Aveva promesso che saremmo rimasti insieme per sempre
Aveva promesso che saremmo
rimasti insieme per sempre.
Ho ancora impresso nel
tempo quell’odore di ciliegie e foglie fresche. La mia pelle era liscia ed
elastica, e sorridevo di giovinezza.
Era bello essere consapevoli
della propria piccola età. Anagrafica o meno che fosse, non risuonava alle
spalle come una condanna. Il peso dei dolori e delle esperienze si riduceva alle
banali liti con gli amici, bronci per via di genitori troppo intransigenti,
ragazzine che non si accorgevano di noi.
E poi c’era lei.
Fumava con disinvoltura le sue
sigarette, che sparpagliava accuratamente ovunque. Odorava di una fraganza
strana, tabacco, un profumo forte e sicuramente assai costoso. Odorava di vita e
di zucchero e caramello.
Tutti ne parlavano come se
fosse un oggetto privo di valore, ed erano in grado solo di sminuirne la grazia
e la leggiadria. Osservavano le sue curve sinuose con i loro occhi volgari, e
con le loro lingue maligne immaginavano di compire chissà quali straordinarie
azioni su quel corpo flessuoso e - ne ero certo - ancora totalmente vergine.
Disegnavo ovunque il suo
viso dolce, leggermente paffuto, con le labbra piene e rosse, il naso ben
dritto, gli occhi grandi e pieni di espressione. Ogni volta che lei veniva
inconsapevolmente sminuita, io le restituivo la gloria tentando di rendere a
pieno l’espressione di quel viso giovane, la dolce curva di quel sorriso
enigmatico e attraente.
Mi raccontò, sedici anni
dopo, di fronte a un bicchiere di vino, di aver subìto violenza sessuale proprio
durante gli anni del liceo, con una regolarità spaventosamente precisa,
logicamente calcolata.
Pianse, stringendosi nello
scialle: era già più anziana e più segnata dai tormenti, ma uguale a come
l’avevo conosciuta - e sognata - tempo addietro. Aveva trentadue anni e
desiderava solo morire, disse. Quando le lacrime, scivolando giù per le sue
guance, caddero sul bancone, nel bicchiere e sul suo grembo, mi alzai e la presi
tra le braccia, ignorando il terrore e il rimorso che erano appena lampeggiati
nei suoi occhi già colmi di sofferenza. E quando poi la strinsi, giurando su
ogni dio e ogni stella del firmamento che mai e poi mai sarei stato in grado di
farle del male, ricordo solo che mi scrutò con occhi luminosi e ancora umidi di
dolore e bisbigliò: “Ti credo.”
Fu una notte di tanti inizi.
Dov’è la mia speranza?
E che te ne farai, di tutta
questa rabbia?
L’abisso aveva la forma dei
suoi occhi, dal taglio morbido e dalle folte ciglia scure. Gli occhi che
splendevano erano di un colore caldo e facilmente definibile. Era bella come
solo coloro che non hanno considerazione di sé, ma vogliono solo distruggersi,
sanno esserlo. Si vergognava di essere così bianca e bruna al contempo, e, man
mano che il tempo passava, si vergognava sempre di più delle dita ingiallite e
dei denti anneriti.
“Come puoi amarmi”, ripeteva
spesso “se sei ben consapevole di ciò che sono diventata? Se sei ben consapevole
di ciò che voglio farmi?
Un giorno, uno dei tanti,
si scrutava cupamente allo specchio. Con una mano arrotolava a casaccio una
ciocca di capelli intorno alle dita, con l’altra si ispezionava il viso e il
collo, alla ricerca disperata e maniacale dei segni dell’età.
Ero seduto dietro di lei, e nei
miei disegni a inchiostro e china il soggetto era sempre lo stesso: una giovane
donna impassibile, eterna nei suoi sedici anni, che aspira lunghe e avide
boccate di sigaretta, appoggiata con noncuranza al muro della scuola. I segni
della violenza erano ben celati dai vestiti aderenti, pensai poi. Una bambina
che non crescerà mai più.
Piccolo fiore luminoso, mio
adorato fiore.
Come hanno potuto?
Nei miei ricordi, la scena
è sempre la stessa, perfetta ed immutabile: la donna si scruta con occhi tristi
allo specchio, e l’uomo dalla barba folta e scura è seduto dietro di lei, ben
disteso sul letto, e la guarda con occhi sgranati, come se tutto fosse in realtà
un sogno scheggiato, un meraviglioso capolavoro imperfetto.
Nei miei ricordi, è questa
l’eternità.
Lui mi ha…
No, non parlare.
Io ho cercato di…
No, taci, no, no.
Fa’ una giravolta su te
stessa, fa’ ruotare la tua gonna, fa’ la ruota e ridi.
Gira più veloce, bambina! Più
veloce!
Continua a ridere, perché
niente qui ti scalfirà. Resterai piccola e a piedi nudi sulla riva del lago.
Vedo l’acqua trasparente e fresca lambire le tue gambe morbide, e se non stai
attenta inumidirà l’orlo della tua gonna. E poi mamma ti rimprovererà, e non ti
darà da mangiare le fragole, come aveva promesso.
Sarà un giorno perfetto, come
quelli che hai sempre desiderato. Avrai da bere e da giocare in abbondanza.
Mamma e papà saranno felici di vederti così spensierata. Insisterai per
toglierti le scarpe e loro acconsentiranno. Ti imboccheranno a turno, mangerai
un panino, una fetta di crostata ai mirtilli, e tutte le fragole che vorrai.
Loro parleranno di cose gradevoli e tu starai a sentire: diranno cose che ancora
non sei in grado di comprendere pienamente, ma che ti ispireranno serenità.
Correrai sulle tue gambe
instabili sino al lago, che ti sarà amico. Un giorno, quando sarai più grande,
papà ti porterà a fare una nuotata.
Non ci saranno incubi, in
questa radura piena di sole e di piante. Sentirai il terreno fresco sotto i
piedi, e strapperai ciuffi di erba e li porterai in dono a tua madre assieme ai
fiori che raccoglierai, dopo averli immersi nell’acqua. Glieli poserai in
grembo, ancora bagnati, e lei riderà contenta, ma solo dopo averti baciata e
ringraziata.
Io sarò lì, nascosto tra le
foglie. Avrò la tua stessa età, o forse qualche anno in più, e veglierò su di
te. Aspetterò che tu vada avanti nel tempo, che tu corra le tue gioie e le tue
paure con la tua foga e la tua passione ardente, e ti proteggerò da ogni incubo
che verrà a bussare alla tua porta. Avrai di nuovo sedici anni e sarai felice,
il tuo corpo, sotto i vestiti aderenti, sarà sano.
Quando avrai trentadue anni
sarai una donna affermata in un lavoro che ti piacerà. Io continuerò a seguirti,
implacabile, vigile e attento.
Quando ci incontreremo
casualmente in quel bar, stringendoti nello scialle per il semplice freddo
fisico, dichiarerai con aria di sfida che ti senti sola e hai bisogno di un po’
di compagnia.
Quando, al mattino dopo, mi
rivestirò per andarmene, non mi fermerai. Mi guarderai sfilare sotto i tuoi
occhi annoiati e ti riaddormenterai dopo pochi minuti.
I vuoti dentro di te
combaceranno ai miei, ma non sarai mai in grado di ammetterlo.
Ti terrò stretta a me,
nell’unica notte in cui ti avrò, e poi tornerò a proteggerti con inquietudine,
aspettando che il sollievo accolga anche me.
E poi, forse, cadrò di nuovo in
ginocchio di fronte alle tue paure, come è successo in questa vita e come non
succederà nella prossima che avrai, lontana da me (ma io, io non potrò mai
essere lontano da te) e dal dolore di oggi.
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