«Oh,
you look so beautiful tonight
in
the city of blinding lights»
(City
of blinding lights; U2)
La
vista iniziava già a sfocarglisi. Strano, non gli sembrava di
aver bevuto così tanto. Strizzando gli occhi, cercò di
capire quanta vodka fosse rimasta nella bottiglia... oh, meno di
metà. Doveva essere passata circa mezz'ora. E non aveva
mangiato nulla. Che pirla.
Già
mezzo ubriaco, ci mise qualche secondo a rendersi conto che la sagoma
indistinta che gli si stava avvicinando era una ragazza bellissima,
forse la più bella che avesse mai visto. Era alta, gambe
lunghe e affusolate, culo alto e sodo, una terza abbondante di seno;
e poi, labbra carnose e rosse, occhi neri profondissimi, pelle chiara
e quasi perlacea, capelli neri lisci e lunghissimi, sciolti sulle
spalle. Indossava un vestito verde smeraldo, legato dietro al collo,
con una generosa scollatura ornata da un filo di perle abbinato agli
orecchini; le braccia nude erano coperte di tintinnanti e sottili
cerchietti d'argento.
"Hai
intenzione di bertela tutta da solo?" gli chiese la ragazza.
Non
senza una certa riluttanza, Tom rialzò sul suo viso lo sguardo
che stava beatamente vagando sulle curve di lei.
"L'idea
era quella, sì" ribattè.
La
ragazza gli si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal
suo viso.
"Egoista"
soffiò. Aveva una voce bassa, graffiante, che si intonava con
il suo modo sinuoso felino di muoversi, come una leonessa in agguato.
Con
una mossa veloce, senza staccare gli occhi da quelli di lui, gli
prese la bottiglia dalle mani; vi appoggiò le labbra con un
sorriso soddisfatto e bevve un lungo sorso, per poi restituirgliela.
"Mi
chiamo Isolde"
Tom
faticava a concentrarsi su un pensiero per più di due secondi:
pensò che quel nome le si addiceva alla perfezione; pensò
che quella ragazza gli assomigliava tanto, fin troppo, era il suo
corrispettivo al femminile; pensò che almeno a lei non avrebbe
dovuto spiegare perchè non aveva nessuna intenzione di
iniziare una relazione seria, perchè sembrava dello stesso
avviso; si domandò se l'alcol non gli avrebbe causato
spiacevoli inconvenienti. Non faceva nemmeno in tempo a formulare
ognuno di questi pensieri, che subito veniva spazzato via per essere
sostiuito da quello successivo.
"E'
inutile che ti dica il mio nome, tanto lo sai già, no?"
Non
si sentiva a suo agio in presenza di quella ragazza, e non riusciva a
capire perchè. Si sentiva in trappola, come se lei avesse già
deciso tutto e lui non potesse fare nulla, scegliere csa fare,
decidere come volesse comportarsi, come volesse che finisse quella
serata. Era totalmente in balia di lei, e non era abituato a non
avere il controllo in quelle situazioni.
Isolde
rise di una risata bassa, calda e avvolgente, ma con una nota ruvida,
graffiante. Tutto era graffiante, in lei, la sua presenza era quasi
dolorosa.
"Che
c'è da ridere? So benissimo perchè sei qui ... cosa
sei, una modella?"
La
ragazza puntò gli occhi nei suoi, con un velo di malizia che
li faceva brillare sotto il trucco scuro.
"Sì,
una modella". Lo disse con un'aria di sfida, come una
provocazione. Sempre con quell'espressione, gli si avvicinò
ancora di più, fino ad aderire con il suo corpo a quello di
lui. Tom sentì come una scarica elettrica percorrergli la
schiena quando lei posò le sue labbra calde e morbide sul suo
collo. Era strana, quasi inquietante, nella sua sensualità,
nel suo voler condurre il gioco; però, era pur sempre una
bellissima ragazza che si premeva su di lui senza alcun pudore.
Con
un sospiro, Tom decise che non valeva la pena di farsi troppi
problemi: circondò la vita di Isolde con le braccia, mentre la
sua bocca la cercava prepotentemente.
Il
cuore di Isolde inizò a battere forte per l'eccitazione quando
sentì Tom finalmente arrendersi: ormai era fatta, sentiva già
il sapore della vittoria in bocca. Ed era il sapore della pelle di
lui, delle sue labbra, il profumo fresco del suo collo.
Sentiva
le sue mani forti e calde percorrere ogni centimetro della pelle
della sua schiena, dandole lunghi brividi e strappandole sospiri tra
un bacio e l'altro. Aveva aspettato quel momento per mesi; si era
preparata, aveva studiato ogni minimo dettaglio, messo a punto il
piano per raggiungere il suo scopo.
Aveva
cercato di immaginarselo più e più volte, quel momento:
appena prima di addormentarsi, cercava di figurarsi la scena, e la
divertiva domandarsi come si sarebbe potuta comportare, anche se alla
fine sapeva benissimo cosa avrebbe fatto. Si era anche divertita ad
immaginarsi timida, indecisa, inesperta, perfino restia; nella sua
mente, aveva giocato ad invertire i ruoli, trasformandosi
nell'indifesa preda, quando lei era da sempre solo cacciatrice, e per
di più spietata.
Aveva
occupato il tempo che la separava da quel momento immaginandosi già
lì, proprio come un bambino, quando sta per arrivare Natale,
si immagina già seduto sul tappeto vicino all'albero addobbato
a scartare proprio il gioco che voleva.
Così,
nella sua mente Isolde si era dipinta quella scena nel modo migliore,
esattamente come avrebbe voluto che andasse. Solo ora che c'era
dentro, si rendeva pienamente conto di quanto in quel caso più
che mai la realtà fosse mille volte meglio dell'immaginazione.
Tom
non era come gli altri, non era solo uno dei tanti uomini che aveva
avuto: era di più, rappresentava qualcosa di più, il
simbolico oltrepassare una linea di confine, quasi un rito di
iniziazione – a cosa, sinceramente, non avrebbe saputo dirlo.
Fino ad allora, il massimo a cui era arrivata era stato il frontman
di una band che nei dintorni riscuoteva un discreto successo, ma
senza strepiti, o cose del genere che ora di colpo apparivano senza
importanza. Era come se il suo comportamento fino ad allora le fosse
servito come palestra per esercitarsi ed affinare l'arte della
seduzione, per poi riuscire a sedurre lui, Tom Kaulitz. Era una star
internazionale, metà delle ragazze che stavano fuori
sicuramente avrebbe voluto trovarsi al suo posto, probabilmente anche
buona parte delle ragazze che c'erano nella sala, se non tutte –
poteva avere qualunque donna volesse, eppure non ci aveva messo nulla
a farlo capitolare ai suoi piedi. L'aveva trovato in un angolo, già
mezzo ubriaco, completamente disinteressato a ciò che gli
accadeva intorno: non vedeva i sorrisi maliziosi né gli
sguardi lascivi, non vedeva le minigonne che casualmente sfilavano
continuamente a pochi centimetri da lui. Poteva avere qualunque donna
volesse, ma evidentemente quella sera non ne voleva nessuna.
Ma
era bastato un gesto, uno sguardo, un contatto sfiorato come per
caso, e si era arreso, senza nemmeno combattere.
Ad
Isolde sarebbe piaciuto pensare di averlo colpito molto più di
chiunque altra, così tanto da spingerlo a modificare i suoi
piani per la serata; ma ingannarsi non era sua abitudine. Sapeva
perfettamente che le cose erano andate così perchè,
anche se probabilmente non l'avrebbe mai capito né ammesso,
Tom, il dongiovanni, il conquistatore, lo sciupafemmine, il 'Sex
Gott', quella sera aveva bisogno di essere cacciato invece che
cacciare, di essere preda invece che predatore. In circostanze
normali, forse non le avrebbe mai pernesso di guidare il gioco con
tale facilità. Ma Isolde sapeva che, nel farlo, aveva
semplicemente seguito un desiderio di cui nemmeno era consapevole.
Anche
la sorte stava parteggiando per lei.
Gustav
era già stufo di tutta quella confusione. Era seduto ad un
tavolo con Bill, David, un uomo che doveva essere qualcuno di
importante e sua figlia, una ragazza ben vestita e troppo truccata,
che sistemata meno accuratamente non avrebbe avuto alcuna attrattiva;
anche così, non è che stesse facendo una gran figura:
tutto quel che riusciva a fare era tenere gli occhi fissi su Bill
sbattendo le ciglia, e ridere frivolamente ad ogni cosa che lui
diceva. Inizialmente, il frontman sembrava apprezzare – in
effetti, più la lusinga alla sua autostima che la ragazza in
sè; ma ormai, anche lui si era stufato della sua sciocca
civetteria e la ignorava apertamente.
Gustav
tentò di riagganciarsi al filo del discorso tra gli altri: si
era del tutto perso nei suoi pensieri ed ora non riusciva più
a capire di cosa diavolo stessero parlando.
L'uomo
dall'aspetto importante aveva fatto una domanda e Bill stava
rispondendo.
"Sì,
è stata l'ultima tappa del tour. Ora torneremo in Germania, e
poi si vedrà ..."
Ah,
ecco. Parlavano dei loro impegni futuri. Ti pareva: negli ultimi tre
giorni, l'avevano ripetuto almeno cento volte a cento persone
diverse. La gente non aveva proprio fantasia.
David
si agitò sulla sedia, schiarendosi la gola. Non era proprio il
suo argomento preferito, quello; aveva sempre paura che si facessero
scappare qualcosa che non avrebbero dovuto, soprattutto quando a
parlare era Bill – cioè nove volte su dieci.
Gustav
decise che forse era il momento di intervenire nella conversazione.
"Sì,
be', è stato un tour impegnativo ... soprattutto, il periodo
in Asia"
La
ragazza lanciò un urletto stridulo.
"In
Asia! Ho letto un sacco di cose su quello che avete fatto là
... Dai, raccontaci com'è stato, Bill!"
il
batterista si trattenne a stento dal chiederle meravigliato se
davvero sapesse leggere. L'importante era aver riportato il discorso
su un terreno sicuro, come gli confermò un'occhiata sollevata
di David.
Era
incredibile, funzionava sempre: bastava nominare le tappe in Asia che
tutti impazzivano. Anche se erano passati mesi da quando c'erano
stati, sembrava che l'argomento non passasse mai di moda.
Ormai,
era tutto a posto: Bill avrebbe potuto andare avanti anche per giorni
interi a parlarne; anche per lui sembrava che quello fosse sempre uno
dei migliori argomenti di conversazione.
Gustav
si concesse uno sguardo panoramico sulla sala: era incredibile come
tutti sembrassero uguali, vestiti uguali, che si comportavano
ugualmente. Non gli era mai piaciuta l'omologazione alla massa, non
avrebbe mai capito perchè qualcuno dovesse rinunciare così
alla propria indibidualità, soltanto per essere accettato.
Forse non lo concepiva perchè non gli aveva mai dato fastidio
starsene da solo, anzi.
Ad
un tratto, un particolare all'altro capo della sala, vicino
all'ascensore, attirò la sua attenzione. Aggiustandosi gli
occhiali sul naso, cercò di vedere meglio attraverso la folla.
Tom era appoggiato al muro, strettamente avvinghiato ad una ragazza
vestita di verde, che sembrava davvero bellissima. Li vide sparire
dentro l'ascensore senza nemmeno staccarsi l'uno dall'altra. Sospirò,
tornando ad ascoltare la conversazione al suo tavolo: c'era da
aspettarselo, d'altra parte. Come sempre.
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