Two years di Sognatrice85 (/viewuser.php?uid=68773)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Vita a tre ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 4: *** La festa ***
Capitolo 5: *** Il passato ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo Two Years
Buongiorno…
Sono giorni che ci penso, ho deciso di mettermi alla prova
anche in questa sezione, è da un po’ che provo a scrivere storie originali e
due giorni fa è venuta fuori questa. Devo ringraziare le mie due sorelle Jenny
e Daiana, sono loro che mi ispirano e mi incitano a proseguire. Ho il loro
appoggio, quindi prendetevale con loro :P.
Oggi posto il prologo, spero possa incuriosirvi…
Alla prossima…
“Two years”
Prologo
Come
si può amare qualcuno senza in realtà averlo mai conosciuto?
Ormai
erano trascorsi due anni da quando lo avevo visto e il cuore non smetteva di
fare i capricci. Mi ero innamorata di lui senza realmente rendermene conto, lasciando
andare il cuore a briglia sciolta, facendolo correre impazzito, semplicemente
per aver incrociato i suoi occhi azzurri, immersi in una strana pozzanghera
grigiognola, striata di quel nero così lucente, da accecarti.
Non
avrei mai dimenticato la sensazione di straordinario benessere che avevo
provato immergendomi in quell’oceano immenso, quel qualcosa di oscuro e
misterioso mi aveva trascinato affondo e turbata più del dovuto.
Un’emozione
inspiegabile a parole.
Avevo
letto in quello sguardo parole che in realtà lui non aveva pronunciato, forse
non lo avrebbe mai fatto. Infondo chi ero io se non una sconosciuta ?
Quell’incontro
verificatosi in quella soleggiata giornata di maggio, a quell’incrocio di una
Londra frequentatissima a quell’ora di punta, aveva completamente cambiato la
mia vita e dopo diversi tentennamenti e la spinta delle mie due migliori amiche,
mi ero messa alla ricerca disperata di quegli occhi per cui avevo perso
definitivamente la testa…
Due anni…
Bastavano
quelli per rivoluzionare il cuore di una persona?
Due anni…
La
sola paura che lui non fosse più in zona mi terrorizzava.
Due anni in cui avevo vissuto con il timore e la
speranza di incontrarlo.
Due anni in cui le persone che credevo più
importanti, avevano rinunciato a capirci qualcosa nella mia mente contorta e
bacata.
Due anni in cui, Jennyfer e Daiana erano entrate a
far parte della mia famiglia solitaria e in punta di piedi, mi avevano donato
quella gioia che tanto cercavo.
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Capitolo 2 *** Vita a tre ***
Vita a tre
Buongiorno
a tutti e buon fine settimana.
Grazie
a coloro che hanno letto questa storia, anche a chi l’ha inserita tra i
preferiti, seguiti e ci l’ha recensita. Ne sono davvero contenta, ci tengo
molto a questo racconto, è un po’ come un sogno per me e le mie due amiche
protagoniste. Questo capitolo è interamente dedicato a voi, Jenny e Daiana, perché
vi adoro indiscutibilmente e non potrei immaginare di stare senza la vostra
amicizia. Siete le persone che più amo e che stimo! Vi voglio bene!!!
Doddola93: eccola la mia sorellina dolce e adorata. Grazie
per le tue parole, essere motivo di orgoglio per te, è lusingante e non so
davvero come sia possibile che tu mi apprezzi così tanto!!! Un giorno dovrai
spiegarmelo. Ti voglio un bene dell’anima, Daiana…
Angyr88: spero che questo capitolo possa farti capire
qualcosina di quello che è successo alla protagonista, quello che succederà,
invece, è tutto da scrivere :). Un bacio e grazie per la recensione.
Ginevrapotter: è bello ritrovarti anche qui, sono felice di
questo! Spero mi seguirai ancora. bacio.
Prima
di concludere voglio ringraziare con il cuore tutti coloro che hanno inserito me
tra gli autori preferiti. Sono onoratissima *__*
Vi
lascio al capitolo e vi ricordo che se qualcuno volesse contattarmi questo è il
link del My
facebook. Inoltre volevo dirvi che ho creato un gruppo sulle mie storie Quelli
che amano le storie di Sognatrice85, se volete farci un salto ne sarò
felice. Buon fine settimana.
Capitolo 1 “Vita a tre”
Correvo.
Correvo
come sempre.
Ero
perennemente in ritardo. Un caso disperato il mio.
Imprecavo
come una turca, mentre sfrecciavo con l’auto per le strade silenziose della
città.
Vi
chiederete: perché proprio come una turca?
Beh
semplice: non si capiva una parola di quello che dicevo. Mi ero trasferita a
Londra da circa tre anni e il mio inglese difettava parecchio, come la mia
auto.
Si,
la mia macchina era decisamente troppo vecchia.
Jenny
mi prendeva sempre in giro, dicendo che “quella vecchia ferraglia” come la chiamava
lei, arrancava quanto me. Sorrisi pensando a lei, a quanto fosse buffa e
monella, nonostante fosse più grande di me di due anni. Doveva fare la mia
sorella maggiore, essere un esempio da seguire e invece, si divertiva a
comportarsi da bambina troppo cresciuta, ma l’amavo anche per questo. La
conoscevo abbastanza da poter affermare con assoluta certezze che era un suo
modo per far stare bene gli altri, nonché un metodo per allontanare la
tristezza. C’era da dire comunque, che quando si doveva essere seri, lo era e
quasi mi spaventava, i suoi occhi sembravano scurirsi, tremavo al solo
pensiero. Non era un caso se c’eravamo trovate: lei mi completava, io ero
troppo coscienziosa, una rompipalle cronica, lei invece, faceva di tutto per
divertirsi e divertire, ridere e far ridere e dovevo ammetterlo: ci riusciva alla grande.
Anche e soprattutto con me. Jenny era una folata d’aria fresca nella mia arida
vita, senza ogni singola cellula di me sarebbe stata diversa. Ormai non potevo
più farne a meno.
Era
la mia vita, la mia quotidianità.
I
freni dell’auto fischiarono davanti all’ennesimo semaforo rosso.
Sbuffai
sonoramente.
Decisamente
Jenny aveva ragione: avevo una vecchia ferraglia come auto.
Sbuffai
di nuovo, poggiando la testa sul volante e mi guardai attorno stancamente, a
quell’ora del mattino non c’era granché di gente in giro. Erano scarse le sette
e tre quarti ed io non avevo dormito molto quella notte. Come del resto era
capitato fin troppo spesso in quegli ultimi due lunghi anni.
Sospirai,
fossilizzando il mio sguardo sul semaforo, pregando si facesse verde al più
presto, altrimenti Carol chi l’avrebbe sentita. A breve il furgoncino coi
rifornimenti sarebbero arrivati ed io dovevo essere lì per sistemare gli
scaffali. Già vedevo il mio capo, o capa come dicevo io scherzosamente, che
sbraitava per il mio ritardo ed io muta, mi prendevo una lavata di capo come
Dio comandava, incapace poi di replicare. Valle a spiegare com’era incasinata
la mia vita!
D’improvviso
il cellulare prese a squillare, le note dei Muse invasero l’abitacolo
dell’auto, risvegliandomi dal mio torpore; cercai il telefonino nella borsa con
una mano, mentre con l’altra continuavo a guidare “Pronto?” risposi senza
neanche vedere chi fosse “Maggie!” un urlo mi squarciò l’orecchio e fui costretta
ad allontanare di poco il cellulare dal mio povero organo lesionato “Ma che
cavolo ti urli, Jenny!” imprecai, la mia amica rise “Oh al diavolo! Si può
sapere che ti prende? Mi chiami per prenderti gioco di me?!?” sibilai tra i
denti irritata “Ti avverto: ho un sonno pazzesco e ho i nervi a fior di pelle,
quindi prego per te che tu abbia alzato
la cornetta solo per dirmi qualcosa di veramente serio!” conclusi inspirando,
il corso di yoga non serviva a un tubo. Il mio nervosismo era sempre alle stelle,
non accennava a diminuire. “Volevo semplicemente farti presente che hai
dimenticato una certa cosa sul tavolo all’ingresso”, storsi naso e bocca,
confusa “Mmm…cosa? Non ricordo” alzai un sopracciglio disorientata. Jenny
sospirò esasperata “Hai proprio la testa da un’altra parte, eh?” disse,
immaginai la sua faccia, non volevo farla preoccupare, aveva già i suoi mille
problemi “Comunque hai dimenticato il plico con i fogli che dovevi consegnare entro
oggi alla Star Box per partecipare a quel concorso” frenai di botto, fermandomi
in mezzo alla strada e attirando le ire e le bestemmie del tassista alle mie
spalle. Come avevo potuto dimenticare una cosa del genere, avevo trascorso
tutta la notte a girarmi e rigirarmi nel letto, pensando a quel maledettissimo concorso
a cui Daiana mi aveva spinto a partecipare. La sua faccia d’angelo, i suoi
occhioni dolci e la sua vocina tanto dolce e tranquilla, “effetto camomilla”,
come l’avevamo ribattezzata io e Jenny, erano bastate per farmi capitolare. Daiana
o semplicemente Dod, come si faceva chiamare da noi, sue sorelle acquisite, era
la piccola di casa, vent’anni, ma una personalità forte quanto quella di una
persona con anni di esperienza alle spalle. Era saggia, tanto e mi perdevo ad
ascoltarla quando si dilettava a raccontarci qualche sua personale pillola di
saggezza. Aveva di certo una visione della vita tutta sua e amava Londra quanto
me e Jenny. La consideravamo la nostra città natia, nonostante fossimo nate e
cresciute in Italia, in paesi diversi, in tempi diversi, con persone diverse e
poi un giorno ci eravamo trovate tutte da Starbucks a sorseggiare tre caffé
forti, tutte e tre esauste per un lavoro che ci chiedeva tanto, ma allo stesso
tempo ci appassionava. Era bastato guardarci in faccia per iniziare a sorriderci,
da lì in poi fu un crescendo di incontri, fino alla decisione di prendere casa
insieme.
Ferma
in mezzo alla strada ripensavo a quel concorso. Due settimane prima, Daiana era
tornata dal negozio di cd presso il quale lavorava, non aveva neanche salutato
ed era corsa da me in stanza. Ricordo il fiatone, la cassa toracica le si
alzava e abbassava più del dovuto “Doddi stai bene?” le chiesi guardandola
basita, inclinando poi la testa di lato, lei annuì con decisione. Fece qualche
passo in avanti e mi parò dinanzi agli occhi un foglio. Lo fissai stranita
“Leggi!” m’intimò mentre iniziava a respirare in modo più regolare “La
Star Box di Londra presenta un concorso
canoro per giovani artisti o band che vogliono farsi strada nel mondo della
musica. Se anche tu sogni di poter incidere un cd, allora partecipa, basta
compilare l’apposito modulo che troverete nei negozi di musica che presentano
questo cartello e inviatelo entro e non oltre, il 30 Novembre all’indirizzo…”
m’interruppi alzando gli occhi verso la mia amica. La sua espressione ilare e
gioiosa, si tramutò non appena incrociò i miei occhi stanchi. Non le dissi
niente, mi alzai semplicemente avviandomi verso la finestra e dandole le spalle
“Dod…” guardai Londra sprofondare nel buio più totale e mi emozionai “Non
posso…” dissi solo “Perché?” domandò con decisione. Sospirai. “E non dirmi che
non vali niente, che non hai la voce, che il tuo timbro fa pena o cazzate
simili, perché altrimenti mi imbestialisco!” tuonò grave. Continuai a lasciar
vagare i miei occhi verso l’orizzonte inghiottito dall’oscurità della notte e
desiderai essere risucchiata via. “Beh…” dissi voltandomi verso la mia amica,
la quale aspettava la mia risposta con le mani sui fianchi e un piede che
batteva nervosamente sul pavimento “Allora mi sa che ti arrabbierai” e le
sorrisi appena, le sbuffò “Tu ora mi stai a sentire!” mi tirò per un braccio e
mi fece sedere sul letto, mi prese le mani e le chiuse a coppa tra le sue, le strinse
forte e chiuse gli occhi, i suoi lineamenti si addolcirono maggiormente, se mai
fosse stato possibile “Maggie, tu devi darti una possibilità” cominciò “Ti sei
buttata in un lavoro che, si ti piace, ma la tua vita non è quella. Lo sai tu,
lo so io, lo sa Jenny e persino le mura di questa casa, l’hanno capito!” risi
leggera, lei inarcò un sopracciglio, contrariata “Scusa” mormorai abbassando il
capo. Daiana mi accarezzò una guancia provocando in me una strana sensazione di
tranquillità e benessere, mi sforzai di guardarla: non c’era rimprovero nel suo
sguardo, ma tanto amore. Ed era per me. Solo per me. Mi sorrise teneramente
“Smettila di nasconderti. Questo è il modulo per l’iscrizione, te lo lascio
qui” lo poggiò sulla scrivania “In caso che tu cambiassi idea…” si allontanò di
poco, fermandosi sulla porta. Senza voltarsi mi disse qualcosa che mi sarebbe
rimasto a vita dentro “Lotta per i tuoi sogni, lotta per ritrovare te stessa.
Lotta seguendo il cuore. So dove vuole portarti. So che parla anche di lui” si stoppò un attimo, come a volermi
far assimilare il colpo “Durante il sonno lo nomini spesso…lo chiami <<
il tuo pensiero felice >>” si fermò nuovamente, io tremai stringendo tra
le dita, il lenzuolo viola del mio letto “Fa che ci diventi davvero…questa
potrebbe essere un’opportunità. Avete una passione in comune, quella chitarra
ne è la testimonianza. Lotta sorellina! Ti voglio bene” e chiuse la porta,
andandosene. Quella sera piansi, era da tanto che non lo facevo. Preferivo
restare sola quando mi succedeva e le mie due migliori amiche lo sapevano, mi
conoscevano meglio di chiunque altro, nonostante condividessimo quella casa da
soli due anni. Alla fine mi alzai dal letto, erano ormai le undici di sera, ma
sapevo perfettamente che loro erano ancora sveglie. Le raggiunsi in salotto,
guardavano un programma comico in tv, mentre mangiavano pop corn. Jenny mi fece
spazio sul divano e mi porse il pacco con i pop corn, ne afferrai un paio e li
mandai giù. Loro continuarono a guardare la televisione. “Lo farò” dissi
soltanto, fu quello a provocare il putiferio: contemporaneamente si girarono
verso di me e spalancarono gli occhi stupefatte, mi venne il dubbio che
avessero visto un fantasma, tant’è che mi guardai le spalle, non notando
nessuno, mi rivolsi nuovamente a loro. La loro posizione non era affatto cambiata,
Jenny continuava ad avere la bocca aperta con ancora due pop corn sulla lingua.
Le fissai basita “Che vi prende?” chiesi preoccupata “Non avete sentito quello
che ho det…” non mi diedero il tempo di finire che me le ritrovai entrambe
addosso che mi stritolavano in un abbraccio affettuoso e gridavano “Lo sapevo,
lo sapevo, lo sapevo!!!”, tutto questo mentre i pop corn si spandevano allegri
e felici per tutto il salotto.
Sospirai
frustrata “Sorellina sta tranquilla. Più tardi scendo a fare delle commissioni,
anche perché se non lo faccio il frigo continuerà a piangere e presto saremo
costrette a mangiarci i mobili” risi allegra “Dicevo: siccome devo uscire, mi
allungo dalle tue parti e ti porto i documenti” mi rilassai sul sedile
dell’auto, ringraziando il cielo “Li porterei direttamente al negozio di
musica, ma punto primo devi andarci di persona per firmare le altre carte e
secondo se Dod scopre che te ne sei dimenticata, penserà che lo hai fatto
apposta ed io credo che questa volta, davvero sia stata una tua dimenticanza”
disse dolce “Non l’ho fatto di proposito, ero talmente agitata che ho rischiato
anche di cadere per le scale dell’ingresso” sbuffai, Jenny ridacchiò “Tesoro,
stasera ti preparo una bella camomilla e poi a nanna presto. Ora stai
esagerando, devi riguardarti” sospirò “Lo so” ammisi “Seriamente!” ribatté la
mia amica dall’altro cavo del telefono “Ti lascio andare. Vai o fai tardi”
guardai l’orologio, segnava quasi le otto “Oh cavolo!!! Corro!” e attaccai.
Parcheggiai
l’auto all’angolo del Sussex Gardens, la zona preferita dalla mia piccola
Doddie, lì vicino c’era la statua di Peter Pan, la nostra fiaba preferita.
Altro punto in comune. Sorrisi teneramente, poi inspirai e pregai mentalmente
di essere in tempo.
Entrai
nella piccola biblioteca nella quale lavoravo, Carol era intenta a consultare
delle carte, quando sentì lo scricchiolare della porta, alzò la testa e mi
fissò. Stranamente non disse niente “Buongiorno” salutai educatamente recandomi
poi verso il retro e sistemando borsa e cappotto. Mi stiracchiai braccia e
gambe, pronta per la sistemazione dei libri sugli scaffali “Il furgoncino è
arrivato?” domandai entrando nella stanza “No, è in ritardo” rispose Carlol
continuando a fare quello che stava facendo “Ah capisco” borbottai. “Tante corse per niente” pensai tra me e
me. “C’è stato un incidente” disse poco dopo “Quindi mezza città dall’altra
parte è completamente bloccata, di conseguenza ci vorrà un po’ prima che John
arrivi con i nuovi libri. Nel frattempo, inizia a mettere in ordine lo scaffale
dei classici, almeno ci troviamo parte del lavoro fatto” ordinò “Va bene”
risposi diligente, dirigendomi verso il ripiano indicatomi.
Erano
ore che sistemavo quei libri, non mi stancavo mai, amavo sentire l’odore della
carta invadermi le narici, quello strano profumo che sapeva di nuovo e di
antico misti insieme. Mi davano una strana sensazione di piacevole agiatezza,
come se mi cullassero teneramente, una dolcissima ninna nanna. Leggere mi
aiutava a sognare, a immergermi in quell’universo parallelo che non esisteva
nella realtà, ma nella fantasia di chi, come scrittore, aveva la capacità di
dipingere un mondo diverso fatto di sogni e speranze e non solo: spesso quelle
pagine trasudavano di sofferenza e dolore, ma ti insegnavano a reagire, a
lottare per la tua via, nonostante il patimento. Quando finivo di leggere un
libro mi sentivo più leggera, più carica, ricca dentro di un pezzetto in più,
mi dicevo di essere pronta a tutto, anche a scalare una montagna, ma tutto
quell’entusiasmo durava soltanto qualche ora, fin quando la concretezza del mio
vivere non mi investiva con la sua totale freddezza e le mie ali si
dissolvevano nel nulla. Nuovamente.
“E’
permesso?” udii una voce che avrei riconosciuto tra mille, corsi verso
l’ingresso e sorrisi a Jenny, la vidi guardarsi attorno meravigliata: tutto era
minuziosamente lucidato e ordinato, ma quello che sorprendeva di più era il
posto. Ogni angolo era di legno d’acero lucidato con cura dal figlio di Carlo
sotto mio suggerimento. Mi sembrava un’idea carina creare un luogo che
incuriosisse per la sua atipicità e allo stesso tempo stupisse per la sua
semplicità. Doveva essere piccolo e accogliente, le persone dovevano sentirsi a
proprio agio entrate lì, ritrovare un’atmosfera calorosa, amichevole, dove
magari fermarsi pure qualche ora a leggere. Si, perché la piccola biblioteca
era dotata anche di un angolo lettura e una mini sala bar per discutere di
libri e non. Io amavo quel posto, spesso mi fermavo a guardare le persone
sedute attorno a quei tavoli intente a leggere e mi domandavo cosa mai potesse
passare per le loro menti, chissà se erano mai assaliti dai miei stessi dubbi o
addirittura, dalle mie identiche emozioni. Scossi la testa per riprendermi e mi
rivolsi alla mia amica attirando la sua attenzione con la mano sventolata in
aria “Jenny, sono qui!” esclamai felice di vedere il mio raggio di sole, lei
voltò il viso alla sua destra e mi vide. Sorrise con me e capii che era
altrettanto felice di vedermi.
“Pranziamo
insieme?” domandò mentre finivo di sistemare l’ultimo scatolone “Si, ma tu non
devi portare la spesa a casa?” chiesi con un po’ d’affanno, guardandola di
sottecchi “Infatti.” Annuì sorridendo “Ti preparo un bel pranzetto coi fiocchi”
strabuzzai gli occhi senza dire niente “Non fare quella faccia, sai?” ero pronta
a subirmi la ramanzina “E’ da troppo che non mangi un pasto decente e visto che
ora sono qui ti trascino con me a casa e mangerai con me e la piccola Doddie,
chiaro?” decretò incrociando le braccia al petto e guardandomi con aria di
sfida “Non osare dire di no. Non si declina l’ invito di una sorella” mi diede
le spalle e andò via “Ti aspetto fuori” e chiuse la porta. Rimasi di sasso,
mezza intontita, poi mi ripresi e ridacchiai. No, la mia cara e adoratissima
sorellona Jenny non sarebbe mai cambiata!
“Sei
venuta a piedi?” domandai sgranando gli occhi notando Jenny ferma sul
marciapiede con tre enormi buste del supermercato piene di cose da mangiare “Si,
ti sembra così strano?” rispose inclinando la testa di lato e fissandomi
curiosa “No, no. Quelle buste non sono pesanti da portare a mano in giro per la
città?”, Jenny le scrutò, poi tornò a guardare me “Non troppo, poi ho fatto la
spesa qua vicino” “Ok” dissi “Ok” rispose lei titubante “Monta in macchina va,
andiamo ad assaggiare questo pranzetto prelibato!” mormorai ironica, lasciando
che la risata gioviale della mia amica, mi perforasse le orecchie,
assordendomi.
Entrammo
in casa, trascinandoci dietro le buste della spesa, Daiana era già lì e
sentendo uno strano rumore corse all’ingresso, quando ci vide spalancò gli
occhi stupefatta “Avete svaligiato un supermercato per caso?” chiese ironica
dondolandosi su una gamba. “Spiritosa!” sputò acida, Jenny “Invece di
divertirti a fare dell’ironia vienici a dare una mano. In auto ci sono anche
tre casse d’acqua che aspettano solo qualche anima pia che le vada a prendere”
esclamò sparendo in cucina, Dod scosse la testa “Abbiamo fatto grandi spese a
quanto vedo e lei è sempre più irritata” rispose prima di correre fuori dalla
porta e lanciarmi una veloce occhiata. Roteai gli occhi verso il cielo, quelle
due stavano sempre a battibeccare, dopo due anni di convivenza o ci facevi
l’abitudine o…ci facevi l’abitudine.
“Non
sbattere la porta!!!” urlò Jenny a Dod che era rientrata.
Ecco
appunto! Dovevi farci l’abitudine punto e basta.
Giunsi
in cucina anche io e aiutai Jenny a sistemare le provviste, nel frattempo
Daiana posò le casse d’acqua nel piccolo ripostiglio infondo al corridoio e cantava
a squarciagola “We are the champions my friends, and we’ll keep on fighting
till the end. We are the champions, we are the champions no time for
loser cause we are the champions of the world” con tanto di hola, concluse il
suo spettacolo entrando trionfante in cucina con in mano una bottiglia d’acqua
naturale che le faceva da microfono. Io e Jenny prima guardammo lei con un
cipiglio sul volto, poi ci fissammo tra di noi e scoppiammo a ridere con tutto
il cuore. Eravamo entrambe piegate in due per le risate, ma ben presto la
nostra adorata Doddie si unì al nostro coro ilare.
“Ti posso dare una mano?” chiesi a Jenny super concentrata a
preparare il pranzo, aggrottò la fronte pensierosa, poi sembrò ricordarsi di me
e della mia domanda, sbattè le palpebre e poi mi fissò per qualche secondo
senza parlare. “Il sale!” esclamò all’improvviso facendomi saltare “Te lo
prendo” dissi “No, mi sono dimenticata di comprarlo” si battè la mano sulla
fronte, Daiana la scrutò e sorrise “Soré ci voleva una quarta busta della spesa
mi sa!” disse per poi dileguarsi in bagno. Sospirai “Dai Jenny non importa, a
me il risotto piace anche senza sale!” le dissi per tranquillizzarla “Non è
questo che importa!” sbottò, io inarcai un sopracciglio e portai le braccia
sotto al seno “E avanti cos’è che importa?” chiesi leggermente stizzita “Che
hai capito?” rispose lei muovendo le mano in avanti a mò di difesa “Intendevo
dire che il sale qui non serve, è che mi sono semplicemente ricordata che
mancava e bisogna comprarlo” si fermò un attimo “Mi sa che mi sono dimenticata
anche altre cose” sbuffò “Le prenderò io stasera. Dopo scrivimi la lista,
d’accordo? Però ora non farti prendere dall’ansia per questa cosa” la
rassicurai portandole una mano sulla spalla, lei annuì, poi tornò a
concentrarsi sulla cucina.
“Allora che te ne pare?” domandò Jenny guardandomi con gli
occhi traboccanti di lacrime in attesa del mio giudizio. Mi divertii a
stuzzicarla chiudendo gli occhi, portando lentamente il cucchiaio in bocca e
assaggiando il riso lentamente. Molto lentamente. “Mmm” borbottai, scrutai
Jenny aprendo di poco un occhio e la vidi stringere il tavagliolo con la dita
mentre deglutiva rumorosamente, poi spalancai di colpo gli occhi e mi bloccai
“Maggie…è tutto ok?” domandò, Dod vicino a me fissò la mia espressione, ebbi
giusto il tempo di farle l’occhiolino e di tornare poi a guardare l’altra mia
amica. Annuii in risposta alla sua domanda “E…quindi?” chiese tremando “Ok”
dissi soltanto, lasciandola basita “Ok?” ripetè aggrottando la fronte “Che
significa? “ la guardai poi le sorrisi “Significa che questo piatto è
fantastico ed è troppo tempo che non mangio qualcosa di così squisito” risposi
tutto d’un fiato. Jenny sembrò recepire le mie parole a rallentatore, saltò
sulla sedia e mi abbracciò “Come sono contenta!!!” esclamò “Si, si però così mi
strozzi!” tossicai, mentre Jenny continuava a stritolarmi. Alla fine mi lasciò
andare, si accomodò nuovamente a tavola e iniziò a mangiare non smettendo mai
di sorridere. Soprattutto gli occhi. A quel punto mi girai a guardare Dod che
scrutava attentamente la situazione, anche lei sorrideva contenta e questo
suscitò in me una strana emozione, avvertivo il cuore avvolto in una morsa
dolorosa ma allo stesso tempo piacevole. Ero conscia del perchè: il mio
desiderio più grande era vedere sempre quel sorriso, quella spensieratezza,
quella contentezza infinita sul viso delle mie migliori amiche. Era la cosa che
desideravo di più al mondo, perché loro erano la mia vita.
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Capitolo 3 *** Ricordi ***
Ricordi
Scusate se non rispondo alle recensioni.
Sono un pò di fretta.
Finalmente sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo. Ultimamente mi
blocco spesso e me ne dispiace, perchè vi faccio aspettare.
Ma ora basta perdersi in chiacchiere.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite,
ricordate, chi recensisce, chi legge semplicemente...:) mi fa davvero
piacere destare la vostra attenzione.
Vi ricordo che per chi volesse contattarmi, questi sono i miei indirizzi:
My
facebook , Quelli
che amano le storie di Sognatrice85
Vi aspetto numerosi <3.
Capitolo 2
“Ricordi”
Qualche ora più tardi, mi trovavo di nuovo sulla mia vecchia
auto, questa volta niente corse contro il tempo, anzi era addirittura in
anticipo, per questo, guidata dall’istinto o dalla mia innata follia se
vogliamo, mi ritrovai in Piccadilly Circus. Sorrisi e sospirai appannando il
vetro della macchina. Spensi il motore, tolsi la cinta e attesi qualche minuto
prima di scendere, raccogliendo tutte le forze che possedevo.
Fuori aveva cominciato a piovere. Tutto normale quando si
trattava di Londra, lì il tempo era perennemente avvolto da nuvole grigie, ma
questo non mi dispiaceva affatto.
Io amavo la pioggia.
Buttai la testa all’indietro la sentivo fin troppo pesante,
premeva convulsamente ed era parecchio dolorante.
Conoscevo il motivo di quel malessere.
Tornare lì, forse, non era stata una grande idea, ma ne avevo
bisogno. Erano ormai tre mesi che mi ero imposta il divieto assoluto di
avvicinarmi, anche solo per sbaglio, a quella zona. Ma se non ritrovavo lì in
quel momento, una spiegazione c’era.
Sbuffai ignorando la mia pungente razionalità, la quale stava
per far nuovamente capolino dentro di me, quindi mi decisi a scendere dalla
macchina, sbattendo forte la portiera, quasi come se in quel modo potessi
scacciare via i brutti pensieri.
Mossi i primi passi sotto l’acqua, aprii l’ombrello solo
perché non volevo beccarmi un malanno, altrimenti ne avrei volentieri fatto a
meno. Giunta al semaforo, mi fermai, sapendo che non appena avrei avuto la
forza e il coraggio di alzare lo sguardo da terra, avrei rivissuto
quell’esperienza assurda. Per questo inspirai e espirai un paio di volte “Forza Maggie. Non farà male…ricordati: è il
tuo pensiero felice” sussurrava la vocina nella mia testa.
Fu così che lo feci: alzai la testa e guardai dritto davanti
a me, pronta per quel viaggio indietro nel tempo…
<< Ero
di corsa, come al solito. Avevo parcheggiato l’auto nelle vicinanze di
Piccadilly Circus. Jenny e Daiana mi aspettavano al solito Starbucks, ormai
quello era diventato il nostro strambo ritrovo per una stramba relazione come
la nostra. Ci eravamo incontrate lì un mese prima. Eravamo sedute a tre tavoli
differenti e sorseggiavamo pensierose i nostri caffè neri bollenti. Daiana era
alla mia sinistra e fu la prima di noi a sospirare pesantemente attirando
l’attenzione mia e di Jenny. Arrossì quando capì che la stavamo guardando
insistentemente e cercò, in malomodo, di nascondersi dietro la ciocca dei suoi
capelli. Sorrisi tra me, rividendo un po’ di me in lei. A quel punto ritornai a
sorseggiare tranquilla il mio caffè, ma questa volta, alla mia sinistra,
s’esalò un altro sospiro. Mi voltai e vidi una ragazza dai capelli scuri e gli
occhi azzurro oceano che poi scoprii chiamarsi Jenny. Sorrisi anche a lei che
rispose con un cenno del capo. Quando mi girai notai che anche l’altra ragazza
s’era voltata nella mia direzione. Ero circondata, ma la cosa non mi
dispiacque.
Sorseggiai
ancora un po’ del mio caffè e diedi un piccolo morso al tramezzino col tonno
che avevo bellamente ignorato fino a quel momento. Mi uscì un sospiro mentre
chiudevo gli occhi. Mi accorsi subito di ciò che avevo fatto e mi tappai
immediatamente la bocca con entrambe le mani, di sbieco fissai le due ragazze
ai miei lati e, come sospettavo, mi stavano osservando. Quella situazione era
alquanto buffa e iniziai a ridere, con me anche loro.
Fu poi Jenny
a mettersi seduta accanto a me, rompendo il silenzio “Visto che tutte e tre
dobbiamo sospirare, meglio farlo in compagnia, non credi?” disse avvicinandosi
“Piacere, Jenny?” mi porse la mano, la strinsi senza pensarci troppo “Piacere
mio. Sono Maggie”, si accomodò di fronte a me e insieme, nello stesso istante,
ci girammo alla nostra destra, l’altra ragazza era in piedi, ma era rimasta
vicino al suo tavolo, dondolava su un piede e con una mano si toccava
continuamente una ciocca di capelli. Era imbarazzata e le guance rosse lo
dimostravano. “Avvicinati pure” disse Jenny “Non ti mangiamo mica, sai?”
aggiunse sorridendo allegra. Dod alzò lo sguardo e l’espressione di beatitudine
che lessi nei suoi occhi mi colpì totalmente. Si rilassò completamente dopo le
parole di Jenny e si sedette anche lei, vicino a noi “Io mi chiamo Daiana. Dod
per gli amici, o Doddola come vi pare” disse tutto d’un fiato, immergendosi
subito dopo nel suo caffè. Io e Jenny ci scrutammo e spalancammo occhi e bocca.
La voce di Dod era di una dolcezza disarmante, sentivo il cuore traboccare
d’amore e probabilmente per Jenny fu la stessa cosa. “Ammazza oh!” esclamò
Jenny facendo sussultare sia me che Daiana “Ma è tuo originale questo timbro di
voce?” inarcai un sopracciglio sorpresa, Dod arrossì ancora di più “Non
prenderla a male. È un complimento” e sorrise. Da lì iniziammo a parlare, a
raccontarci di noi, dei nostri progetti, dei nostri impegni, del nostro arrivo
a Londra. Scoprimmo che avevamo molto in comune e da allora ogni pomeriggio per
la pausa pranzo, ci ritorvavamo in quel luogo. Quel giorno stavo andando da
loro, erano le due passate ed ero in ritardo di un quarto d’ora, Carol mi aveva
trattenuta per farmi sistemare alcuni libri arrivati all’ultimo momento.
Sbuffai quando vidi che il semaforo per i pedoni era rosso, picchiettai col
piede a terra e con le braccia incrociate al petto, aspettavo impaziente.
D’improvviso
scattò il verde e con esso io mi precipitai per strada, circondata da un
ammasso di gente. Era maggio, faceva stranamente caldo e quella era l’ora di
punta a Londra. Ero sovrappensiero, eccitata all’idea di rivedere quelle due
ragazze. Non sapevo perchè ma mi fidavo ciecamente di loro, ormai quella era
diventata una piacevole abitudine e durante la mattinata fremevo perché
giungesse quel momento. Era il migliore di tutta la giornata. Per un motivo
ancora a me sconociuto, alzai lo sguardo proprio nell’istante in cui mi passò
accanto un ragaxxo che portava con sé un sacco nero contentente una chitarra.
Inizialmente mi dissi che lo avevo notato in mezzo a tanta gente perché
indossava un berretto nero nonostante facesse quel caldo, poi però, notai quel particolare che lo rendeva
stranamente diverso dagli altri: il suo sguardo e lì il tempo si fermò. Quegli
occhi erano talmente chiari e profondi che sembrava facile perdersi. Tremai. In
mezzo a tutta quella gente sudaticcia, quel sole che mi picchiava in testa,
tremai. E questo bastò a farmi immobilizzare. Ancor più quando, constatai che i
miei occhi s’erano incrociati ai suoi e lì fu il delirio. Il mio corpo vibrò,
il cuore fece diverse capriole, salendomi fino in gola e le gambe molleggianti,
rischiarono di tradirmi e farmi crollare a terra. Presto il suo sguardo cambiò
direzione ed io ne avvertii bruscamente la mancanza. Mi sentivo come vuota.
Nuda. Quei pochi secondi erano bastati perché registrassi ogni particolare del
suo viso magrolino e del suo esile corpo. Rimasi imbabolata ancora un po’, fin
quando il suono dei clackson mi annunciò che era scattato nuovamente il verde
per le auto. Attraversai di corsa la strada, ma quando mi voltai, lui non c’era
già più. Mi sentii delusa.
Ripresi a
camminare diretta al bar, la testa continuava a proiettare la frazione di
secondi in cui avevo incontrato quel ragazzo. Probabilmente avevo avuto
semplicemente un’allucinazione, non poteva essere sparito in quel modo.
Camminando e pensando mi ritrovai da Starbucks. Presi un bel respiro ed entrai.
Quando le mie amiche mi videro, sventolarono in aria le loro mani ed io risposi
solo con un cenno della testa. Le loro espressioni mutarono immediatamente. Mi
accomodai al tavolo con loro in religioso silenzio. “Abbiamo ordinato anche per
te. Ci stavamo preoccupando” parlò Jenny per prima “Scusatemi. Avrei voluto
avvisarvi, ma non ne ho avuto il tempo. ho dovuto sistemare un bel po’ di
libri” sbuffai, lasciandomi scivolare sulla sedia, chiudendo gli occhi e
massaggiandomi le meningi “Avanti!” disse Jenny con un tono di voce serio che
mi costrinse a riaprire le palpebre “Cosa?” chiesi smarrita “Che è successo?”
domandò Dod, la quale era rimasta in silenzio fino a quel momento “Parla!”
m’incitò Jenny. La mia testa si mosse da destra a sinistra e viceversa, fissai
basita le mie interlocutrici e mi sentii improvvisamente sciocca. “Non temere”
disse Dod, posando la sua mano sulla mia “Noi non ti giudicheremo” aggiunse
teneramente Jenny, imitando il gesto di Daiana. Sorrisi loro grata e tutto d’un
fiato raccontai dell’accaduto. Mi stettero ad ascoltare attentamente, ma potevo
vedere le loro espressioni divenire sempre più stupefatte. Quanto terminai,
bevvi con vigore l’ultimo sorso di caffè e lo mandai giù senza pensarci troppo.
Poi fissai loro che mi osservavano “Sono matta. Fate bene a pensarlo” sorrisi
amara, chinando il capo “Non lo sei!” esclamò Dod, posando il suo bicchiere sul
tavolo e pulendosi la bocca con il tovagliolo. Io la fissai sorpresa “Io invece
credo che quello che ti sia successo sia una cosa rara e bellissima” strabuzzai
gli occhi “Si, hai capito bene: rara e bellissima!” ribadì convinta, sorridendo
“E non dovresti arrenderti, sai? No, decisamente no!” disse “Anzi, forse
dovresti cercarlo” “Ma…” iniziai a dire, ma lei mi bloccò “Non dire niente. Il
cuore è uno strano organo. Funziona in modo illogico” sorrise “Ma non si
sbaglia mai, soprattutto quando s’attiva di colpo in una situazione come
questa” aggiunse annuendo, come a convincere prima sé stessa di quello che
stava dicendo “Lui lo ha riconosciuto” tornò a guardarmi, gli occhi le
brillavano “Non capisco” balbettai “Probabilmente lui è la tua anima gemella,
la famosa metà della mela”, a quelle parole il cuore tamburellò, facendomi
avvertire la sua presenza “Non è possibile” soffiai, lo sguardo perso nel
vuoto. Jenny era stata zitta, aveva bevuto tranquillamente il suo caffè e
mangiato il suo hot dog “Sono d’accordo con Daiana” confessò “Ci sono delle
cose che la razonalità non può spiegare, quindi non starti a crogiolare sul
significato di questo episodio, perché non riusciresti a trovare una risposta
certa” decretò “Questo ragazzo ha risvegliato il tuo animo. Ed era ora” sorrise
sorniona.
Da quel
momento in poi, non facevano che ricordarmelo, spronandomi a cercarlo. Avevo
trascorso giornate intere a rifletterci, a convincermi che dovevo rischiare, ma
la mia razionalità aveva preso il sovravvento e ci avevo rinunciato. Poco dopo
le nostre riunioni si spostarono a casa mia. Incosciamente volevo evitare di trovarmi in quella zona della città,
eludendo così, la possibilità di incontrare ancora quel ragazzo. Casa mia ben
presto divenne la casa di tutte e tre, fu naturale chiedere ad entrambe di
convivere, in modo da poter stare insieme tutte le volte che volevamo.>>
Una, due , tre, quattro gioccioline bagnarono la mia giacca.
Scossi la testa, cacciando via quel ricordo, mi portai una
mano sulla tempia per sostenermi e solo nell’istante in cui sbattei le
palpebre, mi resi conto che avevo la vista leggermente appannata. Strofinai le
dita circolarmente sulla linea violacea dei miei occhi che si impregnarono
delle mie lacrime.
Sospirai incredula. Mi diedi mentalmente della stupida.
Controllai l’orologio, mancavano venti minuti alle quattro,
dovevo andare a lavoro. Mi concessi un’ultima occhiata al passaggio pedonale,
poi gli diedi le spalle correndo via.
“Carol sono arrivata!” esclamai entrando nella libreria,
scuotendo la giacca bagnata, il mio capo s’affacciò con la testa dalla porta
sulla sinistra e mi sorrise “Ti aspettavamo”, corrucciai la fronte “Ci sono
John e Raian. Stiamo discutendo approposito di alcuni lavori di
ristrutturazione che avevo” spalancai la bocca sorpresa e coonfusa “Dai vieni!”
m’invitò lei, facendomi segno con la mano di seguirla. Entrai nella piccola
sala riunioni e mi accomodai al tavolo rettangolare sulla destra accanto a
John, il ragazzo che si occupava del trasporto dei libri, di fronte a me c’era
Rayan, il figlio unico di Carol, aveva due o tre anni più di me. Aveva la pelle
lattea e i capelli nero corvino, le cui ciocche gli ricadevano ribelli sul
volto squadrato e grande. Un bel ragazzo tutto sommato, ma non era affatto il
mio tipo, tutto festini e sesso, niente impegni seri o situazioni stabili.
Sorrisi impacciata quando mi accorsi che mi guardava con
insistenza, poi, abilmente, distolsi lo sguardo e fissai Carol, al mio fianco,
John sospirava, lo sguardo leggermente perso nel vuoto. Mi dispiaceva saperlo
triste, soprattutto mi sentivo incapace di aiutarlo. “Allora!” esordì Carol
distranedomi dai miei pensieri “Come ben sai, Simon vuole vendere il locale qui
di fianco e noi pensavamo di acquistarlo, ingrandendo così la libreria,
potremmo creare un angolo studio per gli studenti, ampliare la zona bar e
ristoro” disse gioiosa, gli occhi le brillavano a dimostrazione di quanto
tenesse a quel posto “Tu cosa ne pensi?” domandò guardandomi sorridente, ero
scossa, non credevo di poter avere voce in capitolo, d’altronde ero una
semplice commessa “Io…” deglutii imbarazzata, torturandomi le mani, nascoste
sotto il tavolo “Non so che dire”, Carol mi osservò seria “Cioè…” mi guardai
intorno cercando l’appoggio di John “E’ una bellissima idea, credo che potrebbe
funzionare” ammisi, il mio capo tornò così a sorridere. “Ci tengo a conoscere
la tua opinione, sei una buona collaboratrice e fino ad ora i tuoi piccoli
suggerimenti hanno contribuito a rendere migliore questo posto” quelle parole
giunsero inaspettate, inizialmente le accolsi con una certa titubanza, poi però
un bellissimo sorriso nacque sul mio volto e mi sentii fiera di me stessa.
Appena arrivata a casa avrei raccontato tutto alle mie amiche e gioito con loro
di questa piccola soddisfazione.
Terminata la riunione, ci alzammo tutti dal tavolo, io ero
pronta per tornare al mio lavoro, ma Rayan mi fermò, afferrandomi per il
braccio “Ehi Maggie!” esclamò melenso, le sue viscide mani indugiarono ad
accarezzarmi da sopra la maglia. Scostai il braccio seccata e lo guardai di
sbieco “Ciao Rayan” dissi, tentando di controllare la mia voce “E’ da un po’
che non ci si vede!” disse sorridendo falsamente “Volevi qualcosa?” chiesi un
po’ aspra, scocciata per quell’interruzione “Si” affermò sicuro “Stasera darò
una festa nel mio nuovo locale a Portobello Road” “O…ok” risposi incerta,
corrugando la fronte “Vieni! Ci sarà da divertirsti!” proferì determinato,
porgendomi un biglietto per l’ingresso. Lo presi, osservandolo stupita. Non mi aspettavo quest’invito
“Posso venire anch’io?” domandò qualcuno alle mie spalle. Mi voltai e vidi John
sorridere mentre guardava prima me e poi Rayan “Certo! Portate qualche vostro
amico. Ho bisogno di un po’ di pubblicità” ammiccò prima di andarsene.
Fissai John basita “Davvero vuoi andarci?” chiesi dubbiosa
“Oh si!” esclamò sognante “Dai Maggie non fare quella faccia!!!” roteò gli
occhi al cielo e fece una strana smorfia con la bocca “Non puoi rinchiuderti in
casa! Devi vivere, tesoro!” disse prendendomi le mani “Tu lo dici solo perché
vuoi vedere Rayan” risposi facendogli la linguaccia, John arrossì “Non è vero!”
ribatté intensificando il suo sguardo. Amavo i suoi occhi castani. Erano capaci
di brillare anche al buio, nonostante fossero così scuri. Trasmettevano una
forza e un’energia che ti coinvolgevano, inevitabilmente. John era gay, me lo
aveva confessato qualche mese dopo che avevo iniziato il lavoro nella libreria.
Non mi eran sfuggite le sue chiare occhiate languide che lanciava al figlio
della “capa” e mi faceva sorridere la tenerezza con cui, si perdeva
nell’osservare i suoi spostamenti, come arrossiva quando lui gli rivolgeva,
anche per caso, la parola e il modo in cui sospirava trovandoselo nelle
vicinanze.
John aveva capito che avevo intuito qualcosa, per questo un
giorno mi aveva afferrato per un polso e trascinata nello scantinato. L’avevo
seguito senza batter ciglio. Il suo gesto non sapeva di violenza, anzi,
addirittura risultava così tenero. Il suo imbarazzo mi si palesò davanti quando
si fermò, dandomi la visuale delle sue spalle “Scusami, non volevo essere
brusco” aveva detto “Ma…vorrei sapere se sai…” “Che sei gay?” lo interuppi
prima che potesse aggiungere altro. Si girò di scatto, fissandomi spaventato.
Gli sorrisi, pregando di tranquillizzarlo e sembrai riuscirci, visto che le sue
spalle si rilassarono “Come lo hai capito?” domandò a bassa voce “Vedo come
fissi Rayan. Ne sei innamorato” constatai, attenta alla sua reazione. Non
volevo ferirlo, né risultare invadente. John annuì, chinando il capo, evitando
così il mio sguardo. Io mi avvicinai, con due dita sotto il mento alzai il suo
viso.
Volevo che mi guardasse.
Volevo che leggesse nei miei occhi quello che pensavo.
“Non devi vergognarti di me. Non ti giudico” e gli sorrisi
sincera, lui mi guardò ancora un attimo, poi sorrise e mi abbracciò “Grazie”
sussurrò tra i miei capelli. Ancora sconvolta per quel suo gesto, non seppi
cosa rispondergli.
A distanza di tempo, eravamo diventati buoni amici, qualche
volta lo avevo trascinato a casa mia e insieme a Jenny e Dod ci eravamo fatti
tante risate. Mi piaceva vederlo sereno. Per me era quasi un fratello.
“Ok” mi arresi, sbuffando, John saltellò sul posto,
baciandomi la guancia “Grazie! Insieme faremo faville stasera. Ti passo a
prendere io per le otto e mezza, mi raccomando sii puntuale!” e se ne andò “Ah!
Dillo anche a Jenny e Dod! Sono convinto che loro accetteranno in un batter
baleno. Sono meno musone di te” schioccò la lingua sui denti, poi sparì.
Mi ritrovai a ridere da sola.
Mi aveva messo di buon umore, facendomi dimenticare per un
po’, l’episodio del pomeriggio.
“Carol, per oggi ho finito” proferii, sistemando l’ultimo
incasso della giornata nella cassa e inserendo il codice di sicurezza “Va bene,
Maggie. Puoi andare. Ci vediamo domani mattina” annuii.
Uscita dalla libreria notai con un po’ di piacere, che aveva
smesso di piovere. Il cielo restava plumbeo, però in vista di quella serata,
sperai si trattenesse. Non avevo alcuna voglia di inzupparmi i vestiti.
Sorrisi e corsi via.
Diretta verso casa.
“Gente sono tornata!” esclamai entrando dalla porta e
chiudendola con un piede. Jenny si affacciò dal salotto e mi fissò “Vedo
finalmente l’ombra di un sorriso sul tuo bel visino” constatò avvicinandosi
“Hai incontrato qualcuno?” domandò sorridendo, negai con la testa “Rayan mi ha
invitato all’inaugurazione del suo nuovo locale, John si è offerto di
accompagnarmi. Anzi mi ha detto di dirlo anche a voi” “Se” sputò ironica “Si è
offerto” sghignazzò “Diciamo così. In realtà il suo scopo e farsi Rayan”
esclamò guardandomi “Oh ma ne sono consapevole, sorella!”risposi andando verso
la cucina e trovandoci lì Daiana, intenta a impastare, quando si voltò per
salutarmi, mi scappò una grossa risata. Aveva il viso completamente coperto di
farina “Mi dici che stai combinando?” riuscii a formulare appena una domanda
decente, trattenendomi dal ridere ancora. Daiana inarcò le sopracciglia e si
portò le braccia sui fianchi. Ops. Mi sa che l’avevo offesa.
Jenny mi aveva seguita “Comunque io stasera passo. Ho la
schiena a pezzi e preferisco riposarmi” disse, posando sulla tavola il
bicchiere che aveva in mano “Che succede stasera?” domandò Doddie che nel
frattempo, sembrava si fosse ripresa “Rayan ha invitato Maggie
all’inaugurazione del suo locale, va anche John che ci vorrebbe tutte con…”
Jenny non riuscì a completare la frase, perché s’era girata incontrando lo
sguardo di Daiana. Per un attimo temetti che le prendesse un collasso, poi
scoppiò a ridere, piegandosi in due.
Ma dico io: vivevamo nella stessa casa e ancora non s’era
accorta del pasticcio fatto dalla piccola? Bah!
“Oddea!” esclamò, rialzandosi e asciugandosi le lacrime “Mi
dici che cacchio stai facendo per impasticciarti così il viso?” le chiese
avvicinandosi al marmo della cucina e sbirciando alle spalle di Daiana “Sto
cercando di fare un dolce” rispose quest’ultima, con una certa irritazione
nella voce. “Scusate se non sono così esperta, cerco di applicarmi” aggiunse “E
lo fai ficcando il viso nella farina?” chiese Jenny riprendendo a ridere.
Io mi ero fermata accanto al tavolo e le osservavo,
trattenevo a stento la ridarella, ma non volevo rischiare di esagerare.
“E dimmi” prosegì Jenny “Per chi sarebbe questo dolce?”
chiese con una voce carica di curiosità. Doddie voltò il capo, tornando ad
impastare. Lo faceva con forza, come se volesse quasi affogare in quel
miscuglio di uova e farina “Daiana?” la richiamai io, accostandomi a lei.
Daiana si fermò, restando con lo sguardo fissò sulle mani. Le accarezzai la
testa “Lo sai che con noi puoi parlare” le ribadii “Si” soffiò scuotendo la testa
e sospirando “L’altro giorno a lavoro, hanno assunto un nuovo ragazzo” cominciò
titubante, forse in imbarazzo “Quando l’ho visto mi sono chiesta se fosse
inglese. Non so…aveva l’aria di essere un po’ smarrito. Così quando Fred gli ha
consigliato di farsi aiutare da me per capire come lavorare, mi sono trovata
davanti a due pozzi neri” si fermò alzando la testa “Due occhi così neri che ho
avuto paura” guardò prima Jenny, poi me. Lessi nelle sue pupille un’emozione
nuova.
Le sorrisi teneramente.
“Mi ha detto di chiamarsi Kevin. È scozzese, ma suo padre è
spagnolo. Di Valencia. Vive qui a Londra da un anno. Ha finito la scuola, ora
frequenta il conservatorio e a quanto pare per mantenersi deve lavorare. Suo
padre non vuole più che dipenda totalmente dal suo stipendio” continuò,
allontanandosi dal piano cottura e accomodandosi su una sedia “Cos’è che ti
turba?” tremò a quella domanda, tornando nuovamente ad abbassare la testa
“L’effetto che mi fa. Io…” deglutì rumorosamente “Non mi sono mai sentita così
con un ragazzo. Solitamente all’inizio sono timida, poi mi ci relaziono con
tranquillità. Ma Kevin ha qualcosa che…cavolo! Mi fa fremere se solo mi sfiora
per sbaglio!” esclamò osservandoci e sbarrando gli occhi.
Io e Jenny ci guardammo.
“Ti piace” affermò Jenny, Dod si immobilizzò “Forse. Non lo
so” si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla “Non ci capisco più
niente! Ma può sconvolgermi così da un giorno da un altro?” un singhiozzò le
ruppe la voce, mi precipitai ad abbracciarla “Capisco bene ciò che dici” ammisi
“Davvero?” domandò lei, guardandomi. Gli occhi carichi di aspettative “Sai
quanto quell’incontro mi abbia turbata. Non mi era mai capitata una cosa del
genere. È stato inaspettato, ma…ci convivo” “E non fa male?” chiese, le strinsi
la mano “A me fa male, perché non so chi sia lui. Tu…” e la guardai “Puoi
incontrarlo tutti i giorni, conoscere qualche lato del suo carattere, vedere
come si comporta, ascoltare il suono della sua voce” “E’ una melodia” soffiò,
la scrutai con aria interrogativa “Ha una voce melodiosa. Sembra un usignolo.
Poi ama i Queen, capisci? I Queen!” esclamò elettrizzata, alzando le mani verso
l’altro “Il tuo gruppo preferito” notai con piacere i suoi occhi brillare
d’approvazione “Domani è il suo compleanno e mi piacerebbe portargli un piccolo
dolce alle mandorle. Ho scoperto che le adora” Jenny venne vicino a noi “Avanti combina guai! Alzati in piedi! Ti do
una mano io” proferì indicandole la farina e le mandorle riposte sul marmo.
Sorrisi.
“Tu vatti a preparare!” disse poi verso di me “E scegli quel
vestito rosso che tanto ti dona! Non ti presentare al mio cospetto con jeans e
maglietta perché ti faccio ritornare in stanza e non ti faccio uscire finchè
non sarai decentemente vestita!” tremai, quando Jenny parlava in quel modo non
c’era niente da fare.
Dovevi obbedirle per forza.
Annuii e mi precipitai in stanza.
“Sei un impiastro!” sentii gridare Jenny, ridacchiai e mi
chiusi dentro, dando inizio all’opera di restauro.
Mezz’ora più tardi ero pronta.
Avevo indossato l’abito rosso consigliatomi da Jenny e mi ero
anche leggermente truccata.
Quando le mie amiche mi videro entrare in cucina, sbarrarono
gli occhi. Temetti di aver sbagliato tutto “Oddio! Faccio così schifo?”
domandai preoccupata, guardandomi il vestito “Ma scherzi?” disse Daiana “Sei
uno schianto!” e fischiò. Ridacchiai, portandomi una mano sulla bocca.
Jenny continuava a fissarmi severa “Dimmi” dissi rivolgendomi
a lei “Niente. Constatavo quanto il mio consiglio sia stato azzeccato” e
sorrise “Sei davvero fantastica!” confessò facendomi arrossire “Ora non
esageriamo!!!” risposi, provando a celare il mio imbarazzo.
Il campanello suonò, vibrando per tutta la casa.
Sussultammo tutte e tre.
“Questo è sicuramente John. Vado!” dissi, sia Jenny che
Daiana annuirono “Mi raccomando pensa solo a divertirti e portaci un maschio a casa!” gridò Jenny, mentre io
correvo giù per le scale.
Con l’affanno arrivai all’entrata, sul marciapiede c'era John ad aspettarmi.
Indossava un elegante pantalone nero, un maglione blu
elettrico e sotto una camicia azzurra “Wow” fischiettò vedendomi, arrossii
all’istante, abbassando la testa. John si avvicinò, mi prese una mano e me la
baciò, facendomi l’occhiolino “Andiamo Madame?” annuii ridendo.
Si prospettava proprio una bella serata…
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Capitolo 4 *** La festa ***
La festa
Buonasera o meglio dovrei dire buonanotte vista l'ora.
So che il mio aggiornamento vi sembrerà un miraggio, ma non è così.
Sono veramente io e ho postato un nuovo capitolo.
Scusate
l'enorme ritardo, non è mancanza di rispetto verso chi mi legge,
semplicemente la mia ispirazione ha deciso di andare in letargo prima
del previsto e ne posso approfittare solo quando mi fa la grazia di
venire a bussare alla porta dei miei due, tre neuroni rimasti!
Avrei
dovuto postare domani, ma siccome non riesco a dormire, mi son detta
"Perchè non aggiornare stasera stessa?" ed eccomi qua.
Probabilmente molti di voi sono ancora in vacanza e neanche mi leggeranno.
E' pur vero che non mi segue quasi nessuno -.-', però lasciatemi illudere.
Sapete
cosa penso? Penso che recensire sia importante, anche se va detto
qualcosa di negativo. Le critiche costruttive sono importanti ed io ne
ho bisogno per poter crescere nella scrittura, altrimenti
rimarrò sempre ferma e limitata.
Per questo vi dico che se avete da dirmi qualsiasi cosa, fatelo! Accetto tutto!
Potete anche scrivermi privatamente.
Bene, vi lascio.
Buona lettura e buonanotte :)
Capitolo 3 “La festa”
Percorremmo in macchina le principali strade di Londra,
guidati dalla musica trasmessa alla radio quella sera. Musica da discoteca,
quella che ti rimbombava nel cervello, fino ad assordarti.
Conoscendo John, lo aveva fatto apposta per farmi abituare al
casino in cui ci saremmo trovati una volta entrati nel locale. Erano anni che
non mettevo piede in posti del genere.
Aveva ragione Jenny: ero diventata una nonna a furia di stare
chiusa in casa!
“Allora Maggie!” proruppe John all’improvviso, alzando il
tono di un ottava per sovrastare la musica “Pronta a divertirti e ad andare col
primo che incontri?” domandò sghignazzando per poi aggiungere con tono
d’ammonimento “Basta non sia Rayan!”.
Quando ci si metteva, era un vero tormento.
Sbuffai, guardando fuori dal finestrino. Ero facilmente
irritabile quel giorno.
Ma non era colpa sua. Come al solito, ero io a sentirmi fuori
posto.
“Eddai!!! Musona!!!” esclamò, mettendomi una mano sulla gamba
e scuotendomi appena “Avanti! Sorridimi!” m’invitò, sorridendo a sua volta; lo
fissai fintamente arrabbiata e gli feci una pernacchia, provocando la sua
risata cristallina.
“Sei unica!” asserì convinto “Però davvero!” continuò assumendo
un’aria vagamente seriosa, decisamente non tipica di lui “Amica mia, sii
serena. Stasera passeremo una serata diversa e conosceremo nuove persone.” Mi
guardò, i suoi occhi erano stranamente cauti, quasi timorosi “Magari…” sviò il
mio sguardo “Tra loro potrebbe esserci quel ragazzo misterioso…” azzardò,
lasciando la frase sospesa.
Mi irrigidii immediatamente.
Non ci avevo minimamente pensato. Dopo il pomeriggio
trascorso a crogiolarmi nel suo ricordo fulmineo, non avevo più permesso al mio
cervello di tornare a quel giorno.
D’improvviso la mia mente s’oscurò, gli occhi si chiusero, segno
che non volevo saperne.
Non ero pronta. In realtà non lo ero mai, per nulla.
Eppure lo aspettavo da tanto, nonostante fingessi che non era
così. D’altronde perché quel pomeriggio ero tornata a quell’incrocio? Me l’ero
chiesto diverse volte nelle ore precedenti, ma senza riuscire a rispondermi
sinceramente.
Inutile ingannare me stessa. Era ovvio che volevo mantenere
vivo quel fioco ricordo, temevo che potessi dimenticarmi del suo volto,
perderne anche solo un tratto, mi spaventava! Infondo al cuore speravo di
poterlo incontrare di nuovo e volevo essere pronta a riconoscerlo.
Desideravo ardentemente che quelle pozze d’oceano si
soffermassero su di me, risucchiandomi tutta in lui, fino a che non restasse
assolutamente niente della mia anima perduta.
“Ehi, ehi” John fermò l’auto d’improvviso, mi prese,
tirandomi verso di lui e mi strinse così forte che sentii dolore.
Gemetti, non capendo perché lo stesse facendo.
Nell’istante in cui notai il suo maglione bagnarsi, mi resi
conto di stare piangendo.
“Ops” mormorai con voce rauca “Scusami” dissi
scostandomi da
lui, facendo leva sulle mani “Non volevo rovinarti il
maglione” e toccai la zona bagnata col dito indice, disegnando
cerchi immaginari, fissandola
incredula.
Anche John fissò la
macchia “Naa! Che me ne importa!”
rispose serio. Con un dito tolse le lacrime accumulatesi sotto le mie ciglia
“Fortunatamente il trucco non si è sciolto” mi fece notare, ammiccando “Sei
sempre perfetta” aggiunse dandomi un bacio leggero sulla guancia, molto vicino
all’angolo della mia bocca “Ora su riprenditi e andiamo. Siamo quasi arrivati”
annunciò riprendendo a guidare, mentre io mi sistemavo al mio posto ancora un
po’ scossa.
Qualche istante dopo, John parcheggiò l’auto e m’invitò a
scendere.
Mi tese la mano in un gesto elegante, strappandomi una
risata.
“Sei un uomo d’altri tempi?” gli chiesi, sistemandomi la
gonna del vestito.
“Così mi offendi, Maggie!” asserì, arricciando il naso e
mettendosi dritto “Lo sanno tutti che sono un ragazzo all’antica, tzè” e mi
voltò la faccia.
Inizialmente rimasi spiazzata, poi comprendendo la sua
ironia, sghignazzai allegra. Mi aveva fatto tornare il buonumore, come suo
solito. Gliene fui grata.
“Vogliamo andare, Mademoiselle?” proferì in tono scherzoso,
offrendomi il braccio.
“Certamente, Monsieur” risposi, appoggiandomi a lui.
Ridendo e scherzando, entrammo nel locale di Rayan.
Era tutto buio, solo qualche luce sfarfallava e creava, qua e
là, strane ombre. La musica, come immaginavo, rimbombava da una parete
all’altra creando uno strano eco, anche se non sembrava essere a tutto volume.
Mi guardai attorno, non riconoscendo nessuno.
Poco dopo mi sentii toccare la spalla da John, il quale
fissava con occhi dilatati, un punto in fondo al locale.
Seguii la traittoria del suo sguardo e riconobbi Rayan che se
ne stava appiccicato ad una ragazza. Sembrava se la stesse divorando con quei
baci.
Sul mio volto si dipinse un’espressione alquanto schifata, ma
mi preoccupai quando notai lo sguardo afflitto e triste di John.
“Ti va se beviamo qualcosa?” gli proposi provando a
distrarlo.
“Si. È meglio se ci bevo su” rispose mettendo le mani in
tasca “Un drink basta e avanza. Ti ricordo che devi riaccompagnare a casa la
sottoscritta” dissi indicandomi e poi incrociando le braccia sotto il seno.
John inarcò un sopracciglio “Bellezza mia, muovi il tuo bel
culo e fattela a piedi!” sbarrai gli occhi sconvolta, mentre il mio amico si
piegava in due per le risate.
“Stupido” sibilai piccata “Dai scherzavo” mi sorrise
prendondomi sotto braccio e trascinandomi verso il bancone del bar.
“Cosa prendi?” mi chiese, una volta che ci fummo seduti
“Mmm…che mi consigli?” “Niente di pesante, non credo tu regga l’alcool”
sghignazzò “In effetti…” mormorai pensandoci.
“Cosa vi porto da bere?” il barman vestito di bianco e blu si
sporse verso di noi, sorridendo in modo cordiale, come si addiceva ad uno del
suo mestiere.
“Per me una Caipirosca” disse John “Per Lei, Signorina?”
domandò il barman rivolgendosi a me. Mi grattai la testa pensierosa e alla fine
optai per qualcosa di semplice “Un Bayles liscio senza ghiaccio, grazie”
sorrisi “Arrivo subito” annunciò l’uomo
sparendo dietro al bancone.
Tornai a spostare la mia attenzione nei vari reparti del
locale, scorgendo un gran numero di persone intente a ballare, uno addosso
all’altro. Mani che si sfioravana, corpi che si surriscaldavano a ritmo di
musica. Bocche che si impossessavano l’una dell’altra. Lingue alla ricerca di
un contatto più profondo.
Distolsi l’attenzione per fissare John che s’era ammutolito.
Lo ritrovai con gli occhi fissi verso il punto in cui prima Rayan era appartato
con quella ragazza.
“Ecco i vostri drink!” trillò il barman alle nostre spalle,
entrambi sobbalzammo nello stesso istante. “Grazie” risposi prendendo il mio
bicchiere e iniziando a sorseggiare.
Il mio amico fece altrettanto mantenendo un rigoroso silenzio
che stava divenendo eccessivo per un tipo logorroico come lui.
“John!” lo chiamai, allungando una mano verso il suo braccio,
lui non mi guardò, semplicemente immerse le sue labbra nel suo drink.
Trascorse mezz’ora nella quale John era riuscito a bere altre
due Caipirosche non prendendo minimamente in considerazione le mie
raccomandazioni.
“John adesso bassa!” urlai esausta “Non credi di stare
esagerando!” lo ammonii, lui mi sfiorò per qualche secondo con lo sguardo, ma
non si soffermò su di me “Lo dico per te,
forse non te ne frega un accidenti, ma io ti voglio bene e non voglio
che ti annulli per quello stupido!” dissi sentendo una strana rabbia ribollirmi
nello stomaco “Lo sappiamo tutti che Rayan è uno sciupafemmine! Il suo
interesse è limitato a portarsi a letto quante donne può in una serata. Non
merita assolutamente il tuo amore, né tantomento il tuo dolore!”. Solo in
quell’istante John decise di fissare me “Non decidiamo di chi innamorarci,
Maggie” sussurrò.
Avvertii appena le sue parole.
Abbassai lo sguardo afflitta. Come potevo tirarlo su di
morale?
“Salve ragazzi!” esclamò allegra una voce familiare alle
nostre spalle.
Lupus in fabula!
Sia io che John ci voltammo “Rayan!” strillai. Lui ci sorrise
e si sporse maggiormente verso di noi per farsi sentire “Sono felice che alla
fine siate venuti” disse “Che ne pensate di questo posto?” domandò “E’ davvero
molto bello” mormorò John.
I suoi occhi dilatati erano fermi sulla figura possente di
Rayan, era facile scorgervi sorpresa e…amore!
“Ti ringrazio, amico!” rispose, poi i suoi occhi fissarono
me, indugiò un po’ troppo sulla mia scollatura, facendomi arrossire e allo
stesso tempo, irritare.
“Come siamo belle stasera” ammiccò avvicinandosi “Che ne dici
di ballare un po’ con me, tesoro?” la sua più che una richiesta sembrava un
ordine.
Ma credeva per caso che fossi una stupida qualsiasi? Quel
ragazzo mi aveva sempre dato i brividi, non certo di piacere. Era un insulso
maschio, infimo e bastardo.
Avevo avuto quell’idea fin dal primo momento che l’avevo
conosciuto.
Sua madre era una persona severa, ma non cattiva come lui.
“No, grazie” risposi con acidità, scostando la sua mano che
nel frattempo, s’era posata sul mio volto, scendendo fino alle mie labbra.
“Peccato darling. Non sai che ti perdi!” affermò sogghignando “Fai bere loro
ciò che desiderano, offre la casa” disse al barman in tono superbo, riprendendo
poi a camminare verso il centro della sala e lasciandoci soli.
“Che viscido idiota!” sbottai pulendo il viso. Sentivo ancora
le sue mani sudaticcie sopra di me.
Un singhiozzo attirò la mia attenzione. Alzai immediatamente
il volto verso John, il quale era chino sul bancone, il viso nascosto da un
braccio.
“John! John!” saltai dallo sgabello e mi avvicinai a lui “Ti
prego non fare così…io…” mi portai entrambe le mani ai capelli non sapendo cosa
fare.
Sbuffai, poi udii uno strano rumore: John aveva appena dato
un pugno sul bancone. Sbarrai gli occhi: il suo viso una maschera d’ira. Deglutii.
“John…” lo chiamai titubante “Un’altra Caipirosca” ordinò al
barman, ignorandomi. “Tanto offre la casa!” sputò quelle parole con una
cattiveria che non riconobbi come sua.
“Sai che ti dico?” dissi rivolta a lui “Prendo una Caipirosca
anche io. Per berne così tante deve essere buona” ammisi, strappando un piccolo
sorriso al mio amico.
“Balliamo?” propose John dopo l’ennesimo drink “Ma si! Che
sarà mai!” sorrisi stringendo la mano del mio amico e iniziando a muovermi a
ritmo di musica.
Ci gettammo in pista come due pazzi scatenati seguendo le
note di “Stereo Love” di Edward Maya.
Attorno a noi i corpi di donne e uomini si dimenavano
impazziti, occhi chiusi, mani in alto, voci eccitate urlavano sovrastando la
musica. Tutti erano su di giri. Troppo. Ed anche io cominciavo ad esserlo.
Avvertivo i primi effetti dell’alcol.
D’un tratto reclinai la testa all’indietro e lasciai che le
palpebre si chiudessero. Mi immersi corpo e mente nella musica, per la prima
volta mi sentii così leggera che quasi potevo spiccare il volo. John era
davanti a me, sentivo il suo corpo muoversi nel piccolo spazio che eravamo
riusciti a ritagliarci e anche lui sembrava divertirsi.
Riaprii gli occhi per un istante, ma quello che vidi mi fece
raggelare.
Due fessure azzurro chiaro mi trafissero in pieno.
Raddrizzai la testa e mi voltai velocemente verso quello
sprazzo di cielo sereno, ma quando lo feci, non c’era più. Che fosse stato
frutto della mia immaginazione?
Probabile.
Mi strofinai gli occhi con le mani, ma la vista sembrò peggiorare.
Vedevo tutto appannato.
Scossi la testa e abbassai le palpebre, inspirando con calma
per placare il mio cuore impazzito. Fissai nuovamente quel punto del locale, ma
non c’erano che tre o quattro ragazzi intenti a bere un drink e a
chiacchierare.
A quel punto, mi mossi verso John che fino a quel momento
aveva continuato a ballare, circondato da alcune ragazze che si erano accostate
a lui e con mille moine provavano a conquistare la sua attenzione.
Sorrisi e guardai il mio amico palesemente scocciato.
Quando alzò lo sguardo e incontrò il mio, mi fece una
linguaccia e ammiccò, vantandosi di quelle conquiste. Ciò mi fece sorridere
maggiormente.
Provai ad avvicinarmi a lui barcollante, ma dovetti scostare
un gran numero di persone ed evitare, allo stesso tempo, di cadere.
I tacchi iniziavano a rappresentare un ostacolo per il mio
precario equilibrio da sbronza. L’alcol fluiva a fiumi in me, sentivo che mi
era arrivato fin nel cervello.
Per inseguire quello strano sguardo, mi ero spostata di
qualche passo. Quando riuscii a raggiungere John, una ragazza, per sbaglio, mi
diede una gomitata facendomi scontrare col suo corpo, lui per riflesso mi
strinse.
“Ti sei allontanata improvvisamente. Ad un tratto non ti ho
più vista!” parlò così vicino al mio orecchio che potei percepire chiaramente
il suo fiato solleticarmi piacevolmente.
“Si scusa, mi era sembrato di vedere due occhi fissi su di
me!” balbettai in risposta, imbarazzata per la mia stessa folle immaginazione.
“Maggie, credo che tu ed io abbiamo bevuto un po’ troppo”
rise forte, continuando a stringermi forte e a guidarmi nella danza.
E più ballavamo, più sentivo il suo profumo entrarmi nelle
narici e appiccicarsi sulla mia pelle, sul mio vestito.
Le mani di John si muovevano con leggiadria su di me: prima
mi accarezzavano la schiena, poi mi prendevano le mani e mi facevano girare,
per poi tirarmi nuovamente verso di sé. Erano alla base del collo, tra i miei
capelli, ovunque ne sentissi il bisogno.
Stava accadendo qualcosa. Ne percepivo i segnali nell’aria
attorno a me.
John mi stava fissando
in modo inconsueto.
Cos’era quello strano calore che avvertivo improvvisamente?
Quella fiamma ardente nei suoi occhi cosa stava a
significare?
“Che ne dici se ce ne andiamo?” disse John d’un tratto.
“Si…” soffiai, non totalmente in possesso delle mie facoltà.
Lui intrecciò la sua mano alla mia e dopo avermi lanciato
un’ultima occhiata, corremmo fuori dal locale.
Entrati in macchina, accese l’aria calda per permettere ad
entrambi di ritrovare un po’ di calore. Aveva cominciato nuovamente a piovere.
John continuava a guardarmi al punto che non potei più
ignorarlo e mi misi a fissarlo anche io.
Cosa ci spinse l’uno verso l’altro?
In quell’istante l’unica cosa che contava erano le sue labbra
schiuse sulle mie…
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Capitolo 5 *** Il passato ***
Il passato
Salve a tutti.
Mi scuso. Ormai lo faccio ogni volta che posto.
So di essere in ritardo, ma ho davvero molta difficoltà nello scrivere ultimamente e mi dispiace.
Però mi ha fatto piacere leggere le vostre recensioni. Mi avete resa felice.
Nashira07: grazie
per le tue bellissime parole! Si, parlo di quotidianità, di
amicizia, di amore...tutte cose nelle quali credo fermamente e mi piace
raccontarle a modo mio. Sulla base di ciò che ho vissuto e vivo
tutt'ora. Spero continuerai a seguirmi, anche se aggiorno di rado.
Lady Jadis: l'onore
è tutto mio, Annachiara. Perchè tu hai la pazienza di
leggere e darmi consigli. Ma soprattutto di sopportarmi e supportarmi,
nonostante io continui a pensarla nello stesso modo sul mio modo di
"scribacchiare". Non potrò mai ringraziarti abbastanza!!!
Dindy80: purtroppo
per gli aggiornamenti posso farci ben poco. Ho mille impegni e scarse
idee, è un periodo così. Spero passi. Il genere è
un altro problema, ma io sono fatta in questo modo, questo è il
mio stile. Pazienza :). Grazie comunque per esserci sempre. Sei una
lettrice costante e sempre presente!!! Lo apprezzo molto!
Giulls: tesoro!
Sono felice che tu abbia letto anche quest'altra mia storia! Mi fa
davvero molto piacere, così come mi rende orgogliosa il fatto
che tu l'abbia apprezzata. Grazie, grazie, grazie all'infinito <3!!!
Ho avuto molti dubbi nella stesura di questo capitolo.
Ho cambiato idea più volte, alla fine ho optato per questo che
ora leggerete. Credo di aver preso la decisione migliore e spero che
l'apprezziate.
Un bacio a tutti. Spero di poter aggiornare presto.
Capitolo 4 “Il passato”
“Andiamo a casa mia?” chiese lui, scendendo a baciarmi il
mento. Annuii in trepidazione di fronte al suo sguardo languido.
Non ricordavo che il suo appartamento fosse così vicino.
Quando John scese dall’auto, restai impietrita al mio posto.
Avevo il cuore che batteva a mille e una paura folle di fare
qualcosa di dannatamente eccitante, ma stupido.
Dannata me e la mia coscienza!
John si fermò sotto la pioggia proprio davanti alla macchina
e mi guardava attraverso il parabrezza. Incrociai i suoi occhi.
Avrei voluto che l’alcol annullasse i miei sensi.
Avrei voluto perdermi in quella notte. Senza pensare.
Ma non sarebbe stato così.
Io fissavo John e lui faceva lo stesso con me. Poi mi sorrise
e riconobbi in quello splendore, il mio amico. Di riflesso sorrisi anch’io.
Fu in quell’istante che scesi dall’auto e mi avvicinai a
John.
“Vuoi tornare a casa?” mi domandò quando gli fui accanto.
“Non ho voglia di rientrare” risposi continuando a guardarlo
negli occhi.
“Sai” disse deviando il mio sguardo “Ho temuto che
rovinassimo tutto” ammise.
“Anche io” soffiai e lui voltò il viso verso di me “Ma siamo
due persone con la testa sulle spalle” intonai seria e John alzò gli occhi al
cielo. Risi. “Scherzo. In ogni caso, è bene che non siamo andati oltre, ce ne
saremmo pentiti”, lui annuì concorde. Un tacito assenso.
“Posso restare da te?” John mi guardò scioccato. “Non capire
male” scossi la testa “Non mi va di tornare a casa in questo stato pietoso” il
mio amico alzò un sopracciglio confuso “Stai benissimo!” “No, ti assicuro che
non è così. Fammi restare qui, solo per stanotte” e gli feci gli occhioni
dolci.
Evidentemente funzionarono perché mi prese per mano e mi
trascinò su per le scale di casa sua.
“Allora tu dormirai nel mio letto, io invece mi preparo il
divano”. John viveva in un piccolo appartamento a Hackney, nella zona nord-est
di Londra. Vive da solo da qualche anno e si manteneva col suo lavoro in
librearia e qualche extra nel ristorante del cugino proprio nei pressi di casa
sua.
“Ma mi spiace rubarti il letto!” esclamai. John mi scrutò con
tenerezza, si avvicinò e mi abbracciò “Non mi rubi nulla. Fa come se fossi a
casa tua, sai dove si trovano bagno e cucina. Non so quanta roba ci sia nel
frigo. Spero di non fare figuracce” ridacchiammo.
“Pensi che la maglia che ti ho dato ti vada?” domandò “Si, è
enorme! Ma chi sono i tipi disegnati sopra?” John mi guardò come fossi
un’aliena “Oh Dio! Ma tu di musica non t’intendi proprio!” si diede una manata
in fronte “Devo fare una chiaccierata con Daiana, deve assolutamente portarti
con sé al negozio di dischi. Comunque tanto per la cronaca quelli lì sono 30
Second to Mars” rispose indicandoli. Una scintilla accese i suoi occhi.
Probabilmente era loro fan.
“Ah!” dissi “Ho sentito parlarne. Una volta Jenny e Dod ne discutevano
animatamente” mi grattai il capo confusa. John scoccò la lingua sui denti “Ti
lascio dormire, ubriacona!” esclamò uscendo dalla stanza.
Era notte fonda e non riuscivo a dormire. Avevo telefonato a
Jenny sapendo di trovarla sveglia e l’avevo avvertita che sarei rincasata
l’indomani mattina presto prima di andare a lavoro. Mi aveva candidamente
ricordato che il giorno dopo era sabato e che mi ero presa un permesso qualche
settimana prima dietro insistenza di lei e Daiana che volevano riposassi un
paio di giorni. Stranamente non mi fece domande particolari, per questo mi
venne il dubbio che John avesse parlato con lei prima di me. Prima di attaccare
si raccomandò di dormire quanto più possibile. Non voleva uno zombie in casa.
Certe volte era proprio “simpatica”. Strosi il naso e mi
coricai.
Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto. Seccata mi alzai.
Scalza inziai a gironzolare per l’appartamento. Questo mi ricordava la mia
infanzia, quando piccina giravo per casa senza pantofole. Mi piaceva il
contatto diretto col pavimento.
Arrivata in cucina, aprii il frigo e bevvi un sorso di succo
di frutto alla pesca. La testa mi ronzava ancora per la musica troppo alta e
per l’alcol che avevo ingerito.
Per tornare in stanza, dovevo passare per il salotto. Quando
mi trovai davanti al divano di John mi fermai a guardarlo dormire.
Era quasi angelico.
Cosa sarebbe successo se davvero non ci fossimo fermati?
Saremmo di certo finiti a letto insieme buttando all’aria tutto. Mi portai una
mano tra i capelli, stanca per tutto quel pensare inutile e dannoso. Eppure non
riuscivo a smettere, perché porca miseria: mi era piaciuto baciarlo! Ma non
erano le sue labbra. No. Era proprio la sensazione del bacio ad avermi
stordita.
Dio quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo
baciato un uomo?
Troppo tempo. Facevo quasi fatica a ricordarlo.
Tre anni. Tre anni da quando ero fuggita a Londra dopo il
tradimento di Francesco, la delusione della mia amica, nonché sua sorella e
l’incoraggiamento di mia madre a riprendermi la mia vita. E ora ero lì, nella
casa di una delle persone che più mi volevano bene in quel posto.
Ma mi mancava quel brivido.
Mi mancava maledettamente sentirmi importante per qualcuno.
Qualcuno che non fosse un amico.
E porca miseria! Mi mancava anche poter avere il batticuore.
Quello meraviglioso del primo appuntamento. Oppure quello dell’attesa di un
messaggio o di una chiamata. E magari quello strano languore che si prova
quando si ama qualcuno.
Tutto s’era risvegliato a quell’incrocio grazie a quegli
occhi e che quella sera credevo di aver rivisto.
Ah mio Dio! La testa iniziava a pulsarmi troppo. Decisi di
tornare a letto, ma nel farlo, urtai contro il tavolino.
“Accidentaccio a me!” imprecai a bassa voce chinandomi a
massaggiare il piede offeso. “Maggie?” la voce impastata di John mi giunse alle
spalle. Mi voltai colpevole, il mio amico nel buio cercava di capire dove
fossi. Quando accese la lampada sul tavolo, lo vidi semidisteso.
“Ciao” dissi scattando
all’inpiedi “Tutto bene?” chiese John “Si, si, avevo sete” risposi
frettolosamente “Ok” disse lui continuando a scrutarmi con uno strano cipiglio
sul volto “Non riesci a dormire” affermò sicuro “Non me lo stai chiedendo”
dissi. “Vieni qua!” scostò la sua coperta per farmi spazio. Lo raggiunsi e mi
stesi accanto a lui.
“Cos’hai? “ domandò a bruciapelo “Pensieri” risposi vaga “E
spegni questo cervello!” ordinò perentorio “Hai bisogno di riposo, oggi è stata
una giornata lunga” “Domani sono di festa, posso riposare” ribattei “Non mi
interessa, ora sei qui con me e dormirai. Non voglio sentire volare una mosca,
chiaro?” domandò fintamente severo “Chiarissimo!”.
“Bene. Buonanotte” e mi avvolse nella coperta “Buonanotte
John”. Chiusi gli occhi e mi addormentai, abbracciata al mio amico.
Fievoli e fastidiosi ticchettii mi svegliarono.
Aprii lentamente le palpebre e un piccolo raggio di sole
m’illuminò il volto.
Infastidita, mi portai una mano sugli occhi.
“Buongiorno!” esclamò vivace una voce “Ben svegliata!” ora
era più vicina.
Quando mi accorsi che il sole non c’era più, spalancai gli
occhi trovandomi davanti il volto allegro di John.
Sorrisi di riflesso. Quel ragazzo aveva l’innata capacità di
farmi sentire bene. E non era cosa da tutti.
“Come ti senti stamane?” chiese sedendosi sul divano.
“Molto meglio, grazie” risposi, mettendomi a sedere. “Che ore
sono?” domandai, guardandomi attorno alla ricerca di un orologio “Sono le
otto!” mi disse “Potresti riposare ancora un po’ visto che non devi andare a
lavoro” aggiunse poi.
“Mmm” mugugnai, stirando le braccia e sbadigliando
“Effettivamente potrei farlo, ma non mi va di approfittare ancora della tua
ospitalità. E poi tu non devi andare in biblioteca oggi?” dissi guardando John.
Lui negò con la testa “Mi ha chiamato Carol dicendomi che avrebbero aperto solo
per qualche ora, perché deve partire per Dublino. Un viaggio di lavoro, a
quanto pare ha un appuntamento con un importante fornitore. Era molto
eccitata!” “Wow, fantastico!!! Arriveranno presto nuovi libri!” risposi
“Speriamo siano letture interessanti, altrimenti come passerò il tempo?”
ridemmo entrambi.
“Ti va di fare colazione?” John si alzò in piedi e si diresse
verso il piano cottura. Il mio stomaco brontolò appena, facendomi arrossire
“Si, forse è meglio che mangi qualcosa” risposi andando verso di lui.
“No, lascia stare! Preparo io, tu va pure a darti una
sistemata. Non hai una bella cera, si vede proprio che non sei abituata a
bere!” John sghignazzò prendendosi gioco di me. Io gonfiai le guancie a
palloncino, imbarazzata, fingendomi offesa. In realtà aveva perfettamente
ragione. Certe volte ero davvero noiosa e scontata e al di fuori della mia
normale routine potevo apparire buffa.
Chissà come mi vedeva John in quel momento.
Chissà cosa lo aveva spinto a baciarmi.
Di certo l’alcol aveva influito, però…lui era gay e non
doveva provare attrazione per una donna. Soprattutto per me che diceva ero
normale e poco divertente. Scherzava, ma ero sempre stata convinta che avesse
ragione. Ero sempre troppo misurata. Ogni cosa facessi.
Una volta in bagno, commisi il grosso errore di guardarmi
allo specchio. Ero più pallida del solito, eppure non mi sentivo male. I
giramenti di testa erano passati ed ero riuscita a riposare abbastanza
tranquillamente.
Però il mio aspetto fisico risentiva dei miei malumori
interiori.
Sospirai rassegnata e mi gettai sul viso dell’acqua fredda
prima di tornare in cucina.
“Ecco a te!” esordì John una volta vistami rientrare.
Sul tavolo c’erano uova, succo di frutta, cereali,
marmellata, biscotti e anche una tazza di latte con caffè.
“Wow!” ero senza parole “Si, si. Niente complimenti!” mi
schernì John con finta aria altezzosa “Non ho preparato tutto questo per te,
bensì per me. Io devo mantenermi in forze!” proferì accomodandosi e iniziando a
mandar giù le uova.
Sorrisi, scuotendo il capo.
“Ma infatti io non stavo per farti alcun complimento.
Ingozzati pure, io mi bevo solo il latte con tre biscotti” asserii sorseggiando
un po’ di latte.
“Oooh!” borbottò John con la bocca piena “Vuole fare la
modella!!!” mormorò ironico. “Ah, ah, ah” finsi una risata “Idiota!” dissi
piccata “A prima mattina non mi piace mangiare. Sono abituata così, poi di
solito sono sempre di fretta e non mi soffermo molto sulla colazione” gli feci
una linguaccia.
John mi trafisse con lo sguardo “Signorina” esordì “Lei
dovrebbe prendersi più cura di se stessa. È importante non solo per il corpo,
ma anche per lo spirito” proferì in tono professionale.
“Stai tranquillo. Io sono una roccia” e alzai il braccio per
mostrargli il mio muscolo. Lui storse il naso “Seh come no!” rispose “Oggi mi
prenderò io cura di te e non accetto un no come risposta. Dopo telefono a
Jenny, invitiamo anche lei e Doddia a pranzo qui, che ne dici?” domandò,
dandomi le spalle per posare nel lavello, il piatto vuoto.
“Ok” dissi mandando giù un biscotto “Cuciniamo insieme, ti
va?” proposi allettata all’idea. John si girò a guardarmi serio, poi sorrise
“Certo che si!”.
Io e John eravamo usciti per fare la spesa.
Jenny e Daiana avevano accettato di buon grado l’invito a casa
del nostro amico, e s’erano proposte di darci una mano, ma John aveva
gentilmente rifiutato, dicendo loro che non c’era bisogno e che al massimo
potevano occuparsi del dolce. Ma lì ero intervenuta io. Per una volta volevo
cimentarmi nel prepararo qualcosa che mi riconducesse al passato, nel mio bel
paese.
“Allora, uova, mascarpone, caffè, savoiardi, pasta, insalata,
pane…manca qualcosa?” chiese John leggendo la lista della spesa.
“Che ne dici se compriamo un po’ di carne e l’arrostiamo
sulla brace? Oggi è una bella giornata, posso mettermi sul balcone a farlo. Si
potrebebro anche fare delle bruschette!” dissi sorridente. Eccitata all’idea di
cucinare.
“Se può farti continuare a sorridere in questo modo, è chiaro
che ti dico di si” esclamò John mettendomi una mano sulla spalla. Lo guardai e
sorrisi ancora.
“Ti piace stare ai fornelli?” domandò poco dopo “Si.
Quand’ero in Italia, io e il mio gruppo di amici avevamo un posto abbandonato
dove andavamo spesso. Una vecchia torre sul mare, si vociferava che fosse stata
usata come luogo di guardia durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’avevamo addobata come fosse casa nostra e il più delle volte durante
l’inverno, ci chiudevamo lì dentro e cucinavamo. Io ero l’addetta ai fornelli.
Mi faceva stare bene fare da mangiare per i miei amici. D’altronde loro
apprezzavano e questo non faceva altro che incoraggiarmi.”
“Dovevano volerti molto bene” sottolineò con John con voce
dolce. Annuii, ma non aggiunsi altro.
Pagammo il conto e ci dirigemmo spediti verso casa.
John si offrì di cucinare la pasta, io mi dedicai alla brace.
Preparai il carbone e tutto l’occorrente per la carne.
Mentre aspettavo che le carbonelle raggiungessero la giusta
temperatura, iniziai a montare le uova col mascarpone per il tiramisù. Era il
dolce che preparavo sempre in Italia.
“Non ho mai capito bene perché tu sei venuta a Londra”
affermò John, mentre mi osservava. Alzai di poco la testa per fissarlo.
“Non è una storia interessante” ammisi “Che m’importa!
Neanche la mia lo è, ma tu mi hai ascoltata senza battere ciglio” proferì
muovendosi accanto a me. Sospirai.
“Non devi sentirti costretto a farlo, solo perché io ho
ascoltato te e poi davvero John: ti annoieresti e basta!” ribadii sperando di
fargli cambiare idea. Ma fu tutto inutile.
Battè un pugno sul piano cottura, facendomi trasalire. “Oh ma
sei testarda!” esclamò serio “Non ricambio alcun favore. Sono davvero
interessato a ciò che ti riguarda. Sei mia amica, ma so troppo poco di te e
della tua vita passata!” dichiarò, agitando le mani in aria.
“Ok” mi arresi “Cosa vuoi sapere?” un sorriso strafottente
nacqua sul suo viso. “Ogni cosa!” mormorò.
“Sono arrivata qui a Londra tre anni fa…” “Si, si questo lo
so. Va avanti!” proruppe John. Lo guardai di sbieco con furia “Vuoi ascoltare o
no?” sbottai “Si, scusa” disse. Presi un respiro e ricominciai: “Dicevo: tre
anni fa ho fatto i bagagli e sono volata qui a Londra. Non so perché io abbia
scelto proprio questo posto, ma credimi se ti dico che io e l’inglese non siamo
mai andati d’amore e d’accordo. A scuola mi impegnavo tanto, ma ho sempre
pensato che questa lingua mi odiasse” sorrisi malinconica al ricordo di me e
delle ore spese a studiare.
“Sono praticamente scappata e in quel momento Londra mi
sembrava il posto giusto. Ho guardato la cartina dell’Europa e il mio sguardo è
caduto su questa città. Ho avvertito una sensazione strana di pienezza. Non so
spiegarti, so solo che quando ho pensato di partire e venire qui, mi sono
sentita in pace con me stessa”
“Perché sei scappata?” eccola lì la domanda che temevo. Non
c’era cattiveria nella voce di John, ero il mio incoscio a registrarla male.
Nei primi tempi in cui vivevo a Londra, molti mi telefonavano per chiedermi
spiegazioni e questo interrogativo me lo sono sentito porre più volte con
acidità e crudeltà. Nessuno comprendeva che seppur semplici parole, mi facevano
male.
“Prima di partire vivevo una vita normale, ma felice.
Studiavo psicologia all’università e stavo per laurearmi. Nel frattempo facevo
tirocinio presso un studio nella mia città e partecipavo a serate di karaoke in
un locale. Coltivavo i miei interessi. Sono sempre stata una persona cordiale e
questo mi ha permesso di fare amicizia con molte persone. La mia cerchia di
amici era molto vasta e molti di loro avevano frequentato le scuole superiori
con me. Stavo bene, avevo tutto quello che desideravo: una bella famiglia,
amici meravigliosi e…un ragazzo che amavo tantissimo e che mi ricambiava
calorosamente” mi fermai un attimo e fissai un punto indefinito davanti a me.
John non disse nulla, probabilmente comprese il mio stato
d’animo.
“Francesco era il ragazzo migliore del mondo: affettuoso,
dolce, simpatico, socievole. Praticamente incarnava il mio tipo ideale.
Caratterialmente era simile a me, la pensavamo uguale su molte cose. Sua sorella,
Annalisa, era la mia migliore amica. Grazie a lei avevo conosciuto Francesco e
da lì tra di noi era scattato qualcosa. Qualcosa che s’è rivelato essere
importante anni dopo. Quasi per caso ci siamo ritrovati di nuovo e da quel
momento non ci siamo più separati.” Continuai il mio racconto, prendendomi
continue pause e non guardando mai negli occhi il mio interlocutore, quasi
temessi che potesse leggervi dentro tutta la mia verità.
“Prendi” John comparve con in mano un bicchiere d’acqua
“Credo che tu ne abbia bisogno” sorrise teneramente “Grazie” balbettai
afferrandolo e sorseggiando lentamente il liquido trasparente.
“Se non te la senti di continuare, non importa. Lo farai
un’altra volta” pronunciò quelle parole con voce bassa, quasi temesse di
ferirmi.
“No, no. Voglio raccontarti ogni cosa!” affermai con
sicurezza, posando il bicchiere sul piano cottura.
“Francesco decantava il nostro amore a destra e a manca.
Diceva a tutti che ero la donna della sua vita e che un giorno mi avrebbe
sposata. Immagina la mia gioia!” esclamai ripercorrando, passo, passo, ogni
singolo istante. “E invece cos’è successo?” domandò John. Lo scrutai, sentivo
già le lacrime prorompere dai miei occhi.
Deglutii saliva. “Un anno e mezzo dopo, per caso ho scoperto
che mi tradiva. Lo faceva già da qualche mese con una ragazza che lui conosceva
da anni. Non mi ero accorta di niente. Assolutamente di niente!” dissi con
rabbia, stringendo entrambe le mani a pugno. “Era un attore nato ed io stupida
che gli credevo. Quando sono corsa da Annalisa per raccontarle l’accaduto, lei
non ha battuto ciglio, anzi non sembrava affatto meravigliata” notai John
trattenere il fiato.
“Quando le ho chiesto spiegazioni lei mi ha detto che lo
sapeva” le lacrime mi impedivano di parlare, ma non mi arresi e continuai “Lo
sapeva da qualche settimana e non mi aveva detto niente, perché non voleva
rovinare tutto. Ma tutto cosa le gridai io piangendo. Quel giorno litigammo
come non era mai successo prima e quando rientrai a casa, mia madre mi vide
sconvolta e ascoltò il mio racconto senza dirmi nulla. Alla fine urlai che
volevo andarmene da lì, che avevo bisogno di staccare la spina. Fu allora che
mamma mi propose di partire. Lei non mi ha mai abbandonata, mi ha sostenuta in
ogni decisione” alzai lo sguardo fiera di avere una madre così presente e
amorevole. Era soprattutto grazie a lei che ero rimasta in piedi. Nonostante la
lontananza.
“Ho fatto il biglietto per Londra il giorno stesso e tre
giorni più tardi sono partita. Qui ho avuto l’appoggio di un amico di mio padre
per i primi tempi, poi ho iniziato ad arrangiarmi da sola, non appena ho preso
a lavorare in biblioteca”
“Non hai più parlato con Francesco e Annalisa?” chiese John,
asciugandomi le lacrime. “Sono io che non ho voluto più avere a che fare con
loro. Mi hanno cercata entrambi, ma io mi sono sempre fatta negare. Quando sono
giunta a Londra, mamma mi ha detto che Annalisa era rimasta sconvolta e delusa dalla
mia decisione di scappare. Secondo lei non avevo le palle per affrontare il
problema e per questo avevo fatto la scelta più semplice. Probabilmente aveva
ragione, ma ora so di aver preso la decisione migliore per me” fissai John
negli occhi e gli sorrisi “Qui ho trovato delle persone meravigliose che non mi
giudicano, ma mi amano nonostante sia noiosa e petulante. Cosa potrei
desiderare di meglio?” a quel punto John mi stritolò in un abbraccio.
“Io non so cosa sarebbe successo se fossi rimasta in Italia”
disse “Ma sono felice di averti qui. Mi spiace che tu abbia sofferto, ma ora è
arrivato il momento che tu ti lasci alle spalle il passato e guardi al futuro
con ottimismo. Tu puoi avere di più! Devi solo crederci” e con quelle parole,
mi lasciai andare ad un pianto liberatorio.
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