Il mistero dei pesci rossi

di cabol
(/viewuser.php?uid=15027)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Personaggi


Siverius Nilboloc: ricco mercante.

Lory: moglie di Siverius.

Holverius Nilboloc: figlio maggiore di Siverius e Lory, mercante.

Kathya: moglie di Holverius.

Beryl Nilboloc: figlia di Holverius e Kathya.

Crown Cameron: fidanzato di Beryl.

Umbia Nilboloc: figlia minore di Siverius.

Lord Pier Boxis: ricco armatore di nobile famiglia, marito di Umbia.

Viator Berifaol: socio di Nilboloc.

Petra Berifaol: moglie di Viator.

Daniel Berifaol: figlio di Viator e Petra.

Harvey Percy Cragg: capitano della I compagnia della Guardia di Elos.

Bartholomeus Winthrop: maggiordomo di casa Nilboloc.

CAPITOLO 1


Siverius Nilboloc osservava soddisfatto la tavola imbandita. Quell'opulenza esprimeva il potere e il successo che lui aveva saputo guadagnarsi nella vita. Sulle ricche tovaglie, sulle stoviglie, sulle stesse sedie meravigliosamente intagliate, le sue iniziali campeggiavano fastosamente, per ricordare a tutti che lui era il signore di quella casa e che tutto quello che si vedeva, gustava, odorava, era suo.

Anche, e soprattutto, i commensali che, di lì a poco, si sarebbero seduti a quel desco per la tradizionale cena di fine anno.

Assiso su un antico trono foderato in prezioso velluto ricamato con il suo monogramma, il mercante più ricco e odiato di Elosbrand[1] sorrideva compiacente allo smilzo maggiordomo che pareva volteggiare intorno alla tavola, impartendo ordini secchi ai camerieri, in modo che tutto fosse in perfetto ordine per l'inizio della cena. L'aveva assunto da tre mesi con referenze lusinghiere e aveva dimostrato subito di meritarsele tutte. Siverius Nilboloc si complimentò con se stesso per la sagacia che aveva sempre dimostrato nello scegliere collaboratori e servitù. Era un uomo di struttura massiccia, di altezza media e dai lineamenti regolari. Le rughe del volto aggiungevano fascino ai suoi occhi azzurri, vivaci, pieni di vita ma capaci di velarsi di una freddezza mortale. La bocca sprezzante dalla mandibola volitiva sogghignò con maggior soddisfazione quando intercettò gli sguardi seccati dell'anziano servitore, rivolti a una giovane e avvenente sguattera che pareva non aver voglia di lavorare. Ammiccò alla ragazza. Aveva lavorato per lui, e bene, durante la notte, dunque era giusto che si risparmiasse per le nuove mansioni che il padrone le aveva assegnato.

Sorrise ancora alla ragazza che gli mandò un bacio.

Un rumore alla sua destra lo fece voltare.

Due occhi fiammeggianti gli fecero capire che la sua adorata mogliettina aveva visto la scena e capito tutto. Sospirò. Possibile che non si fosse ancora rassegnata? L'aveva resa una delle donne più ricche della provincia, le aveva dato una posizione invidiabile. Cos'altro voleva? Le sorrise con aria di sfida. Se avesse osato dire una sola parola, l'avrebbe sbattuta sulla strada, proprio là da dove proveniva.

Lory Nilboloc abbassò lo sguardo, sconfitta, una volta di più. Era ancora bella, nonostante le oltre sessanta primavere. I suoi lineamenti delicati riflettevano l'aristocrazia delle sue origini. Purtroppo, queste non erano accompagnate da un adeguato patrimonio personale che, forse, le avrebbe permesso di fare altre scelte dopo che il suo matrimonio si era rivelato un'infinita serie di delusioni e umiliazioni. Si voltò e uscì rapidamente dalla stanza, quasi travolgendo il suo figlio maggiore che si scansò rapidamente. Holverius Nilboloc impiegò solo un attimo a comprendere cosa doveva essere accaduto.

«Stavolta chi era?». Sospirò, rivolgendosi al padre.

«Ha importanza? Impari a stare al suo posto!».

«Teoricamente ci sta provando. Solo che lo trova sempre occupato...».

«Il suo posto è quello che le indico io di volta in volta. E se lo faccia piacere o la sbatto fuori».

Holverius Nilboloc assomigliava in tutto e per tutto a suo padre, a eccezione della pazienza, della quale era decisamente meglio fornito, e dell'altezza, visto che lo sopravanzava di tutta la testa.

«D'accordo, lasciamo stare... oggi pomeriggio ho visto Calver».

«Il vasaio?».

«Proprio lui. Dice che non ce la fa con l'affitto».

«... e ha tante bocche da sfamare. Storia vecchia. Che gli hai risposto?».

Il giovane mercante sogghignò.

«Che se ha fatto tanti figli è un problema suo. Si è divertito. Ora che paghi».

«Sono orgoglioso di te, figliolo». Un largo sorriso comparve sul volto di Siverius.

«Guarda che è capace di ammazzarsi. L'ho visto davvero disperato».

«Un buono a nulla in meno. Ma pagherà, ne sono certo. Gli manca il coraggio e la dignità per suicidarsi davvero. Comunque non sono fatti nostri».

«Bene, argomento chiuso, allora. Hai visto mia moglie?». Holverius era ormai abbastanza avvezzo a trattare col padre da capire al volo quando fermarsi. E, soprattutto, a nascondere accuratamente quegli scrupoli che persistevano a infastidirlo e che suo padre era stato tanto fortunato da non conoscere mai.

«No, qui non è venuta. Sarà a spettegolare con tua sorella. Ah, Holverius?».

«Sì?».

«Se quell'idiota dovesse davvero suicidarsi, quel fondo potrebbe interessare a messer Basil, l'erborista».

«Ottima notizia, questo rende ininfluente cosa farà quel vecchio scemo. Me ne ricorderò. Vado a cercare Kathya».

«Bartholomeus dice che fra mezzora si cena. Vedi di farla arrivare in tempo. E anche quella cretina di tua sorella». Un lampo maligno passò negli occhi di Holverius.

«A proposito di cretini, c'è Crown che ti vuole parlare. Quel tipo è sempre più arrogante ... quando ti deciderai a metterlo al suo posto?». Il fidanzamento fra Crown Cameron e Beryl, l'unica figlia di Holverius, era stato approvato proprio dal nonno, mentre il padre aveva sempre visto con scarsa simpatia quello sfrontato giovanotto.

Il viso di Siverius s'incupì bruscamente.

«Presto. Molto presto. Fallo passare nello studio e disponi che nessuno si avvicini».

«Aspetta, c'è un'ultima cosa». Il volto severo di Holverius pareva seriamente preoccupato.

«Dimmi».

«Tu sai che mamma possiede un anello nel cui castone è nascosto del veleno?».

«Naturalmente. Ogni tanto mi minaccia di servirsene ma sai benissimo che non oserebbe mai. Da chi l'hai saputo?».

«L'ha scoperto mia figlia, per caso. Le aveva chiesto un anello per stasera e mamma le ha detto di scegliere quello che preferiva. Quando Beryl l'ha preso è mancato poco che le pigliasse un attacco isterico».

«Tipico. Comunque è escluso che tua madre possa servirsene».

«Nemmeno per fare una sciocchezza?».

«Non pensarci nemmeno. La conosci. Da lei mi aspetto una scenata coi fiocchi, un bel po' di strida ma nulla di seriamente pericoloso. Piuttosto, fammi andare da quel fenomeno del tuo futuro genero».

Scuro in volto, messer Nilboloc si alzò e si diresse a passo rapido verso il suo studio. Non si accorse, o fece finta di non accorgersi, del bacio inviatogli dalla servetta sorridente.

Lo studio si trovava al primo piano della torretta quadrata che sovrastava il palazzotto del mercante, occupandolo completamente. Le finestre, chiuse da preziose vetrate, erano protette da massicce griglie di bronzo e velate da pesanti tendaggi, capaci di escludere completamente la luce esterna.

A sinistra dell'ingresso spiccava un ampio focolare acceso, davanti al quale si trovava un tavolino rotondo circondato da tre sedie. La parete di sinistra era occupata quasi completamente da enormi scaffali ingombri di libri.

Nel centro della stanza, una grande vasca di marmo a forma di grosso pesce, ospitava alcuni rarissimi esemplari di carpa dorata, una varietà orientale pressoché immangiabile ma dallo splendido colore rosso con riflessi d'oro. Nilboloc le aveva portate con sé di ritorno da un viaggio in oriente e le accudiva con estrema cura. Erano, diceva, la rappresentazione vivente del suo successo negli affari. Il suo portafortuna.

Sulla parete di destra si scorgeva una massiccia cassaforte oltre la quale una scala conduceva alla stanza da letto che occupava il piano superiore. In fondo alla stanza troneggiava un'enorme scrivania, davanti alla quale si trovavano due comode poltrone. Seduto su una di queste, un giovane dallo sguardo sfrontato lo attendeva sorridendo.

«Buona sera, riverito messere!».

«Lo era, finché non sei arrivato. Cosa vuoi?».

«Sempre diretto al cuore, eh? Cosa voglio? Voglio sapere se conoscete Janet Palescot».

«E chi diavolo sarebbe?».

«Una delle più note sgualdrine di Elosbrand».

Siverius fissò uno sguardo d'acciaio sul giovane. Parlò a voce bassa, con un tono estremamente controllato.

«Perché dovrei conoscerla?».

«Perché lei conosce voi, messer Nilboloc. E bene, direi».

Un sorriso ironico comparve sulle labbra del mercante.

«Cosa vuoi?».

«Diventare vostro socio ... potrei prendere il posto di Berifaol. Nel cambio ci guadagnereste». Il sorriso di messer Nilboloc si allargò.

«Hai un bel coraggio, figliolo. Quasi potresti diventarmi simpatico».

«Dovreste avere più considerazione del mio talento ... nonno».

«Oh, ne ho ... ne ho eccome!». Il sorriso ironico si era trasformato in un ghigno malevolo.

«Ne ... avete?». Lo stupore traspariva dagli occhi sfrontati di Crown.

«Certo, tanto da farti pedinare tutti i giorni, da quando hai messo gli occhi su mia nipote. Vedi, di chi si sposa quella stupida m'interessa poco, mentre voglio essere sicuro di introdurre solo serpi sdentate in casa mia. Per questo ho acconsentito al vostro fidanzamento. Peggio per lei».

«Mi avete fatto sorvegliare?». Il giovane si era fatto pallido, quasi grigio.

«Sì, mio bel fanciullino. Tanto da sapere tante cose sul tuo conto, molto più divertenti di quelle che tu sai sul mio. Cose che da queste parti possono costare la forca».

«E lo permettereste? Fareste impiccare il futuro marito di vostra nipote?».

«Mai, nel modo più assoluto. Puoi star certo che userei tutta la mia influenza per farti ottenere una assai più nobile decapitazione. Ora sparisci. Puoi restare a cena, se vuoi, ma non ti azzardare a farti rivedere in questa stanza o ti faccio buttare fuori a calci».

«Ve ne pentirete, messere!».

«Niente affatto. Adoro essere circondato da cretini ma solo nelle occasioni mondane».

Il giovane si alzò e si precipitò fuori dalla stanza, seguito dal sorriso sarcastico del mercante. L'anziano uomo d'affari indugiò sulla poltrona, gli occhi fissi sulla grande vasca ma persi chissà dove.

Berifaol ... forse ho esagerato ... mi era sempre stato fedele ... e l'ho ripagato escludendolo dalla maggior parte degli affari. D'altra parte, quando si tratta di soldi, bisogna essere un po' meno rigidi e Viator è diventato sempre peggio, invecchiando.

Gli occhi azzurri vagarono per il soffitto, soffermandosi sulla botola che gli permetteva di guardare i pesci dorati anche dalla sua camera, oltre che di sorvegliare lo studio.

Sospirò.

E anche Petra ... era proprio troppo bella per farsela sfuggire ... ora è invecchiata ma a letto è sempre una leonessa. Peccato abbia preso così male questa storia.

Sorrise. Chissà perché, le donne gli avevano sempre dato un sacco di problemi. Gli cadevano ai piedi ma poi pretendevano di essere il centro del suo universo. Invece, il centro del suo universo era il potere. E, in fondo, anche il centro del loro. Alla fine, anche loro cercavano la stessa cosa. Il potere. Lui sugli altri. Loro su di lui. E allora, cosa pretendevano?

Si alzò e si avvicinò alla finestra. Il sole stava tramontando. Era ora di cena. L'ora dei parassiti, rise fra sé. Si avvicinò alla vasca osservando soddisfatto i pesci che nuotavano placidamente nell'acqua limpida, nascondendosi e ricomparendo fra le pietre lisce che coprivano il fondo dell'acquario.

Uscì dalla stanza fischiettando.

All'ingresso di Siverius, la sala da pranzo cadde in un silenzio imbarazzato. Tutti i volti si puntarono verso di lui che sorrideva sornione.

«Ma che bella compagnia! Benvenuti alla mia umile mensa! Un nuovo anno si approssima, che sia prospero e foriero di successo e ricchezza per tutti voi. Bartholomeus?». Il maggiordomo si avvicinò deferente.

«Possiamo cominciare, messere?».

«Ma certo. Che scorra il vino, abbondi il cibo e regni l'allegria!».

Il vino scorse e la cena fu abbondante ma l'allegria fu poca. La tensione era costantemente presente nei sorrisi tirati, nelle voci tremanti, negli sguardi corrucciati. Siverius era odiato dalla maggior parte dei convitati, lo sapeva e si divertiva a schernirli. Conscio del suo potere, era convinto che le costanti umiliazioni dei suoi sottoposti, familiari e non, servissero ad accrescere la sua forza e il suo dominio su di loro.

Indifferente a tutto, l'anziano maggiordomo volteggiava intorno alla lunga tavola, dirigendo i servitori con flemmatica perizia. I vassoi viaggiavano con regolarità e i bicchieri erano sempre colmi. Un piccolo gruppo di strumentisti allietava, si fa per dire, l'atmosfera.

Holverius fu il primo ad alzarsi da tavola, intenzionato a terminare alcune lettere d'affari prima di andare a dormire. Il suo spirito pratico era indifferente alla mondanità. Sua moglie, Kathya, un'elegante matrona dagli occhi verdissimi, orgogliosa del suo ruolo, vestita con una veste semplice di broccato verde, adornata solo da un filo di perle e dall'anello nuziale, non se ne accorse neppure, impegnata com'era a chiacchierare con Umbia, la cognata, tanto bella quanto fatua, sposata a un uomo assai più anziano ma con le indubitabili qualità di una notevole ricchezza e del disinteresse verso il sesso femminile, Umbia compresa. Al contrario della cognata, la figlia di Siverius indossava una cotta damascata sulla quale ricadevano numerose collane di vari materiali, tutti evidentemente preziosi ma non sembrava apprezzare granché il suo invidiabile stato.

La seconda persona a lasciare la scena fu un'adombrata Beryl, in coppia con Daniel, il figlio di Viator e Petra Berifaol. La figlia di Kathya e Holverius, che dalla madre pareva aver mutuato lo stile giacché era vestita esattamente come lei, aveva litigato tutta la sera con Crown, il suo fidanzato, che era apparso di pessimo umore fin dall'inizio della cena. Vedendo uscire la ragazza, il giovane aveva inizialmente fatto finta di nulla per poi precipitarsi alla ricerca dell'amata, tanto più che non ignorava l'interesse di Daniel nei confronti della ragazza.

Accanto al padrone di casa, la conversazione languiva. Viator Berifaol, il suo socio, recentemente estromesso dalla guida degli affari, sembrava aver pochissima voglia di chiacchierare e se ne stava infagottato in un'ampia tunica di velluto chiaro, dal collo della quale emergevano solo il naso adunco e gli occhi imbronciati. Sua moglie Petra, elegantissima nella sua veste attillata di seta dorata largamente esposta dall'ampia sopravveste di velluto scarlatto, era rimasta in un corrucciato silenzio per buona parte della serata, nonostante i tentativi di Lory di coinvolgerla in una discussione con Lord Boxis, l'anziano e nobile armatore, marito di Umbia. Le sue dita, riccamente inanellate, tambureggiarono nervosamente sul tavolo praticamente per tutta la sera.

Siverius, calmo e tranquillo osservava tutto e mangiava di buon appetito, scambiando occhiate d'intesa con la servetta che lo aveva sollazzato la notte precedente. Aveva decisamente gradito l'esperienza e intendeva ripeterla quella sera stessa. La ragazza sarebbe stata presto promossa ad ancella di Beryl, se avesse continuato a soddisfarlo così. Vuotò l'ennesimo bicchiere e si alzò. Mancava un'ora a mezzanotte ed era l'ora di prendere la polverina che gli avrebbe garantito il vigore di un giovanotto. Ammiccò all'indirizzo della servetta e si allontanò dalla sala, seguito da numerosi sguardi carichi di rancore, quando non di autentico odio.

Lentamente, uno dopo l'altro, anche gli ultimi commensali abbandonarono la sala. L'unica ad attendere la mezzanotte e il nuovo anno fu Petra Berifaol che, nel silenzio del salone, levò un boccale di vino in un muto brindisi davanti al ritratto del padrone di casa. Quando lasciò la stanza per raggiungere la carrozza del marito, i suoi occhi erano arrossati di pianto.

L'anziano maggiordomo diede ai servitori il segnale per cominciare il riordino della grande stanza e diresse le operazioni con la solita tranquilla precisione, fingendo di non accorgersi che una delle sguattere mancava all'appello. Bartholomeus Winthrop aveva ormai abbastanza esperienza dei costumi di quella casa per non scandalizzarsi affatto. In fondo, quella servetta faceva esattamente il suo dovere. Quasi proprio come lui.

Osservò divertito l'andirivieni di Beryl e dei suoi due spasimanti che parevano giocare a nascondino fra le grandi sale e i giardini del palazzo. Non si stupì nel vedere una sagoma femminile dirigersi verso gli appartamenti di messer Nilboloc, pochi minuti dopo che questi vi era tornato.

Quando tutto fu terminato e la casa fu immersa nel silenzio, anche l'anziano servitore si ritirò.

Il mattino successivo, nonostante la notte quasi insonne, si alzò alla solita ora per dirigere le attività mattutine con la consueta solerzia. A metà mattina, messer Siverius, in genere poco avvezzo a svegliarsi tardi, anche a causa degli effetti delle polverine che era uso assumere, non aveva ancora fatto la sua comparsa, sicché il maggiordomo andò a controllare quale potesse essere il motivo del ritardo.

Giunto davanti alle stanze di messer Nilboloc, fu preso da una strana sensazione di ansia. Il silenzio era assoluto. Possibile che il padrone dormisse ancora?

Nello studio, qualcosa mise Bartholomeus in allarme. Era entrato tantissime volte in quella stanza ma quella mattina, per la prima volta, ne fu turbato. Il buio silenzioso pareva nascondere una minaccia. Un tremito percorse l'anziano che si passò una mano fra i capelli grigi. Si fermò in attesa, tendendo l'orecchio. Nessun suono, salvo quello del suo cuore che batteva tumultuosamente. Si avvicinò a una delle finestre e scostò le tende, permettendo alla luce di invadere l'elegante locale. Esaminò la stanza ma tutto pareva normale. La scrivania era in ordine, esattamente come la sera precedente, gli armadi e le librerie non parevano essere stati toccati, come pure la massiccia cassaforte. Si diresse verso la scala che conduceva alla stanza del padrone di casa. Istintivamente, nel passarci accanto, il suo sguardo cadde sulla grande vasca e i suoi occhi miopi si spalancarono sbigottiti. I pesci rossi galleggiavano a ventre in su. Messer Siverius avrebbe preso assai male quella notizia, poiché considerava quelle bestie alla stregua di talismani. Certo, era strano che fossero morti tutti insieme. Rapidamente, rimosse le carcasse dalla vasca, riponendole, avvolte in un panno, nella cassettina di legno che conteneva i morbidi pennelli e gli stracci utilizzati per spolverare i preziosi soprammobili. L'ansia aumentò, spingendolo ad affrettarsi verso la stanza del suo padrone.

L'anziano servitore aprì con cautela la porta della camera e sbirciò dentro. Le tende erano ancora tirate e nessuna luce filtrava nell'alcova. Il silenzio era assoluto. Un odore vago lo mise in allarme, trasformando l'ansia in paura. Spalancò la porta ed entrò nella stanza. Sotto il grande baldacchino, seminascosta dai tendaggi, s'intravedeva una figura che pareva raggomitolata, disposta su un fianco, quasi di traverso sul letto. L'odore si era fatto più deciso e penetrante. Mandorle, mandorle amare.

Immediatamente, Bartholomeus si avvicinò al letto, preso da un'irresistibile angoscia.

Gli bastò un'occhiata al volto contratto del suo padrone per sentirsi raggelare.

Morto. Gli occhi sbarrati pieni d'orrore. Le labbra coperte di schiuma.

In un attimo, il maggiordomo girò intorno al letto, accostandosi al forziere dove messer Siverius conservava un autentico tesoro in gioielli e monete d'oro. La serratura a combinazione era aperta e il coperchio si spalancò senza la minima difficoltà. Il contenitore era completamente vuoto e sul fondo spiccava un biglietto.

La porta della camera si aprì improvvisamente, facendo sobbalzare l'anziano servitore che si volse di scatto. Holverius si stagliava nel rettangolo di luce della porta.

«Cosa sta succedendo? Bartholomeus, siete voi?». La voce dell'uomo pareva vagamente ansiosa.

Il maggiordomo si allontanò dal forziere con un sospiro carico d'angoscia.

«Sono io, signore. È successo qualcosa di terribile».

«Mio padre?».

«Sì, messer Holverius. Vostro padre ... è ... morto».

«Morto? Ma cosa diavolo dici?».

L'uomo si avvicinò al letto quasi di corsa. Appena vide chiaramente il volto del padre fece un balzo indietro mentre una bestemmia gli sfuggì dalle labbra.

«Maledetta Dhela[2]! Bartholomeus! È morto!».

«Si direbbe avvelenato, signore». Il servitore, dopo lo sconcerto iniziale, pareva avere recuperato la sua flemma.

«Cosa te lo fa pensare? Quest'odore?».

«Sì, signore. È tipico di un veleno assai letale. Sarebbe meglio se non toccaste nulla».

«Ma chi? Chi ha osato tanto? Per gli Dei!». Improvvisamente, Holverius scostò il maggiordomo e corse al forziere. Barcollò nel trovarlo vuoto ma si riprese subito. Il maggiordomo sedette sul bordo del letto, con il volto fra le mani.

«Cos' è questo? Un biglietto?».

Raccolse il piccolo pezzo di carta e si precipitò nel corridoio, alla luce.

Con questo, pagate per il male che avete commesso.

Blackwind.


[1] Grande città portuale, capitale della Repubblica di Elos
[2] la Dea della vendetta


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

La stanza, arredata con semplice eleganza, era immersa nell'oscurità. Solo un esile raggio della luce del mattino filtrava dagli scuri accostati, illuminando vagamente una figura semisdraiata su di un comodo divano, gli occhi persi nelle tenebre del soffitto. La sua gamba sinistra dondolava nervosamente dal bracciolo imbottito, come un pendolo che scandiva l'inesorabile scorrere del tempo ed era l'unico indizio a dimostrare come il suo proprietario fosse perfettamente vigile.

Blackwind rifletteva intensamente, i fini lineamenti serrati nella concentrazione, le mani con le dita intrecciate dietro il capo, lo sguardo perso nel buio.

Dove ho sbagliato?

Un omicidio era un'eventualità che non aveva mai preso in considerazione, eppure era accaduto, nonostante la sua maniacale cura dei dettagli. Era stato, quasi fino all'ultimo, intimamente convinto che tutto fosse andato per il verso giusto e che, quella mattina, Nilboloc avrebbe dovuto svegliarsi beffato e alleggerito ma vivo.

Com'è finito quel veleno nel vino?

Tutta quella situazione gli pareva insensata. Non riusciva a capire se il destino gli avesse giocato uno scherzo maligno o se qualcuno avesse interferito intenzionalmente coi suoi piani. Ripassò mentalmente tutta la serata fino al suo tragico epilogo. Si sentiva schiacciato dall'assurdità degli eventi.

Dov'è l'errore?

La sua mente ripercorse i giorni precedenti, l'intera meticolosa preparazione e attuazione del piano, l'attesa paziente che si presentasse una combinazione favorevole, l'accurata verifica dei tempi d'ogni singola azione. No, l'errore non stava lì.

Mi sono tradito?

I suoi occhi turbati si soffermarono sulla porta della stanza. Al di là di quella, persone che lo amavano e stimavano non avrebbero esitato un istante a offrirgli comprensione e conforto. Un sorriso amaro affiorò sulle labbra del giovane. In quell'occasione non era stato all'altezza delle loro aspettative. Prima di varcare quella soglia, prima di coinvolgere anche coloro che amava, avrebbe dovuto comprendere chiaramente come quella faccenda avesse potuto sfuggirgli così assurdamente di mano. Forse la troppa sicurezza di sé lo aveva condotto a un errore fatale?

Sono stato superficiale in qualcosa?

La sua attenzione si rivolse ai membri della famiglia e agli ospiti. Possibile che qualcuno di loro avesse scoperto la sua identità e i suoi piani? O era tutta una beffarda, orribile coincidenza?

È tutto assurdo.

La stanza del delitto si delineò nella sua mente, il letto con il cadavere contorto, il forziere, la brocca del vino e il boccale vuoto sul pavimento macchiato di vino. Un solo sorso era stato sufficiente a uccidere Nilboloc. Nessun segno di lotta. Le finestre chiuse, dalle quali nessuno pareva essersi potuto introdurre. L'avvelenatore era entrato dalla porta e Nilboloc non doveva avere sospettato nulla.

E i pesci? Perché sono morti?

Quella domanda lo disorientava più di tutto. Eppure era convinto che dalla spiegazione di quel fatto apparentemente assurdo sarebbe scaturita la verità.

Uno spregio? Non ha senso, eppure...

I profondi occhi verdi tornarono a perdersi nelle tenebre del soffitto.

 

Holverius sedeva nello studio che era appartenuto a suo padre con la testa fra le mani. Dubitava di saper gestire quella situazione. Improvvisamente si era ritrovato oberato di responsabilità e, sebbene ci fosse abituato, quel giorno si era sentito schiacciare. Ora tutto era sulle sue spalle, l'impresa commerciale, l'impero immobiliare, la famiglia. Ma, prima di tutto, sentiva l'obbligo di colpire chi aveva osato perpetrare quell'omicidio. Per questo aveva fatto convocare l'ufficiale dai capelli rossi che si aggirava per la stanza più con l'aria di valutare la ricchezza della casa che di svolgere autentiche indagini. Lo osservò gironzolare per un po', poi si risolse a esternargli i propri dubbi.

«Indagini?». Rispose vivacemente l'ufficiale. «Ma cosa volete indagare, se il colpevole ha addirittura firmato il delitto? Si diceva che non fosse un omicida ma sono convinto che la fama di ladro gentiluomo di quell'individuo sia del tutto usurpata. Un ladro è un delinquente, esattamente come un assassino».

Il mercante si agitò sulla poltrona.

«Possiamo anche essere d'accordo, capitano Cragg, se lo dite voi, ci credo. Ma non ritenete possa essere utile capire come ha fatto? Chissà, potremmo riuscire a catturarlo e mandarlo sulla forca».

«Chi, Blackwind? Sono anni che proviamo a mettergli il sale sulla coda, non crederete che abbia lasciato tracce, vero? Ormai sappiamo come opera».

«E allora? Siete pagato per catturarlo!». Holverius stava perdendo quel poco di pazienza che gli era rimasta. Il capitano si voltò verso di lui con un'espressione esasperata.

«Certamente. Ma non per fare miracoli. Guardate voi stesso: non c'è un'impronta, non un indizio. Solo il boccale di vino dove ha versato il veleno e il biglietto in fondo al forziere vuoto. Mi dite cosa posso ricavare da questa miseria?».

«Diciamo un migliaio di monete d'oro ...». Soffiò Holverius che sperava di poter superare con un adeguato incentivo l'apparente inerzia dell'ufficiale. Ma il lampo di avidità che si era acceso nei suoi occhi si era anche immediatamente spento in un'espressione rassegnata.

«Potete offrirmene dieci volte tanto ma questo non mi fornisce indizi di sorta».

Il mercante scattò in piedi, in preda alla collera. Tutta quella faccenda gli pareva assurda.

«Ma come ha fatto a entrare in camera di mio padre, avvelenargli il vino, svuotargli il forziere e firmare questo bel capolavoro senza lasciare tracce né essere visto da qualcuno?».

«Non ne ho idea. Però l'ha fatto».

«E poi perché mai ... No. Se questo è tutto quel che la Guardia di Elos ha da offrire, potete andarvene al diavolo. Mi rivolgerò a qualcuno che sappia cavarsela meglio!».

«Non troverete nessuno migliore di noi».

Holverius sbatté un violento pugno sullo scrittoio.

«Può darsi. Ma, a questo punto, sono certo che non troverò nessuno peggiore».

L'ufficiale cessò di passeggiare per la stanza, soffermandosi davanti alla scrivania per fissare sul mercante uno sguardo irritato.

«Sentite, messer Nilboloc, è inutile litigare fra noi. Assicuratemi piena collaborazione e proverò a fare qualche indagine. Non prendetevela con me se però non approderemo a nulla».

«Cosa intendete per piena collaborazione?». Sibilò Holverius, solo appena rabbonito da quella cauta apertura da parte del capitano.

«Intendo l'autorizzazione a interrogare chiunque e la vostra parola che mi risponderete con assoluta sincerità». Il mercante sobbalzò.

«Capitano, mi offendete. Cosa vi fa pensare che io possa rispondervi con delle menzogne?».

«Cominciamo subito male, messere. Credete che io sia uno stupido? So perfettamente che voi mercanti non agite sempre, per così dire, nel pieno rispetto della legge. Però sappiate che a me interessa solo mettere le mani su quell'assassino e non ho intenzione di occuparmi di altro. Spero che i nostri interessi convergano, altrimenti potete tranquillamente arrangiarvi».

Holverius scrutò attentamente l'ufficiale, quasi per valutarne l'affidabilità. Accettare quella condizione poteva significare un grosso rischio, sebbene le malversazioni peggiori fossero tutte farina del sacco di suo padre, non più punibile, e del suo socio. Ne valeva la pena? E se l'idea che gli stava tormentando la mente fosse stata vera? Sospirò e si risolse a rispondere. Quell'indagine doveva perlomeno cominciare. Se poi avesse preso una piega pericolosa, avrebbe sempre potuto liquidare quell'ufficiale con una ricca mancia.

«Avanti, capitano, chiedete pure».

«Siete a conoscenza di qualcuno che avesse in odio vostro padre?».

«Sinceramente? Non credo che mi basterebbe mezza giornata per farvi l'elenco».

«Capisco. Coincide con le informazioni che avevo. E di coloro che ieri sera erano presenti in casa vostra, conoscete qualcuno che avrebbe avuto interesse a ucciderlo?».

«Praticamente tutti. Me incluso. Per carità, non avevo alcun motivo per odiarlo ma sono il suo erede principale ... ovviamente, molti lo odiavano davvero».

«Anche vostra sorella?».

«Certamente. L'ha obbligata a sposare un uomo anziano solo per interesse. Mia sorella non l'ha mai perdonato per questo».

Cragg sospirò. Era anche peggio di quanto si era immaginato.

«E vostra madre?».

«Lei era quella che aveva le ragioni migliori, la tradiva e umiliava continuamente».

L'ufficiale si accigliò. Quell'interrogatorio non lo stava portando da nessuna parte. E, intanto, quel bel tomo dalla faccia imbronciata aveva già servito madre e sorella.

«Forse faccio prima a chiedervi chi non aveva interesse a vederlo morto».

Holverius sorrise senza allegria. Ormai, un dubbio si era fatto strada nella sua mente e stava crescendo di momento in momento.

«La servitù, forse, poi mia figlia e il suo fidanzato, almeno fino a ieri».

«Perché vostra figlia? E perché il fidanzato fino a ieri?».

«Perché si sono ignorati da sempre. Per lei lui non esisteva e viceversa. Il suo fidanzato, invece era interessato a lavorare con mio padre».

«E vostro padre era interessato a lavorare con lui?».

«Mio padre? Scherzate? Lo riteneva un perfetto imbecille, ieri sera avevano avuto un colloquio e dubito che Crown ne sia rimasto soddisfatto».

«E voi? Condividete la sua opinione?».

«No. Crown è un viscido bastardo, astuto e infido. Fosse stato per me, sarebbe stato bene alla larga da mia figlia. E da ora in poi sarà così».

«E perché avete permesso il fidanzamento?».

Holverius sospirò.

«Perché mio padre l'aveva espressamente autorizzato. Capitano, voi non lo conoscevate ma quell'uomo teneva in pugno tutti noi ed era abituato a manovrarci come marionette. Opporsi a lui era praticamente impossibile ed estremamente pericoloso».

«Non vi eravate stufato di questa situazione?». Il capitano pose la domanda con fare distratto, osservando un libro su uno scaffale.

«Certo. Come tutti in questa casa. Ma non l'ho ucciso io, se è a questo che state pensando».

«Oh, quello che penso io è del tutto irrilevante. Piuttosto, ditemi: vostro padre aveva l'abitudine di bere un boccale di vino prima di coricarsi?».

«Sì, da sempre. Teneva sempre una brocca in camera e ogni sera si versava un bicchiere».

«Siete certo che la brocca che è in camera sia quella che c'era anche ieri?».

«Ne sono certissimo perché ho ordinato io al maggiordomo di portarne una nuova, due sere fa».

«In questo caso, c'è un ulteriore problema».

«Quale, scusate?».

«Nella brocca non c'è traccia di veleno. Nel boccale sì».

«Cosa ci sarebbe di strano?».

«Semplicemente che il veleno è stato versato nel boccale e non nella brocca, mentre sarebbe stato logico il contrario».

«Non capisco perché ... significa che il veleno era già nel bicchiere?».

«Questo mi sembra difficile. Vostro padre avrebbe avvertito l'odore di mandorle appena preso il boccale e dubito che lo avrebbe usato».

«Volete dire che il veleno è stato aggiunto dopo che mio padre si era versato il vino?».

«Proprio così. Dunque, Blackwind era nella stanza, insieme a vostro padre».

I peggiori sospetti di Holverius stavano prendendo sempre più consistenza. Nella sua voce comparve una nota angosciata.

«Ma da dove è passato? Le finestre erano chiuse!».

«Forse è stato proprio messer Siverius ad aprirgli».

«E perché? Se mio padre avesse avuto qualcosa a che fare con quel bandito, state certo che mi avrebbe confidato qualcosa».

«Eppure parrebbe proprio così. Fra l'altro, ieri sera pioveva a dirotto e, se fosse stata aperta una finestra, avremmo dovuto trovare tracce di umido. Invece non ce ne sono».

Il capitano aveva ripreso a passeggiare nervosamente per la stanza. In quel quadro di Blackwind che veniva ricevuto in piena notte e offriva un bicchiere di vino avvelenato a Nilboloc, in effetti, c'era qualcosa di stonato, anche se non riusciva a inquadrare bene cosa.

«Sospettate che mio padre fosse in affari con Blackwind? Che questo sarebbe il movente dell'omicidio? Ma tutto questo è una palese assurdità! Mio padre non era uno stinco di santo e può essere che abbia avuto a che fare con individui dall'onestà dubbia ma non era uno sprovveduto e, comunque, non avrebbe mai corso il rischio di affrontarlo da solo. Diffidava di tutti, figuratevi di un famoso bandito!».

I dubbi di Holverius erano aumentati dell'altro. Quella ricostruzione non stava in piedi. Ma suffragava ulteriormente i suoi timori.

«Per ora, non preoccupatevi dei miei sospetti, messere. Lasciatemi proseguire nelle indagini, potrei parlare con vostra madre o vostra sorella?».

«Certamente, capitano, purché mi sia permesso di assistere all'interrogatorio».

«Non ho obiezioni ma tenete ben chiaro in mente che sono io a dirigere l'indagine».

Mezzora dopo, Lory Nilboloc, austera e pallida, fece il suo ingresso nello studio. Camminava eretta e sicura, gli occhi ancora tanto belli, erano lievemente arrossati ma non una lacrima tremava sulle sue ciglia.

Sedette con grazia sulla poltrona, davanti all'ufficiale che la guardava con palese ammirazione.

«Chiedete pure, capitano. Sono pronta a rispondere alle vostre domande».

L'ufficiale si schiarì la voce prima di parlare e, quando lo fece, la sua voce esprimeva profondo rispetto.

«Perdonatemi, mia signora, se sono costretto a interrogarvi in questo momento di dolore».

«Non datevi pena, capitano. Non sto soffrendo affatto. Non più di qualsiasi altro giorno della mia vita da quando ho conosciuto mio marito».

Gli occhi della donna erano fissi in quelli dell'ufficiale. La sua voce era ferma e sicura.

«Non vi addolora la morte di messer Nilboloc?».

«No. Non vi stupite, capitano, forse mio figlio non ve l'ha ancora detto ma quell'uomo mi ha solo fatto del male. Non avevo nessun motivo per amarlo e non ho nessun motivo per piangerlo. Avrei avuto, invece, mille motivi per ucciderlo. Ma non l'ho fatto».

«Io ... comprendo. Vi ringrazio per la franchezza. Potete rispondermi con altrettanta sincerità, se vi chiedo dove avete trascorso la notte?».

«Certamente. Ero in camera mia. Sola, ovviamente, visto che Siverius era a sollazzarsi altrove».

«Non siete mai uscita dalla vostra stanza?».

«Mai. Ho pianto un poco, poi ho dormito. Prendo una tisana soporifera da tanti anni, altrimenti non potrei mai prendere sonno. Da oggi, forse, potrò dormire meglio».

Holverius taceva, assorto, gli occhi fissi sulla madre e mille pensieri nella mente.

«Chi vi prepara la tisana?».

«Io stessa. Ho dimestichezza con le erbe. E coi veleni, lo ammetto. Tante volte ho fantasticato di propinargliene qualcuno. O di prenderlo io. Ma sono rimaste fantasie di una mente turbata. Illusioni di orgoglio».

Il capitano Cragg pareva decisamente intimidito. La rabbiosa franchezza di quella donna lo spiazzava. Con le informazioni che gli aveva fornito, lui non avrebbe fatto alcuna fatica a incriminarla. Ed era certo che lei lo sapesse perfettamente.

«Abbiamo motivo di ritenere che Blackwind si sia introdotto in camera di vostro marito e l'abbia avvelenato. Ritenete possibile che uno sconosciuto abbia potuto raggiungere queste stanze senza farsi scoprire?».

«No, capitano. Sinceramente, mi sembra un'autentica follia anche il solo pensarlo. Uno sconosciuto avrebbe attraversato mezza casa senza essere notato? Ma soprattutto, avrebbe avvelenato Siverius senza che lui reagisse? Non lo credo possibile. Se è arrivato fin qui, doveva essere qualcuno di casa o che, comunque, non destasse sospetti».

«Anche a notte fonda?».

«Soprattutto a notte fonda. Siverius aveva sempre badato alla sicurezza e ci sono sei uomini che sorvegliano la casa ogni notte. Holverius ve lo può confermare».

Il mercante parve riscuotersi.

«Come? Ma sì. La sorveglianza della casa è accurata, capitano. Se qualcuno è entrato qui doveva provenire dall'interno della casa, altrimenti si sarebbe imbattuto certamente nelle guardie».

«Forse. Ma vi ricordo che Blackwind è un diavolo in queste cose. Comunque, accetto la vostra opinione, almeno fino a prova contraria». L'ufficiale pareva sempre più perplesso. «Mia signora, non intendo disturbarvi oltre, stamani, potete andare. Spero di non avervi cagionato eccessivo turbamento».

«Come siete formale capitano! Non sono turbata, credetemi, né per cagion vostra, né per la morte di mio marito. Vi auguro di scoprire chi l'ha ucciso. Almeno avrò qualcuno da ricordare nelle mie preghiere».

Detto questo, la dama si alzò in piedi e uscì con incedere elegante dallo studio. Pochi istanti dopo, una versione più giovane della vedova entrò nella stanza. Umbia Nilboloc assomigliava tantissimo alla madre ma non ne possedeva in alcun modo l'innata eleganza né il carisma.

«Accomodatevi, lady Boxis, perdonatemi per l'incomodo ma sono obbligato a farvi alcune domande».

La donna sedette piuttosto rigidamente, fissando sull'ufficiale i grandi occhi dai quali trasparivano paura e imbarazzo ma neppure l'ombra del fascino della madre.

«Scusatemi, capitano, sono molto turbata ... ».

«Vi capisco».

«Com'è stato possibile? Intendo dire ... lo prenderete quel Blackwind, vero? Ed io che pensavo fosse un tipo affascinante ... cioè ... lo descrivono tutte come un...».

«... un gentiluomo, vero? Bene, io credo che si tratti di un comune malfattore, milady. Faremo di tutto per prenderlo. Voi, intanto, potereste avere la compiacenza di rispondere ad alcune questioni?».

I grandi occhi lo guardarono costernati.

«Compia ... cenza?». La donna guardò il fratello come cercando un appiglio. Holverius sorrise sornione e ammiccò all'ufficiale.

«Vuol dire gentilezza, sorellina. Il capitano vorrebbe solo farti qualche domanda».

«Ah, certo, capitano. Chiedete pure».

«Ehm, mia signora, in quali rapporti eravate con messer Siverius?».

«Rapporti? Ah intendete dire se andavamo d'accordo? Ma certo, come potreste dubitarne?».

«Non ne dubito affatto, abbiate pazienza ma sono domande che devo fare. Ma non avevate nessun disaccordo proprio su nulla? E vostro marito come si trovava col suocero?».

«Mio marito? Pier? Oh ma Pier ha ... aveva tantissimo rispetto per mio padre. Fu lui che decise il nostro matrimonio».

«Lui? Intendete dire vostro padre?».

«Ma sì. Non si capiva? Mio padre lo scelse perché era ricco e di nobile famiglia. Diceva che il nostro matrimonio avrebbe nobi ... lizzato la famiglia. Insomma, qualcosa del genere».

«Nobilitato, sorellina, nobilitato».

«Ah, sì, grazie Holverius. Diceva proprio così».

«Ma voi siete stata contenta di sposarvi?».

«Non è un po' imper ... impertinente, uffa, questa domanda? Comunque, avrei preferito uno sposo bello e giovane ma Pier è gentile e premuroso e la sua casa è anche più bella di questa. All'inizio non ero contenta ma ora sono quasi sicura che mio padre ha scelto bene».

L'ufficiale alzò gli occhi al cielo. Non si attendeva un simile strazio, dunque decise di congedare la dama, dubitando di riuscire a cavarne qualcosa.

«Va bene, milady. Non ho altro da chiedervi, potete andare, vi ringrazio della cortesia».

«Aspetta un attimo, sorellina. A che ora siete andati via, ieri sera?».

«Non saprei, ho chiacchierato tanto con Kathya, sai? Non doveva mancare molto a mezzanotte, perché quando sono arrivata a casa le campane del senato hanno suonato a festa. Pier deve essere tornato dopo un paio d'ore, sai, è andato al porto a controllare una nave».

«Ma davvero? Grazie sorellina, sei un vero tesoro».

Holverius strizzò l'occhio all'allibito capitano, mentre la sorella si allontanava a passo svelto dalla stanza. Quando la porta si richiuse, l'ufficiale si rivolse al mercante.

«Ma è sempre così?».

«Non sempre, quando è emozionata è peggio. Comunque, credo fareste bene a informarvi su come mio cognato ha passato quelle due ore. D'inverno nessuna nave prende il largo né, tantomeno, attracca».

«Avete ragione. Devo riconoscere che vostra sorella mi ha un po' colto di sorpresa. È molto diversa da voi».

«Non fidatevi dell'impressione. Forse non è un genio ma sa quel che fa e molto di questo atteggiamento è una strategia per farsi sottovalutare. Intanto ci ha fatto nascere dei dubbi sull'adorato marito».

Il capitano guardò pensosamente Holverius. Avrebbe voluto fargli altre domande, ma l'ingresso di lord Boxis lo costrinse a concentrarsi sul nuovo venuto.

Era un uomo alto e magro, dal profilo aquilino, leggermente curvo. Doveva avere passato la settantina da un pezzo e l'ufficiale non poté fare a meno di rilevare che fra lui e la moglie dovevano intercorrere almeno quarant'anni. Troppi. Vestiva con eleganza, esibendo il suo rango senza particolare ostentazione. Gli occhi, piccoli e vivaci, parevano valutare tutto e tutti, senza curiosità ma, piuttosto, con interesse quasi professionale.

«Buongiorno, milord, accomodatevi».

«Buongiorno, capitano, trovo piuttosto assurdo questo interrogatorio. Se ci sono sospetti sulla mia persona, vi informo fin d'ora che sono un senatore e intendo essere giudicato dai miei pari».

Holverius soffocò una risatina, osservando di sottecchi il capitano Cragg che era visibilmente impallidito.

«Non c'è alcun sospetto su di voi, vostra grazia. Devo solo farvi qualche domanda per sapere se, per caso avete notato o udito qualcosa che può esserci d'aiuto nelle indagini».

«In tal caso consideratemi a vostra disposizione».

Cragg parve respirare meglio.

«Innanzitutto, fino a che ora vi siete trattenuto qui, ieri sera?».

«Fino quasi a mezzanotte. Mia moglie si era messa in testa di chiacchierare con la signora Berifaol, la quale non pareva affatto dell'umore. Era tetra e nervosa. Una serata straziante, credetemi. Quando lady Boxis si è convinta che continuare a parlare da sola non avrebbe portato a nulla, ce ne siamo andati nel nostro palazzo».

«Capisco. Ma avete capito cosa turbasse la signora Berifaol?».

«Credo che non le fossero andati giù alcuni bocconi amari. Osservava messer Nilboloc come se volesse incenerirlo con lo sguardo. Perdonatemi, Holverius, ma vostro padre doveva averla davvero fatta esasperare».

Holverius gli scoccò un'occhiata infastidita.

«Mio padre era uno specialista nel far esasperare la gente, non lo nego. Ma non mi risulta che avesse fatto nulla di particolare a dama Berifaol».

«Mi permetto di correggervi, messere, affinché non ripetiate gli errori paterni. Le donne sono creature banali e prevedibili nei loro processi mentali. Sappiamo tutti che messer Berifaol aveva visto ridursi notevolmente il suo peso nella sua società a beneficio di vostro padre. E questo una donna lo considera un affronto grave, dal momento che vive della luce riflessa dal marito. Minor potere per messer Berifaol significa minor prestigio per sua moglie. È banale. E, siccome le donne sono rabbiose e vendicative, la signora ha trascorso la serata rimuginando su come farla pagare a vostro padre. Può darsi che abbia trovato un modo».

«Scusate milord. Tutto questo lo avete dedotto osservando la signora Berifaol?». Il capitano cominciava a essere stufo di quel saccente vecchiaccio.

«Dall'osservazione e dalla conoscenza del perverso animo delle femmine».

Holverius guardava entrambi sorridendo.

«Ovviamente, milord. Ma messer Berifaol non avrebbe ancora più motivi della moglie di provare simili sentimenti? Perché sospettare di lei, anziché del marito?».

«Ma perché gli uomini sono assai meno subdoli, messer Holverius. Noi possiamo montare in collera e aggredire oppure progettare una vendetta attuandola però con metodi virili. Una coltellata, una freccia, un colpo di spada, perdinci! Il veleno è un'arma sleale, tipicamente femminile!».

Cragg ascoltò pensieroso il ragionamento del nobiluomo. Quel tipo aveva una boria insopportabile ma i suoi ragionamenti non mancavano di una certa logica.

«Quindi, secondo voi, il veleno sarebbe una specie di marchio di fabbrica femminile?».

«Esattamente».

«Però abbiamo trovato un biglietto firmato Blackwind. Che non mi risulta essere una femmina».

«Avete ragione, messere. Ma se fosse falso? Che significato avrebbe firmare un omicidio? Un furto lo capisco, aggiunge la beffa al danno. Ma i morti non possono leggere i biglietti. Non ha senso!».

Un cogitabondo silenzio accolse le sue parole. Anche Holverius pareva colpito. Il capitano fu il primo a riscuotersi.

«Vi devo davvero ringraziare milord. Ci siete stato davvero utilissimo. Terremo in debito conto queste vostre perle di saggezza. Avete osservato altre cose insolite, per caso?».

«Bah, di insolito direi di no. La solita lite fra il rampollo Berifaol e il fidanzato di madamigella Beryl. Perdonatemi, Holverius, ma trovo assurdo che due così bravi ragazzi debbano guastare la loro amicizia per via di una sottana. Ma i giovani sono così. Ormai si è perso il senso della dignità virile».

Holverius, in realtà non parve averlo nemmeno ascoltato e borbottò qualcosa di incomprensibile. Il capitano si rese conto che non avrebbe ricavato altro d'interessante, dunque congedò ossequiosamente l'augusto testimone. Questi si alzò con aria soddisfatta e salutò cortesemente i due uomini. Quando la porta si fu richiusa dietro le spalle del nobiluomo, Holverius parve riscuotersi.

«Santi numi, quanta prosopopea! Quel vecchiaccio s'intende di donne quanto io di coltivazione dei carciofi. Dubito ne abbia mai toccata una! Però c'è qualcosa di sensato nei suoi sproloqui».

Cragg annuì.

«Lo penso anch'io. Credo che dovremo interrogare i coniugi Berifaol per saperne di più».

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Il capitano Cragg e messer Holverius avevano consumato un pranzo frugale, servito direttamente nello studio dal solerte e silenziosissimo maggiordomo. Dopo poco sarebbero arrivati i coniugi Berifaol e i due uomini intendevano predisporre accuratamente l'interrogatorio.

«Francamente, capitano, credo che dovremmo essere cauti. Conosco bene questa gente. Viator non è un angioletto ma non lo credo affatto capace di uccidere. Non direttamente, almeno. Per quanto riguarda sua moglie, so per certo che è stata per anni l'amante di mio padre e, anche in questo caso, dubito fortemente che sarebbe mai arrivata a tanto».

«Questo la rende ancora più sospettabile. Certamente conosceva bene la stanza di vostro padre e lui l'avrebbe probabilmente ricevuta anche durante la notte senza insospettirsi troppo. Se dovessi dar retta a voi, nessuno potrebbe aver commesso questo delitto. Ma messer Siverius è morto. Comunque è meglio se sentiamo cosa ha da dirci questa signora».

«Avete dato disposizioni perché si verifichi come ha trascorso la notte mio cognato?».

«Lord Boxis? Ma certo. Anche se non credo che scopriremo nulla d'interessante, ho incaricato alcuni miei uomini di investigare».

Holverius si alzò per parlare brevemente col maggiordomo che era appena ricomparso. Un attimo dopo tornò a sedersi accanto all'ufficiale.

«Sono arrivati. Chi facciamo passare prima?».

«La signora. È anche la nostra sospettata principale, meglio farci subito un'idea».

Il mercante si rivolse al maggiordomo.

«Bartholomeus, avete capito?».

«Perfettamente signore». L'anziano servitore fece un perfetto inchino e scomparve dietro la porta. Poco dopo, Petra Berifaol comparve nello studio. Al contrario della sera precedente, era vestita molto semplicemente, con una lunga veste di velluto nero, non portava gioielli e sul bellissimo volto completamente struccato gli occhi arrossati facevano chiaramente comprendere il turbamento del suo animo.

Cragg non parve particolarmente impressionato dall'espressione tragica della donna. Si alzò per accoglierla con rigida e fredda educazione.

«Perdonate il disturbo, signora. Purtroppo sono costretto a farvi qualche domanda».

La donna sedette compostamente davanti all'ufficiale. Gli occhi pudicamente rivolti in basso.

«Comprendo perfettamente capitano. Chiedete pure». La voce era piatta, atona ma ferma.

«A che ora avete lasciato questa casa, ieri sera?».

«Poco dopo mezzanotte. Ho atteso le campane per brindare, poi ho raggiunto mio marito sulla carrozza».

«Scusate, se vostro marito era nella carrozza, con chi avete brindato?».

Gli occhi guizzarono verso l'ufficiale per tornare immediatamente a rivolgersi al piano della scrivania.

«Con nessuno, capitano. Ero da sola».

«Perché avete brindato da sola? Perché vostro marito non era con voi?».

«Viator era già sulla carrozza, da circa un quarto d'ora. Subito dopo mezzanotte l'ho raggiunto e siamo tornati a casa».

«Perdonatemi ma non capisco il motivo. Potevate attendere la mezzanotte con vostro marito».

«Non questa volta. Dovevo brindare con Siverius». La voce della donna era incrinata dall'emozione. Gli occhi si fissarono in quelli del capitano Cragg, stavolta senza abbassarsi.

«Ma non avete detto che eravate sola?».

«Ho brindato davanti al suo ritratto, quello sopra il camino del salone».

Cragg la guardò con aria scettica.

«Scusatemi ma non capisco ancora».

«Siverius ha estromesso mio marito dalla società. L'ha fatto con spietatezza, dopo che erano stati soci per quarant'anni. Gli ho augurato un anno di sofferenza e rovesci finanziari. Ma non la morte, se è questo che pensate».

L'ufficiale sorresse freddamente lo sguardo.

«Mi pare di comprendere che i motivi per odiarlo non vi mancavano. Perché non avreste dovuto augurargli qualche disgrazia?».

«Perché Siverius avrebbe sofferto di più vedendo andare a rotoli i suoi affari. Lo so perché lo conoscevo assai bene. Cercate di capirmi, l'aspetto economico non c'entra. Viator è ricco, non abbiamo motivi di temere da questo punto di vista. Quello che ci ha fatto male è stato il tradimento nei nostri confronti. Ha scaricato Viator semplicemente perché non lo assecondava più come un tempo. Con l'età mio marito si è fatto più prudente, mentre Siverius è diventato ancora più spregiudicato».

Sul volto dell'ufficiale comparve un ghigno astuto.

«Dunque è stato l'affronto subito a causare il vostro odio».

«Affronto? Potete anche chiamarlo così. Io lo chiamo tradimento».

«Vi siete sentita tradita?».

La donna guardò il capitano con aria di commiserazione. L'espressione non passò inosservata e Cragg perse quel poco di simpatia che ancora poteva nutrire nei confronti di Petra Berifaol.

«Io? Siverius ha tradito Viator, un uomo infinitamente migliore di lui».

«Capisco. Dovete amare molto vostro marito». La voce dell'ufficiale si era fatta insinuante.

«Non credo capiate, capitano. Viator e io ci vogliamo bene e ci rispettiamo. Ma la nostra è più una bella amicizia che un matrimonio. Ognuno ha conservato la propria libertà sentimentale ma siamo uniti e fondamentalmente leali fra noi».

«Avete ragione, signora, non riesco a capire».

In fondo, Cragg era piuttosto tradizionalista e quel modo disinvolto di vivere il matrimonio gli pareva indice di perversità d'animo.

«Lui era ricco e io bella. Questo fu il nostro primo accordo. Poi scoprì che ero anche sveglia e abile nel procurarmi informazioni. E questo fu il nostro secondo e più duraturo accordo. Insieme siamo stati in grado di affrontare chiunque e abbiamo contribuito enormemente allo sviluppo della società di Siverius. Che ci ha ripagati così».

Mentre la dama stava parlando. Holverius si era alzato e diretto verso la porta dalla quale aveva fatto capolino il maggiordomo. Confabulò un attimo col servitore, dopodiché tornò alla scrivania, ancora più pensieroso di prima. Passando davanti alla vasca dei pesci, si soffermò un attimo a osservare l'acqua vagamente torbida. Il volto si era fatto ancora più scuro. Gli occhi di Petra lo avevano seguito costantemente.

«Cosa ti angoscia, Holv? Tu sai che ho ragione, eri l'unico che non fosse completamente soggiogato da tuo padre». La voce della donna si era addolcita parlando col giovane Nilboloc. Questi la fissò negli occhi, rispondendole.

«Era un gran filibustiere, Petra. E anche per questo ti affascinava tanto. Ma era mio padre. A modo suo mi voleva bene e mi stimava. Penso di dovergli qualcosa, quantomeno mi sento in dovere di mettere le mani su chi lo ha ammazzato».

«Non penserai che sia stata io? Sai bene che non avrei mai potuto, gli volevo bene anch'io».

Lo sguardo di Holverius era pieno di tristezza.

«Lo so. Ma ieri sera lo odiavi. Comunque non credo che sia stata tu. Però mi devi dire la verità. Dopo la cena gli hai parlato?».

«Era occupato». Nella voce era comparsa una nota rabbiosa. «Immagino che tu lo sappia». L'uomo annuì.

«Non avrebbe mai trascorso la notte nella stanza di una serva. Finito di fare i suoi comodi sarebbe tornato in camera. E tu lo sapevi».

Gli occhi di Holverius si fissarono in quelli di Petra. Lei sorresse lo sguardo per pochi secondi prima di tornare a fissare la scrivania.

«Lo immaginavo ma non intendevo aspettare i suoi comodi, come li chiami tu. Ho brindato e sono andata via».

Il mercante le si avvicinò con aria minacciosa.

«Sei andata alla carrozza e hai mandato a casa Berifaol. Poi sei rientrata. Bartholomeus ti ha vista. Stai mentendo, Petra!».

«Cosa? Quell'impiccione? Credi più a un servo?».

«Conoscendoti, sì. Raccontaci tutto, Petra, altrimenti sei nei guai».

La donna si eresse in tutta la sua statura, la voce suonò stridula.

«Io ... mi meraviglio di te, Holverius Nilboloc. Questo è un altro oltraggio che devo subire dalla tua famiglia».

Holverius sbatté con violenza un pugno sul tavolo.

«Ora piantala! Mia madre ne ha subiti di ben peggiori, da te. Dicci cosa hai fatto quando sei rientrata qui, ieri sera».

«E va bene! Sono ... andata da tuo padre. Volevo farlo riflettere. Fargli capire che non avrebbe dovuto comportarsi così. Ma lui non ha voluto sentire ragioni».

Il capitano la interruppe con voce fredda.

«E allora, lo avete eliminato. Così avete avuto la vostra vendetta per vostro marito e per il vostro amor proprio di amante tradita!».

«Capitano, con la morte di Siverius, mio marito non recupera il suo ruolo. Le quote della società passano tutte nelle mani di Holverius, che quindi aveva un movente migliore del mio. Perché non sospettate di lui, allora?».

Il giovane Nilboloc era pallidissimo.

«Petra, finiscila! Io non credo che tu sia colpevole. A che ora hai lasciato mio padre?».

«Circa un'ora e mezza dopo mezzanotte».

«Aveva bevuto il vino dal boccale?».

«No. Non l'aveva toccato. Era ancora vestito, sai che lui beveva il suo vino solo dopo essersi preparato per la notte».

Gli occhi di Holverius vagarono nel vuoto.

«Sì. È vero. Quindi l'hai lasciato vivo».

«Vivo e cattivo più che mai».

Il mercante sospirò e si rivolse all'ufficiale.

«Capitano, avete altro da chiedere?».

«No. Mi dispiace, signora ma devo pregarvi di non lasciare la casa, vi farò sorvegliare da due guardie, finché la vostra posizione non si sarà completamente chiarita».

Petra fece un balzo all'indietro, come una belva impaurita.

«Non mi credete! Non l'ho ammazzato io! Capitano, dovete credermi!».

«Io devo credere ai fatti, e questi vi mettono in una posizione difficile. Comunque, se siete innocente, non avete nulla da temere».

L'ufficiale congedò la dama senza consentirle ulteriori repliche e diede ordine ai suoi sottoposti di sorvegliarla, poi tornò alla scrivania. Holverius lo guardava perplesso.

«Cragg, siete sicuro che sia stata lei? Ho fondati motivi per dubitarne».

«Ah sì? E quali, di grazia? Ha il movente ed è stata l'ultima persona a vedere vivo vostro padre. Non fatevi ingannare dalla sua recitazione, messere. Fra tutti è l'unica che possa avere commesso il delitto. Aveva il movente e l'occasione. Cosa vi fa pensare che non sia stata lei?»

«Vorrei che fosse stata lei. Ma ne dubito».

«Messere, siete sicuro di non nascondermi qualcosa?».

Holverius scosse il capo e si diresse rapidamente alla porta, chiamando il maggiordomo.

«Facciamo passare Viator, forse ci aiuterà a chiarirci le idee».

Bartholomeus spalancò la porta e fece entrare il socio di Siverius Nilboloc. Cragg avrebbe voluto dire qualcosa ma l'uomo entrò immediatamente nella stanza rivolgendo un freddo saluto a Holverius.

«Benvenuto, messer Berifaol. Accomodatevi».

L'anziano mercante era molto alto ed estremamente magro. L'andatura dinoccolata e le spalle cadenti mortificavano l'autorità dei suoi occhi scurissimi. L'apparenza innocua nascondeva un carattere collerico e autoritario.

«Io non c'entro. Non farei mai una cosa tanto orribile. Cercate altrove, capitano».

L'ufficiale sorrise.

«Ma di questo non ne dubito affatto. Raccontatemi di ieri sera, forse avete visto o udito qualcosa che potrebbe esserci utile».

«Mi sono annoiato a morte tutta la sera. Poco prima di mezzanotte sono andato in carrozza. Mia moglie mi ha raggiunto subito dopo che si era spenta l'eco delle campane del senato. Tutto sommato non credo di aver altro da dire».

La sicumera del mercante pareva assai meno solida di quanto non cercasse di dimostrare. Il capitano parve accorgersene e un sorriso malizioso comparve sulle sue labbra.

«Siete tornato a casa con vostra moglie?».

«Si capisce. Dove sarei dovuto andare?».

«Siete certo che vostra moglie sia tornata con voi?».

«Come vi permettete?».

L'ufficiale si piazzò davanti a Viator, con le mani sui fianchi.

«Messere, ci state raccontando una quantità di frottole. Sappiamo che le cose non sono andate così. Sarà meglio che mi diciate la verità».

«Come osate ...».

Cragg esplose.

«Ora basta! Sono un ufficiale incaricato di questa indagine, signore! State insultando l'intera Repubblica con questo vostro atteggiamento. Vostra moglie non è tornata con voi. Perché?».

Il mercante era impallidito. Non molto coraggioso, si era reso conto che quell'uomo stava facendo sul serio. Conveniva collaborare, almeno per il momento.

«E va bene. Voleva parlare con Siverius. Voleva convincerlo a tornare sulle sue decisioni e rendermi il mio ruolo nella nostra società».

L'ufficiale non pareva granché rabbonito dal cambio di tattica del suo interlocutore e la sua voce risuonò ancora alterata e brusca.

«Ma non c'è riuscita. Vostra moglie aveva con sé del veleno?».

Messer Berifaol spalancò gli occhi.

«Cosa? Ma non crederete davvero ...».

«Vostra moglie aveva il movente e l'occasione di commettere quest'omicidio. Aveva il veleno?».

«Ma quale veleno? E dove lo avrebbe tenuto? Su di sé? Abbigliata com'era?».

«Le donne hanno mille modi per nascondere le cose. Un'ampollina di veleno non è grande».

«Ma è una follia! Se l'ampolla si fosse rotta?».

«Ma non si è rotta. E vostra moglie l'ha versata nel bicchiere di messer Nilboloc».

«Holverius, non crederai a questa assurdità?».

«Io non so più cosa credere ... ogni ipotesi sembra assurda ma qualcuno l'ha ammazzato. E io voglio sapere chi».

Voci concitate si udirono nel corridoio. Un rumore di lotta e la porta si spalancò con violenza.

«Come avete osato?».

Daniel Berifaol irruppe nello studio. Era un giovane sui vent'anni, non molto alto ma dalle spalle larghe e il torace muscoloso. La mandibola volitiva e gli occhi di ghiaccio facevano supporre un carattere autoritario, uso a farsi valere e a scivolare facilmente nell'arroganza.

«Come avete osato arrestare mia madre? Come potete accusarla di una cosa simile?».

L'ufficiale avanzò verso il giovane con occhi fiammeggianti.

«Come osate voi, signore, irrompere in questo modo? Abbiamo tutti gli elementi per accusarla».

«Ma che elementi? Ma lo sapevate che la moglie di Nilboloc aveva un anello col castone pieno di veleno?».

«Cosa?». Cragg trasecolò. Guardò Holverius senza capire, poi ne scorse l'espressione imbarazzata. «Messer Nilboloc, ne sapevate qualcosa?».

«Io ... insomma, personalmente non l'ho mai visto ... me ne hanno parlato per la prima volta ieri».

«Lo sapevate e non me ne avevate parlato? Messere, questa è una cosa grave».

«Ma io non l'ho mai visto!». Messer Nilboloc pareva molto agitato e la voce, solitamente pacata, aveva preso un tono più acuto. «Non sono nemmeno sicuro che esista».

Cragg pareva furioso.

«Lo vedremo presto. Farò perquisire immediatamente la stanza di vostra madre».

Holverius cercò di recuperare un poco di autocontrollo.

«Ma voi, Daniel, come avete fatto a venire a conoscenza di qualcosa che anch'io ignoravo?».

«Me l'ha confidato quella stupidella di vostra figlia, messere. Non permetterò che voi Nilboloc versiate altro fango sulla mia famiglia. Abbiamo già sofferto abbastanza per cagione vostra».

«Ascoltatemi, Daniel, io non intendo permettere che a vostra madre venga fatto alcun male e il capitano vi potrà riferire che io non la ritengo colpevole. Ma non è addossando la colpa a qualcun altro che si risolve il problema. Dobbiamo trovare il colpevole, non un capro espiatorio».

Il giovane rispose con tono sprezzante.

«Il colpevole è già stato trovato. Solo con quell'anello si sarebbe potuto avvelenare il boccale di messer Nilboloc senza che se ne accorgesse. Quell'anello esiste e anche se l'avete nascosto, la colpevolezza di vostra madre è lampante».

«Capitano, fatelo ragionare!». Messer Nilboloc pareva decisamente allarmato.

«Questo ragazzo sta già ragionando piuttosto bene. Ora basterà trovare l'anello».

Con uno sforzo sovrumano, Holverius riprese il controllo delle proprie emozioni. Doveva restare lucido. A ogni costo.

«Dubito che troverete qualcosa».

L'ufficiale gli si rivoltò contro, inviperito.

«Questo, se permettete, è affar mio. Voi evitate di mettermi i bastoni fra le ruote e lo troverò».

Un sospiro rassegnato sfuggì al mercante.

«Fate pure, capitano. Credo che stiate perdendo tempo».

Poi, scuro in volto, uscì a grandi passi dalla stanza. Il maggiordomo lo raggiunse immediatamente.

Il pomeriggio trascorse fra ricerche affannose quanto inutili. L'anello non si trovò e, nonostante le pressanti richieste del giovane Berifaol, il capitano Cragg non volle sentire ragioni, tenendo sottochiave le due donne fino a che non fosse emerso qualcosa da quelle indagini.

Fu solo all'ora di cena che Holverius ebbe la possibilità di parlare ancora con Cragg, la cui frustrazione aveva toccato vette straordinarie.

Questa volta, l'ufficiale lo ascoltò con la massima attenzione.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

Era buio negli appartamenti che erano appartenuti a messer Nilboloc. E freddo. Seduti nella camera da letto, il capitano Cragg e Holverius Nilboloc tenevano d'occhio la botola aperta sullo studio, proprio sopra la vasca dei pesci, ormai piena solo d'acqua.

«Mi chiedo cosa mi abbia convinto a perdere così la mia serata».

«Probabilmente l'oro che vi ho offerto, capitano».

«Avrei dovuto chiedervene di più. È mezzanotte e ancora non si è visto nulla. E avrei fatto meglio a far liberare la signora Berifaol, senza dare ascolto alle vostre sciocchezze».

«Pazientate, fra poco avremo l'assassino».

«Ma chi diavolo vi ha messo in testa un'idea tanto balzana?».

«Silenzio, capitano! La porta si sta aprendo».

Un'esile lama di luce parve tagliare in due il grande studio. Un'ombra s'introdusse furtiva nel locale e la luce si rivelò una tremolante candela, parzialmente coperta da una mano. La figura si muoveva in silenzio, avanzando lentamente verso il centro della stanza, avvicinandosi alla vasca.

Il capitano Cragg aguzzò la vista. Chi era? Da quella prospettiva non riusciva a capirlo, non riusciva neppure a distinguere se si trattava di un uomo o di una donna. Lanciò un'occhiata furtiva a Holverius che pareva completamente assorto a spiare la figura nell'oscurità, irregolarmente illuminata dalla luce della candela.

Lo sconosciuto era giunto alla vasca e aveva tolto la mano che mascherava la candela per immergerla con decisione nell'acqua. La fiammella si rifletteva sulla superficie increspata creando una fantasmagoria di luci e colori.

Ora Cragg cominciava a distinguere qualcosa di più. Improvvisamente comprese.

Rimase un attimo paralizzato dalla sorpresa, poi scattò. Con un balzo acrobatico si gettò nel vuoto, piombando sulla figura ancora china sulla vasca. La candela cadde nell'acqua e si spense sfrigolando.

La lotta fu breve. La forza e la giovinezza non consentirono a Daniel Berifaol di avere la meglio dell'esperto soldato, oltretutto favorito dalla sorpresa. Il pugno di Cragg si abbatté sul bel volto distorto dalla rabbia e il giovane si afflosciò sotto di lui.

Holverius stava scendendo le scala con una lampada accesa. Cragg aveva raccolto dalla mano di Daniel un anello con un grosso castone e si avvicinò alla luce per studiarlo.

«Bravo capitano. Ora avete l'assassino».

«Lo sapevate?».

Cragg guardò il mercante con aria diffidente.

«Avevo alcuni sospetti».

Gli occhi dell'ufficiale si erano fatti attenti. In quel momento si sarebbe potuto credere che nulla al mondo avrebbe potuto distogliere l'attenzione di Cragg, completamente rivolta al suo interlocutore.

«Perché?».

«Perché non capivo come mia madre potesse aver fatto sparire l'anello. Le sarebbe bastato riempirne nuovamente il castone e lasciarlo fra le sue cose. Nessuno avrebbe potuto dimostrare che era stato usato».

«Poteva essere sconvolta, in certe circostanze...». Lo scetticismo cominciava a sparire dalla voce di Cragg, sostituito da un tono vagamente insinuante.

«Difficile crederlo. Ha sempre avuto un grande autocontrollo, altrimenti avrebbe cavato gli occhi a mio padre un centinaio di volte».

«Ma era soggetta a crisi isteriche, mi dicono».

«Una donna in preda a una crisi può bere il veleno ma non avere la freddezza di avvelenare di nascosto il bicchiere di un altro».

«Forse avete ragione. Fatto sta che ora si spiega come sono morti i pesci». Ora la voce del capitano pareva distante, come se la sua mente stesse vagando lontano da quella stanza.

«Certo. Daniel ha gettato l'anello nella vasca quando doveva esserci ancora un po' di veleno».

Gli occhi dell'ufficiale non si allontanavano neppure per un attimo da Holverius.

«Ma perché? Se voleva dare la colpa a vostra madre...».

«Questa era sicuramente la sua idea iniziale. Ma poi ha scoperto il furto e il biglietto di Blackwind e ha pensato di addossargli la colpa».

«Poteva sottrarre il biglietto ...».

«Sì, ma il furto? Accusare mia madre dell'omicidio poteva essere credibile ma nessuno avrebbe creduto al furto. Deve aver pensato che far sparire l'anello fosse la soluzione migliore».

«Ma come avete sospettato di lui?».

C'era una nuova diffidenza nella voce dell'ufficiale che si era arrochita. Un dubbio si stava insinuando nella sua mente.

«Come faceva Daniel a sapere che il veleno era stato versato direttamente nel boccale del vino? Quel particolare era noto solo a noi due».

«Sì, tutto quadra. Devo farvi i complimenti, messere. Potreste arruolarvi con noi».

C'era ironia nella voce del capitano ma Holverius non parve accorgersene.

«Vi ringrazio, capitano ma non è tutta farina del mio sacco».

L'ufficiale guardò il mercante con una strana espressione. I suoi sospetti stavano prendendo sempre più consistenza.

«Ah, no? E chi vi ha dato l'imbeccata, messere?».

Holverius sorrise.

«Venite con me, così chiariremo tutto».

Gli occhi dell'ufficiale si strinsero.

«Molto volentieri. Sono certo che potremo chiarire tante cose... ma dov'è Daniel?».

La figura sdraiata a terra non c'era più.

«Maledizione! Ha approfittato della nostra distrazione ed è scappato!».

«Dovevo colpirlo più forte! Manderò subito una pattuglia a cercarlo. Non andrà lontano, statene certo! Andiamo dal vostro informatore, prima che sparisca anche lui».

«Perché dovrebbe sparire, capitano?».

Holverius uscì dallo studio e si diresse verso i quartieri della servitù. Raggiunta la stanza del maggiordomo, fece per aprire la porta ma l'ufficiale lo prevenne spalancandola con un calcio. Aveva la spada in pugno.

«Benvenuto, messer Holverius. Capitano Cragg, è un onore».

Bartholomeus Winthrop era in piedi, al centro della stanza. Il suo portamento non sembrava più quello di un anziano e anche la voce era diventata più giovanile, permeata da una forte vena d'ironia.

«Brutto furfante, non la farai franca».

Cragg si avventò sul maggiordomo ma dovette fermarsi quasi subito, quando si accorse che nella sua mano era comparso uno stocco che parò senza difficoltà il fendente dell'ufficiale.

«Risparmiatevi le smargiassate, capitano. Per catturarmi lascereste scappare un assassino?».

Il tono beffardo del servitore fece esasperare ulteriormente il già furibondo mercenario.

«Siete morto, signor bandito!».

Un violento affondo incontrò l'aria e il successivo venne bloccato dalla lama avversaria.

«Santi numi, quanta foga! Calmatevi, capitano o vi prenderà un colpo. Oplà, parato, e ora?».

«Capitano, piantatela!». Holverius non riusciva a provare avversione per il suo fidato maggiordomo, pur avendo ormai compreso che si trattava di un impostore.

«Non mi sfuggirà questo bandito! Prendi questo!».

Un altro fendente venne deviato facilmente dall'agilissimo maggiordomo.

«Mi state deludendo, capitano, vi manca proprio il senso dell'umorismo. E quello dell'equilibrio, state più attento!». Improvvisamente, il fuorilegge era passato all'attacco con un turbine di affondi che avevano costretto Cragg a indietreggiare precipitosamente, fino a farlo inciampare sul letto.

«Aiuto!».

«Ora basta, signor capitano. Via quel ferro!». Un colpo di spada e l'arma volò via dalle mani dell'ufficiale che diede sfogo alla rabbia e alla frustrazione con una sequela d'improperi.

«Maledetto bastardo schifoso!».

«E io Blackwind, molto lieto». Il celebre ladro si esibì in un beffardo inchino.

L'ufficiale guardò con occhi pieni d'odio il suo avversario. La spada era ormai irraggiungibile e Blackwind gli era praticamente sfuggito. Restava solo una possibilità. Balzò all'indietro e prese la porta, correndo verso le scale. C'era ancora da catturare Daniel Berifaol. Blackwind non accennò neppure a rincorrerlo, limitandosi a seguirlo con uno sguardo ironico.

Holverius si portò di fronte al fuorilegge.

« Bartholomeus Winthrop. B e W. Blackwind. Magnifica interpretazione messere. Dovrei essere in collera ma vi sono grato per avermi aiutato a scoprire il vero assassino e scagionare mia madre. Come l'avevate capito?».

Blackwind si sedette sul bordo del letto, guardando con interesse il mercante.

« L'anello. Chi aveva ucciso vostro padre aveva progettato di accusare vostra madre, altrimenti non avrebbe rischiato per rubarlo. Petra quasi certamente ne ignorava l'esistenza. Lo sapevate voi, grazie alla curiosità di vostra figlia, Daniel e Crown per lo stesso motivo e vostro padre. Né voi né Beryl potevate essere stati perché non avreste mai fatto ricadere la colpa su vostra madre».

Il mercante sedette accanto al bandito, con aria pensierosa.

«Dunque l'assassino poteva essere solo uno fra Crown e Daniel».

«Appunto. Ma Crown aveva buone ragioni per odiare vostro padre ma non aveva nulla contro la signora Lory e nulla da guadagnarci nell'accusarla. Allora perché correre il rischio di rubare l'anello?».

Holverius sospirò. Aveva senso ma doveva capire meglio.

«Ma Daniel cos'aveva contro mia madre?».

«Temo che vi sia sfuggito un particolare essenziale. Daniel è vostro fratellastro per parte di padre. In realtà si può ipotizzare già guardandolo ma nessuno aveva mai osato dar voce a quel sospetto. Petra deve aver fatto ricorso anche a quell'argomento per convincere messer Siverius a tornare sulle sue decisioni».

La rivelazione non parve sorprendere particolarmente il mercante. Era un'ipotesi che aveva già preso più volte in considerazione e che, tutto sommato, non lo turbava. Conoscendo suo padre, la schiera dei suoi fratellastri rischiava di essere alquanto nutrita.

«Lui lo sapeva?».

«Immagino di sì, è probabile che avesse anche chiesto a vostro padre di riconoscerlo».

Il giovane Nilboloc sorrise tristemente.

«E mio padre deve averci riso sopra. Mi pare di vederlo».

Blackwind annuì gravemente.

«Per questo ha pianificato la sua vendetta, verso suo padre e verso la donna che riteneva responsabile del suo mancato riconoscimento».

Holverius protestò.

«Ma mia madre probabilmente non si sarebbe opposta».

«Forse. Ma Daniel non lo sapeva. Non credo la conoscesse abbastanza».

Nilboloc rimase in silenzio, guardando il viso del suo interlocutore, ancora parzialmente coperto dai residui del trucco che lo aveva trasformato in un anziano e innocuo maggiordomo. Si stupì nel provare ammirazione per la costanza di quell'uomo, capace di recitare per mesi quella parte, allo scopo di preparare accuratamente un furto che avrebbe dovuto avere il sapore della beffa. Blackwind doveva avere una volontà straordinariamente forte.

«Ma come avete saputo dell'anello?».

«In realtà non ne sapevo nulla. Fu la morte dei pesci rossi a farmi capire che nella vasca era stato gettato il contenitore del veleno. Quando vidi l'anello e lo riconobbi rimasi stupito ma mi spiegai la scena isterica di ieri mattina e compresi subito che qualcuno lo aveva sottratto a vostra madre. Voi non eravate stato. Beryl non avrebbe osato ritentare il colpo. E si ritorna al ragionamento di prima».

Ancora gli occhi di Holverius si allontanarono dal ladro per vagare chissà dove.

«Capisco. Daniel doveva odiare veramente molto mio... nostro padre».

«Temo di sì. E temo che anche Daniel abbia assistito all'alterco fra vostro padre e sua madre. Probabilmente, nell'avvicinarsi alla camera di messer Siverius, ha sentito la voce di sua madre e ha ascoltato tutto nascondendosi in cima alle scale. Questo deve avergli fugato gli ultimi scrupoli».

«Quindi è entrato nella stanza e ha affrontato mio padre. Durante la discussione ha approfittato di un suo attimo di distrazione e ha avvelenato il vino». Holverius si chiese perché, anziché rabbia, provava una profonda compassione per tutti gli attori di quella tragedia. La voce di Blackwind lo riportò alla realtà.

«Poi ha finto di andarsene ed ha atteso che messer Siverius fosse morto. È rientrato per lasciare l'anello nella stanza e lì deve avere scoperto il furto. Il che, poi è stato quello che lo ha indotto a commettere l'errore che lo ha perduto».

«Già... quando lo avete compiuto?».

«Ovviamente mentre vostro padre era impegnato nella camera della sguattera. Era il momento migliore. Immaginavo che messer Siverius lo avrebbe scoperto prima di andare a dormire o al risveglio. Quando non udii nulla fino alla tarda mattinata mi resi conto che c'era qualcosa che non andava».

Un triste sorriso aleggiò sulle labbra di Holverius.

«Immagino cos'abbiate provato nello scoprire il cadavere ...».

«Vi assicuro che non sono mai stato tanto costernato in vita mia. Volevo dare una lezione a messer Siverius ma quando l'ho visto sul letto, ormai cadavere, mi è dispiaciuto sinceramente».

«Non mi direte che avevate simpatia per mio padre!».

«No. Non ne avevo. Sinceramente, vostro padre si meritava una bella lezione. Ma la morte... quella no. Chi siamo noi per decretarla ai nostri simili?».

L'erede dell'impero dei Nilboloc si alzò in piedi.

«Ditemi, c'è un'ultima curiosità. Lord Boxis dichiara di essere andato al porto per ispezionare una nave, ieri sera. Ma nessuna nave arriva o parte in questa stagione».

Un lampo divertito passò negli occhi di Blackwind.

«Volete davvero saperlo? Vostro cognato frequenta da anni una singolare matrona che lo delizia prendendolo a scapaccioni, quando non addirittura a frustate».

Gli occhi del mercante si spalancarono per la sorpresa. Fece veramente fatica per non mettersi a ridere.

«Siete davvero un tipo straordinario. Immagino che dovrei farvi arrestare ma vi sono debitore».

Blackwind si alzò e raccolse le sue cose, accingendosi a uscire. Sulla porta si fermò e lanciò un'occhiata sorniona al mercante.

«C'è molto di buono in voi, Holverius Nilboloc. Avete un'occasione per rimediare agli errori di vostro padre. Non fatevela sfuggire. Mi seccherebbe tornare in questa casa per giocarvi un tiro simile a quello che avevo organizzato per messer Siverius».

Detto questo, il celebre bandito uscì.

«Seccherebbe più a me, messere».

E Holverius Nilboloc si concesse, finalmente, un sorriso sereno.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=507556