L'Azzurro del Cielo di Maggio

di Vekra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Narciso ***
Capitolo 2: *** Innocente ***
Capitolo 3: *** Codardia e rassegnazione ***
Capitolo 4: *** I respiri dell'aria ***
Capitolo 5: *** Presa di posizione ***
Capitolo 6: *** Promessa ***
Capitolo 7: *** Vicinanza e gratitudine ***



Capitolo 1
*** Narciso ***


Prologo - Narciso
NdA: Ho scritto quanto segue due anni fa, quasi tre. Mi era tornata la voglia di scrivere dopo diversi anni di totale lontananza da carta e penna. Per questo ringrazio di cuore la mia vecchia coinquilina che mi ha ricordato questa mia vecchia passione.
Tentai di rimettere mano a una mia vecchia storia ma, inevitabilmente, quella mutò, la protagonista (una dei protagonisti in effetti) mutò e posso dire con tutta tranquillità che è diventata uno dei personaggi che detesto di più.
Questo prologo parla di lei... è un piccolo scorcio nella sua anima e nei suoi pensieri. L’ho cambiato tante volte, plasmato in mille modi diversi e questa versione è l’ultima, scritta più di un anno fa.
La mia scrittura è cambiata, io sono cambiata, tanto che questa storia iniziata e mai conclusa non mi sembra più scritta da me. Eppure, rileggendola per caso, mi è piaciuta e mi sono resa conto di amare ancora le mie creature e di non volere che morissero così, dimenticate dentro un computer.
Ho deciso di metterla qui, nella speranza che voi lettori mi possiate aiutare nel migliorare il mio modo di scrivere, che possiate apprezzare questi personaggi tanto quanto li ho apprezzati io.
Buona lettura.


Prologo – Narciso

La stanza era completamente buia, non un raggio di luna filtrava dalla finestra. La ragazza, Eleanor, era sola. Non che le dispiacesse, non era certo un tipo socievole ed estroverso. Si trovava accucciata sotto le coperte, ma non aveva nessuna intenzione di dormire. Sfruttava, infatti, quei momenti che precedono la caduta nelle braccia di Morfeo per pensare con calma. La sua mente stava ripercorrendo e analizzando i fatti di quel pomeriggio. Sicuramente le conseguenze non sarebbero state rilevanti al punto da poterla sconvolgere. Il suo cuore inaspettatamente sperò. Il volto di lui le apparve nitido e sorridente e si sentì meglio. Tuttavia era meglio non sottovalutare nulla, non era così sciocca da non prendere in considerazione una reazione così innocente, decisamente semplice e ingenua. Ma non era mai successo prima e la ragazza non se lo sarebbe mai aspettato. Eleanor non aveva un buon rapporto con le sorprese, non sopportava che le situazioni le sfuggissero di mano o non fossero prevedibili. Un leggero fastidio le arricciò il naso. Cercò appoggio e soddisfazione nelle sue scelte e nelle sue azioni. Li trovò e, finalmente, sorrise.
***
Si alzò presto, anche se era sabato. Di solito non disdegnava di rimanere a letto fino a tardi ma sentiva di dover approfondire una certa questione. E prima ancora le avrebbe dovuto raccontare: chi la voleva sentire, se poi borbottava che non le diceva mai nulla. Si fece una bella doccia. Riposante. Distensiva. Dopo andava meglio. Naturalmente passò un bel po’ di tempo davanti allo specchio. Era orgogliosa di se stessa, e chi la conosceva, senza sforzarsi troppo, la chiamava “Narciso”. Che originalità. “Folletto” era quasi peggiore. Secondo il suo modesto parere, nessuno meglio dei folletti era padrone di decoro, eleganza e imperturbabilità. E doveva essere una sensazione magnifica, avere tutto quel potere nelle proprie mani. Chissà come si sentivano, chissà cosa provavano… Non lo avrebbe mai saputo. La seccava, quindi, sentire usare quel nome come qualcosa di strano da cui stare lontani. Senza contare che avrebbe potuto essere tranquillamente una di loro, come tutti le ricordavano, non senza una certa esasperazione. Oh sì, era davvero orgogliosa.
Ultimò di sistemarsi e scivolò in cucina, prese un bicchiere di latte. Mentre lo sorseggiava, si ritrovò ad apprezzare l’amabile suono del silenzio. Lavò il bicchiere: sarebbe stato molto sgradevole lasciarlo nel lavello sporco, non era quello il suo posto. Scrisse un biglietto ai genitori, li avvertiva che era uscita e che sarebbe tornata per pranzo. Che ragazza premurosa. Sorrise di nuovo. Uscì.
***
Per strada non c’era quasi nessuno, ottimo. La giornata era cominciata splendidamente, poteva ritenersi molto soddisfatta. Già fuori di casa s’iniziavano a sentire gli uccellini che cantavano, il fruscio del vento fra gli alberi, il ronzio leggero degli ultimi grilli. Addio dolce silenzio, alla prossima… Ammise a se stessa che, se i passeri e i pettirossi avevano da pigolare così già di prima mattina, non poteva che andare tutto bene, e si sentì felice per loro. Il vento, inoltre, porta il profumo di posti lontani, conosce tutto. A volte sembra, quasi, che voglia iniziare a raccontare.
‘Merita rispetto e ammirazione’ pensò. I frassini e i pioppi si stagliavano alti e imponenti contro il cielo, alcune foglie iniziavano a dorarsi. Belli, bellissimi. La natura è meravigliosa, quanto piacere per gli occhi… Anche i suoni potevano avere la loro utilità, se rivelavano la presenza di ciò che è più puro nel mondo. Sorrise ancora. E contemplò i colori di tutti quei giardini. Contemplò la cura e la precisione. Contemplò le morbide corolle che si crogiolavano sotto le carezze dell’aria. Contemplò quel verde, quel verde che non dava spazio al respiro, che era pieno e che sapeva di speranza. Si accorse di essersi fermata. Le sue labbra s’incurvarono sotto il peso della consapevolezza. Le sue iridi, avide, sfiorarono il marciapiede largo e dritto, la strada ordinatamente selciata. Non contente, lambirono gli edifici di pietra, il vetro lucido delle botteghe. Toccarono le cassette della posta e i lampioni sparsi qua e là. La soddisfazione le avvolse il cuore, e la mente, paga, le ricordò i suoi impegni. Si può indovinare come reagì a questi pensieri. Un buon inizio davvero.
I viali iniziarono a riempirsi di mattinieri e coloro così sfortunati da dover lavorare il sabato. Si alzò gradualmente un certo brusio. Quante parole…
‘Troppe’ inutile voglia di comunicare… La ragazza fu riconosciuta da un paio di persone che la salutarono. Eleanor rispose cordialmente. Che personcina educata. Continuò a camminare, anzi diciamo passeggiare: avanzava con calma, con esasperante lentezza, si guardava intorno con noncuranza, il tempo non le metteva fretta. Entrò in un bar e comprò due caffè, passò dal forno e prese due cornetti fragranti. Forse così non si sarebbe dovuta sorbire troppe lamentele sulle visite inaspettate di sabato mattina. Dopo avanzò più speditamente, che tragedia se il caffè si fosse raffreddato prima di poterselo gustare.
Si fermò davanti a una casa con finestre di legno scuro e con un giardino molto grande e decisamente più curato dei suoi vicini. Quanta pace sembrava emanare quella casa. Se tutte le apparenze fossero così! Oltrepassò il cancello, percorse il vialetto e prese una chiave da dietro un vaso di tulipani accanto alla porta. Prevedibile. E sciocco. Entrò con sicurezza e senza far rumore.
***
Si trovò in un piccolo atrio. Lo oltrepassò e girò a sinistra dentro la cucina, poggiò la busta con cornetti e caffè. Uscì salendo le scale sulla sinistra e varcò silenziosamente una porta, sempre a sinistra. Facile, davvero facile. La stanza non era buia come la sua: attraverso le tendine rosse, il sole si poggiava delicatamente ovunque gli riuscisse. Meglio, molte meno probabilità di andare a sbattere. Si avvicinò al letto, una massa di riccioli neri spuntava da sotto le coperte. Scosse con garbo quella che doveva essere una spalla, per sentire gorgogliare qualcosa sul sabato e sullo stramaledetto diritto di dormire. Quanta classe…
“Ti aspetto in cucina, ti ho portato la colazione” disse, non riuscendo a reprimere il tono condiscendente della sua voce. Due occhi sorpresi spuntarono in mezzo a quelle ciocche scure. Nella fretta di alzarsi la migliore amica della nostra Narciso cadde malamente dal letto. Quanta grazia… Eleanor scese in cucina e attese seduta al tavolo.
***
Dopo mezz’ora la ragazza la raggiunse con un’espressione piuttosto contrariata. Com’era diversa da Eleanor. Innanzitutto l’aspetto, poi il carattere. Dovrebbe importare? A loro sicuramente no. Il suo nome era May.

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Capitolo 2
*** Innocente ***


Capitolo 1- Innocente
NdA: Ed ecco qui il primo capitolo, in cui fa il suo scorbutico ingresso un’altra protagonista e si parla di un altro ancora che, probabilmente, detesto più di Narciso; intanto Eleanor si spiega meglio e, forse, potrete iniziare a capire perché non la sopporto.
Se ci fossero domande o incomprensioni, chiedete pure.
Buona lettura.


Capitolo 1 – Innocente

‘Eccoti qui’ pensò May. Eleanor sedeva compostamente, tenendo fra le mani un bicchierino di plastica vuoto.
“Avresti potuto aspettarmi” inveì a mo’ di buongiorno. Sogghignò nel vederla scuotere la testa.
“Il caffè freddo non mi piace e tu sei troppo lenta” le rispose guardandola con rimprovero.
“Potevi scaldarlo, e non dirmi che non sai come si fa” si sedette anche lei, ridacchiando fra sé all’espressione leggermente irritata comparsa per nemmeno un secondo sulla faccia di Eleanor. Era decisamente divertente sapere di essere l’unica a farla traballare così.
“Grazie comunque per il pensiero” aggiunse addentando il cornetto. Era alla marmellata di pesche, il suo preferito. Eleanor non disse nulla. ‘Cavolo l’ho proprio fatta uscire dai gangheri’ pensò la mora.
“Non tenermi il muso così, Narciso… Non sono stata io a svegliarti presto di sabato mattina!” abbozzò un sorriso più gentile “Vuoi dirmi qualcosa immagino” continuò. Non c’era più traccia del cornetto. May prese il caffè, tenne il bicchierino fra le mani per un po’ e lo sorseggiò solo quando divenne caldo abbastanza. Eleanor nel frattempo mangiucchiava il suo cornetto in silenzio.
‘Detesto quando fa così, non le si può dire nulla!’ pensò la mora “Ok, ok, ho sbagliato, non ti dovevo aggredire così, sono stata maleducata, sei stata gentile a portarmi la colazione e io ti tratto male, scusami” borbottò frettolosamente. ‘Eccola che sorride, ha vinto di nuovo’ considerò scoppiando a ridere e si sporse sul tavolo e arruffandole i capelli. Eleanor vi passò una mano in mezzo per sistemarli e May sogghignò di nuovo.
“Forza, illuminami Narciso” disse platealmente.
“Bene,” con un fazzoletto si pulì la bocca da briciole inesistenti “Ti ricordi cosa avrei dovuto fare ieri?”
“Dorian veniva da te, giusto?”
“Esatto, e, infatti, è venuto. Tutto come al solito, noi due in cucina a studiare”.
“Tutto come al solito?”
“Sì”.
May era senza parole. E si stava irritando di nuovo. Ma, dopo averla guardata negli occhi, si disse che era inutile poltrire a letto e che, anche se voleva solo parlarle, Eleanor poteva benissimo svegliarla. La disponibilità è uno dei fondamenti dell’amicizia, no? E poi Narciso le aveva anche portato la colazione… Poteva fare quello che voleva. Lei faceva quello che voleva. E quasi ti faceva sentire in colpa, se non la approvavi subito. La mora sbuffò rassegnata.
“È questo che non capisco” continuò Eleanor.
“Come scusa?” si stupì l’altra.
“Era tutto normale, tutto come al solito. Io che cerco di farlo studiare, lui che dice di non averne voglia, e con che coraggio poi, è lui che mi ha chiesto di aiutarlo…”
“Te lo chiese quando avevamo nove anni…” la bloccò May.
“Sì, non mi sembrò strano, i suoi voti non erano altissimi, anzi diciamo bassi, era naturale che…”
“Che si rivolgesse a te ?” May calcò l’ultima parola. Ed ecco di nuovo quell’espressione irritata apparirle sul viso per un attimo. Ma, questa volta, Eleanor non rimase in silenzio, continuò a parlare ignorando l’ultima interruzione dell’amica.
“Ieri è venuto lui da me. E ho dovuto fare i salti mortali per convincerlo a finire quel tema…”.
“Sì certo, i salti mortali, quante parole hai dovuto dirgli in più, tre, quattro? Lo sai bene che riesci a plasmarlo nelle tue mani, ti ascolta sempre anche se si lamenta”.
“Dovresti farlo anche tu, non sarebbe male”.
May si ammutolì. Ok forse era il caso di lasciarla continuare. Ma… Un momento! Era riuscita a farsi rispondere a una frecciatina! Ma allora si può sciogliere il ghiaccio…
“La mia solita lingua lunga” le sorrise maliziosamente. Eleanor quasi si morse la sua, ma continuò.
“Questo è il primo dei fatti strani successi ieri… Ho dovuto insistere per un’ora perché finisse quel tema, lui continuava a impuntarsi che era una bella giornata e che era… inutile sprecarla chini sui libri.”
‘Perfettamente d’accordo’ approvò May nella sua testa.
“Si è impuntato per andare a farci un giro ai Centri, insomma, una vera e propria tortura, poi per fortuna è rinsavito e ha finito il tema”.
‘Proprio una fortuna… Chissà perché studia ancora con te, ormai non ha più bisogno di aiuto, vero? Sei stata un’ottima insegnante Narciso…’ un sorriso amaro segnò le labbra della mora.
“Erano quasi le sei quando ha finito, mi ha chiesto se volevo uscire con lui a fare una passeggiata.”
‘Proprio un tipo che ama stare all’aria aperta, il nostro Dorian’.
“Ma non avevo finito di rispondere alle domande di Lettere Umane, e così non se n’è fatto nulla. Lui ha preso le sue cose, si è alzato dal tavolo e mi sono alzata anch’io, per accompagnarlo alla porta”.
‘Ma cosa è successo Eleanor? Perché mi dici queste cose? Non hanno senso!’
“Appena gli sono passata a fianco mi ha abbracciato, l’ho abbracciato anch’io, non ci ho visto nulla di male”.
‘E direi, è come se fosse tuo fratello!’
“Lui mi ha preso il viso tra le mani e mi ha baciato”.
May non era pronta a tutto questo. Non conosceva Dorian da tanto tempo quanto Narciso ma credeva che non la considerasse più di un’amica. Strano, di solito non sbagliava nel giudicare le persone. Rimase in silenzio. Forse Eleanor si aspettava un commento perché non parlò più. Ma May non la accontentò. Pensava a cosa si fosse lasciata sfuggire. E perché non le aveva detto niente? Avrebbe potuto aiutarlo. Invece aveva preferito non dirle nulla e lei non l’aveva capito. Lo aveva sempre giudicato come un ragazzo un po’ sfrontato e pedante a volte, ma che riusciva sempre a usare la testa con ragionevolezza. Agire così impulsivamente non era da lui. Che avesse mandato tutto a farsi benedire? Possibile… Ma perché proprio adesso? Se gli piaceva Narciso, perché glielo faceva capire solo ora? Senza contare che la ragazza lo considerava solo un amico e lui lo sapeva!
‘Stupido idiota!’ digrignò fra i denti la mora. Osservò Eleanor guardarla a sua volta in attesa.
“Cosa c’è che ti tormenta Narciso? Non ti è piaciuto?” sbottò seccamente.
“Non ci ho fatto molto caso” fu la calma risposta.
‘Iniziamo bene… Sarai contento Dorian…’ la mora non sapeva che parti prendere: avrebbe dovuto aiutare l’amico o… o cosa? Eleanor ancora non le diceva nulla, non sapeva nemmeno come l’avesse presa!
“Sei pregata, cara Narciso, di essere più chiara… E dato che ci sei non perderti in particolari inutili!” sbraitò abbastanza rudemente. L’amica non fece caso al tono non proprio amichevole e proseguì come se nulla fosse.
“Mi ha sorpreso. Non me lo aspettavo. Immagino di essere stata troppo sconvolta per quello che stava facendo per pensare ad altro” scosse la testa non riuscendo ancora a capacitarsi di questa sgradevole manchevolezza “Comunque non ho reagito, o meglio” aggiunse prevenendo la domanda che si era formata nella testa della mora “non l’ho ricambiato, le mie labbra sono rimaste assolutamente serrate. Ho pensato subito di cercare di allontanarlo senza essere troppo brusca, ma mio padre è entrato in cucina” May dimenticò subito di ricordarle che evitare di ricambiarlo poteva già considerarsi brusco. Ripensò al padre della sua amica, il signor Isaac Aylmer. Un tipo piuttosto serio e di vedute ristrette, poco incline al sorriso e molto alle prediche inutili... una vera piaga. Si ritrovò ad arricciare le labbra in segno d’insofferenza.
“Dorian si è allontanato da me come se scottassi, mi è parso molto arrabbiato. Non l’ho mai visto così… sembrava aver perso il lume della ragione. Ma, quando si è voltato verso mio padre, era impassibile. Papà era senza parole. Anche questo mi ha sorpreso, ma già si trattava di qualcosa di più affrontabile. Dopo nemmeno un secondo gli ha intimato di andarsene da casa nostra e di non farsi più vedere. Mi sono messa fra loro e gli ho detto chiaramente che non aveva il diritto di trattarlo così, visto che non aveva fatto nulla di male. Non sai che voglia di ridere avevo. Iniziavo a rendermi conto di quello che era successo e l’idea che Dorian si fosse comportato in modo tanto… ingenuo, semplice, decisamente sciocco e innocente… Ho fatto uno sforzo enorme per non scoppiare a ridere in faccia a papà, non l’avrebbe gradito. E, se è per questo, avrebbe dato fastidio anche a me. E comunque non volevo offendere Dorian” Ok, troppe cose in una volta. May iniziava ad avvertire un leggero fastidio alle tempie. La mora non era per niente stupita dalla strana morale che sembrava influenzare i giudizi dell’amica. A quelli c’era abituata e, per come la vedeva lei, ognuno poteva pensare come voleva se le azioni che ne seguivano non ferivano nessuno. La preoccupavano due cose in particolare: la reazione di Dorian e quella di Eleanor.
Dorian arrabbiato, che “sembrava aver perso il lume della ragione”. Piuttosto comprensibile anche se del tutto insolito: al massimo era insistente fino alla nausea ma non si scomponeva mai. Evidentemente ci teneva molto che tutto andasse bene… Ma cosa si aspettava? Che lo ricambiasse? Decisamente non era il Dorian con cui era abituata a confrontarsi.
Ed Eleanor? Eleanor che rispondeva a tono a suo padre! Non poteva crederci! Erano sempre andati d’accordo, non discutevano mai! Si era persa un evento unico! Aveva preso le parti del ragazzo, però non aveva ricambiato il suo gesto.
“Perché l’hai difeso?”
“Perché è un mio amico. Perché non voglio rinunciare a lui, non voglio che ci sia proibito di vederci, non voglio che mio padre s’intrometta in cose che non lo riguardano, non voglio che lui decida per me. Voglio bene a Dorian, non t’immagini quanto. Non come vorrebbe lui, a conti fatti, ma gli voglio bene. Il solo pensiero di non poterlo più avere accanto a me è… opprimente…”
May non credeva di poterla mai vedere così esitante, così presa. Che giornata particolare. Quante emozioni Eleanor sarebbe stata capace di esprimere prima di collassare? Di certo non avrebbe voluto essere presente quando sarebbe successo. Era strano avere a che fare con lei quando si mostrava così umana… così diversa dal folletto narcisista cui era abituata… Sembrava quasi una ragazza normale…
“Voglio risolvere questa situazione, voglio avere la possibilità di chiarirci, voglio che tutto torni come prima” concluse con il consueto contegno.
“Immagino, quindi, che ancora non vi chiarite… cosa è successo dopo? Va avanti” la incalzò la mora.
“Papà ci è davvero rimasto secco. Non si aspettava certo una simile razione da me, come se davvero pensasse che io sia come lui. Detesto essere sottovalutata così, mi sono parecchio infastidita. Comunque è rimasto in silenzio a fissarmi per qualche secondo, neanche avesse visto un fantasma o Rosalie, poi ha girato i tacchi ed è uscito dalla cucina dalla porta che da’ all’ingresso. Mi sono girata per parlare con Dorian, ma anche lui era uscito, dalla porta che da’ in giardino: si è tirato indietro. Non si è mai comportato così” aggiunse.
“Anche questo ti ha stupito, immagino?”
“Sì, certo. Volevo subito andare a cercarlo. Non ho fatto in tempo nemmeno a mettere a posto i libri che papà è piombato in cucina. Ha pure rischiato di cadere nella fretta. Era tutto rosso in viso e faceva pure fatica a respirare con calma”.
‘Del resto non gli deve essere andato bene farsi rimproverare dalla sua perfetta figliola’.
“Abbiamo discusso a lungo. Ci si aspetterebbe da un adulto che come minimo mantenga la calma, ma non ha fatto altro che urlare per tutto il tempo. E alla fine anche mia madre e Rosalie si sono unite alla conversazione”.
‘Ha ancora il coraggio di chiamarla conversazione?’
“In poche parole, papà si è risentito del mio comportamento irrispettoso e mi ha ricordato che ascoltare i consigli di un genitore, cioè lui, è il modo migliore per non avere problemi. O meglio,” aggiunse dopo essersi beccata un’occhiataccia dalla mora “per non andare a finire a letto con il primo che passa. Mi ha ricordato che i ragazzi alla nostra età pensano a una cosa sola. Che certi atteggiamenti vanno bloccati sul nascere per evitare gravi pesi sulla coscienza. Un bambino non voluto” precisò automaticamente “Ha detto che si è sentito molto deluso dalla mia condotta e che credeva che avessi più criterio. Insomma, ha detto una miriade di sciocchezze sullo stesso genere per tutto il pomeriggio. Mi sono annoiata a morte. Mamma ha cercato di farlo ragionare ma, ormai, si era trasformato in un disco rotto. E ha smesso solo la sera”.
“E tu cosa gli hai detto?” May lo immaginava già, ma sentirselo dire era un’ altra cosa.
“Che non si nasce da un bacio e che se non mi riteneva in grado di affrontare una situazione così, voleva dire che era perfettamente conscio di avermi cresciuto in maniera sbagliata. Gli ho detto che saltare a conclusioni così poco verosimili è un atteggiamento molto infantile. E che prendersela con Dorian per qualcosa che non lo riguarda per nulla, non è qualcosa che accetto. Non sta a lui decidere chi può baciarmi e chi no. Se Dorian l’ha fatto, ha avuto sicuramente i suoi motivi, ma non sta a lui giudicarli, sta a me decidere cosa fare. E poi gli ho detto che si sarebbe dovuto tranquillizzare del fatto che fosse stato Dorian e non uno sconosciuto. Del resto, Dorian lo conosce da quando era un bebè e sa meglio di me che non mi potrebbe mai costringere a fare qualcosa che non voglio. Gli ho detto che non avrebbe dovuto rivolgersi a un mio amico in quel modo per così poco, ma era come parlare al vento. Anzi no, almeno il vento raccoglie tutto quello che dici, papà non mi ha nemmeno ascoltato” May sorrise appena al pensiero di aver avuto ragione. Prese il bicchierino di carta e se lo passò da mano in mano. Eleanor proseguì con la sua storia.
“Mamma mi ha sostenuta per tutto il tempo. Rosalie ha riso praticamente sempre ma, ogni tanto, riusciva a riprendersi abbastanza da dire che la pensava come me. Alla fine papà si è visto contro tutta la famiglia e ha smesso di urlare, se non altro. Poi ha smesso del tutto di parlare e per tutta la serata non ci ha rivolto la parola. Peggio di un bambino piccolo”.
‘Meno male che tua madre ti ha aiutato, altrimenti col cavolo che saresti potuta venire qui’ la mora posò il bicchierino sul tavolo, si alzò, guardò l’amica, si sedette di nuovo.
“Gli andrai a parlare quindi. Cosa speri di ottenere?” il suo tono conteneva un’amarezza che Eleanor non colse. E se anche l’avesse colta, non ne diede l’impressione.
“Spero di capire perché l’ha fatto. Perché non mi sono accorta di quello che prova. Voglio provare a far tornare tutto com’era prima”.
“Credi davvero che sia ciò che vuole anche lui? Secondo te se ne sarebbe andato se lo avesse voluto?” May la guardò incredula.
“Forse sì e forse no. Se non ci provo, non lo saprò mai. Voglio cercare di salvare quello che ho costruito insieme con lui in questi anni”.
La mora si alzò di nuovo e la sua migliore amica la imitò. Si avvicinò a lei e le regalò un abbraccio veloce.
“Fammi sapere com’è andata” le disse piattamente. Eleanor sorrise. Posò le chiavi della casa sul tavolo e uscì.
May la guardo allontanarsi dalla finestra. Sapeva che la ragazza era venuta solo per dirle cosa era successo, che non le interessavano i suoi commenti e i suoi consigli. L’unica cosa che poteva fare era mostrargli il suo appoggio.
‘Mi dispiace Dorian, ora non ti potrò aiutare neanche se lo volessi’ pensò leggermente malinconica.

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Capitolo 3
*** Codardia e rassegnazione ***


Capitolo 2 - Codardia e rassegnazione
NdA: Ho riscritto questo capitolo diverse volte e non mi è mai piaciuto granché. Volevo rendere evidente il punto di vista di Dorian, cercando di spiegarlo senza però dire tutto subito. Non credo d’esserci riuscita, probabilmente perché non lo capirò mai abbastanza. Meno male che è un mio personaggio...

‘...’ = pensieri
“...” = discorsi


Capitolo 2 – Codardia e rassegnazione

I ragazzi correvano dietro al pallone come se ne andasse della loro vita. Era una battaglia serrata, a volte cruenta, ma non ne avrebbero mai fatto a meno. Andavano avanti così da un’ora buona e iniziavano ad avvertire i primi segni di stanchezza. Continuavano imperterriti. Forse rischiavano davvero la vita, chi lo sa. Dorian almeno si sentiva così. Continuava a correre per non pensare. Perché, se solo ci provava, sentiva un enorme peso sul petto. Rischiosissimo. Meglio correre fino a sfiancarsi, molto meglio.
Ma c’è una fine per tutto. E chi poteva saperlo meglio di lui? Erano tutti stremati e si fermarono. Per non azzardarsi anche solo a meditare, si guardò un po’ intorno. Non l’avesse mai fatto. C’erano i suoi compagni, che pian piano si avvicinavano agli spogliatoi. Attorno al campetto si era radunata un po’ di gente, che non aveva niente di meglio da fare che osservare quei guerrieri invasati. Riconobbe una persona tra loro, al primo sguardo, e come avrebbe potuto fare altrimenti? Sentì quel peso opprimergli i polmoni e lo stomaco, chiuse gli occhi. Li riaprì e s’incamminò verso gli spogliatoi con gli altri. Adesso non poteva non pensare. Avrebbe dovuto affrontarla.

***

È vano sperare che lei abbia deciso di andarsene, Dorian. Rassegnati. È venuta qui apposta per te. Non fuggirà come hai fatto tu. La vedi? È lì, vicino al muretto, e sta osservando proprio te! Guardala. Non è stupenda? Sta sorridendo Dorian. Non puoi più scappare ora. Saluta i tuoi amici, adesso c’è lei. C’è lei, con la schiena dritta e le spalle distese. Non è appoggiata al muretto, non si appoggia mai a niente. È semplicemente lì. Per te. Ti sta aspettando, avvicinati. Riesci a vedere il colore dei suoi occhi. Perditi per un momento in quell’azzurro. Ne vale sempre la pena, no? Ma perché ti senti sprofondare ora? Perché non riesci a respirare normalmente? Perché fuggi il suo sguardo? Non ti aiuterà Dorian. Non ti aiuterà soffermarti sui suoi capelli di seta. Al sole sembrano rossi, vero? Che piacevole contrasto con i suoi occhi. Sicuramente non stai meglio… Non guardare le sue labbra. Non hai fatto altro che sforzarti di non ricordare la loro morbidezza, e adesso? Non sei molto coerente, Dorian. Perché ora ripensi alla prontezza con cui ha ricambiato il tuo abbraccio? Perché ripensi al brivido che ti ha dato sentire il suo esile corpo contro il tuo? Ti è parsa fragile, vero? Eppure sapevi che non era così e hai sentito un altro brivido… Perché ci pensi proprio adesso, Dorian? Non è decisamente questo il momento, no? Tu sai perché è venuta. Per parlarti. Chissà cosa ti vuole dire. Ma perché non vuoi pensarci? Così non va bene. Di cosa hai paura? Perché hai paura, non c’è dubbio. Hai paura di lei? Come puoi aver paura di lei! Credi che ti ferirà? Sei un codardo. Non si affronta la vita avendo paura di soffrire. Ma guardati! Non riesci più nemmeno a rivolgerle lo sguardo. Rifletti. Non hai fatto nulla di cui pentirti. Nulla che possa averla ferita. Il suo sorriso ne è la conferma. Ti senti meglio adesso? Molto bene. Avanti, sai cosa devi fare. Ma come glielo dirai Dorian?

***

“Ciao Dorian” lo salutò Eleanor Aylmer.
“Elie” rispose il ragazzo.
“Sono andata a cercarti a casa e tua nonna mi ha detto che eri venuto qua”.
“Pensavo di non trovare nessuno ma c’erano quasi tutti, abbiamo fatto una piccola partita”.
“Lo so, vi ho visto mentre formavate le squadre” Dorian non si era accorto della sua presenza, credeva fosse arrivata da poco “Non volevo disturbarti, così ho aspettato che finissi. Adesso devi tornare a casa?”
“No, non ho niente da fare” Dorian tirò il dado.
“Facciamo una passeggiata” Eleanor lo prese al volo.
Non avevano una meta precisa, camminavano e basta. Quante volte l’avevano fatto. Vagabondare così, anche senza dirsi nulla. A Dorian mancavano quei momenti, nei quali era inutile l’uso delle parole. L’importante era sapere di esserci.
“Volevo chiederti scusa” Eleanor ruppe il silenzio. Il ragazzo non riuscì a trovare qualcosa da dire e la ragazza non gli diede altro tempo.
“Mio padre si è comportato malissimo. Immagino sia difficile vedere la propria figlia che…” Dorian la vide esitare per un secondo. Troppo. Eleanor non esita mai. Una fredda sensazione di vuoto gli fece chiudere gli occhi.
“Non lo voglio giustificare, ha sbagliato a trattarti così” aveva cambiato frase. Eleanor sa sempre cosa dire. Si fermò. Erano entrati nel parco dietro il campo di calcio. Un luogo riposante e tranquillo. Ora tutta quella quiete non faceva altro che alimentare il suo senso di vuoto.
“È solo questo che ti preoccupa? Che mi possa essere offeso per tuo padre?” sbottò bruscamente il ragazzo, voltandosi verso di lei.
“Non me ne dovrebbe importare?” lei non lo guardava.
Calò il silenzio. Dorian non lo sopportava, non aveva nulla di confortante. Si limitava a schiacciarlo lentamente, al solo scopo di renderlo cosciente dell’abissale distanza che si stava creando tra loro.
“Perché mi hai difeso? Non mi hai baciato, ma mi hai difeso. Perché?” suonava quasi supplichevole, ma cosa gli prendeva? La ragazza gli rispose con tono infastidito.
“Perché ti ho difeso? Perché non avrei dovuto? Papà non sapeva nemmeno cos’era successo, visto che non c’è stato tempo perché potesse succedere davvero qualcosa. Si è intromesso in una situazione che non lo riguardava, non ci ha dato la possibilità di parlarci. Ma, quando finalmente si è levato di torno, tu non c’eri più. Stavo per venire a cercarti, ma è tornato e mi ha trattenuta” Dorian sentì l’improvviso bisogno di giustificarsi.
“Scusami, solo che… volevo solo allontanarmi da… Insomma è evidente che tu mi consideri solo un amico, ed io…” non riusciva a dirle che non lo sopportava. Che il solo pensiero di non essere nulla di più di una persona cara lo feriva. Che la amava profondamente. Che aveva voluto fargli capire cosa provava per lei, ma il suo rifiuto lo aveva fatto stare peggio. La guardò negli occhi, sperando che non insistesse. Il volto della ragazza era una maschera, non lasciava trapelare nulla.
“Da quanto tempo?” gli chiese.
“Forse da sempre” le parole gli uscirono prima che potesse capire cosa avesse effettivamente detto.
“Com’è successo?” Che cosa risponderle? Quanto voleva sapere? Che cosa era più giusto dirle? Dorian scelse la verità pura e semplice, i fatti che Eleanor tanto amava.
“All’inizio quasi non me ne rendevo conto. Semplicemente, quando stavo con te, tutto diventava più semplice e credevo che non ci fosse nulla d’impossibile al mondo. E quando non c’eri… ti pensavo sempre, continuamente, eri il mio chiodo fisso. C’è stato un periodo che… beh, ero geloso marcio di May perché stavi sempre meno con me e passavi più tempo con lei… Non pensare male, resta comunque una dei miei migliori amici. Il suo unico difetto è che ti sta appiccicata peggio di una sanguisuga. Credo di averlo capito… quando studiavamo insieme. Era uno dei pochi momenti in cui non c’era May fra i piedi e… mi sentivo tremendamente felice! E ogni tua singola parola era… così rassicurante…”
‘Come posso esserti solo amico ora?’ considerò amaro senza lasciar trasparire nulla. Eppure, ad un certo punto, le abitudini dovrebbero essere lasciate da parte. Dorian lo sapeva. Era difficile liberarsene. Ma non vuol dire che non ci si possa provare.
“Perché solo adesso?” non riusciva a non ammirare con quanta calma affrontasse tutto. Non la scalfiva mai nulla, tranne May, forse. ‘E io non ci riuscirò, vero?’ non si stupì di quanto fosse doloroso ammetterlo. Era proprio come se l’era immaginato.
“Perché non me lo vuoi dire? Noi ci dicevamo sempre tutto” non aveva reagito, era rimasto lì a fissarla. Si riscosse. Le avrebbe risposto?
No. Perché avrebbe significato ammettere la propria codardia, che si era tirato indietro solo fino a quando non aveva scorto il rischio di perderla per davvero. Che aveva sempre rimandato perché aveva paura e alla fine lei... adesso, però non poteva più nascondersi.
“Sei una persona stupenda Elie” ecco, gliel’aveva detto. Non proprio, però andava bene ugualmente. Lei non era tipo da dichiarazioni e smancerie varie. Vedeva le cose per quello che erano, concepiva le parole per il loro significato. Ma era anche capace di capirlo meglio di chiunque altro. E non sarebbe stata da meno, neanche questa volta.
“Non voglio essere per te solo un amico. Non voglio che tu mi veda solo come un amico. Non tornerò indietro. Perché è questo che mi volevi chiedere, vero?” anche adesso si notava solo la sua risolutezza. Proprio non riusciva a mostrarle come stava davvero.
“A questo punto non ne ho più ragione, sarebbe davvero inutile” Dorian scoppiò a ridere e quel suono risultò vagamente nervoso. Solo Eleanor se ne sarebbe potuta uscire con una frase del genere. Osservarla tra le risate, mentre lo guardava reclamando una risposta, lo fece sentire meglio. Come sempre.
“Sei uno sconsiderato” la disapprovazione con cui lo disse, non fece che aumentare il volume delle risate del ragazzo. Dorian la guardò mentre scuoteva la testa e poi gli sorrideva. Forse non esisteva nulla di più sincero al mondo. Si accorse di quanto fosse tutto molto strano. Un momento prima parlavano molto seriamente e adesso reagivano come se niente di tutto questo fosse successo. Capì che l’amicizia che li legava si era dimostrata molto solida. Che alcune cose sarebbero cambiate, ma altre no. Che lei non poteva fare come se nulla fosse, dato che lui non voleva ritrattare quanto fatto, ma che nemmeno non gli avrebbe più parlato. Che accettava che lui si fosse innamorato e che, non ricambiandolo, ritenesse opportuno prendere certe distanze. La capiva. Non ne era felice, ma la capiva. Comprese che anche lei stava pensando la stessa cosa.
Anche il ragazzo sorrise. Non c’era stato bisogno di parlare.

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Capitolo 4
*** I respiri dell'aria ***


Capitolo 3 - I respiri dell'aria
NdA: Qui fanno la loro apparizione due dei personaggi a cui sono più affezionata e uno che, al contrario, va a far compagnia a Eleanor e Dorian. Tutto sommato, questo è uno dei miei capitoli preferiti.
cabol: Ti ringrazio infinitamente per le tue parole. Spero potrai apprezzare anche il resto.

‘...’ = pensieri
“...” = discorsi


Capitolo 3 – I respiri dell’aria

Il vento osservò i due ragazzi.
Si chiese quante volte aveva visto quella stessa scena in luoghi diversi, con persone diverse e con parole diverse.
Molte, fu la risposta.
Inoltre sapeva già cose che quei due, forse, non immaginavano neppure.
È questo il potere dell’esperienza.
Non gli restò altro che aspettare.

***

Era tardi quando la donna decise di alzarsi. Suo marito non era nel letto. Doveva aver fatto un salto al negozio. Un ghigno le attraversò il volto. Evidentemente qualcuno la stava evitando. Si alzò dal letto e si stiracchiò. Adorava il sabato. Non c’era niente di meglio del puro ozio. Si chiuse in bagno e si diresse verso la vasca. Ne aprì i rubinetti e vi versò un quinto di essenza al cacao. Stava per chiudere la boccetta, ma ci ripensò. Ci svuotò un altro quinto. Soddisfatta della quantità della schiuma e della grandezza delle bolle, si tuffò nella vasca. Anche rotolarsi nell’acqua calda, non era male. Un’espressione compiaciuta le modellò il viso. Chiuse gli occhi e si rilassò, con la chiara intenzione di schiacciare un pisolino. Diversi tonfi la fecero svegliare dal torpore nel quale era volutamente caduta. Sogghignò di nuovo. Era sicuramente Rose. Nell, quando bussava, non cercava mai di sfondare la porta. Uscì dalla vasca e indossò l’accappatoio. Si mise davanti alla porta, ma non la aprì. Portò una mano alla bocca per soffocare la risata che le saliva spontanea dalla gola. Quella ragazzina era decisamente ostinata.
“Mamma! Lo so che ci sei tu lì dentro! Apri subito! È urgente!” la donna non disse nulla. Continuò a ridere silenziosamente.
“Maledizione mamma! Non puoi occupare il bagno così! È quasi ora di pranzo! ” la donna si piegò in due all’idea di essere rimasta in quella stanza per più di un’ora e mezza.
“Mamma non ce la faccio più! Apri la porta!” ormai la donna rideva sguaiatamente rotolandosi sul tappeto.
“Phyllis Aylmer! Esci SUBITO!” Rose non pareva trovare divertente la situazione. Forse era il caso di farla entrare, in fondo poteva arrabbiarsi sul serio e poi chi la voleva sentire! La donna si alzò con fatica, ancora scossa dalla ridarella e, finalmente, aprì la porta. Vide un lampo rossiccio fiondarsi nella stanza e, appena fu passato, si affrettò a uscire. Si premurò di chiudere la porta. Si ritrovò a chiedersi se anche lei avesse mai avuto il coraggio di dire una cosa del genere a sua madre. La risposta era lì, un secco no. Aveva sempre avuto paura di poter essere picchiata di nuovo, di sentirsi rimproverare aspramente per poi ricevere un’altra punizione, di sentirsi esclusa dalla famiglia. Le sue figlie non erano così. Loro non si lasciavano bloccare dal timore e dall’angoscia. Erano pronte ad affrontare le conseguenze delle loro azioni a testa alta. Si sentì felice per come stavano crescendo. Una piccola lacrima si affacciò al mondo. Fu cacciata con stizza.

***

La donna andò nella sua camera e rifece il letto. Poi si tolse l’accappatoio e lo usò per frizionare energicamente i lunghi capelli. Quando li ritenne abbastanza asciutti, iniziò a togliere dall’armadio quello che le serviva. Si stava ancora vestendo, quando la più piccola delle sue figlie fece la sua comparsa sulla soglia della porta. La sua Rose entrò nella stanza e si sedette a gambe incrociate sul lettone. La donna ultimò di vestirsi e, stampatosi un’espressione grave in faccia, si sdraiò accanto alla figlia.
“Quanto ti ho fatto aspettare questa volta?”
“Un quarto d’ora buono. Poi ti ho iniziato a chiamare. Sapevo che ti eri messa dietro la porta. Meno male che sono io l’adolescente, dovrei essere io a chiudermi in bagno per ore” Qualche attimo di silenzio. La donna aspettava cercando di mantenersi seria. Ma bastò un reciproca occhiata veloce e si ritrovarono a ridere come due bambine.
“Quando vi deciderete tu e papà a farci cambiare casa? Un bagno solo, in questa famiglia, non è possibile!” disse Rose, dopo che si calmarono. La donna aveva la risposta pronta, la stessa che ripeteva da un po’ di tempo a questa parte. Sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi.
“Io e tuo padre amiamo questa casa. Ci sono troppo ricordi qui dentro” poi aggiunse “cercherò di passare meno tempo in bagno” porse la mano alla figlia.
“Sperando che questa sia la volta buona…” Rose la prese, scuotendo la testa. La donna considerò che, quella ragazza, fosse la figlia che le assomigliava di più, aveva quasi i suoi stessi occhi e i capelli mossi come lei. Nell era più come suo padre. Ma era comunque incredibile come fosse diversa da lei fisicamente. Nell poi non aveva preso quasi nulla da lei. Nel carattere serio e metodico, poi, era identica al suo adorato papà. E, adesso, quei due non si parlavano.
“Rose come la vedi la questione tra Nell e papà?” chiese la donna alla figlia. La ragazza scoppiò a ridere di gusto.
“Non resisteranno a lungo a tenersi il muso. Faranno pace, e poi sarà come se non fosse successo nulla. Proprio come fa lui con me. Forse ci metterà un po’ di più, ma nemmeno troppo” la donna guardò un’espressione di pura estasi ironica calare sul viso della ragazza “Non avevano mai litigato così, Narciso quasi non la riconoscevo più! Non l’ho mai vista contraddirlo! E quando ricapita più uno spettacolo così?” rise divertita. La donna si unì alla figlia. Vedere, da una parte, suo marito prendersela così e, dall’altra, sua figlia calma e pacata era stato uno spasso! Che fatica per non mettersi a ridere insieme a Rose! Certo che Isaac aveva proprio esagerato, non credeva fosse così geloso di Nell.
“Rose, forse non è il caso di parlare di Greg a papà. Si è accanito tanto contro quel poveraccio di Dorian che conosce da quando era un bambino, chissà cosa potrebbe combinare al tuo ragazzo, che non l’ha nemmeno mai visto!” si sentì in dovere di consigliare alla figlia.
“Tranquilla ma’, ci avevo già pensato. Però, magari, adesso si abitua all’idea che io e Narciso non abbiamo più tre anni e accetterà più facilmente la presenza di un eventuale ‘fidanzato’” sogghignò Rose.
“Secondo me ci metterà un po’ anche per quello” la donna si alzò dal letto “Andiamo a preparare qualcosa, inizio ad avere fame” insieme scesero in cucina.

***

Phyllis e Rosalie trovarono un bigliettino di Eleanor, lasciato sul tavolo accanto al portafrutta, e un altro di Isaac, attaccato al frigo con una calamita a forma di margherita. Il primo diceva che la ragazza era uscita ma che sarebbe tornata per pranzo. Il secondo che l’uomo era uscito ma che sarebbe tornato per pranzo. La donna e la ragazza si guardarono ed entrambe scossero la testa.
“Hai ragione, faranno pace molto presto” ammise Phyllis. Passò il pollice sopra le parole. Mise i fogli bianchi nel cassetto e iniziò a cucinare. Rosalie apparecchiò la tavola e poi si unì alla madre. La donna sentì il portone aprirsi e chiudersi con delicatezza. Udì dei passi leggeri nell’atrio. Poteva trattarsi sia di sua figlia che di suo marito. Notò che anche Rose era in ascolto.
“Sono tornato” l’uomo le salutò dalla soglia della porta “Sono passato un attimo al negozio” Phyllis si costrinse ad assumere un’espressione seria.
“Rose finisci tu qui, io e papà torniamo subito” si lavò le mani. Fece cenno al marito di seguirla.

***

Salirono le scale e andarono nella loro camera. La donna si sedette sul letto e notò che qualcuno evitava il suo sguardo. Inevitabilmente, e contro i suoi numerosi sforzi, un ghigno ironico si stampò sul suo viso.
“Così adesso ci parli, eh?” suo marito era davanti alla finestra e le dava le spalle.
“Però non ci vuoi guardare nemmeno in faccia… Non va bene, Ai, no no…” il sorriso di Phyllis si allargò guardando la schiena di Isaac irrigidirsi. Sapeva che odiava essere preso in giro, sapeva che si vergognava del suo comportamento della sera prima. La donna si alzò e cinse la vita dell’uomo con le braccia, poggiando la fronte sulla base del suo collo.
“Stamattina non mi hai dato nemmeno un bacio! Non è bello svegliarsi e vedere che tu non ci sei… E ora non guardi né me né Rose… Così proprio non va Ai…” l’uomo era inflessibile fra le sue braccia. Ancora non diceva nulla.
“Hai discusso con Nell e non ci vuoi parlare, ma questi sono affari vostri. Ma perché ti comporti così anche con me e Rose? Non dovremmo esprimere le nostre idee?” ora era seria davvero e il suo tono era anche piuttosto secco. Sentì suo marito respirare profondamente.
“Hai ragione, sto esagerando, scusami” si voltò verso la donna, le baciò la fronte e la abbracciò stretta. Phyllis tirò un mentale sospiro di sollievo, il suo Isaac era tornato a ragionare. Si scostò e cercò i suoi occhi. Gli sorrise dolcemente.
“E, secondo te, io mi accontento di quel bacino striminzito?” si alzò in punta di piedi, rintracciò le labbra del suo cocciutissimo Ai, che stavano sorridendo, e le baciò con dolce passione. Suo marito la ricambiò con più tenerezza.
“Così va meglio” disse la donna separandosi lentamente dal calore che le dava quell’uomo “Ora mi prometti che non tratterai più così, me e Rose?” l’uomo si stupì.
“Credevo mi chiedessi di parlare con Eleanor…” sussurrò.
“Tu e Nell avete i vostri tempi e, poi, è una faccenda fra voi due, l’importante è che non coinvolgiate gli altri” rispose Phyllis con un’alzata di spalle.
“Ho sbagliato a reagire così, soprattutto con te e Rosalie” l’uomo si strofinò il volto con le mani “Me la sono presa troppo, quel ragazzo proprio non lo sopporto… Ma questo non mi giustifica” la donna lo abbracciò di nuovo e si sentì stringere dolcemente dall’uomo.
“Lise, ti prometto che non scaricherò più la mia rabbia e la mia frustrazione su di voi” Phyllis annuì e cercò ancora la bocca di Isaac con delicatezza.
“Possiamo tornare di sotto adesso” mormorò la donna, dopo aver sciolto di nuovo l’abbraccio. Accarezzò i capelli rosso scuro del marito, portandoglieli dietro un orecchio. L’uomo le sorrise.
“Tu ti fidi di me. E ti fidi di nostra figlia. Molto più di quanto non riesca io” disse Isaac. Phyllis sogghignò apertamente.
“Non dovevo arrabbiarmi così con Eleanor, ma non mi va giù che non abbia per niente considerato le mie parole. Sinceramente non me la sento ancora di parlarle. Spero che ripensi a quello che è successo, almeno come ci sto pensando io. Poi le parlerò” la guardava come se cercasse il suo appoggio. La donna si dispiacque di non poter ridere apertamente. Suo marito in quel momento sembrava proprio un bambino troppo cresciuto. Ma che ci poteva fare se lei amava quel bambino dal più profondo del suo cuore?
“Te l’ho detto prima: prenditi il tempo che serve, Nell farà lo stesso. Ora scendiamo” lo prese per mano e tornarono in cucina.

***

Rosalie aveva preparato la pasta con le melanzane e aveva condito l’insalata. Phyllis la guardò compiaciuta, la sua Rose si sapeva prendere cura di sé. Si aspettava quasi di vedere Nell ma la ragazza non era ancora tornata. Iniziava a essere un po’ tardi e Nell non faceva mai tardi. Dette una veloce occhiata a suo marito: stava dando a Rose un saluto più adeguato rispetto a quello freddo di prima. Vide che, però, i suoi occhi dardeggiavano per la stanza, chiedendosi dove fosse la maggiore delle sue figlie. Il ghigno di Phyllis, che non l’aveva abbandonata da quando era riscesa in cucina, si allargò ancora. Da brava mamma preoccupata, prese il telefono e schiacciò i tasti che le servivano. Al settimo squillo una voce femminile e piatta le rispose.
“Pronto?”
“Pronto, casa Shaw?” s’informò la donna, come se non lo sapesse.
“Sì, è lei Phyllis? Sono May” il tono era diventato più interessato e confidenziale.
“Sì, ciao May. Senti, per caso sai dov’è Nell? Ci ha lasciato un biglietto dicendoci che usciva ma che sarebbe tornata per pranzo. Ancora non si fa vedere” spiegò.
“È stata qui da me ma è già uscita, dovrebbe star arrivando”.
“Ok, allora è tutto a posto. Grazie May e scusami per il disturbo”
“Si figuri Phyllis, non c’è problema” la donna notò la sincerità e il calore di quelle parole. È una bella sensazione stare simpatica alla migliore amica di tua figlia.
“Ci sentiamo May, salutami i tuoi” si congedò Phyllis. La ragazza la salutò e riattaccò. Si voltò verso Isaac e Rosalie, che stavano chiacchierando.
“Nell è andata da May ma sta tornando a casa” non lo disse a nessuno in particolare ma notò i tratti del volto di suo marito rilassarsi.
“Non possiamo iniziare? Tanto Narciso tornerà a momenti, no?” Rose occhieggiava la pasta fumante del suo piatto con desiderio. Sua madre osservò gli occhi di suo padre chiudersi e riaprirsi, le mani stringersi a pugno per un secondo.
“Anch’io ho fame, dai iniziamo” disse la donna. Si sedettero al tavolo. Non passò che qualche minuto quando i tre sentirono il portone aprirsi e chiudersi delicatamente. Udirono dei passi leggeri nell’atrio. Eleanor era tornata.
“Buongiorno a tutti” entrò e si sedette tranquilla e sicura come al solito “Scusate il ritardo, sono andata da May e ci siamo messe a giocare con Amelia. Ho perso il senso del tempo”
“Lo sappiamo, l’ho chiamata, ci stavamo preoccupando” Phyllis quasi scoppiò a ridere, quando si beccò l’occhiataccia di Isaac.
“Mi dispiace, la prossima volta farò più attenzione” sorrise conciliante. La compostezza della donna stava venendo duramente messa alla prova quel giorno. Rose, infatti, stava silenziosamente facendo il verso alla sorella, imitandone i modi pomposi. Distolse lo sguardo lasciandosi scappare una risata, riuscendo però a trasformarla in un colpo di tosse. Isaac ed Eleanor scossero la testa. Phyllis si ficcò in bocca più pasta possibile, per soffocare un altro attacco di risa. Suo marito si era accorto di aver fatto lo stesso gesto della figlia, si era irrigidito e adesso appariva seccato. Nell invece, tranquilla, aveva iniziato a mangiare, ignorando completamente il padre. Phyllis e Rose si scambiarono un’occhiata e ripresero da dove si erano bloccate come se nulla fosse. La donna notò come la ragazza appena arrivata, dopo qualche boccone, aveva preso il piatto fra le mani e lo avesse tenuto così per un po’, per poi continuare a mangiare.

***

Phyllis aveva finito di riordinare la cucina. Isaac si avvicinò alla moglie.
“Lise, grazie per prima” le prese la mano stringendola piano e le riavviò i capelli dietro un orecchio “Devo tornare al negozio, oggi dovrebbe arrivare l’ultimo ordine che abbiamo fatto, ci vediamo stasera però, se vuoi passa pure, ok?”
“Ok, ci penserò” i due si scambiarono un bacio, poi l’uomo scomparve nell’ingresso. La donna salì le scale ed entrò in camera di Rosalie.
“Andiamo?” le chiese la ragazza, scendendo dal letto. La donna annuì ed entrambe si misero di fronte alla porta della camera di Eleanor. Si sorrisero prima di bussare e, poi, entrare nella stanza.

***

Quando Phyllis varcò la soglia, vide quello che una madre non vorrebbe mai vedere. Nell stava in piedi vicino alla scrivania. Convulsamente, stringeva in mano una cornice, le nocche erano bianche. Il volto esprimeva una smorfia amara. Si accorse che Rose si era bloccata e guardava la sorella con apprensione. La donna andò verso la maggiore delle sue figlie che, nel frattempo, aveva rimesso a posto la fotografia e guardava la madre e la sorella con tranquillità. Phyllis le si avvicinò lentamente. Dato che la sorella non sembrava arrabbiata per quell’intrusione, Rosalie si sedette sul letto. La donna intanto guidava l’altra ragazza verso la stessa meta.
“Sei davvero andata da May?” le chiese dopo che furono comode tutte e tre.
“Sì, stamattina presto” confermò Eleanor.
“E poi sei andata da Dorian?” Phyllis e Rosalie si erano inconsciamente chinate verso la ragazza.
“Sì, l’ho incontrato ai Centri” la donna scambiò un’occhiata con Rose.
“Ti va di parlarcene?” le chiese.
“Ho altra scelta?” la sua espressione seria fece sorridere tristemente le altre due.
“Ovvio che no! Dai, racconta!” la incoraggiò la sorella. Eleanor sorrise. Phyllis vi scorse il sorriso di suo marito. Istintivamente le tirò verso di sé e le mise un braccio intorno alle spalle. Rose prese la mano della sorella e la strinse dolcemente. La donna asciugò col pollice il dolore dal viso della sua Nell. Stettero così per qualche minuto.
“Mi fa male sapere che non sarà più come prima” Phyllis le baciò dolcemente la testa “Non sarà il mio migliore amico per il momento, ma nemmeno non ci parlerò più. Ci siamo allontanati quel che basta perché lui capisca che le mie intenzioni sono diverse dalle sue. Però…” la donna la sentiva rigida fra le sue braccia “… non ci sarà più quando avrò bisogno di sentirlo vicino. E non potrò farlo io per lui, non come vorrebbe” Phyllis e Rose la videro chiudere gli occhi lucidi.
“Mamma, Rosalie, ” disse riaprendo gli occhi “credete che abbia sbagliato a rispondere a papà?”
“Ma sei scema? Probabilmente l’unica cosa sensata che abbia fatto in vita tua!” sbottò Rose, inorridita al solo pensiero che sua sorella avesse potuto dubitarne. La donna ghignò per l’ennesima volta.
“Tesoro era anche ora che non foste d’accordo su qualcosa – iniziavo a preoccuparmi – e hai fatto bene a portare avanti il tuo punto di vista. Lo devi fare sempre, soprattutto per ciò che consideri importante” le baciò ancora la testa. Sua figlia, nonostante avesse perso quel ragazzo che considerava come un fratello, non riusciva a non pensare al suo papà e a chiedersi se aveva sbagliato o no. ‘Visto Ai? Nell ti pensa proprio come le pensi tu, farete pace molto presto… Mi fido di voi…’
“Ho capito, grazie” la ragazza sorrise di nuovo. Una brezza leggera entrò dalla finestra aperta e accarezzò i volti delle tre donne.

***

Il vento si domandò perché proprio nella famiglia si trovi il conforto più grande.
E perché proprio nella famiglia accadono gli eventi più terribili.
Vide tre donne stringersi affettuosamente.
Vide un uomo che usciva da quella casa. Sorrideva.
Se avesse potuto, avrebbe sorriso con lui.
Forse fra qualche tempo sarebbe andato a trovarlo.
E lo avrebbe ascoltato

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Capitolo 5
*** Presa di posizione ***


Capitolo 4 - Presa di posizione
NdA: Rileggendo questo capitolo mi rendevo sempre più conto di una certa meschinità che caratterizza i personaggi di questa storia, vittime di ipocrisia e ignoranza. Oltre a una buona dose di presunzione. Ammetto che ora mi troverei molto a disagio nel gestirli, per quanto sia affezionata a tutti loro.

‘...’ = pensieri
“...” = discorsi


Capitolo 4 – Presa di posizione

Eleanor si trovava bene fra le braccia di sua madre, che piacere farsi coccolare: si era sfogata e stava molto meglio. Ora doveva andare da May ma era preferibile non essere troppo brusca, non voleva che la donna e la ragazza si offendessero. Del resto avevano cercato di starle vicino, sapendo quanto Dorian fosse importante per lei. Ricambiò l’abbraccio di sua madre e la baciò su una guancia. Non rifiutava mai un po’ d’affetto. Si girò verso la sorella e le strinse la mano sorridendole. Meglio non sbilanciarsi troppo, che fastidio se si fosse messa a strepitare che era diventata troppo sdolcinata.
“Sto meglio adesso” le rassicurò. Le parole sono sempre decisive.
“Bene” sua madre si alzò e, prendendole le mani, la fece scender dal letto “E sai cosa sarebbe ancora meglio?” continuò, mentre anche Rosalie si sollevava “Che tu ora vada dalla tua migliore amica e le racconti cos’è successo con Dorian. Fai una passeggiata, chiacchieri con May, ti rilassi e passi un pomeriggio tranquillo, direi che con le emozioni abbiamo finito per il momento, no?” Eleanor sorrise. A volte non c’è bisogno di chiedere nulla. Meglio.
“Non hai bisogno di me oggi? Magari ti potevo aiutare…” disse, giusto per essere sicura.
“No, va da May, se ne avessi bisogno, chiederò aiuto a Rose” la incoraggiò.
“Ma come? Ed io che ti stavo per chiedere se potevo uscire con Greg!” si lamentò Rosalie.
“E va bene” sua madre finse un tono esasperato ma avrebbe potuto essere più credibile “Uscite tutte e due… tanto forse raggiungo vostro padre al negozio e aiuto lui”.
“Va bene, se lo dici tu” si arrese Eleanor, come se dovesse farlo davvero.
“Mi vado a preparare, ci vediamo dopo!” sua sorella corse a imbrattarsi di trucco in camera sua, come se ne avesse bisogno. Eleanor scosse la testa e sua madre scoppiò a ridere. Meno male che lei si divertiva sempre.
“Vado anch’io, cerca di tornare per cena” le raccomandò la donna e uscì dopo la conferma della ragazza. Lei si girò verso la scrivania e prese di nuovo in mano la cornice. Le mancava, già adesso. Eppure lo aveva salutato solo qualche ora prima. Rimise la foto al suo posto. Non si sarebbe arresa allo sconforto, non si sarebbe lasciata piegare dalle sue debolezze. Doveva andare da May, raccontarle tutto e riuscire ad ottenere qualche certezza. Andò in bagno. Il suo riflesso aveva gli occhi arrossati e un pessimo colorito. A questo si aggiunse una smorfia, che esprimeva tutto il suo disappunto. Si sciacquò a lungo il viso e il collo con acqua fredda, si asciugò con calma. Si pettinò i capelli. Loro non la deludevano mai, perfetti come sempre. Però, forse, era il caso di tornare dal parrucchiere, erano davvero lunghi. Controllò di nuovo il viso: ancora esprimeva quanto stava male. Contrariata, uscì lo stesso.

***

Era la seconda volta che si trovava davanti a quella casa, quel giorno. Quanta differenza rispetto al mattino. Le apparenze erano crollate miseramente: se si faceva attenzione, si sentiva una voce che urlava concitata e rumori di oggetti infranti.
‘Non ha alcun senso di autocontrollo’ giudicò freddamente e con un’evidente traccia di disgusto. Si lasciò distrarre dal verde dell’erba, ammirò il bianco e il viola dei fiori. Un eliso calmo e riposante, dai colori solenni. Arrivò alla porta lentamente. La voce si era fatta più alta. La chiave era stata riportata al suo posto. Imprudente. Comunque, data la situazione, era meglio suonare. Aspettò quasi un minuto prima che le venissero ad aprire. May le fece cenno di entrare e, nell’atrio, la voce era udibilissima. E irritante. Eleanor seguì l’amica nella sua camera. La mora si buttò sul letto, mostrando, come al solito, la grazia di un rinoceronte. Dalla sedia della scrivania avrebbe avuto sotto controllo il letto e la porta. La chiuse e andò a sedersi. Adesso le urla erano più attutite. May si comportava come se niente fosse. Va bene che vi era abituata ma aveva comunque una pazienza formidabile. Lei trovava insopportabili tutti quegli schiamazzi. Iniziava a sentire un leggero prurito alle orecchie.
“Allora?” chiese la mora, dritta al punto. Così le raccontò tutto con dovizia di particolari, almeno non avrebbe avuto nulla da ridire. Quando finì May sbuffò. Incredibile, anche questa volta.
“Quindi?” sentirsi incalzata con quel tono scocciato, le fece quasi arricciare le labbra.
“Quindi non credo che studieremo ancora da soli” cosa voleva sapere di più? Era stata chiarissima.
“Siete due scemi” May si alzò, la guardò esasperata e poi si lasciò cadere sulla coperta. Sempre molto raffinata.
“Ed io cosa dovrei fare adesso?”
“Niente” cosa avrebbe voluto fare? Credeva forse che le avrebbe chiesto di allontanarsi da Dorian? O che l’avrebbe supplicata di parlarci e farlo ragionare? Sì, era proprio il genere di cosa che avrebbe potuto pensare, piuttosto sciocca e inutile. La vide sospirare scuotendo la testa. Incontentabile. Un grido particolarmente stridulo si levò dal piano inferiore e le labbra della mora si serrarono leggermente. Iniziava spazientirsi anche lei. Bene.
“Maaaoww” il miagolio sommesso e pacato veniva da fuori. Gli occhi di Eleanor s’illuminarono. May si alzò e aprì la porta. Amelia trotterellò verso il letto e si accoccolò sul cuscino. Sembrava quasi che dormisse. Eleanor si alzò e le accarezzò con riverenza la testolina scura. Forte e indipendente. Mai sprovveduta, sempre all’erta. Ecco com’era Amelia. Come tutti quelli della sua razza. Quel cuscino peloso aveva più carattere di molti umani. Molto più della donna che gridava come una forsennata al pianterreno.
“Il tuo opportunismo non conosce limiti… Adesso non ti degni nemmeno di salutarmi…” borbottò May e Eleanor sorrise, lisciando il dorso della calcolatrice con affetto. Un altro urlo particolarmente acuto, seguito da un rumore di porcellana infranta, fece chiudere gli occhi alla mora.
“Cos’è successo questa volta?” s’informò.
“Papà non è tornato a casa stanotte, si è fatto vivo verso l’ora di pranzo. Poco dopo mi ha chiamato tua madre. Quando sono tornata in cucina, mamma gli stava chiedendo spiegazioni” il tono della ragazza era piatto. Il suo sguardo era perso nel vuoto, il suo viso esprimeva disgusto. Eleanor pensò che la sua amica non sarebbe mai riuscita a nascondere le sue emozioni. Peggio di un libro aperto. Vulnerabile.
“Ovviamente non ha ricavato un ragno dal buco. Mi è toccato mangiare durante un interrogatorio in piena regola. Papà dopo un po’ ha smesso di ascoltarla. Per fortuna hanno iniziato a litigare seriamente solo dopo che avevo finito di lavare i piatti. Almeno così devo solo limitarmi ad aggiustare quello che mamma sta demolendo e non devo togliere macchie di unto dalle pareti” come se fosse solo quello, che avrebbe dovuto fare. Eleanor scosse la testa. Chissà quando si sarebbe decisa ad ascoltarla.
“Poi mamma ha avuto un'altra crisi isterica. E a quanto pare non è ancora finita” la sua voce ora manifestava apertamente tutta la sua insofferenza “Ha iniziato quasi subito a piangere, tremava tutta, non si reggeva in piedi. Non riesce a mantenere uno straccio di contegno”.
‘Non ci è mai riuscita quando doveva avere a che fare con tuo padre, non so come fai ad aspettarti qualcosa di diverso’ pensò Eleanor “Tuo padre non ti ha detto nulla?” preferì chiederle.
“Niente” fu la secca risposta.
“Sai con chi è andato questa volta?”
“Non lo so e non lo voglio sapere” le mani di May erano strette a pugno.
“E tua madre?”
“Non credo che faccia molta differenza, non riesce a tenere testa a suo marito, figurati all’ennesima stronza che se lo scopa” Eleanor rimase in silenzio. Pian piano la mora faceva sempre più fatica a controllarsi. La vide andare verso la finestra, poggiare una mano sul davanzale e guardare fuori.
“Non troverai alcun conforto, se non agisci” sembrava che May non l’avesse nemmeno ascoltata. Ancora una volta si trattenne dall’arricciare le labbra. Si accorse che la donna non urlava più. Si sentivano solo passi strascicati sulle scale. Eleanor si sedette accanto ad Amelia. May non si mosse. Dopo qualche secondo la madre della mora entrò barcollando nella camera. Eleanor osservò con disapprovazione gli occhi arrossati, il pallore del volto bagnato, le labbra rosse dai morsi, la totale assenza di dignità. Questa era Mary Shaw.
‘Non si è accorta nemmeno che sono qui’ scosse la testa. La donna si aggrappò al corpo della figlia singhiozzando abbastanza silenziosamente.
“N-non so… p-più… c-co-sa f-fa-re…” riuscì a pronunciare prima di svenire. Un collasso nervoso piuttosto teatrale. May per poco non cadde come un sacco di patate. Eleanor si alzò e cercò di sorreggere la donna. Troppo pesante per lei. La mora allontanò con uno schiaffò la sua mano ma Eleanor non si stupì. Del resto May non si era mai fatta aiutare. Testarda e orgogliosa. L’ultima cosa che vide, prima che May trascinasse sua madre fuori dalla stanza, fu il viso della ragazza. Si agitò all’istante e seguì l’amica nella camera in fondo al corridoio. La osservò mentre stendeva la donna sul letto. Quando May si girò, notò con chiarezza quanto fosse livida. La rabbia non le donava. Tutti i suoi lineamenti erano tesi e contratti. Sembrava un’altra persona. Sembrava quasi suo padre. Fu scostata bruscamente di lato. Perse quasi l’equilibrio. Quando si ricompose, l’amica aveva già sceso le scale. La seguì. Girò a sinistra ed entrò nel salotto.

***

Riuscì a trattenere May prima che si avventasse contro l’uomo che si trovava in fondo alla stanza e che dava loro le spalle. Con un braccio le circondò la vita e le pose l’altra mano sulla fronte allontanandole dagli occhi alcune ciocche ribelli. La tenne stretta. La sentì tremare e inspirare a fondo. Lasciò che si appoggiasse a lei per potersi calmare. Respirò quell’odore di vaniglia. Famigliare, dolce. Si soffermò a fissare Irvine Shaw, qualche metro più avanti. Sembrava non aver notato quello che accadeva dietro di lui. Poi notò la cornetta, tenuta all’orecchio destro. Ascoltò la sua voce dire parole rassicuranti. False. Si pentì di non aver permesso alla sua amica di fargli del male. Forse solo per un momento. May si allontanò leggermente. La lasciò andare. Non tremava più.
“Vattene” la voce di May la colpì. Lei non era mai fredda e calcolatrice, ma un tipo passionale che esprimeva sempre cosa le passava per la testa. Adesso era controllata e gelida come mai l’aveva vista. Era questa la sua amica? Era lei la stessa ragazza che poco prima era divorata dalla collera e dal dolore? Sorrise. Finalmente iniziava a far emergere i suoi lati positivi.
‘Forza May, ce la puoi fare’ il muto incoraggiamento la stupì. Era ovvio che sarebbe andato tutto bene. Nella peggiore delle ipotesi l’avrebbe dovuta aiutare. Si rilassò completamente. Adesso May aveva la situazione sotto controllo.
L’uomo si voltò appena a guardare chi avesse parlato e riprese la sua conversazione, dando di nuovo le spalle alle ragazze. Sua figlia di scatto si pose dietro di lui e lo spinse con forza. Irvine perse l’equilibrio. Non cadde, purtroppo.
‘Sprovveduto’ Eleanor si sedette sul divano a fianco alla parete, accavallò le gambe e si appoggiò allo schienale. Lo spettacolo era iniziato. Si sentì riempire d’orgoglio mentre guardava la sua migliore amica approfittare dell’attimo di smarrimento del padre. Infatti, May gli aveva strappato di mano il ricevitore e lo aveva brutalmente scagliato a terra. Il tutto senza nemmeno un’ombra della sua abituale goffaggine. Il suo sorriso si allargò.
“Vattene” non suonava come un consiglio. Impartire ordini le riusciva molto bene. Peccato che suo padre non capì quanto sarebbe stato rischioso non ascoltarla. Irvine si era stampato un ghigno beffardo sul viso.
”Cosa credi di fare?” schernì sua figlia con lo stesso distacco che lei gli stava dedicando.
‘In fondo, sono più simili di quanto non credano’ considerò Eleanor.
“Quello che tua moglie non è capace. Vattene” L’uomo puntò i piedi e le rise in faccia.
“Chi diavolo ti credi di essere May? Questa è casa mia!” la mora inaspettatamente, almeno per suo padre, atteggiò le labbra in un sorriso. Com’era diverso da quello di Eleanor. Ma non importava. Entrambi esprimevano l’assoluta certezza che quell’uomo sarebbe andato via.
“Cosa c’è adesso?” il tono dell’uomo per il momento mostrava solo una vaga curiosità.
“Hai sbagliato molte cose papà, e il tuo errore più grave è stato quello di considerarmi al pari di mamma” May aveva la chiara espressione di chi si trattiene dal deridere ferocemente qualcuno.
“Che cosa vuoi dire?” ora Irvine sembrava un po’ più preoccupato. Per un attimo aveva incrociato lo sguardo di Eleanor. Forse gli era anche passata di mente l’idea di colpire la figlia. Di nuovo. Forse la presenza della migliore amica di May l’aveva trattenuto. Molto probabile.
“Ti farò sapere tutto quando sarà più opportuno e adesso vattene” la mora non aveva abbandonato la sua glaciale fermezza.
“Mi stai cacciando? E senza nemmeno farmi prendere nulla? Senza sapere dove andrò?” l’uomo insisteva ancora con quel tono canzonatorio.
‘La smetterà presto’ Eleanor si accomodò meglio sul divano, sistemandosi la gonna.
“Iniziavo a credere davvero che non riuscissi a capirmi” quel pungente sarcasmo le era davvero mancato. Cominciava quasi a pensare che quella che avesse di fronte non fosse May.
“E come credi di potermi contattare una volta fuori di qui?” Irvine si era decisamente innervosito. Eleanor ammirò l’autocontrollo dell’amica. Contro quell’uomo così manchevole riusciva a mantenere una calma perfetta.
“Non sono una bambina, papà, ormai so le Lingue Differenti” Irvine non si arrese.
“Non hai nessun diritto di cacciarmi da questa casa!” E pensare che avrebbe dovuto aver paura! Invece si stava alterando.
“Certo che te ne andrai. Temi troppo quello che si potrebbe dire di te, te ne andrai via immediatamente, papà” la ferma minaccia e l’ordine che era seguito erano usciti spontanei dalla bocca di May, quasi stesse parlando del tempo.
“Anche tu ci andrai di mezzo!” Adesso l’uomo manifestava apertamente la sua ira. Non gli donava. Tutti i suoi lineamenti erano tesi e contratti. Finalmente si scopriva per ciò che era davvero. I pensieri di Eleanor indugiarono per un istante sulle maschere che quel giorno erano crollate. Poi seguitarono a dedicarsi a quel dramma improvvisato.
“Non direi papà. Sono solo una povera vittima degli eventi, dovrò soltanto sopportare la compassione e la pietà” l’ironia delle sue parole non le rendeva meno fredde “Vattene” ripete. L’uomo non riuscì a trovare alcuna scappatoia, leggendo negli occhi nocciola di May una pericolosa sicurezza. Probabilmente pensò che fosse meglio ritirarsi, almeno per il momento, giusto perché sua figlia si calmasse e capisse che andava contro i suoi interessi. Cercò di ricomporre una certa calma e uscì rapidamente dalla stanza in totale silenzio, sebbene i suoi pensieri fossero chiari come il sole. Le due ragazze udirono il portone che si chiudeva.

***

May uscì dal soggiorno. Eleanor la seguì. Entrarono nella stanza, dove avevano lasciato Mary. La mora si diresse nel bagno privato. Quando tornò, aveva in mano una siringa e una boccetta di vetro.
“Non sapevo che lo prendesse ancora” disse Eleanor.
“Quando serve” fu la piatta risposta.
“Non credevo che servisse darglielo quando è già svenuta” fissò la siringa che si riempiva pigramente.
“Voglio che si riposi il più a lungo possibile” May iniettò nel braccio di sua madre il liquido trasparente.
“Non so come Yonge ti lasci fare queste cose”.
“Sa che non le farei mai nulla di male” avvitò la boccetta “Senza contare che gliel’ha indicato lui per questi casi” Eleanor scosse la testa. I dottori dovrebbero pensare di più all’uso che si fa dei medicinali che prescrivono. Guardò il volto di Mary. Sua figlia le assomigliava molto fisicamente. Però, ancora una volta, May aveva dimostrato di essere migliore di lei. E pensare che l’aveva cresciuta da sola. Forse l’unica cosa buona che aveva fatto in vita sua.
“Ti aspetto di là” si diresse nella cameretta della mora. Si sistemò alla scrivania. E attese, studiando il dorso di Amelia sollevarsi e abbassarsi ritmicamente.

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Capitolo 6
*** Promessa ***


Capitolo 5 - Promessa
NdA: Nulla da dire, se non che adoro quel gatto!

‘...’ = pensieri
“...” = discorsi


Capitolo 5 – Promessa

May sistemò per bene sua madre sotto le coperte. Non si sarebbe svegliata prima di sera, aveva tutto il tempo per trovare le parole giuste. Tornò in camera sua e si avvicinò all’armadio. Non disse nulla alla ragazza che la stava aspettando. Cercò per un po’ e prese una scatola ingiallita dal tempo. La aprì e, dopo aver tolto alcuni stracci, ne tirò fuori alcune carte, dall’aria nuova e ordinata. Le poggiò sulla scrivania e rimise la scatola al suo posto.
“Allora hai seguito il mio consiglio?” Eleanor sorrideva.
“Era l’unica cosa che potevo fare, altrimenti ci avrebbe pensato lui a mandarci via. Era solo questione di tempo” May si buttò sul letto, facendo attenzione a non cadere sopra Amy, che sonnecchiava ancora sul cuscino. La gatta registrò il brusco movimento muovendo appena la punta della coda.
“I documenti del divorzio sono già pronti, come quelli della divisione dei beni e della concessione della casa. Kramer dice che mi daranno la possibilità di avere una preferenza, ma non sarà un problema, papà di certo non chiederà il mio affidamento” May si sentiva come se l’avessero costretta a combattere. L’unica cosa che poteva fare era cercare di avere la meglio su chi avrebbe tentato di piegarla.
“Sono orgogliosa di te” ascoltò quelle parole, dette con sentimento. La guardò negli occhi e vide tutta la sua ammirazione. Un dolce tepore le scaldò il cuore. Non si sentì più sola. E sorrise.
“Grazie Elie” non avrebbe saputo dirlo diversamente. Ma lei avrebbe capito lo stesso.
“Quando renderai pubblici gli altri documenti?” ecco! May sapeva che era troppo sperare che Narciso mostrasse un po’ di umanità per più di dieci secondi. Scosse la testa esasperata.
“Quando tutto sarà finito e mamma sarà finalmente libera da papà” un largo sorriso e un’espressione vacua si dipinsero sul volto di May. Iniziava a vedere delinearsi un futuro migliore per lei e sua madre. Ce l’avrebbe fatta. E avrebbe avuto la sua vendetta.
“Sono felice che tutto stia andando per il meglio” vedere Narciso così soddisfatta aveva un che di confortante. Si sentì decisa come non mai a mettersi in gioco. Non si sarebbe arresa, avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Adesso l’unica cosa che doveva fare era convincere la madre a firmare quei documenti: doveva persuaderla che fosse la decisione migliore per lei. Per Eleanor non sarebbe stato difficile, bastava pensare a come riusciva a rigirarsi la sua famiglia, con solo qualche parola in più. May non aveva nessuna intenzione di chiederle consiglio, o aiuto o qualsiasi cosa. Aveva accettato e messo in pratica quel suggerimento solo perché non vedeva altre scappatoie per la propria serenità. Anche se c’era ancora molto da fare. May si volto verso l’amica.
“Scusami per prima, sono stata troppo brusca” in fondo Narciso la voleva solo sostenere.
“C’è ne hai messo di tempo, pensavo che non te ne ricordassi più” May scoppiò a ridere. Era incredibile come quella ragazza pretendesse qualsiasi cosa in quel modo così sfacciato. Almeno non le aveva messo il muso. Almeno sapeva quando poterlo fare e quando no. Beh, per forza, lei è Eleanor. Lei sa sempre tutto.
”Adesso che è tutto a posto, ti devo chiedere una cosa molto importante”.
“Cosa?” la mora si agitò leggermente ‘Ma non mi aveva già detto tutto? Cosa c’è adesso?’
“Ti piacciono le donne?” May rimase in silenzio. La guardò interrogativamente, non capendo dove volesse arrivare. Ma Eleanor non si corresse e quindi la domanda era proprio quella. ‘Cosa l’è preso? Ma che razza di richiesta è? Questa non è Narciso…’ scosse dal viso le solite ciocche odiose.
“Eleanor… non credi che sia una domanda un po’… superflua?” le chiese cautamente la mora. Magari aveva davvero capito male. Magari intendeva tutt’altro. ‘Strano che Narciso non spieghi bene qualcosa’ automaticamente un ghigno familiare si affacciò sulle sue labbra.
“È importante May, per favore rispondimi” com’era quel tono? Leggermente supplicante? Appena appena… cosa?
“Narciso, ma che ti prende?” la mora era stupefatta. Tutta la situazione era assurda. Eleanor chiuse gli occhi e gli riaprì tranquillamente.
“Volevo solo esserne sicura. Per non avere altre sorprese” appariva molto più rilassata. May guardò a lungo quell’azzurro. Non le diceva quello che voleva sapere. Avrebbe dovuto arrivarci da sola. Continuò a fissarla. Poi un sorriso malizioso le colorò il viso.
“Tranquilla, non ho segreti per te. Nessuno riuscirebbe a tenerti qualcosa nascosto. Solo Dorian ci ha provato. E nemmeno per troppo tempo, no? Di fronte a te è capitolato subito” si sedette sul bordo del letto e spinse il busto in avanti “Ti prego, però, di ricordare che, a differenza di Dorian, non mi sogno nemmeno di mentirti. E, soprattutto, non farei mai qualcosa che ti possa allontanare da me, solo per puro egoismo”.
“Queste cose le so May, anche se…”
“No” la interruppe perfidamente la mora “non le sai, perché hai dubitato di me. Se hai un dubbio, è perché c’è qualcosa che non sai” May si sentì notevolmente soddisfatta a vedere il volto chiaramente contratto dell’amica. Stava facendo fatica a calmarsi! Ma si sarebbe ricomposta comunque molto velocemente. Mentre la aspettava, si voltò verso Amy e le accarezzò le punte delle orecchie con dolcezza. Dette di sfuggita un’occhiata alla sua Narciso. Guardava fuori dalla finestra, calma e controllata.
“Elie” l’altra si voltò verso la mora “Non ti lascerò sola” quell’azzurro vibrò leggermente. Un caldo sorriso la avvolse. La ragazza si alzò e si sedette vicino a May.
“Grazie” capitava così di rado che fosse Narciso a ringraziarla per qualcosa “Prima ti volevo solo dire che non avevo ancora pensato a quello che ha fatto Dorian nei termini che hai usato tu” ma era pura routine che qualsiasi dimostrazione d’affetto terminasse bruscamente.
“Perché ancora devi digerire la cosa. Comunque forse ho esagerato un po’ a dare a Dorian del bugiardo. Prima di dire altro ci parlerò. Devo chiarire un paio di cosucce con il mio caro amico” il ghigno e il sorriso si ampliarono pigramente.
“Divertiti” le augurò Eleanor. La mora le strinse la mano con la sua e con l’altra le scompigliò i capelli. L’altra se li aggiustò, scuotendo la testa. May scoppiò a ridere. La gatta, infastidita, si alzò e fece la gobba. La mora vedendola così seccata rise ancora più forte. Amelia salì sulle gambe di Eleanor strusciandosi amichevolmente. Ignorò deliberatamente l’altra. May notò come Narciso s’illuminava letteralmente quando Amy la coccolava. Si era proprio affezionata. Di certo la sua stima per i gatti aiutava. Si alzò e prese la cesta dei gomitoli. L’oro di quegli occhi a mandorla scintillò quando si accorse dei movimenti della mora. Ora aveva la sua attenzione.
“Che ne dite, vi va di giocare?” non se lo fecero ripetere.

***

“Fra un po’ si dovrebbe svegliare” May occhieggiava da un po’ l’orologio a forma di gatto. Ancora non sapeva cosa le avrebbe detto. Come le avrebbe parlato. L’ansia iniziava lentamente ad avvolgerla.
“Allora torno a casa, che è anche quasi ora di cena” Eleanor poggiò il gomitolo azzurro che teneva fra le dita nella cesta. Amelia smise di mordicchiare il filo che aveva acchiappato poco prima. La mora annuì e iniziò a rimettere a posto la stanza. Avevano combinato un bel casino. Era quasi tutto rovesciato o in disordine. Almeno si erano divertite. La gatta salì sul davanzale della finestra.
“Domani non verrai vero?” le chiese Narciso, ormai arrivata alla soglia, dopo averla aiutata per un po’.
“No, forse andremo da Kramer” confermò May sprimacciando il cuscino “Ci vediamo direttamente lunedì” forse le avrebbe fatto sapere qualcosa prima.
“Domani i Foyle ci saranno sicuramente…” rifletté l’altra sovrappensiero. La mora si chiese se avrebbe mai ammesso davanti a lei che Dorian le mancava. E pensare che si erano parlati solo quella mattina. E lei già pensava a quando l’avrebbe rivisto.
‘Con un po’ di tempo, magari…’ sperò.
“Salutameli, è da un po’ che non li vedo, magari la prossima settimana li vado a trovare…” considerò la mora. Si avvicinò all’amica. “Magari vieni con me?” propose con un sorriso incerto.
“Non credo che sia il caso, almeno per adesso. Comunque domani te li saluto” Eleanor aprì la porta.
“Ah, Narciso” la ragazza si bloccò “Non dire nulla a Dorian di quello che è successo oggi, gliene parlerò io”.
“Lo avviserò che hai delle belle notizie da dargli” la mora annuì. L’altra uscì.
May andò alla finestra. Sfiorò delicatamente il dorso di Amy. Insieme guardarono Eleanor allontanarsi dalla casa, senza mai voltarsi. Narciso non guardava mai indietro. Vedeva solo il suo obiettivo e la strada da percorrere. Non si faceva condizionare da quello che si lasciava alle spalle. May sorrise. A volte avrebbe voluto essere come lei. Ma solo a volte. Di certo non avrebbe voluto perdere il senso dell’ironia! Rabbrividì al pensiero. Intanto la figura della ragazza si era rimpicciolita notevolmente. La persero presto di vista.
“Vado da lei, stammi vicino” Amelia fece le fusa.

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Capitolo 7
*** Vicinanza e gratitudine ***


Capitolo 6 - Vicinanza e gratitudine
NdA: Scrivere dal punto di vista di un gatto... beh, avrei potuto combinare qualcosa di peggio. Buona lettura!

‘...’ = pensieri
“...” = discorsi


Capitolo 6 – Vicinanza e gratitudine

Riusciva a percepire l’agitazione della sua Compagna. I suoi movimenti si erano fatti più lenti, il suo respiro più calibrato e pesante. Si era allontanata dalla finestra e stava per uscire dalla stanza. La Differente la raggiunse. Si strusciò delicatamente contro una delle sue gambe. La sua May si chinò e le accarezzò la punta delle orecchie. Continuò a fare le fusa. Avvertiva come si stesse lentamente facendo forza, come richiamasse a se tutte le sue sicurezze per trovare un appoggio. Entrarono insieme nella camera in fondo al corridoio.

***

L’adulta si era svegliata. Tremava sotto le coperte. Guardava in alto. Non coglieva nulla in lei. Era una creatura distrutta. Inutile. La sua Compagna la teneva troppo in considerazione. Se fosse stato per lei, se ne sarebbe liberata. Del resto la sua May era perfettamente autonoma. Chissà cosa la spingeva a restarle vicino. E ad aiutarla. Perché era soprattutto per sua madre che lei aveva fatto tutto ciò. Del resto aveva sopportato di tutto fino ad ora solo per quell’essere debole e senza dignità. Il semplice legame che unisce alla famiglia non costringe ad amare. Ci doveva essere qualcos’altro. Saltò sul letto ai piedi della donna sedendosi compostamente. Non disse nulla, probabilmente non si era nemmeno accorta della sua presenza. Meglio così. Di solito se la prendeva subito se saliva sul suo giaciglio, doveva avere qualche problema con i suoi peli. E la Differente cosa avrebbe dovuto dire allora? Anche loro perdevano qualche capello ma lei non si lamentava di certo! La sua Compagna non le aveva mai fatto questioni simili. Purtroppo c’erano alcuni umani che credevano davvero di essere enormemente diversi dal resto delle altre creature. Arroganti. I folletti hanno più rispetto. Pensò all’amica della sua May, Eleanor. Le aveva detto che alcuni la chiamavano “Folletto”. Beh, sicuramente se tutti gli umani fossero come lei, la Terra sarebbe un posto migliore. Non ci sarebbero persone che ritengo i Differenti degli incapaci. La sua Compagna sapeva scegliere molto bene le persone di cui circondarsi. Ma allora perché s’inginocchiava sul tappeto per stare in pari con lo sguardo di sua madre? Perché le prendeva la mano e le accarezzava i capelli? Che cosa aveva fatto quella donna per lei per meritarsi tutto quel riguardo? Quando tutto sarebbe finito, gliel’avrebbe chiesto.
“Mamma” la voce della sua May era diversa rispetto a prima. Calma, rassicurante e allo stesso tempo forte e decisa. Lo doveva essere, per lei e per sua madre. La ammirò. Per tutto quello che aveva subito, per come continuava ad affrontare il mondo a testa alta. Sapeva che anche Eleanor sarebbe stata d’accordo.
“Mamma”.
“May p-perdonami…” l’ha già fatto, altrimenti non sarebbe qui. Sua figlia dovrebbe piangere, non lei. La sua Compagna ha pagato per lei i suoi errori e le sue mancanze. Ma non ha mai pianto. Mai, nemmeno una volta. Si chiese se fosse davvero sua figlia. L’adulta l’ha cresciuta, ma la sua May ne è completamente l’opposto. Meglio, possiamo fare tutti a meno di persone come quella. La debolezza e l’inettitudine sono superflue.
“N-non so p-più c-cosa fare…”
“Mamma, papà se n’è andato” l’adulta si volto di scatto verso la sua Compagna, con gli occhi sbarrati “Non tornerà più qui”.
“M-ma… n-non è possibile…” sua figlia la guardava come se l’altra stesse rivelando chissà quale verità. Qualcun altro non sopporterebbe di ascoltare tutti questi vaneggiamenti sciocchi e fastidiosamente inutili.
“Gli ho fatto capire che lo avrei potuto ricattare” si fermò un momento “A conti fatti, l’ho ricattato per davvero”. La donna si rannicchiò su se stessa, portandosi le mani al volto.
“N-non volevo questo per te, non v-volevo questo per noi” singhiozzò.
“Mamma, non potevamo andare avanti così” la sua May le scostò le mani dal viso e la costrinse a guardarla “Hai avuto un’altra crisi. Non puoi permetterti di averne altre a così poca distanza di tempo. E l’unico motivo per cui questa volta non mi ha picchiata era la presenza di Eleanor” chiuse gli occhi per riaprirli subito dopo “Ho incontrato Kramer. Mi sono fatta preparare alcuni documenti, ci sono le carte per il divorzio e…”
“NO!” gridò la donna “No! No, non lo accetto!”
“Mamma” la sua Compagna sospirò profondamente. mentre l’adulta ripeteva “no” come una litania “Non puoi fare altro, lui non sarà mai la nostra famiglia. È inutile provarci ancora” i singhiozzi della donna e i suoi lamenti aumentavano d’intensità. La Differente se lo aspettava. L’adulta doveva far fronte al suo completo fallimento. Era naturale che fosse disperata. Ma non serviva a nulla agitarsi così. Non avrebbe cambiato niente.

***

Possibile che tu non riesca semplicemente ad affrontare la situazione? Che debba per forza autocompatirti per quello che non sei riuscita a portare a termine? Ti rendi conto a cosa porta quest’atteggiamento? È vero che il dolore, a volte, sembra allontanarti da tutti. È vero che il baratro dello sconforto ha mura alte e sottili. Ma, allora, a cosa serve la famiglia? Perché viviamo con le persone legate a noi dal sangue? Perché desideriamo il loro affetto? Perché non ci rivolgiamo a loro anche quando stiamo male? Mary, tua figlia è lì con te. Ti sta offrendo tutta la sua forza, tutto il suo appoggio. Accettali e torna a vivere.

***

La sua Compagna si alzò e si sedette al fianco di sua madre. La prese fra le braccia e la tenne stretta, ignorando le lacrime che le bagnavano la maglia. La donna, sotto le carezze della figlia, aveva smesso di lamentarsi. Qualcosa di molto simile a un sospiro di sollievo uscì dalla bocca della Differente. Troppi rumori quel giorno, continuare ad ascoltarli era una vera sofferenza.
“Mamma adesso saremo solo noi tre” la sua voce era dolce e suadente. L’adulta si aggrappò a lei, la sua unica ancora di salvezza “Riusciremo a riappropriarci di casa nostra e saremo libere da lui” la sua May esprimeva tutta la sua sicurezza. Fra i singhiozzi, la donna annuì contro le spalle della figlia. Una strana espressione era comparsa sul volto della sua Compagna. La Differente vi osservò molto. Pensò che Eleanor avrebbe sorriso. Si avvicinò alle due donne facendo le fusa.
“Sono fortunata ad a-avervi” la prima cosa sensata che l’adulta aveva detto quel giorno. La Differente non poté che essere d’accordo.
Le tre creature rimasero vicine, confortandosi con la loro presenza per diverso tempo, fin quando la più vecchia non si addormentò fra le braccia di sua figlia. La sua May la adagiò di nuovo sul letto e la coprì per bene. Insieme tornarono nella sua stanza, dopo aver chiuso delicatamente la porta.

***

La Differente notò come i movimenti della sua Compagna fossero tornati a essere come quelli che avevano avvertito in precedenza. Sembrava si stesse muovendo nell’acqua. Si posizionò sopra le sue gambe, dopo che l’altra si fosse seduta al bordo del letto. La mano della sua May si alzò per accarezzarle la testa e il dorso.
“Perché hai fatto tutto questo?” le chiese sommessamente “Non è capace di prendersi cura di se stessa, figurati di te. Tu non hai bisogno di lei. Tu non vivi come lei”
“Lei non mi ha mai lasciata sola” le sue parole suonavano come quelle della Differente “Io farò lo stesso” si accorse dell’accenno di gratitudine e riconoscimento nella sua voce. Era un valido motivo dopotutto. La sua Compagna guardò verso la finestra lasciata aperta.
 “Se non è troppo tardi, potresti andare da Eleanor a dirle che va tutto bene?” la Differente osservò il cielo.
“È anche troppo presto” baciò la mano della sua Compagna prima di uscire.

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