L'Azzurro del Cielo di Maggio di Vekra (/viewuser.php?uid=36822)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Narciso ***
Capitolo 2: *** Innocente ***
Capitolo 3: *** Codardia e rassegnazione ***
Capitolo 4: *** I respiri dell'aria ***
Capitolo 5: *** Presa di posizione ***
Capitolo 6: *** Promessa ***
Capitolo 7: *** Vicinanza e gratitudine ***
Capitolo 1 *** Narciso ***
Prologo - Narciso
NdA:
Ho scritto quanto segue due anni fa, quasi tre. Mi era tornata la
voglia di scrivere dopo diversi anni di totale lontananza da carta e
penna. Per questo ringrazio di cuore la mia vecchia coinquilina che mi
ha ricordato questa mia vecchia passione.
Tentai di rimettere mano a una
mia vecchia storia ma, inevitabilmente, quella mutò, la
protagonista (una dei protagonisti in effetti) mutò e posso dire
con tutta tranquillità che è diventata uno dei personaggi
che detesto di più.
Questo prologo parla di lei...
è un piccolo scorcio nella sua anima e nei suoi pensieri.
L’ho cambiato tante volte, plasmato in mille modi diversi e
questa versione è l’ultima, scritta più di un anno
fa.
La mia scrittura è
cambiata, io sono cambiata, tanto che questa storia iniziata e mai
conclusa non mi sembra più scritta da me. Eppure, rileggendola
per caso, mi è piaciuta e mi sono resa conto di amare ancora le
mie creature e di non volere che morissero così, dimenticate
dentro un computer.
Ho deciso di metterla qui, nella
speranza che voi lettori mi possiate aiutare nel migliorare il mio modo
di scrivere, che possiate apprezzare questi personaggi tanto quanto li
ho apprezzati io.
Buona lettura.
Prologo – Narciso
La stanza era completamente
buia, non un raggio di luna filtrava dalla finestra. La ragazza,
Eleanor, era sola. Non che le dispiacesse, non era certo un tipo
socievole ed estroverso. Si trovava accucciata sotto le coperte, ma non
aveva nessuna intenzione di dormire. Sfruttava, infatti, quei momenti
che precedono la caduta nelle braccia di Morfeo per pensare con calma.
La sua mente stava ripercorrendo e analizzando i fatti di quel
pomeriggio. Sicuramente le conseguenze non sarebbero state rilevanti al
punto da poterla sconvolgere. Il suo cuore inaspettatamente
sperò. Il volto di lui le apparve nitido e sorridente e si
sentì meglio. Tuttavia era meglio non sottovalutare nulla, non
era così sciocca da non prendere in considerazione una reazione
così innocente, decisamente semplice e ingenua. Ma non era mai
successo prima e la ragazza non se lo sarebbe mai aspettato. Eleanor
non aveva un buon rapporto con le sorprese, non sopportava che le
situazioni le sfuggissero di mano o non fossero prevedibili. Un leggero
fastidio le arricciò il naso. Cercò appoggio e
soddisfazione nelle sue scelte e nelle sue azioni. Li trovò e,
finalmente, sorrise.
***
Si alzò presto, anche se
era sabato. Di solito non disdegnava di rimanere a letto fino a tardi
ma sentiva di dover approfondire una certa questione. E prima ancora le
avrebbe dovuto raccontare: chi la voleva sentire, se poi borbottava che
non le diceva mai nulla. Si fece una bella doccia. Riposante.
Distensiva. Dopo andava meglio. Naturalmente passò un bel
po’ di tempo davanti allo specchio. Era orgogliosa di se stessa,
e chi la conosceva, senza sforzarsi troppo, la chiamava
“Narciso”. Che originalità. “Folletto”
era quasi peggiore. Secondo il suo modesto parere, nessuno meglio dei
folletti era padrone di decoro, eleganza e imperturbabilità. E
doveva essere una sensazione magnifica, avere tutto quel potere nelle
proprie mani. Chissà come si sentivano, chissà cosa
provavano… Non lo avrebbe mai saputo. La seccava, quindi,
sentire usare quel nome come qualcosa di strano da cui stare lontani.
Senza contare che avrebbe potuto essere tranquillamente una di loro,
come tutti le ricordavano, non senza una certa esasperazione. Oh
sì, era davvero orgogliosa.
Ultimò di sistemarsi e
scivolò in cucina, prese un bicchiere di latte. Mentre lo
sorseggiava, si ritrovò ad apprezzare l’amabile suono del
silenzio. Lavò il bicchiere: sarebbe stato molto sgradevole
lasciarlo nel lavello sporco, non era quello il suo posto. Scrisse un
biglietto ai genitori, li avvertiva che era uscita e che sarebbe
tornata per pranzo. Che ragazza premurosa. Sorrise di nuovo.
Uscì.
***
Per strada non c’era quasi
nessuno, ottimo. La giornata era cominciata splendidamente, poteva
ritenersi molto soddisfatta. Già fuori di casa
s’iniziavano a sentire gli uccellini che cantavano, il fruscio
del vento fra gli alberi, il ronzio leggero degli ultimi grilli. Addio
dolce silenzio, alla prossima… Ammise a se stessa che, se i
passeri e i pettirossi avevano da pigolare così già di
prima mattina, non poteva che andare tutto bene, e si sentì
felice per loro. Il vento, inoltre, porta il profumo di posti lontani,
conosce tutto. A volte sembra, quasi, che voglia iniziare a raccontare.
‘Merita rispetto e
ammirazione’ pensò. I frassini e i pioppi si stagliavano
alti e imponenti contro il cielo, alcune foglie iniziavano a dorarsi.
Belli, bellissimi. La natura è meravigliosa, quanto piacere per
gli occhi… Anche i suoni potevano avere la loro utilità,
se rivelavano la presenza di ciò che è più puro
nel mondo. Sorrise ancora. E contemplò i colori di tutti quei
giardini. Contemplò la cura e la precisione. Contemplò le
morbide corolle che si crogiolavano sotto le carezze dell’aria.
Contemplò quel verde, quel verde che non dava spazio al respiro,
che era pieno e che sapeva di speranza. Si accorse di essersi fermata.
Le sue labbra s’incurvarono sotto il peso della consapevolezza.
Le sue iridi, avide, sfiorarono il marciapiede largo e dritto, la
strada ordinatamente selciata. Non contente, lambirono gli edifici di
pietra, il vetro lucido delle botteghe. Toccarono le cassette della
posta e i lampioni sparsi qua e là. La soddisfazione le avvolse
il cuore, e la mente, paga, le ricordò i suoi impegni. Si
può indovinare come reagì a questi pensieri. Un buon
inizio davvero.
I viali iniziarono a riempirsi
di mattinieri e coloro così sfortunati da dover lavorare il
sabato. Si alzò gradualmente un certo brusio. Quante
parole…
‘Troppe’ inutile
voglia di comunicare… La ragazza fu riconosciuta da un paio di
persone che la salutarono. Eleanor rispose cordialmente. Che personcina
educata. Continuò a camminare, anzi diciamo passeggiare:
avanzava con calma, con esasperante lentezza, si guardava intorno con
noncuranza, il tempo non le metteva fretta. Entrò in un bar e
comprò due caffè, passò dal forno e prese due
cornetti fragranti. Forse così non si sarebbe dovuta sorbire
troppe lamentele sulle visite inaspettate di sabato mattina. Dopo
avanzò più speditamente, che tragedia se il caffè
si fosse raffreddato prima di poterselo gustare.
Si fermò davanti a una
casa con finestre di legno scuro e con un giardino molto grande e
decisamente più curato dei suoi vicini. Quanta pace sembrava
emanare quella casa. Se tutte le apparenze fossero così!
Oltrepassò il cancello, percorse il vialetto e prese una chiave
da dietro un vaso di tulipani accanto alla porta. Prevedibile. E
sciocco. Entrò con sicurezza e senza far rumore.
***
Si trovò in un piccolo
atrio. Lo oltrepassò e girò a sinistra dentro la cucina,
poggiò la busta con cornetti e caffè. Uscì salendo
le scale sulla sinistra e varcò silenziosamente una porta,
sempre a sinistra. Facile, davvero facile. La stanza non era buia come
la sua: attraverso le tendine rosse, il sole si poggiava delicatamente
ovunque gli riuscisse. Meglio, molte meno probabilità di andare
a sbattere. Si avvicinò al letto, una massa di riccioli neri
spuntava da sotto le coperte. Scosse con garbo quella che doveva essere
una spalla, per sentire gorgogliare qualcosa sul sabato e sullo
stramaledetto diritto di dormire. Quanta classe…
“Ti aspetto in cucina, ti
ho portato la colazione” disse, non riuscendo a reprimere il tono
condiscendente della sua voce. Due occhi sorpresi spuntarono in mezzo a
quelle ciocche scure. Nella fretta di alzarsi la migliore amica della
nostra Narciso cadde malamente dal letto. Quanta grazia… Eleanor
scese in cucina e attese seduta al tavolo.
***
Dopo mezz’ora la ragazza
la raggiunse con un’espressione piuttosto contrariata.
Com’era diversa da Eleanor. Innanzitutto l’aspetto, poi il
carattere. Dovrebbe importare? A loro sicuramente no. Il suo nome era
May.
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Capitolo 2 *** Innocente ***
Capitolo 1- Innocente
NdA: Ed
ecco qui il primo capitolo, in cui fa il suo scorbutico ingresso
un’altra protagonista e si parla di un altro ancora che,
probabilmente, detesto più di Narciso; intanto Eleanor si spiega
meglio e, forse, potrete iniziare a capire perché non la
sopporto.
Se ci fossero domande o incomprensioni, chiedete pure.
Buona lettura.
Capitolo 1 – Innocente
‘Eccoti qui’ pensò May. Eleanor sedeva compostamente, tenendo fra le mani un bicchierino di plastica vuoto.
“Avresti potuto aspettarmi” inveì a mo’ di buongiorno. Sogghignò nel vederla scuotere la testa.
“Il caffè freddo non mi piace e tu sei troppo lenta” le rispose guardandola con rimprovero.
“Potevi scaldarlo, e non
dirmi che non sai come si fa” si sedette anche lei, ridacchiando
fra sé all’espressione leggermente irritata comparsa per
nemmeno un secondo sulla faccia di Eleanor. Era decisamente divertente
sapere di essere l’unica a farla traballare così.
“Grazie comunque per il
pensiero” aggiunse addentando il cornetto. Era alla marmellata di
pesche, il suo preferito. Eleanor non disse nulla. ‘Cavolo
l’ho proprio fatta uscire dai gangheri’ pensò la
mora.
“Non tenermi il muso
così, Narciso… Non sono stata io a svegliarti presto di
sabato mattina!” abbozzò un sorriso più gentile
“Vuoi dirmi qualcosa immagino” continuò. Non
c’era più traccia del cornetto. May prese il caffè,
tenne il bicchierino fra le mani per un po’ e lo sorseggiò
solo quando divenne caldo abbastanza. Eleanor nel frattempo
mangiucchiava il suo cornetto in silenzio.
‘Detesto quando fa
così, non le si può dire nulla!’ pensò la
mora “Ok, ok, ho sbagliato, non ti dovevo aggredire così,
sono stata maleducata, sei stata gentile a portarmi la colazione e io
ti tratto male, scusami” borbottò frettolosamente.
‘Eccola che sorride, ha vinto di nuovo’ considerò
scoppiando a ridere e si sporse sul tavolo e arruffandole i capelli.
Eleanor vi passò una mano in mezzo per sistemarli e May
sogghignò di nuovo.
“Forza, illuminami Narciso” disse platealmente.
“Bene,” con un
fazzoletto si pulì la bocca da briciole inesistenti “Ti
ricordi cosa avrei dovuto fare ieri?”
“Dorian veniva da te, giusto?”
“Esatto, e, infatti, è venuto. Tutto come al solito, noi due in cucina a studiare”.
“Tutto come al solito?”
“Sì”.
May era senza parole. E si stava
irritando di nuovo. Ma, dopo averla guardata negli occhi, si disse che
era inutile poltrire a letto e che, anche se voleva solo parlarle,
Eleanor poteva benissimo svegliarla. La disponibilità è
uno dei fondamenti dell’amicizia, no? E poi Narciso le aveva
anche portato la colazione… Poteva fare quello che voleva. Lei
faceva quello che voleva. E quasi ti faceva sentire in colpa, se non la
approvavi subito. La mora sbuffò rassegnata.
“È questo che non capisco” continuò Eleanor.
“Come scusa?” si stupì l’altra.
“Era tutto normale, tutto
come al solito. Io che cerco di farlo studiare, lui che dice di non
averne voglia, e con che coraggio poi, è lui che mi ha chiesto
di aiutarlo…”
“Te lo chiese quando avevamo nove anni…” la bloccò May.
“Sì, non mi
sembrò strano, i suoi voti non erano altissimi, anzi diciamo
bassi, era naturale che…”
“Che si rivolgesse a te
?” May calcò l’ultima parola. Ed ecco di nuovo
quell’espressione irritata apparirle sul viso per un attimo. Ma,
questa volta, Eleanor non rimase in silenzio, continuò a parlare
ignorando l’ultima interruzione dell’amica.
“Ieri è venuto lui da me. E ho dovuto fare i salti mortali per convincerlo a finire quel tema…”.
“Sì certo, i salti
mortali, quante parole hai dovuto dirgli in più, tre, quattro?
Lo sai bene che riesci a plasmarlo nelle tue mani, ti ascolta sempre
anche se si lamenta”.
“Dovresti farlo anche tu, non sarebbe male”.
May si ammutolì. Ok forse
era il caso di lasciarla continuare. Ma… Un momento! Era
riuscita a farsi rispondere a una frecciatina! Ma allora si può
sciogliere il ghiaccio…
“La mia solita lingua lunga” le sorrise maliziosamente. Eleanor quasi si morse la sua, ma continuò.
“Questo è il primo
dei fatti strani successi ieri… Ho dovuto insistere per
un’ora perché finisse quel tema, lui continuava a
impuntarsi che era una bella giornata e che era… inutile
sprecarla chini sui libri.”
‘Perfettamente d’accordo’ approvò May nella sua testa.
“Si è impuntato per
andare a farci un giro ai Centri, insomma, una vera e propria tortura,
poi per fortuna è rinsavito e ha finito il tema”.
‘Proprio una
fortuna… Chissà perché studia ancora con te, ormai
non ha più bisogno di aiuto, vero? Sei stata un’ottima
insegnante Narciso…’ un sorriso amaro segnò le
labbra della mora.
“Erano quasi le sei quando ha finito, mi ha chiesto se volevo uscire con lui a fare una passeggiata.”
‘Proprio un tipo che ama stare all’aria aperta, il nostro Dorian’.
“Ma non avevo finito di
rispondere alle domande di Lettere Umane, e così non se
n’è fatto nulla. Lui ha preso le sue cose, si è
alzato dal tavolo e mi sono alzata anch’io, per accompagnarlo
alla porta”.
‘Ma cosa è successo Eleanor? Perché mi dici queste cose? Non hanno senso!’
“Appena gli sono passata a
fianco mi ha abbracciato, l’ho abbracciato anch’io, non ci
ho visto nulla di male”.
‘E direi, è come se fosse tuo fratello!’
“Lui mi ha preso il viso tra le mani e mi ha baciato”.
May non era pronta a tutto
questo. Non conosceva Dorian da tanto tempo quanto Narciso ma credeva
che non la considerasse più di un’amica. Strano, di solito
non sbagliava nel giudicare le persone. Rimase in silenzio. Forse
Eleanor si aspettava un commento perché non parlò
più. Ma May non la accontentò. Pensava a cosa si fosse
lasciata sfuggire. E perché non le aveva detto niente? Avrebbe
potuto aiutarlo. Invece aveva preferito non dirle nulla e lei non
l’aveva capito. Lo aveva sempre giudicato come un ragazzo un
po’ sfrontato e pedante a volte, ma che riusciva sempre a usare
la testa con ragionevolezza. Agire così impulsivamente non era
da lui. Che avesse mandato tutto a farsi benedire? Possibile… Ma
perché proprio adesso? Se gli piaceva Narciso, perché
glielo faceva capire solo ora? Senza contare che la ragazza lo
considerava solo un amico e lui lo sapeva!
‘Stupido idiota!’ digrignò fra i denti la mora. Osservò Eleanor guardarla a sua volta in attesa.
“Cosa c’è che ti tormenta Narciso? Non ti è piaciuto?” sbottò seccamente.
“Non ci ho fatto molto caso” fu la calma risposta.
‘Iniziamo bene…
Sarai contento Dorian…’ la mora non sapeva che parti
prendere: avrebbe dovuto aiutare l’amico o… o cosa?
Eleanor ancora non le diceva nulla, non sapeva nemmeno come
l’avesse presa!
“Sei pregata, cara
Narciso, di essere più chiara… E dato che ci sei non
perderti in particolari inutili!” sbraitò abbastanza
rudemente. L’amica non fece caso al tono non proprio amichevole e
proseguì come se nulla fosse.
“Mi ha sorpreso. Non me lo
aspettavo. Immagino di essere stata troppo sconvolta per quello che
stava facendo per pensare ad altro” scosse la testa non riuscendo
ancora a capacitarsi di questa sgradevole manchevolezza “Comunque
non ho reagito, o meglio” aggiunse prevenendo la domanda che si
era formata nella testa della mora “non l’ho ricambiato, le
mie labbra sono rimaste assolutamente serrate. Ho pensato subito di
cercare di allontanarlo senza essere troppo brusca, ma mio padre
è entrato in cucina” May dimenticò subito di
ricordarle che evitare di ricambiarlo poteva già considerarsi
brusco. Ripensò al padre della sua amica, il signor Isaac
Aylmer. Un tipo piuttosto serio e di vedute ristrette, poco incline al
sorriso e molto alle prediche inutili... una vera piaga. Si
ritrovò ad arricciare le labbra in segno d’insofferenza.
“Dorian si è
allontanato da me come se scottassi, mi è parso molto
arrabbiato. Non l’ho mai visto così… sembrava aver
perso il lume della ragione. Ma, quando si è voltato verso mio
padre, era impassibile. Papà era senza parole. Anche questo mi
ha sorpreso, ma già si trattava di qualcosa di più
affrontabile. Dopo nemmeno un secondo gli ha intimato di andarsene da
casa nostra e di non farsi più vedere. Mi sono messa fra loro e
gli ho detto chiaramente che non aveva il diritto di trattarlo
così, visto che non aveva fatto nulla di male. Non sai che
voglia di ridere avevo. Iniziavo a rendermi conto di quello che era
successo e l’idea che Dorian si fosse comportato in modo
tanto… ingenuo, semplice, decisamente sciocco e
innocente… Ho fatto uno sforzo enorme per non scoppiare a ridere
in faccia a papà, non l’avrebbe gradito. E, se è
per questo, avrebbe dato fastidio anche a me. E comunque non volevo
offendere Dorian” Ok, troppe cose in una volta. May iniziava ad
avvertire un leggero fastidio alle tempie. La mora non era per niente
stupita dalla strana morale che sembrava influenzare i giudizi
dell’amica. A quelli c’era abituata e, per come la vedeva
lei, ognuno poteva pensare come voleva se le azioni che ne seguivano
non ferivano nessuno. La preoccupavano due cose in particolare: la
reazione di Dorian e quella di Eleanor.
Dorian arrabbiato, che
“sembrava aver perso il lume della ragione”. Piuttosto
comprensibile anche se del tutto insolito: al massimo era insistente
fino alla nausea ma non si scomponeva mai. Evidentemente ci teneva
molto che tutto andasse bene… Ma cosa si aspettava? Che lo
ricambiasse? Decisamente non era il Dorian con cui era abituata a
confrontarsi.
Ed Eleanor? Eleanor che
rispondeva a tono a suo padre! Non poteva crederci! Erano sempre andati
d’accordo, non discutevano mai! Si era persa un evento unico!
Aveva preso le parti del ragazzo, però non aveva ricambiato il
suo gesto.
“Perché l’hai difeso?”
“Perché è un
mio amico. Perché non voglio rinunciare a lui, non voglio che ci
sia proibito di vederci, non voglio che mio padre s’intrometta in
cose che non lo riguardano, non voglio che lui decida per me. Voglio
bene a Dorian, non t’immagini quanto. Non come vorrebbe lui, a
conti fatti, ma gli voglio bene. Il solo pensiero di non poterlo
più avere accanto a me è… opprimente…”
May non credeva di poterla mai
vedere così esitante, così presa. Che giornata
particolare. Quante emozioni Eleanor sarebbe stata capace di esprimere
prima di collassare? Di certo non avrebbe voluto essere presente quando
sarebbe successo. Era strano avere a che fare con lei quando si
mostrava così umana… così diversa dal folletto
narcisista cui era abituata… Sembrava quasi una ragazza
normale…
“Voglio risolvere questa
situazione, voglio avere la possibilità di chiarirci, voglio che
tutto torni come prima” concluse con il consueto contegno.
“Immagino, quindi, che
ancora non vi chiarite… cosa è successo dopo? Va
avanti” la incalzò la mora.
“Papà ci è
davvero rimasto secco. Non si aspettava certo una simile razione da me,
come se davvero pensasse che io sia come lui. Detesto essere
sottovalutata così, mi sono parecchio infastidita. Comunque
è rimasto in silenzio a fissarmi per qualche secondo, neanche
avesse visto un fantasma o Rosalie, poi ha girato i tacchi ed è
uscito dalla cucina dalla porta che da’ all’ingresso. Mi
sono girata per parlare con Dorian, ma anche lui era uscito, dalla
porta che da’ in giardino: si è tirato indietro. Non si
è mai comportato così” aggiunse.
“Anche questo ti ha stupito, immagino?”
“Sì, certo. Volevo
subito andare a cercarlo. Non ho fatto in tempo nemmeno a mettere a
posto i libri che papà è piombato in cucina. Ha pure
rischiato di cadere nella fretta. Era tutto rosso in viso e faceva pure
fatica a respirare con calma”.
‘Del resto non gli deve essere andato bene farsi rimproverare dalla sua perfetta figliola’.
“Abbiamo discusso a lungo.
Ci si aspetterebbe da un adulto che come minimo mantenga la calma, ma
non ha fatto altro che urlare per tutto il tempo. E alla fine anche mia
madre e Rosalie si sono unite alla conversazione”.
‘Ha ancora il coraggio di chiamarla conversazione?’
“In poche parole,
papà si è risentito del mio comportamento irrispettoso e
mi ha ricordato che ascoltare i consigli di un genitore, cioè
lui, è il modo migliore per non avere problemi. O meglio,”
aggiunse dopo essersi beccata un’occhiataccia dalla mora
“per non andare a finire a letto con il primo che passa. Mi ha
ricordato che i ragazzi alla nostra età pensano a una cosa sola.
Che certi atteggiamenti vanno bloccati sul nascere per evitare gravi
pesi sulla coscienza. Un bambino non voluto” precisò
automaticamente “Ha detto che si è sentito molto deluso
dalla mia condotta e che credeva che avessi più criterio.
Insomma, ha detto una miriade di sciocchezze sullo stesso genere per
tutto il pomeriggio. Mi sono annoiata a morte. Mamma ha cercato di
farlo ragionare ma, ormai, si era trasformato in un disco rotto. E ha
smesso solo la sera”.
“E tu cosa gli hai detto?” May lo immaginava già, ma sentirselo dire era un’ altra cosa.
“Che non si nasce da un
bacio e che se non mi riteneva in grado di affrontare una situazione
così, voleva dire che era perfettamente conscio di avermi
cresciuto in maniera sbagliata. Gli ho detto che saltare a conclusioni
così poco verosimili è un atteggiamento molto infantile.
E che prendersela con Dorian per qualcosa che non lo riguarda per
nulla, non è qualcosa che accetto. Non sta a lui decidere chi
può baciarmi e chi no. Se Dorian l’ha fatto, ha avuto
sicuramente i suoi motivi, ma non sta a lui giudicarli, sta a me
decidere cosa fare. E poi gli ho detto che si sarebbe dovuto
tranquillizzare del fatto che fosse stato Dorian e non uno sconosciuto.
Del resto, Dorian lo conosce da quando era un bebè e sa meglio
di me che non mi potrebbe mai costringere a fare qualcosa che non
voglio. Gli ho detto che non avrebbe dovuto rivolgersi a un mio amico
in quel modo per così poco, ma era come parlare al vento. Anzi
no, almeno il vento raccoglie tutto quello che dici, papà non mi
ha nemmeno ascoltato” May sorrise appena al pensiero di aver
avuto ragione. Prese il bicchierino di carta e se lo passò da
mano in mano. Eleanor proseguì con la sua storia.
“Mamma mi ha sostenuta per
tutto il tempo. Rosalie ha riso praticamente sempre ma, ogni tanto,
riusciva a riprendersi abbastanza da dire che la pensava come me. Alla
fine papà si è visto contro tutta la famiglia e ha smesso
di urlare, se non altro. Poi ha smesso del tutto di parlare e per tutta
la serata non ci ha rivolto la parola. Peggio di un bambino
piccolo”.
‘Meno male che tua madre
ti ha aiutato, altrimenti col cavolo che saresti potuta venire
qui’ la mora posò il bicchierino sul tavolo, si
alzò, guardò l’amica, si sedette di nuovo.
“Gli andrai a parlare
quindi. Cosa speri di ottenere?” il suo tono conteneva
un’amarezza che Eleanor non colse. E se anche l’avesse
colta, non ne diede l’impressione.
“Spero di capire
perché l’ha fatto. Perché non mi sono accorta di
quello che prova. Voglio provare a far tornare tutto com’era
prima”.
“Credi davvero che sia
ciò che vuole anche lui? Secondo te se ne sarebbe andato se lo
avesse voluto?” May la guardò incredula.
“Forse sì e forse
no. Se non ci provo, non lo saprò mai. Voglio cercare di salvare
quello che ho costruito insieme con lui in questi anni”.
La mora si alzò di nuovo
e la sua migliore amica la imitò. Si avvicinò a lei e le
regalò un abbraccio veloce.
“Fammi sapere
com’è andata” le disse piattamente. Eleanor sorrise.
Posò le chiavi della casa sul tavolo e uscì.
May la guardo allontanarsi dalla
finestra. Sapeva che la ragazza era venuta solo per dirle cosa era
successo, che non le interessavano i suoi commenti e i suoi consigli.
L’unica cosa che poteva fare era mostrargli il suo appoggio.
‘Mi dispiace Dorian, ora non ti potrò aiutare neanche se lo volessi’ pensò leggermente malinconica.
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Capitolo 3 *** Codardia e rassegnazione ***
Capitolo 2 - Codardia e rassegnazione
NdA:
Ho riscritto questo capitolo diverse volte e non mi è mai
piaciuto granché. Volevo rendere evidente il punto di vista di
Dorian, cercando di spiegarlo senza però dire tutto subito. Non
credo d’esserci riuscita, probabilmente perché non lo
capirò mai abbastanza. Meno male che è un mio
personaggio...
‘...’ = pensieri
“...” = discorsi
Capitolo 2 – Codardia e rassegnazione
I ragazzi correvano dietro al
pallone come se ne andasse della loro vita. Era una battaglia serrata,
a volte cruenta, ma non ne avrebbero mai fatto a meno. Andavano avanti
così da un’ora buona e iniziavano ad avvertire i primi
segni di stanchezza. Continuavano imperterriti. Forse rischiavano
davvero la vita, chi lo sa. Dorian almeno si sentiva così.
Continuava a correre per non pensare. Perché, se solo ci
provava, sentiva un enorme peso sul petto. Rischiosissimo. Meglio
correre fino a sfiancarsi, molto meglio.
Ma c’è una fine per
tutto. E chi poteva saperlo meglio di lui? Erano tutti stremati e si
fermarono. Per non azzardarsi anche solo a meditare, si guardò
un po’ intorno. Non l’avesse mai fatto. C’erano i
suoi compagni, che pian piano si avvicinavano agli spogliatoi. Attorno
al campetto si era radunata un po’ di gente, che non aveva niente
di meglio da fare che osservare quei guerrieri invasati. Riconobbe una
persona tra loro, al primo sguardo, e come avrebbe potuto fare
altrimenti? Sentì quel peso opprimergli i polmoni e lo stomaco,
chiuse gli occhi. Li riaprì e s’incamminò verso gli
spogliatoi con gli altri. Adesso non poteva non pensare. Avrebbe dovuto
affrontarla.
***
È
vano sperare che lei abbia deciso di andarsene, Dorian. Rassegnati.
È venuta qui apposta per te. Non fuggirà come hai fatto
tu. La vedi? È lì, vicino al muretto, e sta osservando
proprio te! Guardala. Non è stupenda? Sta sorridendo Dorian. Non
puoi più scappare ora. Saluta i tuoi amici, adesso
c’è lei. C’è lei, con la schiena dritta e le
spalle distese. Non è appoggiata al muretto, non si appoggia mai
a niente. È semplicemente lì. Per te. Ti sta aspettando,
avvicinati. Riesci a vedere il colore dei suoi occhi. Perditi per un
momento in quell’azzurro. Ne vale sempre la pena, no? Ma
perché ti senti sprofondare ora? Perché non riesci a
respirare normalmente? Perché fuggi il suo sguardo? Non ti
aiuterà Dorian. Non ti aiuterà soffermarti sui suoi
capelli di seta. Al sole sembrano rossi, vero? Che piacevole contrasto
con i suoi occhi. Sicuramente non stai meglio… Non guardare le
sue labbra. Non hai fatto altro che sforzarti di non ricordare la loro
morbidezza, e adesso? Non sei molto coerente, Dorian. Perché ora
ripensi alla prontezza con cui ha ricambiato il tuo abbraccio?
Perché ripensi al brivido che ti ha dato sentire il suo esile
corpo contro il tuo? Ti è parsa fragile, vero? Eppure sapevi che
non era così e hai sentito un altro brivido…
Perché ci pensi proprio adesso, Dorian? Non è decisamente
questo il momento, no? Tu sai perché è venuta. Per
parlarti. Chissà cosa ti vuole dire. Ma perché non vuoi
pensarci? Così non va bene. Di cosa hai paura? Perché hai
paura, non c’è dubbio. Hai paura di lei? Come puoi aver
paura di lei! Credi che ti ferirà? Sei un codardo. Non si
affronta la vita avendo paura di soffrire. Ma guardati! Non riesci
più nemmeno a rivolgerle lo sguardo. Rifletti. Non hai fatto
nulla di cui pentirti. Nulla che possa averla ferita. Il suo sorriso ne
è la conferma. Ti senti meglio adesso? Molto bene. Avanti, sai
cosa devi fare. Ma come glielo dirai Dorian?
***
“Ciao Dorian” lo salutò Eleanor Aylmer.
“Elie” rispose il ragazzo.
“Sono andata a cercarti a casa e tua nonna mi ha detto che eri venuto qua”.
“Pensavo di non trovare nessuno ma c’erano quasi tutti, abbiamo fatto una piccola partita”.
“Lo so, vi ho visto mentre
formavate le squadre” Dorian non si era accorto della sua
presenza, credeva fosse arrivata da poco “Non volevo disturbarti,
così ho aspettato che finissi. Adesso devi tornare a casa?”
“No, non ho niente da fare” Dorian tirò il dado.
“Facciamo una passeggiata” Eleanor lo prese al volo.
Non avevano una meta precisa,
camminavano e basta. Quante volte l’avevano fatto. Vagabondare
così, anche senza dirsi nulla. A Dorian mancavano quei momenti,
nei quali era inutile l’uso delle parole. L’importante era
sapere di esserci.
“Volevo chiederti
scusa” Eleanor ruppe il silenzio. Il ragazzo non riuscì a
trovare qualcosa da dire e la ragazza non gli diede altro tempo.
“Mio padre si è
comportato malissimo. Immagino sia difficile vedere la propria figlia
che…” Dorian la vide esitare per un secondo. Troppo.
Eleanor non esita mai. Una fredda sensazione di vuoto gli fece chiudere
gli occhi.
“Non lo voglio
giustificare, ha sbagliato a trattarti così” aveva
cambiato frase. Eleanor sa sempre cosa dire. Si fermò. Erano
entrati nel parco dietro il campo di calcio. Un luogo riposante e
tranquillo. Ora tutta quella quiete non faceva altro che alimentare il
suo senso di vuoto.
“È solo questo che
ti preoccupa? Che mi possa essere offeso per tuo padre?”
sbottò bruscamente il ragazzo, voltandosi verso di lei.
“Non me ne dovrebbe importare?” lei non lo guardava.
Calò il silenzio. Dorian
non lo sopportava, non aveva nulla di confortante. Si limitava a
schiacciarlo lentamente, al solo scopo di renderlo cosciente
dell’abissale distanza che si stava creando tra loro.
“Perché mi hai
difeso? Non mi hai baciato, ma mi hai difeso. Perché?”
suonava quasi supplichevole, ma cosa gli prendeva? La ragazza gli
rispose con tono infastidito.
“Perché ti ho
difeso? Perché non avrei dovuto? Papà non sapeva nemmeno
cos’era successo, visto che non c’è stato tempo
perché potesse succedere davvero qualcosa. Si è
intromesso in una situazione che non lo riguardava, non ci ha dato la
possibilità di parlarci. Ma, quando finalmente si è
levato di torno, tu non c’eri più. Stavo per venire a
cercarti, ma è tornato e mi ha trattenuta” Dorian
sentì l’improvviso bisogno di giustificarsi.
“Scusami, solo che…
volevo solo allontanarmi da… Insomma è evidente che tu mi
consideri solo un amico, ed io…” non riusciva a dirle che
non lo sopportava. Che il solo pensiero di non essere nulla di
più di una persona cara lo feriva. Che la amava profondamente.
Che aveva voluto fargli capire cosa provava per lei, ma il suo rifiuto
lo aveva fatto stare peggio. La guardò negli occhi, sperando che
non insistesse. Il volto della ragazza era una maschera, non lasciava
trapelare nulla.
“Da quanto tempo?” gli chiese.
“Forse da sempre” le parole gli uscirono prima che potesse capire cosa avesse effettivamente detto.
“Com’è
successo?” Che cosa risponderle? Quanto voleva sapere? Che cosa
era più giusto dirle? Dorian scelse la verità pura e
semplice, i fatti che Eleanor tanto amava.
“All’inizio quasi
non me ne rendevo conto. Semplicemente, quando stavo con te, tutto
diventava più semplice e credevo che non ci fosse nulla
d’impossibile al mondo. E quando non c’eri… ti
pensavo sempre, continuamente, eri il mio chiodo fisso.
C’è stato un periodo che… beh, ero geloso marcio di
May perché stavi sempre meno con me e passavi più tempo
con lei… Non pensare male, resta comunque una dei miei migliori
amici. Il suo unico difetto è che ti sta appiccicata peggio di
una sanguisuga. Credo di averlo capito… quando studiavamo
insieme. Era uno dei pochi momenti in cui non c’era May fra i
piedi e… mi sentivo tremendamente felice! E ogni tua singola
parola era… così rassicurante…”
‘Come posso esserti solo
amico ora?’ considerò amaro senza lasciar trasparire
nulla. Eppure, ad un certo punto, le abitudini dovrebbero essere
lasciate da parte. Dorian lo sapeva. Era difficile liberarsene. Ma non
vuol dire che non ci si possa provare.
“Perché solo
adesso?” non riusciva a non ammirare con quanta calma affrontasse
tutto. Non la scalfiva mai nulla, tranne May, forse. ‘E io non ci
riuscirò, vero?’ non si stupì di quanto fosse
doloroso ammetterlo. Era proprio come se l’era immaginato.
“Perché non me lo
vuoi dire? Noi ci dicevamo sempre tutto” non aveva reagito, era
rimasto lì a fissarla. Si riscosse. Le avrebbe risposto?
No. Perché avrebbe
significato ammettere la propria codardia, che si era tirato indietro
solo fino a quando non aveva scorto il rischio di perderla per davvero.
Che aveva sempre rimandato perché aveva paura e alla fine lei...
adesso, però non poteva più nascondersi.
“Sei una persona stupenda
Elie” ecco, gliel’aveva detto. Non proprio, però
andava bene ugualmente. Lei non era tipo da dichiarazioni e smancerie
varie. Vedeva le cose per quello che erano, concepiva le parole per il
loro significato. Ma era anche capace di capirlo meglio di chiunque
altro. E non sarebbe stata da meno, neanche questa volta.
“Non voglio essere per te
solo un amico. Non voglio che tu mi veda solo come un amico. Non
tornerò indietro. Perché è questo che mi volevi
chiedere, vero?” anche adesso si notava solo la sua risolutezza.
Proprio non riusciva a mostrarle come stava davvero.
“A questo punto non ne ho
più ragione, sarebbe davvero inutile” Dorian
scoppiò a ridere e quel suono risultò vagamente nervoso.
Solo Eleanor se ne sarebbe potuta uscire con una frase del genere.
Osservarla tra le risate, mentre lo guardava reclamando una risposta,
lo fece sentire meglio. Come sempre.
“Sei uno
sconsiderato” la disapprovazione con cui lo disse, non fece che
aumentare il volume delle risate del ragazzo. Dorian la guardò
mentre scuoteva la testa e poi gli sorrideva. Forse non esisteva nulla
di più sincero al mondo. Si accorse di quanto fosse tutto molto
strano. Un momento prima parlavano molto seriamente e adesso reagivano
come se niente di tutto questo fosse successo. Capì che
l’amicizia che li legava si era dimostrata molto solida. Che
alcune cose sarebbero cambiate, ma altre no. Che lei non poteva fare
come se nulla fosse, dato che lui non voleva ritrattare quanto fatto,
ma che nemmeno non gli avrebbe più parlato. Che accettava che
lui si fosse innamorato e che, non ricambiandolo, ritenesse opportuno
prendere certe distanze. La capiva. Non ne era felice, ma la capiva.
Comprese che anche lei stava pensando la stessa cosa.
Anche il ragazzo sorrise. Non c’era stato bisogno di parlare.
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Capitolo 4 *** I respiri dell'aria ***
Capitolo 3 - I respiri dell'aria
NdA:
Qui fanno la loro apparizione due dei personaggi a cui sono più
affezionata e uno che, al contrario, va a far compagnia a Eleanor e
Dorian. Tutto sommato, questo è uno dei miei capitoli preferiti.
cabol: Ti ringrazio infinitamente per le tue parole. Spero potrai apprezzare anche il resto.
‘...’ = pensieri
“...” = discorsi
Capitolo 3 – I respiri dell’aria
Il vento osservò i due ragazzi.
Si chiese quante volte aveva visto quella stessa scena in luoghi diversi, con persone diverse e con parole diverse.
Molte, fu la risposta.
Inoltre sapeva già cose che quei due, forse, non immaginavano neppure.
È questo il potere dell’esperienza.
Non gli restò altro che aspettare.
***
Era tardi quando la donna decise di alzarsi. Suo marito non era nel
letto. Doveva aver fatto un salto al negozio. Un ghigno le
attraversò il volto. Evidentemente qualcuno la stava evitando.
Si alzò dal letto e si stiracchiò. Adorava il sabato. Non
c’era niente di meglio del puro ozio. Si chiuse in bagno e si
diresse verso la vasca. Ne aprì i rubinetti e vi versò un
quinto di essenza al cacao. Stava per chiudere la boccetta, ma ci
ripensò. Ci svuotò un altro quinto. Soddisfatta della
quantità della schiuma e della grandezza delle bolle, si
tuffò nella vasca. Anche rotolarsi nell’acqua calda, non
era male. Un’espressione compiaciuta le modellò il viso.
Chiuse gli occhi e si rilassò, con la chiara intenzione di
schiacciare un pisolino. Diversi tonfi la fecero svegliare dal torpore
nel quale era volutamente caduta. Sogghignò di nuovo. Era
sicuramente Rose. Nell, quando bussava, non cercava mai di sfondare la
porta. Uscì dalla vasca e indossò l’accappatoio. Si
mise davanti alla porta, ma non la aprì. Portò una mano
alla bocca per soffocare la risata che le saliva spontanea dalla gola.
Quella ragazzina era decisamente ostinata.
“Mamma! Lo so che ci sei tu lì dentro! Apri subito!
È urgente!” la donna non disse nulla. Continuò a
ridere silenziosamente.
“Maledizione mamma! Non puoi occupare il bagno così!
È quasi ora di pranzo! ” la donna si piegò in due
all’idea di essere rimasta in quella stanza per più di
un’ora e mezza.
“Mamma non ce la faccio più! Apri la porta!” ormai la donna rideva sguaiatamente rotolandosi sul tappeto.
“Phyllis Aylmer! Esci SUBITO!” Rose non pareva trovare
divertente la situazione. Forse era il caso di farla entrare, in fondo
poteva arrabbiarsi sul serio e poi chi la voleva sentire! La donna si
alzò con fatica, ancora scossa dalla ridarella e, finalmente,
aprì la porta. Vide un lampo rossiccio fiondarsi nella stanza e,
appena fu passato, si affrettò a uscire. Si premurò di
chiudere la porta. Si ritrovò a chiedersi se anche lei avesse
mai avuto il coraggio di dire una cosa del genere a sua madre. La
risposta era lì, un secco no. Aveva sempre avuto paura di poter
essere picchiata di nuovo, di sentirsi rimproverare aspramente per poi
ricevere un’altra punizione, di sentirsi esclusa dalla famiglia.
Le sue figlie non erano così. Loro non si lasciavano bloccare
dal timore e dall’angoscia. Erano pronte ad affrontare le
conseguenze delle loro azioni a testa alta. Si sentì felice per
come stavano crescendo. Una piccola lacrima si affacciò al
mondo. Fu cacciata con stizza.
***
La donna andò nella sua camera e rifece il letto. Poi si tolse
l’accappatoio e lo usò per frizionare energicamente i
lunghi capelli. Quando li ritenne abbastanza asciutti, iniziò a
togliere dall’armadio quello che le serviva. Si stava ancora
vestendo, quando la più piccola delle sue figlie fece la sua
comparsa sulla soglia della porta. La sua Rose entrò nella
stanza e si sedette a gambe incrociate sul lettone. La donna
ultimò di vestirsi e, stampatosi un’espressione grave in
faccia, si sdraiò accanto alla figlia.
“Quanto ti ho fatto aspettare questa volta?”
“Un quarto d’ora buono. Poi ti ho iniziato a chiamare.
Sapevo che ti eri messa dietro la porta. Meno male che sono io
l’adolescente, dovrei essere io a chiudermi in bagno per
ore” Qualche attimo di silenzio. La donna aspettava cercando di
mantenersi seria. Ma bastò un reciproca occhiata veloce e si
ritrovarono a ridere come due bambine.
“Quando vi deciderete tu e papà a farci cambiare casa? Un
bagno solo, in questa famiglia, non è possibile!” disse
Rose, dopo che si calmarono. La donna aveva la risposta pronta, la
stessa che ripeteva da un po’ di tempo a questa parte.
Sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi.
“Io e tuo padre amiamo questa casa. Ci sono troppo ricordi qui
dentro” poi aggiunse “cercherò di passare meno tempo
in bagno” porse la mano alla figlia.
“Sperando che questa sia la volta buona…” Rose la
prese, scuotendo la testa. La donna considerò che, quella
ragazza, fosse la figlia che le assomigliava di più, aveva quasi
i suoi stessi occhi e i capelli mossi come lei. Nell era più
come suo padre. Ma era comunque incredibile come fosse diversa da lei
fisicamente. Nell poi non aveva preso quasi nulla da lei. Nel carattere
serio e metodico, poi, era identica al suo adorato papà. E,
adesso, quei due non si parlavano.
“Rose come la vedi la questione tra Nell e papà?”
chiese la donna alla figlia. La ragazza scoppiò a ridere di
gusto.
“Non resisteranno a lungo a tenersi il muso. Faranno pace, e poi
sarà come se non fosse successo nulla. Proprio come fa lui con
me. Forse ci metterà un po’ di più, ma nemmeno
troppo” la donna guardò un’espressione di pura
estasi ironica calare sul viso della ragazza “Non avevano mai
litigato così, Narciso quasi non la riconoscevo più! Non
l’ho mai vista contraddirlo! E quando ricapita più uno
spettacolo così?” rise divertita. La donna si unì
alla figlia. Vedere, da una parte, suo marito prendersela così
e, dall’altra, sua figlia calma e pacata era stato uno spasso!
Che fatica per non mettersi a ridere insieme a Rose! Certo che Isaac
aveva proprio esagerato, non credeva fosse così geloso di Nell.
“Rose, forse non è il caso di parlare di Greg a
papà. Si è accanito tanto contro quel poveraccio di
Dorian che conosce da quando era un bambino, chissà cosa
potrebbe combinare al tuo ragazzo, che non l’ha nemmeno mai
visto!” si sentì in dovere di consigliare alla figlia.
“Tranquilla ma’, ci avevo già pensato. Però,
magari, adesso si abitua all’idea che io e Narciso non abbiamo
più tre anni e accetterà più facilmente la
presenza di un eventuale ‘fidanzato’”
sogghignò Rose.
“Secondo me ci metterà un po’ anche per
quello” la donna si alzò dal letto “Andiamo a
preparare qualcosa, inizio ad avere fame” insieme scesero in
cucina.
***
Phyllis e Rosalie trovarono un bigliettino di Eleanor, lasciato sul
tavolo accanto al portafrutta, e un altro di Isaac, attaccato al frigo
con una calamita a forma di margherita. Il primo diceva che la ragazza
era uscita ma che sarebbe tornata per pranzo. Il secondo che
l’uomo era uscito ma che sarebbe tornato per pranzo. La donna e
la ragazza si guardarono ed entrambe scossero la testa.
“Hai ragione, faranno pace molto presto” ammise Phyllis.
Passò il pollice sopra le parole. Mise i fogli bianchi nel
cassetto e iniziò a cucinare. Rosalie apparecchiò la
tavola e poi si unì alla madre. La donna sentì il portone
aprirsi e chiudersi con delicatezza. Udì dei passi leggeri
nell’atrio. Poteva trattarsi sia di sua figlia che di suo marito.
Notò che anche Rose era in ascolto.
“Sono tornato” l’uomo le salutò dalla soglia
della porta “Sono passato un attimo al negozio” Phyllis si
costrinse ad assumere un’espressione seria.
“Rose finisci tu qui, io e papà torniamo subito” si lavò le mani. Fece cenno al marito di seguirla.
***
Salirono le scale e andarono nella loro camera. La donna si sedette sul
letto e notò che qualcuno evitava il suo sguardo.
Inevitabilmente, e contro i suoi numerosi sforzi, un ghigno ironico si
stampò sul suo viso.
“Così adesso ci parli, eh?” suo marito era davanti alla finestra e le dava le spalle.
“Però non ci vuoi guardare nemmeno in faccia… Non
va bene, Ai, no no…” il sorriso di Phyllis si
allargò guardando la schiena di Isaac irrigidirsi. Sapeva che
odiava essere preso in giro, sapeva che si vergognava del suo
comportamento della sera prima. La donna si alzò e cinse la vita
dell’uomo con le braccia, poggiando la fronte sulla base del suo
collo.
“Stamattina non mi hai dato nemmeno un bacio! Non è bello
svegliarsi e vedere che tu non ci sei… E ora non guardi
né me né Rose… Così proprio non va
Ai…” l’uomo era inflessibile fra le sue braccia.
Ancora non diceva nulla.
“Hai discusso con Nell e non ci vuoi parlare, ma questi sono
affari vostri. Ma perché ti comporti così anche con me e
Rose? Non dovremmo esprimere le nostre idee?” ora era seria
davvero e il suo tono era anche piuttosto secco. Sentì suo
marito respirare profondamente.
“Hai ragione, sto esagerando, scusami” si voltò
verso la donna, le baciò la fronte e la abbracciò
stretta. Phyllis tirò un mentale sospiro di sollievo, il suo
Isaac era tornato a ragionare. Si scostò e cercò i suoi
occhi. Gli sorrise dolcemente.
“E, secondo te, io mi accontento di quel bacino
striminzito?” si alzò in punta di piedi, rintracciò
le labbra del suo cocciutissimo Ai, che stavano sorridendo, e le
baciò con dolce passione. Suo marito la ricambiò con
più tenerezza.
“Così va meglio” disse la donna separandosi
lentamente dal calore che le dava quell’uomo “Ora mi
prometti che non tratterai più così, me e Rose?”
l’uomo si stupì.
“Credevo mi chiedessi di parlare con Eleanor…” sussurrò.
“Tu e Nell avete i vostri tempi e, poi, è una faccenda fra
voi due, l’importante è che non coinvolgiate gli
altri” rispose Phyllis con un’alzata di spalle.
“Ho sbagliato a reagire così, soprattutto con te e
Rosalie” l’uomo si strofinò il volto con le mani
“Me la sono presa troppo, quel ragazzo proprio non lo
sopporto… Ma questo non mi giustifica” la donna lo
abbracciò di nuovo e si sentì stringere dolcemente
dall’uomo.
“Lise, ti prometto che non scaricherò più la mia
rabbia e la mia frustrazione su di voi” Phyllis annuì e
cercò ancora la bocca di Isaac con delicatezza.
“Possiamo tornare di sotto adesso” mormorò la donna,
dopo aver sciolto di nuovo l’abbraccio. Accarezzò i
capelli rosso scuro del marito, portandoglieli dietro un orecchio.
L’uomo le sorrise.
“Tu ti fidi di me. E ti fidi di nostra figlia. Molto più
di quanto non riesca io” disse Isaac. Phyllis sogghignò
apertamente.
“Non dovevo arrabbiarmi così con Eleanor, ma non mi va
giù che non abbia per niente considerato le mie parole.
Sinceramente non me la sento ancora di parlarle. Spero che ripensi a
quello che è successo, almeno come ci sto pensando io. Poi le
parlerò” la guardava come se cercasse il suo appoggio. La
donna si dispiacque di non poter ridere apertamente. Suo marito in quel
momento sembrava proprio un bambino troppo cresciuto. Ma che ci poteva
fare se lei amava quel bambino dal più profondo del suo cuore?
“Te l’ho detto prima: prenditi il tempo che serve, Nell
farà lo stesso. Ora scendiamo” lo prese per mano e
tornarono in cucina.
***
Rosalie aveva preparato la pasta con le melanzane e aveva condito
l’insalata. Phyllis la guardò compiaciuta, la sua Rose si
sapeva prendere cura di sé. Si aspettava quasi di vedere Nell ma
la ragazza non era ancora tornata. Iniziava a essere un po’ tardi
e Nell non faceva mai tardi. Dette una veloce occhiata a suo marito:
stava dando a Rose un saluto più adeguato rispetto a quello
freddo di prima. Vide che, però, i suoi occhi dardeggiavano per
la stanza, chiedendosi dove fosse la maggiore delle sue figlie. Il
ghigno di Phyllis, che non l’aveva abbandonata da quando era
riscesa in cucina, si allargò ancora. Da brava mamma
preoccupata, prese il telefono e schiacciò i tasti che le
servivano. Al settimo squillo una voce femminile e piatta le rispose.
“Pronto?”
“Pronto, casa Shaw?” s’informò la donna, come se non lo sapesse.
“Sì, è lei Phyllis? Sono May” il tono era diventato più interessato e confidenziale.
“Sì, ciao May. Senti, per caso sai dov’è
Nell? Ci ha lasciato un biglietto dicendoci che usciva ma che sarebbe
tornata per pranzo. Ancora non si fa vedere” spiegò.
“È stata qui da me ma è già uscita, dovrebbe star arrivando”.
“Ok, allora è tutto a posto. Grazie May e scusami per il disturbo”
“Si figuri Phyllis, non c’è problema” la donna
notò la sincerità e il calore di quelle parole. È
una bella sensazione stare simpatica alla migliore amica di tua figlia.
“Ci sentiamo May, salutami i tuoi” si congedò
Phyllis. La ragazza la salutò e riattaccò. Si
voltò verso Isaac e Rosalie, che stavano chiacchierando.
“Nell è andata da May ma sta tornando a casa” non lo
disse a nessuno in particolare ma notò i tratti del volto di suo
marito rilassarsi.
“Non possiamo iniziare? Tanto Narciso tornerà a momenti,
no?” Rose occhieggiava la pasta fumante del suo piatto con
desiderio. Sua madre osservò gli occhi di suo padre chiudersi e
riaprirsi, le mani stringersi a pugno per un secondo.
“Anch’io ho fame, dai iniziamo” disse la donna. Si
sedettero al tavolo. Non passò che qualche minuto quando i tre
sentirono il portone aprirsi e chiudersi delicatamente. Udirono dei
passi leggeri nell’atrio. Eleanor era tornata.
“Buongiorno a tutti” entrò e si sedette tranquilla e
sicura come al solito “Scusate il ritardo, sono andata da May e
ci siamo messe a giocare con Amelia. Ho perso il senso del tempo”
“Lo sappiamo, l’ho chiamata, ci stavamo preoccupando”
Phyllis quasi scoppiò a ridere, quando si beccò
l’occhiataccia di Isaac.
“Mi dispiace, la prossima volta farò più
attenzione” sorrise conciliante. La compostezza della donna stava
venendo duramente messa alla prova quel giorno. Rose, infatti, stava
silenziosamente facendo il verso alla sorella, imitandone i modi
pomposi. Distolse lo sguardo lasciandosi scappare una risata, riuscendo
però a trasformarla in un colpo di tosse. Isaac ed Eleanor
scossero la testa. Phyllis si ficcò in bocca più pasta
possibile, per soffocare un altro attacco di risa. Suo marito si era
accorto di aver fatto lo stesso gesto della figlia, si era irrigidito e
adesso appariva seccato. Nell invece, tranquilla, aveva iniziato a
mangiare, ignorando completamente il padre. Phyllis e Rose si
scambiarono un’occhiata e ripresero da dove si erano bloccate
come se nulla fosse. La donna notò come la ragazza appena
arrivata, dopo qualche boccone, aveva preso il piatto fra le mani e lo
avesse tenuto così per un po’, per poi continuare a
mangiare.
***
Phyllis aveva finito di riordinare la cucina. Isaac si avvicinò alla moglie.
“Lise, grazie per prima” le prese la mano stringendola
piano e le riavviò i capelli dietro un orecchio “Devo
tornare al negozio, oggi dovrebbe arrivare l’ultimo ordine che
abbiamo fatto, ci vediamo stasera però, se vuoi passa pure,
ok?”
“Ok, ci penserò” i due si scambiarono un bacio, poi
l’uomo scomparve nell’ingresso. La donna salì le
scale ed entrò in camera di Rosalie.
“Andiamo?” le chiese la ragazza, scendendo dal letto. La
donna annuì ed entrambe si misero di fronte alla porta della
camera di Eleanor. Si sorrisero prima di bussare e, poi, entrare nella
stanza.
***
Quando Phyllis varcò la soglia, vide quello che una madre non
vorrebbe mai vedere. Nell stava in piedi vicino alla scrivania.
Convulsamente, stringeva in mano una cornice, le nocche erano bianche.
Il volto esprimeva una smorfia amara. Si accorse che Rose si era
bloccata e guardava la sorella con apprensione. La donna andò
verso la maggiore delle sue figlie che, nel frattempo, aveva rimesso a
posto la fotografia e guardava la madre e la sorella con
tranquillità. Phyllis le si avvicinò lentamente. Dato che
la sorella non sembrava arrabbiata per quell’intrusione, Rosalie
si sedette sul letto. La donna intanto guidava l’altra ragazza
verso la stessa meta.
“Sei davvero andata da May?” le chiese dopo che furono comode tutte e tre.
“Sì, stamattina presto” confermò Eleanor.
“E poi sei andata da Dorian?” Phyllis e Rosalie si erano inconsciamente chinate verso la ragazza.
“Sì, l’ho incontrato ai Centri” la donna scambiò un’occhiata con Rose.
“Ti va di parlarcene?” le chiese.
“Ho altra scelta?” la sua espressione seria fece sorridere tristemente le altre due.
“Ovvio che no! Dai, racconta!” la incoraggiò la
sorella. Eleanor sorrise. Phyllis vi scorse il sorriso di suo marito.
Istintivamente le tirò verso di sé e le mise un braccio
intorno alle spalle. Rose prese la mano della sorella e la strinse
dolcemente. La donna asciugò col pollice il dolore dal viso
della sua Nell. Stettero così per qualche minuto.
“Mi fa male sapere che non sarà più come
prima” Phyllis le baciò dolcemente la testa “Non
sarà il mio migliore amico per il momento, ma nemmeno non ci
parlerò più. Ci siamo allontanati quel che basta
perché lui capisca che le mie intenzioni sono diverse dalle sue.
Però…” la donna la sentiva rigida fra le sue
braccia “… non ci sarà più quando
avrò bisogno di sentirlo vicino. E non potrò farlo io per
lui, non come vorrebbe” Phyllis e Rose la videro chiudere gli
occhi lucidi.
“Mamma, Rosalie, ” disse riaprendo gli occhi “credete che abbia sbagliato a rispondere a papà?”
“Ma sei scema? Probabilmente l’unica cosa sensata che abbia
fatto in vita tua!” sbottò Rose, inorridita al solo
pensiero che sua sorella avesse potuto dubitarne. La donna
ghignò per l’ennesima volta.
“Tesoro era anche ora che non foste d’accordo su qualcosa
– iniziavo a preoccuparmi – e hai fatto bene a portare
avanti il tuo punto di vista. Lo devi fare sempre, soprattutto per
ciò che consideri importante” le baciò ancora la
testa. Sua figlia, nonostante avesse perso quel ragazzo che considerava
come un fratello, non riusciva a non pensare al suo papà e a
chiedersi se aveva sbagliato o no. ‘Visto Ai? Nell ti pensa
proprio come le pensi tu, farete pace molto presto… Mi fido di
voi…’
“Ho capito, grazie” la ragazza sorrise di nuovo. Una brezza
leggera entrò dalla finestra aperta e accarezzò i volti
delle tre donne.
***
Il vento si domandò perché proprio nella famiglia si trovi il conforto più grande.
E perché proprio nella famiglia accadono gli eventi più terribili.
Vide tre donne stringersi affettuosamente.
Vide un uomo che usciva da quella casa. Sorrideva.
Se avesse potuto, avrebbe sorriso con lui.
Forse fra qualche tempo sarebbe andato a trovarlo.
E lo avrebbe ascoltato
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Capitolo 5 *** Presa di posizione ***
Capitolo 4 - Presa di posizione
NdA:
Rileggendo questo capitolo mi rendevo sempre più conto di una
certa meschinità che caratterizza i personaggi di questa storia,
vittime di ipocrisia e ignoranza. Oltre a una buona dose di
presunzione. Ammetto che ora mi troverei molto a disagio nel gestirli,
per quanto sia affezionata a tutti loro.
‘...’ = pensieri
“...” = discorsi
Capitolo 4 – Presa di posizione
Eleanor si trovava bene fra le
braccia di sua madre, che piacere farsi coccolare: si era sfogata e
stava molto meglio. Ora doveva andare da May ma era preferibile non
essere troppo brusca, non voleva che la donna e la ragazza si
offendessero. Del resto avevano cercato di starle vicino, sapendo
quanto Dorian fosse importante per lei. Ricambiò
l’abbraccio di sua madre e la baciò su una guancia. Non
rifiutava mai un po’ d’affetto. Si girò verso la
sorella e le strinse la mano sorridendole. Meglio non sbilanciarsi
troppo, che fastidio se si fosse messa a strepitare che era diventata
troppo sdolcinata.
“Sto meglio adesso” le rassicurò. Le parole sono sempre decisive.
“Bene” sua madre si
alzò e, prendendole le mani, la fece scender dal letto “E
sai cosa sarebbe ancora meglio?” continuò, mentre anche
Rosalie si sollevava “Che tu ora vada dalla tua migliore amica e
le racconti cos’è successo con Dorian. Fai una
passeggiata, chiacchieri con May, ti rilassi e passi un pomeriggio
tranquillo, direi che con le emozioni abbiamo finito per il momento,
no?” Eleanor sorrise. A volte non c’è bisogno di
chiedere nulla. Meglio.
“Non hai bisogno di me oggi? Magari ti potevo aiutare…” disse, giusto per essere sicura.
“No, va da May, se ne avessi bisogno, chiederò aiuto a Rose” la incoraggiò.
“Ma come? Ed io che ti stavo per chiedere se potevo uscire con Greg!” si lamentò Rosalie.
“E va bene” sua
madre finse un tono esasperato ma avrebbe potuto essere più
credibile “Uscite tutte e due… tanto forse raggiungo
vostro padre al negozio e aiuto lui”.
“Va bene, se lo dici tu” si arrese Eleanor, come se dovesse farlo davvero.
“Mi vado a preparare, ci
vediamo dopo!” sua sorella corse a imbrattarsi di trucco in
camera sua, come se ne avesse bisogno. Eleanor scosse la testa e sua
madre scoppiò a ridere. Meno male che lei si divertiva sempre.
“Vado anch’io, cerca
di tornare per cena” le raccomandò la donna e uscì
dopo la conferma della ragazza. Lei si girò verso la scrivania e
prese di nuovo in mano la cornice. Le mancava, già adesso.
Eppure lo aveva salutato solo qualche ora prima. Rimise la foto al suo
posto. Non si sarebbe arresa allo sconforto, non si sarebbe lasciata
piegare dalle sue debolezze. Doveva andare da May, raccontarle tutto e
riuscire ad ottenere qualche certezza. Andò in bagno. Il suo
riflesso aveva gli occhi arrossati e un pessimo colorito. A questo si
aggiunse una smorfia, che esprimeva tutto il suo disappunto. Si
sciacquò a lungo il viso e il collo con acqua fredda, si
asciugò con calma. Si pettinò i capelli. Loro non la
deludevano mai, perfetti come sempre. Però, forse, era il caso
di tornare dal parrucchiere, erano davvero lunghi. Controllò di
nuovo il viso: ancora esprimeva quanto stava male. Contrariata,
uscì lo stesso.
***
Era la seconda volta che si
trovava davanti a quella casa, quel giorno. Quanta differenza rispetto
al mattino. Le apparenze erano crollate miseramente: se si faceva
attenzione, si sentiva una voce che urlava concitata e rumori di
oggetti infranti.
‘Non ha alcun senso di
autocontrollo’ giudicò freddamente e con un’evidente
traccia di disgusto. Si lasciò distrarre dal verde
dell’erba, ammirò il bianco e il viola dei fiori. Un eliso
calmo e riposante, dai colori solenni. Arrivò alla porta
lentamente. La voce si era fatta più alta. La chiave era stata
riportata al suo posto. Imprudente. Comunque, data la situazione, era
meglio suonare. Aspettò quasi un minuto prima che le venissero
ad aprire. May le fece cenno di entrare e, nell’atrio, la voce
era udibilissima. E irritante. Eleanor seguì l’amica nella
sua camera. La mora si buttò sul letto, mostrando, come al
solito, la grazia di un rinoceronte. Dalla sedia della scrivania
avrebbe avuto sotto controllo il letto e la porta. La chiuse e
andò a sedersi. Adesso le urla erano più attutite. May si
comportava come se niente fosse. Va bene che vi era abituata ma aveva
comunque una pazienza formidabile. Lei trovava insopportabili tutti
quegli schiamazzi. Iniziava a sentire un leggero prurito alle orecchie.
“Allora?” chiese la
mora, dritta al punto. Così le raccontò tutto con dovizia
di particolari, almeno non avrebbe avuto nulla da ridire. Quando
finì May sbuffò. Incredibile, anche questa volta.
“Quindi?” sentirsi incalzata con quel tono scocciato, le fece quasi arricciare le labbra.
“Quindi non credo che studieremo ancora da soli” cosa voleva sapere di più? Era stata chiarissima.
“Siete due scemi”
May si alzò, la guardò esasperata e poi si lasciò
cadere sulla coperta. Sempre molto raffinata.
“Ed io cosa dovrei fare adesso?”
“Niente” cosa
avrebbe voluto fare? Credeva forse che le avrebbe chiesto di
allontanarsi da Dorian? O che l’avrebbe supplicata di parlarci e
farlo ragionare? Sì, era proprio il genere di cosa che avrebbe
potuto pensare, piuttosto sciocca e inutile. La vide sospirare
scuotendo la testa. Incontentabile. Un grido particolarmente stridulo
si levò dal piano inferiore e le labbra della mora si serrarono
leggermente. Iniziava spazientirsi anche lei. Bene.
“Maaaoww” il
miagolio sommesso e pacato veniva da fuori. Gli occhi di Eleanor
s’illuminarono. May si alzò e aprì la porta. Amelia
trotterellò verso il letto e si accoccolò sul cuscino.
Sembrava quasi che dormisse. Eleanor si alzò e le
accarezzò con riverenza la testolina scura. Forte e
indipendente. Mai sprovveduta, sempre all’erta. Ecco
com’era Amelia. Come tutti quelli della sua razza. Quel cuscino
peloso aveva più carattere di molti umani. Molto più
della donna che gridava come una forsennata al pianterreno.
“Il tuo opportunismo non
conosce limiti… Adesso non ti degni nemmeno di
salutarmi…” borbottò May e Eleanor sorrise,
lisciando il dorso della calcolatrice con affetto. Un altro urlo
particolarmente acuto, seguito da un rumore di porcellana infranta,
fece chiudere gli occhi alla mora.
“Cos’è successo questa volta?” s’informò.
“Papà non è
tornato a casa stanotte, si è fatto vivo verso l’ora di
pranzo. Poco dopo mi ha chiamato tua madre. Quando sono tornata in
cucina, mamma gli stava chiedendo spiegazioni” il tono della
ragazza era piatto. Il suo sguardo era perso nel vuoto, il suo viso
esprimeva disgusto. Eleanor pensò che la sua amica non sarebbe
mai riuscita a nascondere le sue emozioni. Peggio di un libro aperto.
Vulnerabile.
“Ovviamente non ha
ricavato un ragno dal buco. Mi è toccato mangiare durante un
interrogatorio in piena regola. Papà dopo un po’ ha smesso
di ascoltarla. Per fortuna hanno iniziato a litigare seriamente solo
dopo che avevo finito di lavare i piatti. Almeno così devo solo
limitarmi ad aggiustare quello che mamma sta demolendo e non devo
togliere macchie di unto dalle pareti” come se fosse solo quello,
che avrebbe dovuto fare. Eleanor scosse la testa. Chissà quando
si sarebbe decisa ad ascoltarla.
“Poi mamma ha avuto
un'altra crisi isterica. E a quanto pare non è ancora
finita” la sua voce ora manifestava apertamente tutta la sua
insofferenza “Ha iniziato quasi subito a piangere, tremava tutta,
non si reggeva in piedi. Non riesce a mantenere uno straccio di
contegno”.
‘Non ci è mai
riuscita quando doveva avere a che fare con tuo padre, non so come fai
ad aspettarti qualcosa di diverso’ pensò Eleanor
“Tuo padre non ti ha detto nulla?” preferì chiederle.
“Niente” fu la secca risposta.
“Sai con chi è andato questa volta?”
“Non lo so e non lo voglio sapere” le mani di May erano strette a pugno.
“E tua madre?”
“Non credo che faccia
molta differenza, non riesce a tenere testa a suo marito, figurati
all’ennesima stronza che se lo scopa” Eleanor rimase in
silenzio. Pian piano la mora faceva sempre più fatica a
controllarsi. La vide andare verso la finestra, poggiare una mano sul
davanzale e guardare fuori.
“Non troverai alcun
conforto, se non agisci” sembrava che May non l’avesse
nemmeno ascoltata. Ancora una volta si trattenne dall’arricciare
le labbra. Si accorse che la donna non urlava più. Si sentivano
solo passi strascicati sulle scale. Eleanor si sedette accanto ad
Amelia. May non si mosse. Dopo qualche secondo la madre della mora
entrò barcollando nella camera. Eleanor osservò con
disapprovazione gli occhi arrossati, il pallore del volto bagnato, le
labbra rosse dai morsi, la totale assenza di dignità. Questa era
Mary Shaw.
‘Non si è accorta
nemmeno che sono qui’ scosse la testa. La donna si
aggrappò al corpo della figlia singhiozzando abbastanza
silenziosamente.
“N-non so…
p-più… c-co-sa f-fa-re…” riuscì a
pronunciare prima di svenire. Un collasso nervoso piuttosto teatrale.
May per poco non cadde come un sacco di patate. Eleanor si alzò
e cercò di sorreggere la donna. Troppo pesante per lei. La mora
allontanò con uno schiaffò la sua mano ma Eleanor non si
stupì. Del resto May non si era mai fatta aiutare. Testarda e
orgogliosa. L’ultima cosa che vide, prima che May trascinasse sua
madre fuori dalla stanza, fu il viso della ragazza. Si agitò
all’istante e seguì l’amica nella camera in fondo al
corridoio. La osservò mentre stendeva la donna sul letto. Quando
May si girò, notò con chiarezza quanto fosse livida. La
rabbia non le donava. Tutti i suoi lineamenti erano tesi e contratti.
Sembrava un’altra persona. Sembrava quasi suo padre. Fu scostata
bruscamente di lato. Perse quasi l’equilibrio. Quando si
ricompose, l’amica aveva già sceso le scale. La
seguì. Girò a sinistra ed entrò nel salotto.
***
Riuscì a trattenere May
prima che si avventasse contro l’uomo che si trovava in fondo
alla stanza e che dava loro le spalle. Con un braccio le
circondò la vita e le pose l’altra mano sulla fronte
allontanandole dagli occhi alcune ciocche ribelli. La tenne stretta. La
sentì tremare e inspirare a fondo. Lasciò che si
appoggiasse a lei per potersi calmare. Respirò quell’odore
di vaniglia. Famigliare, dolce. Si soffermò a fissare Irvine
Shaw, qualche metro più avanti. Sembrava non aver notato quello
che accadeva dietro di lui. Poi notò la cornetta, tenuta
all’orecchio destro. Ascoltò la sua voce dire parole
rassicuranti. False. Si pentì di non aver permesso alla sua
amica di fargli del male. Forse solo per un momento. May si
allontanò leggermente. La lasciò andare. Non tremava
più.
“Vattene” la voce di
May la colpì. Lei non era mai fredda e calcolatrice, ma un tipo
passionale che esprimeva sempre cosa le passava per la testa. Adesso
era controllata e gelida come mai l’aveva vista. Era questa la
sua amica? Era lei la stessa ragazza che poco prima era divorata dalla
collera e dal dolore? Sorrise. Finalmente iniziava a far emergere i
suoi lati positivi.
‘Forza May, ce la puoi
fare’ il muto incoraggiamento la stupì. Era ovvio che
sarebbe andato tutto bene. Nella peggiore delle ipotesi l’avrebbe
dovuta aiutare. Si rilassò completamente. Adesso May aveva la
situazione sotto controllo.
L’uomo si voltò
appena a guardare chi avesse parlato e riprese la sua conversazione,
dando di nuovo le spalle alle ragazze. Sua figlia di scatto si pose
dietro di lui e lo spinse con forza. Irvine perse l’equilibrio.
Non cadde, purtroppo.
‘Sprovveduto’
Eleanor si sedette sul divano a fianco alla parete, accavallò le
gambe e si appoggiò allo schienale. Lo spettacolo era iniziato.
Si sentì riempire d’orgoglio mentre guardava la sua
migliore amica approfittare dell’attimo di smarrimento del padre.
Infatti, May gli aveva strappato di mano il ricevitore e lo aveva
brutalmente scagliato a terra. Il tutto senza nemmeno un’ombra
della sua abituale goffaggine. Il suo sorriso si allargò.
“Vattene” non
suonava come un consiglio. Impartire ordini le riusciva molto bene.
Peccato che suo padre non capì quanto sarebbe stato rischioso
non ascoltarla. Irvine si era stampato un ghigno beffardo sul viso.
”Cosa credi di fare?” schernì sua figlia con lo stesso distacco che lei gli stava dedicando.
‘In fondo, sono più simili di quanto non credano’ considerò Eleanor.
“Quello che tua moglie non è capace. Vattene” L’uomo puntò i piedi e le rise in faccia.
“Chi diavolo ti credi di
essere May? Questa è casa mia!” la mora inaspettatamente,
almeno per suo padre, atteggiò le labbra in un sorriso.
Com’era diverso da quello di Eleanor. Ma non importava. Entrambi
esprimevano l’assoluta certezza che quell’uomo sarebbe
andato via.
“Cosa c’è adesso?” il tono dell’uomo per il momento mostrava solo una vaga curiosità.
“Hai sbagliato molte cose
papà, e il tuo errore più grave è stato quello di
considerarmi al pari di mamma” May aveva la chiara espressione di
chi si trattiene dal deridere ferocemente qualcuno.
“Che cosa vuoi
dire?” ora Irvine sembrava un po’ più preoccupato.
Per un attimo aveva incrociato lo sguardo di Eleanor. Forse gli era
anche passata di mente l’idea di colpire la figlia. Di nuovo.
Forse la presenza della migliore amica di May l’aveva trattenuto.
Molto probabile.
“Ti farò sapere
tutto quando sarà più opportuno e adesso vattene”
la mora non aveva abbandonato la sua glaciale fermezza.
“Mi stai cacciando? E
senza nemmeno farmi prendere nulla? Senza sapere dove
andrò?” l’uomo insisteva ancora con quel tono
canzonatorio.
‘La smetterà presto’ Eleanor si accomodò meglio sul divano, sistemandosi la gonna.
“Iniziavo a credere
davvero che non riuscissi a capirmi” quel pungente sarcasmo le
era davvero mancato. Cominciava quasi a pensare che quella che avesse
di fronte non fosse May.
“E come credi di potermi
contattare una volta fuori di qui?” Irvine si era decisamente
innervosito. Eleanor ammirò l’autocontrollo
dell’amica. Contro quell’uomo così manchevole
riusciva a mantenere una calma perfetta.
“Non sono una bambina, papà, ormai so le Lingue Differenti” Irvine non si arrese.
“Non hai nessun diritto di
cacciarmi da questa casa!” E pensare che avrebbe dovuto aver
paura! Invece si stava alterando.
“Certo che te ne andrai.
Temi troppo quello che si potrebbe dire di te, te ne andrai via
immediatamente, papà” la ferma minaccia e l’ordine
che era seguito erano usciti spontanei dalla bocca di May, quasi stesse
parlando del tempo.
“Anche tu ci andrai di
mezzo!” Adesso l’uomo manifestava apertamente la sua ira.
Non gli donava. Tutti i suoi lineamenti erano tesi e contratti.
Finalmente si scopriva per ciò che era davvero. I pensieri di
Eleanor indugiarono per un istante sulle maschere che quel giorno erano
crollate. Poi seguitarono a dedicarsi a quel dramma improvvisato.
“Non direi papà.
Sono solo una povera vittima degli eventi, dovrò soltanto
sopportare la compassione e la pietà” l’ironia delle
sue parole non le rendeva meno fredde “Vattene” ripete.
L’uomo non riuscì a trovare alcuna scappatoia, leggendo
negli occhi nocciola di May una pericolosa sicurezza. Probabilmente
pensò che fosse meglio ritirarsi, almeno per il momento, giusto
perché sua figlia si calmasse e capisse che andava contro i suoi
interessi. Cercò di ricomporre una certa calma e uscì
rapidamente dalla stanza in totale silenzio, sebbene i suoi pensieri
fossero chiari come il sole. Le due ragazze udirono il portone che si
chiudeva.
***
May uscì dal soggiorno.
Eleanor la seguì. Entrarono nella stanza, dove avevano lasciato
Mary. La mora si diresse nel bagno privato. Quando tornò, aveva
in mano una siringa e una boccetta di vetro.
“Non sapevo che lo prendesse ancora” disse Eleanor.
“Quando serve” fu la piatta risposta.
“Non credevo che servisse
darglielo quando è già svenuta” fissò la
siringa che si riempiva pigramente.
“Voglio che si riposi il
più a lungo possibile” May iniettò nel braccio di
sua madre il liquido trasparente.
“Non so come Yonge ti lasci fare queste cose”.
“Sa che non le farei mai
nulla di male” avvitò la boccetta “Senza contare che
gliel’ha indicato lui per questi casi” Eleanor scosse la
testa. I dottori dovrebbero pensare di più all’uso che si
fa dei medicinali che prescrivono. Guardò il volto di Mary. Sua
figlia le assomigliava molto fisicamente. Però, ancora una
volta, May aveva dimostrato di essere migliore di lei. E pensare che
l’aveva cresciuta da sola. Forse l’unica cosa buona che
aveva fatto in vita sua.
“Ti aspetto di
là” si diresse nella cameretta della mora. Si
sistemò alla scrivania. E attese, studiando il dorso di Amelia
sollevarsi e abbassarsi ritmicamente.
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Capitolo 6 *** Promessa ***
Capitolo 5 - Promessa
NdA: Nulla da dire, se non che adoro quel gatto!
‘...’ = pensieri
“...” = discorsi
Capitolo 5 – Promessa
May sistemò per bene sua madre sotto le coperte. Non si
sarebbe svegliata prima di sera, aveva tutto il tempo per trovare le
parole giuste. Tornò in camera sua e si avvicinò
all’armadio. Non disse nulla alla ragazza che la stava
aspettando. Cercò per un po’ e prese una scatola
ingiallita dal tempo. La aprì e, dopo aver tolto alcuni stracci,
ne tirò fuori alcune carte, dall’aria nuova e ordinata. Le
poggiò sulla scrivania e rimise la scatola al suo posto.
“Allora hai seguito il mio consiglio?” Eleanor sorrideva.
“Era l’unica cosa che potevo fare, altrimenti ci
avrebbe pensato lui a mandarci via. Era solo questione di tempo”
May si buttò sul letto, facendo attenzione a non cadere sopra
Amy, che sonnecchiava ancora sul cuscino. La gatta registrò il
brusco movimento muovendo appena la punta della coda.
“I documenti del divorzio sono già pronti, come
quelli della divisione dei beni e della concessione della casa. Kramer
dice che mi daranno la possibilità di avere una preferenza, ma
non sarà un problema, papà di certo non chiederà
il mio affidamento” May si sentiva come se l’avessero
costretta a combattere. L’unica cosa che poteva fare era cercare
di avere la meglio su chi avrebbe tentato di piegarla.
“Sono orgogliosa di te” ascoltò quelle parole,
dette con sentimento. La guardò negli occhi e vide tutta la sua
ammirazione. Un dolce tepore le scaldò il cuore. Non si
sentì più sola. E sorrise.
“Grazie Elie” non avrebbe saputo dirlo diversamente. Ma lei avrebbe capito lo stesso.
“Quando renderai pubblici gli altri documenti?” ecco!
May sapeva che era troppo sperare che Narciso mostrasse un po’ di
umanità per più di dieci secondi. Scosse la testa
esasperata.
“Quando tutto sarà finito e mamma sarà
finalmente libera da papà” un largo sorriso e
un’espressione vacua si dipinsero sul volto di May. Iniziava a
vedere delinearsi un futuro migliore per lei e sua madre. Ce
l’avrebbe fatta. E avrebbe avuto la sua vendetta.
“Sono felice che tutto stia andando per il meglio”
vedere Narciso così soddisfatta aveva un che di confortante. Si
sentì decisa come non mai a mettersi in gioco. Non si sarebbe
arresa, avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Adesso l’unica cosa
che doveva fare era convincere la madre a firmare quei documenti:
doveva persuaderla che fosse la decisione migliore per lei. Per Eleanor
non sarebbe stato difficile, bastava pensare a come riusciva a
rigirarsi la sua famiglia, con solo qualche parola in più. May
non aveva nessuna intenzione di chiederle consiglio, o aiuto o
qualsiasi cosa. Aveva accettato e messo in pratica quel suggerimento
solo perché non vedeva altre scappatoie per la propria
serenità. Anche se c’era ancora molto da fare. May si
volto verso l’amica.
“Scusami per prima, sono stata troppo brusca” in fondo Narciso la voleva solo sostenere.
“C’è ne hai messo di tempo, pensavo che non te
ne ricordassi più” May scoppiò a ridere. Era
incredibile come quella ragazza pretendesse qualsiasi cosa in quel modo
così sfacciato. Almeno non le aveva messo il muso. Almeno sapeva
quando poterlo fare e quando no. Beh, per forza, lei è Eleanor.
Lei sa sempre tutto.
”Adesso che è tutto a posto, ti devo chiedere una cosa molto importante”.
“Cosa?” la mora si agitò leggermente ‘Ma
non mi aveva già detto tutto? Cosa c’è
adesso?’
“Ti piacciono le donne?” May rimase in silenzio. La
guardò interrogativamente, non capendo dove volesse arrivare. Ma
Eleanor non si corresse e quindi la domanda era proprio quella.
‘Cosa l’è preso? Ma che razza di richiesta è?
Questa non è Narciso…’ scosse dal viso le solite
ciocche odiose.
“Eleanor… non credi che sia una domanda un
po’… superflua?” le chiese cautamente la mora.
Magari aveva davvero capito male. Magari intendeva tutt’altro.
‘Strano che Narciso non spieghi bene qualcosa’
automaticamente un ghigno familiare si affacciò sulle sue labbra.
“È importante May, per favore rispondimi”
com’era quel tono? Leggermente supplicante? Appena appena…
cosa?
“Narciso, ma che ti prende?” la mora era stupefatta.
Tutta la situazione era assurda. Eleanor chiuse gli occhi e gli
riaprì tranquillamente.
“Volevo solo esserne sicura. Per non avere altre
sorprese” appariva molto più rilassata. May guardò
a lungo quell’azzurro. Non le diceva quello che voleva sapere.
Avrebbe dovuto arrivarci da sola. Continuò a fissarla. Poi un
sorriso malizioso le colorò il viso.
“Tranquilla, non ho segreti per te. Nessuno riuscirebbe a
tenerti qualcosa nascosto. Solo Dorian ci ha provato. E nemmeno per
troppo tempo, no? Di fronte a te è capitolato subito” si
sedette sul bordo del letto e spinse il busto in avanti “Ti
prego, però, di ricordare che, a differenza di Dorian, non mi
sogno nemmeno di mentirti. E, soprattutto, non farei mai qualcosa che
ti possa allontanare da me, solo per puro egoismo”.
“Queste cose le so May, anche se…”
“No” la interruppe perfidamente la mora “non le
sai, perché hai dubitato di me. Se hai un dubbio, è
perché c’è qualcosa che non sai” May si
sentì notevolmente soddisfatta a vedere il volto chiaramente
contratto dell’amica. Stava facendo fatica a calmarsi! Ma si
sarebbe ricomposta comunque molto velocemente. Mentre la aspettava, si
voltò verso Amy e le accarezzò le punte delle orecchie
con dolcezza. Dette di sfuggita un’occhiata alla sua Narciso.
Guardava fuori dalla finestra, calma e controllata.
“Elie” l’altra si voltò verso la mora
“Non ti lascerò sola” quell’azzurro
vibrò leggermente. Un caldo sorriso la avvolse. La ragazza si
alzò e si sedette vicino a May.
“Grazie” capitava così di rado che fosse
Narciso a ringraziarla per qualcosa “Prima ti volevo solo dire
che non avevo ancora pensato a quello che ha fatto Dorian nei termini
che hai usato tu” ma era pura routine che qualsiasi dimostrazione
d’affetto terminasse bruscamente.
“Perché ancora devi digerire la cosa. Comunque forse
ho esagerato un po’ a dare a Dorian del bugiardo. Prima di dire
altro ci parlerò. Devo chiarire un paio di cosucce con il mio
caro amico” il ghigno e il sorriso si ampliarono pigramente.
“Divertiti” le augurò Eleanor. La mora le
strinse la mano con la sua e con l’altra le scompigliò i
capelli. L’altra se li aggiustò, scuotendo la testa. May
scoppiò a ridere. La gatta, infastidita, si alzò e fece
la gobba. La mora vedendola così seccata rise ancora più
forte. Amelia salì sulle gambe di Eleanor strusciandosi
amichevolmente. Ignorò deliberatamente l’altra. May
notò come Narciso s’illuminava letteralmente quando Amy la
coccolava. Si era proprio affezionata. Di certo la sua stima per i
gatti aiutava. Si alzò e prese la cesta dei gomitoli.
L’oro di quegli occhi a mandorla scintillò quando si
accorse dei movimenti della mora. Ora aveva la sua attenzione.
“Che ne dite, vi va di giocare?” non se lo fecero ripetere.
***
“Fra un po’ si dovrebbe svegliare” May
occhieggiava da un po’ l’orologio a forma di gatto. Ancora
non sapeva cosa le avrebbe detto. Come le avrebbe parlato.
L’ansia iniziava lentamente ad avvolgerla.
“Allora torno a casa, che è anche quasi ora di
cena” Eleanor poggiò il gomitolo azzurro che teneva fra le
dita nella cesta. Amelia smise di mordicchiare il filo che aveva
acchiappato poco prima. La mora annuì e iniziò a
rimettere a posto la stanza. Avevano combinato un bel casino. Era quasi
tutto rovesciato o in disordine. Almeno si erano divertite. La gatta
salì sul davanzale della finestra.
“Domani non verrai vero?” le chiese Narciso, ormai arrivata alla soglia, dopo averla aiutata per un po’.
“No, forse andremo da Kramer” confermò May
sprimacciando il cuscino “Ci vediamo direttamente
lunedì” forse le avrebbe fatto sapere qualcosa prima.
“Domani i Foyle ci saranno sicuramente…”
rifletté l’altra sovrappensiero. La mora si chiese se
avrebbe mai ammesso davanti a lei che Dorian le mancava. E pensare che
si erano parlati solo quella mattina. E lei già pensava a quando
l’avrebbe rivisto.
‘Con un po’ di tempo, magari…’ sperò.
“Salutameli, è da un po’ che non li vedo,
magari la prossima settimana li vado a trovare…”
considerò la mora. Si avvicinò all’amica.
“Magari vieni con me?” propose con un sorriso incerto.
“Non credo che sia il caso, almeno per adesso. Comunque domani te li saluto” Eleanor aprì la porta.
“Ah, Narciso” la ragazza si bloccò “Non
dire nulla a Dorian di quello che è successo oggi, gliene
parlerò io”.
“Lo avviserò che hai delle belle notizie da dargli” la mora annuì. L’altra uscì.
May andò alla finestra. Sfiorò delicatamente il
dorso di Amy. Insieme guardarono Eleanor allontanarsi dalla casa, senza
mai voltarsi. Narciso non guardava mai indietro. Vedeva solo il suo
obiettivo e la strada da percorrere. Non si faceva condizionare da
quello che si lasciava alle spalle. May sorrise. A volte avrebbe voluto
essere come lei. Ma solo a volte. Di certo non avrebbe voluto perdere
il senso dell’ironia! Rabbrividì al pensiero. Intanto la
figura della ragazza si era rimpicciolita notevolmente. La persero
presto di vista.
“Vado da lei, stammi vicino” Amelia fece le fusa.
|
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Capitolo 7 *** Vicinanza e gratitudine ***
Capitolo 6 - Vicinanza e gratitudine
NdA: Scrivere dal punto di vista di un gatto... beh, avrei potuto combinare qualcosa di peggio. Buona lettura!
‘...’ = pensieri
“...” = discorsi
Capitolo 6 – Vicinanza e gratitudine
Riusciva a percepire
l’agitazione della sua Compagna. I suoi movimenti si erano fatti
più lenti, il suo respiro più calibrato e pesante. Si era
allontanata dalla finestra e stava per uscire dalla stanza. La
Differente la raggiunse. Si strusciò delicatamente contro una
delle sue gambe. La sua May si chinò e le accarezzò la
punta delle orecchie. Continuò a fare le fusa. Avvertiva come si
stesse lentamente facendo forza, come richiamasse a se tutte le sue
sicurezze per trovare un appoggio. Entrarono insieme nella camera in
fondo al corridoio.
***
L’adulta si era svegliata.
Tremava sotto le coperte. Guardava in alto. Non coglieva nulla in lei.
Era una creatura distrutta. Inutile. La sua Compagna la teneva troppo
in considerazione. Se fosse stato per lei, se ne sarebbe liberata. Del
resto la sua May era perfettamente autonoma. Chissà cosa la
spingeva a restarle vicino. E ad aiutarla. Perché era
soprattutto per sua madre che lei aveva fatto tutto ciò. Del
resto aveva sopportato di tutto fino ad ora solo per quell’essere
debole e senza dignità. Il semplice legame che unisce alla
famiglia non costringe ad amare. Ci doveva essere qualcos’altro.
Saltò sul letto ai piedi della donna sedendosi compostamente.
Non disse nulla, probabilmente non si era nemmeno accorta della sua
presenza. Meglio così. Di solito se la prendeva subito se saliva
sul suo giaciglio, doveva avere qualche problema con i suoi peli. E la
Differente cosa avrebbe dovuto dire allora? Anche loro perdevano
qualche capello ma lei non si lamentava di certo! La sua Compagna non
le aveva mai fatto questioni simili. Purtroppo c’erano alcuni
umani che credevano davvero di essere enormemente diversi dal resto
delle altre creature. Arroganti. I folletti hanno più rispetto.
Pensò all’amica della sua May, Eleanor. Le aveva detto che
alcuni la chiamavano “Folletto”. Beh, sicuramente se tutti
gli umani fossero come lei, la Terra sarebbe un posto migliore. Non ci
sarebbero persone che ritengo i Differenti degli incapaci. La sua
Compagna sapeva scegliere molto bene le persone di cui circondarsi. Ma
allora perché s’inginocchiava sul tappeto per stare in
pari con lo sguardo di sua madre? Perché le prendeva la mano e
le accarezzava i capelli? Che cosa aveva fatto quella donna per lei per
meritarsi tutto quel riguardo? Quando tutto sarebbe finito,
gliel’avrebbe chiesto.
“Mamma” la voce
della sua May era diversa rispetto a prima. Calma, rassicurante e allo
stesso tempo forte e decisa. Lo doveva essere, per lei e per sua madre.
La ammirò. Per tutto quello che aveva subito, per come
continuava ad affrontare il mondo a testa alta. Sapeva che anche
Eleanor sarebbe stata d’accordo.
“Mamma”.
“May
p-perdonami…” l’ha già fatto, altrimenti non
sarebbe qui. Sua figlia dovrebbe piangere, non lei. La sua Compagna ha
pagato per lei i suoi errori e le sue mancanze. Ma non ha mai pianto.
Mai, nemmeno una volta. Si chiese se fosse davvero sua figlia.
L’adulta l’ha cresciuta, ma la sua May ne è
completamente l’opposto. Meglio, possiamo fare tutti a meno di
persone come quella. La debolezza e l’inettitudine sono superflue.
“N-non so p-più c-cosa fare…”
“Mamma, papà se
n’è andato” l’adulta si volto di scatto verso
la sua Compagna, con gli occhi sbarrati “Non tornerà
più qui”.
“M-ma… n-non
è possibile…” sua figlia la guardava come se
l’altra stesse rivelando chissà quale verità.
Qualcun altro non sopporterebbe di ascoltare tutti questi vaneggiamenti
sciocchi e fastidiosamente inutili.
“Gli ho fatto capire che
lo avrei potuto ricattare” si fermò un momento “A
conti fatti, l’ho ricattato per davvero”. La donna si
rannicchiò su se stessa, portandosi le mani al volto.
“N-non volevo questo per te, non v-volevo questo per noi” singhiozzò.
“Mamma, non potevamo
andare avanti così” la sua May le scostò le mani
dal viso e la costrinse a guardarla “Hai avuto un’altra
crisi. Non puoi permetterti di averne altre a così poca distanza
di tempo. E l’unico motivo per cui questa volta non mi ha
picchiata era la presenza di Eleanor” chiuse gli occhi per
riaprirli subito dopo “Ho incontrato Kramer. Mi sono fatta
preparare alcuni documenti, ci sono le carte per il divorzio
e…”
“NO!” gridò la donna “No! No, non lo accetto!”
“Mamma” la sua
Compagna sospirò profondamente. mentre l’adulta ripeteva
“no” come una litania “Non puoi fare altro, lui non
sarà mai la nostra famiglia. È inutile provarci
ancora” i singhiozzi della donna e i suoi lamenti aumentavano
d’intensità. La Differente se lo aspettava. L’adulta
doveva far fronte al suo completo fallimento. Era naturale che fosse
disperata. Ma non serviva a nulla agitarsi così. Non avrebbe
cambiato niente.
***
Possibile che tu non riesca
semplicemente ad affrontare la situazione? Che debba per forza
autocompatirti per quello che non sei riuscita a portare a termine? Ti
rendi conto a cosa porta quest’atteggiamento? È vero che
il dolore, a volte, sembra allontanarti da tutti. È vero che il
baratro dello sconforto ha mura alte e sottili. Ma, allora, a cosa
serve la famiglia? Perché viviamo con le persone legate a noi
dal sangue? Perché desideriamo il loro affetto? Perché
non ci rivolgiamo a loro anche quando stiamo male? Mary, tua figlia
è lì con te. Ti sta offrendo tutta la sua forza, tutto il
suo appoggio. Accettali e torna a vivere.
***
La sua Compagna si alzò e
si sedette al fianco di sua madre. La prese fra le braccia e la tenne
stretta, ignorando le lacrime che le bagnavano la maglia. La donna,
sotto le carezze della figlia, aveva smesso di lamentarsi. Qualcosa di
molto simile a un sospiro di sollievo uscì dalla bocca della
Differente. Troppi rumori quel giorno, continuare ad ascoltarli era una
vera sofferenza.
“Mamma adesso saremo solo
noi tre” la sua voce era dolce e suadente. L’adulta si
aggrappò a lei, la sua unica ancora di salvezza
“Riusciremo a riappropriarci di casa nostra e saremo libere da
lui” la sua May esprimeva tutta la sua sicurezza. Fra i
singhiozzi, la donna annuì contro le spalle della figlia. Una
strana espressione era comparsa sul volto della sua Compagna. La
Differente vi osservò molto. Pensò che Eleanor avrebbe
sorriso. Si avvicinò alle due donne facendo le fusa.
“Sono fortunata ad
a-avervi” la prima cosa sensata che l’adulta aveva detto
quel giorno. La Differente non poté che essere d’accordo.
Le tre creature rimasero vicine,
confortandosi con la loro presenza per diverso tempo, fin quando la
più vecchia non si addormentò fra le braccia di sua
figlia. La sua May la adagiò di nuovo sul letto e la
coprì per bene. Insieme tornarono nella sua stanza, dopo aver
chiuso delicatamente la porta.
***
La Differente notò come i
movimenti della sua Compagna fossero tornati a essere come quelli che
avevano avvertito in precedenza. Sembrava si stesse muovendo
nell’acqua. Si posizionò sopra le sue gambe, dopo che
l’altra si fosse seduta al bordo del letto. La mano della sua May
si alzò per accarezzarle la testa e il dorso.
“Perché hai fatto
tutto questo?” le chiese sommessamente “Non è capace
di prendersi cura di se stessa, figurati di te. Tu non hai bisogno di
lei. Tu non vivi come lei”
“Lei non mi ha mai
lasciata sola” le sue parole suonavano come quelle della
Differente “Io farò lo stesso” si accorse
dell’accenno di gratitudine e riconoscimento nella sua voce. Era
un valido motivo dopotutto. La sua Compagna guardò verso la
finestra lasciata aperta.
“Se non è
troppo tardi, potresti andare da Eleanor a dirle che va tutto
bene?” la Differente osservò il cielo.
“È anche troppo presto” baciò la mano della sua Compagna prima di uscire.
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