Che big sono? Super rrrrapidaaaa.
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1.
I capelli ricadono soffici di vento sulle spalle e ti ispirano
i sensi di miele e di grano.
I suoi occhi attenti sembrano piccole pietre di onice,
levigate e splendenti.
La sua pelle risplende di tonalità chiare,
leggermente rosata sulle gote e il suo sorriso candido è
incorniciato da labbra carnose e morbide persino allo sguardo.
Non posso far altro se non aggrapparmi a quel senso di disagio
che mi mette il non sapermi comportare di fronte ad una tale persona.
“Oh. Chi sei?”
Ha la voce di un cigno.
“Sono Efigenia Dànai. La nuova
studentessa.”
Sembra sorpresa e si alza di colpo dalla cattedra, rendendo la
presa ferrea attorno al mio povero stomaco ancora più
serrata.
Che sensazione...
“Come mai sei già in classe? Non hai
visto che i tuoi coetanei sono ancora tutti fuori?”
Sembra quasi felice della mia presenza.
Mi fissa come se fossi una specie sconosciuta di leprotto, o
qualcosa di simile.
O almeno, l’impressione che ho è questa.
“Mi sembra scortese ritardare così di
proposito alla lezione.”
Un leprotto bianco con la fissa del ritardo.
Sogghigna.
“Cambierai idea tra un paio di mesi, quando ti sarai
abituata all’andazzo di questa scuola.”
Andazzo?
“Spero di no.”
Sorride ancora di più.
“Allora Efigenia... che nome strano che
hai!”
Oh Gesù. Qualcuno mi fermi, potrei tirarmi un
cazzotto all’istante.
Certi genitori dovrebbero veramente praticare la tecnica
harakiri giapponese, per i nomi obbrobriosi che appioppano alla loro
povera figliolanza, solo per fare a gara con gli amici su
quale bimbo ha il nome più eccentrico.
“Si, a proposito di questo, potrebbe
chiamarmi solo per cognome?”
Sembra crucciarsi.
“Oh ma in questa città i professori non
usano i vostri cognomi per richiamarvi. Preferiscono instaurare un
rapporto di fiducia con voi alunni e quindi vi chiamano per nome. In
questo caso la situazione è un po’ difficile. Hai
soprannomi che apprezzi in modo particolare?”
“Mi chiamavano Eff nella mia
città.”
Lei annuisce.
“Eff. Va più che bene.”
Qualcosa non mi torna.
“Scusi ma... lei non è una
professoressa?”
Sembra meravigliarsi.
“No, no. Non proprio. In verità ero qui
per parlare con la professoressa di Italiano. Sai, per motivi
personali”.
Ah okay.
Meglio.
“Capisco.”
“Beh, comunque sono contenta di conoscere una
ragazza che viene da un’altra città. Come mai ti
sei trasferita?”
Sono a disagio.
Che situazione è mai questa?
E poi, chi è questa donna?
“Beh... Così. Per passare del tempo con
mio padre.”
Annuisce.
“Fai bene. Comunque si capisce subito che non sei di
qui. Sei molto alta per essere così giovane e hai un colore
dei capelli particolare. Sei una persona affascinante.”
Okay, chi è questa donna?!
Non è la prima ad apprezzare la mia statura e la
mia chioma fiammeggiante, ma questa è una persona adulta...
una sconosciuta!
Non mi sento per niente a mio agio...
“Scusi, ma chi è l-”
“Selene!”
Una donna scheletrica dal naso pronunciato e dalla chioma
serrata in una coda rigida appare alla porta, gettando le braccia
all’aria in segno di saluto.
“Galatea!”
La presunta Selene-faccia-da-angelo si lancia verso la donna
per abbracciarla , ridendo come una bambina.
Io ne approfitto per sedermi su una sedia e per calmarmi.
Questa città è abitata da vandali
adolescenti e adulti pazzi e invadenti.
Ho bisogno di una sigaretta...
“Ehi tu, tu sei mica la ragazza nuova?”
Ma come parlano in questo posto?!
La professoressa scheletrica mi guarda con
superiorità, aspettando una risposta.
“Si sono E-”
“Si si, stai tranquilla, cara. So che vuoi essere
chiamata Eff. Brava brava. Sei bella, si, molto bella. Su, adesso fai
la brava e aspetta i tuoi compagni. Arriveranno.... prima o
poi.”
Prima o poi?
“Adesso vado a parlare con la mia amica. Fai la
brava eh?”
Selene mi saluta con la mano e prendendo a braccetto la mia
nuova professoressa mi manda un bacio.
Fisso allucinata il cortile attraverso la finestra.
Qualcuno mi venga a salvare.
Entro la fine della giornata collasserò sul
pavimento.
2.
I miei nuovi compagni entrano in classe e sembrano davvero
sorpresi di trovarmi lì.
“Chissà da quanto tempo è in
classe...”
“Si vede che è nuova...”
“Sarebbe bellissima, secondo me, se metterebbe un
po’ di trucco in faccia.”
Metterebbe?
Oh Santo Signore, non lasciarmi in balia di questa gente senza
cultura!
Non sbuffo, non parlo, non mi giro neanche.
Fisso la finestra e spero che spariscano.
A quanto pare si può fumare anche in classe e non
sembra nemmeno scorretto urlare e salire in piedi sulle sedie e sulla
cattedra.
Non c’è un banco che non sia imbrattato e
la cosa mi irrita.
Sono abituata a fare scarabocchi in matita sul mio banco, ma
qui non c’è spazio nemmeno per un puntino!
E sono tutti pasticci fatti con pennarelli indelebili.
Non vanno via nemmeno con la saliva.
Che schifo di scuola.
Finalmente la professoressa torna in classe, e non sembra per
nulla scandalizzata dal caos che regna nell’aula.
Si siede sulla sua sedia, rimanda a posto due o tre galline in
minigonna che si erano sedute sulla sua cattedra e richiama tutta la
classe.
“Allora, ragazzi, fate un po’ di
silenzio.”
La classe si acquieta un attimo, poiché la prof.
sembra fremere per qualcosa.
Se mi presenta in modi imbarazzanti faccio una strage.
“Volevo annunciarvi che da oggi abbiamo una nuova
compagna di classe.”
Tutti si voltano verso di me, gongolanti.
Come vi pare.
Mi alzo, raggiungo la cattedra e sorrido, smagliante.
“Grazie professoressa, mi presento da
sola.”
La prof. si zittisce fissandomi con falsa compostezza.
“Mi chiamo Eff.”
Una risata generale si alza dai miei compagni.
“Eff?” Chiede una gallinella, sotto le
risate delle sue amiche.
Assottiglio gli occhi.
Non provocatemi.
“Si, mi chiamo Eff. Per vostra informazione non sono
qui per essere presa in giro da voi. Sono in questa scuola
perché secondo la mia famiglia era quella più
adatta. Non sono nemmeno interessata ad essere amica di certe persone
ridicole. Non sono una vandala, non imbratto i beni dello stato e non
sono assolutamente qui per giocare. Mi trovate idiota? Tanto meglio.
Penso di essere una delle poche alunne con intenzioni serie in questa
scuola. Mi piace la pizza e ho un debole per le arti marziali. Sta a
voi decidere se rispettarmi o essermi nemico, a vostro rischio e
pericolo. Amo le persone che possiedono un grande bagaglio culturale e
uso il congiuntivo.”
Inchino, sorriso, e tra il silenzio generale mi rimetto a
sedere.
La professoressa sembra compiaciuta.
“Bene, passiamo alla lezione.”
Già il fatto che si faccia lezione in questo
edifico mi sconvolge.
Le ore successive passano tranquille e scopro che la prof.
è molto più brillante di quanto appaia al primo
colpo.
Le sue tre ore passano, piacevoli.
L’intervallo è una chicca che non voglio
proprio perdermi.
La prof. sfreccia in aula professori.
La classe si disperde velocemente, lanciandomi occhiate in
parte colpite ed in parte gelose.
Già. Come definirle se non occhiate gelose?
Uscendo dalla classe una ragazza lentigginosa mi afferra per
il braccio, con un sorriso un po’ storto.
“Sei stata brillante, prima!”
Le sorrido.
Okay, socializzazione. Non è difficile.
“Beh, grazie. Ho solo detto ciò che
pensavo.”
“Se lo meritava! Bianca è veramente una
troia. Ci voleva proprio qualcuno che le desse una
lezione!”
Un punto a Miss Lentiggine per aver usato il verbo giusto.
“Comunque, io sono Lucilla!”
Mi porge una mano pallidissima e un po’ sudaticcia,
ma la stringo con calore.
Sembra simpatica.
“Eff.”
Sorride.
“Dunque, Eff, da dove vieni?”
Mi stringo nelle spalle.
“Non ha molta importanza. Senti, mi faresti da guida
per visitare la scuola?”
Il suo viso si illumina di felicità.
“Non aspettavo altro!”
Che tipo, questa Lucilla.
Inizia a camminare e io la seguo con un sorriso che non avrei
mai immaginato di indossare.
3.
“Papà, sono a casa!”
Mio padre alza gli occhi dal Pc e mi fa un cenno con lo
sguardo, ispirando a fondo il fumo della sigaretta.
Oggi ha i capelli raccolti in una bandana rossa e ha truccato
gli occhi con del kajal.
Sembra in tutto e per tutto un corsaro nero del rock
n’ roll.
Mi chiedo davvero come abbia potuto fare il militare.
“Lavori?” Gli chiedo, sedendomi sul divano
di fianco a lui.
“Già. Ma non chiedermi che lavoro faccio.
Non saprei come spiegartelo.”
Mi stringo nelle spalle e mi accendo una sigaretta.
“Com’è andata?”
Bella domanda.
Mi appoggio allo schienale del divano con la fronte
corrucciata.
“Questa città è veramente
assurda. Sembra che tutti i teppistelli siano concentrati qui. Inoltre,
gli adulti fanno troppe domande.”
Mio padre mi guarda di sbieco, poi torna a a fissare lo
schermo del Pc.
“Hai intenzione di fare qualcosa oggi?”
Lo guardo perplessa.
“Non credo. Studierò un po’.
Magari dopo vado a visitare il porto.”
Chiude il computer e si alza, stiracchiandosi.
“Ottimo, adesso devo uscire. Se hai bisogno ci sono
cinquanta euro dietro lo specchio del bagno.”
Si gira a guardarmi in modo severo.
“Stai attenta al porto.”
Annuisco.
Esce di casa con un occhiolino, portandosi dietro solamente le
chiavi e un giubbotto di pelle.
Che uomo strano.
Per certi versi ci somigliamo: è piuttosto
silenzioso, riflessivo e ha gli occhi allungati come i miei, ma certi
lati del suo carattere non riesco proprio a capirli.
Questa immensa fiducia che mi dà.
Cinquanta euro, così.
Ma forse è solo inettitudine nei confronti degli
adolescenti.
In fondo ha sempre vissuto da solo.
Vorrei veramente conoscerlo come persona.
Sapere quello che pensa e quello che ha fatto.
Com’era la guerra... se faceva parte di un complesso
musicale...
In fondo è mio padre.
Ma c’è tempo. E da mia madre comunque non
voglio tornarci.
Fisso il soffitto per una buona mezz’ora prima di
accorgermi che non ho segnato i compiti che mi hanno dato e che non so
nemmeno come contattare i miei compagni.
4.
Questo ragazzo non riesce mai a prendermi sul serio.
“Mi sembra di sentire la descrizione di una specie
di Sin City.”
Max sogghigna dall’altro capo del telefono, per
niente convinto delle mie lamentele.
“Guarda Eff, secondo me il tuo problema è
che non hai ancora superato il trauma del trasferimento. Per questo la
tua mente ha una visione distorta della realtà.”
“In pratica sono una squilibrata?”
“No, in pratica sei una cinica e vedi sempre il tuo
bicchiere mezzo vuoto.”
“Guarda se mai lo troverai pieno, sarà
pieno solo di veleno. O di qualche pozione mortale.”
“Bella merda.”
Sospiro.
“Finisci in fretta la maturità, Max.
Almeno avrai più tempo per venirmi a trovare.”
“Sei davvero così sola?”
Ripenso a stamattina e a Lucilla, con il suo sorriso storto e
le lentiggini sul naso.
“No, qualche amica l’ho già
trovata.”
Max ride, spensierato.
Certo, facile la vita per lui. La sua vita è
così perfetta che meriterebbe un premio Nobel.
“Vedi? Non devi farne una tragedia. Piano piano ti
ambienterai.”
Dal salotto proviene un fracasso infernale.
“Non preoccuparti Eff! Ho solo qualche problema con
la padella!”
Le urla di mio padre mi trapanano le orecchie.
Forse è meglio salvarlo dalle grinfie dei fornelli.
“Max devo lasciarti. A quanto pare mio padre ha
tirato avanti per anni con una semplice pizzeria take-away sotto casa,
perciò non è molto abile ai fornelli. Quando ci
vediamo?”
Lo sento tentennare e afferrare qualcosa, probabilmente la sua
agenda.
“Questo Venerdì non ho lezione. Passo a
salutarti?”
Grazie Max. Grazie, grazie, grazie.
Sei la mia ancora di salvezza.
“Perfetto. A Venerdì allora.”
“Ti chiamo verso le dieci, per quell’ora
sarò sulla strada.”
Metto giù e corro in cucina.
“Papà che è
successo?”
In sostanza la padella dove stava cuocendo la sogliola gli
è scivolata mentre tentava di fare una mossa acrobatica da
chef professionista.
“Eff, non hai un improvvisa, irrefrenabile voglia di
sushi?”
Sorrido, aiutandolo a pulire il tutto.
“Non aspettavo altro.”
In cinque minuti siamo fuori e passiamo tutta la sera al
ristorante a parlare di arte e di viaggi.
Tre ore dopo, mentre stiamo salendo le scale del
condominio blu cobalto, mio padre improvvisamente mi abbraccia.
“Effy, se hai qualche problema, a scuola, o a casa
non esitare a parlarmene okay?”
Non riesco a rispondere all’abbraccio. Sono troppo
emozionata.
Così mi limito a sorridergli con un cenno non
appena si stacca da me.
“Alla fine oggi non sei andata al porto,
eh?”
Faccio segno di no con la testa (ancora troppo stupita) e i
suoi occhi sembrano indurirsi.
“Meglio così.”
Mio padre è proprio un figo.
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