Two years

di Sognatrice85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Vita a tre ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 4: *** La festa ***
Capitolo 5: *** Il passato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo Two Years

Buongiorno…
Sono giorni che ci penso, ho deciso di mettermi alla prova anche in questa sezione, è da un po’ che provo a scrivere storie originali e due giorni fa è venuta fuori questa. Devo ringraziare le mie due sorelle Jenny e Daiana, sono loro che mi ispirano e mi incitano a proseguire. Ho il loro appoggio, quindi prendetevale con loro :P.
Oggi posto il prologo, spero possa incuriosirvi…

Alla prossima…

“Two years”

Prologo

 

Come si può amare qualcuno senza in realtà averlo mai conosciuto?
Ormai erano trascorsi due anni da quando lo avevo visto e il cuore non smetteva di fare i capricci. Mi ero innamorata di lui senza realmente rendermene conto, lasciando andare il cuore a briglia sciolta, facendolo correre impazzito, semplicemente per aver incrociato i suoi occhi azzurri, immersi in una strana pozzanghera grigiognola, striata di quel nero così lucente, da accecarti.
Non avrei mai dimenticato la sensazione di straordinario benessere che avevo provato immergendomi in quell’oceano immenso, quel qualcosa di oscuro e misterioso mi aveva trascinato affondo e turbata più del dovuto.
Un’emozione inspiegabile a parole.
Avevo letto in quello sguardo parole che in realtà lui non aveva pronunciato, forse non lo avrebbe mai fatto. Infondo chi ero io se non una sconosciuta ?
Quell’incontro verificatosi in quella soleggiata giornata di maggio, a quell’incrocio di una Londra frequentatissima a quell’ora di punta, aveva completamente cambiato la mia vita e dopo diversi tentennamenti e la spinta delle mie due migliori amiche, mi ero messa alla ricerca disperata di quegli occhi per cui avevo perso definitivamente la testa…

Due anni…

Bastavano quelli per rivoluzionare il cuore di una persona?

Due anni…

La sola paura che lui non fosse più in zona mi terrorizzava.

Due anni in cui avevo vissuto con il timore e la speranza di incontrarlo.

Due anni in cui le persone che credevo più importanti, avevano rinunciato a capirci qualcosa nella mia mente contorta e bacata.

Due anni in cui, Jennyfer e Daiana erano entrate a far parte della mia famiglia solitaria e in punta di piedi, mi avevano donato quella gioia che tanto cercavo.

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Capitolo 2
*** Vita a tre ***


Vita a tre

Buongiorno a tutti e buon fine settimana.
Grazie a coloro che hanno letto questa storia, anche a chi l’ha inserita tra i preferiti, seguiti e ci l’ha recensita. Ne sono davvero contenta, ci tengo molto a questo racconto, è un po’ come un sogno per me e le mie due amiche protagoniste. Questo capitolo è interamente dedicato a voi, Jenny e Daiana, perché vi adoro indiscutibilmente e non potrei immaginare di stare senza la vostra amicizia. Siete le persone che più amo e che stimo! Vi voglio bene!!!

 

 
Doddola93: eccola la mia sorellina dolce e adorata. Grazie per le tue parole, essere motivo di orgoglio per te, è lusingante e non so davvero come sia possibile che tu mi apprezzi così tanto!!! Un giorno dovrai spiegarmelo. Ti voglio un bene dell’anima, Daiana…

 

Angyr88: spero che questo capitolo possa farti capire qualcosina di quello che è successo alla protagonista, quello che succederà, invece, è tutto da scrivere :). Un bacio e grazie per la recensione.

 

Ginevrapotter: è bello ritrovarti anche qui, sono felice di questo! Spero mi seguirai ancora. bacio.

 

Prima di concludere voglio ringraziare con il cuore tutti coloro che hanno inserito me tra gli autori preferiti. Sono onoratissima *__*
Vi lascio al capitolo e vi ricordo che se qualcuno volesse contattarmi questo è il link del  My facebook. Inoltre volevo dirvi che ho creato un gruppo sulle mie storie Quelli che amano le storie di Sognatrice85, se volete farci un salto ne sarò felice. Buon fine settimana.

 

Capitolo 1 “Vita a tre”

 

 

Correvo.
Correvo come sempre.
Ero perennemente in ritardo. Un caso disperato il mio.
Imprecavo come una turca, mentre sfrecciavo con l’auto per le strade silenziose della città.
Vi chiederete: perché proprio come una turca?
Beh semplice: non si capiva una parola di quello che dicevo. Mi ero trasferita a Londra da circa tre anni e il mio inglese difettava parecchio, come la mia auto.

Si, la mia macchina era decisamente troppo vecchia.

Jenny mi prendeva sempre in giro, dicendo che “quella vecchia ferraglia” come la chiamava lei, arrancava quanto me. Sorrisi pensando a lei, a quanto fosse buffa e monella, nonostante fosse più grande di me di due anni. Doveva fare la mia sorella maggiore, essere un esempio da seguire e invece, si divertiva a comportarsi da bambina troppo cresciuta, ma l’amavo anche per questo. La conoscevo abbastanza da poter affermare con assoluta certezze che era un suo modo per far stare bene gli altri, nonché un metodo per allontanare la tristezza. C’era da dire comunque, che quando si doveva essere seri, lo era e quasi mi spaventava, i suoi occhi sembravano scurirsi, tremavo al solo pensiero. Non era un caso se c’eravamo trovate: lei mi completava, io ero troppo coscienziosa, una rompipalle cronica, lei invece, faceva di tutto per divertirsi e divertire, ridere e far ridere e  dovevo ammetterlo: ci riusciva alla grande. Anche e soprattutto con me. Jenny era una folata d’aria fresca nella mia arida vita, senza ogni singola cellula di me sarebbe stata diversa. Ormai non potevo più farne a meno.

Era la mia vita, la mia quotidianità.

I freni dell’auto fischiarono davanti all’ennesimo semaforo rosso.
Sbuffai sonoramente.
Decisamente Jenny aveva ragione: avevo una vecchia ferraglia come auto.
Sbuffai di nuovo, poggiando la testa sul volante e mi guardai attorno stancamente, a quell’ora del mattino non c’era granché di gente in giro. Erano scarse le sette e tre quarti ed io non avevo dormito molto quella notte. Come del resto era capitato fin troppo spesso in quegli ultimi due lunghi anni.
Sospirai, fossilizzando il mio sguardo sul semaforo, pregando si facesse verde al più presto, altrimenti Carol chi l’avrebbe sentita. A breve il furgoncino coi rifornimenti sarebbero arrivati ed io dovevo essere lì per sistemare gli scaffali. Già vedevo il mio capo, o capa come dicevo io scherzosamente, che sbraitava per il mio ritardo ed io muta, mi prendevo una lavata di capo come Dio comandava, incapace poi di replicare. Valle a spiegare com’era incasinata la mia vita!
D’improvviso il cellulare prese a squillare, le note dei Muse invasero l’abitacolo dell’auto, risvegliandomi dal mio torpore; cercai il telefonino nella borsa con una mano, mentre con l’altra continuavo a guidare “Pronto?” risposi senza neanche vedere chi fosse “Maggie!” un urlo mi squarciò l’orecchio e fui costretta ad allontanare di poco il cellulare dal mio povero organo lesionato “Ma che cavolo ti urli, Jenny!” imprecai, la mia amica rise “Oh al diavolo! Si può sapere che ti prende? Mi chiami per prenderti gioco di me?!?” sibilai tra i denti irritata “Ti avverto: ho un sonno pazzesco e ho i nervi a fior di pelle, quindi prego  per te che tu abbia alzato la cornetta solo per dirmi qualcosa di veramente serio!” conclusi inspirando, il corso di yoga non serviva a un tubo. Il mio nervosismo era sempre alle stelle, non accennava a diminuire. “Volevo semplicemente farti presente che hai dimenticato una certa cosa sul tavolo all’ingresso”, storsi naso e bocca, confusa “Mmm…cosa? Non ricordo” alzai un sopracciglio disorientata. Jenny sospirò esasperata “Hai proprio la testa da un’altra parte, eh?” disse, immaginai la sua faccia, non volevo farla preoccupare, aveva già i suoi mille problemi “Comunque hai dimenticato il plico con i fogli che dovevi consegnare entro oggi alla Star Box per partecipare a quel concorso” frenai di botto, fermandomi in mezzo alla strada e attirando le ire e le bestemmie del tassista alle mie spalle. Come avevo potuto dimenticare una cosa del genere, avevo trascorso tutta la notte a girarmi e rigirarmi nel letto, pensando a quel maledettissimo concorso a cui Daiana mi aveva spinto a partecipare. La sua faccia d’angelo, i suoi occhioni dolci e la sua vocina tanto dolce e tranquilla, “effetto camomilla”, come l’avevamo ribattezzata io e Jenny, erano bastate per farmi capitolare. Daiana o semplicemente Dod, come si faceva chiamare da noi, sue sorelle acquisite, era la piccola di casa, vent’anni, ma una personalità forte quanto quella di una persona con anni di esperienza alle spalle. Era saggia, tanto e mi perdevo ad ascoltarla quando si dilettava a raccontarci qualche sua personale pillola di saggezza. Aveva di certo una visione della vita tutta sua e amava Londra quanto me e Jenny. La consideravamo la nostra città natia, nonostante fossimo nate e cresciute in Italia, in paesi diversi, in tempi diversi, con persone diverse e poi un giorno ci eravamo trovate tutte da Starbucks a sorseggiare tre caffé forti, tutte e tre esauste per un lavoro che ci chiedeva tanto, ma allo stesso tempo ci appassionava. Era bastato guardarci in faccia per iniziare a sorriderci, da lì in poi fu un crescendo di incontri, fino alla decisione di prendere casa insieme.
Ferma in mezzo alla strada ripensavo a quel concorso. Due settimane prima, Daiana era tornata dal negozio di cd presso il quale lavorava, non aveva neanche salutato ed era corsa da me in stanza. Ricordo il fiatone, la cassa toracica le si alzava e abbassava più del dovuto “Doddi stai bene?” le chiesi guardandola basita, inclinando poi la testa di lato, lei annuì con decisione. Fece qualche passo in avanti e mi parò dinanzi agli occhi un foglio. Lo fissai stranita “Leggi!” m’intimò mentre iniziava a respirare in modo più regolare “La Star Box di Londra presenta un concorso canoro per giovani artisti o band che vogliono farsi strada nel mondo della musica. Se anche tu sogni di poter incidere un cd, allora partecipa, basta compilare l’apposito modulo che troverete nei negozi di musica che presentano questo cartello e inviatelo entro e non oltre, il 30 Novembre all’indirizzo…” m’interruppi alzando gli occhi verso la mia amica. La sua espressione ilare e gioiosa, si tramutò non appena incrociò i miei occhi stanchi. Non le dissi niente, mi alzai semplicemente avviandomi verso la finestra e dandole le spalle “Dod…” guardai Londra sprofondare nel buio più totale e mi emozionai “Non posso…” dissi solo “Perché?” domandò con decisione. Sospirai. “E non dirmi che non vali niente, che non hai la voce, che il tuo timbro fa pena o cazzate simili, perché altrimenti mi imbestialisco!” tuonò grave. Continuai a lasciar vagare i miei occhi verso l’orizzonte inghiottito dall’oscurità della notte e desiderai essere risucchiata via. “Beh…” dissi voltandomi verso la mia amica, la quale aspettava la mia risposta con le mani sui fianchi e un piede che batteva nervosamente sul pavimento “Allora mi sa che ti arrabbierai” e le sorrisi appena, le sbuffò “Tu ora mi stai a sentire!” mi tirò per un braccio e mi fece sedere sul letto, mi prese le mani e le chiuse a coppa tra le sue, le strinse forte e chiuse gli occhi, i suoi lineamenti si addolcirono maggiormente, se mai fosse stato possibile “Maggie, tu devi darti una possibilità” cominciò “Ti sei buttata in un lavoro che, si ti piace, ma la tua vita non è quella. Lo sai tu, lo so io, lo sa Jenny e persino le mura di questa casa, l’hanno capito!” risi leggera, lei inarcò un sopracciglio, contrariata “Scusa” mormorai abbassando il capo. Daiana mi accarezzò una guancia provocando in me una strana sensazione di tranquillità e benessere, mi sforzai di guardarla: non c’era rimprovero nel suo sguardo, ma tanto amore. Ed era per me. Solo per me. Mi sorrise teneramente “Smettila di nasconderti. Questo è il modulo per l’iscrizione, te lo lascio qui” lo poggiò sulla scrivania “In caso che tu cambiassi idea…” si allontanò di poco, fermandosi sulla porta. Senza voltarsi mi disse qualcosa che mi sarebbe rimasto a vita dentro “Lotta per i tuoi sogni, lotta per ritrovare te stessa. Lotta seguendo il cuore. So dove vuole portarti. So che parla anche di lui” si stoppò un attimo, come a volermi far assimilare il colpo “Durante il sonno lo nomini spesso…lo chiami << il tuo pensiero felice >>” si fermò nuovamente, io tremai stringendo tra le dita, il lenzuolo viola del mio letto “Fa che ci diventi davvero…questa potrebbe essere un’opportunità. Avete una passione in comune, quella chitarra ne è la testimonianza. Lotta sorellina! Ti voglio bene” e chiuse la porta, andandosene. Quella sera piansi, era da tanto che non lo facevo. Preferivo restare sola quando mi succedeva e le mie due migliori amiche lo sapevano, mi conoscevano meglio di chiunque altro, nonostante condividessimo quella casa da soli due anni. Alla fine mi alzai dal letto, erano ormai le undici di sera, ma sapevo perfettamente che loro erano ancora sveglie. Le raggiunsi in salotto, guardavano un programma comico in tv, mentre mangiavano pop corn. Jenny mi fece spazio sul divano e mi porse il pacco con i pop corn, ne afferrai un paio e li mandai giù. Loro continuarono a guardare la televisione. “Lo farò” dissi soltanto, fu quello a provocare il putiferio: contemporaneamente si girarono verso di me e spalancarono gli occhi stupefatte, mi venne il dubbio che avessero visto un fantasma, tant’è che mi guardai le spalle, non notando nessuno, mi rivolsi nuovamente a loro. La loro posizione non era affatto cambiata, Jenny continuava ad avere la bocca aperta con ancora due pop corn sulla lingua. Le fissai basita “Che vi prende?” chiesi preoccupata “Non avete sentito quello che ho det…” non mi diedero il tempo di finire che me le ritrovai entrambe addosso che mi stritolavano in un abbraccio affettuoso e gridavano “Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!!!”, tutto questo mentre i pop corn si spandevano allegri e felici per tutto il salotto.

Sospirai frustrata “Sorellina sta tranquilla. Più tardi scendo a fare delle commissioni, anche perché se non lo faccio il frigo continuerà a piangere e presto saremo costrette a mangiarci i mobili” risi allegra “Dicevo: siccome devo uscire, mi allungo dalle tue parti e ti porto i documenti” mi rilassai sul sedile dell’auto, ringraziando il cielo “Li porterei direttamente al negozio di musica, ma punto primo devi andarci di persona per firmare le altre carte e secondo se Dod scopre che te ne sei dimenticata, penserà che lo hai fatto apposta ed io credo che questa volta, davvero sia stata una tua dimenticanza” disse dolce “Non l’ho fatto di proposito, ero talmente agitata che ho rischiato anche di cadere per le scale dell’ingresso” sbuffai, Jenny ridacchiò “Tesoro, stasera ti preparo una bella camomilla e poi a nanna presto. Ora stai esagerando, devi riguardarti” sospirò “Lo so” ammisi “Seriamente!” ribatté la mia amica dall’altro cavo del telefono “Ti lascio andare. Vai o fai tardi” guardai l’orologio, segnava quasi le otto “Oh cavolo!!! Corro!” e attaccai.
Parcheggiai l’auto all’angolo del Sussex Gardens, la zona preferita dalla mia piccola Doddie, lì vicino c’era la statua di Peter Pan, la nostra fiaba preferita. Altro punto in comune. Sorrisi teneramente, poi inspirai e pregai mentalmente di essere in tempo.
Entrai nella piccola biblioteca nella quale lavoravo, Carol era intenta a consultare delle carte, quando sentì lo scricchiolare della porta, alzò la testa e mi fissò. Stranamente non disse niente “Buongiorno” salutai educatamente recandomi poi verso il retro e sistemando borsa e cappotto. Mi stiracchiai braccia e gambe, pronta per la sistemazione dei libri sugli scaffali “Il furgoncino è arrivato?” domandai entrando nella stanza “No, è in ritardo” rispose Carlol continuando a fare quello che stava facendo “Ah capisco” borbottai. “Tante corse per niente” pensai tra me e me. “C’è stato un incidente” disse poco dopo “Quindi mezza città dall’altra parte è completamente bloccata, di conseguenza ci vorrà un po’ prima che John arrivi con i nuovi libri. Nel frattempo, inizia a mettere in ordine lo scaffale dei classici, almeno ci troviamo parte del lavoro fatto” ordinò “Va bene” risposi diligente, dirigendomi verso il ripiano indicatomi.

Erano ore che sistemavo quei libri, non mi stancavo mai, amavo sentire l’odore della carta invadermi le narici, quello strano profumo che sapeva di nuovo e di antico misti insieme. Mi davano una strana sensazione di piacevole agiatezza, come se mi cullassero teneramente, una dolcissima ninna nanna. Leggere mi aiutava a sognare, a immergermi in quell’universo parallelo che non esisteva nella realtà, ma nella fantasia di chi, come scrittore, aveva la capacità di dipingere un mondo diverso fatto di sogni e speranze e non solo: spesso quelle pagine trasudavano di sofferenza e dolore, ma ti insegnavano a reagire, a lottare per la tua via, nonostante il patimento. Quando finivo di leggere un libro mi sentivo più leggera, più carica, ricca dentro di un pezzetto in più, mi dicevo di essere pronta a tutto, anche a scalare una montagna, ma tutto quell’entusiasmo durava soltanto qualche ora, fin quando la concretezza del mio vivere non mi investiva con la sua totale freddezza e le mie ali si dissolvevano nel nulla. Nuovamente.
“E’ permesso?” udii una voce che avrei riconosciuto tra mille, corsi verso l’ingresso e sorrisi a Jenny, la vidi guardarsi attorno meravigliata: tutto era minuziosamente lucidato e ordinato, ma quello che sorprendeva di più era il posto. Ogni angolo era di legno d’acero lucidato con cura dal figlio di Carlo sotto mio suggerimento. Mi sembrava un’idea carina creare un luogo che incuriosisse per la sua atipicità e allo stesso tempo stupisse per la sua semplicità. Doveva essere piccolo e accogliente, le persone dovevano sentirsi a proprio agio entrate lì, ritrovare un’atmosfera calorosa, amichevole, dove magari fermarsi pure qualche ora a leggere. Si, perché la piccola biblioteca era dotata anche di un angolo lettura e una mini sala bar per discutere di libri e non. Io amavo quel posto, spesso mi fermavo a guardare le persone sedute attorno a quei tavoli intente a leggere e mi domandavo cosa mai potesse passare per le loro menti, chissà se erano mai assaliti dai miei stessi dubbi o addirittura, dalle mie identiche emozioni. Scossi la testa per riprendermi e mi rivolsi alla mia amica attirando la sua attenzione con la mano sventolata in aria “Jenny, sono qui!” esclamai felice di vedere il mio raggio di sole, lei voltò il viso alla sua destra e mi vide. Sorrise con me e capii che era altrettanto felice di vedermi.

“Pranziamo insieme?” domandò mentre finivo di sistemare l’ultimo scatolone “Si, ma tu non devi portare la spesa a casa?” chiesi con un po’ d’affanno, guardandola di sottecchi “Infatti.” Annuì sorridendo “Ti preparo un bel pranzetto coi fiocchi” strabuzzai gli occhi senza dire niente “Non fare quella faccia, sai?” ero pronta a subirmi la ramanzina “E’ da troppo che non mangi un pasto decente e visto che ora sono qui ti trascino con me a casa e mangerai con me e la piccola Doddie, chiaro?” decretò incrociando le braccia al petto e guardandomi con aria di sfida “Non osare dire di no. Non si declina l’ invito di una sorella” mi diede le spalle e andò via “Ti aspetto fuori” e chiuse la porta. Rimasi di sasso, mezza intontita, poi mi ripresi e ridacchiai. No, la mia cara e adoratissima sorellona Jenny non sarebbe mai cambiata!

“Sei venuta a piedi?” domandai sgranando gli occhi notando Jenny ferma sul marciapiede con tre enormi buste del supermercato piene di cose da mangiare “Si, ti sembra così strano?” rispose inclinando la testa di lato e fissandomi curiosa “No, no. Quelle buste non sono pesanti da portare a mano in giro per la città?”, Jenny le scrutò, poi tornò a guardare me “Non troppo, poi ho fatto la spesa qua vicino” “Ok” dissi “Ok” rispose lei titubante “Monta in macchina va, andiamo ad assaggiare questo pranzetto prelibato!” mormorai ironica, lasciando che la risata gioviale della mia amica, mi perforasse le orecchie, assordendomi.

Entrammo in casa, trascinandoci dietro le buste della spesa, Daiana era già lì e sentendo uno strano rumore corse all’ingresso, quando ci vide spalancò gli occhi stupefatta “Avete svaligiato un supermercato per caso?” chiese ironica dondolandosi su una gamba. “Spiritosa!” sputò acida, Jenny “Invece di divertirti a fare dell’ironia vienici a dare una mano. In auto ci sono anche tre casse d’acqua che aspettano solo qualche anima pia che le vada a prendere” esclamò sparendo in cucina, Dod scosse la testa “Abbiamo fatto grandi spese a quanto vedo e lei è sempre più irritata” rispose prima di correre fuori dalla porta e lanciarmi una veloce occhiata. Roteai gli occhi verso il cielo, quelle due stavano sempre a battibeccare, dopo due anni di convivenza o ci facevi l’abitudine o…ci facevi l’abitudine.
“Non sbattere la porta!!!” urlò Jenny a Dod che era rientrata.
Ecco appunto! Dovevi farci l’abitudine punto e basta.
Giunsi in cucina anche io e aiutai Jenny a sistemare le provviste, nel frattempo Daiana posò le casse d’acqua nel piccolo ripostiglio infondo al corridoio e cantava a squarciagola “We are the champions my friends, and we’ll keep on fighting till the end.
We are the champions, we are the champions no time for loser cause we are the champions of the world” con tanto di hola, concluse il suo spettacolo entrando trionfante in cucina con in mano una bottiglia d’acqua naturale che le faceva da microfono. Io e Jenny prima guardammo lei con un cipiglio sul volto, poi ci fissammo tra di noi e scoppiammo a ridere con tutto il cuore. Eravamo entrambe piegate in due per le risate, ma ben presto la nostra adorata Doddie si unì al nostro coro ilare.

“Ti posso dare una mano?” chiesi a Jenny super concentrata a preparare il pranzo, aggrottò la fronte pensierosa, poi sembrò ricordarsi di me e della mia domanda, sbattè le palpebre e poi mi fissò per qualche secondo senza parlare. “Il sale!” esclamò all’improvviso facendomi saltare “Te lo prendo” dissi “No, mi sono dimenticata di comprarlo” si battè la mano sulla fronte, Daiana la scrutò e sorrise “Soré ci voleva una quarta busta della spesa mi sa!” disse per poi dileguarsi in bagno. Sospirai “Dai Jenny non importa, a me il risotto piace anche senza sale!” le dissi per tranquillizzarla “Non è questo che importa!” sbottò, io inarcai un sopracciglio e portai le braccia sotto al seno “E avanti cos’è che importa?” chiesi leggermente stizzita “Che hai capito?” rispose lei muovendo le mano in avanti a mò di difesa “Intendevo dire che il sale qui non serve, è che mi sono semplicemente ricordata che mancava e bisogna comprarlo” si fermò un attimo “Mi sa che mi sono dimenticata anche altre cose” sbuffò “Le prenderò io stasera. Dopo scrivimi la lista, d’accordo? Però ora non farti prendere dall’ansia per questa cosa” la rassicurai portandole una mano sulla spalla, lei annuì, poi tornò a concentrarsi sulla cucina.

 
“Allora che te ne pare?” domandò Jenny guardandomi con gli occhi traboccanti di lacrime in attesa del mio giudizio. Mi divertii a stuzzicarla chiudendo gli occhi, portando lentamente il cucchiaio in bocca e assaggiando il riso lentamente. Molto lentamente. “Mmm” borbottai, scrutai Jenny aprendo di poco un occhio e la vidi stringere il tavagliolo con la dita mentre deglutiva rumorosamente, poi spalancai di colpo gli occhi e mi bloccai “Maggie…è tutto ok?” domandò, Dod vicino a me fissò la mia espressione, ebbi giusto il tempo di farle l’occhiolino e di tornare poi a guardare l’altra mia amica. Annuii in risposta alla sua domanda “E…quindi?” chiese tremando “Ok” dissi soltanto, lasciandola basita “Ok?” ripetè aggrottando la fronte “Che significa? “ la guardai poi le sorrisi “Significa che questo piatto è fantastico ed è troppo tempo che non mangio qualcosa di così squisito” risposi tutto d’un fiato. Jenny sembrò recepire le mie parole a rallentatore, saltò sulla sedia e mi abbracciò “Come sono contenta!!!” esclamò “Si, si però così mi strozzi!” tossicai, mentre Jenny continuava a stritolarmi. Alla fine mi lasciò andare, si accomodò nuovamente a tavola e iniziò a mangiare non smettendo mai di sorridere. Soprattutto gli occhi. A quel punto mi girai a guardare Dod che scrutava attentamente la situazione, anche lei sorrideva contenta e questo suscitò in me una strana emozione, avvertivo il cuore avvolto in una morsa dolorosa ma allo stesso tempo piacevole. Ero conscia del perchè: il mio desiderio più grande era vedere sempre quel sorriso, quella spensieratezza, quella contentezza infinita sul viso delle mie migliori amiche. Era la cosa che desideravo di più al mondo, perché loro erano la mia vita.

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Capitolo 3
*** Ricordi ***


Ricordi Scusate se non rispondo alle recensioni.
Sono un pò di fretta.
Finalmente sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo. Ultimamente mi blocco spesso e me ne dispiace, perchè vi faccio aspettare.
Ma ora basta perdersi in chiacchiere.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate, chi recensisce, chi legge semplicemente...:) mi fa davvero piacere destare la vostra attenzione.
Vi ricordo che per chi volesse contattarmi, questi sono i miei indirizzi:  My facebookQuelli che amano le storie di Sognatrice85
Vi aspetto numerosi <3.

Capitolo 2 “Ricordi”

 

 

Qualche ora più tardi, mi trovavo di nuovo sulla mia vecchia auto, questa volta niente corse contro il tempo, anzi era addirittura in anticipo, per questo, guidata dall’istinto o dalla mia innata follia se vogliamo, mi ritrovai in Piccadilly Circus. Sorrisi e sospirai appannando il vetro della macchina. Spensi il motore, tolsi la cinta e attesi qualche minuto prima di scendere, raccogliendo tutte le forze che possedevo.
Fuori aveva cominciato a piovere. Tutto normale quando si trattava di Londra, lì il tempo era perennemente avvolto da nuvole grigie, ma questo non mi dispiaceva affatto.
Io amavo la pioggia.
Buttai la testa all’indietro la sentivo fin troppo pesante, premeva convulsamente ed era parecchio dolorante.
Conoscevo il motivo di quel malessere.
Tornare lì, forse, non era stata una grande idea, ma ne avevo bisogno. Erano ormai tre mesi che mi ero imposta il divieto assoluto di avvicinarmi, anche solo per sbaglio, a quella zona. Ma se non ritrovavo lì in quel momento, una spiegazione c’era.
Sbuffai ignorando la mia pungente razionalità, la quale stava per far nuovamente capolino dentro di me, quindi mi decisi a scendere dalla macchina, sbattendo forte la portiera, quasi come se in quel modo potessi scacciare via i brutti pensieri.

Mossi i primi passi sotto l’acqua, aprii l’ombrello solo perché non volevo beccarmi un malanno, altrimenti ne avrei volentieri fatto a meno. Giunta al semaforo, mi fermai, sapendo che non appena avrei avuto la forza e il coraggio di alzare lo sguardo da terra, avrei rivissuto quell’esperienza assurda. Per questo inspirai e espirai un paio di volte “Forza Maggie. Non farà male…ricordati: è il tuo pensiero felice” sussurrava la vocina nella mia testa.
Fu così che lo feci: alzai la testa e guardai dritto davanti a me, pronta per quel viaggio indietro nel tempo…
 

<< Ero di corsa, come al solito. Avevo parcheggiato l’auto nelle vicinanze di Piccadilly Circus. Jenny e Daiana mi aspettavano al solito Starbucks, ormai quello era diventato il nostro strambo ritrovo per una stramba relazione come la nostra. Ci eravamo incontrate lì un mese prima. Eravamo sedute a tre tavoli differenti e sorseggiavamo pensierose i nostri caffè neri bollenti. Daiana era alla mia sinistra e fu la prima di noi a sospirare pesantemente attirando l’attenzione mia e di Jenny. Arrossì quando capì che la stavamo guardando insistentemente e cercò, in malomodo, di nascondersi dietro la ciocca dei suoi capelli. Sorrisi tra me, rividendo un po’ di me in lei. A quel punto ritornai a sorseggiare tranquilla il mio caffè, ma questa volta, alla mia sinistra, s’esalò un altro sospiro. Mi voltai e vidi una ragazza dai capelli scuri e gli occhi azzurro oceano che poi scoprii chiamarsi Jenny. Sorrisi anche a lei che rispose con un cenno del capo. Quando mi girai notai che anche l’altra ragazza s’era voltata nella mia direzione. Ero circondata, ma la cosa non mi dispiacque.
Sorseggiai ancora un po’ del mio caffè e diedi un piccolo morso al tramezzino col tonno che avevo bellamente ignorato fino a quel momento. Mi uscì un sospiro mentre chiudevo gli occhi. Mi accorsi subito di ciò che avevo fatto e mi tappai immediatamente la bocca con entrambe le mani, di sbieco fissai le due ragazze ai miei lati e, come sospettavo, mi stavano osservando. Quella situazione era alquanto buffa e iniziai a ridere, con me anche loro.
Fu poi Jenny a mettersi seduta accanto a me, rompendo il silenzio “Visto che tutte e tre dobbiamo sospirare, meglio farlo in compagnia, non credi?” disse avvicinandosi “Piacere, Jenny?” mi porse la mano, la strinsi senza pensarci troppo “Piacere mio. Sono Maggie”, si accomodò di fronte a me e insieme, nello stesso istante, ci girammo alla nostra destra, l’altra ragazza era in piedi, ma era rimasta vicino al suo tavolo, dondolava su un piede e con una mano si toccava continuamente una ciocca di capelli. Era imbarazzata e le guance rosse lo dimostravano. “Avvicinati pure” disse Jenny “Non ti mangiamo mica, sai?” aggiunse sorridendo allegra. Dod alzò lo sguardo e l’espressione di beatitudine che lessi nei suoi occhi mi colpì totalmente. Si rilassò completamente dopo le parole di Jenny e si sedette anche lei, vicino a noi “Io mi chiamo Daiana. Dod per gli amici, o Doddola come vi pare” disse tutto d’un fiato, immergendosi subito dopo nel suo caffè. Io e Jenny ci scrutammo e spalancammo occhi e bocca. La voce di Dod era di una dolcezza disarmante, sentivo il cuore traboccare d’amore e probabilmente per Jenny fu la stessa cosa. “Ammazza oh!” esclamò Jenny facendo sussultare sia me che Daiana “Ma è tuo originale questo timbro di voce?” inarcai un sopracciglio sorpresa, Dod arrossì ancora di più “Non prenderla a male. È un complimento” e sorrise. Da lì iniziammo a parlare, a raccontarci di noi, dei nostri progetti, dei nostri impegni, del nostro arrivo a Londra. Scoprimmo che avevamo molto in comune e da allora ogni pomeriggio per la pausa pranzo, ci ritorvavamo in quel luogo. Quel giorno stavo andando da loro, erano le due passate ed ero in ritardo di un quarto d’ora, Carol mi aveva trattenuta per farmi sistemare alcuni libri arrivati all’ultimo momento. Sbuffai quando vidi che il semaforo per i pedoni era rosso, picchiettai col piede a terra e con le braccia incrociate al petto, aspettavo impaziente.
D’improvviso scattò il verde e con esso io mi precipitai per strada, circondata da un ammasso di gente. Era maggio, faceva stranamente caldo e quella era l’ora di punta a Londra. Ero sovrappensiero, eccitata all’idea di rivedere quelle due ragazze. Non sapevo perchè ma mi fidavo ciecamente di loro, ormai quella era diventata una piacevole abitudine e durante la mattinata fremevo perché giungesse quel momento. Era il migliore di tutta la giornata. Per un motivo ancora a me sconociuto, alzai lo sguardo proprio nell’istante in cui mi passò accanto un ragaxxo che portava con sé un sacco nero contentente una chitarra. Inizialmente mi dissi che lo avevo notato in mezzo a tanta gente perché indossava un berretto nero nonostante facesse quel caldo, poi  però, notai quel particolare che lo rendeva stranamente diverso dagli altri: il suo sguardo e lì il tempo si fermò. Quegli occhi erano talmente chiari e profondi che sembrava facile perdersi. Tremai. In mezzo a tutta quella gente sudaticcia, quel sole che mi picchiava in testa, tremai. E questo bastò a farmi immobilizzare. Ancor più quando, constatai che i miei occhi s’erano incrociati ai suoi e lì fu il delirio. Il mio corpo vibrò, il cuore fece diverse capriole, salendomi fino in gola e le gambe molleggianti, rischiarono di tradirmi e farmi crollare a terra. Presto il suo sguardo cambiò direzione ed io ne avvertii bruscamente la mancanza. Mi sentivo come vuota. Nuda. Quei pochi secondi erano bastati perché registrassi ogni particolare del suo viso magrolino e del suo esile corpo. Rimasi imbabolata ancora un po’, fin quando il suono dei clackson mi annunciò che era scattato nuovamente il verde per le auto. Attraversai di corsa la strada, ma quando mi voltai, lui non c’era già più. Mi sentii delusa.
Ripresi a camminare diretta al bar, la testa continuava a proiettare la frazione di secondi in cui avevo incontrato quel ragazzo. Probabilmente avevo avuto semplicemente un’allucinazione, non poteva essere sparito in quel modo. Camminando e pensando mi ritrovai da Starbucks. Presi un bel respiro ed entrai. Quando le mie amiche mi videro, sventolarono in aria le loro mani ed io risposi solo con un cenno della testa. Le loro espressioni mutarono immediatamente. Mi accomodai al tavolo con loro in religioso silenzio. “Abbiamo ordinato anche per te. Ci stavamo preoccupando” parlò Jenny per prima “Scusatemi. Avrei voluto avvisarvi, ma non ne ho avuto il tempo. ho dovuto sistemare un bel po’ di libri” sbuffai, lasciandomi scivolare sulla sedia, chiudendo gli occhi e massaggiandomi le meningi “Avanti!” disse Jenny con un tono di voce serio che mi costrinse a riaprire le palpebre “Cosa?” chiesi smarrita “Che è successo?” domandò Dod, la quale era rimasta in silenzio fino a quel momento “Parla!” m’incitò Jenny. La mia testa si mosse da destra a sinistra e viceversa, fissai basita le mie interlocutrici e mi sentii improvvisamente sciocca. “Non temere” disse Dod, posando la sua mano sulla mia “Noi non ti giudicheremo” aggiunse teneramente Jenny, imitando il gesto di Daiana. Sorrisi loro grata e tutto d’un fiato raccontai dell’accaduto. Mi stettero ad ascoltare attentamente, ma potevo vedere le loro espressioni divenire sempre più stupefatte. Quanto terminai, bevvi con vigore l’ultimo sorso di caffè e lo mandai giù senza pensarci troppo. Poi fissai loro che mi osservavano “Sono matta. Fate bene a pensarlo” sorrisi amara, chinando il capo “Non lo sei!” esclamò Dod, posando il suo bicchiere sul tavolo e pulendosi la bocca con il tovagliolo. Io la fissai sorpresa “Io invece credo che quello che ti sia successo sia una cosa rara e bellissima” strabuzzai gli occhi “Si, hai capito bene: rara e bellissima!” ribadì convinta, sorridendo “E non dovresti arrenderti, sai? No, decisamente no!” disse “Anzi, forse dovresti cercarlo” “Ma…” iniziai a dire, ma lei mi bloccò “Non dire niente. Il cuore è uno strano organo. Funziona in modo illogico” sorrise “Ma non si sbaglia mai, soprattutto quando s’attiva di colpo in una situazione come questa” aggiunse annuendo, come a convincere prima sé stessa di quello che stava dicendo “Lui lo ha riconosciuto” tornò a guardarmi, gli occhi le brillavano “Non capisco” balbettai “Probabilmente lui è la tua anima gemella, la famosa metà della mela”, a quelle parole il cuore tamburellò, facendomi avvertire la sua presenza “Non è possibile” soffiai, lo sguardo perso nel vuoto. Jenny era stata zitta, aveva bevuto tranquillamente il suo caffè e mangiato il suo hot dog “Sono d’accordo con Daiana” confessò “Ci sono delle cose che la razonalità non può spiegare, quindi non starti a crogiolare sul significato di questo episodio, perché non riusciresti a trovare una risposta certa” decretò “Questo ragazzo ha risvegliato il tuo animo. Ed era ora” sorrise sorniona.
Da quel momento in poi, non facevano che ricordarmelo, spronandomi a cercarlo. Avevo trascorso giornate intere a rifletterci, a convincermi che dovevo rischiare, ma la mia razionalità aveva preso il sovravvento e ci avevo rinunciato. Poco dopo le nostre riunioni si spostarono a casa mia. Incosciamente volevo evitare  di trovarmi in quella zona della città, eludendo così, la possibilità di incontrare ancora quel ragazzo. Casa mia ben presto divenne la casa di tutte e tre, fu naturale chiedere ad entrambe di convivere, in modo da poter stare insieme tutte le volte che volevamo.>>

 

Una, due , tre, quattro gioccioline bagnarono la mia giacca.
Scossi la testa, cacciando via quel ricordo, mi portai una mano sulla tempia per sostenermi e solo nell’istante in cui sbattei le palpebre, mi resi conto che avevo la vista leggermente appannata. Strofinai le dita circolarmente sulla linea violacea dei miei occhi che si impregnarono delle mie lacrime.
Sospirai incredula. Mi diedi mentalmente della stupida.
Controllai l’orologio, mancavano venti minuti alle quattro, dovevo andare a lavoro. Mi concessi un’ultima occhiata al passaggio pedonale, poi gli diedi le spalle correndo via.

 
“Carol sono arrivata!” esclamai entrando nella libreria, scuotendo la giacca bagnata, il mio capo s’affacciò con la testa dalla porta sulla sinistra e mi sorrise “Ti aspettavamo”, corrucciai la fronte “Ci sono John e Raian. Stiamo discutendo approposito di alcuni lavori di ristrutturazione che avevo” spalancai la bocca sorpresa e coonfusa “Dai vieni!” m’invitò lei, facendomi segno con la mano di seguirla. Entrai nella piccola sala riunioni e mi accomodai al tavolo rettangolare sulla destra accanto a John, il ragazzo che si occupava del trasporto dei libri, di fronte a me c’era Rayan, il figlio unico di Carol, aveva due o tre anni più di me. Aveva la pelle lattea e i capelli nero corvino, le cui ciocche gli ricadevano ribelli sul volto squadrato e grande. Un bel ragazzo tutto sommato, ma non era affatto il mio tipo, tutto festini e sesso, niente impegni seri o situazioni stabili.
Sorrisi impacciata quando mi accorsi che mi guardava con insistenza, poi, abilmente, distolsi lo sguardo e fissai Carol, al mio fianco, John sospirava, lo sguardo leggermente perso nel vuoto. Mi dispiaceva saperlo triste, soprattutto mi sentivo incapace di aiutarlo. “Allora!” esordì Carol distranedomi dai miei pensieri “Come ben sai, Simon vuole vendere il locale qui di fianco e noi pensavamo di acquistarlo, ingrandendo così la libreria, potremmo creare un angolo studio per gli studenti, ampliare la zona bar e ristoro” disse gioiosa, gli occhi le brillavano a dimostrazione di quanto tenesse a quel posto “Tu cosa ne pensi?” domandò guardandomi sorridente, ero scossa, non credevo di poter avere voce in capitolo, d’altronde ero una semplice commessa “Io…” deglutii imbarazzata, torturandomi le mani, nascoste sotto il tavolo “Non so che dire”, Carol mi osservò seria “Cioè…” mi guardai intorno cercando l’appoggio di John “E’ una bellissima idea, credo che potrebbe funzionare” ammisi, il mio capo tornò così a sorridere. “Ci tengo a conoscere la tua opinione, sei una buona collaboratrice e fino ad ora i tuoi piccoli suggerimenti hanno contribuito a rendere migliore questo posto” quelle parole giunsero inaspettate, inizialmente le accolsi con una certa titubanza, poi però un bellissimo sorriso nacque sul mio volto e mi sentii fiera di me stessa. Appena arrivata a casa avrei raccontato tutto alle mie amiche e gioito con loro di questa piccola soddisfazione.

Terminata la riunione, ci alzammo tutti dal tavolo, io ero pronta per tornare al mio lavoro, ma Rayan mi fermò, afferrandomi per il braccio “Ehi Maggie!” esclamò melenso, le sue viscide mani indugiarono ad accarezzarmi da sopra la maglia. Scostai il braccio seccata e lo guardai di sbieco “Ciao Rayan” dissi, tentando di controllare la mia voce “E’ da un po’ che non ci si vede!” disse sorridendo falsamente “Volevi qualcosa?” chiesi un po’ aspra, scocciata per quell’interruzione “Si” affermò sicuro “Stasera darò una festa nel mio nuovo locale a Portobello Road” “O…ok” risposi incerta, corrugando la fronte “Vieni! Ci sarà da divertirsti!” proferì determinato, porgendomi un biglietto per l’ingresso. Lo presi, osservandolo stupita. Non mi aspettavo quest’invito “Posso venire anch’io?” domandò qualcuno alle mie spalle. Mi voltai e vidi John sorridere mentre guardava prima me e poi Rayan “Certo! Portate qualche vostro amico. Ho bisogno di un po’ di pubblicità” ammiccò prima di andarsene.

Fissai John basita “Davvero vuoi andarci?” chiesi dubbiosa “Oh si!” esclamò sognante “Dai Maggie non fare quella faccia!!!” roteò gli occhi al cielo e fece una strana smorfia con la bocca “Non puoi rinchiuderti in casa! Devi vivere, tesoro!” disse prendendomi le mani “Tu lo dici solo perché vuoi vedere Rayan” risposi facendogli la linguaccia, John arrossì “Non è vero!” ribatté intensificando il suo sguardo. Amavo i suoi occhi castani. Erano capaci di brillare anche al buio, nonostante fossero così scuri. Trasmettevano una forza e un’energia che ti coinvolgevano, inevitabilmente. John era gay, me lo aveva confessato qualche mese dopo che avevo iniziato il lavoro nella libreria. Non mi eran sfuggite le sue chiare occhiate languide che lanciava al figlio della “capa” e mi faceva sorridere la tenerezza con cui, si perdeva nell’osservare i suoi spostamenti, come arrossiva quando lui gli rivolgeva, anche per caso, la parola e il modo in cui sospirava trovandoselo nelle vicinanze.
John aveva capito che avevo intuito qualcosa, per questo un giorno mi aveva afferrato per un polso e trascinata nello scantinato. L’avevo seguito senza batter ciglio. Il suo gesto non sapeva di violenza, anzi, addirittura risultava così tenero. Il suo imbarazzo mi si palesò davanti quando si fermò, dandomi la visuale delle sue spalle “Scusami, non volevo essere brusco” aveva detto “Ma…vorrei sapere se sai…” “Che sei gay?” lo interuppi prima che potesse aggiungere altro. Si girò di scatto, fissandomi spaventato. Gli sorrisi, pregando di tranquillizzarlo e sembrai riuscirci, visto che le sue spalle si rilassarono “Come lo hai capito?” domandò a bassa voce “Vedo come fissi Rayan. Ne sei innamorato” constatai, attenta alla sua reazione. Non volevo ferirlo, né risultare invadente. John annuì, chinando il capo, evitando così il mio sguardo. Io mi avvicinai, con due dita sotto il mento alzai il suo viso.
Volevo che mi guardasse.
Volevo che leggesse nei miei occhi quello che pensavo.
“Non devi vergognarti di me. Non ti giudico” e gli sorrisi sincera, lui mi guardò ancora un attimo, poi sorrise e mi abbracciò “Grazie” sussurrò tra i miei capelli. Ancora sconvolta per quel suo gesto, non seppi cosa rispondergli.
A distanza di tempo, eravamo diventati buoni amici, qualche volta lo avevo trascinato a casa mia e insieme a Jenny e Dod ci eravamo fatti tante risate. Mi piaceva vederlo sereno. Per me era quasi un fratello.

“Ok” mi arresi, sbuffando, John saltellò sul posto, baciandomi la guancia “Grazie! Insieme faremo faville stasera. Ti passo a prendere io per le otto e mezza, mi raccomando sii puntuale!” e se ne andò “Ah! Dillo anche a Jenny e Dod! Sono convinto che loro accetteranno in un batter baleno. Sono meno musone di te” schioccò la lingua sui denti, poi sparì.
Mi ritrovai a ridere da sola.
Mi aveva messo di buon umore, facendomi dimenticare per un po’, l’episodio del pomeriggio.
 

“Carol, per oggi ho finito” proferii, sistemando l’ultimo incasso della giornata nella cassa e inserendo il codice di sicurezza “Va bene, Maggie. Puoi andare. Ci vediamo domani mattina” annuii.
Uscita dalla libreria notai con un po’ di piacere, che aveva smesso di piovere. Il cielo restava plumbeo, però in vista di quella serata, sperai si trattenesse. Non avevo alcuna voglia di inzupparmi i vestiti.
Sorrisi e corsi via.
Diretta verso casa.

“Gente sono tornata!” esclamai entrando dalla porta e chiudendola con un piede. Jenny si affacciò dal salotto e mi fissò “Vedo finalmente l’ombra di un sorriso sul tuo bel visino” constatò avvicinandosi “Hai incontrato qualcuno?” domandò sorridendo, negai con la testa “Rayan mi ha invitato all’inaugurazione del suo nuovo locale, John si è offerto di accompagnarmi. Anzi mi ha detto di dirlo anche a voi” “Se” sputò ironica “Si è offerto” sghignazzò “Diciamo così. In realtà il suo scopo e farsi Rayan” esclamò guardandomi “Oh ma ne sono consapevole, sorella!”risposi andando verso la cucina e trovandoci lì Daiana, intenta a impastare, quando si voltò per salutarmi, mi scappò una grossa risata. Aveva il viso completamente coperto di farina “Mi dici che stai combinando?” riuscii a formulare appena una domanda decente, trattenendomi dal ridere ancora. Daiana inarcò le sopracciglia e si portò le braccia sui fianchi. Ops. Mi sa che l’avevo offesa.
Jenny mi aveva seguita “Comunque io stasera passo. Ho la schiena a pezzi e preferisco riposarmi” disse, posando sulla tavola il bicchiere che aveva in mano “Che succede stasera?” domandò Doddie che nel frattempo, sembrava si fosse ripresa “Rayan ha invitato Maggie all’inaugurazione del suo locale, va anche John che ci vorrebbe tutte con…” Jenny non riuscì a completare la frase, perché s’era girata incontrando lo sguardo di Daiana. Per un attimo temetti che le prendesse un collasso, poi scoppiò a ridere, piegandosi in due.
Ma dico io: vivevamo nella stessa casa e ancora non s’era accorta del pasticcio fatto dalla piccola? Bah!
“Oddea!” esclamò, rialzandosi e asciugandosi le lacrime “Mi dici che cacchio stai facendo per impasticciarti così il viso?” le chiese avvicinandosi al marmo della cucina e sbirciando alle spalle di Daiana “Sto cercando di fare un dolce” rispose quest’ultima, con una certa irritazione nella voce. “Scusate se non sono così esperta, cerco di applicarmi” aggiunse “E lo fai ficcando il viso nella farina?” chiese Jenny riprendendo a ridere.
Io mi ero fermata accanto al tavolo e le osservavo, trattenevo a stento la ridarella, ma non volevo rischiare di esagerare.
“E dimmi” prosegì Jenny “Per chi sarebbe questo dolce?” chiese con una voce carica di curiosità. Doddie voltò il capo, tornando ad impastare. Lo faceva con forza, come se volesse quasi affogare in quel miscuglio di uova e farina “Daiana?” la richiamai io, accostandomi a lei. Daiana si fermò, restando con lo sguardo fissò sulle mani. Le accarezzai la testa “Lo sai che con noi puoi parlare” le ribadii “Si” soffiò scuotendo la testa e sospirando “L’altro giorno a lavoro, hanno assunto un nuovo ragazzo” cominciò titubante, forse in imbarazzo “Quando l’ho visto mi sono chiesta se fosse inglese. Non so…aveva l’aria di essere un po’ smarrito. Così quando Fred gli ha consigliato di farsi aiutare da me per capire come lavorare, mi sono trovata davanti a due pozzi neri” si fermò alzando la testa “Due occhi così neri che ho avuto paura” guardò prima Jenny, poi me. Lessi nelle sue pupille un’emozione nuova.
Le sorrisi teneramente.
“Mi ha detto di chiamarsi Kevin. È scozzese, ma suo padre è spagnolo. Di Valencia. Vive qui a Londra da un anno. Ha finito la scuola, ora frequenta il conservatorio e a quanto pare per mantenersi deve lavorare. Suo padre non vuole più che dipenda totalmente dal suo stipendio” continuò, allontanandosi dal piano cottura e accomodandosi su una sedia “Cos’è che ti turba?” tremò a quella domanda, tornando nuovamente ad abbassare la testa “L’effetto che mi fa. Io…” deglutì rumorosamente “Non mi sono mai sentita così con un ragazzo. Solitamente all’inizio sono timida, poi mi ci relaziono con tranquillità. Ma Kevin ha qualcosa che…cavolo! Mi fa fremere se solo mi sfiora per sbaglio!” esclamò osservandoci e sbarrando gli occhi. 
Io e Jenny ci guardammo.
“Ti piace” affermò Jenny, Dod si immobilizzò “Forse. Non lo so” si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla “Non ci capisco più niente! Ma può sconvolgermi così da un giorno da un altro?” un singhiozzò le ruppe la voce, mi precipitai ad abbracciarla “Capisco bene ciò che dici” ammisi “Davvero?” domandò lei, guardandomi. Gli occhi carichi di aspettative “Sai quanto quell’incontro mi abbia turbata. Non mi era mai capitata una cosa del genere. È stato inaspettato, ma…ci convivo” “E non fa male?” chiese, le strinsi la mano “A me fa male, perché non so chi sia lui. Tu…” e la guardai “Puoi incontrarlo tutti i giorni, conoscere qualche lato del suo carattere, vedere come si comporta, ascoltare il suono della sua voce” “E’ una melodia” soffiò, la scrutai con aria interrogativa “Ha una voce melodiosa. Sembra un usignolo. Poi ama i Queen, capisci? I Queen!” esclamò elettrizzata, alzando le mani verso l’altro “Il tuo gruppo preferito” notai con piacere i suoi occhi brillare d’approvazione “Domani è il suo compleanno e mi piacerebbe portargli un piccolo dolce alle mandorle. Ho scoperto che le adora” Jenny venne vicino a noi  “Avanti combina guai! Alzati in piedi! Ti do una mano io” proferì indicandole la farina e le mandorle riposte sul marmo.
Sorrisi.
“Tu vatti a preparare!” disse poi verso di me “E scegli quel vestito rosso che tanto ti dona! Non ti presentare al mio cospetto con jeans e maglietta perché ti faccio ritornare in stanza e non ti faccio uscire finchè non sarai decentemente vestita!” tremai, quando Jenny parlava in quel modo non c’era niente da fare.
Dovevi obbedirle per forza.
Annuii e mi precipitai in stanza.
“Sei un impiastro!” sentii gridare Jenny, ridacchiai e mi chiusi dentro, dando inizio all’opera di restauro.

Mezz’ora più tardi ero pronta.
Avevo indossato l’abito rosso consigliatomi da Jenny e mi ero anche leggermente truccata.
Quando le mie amiche mi videro entrare in cucina, sbarrarono gli occhi. Temetti di aver sbagliato tutto “Oddio! Faccio così schifo?” domandai preoccupata, guardandomi il vestito “Ma scherzi?” disse Daiana “Sei uno schianto!” e fischiò. Ridacchiai, portandomi una mano sulla bocca.
Jenny continuava a fissarmi severa “Dimmi” dissi rivolgendomi a lei “Niente. Constatavo quanto il mio consiglio sia stato azzeccato” e sorrise “Sei davvero fantastica!” confessò facendomi arrossire “Ora non esageriamo!!!” risposi, provando a celare il mio imbarazzo.
Il campanello suonò, vibrando per tutta la casa.
Sussultammo tutte e tre.
“Questo è sicuramente John. Vado!” dissi, sia Jenny che Daiana annuirono “Mi raccomando pensa solo a divertirti e portaci un  maschio a casa!” gridò Jenny, mentre io correvo giù per le scale.
Con l’affanno arrivai all’entrata, sul marciapiede c'era John ad aspettarmi.
Indossava un elegante pantalone nero, un maglione blu elettrico e sotto una camicia azzurra “Wow” fischiettò vedendomi, arrossii all’istante, abbassando la testa. John si avvicinò, mi prese una mano e me la baciò, facendomi l’occhiolino “Andiamo Madame?” annuii ridendo.

Si prospettava proprio una bella serata…

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Capitolo 4
*** La festa ***


La festa

Buonasera o meglio dovrei dire buonanotte vista l'ora.

So che il mio aggiornamento vi sembrerà un miraggio, ma non è così. 

Sono veramente io e ho postato un nuovo capitolo.

Scusate l'enorme ritardo, non è mancanza di rispetto verso chi mi legge, semplicemente la mia ispirazione ha deciso di andare in letargo prima del previsto e ne posso approfittare solo quando mi fa la grazia di venire a bussare alla porta dei miei due, tre neuroni rimasti!

Avrei dovuto postare domani, ma siccome non riesco a dormire, mi son detta "Perchè non aggiornare stasera stessa?" ed eccomi qua.

Probabilmente molti di voi sono ancora in vacanza e neanche mi leggeranno.

E' pur vero che non mi segue quasi nessuno -.-', però lasciatemi illudere.

Sapete cosa penso? Penso che recensire sia importante, anche se va detto qualcosa di negativo. Le critiche costruttive sono importanti ed io ne ho bisogno per poter crescere nella scrittura, altrimenti rimarrò sempre ferma e limitata.

Per questo vi dico che se avete da dirmi qualsiasi cosa, fatelo! Accetto tutto!

Potete anche scrivermi privatamente.

Bene, vi lascio.

Buona lettura e buonanotte :)

Capitolo 3 “La festa”

 

Percorremmo in macchina le principali strade di Londra, guidati dalla musica trasmessa alla radio quella sera. Musica da discoteca, quella che ti rimbombava nel cervello, fino ad assordarti.
Conoscendo John, lo aveva fatto apposta per farmi abituare al casino in cui ci saremmo trovati una volta entrati nel locale. Erano anni che non mettevo piede in posti del genere.
Aveva ragione Jenny: ero diventata una nonna a furia di stare chiusa in casa!

 

“Allora Maggie!” proruppe John all’improvviso, alzando il tono di un ottava per sovrastare la musica “Pronta a divertirti e ad andare col primo che incontri?” domandò sghignazzando per poi aggiungere con tono d’ammonimento “Basta non sia Rayan!”.

Quando ci si metteva, era un vero tormento.
Sbuffai, guardando fuori dal finestrino. Ero facilmente irritabile quel giorno.
Ma non era colpa sua. Come al solito, ero io a sentirmi fuori posto.

“Eddai!!! Musona!!!” esclamò, mettendomi una mano sulla gamba e scuotendomi appena “Avanti! Sorridimi!” m’invitò, sorridendo a sua volta; lo fissai fintamente arrabbiata e gli feci una pernacchia, provocando la sua risata cristallina.
“Sei unica!” asserì convinto “Però davvero!” continuò assumendo un’aria vagamente seriosa, decisamente non tipica di lui “Amica mia, sii serena. Stasera passeremo una serata diversa e conosceremo nuove persone.” Mi guardò, i suoi occhi erano stranamente cauti, quasi timorosi “Magari…” sviò il mio sguardo “Tra loro potrebbe esserci quel ragazzo misterioso…” azzardò, lasciando la frase sospesa.
Mi irrigidii immediatamente.
Non ci avevo minimamente pensato. Dopo il pomeriggio trascorso a crogiolarmi nel suo ricordo fulmineo, non avevo più permesso al mio cervello di tornare a quel giorno.
D’improvviso la mia mente s’oscurò, gli occhi si chiusero, segno che non volevo saperne.
Non ero pronta. In realtà non lo ero mai, per nulla.
Eppure lo aspettavo da tanto, nonostante fingessi che non era così. D’altronde perché quel pomeriggio ero tornata a quell’incrocio? Me l’ero chiesto diverse volte nelle ore precedenti, ma senza riuscire a rispondermi sinceramente.
Inutile ingannare me stessa. Era ovvio che volevo mantenere vivo quel fioco ricordo, temevo che potessi dimenticarmi del suo volto, perderne anche solo un tratto, mi spaventava! Infondo al cuore speravo di poterlo incontrare di nuovo e volevo essere pronta a riconoscerlo.
Desideravo ardentemente che quelle pozze d’oceano si soffermassero su di me, risucchiandomi tutta in lui, fino a che non restasse assolutamente niente della mia anima perduta.

 
“Ehi, ehi” John fermò l’auto d’improvviso, mi prese, tirandomi verso di lui e mi strinse così forte che sentii dolore.
Gemetti, non capendo perché lo stesse facendo.
Nell’istante in cui notai il suo maglione bagnarsi, mi resi conto di stare piangendo.
“Ops” mormorai con voce rauca “Scusami” dissi scostandomi da lui, facendo leva sulle mani “Non volevo rovinarti il maglione” e toccai la zona bagnata col dito indice, disegnando cerchi immaginari, fissandola incredula.
Anche John  fissò la macchia  “Naa! Che me ne importa!” rispose serio. Con un dito tolse le lacrime accumulatesi sotto le mie ciglia “Fortunatamente il trucco non si è sciolto” mi fece notare, ammiccando “Sei sempre perfetta” aggiunse dandomi un bacio leggero sulla guancia, molto vicino all’angolo della mia bocca “Ora su riprenditi e andiamo. Siamo quasi arrivati” annunciò riprendendo a guidare, mentre io mi sistemavo al mio posto ancora un po’ scossa.
Qualche istante dopo, John parcheggiò l’auto e m’invitò a scendere.
Mi tese la mano in un gesto elegante, strappandomi una risata.
“Sei un uomo d’altri tempi?” gli chiesi, sistemandomi la gonna del vestito.
“Così mi offendi, Maggie!” asserì, arricciando il naso e mettendosi dritto “Lo sanno tutti che sono un ragazzo all’antica, tzè” e mi voltò la faccia.
Inizialmente rimasi spiazzata, poi comprendendo la sua ironia, sghignazzai allegra. Mi aveva fatto tornare il buonumore, come suo solito. Gliene fui grata.
“Vogliamo andare, Mademoiselle?” proferì in tono scherzoso, offrendomi il braccio.
“Certamente, Monsieur” risposi, appoggiandomi a lui.
Ridendo e scherzando, entrammo nel locale di Rayan.

 
Era tutto buio, solo qualche luce sfarfallava e creava, qua e là, strane ombre. La musica, come immaginavo, rimbombava da una parete all’altra creando uno strano eco, anche se non sembrava essere a tutto volume.
Mi guardai attorno, non riconoscendo nessuno.
Poco dopo mi sentii toccare la spalla da John, il quale fissava con occhi dilatati, un punto in fondo al locale.
Seguii la traittoria del suo sguardo e riconobbi Rayan che se ne stava appiccicato ad una ragazza. Sembrava se la stesse divorando con quei baci.
Sul mio volto si dipinse un’espressione alquanto schifata, ma mi preoccupai quando notai lo sguardo afflitto e triste di John.
“Ti va se beviamo qualcosa?” gli proposi provando a distrarlo.
“Si. È meglio se ci bevo su” rispose mettendo le mani in tasca “Un drink basta e avanza. Ti ricordo che devi riaccompagnare a casa la sottoscritta” dissi indicandomi e poi incrociando le braccia sotto il seno.
John inarcò un sopracciglio “Bellezza mia, muovi il tuo bel culo e fattela a piedi!” sbarrai gli occhi sconvolta, mentre il mio amico si piegava in due per le risate.
“Stupido” sibilai piccata “Dai scherzavo” mi sorrise prendondomi sotto braccio e trascinandomi verso il bancone del bar.
“Cosa prendi?” mi chiese, una volta che ci fummo seduti “Mmm…che mi consigli?” “Niente di pesante, non credo tu regga l’alcool” sghignazzò “In effetti…” mormorai pensandoci.
“Cosa vi porto da bere?” il barman vestito di bianco e blu si sporse verso di noi, sorridendo in modo cordiale, come si addiceva ad uno del suo mestiere.
“Per me una Caipirosca” disse John “Per Lei, Signorina?” domandò il barman rivolgendosi a me. Mi grattai la testa pensierosa e alla fine optai per qualcosa di semplice “Un Bayles liscio senza ghiaccio, grazie” sorrisi  “Arrivo subito” annunciò l’uomo sparendo dietro al bancone.
Tornai a spostare la mia attenzione nei vari reparti del locale, scorgendo un gran numero di persone intente a ballare, uno addosso all’altro. Mani che si sfioravana, corpi che si surriscaldavano a ritmo di musica. Bocche che si impossessavano l’una dell’altra. Lingue alla ricerca di un contatto più profondo.
Distolsi l’attenzione per fissare John che s’era ammutolito. Lo ritrovai con gli occhi fissi verso il punto in cui prima Rayan era appartato con quella ragazza.
“Ecco i vostri drink!” trillò il barman alle nostre spalle, entrambi sobbalzammo nello stesso istante. “Grazie” risposi prendendo il mio bicchiere e iniziando a sorseggiare.
Il mio amico fece altrettanto mantenendo un rigoroso silenzio che stava divenendo eccessivo per un tipo logorroico come lui.
“John!” lo chiamai, allungando una mano verso il suo braccio, lui non mi guardò, semplicemente immerse le sue labbra nel suo drink.
Trascorse mezz’ora nella quale John era riuscito a bere altre due Caipirosche non prendendo minimamente in considerazione le mie raccomandazioni.
“John adesso bassa!” urlai esausta “Non credi di stare esagerando!” lo ammonii, lui mi sfiorò per qualche secondo con lo sguardo, ma non si soffermò su di me “Lo dico per te,  forse non te ne frega un accidenti, ma io ti voglio bene e non voglio che ti annulli per quello stupido!” dissi sentendo una strana rabbia ribollirmi nello stomaco “Lo sappiamo tutti che Rayan è uno sciupafemmine! Il suo interesse è limitato a portarsi a letto quante donne può in una serata. Non merita assolutamente il tuo amore, né tantomento il tuo dolore!”. Solo in quell’istante John decise di fissare me “Non decidiamo di chi innamorarci, Maggie” sussurrò.
Avvertii appena le sue parole.
Abbassai lo sguardo afflitta. Come potevo tirarlo su di morale?

“Salve ragazzi!” esclamò allegra una voce familiare alle nostre spalle.
Lupus in fabula!
Sia io che John ci voltammo “Rayan!” strillai. Lui ci sorrise e si sporse maggiormente verso di noi per farsi sentire “Sono felice che alla fine siate venuti” disse “Che ne pensate di questo posto?” domandò “E’ davvero molto bello” mormorò John.
I suoi occhi dilatati erano fermi sulla figura possente di Rayan, era facile scorgervi sorpresa e…amore!
“Ti ringrazio, amico!” rispose, poi i suoi occhi fissarono me, indugiò un po’ troppo sulla mia scollatura, facendomi arrossire e allo stesso tempo, irritare.
“Come siamo belle stasera” ammiccò avvicinandosi “Che ne dici di ballare un po’ con me, tesoro?” la sua più che una richiesta sembrava un ordine.
Ma credeva per caso che fossi una stupida qualsiasi? Quel ragazzo mi aveva sempre dato i brividi, non certo di piacere. Era un insulso maschio, infimo e bastardo.
Avevo avuto quell’idea fin dal primo momento che l’avevo conosciuto.
Sua madre era una persona severa, ma non cattiva come lui.
“No, grazie” risposi con acidità, scostando la sua mano che nel frattempo, s’era posata sul mio volto, scendendo fino alle mie labbra. “Peccato darling. Non sai che ti perdi!” affermò sogghignando “Fai bere loro ciò che desiderano, offre la casa” disse al barman in tono superbo, riprendendo poi a camminare verso il centro della sala e lasciandoci soli.

“Che viscido idiota!” sbottai pulendo il viso. Sentivo ancora le sue mani sudaticcie sopra di me.
Un singhiozzo attirò la mia attenzione. Alzai immediatamente il volto verso John, il quale era chino sul bancone, il viso nascosto da un braccio.
“John! John!” saltai dallo sgabello e mi avvicinai a lui “Ti prego non fare così…io…” mi portai entrambe le mani ai capelli non sapendo cosa fare.
Sbuffai, poi udii uno strano rumore: John aveva appena dato un pugno sul bancone. Sbarrai gli occhi: il suo viso una maschera d’ira. Deglutii.
“John…” lo chiamai titubante “Un’altra Caipirosca” ordinò al barman, ignorandomi. “Tanto offre la casa!” sputò quelle parole con una cattiveria che non riconobbi come sua.
“Sai che ti dico?” dissi rivolta a lui “Prendo una Caipirosca anche io. Per berne così tante deve essere buona” ammisi, strappando un piccolo sorriso al mio amico.
 

“Balliamo?” propose John dopo l’ennesimo drink “Ma si! Che sarà mai!” sorrisi stringendo la mano del mio amico e iniziando a muovermi a ritmo di musica.
Ci gettammo in pista come due pazzi scatenati seguendo le note di “Stereo Love” di Edward Maya.
Attorno a noi i corpi di donne e uomini si dimenavano impazziti, occhi chiusi, mani in alto, voci eccitate urlavano sovrastando la musica. Tutti erano su di giri. Troppo. Ed anche io cominciavo ad esserlo. Avvertivo i primi effetti dell’alcol.
D’un tratto reclinai la testa all’indietro e lasciai che le palpebre si chiudessero. Mi immersi corpo e mente nella musica, per la prima volta mi sentii così leggera che quasi potevo spiccare il volo. John era davanti a me, sentivo il suo corpo muoversi nel piccolo spazio che eravamo riusciti a ritagliarci e anche lui sembrava divertirsi.
Riaprii gli occhi per un istante, ma quello che vidi mi fece raggelare.
Due fessure azzurro chiaro mi trafissero in pieno.
Raddrizzai la testa e mi voltai velocemente verso quello sprazzo di cielo sereno, ma quando lo feci, non c’era più. Che fosse stato frutto della mia immaginazione?
Probabile.
Mi strofinai gli occhi con le mani, ma la vista sembrò peggiorare. Vedevo tutto appannato.
Scossi la testa e abbassai le palpebre, inspirando con calma per placare il mio cuore impazzito. Fissai nuovamente quel punto del locale, ma non c’erano che tre o quattro ragazzi intenti a bere un drink e a chiacchierare.
A quel punto, mi mossi verso John che fino a quel momento aveva continuato a ballare, circondato da alcune ragazze che si erano accostate a lui e con mille moine provavano a conquistare la sua attenzione.
Sorrisi e guardai il mio amico palesemente scocciato.
Quando alzò lo sguardo e incontrò il mio, mi fece una linguaccia e ammiccò, vantandosi di quelle conquiste. Ciò mi fece sorridere maggiormente.
Provai ad avvicinarmi a lui barcollante, ma dovetti scostare un gran numero di persone ed evitare, allo stesso tempo, di cadere.
I tacchi iniziavano a rappresentare un ostacolo per il mio precario equilibrio da sbronza. L’alcol fluiva a fiumi in me, sentivo che mi era arrivato fin nel cervello.
Per inseguire quello strano sguardo, mi ero spostata di qualche passo. Quando riuscii a raggiungere John, una ragazza, per sbaglio, mi diede una gomitata facendomi scontrare col suo corpo, lui per riflesso mi strinse.
“Ti sei allontanata improvvisamente. Ad un tratto non ti ho più vista!” parlò così vicino al mio orecchio che potei percepire chiaramente il suo fiato solleticarmi piacevolmente.
“Si scusa, mi era sembrato di vedere due occhi fissi su di me!” balbettai in risposta, imbarazzata per la mia stessa folle immaginazione.
“Maggie, credo che tu ed io abbiamo bevuto un po’ troppo” rise forte, continuando a stringermi forte e a guidarmi nella danza.
E più ballavamo, più sentivo il suo profumo entrarmi nelle narici e appiccicarsi sulla mia pelle, sul mio vestito.
Le mani di John si muovevano con leggiadria su di me: prima mi accarezzavano la schiena, poi mi prendevano le mani e mi facevano girare, per poi tirarmi nuovamente verso di sé. Erano alla base del collo, tra i miei capelli, ovunque ne sentissi il bisogno.
Stava accadendo qualcosa. Ne percepivo i segnali nell’aria attorno a me.
John  mi stava fissando in modo inconsueto.
Cos’era quello strano calore che avvertivo improvvisamente?
Quella fiamma ardente nei suoi occhi cosa stava a significare?

“Che ne dici se ce ne andiamo?” disse John d’un tratto.
“Si…” soffiai, non totalmente in possesso delle mie facoltà.
Lui intrecciò la sua mano alla mia e dopo avermi lanciato un’ultima occhiata, corremmo fuori dal locale.
Entrati in macchina, accese l’aria calda per permettere ad entrambi di ritrovare un po’ di calore. Aveva cominciato nuovamente a piovere.
John continuava a guardarmi al punto che non potei più ignorarlo e mi misi a fissarlo anche io.
Cosa ci spinse l’uno verso l’altro?
In quell’istante l’unica cosa che contava erano le sue labbra schiuse sulle mie…

 

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Capitolo 5
*** Il passato ***


Il passato

Salve a tutti.
Mi scuso. Ormai lo faccio ogni volta che posto.
So di essere in ritardo, ma ho davvero molta difficoltà nello scrivere ultimamente e mi dispiace.
Però mi ha fatto piacere leggere le vostre recensioni. Mi avete resa felice.

Nashira07:  grazie per le tue bellissime parole! Si, parlo di quotidianità, di amicizia, di amore...tutte cose nelle quali credo fermamente e mi piace raccontarle a modo mio. Sulla base di ciò che ho vissuto e vivo tutt'ora. Spero continuerai a seguirmi, anche se aggiorno di rado.

Lady Jadis: l'onore è tutto mio, Annachiara. Perchè tu hai la pazienza di leggere e darmi consigli. Ma soprattutto di sopportarmi e supportarmi, nonostante io continui a pensarla nello stesso modo sul mio modo di "scribacchiare". Non potrò mai ringraziarti abbastanza!!! 

Dindy80: purtroppo per gli aggiornamenti posso farci ben poco. Ho mille impegni e scarse idee, è un periodo così. Spero passi. Il genere è un altro problema, ma io sono fatta in questo modo, questo è il mio stile. Pazienza :). Grazie comunque per esserci sempre. Sei una lettrice costante e sempre presente!!! Lo apprezzo molto!

Giulls: tesoro! Sono felice che tu abbia letto anche quest'altra mia storia! Mi fa davvero molto piacere, così come mi rende orgogliosa il fatto che tu l'abbia apprezzata. Grazie, grazie, grazie all'infinito <3!!!

Ho avuto molti dubbi nella stesura di questo capitolo. 
Ho cambiato idea più volte, alla fine ho optato per questo che ora leggerete. Credo di aver preso la decisione migliore e spero che l'apprezziate.
Un bacio a tutti. Spero di poter aggiornare presto.

Capitolo 4 “Il passato”

 

“Andiamo a casa mia?” chiese lui, scendendo a baciarmi il mento. Annuii in trepidazione di fronte al suo sguardo languido.
Non ricordavo che il suo appartamento fosse così vicino.
Quando John scese dall’auto, restai impietrita al mio posto.
Avevo il cuore che batteva a mille e una paura folle di fare qualcosa di dannatamente eccitante, ma stupido.
Dannata me e la mia coscienza!
John si fermò sotto la pioggia proprio davanti alla macchina e mi guardava attraverso il parabrezza. Incrociai i suoi occhi.
Avrei voluto che l’alcol annullasse i miei sensi.
Avrei voluto perdermi in quella notte. Senza pensare.
Ma non sarebbe stato così.
Io fissavo John e lui faceva lo stesso con me. Poi mi sorrise e riconobbi in quello splendore, il mio amico. Di riflesso sorrisi anch’io.
Fu in quell’istante che scesi dall’auto e mi avvicinai a John.
“Vuoi tornare a casa?” mi domandò quando gli fui accanto.
“Non ho voglia di rientrare” risposi continuando a guardarlo negli occhi.
“Sai” disse deviando il mio sguardo “Ho temuto che rovinassimo tutto” ammise.
“Anche io” soffiai e lui voltò il viso verso di me “Ma siamo due persone con la testa sulle spalle” intonai seria e John alzò gli occhi al cielo. Risi. “Scherzo. In ogni caso, è bene che non siamo andati oltre, ce ne saremmo pentiti”, lui annuì concorde. Un tacito assenso.
“Posso restare da te?” John mi guardò scioccato. “Non capire male” scossi la testa “Non mi va di tornare a casa in questo stato pietoso” il mio amico alzò un sopracciglio confuso “Stai benissimo!” “No, ti assicuro che non è così. Fammi restare qui, solo per stanotte” e gli feci gli occhioni dolci.
Evidentemente funzionarono perché mi prese per mano e mi trascinò su per le scale di casa sua.

 

“Allora tu dormirai nel mio letto, io invece mi preparo il divano”. John viveva in un piccolo appartamento a Hackney, nella zona nord-est di Londra. Vive da solo da qualche anno e si manteneva col suo lavoro in librearia e qualche extra nel ristorante del cugino proprio nei pressi di casa sua.
“Ma mi spiace rubarti il letto!” esclamai. John mi scrutò con tenerezza, si avvicinò e mi abbracciò “Non mi rubi nulla. Fa come se fossi a casa tua, sai dove si trovano bagno e cucina. Non so quanta roba ci sia nel frigo. Spero di non fare figuracce” ridacchiammo.
“Pensi che la maglia che ti ho dato ti vada?” domandò “Si, è enorme! Ma chi sono i tipi disegnati sopra?” John mi guardò come fossi un’aliena “Oh Dio! Ma tu di musica non t’intendi proprio!” si diede una manata in fronte “Devo fare una chiaccierata con Daiana, deve assolutamente portarti con sé al negozio di dischi. Comunque tanto per la cronaca quelli lì sono 30 Second to Mars” rispose indicandoli. Una scintilla accese i suoi occhi. Probabilmente era loro fan.
“Ah!” dissi “Ho sentito parlarne. Una volta Jenny e Dod ne discutevano animatamente” mi grattai il capo confusa. John scoccò la lingua sui denti “Ti lascio dormire, ubriacona!” esclamò uscendo dalla stanza.

 

Era notte fonda e non riuscivo a dormire. Avevo telefonato a Jenny sapendo di trovarla sveglia e l’avevo avvertita che sarei rincasata l’indomani mattina presto prima di andare a lavoro. Mi aveva candidamente ricordato che il giorno dopo era sabato e che mi ero presa un permesso qualche settimana prima dietro insistenza di lei e Daiana che volevano riposassi un paio di giorni. Stranamente non mi fece domande particolari, per questo mi venne il dubbio che John avesse parlato con lei prima di me. Prima di attaccare si raccomandò di dormire quanto più possibile. Non voleva uno zombie in casa.
Certe volte era proprio “simpatica”. Strosi il naso e mi coricai.
Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto. Seccata mi alzai. Scalza inziai a gironzolare per l’appartamento. Questo mi ricordava la mia infanzia, quando piccina giravo per casa senza pantofole. Mi piaceva il contatto diretto col pavimento.
Arrivata in cucina, aprii il frigo e bevvi un sorso di succo di frutto alla pesca. La testa mi ronzava ancora per la musica troppo alta e per l’alcol che avevo ingerito.
Per tornare in stanza, dovevo passare per il salotto. Quando mi trovai davanti al divano di John mi fermai a guardarlo dormire.
Era quasi angelico.
Cosa sarebbe successo se davvero non ci fossimo fermati? Saremmo di certo finiti a letto insieme buttando all’aria tutto. Mi portai una mano tra i capelli, stanca per tutto quel pensare inutile e dannoso. Eppure non riuscivo a smettere, perché porca miseria: mi era piaciuto baciarlo! Ma non erano le sue labbra. No. Era proprio la sensazione del bacio ad avermi stordita.
Dio quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo baciato un uomo?
Troppo tempo. Facevo quasi fatica a ricordarlo.
Tre anni. Tre anni da quando ero fuggita a Londra dopo il tradimento di Francesco, la delusione della mia amica, nonché sua sorella e l’incoraggiamento di mia madre a riprendermi la mia vita. E ora ero lì, nella casa di una delle persone che più mi volevano bene in quel posto.
Ma mi mancava quel brivido.
Mi mancava maledettamente sentirmi importante per qualcuno. Qualcuno che non fosse un amico.
E porca miseria! Mi mancava anche poter avere il batticuore. Quello meraviglioso del primo appuntamento. Oppure quello dell’attesa di un messaggio o di una chiamata. E magari quello strano languore che si prova quando si ama qualcuno.
Tutto s’era risvegliato a quell’incrocio grazie a quegli occhi e che quella sera credevo di aver rivisto.
Ah mio Dio! La testa iniziava a pulsarmi troppo. Decisi di tornare a letto, ma nel farlo, urtai contro il tavolino.
“Accidentaccio a me!” imprecai a bassa voce chinandomi a massaggiare il piede offeso. “Maggie?” la voce impastata di John mi giunse alle spalle. Mi voltai colpevole, il mio amico nel buio cercava di capire dove fossi. Quando accese la lampada sul tavolo, lo vidi semidisteso.
“Ciao” dissi scattando all’inpiedi “Tutto bene?” chiese John “Si, si, avevo sete” risposi frettolosamente “Ok” disse lui continuando a scrutarmi con uno strano cipiglio sul volto “Non riesci a dormire” affermò sicuro “Non me lo stai chiedendo” dissi. “Vieni qua!” scostò la sua coperta per farmi spazio. Lo raggiunsi e mi stesi accanto a lui.
“Cos’hai? “ domandò a bruciapelo “Pensieri” risposi vaga “E spegni questo cervello!” ordinò perentorio “Hai bisogno di riposo, oggi è stata una giornata lunga” “Domani sono di festa, posso riposare” ribattei “Non mi interessa, ora sei qui con me e dormirai. Non voglio sentire volare una mosca, chiaro?” domandò fintamente severo “Chiarissimo!”.
“Bene. Buonanotte” e mi avvolse nella coperta “Buonanotte John”. Chiusi gli occhi e mi addormentai, abbracciata al mio amico.

 

Fievoli e fastidiosi ticchettii mi svegliarono.
Aprii lentamente le palpebre e un piccolo raggio di sole m’illuminò il volto.
Infastidita, mi portai una mano sugli occhi.
“Buongiorno!” esclamò vivace una voce “Ben svegliata!” ora era più vicina.
Quando mi accorsi che il sole non c’era più, spalancai gli occhi trovandomi davanti il volto allegro di John.
Sorrisi di riflesso. Quel ragazzo aveva l’innata capacità di farmi sentire bene. E non era cosa da tutti.
“Come ti senti stamane?” chiese sedendosi sul divano.
“Molto meglio, grazie” risposi, mettendomi a sedere. “Che ore sono?” domandai, guardandomi attorno alla ricerca di un orologio “Sono le otto!” mi disse “Potresti riposare ancora un po’ visto che non devi andare a lavoro” aggiunse poi.
“Mmm” mugugnai, stirando le braccia e sbadigliando “Effettivamente potrei farlo, ma non mi va di approfittare ancora della tua ospitalità. E poi tu non devi andare in biblioteca oggi?” dissi guardando John. Lui negò con la testa “Mi ha chiamato Carol dicendomi che avrebbero aperto solo per qualche ora, perché deve partire per Dublino. Un viaggio di lavoro, a quanto pare ha un appuntamento con un importante fornitore. Era molto eccitata!” “Wow, fantastico!!! Arriveranno presto nuovi libri!” risposi “Speriamo siano letture interessanti, altrimenti come passerò il tempo?” ridemmo entrambi.
“Ti va di fare colazione?” John si alzò in piedi e si diresse verso il piano cottura. Il mio stomaco brontolò appena, facendomi arrossire “Si, forse è meglio che mangi qualcosa” risposi andando verso di lui.
“No, lascia stare! Preparo io, tu va pure a darti una sistemata. Non hai una bella cera, si vede proprio che non sei abituata a bere!” John sghignazzò prendendosi gioco di me. Io gonfiai le guancie a palloncino, imbarazzata, fingendomi offesa. In realtà aveva perfettamente ragione. Certe volte ero davvero noiosa e scontata e al di fuori della mia normale routine potevo apparire buffa.
Chissà come mi vedeva John in quel momento.
Chissà cosa lo aveva spinto a baciarmi.
Di certo l’alcol aveva influito, però…lui era gay e non doveva provare attrazione per una donna. Soprattutto per me che diceva ero normale e poco divertente. Scherzava, ma ero sempre stata convinta che avesse ragione. Ero sempre troppo misurata. Ogni cosa facessi.
Una volta in bagno, commisi il grosso errore di guardarmi allo specchio. Ero più pallida del solito, eppure non mi sentivo male. I giramenti di testa erano passati ed ero riuscita a riposare abbastanza tranquillamente.
Però il mio aspetto fisico risentiva dei miei malumori interiori.
Sospirai rassegnata e mi gettai sul viso dell’acqua fredda prima di tornare in cucina.

 

“Ecco a te!” esordì John una volta vistami rientrare.
Sul tavolo c’erano uova, succo di frutta, cereali, marmellata, biscotti e anche una tazza di latte con caffè.
“Wow!” ero senza parole “Si, si. Niente complimenti!” mi schernì John con finta aria altezzosa “Non ho preparato tutto questo per te, bensì per me. Io devo mantenermi in forze!” proferì accomodandosi e iniziando a mandar giù le uova.
Sorrisi, scuotendo il capo.
“Ma infatti io non stavo per farti alcun complimento. Ingozzati pure, io mi bevo solo il latte con tre biscotti” asserii sorseggiando un po’ di latte.
“Oooh!” borbottò John con la bocca piena “Vuole fare la modella!!!” mormorò ironico. “Ah, ah, ah” finsi una risata “Idiota!” dissi piccata “A prima mattina non mi piace mangiare. Sono abituata così, poi di solito sono sempre di fretta e non mi soffermo molto sulla colazione” gli feci una linguaccia.
John mi trafisse con lo sguardo “Signorina” esordì “Lei dovrebbe prendersi più cura di se stessa. È importante non solo per il corpo, ma anche per lo spirito” proferì in tono professionale.
“Stai tranquillo. Io sono una roccia” e alzai il braccio per mostrargli il mio muscolo. Lui storse il naso “Seh come no!” rispose “Oggi mi prenderò io cura di te e non accetto un no come risposta. Dopo telefono a Jenny, invitiamo anche lei e Doddia a pranzo qui, che ne dici?” domandò, dandomi le spalle per posare nel lavello, il piatto vuoto.
“Ok” dissi mandando giù un biscotto “Cuciniamo insieme, ti va?” proposi allettata all’idea. John si girò a guardarmi serio, poi sorrise “Certo che si!”.

 

Io e John eravamo usciti per fare la spesa.
Jenny e Daiana avevano accettato di buon grado l’invito a casa del nostro amico, e s’erano proposte di darci una mano, ma John aveva gentilmente rifiutato, dicendo loro che non c’era bisogno e che al massimo potevano occuparsi del dolce. Ma lì ero intervenuta io. Per una volta volevo cimentarmi nel prepararo qualcosa che mi riconducesse al passato, nel mio bel paese.
“Allora, uova, mascarpone, caffè, savoiardi, pasta, insalata, pane…manca qualcosa?” chiese John leggendo la lista della spesa.
“Che ne dici se compriamo un po’ di carne e l’arrostiamo sulla brace? Oggi è una bella giornata, posso mettermi sul balcone a farlo. Si potrebebro anche fare delle bruschette!” dissi sorridente. Eccitata all’idea di cucinare.
“Se può farti continuare a sorridere in questo modo, è chiaro che ti dico di si” esclamò John mettendomi una mano sulla spalla. Lo guardai e sorrisi ancora.
“Ti piace stare ai fornelli?” domandò poco dopo “Si. Quand’ero in Italia, io e il mio gruppo di amici avevamo un posto abbandonato dove andavamo spesso. Una vecchia torre sul mare, si vociferava che fosse stata usata come luogo di guardia durante la Seconda Guerra Mondiale. L’avevamo addobata come fosse casa nostra e il più delle volte durante l’inverno, ci chiudevamo lì dentro e cucinavamo. Io ero l’addetta ai fornelli. Mi faceva stare bene fare da mangiare per i miei amici. D’altronde loro apprezzavano e questo non faceva altro che incoraggiarmi.”
“Dovevano volerti molto bene” sottolineò con John con voce dolce. Annuii, ma non aggiunsi altro.
Pagammo il conto e ci dirigemmo spediti verso casa.

John si offrì di cucinare la pasta, io mi dedicai alla brace. Preparai il carbone e tutto l’occorrente per la carne.
Mentre aspettavo che le carbonelle raggiungessero la giusta temperatura, iniziai a montare le uova col mascarpone per il tiramisù. Era il dolce che preparavo sempre in Italia.
“Non ho mai capito bene perché tu sei venuta a Londra” affermò John, mentre mi osservava. Alzai di poco la testa per fissarlo.
“Non è una storia interessante” ammisi “Che m’importa! Neanche la mia lo è, ma tu mi hai ascoltata senza battere ciglio” proferì muovendosi accanto a me. Sospirai.
“Non devi sentirti costretto a farlo, solo perché io ho ascoltato te e poi davvero John: ti annoieresti e basta!” ribadii sperando di fargli cambiare idea. Ma fu tutto inutile.
Battè un pugno sul piano cottura, facendomi trasalire. “Oh ma sei testarda!” esclamò serio “Non ricambio alcun favore. Sono davvero interessato a ciò che ti riguarda. Sei mia amica, ma so troppo poco di te e della tua vita passata!” dichiarò, agitando le mani in aria.
“Ok” mi arresi “Cosa vuoi sapere?” un sorriso strafottente nacqua sul suo viso. “Ogni cosa!” mormorò.
“Sono arrivata qui a Londra tre anni fa…” “Si, si questo lo so. Va avanti!” proruppe John. Lo guardai di sbieco con furia “Vuoi ascoltare o no?” sbottai “Si, scusa” disse. Presi un respiro e ricominciai: “Dicevo: tre anni fa ho fatto i bagagli e sono volata qui a Londra. Non so perché io abbia scelto proprio questo posto, ma credimi se ti dico che io e l’inglese non siamo mai andati d’amore e d’accordo. A scuola mi impegnavo tanto, ma ho sempre pensato che questa lingua mi odiasse” sorrisi malinconica al ricordo di me e delle ore spese a studiare.
“Sono praticamente scappata e in quel momento Londra mi sembrava il posto giusto. Ho guardato la cartina dell’Europa e il mio sguardo è caduto su questa città. Ho avvertito una sensazione strana di pienezza. Non so spiegarti, so solo che quando ho pensato di partire e venire qui, mi sono sentita in pace con me stessa”
“Perché sei scappata?” eccola lì la domanda che temevo. Non c’era cattiveria nella voce di John, ero il mio incoscio a registrarla male. Nei primi tempi in cui vivevo a Londra, molti mi telefonavano per chiedermi spiegazioni e questo interrogativo me lo sono sentito porre più volte con acidità e crudeltà. Nessuno comprendeva che seppur semplici parole, mi facevano male.
“Prima di partire vivevo una vita normale, ma felice. Studiavo psicologia all’università e stavo per laurearmi. Nel frattempo facevo tirocinio presso un studio nella mia città e partecipavo a serate di karaoke in un locale. Coltivavo i miei interessi. Sono sempre stata una persona cordiale e questo mi ha permesso di fare amicizia con molte persone. La mia cerchia di amici era molto vasta e molti di loro avevano frequentato le scuole superiori con me. Stavo bene, avevo tutto quello che desideravo: una bella famiglia, amici meravigliosi e…un ragazzo che amavo tantissimo e che mi ricambiava calorosamente” mi fermai un attimo e fissai un punto indefinito davanti a me.
John non disse nulla, probabilmente comprese il mio stato d’animo.
“Francesco era il ragazzo migliore del mondo: affettuoso, dolce, simpatico, socievole. Praticamente incarnava il mio tipo ideale. Caratterialmente era simile a me, la pensavamo uguale su molte cose. Sua sorella, Annalisa, era la mia migliore amica. Grazie a lei avevo conosciuto Francesco e da lì tra di noi era scattato qualcosa. Qualcosa che s’è rivelato essere importante anni dopo. Quasi per caso ci siamo ritrovati di nuovo e da quel momento non ci siamo più separati.” Continuai il mio racconto, prendendomi continue pause e non guardando mai negli occhi il mio interlocutore, quasi temessi che potesse leggervi dentro tutta la mia verità.
“Prendi” John comparve con in mano un bicchiere d’acqua “Credo che tu ne abbia bisogno” sorrise teneramente “Grazie” balbettai afferrandolo e sorseggiando lentamente il liquido trasparente.
“Se non te la senti di continuare, non importa. Lo farai un’altra volta” pronunciò quelle parole con voce bassa, quasi temesse di ferirmi.
“No, no. Voglio raccontarti ogni cosa!” affermai con sicurezza, posando il bicchiere sul piano cottura.
“Francesco decantava il nostro amore a destra e a manca. Diceva a tutti che ero la donna della sua vita e che un giorno mi avrebbe sposata. Immagina la mia gioia!” esclamai ripercorrando, passo, passo, ogni singolo istante. “E invece cos’è successo?” domandò John. Lo scrutai, sentivo già le lacrime prorompere dai miei occhi.
Deglutii saliva. “Un anno e mezzo dopo, per caso ho scoperto che mi tradiva. Lo faceva già da qualche mese con una ragazza che lui conosceva da anni. Non mi ero accorta di niente. Assolutamente di niente!” dissi con rabbia, stringendo entrambe le mani a pugno. “Era un attore nato ed io stupida che gli credevo. Quando sono corsa da Annalisa per raccontarle l’accaduto, lei non ha battuto ciglio, anzi non sembrava affatto meravigliata” notai John trattenere il fiato.
“Quando le ho chiesto spiegazioni lei mi ha detto che lo sapeva” le lacrime mi impedivano di parlare, ma non mi arresi e continuai “Lo sapeva da qualche settimana e non mi aveva detto niente, perché non voleva rovinare tutto. Ma tutto cosa le gridai io piangendo. Quel giorno litigammo come non era mai successo prima e quando rientrai a casa, mia madre mi vide sconvolta e ascoltò il mio racconto senza dirmi nulla. Alla fine urlai che volevo andarmene da lì, che avevo bisogno di staccare la spina. Fu allora che mamma mi propose di partire. Lei non mi ha mai abbandonata, mi ha sostenuta in ogni decisione” alzai lo sguardo fiera di avere una madre così presente e amorevole. Era soprattutto grazie a lei che ero rimasta in piedi. Nonostante la lontananza.
“Ho fatto il biglietto per Londra il giorno stesso e tre giorni più tardi sono partita. Qui ho avuto l’appoggio di un amico di mio padre per i primi tempi, poi ho iniziato ad arrangiarmi da sola, non appena ho preso a lavorare in biblioteca”
“Non hai più parlato con Francesco e Annalisa?” chiese John, asciugandomi le lacrime. “Sono io che non ho voluto più avere a che fare con loro. Mi hanno cercata entrambi, ma io mi sono sempre fatta negare. Quando sono giunta a Londra, mamma mi ha detto che Annalisa era rimasta sconvolta e delusa dalla mia decisione di scappare. Secondo lei non avevo le palle per affrontare il problema e per questo avevo fatto la scelta più semplice. Probabilmente aveva ragione, ma ora so di aver preso la decisione migliore per me” fissai John negli occhi e gli sorrisi “Qui ho trovato delle persone meravigliose che non mi giudicano, ma mi amano nonostante sia noiosa e petulante. Cosa potrei desiderare di meglio?” a quel punto John mi stritolò in un abbraccio.
“Io non so cosa sarebbe successo se fossi rimasta in Italia” disse “Ma sono felice di averti qui. Mi spiace che tu abbia sofferto, ma ora è arrivato il momento che tu ti lasci alle spalle il passato e guardi al futuro con ottimismo. Tu puoi avere di più! Devi solo crederci” e con quelle parole, mi lasciai andare ad un pianto liberatorio.

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