Haru no aoi sora (Il cielo azzurro di primavera)

di Ale Kanou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primavera ***
Capitolo 2: *** Un nuovo esame ***
Capitolo 3: *** La sorpresa ***
Capitolo 4: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 5: *** La mia nuova vita ***
Capitolo 6: *** Ricordi ***
Capitolo 7: *** Paure ***
Capitolo 8: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 9: *** Nuovi incontri ***
Capitolo 10: *** In un mondo nuovo ***
Capitolo 11: *** Alba sul mare ***
Capitolo 12: *** L'invito ***
Capitolo 13: *** La festa di Primavera ***
Capitolo 14: *** Fantasmi del passato ***
Capitolo 15: *** Il primo bacio ***
Capitolo 16: *** Nuove emozioni ***
Capitolo 17: *** Un sentimento nuovo ***
Capitolo 18: *** Nubi all’orizzonte ***
Capitolo 19: *** Scontri ***
Capitolo 20: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 21: *** Un amore nascosto ***
Capitolo 22: *** Rivederti ***
Capitolo 23: *** Incomprensioni ***
Capitolo 24: *** La verità nascosta ***
Capitolo 25: *** Un cuore infranto ***
Capitolo 26: *** Rivelazioni ***
Capitolo 27: *** Anime solitarie ***
Capitolo 28: *** Un’anima sola ***
Capitolo 29: *** Insieme ***
Capitolo 30: *** Pensieri ***
Capitolo 31: *** La dichiarazione ***
Capitolo 32: *** Il cielo azzurro di primavera ***



Capitolo 1
*** Primavera ***


Prologo

 

In questa storia ho voluto inserire i personaggi di Captain Tsubasa a cui sono più affezionata: in primis il mitico Genzo Wakabayashi (il mio preferito in assoluto), lo stupendo Karl Heinz Schneider e ovviamente Sanae e Tsubasa per i quali ho fatto il tifo per anni…ve l’assicuro! Ho solo voluto scrivere qualcosa di diverso, non una fotocopia di altre bellissime storie che ho trovato sul sito…almeno lo spero!

So che molti, se mai arriveranno a leggere la conclusione, non vedranno di buon occhio la mia storia.

Comunque per chiunque non la gradisse…non importa…prendetela un po’ così…è solo una storia come tante…io vi assicuro che mi sono divertita un mondo a scriverla (anche se è un po’ triste) e sono soddisfatta appieno del mio risultato.

E poi ognuno di noi ha nel cuore la propria storia…questa è la cosa veramente importante.

 

P.S. Alcuni personaggi sono di Yoichi Takahashi, mentre altri non appartengono all’anime…sono andata a pescarli sui siti delle squadre tedesche vere, mentre altri ancora sono inventati di sana pianta!

Scusate anche se alcuni fatti non combaciano esattamente con i tempi o i luoghi reali dell’anime: ho cercato di fare del mio meglio.

Troverete citato anche Kanou Kyosuke alias Roy Kanou, il personaggio principale di “Wild Striker, La Squadra del cuore" ultimo meraviglioso anime sul calcio del mitico Yoichi, grazie al quale è iniziata la mia passione per il mondo delle fanfiction.

So che i tempi non coincidono con quelli di Captain Tsubasa, ma in fondo in una fanfiction credo che questo mi possa essere concesso; in questo modo rendo omaggio al mitico Taka che dopo avermi fatto passare anni a soffrire per la tormentata storia d’amore tra Tsubasa e Sanae, si è fatto appieno perdonare da me pubblicando "La Squadra del cuore" e la storia d’amore tra i suoi due personaggi principali.

 

Detto questo ciao a tutti e buona lettura…se vi andrà!

 

 

 

Capitolo 1: Primavera

Camminava ormai da parecchio, non ricordava più nemmeno da quanto. Le piaceva camminare, la rilassava. Camminando riusciva a pensare solo a se stessa, si tuffava nel suo mondo e pensava, pensava a tutto quello che il destino le aveva riservato in quegli anni. Eh già…come era cambiata la sua vita in pochi anni! Come era cambiata lei…da ragazzina ingenua e terribilmente fragile si ritrovava ora donna matura. Quanti ricordi le si affacciavano alla memoria…una piccola peste scatenata che rincorreva un pallone, una bella adolescente che inseguiva un dolce sogno d’amore, una ragazza disillusa e disperata, che aveva visto in pochi attimi crollare tutto il suo mondo…tutti i suoi sogni infranti in un istante…e poi il baratro.

Sanae Nakazawa si sedette sull’erba e respirò a pieni polmoni. Era una splendida giornata di primavera; finalmente l’inverno aveva ceduto il passo ad un tiepido e splendente sole di Aprile. Aveva sempre amato la primavera: la natura tornava a vivere in un’esplosione di colori, le strade si rianimavamo, i bambini ricominciavano a riempire con i loro strilli i parchi, rincorrendosi o semplicemente inseguendo un pallone. Già un pallone…si chiedeva come un oggetto così apparentemente innocuo avesse potuto cambiarle radicalmente la vita. Si sdraiò sull’erba senza preoccuparsi del fatto che quel pomeriggio aveva deciso di indossare un vestitino azzurro, leggero e corto e, che quello che stava facendo, non era sicuramente un atteggiamento molto femminile. Pensò al volto della madre se l’avesse vista, ed un sorriso arricciò le sue labbra.

Già se la immaginava starnazzare “Ma insomma Sanae ti sembra il caso, sdraiarti sull’erba come un ragazzo…stai composta…e poi copriti le gambe! Che penserà la gente che ti vede!!! Sanae quante volte ti devo dire di non correre e di non comportarti come un maschiaccio…sei una ragazza ricordatelo!!!!”

Povera mamma! Quanto l’aveva fatta disperare da piccola; lei una donna all’antica, sempre così attenta all’etichetta e alle buone maniere. Aveva tentato in tutti i modi di rendere la figlia una perfetta signorina dai modi aggraziati e gentili…ma purtroppo con scarso successo, almeno nei primi anni della sua vita.

Lei che fino ai tredici anni si era comportata come una vera peste, si era persino rifiutata di indossare la divisa femminile alle medie, preferendo girare sempre in pantaloni e fascia rossa legata sulla fronte. Aveva addirittura capeggiato la tifoseria della sua squadra del cuore, gridando a squarciagola durante tutte le partite, dal primo al novantesimo minuto. E non si era certo mai tirata indietro le volte che si trattava di attaccar briga con qualcuno, senza preoccuparsi del fatto che quel qualcuno potesse essere del sesso opposto e spesso più grande di lei. Quante volte Ishizaki e Manabu l’avevano tirata fuori dai guai, trovandosi immischiati in risse loro malgrado, e ricevendo alla fine in cambio da lei una serie di insulti, solo perché avevano osato fermarla.

Anego…ecco come l’avevano soprannominata… la terribile Anego.

Sanae senza accorgersene si ritrovò a sghignazzare da sola, attirando così l’attenzione delle numerose persone che, come lei, in quella splendida giornata avevano deciso di fare una passeggiata al parco. Quel parco era per lei un luogo incantato, il suo piccolo paradiso. Lo aveva scoperto quasi casualmente quando, appena arrivata ad Amburgo, una sera al ritorno dall’Università aveva sbagliato strada e si era persa. La veduta del piccolo lago artificiale che faceva capolino da dietro la collinetta, l’aveva immediatamente attirata e da allora quello era diventato il suo piccolo angolo di paradiso. Spesso vi andava a correre, costeggiando le rive del lago; a volte veniva con le compagne di Università nella pausa pranzo; a volte ci andava senza alcun motivo, solo per stare da sola, e allora si sedeva sotto un albero osservando il mondo che, frenetico, le girava intorno.

Anche quel giorno, dopo avere studiato parecchie ore per l’esame di francese, aveva deciso di sgranchirsi le gambe andando a fare una passeggiata e, senza rendersene conto, immersa nei suoi pensieri, si era trovata davanti all’ingresso del parco.

Il sole le scaldava il viso e le gambe, dandole una splendida sensazione di benessere; con gli occhi coperti da un braccio si stava assaporando appieno quei momenti. Una leggera brezza faceva muovere le foglie degli alberi sui quali numerosi uccelli cinguettavano, riempiendo l’aria insieme alle voci della gente e al ronzare degli insetti.

Si sentiva bene, si sentiva viva…era da tanto tempo che non si sentiva così, già…non ricordava più neanche quanto.

Nuovamente i ricordi riaffiorarono…un viale, i petali dei ciliegi che cadendo creavano quasi un tappeto sulle vie di Fugisawa, la città che l’aveva vista nascere, crescere, fiorire e sfiorire.

Un campo da calcio…un gruppo di ragazzi sedicenni che inseguivano un pallone in attesa dell’inizio del campionato, l’ultimo che avrebbero giocato insieme perché poi le loro strade si sarebbero divise.

E ai bordi del campo una ragazza che osservava gli allenamenti, cercando di imprimere nella sua mente tutti quei momenti che purtroppo erano destinati a finire di lì a poco, dal momento che alla fine di quell’anno scolastico, lui li avrebbe lasciati per andare a realizzare il suo sogno.

Sanae aprì improvvisamente gli occhi abbandonando i ricordi che l’avevano sommersa…qualcosa l’aveva urtata. Era un cucciolo che, nel tentativo di recuperare la palla lanciata dalla sua padrona, si era precipitato nella sua direzione investendola in pieno.

“Scusami tanto, Paco è un vero imbranato, spero non ti abbia fatto male!” La ragazza, accaldata per la corsa, si era immediatamente avvicinata, credendo che il suo cane avesse involontariamente creato un guaio.

“Non preoccuparti non mi ha fatto nulla!” ribattè subito Sanae, vedendo il viso preoccupato della padrona di Paco.

La ragazza le sorrise e acciuffando al volo la piccola peste pelosa che continuava a saltare mordendo voracemente la sua palla, si allontanò dopo averla salutata.

Sanae controllò rapidamente l’orologio. Erano già le sette; era lì da tre ore e come spesso le accadeva quando andava in quel parco, il tempo le era volato senza rendersene conto.

Era ora di tornare a casa, doveva finire di studiare per l’esame che avrebbe avuto da lì a cinque giorni. Quell’esame avrebbe significato la fine del suo primo semestre di Università…e non solo. Aveva deciso…era tanto che ci pensava e adesso sapeva che era il momento giusto…era pronta a rivivere il passato senza paure…era pronta a rivederlo.

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Capitolo 2
*** Un nuovo esame ***


Capitolo 2: Un nuovo esame

 “Finito!!!” esclamò Sanae buttando i libri sul tavolino del bar. Era felice e sollevata; aveva superato anche quell’esame e con un ottimo risultato, come sempre d’altra parte.

“Beata te!” ribattè Kristine sospirando rumorosamente “A me toccherà ristudiare tutto…Accidenti al Professor Jaccard! Accidenti a lui! Sembrava quasi mi leggesse nella mente; è riuscito a chiedermi esattamente le tre cose che non avevo studiato!!”

“Vorrai dire le tre centinaia di cose che non avevi studiato!” ribattè Karol ridendo insieme a Sanae.

“Beh sì…però dovete entrambe ammettere che l’ultima settimana mi sono impegnata molto, trascurando anche il mio tesoro!” rispose abbacchiata la bionda.

“Già! Povero tesoro! Chissà come avrà fatto senza di te per ben sette giorni!!!

“Smettila di prendermi in giro Karol, non sai che sofferenza è stata per me e alla fine…che cosa ho ottenuto…una bella bocciatura!” Kristine si appoggiò sconsolata allo schienale della sedia, mettendo il broncio all’amica di sempre che la stava deridendo.

Sanae guardava divertita la scena. Conosceva le due ragazze ormai da sei mesi; erano state le prime persone che aveva incontrato andando all’Università.

Ricordava ancora il primo giorno di lezione, quando con il batticuore e un po’ di timore, aveva varcato la soglia di uno dei più illustri atenei europei di lingue.

Si era seduta nell’aula in una delle prime file, da sola perché non conosceva nessuno, e si era messa a leggiucchiare una rivista in attesa che il professore arrivasse.

Accanto a lei si erano sedute due ragazze, una bionda e con un fisico atletico, l’altra un po’ più bassa, castana e molto carina.

Le due stavano discutendo animatamente: da quel che riusciva a capire, la bionda (Kristine le era parso di capire) si stava lamentando vistosamente con l’amica perché non voleva stare nelle prime file con i secchioni e poi, se il suo “tesoro” l’avesse chiamata al cellulare, lei non sarebbe potuta sgattaiolare fuori dall’aula indisturbata. Karol dal canto suo, senza minimamente scomporsi, guardandola con un’aria quasi materna, tentava di spiegarle seraficamente l’importanza del seguire in modo adeguato le prime lezioni del corso.

Sanae aveva riso divertita di fronte a quella scena e quando si era accorta che le due ragazze si erano girate verso di lei, si era scusata con loro per avere, non intenzionalmente, ascoltato i loro discorsi. Karol le aveva sorriso (un sorriso molto dolce aveva pensato Sanae in quell’occasione) e si era presentata allungando la mano verso di lei, presentandole anche Kristine, che nel frattempo se ne stava  imbronciata, vedendo che l’amica non aveva la minima intenzione di cambiare posto.

Da allora quelle due erano diventate le sue più care amiche.

E adesso osservandole di nuovo battibeccare, non poteva far altro che chiedersi come potessero andare così d’accordo tra loro pur avendo due caratteri così diversi.

Kristine: una ragazza esplosiva, con tanta voglia di divertirsi e, a dire il vero, poca voglia di studiare e con un chiodo fisso…il suo “tesoro”. Stavano insieme da un anno circa e lei sembrava non stancarsi mai di parlare di lui.

Karol: una ragazza seria, riservata, posata, molto brava nello studio e soprattutto molto dolce.

Sanae in quei pochi mesi trascorsi nella città tedesca aveva imparato ad apprezzare entrambe, ognuna per le sue caratteristiche, seppur estremamente diverse.

 

Kristine improvvisamente saltò sulla sedia ed esclamò “Ragazze ho un’idea fantastica, domani per festeggiare la fine degli esami andiamo tutte insieme a fare shopping e poi al cinema!”

Ancora una volta Sanae si ritrovò a sorridere del carattere esplosivo e così mutevole dell’amica: fino a due minuti prima aveva il morale a terra e adesso, felice come una Pasqua, proponeva di festeggiare per un esame nel quale, tra parentesi, lei era stata bocciata.

“Allora Sanae che ne dici, sei dei nostri domani?” chiese ansiosa la bionda.

“No mi dispiace ma domani ho già un altro impegno.” rispose lei.

Vide per un secondo la delusione negli occhi dell’amica che però ben presto si trasformò in un ghigno beffardo. “Ehmmm..e si potrebbe sapere come si chiama questo impegno? Sbaglio o tu sei nuova della città e a parte noi non conosci nessun’altro?”

Kristine falla finita, non sono affari tuoi e comunque che cosa vuoi festeggiare? Ti ricordo che tu l’esame non l’hai nemmeno passato!” ribattè Karol mettendo a tacere la curiosa.

Sanae e Karol si guardarono un attimo capendosi al volo. Sanae le fece un cenno per farle capire che le era grata per il suo intervento, senza il quale la curiosità di Kristine sicuramente non sarebbe stata rapidamente placata.

Dal canto suo Karol sorrise in modo impercettibile alla bella orientale: nemmeno lei sapeva esattamente chi Sanae dovesse incontrare, ma da quello che l’amica le aveva detto qualche giorno prima, si trattava di una persona che lei conosceva da tempo e che era stata fondamentale in un momento buio della sua vita.

Karol non le aveva chiesto altre spiegazioni, non era sua abitudine impicciarsi degli affari altrui. Sarebbe stata Sanae a parlarle, se e quando se la fosse sentita. Si era molto affezionata a lei in quei mesi; le era venuto quasi spontaneo con quella ragazza straniera, che all’età di vent’anni aveva abbandonato il suo paese per andare dall’altra parte del mondo a costruirsi una nuova vita.

La prima volta che aveva visto Sanae in Università era rimasta colpita oltre che dalla sua bellezza semplice anche dai suoi occhi: due profondi occhi nocciola, che all’apparenza erano scintillanti ma, osservando più nel profondo, sembravano nascondere un passato lontano, un passato molto triste.

Raccogliendo borsa e libri Sanae si alzò, salutando con un cenno della mano le amiche e si avviò verso casa, pronta ad affrontare l’indomani un altro importante esame: rivedere colui che per lei aveva fatto così tanto e dal quale lei, quasi due anni prima, si era allontanata, senza dare nessuna spiegazione.

 

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Capitolo 3
*** La sorpresa ***


Capitolo 3: La sorpresa


Era quasi arrivata. L’ingresso dello stadio era proprio davanti a lei. Stava sudando…e non solo per la corsa e il caldo. Ed il cuore cominciava a batterle all’impazzata.

Uno stadio…quanti ricordi! Da quanto tempo non metteva piede in un luogo come quello? Da più di tre anni…eh sì, da quando si era resa conto che quella sfera bicolore le aveva inesorabilmente rovinato la vita. E adesso, dopo tantissimo tempo, rivedeva il rettangolo di gioco a lei così familiare, sentiva di nuovo l’odore dell’erba, veniva investita dalle urla dei tifosi che erano accorsi per vedere la loro squadra del cuore: l’Amburgo, vincitore dello scorso campionato e attualmente al primo posto della classifica stagionale.

Quel sabato i dirigenti della squadra avevano deciso di aprire le porte degli allenamenti alle centinaia di tifosi che, senza tregua, avevano sostenuto in quegli anni una formazione che in poco tempo, si era dimostrata una vera rivelazione.

Erano tutti assiepati fuori dallo stadio: gruppi di ragazzi con indosso la maglia di uno dei lori idoli; papà che per mano accompagnavano i loro bambini; bambini che con gli occhi lucidi per l’emozione e un pallone sotto braccio, speravano di vedere da vicino il loro mito; e decine, decine di ragazze urlanti, strepitanti, piangenti che finalmente avevano la possibilità di avvicinarsi agli undici giocatori più famosi di Germania e magari perché no, ricevere un autografo o un bacio da loro.

Senza volerlo Sanae si ritrovò risucchiata in quel vortice di folla e spinta all’interno dello stadio.

Dalla balaustra del primo anello degli spalti, si mise subito a cercare con lo sguardo la persona per la quale era venuta.

Certo che aveva avuto proprio una brillante idea! Andare a cercarlo nel giorno in cui solo altre tremila persone avevano deciso di passare di lì.

D’altra parte non aveva avuto molta scelta: era già da qualche tempo che aveva deciso di incontrarlo, ma non aveva trovato il modo. Il suo nome non era sulla rubrica telefonica: troppo scontato e poi te le immagini le tifose?

D’altro canto Amburgo era una città immensa e lei non aveva la più pallida idea di dove lui potesse risiedere: mica si poteva mettere a suonare a tutti i citofoni no?
Fin dall’inizio aveva escluso la possibilità di chiamare i suoi vecchi amici in Giappone per avere notizie (anche se era sicura che avrebbe avuto subito l’indirizzo)…no troppe complicazioni…le avrebbero chiesto che fine aveva fatto in tutto quel tempo e soprattutto perché adesso si trovava in Germania e cercava di vedere il loro vecchio compagno di squadra.

Aveva anche per un attimo pensato di chiedere aiuto a Kristine. Lei ed il suo ragazzo Patrick erano tifosi sfegatati dell’Amburgo ed andavano spesso a vedere le partite di campionato. Patrick inoltre era figlio di un dirigente sportivo e non ci avrebbe messo molto ad ottenere l’informazione che le interessava.

Aveva però abbandonato subito l’idea di ricorrere a loro due...troppe complicazioni anche qui. Come avrebbe potuto giustificare il suo improvviso interesse per il calcio e per un calciatore in particolar modo? Lei, che in quei mesi di fronte ai loro insistenti inviti, si era sempre categoricamente rifiutata di andare a vedere una partita o solo di avvicinarsi ad uno stadio. No, nemmeno quella era la strada giusta.

Ed allora eccola lì; quella era stata la sua unica soluzione: andare a cercarlo quel giorno, non sapendo ancora però come fare ad avvicinarsi a lui in mezzo a quella bolgia infernale.

Si spostò di qualche metro per cercare di ottenere una visuale migliore del terreno di gioco e rivolse immediatamente gli occhi verso l’estremità del campo.

Ed eccolo là...era proprio lui: Genzo Wakabayashi tra i pali della porta, in attesa che l’attaccante della squadra avversaria scagliasse il pallone.

Era perfettamente immobile con il suo immancabile cappellino calato sugli occhi. Sulle labbra un leggero sorriso beffardo: il suo avversario non lo intimoriva assolutamente; avrebbe parato senza problemi il suo tiro, da qualunque posizione avesse deciso di calciare. E così infatti accadde; senza scomporsi più di tanto, si mosse con l’agilità di un felino e afferrò senza nessun problema il pallone che era stato scagliato con una forza veramente micidiale.

Le centinaia di tifosi presenti, all’unisono, di fronte a quel gesto atletico esultarono ed un boato, accompagnato da scroscianti applausi, rese merito al primo portiere della squadra tedesca.

Genzo non sembrò nemmeno accorgersi del pubblico che lo acclamava; dimostrava in ogni occasione una freddezza incredibile…già…era sempre stato così, fin da piccolo: presuntuoso, distaccato, quasi glaciale.

Il Super Great Goal Keeper: non a caso era stato così soprannominato; non mostrava mai il minimo cenno di incertezza, né in campo, né tanto meno fuori dal campo. Ma lei sapeva che quella era solo una facciata; lei aveva conosciuto il vero animo di Genzo e sapeva che poteva essere la persona più dolce del mondo.


Sanae rimase per molto tempo a fissare il ragazzo senza prestare la minima attenzione alla partita. Solo verso la fine, un altro boato del pubblico, la risvegliò dai suoi pensieri e la costrinse a girare la testa dalla parte opposta del campo. Karl Heinz Schneider aveva appena scagliato uno dei suoi formidabili tiri e la palla si era insaccata nella rete, senza che il portiere della squadra avversaria avesse potuto fare il minimo tentativo per bloccarla.

Un gruppo di ragazze vicino a lei si mise a strepitare alla vista del biondo capitano tedesco che, con un atteggiamento molto simile a quello di Genzo, si era diretto verso il suo portiere senza badare alle urla delle fans letteralmente in visibilio.

La partita di allenamento era finita e la squadra di casa aveva sconfitto clamorosamente gli avversari per cinque goal a zero.

Genzo e Karl in quel momento stavano parlando ed erano uno di fronte all’altro; la visione dei due ragazzi, così diversi tra loro, ma entrambi così dannatamente belli, aveva scatenato ancora di più le ammiratrici che non la smettevano più di gridare i loro nomi, nel tentativo di richiamare la loro attenzione.

Ma come dare torto a quelle ragazze, avevano proprio ragione: quei due erano davvero uno splendido spettacolo per gli occhi!

Finalmente ai tifosi furono aperti i cancelli per entrare in campo e tutti velocemente si riversarono entusiasti sul terreno di gioco, dirigendosi verso i giocatori.

Sotto un caldo sole, Sanae rimase in disparte, fuori dal rettangolo d’erba per parecchio tempo. Non sapeva come avvicinarsi a Genzo e, soprattutto, qualora mai fosse riuscita a raggiungerlo, non aveva la più pallida idea di come presentarsi, di come intavolare il discorso con lui.

Osservava tutti i giocatori che, circondati da una miriade di tifosi, stringevano mani, firmavano autografi e baciavano ragazze senza sosta.

Quasi tutti sembravano felici di quelle innumerevoli manifestazioni di affetto…tutti, tranne Genzo e Karl, che apparivano alquanto insofferenti e tentavano in tutti i modi di raggiungere le gradinate che li avrebbero portati finalmente in salvo negli spogliatoi. Le ammiratrici però impedirono loro di allontanarsi dal campo ed entrambi furono, loro malgrado, costretti a fermarsi; ogni tanto si scambiavano occhiate dalle quali si capiva chiaramente che avrebbero voluto fuggire da lì il più presto possibile.

Dopo avere baciato per circa la trecentesima volta una perfetta sconosciuta, Genzo guardò il suo capitano e alzando gli occhi al cielo, gli fece capire che lui era arrivato al limite della sopportazione; si girò velocemente e, protetto dai massaggiatori e dagli allenatori, si diresse finalmente verso gli spogliatoi.

Karl dal canto suo, odiò per un attimo il compagno, che andandosene così, lo aveva lasciato in balia non solo delle sue ammiratrici, ma anche di tutte quelle dello stesso portiere, le quali accortesi della defilata di Genzo, avevano pensato bene di consolarsi riversando tutte le loro attenzioni su di lui. E lui purtroppo da buon capitano (anche se detestava al pari di Genzo quelle occasioni) non poteva sgattaiolare via, come aveva fatto l’altro poco prima.

Sanae osservò tutta la scena molto divertita: vedere le facce di quei due ed i loro vani tentativi di tenere a bada centinaia di ragazze scalmanate, era davvero uno spettacolo esilarante.

Ad un tratto si accorse però che il bel portiere aveva deciso di andarsene, lasciando nello scoramento più totale le ragazzine che lo circondavano.

E adesso cosa faceva lei? Se lui se ne fosse andato non avrebbe più saputo come e dove trovarlo. Accidenti a lui e al suo caratteraccio…proprio adesso che la maggior parte della gente se ne stava andando, lasciandole la possibilità di avvicinarlo, lui che faceva? Girava i tacchi e tanti saluti a tutti! No non poteva lasciarselo scappare!

Anche se non sapeva ancora cosa dirgli, senza pensarci, si diresse verso il centro vuoto del campo, in modo da non essere circondata da nessuno e, girandosi nella direzione in cui lui si stava allontanando scortato, gridò in perfetto tedesco: “Hey Genzo Wakabayashi, credi forse di poter andartene via così senza salutare, dopo averci lasciato a cuocere per ore sotto il sole!”

Genzo si fermò all’istante e si girò inviperito verso la ragazza che gli aveva urlato quella frase, pronto a insultarla…ma le parole gli morirono in gola.

Molte persone avevano sentito la frase di Sanae e si erano voltati a guardarla. Anche Schneider osservò per un attimo la figura minuta al centro del campo (era straniera, orientale, probabilmente giapponese) per poi dirigere la sua attenzione al portiere e alla sua replica, che sicuramente non si sarebbe fatta attendere.

Ma Genzo stranamente non aveva proferito parola. Era rimasto per diversi secondi fermo ad osservare quella ragazza come se fosse un’aliena, un fantasma. Sul suo volto era dipinta un’espressione di pura sorpresa, quasi incredulità.

Genzo si ritrovò a fissare quel viso illuminato dal sole che distava da lui solo pochi metri. Per un paio di secondi non la riconobbe (era così diversa da come l’aveva vista l’ultima volta) ma guardandola meglio, guardandola diritto negli occhi capì…ed il suo cuore si fermò per un attimo. Era davvero lei? No…non era possibile, eppure quegli occhi…potevano essere solo i suoi.

Sanae dal canto suo rimase ferma in mezzo al campo, aspettando che il ragazzo desse cenno di riconoscerla. Tutta l’impudenza e l’audacia che l’avevano spinta poco prima a gridare in mezzo a tutti, si erano in un istante volatilizzate e adesso si ritrovava lì bloccata, come un baccalà, senza sapere che cosa fare.

“Sa…Sanae?....Sei tu?” sussurrò Genzo quasi senza fiato.

Sanae fece un cenno del capo e sorridendo in un modo assolutamente spontaneo e meraviglioso, gli rispose in giapponese “Ohayou Genzo. Genky desu ka?” (Ciao Genzo. Come stai?)

Non poteva crederci era davvero lei! Senza pensarci un istante, con un sorriso raggiante, il ragazzo si mise a correre verso di lei e, arrivato al centro del campo, la strinse in un forte abbraccio, lasciando di stucco tutti quelli che a bordo campo stavano assistendo alla scena.

Karl in primis era rimasto esterrefatto: da anni conosceva il portiere e mai l’aveva visto esternare in quel modo la sua felicità in pubblico; a dire il vero non lo aveva mai visto così felice…mai fino a quel momento.

Quando le possenti braccia del ragazzo la strinsero, Sanae capì che non doveva temere…lui l’aveva capita…come sempre…non ce l’aveva con lei. E con il cuore pieno di gioia e gli occhi umidi, si abbandonò a quell’abbraccio che tanto le era mancato in quegli anni.

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Capitolo 4
*** Ritrovarsi ***


Capitolo 4: Ritrovarsi

A malincuore i due ragazzi si sciolsero dall’abbraccio. I bisbigli dei presenti si stavano facendo sempre più forti: dopo i primi momenti di stupore, tutti si stavano chiedendo chi fosse quella ragazza che il tenebroso e sempre glaciale numero uno dell’Amburgo, era corso ad abbracciare.

Sanae si sentì puntati contro decine di occhi incuriositi e decine di occhi furenti: quelli delle ammiratrici, che in preda ad una folle gelosia, la fissavano con odio per il fatto di avere osato abbracciare il loro SGGK, per il fatto solo di esistere. Istintivamente, avvampando per la vergogna, si allontanò da Genzo, illudendosi che, così facendo, le persone intorno a lei avrebbero ripreso a pensare agli affari propri. Povera illusa! Come poteva pensare di cavarsela così facilmente. Si era messa a gridare come una pazza in mezzo a tutti e poi si era ritrovata in breve e senza poter far nulla, tra le braccia di Genzo.

Genzo Wakabayashi: uno dei più famosi calciatori di Germania (e non solo), il portiere che l’anno prima a soli vent’anni aveva vinto il pallone d’oro; e per finire uno degli scapoli d’oro dello sport, rincorso dalle donne più belle dello spettacolo e dell’alta società. E lei in quel momento, con indosso quella semplice gonna bianca e quella camicetta azzurra, doveva sembrare una mocciosetta, un’insignificante ragazza che aveva osato entrare nella vita del tenebroso portiere.

Genzo si accorse del rossore che aveva colorato le guance di Sanae e, dall’espressione del suo volto, capì l’immenso imbarazzo in cui si trovava. Senza pensarci due volte, la prese per mano e la trascinò lontana dal campo, lasciando ancor più allibiti tutti i presenti.

Aspettami qui, nessuno ti disturberà. Io mi cambio in cinque minuti." Così facendo, Genzo lasciò Sanae in una stanza (probabilmente deputata alle conferenze stampa pensò lei) e andò negli spogliatoi a farsi una doccia e a cambiarsi.

Fece tutto in un lampo, sia per evitare di lasciare sola per troppo tempo Sanae ed evitarle incontri inaspettati, sia perché lui stesso voleva evitare accuratamente tutti i suoi compagni, che senza dubbio lo avrebbero sommerso di domande e battutine idiote sulla ragazza. Non era ancora pronto a rispondere a nessuno, anche perché a dire il vero, nemmeno lui aveva ancora ben realizzato quello che era successo.

L’avere incontrato la sua vecchia manager Nakazawa, in quel modo, era stato per lui come un lampo a ciel sereno; mai avrebbe pensato di vederla ad Amburgo o meglio, mai avrebbe pensato di rivederla. E poi senza rendersi conto di quello che faceva (di fronte a una folla immensa) l’aveva abbracciata senza pudore.

Ma quel gesto gli era venuto assolutamente spontaneo; quando Sanae gli aveva sorriso, le paure che si era tenuto dentro per mesi, erano improvvisamente scomparse ed il desiderio di riabbracciarla, di starle vicino, aveva prevalso su tutto. Beh…adesso avrebbe fatto bene a prepararsi una bella storia da propinare alla stampa e ai suoi colleghi; ma per quello aveva tempo; ora doveva andare da lei.

Raccolse il suo borsone e con i capelli ancora bagnati, uscì dagli spogliatoi, dirigendosi verso la sala dove poco prima l’aveva lasciata.

Nel frattempo Sanae, aspettando il ritorno di Genzo, si era messa a curiosare nella stanza. Le pareti erano tutte tappezzate di fotografie dei giocatori dell’Amburgo, passati e presenti. Non si stupì affatto di trovarvi molte volte raffigurato Wakabayashi. In fondo lui era un vero e proprio caposaldo della squadra.

Si era trasferito in Germania all’età di quattordici anni per seguire il suo allenatore, nonché tutore legale Tatsuo Mikami, che fin da piccolo lo aveva avviato alla carriera calcistica.

Ed in breve tempo si era imposto per la sua bravura e la sua tenacia, diventando nel giro di due anni portiere, inizialmente della seconda squadra e poi, al compimento della maggiore età, il numero uno ufficiale del grande Amburgo.

Ancora una volta Sanae notò, che in tutte le fotografie che lo ritraevano, Genzo non sorrideva mai, mantenendo sempre un’aria molto seria. Solo in occasione della consegna del Pallone d’Oro aveva abbozzato sulle labbra un mezzo sorriso, ma niente di più. Possibile che quella fosse la stessa persona che solo dieci minuti prima le era corsa incontro felicissima e l’aveva abbracciata in mezzo a tutti? Certo che a lei comunque quel gesto aveva fatto un piacere immenso facendole dimenticare tutti i timori che, per tanto tempo, le avevano impedito di cercarlo.

Mentre passava in rassegna altre foto, sentì la porta della stanza aprirsi e si voltò incontrando lo sguardo di Genzo “Sono pronto, vogliamo andare?”

Sanae annuì e si diresse verso di lui. Insieme attraversarono una lunga serie di corridoi (fortunatamente senza incontrare anima viva) ed infine uscirono da una porta di servizio ritrovandosi in un ampio parcheggio.

Per tutto il tragitto Sanae aveva camminato dietro il ragazzo senza aprire bocca; non sapendo cosa dire, si era limitata a seguirlo, guardandolo da dietro. Certo che era davvero cresciuto.

Il suo fisico era imponente: ad occhio e croce doveva essere un metro e ottantacinque, le sue braccia muscolose erano messe in risalto dalla maglia nera un po’ aderente e anche le gambe, fasciate in un paio di jeans strappati qua e là, rispecchiavano la dura preparazione atletica a cui si sottoponeva quotidianamente. Aveva lasciato crescere un po’ i suoi capelli neri, che adesso gli coprivano in parte il collo, sul quale erano sparse numerose gocce d’acqua, segno che per raggiungerla velocemente, non si era nemmeno asciugato.

Appena usciti alla luce del sole, Genzo inforcò un paio di occhiali scuri e si calò il cappellino in testa. “Ecco siamo arrivati, quella è la mia macchina.

Sanae rimase sorpresa di fronte allo splendido ed enorme fuoristrada nero dell’amico; sapeva che Wakabayashi proveniva da una famiglia facoltosa e sapeva anche che i compensi dei calciatori dovevano essere esorbitanti, ma rimase comunque senza parole, rimirando lo splendido mezzo di fronte a lei.

Quanto le ci sarebbe voluto per poter avere una macchina del genere? Probabilmente anni e anni di lavoro; lei tapina che da quando era arrivata in Germania, si era messa, nei momenti di tempo libero, a dare lezioni, per cercare di guadagnare qualcosa da mettere da parte, per potersi un giorno comprare una minuscola utilitaria, ovviamente di seconda mano, ovviamente facendo anche un piccolo mutuo.

Per la seconda volta in quella giornata si sentì tremendamente fuori luogo, inappropriata alla circostanza e soprattutto alla persona che aveva accanto.

Ancora una volta però fu Genzo a toglierla dall’imbarazzo; le prese una mano e con una sorta di inchino simil cavalleresco le disse “Principessa mi conceda l’onore di farla salire sulla mia carrozza!"

Sanae di fronte a quel gesto buffo si ritrovò a sghignazzare ed immediatamente avvertì che il disagio di poco prima era svanito. Con le braccia appoggiate ai fianchi ed un tono di voce che voleva apparire snob, ribattè “Con piacere mio Principe, c’è solo un piccolo particolare che vorrei lei facesse notare alla Gran Casa Costruttrice di Carrozze per Principi e Principesse. Sta carrozza è troppo alta per me!!!!! Si sono forse dimenticati che le Principesse giapponesi arrivano a mala pena al metro e settanta? La scala dov’è, nel bagagliaio insieme alla ruota di scorta?"

Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata che li aiutò a constatare che il tempo e la distanza non avevano cambiato minimamente il loro rapporto: si ritrovavano a ridere come ai vecchi tempi, felici di essere ancora insieme, senza la minima traccia di imbarazzo.

Genzo la aiutò a salire, le chiuse la portiera (da vero gentiluomo), andò al posto di guida e, acceso il motore, si avviò fuori dal parcheggio.

“Sono le sei passate, che ne dici di andare a mangiare un boccone?” Non aveva ancora finito la frase, che Genzo si pentì immediatamente di averla pronunciata. Come poteva essere così stupido! Con tutte le cose che poteva dirle doveva per forza chiederle di andare a cena! Si irrigidì all’istante ma con uno sforzo sovraumano si girò verso di lei, aspettandosi di vederla imbarazzata o addirittura arrabbiata.

Sanae rimase per un attimo in silenzio di fronte alla proposta (entrambi sapevano che cosa essa implicava); si era accorta del disagio di Genzo dopo essersi reso conto di quello che le aveva chiesto. Poteva capirlo, in fondo erano quasi due anni che non si vedevano, e lui non aveva più saputo niente di lei.

Mmmmdirei che è un ottima idea!” rispose pacatamente…e lo era davvero, anche perché lei aveva una gran fame, dal momento che era da quella mattina che non toccava cibo.

Genzo rimase stupito; era convinto di avere fatto una gaffe mostruosa e invece lei gli aveva risposto in modo assolutamente tranquillo.

“C’è solo un problema.” continuò Sanae pensierosa “Dove andiamo? Ho già rischiato oggi la mia vita al campo. Se qualcun’altra delle tue ammiratrici ci vede insieme, per me è finita. E credo anche per te.”

Rischiare la vita…aveva detto quelle cose senza il minimo cenno di incertezza, anzi in modo quasi ironico.

Riprendendosi dalla sorpresa anche per quelle ultime parole, Genzo la rassicurò "Non preoccuparti, ci tengo alla mia pellaccia! E poi cosa farebbero senza di me in squadra? Per non parlare delle migliaia di cuori infranti che ti ritroveresti sulla coscienza!”

“Ah modesto come al solito Wakabayashi! E di me non ti preoccupi?”

Di nuovo si ritrovarono a ridere insieme di cuore; ed anche quel momento di imbarazzo fu lasciato velocemente alle spalle.

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Capitolo 5
*** La mia nuova vita ***


Capitolo 5: La mia nuova vita

Il fuoristrada correva veloce lungo le strade della periferia di Amburgo. Si erano lasciati da tempo alle spalle il centro della città e le sue lussuose zone residenziali. Adesso si trovavano in aperta campagna; davanti a loro si stendevano una serie infinita di campi coltivati, al cui interno apparivano nella luce del tramonto, fattorie isolate, piccoli gruppi di case e qua e là, campanili di antiche chiese.

Ecco perchè aveva scelto quella città. Aveva tutto ciò che lei cercava e amava: una delle più illustri Università d’Europa, ubicata nel centro di una città ricca dal punto di vista artistico e storico; il mare, il profumo del mare che le dava un senso di benessere tutte le volte che si ritrovava a respirarlo quando decideva di andare giù al porto; e poi paesaggi solitari e mozzafiato come quelli che stava osservando in quel momento, paesaggi che facevano emergere una silenziosa malinconia nel suo cuore.

Genzo stava di fianco a lei in silenzio, anche lui rapito dalla magia di quel momento. Non avevano parlato molto durante il tragitto; il silenzio tra loro però non era dovuto all’imbarazzo…quello lo avevano già superato. Erano entrambi immersi nei loro pensieri, nei loro ricordi e tentavano di assaporare al meglio ogni istante di quella meravigliosa giornata che li aveva fatti reincontrare.

Fu Sanae a interrompere le loro riflessioni, spinta dal languore sempre più insistente del suo stomaco e accortasi che avevano abbandonato la strada principale per immettersi in una secondaria, ai piedi di una collina “Genzooo? Vabbè che abbiamo deciso di comune accordo che era meglio non farci vedere da troppa gente, ma credo che portarmi in una grotta dispersa sulla cima di una montagna, sia un po’ esagerato! Noo??”

Genzo sghignazzando la rassicurò “Non temere siamo quasi arrivati.

Ed infatti dopo un paio di minuti il fuoristrada si fermò in uno spiazzo sulla cima della collina, davanti ad un piccolo locale quasi tutto in legno dalle cui finestre, illuminate da una calda luce e adornate da molteplici vasi di fiori, fuoriuscivano voci allegre e un delizioso profumo di cibo.

“Wow, questo posto è davvero incantevole! Non pensavo tu fossi così romantico!” esclamò Sanae guardando con aria sorniona il portiere “E’ così che conquisti le tue fiamme, a lume di candela?”

“No, questo serve solo per far scena; in genere le stordisco con il vino per poi approfittare indisturbato di loro! Sai funziona sempre!” le rispose Genzo strizzandole un occhio e sorridendole in modo affabile.

Sanae arrossì leggermente di fronte all’audacia di quelle parole ma, per non darlo a vedere, si girò di scatto verso il portico e alzando un braccio disse “Forza entriamo! Lo Yeti potrebbe arrabbiarsi se arriviamo in ritardo!”

Sorridendo Genzo la raggiunse ed insieme entrarono nel locale.

Era davvero molto carino e intimo. Il cameriere salutò il portiere con una calorosa stretta di mano (evidentemente non era la prima volta che lui veniva in quel locale) e accortosi della presenza della sua accompagnatrice, si girò verso di lei e con un inchino appena accennato la salutò, sorridendole.

I due ragazzi furono fatti accomodare dall’altra parte del locale, sotto un altro portico chiuso da alcune vetrate che permettevano però di vedere lo stupendo panorama che li circondava: ormai era quasi completamente buio e si potevano vedere in lontananza le luci che illuminavano la notte di Amburgo.

Nel locale c’era un'altra dozzina di persone che non avevano prestato la minima attenzione al loro arrivo: un gruppo di cinque uomini di mezza età in giacca e cravatta (evidentemente uomini d’affari) che discutevano animatamente delle fluttuazioni della borsa e dei mercati internazionali; due coppie di anziani che mangiando e bevendo senza ritegno, da quel poco che aveva capito, stavano organizzando un viaggio in un paese tropicale; ed infine una coppia di ragazzi (più o meno sui venticinque anni) che, avvinghiati in un tavolo appartato del locale, stavano in quel momento pensando a tutto tranne che a mangiare.

Genzo e Sanae si sedettero uno di fronte all’altra mentre il cameriere, avvicinatosi al tavolo, stava versando nei loro calici del vino rosso.

Ascoltarono in silenzio l’elenco delle proposte culinarie per quella sera e di comune accordo decisero di mangiare qualche antipasto, per poi passare a della carne alla griglia come secondo. Genzo stava per aprir bocca ed ordinare per entrambi, ma fu preceduto da Sanae che, in tono molto pacato, elencò al cameriere le loro scelte.

Quest’ultimo rimase molto sorpreso dal perfetto accento tedesco della ragazza straniera e si complimentò con lei, dicendole che evidentemente la bellezza non era la sua unica dote.

Sanae arrossì leggermente per il complimento e dopo aver sorriso al cameriere, ringraziandolo, si girò verso Genzo che la stava fissando con una faccia tra il sorpreso e il compiaciuto.

“Da quando in qua tu parli così bene il tedesco?”

“Beh sono una ragazza dalle mille sorprese, no?”

“Su questo non ho più dubbi, te l’assicuro!” esclamò il portiere “Comunque ciò non spiega come io che sono in Germania da più di sei anni, a volte ancora faccio fatica ad articolare alcune frasi; e tu invece lo parli come se fosse la tua lingua madre!”

Sanae lo guardò di sottecchi e con un tono volutamente superiore gli rispose: “Forse perché io negli anni del liceo, invece di passare le giornate a rincorrere e tirar calci ad una palla, ho passato un po’ di tempo sfogliando degli strani oggetti…aspetta come si chiamano…ah sì…libri! Ne hai mai sentito parlare?”

“Ok mi arrendo, colpito e affondato!” disse il ragazzo alzando entrambe le braccia e appoggiandosi allo schienale della sedia “Si sa che non si può avere tutto dalla vita ed io possiedo già un enorme talento sportivo e un gran fascino.”

Ed una dose innata di modestia, aggiungerei io!” Sanae cercò di mantenersi seria ma con scarso successo vedendo la faccia dell’amico. Stavano ancora ridendo quando le parole le uscirono inaspettatamente “Mi sei mancato Genzo, mi sei mancato tantissimo."

Lui smise di ridere e con tono serio le rispose “Anche tu Sanae, non sai nemmeno quanto.”

Lei sorrise e abbassò lo sguardo sul piatto sopra il tavolo.

“Da quanto tempo sei arrivata ad Amburgo?”

La domanda la mise un pò a disagio; non sapeva come dirgli che in realtà erano già diversi mesi che lei era lì, ma che non aveva trovato prima il coraggio di cercarlo.

Rispose in modo un po’ vago sperando che lui non volesse approfondire il discorso “Ehmm da un po’. Sai ho vinto una borsa di studio e adesso frequento l’Università di lingue della città; è una delle più prestigiose e famose di tutta Europa e sicuramente, ottenere una laurea qui, sarà un ottimo trampolino di lancio per poter lavorare come interprete, magari presso qualche ambasciata o in qualche altra istituzione politica. Il corso dura quattro anni. E’ dura, è parecchio dura; hanno criteri di selezione pazzeschi e solo poche persone riescono a laurearsi con il massimo dei voti, anche se questo è un prerequisito fondamentale per poter pensare di lavorare in futuro negli ambienti di cui ti parlavo.”

Genzo la ascoltava affascinato, osservando la luce che brillava nei suoi occhi mentre gli raccontava del suo futuro; sembrava così sicura di sé e determinata a raggiungere i propri obiettivi. Dove era finita la ragazza fragile e disperata che aveva lasciato in Giappone? Era trasformata, sembrava un’altra; adesso era una donna indipendente e decisa, sicura di quello che voleva fare della sua vita.

“Sono sicuro che tu ce la farai senza alcun problema. Sei sempre stata una delle studentesse più brave della nostra scuola. Ricordo che sia i professori che il preside già allora avevano grandi speranze per te! E poi scommetto che mentre io ho passato tutto il mio tempo a parar palloni, tu hai già superato una marea di esami, o sbaglio?”

“No!” rispose lei orgogliosa “Non sbagli affatto ed anche con il massimo dei voti!”

“Oddio…ho davanti a me un mostro!” esclamò Genzo fingendosi inorridito.

La serata continuò in modo molto piacevole; parlarono di come si era ambientata nella città tedesca, della zona in cui si trovava l’appartamento in cui viveva, delle amiche che aveva incontrato e di come erano organizzate le sue giornate.

Dal canto suo Genzo gli raccontò di come aveva passato gli ultimi due anni della sua vita…ed in effetti si rese conto divertito, che Sanae poco prima ironizzando su di lui, aveva indovinato dicendo che lui aveva trascorso il novanta per cento del suo tempo a rincorrere un pallone.

Tra un discorso e l’altro, finirono di mangiare dopo circa un’ora. Entrambi avevano avanzato buona parte delle abbondanti porzioni che il cameriere, ad intervalli regolari, aveva portato loro.

“Se mangio ancora qualcosa scoppio!” disse Sanae abbandonando nel piatto forchetta e coltello.

“Già a chi lo dici! Se ingoio ancora qualcosa domani faranno fatica a distinguermi dalla palla!”

“E' vero tu domani hai la partita! Scusami non volevo farti far tardi; credo che sia meglio avviarci.”

Osservando l’orologio, Genzo si stupì di che ora si era fatta; grazie alla bella compagnia, non si era reso assolutamente conto del tempo che era passato. Si alzarono e dopo che Genzo ebbe pagato il conto (non ci fu verso di convincerlo a dividere a metà, fu irremovibile sull’argomento), i due uscirono dal locale.

L’aria era fresca e Sanae rabbrividì subito; quella mattina, approfittando del sole splendente, era uscita solo con la camicia, senza portarsi né un maglione nè un giubbotto; certo non si immaginava che la sua giornata si sarebbe conclusa così.

Genzo si accorse della cosa; in un attimo si tolse il maglione che aveva indossato poco prima di scendere dalla macchina e, avvicinandosi a Sanae, lo posò sulle sue spalle. La ragazza rimase sorpresa del gesto ma cercò di rifiutare l’offerta “Genzo non ti preoccupare per me. Tu piuttosto, oggi sei uscito ancora con i capelli bagnati e adesso senza maglione, rischi di pigliarti un malanno.”

“Non ti preoccupare, dimentichi forse che io sono il Super Great Goal Keeper? Non può essere certo un po’ di freddo a fermarmi!” E così dicendo l’accompagnò verso la macchina.

Durante il tragitto di ritorno non dissero nulla, limitandosi ad ascoltare un pò di musica. Sanae appoggiata con la testa di lato e circondata dall’abbraccio della calda maglia di Genzo, guardava fuori dal finestrino. Era stanca ed assonnata: le ore passate in piedi sotto il sole allo stadio e tutte le emozioni che aveva vissuto, ora si stavano facendo sentire.

Quando arrivarono di fronte al palazzo in cui si trovava l’appartamento della ragazza, Genzo accostò la macchina e, preso un foglio ed una penna dal cruscotto, scrisse velocemente un numero di telefono.

“Ecco, questo è il mio numero di cellulare. Ci sentiamo domani dopo la partita."

Quel ragazzo non riusciva a finire di stupirla. Durante il ritorno dal ristorante, lei aveva pensato al modo migliore per chiedergli di rivedersi; in fondo non era certa che per lui la cosa fosse così scontata. Certo, è vero, aveva dimostrato di essere felice di averla rivista e l’aveva portata anche a cena; ma in fondo quello poteva essere stato solo un gesto di cortesia nei confronti di una vecchia amica che non vedeva da molto tempo. Questo però non implicava il fatto che avrebbero dovuto rivedersi; in fondo lui aveva una sua vita in cui lei non c’entrava niente.

Ma quando lui le porse il pezzo di carta, si sentì immensamente sollevata. Gli riconsegnò il maglione e aprì la portiera. Stava per scendere dalla macchina quando si fermò e si girò verso di lui “Genzo…prima al ristorante non ho risposto alla tua domanda. A dire il vero io sono qui ad Amburgo ormai da parecchi mesi. Mi dispiace. So che avrei dovuto cercarti prima però vedi...non ero ancora pronta. Rivederti per me voleva dire fare un tuffo nel passato…in quel passato che per tanto tempo mi ha intrappolato e che ho così faticosamente lasciato alle spalle. Prima di incontrarti dovevo avere la certezza di essere in grado di affrontarlo senza il rischio di ricadere nel baratro. Ed è per questo che non mi sono fatta sentire prima.

Lui la guardò con un’espressione dolcissima sul volto e attirandola a sé, le sussurrò nell’orecchio “Lo avevo capito. E non ti biasimo per questo. Sono solo felice di averti ritrovata. Sono felice che alla fine tu abbia deciso di cercarmi.

Le sfiorò la fronte con un bacio e le augurò la buonanotte.

Lei scese dalla macchina che velocemente si allontanò; rimase sul marciapiede a fissare il fuoristrada finché non scomparve dalla sua visuale, sussurrando “Buonanotte Genzo Wakabayashi."

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Capitolo 6
*** Ricordi ***


Capitolo 6: Ricordi

Genzo arrivò nel giardino della sua villa nella periferia nord della città quando ormai era da tempo passata la mezzanotte.

Dopo aver parcheggiato, entrò in casa buttando il borsone sul divano del salotto. Si sentiva stanco per gli allenamenti del pomeriggio e soprattutto per tutte le emozioni che aveva vissuto quel giorno. Aveva la testa pesante e un gran bisogno di una doccia ristoratrice e di un letto dove dormire. Si avviò verso il bagno togliendosi la maglia e slacciandosi i jeans. In un attimo il getto di acqua calda lo investì, trasmettendogli un’immediata sensazione di benessere.

Si asciugò velocemente e si infilò i pantaloni del pigiama che la sua donna di servizio gli aveva lasciato, stirati e ripiegati, sul mobile vicino alla doccia.

Si infilò sotto le coperte sperando di addormentarsi velocemente: l’indomani avrebbe dovuto disputare una partita con la terza in classifica e doveva essere in forma.

I minuti passavano e il sonno tardava però a venire. Continuava a rivoltarsi nel letto e, pur sentendosi esausto, non riusciva a rilassarsi e abbandonarsi nelle braccia di Morfeo.

La sua immagine era sempre lì davanti: i suoi occhi nocciola che brillavano, i suoi lunghi capelli neri che, mossi dal leggero vento, si muovevano come fili di seta…e il suo sorriso, il suo dolcissimo sorriso.

Quel pomeriggio rivedendola ferma in mezzo al campo, aveva fatto un tuffo nel passato, in un passato lontano quasi sette anni.

L’immagine della Sanae ventenne si sovrappose nella sua mente a quella della ragazzina quattordicenne, prima manager della squadra liceale della Nankatsu. Quante volte l’aveva vista sorridente ai bordi del campo, mentre in compagnia di Yukari si prendeva cura di tutta la squadra, lavando magliette e pantaloncini, pulendo palloni, preparando panini, incitando tutti con il suo carattere allegro.

Dall’inizio del liceo aveva subito una vera trasformazione: da maschiaccio scatenato a splendida adolescente, sempre affabile e disponibile con tutti.

E in quegli anni non solo il carattere si era addolcito, ma anche il suo aspetto si era modificato in modo radicale. La sua non era una bellezza prorompente ma delicata: i grandi occhi nocciola illuminavano il viso dalla pelle candida ed il suo fisico, slanciato e sodo, era sottolineato da due splendide gambe.

Già…quante volte negli spogliatoi dopo l’allenamento, quelle gambe erano state oggetto di discussioni con gli altri ragazzi della squadra; persino Ishizaki aveva ammesso che, se non si fosse trattato di Sanae, sicuramente le avrebbe fatto una corte spudorata (ovviamente mai lo aveva ammesso davanti all’amica, dal momento che in pubblico, lui continuava a stuzzicarla e immancabilmente si ritrovava a litigare con lei).

Tutti sapevano però che quei cambiamenti non erano dovuti solo al passare del tempo, ma anche ad un forte sentimento che la ragazza nutriva da tempo. Un amore cresciuto negli anni, ai margini di un rettangolo d’erba; un amore sempre taciuto eppure così evidente.

Un’improvvisa rabbia investì Genzo che disteso nel letto serrò i pugni intorno alle lenzuola.

Quanto aveva sofferto Sanae per quell’amore? Quanto tempo e quante energie aveva sprecato in quegli anni che avrebbero dovuto essere i più spensierati della sua vita? Ma lei lo aveva fatto comunque, perché era il suo cuore a guidarla; senza recriminare, senza mai chiedere niente in cambio, aveva trascorso la sua adolescenza all’ombra di una persona che apparentemente non aveva mai ricambiato i suoi sentimenti.

Improvvisamente altri ricordi si affacciarono alla mente di Genzo: era appena rientrato in Giappone dopo circa tre anni trascorsi in Germania a perfezionare la sua tecnica. Doveva ritrovarsi con la Nazionale in vista dei campionati mondiali Juniores e, insieme a Tatsuo, aveva deciso di passare tre mesi in patria per allenarsi con i vecchi compagni.

Ricordava ancora quel giorno, quando passando dal suo vecchio liceo per salutare gli amici, si era stupito di non trovare Sanae al campo di calcio.

I ragazzi non gli avevano saputo dare spiegazioni; dissero che era da un po’ di tempo che non veniva più regolarmente agli allenamenti. “E’ troppo indaffarata con lo studio, o forse non ha più un valido motivo per venire al campo!” aveva ironizzato Ishizaki, alludendo al fatto che la squadra, da un anno a quella parte, aveva perso il suo calciatore più importante, partito per l’estero.

Genzo quel giorno aveva notato un'altra cosa: anche Yukari aveva uno strano atteggiamento; lo aveva a malapena salutato, lei una ragazza solare che si era sempre dimostrata disponibile con tutti. E poi, di fronte alla battuta allusiva di poco prima di Ishizaki, si era improvvisamente irrigidita e dopo averlo guardato con occhi carichi di odio, si era allontanata senza dire niente, lasciandolo ammutolito.

Aveva capito che c’era qualcosa che non andava e che questo qualcosa riguardava Nakazawa: aveva più volte tentato di ottenere informazioni da Yukari, ma lei aveva eretto un muro e, davanti alle sue domande insistenti, aveva risposto sempre in modo allusivo.

Solo qualche giorno dopo però Genzo ottenne la risposta a tutti i suoi interrogativi…la rivide…e per lui fu come ricevere un pugno nello stomaco.

La ragazza che si era trovato di fronte non poteva essere la sua vecchia manager; quella era solo l’ombra, solo il fantasma di Sanae.

Era dimagrita parecchio (in realtà era sempre stata magra, ma in modo diverso) e profonde occhiaie accentuavano un volto scavato; nemmeno un accenno di sorriso quando lui le si era fatto incontro per salutarla. Ma quello che più l’aveva colpito erano stati i suoi occhi: spenti, freddi; non c’era più traccia dello scintillio che per anni li aveva illuminati.

 

La sveglia suonò le quattro; non aveva ancora chiuso occhio, tormentato da quei continui ricordi.

Improvvisamente però gli avvenimenti del pomeriggio appena trascorso si fecero largo nella sua mente.

Ancora riusciva a sentire quel nodo che gli aveva attanagliato lo stomaco, quando se l’era ritrovata davanti in mezzo al campo. Uno splendido sorriso e due profondi occhi luminosi gli avevano in un attimo aperto il cuore.

Genzo si ritrovò a sorridere nell’oscurità della sua stanza. Quel pomeriggio aveva capito una cosa: lei era tornata…Sanae Nakazawa era ritornata.

Cullato da quei pensieri, finalmente si rilassò e lentamente si abbandonò alla stanchezza e al sonno. Un sonno però agitato da continui flashback, scene vissute e mai dimenticate…un bagno, lo scrosciare dell’acqua di un rubinetto, una ragazza disperata rannicchiata in un angolo, il pianto disperato di Yukari accasciata sul pavimento, un ospedale.

 

 

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Capitolo 7
*** Paure ***


Capitolo 7: Paure

Genzo arrivò allo stadio in ritardo quella mattina. L’allenatore Baumann lo fulminò con lo sguardo quando lo vide varcare la porta della sala riunioni, solo mezz’ora prima dell’inizio della partita: aveva perso praticamente tutta la sua spiegazione sulla tattica che la squadra avrebbe dovuto adottare quel pomeriggio. Il Mister era una persona estremamente rigida e ciò che più lo faceva imbestialire, era vedere che uno dei giocatori di spicco della sua formazione, nel giorno di una delle partite chiave del campionato, si permetteva di arrivare tardi senza nessuna valida motivazione.

“Questa volta lo hai fatto davvero incazzare!” gli disse a bassa voce Schneider girandosi verso il portiere.

Genzo non disse nulla, limitandosi ad abbozzare un mezzo sorriso: lui e Karl non erano certo nuovi a quelle ramanzine. Entrambi avevano un carattere molto forte e autoritario e in quegli anni si erano permessi di fare cose che agli altri giocatori non erano consentite: sapevano di poterselo permettere perché loro erano dei fuoriclasse, i numeri uno della squadra tedesca.

In più occasioni si erano trovati a litigare non solo con il Mister, ma anche con alcuni compagni che, di fronte a quel loro carattere, li avevano accusati di comportarsi da prime donne presuntuose.

Al termine della spiegazione tecnica, tutti i giocatori si diressero verso gli spogliatoi per andare a cambiarsi. Karl osservò Genzo per tutto il tempo: non aveva proferito parola e aveva due occhiaie profonde, segno che evidentemente non aveva dormito molto quella notte. Anche altri membri della squadra notarono la cosa: non che li stupisse il fatto che il loro portiere non parlasse, non era mai stato un tipo molto loquace.

Anche se alcuni giocavano con lui da anni, non avevano mai instaurato grandi rapporti con quel ragazzo straniero e le rare conversazioni tra loro riguardavano sempre l’argomento calcio. Nessuno sapeva molto della vita privata di Wakabayashi, lui non considerava i suoi compagni di squadra dei veri amici e non li aveva mai fatti partecipi del suo mondo.

Solo Schneider era riuscito in quegli anni ad avvicinarsi a lui: forse perché entrambi avevano caratteri molto simili (riservati e freddi) o forse perché accomunati dal fatto di sapere di stare un gradino sopra tutti gli altri. In effetti erano stati loro due a guidarli alla vittoria del campionato l’anno precedente e, sempre loro due li stavano avviando alla finale di Champions League e alla conquista di un altro scudetto della Bundesliga.

La loro bravura calcistica aveva pertanto permesso a molti dei ragazzi dell’Amburgo, di superare l’ostilità che suscitava il loro carattere difficile. Due giocatori però non perdevano occasione per discutere e attaccar briga con i due fuoriclasse: Franz e Schester.

Il primo non sopportava quell’arrogante “occhi a mandorla” che in campo lo riprendeva in continuazione, mettendo in discussione la sua capacità di difensore.

Il secondo invece si era trovato più volte a litigare furiosamente con il capitano che, a suo dire in campo, per manie di protagonismo, lo aveva più volte escluso da azioni di gioco, impedendogli così di realizzare dei goal. E poi non sopportava il suo bel faccino, adatto secondo lui più ad un fotomodello che ad un calciatore, e men che meno sopportava il successo che aveva con le donne e i tifosi.

“Hey Wakabayashi, la tua amica ieri deve avere fatto davvero un ottimo lavoro a giudicare dalla tua faccia!” Franz pronunciò quelle parole con un ghigno beffardo dipinto sul volto. Genzo che stava uscendo in quel momento dalla stanza, si fermò all’istante. In un attimo fu di fronte al difensore e a pochi centimetri dalla sua faccia gli sibilò “Non azzardarti mai più a nominarla o te la vedrai con me!”

“Non aspetto altro!” ribattè Franz che non vedeva l’ora di poter dare a quello sbruffone la lezione che si meritava. Da mesi aspettava solo l’occasione giusta per spaccargli la faccia e adesso evidentemente aveva trovato l’argomento giusto per poterlo provocare.

Il diverbio tra i due ragazzi fu però interrotto sul nascere dall’allenatore, che entrò nello spogliatoio per annunciare l’inizio della partita. Genzo senza dire altro, si voltò e uscì, seguito da Schneider che, in silenzio, aveva assistito allo scatto d’ira del portiere. Sapeva che tra i due difensori non correva buon sangue e che quell’energumeno di Franz non perdeva occasione per litigare, ma l’atteggiamento di Wakabayashi, da quando quella mattina era arrivato allo stadio, lo rendeva pensieroso.

Dal canto suo Genzo si era reso conto che la sua reazione di fronte alla battuta di Franz era stata eccessiva: in fondo dalla bocca di quell’idiota non uscivano mai frasi molto sensate e lui aveva imparato col tempo a non raccogliere le sue provocazioni.

Il fatto però che avesse nominato Sanae, facendo su di lei insinuazioni di quel tipo, gli aveva letteralmente mandato il sangue al cervello. Era stanco, quella notte aveva chiuso occhio solo per poche ore ed il suo sonno era stato continuamente turbato da dolorosi ricordi.

E poi quella mattina si era svegliato con uno strano senso di inquietudine: non capiva il perché ma si sentiva agitato, tremendamente nervoso.

Questo suo stato d’animo non lo abbandonò per tutta la partita, anzi crebbe durante tutti i novanta minuti. La sua prestazione ne risentì alquanto: si fece fare due goal, come un pivello. Solo l’intervento di Schneider li salvò dal tracollo, facendo loro raggiungere un sofferto pareggio.

Karl aveva capito che qualcosa preoccupava il portiere: durante tutta la partita era stato assente; non aveva, come suo solito, diretto la difesa in modo impeccabile; si era limitato a starsene tra i pali con il cappellino calato sugli occhi e la testa chissà dove.

E per tutto il tempo aveva continuato a controllare l’orologio, come se non vedesse l’ora di andarsene di lì. Rientrato negli spogliatoi poi, lo aveva visto precipitarsi subito verso l’armadietto, estraendone il cellulare e rimanendo deluso dopo aver guardato il display.

Non sapeva esattamente cosa ci fosse sotto, ma qualcosa gli suggeriva che, quella ragazza incontrata il giorno prima, aveva a che fare con lo strano atteggiamento dell’amico.



Genzo rientrò in casa esausto e arrabbiatissimo: lui il SGGK che si faceva infilzare come un pollo, facendosi segnare due goal assurdi. In realtà però, sapeva che il suo stato d’animo non era dovuto all’esito della partita.

Era per lei che stava così. L’aveva lasciata la sera prima e da allora un dubbio lo tormentava: e se non lo avesse richiamato? Se avesse deciso di nuovo di sparire senza lasciar traccia, come l’ultima volta?

Come un idiota si era limitato a lasciarle il suo numero di telefono, senza neanche chiedersi se lei avrebbe avuto piacere di rivederlo. In fondo era stata proprio lei a confessargli che andare da lui le era costato tantissimo; forse il reincontrarlo aveva riaperto in lei vecchie ferite; forse lei si era resa conto di non essere ancora pronta a rivivere il passato…e lui era parte del suo passato.

Continuava a controllare l’orologio e il telefonino che inesorabilmente restava muto. Per un attimo pensò alla possibilità di andare a cercarla; in fondo sapeva dove abitava e dove studiava. Ma con che diritto poteva farlo? Chi era lui per intromettersi nella sua vita?

Erano ormai le otto e lui stava torturando da tempo interminabile il telecomando del televisore, continuando a cambiare canale, alla disperata ricerca di qualcosa che lo distraesse dai pensieri che lo stavano tormentando.

All’improvviso il cellulare si illuminò e cominciò a suonare. In un lampo lo afferrò dal tavolino e premette il tasto di collegamento con il cuore in gola.

Subito però le sue speranze furono infrante: era Karl che lo avvisava che il Mister aveva indetto una riunione speciale per martedì. Lui ascoltò il compagno limitandosi a mugugnare un assenso quando quest’ultimo gli propose di passarlo a prendere per andare insieme all’incontro.

Riattaccò e stava per risedersi sul divano, quando il cellulare suonò di nuovo: doveva essere ancora Karl, probabilmente si era dimenticato, come al solito, di dirgli qualcosa. Non guardò nemmeno il display o si sarebbe accorto che il numero che vi appariva era diverso da quello precedente.

Rispose in modo molto scocciato e per un attimo nessuno dall’altro capo parlò. Poi una voce incerta, ma che lui riconobbe all’istante disse “Genzo? Ciao sono Sanae. Ti sto disturbando? Se vuoi ti chiamo in un altro momento.”

Il ragazzo sentendo quella voce si riprese immediatamente e cambiando subito tono, la salutò calorosamente “Scusami Sanae, pensavo fossi qualcun’altro. Non mi disturbi affatto. Aspettavo la tua telefonata.”

In pochi secondi il suo umore cambiò completamente…lei lo aveva chiamato. Appariva tranquilla e allegra e si scusava con lui per essersi fatta sentire solo a quell’ora “La mia padrona di casa mi ha letteralmente obbligata ad andare a cena da lei e suo marito per tre ore…hai capito bene?...per tre ore mi ha praticamente raccontato la storia di tutta la seconda guerra mondiale!”

Sembrava davvero esausta e lui in breve si ritrovò a ridere di lei e poco dopo con lei della sua disavventura.

“Domani ho la giornata libera. Se ti va possiamo vederci nel pomeriggio.”

“Volentieri.” ribattè Sanae “Ma io non sarò libera prima delle otto. Possiamo trovarci dopo cena se per te va bene.”

Avrebbe preferito stare con lei per più tempo, ma si limitò a rispondere “Certo, allora ritieniti invitata per un caffè a casa mia. Vengo a prenderti verso le nove.”

Prima di riappendere la sentì ironizzare “Genzo…ehmm…tu non hai combattuto nessuna guerra vero?”

Scoppiò di nuovo a ridere e così facendo la salutò e andò in cucina: aveva ritrovato il buon umore e solo allora si era accorto di avere una fame da lupi.

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Capitolo 8
*** Di nuovo insieme ***


Capitolo 8: Di nuovo insieme

Capitolo 8: Di nuovo insieme

La sera successiva, alle nove in punto, Genzo passò a prenderla davanti a casa. Sanae lo stava aspettando in piedi, sul ciglio della strada con in mano una torta fatta nel pomeriggio. Dopo circa quindici minuti, arrivando in una zona periferica della città, si ritrovarono di fronte ad un enorme cancello, dietro il quale si apriva un vasto giardino. Un corto viale alberato conduceva dinanzi all’entrata di una stupenda e antica villa.

Scendendo dal fuoristrada, Sanae rimase per un po’ a fissare la splendida veranda che si trovava di fronte a lei e sulla quale erano disposti un tavolino e delle poltrone in vimini. I pilastri in marmo che la delimitavano, erano avvolti da folti grappoli di glicine, mentre buona parte del muro antistante era ricoperto d’edera. La notte e le luci soffuse del giardino, rendevano l’atmosfera di quella casa ancor più magica. Sembrava una casa delle favole, di quelle che lei aveva sempre visto illustrate nei libri che da piccola adorava leggere; non si sarebbe certo stupita di veder saltar fuori da un momento all’altro una fata, un elfo o uno gnomo.

Stava ancora fissando a bocca aperta tutto l’edificio, quando sentì una voce femminile rivolgersi a loro “Buonasera signor Wakabayashi, buonasera signorina, ben arrivata.”

Sanae si girò verso la porta d’ingresso e vide una donna di mezza età che sorrideva loro in modo affabile.

“Buonasera Maria. E’ tutto pronto?” chiese il ragazzo e, di fronte al cenno di assenso della cameriera, esortò Sanae ad entrare in casa. Il salone si rivelò ben presto ancor più spettacolare dell’esterno della casa: era arredato in modo accuratissimo e molto lussuoso. Un immenso tappeto persiano copriva un lucidissimo pavimento bianco; numerosi quadri e affreschi ricoprivano le pareti, mentre delle splendide tende bianche ricamate coprivano in parte la porta che dava sulla veranda. Un divano bianco circondava a ferro di cavallo un basso tavolino in cristallo, mentre nei ripiani di un mobile in legno scuro, si trovavano un enorme televisore a schermo piatto, il videoregistratore e l’impianto hi-fi. Dall’altro lato della stanza due poltrone, sempre bianche, erano disposte di fronte ad un caminetto mentre altri mobili in legno pregiatissimo, erano distribuiti in modo molto ricercato per tutta la stanza, in parte ricoperti da vasi e altri oggetti di evidente buon gusto, oltre che di smisurato valore.

“Hai una casa davvero stupenda Genzo, complimenti.” Sapeva che l’amico apparteneva ad una delle famiglie più ricche di Fugisawa: suo padre era un importante imprenditore e fin da quando lui era piccolo, con la moglie aveva viaggiato per tutto il mondo, decidendo alla fine di stabilirsi in Europa. Genzo dal canto suo, aveva passato l’infanzia e parte della sua adolescenza in Giappone sotto il controllo e la tutela di Tatsuo, amico fidato del padre.

Di fronte all’eleganza dell’arredamento era rimasta però comunque stupita: non pensava che l’amico avesse un gusto così raffinato e soprattutto che casa sua potesse essere così…perfettamente in ordine. Ancora se lo ricordava da ragazzino, quando lei lo rimproverava continuamente perchè alla fine degli allenamenti, lasciava sparsi i suoi indumenti per tutto lo spogliatoio. E in quei mesi lei se l’era sempre immaginato girovagare in un piccolo appartamento, sommerso da tonnellate di biancheria sporca.

E invece quella casa era semplicemente perfetta. Che sciocca…era evidente che un Wakabayashi non poteva permettersi di vivere in un miniappartamento di periferia come faceva lei…una Nakazawa qualunque.

Si sentì un po’ stupida con quella torta di ciliegie tra le mani e si chiese se forse non avrebbe fatto meglio a comprarne una in pasticceria.

“Guarda che non è tutto merito mio.” le disse Genzo interrompendo i suoi pensieri “Questa casa è dei miei genitori, ci hanno vissuto fino a due anni fa e poi hanno deciso di lasciarla a me quando si sono trasferiti a Berlino."

Nel frattempo lui l’aveva fatta accomodare sul divano.

“Ah ecco, adesso si spiega tutto!” esclamò Sanae, riprendendosi dallo stupore di poco prima.

“Che vorresti dire?" si finse offeso il giocatore, mentre lei continuava ad ironizzare “Voglio solo dire che il Wakabayashi che conosco io, è sempre stato una delle persone più disordinate sulla faccia della terra e, qualcosa mi dice che il merito di tutto questo ordine non è certo tuo, ma di una certa persona di nome Maria. O mi sbaglio?"

Appoggiandosi al mobile di fronte al divano lui rispose beffardo “Sì cara mia, ti sbagli proprio di grosso. Non sai forse che, dopo il calcio, come secondo lavoro dirigo personalmente un’impresa di pulizie?”

Alle risate di Sanae si unirono quelle di Maria, che nel frattempo li aveva raggiunti con un vassoio d’argento, sul quale si trovavano due tazze di porcellana finissima e una teiera fumante. Dopo aver versato loro il tè, Genzo la congedò “Grazie Maria, adesso può andare."

La donna con un sorriso si allontanò, lasciandoli da soli a parlare e a sorseggiare il tè. Senza esitare Genzo aprì la scatola nella quale si trovava la torta di Sanae, notando con immenso piacere che lei aveva preparato un dolce tipico giapponese. Ne mangiò con gusto e senza ritegno due grosse fette, cosa che risultò molto gradita alla ex manager, visti i suoi dubbi di poco prima. Sanae lo osservava divertita mentre spargeva noncurante briciole ovunque. Eh no! Da quel punto di vista non era proprio cambiato…la povera Maria doveva avere davvero un bel d’affare a stargli dietro!

 

Alla fine dello spuntino Sanae lo aiutò a sistemare il tavolo, prima di chiedergli di poter usare il bagno. Aveva notato che di fronte alla sua richiesta, per un attimo, le braccia del ragazzo, che in quel momento stava richiudendo la scatola della torta, si erano fermate e aveva inoltre avvertito un cambiamento quasi impercettibile nella sua voce quando, rispondendole, le aveva indicato la stanza. 

Alla fine si ritrovarono a parlare sul divano, uno di fronte all’altra: entrambi a piedi scalzi, lui semisdraiato in un angolo con la testa appoggiata allo schienale, lei seduta dalla parte opposta, con le gambe incrociate, stringendo a sé un cuscino. Per un po’ di tempo parlarono ancora dell’Università e delle tre lingue che aveva deciso di imparare: francese, inglese e tedesco. Il portiere non poté fare a meno di notare che la scelta non era ricaduta sullo spagnolo e non si stupì affatto della cosa.

Sanae gli raccontò poi di come aveva conosciuto Karol e Kristine e di come le due erano diventate le sue più care amiche; gli raccontò anche delle lezioni private che dava tre sere alla settimana, per cercare di arrotondare la borsa di studio e della sua intenzione di iscriversi ad un master post laurea.

Genzo dal canto suo gli raccontò di come invece erano stati disastrosi i suoi primi anni scolastici in terra tedesca: delle immense difficoltà ad imparare una lingua completamente diversa dalla sua; della folle idea (a suo dire) di Tatsuo di obbligarlo a frequentare un liceo che lui, alla fine, aveva concluso per il rotto della cuffia, ottenendo comunque, più per i meriti calcistici che non scolastici, un diploma, seppur con un misero punteggio. E poi le raccontò inorridito dei tentativi disperati della madre di convincerlo ad iscriversi ad un’Università “Mi vengono ancora i brividi…mi ci vedi chiuso in una biblioteca con il naso ficcato per ore sui libri?"

Cercando di immaginarsi la scena, Sanae non potè trattenersi dall’ironizzare “Mmm…Einstein Wakabayashi…mmm…no…non suona molto bene in effetti!"

Lui abbozzò un sorriso, poi entrambi rimasero a fissarsi in silenzio, nella stanza in penombra, illuminata solo da una grande lampada posta a fianco del divano.

Raccogliendo le gambe vicino al petto e stringendo ancor più a sé il cuscino, Sanae osservò quei due occhi neri come la notte e per un attimo un ricordo le balenò nella mente: già un’altra volta si era ritrovata a fissare quegli occhi, ma le circostanze erano ben diverse.

“Non devi più preoccuparti per me Genzo. Io non sono più quella di una volta…adesso sto bene…sto davvero bene.”

Lui per un attimo spalancò gli occhi sorpreso: era da quando l’aveva rivista per la prima volta che desiderava sentire la verità…desiderava sapere. "Scusami, so che non dovrei...ma non riesco a non preoccuparmi per te…anche se adesso vedendoti, so che non ne ho più motivo."

Sanae sapeva che il ragazzo era sincero ma decise che era giunto il momento di raccontargli perché due anni prima avesse deciso di andarsene senza dirgli niente: lui meritava una spiegazione e lei aveva tanta voglia di liberarsi di tutti i sensi di colpa che l’avevano accompagnata fino a quel giorno.

“Mi dispiace di essermene andata in quel modo due anni fa, ma ho dovuto farlo Genzo. Anche Yukari all’inizio non ha capito…ma io vedi…dovevo farlo…dovevo ritrovare la vecchia Sanae, spensierata e innamorata della vita. E potevo farlo esclusivamente da sola.”

Si portò le mani al viso premendosi gli occhi, prima di continuare “Dopo la sua partenza tutto il mondo mi è crollato addosso, ero disperata Genzo, tu lo sai…mi hai visto…hai visto in che condizioni mi sono ridotta…Dio mio…ero arrivata ad un punto tale…tu e Yukari siete stati gli unici a capire tutta la mia disperazione ed io non credo saranno mai sufficienti tutti i ringraziamenti di questo mondo per non avermi mai lasciato sola. Quel giorno in ospedale, quando tu e lei ve ne siete andati per raggiungere gli altri all’aereoporto, io ho provato un vuoto immenso ed un terrore folle perché mi ritrovavo da sola e soprattutto perché mi rendevo conto che, per l’ennesima volta, stavo ricadendo nello stesso errore… voi due…tu…vi stavate trasformando nella mia ennesima dipendenza;e non era giusto…per voi e soprattutto per me. E quel giorno ho deciso che me ne sarei andata lontano, senza dire niente a nessuno…so che mi avreste cercata…ma io avevo deciso di intraprendere quel viaggio da sola…perché solo così avrei potuto davvero superare tutte le mie paure, tutti i fantasmi del passato. Dovevo riuscirci da sola."

Genzo si limitò ad ascoltarla, senza proferire parola; un groppo alla gola gli impediva di emettere qualsiasi suono. La vedeva davanti a lui, con quei due grandi occhi lucidi per l’emozione…chissà quanto le costava rivangare il passato.

Lui se lo ricordava bene: si era avvicinato molto alla manager in quel periodo tragico e probabilmente si era anche invaghito di lei, rendendosi però subito perfettamente conto che nel cuore della ragazza non ci sarebbe mai stato spazio per lui. Ma alla fine aveva deciso di starle vicino ugualmente, anche solo come amico; aveva dato l’anima per lei, per aiutarla a superare il baratro e dopo la sua scomparsa la odiò. L’aveva odiata con tutto sé stesso: se ne era fregata degli amici che le erano stati vicini e se ne era andata senza dire una parola, lasciandoli nella più nera disperazione per non aver potuto fare di più per lei e soprattutto con l’incubo costante che non ce l’avesse fatta a superare i suoi problemi e che loro non l’avrebbero più rivista.

“E’ stata dura Genzo…Dio solo sa dove ho trovato la forza di reagire…un sacco di volte ho pensato di cedere, di mandare tutto al diavolo…ma poi il ricordo tuo e di Yukari e l’amore della mia famiglia mi hanno spinto ad andare avanti…e alla fine ne sono uscita Genzo…ho lasciato tutto alle spalle…e sono riuscita a farcela solo con le mie forze.” La sua voce era rotta dall’emozione e una lacrima scese a rigargli la guancia. Il ragazzo si avvicinò a lei e sempre in silenzio l’abbracciò, baciandole i capelli e tentando con quel gesto di farle capire quanta gioia gli avevano procurato le sue parole: lei ce l’aveva fatta…ora ne era certo.

Sanae si strinse a lui appoggiando la testa sul suo petto muscoloso e, mordendosi un labbro, ricacciò indietro tutte le lacrime che tentavano disperatamente di traboccare dai suoi occhi…non voleva piangere. Si era ripromessa tanto tempo prima che non avrebbe mai più pianto, aveva versato fin troppe lacrime nella sua vita. Ormai si era lasciata alle spalle il passato e adesso era arrivato il momento di andare avanti, con un sorriso sulle labbra, verso il suo nuovo futuro.

 

 

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Capitolo 9
*** Nuovi incontri ***


Capitolo 9: Nuovi incontri

Aprì gli occhi e si stiracchiò sotto le coperte; si guardò intorno e per un attimo non riuscì a capire dove si trovava. Involontariamente si era girata sulla sua destra, alla ricerca della sveglia fatta a maialino che Karol e Kristine le avevano regalato il Natale precedente, ma si ritrovò a fissare un tavolino di legno sul quale si trovava un vaso pieno di splendide rosse gialle.

Quella non era la sua stanza e quello non era il suo letto. Pian piano la sua mente ancora offuscata dal sonno, ricompose gli avvenimenti della serata precedente: dopo aver parlato i due ragazzi si erano accorti dell’ora tarda che avevano fatto e Genzo le aveva proposto di fermarsi a dormire a casa sua.

Lei inizialmente si era dimostrata un po’ titubante ma lui l’aveva convinta e l’aveva accompagnata in una camera per gli ospiti. Sanae si era addormentata come un sasso non appena aveva appoggiato la testa sul cuscino e aveva dormito profondamente tutta la notte.

Si alzò a sedere sul letto e guardando un orologio a pendolo sulla parete di fronte a lei, si accorse che erano già passate le nove del mattino. Aveva dormito un sacco (strano per lei che era sempre stata abituata a svegliarsi presto fin dall’epoca del liceo) e adesso si sentiva riposata e soprattutto serena: la chiacchierata della sera prima le aveva fatto davvero bene, era come se si fosse liberata di un grosso peso.

Buttò le lenzuola da un lato e con un agile balzo scese dal letto. Si diresse in bagno: ovviamente quella camera era dotata di un bagno proprio e Sanae non potè fare a meno di constatare con ironia, che solo quella stanza era grande quasi la metà del suo miniappartamento; le piastrelle di un blu lucido erano perfettamente in tinta con i tappeti, le tende e gli asciugamani appesi qua e là.

Si lavò la faccia e si guardò allo specchio: indossava un pigiama di seta grigio della madre di Genzo, che lui le aveva prestato la sera prima. Sfiorò con le dita la morbida e lucente stoffa, pensando al suo pigiama felpato con gli orsacchiotti, dal quale lei non si era mai voluta separare “Certo che se un uomo mi vedesse con indosso il mio pigiamone scapperebbe a gambe levate!” disse ad alta voce sghignazzando e immaginandosi la scena di lei che tentava di sedurre un ragazzo abbigliata a quel modo.

Ricordò che la sera precedente Genzo, prima di augurarle la buonanotte, le aveva detto che la mattina dopo sarebbe andato via presto perché aveva una riunione con la squadra. Si era raccomandato con lei di fare tutto con calma quella mattina, come se fosse stata a casa sua e le aveva anche raccontato dove trovare tutto il necessario per la colazione; verso mezzogiorno sarebbe arrivata Maria che le avrebbe chiamato un taxi per riportarla a casa.

Non le dispiaceva affatto l’idea di fermarsi ancora in quella casa e soprattutto di essere libera di fare ciò che voleva, fingendosi la padrona…chissà quando mai le sarebbe capitata di nuovo l’occasione.

Aveva già deciso che avrebbe mangiato sulla veranda che aveva visto la sera prima; la giornata era splendida e voleva godersi al massimo quelle poche ore di solitudine.

Con indosso ancora il pigiama e i capelli un po’ arruffati, si cacciò lo spazzolino da denti in bocca e si diresse verso la cucina, dove recuperò il necessario per la sua colazione: mise sotto braccio un pacchetto di biscotti, in una mano una tazza di latte e nell’altra un vasetto di marmellata. Così carica, si avviò verso la porta della veranda e trovandola socchiusa, la aprì con un piede, dal momento che entrambe le mani erano già occupate.

Si bloccò all’istante impietrita: Genzo e Karl Heinz Schneider erano davanti a lei, seduti sulle poltrone della veranda a bere del caffè e la fissavano con un’aria sorpresa.

Lei rimase impalata per un attimo, non sapendo come comportarsi “Ecco io…in genere non apro le porte con i piedi…” tentò di giustificarsi, ma le parole che le uscirono furono quasi incomprensibili: si era dimenticata dello spazzolino da denti e il significato della frase che aveva pronunciato si era mescolato al gorgoglìo dello schiuma del dentifricio. Improvvisamente arrossì fino alla radice dei capelli, appoggiò velocemente le cose che aveva in mano sul tavolino e, giratasi di scatto, si riprecipitò in casa.

I due calciatori dopo il primo momento di stupore, di fronte a quella scena buffissima, scoppiarono contemporaneamente in una fragorosa risata che arrivò fino alle orecchie di Sanae, aumentando ancor di più il suo imbarazzo.

Entrò velocemente in camera e ancora rossa come un peperone si tolse il pigiama per rimettersi i vestiti del giorno prima. Si spazzolò velocemente i capelli e si sedette furente sul letto.

Che vergogna! Si sentiva come una ladra colta sul fatto; ma perché non si era preparata prima di uscire? E lo spazzolino da denti poi! Che figura che aveva fatto con quei due. E poi no!!! Che colpa ne aveva lei, era tutta colpa loro! Che diavolo ci facevano a quell’ora a casa, non dovevano forse andare ad una riunione? Non gli aveva forse detto che quella mattina sarebbe stata sola in casa?

E poi invece di toglierla dall’imbarazzo, cosa avevano fatto? Le erano scoppiati a ridere in faccia! Che cafoni, tanto belli quanto idioti questi calciatori! E adesso le toccava pure riaffrontarli!

“Accidenti a quei due!” esclamò alzandosi di scatto e, cercando di farsi coraggio, uscì dalla stanza.



Nel frattempo i due ragazzi stavano cercando di soffocare le risate, con scarso successo a dire il vero.

“Adesso è meglio smetterla o Anego mi ammazza!”

“Già non siamo stati molto carini, poverina!” Karl finì di bere il suo caffè e mentre stava per aggiungere altro, fu interrotto dal ritorno di Sanae: si era rivestita e aveva un’aria imbronciata mentre avanzava verso di loro.

“Posso versarti del caffè Principessa?” le chiese trattenendo a fatica un’altra risata il portiere.

“Sì grazie.” bofonchiò lei di risposta, lanciandogli un’occhiata di fuoco vedendo che lui non accennava a smettere di deriderla.

“Beh lui è il Kaiser, credo che tu lo sappia. E lei è Aneg…cioè Sanae!”

In un attimo Genzo si ritrovò un calcio piazzato negli stinchi ed emettendo un gemito, cominciò a protestare vivacemente per le maniere della sua ospite.

Divertito dalla scena tra i due, il capitano dell’Amburgo si alzò e tese la mano alla ragazza “Piacere Sanae, io sono Karl.”

Lei rimase per un attimo sorpresa quando lui la fissò con quei suoi occhi azzurri, ma subito si riprese e ricambiò il saluto, porgendo a sua volta la mano.

“Adesso dobbiamo davvero andare. Si è fatto tardi. Chi lo sente il Mister se arriviamo di nuovo in ritardo!” Così dicendo, Genzo esortò il capitano ad andare, ma prima di scendere dalla veranda si accostò a Sanae che fingeva ancora di tenergli il broncio e chinandosi su di lei la baciò su una guancia “Buona colazione, ti chiamo più tardi.”

Lei sorrise di fronte alla sua dolcezza: solo lui, con gesti come quelli, era capace di farla sentire così bene. Salutò i due ragazzi e si appoggiò alla poltrona pronta a gustarsi la sua colazione…finalmente in santa pace.



“E così lei è la ragazza che ti ha fatto perdere completamente la testa Wakabayashi!?”

Karl era rimasto molto sorpreso di fronte agli atteggiamenti di poco prima del suo portiere: mai lo aveva visto ridere così di gusto. E poi con quella ragazza si comportava come con nessun altro: aveva continuato a guardarla con un immenso affetto anche quando la prendeva in giro e l’aveva addirittura baciata di fronte a lui. Per non dimenticare che qualche giorno prima l’aveva abbracciata davanti a decine di persone.

Lui, Genzo Wakabayashi che, da quando si conoscevano, non aveva mai manifestato in pubblico il minimo segno d’affetto nei confronti delle sue innumerevoli partner. Neanche con quella fotomodella con la quale era stato per il tempo record di otto mesi.

Ed invece quella ragazza dai modi semplici e per nulla appariscente era riuscita là dove centinaia di donne (bellissime e ricchissime) avevano miseramente fallito: aprire il cuore dell’irraggiungibile e glaciale portiere.

Genzo sorrise continuando a guardare la strada davanti a sé “Sì, Sanae è una ragazza davvero speciale per me.” e dopo un attimo di silenzio aggiunse “Ma non nel senso che credi tu.”

Il biondo capitano rimase un po’ sorpreso da quell’ultima affermazione. Non riusciva a capirne il senso; in fondo lei aveva passato la notte a casa sua e tutto gli faceva pensare che il portiere fosse pazzamente innamorato di quella ragazza. Decise però di non chiedere altro e premendo il piede sull’acceleratore della sua Porche, si diresse verso lo Stadio Aol Arena.

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Capitolo 10
*** In un mondo nuovo ***


Capitolo 10: In un mondo nuovo

Era tardissimo. Genzo sarebbe passato a prenderla da lì a venti minuti e lei era appena uscita dalla doccia. Ma come aveva fatto a farsi coinvolgere in quella cosa? Doveva essere completamente impazzita, pensò tra sé Sanae mentre, precipitandosi fuori dal bagno in mutande e reggiseno e con in testa un asciugamano, cominciava a rovistare come una pazza ovunque, alla ricerca delle calze che fino a due minuti prima, ricordava essere sul letto.

Genzo l’aveva chiamata due sere prima per chiederle un favore “Sanae, so che te lo chiedo all’ultimo minuto, ma ti prego aiutami, vieni con me!”

Alla riunione il Mister li aveva informati di un ricevimento che il Ministro Wagner aveva indetto per quella sera e loro, come giocatori della squadra più in vista della Bundesliga, erano stati ovviamente invitati. Ed il Mister era stato categorico: nessuno di loro poteva mancare, nessuno…e dicendolo aveva volutamente guardato nella direzione sua e di Karl, sapendo che i due erano notoriamente avversi a quegli eventi mondani.

“Ti prego Sanae, sei la mia unica salvezza! Se mi presento da solo a questa festa mi ritroverò circondato da un’orda di oche e vecchie befane che tenteranno tutta la sera di farmi ballare. So che finirà così. Ti prego!”

Sanae era rimasta interdetta di fronte a quella richiesta: che cosa avrebbero pensato tutti gli ospiti vedendoli arrivare insieme? Probabilmente la stessa cosa che avevano pensato i tifosi quando lui l’aveva abbracciata allo stadio…che lei fosse la sua fidanzata…o meglio, non esageriamo…la sua ultima fiamma.

E poi lei non conosceva nessuno, né dell’ambiente calcistico, né tanto meno dell’ambiente politico di quella città: cosa avrebbe fatto in mezzo a tutti quei personaggi celebri?

“Scusa Genzo ma se hai bisogno di una ragazza che finga di essere la tua fidanzata…beh…credo che tu non faccia fatica a trovare qualcuno di più adatto a me per l’occasione.”

“Ma che dici? Chi può essere più adatto di te per quest’occasione? Ti vorrei ricordare che sei tu quella che vuole lavorare nel mondo della politica! E comunque non me ne frega niente di portare qualcun’altra al ricevimento. Allora verrai con me?”

Sanae tentò in tutti i modi di rifiutare l’invito adducendo una serie infinita di scuse: non aveva il vestito adatto, non conosceva nessuno, quella sera doveva dare lezioni fino a tardi, il suo gatto si era improvvisamente ammalato di polmonite…ma lui inesorabile, le aveva controbattute tutte.

“Tu non hai un gatto Sanae. Passo a prenderti alle otto, alla fine delle tue lezioni…anche se arriviamo tardi nessuno se ne accorgerà e così ci risparmieremo i pallosissimi saluti delle autorità. Anch’io non conosco nessuno perciò siamo in due…ci faremo compagnia a vicenda. Ah non ti preoccupare per il vestito…sono sicuro che troverai qualcosa di adatto all’occasione.”

Così dicendo aveva chiuso la comunicazione senza aspettare la sua risposta e lei si era ritrovata così incastrata, senza poter far nulla per obiettare.

Stava ancora saltando per la stanza su un piede solo, nel tentativo di infilarsi le calze di seta, quando squillò il telefono. Rispose tenendo l’apparecchio tra la spalla e la guancia, mentre con le mani si infilava il vestito.

Era Karol che voleva sapere come andavano i preparativi per la serata. Ovviamente lei e Kristine non sapevano con chi doveva uscire…già si sarebbe immaginata gli strilli che la bionda avrebbe cacciato conoscendo il nome del suo accompagnatore. In quei giorni non aveva ancora trovato il tempo di spiegare loro la situazione ma si era rivolta comunque alle amiche per chiedere consiglio sull’abbigliamento più adatto per quella serata, confidando sul loro buongusto.

Ancora una volta Karol si era dimostrata un tesoro, passando in rassegna quel pomeriggio per più di un’ora tutti gli abiti di Sanae, alla ricerca del più adatto per l’occasione. E discreta come al solito non le aveva chiesto nulla, a differenza di Kristine che per tutto il tempo l’aveva tempestata di domande alle quali lei faticosamente aveva risposto in modo vago.

Dopo aver riagganciato il telefono, Sanae controllò rapidamente l’orologio…le otto meno cinque. Si precipitò in bagno, si asciugò velocemente i capelli e cominciò a sistemarsi il viso…in realtà non ci mise molto a compiere quell’ultima operazione…lei non amava molto truccarsi.

Sentì il campanello e, affacciandosi alla finestra, gridò a Genzo “Aspettami arrivo!”

Si infilò le scarpe con un tacco non indifferente, chiuse velocemente la clip dell’orecchino e presa la pochette, scese in strada.

Genzo, in smoking nero e camicia bianca, si fermò sul marciapiede ad aspettare che l’amica lo raggiungesse. Il sole stava scomparendo all’orizzonte e l’aria era tiepida; stava osservando dei ragazzini che correvano dall’altra parte della strada seguiti da un cane, quando sentì aprirsi la porta alle sue spalle.

Si girò in quella direzione e vedendo Sanae scendere i gradini verso di lui, rimase senza parole.

Era semplicemente incantevole: aveva deciso di indossare un morbido abito bianco che le arrivava appena sopra le ginocchia. Le maniche strette fino ai gomiti, si allargavano poi in voile che le ricoprivano le braccia fino ai polsi, mentre una scollatura tonda e discreta metteva in evidenza un seno piccolo ma sodo.
Ai piedi indossava un paio di scarpe col tacco, bianche e con dei bordi azzurri, perfettamente in tinta con la borsetta che teneva in mano. E per completare il tutto, al collo era appesa una catenina d’oro bianco con due perle separate da un lapislazzulo azzurro, perle identiche a quelle che spiccavano ai suoi lobi. Infine i capelli erano raccolti in una semplice coda bassa, legata da un fiocco di raso, anche quello azzurro.

Genzo rimase per un po’ a fissarla a bocca aperta; notando la cosa, Sanae arrossì leggermente e per sbloccare la situazione chiese “Allora vogliamo andare?”

Il numero uno si risvegliò subito e sorridendole, la aiutò a salire in macchina.



Quando arrivarono di fronte all’ingresso del Palazzo dei Ministri, Sanae aveva il cuore in gola. Voleva fuggire da lì, voleva ritornare immediatamente a casa e mettersi in pigiama, sul divano, a leggere.

Vedeva passarle accanto signore di mezza età strette in abiti lunghi e costosissimi e bellissime ragazze (fotomodelle e attrici probabilmente) che senza alcun pudore sfoggiavano mini abiti succinti che lasciavano ben poco all’immaginazione.
E lei si sentiva una scolaretta con quel suo abitino bianco: non l’aveva pagato poco in verità ma evidentemente, di fronte a tutto quel lusso, doveva sembrare un capo veramente sempliciotto.

Non doveva essere lì, lei non c’entrava niente con quel mondo. Lo stomaco le si era completamente chiuso e la bocca era secca; per un attimo provò l’istinto irrefrenabile di rimontare in macchina e tornare da dove era venuta.

Vedendo la sua titubanza Genzo la prese per mano e insieme fecero il loro ingresso nel salone dei banchetti colmo di invitati.

Non appena varcarono la soglia, si ritrovarono puntati contro gli occhi di moltissime persone.

Tutti riconobbero immediatamente il numero uno della squadra cittadina, affascinante come sempre. E tutti notarono immediatamente la ragazza orientale che aveva al suo fianco. Molti rimasero affascinati dalla visione dei due ragazzi: erano una coppia stupenda.

Lui alto, atletico, dallo sguardo tenebroso e impeccabile nel suo vestito da sera. Lei piccola ed esile, sembrava una creatura eterea fasciata in quel semplice abito bianco.

Genzo notò con immenso orgoglio gli sguardi che gli uomini in sala lanciavano nella loro direzione e non certo rivolti a lui. Sanae dal canto suo invece, vedeva solo le occhiate torve che molte ragazze le mandavano, evidentemente urtate dalla sua presenza al fianco del calciatore. Intimorita strinse ancor di più la sua mano in quella di Genzo che si girò verso di lei sussurrandole all’orecchio “Benvenuta nella fossa dei leoni!”

Fossa dei leoni? E’ così che lui le infondeva coraggio? Rigirando il coltello nella piaga? Per lei quella era davvero la fossa dei leoni e lei era la preda pronta ad essere divorata!

“Guai a te se mi lasci!” gli rispose guardandolo diritto negli occhi. Lui l’aveva cacciata in quel guaio e adesso doveva aiutarla ad arrivare incolume alla fine della serata. E al diavolo quello che tutti avrebbero pensato di loro due, in fondo il solo fatto di essersi presentati insieme era di per sé sufficiente a scatenare mille congetture sul loro conto.

In un attimo si ritrovò circondata da decine di persone e senza volerlo, cominciò a stringere mani a benemeriti sconosciuti: politici, uomini di spettacolo, signore petulanti dell’alta società. Probabilmente alla fine di quella serata non avrebbe ricordato il nome di neanche uno di loro.

Tutto girava vorticosamente intorno a lei ed i piedi cominciavano a farle male a causa dei tacchi. Anche Genzo cominciava a dare segni di insofferenza: continuava a sbuffare torturando il colletto della camicia e rispondeva seccato e a monosillabi alle numerose ammiratrici che, noncuranti della presenza della sua accompagnatrice, lo avvicinavano per intavolare una conversazione.

Stavano bevendo una coppa di champagne quando l’allenatore dell’Amburgo si avvicinò loro interrompendoli “Mi scusi signorina, ma avrei bisogno di Wakabayashi. Genzo, il Ministro vuole fare un discorso prima di consegnare una targa al merito della squadra. Tutti voi giocatori dovete venire con me sul palco.”

Il portiere fu letteralmente trascinato via dall’uomo, lasciando Sanae sconcertata, da sola, in mezzo alla sala. La cosa non sfuggì a molte delle donne presenti, che approfittando dell’assenza del calciatore (risaputamene molto riservato), le si avvicinarono per conoscerla: era evidente che il loro vero interesse non era diretto a lei, ma a Genzo, o meglio al modo in cui lei era riuscito ad accalappiarlo.

“Ma lei è giapponese? Allora conosce Wakabayashi da tempo.”

“Mi dica cara, come vi siete conosciuti, è molto che vi frequentate?”

“Lei è davvero fortunata signorina, sa che lei è la prima che il nostro tenebroso portiere presenta ad un ricevimento ufficiale! A quando le vostre nozze?”

“Lei fa la fotomodella non è vero? Lo sapevo! Te l’avevo detto Maggie. Sa, io ho una memoria fotografica incredibile, non dimentico mai un volto.”

“Complimenti per l’abito…è un Versace non è vero?”

Quelle chiacchiere la stavano uccidendo. Con un sorriso si congedò velocemente e, fingendo di dover andare a sistemarsi il trucco sgattaiolò via, lasciando tutte le presenti deluse per non essere riuscite a carpire alcuna informazione sul rapporto tra lei e Genzo. Nel frattempo il Ministro Wagner, parlando al microfono, stava attirando l’attenzione dei presenti elogiando i meriti della squadra cittadina. Era troppo…non avrebbe retto anche quello sproloquio.

Si incamminò verso l’uscita ma la sua fuga fu interrotta per ben tre volte da altrettanti uomini che la bloccarono, chiedendole insistentemente di ballare o di bere qualcosa. Fingendo di non capire la loro lingua, li aveva velocemente liquidati e si era poi precipitata fuori dalla sala, non prima di notare in un angolo, il capitano tedesco circondato da decina di donne in adorazione. In realtà lo aveva visto subito al loro arrivo, era impossibile non notarlo: i suoi biondissimi capelli spiccavano dall’alto del suo metro e ottantacinque.

Lui invece non li aveva visti entrare: era insieme ad altri giocatori della squadra, fingendo di ascoltare interessato le chiacchiere del Ministro e di alcuni suoi colleghi. E Genzo, vista la gente che lo circondava, aveva pensato bene di girargli al largo, andando a confondersi con lei in mezzo alla folla.

Appena arrivata in giardino Sanae tirò un profondo respiro e, allontanandosi dal palazzo, si inoltrò nel silenzio della notte. Trovò poco distante una panchina sulla quale si lasciò cadere, non prima di essersi tolta le scarpe che ormai la stavano torturando da ore.

Chiuse gli occhi cercando di godere di un po’ di quella pace; attutita dalla lontananza, le arrivava la voce del Ministro seguita a breve distanza da una serie di applausi scroscianti e dalla musica che evidentemente indicava l’inizio delle danze.

Sentì un fruscio alle sue spalle e si girò di scatto, vedendo avvicinarsi una figura nell’oscurità.

“Accidenti a questa maledetta cravatta!” sbottò Karl slacciandosi insofferente il nodo che gli stringeva il collo e avvicinandosi alla panchina nascosta dal buio. Solo quando le fu vicino, si accorse della presenza della ragazza che lo stava fissando.

Rimase per un attimo inebetito dalla sua figura: con quel suo abito bianco nel buio della notte gli era sembrata un angelo. Socchiuse gli occhi per cercare di metterla a fuoco: era sicuro di averla già vista…ma dove? All’improvviso gli ritornò alla mente l’immagine di una ragazza con uno spazzolino in bocca.

“Ciao Karl.”

Si avvicinò a lei. “Sanae? Anche tu qui? E Genzo?”

Lei scrollò le spalle sconsolata “E’ stato rapito dal vostro allenatore per la consegna di non so quale targa. Tu piuttosto che ci fai qui, non dovresti essere con lui e gli altri dal Ministro? Sbaglio o sei il capitano?”

“Oh gli altri se la caveranno benissimo anche senza di me. E poi stavo per soffocare là dentro!” Lei lo fissò divertita, aveva intuito che al pari di Genzo anche lui detestava quelle occasioni.

“Ma a quanto pare non sono l’unico che non ama molto queste cerimonie!” le disse lui, facendo cenno alle sue scarpe abbandonate sull’erba.

“No non sei l’unico. Anch’io non ce la facevo più. Ho i piedi pieni di vesciche.” Genzo mi pagherà anche questa, pensò tra sé Sanae, guardandosi i poveri piedi tutti rossi.

“Ma quando siete arrivati? Non vi ho visti.”

“Beh siamo arrivati un po’ tardi e poi ti abbiamo visto con il Min..” Sanae si morse la lingua, accorgendosi della gaffe, ma era già troppo tardi.

“Ah adesso capisco! Wakabayashi mi ha visto con il Ministro e i suoi scagnozzi e ha pensato bene di defilarsi. Che amico! E io che non vedendolo arrivare mi preoccupavo fosse stato incastrato a sua volta!”

Karl la stava osservando ridere; veramente era da quando l’aveva incontrata che non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso. Già a casa di Genzo aveva notato che era carina, ma non se la ricordava così carina.

Non era certo una bellezza prorompente, tutt’altro, passava quasi inosservata nella sua semplicità. Eppure era una di quelle bellezze che se scopri, ti colpisce in fondo al cuore e non riesci più a dimenticare.
E inoltre aveva notato che lei non faceva niente per esaltare le sue doti: quel semplice abitino metteva in evidenza un corpo perfetto, senza risultare volgare, ed il trucco non era per niente ricercato, anzi era molto naturale.

Era così diversa da tutte le donne che lo avevano abbordato quella sera.

Inoltre era molto piacevole parlare con lei; anche se la conosceva da poco non sentiva il minimo imbarazzo a conversare da solo con lei. Si ritrovò a pensare alle parole dell’amico “Lei è una ragazza davvero speciale per me.”

“Credo che sia meglio rientrare, Genzo mi starà cercando.” Così dicendo si alzò dalla panchina e fece due passi, subito però richiamata dalla voce del giocatore “Hey Cenerentola, dove credi di andare senza queste?” Il ragazzo la stava fissando con aria divertita, tenendo tra le mani le sue scarpe.

“Ufff, dovevi proprio ricordarmele!?” sbuffò lei infilandosi nuovamente ai piedi quei terribili strumenti di tortura. Poi senza pensarci si girò verso di lui e alzandosi in punta di piedi, gli strinse il nodo della cravatta “Ecco fatto…adesso anche tu sei pronto.” e di fronte alle sue proteste, con un sorriso beffardo aggiunse “Beh che credevi, che sarei stata l’unica a soffrire? Adesso siamo pari. Forza andiamo.”

E insieme si avviarono verso l’entrata dell’edificio, pronti a ributtarsi nel cuore della festa.

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Capitolo 11
*** Alba sul mare ***


Capitolo 11: Alba sul mare

Finalmente Genzo era riuscito a liberarsi da tutti gli scocciatori che lo avevano circondato e adesso stava cercando Sanae che aveva perso di vista poco prima della cerimonia di premiazione. In mezzo a tutta quella gente gli era però impossibile trovarla, ma dove si era cacciata? Improvvisamente intravide la sua figura in lontananza: stava rientrando dall’ingresso principale e Karl era con lei. Dribblando camerieri e ospiti si diresse verso di loro.

”Eccoti qua ma dove eri finita? Ti ho cercata dappertutto! E tu Schneider dove diavolo sei stato tutto questo tempo?"

“Veramente quella che dovrebbe fare domande sono io. Che fine hai fatto tu Wakabayashi? Mi hai trascinata qui come un cane da guardia per tenere lontane le tue ammiratrici e poi mi hai mollata in mezzo a tutti come un pesce lesso!” Sanae, con le mani sui fianchi lo stava guardando con un’espressione corrucciata.

 “Scusami mi sono liberato appena possibile. Spero sia andato tutto bene." tentò lui di giustificarsi.

“Certo tutto bene, a parte il fatto che ho scoperto di essere una fotomodella che veste Versace, che tre babbioni hanno tentato di abbordarmi e che sono stata bloccata da un’orda di tue ammiratrici scatenate che mi ha fatto il terzo grado per ore. Ah dimenticavo…ormai è ufficiale...io e te ci sposiamo!"

“Wakabayashi che razza di cavaliere sei? Non si lascia da sola una donna, soprattutto una donna così bella! Sanae non scusarlo, non merita il tuo perdono."

“Schneider falla finita!" ribattè Genzo vedendo che il compagno di squadra dava manforte all’amica “Tu piuttosto, dove sei finito? Il Mister è imbufalito con te; dopo la premiazione ti sei dileguato. E io mi sono dovuto sorbire i discorsi di quei pinguini da solo!"

“Sono sicuro che te la sei cavata benissimo; e comunque adesso siamo pari!” e così dicendo strizzò l’occhio a Sanae scatenando la sua ilarità. Genzo non capì il senso della frase dell’amico e rimase ad osservare confuso i due, senza comprendere il motivo del loro divertimento.

I tre rimasero in disparte a bere e parlare per quasi tutta la notte. Sanae stava osservando da tempo le coppie che in mezzo al salone ballavano sulle note della musica dell’orchestra sistemata sul palco: avrebbe voluto anche lei entrare in pista, in fondo quella era una festa no? E la musica era davvero invitante. Si girò verso Genzo con due occhi supplichevoli ma lui, capite le sue intenzioni, le disse “Scordatelo!"

“Cavernicolo!" gli rispose lei voltandosi subito dall’altra parte delusa.

“Permetti Sanae?" Così dicendo Karl le prese la mano e con un inchino la invitò a ballare. Lei, radiosa, accettò subito e si avviò con lui al centro del salone, non prima di essersi girata verso il portiere e avergli fatto una linguaccia.

Si ritrovarono a volteggiare sulle note di un Valzer e lei si stupì dell’eleganza dei movimenti del capitano della squadra amburghese. Pensava che tutti i calciatori fossero negati per quel tipo di cose…ed invece lui si muoveva in modo perfetto. Le sue braccia la cingevano in modo delicato ma sicuro, guidandola in mezzo alle altre coppie.

“Sono sorpresa…pensavo che come Genzo non amassi ballare…e invece sei davvero bravo."

“Mia madre e mia nonna amavano molto il Valzer e quando ero piccolo hanno fatto di tutto per insegnarmi a ballarlo. Anche se io non ero un allievo modello…sai preferivo tirare calci ad un pallone."

“Beh direi che hanno fatto comunque un ottimo lavoro."

Genzo nel frattempo osservava incuriosito i due, appoggiato ad un pilastro di marmo. Sapeva che Karl, a differenza di lui, sapeva ballare, ma sapeva anche che detestava farlo, soprattutto in occasioni mondane come quelle. Ed osservandolo ballare sorridente con Sanae, non potè fare a meno di stupirsi di come l’amica, senza rendersene conto, riusciva a svelare lati, altrimenti nascosti, delle persone che le stavano accanto.

La musica finì e i due ragazzi ritornarono dal portiere che li stava aspettando per bere qualcosa. Dopo un po’, guardando il Rolex al suo polso,  Genzo disse rivolto ai due “Che ne dite, ce ne andiamo? Io ne ho abbastanza!”

Entrambi si trovarono d’accordo con lui; Sanae cominciava ad essere stanca e non vedeva l’ora di togliersi quelle dannate scarpe.

Uscirono dalla sala velocemente, cercando di non farsi notare troppo dagli altri ospiti.

“Allora dove possiamo andare?” chiese Genzo appoggiandosi al suo fuoristrada.

Pensandoci un attimo Karl rispose “Che ne dici di andare a fare colazione giù a Wismar?"

“Wismar? Colazione?" si intromise subito Sanae tra loro “Ma che state dicendo? Sono le due passate del mattino!" Quei due dovevano essere impazziti.

“Appunto sono solo le due! Forza sali in macchina." E così dicendo Genzo la spinse sul sedile posteriore.

“Mah…” Non fece però in tempo a protestare che, sgommando, il fuoristrada uscì dal Palazzo dei Ministri.

Se ne stava seduta dietro, fissando quei due che nel frattempo parlavano tra loro: sembravano molto affiatati, chissà quante volte erano usciti insieme per divertirsi come stavano facendo quella sera; e chissà quanti cuori infranti avevano lasciato per strada nelle loro folli notti tedesche. Si levò le scarpe e si allacciò la cintura di sicurezza; ormai non poteva certo tirarsi indietro, anche perché i due non le avevano dato molte possibilità di scelta.

Senza rendersene conto cadde in uno stato soporoso che fu però interrotto da una brusca frenata. "Hey ma che modi!” protestò lei rivolta ai due ragazzi che stavano scendendo dalla macchina. Guardando l’ora sul cruscotto, si accorse con stupore che avevano viaggiato per un’ora e mezza. Sganciatasi la cintura, scese a sua volta e raggiungendoli disse loro ancora un po’ assonnata “Voi due siete proprio matti!"

“Sarà…ma se ti giri capirai che ne è valsa la pena!” le rispose il biondo capitano.

Non capendo Sanae si voltò nella direzione indicatole dal ragazzo e immediatamente il torpore di poco prima svanì: il mare increspato da una leggera brezza si stagliava nella semioscurità di fronte a loro, mentre all’orizzonte i primi albori lo rischiaravano; sentiva le onde infrangersi sulla spiaggia e il profumo della salsedine riempire i suoi polmoni.

Senza pensarci un attimo, approfittando della distrazione dei suoi due accompagnatori, Sanae si sedette sul sedile del fuoristrada e in un lampo si sfilò calze e scarpe, per lanciarsi poi verso la spiaggia, sfrecciando in mezzo a loro. I due ragazzi prima di raggiungerla, rimasero per un po’ a fissarla, catturati entrambi da quella figura che, noncurante dell’acqua che le bagnava il vestito, giocava con le onde del mare, illuminata dai primi raggi del nuovo giorno. In breve la raggiunsero: entrambi avevano lasciato in macchina la cravatta e Karl si era tolto anche la giacca. Imitando l’amica, si sciolsero i lacci delle scarpe e sfilate anche le calze, si misero a camminare con lei in riva al mare.

Dopo dieci minuti raggiunsero un bar sulla spiaggia e si sedettero ad un tavolino sulla terrazza affacciata di fronte al mare.

Con stupore Sanae notò che, a dispetto dell’ora, la spiaggia era già piuttosto animata: avevano incontrato diverse persone (anziani in genere) che passeggiavano o portavano a spasso il cane e alcuni ragazzi che facevano footing. Anche il bar era già aperto a quell’ora: evidentemente loro non erano gli unici che alle cinque del mattino avevano pensato di andare in riva al mare. Ordinarono tre caffè e tre brioche.

Genzo se ne stava con le gambe incrociate e appoggiate alla balaustra della terrazza mentre Karl aveva disteso le sue sulla seggiola di fronte. Sanae con il mento appoggiato sui gomiti, ascoltava i due conversare mentre rapita, guardava il mare cambiare colore per effetto dell’alba che stava sorgendo all’orizzonte.

Dopo un’ora circa i tre ragazzi ritornarono alla macchina. Non appena Sanae sentì il tepore dell’abitacolo, si rilassò e poco dopo l’inizio del viaggio si addormentò, accovacciata sul sedile. I due calciatori si accorsero della cosa e Karl girandosi verso di lei, la coprì con la sua giacca. Rimasero in silenzio per tutto il tempo: entrambi erano stanchi, ma soprattutto non volevano disturbare la ragazza sdraiata sul sedile posteriore.

Quando arrivarono di fronte a casa di Sanae, Genzo la risvegliò scuotendola con dolcezza “Sanae svegliati siamo arrivati."

“Mmmmm…” Sanae a malavoglia aprì gli occhi. Si guardò un attimo attorno, prese la sua borsa e con la voce impastata dal sonno e gli occhi semichiusi, senza aspettare una loro risposta, scese dalla macchina dicendo “Beh Buonanotte!"

I due si fissarono per un attimo prima di mettersi a ridere “Ma lo sa che sono le sette del mattino?"

Genzo guardando nello specchietto retrovisore, controllò che la strada fosse libera e, dopo aver messo la freccia, ripartì abbandonando il quartiere.

Poco dopo arrivarono di fronte al palazzo dove abitava Karl. Prima di scendere questi si girò verso il sedile posteriore per recuperare la sua giacca e involontariamente si ritrovò tra le mani anche una cosa che non gli apparteneva. “E questa che diavolo è?" disse tenendo sollevata tra le dita una calza autoreggente. Capendo immediatamente chi fosse la proprietaria dell’indumento in questione, scoppiarono di nuovo in una fragorosa risata, prima di salutarsi.

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Capitolo 12
*** L'invito ***


Capitolo 12: L’invito

Sentiva in lontananza un rumore insistente: era il telefono che stava squillando ormai da diversi minuti. Cercando di riemergere dalle tenebre che l’avvolgevano, Sanae allungò il braccio verso il comodino alla ricerca della cornetta. Nel tentativo di trovarla, urtò la sveglia che si schiantò rumorosamente sul pavimento.

“Pronto…" La voce sembrava venire dall’oltretomba.

Sanae finalmente! Ma perché non rispondevi al telefono?" la voce squillante dell’amica dall’altro capo le perforò i timpani.

Kristine veramente io stavo cercando di dormire."

“Come dormire? Ma se sono quasi le sei!"

“Appunto Kristine sono le sei del mattino, si può sapere che vuoi a quest’ora?"

La bionda rimase per un attimo interdetta ma subito riprese “Nakazawa…sono le sei del pomeriggio…ma che hai combinato ieri sera?"

Pomeriggio? Per un attimo Sanae non capì il senso delle parole dell’amica, poi però piano piano, il suo cervello cominciò a uscire dal letargo e a ricostruire gli avvenimenti della sera precedente. “Sì, beh vedi…ho fatto tardi stanotte e non mi sono accorta dell’ora che ho fatto."

“Evidentemente ti sei divertita molto! Allora che è successo?” le chiese la ragazza incuriosita.

“Niente di che, ti racconterò. Comunque adesso devo andare. Ciao ci sentiamo più tardi."

E dai, non tenermi sulle spine! Lui com’è, come si chiama, che lavoro fa?" Kristine come suo solito aveva ingranato la quarta.

Kristine…ciao." E così dicendo riattaccò il telefono senza aspettare di sentire il motivo per il quale l’amica l’aveva chiamata.

A fatica scese dal letto e andò ad aprire la finestra. Si sentiva la testa pesante e nonostante avesse dormito per quasi dodici ore, si sentiva ancora parecchio stanca. Era naturale, lei non era abituata a passare le notti in bianco, anche se si ritrovò a pensare che in fondo ne era valsa la pena: la serata (e la mattinata) passate in compagnia di Genzo e Karl erano state davvero piacevoli.

Decise di farsi una doccia per cercare di svegliarsi completamente e poi, ancora in accappatoio, andò in cucina per mangiare qualcosa. Il telefono suonò per la seconda volta: era Genzo “Allora ti sei svegliata?"

 “Sì, più o meno dieci minuti fa e adesso sto decidendo se è meglio fare colazione o è il caso di passare direttamente alla cena!"

Sentendolo ridere dall’altro capo lei protestò “Comunque è tutta colpa vostra. Io sono una brava ragazza e non sono abituata a fare orari così indecenti. Ma tu dove sei piuttosto?"

“Sono al campo. Sai io e l’altro mascalzone che ieri sera ti ha traviato, ci stiamo allenando da mezzogiorno!"

Sanae rimase sgomenta: quei due avevano dormito sì e no tre ore e si stavano ancora allenando? Certo che ne avevano di forza! A lei ci sarebbero voluti almeno tre giorni per rimettersi in piena forma.

Comunque ti ho telefonato per dirti che domani mattina partiamo per la trasferta e fino a martedì non rientrerò in città."

Lei rimase un po’ delusa dalla notizia ma lo salutò comunque calorosamente, augurandogli in bocca al lupo per la partita.

 

I giocatori dell’Amburgo, dopo circa un’ora di volo, atterrarono verso mezzogiorno all’aereoporto di Monaco e subito un pullman privato li portò all’albergo dove avrebbero risieduto in quei cinque giorni. Molti di loro erano subito saliti nelle proprie camere per riposare prima della partitella di allenamento che si sarebbe tenuta nel tardo pomeriggio.

Genzo e Karl, dopo aver lasciato i bagagli nella stanza che avrebbero condiviso, decisero invece di scendere al bar a bere qualcosa. Il locale a quell’ora era semideserto ed i due ragazzi si sedettero davanti al barista ordinando un cocktail.

“Allora come sta la nostra Cenerentola?” chiese Karl appoggiando il suo bicchiere sul bancone e vedendo l’aria un po’ assorta del portiere.

Allontanandosi la sigaretta dalle labbra Genzo si girò verso di lui “Bene direi. E perché me lo chiedi con quel sorriso idiota?"

“Forse perché è da qualche tempo che sei sempre con la testa tra le nuvole? E guarda caso tutto è cominciato proprio quando è comparsa Cenerentola?" dicendolo il biondo capitano dell’Amburgo puntò i suoi occhi maliziosi in quelli dell’amico seduto accanto.

“Non dir cazzate, io non ho la testa tra le nuvole e comunque cosa ti fa credere che sia lei la responsabile delle tue assurde supposizioni?" Genzo aveva cercato di sembrare il più distaccato possibile ribattendo a Karl, il quale però non sembrava voler desistere “Wakabayashi...mi hai preso per stupido? Quando c’è lei ti trasformi completamente. L’hai portata perfino alla festa l’altra sera. Da che ti conosco non ti ho mai visto così! Vuoi forse negarlo?"

Sogghignando il portiere finì di fumare “Non è come pensi, te l’ho già detto."

“Vuoi forse negare che quella ragazza ti piace?” Schneider non riusciva a capire quell’atteggiamento.

“Affatto, anzi Sanae mi piace tantissimo; è una ragazza stupenda da più punti di vista. In fondo te ne sei accorto anche tu no?" Questa volta fu Genzo a guardare diritto negli occhi il suo capitano per cercare di metterlo in crisi: alla festa si era accorto dell’effetto che Sanae aveva avuto anche su di lui.

Quest'ultimo rimase per un attimo spiazzato, capendo subito dove l’amico voleva andare a parare ma, cercando di dribblare il discorso, rispose “Credo che non ci sia stato uomo alla festa che non si sia accorto di lei. Ma lei quella sera era con te. Anche allo stadio è venuta per te. E tu hai appena ammesso che ti piace e anche molto."

“Sì ma tra noi non c’è assolutamente nulla, te lo ripeto."

Sarà...ma guardandovi non si direbbe!” ribattè Karl per niente convinto dalle spiegazioni dell’amico.

Genzo si rendeva perfettamente conto che le perplessità di Schneider erano fondate, ma spiegargli la vera natura del rapporto che esisteva tra lui e Sanae era troppo complesso. Sapeva di potersi fidare di Karl (si era sempre dimostrata una persona discreta e un amico affidabile) ma confidarsi con lui avrebbe significato scavare in un passato lontano, rivelando i segreti di Sanae…e lui non aveva nessun diritto di farlo.

“Ci sono tante cose che tu non sai Karl. Sanae è meravigliosa, lo so. Ed è davvero facile innamorarsi di lei. Io le voglio un bene immenso; lei ha sofferto molto nella sua vita e adesso merita solo di essere felice. E sarei pronto ad ammazzare chiunque provasse a farle del male…Ma ti ripeto che io e lei siamo solo amici."

Karl di fronte alle parole determinate del portiere, rimase per un attimo in silenzio. Era evidente che un rapporto davvero speciale univa quei due: lui era convinto si trattasse d’amore, anche se Wakabayashi continuava a negare. Comunque aveva intuito che i due ragazzi giapponesi condividevano un segreto: evidentemente c’era qualcosa nel passato di Sanae che Genzo tentava di difendere.

In quel mentre furono raggiunti da alcuni compagni di squadra che impedirono loro di continuare il discorso.

Karl si rimise a bere il cocktail e, non prestando attenzione alle chiacchiere dei ragazzi intorno a lui, si ritrovò pensieroso a riflettere sulle parole del portiere “Ha sofferto molto nella vita…io e lei siamo solo amici…è così facile innamorarsi di lei…"

Che cosa o chi aveva fatto soffrire Sanae in passato? Lei gli era sembrata una ragazza così allegra e spensierata nelle poche occasioni in cui l’aveva vista. Erano davvero solo amici quei due? E perché a quel pensiero lui avvertiva come una sorta di fremito? E soprattutto perché dalla sera della festa l’immagine di un angelo vestito di bianco non lo aveva più abbandonato? Ma che diavolo gli stava succedendo?   

 

Sanae era seduta sul divano di casa e stava leggendo un libro. Era domenica sera ed era rientrata da poco, dopo aver passato il pomeriggio in compagnia delle amiche, in giro per la città.

Era stata una giornata un pò movimentata: Kristine le aveva tenuto il broncio per buona parte del tempo. Era arrabbiata con lei perché il giorno dopo la festa lei, ancora intontita dal sonno, aveva riagganciato il telefono senza aspettare di sentire il motivo per cui l’aveva chiamata.

Sanae e Karol, entrambe esasperate dall’atteggiamento infantile della bionda, alla fine erano però riuscite a convincerla della buona fede della giapponese. Ovviamente in cambio del suo perdono, Kristine aveva preteso un resoconto dettagliato della serata della festa e così Sanae per un’ora circa, si era trovata a rispondere ad una serie interminabile di domande.

Sorrise, stesa sul divano, ripensando alle facce che entrambe le tedesche avevano fatto sentendo come lei aveva trascorso, in dolce compagnia, la nottata della festa. Entrambe erano rimaste a bocca aperta pensando che, l’andare in giro tutta la notte con due uomini, non era certo un atteggiamento consono alla dolce e pacata amica straniera. Kristine presa la palla al balzo, aveva poi cominciato a torturarla per avere informazioni sui suoi cavalieri.

Lei ovviamente, omettendo i loro nomi, si era limitata a dire che erano entrambi solo due amici, cosa che aveva ancor più scatenato la curiosità della maliziosa bionda.

Lanciò in terra il libro e si sdraiò sul divano: si ritrovò a pensare ancora una volta a quella serata e a quanto era stata bene con quei due. Chissà cosa avrebbero dato le migliaia di loro ammiratrici, pur di essere al suo posto.

Sospirò guardando il telefono: aveva voglia di sentire Genzo. Era da quando era partito per la trasferta che non aveva sue notizie. Evidentemente era molto impegnato con la squadra e lei in quei giorni non lo aveva chiamato, temendo di disturbarlo. Adesso però era domenica sera e la partita doveva essere finita da tempo. Prese il telefono e compose velocemente il numero dell’amico.

 

Karl rispondi tu per favore!" disse il portiere affacciandosi dalla porta del bagno, sentendo il suo cellulare suonare.

Il capitano dell’Amburgo si alzò dal letto stiracchiandosi e afferrò il telefonino “Pronto?"

“Oh mi scusi, devo aver sbagliato numero!" Sanae rimase spiazzata di fronte alla voce sconosciuta che le aveva risposto.

Karl invece riconobbe immediatamente l’accento della ragazza dall’altro capo “Sanae, ciao sono Karl. Genzo è sotto la doccia."

“Oh capisco. Beh…io volevo solo salutarlo." Si sentiva stranamente in imbarazzo a parlare con Schneider; cercò tuttavia di non darlo a vedere “E tu Karl come stai?"

“Sono a pezzi; la partita è finita da un’ora circa e adesso siamo in albergo. Sto aspettando che il tuo amico si decida ad uscire dal bagno. E’ da un'ora che sta chiuso là dentro. Tu piuttosto, ti sei ripresa? Genzo mi ha detto che eri distrutta dopo la festa!?" dicendolo Karl sogghignò e la cosa non sfuggì a Sanae “Mi stai forse prendendo in giro?"

“No assolutamente Cenerentola!” La risata cristallina di Schneider la contagiò subito “Beh che vuoi! Io sono una vecchietta, non sono abituata a fare certe cose!"

“Una bellissima vecchietta, direi!" Le parole di Karl la sorpresero molto: il capitano dell’Amburgo, uno dei calciatori più famosi e degli uomini più desiderati di Germania, le aveva appena detto che lei era bellissima…no...doveva aver capito male.

“Allora hai visto la partita?” continuò lui giovialmente.

Sanae di fronte alla domanda rispose un po’ perplessa “Beh veramente no…io sai…non amo molto il calcio…” Sapeva che stava mentendo, o meglio quella non era proprio la verità…ma come spiegarglielo?

Karl rimase un po’ sconcertato “Ma come! Conosci Wakabayashi da anni e non ami il calcio. Beh anch’io potrei ritenermi molto offeso!"

Sanae tentò di ovviare “No…cioè…non hai capito…non è che io non ami il calcio…è solo che…" Come faceva a dirglielo?

Fu lui però a toglierla dall’imbarazzo “Sai che ti dico Cenerentola? Domenica prossima sei invitata allo stadio per assistere alla partita! Vedrai…io e il tuo amico ti convinceremo che è lo sport più bello del mondo!"

Genzo nel frattempo stava uscendo dal bagno con una salvietta avvolta intorno alla vita "Ma con chi stai parlando?" chiese al biondo compagno di squadra sentendolo parlare da un pezzo al suo telefonino.

L’altro si girò verso di lui e gli passò l’apparecchio “E' Sanae, la sto convincendo a venire allo stadio domenica!"

Il portiere rimase un po’ sorpreso dalla cosa: Sanae e Karl si stavano accordando per trovarsi a vedere una partita di calcio? Rivolgendosi all’amica dall’altra parte dell’apparecchio, finse di essere arrabbiato “Ah ma brava! Questo cascamorto ti invita e tu accetti subito! Potrei essere geloso sai?"

Sanae sempre più in imbarazzo, prima per la proposta di Karl e adesso per le parole dell’amico, non sapeva cosa dire “No…non è così, io non ho ancora accettato…vedi Karl…"

Genzo però cambiò immediatamente tono e in modo molto dolce le disse “Sai…farebbe molto piacere anche a me se venissi!"

Sanae rimase in silenzio ancora per un po’ poi però si decise a rispondere, accettando l’invito. Salutò entrambi i ragazzi e si affacciò alla finestra. Si sentiva combattuta: da un lato aveva voglia di rivedere tutti e due, dall’altro però l’idea di andare ad una partita, non la entusiasmava affatto.

Da anni si era allontanata dal calcio che in passato aveva amato alla follia; si era sempre rifiutata in tutto quel tempo anche solo di guardare programmi televisivi o leggere riviste in cui si parlava dell’argomento perché sapeva che altrimenti, avrebbe potuto correre il rischio di rivedere la persona per la quale lei si era allontanata definitivamente da quello sport alcuni anni prima.

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Capitolo 13
*** La festa di Primavera ***


Capitolo 13: La festa di primavera

Schneider dribblò senza problema i due difensori della squadra avversaria e arrivato di fronte alla porta, con uno splendido pallo netto mandò la palla in rete, lasciando avvilito a terra il portiere che si era lanciato su di lui per fermarlo.

Lo stadio Aol Arena esplose e sullo schermo gigante il risultato fu subito modificato: Amburgo 2 - Bayer Leverkusen 0.

Sanae seduta in tribuna d’onore, era rimasta per tutto il tempo con il cuore in gola, emozionatissima nel ritrovarsi inghiottita dall’entusiasmo della partita. Karl e Genzo erano stati eccezionali: il primo aveva segnato due splendidi goal e il secondo aveva bloccato con la sua solita classe tutti i tentativi d’attacco dei giocatori avversari.

Seduto accanto a lei, un gruppo di quattro ragazzi aveva per tutto il tempo incitato a gran voce la squadra della città, coinvolgendola in un tifo sfegatato. Davanti a lei invece sedevano tre ragazze bellissime dal fisico mozzafiato, che durante tutti i novanta minuti avevano commentato la grandiosa prestazione del capitano amburghese.

Tre fischi dell’arbitro decretarono la fine della partita e Sanae, dopo aver salutato i ragazzi che le avevano fatto compagnia e aver rifiutato la loro proposta di andare a festeggiare la vittoria, si avviò verso l’uscita della tribuna, togliendo dalla borsa il pass che due giorni prima Genzo le aveva fatto avere.

Era d’accordo con lui di trovarsi fuori dalla sala stampa alla fine della conferenza.

Un po’ intimorita si fece largo tra la calca di giornalisti e di cameraman che si stavano assiepando per i commenti del dopo partita.

Dopo circa mezz’ora la folla cominciò a disperdersi, lasciandola sola in attesa lungo il corridoio. Stava guardando l’orologio, quando si sentì afferrare un braccio e giratasi, si trovò davanti Genzo e Karl.

Entrambi avevano appena fatto la doccia e avevano i capelli ancora un po’ umidi. Schneider portava un paio di jeans sbiaditi ed una camicia nera in parte sbottonata che metteva in evidenza un petto glabro e possente. Genzo invece indossava un paio di pantaloni sportivi larghi e una semplice maglia bianca le cui maniche lunghe però, non riuscivano a nascondere le sue muscolosissime braccia.

Rimase per un attimo stordita dalla vista dei due calciatori, mentre un fremito le attraversava il collo pensando a quanto erano terribilmente sexi quei due; con uno sforzo immenso cercò di allontanare i pensieri che stavano affiorando nella sue mente e con un gran sorriso li salutò entrambi.

“Allora Cenerentola…piaciuta la partita?” le chiese il biondo capitano con le mani nelle tasche dei jeans.

Mmmm…non male direi…anche se ho saputo che Margas oggi ha segnato tre goal!” Sanae lo disse di proposito con aria distratta per stuzzicare i due; sapeva che la squadra del Werder Bremen era la loro diretta avversaria in campionato.

I due giocatori si guardarono per un attimo “Ok adesso la ammazzo!” Così dicendo Genzo le si avvicinò con fare minaccioso ma lei subito ritraendosi ridendo, alzò le mani in gesto di resa “Quanto siete permalosi! Stavo solo scherzando!”

Mentre il portiere le stava dando affettuosamente un leggero pugno in testa, una voce alle loro spalle li interruppe “Karl sei qui! Finalmente ti ho trovato! Ah ci sei anche tu Wakabayashi!” Così dicendo una ragazza si avvicinò al capitano dell’Amburgo, cingendogli il braccio e guardandolo in modo molto accattivante.

A Sanae il gesto non sfuggì e osservandola meglio, si rese conto che quella era una delle tre tipe che erano sedute davanti a lei in tribuna. Per un attimo, pensando che potesse essere la fidanzata di Schneider rimase un po’ spiazzata.

Quella ragazza era davvero stupenda: era altissima e la cosa era messa ancor più in risalto da un paio di sandali dal tacco vertiginoso. Due occhi verdi perfettamente truccati ed una bocca carnosa su cui era steso del rossetto brillante, mettevano in evidenza un viso davvero perfetto, mentre una cascata di capelli rossi le scendeva sulle spalle nude. Indossava un bustino dorato senza spalline e una leggerissima gonna nera.

Sanae dovette ammettere a stessa che quei due facevano davvero una bella coppia insieme.

La ragazza, stringendosi ancor più al braccio del giocatore, gli sussurrò “Ti stavo cercando perché stasera mio padre ha organizzato una cena per festeggiare la vostra vittoria. E tu non puoi certo mancare Karl.”

Stranamente Sanae, che non amava giudicare le persone a prima vista, provò immediatamente antipatia nei confronti di quella ragazza: forse era per il suo tono melenso, o forse perché da quando era arrivata, non l’aveva minimamente considerata. Non che il conoscerla le interessasse, ma per come era fatta lei, riteneva fosse buona educazione presentarsi quando ci si trovava di fronte a persone estranee. E invece quella civetta si era limitata a salutare distrattamente Genzo e dopo aver squadrato lei da capo a piedi e averla guardata con aria di sufficienza, senza neanche salutarla, si era avvinghiata a Karl.

“Ovviamente Genzo, anche tu non puoi mancare!” disse girandosi con un sorriso verso di lui e continuando ad ignorare la presenza di Sanae.

Il numero uno giapponese, accortosi subito dell’atteggiamento maleducato della ragazza tedesca nei confronti dell’amica, le rispose in modo secco guardandola con due occhi glaciali “Ho di meglio da fare. Sanae vogliamo andare?” E prendendola per mano si avviò verso l’uscita.

“Aspettami Genzo!” disse Karl dirigendosi a sua volta verso i due giapponesi.

Ma Karl…” La ragazza era rimasta stupita dal modo brusco in cui il capitano si era liberato dalla sua stretta e senza dirle nulla se n’era andato, lasciandola da sola in mezzo al corridoio.

Anche Sanae si accorse della cosa e per un attimo, dimenticando il sentimento di antipatia che aveva provato poco prima, si trovò ad essere dispiaciuta per il modo in cui i due ragazzi l’avevano liquidata.

 

“Credo che siate stati maleducati con lei. disse rivolgendosi ai due, seduti sui sedili anteriori.

 “Lei è stata maleducata con te!” Le parole di Karl la lasciarono piacevolmente sorpresa; non pensava che anche lui si fosse accorto dell’atteggiamento insolente della ragazza nei suoi confronti.

Sophie è solo un’oca. Non devi far caso al suo atteggiamento.” aggiunse Genzo guardandola dallo specchietto retrovisore.

Ma chi è?” chiese lei incuriosita.

Scrollando le spalle il portiere le rispose “E’ la figlia del presidente della squadra.

“E’ molto bella…” dicendolo lei si ritrovò istintivamente a guardare Schneider il quale, giratosi verso di lei, con una smorfia replicò “Già, peccato che sia la sua unica dote!"

Ancora una volta Sanae si ritrovò a fissare da vicino gli occhi del capitano tedesco: pensò tra sé che in quegli occhi azzurri ci si sarebbe potuti quasi perdere, come in un mare profondo.

Hey che cosa sono quelle luci?” chiese ad un tratto Genzo indicando una collina.

“Quelle? Sono per la serata finale della Festa di Primavera. disse Schneider.

Udendo quelle parole, Sanae si intromise subito “Festa di primavera? Non sapevo che esistesse qui in Germania?"

Karl le spiegò che era una tradizione popolare molto famosa ad Amburgo: una volta ogni due anni, un antico monastero medievale posto sulla cima della collina, veniva aperto per permettere la celebrazione della festa. “I contadini celebrano l’arrivo della nuova stagione, rendendo simbolicamente omaggio alla natura che, risvegliandosi dal letargo, permette loro di superare il duro inverno.

Sanae ascoltava affascinata la descrizione del biondo capitano ed improvvisamente si trovò a commentare “Voglio andare alla festa.

Cosa?” disse Genzo sorpreso.

“Ho detto che voglio andare alla festa.”

Ma sei impazzita, con tutta la gente che ci sarà! Se ci riconoscono è la fine.”

Senza ascoltare la replica del portiere, Sanae continuò imperterrita “Non mi importa. E poi ti ricordo che sei stato tu l’ultima volta a trascinarmi in una festa piena zeppa di gente!”

“Mah…era diverso…” Genzo tentò di ribattere guardando Karl, nel tentativo di trovare sostegno da lui.

“In fondo non è una cattiva idea!” disse invece quest’ultimo “Fuori è quasi buio e questi ci potrebbero aiutare!” e mostrando due cappellini della squadra della città, mise a tacere il compagno di squadra, che ormai rassegnato, diresse il fuoristrada verso la collina illuminata.

Sanae con un gridolino di gioia scese dalla macchina e, senza esitare, si buttò in mezzo alla folla.

“Per noi è finita!”

Che intendi dire?” chiese Karl al portiere, non capendo il senso della sua frase.

“Voglio dire che Nakazawa è una donna!” replicò Genzo e con un cenno del capo gli indicò Sanae che, con gli occhi lucidi, cominciava a passare inesorabilmente in rassegna la prima delle infinite bancarelle disposte lungo il sentiero che conduceva al monastero. Si ritrovarono ad inseguirla, divertiti loro malgrado, mentre lei zompettava da un posto all’altro, rimirando tutte le chincaglierie messe in esposizione. Ad un tratto, circondati da una folla esultante, i due calciatori persero di vista la ragazza per qualche minuto.

“Eccola!” disse Karl, indicando la minuta figura di Sanae che davanti ad un chiosco di legno, si accingeva a pagare l’ennesimo acquisto della serata. Quando le furono vicino si accorsero di che cosa si trattava: due enormi pinguini blu di peluche.

“Ecco qua!” così dicendo Sanae si liberò degli ingombranti animali consegnandone uno a ciascuno dei due giocatori e, senza aspettare la loro replica, si ributtò su un’altra bancarella. Genzo si girò verso il suo capitano e, cingendo il peluche con le braccia, con aria sconsolata disse “Sembriamo due idioti!"

Karl si mise a ridere “Già…”

“Quella ragazza sarebbe capace di farci camminare a quattro zampe!” aggiunse il portiere rivolgendo uno sguardo carico d’affetto a Sanae che nel frattempo stava tornando raggiante da loro, con in mano tre gelati.

Genzo si lasciò cadere su una panchina “Accidenti la caviglia comincia a farmi male!”

“Forse è meglio tornare a casa, così riposerai un po’.Sanae preoccupata si era seduta accanto a lui, ricordandosi che nel pomeriggio, durante un’azione di gioco, l’amico ed un attaccante del Bayer erano rovinosamente caduti a terra dopo uno scontro aereo.

“Sì forse è meglio, ma voi potete rimanere. Non voglio che vi perdiate i fuochi d’artificio. Le proteste dei due furono inutili. Genzo, prima di allontanarsi da loro con i due peluche tra le braccia e promettendo ad una Sanae molto divertita che li avrebbe difesi a costo della vita, lanciò le chiavi della sua macchina a Karl “Io faccio due passi, casa mia è poco lontana da qui." E con un mezzo sorriso, guardando l’amico, aggiunse “Mi raccomando!”

“Stai tranquillo, è in buone mani…” ribattè Schneider sogghignando a sua volta: aveva intuito che il portiere con quella frase non si stava riferendo alla macchina.

 

E così Sanae e Karl si ritrovarono soli in mezzo alla confusione della festa. Stavano camminando uno accanto all’altra, diretti verso la cima della collina, scambiandosi solo poche parole. Entrambi si rendevano conto di essere in imbarazzo: senza Genzo sembravano non avere più argomenti di cui discutere. Uno scoppio fece sussultare Sanae che istintivamente si avvicinò ancor di più a Karl, il quale accortosi della cosa, la rassicurò “Non ti preoccupare, questo è il segnale che tra poco inizierà lo spettacolo dei fuochi d’artificio.

Arrivati in cima alla collina, si diressero sul prato che circondava il monastero e trovato un posto lontano dalla confusione, si sedettero sull’erba ad aspettare e a godersi l’atmosfera che li avvolgeva: le luci dall’interno del monastero si proiettavano tutt’attorno, illuminando l’oscurità della notte; il cielo era limpidissimo e tempestato di stelle e l’odore di birra e carne messa a cuocere sul fuoco, si diffondeva intorno all’antico edificio.

“Mi sembra di essere ritornata a casa, in Giappone... disse mestamente Sanae.

“Ti manca, non è vero?”

Lei si girò verso il ragazzo e con un sorriso malinconico gli fece un cenno d’assenso “Sì, più di quanto non sia disposta ad ammettere a me stessa.”

“Da cosa sei scappata?" la domanda gli uscì senza volerlo.

Sanae per un attimo non rispose poi, guardando diritto davanti a sé aggiunse a bassa voce “Dai fantasmi del passato…”

Karl rimase in silenzio ad osservarla; anche nel buio, gli era sembrato di scorgere un luccichio nei suoi occhi. Avrebbe voluto sapere di più di quel passato a lui sconosciuto, gli sarebbe piaciuto che lei si confidasse totalmente con lui; ma non le chiese nulla, limitandosi solo ad ascoltarla. Sentiva il desiderio irrefrenabile di stringerla a sé per proteggerla; sembrava così indifesa in quel momento.

E tu Karl…non c’è qualcosa da cui vorresti scappare?”

“Beh…dalle ammiratrici è ovvio!” La battuta fece ridere di gusto Sanae e in un attimo allontanò la tristezza che si era impadronita di lei poco prima.

Quel ragazzo, al pari di Genzo, riusciva a farla sentire davvero bene. Si ritrovarono a parlare delle loro vite, senza più alcuna traccia di imbarazzo: parlarono della loro infanzia, di come entrambi avessero incontrato Wakabayashi, della loro vita presente e del loro futuro.

Genzo è davvero fortunato.”

Lei lo guardò con aria interrogativa.

“Sì insomma…intendo dire che è davvero fortunato ad avere una ragazza come te.”

Ma Genzo non è il mio ragazzo.” Lo disse pacatamente guardandolo diritto negli occhi; non sapeva il perché, ma aveva sentito la necessità di dirglielo. “Lui è il mio più caro amico."

Come già era successo quando aveva parlato con il portiere, anche questa volta Karl sentì un tuffo al cuore sentendo le parole di Sanae.

L’inizio dei fuochi d’artificio interruppe la loro conversazione. Rimasero entrambi a guardare affascinati il cielo che cambiava continuamente colore in un’esplosione di luci. Karl abbassò per un attimo il suo sguardo sulla ragazza che sedeva accanto a lui: poteva sentirne il profumo e vedere lo scintillio degli occhi che guardavano estasiati il cielo. Sentì il suo cuore accelerare i battiti.

E adesso cosa racconto a Genzo?” si ritrovò a pensare, ritornando a guardare lo spettacolo pirotecnico che stava ormai volgendo al termine.

 

PAZIENZA…..

So che la storia è un po’ lenta all’inizio e che si capisce ben poco del rapporto tra Genzo e Sanae  e del ruolo di Karl…d’altronde l’ho fatto di proposito.

Tra un paio di capitoli qualcosa cambierà…ve l’assicuro.

Comunque grazie per i complimenti a tutti quelli che stanno seguendo la storia! Baci Ale Kanou

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Capitolo 14
*** Fantasmi del passato ***


Capitolo 14: Fantasmi del passato

Dopo la sera della Festa di Primavera, Sanae si ritrovò spesso ad andare a vedere gli allenamenti della squadra. Anche quel tardo pomeriggio se ne stava seduta sulle tribune ad osservare gli ultimi palleggi dei giocatori. Dalla porta Genzo, girandosi verso di lei, le fece un cenno di saluto con la mano al quale lei rispose subito con un sorriso.

Si ritrovarono poi a parlare a bordo campo insieme ad altri giocatori: Daniel Van Buyten, Stefan Wächter e Benjamin Lauth. Schneider stava spiegando loro alcuni errori negli schemi di gioco; i tre ragazzi però non sembravano capire il loro capitano: in fondo avevano vinto la partita d’allenamento segnando addirittura tre goal.

Il secondo allenatore stava per aprir bocca quando Sanae, senza volerlo, lo anticipò e rivolgendosi ai due centrocampisti disse “Avete lasciato scoperto il centrocampo, permettendo a Lars di sfruttare il contropiede e poi tu Stefan hai anticipato troppo il passaggio a Karl che ha così dovuto buttarsi sulla palla per raggiungerla.”

Tutti si girarono sbigottiti verso di lei, tranne Genzo che, con un sorriso sulle labbra, osservava divertito la scena.

“Questa poi…ma sbaglio o tu eri quella che non amava il calcio?” Karl era rimasto a bocca aperta di fronte alla perfetta spiegazione tecnica della ragazza.

Sanae, trovandosi puntati addosso tutti quegli sguardi, avvampò immediatamente e chiedendo scusa dell’intromissione, si rifugiò dietro al portiere che ironizzando “Beh un nuovo mister fa sempre comodo no?” scatenò i commenti divertiti di tutti i presenti.

Alla fine decisero di comune accordo di andare a cena tutti insieme; Sanae tentò in tutti i modi di rifiutare l’invito, ma fu assolutamente inutile. E così si ritrovò seduta in un elegantissimo ristorante, imbarazzata più che mai e circondata dall’intera squadra dell’Amburgo.

All’arrivo aveva constatato che al tavolo riservato per loro, sedevano già l’allenatore, alcuni dirigenti della squadra e, cosa che non la rese per niente felice, anche alcune ragazze tra le quali riconobbe subito Sophie.

Questa, non appena vide i giocatori entrare in sala, si alzò immediatamente e ancheggiando vistosamente, andò loro incontro. Uno strettissimo tubino nero la fasciava, mettendo in evidenza un corpo mozzafiato che attirò immediatamente gli sguardi bramosi di molti dei ragazzi.

La tedesca ignorando tutti, si diresse verso Karl e lo salutò con uno sguardo languido.

Sanae si ritrovò seduta tra Genzo e Stefan Wächter. Di fronte aveva l’allenatore, il vicepresidente e due ragazze che non conosceva, mentre un po’ più in là Karl (evidentemente scocciato) era stato catturato da Sophie, al cui fianco sedevano Franz e alcune sue amiche.

I due uomini in giacca e cravatta davanti a lei stavano parlando da più di mezz’ora delle azioni della società tedesca, mentre le due ragazze al loro fianco stavano commentando a bassa voce l’abbigliamento delle altre donne presenti in sala. Sanae vedendole ridacchiare lanciò loro un’occhiata di fuoco, mettendole subito a zittire. Genzo nel frattempo era impegnato in un discussione con il giocatore che stava sulla sua destra.

Sanae sbuffò…sarebbe stata una cena moooolto lunga.

Inaspettatamente Stefan però si rivolse a lei e, con tono cordiale, cominciò a chiederle spiegazioni sulle sue evidenti conoscenze tecniche in ambito calcistico. Lei alquanto sollevata all’idea di poter scambiare finalmente due parole con qualcuno, gli rispose in modo affabile e si ritrovò a conversare con lui per buona parte della serata.

Quel ragazzo tutte lentiggini le era davvero simpatico: si ritrovarono spesso a sghignazzare di alcune sue battute stupide e delle facce che Sanae faceva tutte le volte che il cameriere le appoggiava davanti pietanze a lei assolutamente sconosciute.

Karl durante tutta la serata, si ritrovò più volte a guardare in direzione di Sanae, desiderando con tutto il cuore di essere seduto vicino a lei. Si stava annoiando a morte accanto a Sophie che da ore blaterava sciocchezze con le sue amiche. In quel momento stava fissando Sanae che insieme a Stefan osservava inorridita una lumaca, mentre lui la esortava ad assaggiarla.

Lo sguardo del capitano non sfuggì a Sophie: si era accorta che per tutta la sera lui aveva mandato sfuggenti occhiate a quella insignificante ragazzetta orientale, ignorando lei per quasi tutto il tempo. Con voce tagliente si rivolse all’altro capo del tavolo “Immagino che voi in Giappone non siate abituati a certi cibi!”

Sanae alzò sorpresa lo sguardo verso di lei. Anche Genzo, interrompendo la sua conversazione, si girò in direzione della rossa.

“No…in effetti la nostra cucina è molto diversa.” Sanae cercò di essere il più accondiscendente possibile, tentando di ignorare il tono altezzoso della sua interlocutrice.

“Beh…vedo che comunque ti sei abituata molto bene alla nostra cucina…” lo disse in tono vagamente sprezzante, guardando prima il piatto vuoto dell’orientale e poi subito dopo il suo, ancora mezzo pieno “Non si direbbe guardandoti…insomma sei così minuta…e invece…” Sophie lasciò di proposito la frase in sospeso.

Genzo buttando il tovagliolo sul tavolo stava per aprir bocca, ma Sanae lo bloccò guardandolo e mettendogli una mano sul braccio.

“Beata te…non sai quanto ti invidio…io invece devo mangiare come un uccellino per restare nella mia 40!” proseguì in modo fintamente sconsolato “E tu invece che taglia porti? Dai tuoi jeans si direbbe una 42.”

Sanae aveva notato che, con un sorriso malizioso, la tedesca in quell’ultima frase, aveva volutamente alzato il tono di voce per attirare l’attenzione dei presenti sul suo semplice abbigliamento.

Franz con un ghigno beffardo rivolto alle ragazze che lo circondavano disse “Quanti problemi vi fate voi donne! In fondo che ci vuole…due dita in gola e via!”

La battuta del calciatore scatenò l’ilarità di Sophie e delle sue amiche mentre Genzo si sentì gelare il sangue nelle vene. Furente, stava per alzarsi e ribattere, quando per la seconda volta fu interrotto dalla voce di Sanae, la quale guardando diritto negli occhi il difensore dall’altro capo del tavolo, disse in tono asettico “Sai…ci sono molto ragazze che cacciandosi due dita in gola, arrivano anche a morire. Certo tu non lo puoi sapere visto che passi il tuo tempo a tentar di calciare un pallone.”

Le parole di Sanae zittirono all’istante tutti i presenti e in un attimo fecero morire sulle labbra il ghigno di Franz, che si ritrovò fulminato dallo sguardo glaciale della ragazza.

“Scusate!” Con un groppo in gola Sanae si alzò dal tavolo e si allontanò velocemente. Anche Genzo si alzò subito, pronto a seguirla, ma fu bloccato da un’altra battuta di Franz che aveva scatenato di nuovo l’ilarità di Sophie “Magari è andata anche lei a vomitare!”

In un attimo fece il giro del tavolo e con pugno colpì in piena faccia il difensore, facendolo cadere dalla sedia. Questi rimase interdetto a terra con il labbro che cominciava a sanguinare; non ribattè nulla però, intimorito dallo sguardo omicida del portiere che torreggiava su di lui.

Prima di allontanarsi, il numero uno si rivolse a Sophie e le sibilò “Sei solo una sgualdrina.”

Karl seguì subito il portiere, non prima di aver lanciato alla ragazza tedesca uno sguardo sprezzante, lasciandola ammutolita ai piedi di Franz.

Rincorse l’amico che, sconvolto, si era precipitato fuori dalla sala e bloccandolo per un braccio, tentò di tranquillizzarlo “Genzo accidenti…vuoi calmarti!”

“Lasciami andare Karl, devo trovarla, tu non capisci.”

“No non capisco! Ma che ti prende!” si ritrovò ad urlare il capitano non riuscendo a capire il motivo della rabbia dell’amico.

“LEI ERA ANORESSICA!!!!!!”

Quelle parole urlate da Wakabayashi, furono come uno schiaffo in pieno viso per Karl: rimase inebetito senza proferire parola, mentre lentamente lasciava andare la presa sul braccio del portiere.

Quest’ultimo girandosi e riacquistando un po’ di calma, serrò i pugni “Capisci perché dobbiamo trovarla?”

Annuendo e senza aggiungere altro, Schneider lo seguì fuori dal ristorante.

La ritrovarono poco dopo, rannicchiata sui gradini di una scalinata laterale dell’edificio. Cingeva le gambe con le braccia ed il viso era piegato di lato. Si avvicinarono lentamente e quando lei alzò la testa girandosi verso di loro, non poterono fare a meno di notare che aveva gli occhi rossi.

Genzo si inginocchiò vicino a lei e sfiorandole una guancia le disse dolcemente “Hey…tutto bene?”

Lei appoggiò la testa sulla sua spalla e lui subito la strinse a sé.

“Portami a casa per favore.” gli sussurrò.

Con un cenno del capo, senza dire altro, Genzo la fece alzare e sempre abbracciandola, la portò via. Sanae stretta al portiere guardò solo per un attimo Karl che per tutto il tempo era rimasto in silenzio in disparte.

Il capitano dell’Amburgo rimase immobile a guardare i due allontanarsi; una stretta al cuore lo stava attanagliando, mentre mille dubbi riempivano la sua mente. Avrebbe tanto voluto seguirla, stare con lei, avrebbe dato l’anima per essere al posto di Wakabayashi. Ma si rendeva conto che, in quel momento, l’unica persona che poteva aiutarla, la persona di cui lei aveva bisogno, non era lui, ma Genzo.

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Capitolo 15
*** Il primo bacio ***


Capitolo 15: Il primo bacio


Erano passate circa tre settimane da quella sera al ristorante e Sanae non si era più presentata agli allenamenti. Genzo dopo averla accompagnata a casa, era stato con lei per tutta la notte, abbracciandola finché non si era addormentata. L’indomani si erano lasciati con la promessa che lei si sarebbe fatta sentire al più presto, ma così non fu.

Il portiere l’aveva cercata insistentemente: la sua padrona di casa le aveva riferito che più di una volta, un bellissimo ragazzo moro si era presentato alla sua porta. Ma lei aveva fatto di tutto per non farsi trovare in casa: aveva ricominciato ad andare all’Università e passava buona parte del suo tempo libero a studiare in biblioteca o al parco; spesso poi la sera rientrava tardi dopo aver dato lezioni private ad alcuni studenti liceali.

Aveva tanta voglia di rivedere l’amico e più di una volta si era trovata con il telefono in mano pronta a chiamarlo. Ma si era sempre bloccata: sapeva che lui si trovava in una fase molto delicata del campionato e lei non aveva la minima intenzione di distrarlo con i suoi problemi.

Si sentiva triste e arrabbiata con sé stessa per aver reagito così in malo modo al ristorante: è vero la frase di Franz non era stata per niente carina, ma in fondo quell’idiota non si era riferito certo a lei pronunciandola. Ma quelle parole, insieme a tutte le cattiverie di Sophie, l’avevano profondamente ferita, facendola reagire a quel modo e spingendola poi a scappare dal ristorante.

Chissà che cosa avevano pensato tutti i presenti di fronte alla sua fuga, soprattutto non avendola più vista rientrare in sala. Per questo non si era più fatta vedere al campo, non avrebbe sopportato di vedere gli sguardi curiosi di quella gente.

E poi andando agli allenamenti avrebbe rivisto anche lui. Tutte le volte che pensava a quei due occhi blu che la fissavano mentre se ne andava dal ristorante insieme a Genzo, Sanae sentiva un nodo stringerle la bocca dello stomaco.

Perché aveva così paura di rivedere Karl?



Genzo se ne stava seduto in disparte ad osservare i compagni allenarsi. Nessuno osava avvicinarsi a lui dopo la sfuriata al ristorante; anche Franz gli girava accuratamente al largo, evitando in ogni modo di trovarsi da solo con lui.

In verità il portiere non era l’unico ad avere uno strano atteggiamento in quei giorni. Anche Schneider era nervosissimo: non rivolgeva la parola a nessuno se non a Wakabayashi, limitandosi a inveire contro gli altri compagni di squadra al loro minimo errore.

Anche l’allenatore si accorse della cosa, ma non vi prestò molto attenzione: in fondo quei due avevano sempre avuto un carattere molto difficile e lui in quel momento non aveva certo tempo da perdere per preoccuparsi del loro umore; la fine del campionato che si avvicinava e le pressioni esercitate su di lui dalla società, erano le sue uniche priorità.

Quella sera tutti i giocatori abbandonarono velocemente gli spogliatoi, lasciando Wakabayashi e Schneider da soli. Appoggiandosi ad un armadietto con le braccia incrociate, il portiere si mise a fissare il compagno che nel frattempo se ne stava seduto con i gomiti sulle ginocchia ed un asciugamano in testa. “Allora mi vuoi dire che cosa ti prende?”

Il giocatore biondo alzò la testa e mettendosi l’asciugamano intorno al collo si girò verso di lui “Cosa intendi dire?”

“Lo sai benissimo.” continuò Genzo senza togliergli gli occhi di dosso.

“Mmmm…” Senza dire altro Karl si alzò dirigendosi verso le docce ma la voce del numero uno lo trattenne “Lei sta bene, non ti devi preoccupare.”

Schneider si girò all’istante; come faceva Genzo a sapere che il motivo del suo malumore era Sanae? Rimasero per un po’ a guardarsi senza dire nulla.

“Beh sono contento per lei…e per voi.” Detto questo con un sorriso amaro il capitano dell’Amburgo voltò le spalle al compagno.

“Sei sicuro di non dovermi dire altro?” continuò senza scomporsi Genzo.

Innervosito dal quel tono di voce, Karl si girò di scatto verso di lui e furioso gli rispose “Sentiamo cos’altro dovrei dirti!?”

Inarcando un sopracciglio e continuando a fissare il suo sguardo imperturbabile negli occhi dell’amico, Genzo aggiunse “Forse che ti sei innamorato di lei?”

Karl rimase fulminato dalle parole del portiere; in un attimo sentì defluire dal suo corpo tutta la rabbia che aveva accumulato in quei giorni. Senza ribattere si appoggiò al muro e con un mezzo sorriso si mise a guardare il soffitto.

Quante volte aveva tentato in quelle settimane di allontanare il suo ricordo; quante notti aveva passato insonne pensando alla sera della cena, alle parole che Genzo gli aveva urlato, ai suoi occhi pieni di lacrime. Aveva tentato in tutti i modi di dimenticare l’immagine di loro due che abbracciati si allontanavano nella notte; inutilmente però: il pensiero di quei due insieme l’aveva tormentato senza tregua.

E Wakabayashi lo aveva capito. Si rese conto che a quel punto era inutile mentire e, tornando a guardare il compagno di squadra, gli fece la domanda che da tanto tempo teneva dentro di sé “Che cosa c’è tra di voi Genzo? Voglio la verità!”

A quel punto doveva sapere, non poteva continuare a vivere nel dubbio. Temeva di sentire la risposta dell’amico, ma era pronto ad affrontare la verità: se Wakabayashi gli avesse rivelato di essere innamorato di Sanae, lui si sarebbe tirato subito indietro. In nome della loro amicizia lo avrebbe fatto, anche se sapeva che quella decisione gli sarebbe costata un enorme sacrificio.

Genzo si staccò dall’armadietto a cui era rimasto appoggiato tutto il tempo “Tra me e Sanae non c’è nulla, siamo solo amici.”

Per qualche istante nessuno dei due parlò, poi il portiere aggiunse determinato “Karl, lei non è come tutte le altre.”

Aveva notato da tempo il modo in cui il suo capitano guardava Sanae; solo un cieco non se ne sarebbe accorto. E la cosa lo preoccupava non poco. In fondo erano anni che loro due si conoscevano e sapeva che Schneider, come lui, aveva avuto molte avventure nella sua vita, spesso anche di una sola notte.

Ma Sanae era diversa: lei non poteva essere considerata una semplice avventura; aveva già sofferto troppo in passato per amore e lui non avrebbe permesso a nessun altro di prendersi gioco dei suoi sentimenti…neanche al suo miglior amico.

Karl si avvicinò al portiere e sorridendogli gli disse “Lo so Genzo.”



Quel pomeriggio, alla fine delle lezioni, dopo aver salutato Karol e Kristine, Sanae ritornò a casa e dopo essersi infilata la tuta, decise di andare a correre al parco. Stranamente non c’era molta gente, forse perché si trattava di un giorno infrasettimanale.

Dopo circa mezz’ora si fermò sotto un albero e si sdraiò sull’erba. Si sentiva molto meglio; quella corsa le era davvero servita per liberare la mente da tutti i pensieri negativi che l’avevano assillata in quei giorni.

Stava assaporando ad occhi chiusi il calore dei raggi del sole sul viso, quando un’ombra improvvisamente la oscurò. Appoggiando una mano alla fronte nel tentativo di ripararsi dalla luce, per un attimo non riuscì a riconoscere la persona che stava diritta davanti a lei.

Improvvisamente però si ritrovò a fissare due occhi azzurri che lei conosceva bene…e il suo cuore si fermò per un attimo. Si alzò immediatamente a sedere, senza però riuscire a proferire parola: Karl era in piedi davanti a lei e la stava fissando.

Si ritrovò a farfugliare “Ma cosa ci fai qui…come hai fatto…”

“Non è stato facile, dovresti comprarti un cellulare sai Cenerentola?”

Ancora stordita Sanae non riuscì a rispondere e lui continuò “E’ stata la tua padrona di casa a dirmi dove potevo trovarti. Ti ha vista uscire in tuta e ha pensato che fossi venuta qui al parco.”

“Ah capisco…” non sapeva cosa dirgli. Ma che cosa ci faceva lui al parco e perché era stato a casa sua? Si sentiva lo stomaco in subbuglio.

Karl si sedette accanto a lei e per un po’ i due non parlarono. Fu lui però a interrompere il silenzio “Volevo sapere come stavi.” e girandosi verso di lei “E’ dalla sera della cena che non avevo tue notizie.”

Lei lo guardò per un attimo per poi dirigere lo sguardo verso il lago di fronte “Lo so mi dispiace. Come avrai capito io sono una specialista delle fughe!” lo disse sogghignando ma subito dopo la sua espressione si incupì “Karl…ho commesso molti errori nella mia vita e l’anoressia è stata sicuramente il più grande di tutti.”

“Sanae tu non mi devi nessuna spiegazione…” tentò lui di interromperla, ma lei sorridendogli continuò “Oh sì che devo…”

In tutte quelle settimane non era voluta andare agli allenamenti non per la presenza degli altri giocatori, ma per la paura di affrontare lui; non avrebbe sopportato i suoi occhi inquisitori e l’idea di rispondere alle sue domande, rivelandogli la verità sul suo passato, la terrorizzava.

Adesso invece non provava alcun imbarazzo a parlare con lui; si era dimostrato ancora una volta una persona meravigliosa preoccupandosi per lei e venendola a cercare.

“Non avrei dovuto reagire così di fronte a Franz, ma vedi…per chi come me in passato è stato sul punto di annullarsi…non è facile mandar giù certe cose, anche se dette come battuta.” Glielo aveva confessato, senza vergogna, senza esitazione e adesso si sentiva sollevata e pronta ad affrontare la sua reazione.

Si girò a guardarlo e rimase ancora una volta sorpresa: lui non la stava guardando con pietà o commiserazione, come avevano fatto tante altre persone in passato. Sorrideva in modo dolcissimo ed i suoi occhi erano carichi di affetto e comprensione.

Si perse in quello sguardo e senza rendersene conto alcune lacrime cominciarono a rigarle le guance.

Lui le si avvicinò e prendendole il viso tra le mani, l’attirò a sé stringendola, mentre lei piangendo, si abbandonò alla dolcezza di quell’abbraccio.

Dopo averle asciugato il viso con un fazzoletto, la aiutò ad alzarsi e insieme si incamminarono verso l’uscita del parco. Prima che lui salisse in macchina, lei si alzò in punta di piedi e sorridendogli, gli sfiorò la guancia con un bacio sussurrandogli “Grazie.”

Stava per girarsi e andarsene, quando lui afferrandola per un polso la trattenne e, attirandola a sé, si chinò su di lei e la baciò. Fu un bacio a fior di labbra, le loro lingue si sfiorarono appena ma Sanae rimase senza fiato.

“Mi piaci Sanae Nakazawa!” così dicendo Karl si staccò da lei e sorridendole, salì in macchina. La ragazza rimase a guardare frastornata per un attimo la Porsche nera che si allontanava, poi sentendosi le gambe molli, si appoggiò al muretto di recinzione.

Si sfiorò le labbra con le dita per poi appoggiare le mani sul petto, nel tentativo di fermare i battiti impazziti del suo cuore: Karl l’aveva baciata e quello era stato il suo primo, dolcissimo, meraviglioso bacio.

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Capitolo 16
*** Nuove emozioni ***


Capitolo 16: Nuove emozioni

Sanae guardava distrattamente davanti a sé la docente del corso di tedesco che stava in quel momento parlando nell’aula della facoltà; al suo fianco Karol stava prendendo appunti mentre Kristine giocherellava con una penna. Reggendosi la testa con il braccio appoggiato al banco e immersa completamente nei suoi pensieri, lei non stava prestando la minima attenzione alla lezione di quel pomeriggio.

La sua mente continuava ad andare agli avvenimenti dei giorni precedenti e tutte le volte che si ritrovava a ripensare al pomeriggio passato al parco, sentiva una stretta allo stomaco ed il cuore cominciava ad accelerare i battiti.

Erano passati tre giorni e da allora non era riuscita più a pensare ad altro: rivedeva in continuazione due meravigliosi occhi blu nei quali, senza rendersene conto, si era ritrovata a perdersi e riusciva ancora a sentire il sapore delle labbra di Karl sulle sue. E poi quelle quattro parole che lui le aveva sussurrato prima di lasciarla, continuavano a rimbombarle nella mente “Mi piaci Sanae Nakazawa”

Ma che cosa volevano dire quel bacio e quella frase? Possibile che Karl Heinz Schneider potesse essere davvero interessato a lei? Lui che avrebbe potuto avere in un qualsiasi momento tutte le donne che voleva; possibile che tra le centinaia di ragazze bellissime e ricchissime dalle quali era sempre circondato, avesse scelto proprio lei, una comunissima ragazza giapponese che per giunta gli aveva confessato di avere avuto problemi di anoressia in passato?

Era inverosimile, se ne rendeva conto. Probabilmente per Karl si era trattato solo di un gioco, di un gesto affettuoso nel tentativo di tirare su di morale un’amica che poco prima si era sfogata con lui. Non poteva essere altrimenti.

Ma allora perché se era convinta di questo, da giorni continuava a rimuginarci, non riuscendo a togliersi dalla mente quella scena? I suoi occhi…sembravano così sinceri mentre lui la guardava dicendole “Mi piaci Sanae Nakazawa”

E poi quel bacio…il suo primo bacio. Era stato così dolce. Per anni lo aveva sognato; per anni aveva creduto, aveva sperato di donarlo alla persona che le aveva rubato il cuore da ragazzina. E invece col tempo quella sua speranza era andata in frantumi, insieme a tutti i suoi sogni.

Ma adesso pensando al bacio che Karl le aveva dato, si ritrovò a pensare che non avrebbe potuto desiderarlo più bello. E rendersi conto delle emozioni che era riuscito a scatenare in lei quel semplice gesto, la lasciava frastornata.

Sospirò appoggiando la testa sul banco. Karol e Kristine notando la cosa, si guardarono per un attimo con aria interrogativa. Si erano accorte che da qualche giorno l’amica si comportava stranamente: aveva sempre la testa tra le nuvole, parlava poco e cosa assai strana, non era minimamente interessata alle lezioni.

Tornando a casa insieme quel pomeriggio, le tre ragazze decisero di fermarsi a mangiare un gelato sedute ad uno dei tavolini di legno del parco.

Fu Karol ad iniziare il discorso “Scusa Sanae se te lo chiedo, ma c’è qualcosa che ti preoccupa? Sei così strana in questi giorni.”

Sanae che stava guardando distrattamente in un’altra direzione, si girò verso le amiche.

“Karol ha ragione. Non sembri nemmeno tu. Oggi in aula non hai ascoltato una sola parola della lezione. Non è da te!”

“Sì beh vedete…in questi giorni sto pensando ad altro…” rispose lei lasciando però a metà la frase, non sapendo come proseguire.

“E sbaglio o questo “altro” ha un nome e qualche settimana fa ti ha portata in riva al mare?” disse Kristine guardandola di sottecchi. Di fronte al silenzio della giapponese, anche Karol capì subito che la bionda aveva centrato in pieno il bersaglio.

Sanae guardò per un attimo titubante le due ragazze, poi arrossendo leggermente raccontò loro, con non poco imbarazzo, ciò che era successo al parco, tralasciando ovviamente i particolari relativi al motivo per cui Karl era andato a cercarla quel giorno.

“Adesso si spiega tutto!” Karol guardava teneramente l’amica straniera che aveva candidamente confessato loro di aver dato il suo primo bacio ad un ragazzo “E’ una cosa stupenda…ma allora perché hai l’aria così triste? Hai appena detto che è stata un’esperienza indimenticabile…”

Sanae rivelò alle amiche tutti i dubbi che l’avevano assillata in quei giorni, sperando che potessero capirla fino in fondo e confidando soprattutto in Karol.

Fu Kristine invece a stupirla con la sua risposta “Sanae perchè ti sorprendi? Sei una ragazza bella, intelligente e infinitamente dolce e credo che per un uomo sia assolutamente naturale innamorarsi di te.” Aveva pronunciato quella frase senza il suo solito tono malizioso e provocatorio e senza fare altre domande indiscrete. Quelle parole le avevano fatto un infinito piacere e le avevano restituito per un attimo il sorriso.

Dopo aver abbracciato entrambe ringraziandole, le salutò e si diresse verso casa. Stava salendo i gradini quando, sentendo il telefono squillare nel suo appartamento, aprì velocemente la porta e, buttati libri e borsa sul tavolo della cucina, si precipitò a rispondere.

“Ciao…”

Per un attimo il suo cuore decelerò. Tentando di riprendersi, rispose “Ciao Karl.”

Oddio e adesso che cosa doveva fare? Lui l’aveva chiamata e ora lei non aveva la più pallida idea di cosa dirgli.

“Come stai?” continuò lui.

“Ehmm, bene…” EHMM BENE? Ma che diamine di risposta era “Ehmm bene”? Lui la chiamava e lei che faceva? Rispondeva a monosillabi come una perfetta idiota.

Non sentendo proseguire dall’altro capo, Karl aggiunse “Sai io e Genzo ci stavamo chiedendo se domenica verrai a vedere la partita.”

“La partita…beh sì…” BEH SI’…Complimenti Nakazawa…una vera maestra dell’arte oratoria!!!

Non riuscendo a placare l’agitazione che si era impadronita di lei, Sanae si ritrovò a dire la prima cosa che gli passò per la testa “Genzo è lì con te?”

Oddio di male in peggio! Perché tra tutto quello che poteva dirgli, gli aveva chiesto proprio di Genzo?

Lo sentì rispondere un po’ incerto “Genzo? Sì è qui con me…te lo passo…Beh ci vediamo domenica allora.”

Si sentì sprofondare quando lo sentì rivolgersi al portiere dicendogli “Vuole parlare con te.”

Quando Genzo rispose al telefono, per un po’ lei non proferì parola: si sentiva una benemerita imbecille: Schneider l’aveva chiamata per invitarla alla partita e lei gli aveva chiesto di Wakabayashi!

“…allora Sanae ci sei?...” Sentendo la voce dell’amico al telefono, si riprese e cercando di simulare un tono sereno, si mise a parlare per un po’ con lui e alla fine salutandolo, gli diede appuntamento allo stadio per la domenica successiva.

Dopo aver riagganciato, andò a buttarsi sul divano affondando la testa tra i cuscini. Era riuscita a liquidare Karl in due minuti e in un modo non proprio cortese, mentre con Genzo era rimasta a parlare per quasi un quarto d’ora. Perché con Genzo era tutto così facile? E perché con Karl era tutto così dannatamente difficile? Perché non appena aveva sentito la voce del capitano tedesco, era completamente andata nel pallone?

“STUPIDA!” si ritrovò a gridare, ma la sua voce uscì soffocata dai cuscini.



La partita tra l’Amburgo e il Werder Bremen finì sullo zero a zero. Era stata molto sofferta: entrambe le squadre avevano giocato col massimo dell’impegno. Il risultato soddisfaceva un po’ tutti, anche se non modificava la situazione ai vertici della classifica nella quale la squadra di casa dominava, seguita ad un solo punto di distacco dagli avversari.

Sanae dopo aver fatto defluire buona parte degli spettatori, restò seduta in tribuna in attesa di incontrare Genzo e Karl come da accordi. Si sentiva terribilmente inquieta: appena arrivata allo stadio aveva incontrato nei corridoi dei sotterranei i due ragazzi insieme a buona parte della squadra e dello staff tecnico.

Mentre Genzo l’aveva salutata affettuosamente come al solito, Karl si era limitato ad un cenno della mano da lontano, abbozzando solo un mezzo sorriso.

Lei aveva ricambiato il saluto cordialmente, fingendo di non accorgersi dell’atteggiamento del capitano tedesco; in realtà però era rimasta davvero male di fronte alla freddezza del ragazzo.

Durante tutta la partita aveva tentato di rivolgere la sua attenzione a quello che stava succedendo in campo, ma inutilmente. Allora era vero: per Karl quello che era successo tra loro qualche giorno prima, non aveva significato niente; ecco perché si era dimostrato così distaccato con lei rivedendola. E perché lei si sentiva così terribilmente male a quel pensiero?

Immersa nei suoi pensieri, non si accorse neanche dell’arrivo di Wakabayashi.

Sentendosi chiamare, si girò in direzione dell’entrata e vedendo avvicinarsi il portiere da solo, sentì il suo sgomento aumentare “Oh Genzo sei tu…”

“Perché aspettavi forse qualcun altro?” Il portiere, vedendo la faccia delusa della ragazza, la guardò con un mezzo sorriso.

Lei cercò subito di riprendersi “No…no, assolutamente…” e con un sorriso tiratissimo si avviò verso di lui, cercando di mascherare il vero stato d’animo in cui si trovava in quel momento.

Seguì l’amico nei corridoi dello stadio, senza pronunciare neanche una parola. “Allora Sanae mi stai ascoltando?”

Lei alzò di scatto la testa accorgendosi che lui la stava fissando ancora con aria strana (avrebbe giurato mezza divertita) “Ma dove hai la testa? Ti stavo dicendo che stasera ti porto in un locale molto carino vicino al porto.”

“Ah bene…” rispose in tono per niente entusiasta lei, rendendosi perfettamente conto che tutti i suoi tentativi di sembrare allegra agli occhi dell’amico, stavano fallendo miseramente. Non aveva la minima voglia di andare a cena, si sentiva di pessimo umore e voleva solo tornare a casa.

Era sicura che se avesse spiegato a Genzo il suo stato d’animo, lui l’avrebbe capita subito, ma come poteva dirgli che il motivo reale per cui lei si sentiva così era Karl? In quei giorni non era ancora riuscita a parlare con l’amico e a raccontargli quello che era successo con il suo capitano…e in realtà non sapeva da che parte cominciare, temendo inoltre una sua reazione negativa nell’apprendere la notizia.

“Beh puoi anche dirlo che non ti va di venire...” Genzo la stava guardando con aria severa. Lei si sentì terribilmente in colpa nei suoi confronti, un vero verme; stava per aprir bocca e scusarsi quando inaspettatamente lui le scoppiò a ridere in faccia “Ci sei cascata…Se vedessi la tua faccia Nakazawa…”

Sanae rimase inizialmente di sasso, poi vedendo l’amico deriderla così sguaiatamente, cominciò ad arrabbiarsi “Genzo Wakabayashi tu sei…”

Non riuscì a finire la frase che il portiere, aperto il suo borsone, ne tolse un oggetto tondo che le mise tra le mani.

“Ma che cosa…” Per un attimo non riuscì a capire e osservando il casco che l’amico le aveva dato, continuò sempre più confusa “Genzo non sapevo che tu avessi una moto.”

“Infatti non ce l’ho. Ma lui sì…” e aprendo la porta la spinse fuori. Per un attimo Sanae rimase inebetita ad osservare Karl che stava aspettando nel parcheggio in sella ad una splendida motocicletta.

Guardò a bocca aperta prima il ragazzo biondo, poi si girò verso il portiere che nel frattempo la guardava con aria molto divertita. “Genzo…ma tu prima…” e vedendo il sorriso d’intesa che i due ragazzi si scambiarono, continuò “Allora tu sai che Karl…che io…” Si sentiva così stupida: si era fatta mille problemi a parlare con Genzo e lui, come al solito, aveva capito tutto senza che lei gli dicesse niente.

Chinandosi su di lei, il portiere le diede un leggero bacio in fronte e sorridendogli le disse “Sanae…sei come un libro aperto per me…” dopodichè preso il casco, glielo infilò in testa e strizzando l’occhio all’amico, rientrò nello stadio.

“Allora sei pronta?” Karl si avvicinò a lei e guardandola teneramente, le abbassò la visiera e le strinse i lacci sotto il mento.

Sanae senza dire nulla, con un solo gesto di assenso del capo, lo seguì fino alla moto. Da quando si era ritrovata davanti al capitano tedesco, non sembrava capire più niente: il suo cuore batteva all’impazzata e il suo stomaco era in pieno subbuglio. Si ritrovò stretta a lui, seduta sul sedile posteriore, mentre la moto attraversava ad alta velocità le strade di Amburgo.

Dopo circa un quarto d’ora si fermarono in una piccola radura sopra una collina alla periferia della città. Scesi dalla moto e lasciati i caschi a terra, Karl la condusse verso il muretto che si affacciava sul pendio circondando la radura.

Sanae rimase ad osservare per un po’ il panorama che si presentava davanti a loro, poi chiudendo gli occhi, inspirò profondamente: da lì si poteva vedere il mare che brillava all’orizzonte e si poteva respirarne il profumo.

Karl appoggiato al muretto, rimase a fissarla pensando a quanto quella ragazza riuscisse a spiazzarlo. Aveva avuto molte storie nella sua vita e per lui non era mai stato un problema l’approccio con le donne: ma con Sanae era tutto diverso.

Non si era mai sentito così con nessun’altra: lei riusciva a farlo sentire uno scolaretto alle prime armi. La guardava osservare l’orizzonte, desiderando con tutto il cuore di poter leggere nei suoi pensieri; la sua espressione indecifrabile ed il suo silenzio insinuavano mille dubbi nella sua mente “Non volevo rapirti…” si ritrovò a dirle in tono sommesso.

Sanae a quelle parole, si girò verso di lui e senza dire niente gli si avvicinò. Si ritrovarono uno di fronte all’altra a guardarsi diritto negli occhi.

“Avevo solo voglia di rivederti…di stare da solo con te…” proseguì il ragazzo.

Sanae non rispose: le emozioni che stava provando le impedivano di parlare. Avrebbe voluto gridare tutta la sua gioia di fronte a quelle poche parole che il capitano tedesco aveva appena pronunciato, dissipando così tutte le paure e i dubbi che l’avevano tormentata in quei giorni.

Senza pensarci, senza parlare si avvicinò ancor di più a lui che per un attimo la guardò sorpreso, poi alzando il viso verso il suo, avvicinò le sue labbra alla bocca del ragazzo, sfiorandola appena.

Karl, dopo l’iniziale stupore per quel gesto inaspettato, mettendole una mano sulla guancia e cingendole con l’altra la vita, l’attirò a sé unendo ancor più saldamente le loro labbra, mentre Sanae appoggiando le sue braccia al petto del ragazzo, si abbandonò alla passione di quel bacio.

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Capitolo 17
*** Un sentimento nuovo ***


Capitolo17: Un sentimento nuovo


Era quasi buio ma nessuno dei due sembrava accorgersi della cosa. Sanae era seduta sulla coperta stesa sull’erba e accarezzava dolcemente i capelli di Karl, sdraiato accanto a lei e con la testa appoggiata al suo grembo. Tutti e due stavano cercando di godersi al massimo quei momenti insieme, lontani da tutto e da tutti.

In quei mesi si erano visti davvero poco: la fase finale del campionato e tutte le partite e gli allenamenti infrasettimanali della squadra, avevano tenuto Karl molto impegnato, impedendogli di vedere Sanae.

Anche lei dal canto suo aveva avuto poco tempo da dedicare al capitano tedesco, completamente presa dall’Università, dalle lezioni e dagli esami del secondo semestre.

Nei pochi momenti liberi però i due ragazzi facevano di tutto per passare un po’ di tempo assieme: più di una volta Karl, tra una partita e l’altra, si era ritrovato a fare centinaia di chilometri per poter stare con lei anche solo per poche ore, mentre Sanae pur di vederlo, si era ritrovata a passare più di una notte insonne sui libri, nel tentativo di recuperare il tempo che aveva trascorso con lui.

Dopo la vittoria in campionato e l’estenuante periodo degli esami, Sanae era ritornata per le vacanze estive in Giappone.

Karl era rimasto molto deluso quando aveva saputo la cosa; lontano finalmente dagli impegni di entrambi, aveva sperato di riuscire a stare un po’ da solo con lei.

In quei mesi si era reso conto che il sentimento che provava per quella ragazza era cresciuto a dismisura: non riusciva più a stare senza vederla o almeno sentirla; era completamente assorbito da lei.

Più di una volta Genzo lo aveva preso in giro sull’argomento “Sei completamente cotto amico…” e lui non aveva mai potuto controbattere, rendendosi conto che il portiere aveva perfettamente ragione. Sanae era diventata per lui fondamentale: stare in sua compagnia, parlare, scherzare con lei lo facevano sentire l’uomo più felice del mondo. Con lei era tutto diverso; mai nessuna donna era riuscita a fargli provare sensazioni come quelle che sentiva standole anche solo vicino.

E quell’estate senza di lei era stata la più lunga e triste di tutta la sua vita. Gli anni precedenti si era sempre trovato ad aspettare con ansia l’arrivo delle vacanze; per lui voleva dire poter staccare la spina dopo una stagione di intenso lavoro e andare finalmente in qualche paese esotico a divertirsi a più non posso con gli amici.

E invece quell’anno nemmeno il viaggio di venti giorni in una splendida isola caraibica insieme a Genzo e altri tre compagni di squadra, lo aveva aiutato a superare la nostalgia di Sanae.

Mentre gli altri si divertivano sulla spiaggia facendo mille conoscenze, lui se ne stava spesso per i fatti suoi sotto l’ombrellone; la sera poi in discoteca invece di buttarsi, come aveva sempre fatto, in pista a ballare e attaccar bottone con tutte le ragazze che tentavano di avvicinarlo, se ne rimaneva seduto su uno dei divanetti, andandosene spesso prima che la serata avesse termine.

Tutti i ragazzi si erano accorti della cosa ma non erano riusciti a sapere il motivo del malumore del loro capitano. Solo Genzo conosceva perfettamente la causa dello stato d’animo dell’amico e la cosa lo sorprendeva e divertiva allo stesso tempo: il grande Kaiser che per anni aveva fatto strage di cuori, non preoccupandosi mai dei sentimenti delle donne con cui aveva avuto a che fare, adesso si ritrovava perdutamente innamorato di una ragazza che riusciva, inconsapevolmente, a tenerlo sul filo del rasoio.

Quando alla fine di Agosto lei lo aveva chiamato per dirgli che avrebbe anticipato il suo rientro in Germania di dieci giorni, Karl in un attimo si era sentito rinascere e il giorno dell’arrivo si era precipitato all’aeroporto a prenderla, con quasi quattro ore di anticipo.

Sanae dal canto suo, aveva passato quell’estate prima dai nonni nell’Hokkaido e poi, già d’accordo con Yukari da mesi, si era trasferita con lei al mare, nella parte sud del paese. Era stata davvero felice di ritrovare i suoi nonni e i suoi genitori che, rivedendola dopo quasi un anno passato all’estero, erano rimasti molto sorpresi nel trovarla in splendida forma.

Al suo arrivo era corsa a riabbracciare la madre che vedendo la sua bambina così cambiata, era scoppiata in lacrime davanti a tutti gli altri membri della famiglia.

E lei l’aveva stretta forte a sé, rassicurandola sul suo stato di salute: sapeva che la madre più di tutti aveva enormemente sofferto nel periodo in cui lei era caduta nel tunnel dell’anoressia: per mesi l’aveva vista disperarsi e sentirsi impotente di fronte ad una figlia che si stava lentamente spegnendo davanti ai suoi occhi.

E sapeva anche quanto le era costato accettare la sua decisione di partire per l’estero; ma d’accordo con il marito, aveva deciso di lasciarla andare, nella speranza che la figlia potesse finalmente rifarsi una vita felice, lontana dal suo passato.

Anche il rivedere Yukari le aveva fatto un immenso piacere: lei era sempre stata la sua migliore amica, nel bene e nel male le era sempre stata accanto. Aveva deciso da tempo di passare un po’ di tempo con lei; prima di partire per la Germania era andata a cercarla per darle spiegazioni, ripromettendole che al suo ritorno avrebbero trascorso insieme le loro vacanze.

Ed i giorni in riva al mare con lei erano stati divertentissimi: anche se era più di un anno che non si vedevano, per loro il tempo sembrava non essere mai passato. Durante tutta la vacanza si ritrovarono a parlare per ore delle loro nuove vite, dei loro sogni e a ricordare spesso i bei tempi passati. Anche Yukari era rimasta molto sorpresa dal cambiamento dell’amica: l’aveva trovata in ottima forma e soprattutto aveva notato con piacere una nuova luce nei suoi occhi.

Quando Sanae le aveva confessato che stava uscendo con il capitano dell’Amburgo, lei aveva dapprima strabuzzato gli occhi, ricordandosi della bellezza e della prestanza fisica del ragazzo, poi però si era trovata a gioire con lei, felice di sapere che l’amica era riuscita a riaprire il suo cuore dopo tanto tempo. Inizialmente il sapere che la persona che frequentava Sanae era un calciatore, l’aveva lasciata un po’ spiazzata, ma subito si era tranquillizzata sentendo che Schneider le era stato presentato da Wakabayashi: lei sapeva perfettamente che Genzo non avrebbe permesso mai a nessuno sprovveduto di avvicinarsi all’amica.

Sanae passò due mesi di completo relax e divertimento: amava profondamente il suo paese e in tutti quei mesi ne aveva sentito terribilmente la mancanza.

Nonostante la spensieratezza di quei giorni però, si ritrovò molto spesso a pensare a Karl, nonostante si fosse ripromessa prima di partire, di cercare di divertirsi e non pensare al fatto che l’avrebbe rivisto solo alla fine dell’estate.

Ed infatti così era stato, almeno in parte: si stava divertendo e anche molto, ma sentiva di non essere pienamente soddisfatta, sentiva che qualcosa dentro le mancava…e quel qualcosa era lui. Durante quel periodo si rese conto di ciò che aveva cercato di negare a sé stessa per molto tempo: Karl stava diventando davvero importante per lei…e questo la spaventava non poco.

Non voleva assolutamente ricadere negli errori del passato...non lo avrebbe mai permesso. Ma, a dispetto di tutti i suoi buoni propositi, alla fine la nostalgia ebbe il sopravvento su di lei.

Dieci giorni prima della data fissata per il suo rientro, una sera decise seduta stante di tornare in Germania in anticipo. Non ce la faceva più: voleva rivederlo, stare con lui; dopo due mesi, sentirlo solo al telefono non le bastava più e l’idea di dover aspettare ancora quasi due settimane prima di riabbracciarlo, le era diventata insostenibile.

E così lo aveva chiamato quella sera stessa per comunicargli la sua decisione, dimenticandosi però del fuso orario e svegliandolo nel pieno della notte.



Sanae osservava rapita i lineamenti del viso di Karl, disegnando con le dita il contorno delle sue labbra. Lui, completamente abbandonato alla dolcezza di quel tocco, sorrise socchiudendo gli occhi.

Di fronte a quegli splendidi zaffiri Sanae sentì ancora una volta una piacevole morsa allo stomaco: era incredibile come lo sguardo di Karl riuscisse ancora a farla sentire così, anche a distanza di mesi dalla prima volta in cui vi si era trovata a perdersi.

Chinandosi su di lui lo baciò teneramente; il bacio divenne pian piano sempre più appassionato ed in breve Sanae si ritrovò sdraiata sul prato, sovrastata dal corpo del ragazzo.

Karl si muoveva lentamente su di lei; la sua mano sfiorando il seno scese a stringere prima il suo fianco e poi la sua coscia, mentre le sue labbra accarezzano delicatamente la pelle del suo collo.

Sanae stretta a lui e ansimando leggermente, affondò le dita nei capelli del ragazzo, poi le fece scorrere lungo la schiena e le infilò sotto la sua maglietta, sfiorandogli la pelle. Si rendeva perfettamente conto che quello non era il luogo ideale per certe effusioni, ma la sua mente e il suo corpo non riuscivano a reagire…non volevano reagire…si sentiva completamente in balia del suo desiderio.

Fu lo squillo del cellulare di Karl ad interrompere la magia di quel momento. “Mmmm…maledizione…” sbuffò il ragazzo allontanando controvoglia il viso dal collo di Sanae e allungando il braccio oltre la sua testa, per prendere il telefono.

“Ho forse interrotto qualcosa?” La voce di Genzo dall’altro capo sembrava alquanto divertita, dopo aver sentito il tono con cui il suo capitano aveva risposto.

Karl si mise a sedere e sogghignando gli rispose “Il solito tempismo Wakabayashi…”

Sanae sentendo nominare l’amico, si alzò a sua volta, ricordandosi all’improvviso dell’impegno che aveva con lui. Era stata lei a chiamarlo appena rientrata dal Giappone per chiedergli di passare una serata da soli: aveva voglia di rivederlo, di parlare con lui di quello che avevano fatto durante le vacanze.

Ma stando con Karl aveva completamente perso la nozione del tempo: rendendosi conto dell’ora tarda che si era fatta, cominciò a gesticolare davanti al capitano tedesco, nel tentativo di fargli capire di non dire a Genzo che lei era lì con lui.

Che figura ci avrebbe fatto? Appena arrivata a casa del portiere si sarebbe inventata una scusa per giustificare il suo ritardo…certo non era il caso di raccontargli la verità.

Karl stava tentando di ascoltare Genzo dall’altra parte del telefono mentre allo stesso tempo, guardava con aria interrogativa la ragazza che a bassa voce, gli stava dicendo qualcosa che lui non riusciva a capire. “Sanae ma che stai dicendo?” si ritrovò a chiedere alla ragazza che non la smetteva di gesticolare davanti a lui.

Sanae mettendosi le mani nei capelli, sospirò rumorosamente dopodichè, guardandolo con aria di rimprovero, prese il telefono dalle sue mani “Ehmmm ciao Genzo…sto arrivando…”

“Fate pure con calma…” le rispose lui sghignazzando e facendola arrossire.

Riagganciando, stava rimproverando Karl riferendogli dell’ultima battuta del portiere, quando lui, abbracciandola da dietro, cominciò a baciarla nuovamente sul collo.

“…Karl…dobbiamo andare…Genzo mi aspetta…” disse lei tentando di opporre resistenza ma lui, senza risponderle, continuò inesorabilmente a stuzzicarla.

“…Karl…è tardi…cosa penserà Genzo?”

In un attimo lui la stese di nuovo sulla coperta senza prestare attenzione alle sue proteste e guardandola con un sorriso malizioso, le rispose “In fondo è stato lui a dire di fare con calma…”




Ok ragazzi con questo capitolo si conclude la prima parte della mia storia, un pò lenta è vero, ma ho dovuto impostare tutta la storia e i vari personaggi.

Dal prossimo capitolo le cose cambieranno e la storia sarà ....un pò....diversa...ecco...diciamo così.

Spero di riuscire ad aggiornare con la velocità con cui ho fatto in questi in giorni....ma temo il contrario perchè da domani si ricomincia a lavorare a pieno regime!!!!

Comunque farò del mio meglio...non temete....HTML permettendo......(Mei_Chan mi raccomando veglia.....)

Forse per qualcuno aggiorno troppo velocemente ma i motivi per cui lo faccio sono vari: in primis la storia è già conclusa da tempo....ho solo fatto un casino pazzesco con la pubblicazione e HTML....MA VA???????

In secondo luogo ho già qualche idea per una nuova storia...e per dedicarmici prima voglio finire di pubblicare Haru no aoi sora.

Ma il motivo principale è che personalmente quando mi appassiono ad una storia non vedo l'ora di vederne la conclusione....più di una volta mi sono ritrovata a leggere stupende storie che però non sono mai state concluse o comunque sono aggiornate talmente lentamente che faccio tempo a dimenticarmele....

Comunque a parte questo... un ringraziamento a tutti voi che se siete arrivati a leggere fin qui...una storia alternativa che all'inizio non aveva molte pretese....e che invece mi sta dando tantissime soddisfazioni grazie proprio a voi.

Sapere che anche solo una persona apprezza ciò che scrivi è un grande stimolo e onore...

Un bacione enorme a tutti (GRAZIE a coloro che mi recensiscono pubblicamente e non...dall'Italia e non) e a prestissimo con la Seconda parte.

Ale Kanou

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Capitolo 18
*** Nubi all’orizzonte ***


GRAZIE!!!!!

Beh che posso dire…ho letto le vostre recensioni e sono rimasta io senza parole….

All’inizio vedendo il papiro di Alex_Kami mi sono spaventata….mi sono detta…eccoci….gli insulti sono arrivati….d’altronde lei ed anche altre persone sono come dici lei stessa delle veterane e mi aspettavo una recensione “cattiva” proprio perché non mi sono attenuta ai fatti reali del manga…e invece mi ha reso immensamente felice ciò che mi ha scritto….così come le recensioni di tutti gli altri.

Una precisazione però…anche se vi sembrerà inverosimile leggendo la mia storia….IO ADORO LA COPPIA SANAE-TSUBASA!!!!!

Io sono entrata nel mondo delle fanfiction solo da un anno circa…prima non sapevo nemmeno che esistessero!!!

Io purtroppo non ho letto il manga ed ero rimasta ancora a quando Tsubasa dopo i campionati in Francia (credo?) ritrova Roberto Hongo e con lui parte per il Brasile.

Per anni la coppia/non coppia Sanae-Tsubasa mi ha tormentata: insomma nell'anime non si arrivava mai a niente (almeno tra Yoshiko e Hikaru c'è stato un chiarimento all'aereoporto prima che lei partisse!!!)

Dopo anni passati a studiare e a lavorare (cioè un anno fa!!!) ho scoperto grazie ad Internet che in realtà i due poverelli hanno coronato il loro sogno d'amore...e io ne sono stata felicissima!!!!!!!

Anche perché se il Taka avesse avuto per loro due una fine diversa dal realizzare il loro sogno d’amore, sarei andata personalmente in Giappone a dargli una mano di botte!!! E CHE CASPIO…almeno nelle fiction che trionfi l’amore vero!!!!!!

Ed infatti non a caso ho letto tutte le fanfiction che hanno come protagonisti loro due….e ne ho trovate di splendide!!!!

Anche io ho la mia storia Sanae/Tsubasa nella testa….l’ho sempre avuta…ma è una fotocopia di molte delle splendide fiction che ho letto…..lei ama per sempre lui…lui scopre di averla sempre amata…

Come è successo ad Alex_Kami però, mi è capitato di leggere una fiction sulla coppia alternativa Sanae/Genzo (gran bel gnocco...il mio preferito non a caso) intitolata Cherry Blossom….

Beh ragazzi me ne sono letteralmente innamorata…mai avrei creduto di poter vedere Sanae con qualcuno di diverso da Tsubasa…eppure è una storia che è riuscita comunque a darmi grandi emozioni per come è stata strutturata…

Da lì una sera in un lampo (di genio?????...mmmmm) mi è nata in testa l’idea di Haru no aoi sora….e quello che ho cercato di fare è stato di essere originale…e spero di esserci riuscita….anche se so perfettamente che non è per niente attinente al vero manga.

Comunque a parte questi chiarimenti dovuti…rinnovo i ringraziamenti a tutti…davvero…non solo a chi apprezza la coppia che io ho creato…ma anche e soprattutto a chi non la ama e nonostante tutto continua a leggere la mia storia…perché so che è davvero difficile accettare fatti o eventi che vanno contro l’attinenza e la passione che ognuno di noi ha per i personaggi originali.

BACIONI A TUTTI ED ECCOVI IL MIO NUOVO CAPITOLO!!!!!



Capitolo18: Nubi all’orizzonte

L’inizio del campionato era alle porte ed i ragazzi dell’Amburgo avevano ricominciato ad allenarsi quotidianamente in vista delle sfide che li attendevano.

Quel pomeriggio alla fine dell’allenamento, il Mister li aveva convocati per annunciare le amichevoli che avrebbero dovuto affrontare la settimana successiva: Ajax e Paris Saint Germain erano le due squadre che avrebbero incontrato, mentre era ancora in forse la partita con una terza formazione non precisata, a causa di alcuni problemi tecnici della squadra stessa.

Tutti i giocatori si dimostrarono entusiasti: sia la squadra francese che quella olandese erano validissime avversarie e la sfida con loro si sarebbe sicuramente rivelata stimolante ed un ottimo test per valutare il loro stato di forma dopo l’estate.

Genzo, a differenza dei suoi compagni, rimase in silenzio ad ascoltare le parole del Mister: non sapeva il perché ma si sentiva stranamente agitato. Non era certo per le partite che lo attendevano; anche lui come gli altri non vedeva l’ora di confrontarsi con campioni del calibro di Kanou o Le Blanche. Ma qualcosa di imprecisato lo preoccupava.

Finì di ascoltare l’uomo che stava comunicando loro che per la giornata di venerdì, era stato organizzato un cocktail di benvenuto per i giocatori stranieri e le rispettive famiglie.

Cercò di scrollarsi di dosso quella strana sensazione che lo aveva invaso e, insieme a Schneider, si diresse verso gli spogliatoi, non facendo però con lui il minimo accenno al suo stato d’animo.



Quel venerdì pomeriggio come d’accordo, le rappresentative dei vari paesi si riunirono in un club privato alla periferia di Amburgo. Tutti i giocatori si ritrovarono a chiacchierare allegramente tra loro, scambiandosi opinioni sulle partite che avrebbero avuto luogo nei giorni successivi.

Karl insieme al secondo allenatore stava conversando con il capitano della squadra francese: ormai si conoscevano da anni e per entrambi era sempre un piacere ritrovarsi e mettere a confronto la loro tecnica.

Genzo stava invece parlando con il suo connazionale Kanou, che da un paio di stagioni militava nella squadra olandese con splendidi risultati.

Quel ragazzo dalla testa arancione gli ricordava molto Kojiro Hyuga: entrambi avevano una forza incredibile e grinta da vendere; a differenza dello juventino però, si era dimostrato sin dall’inizio una persona molto allegra e gioviale. E poi quel ragazzo lo aveva stupito anche per l’atteggiamento premuroso che aveva avuto per tutto il tempo con la sua fidanzata Miki: l’aveva tenuta per mano tutta la sera, vedendola spaesata in quell’ambiente a lei nuovo.

Si ritrovò a pensare che era davvero molto carina e simpatica e che sicuramente, se Sanae fosse stata lì con loro, avrebbe subito legato con quella ragazza così simile a lei.

Dopo averli salutati, si diresse verso uno dei tavoli imbanditi sul prato per prendere qualcosa da bere; sulle scale della terrazza che si affacciava sul giardino, vide il suo capitano parlare al cellulare e ridere.

Stava per avvicinare il bicchiere di champagne alle labbra, quando un mormorio alle sue spalle attirò la sua attenzione; si girò cercando di capire l’oggetto dell’interesse della gente che lo circondava e si ritrovò senza fiato ad osservare le persone che in quel momento stavano scendendo dalla scalinata davanti a lui.

“Alla fine sono riusciti a venire!” Karl si era avvicinato al portiere e, senza accorgersi della sua espressione, proseguì “Avremo di che divertirci questa settimana!”

Genzo, inebetito, non udì le parole del suo capitano; si accorse di lui solo quando sentì il tocco della sua mano sulla spalla.

Senza proferire parola si girò verso di lui: la sensazione di disagio che avvertiva da giorni, crebbe in pochi secondi all’ennesima potenza e lo travolse in pieno.

Improvvisamente nella sua mente si riaffacciò l’immagine di Karl che poco prima parlava al telefono ed un dubbio atroce cominciò a farsi largo nella sua testa. “Dov’è Sanae?” chiese con un groppo in gola a Schneider che, di fronte a quella domanda inaspettata, lo osservò con aria interrogativa.

“Sanae? L’ho appena sentita. Sta per raggiungerci. E’ riuscita a liberars…” Karl non riuscì però a finire la frase; Wakabayashi con due occhi di fuoco, senza dirgli niente si era girato di scatto, allontanandosi velocemente da lui.

Genzo senza pensarci si precipitò verso l’uscita, evitando il capannello di persone che nel frattempo si era radunato in giardino per accogliere i nuovi ospiti. Compose velocemente il numero di casa di Sanae, con la remota speranza che non fosse ancora partita; il telefono però suonò a vuoto, facendolo imprecare.

D’un tratto con la coda dell’occhio vide la ragazza entrare sulla terrazza e apprestarsi a scendere le scale; in un attimo la raggiunse, bloccandola per un braccio.

Karl, rimasto interdetto di fronte all’atteggiamento dell’amico, lo seguì con lo sguardo, dirigendosi poi a sua volta verso l’ingresso del club.

Improvvisamente però la sua attenzione fu catturata dall’arrivo di Sanae che stava entrando in quel momento sulla terrazza. Vide Genzo avvicinarsi rapidamente a lei e prenderla bruscamente per un braccio. Capendo che stava succedendo qualcosa, si diresse a passo veloce verso i due.

“Genzo ma che succede?” Sanae guardava stupita l’amico che la tratteneva con un’espressione cupa sul volto, mentre da dietro vide Karl salire le scale e avvicinarsi a loro.

Stava per fare qualche passo in direzione del capitano tedesco, quando la stretta della mano di Genzo si fece più serrata, facendole intorpidire il braccio.

“Che diamine succede Wakabayashi!?” Karl li aveva raggiunti e adesso osservava con espressione severa il portiere, non capendo il motivo di quel suo atteggiamento.

Senza prestare la minima attenzione a lui, Genzo si rivolse alla ragazza “Kare wa koko desu!” (Lui è qui!)

Sanae si sentì scaraventare contro quelle parole; capì subito…e tutta la gioia che aveva provato arrivando lì quella sera, si dissolse in un istante.

Rimase per un attimo inebetita: Genzo e Karl parlavano davanti a lei ma le loro voci le arrivavano ovattate…era come se fossero lontane anni luce da lei. Un’angoscia improvvisa le serrò il cuore e mille immagini cominciarono ad affollarsi nella sua mente.

Karl vide Sanae sbiancare improvvisamente dopo aver udito le parole del portiere. Sentì la rabbia montare dentro di lui: che diamine stava succedendo tra quei due? E che cosa voleva dire la frase appena pronunciata in giapponese da Genzo? Perché non si era rivolto a lei in tedesco come sempre faceva quando loro tre stavano insieme?

“Allora Wakabayashi vuoi dirmi cosa sta succedendo?” sibilò il capitano dell’Amburgo in direzione dell’amico, che lo guardò però senza rispondere.

Genzo sentendo Sanae cominciare a tremare, allentò la presa sul suo braccio. Improvvisamente vide il panico dipingersi sul volto della ragazza che, con lo sguardo fisso davanti a sé, stava osservando qualcosa alle spalle sue e di Karl. In un attimo la sentì divincolarsi dalla sua stretta, fare alcuni passi indietro e infine scappare dalla terrazza.

Karl senza pensarci, si mise a rincorrerla ma si ritrovò a urtare un cameriere che in quel momento stava uscendo in giardino con un vassoio tra le mani.

“Dannazione…” imprecò senza fermarsi ad aiutare il malcapitato e ricominciando a inseguire Sanae. Non riuscì però a raggiungerla; la vide salire su un taxi che velocemente si allontanò dal club.

“SANAEEE!” si ritrovò a gridare nella sua direzione, attirando l’attenzione di alcuni ospiti che sopraggiungevano in quel momento.

Sanae salì in un lampo sul taxi parcheggiato fuori dall’edificio; sentendo la voce di Karl, guardò per un attimo fuori dal finestrino e vedendolo correre verso la macchina, si girò verso l’autista dicendogli “Presto parta…”

Genzo, vedendo Sanae fuggire inseguita da Karl, si stava a sua volta lanciando in direzione dell’uscita, quando una voce alle sue spalle lo richiamò, bloccandolo all’istante.

Lentamente si girò in quella direzione, la stessa in cui poco prima stava guardando l’amica…e si trovò faccia a faccia con colui che per anni aveva considerato uno dei suoi più cari amici.

Tsubasa Ozora era davanti a lui insieme ad altri giocatori del Barcellona e lo stava fissando con uno sguardo indecifrabile.

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Capitolo 19
*** Scontri ***


Capitolo 19: Scontri


I due ragazzi giapponesi rimasero a guardarsi per qualche secondo senza parlare: erano passati più di due anni dall’ultima volta che si erano visti e il loro addio non era certo stato dei più cordiali. Entrambi ricordavano quel periodo: stavano disputando il Campionato Mondiale in Francia.

Fin dall’inizio Genzo si era dimostrato più scontroso del solito con tutta la squadra e con Tsubasa in particolar modo: cosa che stupì un po’ tutti i membri della nazionale nipponica che, conoscendo i due ragazzi da anni, li ricordavano grandi amici fin dai tempi della scuola inferiore.

Anche Tsubasa in quell’occasione era apparso agli occhi di tutti molto diverso: era sempre nervoso in campo e si limitava a scambiare solo poche parole con i vecchi amici. Strano per lui che era sempre stato una persona solare e amichevole…lui che in quegli anni era riuscito con la sua forza d’animo e il suo entusiasmo contagioso a far raggiungere livelli mai sperati alla squadra del sol levante.

La tensione tra i due ragazzi esplose una sera a cena. Ozora e Wakabayashi erano seduti uno di fronte all’altro e nessuno dei due in tutta la serata aveva aperto bocca.

Alcuni dei giocatori giapponesi al tavolo, di fronte all’atteggiamento distaccato di entrambi i fuoriclasse, si ritrovarono a commentare a bassa voce che, il fatto di militare nei campionati esteri, evidentemente cambiava anche il carattere oltre che il modo di giocare delle persone.

Ishizaki, notando l’atmosfera pesante che regnava nella sala, aveva tentato come al solito di stemperare gli animi con una battuta spiritosa “Hey Tsubasa…allora raccontaci…come sono le brasiliane?”

Il ragazzo che in quel momento stava pensando a tutt’altro, alzò sorpreso la testa verso il compagno di squadra. Non sapendo come rispondere alla sua domanda, si ritrovò a fare solo un mezzo sorriso, cosa che scatenò subito le insinuazioni di molti dei presenti che, di fronte al silenzio del loro capitano, avevano pensato immediatamente che stesse nascondendo loro qualcosa.

“Figuratevi se lui ha in testa qualcos’altro oltre al pallone…” Il tono sprezzante con cui Genzo pronunciò quella frase non sfuggì a nessuno dei presenti, lasciando tutti ammutoliti.

Ishizaki tentò subito di intervenire “Ma dai Genzo…anche Tsubas…” ma fu interrotto dalla voce tagliente dello stesso attaccante “E tu che ne sai Wakabayashi?”

Lo sguardo del capitano nipponico nei confronti del portiere era glaciale mentre pronunciava quelle parole.

Genzo per niente intimorito dalla cosa, proseguì con tono fintamente ironico “Vuoi forse dire che per te c’è qualcosa di più importante del pallone? Tsss…non farmi ridere…”

Tsubasa si alzò dalla sedia all’istante infuriato e allungando un braccio verso il portiere, lo afferrò per la maglia dicendogli “Tu non sai un cazzo di me…”

Genzo a sua volta scattò in piedi e con un gesto brusco allontanò la mano di Ozora; una furia cieca lo stava pervadendo, mentre l’immagine di una meravigliosa ragazza che lentamente si stava consumando per un amore non corrisposto, gli riempiva la mente.

Guardando diritto negli occhi il suo capitano gli sibilò “Io so solo che per la tua cazzo di carriera sei disposto a mandare tutto a puttane…tutto e tutti…” Così dicendo, il numero uno abbandonò la sala, lasciando tutti i presenti esterrefatti e Tsubasa ammutolito.

Il vero significato di quelle frasi sfuggiva a molti dei ragazzi presenti, ma una cosa era certa…era successo qualcosa tra i due giocatori, qualcosa di grave che aveva incrinato per sempre un’amicizia che durava ormai da anni.



“Ozora.”
Senza neanche accennare ad un sorriso, Wakabayashi si era limitato a salutare il connazionale pronunciando il suo nome, per poi rivolgere la sua attenzione agli altri giocatori della squadra spagnola.

Anche Tsubasa non aveva mostrato alcun entusiasmo di fronte al vecchio compagno di squadra, non facendo il minimo accenno a stringergli la mano.

Improvvisamente l’attenzione di tutti fu attirata dall’allenatore della squadra tedesca che, avvicinandosi al suo portiere titolare, gli chiese in tedesco “Wakabayashi non ho ancora visto Nakazawa in giro. Eravamo d’accordo che sarebbe venuta qui oggi…ha accettato di fare da interprete in questi giorni…”

Genzo si sentì all’improvviso un macigno sul cuore. Non aveva la più pallida idea che Sanae fosse stata contattata per lavorare per la società…e questo complicava terribilmente le cose. Ma soprattutto si sentì sprofondare sentendo pronunciare il cognome dell’amica di fronte ai giocatori presenti...e ad uno in particolar modo.

Guardò per un attimo Ozora con la coda dell’occhio, sperando con tutto il cuore che non avesse ascoltato una solo parola di quello che l’allenatore gli aveva detto…ma l’espressione sul volto del connazionale non fece altro che confermare le sue paure.

Tsubasa rimase per un attimo senza fiato.

NAKAZAWA… NAKAZAWA… NAKAZAWA…

Solo questo aveva capito della frase dell’allenatore tedesco…ma quell’unica parola lo aveva fulminato all’istante.

Improvvisamente si ricordò di una telefonata fatta tempo addietro… “E’ partita per l’estero…è andata a studiare in Europa…” così gli aveva detto Ishizaki.

Nakazawa…non poteva essere una casualità…la ragazza che aveva appena sentito nominare non poteva essere che lei. Sentì una morsa serrargli il cuore e mille ricordi prorompere nella mente.

Mentre Genzo stava per rispondere al suo allenatore, si sentì afferrare violentemente il braccio e giratosi, si trovò di fronte due occhi azzurri furenti.

Incurante della presenza degli altri ospiti, Karl si rivolse al suo portiere con tono aggressivo “Che cazzo hai detto a Sanae? Dimmelo Wakabayashi! Che cosa l’ha sconvolta così?”

Serrando le mascelle e senza rispondere, Genzo lo oltrepassò ma dopo pochi passi si fermò dietro di lui, rispondendogli a bassa voce “Non spetta a me dirtelo Karl…”

Schneider, serrando i pugni, si allontanò velocemente dalla terrazza estraendo dalla tasca della giacca le chiavi della macchina.

I presenti rimasero in silenzio di fronte allo scambio di battute dei due giocatori: non conoscevano la lingua tedesca, ma era evidente che i due ragazzi stavano discutendo…l’espressione delle loro facce era inequivocabile.

“Women!” (Donne!) sospirò l’allenatore tedesco, scatenando l’ilarità di buona parte dei presenti che avevano udito la parola pronunciata in inglese dall’uomo (l’unico che aveva capito ciò che i due ragazzi si erano detti).

Tsubasa fu l’unico a non sorridere della battuta: le sue labbra erano serrate e i lineamenti del suo viso erano tiratissimi.

SANAE…anche Schneider aveva pronunciato quel nome.

Ormai non aveva più dubbi…era lei…

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Capitolo 20
*** Un tuffo nel passato ***


Capitolo 20: Un tuffo nel passato


Dopo che il taxi la lasciò vicino al porto, Sanae si sedette sul muro del molo e prendendosi la testa tra le mani, cominciò a inspirare ripetutamente, cercando di calmarsi.

Provava il desiderio tremendo di piangere ma qualcosa glielo impediva. Continuava a rivedere nella sua mente l’immagine di un ragazzo che saliva la scalinata del club, parlando e sorridendo al compagno di squadra che camminava accanto a lui.

“TSUBASA…”

Anche il solo pronunciare quel nome la faceva stare malissimo. Perché…perché il destino si accaniva contro di lei? Non era già stata abbastanza punita in passato? Perché lo aveva dovuto rivedere; perché proprio adesso che la sua vita sembrava finalmente prendere una piega diversa?

“KARL…”

L’immagine del capitano tedesco si affacciò per un attimo nella sua mente, facendo ulteriormente aumentare la devastante angoscia che la stava attanagliando.

Rimase rannicchiata per ore su quel molo, con lo sguardo perso nel vuoto, senza rendersi conto che una leggera pioggerella aveva cominciato a cadere dal cielo.

Mille pensieri e immagini si accavallavano nella sua testa, mentre il passato riemergeva prorompente…



Fujisawa…

Come succedeva ormai da anni anche quella sera le tre manager della Nankatsu stavano sistemando il campo, mentre i ragazzi si cambiavano negli spogliatoi.

Sanae improvvisamente ebbe un mancamento e si appoggiò alla rete di recinzione. Immediatamente Yukari le fu accanto e la aiutò a sedersi su una panchina.

“Non ti preoccupare Yukari è stato solo un colpo di caldo.” Nakazawa aveva tentato di minimizzare l’accaduto non riuscendo però a convincere l’amica che, imperterrita, l’aveva accompagnata in infermeria.

Quando la dottoressa l’aveva incitata a spogliarsi, per un attimo Sanae era rimasta titubante, poi dopo l’ennesimo invito, si era decisa a togliersi la tuta.

Yukari nel frattempo aspettava fuori dalla sala visite preoccupata. Da mesi teneva sott’occhio l’amica; sapeva che per lei quello era stato un periodo molto duro: la partenza del numero dieci della Nankatsu per il Brasile l’aveva profondamente ferita.

Erano cresciute insieme e lei aveva vissuto in prima persona l’amore tormentato e mai ricambiato dell’amica per il loro capitano. Quante volte aveva asciugato le sue lacrime, esortandola a farsi avanti con lui e quante volte l’aveva ripresa anche con severità, vedendola incapace di reagire ad una situazione che sembrava non avere via d’uscita.

Ricordava ancora quando, due mesi prima della partenza di Ozora, loro tre manager, passando per caso sotto la finestra degli spogliatoi maschili, si erano ritrovate involontariamente ad ascoltare i discorsi che i giocatori stavano facendo.

Ishizaki sghignazzando stava chiedendo al suo capitano che cosa avesse intenzione di fare con Sanae “Dai Tsubasa…non fare finta di niente…lo sai che Nakazawa è innamorata di te da anni…e non è l’unica…”

“Lo so benissimo...ma per me Sanae è solo un’amica…e comunque io tra poco partirò per il Brasile...è quello che ho sempre voluto…”

La risposta del ragazzo aveva ammutolito gli altri calciatori e le ragazze ferme fuori dalla finestra. Yukari si era lentamente girata verso Sanae…l’espressione che aveva visto sul suo volto la sconvolse ancor più delle parole che aveva appena udito.

Si era aspettata di vederla disperata, in lacrime; in fondo il ragazzo di cui era innamorata da sempre aveva appena detto che non gli importava niente di lei, che come sempre era il calcio il suo unico pensiero.

E invece Sanae era rimasta immobile…il suo volto era una maschera imperturbabile; e poi senza aprir bocca, si era avviata verso il campo e aveva ricominciato a sistemare i palloni come sempre, come se nulla fosse successo.

E da quel giorno lei aveva cominciato ad avvertire un sottile cambiamento in Nakazawa…all’inizio lo aveva interpretato in modo positivo…credeva che finalmente la ragazza si fosse decisa a reagire, buttandosi il passato alle spalle.

Ma ben presto aveva dovuto ricredersi. La sua migliore amica era cambiata…non riusciva a spiegarsi in che modo…ma era cambiata…all’apparenza sembrava la Sanae di sempre, cortese e disponibile con tutti…ma in realtà…in realtà si era spenta…ecco tutto.

Dopo aver lasciato Sanae a rivestirsi, la dottoressa era andata da Yukari e con aria pensierosa le aveva chiesto il numero di casa dell’amica, aggiungendo “Tu sai se per caso Nakazawa in questo periodo ha qualche problema?” e di fronte alla faccia interdetta della ragazza aveva continuato “Voi due siete sempre insieme…hai notato qualcosa di strano? Non so…nel suo modo di mangiare per esempio…”

Yukari confusa, aveva scosso la testa e dopo averla salutata, si era diretta verso la sala visite. Entrandovi e trovandosi di fronte l’amica, rimase però ancor più interdetta: Sanae si stava infilando la tuta e con sgomento lei si ritrovò ad osservare la sua estrema magrezza…e in un attimo comprese le parole di poco prima della dottoressa.

Sanae, vedendo la porta aprirsi, aveva cercato di coprirsi velocemente ma inutilmente…Yukari l’aveva vista. Senza guardarla negli occhi, aveva finito di vestirsi e quando l’amica le aveva chiesto spiegazioni, lei era rimasta in silenzio.

“Sanae no…” Yukari aveva cominciato a piangere davanti a lei, rendendosi conto che il suo mutismo altro non era che la conferma di tutto “Io non avevo capito…”

Come aveva potuto non capire…come aveva fatto ad essere così cieca…la sua migliore amica stava male da tempo e lei non si era accorta di niente.

Sanae si era lasciata cadere sul lettino e con aria stremata le aveva detto sommessamente “Non è colpa tua…”…………………




Sentendo la pioggia farsi più insistente, Sanae si riprese e accorgendosi che si era fatto buio, si alzò incamminandosi nella direzione da cui era venuta.

Decise di non andare a casa però: sapeva che Karl e anche Genzo l’avrebbero cercata lì e lei non aveva il coraggio di rivederli per il momento.

Entrò in un bar poco distante dal molo e si sedette ad un tavolo in un angolo del locale, lontano dagli altri clienti. Guardò per un attimo fuori dalla finestra il mare che si stava increspando a causa della pioggia battente.

L’arrivo della cameriera interruppe i suoi pensieri; girandosi verso di lei e cercando di sorridere, ordinò un caffè.

Si ritrovò a fissare il liquido nero che fumando, girava vorticosamente nella tazza sotto di lei e pensò che anche lei in quel momento si sentiva come risucchiata in un vortice…un vortice di emozioni…vecchie e passate.

Si rivedeva ancora ragazzina…riusciva ancora a sentire la sensazione terribile che per mesi le aveva attanagliato lo stomaco ogni volta che si ritrovava a vomitare tutto ciò che aveva mangiato.

Non sapeva nemmeno lei come era cominciato il tutto: ricordava solo il dolore sordo che aveva provato di fronte alla frase pronunciata dalla persona che lei aveva amato incondizionatamente per anni “Lo so benissimo...ma per me Sanae è solo un’amica…”

Quelle parole avevano irrimediabilmente incrinato qualcosa dentro di lei. Lo aveva amato più di tutto…più di tutti…anche più di sé stessa…e alla fine era stata sconfitta da un pallone.

Da quel giorno cominciò ad odiarsi per aver permesso a sé stessa di soffrire per così tanto tempo…e cominciò ad odiare il suo corpo, a rifiutarlo…così come aveva fatto lui.

E senza rendersene conto si ritrovò intrappolata in un meccanismo perverso: più il suo corpo cambiava e più lei lo detestava e nel tentativo di cambiarlo ancor di più, si ritrovò a mangiare sempre meno.

Quando la madre e Yukari scoprirono la cosa, cominciarono a tenerla strettamente sotto controllo, ma lei a loro insaputa, trovò il modo per continuare la sua opera di distruzione: vomitando tutto ciò che le veniva dato da mangiare.

D’altra parte non aveva potuto fare altrimenti…ormai era troppo tardi…non era più solo la mente che rifiutava il cibo, ma tutto il suo corpo: qualsiasi cosa che tentava di ingoiare le provocava forti crampi e conati, obbligandola così a cacciarsi due dita in gola per cercare di alleviare quel terribile senso di malessere.

E poi era arrivato Genzo che aveva scoperto tutto…nel modo peggiore.

Lo aveva rivisto per caso appena rientrato in Giappone dalla Germania e aveva saputo che lui dopo averla rivista, aveva cominciato a tempestare di domande Yukari, nel tentativo di sapere che cosa le era successo.

Sia lei che l’amica in quel periodo avevano fatto di tutto per evitarlo ma alla fine lo avevano reincontrato ad una cena organizzata dalla squadra.

Sanae ricordava perfettamente quella sera: aveva fatto di tutto per non andare a quella cena, ma l’allenatore aveva insistito fino allo stremo con lei, obbligandola a partecipare in qualità di prima manager.

Genzo l’aveva osservata per tutta la sera e lei, per non alimentare ulteriormente i suoi dubbi, aveva cercato di comportarsi nel modo più naturale possibile.

E così si era ritrovata costretta a mangiare, suo malgrado. Dopo pochi bocconi però i crampi avevano cominciato ad attanagliarle lo stomaco… per un po’ aveva tentato comunque in tutti i modi di tenerli a bada, cercando di non prestarvi attenzione.

Nel frattempo i ragazzi al tavolo stavano parlando con Genzo della Germania e in generale delle esperienze calcistiche in paesi stranieri.

A quelle parole Sanae aveva sentito improvvisamente la bocca riempirsi di un reflusso acido e, non riuscendo più a trattenere i conati di vomito, si era alzata dal tavolo allontanandosi velocemente.

A Wakabayashi la cosa non era sfuggita e vedendo Yukari allontanarsi a sua volta con un’aria sconvolta, aveva seguito la ragazza lasciando gli altri giocatori intenti a parlare.

Genzo aveva poi cominciato a guardare in tutte le stanze alla ricerca delle due amiche; improvvisamente passando davanti ad un bagno, aveva sentito il rumore dell’acqua scrosciante e vedendo la porta socchiusa, l’aveva aperta.

Non trovandovi nessuno, dopo aver chiuso il rubinetto, stava per uscire quando, con la coda dell’occhio, vide qualcosa nascosto in un angolo della stanza. Lentamente si era avvicinato e resosi conto di quello che aveva davanti, aveva sentito il cuore stringersi in una morsa gelida.

Sanae se ne stava rannicchiata a terra con la testa tra le gambe e stava piangendo sommessamente.

Si era avvicinato a lei e prendendole il viso tra le mani l’aveva guardata dritta negli occhi: e tutti i dubbi che aveva covato in quei giorni in un attimo trovarono conferma.

Yukari era arrivata subito dopo e resasi conto di quello che era successo, accasciandosi sul pavimento e cominciando a piangere a sua volta, aveva detto disperata al portiere “Dobbiamo fare qualcosa per aiutarla…si sta distruggendo Genzo…”

Lui, prendendo Sanae in braccio l’aveva portata alla sua macchina, evitando di farsi vedere dagli altri ragazzi e, dopo aver chiesto alla seconda manager di avvisare la signora Nakazawa, l’aveva accompagnata a casa.

Quella notte insieme ai suoi genitori e a Yukari, era rimasto ad ascoltare le parole del medico che era accorso dopo essere stato contattato dalla madre della ragazza.

E alla fine, seppur con la morte nel cuore, si erano ritrovati tutti a concordare che, arrivati a quel punto, era necessario intervenire con la forza, ricoverando Sanae in una struttura adeguata.




Sanae serrò le mani intorno alla tazza ormai vuota…la stretta era così salda da far sbiancare le nocche delle sue dita.

Pensò ai mesi trascorsi in quella clinica…furono mesi terribili…i peggiori di tutta la sua vita.

All’inizio aveva rifiutato ogni tipo di cura, allontanando tutto e tutti da lei: i medici erano arrivati al punto di farle delle flebo per cercare di darle un po’ di nutrimento.

E in tutto quel tempo, Yukari e Genzo erano sempre stati presenti, insieme ai suoi genitori.

Genzo…
Cosa avrebbe fatto senza di lui? Quante volte lui l’aveva stretta a sé, mentre lei in preda a delle crisi pazzesche, simili a quelle da astinenza, lo pregava di farle vomitare quel poco di cibo che l’avevano costretta a ingerire.

E tra le sue braccia, tremante, aspettava che le crisi passassero, che la morsa allo stomaco e i conati di vomito la abbandonassero…e alla fine, stremata, spesso si addormentava piangendo, ancora stretta a lui.



“Signorina stiamo chiudendo, mi spiace.”

Sanae osservò la cameriera che si era avvicinata al suo tavolo; udendo le sue parole, si alzò e dopo aver pagato, chiamò un taxi e si fece riaccompagnare a casa.

Non trovò nessuno ad aspettarla. La cosa non la stupì…in fondo erano le due di notte quando richiuse la porta alle sue spalle.

Si spogliò e si infilò sotto le coperte. Non riuscì a dormire molto però…e non fu l’unica.

Ad Amburgo quella notte anche altri tre ragazzi non chiusero occhio, ciascuno perso nei propri pensieri.

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Capitolo 21
*** Un amore nascosto ***


Capitolo 21: Un amore nascosto


Tsubasa stava osservando il soffitto, sdraiato sul letto della sua camera d’albergo.

Il display dell’orologio sul comodino accanto a lui segnava le quattro e mezza del mattino.

Da ore un’immagine fissa riempiva la sua mente: il dolcissimo volto di una ragazza che lui non aveva mai dimenticato…Sanae Nakazawa.

Il suono di quel nome lo riproiettava indietro di anni…alla sua adolescenza.

Quanto tempo aveva passato con lei…la prima manager della Nankatsu, la squadra che lo aveva visto crescere e diventare il campione che adesso era.

E lei era stata sempre al suo fianco, aiutandolo, incoraggiandolo, amandolo in silenzio.

E lui senza rendersene conto, lentamente si era innamorato di lei in quegli anni di liceo. Non ricordava il momento esatto in cui si era accorto dei sentimenti che provava per lei…era semplicemente successo…gli era venuto naturale.

Tantissime ragazze gli facevano la corte in modo spudorato in quel periodo, ma lui non aveva mai preso minimamente in considerazione nessuna di loro…il suo cuore era stato rapito dall’unica ragazza che non gli aveva mai apertamente confessato di amarlo.

Ma lui conosceva bene i sentimenti di quella ragazza…lo capiva tutte le volte che lei lo guardava. Lo sguardo che rivolgeva a lui era diverso da quello rivolto agli altri ragazzi della squadra…era lo stesso sguardo che lui aveva per lei…solo ed esclusivamente per lei.

Quante volte aveva pensato di confessarle quello che provava per lei…ma tutte le volte che tentava anche solo di iniziare il discorso, si bloccava frenato da un pensiero fisso…il suo sogno.

Era da quando era bambino che lo inseguiva: lui voleva diventare un grande calciatore…il migliore. Ma sapeva perfettamente che l’unico modo per raggiungere il suo obiettivo era lasciare il Giappone e andare in una delle patrie del calcio…e l’opportunità di andare in Brasile gli avrebbe permesso di raggiungere il suo tanto agognato sogno. Aveva fatto così tanto in tutti quegli anni per realizzarlo…quanto si era sacrificato, quanto aveva lottato…quanto.

I suoi sentimenti per Sanae avevano però complicato tutto: ogni giorno che passava si rendeva conto che la ragazza diventava sempre più importante per lui…e questo lo terrorizzava.

Più di una volta si era ritrovato a pensare di abbandonare l’idea di partire per l’estero…ma poi che cosa avrebbe fatto? Fino ad allora lui aveva vissuto in funzione solo del calcio…quello sport era tutto per lui…era la sua vita.

E così alla fine aveva dovuto decidere…con il cuore straziato aveva scelto di realizzare il suo sogno e di reprimere i suoi sentimenti per Sanae.

E così non le aveva mai confessato il suo amore, obbligandosi a ignorare anche quello che la ragazza nutriva per lui.

Non aveva trovato altra soluzione…sapeva che il suo atteggiamento distaccato faceva soffrire molto la sua manager…e più di tutto faceva stare malissimo lui.

Quante volte trovandosela vicino, avrebbe voluto stringerla forte a lui, baciarla, gridare al mondo intero il suo amore disperato…ma non lo aveva mai fatto…sapeva che se solo avesse avuto la possibilità di assaporare anche solo per un istante quell’amore, non avrebbe più trovato la forza di allontanarsi da lei.

“Dai Tsubasa…non fare finta di niente…lo sai che Nakazawa è innamorata di te da anni…e non è l’unica…” Ricordava ancora le parole di Ishizaki di quel giorno.

“Lo so benissimo...ma per me Sanae è solo un’amica…e comunque io tra poco partirò per il Brasile...è quello che ho sempre voluto…”

Quanto gli era costato pronunciare quelle parole…era davvero quello che lui voleva?

Ma alla fine era partito per il Brasile…se ne era andato…con il cuore a pezzi.



Tsubasa si mise a sedere sul letto prendendosi la testa tra le mani.

Quanto erano stati duri quegli anni in quel paese straniero: il farsi accettare da giocatori che lo ritenevano inferiore solo perché proveniente dal Giappone; gli estenuanti allenamenti che aveva sostenuto inesorabilmente sotto la guida di Roberto Hongo…e poi più di tutto…il disperato tentativo di dimenticare lei.

E negli anni lentamente il suo ricordo si era sbiadito, lasciandogli però sempre in fondo al cuore un dolore sordo, un dolore che lo attanagliava tutte le volte che, contro la sua volontà, l’immagine del suo volto riaffiorava nei suoi ricordi.

Come la prima volta che aveva fatto l’amore: si era ritrovato a fissare la splendida ragazza che dormiva sdraiata nel suo letto e guardandola non aveva provato assolutamente niente…era stato solo piacere fisico…niente altro.

Come sarebbe stato diverso se lo avesse fatto con Sanae…quante volte lo aveva sognato e quante volte da allora si era ritrovato a pensare a lei, passando da una donna all’altra, senza però mai amarne nessuna.

Anche quella volta a Parigi durante i Campionati Mondiali, il suo ricordo era riemerso prorompente: il rivedere tutti i suoi compagni di squadra lo aveva riproiettato nel passato, riacutizzando un dolore mai sopito.

Era stato nervosissimo per tutto il tempo, trovandosi a discutere spesso con Wakabayashi, che come lui era sempre di cattivo umore in quel periodo.

Anche quella sera a cena non aveva aperto bocca…non aveva ascoltato una sola parola di quello che i ragazzi stavano dicendo…stava ancora pensando a lei.

Solo la gomitata datagli da Ishizaki e la sua domanda lo avevano ridestato dai suoi pensieri.

Non era riuscito a rispondere all’amico però; pensando a come aveva trascorso quegli ultimi mesi in Brasile, si era limitato ad abbozzare un mezzo sorriso…un sorriso dietro il quale si celava tutta la sua amarezza.

“…figuratevi se lui ha in testa qualcos’altro oltre al pallone…” La frase di Genzo lo aveva lasciato impietrito…che cosa ne sapeva lui di quello che provava, di quello che aveva passato in quei mesi?

“Vuoi forse dire che per te c’è qualcosa di più importante del pallone? Tsss…non farmi ridere…” In un attimo si era avventato su di lui afferrandolo per la maglia e ringhiandogli “Tu non sai un cazzo di me…”

Lui stesso si era stupito di quella sua reazione…lui il capitano della Nazionale che in tutti quegli anni aveva sempre dimostrato una calma ineguagliabile, dentro e fuori dal campo, sedando in più occasioni le discussioni che nascevano tra i suoi compagni di squadra.

Di fronte alle insinuazioni del portiere però, una rabbia improvvisa lo aveva accecato, spingendolo a reagire a quel modo con colui, che per anni, era stato uno dei suoi più cari amici.



Tsubasa si alzò dal letto e affacciandosi alla finestra cominciò a guardare la città che sotto di lui, nelle ultime luci della notte veniva bagnata da una fitta pioggia.

Una frase continuava a rimbombargli nella testa… “Io so solo che per la tua cazzo di carriera sei disposto a mandare tutto a puttane…tutto e tutti…”

Quella frase di Genzo l’aveva lasciato ammutolito e per mesi si era trovato a chiedersi cosa l’amico avesse voluto dirgli con quelle parole.

Lui sapeva che quella frase altro non era che la verità…era così…lui il grande Tsubasa Ozora per la sua carriera aveva sacrificato tutto…anche l’amore.

Ma cosa ne sapeva Genzo? Cosa sapeva di lui e Sanae? E quale era il motivo di quelle parole pronunciate con tanto rancore e rabbia?

Prese tra le mani la rivista che dalla sera precedente giaceva abbandonata ai piedi del letto, da quando lui dopo averla sfogliata, l’aveva scaraventata lontano.

Si mise a fissare la fotografia in copertina: una bella ragazza orientale vestita di bianco rideva circondata da due uomini in smoking…il capitano e il portiere dell’Amburgo.

Anche se erano passati più di tre anni dall’ultima volta che l’aveva visto, lui aveva riconosciuto subito il volto di quella ragazza.

La sua testa cominciò a pulsare terribilmente, mentre mille dubbi cominciavano ad assalirlo: cosa ci faceva Sanae in Germania e soprattutto che cosa c’entravano Wakabayashi e Schneider con lei?

Al club quella sera aveva avuto la netta sensazione che anche il capitano tedesco conoscesse bene la ragazza…il modo in cui aveva chiesto di lei a Genzo non gli aveva lasciato dubbi.

E la fotografia che aveva visto su quel giornaletto scandalistico aveva confermato i suoi sospetti.

Doveva sapere…voleva sapere …e soprattutto…voleva rivederla…a tutti i costi.

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Capitolo 22
*** Rivederti ***


Capitolo 22: Rivederti


Tutti i giocatori delle varie rappresentative erano riuniti nella sala riunioni dell’albergo per la conferenza stampa che era stata indetta per quel pomeriggio.

Genzo in piedi vicino alla porta d’ingresso, osservava Schneider parlare con il loro allenatore Baumann; evidentemente anche lui non aveva chiuso occhio quella notte: aveva il viso tiratissimo mentre rispondeva a monosillabi e arrivando all’albergo quella mattina, non gli aveva rivolto parola.

Dopo aver fatto un cenno del capo rivolto verso di lui, lo vide allontanarsi dal Mister, il quale con aria evidentemente preoccupata, gli si avvicinò chiedendogli “Wakabayashi, hai forse sentito Nakazawa? La conferenza stampa sta per cominciare…”

Scrollando le spalle e senza proferire parola, il portiere lasciò l’uomo per dirigersi verso la sala conferenze: evidentemente neanche Karl era riuscito a mettersi in contatto con l’amica.

Era preoccupato; dal giorno prima non aveva sue notizie; l’aveva chiamata più volte e quella mattina prima di venire lì era anche passato da casa sua, senza però trovarla.

L’arrivo del Presidente Seeler dell’Amburgo sancì l’inizio della conferenza.

Genzo sedette accanto al suo capitano che in quel momento stava giocherellando nervosamente con gli occhiali da sole.

I calciatori del Barcellona raccolti intorno al loro allenatore, erano seduti sulle poltrone in seconda fila, dietro alla squadra tedesca e a quella francese.

Genzo non poté non notare Tsubasa che, in silenzio, non stava prestando la minima attenzione ai discorsi dei suoi compagni, limitandosi a guardare fisso davanti a sé con uno sguardo imperscrutabile.

In quel momento la formazione olandese stava rispondendo alle domande dei numerosi giornalisti presenti in sala; subito dopo sarebbe stata la squadra francese a salire sul palco, seguita dagli spagnoli e infine dai padroni di casa.

Dopo circa venti minuti, Kanou e compagni abbandonarono i microfoni; il Presidente Seeler seduto accanto a Baumann, invitò i giocatori francesi a raggiungere il palco insieme agli interpreti.

Genzo vide l’espressione del suo allenatore cambiare rapidamente; per tutto il tempo era rimasto seduto continuando a controllare l’orologio e guardando nervoso l’ingresso della sala.

Improvvisamente, mentre i giocatori del Paris Saint Germain si accomodavano al tavolo, lo vide sorridere leggermente e, girandosi nella direzione in cui lui stava guardando in quel momento, la vide entrare dalla porta principale.



Sanae con un groppo in gola e un macigno sullo stomaco varcò l’ingresso della sala conferenze e guardando diritto davanti a sé, si incamminò verso i gradini del palco.

Quella mattina si era svegliata presto e per molto era rimasta seduta sul letto a fissare il telefono che aveva squillato in continuazione, senza però mai rispondere. Quella notte aveva dormito poco e male e un forte cerchio alla testa la accompagnava ormai da ore.

Alzandosi si era diretta in bagno e guardandosi allo specchio, non aveva potuto fare a meno di notare il terribile aspetto che aveva il suo volto.

Come poteva presentarsi in quello stato all’incontro con la federazione tedesca…o meglio…come poteva trovare il coraggio di presentarsi?

Aveva trascorso tutta la notte rimuginando sul modo migliore per togliersi da quella situazione: il Vicepresidente e il Mister della squadra tedesca, tramite Karl, l’avevano contattata tre giorni prima per chiederle di sostituire all’ultimo minuto uno degli interpreti ingaggiati per le amichevoli di quella settimana. Avevano avuto il suo nominativo dall’Università e lei all’inizio era stata ben felice di accettare.

Ma adesso le cose erano completamente cambiate.

Alla fine però, raccogliendo tutte le sue forze, aveva deciso di andare comunque all’appuntamento: doveva farlo…non solo per l’impegno preso con la società, ma anche e soprattutto per sé stessa. Non poteva pensare di nascondersi in eterno…non dopo quello che aveva affrontato nella sua vita.

E così si era avviata verso lo Sheraton Hotel, come da accordi con il Signor Baumann.

Entrando nella sala conferenze però, sentì tutta la sua determinazione svanire in un istante: le gambe le tremavano e il cuore era in pieno tumulto. Ingoiando e inspirando profondamente cominciò a camminare e tenendo lo sguardo diritto davanti a sé, passò davanti alle file di poltrone sulle quali erano seduti giocatori e giornalisti.

Genzo la fissò sfilare velocemente davanti a loro, impeccabile nel suo tailleur gonna nero e camicia bianca.

Ad un tratto anche Karl la vide avvicinarsi e per un attimo sentì un’immensa gioia riempirgli il cuore: l’aveva cercata disperatamente il giorno precedente, rimanendo inutilmente per ore fuori dal suo appartamento in attesa che rientrasse; e poi tornato a casa, aveva passato tutta la notte a torturarsi sul motivo della sua sparizione, non riuscendo a chiudere occhio.

I due giocatori dell’Amburgo non furono però gli unici a notare l’arrivo di Sanae.

Tsubasa con la testa appoggiata al pugno della sua mano, stava distrattamente guardando i giocatori francesi sul palco, quando con la coda dell’occhio vide una figura femminile passare davanti alla prima fila di poltrone.

Fu il suo cuore a riconoscerla all’istante, ancor prima dei suoi occhi, e per un attimo lo sentì fermarsi nel petto.



Sanae si sedette al centro del tavolo tra il signor Baumann e il capitano Le Blanche e come un automa cominciò a tradurre al campione francese e ai suoi compagni le domande poste dalla platea.

Rimase per tutto il tempo con lo sguardo fisso sul tavolo davanti a sé, limitandosi ad alzare gli occhi solo per pochi secondi in direzione degli interlocutori presenti in sala.

Sentiva il desiderio disperato di scendere da lì e fuggire…fuggire il più lontano possibile.

Non li vedeva direttamente, ma sentiva su di sé gli sguardi delle persone presenti in sala e di due giocatori in particolar modo.

Genzo rimase ad osservare Sanae che, apparentemente a suo agio, traduceva domande e risposte in inglese, tedesco e francese: poteva immaginare il vero stato d’animo dell’amica che però ancora una volta, contro tutte le sue aspettative, era riuscita a stupirlo, presentandosi alla conferenza.

Si girò a guardare prima il suo capitano e poi Ozora, rendendosi conto con preoccupazione che entrambi non stavano ascoltando una sola parola dell’intervista.

I due giocatori per tutto il tempo avevano tenuto gli occhi fissi sulla ragazza orientale seduta al tavolo e, cosa che incupì ancor più il portiere, il loro sguardo era identico e valeva più di mille parole.

Dopo aver risposto all’ultima domanda, anche i francesi abbandonarono il palco, cedendo il posto ai giocatori del Barcellona.

Sanae, sentendo nominare la squadra spagnola, rimase incollata alla sedia per qualche secondo. Con uno sforzo sovrumano si alzò pronta a catapultarsi giù dal palco, ma venne trattenuta dal Mister tedesco che la invitò a fermarsi anche per quell’intervista.

Ripiombando disperata sulla sedia, rimase con il cuore in gola finché tutti i giocatori si sistemarono. Non osò neanche voltarsi verso la persona che si era seduta accanto a lei…aveva il terrore di scoprire chi fosse.

Con immenso sollievo lo sentì però parlare, accorgendosi che si trattava dell’allenatore della squadra catalana.

Continuando a guardare la penna e il quaderno sotto di lei, ascoltò per tutto il tempo l’interprete seduto all’estremo del tavolo, tradurre in spagnolo i dialoghi dei presenti.

All’improvviso una giornalista si rivolse ad Ozora in inglese: lui senza aspettare la traduzione della domanda in spagnolo, ribattè alla donna, lasciando però spiazzato l’interprete che, davanti alla sua risposta in giapponese, non sapeva come comportarsi.

Il Presidente Seeler, di fronte all’inconveniente tecnico e al silenzio seguito alla domanda della giornalista, rivolgendosi all’attaccante giapponese seduto vicino al suo allenatore Van Saal, gli chiese di ripetere ciò che aveva appena detto, invitando contemporaneamente Sanae a tradurre.

Sanae si sentì sprofondare…per qualche secondo rimase paralizzata…poi girando la testa sulla sua sinistra, lentamente alzò lo sguardo sul giocatore che, a meno di un metro da lei, la stava guardando diritto negli occhi.



Tsubasa con il cuore in gola, si ritrovò a guardare quegli occhi che tanti anni prima l’avevano fatto innamorare; mentre lentamente ripeteva la sua risposta, non abbassò neanche un secondo lo sguardo da lei, cercando di catturare ogni minimo dettaglio del suo viso.

Sanae rimase intrappolata in quello sguardo di fuoco…lo sentiva bruciare…su tutta la sua pelle, mentre mille brividi le attraversavano la schiena.

Schneider immobile, assistette a quello scambio di sguardi tra i due giapponesi, mentre una lama invisibile gli trapassava il cuore.

Serrò le mani intorno ai braccioli della poltrona mentre osservava il modo in cui il giocatore spagnolo stava fissando la sua ragazza: quello sguardo era inequivocabile.

Sanae dopo aver ascoltato le parole di Tsubasa, cercando di fare appello a tutta la sua forza di volontà, staccò i suoi occhi da lui e senza neanche rendersi conto di quello che diceva, cominciò a tradurre in inglese ciò che il ragazzo le aveva detto.

Involontariamente si ritrovò a guardare le persone sedute in prima fila e per un attimo i suoi occhi incrociarono quelli blu del capitano tedesco.

Sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene…lui la stava guardando…ma il suo sguardo non era quello di sempre…era glaciale.

Immediatamente si rimise a fissare il tavolo, sperando con tutta sé stessa che quella tortura finisse il prima possibile.

L’intervista finalmente si concluse e i giocatori spagnoli lentamente si allontanarono; Tsubasa continuò a fissarla scendendo dal palco e riaccomodandosi in platea.

Lei rimase ammutolita sulla sedia per tutto il tempo, non osando più alzare la testa, anche dopo essersi resa conto che la squadra tedesca si era disposta intorno al tavolo.

Una tempesta di emozioni si era abbattuta nel suo cuore…

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Capitolo 23
*** Incomprensioni ***


Capitolo 23: Incomprensioni


Dopo un tempo che a lei parve infinito, il Presidente Seeler pose fine alla conferenza stampa, ringraziando e salutando gli ospiti e invitandoli a presentarsi alla cena organizzata nel ristorante dell’Hotel la sera successiva.

Sanae si alzò velocemente dal tavolo…era completamente frastornata…sentiva il desiderio irrefrenabile di fuggire da lì.

In mezzo alla confusione, scese rapidamente i gradini del palco in direzione dell’uscita; fece però solo pochi passi quando si sentì afferrare la mano da qualcuno.

Karl che per tutta la durata della loro intervista l’aveva osservata rimanere immobile al tavolo, confuso più che mai, si mosse subito verso di lei, ma fu bloccato da due giornalisti che ricominciarono a tempestarlo di domande.

Senza prestare attenzione alle parole dei due, cominciò a cercarla con lo sguardo in mezzo alla folla. E quando la vide cominciò a sentirsi invadere da una rabbia improvvisa…lui era con lei.

Sanae si girò per capire chi la stesse trattenendo e quando si trovò di fronte Tsubasa, per un attimo smise di respirare.

In preda al panico tentò subito di divincolarsi dalla sua stretta ma lui, serrando ancor più la sua mano intorno alla sua, la attirò a sé dicendole “Sanae ti prego aspetta…”

Per la seconda volta si ritrovò a fissare quei due occhi neri e a perdersi dentro di essi.

I battiti del suo cuore sembravano impazziti mentre lo ascoltava parlare “Ho bisogno di parlarti Sanae…ti prego…”

“Lasciami andare Tsubasa…Lasciami!!!” Con uno strattone si staccò da lui e con le lacrime che cominciavano a inondarle il viso, iniziò a correre verso l’uscita a testa bassa.

Senza volerlo andò a sbattere contro qualcuno “Scusi…” si ritrovò a sussurrare al malcapitato con la voce rotta dai singhiozzi.

Si sentì afferrare per le spalle da lui e alzando sorpresa il viso, si ritrovò faccia a faccia con Karl.

Il capitano tedesco rimase senza parole davanti al viso sconvolto di Sanae…stava piangendo. Sentì aumentare ancora di più la sua rabbia e senza rendersene conto, cominciò a stringere con forza le sue mani sulle spalle della ragazza che reagì con una smorfia di dolore.

“Karl io…” Sentiva le dita del ragazzo affondare con forza nella sua pelle, ma ciò che più le faceva male era il suo sguardo…confuso…furente…alla disperata ricerca della verità.

Di fronte a quegli occhi blu, le lacrime ricominciarono a uscire… silenziosamente…involontariamente…

Karl sentì la stretta al cuore che lo stava attanagliando farsi ancor più serrata.

Era chiaro…il suo silenzio valeva più di mille parole per lui: la fuga del giorno prima, la risposta di Ozora, detta volutamente in giapponese per attirare l’attenzione di lei, lo sguardo che i due si erano scambiati sul palco, le occhiate che il campione giapponese le aveva mandato per tutta la durata della conferenza stampa…e adesso quelle lacrime…versate…per lui.

Ecco quale era la verità.

Sentì la rabbia mescolarsi a nuovi sentimenti: orgoglio, gelosia, rassegnazione, disperazione. “Allora è per lui…che stai così?” disse con voce sommessa puntandole contro due occhi glaciali.

Sanae si sentì trapassare da quello sguardo…avrebbe voluto spiegargli…dirgli tutta la verità…ma non riuscì a proferire parola.

Lui la lasciò andare e senza dirle altro la oltrepassò, lasciandola sola in mezzo alla sala.



Tsubasa rimase per un momento fermo a guardare la figura che si allontanava da lui, mentre mille pensieri affollavano la sua mente.

Quel contatto anche solo di pochi secondi con lei, aveva aumentato ancor di più il suo desiderio di rivederla, di parlarle, di dirle finalmente tutto quello che lui aveva taciuto per anni.

“Stai fuori dalla sua vita Ozora…”

Tsubasa si girò a guardare Genzo che con un tono di voce imperioso, si era rivolto a lui.

Senza scomporsi e guardandolo diritto negli occhi l’attaccante rispose “Non posso…non adesso che l’ho ritrovata…”

“Tu non hai nessun diritto su di lei…lo hai perso andandotene in Brasile…” ringhiò il numero uno tedesco.

“Cosa stai cercando di dirmi…che forse tu hai più diritti di me su di lei?” rispose Tsubasa, alzando il tono di voce.

Era da quando aveva visto la fotografia che ritraeva Sanae che un dubbio lo assillava: forse lei era venuta ad Amburgo per stare con lui…quello avrebbe spiegato molte cose, soprattutto sull’ostilità che il portiere in quegli anni gli aveva dimostrato.

Con una smorfia Wakabayashi gli voltò le spalle, non prima di avergli detto “Te lo ripeto Ozora…stai lontano da Sanae…”

“Non posso…io sono innamorato di lei …da sempre…” E così dicendo Tsubasa si girò e se ne andò lasciando il portiere impietrito dietro di lui.



Sanae dopo aver pagato la corsa al tassista che di fronte ai suoi occhi gonfi di pianto la guardava confuso, scese dalla macchina e cominciò a camminare lentamente.

Non voleva andare a casa…non voleva stare da sola quella sera…sentiva la necessità di sfogarsi con qualcuno.

Senza volerlo si ritrovò davanti ad un edificio a lei noto e con un groppo in gola cominciò a suonare il campanello insistentemente.

Quando la porta si aprì, ritrovandosi davanti quella figura familiare, Sanae scoppiò all’istante in un pianto sfrenato, gettandosi tra le braccia di Karol che, interdetta, ricambiò l’abbraccio dell’amica.

Kristine affacciandosi dalla cucina, rimase a sua volta sconcertata mentre fissava Sanae disperata, stretta a Karol; avvicinandosi a loro e scambiando un’occhiata confusa con la compagna d’appartamento, mise un braccio sulla spalla della giapponese chiedendole con dolcezza “Sanae che cosa è successo?”

La ragazza alzò per un attimo lo sguardo sulla bionda, tentando di rispondere ma le parole furono nuovamente interrotte da un’altra ondata di pianto.

Le due tedesche la accompagnarono in salotto, facendola sedere sul divano; le prepararono una tazza di tè e si sedettero accanto a lei, aspettando che si calmasse.

Dopo aver dato libero sfogo a tutta la sua disperazione, Sanae singhiozzando e asciugandosi con le mani il viso, cominciò a bere lentamente il caldo liquido ambrato.

Di fronte alle facce sconcertate delle due amiche, aprì bocca per tentare di dare loro spiegazioni, ma si bloccò subito…non sapeva neanche da che parte cominciare.

Poi però facendosi coraggio, cominciò a parlare lentamente e raccontò loro tutto: del motivo per cui era venuta ad Amburgo, abbandonando il Giappone, del suo amore disperato e mai ricambiato, dell’anoressia, di come aveva reincontrato il suo migliore amico e aveva cominciato a frequentare Karl e infine di quello che era successo in quei giorni e che le aveva sconvolto completamente la vita.

Karol e Kristine ascoltarono l’amica ammutolite: mai avrebbero immaginato che dietro l’apparente serenità che lei aveva sempre mostrato loro, si celasse un passato così tragico.

Kristine si mise a piangere quando Sanae raccontò loro dei mesi terribili passati a tentare di uscire dal tunnel dell’anoressia, mentre Karol trattenendo a stento le lacrime, stringeva forte le mani dell’amica straniera seduta accanto a lei.

“E adesso non so che cosa fare…” disse Sanae alla fine prendendosi la testa tra le mani e tentando di ricacciare indietro le lacrime che di nuovo, prepotentemente tentavano di uscire.

Le due ragazze la guardarono senza rispondere: nessuna delle due riusciva a trovare le parole giuste per consolarla; riuscivano a capire perfettamente la disperazione dell’amica e i sentimenti contrastanti che la tormentavano.

“Ho bisogno di parlare con Genzo…” disse improvvisamente Sanae ridestando l’attenzione delle amiche.

Pur non avendolo mai sentito chiamare per nome, le due tedesche capirono subito che la ragazza si stava riferendo al suo miglior amico.

Avevano intuito dalle sue parole, che un rapporto davvero speciale la univa a lui, nulla che c’entrasse con l’amore però…quello era diretto verso un’altra persona, anche se loro non avevano ancora capito chi, degli altri due ragazzi citati da Sanae quella sera, fosse questa persona.

Sanae chiamò Genzo al telefono, scambiando con lui solo poche parole poi si risedette sul divano, in attesa che lui la venisse a prendere.

Quando il campanello suonò, si diresse verso l’ingresso con Karol, preceduta da Kristine che aprendo la porta, rimase impietrita.

Genzo salutò le due ragazze tedesche che lo stavano fissando a bocca aperta, poi vedendo Sanae dietro di loro andò verso di lei e la abbracciò.

Lei si strinse forte a lui affondando la testa sul suo petto; tra le sue braccia si sentiva protetta, al sicuro da tutto e da tutti.

Sanae seguì Genzo in macchina, non prima di aver salutato e ringraziato le due amiche che rimasero a guardarla allontanarsi senza riuscire ad aprir bocca.

“Ma quello è…” farfugliò Kristine confusa.

“Genzo Wakabayashi…” sussurrò Karol a sua volta.



Sanae guardava fuori dalla finestra del suo appartamento, dando le spalle a Genzo seduto sul divano.

“Allora che cosa pensi di fare?”

Sospirando lei rispose “Non lo so Genzo…non lo so davvero…”

“Parlerai con lui?” continuò il portiere.

Chiudendo gli occhi e senza parlare, Sanae scrollò le spalle.

“Tu lo ami…”

Sanae si girò verso di lui e con un sorriso amaro alzò il viso verso il soffitto “Sì…lo amo Genzo…io lo amo…” poi tornando a guardare l’amico aggiunse “Ma ho tanta paura…paura di ricadere negli errori del passato…”



Karl aveva vagato in macchina senza meta per tutta la sera. Si sentiva il cuore a pezzi…l’aver scoperto di Sanae e Tsubasa lo aveva completamente sconvolto…in un attimo il mondo gli era crollato addosso.

Non aveva neanche lasciato il tempo a Sanae di dargli spiegazioni…ma quali spiegazioni poi? Il suo silenzio e le sue lacrime erano stati la spiegazione a tutto.

L’immagine di lei e dell’attaccante del Barcellona cominciò a insinuarsi nella sua mente: chissà quante volte quei due erano stati insieme in passato, quante volte Tsubasa aveva stretto il suo corpo, l’aveva baciata…e chissà cos’altro.

Quei pensieri lo stavano facendo impazzire; era preda di una folle gelosia e sentiva il suo cuore lacerarsi lentamente e inesorabilmente.

Era disperato…terribilmente disperato…e purtroppo si rendeva conto…terribilmente innamorato.

Improvvisamente però i ricordi di quei meravigliosi mesi passati con lei proruppero nella sua mente.

Doveva vederla…doveva vederla a tutti i costi e parlare con lei.

Senza pensarci si diresse verso l’appartamento della ragazza con il cuore in tumulto ma quando vi arrivò, anziché fermarsi, schiacciò fino in fondo il pedale dell’acceleratore, allontanandosi a tutta velocità dall’edificio.

Stringendo il volante con una forza inaudita e serrando la mandibola, pensò tra sé “Sono proprio un idiota!”

Genzo era da lei.

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Capitolo 24
*** La verità nascosta ***


Capitolo 24: La verità nascosta


Quella domenica Sanae non si presentò alla cena organizzata dalla società tedesca: dopo la conferenza stampa, la sua presenza non era più indispensabile e per lei comunque la cosa fu una vera liberazione.

Men che meno pensò di andare ad assistere alle amichevoli che si sarebbero tenute nei quattro giorni successivi in un complesso sportivo alla periferia della città.

Lo sfogo con Karol e Kristine e la serata con Genzo non erano riusciti ad alleviare l’angoscia che la stava attanagliando da giorni.

I volti di Tsubasa e Karl continuavano a sovrapporsi nei suoi pensieri, scatenando in lei emozioni contrastanti, mentre due immagini fisse non la abbandonavano un attimo: gli occhi di fuoco di Tsubasa e quelli di ghiaccio di Karl.

Si rendeva perfettamente conto che la soluzione a tutto non era certo quella di non farsi più vedere…ma non sapeva che cosa fare.

Affrontare Tsubasa… Affrontare Karl… Cosa era peggio?

Sia in un caso che nell’altro avrebbe dovuto rinvangare il passato che lei non aveva assolutamente intenzione di rivivere, anche se sapeva che l’unico modo per seppellirlo definitivamente era affrontarlo…rivelando la verità su di esso. Ma non sapeva in che modo.

Ma più di tutto, ancor più del suo passato, un’altra cosa la terrorizzava: i suoi veri sentimenti.

“…Sì…lo amo Genzo…io lo amo…” Così aveva detto all’amico e purtroppo era vero…era innamorata…quella era la verità che in tutti i modi aveva cercato e ancora cercava di negare.

Non voleva…non poteva ricaderci ancora.

Un tempo si era ripromessa che non avrebbe mai più permesso a quel sentimento di impadronirsi di lei…mai più in tutta la sua vita, non dopo quello le era successo. E invece la vita si era di nuovo presa gioco di lei, facendole riscoprire quell’amore che per anni aveva fuggito.

Andò in camera e aprì l’armadio dal quale estrasse una piccola scatola. Sollevando il coperchio cominciò ad estrarne gli oggetti in essa contenuti: una fascetta rossa, la stessa che per anni aveva cinto la sua fronte; una fotografia un po’ sbiadita della Nankatsu al completo con lei e le altre due manager; un braccialetto d’argento regalatole da tutta la squadra per il suo quindicesimo compleanno (l’ultimo spensierato che aveva avuto primo dell’inizio di tutto); una busta chiusa.

Prese quella busta e osservò la calligrafia con cui era stato scritto il suo nome: 中沢早苗…conosceva bene quella calligrafia.

La data sulla busta risaliva a quasi quattro anni prima; Ishizaki l’aveva portata personalmente a casa sua nel periodo in cui lei (a insaputa di tutti) era ricoverata in ospedale.

Dopo aver saputo dal ragazzo il nome del mittente, sua madre aveva però tenuto nascosta la lettera per mesi.

Solo quando la figlia le aveva confessato di voler andarsene lontano per risolvere i suoi problemi senza dire niente a nessuno, si era decisa a consegnargliela, scusandosi per non avergliela data prima e dicendole che solo lei aveva il diritto di decidere cosa fare di quella lettera.

Ma lei non l’aveva mai aperta; il suo primo istinto era stato quello di bruciarla, di ridurla in mille pezzi…ma per un motivo inspiegato non era mai riuscita a farlo.

Prima di partire per l’Hokkaido e sparire per un anno, l’aveva nascosta in quella scatola, insieme a tutti gli oggetti che rappresentavano pezzi del suo passato.



Quel lunedì Sanae andò in Università per assistere ad una delle prime lezioni del semestre.

Kristine e Karol rimasero con lei tutto il tempo: entrambe avrebbero voluto fare mille domande all’amica e in particolar modo Kristine, che non si era ancora ripresa dallo shock di essersi trovata davanti il portiere dell’Amburgo. Ma alla fine nessuna delle due era tornata sull’argomento, vista la faccia ancora sconvolta dell’amica.

Alle quattro del pomeriggio la docente pose fine alla lunga chiacchierata introduttiva al corso di letteratura tedesca che si sarebbe tenuto da lì in avanti per l’intero anno accademico.

Sanae stava scendendo la scalinata centrale dell’ateneo insieme alle amiche, circondata da molti altri studenti, quando notò che alcuni dei ragazzi davanti a lei si erano fermati e avevano cominciato a bisbigliare guardandosi con aria interrogativa.

Lei assorta nei suoi pensieri, non prestò molta attenzione alla cosa e li superò cominciando ad incamminarsi nell’atrio principale in direzione dell’uscita…ma si bloccò all’istante.

Kristine che stava chiacchierando dietro di lei con Karol, non la vide fermarsi e inavvertitamente andò a sbattere contro di lei.

“Ma Sanae perché ti sei bloccata?” disse all’amica che fissava impalata davanti a sé, ma girandosi nella direzione in cui lei stava guardando, rimase a sua volta di sasso.

Tsubasa se ne stava appoggiato ad un pilastro vicino al portone d’ingresso con le mani in tasca, in attesa di vedere Sanae.

Quella mattina senza dire niente al Mister, non si era presentato agli allenamenti organizzati in vista dell’amichevole con la Germania, confidando le sue vere intenzioni solo all’amico Rivaul, l’unico che da tempo sapeva del suo amore tormentato per Sanae.

Ottenere l’indirizzo di Sanae era stato facile: la segretaria della società tedesca non aveva obiettato nulla quando il campione del Barcellona le aveva chiesto affabile, il modo di mettersi in contatto con l’interprete giapponese che lo aveva aiutato durante la conferenza.

E così si era presentato a casa sua nel primo pomeriggio.

Dopo aver suonato insistentemente il campanello senza ricevere risposta, si era seduto sui gradini davanti all’edificio ad aspettare: l’avrebbe aspettata lì anche per una settimana se fosse stato necessario…e al diavolo tutto…il Mister…gli allenamenti…l’amichevole.

Dopo poco però la porta dietro di lui si era aperta e una signora anziana incuriosita, dopo avergli chiesto, in un inglese alquanto incerto, che cosa stesse aspettando, gli aveva detto che Sanae a quell’ora era in Università.

E in un secondo, con il cuore in gola era montato sulla macchina senza dare il tempo alla donna di dire altro e si era diretto verso il centro della città.

Sanae rimase ferma a guardare il ragazzo che, dopo averla vista, stava venendo verso di lei. Non si era nemmeno accorta che Kristine l’aveva investita.

Il cuore dopo essersi fermato per qualche secondo, cominciò a batterle all’impazzata quando lui la salutò “Ciao Sanae…”

“Tsubasa…” sussurrò, non riuscendo a dire altro.

Lui con un sorriso nervoso continuò “So che non dovrei essere qui ma…vedi…avevo bisogno di vederti…e di parlarti…”

Sentendosi puntati addosso molti sguardi incuriositi e avvertendo un mormorio sempre più insistente intorno a lei, Sanae senza guardarlo negli occhi gli disse “Va bene…vieni con me…”

E si allontanò seguita da lui mentre, ammutolite, Karol e Kristine la fissarono andar via con il famosissimo calciatore del Barcellona Ozora.



Si ritrovarono nel giardino dell’ala ovest dell’Università che a quell’ora era deserto.

Sanae stava guardando un punto imprecisato dell’orizzonte, dandogli le spalle.

Lo sentì avvicinarsi e il suo cuore cominciò ad andare ancor più veloce; improvvisamente sentì la sua mano appoggiarsi sulla sua spalla e un calore improvviso bruciarla nel punto in cui lui la stava toccando.

Chiudendo gli occhi e inspirando profondamente, fece due passi per sottrarsi a quel contatto che la stava sconvolgendo, ma lui la trattenne dicendole “Sanae…perché non mi guardi?” e mettendosi davanti a lei, le alzò il viso con una mano.

“Sanae non sai quanto ti ho cercata…da quanto desideravo rivederti…”

Per un attimo lei guardò di lato, poi d’un tratto alzò lo sguardo su di lui. “Che cosa vuoi da me Tsubasa?” gli chiese con tono asciutto.

Lui sostenendo quello sguardo con decisione, le disse “Ho bisogno di risposte Sanae.”

Una rabbia improvvisa la invase e staccandosi da lui, con tono ironico ribatté “Tu vuoi delle risposte da me! Tsss…non mi dire…e sentiamo…cosa vuol sapere il grande Ozora da me…dalla sua povera sciocca ex manager?”

Lui afferrandola con forza per le braccia e avvicinandosi al suo viso continuò “Voglio sapere che fine ha fatto la manager di cui mi sono innamorato quando avevo quindici anni…”

Sanae sentì il suo cuore fermarsi all’istante…per un attimo pensò che non avrebbe più ricominciato a battere.

Ma che diavolo le stava dicendo? Perché le stava raccontando quelle bugie?

Vedendo il suo volto interdetto e allentando un po’ la presa su di lei, lui continuò in tono deciso “Sì Sanae…io ti amo, ti ho sempre amata…”

“NON DIRE STRONZATEEE!!!!” gli urlò lei con tutta la voce che aveva in gola, divincolandosi da lui; poi portandosi le mani al volto e coprendosi gli occhi continuò con voce tremante dalla rabbia “Come puoi dire di amarmi?…Tu! Torni dopo più di quattro anni e dici di amarmi…ma non farmi ridere! Tu hai amato sempre e solo una cosa…il tuo maledettissimo pallone! E non hai mai pensato neanche per un istante a me…te ne sei andato senza dirmi una parola…e io povera stupida che per anni…”

Non riuscì a proseguire, la rabbia che aveva dentro la bloccava, mentre con la mente ritornava a tutto quello che aveva passato dopo la sua partenza per il Brasile, a tutti i mesi trascorsi a stare male.

“Perché mi fai questo?” gli chiese con voce strozzata “Perché ti prendi gioco così dei miei sentimenti?…Come ti permetti Ozora…come?”

Lui le si avvicinò e con tono sommesso le disse “Hai ragione ad essere arrabbiata…non posso biasimarti…so che è stata tutta colpa mia…io me ne sono andato, lasciandoti per inseguire il mio sogno… Ma ti assicuro che ho pagato a caro prezzo la mia scelta…perché scegliendo la mia carriera ho dovuto rinunciare all’unica donna che ho sempre amato…a te Sanae…”

Lui la guardava con lo sguardo pieno di un’infinita tristezza mentre le parlava “Dopo che non hai risposto alla mia lettera, ho pensato che tu non volessi più vedermi…in fondo avevi tutte le ragioni di questo mondo di farti una vita tutta tua, senza aspettare me…sapevo di non avere alcun diritto su di te dopo essermene andato in quel modo…ma ti amavo così tanto… E in questi anni ho fatto di tutto per dimenticarti...di tutto…ma non è servito a niente…e poi ti ho ritrovata qui e... So che non avevo nessun diritto di venirti a cercare ma io dovevo dirtelo Sanae…non potevo più nascondere i miei sentimenti…”

Sanae rimase paralizzata ad ascoltare le parole di Tsubasa.

La rabbia di poco prima l’aveva abbandonata, lasciando il posto allo sgomento più totale frammisto ad un’immensa tristezza. Un magone infinito le impediva di aprire bocca.

Con un groppo in gola rimase a guardare il ragazzo che per anni lei aveva amato e odiato più di tutto e che adesso con gli occhi lucidi, le stava confessando un amore di cui lei non aveva mai neanche lontanamente sospettato l’esistenza.

La lettera… Lei non aveva mai letto quella lettera.

Con un’espressione di dolore, girò la testa di lato.

Tsubasa le si avvicinò e delicatamente prendendole il viso tra le mani, lo girò verso il suo. “Guardami Sanae…”

Si ritrovò a pochi centimetri da lui, a fissare ipnotizzata quegli occhi scuri…gli stessi che per anni le avevano fatto battere il cuore, mentre lui lentamente si chinava su di lei.

Non riusciva neanche a muoversi…si rese conto di ciò che stava succedendo solo quando sentì le sue labbra sulle sue…ed il tempo sembrò fermarsi per un istante.

Improvvisamente però il ricordo di un altro bacio, il suo primo bacio, si affacciò alla sua mente…e sentì il suo cuore lacerarsi, mentre lacrime silenziose cominciarono a traboccare dai suoi occhi.

Tsubasa si staccò da lei e vedendola piangere, sentì una terribile morsa stringergli il petto.

“Io non posso…mi dispiace…” disse lei con la voce rotta dal pianto, continuando a guardarlo negli occhi.

Tsubasa le chiese con tono afflitto “E’ per Genzo?”

Lei non aprì bocca continuando a fissarlo.

Con l’angoscia nel cuore, lui si ritrovò allora a chiederle ciò che improvvisamente gli appariva così chiaro “Non è per Genzo…è per Karl non è vero?”

Si sentì morire quando la vide abbassare gli occhi senza dire niente: i suoi dubbi avevano purtroppo trovato conferma.

Lo aveva già intuito alla conferenza stampa: gli sguardi di Schneider per Sanae non gli avevano lasciato dubbi sui veri sentimenti del capitano tedesco.

Ed ora si rendeva amaramente conto che i sentimenti che Schneider provava per lei, erano contraccambiati in pieno.

Quando sentì nominare il nome del capitano tedesco, Sanae non riuscì più a reggere lo sguardo di Tsubasa.

Si sentiva malissimo per tutto quello che Tsubasa le aveva confessato: per quanto aveva sognato quel momento, aveva desiderato sentirsi dire quelle parole…ma dopo gli eventi di quegli anni oramai, quelle parole non potevano più avere il significato di un tempo per lei; si sentiva male per quel bacio così agognato da ragazzina e soprattutto per il ricordo di un altro bacio e di due meravigliosi occhi azzurri.

Ricacciando indietro le lacrime e raccogliendo tutte le sue forze, si rivolse di nuovo a lui “Io non sono più la Sanae di un tempo Tsubasa…la ragazzina che per anni ti ha amato disperatamente non c’è più…è morta quando tu sei partito per il Brasile.”

Così dicendo con un sorriso amaro si staccò da lui, allontanandosi e lasciandolo ammutolito a fissare l’erba del prato.



Quella sera Sanae si addormentò ancora piangendo, stringendo tra le mani la lettera che per anni aveva custodito in un armadio.

Pianse tutte le sue lacrime quella sera, leggendo quei due fogli nei quali un ragazzo disperatamente innamorato, le confessava tutto il suo amore.

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Capitolo 25
*** Un cuore infranto ***


Capitolo 25: Un cuore infranto


Stava bevendo del caffè seduta al tavolo della cucina, ascoltando distrattamente la presentatrice televisiva del programma mattutino che in quel momento stava leggendo l’oroscopo per quel mercoledì “Cancro…oggi sarà una giornata piena di imprevisti per voi…”

Imprevisti? Lei ne aveva avuti molti in quei giorni, che altro doveva aspettarsi ancora?

Si alzò stizzita dalla sedia e spense con un gesto brusco il televisore, poi andò a sedersi sul divano.

Erano le dieci e la lezione era già cominciata da mezz’ora; ma lei non aveva la minima voglia di andarci; anche il giorno prima non si era presentata in Università, rimanendo in casa tutto il tempo e limitandosi a inventare una banale scusa con Karol e Kristine che l’avevano chiamata preoccupate.

Guardò il telefono nella speranza di ricevere la telefonata che aspettava dal giorno prima, da quando cioè aveva cercato di mettersi in contatto con Karl.

Sapeva di dovergli dare delle spiegazioni, dopo il modo in cui si erano lasciati alla fine della conferenza stampa e ormai, arrivata a quel punto, si rendeva conto di non poter fare altrimenti.

La confessione di Tsubasa l’aveva completamente sconvolta e da allora un dolore atroce continuava a dilaniarla, pensando a quel ragazzo che, come lei, per anni si era consumato per un amore mai confessato.

Ma se da un lato quello che era successo con Tsubasa l’aveva sconvolta, dall’altro non aveva fatto altro che confermarle, se mai ce ne fosse stata la necessità, quale forte sentimento la univa ormai al capitano tedesco.

Lo aveva confessato a Genzo dopo la conferenza stampa…“Sì…lo amo Genzo…io lo amo…”

Era così…lei lo amava, lo amava davvero…ormai non poteva più negarlo a se stessa, non poteva più tenere dentro di sé quel segreto.

I silenzi tra lei e Tsubasa avevano rovinato la vita di entrambi; non poteva permettere che lo stesso succedesse anche con Karl, anche se questo significava rivelargli la verità su lei e Ozora. E anche se la cosa la terrorizzava a morte, aveva alla fine comunque deciso di parlargli.

Sapeva che in quei giorni lui era impegnato con le amichevoli, ma non se l’era sentita di andare a cercarlo allo stadio…non avrebbe sopportato di rivedere Tsubasa. E poi voleva parlare con lui lontano da tutto e da tutti.

Lo aveva allora chiamato insistentemente sul cellulare, senza però mai ricevere risposta; anche il telefono di casa sua aveva continuato a suonare libero, tutte le volte che lei aveva cercato di mettersi in contatto con lui; e alla fine gli aveva lasciato un messaggio nel quale gli spiegava che aveva bisogno di parlargli, sperando che lui la richiamasse il prima possibile.

Ma lui non si era fatto sentire e così l’attesa di quei due giorni non aveva fatto altro che accrescere in lei l’angoscia che già la attanagliava.



Dopo la conferenza stampa allo Sheraton Hotel, Karl non si era più presentato ai vari appuntamenti mondani organizzati con i giocatori delle altre squadre; e aveva evitato accuratamente Genzo che in più occasioni aveva cercato di parlargli.

Era furente con l’amico, con Sanae, con Ozora, con il mondo intero…ma soprattutto con sé stesso.

Aveva permesso loro di prendersi gioco dei suoi sentimenti e lui da povero idiota c’era caduto in pieno.

Come aveva potuto permettere che ciò accadesse? Come aveva potuto innamorarsi di Sanae?

Mai in passato aveva aperto il suo cuore ad una donna…mai. Ma con lei aveva creduto che fosse tutto diverso: le aveva permesso di superare tutte le barriere che lui, per la paura di soffrire, negli anni aveva costruito intorno a sé; lei era riuscita a fare breccia nel suo cuore e lui si era abbandonato completamente alla dolcezza di quel sentimento.

Ma lei aveva tradito la sua fiducia, in realtà si era solo presa gioco di lui: in tutti quei mesi non gli aveva mai detto nulla della sua storia con Ozora e dopo la conferenza stampa invece di dargli spiegazioni, si era rifugiata come al solito tra le braccia di Genzo.

La conferma a tutti i suoi dubbi gli era piombata poi addosso quel lunedì: mentre con gli altri giocatori assisteva alla partita tra Paris Saint Germain e Ajax, aveva involontariamente ascoltato i discorsi tra Rivaul (uno dei pochi che parlava un poco tedesco) e il Presidente Seeler.

Quest’ultimo, che come tutti si era accorto dell’assenza del campione nipponico prima agli allenamenti e poi all’amichevole con la squadra olandese, stava chiedendo al giocatore se per caso Ozora avesse avuto qualche problema.

Lo spagnolo con un’aria un po’ nervosa lo aveva rassicurato sulle condizioni di salute del compagno di squadra, dicendogli che quel giorno si era assentato solo perché doveva incontrarsi con una persona che conosceva da tempo e che aveva ritrovato ad Amburgo.

Karl di fronte a quelle parole, aveva sentito una morsa gelida serrargli il cuore: non aveva avuto bisogno di sentire il nome della persona che Tsubasa doveva incontrare però…lui sapeva perfettamente chi era quella persona.

Quel pomeriggio abbandonò velocemente lo stadio senza dire niente a nessuno, per ripresentarsi solo il giorno dopo, per la partita con il Barcellona, durante e dopo la quale, tutta la sua rabbia esplose improvvisa.

Per tutti i novanta minuti l’immagine di Sanae e Tsubasa insieme l’avevano ossessionato, impedendogli di concentrarsi sul gioco.

Tutte le volte che si trovava davanti il campione nipponico, sentiva una rabbia cieca pervaderlo e in più occasioni si era ritrovato a entrare su di lui con una ferocia inaudita; finchè quasi allo scadere del secondo tempo, si ritrovò a fare un bruttissimo fallo su di lui in area, che gli costò un cartellino giallo e un rigore per il Barcellona.



Genzo era rimasto per tutta la partita ad osservare il suo capitano. In quei giorni aveva cercato più volte di parlare con lui per sapere se era riuscito a vedere Sanae: conosceva i sentimenti di entrambi e sapeva che quei due avevano bisogno di parlarsi per cercare di chiarire gli equivoci di quei giorni.

Anche lui aveva notato la mancanza di Ozora il giorno prima, ma ne aveva intuito però il vero motivo solo dopo aver visto la faccia con cui Karl se ne era andato dallo stadio; e la conferma ai suoi dubbi l’aveva avuta quel pomeriggio, durante la partita con la squadra spagnola.

Mai aveva visto il suo capitano giocare con tanta aggressività e rabbia: da che lo conosceva aveva sempre dimostrato una calma e un autocontrollo invidiabili in campo.

E invece durante quella partita era stato per tutto il tempo nervosissimo, entrando con fare aggressivo sugli avversari, e su Ozora in particolar modo; e il fallo da espulsione sul nipponico, che per pura bontà dell’arbitro gli era costato solo l’ammonizione, aveva garantito al Barcellona la vittoria su calcio di rigore.

Negli spogliatoi poi Genzo aveva cercato di parlargli, ma ancora una volta Karl non gli aveva prestato la minima attenzione, dirigendosi verso la porta senza lasciarlo finire di parlare.

Esasperato da quell’atteggiamento assurdo, il portiere aveva cercato però di fermarlo, trattenendolo con forza per un braccio e dicendogli ad alta voce “Che diavolo credevi di fare oggi in campo? Rispondimi cazzo!”

Senza rendersene conto Genzo si era ritrovato sbattuto con forza contro un armadietto, mentre il labbro cominciava a sanguinare nel punto in cui lo aveva colpito il pugno di Karl.

Senza pensarci un attimo si era scaraventato su di lui e con tutta la forza che aveva nel braccio lo aveva colpito a sua volta in pieno volto.

Solo l’intervento dei compagni di squadra aveva impedito loro di continuare a picchiarsi.

“Ma che cosa fate?” stava ringhiando ai due Lauth, mentre a stento tratteneva il suo capitano.

Divincolandosi da lui e cercando di calmarsi, Karl aveva raccolto il suo borsone e senza aggiungere altro, era uscito dalla stanza sbattendo la porta, lasciando tutti i presenti impietriti.



Quel tardo pomeriggio Sanae, dopo aver composto per l’ennesima volta il numero di cellulare di Karl senza ottenere risposta, si vestì ed uscì di casa: aveva deciso di andare da lui…non poteva più aspettare.

Dopo averlo cercato inutilmente a casa sua, si era diretta verso il complesso sportivo in cui sapeva si tenevano le partite, ma la segretaria alla reception le aveva detto che i giocatori se ne erano andati ormai da più di un’ora.

Stava uscendo scoraggiata dall’edificio, quando si sentì chiamare e girandosi, si trovò davanti il Signor Baumann.

“Nakazawa sei venuta a cercare Wakabayashi?”

Lei arrossendo leggermente e con voce titubante gli rispose “No veramente…io stavo cercando Karl…”

“Schneider?” lo disse in tono un po’ sorpreso…adesso cominciava a capire molte cose dello strano atteggiamento del suo giocatore. “Beh lo puoi trovare al Club insieme agli altri, al party organizzato per salutare i giocatori che domani tornano a casa. Io sto andando là, se vuoi ti accompagno.”

Per un attimo Sanae rimase perplessa: non sapeva cosa fare. Voleva disperatamente vedere Karl ma allo stesso tempo temeva di incontrare ancora Tsubasa.

Era ancora assorta nei suoi pensieri, quando il Mister tedesco la incalzò “Allora vieni con me?”

Senza dire altro, con un cenno del capo lo seguì in macchina e si diresse con lui verso il Club.

Ormai non poteva più tirarsi indietro…doveva affrontarlo.

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Capitolo 26
*** Rivelazioni ***


Capitolo 26: Rivelazioni


Quando entrò nel salone del Club, fu subito investita dalla musica assordante e dalle voci delle innumerevoli persone che stavano partecipando al party.

Dopo aver salutato il Signor Baumann, cominciò a inoltrarsi nella folla alla ricerca di Karl.

Da dietro riconobbe Genzo e avvicinandosi a lui, attirò la sua attenzione.

“Sanae che ci fai qui?” Il portiere la guardò sorpreso.

“Io…sto cercando Karl…ho provato in questi giorni a chiamarlo ma lui non mi ha mai risposto…”

In un attimo Genzo intuì il motivo che aveva spinto l’amica a venire fin lì; senza chiederle altro, sorridendole e cingendole una spalla, le disse “Vieni con me.”

“Eccolo…è là…” le disse indicandole una figura, seduta al bancone del bar e seminascosta da alcune persone in piedi dietro di lui.

Per un attimo Sanae guardò Genzo, sperando di trovare in lui un po’ di forza.

Vedendo il terrore dipinto nei suoi occhi, lui le strinse la mano e sorridendole, le disse dolcemente “Coraggio…”

Sanae con il cuore in gola si diresse verso l’interno del locale ma arrivata vicino al bancone si bloccò all’istante.

Karl seduto di lato sullo sgabello e con un braccio appoggiato al bancone, stava parlando con una bellissima ragazza bionda, che in quel momento, avvicinandosi a lui con fare molto sensuale e sfiorandogli la mano, gli stava dicendo “…dai Karl dimmi di sì…”

Sanae si sentì invadere da un’ondata di gelosia e rabbia, ma facendo appello a tutte le sue forze, fece ancora alcuni passi verso i due ragazzi.

Karl si limitò a fare un sorriso sornione di fronte alla proposta della bionda; improvvisamente vide con la coda dell’occhio una figura avvicinarsi a loro e alzando lo sguardo, si ritrovò davanti Sanae.

Per un attimo i due si guardarono senza dire niente, poi Sanae con voce roca disse “Devo parlarti Karl…”

Dopo il primo momento di sorpresa, il ragazzo, inarcando un sopracciglio e con fare ironico disse “Non mi dire…quale onore Nakazawa!”

Sanae, tentando di ignorare il suo tono di voce, continuò “Vorrei parlarti…da sola…” e guardò per un attimo la ragazza che sedeva accanto a lui.

Lui scese dallo sgabello e sempre con tono strafottente le disse “Agli ordini Cenerentola…” dopodichè si diresse seguito da lei verso il giardino esterno, lontano dal trambusto della festa.

Sanae rimase a guardare il capitano tedesco che con le mani in tasca, le stava dando le spalle, poi fece qualche passo verso di lui. “Perché non hai risposto alle mie chiamate?”

Lui si girò a guardarla senza dire nulla, fissandola con due occhi glaciali.

“Karl…io ti ho cercato perché avevo bisogno di parlarti…io devo dirti...” deglutì nel tentativo di trovare la forza di andare avanti.

“Dirmi cosa? Come hai passato la giornata di lunedì insieme al tuo amichetto?” sbottò lui e, vedendola sorpresa, continuò “Perché è con lui che sei stata, non è vero?”

A quelle parole Sanae ebbe un sussulto e abbassò lo sguardo.

“Tsss, non riesci neanche a guardarmi negli occhi…” disse sprezzante, poi le prese il viso tra le mani alzandolo con forza “Avanti Sanae dimmelo…che aspetti…perché una volta per tutte non ti decidi a dire la verità?” le urlò a pochi centimetri dal viso “Non sei forse venuta per parlarmi di lui?…Di Ozora?”

Lei lo guardò spaventata, senza riuscire a proferire parola.

Con un ghigno amaro la lasciò andare e alzando la testa al cielo disse “Sono un idiota…sono un perfetto idiota…” poi tornando a guardarla “Mi sono fidato di te e tu mi hai spezzato il cuore…”

“Karl non è come pensi…” disse lei avvicinandosi con aria disperata.

“Ah no? E allora dimmi che tra te e Tsubasa non è successo nulla…” Rimase a guardarla per qualche secondo poi, non vedendola rispondere, la superò per andarsene.

Si sentiva il cuore a pezzi e la testa scoppiare: il pensiero che tra lei e Tsubasa potesse essere successo qualcosa, lo stava facendo impazzire.

“No aspetta Karl!” disse lei afferrandolo per un braccio, nel tentativo di fermarlo.

“NON MI TOCCARE!!!”

Sanae rimase paralizzata di fronte alle parole urlate dal ragazzo.

Karl con un gesto brusco si sottrasse alla sua presa; la sua mente era completamente offuscata dalla gelosia e senza rendersene conto, cominciò a riversarle addosso tutto l’odio e la rabbia che stava provando in quel momento.

“Che altro vuoi dirmi sentiamo! Cosa devo sapere ancora? Che lui è stato il tuo primo grande amore, che ti è stato vicino quando stavi male e che tu non hai mai dimenticato? Che hai passato anni a languire per lui, aspettando che tornasse da te? E nel frattempo che cosa hai fatto…ti sei consolata con Wakabayashi? No scusa dimenticavo…lui è solo un amico…già…il grande amico da cui la piccola Nakazawa si rifugia tutte le volte che ha un problema. Lui sa del tuo grande amore per Ozora…vero? Non vorrai illudere anche lui? No certo che stupido! Genzo è speciale e tu NON sei certo come tutte le altre donne…una BRAVA ragazza come te non potrebbe mai prendersi gioco dei sentimenti di un’altra persona…Spero almeno che te la sia spassata con loro…più di quanto tu non abbia fatto con me…”

Sanae lo ascoltò ammutolita mentre un groppo in gola le impediva di parlare; le lacrime stavano disperatamente cercando di uscire, mentre il suo cuore cadeva a pezzi di fronte alla crudeltà di quelle parole.

Chiuse per un attimo gli occhi, poi con una voce fredda e decisa che non sembrava neanche appartenerle, lo guardò diritto in volto. “E’ questa la tua verità? Va bene… E’ evidente che non c’è bisogno che io ti dia altre spiegazioni…hai già capito tutto da solo. Lascia solo che ti dica una cosa…E’ vero…Tsubasa è e sarà per sempre una parte di me, una parte della mia vita che non potrò mai dimenticare…lui è stato il mio più grande amore…un amore totale e unico e che mai potrà avere eguali…No Karl…non amerò mai nessun altro come lui…mai più…nemmeno te…”

A quelle parole Karl fece una smorfia di dolore, ma lei proseguì “E Genzo…beh lui è un ragazzo meraviglioso che ha saputo accettarmi per quella che sono e l’amore che nutro per lui…tu non potrai mai capirlo…”

Sanae si girò e cominciò ad incamminarsi verso l’uscita, ma prima di allontanarsi definitivamente, si fermò per un attimo e girandosi verso di lui aggiunse “A proposito…anche se la cosa non ti interessa…sappi che il mio primo bacio l’ho dato pochi mesi fa…fuori da un parco…”

Karl rimase per qualche secondo immobile mentre le ultime parole di Sanae gli rimbombavano nella testa. Serrando i pugni, confuso più che mai, cominciò a correre verso di lei per fermarla.

Sanae trattenendo a stento le lacrime, si incamminò velocemente verso l’uscita: doveva fuggire da lì, doveva fuggire da lui…come aveva potuto essere così crudele con lei…quello non poteva essere lo stesso ragazzo di cui lei si era riscoperta innamorata.

Senza prestare attenzione alle persone intorno a lei, si buttò all’interno del salone in direzione dell’uscita.

Alcuni ospiti la videro passare con un volto sconvolto, notando subito dietro di lei il capitano dell’Amburgo che tentava di raggiungerla: Genzo e Tsubasa erano tra questi.

“Maledizione…apriti…” Stava schiacciando insistentemente il bottone dell’ascensore, quando fu raggiunta e bloccata da Karl. “Fermati Sanae!”

“Vai al diavolo Schneider…sei solo un gran bastardo…torna dalla tua amichetta al bar…sono sicura che sentirà la tua mancanza…” gli sibilò lei spingendolo via con forza e cercando di allontanarsi.

Lui però la afferrò per un polso trattenendola.

“Lasciami andare Karl o giuro che mi metto a gridare davanti a tutti…lasciami!!!”

“NO!!! Non te ne vai da qui se prima non mi dici la verità!” le gridò lui sbattendola contro il muro e battendo i pugni sulla parete ai lati del suo viso. “DIMMELO MALEDIZIONE! DIMMI LA VERITA’!!!”

Fissando quei due occhi azzurri che in quel momento sembravano attraversati da una tempesta, lei gli urlò con rabbia “Vuoi la verità? Ne sei sicuro? Vuoi sapere perché non potrò mai dimenticare Tsubasa e l’amore che ho provato per lui?...Perché è per quel grande amore…mai ricambiato…che ho pensato che non valesse più la pena di vivere!!”

Karl sentì improvvisamente lo stomaco serrarsi, mentre lei appoggiando la testa al muro e con voce incrinata dal pianto, continuò “Perchè è stato per lui che sono diventata anoressica…”

A quelle parole Karl si sentì sprofondare in un abisso senza ritorno…in un attimo sentì tutte le forze abbandonare il suo corpo. Lentamente lasciò scivolare le braccia lungo il muro, lasciando libera Sanae che lentamente si staccò dalla parete.

“Ecco questa è tutta la verità Karl…” gli disse lei sommessamente girandosi e chiamando l’ascensore che arrivò quasi all’istante, inghiottendola e lasciando lui immobile e le persone che avevano assistito alla scena senza parole.




Tsubasa osservò la figura di Sanae scomparire dietro le porte scorrevoli dell’ascensore: aveva assistito a distanza insieme all’amico Rivaul allo scontro tra Sanae e Karl, durante il quale aveva chiaramente sentito pronunciare il suo nome.

“Dimmi che cosa si sono detti…”

Rivaul guardò l’amico cercando di ignorare la sua domanda: aveva finalmente capito il vero motivo per cui quella ragazza qualche giorno prima aveva rifiutato l’amore del suo più caro amico, spezzandogli completamente il cuore.

E adesso di fronte alla domanda di Tsubasa non sapeva che cosa rispondere…non poteva dirgli la verità…non poteva dirgli che la ragazza che lui aveva sempre amato in silenzio, proprio per colpa di quell’amore mai rivelato, aveva rischiato di lasciarsi morire quando lui l’aveva lasciata per andare in Brasile.

“DIMMI CHE COSA SI SONO DETTI!” urlò Tsubasa.

Rivaul dopo un attimo di silenzio girò la testa di lato non avendo il coraggio di guardarlo in faccia e, mestamente, gli disse che cosa Sanae aveva urlato a Karl.




Rimase per un tempo imprecisato a fissare il bicchiere vuoto sotto di lui: non provava nulla…non sentiva nulla…vedeva solo quel bicchiere distorto dalle lacrime che senza rendersene conto, avevano cominciato a rigargli il volto.

Il locale a quell’ora era semideserto: solo pochi clienti tiratardi che discutevano dall’altra parte del bancone.

All’improvviso qualcuno si sedette vicino a lui, ma lui non tentò neanche di alzare la testa.

Genzo fissava quel ragazzo che si reggeva la testa con le mani e il cui volto esprimeva appieno il suo stato d’animo. Il suo cuore era combattuto: da un lato odiava quel ragazzo, lo aveva odiato per così tanti anni…ma adesso gli faceva una pena pazzesca.

Un’infinità di volte si era trovato ad augurargli di pagare fino all’ultimo per tutto il male che aveva fatto a Sanae…ma adesso non riusciva a provare il benché minimo piacere a vederlo ridotto così.

“Tsubasa…”

L’attaccante per un attimo girò leggermente la testa mormorando “Tu lo sapevi…eri con lei…”

“Sì…” gli rispose Genzo.

Con un sorriso mesto Ozora si prese di nuovo la testa tra le mani.

“Se solo tu non l’avessi lasciata in quel modo, senza dirle niente…se solo prima di partire le avessi rivelato quello che provavi per lei…si sarebbe aggrappata anche solo a quella speranza…ti avrebbe aspettato anche per tutta la vita Tsubasa…”

Un silenzio carico d’angoscia cadde per qualche istante tra i due ragazzi, poi Tsubasa cercando di farsi forza chiese al portiere senza guardarlo in faccia “Lei è felice adesso?...Con lui?”

Sospirando il portiere rispose “Sì Tsubasa…loro si amano…”

Tsubasa serrò gli occhi tentando di arrestare le lacrime che insieme ad un dolore sordo gli stavano lacerando l’anima, mentre Genzo senza dire altro lo lasciò solo.

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Capitolo 27
*** Anime solitarie ***


Capitolo 27: Anime solitarie


Sanae guardava fuori dalla finestra il buio della notte.

Il suo viso era una maschera impassibile; non riusciva neanche più a piangere…aveva pianto fin troppo in quei giorni…per lei, per Tsubasa, per Karl.

Se solo fosse riuscita a sfogarsi un po’, forse quel terribile malessere che aveva in fondo al cuore avrebbe trovato un po’ di sollievo…e invece le sue lacrime sembravano essersi prosciugate, come le sue emozioni.

Il giorno dopo la serata al club era partita: aveva noleggiato una macchina ed aveva intrapreso quel viaggio, senza avere una meta precisa.

Aveva deciso di allontanarsi per cercare di riordinare le sue idee, lontano da tutto e da tutti come già aveva fatto quattro anni prima, quando se n’era andata per ritrovare sé stessa, dopo che aveva rischiato di perdersi per sempre.

In quei giorni aveva percorso centinaia di chilometri e visitato molti luoghi, riuscendo in alcuni momenti a liberare un po’ la mente da tutti i pensieri tristi che la riempivano; ma quando scendeva la sera, la tristezza si impadroniva di nuovo del suo cuore e la sua mancanza si faceva insopportabile.

Il suo volto, il suo sorriso, i suoi occhi… le mancava tutto di lui.

Con lui aveva riscoperto l’amore o meglio aveva scoperto il vero amore: non quello fatto di illusioni e sogni adolescenziali, ma un sentimento travolgente, più maturo e concreto, dolce e passionale allo stesso tempo.

A lui aveva dato il primo bacio, con lui aveva scambiato le prime tenerezze che ben presto le avevano fatto scoprire sensazioni nuove e inimmaginabili.

Chiuse gli occhi per un momento ripensando a tutti i momenti magici trascorsi con lui in quei mesi: alle discussioni interminabili per decidere il tipo di film da guardare in televisione o la pizza da ordinare per cena; alle telefonate senza fine che si scambiavano quando lui era in trasferta; alle serate passate sul divano dei loro appartamenti abbracciati a parlare; ai baci e ai contatti tra loro che con il tempo si erano fatti sempre più audaci…quante volte anche se controvoglia si erano dovuti fermare pur desiderando entrambi di andare oltre…quante volte lei si era ritrovata a immaginare e a desiderare con timore di stare con lui in “modo completo”.

Di nuovo il ricordo della loro lite al club si fece largo nella sua mente.

Gli aveva detto che non avrebbe mai amato nessun altro come Tsubasa…ed era vero…mai più nella sua vita avrebbe permesso ad un sentimento di portarla al punto in cui era arrivata con lui…ne era sicura.

Ma se da un lato era certa di questo, dall’altro si era convinta che fosse possibile amare comunque una persona, senza correre il rischio di perdersi necessariamente in questo amore…e questo lo aveva scoperto stando con lui.

Lo amava, lo amava davvero…ma non di un amore morboso, ma di un amore semplice, puro, senza pretese e illusioni.

Ma lui poteva amare una persona come lei? Perché mai uno come lui avrebbe dovuto perdere tempo con una ragazza che aveva avuto un’infinità di problemi nella sua vita e che per tanto tempo glieli aveva tenuti nascosti?

Appoggiò la testa alla finestra e sospirò: perché invece di gridargli con rabbia tutta la verità su Tsubasa, non gli aveva urlato tutto il suo amore?

Ecco perché stava così male…quello era il suo più grande rimpianto…non avergli detto la verità sui suoi sentimenti: ancora una volta la paura l’aveva bloccata e non era riuscita a rivelare quello che il suo cuore nascondeva da tempo.

Serrò le dita intorno alle tende della finestra e in un attimo decise quello che aveva rimandato per giorni: voleva vederlo, doveva vederlo…doveva dirgli quello che lei provava per lui o per lo meno provarci ancora un’ultima volta…in fondo ormai non aveva più nulla da perdere.

Raccolse tutta la sua roba e dopo aver pagato alla reception, abbandonò l’albergo pronta a ritornare ad Amburgo quella sera stessa.



Karl, seduto sul divano di casa sua, alzò la testa verso l’amico senza rispondere.

“Karl non hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto!” disse esasperato Wakabayashi.

Dopo un attimo di silenzio lui gli rispose asciutto “Sì ti ho ascoltato Genzo…e francamente non me ne frega un cazzo di quello che dice il Mister…”

“Ma sono due settimane che non ti fai vedere…” obiettò il portiere.

Il capitano tedesco sospirò e si prese la testa tra le mani: come poteva pensare agli allenamenti o al campionato in quel momento?

Si sentiva a pezzi, completamente svuotato e l’unico pensiero fisso che aveva era lei.

La amava disperatamente, la amava più di ogni cosa, ma a causa del suo stupido orgoglio e della sua gelosia, aveva rovinato tutto.

Le aveva detto delle cose orribili al Club, senza preoccuparsi di stare a sentire cosa lei avesse da dirgli.

Come aveva potuto? Come aveva potuto allontanare da lui la persona che amava come mai nessun’altra in tutta la sua vita?

E da giorni non aveva sue notizie: lei se ne era andata senza dire niente e senza dargli la possibilità di parlarle e chiederle perdono.

Sentì l’angoscia attanagliargli ancora una volta il cuore, mentre si trovò a desiderare con tutto sé stesso di riaverla lì al suo fianco, per poterle gridare tutto il suo amore disperato.

Genzo guardò l’amico affranto, senza riuscire a dire altro. Sapeva benissimo come si sentiva: anche lui anni prima aveva provato la stessa angoscia quando lei se ne era andata senza dirgli niente, con la differenza che Karl era perdutamente innamorato di lei.

Nemmeno lui sapeva dove Sanae avesse deciso di andare, ma aveva la certezza che stesse bene e capiva perfettamente il motivo che l’aveva spinta ad allontanarsi per qualche tempo.

Tutte le incomprensioni di quei giorni avevano impedito a quei due di parlarsi francamente e dichiararsi finalmente l’evidente amore reciproco che provavano.

Stava per aprire bocca quando improvvisamente suonò il campanello dell’appartamento.

“Non voglio vedere nessuno…” disse secco Karl rivolto a lui, senza alzare neanche la testa.

Genzo sospirando lo lasciò nel salone per andare ad aprire la porta.



Sanae, nervosissima, arrivò davanti al lussuoso edificio dove abitava il capitano tedesco. Il portinaio all’ingresso riconoscendola, non disse nulla quando la vide entrare e prendere l’ascensore per salire all’appartamento di Karl.

Mille dubbi la assalirono mentre arrivava all’ultimo piano.

E se lui non fosse stato disposto ad ascoltarla? O peggio se dopo averla ascoltata, le avesse detto che si era accorto che per lui la loro storia non aveva più senso?

L’immagine della ragazza bionda al bar del Club si insinuò nella sua mente: magari lui in quel momento era con lei.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono rimase per un attimo ferma e indecisa sul da farsi.

Tentando di scacciare l’angoscia dovuta a quei pensieri, si fece però coraggio e avvicinandosi a quella porta che conosceva bene, con il cuore in gola suonò il campanello.

Quando la porta si aprì e si trovò davanti Genzo non ebbe la forza di dire niente, limitandosi a sorridere mestamente all’amico.

Genzo immensamente sollevato di fronte a quella visita tanto inaspettata quanto insperata, rispose al suo sorriso e le disse “Vai da lui…ha bisogno di te Sanae…”

“E io ho bisogno di lui…” sussurrò lei emozionata e, dopo aver guardato il portiere andarsene con l’ascensore, entrò nell’appartamento e richiuse la porta.

Andò nel salone e lentamente si avvicinò al divano. Lo vide seduto con la testa tra le mani e un improvviso groppo le serrò la gola.

Riuscì solo a bisbigliare il suo nome “Karl…”

Sentendo quella voce, lui alzò lentamente la testa…e la vide in piedi davanti a lui: sentì il suo cuore decelerare per poi cominciare a battere all’impazzata.

“Sanae…” La voce gli uscì strozzata dalla gola, mentre d’impulso si alzò e la strinse a sé con tutta la forza che aveva.

Sanae con le lacrime agli occhi si abbandonò completamente tra le sue braccia mentre con la testa appoggiata al suo petto gli sussurrò “Mi dispiace Karl…”

Stringendola ancora di più, lui le rispose con voce che rivelava tutta l’angoscia di quei giorni “Credevo di averti persa per sempre…”

A quelle parole Sanae alzò il viso verso di lui e sorridendo tra le lacrime gli bisbigliò “No…”

In un attimo le loro bocche si ritrovarono unite in un bacio appassionato che racchiudeva tutta la loro disperazione, tutte le loro paure e soprattutto tutto il loro grande amore che ormai non poteva più essere tenuto nascosto.

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Capitolo 28
*** Un’anima sola ***


Capitolo 28: Un’anima sola


Rimasero abbracciati sul divano senza parlare: lui la stringeva a sé cingendola con tenerezza, mentre lei giaceva accanto a lui avvolta dalle sue forti braccia.

“Resta con me stanotte…” le disse lui all’improvviso guardandola negli occhi.

Sanae per un attimo lo guardò sorpresa, poi però sorridendogli, fece un cenno d’assenso col capo: desiderava anche lei, più di ogni altra cosa, stare con lui; voleva sentirlo vicino e passare con lui quella notte, la prima notte che trascorrevano insieme.

Lui la accompagnò in camera sua e le indicò il bagno dove poteva cambiarsi.

Sanae si fece una doccia rapida ed in canottiera e slip uscì dalla stanza, tornando da lui.

Karl nel frattempo si era infilato i pantaloni del pigiama restando a torso nudo e si era sdraiato sul letto.

Quando lei uscì dal bagno e gli si avvicinò, lui si mise a sedere e con dolcezza la attirò con sé sul letto.

Mentre la accarezzava, le sussurrò ad un orecchio “Perdonami per tutto quello che ti ho detto…io non avevo capito niente…mi dispiace…”

Sanae si strinse a lui per un attimo, poi sospirando si staccò e guardandolo negli occhi cominciò a parlargli sommessamente, raccontandogli tutto quello che si era tenuta dentro per mesi: di come aveva incontrato Tsubasa, del suo amore cresciuto nell’ombra per anni, di come aveva iniziato a distruggersi per quell’amore; di come a fatica ne era uscita, con l’aiuto di Genzo, di Yukari e di tutta la sua famiglia; di tutto quello che era successo con Tsubasa in quei giorni.

Lui rimase ad ascoltarla senza dire niente: sentire quelle parole lo faceva stare malissimo, ma doveva sapere…voleva sapere tutto di quella ragazza di cui si era perdutamente innamorato.


Alla fine si ritrovarono sdraiati uno di fronte all’altra a guardarsi negli occhi nella semioscurità della stanza, illuminata solo dai raggi della luna che entravano dalla finestra.

Sanae lo osservò in silenzio chiudere gli occhi e addormentarsi: vedeva il suo profilo e il suo petto nudo muoversi con un ritmo regolare sotto le lenzuola, mentre lo sentiva respirare a pochi centimetri da lei.

Era meraviglioso averlo di nuovo vicino, vederlo dormire accanto a lei: le emozioni che stava provando erano indescrivibili.

Stringendo la mano al cuscino gli sussurrò lentamente “Anata o ai site imasu…” (Ti amo)

Karl chiuse gli occhi e rimase immobile a pensare a tutto quello che era successo in quei giorni.

Poteva sentire il respiro leggero di Sanae sdraiata a pochi centimetri da lui; era felicissimo di averla lì con lui ma l’immagine di lei ed Ozora insieme continuava a tormentarlo...lei lo aveva amato disperatamente per anni e adesso aveva scoperto che il suo amore era stato sempre ricambiato, anche se in silenzio…e se prima o poi si fosse accorta di essere ancora innamorata di lui?

Aprì gli occhi all’improvviso quando la sentì sussurrare quella frase…il suo cuore per un attimo mancò un battito.

Si alzò subito a sedere sul letto e avvicinandosi a lei, cingendole la vita con un braccio le disse con il cuore in gola “Ripetimelo!”

Sanae rimase sorpresa vedendo Karl girarsi di scatto verso di lei…era convinta che stesse dormendo.

Stringendola ancor di più a sè, lui le disse ancora “Ti prego…ripetimi quello che mi hai detto Sanae…”

Lei arrossendo nel buio, si ritrovò a fissare quei due occhi meravigliosi che anche nell’oscurità sembravano brillare come stelle e con il cuore in gola gli ripetè “Anata o ai site imasu…Karl…”

Karl sentì il suo cuore esplodere…lui conosceva bene il significato di quelle parole…le aveva imparate alcuni mesi prima, in attesa di trovare il momento giusto per potergliele dire; più di una volta era stato sul punto di pronunciarle.

Si chinò su di lei e prima di baciarla le sussurrò a sua volta “Anch’io ti amo Sanae…ti amo da impazzire…”

In pochi secondi i loro corpi si trovarono serrati nella semioscurità della stanza, mentre i loro cuori battevano uno contro l’altro ad un ritmo impazzito.

Lui cominciò a sfiorarle tutto il corpo con le mani e con le labbra, mentre lei si abbandonò completamente a quel tocco.

Karl sentì il suo desiderio aumentare terribilmente ed il suo corpo reagire di conseguenza…rendendosi conto della cosa, allontanò da lei il suo bacino ma subito sentì il corpo di Sanae avvicinarsi al suo.

Sanae stretta tra le sue braccia si accorse del desiderio di Karl e sentendolo allontanarsi, si mosse verso di lui alla ricerca di quel contatto e di quel corpo che desiderava alla follia.

Sentendo il corpo di Sanae contro il suo, Karl si sentì pervadere completamente dalla passione; staccandosi appena dalla sua bocca e guardandola con due occhi infuocati le sussurrò “Ho tanta voglia di fare l’amore con te Sanae…”

Lei perdendosi in quei due occhi blu e con il cuore che ormai sembrava volerle uscire dal petto, gli rispose “Anch’io Karl…” poi girando leggermente la testa e sentendosi avvampare in viso, continuò quasi senza voce “Io però…non ho…non ho mai…”

Lui le girò con delicatezza il viso con una mano per tornare a guardarla negli occhi, poi sorridendole in un modo dolcissimo si chinò di nuovo su di lei e la baciò ancora.

Sanae si ritrovò persa in un universo di emozioni mai provate…le sue braccia muscolose la stringevano mentre le sue mani scivolavano delicatamente su di lei e le sue labbra le accarezzavano tutta la pelle.

Dopo essersi liberati degli indumenti, i loro corpi nudi si ritrovarono intrecciati sotto le lenzuola.

Sanae sentì il corpo di Karl serrarsi sempre più al suo e in un attimo un dolore acuto e profondo al ventre la invase; mordendosi un labbro e affondando le dita nella schiena di Karl, si strinse ancor più a lui, stringendo le gambe intorno alle sue ed emettendo un gemito.

Il dolore scomparve subito però, completamente sopraffatto dalla realtà che la circondava: lei e Karl erano diventati un corpo solo e un’anima sola quella notte.

Karl si muoveva lentamente sopra di lei, cercando di essere il più delicato possibile: quello che stava provando era inimmaginabile…per mesi aveva desiderato fare l’amore con lei, lo aveva sognato un’infinità di volte…ma la realtà di quel momento andava ben al di là di tutti i suoi sogni.

Non erano solo i loro corpi ad essere uniti, ma le loro anime erano ormai inscindibilmente legate…lei era diventata la sua donna e lui il suo uomo…il suo primo e unico uomo.

Alla fine si ritrovarono abbracciati, sudati ed esausti ma infinitamente felici.

Sanae si strinse a lui appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre lui stringendola a sé, cominciò ad accarezzarla lentamente.

Cullata da quel tocco delicato, senza rendersene conto Sanae si addormentò tra le sue braccia.

Karl rimase per molto tempo ad osservarla…non riusciva a staccare gli occhi dal suo corpo, dal suo volto.

La guardava dormire al suo fianco e il cuore gli si stringeva in una meravigliosa morsa: si rese conto di amarla alla follia, ancor più di prima e quella notte si ripromise che mai in tutta la sua vita avrebbe rinunciato a lei…mai per nessuna ragione al mondo.



Karl la sentì muoversi tra le sue braccia; aprì gli occhi e venne subito investito dai raggi del sole che filtravano dalla finestra.

Tornando con il ricordo a quello che era successo la notte appena trascorsa, l’attirò ancor di più a sé.

Sanae si svegliò lentamente e accorgendosi che il braccio di Karl la stava cingendo, si sentì invadere dalla felicità: non era stato un sogno.

Si stiracchiò sotto le lenzuola e subito si sentì stringere ancor più da lui: sentiva il suo petto muscoloso contro la sua schiena nuda.

Lentamente si girò verso di lui che la stava osservando sorridendo.

“Buongiorno…” le sussurrò lui dolcemente.

“Buongiorno…” gli rispose lei con voce ancora impastata dal sonno.

“Tutto bene?” le disse lui sfiorandole con una mano la guancia.

Lei arrossendo leggermente e abbassando per un attimo lo sguardo, fece un cenno con la testa e gli sorrise.

In un attimo Karl si sentì sciogliere di fronte a quel sorriso; si avvicinò a lei e le diede un bacio a fior di labbra.

Si guardarono negli occhi per qualche secondo ed entrambi videro nello sguardo dell’altro la stessa cosa, lo stesso desiderio: le loro labbra si unirono ancora, più saldamente ed in breve si abbandonarono di nuovo alla loro travolgente passione.

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Capitolo 29
*** Insieme ***


Capitolo 29: Insieme


Karl e Genzo stavano bevendo una bibita ghiacciata cercando di trovare un po’ di refrigerio a quel caldo torrido, sotto il tetto di paglia del bar adiacente alla piscina del villaggio turistico; dopo poco si unirono a loro altri ragazzi dell’Amburgo.

Alcune ragazze dopo averli riconosciuti, si erano avvicinate e avevano cominciato a conversare con loro civettando e atteggiandosi con fare da dive.

Sanae passando davanti al bar, si girò solo per un attimo verso i giocatori, salutandoli con un cenno della mano e dirigendosi verso il suo lettino situato dalla parte opposta della piscina.

Dopo aver dato loro le spalle, sospirò sconsolata e allo stesso tempo divertita: stando con Karl, ormai si era abituata ad assistere a quelle scene con le innumerevoli ammiratrici del ragazzo.

Abbandonò la borsa mare sul tavolino e dopo essersi tolta gli occhiali da sole, si stese sul lettino guardando e sistemandosi il bikini giallo che Karol e Kristine le avevano regalato prima di partire per quella vacanza con la squadra tedesca: ricordava ancora la sua faccia dopo aver visto quei due ridottissimi “pezzi” di stoffa, mentre le amiche sghignazzando le dicevano che Schneider sarebbe caduto ai suoi piedi, dopo averla vista con quel costume indosso.

Alla fine dopo averci pensato per giorni, quel pomeriggio lo aveva recuperato dalla valigia e lo aveva indossato rimanendo a guardarsi per un tempo infinito allo specchio della camera, per niente convinta del risultato.

Genzo vide Karl alzare improvvisamente la testa che fino a quel momento si era sorretto stancamente con il braccio e con gli occhi sgranati, seguire con lo sguardo qualcosa.

Girandosi nella stessa direzione capì subito cosa, o meglio chi, avesse attirato l’attenzione del suo capitano: Sanae stava passando davanti al bar ed era bella da togliere il fiato.

Indossava un bikini giallo che evidenziava le sue splendide gambe e metteva in risalto due glutei sodi ed un seno piccolo ma ben tornito; si muoveva con passo leggero e involontariamente molto sensuale.

Il portiere vedendo la faccia di Karl si mise a sghignazzare.

Sanae dopo aver recuperato la crema solare, cominciò a spalmarsi lentamente tutto il corpo, senza accorgersi degli sguardi di alcuni ragazzi seduti accanto a lei.

Un cameriere arrivò con un carrello su cui si trovavano varie bevande: tre dei ragazzi alzandosi dai lettini, presero dei cocktail a base di frutta e si avvicinarono al lettino dove Sanae stava distesa, offrendole uno dei bicchieri.

Lei alzandosi a sedere li guardò con un sorriso, ringraziandoli e accettando il gentile omaggio e rimanendo con loro a chiacchierare per qualche minuto.

Karl osservò ammaliato Sanae sfilare davanti a lui: era splendida con indosso quel costume che lui non ricordava di avere mai visto. La vide sedersi sul lettino e lentamente spalmarsi la crema su tutto il corpo: sentì un fremito attraversarlo.

Stava rispondendo distrattamente alla domanda di uno dei suoi compagni di squadra, senza togliere lo sguardo dalla parte opposta della piscina, quando notò con disappunto che un gruppo di ragazzi vicino a Sanae, dopo averla osservata con sguardi avidi per tutto il tempo, si erano avvicinati per offrirle da bere.

Sentì subito una morsa di gelosia stringergli lo stomaco quando la vide sorridere e parlare a quei tre, e senza pensarci un attimo si alzò per dirigersi verso di loro.

Sanae dopo aver bevuto un sorso del cocktail, si sdraiò nuovamente sul lettino, chiudendo gli occhi per assaporare appieno il caldo abbraccio del sole.

Improvvisamente sentì delle labbra sfiorarle delicatamente la schiena e girandosi, si ritrovò Karl seduto sul tavolino accanto.

“Ciao…” le disse lui con un sorriso, protendendosi ancora verso di lei per baciarla.

Rispondendo al suo sorriso, lei si mise a sedere “Ciao…che ci fai qui?”

Lui si alzò dal tavolino e si sedette dietro di lei sul lettino, abbracciandola da dietro e sfiorandole il collo con le labbra “Mi mancavi…”

Sorridendo lei si strinse in quell’abbraccio, mentre Karl la attirò ancor più a sé, non prima di essersi girato verso il gruppo di ragazzi a lato e averli fulminati con un’occhiata che non lasciava adito a dubbi.



Genzo li raggiunse a pomeriggio inoltrato: lui e Sanae andarono a farsi un bagno e per un po’ rimasero seduti sul bordo della piscina a parlare, mentre Karl prendeva il sole sdraiato sul lettino.

Il capitano tedesco osservò i due ragazzi giapponesi conversare e ridere e, involontariamente, provò un po’ di gelosia nei confronti del portiere.

Ormai la storia tra lui e Sanae durava da parecchi mesi ma questo non gli impediva di provare sempre un po’ di invidia per il rapporto speciale che legava quei due: una grande amicizia da cui lui in un certo qual modo sarebbe in parte sempre stato escluso.

Sanae guardava divertita il portiere che cercava in ogni modo di evadere le sue domande riguardo la ragazza con cui lo aveva visto la sera prima “…e allora che fine hai fatto ieri sera dopo la festa?”

Genzo sghignazzando rispose “Dove vuoi che sia andato…a letto no?!”

Di fronte alla risposta allusiva dell’amico lei scoppiò a ridere subito seguita da lui.

“Sei irrecuperabile Genzo! Ed io poi dovrei starmene tranquilla quando tu e l’altro rubacuori siete in giro per il mondo!”

“Ah…per questo tesoro puoi dormire sonni tranquilli!” e facendo un cenno della testa rivolto verso il suo capitano proseguì “Ormai quello ha perso completamente la testa per te! E’ completamente partito…te l’assicuro io, che mi devo sorbire le sue lamentele tutte le volte che non ti vede o non ti sente! Non l’ho mai visto così…è perdutamente innamorato di te Sanae…credimi…”

Con un sorriso raggiante, lei gli buttò le braccia al collo e lo baciò affettuosamente sulla guancia “Ecco perché ti adoro Genzo Wakabayashi…perché mi dici queste cose!”

“Guarda che se Mister Gelosia ti vede baciarmi, per me è finita!” disse lui sornione.

Lei guardandolo un po’ sorpresa rispose “Ma figurati…Karl non è geloso di te!”

“Ah no?…Stai a vedere…” e così dicendo la attirò a sé, stringendole di proposito le braccia attorno alla vita: sapeva benissimo che Karl li stava osservando in quel momento.

Karl vide Sanae baciare l’amico e subito dopo lui abbracciarla in modo…un po’ troppo serrato. Inarcando un sopracciglio si alzò dal lettino e si diresse verso il bordo della vasca.

Vedendo l’amico avvicinarsi, Genzo si rivolse con fare sornione a Sanae “Che ti dicevo?” Poi quando il biondo capitano fu di fronte a loro, continuando ad abbracciare Sanae e con fare disinvolto, gli chiese “Hey ciao Karl…posso fare qualcosa per te?”

Schneider con aria mezza divertita gli rispose “Magari smetterla di abbracciare a quel modo la mia fidanzata…Wakabayashi!”

Genzo e Sanae scoppiarono di nuovo a ridere; Sanae dopo essersi alzata, si avvicinò a Karl e cingendogli il collo con le braccia, si alzò in punta di piedi e lo baciò, non prima di avergli sussurrato “Sciocco…”

Lui le cinse la vita rispondendo al bacio, ma lei subito si staccò dicendo “Beh io adesso vado…”

Guardandola incuriosito il capitano tedesco le chiese “E dove?”

“Oh…io e Stefan abbiamo una lezione di windsurf alle cinque…” e dopo avergli strizzato l’occhio si diresse verso la spiaggia dove Wächter la stava aspettando.

Lui rimase a guardarla allontanarsi mentre Genzo sghignazzando gli disse “Ah sai…ho saputo che il maestro di windsurf è un bellissimo ragazzo italiano!”



Quella sera tutta la squadra si riunì per la cena nel ristorante centrale del villaggio.

All’improvviso Karl si sentì tirare la manica della maglia e girandosi si trovò davanti due bambini di poco più di cinque anni che lo fissavano con occhi spalancati e che con aria titubante gli chiesero “Lei è il signor Schneider…vero?”

Lui sorridendo disse di sì e uno dei due continuò “Ecco…vede Signor Schneider…il mio amico non crede che lei sia davvero il Signor Schneider…e invece io so che è davvero lei…”

Con aria divertita Karl osservò il bambino avvampare mentre gli parlava e guardando l’altro bimbo gli disse “Cosa devo fare per convincerti che io sono davvero Karl Heinz Schneider?”

Il piccolo molto più intraprendente dell’amico, gli disse senza vergogna “Voglio vedere il tuo Fire Shot!”

Sghignazzando Karl si alzò e dopo aver detto a Sanae “Torno subito…” li seguì nel giardino esterno.

Dopo aver recuperato un pallone i due bambini cominciarono a giocare lanciandosi contro di lui che divertito e senza alcuna fatica, sottrasse loro la sfera.

Cominciò a palleggiare sotto gli occhi estasiati dei due che lo guardavano con la bocca spalancata; in un attimo con l’agilità di un felino si girò e calciò la palla con potenza contro un palo di legno posto a molti metri di distanza, centrandolo in pieno e facendolo vibrare sonoramente.

“CAVOLI!!!” esclamarono i due bimbi riprendendosi dallo stupore e dopo aver recuperato il pallone, gli chiesero supplichevoli di giocare ancora un po’ con loro.

Sanae dopo mezz’ora, non vedendo rientrare Karl, si alzò dal tavolo e si diresse a sua volta in giardino per cercarlo: lo vide da lontano che giocava con due bimbi.

Rimase a guardarlo, rapita dalla scena: lui stava ridendo mentre le due piccole pesti si erano avvinghiate a lui nel tentativo di bloccarlo e rubargli la palla. Sbilanciato dal peso dei due che si erano aggrappati al suo braccio, cadde a sedere trascinandoli con sé sull’erba e continuando a ridere con loro.

Sanae osservò la scena con un sorriso dolcissimo dipinto sul volto: mentre guardava Karl giocare spensieratamente con quei due bambini, si ritrovò a pensare per un attimo al capitano tedesco padre e a quel pensiero sentì il suo cuore stringersi in una piacevole morsa.

Karl si accorse di Sanae che li stava guardando ai bordi del giardino e dopo essersi liberato delle due pesti, si avvicinò a lei sorridendo.

“Non riesci proprio a stare senza un pallone…” gli disse lei con finta aria di rimprovero.

Lui ridendo e cingendole la vita la baciò, ma fu subito interrotto dai due bimbi che nel frattempo si erano avvicinati a loro.

“Lei è tua moglie?” chiese uno dei due.

“No…” rispose Karl un po’ spiazzato dalla domanda inaspettata “Lei è la mia fidanzata.”

“E quando vi sposate?” continuò il bambino imperterrito guardandoli innocentemente e non capendo il motivo del loro imbarazzo.

Sanae e Karl si guardarono per un attimo, arrossendo leggermente…la spontaneità dei bambini sapeva essere molto imbarazzante a volte.

Nessuno dei due fece a tempo a rispondere però perché una signora, richiamando i due bambini, li invitò a tornare al ristorante.

Mentre i tre si allontanavano Sanae e Karl sentirono uno dei due piccoli rivolgersi alla donna e dirle “Sai mamma quello è Karl Heinz Schneider e ha giocato con noi…e quella è la sua fidanzata che lui sposerà presto…”

Scoppiarono tutti e due a ridere, entrambi imbarazzati e stranamente turbati da quelle parole appena udite.

“Gli altri ci aspettano dentro…” disse Sanae rivolta a Karl girandosi in direzione dell’ingresso del ristorante, ma fu subito bloccata, trattenuta da lui.

Il capitano tedesco la attirò a sé e senza darle il tempo di ribattere, la baciò appassionatamente nell’oscurità della notte.

Lei trattenne a fatica un gemito mentre lui scendeva a sfiorarle con le labbra il collo per poi risalire e sussurrarle all’orecchio “Ti voglio Sanae…”

Affondando le dita nei suoi capelli si strinse a lui, premendo il suo corpo contro quello del capitano tedesco e accendendo ancor di più il suo desiderio; non riuscendo più a trattenersi Karl, prendendola per la mano, si incamminò dalla parte opposta del ristorante, diretto verso la loro camera.

Quella sera mentre facevano l’amore, gli tornarono per un attimo in mente le parole del bimbo “…quella è la sua fidanzata che lui sposerà presto…” e a quel pensiero Karl sentì il suo cuore accelerare i battiti.

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Capitolo 30
*** Pensieri ***


Capitolo 30: Pensieri


Karl si svegliò lentamente e istintivamente si girò sulla sua destra alla ricerca del corpo di Sanae; trovando solo il letto vuoto però aprì completamente gli occhi, allontanando gli ultimi residui di sonno dalla sua mente.

Mettendosi a sedere si guardò intorno e con disappunto notò che si trovava nel suo appartamento di Amburgo, da solo.

L’aveva sognata anche quella notte e risvegliandosi aveva sperato di ritrovarla lì al suo fianco…ma lei non c’era: era partita per uno stage di un mese con l’Università, tre settimane dopo che erano tornati dalla loro vacanza in Egitto con la squadra tedesca.

Si risdraiò sul letto rimanendo a fissare il soffitto per un po’: si sentiva di cattivo umore quella mattina e non aveva la minima voglia di andare agli allenamenti.

Se solo lei fosse stata lì con lui…sicuramente il suo stato d’animo sarebbe stato ben diverso: lei riusciva sempre a metterlo di buon umore, a farlo star bene…con lei al suo fianco si sentiva in pace con il mondo…sempre.

Si ritrovò a ridere di sé stesso rendendosi conto di quanto quella ragazza fosse riuscita a fargli perdere completamente la testa: erano solo pochi giorni che non la vedeva e già sentiva la sua mancanza in modo atroce: lei gli mancava come l’aria che respirava.

Avevano passato dieci giorni magnifici in riva al mare: lontano dagli impegni del campionato, dalle partite, dagli allenamenti, dagli esami universitari…da tutto.

Per dieci giorni erano esistiti soltanto loro due: ogni mattina si era svegliato con lei al suo fianco e ogni sera si era addormentato stringendola a sé; avevano fatto l’amore un’infinità di volte, spinti da un desiderio ed una passione che sembravano non esaurirsi mai; avevano passate ore a parlare, scherzare, ridere, divertirsi.

“…quella è la sua fidanzata che lui sposerà presto…” Ancora una volta quelle parole gli risuonarono in testa.

Sposarla…stare con lei per sempre…svegliarsi e addormentarsi con lei…passare tutta la vita al suo fianco…e un giorno avere dei figli da lei: quei pensieri da settimane non lo abbandonavano.

Se qualcuno solo un anno prima gli avesse detto che lui, il grande Kaiser, sarebbe stato incastrato da una donna in quel modo…beh lui si sarebbe fatto certamente una grossa risata; lui che per tutta la sua vita aveva fuggito i rapporti seri con l’altro sesso, convinto che alla sua età ci fosse spazio solo per storie occasionali e senza impegno.

E invece era arrivata lei che in un attimo aveva scombussolato tutta la sua vita; e adesso si ritrovava innamorato perso di quella ragazza e l’idea di stare senza di lei gli risultava impensabile.

Nel silenzio della stanza si trovò a riflettere su una cosa che da tempo gli girava in testa e che per molti versi lo lasciava attonito: lui…Karl Heinz Schneider avrebbe potuto rinunciare a tutto nella sua vita…persino al calcio che lui amava alla follia…ma mai avrebbe potuto rinunciare a lei.

Per un attimo tornò con il ricordo alla conversazione avuta qualche giorno prima con il Presidente dell’Amburgo che lo aveva convocato per metterlo al corrente di alcune proposte (alcune veramente interessanti) fatte da alcuni club europei nei suoi confronti.

Lui per tutta la durata del colloquio aveva pensato a Sanae e di fronte alla prospettiva di lasciare la Germania, non aveva risposto niente, limitandosi a scrollare le spalle, cosa che aveva spinto il Presidente tedesco a dirgli di prendersi un po’ di tempo per pensarci.

Sospirando si alzò, lanciando ancora uno sguardo al lato del letto dove spesso la mattina, lasciava Sanae ancora addormentata prima di andare agli allenamenti…e ancora una volta, vedendolo vuoto si sentì stringere il cuore in una morsa.

In quel momento prese una decisione: sapeva che cosa doveva fare…in fondo lo aveva sempre saputo; prese il telefono e subito compose il numero della società tedesca.



Sanae riagganciò il telefono e per un momento rimase ferma a fissarlo pensando a quello che la segretaria della squadra amburghese le aveva appena detto.

Sapeva che quel giorno Karl doveva andare dal Presidente Seeler. Era stato lui a dirglielo la sera precedente, ma lei non conosceva il motivo di quell’incontro; era convinta che si trattasse della solita riunione per discutere della situazione della squadra in campionato.

Quella mattina non riuscendo a mettersi in contatto con lui per comunicargli l’ora d’arrivo ad Amburgo del suo volo previsto per il giorno seguente, aveva deciso di telefonare alla società tedesca per lasciargli un messaggio.

La segretaria, dopo averla riconosciuta le aveva risposto pacatamente “Il signor Schneider è ancora dal Presidente, Signorina Nakazawa. Sono in riunione ormai da più di due ore…Sa…le trattative con le squadre straniere sono sempre molto lunghe… sono giorni che ne discutono…se vuole posso farla richiam…”

Lei era rimasta ammutolita sentendo quelle parole e persa nei suoi pensieri, non aveva più ascoltato una sola parola di quello che la donna le aveva detto durante la telefonata.

Trattative…squadre straniere…Karl non le aveva detto niente a riguardo: ecco perché era andato dal Presidente…stava valutando la possibilità di andare a giocare all’estero.

Dopo l’iniziale sgomento Sanae cominciò a riflettere su alcune cose: adesso, alla luce di quello che aveva saputo, riusciva a capire alcuni strani comportamenti che il capitano tedesco aveva avuto negli ultimi tempi.

Dopo il ritorno dalla loro vacanza lui le era sembrato in più occasioni un po’ assente, spesso assorto in chissà quali pensieri; più di una volta lo aveva trovato a fissarla con uno sguardo strano, pensieroso e quando lei gli aveva chiesto spiegazioni, lui aveva risposto sempre evasivo.

Anche dopo la sua partenza per Parigi quando si sentivano per telefono, a lei era sembrato spesso titubante come sul punto di dirle qualcosa; quando lei lo incalzava per proseguire però, lui cambiava immediatamente tono e il discorso andava a cadere sempre su argomenti senza importanza.

Si sedette sul letto della camera dell’albergo, stringendo al petto il cuscino.

Era chiaro…ecco perché lui era così strano da un po’ di tempo a quella parte…era evidente che stava cercando di trovare il modo di dirle delle proposte che gli erano state fatte.

E lei stupidamente non aveva capito niente: spinta dall’entusiasmo per la meravigliosa vacanza appena trascorsa con lui e dalla trepidante attesa per l’imminente stage in Francia, non aveva minimamente prestato attenzione a quei segnali.

Un’infinita tristezza invase il suo cuore: l’idea che Karl potesse lasciare la Germania per andare a giocare all’estero la faceva stare malissimo.

Perché lui non gliene aveva parlato? Lei era convinta che ormai tra loro le cose funzionassero, che il loro rapporto fosse ormai consolidato.

Che sciocca…era ovvio che lui si fosse fatto mille problemi a parlare con lei; dopo tutto quello che era successo in quei mesi, come poteva pensare che lui le dicesse serenamente che aveva intenzione di lasciare la squadra dell’Amburgo?

In fondo in passato la sua vita era andata in pezzi per un motivo analogo e Karl lo sapeva bene…e sicuramente per lui non era facile prospettarle un’eventualità analoga.

Lei sapeva perfettamente che il capitano tedesco aveva sofferto molto dopo aver saputo dell’amore che l’aveva legata per anni a Tsubasa e anche se lui non glielo diceva apertamente, lei capiva da alcuni suoi atteggiamenti che il fantasma del giocatore giapponese spesso si insinuava nella mente di Karl.

Lo capiva tutte le volte che per qualsiasi motivo il discorso andava a cadere sul suo passato o se per sbaglio qualcuno nominava la squadra catalana: Karl si irrigidiva e lo sguardo nei suoi occhi si rabbuiava all’istante…erano cambiamenti impercettibili ma che a lei non sfuggivano mai.

In tutti quei mesi lei aveva fatto di tutto per far capire al ragazzo quanto lei lo amasse, nel tentativo di allontanare da lui tutte le sue paure; ma il fatto che lui non le avesse confidato i suoi progetti in ambito calcistico, le faceva capire che evidentemente lui temeva di farla soffrire ancora, come già era successo in passato.

Ma lei non era più la ragazzina fragile e ingenua che anni prima si era fatta travolgere dagli eventi; era una donna matura pronta ad affrontare la realtà…anche la più dura.

Anche se l’idea che lui potesse lasciare Amburgo le risultava insopportabile, sapeva che lei non si sarebbe mai opposta alla sua decisione, qualunque essa fosse stata.

Era giusto che lui prendesse le sue decisioni senza essere influenzato da lei…così come in fondo (ora se ne rendeva conto) aveva giustamente fatto Tsubasa anni prima, inseguendo il sogno che teneva dentro di sé fin da piccolo.

In quei mesi dopo aver rivisto Ozora si era trovata molto spesso a pensare a lui, concludendo con amarezza che quello che aveva impedito a lei e al campione giapponese di realizzare il loro amore, non era stato il sogno di Tsubasa (al quale lei per anni aveva attribuito tutte le responsabilità di quello che le era successo), ma l’incapacità da parte di entrambi (e sua soprattutto) di dichiarare quell’amore: nessuno dei due aveva avuto il coraggio di affrontare i propri sentimenti e dichiararli apertamente, ritrovandosi tutti e due alla fine a pagare un caro prezzo per quella loro indecisione.

E lei a causa della sua ingenuità e fragilità si era fatta travolgere dal dolore e dagli eventi, cadendo in un baratro dal quale a fatica era riuscita a riemergere.

Ma ormai lei non era più la ragazzina di un tempo: era cambiata, la sua vita era cambiata. E alla fine il destino le aveva fatto incontrare Karl di cui lei si era follemente innamorata senza volerlo: lui era diventato la persona più importante di tutta la sua vita…tante volte si era ritrovata lei stessa sorpresa dell’intensità dei sentimenti che nutriva per lui…mai avrebbe pensato di poter provare ancora un sentimento simile.

Ma nonostante questo…anzi proprio per l’amore che provava per lui, si era convinta che limitarne le scelte sarebbe stata la cosa più sbagliata che avrebbe potuto fare.

Certo l’idea di non vederlo, di non poter stare con lui come avevano fatto in quei mesi la faceva stare davvero male: non sarebbe stato facile, tutt’altro.

Durante la vacanza in Egitto aveva assaporato con lui la gioia di poter trascorrere tutto il loro tempo insieme…ed era stato meraviglioso.

Ma non poteva chiedere a Karl di rinunciare al suo sogno…non ne aveva alcun diritto. E poi in fondo lei era certa dei sentimenti che nutriva verso il capitano tedesco e soprattutto era convinta che questa volta niente, nemmeno la lontananza avrebbe potuto indebolirli…lei avrebbe lottato per quell’amore.

E seduta su quel letto d’albergo decise…aveva capito che cosa doveva fare.



Quella sera Sanae, dopo essere rientrata dall’Università parigina, era tornata in albergo e dopo aver dato appuntamento per la cena a Kristine e Karol per le otto, era salita nella sua camera e aveva chiamato Karl.

Quando sentì la voce del capitano tedesco dall’altro capo del telefono, Sanae si sentì alleggerire il cuore all’istante: quella voce riusciva a farla sentire la persona più felice della terra.

Si ritrovò a pensare tristemente a quanto sarebbe stata dura, nonostante tutti i suoi buoni propositi, la prospettiva di sentirlo solo per telefono, se lui avesse deciso di lasciare la Germania.

Cercando di scacciare quei pensieri tristi dalla mente, si ritrovò a parlare con lui cercando di assaporare al meglio quei momenti che permettevano loro di sentirsi vicini, nonostante le centinaia di chilometri che li separavano.

Karl la ascoltava ridere al telefono e sentiva il suo cuore stringersi in una dolcissima morsa: anche solo sentirla per telefono riusciva a farlo sentire al settimo cielo.

“Sanae…io…” le disse lui cercando di trattenere il desiderio irrefrenabile di dirle tutto per telefono “Ecco…Sanae…domani al tuo ritorno voglio vederti perché ho bisogno di parlare con te di una cosa importante…”

Sanae a quelle parole chiuse gli occhi e strinse con forza la cornetta del telefono, cercando di cacciare indietro il magone che senza volerlo, l’aveva inesorabilmente travolta: lui aveva evidentemente deciso e da lì a poche ore le avrebbe comunicato la sua decisione di partire per l’estero.

Facendosi forza cercò di mantenere un tono di voce normale e senza chiedergli altro in proposito, lo salutò non prima di avergli detto “Karl io ti amo…ma promettimi una cosa…promettimi che non rinuncerai mai ai tuoi sogni…per nessun motivo al mondo…promettimelo…”

Lui rimase per un attimo sorpreso da quella richiesta fattagli da lei; pur non capendone il significato, si rese però conto che la risposta a quella richiesta in fondo per lui era assolutamente scontata…lui aveva già deciso da tempo di seguire quella strada, di realizzare i suoi sogni.

Sorridendo le rispose dolcemente “Te lo prometto Sanae…”

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Capitolo 31
*** La dichiarazione ***


Capitolo 31: La dichiarazione


Quella domenica pomeriggio Sanae atterrò all’aereoporto Flughafen Fuhlsbüttel di Amburgo; era d’accordo con Karl di vedersi a casa sua dopo la partita, ma decise di andare da lui allo stadio: voleva vederlo il prima possibile, anche se quello significava sapere da lui ciò che lei non avrebbe mai voluto sentirsi dire.

Abbracciò le amiche che le augurarono in bocca al lupo.

Karol e Kristine guardarono la giapponese allontanarsi in taxi ed entrambe si augurarono con tutto il cuore che le cose andassero per il verso giusto: Sanae aveva raccontato loro dell’eventualità che Schneider quel giorno le comunicasse la decisione di andarsene dalla Germania.

Entrambe erano rimaste sgomente alla notizia: sapevano quanto l’amica avesse sofferto in passato per amore e soprattutto quanto fosse innamorata dell’attaccante tedesco.

Tutte e due però non poterono fare a meno di provare una grande ammirazione di fronte a quella ragazza coraggiosa che nonostante tutto, aveva deciso di non fare niente per ostacolare la carriera del ragazzo che amava.

Sanae arrivò davanti allo Stadio Aol Arena dopo mezz’ora circa. La maggior parte dei tifosi aveva ormai abbandonato l’edificio, mentre una miriade di giornalisti, fotografi e cameraman assiepava i corridoi fuori dalla sala conferenze.

Si diresse verso la zona degli spogliatoi e dopo aver incontrato un massaggiatore e il secondo allenatore, lasciò detto loro di comunicare a Karl del suo arrivo.



Genzo guardò Karl preoccupato: aveva sentito l’allenatore parlare con lui e concordare poco prima della conferenza stampa di non dire niente durante l’intervista a proposito delle proposte fattegli in quelle settimane.

Lui era rimasto molto sorpreso a quelle parole: il capitano tedesco non gli aveva fatto il minimo accenno all’argomento; non sapeva nulla delle offerte che gli erano state fatte. Il suo pensiero non potè che andare a Sanae.

“Karl, lei sa di queste trattative?” aveva chiesto al biondo capitano dopo che Mister Baumann li aveva lasciati.

Karl si era girato verso di lui “No Genzo, Sanae non sa niente di tutto questo…”

Il portiere sentì subito montare la rabbia dentro di lui “Che cazzo significa? Perché non glielo hai detto Schneider?”

Karl senza scomporsi, lo guardò diritto negli occhi “Non c’è n’è bisogno Wakabayashi.” e senza aggiungere altro si allontanò per dirigersi verso la sala conferenze.

Genzo era rimasto ammutolito a guardare il suo capitano andarsene. Stava per seguirlo quando un massaggiatore si avvicinò a lui e gli disse che Sanae cercava Karl e che si era accomodata nella sala conferenze per assistere all’intervista del dopo partita.

Si ritrovò a imprecare: l’arrivo dell’amica non poteva capitare in un momento più sbagliato. Sapeva che certe notizie non potevano passare inosservate per molto tempo: poteva solo sperare che la notizia delle trattative sul capitano tedesco, non fosse ancora trapelata.

In realtà si sentiva molto irrequieto però: stranamente quel giorno c’erano molti più giornalisti del solito ad assistere ai commenti del dopo partita…e la cosa gli suonava molto strana.

Se solo qualcuno di loro avesse avuto anche il minimo sentore di uno scoop calcistico come quello, sicuramente si sarebbero buttati sulla notizia come lupi famelici.

E Sanae avrebbe appreso la cosa nel peggiore dei modi.

Provò l’istinto irrefrenabile di andare da Karl e prenderlo a pugni; velocemente uscì dagli spogliatoi e si diresse verso la sala stampa.



Sanae seduta su una poltrona riservata nelle prime file della grande sala conferenze, osservò Karl salire sul palco insieme al capitano della squadra avversaria e ai rispettivi allenatori. Vedendolo si sentì stringere il cuore.

Era bellissimo: indossava la tuta della squadra con la casacca legata in vita, mentre una maglia bianca aderente evidenziava il suo petto possente e le sue braccia muscolose.

Se ne stava seduto appoggiato allo schienale con le braccia conserte e lo sguardo fisso davanti a sé, mentre ascoltava le domande fatte dai giornalisti sulla partita appena giocata.

Guardando quegli occhi blu come il mare, Sanae sentì lo stomaco serrarsi: come avrebbe fatto a stare senza quegli occhi, come avrebbe fatto a stare senza di lui?

Improvvisamente si sentì toccare il braccio e giratasi, si trovò di fianco Genzo che con un sorriso tirato la salutò per poi sedersi vicino a lei.

Karl vide il portiere entrare nella sala conferenze e seguendolo con lo sguardo lo osservò accomodarsi in platea; con un fremito notò subito accanto a lui Sanae e rizzandosi a sedere si mise ad osservarla.

Era stupenda come sempre: guardò quel viso dolcissimo che riusciva a infondergli una pace ed una calma incredibile, sentendo crescere in lui il desiderio smodato di scendere da quel palco e andare da lei per poterle finalmente dire ciò che da giorni desiderava rivelarle.

I loro sguardi si incrociarono per qualche secondo ed entrambi, osservando gli occhi dell’altro, sentirono i battiti del loro cuore accelerare.

Ad un tratto un giornalista dall’ultima fila prese la parola e sorprendendo tutti i presenti disse “Schneider…ci è giunta notizia di alcune trattative in atto con la società tedesca per la sua cessione in un altro campionato estero…”

Improvvisamente la stanza si riempì di un mormorio via via crescente, mentre le domande sul presunto passaggio del capitano tedesco ad un’altra squadra, cominciarono a piovere a dirotto da tutta la sala.

Genzo serrò i pugni intorno alla poltrona: quello che temeva si stava avverando. Si girò preoccupato verso Sanae e la vide guardare con espressione imperscrutabile il palco davanti a loro.

Sanae con un tuffo al cuore rimase ad osservare la bufera che la domanda del giornalista aveva scatenato: purtroppo le sue paure avevano trovato conferma…Karl era in trattativa per lasciare la squadra tedesca.

Il Mister tedesco tentò in tutti i modi di deviare l’argomento ma inutilmente: lui e la società avevano fatto di tutto per tenere nascosta la notizia sotto espressa richiesta di Schneider; avevano deciso di indire una conferenza stampa nei giorni successivi per riferire le decisioni del capitano tedesco…ma erano stati evidentemente battuti sul tempo.

Karl rimase seduto ad osservare i giornalisti che in preda ad una folle frenesia di sapere, gli stavano facendo domande a raffica.

All’inizio lasciò che fosse il Mister a rispondere per lui; inizialmente aveva chiesto il massimo riserbo sulla faccenda; non voleva assolutamente che la notizia trapelasse prima di aver avuto la possibilità di parlare con Sanae.

Purtroppo però le cose erano andate diversamente da quanto lui aveva progettato.

“Allora Signor Baumann, nega forse di essere in trattativa con alcune squadre straniere per il suo pupillo?”

L’allenatore tedesco, rendendosi conto di non poter più far nulla per fermare quella cascata inarrestabile, si ritrovò con disappunto a rispondere stizzito alla domanda del cronista “NO!”

Quell’unica parola scatenò ancor di più i giornalisti presenti.

Sanae di fronte a quel semplice monosillabo invece si sentì trafiggere il cuore.

“Schneider ci dica qual’è la squadra pronta ad acquistarla?”

“Quando avverrà il passaggio? Ancora durante questa stagione o nel prossimo campionato?”

“Perché non avete dato la notizia prima? A quanto pare siete in trattativa da settimane…”

Il Signor Baumann stava per rispondere all’ultima domanda ma fu inaspettatamente preceduto da Schneider che con voce calma e sguardo impassibile disse “Perché non c’era alcun bisogno di comunicare la notizia…”

“Che intende dire?” chiese una giovane giornalista bionda che sedeva in prima fila davanti a lui.

“Intendo dire che non abbiamo diffuso la notizia delle trattative perché non abbiamo portato avanti nessuna trattativa.”

La risposta del capitano tedesco lasciò interdetti tutti i presenti.

“Vuol dire che lei non ha accettato le proposte che le sono state fatte?”

“Esatto…” rispose Karl asciutto senza scomporsi minimamente.

Sanae per l’ennesima volta in pochi minuti si sentì mancare: lui aveva deciso di non accettare le proposte che gli erano state fatte!

Per niente soddisfatta la giovane giornalista di fronte a lui, continuò imperterrita “Perché ha rifiutato le proposte? Da quanto sappiamo sia un club italiano che uno inglese farebbero carte false per averla…si tratta di due delle squadre più forti al mondo…”

“E’ semplice…non ho intenzione di lasciare Amburgo…in questo momento ho altre priorità…” Karl osservò la reporter con due occhi glaciali, ma lei ancor più incalzante gli chiese con aria tra lo stupefatto e l’incredulo “E cosa ci sarebbe di più importante dell’accettare un’offerta che la farebbe diventare un giocatore ancora più famoso di quello che è? Quale sarebbe la sua priorità in questo momento?”

Karl rimase per un attimo in silenzio, poi con un sorriso appena accennato sulle labbra, lentamente tolse lo sguardo dalla giornalista per rivolgerlo verso la parte opposta della platea dove era seduta Sanae.

Sanae si trovò a fissare gli occhi di Karl mentre un fremito incontrollabile le attraversava tutto il corpo.

Quando sentì le parole del capitano tedesco credette per un attimo di morire all’istante su quella poltrona.

Karl puntò il suo sguardo sulla donna che amava alla follia e in modo deciso rispose al microfono “Chiedere alla donna che amo di diventare mia moglie…e con lei decidere che cosa ne sarà del nostro futuro…”

Il pubblico in platea si mise a vociferare ancor più forte, mentre la bionda giornalista rimasta di sasso di fronte alla risposta inaspettata del campione tedesco, si lasciò cadere sulla poltrona senza chiedere altro.

Genzo con un sorriso trionfante sul volto, si appoggiò allo schienale della poltrona per poi girarsi ad osservare Sanae: adesso aveva finalmente capito il vero motivo per cui Karl non gli aveva detto nulla a proposito delle trattative…lui non le aveva mai neanche prese in considerazione ed il motivo per cui non lo aveva fatto, stava seduto in quel momento lì accanto a lui.

Karl e Sanae rimasero a guardarsi da lontano per un tempo che ad entrambi parve infinito: nessuno dei due sembrava accorgersi delle persone intorno a loro…era come se in quella stanza gremita da decine di persone, in realtà ci fossero solo loro due.

Ad un certo punto il Signor Baumann, di fronte al putiferio scatenato dall’ennesima dichiarazione del capitano tedesco, pose fine alla conferenza stampa.



Sanae rimase immobilizzata sulla poltrona…non riusciva quasi a respirare; temeva che se solo avesse fatto il minimo movimento, l’incantesimo si sarebbe spezzato, magari rivelandole che si era trattato solo di un sogno.

Sentì Genzo afferrarla per la mano e dirle qualcosa che lei, completamente stranita, quasi non riuscì a capire “Forza Cenerentola…il Principe ci aspetta…”

Senza rendersene conto si ritrovò con l’amico nel retro della sala conferenze; vide passarle accanto alcune persone dirette verso l’uscita e all’improvviso Karl girare l’angolo e venire verso di loro; abbassò per un attimo lo sguardo nel tentativo di placare il battito impazzito del suo cuore.

Karl vide Genzo nel corridoio semideserto e accanto a lui Sanae che con un’espressione indecifrabile, fissava il pavimento.

Sentì il suo cuore battere ad un ritmo irregolare mentre avanzava verso di loro: mille timori e incertezze lo stavano divorando, mentre si apprestava a conoscere la reazione che la donna che amava aveva avuto di fronte alla sua proposta pubblica.

Si fermò di fronte a loro e incrociò lo sguardo di Sanae che sentendolo avvicinare, aveva alzato il viso verso di lui.

“Mi dispiace Karl…ma non posso proprio accettare la tua proposta di matrimonio…è un impegno troppo serio per me…e io non mi sento ancora pronto…”

Inarcando un sopracciglio e con un sorriso mezzo divertito il biondo capitano ribattè “Cercherò di farmene una ragione…Wakabayashi…”

Dopo quello scambio di battute, i due amici si scambiarono un sorriso d’intesa, poi Genzo, strizzandogli l’occhio e mettendogli una mano sulla spalla, lo oltrepassò lasciandoli soli.

Rimasero in piedi, uno di fronte all’altra.

Karl si avvicinò ancor più a lei e con un sorriso che nascondeva una tensione incredibile le chiese sfiorandole con il dorso della mano una guancia “E tu cosa mi rispondi…?”

Sanae chiuse gli occhi per un attimo assaporando al massimo quel dolce contatto e non riuscendo più a trattenere le emozioni che aveva dentro, cominciò a piangere di fronte a lui.

Karl con voce tremante le disse “Devo prenderlo come un sì?”

Lei con un sorriso raggiante gli saltò al collo e lo strinse con tutta la forza che aveva, dicendogli tra le lacrime “Sì…Sì…Sì…”

Lui al massimo della felicità la strinse a sua volta a sé, mentre con il cuore in gola le sussurrava all’orecchio “Ti amo Sanae…sei tutta la mia vita…”

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Capitolo 32
*** Il cielo azzurro di primavera ***


E con questo capitolo arriviamo finalmente alla fine della mia storia.


Solo due righe per ringraziarvi TUTTE, davvero...grazie mille per il vostro appoggio, i vostri commenti e suggerimenti.


La cosa di cui sono più felice è sapere che sono riuscita a farvi battere un po’ il cuoricino…anche se forse non c’è il finale che alcune avrebbero voluto.


Per me però non poteva andare diversamente, il finale poteva essere solo questo…perché sono convinta che l’amore, anche il più grande, non possa cancellare il dolore che lascia dietro di sé.


Dedicato a Tutte Voi


Ale Kanou





Capitolo 32: Il cielo azzurro di primavera

Muovendosi sotto le lenzuola Karl allungò la mano per stringere Sanae ma non la trovò al suo fianco. Dopo aver acceso la lampada accanto a lui, si alzò e dopo essersi infilato i boxer che giacevano ai piedi del letto, si diresse in salotto.

La casa a quell’ora di notte era avvolta nel buio e nel silenzio più totale; la luce proveniente dalla camera illuminava debolmente la stanza e nella penombra la vide seduta sulla poltrona vicino alla finestra: indossava la sua maglia, di parecchie taglie più grande e che le copriva per metà le cosce; se ne stava con le gambe raccolte al petto ed il mento appoggiato alle ginocchia, osservando le luci della città sotto di loro.

Lui si avvicinò senza dire niente e si sedette sul tavolino di fronte a lei.

Sentendo dei passi Sanae alzò la testa e lo vide avvicinarsi a lei.

Karl sfiorandole una guancia le bisbigliò “Hey che succede tesoro? Cosa ci fai qui al buio?”

Lei sorrise ma non rispose niente, abbassando lo sguardo.

Karl le prese allora il viso tra le mani e con dolcezza lo alzò ancora verso il suo “Sanae che cosa c’è?”

Il silenzio della ragazza lo preoccupava.

“Nulla, stavo solo pensando.”

“A cosa?”

Guardandolo diritto negli occhi lei rispose titubante “A quello che è successo oggi alla conferenza stampa …a quello che mi hai detto…a noi due…”

Karl si sentì subito stringere lo stomaco dall’ansia mentre angoscianti dubbi cominciarono ad assalirlo “Perché? Hai…hai forse cambiato idea riguardo a noi due…alla mia proposta?”

Lei premendosi gli occhi con le mani e sorridendo nervosamente gli disse “No Karl…non ho cambiato idea…quando oggi mi hai chiesto di diventare tua moglie mi hai reso la persona più felice del mondo. Quello che desidero di più è stare con te…”

A quelle parole lui si sentì all’istante sollevato, pur continuando a non a capire che cosa preoccupasse la ragazza. “E allora che cosa c’è Sanae?…Perché sei così pensierosa?”

Sospirando lei si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra guardando fuori e dandogli le spalle. “Il fatto è che io ho paura Karl…”

Il capitano tedesco si avvicinò a lei e mettendole le mani sulle spalle la girò verso di lui per tornare a guardarla “Paura di cosa?”

Mordendosi un labbro e guardandolo con un’espressione preoccupata Sanae gli disse “Karl io ho paura che un giorno tu ti possa pentire della scelta che hai fatto…”

Karl la guardò con aria stupita ma lei proseguì “Hai rifiutato quelle proposte…Sì insomma è la tua carriera…è importante per te Karl…il calcio è tutta la tua vit…”

Lui non le fece finire la frase; le chiuse le labbra con un dito e sorridendole in modo dolcissimo le disse “No Sanae…il calcio non è tutta la mia vita…sei TU la mia vita.”

“Ma io non voglio che tu rinunci per causa mia…” tentò di obiettare lei ma lui proseguì deciso “Io ti amo Sanae…più di ogni altra cosa…ti amo dal giorno che ti ho vista con uno spazzolino da denti in bocca…”

A quelle parole lei si lasciò sfuggire una debole risata che celava in realtà un’immensa emozione, mentre con il ricordo tornava al loro primo incontro; la determinazione che sentiva nelle parole del ragazzo le impedì però di replicare, mentre con un groppo in gola lo osservava parlare.

“Come puoi pensare che per me sia un sacrificio stare con te? Sanae senza di te nulla avrebbe senso…nemmeno il calcio. Una volta tu mi hai fatto promettere di non rinunciare mai ai miei sogni…Beh io l’ho fatto Sanae…Io voglio passare tutta la mia vita al tuo fianco…è questo il mio sogno…”

Trattenendo a stento le lacrime lei si buttò tra le sue braccia sussurrandogli con voce incrinata dall’emozione “Oh Karl…io ti amo così tanto…”

Le parole determinate del capitano tedesco ed il suo sguardo deciso ed irremovibile mentre le pronunciava, erano riusciti ad allontanare da lei tutti i suoi dubbi e le sue paure e soprattutto le avevano fatto capire che come per lei, anche per lui il loro sogno d’amore contava più di tutto.

Sorridendo il capitano tedesco si chinò su di lei e la baciò delicatamente; poi prendendola in braccio la riportò in camera da letto e dopo averle sfilato la maglia, la depose nuda sul letto, sdraiandosi sopra di lei e cominciando a baciarla appassionatamente.




“…NOZZE IN VISTA PER IL GRANDE CAMPIONE TEDESCO…”

“Karl Heinz Schneider, capitano della squadra dell’Amburgo, due volte vincitrice della Bundesliga negli ultimi due anni, convolerà presto a nozze.

La notizia è trapelata qualche settimana fa quando il campione tedesco durante una conferenza stampa ha pubblicamente ammesso la cosa. Vedremo ancora Schneider vestire la maglia bianco rossa per le prossime stagioni, dal momento che il campione ha firmato un contratto di altri tre anni con la società tedesca, rifiutando ingaggi milionari da parte di alcuni dei più grandi club calcistici europei.

E pare che la decisione di rimanere in Germania dipenda proprio dalla donna che ha conquistato il cuore del bellissimo attaccante.

Nulla è ancora trapelato sull’identità della futura sposa però; certo è che la notizia del suo matrimonio ha lasciato migliaia di cuori infranti tra le sue ammiratrici.

Il matrimonio pare si celebrerà in primavera…nulla si sa però sulla data ufficiale o sul luogo dove verrà celebrato: il capitano tedesco ancora una volta ha dimostrato il massimo riserbo sulla sua vita privata…”



Con un sorriso amaro Tsubasa appoggiò la rivista sportiva sul sedile accanto al suo.

Rivaul lo guardò preoccupato: anche lui aveva visto quell’articolo ma non aveva ritenuto opportuno tenerlo nascosto all’amico; non sarebbe servito a niente, prima o poi la notizia del matrimonio di Schneider gli sarebbe comunque arrivata, in un modo o nell’altro.

L’articolo non faceva alcun cenno al nome della ragazza che il campione tedesco doveva sposare, ma lui sapeva di chi si trattava…e anche Tsubasa lo sapeva perfettamente.

“Tutto ok?” chiese al giapponese che in quel momento stava guardando fuori dal finestrino dell’aereo.

Tsubasa sospirando, fece solo un cenno con la testa; ritornò per un momento con la mente ad un viaggio aereo analogo che qualche mese prima lo aveva portato via dalla Germania con il cuore a pezzi.

Quella volta ad Amburgo aveva lasciato tutto: il suo cuore, i suoi sogni, il suo passato, la donna che aveva amato fin da ragazzo e che non sarebbe mai riuscito a dimenticare in tutta la sua vita.

Continuando ad osservare il cielo, che immobile ed immutabile scorreva davanti ai suoi occhi, si mise a meditare sulla sua vita: all’età di ventitre anni si ritrovava uno dei più grandi campioni di calcio di tutto il mondo…aveva realizzato il suo sogno.

Già…aveva realizzato il sogno di una vita intera…ma a che prezzo? Aveva rinunciato a qualcosa che in realtà valeva molto più di quel sogno…aveva rinunciato a lei.

Purtroppo non era stato capace di coltivare il dolce sentimento che un tempo li aveva uniti.

Era solo un ragazzino acerbo e completamente inesperto di sentimenti quando aveva deciso di lasciare il Giappone per rincorrere il sogno di una vita.

Adesso invece era un uomo maturo e certo se gli fosse stata data una seconda possibilità, non avrebbe avuto alcun dubbio sulla cosa giusta da fare: sarebbe stato pronto a lasciare tutto per lei; avrebbe lasciato anche il calcio seduta stante se fosse stato necessario per poterla riavere.

Ma purtroppo era troppo tardi…lei se ne era andata per sempre. Un altro uomo le aveva rubato il cuore, un uomo che aveva capito cosa era veramente importante nella vita…che per lei aveva messo in secondo piano tutto, persino la sua carriera.

Chiuse gli occhi lasciando riemergere il ricordo di due splendidi occhi nocciola e di un sorriso dolcissimo che non avrebbe mai più rivisto, ma che sapeva perfettamente non avrebbe mai dimenticato.



Sanae era seduta davanti allo specchio e osservava l’immagine riflessa in esso. Era emozionantissima e molto nervosa: dopo mesi di trepidante attesa il grande giorno era finalmente arrivato; lei e Karl quel giorno si sarebbero promessi amore eterno e lei sarebbe diventata sua moglie.

D’un tratto la porta si aprì e Yukari entrò con in mano uno splendido ed enorme bouquet di iris azzurri…i suoi fiori preferiti da sempre.

“Sanae questi sono appena arrivati…guarda non sono una meraviglia? Chissà chi te li manda? A proposito sbrigati o lo sposo penserà che hai cambiato idea…noi siamo tutti pronti.”

Lei sorpresa prese tra le mani i fiori, rimirandoli e annusando il loro delicato profumo: era uno dei più bei regali che avesse ricevuto in quei giorni; evidentemente chi le aveva fatto quello splendido omaggio la conosceva bene, anche se lei non riusciva a capire chi potesse aver avuto un pensiero così bello.

Senza sapere il perché sentì un brivido attraversarle la schiena.

In mezzo al bouquet intravide una piccola busta; la aprì e lesse le poche parole scritte sul biglietto “Ti auguro tutta la felicità di questo mondo.”

Il biglietto non era autografato.

Il suo cuore ebbe un sussulto e in un attimo sentì un groppo stringerle la gola; senza volerlo cominciò a singhiozzare stringendo a sé il mazzo di fiori.

Yukari che si era per un attimo allontanata per andare a rispondere alla madre della sposa che l’aveva chiamata dal piano inferiore, quando rientrò e la vide piangere sommessamente, si avvicinò subito a lei preoccupata. “Sanae tesoro…che succede…perché stai piangendo?”

Sanae stringendo gli occhi e tentando di frenare l’emozione che le stava serrando il cuore, alzò il viso verso l’amica e porgendole il biglietto, tra le lacrime le disse con un fil di voce “Tsubasa…”

Yukari osservò a sua volta la frase scritta in giapponese e anche lei si sentì subito serrare la gola “Oh Sanae…” disse stringendo a sé la ragazza che si abbandonò ancora singhiozzante tra le sue braccia: sapeva perfettamente cosa quel messaggio significasse per l’amica.

In fondo sapeva che nonostante tutto quello che le era successo, in una parte remota del suo cuore Sanae non aveva mai smesso di volere bene al suo ex capitano, anche se il sentimento che la univa a lui ormai non aveva niente a che fare con l’amore che adesso la legava a Karl.

Dopo averle asciugato il viso con un fazzoletto Yukari le sussurrò dolcemente “Vieni…ti aiuto a risistemare il trucco…”

Cercando di ricacciare indietro la tristezza e il magone che l’avevano travolta, Sanae sorrise alla sua migliore amica rispondendole “Sì…Karl mi sta aspettando…”

Prima di uscire dalla camera Yukari la vide sfilare un iris e infilarlo al centro del suo bouquet da sposa tutto composto da rose bianche: dopo mille incomprensioni, dopo il dolore, dopo il rancore, Sanae e Tsubasa in quel giorno erano di nuovo vicini.




In quello splendido pomeriggio di Maggio, la piccola chiesa alla periferia di Amburgo era gremita di invitati in trepida attesa della sposa.

Karl aspettava nervosissimo davanti all’altare, continuando a torturarsi il colletto della camicia bianca e il nodo della cravatta.

Genzo in piedi accanto a lui lo osservava divertito: non lo aveva mai visto così nervoso, neanche prima di una finale…“certo che l’amore gioca proprio brutti scherzi”…si ritrovò a pensare tra sé, mentre distoglieva lo sguardo dall’amico per dirigerlo verso l’orologio al suo polso.

Improvvisamente il chiacchiericcio degli invitati fu interrotto dalle note dell’Ave Maria di Schubert, mentre il portone in fondo alla chiesa si spalancò lasciando entrare alcuni caldi raggi di sole che illuminarono le prime arcate e il lungo tappeto blu steso sul pavimento di marmo.

Sanae scese dalla macchina e per un attimo osservò il cielo azzurro e terso sopra di lei: per un attimo un ricordo riaffiorò nella sua mente…il ricordo di un cielo azzurro uguale a quello che stava guardando in quel momento, e che tanti anni prima lei, in una tiepida giornata di Aprile, aveva osservato dalla camera di un ospedale.

Quel giorno osservando l’intenso azzurro di quel cielo, era stata pervasa da una pace interiore che da tempo non provava e aveva sentito qualcosa dentro di lei cambiare…quel giorno aveva deciso di reagire al suo dolore, di fare di tutto per uscire dall’incubo in cui era caduta...quel giorno aveva iniziato una nuova vita.

Abbassando lo sguardo e sorridendo leggermente, con il cuore in gola e sotto braccio al padre, fece il suo ingresso in chiesa, passando lentamente di fianco ai banchi degli invitati che la fissarono sfilare accanto a loro, completamente rapiti dalla sua meravigliosa e semplice bellezza.

Tutta la squadra dell’Amburgo sedeva nella navata destra insieme ai parenti più stretti di Karl e ad altri amici.

Karol e Kristine con un groppo in gola guardarono l’amica che radiosa sfilò accanto a loro, mentre la madre ed i nonni di Sanae in prima fila emozionati più di tutti, vedendo la loro bambina non riuscirono a trattenere le lacrime, ripensando a tutto quello che aveva passato e immensamente felici perché lei finalmente aveva trovato la felicità.

Genzo vide Sanae avvicinarsi a loro e per un attimo i due ragazzi giapponesi si guardarono e si sorrisero in modo complice…era felicissimo per l’amica che finalmente dopo tanto dolore aveva realizzato il suo sogno d’amore con il suo miglior amico.

Sanae, stringendosi saldamente al braccio del padre nel tentativo di placare il battito impazzito del suo cuore, avanzò lentamente verso l’altare dove Karl la stava aspettando insieme ai loro due testimoni (Yukari e Genzo).

Mentre emozionata ascoltava la dolce e triste melodia di Schubert, osservò per un attimo il fiore blu che spiccava al centro del suo bouquet per poi tornare con lo sguardo ai due ragazzi in piedi di fronte all’altare.

I suoi pensieri andarono a quei tre uomini che in modo diverso avevano inesorabilmente cambiato la sua vita.

Tsubasa…il suo passato…tutto quello che avrebbe voluto e che mai era stato; il suo primo e infinito amore che mai…mai avrebbe potuto e voluto scordare; il ragazzo a cui sarebbe per sempre appartenuta una parte del suo cuore…nonostante tutto un dolce ricordo…

Genzo…il suo migliore amico…il ragazzo che l’aveva salvata e che l’aveva aiutata a riemergere dalle tenebre…una delle persone più importanti di tutta la sua vita e a cui mai avrebbe potuto rinunciare…

Karl…il suo presente…il suo meraviglioso presente…colui che le aveva restituito la felicità, che le aveva riaperto il cuore…l’uomo che lei amava alla follia e accanto al quale avrebbe trascorso tutta la sua vita…


Karl con un nodo che gli serrava lo stomaco guardò avanzare verso di lui la donna che amava.

Mille ricordi riemersero prorompenti nella sua mente mentre incantato, la osservava sfilare avvolta in un bellissimo e semplice abito bianco…

Il ricordo di una ragazza che gridava in mezzo ad un campo di calcio…

Una ragazza con i capelli scompigliati e uno spazzolino da denti in bocca…

Un angelo vestito di bianco che giocava con le onde del mare illuminata dai raggi del primo sole del mattino…

I fuochi d’artificio in una magica notte di primavera…

L’ingresso di un parco ed un dolcissimo bacio…

Una corsa in motocicletta…

Una ragazza disperata che gli gridava tutta la cruda realtà del suo passato…

La dolcezza di una meravigliosa frase d’amore sussurrata nel buio di una stanza…

Un’indimenticabile notte d’amore che aveva suggellato per sempre la loro unione.


Lasciando il braccio del padre, Sanae si avvicinò ai due giocatori tedeschi e dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con Genzo e avergli sorriso, rivolse lo sguardo radioso verso Karl che, evidentemente emozionato quanto lei, ricambiò il suo sorriso e chinandosi su di lei, le sfiorò le labbra con un bacio dolcissimo per poi tornare a guardarla con sguardo carico d’amore.

Lei si ritrovò a perdersi completamente in quei due meravigliosi occhi…due occhi azzurri…come il cielo azzurro di primavera…il cielo di quella splendida giornata che sanciva l’inizio di una nuova vita per lei.




EPILOGO
Il ragazzo si tolse la maglia e scese rapidamente i gradini che portavano verso gli spogliatoi; era stata un’altra giornata di duro allenamento e il suo unico desiderio in quel momento era infilarsi sotto una doccia bollente e andare a casa il più velocemente possibile.

Dopo essersi cambiato e aver salutato gli amici, stava per uscire dalla hall del complesso sportivo quando una voce lo trattenne; girandosi verso il banco della reception incontrò l’ormai noto viso rubicondo del portinaio “E’ arrivato questo per lei stamattina…”

Lui prese dalle mani dell’uomo un piccolo pacchetto avvolto in una carta regalo azzurra; lo rigirò distrattamente per qualche secondo senza prestarvi molta attenzione (l’ennesimo regalo di un fan pensò tra sé), mentre rispondeva con un sorriso e con un gesto della mano al suo interlocutore che lo incitava per la partita del giorno seguente.

Attraversò velocemente l’ampio parcheggio privato, sfilando dalla tasca dei pantaloni le chiavi della macchina e premendo il tasto di apertura automatica.

Appoggiò il borsone sportivo sul sedile posteriore pronto ad infilarsi nell’abitacolo dell’automobile sportiva, quando si ritrovò a guardare nuovamente il pacchetto che aveva ancora in mano.

Senza sapere il perché, senza pensarci lo aprì, ma quando si ritrovò ad osservarne il contenuto, sentì improvvisamente il cuore fermarsi per un attimo e un fremito attraversargli tutto il corpo.

Una rosa bianca ed un iris azzurro erano legati da una fascetta rossa, mentre un piccolo biglietto agganciato alla fascia diceva semplicemente “Arigatou” (Grazie).

Strinse tra le dita quel piccolo e semplice dono non riuscendo a soffocare la tristezza che si era impadronita di lui; sfiorò lentamente con le dita quel semplice pezzo di stoffa, mentre nella sua mente riemergeva prorompente il ricordo della meravigliosa ragazza che per anni lo aveva indossato, legato sulla fronte.

Si ritrovò a sorridere…leggermente…amaramente, mentre dirigeva il suo sguardo verso la sfera infuocata che lentamente stava scomparendo all’orizzonte, in quella tiepida, primaverile sera spagnola.



A Franca…la mia più cara amica che per amore si è persa…per sempre…

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