Every Rose Has Its Thorn

di Briseide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Potter, Potter, again Potter ***
Capitolo 2: *** The Truth In Your Lies ***
Capitolo 3: *** Home Sweet Home ***
Capitolo 4: *** Wish you were here ***
Capitolo 5: *** Reverie ***



Capitolo 1
*** Potter, Potter, again Potter ***


Every rose has its thorn.

I capitolo

Potter, Potter, again Potter.





- Bene!
- Bene!


E poi la porta si era chiusa.
Con un colpo secco, lasciandosi alle spalle lo scoppio di un urlo represso. E nell’appartamento era tornato il silenzio, rotto solo da un’imprecazione rabbiosa e dal tintinnio di un vetro infranto contro il pavimento.

Qualche metro più in basso, Hermione Granger scendeva le scale ad una velocità tutt’altro che ridotta – e piuttosto insolita per una come lei- ebbe modo di pensare la vicina del piano di sotto, una vecchia vedova che all’occasione si era alzata dal suo bel divano tappezzato di fiori lilla ed era corsa alla porta, aprendo di poco lo spiraglio, giusto lo spazio di un occhio, per vedere cosa stava succedendo e come mai si sentisse quel vociare da una delle case più silenziose del palazzo.

Si, da che quei due erano andati ad abitare li, l’appartamento del quarto piano non era mai stato così silenzioso. Nessun rumore molesto, mai un grido né un richiamo. Per questo Hermione Granger e Draco Malfoy erano i condomini preferiti di tutti gli inquilini della palazzina.
C’era chi raccontava ai suoi ospiti di quanto fosse felice e affiata la coppia, non sentendo mai urlare, e c’erano i più maligni o gli invidiosi, i quali insinuavano che quei cari ragazzi usassero ben altri metodi per regolare i conti tra loro.

La verità era che Draco ed Hermione erano persone molto schive, orgogliose fino allo sfinimento e due teste dure, ragion per cui ritenevano che urlare qualcosa contro l’altro sarebbe stato segno di un vero e proprio sentimento e di una palese debolezza. Quindi preferivano lanciarsi mezze frasi o lanciarsi sguardi affilati come coltelli, ma facevano di tutto per non dare spettacolo agli occhi dei curiosi, e alla consapevolezza di entrambi su quanto dopotutto si volessero bene.
Ma quella tranquilla sera di metà Marzo era stata turbata dal risuonare delle loro voci.
Due parole, urlate con la gola secca e una rabbia che nonostante tutti gli sforzi, era trapelata distintamente.
C’era anche qualcosa di offeso in quei toni, osservò la solita vicina, mentre posava il bicchiere con le sue medicine e lo attaccava al muro per sentire meglio. Era già pronta con la mano sulla maniglia per andare a chiedere un parere all’amica del piano di sopra, quando aveva sentito la porta sbattere e qualcuno scendere le scale. A quel punto non aveva potuto fare a meno di aprire la propria porta e affacciarsi rapidamente, dando un’occhiata intorno. Distinse appena in tempo l’azzurro della camicia di Hermione.
- Va tutto bene, cara?
Aveva domandato con la speranza di non sentirsi rispondere affermativamente. Hermione si era voltata ancora turbata e aveva accennato un sorriso, uno dei suoi soliti sorrisi che stava ad indicare quanto fosse meglio per tutti mettere da parte l’argomento e chiudere la conversazione.
- Tutto perfetto, non si preoccupi.
La donna non le nascose la sua delusione, ma accettò di buon grado quella bugia e chiuse la porta alle sue spalle.
Per riaprirla tre secondi più tardi e bussare a quella accanto. Si trovò a fissare due occhi grigi e lucidi di rabbia, nonché appena illuminati da un timido e rinnegato barlume di speranza.
- Pensavo che…
Iniziò la donna, con un sorriso tenero sul volto e intenzioni molto meno caritatevoli per la testa. Ma il suo vicino aveva stretto le labbra e assottigliato gli occhi, e da quel momento aveva capito che con lui non le sarebbe andata altrettanto bene.
- Senta, io non so come l’abbia abituata la mia ragazza fino ad ora, ma quello che so dirle con precisione è che io non sono come lei, e che sono abituato a pensare solo ed esclusivamente ai fatti miei da quasi trent’anni, quindi a meno che lei non sia venuta a dirmi che è a conoscenza del modo per capire Hermione, farebbe meglio a girare sui tacchi e tornare in quell’asilo per gatti che è il suo appartamento.
La donna rimase a guardarlo per lunghi istanti, durante i quali valutò seriamente l’idea di dargli uno schiaffo come avrebbe fatto la buon anima di suo marito, o di lanciarsi in una ramanzina di quelle che innervosiscono tanto i giovani, o meglio ancora, morirgli davanti alla porta di casa, tanto per fargli un dispetto e procurargli un po’ di scocciature. Invece serrò le labbra stizzita e schioccò la lingua un attimo dopo, cercando di far arrivare alla bocca la scorta di veleno che teneva sempre nascosta di riserva sotto la lingua.
- Spero che la sua ragazza torni a casa mano nella mano del suo migliore amico, che sono certa essere molto più gentile, educato e rispettabile di lei.
- Spero che il diavolo venga presto a prendersi lei e tutti quei gattacci che tiene in casa, signora. E che la smetta di ascoltare le nostre conversazioni da muro a muro.
Rispose sinceramente inviperito Draco, sbattendo la porta di casa in faccia alla vicina.
Non poteva sapere che la suddetta vecchia signora non aveva fatto in tempo a trovare il bicchiere per ascoltare tutto dall’inizio, ma quello che gli aveva appena detto era sufficiente perché lo credesse.
Andasse al diavolo, lei e Harry Potter.
Poi, mise un piede su un frammento di vetro.

---

Le maledizioni che uscivano fuori dalla bocca di Hermione erano invece rivolte unicamente a Draco e all’ombrello che aveva lasciato appeso all’attaccapanni. E già che c’era anche a quella fastidiosa pioggia di Marzo, che le pungeva la pelle delle braccia e le ticchettava sulla testa.

Hermione Granger aveva sempre saputo molte cose.
Ma aveva anche avuto l’umiltà e l’occasione di impararne e di capirne molte altre. Ad esempio…
Aveva imparato che vivere una storia d’amore con Ron era quanto di più fantascientifico potesse mai accadere sulla faccia della terra.
Aveva imparato che è sempre meglio far bollire la pasta prima di gettare il sugo nell’acqua.
Aveva imparato ad accettare che anche lei poteva cadere in basso, fino al punto di innamorarsi di uno come Draco Malfoy.
E aveva anche imparato che non c’è niente di più bello che amare Draco Malfoy.

Quello che invece non aveva imparato, era la tolleranza verso Draco. Quelle piccole parti di Draco che le riempivano il materasso di spilli e le rovinavano il sonno e il risveglio.
E in quelle piccole occasioni, tutte le volte si era resa conto con un tuffo al cuore e una momentanea mancanza di ossigeno nei polmoni, che nel litigare con Draco e guardare i suoi occhi, molte volte rivedeva se stessa. E questo, era quello che le faceva più paura.
Più paura che guardare negli occhi Draco e dirgli Ti Amo, con la certezza che lui avrebbe riso e la sorpresa nel sentire le sue labbra contro le proprie e un mugugno che affermava Anche Io.
Più paura che svegliarsi una mattina e accorgersi che non sarebbe arrivata a niente senza averlo a fianco nel letto.
In quei casi, solitamente c’era Harry.
Nella sua testa, che le parlava e cercava di rimettere in sesto i suoi neuroni impazziti… e dietro la porta di Grimmauld Place numero dodici, che la faceva entrare e le dava il permesso di litigare e di fare a gare a chi urlava più insulti con la signora Black, in casa sua.
Così tutto tornava nella norma, lei salutava Harry con un sorriso, un tacito ringraziamento, e quando tornava a casa da Draco niente le faceva più paura, e niente la rendeva più felice nel sentire quella stretta all’altezza dell’ombelico nel suonare il campanello e saltargli al collo.

L’ultima volta, non era andato poi tutto così nella norma.
L’elemento imprevisto erano state le labbra di Harry.
- Era solo per farvi stare zitte.
- Certo, lo capisco.
- Esseri immondi.
Quelle le considerazioni, svoltesi dopo quel brevissimo contatto, tra lei, Harry e la signora Black, che tra tutti e tre era quella che aveva ragione.
Si era scostata subito, piuttosto scossa e non aveva trovato un bel niente da dire, indice fedele di quanto potesse essere disarmata Hermione Granger.
- Sono un essere immondo.
Aveva mormorato guardando il pavimento e cercando, in un moto di masochismo assoluto, di immaginare gli occhi di Draco quando lo sarebbe venuto a sapere.
- Ti faccio compagnia.
Aveva invece cercato di consolarla Harry, reprimendo a stento un sorriso tra l’amaro e il soddisfatto.
- …all’inferno, razza di sudici traditori che non siete altro!

Aveva poi precisato la signora Black, in uno slancio di violenta e rancorosa sincerità, ancora una volta. A quel punto Hermione era crollata, e colta da un improvviso – ma in fondo comprensibile- scatto d’ira, aveva sentito il bisogno di fare del male fisico a qualcuno che non fosse se stessa, né Harry che ne aveva già passate a sufficienza… così rimaneva solo quel quadro e la completa irrazionalità di Hermione. Sfoderò la bacchetta e la puntò contro l’arazzo, urlando il primo incantesimo che le venne in mente.
E la signora Black tacque.
Per sempre.
Harry la guardò basito per un istante, incredulo quanto lei.
Batté le mani due volte.
Invocò il nome di Sirius.
Poi sorrise rivolto verso Hermione, perché la signora Black non aveva detto niente.
- Sei un genio!
- Così parrebbe…
Borbottò lei, rimirando la bacchetta che aveva per le mani. Poi si concesse un piccolo moto di soddisfazione e di auto compiacimento, nonché un sorriso… e si preoccupò subito che Harry non pensasse di farle un regalo con un altro bacio.
- Beh… ora non dovrò più venire da te per urlare contro qualcuno.
- Mh.
- Il che è un bene, così non ti verrà più voglia di chiudermi la bocca con un bacio.
- …
Si morse la lingua un secondo più tardi. Se nella sua persona c’era un qualche difetto – che Draco riusciva sempre ad individuare più rapidamente degli altri- era il non saper trovare un compromesso. Neanche sforzandosi, poteva riuscirci. Guardò Harry dispiaciuta e accennò un sorriso, molto più imbarazzato che altro.
Harry staccò gli occhi dall’arazzo finalmente muto con enorme fatica, e rovistò per un po’ una mano nelle tasche.
- Non volevo essere così dura.
- No, va bene invece.
- Volevo solo essere sincera, insomma lo sai che io…
- Lo so Hermione, lo so. Non me lo devi dire tu, lo so già da solo.
Con quello il discorso poteva ritenersi concluso, ma era solo una vana utopia. C’erano molte cose ancora da dire, solo che Hermione aveva paura di sentirle, ed Harry era restio a dirle, vista la reazione non proprio idilliaca di Hermione a quel bacio.
- Magari è il caso che tu vada a fare pace con Draco.
Si, avrebbe dovuto e anche voluto, ma a quel punto le risultava ovvio che non avrebbero di certo fatto pace, e le parve anche piuttosto indelicato da parte di Harry sottolineare quella dura realtà, che quello che la aspettava di lì a poco cioè, sarebbe stata la rottura tra lei e Draco, con molte probabilità.
Aveva baciato Harry Potter, accidenti.
Se fosse andata a letto con suo padre, Lucius Malfoy, non sarebbe stato poi così grave come l’aver baciato Harry Potter e non averlo trucidato un attimo dopo.
- Non credo che sia possibile. Quindi tanto vale che mi spieghi qualcosa, tu.
- Ah.
C’erano molte cose che avrebbe voluto sapere.
Tanto per cominciare, come gli era venuto in mente di baciarla.
E in secondo luogo… perché lo aveva fatto, decidendo di non mettere freno ai suoi istinti e mettendola nei guai fino al collo.
E poi avrebbe anche voluto sapere perché lei non era arrabbiata con lui.
- Sto aspettando.
- Da… dove vuoi che inizi?
Aveva chiesto Harry in un sussurro. Ci mancò poco che le sue guance non si tingessero di rosso e non iniziasse a piangere. Se guardava la situazione da un altro punto di vista, ossia come quello della semplice Hermione Granger, e non Hermione Granger La Ragazza di Draco Malfoy, tutto quello doveva essere veramente buffo.
Inspiegabilmente, riuscì ad immedesimarsi nel ruolo di Solo Hermione… e a scoppiare a ridere, di gusto, tanto che le spuntò una piccola lacrima all’angolo dell’occhio.
Fu un ottima scusa per Harry, naturalmente. Il vederla ridere così all’improvviso, aveva portato anche lui alla scoperta del lato comico della situazione. E aveva iniziato a ridere anche lui, dimentico delle terribili spiegazioni che avrebbe dovuto dare.
- Glielo dovrò dire.
Disse all’improvviso lei, smettendo di ridere e mordendosi un labbro. Il sorriso veleggiò ancora un po’ negli occhi di Harry, e poi scomparve del tutto, anche dalle labbra.
- Non sei costretta.
Era la verità. Ma Hermione era costretta dalla sua grande abilità nel mentire e rinomata scarsezza nel gestire i sensi di colpa.
- Si invece.
- Allora buona fortuna.
Non c’era rancore questa volta nella sua voce, e permise ad Hermione di salutarlo con un sorriso, da quel momento in poi avrebbero abolito per un bel po’ i veloci baci sulla guancia, e ad uscire da quella porta senza altre difficoltà.



But now I hear you found somebody new
And that I never meant that much to you
To hear that tears me up inside
And to see you cuts me like a knife
- Every rose has its thorn- Poison


Era tornata a casa a piedi, perché con la magia o persino con la linea autobus della città avrebbe impiegato troppo poco tempo, e quando il terzo caffè al terzo bar, le parve un po’ troppo per il suo fisico, stabilì che non poteva fare altro se non tornare a casa.
Naturalmente non prese l’ascensore, così non avrebbe dovuto guardarsi in faccia in quello specchio appeso in un lato, e leggere nei suoi occhi la consapevolezza e lo schifo nei suoi stessi confronti.
Tutto quel senso di colpa, era riconducibile ad un solo pensiero: non aveva pensato immediatamente a Draco, quando Harry si era chinato su di lei e l’aveva baciata. Non si era scostata in quel lasso di tempo che si potrebbe definire “subito”.
Ora che ci pensava le stava anche sorgendo il dubbio, se per caso non avesse contraccambiato un po’ quel bacio.
Premette il campanello. Nessun corto circuito: trillò, forte e fatale come mai le era sembrato che potesse essere. E Draco arrivò anche prima del solito alla porta, e la aprì con un gesto più rapido… e poi la guardò in faccia. Forse fu quello il vero momento peggiore di tutto quello che venne dopo.
- Ciao.
- Così… sono qui.
- Questo lo vedo.
Si, quello lo vedeva. E aveva anche intuito qualcosa, perché erano passati più di dieci secondi e quasi più di tre minuti anche, da quando era davanti a lui e ancora non lo aveva abbracciato, né baciato, e non aveva detto niente su quanto fosse sciocca lei e idiota lui per aver litigato su una sciocchezza tale.
- Hai preparato la cena?
- È quasi pronta.
Era evidente a tutti e due che stava codardamente cercando di prendere tempo. Poggiò il foulard sulla sedia, si avvicinò alla cucina e assaggiò un po’ del sugo che stava bollendo. Draco era appoggiato contro il tavolo, le braccia conserte e una luce di preoccupazione negli occhi. La mascella era serrata, e quello che temeva non era di certo un giudizio sul suo sugo fatto in casa.
- Il sugo è perfetto e Harry mi ha baciata.
- Bene.
Hermione indugiò per qualche secondo, con il mestolo a mezz’aria e il sapore del sugo ancora in bocca. Forse aveva parlato troppo veloce, perché non era oggettivamente possibile che gli andasse bene che lei ed Harry si fossero baciati. Si voltò a guardarlo.
Appoggiato al ripiano del tavolo, le braccia conserte, gli occhi fissi sul mestolo. Nient’altro.
- Che significa?
- Quello che ho detto.
- Hai detto bene.
- Si, mi ricordo.
A quel punto Hermione iniziò a sentire qualcosa. Il timore e l’ansia che le avevano atrofizzato i muscoli e gelato il sangue nelle vene e nel cervello, iniziavano a diradarsi, e poteva finalmente rendersi conto della calma apparente che governava Draco in quel momento.
Nel momento in cui gli aveva detto che la sua ragazza e il suo peggior nemico si erano baciati.
- Non mi sembri molto sconvolto.
- No infatti.
Avrebbe potuto capire molte cose, una persona intelligente come Hermione.
E avrebbe dovuto rendersi conto di quanto stava succedendo, la ragazza di Draco Malfoy.
Ma la rabbia- e l’amore- rende ciechi e lei non si accorse del pulsare sulla tempia destra, e della stretta spasmodica di quelle dita sottili e quasi di marmo, contro la maglietta.
- E’ un modo per dirmi che la cosa non ti tocca né interessa minimamente?
Aveva domandato lei, posando il mestolo, evitando di tirarglielo contro.
Un’altra cosa da aggiungere alla lista: non aveva imparato a gestire quella naturale freddezza che sembrava ricoprire Draco in certe situazioni. Sul momento non era in grado di riconoscerla per quello che era, e si abbandonava al suo stesso gioco, restandone ferita e colpita in pieno. Come in quel momento.
- Sto valutando.
Fece male anche a lui quel lampo di dolore che squarciò gli occhi nocciola di Hermione. Fu qualcosa di inaspettato e feroce, ma passò subito, scacciato da Hermione stessa, come faceva di solito. Lei a perdere non ci stava, a perdere tempo ancora meno, e quello che voleva in quel preciso istante era solamente che quel dolore passasse in fretta, che la sua rabbia trovasse uno scopo e che Draco smettesse di ferirla in quel modo. Si difese. Si difese soltanto, dopotutto, e quelle parole le tornarono alla mente tutte le volte che pensò, in seguito, a quanto aveva detto, a come lo aveva detto, al perché lo aveva detto… e a come aveva potuto dire una cosa del genere.
- Ah stai valutando. E cosa di grazia? Se questo tempo è stato inutile, se questa casa è stato uno scherzo, se sei in grado di accettare l’idea di aver dormito accanto ad Hermione Granger? O se invece sei fiero di assomigliare sempre di più a quei canoni di valore e rispettabilità ai quali hai finto di non voler più credere? Eri un sedicenne appeso ai pregiudizi e con la testa piena di stronzate, e a venticinque anni non è cambiato niente, forse ce l’ hai nel sangue, o forse a te sta bene così. Ti ho disprezzato per sei anni prima di credere che potesse esserci dell’altro, ma ora sono qui davanti a te e mi chiedo come ho potuto crederci!
Draco puntò lo sguardo su un piatto decorato alle spalle di Hermione.
Niente avrebbe potuto scalfire la sua espressione, indefinibile come la forma dell’acqua. Ma quelle parole erano state il chiodo che aveva fatto franare la roccia, e poteva sentire distintamente qualcosa cedere dentro di lui, impadronirsi del suo controllo, spezzargli il respiro, e lo sforzo più grande che dovette fare, fu quello di non lasciare che quel dolore arrivasse dritto al petto, dove era la sua meta. Perché da lì non lo avrebbe più potuto allontanare.
- Se fossi andata a letto con tuo padre per tutti questi anni, non avrei notato la differenza.
aveva concluso tagliente Hermione.
Accadde tutto troppo velocemente perché potesse capire e rendersi conto di quello che aveva detto. Ma non se ne era pentita, quelle parole le erano sgorgate dal cuore e per quanto offensive, non aveva intenzione di rimangiarle.
Ma Draco l'aveva guardata come non aveva mai fatto in tutti i loro anni di conoscenza. E in quel momento in cui incontrò i suoi occhi grigi, Hermione fu colta da un brivido, sentì il sangue rallentare il corso nelle vene e l'aria divenire fuoco. E si ritrovò a pensare che avrebbe preferito mille volte lo sguardo arrogante e sprezzante a cui era stata soggetta per tutti gli anni ad Hogwarts, piuttosto che essere catturata in quel vortice di sdegno e collera che non accennava a lasciarla libera. Sentiva ogni forza abbandonarla, mentre risentiva le sue parole e il loro significato. La colse un brivido e portò istintivamente una mano alla bocca: se solo avesse potuto, in quel momento, ecco, avrebbe allungato la mano per riacciuffare quelle parole e imprigionarle in un lungo silenzio. Ma era troppo tardi e non poteva fare niente.
Ed ebbe paura. Paura delle sue stesse parole, della reazione di Draco, di aver messo fine a tutto, tutto quanto.
Cosa aveva detto?
- E ci voleva un bacio di Potter, per tirarti fuori tutto questo? Come sempre, l’ultima parte è sempre la sua.
Avrebbe potuto dire una miriade di cose sulla scemenza che le aveva appena detto, ma era così profondamente disgustata da se stessa e dalla sua totale incapacità di trovare la giusta misura, e di saper porre un controllo sulle sue emozioni, che riuscì solamente a sospirare e a chiudere gli occhi.



Though it’s been a while now
I can still so much pain
Like a knife that cuts you the wound heals
But the scar, that scar remains
- Every rose has its thorn- Poison




Hermione deglutì silenziosamente,mentre il suo cuore prendeva a battere troppo forte e il respiro si faceva affannoso. Aveva perso, avevano perso tutto. I suoi occhi si spostarono per l'intera sala: il divano, quell'orribile attaccapanni che le aveva regalato la signora Weasley, e quel quadro inquietante che accoglieva ogni visitatore, appeso nell'ingresso. Era quella la loro vita; erano riusciti a unire i loro pregi e i loro difetti, i loro valori e i loro principi in una catena che le era sempre apparsa stabile, anche se non perfetta. Ma lei non credeva nella perfezione, ecco perché si era innamorata di Draco, ecco perché aveva costruito tutto quello con lui.
- Vuoi… distruggere tutto?
gli chiese trovando la forza di guardarlo di nuovo negli occhi: e vi lesse una nota di rassegnazione e di nostalgia che le regalarono una sciocca speranza.
- Hai cominciato tu.
le rispose quasi sofferente. Hermione si morse un labbro. Certo, quando mai Draco Malfoy ammetteva le proprie colpe?
Le cadde lo sguardo su quella statuetta di marmo, in piedi sul tavolo del salotto. Una riproduzione in miniatura di loro due e della loro unione: avevano trovato quella piccola scultura nell'armadio quando erano entrati in possesso di quella casa. E non avevano avuto dubbi, era bastata una semplice occhiata, quando ancora era sufficiente per dedicarsi i più bei silenzi d'amore della storia, per decidere cosa volesse significare: quel corpo steso su quello dell'altro, le mani di entrambi tese a cercarsi e tra le loro dita e i loro sguardi, tra l'intreccio di quei corpi, tra le ali nella schiena di lei e il sorriso velato sulle labbra di lui, si celava la loro armonia, la segreta alchimia del loro amore mai dichiarato.
- Quindi tocca a me finire? Immagino.
e raccogliendo il foulard dalla sedia, aveva sfiorato appena quella perfetta riproduzione… era bastato un solo soffio, non ce l'avrebbe fatta a imprimere maggiore forza a quel gesto, e quei corpi legati l'uno all'altra si erano sbilanciati, precipitando nel vuoto, ancora insieme, cadendo sul pavimento, e scheggiandosi, rompendosi, frantumandosi in mille piccoli pezzi.
Draco osservò la scena, ancora in piedi, le labbra serrate e le mani in tasca. Indugiò con gli occhi sui cocci della statuetta, mentre i passi affrettati di Hermione si dirigevano nella loro stanza e un attimo dopo verso la porta, passando per la cucina.
- Me ne vado.
Draco l’aveva guarda per lunghi attimi, nello stesso modo in cui aveva fatto per tutto quel tempo. Poi aveva sollevato appena il mento. Sembrava che stesse cercando il modo per lasciarla andare via, senza che trapelasse tutto il suo desiderio di tenerla lì con sé e discutere con lei come erano in grado di fare entrambi.
Ma aveva tirato in ballo suo padre, aveva detto quelle cose, dannazione. Dischiuse appena le labbra.
- Bene!
- Bene!
Poi, il sugo si bruciò.



TBC [ non prima di 15 giorni, purtroppo]

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Capitolo 2
*** The Truth In Your Lies ***


II capitolo

The Truth In Your Lies



A quel punto, aveva assicurato alla vicina che andava tutto perfettamente bene, quando invece non pensava ad altro che a trovare un ponte e gettarsi di sotto. Le sarebbe stato bene, era la giusta fine per una sciocca come lei, che a venticinque anni non era ancora in grado di controllare le parole.

Non le rimaneva altro da fare, in alternativa al ponte, se non cercare un posto dove stare.
La prima cosa che le passò per la mente fu l’immagine della sua casa, neanche troppo distante da lì.
Peccato che dentro vi avrebbe trovato i suoi genitori, e questo le bastò a convincerla che non era quella la scelta migliore.
Scartò per logica e coerenza anche Grimmauld Place.
E di conseguenza… arrivò alla Tana.
Arrivare alla Tana con il cuore a pezzi e all’ora di cena è quello che si può definire un binomio Malattia- Medicina.
Qualunque medico lo avrebbe consigliato ad una persona affetta da depressione.
Suonò il campanello con l’aria distrutta e un sorriso piuttosto instabile sul volto.
Quello sul volto di Ron dopo averla riconosciuta fu molto più sincero.
- Hermione! Che fai qui?
- Non posso passare a trovare un amico?
Accidenti, per anni e anni era sempre stata la benvenuta, quella che poteva o addirittura doveva entrare in casa Weasley senza neanche chiedere il permesso, e proprio quando aveva l’occasione di poter sfruttare quella possibilità, Ron le domandava come mai fosse lì. Iniziò a pensare che non fosse stata poi una buona idea.
- Con una valigia in mano?
- Ho… litigato con Draco.
Ammise lanciando uno sguardo mesto alla piccola valigia poggiata ai suoi piedi. Il volto di Ron si illuminò come se fosse davanti al suo regalo di compleanno… e avesse otto anni.
- Lo sapevo!
- Grazie Ron, è sempre bello avere l’appoggio di un amico.
Mugugnò lei, appoggiandosi allo stipite della porta e passandosi una mano tra i capelli. Sentiva il cuore martellarle ancora il petto, aveva bisogno di un iniezione di energia e positività… di una cena in casa Weasley, in altre parole. Ron le sorrise e fece un passo indietro.
- Entra, dai.
- Grazie per la gentile concessione.

°°°

La misteriosa motivazione che portò Harry ad uscire di casa e imboccare la strada per quella di Hermione, rimase sempre un mistero.
Dopo che lei era uscita da casa sua, e averle quindi rovinato l’esistenza per il prossimo anno a venire, si era ritrovato per strada, a vagabondare con le mani in tasca e gli occhi ostinatamente puntati in terra, come punizione che si auto infliggeva per quanto fatto: non meritava di guardare in faccia altra gente, e gli sarebbe stato bene andare a sbattere contro un lampione, o finire sotto una macchina.

Quella stessa fantascientifica motivazione, lo aveva guidato fin sotto il portone della palazzina di Hermione. Ma la consapevolezza non lo aveva abbandonato del tutto, essendo perfettamente sicuro che con molte probabilità la sua amica – o quella che lo era stata per lunghi anni – in quel momento era alle prese con una discussione tra lei e Malfoy, e che altrettanto sicuramente, non avrebbe gradito rivedere la sua faccia, figurarsi se lo avrebbe invitato a prendere una tazza di the.
Eppure non si era fermato, ed era entrato, con il banale e fortuito pretesto di tenere il cancello aperto ad una donna e alla sua sporta della spesa. Così era entrato anche lui, aveva raggiunto le scale e si era fermato.
Aveva solo guardato in alto. In tempo per scorgere una faccia rugosa quanto curiosa dietro ad una porta socchiusa: qualcuno aveva appena dato spettacolo, e dubitava fortemente che la minuta signora di prima si fosse messa a destreggiare cavoli e carote salendo le scale.
Così ebbe la certezza che uno dei due non era in casa.
In quel condominio, a quanto si lamentava Malfoy e scherzava Hermione, abitavano solo vedove e divorziati, ragion per cui l’unica attrattiva per quella gente era una sana litigata, e magari anche lo scoppio di una porta sbattuta con rabbia e frustrazione.
I soli in grado di offrire una tale opportunità di spettacolo, erano di certo la sua Hermione e Malfoy.
Questo lo invitò a salire due piani, e a fermarsi al terzo, per prendere fiato e concedersi un'altra occasione di salvezza: voltarsi, scendere le scale appena salite, e tornarsene a casa.
Ovviamente la scelta giusta e quella più saggia ha sempre scarsa attrattiva, rispetto al rischio di una morte certa.
Salì un altro piano e suonò il campanello.
Si aprì immediatamente la porta… accanto.
- Buonasera.
- Salve.
Salutò interdetto Harry, sollevando di poco una mano in direzione di una vecchia fuori dalla porta. Aveva la imbarazzante sensazione di essere vittima di un esame accurato, puntiglioso e terribilmente critico, al quale non poté neanche sottrarsi.
- Amico di lei o di lui?
- Di Hermione.
Rispose meccanicamente senza neanche chiedersi come mai gli stesse facendo quella domanda. Era troppo avvilito al pensiero dell’analogia tra quella domanda e quella che si rivolge sempre a qualcuno ben vestito nella navata di una chiesa.
Amico della sposa o dello sposo?
- Non è in casa.
Non avrebbe mai scoperto effettivamente se glielo aveva detto per rendergli una semplice e indiscreta informazione, o se lo aveva fatto con l’intento di salvargli la vita. La porta si aprì nell’esatto momento in cui Harry prese atto che non era il caso di rimanere lì.
Trascorsero tre minuti, Harry credé di aver contato tre volte sessanta, sessanta preghiere di una morte rapida a venire, prima che quegli occhi si staccassero da lui e si posassero con evidente astio sulla vicina.
- Potter.
Sibilò mentre tornava a guardare lui.
Ma a quel punto Harry si poteva già considerare sollevato. Più che arrabbiato e propenso a istinti omicidi, Malfoy gli era parso stanco. Aveva il tipico sguardo torbido e irrequieto, di chi ha riflettuto molto negli ultimi secondi senza giungere a niente di soddisfacente. Di chi ha sprecato tutte le sue forze cercando di non muovere un passo e sfasciare tutto. Di chi ha sentito troppo e di chi è roso da un pensiero, da un tormento, da un timore.
- Ti stupirebbe sapere che Hermione non è qui?
Lo aveva avvertito in ostentato tono annoiato, mentre uno sguardo fulmineo si andava a posare su dei cocci appena dietro di lui. Distolse subito gli occhi, come se la sola visione avesse potuto accecarlo, o ferirlo a fondo.
- Non sono qui per lei.
Davvero?
Sorprese persino se stesso. Non era li per lei? Si sentì molto stupido, e si considerò un po’ furbo, come consolazione. Draco aveva alzato un sopracciglio e iniziato a tamburellare con le dita sullo stipite della porta.
- Vuoi baciare anche me?
Fu molto peggio di un pugno dritto sul naso, o di un calcio nello stomaco, o di un colpo sferzante di bacchetta alle spalle. Sembrava una semplice domanda, a puro titolo informativo. Era invece un’accusa precisa, una dichiarazione di odio profondo, una promessa di rancore eterno… e anche un taglio netto e ancora sanguinante a quel filo invisibile che teneva ben stretti e uniti tra loro il suo orgoglio e i suoi sentimenti.
- Non avrebbe fatto niente, se non fossi stato io.
Si rese autore della più grande banalità e ovvietà di quell’ultimo secolo, il vecchio Harry, e incassò il colpo senza battere ciglio. Aveva anche lui il suo orgoglio da difendere, in fin dei conti. Draco non aveva mosso un passo, sempre fermo sulla porta, perfettamente padrone del suo corpo. Eppure c’era sempre qualche piccolo particolare che lo tradiva.
- Non ho bisogno che tu me lo dica, e lei non ha bisogno che la difenda. Lo so perfettamente.
Ed era vero. Assolutamente vero, non c’era traccia di menzogna o di indotto autocontrollo nelle sue parole, se non l’esposizione di un semplice e poco importante dato di fatto, una sicurezza paragonabile alla certezza che il sole illumina e che Hermione non era lì.
- Ma, allora…
- Senti, Potter. Capisco che sia dura per te accettarlo, ma non c’è niente che tu possa e debba fare, perché la cosa non ti riguarda minimamente. Quindi puoi anche alzare i tacchi e andartene, non è di certo per te che mando all’aria l’unica cosa buona che ho tirato su nella mia vita. Torna a casa, preparati una buona cena e addormentati pure davanti alla finestra tutto preso a spiare i tuoi vicini, Potter, perché qui intralci il passaggio e mi costringi a sprecare tempo che potrei di certo impiegare altrimenti.


La vicinanza e la stretta convivenza con Hermione non avevano addolcito o mitigato Malfoy, ma di sicuro gli avevano insegnato cosa volesse realmente significare lottare ogni giorno contro una forza della natura. Alias Hermione Granger. E a quanto pareva, di quella lotta lui aveva fatto il suo motivo di vita, ed Harry non poteva di certo biasimare quella scelta.
- Buonanotte, Malfoy.
- Crepa Potter.
- Ti è di diritto.
Concesse Harry alzando le mani in segno di resa e voltandosi verso le scale.
Il pensiero di aver concesso un diritto a Malfoy, tuttavia, si ripercosse due gradini più tardi.
- Per inciso Malfoy, credo sia giusto farti sapere che Hermione non ha messo neanche un po’ di ling…
Quello che coprì le ultime lettere del suo discorso, fu l’ennesimo scoppio violento di una porta.

°°°

And you can't fight the tears that ain't coming
or the moment of truth in your lies
when everything feels like the movies
yeah, you bleed just to know you're alive
Iris - Goo Goo Dolls




Poggiò le labbra su quel freddo levigato della porcellana e inclinò di poco la tazza, in un gesto lento e misurato, vano tentativo di imporre alla sua mano di smettere di tremare, e di recuperare un po’ di calma.
- Soffia, è calda.
Allontanò la tazza appena più rapidamente e chiuse gli occhi nel poggiarla sul tavolo, accompagnandosi con un sospiro lento e sofferto. Ron poggiò il mento su una mano, e sorrise senza che lei potesse vederlo. Quando aveva riaperto gli occhi, era di nuovo appoggiato con la schiena sullo schienale della sedia, e la guardava a braccia conserte e con un ghigno a metà tra l’ammirato e l’incredulo.
- Glielo hai detto sul serio?
- Ron…
Lo aveva ammonito lei, la sua voce era stanca ma non aveva impedito a quel tono vagamente minaccioso di raggiungere i sensi di allerta del ragazzo di fronte a lei.
- Ti ammiro lo stesso.
- Anche io ammiro da sempre la coraggiosa volontà di mamma e papà di tenerti con loro per tutto questo tempo, come addirittura figlio loro, Ron. Sparisci.
Ginny Weasley aveva fatto la sua entrata trionfale, ridotto ad un cumulo di macerie l’ego del fratello con poche parole, fatto piazza pulita della cioccolata calda strappando la tazza dalle mani di Hermione, e preso le redini della situazione in un battito di ciglia, quelle di Hermione.
Un attimo dopo Ron imprecava un piano più su e Ginny era seduta di fronte a lei, con la fronte corrugata, le mani intrecciate sul piano del tavolo, le caviglie altrettanto, sotto al tavolo, e gli occhi fermi in quelli di Hermione.
- Immagino che non voglia sentirti dire che avevamo ragione noi.
Lo sguardo disperato e disilluso che le arrivò di rimando chiarì il concetto della risposta che sarebbe dovuta arrivare a parole.
- D’accordo, credo di poter fingere che non sia vero. Ma si può sapere cosa-
- Cosa ti interessa sapere di più, Ginny, se Harry mi ha baciata o cosa ho detto a Draco per arrivare qui?
Le labbra di Ginny scomparvero, divennero troppo sottili, quanto dovette essere dura e violenta la stretta delle sue dita, una contro l’altra. Hermione sperò che non iniziasse ad urlare o ad insultarla per aver dato voce alla verità. Con Ginny era così da sempre: lei e la schiettezza andavano a braccetto, solo ed esclusivamente se si parlava di altri e non di lei. Un gioco troppo comodo e divertente, per poterle consentire di giocare in quel modo con gli altri.
- Io ed Harry abbiamo smesso di andare a letto insieme già da tempo.
Hermione si lasciò sfuggire un sorriso, e si prese l’impegno di non sopprimerlo troppo presto. Lasciò a Ginny il tempo di realizzare quanto poco somigliasse alla vera realtà delle cose quello che aveva detto, e poi scostò di poco la sedia dal tavolo, tanto per prendere un po’ d’aria.
- Forse se riprendeste a farlo mettendo in chiaro che il letto è la minima parte di quello che vi tiene vicini, lui non bacerebbe me per valutare quanto gli manchi.
- Sei ancora molto scossa per quello che hai detto a Draco e per la vostra lite, Hermione.
Ribatté seccamente Ginny, accarezzando il piano del tavolo e puntando un piede contro il pavimento, cercando di reprimere la voglia di correre via da quella stanza, da Hermione, e dal ricordo di quanto male potesse fare la lontananza di Harry dalla sua vita.
- Sono molto arrabbiata, Ginny, è diverso. Con me, con Draco, con Harry e con te. E non è conveniente mentire a tutti i costi davanti a me quando sono di questo umore.
- Cosa hai detto a Draco?
- Una bugia. E tu cosa hai detto ad Harry?
Ginny chiuse gli occhi e non li riaprì più, per molto tempo.
- Una bugia.

La verità era molto più semplice del previsto, ma non per questo meno deleteria.
Erano tutti orgogliosi bugiardi, ma di pessimo stile, se non riuscivano a mascherare la verità che per poche ore, o pochi anni.
Così Hermione si era ritrovata ad affermare il falso, a lanciare una freccia per errore, colpa della presa poco salda, perché Draco aveva avuto l’ardire di voler far credere a se stesso e ad Hermione che tutto potesse scivolargli addosso come se niente fosse, perché era ancora perfettamente in grado di proteggersi dalle pugnalate della vita, quando invece si era direttamente tagliato le vene da solo, per quello stupido orgoglio del quale non sapeva che farsene, seduto sul divano di quella casa troppo vuota, rendendosi conto per la prima volta con dolorosa certezza, che l’orgoglio non era di nessuna compagnia.

Harry aveva mentito a tutti: a se stesso nel baciare Hermione convinto che fosse la strada giusta per cancellare Ginny, a Ginny nel farle credere che la sua vita poteva andare benissimo avanti senza che lei e il suo turbine di lentiggini e capelli rossi ne colorasse il grigiore, a Malfoy nell’assicurargli che non era finito davanti a quella porta per cercare Hermione… e ad Hermione nel lasciarle pensare, fino a quando non ci era arrivata da sola, che quel bacio significasse molto più di un semplice esperimento egoista ed infantile.

Ginny si era presa in giro con arguta convinzione fino alla fine, fino a quando Hermione non le aveva dato uno schiaffo e destabilizzato i suoi principi inventati. Aveva ingannato Harry, facendogli credere che le sue lenzuola di seta valevano molto più dei suoi baci e della sua attenzione.

Tutto questo, per non ammettere che la perfezione non esiste, è solo un effimero pensiero, una vana illusione… e anche qualcosa di superfluo, in confronto all’imperfezione di un sentimento tale da sconvolgere tutto quello che ruota intorno alla propria vita, che fa di te tutto quello che vuole, ma che sa come premiare.

E con quel piccolo barlume di una ancora lontana e opaca intuizione, scostarono entrambe le sedie dal tavolo, preferendo affogare nel succo agrodolce dell’oblio del sonno tutti quei pensieri e quei piccoli dolori che iniziavano a spandersi sempre più rapidamente e con maggior violenza dentro di loro.

Le luci del mattino seguente apparivano ancora molto lontane, e con quella debole consolazione, Hermione chiuse gli occhi, cercando di non far caso a quella crepa sul muro che dal letto della sua casa non vedeva, e a quelle lenzuola che non riuscivano a scaldarla come avrebbe voluto e avuto bisogno.





TBC



°°°

Ed ecco qui, la pianificazione di un bel pò di casini. Non potete capire quanto sia stata contenta delle recensioni che avete lasciato al ritorno dai 15 giorni, soprattutto per come sono andati. -.-
Ma non perdiamoci d'animo, anche perchè qua c'è già un bel pò di gente che non se la passa benino, a quanto pare da questo capitolo, mh?
Very special thanks to:
- Isabell : Grazie ^.^ In genere non mi sbilancio, ma fossi in te un pochino mi tranquilliezzerei, visto come vanno le cose ultimamente dalle mie parti non me la sentirei proprio. Vedremo, comunque, ma non disperare.

- eva_elamela: Come morirari? E poi io come farò senza le tue recensioni? Non sei morta... vero?! La zietta Elladora al momento è mortalmente offesa per l'affronto che una mezzosangue quale la Signorina Granger le ha rivolto... ma credo che stia organizzando una rivolta con tutti gli arazzi sparsi in varie residenze di famiglia, appena le passa l'offesa e la raucedine per l'umido delle pareti, temo che sarai accontentata. Grazie per i complimenti, un bacio anche a te!

- Sabry : Ciao!! Si lo so, quello della statuetta è stato un colpo basso, mi giudico colpevole. Odi Potter? Poverino, in questa fic lo tratto meglio di quanto lo consideri solitamente (beh, il che è tutto dire -.-), ma cercherò di fartelo piacere, magari più in là. Dopotutto, hai visto in questo capitolo, che non aveva intenzioni propriamente maligne... no? Buone vacanze anche a te, se sono ancora in tempo!

- Samia : Eh eh, mamma mia mi sto sentendo un pò in colpa per aver scatenato tutto quest'odio per il povero Harry (pooovero?!) ^.^ Si vede che non sono proprio una scrittrice imparziale, devo migliorare, accidenti. Spero che ti piaccia anche il continuo, oltre all'inizio! Ho cercato di essere il più puntuale possibile. Ciao bella.
- Clo87 : Sai una cosa? Sono curiosa anche io! o.O Vedremo cosa mi dirà la testa - ecco, non è esattamente una buona premessa credo. Grazie per la recensione Clo!

Al prossimo aggiornamento, grazie !!

Bris

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Capitolo 3
*** Home Sweet Home ***




III capitolo

Home Sweet Home





Quando la mattina dopo aveva aperto gli occhi, la crepa era ancora lì.
Ci aveva pensato tutta la notte, a quella crepa, che era poi un modo più sofisticato di ammettere che aveva cercato disperatamente di distrarsi in qualche modo.
Aveva trovato il sonno soltanto molte ore più tardi, e il risveglio non era stato dei migliori, in quella stanza che non aveva niente a che vedere con lei. In quel letto pieno di cuscini troppo colorati, e con quella foto animata alle sue spalle, nella quale una piccolissima Ginny sulle spalle di uno spavaldo Ron salutava con qualche dente in meno rispetto a quel momento.
In altre circostanze forse Hermione ne sarebbe rimasta intenerita, ma quella mattina valse solo a ricordarle che tutto quello che le era intorno non era per lei. O semplicemente, non ci era più abituata, ma anche questo le costava una enorme fatica, da ammettere.

C’erano molte cose che avrebbe potuto fare, Hermione, e in piedi con un calzino solo e i capelli arruffati, le passò in rassegna, una ad una, come suo solito, Hermione Granger aveva metodo anche nello scegliere a quale errore mettere riparo prima, persino quando aveva soltanto una gran voglia di piangere e di tuffare la testa sotto il cuscino, maledicendosi fino alla fine dei suoi giorni.
Invece ricacciò indietro le lacrime e recuperò il secondo calzino, il che la fece sentire più completa o forse meno sciocca, e le permise di rimettersi a valutare la sua lista.

Avrebbe potuto scendere le scale, cercare Ginny e cercare di sistemare le cose con lei. Tanto per cominciare chiederle scusa per come l’aveva trattata la sera prima. Ma le bastò riflettere un minuto di più, per rendersi conto che non solo non ne aveva molta voglia, ma per di più non vedeva neanche di cosa avrebbe dovuto scusarsi, vista la pessima abitudine di Ginny di mettere il naso in tutti gli affari che non fossero i suoi.

Così mentre decideva che sarebbe andata al lavoro con quella data camicia, pensò anche che Harry forse aveva trovato le parole per spiegarle quell’inspiegabile carenza di affetto improvvisa. Ma nello stesso momento in cui si rendeva conto che mancava un bottone all’appello, le tornava in mente che se Draco fosse venuto a cercarla, non avrebbe affatto giovato alla loro situazione che lei non si facesse trovare, perché era ad un colloquio chiarificatore con Harry, anziché con lui.

Appoggiò la camicia sullo schienale della sedia, e stabiliva che avrebbe domandato a Molly di darle un’occhiata, proprio mentre valutava l’ipotesi che dopotutto era una mattina come tante, e doveva andare ugualmente al lavoro, che quindi tutti quei pensieri erano inutili, e mentre guardava soddisfatta l’altra maglia scelta per la giornata, si ricordava anche che non andava affatto bene niente, all’infuori dell’effetto che quella maglietta faceva su di lei.

Sentiva che il famoso Momento di Sconforto era ormai vicino, quando qualcuno bussò alla porta, e chiese il permesso di entrare con un tono così remissivo e intimorito, che Hermione si sentì quasi in dovere di dargli il permesso di entrare.
Era soltanto Ron, che entrava con un sorriso debole sul viso e una tazza di caffè in una mano, ancora fumante.
- Ti disturbo?
- Mh… no.
Risolvette lei, stupita che quello strano atteggiamento di Ron l’avesse portata persino a dubitare se fosse stata disturbata o meno. Dall’amico che le aveva anche dato un tetto dove stare, tra l’altro.
- Ti ho portato un po’ di caffè. Non hai fatto colazione.
- Grazie.
Rispose Hermione con un sorriso e afferrando la tazza che Ron le porgeva. Per pura casualità, lo sguardo scivolò sull’enorme pendolo in legno tarlato che troneggiava nella parete portante di quella stanza. Il rumore delle lancette pesanti, l’imponenza di quell’enorme gufo che sormontava il quadrante, furono indiscutibili: stava facendo tardi.
Lasciò la tazza nelle mani di Ron e si tuffò con la testa sotto al letto. Nella ricerca forsennata dei documenti che erano diventati la sua preda dalla sera prima, quando aveva disfatto quella misera valigia che aveva portato con sé.
- Hermione… che stai cercando?
La risposta gli giunse soffocata e disturbata dai colpi di tosse della ragazza, a causa della polvere che riposava placidamente sotto a quel letto.
- Dei documenti… importanti. Devo assolutamente farli firmare ad Addington oggi.
Non le giunse alcuna risposta, e tanto meno un cenno di comprensione. Questo la portò a tirare la testa fuori da là sotto e a lanciare a Ron un’occhiata veloce. La guardava sinceramente interdetto, con la tazza ancora in mano e gli occhi spalancati, veramente increduli. Ma lei non aveva tempo né motivo di soffermarsi su quello strano particolare, ed era tornata alla frenetica ricerca di quei documenti da far firmare.
- Ma come? Vai al lavoro oggi?
Aveva infine domandato Ron, come se avesse davanti agli occhi una Hermione Granger diversa dal solito che gli avesse appena detto che aveva intenzione di darsi alla prostituzione o di dare fuoco alla sua libreria.
Hermione sollevò spazientita la testa da sotto la scrivania e sbuffò in sua direzione, alzandosi e spazzolandosi i pantaloni sporchi di polvere.
- Mi sono solo lasciata con il mio ragazzo Ron, non ho preso l’influenza!
Rispose palesemente innervosita.
- No, certo che no!
Ron mise le mani avanti come poté, deciso a fare di tutto pur di non attirare su di sé l’ira di Hermione quella mattina, eppure era quasi convinto che una giornata di vacanza non avrebbe fatto male a nessuno, figurarsi ad Hermione, soprattutto se poteva fornirgli la scusa di prendersi una giornata di ferie per sé.
- E’ solo che, pensavo… Hermione, che succede?
Si interruppe bruscamente, notando Hermione bloccarsi a metà di un azione e perdere rapidamente il colorito dal viso, fino a poco prima arrossato dall’affanno della ricerca. La vide portare una mano davanti alla bocca e spalancare gli occhi e fu certo che da un momento all’altro l’avrebbe dovuta raccogliere dal pavimento. Si preoccupò immediatamente, come nella sua migliore tradizione.
- Che hai? Stai male?
Insistette preoccupato, temendo che nella sua totale incapacità di preparare una banale colazione l’avesse avvelenata. Ma Hermione scosse la testa, senza muovere altro muscolo. Non che così lo tranquillizzasse più di tanto. Tuttavia, la consapevolezza che non stesse seriamente male, consentì a Ron di recuperare fiato per un'altra domanda.
- Hai perso i documenti?
Ipotizzò avvicinandosi a lei. Hermione si morse un labbro, scotendo impercettibilmente la testa ancora una volta. Ron iniziava a preoccuparsi seriamente.
Peggio. Molto peggio.
- Li ho lasciati a casa.
Farfugliò infine, passando dalla tonalità di pallida anemica a mille gradazioni di rosso. Ron la guardò interdetto per almeno due minuti abbandonanti, prima di dare segno di aver compreso qualcosa.
- Andrò a prenderli io.
Si offrì volontario Ron, sempre lieto di avere una scusa per arrivare in ritardo e al tempo stesso l’occasione di fare un favore ad Hermione. Peccato che lei non fosse poi così entusiasta di quella trovata dell’amico, anzi, alla sola idea sembrava aver perso un altro grado di pressione.
- No, Ron. Non sono una bambina, è anche casa mia quella. Vado io, ci vediamo più tardi.
- Sei sicura?
Le domandò lui prendendole gentilmente un polso. Hermione si fermò un attimo a guardarlo negli occhi, in un tacito ringraziamento, poi annuì e uscì di casa, con la consapevolezza di aver detto una grossa bugia.
No, che non ne era sicura.

O meglio, si lo era. Era sicura di voler tornare a casa, ma per non lasciarla mai più. Aveva capito infatti, che l’unica cosa che avrebbe avuto piacere di fare in quella giornata, era tornare da Draco, abbracciarlo ed elencargli tutti i motivi per i quali si era innamorata di lui. Non glielo aveva mai detto a parole sincere come era successo che si fosse innamorata di uno come lui.
Ma sapeva anche che Draco non sarebbe stato disposto ad abbracciarla dopo quello che gli aveva detto.
Sarebbe bastato poco, a dire che era una sciocchezza, una di quelle cose che si dicono quando si è arrabbiati o offesi per un atteggiamento come quello che adottava sempre lui, e allora sarebbe valsa anche come una scusa.
Il punto era un altro, ed era il motivo per cui quella mattina Draco Malfoy era rimasto per ore seduto davanti al camino spento, a fissare il vuoto, e per cui Hermione Granger aveva passato la notte a fissare una crepa: non era propriamente una bugia, quello che gli aveva detto.

°°°

Ron Weasley era una di quelle persone che sembrava fare di tutto perché i suoi difetti prendessero il sopravvento sulle sue umili e timide qualità.
Ma quando si trattava dei suoi amici, cercava sempre di dare il meglio di se stesso, a costo di umiliarsi o di venire meno ad un suo principio o ad una sua convinzione – sbagliati o meno che fossero.
Proprio perché c’era di mezzo la sua Hermione, non si fece troppi scrupoli quella mattina, nel prendere una pergamena ed una piuma, e mettersi seduto al tavolo della cucina, assorto nei suoi pensieri.

Pensava che se fosse stato al posto suo – e ringraziava che non fosse così ogni Dio esistente nel mondo religioso- sarebbe stato sollevato nel sapere che il segreto motivo della propria esistenza stesse bene e avesse un tetto sopra la testa.
E forse proprio perché un tempo aveva provato qualcosa di simile all’amore verso Hermione, in tempi remoti si intende, si convinse ben presto che non era poi così sbagliato.
Scacciò gli ultimi dubbi e le ultime resistenze ripetendosi ogni due parole che lo faceva per il bene di Hermione, per aiutare lei, non di certo… lui.

Ed era per queste riflessioni e considerazioni, che Draco seduto davanti al camino spento di quella casa così fastidiosamente silenziosa, senza di lei, leggeva con gli occhi ridotti a due fessure la grafia minuta e molto tendente al geroglifico egiziano di un Weasley. Un Weasley che scriveva a lui. Già, per dirgli che Hermione era ospite da loro e che nonostante tutto, stava bene.
Nonostante tutto.
Accartocciò la lettera infastidito da quelle due parole. Nonostante tutto, ripeté ancora una volta a mezza voce, quasi volesse convincersi che fosse veramente possibile che fossero state scritte e rivolte a lui.
Se fossi andata a letto con tuo padre per tutti questi anni…
Nonostante tutto Hermione stava bene.
… non avrei sentito la differenza.
Nonostante tutto.
Scagliò la lettera nel camino e diede vita ad un piccolo fuoco per l’occasione.

In quelle fiamme ritrovò se stesso, e la rabbia che riempiva la sua testa e le sue azioni da quando quella porta si era chiusa alle sue spalle, con la stessa violenza con la quale quella sentenza gli era stata sputata in faccia, con veemenza e rancore. E con un lampo di sincerità così violento e rapido che non aveva fatto in tempo a schivare, ed era arrivato, dritto dove doveva arrivare.
Non aveva sentito altra sensazione se non un dolore acuto, e secco, che gli aveva tolto il respiro per il tempo necessario di guardarla dritto negli occhi, l’ultima volta dopo che se ne era andata, e tirare in ballo Potter, l’agente esterno che avrebbe potuto mettere una distanza che gli era indispensabile per recuperare il se stesso di cui voleva disporre.
Per quanto cercasse di tenere a mente che l’offesa era stata rivolta a lui, che l’orgoglio ferito era il suo e che aveva tutto il diritto di essere arrabbiato, non riusciva a far tacere quella voce, la sua voce, che non lo aveva abbandonato un solo secondo.

E quella voce gli ripeteva quelle parole, quella sentenza e quella condanna, che per la prima volta forse nella sua vita, lo aveva inchiodato al muro e privato di qualsiasi difesa. La verità. Il rischio che fosse la verità quella che le sue labbra di fiore avevano pronunciato, velenose come raramente lo erano state. Quella volta non aveva trovato l’antidoto, e quel veleno si era sparso rapido e inesorabile e gli stava rodendo l’anima.

Lo aveva sempre saputo, a cosa sarebbero andati incontro. Lui stesso lo aveva capito per primo, quanto quella rosa sbocciata quasi d’improvviso e con violenza nel giardino dei suoi pensieri, la sua Hermione, potesse fargli male con le spine del suo stelo e con il veleno del suo profumo. Non aveva scoperto niente di nuovo, dopotutto.

A letto con suo padre.
Nessuna differenza.

Sentì il sapore del sangue in bocca, l’amaro che si mischiava al salato di lacrime invisibili, di rabbia e stizza per quel paragone che avrebbe voluto avere il diritto e la ragione, e il potere, di definire indecente e offensivo.
Eppure, l’immagine che aveva trovato a guardarlo, davanti a se stesso, nello specchio quella mattina, lo aveva spaventato.
Non aveva avuto il coraggio di soffermarsi sui propri occhi.

Fu questione di un secondo, ed era già alla porta di casa, diretto verso quella che avrebbe potuto rivelarsi con una spaventosa equa percentuale di probabilità, la sua salvezza o la sua condanna.

°°°

Camminando frettolosamente Hermione svoltò l'angolo e si fermò dopo pochi passi, alzando gli occhi verso l'imponente palazzo che aveva di fronte.
Tirando fuori le chiavi dalla tasca, le inserì nella serratura del cancello nero, spingendolo e notando con piacere che quell'insopportabile cigolio che lo aveva sempre distinto da quello del palazzo vicino era scomparso: non aveva dubbi che fosse stata opera di Draco, forse era finalmente giunto a minacciare il portiere di un licenziamento.
Salì le scale a piedi, veloce, fino a quando non iniziò a correre per gli ultimi tre piani, di modo che quando giunse davanti alla porta avesse una patetica scusa per quel fiato spezzato che le rompeva il respiro, facendola quasi singhiozzare.

Si soffermò a guardare la porta che aveva di fronte e inevitabilmente guardò il campanello lì vicino.
Sorrise passando un dito sulle lettere in ottone che risaltavano, impresse sopra:

Malfoy - Granger

La colse un brivido: non aveva mai letto quei nomi da quando era andata a vivere con lui, abituata ad usare le chiavi, non suonava mai il campanello e per la prima volta aveva letto i loro nomi uno accanto all'altro, conoscendo così l'effetto che le avrebbe fatto.
Strano. Era stato un brivido, forse.
Sorrise al pensiero delle espressioni che avrebbero colto i suoi amici nel leggere quei nomi e quella di Ron, se fosse andato lì per lei: lei stessa stentava a credere che potesse essere successo veramente. Eppure sapeva che non avrebbe saputo trovare la strada per tornare indietro.

Un'improvvisa voglia di quel tepore che quella casa le aveva sempre riservato si impossessò di lei, e la nostalgia dei gesti abituali che compiva spesso non le concesse neanche il tempo di rendersi conto di quello che stava facendo.
Tornò rapidamente indietro, estraendo dalla cassetta delle lettere la posta e finalmente inserì la chiave nella toppa ed entrò in casa.
Il grande salone, reso piccolo e confortevole dalla mobilia che lei e Draco avevano scelto, la salutò insieme alle fiamme del camino.
Richiuse la porta alle spalle e posò le chiavi e la posta sul tavolo, adagiando poi il cappotto sull'attaccapanni.
La casa era immersa nel silenzio, quel silenzio che lei non aveva mai sopportato fin da bambina, ma che Draco le aveva insegnato ad affrontare fino a trovarlo piacevole e rilassante. E quel silenzio in quel momento non le faceva paura, non le metteva ansia e angoscia come un tempo, ma la riscaldò memore dei pomeriggi passati con lui su quel divano, a leggere le fiamme nel camino e scambiarsi qualche sorriso tra le pagine di un libro.

Salì lentamente le scale, arrivando al piano superiore, cancellando una ditata che era rimasta lungo il corrimano. Sicuramente di Draco. Trovò una finestra spalancata che si affrettò a richiudere sbuffando: Draco aveva la mania di lasciar circolare l'aria, fredda o calda che fosse. Serrò la maniglia e si voltò: la loro stanza.
Aprì l'anta di un armadio, annusando il suo profumo e il suo odore: tutto sapeva di lui in quella casa, e si scoprì ad avere paura che il suo profumo invece fosse scomparso dopo che se ne era andata. Accarezzò le maglie riposte in ordine e ben stirate nei ripiani dell'armadio, ricordando la loro morbidezza accertata ogni qual volta lo stringeva in un abbraccio. Spalancò l'anta successiva: una serie di ripiani vuoti le comparve davanti agli occhi. Abbassò lo sguardo ferita.
Chissà se anche lui aveva avuto quel pensiero quando aveva aperto l'armadio. Chissà se si era ritrovato a guardare il loro armadio, a cercare tra gli scaffali le siagarette che ogni tanto si illudeva di riuscire a nascondergli, nel tentativo di farlo desistere a non fumarne una, conoscendo la sua pigrizia di fondo.
Fece per voltarsi, quando una macchia di colore tra i vestiti di Draco attirarono la sua attenzione. Allungando la mano, afferrò una camicia rossa, leggermente scollata: la sua camicia.
Evidentemente l'aveva lasciata lì nella foga di andarsene il giorno prima. Eppure era certa che se l'avesse dimenticata, era comunque nel suo armadio. Non poté fare a meno di sorridere compiaciuta nel rendersi conto che lui l'aveva trovata e posta tra le sue cose.

Ma era già sufficientemente in ritardo, doveva sbrigarsi.
Uscì da quella stanza ed entrò nella stanza adibita a suo studio personale, aprendo il cassetto della scrivania ed estraendo i fogli tanto cercati. Tutti i suoi libri erano ancora lì, in perfetto ordine sulla libreria. Si voltò e tornò al piano di sotto, recuperando le sue cose e uscendo. Chiuse in fretta la porta e ripercorse il viale, evitando di voltare le spalle e guardare ancora una volta quel campanello. Una volta fuori dal cancello si guardò intorno: la strada più breve sarebbe stata svoltare l'angolo e ripercorrere il tragitto di prima, ma non aveva voglia di attraversare per le vie più trafficate della città, e voltandosi a sinistra, si incamminò verso il vicolo secondario.

Quel Marzo non era da considerarsi eccezionalmente freddo, era stato anche meno piovoso del solito, per gli standard inglesi, eppure Hermione sentiva il gelo penetrarle nelle ossa e bloccare ogni suo passo, fino a quando non fu costretta a fermarsi, e a riprendere fiato, scoprendo che il suo respiro era mozzo, e che aveva anche iniziato a non vederci più tanto bene, avendo gli occhi pieni di lacrime calde che non voleva lasciar cadere. Non c’era nessun altro calore che avrebbe voluto, se non quel camino che in inverno non era mai sufficiente a scaldarli da solo… e il corpo di Draco, che chissà dov’era, quella mattina.





TBC



°°°



Ok... ci siamo anche con il terzo, che mi ha messo una tristezza infinita mentre lo scrivevo. -.-
Passo subito subito ai ringraziamenti, importantissimi, a:

- Zacarias : Grazie per l'incantevole recensione! ^^ Harry avrà spazio non ti preoccupare, anche perchè insomma... non per dire, ma il casino l'ha combinato lui! Grazie per la recensione, e inizio già da qui a chiedere scusa se ho perso un pò di capitoli della tua, mi rimetto in paro, ma ho avuto un gran bel da fare. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto.

- ADoris: Graaaaaaazie anche a te! Ti ho confuso le idee? Uhm... qui qualcosa dovrebbe apparire più chiaro, ma unicamente in chiave D\Hr. Per i tuoi pupilli... abbi pazienza, che tanto tocca pure a loro! Un bacio, grazie per la recensione!

- Samia : Ciao! Eheh... il caro vecchio Ron non delude mai! Ti piace la mia ironia? Che dire... grazie grazie grazie! Bacio per te. ^^

Ok, levo le tende. Per il prossimo capitolo prevedo un bel pò di fatica nel doverlo scrivere, ma cercherò di non metterci una vita, ecco. Ciao a tutti!

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Capitolo 4
*** Wish you were here ***




IV capitolo

Wish you were here





So, so you think you can tell?
Heaven from Hell?
Blue skies from pain
Can you tell a green field
From a cold steel rail?
A smile from a veil?
Do you think you can tell?

Wish you were here – Pink Floyd


Non avrebbe mai pensato che sarebbe andata a finire in quel modo.
Che un giorno, le parole di qualcuno che era la cosa più importante della sua vita che non fosse egli stesso, lo avrebbero portato a dover affrontare e sostenere quell’esame, che aveva cercato di rinviare fino alla fine, prendendo tempo e nascondendosi spesso dietro a delle azioni, che per quanto coraggiose e significative, non ponevano fine a quel dissidio che aveva dentro la testa.

Per quanto lo avessero ferito i suoi comportamenti, per quanto quella freddezza fosse valsa a gelare ogni piccola emozione dentro di lui, per quanto avesse provato ribrezzo al solo vederlo, quell’uomo era suo padre, e come tale scorreva inesorabilmente dentro di lui, nel suo sangue, nella sua educazione e soprattutto nel suo passato, che sapeva essere incancellabile.
La sua maledizione.
Qualsiasi strada avesse intrapreso, quella percorsa un tempo sarebbe rimasta alle sue spalle, e aveva sempre avuto la sensazione che dietro di lui mordesse il terreno, per cercare di riprenderlo e portarlo in quello che avrebbe dovuto accettare essere il suo posto.

Era del tutto convinto, che non si meritava la sua visita. Ma non lo faceva di certo per lui.
Draco non aveva mai avuto molta immaginazione, non aveva mai sperato ad alta voce né fornito motivo a qualcuno di poter pensare che fosse solito farlo tra sé e sé.
Sapeva cosa fare e come farlo, in genere, azioni sicure frutto di lunghe riflessione nel buio della sua camera da prefetto, o del suo studio o del suo ufficio. Odiava la teoria faceva affidamento unicamente sulla pratica.
Ed era probabilmente per questi motivi, che suo padre ricevette uno sguardo sinceramente stupito da suo figlio. Uno stupore che non lo riguardava neanche lontanamente, a ben pensarci.

Se ne stava lì, davanti a quella cella, senza dire niente, gli occhi fissi nei suoi ma persi nel vuoto che gli davano in risposta. Eppure in quel vuoto, Draco sembrava leggerci una qualche risposta, un qualcosa di interessante, forse persino importante.
Non avrebbe mai creduto che suo padre, Lucius Malfoy, lo avrebbe portato a dover firmare un compromesso. Dover accettare di vivere in mezzo a quella gente, babbani, per cercare di salvarsi la vita, agire nell’ombra, rischiare la propria reputazione, nascondere ogni preoccupazione e timore, e tutto quello lo aveva accettato perché lei glielo aveva imposto.
Obbligato da una donna, da Hermione Granger, della quale per giunta si era anche innamorato.

E mentre fissava quegli occhi, osservava la loro luce, ancora non contaminata dalla pazzia, anche se ormai era solo un pallore dell’antico bagliore fulgente che c’era un tempo, sentiva qualcosa stringergli la gola.
Forse avrebbe pianto dal sollievo e dalla felicità, se non si fosse trattato di Draco Malfoy.
Lì in piedi, con i suoi occhi in quelli del padre, aveva un solo pensiero per la testa, non meno doloroso di tutti gli altri che aveva pensato potesse aver provato.
Vorrei che fossi qui, Hermione.

Qui, accanto a me, e di fronte a lui, per vedere quanto siamo diversi.


°°°

- Buongiorno.
- …
- Grazie, anche a te.

Seppur avesse voluto evitare che accadesse – ma non era quello il caso – quel sopracciglio avrebbe fatto ugualmente di testa sua, alzandosi e andando ad esprimere tutta l’insofferente e nervosa perplessità per la scena alla quale aveva appena assistito.

- Si può sapere con chi stai parlando?
- Con il tuo inconscio, che mi ha augurato con un espressione umana una buona giornata, mi pare ovvio. Sai che nonostante voglia negarlo, io sono un uomo speranzoso.

Blaise era l’unica persona che Draco avesse mai conosciuto, che parlava con tutti senza guadare mai in faccia nessuno. Ne aveva incontrate a dirla tutta, di persone così nell’arco della sua esistenza, ma Blaise era l’unico che riuscisse a far passare quella forma di maleducazione – o debolezza – inosservate, con una elegante noncuranza. Era sempre troppo preso a fare altro, qualsiasi altra cosa, per poter anche guardare in faccia chi gli rivolgeva la parola.
In quel momento, per esempio, era chino su una scrivania, e stava riempiendo una pergamena con la sua minuta grafia.
Draco allungò lo sguardo sopra la spalla di Blaise. Si trovò ad assottigliare gli occhi, nel tentativo alquanto stancante di distinguere qualcosa di familiare in quella linea continua di inchiostro nero che segnava la pergamena.
Grafia minuscola ma estremamente fluida ed elegante. La sua mano era stretta con vigore attorno alla piuma, scorreva rapidamente accarezzando la pagina ruvida, non sostava mai a mezz’aria, neanche per il dubbio di un secondo, si sollevava dal foglio solo il minimo indispensabile. E non c’era neanche una sola macchia d’inchiostro.

Draco si allontanò da Blaise con un sospiro stanco e annoiato, e andò ad afferrare un plico di fogli di pergamena adagiati sulla sua scrivania.
Dita lunghe e sottili, che impressero con una certa violenza, seppure tremassero, la loro impronta trasparente sulla carta leggera di quei fogli, nel leggere un nome in fondo alla pagina.
Hermione Granger.
Cercò senza aiutarsi con lo sguardo una piuma per mettere la sua firma e spedire in amministrazione quel documento. La trovò poco dopo.
Draco Malfoy.
Quella era l’unica occasione, ultimamente, in cui lui ed Hermione erano accostati, vicini, nonostante le loro firme non si sfiorassero neanche, nei lineari settori dello spazio ritagliato per loro sul documento.
- Ma che diavolo stai scrivendo, si può sapere?
L’aggressività che riversò nella domanda di Blaise, recava macchie d’inchiostro nero accanto ad inchiostro blu. Non era con l’amico grafomane che se la stava prendendo, e parve ovvio ad entrambi, in una sfumatura di rabbia e in un sorriso sardonico, rivolto ad una parola che si discostava non poco da un motivo di sorriso, che Blaise stava scrivendo in quel momento.
- Una lettera.
- Un’altra?
- Paghi tu le inesistenti spese postali?
Un grugnito gli fornì la risposta. Ci mancavano solo le spese postali, pensò in un mugugno mesto Draco, mentre faceva cenno di entrare a chi era dietro la porta da quasi un minuto.

Blaise aveva sempre qualcosa da scrivere. Era molto compiaciuto, tra l’altro, della sua grafomania e non perdeva occasione di poter scrivere qualcosa a qualcuno. Contrariamente a quanto chiunque si sarebbe potuto aspettare da uno come lui, non era mai per se stesso che scriveva. O almeno così sosteneva lui. Le lettere erano indirizzate tutte ad altri – o meglio altre – che non fossero il suo ego, il suo io, o la sua persona per intendersi.
Fingeva in quelle pagine e pagine senza fine, di abbracciare il cortese ideale del vassallaggio d’amore, lodando ed elogiando la bella di turno, nel tentare di spiegarle come potesse essere capitato che non volesse più saperne di lei.

- Signor Malfoy scusi, ci sarebbe quel documento da spedire al più presto, mi chiedevo se…
Odiava i giri di parole. Questa la risposta che la graziosa ragazza sui vent’anni avrebbe potuto darsi, dopo essersi chiesta cosa avesse mai detto di tanto sgarbato o fastidioso per vedersi quasi lanciare i fogli, con un gesto brusco e uno successivo di sbrigativo commiato.
Odiava anche quelle patetiche scene tipiche di una portineria. Questa la seconda motivazione di quel gesto e quel congedo.

- Credo di essere in debito con te.
- Dovresti smetterla di portartene a letto una diversa a settimana, Blaise. Ora puoi spedire quell’ammasso di stronzate, immagino.
- Sinceramente, Draco, penso che tu dovresti provare a scrivere qualcosa di diverso da una sterile firma su un documento. Visto che non sei in grado di esprimerti umanamente a voce, ti consiglierei sul serio di scrivere piuttosto quello che dovresti saper dire ed esprimere.

Lo avrebbe volentieri mandato dove meritava di essere, se solo non fosse profondamente infastidito dal pensiero di risultare rozzo e volgare rispetto agli standard cortesi e raffinati di Blaise. Alla fine, aveva optato per un velato eufemismo, che non poteva sapere, si sarebbe poi trasformato nelle ormai note Ultime Parole Famose.

- E io penso che mi vedrai alle prese con una lettera solo quando il mio peggior nemico, e sottolineo peggiore, l’uomo più nefasto esistente a questo mondo, busserà alla mia porta disarmato.

Gli fu concesso solo un silenzio di pochi secondi.

- E’ la sagoma di Potter, quella?

Fu con un sorriso, che Blaise a braccia conserte, appoggiato al bordo del tavolo, ammirava un Draco Malfoy con una piuma in mano, e un foglio completamente vuoto, e delle grandi verità e atroci ammissioni da dover mettere per iscritto.
Conoscendo il tipo, non si meravigliò affatto nel sentirsi attribuire dallo stesso Malfoy, una nascita ben poco nobile e aristocratica – ed etica – quale vantava di avere.

°°°

My, my baby blue
Yeah, I've been thinking about you
My, my baby blue
Yeah, you're so jaded
And I'm the one that jaded you

Jaded - Aerosmith


Ginny Weasley amava la gente. Le piaceva girare per luoghi affollati mano nella mano di qualcuno così come da sola, trovava divertente la calca nelle vie principali di Londra all’apertura dei saldi, non aveva mai perso l’occasione di andare ad una festa, e le piaceva da matti interagire con chiunque le fosse intorno.
L’eccezione che confermava la sua regola, era il Ministero della Magia, per il semplice fatto che non sopportava neanche una delle persone che lo frequentavano, escluso suo padre ed Hermione.

Maghi in carriera con la puzza sotto al naso, donne stressate legate in rigidi tailleur grigio topo sommerse da scartoffie, i corridoi risuonavano solo del rumore pedante dei loro tacchi sul pavimento di marmo pregiato.
Le porte sbattevano continuamente, non c’era un solo mago che accompagnasse gentilmente la porta allo stipite, e se c’era una cosa che lei non riusciva a tollerare, erano le porte sbattute con forza, qualunque fosse il motivo di quella mancanza di tatto e grazia. A casa sua, quando qualcuno era nervoso, si premurava sempre di fare il giro della casa per chiudere le porte, fin da quando era bambina.

Storcendo il naso superò un capannello di uomini in cerchio, concentrati su una cartellina al centro, tenuta da quello che probabilmente svolgeva un ruolo di preminenza: dare ordini, delegare a qualcun altro l’incarico di controllare che venissero eseguiti.
Sorrise forzatamente ad una ragazza che le sfrecciò accanto, osservò incuriosita una giovane donna, che dovette evitare. Stava leggendo con dolorosa attenzione un foglio che aveva l’aria di una lettera. Ginny si voltò, seguendo con lo sguardo la schiena della giovane, sempre più curva ad ogni riga letta.
Poi, lo vide.
Una porta dopo quella dove lei stava sostando in quel momento, fissava contrariato l’insegna sul vetro lucido, ostinato a non bussare evidentemente. Aveva portato una mano sulla fronte e si era scompigliato quei ciuffi ribelli della sua frangetta, scoprendo del tutto involontariamente quel segno indelebile che aveva sulla fronte.
Un tempo era lei, a farlo e senza poterlo impedire Ginny si ritrovò a fare lo stesso gesto su se stessa, sebbene fosse molto meno piacevole come occorrenza: il segno che le era rimasto era ben diverso da una cicatrice, semmai sarebbe rimasto quello della porta che le era arrivata in faccia prima che potesse fare un passo indietro.
Soffocò un urlo di dolore e si morse un labbro, ancora un po’ frastornata.

- Oh Dio, mi scusi tanto, le ho fatto male?

Le era giunta in lontananza una voce ovattata, manierata ed esageratamente costernata. Non sapeva neanche chi fosse, dopotutto. Scosse la testa massaggiandosi il punto colpito e abbozzò un sorriso di circostanza.

- Non importa, non mi ha fatto male.
Non più di altri, almeno.

Quando la porta incriminata si fu richiusa una volta per tutte, trovò dritta davanti a lei un sorriso pronto a diventare qualcosa di più e due occhi scintillanti di enfatico divertimento. Ancora in piedi davanti alla sua porta, Harry Potter stava ormai ridendo, come non lo sentiva fare da tempo. Non che fosse convinta che non lo avesse più fatto, semplicemente lei non aveva avuto molte occasioni per potersene rendere conto.

Avrebbe voluto ridere anche lei, ma non ci riusciva. Era quel qualcosa che le premeva sullo sterno e che pulsava in gola che sbarrava il passaggio a quell’allegria di cui aveva bisogno in quel momento. Eppure, prima che i suoi occhi iniziassero a divenire così lucidi, era stata certa che quel sorriso le aveva raggiunto almeno gli occhi, perché Harry non aveva smesso di ridere, e tanto meno di guardarla.
Guardarla in quel modo, con quel misto di rispetto e tenerezza che aveva sempre anche quando la toccava, la prima volta come la seconda, come l’ultima.

- Harry.

Era quello il suo saluto, l’unico che in quel momento potesse permettersi. Allora lui aveva smesso di ridere e si era avvicinato di pochi passi, pur mantenendo quella distanza provvidenziale.

- Come stai?

La sua voce si era spezzata d’improvviso, a metà frase e non era più tornata come prima, per tutto il resto del loro discorso, costruito con parole fugaci e sguardi interdetti, incerti, febbrili. Che domanda era, la sua? Tutti avrebbero potuto conoscere la risposta, lui più di altri. Ginny non era affatto brava a nascondere le proprie sensazioni quando si trovava davanti l’artefice e la causa delle stesse.

- Un po’ indaffarata.

Avrebbe voluto rigirargli la domanda, ma non ce la fece. La sua vista iniziava a perdere nitidezza e aveva lasciato che il panico la cogliesse quando si era resa conto che era vicino alle lacrime. Aveva pregato tutte le divinità della terra perché le permettessero di incontrare Harry. Era l’unico modo per poterlo vedere ancora, dopo la decisione di non cercarlo volontariamente. Si era affidata ad un destino truccato, e ora sentiva qualcosa scoppiarle nel petto ad ogni respiro, il che stava risultando persino doloroso. E non si era mai sentita tanto stanca come in quel momento.

Ancora tu
Non mi sorprende lo sai
Ancora tu
Ma non dovevamo vederci più?
E come stai?
Domanda inutile
Stai come me
E ci scappa da ridere

Ancora tu – Lucio Battisti


- Ma che ci fai qui?
- Ti va un caffè?

Le aveva proposto ignorando del tutto la sua domanda. Chissà se l’aveva sentita, dopotutto, aveva coperto le sue parole frettolosamente.
Digli di no, digli di no.


- Perché no?

Stupida. Stupida. Stupida.
Stupida e innamorata.


Con un gesto impacciato le fece cenno di seguirlo. Gli si accostò, e facendo bene attenzione a non sfiorarlo neanche per sbaglio, lo seguì. Camminava accanto a lui, con una compostezza e un imbarazzo che non aveva mai provato, neanche quando tra loro le cose avevano iniziato a precipitare vertiginosamente, in quel turbine di incomprensioni e bugie dal quale si erano lasciati travolgere.
Sbirciò cautamente verso di lui, una sola occhiata, uno sguardo veloce, niente di più, solo per rendersi conto che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che pensare a quanto avrebbe voluto che lui fosse stato lì, con lei.
Ci fu un attimo in cui pensò anche di dirglielo. Sarebbe bastato davvero poco, accostarsi a lui e sollevare la testa, cercare i suoi occhi e raccontargli tutto.
Di quando la sera non aveva altro da fare se non maledire il suo orgoglio e la sua capacità di fare sempre la scelta sbagliata.
Intere notti a pensare a lui.
Vorrei che fossi qui.

La caffetteria era proprio dietro l’angolo: era funzionale, arredata in modo informale e piena di gente. C’era un buon profumo di caffè caldo, e il rosa antico della fodera di ogni sedia era delizioso, ebbe modo di pensare Ginny.
Così perfetto, e così freddo.
Non aveva niente a che vedere con loro due.
Afferrò d’istinto la mano di Harry – quasi spaurita dal pensiero che il loro rapporto potesse assomigliare anche solo lontanamente a quel posto – e voltò le spalle all’insegna.
Lui non si ribellò, sul momento le sfuggì quell’irrigidimento delle spalle. Guardando la strada che aveva davanti, pensò bene di non voler conoscere l’espressione di Harry. Fosse stato per lei, quella mano non l’avrebbe mai lasciata, ed era stato un gran sollievo scoprire che le loro mani potevano ancora unirsi così saldamente. Restava solo da scoprire se le loro dita sarebbero ancora state in grado di intrecciarsi come un tempo, così strette da dare quasi l’impressione ad entrambi che avrebbero vissuto la loro intera vita così, mano nella mano.
Ma era stata solo un’impressione.

- Andiamo al Paiolo Magico.

Aveva sussurrato al vuoto che aveva davanti. Harry non aveva detto niente, ma si era incamminato verso l’angolo a destra, verso il Paiolo Magico, mentre si trovava a maledire quel passante, che tagliandogli la strada, lo aveva costretto a lasciare la mano di Ginny.
Passandosela tra i capelli, pensò che avrebbe trovato un modo prima o dopo per riprenderla ancora e scaldarla nella sua.
Lo avrebbe trovato eccome.



TBC



Mi scuso per il ritardo, ma come avevo avvisato, ho avuto un pò di problemi poco piacevoli da risolvere, di cui in parte devo ancora occuparmi.
Questo capitolo l'ho dedicato alle prossime azioni che proteranno delle conseguenze - non prevedo niente di semplice in effetti - e... beh ho dato un piccolo spazio anche a Blaise, perchè ho una sorta di dipendenza da lui. ^^
E ora, i ringraziamenti doverosi, siete troppo carini ^^'

Sabry: Lieta che Ginny ti sia piaciuta, ogni volta è una fatica. Questa è la Ginny che piace a me, solo che ogni tanto temo di discostarmi troppo da quella della Row. Quel capitolo era un pò triste si, ma questo lascia buone speranze. Almeno credo. ;)

Clo87: Graaazie!! Chiedo scusa per la lunga attesa, ma in compenso questo è meno triste infondo, no?

Evian: * scava una buca e si sotterra* troppo buona\o sul serio. :)

ADoris: Eccoli Harry e Ginny. Che ne dici, fanno progressi questi due? Draco ed Hermione sono... non lo so, non ho parole neanche io per definirli. Ora come ora mi vengono in mente solo un pò di insulti per la fatica che mi fanno fare, ma li adoro infondo. Affidiamoci a Blaise, chissà che non aiuti a sbrogliare la situazione! ;) Baci anche a te!

eva_elamela: Mamma mia che commentone, grazie! Hai ragione, quella sul vecchio Lucius non è stata una genialata della nostra Hermione... e poi dicono alle serpi, che hanno la lingua biforcuta! Draco ed Hermione sono sempre difficili da capire, mannaggia a loro, ma vediamo se ti do una mano. Hermione ha detto una cavolata immensa, per lei, ma Draco che da sempre ha avuto a che vedere con il confronto con suo padre, qualche perplessità se l'è fatta venire. ^^ Per il resto... beh, credo che il titolo di questo capitolo sia inequivocabile! ^^ Un bacio.

Samia: Ron ringrazia molto, è molto gratificante per lui essere apprezzato. ^^ Le tue recensioni sono sempre bellissime, sai? Grazie mille davvero!

Allora, per oggi ho concluso. Mi metterò al più presto al lavoro per il prossimo capitolo, temo che mi aspetti una bella chiacchierata in caffetteria e una rispolveratina al caro vecchio Jacopo Ortis e alle sue lettere! Grazie a tutti per l'appoggio e le recensioni che lasciate, sono davvero di grande aiuto! E un thanks anche a chi legge senza recensire.

Un bacio,
Bris.

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Capitolo 5
*** Reverie ***


V capitolo

Reverie



- E insomma, di che avete parlato?

Aveva finto con un sorriso serafico di non percepire la gravezza della voce di Hermione, ben più attenta che non le sfuggisse quanto le pesasse dover rivolgere quella domanda a lei anziché ad Harry piuttosto che a sentirsi rispondere.
Le camminava al fianco con passo tranquillo, perdendo di tanto in tanto lo sguardo oltre le vetrine della Londra babbana, eppure ad uno sguardo attento come quello di Ginny Weasley, non sarebbe mai potuto passare inosservata la spasmodica stretta delle sue dita intorno alla tracolla della borsa.
Si mostrava rilassata e padrona delle proprie azioni, prima di risponderle Ginny si soffermò sulla sua figura discretamente alta, le spalle ostentatamente dritte e il passo deciso e lineare, verso una meta che era all’esatto opposto del luogo dove avrebbe voluto recarsi.

- Di noi, di quello che ci era successo, delle banalità della vita, di te.
- È un passo in avanti, se non altro.
- Già, lo abbiamo pensato anche noi.

Ribatté mordendosi un labbro per non sorridere. Di te. E lei non lo aveva percepito, troppo presa a pensare a tutt’altro. Non perse tempo ad offendersi, anzi preferì prenderla sul ridere, avendo la certezza che prima o poi ci sarebbe arrivata.

- Di me?
- Meglio tardi che mai. Comunque si, sei stata citata.
- Come mai la cosa non mi piace per niente?

Ginny scrollò le spalle mentre si fermava a guardare un vestito esposto in una vetrina. Troppo costoso, troppo avvitato, troppo tutto per lei, ma nonostante questo aveva la capacità di trovare il modo di immaginarlo addosso a lei senza passare attraverso diversi patemi d’animo.
Le capitava raramente di farlo, ma Hermione la invidiò.
O meglio invidiò la sua capacità di non guardare mai in faccia nessuno quando si trattava di se stessa, il suo assoluto disprezzo per il timore e la vergogna di sé nel commettere un eccezione alla regola di tanto in tanto, la libertà con la quale prendeva a male parole qualcuno e chiedeva scusa l’attimo dopo.

- Non credo che sia rilevante, contando che lo spazio che ti abbiamo riservato è andato da un sorriso di Harry al bacio che gli ho dato.
- Dici sul serio?

Hermione non era tipo da spregiudicate ed euforiche dimostrazioni di affetto o peggio ancora di sorpresa. Tendeva sempre a porre davanti a sé quel controllo con il quale affrontava le giornate del mondo. Uno spreco di energie, a quanto sembrava a Ginny, effettivamente. Non a caso per l’occasione, inciampò senza tante cerimonie nel lungo cappotto di un distinto uomo d’affari di passaggio, il cui primo istinto fu quello di portare all’altezza del cuore la propria valigetta.

- Scusi.

Non le giunse risposta dal suddetto signore, ma poté sentire accanto a lei, Ginny reprimere a stento uno sbuffo e cercare di mascherarlo con un colpo di tosse. Scoppiò a ridere un attimo dopo, cogliendola un po’ di sorpresa a dire la verità, ma fu questo a riservarle una maggiore soddisfazione.

- Dirlo agli altri è molto più semplice, eh?

Non lo direbbe nessuno che una persona come Ginevra Weasley sia in grado di far scomparire il sorriso dal volto della gente con la stessa spontanea semplicità con la quale li fa apparire. E dire che Hermione le stava anche particolarmente a cuore. La vide sfregare le mani nelle tasche, e contrarre le labbra in un broncio appena accennato. Annuì impercettibilmente, forse Ginny non se ne accorse neanche.

- Già.
- Hermione posso…
- No, non puoi. Lo so già da me.

Fu l’ennesima conferma di chi fosse Hermione Granger. Così Ginny non si sentì in dovere di domandarle dove andasse quando le aveva voltato le spalle per tornare indietro, né di recitarle una sfuriata che avrebbe reso fiera l’intera generazione di mamme Weasley per averla lasciata sola in mezzo ad una strada. Mise a sua volta una mano in tasca fino a trovare nel fondo abbastanza spiccioli per consentirsi di entrare in pasticceria e non uscirne a mani vuote, e poi si diresse verso casa di Harry, con una naturalezza tale da farle venir voglia di urlare al mondo intero, che finalmente qualcosa stava andando per il verso giusto.
Per quella mania che hanno i Weasley che li porta alla convinzione che all’umanità possa davvero interessare cosa combinano nella loro scadente vita di terza mano.
Pazienza. Se Hermione lo voleva, che lo riprendesse pure, nonostante quel genere di pensieri che rivolgeva spesso a chiunque non fosse Hermione. Non fosse Hermione e lo amasse.

°°°

Facendo bene attenzione che nessuno scorgesse il suo elegante profilo attraversare il corridoio e raggiungere una porta, Blaise Zabini sgattaiolò con il portamento di un gatto fino alla porta di quello che un tempo era il suo ufficio.
Lanciandosi un’occhiata guardinga intorno, bussò con calcolata insistenza alla porta con le nocche delle sue mani perfettamente curate, e attese. Gli giunse un imprecazione poco conforme alla finesse con la quale lui era solito esprimersi, il che poteva essere tradotto con un permesso ad entrare da parte di Draco Malfoy.

- Passavo a vedere come avevi ridotto il nostro ufficio.

Comunicò spostando gli occhi lungo il perimetro della stanza.
Principiante.
Quando per la prima volta si era trovato nelle condizioni di dover scrivere una lettera – e per motivazioni del tutto antitetiche a quelle di Draco – aveva avuto bisogno di una sola brutta copia. A dire dalla quantità di pallottole di carta ammassate lungo la parete invece, sul pavimento, Draco non possedeva quella fine cortesia che a lui era congenita.

- Oserei dire che tu sei messo peggio però.

Osservò scostando una sedia e frugando nel porta penne appoggiato sulla scrivania, in cerca di una sigaretta. Una vera comodità aver finalmente scoperto dove il suo collega nascondeva la scorta giornaliera. Alla Granger il fumo non piaceva molto, in casa.
Beh, di certo anche Draco in casa con lei era dedito a ben altri vizi. Almeno sperava, Blaise, vista la situazione in cui era ridotto.

- Trovi?

Mugugnò quello in risposta, mentre tracciava l’ennesima riga di inchiostro nero sulle cinque parole che macchiavano il foglio. Blaise si sporse verso di lui, porgendogli il palmo della mano sollevato.

- Occhiaie, capelli in disordine…

Draco poggiò con aria truce un accendino magico sul palmo aperto della mano di Blaise. Quello chiuse le dita intorno all’oggetto metallico e accese la sigaretta con uno sbuffo di fumo e un sussurro roco di piacere.

- Dita macchiate di inchiostro… direi di sì. Consolati, non tutti sono capaci come me del resto.

Il gesto di disperazione che portò Draco a immergere le mani tra i capelli, è da considerarsi del tutto indifferente all’affermazione dell’amico. Non essere come Blaise era invece una gran consolazione, per lui. Accartocciò furente il nuovo foglio e scagliò la piuma contro la parete.

- Basta. Non sono capace, Blaise, non fa per me questo metodo risolutivo.
- Certo che non fa per te. Per scrivere una buona lettera d'amore, bisogna iniziare senza sapere cosa si vuole dire e finire senza sapere che cosa si è detto *. Dubito che tu possa riuscirci.
- Fottiti Blaise.

Incomparabile l’odio represso che gli aveva deformato l’espressione del volto, nell’allungarsi verso Blaise e strappargli di labbra la sigaretta della giornata.

- Volgare e irascibile. Se Hermione ha veramente un cuore gentile, abbandona ogni speranza, mio caro. E comunque la sigaretta la stavo fumando io.
- La tua consulenza non vale due soldi, dovrò pur essere rimborsato.
- Anche venale, non mi stupisco che la tua damigella sia arrivata a preferire un becero con il viso sfregiato, se quello di cui le parli mentre ti congiung-
- Ah, io vado a casa.

Blaise annuì distrattamente, mentre ne approfittava per impossessarsi della piuma e della carta di Draco, con noncuranza accuratamente preparata, ben deciso a non proferire più alcuna parola fino a quando non avesse avuto la certezza che Malfoy avesse fatto quello che aveva annunciato: andare a casa.
E se i suoi piani, frutto di studi e ragionamenti notturni, erano corretti – e non c’era neanche da dubitarne – finalmente anche per lui le giornate lavorative sarebbero state meno stressanti, con un Draco Malfoy rilassato e sessualmente appagato.
Pardon , sentimentalmente tranquillo.
Come aveva potuto confondere i due concetti.

°°°

Le chiavi sono nel vaso accanto alla porta.

Quell’appunto mnemonico trasferito su carta tutte le volte che doveva uscire prima, o tornare più tardi.

Weasley ha proposto un invito a cena. Ricordati di dirgli di no.

Il divertito disappunto con il quale leggeva quei lapidari messaggi che lui le lasciava sul ripiano della sua scrivania, la discrezione con la quale scostava tutte le scartoffie di cui era ingombra per ritagliare uno spazio preminente al suo interesse, come gli avevano insegnato a fare e come aveva accettato felicemente di imparare.

Poggiò le chiavi sul tavolo e si sedette sul divano. Meno in ordine del solito, ma sempre quello. Era la seconda volta che rimetteva piede in quella casa da quando lei stessa l’aveva lasciata, e la vicina non le era mai sembrata tanto gentile e simpatica come quel giorno, e il cancello di nuovo cigolante aveva emesso una sorta di melodica cantilena quando lo aveva aperto, altro che stridore insopportabile come lo chiamava un tempo.

Tutta quella nostalgia non le fece venire altra voglia se non quella di tornare in pianta stabile in quella casa. Non avrebbe mai dovuto lasciarla e certamente non avrebbe neanche dovuto dire quelle cose riguardo… stava giusto per finire il pensiero, quando la serratura della porta iniziò a girare più e più volte, senza riuscire ad aprirsi.

°°°

Non che sia una novità o una notizia sensazionale, ma mentre cercava frettoloso la giusta chiave nel groviglio di chiavi che aveva in mano, Draco Malfoy era notevolmente arrabbiato.
E ciò che era peggio, stava nel fatto di essersi reso conto dopo tre passi che tutta la sua rabbia era tutt’altro che indirizzata a Blaise.
Tanto per cominciare lui si trovava al freddo sul pianerottolo cercando in ogni modo di esplicare quel dannato mazzo di chiavi per cercarne una che aprisse casa sua, quando Hermione era probabilmente seduta accanto a un Weasley – uno qualunque, c’era una vasta possibilità di scelta dopotutto – al tepore di una casa che per quanto odiasse pensarci, in qualche modo era sempre stata anche un po’ la sua.

In secondo luogo, aveva trascorso un’infinità di sere in quella casa vuota a convincersi che tutto sommato da solo stava anche meglio per poi dover scoprire di essere il miglior mentitore, il più abile bugiardo mai esistito, questa volta a sue spese. Ed è inutile dire che l’espressione a proprie spese per lui era tutt’altro che tollerata.

E, come terza cosa, dopo ben due punti dell’analisi delle sue misere condizioni, non aveva ancora trovato la chiave giusta. Aveva appena deciso di buttare giù la porta con la forza se quella non fosse stata la chiave adatta, quando la porta si aprì. Dall’interno.

°°°

Hermione aveva avuto da sempre la capacità incontrollabile di non essere mai colta di sorpresa.
Per quanto le situazioni versassero in condizioni poco rassicuranti, o del tutto catastrofiche e come detto imprevedibili, lei trovava sempre quel particolare elemento che le fosse noto per mettere a posto qualcosa, o una toppa da qualche parte.

In quel caso ad esempio, era già dentro casa.

Così, quando aveva aperto la porta in uno stato di semi incoscienza, ancora una volta quello stupito e colto alla sprovvista era stato Draco.
Se non si fossero quasi lasciati, Hermione avrebbe avuto materiale per cui ridere per i prossimi decenni, fosse stato anche solo per l’espressione che si era dipinta sul viso di Draco nel vederla.
Almeno la prima impressione era stata di un quadretto terribilmente comico.
Il palco di quella commedia si era però smontato non appena lui aveva chiuso la porta con un colpo di spalla e l’aveva guardata. Dritto negli occhi.

- E’ la chiave blu.
- Me lo ricorderò.

“Dici sempre così” – “Fosse vero”

Poggiò il mazzo di chiavi sul tavolo e rimase a guardarla, fino a quando Hermione non percepì distintamente una forte insofferenza per quella distanza che c’era tra i loro corpi. Ma sapeva che non poteva permettersi di saltare un gradino, o sarebbe caduta rovinosamente, portando con sé lui e la loro storia, che era determinata a non lasciar terminare così.
C’erano ancora molti altri paragrafi da aggiungere.

- E’ colpa mia. Lo ammetto, sono stata indelicata, maleducata e soprattutto ho capito di aver sbagliato troppo tardi, ma se non altro ho capito.

Iniziò in fretta prima che lui potesse interromperla come ogni tanto era solito fare.
Draco odiava le premesse, quando Hermione non poteva farne a meno, erano la sua fase preparatoria, quel momento in cui metteva da parte l’orgoglio e affrontava l’ostacolo. Non poteva saltare neanche quel gradino, ma certo, figurarsi se lui avrebbe fatto lo sforzo di capirlo.

- Ah, ti prego. Se stai cercando di dirmi che per capire che hai sbagliato hai dovuto mettere in pratica quello di cui mi hai carinamente additato, evita di farlo.

Hermione socchiuse le labbra, assottigliando gli occhi. Un espressione che si addiceva così poco ai lineamenti regolari del suo volto, quello sguardo di incomprensione che raramente le aveva visto nascere, e quel timore recondito, di non essere a conoscenza di qualcosa che si sarebbe rivelata essenziale conoscere.

- Magari arriverai a dirmi che mio padre è anche migliore di me, ora.

Soggiunse serrando le braccia e appoggiandosi al tavolo.
La mente e i ricordi fanno sempre di testa loro, e per quanto Hermione si sforzò di non farlo, ci pensò subito. Al giorno in cui se ne era andata sbattendo la porta, quando lui era appoggiato nella stessa posizione al ripiano della cucina, e il sugo stava per bruciarsi.
E poi comprese il significato delle sue parole e scoppiò a ridere.
Una mossa azzardata, ridere davanti a Draco Malfoy, e per di più ridere esplicitamente di lui, eppure lei si permise di farlo, così spontaneamente e senza la minima traccia di scherno, che glielo concesse e non mise mano alla bacchetta.
Come avrebbe potuto, fare una cosa del genere ad Hermione Granger?
Dannata ragazza, non sopportava essere limitato nelle sue possibilità di azione.
Se non fosse che l’amava.

- Non c’è nessun termine di paragone di cui devi temere, Draco.
- Ti assicuro che non-
- … hai mai temuto nessun termine di paragone, ovviamente.

Bene, quella era una evidente dichiarazione di guerra da parte sua, a partire dal tono fin troppo ironico e dall’occhiata derisoria che gli aveva lanciato.

- Quindi queste sono le tue scuse?

Domandò aspramente, evitando con accuratezza di guardarla. Perché se lei avesse solo fatto un cenno di diniego, smentito quanto detto, o preso le sue cose per salutarlo definitivamente, glielo avrebbe letto negli occhi, quel lampo di disperazione che il buio di quella casa aveva sopito per tutto quel tempo.

- Si. Libero di accettarle o no.

E poi lo aveva baciato.
Erano queste cose di Hermione, che lo facevano impazzire.
Quando si era reso conto dell’effetto che producevano su di lui, aveva perso del tempo ad arrabbiarsi e a scongiurare chissà chi che si fosse sbagliato. E invece, il suo percorso era arrivato a quel punto, in cui Draco Malfoy si lasciava baciare da Hermione Granger, in casa loro.

- Non c’è niente che devi dirmi, tu?

Domandò lei, mentre tornava a sentire Draco realmente vicino, pelle contro pelle, così fastidiosamente separate dal tessuto di quei vestiti, troppo inutili perché rimanessero ancora a vestire i loro corpi.
Ci pensò Draco a slacciare i bottoni della sua camicia, mentre posava le labbra sul suo collo scoperto, il profumo di quella mattina era ancora forte su quella pelle, e prese un profondo respiro, quell’odore di Hermione era come aria nei polmoni di chi è stato per troppo tempo in un apnea forzata, alla quale non era preparato.

- Ad esempio?

Sussurrò rocamente contro di lei, mentre faceva scivolare la camicia dalle sue spalle, e lasciava l’impronta della sua bocca proprio lì, su quella spalla che spesso aveva circondato con un braccio, seduti l’uno accanto all’altra nel silenzio di quel salone. Hermione parve al momento disinteressata alla sua domanda precedente, ma sapeva perfettamente che era questione di poco tempo, dovuta al fatto che l’assenza di bottoni sul suo maglione rendeva il tutto più complicato.
Accidenti a me e a quando gli ho regalato questo maglione.
Un pensiero intriso di tenerezza, mentre passava le mani sulla sua schiena.
Sentì i muscoli del suo corpo tendersi sotto al suo tocco, aveva le mani calde nonostante venisse da fuori.

- Sei stranamente, oserei dire felice di rivedermi, a dispetto di quanto eri distrutto quando me ne sono andata.

Rispose.
Draco non smise di accarezzare il suo corpo, non si privò delle sue labbra, non smise di cercare la sua lingua e incatenare il suo viso tra le mani, nonostante quelle parole avessero provocato il gelo da qualche parte dentro di lui.
Quel tono così duro e tagliente, in quella voce che con lui non si era mai rivelata tanto aspra, l’offesa che bruciava scottante nella sua gola, mentre lui le piegava la testa e le strappava un altro bacio.
Poi serrò le sue dita sul polso di Hermione e la portò con sé, al piano di sopra, senza darle tempo di protestare. Una protesta che non sarebbe mai avvenuta, si stupì della docilità con la quale si era fatta incatenare, e la sicurezza con la quale seguiva i suoi passi.

La loro camera da letto era impeccabile come sempre. La lasciò andare bruscamente, lei scivolò sul letto, ancora ansante, la camicia abbandonata sulle sue spalle e semi aperta, alcuni tratti di pelle arrossati, per la furia dei suoi baci.

Lo guardò afferrare la propria bacchetta e aprire con gesti rabbiosi le ante dell’armadio, il primo cassetto, quello del comodino accanto al posto dove lei dormiva.
C’era tutto di lei, in quella stanza.

- Cosa avrei dovuto dirti, allora. Quello che già sai?
- Non me ne faccio niente di quello che conosco, mi sembra evidente. Se solo ogni tanto dimostrassi che ti importa qualcosa di-
- Non posso darti la riprova di cosa è successo tutte queste notti. Ed è già abbastanza che ti lasci immaginare.

Tacque. E la stanza si riempì del silenzio dei loro respiri.
Hermione lo guardò come se in quel momento ne andasse della sua stessa vita, uno sguardo così poco arrendevole eppure carico di una tenerezza di cui aveva bisogno. Lei poté percepire il sollievo che colse il respiro di Draco, nel riceverla senza averla dovuta domandare a parole, e sapeva che quei gesti gli erano costati ugualmente una fatica non trascurabile.
Si alzò, avvicinandosi a lui, il suo petto sobbalzava al ritmo sconnesso del pulsare del cuore.
Poggiò una mano su quel battito, aprì le dita in una carezza leggere e baciò quel lembo di pelle.
Sentì il suo respiro interrompersi, i muscoli flettersi nervosamente, in una sensazione che le parve essere dolorosa.
Lo abbracciò.
Gli aveva fatto male.
Lo sentiva, il bruciante rimpianto di averle donato quel poco di amore che era in grado di provare, bruciava come liquore su una ferita aperta il pensiero di come aveva rischiato di finire.
Era un sollievo troppo grande per poterlo sostenere unicamente con le sue forze, non gli sarebbero bastate se doveva impiegarle anche per nasconderlo.

- Non devi dirmi niente.

La strinse tra le braccia, baciandole i capelli, in un contatto che per quanto rigenerativo, era pur sempre troppo casto ed effimero per soddisfare i suoi bisogni.
Aveva rischiato di perdere tutto, e inesorabilmente, dopo tutto quello che aveva pagato per averla.
Un prezzo alto che aveva accettato di non poter definire troppo, gettato dalla rupe delle incomprensioni, roso da un allontanamento progressivo, più volte recuperato, con un sollievo sempre celato, ma pari al respiro preso da chi ha appena rischiato di annegare e ora si riempie i polmoni di un’aria che spera essere eterna.

Aveva rischiato di impazzire, quella notte.
L’aveva sentita così vicina, eppure non era mai stata tanto lontana come quando aveva aperto gli occhi, prima del giusto, la mattina.

Hermione si lasciò spogliare, lasciò che intrappolasse le sue labbra in una serie ininterrotta di baci, gli permise di coprire il suo corpo con il proprio, strinse le sue spalle quando lo sentì di nuovo così intimamente vicino, reclinò la testa di lato, mentre sentiva il suo nome sussurrato al suo orecchio, si aggrappò a lui come se fosse il suo ormeggio in un porto sconosciuto, naufragò nel piacere dei sensi e ritrovò la luce nel biondo dei suoi capelli quando riaprì gli occhi e nel sospiro sulla sua pelle, e nel calore del suo corpo contro il proprio.
Accarezzò quei capelli fino a quando il torpore non la vinse.
Poi, si svegliò.

°°°

“Dove vai?”
“A prendere la valigia”.
Rispose, sentendo una piccola intermittenza al cuore nel riconoscere una soddisfacente nota di preoccupazione nel tono della voce che le aveva rivolto quella domanda.
Però vide la porta della stanza chiudersi davanti a lei.
Lo guardò perplessa, osservò la sua mano ossuta andare a serrare la bacchetta più saldamente e puntarla al camino della stanza.
Pochi istanti dopo, con un tonfo e un rumore sordo, al posto delle fiamme era apparsa la sua valigia, integra.
“Che efficienza. Tutto questo per evitarmi la fatica di fare le scale, immagino”.
Mormorò leziosa come non lo era mai, avvicinandosi al camino ed estraendo con un notevole sforzo la sua valigia da là dentro, le fiamme incombevano dietro.
Sentì un lieve frusciare di lenzuola, e non venne colta di sorpresa, quando le braccia di Draco scesero ad accarezzarla, e a stringere la sua vita.
Lasciò cadere la borsa.
“Non credo che uscirai da questa camera troppo presto, sai?”.
L’ennesimo colpo di bacchetta, bloccò la serratura.
Si rigirò tra le sue braccia e sfiorò le sue labbra, accennando un sorriso.
E chi se ne va.

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* Eh, sta perfettamente bene sulle labbra di Blaise, ma in realtà il proprietario delle parole è Rousseau.

Dovrei sparire dalla faccia della terra sul serio, dopo tutto il tempo che ho impiegato per aggiornare.
Sul serio, chiedo scusa a tutti, ma con questo capitolo è finito. Ho sofferto duramente per scrivere l'ultima parte di questo capitolo, ed è stato un periodo duro, ma alla fine ce l'ho fatta.
Così le cose sembrerebbero essersi sistemate.
Apro una piccola parentesi su Harry ed Hermione: avrei potuto dedicare uno spazio a loro, unicamente a loro, ma il mio concetto della loro amicizia è qualcosa di davvero platonico, parlarne sarebbe risultato inutile a loro stessi. ^^

Grazie veramente tanto per le recensioni, il supporto e la vostra pazienza. Non avevo previsto neanche io tutto questo ritardo, ma non ho alcun tipo di controllo sul tempo e quello che si porta via.

Grazie mille a:
Shannara_810 : E' sempre un passo rischioso fidarsi di qualcuno. Grazie per la recensione, si beh, Hermione alla fine si è riscattata, direi. ^^

Clo87: Ciao Clo. Grazie per l'appoggio, i problemi ci saranno ancora per un pò ma se non altro questa storia è giunta al termine. Hermione è tornata a farsi viva, sono felice che ti sia piaciuto lo scorso capitolo, vediamo se la conclusione ti soddisfa. Un bacio.

ADoris : Mesi e mesi dopo, ho aggiornato. Harry e Ginny a quest'ora si staranno rimpinzando di dolci, non se la dovrebbero passare male! In confronto alla considerazione che ho io di Harry, qui l'ho trattato particolarmente bene, oltre ad essere vivo ne esce anche qualificato infondo. ;) Blaise mi è stato indispensabile come consigliere notturno in fase di scrittura. Un bacio anche a te.

Grazie anche a tutti gli altri che hanno letto e recensito, o anche solo letto. ^^ E, come sempre, lunga vita alle Draco\Hermione... e a loro due, ovviamente. E buon anno a tutti.

Bris.

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