Moon city

di dancy184
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Efigenia ***
Capitolo 2: *** Selene ***
Capitolo 3: *** Mare e pipì ***
Capitolo 4: *** Hecks ***



Capitolo 1
*** Efigenia ***


1.


Mi sono trasferita in questa cittadina pittoresca piena di teppisti a causa di una relazione segreta con il fidanzato di mia madre.

John era il classico ragazzetto di vent’anni che ammirava le donne più mature per le loro scintillanti carte di credito.

Ma non credo che fosse sessualmente attratto da mia madre.

Un motivo in più per fare sesso con me, la primogenita, decisamente più giovane e con le tette ancora dritte sul petto.

La nostra non era una relazione amorosa. Non potrei nemmeno definirci amanti.

Avevamo sviluppato una sorta di compromesso: “Facciamo sesso, ma per il resto del tempo stai lontano dalla mia vita”.

Funzionava abbastanza bene e nessuno dei due aveva nulla da ridire.

Quando mia madre l’ha scoperto però, non l’ha presa così bene come avevo sperato.

Deve essere piuttosto traumatico ritrovare la tua prima figlia nel tuo stesso letto mentre sta per avere un orgasmo con il tuo fidanzato, ma in fondo ci sono lati positivi e negativi nell’avere un compagno più giovane e questo è uno di quelli negativi.

Non voglio credere che mia madre non l’avesse sospettato, bastava guardare John mentre si parlava di sesso a cena.

Il suo sguardo cadeva dritto sulla mia camicetta e cominciava a sudare per la tensione.

Fatto sta che mia madre è uscita fuori di testa.

Si è messa a gridare e a scalpitare come un’ossessa.

Sembrava un’enorme salsiccia ondeggiante e sputacchiante.

Ha preso me per un braccio lanciandomi letteralmente fuori dalla camera e mi ha chiuso la porta in faccia, lasciandomi nuda nel corridoio.

Sono seguiti insulti di ogni genere contro John la sua scarsa morale e la sua stronzaggine.

Penso che gli abbia anche tirato qualche schiaffo, ma lui è stato zitto per tutto il tempo.

Dopodiché mia madre è uscita di casa piangente.

Io e John siamo andati in salotto, ci siamo seduti sul divano e ci siamo accesi una sigaretta senza nemmeno parlarci, fissando il vuoto.

Della serie: che ci vuoi fare? Ormai è successo. Prendiamola con filosofia.

Mezz’ora dopo è tornata con gli occhi sbavati di trucco e il naso rosso, decretando la sentenza.

Non posso credere che mia madre abbia perdonare un lurido stronzo come John e che abbia pensato che è tutta colpa mia.

Voglio dire, lei crede davvero che si stata io a sedurlo con la mia ignobile lussuria e lui, povero idiota, sia caduto nella mia tentazione.?

Si, John, annuisci John, rifugiati nelle braccia di mia madre ammettendo che è così, proprio così.

Piangi, piangi, fatti accarezzare la testa con paroline dolci, mentre mia madre mi fissa con disprezzo.

Patetico.

“Sei spregevole sia come figlia che come donna! Non posso fare altro se non mandarti da tuo padre. In fondo è stato soldato. Lui saprà insegnarti la disciplina e la correttezza!”

Il giorno dopo ho preso un treno e sono andata da papà.

E ora sono qui, davanti ad una catapecchia dipinta di blu che d’ora in avanti dovrei chiamare casa, con dentro un papà.

I miei genitori si sono separati quando ero piccina e mio padre non ha mai voluto sapere niente di me.

Quando mia madre l’ha chiamato però, è stato ben felice di ospitarmi qui.

Non sembrava nemmeno poi così scandalizzato da ciò che avevo fatto.

Meglio un padre mai visto che una madre che non mi vuole nemmeno.

Sorprendente quante cose possano capitare in due giorni.

E tra l’altro, non sono nemmeno riuscita a raggiungere l’orgasmo.

Bella merda.


2.


Quando mio padre apre la porta, ( non si è degnato nemmeno di venirmi a prendere alla stazione) mi accoglie con un’occhiata perplessa e accenna un sorriso piuttosto forzato.

“Eff?”

Si, lo so, sono cambiata parecchio. Pensavi che sarei rimasta uguale a una mocciosetta di tre anni?

“Già. Weila.”

Un altro sorriso forzato.

“Sei cresciuta molto. Quanti anni hai?”

Solleva la mia valigia e mi fa cenno di entrare.

“Vieni vieni, ti mostro la tua stanza.”

Sembra che si sia già scordato della domanda.

Tanto meglio.

Mio padre vive in un condominio piuttosto ben messo, di un colore blu pastello che a guardarlo per troppo tempo ti viene mal di testa.

Non è lontanamente paragonabile a dove vivevo con mamma, ma è situato nel centro della città ed è piuttosto accogliente.

La mia prima impressione, si è rivelata errata.

L’appartamento di papà non è molto grande: possiede due camere, una sala che fa anche da cucina, e due bagni, ma è molto luminoso e fa pensare in tutto e per tutto alla casa di una rock star.

La mobilia è eccentrica e di qualità scarsa, ma ne rimango affascinata.

Il piccolo corridoio che porta dal salottino alle camere e ai bagni è interamente ricoperto da una base di ferro, dove appoggiano più di venti chitarre, ognuna posizionata in modo diverso.

Inizia a piacermi, qui.

Camera mia è meglio di quanto mi aspettassi.

Nulla di particolare, rispetto al resto della casa, ma in ogni caso accogliente con i suoi colori di crema.

Mio padre mi ha messo a disposizione un letto matrimoniale e questo mi rallegra.

Ho sempre detestato i letti singoli.

“Sistemati e prenditela comoda. Preferenze per la cena?”

“Una pizza può andare bene.”

Chiude la porta, lasciandomi sola.

Mi sento a disagio e la cosa mi turba: non ho mai patito la solitudine.

Scosto le tende dell’unica grande finestra della mia nuova stanza.

La visuale è strana.

Sono abituata a vedere un grande giardino che dà su una strada affollata.

Ora mi trovo a rimirare un’enorme piazza circondata da alcuni pioppi e tanti edifici come questo ma di colori diversi.

Rossi, gialli, verdi, rosa... colori accesi.

Se assottiglio lo sguardo riesco a vedere persino il porto.

Accendo una sigaretta e mi sdraio sul letto.

Non ho la forza di ricominciare tutto da zero per una misera storia di sesso.

Se avessi avuto una mamma normale, adesso avremmo chiamato la polizia per abuso su minori e sarei stata io quella piangente tra le braccia della mia genitrice.

Invece no.

Sbuffo.

“Che merda”

John non è nemmeno questo granché.

Si, ha un bel sorriso, e i capelli a spazzola, proprio come piacciono a me, ma nel complesso è solo uno sfigato che vive dipendente dagli stipendi di donne insulse come mia madre.

Mi chiedo come farà adesso.

Non ce lo vedo John a fare sesso con mia madre.

Probabilmente la tradirà.

Un sorriso mi sale automatico.

Sono proprio stronza.

Di questo passo sarà difficile farsi delle amicizie in questa città.

Sarò davvero così sola?

La sigaretta la spengo in un portacenere che raffigura la faccia di un bulldog infuriato e bavoso.

E mi viene in mente mia madre, quando ha scoperto me e John nel suo letto.

Sarò sola, si, ma mai sola quanto quella povera donna.

Tanto meglio.


3.


Papà a cena è stato molto cortese.

Mi ha chiesto di nuovo la mia età e quando gli ho risposto che ne ho diciassette è rimasto un po’ turbato.

“Pensavo fossi più grande.”

Si è nascosto dietro una bottiglia di birra ed è rimasto in silenzio per un po’.

“Secondo me tua madre ha sbagliato a mandarti da me. Avrebbe dovuto mandare via quel...”

Ha lasciato la frase in sospeso e mi ha sorriso.

“Dovrò parlarle.”

Mio padre ha un bel sorriso.

“Non farlo, papà, preferisco stare qui.”

Il sorriso è diventato più luminoso alla parola “papà” e in quel momento ogni rimorso che avevo per quella casa è sparito.

***

Vado a scuola con uno zaino praticamente vuoto.

Dentro ho messo solo una penna e il sushi che ho comprato con mio padre.

Non ci penso nemmeno a mangiare i panini che vendono a scuola.

La strada è molto semplice e, nonostante papà me l’abbia consigliato, non ho preso una mappa della città.

Basta prendere un autobus di fronte al ristorante giapponese e scendere dopo tre fermate.

Sull’autobus ci sono molti ragazzi della mia età.

Mi sento come un pesce fuor d’acqua.

Sembra che tutti facciano parte di una di quelle bande di teppisti che si vedono nei film.

Pantaloni bassi fino all’inimmaginabile, boxer in bella vista, giacche di vernice, cappellini super colorati e tutti con una sigaretta in bocca.

Accesa.

Nella mia città ti fanno una multa salatissima se ti scoprono con una sigaretta accesa su un trasporto pubblico.

Ma a quanto pare, qui è permesso.

Le ragazze sono vestite in modo indecente: tutte con addosso camicette scollate, minigonne vertiginose e alcune indossano persino dei tacchi a spillo.

Le supero comunque tutte in altezza, ma questo non mi rincuora.

Vedo che molti posano il loro sguardo divertito su di me.

Non voglio sentirmi in imbarazzo.

Mi giro e stringo la mano a pungo con forza.

Resisti, Eff, ancora una fermata e sei arrivata.

L’autobus si ferma e scendo di corsa.

Sigaretta.

Zippo.

Fuma, respira, rilassati.

Non ce la posso fare.

Non per una ridicola storia di sesso.

Fisso con esasperazione l’edificio: è molto moderno, ma la sua superficie e quasi interamente ricoperta da strani disegni e scritte.

Vandalismo.

Che città insulsa.

La campanella suona, ma nessuno degli adolescenti che sta stazionando di fronte all’entrata si degna di entrare.

Nessuno di loro.

‘Fanculo, io non sono nemmeno di qui.

Cicco per terra ed entro nell’edificio.

Sono ben conscia degli sguardi perplessi e beffeggianti che mi rivolgono tutti, ma li ignoro.

Non voglio avere a che fare con queste persone ridicole.

L’interno dell’edificio è fortunatamente immacolato.

Le pareti bianche si stagliano anche troppo abbaglianti di fronte a me, e mi bruciano gli occhi.

L’occhio destro inizia a lacrimare ed entro nel panico, per la paura che qualcuno mi veda piangere.

Okay, Eff, calma.

Inizio a cercare la segreteria.

Secondo la segretaria, una donna bene in carne dall’accento russo, sono nella classe I°K.

Dall’interno dell’aula non si sente alcun tipo di rumore e una mano di ferro sembra afferrarmi lo stomaco.

Ma non è tempo per concedersi certi sentimenti da codarda.

Questo è il momento di reagire, è il momento in cui devo dimostrare che ce la posso fare.

Anche per una ridicola storia di sesso.

Entro, ma nell’aula c’è solo una persona.

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Capitolo 2
*** Selene ***


Che big sono? Super rrrrapidaaaa.

________________________________

1.

I capelli ricadono soffici di vento sulle spalle e ti ispirano i sensi di miele e di grano.

I suoi occhi attenti sembrano piccole pietre di onice, levigate e splendenti.

La sua pelle risplende di tonalità chiare, leggermente rosata sulle gote e il suo sorriso candido è incorniciato da labbra carnose e morbide persino allo sguardo.

Non posso far altro se non aggrapparmi a quel senso di disagio che mi mette il non sapermi comportare di fronte ad una tale persona.

“Oh. Chi sei?”

Ha la voce di un cigno.

“Sono Efigenia Dànai. La nuova studentessa.”

Sembra sorpresa e si alza di colpo dalla cattedra, rendendo la presa ferrea attorno al mio povero stomaco ancora più serrata.

Che sensazione...

“Come mai sei già in classe? Non hai visto che i tuoi coetanei sono ancora tutti fuori?”

Sembra quasi felice della mia presenza.

Mi fissa come se fossi una specie sconosciuta di leprotto, o qualcosa di simile.

O almeno, l’impressione che ho è questa.

“Mi sembra scortese ritardare così di proposito alla lezione.”

Un leprotto bianco con la fissa del ritardo.

Sogghigna.

“Cambierai idea tra un paio di mesi, quando ti sarai abituata all’andazzo di questa scuola.”

Andazzo?

“Spero di no.”

Sorride ancora di più.

“Allora Efigenia... che nome strano che hai!”

Oh Gesù. Qualcuno mi fermi, potrei tirarmi un cazzotto all’istante.

Certi genitori dovrebbero veramente praticare la tecnica harakiri giapponese, per i nomi obbrobriosi che appioppano alla loro povera figliolanza, solo per fare  a gara con gli amici su quale bimbo ha il nome più eccentrico.

 “Si, a proposito di questo, potrebbe chiamarmi solo per cognome?”

Sembra crucciarsi.

“Oh ma in questa città i professori non usano i vostri cognomi per richiamarvi. Preferiscono instaurare un rapporto di fiducia con voi alunni e quindi vi chiamano per nome. In questo caso la situazione è un po’ difficile. Hai soprannomi che apprezzi in modo particolare?”

“Mi chiamavano Eff nella mia città.”

Lei annuisce.

“Eff. Va più che bene.”

Qualcosa non mi torna.

“Scusi ma... lei non è una professoressa?”

Sembra meravigliarsi.

“No, no. Non proprio. In verità ero qui per parlare con la professoressa di Italiano. Sai, per motivi personali”.

Ah okay.

Meglio.

“Capisco.”

“Beh, comunque sono contenta di conoscere una ragazza che viene da un’altra città. Come mai ti sei trasferita?”

Sono a disagio.

Che situazione è mai questa?

E poi, chi è questa donna?

“Beh... Così. Per passare del tempo con mio padre.”

Annuisce.

“Fai bene. Comunque si capisce subito che non sei di qui. Sei molto alta per essere così giovane e hai un colore dei capelli particolare. Sei una persona affascinante.”

Okay, chi è questa donna?!

Non è la prima ad apprezzare la mia statura e la mia chioma fiammeggiante, ma questa è una persona adulta... una sconosciuta!

Non mi sento per niente a mio agio...

“Scusi, ma chi è l-”

“Selene!”

Una donna scheletrica dal naso pronunciato e dalla chioma serrata in una coda rigida appare alla porta, gettando le braccia all’aria in segno di saluto.

“Galatea!”

La presunta Selene-faccia-da-angelo si lancia verso la donna per abbracciarla , ridendo come una bambina.

Io ne approfitto per sedermi su una sedia e per calmarmi.

Questa città è abitata da vandali adolescenti e adulti pazzi e invadenti.

Ho bisogno di una sigaretta...

“Ehi tu, tu sei mica la ragazza nuova?”

Ma come parlano in questo posto?!

La professoressa scheletrica mi guarda con superiorità, aspettando una risposta.

“Si sono E-”

“Si si, stai tranquilla, cara. So che vuoi essere chiamata Eff. Brava brava. Sei bella, si, molto bella. Su, adesso fai la brava e aspetta i tuoi compagni. Arriveranno.... prima o poi.”

Prima o poi?

“Adesso vado a parlare con la mia amica. Fai la brava eh?”

Selene mi saluta con la mano e prendendo a braccetto la mia nuova professoressa mi manda un bacio.

Fisso allucinata il cortile attraverso la finestra.

Qualcuno mi venga a salvare.

Entro la fine della giornata collasserò sul pavimento.


2.

I miei nuovi compagni entrano in classe e sembrano davvero sorpresi di trovarmi lì.

“Chissà da quanto tempo è in classe...”

“Si vede che è nuova...”

“Sarebbe bellissima, secondo me, se metterebbe un po’ di trucco in faccia.”

Metterebbe?

Oh Santo Signore, non lasciarmi in balia di questa gente senza cultura!

Non sbuffo, non parlo, non mi giro neanche.

Fisso la finestra e spero che spariscano.

A quanto pare si può fumare anche in classe e non sembra nemmeno scorretto urlare e salire in piedi sulle sedie e sulla cattedra.

Non c’è un banco che non sia imbrattato e la cosa mi irrita.

Sono abituata a fare scarabocchi in matita sul mio banco, ma qui non c’è spazio nemmeno per un puntino!

E sono tutti pasticci fatti con pennarelli indelebili.

Non vanno via nemmeno con la saliva.

Che schifo di scuola.

Finalmente la professoressa torna in classe, e non sembra per nulla scandalizzata dal caos che regna nell’aula.

Si siede sulla sua sedia, rimanda a posto due o tre galline in minigonna che si erano sedute sulla sua cattedra e richiama tutta la classe.

“Allora, ragazzi, fate un po’ di silenzio.”

La classe si acquieta un attimo, poiché la prof. sembra fremere per qualcosa.

Se mi presenta in modi imbarazzanti faccio una strage.

“Volevo annunciarvi che da oggi abbiamo una nuova compagna di classe.”

Tutti si voltano verso di me, gongolanti.

Come vi pare.

Mi alzo, raggiungo la cattedra e sorrido, smagliante.

“Grazie professoressa, mi presento da sola.”

La prof. si zittisce fissandomi con falsa compostezza.

“Mi chiamo Eff.”

Una risata generale si alza dai miei compagni.

“Eff?” Chiede una gallinella, sotto le risate delle sue amiche.

Assottiglio gli occhi.

Non provocatemi.

“Si, mi chiamo Eff. Per vostra informazione non sono qui per essere presa in giro da voi. Sono in questa scuola perché secondo la mia famiglia era quella più adatta. Non sono nemmeno interessata ad essere amica di certe persone ridicole. Non sono una vandala, non imbratto i beni dello stato e non sono assolutamente qui per giocare. Mi trovate idiota? Tanto meglio. Penso di essere una delle poche alunne con intenzioni serie in questa scuola. Mi piace la pizza e ho un debole per le arti marziali. Sta a voi decidere se rispettarmi o essermi nemico, a vostro rischio e pericolo. Amo le persone che possiedono un grande bagaglio culturale e uso il congiuntivo.”

Inchino, sorriso, e tra il silenzio generale mi rimetto a sedere.

La professoressa sembra compiaciuta.

“Bene, passiamo alla lezione.”

Già il fatto che si faccia lezione in questo edifico mi sconvolge.

Le ore successive passano tranquille e scopro che la prof. è molto più brillante di quanto appaia al primo colpo.

Le sue tre ore passano, piacevoli.

L’intervallo è una chicca che non voglio proprio perdermi.

La prof. sfreccia in aula professori.

La classe si disperde velocemente, lanciandomi occhiate in parte colpite ed in parte gelose.

Già. Come definirle se non occhiate gelose?

Uscendo dalla classe una ragazza lentigginosa mi afferra per il braccio, con un sorriso un po’ storto.

“Sei stata brillante, prima!”

Le sorrido.

Okay, socializzazione. Non è difficile.

“Beh, grazie. Ho solo detto ciò che pensavo.”

“Se lo meritava! Bianca è veramente una troia. Ci voleva  proprio qualcuno che le desse una lezione!”

Un punto a Miss Lentiggine per aver usato il verbo giusto.

“Comunque, io sono Lucilla!”

Mi porge una mano pallidissima e un po’ sudaticcia, ma la stringo con calore.

Sembra simpatica.

“Eff.”

Sorride.

“Dunque, Eff, da dove vieni?”

Mi stringo nelle spalle.

“Non ha molta importanza. Senti, mi faresti da guida per visitare la scuola?”

Il suo viso si illumina di felicità.

“Non aspettavo altro!”

Che tipo, questa Lucilla.

Inizia a camminare e io la seguo con un sorriso che non avrei mai immaginato di indossare.



3.

“Papà, sono a casa!”

Mio padre alza gli occhi dal Pc e mi fa un cenno con lo sguardo, ispirando a fondo il fumo della sigaretta.

Oggi ha i capelli raccolti in una bandana rossa e ha truccato gli occhi con del kajal.

Sembra in tutto e per tutto un corsaro nero del rock n’ roll.

Mi chiedo davvero come abbia potuto fare il militare.

“Lavori?” Gli chiedo, sedendomi sul divano di fianco  a lui.

“Già. Ma non chiedermi che lavoro faccio. Non saprei come spiegartelo.”

Mi stringo nelle spalle e mi accendo una sigaretta.

“Com’è andata?”

Bella domanda.

Mi appoggio allo schienale del divano con la fronte corrucciata.

“Questa città è veramente assurda. Sembra che tutti i teppistelli siano concentrati qui. Inoltre, gli adulti fanno troppe domande.”

Mio padre mi guarda di sbieco, poi torna a a fissare lo schermo del Pc.

“Hai intenzione di fare qualcosa oggi?”

Lo guardo perplessa.

“Non credo. Studierò un po’. Magari dopo vado a visitare il porto.”

Chiude il computer e si alza, stiracchiandosi.

“Ottimo, adesso devo uscire. Se hai bisogno ci sono cinquanta euro dietro lo specchio del bagno.”

Si gira a guardarmi in modo severo.

“Stai attenta al porto.”

Annuisco.

Esce di casa con un occhiolino, portandosi dietro solamente le chiavi e un giubbotto di pelle.

Che uomo strano.

Per certi versi ci somigliamo: è piuttosto silenzioso, riflessivo e ha gli occhi allungati come i miei, ma certi lati del suo carattere non riesco proprio a capirli.

Questa immensa fiducia che mi dà.

Cinquanta euro, così.

Ma forse è solo inettitudine nei confronti degli adolescenti.

In fondo ha sempre vissuto da solo.

Vorrei veramente conoscerlo come persona.

Sapere quello che pensa e quello che ha fatto.

Com’era la guerra... se faceva parte di un complesso musicale...

In fondo è mio padre.

Ma c’è tempo. E da mia madre comunque non voglio tornarci.

Fisso il soffitto per una buona mezz’ora prima di accorgermi che non ho segnato i compiti che mi hanno dato e che non so nemmeno come contattare i miei compagni.



4.

Questo ragazzo non riesce mai a prendermi sul serio.

“Mi sembra di sentire la descrizione di una specie di Sin City.”

Max sogghigna dall’altro capo del telefono, per niente convinto delle mie lamentele.

“Guarda Eff, secondo me il tuo problema è che non hai ancora superato il trauma del trasferimento. Per questo la tua mente ha una visione distorta della realtà.”

“In pratica sono una squilibrata?”

“No, in pratica sei una cinica e vedi sempre il tuo bicchiere mezzo vuoto.”

“Guarda se mai lo troverai pieno, sarà pieno solo di veleno. O di qualche pozione mortale.”

“Bella merda.”

Sospiro.

“Finisci in fretta la maturità, Max. Almeno avrai più tempo per venirmi a trovare.”

“Sei davvero così sola?”

Ripenso a stamattina e a Lucilla, con il suo sorriso storto e le lentiggini sul naso.

“No, qualche amica l’ho già trovata.”

Max ride, spensierato.

Certo, facile la vita per lui. La sua vita è così perfetta che meriterebbe un premio Nobel.

“Vedi? Non devi farne una tragedia. Piano piano ti ambienterai.”

Dal salotto proviene un fracasso infernale.

“Non preoccuparti Eff! Ho solo qualche problema con la padella!”

Le urla di mio padre mi trapanano le orecchie.

Forse è meglio salvarlo dalle grinfie dei fornelli.

“Max devo lasciarti. A quanto pare mio padre ha tirato avanti per anni con una semplice pizzeria take-away sotto casa, perciò non è molto abile ai fornelli. Quando ci vediamo?”

Lo sento tentennare e afferrare qualcosa, probabilmente la sua agenda.

“Questo Venerdì non ho lezione. Passo a salutarti?”

Grazie Max. Grazie, grazie, grazie.

Sei la mia ancora di salvezza.

“Perfetto. A Venerdì allora.”

“Ti chiamo verso le dieci, per quell’ora sarò sulla strada.”

Metto giù e corro in cucina.

“Papà che è successo?”

In sostanza la padella dove stava cuocendo la sogliola gli è scivolata mentre tentava di fare una mossa acrobatica da chef professionista.

“Eff, non hai un improvvisa, irrefrenabile voglia di sushi?”

Sorrido, aiutandolo a pulire il tutto.

“Non aspettavo altro.”

In cinque minuti siamo fuori e passiamo tutta la sera al ristorante a parlare di arte e  di viaggi.

 Tre ore dopo, mentre stiamo salendo le scale del condominio blu cobalto, mio padre improvvisamente mi abbraccia.

“Effy, se hai qualche problema, a scuola, o a casa non esitare a parlarmene okay?”

Non riesco a rispondere all’abbraccio. Sono troppo emozionata.

Così mi limito a sorridergli con un cenno non appena si stacca da me.

“Alla fine oggi non sei andata al porto, eh?”

Faccio segno di no con la testa (ancora troppo stupita) e i suoi occhi sembrano indurirsi.

“Meglio così.”

Mio padre è proprio un figo.

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Capitolo 3
*** Mare e pipì ***


Sono stupefacente. Tre capitoli in tre giorni. Miticuuu (citazione privata) Grazie per le bellissime recensioni. Mi fate venire l'ispirazioneeeee

1.

Ormai è quasi una settimana che frequento il liceo di questa città, ma ancora non mi sento a mio agio.

Il clima è sicuramente migliore di dove stavo prima e le giornate sono quasi sempre soleggiate e ventose, proprio come piace  a me, eppure mi sento come se stessi per soffocare.

I miei compagni di classe sono rozzi e parlare con loro è veramente difficile a causa della loro scarsa conoscenza della grammatica, ma almeno ora non ricevo solo occhiate arcigne e mi sorridono tutti appena entrano in classe, mezz’ora dopo di me, ogni giorno.

In sostanza non mi considerano più una stronza con la puzza sotto il naso e passano volentieri l’intervallo con me.

A parte una certa Bianca, che mi odia, ma che non osa guardarmi in faccia.

Non è che io sia al settimo cielo per come siano le cose in questo momento, ma potrebbe andare peggio.

Lucilla è la persona più interessante che io abbia conosciuto finora, omettendo quella donna dai capelli di miele e gli occhi profondi, e ogni giorno mi insegna qualcosa di nuovo su questa città e sulle persone che vi abitano.

Sono sorpresa da questa mia nuova me.

Non ho mai fatto amicizia così in fretta.

E penso che Lucilla si possa considerare in tutto e per tutto un’amica; voglio dire, per due pomeriggi di fila siamo uscite insieme e una sera mi ha telefonato per chiedermi i compiti di storia.

Non sono molto pratica di queste cose, avendo avuto esclusivamente amici maschi, ma penso che Lucilla sia una ragazza di cui mi posso fidare.

Già.

Ma se sta andando tutto così discretamente bene non capisco cosa mi stia succedendo!

Mi sdraio sul letto sfatto, fumando una Pall Mall.

“Niente Lucky Strike, per oggi. Passa domani.” (è un flashback. Lo so. Non si capisce. n.d.A)

Che città insulsa.

 Mio padre è un tipo a posto, non mi fa mancare niente e una volta mi ha pure portato a scuola in moto, facendomi fare decisamente una bella figura.

Non tutti i genitori possono permettersi una Triumph Speed Triple.

Eppure...

Insomma cosa c’è?!

Cicco nel posacenere e mi alzo di colpo,fissando frustrata la finestra aperta.

Ho un papà fighissimo, un migliore amico che nonostante la lontananza si fa sentire quasi sempre, ho appena trovato un’amica piuttosto simpatica, sono la più brava della classe e ho persino la possibilità di andare al mare a farmi il bagno ogni giorno! Che cosa c’è che non va in me e che mi fa odiare questo posto?

Una nuvola quasi insignificante copre il sole per un secondo, e un ombra più grande sembra oscurarmi i pensieri.

Che stress.

Accendo un’altra sigaretta.

Questa è tipo la ventesima della giornata.

E fa anche cagare.

Mio padre bussa  alla porta.

“Posso entrare?”

“No, sono in mutande.”

Ride.

Che cazzo ridi?? Sono in mutande sul serio.

Mi auto-censuro subito. Cavoli è la prima parolaccia che penso nei confronti di mio padre!

“Okay. Io esco. Solite cose di lavoro.”

“A sta sera.”

“Ciao”.

Sento la porta sbattere e un uccellino particolarmente intonato cinguetta sul pioppo più vicino.

Cosa manca?



2.

“Ehi Eff, sei strana oggi. Da una parte ti vedo irritata e dall’altra iper felice. Cosa è successo?”

Lux mi fissa, distogliendo gli occhi dai suoi appunti di Scienze, sussurrando per non farsi sentire dal professore.

Evviva.

Partiamo con le confidenze tra amiche.

“Oggi viene a trovarmi il mio migliore amico. Ed è da molto che non ci vediamo.”

Non alzo nemmeno gli occhi per annunciarglielo

Più che una confidenza sembra la confessione di un delitto estorta con l’inganno.

Annuisce.

“Grande. Vorrei conoscerlo! però non mi spiego quella parte irritata di te che cerchi di nascondermi in questo momento.”

Alzo lo sguardo dal mio quaderno, perplessa.

Questa ragazza sembra davvero preoccupata per me.

La fisso negli occhi e vedo un velo di sincera preoccupazione.

Borbotto un “Lascia perdere” senza senso.

E lei mi ubbidisce, non troppo convinta.

“Cagnolino bavoso.”

Così l’ha chiamata Bianca ieri, per prenderla in giro.

“Segui Eff come un cagnolino bavoso.”

Lucilla per tutta risposta le ha tirato uno schiaffo in piena faccia.

“Tu ti lasceresti persino cagare in testa solo per camminare pari a lei.”

E con questo ce ne siamo andate, lasciando Bianca umiliata tra le risate delle sua amiche idiote.

Lucilla ha un bel carattere, è forte.

Quando ha guardato Bianca negli occhi sembrava in grado di spostare una montagna.

Io in questo momento sono così in crisi che non riesco nemmeno ad alzare la mano e chiedere al professore di andare in bagno, nonostante la pipì che sto trattenendo dall’inizio della mattinata.

A volte sono veramente idiota.

Tiro su la mano.

“Prof. potrei-”

La porta si spalanca ed entra un ragazzaccio.

Proprio così, un ragazzaccio.

Il professore non mi ha nemmeno sentito. Fissa il biondino negli occhi con fare annoiato e si rivolta verso la lavagna.

“Vai a posto Riccardi.”

Riccardi?

Ma qui i professori non chiamano nessuno per cognome!

E per di più è quasi metà mattina! Ed è un indecenza entrare in classe a quest’ora.

Il Prof. se ne frega di me e della mia mano alzata e torna a spiegare.

Io faccio afflosciare la mia sinistra sul fianco e appoggio la testa sul quaderno.

“Se non faccio la pipì ora, rischio di farmela addosso.”

Lux ridacchia.

“Sarebbe un evento decisamente da non perdere.”

Non ho nemmeno la forza di mandarla a quel paese.

“Prof., Effy non si sente bene. Posso accompagnarla in infermeria?”

Il professore fissa Lux e poi me.

“Non è uno dei tuoi soliti trucchetti per saltare le mie lezioni, Lucilla?”

La mia amica sembra indignata.

“Prof., scusi eh, ma la guardi! Tra un po’ collassa sul banco!”

Alcune compagne sembrano preoccupate, così il professore ci dà il permesso di uscire e appena fuori dalla classe sfrecciamo in bagno, per una bella pipì liberatoria.

Odio i bagni di questa scuola, ma me ne infischio.

La farei persino a testa in giù.

“Cos’hai bevuto a colazione, Eff, l’intero porto della città?”

Mando Lucilla al diavolo ed esco dal bagno con un colorito visibilmente migliore.

Viva i bagni della scuola!


***


In classe sembrano tutti sovra eccitati.

What happened?

Sono stata via per tipo mezzo secondo!

“Ben cinque minuti, altro che mezzo secondo. Non la finivi più di pisciare.” Commenta malignamente Lux.

In soldoni il ritorno di questo Riccardi ha fatto notizia.

In effetti da quando mi sono trasferita non l’ho mai visto, ma da quel che ho capito è il classico fighetto che fa il bullo con i più piccoli e che corteggia ogni ragazza come semplice hobby giornaliero.

Bella merda.

Quelli come lui, li deporterei in massa su un’isola deserta per far sì che si sterminino l’uno con l’altro con dei massacri atroci.

Visione macabra.

Ghigno perfidamente.

“Perché sghignazzi?”

“Perché non li reggo i montati, non è ovvio?”

“La panna montata ti piace, però.”

“Quella sì.”

Ah, che bello avere amiche femmine.



3.

Questa giornata è stata faticosa. E alla fine il Prof. di scienze ci ha dato persino compiti extra, per il caos che hanno fatto i miei compagni negli ultimi cinque minuti di lezione.

Che schifo.

Oggi fa particolarmente caldo e non soffia nemmeno un’alito di vento.

Sarebbe una giornata ideale per pigronare su un terrazzo con una coca cola ghiacciata, come facevo da mia madre, ma mio padre non ha il terrazzo e qui tutti preferiscono andare al mare in giornate come questa.

Sto raggiungendo la fermata del tram per tornare a casa quando Ludovica, una mia compagna, mi fa segno di fermarmi.

“Eff! Sei scappata fuori dalla classe e non sono riuscita a fermarti.”

Si, sono sempre stata particolarmente brava a guardie e ladri.

“Senti, ti va di venire al mare con noi? Ci mangiamo un panino e  magari facciamo il bagno.”

La fisso negli occhi.

Sembra seriamente fiduciosa che io dica di si.

Povera.

“Meglio di no, grazie comunque.”

“Ehi dai, se è per il costume non devi preoccuparti. Non ce l’ha nessuno! Puoi usare benissimo la tua biancheria! A meno che non sia bianca perché in quel ca-”

“Ascolta, Ludo, non è affatto per il costume, è che semplicemente non ho voglia di venire.”

“Sei sicura? Guarda che al bar sulla spiaggia fanno dei panini buonissimi.”

Faccio segno di no con la testa.

“C’è anche la pizza! a te piace la pizza, non è vero?”

“Magari un’altra volta.”

Mi fissa un po’ delusa.

Non le dirò mai che non so nuotare.

Le sorrido e mi volto.

“Per caso... non sai nuotare?”

La sue parole non vogliono essere odiose, ma riesce ad irritarmi comunque

Che stress.

Perché mia madre non poteva farmi praticare sport normali come il nuoto?

“No, Efigenia, tu sei una bimba forte. Fai Ninjutsu, come la tua mammina!”

Bella merda.

Ludovica sta sorridendo rincuorante.

“Dai, vieni.”

Non so se è una buona idea.

Una sensazione...

L’ho già sentita.

Cos’è?

Deglutisco, fissando la mano candida di Ludo che mi invita a seguirla.

Che faccio? Vado?

Socializzazione.

Ma poi non ho tempo per studiare e devo vedere quel cretino di Max che deve venire fin qui...

Socializzazione!!

“Okay.”

Lei sorride smagliante, afferrando la mia mano.

Sembra davvero felice.

“Quando le altre lo sapranno che vieni saranno arci contente  e non vedranno l’ora di passare un po’ di tempo con te e..”

..E blahblahblah.

Ma quanto parla questa?

Un sorriso mi sale spontaneo mentre mi tira verso il suo gruppo di amiche.

Ci salutano, esultanti.

Non mi danno fastidio tutte queste nuove conoscenze.

Ma se..

Cristo, perché devo farmi sempre tutti questi problemi?

La seguo e ‘fanculo tutto.



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Capitolo 4
*** Hecks ***


Evvivaaaaa!!! Il quarto capitoloooo.

Sono stata particolarmente lenta. Perdono, fedeli lettori. ç___ç

Any way ora beccatevi il capitolo che parla di Hecks. Un soggetto... uhmm... non saprei definirlo in verità. Starà a voi dirmi come lo tovate.

Arigato Gosaimasu a hacky87, Emmaps3 e Elli. 

Potrei morire senza i vostri comenti!!!! Mi fate andare avanti con la storia.

_______________________________________________________________________

Dedicata alla mia Acquazzone.

1.

 

Il mare non mi piace.

È salato, pieno di pesci puzzolenti, alghe morte e spazzatura.

Bella merda.

“Effy! Avanti vieni con noi!” Urla una mia compagna di classe, che si chiama Giulia e che ha i capelli rossi come me, ma ricci e un po’ stopposi.

Faccio segno di no con la testa, reggendo la mia sigaretta con il labbro incurvato in un sorriso strafottente.

Giulia si stringe nelle spalle un po’ dispiaciuta e raggiunge le altre ragazze sul bagno asciuga.

Bah.

Cosa ci trovino queste ragazze in me proprio non lo capisco.

Non parlo molto, mi limito ad ascoltare i loro discorsi frivoli e insulsi e la maggior parte del tempo penso a quanto sia sfigata la mia misera esistenza.

Mi sdraio nella sabbia, continuando a fumare.

Il cielo è blu cobalto e nonostante il vento non c’è nemmeno una nuvola.

Il sole è di fuoco e brucia gli occhi e la pelle.

“Who loves the sun…”

Aspiro il fumo, senza pensieri.

Cosa che non mi succede da molto tempo.

E in quel momento mi arriva una pallonata.

Dritta sullo stomaco.

BAM.

Un flash di luce mi annebbia i sensi.

“Ma porca…”

Mi tiro su di scatto, facendo cadere la sigaretta ormai quasi finita a terra.

I capelli mi scivolano sul viso spinti dal vento e mi sembra quasi di trovarmi in un vortice di fuoco.

Intravedo dei ragazzi che si avvicinano.

“Oh cazzo… ehi tipa!”

Scosto le ciocche di capelli dal viso, alzandomi barcollante.

“Ma che diavolo state facendo, idioti!”

Ah beh, ci mancava proprio lui.

Il ragazzaccio mi fissa divertito e spalleggiato da alcuni amici.

Indossano tutti il costume da bagno e sono sudati come dei cavalli  schiumanti dopo una corsa.

Raccolgo la sigaretta, furente, ma ormai è tutta insabbiata e fuori uso.

“Cazzo!”

Il biondino sorride, in modo tremendamente irritante.

“Ehi, tipa, scusa. Ci è scappata la palla.”

Lo fisso disgustata, quasi avesse bestemmiato.

“Ottimo. Potevate farla scappare da un’altra parte,non trovate?”

Un tipo moro dai capelli fin troppo lunghi sghignazza.

Si, si, ridi finché puoi.

Poi voglio vedere come fai senza denti, razza di imbecille.

Il ragazzaccio recupera la palla da volleyball e la infila sotto il suo braccio destro.

Guarda la riva in lontananza.

“Stai con Ludovica?”

Sobbalzo.

“Che te ne frega?”

Fissa le mie compagne con gli occhi socchiusi per la luce del sole.

“Sei sua amica?”

Un nodo molto stretto si scioglie nel mio stomaco.

 

Si volta verso di me, perfidamente sorridente.

Non gli rispondo.

“ Sciò.” Sibilo.

Li scaccio con una mano e mi chino a prendere dallo zaino il “preistorico” ( uno di quei Nokia antichissimi…), che vibra con insistenza.

“Max!”

Sussurro allegramente sorpresa, leggendo il nome sul display.

L’amico moro di Riccardi mi afferra per un braccio, facendomi seriamente male.

“Cristo Santo, che cazzo fai?”

Mi fissa, incazzato.                                                   

“Ehi, non sei la padrona della spiaggia, stronza. Abbassa la cresta.”

Mi spinge a terra, facendomi doppiamente male.

Il ragazzaccio e l’amico ridono.

Questi figli di…

Ehi, Eff, ricordati cosa diceva il Senpai: “Non usare la violenza su chi la utilizza con facilità e senza pensare.”

Sorrido.

Mi alzo, afferro lo zaino e mi incammino verso il marciapiede per tornare a casa.

“Ehi, stronza! Dove cazzo vai?!”

I tre mi seguono.

Oh fly, lasciatemi in pace! Non voglio massacrarvi di botte…

“Come ti chiami?” Chiede il ragazzaccio, affiancandomi.

“Io sono Hecks.” Aggiunge.

Sorride, mi afferra per un fianco.

Dall’altro lato si affianca il moro. “Io sono Up.”

C’è anche l’altro biondo, che rimane zitto accanto a questo “Up”.

Che nomi hanno questi esseri?

Tolgo bruscamente la mano di “Hecks” dal mio fianco e cammino più velocemente.

“Tornatevene alla spiaggia, và.” Borbotto.

Il moro mi prende di nuovo il braccio con forza.

“Stai usando di nuovo un brutto tono, stronza. Rilassati. Vogliamo solo fare amicizia.”

Fa male.

Mi fermo, fisso il moro negli occhi.

Hecks sorride, l’altro biondo no.

Mi divincolo con forza.

Controllati, Eff, sono degli idioti montati.

“Lasciatemi stare, per favore.”

“Vedi? Impari già.” Sorride soddisfatto il moro.

Mi lascia il braccio.

Riprendo a camminare.

Hecks si affianca di nuovo a me, mentre io affretto il passo.

“Vogliamo solo sapere il tuo nome.”

Afferro il “preistorico”, ignorandoli, con le mani tremanti per la rabbia.

Il messaggio di Max: Sono sotto casa tua. Ti aspetto, piccola combattente. J

“Non ci stai ascoltando.”

Che stress.

Mi giro di colpo e sembrano tutti e tre sorpresi.

“Sentite, idioti montati che non siete altro, non voglio usare la violenza contro di voi perché la monotonia della mia vita di merda vita prevede risse sanguinose per cause inutili, quindi lasciatemi stare, ok?”

Mi guardano increduli.

Scoppiano a ridere.

“Come ci hai chiamati?”

Guardo il ragazzaccio negli occhi e accetto la sfida che mi pone con lo sguardo.

“Idioti.”

Il moro strine i pugni.

“Montati”

 L’amico biondo digrigna i denti.

Hecks lascia cadere la palla sul marciapiede e si avvicina con cattive intenzioni nell’andatura e nell’espressione.

Mi afferra il viso con violenza; le narici dilatate per l’irritazione.

“Sporca puttana, chiedi scusa.”

Lo guardo.

Non vale la pena alzare un solo dito su questo ragazzo.

“Sei un idiota montato.”

Sorride.

Con il pollice mi accarezza la guancia che tiene stretta nel suo palmo.

“Puttana” Sussurra.

Lo schiaffo arriva rapido e quasi indolore, rispetto ai colpi con cui sono stata temprata durante le lezioni con il Senpai.

Riesce comunque a farmi vedere le stelle e barcollo indietro, sentendo un fischio insistente e acuto nelle orecchie.

“Hecks, l’hai schiaffeggiata un po’ troppo forte. È pur sempre una donna.”

È l’amico biondo.

Il ragazzaccio lo ignora.

Torno a fissarlo con lucidità.

“Chiedi scusa.” Ripete, con la voce dura.

Respiro profondamente e mi volto verso la strada di casa.

‘Fanculo, se provi a toccarmi di nuovo ti massacro di botte.

Sento la sua mano quasi sfiorare la mia, ma…

“EFF!”

È un grido. Tutti i passanti, già attirati dalla scena di poco prima, si girano verso il proprietario di quella voce, ancora più turbati.

Mio padre mi raggiunge con passo deciso, indossando la solita giacca di pelle e dei bermuda color verde foresta, un cappellino da baseball calato sui capelli castani e degli scarponi da militare.

La mano di Hecks si abbassa automaticamente e il moro perde la sua espressione strafottente, indossandone una da ragazzo simpatico e alla mano.

Papà fissa me, la mia guancia vistosamente rossa e poi posa il suo sguardo sul ragazzaccio.

L’espressione di mio padre diventa maligna.

“Hecks. Vedo che hai conosciuto mia figlia.”

Hecks sembra sorpreso.

Mi guarda con due occhi nuovi e l’amico biondo sembra parecchio turbato.

Mio padre mi affianca, poggiando una delle sue mani callose sulla mia spalla.

Ecco, brutti stronzi, pigliatevela in culo.

“Come te la passi, eh Simon? Era da un po’ che non ti vedevo.” Sogghigna Hecks, incrociando le mani sul petto e lanciandomi un’occhiata perfida.

Mio padre sorride. “Sto bene. E lo sai anche tu.”

Up si gratta la testa imbarazzato. “Hecks, non credi che sia l’ora di andare?”

Riccardi gli lancia un’occhiata di fastidio, per poi tornare a squadrare mio padre.

“Recentemente ho parlato papà, sai? Dice di non essere molto soddisfatto…”

Mio padre si avvicina con violenza al biondastro, facendolo saltare indietro di un passo per lo spavento.

“Senti, piccolo bastardo, non me ne fotte un cazzo di quello che dice tuo padre, chiaro?”

Hecks deglutisce, con le vene del collo vibranti dalla rabbia.

“E comunque, posso assicurarti che è ben più che soddisfatto.”

Up mette una mano sulla spalla di Hecks. “Andiamo, amico. Sai com’è finita l’ultima volta.”

Hecks si divincola dalla stretta del moro. “Lasciami.”

Si voltano  tutti e tre, per tornare alla spiaggia.

“Prova a schiaffeggiare di nuovo mia figlia che ti infilo un ravanello nel culo.”

Mio padre ha gli occhi fin troppo seri.

Hecks si volta furente, fissandomi negli occhi.

Non mi muovo di un centimetro e sorrido.

“Non mi piacciono i ravanelli.” Un borbottio confuso che mio padre non ascolta nemmeno

In un attimo sono scomparsi dietro il muretto che porta al mare e sul marciapiede c’è di nuovo silenzio.

Mio padre sorride,bonariamente, come se non fosse successo nulla.

“Bene!”

Si stiracchia, dandomi una pacca sula spalla.

“Scusa, Eff, ma non posso tornare a casa con te. Devo fare una commissione importante.”

Annuisco comprensiva.

“A che ora sarai a casa?” Chiedo, sperando di non dovergli dire nulla riguardo a Max.

“Devo andare fuori città. Possibile che torni persino domani pomeriggio.”

Sgrano gli occhi, sorpresa.

“Ah.” Dico solamente.

Mi guarda e si accinge a darmi un abbraccio un po’ goffo.

Si imbarazza in pubblico, e difatti si guarda intorno un po’ rosso in viso.

Si cala meglio il cappellino sul viso.

“Non preoccuparti. Per ogni cosa chiamami.”

Sorrido. “A domani allora.”

Mi fa ciaociao con la mano e si dirige nella direzione opposta, già pronto per partire senza nemmeno una valigia..

Mentre cammino verso casa ho come una sensazione strana che mi pervade fin alle radici dei capelli.

La sensazione che la situazione sia cambiata.

Mi prude forte la nuca e questo è un segno più che evidente che qualcosa di problematico mi attende.

Forse ora, forse domani.

Non capisco bene.

Mi giro, infastidita, ma sulla strada non c’è proprio nessuno.

Deserto.

Affretto il passo verso casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.

 

 

“Qual è il punto?” Chiese Sin.

Lo fissai dal mio metro e ottantacinque di statura, continuando a fumare il purino e fissando il mare dal cornicione del tetto.

“Il punto,” dissi “ è che non può permettersi di giocare con me.”

Mi sedetti, incazzato

Up si strinse nelle spalle, fissando il soffitto sdraiato sulle tegole.

“Capirai. Pensavo che ormai avessi capito che lui non scherza.”

Strinsi la mano a pugno, cercando di non eccedere nei movimenti impacciati dal fumo per paura di cadere.

“Beh, il fatto è che invece lui scherza. Scherza sempre. Mi prende per il culo pensando di essere divertente. Nonostante tutto quello che c’è dietro le nostre famiglie lui continua a scherzare.”

Sin sorrise, togliendosi i ciuffi biondi dagli occhi.

“Tu non centri granché con gli affari suoi e di tuo padre.”

Risi amaramente. “E li chiami ancora affari?”

Mi beccai un’occhiata indispettita dal mio migliore amico: “Chiamali favori, se preferisci.” Sibilò Sin.

Up si alzò, barcollando leggermente fino al cornicione e sedendosi affianco a me.

“Hecks, secondo me non dovresti partire in quarta e dare battaglia a Simon per la millesima volta.”

Lanciai il purino, consumato fino al filtro, lontano nel buio e sogghignai.

“Contro Simon?”

Gli occhi annebbiati dal fumo di Sin e Up si fecero di colpo più attenti, attirati come un magnete dal mio tono bellico e squallidamente, devo ammetterlo, infimo.

Imbracciai i miei compari volgendo lo sguardo all’orizzonte lontano.

“Amici miei, voi non avete capito un emerito cazzo.”

Up si scostò

“E leva sto braccio, frocio di merda!”

Lo ignorai, focalizzandomi sulla reazione del biondo.

Rimase a guardarmi, in modo interrogativo.

Nemmeno il brillante Sin aveva capito?

Rafforzai la stretta attorno al suo collo, mentre lui continuava a fumare imperterrito.

“Vedete, ho allargato i miei orizzonti. Cambiato strategia.”

Up inarcò un sopracciglio ridendo sguaiatamente.

“Strategia?”

Gli diedi uno scappellotto.

“Esattamente.”

“Continuo a non capire.” Borbottò Sin, allontanando il mio braccio con un movimento fluido.

Sorrisi elegantemente, sollevandomi in piedi.

“Vedete, ho come il vago sospetto che il nostro caro Simon abbia una corazza fin troppo spessa per essere colpita o a malapena scheggiata nel modo rozzo che abbiamo sempre usato.”

Up mi guardò un po’ perso.

“Ma,” continuai “la sua armatura ha un accessorio indispensabile, come dire, di vitale importanza, senza il quale, sarebbe decisamente vulnerabile.”

Up aggrottò la fronte. “Continuo a non capire.” Disse.

Mi incamminai lungo il cornicione in perfetto equilibrio.

“Consideratela… che so… come Excalibur. Come avrebbe fatto Artù senza?”

Up si illuminò all’improvviso e ghignò perfidamente.

Sin curvò le labbra in una smorfia divertita.

“Parli della ragazza dai capelli di fuoco, vero?”

Sorrisi.

 

 

 

 

 

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