Thema N° 1.

di __Heilig
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


You say I'm fixed, but I still feel broken

(That Day; Tokio Hotel)


Tic tic tic.

Il rubinetto perdeva nel bagno della suite 130.

Era l'hotel più lussuoso in cui avesse mai messo piede – e lui, di hotel, ormai se ne intendeva – con tende di pesante velluto bordeaux e lampade decorate in oro zecchino, eppure il rubinetto perdeva.

Tic tic tic.

A torso nudo, soltanto un asciugamano bianco legato intorno ai fianchi, Tom Kaulitz osservò attentamente l'immagine che lo specchio davanti a sé gli rimandava: il jet-lag non è uno scherzo, questo dicevano chiaramente le occhiaie violacee che si ritrovava – comprensibilmente – dopo giorni di sonno pessimo o quasi assente. Ma tutto sommato, aveva il suo fascino anche così; anzi, forse l'aspetto stanco gli dava un'aria più interessante, più vissuta. Certo era che non si sarebbe messo fondotinta, correttore o altre sciocchezze simili. Già gli scocciava lasciarsi truccare per forza quando avevano servizi fotografici e apparizioni televisioni. Almeno per quella sera, dato che non erano previsti né telecamere né paparazzi, si sarebbe risparmiato la tortura.

Tic tic tic.

Quel maledetto sgocciolio s'infilò di nuovo tra i suoi pensieri. Innervosito, Tom assestò un colpo a piena mano al rubinetto, senza peraltro risolvere nulla e anzi facendosi un gran male.

Mordendosi le labbra per non gridare o bestemmiare, si trascinò verso il letto sfatto, dove aveva posato i vestiti per la serata. Senza alcuna voglia, iniziò ad infilarsi i boxer.

Si chiese se non fosse malato: avrebbe preferito restarsene in camera a strimpellare la sua chitarra, o anche a dormire, piuttosto che scendere nella sala super-lussuosa gremita di gente noiosa e raccomandata.

Non aveva voglia di bere. Non aveva voglia di guardare le gambe, i culi e le tette delle ragazze che gli si sarebbero inevitabilmente affollate intorno. Non aveva nemmeno voglia di chiudersi in ascensore con una di loro, la più carina o la più disponibile. In breve, quella sera non aveva voglia di essere Tom Kaulitz. Era da un po' che quel pensiero gli tendeva subdoli agguati, ed ora finalmente era esploso con tutta la sua prepotenza: era stufo di essere uno stereotipo ambulante.

Ma non era quello il momento. Doveva scendere e sarebbe sceso: non si sarebbe tirato indietro.

Finì di vestirsi scacciando gli ultimi dubbi e rimandando le riflessioni all'indomani.



Con la mano ferma e decisa, Isolde Wilson finì di sistemare gli ultimi dettagli del suo trucco impeccabile. Si concesse un'ultima occhiata compiaciuta allo specchio prima di gettarsi sulle spalle il cappotto e infilare la porta con passo deciso. Era bella ma non perfetta, e sapeva benissimo entrambe le cose; ma sapeva anche che comportandosi come se fosse irresistibile, lo sarebbe diventata agli occhi di tutti. Era un piccolo ed indispensabile trucco che aveva imparato da sua madre fin da quand'era bambina, ed aveva sempre funzionato alla perfezione.

E quella sera soprattutto ne aveva estremo bisogno.

Salì in macchina e mise in moto, ripassando mentalmente la strada da percorrere.

Poteva farcela, anzi ce l'avrebbe fatta sicuramente, se lo sentiva. Abbassò il finestrino e lasciò che l'aria fredda della sera le accarezzasse la pelle liscia e pallida del viso. Aveva freddo, ma le piaceva: le dava la sensazione di essere viva in ogni centimetro del suo corpo. Come se un centinaio di spilli pungenti la stimolassero con lievi ma continue punture a tenere tutti i sensi all'erta. In più, poteva sentire ogni nervo tendersi, pronto a reagire al minimo stimolo; si sentiva come un predatore in agguato, pronto a balzare sulla preda, e in un certo senso lo era.

Sì, quella sera era decisamente in forma.



Nella sala, tutto era esattamente come Tom si aspettava: luci, musica, cocktail raffinati, cravatte e camicie stirate, minigonne più o meno visibili, scollature più o meno piene, tacchi vertiginosi. Tutto come sempre, tutto come gli era sempre piaciuto; ma quella sera decisamente qualcosa non girava per il verso giusto. Decise che si sarebbe appartato in un angolo da solo – per quanto potesse essergli possibile, con tutta quella gente e soprattutto quelle ragazze che non aspettavano altri che lui – con una bottiglia di vodka. Una volta ubriaco, poi, i casi erano due: o l'alcol gli avrebbe dato la carica che quella sera sembrava mancargli e allora la mattina

dopo si sarebbe svegliato con uno o più esseri di sesso decisamente femminile e dall'identità imprecisata; oppure sarebbe definitivamente crollato, e allora probabilmente si sarebbe ritrovato al cesso a vomitare con Bill che lo fissava a metà tra la compassione e il disgusto.

In ogni caso, decise che non gli importava cosa sarebbe successo dopo: l'importante era fare qualcosa per uscire da quello stato pietoso.

Pronto a mettere in atto il proprio piano autodistruttivo, localizzò con lo sguardo il bar mentre entrava con gli altri nella sala.

Ehi Tomi, come mai sei così silenzioso stasera?” gli chiese Bill, con la sua migliore vocetta da cerbiatto indifeso.

Devo pareggiare i tuoi difetti” ribatté lui, lanciando un'occhiataccia al gemello. In realtà, gli aveva risposto in modo più acido del necessario, a causa di tutto il nervosismo e l'irritazione che aveva dentro. Se ne accorse subito, ma non disse nulla, in parte per non peggiorare la situazione, e poi perché non aveva nemmeno voglia di discutere.

Georg sbuffò, scambiandosi un'occhiata d'intesa disperata con Gustav.

Ecco che cominciano anche stasera … “ bofonchiò il batterista, ben attento a non farsi sentire dai gemelli.

Erano davvero insopportabili quando iniziavano a discutere per stupidaggini di quel genere; dopo anni che li conosceva, ancora non ci aveva fatto l'abitudine. L'aveva sempre considerato un comportamento molto stupido, infantile e inutile, oltre che fastidioso per chiunque avesse la sfortuna di trovarsi nel raggio di mezzo chilometro. Alla fine, si volevano un gran bene, quei due; erano davvero inseparabili, nessuno dei due sarebbe sopravvissuto un giorno senza l'altro a fianco. Da quando li aveva conosciuti, aveva rivalutato quelle stronzate che si dicono sempre sui gemelli, e aveva scoperto che non erano affatto stronzate: era vero che se uno stava male, stava male anche l'altro, era vero che riuscivano a capire tutto ciò che l'altro stava pensando senza dire mezza parola, solo con uno sguardo veloce. Quello che ancora non capiva era perché avessero tutti questi problemi a sopportarsi e ad ammettere questo legame profondo come quasi nient'altro al mondo. Gustav pensava che fosse una gran fortuna avere qualcuno così accanto; invece, quei due passavano il tempo a prendersi a parole per cose di nessuna importanza. Nessuno dei due aveva un carattere facile, anzi; però avrebbero anche potuto sforzarsi di sopportare più pacificamente i difetti reciproci, come d'altra parte facevano tutti quelli che li conoscevano. Ma niente, non sarebbero mai riusciti a capirlo.

Una gomitata di Georg lo riscosse dalle sue riflessioni.

Stasera ci divertiamo, direi” considerò il bassista con un sorriso che gli si allargava sempre più mano a mano che lasciava lo sguardo vagare sulla folla.

Gustav lo imitò, anche se quello spettacolo non risvegliò la stessa soddisfazione ed eccitazione: certo, era pieno di ragazze belle, bellissime, stupende, modelle e giovani attrici, vincitrici di concorsi di bellezza più o meno famosi, fisici perfetti e sguardi intriganti. Ma lui aveva sempre pensato che fossero un po' tutte uguali, quelle così, un po' tutte vuote, un po' tutte noiose. Sotto quel punto di vista, era molto più simile a Bill che non agli altri due: credeva che un rapporto dovesse essere basato su qualcos'altro oltre all'attrazione fisica, e non gli piaceva “riempire i buchi” con storie da una notte o poco più.

Buona caccia” rispose all'amico con un sospiro, e con una pacca sulle spalle si allontanò da lui, preparandosi ad annoiarsi.


L'ingresso era, come c'era da aspettarsi, gremito di gente: paparazzi, giornalisti, curiosi … soprattutto, c'erano una miriade di ragazze da quindici ai venticinque anni che sembravano del tutto impazzite: spingevano, urlavano e supplicavano i buttafuori di farle entrare. Pregustando i loro sguardi d'odio puro che presto avrebbe sentito bruciarle la nuca, si incamminò con passo deciso verso l'entrata.

Il buttafuori aveva un cipiglio quasi feroce, ma non sembrava molto più che pura facciata per sembrare convincente nel suo ruolo. Scorse Isolde con la coda dell'occhio, e probabilmente stava per dirle, come faceva con tutte le altre, di stare indietro; la ragazza approfittò della breve pausa di stupore dell'uomo, che rimase come pietrificato non appena incontrò il suo sguardo, per dire con la voce più innocente che avesse: “Sono sull'elenco”. Con l'aria di non crederle affatto, il il corpulento buttafuori la squadrò ancora; sembrò che facesse uno sforzo, anche se cercò attentamente di mascherarlo, quando le staccò gli occhi di dosso per controllare la lista.

Nome?”

Isolde Wilson”

L'uomo scorse tutti i nomi con un sopracciglio alzato per arrestarsi quasi alla fine; sorpreso, rialzò gli occhi su di lei.

Ok, entri pure”

Prima che la musica e il chiacchierio della festa la avvolgesse, fu molto soddisfatta di sentire alle sue spalle le urla inferocite di protesta delle ragazze più vicine all'entrata che avevano seguito la scena, e che presumibilmente si affrettarono a raccontare l'accaduto anche a quelle più indietro, dato che i cori di insulti e proteste si gonfiò e la seguì come uno strascico.

Isolde sorrise alle luci della sala, avvertendo decine di paia d'occhi che la fissavano insistenti.

Si sentiva a suo agio. Si sentiva padrona di sé.

Sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


«Oh, you look so beautiful tonight

in the city of blinding lights»

(City of blinding lights; U2)


La vista iniziava già a sfocarglisi. Strano, non gli sembrava di aver bevuto così tanto. Strizzando gli occhi, cercò di capire quanta vodka fosse rimasta nella bottiglia... oh, meno di metà. Doveva essere passata circa mezz'ora. E non aveva mangiato nulla. Che pirla.

Già mezzo ubriaco, ci mise qualche secondo a rendersi conto che la sagoma indistinta che gli si stava avvicinando era una ragazza bellissima, forse la più bella che avesse mai visto. Era alta, gambe lunghe e affusolate, culo alto e sodo, una terza abbondante di seno; e poi, labbra carnose e rosse, occhi neri profondissimi, pelle chiara e quasi perlacea, capelli neri lisci e lunghissimi, sciolti sulle spalle. Indossava un vestito verde smeraldo, legato dietro al collo, con una generosa scollatura ornata da un filo di perle abbinato agli orecchini; le braccia nude erano coperte di tintinnanti e sottili cerchietti d'argento.

"Hai intenzione di bertela tutta da solo?" gli chiese la ragazza.

Non senza una certa riluttanza, Tom rialzò sul suo viso lo sguardo che stava beatamente vagando sulle curve di lei.

"L'idea era quella, sì" ribattè.

La ragazza gli si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso.

"Egoista" soffiò. Aveva una voce bassa, graffiante, che si intonava con il suo modo sinuoso felino di muoversi, come una leonessa in agguato.

Con una mossa veloce, senza staccare gli occhi da quelli di lui, gli prese la bottiglia dalle mani; vi appoggiò le labbra con un sorriso soddisfatto e bevve un lungo sorso, per poi restituirgliela.

"Mi chiamo Isolde"

Tom faticava a concentrarsi su un pensiero per più di due secondi: pensò che quel nome le si addiceva alla perfezione; pensò che quella ragazza gli assomigliava tanto, fin troppo, era il suo corrispettivo al femminile; pensò che almeno a lei non avrebbe dovuto spiegare perchè non aveva nessuna intenzione di iniziare una relazione seria, perchè sembrava dello stesso avviso; si domandò se l'alcol non gli avrebbe causato spiacevoli inconvenienti. Non faceva nemmeno in tempo a formulare ognuno di questi pensieri, che subito veniva spazzato via per essere sostiuito da quello successivo.

"E' inutile che ti dica il mio nome, tanto lo sai già, no?"

Non si sentiva a suo agio in presenza di quella ragazza, e non riusciva a capire perchè. Si sentiva in trappola, come se lei avesse già deciso tutto e lui non potesse fare nulla, scegliere csa fare, decidere come volesse comportarsi, come volesse che finisse quella serata. Era totalmente in balia di lei, e non era abituato a non avere il controllo in quelle situazioni.

Isolde rise di una risata bassa, calda e avvolgente, ma con una nota ruvida, graffiante. Tutto era graffiante, in lei, la sua presenza era quasi dolorosa.

"Che c'è da ridere? So benissimo perchè sei qui ... cosa sei, una modella?"

La ragazza puntò gli occhi nei suoi, con un velo di malizia che li faceva brillare sotto il trucco scuro.

"Sì, una modella". Lo disse con un'aria di sfida, come una provocazione. Sempre con quell'espressione, gli si avvicinò ancora di più, fino ad aderire con il suo corpo a quello di lui. Tom sentì come una scarica elettrica percorrergli la schiena quando lei posò le sue labbra calde e morbide sul suo collo. Era strana, quasi inquietante, nella sua sensualità, nel suo voler condurre il gioco; però, era pur sempre una bellissima ragazza che si premeva su di lui senza alcun pudore.

Con un sospiro, Tom decise che non valeva la pena di farsi troppi problemi: circondò la vita di Isolde con le braccia, mentre la sua bocca la cercava prepotentemente.


Il cuore di Isolde inizò a battere forte per l'eccitazione quando sentì Tom finalmente arrendersi: ormai era fatta, sentiva già il sapore della vittoria in bocca. Ed era il sapore della pelle di lui, delle sue labbra, il profumo fresco del suo collo.

Sentiva le sue mani forti e calde percorrere ogni centimetro della pelle della sua schiena, dandole lunghi brividi e strappandole sospiri tra un bacio e l'altro. Aveva aspettato quel momento per mesi; si era preparata, aveva studiato ogni minimo dettaglio, messo a punto il piano per raggiungere il suo scopo.

Aveva cercato di immaginarselo più e più volte, quel momento: appena prima di addormentarsi, cercava di figurarsi la scena, e la divertiva domandarsi come si sarebbe potuta comportare, anche se alla fine sapeva benissimo cosa avrebbe fatto. Si era anche divertita ad immaginarsi timida, indecisa, inesperta, perfino restia; nella sua mente, aveva giocato ad invertire i ruoli, trasformandosi nell'indifesa preda, quando lei era da sempre solo cacciatrice, e per di più spietata.

Aveva occupato il tempo che la separava da quel momento immaginandosi già lì, proprio come un bambino, quando sta per arrivare Natale, si immagina già seduto sul tappeto vicino all'albero addobbato a scartare proprio il gioco che voleva.

Così, nella sua mente Isolde si era dipinta quella scena nel modo migliore, esattamente come avrebbe voluto che andasse. Solo ora che c'era dentro, si rendeva pienamente conto di quanto in quel caso più che mai la realtà fosse mille volte meglio dell'immaginazione.

Tom non era come gli altri, non era solo uno dei tanti uomini che aveva avuto: era di più, rappresentava qualcosa di più, il simbolico oltrepassare una linea di confine, quasi un rito di iniziazione – a cosa, sinceramente, non avrebbe saputo dirlo. Fino ad allora, il massimo a cui era arrivata era stato il frontman di una band che nei dintorni riscuoteva un discreto successo, ma senza strepiti, o cose del genere che ora di colpo apparivano senza importanza. Era come se il suo comportamento fino ad allora le fosse servito come palestra per esercitarsi ed affinare l'arte della seduzione, per poi riuscire a sedurre lui, Tom Kaulitz. Era una star internazionale, metà delle ragazze che stavano fuori sicuramente avrebbe voluto trovarsi al suo posto, probabilmente anche buona parte delle ragazze che c'erano nella sala, se non tutte – poteva avere qualunque donna volesse, eppure non ci aveva messo nulla a farlo capitolare ai suoi piedi. L'aveva trovato in un angolo, già mezzo ubriaco, completamente disinteressato a ciò che gli accadeva intorno: non vedeva i sorrisi maliziosi né gli sguardi lascivi, non vedeva le minigonne che casualmente sfilavano continuamente a pochi centimetri da lui. Poteva avere qualunque donna volesse, ma evidentemente quella sera non ne voleva nessuna.

Ma era bastato un gesto, uno sguardo, un contatto sfiorato come per caso, e si era arreso, senza nemmeno combattere.

Ad Isolde sarebbe piaciuto pensare di averlo colpito molto più di chiunque altra, così tanto da spingerlo a modificare i suoi piani per la serata; ma ingannarsi non era sua abitudine. Sapeva perfettamente che le cose erano andate così perchè, anche se probabilmente non l'avrebbe mai capito né ammesso, Tom, il dongiovanni, il conquistatore, lo sciupafemmine, il 'Sex Gott', quella sera aveva bisogno di essere cacciato invece che cacciare, di essere preda invece che predatore. In circostanze normali, forse non le avrebbe mai pernesso di guidare il gioco con tale facilità. Ma Isolde sapeva che, nel farlo, aveva semplicemente seguito un desiderio di cui nemmeno era consapevole.

Anche la sorte stava parteggiando per lei.


Gustav era già stufo di tutta quella confusione. Era seduto ad un tavolo con Bill, David, un uomo che doveva essere qualcuno di importante e sua figlia, una ragazza ben vestita e troppo truccata, che sistemata meno accuratamente non avrebbe avuto alcuna attrattiva; anche così, non è che stesse facendo una gran figura: tutto quel che riusciva a fare era tenere gli occhi fissi su Bill sbattendo le ciglia, e ridere frivolamente ad ogni cosa che lui diceva. Inizialmente, il frontman sembrava apprezzare – in effetti, più la lusinga alla sua autostima che la ragazza in sè; ma ormai, anche lui si era stufato della sua sciocca civetteria e la ignorava apertamente.

Gustav tentò di riagganciarsi al filo del discorso tra gli altri: si era del tutto perso nei suoi pensieri ed ora non riusciva più a capire di cosa diavolo stessero parlando.

L'uomo dall'aspetto importante aveva fatto una domanda e Bill stava rispondendo.

"Sì, è stata l'ultima tappa del tour. Ora torneremo in Germania, e poi si vedrà ..."

Ah, ecco. Parlavano dei loro impegni futuri. Ti pareva: negli ultimi tre giorni, l'avevano ripetuto almeno cento volte a cento persone diverse. La gente non aveva proprio fantasia.

David si agitò sulla sedia, schiarendosi la gola. Non era proprio il suo argomento preferito, quello; aveva sempre paura che si facessero scappare qualcosa che non avrebbero dovuto, soprattutto quando a parlare era Bill – cioè nove volte su dieci.

Gustav decise che forse era il momento di intervenire nella conversazione.

"Sì, be', è stato un tour impegnativo ... soprattutto, il periodo in Asia"

La ragazza lanciò un urletto stridulo.

"In Asia! Ho letto un sacco di cose su quello che avete fatto là ... Dai, raccontaci com'è stato, Bill!"

il batterista si trattenne a stento dal chiederle meravigliato se davvero sapesse leggere. L'importante era aver riportato il discorso su un terreno sicuro, come gli confermò un'occhiata sollevata di David.

Era incredibile, funzionava sempre: bastava nominare le tappe in Asia che tutti impazzivano. Anche se erano passati mesi da quando c'erano stati, sembrava che l'argomento non passasse mai di moda.

Ormai, era tutto a posto: Bill avrebbe potuto andare avanti anche per giorni interi a parlarne; anche per lui sembrava che quello fosse sempre uno dei migliori argomenti di conversazione.

Gustav si concesse uno sguardo panoramico sulla sala: era incredibile come tutti sembrassero uguali, vestiti uguali, che si comportavano ugualmente. Non gli era mai piaciuta l'omologazione alla massa, non avrebbe mai capito perchè qualcuno dovesse rinunciare così alla propria indibidualità, soltanto per essere accettato. Forse non lo concepiva perchè non gli aveva mai dato fastidio starsene da solo, anzi.

Ad un tratto, un particolare all'altro capo della sala, vicino all'ascensore, attirò la sua attenzione. Aggiustandosi gli occhiali sul naso, cercò di vedere meglio attraverso la folla. Tom era appoggiato al muro, strettamente avvinghiato ad una ragazza vestita di verde, che sembrava davvero bellissima. Li vide sparire dentro l'ascensore senza nemmeno staccarsi l'uno dall'altra. Sospirò, tornando ad ascoltare la conversazione al suo tavolo: c'era da aspettarselo, d'altra parte. Come sempre.


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