiti portava un lungo
mantello con cappuccio, un piccolo rigonfio glielo alzava leggermente,
probabilmente al collo aveva legato un cappello «Credo che la ragazza ti abbia
già detto che non ha ciò che stai cercando...»
«Tu che diritto hai di intrometterti,
bastardo?» gli ringhiò liberandosi dalla presa e, portando velocemente le mani
a terra, eseguì un perfetto CageCul,
il nuovo arrivato sorpreso da quella tecnica schivò per un pelo i micidiali
calci «Io ho già visto combattere a questo modo...»
«Non mi stupisce, io sono stato
allievo di Zeff dai Piedi Rossi...»
" Zeff
dai Piedi Rossi...ma certo"
«Ma io non uso solamente le gambe!»
si avventò su di lui con una scarica di pugni
«Sei veloce, ma non abbastanza...» lo canzonò l'incappucciato, schivando ogni suo colpo gli si
portò vicino e accucciandosi lo colpì violentemente sotto il mento
ribaltandolo. Dovette sbattere un po' la mano per aria, l'impatto era stato
doloroso, come se avesse picchiato contro ad un muro
di pietra «Hai la pelle dura...»
«Non sai quanto...» si alzò in piedi e si spolverò gli abiti «Comunque vedo che
qui non si arriva ad una conclusione per cui me ne
vado...» si rivolse alla ragazza « ...con te ne
riparleremo più tardi» se ne andò.
Claire sospirò, era finita... almeno per ora.
«Stai bene?» le chiese il suo
salvatore voltandosi verso di lei.
La bionda rimase allibita: era un bell'uomo, certo, ma così strano, quasi inquietante.
Balbettò «S... sì, gra-grazie per avermi aiutata...io
sono ClaireSummer e tu?»
«Il mio nome non ha importanza...
ora, scusami ma devo andare e faresti meglio a
filartela anche tu...»
" Che antipatico..."
Eppure, nonostante i suoi modi e i suoi occhi glaciali capiva la sua gentilezza
e qualcosa le diceva che poteva fidarsi di lui «Senti, posso venire con te?»
Quello la guardò stranito «Venire con
me? No, stare con me è pericoloso...»
«Non credo sia più pericoloso del
rischiare di finire nelle mani di Fazo...»
L'incappucciato sbuffò «E va bene,
verrai con me fin sulla prossima isola... è abbastanza lontana da permetterti
di stare al sicuro... una volta lì, però, ognuno andrà per la sua strada... non
è un'offerta trattabile»
«D'accordo, è pur sempre qualcosa...»
Nami e Robin si misero a sedere esauste e fradice sul pavimento della cabina di
quest'ultima. Si erano divertite come due bambine, all'archeologa faceva bene
ogni tanto staccarsi dalla sua natura seria e composta e in compagnia della
navigatrice non le tornava come un'impresa impossibile.
La rossa riprese il discorso
«Tornando al tuo sogno, a parte gli scherzi, non è che sia un ricordo del tuo
subconscio? Insomma non può essere una cosa che è accaduta davvero e magari non
ricordi?»
La mora si sentì spiazzata da quella
domanda «Beh, non credo... almeno non direi...»
«Va beh, dai, non parliamone più...
dato che è una bella giornata che ne dici di andare ad asciugarci sul ponte?»
«D'accordo...»
Mentre saliva in coperta subito
dietro all'amica, Robin non poté far a meno di
ripensare alla sua risposta di poco prima: falsa, lei l'aveva davvero vissuto quell'episodio e se lo ricordava pure bene. Era solamente
colpa sua se doveva mentirle.
Appena uscita sul ponte, Nami spalancò gli occhi e la bocca per lo stupore, era
tutto pulito e splendido da non crederci, quasi luccicava «Chi ha potuto fare
questo miracolo?»
Rufy le parò davanti il nuovo arrivato «Tristan,
mia cara e in soli dieci minuti»
«Fantastico, come hai fatto?»
Il ragazzo dai capelli blu le spiegò
brevemente quello che già, poco prima, aveva detto al resto della ciurma «Io ho
mangiato il frutto Flash Flash
che mi ha dato la capacità di correre come un lampo...»
«Molto interessante...» sghignazzò la rossa «Allora, poiché non hai ancora un posto
sulla nave, da oggi sarai l'addetto alla pulizia»
Una goccia enorme si formò sulla
testa di Tristan «Addetto alla pulizia? Io speravo in
un ruolo migliore... dille qualcosa capitano!»
«Così il vice ha deciso e non si può
tornare indietro» sentenziò il ragazzo di gomma facendo spallucce
«Tutto per non fare le pulizie lui
stesso...» ridacchiò Nico da
dietro le spalle dell'amica
«Bene, allora è deciso... anche Tristan avrà il suo ruolo nella nostra ciurma... ora se
volete scusarci noi dovremmo andare a prendere il sole»
Shanks scrutava l'orizzonte pensieroso, Mihawk
gli aveva detto che in giornata gli avrebbe portato
notizie sulle intenzioni segrete che la Marina e il Governo Mondiale dovevano
avere in serbo già da un bel po' di tempo ma non si era ancora fatto vivo.
Yasop lo raggiunse correndo, aveva il volto stravolto
«Capitano, sulla spiaggia est...»
Il rosso lo prese per un braccio
«Calmati, che c'è sulla spiaggia est?»
«Mihawk,
capitano... è in fin di vita»
«Che cosa?»
Iniziò a correre come il vento,
seguito dal suo cecchino: in poco tempo raggiunsero il luogo che era stato l'attracco
di fortuna di Occhi di Falco.
«Mihawk,
chi ti ha ridotto in questo stato?»
Lo spadaccino più forte del mondo
riuscì solamente a dire «La mia ombra... è stata la mia ombra»
TO BE CONTINUED…
Piccola precisazione ^_^
La scena fra asterischi (**) è tratta dal film “Sin City”, non è proprio uguale ma è comunque molto simile per cui mi sembrava d’obbligo
farlo notare.
«Bastardo!» gridò da dietro i suoi denti affilati Jinbe furibondo «Dove sei?» gli occhi iniettati di sangue
si guardarono attorno: tutti gli uomini pesce che aveva al suo seguito erano
morti, lui era l’unico ad essere rimasto in piedi.
«Non so che razza di frutto tu abbia
mangiato…» sputò sangue « …ma non basterà di certo qualche
misera ombra a mettermi in ginocchio…» le parole dell’imponente squalo bianco
erano, però, dettate più che altro dalla disperazione dovuta alla
consapevolezza di non avere più speranze a cui aggrapparsi.
Dall’alto dei suoi due metri cominciò
a vacillare «Chi… chi ti ha mandato?» le gambe si piegarono, bastarono ancora
pochi colpi e finì a terra senza più aprire bocca in una pozza di sangue.
Poco più distante, un ghigno di
soddisfazione si dipinse su un volto ombreggiato dal cappuccio della morbida felpona bianca striata da delle fiamme nere. Tirò fuori dalla tasca degli scuri blue jeans un foglietto,
tracciò una riga sul secondo nome della corta lista e lo ripiegò con cura
«Ancora quattro…»
Appena posato piede sulla terra
ferma, Tristan si stirò «Quanto potremo rimanere su
quest’isola?»
«Non ne ho la più pallida idea…» gli
rispose Nami in un’alzata di spalle « …andrò in giro
ad informarmi»
«Io andrò in cerca di una locanda dove
potermi rimpinzare di cibo…» disse, passandosi circolarmente la mano sullo
stomaco, il capitano
Sanji sbuffò «Quando mai tu non hai fame lurida fogna
schifosa? Comunque è il caso che qualcuno ti venga dietro prima che tu ti metta
nei guai…»
«Andrò io con lui…» si offrì Zoro «Ho proprio voglia di farmi una bella bevuta…»
«Allora andiamo, compagno!» disse Rufy battendogli una mano sulla spalla con il suo solito
sorriso stampato sulla faccia. Si avviarono verso la città.
Robin guardò la navigatrice stupita, non aveva fatto nessuna
scenata per il fatto che gli attaccabrighe per eccellenza erano partiti a piede
libero «Nami, non dici niente?»
Quella la guardò appena «Non sono
mica la loro balia, facciano come vogliono a me non riguarda… tu cosa fai,
vieni con me?»
L’archeologa si sentì spiazzata, il
comportamento della rossa era strano «S…sì, d’accordo…»
«E noi cosa facciamo?» chiese il
cecchino
«Io avrei da cercare qualche pianta
medicinale… potresti accompagnarmi, se vuoi» propose Chopper sistemandosi il
cappello per bene sulla testa.
Usop mostrò il pollice alzato «Ottima idea… io ne
approfitterò per raccattare qualcosa a sottocosto per i miei nuovi esperimenti»
«Posso venire anch’io con voi?»
chiese il nuovo arrivato
«Certamente, andiamo!»
Partì anche il secondo gruppetto.
«Nami, Robin… amorini miei, avete nulla in contrario se mi unisco
a voi?» cinguettò il cuoco espandendo cuori di fumo da tutte le parti
«Niente in contrario…» rispose la cartografa
«Vengo anch’io….» si
aggregò Franky mettendosi gli occhiali da sole
Robin ridacchiò «Avete fatto pace?»
«Pace? Con quell’arpia?
Non farmi ridere…»
«Come osi dare dell’arpia alla mia Nami?» sbottò Sanjifurioso
«E’ la pura verità…» ribadì il cyborg
«Tu cerchi proprio grane…» aggiunse
il biondo rimboccandosi le maniche
«Vedete di piantarla, o vi lasciamo
qui…» tuonò la navigatrice infastidita
«Come vuoi
tu, mon amour!»
Anche l’ultimo gruppetto s’incamminò.
Claire si svegliò, non era in un letto molto comodo e con
stupore poté notare che indossava dei vestiti, cosa molto strana dato che si
trattava di un “suo” risveglio.
Si tirò a sedere, il freddo le
penetrò nelle ossa e rabbrividì, fu allora che lo vide: era seduto malamente su di una sedia e aveva i piedi appoggiati al
piccolo tavolo che costituiva l’unico arredamento dell’altrettanto piccola
stanza. Sorrise, come diavolo faceva a dormire così, lo sapeva solo lui.
Era strano e non era solo il suo
volto a dimostrarlo, lui non era come tutti gli altri.
Molti soldi avevano riempito le sue
tasche per aver fatto godere al solo contatto con la sua pelle, gli uomini
pagavano cifre assurde per passare con lei anche solo pochi minuti… lui no, era
diverso: era stata lei a doverlo pregare di non dormire sulla sedia, il letto
era abbastanza grande per tutti e due ma non aveva voluto sentir ragioni e si
era messo lì.
Era passata quasi una settimana da quando aveva cominciato a scappare insieme a lui e non
sapeva ancora il suo nome, si decise, gliel’avrebbe trovato lei e non solo,
avrebbe dovuto farselo andare bene. Il freddo cominciava ad aumentare, erano su
un’isola d’autunno e in quella bettola dove alloggiavano non c’era l’impianto
di riscaldamento, si rimise sotto le coperte… sì, gliel’avrebbe trovato lei un
nome. Sprofondò nel cuscino, l’unica cosa morbida in quel mattone di letto, e
dopo poco si riaddormentò col sorriso sulle labbra.
«Cameriere, ancora bistecche!»
«Cameriere, ancora da bere!»
Il ragazzo di gomma e lo spadaccino
avevano attirato su di sé lo sguardo di parecchi curiosi: il primo aveva,
infatti, davanti al muso venti piatti impilati l’uno sull’altro e assolutamente
vuoti e il secondo aveva fatto fuori litri e litri di vino rosso.
«Ma che avranno da guardare questi?»
grugnì Zoro tracannando l’ennesimo boccale
«Che ti frega!» rise il capitano
«Cameriere, ancora carne al mio tavolo… oggi voglio scoppiare!»
Il volto del verde cominciava ad
arrossarsi, aveva bevuto davvero troppo ma sembrava
non bastargli «Un altro boccale!»
«Ehi, ma non ti sembra di esagerare?»
«Sta zitto e pensa alla
tue bistecche!»
Il ragazzo dai capelli blu guardava
divertito il cecchino e il giovane medico girovagare a destra e a manca fra le
bancarelle del mercato con le stelline negli occhi a chiedere il prezzo di
questo e di quello, e più di una risata gli era scappata a vedere le loro facce
disperate quando la cifra che gli veniva comunicata
era troppo alta. Erano tutti strani su quella nave, ma la loro compagnia era
piacevole… compagni… erano anni che non osava più nemmeno pensarla quella
parola, invece, ora tornava ogni tanto a balenare nella sua mente: Rufy, Usop, Chopper, Nami, Sanji, Robin,
Zoro e Franky… non li
conosceva ancora bene ma col tempo avrebbe scoperto di
più sul loro conto.
«Ehi, Tristan!
Guarda che noi andiamo avanti» lo richiamò il pinocchio
«Arrivo!» si riprese dai suoi
pensieri e cominciò a seguirli ma dovette bloccarsi
all’istante, una bancarella attirò la sua attenzione, fortunatamente sembravano
non averlo visto. Si portò in una strada secondaria, doveva nascondersi.
Chopper si girò «Ma dov’è andato?»
Anche Usop
si voltò a guardare indietro «Era proprio lì, a pochi metri da noi…»
«Secondo te dovremmo
preoccuparci?» chiese la piccola renna già in apprensione.
L’amico, tuttavia, lo rassicurò «No,
figurati… avrà visto qualcosa che gli interessava e si sarà allontanato un
attimo, vedrai che ci raggiungerà presto»
«Se lo dici tu…»
«Uh, guarda! Del tabasco ad un prezzo stracciato!» corse verso il
banco a tutta birra, come se in quei pochi secondi qualcun altro avrebbe potuto
portarsi via trecento bottiglie di quel liquido ultra piccante.
«Aspettami!» gli urlò rincorrendolo
il medico di bordo.
Nami controllò le carte appena comprate, era soddisfatta:
aveva fatto un buon affare «Bene, avete sentito cos’ ha detto il commesso, no?
Questa sera possiamo ripartire e, quindi, direi di cogliere l’occasione al volo
e rimetterci in viaggio»
«Allora, tesoro, io dovrei andare a
fare spese… abbiamo ancora un po’ di roba nella stiva ma
lo sai con chi abbiamo a che fare…» fece notare Sanji
«Beh, cerchiamo un negozio dove poter
fare rifornimenti…» rispose tranquilla la rossa.
La mora si ricordò delle parole del
giovane a cui avevano chiesto informazioni poco prima «Perché
non andiamo al bazar? Il ragazzo ci ha detto che è uno dei più grandi del mondo
e che ci si trova veramente di tutto, potrebbe essere interessante…»
«Ottima idea, mia meravigliosa dea corvina…»
giubilò il cuoco con gli occhi a forma di cuore.
La navigatrice si rimboccò le maniche
«Allora è deciso, andiamo…» poi si girò verso il cyborg «Tu tieni queste!»
Franky si ritrovò con due borse piene di carte varie: alcune
bianche e altre già scritte. Rimase di sasso «Ehi, portatele tu, le TUE borse!»
«Neanche per idea!» le fece quella
mostrandogli una bella boccaccia
«Maledetta… è peggio di una mocciosa»
sbuffò sull’orlo di una crisi di nervi
Robin lo affiancò «A dir la verità… fra tutti e due…»
Il carpentiere rispose soprappensiero
«Già…» poi si rese conto «Ehi!» ma i suoi amici non c’erano più «Accidenti, dove sono
finiti? Li ho persi…»
«Ma… ma è una meraviglia!» rimase a
bocca aperta l’archeologa «Sembra di essere tornati
indietro nel tempo»
«E’ veramente stupendo e senti che
profumo!» disse estasiata la rossa.
Davanti avevano un mercato magnifico,
enorme: non si riusciva a scorgerne la fine. Nell’aria vi era un misto di
essenze dovuto agli incensi che bruciavano, praticamente, su ogni bancarella,
le quali erano stracolme delle più svariate qualità di cose: dai cibi alle
bevande, dalle lane alle sete, ai gioielli e alle spezie di tutti i generi.
«Com’è suggestivo qui… è tutto così
esotico, non è che magari posso trovare un harem tutto per me?» iniziò a
fantasticare il biondo.
Robin lo guardò leggermente scotendo la testa, non sarebbe mai
cambiato.
Nami gli rispose in un’alzata di spalle «Se lo vuoi, cerca… ma
sappi che le tue donne te le dovrai mantenere tutto da solo… a proposito, che
fine ha fatto Mr. Naso di Ferro?»
La mora la guardò con fare
interrogativo «Chi?»
«Mr. Naso di Ferro… Franky!»
Sanji si guardò attorno «Effettivamente, qui non c’è…»
«Beh, chi se ne importa… noi
proseguiamo, se non ci troveremo qui ci ribeccheremo alla nave» decise risoluta la navigatrice.
«Da che parte andiamo?» chiese la cow-girl
«Che ne dite di là?» propose il cuoco
indicando una delle tante strade «Credo sia la via degli intrattenimenti»
Nami guardò nella direzione proposta dal biondo «Perché no?
Le compere le faremo dopo…»
Appena imboccato il lungo viale, i
loro sensi vennero bombardati da luci, colori e suoni.
Ovunque vi erano giocolieri, mimi, lanciatori di
coltelli e mangiatori di spade… mancavano solamente le bestie feroci e sarebbe
sembrato di essere al circo.
Passarono di fronte ad un tavolino
coperto da una pesante tovaglia di seta viola, ad esso
vi era seduta una vecchina con la testa coperta da un
lungo scialle nero, non sembrava per nulla interessata alla gente che le
passava davanti e continuava a mescolare tranquilla i suoi tarocchi.
Sanji si fermò «Amorini, che ne dite, ci facciamo leggere il
nostro futuro?»
Nami non la guardò neanche «Io non ci credo a queste cose… io
sono dell’avviso che ognuno il futuro se lo crea da sé…»
«Quello che dice è verissimo,
signorina…» disse la vecchia signora «Tuttavia esistono cose che non possono
evitare di accadere… ciurma di Cappello di Paglia»
«Ma lei come fa a saperlo?» chiese Robinallibita
La rossa la canzonò «Da te non me
l’aspettavo proprio… dopo le taglie che ci hanno affibbiato, chiunque potrebbe
riconoscer… ahi!» si toccò il braccio a cui, proprio
in quel momento, l’archeologa aveva dato una bella gomitata, si girò verso la vecchina «Oh mio Dio… mi scusi, non pensavo…»
«Che fossi cieca?» finì la frase per
lei la donna «Sedetevi…»
Nessuno dei tre obbiettò.
L’uomo, che una settimana prima aveva
salvato Claire dalla punizione di Fazo,
uscì dal minuscolo bagno della stanza a petto nudo e ancora leggermente bagnato
dalla doccia che si era concesso. Si portò alla finestra e l’aprì non curandosi
minimamente del freddo quasi pungente, non c’era un buon odore.
Solleticata dall’aria fresca, la
ragazza si svegliò nuovamente e si fissò ad ammirarlo: aveva una schiena larga
e ben scolpita, alla base del collo aveva un tatuaggio ma
un altro particolare le saltò ancor di più all’occhio, più o meno all’altezza
della scapola sinistra aveva una grossa cicatrice.
Si accorse che era sveglia «Buon
giorno… scusami se ho interrotto il tuo sonno ma
bisognava cambiare aria» allungò la mano verso la sedia e prese la bianca
camicia dalle maniche corte.
«Figurati, ormai era l’ora…» gli
disse lei dopo un lungo sbadiglio «Certo che non lo soffri il freddo, eh?»
«Diciamo che sono stato in luoghi le
cui temperature erano più basse di questa…»
«Allora, se non hai freddo perché non
ti togli la camicia? Così per lo meno ho un bel vedere…» gli propose con un
sorriso malizioso sulle labbra.
L’uomo rise «Quando la smetterai?»
«Di fare cosa?» chiese la bionda
facendo orecchie da mercante mentre si avviava verso
il bagno
«Lo sai benissimo…»
La ragazza ne uscì rinfrescata «Ah,
forse ho capito… ti riferisci a questo?» gli si avvicinò sinuosa e passò il
naso sul suo collo arrivando a sfiorare con le labbra il lobo del suo orecchio.
Quello in tutta risposta la prese per le spalle e l’allontanò
«Beh, fino a questo punto non eri mai arrivata…»
Claire scoppiò a ridere «Dai, stavo solo scherzando…» poi
aggiunse seria « …sempre se la vuoi vedere a questo
modo»
Sbuffò «Sei pazza…»
«E’ solo il mio modo di ringraziarti…»
«Non pensi che un
grazie sarebbe stato sufficiente?»
«Mi hai salvato la vita, un grazie
mi pare poco»
Le sorrise «A me basta…»
«Sei gay?» le chiese quella
guardandolo di sbieco
L’altro sventolò le
mani imbarazzato davanti al viso «Ma cosa dici?!?
Assolutamente no!»
«Allora sei proprio diverso, dove
sono andati a finire tutti gli uomini come te?»
«Non esistono altri uomini come me…»
«Evviva la modestia!» scherzò la
biondina «Va beh che ti ho fatto un complimento ma ora non esagerare…»
Lui era rimasto, però, come in trance…
preoccupata gli passò una mano davanti al volto «Ehi,
ci sei?»
Si riprese e si scostò dalla finestra
di colpo «Senti, io oggi partirò…»
«Ma come, e io?»
«Non lo so…» i suoi occhi si erano
velati, erano diventati freddi come il loro colore, evidentemente aveva toccato
un tasto dolente.
«Tu perché parti, Omino?»
L’uomo si scosse e la guardò alzando
un sopracciglio «O… omino?»
Lei rispose candidamente «Tu non vuoi
dirmi come ti chiami e io in qualche modo mi devo arrangiare!»
«Direi che me la sono cercata…»
sorrise «Comunque io parto perché sto cercando qualcuno…»
Quella si batté il pugno sul palmo
della mano «Che stupida sono stata… tu stai cercando una donna! E’ per questo
che sei così restio a ricevere le mie attenzioni… mi sembrava strano, nessuno
può resistermi!» rise
«Poi sarei io il modesto…» si unì
alla sua risata
«Ci credi al destino, Omino?» gli
chiese all’improvviso diventando seria.
Ci pensò un attimo «Credo di sì…»
«Quindi pensi che la storia di ognuno
di noi sia già scritta?»
«In parte, ma il resto spetta a noi
scriverla…»
«Anche il mio futuro, quindi?» lo
guardò negli occhi senza timore nel sostenere il suo sguardo.
Quello scrutò le sue iridi nere,
erano particolari chissà cosa nascondevano «Non posso dirti di sì… è solo una
teoria… che fino ad ora si è rivelata esatta per me…» finì di vestirsi e di
raccattare le sue cose e si avviò verso la porta.
«Ci rincontreremo, Omino?»
«Perché no? Potrebbe succedere…» aprì
la porta «…addio!» fece per uscire ma venne bloccato
dalla mano di Claire che si strinse attorno al suo
braccio «Perché addio? Se ci rincontreremo è meglio arrivederci»
Le sorrise «Arrivederci… e sta
attenta»
La porta si chiuse, era di nuovo sola ma in quella breve settimana aveva provato una
sensazione nuova e fu così che decise, prese le sue cose e, a sua volta, uscì.
«Con tutto il dovuto rispetto,
signora…» disse Nami alzandosi di botto « …io non
starò qui un secondo di più, non mi piace quello che ha detto…»
«Il futuro non riserva sempre sfumature
dai colori allettanti…» pronunciò in un soffio la vecchia cartomante.
«Quello non sarà il nostro futuro…»
le rispose la rossa a denti stretti «Sanji, Robin… andiamocene» e senza nemmeno aspettare un loro
consenso si avviò.
Il cuoco fece un mezzo inchino, in
fin dei conti aveva pur sempre di fronte una signora «E’ stato un piacere… arrivederci» ma la sua voce era tutt’altro
che ferma, anche lui era rimasto particolarmente scosso dalle sue parole, seguì
la cartografa.
«E tu non segui i tuoi amici?» chiese
alla mora, l’unica ad essere rimasta ancora seduta al suo tavolo.
Robin sembrò riprendersi dai mille pensieri in cui era
scivolata «M… mi scusi…»
«Non devi scusarti, cara…» le sorrise
dolcemente la vecchina «Anche tu non sai se credere o meno alle mie parole…»
«Dovrei farlo?» le chiese scrutandola
con i suoi grandi occhi azzurri
«Non guardarmi con quegli occhi…» le
disse sorprendendola « …lo sai che non posso darti questa risposta, spetta a te
decidere e solo il domani potrà dimostrarti se la tua scelta sarà stata giusta
o sbagliata»
Robin sorrise amaramente «Non si prende responsabilità,
quindi…»
«Io leggo quello che vedo, soltanto
questo è il mio lavoro…»
«Ha ragione…» si alzò «Quanto le
devo?»
«Niente… in fin dei conti sono stata io a chiamarvi… arrivederci,
Nico Robin, e buona fortuna»
Ancora una volta quella donna la
stupì, ma decise di non chiedere altro perché sapeva che non avrebbe più
ricevuto risposta.
Salutò e seguì la via presa dai suoi
compagni sprofondando nuovamente nella fiumana dei suoi pensieri. Era assurdo,
il loro futuro non poteva essere quello… il suo forse ma non il loro… perché
seppur non l’avesse delineato alla perfezione molte parole chiave erano state
pronunciate poco prima: amici, segreti, complotti, amori, tradimenti, ombre, passato… e… morte. Messe assieme non preannunciavano
nulla di buono. Che cosa avrebbe potuto accomunarle tutte? In più, se c’era una
cosa che aveva imparato bene, era che non esisteva un unico modo per definire
la morte.
A chilometri e chilometri di
distanza, in un’isola sperduta, Orso Bartholomew
immerso nella sua attenta lettura della Bibbia, era ben lontano dall’accorgersi
che misteriose ombre lo stavano minacciosamente circondando.
«Tsk… e questa sarebbe la famigerata Flotta dei Sette…» sbuffò
Sindel scoprendosi la testa dal suo cappuccio e
passandosi le mani sui lunghi capelli corvini sparati all’indietro
«E con questo ne rimangono
ancora due…»
Un lumacofonino trillò nella tascona
della sua felpa «Qui Koler…»
La voce
dall’altra parte era priva di particolari emozioni«Ti chiamo da parte del Dottor Graves»
Il moro lo
riconobbe, era il biondino di quella volta «Che altro vuole? »
«Vorrebbe proporre un piccolo lavoro
alla tua spia…»
«Sarebbe? » pronunciò in un soffio
La voce
dall’altro capo si fece improvvisamente tagliente «Deve sistemare una persona…»
«D’accordo…» rimase in silenzio ad
ascoltare i vari dettagli «Sarà
fatto… si trova già sul posto»
La comunicazione
venne interrotta bruscamente, Sindel
compose un nuovo numero «Sei in
un posto sicuro? »
«Come sempre…» gli rispose una voce
decisa ma leggermente abbassata
«Hai tempo di fare un lavoretto? »
«Certo, Sin, tanto la ciurma non
partirà prima di sera inoltrata… dimmi tutto, ti ascolto…»
I vari
gruppetti avevano cominciato a far ritorno alla nave quando
ormai iniziava a calare la sera e le bancarelle del mercato cominciavano a
chiudere in quasi tutte le vie.
Il
pinocchio posò un grosso sacco pieno di chincaglierie di ogni genere sul ponte
e tirò un gran sospiro «Direi
che ho fatto proprio ottimi affari quest’oggi… la Usop Factory riaprirà a pieno ritmo»
Chopper
guardò il sacchetto di erbe medicinali appena comprate e poi fissò la città che
era ben visibile dal luogo in cui si erano ormeggiati «Tristan non ci ha raggiunto… si sarà
perso? »
«Ma piantala di essere così
preoccupato…» lo riprese l’amico «
…avrà avuto anche lui delle compere da fare, vedrai che arriverà…»
«Poteva almeno avvisare, però…» rimuginò
a denti stretti la renna «Va
beh, vado a mettere a posto queste cose…» si diresse verso l’infermeria di cui
la nuova imbarcazione era dotata.
Nami, Sanji e Robin salirono proprio in
quel momento: chi carico di abiti e profumi, chi di miliardi di vettovaglie e
chi aveva con sé una paccata enorme di libri. La
rossa salutò il cecchino senza troppo entusiasmo, nemmeno lo shopping sfrenato
l’aveva aiutata a staccare i suoi pensieri dalle parole della cartomante «Allora, com’è andata? Ci siamo già
tutti? »
«E’ andata benissimo…» sorrise Usop« …però non ci siamo tutti, a
dir la verità qui ci siamo solo io e Chopper…»
«E il tizio con i capelli blu? » urlò Sanji in lontananza aprendo la porta della cucina con un
piccolo calcio
«Veramente l’abbiamo perso di vista…»
confessò il cannoniere
Robin concluse «Quindi, oltre a lui, mancano ancora: Franky che era con noi ma poi non
l’abbiamo più visto, Rufy e Zoro…»
sbuffò « …speriamo non abbiano
combinato niente»
La voce
impastata dello spadaccino ubriaco fradicio arrivò alle loro orecchie «Vieni… bel Maggio vieni…» si fermò a
singhiozzare « …vi-vieni tutto
fiorito…»
«Sì, sì… vieni bello e gradito… lo so»
disse un Rufy mongolfiera sostenendo con non poche
difficoltà, data la sua momentanea mole, l’amico che faticava a rimanere in
piedi.
«Ma come si è ridotto? » chiese
allibita l’archeologa
Rufy le rispose mentre spingeva il ragazzo sulla nave «Io gliel’ ho detto di non esagerare
col bere ma non mi ha ascoltato…»
«Non sia mai che tu avessi deciso di
non esagerare col cibo…» sibilò Sanji accendendosi
una sigaretta e avvicinandosi al gruppo.
«Io non ho affatto esagerato, non sono
mica pieno…» sbuffò il capitano.
Nami guardò la
situazione di sfuggita «Io vado
in camera a sistemare le mie cose…»
«Ti serve una mano? » si offrì tenero
il cuoco
«No…» rispose secca lasciandolo di
sasso, poi se ne accorse « …grazie
comunque» scomparve sottocoperta.
Alla mora
non sfuggì la reazione dell’amica, poi venne
richiamata dalle parole prive di senso di Zoro«In una casetta in mezzo al bosco nero
c’era un cow-boy che si chiamava Piero… un giorno però,
dato che pioveva, il grillo parlante… acc, no, devo
aver sbagliato storia»
Una goccia
apparve sulla testa dell’archeologa “ E’ completamente partito…”
«Ehi, cavolfiore…» lo rimbeccò il
biondo « …dov’è finita la tua
regola che un buon samurai deve sempre sapersi controllare?»
Lo
spadaccino ringhiò «Fatti i cazzi tuoi… io sto benissimo» allontanò da sé il capitano
palloncino a malo modo, che iniziò a rimbalzare per tutta la nave, e lui rimase
in equilibrio precario sulle proprie gambe «Io faccio quel che mi pare…» crollò a terra e scivolò in un sonno
profondo.
Sanji tirò una
boccata dalla sua sigaretta e si caricò l’amico in spalla «Lo porto in camera sua…»
Il flipper
improvviso aveva fatto digerire Rufy tutto di un
colpo ed era, finalmente, tornato di corporatura normale «Adesso che si fa? »
«Aspettiamo Franky
e Tristan…» gli rispose Usop
Robin sospirò,
non ci stava capendo più nulla: quella cartomante che sembrava conoscerli così
bene, che sembrava conoscerla così bene…Nami e i suoi
strani comportamenti… Zoro ubriaco fradicio che
raccontava di grilli parlanti «Meglio
andare in camera a sistemare le cose…»
«Vai pure, qui aspetto io a vedere se
tornano gli altri…» le assicurò il capitano.
La donna si
stupì, non si era resa conto di aver pensato ad alta voce, ma
pazienza tanto avrebbe dovuto dirlo comunque «Allora ci vediamo fra un pochino…» scese anche lei.
La vecchia
cartomante chiuse il proprio banchetto come tutte le sere, nonostante la cecità
quell’azione non le richiedeva alcuna fatica data
l’abitudine acquisita nel corso degli anni. Si ritirò nella sua modesta dimora:
un piccolo monolocale al piano terra di una palazzina che si ergeva a pochi
metri dal mercato.
Non accese
la luce, non ne aveva bisogno, si tolse lo scialle e lo lasciò cadere a terra:
aveva sentito la sua presenza appena messo piede nella stanza «Non ti aspettavo così presto…»
Una figura
scura si mosse agilmente alle sue spalle senza fare il minimo rumore,
nonostante il buio pesto.
«Se non altro sono riuscita a sentire
la sua voce per un’ultima volta…»
Sentì il
balzo fulmineo e furioso del suo assassino verso di lei, venne
schiacciata dal peso della sua mole: lame affilate penetrarono nella sua carne
e con un colpo secco la sua gola si squarciò, cadde a terra senza un lamento
nella pozza del suo stesso sangue.
Claire uscì da un
negozio di abiti sportivi: capelli raccolti dentro ad un cappello con visiera,
felpa e jeans larghi per nascondere le sue avvenenti forme, scarpe da
ginnastica e occhiali da sole… decisamente lontano anni luce dal suo stile e
dalla sua idea di essere donna, tuttavia essendo rimasta da sola aveva deciso
che era meglio non dare nell’occhio, avrebbe potuto
tornare ad essere se stessa a una distanza più che ragionevole dalle grinfie di
Fazo… ancora non aveva capito cosa volesse da lei. Si
sistemò la sacca con i suoi vecchi abiti sulle spalle sprofondando il viso nel
collo della maglia, data un’improvvisa folata di vento, e si addentrò nella
città decisa più che mai di arrivare al porto e di prendere la prima nave in
partenza.
«Maledetto!» urlò furibondo Tristan sporco di sangue, lanciando un uomo violentemente
contro alla parete di una della case dei vicoli bui
che circondavano il bazar.
Quello si
limitò a levarsi il terriccio dal viso e il liquido rosso che gli usciva da un
labbro spaccato con le mani «E’
la pura verità, devi smetterla di ossessionarti…» si allontanò dal muro « …non è colpa mia se le donne della
tua famiglia sono tutte delle gran puttane! » si avventò su di lui cercando di
colpirlo con un pugno.
Il blu
usufruì della sua velocità supersonica e schivò il colpo piazzandogli una
ginocchiata nello stomaco facendolo crollare a terra «Certo che è colpa tua… e di tutti quelli come te! »
«Però non te la sei presa con tuo
padre, anche lui era come me…» disse sputando sangue e rialzandosi a fatica « …dimenticavo, lui ti ha salvato la
vita… tu sei l’unico uomo della famiglia Lange ad
essere sopravvissuto… tutto perché tuo padre non ha avuto le palle di
rispettare una legge»
«Una legge sbagliata! » gridò con
tutto il fiato che aveva in corpo ormai fuori di sé saltandogli addosso
«Se solo vincessi il duello…» continuò
quello maligno « …tua
sorella non esiterebbe un secondo ad aprire le gambe anche a te!»
Una smorfia
carica d’odio e di disprezzo si dipinse sul volto di Tristan«Io ti ammazzo!» e iniziò a
colpirlo con una violenza inaudita.
Improvvisamente
si sentì tirare per un braccio e si ritrovò a qualche centimetro da terra «Ma che diav…>>
«Che cosa stai facendo, pazzo? » lo
riprese Franky stringendolo con la sua grossa mano destra mentre nell’altra stringeva ancora la borsa con le
carte della navigatrice
«Lasciami andare…» implorò il compagno
dimenandosi « …quello è
solamente un bastardo!»
L’uomo,
approfittando della situazione creatasi, seppur parecchio malconcio scappò
barcollando.
«Mettimi giù…» gli ordinò Tristan con la voce rotta dalla rabbia
«Come vuoi…» gli rispose il cyborg ma
invece che riappoggiarlo a terra lo lanciò abbastanza violentemente contro ad
una parete « …io non so che cosa
sia successo, ma la prossima volta pensaci bene prima di avventarti su di una
persona pestandola a sangue… finché giravi da solo eri libero di fare ciò che
ritenevi giusto… ora, però, fai parte di una ciurma e ogni tua azione può
riversarsi su tutti i tuoi compagni… cerca di ricordartelo e ora alzati che
torniamo dagli altri»
Il ragazzo
si rialzò spolverandosi gli abiti e senza dire una parola iniziò a seguire il
carpentiere a capo chino.
Mentre
camminavano Franky aggiunse in tono quasi minaccioso «Non sarò di certo io a dire al
capitano quel che è successo… ma sappi che d’ora in avanti ti tengo d’occhio…»
La bionda
tirò un sospiro di sollievo: era, finalmente, salita sulla nave passeggeri che
l’avrebbe portata lontano. Chiave in mano si stava dirigendo verso la sua
cabina. Certa, ormai, di essere al sicuro non si preoccupò di guardarsi le
spalle prima di aprire la porta: un colpo violento dietro alla nuca le fece
perdere i sensi, crollò a terra.
«Pensavi davvero che non ti avrei
riconosciuta? Mi sottovaluti, cara Claire…» disse Fazo togliendole il cappello e gli occhiali da sole
passandole delicatamente la mano sul viso come se avesse voluto accarezzarla,
d’improvviso la prese malamente per le braccia e la
trascinò violentemente dentro alla stanza richiudendo la porta dietro di sé «Ora vediamo di recuperare ciò che mi
interessa…»
Un lumacofono squillò, l’uomo in nero si scostò le due lunghe
ciocche bionde dal volto «Pronto?
» ascoltò con attenzione le poche parole che gli vennero
rivolte «Ottimo lavoro…»
riagganciò.
Prese un
fascicolo e si avviò lungo un corridoio illuminato da dei neon malandati.
Bastarono pochi passi e si ritrovò in un immenso laboratorio pieno di provette,
becher e intrugli di tutti i tipi… si fermò ad osservare quattro enormi
cilindri vuoti, ognuno contrassegnato da un colore differente: giallo, rosso,
nero e bianco… guardò l’ultimo con particolare freddezza «Maledetto…»
«Hai novità?» chiese una voce alle sue
spalle.
Quello si
girò, di fronte aveva un uomo ormai alle soglie dei sessanta ma ancora
attraente: i capelli corti, leggermente ritirati sulle tempie, erano
brizzolati, il viso segnato dall’età veniva
ringiovanito da due vispi e attenti occhi ambrati che riuscivano a mettere in
soggezione chiunque li incrociasse. Era vestito distintamente: scarpe eleganti
e pantaloni classici marroni sorretti da una cintura in
pelle nera. Sopra indossava una camicia bianca coperta da un panciotto dello
stesso colore dei pantaloni e attorno al collo aveva legata una cravatta nera.
A testimonianza del suo ruolo, sopra agli abiti portava un lungo camice bianco.
«Tutto come da programma…» lanciò su
un bancone il plico con i fogli « …non
ci darà più fastidio, Dottor Graves…»
«Perfetto…» sorrise compiaciuto l’uomo
e si portò alla sua scrivania sulla quale vi era appoggiata la foto di una
donna, passò delicatamente la mano sul vetro come se avesse voluto godere del
contatto con la sua pelle «Hai
visto? Ogni tua precauzione è stata inutile…» si fermò a guardare i suoi grandi
occhi azzurri e penetranti «Sei
così bella… eri diventata la mia ossessione» sospirò «Lo sapevi, io potevo salvarti e invece hai preferito morire… hai
voluto raggiungere tuo marito nell’oltretomba piuttosto che rimanere con me…»
si spostò verso il muro sul quale erano appese due taglie, una di un uomo e una
di una donna dalle cifre spaventose: insieme arrivavano a settecentocinquanta
milioni «Sai, è un vero peccato
che lei ti assomigli così tanto… dato che tu non hai
voluto essere mia, io mi prenderò tua figlia» disse stringendo convulsamente il
pugno e con il volto sconvolto da una soddisfazione perversa.
«E con lei troveremo anche lui…» disse
il biondo fissando con odio la foto dell’uomo «E finalmente potrà pagare per tutto
quello che mi ha fatto…»
Fazo sbuffò
avviandosi al piccolo bagno della cabina della bionda, aprì il rubinetto del
lavandino e portò le mani sotto il getto gelido lavandole accuratamente.
Richiuse e si asciugò con la biancheria appesa lì accanto. Uscì e con un passo
lungo superò il corpo immobile e disteso a terra di Claire,
la guardò ancora un attimo: non era ridotta bene, se ne andò richiudendo la
porta dietro di sé, non aveva trovato quel che cercava.
Innervosito
camminò lungo il corridoio e si ritrovò nel grosso salone riservato agli ospiti
della nave di prima classe, si sedette su un comodo divano e attese. Poco dopo
un cameriere, rigorosamente in frac, gli si avvicinò porgendogli, su di un vassoio
d’argento, un calice di champagne e un candido biglietto ripiegato. Il rosso
ringraziò e prese il foglio rifiutando, però, il
bicchiere e lo aprì, poco dopo era nuovamente in piedi per recarsi sul luogo
dell’appuntamento.
«Ehi, chi non muore si rivede…» urlò
il capitano in direzione di Franky e di Tristan che proprio in quel momento stavano risalendo sulla
nave «Ma che ti è successo?»
chiese, poi, accorgendosi delle condizioni in cui stava il ragazzo.
«Solo un’incomprensione con un tizio
che poi è sfociata in una rissa…» rispose quello lanciando un’occhiata
eloquente al carpentiere, quest’ultimo si limitò a scuotere la testa con
disappunto.
Rufy gli si
avvicinò «Ti senti bene? Vado a
chiamare Chopper, se vuoi…»
Il blu lo
fermò «No, non serve…» tutto quel
sangue, in fondo, non era suo, era solo un po’ sporco « …l’unica cosa che mi ci vuole è una bella doccia» salutando, con
un gesto della mano, si avviò verso il bagno.
«E tu dov’eri finito?» chiese rivolto
al cyborg
«Ero con Robin,
Sanji e Nami ma poi li ho
persi di vista… ho cercato di rintracciarli però non
sono riuscito a trovarli così, dopo aver fatto un paio di giri da solo, ho
deciso di tornare alla nave»
«Cos’ hai lì?» disse il moretto
indicandogli la borsa che teneva in mano «Cibo?»
«Mi dispiace deluderti, capitano…»
rispose quello ridendo « …sono
le carte di quella schiavista della nostra navigatrice: me le ha mollate prima
di sparire… anzi, già che ci sei, gliele puoi portare?»
«Va bene, tanto le devo dire che ci
siamo tutti… così partiamo»
Rufy scese in
sottocoperta, non ci mise molto ad arrivare: la cabina della navigatrice era
una delle più vicine alle scale. Bussò alla porta, non ottenne risposta.
Picchiò nuovamente, con più forza «Nami, sono io… Franky è tornato e
mi ha dato le tue carte, c’è pure Tristan… ora
possiamo partire…» niente.
Sbuffò e si
avviò verso qualche porta più in là, quella che stava cercando era aperta,
entrò: Robin stava finendo di sistemare i libri
comprati quel pomeriggio, si accorse della presenza del capitano «Rufy, dimmi…»
«Senti volevo darti queste…» le porse
la borsa con le carte
«Ma queste sono di Nami…»
«Lo so…» le disse il ragazzo di gomma
in un’alzata di spalle « …ma lei non mi risponde, così ho pensato che gliele
potevi dare tu… io poi mi dimentico»
L’archeologa
sorrise e gli prese la borsa «D’accordo,
ci penso io…»
«Senti, non è che potresti anche
occuparti della partenza?»
«Mi dispiace, questo non lo posso
fare… il logpose lo ha Nami»
«Ah…» disse solamente, poi pensò un
attimo «Allora svegliala tu…
magari a te non farà nulla» si avviò alla porta «Io intanto salgo… buona fortuna»
La mora
scosse la testa, prese la borsa e si avviò alla porta della cartografa.
Arrivata,
bussò: come Rufy le aveva detto, la rossa non
rispose.
«Nami, apri…» bussò ancora, non poteva dormire a quell’ora si sarebbe già svegliata «Guarda che se non lo fai tu, lo faccio io…»
In quel
momento la serratura scattò e la porta si aprì, la cow-girl entrò e vide la
navigatrice tornare veloce a buttarsi sul letto e a sprofondare il viso sul
cuscino.
«Che hai?» le chiese la donna preoccupata ma non ottenne nuovamente risposta, sbuffò «Ti ho portato le carte che hai
comprato oggi, te le appoggio qui vicino alla
scrivania…» poi si voltò verso di lei che era ancora sdraiata «Il capitano ha detto se puoi salire,
così partiamo…»
La voce
della rossa arrivò flebile alle sue orecchie «Puoi farlo tu?»
Robin sospirò «D’accordo…il logpose?»
Nami si tirò a
sedere continuando a darle la schiena, slacciò il cinturino dal polso e lo
porse all’amica «Tieni… io sto ancora un attimo qui…»
«Va bene, non ti preoccupare…» le
prese lo strumento di mano e si avviò alla porta «Sicura di non aver bisogno di niente?»
«Sicura… grazie» appena la mora uscì, si alzò e tornò a chiudere la
porta a chiave e, come aveva fatto poco prima, si ristese sul letto quasi
meccanicamente.
Parole
grosse, rabbia, urla, lacrime: un litigio furibondo stava riprendendo vita
nella mente della ragazza, poi sangue… molto… e le parole della cartomante “
Amare significa comprendersi, l’orgoglio è un grosso ostacolo, è importante
superarlo in fretta, perché la vita non sempre ci riserva l’occasione di
superarlo in ritardo ed alla perdita di ciò che abbiamo il dolore sarà
insopportabile…”
La rossa,
ormai, ne era sempre più convinta: quelle parole erano per lei, anche se la
vecchia non l’aveva detto ne era praticamente certa… che significava poteva immaginarlo ma la domanda era un’altra, cosa doveva fare?
Sentì del
movimento, la nave era partita.
«Si può sapere che diavolo sta
succedendo?» sbottò Don Flamingo girando nervoso
nell’enorme doppio fondo della stiva di una nave mercantile.
«Mi pare ovvio… il Governo è stanco di
voi e ha deciso di farvi fuori…» arrivò dritto al punto Shanks
bevendo un boccale di vino.
«E tu perché sei qui? Non fai parte
della Flotta…» continuò quello inviperito.
Mihawk parlò con
fatica, le ferite non si erano ancora del tutto rimarginate «Lui è un amico fidato e visto che io
e Jinbe siamo gli unici due sopravvissuti dei quattro
attacchi effettuati, ci serve tutto l’aiuto possibile… è anche grazie a lui se
possiamo discutere qui al sicuro e tutti insieme»
«Quel bastardo, se solo sapessi chi è
gli farei pagare tutto con gli interessi…» ringhiò, mostrando i denti affilati,
l’imponente squalo bianco ancora pieno di bendaggi.
«Che cosa avete intenzione di fare? »
chiese d’un tratto Dragon dall’angolino in cui si era
messo ad ascoltare in disparte
«Tu non hai il diritto di parlare…» lo
interruppe Don Flamingo«Un anarchico che ha accettato di lavorare per il governo…mi
chiedo come la gente faccia a credere ad uno come te»
«Taci, gallinaccio…» lo azzittì
riferendosi alla sua ridicola giacca di piume «Uno come te non può permettersi di
giudicare come ho deciso di muovermi»
La botola
si aprì e vi si affacciò Ben Beckam travestito in un
modo irriconoscibile «Mi
dispiace interrompervi, ma siamo stati agganciati da una nave della Marina,
molto probabilmente faranno un’ispezione e quindi dovrete stare buoni per un
po’, torneremo a darvi il via libera una volta andati»
richiuse.
«Ci mancava anche questa… ora siamo
nelle mani della ciurma dello sfregiato, di bene in meglio» continuò a
lamentarsi Quijoteimperterrito
«Finiscila o ti stacco la testa a
morsi…» lo minacciò l’uomo pesce
Dragon si
mise in ascolto «Zitti… arrivano»
Il silenzio
calò fra i presenti, il tempo sembrava non passare mai: ad ogni passo che
rimbombava sulle loro teste, il loro cuore mancava di un battito, non che
abbattere una sola nave per loro fosse un problema ma
non dovevano assolutamente farsi scoprire, il Governo e la Marina non dovevano
capire che stavano tramando una contromossa tutti insieme; la tensione si fece
più pesante non appena i passi arrivarono sopra la botola segreta… trattennero
il fiato, gli uomini sopra si allontanarono.
Nessuno
fiatò, solo quandoYasop
tornò a dare il via libera ripresero a discorrere.
«Allora, che avete intenzione di fare?
» ribadì con calma il rivoluzionario
«Ci serve del tempo…» disse Mihawk«
…cosa che, purtroppo, non abbiamo dato che sembriamo essere braccati da queste
maledette ombre»
Jinbe bevve del
vino «Sanno tutto di noi: le
nostre basi, i nostri spostamenti…»
Shanks si riempì
nuovamente il bicchiere «Beh,
allora trovatevelo questo tempo…»
«Come? » gli chiese Occhi di Falco
«Nascondetevi in un luogo da voi
conosciuto ma che non risulti né alla Marina né al Governo Mondiale…» rispose
quello sicuro
«E quale sarebbe il posto?»
«Quello dovete trovarvelo da soli…»
«Io ce l’avrei…»
disse Flamingo alzandosi di botto « …è un’isola che non è segnata su
nessuna mappa e contiene un mondo a sé, solo chi vi abita è a conoscenza della
sua esistenza…»
«E tu come fai a saperlo, allora?» gli
chiese lo squalo incredulo
«Perché sono io che la governo e sono
l’unica persona al mondo che possieda l’eternalpose
per arrivarci, sono io che decido se portare o meno
gente nuova»
«Non so quanto ci sia da fidarsi…»
sbuffò lo spadaccino più forte del mondo « …ma mi sembra l’unica
soluzione possibile, se ci scopriranno per lo meno avremo delle armi con cui
difenderci essendo una tua isola»
«Certamente…» gli rispose quello con
un sorriso da ebete stampato sulla faccia
«Allora brindiamo all’accordo
raggiunto…» disse il rosso innalzando il boccale « …e dirigiamoci verso quest’isola! »
«Come sarebbe? » gli chiese Jinbe guardandolo storto «Se vai in giro adesso rischi di farti ammazzare»
«Non importa…» rispose quello
calmissimo «…ho un appuntamento a cui proprio non posso mancare e poi mettiamola così, se
sparissimo tutti, i pezzi grossi inizierebbero a farsi delle domande, quindi
serve qualcuno che resti in circolazione… e quel qualcuno sarò io»
Fazo era
arrivato, ma non c’era nessuno ad attenderlo sul ponte illuminato della nave,
vi era solo un lumacofono con la conversazione già
attivata. Prese la cornetta e si mise in ascolto «Hai trovato quel che cercavo?»
La voce del
rosso era palesemente irritata «No,
era pulita…»
«L’avrà passato a qualcun altro…»
sbuffò quello dall’altra parte
«Con tutto il rispetto, lo spero per
lei… non vorrei aver dovuto menare le mani sulla mia ragazza migliore per
nulla…»
La voce
parve assumere un tono preoccupato «Non
ci sarai andato troppo pesante, vero?»
«Quel tanto che basta…»
«Perfetto… mi dispiacerebbe non poter
più giocare con lei…»
«Cosa devo fare adesso?»
«Lasciala stare per un po’… ha bisogno
di riprendersi, ci penserà lei a portarci da chi cerchiamo, prima o poi…»
«Io non posso perderla…»
«L’ hai già persa appena hai deciso di
lavorare per me… ora vattene»
L’uomo
sbuffò e fece per riagganciare ma venne fermato «Un’ultima cosa… liberati di questo lumacofono» la conversazione terminò.
Fazo riappese
la cornetta e prese il telefono in mano, si guardò attorno e lo lanciò lontano
nel mare.
S’incamminò
verso la più vicina scialuppa di salvataggio e vi salì, tagliò le cime e dopo
aver dato una rapida occhiata all’eternalpose, che
portava con sé, iniziò la sua navigazione.
Sanji era sceso,
nonostante fossero attraccati a notte inoltrata e gli altri avessero
deciso di rimanere sulla nave lui aveva optato per farsi un giro per la
città che sembrava ancora piena di vita. Si guardò attorno, aveva proprio
voglia di svagarsi un po’ e magari avrebbe anche fatto colpo su una bella
signorina. Dai bar e dalle locande si alzavano canzoni e risate… sì, si sarebbe
divertito alquanto: entrò.
Nami, aiutata
da Robin e da Tristan,
aveva appena finito di issare la vela maestra e di nascondere i Jolly Roger, nonostante le
proteste di Rufy aveva deciso di essere prudente, non
aveva proprio voglia di raccattarsi guai indesiderati «Uff…io direi che abbiamo finito e che
possiamo andare a riposare»
«Sanji è sceso, lo sai sì? » le fece notare la mora
«Certo e non credo ci siano problemi…
al massimo potrebbe attaccarsi alla gonna di qualche avvenente ragazza»
Il blu rise
«Magari lo denunceranno per
molestie…»
Anche la
rossa si unì alla risata «Beh,
sino ad ora non è mai successo…»
Claire tracannò
d’un fiato un bicchiere di buon rum, serviva a rendere il dolore più
sopportabile. Era tornata ai suoi abiti normali, gli altri non erano serviti a
nulla, tuttavia teneva chiusa la giacca come se avesse potuto ripararle il
torace e le braccia ridotte malamente. Quel bastardo
di Fazo doveva averle incrinato
qualche costola, se non addirittura rotta. Sembrava averlo fatto di proposito:
niente sul viso, niente sulle gambe… così gli uomini continuavano ad
avvicinarsi e ogni qualvolta cercava di allontanarli il dolore era
insopportabile. Non ce l’avrebbe fatta a continuare
così da sola, aveva bisogno di qualcuno, aveva bisogno di protezione… ordinò
ancora da bere, lasciò scivolare lo sguardo sulla porta d’ingresso e lo vide:
alto, biondo, sigaretta stretta fra le labbra e curiose sopracciglia che
terminavano in un ricciolo. Era vestito piuttosto elegantemente, mani in tasca,
camminava con l’aria di chi è molto sicuro di sé, si sedette sullo sgabello
accanto a lei «Tutto quello che
ha preso la signorina lo pago io»
«Sei gentile…» lo guardò con i suoi
profondi occhi neri colpendolo « …grazie»
Bastarono
pochi altri bicchieri, buttati giù come se fossero stati pieni d’acqua, che si
ritrovarono nella stanza della ragazza.
«Come ti chiami? » gli chiese lui
baciandole il collo
«Claire…» rispose lei passandogli le mani nei capelli «E tu chi sei, per cercare compagnia
con una come me?»
“ Una come lei?” pensò il biondo mentre le slacciava la giacca
“ Non è possibile, profuma come profumano gli angeli…” le tolse l’indumento di
pelle rossa scoprendole le braccia, si stupì di vedere due grossi lividi quasi
all’altezza delle spalle «Che…
che ti è successo?»
Lei cercò
di distogliere la sua attenzione accarezzandogli il viso e attirandolo a sé «E’ una sciocchezza… non ci pensare»
Sanji non si
lasciò incantare, le prese i polsi e le fermò le braccia al muro, presa così
alla sprovvista, la ragazza non riuscì a trattenere un gemito di dolore causato
da una fitta lancinante proveniente dal costato.
«Chi ti ha fatto questo?» le chiese
lui fermandosi di botto, lei non rispose.
Il cuoco si
slacciò la cravatta e avvicinandosi alla ragazza la prese in braccio
«Che fai?» gli chiese quasi
imbarazzata
«Ti porto alla mia nave…» prese la
giacca rossa e la posò sul suo grembo «
…lì abbiamo un medico molto bravo, ti curerà…»
«Tu hai una nave? »
«Sì…» le disse sorridendo « …io sono un pirata e il mio
capitano, di certo, non ti negherà il nostro aiuto»
Claire, sfinita
riuscì solamente a pronunciare «Grazie…»
si addormentò.
TO BE CONTINUED…
E dopo un bel po’ eccoci
qui. Scusate, per la lentezza con cui aggiorno ma, per un motivo o per l’altro,
non posso fare altrimenti, mi dispiace -__-.
Devo ringraziare Roshenche mi ha recensito dopo un periodo di magra. Quindi grazie mille,
sono contento che ti piaccia... anche se ti devo fare
un piccolo appunto: non sono una ragazza ^^
Spero che il capitolo sia stato di
vostro gradimento, se mi lasciate un commentino mi
fate piacere.
La rossa si svegliò di buon mattino, anche se aveva dormito
poco a dir la verità, aveva troppi pensieri per la testa, che cosa doveva fare
con lui? Certo, era stata lei a provocarlo per prima ma
una reazione del genere non se la sarebbe mai aspettata… l’aveva seriamente
delusa.
Passò dalla cucina, era l’unica ad essere già sveglia, si
versò un bicchiere di latte freddo raccattando anche un pacco di biscotti e si
diresse nella cabina che era stata allestita a mo’ di piccola sala. Posò il
bicchiere sul tavolino rotondo e fece per sedersi ma qualcosa, o meglio
qualcuno, la bloccò: sul divano c’era una ragazza addormentata «Ma chi cavolo è
questa?» poi guardò meglio, aveva un cuscino e una coperta… doveva averla
portata lì uno di loro… ma chi?
«Buon giorno, Nami…» la salutò Sanji senza, però, la solita enfasi e lanciò un’occhiata
alla biondina per vedere le sue condizioni.
«Chi è?» gli domandò la cartografa «L’ hai portata tu qui?»
«Sì, è una ragazza che ho conosciuto ieri sera…»
Quella lo squadrò dubbiosa «Non è che ti sei messo nei
guai, vero? »
Il cuoco non badò nemmeno alla sua domanda «E’ stata
picchiata e ha bisogno di cure…»
«E’ stata picchiata?» si allarmò subito la navigatrice «E
da chi?»
«Non lo so…» le rispose sbuffando
Nami si decise
«Senti, aspettami qui… io vado a chiamare Chopper» e lasciandolo solo, si avviò
nella camera che il medico condivideva con il cecchino e il capitano.
«Avanti, mangia!» disse il biondo vestito di nero passando
un piatto con del cibo attraverso delle sbarre, una manina si allungò
debolmente verso ciò che le era stato appena offerto,
cigolii di catene accompagnarono quel movimento. Appena l’arto fu a contatto
con la fredda superficie bianca, scattò veloce di lato lasciando cadere tutto
quanto a terra.
L’uomo la guardò con fare irritato «E’ inutile ostinarsi,
perché soffrire inutilmente la fame? Lo sai che non ti lasceremo morire…»
Nessuna risposta gli venne
rivolta, solo uno sguardo spento, ma pur sempre orgoglioso, si posò su di lui.
«Fai come ti pare, solo ti facevo più intelligente…» la
lasciò nuovamente sola, la piccola figura si ritirò in un angolo della sua
fredda cella: si sedette e circondò le ginocchia con le braccia e si abbandonò
ad un pianto convulso.
Il grande ammiraglio Sengoku
guardava pensieroso l’orizzonte da un’ampia vetrata, la porta alle sue spalle
si aprì «Hai novità?»
Aokiji si grattò la
nuca «A quanto pare ha passato il testimone…»
«La tua mancanza di considerazione non ha limiti…»
«Non vedo dove sia il problema, nessuno potrebbe mai
capirne il contenuto…»
L’uomo si sistemò il pizzetto «Niente a questo mondo è
impossibile e con tutto quello che abbiamo puntato su questo disegno, non
possiamo permetterci errori stupidi e il tuo è uno di questi…»
«Ancora non è successo niente e ai tempi in cui siamo,
anche se qualcuno scoprisse qualcosa sarebbe troppo tardi…» gli disse il
Fagiano Blu in un’alzata di spalle.
«Questo lo si deve solo alla
fortuna che ci assiste…» andò a versarsi un po’ di liquore in un ampio
bicchiere «…un segno positivo che ribadisce quanto la nostra causa sia giusta e
con lei il nostro operato»
Anche Aokiji seguì il suo
superiore, naturalmente aggiunse del ghiaccio «E per il resto? Non sarà stato
azzardato mandare un solo uomo contro l’intera Flotta?»
«Nessun’altra scelta è mai stata
appropriata come questa, già quattro membri sono stati eliminati, ne restano
soltanto due…» centellinò poche gocce dal suo bicchiere.
«Capisco…» l’altro, invece, lo bevve quasi tutto «E Nico Robin?»
«Ti è sempre stato molto a cuore il destino di quella
bambina, non è vero?» lo guardò con fare curioso
«Quella donna è un problema…» si fece improvvisamente
glaciale «E secondo me sbagliamo a rispondere alle sue
richieste»
«Capisco i tuoi dubbi, ma quello è l’unico modo per dare la
svolta finale all’era della pirateria…»
«Sarà, ma è un rischio troppo grande… il passato ci ha
insegnato che nessuno è in grado di gestire quella situazione…»
«Questa volta sarà diverso…»
«Con tutto il rispetto che le è dovuto,
lo spero per lei… perché potrebbe rischiare di avere più gente sulla coscienza
di quanto pensa…»
Chopper uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle
spalle «Ho fatto…»
«Allora, com’è la situazione? » chiese il biondo celando malamente la sua apprensione
«L’ hanno stordita, ha un grosso ematoma dietro alla nuca…
fortunatamente non ha avuto commozioni cerebrali»
«E i lividi sul corpo?» continuò Sanji
sempre più agitato, attirando su di sé gli sguardi curiosi dei suoi compagni, o
almeno di quelli svegli.
«Quelli li ha subiti dopo, sono colpi molto forti… come se
glieli avessero inferti con un bastone o una sbarra di ferro: ha quattro
costole rotte…» sospirò «…deve avere una soglia di sopportazione del dolore
altissima, se riusciva a camminare normalmente in quelle condizioni…in più
all’altezza delle spalle devono averla stretta con qualcosa di veramente duro…»
«E noi che cosa dovremo fare?» chiese la navigatrice
Sia il cuoco che il medico aveva già aperto bocca per dire
la loro, ma il loro capitano li anticipò «Noi la aiuteremo!»
«Non sappiamo niente di questa ragazza…» gli fece notare Robin
«Non m’importa… Sanji l’ ha
portata qui affinché gli offrissimo il nostro aiuto e
sarà quello che faremo» tagliò corto il capitano «Chopper, cosa ti serve?»
La piccola renna ci pensò un po’ su «Mi servono delle erbe
per degli impacchi, ma posso tranquillamente andare a comprarle… intanto lei
dovrà muoversi il meno possibile, per lavarsi avrà bisogno di qualcuno che l’aiuti»
«A questo possiamo pensarci io e Robin…»
sbuffò rassegnata Nami, vedendo lo sguardo poco
raccomandabile che si stava dipingendo negli occhi del cuoco «…non sia mai che
la lasciamo in mano a voi maniaci»
Chopper preparò lo zainetto «Allora io vado…»
«Vengo con te…» si offrì il biondo «…intanto faccio la
spesa»
«Io vado a fare una bella colazione abbondante» giubilò
allegro il capitano
«Ti seguo…» si aggiunse Zoro dopo
un sonoro sbadiglio, dato che si era appena svegliato e che, naturalmente, non
aveva capito un’acca di quel che stava succedendo. Dopo venti minuti di casino
totale, sulla nave, rimasero solamente la cartografa e l’archeologa.
«Sanji, chi è quella ragazza?»
chiese Rufy, avvicinandosi al biondo
mentre percorrevano insieme agli altri la strada per arrivare nel centro
della cittadina.
«Non lo so…» gli rispose semplicemente
«Allora perché ci tieni così tanto?»
«Sono i suoi occhi… non so cos’abbiano,
mi sembrano così tristi» nella sua mente si fecero strada le parole della
cartomante “ Occhi del colore della notte, tristi compagni di morte,
chiederanno tacitamente aiuto”
«Capisco…» disse dandogli una pacca sulla spalla «Vedrai
che si rimetterà… che cosa sa fare?»
«Perché?» gli rispose il cuoco agitato, mentre cercava di
allontanare le immagini della sera precedente
«Potrebbe rimanere con noi, se vuole…» suggerì il capitano
«Chi è che potrebbe rimanere con noi?» chiese Roronoa avvicinandosi, ancora all’oscuro di tutto.
Anche Usop si avvicinò al
gruppetto «Pare che il nostro Sanji abbia abbordato
una bionda mozzafiato!»
«E allora?» chiese lo spadaccino non capendo
«Pare che sia nei guai…» gli disse Chopper
Zoro sgranò gli
occhi e indicò il biondino in maniera esagitata «Maledetto maniaco, l’ hai
messa incinta?!»
Per poco Sanji non si strozzò con
la sua stessa sigaretta «Ma che cosa dici, gran pezzo d’idiota?» riprese fiato
«Ha dei suoi problemi e io la voglio aiutare»
Franky iniziò a
piangere calde lacrime «Che animo gentile ha la mia ciurma! »
Tutti lo guardarono allibiti, poi il pinocchio si riprese
«Ripensando alle parole di Robin, credi che sia stato
saggio portarla sulla nave? In fin dei conti non sappiamo niente di lei…»
«Se è per questo non sappiamo niente nemmeno di lui…» disse
il capitano indicando Tristan, il quale iniziò a
sudare silenziosamente freddo, poi continuò «…ma a me
non frega niente! Il passato di una persona è il passato, l’unica cosa che
conta è il presente»
Inutile dire che il cyborg a quelle parole, si fece
l’ennesimo pianto e iniziò ad intonare una canzone.
La biondina riaprì lentamente gli occhi, aveva un gran mal
di testa… chissà quanto aveva dormito. Dopo che quel ragazzo dalle curiose
sopracciglia l’aveva portata sulla sua nave, l’unica cosa che ricordava era una
tenera renna dal naso blu che, tutta imbarazzata, la visitava e le diceva di
non preoccuparsi, si sarebbe rimessa presto. Ora di fronte a lei, sedute ad un
tavolino vi erano una ragazza e una donna: la prima era tutta intenta a
disegnare su un foglio, mentre la seconda stava leggendo attentamente un libro
dalle dimensioni enormi.
Nami si accorse
che la loro ospite si era svegliata «Oh, buon giorno… come ti senti?»
Claire si stupì dal
suo modo di fare, gentile… forse troppo «Meglio…» ma, nel cercare di mettersi a sedere, una forte fitta le percorse tutto il corpo e anche
se riuscì a trattenersi dall’emettere suoni, il dolore si dipinse visibilmente
sul suo volto.
«Non dovresti cercare di alzarti…» le consigliò la mora
distogliendo un attimo lo sguardo dal suo libro.
«Perché mi state aiutando?» chiese con un filo di voce
«Un nostro compagno ti ha portata qui e il nostro capitano
ha deciso di darti il suo aiuto…» le spiegò velocemente la rossa.
L’estranea le guardò fissando le sue iridi nere su di loro
«Ma voi non siete d’accordo…»
L’archeologa sorrise, la bionda sapeva il fatto suo «Non
importa ciò che pensiamo noi…»
«Esattamente…» continuò la cartografa «…ciò che conta è
quello che ci è stato detto di fare» si alzò «Avrai fame, ti porto qualcosa da
mangiare? »
«Sì, grazie…»
«Ok, vado e torno…» uscì dalla
stanza.
«Avete capito cosa sono, non è così?» chiese d’un botto
alla donna rimasta.
Quella la scrutò profondamente, mettendole quasi i brividi
«Sì, ce ne siamo accorte… certi nostri compagni possono non averlo ancora fatto
ma…»
«…voi ve ne siete rese conto subito» concluse per lei la
bionda «E’ per questo che non mi volete sulla vostra nave»
«No…» le disse sorprendendola «…noi siamo solo diffidenti,
saranno le tue intenzioni a decidere il resto»
La ragazza rimase in silenzio, ma la sua mente era un
turbinio di pensieri “Avanti, lo so che lo stai pensando, dillo… pronuncia
quelle due parole che ripetono tutti ogni volta che mi guardano…”
Robin si alzò «Io
non ti dirò nulla…»
L’altra la guardò stupita «Quale Frutto hai mangiato? Leggi
nel pensiero? »
«Ho mangiato un Frutto, sì… ma non
quello che permette di leggere nel pensiero» le si avvicinò «…però so benissimo
cosa vuol dire essere guardati con timore e diffidenza da gente che non
capisce…»
«Che cosa vuoi dire? »
La donna ignorò la sua domanda «Vieni, ti aiuto ad alzarti…
a proposito, io mi chiamo Robin, tu? »
«Io sono Claire…» “Robin, l’ ho già sentito questo nome e anche il suo viso
non mi è nuovo… eppure sono sicura di non averla mai incontrata prima d’ora…”
«Ehi, avete fatto le presentazioni senza di me! » protestò
la navigatrice che era appena rientrata con del cibo per la loro ospite
«Comunque io sono Nami»
«Piacere di conoscerti…» le disse la biondina con un
sorriso, certo non l’avevano accolta a braccia aperte ma
erano, comunque, diverse dalle altre donne: il genere femminile la guardava
dall’alto in basso… una donnaccia ecco cos’era… per loro, invece, no… per loro
era semplicemente un’estranea.
«Scusate…» chiese d’un tratto «…potrei uscire un po’
all’aria aperta? »
Il povero postino del mare aveva, ormai, percorso migliaia
e migliaia di chilometri, sorvolando mari ed isole alla ricerca della nave di Cappello
di Paglia. “Fai in modo che a riceverlo sia una delle ragazze della ciurma”,
così gli aveva detto quell’uomo sulla scogliera e lui
avrebbe consegnato il messaggio, in palio c’era la sua vita: era quello che gli
occhi gelidi del suo “cliente” gli avevano fatto capire.
Guardò per l’ennesima volta sotto di sé: finalmente, era
lì!
Scese di quota e planò sull’acqua vicino all’imbarcazione,
si rialzò leggermente e si accorse della presenza di una ragazza bionda sul
ponte, perfetto, andò ad appollaiarsi proprio vicino a lei e la richiamò con il
suo tipico suono stridulo.
«Ehi, guarda che ti ho visto! »
gli disse Claire, che ricominciava proprio in quel
momento a riprendere l’uso dell’udito.
Il gabbiano iniziò a frugare dentro alla sua borsa con il
becco, dopo poco ne tirò fuori una busta bianca senza mittente né destinatario.
Lei la guardò stupita «Sei sicuro che sia per me? »
Il volatile si limitò ad alzare le ali e a fare un segno
d’assenso, non troppo convinto, col capo. Senza aspettare oltre, riprese il volo:
ormai era sicuro di aver salva la vita.
«Non ne ha la minima idea, ho capito…» aprì la busta: ma
chi diavolo l’aveva scritta? Era quasi impossibile decifrare cosa c’era scritto
«Qui c’è una lettera… “B” …no, “R” …mh, forse una
“P”… » si decise a chiamare «Nami! »
La cartografa la raggiunse «Che c’è? »
«E’ arrivata una lettera, l’ hanno data a me… ma non c’è scritto né per chi è né chi la manda…»
«Magari da quello che c’è scritto si capisce…»
«Non credo avrai successo…» le
disse la bionda in un’alzata di spalle
«Perché? » poi si rese conto «Capisco…» un’enorme goccia
apparve sulla sua nuca «Sembra scritta da un ubriaco col Parkinson…
Rufy la scriverebbe cento volte meglio…» cercò di
capire qualcosa «Questa sembra una “P”…qui un “ho”… » sbuffò «Qua è necessario
l’aiuto di un’esperta: ROBIN! »
«Si può sapere chi diavolo ha scritto questa lettera?» chiese
l’archeologa alle ragazze accanto a lei, mentre si rigirava nelle mani quel
foglio pieno di lettere dalla forma orribile.
«Non lo sappiamo…» gli rispose Nami
in un’ alzata di spalle «Anzi, speravamo che tu avessi
potuto darci delle delucidazioni…»
La mora si riconcentrò sulle scritte «Beh, direi che la
calligrafia è assolutamente irriconoscibile, potrebbe trattarsi di chiunque…
magari anche di qualcuno che conosciamo che, però, ha scritto questo messaggio
in una situazione scomoda…»
Claire sorrise
«Molto scomoda direi…»
«Riesci a capire cosa dice? » chiese la rossa
«Vediamo…» avvicinò un pochino la carta al suo viso «Direi che la
lettera della prima riga è senz’altro una “P.”, poi continua con un “Ho
raggiunto il mio scopo, solo una cosa mi manca da fare” »
strizzò gli occhi per decifrare meglio «“Appuntamento fra due mesi sull’isola
di San Marten. Attenderò” »
«Wow… che mito!» la biondina non riuscì a trattenere lo
stupore «Noi non ci abbiamo capito quasi niente tu,
invece, hai decifrato tutto in quattro e quattr’otto! »
«Resta da capire solo chi l’ ha mandata, perché non c’è una firma vero? » chiese conferma la navigatrice.
«Esattamente, non c’è… però questo
P puntato potrebbe essere il destinatario» suggerì Robin.
«Nessuno di noi ha un nome che comincia per P… quindi
significa che questo qualcuno può aver usato una specie di nome in codice o
roba del genere» pensò Nami ad alta voce, mentre
un’idea le brillò nel cervello… ma era troppo folle,
non ebbe il coraggio di esternarla. Continuò «E se stesse per Paglia? Ossia per
Rufy? Magari potrebbe essere un messaggio di suo
fratello Ace, che lo può aver scritto così male per
ripetuti attacchi di narcolessia…»
Claire la bloccò
«Aspetta un momento, hai detto “Rufy” e “Paglia”? Io
sarei sulla nave di Cappello di Paglia?!? E voi
fareste parte della sua ciurma? »
«Ebbene sì…» le rispose la ragazza con un gran sorriso «Ma perché ti
stupisce così tanto? »
«Diciamo che ho sentito molto parlare di voi…»
«In bene o in male? »
«Beh… tanto in bene non direi però,
da quel che ho potuto vedere sino adesso, non credo che abbia sentito delle
cose veritiere…»
La mora ripiegò il foglio e lo rimise nella busta «Voci
messe in giro dalla Marina, immagino…» lo porse alla cartografa «Fallo vedere
a Rufy, quando torna, anche se, conoscendolo, dubito
molto che ci sarà di aiuto…»
«Già, non ci resta che scoprire se l’isola di San Marten è sulla nostra rotta oppure no… sarà meglio che vada
ad informarmi, vi dispiace se vi lascio sole? »
«Per me non c’è alcun problema…»
«Neanche per me…» rispose Claire
«Bene, allora vado» detto questo, Nami
sparì sottocoperta. Dopo poco ne uscì munita di uno zainetto e, risalutate le
due, scese dalla nave e, poco dopo, sparì fra la gente.
Il salvatore di Claire aveva
ripreso il suo viaggio, da solo. Ora era seduto su una nave passeggeri di
dubbia reputazione che era, tuttavia, l’unica barca con un biglietto dal prezzo
abbordabile e con pochi controlli sui passeggeri.
Si sedette in un luogo arieggiato ed in disparte, si scostò
il mantello dalle parti e allentò il nodo della lunga cravatta nera che gli
cingeva il collo. Faceva un gran caldo, anche se aveva addosso
vestiti leggeri: una sola camicia bianca a maniche corte gli copriva il
torace, due polsini di cuoio scuro fasciavano i polsi mentre le gambe erano
fasciate da un paio di pantaloni neri e leggeri. Ciò che lo faceva dannare
particolarmente era proprio il mantello pesante e scuro, ma non poteva
assolutamente toglierselo: non doveva farsi riconoscere.
Si mise una mano in tasca e ne prese una collana fatta di
grani grossi, come quelli di un rosario, in centro aveva una piccola pietra
azzurra a forma di lacrima. La rigirò fra le mani a lungo, anche se aveva
raggiunto ottimi risultati quella sarebbe stata la fine dei suoi problemi. Non
gli rimaneva che una cosa da fare e poi avrebbe potuto portarla a chi di
dovere, in questo modo avrebbe ripagato anche la “stregaccia” che lo aveva
aiutato. Sorrise, quanti coltelli volanti aveva dovuto schivare ogni volta che
la chiamava a quel modo, si può dire che gli faceva fare una gran ginnastica.
Si alzò e si rimise la collana in tasca, quella zona
cominciava ad affollarsi. Decise di ritirarsi nella sua cabina: di sicuro lì
non l’avrebbe disturbato nessuno.
«Cameriere, mi riempia queste di coca per piacere! » ordinò
il cyborg mentre si guardava il ciuffo di capelli
ormai ammosciato.
«Subito, signore…» gli rispose quello non riuscendo,
però, a trattenersi dal lanciargli una strana occhiata, d’altronde si era
appena tirato fuori tre bottiglie dalla pancia!
«Certo che mi fa ancora un certo effetto vedere queste
cose…» disse Tristan sorseggiando una
buona tazza di caffè «…soprattutto non riuscirò mai ad abituarmi alla sua
voracità! » aggiunse indicando Rufy che si
stava letteralmente strafogando con tutto quello che gli capitava a tiro.
«Lui devi soltanto ignorarlo…» gli suggerì Zoro mentre stava per
addentare un cornetto, ma la mano del capitano fu più veloce della bocca dello
spadaccino che si ritrovò a mordere l’aria «Brutta fogna schifosa, come hai
osato?! » si lanciò su di lui a mani tese verso il suo collo.
Il blu li guardò perplessi «Ma non aveva appena detto di
ignorarlo? »
«Tu lasciali perdere e mangia, prima che te lo rubino pure
a te» gli suggerì il cecchino mentre
cercava di mangiare più che poteva.
Chopper si alzò «Ragazzi, io vado… vedo di trovare qualcosa
per la ragazza»
«Vengo anch’io, così faccio pure la spesa per la dispensa…» lo
seguì il cuoco.
«Aaaaah, ora mi sento meglio» si
stirò Franky, mentre il suo ciuffo tornava normale.
«Guarda, guarda chi abbiamo qui…» disse
un uomo armato di un grosso spadone alle loro spalle, mentre altri circondavano
il loro tavolo «Se vi catturassimo, potremmo vivere di rendita per il resto della
vita»
«Cacciatori di taglie…» sibilò Zoro
guardandoli ad occhi stretti.
«Esattamente e ci prenderemo le vostre teste! »
Smoker si rigirava
incredulo, fra le mani, sei plichi di fogli, ognuno riportava un nome diverso.
Non riusciva a credere a ciò che aveva fatto, quelle che aveva di fronte erano
le copie di tutti i documenti relativi alle azioni che Sindel
aveva compiuto nei confronti della Flotta dei Sette. Inutile dire che non
avrebbero dovuto trovarsi nelle sue mani e che il modo in cui se le era procurate andava ben oltre il concetto di legalità e
rispetto delle regole… al diavolo tutto, non era “giustizia” quella che la
Marina e il Governo volevano fare, la loro era solamente “pulizia”.
Aprì il primo plico, scorse velocemente qualche riga e si
soffermò a guardare le foto di un uomo morto, il quale viso era contorto in
un’espressione di paura mista ad incredulità. Lo chiuse e passò al secondo: Orso Bartholomew, più
o meno le stesse cose.
Aspirò avidamente del fumo dai suoi sigari, mentre la
rabbia cominciava a ribollirgli nelle vene: quel ragazzo era un demonio
tremendamente forte e se c’era una cosa che odiava, era non sapere da dove
derivava tutta quella forza… da un frutto, certo… ma quale?
La sua foga venne interrotta
quando aprì i documenti relativi a Jinbe e ad Occhi
di Falco: solo immagini di enormi macchie di sangue e poche parole “Corpo non
ritrovato”. Si scoprì di ritrovarsi a sorridere di questo fatto, erano ancora vivi… ghigno che si allargò ulteriormente quando vide “Don Quijote Do Flamingo e Dragon,
scomparsi” . A quanto pare i cari pezzi grossi avevano sottovalutato la cosa.
In quel momento la serratura scattò, il sangue del
Cacciatore Bianco smise di scorrere.
«Che cosa stai facendo, Smoker? »
L’uomo guardò la donna appena entrata «Hina…»
Nami era sommersa
fra i libri polverosi di una biblioteca, alla ricerca di qualche informazione
sull’isola di San Marten, che il misterioso scrittore
aveva nominato nella sua lettera come possibile luogo d’incontro. Per ora, i
suoi sforzi non avevano dato risultati. Mentre le pagine si susseguivano veloci
sotto le sue mani, la sua mente tornò al destinatario della missiva “P.”e di nuovo quel pensiero, ma non
era possibile… o forse sì? Se così fosse stato, avrebbe dovuto fare due
chiacchiere con una persona in particolare… si bloccò a mani aperte sopra ad un
grosso titolo “San Marten”: era sulla loro rotta,
avrebbero potuto raggiungerla… ma, allora, chi aveva
scritto la lettera doveva sapere quale campo magnetico stava seguendo la loro
nave. “Fra due mesi”, sì, ma quali? Chissà quando diavolo era stato spedito
quel messaggio… e se fossero già passati quei due mesi? Quanto diavolo avrebbe
aspettato quel maledetto mittente da strapazzo? Ma non poteva pensare che
sarebbero diventati matti a cercare di capire chi diavolo era? «E magari
mettere una data più precisa di “Fra due mesi”?!? Che
cavolo vuol dire “Fra due mesi”?!? Di quali
stramaledettissimi mesi sta parlando?!? »
Si bloccò, la gente attorno a lei la stava guardando a dir
poco in cagnesco: i suoi pensieri si erano, infatti, presto trasformati in
parole, le parole in urli e gli urli in isteria pura. Cominciò a sudare freddo
e a sorridere imbarazzata «Credo… che il mio tempo qui… sia finito!
Arrivederci! » scappò.
«Tutto qui? » chiese Zoro sbuffando, lanciando
l’ultimo cacciatore di taglie dietro al bancone frantumando una ventina di
bottiglie di liquore.
«E questi volevano arricchirsi con le nostre teste? »
continuò Sanji ridendo.
Il rumore di un fucile che veniva
caricato li raggiunse dalle loro spalle: sette colpi sfiorarono i loro nasi.
«Ma che diav…?» fece Usop tremante.
«Come avete osato ridurre il mio locale in questo modo? »
ringhiò il padrone del bar, un omone alto più di due metri, mentre ricaricava
nuovamente il fucile e cominciava a farsi largo fra tavoli divelti e cocci di
vetro e sedie spezzate «Ora mi ripagherete tutto quanto! »
«E come accidenti facciamo? » chiese Chopper ai suoi amici
disperato.
«Scappiamo? » suggerì diplomaticamente il capitano.
«Se pensate di scappare vi sbagliate di grosso! »
continuò quello in tono sempre più minaccioso.
«Ma non possiamo sistemarlo come abbiamo fatto con gli
altri? » chiese Tristan guardando i suoi
compagni.
«No…» gli rispose Franky cercando
delle possibili vie di fuga «Non sarebbe giusto, questa volta siamo noi nel
torto…»
«Capisco…» disse il blu «…allora lasciate fare a me»
«Che intenzioni hai? »
«Voi dirigetevi verso l’uscita più veloci
che potete e mi raccomando, qualsiasi cosa succeda: non guardatemi! »
«Perché? » chiese ingenuamente Rufy, come sempre,
con aria da tonto.
Zoro gli mollò un
pugno sulla testa e lo prese per il bavero della camicia tirandoselo dietro,
cominciando a correre «Tu non guardarlo e basta! »
Anche gli altri li seguirono a gambe levate.
«Dove avete intenzione di andare? Dovete ripagarmi il
locale! » sbraitò l’uomo sempre più furioso.
Tristan lo guardò
negli occhi, dal basso verso l’alto, con un ghignetto
soddisfatto «Ci dispiace, ma non possiamo proprio ripagarle il locale,
altrimenti chi la sente la nostra navigatrice? »
«Non so a cosa ti riferisci, ma nessuna scusa potrà
salvarvi dal vostro dovere! » puntò il fucile su di lui e prese la mira. Il sorriso sul
volto del ragazzo, che aveva di fronte, lo sconcertò
non poco e quella fu anche l’ultima cosa che vide, perché mentre stava per
premere il grilletto venne investito da una luce accecante e fu costretto a
chiudere gli occhi e quando, finalmente, riuscì ad aprirli di nuovo, dei sette
che gli avevano distrutto il locale, non vi era rimasta nemmeno l’ombra.
La nave aveva ripreso il largo e a bordo, ora, c’era una
persona in più. Finalmente, o almeno così continuava a ripetere Sanji fino alla
nausea, le donne della ciurma erano tre, anche se a dir la verità non era
ancora stato deciso nulla di preciso riguardo al possibile “arruolamento” di
Claire.
Naturalmente l’aver mostrato al resto della ciurmaglia
quella “Maledetta lettera”, come l’aveva ufficialmente nominata Nami, non aveva
dato alcun risultato, anzi, se ne sapeva meno di prima.
«Allora, come va oggi?» chiese Chopper avvicinandosi alla
biondina che era a prendere un po’ di sole sul ponte.
Quella sorrise «Molto meglio, grazie… anche se continuano a
farmi male»
«Beh, è normale: le costole rotte ci mettono un po’ a
tornare al loro posto, ma vedrai che pian piano ti rimetterai in sesto»
«Claire, puoi venire un momento?» la chiamò la rossa dalla
porta che dava sulle scale per andare in sottocoperta.
«Arrivo…» le rispose l’altra, mentre cercava di alzarsi.
«Aspetta, ti aiuto…» si offrì Sanji, con fare elegante,
tendendole una mano.
Lei lo guardò con uno strano sorriso sulle labbra «Sei
gentile, grazie…» raggiunse la navigatrice.
Il cuoco la guardò allontanarsi e tirò un paio di boccate
dalla sua sigaretta: quella ragazza era così strana, una prostituta… ma non era
possibile, era così candida: aveva sentito il suo profumo, toccato la sua
pelle, assaporato le sue labbra. Erano quei suoi profondi occhi neri a
nascondere chissà quali segreti… perché, ne era certo, lei ne aveva tanti e
tutti oscuri come le sue iridi. Quanti uomini avevano toccato quel corpo? Non
poteva saperlo, non voleva saperlo… si voltò di scatto, sotto lo sguardo
allibito del giovane medico, e se ne tornò in cucina.
Tristan sbuffò, erano già passati molti giorni dall’inizio
della sua missione ma l’obiettivo prefissato era ancora più che mai lontano. Aveva
bisogno di nuove informazioni, cosa che, in mare aperto, non poteva di certo
reperire. Avrebbe dovuto aspettare il loro prossimo sbarco. Un frastuono
assordante lo distolse dai suoi pensieri, da affacciato verso il mare qual era,
si girò a guardare quello che stava accadendo sul ponte: il capitano e il
cecchino avevano iniziato una lotta all’ultimo sangue per l’unico salatino
rimasto, battaglia che non vide nessuno dei due vincitore, in quanto il tanto
agoniato cibo finì dritto dritto nello stomaco dello spadaccino, lasciando
entrambi i contendenti a bocca aperta e vuota. Il blu non riuscì a trattenere
una risata, quelle persone erano fantastiche, non poteva negarlo: si stava
affezionando senza ombra di dubbio, ma il suo obiettivo era comunque un altro e
veniva prima di tutto, anche di loro.
«Eccomi…» Claire raggiunse la neo- compagna «Che c’è? »
La cartografa le fece segno di aspettare un attimo con una
mano mentre, con l’altra, arpionò il braccio dell’archeologa che usciva proprio
in quel momento «Aspetta, ti devo dare una cosa…»
Robin inarcò un sopracciglio «Che cosa? »
Nami le lasciò cadere sulle mani un grosso libro «Tieni,
divertiti…» le disse con un sorriso.
«Che è? » le chiese l’altra sempre più confusa.
«Su questo libro ci sono molte informazioni su San Marten,
l’ ho preso sull’isola scorsa…»
La mora la guardò con una faccia strana «Rubato, vorrai
dire…»
La rossa le diede una pacca sulla spalla «Questi sono solo
inutili dettagli… quello che importa è che tu riesca a trovarci qualcosa di
interessante, io l’ ho solo scorso velocemente…»
La donna sbuffò «D’accordo, guarderò quello che posso
fare…»
«Ora veniamo a noi…» portò il suo sguardo sulla bionda
« …seguimi! »
Quella annuì «Va bene…»
Robin si sedette su di una sdraio, appoggiò il libro sulle
proprio gambe e tirò un grosso respiro, non ne aveva proprio voglia al momento,
ma prima o poi avrebbe dovuto farlo: lo aprì. Scorse velocemente le pagine
inutili, finché non trovò quello che stava cercando e s’immerse nella lettura: San
Marten, isola estiva prevalentemente soleggiata, ma mai eccezionalmente calda…
“ Come se ci fosse un perenne Settembre” pensò la donna tra
sé.
Economia basata esclusivamente sulla produzione di vino, di
tutte le qualità, così rinomato da essere conosciuto ed esportato in tutta la
Grand Line. Cittadine poche e rare, territorio composto nella maggioranza da
vigneti, terrazzamenti e muretti a secco che, spesso, arrivano sino in città…
Una foto attirò la sua attenzione, il suo cervello smise di
ragionare per qualche secondo… non era possibile… finalmente!
«Accomodati pure…» fu l’invito che Nami offrì alla bionda
affinché entrasse nella sua camera «Era un po’ che volevo dirti una cosetta…»
Claire si sedette su di una sedia «Sarebbe? »
La rossa le passò un paio di borse «Ora…» mise le mani
avanti « …non voglio che tu la prenda come un’offesa, ma…»
L’altra diede un’occhiata al loro contenuto, c’erano dei
vestiti nuovi «E questi? »
«Sono tuoi, te li ho presi sull’isola dove ci siamo
incontrate»
«Perché? » guardò ciò che aveva addosso, ossia il suo
solito abbigliamento «Cos’ ho che non va? » le chiese candidamente.
«Come dire…» cercò le parole la navigatrice, mentre il suo
sguardo si soffermò sulle vistose calze a rete che fasciavano le gambe messe in
mostra dagli enormi spacchi della gonna «…sono abiti un po’ troppo provocanti»
La biondina trattenne una risata e piegando lo sguardo di
lato squadrò la ragazza che aveva di fronte da capo a piedi: jeans chiari
aderentissimi e dalla vita vistosamente bassa e una canottiera corta con
un’abbondante scollatura, poi pensò a quello che indossava la mora quando
l’aveva vista poco prima « Non mi sembra che tu e Robin inneggiate alla castità
più pura…»
Quella rise «Lo so, infatti non ti sto chiedendo di andare
in giro con un saio o robe orride del genere, ti chiedo solo di cercare di
essere un po’ meno appariscente…»
«Ok, come vuoi tu… in fin dei conti io sono solo un’ospite
qui… e poi hai buon gusto» sorrise.
«Modestamente…»
«Comunque…» aggiunse poi « …non credo proprio che Zoro si
sarebbe mai interessato ad una come me…»
Nami perse un paio di battiti «Che cosa c’entra scusa? »
«E’ chiaro come il sole che questo consiglio non è
disinteressato, anzi, è stato proprio l’interesse per qualcuno che è su questa
nave a convincerti a darmelo…»
La rossa era palesemente imbarazzata «M… ma…»
«Il nome dici? Ti ho semplicemente guardato, c’è solo una
persona che tratti in modo diverso dagli altri… ed è lui…»
«Ciò, comunque, non ti autorizza a prenderti gioco degli
altri miei compagni, sia chiaro…»
Le sorrise amaramente «Lo so…» era ancora diffidente nei
suoi riguardi.
«Tornando al discorso di prima… solo in questa misera
settimana ti saresti resa conto di tutto questo? » le chiese incredula.
Claire sospirò «Se qualcuno desidera qualcosa che non può
avere, quel qualcosa sarà proprio la prima cosa che gli salterà all’occhio
quando avrà davanti a sé qualcuno che la possiederà…»
«Che cosa intendi dire? »
«Che tu hai qualcosa che io non posso avere… ora, scusami…
vado in camera a cambiarmi»
La navigatrice non riuscì a fermarla.
Zoro si allenava insistentemente da ore, ormai nemmeno lui
avrebbe più saputo dire quando aveva cominciato. Sbuffò prepotentemente per,
poi, tirare un grande sospiro “Al diavolo…” posò i suoi enormi pesi e si
sedette, aveva una gran sete e una gran fame… solo allora si accorse che era
calata la notte e che sul ponte della nave era rimasto solo. Rabbrividì per una
folata di vento improvvisa che gli gelò il sudore sulla larga schiena: doveva
assolutamente farsi una doccia.
Scese le scale cercando di fare meno rumore possibile ed
entrò nel bagno, si liberò dei pochi indumenti che aveva addosso ed entrò nel
box doccia.
Aprì il rubinetto dell’acqua e lasciò che il liquido
tiepido rinvigorisse il fisico provato. Dopo alcuni minuti decise che era
giunta l’ora di iniziare ad insaponarsi, cercò il sapone e iniziò l’opera. Il
suo corpo era notevolmente cambiato da quando aveva iniziato il suo viaggio con
Rufy: prima era, sì, muscoloso ma un pochino più smilzo. Ora, invece, aveva un
fisico possente e una forza strepitosa, si guardò la cicatrice che gli
ricopriva tutto il petto: sarebbe stato in grado di battere Mihawk? E fu
proprio quel pensiero che gli fece tornare alla mente la solenne promessa fatta
a Kuina, la sua amica morta, un giuramento così forte, per il quale avrebbe
anche dato la vita.
“
E non t’importa di morire per questo?
No, ci sono solo due possibilità per riuscire a diventare
lo spadaccino più forte del mondo: una è vivere, cioè vincere e l’altra è
morire, cioè perdere. Se dovessi cadere prima di tornare di fronte a Mihawk,
significherebbe che non sarei stato degno, nemmeno, di aspirare a tale titolo.
… Sì, ma io che farò?
”
Lacrime e sangue, perché non capiva? Come poteva chiedergli
di scegliere fra lei e il suo sogno? Era una situazione così assurda, colpì il
muro con un pugno… perché doveva essere andata così? Ormai non si parlavano
praticamente più: gli mancavano i loro battibecchi furiosi, il loro continuare
a prendersi in giro, gli mancava l’attenzione che gli rivolgeva, le infinite
gare di bevute, il suo profumo che sapeva di agrumi… ma la cosa che più di
tutti gli mancava, era lo stringere il suo corpo fra le braccia e assaporare la
dolcezza delle sue labbra. Perché non si sforzava di capirlo?
Lasciò scorrere ancora un po’ d’acqua, poi chiuse il
rubinetto e uscì dalla doccia. Si asciugò per bene e si vestì con abiti puliti,
uguali ai precedenti, ma pur sempre puliti. Era stanco, ma lo stomaco reclamava
di essere riempito, così decise di recarsi in cucina.
Dopo essersi scolato mezza bottiglia di ottimo rum, lo
spadaccino si ritrovò a tirare dietro al cuoco quante più maledizioni
possibili: un enorme lucchetto, infatti, teneva chiuso ermeticamente il
frigorifero. Pensò: frantumarlo con le spade sarebbe stato un gioco da ragazzi…
tuttavia era come aver già confessato in partenza, dato che era l’unico ad
usarle su quella nave. Non riuscì a formulare altre ipotesi che la porta si
aprì e appena i suoi occhi si posarono sulla figura appena entrata, il suo
corpo si bloccò per un attimo.
Anche Nami fu sorpresa di ritrovarsi Zoro di fronte, ma era
sicuramente più brava di lui a recitare « Coma mai ancora in piedi?»
Quello parve scuotersi «Potrei farti la stessa domanda…» le
rispose freddo.
Quel tono di voce la ferì profondamente, ma cercò di non
darlo a vedere «Avevo sete e sono venuta a prendere dell’acqua…» recuperò un
bicchiere e lo riempì, poi gli si avvicinò. Lui si ritrasse d’istinto, la rossa
si sforzò di concentrarsi sul frigorifero, si mise la mano libera in tasca e ne
estrasse una chiave: il lucchetto si aprì «Mi raccomando, ricordati di
chiuderlo quando hai finito» se ne andò.
Zoro la guardò allontanarsi e finalmente comprese, forse
non era solo lei a dover capire.
I giorni si susseguirono veloci senza avvenimenti di
particolare rilievo, tutto procedeva nella norma: Chopper continuava ad
occuparsi di Claire, aiutato con dedizione da Sanji; Usop smanecchiava con i
suoi mille aggeggi; Zoro si allenava; Rufy o bivaccava o infastidiva gli altri
e Franky aiutava Nami nella navigazione, il tempo si era stabilizzato, di lì a
pochi giorni, avrebbero avvistato la nuova isola.
Erano Tristan e Robin ad essere strani: nessuno dei due,
infatti, era particolarmente di buon umore ed entrambi preferivano, di gran
lunga, starsene da soli che in compagnia.
L’ancora venne gettata, dopo due settimane di viaggio, la
ciurma poté toccare nuovamente terra.
Il cyborg squadrò l’abbondante vegetazione che aveva di
fronte, sembrava non esserci anima viva… a parte una vasta gamma di belve
feroci, ovviamente « E’ una giungla…»
Le semplici parole del carpentiere ottennero delle reazioni
diverse dai suoi compagni: Robin, Zoro e Tristan non sembravano minimamente
toccati dalla notizia; Usop, Chopper e Nami era letteralmente terrorizzati;
Sanji si offrì platealmente di aiutare le sue tre adorate in qualsiasi caso di
pericolo; Claire sembrava molto divertita dalla situazione così come Franky e
Rufy, inutile dirlo, era fuori di sé dalla gioia.
Convinti i contrari, il gruppetto si addentrò fra gli
alberi e gli arbusti.
«Fantastico, questo posto è davvero grandioso! » andava
ripetendo il capitano con gli occhi che brillavano come due stelle.
«Ti prego, Sanji, proteggimi! » piagnucolò il nasone in
direzione del cuoco che aveva lì accanto, mentre ad ogni rumore sospetto le sue
ossa tremavano più di una baracca in preda ad una scossa fortissima di
terremoto.
«Io proteggo solamente le mie dolci dee discese
dall’Olimpo…» continuava a ripetergli quello irritato.
«Idiota…» lo rimbeccò a denti stretti lo spadaccino.
«Prova a ripetere se hai il coraggio! »
«Hai capito benissimo…»
«Io ti disintegro! »
Iniziarono a pestarsi alla grossa. Purtroppo nessuno dei
loro compagni riuscì a fermarli prima che uno dei due - e per sua fortuna non
riuscirono a capire chi - mettesse un piede su di un filo ben teso facendo
scattare inesorabilmente una trappola.
Lance vennero sparate da tutte le parti, minacciando di
ridurre i ragazzi a dei colabrodo. Grazie ai riflessi pronti, nessuno si
ritrovò con una nuova presa d’aria indesiderata. Ma era ancora presto per
rilassarsi.
«Che succede adesso? » chiese ingenuamente Chopper mentre
riprendeva fiato.
Enormi massi rotondi cominciarono ad avvicinarsi
pericolosamente al gruppo ad una velocità pazzesca.
«E questi che cavolo sono? » urlò in preda ad una crisi
isterica Nami
«Direi che sono sassolini mortalmente grossi…» le spiegò
con tutta tranquillità l’archeologa.
Non ci fu tempo per dire altro, ognuno balzò in una
direzione diversa: si divisero.
«Finalmente…» disse Sindel posando lo sguardo sulla figura,
che gli si era improvvisamente presentata di fronte, dall’alto del grosso
tronco abbattuto sul quale era seduto «Sono parecchi giorni che aspetto…»
«Lo so, ma ora sono qui… e con me è arrivata pure la
ciurma»
Il moro sorrise «Perfetto, allora possiamo passare alla seconda
parte del piano… ci sei? »
«Certo…»
«Allora stringi i denti, perché dovrò farti del male…»
«Sorellona…
ti voglio bene…» ringraziò Nami con le lacrime agli occhi, sorretta a mezz’aria
per la maglietta da una delle tante braccia fatte apparire da Robin, mentre la
punta affilata di un grosso palo di legno le solleticava leggermente la pancia
«Ora, non per essere scocciante, ma ti dispiacerebbe tirarmi su? »
«Ci sto
lavorando…» le fece presente la mora, anche lei sospesa per aria ma un po’ più
in alto dell’altra.
Le due,
infatti, per scappare dai massi rotolanti erano scattate nella solita
direzione, ma la loro fuga precipitosa aveva fatto sì che facessero scattare
un’ennesima trappola: un enorme scivolo si era misteriosamente creato sotto ai
loro piedi, facendole cadere inesorabilmente, finché non vennero sbalzate in
aria e scaraventate giù da un dirupo che terminava, appunto, con un pavimento
che, forse, anche un fachiro avrebbe giudicato come “eccessivo”.
Fortunatamente,
l’archeologa era riuscita ad usufruire del suo potere in tempo e ora le sue
braccia erano lì a sorreggere lei e la navigatrice, mentre una delle sue mani
si teneva ben salda ad una grossa radice che fuoriusciva dal terreno “Speriamo
che tenga” guardò in basso verso l’amica «Come va li giù? »
«Oh,
benissimo…» le rispose quella sarcastica «…avessi una penna mi metterei a fare
le parole crociate»
Robin
sorrise mentre lo sguardo cercava altri appigli sicuri «Dimmelo se non te ne
viene qualcuna, magari ti posso aiutare…»
«Spiritosa!
»
«Dai,
su… non ti disperare: ora ci ritiro su» finalmente aveva trovato il modo per
uscire da quella situazione.
La
rossa tirò un sospiro di sollievo quando vide allontanarsi sempre più quei
“simpatici” spuntoni con i quali, ormai, aveva fatto conoscenza. Una volta
appurata la presenza della terra sotto ai suoi piedi, abbracciò commossa
l’amica «Farò erigere una stata in onore tuo e dei tuoi poteri! »
Ma
l’altra, fra un respiro e l’altro per la stanchezza, non sembrava essere
affatto tranquilla «Io aspetterei a darci per salve…»
«Perché?
» le chiese ingenuamente la cartografa
«Guarda
tu stessa…»
La
ragazza si girò nella direzione indicata dalla cow-girl «E questi che diavolo
vogliono? »
«Ehi,
fratello dal naso lungo, tutto bene? » chiese preoccupato Franky, guardando
perplesso l’amico cecchino che si era letteralmente spiaccicato contro ad un
grosso albero in una posizione contorta « C… certo…» gli rispose quello,
mentre cercava di riprendersi «Ci vuole ben altro per mettere a tappeto il
grande Capitan Usop! »
«Se,
come no…» il cyborg si guardò attorno «Abbiamo perso gli altri…»
«Allora
andiamo a cercarli, coraggio…» disse il pinocchio convinto più che mai: peccato
che tutta la determinazione che la metà superiore del suo corpo mostrava,
veniva brutalmente smentita dal forte tremore che rendeva schiave le sue gambe
«Però stammi vicino che ho paura…» concluse, poi,aggrappandosi ad un grosso braccio dell’amico.
Un
fruscio fra le frasche li fece bloccare, Franky fece cenno all’altro di tacere
e iniziò a scrutare in ogni direzione, pronto a scattare ad ogni evenienza.
Altri
rumori, poi un tonfo sordo accompagnato da un urlo trattenuto a stento.
«Chi è
là? » intimò teso il carpentiere.
Usop
sgranò gli occhi «E’ Tristan! » si lanciò di corsa verso di lui «Ehi, amico,
che ti è successo? »
Ma
quello non gli rispose, dalla sua bocca uscivano solo lamenti: fu allora che il
cannoniere si rese conto «Oddio, ma come hai fatto? »
«L… le
tra- trappole…» il ragazzo aveva, infatti, una grossa lancia impiantata in
profondità in una coscia «L… la ga… gamba…»
«Lo so,
l’ ho vista la tua gamba…» lo rassicurò il compagno «Ora ti riporteremo alla
nave, sperando che Chopper torni al più presto»
«Avanti,
ti aiuto…» si offrì il cyborg
«Vi
prego… toglietemela! » li implorò il blu.
«Non
possiamo, rischieremo di fare danni ulteriori… quindi stringi i denti e
resisti, fra poco saremo alla nave»
Un
ruggito pieno di rabbia arrivò alle morbide e piccole orecchie di Chopper,
appena ripresosi per la gran botta ricevuta, infondendogli un gran timore in
corpo «Rufy, Rufy… svegliati!» chiamò a gran voce cercando di svegliare il
capitano ancora disteso a terra, ma non ottenne risultato.
Gli si
avvicinò e gli diede due colpetti sulla faccia, mentre ringhi sommessi
rimbombavano fra le foglie «Ti prego, riprenditi! Ho paura! »
Il
ragazzo di gomma, però, non ne voleva proprio sapere, anzi, si girò dall’altra
parte mentre la sua bocca pronunciava qualcosa come «Uhm… ciambelle… calde, con
glassa…»
Il
medico spalancò la bocca «Ma allora sta dormendo!» iniziò a strattonarlo
per la maglietta «Rufy, come puoi dormire in un momento del genere?!? »
Finalmente
il moretto si degnò e, con il suo solito sorriso da ebete, chiese «Ehi,
Chopper, com’è? Già mattina? Quando porta la colazione Sanji? »
«Ma che
colazione e colazione!!! » sbottò la renna, ormai in preda ad una crisi di
nervi «Siamo nel bel mezzo di una giungla! »
Quello
si sistemò il cappello sulla testa e si alzò «Ah, sì… ora ricordo, dove sono
gli altri? »
«Non lo
so, ci siamo divisi nel trambusto»
«Capisco,
si sono persi…»
L’altro
lo guardò allibito «Veramente, anche noi ci siamo persi…»
«Io non
mi sono affatto perso…» gli rispose in tutta tranquillità «So
perfettamente dove sto andando…» si avviò.
Chopper
scosse la testa sconsolato e lo seguì, mentre si addentrava in un folto
cespuglio, dimenticandosi di informare il capitano dei versi tipici di
predatore che fino a poco prima lo avevano tanto spaventato.
«Cuoco
deviato della malora, leva immediatamente le tue chiappe dalla mia faccia! »
urlò sull’orlo di una crisi di vomito lo spadaccino rivolto al biondo che,
durante una caduta, gli era piombato malamente addosso.
«Pensi
che io mi stia divertendo? Secondo te non ho altra ambizione nella vita che
stare addosso a te? E’ tutta colpa di questa maledette liane ingarbugliate!
Almeno ci fosse Robin, o Nami, o Claire al tuo posto! » gli rispose l’altro
mentre cercava di liberarsi.
Zoro
andò su tutte le furie «Possibile che fai i tuoi pensieri da depravato anche in
un momento del genere? Liberaci! »
«Se la
piantassi di muoverti come un ossesso! »
«Ahia,
mi hai bruciato con la sigaretta! »
«Ben ti
sta! »
«Adesso
ti taglio a listarelle sottili! » con uno scatto d’ira improvviso riuscì ad
afferrare le spade: le liane andarono in frantumi.
Sanji
si alzò e si spolverò gli abiti «E ci voleva tanto…»
L’altro
sbuffò aria dalle narici come un toro furibondo «Io ti devasto! »
«Non
hai che da provarci! »
Inutile
dire che tutte le lezioni precedenti non gli erano bastate e, come al solito,
iniziarono a darsele di santa ragione. Fra spintoni, calci, pugni ed insulti
finirono nuovamente a terra e cominciarono a rotolare giù per una discreta
pendenza.
«No,
non di nuovooooooooooooooooo! » urlò Zoro in preda alla disperazione
«Qui ci
deve essere qualcuno che ce l’ ha con noiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! »
suggerì il biondo in fase di superamento.
Due bei
tonfi segnarono il loro arrivo: l’uno si ritrovò abbracciato ad un tronco cavo
che ingombrava il passaggio e l’altro finì dritto dritto con la schiena contro
ad un albero a gambe all’aria.
«Dolore…»
« Se
non altro ci siamo fermati…»
Lo
spadaccino si rialzò «Propongo una tregua, altrimenti non usciremo mai vivi di
qui…»
«Mi sta
bene… chissà dove diavolo siamo finiti»
Si
guardarono attorno: solo alberi, foglie, arbusti… praticamente impossibile
orientarsi: non che Zoro avrebbe potuto farlo anche in condizioni favorevoli,
ma Sanji non era poi così messo male.
«E’
inutile stare fermi qui, conviene muoverci…» suggerì lo spadaccino
«E da
che parte andiamo? »
«A caso,
mi pare ovvio…» estrasse la Sandai Kitetsu «…segnerò gli alberi con questa,
così nel caso ripassassimo nello stesso posto, potremmo facilmente
riconoscerlo»
«Idea
brillante! » si complimentò il cuoco «Chi te l’ ha suggerita? Non può essere
frutto della tua mente e basta…»
L’altro
ringhiò «Ricominci? » poi si bloccò di colpo, rinfoderò la spada e iniziò a
correre «Quella è Claire! »
«Che
cosa? » gli chiese Sanji incredulo, senza aspettare risposta lo seguì «Oddio,
cosa le è successo? »
La
ragazza era a terra, svenuta e piena di graffi e tagli di ogni genere,
fortunatamente non sembravano essere molto profondi, almeno non tutti.
Il
biondo strinse convulsamente i pugni «Se becco chi è stato a farle questo lo
frantumo! »
«Dubito
sia stato qualcuno, più che altro saranno state le trappole…»
«Allora
frantumerò chi le ha messe! »
Troppo
adirato uno e troppo impegnato ad ascoltarlo l’altro, non si accorsero delle
strane figure che si avvicinavano a loro furtive. Si resero conto della loro
presenza solo quando sentirono due forti e secchi colpi alla nuca: troppo
tardi, scivolarono nell’incoscienza.
«Rufy e
Chopper van per la foresta ed ognun con l’altro ride e scherza come vuol…»
canticchiava allegro il capitano «Coraggio amico, canta anche tu! »
«Non mi
pare il caso… potremmo attirare qualche strano animale» gli suggerì la giovane
renna sconsolata.
«Ma va,
se questa giungla è deserta! »
Proprio
in quel momento un furioso ruggito aggredì i loro timpani, lo stesso verso che
aveva tanto spaventato il medico poco prima.
«Oh,
no… di nuovo! » piagnucolò Chopper disperato.
«Veniva
di là! Andiamo! » esultò Rufy felice.
«No! Ma
come? » non riuscì a fermarlo e nel seguirlo si ritrovò in un piccolo spiazzo,
sgranò gli occhi «Povera bestia! »
Il
capitano strinse i denti alterato «Chi gli ha fatto questo? »
Quella
che avevano di fronte era una pantera nera e il motivo di tutta la sua rabbia
era uno solo: una grossa tagliola che lacerava con prepotenza la carne della
zampa posteriore sinistra e che le impediva di muoversi.
«Dobbiamo
liberarla! » affermò deciso il ragazzo di gomma avvicinandosi all’animale.
Quella fissò le sue pupille su di lui e, mostrando, due file di zanne affilate,
gli ruggì contro con odio.
Il
moretto si bloccò «Che ha detto? » chiese all’amico.
«Di non
avvicinarti o te ne pentirai…»
«E come
può farlo? Si è vista come è ridotta? » continuò ad avvicinarglisi mentre
quella continuava a mostrargli i denti e a ringhiare con foga.
«Ti
dice di andare via…» continuò a tradurre Chopper.
Rufy
gli fece cenno di tacere e si avvicinò ancora «Non mi interessa se non vuoi, io
ti aiuterò! » mosse un passo più deciso e fu allora che le fauci della pantera
scattarono: il giovane medico chiuse gli occhi per non guardare ma il ragazzo
di gomma non si scompose, mosse con velocità una gamba e andò a piantare il
piede nel collo dell’animale. Mentre la spingeva con forza a terra, sentì i
suoi artigli perforargli il polpaccio, non vi badò, si concentrò solamente
sulla tagliola e allungando le braccia verso di essa, con un colpo secco, la
aprì.
La
bestia emise un ruggito di puro dolore, ritrasse gli artigli dalla gamba del
capitano e si guardò la zampa posteriore incredula.
«Sei
libera…» le disse quel ragazzo che aveva di fronte, con un largo sorriso sulle
labbra. Perché l’aveva liberata? Cosa voleva da lei? Non poteva fidarsi di lui,
cercò di alzarsi ma la ferita era troppo profonda, la carne era lacerata e il
sangue perso era molto: caracollò a terra, esausta… chiuse gli occhi, si
assopì.
«Chopper,
devi curarla! »
«Non
posso, non ho gli strumenti con me…»
«Allora
la porteremo alla nave…» senza pensarci due volte, si caricò il corpo
dell’animale in spalla «Coraggio, se usi il tuo fiuto arriveremo certamente
prima»
Claire
riaprì gli occhi: era sdraiata su un giaciglio di paglia, non c’era molta luce,
doveva trovarsi dentro ad una capanna. Notò che le ferite che aveva addosso le
erano state curate con uno strano intruglio piacevolmente fresco, la cosa che
però non le piacque affatto era l’essere legata per i polsi con delle corde
rudimentali «Dove diavolo mi trovo? »
«In una
situazione complicata…» le rispose la rossa poco distante lei, legata ad una
parete
«Nami,
Robin… cosa ci fate anche voi qui? » chiese incredula
«Ci
hanno catturate…» le spiegò l’archeologa, seduta a terra e palesemente stanca.
La
biondina la guardò preoccupata «Che hai? »
«Agalmatolite…»
le mostrò i polsi legati con uno strano materiale
«Capisco…
cosa vogliono da noi? »
«Tu li
hai visti quando ti hanno presa? » le chiese la cartografa
«No,
non sono riuscita ad evitare una trappola e, nella fuga, sono caduta e ho perso
i sensi, mi sono ripresa qui…»
«Non
c’è una donna in questo villaggio… sono tutti uomini» le fece presente la mora
«E
allora? » chiese ingenuamente.
Nami
rise «Proprio tu non ci arrivi, Claire? »
Anche
l’altra si unì alla risata «Per una volta che non ci pensavo…» incredibile, una
domanda ironica: stava scherzando con lei, che avessero cominciato a fidarsi?
Si sentiva stranamente bene, decise di stare al gioco «Comunque se è per
quello, non sarà un problema per me…»
E dato
che non c’è due senza tre, anche l’ultima rise «Saresti disposta a dargli dei
figli? »
«Figli?
» le disse quella perdendo di colpo il sorriso «Non c’è pericolo, sono ancora
troppo giovane! » concluse fingendosi indignata.
Robin
la guardò ancora, mentre la bionda aveva ripreso a sghignazzare con Nami:
ridere come se nulla fosse in una situazione di pericolo, scherzare con spirito
sul pesante fardello che si portava appresso… sì, non c’erano dubbi, Claire era
fatta della loro stessa pasta «Ragazze…» le interruppe « …dato che nessuna di
noi vuole prestarsi per mandare avanti la progenie di questo villaggio, che ne
dite, ce ne andiamo? »
«E come
pensi di fare? Siamo tutte tre legate e tu non puoi usufruire dei tuoi poteri…»
le fece notare la navigatrice.
«Beh,
sinceramente non so quanto tempo abbiamo a disposizione… ma finché non vengono
a prenderci è tutto per noi…»
«Ci
stai suggerendo di preparare un piano? »
«Esattamente!
»
TO BE CONTINUED…
Anche se con un po’ di ritardo, auguro un buon anno a
tutti ^^
P.S Naturalmente il "Rufy e Chopper van per la foresta ed ognun con l'altro ride e scherza come vuol" è un omaggio al mitico Robin Hood della Disney, che avevo da poco rivisto con il mio cuginetto. ^^
«Ma
perché accidenti te la prendi con me? E’ stata Claire ad usare la pistola! »
urlò la rossa isterica.
«Mi
dispiace… ma cos’altro potevo fare? » le rispose a tono la biondina fra un
respiro e l’altro per l’affanno «Non è di certo colpa mia se quelle specie di
manette di Robin non si volevano rompere! »
«Non
era, comunque, necessario sparargli! »
«E va
beh, intanto non la stringono più come prima e anche se non può usare i suoi
poteri, può almeno scappare»
«Cercate
di risparmiare il fiato…» le riprese la mora «…quel che è fatto è fatto,
piuttosto state attente a dove mettete i piedi! »
«Giusto,
perché questa non è una giungla come tutte le altre, NO! E’ piena di trappole
pronte a scattare! » continuò la navigatrice imperterrita «Ma non dovevamo
avere un piano?!? »
Ben
detto, il piano! Appena decisa la progettazione non riuscirono a pronunciare
nemmeno un “allora” che uno degli uomini del villaggio entrò nella loro tenda.
Tutte e tre tremarono al solo pensiero che quello poteva essere lì per dare il
via a ciò cui erano destinate. Quello, dal canto suo, spostava i suoi grossi
occhi castani prima su una e poi sull’altra senza però fare nulla. D’un tratto
a Claire venne un colpo di genio: aveva le gambe libere. Bastarono pochi
movimenti sinuosi per catturare completamente l’attenzione dell’uomo sotto lo
sguardo allibito delle sue compagne, espressione che si rilassò non appena la
bionda mollò una secca ginocchiata nelle parti basse del povero malcapitato
quando fu abbastanza vicino. Fortunatamente, come ogni indigeno che si
rispetti, non poteva non essere armato di lancia: sfregando le corde che le
tenevano legate i polsi contro la lama, Claire si liberò in pochi istanti. Un
attimo dopo anche Nami venne liberata, ma l’agalmatolite che teneva prigioniera
l’archeologa non ne voleva proprio sapere di lacerarsi, in più fuori dalla loro
capanna cominciava ad esserci movimento, probabilmente gli altri iniziavano a
preoccuparsi per il fatto che il loro compagno non fosse ancora uscito da lì.
Non
potevano scappare, Robin non riusciva a stare in piedi e trasportarla era
impensabile: non tanto perché fosse pesante, certo, ma perché era pur sempre
lunga quasi un metro e novanta. Non sarebbero mai andate lontane, soprattutto
se ci si aggiungeva il fatto che le costole di Claire non si erano ancora
rimesse a posto.
Bisognava
pensare a qualcosa e in fretta. Fu allora che la navigatrice si ricordò con chi
avevano a che fare: indigeni, magari intelligenti, ma sicuramente non molto
evoluti e facilmente impressionabili, tanto più che la giungla era un posto
così umido! Un ghigno furbetto le si dipinse sul volto, disse poche parole alle
sue compagne ed uscì: tutti gli uomini si bloccarono all’istante e, una volta
realizzata la situazione, iniziarono ad avvicinarsi minacciosi ma la rossa non
si scompose e sorridendo sfoderò le sue Clima Sansetsukon.
Gli
indigeni si incantarono a guardare quelle nuvolette rossastre e azzurrine che
uscivano da quello strano bastone nelle mani della ragazza e divennero ancora
più increduli quando sopra le loro teste si formò una piccola massa bianca,
infine gli occhi si sgranarono quando quell’innocua nuvola divenne nera e
minacciosa e un fulmine si abbatté su un albero folgorandolo. Tutti, dal primo
all’ultimo uomo, si prostrarono ai piedi della rossa compiaciuta. La sua
gloria, però, non durò a lungo perché Claire ebbe la brillante idea di
utilizzare la sua fedele rivoltella per spezzare la prigionia di Robin,
nonostante le sue proteste. Non appena lo sparo riecheggiò nel villaggio,
l’aggressività assopita degli indigeni sembrò risvegliarsi di colpo e ben
presto si dimenticarono dei “poteri paranormali” di Nami: non gli avrebbero mai
e poi mai permesso di andarsene.
La
rossa fulminò con lo sguardo l’uscita delle altre due maledicendole
mentalmente, tanto più che Robin non era nemmeno libera, tuttavia sembrava
stare in piedi senza problemi. E fu così che la loro corsa cominciò e quel che
si dissero già si sa.
Rufy si
accucciò sul ponte e si fermò a guardare la grossa figura che sonnecchiava
distesa a terra. Certo, le avevano costruito una specie di riparo con delle
vecchie lenzuola per lasciarle un po’ d’ombra ma alcuni raggi solari
riuscivano, comunque, a riflettersi sul suo corpo creando delle sfumature
marroni sulla maggioranza nera e lasciando intravedere la trama maculata della
sua pelliccia. Il capitano sospirò, era proprio un bell’animale e Chopper aveva
fatto un ottimo lavoro: la ferita era stata chiusa da minuziosi punti, non ci
sarebbe rimasto alcun segno, tuttavia avrebbe dovuto muoversi il meno possibile
ed era per questo che l’avevano sedata e legata. Allungò una mano sulla sua
testa e avvertì il contatto col morbido pelo, le orecchie della bestia si
mossero leggermente ma continuò a dormire «La chiamerò Diavolo Nero!» disse
risoluto.
Il
giovane medico uscì da sottocoperta giusto in tempo per sentire l’ultima
trovata del ragazzo di gomma « Non mi dire che hai deciso di tenerla! Come può
una pantera vivere su una nave? E’ un animale selvaggio, ha bisogno di grandi
spazi…»
«Questa
nave è molto grande, si abituerà…»
«Ma hai
visto come ha reagito quando hai tentato di salvarla? » gli disse indicandogli
la gamba medicata «Potrebbe aggredirci nuovamente! »
«Non
succederà…» disse Rufy alzandosi «L’addomesticherò, l’ hai visto anche tu, non
mi può battere! »
Chopper
sbuffò: era inutile cercare di fargli cambiare idea «Allora è il caso che
cerchi un altro nome…»
«Perché?
»
«E’ una
femmina…»
In quel
momento un richiamo li fece distrarre, era la voce di Usop «Ehi, c’è nessuno
sulla nave? Abbiamo bisogno di aiuto! »
Entrambi
gli occupanti del ponte si affacciarono «Ci siamo noi, che è successo? »
«Tristan
è stato colpito da una lancia…» spiegò velocemente Franky «Aiutateci a salire!
»
«Subito!
» si adoperò il capitano
«Portatelo
in infermeria, bisogna estrarre la lama prima che faccia infezione…» ordinò la
piccola renna, a quanto pare sarebbe stata una giornata molto lunga.
Dopo
giorni di noiosissima navigazione, il salvatore di Claire aveva finalmente
rimesso piede sulla terra ferma. Quella era la sua ultima tappa obbligata e poi
avrebbe potuto dedicarsi completamente all’unica cosa che voleva più di ogni
altra, quella cosa che era stata al centro dei suoi pensieri da quando si era
risvegliato. Si guardò attorno, era mattina presto, c’era ancora poca gente che
girava per le strade. Si girò verso l’enorme campanile della grossa chiesa che
troneggiava sulla piazza, diedi un’occhiata veloce all’orologio che svettava
sulla facciata centrale della torre e si accorse di essere in anticipo di un
paio d’ore sull’orario prestabilito per l’appuntamento: sbuffò, non gli andava
proprio di aspettare ma, purtroppo per lui, avrebbe dovuto rassegnarsi. Alzò le
spalle e girò i tacchi, decise: avrebbe ingannato il tempo camminando.
Sanji
riacquistò lentamente i sensi, la testa gli doleva da impazzire e l’odore del
terriccio umido invadeva con prepotenza le sue narici. Cercò di riaprire gli
occhi, la vista era annebbiata… dove diavolo era? Poi d’improvviso si ricordò
«Claire! » disse alzandosi di botto ma l’equilibrio, non ancora del tutto
recuperato, gli venne meno e ricadde a terra: che razza di colpo doveva aver
mai preso per essere ridotto a quel modo? Solo allora si rese conto degli
enormi massi che giacevano sul terreno, prima non c’erano di certo. Notò delle
corde, probabilmente erano stati lanciati dall’alto e, approfittando della loro
distrazione, li avevano colpiti… eppure era sicuro di non aver fatto scattare
nessuna trappola, qualcuno doveva averla attivata al posto loro… certo, quelle
presenze che aveva avvertito poco prima di finire nell’incoscienza, quindi
erano più vicini del previsto, bene. Ormai aveva ripreso completamente
padronanza del suo corpo: si alzò in piedi e si accese una sigaretta. Guardò lo
spadaccino ancora disteso a terra, era impossibile che fosse ancora svenuto per
la botta “Come minimo se la sta dormendo alla grande, quell’imbecille…” pensò
mentre si avvicinava al suo corpo con le mani in tasca, gli diede un piccolo
calcio in modo da farlo girare e vederlo in faccia, non si era sbagliato.
Sbuffò e ridiede un’occhiata ai sassi colpevoli di averli colpiti, una persona
normale sarebbe sicuramente morta e fu allora che decise: caricò all’indietro
la gamba destra e, con forza, lo colpì. Zoro si rialzò bestemmiando «Ma ti ha
dato di volta il cervello?!? »
Il
cuoco non si scompose «Ti ricordi dove siamo? E che prima avevamo visto Claire
svenuta e ferita e ora non c’è più? »
Questo
volta l’altro non ebbe nessuna risposta pronta da tanto era rimasto colpito dal
tono di voce controllato dell’amico che, però, non riusciva a celare il suo
nervosismo: era nel torto, ma incredibilmente la sorte aveva deciso di essere
dalla sua parte, la voce di tutte e tre le loro compagne arrivò alle loro orecchie.
Claire e Nami continuavano a battibeccarsi imperterrite, Robin dal canto suo si
era rassegnata e si limitava ad ascoltare in silenzio intervenendo il meno
possibile.
«Le
volevi?» chiese lo spadaccino che aveva ritrovato la sua baldanza «Eccole qua,
tutte e tre starnazzanti come oche… a stare tanto tempo insieme avranno
sincronizzato i loro periodi» concluse in un’alzata di spalle.
Il
biondo lo degnò appena di uno sguardo «Sei veramente grezzo…» poi, come se
nulla fosse stato, si girò con gli occhi a forma di cuore e si rivolse alle
ragazze giubilando felice «Claire, Nami, Robin… tesori mie…» non riuscì, però,
a finire la frase: gli occhi si sgranarono nel vedere la mandria di uomini
inferocita che avevano alle calcagna.
Le loro
compagne li superarono come dei fulmini, solo dopo qualche secondo Nami si
accorse della loro presenza «Oh, ragazzi, ci pensate voi? »
«Che
cosa?!? » le rispose lo spadaccino, furono l’istinto e la forza dell’abitudine
a reagire per lui, come ai vecchi tempi, e si stupì di riscoprire quanto quella
cosa gli piacesse. Il flusso dei suoi pensieri venne, però, interrotto da Sanji
«Certo, Nami carissima! »
Zoro si
rassegnò e sbuffando si voltò verso gli uomini, si mise in posizione insieme al
cuoco e si rese conto che i volti degli indigeni si erano fatti più minacciosi:
li avevano visti ed evidentemente non gradivano la loro presenza, beh,
importava poco. Un momento di grande tensione, due guerrieri pronti a scattare…
poi… dietrofront e via a seguire le ragazze schivando ogni volta per un soffio
centinaia di lance e di frecce.
«Si può
sapere che diavolo gli avete fatto?!? » gli urlò dietro lo spadaccino
«Diciamo
che non eravamo inclini a soddisfare le loro necessità…» fu la pronta risposta
di Robin
«Poi
bisogna aggiungerci un altro paio di cosette…» pensò bene la rossa di
punzecchiare la bionda
«Ancora
con questa storia? » disse subito l’altra «Ti ho già detto che mi dispiace ma
era l’unica soluzione possibile»
Riuscirono
a distanziare di un bel po’ i loro inseguitori ma proprio in quel momento una
freccia andò ad impiantarsi contro ad un grosso albero
«Meno
male che non hanno una gran mira…» ringraziò Sanji, ma i loro inseguitori non
erano di sicuro così stupidi: una corda ben legata si lacerò e un tronco munito
di vari spuntoni pronti a forellarli calò veloce su di loro. Tutti e cinque si
abbassarono prontamente schivandolo ma, così, la loro concentrazione nel
guardare dove mettevano i piedi venne meno e non si accorsero del diverso
colore del terreno sul quale stavano per passare, la terra sotto di loro
cedette e precipitarono rovinosamente in una buca enorme.
«Maledette
queste trappole e maledetti anche quelli che ce le hanno messe! » grugnì
nervoso lo spadaccino.
Sanji,
naturalmente, per prima cosa verificò lo stato di salute delle sue adorate
«Amori miei, tutto bene? »
L’archeologa
si rialzò spolverandosi per quel che poté «Per quel che mi riguarda tutto a
posto…»
Claire,
invece, ansimava e non per la stanchezza, ma nell’intento di sopportare un
grande dolore «Di bene… in meglio…» disse con fatica, l’alone di terriccio sul
fianco della sua maglia era testimone del violento colpo che aveva appena
ricevuto al costato.
«Merda!
» imprecò, senza troppi rigiri di parole, il cuoco «Ce la fai ad alzarti? » le
chiese avvicinandosi premuroso.
«Ci posso
provare…» ma per quanto cercò di dissimulare ciò che sentiva, il suo volto non
riuscì a mascherare la sua sofferenza.
«Non ti
sforzare» la fermò il biondo «Sono stato un idiota a chiederti di provare ad
alzarti, ti porto io» senza aspettare consensi né rifiuti la prese
delicatamente in braccio, ma per quanto cercò di fare piano alcune smorfie si
dipinsero sul viso della ragazza «Scusami…»
«Non ti
preoccupare, non è nulla…» cercò di sorridergli.
«Puoi
coprirci, Robin? » chiese d’un tratto alla mora.
«Eh già…»
sembrò risvegliarsi Zoro di colpo «E’ un po’ che volevo chiedertelo: perché
diavolo non hai usato i tuoi poteri per tenerli a bada? »
La
donna sbuffò, possibile che non se ne fossero ancora accorti? Alzò i polsi
legati «Non posso, fra queste fibre c’è dell’agalmatolite… siamo riuscite solo
ad allentarle ma non a romperle, prima riuscivo malapena a muovermi»
«Ah,
ecco… ma la maggioranza è cordame, giusto? » s’informò
Lei
alzò le spalle «Direi di sì…»
Sul
volto dello spadaccino si dipinse un sorriso «Allora non dovrebbero esserci
problemi…»
«Che
vuoi dire? »
Lui non
rispose, si limitò a sfoderare la Wado Ichimonji e un attimo dopo Robin fu
libera «Ora come va? »
«Decisamente
meglio, grazie… Sanji, non ci sono problemi»
«Perfetto,
allora noi andiamo! »
La mora
si concentrò e chiuse gli occhi «Ci hanno quasi raggiunto, c’è di positivo che
hanno rallentato il passo… ci credono in trappola»
«Che
potere ha? » ebbe la forza di chiedere la biondina in un sussurro, ma nessuno
la sentì.
Il
cuoco partì: con un balzo deciso, grazie alla forza delle sue gambe, uscì dalla
buca e senza voltarsi iniziò a correre, alle sue spalle le prime file degli
indigeni cominciavano ad accasciarsi sotto la stretta delle braccia
dell’archeologa.
«Potete
andare anche voi…» disse ai due compagni rimasti «Nami? » chiese preoccupata,
la ragazza, sebbene fosse in sé, non si era ancora mossa dal punto in cui si
trovava.
«Eccomi,
sono pronta…» si alzò con difficoltà e fu allora che anche gli altri videro il
grosso taglio sul polpaccio destro che colava sangue copioso.
«Tu non
puoi scappare in quelle condizioni» la riprese la donna
«Posso
farcela, invece…» le rispose quella testarda
«Mettiamo
anche che tu riesca a camminare, di certo non riuscirai a correre»
«E
allora che si fa? » chiese lo spadaccino
«Intanto
dammi la tua maglia!» gli ordinò Robin senza troppi complimenti. Zoro capì e
gliela porse senza fiatare, in breve la ferita era fasciata alla buona «E ora
tu la porterai»
«Cosa?
» dissero entrambi non riuscendo a trattenersi.
La mora
li fulminò con lo sguardo, qualsiasi problema avessero non era di certo il
momento di comportarsi da bambini.
Mentre
un brivido percorse le loro colonne vertebrali, parvero capire: lo spadaccino
si accucciò e offrì la schiena alla navigatrice «Dai, sali…»
«D’accordo…
Robin, tu? »
«Io vi
copro le spalle, poi vi raggiungo…»
I due
cominciarono la scalata e in pochi secondi uscirono, notarono con piacere che
l’archeologa stava facendo un ottimo lavoro. In un attimo accadde qualcosa che
lasciò Nami senza fiato: senza nemmeno rendersene conto da ben salda alle
spalle di Zoro qual’era si ritrovò fra le sue braccia e a pochi centimetri dal
suo volto, teso nell’intento di nascondere un certo imbarazzo «Non potevo
lasciarti sulle spalle, saresti stata troppo scoperta…»
Lei
sorrise e si aggrappò al suo collo «Grazie…»
Il
campanile rintoccò otto volte, l’ora del loro incontro era giunta, si portò in
un luogo più appartato: al centro della piazza due individui incappucciati
avrebbero sicuramente dato troppo nell’occhio perché, ne era certo, anche lui
avrebbe indossato un mantello. Il battaglio picchiò contro la campana per
l’ultima volta, la vibrazione si espanse nell’aria e in quel momento un forte
vento si alzò, le sue labbra si piegarono in un sorriso, non si scompose, si limitò
a calarsi maggiormente il cappuccio sul volto per evitare di scoprirsi.
«Mi fa
piacere rivederti, Cavaliere…» gli disse l’uomo che si era appena
materializzato al suo fianco
«Non so
perché…» gli rispose « …ma anch’io sono contento di incontrarti di nuovo,
Dragon»
Il
rivoluzionario sorrise «A quanto vedo hai scelto la tua strada…»
«Sì…»
«Me ne
rallegro…»
Il più
giovane lo guardò curioso «Perché non me lo dicesti undici anni fa, se era ciò
che speravi?»
«Te lo
dissi già quella volta, nessuno può permettersi di interferire con il destino
di un uomo, la scelta era solo tua…» inspirò profondamente « …e sinceramente
non pensavo potesse esistere questa alternativa»
«E’
stata una dura lotta, ma alla fine l’ ho vinta…» sorrise «…o quanto meno siamo
venuti ad un accordo»
«Questo
significa che sei più forte del previsto…» poi aggiunse in un sussurro «…e che
la persona su cui contavo ha fatto un ottimo lavoro»
Ma
l’udito del Cavaliere era troppo allenato per non sentirlo e quella frase non
gli sfuggì «Che significa?»
Dragon
lo guardò dritto negli occhi: occhi neri puntati in occhi di ghiaccio senza
timore alcuno «Devi scusarmi, Cavaliere…» chinò il capo «…scusami se ti ho
mentito»
«Mentito?»
«Sì,
non su ciò che sei… ma perché lo sei» l’altro non riuscì ad aprire bocca che
l’uomo continuò «Io ti parlai di Dio e del Demonio ma spesso, purtroppo, non
serve andare a scomodare delle personalità così importanti, perché anche l’uomo
è in grado di fare cose atroci…»
«Non
capisco…»
«Tu e
gli altri cavalieri defunti siete stati creati da uomini…»
«Quindi
anch’io avrei un padre e una madre?» chiese quasi senza più fiato.
«Sì, se
così si possono definire… mi dispiace dirtelo a questo modo, ma coloro che ti
hanno creato non erano altro che persone senza scrupoli pronte a sfruttare
scritti antichi di secoli…»
«E
l’errore?»
Il
rivoluzionario si sentì spiazzato un momento «Quale errore?»
«Tu mi
dicesti che nel mio caso ci fu un errore…» gli spiegò con voce incrinata da un
crescente nervosismo.
Dragon
rise «Ti ricordi tutto molto bene, vedo…»
«Non
potrei mai dimenticare il giorno in cui è cambiata tutta la mia vita»
«Non
c’è stato alcun errore: una persona ha fatto tutto il possibile perché tu
nascessi diverso dagli altri cavalieri, addirittura mettendosi contro la Marina
e il Governo Mondiale…»
Gli
occhi di ghiaccio si spalancarono «Sono loro ad aver creato i cavalieri?»
«La
loro origine è persa nei secoli bui, ma ultimamente sono loro a sfruttare la
loro potenza che, spesso, gli è sfuggita di mano»
«Bastardi!»
disse digrignando i denti «Chi è questa persona?»
«Una
donna che si è presa cura di te, che mi ha chiesto di darti l’ocarina e che per
tutto questo ha dato la vita…»
«Mia
madre?» azzardò
«No…»
gli rispose guardandolo mesto, poi cambiò espressione di colpo «Ora, per te, è
giunto il momento di ricambiare il favore»
Sindel
sorrise compiaciuto, finalmente: dopo mesi di ricerca infruttuosa l’aveva
trovato. Era in un luogo piuttosto appartato, credeva davvero di non essere
visto? Idiota! Però c’era qualcuno con lui, si fermò per pochi istanti a
pensare e poi decise: non ci sarebbero stati testimoni.
«Che
cosa vuoi dire?» chiese il Cavaliere non capendo «Non mi hai appena detto che è
morta?»
«Lei ha
avuto una figlia che, purtroppo per lei, ha le stesse capacità della madre…»
«Che
dovrei fare?»
«Loro
la vogliono, non capisci? Tu devi evitare che riescano a prenderla, devi
proteggerla!»
«Un’altra
bambina?»
«Non
più, è una donna ormai…»
«Chi
è?»
«Lei è
la figlia di…»
Non
riuscì a finire la frase, due corpi scuri si avventarono con velocità su
entrambi facendoli cadere a terra.
«Ma che
diavolo?!» disse il più giovane portando la mano alla sua arma.
«Fermo!»
gli ordinò Dragon «E’ il potere del frutto Shadow Shadow, sfrutta le ombre e se
tu ti armi, armerai anche loro…»
«Dannazione!»
Gli
attacchi ripresero senza esclusione di colpi, i due combattevano contro le
rispettive ombre.
«Scappa!»
gli urlò il rivoluzionario
«Non ci
penso neanche!» gli rispose l’altro con un ghignetto sulla faccia «Se loro
possono colpirci vuol dire che hanno consistenza, quindi possiamo farlo anche
noi… stai attento!» si lanciò su di lui per evitargli un colpo alle spalle,
Dragon si salvò ma lui lo prese in pieno e cadde a terra, il cappuccio scivolò
e mostrò un rivolo di sangue colare da un angolo della bocca.
Il moro
lo guardò da lontano «Ma quello…» per una volta il sicario della Marina non
seppe più che cosa fare, ma di sicuro sapeva di non poterlo uccidere.
«Tu
devi andare via!» ribadì «Lui è qui per me, vai!» lo prese per un lembo del
mantello e lo spinse via.
«Io non
ti lascio qui!» gli rispose sullo stesso tono.
«Tu non
servi qua, te l’ ho già detto… sai quello che devi fare»
In quel
momento Sindel decise, l’avrebbe catturato.
Nuove
ombre, di oggetti di strada, si concentrarono sul Cavaliere pronte a bloccarlo
«Senti,
io ora lo distrarrò, tu vattene!»
«D’accordo…»
non gli piaceva lasciarlo lì, ma non aveva altra scelta: si avviò.
«Jacques…»
Si
fermò di colpo, non l’aveva mai chiamato per nome.
«
…sarei stato orgoglioso di essere tuo padre»
Un
uragano fortissimo lo costrinse a correre via, senza voltarsi, senza chiedere
il perché di quell’ultima frase ma, soprattutto, senza il nome di colei che
avrebbe dovuto cercare.
TO BE CONTINUED…
Nuovo aggiornamento ^^
A questo punto sono necessarie delle precisazioni.
Come avrete notato la storia si distacca parecchio dagli
avvenimenti degli ultimi numeri (vedi Dragon e Shanks), tutto questo perché ho
iniziato a scriverla molto tempo fa, quando in Giappone era appena
iniziata la saga di Water Seven. Avendola scritta in questo modo non me la son
sentito di cambiare la mia trama, per cui la storia continuerà a seguire questa
linea alternativa.
Per quanto riguarda il frutto di Sindel che ha a che fare
con le ombre, è stata una pura coincidenza che lo abbia anche Gekko Moria nella
saga di Thriller Bark… devo dire che mi sono stupito non poco quando ho saputo
del suo potere, tuttavia credo di poter affermare che il loro funzionamento sia
piuttosto diverso.
Per chi non conosce il personaggio di Jacques e vuole
approfondire, consiglio di leggere la mia prima fic “Apocalypse” ^^. Se proprio
non ne avete voglia, chiedete e vi farò un riassuntino.
Ho alzato il raiting da giallo ad arancione per sicurezza, perché in futuro potrebbero esserci delle scene un po' forti.
Concludo ringraziando chi ha inserito le mie storie fra i
suoi preferiti. Grazie mille!
Il
piano di fuga dei cinque malcapitati aveva ottenuto il successo sperato
d’altronde per Robin, una volta libera di usare i suoi poteri, non era stato un
problema sbarazzarsi dei loro inseguitori, nonostante fossero tanti.
Una
volta che anche la mora ebbe rimesso piede sulla nave ripartirono senza
aspettare oltre, quell’isola gli aveva procurato fin troppi guai.
Chopper
sbuffò esausto «Finalmente ho finito… ma vi siete messi d’accordo per farvi
male tutti oggi?»
«Corrici
te in una giungla piena di trappole rincorso da indigeni satiriaci!» gli ringhiò
contro la cartografa furibonda.
La
piccola renna si nascose dietro a Rufy «Nami mi fa paura!»
Un urlo
devastante perforò le loro orecchie.
«E
adesso che succede?» chiese Zoro sbuffando.
Usop
arrivò tremante davanti alla porta «Ragazzi, c’è una pantera sul ponte!»
Franky
lo guardò storto «Fammi capire… tu sei arrivato sulla nave quando me e te ne
sei accorto solo adesso?!»
Il
pinocchio non riuscì a rispondere che la rossa scattò in piedi come una furia
incurante della gamba appena bendata «Che cosa?!?» si avviò sul ponte e la vide
«Chi ha avuto questa brillantissima idea?!?» urlò isterica.
«Sono
stato io a volerla tenere…» disse il capitano con un sorriso.
Nami lo
guardò con fare assassino «Ma sei un deficiente! Mi spieghi come cavolo fa a
stare un animale del genere su una nave?!»
«Ehi,
calmati sorella o ti verrà un infarto!» le consigliò il cyborg.
Robin
scosse la testa, una nave davvero bizzarra e ora c’era pure una pantera.
Improvvisamente
si ricordò: durante la sua fuga, quando era rimasta da sola, aveva trovato
qualcosa e c’era una persona soltanto con cui parlarne avrebbe portato a
qualcosa «Zoro?»
«Che
c’è?»
«Mentre
tornavo qui ho trovato questa…»
«Ma è
una spada!» le disse stupito «Di chi è?»
«Non ne
ho idea…» gli rispose la mora «Sicuramente non degli indigeni, allo stesso
tempo, però, non credo che sull’isola ci sia stato qualcun altro oltre a noi…»
Lo
spadaccino scrutò l’arma fra le sue mani: era indubbiamente una katana, l’elsa
era finemente lavorata e anche il fodero era impreziosito da precisi ricami.
Una spada potente, riusciva a percepirlo, e troppo ben tenuta per essere stata
abbandonata. Notò il cinturone a cui era fissata: largo ma non abbastanza per
appartenere ad un uomo “ Può essere di un ragazzino” pensò “ O magari…” «E’ di
una donna!»
«E tu
come fai a saperlo?» le chiese incredula l’altra.
«Lo
sento…»
«Quindi
che si fa?»
«Non so
perché, ma sono sicuro che tornerà dalla sua padrona»
L’archeologa
non capiva ma decise di fidarsi «La lascio in consegna a te, allora»
«D’accordo…»
Il
Dottor Graves sorrise compiaciuto «Anche quel maledetto non è più un problema…»
si alzò con uno strano brillio negli occhi ambrati «Qui bisogna festeggiare» si
avvicinò ad una grande credenza, aprì una delle ante e tirò fuori un’ottima
bottiglia di vino d’annata da gustare assolutamente a temperatura ambiente. Con
pochi movimenti eleganti la stappò e versò il liquido rosso e corposo in un
elegante bicchiere col calice: l’oscurità e il disordine che regnavano nel suo
laboratorio, lasciavano posto alla precisione e all’eleganza nella sua stanza.
Prese il bicchiere in una mano e fece roteare il vino al suo interno con grazia
godendo del profumo che arrivava delicato alle sue narici. Stava finalmente per
portarsi il cristallo alla bocca quando qualcuno bussò alla sua porta di legno
pregiato: il suo rito era stato interrotto. Si alzò contrariato e andò verso la
porta ma, appena aprì, la sua espressione si rilassò: era lui.
«Vieni,
entra… sei giusto in tempo, festeggia con me» lo invitò.
Il
biondo entrò «Che cosa c’è da festeggiare?»
Il
dottore riempì un altro bicchiere e glielo porse «E’ morto!»
«Chi?»
chiese prendendogli il calice di mano
«Dragon,
il traditore… ora sono rimasti solo loro due… ma dimmi, perché sei venuto a
cercarmi?»
«Per
lei…» disse non appena ebbe finito di sorseggiare il suo vino.
«Continua
e rifiutare il cibo?» era più un’affermazione che una domanda.
«Sì,
ormai è quasi una settimana che non mangia»
«E’
testarda…» sospirò il più anziano «Domani mangerà, non temere»
L’uomo
in nero si avvicinò al tavolo dove vi era appoggiata la relazione riguardante
l’ultima azione di Sindel, il dottore non l’aveva ancora letta tutta «Posso?»
«Certo…»
Si
sedette e iniziò a scorrere le scritte con le sue profonde iridi verdi. Nel
vedere la foto del cadavere sorrise: non c’era ombra di dubbio, il Dottor
Graves l’aveva plasmato a dovere.
Divorò
una pagina dietro l’altra senza tralasciare alcun particolare, anche il più
irrilevante. Stava per concludere la lettura quando una frase ruppe il suo
idillio: il bicchiere si frantumò nella sua mano sinistra e il liquido rosso
colò nella sua manica e sul pavimento.
«Che
cosa è successo?» gli chiese il dottore allarmato.
«Lui
era lì…» gli rispose a denti stretti.
«Lui?»
gli si avvicinò e lesse «Non è possibile! Loro non avrebbero dovuto
incontrarsi… questo complica molto le cose»
Il
biondo ringhiò «Quel maledetto…»
«Calmati…»
cercò di rabbonirlo l’altro «Noi non sappiamo cosa si sono detti, quindi c’è la
possibilità che non sappia ancora tutto, sono stati interrotti dall’attacco di
Sindel Koler, non è detto che sia tutto perduto»
«Quindi
lasciamo procedere tutto come da programma?»
«Esattamente…»
«Tieni,
mangia!» disse il giovane capitano di gomma porgendo un bel cosciotto di carne
all’animale ancora legato sul ponte.
In
tutta risposta la pantera mostrò i denti ringhiando e allungò una zampa
nervosa. Rufy riuscì a spostarsi giusto per un soffio «Non sei affatto carina…»
la rimproverò «Io mi tolgo anche il mangiare di bocca per te e questo è il tuo
ringraziamento?»
Sanji
lo guardò incredulo «Ma che cosa gli sta succedendo? Siamo sicuri che gli
indigeni non ce l’abbiano cambiato?»
«Se
spera di convincermi a questo modo si sbaglia di grosso…» disse la navigatrice
incrociando le braccia sotto ai seni «Io non darò mai il mio benestare per questa
cosa, capito?» alzò la voce in modo che anche il moretto potesse sentirla.
Quello
si limitò a fargli una linguaccia «Sono io il capitano e sono io che decido»
poi riportò la sua attenzione sulla bestia «Visto che non vuoi la carne allora
la mangio io…»
Avvenne
tutti in pochi attimi, istanti in cui la pantera valutò il da farsi: era un
grande felino, non poteva sottomettersi a quel modo; però era anche vero che
non sarebbe mai riuscita a liberarsi e che, soprattutto, aveva una fame che le
rodeva dannatamente lo stomaco. La catena cigolò, si alzò veloce su tutte e
quattro le zampe e scattò in avanti fulminea: colpì con una testata il ragazzo
accucciato che aveva di fronte facendolo cadere a terra - il cosciotto volò -
aprì le fauci voraci e azzannò con foga la carne.
Rufy
assistette alla scena praticamente inerme, si riebbe solo quando il suo sedere
picchiò forte contro le assi di legno del ponte «Adesso sì che cominciamo a
capirci!» se la rise di gusto.
Franky
guardò il proprio capitano divertito «Ehi, fratello, non ti ho mai visto così
contento per qualcuno che ti ha appena fregato il pranzo!»
«E’
vero…» rispose subito l’altro « …ma questo significa che stiamo diventando
amici»
«Non
finirai mai di stupirmi…» esordì il carpentiere già con le lacrime agli occhi,
poi ci pensò un po’ su « Quindi se anch’io dovessi prendere, casualmente,
qualcosa dal tuo piatto non ti arrabbieresti…»
«Neanche
per idea, questo è un caso tutto particolare!»
«Ma non
è mica giusto!» protestò il cyborg.
«Se ti
ho detto che non puoi, non puoi!»
Cominciarono
a battibeccarsi come dei bambini sotto lo sguardo allibito del felino. Rufy
soffiava fumo dalle narici mentre Franky, ovviamente, assumeva le pose più
strane.
Robin,
poco più distante, seduta su uno degli scalini del castello di poppa, nella sua
solita posizione gambe accavallate e viso appoggiato ad una mano, guardava lo
strano quadretto divertita. La sua attenzione, però, fu attirata dalla pantera
in particolare, a dir la verità aveva già notato qualcosa ma non avrebbe saputo
dire con precisione di cosa poteva trattarsi… eppure la sua espressione
sembrava così, così… in quel momento si accorse che la bestia era voltata
verso di lei, si era accorta che la stava osservando. Puntò senza timore i suoi
occhi azzurri in quelli del felino: occhi marroni tendenti al verde, forse,
addirittura più verdi che marroni… un colore molto strano, un colore quasi
umano.
«E’
bella, vero?» le chiese Tristan alla sprovvista facendola sobbalzare.
«Già,
davvero bella…» gli rispose cercando di mantenere un certo contegno per non far
notare che aveva, quasi, perso cinque anni di vita.
Il
ragazzo, infatti, sembrava non averci fatto caso «Non le avevo mai viste da
così vicino»
«Beh,
nemmeno io… ma a quanto pare avremo tutto il tempo per recuperare questa mancanza»
Lui
sorrise «Rufy sta facendo un ottimo lavoro…»
Lei
riportò l’attenzione sulla coppia che ancora stava litigando «Così pare…»
In quel
momento Claire si avvicinò ai due titubante «Senti, Robin…»
La
cow-girl si girò verso la biondina «Dimmi…»
«Ecco…
io… non vorrei sembrarti una gran rompiscatole…»
«Non
capisco dove vuoi arrivare…» le disse confusa.
«Ti
dispiacerebbe accompagnarmi di sotto in modo che possa farmi un bagno? Sai, non
riesco ancora a muovermi molto bene…»
La
donna le sorrise «Certo, andiamo»
Jacques
si sedette a terra esausto e con un buco nello stomaco per la fame così grande
che qualsiasi altra persona al posto suo non sarebbe mai riuscita a sopportare.
Lui, però, non aveva assolutamente tempo per mangiare: prima un viaggio su una
nave nella condizione di clandestinità più assoluta a causa di quell’attacco
improvviso -“ Chissà come starà
Dragon…” -e poi, essendo attraccato
dalla parte opposta di dove avrebbe dovuto, aveva attraversato praticamente
senza sosta un’intera isola e tutto per una cosa soltanto: per rivederli e,
soprattutto, per rivederla. Aveva girato in lungo e in largo, ma della nave con
il jolly roger con un cappello di paglia non aveva trovato traccia, non erano
ancora arrivati. Tirò un grosso sospiro mentre lo stomaco si contorse sotto
l’ennesimo e potentissimo morso: il tempo ora l’aveva, era giunto il momento di
mettere qualcosa sotto i denti.
L’acqua
scrosciava veloce, mentre in tutta la piccola stanza si faceva largo un buon
profumo di bagnoschiuma.
Claire
era leggermente a disagio per la situazione, mentre Robin sembrava non
curarsene più di tanto.
«Non
posso negare che questa situazione mi imbarazzi…» disse piano la bionda.
La mora
la guardò da appoggiata allo stipite della porta «Mi hai chiesto tu di
aiutarti…»
«Lo
so…» continuò quella sempre più imbarazzata « …ma vedi, ecco, è la prima volta
che mi spoglio davanti ad una donna»
L’archeologa
sorrise e si voltò di spalle «Allora vorrà dire che sarai tu a guidarmi…»
«Cosa
vuoi d…» non riuscì a pronunciare la frase che si bloccò incredula «Sono tue
queste braccia?» balbettò.
«Sì…»
«Quindi
è questo il Frutto che hai mangiato…»
«Esattamente…
ora dimmi cosa devo fare»
Poco
dopo Claire era immersa nell’acqua calda.
«Allora
io vado… quando hai finito chiamami» Robin fece per andarsene, ma l’altra la
bloccò «Aspetta…»
«Che
c’è?» le rispose leggermente seccata, ma se ne rese subito conto «Scusami, sono
un po’ nervosa…»
«Ho
notato…» la guardò perplessa la biondina «Che ti prende?»
La mora
respirò a fondo ma non rispose.
«E’, forse,
qualcosa che non vuoi o non puoi dire?» sondò il terreno, tuttavia servì
solamente ad innervosirla di più.
La mora
cercò di tagliare corto «Sinceramente non vedo come la cosa ti possa
riguardare…»
«Infatti,
non ti sto dicendo assolutamente che devi farlo con me…»
«Senti,
Claire…» la interruppe «Non voglio che tu ti offenda ma, veramente…»
Questa
volta fu l’altra a non farla finire «D’accordo, ho capito… ma almeno a Nami
glielo devi…»
Non
aspettò oltre, l’archeologa se ne andò.
Robin
imboccò il corridoio sempre più nervosa maledicendosi per non aver saputo
nascondere la propria ansia proprio ora che San Marten era a pochi giorni di
viaggio, maledicendolo per quell’assurda richiesta di non dire niente a nessuno
e maledicendo Claire per la sua innata empatia che aveva riacceso il terremoto
del suo senso di colpa per aver così a lungo taciuto. Poi davanti a lei, la
tentazione: Nami.
No,
decisamente non poteva resistere oltre: arpionò veloce il suo braccio facendola
sobbalzare «Puoi venire un attimo con me? Ti devo parlare…»
La
navigatrice aspettò che la tachicardia accennasse a diminuire ma non commentò,
conosceva fin troppo bene l’espressione seria dell’amica «D… d’accordo…»
La seguì
senza fiatare nella sua stanza e non si stupì quando la mora chiuse la porta
dietro di sé, alle sue orecchie arrivò un debole «Scusami…»
Naturalmente
non capì ma non chiese spiegazioni, attese. L’archeologa, infatti, si mosse ed
andò alla scrivania: da un cassetto recuperò un foglio di carta un poco
sgualcito, glielo porse e questa volta fu lei a rimanere in attesa.
Nami lo
prese e lo aprì, guardò la fotografia su di esso e poi lesse il nome: la bocca
si aprì leggermente per lo stupore, poi le labbra si strinsero in un tenero
sorriso. Si avvicinò alla donna che aveva di fronte, l’abbracciò.
La nave
attraccò su San Marten sul far della sera. Lasciati cibo e acqua all’animale di
bordo, scesero in paese. Giusto il tempo di cenare, ossia quello che Rufy impiegò
per ripulire l’intera dispensa di un ristorante e i conseguenti insulti della
navigatrice per il conto troppo salato e la ciurma si ritirò in albergo
esausta.
L’archeologa
aveva lasciato la sua stanza senza dire niente a nessuno, era ormai notte inoltrata
e probabilmente erano già tutti addormentati da un bel po’. Appena sbarcata non
aveva avuto più alcun dubbio, San Marten era proprio l’isola di quattordici
anni prima. Proprio grazie alla foto su quel libro rubato dalla cartografa
aveva capito tutto: quella lettera incomprensibile non poteva che essere stato
lui a mandarla, perché quello era proprio il paese del loro primo incontro.
Finalmente
aveva raggiunto il luogo che cercava, si sedette sul ciglio di un muro
piuttosto alto, sotto un cielo pieno di stelle, guardò verso il basso e attese.
Passarono
pochi minuti, poi sentì qualcosa che veniva appoggiato sulla sua testa: un
cappello da cow-boy bianco.
«Hai
visto che te l’ ho riportato, Pettirosso?» le disse una voce familiare alle sue
spalle.
Al solo
sentirla Robin si stupì di quanto le era mancata «Quante volte ti ho detto che
odio essere chiamata in questo modo?» gli rispose senza voltarsi.
«Direi
un milione di volte…» le si avvicinò «Credi che ti possa abbracciare o devo
aspettare che ti ributti giù di qui per averti fra le mie braccia?»
La
donna sorrise «Credo che tu possa…» le riuscì a malapena di finire la frase che
si sentì cingere il petto: poteva sentire il suo profumo, percepire il suo
respiro.
«Mi sei
mancata tanto…» sospirò «Hai visto che alla fine avevo ragione io?»
«Come
hai fatto a capire che mentivo?» gli chiese dandogli sempre le spalle.
L’uomo
sciolse l’abbraccio «Anche se non sembra ti conosco piuttosto bene, sai?»
«Sei
sempre il solito, Jacques…» la mora si voltò, cercò di nascondere il suo
stupore: gli sorrise e gli passò una mano sulla nuca «Hai lasciato crescere i
capelli?»
Lui
alzò gli occhi al cielo e scosse la testa «Non era questo quello che volevi
chiedermi, vero?»
La
donna si sentì in imbarazzo, non rispose.
Jacques
sorrise, un sorriso caloroso, umano «E’ normale che tu sia stupita…»
«E’
che… insomma… vederti sulla taglia era un conto ma ora è diverso…»
Il suo
volto, infatti, non era più lo stesso, su di lui era rimasto chiaro il
passaggio di Morte: i canini erano leggermente allungati e dell’indaco dei
capelli era rimasto solamente qualche leggero riflesso sulla maggioranza
bianca… i suoi occhi, però, erano rimasti uguali, chiari come il ghiaccio ma
incredibilmente calorosi.
Lui la
guardò «Io ho accettato quello che sono…» le disse d’un tratto.
Lei
trasalì «Che cosa? Tu hai accettato il Cavaliere che è dentro di te?»
«Sì…»
le rispose prendendole una mano, la cow-girl si stupì: a differenza di un anno
prima non avvertì alcun timore « …ma anche lui ha accettato me» sbuffò «E’ per questo
che non ho potuto raggiungervi subito, ci ho messo un po’ a convincerlo…»
La sua
espressione un po’ imbronciata la divertì, gli buttò le braccia al collo
«Quindi sei tornato per restare?»
“
Mancava poco ormai, ancora qualche decina di minuti e avrebbe dovuto compiere
l’azione che l’avrebbe allontanata per sempre dalla ciurma dei pirati di
Cappello di Paglia, la sua ciurma. Un attentato alla vita del sindaco Iceburg,
ecco che cosa doveva fare per conto di quelli del CP9: tutto era stato
programmato per far ricadere la colpa su i suoi compagni, un gesto orribile
certo, ma anche l’unico in grado di salvarli dal Buster Call.
Intorno
a lei gente mascherata ballava al ritmo di una piacevole musica melodiosa “ Va
al ballo in maschera che si terrà presso l’abitazione di Iceburg, non dare
nell’occhio, mischiati fra la folla… quando sarà il momento ti contatteremo
noi”, così le avevano detto e così avrebbe fatto.
La musica
cessò dopo un lieve diminuendo ed un’altra più movimentata prese il suo posto,
il suo corpo le diede un impulso che la stupì: le stava chiedendo di ballare.
Strano, si disse, seppur fosse molto brava non le era mai piaciuta quell’arte,
si convinse che quella richiesta altro non era che una supplica per scaricare
la tensione ormai al massimo. Mentre cercava di reprimere quella voglia, una
mano le venne tesa come invito «Le va di ballare?»
Lei non
degnò quell’uomo nemmeno di uno sguardo, aveva altro a cui pensare al momento
«No, comunque grazie…»
Ma
quello non si scompose «Siamo ad un ballo in maschera… vediamo, il volto lo ha
coperto però è ferma… ai balli ci si va per ballare, altrimenti perché sarebbe
qui?»
Solo
allora Robin si accorse di quanto le era familiare quella voce e della
cicatrice che svettava sul palmo della sua mano destra. Portò la sua attenzione
sulla figura che aveva di fronte, quasi febbricitante ed ansiosa: aveva un
vestito scuro, antico e tipico del carnevale, un cappello gli copriva la testa
ed una maschera di ceramica bianca gli celava interamente il volto, gli occhi
però erano inconfondibili, nessuno al mondo gli aveva come i suoi “Jacques…”
«Allora…»
chiese nuovamente « …le va di ballare?»
«Sì…»
si avvicinò al suo corpo, posò la mano sulla sua spalla e sentì quella di lui
cingerle la schiena mentre le altre due ancora libere si intrecciavano fra
loro.
La
danza cominciò. Passo.
«Scusami
se non sono riuscito a raggiungerti prima….» le disse.
“
Jacques, sei vivo! Sei tornato da me!” Lei non rispose, il CP9 poteva essere lì
ad osservarli.
Passo,
passo, passo strisciato.
L’uomo
avvertì il suo turbamento «Che c’è? Perché sei sola? Dove sono gli altri?»
“ Loro
sono qui e io sto per consegnarmi al governo per salvarli…” «Gli altri non ci
sono più…»
Giro,
apertura.
«Che
significa?»
“ No,
non immischiarti… ora che so che sei vivo non voglio che ti uccidano, perché
troverebbero il modo…” «Hai capito benissimo…» gli rispose fredda «Non faccio
più parte della loro ciurma…»
Ripresa,
passo.
«Sei nei
guai, non è vero?» cercò di guardarsi attorno alla ricerca di individui
sospetti.
“ Sì,
aiutami ti prego… aiuta i ragazzi ad andarsene di qui, aiutali… aiutami!” «Non
sono cose che ti riguardano, vattene!» gli disse secca.
Passo,
passo, cambio di tempo.
«Ho
capito, ti stanno guardando…»
«Jacques…»
il sangue le si gelò nelle vene: la maschera da orso apparve al piano
superiore, sentì distintamente il suo sguardo su di lei… il suo sguardo su di
lui! «Vattene!» ribadì «Non ti voglio più vedere!»“ Ti prego, scusami…”
L’uomo
accusò il colpo, era maledettamente brava a recitare, strinse i denti «Senti
Robin, io non posso capire se tu non mi dici niente!»
Doppio
giro, passo strisciato.
“ Va
via prima che si accorgano che c’entri con me!” «Non c’è niente da capire…» ma
il suo sguardo scivolò impercettibilmente sulla figura mascherata e a lui non
sfuggì. Appena lo mise a fuoco uno strano senso di gelo gli invase le viscere “
E’ un assassino… non posso più stare qui, non riesco ancora a controllarlo di
fronte ad un alone di morte così forte” iniziò a sudare freddo.
“ Stai
male, lo sento…” avvertì la donna “…ma io non posso aiutarti”
Ultima
apertura, casqué. La musica cessò.
«Robin,
non posso restare…» le disse con fatica «Sei nei guai, l’ ho capito, in guai
grossi…» ansimava «…ma se rimanessi qui non farei altro che aggravare la tua
situazione» riprese fiato «Mi odio Robin, mi odio per non essere ancora in
grado di controllarmi, ma quando tornerò da te sarò abbastanza forte e avrò
trovato il modo di risolvere i miei problemi…»
Le
prese una mano e la sfiorò con le fredde labbra di porcellana della maschera.
“
Allora questo è il nostro addio Jacques, perché io non sopravvivrò, non ci
rivedremo mai più… ti amo Jacques” ma dalla sua bocca non uscirono parole, si
sforzò solamente di guardarlo con gelido disprezzo.
«Sei in
gamba, devo ammetterlo… ma con me non attacca, se solo fossi sicuro di non
perdere il controllo lo sistemerei io il tuo orso lassù…»
“ No,
non lo fare! E’ del CP9, non puoi metterti contro il Governo Mondiale, non puoi
far partire un Buster Call!” « Va’ via!»
«Sì, ma
solo perché so che non sei sola. Non ho capito bene la situazione e cosa hai
combinato per allontanare i ragazzi da te, però so che Rufy è più testardo di
te e non ti lascerà andare…»
«Come
fai a saperlo?» non riuscì a trattenersi.
«Me l’
ha promesso e Rufy mantiene sempre la parola data…» sorrise consapevole del
fatto che il suo volto fosse celato dalla maschera «Qualsiasi cosa succeda,
Pettirosso, io ti chiedo di resistere, ci rivedremo, lo so. E per favore, non
dire a nessuno che mi hai visto oggi, non voglio che vengano a cercami, perché
so che lo farebbero. Quando sarò pronto tornerò io da voi, tornerò io da te!»
“
Aspetta, non andartene!” ma la sua supplica rimase solo un pensiero, lo vide allontanarsi
e sparire fra la folla.
«Vuoi
forse morire prima del tempo? Chi diavolo era quello?» le disse incollerito
Blueno affiancandola.
Le ci
volle un attimo per riprendere il controllo della situazione «Era un invitato
della festa, semplicemente…»rispose
senza emozione.
«Dovevi
liquidarlo subito!»
«Ci ho
provato, ma quello cominciava a fare domande, così ho dovuto accettare» la sua
voce si incrinò leggermente per la rabbia «Mi avete detto voi di mischiarmi
nella folla e non dare nell’occhio…»
Quello
rise «Sei furba Nico Robin, veramente furba… spera per te che sia la verità o
nessuno potrà più salvare i tuoi amici dal Buster Call!»
«Lo so,
non c’è bisogno che tu me lo ripeta in continuazione!»
”
Il sole
iniziava a farsi largo dalle tende che coprivano l’ampia vetrata che dava sul
balcone della camera. Un dolce peso sul fianco, una mano stretta nella sua e il
tiepido calore di un corpo alle sue spalle rivelavano la presenza dell’uomo che
aveva dormito con lei. Posò lo sguardo sulla sua mano destra e disegnò, con le
sue lunghe dita, i contorni di una vecchia cicatrice.
«Mi fai
il solletico così, sai?» le sussurrò in un orecchio.
Lei
sorrise «Da quant’è che sei sveglio?»
«Non
molto a dir la verità…» le rispose stringendola a sé.
Robin
si abbandonò a quel contatto, anzi, si voltò per goderne a pieno. Il suo
sguardo venne attirato da qualcosa che, nella foga della notte, le era passata
inosservata: sul suo petto, all’altezza del cuore, vi era una nuova cicatrice.
Si allungò di botto sporgendosi oltre alla sua schiena.
Jacques
la guardò perplesso «Che fai?»
La
donna non badò minimamente alla sua domanda e continuò nel suo controllo, come
aveva previsto: ne aveva un’altra all’altezza della scapola sinistra «Questa
è…?»
«Sì…
nonostante i miei poteri mi è rimasta» le rispose girandosi d’istinto, quella
da appoggiata qual era al fianco di lui, gli ricadde malamente addosso.
«Ahia,
ma ti sembra il modo?» gli chiese sarcastica.
Lui la
guardò con i suoi occhi di ghiaccio in un modo indecifrabile, Robin si perse
totalmente in quello sguardo e nemmeno si accorse dello spostamento dell’uomo
che da sotto di lei le si ritrovò sopra mentre le labbra si avvicinavano
spaventosamente alle sue, fino a che non si unirono del tutto. «Sono
perdonato?»
La mora
sbuffò «Direi di sì…»
«Come
stanno gli altri?» chiese d’un tratto «Come sta Miguel?»
La
cow-girl si tirò a sedere «Gli altri stanno bene, c’è anche qualche elemento in
più, ma Miguel non è più con noi…»
Anche
lui si mise a sedere «Come mai?»
«Voleva
riprendersi da quel che era successo e voleva farlo da solo… è sceso sull’isola
successiva ad Omega Island…»
«Capisco…»
non riuscì a nascondere la sua delusione.
La
donna recuperò tutto il lenzuolo e, dopo essersi coperta, si alzò per andare a
vedere il mare dalla finestra «Noi non l’abbiamo fermato… quella è stata la sua
scelta e noi non ci siamo opposti»
Jacques
si legò il copriletto in vita e la raggiunse «Mi sembra giusto… però avrei
voluto rivederlo, lui crede ancora di avermi ucciso»
«La
facilità con cui ti fingi morto è il tuo peggior difetto…» lo rimproverò.
Lui
incassò il colpo «Lo so e me ne dispiace… ma da oggi non accadrà più» le mostrò
la collana a grani grossi con la gemma a forma di lacrima.
«E’
quello che stavi cercando?»
«Sì…»
«E come
può aiutarti?»
L’uomo
la guardò negli occhi serissimo «Mettimela!»
«Perché?
Non puoi farlo tu?»
«No,
non avrebbe senso…» le prese una mano e gliela porse «Chiunque faccia indossare
questa collana a qualcun altro avrà sul suo corpo, se vorrà, un totale
controllo e solo lui sarà in grado di toglierla»
La mora
lo squadrò incredula «E tu daresti questo compito a me?»
«Sì,
perché so che di te mi posso fidare…» le lasciò la mano « …ed è da te che
voglio essere fermato nel caso in cui dovessi perdere il controllo»
Robin
fissò la collana per un attimo nel più totale silenzio, poi tese le braccia
verso il collo di Jacques «Sei sicuro?»
«Certo…
e tu?»
«Sicura!»
fece scattare la chiusura, la gemma brillò di una strana luce. Sorrise
maliziosa «Quindi ora saresti come un burattino nelle mie mani… qualsiasi cosa
io ti ordini il tuo corpo dovrebbe eseguirla…»
L’uomo
inarcò un sopracciglio guardandola storto «Così pare… ma vedi di non
approfittartene»
Lei,
però, non badò minimamente al suo “velato” avvertimento «Quindi se ora ti
ordinassi di baciarmi tu lo faresti senza esitare…»
Jacques
le prese un braccio e l’attirò a sé «Non hai assolutamente bisogno di ordinarmi
una cosa del genere, perché posso tranquillamente farla di mia spontanea
volontà…»
Così,
ancora una volta, la bocca di lui cercò quella di lei e, naturalmente, la
trovò.
Smoker
attendeva, naturalmente, fumando nuove notizie. Non era mai stato un uomo di
indole tranquilla, nemmeno da ragazzo: completamente incapace di stare a
guardare di fronte a qualcosa che andava contro i suoi principi e ciò che stava
accadendo adesso gli aveva tolto completamente il sonno.
«Eccomi…»
Una
voce femminile alle sue spalle lo fece voltare «Hai scoperto qualcosa?»
Hina si
sedette su una delle poltrone che arredavano la stanza e si accese una
sigaretta «Non posso credere a quello che sto facendo… che cosa mi hai fatto?»
Il
Cacciatore Bianco si lasciò scappare un leggero sbuffò «Non ti ho fatto niente
e lo sai…»
La
donna storse il labbro «Hai ragione…»
«Allora?»
le chiese nuovamente.
«C’è
movimento, sicuramente Sindel ha colpito ancora, tuttavia non è possibile
reperire alcuna notizia…»
«Come
sarebbe?»
«Non
c’è niente, Smoker, niente di niente…»
L’uomo
cominciava a perdere il suo sangue freddo «Maledizione, non possono essersi
accorti di noi!»
«No,
non lo credo possibile…»
«E
allora cosa?»
«Evidentemente
c’è qualcun altro in gioco…»
Tutti e
due si voltarono verso quella nuova voce «Tashigi…»
«Che
diavolo ci fai qui?» continuò Smoker.
«Sono
qui per darle una mano, Signore» rispose sull’attenti la ragazza.
«Non
pensarci neanche, qui si rischia grosso, è troppo pericoloso!»
«Questa
volta non la ascolterò Signore, mi spiace» gli disse risoluta.
«Che
cosa?» le urlò contro incollerito.
Hina
rise «Calmati Smoker…» poi si rivolse all’altra donna presente «Non ti
ricordavo così decisa ragazzina, complimenti… a quanto pare siamo tutti in
ballo e non ci resta che ballare…»
L’uomo
ringhiò qualcosa di non meglio definito «D’accordo, dicci che cosa sai…»
«Uffa,
Nami, che noia… sono stufo, quando possiamo tornare alla nave?» piagnucolò il
capitano.
«Quando
avremo finito di comprare tutto il necessario…» sbuffò la navigatrice «D’altra
parte non è colpa mia se mangi come un esercito intero»
«Tanto
lo sappiamo che vuoi tornare alla nave solo per giocare con la pantera…» lo
prese in giro Zoro impegnato a sorreggere, con entrambe le braccia, due grosse
casse di ottimo rum.
«E che
male c’è scusa? E’ da ieri sera che non la vedo…»
Franky
rise «Sembra quasi che parli di una gattina, fratello…»
Nami
sussurrò disperata «Secondo me è proprio così che la vede…»
Sanji
controllò la lista della spesa «Comunque, ormai, mancano ancora poche cose… poi
possiamo andare a metterle nella stiva»
«E
mangiare qualcosa… ormai è ora di pranzo» suggerì Usop.
«Oh,
sì! Cibo!» esultò il ragazzo di gomma.
«Bisognerà
chiamare anche Tristan, Robin e Claire. Non ci siamo dati appuntamento da
nessuna parte…» fece notare Chopper.
«Hai
ragione…» concordò il biondo «Chissà dove saranno i miei pasticcini, non si
sono più viste»
«Già,
nemmeno Tristan…» sbuffò Usop.
Rufy si
guardò attorno «Ehi, ma quella non è Robin?» indicò un punto davanti a loro.
«E’
vero, quella è la mia Robin dolciss…» poi lo vide e la frase gli si mozzò in
gola: un uomo incappucciato era accanto a lei. Attirati dalla strana reazione
del cuoco anche gli altri si girarono in direzione della mora. No, non era
possibile, non l’avrebbero portata via un’altra volta. Mentre questa
convinzione si faceva largo nell’animo di tutti, Rufy scattò: caricò
velocemente il braccio all’indietro e si avventò sull’incappucciato «Ehi, tu!
Dove credi di poterla portare?!» urlò già furibondo.
Per sua
sfortuna, però, la figura accanto all’archeologa si accorse dell’imminente
pericolo e con un movimento altrettanto veloce bloccò il pugno del capitano
«Veramente…» gli rispose voltandosi «Io non la sto portando da nessuna parte, è
lei che sta portando me»
La
faccia del ragazzo di gomma si distese in un’espressione di grande stupore
perché, sebbene in lui c’era qualcosa di diverso, lo riconobbe subito «Allora,
alla fine sei tornato…» gli disse sghignazzando allegro «Hai visto, Nami? Avevo
ragione io!»
«Già…»
rispose la rossa sorridendo «Caro Jacques, fammi fare due brevi calcoli…»
«Calcoli?»
la guardò quello perplesso
«Certo,
non penserai mica che me ne sia dimenticata?!» lo squadrò con aria
furbetta«Quanto sarà passato? Direi
più o meno un anno… considerando che ti sei fatto vivo con chi di dovere ti
risparmio i calci, tuttavia dieci milioni di Berry di danni morali non te li
toglie nessuno»
«Danni…
morali?» ripeté l’altro non capendo «E soprattutto, dove me li prendo dieci
milioni di Berry?!?»
«Alt!
Frenate tutto!» li bloccò Rufy incrociando le mani a mo’ di “X” davanti alla
faccia «Come sarebbe a dire che ti sei fatto vivo con chi di dovere?»
«Ho
incontrato Robin a Water Seven…» prese fiato « …l’ ho pregata di non dirti
niente perché sapevo che, altrimenti, saresti venuto a cercarmi…»
«In
effetti sì, l’avrei fatto» annuì il moretto con decisione.
L’altro
continuò «E io non potevo ancora permettermi di riunirmi a voi… poi ho inviato
la lettera…»
«Ah,
sì… bella quella!» ringhiò la rossa «Si può sapere come diavolo l’ hai
scritta?!?»
«In una
stiva di una nave, al buio, a testa in giù e con il mare mosso» le rispose
prontamente.
«E non
potevi trovare un altro momento per scriverla?!?» gli urlò sempre più
infuriata.
<<
Dai, Nami, calmati…>> cercò di rabbonirla l’uomo «Alla fine avete capito
o mi sbaglio?»
Robin
lo guardò di sottecchi «Avresti avuto l’opportunità di riscriverla, vero?»
Lui
fece finta di pensarci un po’ su «Sì…»
«In
pratica ti sei preso gioco di noi…» concluse la donna.
«Uhm…
forse un pochino…»
Nami lo
fulminò «Jacques, ti odio!»
«Anch’io
ti voglio bene…» rise.
«Un
momento, fammi capire…» prese parola Sanji dopo aver tirato una boccata da una
delle sue fidate sigarette «Tu avresti incontrato Robin a Water Seven?»
L’ilarità
si spense sul volto del cavaliere, sapeva dove sarebbe andato a parare: annuì.
«Sapevi
che era nei guai?» sibilò.
Fece
segno affermativo di nuovo.
Il
volto del biondo si tirò in una smorfia di rabbia «E non ti è passato per
l’anticamera del cervello che potesse avere bisogno del tuo aiuto?»
Sebbene
quella domanda lo irritasse, e non poco, cercò di rimanere calmo «Io non potevo
aiutarla…» lo fissò con i suoi occhi di ghiaccio «Credi che non sarei rimasto
se avessi potuto? Se fossi restato avrei solamente complicato ulteriormente la
situazione, invece di salvarla avrei potuto aggravare ancora di più la sua
posizione. E’ per questo che me ne sono andato e poi sapevo che, qualunque cosa
lei avesse potuto fare, voi non l’avreste mai lasciata sola e, da quel che ho
sentito di quello che avete combinato ad Enies Lobby, ho avuto ragione»
Il
cuoco si rilassò «Uhm… mi è piaciuta questa risposta, sta volta passi… ben
tornato…» poi rise «Accidenti, proprio ora dovevi tornare? Giusto adesso che
stavo per far cadere la dolce Robin fra le mie braccia!?»
«Prego?»
dissero insieme Jacques e la mora inarcando contemporaneamente un sopracciglio
e guardandolo storto. La cartografa sorrise notando la loro reazione identica:
sebbene fossero persone piuttosto diverse, in fin dei conti erano molto simili.
«Questo
incontro ha un che di toccante…» esordì d’un tratto Franky in una delle sue
solite assurde posizioni « …ma io avrei comunque una domanda importante da
porti: chi sei strambo fratello?»
L’altro
guardò colui che aveva appena parlato. L’aveva già notato a dir la verità, come
si poteva non notarlo? Tuttavia non aveva preso in considerazione il fatto che
potesse essere insieme ai suoi amici «Strambo?»
«Certo:
hai i capelli bicolore, occhi di ghiaccio e canini aguzzi… non vorrai mica
dirmi di essere normale?»
«Beh,
no…» rispose sinceramente, poi lo guardò meglio: capelli sparati in aria
seguendo chissà quale legge fisica e completamente azzurri, naso di ferro,
triplo mento, avambracci enormi, camicia hawaiana aperta e… mutande… non poté
far a meno di dire « …ma… ti sei mai visto allo specchio?»
«Ehi!»
si offese il cyborg «Io non sono strambo, sono suuuuuuuuuuuuuuper!»
«Se lo
dici tu…»
«Guarda
che comunque la domanda non cambia: chi sei?»
«Lui è
l’amante di Robin!» risposero in coro Nami e Zoro: a quanto pareva anche loro
due erano molto simili.
L’archeologa
fulminò l’amica con lo sguardo, solo il suo innato self-control le permise di
non prendere fuoco: anche se era vero, non c’era certo bisogno di sbandierare
ai quattro venti gli affari suoi.
Jacques,
invece, non riuscì a rigirarsi verso lo spadaccino perché qualcosa lo fermò
«Ahio!» esordì massaggiandosi il fondoschiena dove il pinocchio del gruppo
aveva appena piantato un poderoso spillo «Usop, ma che cavolo ti prende?»
Il
cannoniere guardò la sua arma improvvisata, tirò un sospiro di sollievo «Uff…
meno male, allora non sei uno spettro!»
«Certo
che non sono uno spettro! Che bisogno avevi di infilzarmi con quell’affare?»
«Devi
ammettere che, però, è strano…» propose timidamente Chopper « …in fin dei
conti, tutti noi ti abbiamo visto…» non riuscì a finire la frase.
Il
labbro di Jacques si tirò leggermente: si sentiva tremendamente in colpa per
averli fatti assistere alla sua morte, per avervi fatto assistere Robin per la
seconda volta: però, anche lui era rimasto sorpreso di ritrovarsi ancora in
vita «Io, non so come sia possibile… quando non sono più riuscito a controllare
il cavaliere dentro di me, mi sono addormentato con la consapevolezza che non
mi sarei più risvegliato. Io non so assolutamente nulla di quello che ho
combinato mentre non ero in me, l’unica cosa che so è che ad un certo punto è
successo qualcosa che mi ha fatto risvegliare. Tuttavia ero troppo debole per
sovrastarlo, poi non so come e non so perché, ha incominciato ad indebolirsi
sempre più e dopo vari tentativi sono riuscito a sottometterlo nuovamente…
però…»
«La
freccia ti aveva già colpito…» concluse per lui Zoro.
«Sì…»
«Su,
adesso basta…» li interruppe il capitano dando una botta sulla spalla del
compagno ritrovato « …l’importante è che tu sia di nuovo con noi! Bisogna
festeggiare!»
Franky
si passò una mano sul mento spigoloso «Da quel che ho capito, sei più strambo
del previsto fratello, comunque dato che starai sulla nave, mi presento: io
sono Franky, detto Cutty Flam e sono il carpentiere della ciurma»
«Jacques
Caine…»
«Che
cosa?!?» la bocca del cyborg si spalancò «Tu sei Jacques “Death” Caine? L’uomo
da cinquecento milioni di Berry?»
«Cinquecento
milioni di Berry?!?» urlò il capitano saltandogli al collo e iniziando a
shakerarlo «Come hai potuto superarmi così tanto?»
Nami lo
abbatté con un pugno secco sulla testa «Taci!» e mentre il capitano se ne
andava mogio mogio in un angolino a far cerchietti con l’indice nella terra,
riprese «Jacques “Death” Caine? Quindi significa che sia la Marina che il
Governo sanno chi sei…»
«Sì,
infatti…»
«Questo vuol dire che hanno molte più informazioni su di te di quel che
pensiamo…» concluse Robin.
«Allora?
Come procedono le cose?» chiese Sindel alla figura che aveva di fronte.
«Per
ora tutto bene, nessuno sospetta niente…»
«Perfetto…
continua a fare il tuo lavoro e integrati con loro più che puoi, perché non
appena riceveremo l’ordine dovremo essere pronti a farli ballare»
TO BE CONTINUED…
Eccoci ad un nuovo aggiornamento.
Volevo spendere due parole sul primo pezzo della storia, ossia il flash-back
sul ballo a Water Seven. Intanto spero di aver reso bene l’idea dei sentimenti
contrastanti di Robin attraverso i suoi pensieri messi in contrapposizione con
e parole da lei pronunciate. Soprattutto, però, volevo dire che l’idea di
alternare ai loro discorsi i passi di danza è un omaggio ad un libro giallo che
lessi qualche anno fa e mi era piaciuto particolarmente, ossia “Le piace la musica,
le piace ballare” di M. H. Clark.
Capitolo 16 *** - EHI, WHAT DO YOU WANT? YES, I’M A GIRL, HONEY! - ***
CAPITOLO 15
CAPITOLO 15
- EHI, WHAT DO YOU WANT?
YES, I’M A GIRL, HONEY! -
Felicità: uno
strano concetto, non per tutti arriva dalle stesse cose. C’è chi, una mattina,
si sveglia e si accorge che l’influenza gli è passata e potrà finalmente
uscire; c’è il bambino che, dopo tanto penare, riesce finalmente a raggiungere
la scatola dei biscotti che la mamma aveva sapientemente nascosto sulla mensola
più alta; c’è chi sospira al venerdì, dopo un’estenuante settimana di duro
lavoro perché, finalmente, arriva il weekend e potrà riposare. Ebbene, è facile
immaginarsi la felicità sul volto di queste persone, ma è altrettanto semplice
pensare a come le loro espressioni possano cambiare non appena il primo aprirà
la finestra e si accorgerà che fuori imperversa il temporale, oppure, il
bambino verrà scoperto dalla madre e, oltre a non mangiare alcun biscotto,
riceverà un bella ramanzina e l’ultimo, quando metterà il piede fuori
dall’ufficio, sentirà squillare il cellulare e il suo capo lo sommergerà di
lavoro extra.
A questo punto possiamo avere bene a mente la felicità dei nostri eroi che,
lasciate momentaneamente da parte le loro preoccupazioni, tornavano ridendo e
scherzando in quel della nuova nave contenti di aver, finalmente, ritrovato un
compagno creduto perduto: un uomo valoroso, seppur coi suoi difetti, ma chi non
ne ha? Per molti un amico, per una un amante.
Appena messo il piede sul ponte, però, accadde qualcosa che indusse la
maggioranza della ciurma ad aprire la bocca per lo stupore, una donna a
socchiudere gli occhi azzurri con aria minacciosa e un biondo cuoco a lanciarsi
in cucina a recuperare il più affilato dei suoi coltelli.
Ma che sarà mai successo, vi chiederete. Ebbene, quando i nostri arrivarono il
fato volle che i nuovi acquisti fossero già tutti a bordo: la pantera,
naturalmente, ancora legata alla catena aprì pigramente gli occhi interrompendo
il sonnellino che si era concessa giusto per verificare chi fosse la fonte di
tutto quel fracasso e poi tornò a dormire; Tristan, impegnato a sistemare
alcune cose nella sua cabina, nemmeno li sentì; Claire, invece, si accorse
immediatamente del ritorno dei suoi compagni e notò subito la presenza di un
estraneo, improvvisamente lo mise a fuoco meglio e si accorse che così
estraneo, in realtà, non era.
Il volto della ragazza si distese in un’espressione di incredulità e, senza
minimamente pensarci due volte, corse ad abbracciare quello che era stato il
suo salvatore «Omino!» esordì mentre gli cingeva il collo con le braccia «Che
cosa ci fai tu qui?»
«C- Claire?!» balbettò Jacques, al momento incapace di comprendere in quale
situazione pericolosa stava andando a cacciarsi «Potrei farti la stessa
domanda…»
Queste ultime parole, però, non vennero esattamente interpretate dalla ciurma:
di fatti, scambiarono il suo sincero stupore con una grande, anzi, grandissima
coda di paglia e, come detto, mentre alcuni perdevano tempo a meravigliarsi,
Sanji si lanciò in cucina e ne uscì armato fino ai denti «Io ti eviro!»
«Cosa?!» urlò Jacques spostando una spaesata Claire ed andandosi a coprire con
le mani la parte minacciata «Non scherziamo!»
«Già, non scherziamo…» gli fece eco Robin, ma bastava guardare i suoi occhi per
capire che non sarebbe stata dalla sua parte « …tu non evirerai proprio
nessuno, perché sarò io a farlo!» sibilò.
La schiena del cavaliere fu percorsa da migliaia di gelidi brividi: era inutile
cercare di spiegare, del tutto inutile.
La bionda sorrise: allora anche quell’uomo temeva qualcuno. Impietosita decise
di ricambiare il favore che gli doveva da tempo «Allora era lei che stavi
cercando, non è così?»
Automaticamente, tutti si voltarono verso la ragazza.
«Sì…» arrivò debole la risposta dell’interpellato, ancora non sicuro sulla
salvezza dei suoi attributi.
«Tu come fai a saperlo?» le chiese sospetta la mora.
«Diciamo, che abbiamo passato un po’ di tempo assieme…» rispose, forse, non del
tutto consapevole di star seriamente rischiando la vita ma, prima che qualcuno
ebbe il tempo di dire o fare qualcosa, continuò « …ma non nel modo che pensate
voi» sottolineò.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Nami chiese «Allora perché gli sei saltata al
collo?»
«Perché mi ha salvato la vita…» spiegò semplicemente
«E allora perché tu… » continuò la rossa rivolgendosi all’altro « …hai
balbettato come un’idiota colto con le mani nel sacco?»
Gli occhi si spostarono tutti su di lui «Beh, permettete che fossi sorpreso?
Saranno quasi due mesi che le nostre strade si sono separate e ora la ritrovo
qui a far parte della ciurma… non credete sia normale?»
«In effetti…» concesse la navigatrice.
«Come sempre tanto baccano per niente» sbuffò lo spadaccino «Io vado ad
allenarmi, chiamatemi quando si mangia»
La tempesta era calata e Jacques ritenne che, ormai, poteva anche togliere le
mani dal cavallo dei pantaloni. Pian piano, ognuno tornò alle sue mansioni o,
semplicemente, a farsi i fatti propri.
Il cavaliere seguì con lo sguardo il suo ritrovato capitano, non poté far a
meno di ridere quando notò dove si stava dirigendo «I pappagalli sono passati
di moda?»
«Come?» chiese la mora non capendo, d’altra parte si aspettava che le dicesse
qualcosa su quello che era appena accaduto, di certo non una domanda del
genere.
«Mi riferivo alla pantera che sta sul ponte… non è un po’ troppo impegnativa
come animale di bordo?»
«Beh, Rufy non ha voluto sentire ragioni: l’ ha trovata ferita in una giungla e
l’ ha voluta tenere a tutti i costi, puoi ben immaginare la scenata che ha
fatto Nami. Subito c’è stata qualche difficoltà ma, adesso, sembrano aver fatto
amicizia»
«Ho notato…» le rispose mentre guardava il ragazzo di gomma giocare con quel
felino come se fosse stato solamente un gattino. Rimase un attimo in silenzio,
poi aggiunse «Comunque, grazie per la fiducia»
Robin sorrise «Mi pareva strano…»
«Che cosa?»
«Che non me lo facessi notare…» lo guardò «Cosa avrei dovuto pensare, scusa?
Sappiamo entrambi qual era il lavoro di Claire. So che, ora come ora, non lo
farebbe ma due mesi fa era diverso»
«Oh, sì… perdi pure tempo a giustificare Claire» le rispose lui sarcastico «Lei
era diversa, io no!»
«Insomma Jacques, lei è una bella ragazza e non venirmi a dire che non era
disponibile!»
«E allora?»
«E allora, cosa? Sei un uomo, Jacques!»
Lui rise, più per scaricare il nervoso che per divertimento «Pensi davvero che
sarei capace di farti una cosa del genere?» non riusciva a crederci «Dimmi che
stai scherzando…»
Lei prese fiato «Scusami…» gli disse abbassando il capo.
«Guardami negli occhi, almeno, quando lo fai…»
L’archeologa puntò gli occhi nei suoi «Scusa» lo vide storcere le labbra: era
ancora arrabbiato.
Jacques si passò una mano sulla fronte ed inspirò a fondo «D’accordo…» accettò
il suo pentimento con sguardo corrucciato, poi d’improvviso la sua espressione
cambiò e si distese « …certo che sei proprio un Pettirossino geloso!» la prese
in giro.
Robin lo guardò storto incrociando le braccia al petto « Potrei ucciderti per
questo, lo sai?» lo minacciò.
Lui le sorrise con una faccia da schiaffi «Sono proprio curioso di vedere come
fai…»
Perché mai tenere una mano lontana da una guancia che così tanto la reclama?
«Scemo!»
L’uomo spalancò la bocca incredulo «Mi hai dato uno schiaffo?!»
«No, solo una carezza un po’ troppo vigorosa…»
«Vi dico che l’ ho vista, dovete credermi!» urlò esagitato un signore, ormai in
là con l’età, davanti a due uomini posti di guardia d’innanzi all’ingresso
della base cittadina della marina «Era spaventosa! Mi ha perfino ringhiato
contro!»
«Per favore, si calmi…» cercò di rabbonirlo uno dei due soldati, evidentemente
quel vecchio doveva aver preso troppo sole in testa «E’ normale che le abbia
ringhiato…» lo assecondò « …d’altra parte era un intruso su quella nave, no? E
poi come mi ha detto era legata, per cui non c’è alcun problema»
«Nessun problema?!?» sbraitò, invece, l’altro «Ma v’immaginate che cosa
potrebbe fare una bestia del genere se riuscisse a liberarsi?»
«Che palle!» sbuffò l’altro uomo di guardia «Tu hai ancora voglia di sentire le
fesserie di questo vecchio?»
«Fesserie? Venire con me se non ci credete!»
«Che diavolo sta succedendo qui?» chiese quello che aveva tutta l’aria di
essere il più alto in grado dell’intera base.
«Niente, Signore!» gli rispose il primo mettendosi sull’attenti «E’ solamente
il guardiano del porto, colui che controlla i ponti delle navi ormeggiate per
verificare che non appartengano a pirati. Temo, però, che il sole e qualche
goccetto di troppo gli abbiano causato qualche visione»
«Io sono sobrio!» protestò il pover uomo anche se, a dirla tutta, avrebbe fatto
meglio a stare zitto perché ogni volta che apriva bocca l’odore di rum che lo
accompagnava diventava assai più forte di quando la teneva chiusa.
«E sentiamo…» disse con pazienza il suo superiore « …cosa avrebbe mai visto
quest’uomo?»
«Una pantera legata sul ponte di una nave, Signore» rispose prontamente il
Marine.
«Una pantera?» volle essere sicuro l’altro.
La conferma non tardò ad arrivare «Esatto, Signore! Proprio una pantera!»
«Attendetemi qui un momento…» e, girati i tacchi, tornò all’interno della base.
Zoro, a poppa, issava e abbassava con vigore una sbarra caricata di pesi fino
all’inverosimile; Nami, un po’ più distante, era un po’ che lo guardava ma lui
sembrava non essersene accorto. Era da quando Robin gli aveva fatto vedere che
Jacques era ancora vivo che la rossa aveva cominciato a pensare e, ora che lui
era persino tornato da lei, un desiderio aveva cominciato a prendere corpo
nella sua mente, ma sarebbe mai potuto tornare tutto come prima? Le mancava, la
mancava immensamente, non solo come amante, ma soprattutto come compagno anche
se, a onor del vero, la situazione era leggermente migliorata. Perché non era
stata zitta? Si ritrovò ad insultarsi da sola per avergli detto quelle cose, ma
si pentì subito dopo: da quando era un peccato tenere alla vita delle persone
che si amano?
Proprio in quel momento, lo spadaccino si voltò verso di lei e puntò gli occhi
nei suoi: se ne era accorto. Nami, dal canto suo, avrebbe voluto sprofondare
ma, questa volta, la dea bendata aveva deciso di essere dalla sua parte: con
una lentezza quasi esasperata allungò un braccio nella sua direzione mentre,
pian piano, un indice andò a puntare qualcosa alle sue spalle.
Zoro inarcò un sopracciglio non cogliendo l’invito della cartografa a voltarsi,
così che lei dovette ripetere nuovamente il gesto allora lui capì. Girò il capo
e i suoi occhi si spalancarono: un’intera divisione della Marina si stava
dirigendo, a passo svelto, verso la loro nave «E questi che diavolo vogliono?»
chiese ad alta voce a se stesso, probabilmente dimentico del fatto che la somma
di tutte le teste della sua ciurma arrivava ad ottocentodieci milioni di Berry,
anzi, superava il miliardo se si aggiungeva pure la taglia di Jacques. Se
dobbiamo essere sinceri, però, non aveva tutti i torti a porsi quella domanda.
Di fatti i jolly roger erano stati accuratamente nascosti, nonostante fosse
passato parecchio dalla faccenda di Water Seven, molte delle divisioni della
Marina ancora non conoscevano la fattezza della loro nuova nave ed era da
escludere anche che li avesse denunciati qualcuno visto che in nessuno dei
luoghi in cui erano stati mai una persona sembrava averli riconosciuti e, se
anche l’avesse fatto, visto che non davano alcun tipo di fastidio, la gente
preferiva di gran lunga che comprassero del buon vino, alloggiassero nelle loro
locande e mangiassero nei loro ristoranti.
Il comandante della divisione arrivò nei pressi dell’imbarcazione e, notato che
sul ponte c’era del movimento, chiamò a gran voce «Ehi, voi della nave, voglio
parlare con il vostro capitano!»
Rufy, sempre accanto alla pantera, ossia dalla parte che dava verso il mare
aperto, tirò su la testa di scatto «Chi è che ha da urlare in questa maniera?»
Tristan che, nel frattempo era tornato sul ponte e aveva fatto conoscenza con
quello che, per lui, era un nuovo arrivato, si voltò verso il porto «Pare che
abbiamo visite e sembrano chiedere proprio di te»
Il ragazzo di gomma si sistemò il cappello di paglia sulla testa «Mai che si
possa stare un attimo tranquilli…» sbuffò seccato per quell’interruzione del
suo recente diletto preferito. Attraversò velocemente la coperta e si affacciò
dall’altro lato «Chi mi vuole?»
L’uomo in bianco e blu, dal canto suo, fu sorpreso di riconoscere il volto del
ragazzo da duecento milioni «Tu sei Rufy dal Cappello di Paglia…»
«Sì, e allora?» chiese il moretto incrociando le braccia al petto «Che cosa
volete?»
«Stai calmo…» cercò di tranquillizzarlo l’altro «So chi sei, ma non ho
intenzione di farti nulla: né a te né alla tua ciurma, d’altra parte non avete
combinato guai…»
«E allora perché sei venuto qui con una squadra intera?» lo interrogò ancora,
provocandolo apertamente.
«Perché ci è stato detto che su questa nave è presente una fuggitiva…»
La ciurma che, ormai, si era radunata tutta attorno al suo capitano portò
istintivamente la sua attenzione su Claire.
La biondina tremò: in effetti era vero, lei stava fuggendo.
Robin notò il turbamento della ragazza ma allo stesso tempo udì chiaro un
rumore di sottofondo, si girò verso l’animale: il grosso felino si era alzato
su tutte e quattro le zampe, messo in posizione di difesa e aveva cominciato a
ringhiare con rabbia.
Rufy scosse la testa «Non ho la più pallida idea di chi tu stia parlando»
«Lo so, Cappello di Paglia, lo so…» considerò l’ufficiale sorprendendo tutti
«D’altra parte quella ragazza è molto furba, visto che è riuscita a scappare da
una delle nostra basi maggiormente sorvegliate da sola. Dubito molto che
l’abbiate vista veramente per quella che è…»
Il capitano cominciava a perdere la pazienza «Non capisco, parla più chiaro!»
«A bordo avete una pantera. E’ nostra, ci appartiene: noi la rivogliamo!»
Nami si voltò verso la bestia che diventava sempre più nervosa «E adesso cosa
c’entra? Prima parla di una ragazza, poi di una pantera… non ha senso»
«Invece sì…» le suggerì l’archeologa « …se si tratta della stessa persona»
«Che cosa?»
«Non mi interessa un accidente se la rivolete!» le interruppe la voce del
ragazzo di gomma «Adesso lei è sulla mia nave, fa parte della mia ciurma e non
la lascerò a voi di certo!» concluse risoluto provocando un immenso stupore
nell’animale che si zittì di colpo.
L’ufficiale inspirò profondamente «Se non vuoi ridarci la nostra prigioniera
con le buone, dovremo venire a riprendercela con le cattive»
«Non aspetto altro!» gli rispose il moro a denti stretti.
Bastò un attimo, giusto il tempo che i due si presero per incitare i propri
uomini e la battaglia cominciò: duecento contro undici. Un netto svantaggio
numerico, non c’è che dire, ma per niente preoccupante.
Jacques inspirò a fondo: stava per combattere e di conseguenza esporsi di più
al suo lato più oscuro, ma faceva parte dell’accordo e bisognava rispettarlo,
non a caso aveva aspettato così tanto, col tempo aveva imparato a controllarlo.
Sorrise sicuro di sé, mettendo mano all’unica arma rimastagli: la falce,
simbolo di Morte, certo del fatto che nemmeno quella avrebbe influito sulla sua
personalità. Tuttavia, prima di riuscire a muovere un solo passo, una mano tesa
di fronte a lui lo fece fermare: Rufy, a differenza del solito, non si era
buttato nella mischia… attendeva, seppur con impazienza, che il comandante
della divisione si presentasse al suo cospetto perché il suo istinto gli diceva
che l’avrebbe fatto. Le sue iridi scure, però, si erano, ora, puntante a
fissare quelle di ghiaccio di colui che era appena tornato «No!» lo bloccò con
tono risoluto lasciandolo perplesso «Tu non la userai sulla mia nave!»
L’espressione stupita del cavaliere si trasformò : le labbra si tirarono di
lato «Capisco…» disse lasciando la presa, facendo cadere la falce a terra:
comprendeva sin troppo bene i sentimenti del suo capitano, era stato stupido,
come poteva utilizzare un’arma che, molto probabilmente, aveva assaggiato il
sangue dei suoi stessi compagni? « …e quindi cosa dovrei usare?» gli chiese
inarcando un sopracciglio.
Rufy gli mostrò il suo miglior sorriso a trentadue denti «Sei il mio arciere,
no?» Jacques non ebbe neanche il tempo di rispondere che l’altro continuò
«Usop!» chiamò a gran voce.
Il cecchino si prese una momentanea pausa dalla battaglia nella quale,
ovviamente, svolgeva un ruolo di copertura «Che c’è?»
«Vai a prendere quella cosa che ti avevo commissionato un po’ di tempo fa»
«Adesso?!?» spalancò la bocca mentre abbassava la sua fidata fionda.
«Certo!»
Il pinocchio sbuffò ma, poco dopo, sparì sottocoperta per poi riuscirne munito
di qualcosa coperto da un panno polveroso: lo passò all’uomo che aveva di
fronte «Mi dispiace di non aver trovato un metallo come quello del tuo vecchio
arco, ma ti assicuro che è il legno migliore che sia riuscito a recuperare sul
mercato»
Jacques lo scoprì «E’ un arco bellissimo!» ne percorse il profilo con le dita e
lo soppesò «E’ perfettamente bilanciato… l’ hai fatto davvero tu?»
«Ovviamente!» alzò il pollice destro Usop, mentre con l’altra mano gli passava
una faretra piena di frecce dalle candide piume «A dir la verità, volevo
munirlo di qualche accessorio in più, ma nessuno ha voluto»
«Posso immaginarne il motivo…» sghignazzò il cavaliere per nulla dimentico
delle diavolerie che il cecchino era in grado di creare «Perché gli hai chiesto
di farlo, Rufy?» chiese d’un tratto.
«Perché ero certo del fatto che saresti tornato da noi!»
Questo momento idilliaco, segnato dall’amicizia e dalla profonda fiducia venne
brutalmente terminato da una poderosa bastonata di Nami che colpì tutti e tre
fra capo e collo facendogli prendere una tremenda musata sul legno del ponte «VI
DECIDETE A VENIRE A DARCI UNA MANO O NE AVETE ANCORA PER MOLTO?» gli ringhiò
contro senza troppi complimenti.
«Subito!» scattarono in piedi all’unisono.
Usop e Jacques affiancarono Claire ai bordi della paratia coprendo i loro
compagni, che si erano gettati in quella fiumana di Marine, dall’alto. Fu in
quel momento che, sotto l’influsso della signora in nero, il cavaliere notò
l’aura che circondava la biondina al suo fianco, la pantera legata sul ponte e
Tristan che, nonostante la gamba non gli fosse ancora guarita del tutto,
cercava di fare del suo meglio. Si chiese se il capitano ne fosse a conoscenza,
ma quello non era il momento di pensare, la corda dell’arco si tese alla
perfezione fra le sue dita esperte: scagliò la prima freccia.
Rufy si voltò richiamato dall’ennesimo ringhio dell’animale, forse, addirittura
più furioso degli altri. Sentì la catena stridere sotto la sua poderosa forza e
vide la sua nera pelliccia tingersi, all’altezza del collo, del rosso del
sangue. Preso da rabbia improvvisa si ritrovò ad insultarsi per non averla
liberata prima ma, fortunatamente, si mostrò ai suoi occhi la giusta valvola di
sfogo. Sorrise, quel maledetto era riuscito a raggirare il resto dei suoi
compagni, evidentemente troppo impegnati a lottare e a guardarsi alla spalle a
vicenda per accorgersi di lui: si crocchiò le dita, non avrebbe potuto chiedere
di meglio.
«Puoi pure smettere di essere così cauto…» esordì bloccandolo di riflesso «Come
hai visto ci siamo accorti di te!»
Il più alto ufficiale della base locale si ricompose «Ho notato» rispose «Dimmi
perché Cappello di Paglia, perché la proteggi? Tu non sai nulla di lei, nemmeno
l’ hai mai vista veramente»
«Se ora tu me la portassi via, non potrei mai scoprirlo, non credi?»
«Capisco…» affermò con aria beffarda mentre sfoderava la sua pistola e la
caricava.
Il capitano ricambiò con la stessa aria «Sei sicuro di conoscermi bene?»
«Certo, so benissimo che le pallottole non hanno effetto su di te, ma è anche
vero che non posso permettermi di lasciartela!»
Fu così che il giovane si accorse troppo tardi di non essere lui il bersaglio:
si allungò il più possibile per intercettare il tiro, ma fu tutto inutile. Con
sua grande fortuna, però, poté notare che la pantera non era di certo una
cucciola sprovveduta, nonostante la catena le impedisse di muoversi
liberamente, scattò agile da una parte tendendo il metallo fino
all’inverosimile: la pallottola si schiantò contro le maglie mandandole in
frantumi.
La rabbia e la voglia di agire fin troppo represse, spinsero la bestia a lanciarsi
furiosa verso il suo nemico.
A nulla valse il secco “no” con il quale Rufy cercò di fermarla, ormai aveva
già compiuto un terribile balzo in avanti. No, non era così che doveva andare,
non era così che le cose funzionavano su quella nave: ormai, avrebbe dovuto
capirlo. Fu in quel momento, proprio mentre l’ultimo marine cadeva inerme sul
cemento del porto, che Jacques si lanciò con forza contro l’animale
atterrandolo: tre profonde lacerazioni si aprirono su metà della sua faccia,
non badò né al dolore né al bruciore, pensò solo a bloccarla. L’ufficiale non
si fece scappare l’occasione per ripartire all’attacco ma, questa volta, il
ragazzo di gomma non si lasciò cogliere impreparato: bastò un solo Gom Gom
Pistol che l’uomo era già sulla via del ritorno per il suo ufficio.
«Vedi di calmarti» suggerì il cavaliere alla pantera allentando la presa sul
suo collo «E’ finita, sei di nuovo al sicuro adesso»
Il respiro del felino decelerò fino a tornare regolare, si sedette sulle zampe
posteriori abbassando il capo colpevole di aver ferito colui che gli aveva
impedito di commettere una terribile sciocchezza, il suo viso sarebbe rimasto
deturpato per sempre da orrende cicatrici.
«Non ti preoccupare per queste, guariscono subito» la rassicurò passandole una
mano fra le orecchie. Non le piaceva essere toccata ma quella carezza non la
infastidì, perché cercava di alleviare la sua colpa, avrebbe davvero potuto
piacerle quella ciurma. Alzò i suoi occhi di due colori sul suo volto, posando
particolare attenzione sulle ferite che ancora colavano sangue: le sue iridi si
spalancarono quando videro i profondi tagli rimarginarsi, come se nulla fosse
stato, in un attimo. Distratta da quella sottospecie di miracolo non si accorse
delle mani di Rufy che armeggiavano con il suo collare per toglierlo, se ne
accorse solo quando la scontrò alla ferita provocandole una fitta di dolore.
«Scusami» le disse il ragazzo mortificato «Ma ora sei libera, perdonami se non
l’ ho fatto prima» poi si rivolse al suo compagno «Grazie per averla fermata»
«Figurati»
«Che noia, sono già finiti» si lamentò Zoro raggiungendoli sul ponte.
Tristan sghignazzò seguendolo «Sei incredibile, te ne dispiace?» chiese
sarcasticamente sedendosi e massaggiandosi la gamba che aveva cominciato a
fargli un po’ male, dopo tutto quel movimento era anche naturale.
«In fin dei conti non avevamo neanche cominciato a scaldarci» aggiunse il cuoco
allentandosi il nodo della cravatta.
«Voi due siete pazzi, ecco cosa siete!» ringhiò, dolce come sempre, la
navigatrice.
«Dai sorella, non ti angustiare…» cercò di calmarla Franky dandole una
pacchetta su una spalla.
Naturalmente ciò servì solamente a farla irritare di più «Ma dico io, ti ha
dato di volta il cervello?!? Hai idea di che mani hai? Volevi distruggermi una
spalla?!?»
Il carpentiere ci rimase di stucco, al suo fianco Claire la guardò palesemente
perplessa con tanto di gocciolone dietro alla nuca «Ma gli farà bene
innervosirsi sempre così tanto?!»
«Probabilmente qualche giorno le esploderà un’arteria…» le rispose Usop stando
ben attento a non farsi udire dal diavolo rosso.
Fortunatamente per lui, Nami era impegnata a prendersela con qualcun altro «Già
era stato stupido prendersi una pantera a bordo ma a te non bastava, non è vero
Rufy? Dovevi proprio prendere quella scappata da una base della Marina?!?»
«Eddai!» le rispose il ragazzo di gomma sorridendo «E’ andato tutto bene, no?»
La rossa ci pensò un attimo «Sì…» concesse infine, incrociando le braccia al
petto «Però mi chiedo come mai fossero così determinati a riaverla… è solo un
animale dopotutto»
«Eppure erano addirittura disposti ad ucciderla piuttosto che lasciarla a noi»
fece notare Jacques stirando le labbra di lato.
Robin scese dalla paratia alle sue spalle, sulla quale si era seduta come da
sua abitudine, e gli si avvicinò «Beh, allora perché non lo chiediamo a lei
direttamente?»
«Hai ragione!» si esaltò subito Chopper «Io posso tradurvi quello che dice»
L’archeologa sorrise alla giovane renna «Ti ringrazio ma credo non serva, non è
vero?» chiese alla pantera guardandola negli occhi.
«Non capisco dove tu voglia arrivare…» si sentì in obbligo di farle presente la
cartografa che, questa volta, brancolava nel buio.
«In realtà lei è una ragazza» spiegò a tutti la mora.
«Che cosa?» sbottò il resto della ciurma incredulo.
«Credo che ci troviamo di fronte ad un particolare tipo di Zoo Zoo»
Il felino non poté fare a meno di pensare che quella donna aveva davvero capito
tutto, era inutile continuare a nascondersi. Si rimise su tutte e quattro le
zampe e camminò fino ad arrivare alle spalle di colei che l’aveva smascherata:
d’altra parte era la più alta fra le ragazze e, di conseguenza, la più
coprente.
Quello che la ciurma vide nei secondi seguenti fu, a dir poco, spettacolare: il
pelo nero cominciò a sparire lasciando visibile l’epidermide candida, la
postura tornò ad essere eretta, la coda si ritirò sino a sparire del tutto e le
orecchie scesero dal capo per tornare alla più consona forma e posizione umana.
Tutti assistettero a quella scena increduli, anche perché la ragazza che ora
avevano di fronte emanava una solarità che ben poco si sposava con la regina
delle tenebre qual era il suo alterego: i suoi capelli castani chiari striati
d’oro ricadevano come una cascata di boccoli lunga fin sopra al sedere e i suoi
occhi, che già colpivano nella forma animale, erano marroni tendenti al verde
ma, sotto i raggi solari, il verde prendeva nettamente il sopravvento sul
marrone. In più c’era un altro piccolo particolare che, nonostante l’archeologa
la coprisse quasi interamente, non passò di certo inosservato: era
completamente nuda!
Diverse reazioni cominciarono a scatenarsi una dopo l’altra.
Gli uomini: solo due distolsero lo sguardo in segno di rispetto, mentre le
restanti bocche si aprirono senza ritegno e, addirittura, qualche naso sanguinò.
Le tre donne reagirono in maniera assolutamente differente: Robin, vista la
reazione della componente maschile, fece apparire fulminea delle mani a coprire
gli occhi di tutti; Nami, invece, fu meno di tatto ed assestò una poderosa
bastonata dietro alla nuca di ognuno di loro «Siete solo dei maniaci
depravati!» li ammonì senza fare alcuna distinzione.
Claire, sebbene il teatrino offertole dalla navigatrice fosse alquanto
esilarante fra gli insulti, le imprecazioni, le bestemmie e le immancabili
moine del biondo, cercò di trattenersi dal ridere e recuperò, veloce, qualcosa
per coprire l’ ex-pantera.
Il rossore sulle guance della ragazza iniziò a stemperarsi non appena le sue
nudità vennero celate ad occhi indiscreti. Ciò, però, non le diede il coraggio
di guardare verso la ciurma, anzi, se possibile cercò di abbassare lo sguardo
ancora di più: solo dopo qualche istante ebbe il coraggio di mormorare
«Scusatemi, ma non ero certa di potermi fidare di voi…»
«Perché non avresti dovuto fidarti?» chiese Rufy a colei
che fino a pochi attimi prima era un grosso felino «Ti ho aiutato nonostante tu
mi abbia aggredito, il mio medico ti ha curato e la mia ciurma ti ha sempre
trattato bene...» Il capitano aveva la testa piegata di lato, gli occhi fissi
sulla ragazza avvolta in un lenzuolo e lo sguardo ancora perso nella precedente
visione.
Lei se ne rese conto ed arrossì, cercando di coprirsi più
di quel che era «Lo so e di questo vi ringrazio moltissimo, avrei rischiato di
morire dissanguata se non mi avessi liberata... però...» esitò «Però è anche
vero che tu hai salvato la pantera, non la ragazza che lo diventa»
Il ragazzo di gomma si grattò il mento «A questo punto non
vedo più la differenza»
L'altra rimase un attimo interdetta, poi i suoi occhi si
sgranarono sotto l'ennesimo pungo della navigatrice «Dacci un taglio!» lo
rimproverò quella coi suoi soliti denti da squalo, poi riprese un'espressione
normale e si rivolse alla ragazza «Capisco cosa intendi, hai avuto paura che
potessimo sfruttare le particolarità del tuo frutto»
«Sì...» si strinse nelle braccia «...e non sarebbe la
prima volta»
Jacques inarcò un sopracciglio e la fissò «Beh, hai visto
che noi non siamo esattamente in ottimi rapporti con la Marina, per cui non hai
niente da temere»
La ragazza si sentì trapassare da quelle iridi di ghiaccio
e tremò impercettibilmente ma all'altro non sfuggì, sorrise lasciando
intravedere i canini allungati «Che c'è? Hai paura di me?»
Quella lo guardò: contemplò il suo sguardo, il suo volto e
si ricordò del suo potere... annuì. Non fu l'unica, però, a rispondere
affermativamente a quel quesito sebbene gli altri non l'avessero espresso con
gesti o ad alta voce, poiché non erano stati interpellati. Claire si appoggiò
ad una paratia della nave non riconoscendo più in lui l'uomo che l'aveva
salvata; Tristan deglutì a vuoto mentre si chiedeva che fine avesse fatto quel
calore umano che aveva visto nei suoi occhi quando si erano presentati; la
stessa Robin era sorpresa del comportamento del suo compagno, così come il
resto della ciurma.
Il cavaliere non fece caso a tutti quegli occhi puntati su
di sé e continuò a parlare «Non devi averne... a meno che tu non abbia cattive
intenzioni»
«Jacques, smettila! Non la spaventare» lo riprese la mora
incrociando le braccia al petto. Lui sorrise, un sorriso diverso dal precedente
«Perché mai? Mica ne hai, no?» la guardò nuovamente, così come fece con Claire
e Tristan.
La ragazza non credeva ai propri occhi, come poteva
un'espressione cambiare così rapidamente? «No...»
«Bene» esordì, quindi, Nami «Allora perché non ci dici
come ti chiami? O ti dobbiamo chiamare Diavolo Nero?»
«Per me possiamo chiamarla Mirabile Visione!» se ne
uscì il cuoco con una nube di cuoricini di fumo. La rossa fu costretta a
sfoderare il suo fidato destro per l'ennesima volta della giornata «Sanji, a
cuccia!»
La scenetta ebbe il potere di far sorridere l'ex-pantera
«Mi chiamo Alyssa... Alyssa Smith»
«Ok, Alyssa... prima di presentarci a nostra volta sarà il
caso di trovarti dei vestiti» considerò saggiamente la navigatrice.
L'altra si rilassò «Te ne sarei infinitamente grata!»
Zoro guardò le ragazze allontanarsi e corrugò la fronte
sporgendo il labbro inferiore: un'idea gli balenò nella mente ma per averne la
conferma, prima, avrebbe dovuto vederla vestita.
«Si può sapere che diavolo ti è preso?» chiese Robin
guardandolo storto «Non mi avevi detto che era tutto sotto controllo?»
Jacques la guardò dal basso verso l'alto visto che era
ancora seduto sul ponte mentre lei era in piedi al suo fianco «Sì, ma ti avevo
anche detto che ormai fa parte di me»
La donna soppesò le parole dell'uomo pronunciate senza
timore né rimorso «Perché l' hai fatto allora? Che bisogno c'era di metterla
così sotto pressione?»
Lui sorrise e si alzò «Non credere che sia così
sprovveduta, sai... come nessun altro del resto»
«Che cosa intendi dire?»
«Volevo solamente vedere la sua reazione, tutto qui»
La cow-girl non riusciva a capire, d'altra parte non aveva
idea di quel che lui aveva visto durante la battaglia «Perché?» chiese ancora.
«Perché, se non avesse avuto paura di me, avrebbe
significato che tutto quel che aveva fatto sino ad ora era solamente una falsa»
Robin rimase un attimo in silenzio e comprese «Non farlo
più...» bisbigliò.
Il cavaliere portò il suo sguardo su di lei, stupito «Ti
sei spaventata anche tu?»
«No» gli rispose subito puntando gli occhi dritti nei suoi
senza esitare, poi li riabbassò «E' che noi ci abbiamo combattuto contro quella
parte di te, quella parte che ci ha quasi ucciso»
L'uomo si portò una mano alla nuca «Io...» la mano si
abbassò e un piede mosse un passo verso la donna «Mi dispiace... non ci avevo
proprio pensato» l'abbracciò «Scusami»
La mora esitò ma, poi, portò le braccia a cingergli la
schiena.
Prendendo quel gesto per un "Sì", Jacques
sciolse l'abbraccio «Senti, avrei bisogno di un favore»
«Che genere di favore?» gli chiese lei leggermente
sorpresa.
«Avrei bisogno di utilizzare alcuni libri per una ricerca»
Robin sgranò gli occhi «D'accordo... ma che genere di
ricerca?»
«Te lo spiego dopo, ora andiamo»
«Claire, stai bene?» chiese Tristan preoccupato
avvicinandosi alla biondina che, con uno strano colorito, ancora non si era
mossa dalla posizione in cui era scivolata.
«Eh?» chiese quella come se fosse appena tornata da un
altro mondo «Ah... s-sì» aggiunse titubante «Sto bene»
«Ne sei sicura?» volle esserne certo l'altro per niente
convinto della sua risposta.
«Sì» affermò più decisa, era ancora in dubbio se
aggiungere un "E' solo..." che l'altro continuò «Ti ha turbato, non è
vero?»
Claire soppesò quella domanda e invece di fare come il suo
carattere la lasciava agire di solito, cercando di far cadere il discorso,
guardò gli occhi viola del ragazzo che le suggerivano tacitamente di fidarsi e,
lievemente, annuì.
Lui sorrise «Beh, ha turbato anche me» confessò sedendosi,
con un lieve balzo, sulla paratia accanto a lei «E' come se per un attimo non
fosse stato più l'uomo che mi si è presentato poco fa»
Lei annuì ancora «Come se in lui ci fosse un'altra
personalità... cattiva»
Il blu la guardò sospettoso «Ma tu lo conosci?»
«Sì, ho passato del tempo con lui...»
«E ti ha fatto del male?» disse preoccupato schizzando via
letteralmente dal posto in cui era seduto.
«N-No!» si affrettò a rimedia l'altra scotendo le mani
davanti al viso «Anzi, mi ha salvato...»
«Allora perché sei così preoccupata?»
«Perché è stato il primo uomo di cui mi sia fidata dopo
tanti anni... io... io non sopporterei un'altra delusione, non sono pronta»
Tristan rimase un attimo in silenzio, indeciso sul cosa
dire, poi si portò una mano dietro alla nuca e allargò la bocca in gran sorriso
«Io credo che non ti deluderà, secondo me voleva solo metterci alla prova... e
sinceramente la cosa non mi dispiace affatto perché, se fosse veramente
cattivo, qualcosa mi dice che non mi piacerebbe dovermi battere con lui»
La bionda si lasciò andare ad una risatina rilassante
«Uhm... che coraggioso»
«Non dirmi che tu saresti contenta di farlo arrabbiare...»
la punzecchiò inarcando un sopracciglio.
«In effetti no...» ci pensò un po' su «... come non vorrei
far arrabbiare nessun altro di questa ciurma del resto»
Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata «Già,
t’immagini essere colpiti da un pugno di Rufy o da un colpo di spada di Zoro? O
magari da un calcio di Sanji...» la guardò «Va beh, tu di questo non ti devi
preoccupare»
«Sì, però in compenso devo guardarmi dalle mille braccia
di Robin... non la facevo un tipo geloso»
«In che senso?»
«Beh, penso abbia seriamente preso in considerazione
l'eventualità di uccidermi quando ha visto che conoscevo Jacques»
«Perché?» le chiese non capendo.
Claire lo guardò un attimo, poi capì «Ah, giusto! Tu eri
in sottocoperta quando è successo. E' il suo uomo»
«Hai capito!» commentò l'altro sgranando gli occhi «Chissà
perché la cosa non mi stupisce più di tanto» aggiunse sghignazzando,
La biondina scosse la testa «Che fulminato che sei!»
«Credo che lo prenderò come un complimento»
«Allora come va, meglio?» chiese Nami ripiegando una
maglietta e riposandola nell'armadio: non era stato facile trovare qualcosa da
prestare ad Alyssa, visto che la ragazza era di qualche centimetro più bassa di
lei e di Claire e le mancavano un paio di misure di reggiseno, ma alla fine ce
l'avevano fatta... quanto meno, se il mestiere di navigatrice non si fosse
rivelato redditizio, la rossa avrebbe potuto tranquillamente passare a fare la
stilista.
«Decisamente meglio, grazie!» sorrise riconoscente l'altra
«Non so proprio come sdebitarmi»
Gli occhi della rossa, a quelle parole, entrarono istantaneamente
nella modalità "Berry" ed il rumore di un registratore di cassa fece
da inquietante sottofondo «Hai detto sdebitarti?»
Alyssa aggrottò le sopracciglia non capendo di aver appena
siglato il patto che l'avrebbe resta povera a vita: da pantera, infatti, aveva
solo assistito alle sue crisi isteriche e non aveva idea del suo folle amore
per il denaro.
«Mi dispiace per te ma questo non dovevi dirlo, ti
conviene scappare finché sei in tempo» la voce dello spadaccino arrivò alle
loro orecchie facendo sobbalzare leggermente la navigatrice. «Zoro, da quant'è
che sei qui?» chiese con un filo di voce.
Lui alzò le spalle col suo solito cipiglio imbronciato
«Sono appena arrivato... volevo parlare con lei» aggiunse indicando l'altra
ragazza che sgranò gli occhi stupita.
Nami, dal canto suo, si morse impercettibilmente il labbro
inferiore e scostò lo sguardo di lato «Va... va bene» balbettò velocemente «...
allora vi lascio soli» e corse fuori come un fulmine senza neanche rendersi
conto che il ragazzo stringeva in una mano una cintura alla quale era fissa la
fodera di una spada.
Zoro seguì la sua fuga con uno sguardo perplesso, poi
scosse impercettibilmente la testa e si rivolse alla ragazza rimasta «Ti eri
accorta della mia presenza, non è vero?»
Alyssa sorrise «Ho pur sempre una pantera dentro di me,
diciamo che i miei sensi sono un po’ più sviluppati di quelli delle persone
normali»
«Immaginavo…»
«Perché volevi parlare con me?»
Lui inarcò un sopracciglio «Non fingere di non aver notato
ciò che ho in mano, perché ti appartiene giusto?»
Lei rimase un attimo incredula, poi sorrise di nuovo «Come
te ne sei accorto?»
«Non so, lo sentivo e basta…»
«Questo significa che sei un grande spadaccino… ti devo
ringraziare, pensavo d’averla perduta in quella giungla»
«Non devi ringraziare me ma Robin, è lei che l’ ha
trovata, io l’ ho solo custodita. Perché te ne sei separata?»
«E tu perché me lo chiedi?» gli rispose con voce
leggermente alterata «Pensi che io sia indegna di portarla al mio fianco perché
l’ ho lasciata andare, non è così?»
Zoro non badò alla sua rabbia e si limitò ad annuire.
«Io l’ ho persa mentre fuggivo come pantera, purtroppo ero
appena riuscita a liberarmi da un grosso gruppo di quegli indigeni insistenti e
non l’avevo ancora assicurata in vita così, quando ho dovuto prendere le mie
sembianze animali, l’ ho perduta. Avrei potuto ritrovarla se solo non fossi
finita in quella tagliola, era anche per quello che ho fatto resistenza a Rufy
quando ha deciso di liberarmi e portarmi con sé»
«Non dovevi dirmi tutte queste cose»
Alyssa era incredula «Io non dovevo?!? Tu insinui che io
non sia degna di portare questa spada al mio fianco e io…» si bloccò furiosa
con i pugni serrati lungo i fianchi «Benissimo!» sibilò e con uno scatto
fulmineo e una forza inaspettata, lasciando lo spadaccino di stucco, gli
strappò la cintola con la katana di mano e se la legò in vita: il peso della
spada fece sì che la cintura un po’ larga scivolasse leggermente lungo i
fianchi «Noi ci batteremo, così ti dimostrerò di esserne degna. Decidi tu
quando.»
L’altro rimase leggermente stupito, poi tirò le labbra in
un sorriso un po’ strafottente «Accetto la tua sfida e, visto che siamo in
partenza, il nostro scontro si svolgerà sull’isola dove attraccheremo la
prossima volta.»
«Come?» chiese lei sgranando gli occhi.
«Se pensi che Rufy ti lascerà andare ti sbagli di grosso,
non si lascerà mai scappare la possibilità di avere in ciurma una ragazza che
può diventare una pantera»
Alyssa si lasciò scappare una risatina, ormai più
rilassata «Credo che andrò a parlare con lui, allora» lo superò «E tu ricordati
che abbiamo un duello da disputare»
«Non mancherò» la guardò allontanarsi “Sarà un incontro
interessante”. Sentì la nave muoversi e sorrise, Nami aveva dato il via alla
partenza senza il suo aiuto, di lì a breve sarebbero stati di nuovo in mare
aperto, doveva parlarle assolutamente.
Jacques chiuse sbuffando l’ennesimo libro.
«Si può sapere che diavolo stai cercando?» gli chiese
Robin appoggiata allo stipite della porta della propria camera, appena tornata
dall’aiutare la navigatrice «Se me lo dicessi, magari, potrei darti una mano»
Lui inspirò a fondo «Stavo cercando una qualsiasi
informazione che possa rifarsi a me e agli altri cavalieri»
La donna entrò nella stanza e gli si avvicinò «Perché?»
«Perché qualcuno ci ha creati, Robin…» le rispose posando
il suo sguardo su di lei «Uomini e donne»
«Ma… e quello che mi dicesti quella volta? Il fatto di non
aver avuto genitori?»
«Ho incontrato Dragon prima di arrivare su San Marten e
lui mi ha detto di avermi mentito su quell’argomento. Non so per quale motivo
ma immagino che volesse concentrarmi sulla ricerca di me stesso piuttosto che
su quella dell’uomo e della donna che hanno reso possibile la mia nascita»
«E ti ha detto chi sono i tuoi genitori? Se sono ancora
vivi?»
«No, non ne ho idea e non m’interessa saperlo»
«Perché dici questo?» lo guardò con rimprovero «Non sai
nemmeno chi siano»
Lui strinse i denti «Non saprò chi siano ma so cosa hanno
fatto e di cosa facevano parte»
«Che significa?»
«Significa che i cavalieri non sono nati per caso, ma le
loro capacità sono state cercate di proposito alla scopo di utilizzarle nelle
maniere più subdole»
«Per conto di chi?»
«Per la Marina e il Governo»
Robin non disse niente e rimase immobile, il suo modo di
dimostrargli quanto ritenesse terribile quella rivelazione ed il disgusto per
quelle due associazioni che avrebbero dovuto rendere, almeno sulla carta, il
loro mondo migliore. Pian piano gli si avvicinò ancora e andò a sedersi sulle
sue ginocchia, incrociando le braccia dietro al suo collo e poggiando una
guancia su una della sue spalle «Tu sei diverso dagli altri, però»
Jacques le passò una carezza sui capelli «Sì, grazie ad
una donna che ha reso possibile tutto ciò e io devo sdebitarmi con lei»
«In che modo?»
«Salvando sua figlia che loro vogliono, poiché ha le
stesse capacità della madre… capacità che, tuttavia, non ho assolutamente idea
di quali possano essere e, di conseguenza, non so chi cercare»
Lei alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi «E non ti
ricordi nulla di questa donna?»
«No e tutti gli sforzi che faccio per cercare di ricordare
solamente la sua presenza non mi portano assolutamente a nulla»
«Vedrai che, prima o poi, ricorderai» gli sorrise per
incoraggiamento e poi posò il suo sguardo sull’orologio appeso alla parete «Ora
andiamo a mangiare, la cena sarà quasi pronta» si alzò.
«D’accordo…» la seguì con una piccola smorfia di
depressione sul volto.
«Vuoi rimanere qui, sta notte?» gli propose prima di
uscire dalla porta.
L’espressione del cavaliere cambiò di colpo e si trasformò
in puro terrore «No, no, no! Ho già rischiato questa mattina che mi venissero
portate via delle cose a cui tengo molto e non vorrei che, se dovesse trovarmi
qui domani, Sanji pensasse di darmi il colpo di grazia»
La mora rise «Potrei sempre ordinarti di farlo, visto che
non abbiamo ancora testato la collana»
Jacques incrociò le braccia al petto «Sarebbe alquanto
scorretto» le fece presente fingendosi offeso.
«Certo che i tuoi sbalzi d’umore sono sorprendenti» gli
disse con una piccola goccia di perplessità dietro alla nuca «La tua doppia
personalità comincia a preoccuparmi»
«Beh ma, se fossi normale, dubito che susciterei così
tanto il tuo interesse» la superò ridendo e lasciandole un bacio su una
guancia.
«Probabilmente…» gli rispose seguendolo «Ma potresti anche
sbagliarti»
La cena proseguì con le stesse modalità di sempre, ossia
con la lotta a chi riusciva, fra gli uomini, a mangiare di più nel minor tempo
possibile. Le donne, invece, riuscirono a rifocillarsi abbastanza tranquillamente
grazie ai difensivi calci del cuoco. L’incontro ebbe una leggera tregua quando
Zoro, esasperato dalla velocità con cui Rufy allungava le mani, rubava e
inghiottiva, lo infilzò con una forchetta ed Usop ne approfittò per versargli
un po’ di tabasco nel suo piatto in modo da lasciarlo fuorigioco qualche minuto
in più.
Una volta che tutti ebbero, più o meno, lo stomaco pieno,
ognuno si apprestò ad eseguire i propri compiti prima di ritirarsi nelle
proprie stanze.
Dopo aver impartito gli ultimi ordini per la navigazione
notturna, Nami chiuse gli occhi e sospirò appoggiandosi alla porta della sua
cabina che aveva appena chiuso.
Un sonoro sbadiglio le fece gelare il sangue nelle vene
«Accidenti quanto mi hai fatto aspettare, mocciosa»
Al solo sentire quella voce, la rossa spalancò gli occhi
e, subito dopo, si maledisse per averlo fatto. Le sue iridi, infatti, si erano
posate sulla figura dello spadaccino e non riuscivano più a staccarsi da lui:
era sdraiato sul suo letto a braccia conserte dietro la testa e la fissava con
quel sorriso strafottente e quello sguardo che non le riservava da tanto tempo.
«Zoro…» sussurrò «…che diavolo ci fai qui?» continuò con
un tono più deciso recuperando, almeno in parte, la sua solita baldanza.
Il ragazzo però non si scompose «Ti aspettavo»
«Per quale motivo?»
«Volevo spiegarti… e puoi anche staccarti dalla porta, ti
assicuro che non sono pericoloso» la punzecchiò trattenendo a stento un sorriso
per la sua ottima imitazione di una calamita attaccata ad un pezzo di ferro.
A quelle parole la navigatrice dovette far leva su tutta
la sua buona volontà per non arrivare ad avere le guance dello stesso colore
dei propri capelli «Spiegarmi che cosa?» gli chiese cercando di mantenere un
certo contegno mentre si staccava, suo malgrado, dalla fidata porta e si
avvicinava alla scrivania: non si sarebbe avvicinata a lui neanche morta.
«Ti volevo spiegare perché ho parlato con Alyssa»
Nami rimase incredula per un attimo, poi scostò lo sguardo
verso l’oblò «Non mi devi spiegare niente»
«Sì, invece!» la interruppe quasi lo spadaccino,
portandosi a sedere sul bordo del letto «Da come sei scappata, credo che tu ti
sia fatta un’idea sbagliata»
«Anche se fosse?!» replicò subito l’altra a tono «Non
dovrebbe interessarmi, no?» continuò acida.
Gli occhi di Zoro si spalancarono incapaci di capire «Che
cosa stai dicendo?!»
«Noi non stiamo più insieme, mi pare»
Lo spadaccino si alzò furioso «Sei una stupida!» e prima
che lei potesse spostarsi la raggiunse bloccandole i polsi con le proprie mani
facendo una discreta forza.
La navigatrice tremò per la paura «Zoro, che diavolo ti è
preso? Smettila, mi fai male»
«No, non la smetto!» le urlò l’altro a pochi centimetri
dal viso «Perché so che altrimenti non mi ascolterai!»
«E che cosa dovrei ascoltare?!?» questa volta toccò a lei
urlare, i loro nasi quasi si sfioravano «Mi sembra che tu mi abbia detto chiaro
e tondo quello che pensi, prima di farti quasi ammazzare in uno scontro
all’ultimo sangue»
«Mi sembra d’essere ancora qui, o mi sbaglio?»
«Lo vedo che sei ancora qui, idiota!» gli ringhiò contro
l’altra «Ma hai il tuo sogno, un sogno che può costarti la vita e tu non fai
nulla per salvaguardarti, anzi, sembra quasi che tu te la vada a cercare la
morte!»
«Lo so, maledizione, lo so! Ma io ho dato la mia parola
capisci? E’ una cosa che devo fare assolutamente questo è il mio sogno come tu
hai quello di disegnare la cartina del mondo. Tu sei disposta a tutto pur di
realizzarlo e anche io»
«Ho capito, dannazione! Realizzalo allora! Io però non
posso aspettare che ti ammazzino, hai capito? Non posso sempre rischiare di
impazzire per la paura di perderti…» diede uno strattone con le braccia per
liberarsi della sua stretta «… e adesso lasciami!»
Lo spadaccino mollò la presa, lasciando ben visibili i
polsi arrossati della cartografa, stupito da quelle parole appena pronunciate
«Certo che lo realizzerò» affermò più deciso e, altrettanto decisamente, le
prese il viso fra le mani e la baciò.
Nami spalancò gli occhi incredula, si sarebbe aspettata di
tutto ma non quello. Sebbene il suo orgoglio le stesse suggerendo di
respingerlo via, tutto il suo corpo si ritrovò a ricambiare quel bacio: a
partire dalle palpebre che si abbassarono sino ad arrivare alle labbra che si
schiusero sotto al tocco di quelle dello spadaccino. Quasi nemmeno si accorse
di quando lui si staccò, solo quando riprese a parlare tornò al mondo reale.
«Tu devi avere fiducia in me, però» fu la prima frase che
le arrivò alle orecchie «Se tu avrai fiducia in me, io ti prometto che resterò
con te: io vivrò, realizzerò il mio sogno e ti avrò al mio fianco»
La navigatrice rimase immobile, improvvisamente smunita
della sua solita loquacità, un po’ per la sorpresa di quel discorso, un po’ per
il fatto di averlo così vicino da riuscire a percepirne ogni singolo respiro.
Tremò quando le mani di lui le si appoggiarono sulle spalle.
«Hai fiducia in me, Nami?» le sussurrò lo spadaccino sulle
labbra.
La rossa non disse niente, questa volta toccò a lei alzare
le mani verso il viso del ragazzo e cercargli la bocca con la sua.
Dopo quel gesto, Zoro non ebbe bisogno di parole: si
avvicinò a lei, più desideroso che mai di sentirla vicina, tanto da
costringerla a sedersi sulla scrivania alla quale era poggiata. Ricambiò quel
bacio dapprima con dolcezza, una caratteristica che difficilmente era
associabile ai loro spiriti così orgogliosi, e poi con crescente passione che,
decisamente, più si addiceva al loro sangue caldo. Le mani cominciarono a
sfiorarle i capelli, le spalle, la schiena, la vita, le gambe ed i respiri si
fecero più veloci ed irregolari. Non ci volle molto perché i due giovani
decidessero di spostarsi verso il letto, lo stesso che, fino a pochi attimi
prima, la cartografa aveva deciso di evitare, e che i primi indumenti
cominciassero a cadere sul pavimento… poi ci fu solo il tempo per i baci, le
carezze ed i sospiri.
A prua, tutto intento a guardare il mare, Rufy se ne stava
beatamente seduto in attesa dell’amico cecchino che, in quella notte di veglia,
avrebbe dovuto fargli compagnia ed aiutarlo a controllare la rotta. Il ragazzo
di gomma si guardò attorno: il ponte era deserto, ormai tutti si erano ritirati
nelle loro cabine ed Usop, probabilmente, stava ultimando una delle sue strambe
invenzioni nella factory… ottimo! Si alzò e si mosse furtivo verso
alcune casse dove, con sapienza, aveva precedentemente nascosto alcune cibarie
che era riuscito a sottrarre durante l’ultimo rifornimento, prima che tutto
venisse messo sotto chiave. Con la bocca già piena tornò a sedersi, gustandosi
il resto del suo “spuntino” notturno davanti all’immensità del mare e sotto un
cielo trapuntato di stelle.
Proprio durante l’ultimo boccone, avvertì una presenza
alle sue spalle e per poco non si strozzò «J… Jacques!»
Il cavaliere sgranò gli occhi nel vedere il proprio
capitano agonizzare, per chissà quale cibo conficcato nella sua gola, e si
prodigò a dargli delle pacche sulla schiena affinché inghiottisse «Tutto bene?»
chiese perplesso.
«Oh… grazie!» sospirò il ragazzo di gomma finalmente
salvo.
L’altro scosse la testa, non era cambiato affatto dal
punto di vista caratteriale, tuttavia sentiva che la forza del moretto era
aumentata notevolmente, solo il fatto che si era accorto della sua presenza ne
era a testimone «Rufy, ti devo parlare…»
«Dimmi tutto»
«Li conosci bene?»
«Di chi stai parlando?»
«Di Alyssa, Claire e Tristan»
«No…» gli rispose il capitano sinceramente «Perché me lo
chiedi?»
«Perché ognuno di loro ha già ucciso almeno una volta»
Rufy soppesò le parole dell’uomo, non rispose e, visto chi
aveva di fronte, neanche si chiese come facesse lui a saperlo.
«Ti fidi?» le parole dell’altro lo distolsero dai suoi
pensieri.
«Sì»
«Anche se non sai niente di loro?»
«Sì» rispose, nuovamente, il ragazzo di gomma senza
esitazione «Come mi fidai di te la prima volta che ti accettai nella mia
ciurma. Anche tu allora mi nascondevi un bel segreto, ricordi?»
Questa volta toccò a Jacques dire «Sì» chinando il capo.
«E ora sei di nuovo qui, nonostante tu abbia cercato di
ucciderci tutti. Tutto questo perché io mi fido di te, come di tutto il resto
della mia ciurma»
«Capisco» riuscì soltanto a dire il cavaliere prima di
voltare le spalle pronto ad andarsene.
«Anch’io capisco il tuo punto di vista» lo bloccò Rufy
«Capisco la tua preoccupazione, ma io sono il tuo capitano e devi fidarti di me
e delle mie scelte»
«D’accordo. Ora ti lascio al tuo compito»
«Oh, Jacques!» lo fermò nuovamente «Non lo dirai a Sanji,
vero?» chiese riferendosi al fatto di averlo colto in fragrante.
Le labbra del cavaliere si stesero in un sorriso «No, stai
tranquillo»
TO BE CONTINUED…
Nuovo capitolo, inutile dire che spero vi sia piaciuto. ^^
Volevo ringraziare infinitamente chi segue questa storia e
ancora di più Akemichan e RedCrossBook che mi hanno lasciato
una recensione. Grazie infinite, giuro che mi si sono illuminati gli occhi
quando le ho viste *___*
In particolare volevo dire ad Akemichan di
essere molto contento che sia soddisfatta del mio modo di gestire i personaggi,
purtroppo non sono mai sicuro: ho sempre paura di dar più spazio a certi
personaggi al posto di altri, anche perché è la prima volta che ne gestisco
così tanti, fra quelli inventati da me e quelli di proprietà di Oda. Spero di
non far pasticci in futuro. Per la questione della taglia di Robin, con tutta
sincerità non era convinto tantissimo nemmeno io di farla più alta di quella di
Rufy però poi, alla fine, ho optato per il sì perché Robin ha un ruolo
importante per una certa parte della storia che giustifica una taglia così
elevata. Infine volevo dirti che sono andato subito a rileggere la parte del
discorso fra Dragon e Jacques… e ti do pienamente ragione, in effetti non si
capisce molto bene ^^ I soggetti nei discorsi – soprattutto se fatti fra due
sole persone – tendo allegramente a pescarmeli, mi dispiace. Cercherò di fare
più attenzione in futuro (e di sistemare il capitolo in questione, quando avrò
il tempo di fare una revisione) ^__^
A RedCrossBook: è vero, Robin è un po’ più
allegra del solito tuttavia non ho messo OOC perché in questa storia, così come
in quella precedente, sta vivendo una particolare situazione che nel manga non
è mai stata fatta vedere. Per cui non ci è dato sapere come si comporterebbe
realmente in un contesto del genere, così ci ho messo del mio cercando comunque
di mantenere il suo carattere di fondo (Come per tutto il resto dei
personaggi). ^^
«Buon
giorno!» esordì Alyssa entrando in cucina gioiosa come non mai, evidentemente
felice dell'essersi risvegliata in un luogo sicuro.
«Nmmmgh!»
fu il verso oltretombale che le arrivò alle orecchie come risposta.
Claire,
al fianco dell'altra ragazza, si sporse a vedere Jacques praticamente
semisdraiato in stato comatoso sul tavolino, un braccio in aria piegato verso
la testa e gli occhi nascosti nella piegatura del gomito «Che ti è successo,
Omino?»
«Mmmh!»
Mentre due gocce di perplessità andavano formandosi
sulla nuca delle due, Tristan le raggiunse con due tazze di tè fumanti «Non
fateci caso, è vittima della sua prima notte in stanza con Franky» spiegò loro
ridacchiando.
Il sorriso si trasferì immediatamente sulle labbra
della bionda «Adesso capisco...»
«Io veramente no» fece notare candida la
ragazza-pantera prima di soffiare sul liquido ambrato bollente, ormai, fra le
sue mani.
Il cavaliere alzò il
suo sguardo arrossato su di loro, testimone del fatto che quella notte doveva
aver dormito davvero poco «E' semplice...» iniziò ma fu subito interrotto
dall'insorgere di un sonoro sbadiglio e dalla caduta di un paio di lacrime
malandrine, così il blu fu costretto a continuare per lui «Il nostro
carpentiere, mentre dorme, ha la particolare abitudine di cantare e commuoversi
abbastanza di frequente, anche piuttosto rumorosamente oserei dire»
«Già» riuscì a biascicare l'altro prima di
accasciarsi nuovamente sul tavolino.
Alyssa sorrise e si andò a sedere «Mi sa che questo
tè serve più a te che a me» gli fece notare porgendogli la tazza che aveva in
mano dove non aveva ancora bevuto.
Jacques tirò nuovamente su la testa, seppur con
fatica, lasciando il mento poggiato al legno e le regalò un largo sorriso che
la stupì «Ti ringrazio, ma credo che non mi basterebbe un barile di caffè
concentrato... praticamente non ho chiuso occhio, quindi è meglio che lo bevi
tu»
«E voi com'è che siete così pimpanti?» chiese
Claire prendendo posto anche lei per la colazione, riferendosi al ragazzo al
suo fianco e al cuoco che, proprio in quel momento, sfornava una teglia dal
forno, espandendo nell'aria un profumo delizioso.
Tristan si versò una nuova tazza di tè «Noi abbiamo
le nostre contromisure»
La castana spalancò gli occhi, incredula «E perché
non gli avete detto niente? Poverino...»
«Perché noi uomini dobbiamo cavarcela da soli, mia
dolce dea del mattino» le spiegò, adulante come sempre, Sanji mentre posava il
vassoio appena riempito sul tavolo.
Da non ancora abituata ai complimenti del biondo
qual era, Alyssa arrossì provocando un leggero sorriso dalla sfumatura
indecifrabile sulle labbra di Claire.
«Gentile» gli fece notare l'uomo mentre allungava
una mano verso le brioches appena sfornate, mano che ritornò subito al suo
posto quando il cuoco fece partire una poderosa cucchiaiata «Prima le signore»
sibilò «E comunque sì, con te gentile come sempre»
«Solo tu puoi essere geloso di una donna che non è
la tua» sussurrò Claire sghignazzando.
«Come?» chiese il biondo avendo percepito poco e
niente di quel che lei aveva detto.
«Io? Non ho detto nulla» mentì spudoratamente
l'altra.
Gli altri tre si scambiarono una strana occhiata
sotto l'espressione perplessa del cuoco e quella enigmatica della bionda.
Finalmente, la parte maschile poté avventarsi sul cibo.
«Meno male che Rufy ha vegliato sta notte così,
adesso, possiamo mangiare queste in santa pace» sospirò Tristan prima di
addentare con gusto il suo bottino.
«Già» gli fece eco Jacques cercando di imitarlo ma
la sua brioche, invece che finire nella sua bocca, fece staffetta fra diverse
mani apparse come per magia e finì dritta fra i denti dell'archeologa «Quelle
sul tavolo ti facevano schifo, eh?»
Robin sorrise, gli si sedette accanto versandosi
del caffè e gli porse il resto del cornetto al quale, ad onor del vero, aveva
dato solo un piccolo morso «Mi sembri stanco... hai avuto la tua prima nottata
con Franky?»
Decisamente non era giornata: la pasta gli cadde
dalle mani «Come? E tu come fai a saperlo?»
Alyssa, che comprese solo in quel momento il
significato che poteva nascondere quella frase, arrossì e per poco non si
strozzò col tè, mentre la mora se la ridacchiava allegramente.
Proprio in quel momento fece il suo ingresso in
cucina il carpentiere di bordo, accompagnato dal giovane medico, ma non riuscì
a muovere più di due passi che uno sguardo glaciale lo congelò sul posto,
cristallizzando di riflesso il povero Chopper.
«Che cosa ho fatto?» chiese il cyborg cercando di
muovere il meno possibile la bocca, come se un eccessivo movimento avesse
potuto risvegliare chissà quale bestia infernale.
Robin poggiò il viso su di una della sue mani
«Niente, canti e piangi coma al tuo solito... di notte»
«Cooosa?» si sbloccò di colpo Franky, ormai del
tutto incurante degli occhi che ancora non avevano smesso di guardarlo minacciosamente
«Io non piango mai, stupida!» strepitò battendo un piede a terra «E per il
canto mi sembrava di aver risolto una volta per tutte insonorizzando le stanze,
no?»
«Certo, infatti non ero io a lamentarmi» gli
rispose lei lanciando un'occhiata divertita al cavaliere seduto al suo fianco
che la ricambiò accompagnandola con un sonoro sbuffo.
Il cyborg annuì deciso «Volevo ben vedere. Ma
ditemi un po', avete visto la sorella navigatrice?»
«Già» continuò per lui Chopper «E' lei che ha il
logpose, deve controllare la rotta. Di solito a quest'ora è già da un po' che è
al timone»
«Noi non l'abbiamo vista, a fare colazione non è
ancora venuta» gli fece presente Claire, trovando conferma negli sguardi degli
altri presenti.
«Ora che ci penso neanche quello zuccone senza
cervello del marimo si è fatto vedere.Non mi stupirei se fosse ancora a dormire, quello scemo. E' pure il suo
turno di aiutare Tristan nelle pulizie»
«Per me non ha importanza, posso fare anche da
solo» gli fece notare il ragazzo con un'alzata di spalle.
«Tu non ti azzardare a difenderlo sai?» lo fulminò
il biondo con gli occhi lampeggianti di una luce demoniaca.
Il blu deglutì a vuoto «N-non lo farò...»
Robin ascoltò la conversazione in silenzio, poi
finì di bere il suo caffè e si alzò «Io vado a cercare Nami»
Lo stesso fece Jacques con un mezzo sorriso sulle
labbra «E io vado a cercare Zoro»
«Sapete dove possono essere?» chiese candidamente
la giovane renna.
«Sì, diciamo che ci siamo fatti una vaga idea della
situazione» gli risposero entrambi prima di uscire dalla cucina e prendere,
sotto gli occhi stupiti di tutti, due direzioni diverse.
Il dottor Dorian Graves spense uno dei fornelletti
del suo laboratorio e finì di prendere alcuni appunti prima di voltarsi verso
l'uomo che aveva appena battuto tre colpi con le nocche delle mani sullo
stipite della porta aperta: era sporco di grasso, schegge di legno e sudore.
«Hai finito il lavoro?»
«Certo, la macchina è pronta manca solo l'ultimo
pezzo ma sa che io non posso metterlo»
«Lo so, infatti spetta a me farlo» si alzò ed aprì
un cassetto estraendo qualcosa coperto da un panno «Con questo il suo regalo di
benvenuto sarà pronto»
L'altro cominciò ad avviarsi senza però riuscire a
trattenere un leggero sbuffo irritato.
Il dottore si voltò e con un improvviso scatto
arpionò la spalla del più giovane bloccandolo al muro «C'è qualcosa che non
va?» chiese minaccioso.
Il biondo, sebbene fosse fisicamente più forte, non
si ribellò, anzi, abbassò gli occhi verdi con reverenza «Niente»
«Sarà meglio che sia
così. So che hai il tuo desiderio di vendetta e sai che non ti voglio
ostacolare, visto che ti ho dato l'opportunità di soddisfare questa tua sete.
Dovresti solo essermi grato per questo»
«Difatti lo sono»
«Bene, allora sai che adesso non è il momento giusto,
lui ci serve vivo... almeno per ora»
concluse calmandosi e lasciandolo andare.
«E con lei come ci comporteremo?» chiese l'altro
sistemandosi la felpa nera sgualcita dallo strattone improvviso.
«Lei andrà trattata con il massimo del rispetto,
sistemale la cella»
Il biondo sgranò gli occhi «Ma nella cella c'è...»
si bloccò « ... la vedrà!»
Dorian gli dedicò un'occhiata appena di striscio
«Allora? Non sarà in grado di riconoscerla e se anche fosse, non ci sarà alcun
problema, visto che non lascerà mai più il laboratorio»
«Quanto ci hai messo ad arrivare?» chiese Robin
voltandosi verso l'uomo che era appena comparso dalle scale alle sue spalle.
«Ho fatto un giro più lungo per non destare
sospetti» le spiegò Jacques poggiando una mano sul legno del corridoio.
Le labbra della donna si incresparono in un leggero
sorriso «Che discreto»
Lui si lasciò contagiare dal suo sorriso «Credi
davvero che siano qui?»
«Anche tu l' hai pensato, no? Direi che sono qui
senza ombra di dubbio» affermò decisa la mora: in fin dei conti se Zoro non era
in camera con gli altri a dormire e non era nemmeno ad allenarsi ci doveva
essere qualcosa sotto, in più se ci si aggiungeva che nemmeno Nami si era
ancora fatta viva, non potevano che essere entrambi dietro a quella porta che
si presentava davanti ai loro occhi.
«Quindi che si fa?» le chiese l'uomo inarcando un
sopracciglio, indeciso.
«Beh...» esordì, quindi, l'archeologa andando a
prendere con la proprio mano quella di lui e poggiandola sul legno della porta
della navigatrice « ... considerando quello che potremmo trovare all'interno,
io suggerirei di bussare»
Fu così che le nocche del cavaliere scontrarono per
la prima volta contro la superficie: niente.
Altri tre tocchi consecutivi: niente.
Due paia d'occhi si scambiarono sguardi
interrogativi e la mano bussò per la terza volta, più forte.
E, quando neanche quello ottenne risposta, i due
cominciarono a chiedersi se davvero avevano potuto sbagliarsi e, quindi, non
fosse successo qualcosa. Così decisero di fare quello che di norma non
avrebbero mai dovuto fare, scommettendo tutto sul fatto che, in quel caso, i
due avessero avuto il buon senso di chiudere a chiave: cercarono di aprire. Ma
quando la maniglia scattò e la porta si aprì, si accorsero di aver miseramente
perso la scommessa.
Già al primo colpo, Nami avrebbe voluto rispondere,
ma Zoro l'aveva stretta ancora di più a sé dicendole che, se non l'avesse
fatto, se ne sarebbero andati.
Al secondo colpo, la rossa si era tirata a sedere e
aveva appena aperto la bocca per rispondere che venne azzittita dalle labbra
dello spadaccino.
Al terzo colpo, sebbene fosse più forte degli
altri, mandò al diavolo tutto e non si fece più problemi.
Quando, però, la porta si aprì e il suo sguardo
nocciola incrociò quelli azzurri e completamente increduli di Robin e Jacques,
il suo destro si caricò automaticamente e si schiantò sulla mandibola dello
spadaccino che venne ribaltato brutalmente giù dal letto «Demente, te l'avevo
detto che dovevamo rispondere!» gli urlò contro inviperita.
«Demente, io?!» le rispose Zoro a tono che fortuna
volle fosse rimasto coperto nelle zone compromettenti, così come la sua
compagna «Perché tu, invece? Chiudere la porta a chiave ti costava fatica?!»
Robin scosse la testa e spostò lo sguardo di lato,
indecisa fra il lasciarsi andare alla disperazione per la totale incoscienza
dei due compagni e il concedersi un po' di sano imbarazzo.
Jacques alle sue spalle si passò una mano sul
volto, sospirando «Al diavolo, ragazzi vi facevo un pochino più furbi. Eppure
lo sapete meglio di me che la maggioranza delle persone su questa nave non sa
neanche cosa sia la privacy! Chiunque sarebbe potuto entrare qui senza
bussare... e in qualsiasi momento»
A quelle parole sia lo spadaccino che la cartografa
si paralizzarono e cominciarono ad assumere un'interessante colorazione
bordeaux.
«Fossi in voi, mi vestirei e mi farei vedere dagli
altri, prima che anche a qualcun altro possa venire la strana idea di
cercare Nami nella sua stanza» li avvisò la mora con una certa ironia prima di
voltare loro le spalle «Che so, magari a Sanji» aggiunse con una risatina,
mentre superava Jacques e si avviava verso il ponte.
Il cavaliere se la sghignazzò sotto ai baffi e fece
per richiudere la porta quando un particolare attirò la sua attenzione
«Caspita, non vi facevo dei tipi violenti sotto a quel punto di vista»
La cartografa a quelle parole riuscì a riprendersi
e, non capendo, seguì con il suo lo sguardo dell'uomo rivolto al suo polso
sinistro poggiato a far leva sul materasso: era ancora arrossato ma quanto diavolo
aveva stretto, quello scemo? Fu così che capì e una vena immancabilmente
iniziò a pulsare sulla sua tempia «Jacques, muori!» lo inveì lanciandogli
contro un cuscino che, inspiegabilmente, aveva assunto la potenzialità omicida
di un blocco di cemento.
Purtroppo per lei, ma fortunatamente per lui,
l'arma improvvisata andò a schiantarsi contro la porta richiusa appena in
tempo.
«Non so come fare» fu la risposta che le arrivò
alle orecchie, seguita subito da una bella risata.
«Giuro che troverò il modo!» promise a se stessa a
pugni chiusi, poi si voltò verso Zoro ancora disteso sul pavimento «E tu cosa
fai, dormi?!? +__+ »
Mihawk era seduto su di un masso, gli stivali
leggermente coperti dalla finissima sabbia che costituiva la meravigliosa
spiaggia che si distendeva sinuosa davanti a lui. I suoi occhi erano puntati
verso l'orizzonte ma in realtà non lo stavano guardando affatto: la sua mente
era un turbinio di pensieri e quella linea blu, che tagliava con prepotenza il
grigio del cielo, era un buon punto di riferimento per non lasciarsi andare al
suo tormento, tormento che era adagiato sulla sabbia al suo fianco.
«Sempre solitario, Occhi di Falco?»
Il membro della Flotta dei Sette si voltò
lentamente «Sai che non amo particolarmente la compagnia, Rosso»
Le labbra di Shanks si stesero in un sorriso
«Magari non quella umana, ma che ne dici di questa?» gli chiese passandogli,
con l'unico braccio rimasto, una bottiglia di ottimo sakè.
«Beh, la sua presenza è sempre ben accetta» gli
rispose Mihawk allungando una mano per prendergliela e portarsela alla bocca
senza troppi complimenti.
«Fossi in te, io godrei della sua compagnia in un
luogo al riparo, sta per scatenarsi un bel trambusto lassù» gli suggerì l'altro
con un cenno del capo rivolto alle nubi nere che si erano addensate sopra alle
loro teste.
Occhi di Falco seguì il suo sguardo «Sicuramente
preferisco la pioggia a quella marmaglia che fa parte della cricca di Do
Flamingo»
Shanks si voltò verso la foresta alle loro spalle
«Già, sono quanto mai rumorosi» e, come a sottolineare le sue parole, nell'aria
si espanse il boato di un'esplosione «E meno male che dovete nascondervi»
aggiunse per poi scoppiare in una sonora risata.
«Idioti» li apostrofò amorevolmente, invece,
lo spadaccino più forte del mondo «Sinceramente vorrei sapere quanto ancora
dobbiamo rimanere qui senza far niente»
«Capisco quanto ti pesi restare con le mani in
mano» gli rispose il rosso in un'alzata di spalle «Ma è ancora troppo presto,
esporsi è pericoloso soprattutto ora che anche di Dragon non se ne sa più
nulla»
«Cosa?» Mihawk lo fissò con i suoi occhi gialli.
«Sì, è sparito. Se solo avessimo saputo con chi
diavolo doveva incontrarsi, ho sempre creduto che lui sapesse cose che noi
ignoriamo. Lo smantellamento della Flotta dei Sette, secondo me, è solo
l'inizio di qualcosa che va ben oltre»
«Comincio a crederlo anch'io» le ultime parole di
Occhi di Falco si persero nel rombo del tuono, seguente al lampo che, appena un
attimo prima, aveva illuminato l'oscurità del cielo. Alcune gocce cominciarono
a cadere: sulla sabbia, sui sassi, le piante, i loro abiti, la loro pelle.
Shanks si sistemò il mantello con il braccio sano
«Beh, io vado, non ho alcuna intenzione di stare qui a zupparmi. Se vuoi un
posto all'asciutto, sai dove trovarlo»
Lo spadaccino più forte del mondo lo salutò con un
cenno del capo. Aspettò un paio di minuti, accertandosi del fatto che il rosso
fosse ormai lontano e, chiudendo gli occhi, lasciò andare indietro il capo e,
in rigoroso silenzio, si mise ad ascoltare la pioggia che, a quel punto, cadeva
incessante avvertendone l'energico massaggio sul viso.
Si concesse qualche minuto di vuoto mentale, poi
riaprì di scatto gli occhi e posò lo sguardo sulla spada adagiata sulla sabbia
al suo fianco, passandosi distrattamente la mano sulla ferita, ormai del tutto
rimarginata, del petto «Dimmelo, dimmelo mia spada fidata... è vero che non mi
hai tradito?»
Jacques sghignazzò divertito non appena la
navigatrice richiuse la porta che dava sulla cucina alle sue spalle: sebbene
fingesse un cipiglio imbronciato, la ragazza non era riuscita ad impedirsi di
arrossire come un'aragosta quando l'aveva informato di non rimanere all'aperto
dato che, di lì a poco, avrebbe iniziato a cadere un forte acquazzone.
Il cavaliere scrutò il ponte preparato per ogni evenienza:
nessun altro era rimasto fuori, non sarebbe stata una tempesta e non c'era
nulla di cui preoccuparsi.
Inspirò profondamente all'alzarsi di un'improvvisa
folata di vento e i suoi occhi seguirono la caduta di una grossa goccia che
andò a schiantarsi sul palmo aperto della sua mano, girato proprio per
accoglierla.
"Una goccia cade su una piccola mano
infantile, due occhioni color del ghiaccio si sgranano nel sentire il freddo
contatto sulla pelle e un dito dell'altra manina si muove curioso per andare a
toccarla. La bocca si apre quando le gocce cominciano a susseguirsi sempre più
velocemente. Il bimbo alza il viso al cielo socchiudendo gli occhi non appena
quelle piccole cose, di cui ancora non conosce il nome, arrivano a colpirlo: un
largo sorriso si dipinge sulle sue giovanissime labbra.
«Jacques, cosa fai qui fuori? Ti bagnerai tutto»
una voce femminile lo fa sobbalzare «Lo sai che non puoi uscire»
Il piccolo si gira nella sua direzione con aria
colpevole.
La donna lo guarda e sorride «Almeno non da solo»
aggiunge passandogli una carezza fra i capelli e facendogli un fugace
occhiolino «Dai, andiamo prima che ci trovino qui»
Il bimbo prende la morbida mano che gli viene
offerta ma, prima di seguirla, si gira e indica con un ditino l'acqua che cade
dal cielo.
«Vuoi sapere che cos'è quella?» gli chiede lei
teneramente, come una madre fa con un figlio.
Lui annuisce.
«Quella, Jacques, è semplicemente la pioggia»"
«Jacques, cosa fai qui fuori? Ti bagnerai tutto»
Il cavaliere si girò di scatto verso la donna che
aveva appena parlato «Che cosa hai detto?» chiese confuso, la mente scossa dal
quel ricordo improvviso che già tornava a nascondersi nelle nebbie della sua
memoria.
Robin inarcò un sopracciglio, stupita dalla sua
strana reazione «Ho detto che cosa ci fai qui e che ti bagnerai, visto che
piove»
Infatti le gocce avevano iniziato a cadere sempre
più rapidamente e, ormai, gran parte dei capelli e dei vestiti di Jacques
potevano definirsi ben più che umidi «Credo che sia tardi» rispose lui in
un'alzata di spalle.
Lei sorrise «Allora è meglio se vieni dentro ad
asciugarti» fece per voltarsi e precederlo ma si bloccò non appena avvertì la
presa di un'altra mano sulla sua, nonostante fosse stato al freddo e alla
pioggia, era sorprendentemente caldo.
Senza dire una parola, Jacques percorse tutta la
mano di lei con le dita per, poi, andarla a stringere di nuovo.
«Che hai?» gli chiese la mora prima di lasciarsi
andare ad un leggero sospiro, scombussolata dal quel tocco che così tanto le
era mancato e così tanto aveva desiderato.
Ancora una volta, il cavaliere non rispose: si
limitò ad avvicinarsi alla donna e a portarsi la sua mano al viso, chiudendo
gli occhi con aria beata non appena ne avvertì il calore sulla pelle.
Robin abbandonò qualsiasi intenzione di riuscire a
capire il motivo di quel comportamento: mosse leggermente le dita sulla guancia
di lui regalandogli una carezza e, non appena lo vide sorridere sotto quel
gesto, colmò del tutto quella breve distanza che li separava e andò a
sfiorargli le labbra con le sue.
Gli occhi dell'uomo si aprirono di scatto ed
incontrarono quelli della donna che ancora aveva di fronte: fu allora che
decisero di rientrare ma non raggiunsero nessuno degli altri.
Approfittando del fatto che ogni componente della
ciurma fosse sparpagliato nella varie cabine della nave, qualcuno riuscì a
trovare un luogo abbastanza appartato e lontano da orecchie indiscrete: ottimo
per avviare la conversazione con il minilumacofono, fino ad allora tenuto
nascosto «Sin, sono io: a rapporto» parlò velocemente in un tono che era poco
più di un sussurro riferendogli tutto ciò che era accaduto sino ad allora, poi
fu il suo turno di ascoltare. Appena l'altro finì un mezzo ghigno si dipinse
sulle sue labbra «Allora l'operazione scatta sulla prossima isola: dell'uomo te
ne occuperai tu, ma la donna sarà mia»
Gli uomini del commodoro Smoker erano abituati agli strani
comportamenti del loro comandante ma, questa volta, aveva esagerato: senza
alcun preavviso, lui e la guardia marina Tashigi li avevano buttati giù dalle
brande in piena notte e costretti alla partenza. In quindici erano stati
imbarcati senza alcuna spiegazione e anche in quel momento, dopo settimane di
navigazione, ancora non conoscevano la loro destinazione. L’unica cosa che
sapevano era l’urgenza con la quale dovevano giungervi, urgenza che li
costringeva a remare per ore quando non tirava abbastanza vento.
D’altra parte Smoker non poteva permettersi dei ritardi: era venuto a
conoscenza dei nuovi ordini che Sindel Koler avrebbe dovuto eseguire e doveva
impedirgli di portarli a termine. Ancora non sapeva perché quella sottospecie
di scienziato pazzo volesse proprio quei due ma, considerando le capacità della
donna, di sicuro aveva in mente qualcosa di losco. Non era fiero di quello che
stava per fare, visto che stava per aiutare nuovamente la ciurma di Cappello di
Paglia: tuttavia, il fatto che fosse venuto a sapere di quegli ordini altamente
top-secret poteva avere un solo significato: qualcuno voleva che lui sapesse,
che sapesse ed impedisse.
Il cacciatore bianco tirò una boccata dai suoi sigari e alzò lo sguardo su
Tashigi, di ritorno da una discussione con la vedetta, il suo scotimento del
capo fu la conferma a quel che già sapeva: erano ancora distanti, non rimaneva
che sperare di fare in tempo.
Dopo quasi tre settimane di navigazione, tutto sommato tranquilla, la ciurma
era di nuovo a scorrazzare per le vie di una cittadina piuttosto
caratteristica.
Visto le varie priorità dei vari membri, i ragazzi non avevano mantenuto un
unico gruppo ma si erano sparpagliati un po’ a caso.
C’era chi aveva deciso di fiondarsi sul cibo come suo solito e chi era stato gentilmente
costretto a seguirlo per evitare debiti di dimensioni catastrofiche.
Chi, invece, dovendo andare un po’ fuori città per recuperare attrezzi di
carpenteria, si era ritrovato ad accompagnare una compagna fra strane pietre di
interesse, a quanto pare, archeologico.
Un paio, nonostante tutti i tentativi di evitarsi l’un l’altro, erano finiti a
fare la spesa insieme.
Tre erano alla ricerca di informazioni e due, addirittura, stavano per
battersi.
«Rufy, accidenti, quanto cavolo mangi?!» domandò Tristan sull’orlo di una crisi
di nervi «Nami mi ucciderà» piagnucolò posando la fronte sul bordo del
bicchiere d’acqua che aveva ordinato per non fare aumentare inutilmente il
conto.
«Aaah e piantala!» lo prese in giro Usop dandogli una sonora pacca sulla spalla
prima di addentare un cosciotto «Fregatene e mangia quello che vuoi e, se Nami
si arrabbierà, tu non dovrai far altro che dare tutta la colpa a questa fogna
qui» concluse indicando il capitano che aveva appena finito di spazzolarsi il
ventesimo piatto e sembrava ancora lontano dal volersi fermare.
«Cameriere, altre dieci porzioni!» ordinò di fatti il moretto, ignaro del
perfido piano del nasone.
Il blu si portò entrambe le mani alla faccia disperato «Ci ucciderà, ci
ucciderà tutti!»
«Adesso dimmi te se non hai avuto una fortuna sfacciata, chi l’avrebbe mai
detto che avresti trovato dei reperti archeologici lungo questo sentiero?»
chiese Franky alla compagna, mentre camminava guardandosi attorno piacevolmente
stupito dal panorama.
Robin si alzò con un sorriso dal punto in cui si era accucciata per vedere
meglio quelli che dovevano essere i resti di una colonna «Credi davvero che non
lo sapessi?» gli disse seguendolo lungo il cammino «Mentre ti informavi per i
tuoi interessi, io mi informavo per i miei»
«Che cooosa?!» il cyborg spalancò la bocca per lo stupore «Che opportunista,
allora mi hai seguito solo perché ti faceva comodo e io che pensavo volessi
farmi compagnia»
«Mi pare te la stia facendo comunque anche se non era fra le mie priorità» gli
fece presente la mora prima di farsi distrarre dall’ennesimo reperto.
Il carpentiere sbuffò «Diretta come al solito, eh?! Ma guardati…» aggiunse,
poi, con una mezza risata « … ti piace veramente questa roba»
Al solo sentir pronunciare questa roba un sopracciglio della donna
scattò inarcandosi «Come hai detto?»
«Ehi, non fraintendere!» si difese subito l’altro «Volevo solo dire che si vede
quanto ami tutto questo. Anche a me piace, anche se a dir la verità preferisco
tutto ciò che è costruito con legno a ciò che è fatto di pietra»
Per Robin fu come un flash: in un attimo le immagini dell’albero della
conoscenza in fiamme le trapassarono la mente «Ma il legno brucia e di esso non
rimane più nulla» sussurrò a fior di labbra.
«Come?» chiese Franky tendendo l’orecchio per sentire meglio.
«Niente» si riprese lei «Stavo pensando che se non ti interessa non sei
obbligato ad aspettarmi»
«Figurati, non c’è problema» le rispose lui in un’alzata di spalle «Credo che
quel villaggio laggiù sia quello che sto cercando, quindi non ho fretta… e poi
se ti lasciassi sola e ti succedesse qualcosa, Dio solo sa cosa potrebbe farmi
il fratello che hai lasciato con Nami»
Sanji diede un’ultima occhiata alla lista che portava con sé e la ripiegò
«Perfetto, ancora un paio di cose e poi, per il momento, direi che siamo a
posto» iniziò a spingere il carretto pieno di tutte le provviste comprate fino
a quel momento «Un negozio ancora e fra poco potremo tornare dagli altri»
Claire, qualche metro avanti a lui, si bloccò di colpo e si voltò «Ho come
l’impressione che tu non veda l’ora di non avermi più tra i piedi» buttò lì con
una delle sue solite espressioni enigmatiche.
Il cuoco rimase un attimo immobile, stranamente incapace di fronteggiare quell’angelo
decaduto che aveva davanti «Ma che vai a pensare, Claire cara» anche le sue
solite moine, però, risultarono non essere degne delle altre «Stavo solo
pensando che, finché Nami non scopre quanto dovremo rimanere su quest’isola,
non posso comprare troppe cose e non posso neanche andare in giro tutto il
giorno trascinandomi dietro tutte le provviste»
La ragazza lo scrutò di sbieco per qualche secondo, poi riportò il suo sguardo
nero sul cammino che doveva riprendere «Se lo dici tu…»
Complice del fatto che lei era tornata a dargli le spalle, il biondo inspirò il
fumo dalla sua fidata sigaretta e scosse il capo: che diavolo gli stava
succedendo? Mai nella vita era rimasto senza qualcosa da dire davanti ad una
bellezza di quel calibro invece con lei, con una certa frequenza, di recente
accadeva. Proprio per questo cercava di rimanere solo in sua compagnia il meno
possibile.
«Dici che questo può andare?» chiese Claire fermandosi nuovamente, questa volta
davanti ad un negozio di frutta e verdura. Lo indicò con un cenno della mano
sinistra, mentre la destra andò a sistemare distrattamente una ciocca di biondi
capelli dietro all’orecchio. Quella mano, però, non tornò a rilassarsi lungo il
fianco: rimase immobile a mezz’aria con il polso bloccato nella ferrea stretta
di un uomo.
«Che cosa vuoi?» gli chiese seccata mentre cercava di divincolarsi.
Quello, un omone composto da circa centotrenta chili di muscoli, mantenne salda
la presa «Su, non fare la difficile. E’ da un po’ che ti stavo osservando e
alla fine mi sono convinto che tu sei in grado di soddisfare il bisogno che ho,
non so se ci siamo capiti» le sorrise piacente.
«Ci siamo capiti benissimo…» rispose la bionda disgustata, proprio ora che
aveva avuto l’opportunità di chiudere per sempre con quel capitolo della sua
vita, non aveva di certo voglia di ricaderci « … ma non ho nessuna voglia di
soddisfare i tuoi bisogni»
«Posso pagarti molto bene sai?» le disse abbassando il capo per andare a
sfiorarle audacemente un orecchio con le labbra.
La mano libera di Claire scese velocemente dietro la schiena per recuperare la
rivoltella dal posto in cui riposava quando portava i pantaloni «Ti ho detto
che non mi interes…» ma non finì la frase, così come l’arma non interruppe il
suo riposo: la sua mano infatti tremò sul calcio della pistola solo un momento
per, poi, rimanere immobile sotto al tocco gentile di quella del cuoco.
Sanji soffiò fuori del fumo «Mi pare tu stia importunando un po’ troppo questa
signorina»
Quello, sentita puzza di guai, lasciò andare immediatamente il polso della
ragazza «Ho capito, ho capito: a quanto pare ho inteso male» girò le spalle ed
iniziò ad allontanarsi, borbottando tra sé «Tsk… ma quale signorina, si sente
lontano un chilometro che quella è solo una puttana»
Lei lo sentì e abbassò il capo affranta, poi fu un attimo: il primo calcio si
infranse sullo stomaco dell’energumeno che si ritrovò piegato in due dal dolore
«Chiedile scusa!» gli ordinò il cuoco furibondo.
Il tizio sputò «Fottiti!»
Un nuovo calcio partì per arrivare di nuovo con potenza a destinazione «Ti ho
detto di chiederle scusa!»
Il silenzio di colui che aveva di fronte lo convinse a caricare il terzo calcio
ma, in quel momento, l’altro si ricordò che il salvare la pellaccia era la
prima delle sue priorità «Ok, ok, fermo amico… ti chiedo scusa ragazza, mi sono
sbagliato» buttò lì al volo prima di rimettersi faticosamente in piedi.
«Bene» esordì soddisfatto il biondo «Adesso vattene e vedi di non ricapitare
davanti ai miei occhi» Lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, poi, si
voltò verso Claire: aveva il volto rigato dalle lacrime «Grazie…»
Il cameriere servì, tutto sommato, tranquillo il budino al tenero animaletto
che occupava una delle sedie del tavolo per tre. Iniziò ad agitarsi quando
dovette posare davanti ad una bellezza mozzafiato una fetta di torta agli
agrumi per, poi, lasciarsi andare quasi al terrore nel momento in cui lasciò
una tazza di caffè sotto al naso dell’ultimo rimasto.
La giovane renna attese che il ragazzo si allontanasse prima di assaggiare quel
che aveva ordinato «Certo che sono stati proprio gentili a volerci offrire
tutto» considerò nella sua semplicità.
Nami lasciò la forchetta sospesa a mezz’aria «Come sei ingenuo, piccolo
Chopper» lo prese bonariamente in giro.
«Io non sono ingenuo» ribatté l’altro mettendo il broncio.
«Oh sì che lo sei» continuò quella ridacchiando «Non ci hanno offerto tutto
questo per pura gentilezza, ma per colui che è di fronte a te…» continuò
indicando con una mano Jacques che, per facilitare il recupero delle
informazioni, aveva deciso di andare in giro senza mantello « … un uomo da
cinquecento milioni di Berry che per un suo capriccio potrebbe demolire questo
locale in un attimo»
«Che cooosa?!?» sbottò il medico di bordo quasi alzandosi in piedi sulla sedia
«Ma Jacques non lo farebbe mai, giusto?» chiese, poi, rivolto al compagno.
Il cavaliere lo guardò da sopra il bordo della tazza dalla quale aveva appena
finito di prendere il primo sorso «Ne sei certo?» gli chiese assottigliando lo
sguardo.
Chopper si bloccò incredulo e impaurito. Jacques si lasciò andare ad una
leggera risata «No, non lo farei» gli disse dandogli una leggere pacca sul
cappello con una mano «Ma loro non possono saperlo»
Mentre l’animale borbottava qualcosa a proposito del fatto di smetterla di
prenderlo in giro, Nami guardò il cavaliere divertita «Certo che è stata
proprio una grande idea quella di chiederti di venire con noi, non solo hai
evitato di farmi spendere per queste consumazioni ma…» Non
riuscì a finire perché l’altro la interruppe «Chiedermi? Tu mi hai imposto
di venire con voi dietro al riscatto dei dieci milioni di Berry, storia che
devo ancora capire tra l’altro, e poi sii seria: non avresti sborsato neanche
un soldo per questo, avresti fatto pagare tutto a me»
La rossa scosse una mano per far cadere lì il discorso «Questo è solo il tuo
punto di vista, comunque volevo dire che sei stato molto utile anche nel
negozio di quella signora, praticamente non voleva neanche parlarmi ma, non
appena sei entrato tu e ha capito che eri con me, ha snocciolato tutto quello
che volevo sapere, fornendomi anche un paio di carte niente male» finì l’ultimo
pezzo di torta rimasto «Chissà perché a me non avrà voluto dire niente, ho una
taglia sulla testa anche io dopo tutto, no? A quanto pare non è abbastanza alta
per incutere timore ma lo è sufficientemente per farmi prendere di mira dai
cacciatori di taglie» rimuginò pensierosa.
«Più che ad una questione di soldi, io credo che quella donna non abbia voluto
parlarti per il nome che ti porti dietro» considerò Jacques in un’alzata di
spalle «Immagino che l’idea di essere rapinata dalla Gatta Ladra non le
piacesse poi così tanto, se al suo posto ci fosse stato un uomo avresti avuto
di sicuro più successo»
«Davvero?!» sbottò per l’ennesima volta Chopper «Dici che un uomo sarebbe stato
felice di farsi rubare tutto da Nami?»
Il cavaliere rimase un attimo sorpreso, poi sospirò spostando le labbra in un
sorriso «Sì, diciamo di sì…»
«Bene, direi che questo posto è ottimo, nessuno ci disturberà» esordì Alyssa
voltandosi verso lo spadaccino, dopo aver affrontato una mezzora di cammino in
assoluto silenzio.
Quello, dal canto suo, si limitò ad alzare le spalle più o meno indifferente
alla piccola radura trovata dalla ragazza, sebbene fosse contento di non
correre il rischio di imbattersi nel cuoco che, di sicuro, gli avrebbe rotto
l’anima per l’aver preso anche solo in considerazione l’idea di confrontarsi
con lei. «Che regole stabiliamo?» le chiese posando una mano sull’elsa della
Wado Ichimonji.
«Una regola sola e semplice: il primo che resta ferito perde» gli rispose
l’altra mentre con un elegante movimento sfoderava la sua spada.
Zoro quasi s’incantò a guardare quell’arma, dato che non aveva mai osato
sfoderarla: una splendida katanalunga
dalla lama lucente incisa di fitti caratteri, troppo lontani per capire cosa
significassero ma abbastanza vicini per ammirare il disegno che formavano.
Sorrise «D’accordo, questa regola mi sta bene» acconsentì e sfoderò la Sandai
Kitetsu, curioso di scoprire chi avrebbe vinto fra l’aura quasi divina che
sprigionava la spada di lei e quella demoniaca che ardeva fra le sue mani.
Alyssa dal canto suo parve delusa «Una spada sola? Non mi mostri la tua famosa
tecnica a tre?»
«Lo farò se ce ne sarà bisogno» le spiegò l’altro.
La ragazza pantera non gradì la risposta «Mi stai sottovalutando, per caso?»
«No…» le rispose lui « … voglio solo vedere quanto vali»
Lei sorrise «Perché temi che se usassi tutte e tre le spade la tua forza bruta
farebbe terminare subito lo scontro? Questo si chiama sottovalutare, Zoro»
«Tutto a favore tuo, no? Potresti andare in giro a dire di aver battuto colui
che diventerà lo spadaccino più forte del mondo»
«Sarebbe alquanto disonorevole per te»
Zoro ghignò «Per questo non perderò»
Alyssa si prese un momento per osservare la terra sotto i suoi piedi, poi piegò
leggermente le ginocchia «Ottimo, allora direi che è giunto il momento di
cominciare» scattò.
Lo spadaccino non credette ai propri occhi: la ragazza, sebbene fossero
piuttosto distanti, piombò su di lui in un attimo e solo grazie ad un istintivo
movimento di polso riuscì a deviare il primo colpo. Si prese un secondo –
quello che lei gli concesse prima di un’altra stoccata – per compiacersi della
sua avversaria, poi iniziò a contrattaccare.
Fu un combattimento senza esclusione di colpi: la forza fisica di Zoro era
nettamente superiore a quella di Alyssa ma, dal canto suo, la ragazza era di
un’agilità e di una precisione fuori dal comune.
Le lame saettavano fendendo l’aria, quasi fischiando, per poi cozzare
violentemente fra loro rischiando di fare scintille. Uno scambio
particolarmente violento fece sì che la ragazza venne scaraventata lontano ma,
sotto allo sguardo allibito dell’altro, il suo corpo svolse una strana torsione
che la fece atterrare miracolosamente in piedi. Un centinaio di metri a
dividerli e il tempo necessario per caricare l’ultimo fendente, poi, l’ultima
carica.
Il duello finì con i due avversarsi che si davano le spalle a vicenda: Zoro
rinfoderò la Sandai Kitetsu e un sorriso andò a dipingersi sulle sue labbra
quando un piccolo taglio colorò di rosso il braccio destro della ragazza.
Tuttavia, quel sorriso fu subito bloccato dall’insorgere di un leggero bruciore
sulla guancia sinistra: si portò le mani al volto stupendosi di trovare i
polpastrelli sporchi di sangue.
Alyssa sbuffò «Questo è il peggior finto pareggio che abbia mai visto in vita
mia»
Lo spadaccino si voltò verso di lei «Cosa?»
L’altra rise «Credi che non me ne sia accorta? Lasciamo pure perdere il fatto
che tu non abbia voluto usare la tua tecnica più devastante, però non puoi
negare di aver avuto ben più di un’occasione per terminare questo duello ma, o
perché il fendente che avevi caricato era troppo forte o perché mi avresti
colpito al viso, hai preferito aspettare e colpirmi più delicatamente in un
posto meno visibile»
«Ciò non toglie che tu mi abbia colpito comunque»
«Io non capisco…» gli rispose lei scotendo il capo «O sei particolarmente
sensibile dal preoccuparti per il mio orgoglio ferito, o sei così masochista da
voler massacrare il tuo» ridacchiò «E considerando che il sensibile ai problemi
femminili mi pare di aver capito sia Sanji, credo che la seconda opzione sia
quella più giusta»
Zoro sorrise ma non rispose: la verità era che, sebbene sapesse che in un vero
duello non ci sarebbe stata storia, il fatto di aver abbassato troppo la
guardia gli bruciava non poco.
«Direi che è il caso di tornare dagli altri adesso, si chiederanno dove siamo
finiti» disse Alyssa portandosi una mano alla nuca improvvisamente in
imbarazzo.
Lo spadaccino si limitò ad annuire, stupito per il suo istantaneo cambiamento:
con la spada sguainata dimostrava una sicurezza e un’aggressività che ben
poteva richiamare il suo alter ego animale ma, una volta finito tutto, tornava
una semplicissima ragazzina più timida che estroversa. «Bah…» esordì infine per
terminare il suo ragionamento e decise di seguirla: peccato che, pochi metri
dopo, prese inesorabilmente un’altra strada.
Dopo aver portato le provviste alla nave insieme a Claire, il cuoco aveva
ripreso a girare per la città senza di lei che, ancora scossa per l’episodio
del pomeriggio, non se l’era sentita di seguirlo. «Nami-chaaaaaan! Finalmente
ti ho trovata!» esordì gioioso come non mai per l’essersi imbattuto in una
delle sue dee preferite «Hai fatto compere?» le chiese notando tutte le scatole
e pacchetti che trasportava la povera renna al suo fianco.
«Sì, ma vorrei comprare ancora qualcos’altro» gli rispose la navigatrice
passandosi la mano sotto il mento, riflettendo su cosa le mancasse.
Il povero Chopper non sbiancò solo perché non poteva farlo «Altra roba? Non ce
la faccio più!» piagnucolò.
«Perché devi portare tutto tu?» gli chiese Sanji guardandosi attorno «Che fine
ha fatto Jacques?»
Nami alzò le spalle «Gli ho lasciato un po’ di libertà, abbiamo pensato che
fosse meglio evitare di stare troppo in giro tutti e tre insieme. Visto che la
Marina lo cerca così tanto da avergli affibbiato una taglia del genere sulla
testa, è meglio che non sappiano ancora che si è unito in pianta stabile alla
ciurma»
Il biondo aspirò del fumo «Tsk… e ti ha lasciato andare in giro da sola?»
La rossa inarcò un sopracciglio «Non lo digerirai mai, vero?» ridacchiò «Avrei
qualcosa da ridire comunque: in primis questo non mi sembra un luogo così
pericoloso, secondo ho lasciato un minilumacofono a Jacques per ogni evenienza
e terzo, non sono sola per niente» concluse lanciando un’occhiata al suo
fianco.
«Giusto!» confermò subito il giovane medico «Io sono pronto a proteggerla!»
affermò deciso.
Prima che il cuoco potesse rispondere, tutto trafelato e imprecante come non
mai spuntò da un vicolo lo spadaccino «Ma porc… dove diavolo sono finit…» si
bloccò davanti agli sguardi allibiti dei suoi compagni «Eccovi qui, si può
sapere dove vi eravate andati a cacciare?» li salutò cambiando immediatamente
espressione, come se fossero stati loro ad essere andati chissà dove.
«Ti sei perso, Marimo?» lo sbeffeggiò il biondo sghignazzando, dimenticandosi
completamente del precedente discorso.
«Non dire stupidate, cuoco della malora! Non mi ero affatto perso!» gli rispose
subito a tono quello.
«Che cos’è quel graffio che hai sulla faccia?» chiese sospettosa Nami, subito
dopo aver notato la leggera striscia rossa che gli segnava una guancia.
Zoro si portò meccanicamente una mano a coprirsi la lesione, nessuno sapeva del
suo accordo con Alyssa, nemmeno lei «Niente, ho preso un ramo in faccia tutto
qui»
Sanji scoppiò a ridere «Un ramo? Non mi dire che sei finito nel bosco?!?»
Lo spadaccino gli grugnì qualcosa dietro iniziando uno dei loro soliti
battibecchi. La rossa però non vi badò, troppo presa a contemplare quel taglio
che arrossava il viso del suo compagno: troppo netto per essere stato causato
da un ramo, sembrava più un taglio provocato… da una lama.
L’arrivo, tutt’altro che quieto, del capitano e del cecchino di bordo la
distolsero dai suoi pensieri: i due, infatti, se la ridevano allegramente,
contenti come non mai dell’essersi fatti una bella abbuffata.
Alla ragazza saltò subito all’occhio un particolare, ossia l’assenza di colui
che era stato designato come l’addetto alle finanze di quel gruppo «Dov’è
Tristan?» sibilò.
Bastarono quelle tre parole per gelare l’ilarità del nasone, mentre il moretto
si portò tranquillamente un dito nel naso «Ha detto che andava a nascondersi
perché abbiamo speso troppo» le spiattellò subito.
«Demente, non dovevi dirglielo!» gli urlò dietro Usop, momentaneamente munito
di una dentatura da far paura al più terribile degli squali.
Nami, però, non riuscì ad arrabbiarsi in quanto la sua attenzione fu nuovamente
catturata da un altro arrivo che l’allarmò, così come fece con il resto dei
suoi compagni. Ai loro occhi, infatti, si presentò il carpentiere della ciurma
sporco di sangue.
«Franky, che diavolo è successo?» gli chiese subito preoccupata.
«Siamo stati attaccati!» le rispose lui ansimando.
«Attaccati?» sbottò il cuoco «Dov’è Robin?»
Il cyborg si mise le mani nei capelli «Non lo so! Stavamo tornando alla nave,
avevo preso tutto l’occorrente per il mio lavoro quando siamo stati circondati
da delle ombre»
«Ombre?» chiese lo spadaccino non capendo.
«Sì, delle ombre che avevano una consistenza maledettamente reale!»
«Ma Robin?» ribadì la cartografa sempre più agitata.
«Ti ho detto che non lo so!» le rispose disperato «L’ ho persa! Appena ho
potuto sono venuto a cercarvi… maledizione, io dovevo proteggerla!»
Rufy gli posò una mano sulla spalla «Portaci dove vi hanno attaccati, la
troveremo!»
Robin si appoggiò esausta al tronco di un albero del boschetto in cui aveva
trovato rifugio dopo l’attacco. Ferma, nascosta, cercava di fare il minor
rumore possibile per non farsi scoprire dal suo inseguitore anche se, ad onor
del vero, non aveva più la sensazione di essere seguita. Si controllò le
ferite: ne aveva un sacco ma, fortunatamente, nessuna sembrava particolarmente
preoccupante, almeno non così a prima vista. Alzò lo sguardo e per poco, dallo
spavento, non attaccò la persona che le era appena comparsa di fronte. «Sei tu!
Cosa ci fai qui?» ma nonostante fosse ancora allarmata, tirò un sospiro di
sollievo «Bisogna andare dagli altri» continuò alzandosi «Io e Franky siamo
stati attaccati».
Fu così che l’archeologa diede le spalle a quella persona che credeva amica,
offrendole il tradimento su un piatto d’argento.
«Lo so» furono le parole che le arrivarono alle orecchie, non riuscì neanche a
stupirsi che venne colpita violentemente alla nuca, scivolando nel buio
dell’incoscienza.
Una leggera vibrazione nel taschino della camicia ricordarono al cavaliere del
piccolo lumacofono che la navigatrice gli aveva dato. Infilò una mano sotto al
mantello, ripreso per l’escursione in solitaria, e recuperò il mollusco.
«Sì?» disse attivando la comunicazione.
«Jacques!» il tono di voce di Nami lo allarmò subito.
«Che cosa è successo?»
«Franky e Robin sono stati attaccati!» gli urlò nel panico.
«Cosa?» Le chiese incredulo «Dove sono adesso? Come stanno?»
«Franky è un po’ malridotto ma è con noi…» la rossa esitò.
Jacques scandì le parole «Nami, dov’è Robin?»
Ma dall’apparecchio non arrivò nessuna risposta: l’oggetto si frantumò sulla
sua mano, trafitto da una lama nera interamente costituita d’ombra.
«Che diavolo?!» esclamò sorpreso, prima di schivare un nuovo attacco «Ancora
tu!» sibilò a denti stretti. Inutile guardarsi intorno per cercare il suo
nemico, inutile cercare di trovare un luogo in cui ripararsi: venne colpito.
TO BE CONTINUED…
Dopo un sacco di tempo finalmente, eccomi qui.
Per cominciare mi scuso se non riesco a dare una cadenza regolare alla
pubblicazione dei capitoli ma, purtroppo, fra la mancanza di tempo e
l'ispirazione che va e che viene, completarne uno diventa un'impresa
piuttosto difficile.
Non sto dicendo che ho intenzione di abbandonare la storia, anzi ^^.
Solo mi ci vorrà più tempo del previsto per
completarla.
Farò del mio meglio per non far passare ere fra un capitolo e l'altro.
Sperando che questo vi sia piaciuto, lascio un ringraziamento
particolare ad Akemichan che mi ha gentilmente commentato lo scorso
capitolo e a Robin94 che ha aggiunto entrambe le mie storie nei suoi
preferiti, commentandomi la precedente "Apocalypse".
Grazie mille anche a tutti gli altri che seguono il mio racconto.
Alla prossima
Eagle
L’improvvisa
interruzione della comunicazione, poco prima di una risposta che di sicuro lui
avrebbe voluto sentire, indusse la ciurma a credere che anche al cavaliere
fosse successo qualcosa. In nome della fiducia che riponeva nella forza del suo
compagno, il capitano decise che era meglio dividersi in due gruppi: uno
incaricato di recuperare l’archeologa a qualsiasi costo e l’altro di tornare
alla nave a controllare che nessun altro fosse stato attaccato. A nulla
valsero, purtroppo, le svariate ore di ricerca del primo gruppo: sebbene Rufy,
Usop e Zoro si fossero affidati al finissimo olfatto di Chopper per seguire le
tracce, non riuscirono a trovarla.
Fu solo a sera inoltrata che raggiunsero il gruppo di Nami, Sanji e Franky che,
tornati all’imbarcazione, vi avevano trovato Claire, Alyssa e Tristan
completamente ignari di tutto.
Brutte notizie ricevettero in risposta altre brutte notizie: neanche Jacques si
era fatto più vivo, l’unica consolazione era che nessun altro sembrava essere
stato preso di mira.
Iniziò una lunga discussione fra chi non ne voleva sapere di abbandonare le
ricerche e chi suggeriva che era inutile sfinirsi: le ricerche in piena notte
non avrebbero dato frutti più buoni di quelle fatte sino a quel momento.
Vinsero questi ultimi e, dopo una buona ma tesa cena, ognuno cercò in qualche
modo di riposare.
Al mattino le ricerche ripresero freneticamente e, ancora una volta, vennero
fatti due gruppi: uno capitanato dal fiuto di Chopper che, assieme a Nami,
Claire, Sanji e Franky, ultimo ad averla vista, si mise sulle tracce di Robin
mentre l’altro, capitanato dal fiuto da predatore di Alyssa nella sua forma
felina seguita da Rufy, Tristan, Zoro e Usop, ebbe l’incarico di trovare
Jacques.
«E’ qui che è successo?» chiese Claire, incredula di fronte al marasma che si
presentava davanti ai suoi occhi.
Franky si limitò ad annuire, mentre Sanji girovagava fra le buche nel terreno e
qualche albero divelto «In quanti vi hanno attaccato?»
Il cyborg alzò le spalle «Non posso esserne sicuro, ma ho come l’idea che, ad
attaccarci, sia stato un solo uomo»
«Un solo uomo?» sbottò il cuoco alterato ma, prima che riuscisse a continuare
il suo discorso, l’altro aggiunse «Sì, un solo uomo: un possessore del Frutto del
Diavolo. Un potere di cui non avevo mai sentito parlare, quello di poter
utilizzare le ombre. Era una lotta persa in partenza, neanche ce ne siamo
accorti che eravamo circondati dalle ombre degli alberi con i rami appuntiti,
degli stessi attrezzi che avevo appena comprato, quelle dei nostri stessi
corpi. Mi sono ritrovato a sparare a caso, combinando questo macello, per darci
quanto meno l’opportunità di scappare. Ho cercato di attirare la sua attenzione
su di me, ma non potevo immaginare che il suo reale obiettivo fosse Robin»
concluse, quasi con disperazione.
Nami gli si avvicinò posandogli una mano su uno dei grossi avambracci «Non
essere così abbattuto, Franky, hai fatto del tuo meglio. Di sicuro c’è qualcosa
sotto, nessuno ti sta accusando» sottolineò lanciando un’occhiata eloquente al
biondo, in modo da prevenire qualsiasi suo intervento futuro «Vedrai che la
ritroveremo. Chopper, senti qualcosa?»
Il medico di bordo, nel suo stadio prevalentemente animale, cercava di
concentrarsi unicamente sull’odore della mora «Sì, ma non è semplice: ci sono
molti odori qui, non riesco a capire che direzione abbia preso»
Il carpentiere si guardò attorno, poi annuì «Io sono scappato da quella parte»
disse indicando un punto alla sua sinistra «Lei dev’essere fuggita da
quest’altra»
Claire, la più vicina al nuovo punto indicato, cominciò ad inoltrarsi in un
boschetto, subito affiancata da Chopper contento di aver finalmente trovato una
traccia più forte. Anche gli altri li raggiunsero ed iniziarono a camminare,
prevalentemente in silenzio, finché la bionda, appoggiando la mano ad un tronco
per riposarsi, non avvertì il contatto con qualcosa di vischioso «Oddio, è
sangue!» urlò notando il rosso che le colorava la punta delle dita.
«E’ di Robin!» affermò la renna praticamente subito, confermando le tacite
preoccupazioni del gruppo.
«Si è fermata qui, doveva essere esausta» sussurrò Nami, la cui sicurezza di
ritrovare l’amica cominciava a vacillare di fronte a quel tetro alone
vermiglio.
Il medico di bordo annuì «Sì, è
così… dalla quantità di sangue, però, posso
dire che, fortunatamente, non sembra essere ferita gravemente»
gli altri
tirarono un sospiro di sollievo e lui continuò «Tuttavia
c’è qualcosa che non
mi torna»
Claire lo guardò stupita «Cosa c’è che non va?»
«Non riesco a capire…» le rispose l’altro «Venendo qui ho chiaramente
avvertito, fino ad un certo punto, la presenza di un inseguitore. Da qualche
metro a questa parte, però, le tracce sembrano sparite»
«Non potrebbe semplicemente essere che l’inseguitore l’abbia persa?» provò a
suggerire il cuoco.
«Potrebbe essere una possibilità ma, da come si è mossa Robin, sono quasi
sicuro che con lei ci fosse qualcun altro. La cosa strana, però, è che non
sento nessun odore!»
«Nessun odore? Ma non è possibile!» esclamò Nami scotendo il capo «Non esistono
persone senza odore, non è che ti stai sbagliando?»
«Non si sta sbagliando» affermò Franky pochi metri più in là «Perché non avesse
odore non ne ho idea, ma chiunque fosse ha catturato Robin» e così dicendo
indicò una lunga striscia di sangue dietro ad alcuni cespugli: incapace di dire
qualsiasi cosa, ogni membro del gruppo iniziò a seguirla.
Per l’altro gruppo, una volta trovati i resti del lumacofonino e la prima
traccia di sangue, non fu difficile seguire il percorso fatto dal cavaliere. La
pantera chinava il capo, portava il muso a terra, annusava e poi partiva,
decisa come solo un predatore sapeva fare. Bastò una decina di minuti perché
anche loro incappassero, all’interno di un piccolo bosco, in un inquietante
sentiero scarlatto.
Zoro era preoccupato, da quando avevano trovato quella scia continua di sangue,
una domanda aveva iniziato a prendere corpo nella sua mente: perché Jacques non
si curava? Si era accorto che aveva perso la sua quasi totale invulnerabilità
di Morte, però aveva visto con i suoi occhi il perfetto controllo che aveva sui
suoi poteri curativi, perché diavolo non li usava? Guardò i suoi compagni, in
particolar modo Rufy, e non poté far a meno di chiedersi se quel volto teso non
nascondesse i suoi stessi timori. Ogni possibile flusso di pensieri del gruppo
venne bloccato da un improvviso arresto della marcia di Alyssa.
«Che succede?» chiese il cecchino, già sull’orlo di lasciarsi andare al panico.
Lo spadaccino portò una mano all’elsa della Wado Ichimonji «C’è qualcuno»
sussurrò.
Per la pantera resistere al suo istinto animale fu impossibile, il vento a
sfavore non l’aiutava a riconoscere i suoi possibili avversari, si sentiva
minacciata e di conseguenza doveva difendersi: dopo aver prodotto un ringhio
rabbioso, scattò. Una volta di fronte al suo avversario, però, dovette fare in
fretta a chiudere le fauci ed a rinfoderare gli artigli: il suo balzo terminò
dritto fra le possenti braccia del carpentiere «Buona gattina…» l’apostrofò
quello «… siamo noi» concluse lasciandola andare.
«Ragazzi, cosa ci fate qui?» chiese Tristan, stupito che le loro strade si
fossero incrociate.
«Abbiamo seguito le tracce di Robin» rispose Nami senza espressione, voltandosi
verso un porticciolo sul quale si affacciava la fine del bosco, dalle condizioni
in cui si trovava sembrava essere stato usato di recente «L’ hanno portata via»
esalò in un sussurro «Che cosa possiamo fare, Rufy?» lo implorò.
Il capitano rimase un attimo in silenzio, furente, poi ammise «Non lo so, ma
Robin non sarà l’unica che dovremo cercare»
«Che significa?» chiese il cuoco non capendo.
Zoro incrociò le braccia al petto «Significa che hanno preso anche Jacques»
Una volta sbarcato, con un irritante ritardo, il commodoro Smoker non ci aveva
pensato due volte a lasciare in asso il resto dei suoi uomini – ben contenti di
riprendersi dal faticoso viaggio a cui erano stati costretti – e, accompagnato
dalla guardia marina Tashigi, si era messo sulle tracce di Cappello di Paglia.
Il fatto di aver attraccato dalla parte sbagliata dell’isola non lo aiutò di
certo a recuperare il tempo perso sino a quel momento.
I giorni iniziarono a trascorrere, fino a quel momento ci aveva pensato la
magnetizzazione del logpose a prendere per loro la decisione di rimanere su
quell’isola. Ora, però, l’ago si era ridirezionato su una nuova rotta e la
ciurma doveva decidere il da farsi. Era stato inutile cercare una qualsiasi
notizia: il che era abbastanza strano, visto la fama da pirati di cui godevano.
Chi diavolo li aveva presi da non lasciar trapelare alcuna informazione? E così,
completamente ignari di tutto, non sapevano che fare: restare sull’isola
cercando di trovare qualche indizio oppure seguire la rotta che, molto
probabilmente, avevano seguito anche i misteriosi rapitori? Ma se questi ultimi
avessero seguito un eternalpose, come avrebbero fatto a ritrovarli?
Incuriosita dallo strano comportamento del suo capitano, che lo portava a
sparire per la maggioranza della giornata, Alyssa si era decisa di chiedergli
se poteva seguirlo e lui non si era opposto. La ragazza si era ritrovata, così,
nel punto in cui Robin e Jacques sembravano essere stati imbarcati per una
destinazione ignota. Rimasero lì quasi tutto il pomeriggio, per lo più in
silenzio, ad attendere un qualsiasi segno che potesse fargli capire dove
fossero stati portati i loro amici.
«Andiamo» disse d’un tratto Rufy «Ormai è inutile restare qui, non verrà
nessuno»
Lei annuì e lo seguì sulla via del ritorno.
«Chi può averli presi, Alyssa?» le chiese d’un tratto.
L’altra scosse la testa desolata «Mi dispiace, non lo so…»
«Io devo saperlo, invece!» sbottò quello alterato, facendola sobbalzare «Chi
diavolo può essere così forte da aver sconfitto Jacques con tanta facilità? E
Robin? L’ultima volta che ce l’ hanno portata via, l’abbiamo salvata per un
soffio dalla sua esecuzione… non possiamo permetterci di perdere altro tempo!»
Alyssa allungò titubante una mano verso il suo braccio, in un timido tentativo
di consolazione «Rufy…» la sua mano, però, non arrivò a destinazione, anzi,
scattò rapida all’elsa della katana per poi far stridere la lama contro quella
di un’altra spada: appena posò lo sguardo sulla sua avversaria, quasi ringhiò
«Tashigi!»
La guardia marina, dal canto suo fu molto stupita di trovarsela davanti «Alyssa
Smith, allora è vero che sei fuggita!»
«Tu sei la ragazzina che sta col fumoso!» la riconobbe il moro incredulo «Come
fate a conoscervi?»
«Perché, tempo fa, è stata Tashigi a catturare la tua nuova amica» lo informò
Smoker appoggiato ad un albero lì vicino «A quanto pare ami circondarti di
gente strana, Cappello di Paglia»
«Fumoso…» sussurrò il ragazzo.
Il cacciatore bianco fece un cenno alla sua compagna «Rinfodera la spada,
Tashigi»
«Ma signore!» provò a protestare l’altra.
«Fa come ti dico!» le ordinò «Ti sarei grato se dicessi alla tua gatta di fare
altrettanto»
Rufy annuì ed entrambe le ragazze rinfoderarono, loro malgrado, le armi.
«Cosa sei venuto a fare qui?» lo interrogò il giovane.
«Che domande mi fai, Cappello di Paglia?» sogghignò Smoker «Sono qui per
catturarti»
La piccola creatura non riusciva a credere ai propri occhi: dopo quasi un anno
passato a vedere costantemente le solite due facce, ossia quelle tanto odiate
del dottore e del suo assistente, finalmente aveva un’altra persona davanti a
sé. Le catene cigolarono quando mosse un passo verso di lei, per poterla vedere
meglio nella penombra della cella, ma quella non la sentì, dormiva
profondamente: un sonno pesante, un sonno indotto. Le si avvicinò ancora, con
cautela, ed infine riuscì a vederla: era snella e slanciata, alta, molto più
alta di lei; i capelli neri, medio lunghi e lisci le ricadevano scomposti sul
viso e sulle spalle; gli occhi erano chiusi, impossibile capirne il colore ma
la creatura sperò che fossero azzurri, come il cielo che non vedeva da un sacco
di tempo; le spalle erano minute, molto meno larghe di quelle dei due uomini
che vedeva di solito; la vita era sottile e sul petto, seguendo il ritmo del
respiro regolare, si alzavano e si abbassavano due formosi seni. Una piccola
bocca si spalancò per lo stupore: quasi si era dimenticata come fosse il corpo
di una donna adulta. Incredula allungò una piccola mano verso il suo viso,
avvertendone il calore della guancia e, proprio in quel momento, gli occhi
della donna si aprirono e non delusero le speranze di chi avevano di fronte.
Robin, ancora troppo stordita dal lungo sonno a cui era stata costretta, non si
curò subito di chi la stava studiando con così tanta insistenza cercò,
piuttosto, di riprendere il controllo su se stessa. Richiuse gli occhi e
ascoltò i messaggi che il corpo le inviava: aveva le gambe e le braccia
intorpidite, a testimonianza del fatto che doveva essere rimasta in quella
posizione per lungo tempo. Si portò le mani al volto e si accorse di avere i
polsi ammanettati, dal fastidio che le procurava il metallo sulla pelle doveva
trattarsi senz’altro di agalmatolite marina. Mosse le gambe ed inarcò il busto,
con stupore si accorse che le ferite erano state curate e ormai erano del tutto
guarite, quanto diavolo era rimasta priva di sensi? Riaprì di colpo gli occhi e
si guardò attorno spaesata, si rese conto di essere su una branda all’interno
di una cella, fin troppo ben tenuta a dire la verità.
Un lieve cigolio di
catene al suo fianco le ricordò di non essere sola in quel luogo, si voltò e
rincontrò i soliti due gioielli verdi che aveva intravisto appena aveva aperto
gli occhi.
La piccola creatura si ritirò, spaventata dall’attenzione con cui
quella donna la squadrava.
«Non preoccuparti, non voglio farti del male» furono quelle le prime parole che
le rivolse, senza astio né minacce, ben diversamente dal tono che di solito era
usato con lei: le si avvicinò di nuovo. Agli occhi dell’archeologa si mostrò il
corpo di una bambina magrissima, segno di una malnutrizione evidente. Doveva
avere cinque, sei anni al massimo. I lunghi capelli castani le cadevano mossi
fin sulle spalle, erano spettinati ma puliti, segno che qualcuno doveva averli
lavati di recente. I polsi e le caviglie, circondati da pesanti bracciali
legati a delle catene, davano l’idea che avrebbero potuto spezzarsi da un
momento all’altro sotto quel peso. Che diamine ci faceva una bambina lì? Perché
la tenevano in quelle condizioni? Non riuscì neanche ad iniziare a darsi
qualche possibile risposta che, stupita, se la ritrovò attaccata alla vita
tremante. Robin non seppe perché, forse per la sua incredibile fragilità o
forse perché vent’anni prima avrebbe potuto esserci lei al suo posto, la
circondò con le braccia e, per quanto poté incatenata com’era a sua volta, le
accarezzò la testa quando iniziò a sentirla singhiozzare. La lasciò sfogare
così per diversi minuti, finché non si calmò: vedendola più tranquilla si
decise a chiederle «Come ti chiami?»
La bimba alzò gli occhi smarriti su di lei, mosse le labbra ma dalla sua bocca
non uscì alcun suono.
«E’ inutile che parli con lei, Nico Robin, non è in grado di risponderti»
Nella penombra, la mora non riuscì a distinguere l’uomo che aveva appena
parlato, ma un brivido inspiegabile attraversò il suo corpo: era sicura, quella
voce l’aveva già sentita.
«Come hai
fatto a fuggire dalla prigione di massima sicurezza?»
La ragazza pantera guardò colei che l'accompagnava con aria di sufficienza, non
la sopportava perché fingere il contrario? «Sei proprio l'ultima persona a cui
l'andrei a dire, considerando che mi ci avevi rinchiuso tu là dentro»
Anche Tashigi, dal canto suo, covava dell'astio nei confronti dell'altra: in
primis perché era un affronto quasi personale il fatto che fosse riuscita a
liberarsi e, in secondo luogo, era una fuori legge che possedeva una delle
katane più rare in circolazione «Vedo che sei riuscita anche a riprenderti la
spada»
«Ovvio, sarei morta piuttosto che lasciarla lì» le rispose quella acida «La
sola idea che sarebbe potuta diventare tua mi dava il voltastomaco»
La marine sorrise «Sicuramente sarebbe stata meglio fra le mie mani, visto che
fra le tue ha assaggiato la sconfitta»
Gli occhi di Alyssa si assottigliarono e assunsero una pericolosa aria felina,
ma solo per un istante «Ringrazia che ho promesso al mio capitano di non battermi
con te, perché ti assicuro che lo scontro avrebbe avuto un esito ben diverso da
quello dell'ultima volta»
Per la guardia marina resistere alla tentazione di risponderle fu dura, ma
anche lei aveva avuto l'ordine di non sfoderare la spada, quindi non assecondò
la sua provocazione sicura del fatto che, se avessero ancora continuato così,
avrebbero di sicuro disobbedito ai rispettivi superiori. Fortunatamente per
entrambe, la nave di Cappello di Paglia iniziò a mostrarsi davanti ai loro
occhi.
«Alyssa-chan!»
esultò Sanji dal ponte non appena la scorse «Finalmente sei tornata» si bloccò
a guardare meglio la persona che seguiva il suo passo, di sicuro non era Rufy
e, certamente, non era neanche un uomo «Nami, mio amore, puoi venire un
momento?» La navigatrice
smise di consultare le carte che, ormai, consultava ogni giorno inutilmente e
lo raggiunse «Che cosa c'è?»
«Chi è la ragazza con Alyssa?»
La rossa la mise a fuoco, ma erano ancora troppo distanti perché potesse
distinguerne bene i lineamenti. Entrambi dovettero attendere alcuni minuti prima
che si avvicinassero abbastanza... ed allora la riconobbe.
«Cosa diavolo ci fa quella qui?» sbottò Nami allarmata, richiamando
l'attenzione dei suoi compagni «E quel babbeo di Rufy dov'è?»
«Che succede?» le chiese Claire affiancandola.
«Alyssa sta portando una guardia marina dritta su questa nave!» le rispose
l'altra alterata.
«Che cosa, è impazzita per caso?» si stupì la biondina.
«State calme» le riprese Zoro «Non sappiamo ancora perché è qui e, anche se
volesse darci delle noie, è sola contro una ciurma intera: potrà fare ben poco»
«Senza contare che potrebbe sapere qualcosa su che fine hanno fatto Robin e
l'inquietante fratello» fece notare Franky, la presenza di quella ragazza
poteva essere il segnale che stavano aspettando.
«Che diavolo ti è saltato in mente di portarla qui?» quasi l'aggredì Tristan,
non appena la ragazza pantera mise piede sul ponte.
Quella lo guardò stupita «Non credere che io sia contenta della situazione,
sono stata costretta a farlo: è un ordine di Rufy»
«Un ordine di Rufy?» chiese incredulo Chopper.
«Che significa?» gli fece eco il cecchino.
Alyssa alzò le spalle «Chiedetelo a lei, d'altra parte è colpa sua e del suo
superiore se siamo in questa situazione»
Sanji tirò una boccata dalla sua sigaretta «Quindi c'è anche Smoker»
«Che cosa vuoi da noi?» la interrogò lo spadaccino urlandole dal ponte per
farsi sentire meglio.
Tashigi, rimasta sul molo a cui era attraccata la nave, lo riconobbe subito
«Non usare quel tono con me Roronoa, sappi che non ho dimenticato la nostra
sfida. Un giorno ti catturerò e
purificherò le tue spade dal cattivo uso che ne hai fatto»
«Eh?» rimase incredulo l'altro «Che cavolo significa questo discorso adesso?
Non c'è nessuna sfida tra di noi...» era incredibile come quella ragazza
assomigliasse alla sua cara amica Kuina: ogni volta che la vedeva non poteva
fare a meno di stupirsi, non si sarebbe mai abituato «... senza contare che
sono solo fatti miei di come uso le mie spade» continuò «E ora rispondi alla
mia domanda»
La guardia marina sbuffò «Io sono qui per assicurarmi che rispettiate
l'accordo»
«Quale accordo?» le chiese la cartografa.
«Il vostro capitano è stato sfidato ad uno scontro uno contro uno dal
commodoro Smoker: se vincerà Cappello di Paglia, sarete liberi di andare» le
spiegò.
«E se dovesse perdere?» urlò il cecchino.
L'altra incrociò le braccia al petto «Se perderà dovrete consegnarvi
spontaneamente... tutti quanti»
«Svegliati!» fu questa la prima parola che Jacques sentì mentre cercava di
fuggire dall'oblio dell'incoscienza in cui era stato relegato per un periodo
che, sebbene gli sembrasse assai lungo, non era in grado di quantificare.
Provò ad aprire gli occhi ma non ci riuscì, troppo pesanti per farcela; le
gambe si mossero millimetricamente al suo comando, erano esauste ma almeno lo
aiutarono a capire di essere in posizione eretta; provò ad interrogare le
braccia... niente, non gli inviavano alcun messaggio, neanche dolore, come se
gliele avessero staccate di netto dal corpo... eppure sapeva che erano lì.
«Svegliati!» ancora quell'ordine, questa volta riuscì a percepire la rabbia e
l'impazienza con cui era stato pronunciato «Ti ho detto di svegliarti!»
qualcosa di bollente colpì la pelle gelida della sua faccia ma, evidentemente,
qualunque cosa quella voce avesse fatto non aveva sortito l'effetto desiderato
perché l'udì imprecare furente.
Improvvisamente, calò il silenzio ma solo per un istante perché un attimo dopo
udì un urlo disumano riempire l'aria: un urlo creato da una voce roca, da
troppo inutilizzata, la sua voce.
Era bastato uno strappo all'altezza del fegato per far sì che il potere del
cavaliere entrasse in azione: sentì la profonda lacerazione, che arrivava a
perforargli l'organo, rimarginarsi e avvertì il sangue tornare ad irrorare le
vene, le arterie e rifluire in ogni parte del suo corpo, quasi gioì delle
scosse di dolore che iniziarono ad inviargli le braccia, mentre riottenevano la
loro sensibilità. Aprì, finalmente, gli occhi e venne accecato dalla candida e
potente luce di alcuni neon: la sua analisi non si rivelò sbagliata, era
veramente in piedi incatenato ad un muro sorretto da due bracciali legati
attorno ai polsi. Alzò la testa e davanti ai suoi occhi si presentò un
macchinario tanto curioso quanto terrificante: un braccio meccanico, costituito
di legno e metallo, puntava minaccioso la lama di un coltello verso il suo
addome e, dal sangue fresco che ancora lo sporcava, capì che era quella la
causa dello strappo sentito un attimo prima. Chi diavolo lo aveva catturato? E
come faceva a conoscere il modo per bloccare il suo potere curativo?
«Uhm... vedo che hai deciso di degnarmi della tua presenza» sogghignò qualcuno
lì a fianco.
«Non vedo come avrei potuto farlo prima, visto che avevo un pugnale piantato
nel fegato ed ero quasi dissanguato» ghignò Jacques a sua volta, non importava
chi fosse: di certo non si sarebbe mostrato intimorito.
«Di quello non ti devi preoccupare, a mio malgrado, morto non ci servi a
niente... almeno per ora»
Di quella frase il cavaliere incamerò due cose: il non ci servi lo
informò sul fatto di non essere capitato nelle mani di un'unica persona e nel
tono di quel a mio malgrado c'era qualcosa che, sebbene fosse sicuro di
non aver mai sentito prima quella voce da uomo, gli risultava tremendamente
familiare. Sembrava quasi il tono usato da... «Non è possibile!» esclamò
incredulo quando il suo carceriere, ossia l'assistente del Dottor Graves,
decise di mostrarsi. (*)
«Ti vedo stupito, caro maestro» lo prese in giro quello, caricando di
disprezzo le ultime due parole.
Gli occhi di ghiaccio del prigioniero osservarono i capelli biondi tagliati a
spazzola sulla nuca, le due grandi ciocche che gli incorniciavano il viso e si
puntarono in un altro paio di occhi verdi come gli smeraldi. Che scherzo era
mai quello? Era passato poco più di un anno dall'ultima volta che l'aveva
visto, avrebbe dovuto essere un sedicenne non di certo un uomo della sua età,
quello non poteva essere... «Tu non puoi essere...»
Non riuscì a finire la frase che il biondo gli tirò un pugno dritto sul naso
spaccandogli il setto senza troppi complimenti «Curati!» gli ordinò.
Jacques gemette per il dolore e le catene ai polsi cigolarono sotto alla
reazione che ebbe di riflesso tagliandogli la pelle. Osservò il liquido rosso
colargli lungo la faccia e scendere a finire di insozzare la camicia: usufruì
del suo potere ma, mentre le ferite dei polsi si rimarginarono senza problemi,
il naso rimase rotto e colante di sangue. «Miguel...» mormorò «... ma come è
possibile?»
«Questo non ti deve interessare minimamente» tagliò corto l'altro «L'unica cosa
che devi sapere è che ora non ho più la forza di un ragazzino, ho quella di un
uomo: una forza in grado di eguagliare la tua. Devi solo ringraziare chi ha
reso possibile tutto questo, se ancora non l' ho testata su di te»
«E chi sarebbe?»
Miguel alzò le mani facendogli segno di stare calmo «Ogni cosa a tempo debito,
Jacques. Ti basti sapere che per te sarà un incontro interessante»
«Non ne dubito...» sussurrò il cavaliere «... ma visto che non posso sapere
cosa vuole lui da me, posso sapere cosa vuoi tu?» chiese improvvisamente
rialzando lo sguardo su di lui «Io volevo cercarti per farti capire che non mi
avevi ucciso. A quanto vedo, però, direi che avresti preferito averlo fatto»
«Non è del tutto esatto» gli rispose l'altro «Sono felice di non averti ucciso
su Omega Island, così, invece di disperarmi come ho fatto prima di saperti
ancora in vita, potrò gioire a pieno della tua morte»
«Perché dici questo?» sibilò il prigioniero.
«Perché dico questo?!?» rise Miguel «Hai una bella faccia tosta a chiedermelo!
Pensavi davvero che non lo sarei venuto a sapere?»
«Di che parli?»
Il biondo lo colpì nuovamente, questa volta allo stomaco, togliendogli il fiato
«Non far finta di non capire! Lo sai benissimo, è solo colpa tua se i miei
genitori sono morti: se solo non avessi messo piede sulla mia isola, Guerra non
ci sarebbe mai arrivato e tutta la gente del mio villaggio non si sarebbe mai
massacrata a vicenda!»
Jacques ascoltò tutto il suo risentimento senza ribattere, chinò il capo
«Capisco...»
«Almeno hai avuto il buon gusto di non negarlo» sibilò quello che una volta era
stato suo allievo, poi si ricompose «Ora ti devo lasciare, ma non ti
preoccupare, non sarai solo: rimarrai in compagnia di questo simpatico
macchinario» sorrise indicando il braccio meccanico che aveva
di fronte «Sta a te decidere cosa fare: puoi curarti fra un colpo e l'altro che ti
infierirà, patendo ogni volta il dolore di una nuova ferita, oppure non curarti
e assuefarti all'agonia. Confido che sceglierai il primo metodo perché il
secondo avrebbe lo spiacevole effetto di togliermi il privilegio di ucciderti»
gli si avvicinò e, con una mano, gli arpionò i candidi capelli striati di
riflessi indaco, costringendolo ad alzare la testa «E' un vero peccato che, accordandoti
con Morte, tu abbia indebolito i suoi poteri con la tua umanità: chiunque può
procurarti delle ferite e, per guarirti, devono essere libere di rimarginarsi
senza impedimenti. Sei diventato un mortale qualunque»
«Un po' più coriaceo, oserei dire» lo sfidò Jacques con lo sguardo.
Il biondo lasciò la presa «Molto coriaceo in effetti, ma pur sempre mortale»
«Per te lo sono sempre stato» ribatté il prigioniero.
«Appunto per questo, avrei preferito mantenere l'esclusiva» concluse la
conversazione il carceriere: gli bastò un solo dito per azionare il macchinario
e, subito dopo, se ne andò.
Accompagnato da un leggero rumore di ingranaggi in movimento, il braccio
meccanico infierì il primo colpo: il cavaliere non urlò, non gli avrebbe dato
questa soddisfazione, né quando la lama entrò nella carne né quando ne uscì. La
ferita si rimarginò in pochi secondi, giusto il tempo per ricevere il secondo
colpo, aveva scelto la prima opzione.
TO BE CONTINUED...
(*)Per
chi non avesse letto Apocalypse è necessario un piccolo
riassunto (per chi l'ha già letta o intende farlo - anche se
leggendo prima qui si è già spoilerato un bel po' di cose
:P - vi consiglio di saltare direttamente ai ringraziementi): Le
carestie, le guerre, le pestilenze e le morti insensate che hanno
infierito, negli anni passati, sul mondo dove vivono i nostri eroi,
sembrano da sempre causate da quattro persone: i cavalieri
dell'Apocalisse. Ancora non si sa di preciso chi crei questi individui
ma, ogni volta che vengono sconfitti, sembrano tornare a distanza
di anni con diverse sembianze ma con gli stessi poteri. Jacques - amico
di gioventù di Robin, la quale lo credeva morto da tempo - fa
parte dell'ultima generazione di cavalieri, sconfitta dalla ciurma di
Cappello di Paglia, ed è l'incarnazione di Morte. A differenza
degli altri cavalieri è l'unico ad aver mantenuto la sua
umanità - ancora non è dato sapere perché - e
lotta per impedire che la sua parte malvagia prenda il sopravvento su
di lui. Jacques riesce ad avere la meglio fino a quando non uccide un
uomo che minaccia l'incolumità della ciurma: una volta
assaggiato il sapore del sangue non riesce più a contenere il
suo ego malvagio e diventa così Morte. Il cavaliere Morte
è praticamente invincibile, nessun colpo sembra ferirlo. Dopo un
estenuante combattimento, la ciurma riesce a capire che le uniche cose
in grado di ferirlo sono quelle che tengono le persone legate alla
vita: la vita è l'unica in grado di sconfiggere la morte. Come
Jacques è l'incarnazione della Morte, al suo contrario, Miguel -
bambino salvato quando aveva cinque anni da Jacques mentre, sotto
l'influsso del cavaliere Guerra sbarcato sull'isola per cercare Morte,
la gente del suo villaggio si massacrava a vicenda - è
l'incarnazione della Vita. Una freccia lanciata dritta al cuore di
Morte pone fine allo scontro e Miguel, disperato per aver ucciso quello
che era stato il suo salvatore e maestro, decide di lasciare la ciurma.
FINE.
Ovviamente questo è un riassunto molto stringato (e non so
neanche come è venuto fuori visto l'orario XD), se avete altre
domande chiedete pure e, se possibile, cercherò di rispondervi
nel prossimo capitolo. ^^
Infine i doverosi ringraziamenti a quanti leggono, preferiscono XD e seguono questa fic.
In particolare grazie ad Erichan che mi ha lasciato un commento, grazie
anche per quello su Apocalypse ;). Come si sono rivelate le tue
ipotesi? :P
«Questo è a dir poco
incredibile!» esclamò uno dei Cinque Astri di Saggezza, quello vestito con un
kimono bianco, non appena cessò il video proiettato da una strana conchiglia da
poco consegnata.
«Non capisco cosa ci sia di così incredibile» lo riprese un altro, uno di
quelli vestiti di nero e con una grossa cicatrice sul petto «Un qualsiasi Rogia
non avrebbe neanche risentito di quelle pugnalate»
«Qui non si tratta di questo» esordì quello alto dai lunghissimi baffi e la barba
«Qui abbiamo appena visto un potere di rigenerazione impressionante. Un potere
che non risente né dell'acqua né dall'agalmatolite marina»
«Senza contare che non è al massimo delle sue capacità» aggiunse quello con la
grossa voglia sulla fronte «Questo cavaliere ormai è perso ma, nonostante
tutto, continua ad essere molto potente. Immaginatelo nel pieno della sua
forza: immune da qualsiasi attacco, una vera macchina di morte»
«Così dice quel dottore» puntualizzò l'ultimo dei cinque rimasti, quello dai
rasta e dalla grande cicatrice sulla faccia «Tuttavia ora che la figlia dei
Demoni dell'Ohara è con lui, potrà mostrarci se le sue sono solo parole oppure
no»
«Niente ci assicura che lei decida di collaborare» fece presente uno.
«Una volta che capirà di non aver possibilità di
fuga, sarà costretta a farlo» puntualizzò l'unico
in bianco.
«Allora non dobbiamo permetterci errori e, sebbene abbiamo collaborato a lungo
per la realizzazione dei vari progetti C, i risultati di questo devono essere
nostri» puntualizzò un altro «Sengoku ne dovrà rimanere fuori»
«Sono veramente dispiaciuto delle circostanze che hanno portato al nostro
incontro» si scusò il dottor Graves mentre, con passo lento ma deciso, si
avvicinava alla cella delle due prigioniere «Mi auguro, però, che ciò non
influisca sulla nostra conoscenza» concluse puntando i suoi occhi ambrati sulla
donna.
Robin indietreggiò istintivamente di un passo «Direi che il sequestro di
persona non è esattamente il migliore dei modi per iniziare una nuova
conoscenza» sibilò. Perché sì, così era, l'avevano aggredita, separata da Franky
e alla fine sequestrata: un colpo alla testa, quella era l'unica cosa che
riusciva a ricordarsi eppure era convinta che ci fosse dell'altro d'importante
da sapere, così come era sicura di aver già visto quell'uomo che aveva di
fronte... se solo la sua memoria non si fosse decisa a cancellare tutto quanto.
«Hai ragione...» interruppe il flusso dei suoi pensieri l'altro «... tuttavia
dubito molto che tu mi avresti aiuto se te l'avessi chiesto gentilmente e, poi,
siamo seri: tu sei una ricercata, più che di sequestro qui si tratta di cattura»
sorrise quello mentre con una chiave apriva la cella.
«Cosa le fa credere che a questo modo io collabori con lei?» chiese la mora
sprezzante, decisamente quell'uomo e il suo modo di fare non le piacevano per
niente.
«Me lo fa credere il tuo interesse per la storia oscura, lo stesso interesse
che portò la tua città natale alla distruzione. Ho molto da mostrarti, Nico
Robin, basta solo che tu mi segua» le rispose sicuro il dottore.
«Come osa parlare di Ohara?» scattò lei alterata, così improvvisamente da far
sobbalzare la bambina alle sue spalle.
L'uomo, invece, non si scompose, anzi, sorrise ancora «Non potevo aspettarmi
nient'altro da sua figlia»
La rabbia della mora si affievolì «Come ha detto?»
«Prendi questo»
L'altra sporse le braccia incatenate per prendere il foglio che lui le porgeva,
lo aprì e lesse i pochi appunti che vi erano scritti: non riuscì a credere ai
propri occhi «Non è possibile, questa... questa è la scrittura di mia...»
«Sì» le confermò lui «Ti ho già detto che ho da mostrarti molte cose, ora, hai
intenzione di seguirmi oppure no?»
La bimba si avvicinò alla mora e le andò a tirare con una mano un lembo del
corto vestito che portava: appena quella si girò, mimò un no implorante
con la testa.
Tuttavia Robin non poteva accontentarla, doveva sapere, capire dove si trovasse
e il motivo ma, soprattutto, doveva sapere perché quell'uomo possedesse
qualcosa scritto da sua madre: "L'innesto ha avuto successo in tutti e
quattro i tentativi effettuati. La crescita procede secondo quanto
prestabilito, senza anomalie." Ancora
non sapeva cosa significassero
quelle parole ma l'avrebbe scoperto. Fu per questo che mosse una mano a
staccare delicatamente quella della bambina, poi, si rivoltò
verso il dottore «Andiamo!»
Lui sorrise, sapeva che prima o poi avrebbe ceduto «Ottimo, prendi questo»
aggiunse porgendole una specie di fino collare «Preferirei non usarlo, ma dei
tuoi poteri ancora non posso fidarmi e, dato che ti servirà il poterti muovere
a piacimento, questa è la soluzione migliore»
L'archeologa non disse niente, si limitò ad indossarlo. Poco dopo il dottore le
liberò i polsi ed uscirono dalla cella che si richiuse alle loro spalle. Solo
una volta la donna lanciò uno sguardo alla bambina rimasta dietro alle sbarre,
poi, si girò ed iniziò a seguire l'uomo che aveva davanti.
Il combattimento fra il Cacciatore Bianco e Cappello di Paglia era iniziato
senza esclusione di colpi, sebbene il potere del marine fosse temibile come al
solito, le nuove capacità e la forza acquisita dal giovane pirata facevano sì
che l'incontro stesse prendendo una piega ben diversa dal loro primo scontro.
«Ascoltami ragazzo» furono queste le prime due parole che distrassero Rufy, facendogli
beccare un poderoso pugno di fumo «Non smettere di combattere...» un altro
sussurro dal suo avversario «... potrebbe esserci qualcuno ad osservarci»
«Che significa?» chiese il moro non capendo, ma fece come lui gli aveva appena
suggerito: contrattaccò.
«Che qualcuno, di cui non conosco l'identità, ti sta spiando e anche
da lungo tempo» gli rispose Smoker parando e cercando di colpirlo a sua volta
«Mi dispiace di non essere arrivato in tempo per avvisarvi, però, posso dirti
dove sono finiti i tuoi compagni»
«Tu sai dove sono Robin e Jacques?» esclamò incredulo, con il risultato di
essere colpito nuovamente.
«Ti ho detto di continuare a combattere! Nessuno deve avere il sospetto che ti
stia aiutando» lo riprese l'altro.
Rufy annuì impercettibilmente, si rialzò e partì attaccando furente «Perché lo
stai facendo?»
«Perché non condivido quello che i miei superiori stanno cercando di fare»
sibilò il marine «Non chiedermi cosa» aggiunse subito anticipando la domanda
dell'altro «Ad un pirata come te non deve interessare. Quello che posso dirti è
che Death Caine e la Figlia dei Demoni sono stati catturati da Sindel Koler, un
sicario della Marina»
«Catturati? Allora sono vivi!» gioì Cappello di Paglia, nascondendo la sua
euforia in un nuovo colpo.
«Sì, ma sono finiti nelle mani di uno scienziato pazzo che lavora sia per il
Governo che per la Marina, non so cosa sia meglio» lo informò l'altro,
smorzando subito il suo entusiasmo.
«Come faccio a salvarli?» chiese il pirata allungando una gamba per far partire
un calcio.
Smoker riuscì a bloccargliela in una morsa di fumo e facendo leva lo scaraventò
a terra schiacciandolo con il proprio corpo «Tu non li salverai, loro
riusciranno a liberarsi ed è sull'isola successiva a questa che l'incontrerai»
Non appena Rufy avvertì, con la mano, il contatto con qualcosa di molto simile
ad una pallina di vetro, si gonfiò e scaraventò via il suo, in quell'occasione,
finto avversario.
Il Cacciatore Bianco si rialzò tirando una boccata da uno dei
suoi sigari «Un'ultima cosa, informa solo la tua navigatrice di
questa nostra conversazione e fallo
quando sarai sicuro che nessuno possa né notarvi né
sentirvi» gli suggerì
caricando un nuovo attacco.
«Perché?» volle sapere il giovane facendo altrettanto.
«Te l' ho detto, qualcuno ti tiene d'occhio e per quanto ne so potrebbe essere
anche sulla tua stessa nave»
«Questo non è possibile!» gli rispose a denti stretti il ragazzo.
Il marine sogghignò «Lo spero per te, ma non mi fiderei troppo comunque.
Bene...» continuò «... è l'ora di finire questo scontro con un bel pareggio»
Servì ancora solo un attimo affinché i colpi di entrambi raggiungessero il
massimo del caricamento e, poi, partirono all'attacco: sia il
Cacciatore Bianco che Cappello di Paglia finirono a terra distesi, lo scontro uno
contro uno non aveva avuto un vincitore.
«Davvero straordinario!» esordì Sengoku estasiato dal video che un particolare
tipo di Dial, arrivato da poco con un corriere speciale, stava proiettando
«Immaginatelo al pieno della sua potenza»
«Rischieremo di ritrovarci disoccupati» intervenne Kizaru ridacchiando.
«O di essere occupati il doppio» sentenziò Aokiji picchiettando distratto le
dita sul tavolino, poi le bloccò «Potrebbe essere un potere al di fuori della
nostra portata, potrebbe sfuggirci di mano come è già successo in passato a chi
ci ha preceduto»
Akainu ghignò «A quanto pare sei sempre piuttosto restio ad accettare questo
nuovo progetto C. A mio parere, non importa che i cavalieri vadano o meno fuori
controllo, l'importante è che uccidano quanti più pirati possibili»
Il Fagiano Blu avrebbe voluto ribattere, dire che anche persone innocenti ci
sarebbero andate di mezzo ma tacque, sapeva fin troppo bene che era inutile
discutere con il Cane Rosso di certe cose: lui non conosceva la pietà, non
l'aveva mai conosciuta, neanche ai tempi di Ohara.
«Uhm...» continuò l'altro «Poi mi chiedo perché questa mezza Morte sia ancora
in vita, il suo compito l'ha eseguito»
«E' stato un desiderio di Dorian Graves» spiegò il supremo ammiraglio «Sarà
proprio lo scienziato a decidere della sua sorte, evidentemente ora si diverte
a torturarlo così ma, probabilmente, ha altro in serbo per lui»
«Questo dottore sembra davvero una personcina interessante» commentò sorridendo
la Scimmia Gialla.
«Potremo fidarci veramente di lui?» ribadì Aokiji «Non dimentichiamoci che non
lavora solo per noi, ma anche per il Governo»
«Qui ti do ragione» affermò Sengoku «E' per questo che sto pensando al
modo che ci permetterà di ottenere i suoi servigi in esclusiva»
Ci aveva messo giorni per scoprire su quale isola fosse il laboratorio del
Dottor Graves ed altri ancora per arrivarci ma, finalmente, Hina era riuscita
a sbarcarvi.
Quando Smoker aveva preso il largo con l'intento di avvisare Cappello di
Paglia, lei era partita per quel luogo sconosciuto, dove avrebbe dovuto agire
nel caso in cui il suo collega non fosse arrivato in tempo.
Entrare nei sotterranei senza essere scoperta si rivelò un'impresa più facile
del previsto, infatti, sembrava che nessun altro, escluso lo scienziato e il suo
biondo assistente, avesse più calcato quei pavimenti da anni. Fu l'orientarsi
fra gli innumerevoli corridoi, tutti identici, a darle del filo da torcere
rischiando, ad un certo punto, di mandarla in crisi di nervi tanto più che, per
non rivelarsi con l'odore di fumo o con qualche cicca lasciata cadere
distrattamente, si era imposta di non fumare.
Alla fine, però, era riuscita a trovare la strada giusta e, nascosta in una
zona particolarmente buia della stanza accanto a quella in cui era imprigionato
il cavaliere, aveva visto ogni cosa: dal suo risveglio all'inizio della sua
tortura.
E adesso era lì, a chiedersi come un uomo potesse sopportare tutto quel dolore.
Non riusciva a capacitarsi di come quel prigioniero, ormai circondato da una
lago di sangue, con il volto imperlato di sudore e sconvolto dall'agonia, non
emettesse alcun suono più elevato di quei deboli gemiti che uscivano dalla sua
bocca.
Si chiese se fosse giusto trattarlo a quel modo, nonostante fosse un ricercato
da cinquecento milioni con poteri straordinari e pericolosi. Allo stesso
tempo, però, si chiese se fosse giusto il contrario: era un bene rimetterlo in
libertà? In fin dei conti aveva ucciso diverse persone e tutte nell'arco
dell'ultimo anno. Scosse la testa, anche quello non aveva assolutamente senso,
perché passare l'intera vita a non uccidere nessuno e sprigionare, poi, una
furia omicida tutta in un colpo, tanto da fargli cambiare il soprannome da Prete
a Death?
Nonostante tutto questo Smoker aveva deciso per la sua liberazione, così come
quella della Figlia dei Demoni e sarebbe stata lei a doverli aiutare a fuggire.
In cuor suo sperò che il Cacciatore Bianco non si fosse bevuto il cervello del
tutto.
Sbuffò, ormai c'era dentro fino al collo, non poteva tirarsi indietro. Non le
rimaneva altro che aspettare il momento giusto per agire, doveva essere sicura
che l'assistente del dottor Graves non fosse nei paraggi, considerando che gli
effetti del suo pugno erano le uniche cose che il cavaliere non era riuscito a
curare, non aveva di certo intenzione di trovarselo di fronte. Senza contare
che avrebbe di certo dovuto spiegare la sua presenza in quel luogo e farlo non
si presentava come un'impresa facile.
Quindi decise di aspettare un momento più sicuro prima di iniziare ad eseguire
il suo compito ma, per farlo, dovette ben preso distogliere lo sguardo dal
prigioniero.
«Non è possibile!» esclamò la guardia marina Tashigi non appena vide Cappello
di Paglia tornare verso il molo in solitaria «Il commodoro Smoker non può aver
perso»
Rufy le passò al fianco, la ragazza poté notare che il pirata non era di certo
rimasto indenne nello scontro «Non ha perso, infatti...» le spiegò «... non c'è
stato un vincitore, per questo devi tornare alla nave»
«Mi stai mentendo?» gli chiese quella diffidente.
Lui si fermò e le regalò un'occhiata raggelante «Fa come credi ma ricordati che
sei una contro dieci e non so quanto questa cosa ti convenga»
L'altra si morse il labbro inferiore ma non ribatté, lanciò ancora uno sguardo
alla nave pirata, soffermandosi su una persona in particolare, poi si voltò ed
iniziò a correre verso la propria imbarcazione.
Il capitano riprese il suo cammino e non appena mise piede sul ponte venne
circondato dai suoi compagni.
«Rufy, è vero che ti sei battuto con Smoker?» volle sapere Usop agitato.
«Sì...» fu la semplice risposta dell'altro.
«Sei ferito, lascia che ti curi!» si offrì Chopper premuroso.
«Non c'è tempo...» rifiutò il moretto «... dobbiamo partire subito»
«Perché?» volle sapere Franky «Se sei qui vuol dire che hai vinto, no?»
«Non è così, nessuno di noi due ha vinto» gli spiegò.
Alyssa non comprese «E questo che significa?»
«Significa che nessuno di noi dovrà consegnarsi ma, allo stesso tempo, Smoker
non ci lascerà andare»
«In pratica dobbiamo scappare...» fece notare Tristan.
«E loro ci verranno dietro» aggiunse Sanji prendendo una boccata dalla sua
sigaretta.
«Allora ognuno ai propri posti» esordì Nami perentoria «Dobbiamo partire il
prima possibile in modo da guadagnare un certo vantaggio»
«Ma... Robin e Jacques?» si sentì in obbligo di chiedere Claire.
Il moro si ammutolì «Ci penseremo poi, ora come ora non possiamo far altro che
fuggire, se ci catturassero adesso non potremo fare nulla per loro» le rispose
Zoro al posto suo, aveva capito che doveva esser successo qualcosa.
Nessuno obiettò, ognuno si preparò a svolgere il proprio compito.
Rufy approfittò di quel momento d'impegno dei suoi compagni per raggiungere la
navigatrice rimasta da sola al timone «Nami...» esordì e poi si bloccò.
La rossa lo guardò sospettosa «Che hai?»
«Smoker mi ha detto delle cose...» le spiegò sussurrando.
«Quali cose?» continuò ad interrogarlo lei mentre eseguiva una virata perfetta.
«Ha detto che rincontreremo Robin e Jacques su un'isola...» ma prima che lei
potesse esternare il suo stupore e, di conseguenza, attirare l'attenzione degli
altri, continuò «... ma mi ha fatto sapere anche che qualcuno ci spia per cui,
anche se mi dispiace dover nascondere tutto ai ragazzi, nessuno di loro dovrà
sapere quel che ti sto dicendo»
La cartografa scosse la testa «Vuoi dirmi che potremmo avere un traditore a
bordo?»
«Non lo so, Nami, non lo so» rispose lui a denti stretti.
La navigatrice comprese tutta la sofferenza del suo capitano, sapere che
qualcuno dei suoi compagni potesse essere un impostore, a differenza di lei che
si sentiva indignata e adirata, lo addolorava terribilmente «Come facciamo a
raggiungere quest'isola?» gli sussurrò.
Lui le prese una mano «Solo tu dovrai sapere della sua esistenza»
La ragazza annuì e, mentre con maestria faceva sparire l'eternal pose nella
scollatura, sbirciò il nome che l'oggetto aveva sopra inciso "Mime".
Completamente ignara del fatto che il suo compagno fosse rinchiuso fra quelle
stesse mura, Nico Robin seguiva il dottor Graves attraverso gli intricati
corridoi del laboratorio sotterraneo. Aveva provato a memorizzare la strada
fatta fino a quel momento ma aveva dovuto rinunciare quasi subito. Le
mattonelle ed il colore delle pareti erano sempre identici, praticamente era
impossibile orientarsi e, in più, la mora aveva il netto sospetto che lo
scienziato cambiasse continuamente direzione per confonderla ancora di più.
Imboccarono l'ennesimo corridoio accompagnati solo dal rumore delle scarpe
che battevano sul pavimento poi, improvvisamente, i muri stretti si allargarono
in una stanza più ampia.
L'archeologa si dimenticò immediatamente dell'uomo che l'accompagnava,
completamente rapita dallo strano spettacolo che quattro grossi cilindri le
offrivano. Ognuno era collegato con dei grossi tubi, oltre a quelli dell'alimentazione
alcuni dovevano portare acqua - o forse differenti tipi di liquidi - ed altri ossigeno. Non
dovevano essere in funzione da tempo, visto lo spesso strato di polvere e
sporco che li ricopriva. Contemplò le etichette che li differenziavano, nessun
nome, solo quattro diversi colori: giallo, nero, rosso e bianco. Non seppe
perché, ma l'ultimo attirò particolarmente la sua attenzione, così tanto da
farle appoggiare una mano sul freddo vetro a triplo strato.
«E' curioso che ti sia soffermata proprio su quello» disse Dorian ricordandole
della sua presenza.
Robin spostò immediatamente la mano di riflesso «Perché, che cosa conteneva?»
Lui le sorrise «Non essere impaziente, lo scoprirai fra poco. Dovrei fargli
dare una ripulita, è da trent'anni che sono fermi ma, ora che sei qui, potremo
rimetterli in funzione. Seguimi»
La donna non obiettò e lo seguì ancora ma, questa volta, non camminarono a
lungo, entrarono quasi subito in un'altra stanza, ancora più grande della
precedente, piena di tavoli, fornelli, provette, strane sostanze e appunti di
ogni tipo. Proprio in fondo ad essa, inoltre, vi era qualcosa di enorme
che, però, era coperta da un grosso telo impedendole così di rivelarne la
natura.
«Ecco...» esordì il dottor Graves «... qui è dove lavoreremo insieme, proprio qui dove
anche tua madre ha lavorato»
«Mia madre ha lavorato qui?» ripeté sotto forma di domanda la mora mentre, con
le dita, sfiorava alcuni fogli scritti da una calligrafia molto familiare.
«Certo, ci ha lavorato per anni» le rispose con un sorriso «Anche se poi ha
lasciato il progetto per qualche tempo»
«Perché se n'era andata?» lo fulminò lei con uno sguardo indagatore.
L'uomo però non perso il suo buon umore «Magari perché doveva crescere una
figlia... tu» le spiegò «Ha dovuto aspettare che fossi un po' più grande
prima di tornare»
«Perché?»
«Per vedere come procedeva il progetto»
«Quale progetto?» chiese la donna impaziente, era stufa di essere tenuta
all'oscuro di tutto.
Il dottore si portò sul fondo della stanza e, con un gesto deciso, liberò
l'unica cosa che ancora le era celata «Questo!»
Robin spalancò gli occhi dallo stupore «E'... è un Poignee Griffe!»
«Esatto» le confermò l'altro compiaciuto «E confido che tu lo leggerai per me»
«Vuole dire che mia madre non l' ha fatto?» gli chiese lei distogliendo con
fatica lo sguardo da quella pietra.
«Certo, ma da studiosa di Ohara qual era non ha mai trascritto il suo
significato. Ha guidato, però, tutti gli esperimenti...»
«Esperimenti?» chiese ancora la mora non capendo: sua madre studiava la storia, era
un'archeologa come lei, non una scienziata.
«Ti consiglio di non farti troppe domande, ora hai tutto il tempo che vuoi per
toglierti ogni dubbio» le spiegò benevolo «Ora ti lascio da sola, in modo che
tu possa goderti con tranquillità la compagnia di questa pietra secolare.
Sperando che, poi, deciderai di collaborare con me come fece tua madre in
passato. Tornerò fra qualche ora»
Fu così che Robin rimase da sola. Si prese qualche minuto per riordinare le
idee: troppe informazioni in un lasso di tempo assai breve, sarebbe stata in
grado di gestirle tutte?
Infine la curiosità ebbe la meglio e si portò vicino al Poignee Griffe, passò
una mano sulla pietra e sulle incisioni, senza curarsi subito del loro
significato: non c'erano dubbi, era certamente autentico.
Prese un respiro profondo e, finalmente, si decise a leggere. Dovette
ricominciare la lettura più volte prima di convincersi di non aver interpretato
male quei simboli: ciò che le si presentava davanti erano, incredibilmente,
quattro lunghe sequenze di codici genetici, comprese tutte le istruzioni
necessarie per combinarle al meglio.
Non riuscì neanche a finire: le cedettero le gambe e dovette appoggiarsi ad una scrivania, con un'intensità
tale da far volare diversi fogli sul pavimento, per non finire a terra. Inspirò
e si lasciò scivolare delicatamente, non era possibile, non
poteva crederci: quello era il modo per creare i quattro Cavalieri
dell'Apocalisse. "E' da trent'anni che sono fermi..." Allora quei cilindri, altro non
erano che le incubatrici dove...
... Jacques...
Posò le mani a terra per sorreggersi meglio e, così, le sue dita scontrarono le
diverse carte che aveva poco prima rovesciato. Una attirò immediatamente la sua
attenzione, era piena di caratteri antichi ma ad averla creata non era stato
qualche uomo del passato oscuro, quella l'aveva scritta Nico Olvia.
TO BE CONTINUED…
E
alla fine ce l'ho fatta a pubblicare questo nuovo capitolo. Lo so che
è passato un secolo dall'ultimo aggiornamento ma spero di
essermi fatto perdonare facendo luce su qualcosina :P
Come sempre ringrazio di cuore coloro che seguono questa storia e soprattutto chi mi lascia scritte le sue impressioni.
Per questo ci tengo a nominare Erichan, RedCrossBook (non ti
preoccupare, non ho intenzione di lasciare incompiuta questa storia
purtroppo, però, fra università e miriadi di altri
impegni non sono in grado di dare una cadenza decente ai capitoli.
Scusa u__u ) e Kahei_Chan (sono molto contento che ti sia piaciuta
anche Apocalypse, grazie ^__^).
«Quindi non è su quest’isola che li ritroveremo ma su quella successiva?»
Rufy annuì per rispondere affermativamente alla domanda che la sua cartografa
gli aveva appena posto.
C’erano voluti un paio di giorni di navigazione per far sì che i due
riuscissero a ritagliarsi un attimo di tempo lontano da occhi e orecchie
indiscrete. Fortunatamente, i turni di vedetta notturna erano venuti loro incontro
ed ora stavano lì, in piena notte, a discutere sulle informazioni che il
capitano aveva raccolto dallo scontro con il marine.
«In pratica, una volta arrivati su Mime, non dovremo fare altro che aspettare
il riposizionamento del logpose e partire immediatamente» continuò la rossa «Mi
chiedo, però, come faranno a raggiungerla Robin e Jacquesvisto che sono prigionieri.»
Il capitano alzò le spalle «Questo non lo so, mi è stato solo detto che ce
l’avrebbero fatta senza il nostro aiuto.»
Nami sbuffò «Potremo fidarci? In fin dei conti sono nostri nemici» si massaggiò
una tempia «E’ anche vero, però, che potevano metterci un po’ più di
convinzione nel venirci dietro. Forse sono davvero dalla nostra parte… ma
perché?»
«Che ti frega?» le chiese il moretto «L’importante è che ci aiutino, no?»
«Uhm…» rimuginò, invece, l’altra «Non mi piace non capire quel che sta
succedendo. Soprattutto mi manda in bestia il fatto che qualcuno di noi possa
essere un traditore.»
«Non dire sciocchezze, Nami!» la riprese il ragazzo «Nessuno di noi è una spia,
è sicuramente qualcuno che ci segue dall’esterno.»
«Ah, non devo dire sciocchezze?» gli rispose lei a tono «Allora perché ti sei
confidato solo con me? Perché non hai chiamato tutti a raccolta e non hai
raccontato ogni cosa? Anche tu non sai più di chi ti puoi fidare, Rufy!»
Il capitano non rispose
“«Ti fidi?»
«Sì»
«Anche se non sai niente di loro?»
«Sì»”
Nella sua mente saettarono le parole che il cavaliere gli
aveva rivolto tempo prima e la sua mano, poggiata sul tavolo della cucina, si
strinse d’istinto in un pugno.
Proprio in quel momento la maniglia della porta girò, gelando il sangue ad
entrambi: chi era? Da quanto tempo era lì? Che cosa aveva sentito?
«Zoro…» sussurrò Nami, tirando un silenzioso sospiro di sollievo non appena
l’uscio si aprì. Di certo non poteva essere lui la spia, così come non potevano
esserlo Sanji, Chopper, Usop e Franky. Il traditore, se era davvero a bordo,
non poteva che essere uno degli ultimi tre arrivati.
«Bravi!» esordì lo spadaccino bloccandole il flusso di pensieri «E’ così che
controllate la navigazione, facendo salotto?»
«L’ho controllata pochi minuti fa» spiegò la rossa stizzita «Sia il tempo che
il mare sono stabili, possiamo permetterci un po’ di relax. Tu, piuttosto, che
ci fai sveglio a quest’ora?»
«Avevo sete…» fu la semplice risposta dell’altro.
«Tieni.» gli disse lei lanciandogli la chiave del frigo.
«Ehi!» sbottò il capitano improvvisamente «Com’è che a lui l’hai data subito?»
E quella domanda per poco non fece strozzare lo spadaccino col sakè che si era
appena portato alle labbra «Cosa?»
Nami avvampò e sparò dritta sulla fronte del compagno la tazza vuota del tè,
poi si rivolse al moretto «A te la chiave
non l’ho data perché ti saresti spazzolato tutte le provviste!» ringhiò con
una dentatura degna delle belve più feroci.
«Ma sei cretina?» sbraitò a sua volta Zoro, portando una mano al bernoccolo che
gli si era appena formato sulla fronte «Perché cavolo mi hai colpito?»
«E me lo chiedi anche?!» continuò lei alzandosi dalla panca e mostrandogli il
pugno.
Rufy non capì il motivo di tanto nervosismo ma non poté fare a meno di
scoppiare a ridere «Siete troppo divertenti ragazzi!»
La cartografa ruggì qualcosa di non meglio definito. Lo spadaccino, invece, non
se ne curò e andò a sedersi al tavolo con loro «Si può sapere che cosa state
nascondendo, voi due?»
Fu così che il capitano smise di ridere e la navigatrice si quietò «E’ da un
po’ che siete strani, direi dal giorno in cui siamo fuggiti da quella ragazzina
e dal comandante.»
«Come hai fatto ad accorgertene?» gli chiese Nami incredula.
«Anche se non sembra…» le rispose lui « … questo babbeo qui…» indicò Rufy al
suo fianco con un pollice « … è un libro aperto per me. E anche tu, cara la mia
mocciosa, non hai quasi più segreti.»
Incredibilmente la rossa non si alterò per la frecciata che le era appena stata
rivolta, anzi, sorrise bonaria ma non gli rispose, si limitò ad abbassare il
capo.
Il capitano, invece, gonfiò le guance indeciso sul da farsi.
«Non importa» sentenziò Zoro, prendendo un altro sorso di sakè «Io mi fido di
voi» sospirò «So che non avresti mai lasciato l’isola se non avessi avuto la
certezza che Robin e Jacques non erano più lì, neanche se avessi avuto tutta la
Marina alle calcagna. Qualunque cosa tu abbia in mente, sei il mio capitano e,
quindi, ti seguirò. Anche se, devo ammettere, sapere che almeno tu ne sei al
corrente… » aggiunse riferito a Nami « … mi rende un po’ più tranquillo.»
Rufy non disse niente, si limitò a sorridere e a calarsi il cappello sugli
occhi. D’improvviso, poi, si alzò e sfoderò la sua dentatura allegra e
sfavillante «Bene, visto che ora qui ci sei tu, io me ne vado a dormire.»
«Che coooosa?» sbottò lo spadaccino alzandosi a sua volta, ma l’altro se l’era
già svignata.
«Non dirmi che ti dispiace rimanere qui con me» lo stuzzicò la compagna.
Lui si voltò nella sua direzione «Non dire sciocchezze, mocciosa» ghignò
andandosi a sedere al suo fianco.
«Il solito buzzurro» mugugnò la rossa prima di appoggiarsi al suo petto. Stette
un attimo in silenzio poi continuò «Mi dispiace non poterti dire nulla ma…»
«Smettila di pensarci…» la interruppe « … te l’ho detto, ho piena fiducia in
voi: lui è il mio capitano e tu…» sorrise portandole una mano fra i capelli « …
sei la mia irascibile e taccagna metà. La mia vita vi appartiene. Fate ciò che
volete, quello che conta è che li riportiate da noi»
Hina si era presa ancora qualche giorno di tempo. Doveva essere assolutamente
certa che nessuno l’avrebbe scoperta, per questo controllò minuziosamente la
frequenza con cui l’assistente del Dottor Graves andava a verificare le
condizioni del prigioniero e si assicurò che la lumaca mera da lui utilizzata
fosse stata usata quella e quella volta soltanto.
Controllò le poche provviste che le erano rimaste, l’orario ed, infine, il
prigioniero: era esausto, troppi i giorni che non mangiava, non dormiva e le
occhiaie profonde, unite al colore cianotico della sua pelle – per tutto il
sangue perduto – gli davano un aspetto a dir poco spettrale. Era il momento
giusto per agire.
Jacques lanciò un’occhiata all’angolo più buio della stanza accanto alla sua,
non che fosse riuscito a scorgere qualcosa di preciso, data la forte luce che
lo accecava, ma sapeva con certezza che c’era qualcuno. Che cosa ci stava a
fare lì? Incredibile che Miguel non se ne fosse ancora accorto ma, forse, era
troppo sicuro di sé per prestarvi attenzione.
La vista gli si annebbiò sotto l’ennesimo colpo e mugolò di dolore: stava
letteralmente andando fuori di testa. Se solo fosse riuscito a liberarsi ma non
poteva farcela con le sue forze, braccato com’era da quel macchinario
infernale, aveva bisogno d’aiuto.
Esattamente allora la marine decise di mostrarsi e, non appena il cavaliere la
riconobbe, i suoi occhi si dilatarono per lo stupore «La Gabbia Nera… »
pronunciò prima che la sua bocca si storcesse sotto l’ennesima scarica di
dolore «Che cosa ci fai qui?» la interrogò.
«Sono qui per aiutarti…» gli spiegò lei avvicinandosi.
Jacques rimase sorpreso da quell’affermazione e sul suo viso si dipinse
un’espressione di incredulità nonostante avesse appena ricevuto una nuova
pugnalata «Che cosa hai detto?»
Ma Hina non ripeté ciò che aveva detto, diede un’ultima occhiata disgustata al
macchinario che aveva di fronte e, prima che il coltello potesse ripartire
verso l’addome del prigioniero, con un semplice gesto della mano lo spense.
All’uomo non sembrò vero, niente più colpi ma prima che potesse gioirne
spalancò gli occhi per due improvvise stilettate ai polsi: libero dai bracciali
cadde a terra in ginocchio «Ma che diavolo?»
«Mi dispiace…» gli disse lei « … ma non avevo le chiavi. Tanto puoi guarirti,
no?»
«Quello non è un problema, grazie» rispose lui mentre il sangue, ora libero di
riformarsi completamente, tornava a colorare la sua epidermide e le ferite ai
polsi si rimarginavano «Perché mi stai aiutando?» le chiese mentre si rimetteva
in piedi.
Hina lo guardò negli occhi, sostenendo il suo sguardo senza timore «Sinceramente?
Non ne ho idea…» sospirò « … ma sembra che le mani in cui sei finito siano
molto più pericolose del fatto di averti in libertà. Ho recuperato questo»
aggiunse lanciandogli il suo mantello «E questo, ti servirà» concluse dandogli
un eternalpose.
Jaques prese ogni cosa «A cosa mi servirà?»
«A ritrovare la tua ciurma» gli spiegò la donna guardandosi attorno, non
avevano altro tempo da perdere lì «Ora seguimi, hai qualcun altro da portare
via con te»
Il cavaliere inarcò un sopracciglio confuso, era tutto così strano «Chi?»
«La Figlia dei Demoni…»
«Che cosa? Robin è qui?!» l’uomo non riuscì a credere alle proprie orecchie
tanto che si spinse a prendere la marine per le spalle «Sta bene? Dov’è?»
Hina rimase un attimo interdetta: era stato un lampo ad afferrarla, quasi non
se n’era accorta, e il suo volto sembrava così… felice? Poi si riprese
scrollando le spalle con violenza e liberandosi dalla sua presa «Non toccarmi,
non puoi prenderti certe confidenze, pirata»
Lui comprese e riportò le braccia, prima rimaste a mezz’aria per l’improvvisa
reazione di lei, lungo il corpo. Tuttavia non abbassò lo sguardo, rimase in
attesa di una risposta.
Risposta che non tardò ad arrivare «Ti porterò da lei, seguimi.»
Sindel recuperò in un attimo il lumacofono portatile dalle tasche della morbida
felpa, solo una persona poteva chiamarlo a quel numero e, certo dell’assoluta
sicurezza di quella chiamata, rispose «Perché mi stai chiamando?»
«I prigionieri?»
Il moro faticò a comprendere «Sono stati consegnati, come programmato.»
«Allora non capisco…» proseguì la persona dall’altro lato, ascoltò per qualche
secondo il silenzio del ragazzo poi continuò «Smoker ha avvicinato la ciurma.
Pensavo l’avesse mandato il quartier generale perché qualcosa era andato
storto. Ma, se così non è stato, perché?»
Sindel ci pensò brevemente «Non mi risulta che il Cacciatore Bianco abbia
ricevuto ordine di avvicinare la ciurma di Cappello di Paglia. Cosa è successo
di preciso?»
«A quanto pare, il commodoro ha avvicinato il capitano e l’ha sfidato ad un uno contro uno , sfida che non si è
risolta con un vincitore anche se il pirata non era ben ridotto. C’è stato
anche un inseguimento ma la ciurma è riuscita a fuggire.»
«Non mi risulta fosse neanche nelle vicinanze della vostra posizione» considerò
il moro.
L’altra persona sospirò «Questo è tutto.»
Lui annuì, la comunicazione finì. C’era qualcosa che non quadrava: certo, era
risaputo del conto aperto che il Cacciatore aveva con Cappello di Paglia, ma
anche se avesse saputo della sua posizione perché fare tanta strada per un
tentativo così misero di cattura? Anche se, in effetti, la spia non aveva visto
lo scontro nel quale il marine poteva aver messo tutta la sua forza… però…
Il caso Flotta dei Sette era
momentaneamente sospeso, vista l’improvvisa impossibilità di rintracciare i
rimanenti membri, quindi, aveva tutto il tempo per indagare.
“Allo studioso di Ohara che leggerà
questo scritto, perché so che non potrebbe essere altrimenti,
sappi che sono veramente dispiaciuta che ti sia ritrovato nella mia stessa
condizione. Non so se riuscirai a leggere prima questo scritto o ti verrà
sottoposta la stele. So di per certo, però, se sei un vero figlio dell’Albero
della Conoscenza, che se dovesse essersi verificata la seconda ipotesi tu non
sia riuscito a completare la lettura. Sarà questo che dovrai fare, anche se
dovrai affrontare nuovamente quel testo abominevole, ma solo così potrai capire
perché ho partecipato a questo progetto.
Ammetto che a spingermi ad entrare a farne parte è stata la sete di conoscenza
che così tanto ci caratterizza, solo l’idea di poter leggere un antico scritto
era bastata a farmi accettare, per poi arrivare all’amara scoperta. A quel
punto avrei potuto cercare di fuggire, ma non ho potuto.
Nel corso degli anni alcune fasi del progetto erano state portate in chiaro e
per quanto la possibilità che, con innumerevoli esperimenti, arrivassero al
prodotto finale fosse remota, affidarsi al caso era una scelta troppo rischiosa
per non parlare delle numerose vite ancora innocenti che avrebbero spezzato
senza alcuno scrupolo, sarebbe stata una vera carneficina. Fu così che mi
convinsi a leggere tutto e, incredibilmente, scoprii che esisteva un modo per
poter arginare i danni, tuttavia, troppo effimero per potervi contare. Perciò decisi
che avrei finto di seguire il progetto per poi distruggerlo: ero disposta a
macchiarmi dei loro stessi crimini e a morire per salvare il mondo da
quell’antica minaccia.
Un po’ superbo e sciocco, forse, ma ero giovane e piena di ideali. Alla fine, però,
non riuscii più a portare a termine il mio piano… perché? Perché, finalmente,
avrei potuto dare un figlio a mio marito e tradire non significava più mettere
solamente in gioco la mia vita.
Così, prima di lasciare tutto per crescere mia figlia, puntai ogni cosa su
quella remota possibilità e scelsi, inoltre, coloro che avrebbero potuto
cercare di fermare il tutto se quella speranza fosse risultata vana.
Dopo due anni passati meravigliosamente con la mia famiglia, mio marito partì
per un viaggio e non fece mai più ritorno, morendo in circostanze misteriose.
Il dolore della perdita si mescolò alla sicurezza che la sua morte fosse
collegata alla mia partecipazione al progetto maledetto. Decisi di lasciare mia
figlia, sebbene fu una delle scelte più difficili della mia vita.
Tornai su quest’isola appena in tempo per salvare la mia unica speranza dallo
smistamento: un bambino di tre anni di cui nessuno si era mai occupato, nemmeno
sapeva parlare. Convinsi il capo del progetto ad affidarlo a me e, così,
iniziai ad educarlonel corso degli
anni. Fino ad oggi.
Al momento, le mie ultime ricerche mi hanno condotto alla scoperta del luogo in
cui giace uno strumento che sarà per lui molto importante, ho già un amico che
saprà custodirlo fino al momento opportuno. Il tempo di rimanere qui per noi è
quasi giunto al termine: una volta abbandonata quest’isola non potrò più
prendermi cura di lui, io devo tornare da mia figlia e sarebbe troppo
pericoloso portarlo con me. Sarà il futuro a decidere se avrò vinto o meno questa
folle scommessa.
E’ questo che voglio dirti, studioso di Ohara, non gettare la tua vita
ribellandoti ma fingi, fingi di aiutarli e stilla, in questo assurdo progetto
dove l’uomo si diverte a fare Dio, il gene della speranza.”
Robin richiuse il foglio che aveva tra le mani dopo averlo letto per
l’ennesima volta in quei giorni. L’aveva tenuto con sé, il dottore neanche se
n’era accorto. Ripensò alle parole della madre, aveva vinto la scommessa…
sorrise… di certo non senza complicazioni.
«Una scommessa davvero azzardata, mamma» sussurrò sfiorando ancora la carta con
le dita.
La bambina al suo fianco si girò agitata nel sonno, la donna le regalò una
carezza sul capo che ebbe il potere di calmarla subito. Era riuscita a farla
tornare a mangiare e, garantendo che le avrebbe impedito di farsi del male, era
riuscita a convincere il dottore a liberarla dalle catene. Tuttavia non era
ancora riuscita ad ottenere la fiducia necessaria a farla uscire da quella
cella, condizione che valeva anche per lei durante la notte. Ancora meno poteva
sperare che il collare di agalmatolite le venisse tolto.
Tornò col pensiero alle parole della madre: aveva deciso di non farli
incontrare da bambini perché l’aveva ritenuto troppo pericoloso. Decisamente
curioso il destino, senza contare che il loro era andato ben oltre dall’essere
un semplice incontro. E se il destino l’aveva voluta lì e le aveva fatto
trovare quello scritto, l’avrebbe assecondato, per questo aveva deciso che
avrebbe seguito ciò che Nico Olvia le aveva lasciato.
Così aveva finito la lettura della stele e aveva scoperto com’aveva potuto
nascere Jacques dal corpo di Morte, perché sì, era proprio il contrario di
quello che aveva sempre creduto: il corpo dell’uomo che amava era stato creato
per essere Morte, non Jacques. Lui era nato per una piccola sequenza di codice
genetico in più, grazie a sua madre.
Sapere che, ad un certo punto dell’esperimento erano necessari degli ovuli e
degli spermatozoi umani, l’aveva indotta alla disperata ricerca dei nomi dei
donatori: la sola idea che Jacques avrebbe potuto essere suo fratello era a dir
poco agghiacciante. Era bastato spiegare al dottore di aver bisogno di più
tempo per documentarsi al meglio e l’aveva ottenuto. In questo modo aveva
scoperto i donatori degli altri tre cavalieri, nomi che non le dicevano niente,
ma non quelli di Jacques sebbene avesse potuto tirare, comunque, un sospiro di
sollievo quando trovò un documento in cui Olvia rifiutava categoricamente di
diventare una donatrice. Le rimanevano ancora pochi documenti da controllare ed
erano proprio nella cella assieme lei, in modo che potesse consultarli anche
durante il suo momento di reclusione. Quello, però, non era il momento, ora era
tempo di riposarsi.
Si sdraiò sulla branda accanto alla sua piccola compagna di prigionia, era
incredibile come quella bambina le si fosse affezionata e pensare che ancora
non conosceva nemmeno il suo nome. Ancora non sapeva cosa ci facesse lì, in
nessun documento aveva trovato una spiegazione della sua presenza, ma anche
quella sarebbe stata una cosa che avrebbe scoperto. E, con quella convinzione,
si assopì.
Tristan finì di sistemare la sua parte di bucato appena raccolto e, dopo un
sonoro sbuffo, si sedette sul suo letto. Era così cambiata l’aria che tirava su
quella nave: da quando erano spariti Robin e Jacques, la vita di bordo aveva
perso la vivacità e la situazione era persino peggiorata quando erano stati
costretti dall’inseguimento di Smoker ad abbandonare l’isola dove li avevano
persi. Rufy era strano, quasi rassegnato a qualcosa che non poteva gestire;
Zoro seguiva i suoi movimenti in disparte e gli altri, semplicemente, tiravano
avanti nelle loro mansioni aspettando che qualcosa si smuovesse. Quella più
strana, però, era Nami: concentrata al massimo sulla navigazione, come se sfogasse
nel suo compito ogni frustrazione. Non avrebbe saputo dirlo con certezza ma,
delle volte, sembrava che gli rivolgesse degli sguardi glaciali. Forse poteva
essere la sua immaginazione: quell’aria pesante ormai lo stava opprimendo, non
c’era da stupirsi se stava diventando paranoico. Il ragazzo, però, non poteva
sapere quello che passava per la testa della rossa: Nami, infatti, aveva
cominciato ad analizzare i vari fatti ed escludendo i compagni di sempre, si
era dedicata ad analizzare gli ultimi tre arrivati. I suoi sospetti, infine,
erano cominciati a concentrarsi su di lui, in fin dei conti Tristan era l’unico
ad essere salito di sua volontà sulla loro nave, li aveva addirittura cercati
mentre Claire ed Alyssa erano state portate lì loro malgrado.
L’ennesimo sbuffo ed il blu si alzò, aveva decisamente bisogno di prendere un
po’ d’aria e di constatare se ci fosse stata terra in vista, cercare di
distrarsi un po’ avrebbe giovato di sicuro a tutti anche se immaginava, appena
messo piede a terra, sarebbe scattata la caccia alle informazioni: magari
avrebbero fatto l’ennesimo buco nell’acqua ma di sicuro sarebbe stato meglio
del senso d’impotenza che comportava l’essere bloccati in mare aperto sulla
nave.
Dopo aver attraversato il corridoio, il ragazzo si ritrovò a salire le scale e
con calma arrivò in coperta: il ponte era deserto in quel momento, solo a poppa
riuscivano ad intravedersi alcuni enormi pesi usati dallo spadaccino nei suoi
allenamenti. Sorrise tra sé, Zoro era un pazzo. Si voltò e si diresse verso la
polena, luogo preferito del capitano al momento rintanato chissà dove, e fissò
l’orizzonte: quel che video lo pietrificò. Perché, sebbene fosse ancora
distante, era impossibile non riconoscere l’enorme castello al centro esatto
dell’isola… era troppo presto… non era assolutamente possibile… come diavolo
avevano fatto ad essere già arrivati fin lì?
“ «Possibile che non possa girarel’occhio un momento senza che tu sparisca in
un attimo da qualche parte? E’ quasi incredibile come tu riesca a non perderti
in questo labirinto.»
La donna entra nella stanza e si avvicina, passo dopo passo, al bambino che ha
di fronte e solo allora si accorge su cosa il piccolo sia così concentrato.
Olvia, infatti, nel cercarlo, non aveva prestato particolare attenzione al
percorso fatto e si era ritrovata nella sala dei cilindri, il luogo dove tutto
aveva avuto inizio. Era proprio uno di quelli ad averlo rapito, in particolare
quello bianco… il suo.
L’archeologa non ha il coraggio di dirgli nulla mentre lui osserva quel vetro
con sguardo attento, vi appoggia le mani sopra e le ritira subito dopo quasi
intimorito.
«Mamma…» è questa parola a riscuoterla, pronunciata dal piccolo in direzione
del vetro gelido. Avverte un groppo in gola per quella situazione così triste e
con una mossa rapida lo circonda con le braccia.
Il bambino sgrana gli occhi per lo stupore, sebbene lei sia sempre molto
affettuosa con lui, quella è la prima volta che lo abbraccia e in quel momento
pensa che sarebbe bello se il contatto materno fosse così dolce e caldo, non
gelido e distaccato com’è in realtà.
«Sarò io la tua mamma, almeno per un po’»
Quelle parole lo lasciano interdetto, come può una persona fare da madre?
Lei nota il suo smarrimento e sorride passandogli dolcemente una mano sul capo
«Non fare quella faccia, le mamme sono prima di tutto donne. Anch’io sono una
madre sai?»
Lei una mamma? Non è possibile.
«Guarda» continua lei mostrandogli un piccolo pezzo di carta «vedi questa è la
mia bambina, ha quasi la tua età»
Il piccolo guarda la bambina sulla foto, sa cos’è perché una l’ha già vista,
anche se per poco tempo, ma quella che sta vedendo è così… bella? Con quel
piccolo sorriso e gli occhi grandi e azzurri, così simili a quelli della donna
che ha accanto. Niente a che vedere con l’aria arrabbiata e gli occhi gialli
della prima che aveva visto. Di riflesso guarda se stesso nel vetro, non
assomiglia per niente a quella cosa che ha di fronte. Assottiglia gli occhi
chiari, quasi arrabbiato con ciò che l’ha ingannato poi si gira e prende la mano
di colei che per un po’ sarà la sua nuova mamma.”
«Caine, che diavolo stai facendo? Non abbiamo tempo da perdere» lo riprese
Hina voltandosi nella sua direzione accortasi, poco prima di imboccare il nuovo
corridoio, che il pirata non la stava più seguendo.
Lo sguardo di Jacques, fino ad un secondo prima completamente perso nel
passato, riprese lucidità. Con uno scatto levò la mano dal vetro del grosso
cilindro… che cosa aveva visto? Sì, era sicuro di aver visto qualcosa ma perché
non riusciva a ricordare? Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri, la
marine aveva ragione, non avevano tempo da perdere. Non appena riprese a
seguirla, però, si rese conto di conoscere perfettamente il percorso e si
bloccò.
«Che c’è ancora?» lo interrogò di nuovo la Gabbia Nera, ormai stava decisamente
perdendo la pazienza: non si rendeva conto che stavano rischiando grosso? Lei
si era esposta irrimediabilmente in quella faccenda, farsi beccare sarebbe stata
la fine di tutto, probabilmente anche della sua vita.
«Forse è meglio che tu vada». Le sue parole la riscossero «Come?»
Lui la guardò, con quegli occhi dal colore così strano «Hai già fatto fin
troppo per me. Immagino che se riuscissero a trovarti per te sarebbero guai
grossi. Vai via, è la cosa migliore.»
Un pirata che si preoccupava per la sorte di un marine? Assurdo…quanto un
marine che aiutava un pirata a fuggire!
«E come speri di poter trovare Nico Robin in questo labirinto? Hai ancora
bisogno del mio aiuto»
«No…» ribadì Jacques « … io so
come arrivare a dov’è rinchiusa. Non c’è
bisogno
che continui ad accompagnarmi.»
Hina era stupefatta «Com’è possibile?»
«Non lo so» rispose sinceramente l’uomo «Ma sono sicuro di conoscere il
tragitto. Fra poco Miguel si accorgerà della mia assenza ed inizierà a
cercarmi, tu non dovrai più essere qui.»
La marine valutò la situazione: lasciarlo andare era troppo rischioso,
soprattutto dopo quello che avevano messo in gioco, d’altra parte lui era così
maledettamente sicuro di quel che diceva… «D’accordo prendi la donna e vattene
da qui. Vai ad ovest, dovrai camminare per diverse ore ma, alla fine, arriverai
ad una caletta nascosta fra la vegetazione. Lì troverete una barca abbastanza
robusta da farvi giungere alla prossima isola. Per trovarla userete il logpose
già magnetizzato che troverete a bordo. Arrivati all’isola, però, dovrete
ripartire subito con una nave più grande seguendo la rotta indicata
dall’eternalpose che ti ho già consegnato.»
«Perfetto» annuì il cavaliere «Allora le nostre strade si dividono qui,
grazie.»
Hina scosse il capo «Non farci l’abitudine pirata, non appena questa storia
sarà finita sarai il primo che catturerò.»
Jacques ghignò «Allora tu sarai la prima da cui scapperò.» poi si voltò e sparì
nell’ennesimo corridoio.
La donna sbuffò, Smoker gli aveva detto che i pirati della ciurma di Cappello
di Paglia erano unici nel loro genere ma averci a che fare era tutta un’altra
storia.
Basta, il suo compito l’aveva svolto ed era inutile continuare a rimanere lì:
era ora di andarsene, imboccò un altro corridoio e sparì nella penombra.
«Che ridicoli» sentenziò il dottor Graves riponendo un paio di lettere.
Miguel distolse l’attenzione dal libro che aveva in mano «Che succede?»
«Niente…» gli rispose l’altro «Stavo solo valutando i nostri committenti.»
«E sarebbero ridicoli?» gli chiese il più giovane inarcando un sopracciglio.
Dorian sorrise «Certo che lo sono, pensano davvero che non mi accorga dei loro
penosi tentativi di accaparrarsi i miei servigi esclusivi. E trovo molto
divertente il fatto che cerchino di fregarsi a vicenda.»
Il biondo ghignò «Ad uno dei due dovrà pur cedere alla fine.»
«Certo» considerò l’altro «Ma molto alla fine. Il nostro è un progetto molto
dispendioso e finché si può è meglio assicurarsi le sovvenzioni di entrambi,
poi vedremo chi farà la più vantaggiosa offerta finale.»
«A proposito di questo… pensa veramente che Nico Robin abbia deciso di
collaborare?»
Il dottore sospirò «Non posso prevedere il futuro ma, per adesso, si è
comportata egregiamente: sta consultando le varie documentazioni e i primi dati
che mi ha sottoposto soddisfacevano le mie aspettative.»
L’altro non capì «Aspettative?»
«Ti basti sapere che ho i mezzi adatti per evitare qualsiasi tipo d’imbroglio.»
Miguel alzò le spalle «Va bene, non mi interessa sapere altro» diede uno
sguardo all’orologio attaccato alla parete «E’ l’ora che vada a dare la buona
notte al nostro prigioniero.»
Dorian sogghignò «Vedi di non farlo morire…»
«Le dispiacerebbe?» ironizzò il biondo prima di uscire dalla porta.
«Beh…» considerò Graves « … un
po’ sì, visto che è una mia creatura.»
Robin si svegliò di soprassalto non appena sentì il primo colpo sbattere contro
la porta della sua cella: in quella penombra non si riusciva a distinguere
nulla, istintivamente richiamò i suoi poteri ma poi si ricordò che non poteva
usarli. Quindi, rimase semplicemente in guardia mentre accanto a lei anche la
bambina si svegliava visibilmente spaventata.
Bastò ancora un colpo e le sbarre caddero rumorosamente verso l’’interno,
qualcuno ansimò ed entrò «Robin!»
Alla donna non sembrò vero sentire pronunciare il proprio nome da quella voce,
scattò in piedi in un attimo «Jacques!»
Si ritrovò fra le sue braccia ancor prima di rendersene conto, a quanto pareva
erano riusciti a prendere anche lui. Nell’appoggiarsi al suo corpo, però,
avvertì il contatto con l’umido e l’appiccicoso dei suoi vestiti «Questo è il
tuo sangue!» constatò allarmata.
«Non ti preoccupare, sto bene adesso.» cercò di tranquillizzarla lui ma, non
appena lei gli sfiorò il naso con le dita, si ritrasse trattenendo un gemito.
«Non mi pare, perché quello non è guarito?»
Il cavaliere sbuffò «Questo non è il momento, non abbiamo tempo: dobbiamo
andare prima che si accorgano che sono riuscito a scappare» cercò di esaltarla
iniziando a tirarla per un braccio.
«Aspetta!» lo bloccò lei.
«Che c’è ancora?» le chiese innervosito, Miguel poteva arrivare da un momento
all’altro ed aveva la tremenda sensazione che un eventuale scontro sarebbe
stato tutto tranne che semplice.
«Non possiamo lasciarla qui» continuò la mora liberando il braccio dalla sua
presa.
Jacques si accorse solo in quel momento della piccola che, impaurita, cercava
di tenersi il più possibile lontano da lui «Che cosa ci fa una bambina qui?»
«Non lo so, è per questo che dovremo portare con noi anche questi» aggiunse lei
prendendo alcuni plichi carichi di fogli «Ma soprattutto dobbiamo salvarla!»
affermò risoluta mentre un debole alone azzurrognolo spuntava fra il mantello
all’altezza del collo del cavaliere.
«D’accordo» affermò prima ancora di riuscire a formulare quel pensiero,
stupendosi per quella risposta affermativa immediata. Scosse la testa come a
voler riprendere controllo sulla sua mente. «Dovremo camminare parecchio, la
porterò io. Dovrai usare i tuoi poteri per depistare le nostre tracce.»
«Questo non posso farlo» lo informò lei mostrandogli il collarino.
«Agalmatolite» il cavaliere dovette trattenersi dall’imprecare, non c’era più
tempo «E va bene, ci penso io… anche se non ti piacerà» un sorriso fugace
scomparve con la stessa velocità con cui era apparso, dal viso del cavaliere. I
suoi occhi si fecero glaciali ed i denti stridettero: bastò portare una mano al
collo della cow-girl per liberarla in un attimo da ciò che la opprimeva.
«Questi li prendo io» aggiunse raccogliendo i cocci del collare «E’ meglio che
continuino a credere che tu non possa usare i tuoi poteri. E adesso, ti prego,
andiamocene da qui» la supplicò.
«Andiamo» si trovò d’accordo la donna e si voltò verso la bimba , saldamente attaccata
ai suoi fianchi «Non ti preoccupare, puoi fidarti di lui.»
Jacques si avvicinò alle due chinandosi verso la più giovane «Coraggio piccola,
adesso ce ne andiamo da qui» le disse porgendole la mano.
La bimba non riuscì a credere alle sue orecchie, non aveva mai sentito un uomo
rivolgersi a lei con un tono così dolce e un sorriso così caldo. Sebbene nella
penombra il suo aspetto fosse piuttosto spaventoso, decise di fidarsi della
donna a cui tanto si era affezionata e si lasciò prendere dalle sue braccia.
Una sensazione strana, ma piacevole.
«Jacques, vieni fuori! Lo so che sei qui maledetto bastardo!» ringhiò la voce
rabbiosa del biondo.
La piccola tremò fra le braccia del cavaliere «Maledizione, Miguel» imprecò
lui.
«Che cosa?» esclamò Robin stupita «Il tuo naso…» constatò.
«Ti ho detto che ti spiegherò dopo. Ormai ci ha quasi raggiunto, voi andate
avanti, io cercherò di bloccarlo»
«Non te lo permetterò» si oppose lei alterata, non sapeva cosa Miguel facesse
lì, né perché sembrava avere una voce così adulta o perché sembrava lo odiasse
così tanto, ma di una cosa era certa: non avrebbe lasciato Jacques a combattere
contro l’unica persona al mondo che era seriamente in grado di ucciderlo.
Ripensò a quel bagliore azzurro di poco prima, la collana… «Ti ordino di portarci via da qui, subito!»
Il cavaliere cercò di aprire la bocca per ribattere ma quella non si aprì, al
contrario, la testa annuì decisa, un braccio rese più ferrea la stretta sulla
bambina mentre l’altro andò ad arpionare una mano della cow-girl e, un attimo
dopo, le gambe iniziarono a correre: ligie esecutrici dell’ordine, decise a non
fermarsi fino a che non l’avessero eseguito.
Dopo una notte passata attraccati in un porticciolo secondario, a jolly roger
nascosto, la ciurma poté finalmente scendere a terra. Lo stupore di trovarsi
sulla sabbia, come nell’isola di una delle loro più grandi amiche, fu grande.
«Wohooo! Potremo rivedere Bibi!» esordì
Rufy, la cui gioia di poterla incontrare aveva momentaneamente lenito l’ansia
per i suoi due compagni.
«Non dire sciocchezze!» ringhiò Nami rifilandogli un pugno in testa «Questo
posto assomiglia solo ad Alabasta, ma non lo è. Guardate là.»
Chopper sgranò gli occhi guardando il punto indicato dalla navigatrice «Ma
quello è il castello dellamia Drum!»
«Si può sapere che diavolo di posto è questo?» grugnì lo spadaccino «Perché
copiano altri luoghi?»
La rossa alzò le spalle come se la cosa non le importasse, in realtà sapeva
bene che se quel luogo si chiamava Mime un
motivo doveva pur esserci.
«Volete dire che voi avete visitato questi posti?» domandò Claire stupefatta,
lei aveva appena cominciato a viaggiare.
«Sì e molti altri ancora.» le rispose Usop «Se vuoi posso raccontarti di quella
volta che, da solo, ho sconfitto un esercito intero di uomini celesti.»
«Frena l’entusiasmo nasone, nessuno ha voglia di sentire le tue frottole al
momento» sbuffò Sanji sogghignando.
«Perché no? Sarebbe stato divertente…» lo contraddisse la biondina, a Tristan
avrebbe fatto bene. Lei, così sensibile alle emozioni altrui, si era accorta di
come quella situazione l’avesse depresso. Si guardò attorno… ma… «Dov’è
Tristan?»
Tutti controllarono «Qui con noi non c’è» constatò Franky.
«Magari è rimasto sulla nave» cercò una spiegazione il giovane medico.
«Controllo io» si offrì Alyssa e, in un attimo, era di nuovo sul ponte dell’imbarcazione:
si concentrò ed interrogò i suoi sensi felini che le rimandarono il suono del
mare e l’urlo di qualche gabbiano ma nessuno che potesse ricondursi alla
presenza a bordo del ragazzo. Così tornò dagli altri «No, sulla nave non c’è»
li informò.
«Probabilmente avrà voluto farsi un giro da solo» suggerì il cecchino «Non è
neanche la prima volta che succede.»
Sanji si grattò la nuca seccato «Avrebbe almeno potuto avvisare.»
«Già» gli diede ragione Chopper «Soprattutto nella situazione in cui ci
troviamo adesso.»
«Rufy, che facciamo?» gli chiese Nami voltandosi verso di lui.
Il capitano rimase in silenzio a riflettere per un attimo «Andiamo» disse
infine «Informiamoci su quanto dovremo rimanere qui, nel frattempo Tristan
potrebbe tornare. Andremo tutti insieme, nessuno si dovrà allontanare dal
gruppo. Sono stato chiaro?»
Il resto della ciurma annuì ed iniziò ad avviarsi con lui in quel deserto
artificiale.
Camminarono per un po’, prima di rendersi conto che in quella parte non
avrebbero trovato le informazioni che stavano cercando. Decisero di chiedere e,
così, vennero indirizzati alla zona commerciale verso est.
Al carpentiere quasi si strinse il cuore a riconoscere in quella riproduzione i
canali della sua città ed a ricordare tutto ciò che avevano passato per
liberare Robin quella volta. Il fatto che la donna non fosse con loro in quel
momento, e lui sapeva molto bene il perché, rendeva tutto ancora più triste.
Nel mezzo di quei pensieri Franky avvertì la mano del proprio capitano e, nell’espressione
risoluta che gli trovò sul viso, trovò la certezza che tutto si sarebbe
risolto.
Esattamente in quel momento, però, un enorme maxi-schermo iniziò a trasmettere
un’immagine fissa accompagnata da un musica solenne. La gente attorno a loro si
fermò di colpo, ignorando completamente le loro precedenti occupazioni e chinò
il capo in tono reverenziale.
La ciurma si lanciò un’occhiata interrogativa, poi l’immagine sfumò e lasciò
spazio alla figura di un uomo e di una donna vestiti in abiti regali,
chiaramente i sovrani di quel paese.
Erano una coppia assai strana a dir la verità: il re, un uomo a dir poco
insignificante se immaginato spoglio della sua carica, era affiancato da una
regina assai più giovane e avvenente di lui.
Niente di strano, pensò Nami tra sé: i matrimoni combinati, per quanto li
ritenesse disgustosi, erano pratica piuttosto comune tra le famiglie nobili. Una
cosa che non andava, però, c’era eccome: lo sguardo della ragazza, impossibile
da non notare vista la tonalità di verde dei suoi occhi che spiccavano su un
viso incorniciato da lunghissimi e mossi capelli blu, era completamente spento,
perso in chissà quale luogo, come se la sua mente fosse lontana chilometri da
quella sala del trono.
«Popolo di Mime, questo messaggio straordinario da parte del vostro re. Gli
anni della paura sono finiti: colui che da venticinque anni minaccia la stabilità
del nostro regno, da questo momento non sarà più un problema. Il nemico della
monarchia è, finalmente, stato catturato» esordì il sovrano alzandosi dal trono
«Guardate come oggi è stata cancellata l’onta di disonore che gravava su questo
paese.» Non appena l’uomo ebbe finito di pronunciare quelle parole, l’inquadratura
scivolò di lato e mostrò un ragazzo incatenato, tenuto a bada da alcune guardie.
Lo stupore fu generale ma, mentre la gente commentava indignata, la ciurma era
allibita: il prigioniero era uno di loro, l’unico che mancava all’appello
quella mattina.
«Eccovi Tristan Lange, figlio di Lange il traditore. E come suo padre, anche
lui sarà punito in modo esemplare affinché nessun altro osi mai più sfidare le
leggi di questo paese!»
«Lo so che mi stai sentendo!» urlò improvvisamente il ragazzo dai capelli blu
«Non pensare a me ma salvala ti prego, salva la regina!»
Quella fu l’unica frase che riuscì a pronunciare, poi un semplice gesto del re
fece partire la reazione delle guardie: il maxi-schermo si spense.
TO BE CONTINUED...
E
finalmente, dopo un sacco di tempo, eccovi un nuovo capitolo, quanto
meno ho cercato di farlo un po' più lungo del solito.
Mi scuso infinitamente come al solito ma l'ultimo anno sembra essere
particolarmente impegnativo, giusto adesso ho appena finito di litigare
con la stampante che non mi vuole metter su carta la relazione di un
progetto -.- Neanche a dirlo, ha vinto lei.
Via, vi lascio anche perché è l'una passata ù__ù
Ringraziamenti dovuti a chi segue questa storia, anche se ha un andamento un po' altalenante ^^.
Alla prossima e buona notte :P