Capitolo
1. C'e' qualcuno nel buio
Andate
fiduciosi nella direzione dei vostri sogni, vivete la vita che avete
sempre immaginato
(Henry David
Thoreau)
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Si
passò una mano tra i capelli scompigliati, contrastando
l’intento del vento che glieli gettava alla rinfusa sul viso.
Un’intensa aria impregnata di umidità portava con
sé l’inconfondibile odore della pioggia.
L’arrivo di un temporale era imminente, tuttavia rimase
ancorato alla finestra, ascoltando il fruscio delle foglie che si
dimenavano sulle fronde degli alberi. Il buio inghiottiva ogni cosa e
impediva ad occhi umani di scorgere oltre il limitare del giardino.
Roxas tamburellò nervosamente le dita sul cornicione,
domandandosi per la millesima volta il motivo per cui si erano
trasferiti in quello sputo di terra, situato in chissà quale
zona dell’America.
La risposta la sapeva eccome, ma in situazioni come quelle se ne
dimenticava sempre.
Correva l’anno 1943 e gli orrori della guerra imperversavano
ovunque. Assieme a suo fratello maggiore, era stato allontanato dalla
città natia, nella speranza di ritrovare un po’ di
quiete nell’inoltrata campagna fino a che non fosse finita.
L’arrivo dei nuovi venuti aveva suscitato
un’immensa sorpresa negli abitanti del paese che con il loro
esagerato calore, avevano subito insinuato in Roxas il dubbio che
stessero nascondendo qualcosa.
Ovviamente, per i genitori era tutto il contrario. Sorridevano radiosi
e il ragazzo si stupì nel constatare che era da tempo che
non li vedeva così felici.
-Disgustoso. Non capisco quali motivi si possa avere per andare fieri
di un trasloco simile. Qui c’è il nulla!-
Sentenziò Riku, riavviandosi una ciocca di capelli azzurri,
lunghi fino a poco oltre le spalle.
Il biondino non rispose e si limitò ad osservare, ma non ci
mise molto ad ammettere che il fratello aveva ragione. Serio e cupo,
fissò il paesaggio e si domandò se era quello il
luogo dove avrebbero trascorso l’immediato futuro.
Il vento soffiava continuamente, emettendo sibili sinistri ogni volta
che spirava sulle chiome degli alberi e scuoteva i loro rami simili ad
artigli dalla forma minacciosa, che nemmeno i germogli dal colorito
verde acceso riuscivano a nascondere.
Le case sorgevano tutte vicino al paese, distante a qualche centinaio
di metri dalla villetta dove si erano stanziati i nuovi venuti.
-Sei pronto ad iniziare una nuova vita, Roxy?- Disse fra sé
–Pensa te che culo-
***
Richiusa la
finestra, lo assalì un senso di inquietudine. Si impose di
rilassarsi, ma non riuscì a reprimere quella sensazione.
“Ma che diavolo mi prende?” Si domandò,
chiudendo gli occhi e sospirando. “devo smetterla...
andrò a farmi un bagno, è quello che ci
vuole.”
Poco dopo, privatosi dei suoi indumenti, il ragazzo entrò
nell’acqua calda e fumante della vasca, avvertendo
immediatamente un senso di piacere. Avvolto dalla dolce fragranza del
bagnoschiuma, immerse gran parte del corpo, lasciando scoperta solo
metà della fronte e gli occhi.
“Ora va molto meglio... è solo questione di
abitudine e...”
Non finì il pensiero.
Con la coda dell’occhio, catturò un movimento
oltre la soglia del bagno, in corridoio.
Si mise a sedere e voltò la testa, ma non vide nulla.
Udì solo un rumore di passi felpati, quasi impercettibili.
Era sicuro di avere scorto qualcuno camminare lungo il corridoio...
Una cosa era certa: dopo il bagno, non vi erano altre stanze se non la
sua, quindi, chiunque fosse, era diretto lì.
Gettò velocemente un’occhiata
all’orologio appeso sopra la parete e vide che segnava la
mezzanotte e mezza.
“Sveglio a quest’ora è
senz’altro mio fratello...che vorrà
mai?”
Si alzò e si avvolse l’asciugamano sui fianchi,
rivelando un petto poco muscoloso ma ben scolpito.
Punti interrogativi si fecero largo nella sua mente, non appena
notò la porta chiusa della sua camera.
“Ma che strano...avrei dovuto sentire se l’avesse
chiusa...” Il cuore iniziò a battergli forte senza
un motivo preciso e strinse l’asciugamano con forza.
“Devo essermi proprio rincoglionito...Ma che vado a
pensare?” Scosse la testa e proseguì lungo il
corridoio, tenendo gli occhi fissi sul legno scuro e scrostato della
porta per poi tendere una mano e cercare a tentoni la maniglia.
Esitò un attimo, poi la abbassò con decisione e,
come un corridore che scatta al segno di partenza, varcò
l’uscio della sua camera.
Gli occhi blu come il mare del ragazzo percorsero ogni metro della
stanza, guizzando velocemente da un muro all’altro per
scorgere -sperando nell’intento- l’alta e
atletica figura del fratello.
L’unico movimento che però colse fu quello
frenetico delle tende, frustate dall’impetuosa corrente del
vento.
“Ero così sicuro...Roxas, sei un emerito
deficiente!” Pensò, dandosi un paio di timidi
pugni sulla testa.
La scarica però cessò quando rivolse di nuovo lo
sguardo alla finestra e nella mente gli balenò un pensiero,
veloce e tagliente come la linea che separa la luce
dall’ombra: “Ma io avevo chiuso la
finestra!” Spalancò gli occhi e a dispetto del
volere del loro padrone, le gambe iniziarono a indietreggiare fino a
indurre Roxas a voltarsi e a correre fuori.
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