In the arms of the angel

di endif
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** CAP.2 ***
Capitolo 3: *** CAP .3 ***
Capitolo 4: *** CAP.4 ***
Capitolo 5: *** CAP.5 ***
Capitolo 6: *** CAP.6 ***
Capitolo 7: *** CAP.7 ***
Capitolo 8: *** CAP.8 ***
Capitolo 9: *** CAP.9 ***
Capitolo 10: *** CAP.10 ***
Capitolo 11: *** CAP.11 ***
Capitolo 12: *** CAP.12 ***
Capitolo 13: *** CAP.13 ***
Capitolo 14: *** CAP.14 ***
Capitolo 15: *** CAP.15 ***
Capitolo 16: *** CAP.16 ***
Capitolo 17: *** CAP.17 ***
Capitolo 18: *** CAP.18 ***
Capitolo 19: *** CAP.19 ***
Capitolo 20: *** CAP.20 ***
Capitolo 21: *** CAP.21 ***
Capitolo 22: *** CAP.22 ***
Capitolo 23: *** CAP.23 ***
Capitolo 24: *** CAP.24 ***
Capitolo 25: *** CAP.25 ***
Capitolo 26: *** CAP.26 ***
Capitolo 27: *** CAP.27 ***
Capitolo 28: *** CAP.28 ***
Capitolo 29: *** CAP.29 ***
Capitolo 30: *** CAP.30 ***
Capitolo 31: *** CAP.31 ***
Capitolo 32: *** CAP.32 ***
Capitolo 33: *** CAP.33 ***
Capitolo 34: *** CAP.34 ***
Capitolo 35: *** CAP.35 ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


N.B. Questo è il seguito della mia prima fic "My New Moon". Non è necessario leggere quella per seguire questa, ma potrebbe essere d'aiuto per delineare bene il carattere dei personaggi.

CAP. 1

EDWARD
«Come sto?»
E’ esattamente la dodicesima volta che Bella mi fa questa domanda e la guardo di sbieco con una finta espressione sostenuta.
«Benissimo, ovviamente» rispondo, trattenendo un sospiro.
Alzo le mani in alto rispondendo al suo sguardo seccato. Non è da Bella farsi tanti problemi sull’abbigliamento, ma è seriamente agitata e preoccupata che ci sia in lei qualcosa che non vada.
Oggi vuole essere impeccabile.
Disteso sul letto, con la testa poggiata alla spalliera, la osservo mentre a sua volta si osserva con sguardo critico allo specchio della nostra camera nella casa di Hanover.
E’ bellissima.
Non potrei usare un aggettivo migliore di questo per descriverla.
Ma posso aggiungerne un altro: MIA.
Mia ufficialmente, dato che esattamente quindici giorni prima abbiamo formalizzato la nostra unione con un matrimonio organizzato in maniera lampo. Sorrido tra me e me ripensando ai giorni che sono seguiti all’annuncio della notizia alle nostre famiglie.
Le reazioni della mia famiglia sono state nel complesso positive, considerando che l’atteggiamento piuttosto freddino di Rosalie è stato bilanciato dall’entusiasmo inesauribile di Alice, la quale – inutile dirlo – era già al corrente di ogni cosa.
“Avevamo radunato tutti intorno al grande tavolo ovale della sala da pranzo nella casa di Forks. Bella era molto in imbarazzo, continuava a fissare la punta delle sue scarpe senza avere il coraggio di guardare nessuno. Avevo fatto spaziare lo sguardo su tutti i presenti scontrandomi con gli occhi ridenti e maliziosi di Alice che mi aveva sorriso furbescamente. Avevo stretto forte la mano del mio amore e pronunciato in un soffio, tanta era l’emozione, due semplici parole: « Ci sposiamo».
Esme, mia madre, aveva gli occhi che le brillavano per le lacrime che non avrebbe mai potuto versare, e i suoi pensieri erano un tripudio di gioia e soddisfazione. Carlisle, mio padre, si era congratulato rivolgendosi ad entrambi ad alta voce e, poggiandomi una mano sulla spalla con gli occhi fissi nei miei, aveva contemporaneamente pensato –“ Andrà tutto bene Edward, non temere, la tua famiglia ti sosterrà sempre”- . Emmet aveva quasi stritolato Bella in un abbraccio possente, riprendendosi subito dopo aver lanciato uno sguardo a sua moglie, e Jasper aveva sorriso facendoci un cenno con il capo, mantenendosi, però, ad una certa distanza.
Quello che di certo non mi sarei mai aspettato accadesse in seguito, era la reazione di Alice.
All’iniziale entusiasmo aveva fatto seguire un silenzio tombale. Sembrava che avesse ricevuto la più funesta delle notizie. L’avevo guardata interrogativo e lei mi aveva risposto sommergendomi con delle visioni di me e Bella che pronunciavamo le nostre promesse in una piccola chiesetta al cospetto dei soli parenti più stretti. Mi ero girato verso Bella e finalmente avevo notato le sue guance scarlatte e il labbro inferiore che le tremava. Non era semplicemente in imbarazzo, ma era spaventata dalla reazione di Alice per la semplicità della cerimonia che desiderava. Avevo mimato con le labbra a mia sorella uno «Stanne fuori» e lei era uscita indispettita dalla stanza senza profferire una parola. Solo allora Bella aveva alzato gli occhi puntandoli verso la porta da cui era uscito il piccolo folletto e con le lacrime nella voce e nello sguardo aveva sussurrato, quasi a se stessa: «L’ho ferita». Stringendola a me le avevo mormorato in un orecchio parole di conforto, certo che il risentimento di mia sorella si sarebbe presto dissolto come neve al sole.
Dare la notizia all’ispettore capo Swan era stata un’esperienza davvero singolare. Senza avere la pazienza per aspettare il suo rientro a casa, quasi che dovesse cavarsi un dente, Bella aveva deciso che dovevamo recarci direttamente alla stazione di polizia ed informarlo immediatamente. In realtà non mi sembrava una grande idea, ma lei aveva aggiunto che in centrale suo padre avrebbe dovuto mantenere per forza un comportamento civile. Se era in pensiero per la reazione di Alice, per quella di suo padre, Bella era terrorizzata.
Credo che avesse paura che suo padre potesse tentare di uccidermi.
Charlie Swan era chiuso nel suo ufficio con una marea di scartoffie davanti ed un caffè ormai freddo in una tazza. Ci aveva guardato con le sopracciglia aggrottate quando Bella era piombata nella stanza come una furia, seguita da me che faticavo a trattenere un’espressione compita. Aveva osservato prima sua figlia, poi me, e di nuovo aveva posato gli occhi su di lei. Quando Bella, lo sguardo puntato sul pavimento di linoleum verde acido, lo aveva informato della nostra decisone lo avevo visto prima strabuzzare gli occhi, poi annaspare, il suo cuore aveva perso un battito, assumendo poi un andamento pericolosamente aritmico, e aveva cominciato a pensare al migliore modo per farmi fuori e per far scomparire le tracce del misfatto. Aveva continuato a pensare febbrilmente alle cose più assurde: avrebbe mandato sua figlia a Jacksonville per proteggerla dalle malelingue al progredire della sua – ne era convinto – evidente gravidanza, e, per paura che qualcuno della mia famiglia avesse potuto avanzare qualche pretesa sul – ne era strasicuro – pargoletto in arrivo, aveva deciso di essere pronto ad eliminare chiunque potesse far soffrire sua figlia.
Commosso dall’amore che suo padre provava per lei, e spinto dalla necessità di evitare uno sterminio di massa, mi ero frapposto tra la mia amata ed il suo temibile padre e l’avevo rassicurato sulle mie onorevoli intenzioni, sul fatto che il rispetto per sua figlia mi stava a cuore più della mia stessa vita, e che di certo non era il caso di far vivere Bella nel peccato, dato che a breve ci saremmo trasferiti entrambi ad Hanover per frequentare il college. Avevo sfoderato le mie migliori doti ammaliatrici e osservato l’ispettore capo fissarmi via via sempre più imbambolato, ma sempre meno convinto dei suoi propositi omicidi. In fondo era fiero del fatto che sua figlia avrebbe frequentato uno dei migliori college d’America ed era anche certo dell’amore che provavamo l’un per l’altra.
Era solo un padre che vedeva improvvisamente la sua bambina diventare una donna.”
«Caspita Edward, mi sei davvero di grande aiuto!» la voce stizzita di Bella mi riporta bruscamente al presente.
«Scusa amore, ero distratto. Dicevi?» rispondo, pronto.
«DICEVO che forse sarebbe meglio che indossassi la camicetta azzurra su questa gonna, invece di quella lilla …» dice calcando il tono sulla prima parola e lisciando il tessuto della gonna sui fianchi.
Davanti ai miei occhi mia moglie si gira e rigira osservandosi allo specchio per cercare invano un difetto nella sua immagine riflessa. Mi alzo dal letto e mi avvicino a lei. Sorrido alla sua figura che mi guarda dallo specchio con occhi supplichevoli e l’abbraccio da dietro posandole il capo sulla spalla. Inspiro profondamente immergendo il naso nell’incavo del suo collo morbido e profumato e le sussurro dolcemente: «Anche se indossassi un sacco di juta saresti sempre la mia meravigliosa signora Cullen».
E’ vero, non sto cercando di rabbonirla. Lascio che la fragranza delicata dei suoi capelli mi avvolga e che l’odore sublime del suo sangue mi stordisca completamente.
La sento inclinare il capo all’indietro. Lo appoggia sulla mia spalla lasciandosi sfuggire un sospiro.
«Guarda che lei sarebbe felice di poterti aiutare.» le sussurro all’orecchio, solleticandole il lobo con il mio fiato gelido.
«Non credo, non dopo quello che le ho fatto …» mi risponde con la voce flebile e gli occhi tristi.
Sondo i pensieri di mia sorella, due camere a separarci, che sta ascoltando ogni parola della nostra conversazione.
Sorrido.
«Fidati amore. Sta solo aspettando che sia tu a chiederglielo.» le dico guardandola intensamente negli occhi riflessi di fronte a me.

BELLA
No, non va proprio bene. Il mio cervello è in fibrillazione, l’ansia mi attanaglia lo stomaco.
Devo aver messo su ciccia, non c’è altra spiegazione.
Sicuro. D’altronde come dire di no ai deliziosi pranzetti che Esme non manca di rifilarmi ogni giorno? Primo li adoro, e secondo non rischierei mai e poi mai di offendere la suocera più dolce ed affettuosa che mai sia esistita su questa terra ignobile. Già ignobile è il termine più appropriato. Perché se non lo fosse io sarei la Rosalie degli umani e non la timida ed impacciata Isabella Swan.
Lancio uno sguardo a mio marito disteso sul letto, intento a fissare il soffitto, con un sorriso beato stampato sul viso senza difetti.
Non è giusto.
Lui è impeccabile in un paio di jeans scuri CK e camicia Prada grigio perla, io non riesco ad accostare una gonna ed una camicetta senza sembrare ridicola.
Lui è la serenità fatta persona ed io sono un fascio di nervi.
Lui si è passato una mano tra i capelli ed è a posto, io li ho lavati due volte e dopo sei round con la spazzola ed il phon ho gettato la spugna: li ho raccolti in una coda stretta.
Poche chiacchiere: lui è perfetto ed io sono un disastro.
Lo osservo alzarsi e avvicinarsi a me. Sono così stizzita che da due ore sto prendendomela con lui senza ragione. In verità la ragione c’è. E’ il nostro primo giorno di college, del Dartmouth College. Un college prestigioso, uno dei migliori d’America.
E dei più costosi d’America.
Chiudo gli occhi mentre Edward appoggia il suo mento nell’incavo della mia spalla. Inspiro l’odore di miele e di sole che proviene dai suoi capelli, dalla sua pelle e penso che non esiste nulla e nessuno di più perfetto di lui. Così come niente e nessuna è più imperfetta di me.
Già mi vedo mentre usciamo dalla sua Aston Martin Vanquish nera da quattrocento mila dollari. E già li sento addosso gli sguardi dei figli di papà che guarderanno con invidia lui – per la sua auto, naturalmente- e delle figlie di … sì, insomma delle ragazze da urlo che guarderanno sempre lui pensando a come sia possibile che al suo fianco ci sia una sciacquetta come me.
Già, come è possibile? Anche io me lo chiedo ogni giorno.
Sospiro depressa. Penso ad Alice e al suo gusto in fatto di moda. Non che con me sia molto utile, ma potrebbe servirmi a tirarmi su di morale. In fondo immergersi in abiti costosi, con un trucco impeccabile, ti dà a volte l’illusione di essere ok, di andare forte. Edward mi ha detto di andare da lei, che oggi comincia con noi, per l’ennesima volta, per l’ennesima terza volta, il suo corso universitario: scienze della comunicazione e del linguaggio. Sono indecisa, dopo l’ultima volta…
“Per il nostro matrimonio Alice aveva in mente tutti altri progetti. Dettagli che, realizzati, sarebbero stati l’apoteosi della sua natura impulsiva e sfarzosa. Io, che avevo fiutato il pericolo, avevo subito messo in chiaro il tipo di cerimonia che desideravo, ma inutilmente. Alice l’aveva spuntata quasi su tutto: chiesa, fiori, catering, addobbi per la casa, auto, numero di invitati, abiti per ogni componente della famiglia, nonché cura della mia persona. Mi aveva trascinata per estetiste, massaggiatrici ed hair stylist ogni giorno fino a due giorni prima del matrimonio, quando con una vocina spiritata le avevo detto: «Alice, io …, io avrei già scelto il mio abito per la cerimonia.»
Sorprendentemente non mi aveva assalito, non mi aveva gridato in faccia che ero un caso disperato. No.
Mi aveva guardato.
E aveva sorriso.
Un sorriso che mi aveva fatto gelare il sangue.
«Ah, sì. Mi pareva di avere avuto una visione a proposito …» mi aveva detto con un tono noncurante. Poi aveva aggiunto: «Cara, vedrai che gli abiti che hanno preparato per te i miei CARI AMICI stilisti ITALIANI ti staranno d’incanto …» e aveva calcato il tono della voce giusto sui termini che voleva capissi bene.
Ed io avevo letto perfettamente tra le righe.
«Alice ti ringrazio per l’aiuto e per tutte le risorse umane e materiali che hai impegnato nel nostro matrimonio, ma l’abito io l’ho già scelto.» avevo detto con la voce tremante, ma risoluta.
«Mi ringrazi? E no, non mi ringraziare Bella. Non ancora. Perché non puoi ringraziarmi se sarò costretta a infilarti l’abito più adatto a te con la forza…» la sua voce era di ghiaccio.
Ma i miei occhi anche.
Non ero disposta a cedere. E non avevo ceduto. Avevo promesso.
Risultato?
Avevo indossato l’abito semplice, elegante e soprattutto moderatamente costoso che avevo notato nell’unico atelier di Forks e che Charlie si era ostinato a volermi regalare, dilapidando i suoi miseri risparmi. Era l’unica concessione che aveva voluto con ostinata perseveranza.
Non potevo negarglielo.
Con Alice non avevo più parlato fino al giorno del matrimonio, quando Edward ci aveva costretto ad una specie di tregua, in cui punti salienti erano la minore invadenza di Alice e la maggiore flessibilità da parte mia. Per intenderci: Alice non mi avrebbe più trascinato ovunque lei volesse a meno che non fossi stata io a domandarglielo”.
Ed ora, qui ad Hanover, mi ritrovo tra le mani due capi che ritengo inadattissimi all’occasione, ma non ho il coraggio di andare da lei a chiederle consiglio. Mi sento troppo in colpa per aver “moderato” lo spirito sbarazzino ed entusiasta della mia nuova sorella in un frangente così importante come il matrimonio mio e di Edward.
Mi volto verso il mio amore e puntando gli occhi nei suoi gli chiedo con l’incertezza nella voce: « E se mi caccia via?»
Lo vedo sorridere di nuovo, con gli occhi prima e con le labbra poi. «No che non ti caccia, Bella. E non è più offesa per la tua scelta. Non dopo che le ho spiegato le tue motivazioni. E’ solo … ehm … dispiaciuta che tu non ti sia confidata con lei, che non le abbia spiegato …» sospira e si passa una mano tra i capelli.
Dio quanto è bello.
«Stammi a sentire, vai da lei. Ti sta aspettando.» dice, tagliando corto.
Annuisco storcendo un po’ il naso e mi avvio verso la porta come un condannato a morte.
Prima che possa aprirla, però, lo stipite si apre di scatto verso di me, mancandomi per un pelo e lasciando entrare una Alice agitatissima immersa in una nuvola di giallo.
Riesco a distinguere a stento un paio di pantaloni classici bianchi ed una camicia gialla di chiffon. Ballerine gialle, ovviamente. Alice si muove a velocità vampiresca da un lato all’altro della stanza.
«Uffa, ce ne hai messo di tempo!!! Sono una veggente io, ma non sono ancora in grado di compiere miracoli!!» dice, fermandosi di fronte a me e strappandomi letteralmente di mano le due camicette.
«No, no, non ci siamo affatto!» e comincia a rovistare come una forsennata nell’armadio mio e di Edward, brontolando e gesticolando. Va avanti così per dieci minuti, e noto con la coda dell’occhio mio marito che si defila strizzandomi l’occhio. Finalmente, con un’espressione di trionfo, Alice riemerge dall’armadio trattenendo tra le mani un abitino di georgette rosso e nero, piazzandomelo dritto in faccia.
Strabuzzo gli occhi e comincio a scuotere la testa :«Oh no, no no nononono!!» dico indietreggiando lentamente.
«Oh si, invece. Quando si è giù come lo sei tu oggi, non c’è niente di meglio del rosso!» dice avanzando verso di me minacciosamente.
Mi lascio vestire e truccare dal piccolo folletto tra i miei sbuffi e le sue esclamazioni di gioia. Invece di sentirmi meglio, mi sento sempre più depressa e penso che tutta la fatica di Alice sia sprecata su di me.
Perfetto. Di questo passo è meglio che ritorni a letto.
Scrollo la testa per scacciare via i brutti pensieri che mi frullano per la mente da stamane.
«Ehi, non ti muovere! Altrimenti rovini l’acconciatura …» dice Alice brandendo minacciosamente una forcina per capelli ad un millimetro dal mio naso.
«Scusa, scusa sto ferma» rispondo immobilizzandomi.
Trascorrono altri due lunghissimi minuti e poi Alice mi piazza davanti allo specchio come se fossi una bambolina esclamando: «Ta-tan!!»
Mi osservo per un intero minuto in silenzio.
Penso e ripenso.
In fine, capisco.
Oggi mi sento come il mio defunto pick-up. Puoi darmi una mano di vernice, cambiarmi le ruote e profumare l’abitacolo, ma dentro c’è sempre il solito vecchio e rumoroso motore.


NOTA DELL'AUTRICE: Dunque dunque, per questa nuova fic ho pensato di aggiungere a fine capitoli delle piccole curiosità. Quando mi sembrerà particolarmente appropriato vorrei suggerirvi dei link musicali. Ho preso gusto a leggere le varie fic con sottofondo musicale e la trovo una cosa molto carina. Ho notato che alcune autrici già lo fanno e direi che a volte la musica crea un’atmosfera davvero magica …
Qui c’è l’Aston Martin Vanquish di Edward. Costo circa 270.000 euro, ossia più o meno 400.000 dollari.
L'abitino di Bella.
Vi saluto tutte e tutti. Al prossimo capitolo!!



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Capitolo 2
*** CAP.2 ***


N.B. Scusate per i disagi incontrati fino ad adesso con la visualizzazione del capitolo, ma come molti di voi sapranno, sono una vera schiappa con il pc … stamattina ho corretto l'ultima svista. Fatemi sapere se ci sono altri problemi.
Kiss
M.Luisa

CAP2

BELLA
«Non potevamo prendere la Volvo?» La mia voce è un tantino stridula nonostante i miei sforzi per farla risultare pacata.
Guardo le occhiate di ammirazione dei ragazzi che affollano il parcheggio del Dartmouth College e noto le gomitate che alcune ragazze si danno le une alle altre mentre usciamo dall’auto.
Lo sapevo.
 Edward mi guarda con un’espressione disgustata. Pare che voglia gridare “Sacrilegio!”.
«Amore non prendertela, ma questa è una fuoriserie, un cavallo di razza, non un ronzino storpio. C’è una bella differenza.» dice serio accarezzando la portiera dell’Aston e richiudendola dolcemente.
Se c’è una cosa che Edward adora sopra ogni altra cosa sono le auto veloci. E della sua Aston è particolarmente orgoglioso.
E’ vero, io non ne capisco un tubo di auto, a me basta che non mi abbandonino in mezzo alla strada, ma il suo commento mi graffia i poveri nervi ormai già troppo tesi.
«Non sto paragonando la Volvo con questa, ho detto solo che avrei preferito prendere l’altra, tutto qui.» dico acida.
Edward mi osserva pensoso per un attimo. Sfuggo al suo sguardo fingendo di sistemarmi i lacci delle Converse che ho portato con me all’ultimo momento, temendo di fratturarmi il femore se avessi tenuto i trampoli che Alice mi aveva obbligato a calzare. Mi guardo in giro nervosa. Alice e Jasper non sono ancora arrivati. Se ci sbrighiamo, forse riesco ad evitare la sua ramanzina per le scarpe.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi mi passa accanto e mi squadra da capo a piedi senza ritegno lanciando uno sguardo alle mie scarpe. Poi passa ad Edward soffermandosi con malcelato compiacimento. Cerca di catturarne lo sguardo.
Mi sento avvampare. Ma come osa questa sfacciata? Ribollo dalla rabbia e con il rosso del vestito mi sembra di essere diventata una torcia. Una torcia umana. Osservo Edward che ha lo sguardo ancora posato su di me. Non riesco a trattenermi e gli faccio una linguaccia, voltandomi subito dopo e camminando a grandi passi verso il portone principale.
Mi compiaccio della falcata sostenuta che mantengo. Grazie signor Converse!!
Naturalmente Edward è già al mio fianco in un batter d’occhio. Sento la sua mano gelida che scivola sotto il mio braccio e mi trattiene dolcemente: «Mi vuoi dire cosa ti prende? Perché sei così tesa? E’ successo qualcosa?» Non rispondo.
Mi spinge allora con fermezza in un angolo dell’androne, lontano da occhi indiscreti.
Scrollarmi è inutile, dunque non ci provo neppure.
Mi volto verso di lui e, a braccia conserte, con tono sarcastico gli dico: «Perché non me lo dici tu? Sei tu che sai leggere nel pensiero, giusto?»
«Scusami?» mi dice perplesso. I suoi occhi sono chiari, limpidi, di un oro liquido e caldo. Capisco che la gelosia mi sta divorando, ma non riesco a fermarmi. Essere alla mercè di un sentimento così abbietto non mi piace, e rendermene conto mi infastidisce ancora di più. Esplodo senza neanche accorgermene.
«Non dirmi che non li senti i pensieri di chi ti sta intorno? Ci stanno guardando tutti, TI stanno guardando tutti…!» gli dico risentita.
«E allora?» mi risponde serafico.
«Allora … non lo sopporto!!» faccio per girarmi, sento che sto per avere una crisi di nervi. Edward stringe un po’ la presa sul braccio per impedirmi di voltarmi e di finire lì la discussione. Da un po’ di tempo è diventata un’abitudine. Sgancio delle bombe ad orologeria iniziando delle discussioni di portata apocalittica, ma poi mi ritiro quando lui mi invita a ragionare.
«Che significa che non lo sopporti? Bella cerca di ragionare, io non le sento neppure le voci nella mia testa, ormai è diventata un’abitudine. Sono solo un rumore di fondo. Se dovessi ascoltarle non potrei muovere un passo da casa insieme a te, altrimenti rischierei di  … beh … lasciamo perdere.» e si passa una mano tra i capelli, lanciando uno sguardo nervoso alle sue spalle.
«Di…?» faccio io invitandolo per una volta a continuare.
Mi guarda. I suoi occhi si scuriscono d’un tratto, la mascella gli si irrigidisce. «Leggere nella mente altrui spesso non è il gran vantaggio che tutti si immaginano, Bella. Pensi che mi faccia piacere sapere cosa passa per la testa all’ottanta per cento dei ragazzi che abbiamo incrociato fino ad ora?» mi strattona leggermente verso di lui. Si avvicina con il suo viso ad una spanna dal mio e sussurra con voce tremante di rabbia repressa: «Credi che l’immagine di tua moglie nuda tra le loro braccia sia un bello spettacolo!? I loro pensieri sono di una volgarità tale da sfiorare l’indecenza. Se vuoi saperlo, molti non si limitano a questo …»
«Basta!» gli dico chiudendo gli occhi di scatto e portandomi le mani alle orecchie. Sento l’aria muoversi al lato del mio viso. I capelli ondeggiano leggermente. Un tonfo sordo proviene dal muro alla mia destra. Apro gli occhi e mi volto automaticamente.
Il palmo della mano di Edward è ancora lì, sulla parete. Dei frammenti di calce sono caduti a terra.
Copro la sua mano con la mia.
«Basta Edward. Calmati, ti prego.» Cerco i suoi occhi con i miei. Sta tremando dalla rabbia. Stupida, stupida, stupida. Ecco cosa sono.
Con la mano libera gli sfioro la guancia. Lo sento respirare velocemente. Chiude gli occhi un attimo e si raddrizza subito. Mi prende per la mano e mi spinge verso il corridoio.
«Vieni. Alice e Jazz ci stanno aspettando» dice guardando fisso davanti a sé.
Lo spio di sottecchi.
La gelosia mi sta accecando.
Non ho mai riflettuto dal suo punto di vista. In effetti non ha tutti i torti. La sua capacità può decisamente essere considerata scomoda quando NON vuoi conoscere i pensieri di chi ti circonda.
Continuo a camminare al suo fianco con gli occhi puntati a terra. Qualcosa mi sfugge, ma non riesco a capire cosa.
A volte le sue reazioni mi spaventano. Non per la mia incolumità, sia ben inteso. Il suo autocontrollo ed il suo istinto di protezione nei miei confronti sono aumentati in maniera inversamente proporzionale al controllo di se stesso verso gli altri. E’ praticamente terrorizzato dall’eventualità che mi possa accadere qualcosa, dalla mia fragilità di umana. Ciò si traduce in una specie di sorveglianza 24 ore al giorno da parte di ogni componente della famiglia che ha il compito di proteggermi da me stessa e dai pericoli esterni quando lui non lo può fare.
Sono impossibilitata ad uscire sola. Rischio di imbattermi in un maniaco.
Non ho l’ultima parola sul mio abbigliamento. Rischio di prendere un raffreddore.
Non posso andare in moto. Rischio l’osso del collo.
Non posso cucinare i miei pasti. Rischio di non nutrirmi adeguatamente.
Insomma non posso gestirmi in maniera autonoma!
Questo continuo controllo è stato determinante per la mia autostima. E con il diminuire di questa è aumentata la gelosia nei confronti di mio marito.
 Rischio di perderlo. Non sono abbastanza attraente, non sfioro neppure il livello della sua intelligenza, né della sua cultura. Ho una miriade di difetti e lui neppure uno.
Eppure … eppure per chissà quale oscura ragione lui ha scelto me, ha scelto di sposarmi.
Ma in occasioni come queste lo dimentico. Quando sono costretta a confrontarmi con gli altri, la mia insicurezza emerge nella sua interezza. Non mi piace sentirmi in competizione, non ci sono tagliata io per lo sfoggio di bellezza e grandezza … E non posso ignorare la portata che ha avuto su di me il suo abbandono passato. Molte ferite non si sono ancora rimarginate del tutto e le cicatrici poi … quelle non andranno mai via.
Mi riscuoto dai miei pensieri quando Edward si blocca improvvisamente ed io vado a sbattere contro la sua spalla.
«Eccovi finalmente!» la voce di Alice è allegra, ma i suoi occhi dicono tutt’altro. Fissa suo fratello intensamente e lo stesso fa Jasper. Devono aver capito che qualcosa è successo. Guardo Alice implorante, sperando che si giri verso di me e che capisca che è meglio lasciare correre.
Anche Edward li osserva, mandando lampi dagli occhi.
Finalmente Alice mi guarda. I suoi occhi scendono irrimediabilmente sulle mie scarpe.
Chiudo gli occhi infossando le spalle, e quasi mi aspetto che un urlo mi piombi addosso.
Niente.
Il folletto comincia a saltellare sul posto: «Allora Bella, cosa hai alla prima ora?»
Ah sì, il mio orario.
«Dunque … si … mi pare …» mi sforzo di fare mente locale, ma nella mia testa solo il vuoto.
«Fondamenti di economia e statistica» risponde piatto Edward per me, mantenendo gli occhi su Alice.
Giusto, il mio orario è questo.
Ho deciso di seguire l’Mba della Business School  Tuck, lo stesso corso che un tempo ha frequentato anche Alice. La scelta in realtà non è stata difficile. Dartmouth è rinomata proprio per questo indirizzo oltre alla scuola in medicina. Ovviamente quest’ultima era da escludere a priori per due ottimi motivi:
Primo: la mia sensibilità al sangue.
Secondo: in casa Cullen c’erano già troppe lauree in medicina.
Non che pensassi di arrivare mai alla laurea – in fondo questa era solo una proroga di un semestre alla mia trasformazione – ma se dovevo andare all’università, beh tanto valeva andarci in grande stile frequentando il top.
Osservo i visi che mi circondano e percepisco un’aurea di tranquillità scendere su di noi.
Ringrazio mentalmente Jasper.
Sospiro e, con molta poca convinzione, dopo un attimo di esitazione ci avviamo tutti verso le rispettive aule.

EDWARD
Aula magna.
Procedo a passo spedito per i corridoi, ma senza affrettarmi per non mettere in difficoltà Bella. Non ho alcun problema a ricordare la posizione delle aule. Tutto è rimasto come quaranta anni fa, qualche lavoro di ristrutturazione e di adeguamento non ha alterato la magnifica atmosfera che si respira in questo posto.
Giovani menti talentuose, piccoli geni o semplicemente ragazzi volenterosi si avviano frettolosamente verso i loro destini. Il vociare è enorme, rumoroso ma piacevole. Mi aiuta a soffocare le voci mentali che nella mia testa si confondono con quelle reali. E’ più facile così ignorarle.
Mano nella mano con Bella, arrivo di fronte alla sua aula.
E’ quasi tutta piena, e lei sbircia tra le ampie porte per farsi un’idea di cosa l’attende.
Ha l’aria preoccupata e un po’ spaesata. Ma è anche emozionata.
Bene. Non rimpiango la sua decisione di frequentare un semestre di college. E’ un’esperienza unica, che non si scorda mai. Un ricordo che rimarrà impresso nella sua memoria. Uno degli ultimi che le rimarrà della sua vita da umana, prima che giunga il momento della sua trasformazione.
Già la sua trasformazione.
Nessuno di noi ha avuto la possibilità di realizzare le esperienze umane più importanti prima della trasformazione e la decisione di Bella un po’ riscatta anche tutte le nostre “perdite”. E’ come se attraverso di lei potessimo vivere ancora un po’ della nostra vita passata.
Da quando abbiamo fissato” le scadenze”, però, sono diventato ancor più ansioso. Temo che le possa capitare qualcosa e non la lascio mai sola, se non strettamente necessario. Il corpo degli umani è così fragile! E quello di Bella, poi, è così delicato …
Allora ti muovi?! Tra i tanti, i pensieri di Alice mi raggiungono infastidendomi.
«Tesoro, tutto ok?» dico, invece, a Bella.
Volta i suoi occhi verso di me. Non c’è traccia del nervosismo che li attraversava poco fa, durante il nostro piccolo diverbio, ma sento che c’è ancora qualcosa che la turba.
A volte Bella ha delle reazioni incomprensibili, forse un po’ esagerate, ma probabilmente tipiche della sua natura umana. Non poterle leggere la mente continua a frustarmi ogni giorno di più, soprattutto nell’ultimo periodo, con il nostro trasferimento in Virginia.
Ci siamo trasferiti tutti, ma solo noi quattro abbiamo scelto di frequentare Dartmouth. Rosalie è stata contattata da una nota agenzia di moda ed Emmet ha deciso di seguirla nei suoi spostamenti. La loro base rimane la nostra casa, ma sono come delle meteore: solo un rapido affacciarsi per poi scomparire altrettanto rapidamente. In questo momento erano di ritorno.
Mi avvicino al mio amore e le appoggio le mani sulle spalle attirandola a me.
Scrolla un po’ il capo «Sì, sono solo un po’ agitata. Mi farebbe comodo avere una briciola del tuo potere ora…» dice sovrappensiero allacciando le braccia alla mia vita.
Mi concentro un attimo.
«Tranquilla, credo che siano quasi tutti nelle tue stesse condizioni.» le poso un bacio leggero sulle labbra morbide e le regalo un sorriso sicuro.
«Mmmm … Edward, posso chiederti un favore?» mi guarda un po’ esitante, inclinando il capo di lato.
«Certo!» mi sconcerta ancora che lei creda che potrei negarle qualcosa.
«Vorrei … vorrei una promessa da te.» I suoi occhi grandi e limpidi mi scrutano cercando una traccia di fastidio nel mio volto. Annuisco, non c’è nulla che non farei per lei.
«Promettimi che non lascerai che le voci che senti prendano il sopravvento, che non ti soffermerai sui pensieri che mi riguarderanno o che riguarderanno te. Promettimelo!» C’è urgenza nelle sue parole. Capisco che Bella è davvero preoccupata, che parte della sua ansia deriva da quello che io potrei ascoltare, ma che sarebbe precluso a lei.
«Te lo prometto, Bella. Non temere non accadrà nulla.» Ci perdiamo l’uno negli occhi dell’altra. Un ragazzo ci passa trafelato vicino, urtandola leggermente e interrompendo il nostro contatto visivo.
«Allora ci vediamo fra un’ora» dico all’apparenza tranquillo e rilassato. La sua presa aumenta leggermente alle mie parole e con un mezzo sorriso si avvia all’interno dell’aula.
La guardo allontanarsi con un groppo alla gola. Maledetta Alice e le sue grandi idee!!
Devo venire a prenderti con la forza? I pensieri di mia sorella sono imperiosi.
La ignoro cordialmente e mi appoggio con le spalle alla parete esterna dell’aula chiudendo gli occhi. Cerco di focalizzare l’immagine di Bella nei pensieri delle persone che incrocia mentre sta salendo la lunga gradinata. So di aver promesso, ma mi dico che darò solo una piccola sbirciatina.
Odio farlo, perché insieme alle immagini mi arrivano chiaramente anche i pensieri, alcuni dei quali non sono proprio casti, ma non riesco a trattenermi.
L’idea che Bella frequenti questo corso da sola è stata di Alice. Sostiene che è giusto così, che le devo dare spazio. Lei è una di quelli del comitato pro “Bella’s freedom”. L’altro componente è Jasper. La congiura prevede che Bella sia libera di fare amicizie, studiare da sola, frequentare altre persone oltre ai membri della famiglia.
Per questo oggi ho i nervi a fior di pelle.
Per questo sono scattato come una molla tesa prima.
Bella si sta sedendo in una poltroncina libera tra una ragazza bruna e un tipo dall’aria timida che la guarda di sfuggita da sotto gli occhiali.
Speriamo sia una ragazza simpatica, non conosco nessuno! Stà pensando lei.
Carina, ma porta la fede. Mmm, off-limits … Stà pensando lui.
Innocui.
Abbozzo un sorrisetto. Tipico da Bella scegliere quelli come vicini di banco.
 Altre voci si affollano nella mia testa. Tanti commenti, pensieri, desideri, paure. Non riesco con precisione ad isolare quelli che riguardano Bella. Ci sono troppe voci che si confondono. Alcune non mi piacciono. Sono volgari, lussuriose…
Corrugo un po’ la fronte sforzandomi di riconoscere in alcune l’oggetto della loro bramosia.
Ma come speri che viva le sue esperienze umane se le stai appiccicato come un maniaco?Basta, adesso vengo a prenderti io Edward Cullen! Alice.
Edward, non credo che riuscirò a trattenerla ancora per molto. Adesso è Jasper.
Sospiro e cerco di rilassare i muscoli del viso, allontanando tutte le voci che mi sono concentrato prima a sentire. I brusii vanno man mano affievolendosi, si fanno sempre più indistinti, più confusi. Le parole si accavallano, mentre comincio a dirigermi verso l’aula 12.
L’eco di alcuni pensieri mi accompagna ancora per qualche metro.
… Guarda che gambe la bionda…
… Ma che diavolo si è messa quella addosso?
… Mmm che coincidenza, siamo allo stesso corso …
… Merda, ho bisogno di una canna …
In fine, resta solo un rumore di sottofondo.
Nei pressi dell’aula 12 trovo Alice. Sola. E’ a braccia conserte e tamburella con la punta del piede sul pavimento.
Finalmente! Credevo che avessi deciso di spiare nella testa di ognuno di loro! Tranquillo, non le accadrà nulla … Mi afferra per un braccio e mi trascina all’interno dell’aula che ospiterà me e lei per il prossimo semestre.    
Registro distrattamente le reazioni dei presenti al nostro ingresso. La maggior parte si è ammutolita e ci segue con lo sguardo. Cerco di evitare di lasciarmi sommergere dai loro pensieri.
Alzo gli occhi al cielo e mi domando perché non ho scelto di seguire lo stesso corso di Jasper: Storia antica e contemporanea. A Dartmouth non l’aveva mai frequentato.
Forse sono ancora in tempo …
Alice si ferma davanti alle nostre poltroncine e si gira verso di me. Si alza sulle punte dei piedi e mi schiocca un sonoro bacio al centro della guancia dicendo: «Non lo farai. In fondo lo sai anche tu che sono la tua sorella preferita!»


NOTA DELL’AUTRICE: In questo capitolo ho cercato di rievocare l’atmosfera del mio primo giorno all’università. Vi confermo che è vero: la prima volta non si scorda mai…
Questo è il Dartmouth college.
Per chi fosse interessato, l’Mba della Business School Tuck a Dartmouth è un corso che esiste davvero. Ed è davvero uno dei top tra i college americani. Non saprei dirvi se gli altri corsi che ho citato esistano sul serio, probabilmente no, su internet non ne ho rinvenuto traccia.
Abbiate ancora un po’ di pazienza perché stiamo per entrare nel vivo del racconto. Cercherò di essere quanto più celere è possibile negli aggiornamenti.
Grazie. Grazie davvero a tutti per il sostegno. Siete carinissimi.
Bye
M.Luisa


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Capitolo 3
*** CAP .3 ***


CAP.3

BELLA
«Forse ho scelto il corso sbagliato Alice … non lo so, è che mi sembra di non capirci niente!» sbotto osservando i numeri totalmente diversi che leggo tra il libro e il mio notes. In quest’ultimo c’è lo svolgimento di uno dei tanti esercizi di statistica su cui sto scervellandomi da un ora e mezza, sull’altro c’è il risultato. Tra i due, ovviamente, non c’è la minima assonanza.
«Ma no che non capisci! E’ semplice. Dovevi applicare il metodo Holt-Winters stagionale, e non quello classico.» Alice si è proclamata pazientemente mia insegnante. La osservo mentre si alza dal letto, viene alla mia scrivania e scribacchia velocemente sotto il mio scritto. Schiocca la lingua tra i denti, posa la matita e ritorna ad acciambellarsi sul suo letto.
Sono nella camera sua e di Jasper.
E’ ampia, luminosa e calda. Alice ha predisposto un angolino in cui ha sistemato una bella scrivania in mogano affinchè possa studiare con tranquillità. Osservo ancora gli intarsi dei cassetti. E’ tirata a lucido, ma si vede che è usurata. Credo che sia un pezzo di antiquariato. Solo in casa Cullen poteva capitare di studiare su un pezzo d’epoca.
Sospiro rassegnata e leggo la bella grafia di Alice sotto i miei scarabocchi nervosi. In pochi secondi ha riscritto in due passaggi un esercizio per il quale avevo impiegato due pagine di blocco notes, quaranta minuti della mia vita e tutta la mia pazienza.
Aggrotto la fronte e mi volto verso di lei «Alice, io sono stufa … non ce la faccio più!» Le ore di studio sono quelle che passo lontano da Edward. E sono quelle più lunghe. Alice afferma che se c’è lui nei paraggi non riesco a concentrarmi. Dunque in queste occasioni lui va a caccia ed io vado incontro all’esaurimento nervoso studiando in un corso universitario praticamente incomprensibile. Capisco perché sia il top. E’ difficile, i professori sono esigenti e le materie sono varie. Non puoi essere solo bravo in matematica, o in diritto e passarla liscia. Si spazia dalla statistica alle strategie di marketing … E la chiave di tutto sta in una sola parola: versatilità.
Nel primo giorno di college ho capito che tra la maggior parte degli studenti c’è una sorta di concorrenza spietata. Un laureato all’Mba della Tuck ha un futuro assicurato, e nessuna delle persone lì presenti è disposta a regalare quell’occasione ad altri. Con il trascorrere dei giorni ho visto allievi calpestarsi gli uni con gli altri per poter brillare agli occhi di un professore, per poter essere riconosciuti tra i tanti, per poter essere additati come esempi. Il servilismo è tale da essere disgustoso e molti professori lo incoraggiano: c’è chi si fa portare in aula la borsa, chi il caffè, chi gli appunti. C’è addirittura un professore che sceglie uno studente al giorno da nominare come suo segretario personale.
Ma per ogni cosa che ha dei lati negativi, ci sono anche gli aspetti positivi.
E per me quell’aspetto si chiama Eric Jensen.
“La prima materia che mi ero trovata a seguire il primo giorno di college era stata –Fondamenti di economia e statistica- Prof. Collin: tipo tozzo, bassino con gli occhialini dorati … era stata antipatia a prima vista. Un po’ per la materia, un po’ per la persona che evocava in me tristi ricordi (*), durante l’intervallo ero quasi sul punto di alzarmi ed uscire. Poi, la ragazza al mio fianco mi aveva rivolto la parola.
«Ehm, ciao. Io sono Helèna Roberts » aveva detto timidamente. Avevo risposto altrettanto timidamente: «Bella Swan» Non c’era una ragione particolare che mi avesse spinta ad usare il mio cognome da nubile, ma per 19 anni ero stata Bella Swan.
Avevo ancora troppa poca confidenza con Bella Cullen da poterla presentare agli altri senza problemi …
Helèna mi era risultata subito simpatica e avevamo preso a chiacchierare mentre andavamo alla toilette, facendo trascorrere quasi tutto l’intervallo. Avevo così scoperto che viveva nel dormitorio femminile , che era fidanzata con un certo Paul e che era originaria del Sussex.
Di ritorno dalla toilette mi ero fermata in corridoio dinnanzi alla bacheca degli annunci. Avevo notato delle offerte di lavoro ed ero intenzionata a rispondere ad alcune di queste, nonostante già immaginassi la faccia che avrebbe fatto Edward … Stavo prendendo nota dei numeri di telefono, quando una voce maschile e un po’ roca richiamò la mia attenzione: «Scusa, sai indicarmi l’aula magna per favore?»
Mi ero trovata a fissare gli occhi più azzurri che avessi mai visto, in un viso niente affatto lineare, ma anzi un po’ spigoloso e asimmetrico. Il naso era leggermente deviato a sinistra, come se si fosse scontrato con un pugno o qualcosa del genere, ma quello che mi colpì fu l’espressione degli occhi: cordiale, aperta e amichevole. Quel ragazzo dimostrava una trentina d’anni, era vestito in maniera sportiva e si capiva che era a disagio, che il suo ambiente naturale era l’aria aperta, non un’aula universitaria polverosa.
Avevo indicato la direzione con la mano destra, mentre dalla sinistra la penna ed il foglietto su cui stavo scrivendo cadevano a terra. Intanto che mi chinavo per raccoglierle e lo stesso faceva lo sconosciuto, finimmo per far scontrare le nostre teste e a scusarci contemporaneamente. Con un sorriso gentile, mi aveva allungato penna e foglio. Ma all’ultimo secondo mi aveva galantemente preso per il polso e, fatto un baciamano fulmineo, era andato via. Ero rimasta così, ferma ed imbambolata per un minuto intero, prima che la mia nuova amica mi riscuotesse per entrare in aula.
Ed era lì che avevo rincontrato lo sconosciuto. Uno sconosciuto che sotto il mio sguardo allibito si era accomodato sulla grande scrivania dinnanzi alle nostre poltroncine, lasciando andare una gamba penzoloni mentre con gli occhi ci osservava prendere posto. Uno sconosciuto che presto non fu più tale, ma che si presentò come Eric Jensen, professore di Economia gestionale delle industrie.
Assistere alla sua lezione si dimostrò illuminante. Con semplicità e professionalità seppe catturare, in pochi minuti, l’attenzione di quattrocento paia di occhi ed infondere l’entusiasmo per la sua materia anche in una profana come me. Parlava con passione senza usare terminologie difficili, ma con un carisma ed una proprietà di linguaggio invidiabili. A fine lezione fece passare dei fogli tra i banchi.
«Vorrei che ognuno di voi rispondesse alla domanda che gli è capitata in non più di cinque righe. Mi riconsegnerete il foglio domani. Grazie per l’attenzione.»Ed aveva lasciato l’aula. Avevo osservato perplessa il mio foglio. La mia domanda era: -Perché sono qui?-
Fu solo grazie al lui se quel giorno decisi che, forse, non era poi tanto vero che il college non faceva per me. ”
«… ti va Bella?» la voce di Alice mi riporta alla realtà.
Scuotendo il capo mi volto verso di lei che mi guarda con un sorrisino furbo.
«Scusa Alice. Ero sovrappensiero. Dicevi?» le dico sbattendo le palpebre.
«Dico che sei troppo stressata. E che hai bisogno di divertirti. Di divertirti CON ME. Ecco cosa dico.» ammicca compiaciuta come se avesse appena dipanato un oscuro mistero.
Divertimento per Alice equivale solo ad una cosa, una cosa che, invece, a me non va affatto. Le lancio un’occhiataccia. Lei non accusa per niente il colpo, anzi alza gli occhi al cielo e comincia a scuotere la testa.
«Ah no! Niente storie, niente scuse, niente rifiuti!!» dice facendo aria con la mano. Dal tono della sua voce direi che oggi non riuscirò a spuntarla.
« E quasi dimenticavo …» comincia, ma io la interrompo subito.
«Lo so, lo so. SCARPE COMODE!!!!» Finisco io per lei esasperata.
Mi guarda per un istante con gli occhi vitrei. Poi si riprende e mi regala un sorriso abbagliante dicendomi: «E’ del tutto irrilevante … tanto per quello che dobbiamo fare, non ha importanza cosa calzerai ora!!!»

EDWARD
- Winter song - Sara Bareilles & Ingrid Michaelson

«Ti prego, dimmi ancora come hai fatto a convincermi a venire …» Jasper sussurra da sopra la mia spalla, mentre siamo in fila al botteghino per pagare gli ingressi e ritirare gli equipaggiamenti. La sua voce è ancora più flebile dei mormorii che siamo soliti scambiarci in famiglia.
«Caspita Jazz, non bisbigliarmi all’orecchio come se stessi per svenire, altrimenti ci prendono per fidanzati!» gli rispondo alla velocità della luce.
Scusa, scusa … e che … lo sai, non mi sento a mio agio a stretto contatto con gli umani … Mi dice allora con i suoi pensieri.
«Ringrazia tua moglie allora. Lei ha costretto me. Io costringo te. E’ semplice.» Gli dico a denti stretti.
Che diavolo avete da borbottare voi due? Bella si sta preoccupando. Alice, un cappottino grigio, sciarpa, guanti e cappellino di lana con tanto di pallina tutti di colore arancio, richiama la mia attenzione con la parolina magica. Mi volto verso di loro, che attendono fuori dalla fila di persone accalcate in cui ci troviamo noi, e stendo le labbra in un sorriso apparentemente tranquillo. Lo stesso fa Jasper che segue ogni mio movimento intensamente. In più aggiunge un salutino con la mano, muovendo le dita come se stesse facendo asciugare lo smalto.
Sembriamo proprio due innamorati.
Bella sorride a sua volta poco convinta. La osservo, anche lei infagottata in un cappotto nero con dei pon-pon bianchi al posto dei bottoni, sciarpa, cappello e guanti rosa. Come noi non sembra entusiasta della trovata di Alice, la quale, invece, zampetta al suo fianco come se non riuscisse a stare ferma. Patologico per un vampiro, per il quale l’immobilità è un’inclinazione naturale. Ovviamente non per lei.
Mi ha convinto ad accompagnarle con due semplici parole. Con quelle paroline magiche con cui sa che potrebbe farmi fare qualunque cosa: è per Bella.
Non sono stato lì a chiedermi se era il caso, se era pericoloso o se era giusto. Era per Bella. Non era necessario aggiungere altro.
«E se casco?» Jasper mi soffia ancora nell’orecchio.
«Jazz, sei un vampiro! Come diamine fai a cascare?!!» sibilo verso di lui cercando di contenere la voce al minimo.
Il ragazzo davanti a me lancia un’occhiata alle sue spalle, verso di noi, perplesso.
Lo guardo freddamente. Si rigira come se avesse preso la scossa.
Intendo se non riesco a trattenermi, se aggredisco qualcuno … pensa chiarendo meglio il concetto.
«Per uno che modula gli stati d’animo, mi sembri un tantino troppo agitato …» faccio io cominciando a sussurrare come lui. Me ne accorgo e mi raddrizzo immediatamente, liquidando il discorso con uno: «Stai tranquillo. Alice ci avrebbe avvisati.»
Siamo, intanto, arrivati davanti alla cassa. Una ragazza con una divisa azzurra mi guarda attenta. Mi preparo, un po’ seccato, a ricevere i suoi commenti mentali gratuiti e, invece, mi accorgo che i suoi occhi si fissano sbalorditi su Jasper che fa capolino da dietro la mia spalla. Deve aver percepito lo stato d’animo della ragazza. Alzo gli occhi al cielo. Per una volta non mi ritrovo ad essere io l’oggetto degli apprezzamenti di giovani – ma anche meno giovani! – donne.
Sfortunatamente, però, in questo caso.
Perché se io posso, in qualche modo, nascondere la cosa a Bella, lo stesso non può fare Jasper con Alice.
Il viso della cassiera si apre in un sorriso che parte da un orecchio e raggiunge l’altro, mentre non stacca gli occhi da Jazz.
Cristo, ma questo da dove è uscito? Mamma quanto è figo … sembra un leone. Vorrei essere la tua gazzella, bel leone … I pensieri della giovane stanno pericolosamente degradando.
Mi schiarisco la voce e cerco di interrompere il contatto visivo tra i due spostandomi su un piede per coprire Jazz con la mia testa, prima che sia troppo tardi: «Quattro ingressi, per favore».
La “gazzella” , che evidentemente ha lo spirito della giraffa, allunga il collo dal lato opposto a dove c’è il mio viso e cerca quello di Jazz dietro di me. Lo trova e sorride di nuovo, questa volta gli fa anche gli occhi languidi. Non ho bisogno di girarmi per sapere che anche lui ha accennato un mezzo sorriso. E’ un vampiro, ma è pur sempre un uomo.
«Smettila!» dico fra i denti a Jasper, poi, rivolto alla tipa: «Ehm, signorina …? » cerco di riscuoterla dal torpore in cui sembra essere caduta. Sbatte le palpebre raddrizzando le spalle e mi guarda fugacemente: «Sì, sì certo.»
Quattro?! E’fidanzato, lo sapevo … magari potrei allungargli il numero di telefono, chissà potrebbe chiamarmi lo stesso … La ragazza comincia ad arrampicarsi sugli specchi e non allontana gli occhi da lui, mentre stacca i ticket . Leggo nella sua mente l’importo e preparo già la cifra giusta, in modo che non sia “costretta” ad attardarsi a cercare di racimolare il resto.
Simpatica la cassiera eh? Pensa Jazz che non sembra capire di star giocando con il fuoco.
«Sono quarantatre dollari e ottanta.» E appoggia il mento sul palmo in attesa, preparandosi a gustare il prossimo minuto divorando mio fratello con gli occhi. Non si è accorta che le banconote sono già sotto il suo naso.
«Prego» faccio io, lievemente infastidito facendo un cenno con una mano verso i soldi e ritirando i ticket con l’altra. Non mi dà fastidio la situazione in sé, ma non mi sento a mio agio sapendo che Alice è a quattro passi da noi, e che non è assolutamente una persona convenzionale. Anzi, mi stupisco di non sentire ancora i suoi pensieri. Brutto segno …
Quando la tipa abbassa lo sguardo e comincia a raccogliere le banconote, mollo una bella gomitata al mio caro fratello.
Alla successiva occhiata della cassiera la scena che si presenta ai suoi occhi è davvero comica. Jazz è appoggiato alla mia spalla con un braccio e con l’altro si tiene lo stomaco. Cerca di mantenere il suo savoir-faire con un sorriso plastico stampato sul volto, ma se potesse farlo starebbe sudando freddo.
La ragazza ci guarda interrogativa, poi, saettando con lo sguardo dall’uno all’altro chiede: «E’… è tutto ok?»
«Sì, non si preoccupi. E’ che siamo un po’ di fretta. Ci stanno aspettando.» rispondo candidamente.
Annuisce con il capo, ma non sembra per nulla convinta. «Che numeri?» chiede.
«36, 38, e due 44» rispondo pronto.
Adesso vi do io una bella lezione … Riesco a percepire appena questo pensiero che, evidentemente è sfuggito al controllo di Alice.
Bruttissimo segno …
Rapidamente divido l’ingombro tra me e Jasper e cerco di farmi strada lontano dalla fila, ma non riesco a fare in fretta come vorrei perché siamo troppo accalcati. Sento allora la voce di mia sorella più alta di un’ottava che fa voltare quasi tutte le teste presenti, ivi compresa quella della cassiera: «Ehi piccioncini, volete sbrigarvi? A casa avrete tutto il tempo di dilungarvi in coccole ed effusioni …» e così dicendo mi libera le mani dall’ equipaggiamento.
Mi metto una mano tra la fronte e gli occhi e con l’altra afferro il giubbotto di Jasper trascinandolo con me, prima che Alice ci dia il colpo di grazia.
Ho appena il tempo di ascoltare l’ultimo pensiero malinconico della gazzella: lo sapevo, dovevano per forza essere dell'altra sponda …
Lancio uno sguardo infuocato al folletto che ci guarda con aria di sfida e raggiungo Bella che sta aspettandoci seduta su una delle tante panche disposte nella sala d’attesa.
Ci prepariamo in pochi minuti.
In fine, varchiamo l’ingresso del Polar Rink, una delle piste di pattinaggio su ghiaccio più grandi d’America.

(*) liberamente tratto da My New Moon! Spero che chi di dover capisca il tributo che le ho fatto usando il nome Collin … ma dove sei finita?!!!
NOTA DELL’AUTRICE: Allora … scagli la prima pietra chi è senza peccato! Chi per una volta nella vita non si è fatta ammaliare dal proprio professore belloccio!!!! Tranquille, non è una cotta, diciamo che è una profonda ammirazione … capirete in seguito.
Per quanto riguarda il cappy, mi dispiace essermi dovuta fermare, ma per il pattinaggio aspettiamo il prossimo capitolo, altrimenti questo diventava di 20 pagine. The Polar Rink esiste (qui, un'altra immagine) . E’ a NY, che non è molto distante da Hanover, se si considera anche la guida fuori dai limiti dei nostri Cullen.
Date un’occhiata al video del link musicale, ho preso un certo spunto da lì …!
Vi devo ringraziare tanto. Grazie per aver inserito questa storia tra preferiti e seguiti. E grazie per i commenti *-*.
Alla prossima!!!
M.Luisa



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Capitolo 4
*** CAP.4 ***


CAP.4

BELLA. Gabriel Yared - The Unfeeling Kiss
Varco l’ingresso del Polar Rink, la pista di pattinaggio su ghiaccio che oggi ha la sua serata inaugurale. Serata a cui Alice ci ha letteralmente obbligato a partecipare.
 Maestoso è dir poco.
Appiccicata al braccio di Edward, in posizione – colpo della strega- , con le ginocchia che si incontrano, maledico Alice, ma soprattutto me stessa per aver accettato questa proposta assurda.
Ma che mi era saltato in mente?! Pattinare sul ghiaccio! Io che non riuscivo nemmeno a camminare su una superficie piana senza inciampare ogni due metri!!! Ma Alice era stata così … così inarrestabile! In un batter d’occhio eravamo in auto alla volta di New York. Svignarmela … neanche a parlarne. Le sue uniche parole erano state: «Ti divertirai da morire.»
Arrancando sui pattini a lama singola penso che, realmente, se cado muoio.
Sbircio Edward e, in questo momento, ne invidio la sicurezza, ma, soprattutto, l’equilibrio. Come lui, anche Alice e Jasper sono perfettamente a loro agio.
Vengo distratta dai miei pensieri disperati da una visione a dir poco stupefacente: al centro della pista si erge un enorme orso polare decorato con rami di pino e piccole lucine dorate. La pista appare tutta blu elettrico e tutto  intorno sembra di avere un cielo trapuntato di stelle. E’ un gioco di luci disposte sapientemente negli angoli più strategici.
Mio malgrado devo ammettere che l’effetto è davvero strabiliante. Ci sono tantissime persone, ma sembra di essere soli al centro dell’universo. Fa freddo. Comunque non come dovrebbe per il periodo in cui siamo.
«Com’è che non sto per morire assiderata?» chiedo ad Edward senza, però, staccare gli occhi dai miei piedi.
«E’ ghiaccio sintetico amore, non c’è sistema di raffreddamento.» mi spiega lui gentile.
«Ma è ugualmente letale come quello naturale …» borbotto io sfiorando la prima caduta proprio mentre una bimbetta di sei o sette anni mi saetta vicino come un fulmine.
Dolce bimbetta …
«Dai Bella, vieni!» Alice mi fa cenno con la mano mentre volteggia leggiadra come una farfalla, a braccia aperte intorno a Jasper che sembra quasi fermo sul posto. Ora che ci penso lo vedo un po’ rigido …
La guardo terrorizzata. La ragazza mi vuole in ospedale con fratture multiple …
«Amore, forse se ti rilassi, magari riesci a lasciarti un po’ andare … vedi non è difficile!» e detto ciò Edward fa una mezza piroetta su se stesso mollando la mia mano per due secondi. Roteando le braccia, come ad educazione fisica per il riscaldamento quando ero a Forks, lo riacciuffo immediatamente e con uno sguardo omicida gli dico minacciosa: «Non. Lasciarmi. Mai. Più.»
Scorgo sul suo viso l’accenno del suo sorriso sghembo.
No. Cavolo.  
Comincio a fissargli insistentemente le labbra, piccola porzione del mio paradiso personale.
E allora mi scordo dove sono, in quali precarie condizioni e alla presenza di chi.
Un gemito esce involontariamente dalle mie labbra.
Il suo sorriso si allarga. Innocentemente mi chiede: «Che c’è?!»
«Edward … se hai a cuore la nostra privacy … ti proibisco di guardarmi e … e di sorridermi … ancora così.» Gli dico deglutendo come a liberare una gola già completamente asciutta.
Vedo accenderglisi negli occhi la stessa scintilla che anima i miei. So che non gli può sfuggire nulla nei cambiamenti del mio corpo, a cominciare dal battito del cuore che parte al galoppo per finire all’aumento del sudore sui palmi delle mie mani.
Non ci riesco. Non riesco a staccare gli occhi dalla sua bocca. Vedo che si avvicina a me, al mio viso e non riesco a far nulla. Immobile, aspetto che il cuore si fermi all’improvviso, ipnotizzata da quei due petali tentatori e sapienti, memore delle sensazioni e del piacere che so bene possono regalare. Invece di posarsi in un bacio come mi aspetto, all’ultimo momento si spostano di lato al mio viso e si avvicinano al mio orecchio. Mi colpisce come sempre quell’odore caramellato e fresco che ho imparato a conoscere bene.
Il suo odore. L’odore della sua pelle, del suo corpo.
«Sei tu che non devi guardarmi ancora così, Bella. Vuoi forse … vuoi che ti prenda qui, davanti a tutti?» alita roco sul mio orecchio.
Chiudo gli occhi ed inclino la testa verso il suo volto, così vicino al mio. Sento le sue mani che si chiudono intorno alla mia vita e mi sostengono, mentre contemporaneamente mi avvicinano a lui.
Sposta un po’ il viso e scende con quelle labbra maledette sul mio collo, facendosi strada da sotto la sciarpa. Sono fredde, leggermente umide, dure e morbide nello stesso tempo. Sento la pelle incendiarsi lì dove loro passano, ed un formicolio parte dal mio basso ventre.
Ho voglia di lui.
Ma lui si stacca d’un tratto. Il respiro corto, gli occhi onice, stacca le mani dal mio corpo con lentezza e le poggia sulle mie braccia: «Tu mi fai impazzire …» la sua voce è ancora roca, gli esce a fatica.
Io?! E lui?!!!!
I suoi occhi si abbassano attirati dalla porzione di collo che è rimasta scoperta durante le nostre effusioni. Lo vedo chiaramente deglutire.
Mi vuole, forse più di quanto io voglia lui. Perché ad attrarlo, in questi frangenti soprattutto, è anche il mio sangue. Ed io non chiedo altro di accontentarlo, di condividere con lui la mia ultima esperienza da umana …
«Sequestrata!!!» due braccia forti, mi circondano e mi strattonano verso di loro. Mi riscuoto solo quando mi rendo conto di non essere più vicino ad Edward che, con mio stupore, ha mollato subito la presa portando poi le braccia lungo i fianchi. Voleva lasciarmi andare.
«Ve la date una calmata voi due?!» Alice mi guarda con un misto di fastidio e comprensione. «Vuoi che succeda l’irreparabile????!» la sua voce è seria, ma le sue labbra sono atteggiate in un sorriso.
«Hai … hai avuto una visione?» le chiedo un po’ esitante.
«Ma che vai a pensare? Ancora credi che potrebbe morderti sull’istinto? No, no. E’ stato Jasper. Ha detto che eravate pronti ad inaugurare ANCHE la pista in un modo molto interessante …!» Ora il suo tono è sbarazzino. «Dimmi, dimmi in quale modo?!!!»mi sussurra complice.
Arrossisco fin nei pattini. Non mi è mica sfuggito il suo “anche”.
Allora a casa se ne sono accorti. Tutti.
Mi sento avvampare dalla vergogna e abbasso gli occhi sulla pista.
Ghiaccio sciogliti ed ingoiami …
Sento la sua risata cristallina: «E dai, Bella! Non avete mica ucciso qualcuno! E’ che magari la passione vi coglie un po’ alla sprovvista, non solo in camera da letto …» continua quindi affondando il dito nella piaga.
«Shhh!! Abbassa la voce! Vi riesce così difficile lasciarci un po’ di privacy, cercare di non origliare?» le chiedo punta sul vivo bisbigliando per non farmi sentire in giro.
«Vuoi scherzare? Fate tanto di quel baccano a casa che anche se fossi umana riuscirei a sentirvi!!» dice inarcando le sopracciglia stupita. «Fra poco farete concorrenza ad Emmet e Rosalie ... e allora Esme pagherà anche a voi un bel tour per l’Europa!» finisce sghignazzando in maniera snervante.
«Smettila!» le dico fra i denti. L’imbarazzo minaccia di farmi saltare i nervi. Valuto la possibilità di afferrare una ciocchetta dei suoi capelli spettinati e di tirargliela alla radice, ma la sua voce mi riporta alla realtà: « Ah Bella! Sarebbe inutile, e non mi faresti proprio nulla» detto ciò scatta indietro lasciandomi sola e facendomi sbilanciare.
E … paffete!! Mi ritrovo con il sedere per terra.
Lancio un’occhiata alla traditrice e cerco di ignorare le risatine di due ragazze che mi passano accanto.
Cara Alice, questa me la paghi …
«La pianti, per favore Alice?» è Edward che mi si avvicina con naturale eleganza volando sui suoi pattini. Inchioda a pochi centimetri dalle mie gambe e mi tende una mano.
«Grazie» gli dico e, mentre allungo la mia mano verso di lui, sento di nuovo delle risatine. Mi volto e le rivedo. Le due ragazze stanno ancora ridendo come due ochette, facendo dei cenni con le loro testoline impupazzate alla volta di Edward e me.
Che cappelli orribili. Giallo e verde. Fluorescenti.
«Lascia, ce la faccio.» gli dico infastidita, ignorando la sua mano ed alzandomi in modo molto sgraziato. Riesco a mettermi in piedi e a raggiungere il bordo della pista. Mi ci aggrappo come un naufrago all’unico pezzo di legno che vede galleggiare e decido che da dove mi trovo il panorama è meraviglioso …
Resto così per una decina di minuti. Ogni tanto qualcuno mi passa vicino, sfrecciando leggero. Alice e Jasper pattinano fianco a fianco, e mi pare che sussurrino piano. Edward ha fatto un paio di giri della pista e poi, si è fermato al lato opposto al mio.
Non mi molla con lo sguardo . Lo so che le mie reazioni lo feriscono. Lo so che lui non c'entra nulla. Lo so che le turbe mentali sono solo mie, ma è come se alcune volte non fossi io a decidere delle mie azioni. Mi sento colta dal panico, dalla paura.
E allora … allontano tutti.
Già li allontano, prima che siano loro ad andarsene.
Non potrei sopportarlo. Il rifiuto, il senso di sopportazione, la compassione. No, non a me, non un’altra volta. Avverto una sensazione di oppressione al petto, gli occhi mi pizzicano.
Devo andarmene. Anche per un paio di minuti.
Lancio un’occhiata allo sportello che indica l’uscita dalla pista. Ho bisogno di riprendere fiato, di calmarmi. Non sto a pensarci più di tanto e mi avvio, bordo bordo, all’uscita. Vedo di sfuggita Edward che si stacca dalla sua posizione e fa per raggiungermi. Accelero quel tanto che basta per evitare un’altra misera caduta, guadagno l’uscita e mi libero subito dai pattini.
Febbrilmente mi guardo intorno. Ci saranno le toilette in una struttura come questa …
Alzo gli occhi. L’insegna. Devo cercare l’insegna con i due omini. La vedo ed esulto mentalmente. Devo sbrigarmi. Non voglio che qualcuno si accorga della mia fuga, del mio stato. Non voglio che lui mi veda così.
Mi servono solo un paio di minuti, giusto il tempo per ritornare padrona di me stessa.
Spalanco la porta della toilette con forza. Una fila di lavandini sotto ad un unico, lungo specchio rettangolare e nessuno all’interno. Mi appoggio con le spalle alla porta che si è chiusa dietro di me. Le voci, le risate, i visi delle persone … tutto diviene ovattato, solo un brusio in sottofondo.
Mi dirigo al lavabo più vicino. Apro il rubinetto. Alzo gli occhi alla mia immagine riflessa. Poi, inaspettato, un deja-vu.
“E’ trascorso un mese da quando lui è andato via. Da quando mi ha abbandonato.
Un mese che ho passato quasi interamente a letto, raggomitolata in posizione fetale. La mia mente è sprofondata in una specie di limbo, in una nebbia perenne che mi avvolge fitta e mi estrania dal resto del mondo. Il tempo trascorre lento. Non so l’ora, non so che giorno sia. Le tende sempre chiuse, non so se sia giorno o notte. Passo da uno stato di veglia ad uno di incoscienza senza averne la minima percezione.
Mi alzo solo per andare al bagno. Faccio ciò che devo e mi ritrascino a letto. Questa volta distrattamente lancio uno sguardo allo specchio. Ho il viso stravolto, pallido, gli occhi ancora rossi e gonfi dalle lacrime versate, cerchiati di lividi bluastri. Poso le dita tremanti su quei segni sotto agli occhi, quelle ombre così simili alle sue quando era assetato …
-… Sarà come se non fossi mai esistito …- aveva detto lui.
Quando una lacrima attraversa il mo viso, mi accascio sulle ginocchia tremando come una foglia.“
 Un rumore mi riscuote. Sento delle voci farsi più vicine. Sta arrivando qualcuno. Mi guardo intorno e rapida mi infilo nel gabinetto alla mie spalle. Faccio scattare la serratura e mi appiattisco al muro.
 Sento il rumore della porta che si apre. Le voci si fanno più distinte. Sono due persone, due ragazze.
«Che dici, magari se gli cado addosso fingendo di scivolare?! Sono certa che mi abbia guardato prima» dice una.
«Non lo so … sembra così sulle sue. Certo è che con il biondino non si può fare nulla. Hai visto la piccoletta come gli sta attaccata addosso?»dice l’altra.
«Già. Però … preferisco quello rossiccio. Hai visto che fisico? Urla sesso da ogni poro. Mi farei volentieri una sveltina con lui … e penso anche che ci starebbe, con quella tipa scialba che si ritrova al fianco!!!» dice la prima. Poi scoppiano a ridere  entrambe.
Ridacchiano come … come due ochette!
Trattengo il fiato quando riconosco in quelle voci le risatine delle due tipe che sghignazzavano quando sono caduta.
Stanno parlando di noi, stanno parlando di Edward.
«No, ma dico io, come si fa ad accostare la lana con la seta?» continua la prima con voce stridula.
«Cazzo Amy, se mi fai ridere ancora così non riuscirò mai a mettermi il rossetto!!» dice la seconda.
«Non ho mai visto una coppia più stonata. Sai a chi assomigliano? A quei personaggi di quel cartone … come si chiamano?» la voce stridula diventa graffiante.
« … la Bella e la Bestia?!» le viene in aiuto l’altra.
«Sì sì! Solo che la Bestia è lei ed il bello lui!!!!» e giù con altre risate.
Rumori di passi, la porta che si apre e poi si chiude.
Tendo l’orecchio.
Silenzio.
Sono sola. Sola.
Stavano parlando di me. Io sarei la lana, sarei la  … la bestia.
La cosa non mi tange, non mi sconvolge. Sono solo due stupide oche. Solo due oche …
Riecco il respiro che si velocizza.
Calmati Bella. Calmati.
Decido di uscire da qui. E’ troppo stretto , è troppo piccolo.
Gli occhi mi si appannano. Cazzo ci mancavano solo le lacrime.
Armeggio con la serratura, ma non riesco ad aprire la porta.
Calmati Bella. Calmati.
Sbatto il palmo sulla porta chiusa. «Apriti, maledizione. APRITI!!»
Il palmo mi brucia, il respiro non si regolarizza, le lacrime scivolano via copiose.
Un forte senso di nausea mi prende allo stomaco e mi circondo la vita con le mie stesse braccia per darmi sollievo.
Ancora un deja-vu.
“Sono  in camera di Edward. Carisle deve venire su per la solita visita. Mi vuole parlare, me l’ha detto Alice. Bussano alla porta. Deve essere lui.
«Avanti.» dico
Lui entra e si chiude la porta alle spalle. E’ sorridente, sereno. Si siede su una sedia che ha avvicinato al letto e comincia a parlare: «Bella, tu hai subito un forte shock, e sei stata sottoposta ad uno stress enorme per una persona della tua età. Potresti risentire di alcuni fenomeni di origine ansiosa , attacchi di panico o simili, e non voglio che ti spaventi se ciò accade. Per questo voglio descriverteli e dirti cosa fare se dovessi trovarti in una situazione del genere.”
Calmati Bella. Calmati.
“Ripetiti delle frasi che ti tranquillizzino. Prova a controllare il respiro.”
Apro e chiudo la bocca. Annaspo, ma l’aria non mi basta e non riesco a trattenerla nei polmoni.
“Bella ricorda che ogni attacco di panico insorge improvvisamente, senza preavviso, ma non dura più di dieci minuti. Ogni crisi avrà un suo picco, ma poi finirà, così come è cominciata. Devi solo mantenere la calma.”
Quattro, cinque … Quanti minuti sono passati? Quanti??!!
La vista mi si offusca, nelle orecchie un ronzio fastidioso. Non mi accorgo di aver cominciato a graffiare la porta con le unghie …
D’un tratto, freddo.
Due braccia mi avvolgono e mi sostengono.
Sento il muro dietro la schiena, una mano alla vita, un’altra giusto sotto lo sterno.
«Respira, Bella. Forza, respira. Respira con me.» Edward. E’ la sua voce al mio orecchio, ma non vedo il suo volto.
Non vedo nulla.
«Sono qui. Sono vicino a te. Non ti lascio amore. Non ti lascio. Respira. Ti prego, Bella … respira» la sua mano aiuta il movimento, facendo piano pressione e poi rilasciando proprio sullo stomaco.
Apro e richiudo la bocca, ma non esce suono.
Mi sembra di soffocare, ho il TERRORE di soffocare. Spalanco gli occhi, l’unico mezzo che ho per chiedere aiuto e scuoto la testa spaventata.
«JASPER!! Prova a calmarla, da sola non ci riesce!» la voce di Edward è concitata.
Sento una strana apatia diffondersi piano, le braccia ricadono lungo i fianchi, le palpebre sembrano troppo pesanti da tenere aperte. Riesco a vedere i suoi occhi dorati e spaventati. Poi la testa, pesante come un macigno, ricade all’indietro e sento il mio corpo divenire leggero leggero. Braccia forti scivolano sotto la mia schiena e sotto le ginocchia mentre mi sento sollevare da terra.  
E’ solo un attimo prima di abbandonarmi  all’incoscienza.
 
EDWARD
«Jasper, maledizione muoviti!» la sua guida non mi è mai sembrata più lenta di così.
Silenzio.
«Edward …» la voce di Jasper è suadente, carezzevole «… guarda che è solo addormentata, non moribonda.»
Già, dorme. Ma perchè?
Perché Jasper ha dovuto usare il suo potere per calmarla.
Ne ha usato pochissimo, lo so. Eppure quel poco basterà a farla risvegliare domani mattina. Con i vampiri è più difficile ottenere lo stesso effetto.
Sorrido amaramente.
Lo so che sta cercando di influenzare il mio umore. Lo so che non apprezza che mi rivolga ad Alice come ho fatto prima.
“Perché non hai visto niente eh? Non sei tu la veggente di casa?” le avevo gridato contro mentre portavo mia moglie in braccio nel parcheggio, diretto alla nostra auto.
Alice non aveva tradito alcuna emozione, ma mi aveva guardato fisso. Mi aveva guardato e basta. Non un pensiero, non una parola.”
Bella tra le mie braccia sembra morta. La sua pelle è diafana, di un pallore innaturale, il respiro è quasi assente. E’ distesa sul sedile posteriore della Mercedes con il capo poggiato sulle mie ginocchia. Le accarezzo i capelli con delicatezza. Non voglio turbare il suo riposo, anche se dovuto all’ipnosi forzata.
«Sarò più tranquillo quando Carlisle la visiterà.» Mormoro più a me stesso che ai miei fratelli.
Lo stress di Bella è davvero arrivato alle stelle. E non posso ignorare che vivere in mezzo a dei vampiri non abbia contribuito notevolmente ad accrescerlo. Lei è umana. Ha bisogno dei suoi simili, dei loro ritmi, anche se noi facciamo di tutto per non farla sentire a disagio. Ma … Bella è sensibile, timida, attenta ai particolari. Riconosce quando in un nostro atteggiamento c’è il tentativo di apparire più “umani”.
Lo so che Alice ha ragione quando dice che sono troppo apprensivo, che le sono troppo addosso, che non la faccio respirare. Ma è più forte di me, un istinto difficile da domare. Anche se ci sto provando. Ma se l’avessi seguita subito prima, come volevo fare, tutto questo non sarebbe successo. E, invece, Alice si era messa in mezzo, fisicamente prima e con i suoi pensieri poi, dicendomi di lasciare Bella sola per pochi minuti, che lei aveva bisogno soltanto di andare in bagno. E mi aveva mostrato la visione che aveva avuto a proposito: Bella che entrava alla toilette.
 Ma, dopo tre minuti esatti, ho visto Jasper prendersi la testa fra le mani come colto da un dolore lancinante e ho lasciato che lo stesso dolore penetrasse nel mio cervello.
E l’ho sentita.
Disperata, terrorizzata. Il senso di soffocamento, di angoscia, di dolore ancora mi aleggia nella mente. Li ho sentiti tutti insieme, tutti in una volta. Sono scattato come una saetta, incurante delle conseguenze, scardinando la porta della toilette in cui era rimasta chiusa. Era lì, accasciata sulle ginocchia.
Tremava.
Come una foglia in mezzo ad una bufera.
E annaspava in cerca d’aria, come se avesse avuto una corda immaginaria a stringerle il collo.  
Smettila di torturarti così, Edward. Non potevi prevederlo o evitarlo. Lo sapevi che la sua ripresa sarebbe stata lenta, che proprio quando tutto sembra calmo devi aspettarti delle ricadute … Jasper guarda fisso davanti a sé, mentre continua a guidare indolente con una mano sola.
Lo so. Il trauma emotivo di Bella non sarebbe stato facile da superare. Carlisle mi aveva avvisato prima ancora che ci sposassimo. Ma avevo creduto che fossimo sulla buona strada. Le sue parole mi ritornano alla mente.
“L’avevo raggiunto nel suo studio dopo che in salotto ci eravamo scambiati una breve occhiata e lui, tramite i suoi pensieri, mi aveva detto di volermi parlare. Avevo posato un bacio sulla fronte al mio amore beatamente addormentata sul divano e l’avevo seguito dopo qualche secondo.
-Vorrei parlarti di Bella …- aveva pensato mio padre. Non mi era sfuggito il fatto che avesse preferito non parlare a voce alta. Desiderava che avessi un po’ di privacy.
«Ti ascolto» avevo risposto acuendo tutti i sensi.
-La sua ripresa è stata eccezionale, fisicamente non c’è più nulla di preoccupante …- aveva iniziato lui.
«Ma?» l’avevo quindi interrotto io.
Mi aveva guardato fisso negli occhi e aveva continuato in tono professionale:
- Edward, lei è molto fragile dal punto di vista emotivo. La certezza di averti perso per sempre, le esperienze negative vissute in seguito a ciò, hanno minato la sua fiducia in se stessa e le hanno lasciato un senso di dipendenza da te che potrebbe rivelarsi alla lunga controproducente. Potrebbe risentire di un forte stress post-traumatico, di situazioni di tipo ansiogeno e di disturbo di panico. Esce da un lungo periodo di depressione reattiva, che come ben sai può portare a delle ricadute improvvise, apparentemente senza ragione.-  Mio padre pensava tutto ciò con molta delicatezza, ma non poteva sfuggirmi la reale gravità di quanto mi stava informando.
«Cosa mi consigli di fare?» il suo parere per me era molto più che una semplice opinione professionale. Gli stavo chiedendo un consiglio da figlio.
Aveva esitato un attimo, poi, sempre con la mente mi aveva detto: - Normalmente consiglierei un periodo di psicoterapia, ma in tal caso sarebbe inutile, dato che Bella non potrebbe essere sincera. In alcuni casi sono necessarie delle terapie farmacologiche, alcune sono molto debilitanti. Deve riacquistare fiducia in se stessa, nelle sue capacità. Inoltre deve riuscire ad elaborare l’esperienza della perdita e del ritrovamento. E’ come se si fosse incantata a quel giorno di Settembre in cui sei andato via, Edward. Deve riuscire a superarlo, deve riuscire a perdonarsi. E lo devi fare anche tu. –“
I suoi pensieri mi avevano colpito più di quanto non avessi ammesso io stesso, ma non avevo tenuto in debito conto la portata delle sue parole fino a stasera, fino a quando Bella non è letteralmente crollata tra le mie braccia.
Sospiro affranto.
La preoccupazione per Bella è tale da aver offuscato la mia obiettività. La colpa dell’accaduto non è di Alice ed io sono stato ingiusto nei suoi confronti. Lei e Jasper non si sono mai risparmiati per noi, per Bella. Ed è ad Alice che devo i piccoli, impercettibili passi avanti che mia moglie ha fatto negli ultimi tempi. E’ l’unica che mi affronta direttamente, che mi mette dinnanzi ai miei errori senza timore. Sta aiutando Bella, ma anche me.
All’inizio non mi staccavo mai da lei, nemmeno per nutrirmi. Alice mi ha obbligato a farlo.
Lei ha insistito che Bella frequentasse da sola un corso universitario. E devo ammettere che da un po’ vedo negli occhi di mia moglie una luce nuova, combattiva, determinata. Il college le piace.
Lancio un’occhiata alla zazzera nera che intravedo nel sedile anteriore.
«Alice, scusami» le dico ancora turbato.
Non dirlo nemmeno Edward. Io … è stato troppo improvviso, non sono riuscita a prevederlo, mi dispiace. I pensieri di Alice sono addolorati.
«Non fa nulla, davvero.» Cerco di rincuorarla, anche se vorrei avere davvero la sicurezza che provo a dimostrarle.
Jasper è l’unico che in questo momento sa realmente come mi sento. Sposto il mio sguardo su di lui. E’ immobile, come prima. Dal suo viso non traspare alcuna emozione. Dai suoi pensieri, silenzio.
Mi conosce, sa che in questo momento non apprezzerei alcuna parola di conforto o di compassione.  
Arriviamo a casa.
Esme e Carlisle ci seguono in silenzio, mentre entriamo ed io salgo in camera nostra per deporre delicatamente Bella sul nostro letto. Mio padre le si avvicina e le sfiora la fronte ed il polso con una carezza lieve.
Jasper? Mi chiede indicando mia moglie con un cenno del capo.
Annuisco impercettibilmente.
Cosa è successo? Mi domanda pacatamente, quasi con rassegnazione.
«Ha avuto un attacco di panico» rispondo senza alcuna inflessione nella voce.
Edward, forse, sarà necessario ricorrere ai farmaci. Per dei risultati, però, potrebbero volerci dei mesi … Pensa lui dispiaciuto.
Incasso il colpo. Bella ha bisogno d’aiuto. Un aiuto che io non riesco a darle.
Poi, rapida, una visione di Alice. La guardo negli occhi vacui, sentendo i miei divenire come i suoi. E’ confusa, delle immagini si susseguono velocissime.
Bella, piange silenziosamente. Soffre mentre io la guardo da lontano. Poi, sangue. Tanto sangue. Bella priva di sensi in mezzo a quel sangue. Una stanza d’ospedale.
L’urlo di mia sorella mi risveglia, mentre la fisso sconcertato.
L’ultima visione che ha avuto è quella della mia morte.

NOTA DELL’AUTRICE: Perdonatemi per il ritardino-ino-ino. Il cappy, però, è bello lungo, e bello cioppo cioppo. Si chiariscono alcune dinamiche che saranno importanti per i capitoli a venire. Curiosi eh!!! Posso solo dirvi che nulla è scritto a caso …!
Il link musicale è grazioso, credo di aver consumato il film a forza di rivederlo …non vi pare?
Mumble mumble che dirvi …
Ah si, grazie per commenti, mi galvanizzano!!! Grazie a chi legge questo delirio, spero di riuscire a descrivervi le cose senza confonderle troppo o ingarbugliarle. Fatemi sapere!!!!!
Bye
M.Luisa

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Capitolo 5
*** CAP.5 ***


CAP. 5

BELLA - Ingrid Michaelson -The way I am -
«Amore, sei sicura?» Edward mi guarda di sfuggita. E’ molto nervoso, ma tenta in ogni modo di nascondermelo. Parcheggia l’auto in uno dei posti riservati agli studenti largo giusto la spazio per la Volvo con una scioltezza sbalorditiva. Al nostro fianco due auto basse, lucide fino all’inverosimile, dall’aria costosissima.
 Penso al mio pick-up. Sorrido maligna mentre mi immagino farmi largo con lo Chevy nello stesso spazio dove si è infilato Edward.  Avrei scommesso che il pick-up non si sarebbe fatto nemmeno un graffio …
Mi sento sfiorare un braccio lievemente e mi volto a guardare Edward con ancora il mio sorrisino ebete stampato sul volto.
Mi raddrizzo sul sedile e ricompongo la mia espressione storcendo la bocca in una smorfia per conferire alle mie labbra una parvenza di serietà. «Certo che sono sicura. Sto bene, non sono mica pazza. Se non me la sentissi te lo direi …» gli dico guardando le mie mani fasciate dai guanti neri in pelle.
In realtà mi sento un po’ stanca dopo l’ennesima notte quasi del tutto insonne. Dalla sera del Polar Rink, ho un po’ di difficoltà a mantenere un sonno tranquillo che abbia una durata decente. E’ il dormiveglia che mi dà qualche problema, è come se avessi delle remore ad abbandonarmi completamente al sonno. «Se avessi preso un sonnifero stanotte questa conversazione non starebbe neanche avendo luogo» aggiungo alzando lo sguardo nei suoi occhi scrutatori e vigili.
«Lo sai che non voglio che prendi quelle porcherie, finisci per abituartici e poi non puoi più farne a meno. Niente da fare.» dice scuotendo il capo con un mezzo sorriso sulle labbra. Pare che stia sorridendo per qualcosa di cui sono all’oscuro. Ma è un sorriso triste, amaro.
Lo scruto negli occhi cercandovi una verità che so non arriverà.
 C’è qualcosa che mi sfugge. Nessuno ne ha fatto parola, ovviamente, ma in casa si è respirata un’aria tesa per un po’ di giorni.
Alice è stata stranamente silenziosa per la maggior parte del tempo. Stamane, invece, sembrava allegra e serena come al solito. Mi ha raggiunta in camera mentre cercavo la mia fede nuziale. La mia sbadataggine è patologica e, ancora non del tutto abituata a portarla notte e giorno, ho l’abitudine di sfilarmela quando mi lavo e puntualmente a dimenticare dove la ripongo. La nanetta è entrata baldanzosa e l’ho guardata implorante. Ha capito subito cosa cercavo e, ovviamente, sapeva anche dov’era finita. Tuttavia, mi ero rivolta a lei talmente tante volte che ormai si era stufata e, dall’ultimo ritrovamento aveva deciso che non mi avrebbe più aiutata.
Le ho lanciato uno sguardo da cane bastonato e lei mi ha sorriso scuotendo la testa: «Ti servirà di lezione, Bella …»
E quando ho messo su il broncio, mi ha schioccato un bacio sulla guancia stringendomi forte.
«Jensen oggi?» mi ha chiesto euforica.
Ho annuito perplessa. Il cambiamento di umore rispetto ai giorni passati è lampante anche per una sciroccata come me.
Ho annuito in silenzio. Lei sa che la materia di Jensen è quella che preferisco, che il suo modo di insegnare è per me interessante e coinvolgente. Sa che è solo alle sue lezioni che mi piace assistere. E mi appoggia, mi sostiene silenziosamente, senza dire mai una parola di troppo a riguardo. C’è un tacito accordo tra noi e non ne abbiamo fatto mai menzione in presenza di Edward. Non so perché, ma è come se fossi gelosa di questa parte della mia vita, come se avessi paura di sentirmi giudicata, di incontrare la sua disapprovazione. Non faccio nulla di male, ma non sono ancora pronta per metterlo a conoscenza di tutti i dettagli che riguardano il college.
E poi, mi dico, ognuno ha diritto ai suoi piccoli segreti.
Così, per il compito assegnatomi la settimana prima, quello del quesito –Perché sono qui? - da rispondere in cinque righi, ho impegnato tutto un intero pomeriggio.
Chiusa in camera. Lontana da tutti.
E quando mio marito ha minacciato di scardinare la porta se non aprivo, preoccupato fino all’esasperazione, mi sono alzata e senza degnarlo di uno sguardo mi sono chiusa in bagno per altre due ore.
Tanto non sarebbe servito a nessuno.
E tanto, non era l’unico bagno della casa.
Oggi doveva esserci la discussione delle nostre risposte ai quesiti, che avevo scoperto essere due: uno era quello capitato a me –Perché sono qui?- l’altro era –Mi descrivo-. Non potevo mancare, ero curiosa di sapere a cosa sarebbero serviti in un corso universitario di Economia gestionale delle industrie.
«A che pensi?» farmi questa domanda gli costa, lo so. Ma, in fondo, sono contenta di avere questo piccolo vantaggio su di lui rispetto agli altri: i miei pensieri rimangono solo miei.
Decido di optare per la verità.
«A quello che succederà oggi a lezione.» Troppo sibillina?
«Qualcosa di interessante?» cerca di essere discreto, ma è curioso lo sento.
«Non lo so, probabile.» Rispondo sorridendo e facendo per scendere dall’auto, ma la sua mano gelida si posa sulla mia. Ne sento il freddo nonostante i guanti. Mi giro ed incontro i suoi occhi attenti, un po’ infastiditi. Le mie risposte evasive lo turbano. Mi sento una bimba dispettosa nel fornirgliele, ma mi danno sicurezza, mi pongono un gradino più in su del normale. E poi, oggi ho un conticino in sospeso con lui …
Non sono sempre prevedibile, sciocca e goffa vero Edward? Rimurgino tra me e me contenta che questi pensieri rimangano nella mia mente e basta.
Sostengo il suo sguardo per un po’, poi mi avvicino al suo viso e strofino la mia guancia contro la sua. Sento che inspira profondamente. Gli sussurro all’orecchio a voce bassa: «Sta tranquillo, non mi succederà ancora.»
Mi riferisco alla crisi di panico di qualche sera fa. Alice mi ha detto che lui era fuori di sé dalla preoccupazione, che Jasper ha dovuto usare il suo potere su di me. Non ricordo molto, ma l’effetto di Jasper è difficile da dimenticare.
E’ come andare in coma. La volontà ti abbandona e tutto si offusca. Non sempre è una sensazione piacevole.
«Bella, tu sei la mia dannazione. Saperti lontana da me, pensare che possa capitarti qualcosa e che non posso impedirlo … è una tortura, te lo giuro.» fa questa ammissione con difficoltà, è difficile per se stesso in primis.
D’altronde lo capisco. Anche io non riesco a stargli lontana. Eppure a volte lo tengo a distanza …
Inspiro il suo odore immergendo il naso nei suoi capelli. Magari oggi posso evitare il college … Mi scosto quel tanto che basta a poggiare il capo sulla sua spalla.
Lo sento sospirare.
«Credo che sia ora, ma prometti di chiamarmi se ti senti strana. Prometti che non minimizzerai nessuna sensazione fuori dall’ordinario.» mi dice rassegnato.
Lo guardo con un po’ di indecisione negli occhi. I suoi sono diventati freddi, decisi. Vuole che vada. Anche il suo corpo si è irrigidito, nonostante mi tenga ancora fra le braccia. Si è arrabbiato? Stringo un po’ gli occhi nel tentativo di decifrare il suo comportamento.
Mi bacia rapidamente sulla fronte e si raddrizza sul sedile.
Scendo dall’auto e lo guardo fare manovra prima di allontanarsi. Ha deciso di non accompagnarmi in aula. Eppure non mi sembrava offeso …
Oggi lui ed Alice non hanno lezione. Jasper verrà alla prossima ora.
In quest’ora sono sola.
Per la prima volta da quando frequento il college. La cosa mi inebria.
Respiro l’aria fredda del mattino, mi aggiusto la tracolla con i notes sulla spalla e mi avvio verso l’aula magna.


EDWARD - Ingrid Michaelson - Maybe -
Esco dal bosco con noncuranza, come se tornassi da una breve scampagnata e non da una corsa alla velocità della luce di ventiquattro chilometri. Dopo aver depositato la Volvo a casa mi sono fiondato tra gli alberi alla volta del college, prima di essere sommerso dai rimproveri mentali di mia sorella.
Cammino con lentezza verso il retro dell’edificio principale e passo in rassegna i pensieri di quelli che incrocio nel passaggio. Tutto tranquillo.
Mi fermo nel giardino retrostante l’aula magna, abbastanza vicino da poter ascoltare anche le voci oltre ai pensieri, eppure ragionevolmente distante per evitare di essere visto.
La piccola discussione avuta con mia sorella durante la notte mi ha portato a raggiungere un compromesso con me stesso questa mattina.
“-Ti ho detto che non le succederà nulla!- aveva pensato Alice –lasciala andare, Edward. Si tratta solo di un’ora.-
L’avevo guardata scettico. Lei mi aveva guardato offesa.
«Ti credo, Alice, ti credo …» ma non ero pronto ad accettarlo. La visione della sera del Polar Rink aleggiava ancora nella mia mente. Interpretarla non era stato complicato, almeno per me. C’era un’unica cosa che poteva determinare la mia morte: la morte di Bella. Alice non si era più pronunciata a riguardo, ma sapevo che si manteneva all’erta, pronta a captare qualunque segnale giungesse dal futuro. L’operazione “Bella’s freedom”, però, rischiava di risentirne in maniera irrimediabile, per cui Alice si era prodigata per convincermi a darle un po’ di spazio almeno quando era certa che non sarebbe successo nulla. Ed io avevo in fine acconsentito.
Ho trascorso tutta la notte ad osservare Bella agitarsi nel letto. A nulla sono servite le mie ninna-nanne, le mie carezze. Bella ha dormito poco più di due ore. In mattinata, dopo un’estenuante lotta con me stesso, mi ero rassegnato a lasciare mia moglie sola al college per un’ora. Fino all’arrivo di Jasper per le dieci.
Ma dal suo risveglio fino a poco prima in auto, mi sono occorsi in tutto cinque secondi per capire che non sarei riuscito a lasciarla neanche un istante, figuriamoci per un’ora intera.
Uno, quando ha aperto gli occhi stamattina e vi ho letto dentro la felicità di vedermi disteso al suo fianco.
Uno, quando l’ho sentita canticchiare sotto la doccia e mi sono detto di non poterla raggiungere perché aveva trascorso quasi tutta la notte insonne e doveva essere distrutta.
Quasi altri tre, quando si aggirava per camera scalza con solo indosso un asciugamano ridottissimo: lì ho rischiato grosso.
Ma la certezza l’ho avuta quando in pochi millesimi di secondo ho registrato ogni dettaglio del suo abbigliamento allorchè è scesa in cucina per fare colazione: pantalone di pelle nero, maglietta bianca aderente, chiodo nero appoggiato su un braccio, stivali neri.
Bella voleva prendere la moto.
Aveva imparato a guidarla nel periodo in cui Jacob frequentava la sua casa ed io ero lontano, ed era gelosissima del suo trabiccolo, un XT 125 rimesso a nuovo proprio dal cane … Tuttavia non aveva mostrato più alcun desiderio di usarlo da quando eravamo in Virginia.
Fino ad oggi.
Mi era occorso tutto il mio fascino vampiro per convincerla, senza che se ne avvedesse, a farsi accompagnare da me, invece che andare da sola.
«Tesoro, sei pronta?» le avevo chiesto.
«Mmm, mmm» di spalle, aveva annuito con il capo, mentre masticava un pancake e reggeva con la mano un bicchiere di succo d’arancia.
Non si era resa conto che avevo preso le chiavi dell’Aston e che l’aspettavo sulla porta, appoggiato allo stipite con aria indolente, ma in posizione strategica per mettere in evidenza i pettorali e gli addominali fasciati in una maglietta nera aderente. Avevo messo su uno sguardo malizioso e mi ero preparato a ridurla KO.
Dovetti trattenere un sorriso quando si era girata ed aveva spalancato la bocca mezza piena e mezzo imbambolata. Quando avevo passato la punta della lingua tra le labbra, l’avevo vista quasi strozzarsi con il boccone che stava deglutendo. Mi ero avvicinato lentamente, mettendoci tutta la grazia possibile e l’avevo osservata sbarrare gli occhi, quando una mia lieve carezza studiata era finita nell’avvolgere la sua mano. A quel punto avrei potuto portarla ovunque avessi voluto.
In garage si era bloccata solo un attimo esitante vicino alla sua moto. Poi mi aveva guardato e aveva proseguito dicendo rassegnata: «Almeno prendiamo la Volvo …»”
Mi appoggio al tronco di un albero a beneficio di qualche studente che passa trafelato nel vialetto alberato e mi lancia qualche occhiata distratta.
Il compromesso sta nel fatto che Bella non deve sapere che la tengo d’occhio, ma deve credere di essere sola. Così non faccio danno a nessuno.
Mi preparo all’ascolto.
Il Prof. ha già cominciato la lezione. Lo osservo attraverso gli occhi infatuati delle studentesse che si sbracciano per farsi notare da lui. E’ deprimente. La maggior parte di queste non ascolta minimamente il significato delle sue parole, ma fa voli pindarici con la fantasia … isole deserte, spiagge sconfinate, passeggiate mano con la mano …
Scuoto la testa e le labbra si incurvano in un mezzo sorriso quando intercetto Bella nei pensieri della sua amica Helèna.
Caspita quanti appunti che ha preso Bella … devo sbrigarmi, non voglio fare la figura della debosciata e chiederle di passarmeli, non sarebbe giusto nei suoi confronti …
Approvo mentalmente. La ragazza è onesta.
Ma come fa ad essere così veloce? Helèna si sta demoralizzando. Per fortuna che non ha visto noi mentre prendiamo appunti a lezione …
L’ora scorre lenta. Bella è una studentessa attenta, seria e concentrata. Non si distrae quasi mai. L’intera platea sembra essere ipnotizzata dal giovane professore. Devo ammettere che ha un certo carisma.
«Bene. Direi che per oggi possa bastare. In merito alle vostre risposte per il compito della scorsa settimana …» la voce del tale Eric Jensen cattura la mia attenzione, il brusio della sala si spegne. Finalmente, voglio proprio capire che metodo di insegnamento usa il nostro Rodolfo Valentino. Bella mi aveva fatto impazzire scervellandosi su un foglio per un intero pomeriggio e pretendendo di essere lasciata sola. Dalla camera da letto era passata al bagno con un’aria sfuggente e stringendosi un notes al petto con fare stizzito.
Non c’è modo più incisivo per stuzzicare la mia curiosità del farmi capire di non impicciarmi. Una mezza occhiata al notes incustodito della durata di non più di otto centesimi di secondo mi era bastata per leggere quattro righe e mezzo di scritto alla domanda –Perché sono qui?- Questa la risposta di mia moglie:

Il motivo del perché sia qui non mi è molto chiaro. Credo che le cose giuste da dire siano cose come “amore per la cultura”, “costruirmi un avvenire solido” o “ seguire le orme di famiglia”. Penso che i miei colleghi scriveranno questo. Io spero solo di dimostrare a me stessa che avevo tutte le carte in regola per farcela.

«Vorrei ringraziare tutti voi per l’impegno in cui vi siete profusi, mi servirà per effettuare una valutazione più completa del vostro operato in questo corso. Tengo a dirvi che, tuttavia, ciò non influenzerà in alcun modo il risultato dell’esame. Bene è tutto.» la voce del Prof. si interrompe un attimo. Le sue labbra si increspano in un sorriso che nasconde abbassando il capo su un foglio.
Sorrido anche io vedendo nei suoi pensieri certe frasi di alcuni scritti. E’ assurdo quanto sia stata sfacciata la metà degli studenti :
… Mi chiamo Henry Wintaker, figlio di Lu Wintaker magnate dell’industria del cuoio …
… Sono qui per diventare qualcuno a tutti i COSTI
… Il mio nome è Julia Miller, il mio numero di cell. è 321
Come questi finiscono anche moltissimi altri scritti. A parte i palesi tentativi di corruzione, devo ammettere che il Prof. riscuote un certo successo.
Sospiro pensando che queste schifezze ci sono in ogni tempo e in ogni luogo e mi compiaccio una volta di più per la perla rara che ho trovato e che ho sposato.
«Prima di salutarci, vorrei che questi studenti che nominerò mi raggiungano dopo nel mio studio:
Francisco Sanchez, Mia Torres, Charles Hill, Victor Banner, Helèna Roberts e … Isabella Swan.
Grazie per l’attenzione ragazzi. Ci vediamo alla prossima lezione.» termina cominciando a raccogliere i fogli sparsi sulla cattedra.
I miei occhi diventano due fessure mentre mi concentro sulla mente di Jensen. Non riesco più a sintonizzarmi sui suoi pensieri perché improvvisamente viene accerchiato da un nugolo di ragazze e allampanati che sgomitano tra loro per guadagnarsi la sua attenzione.
Che vorrà adesso da questi sei studenti, ivi compresa anche Bella?
Decisamente questo Jensen è un tipo non convenzionale. Poco male, dovrò seguirlo nel suo studio per saperlo.
Faccio spallucce e mi raddrizzo, ma non riesco a muovere nemmeno un passo che un’ombra mi si fionda davanti. Pochi centesimi di secondo mi servono per registrare il suo odore, prima ancora di vederlo.
Jasper.
Mi guarda sornione con le mani sui fianchi.
«Ma non dovresti andare a lezione tu?» gli chiedo infastidito cercando di aggirarlo.
Fermo dove sei … pensa continuando a guardarmi come se la sapesse lunga. Fa, intanto, un passo nella stessa direzione in cui l’ho fatto io.
Inclino la testa di lato e lo guardo inarcando un sopracciglio.
«Vuoi forse metterti sulla mia strada Jasper?» gli chiedo un po’ sorpreso e un po’ seccato.
Vedo il suo viso schiarirsi in un ampio sorriso.
Decisamente sì, se ho cara la vita. Alice mi regalerà la cicatrice più grande che il mio corpo possa contenere se ti faccio andare su con loro. Pensa veloce, cerca di spiegarsi rapidamente. Suvvia Edward, ragiona: è in compagnia di altri cinque studenti, si sta recando in uno studio di un professore, cosa vuoi che le succeda?!
Ci fissiamo negli occhi per un istante lunghissimo.
Ha ragione. Sono paranoico e maniacale.
Sente che sto cedendo. Vai a casa, io rimango a portata d’orecchio. Promesso. Sa quello che deve dirmi, sa come lo deve dire. E’ un oratore nato.
Mi volto per dirigermi verso la boscaglia.
E solo ora mi accorgo che il senso di fastidio che provo non è scemato neanche un po’. Mentre volo in mezzo agli alberi, con il vento che mi accarezza il viso, ripercorro rapido le informazioni che ho avuto nella mia mattinata alla James Bond.
Non mi dà fastidio che Bella abbia degli interessi che non includano me, neanche che frequenti altre persone oltre a me. No, sarò un maniaco paranoico, ma sono obiettivo.
Raggiungo casa e varco il cancello d’entrata.
Mi fermo come fulminato da una rivelazione.
Rapidamente faccio tre passi indietro e osservo inebetito la cassetta delle lettere posizionata proprio di fianco al cancello.
Osservo le lettere impresse in rilievo sul metallo: Cullen
“Swan. Isabella Swan.”
Ecco cosa mi ha turbato.
Bella ha dato il suo nome da nubile.

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari eccoci a noi …
L’abbigliamento di Bella che ha “illuminato” Edward …
La moto di Bella in versione rossa o blu, scegliete la vostra preferita!
Ci tengo a rispondere ai commenti:
Keska: Ciao piccola, è un vero piacere ricevere il tuo commento! Sono contenta che i cambiamenti di stile ti piacciano, sono ancora in un terreno minato, ma ci sto lavorando… La storia si sta complicando, ingarbugliarla troppo non sarà facile, ma mi impegnerò giuro! Ti prego fammi notare se dovessi essere troppo criptica, ci conto!!!! Kiss
Cloe cullen: non posso sbottonarmi riguardo il futuro, ma ci saranno momenti difficilotti per entrambi. Grazie per i commenti, so che sei una fedelissima e i tuoi li leggo sempre con piacere. Thanks and kiss
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra preferiti/seguiti e a coloro che lo stanno facendo anche con la mia prima fic “My new moon”. Recensioni sono sempre gradite, in bene e in male, anche “postume”. Grazie anche a chi legge e basta, preferendo rimanere nell’ombra.
Per il prossimo aggiornamento potrebbero esserci dei ritardi, oggi porto il pc in riparazione, SIGH!!! Ma non temete, scriverò lo stesso anche se dovessi farlo sui fogli...
Vi ho annoiato abbastanza … ci si vede!!!

Bye
M.Luisa


CREDITS:Vorrei ringraziare sentitamente una ragazza che ritengo essere una scrittrice di enorme talento, Stupid Lamb. Grazie a lei ho scoperto l'artista dei link musicali e ho avuto modo di apprezzare un nuovo stile di scrittura.

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Capitolo 6
*** CAP.6 ***


CAP. 6

BELLA
Cammino per il lungo corridoio alla volta dell’edificio dove sono ubicati gli studi dei professori. Al mio fianco Helèna parla instancabilmente accompagnando le parole con gesti nervosi delle mani. Normalmente la mia amica è timida, riservata, riflessiva. Ora è agitata, euforica.
« … chissà perché, mi chiedo. Tu che idea ti sei fatta?» le sue parole emergono dal marasma di tutte le altre.
Se l’ansia a lei fa questo effetto, a me fa il contrario.
Silenzio.
Faccio spallucce e contemporaneamente inarco un sopracciglio scuotendo la testa come a dire “non ne ho proprio idea”.
«Vabbè, tanto fra poco lo sapremo. Dunque … vediamo …» si ferma in un grande androne e comincia a scorrere con l’indice una tabella rettangolare in cui sono indicati i nomi di tutti i professori.
«Flenning, Holmes … mmm Jensen! Quarto piano, Dipartimento di Economia.» ammicca compiaciuta e preme un bottoncino di plastica trasparente sul muro. Osservo la lucina rossa che lo illumina e deglutisco.
«Sono proprio curiosa. Di certo avrà a che fare con i compiti della settimana scorsa …» Helèna si dondola sui piedi con le braccia tese in grembo a reggere i suoi libri e guarda davanti a sé .
Quando si gira verso di me con un sorriso a cercare conferma, il sorriso le muore lentamente sul viso.
«Bella, ma ti senti bene? Sei pallida come un lenzuolo …» mi chiede preoccupata immobilizzandosi immediatamente.
«Io … si … io non … scusami, ma non … non posso salire in ascensore.» le dico con gli occhi puntati sulle porte ancora chiuse.
«Non fa niente, tranquilla. Prendiamo le scale.» dice con un gran sorriso. Subito mi sento più calma. Il cuore ritorna al suo ritmo fisiologico in un batter d’occhio.
Annuisco con un cenno del capo e sorrido di rimando alla mia amica.
Cominciamo a salire e noto Helèna sbirciarmi ogni tanto quando voltiamo per prendere la rampa di scale successiva.
Forse teme che possa svenire.
Sorrido più decisa e dico con tono leggero:« I luoghi chiusi e stretti mi danno un po’ di noia, non è una vera claustrofobia, ma cerco di evitare comunque.»
Annuisce con il capo. «Ti capisco. Anche mia sorella ha questa cosa dei posti piccoli. Dice sempre che quando sarà il momento vuole essere cremata e vuole che le sue ceneri siano lanciate dal Gran Canyon. Dice che deve prendere aria.» la sua voce e la sua espressione sono serie.
Un silenzio imbarazzante scende fra di noi.
Aggrotto le sopracciglia e la guardo perplessa di sottecchi. Anche lei mi guarda di rimando di sbieco e, quando i nostri sguardi si incrociano, scoppiamo a ridere contemporaneamente.
Continuiamo a salire, fino a quando non troviamo dinnanzi a noi la targa sul muro che indica il quarto piano e il nome del Dipartimento.
Capiamo subito quale è la stanza in cui dobbiamo recarci, perché fuori , seduti su delle poltrone, ci sono altri quattro studenti. Tre ragazzi ed una ragazza. Il resto del lungo corridoio è quasi deserto.
Ci avviciniamo rallentando l’andatura, fino a fermarci in piedi vicine a loro.
«Salve!» fa Helèna alzando una mano trattenendo il gomito vicino al busto. Sembra una specie di “Augh” indiano.
«Ciao» risponde un ragazzone dai tratti neo latini e dall’aria simpatica.
Gli altri due fanno un cenno del capo nella nostra direzione, la ragazza ci fissa con freddezza senza accennare il minimo segno di saluto.
«Anche voi per la riunione segreta?» fa quello che ci ha salutate strizzando l’occhio in direzione della stanza.
«Mmm già» risponde Helèna con aria tesa. La faccenda della “riunione segreta” deve averla turbata. «Qualcuno ha idea di cosa voglia da noi?» sussurra piano facendo scorrere lo sguardo anche sugli altri tre.
Vedo le teste dei ragazzi scuotersi piano. La ragazza rimane immobile ma, dopo uno sguardo tanto rapido quanto superficiale verso le nostre figure, ha distolto gli occhi per posarli su un punto indefinito davanti a sé. Deve essere l’anima della compagnia, non c’è dubbio …
Sento intanto che Helèna si è presentata e lo stesso fanno gli altri.
Non ho seguito le presentazioni, ma quando tutti si voltano interrogativi verso di me mi schiarisco la gola e dico con un sussurro: «Ehm … io sono Bella.» Il ragazzone che ci ha parlato all’inizio si sbraccia in avanti e con la manona grossa tesa verso di me dice:« Qua la mano Bella, io sono Francisco, lui è Charlie, Vik e lei è Mia» strizza l’occhio alla tipa gelida che si volta dall’altro lato e così facendo fa chiaramente capire che non ha gradito il gioco di parole. Ricambio i cenni di cortesia con un sorrisetto.
Nello stesso momento si apre la porta dello studio del professore e sentiamo un frettoloso: «Prego prego accomodatevi»
Entriamo tutti ed io mi tengo alla coda della fila. Adocchio Francisco, che ha la stazza più grossa di tutti e mi sposto lentamente dietro di lui. Sono quasi completamente coperta dalla sua schiena. Per fortuna.
In un’aula con quattrocento anime non è difficile mimetizzarsi, ma in una stanza con sette è praticamente impossibile.
«Allora … ci siete tutti?» chiede Jensen.
«Sì sì.» è Francisco che si guarda intorno come cercando qualcosa. O qualcuno. Poi, torcendo il busto all’indietro mi scorge rannicchiata alle sue spalle. «Oh, scusami Bella, non mi ero accorto di coprirti» e, da grande gentiluomo, mi prende per un braccio portandomi avanti a lui che già si trovava in pole-position.
Mi ritrovo a fissare quelle due iridi azzurro cielo per la seconda volta a una distanza ravvicinata.
Vedo chiaramente nascere la sorpresa e lo stupore dalla dilatazione dei suoi occhi. E’ evidente che ricorda perfettamente chi sono e le circostanze del nostro primo incontro. Per fortuna lo è solo per me, ci mancano solo delle occhiate curiose da parte dei miei colleghi di corso …
Distolgo subito lo sguardo e lo pianto a terra, sui miei stivali.
«Bene. Molto bene.» la sua voce senza il microfono che serve ai professori per farsi sentire in aula è calda, vellutata, non più metallica.
Mi sposto a disagio da un piede all’altro. Questa situazione non mi piace neanche un po’ …
«Signori, poggiate pure i vostri cappotti su quella poltrona lì in fondo e accomodatevi.» Facciamo come ci dice, e mi sento i suoi occhi addosso per tutto il tempo in cui raggiungo la poltrona, deposito il mio chiodo e i guanti, e mi accomodo su un divanetto a due posti. Immediatamente cerco Helèna con lo sguardo, sta ridendo con Francisco per qualcosa che ha detto quest’ultimo. Mi accorgo solo in questo momento che il posto al mio fianco viene occupato dal ragazzo di nome Vik. Mi stringo un po’ anche se non ce n’è bisogno, lo spazio del divano è più che sufficiente per entrambi. Mi lancia un’occhiata chiaramente di apprezzamento e mi maledico silenziosamente per non essermi cambiata stamane prima di uscire. Il mio abbigliamento è comodo per andare in moto, ma potrebbe essere scambiato per aggressivo in circostanze diverse. Me l’ha fatto notare stamane Helèna quando ci siamo incontrate. La mattina arriva sempre prima di me, vivendo nel dormitorio del campus, e mi tiene il posto. Appena mi ha vista mi ha accolta con un “Caspita!” e poi ha soggiunto che non sembravo io vestita in quel modo. Al momento ho sorvolato, indecisa se considerarlo o meno un complimento. Adesso, però, mi pongo il problema perché sono costretta ad un’interazione ravvicinata con altri individui.
Il mio forte.
Prendo un bel respiro e decido di volgere tutta la mia attenzione alle parole del professore. Dopotutto è per questo che siamo qui.
«Vi starete chiedendo il motivo della vostra convocazione. Come forse alcuni di voi sapranno già, questo è il mio primo anno di insegnamento a Dartmouth. Con l’assegnamento della cattedra, mi è stato conferito anche il ruolo di responsabile del Tuck’s Center for Digital Strategies, un centro di eccellenza di rilevanza internazionale.» Vedo con la coda dell’occhi annuire diverse teste.
Mi muovo a disagio sul divano, vergognandomi di non essere minimamente informata della cosa.
«Quest’anno il Centro ha ottenuto dei finanziamenti ridotti. Tale decisione è stata motivata con la scusa che i progetti stanziati erano sostanzialmente irrealizzabili ed eccessivamente costosi. Voci di corridoio mormorano che con ogni probabilità questo Centro verrà chiuso entro l’anno in corso.» la voce di Jensen si interrompe con gravità, un mormorio di sorpresa si alza dai miei ben informati colleghi.
Francisco che sembra essere quello più toccato dalla cosa dice accorato: «Ma come è possibile? Dartmouth è rinomata nel mondo proprio per Centri come questo. Vanta il primato per il lancio sul mercato mondiale di una lista lunghissima di prodotti informatici e digitali. E’ un Centro del tutto imparziale, non corrotto dalle dinamiche del mercato e dai giochi di potere …» la sua voce si va facendo sempre più flebile, fino a bloccarsi come se il ragazzo fosse stato colto da una rivelazione. Rimane a bocca socchiusa guardando il professore, il quale durante tutta la sua filippica lo fissa con un sorriso che via via si fa sempre più definito.
«Per l’appunto.» dice Jensen.
Un silenzio imbarazzato scende nella stanza. Di cose come questa se ne sentono tutti i giorni, ma parlarne apertamente rischia di essere pericoloso.
Mi faccio piccola piccola sul mio divanetto. Mi sento del tutto esclusa dal discorso che verte su argomenti più grandi di me.
Helèna si spinge all’infuori con le braccia posate sulle ginocchia.
«E’ abbastanza chiaro professore, ma, perdoni la mia schiettezza, noi in tutto ciò che c’entriamo?!»la mia amica è perplessa. Lo siamo in realtà un po’ tutti.
Jensen ci fissa uno ad uno negli occhi, poi si lascia andare contro lo schienale della poltrona e dice con un sorriso: «Ragazzi, fino ad adesso nessuno è mai riuscito a spuntarla con me. Non è assolutamente un caso che i miei incarichi durino così poco. Voi, miei cari signori, sarete il mio asso nella manica»


JASPER

«Posso esserle d’aiuto?» un misto di cortesia e curiosità proviene dalla giovane in piedi di fronte a me.
Ricambio il sorriso gentile e con un cenno della mano indico al lato della poltrona su cui sono seduto: «No, grazie. Aspetto una persona»
Accavallo una gamba con studiata noncuranza e sento che la ragazza è ancora titubante, ma anche naturalmente attratta dalla mia figura.
Oggi non ho alcuna intenzione di giocare.
Prendo un libro dalla tracolla  e comincio a sfogliarlo con attenzione. Con la coda dell’occhio la vedo ritirarsi nella stanza dalla quale è uscita  e torno a concentrarmi sulle sensazioni che animano il gruppo di persone che occupa lo studio del prof. Jensen, tre stanze più in là. Alice mi ha detto esattamente dove mi sarei dovuto sedere ed io non le ho domandato spiegazioni. Conoscendola, non mi ci sarebbe voluto tanto per scoprirne il motivo. Anche da qui riesco con chiarezza a percepire le voci, ma è dalle emozioni che mi piombano addosso che ricevo il maggior numero di informazioni.
Ci sono fermento, euforia, determinazione ed impazienza.
Sensazioni che mi giungono confuse, accavallate. E’ la difficoltà che incontro quando manca il contatto visivo con il soggetto.
All’interno dello studio si discute di un progetto che mi sembra abbia a che fare con innovazione e giocattoli … ma non ci ho prestato molta attenzione. Per lo più mi sono concentrato su Bella.
E’ stata bravissima. In più di un’occasione è riuscita a dominare le sue emozioni. In effetti, il mio zampino c’era solo una volta e per un attimo brevissimo, quando era in attesa con la sua amica nei pressi dell’ascensore.
Poi, l’ho lasciata nello studio del tale Jensen e sono andato a lezione.
La ragazza di prima esce nuovamente dalla stanza. Cambio leggermente la mia posizione sulla poltrona e continuo nello scorrimento del libro aperto a caso e poggiato sulla gamba.
La riunione  a cui Bella ha partecipato sta volgendo al termine.
Alice mi ha detto che sarebbe finita alle dodici e diciassette. Un’occhiata rapida all’orologio sul muro mi dice che mancano solo pochi minuti.
Affino l’udito.
«Benissimo. Leggete questo razionale e cominciate a buttare giù qualche idea. Per qualsiasi dubbio, problema o consiglio rivolgetevi pure a me in qualunque momento. E’ tutto per adesso.» E’ la voce del professore che sta congedando gli studenti.
La porta dello studio si apre. Alcuni ragazzi cominciano ad uscire ed a camminare nella mia direzione.
L’istinto mi dice di rimanere dove sono.
Nel momento in cui mi passano davanti, sento le loro emozioni distintamente. Nel complesso sono … entusiasti.
Mi stupisco di non vedere ancora Bella. Fuori dallo studio un ragazzo biondino si sistema i lacci delle scarpe.
Acuisco tutti i sensi.
«Signorina Swan … Isabella, aspetti un attimo.» è il professore. Non c’è alcuna emozione negativa in lui, ma piuttosto … interesse, curiosità, e sì, mi arriva chiaramente anche l’attrazione fisica.
Le emozioni di Bella mi sono familiari, non ho alcuna difficoltà a distinguerle. E’ dubbiosa, indecisa. Alberga in lei una forte sensazione di inadeguatezza e ammirazione nei confronti del suo interlocutore. Ma è anche profondamente in soggezione.
« Mi … mi dica professor Jensen» dalla sua voce traspare tutto l’imbarazzo che prova.
«Il suo scritto mi ha molto colpito, Isabella. Lei è in una forte conflittualità con se stessa e dimostra una scarsa fiducia nelle sue capacità, pur evidenziando un certo interesse per la materia. Perdoni la mia sfacciataggine, ma mi ha incuriosito molto.» il professore fa una breve pausa.
La ritrosia di Bella lo affascina.
«Che senso ha intraprendere un cammino se non ha intenzione di percorrerlo fino in fondo?» la voce del professore si è fatta accorata.
«Io non … non capisco … che intende dire.» Bella si sente alle strette, è in difficoltà.
«Credo, invece che lo sappia. Lei non terminerà l’università. E’ come se sentisse che sulla sua testa è posata una spada di Damocle. Lei attende l’inevitabile.» Jensen si ferma improvvisamente, pentito.
Bella tace, ma è turbata.
«Mi perdoni, forse sono stato troppo irruente. Spero, tuttavia, di riuscire a farle cambiare idea.» e detto ciò la congeda.
Bella esce dallo studio ancora sovrappensiero chiudendosi la porta alle spalle. Non si accorge del tipo che le si piazza davanti, il ragazzo che stava aggiustandosi le scarpe.
Le sta bloccando il passaggio.
«Ah Vik. Scusa non ti avevo visto.» dice lei e cerca di aggirarlo.
Ma lui non sembra pensarla allo stesso modo. Poggia un braccio teso al lato del viso di Bella con fare brusco e le dice: «Ti aspettavo, dolcezza. Andiamo a farci un giro, ti và?». Le afferra un polso e la strattona verso di sé.
Percepisco lussuria e aggressività nelle emozioni e nella voce di Vik.
Bella è pietrificata.
Mi alzo immediatamente e in due falcate mi posiziono alle spalle del ragazzo.
«Hai sbagliato persona.» gli dico con voce pacata.
«Schioda stronzo, non sono affari tuoi» dice Vik senza nemmeno girarsi e continuando a guardare Bella.
«Jasper!» esclama lei riconoscendo la mia voce e cercando di passare sotto il suo braccio.
«Non farti pregare, tesoro. Il tuo amichetto può aspettare il suo turno. Mi hai provocato per tutto il tempo …» la voce del tipo comincia a diventare viscida e mentre cerca di bloccare il movimento di Bella gli metto una mano sul braccio.
«Lasciala» gli ordino.
«Fammi capire, ma chi cazzo sei, il guardiano del ces…» comincia a dire Vik con voce alterata iniziando a voltarsi. Si blocca non appena mi vede con chiarezza. Mi lancia un’occhiata e fa un passo indietro: «… la sua guardia del corpo?» finisce con voce decisamente più contenuta, lasciando andare giù il braccio e permettendo a Bella di sgattaiolare alle mie spalle.
«Ci sei andato vicino. Sono suo fratello.» gli dico in tono sinistro «E tu sei una persona fortunata» penso ad Edward e a cosa gli avrebbe fatto se ci fosse stato lui al mio posto. Accentuo leggermente la presa sul braccio del malcapitato Vik e gli dico con voce carezzevole: «Ti consiglio di non avvicinarti mai più a lei. MAI PIU’. Sono stato chiaro?»
«Cer … certo, chiarissimo.» il tipo ha incassato la testa nelle spalle e fa per andarsene, ma io non mollo la presa: «Stai dimenticando qualcosa … » e con un cenno del capo indico Bella alle mie spalle.
«S … si , scu … scusa Bella» balbetta Vik prima di prendere il volo verso lidi più sicuri.
Mi volto e trovo gli occhi di lei su di me, fissi e spalancati.
Modulo il suo turbamento quel tanto che basta a rasserenarla.
I suoi occhi incontrano i miei e mormora un flebile grazie.
La osservo un attimo. Poi con sorriso le chiedo: «Pronta per tornare a casa?»
Annuisce con il capo e ci avviamo al parcheggio.
Camminiamo in silenzio. Nonostante la mia influenza su di lei la sento tesa.
«Non hai motivo di essere ancora preoccupata, quel tipo ti lascerà in pace.  Cosa ti turba?» le chiedo cercando di essere delicato.
Scuote la testa ma resta in silenzio.
«Pensi che Edward possa preoccuparsi se scopre qualcosa?» le suggerisco pacatamente.
Abbassa gli occhi sul cemento. «Anche» dice laconica.
Colpita. Annuisco lentamente.
«Ti hanno turbato le parole di Jensen?» le domando sempre con la massima tranquillità.
Non risponde. Colpita e affondata.
«Bella, non c’è alcuna spada di Damocle sulla tua testa. Tu sei una persona libera. Puoi scegliere tu, quando e come. E, soprattutto, se.» Non è necessario essere più precisi, ha capito perfettamente che mi riferisco alla sua trasformazione.
Le sue emozioni sono un altalenarsi di certezza, determinazione, e di confusione, senso di colpa.
Un po’ troppo per una persona sola.
Siamo arrivati, dunque mi fermo. Bella è persa nei suoi pensieri, non si è resa conto che non dobbiamo continuare più a camminare.
«Ehi, ma vuoi arrivare a casa a piedi?» le chiedo ironico.
Si ferma, si gira e balbetta uno:«Ops, scusa. Già siamo arrivati all’aut … JASPER!!! Hai preso la moto nuova!!!!» il suo entusiasmo mi investe come un’onda anomala e spazza in un attimo tutta la negatività che l’avvolgeva prima.
Sorrido.
La passione di Bella per le moto è quasi pari alla mia.
Gira intorno alla moto con lo sguardo di una bambina in un negozio di giocattoli il giorno di Natale. Le mancano le parole.
Salgo a cavalcioni sulla mia Ninja ZX 6R nera e le porgo un casco dello stesso colore. Lo afferra e lo indossa con rapidità. L’aiuto a montare in sella e aspetto che si sistemi bene mentre comincio ad accendere il motore.
Rimango un attimo in attesa. Il rombo del motore mi penetra nel cervello e accelero un po’ a fermo per farlo riscaldare.
«Che suono meraviglioso!» esclama gioiosa alzando la voce per coprire il rumore del motore.
«Pronta?» le chiedo.
Sento che annuisce con il capo. Si aggrappa alla mia giubbotto con forza.
Sa bene che rischia di volare via …
E un secondo dopo schizziamo via per le strade, veloci come fulmini.


NOTA DELL’AUTRICE: Finalmente il mio computer-prodigo è ritornato all’ovile!!!
“Nun ce frega na mazza, quando aggiorni?” direte voi …
Bhè, il prossimo cappy è quasi pronto …
Comunque, ecco la favolosa moto di Jasper, la Ninja ZX 6R

Keska: Grazie sempre per il tuo sostegno e per il tuo commento. E’ un onore per me riceverlo da un’autrice come te… Baci 
Arual93: Hai ragione, Edward si fa un sacco di pippe mentali, ma non è che forse le sue non sono proprio paranoie, ma piuttosto … premonizioni? E’ vero che ho detto che la storia sarà a lieto fine (spero…), ma non ho mai detto che sarà indolore!!!
Grazie per ogni singola visita alla mia storia.
Grazie per i commenti che mi lasciate e per quelli che lascerete.
Ok, mi ritiro per deliberare. Abbiate fede, non mi abbandonate!!!
Alla prossima follia 
Baci M.Luisa


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Capitolo 7
*** CAP.7 ***


CAP.7


EDWARD

In piedi, con le mani nelle tasche dei jeans, vicino alla portafinestra del salone che da nel giardino, osservo distrattamente Emmet e Jasper discutere tra loro su quale sarà la caccia più proficua di lì ad un’ora. Quei due sarebbero stati una coppia perfetta, non fosse altro che per la loro smodata passione per le scommesse.
I due viandanti sono ritornati in mattinata. Pare che Rosalie abbia mollato una sfilata nel pieno del suo svolgimento, solo per un commento poco lusinghiero nei confronti del suo fondoschiena da parte di una sarta. Direi che ne avesse le scatole piene di una delle poche esperienze che non aveva ancora vissuto. Come per tutte le altre, l’incostanza e la volubilità avevano preso il sopravvento.
La cosa non mi stupisce affatto.
Edward, ti unisci a noi? Emmet porta il suo sguardo su di me, aspettando una risposta.
Scuoto il capo impercettibilmente. Non sono dell’umore giusto per una caccia in loro compagnia. In verità non sono dell’umore giusto per niente.
Lancio un’occhiata a Jasper che rifugge il mio sguardo. Non riesco a trattenere un moto di stizza e lui, ovviamente se ne rende perfettamente conto.

Di ritorno dal college con lui, Bella ha varcato l’uscio ridendo e con gli occhi brillanti dall’eccitazione per la folle corsa in moto. Si è zittita non appena mi ha visto e mi si è avvicinata con circospezione. Immobile ho accettato il suo bacio senza scompormi, senza accennare al minimo movimento.
Mi ci è voluto meno di un attimo per capire che qualcosa non andava.
Mi ha guardato con indecisione e ha detto che si ritirava in camera per riposarsi un po’.
Direi che sfuggente riassuma bene il suo comportamento.
L’ho lasciata andare senza dirle una parola.
Ho guardato Jasper negli occhi per un lungo momento, dai suoi pensieri solo le immagini della corsa in moto.
E dopo un’ora una stranezza ancora maggiore. Ho sentito chiaramente Bella raggiungere Alice in camera sua e chiederle di andare a fare shopping in centro.
Bella, l’avversione più ostinata per le tendenze modaiole, invitare Alice, la più invasata delle modaiole, a fare shopping insieme.
Assurdo.
Ma la cosa più assurda è che sono state di ritorno dopo meno di due ore, neanche il tempo per entrare ed uscire da una boutique, secondo gli standard di mia sorella.
Mi concentro ancora sulla mente di Alice al piano superiore.
College, economia, strategie industriali … Nulla di meno interessante. E’ evidente che mi vuole tenere fuori da qualcosa, come Jasper. Qualcosa che include Bella. E che automaticamente include anche me.
Una strana agitazione mi pervade le membra. La sensazione di inafferrabile, bilico, inconsistente mi incatena i pensieri. Non riesco ad essere lucido, non riesco a non pensare che Bella mi voglia tenere all’oscuro di qualcosa, che i suoi occhi sfuggivano ai miei, che il suo modo di fare era … come definirlo … colpevole?
Già colpevole.
Sprofondo ancora di più le mani nelle tasche dei pantaloni. Le stringo e poi le rilascio. Devo darmi una calmata … devo darci un taglio.
Mi riscuoto con una scrollata di spalle.
Ho bisogno di rinfrescarmi le idee.

Due ore prima …

ALICE
«Entra» le dico senza attendere che bussi alla porta.
Bella apre l’anta e si infila piano in camera. Mi viene da sorridere. Cerca di muoversi silenziosamente, ma anche da ferma noi possiamo capire in che stanza della casa si trovi.
Sono indaffarata a riempire delle buste di abiti dismessi. Bhè in realtà sono praticamente nuovi di zecca, ma li abbiamo già indossati una volta, quindi sono da portare in beneficenza.
Tre enormi buste sono disposte a terra. Una quantità impressionante di abiti  è piegata con precisione sul mio letto. Abiti maschili, femminili e scarpe, ogni paio  riposto con cura in sacchetti singoli.
Feeding, Thoroughbred Charities … divido gli abiti in base all’associazione a cui sono destinati.
«Problemi con gli esercizi di statistica?» le chiedo senza guardarla, ma lanciando un’occhiata alle due buste già piene vicino alla porta. Miss Holy, la curatrice timorata di Dio che si occupa della raccolta abiti per il nostro paese, sarà entusiasta.
«Più o meno …» risponde lei con voce insicura.
La guardo di sfuggita. «Tranquilla, ho quasi finito»
In realtà questa operazione mi richiede sempre un mucchio di tempo. Ci tengo che tutto sia in ordine, perfettamente diviso e piegato.
«Si … bhè … volevo … un consiglio da te.» dice d’un fiato.
Mi concentro un attimo, ma Bella è troppo indecisa, e non vedo l’immediato futuro.
Le lancio una rapidissima occhiata, ma registro ogni particolare.
E’ nervosa, si agita dondolando da un piede all’altro e si stropiccia le mani. Fingo noncuranza e le dico: «Certo, tutto quello che vuoi, sono a tua completa disposizione.»
Tentenna ancora più in imbarazzo. Prende un gran respiro e, invece di parlare, si blocca. Sul volto le si disegna un sorriso via via più accentuato.
«Prima volevo chiederti … la vedi ancora la mia trasformazione?» mi domanda con un filo di voce.
La guardo con calma, mi concentro: «Sì, perché?» le chiedo interrogativa.
Scuote la testa una volta, il sorriso le si allarga sul viso, e poi dice allegra «Alice, vorresti accompagnarmi a fare shopping?!»

Due ore e mezza dopo …

BELLA
«Cavolo!» sbotto chiudendo con forza l’ultimo cassetto del comò.
Questa volta me la paga.
Alla faccia della sorella disponibile, angelica e insostituibile.
Questo è davvero un tiro sporco.
Mi raddrizzo e metto le mani sui fianchi. Non posso credere che Alice mi abbia mentito su una cosa così importante. E se Edward lo venisse a sapere… non mi và che si turbi.
«Cerchi qualcosa?» la sua voce è tagliente, proprio alle mie spalle.
Sobbalzo e il cuore mi arriva in gola.
Mi giro con una mano sul petto a fermare questo cuore che sembra voler prendere il volo.
Con le mani in tasca, la posa rigida, lo sguardo affilato, Edward è in piedi di fronte a me.
«S … sì. Ehm … il cd che hai inciso con le mie canzoni.» gli dico dopo un attimo di smarrimento. Non è poi una bugia, solo una mezza verità, perché, se è vero che mi serve, in realtà so perfettamente dove è conservato.
Mi guarda assorto, mi … studia.
Porca miseria, ma perché mi sento come se stessi rubando la marmellata?
Semplice, perché gli stai mentendo Bella. Perché hai paura che possa rimproverarti, perché hai il terrore di deluderlo. Mi risponde una fastidiosa vocina interna.
Fatti gli affari tuoi, vocina del cazzo, a tempo debito gli dirò la verità.
La metto a tacere e faccio un impercettibile passo indietro.
Impegnata nel botta e risposta con la mia coscienza colgo solo l’ultima parte della sua frase: «… cassetto.»
Scuoto la testa e gli guardo le labbra.
Calmati Bella, mantieni il sangue freddo. E sii rilassata, non stai facendo niente di male.
«Primo cassetto … » comincia a dire avvicinandosi lentamente a me, mentre automaticamente io indietreggio. Mi sovrasta in un attimo, e si inclina su di me costringendomi ad inarcare la schiena sul comò «… dietro di te» e con il viso ad una spanna dal mio, apre un po’ il cassetto dietro al mio sedere.
Si raddrizza immediatamente, ma non si allontana. Ipnotizzata dai suoi occhi, ubriaca della sua vicinanza, trattengo il respiro.
Cazzo Bella, è tuo marito. Lo vuoi? Saltagli addosso…
Deglutisco: «Gr … grazie» gli dico con un filo di voce.
Resto immobile, mentre i nostri respiri si intrecciano. Vedo perfettamente la perfezione del suo viso, reso duro dalla mascella rigida.
Non c’è calore nei suoi occhi, ma gelo e … rabbia?
La tensione che si è creata tra di noi è palpabile. Vedo i suoi occhi ridursi a due fessure, il suo respiro mi pare leggermente più affannoso.
Inclina il capo verso il mio orecchio e bisbiglia roco e sensuale: «Scusami, vado a fare la doccia»
E detto ciò scompare in un lampo nel bagno della nostra camera.
Chiudo un attimo gli occhi, per riabituarli alla normalità dopo che sono stati abbagliati dalla sua bellezza, afferro a tentoni il cd e mi avvio verso la porta diretta al piano inferiore.
Mi blocco, la mano già sulla maniglia, quando sento il rumore dell’acqua scorrere.
Sei fregata … la mia vocina interiore si fa sentire in tutto il suo fragore.

- Right Said Fred - I'm Too Sexy 

Ok, è ufficiale.
Prendete pure accordi per il mio funerale.
Dalla porta socchiusa del bagno vedo fuoriuscire una nuvoletta di vapore e la mia testa prende il direttissimo sola-andata per la terra di nessuno.
Come mosse da vita propria le mie gambe si spostano verso la porta del bagno.
Allungo il collo e cerco di sbirciare all’interno.
Attraverso il vapore riesco a scorgere Edward di spalle.
Nudo.
Tutto nudo.
Mi ritraggo come se avessi preso la scossa, il cuore al galoppo.
Ma che cavolo sto facendo?!!
Mi sento una guardona, ma non riesco a trattenermi dal dare un’altra occhiata. Sta entrando nella cabina doccia, e non posso non ammirare la linea forte e decisa delle spalle, la curva flessuosa della schiena, la rotondità e la perfezione del suo sedere.
E che sedere …
Mi soffermo su questa parte del suo corpo. E’ bello da togliere il fiato, liscio marmoreo. Sosto ancora un po’ sulla porta anche dopo che è entrato nella doccia. Credo mi ci voglia qualche secondo per essere sicura di potermi reggere in piedi.
«Se vuoi puoi unirti a me» la sua voce è divertita.
Schizzo lontano dalla porta arretrando senza girarmi e manco a dirlo finisco a gambe all’aria inciampando nel tappeto a fondo letto.
Che. Figura. Di. Merda.
Bella, ma quanto pensi gli sarebbe occorso per capire che lo stavi spiando?
La sua risata dall’interno del bagno raggiunge le mie orecchie, mentre il calore invade il mio volto in tonalità rosso-gambero.
Più goffa e impacciata del solito, cerco in vano di rialzarmi e di filare via come un razzo, prima che esca. Ovviamente lui mi ha già raggiunta e mi osserva sornione dall’alto, sul viso un sorriso beffardo. Mi aggiusto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e cerco di darmi un contegno.
Fino a quando non alzo lo sguardo e non registro la situazione: io seduta a terra, lui in piedi di fronte a me a gambe leggermente divaricate con indosso solo un microscopico asciugamano bianco.
Con un altro asciugamano più grande si friziona i capelli.
Minuscole goccioline d’acqua raggiungono il mio viso, altre scendono sul suo fino a bagnargli il collo e le spalle.
Bella, calma …
Lo sguardo calamitato sul rettangolino bianco a portata di mano e di … bhè … viso, non mi rendo neanche conto di aver passato la lingua tra le labbra e di aver deglutito automaticamente.
Adesso mi viene un infarto.
Si accovaccia vicino a me e il suo viso è all’altezza del mio. Sbatto le palpebre un paio di volte e focalizzo i suoi occhi.
Neri.
«Tutto ok?» quando usa quel tono di voce sarei capace di uccidere.
Basso, roco, melodioso.
Faccio su e giù con il capo. Annuire è l’unico gesto che posso permettermi in questo momento.
Scorgo con la coda dell’occhio un’ampia porzione del suo fianco scoperta, lasciata libera dall’asciugamano che si è aperto a ventaglio pur rimanendo ancora avvolto intorno al suo bacino.
E no … non è possibile …
Non riesco a non pensare a quello che quei pochi centimetri di spugna coprono a malapena.
Roteo gli occhi verso l’alto e li chiudo. Quel che è troppo è troppo.
Dio ti prego, abbi pietà di me …
Riapro gli occhi e …
Lui non è più vicino a me, ma in piedi di fronte all’armadio aperto, mentre sceglie distrattamente gli abiti da indossare.
Con tono noncurante, freddo mi chiede: «Tutto a posto al college?»
Mi ci vuole un attimo per riprendermi dalla sorpresa. Lo osservo con la bocca spalancata mente prende un paio di jeans sbiaditi ed una maglietta bianca e li poggia su una sedia.
L’incanto del momento precedente sembra svanito nel nulla, forse è ritornato da dove è venuto, dalla mia immaginazione.
Mi alzo un po’ impacciata, cerco di non barcollare.
La sua indifferenza mi ferisce, mi tocca più di una sua sfuriata.
«Sì» gli rispondo con una freddezza pari alla sua.
Si volta verso di me, negli occhi un lampo di … dolore?
«Bene. Le tue aspettative non sono state disattese, dunque …» dice con un sorriso tirato.
Mi sento una rincoglionita. Ma che vuol dire?
Apre il cassetto con i suoi indumenti intimi. Prende uno slip e un paio di calzini. Lo guardo inebetita e capisco solo ora perché.
Si muove a velocità umana, anzi ancora più lentamente se possibile.
Mi sta provocando. Deliberatamente.
«E la passeggiata con Alice, interessante?» ora è passato a scegliere la cintura.
«Molto» gli rispondo ed il mio tono è cambiato.
Mi libero con un calcio delle ballerine e comincio a sbottonarmi la camicetta.
Se vuoi la guerra Edward Cullen …
Mi volta ancora le spalle, ma si è irrigidito. Noto i muscoli tesi delle spalle e del collo.
Sorrido appena e mi volto anche io, mentre lascio cadere la camicetta sul pavimento.
«Scusami, vado a fare una doccia» e con una lentezza esasperante mi avvio verso il bagno facendo scattare tutti i bottoni dei jeans insieme. Quasi nei pressi della porta, sempre di spalle a lui, li abbasso di scatto, inchinandomi a gambe tese. Gli mostro, così, il fondoschiena in tutta la sua interezza e, forse, anche qualcosa di più. Arrossisco della mia stessa audacia, ma in guerra e in amore tutto è lecito …
Mi rintano in bagno, e chiudo la porta.
Chiudo la porta a lui.
Ho appena il tempo di liberarmi del reggiseno che la porta si spalanca.
Sebbene me l’aspettassi, non sono preparata al suo sguardo, al suo impeto.
Sembra fuori di sé, si trattiene a malapena.
Poche volte l’ho visto così. Il suo sorriso è sinistro, è quasi un ghigno. I pugni chiusi lungo i fianchi, è decisamente al limite.
Rimane sulla porta, i suoi occhi fissi su di me mi percorrono tutta, centimetro per centimetro, fino a posarsi sul seno.
Un brivido mi trapassa la schiena. Indietreggio inconsapevolmente.
Lo desidero. Lo voglio con una tale violenza da spaventare me stessa, da provare un dolore fisico.
Il respiro mi si blocca in gola, ci fissiamo , entrambi immobili.
Restiamo così, forse un minuto, forse due. Lui fermo sulla porta, in lotta con se stesso. Io dal lato opposto al suo, quasi incollata alla parete su cui è addossata la doccia.
Tutta la spavalderia che mi aveva animata fino a qualche minuto prima, mi sta ora abbandonando.
Sono quasi del tutto nuda dinnanzi a mio marito, lo desidero da morire, e non riesco a fare un passo.
Ma che mi prende?
Ripercorro in un baleno le nostre ultime “volte”: coinvolgimento, tenerezza, dolcezza, passione …
Arrossisco e abbasso gli occhi ripensando al mio comportamento in quelle occasioni.
Ero diventata … propositiva.
Esitante, incerta, Edward mi aveva guidato con dolcezza e pazienza verso vette sconosciute e misteriose di piacere. Mai con invadenza o prepotenza, il suo desiderio si era modellato al mio, ai miei tempi, come fosse morbida creta. Ed io ne avevo approfittato.
Oh se ne avevo approfittato!
Ovunque e in ogni momento. Bastava un mio sguardo languido, sognante e lui comprendeva al volo.
Era come se aspettasse un mio cenno per liberare il suo desiderio.
Ma ero sempre stata io, inconsapevolmente, senza alcuna malizia a cercarlo. E lui non mi aveva mai, mai dato il minimo tempo di attesa, un cenno di tentennamento.
Mai.
Adesso, invece è … diverso.
Mi sta provocando.
Dal primo istante che a messo piede in camera. Non l’aveva mai fatto prima.
Ed è arrabbiato.
Molto.
Mi sento all’improvviso a disagio. E’ come se volesse mettermi alla prova, come se volesse dimostrare qualcosa.
Ed io ho raccolto in pieno. E l’ho sfidato.
O forse, volevo sfidare me stessa. Dimostrare che potevo averlo con un atto della mia volontà, che sarei riuscita a farlo cedere.
Ora, però … non mi sento più tanto sicura.
Incrocio le braccia sul petto, cerco di nascondermi.
Il suo sguardo saetta al mio movimento: dal seno passa agli occhi.
In un attimo mi è accanto, il suo naso ad un palmo dal mio orecchio.
Sussulto involontariamente.
«Sei nervosa, Isabella?» Mormora sensualmente al mio orecchio con una voce strana, bassa e melodiosa, suadente e carezzevole.
Una voce da vampiro.
Faccio un altro passo indietro. Il freddo delle piastrelle mi sfiora la schiena nuda. Salto di nuovo.
«Io … Edward non … non voglio più giocare» sussurro talmente flebile che non riesco nemmeno a sentirmi.
«Ma io non sto giocando … tu sì?» mi prende il polso con uno scatto e lo avvicina al suo viso. Lo annusa. Poi, con una delicatezza infinita, le sue labbra lo baciano.
Sospiro. L’altro braccio, quello che era rimasto stretto al petto, scivola lento verso il basso. Mi appoggio alla parete dietro di me, ignorando il fatto che sia fredda, ma l’alternativa e lasciarmi scivolare sul pavimento.
Sento le sue labbra percorrere il lato interno del braccio e salire con una lentezza esasperante fino alla spalla e da lì al collo.
«Oh Edward …» Apro gli occhi e vedo l’incavo del suo collo.
Non resisto e poggio le mie labbra lì. Lo bacio lentamente, ne assaporo la freddezza della pelle con la punta della lingua.
Sento un ringhio basso e soffocato.
E’ come un segnale. Le mie mani prendono vita propria e le dita si immergono nei suoi capelli, accarezzandogli la base della nuca.
E lui, come se aspettasse questo, prende fuoco.
I suoi gesti sono febbrili, nervosi. Si muove a scatti, segno che è agitato, che il suo controllo è al limite.
Mi alza per il bacino ed io gli allaccio le gambe intorno ai fianchi. Sento la sua eccitazione a contatto con la mia e mi sfugge un mormorio di piacere. A lui sfugge un ringhio soffocato e mi spinge sulla parete dietro di me, facendomi sbattere la schiena. Una fitta di dolore mi prende alla base della colonna vertebrale. Il mio gemito viene soffocato dalle sue labbra che fameliche si incollano alle mie.
Urgenza, brama, desiderio incontrollabile, voracità, dolore.
Questo c’è fra noi due, un bisogno irrefrenabile di soddisfare l’istinto, i nostri corpi che necessitano di fondersi. E’ come se domani ci attendesse la fine del mondo, come se fosse l’ultima volta che facciamo l’amore.
Schiacciata tra il gelo del suo corpo e il freddo delle piastrelle dietro di me, mi sembra di ardere.
Mi dimeno come un’ossessa, lo stringo, lo mordo, lo graffio. Ad ogni suo gemito impiego più forza, più impeto.
Lo sento ridere dei miei tentativi di procurargli dolore e affondo i miei denti nella sua spalla con più forza.
Mi accorgo da una fitta di dolore all’inguine che mi ha ridotto lo slip a brandelli e mi si blocca il fiato quando mi penetra senza preavviso, senza delicatezza come, invece, ha sempre fatto.
La rabbia, la furia, il dolore si impossessano dei nostri corpi e delle nostre menti.
Consumiamo il nostro amplesso così, in bagno, contro una parete di fianco alla doccia, in pochi, eccitanti, interminabili, minuti.
Rapide, possenti spinte mi bloccano alla parete. Il mio corpo amalgama il dolore ed il piacere. I miei gemiti lo incitano a non fermarsi e a non fermarmi.
I nostri respiri affannati si confondono, il mio cuore impazzito sembra essere diventato troppo grande per restare nel mio petto.
Quando, dopo un tempo indefinito, Edward si immobilizza contro di me mi aggrappo alle sue spalle e lascio ciondolare il capo su di lui. Non riesco a muovere nemmeno un dito, a pronunciare neanche una parola.
Non è mai stato così … travolgente tra noi.
Immersa in uno stato di beatitudine e stremata fino all’inverosimile, protesto debolmente quando Edward esce dal mio corpo.
Mi tiene ancora stretta a sé, ma permette che poggi i piedi nudi sul pavimento. Le gambe sono intorpidite, doloranti.
Gli cingo il collo e appoggio la testa sul suo petto.
Sospiro di soddisfazione, gli occhi chiusi a godermi il momento.
«Bella, ti prego … dimmi … che nessuno ti ha fatto del male, dimmi … la verità.» la sua voce è ancora roca, ma ora sembra anche … tormentata.
Sbatto le palpebre stupefatta e mi immobilizzo. Le sue braccia sono tese,   rigide. Una è appoggiata al lato del mio capo. L’altra mi cinge il fianco. La fronte è appoggiata alla parete dietro di me. Non mi guarda in viso.
«Ma … no. Edward nessuno mi ha fatto del male.» cerco di spostarlo per trovare il suo volto. Inutile.
«Non mentire»
«Non ti sto mentendo» non su questo almeno, dovrei aggiungere. Ripenso alla piccola disavventura con Vik, ma per fortuna è andato tutto bene. Che senso avrebbe dirglielo adesso …
Un sospiro «Ti ho chiesto di non mentire.» la sua voce si è fatta tagliente.
«E io ti ho detto che non l’ho fatto» il mio tono è secco adesso.
«E questo allora?» mi prende il polso e lo tira verso di sè, distendendo il mio braccio in mezzo a noi.
Guardo in basso. Sono disorientata, non noto nulla di strano, nessun taglio, niente sangue, nemmeno un graffietto. Solo … una lievissima ombra appena una tonalità più intensa di rosa, forse un po’ violetto.
Arrossisco fino alla radice dei capelli quando mi ricordo dello strattone di Vik.
Dovevo sapere che non sarebbe sfuggito ai suoi occhi.
Deglutisco. Devo stare attenta, ma non sono ancora abbastanza lucida.
«Ehm … sì … stavo inciampando e … Alice mi ha sorretta … e, poi, …» le parole mi muoiono sulle labbra quando incrocio i suoi occhi.
«NON MENTIRMI!!!» tuona con rabbia a malapena contenuta.
Comincio a tremare e non me ne rendo nemmeno conto «Edw …»
«Dimmi chi è stato …» dice a voce bassa.
«N … nessuno» trovo appena la forza di sussurrare.
«Voglio il suo nome …»insiste e gli vedo negli occhi una scintilla di follia.
Ci misuriamo con lo sguardo. Ho paura, ma lo sostengo con determinazione.
Dio solo sa cosa potrebbe fare a quel ragazzo se sapesse chi è …
La sua mascella si irrigidisce impercettibilmente. Sul viso spunta un sorriso glaciale.
E’ furioso.
Mi raggomitolo senza accorgermene vicino alla parete e al rumore che sento stringo forte gli occhi, tremante. Alzo le braccia a proteggermi il capo in un gesto automatico.
Tante piccole pietrine mi sfiorano le spalle, le braccia, le gambe.
Resto immobile, con le braccia sulla testa.
Silenzio.
Apro lentamente gli occhi e lui non c’è più.
Guardo al mio fianco il vuoto lasciato dal vetro della doccia ormai ridotto in frantumi. Gli occhi scendono in basso dove il pavimento è ricoperto da una miriade di frammenti brillanti.
Non so quanto tempo sono rimasta ferma. Avrei voluto muovermi, ma nessun muscolo risponde ai comandi.
Scivolo piano lungo la parete alle mie spalle e mi accascio a terra, le ginocchia al petto.
Calmati Bella, calmati …
Mi rendo conto che è trascorso del tempo perché comincio ad avere freddo.
Tremante, indolenzita ed intorpidita mi alzo reggendomi alla parete.
Come passo adesso?
Dopo un attimo di esitazione mi allungo a prendere l’accappatoio e lo distendo alla bell’e meglio per terra. Ci cammino sopra con cautela, il passo malfermo e spicco un piccolo saltello per raggiungere la camera da letto.
Devo stendermi, la testa mi sembra vuota, il silenzio intorno a me fa troppo rumore.
Percorro con lo sguardo l’intera stanza.
E’ vuota, lui non  c’è.
Rabbrividisco. Ora ho freddo davvero.
Un lieve scintillio sul copriletto color nocciola cattura la mia attenzione.
Mi avvicino piano al nostro letto e lascio scorrere lo sguardo.
Sul mio cuscino un bagliore. Mi allungo e mi immobilizzo all’istante.
Con dita tremanti e con le lacrime agli occhi afferro il minuscolo oggetto che Edward ha lasciato lì per me.
La mia fede. La fede che Alice mi aveva detto di aver ritrovato e di aver riposto con cura nel cassetto.

NOTA DELL’AUTRICE: Bene bene … ho pensato …ma sì, adesso a Bella le faccio venire davvero un infarto e finisco qui la ff!
Ovviamente sto scherzando.
Il cappy mi è venuto un po’ lunghetto, lo so … Spero che non vi abbia annoiato, spero di non aver divagato troppo. Non è semplice, sapete, non perdere il filo del discorso quando si comincia.
Coooomunque. Fatemi sapere. Ci tengo a migliorarmi, ad offrirvi una storia piacevole e coinvolgente, ma anche con un minimo di trama, non solo E/B, B/E, e poi E, E, E ….
In ogni capitolo vi ho dato qualche piccola informazione, vi ripeto, niente è scritto a caso. Se avete dubbi , chiedete. Presto ogni inghippo si scioglierà.

keska: Meu corazon, tu sei troppo modesta, una qualità che ammiro molto, ma che non ti rende giustizia!!! Comunque grazie. Quando mi immergo in una storia sono talmente presa che mi domando spesso se è tutto chiaro, se riesco a rendere bene le emozioni come vorrei. E’ per questo che chiedo spesso una conferma. La trama è un po’ complessa, ma cerco di renderla quanto più possibile lineare, come già ti ho detto, non mi sento una “scrittrice” e non voglio strafare. Ti bacio tesoro.
Shahrazad: Siiii, anche io adoro l’Edward morboso. Dopotutto i vampiri hanno tutti i sensi e le emozioni amplificate no? Un abbraccio e grazie per i complimenti.
arual93: Bhèèè, non stuzzicarmi, non posso spoilerare troppo. Diciamo che si, sarà messa in dubbio la vampirizzazione, ma non propriamente come pensi tu. Non per mancanza di convinzione, ecco. Grazie, sei carinissima a seguirmi e a commentare sempre. Mi gratifichi tanto. Bacioni
stellalilly: E’ giusto no? Jazz è suo fratello, in più ha il suo dono che in questo frangente, con Bella così turbata, confusa ed emotivamente instabile può essere estremamente utile. Alla prossima, Kiss
rodney: Grazie Simo, sei davvero gentile a spendere una parola di bentornato al mio computer, pooeretto!! Credo che questo cappy ti sia piaciuto o sbaglio?!!! Fanciulla, tieniti forte, perché sono in serbo parecchie sorpresine …! GARANTITO.

Grazie, grazie e ancora grazie
Baci a tutti voi
M.Luisa

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Capitolo 8
*** CAP.8 ***


CAP.8

EDWARD - Yiruma - Mika's Song


Mi ha mentito.
Le ho chiesto di non farlo e lei l’ha fatto.
L’ho pregata di dirmi la verità e lei ha preferito la menzogna.
A me, un vampiro. Il bugiardo per antonomasia.
Cambio marcia con rapidità. Guardo la strada che si stende di fronte a me senza vederla realmente. Spingo l’auto ad una velocità folle. Il motore è su di giri almeno quanto lo sono io. La musica diffonde nell’abitacolo con discrezione e lascio che le note mi invadano la mente.
Il cd che ho messo su è un ricordo.
Di un tempo non troppo lontano, una parentesi breve e serena della mia vita. Di uno dei pochi umani con cui ho avuto un rapporto d’amicizia. L’immagine di un giovane viso serio e riservato mi passa davanti agli occhi, le note incise su questo disco sono le sue. La gentilezza di Yiruma è forse pari alla sua bravura. Mi ha spedito questo cd qualche giorno fa. Lo ha accompagnato con poche righe scritte di suo pugno e un saluto da parte di sua moglie, una ragazza dolce e sensibile quanto lui.
Come se non potessi procurarmi un suo album in un qualsiasi negozio di musica, come se non fosse un musicista di fama internazionale, ma un semplice amico di conservatorio.  Ci siamo conosciuti a Londra, alla Purcell of Specialist Music School, la prima vera scuola di musica per lui, uno dei tanti conservatori per me.
Non ci siamo mai detti tanto, lui era più silenzioso di me. Il pianoforte parlava per noi.
Io ero bravo, un perfetto esecutore.
Lui era superbo. Dalle sue dita si librava la magia, il sogno, l’emozione.
Mi sono sempre chiesto perché. Cosa facesse di lui un genio. Le note erano le stesse, gli spartiti erano uguali. Poi, ha cominciato a comporre e a dare un nome alle sue musiche. Le sue note raccontavano una storia, descrivevano luoghi e persone, parlavano d’amore con amore.
Yiruma era innamorato.
Ecco cosa lo ispirava.
Un sentimento potente, che infonde forza, che tira fuori il meglio delle persone.
O il peggio.
Come l’amore che provo io per Bella. E’ la mia forza, la mia ispirazione, il mio coraggio, la mia determinazione.
E’ la mia luce.
Ma è anche il mio tormento, la mia dannazione, la mia ossessione.
Il mio buio.
Può coesistere in un animo solo un contrasto così profondo, così dilaniante?
Desiderarla, proteggerla, difenderla. Questo era per me amare Bella.
Ma, poi, l’ho avuta. E in me è cambiato qualcosa.
Ho cominciato a considerarla MIA. La sua fragilità, la sua delicatezza, la sua timidezza hanno assunto ai miei occhi un significato nuovo. Potevo ferirla con una facilità estrema.
Nel corpo, nell’anima.
E l’ho fatto. L’ho ferita. Forse inconsapevolmente, forse no. Ma l’ho fatto e questo ci ha segnato.
Entrambi.
In lei è scattato un senso patologico di dipendenza, in me l’ossessione di proteggerla, un istinto di possessione maniacale. E ciò, unito alla mia natura si traduce in un cocktail micidiale. Per lei, per me, per la mia famiglia.
Non sono cieco. Lo vedo benissimo cosa succede. L’ho visto chiaramente poche ore fa.
Ero irritato.
La faccenda del nome al college, la preoccupazione di saperla sola, la sua fede trovata per caso in un cassetto e quell’aria colpevole di ritorno con Jasper avevano avuto tutto il tempo di logorarmi l’animo. Ho cominciato a provocarla.
D’istinto, senza una ragione precisa.
E lei ha risposto, stupendomi. Non l’ho mai vista così … intraprendente.
Ed io non mi sono mai sentito più eccitato.
Poi … quel livido sulla sua pelle chiara.
Mille domande mi sono piombate addosso come macigni e alla velocità della luce ho visto tutte le possibili eventualità: le hanno fatto del male, come, chi? E se le circostanze non fossero state cruente, ma solo impetuose? Questo mi ha fatto perdere la ragione del tutto.
Non ho mai preso Bella con meno … delicatezza di stasera.
La mia Bella. La mia dolce, fragile, adorata Bella. Contro un muro. Senza alcuna tenerezza, senza controllo. Con rabbia, invece. Con dolore, con violenza.
Avrei potuto ucciderla.
Se non avessi colpito la doccia.
Avrei potuto ucciderla davvero.
Chiudo gli occhi per un attimo. Mentre la musica di Yiruma non può non denudarmi l’animo, rivedo il suo corpo morbido e liscio rannicchiato al muro, ancora caldo dei miei baci voraci, gonfio delle mie carezze vogliose.
Tremava.
Nei suoi occhi c’era la paura di me.
La furia mi ha invaso proprio per questo. Perché c’è mancato poco che non arrivassi a perdere il rispetto di me stesso.
Che diritto ho io di incutere timore nella donna che amo sopra ogni cosa, che è la mia vita, il mio scopo, il mio sole?
Non c’è nulla, nulla mai, che possa fare per spingermi a reazioni come quella. Non deve esserci.
Un cuore innamorato, geloso, possessivo, non è una giustificazione valida.
Bella è legata a me, è vero, ma è una persona libera. Libera di avere altri interessi, dei segreti, di presentarsi con il nome che preferisce, di sfilarsi la fede e riporla nel cassetto se non vuole indossarla, anche di mentirmi se lo desidera.
Anche di andarsene se lo vuole.
Ecco cosa vuol dire amarla.
Significa rispettarla, non possederla.
Significa baciarla, non violarla.
Significa ammirarla, non bramarla.
Passo una mano nervosamente tra i capelli.
Ne sarò capace? Inutile mentire anche con me stesso. Pensarla lontano da me mi fa così male, da non potermi soffermare troppo. E’ un dolore così profondo da sembrare senza requie, senza fine.
E’ questo il mio tormento.
Perderla.
Il desiderio di vederla comincia a diventare insopportabile, una necessità primaria.
Inverto la direzione dell’auto e premo il pedale dell’accelerazione a fondo.
Devo parlarle, assicurarmi che stia bene.
Dio, l’ho lasciata sola in bagno. Nuda e spaventata.
Guido per un po’, solo con le note di Yiruma nella mia testa.
Non resisto. Devo almeno sentire la sua voce.
Afferro il cellulare e compongo il suo numero.
“Il cliente da lei desiderato non è al m…”
Riattacco e digito il numero di Alice.
Risponde dopo due squilli. Strano.
«Come stà?» chiedo, nessun saluto. Alice sa.
«Edw … » comincia ma la interrompo.
«Alice …» sospiro. Devo essere calmo « Dimmi che sta bene.» sussurro con la voce strozzata, un po’ tremante.
Silenzio.
«Ora sta dormendo» dice in fine «L’hai spaventata a morte»
Chiudo gli occhi e ci passo una mano sopra.
«Lo so» dico atono.
«Dove sei? E’ meglio che … ritorni. Si sta per svegliare.» nella sua voce sento una nota allarmata. Socchiudo gli occhi.
«Alice» dico solo. E’ un invito a continuare.
Un sospiro. Poi «Carlisle l’ha visitata. Le voleva dare un sedativo per farla riposare, ma ha rifiutato. Ha detto che sono porcherie e che non vuole …»
«… abituarsi » finisco io al suo posto. Stringo forte il volante tra le dita.
«E non ha voluto che Jazz …» non finisce la frase.
«Si è addormentata piangendo.» la mia non è una domanda. Dall’altro capo solo un eloquente silenzio.
Interrompo la comunicazione e getto il cellulare sul sedile del passeggero.

BELLA - Sara Bareilles – Gravity

Apro gli occhi con difficoltà.
Il mio sonno è stato agitato, non un riposo, ma una sorta di oblio.
Mi guardo intorno. Non sono nella mia camera. Focalizzo la scrivania d’epoca sulla quale studio.
E’ la camera di Alice.
Sono sola.
Mi raddrizzo seduta in mezzo al letto. Alzo un braccio e lo guardo. Alice deve avermi infilato un pigiama mentre dormivo. E’ lilla, morbido e caldo. Roteo la testa sul collo. Sono rigida e tesa, indolenzita dappertutto. Raramente mi sono svegliata in questo stato.
Volto la testa a destra, verso la finestra. Cerco di capire se è ancora buio oppure no.
Una fitta di dolore mi prende dietro la schiena e si irradia nel braccio.
Arriccio il naso e un occhio.
Riprovo con maggiore cautela. Mi pare che possa andare. E’ come se fossi passata sotto un rullo compressore.
E’ giorno.
Ma dov’è Edward? Automaticamente lo cerco con gli occhi.
Ho la testa confusa, mi sembra un macigno. E sento gli occhi pesanti, gonfi.
Deglutisco senza riuscirci. La mia bocca è secca, le mie labbra sono screpolate.
Mi allungo a prendere uno dei due bicchieri pieni d’acqua che vedo sul comodino al mio fianco.
Due … perché?
Non finisco nemmeno di dirlo che quello scivola tra le mie dita e cade con un tonfo sordo sul tappeto.
Alice.
Deve aver visto la mia distrazione.
Mi sistemo meglio nel letto. Eppure è strano, avrei detto per certo che Edward fosse stato vicino a me, che mi avesse tenuto tra le sue braccia stanotte.
L’ho sognato?
Probabile, lo sogno sempre. Lancio uno sguardo al cuscino al mio fianco. E’ liscio, nemmeno una grinza.
Scuoto un po’ il capo. No, non è stato qui.
Certi sogni non dovrebbero essere così vividi. Dovrebbero vietarlo. Perché al risveglio non è facile sopportare il peso della delusione.
Scopro le coperte e metto giù i piedi. Cerco di alzarmi, ma … Ahi! Vengo meno su un piede che di riflesso piego sotto di me, mantenendomi la caviglia con una mano.
Ma cosa … cos’è questo?
Una benda mi avvolge il piede. Lo muovo con circospezione. Non mi fa male, non è gonfio … lo riappoggio a terra con delicatezza. Ecco, è la pianta che mi punzecchia un po’.
Logico … tutta la mia attenzione ieri non è servita granchè dopotutto.
Cercando di non pesarci troppo su mi alzo lentamente e vado in bagno.
Sorvolo sulla mia immagine allo specchio. Non voglio deprimermi di primo mattino.
E, poi, mi sento già abbastanza a terra con il morale. Non vedere Edward mi fa male, un male fisico. Ma ora il dolore è doppio, perché non so come sta, e perché so che la colpa è mia.
Ieri ho sbagliato tutto.
L’ho provocato, l’ho sfidato, gli sto mentendo.
Forse non sto procedendo nel verso giusto, forse dovrei chiedermi sul serio se è il caso di continuare così.
Non ha senso.
Jensen ha ragione. Un semestre di college a cosa serve? Ho raccolto questa sfida che Edward mi ha lanciato, frequentare un semestre a Dartmouth prima di essere trasformata,  con la convinzione che nulla avrebbe intaccato le mie decisioni.
E, poi, Jasper che mette in dubbio la mia vampirizzazione. Quando mi ha posto quella domanda non ho risposto. Non perché non sapessi cosa dirgli, ma perché mi sono chiesta cosa lo ha spinto a formularla.
Cosa si vede di me all’esterno?
Domanda interessante, ma non pertinente. Non mi è mai importato molto, in realtà. Ma forse solo perché era limitato il mio interesse negli altri.
Cosa vede Edward di me?
Domanda ancora più interessante e sicuramente appropriata. Perché  a me  interessa di lui.
E la risposta è probabilmente che vede tutto ciò che non voglio che si veda. Questo in fondo mi inchioda al muro.
L’aspettativa.
Ho il timore segreto di quello che ci si aspetta da me e con lui mi sento profondamente … incapace.
Ma adesso, la domanda è … Bella, cosa vuoi davvero? Vuoi ancora essere trasformata?
La risposta è sì. Anche Alice l’ha visto.
E allora cosa mi turba?
Perché non riesco a frequentare l’università per questi altri pochi mesi e farla finita con tutte queste paranoie, con questi sotterfugi? Sono davvero pronta a salutare Isabella Swan e ad accogliere Bella Cullen?
Permetto alle mie insicurezze, ai miei dubbi di assumere un’importanza che non meritano, di distrarmi in un frangente così delicato come i miei ultimi mesi da umana.
L’episodio di Vik non è stato altro che una goccia in più nel vaso che ho riempito poco alla volta. Un vaso che si trova nelle mani di Edward e che lui ha pazientemente custodito fino ad oggi. L’ho costretto a subire il mio malumore, le mie incertezze, il mio senso di inadeguatezza verso tutti, ma soprattutto verso la mia nuova famiglia.
Questo è il punto.
Loro, tutti loro, sono troppo.
Troppo veloci, troppo ricchi, troppo carismatici, troppo capaci, troppo … perfetti. Ed io al fianco di Edward mi sento troppo … poco.
Appena un po’ carina, con un’intelligenza assolutamente nella media, senza alcuna particolare dote di spicco. Non suono, non dipingo, non sono atletica. Già solo tra gli umani non sono nulla di particolare, figuriamoci in mezzo a dei vampiri, incarnazione della grazia, della bellezza canoviana e con tutta l’eternità davanti per eccellere in qualsivoglia attività.
Nel mio intimo mi auguro di lasciare la mia goffaggine in questa vita e di scoprire una nuova me stessa nell’altra, degna compagna per il mio amore.
Ma, poi, ho scoperto che il college mi piace, che io posso fare qualcosa come Isabella Swan, non come Bella Cullen, la tipa sfigata entrata in paradiso, in mezzo agli angeli,  non si sa come. Il professor Jensen vede in me un potenziale.
Io, che alla riunione mi sono sentita un pesce fuor d’acqua in mezzo ai “pilastri dell’economia”, potevo dare il mio contributo ad un centro come il Tuck’s Center for Digital Strategies.
Ma ciò avrebbe richiesto un sacrificio da parte mia? Certo. Nulla ti viene dato in dono in questi casi. E allora ho chiesto aiuto ad Alice, già laureata nel mio stesso corso. Devo porre rimedio alle mie lacune se voglio combinare qualcosa di buono. Siamo andate in un cafè degli studenti, il Tandem, un luogo meraviglioso. Tavolini rotondi, libri ovunque, dipinti di artisti emergenti alle pareti. Abbiamo parlato per due ore. Da sole. Lontano da orecchie indiscrete. Le ho fatto leggere il razionale del progetto, le ho posto un’infinità di domande. Mi ha spiegato tutto con infinita pazienza, facendomi solo intravedere la sua profonda conoscenza della materia. Ho messo a tacere la mia vocina interiore che mi spingeva ad invidiarla e ho affinato, invece, l’udito. Le sue parole erano oro.
Alla fine siamo tornate a casa e mi ha promesso che avrebbe tenuto Edward fuori dalla sua testa. Lei sa come riuscirci. L’avrebbe fatto fino a quando fosse stato necessario, fino a che non mi fossi sentita pronta a parlargli dei miei progetti.
Delle mie ultime esperienze da umana.
Progetti che devono essere esclusivamente parto della mia mente, che devono essere il risultato solo del mio operato.
Alice mi ha capita al volo, c’è una tale sintonia tra di noi … ma con Edward non sarebbe così. Il suo istinto protettivo avrebbe il sopravvento, e, anche se inconsapevolmente, io stessa rischierei di soffocare i miei esitanti  e traballanti tentativi a beneficio delle sue geniali ed azzeccatissime soluzioni.
In questa situazione ho deciso di mettermi in gioco, di rischiare di sbagliare, ma voglio farlo io.
In teoria ho già sviluppato alcune idee. Penso siano carine. Non so ancora bene come realizzarle, ma ho chiaro cosa voglio. Voglio che questo progetto parli di me, della mia vita, delle mie inclinazioni più nascoste, dei valori importanti.
Voglio che parli di noi, di me e di Edward. E’ questo che voglio lasciare alle mie spalle. Una testimonianza d’amore.
Perché niente si muove senza amore. E lui è il mio amore. Lui è me, ed io sono lui. Divisi non esistiamo.
Guardo distrattamente l’orologio sul comodino. Le otto.
LE OTTO!!!
Caz .. l’università!
Mi fiondo fuori dalla porta ignorando il dolore al piede e mi dirigo verso la mia camera. Devo lavarmi, vestirmi ... Cosa mi metto?
Persa nei miei pensieri quasi cado addosso a Rosalie, che sta uscendo dalla sua camera, adiacente alla mia, ma a tre stanze di distanza da quella di Alice.
Con una mano tesa dinnanzi a sé mi blocca prima che possa rovinarle addosso. Un gesto davvero carino … forse teme che possa infettarla con qualche virus da umana.
«Oh Rosalie, scusami …»
 … ti ho fatto male?! Penso automaticamente ma senza pronunciare altro. No, certo che non le ho fatto male.
Ti ho disgustata, ecco. Sarebbe di certo più appropriato alla sua espressione.
Le mie scuse rimangono prive di risposta.
Rosalie va via senza dir nulla.
Sto per aprire la porta della mia camera, che Alice mi precede e si intrufola in stanza prima di me.
«Vuoi entrare Alice?» le chiedo con sarcasmo.
Si è già messa all’opera e ha aperto l’armadio.
Borbotto a voce bassa e mi dirigo nel bagno. Mi blocco solo un attimo.
In che condizioni lo troverò ? La voce scampanellante alle mie spalle mi rassicura: «Vai vai, è tutto a posto.»
Mi lavo in fretta. Alice fa capolino una volta e mi chiede come va il piede. Deve scegliere le scarpe.
Le confermo che è tutto ok.
Mentre mi vesto, pantaloni a sigaretta blu e dolcevita di un tono più chiaro, Alice mi guarda perplessa.
«Che c’è?» le chiedo osservando i miei abiti. Forse ho sbagliato verso …
Mi passa due ballerine rosse di vernice in silenzio.
Rosse?!
Non ho la forza di replicare. E’ lei l’esperta. Per come mi sento giù oggi è un miracolo che non mi abbia vestita di rosso da capo a piedi.
«Bella, sei indecisa su qualcosa?» mi chiede di punto in bianco.
Ci penso su un attimo.
«No, perché?»
«Niente … niente.» si alza dal letto su cui era seduta per vigilare su di me con finta noncuranza e mi dice: «Andiamo, ti accompagno io»
Mi fermo in mezzo alla stanza.
«Ed … ward non c’è?» mi schiarisco la voce che minaccia di abbandonarmi, fingendo una apparente noncuranza.
«No» la sua risposta è secca. Poi sembra addolcirsi alla mia espressione tormentata «è andato a caccia con Carlisle.»
A caccia.
Avevo visto giusto. Ieri notte mi ha lasciata sola.
Annuisco con il capo.
Mentre scendiamo di sotto trascinandoci dietro il mio morale, le mormoro un flebile grazie per ieri.
Scuote il capo e dice sorridendo: «Prego. Ma per cosa?»
La guardo con la fronte aggrottata.
«Bhè, per avermi messo il pigiama, per avermi prestato la stanza, per…» comincio ad elencare, ma lei mi ferma: «Frena, frena. Non devi ringraziare me.»
«E chi allora?»
«Tecnicamente nessuno, perché si meriterebbe un pugno in faccia, ma è stato Edward. Non si è mosso un secondo dal tuo fianco fino a stamattina.»

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari, finalmente un cappy chiarificatore!!!
“Era ora!” Direte voi e avete ragione. Questo capitolo mi ha tolto dieci anni di vita … scriverlo in modo chiaro è stato leggermente … complicato. Poco dialogo, molta introspezione. Bhè, ad un certo punto ci si deve interrogare un pochino.
Dunque … Yiruma non ha bisogno di presentazioni.
La Purcell of Specialist Music School esiste. Yiruma si è laureato lì per la prima volta nel 1997.
Le ballerine di Bella.

tsukinoshippo: Grazie tsuki, sei veramente un tesoro. Il tuo parere sulla storia mi gratifica molto, davvero. Come tu ci tieni a lasciarlo, io ci tengo a conoscerlo. Dunque per quanto riguarda i nostri eroi, hai ragione. Basterebbe parlare, ma quando si è innamorati non sempre si fa la cosa più razionale e a volte ci si fa del male perseguendo il bene … non ti è mai capitato? Hai centrato perfettamente i due personaggi e spero che questo cappy ti abbia aiutato a fare maggior chiarezza. Per il futuro? Sorprese, sorprese, sorprese … Baci
missbyron: la storia della fede E’ UN CASINO e ne creerà ancora … Il punto è questo: noi sappiamo che Bella l’ha persa, anche Alice lo sapeva e ha deciso di aiutarla un’ultima volta. E Edward? Apre un cassetto e la trova. Non a terra, in un cassetto. Può mai credere che Bella l’abbia persa?!!! Le menzogne … adesso qualcosa è più chiaro, ma lui non può leggerle la mente, dunque …
Alla prossima
00Stella00: Cappy lunghi, commenti lunghi no?!!! Grazie Stella sei davvero carinissima a dire che la mia è una “Bella storia”. Il tuo è un “bel commento”. Semplice, diretto. Così penserai sempre alla mia storia? Che lusinghe … *_* Per gli altri personaggi è vero, io ADORO JASPER. Per l’anticipazione … vedremo. Non voglio essere cattiva con il mio silenzio, ma in questo cappy c’è un indizio importante.
Bacioni
rodney: Grazie mia cara Simo, ti stai ponendo le domande giuste e sai … il tarlo della gelosia corrode come la goccia sulla roccia: piano piano … Me felice che la scena hot sia stata di tuo gradimento, non è facile scrivere con Edward nudo *_*Baci
alicecullen_robert: Grazie e ancora grazie. Nuovi commenti = capitoli migliori. Baci
keska: No gioia, sei tu che non ti fidi di me. E se tutto il mondo ti attribuisce certe qualità significa che forse ha ragione. Grazie sempre per il tuo sostegno, in genere ci vuole un po’ di tempo, sai ci si deve affezionare ai personaggi. Ma tu sei ancora qui e questo per me è importante Li vuoi “bene “come me … Baci
sassy86: Alice e la fede sono un fraintendimento, credo che in questo cappy sia più chiaro. Ma non finisce qui … Grazie darling.
arual93: Si Honolulu credo che possa andare, le spiagge mi piacciono :))))) Alla tua domanda non posso ancora rispondere completamente, ma la vampirizzazione centra - e come se centra - fra qualche cappy!!!Baci
stellalilly: Grazie, in realtà non è che voglio scrivere capitoli lunghi, ma escono dalle mie dita senza che riesca a fermarli …. Forse qualche giorno ne scrivo uno di quattro – cinquecento pagine e magari lo pubblico!!!!!! Baci

Un’ultima cosa. Per chi volesse ho postato ieri notte una One-shot “Una sera, per caso …”. Tranquilli non ho sacrificato troppo tempo a questa ficcy …. ma è stato più forte di me!!!!
Baci a tutti
M.Luisa


 

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Capitolo 9
*** CAP.9 ***


CAP.9

BELLA
«Non immaginavo che avessi una passione per la moda …» dico sorridendo ad Helèna che fa svolazzare una pila di fogli sotto il mio naso.
Sono dei bozzetti di abbinamenti di abiti. Servono per il suo progetto. Ognuno di noi deve sviluppare una sua idea personale.
«Bhè, non è una vera e propria passione, diciamo che si tratta di una intensa attrazione. Ma non posso certo competere con te! Vesti così … alla moda, sei sempre impeccabile … » dice lei arrossendo alle sue stesse parole.
La guardo come se avesse appena pronunciato una bestemmia.
Io impeccabile.
La ragazza deve certamente soffrire di qualche rara malattia agli occhi. Non c’è altra spiegazione.
O vuole essere solo gentile.
«Io … non è come sembra …  mia … sorella è l’esperta in famiglia» balbetto queste parole quasi a volermi giustificare.
«Bella, guarda che era un complimento. Non ti devi scusare se sei ben vestita» mi dice lei ammiccando con ovvietà. «Non vuoi proprio darci un’occhiata? Avrei davvero bisogno di un consiglio da una persona con il tuo gu …» si interrompe al mio sguardo esasperato, ma poi continua imperterrita:«con il gusto di tua sorella. Magari uno di questi giorni potresti presentarmela» finisce speranzosa.
«Sì, magari uno di questi … giorni.» penso ad Alice. Sarebbe davvero felice di poter finalmente mettere sotto torchio un essere consenziente.
Un ragazzo dall’aria trasandata si avvicina frettolosamente. E’ l’ora di punta, il Tandem è stracolmo. Come sempre Helèna è riuscita ad intrufolarsi perché conosce un po’ tutti al campus, e, in più, il suo ragazzo, Paul, racimola qualcosa qui servendo ai tavoli.
E’ lui che sta zigzagando verso l’ingresso per raggiungerci.
« Uff! Ciao ragazze!» ci saluta con il respiro corto e stampa un bacio fugace sulla guancia ad Helèna.
«Ciao Paul» rispondo io.
Helèna, invece,  lo afferra per una manica e lo tira un po’ verso di sé:«Ehi furfante, dì un po’, ci hai tenuto il tavolino?» lo apostrofa minacciosamente e contemporaneamente gli lancia uno sguardo languido da vero pesce innamorato.
«Come richiesto mademoiselle» e fa un leggero inchino scherzoso.
Lo scambio di battute tra i due è rapido, ma neanche ad un osservatore superficiale sfuggirebbe l’intesa che c’è tra loro.
Con una morsa allo stomaco ripenso all’ultima conversazione avuta con Edward.
Stamattina, a colazione.
“«Buongiorno» io.
«Buongiorno» lui appoggiato a braccia conserte al piano della cucina con il bacino.
«Alice?» io
«In garage» lui.
«A dopo» si raddrizza ed esce veloce.
«Ciao» dico rivolta al vuoto lasciato dietro di lui.”
Due persone estremamente civili.
Helèna mi trascina con sé mentre si aggrappa al suo ragazzo con la mano.
Paul segue il corso di legge qui a Dartmouth. A vederlo non gli si darebbe neanche un dollaro in mano: un cespuglio indefinito di ricci bruni e ribelli,  una camicia a quadroni messa sopra un jeans che sembra aver visto giorni migliori, è il ritratto del giovane squattrinato. In realtà la sua è una delle famiglie più benestanti della Virginia, con una tradizione  secolare di figure giuridiche: padre avvocato, madre notaio, nonno, bis e tris-nonno giudici di contea.
Lo sguardo che lancia alla sua fidanzata rivela, tuttavia, la sua natura orgogliosa, combattiva e determinata.
Sembra un rapace.
Accetta che la sua famiglia lo mantenga agli studi, ma non approfitta nemmeno di un centesimo di più. Il resto delle sue necessità viene soddisfatto solo grazie al suo lavoro.
Personalmente mi è stato simpatico da subito.
«Allora ragazze, cosa vi porto?» domanda accompagnandoci a quella che è diventata la nostra postazione ormai da un paio di settimane.
«Per me un caffè corretto» dice Helèna, poi rettifica allo sguardo eloquente del fidanzato «… volevo dire macchiato.»
«Acqua liscia» dico io.
«Arrivano subito» e scompare rapido.
Ci sediamo dopo esserci liberate dei cappotti.
Helèna si guarda intorno alla ricerca di qualche volto conosciuto. Ne trova parecchi. Saluta molti con un cenno della mano.
Io resto in silenzio.
Non ho voglia di guardarmi intorno.
Non c’è nulla che mi interessi vedere. O meglio, nessuno.
Paul ci porta le nostre ordinazioni.
La mia amica sorseggia il suo caffè e fa una smorfia di disgusto: «E’ un casino avere un fidanzato salutista». Saetta con lo sguardo ancora un po’ in giro, passandomi sopra con gli occhi un paio di volte. Si ferma quindi dopo l’ennesima occhiata di finto disinteresse: «Nottataccia?» mi chiede ammiccando.
Annuisco bevendo un sorso d’acqua.
E’ sempre una pessima notte quella che inizia senza Edward al mio fianco. E’ un po’ che viene in camera nostra solo quando è sicuro che stia dormendo. Lo so perché solo in quel momento il mio corpo si rilassa e riesco a scivolare in un sonno inquieto.
Solo quando sento la sua presenza.
La mattina non lo trovo più al mio fianco. E’ sempre in casa, so che è a portata d’orecchio, ma non lo incrocio mai. Eppure lo sento sempre vicino.
Andiamo insieme all’università solo quando gli orari dei corsi combaciano. Negli altri giorni in genere vado con Alice.
E la cosa mi disturba anche se non lo do a vedere. Come Edward anche lei non ha lezione. Tuttavia non ho mai replicato. Io non impongo mai la mia presenza a nessuno.
«A che ora c’è la riunione?» mi chiede  la mia amica deponendo la tazzina nel piattino.
«Alle due» rispondo telegrafica, gli occhi nel bicchiere «Salvo impedimenti» ripeto le parole che Jensen ha pronunciato in aula qualche giorno fa.
Un attimo di silenzio.
«Non credo che ce ne saranno.» la voce della mia amica è sicura.
Alzo gli occhi e seguo la direzione del suo sguardo, fisso alle mie spalle.
Eric Jensen è seduto a qualche tavolino di distanza, da solo, davanti ad un portatile acceso. Le sue dita accarezzano veloci la tastiera. Sembra molto impegnato.
Mi volto subito.
Sprofondo nella mia sedia come se volessi scomparire. La sala è strapiena. E’ più che plausibile che non ci abbia viste.
Dio, fa che non ci abbia viste. Supplico mentalmente.
Dopotutto non siamo nel suo studio. Che motivo ci sarebbe per avvicinarci? Questi sono i nostri rispettivi momenti liberi e nessun interesse professionale può disturbarli.
Helèna non demorde. Ha una venerazione per quello che definisce “il genio dell’economia”.
Sembra una fan sfegatata al cospetto del suo idolo.
Comincia ad agitarsi tutta.
Di conseguenza inizia a sproloquiare.
«Ma l’hai visto?» comincia ed io mi preparo perché so che questo è solo l’inizio di una lunga serie di domande tanto pleonastiche quanto fastidiose.
«Lo vedo, è a tre metri!» dico un po’ seccata.
«Ma chissà perché è qui …» si domanda con fare investigativo.
«Magari per … pranzare?!» suggerisco sullo stesso stile.
Lei non sembra cogliere l’ironia nelle mie parole.
«Già, già» annuisce distrattamente.
Accolgo il silenzio che scende tra di noi con una punta di terrore.
Helèna sta pensando.
E’ di certo il preludio a sventure future.
«Vuoi sapere cosa penso?» prorompe in fine come se avesse deciso di non trattenersi più.
Sarebbe inutile dirle di no. Mi limito a guardarla di sfuggita da sopra il bicchiere bagnando giusto le labbra e impegnandole in qualcosa che non sia una risposta.
«Penso che sperasse di incontrare qualcuno.» dice trionfante.
Punto gli occhi sul suo viso, i suoi sono rivolti altrove.
La conversazione rischia di prendere una brutta piega, anzi no.
Una pessima piega.
Depongo con lentezza il bicchiere sul tavolo seguendo attentamente con lo sguardo tutto il movimento della mia mano.
«Può darsi» mi impongo di dire tranquillamente.
«Allora» mi raddrizzo sulla sedia e passo una mano tra i capelli «che ne dici di iniziare? L’ultima volta avevamo individuato l’utente, adesso credo che sia importante valutare i materiali e i costi di produzione» parlo mentre armeggio nella mia borsa alla ricerca degli appunti.
Da Helèna non proviene alcun commento.
La cosa non mi conforta affatto.
Le lancio un’occhiata saettante. Scorgo l’accenno di un sorriso sulle sue labbra. Riporto il mio sguardo su di lei e lo mantengo.
«Te, ad esempio» conclude imperterrita.
«Scusa?» ovviamente ho capito perfettamente. Cerco di prendere tempo per trovare un modo di liquidare con grazia la questione.
«Non fingere di non capire» inclina il capo di lato, i suoi occhi si fanno attenti «anche un cieco vedrebbe che gli piaci».
«Non dire sciocchezze. Il suo interesse è solo professionale, e non dissimile da quello che ha per voi altri.» Anche alle mie orecchie la mia voce sembra incerta.
«Tu gli piaci» continua imperterrita con un tono soave.
«Helèna basta. Tu dimentichi che sono una donna sposata …» finisco riducendo il tono ad un sussurro.
I suoi occhi si spalancano innocenti: «Niente affatto. Ho detto che gli piaci, non che lo ricambi. O, forse, vorresti?»
Strabuzzo gli occhi e divento rossa per mancanza di ossigeno. Ma dove è finita la timidezza della mia amica?
«Bella, guarda che sto solo scherzando!» prorompe in una risata alla mia espressione scandalizzata.
«Vorrei ben dire …» soggiungo abbozzando anche io un sorrisetto.
«Sì, ma solo per quanto ti riguarda. La mia idea su di lui non cambia. Fossi io in te …» non finisce la frase e la guardo inebetita.
«Ok, ok. La pianto» sospira e si gira a prendere la sua cartellina.
Trascorriamo una decina di minuti tra calcoli percentuali e indagini di mercato.
Sono persa a raffrontare i risultati dei pronostici di vendita di alcune delle più quotate aziende produttrici di giocattoli che mi rendo conto in ritardo della distrazione della mia amica.
Ha appoggiato il mento sul palmo della mano, il gomito puntato sul piano del tavolino. Gli occhi sono rivolti nella direzione sbagliata. Non sono sul mio viso, ma spaziano oltre le mie spalle.
Ci risiamo.
Sta pensando.
Di nuovo.
Alzo gli occhi al cielo. Adesso ricominciamo con le sue supposizioni assurde.
Sto quasi per spazientirmi quando accadono tre cose contemporaneamente: Helèna parla, la mia borsa scivola dallo schienale della sedia a terra, il cellulare inizia a squillare.
«Però, sarebbe interessante fare un piccolo esperimento …» dice lei sovrappensiero, mentre io mi chino a raccogliere la borsa e a frugarci dentro alla ricerca del telefonino.
«Che esperimento?» le chiedo con la testa ancora in basso, quasi ficcata nella borsa enorme.
Ma quando mi deciderò a non portarmi dietro tutta la casa come le lumache?
Non sento alcuna risposta dalla mia amica e ripeto con voce più decisa:«Che esperimento?».
Eccolo finalmente! Cellulare malefico. Ha smesso di squillare.
Lo apro per vedere il messaggio della chiamata persa.
Alice.
Aggrotto le sopracciglia e mi rialzo distendendomi sulla schienale della sedia.
La mia visuale periferica è troppo libera e non dovrebbe dato che di fronte a me c’è la mia amica.
Alzo gli occhi dal display. Mi correggo.
C’era la mia amica.
Resto a guardare il suo posto libero con la bocca semiaperta.
Ma dove …?
Il cellulare comincia a squillarmi tra le mani.
Leggo nuovamente il nome di Alice e pigio sul tasto della risposta.
«Pronto» dico.
«Bella, non agitarti. Edward …» comincia a dire lei.
L’accostamento dei due termini – agitarsi ed Edward - è un cerino messo su una fiamma ardente:«Cosa? COSA ALICE?» la voce mi esce stridula.
«La mia visione … incompleta … lui ha …» Alice parla velocemente e non riesco a seguirla.
«Ali, Ali non ti seguo. Parla più piano» mi sforzo di concentrarmi, di mantenere la calma.
E’ successo qualcosa ad Edward. Penso con calma innaturale.
La testa prende a girarmi velocemente e poggio la fronte su una mano per fermare il vortice.
«Avviati all’auto. Subito» dice con l’urgenza nella voce.
Lo stomaco mi si rivolta, sento il sapore della bile nella bocca. Deglutisco per soffocare la sensazione di nausea.
E’ successo qualcosa ad Edward.
La mia mente ripete questa frase senza tregua. Ho paura a pronunciarla ad alta voce, ma devo farlo.
Con uno sforzo incredibile per non urlare, inchiodata alla sedia, con la sola forza di reggere il cellulare tra le dita soffio appena tra le labbra:«E’ successo qualcosa ad Edward»
«No, no.» la sua voce sembra sorpresa che io abbia pensato a questa eventualità.
Non riesco a parlare, ma so che Alice sente il mio respiro: «Bella fidati di me. Alzati e vattene da lì. ADESSO»
Vedo con la coda dell’occhio un movimento davanti a me. Non ci presto attenzione, la mia mente va per conto suo.
Si è ferito, magari cacciando.
Si è schiantato contro un muro mentre guidava quella sua maledetta auto.
Oppure … oppure ha attaccato qualche umano …
Getto alla rinfusa gli appunti nella borsa. Si piegano e sgualciscono mentre li spingo dentro e cerco di richiudere la zip con una mano. Nell’altra ancora il cellulare.
Penso.
Penso imponendomi di reagire, di alzarmi, di lasciare tutto e correre da lui. La paura ed il desiderio di sapere si mescolano nel mio corpo.
La prima genera immagini di mio marito disteso a terra, agonizzante e sofferente. E’ un veleno acido che scorre lentamente nelle vene e corrode tutto ciò con cui viene a contatto. Mi inchioda alla sedia, mi blocca i movimenti, mi fa compiere gesti inutili solo per ritardare il momento della scoperta.
Il secondo mi acuisce i sensi. Tutto sembra più vivido, i rumori sembrano più forti, gli odori più penetranti, i gesti sono più veloci.
Mi ricordo di Alice. E’ ancora al telefono.
Lo riavvicino all’orecchio e faccio per alzarmi.
Mi immobilizzo vedendo la persona in piedi, di fronte a me.
«Bella, Jensen si avvicinerà al tuo tavolo. Edward l’ha visto nella mia mente e credo che stia venendo lì» le parole di Alice rimbalzano contro il mio orecchio.
«E’ troppo tardi» sussurro al telefono.
Chiudo la comunicazione e alzo il viso verso quello sorridente ed allegro di Eric Jensen, pronta ad affrontarlo.  

 
NOTA DELL’AUTRICE: Vi prego di perdonare il mio ritardo, ma come giustificazione posso solo dirvi che non ho dovuto scrivere un solo capitolo, ma tre. Purtroppo, anche se avevo pronto questo non ho potuto postare perché i due successivi sono strettamente legati e non volevo rompere il vaso se poi non potevo più ricostruirne i cocci, non so se mi spiego …
SteTom: Grazie davvero dei tuoi complimenti, anche per quanto riguarda “Una sera, per caso”. Sì, mi piacerebbe continuarla, ma non lo farò subito perchè quando scrivo mi ci dedico molto e non riesco a farlo “divisa” in due. Sei stata davvero stoica a rifilarti tutti i miei capitoli in così pochi giorni, ma sono contenta che ha i notato dei miglioramenti dai primi scritti ad oggi. Effettivamente sia lo stile che la parte interpretativa hanno subito dei cambiamenti sostanziali … Grazie ancora e continua a darmi il tuo parere, ci conto! Saluti *_*
tsukinoshippo: Tesoro, ti giuro che sei stata nei miei pensieri per tutti questi giorni che non ho potuto postare!! Grazie davvero per il tuo commento al capitolo precedente, ho apprezzato molto come hai analizzato i punti di vista di entrambi: obiettiva e sincera. In effetti hanno ragione entrambi, ed è proprio questo che volevo far notare. E’ possibile trovare un punto d’incontro? Sì, te lo dico io. Ma non sarà semplice, anzi penso che a volte sia necessario ferirsi per poter far emergere realmente i sentimenti e le emozioni più profonde. Non è facile scrivere di queste cose, di momenti brutti. Ma io credo che la strada per il paradiso passi proprio per l’inferno. Grazie tsuki, e a presto. *_*
rodney: Ciao Simo! E sì, non parlano! Ma penso che sia più che logico.
A volte ci si può sentire stupidi ad esternare le proprie paure, i propri dubbi. A volte semplicemente non sembra necessario, non sembra così nocivo il silenzio, anzi può apparire addirittura confortante! Come te che l’hai già vissuto … sai anche che è facile, poi, poter dire qualcosa di cui ci si può pentire…! STOP Baci
keska: Grazie gioia! Spero che il seguito ti piaccia ancora, stiamo per scendere giù in picchiata!!! Che ne pensi delle musiche che ho scelto finora? La tua scelta dell’ultimo capitolo è stata molto carina …! Leggendo il capitolo con il suggerimento musicale l’atmosfera non sembra più … magica?!!! Baci baci baci
00Stella00: Uè piccolì, certo che hai individuato l’indizio!!!! Purtroppo non ho potuto aggiornare più velocemente di così e ti giuro che mi dispiace sapere che sei rimasta appesa al pc in attesa di aggiornamenti che non arrivavano. Vorrei farvi stare in casa con me e farvi vedere come ogni attimo libero lo trascorra scrivendo e anche quelli occupati li passo a pensare, pensare … il mio portatile è acceso dalla mattina alle sei fino a sera inoltrata. Come per molti di noi, però, gli impegni della giornata spesso mi sommergono. Ti prometto che i prossimi capitoli (per lo meno gli altri due ) arriveranno presto! Baci  

L'insegna del Tandem cafè. Il suo interno così come l'ho immaginato io.
Un ringraziamento particolare va a chi ha letto, a chi ha commentato (anche in privato) e a chi ha inserito questa e le altre mie storie tra i preferiti/seguiti. Per “Una sera, per caso …” un grazie speciale, di cuore.

E sì, credo che la continuerò, ma solo dopo aver finito questa.
Baci
M.Luisa


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Capitolo 10
*** CAP.10 ***


CAP.10

EDWARD
“Allooooraaaa ti sbrighi?”
Alice batte impaziente la punta del piede sull’asfalto del parcheggio. I suoi pensieri bussano alla mia mente con insistenza.
Non la degno di una risposta.
Non ne ho alcuna voglia.
Prendo le chiavi dal cruscotto della Volvo ed apro la portiera. La sua mano piccola e all’apparenza delicata ghermisce con presa ferrea il mio braccio. Comincia a trascinarmi attraverso il parcheggio.
«Alice, ma la smetti?!» le dico opponendo una lievissima, ma determinata resistenza. Non posso osare di più, rischierei di attirare troppo l’attenzione.
«Sì, sì. Però tu sbrigati. La professoressa Watsford arriverà tra poco» dice mollando la presa, ma continuando a camminare decisa verso l’edificio principale.
Cammino al suo fianco con le mani nelle tasche dei pantaloni. Il cielo plumbeo sopra le nostre teste è carico dell’elettricità che precede la pioggia.
Oggi sono di umore tetro.
Bella ha dormito male anche stanotte.
Nonostante cerchi in tutti i modi di essere il meno invadente possibile, di concederle tutto lo spazio di cui può necessitare.
Nonostante cerchi di resistere alla voglia pazza di tenerla stretta a me, di sfinirla con le mie carezze, di ubriacarla con i miei baci.
Nonostante faccia di tutto per starle lontano, non riesco tuttavia a farla stare meglio, a farla sentire serena.
Senza il mio fiato sul collo.
Ogni istante della giornata. Ogni attimo della notte.
Ormai sono già un paio di settimane che va avanti così. Il suo umore è peggiorato di giorno in giorno, il suo appetito è calato, non fa altro che studiare. Ho preso ad odiare quei libri che sembrano prosciugare ogni sua energia.
Entriamo in aula. Il brusio dei nostri colleghi ormai non si affievolisce più al nostro passaggio. Noi ignoriamo il resto del mondo, il resto del mondo ignora noi. Ci accomodiamo in due poltroncine laterali, ma abbastanza vicini alle prime file. Alice dice che oggi dobbiamo sedere davanti. Non le ho chiesto il motivo, non sono entrato nella sua testa.
Ormai non lo faccio quasi più. Non mi ci è voluto molto per capire che Alice mi oscurava i suoi pensieri e mi ci è voluto ancora meno per identificarne la causa: non vuole rivelarmi qualcosa che ha a che fare con Bella.
Pensavo che la cosa mi avrebbe irritato, che mi avrebbe spinto a premere su mia sorella con maggiore vigore. Il primo a stupirsi di ciò sono stato proprio io. Una sorta di rassegnazione ha cominciato ad avvolgermi.
Da quella sera sfortunata, quella sera in cui ho perso il controllo. Con una specie di pacata mestizia ho accettato che Bella possa aver realmente bisogno di maggiori spazi. Mi sono impegnato con me stesso per riuscire a fornirglieli, per non imporle la mia presenza più del necessario.
O meglio più dei momenti di cui non riesco a privarmi.
La notte è uno di questi. Il mio desiderio più intimo è di farla addormentare tra le mie braccia, di sussurrarle parole dolci alle orecchie e vedere i suoi occhi scivolare con lentezza verso il basso, verso un riposo ristoratore.
Quando ho capito che la mia presenza non serviva a raggiungere lo scopo, ho creduto che la cosa migliore per lei fosse farla addormentare sola. Quando mi rendo conto che sta per scivolare nell’incoscienza la raggiungo. La guardo dormire i suoi sonni inquieti. A volte, l’istinto prevarica la ragione e mi avvicino fino a sfiorarle una guancia, o a liberarle il viso da una ciocca ribelle.
Non ne posso fare a meno.
Soffocare la mia naturale impulsività, il bisogno che sento di starle vicino, di averla … a beneficio della sua serenità è una lotta che mi sfinisce, che mi ha portato al limite.
La signora Watsford entra a passo cadenzato in aula. Nonostante l’apparenza severa e distaccata, devo ammettere che è molto capace nella sua materia e ha catturato l’interesse di Alice in maniera particolare.
In effetti è quasi impossibile trovare a Dartmouth un professore impreparato: la selezione c’è per gli studenti così come per gli insegnanti.
E qualcuno ha anche una scintilla in più. La signora Watsford insegna nel corso giusto per lei essendo dotata di una comunicatività innata.
Alice ne è rimasta stregata.
E’ sempre la prima ad avere la mano tesa quando la professoressa fa una domanda, non salta un’ora di lezione neanche quando c’è un sole spaccato ed è ricambiata da una predilezione equivalente da parte della Watsford nei suoi riguardi.
Osservo mia sorella mentre si sistema meglio nella poltroncina al mio fianco. E’ impaziente. Non prevedo nulla di buono quando si lascia trasportare dall’entusiasmo. La lezione comincia, mentre la mia mente inizia a divagare.
Penso già alla fine delle due ore, il momento in cui rivedrò Bella. Torniamo a casa insieme anche se stamane l’ho lasciata andare sola con Alice.
Lo faccio di malavoglia, ma preferisco lasciarle andare sole e regalare loro un momento di privacy, piuttosto che assistere impotente al loro “shopping di due ore”, ormai un’abitudine settimanale.
Se non costringo Bella a mentire, non sapere diviene più sopportabile, mi pare di soffrirne di meno.
“Puoi sforzarti di prestare un po’ di attenzione, fra poco si rivolgerà a noi” Alice mi distrae con i suoi pensieri molesti.
L’unico segno che emerge all’esterno di questa muta conversazione tra noi due, è il cambio di direzione dei miei occhi: dalla finestra si puntano sulla professoressa. Tuttavia l’espressione è la stessa: noia.
«Stiamo per concretizzare un lavoro cominciato l’anno scorso con il Centro di Dialettologia di Bellinzona, la Società Italiana di Glottologia e l’Università di Berna » comincia a dire la Watsford. Alice scatta sull’attenti.
«So che siete impazienti come me di poter essere coinvolti in prima persona  in questa cosa, ma purtroppo per ora comincia come un esperimento.» Alice scalpita sulla propria poltrona.
Devo essermi perso qualche puntata per la strada.
Un lavoro con altre università internazionali?
Guardo Alice di sottecchi e mi concentro.
Dai, dai vieni al dunque … la piccoletta non è nei panni.
«Ma non voglio divagare troppo, per questo vengo al dunque» la professoressa freme di impazienza. Il mio sguardo saetta dall’una all’altra.
«Ho deciso di chiedere la cooperazione di tre di voi. L’impegno che mi aspetto sarà enorme , ma voglio che sappiate che siete liberi di rifiutare senza pregiudicare in alcun modo il vostro esame finale » si schiarisce la voce e prende un foglio con una mano, inforcando un paio di occhiali da lettura nell’altra :«Pregherei questi signori di venire avanti»
Alice ha posto le mani sui braccioli della poltrona e sembra un corridore che si prepara a scattare al bang.
«Theodor Price». Un ragazzo si alza dalla terza fila e trotterella avanti.
«Philip Grey». Un altro tipo scivola accanto a noi a piccoli passetti frettolosi.
Punto gli occhi sul viso di Alice.
“Alice Cullen. Alice Cullen …” ripete nella sua mente fremente di impazienza.
«E Alice Cullen» la Watsford accompagna le parole con un sorriso, pallido riflesso del sorriso di trionfo sul viso di mia sorella. Guardo Alice con gli occhi sgranati, praticamente fuori dalle orbite e non faccio in tempo a fermarla che è già al fianco degli altri due convocati.
Alice deve aver perso il lume della ragione. Lo sa che una delle regole fondamentali per vivere in mezzo agli umani è non attirare l’attenzione, non esporsi troppo.
La fisso con insistenza, ma lei guarda ovunque tranne che nella mia direzione.
«Si tratta di un’esperienza interessante, che speriamo possa darci l’opportunità di realizzare nella pratica il concetto teorico di corso evolutivo del linguaggio. Raffrontando ambienti e situazioni …» la professoressa riprende a parlare, ma non la seguo più.
I miei occhi si immobilizzano sulla figuretta all’apparenza esile di mia sorella.
Alice si è irrigidita, i suoi occhi sono diventati vitrei.
La sua visione mi colpisce come uno schiaffo.
Bella seduta sola ad un tavolino.
Mi alzo dalla poltrona come se fossi stato sulla sedia elettrica.
La professoressa si blocca con una mano a mezz’aria e l’ultima parola le muore in bocca mentre mi vede avvicinarmi ad Alice.
Nell’aula scende un silenzio tombale.
Non appena sono al suo fianco le passo un braccio intorno alla vita ed un altro sotto al gomito per sorreggerla. Contemporaneamente le bisbiglio in un orecchio un: «Tranquilla, sono qui» che solo noi possiamo sentire.
«Che succede?» chiede la Watsford con una nota di sincera preoccupazione nella voce.
Guarda Alice, guarda me.
«Nulla di grave. Mia sorella è diabetica. A volte capita che la sua glicemia scenda troppo. Le dispiace se l’accompagno fuori un attimo?» rifilo uno dei nostri siparietti agli ignari spettatori e, senza attendere la risposta, già mi avvio verso l’uscita dell’aula.
Riesco a trascinare Alice in giardino senza che troppe teste si girino al nostro passaggio. Lei si lascia trasportare inerme, senza opporre la minima resistenza, gli occhi sempre fissi davanti a sé. La alzo di peso quando siamo lontani da occhi indiscreti e raggiungo una panchina isolata, sulla quale la depongo con delicatezza.
Mi inginocchio davanti a lei e le prendo le mani tra le mie.
«Alice» la chiamo dolcemente, ma è ancora in trance.
Rivedo negli occhi l’immagine del viso di Bella, i suoi occhi tristi. Sento un fremito alla base dello stomaco.
Il veleno zampilla sulla mia lingua e lo deglutisco ricacciandolo nel mio corpo.
«Alice» riprovo con voce ferma imponendomi una calma che in questo momento non mi appartiene.
«Bella …» mormora lei piano. Aggrotta le sopracciglia come se si sforzasse di concentrarsi, come se non riuscisse a vedere, a focalizzare una scena.
Mi concentro anche io sulla sua mente.
Sì, le immagini sono tutte sfocate. Alice ha difficoltà a chiarire le circostanze della sua visione.
Un’altra immagine più chiara delle altre, mi colpisce.
Un uomo, di spalle, si sta avvicinando a Bella con decisione. Sembra incedere con determinazione. Gli occhi di lei assumono un’espressione prima stupita, poi preoccupata, quasi … spaventata.
Stringo forte le palpebre:«Alice , ti prego … dimmi se è in pericolo … dimmi se sta per succederle qualcosa …» il mio tono è a metà fra il supplichevole ed il disperato. Devo mantenere la calma, devo farlo.
Edward non perdere la testa, le visioni di Alice sono a volte imprecise … ripeto queste parole nella mia mente.
I secondi scorrono come ore.
Un altro flash illumina la mia mente e scorgo in un lampo rapidissimo il volto dell’uomo.
Jensen, il professore di Bella.
Poi, la mente di Alice si oscura ed io apro gli occhi. Lei mantiene, invece i suoi chiusi, o meglio serrati.
Si sta sforzando con notevole evidenza.
«Alice, ma cosa …?» comincio a chiederle ma lei scuote il capo senza parlare.
«Lei … lei non centra niente … non è come … come pensi.» le parole le escono a fatica dalle labbra, se possibile strizza gli occhi ancora di più. Con le dita stringe il bordo della panchina, quasi lo sbriciola.
Le avvicino con dolcezza una mano sulla guancia. La accarezzo piano, lentamente. Con l’altra mano scendo in una lieve carezza su quelle dita strette con forza sulla pietra: «Non capisco Alice, cosa … cosa vuoi dirmi?» sento la mia voce lontana, mentre dentro di me si fa strada una nuova, strisciante consapevolezza.
D’un tratto apre gli occhi e vi leggo dentro la disperazione. Con questo movimento mi piombano addosso tutta una serie di immagini che – adesso soltanto capisco – Alice ha cercato invano di trattenere finora. L’impatto è così violento che ho bisogno di aggrapparmi con le dita al bordo della panchina ai lati delle sue gambe.
Bella e Jensen seduti al tavolino insieme.
Sorrisi, sguardi fugaci.
La mano di lui che sfiora quella di Bella.
Lui che le sussurra un “Ci vediamo più tardi”.
Lei che gli sorride.
Poi, il buio.
Mi alzo in piedi lentamente.
Gli occhi di mia sorella sono fissi nei miei, si alza insieme a me.
«Edward non saltare a conclusioni affrettate …» comincia a dire lei ed io inclino il capo come se la vedessi per la prima volta «il loro rapporto è solo professionale, te lo giuro.»
Mi volto appena, gli occhi ridotti a due fessure e dico atono: «Quando»
«Ti scongiuro, credimi!» la voce di mia sorella è supplichevole.
«Quando» ripeto senza inflessione.
«Tra poco» risponde afflitta.
Mi si aggrappa ad un braccio e mi scuote:«Edward non fare sciocchezze, tra loro non c’è nulla!»
«Dov’è?» la guardo con sdegno, come se la ritenessi colpevole. Il fatto che provi a giustificarla equivale a renderla complice.
Silenzio.
«E’ al Tandem?» chiedo. Lei serra le labbra, non mi risponde.
«Tu lo sapevi?» le chiedo ancora senza irritazione nella voce, senza rabbia. Voglio solo la verità.
«Credimi, maledizione!» sbatte un piede a terra con rabbia e mi lancia delle immagini di lei e Bella che parlano del corso di Jensen ad uno di quegli stessi tavolini a cui adesso siede anche mia moglie.
Le mie labbra si incurvano in un sorriso di scherno:«E con questo?»
Gli occhi di mia sorella si puntano sul mio viso smarriti. Non sa più come fare per convincermi. Sembra davvero sincera, e di certo è sinceramente dispiaciuta.
“Edward, ascoltami. Non fare stupidaggini. Non essere cieco, ti prego. Tu hai soltanto … paura. Paura della verità.” Mi dice con il pensiero.
«Ma quale verità?!» le dico io e la mia voce vibra pericolosamente «La sola verità che so è che mi state mentendo entrambe da un pezzo» le mie parole sono secche, deluse. Poi, come se gli argini della mia compostezza fossero improvvisamente crollati, le scarico addosso tutto il mio disprezzo.
«Perché volevi tenermi all’oscuro di questa visione, se non c’era nulla da nascondere? Perché Bella ti chiede così spesso di uscire con lei? Credi che non sappia che non andate a fare shopping? Ti sembro così ingenuo?! Tu la stai coprendo!» le parole mi escono come una valanga, nei miei occhi l’accusa.
Alice barcolla sotto il peso della mia furia trattenuta a stento.
Le sondo un’altra volta la mente alla ricerca di qualche altra immagine che riguardi Bella. Buio. Ancora.
Le mie labbra si incurvano nuovamente in un sorriso amaro: «Cosa altro mi stai nascondendo, Alice?» le chiedo con sforzo. Mi sento un idiota a spiare mia moglie nella mente di mia sorella.
«Non ti nascondo nulla! E’ che da un po’ le mie visioni sono così incerte … su Bella a volte ho dei black-out più o meno lunghi …» dice accorata, gesticolando nervosamente con le mani.
«Smettila!» sibilo velenoso.
Si zittisce di botto, come se l’avessi schiaffeggiata. Ha gli occhi lucidi, vorrebbe poter piangere, lo so.
Anche io, in questo momento.
“Io le ho promesso …” pensa, incerta se proseguire e tradire la fiducia della sua amica discolpandosi o tacere e tenere fede alla parola data.
Mi volto e comincio a camminare lasciandola impietrita dietro di me.
“Edward, dammi retta. Non essere impulsivo o rischi di perderla” i suoi ultimi pensieri mi rimbombano a lungo nella testa, mentre incedo a passo umano ma risoluto, alla volta del Tandem.
 
 NOTA DELL’AUTRICE: Ogni promessa è debito, ed eccomi qua dopo un’attesa spero non troppo lunga. Lo so, lo so … vi aspettavate un cappy pieno di … azione!!! Ma vi prego, siate obiettivi: se univo questo ed il precedente si faceva una “Mischia Francesca” di oltre venti pagine e , anche se amate i cappy lunghi, avrei davvero superato il mio record! Abbiate fede,  e pensate al … “Sabato del Villaggio.”
Noto con piacere che mooolti di voi hanno aggiunto questa storia tra  preferiti/seguiti. Vi ringrazio, anche se scegliete di affidarvi ad una lettura silenziosa.
Grazie ancora per “Una sera, per caso …” : visite e commenti continuano ad aumentare. *_*
tsukinoshippo: Mia cara, tu hai centrato la storia con una tale lucidità che è estranea persino a me che la sto scrivendo! Scherzo, e mi compiaccio davvero molto del fatto che non ti fermi ad una lettura superficiale , ma preferisci “scavare”. Tuttavia … a questo punto dovresti conoscermi un pochino e sapere che “una litigata” nel senso canonico del termine non è nel mio stile … Io sono mooooolto più sadica di così!!!!! Vedrai. J)))))))))  Per il commento all One-shot, non posso dirti che GRAZIE. Di TUTTO ciò che hai scritto. Kiss
rodney: in effetti … ci siamo quasi, ma non come immagini tu! Comunque, come hai visto non mi sono fatta attendere troppo … sono brava eh a cambiare discorso!!!!!!Al prossimo capitolo Simo, un bacio.
keska: Ciao piccolina, le tue parole sono sempre un balsamo per i miei nervi …. Grazie Francesca, sei tanto cara a lasciarmi sempre un complimento, anche nascosto tra le righe!!!! Sono contenta che il cappy scorso ti sia sembrato “intenso” e hai ragione. Paradossalmente è stato un capitolo complesso, anche se non succede nulla, ma dovevo preparare la scena con minuziosità. Te ne sei accorta. Non avevo dubbi. :))) Baci
Ginevra87: Ehi, benvenuta in questa barca di folli ….Grazie, per il tuo commento e per i complimenti J)))))))) Alla prossima, kiss
arual93: Tranki Laura!!!! Come sono impegnata io, so che lo siete anche voi e so che non leggete solo la mia storia! Comunque grazie sia per i commenti due-in-uno, che per quello alla One-shot.
Michelegiolo: Ma lo sai che la tua idea non è niente male …. Adesso cancello gli altri cappy e li riscrivo!!! Scherzo però, continua a seguire, le nostre menti non lavorano in modo molto diverso! Kiss
Antonya: Ciao cara, grazie sono contenta che la mia storia ti piaccia e sono contenta che hai deciso di dirmelo …! Bella è davvero molto fragile … e qualche pasticcio ci sarà!! Continua a seguirmi. Baci

Per tutti gli altri: grazie e un abbraccio.
M.Luisa

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Capitolo 11
*** CAP.11 ***


CAP.11

EDWARD -Yiruma - Love Hurts

Cammino con lentezza alla volta del Tandem.
Non ho fretta di arrivare. Non ho premura di sentire, di vedere qualcosa a cui non sono pronto ad assistere.
“Edward, ascoltami. Non fare stupidaggini. Non essere cieco, ti prego. Tu hai soltanto … paura. Paura della verità.”
Alice ha visto giusto quando ha pensato queste parole.
Sì, ho paura.
Paura di scoprire. Di sapere. Di dare un nome a questa cosa.
Tradimento.
Ecco come si chiama.
Sento di nuovo il veleno che mi scorre tra i denti, mi pizzica la lingua, corrode la mia gola.
Ho paura. Una paura fottuta.
Di non riuscire a controllarmi, di poter far del male a qualcuno, di poter far del male a lei.
Lo stomaco mi si stringe  in una morsa atroce, la testa mi sembra che stia per scoppiare da un momento all’altro. Non ho un cuore, ma cos’è allora questo dolore al petto?
Sono quasi al Tandem, rallento.
E se Alice avesse ragione? Se davvero ci fosse tra loro solo un semplice rapporto professionale? In fondo cosa c’era nella visione?
Parlavano. Niente di strano.
Sorridevano. Idem.
Lui le toccava una mano. Forse un contatto fortuito, una svista …
Si davano appuntamento a più tardi. Beh … magari c’è una spiegazione anche a questo.
Ma gli occhi di Bella … in quegli occhi ho scorto ammirazione, apprezzamento, interesse. Benchè sappia con certezza che tutto può avere una spiegazione razionale, so che quell’uomo non le è indifferente.
E questo non cambia. Anche se non si arriva ad un tradimento fisico, il desiderio di qualcosa che coinvolga un altro uomo è una cosa che non riesco, che non posso e non voglio accettare.
Lei è mia. Mia. MIA.  
Il mio io egoista e possessivo, mi dice di non scendere a compromessi.
Il mio io innamorato, mi dice di non andare oltre, di ritornare a casa.
Vedo l’insegna del locale. Stringo i pugni nelle tasche. Sarà già accaduto tutto? Ma cosa poi, precisamente? Come si comporterà Bella vedendomi? Sarà stupita? Avrà lo sguardo colpevole?
O forse, non devo palesare la mia presenza? Rimanere nell’ombra, seguirli, vedere dove vanno, cosa fanno?
Lancio uno sguardo attraverso il vetro che lascia scorgere l’interno. Non c’è un angolo libero, il vociare è enorme e si confonde nella mia testa con il sopraggiungere vorticoso dei pensieri dei clienti.
Sento chiaramente l’odore di Bella, ma è confuso tra i tanti.
La cerco con lo sguardo rimanendo fuori dal cafè. Qualcuno mi passa accanto, mi spintona con una spalla. Non ci bado. I miei occhi saettano alla ricerca del colore dei suoi capelli.
La vedo. E’ di spalle. E’ con lui.
Guardo il volto dell’uomo che è seduto al tavolo con mia moglie. I suoi occhi … anche se non fossi capace di leggere la mente capirei che è affascinato da lei. La guarda ammirato, rapito …
Le sorride e mi sembra di ricevere una pugnalata in mezzo al cuore.
Stringo i pugni, mi appoggio al bordo della vetrata. Mi dico che è per sembrare più umano agli occhi dei passanti. Forse … forse, ho solo bisogno di sostenermi.
Ora che ho il contatto con il viso di Jensen mi concentro per leggere i suoi pensieri. Fatico ad isolarli, non ho molta familiarità con questo tipo e le persone sono davvero tante all’interno del locale. Sento anche le voci, la sua la riconosco, l’ho già ascoltata.
«Allora, hai cambiato idea?» le sue parole mi arrivano ovattate, ma il suo tono è chiaro, confidenziale.
Sussulto, non mi aspettavo questa complicità. Stringo il bordo di acciaio del telaio della vetrata e lo incrino un po’.
Guardo le dita bianche della mia mano contratte lì sopra.
Tremano.
Piano, la ricopro con l’altra mano.
Devo stare calmo. Calmo.
Strizzo gli occhi e mi riconcentro. Sento venire meno la mia lucidità, ho perso un paio delle loro battute.
Mi arriva chiaramente la voce di Bella: « Sì … no … è … è complicato, ecco.» balbetta. Lo fa quando è agitata, quando è in imbarazzo.
Stupido, penso. La stai innervosendo con le tue domande fuori luogo.    
Ma lui incalza, con determinazione nella voce: «Cosa c’è di complicato? Non lo sai ancora se vuoi continuare?»
Continuare? CONTINUARE?! A queste parole sono lì lì per sfondare la vetrata, entrare alla velocità del suono e fargli volare via la testa dal collo.
Ma poi, Bella si volta e guarda verso la vetrata, verso di me.
Schizzo come un proiettile dall’altro lato della strada e nel farlo perdo il contatto con Jensen, con le voci e con i pensieri. Mi accorgo che il mio respiro è affannoso, che nella mia mente rimbombano suoni, colori distorti.
Mi impongo di regolarizzare il respiro, di riprendere la padronanza dei miei poteri.
Edward impegnati. Pensa, sii obiettivo. Mi dico con calma innaturale.
Mi sforzo di concentrarmi su di lui anche da questa posizione. Voglio entrare nella sua testa, voglio sapere cosa pensa della mia Bella, voglio capire a che punto è questa cosa, questa ... amicizia?
Relazione. Mi suggerisce la belva nella mia testa.
Scuoto il capo e soffoco il ringhio che minaccia di sfuggirmi dal petto.
No, non è detto. Bella mi ama, vuole trascorrere l’eternità con me, ha deciso di rinunciare alla sua vita, alla sua umanità per farlo.
Ha accettato di sposarmi.
I suoi occhi erano lucidi, traboccanti di amore e commozione il giorno in cui ha pronunciato il sì. Lo erano davvero. Non me lo sono immaginato.
Quando facciamo l’amore, è il mio nome che pronuncia, che le esce strozzato dalla gola quando sta per raggiungere il piacere …
No, ne sono certo. Bella non può tradirmi con un altro uomo.
Svegliati Edward … hai dimenticato che si è sfilata la fede? Che al college non usa mai il tuo nome, ma sempre il suo da ragazza? Che ha cominciato a mentire proprio da quando si è così appassionata al corso di questo Jensen? La belva nella mia testa sembra parlare con tono sarcastico, quasi a volermi sbandierare in faccia l’ovvio. Vuole fomentare la mia rabbia.
Chiudo gli occhi, stringo le palpebre e compio un unico movimento col capo, come se un’immagine particolarmente cruenta mi avesse colpito. No, no, no! Bella mi ama, mi vuole, vuole stare con me.
Lo so, lo sento.
D’un tratto riesco a catturare i pensieri di Jensen:
Non ho mai incontrato una creatura più misteriosa, più affascinante …
E’ così riservata, così inconsapevolmente attraente … mi piace, dalla prima volta che l’ho vista di fronte a quella bacheca, nell’istante in cui le mie labbra si sono appoggiate sulla sua pelle …
Resto paralizzato. Le sue labbra hanno osato sfiorare la pelle di Bella? Di mia moglie?
Quando? Come?
Dio, sto per impazzire. Lo sento, sto per perdere il lume della ragione.
Il viso sta diventando di marmo, la bocca già assapora il gusto del sangue che desidero versare nel locale, che bramo di far scorrere da quell’uomo fino a che non gliene resti in corpo più nemmeno una goccia.
Con il capo inclinato, gli occhi spiritati comincio a fare un passo in avanti.

Quindici minuti prima …
BELLA - The Moment - Yiruma

«Ciao Isabella» la voce di Eric Jensen sovrasta il brusio intenso della sala principale del Tandem giungendo alle mie orecchie come un colpo di fucile.
«Buon … giorno» rispondo riponendo con cautela il cellulare nella borsa come se fosse un ordigno bellico.
«Posso?» con la mano indica il posto davanti a sé.
Faccio scorrere velocemente gli occhi nella sala alla ricerca di Helèna.
La vedo vicino al bancone del bar appoggiata sui gomiti a parlare con Paul.
Stanno parlando di me, perché lui mi lancia un’occhiata sgomenta, mentre lei evita accuratamente di guardarmi.
Traditrice …
Riporto gli occhi sull’uomo di fronte a me e mi riscuoto rendendomi conto di non aver risposto alla sua domanda e che è ancora in piedi ad attendere un mio cenno.
«Certo, prego …» mi affretto a dire ricomponendo la mia posizione sulla sedia: poso la borsa al lato dello schienale, mi raddrizzo spingendo il sedere all’indietro e ghermisco il bicchiere con tutte e due le mani, quasi ancorandomi ad esso.
Metto un freno ai miei istinti omicidi nei confronti della mia amica che ridacchia al bancone con il suo fidanzato e lancio un’occhiata di sfuggita all’ingresso.
Edward non è arrivato, forse ho ancora il tempo di liquidare il professore senza apparire una cafona maleducata, alzarmi e filare via, evitando un loro incontro.
Non voglio che tutti gli sforzi fatti finora per mantenerlo all’oscuro dei miei progetti siano miseramente smascherati dalla sua capacità di leggere nella mente di Jensen.
Sono ancora ad uno stadio troppo iniziale per renderlo partecipe delle mie idee, neanche io so ancora bene dove mi porteranno. Non voglio rischiare di apparire ridicola ai suoi occhi.
Alice mi ha quasi spaventata prima.
“Avviati all’auto. Subito” ha detto. Ho capito da tempo che conviene ascoltarla quando dice qualcosa con quel tono deciso. D’accordo, ma come faccio?
Fingi un malore, Bella. Mi sussurra la mia cara vocina.
No, attirerei l’attenzione di tutti i presenti. E magari il professore si offrirebbe di accompagnarmi.
No, no. Pessima idea.
Mi sforzo di pensare ad una possibile scappatoia, ma nel contempo devo prestare attenzione al mio interlocutore che si è accomodato al posto della mia amica.
Ma che vorrà da me?
Lo guardo imbarazzata, ma anche incuriosita. Accenno un sorriso timido.
Mi ricambia con un gran sorriso, è in imbarazzo anche lui.
«Sviluppi interessanti?» chiede ed indica gli appunti sparsi sul tavolino.
«Sì, ehm … ci stiamo lavorando» dico io lanciando uno sguardo ai fogli. Sono rimasti solo quelli di Helèna, i miei li ho ficcati nella borsa alla rinfusa prima.
«Vedo» dice «Vi state impegnando molto, sono sicuro che le vostre idee saranno buone» annuisce soddisfatto.
Resto in silenzio.
Ripenso ad Alice, sembrava davvero tesa prima a telefono. Un moto di comprensione mi invade. Non deve essere facile per lei tenere Edward all’oscuro di qualcosa, probabilmente le dispiace. Non avrei dovuto farle promettere di mantenere il silenzio, costringerla a coprirmi.
Sembrava così preoccupata, un po’ troppo forse … ma in fondo la capisco: teme, giustamente, che tutti i nostri sforzi si rivelino inutili.
«Allora, hai cambiato idea?» la voce di Jensen mi riporta al presente.
«Scusi?» chiedo perplessa aggrottando le sopracciglia.
«Il college, il progetto a cui hai preso a lavorare. Non ti hanno fatto cambiare idea riguardo la tua permanenza a Dartmouth?» chiarisce meglio e i suoi occhi sono limpidi, sinceramente interessati.
Sbatto le palpebre al ricordo della conversazione avuta con lui fuori dal suo studio alla prima riunione.
«Sì … no … è … è complicato, ecco.» come faccio a spiegare a questo sconosciuto che questa, probabilmente, sarà la mia ultima esperienza da umana? Che ho investito in essa molto più della semplice realizzazione di un progetto per il Tuck’s Center? Che il vero scopo del mio impegno è di dimostrare quanto vale Isabella Swan prima di morire e di rinascere come Bella Cullen?
«Cosa c’è di complicato? Non lo sai ancora se vuoi continuare?» i suoi occhi sono troppo intensi, troppo azzurri.
E questa conversazione non mi piace. Non mi piace farla con questo sconosciuto troppo perspicace.
Mi giro verso la vetrata, nervosa. Strizzo gli occhi. Mi sembrava …
Scrollo il capo. Edward sarà qui fra poco. Come devo comportarmi? Non mi va che si faccia strane idee, che pensi che mi dispiaccia lasciare il college per la trasformazione, che possa nutrire qualche dubbio sulla mia vampirizzazione, a beneficio di un periodo più lungo a Dartmouth.
E’ sempre così protettivo nei miei riguardi, si fa sempre tanti problemi … non voglio discutere anche sulle poche cose di cui abbiamo la certezza.
E poi, il nostro rapporto è così teso ultimamente, non voglio complicarlo ancora …
«Isabella?» Jensen ha inclinato un po’ il viso verso di me, cerca di catturare il mio sguardo.
Sussulto. L’acqua nel bicchiere ondeggia al mio scatto.
«Professore mi scusi … è che sono un po’ stan …» comincio, ma lui alza una mano in alto a fermarmi.
«Eric, ti prego. Chiamami Eric. E dammi del tu» dice accompagnando le parole con un sorriso caloroso.
Un campanello d’allarme risuona nella mia testa.
Annuisco perplessa con il capo :«… dicevo che … sono un po’ distratta, la notte non riposo molto bene. Ultimamente.» abbasso gli occhi sul tavolino a queste parole.
«Mi dispiace. Spero che non sia lo stress per lo studio» dice con voce modulata, non troppo alta, né troppo affrettata. Pare che voglia accarezzarmi con le parole, come se bussasse alle mie orecchie per catturare la mia attenzione.
E’ come se volesse ammaliarmi.
Continuo a non guardarlo in viso.
«Isabella sembri tesa, c’è qualcosa che non và? Ti ho turbata in qualche modo?» sento chiedermi mentre il suo viso si abbassa fino a trovarmi gli occhi.
Scuoto il capo, ma non dico nulla. Mi rigiro il bicchiere tra le dita, nervosamente. Lo lascio e congiungo le mani una sull’altra.
So che continua a fissarmi, so che vorrebbe che dicessi qualcosa.
All’improvviso vedo la sua mano grossa e abbronzata avvicinarsi alle mie. Sembra una scena di un film. Ed io lo sto osservando in silenzio.
Calda. La sua mano è calda. Stringe un po’ il dorso della mia, le dita rimangono tuttavia immobili:«E’ tutto a posto?»
La mente si è messa improvvisamente e freneticamente a lavorare.
D’un tratto provo una sensazione di disagio. Io e lui ad un tavolino in un cafè. A parlare di cose personali. Come due … amici.
Ma noi non siamo amici. Lui è il mio professore di economia, io una semplice studentessa.
“… anche un cieco vedrebbe che gli piaci” le parole di Helèna mi ritornano alla mente.  
Un cieco … e un vampiro dalla vista di falco, capace di leggere nel pensiero?! Un marito iperprotettivo, innamorato e possessivo?
Cosa vedrebbero in questo momento?
Sfilo le mie mani da sotto le sue e mi alzo in piedi di scatto. La sedia dietro di me ondeggia e, poi, si riassesta.
Nel suo sguardo si dipinge un improvviso stupore, si alza anche lui un attimo dopo di me :«Isabella … »
Comincio a raccogliere il cappotto e la borsa. In silenzio, in fibrillazione.
“Bella fidati di me. Alzati e vattene da lì. ADESSO.” le parole di Alice non erano fin troppo preoccupate. Erano angosciate.
La consapevolezza di averci messo una vita a capire cosa realmente avesse voluto dirmi a telefono, mi piomba addosso come una doccia gelata.
Edward sta venendo qui. Lui legge nel pensiero di tutti, leggerà nel pensiero di Jensen, non so cosa, ma l’istinto mi suggerisce che sarà qualcosa che non gli piacerà.
«Mi … dispiace. Io … devo andarmene.» sposto la sedia di lato, mi metto la borsa a tracolla. Il cappotto cade a terra.
Allungo il braccio per raccoglierlo.
La sua mano mi blocca per il polso.
La guardo come se fosse un tizzone ardente. Poi, con lentezza mi volto verso il suo viso. E’ preoccupato, ha gli occhi spalancati, confusi.
Devo sembrargli una pazza.
«Lui … sta venendo qui. Non sa ciò che io … che noi stiamo facendo, e … non voglio che fraintenda … io … » tiro un profondo respiro,  sto facendo solo una gran confusione. Mi passo una mano nei capelli, cerco di schiarirmi le idee, di riacquistare un barlume di razionalità. E’ inutile perdere altro tempo cercando di trovare le parole più appropriate: «Devo andare.» dico infine in un sussurro.
Mi libero dalla presa e mi avvio fuori dal locale senza guardare nessuno, ma con gli occhi piantati sui miei stivali.

EDWARD – Michael Andrews feat. Gary Jules – Mad World
 
Ecco, ci sono.
Appoggio la mano sulla maniglia della porta.
Socchiudo gli occhi ed inclino la testa all’indietro.
Inspiro.
Non lo dissanguerò, non lo voglio toccare il sangue di quell’uomo. Gli sfiorerò il collo, con una mano, con lentezza.
Come una carezza.
Poi, glielo spezzerò di netto. Guardandolo negli occhi.
Non me la voglio perdere l’ultima espressione che passerà su quel volto.
Imprimendo una modesta pressione comincio ad abbassare la maniglia.
Figliolo …
Lontani, come provenienti da un altro pianeta, dei pensieri cercano di farsi strada dentro di me.
Non mi fermo, non rallento neanche. Continuo a muovermi all’apparenza tranquillo, come se fossi un cliente qualsiasi che vuole entrare nel Tandem.
Figliolo … Edward … guardami, ti prego. E’ la voce mentale di Carlisle.
Mi immobilizzo solo un attimo. Non mi volto, so che sono vicini, che ci sono quasi tutti. Sorrido sinistro. Nessuno mi fermerà.
Stà lì … il pensiero di Emmet mi raggiunge prima che possa muoversi e tradurlo in azione. Lo scanso con un movimento impercettibile. Ora è di fianco, fra me e l’ingresso del locale.
Delle persone rallentano mentre passeggiano sul marciapiede antistante il locale e ci osservano curiosi. Sembriamo due leoni che si misurano con lo sguardo. Con la coda dell’occhio vedo Carlisle affiancarmi dall’altro lato ad Emmet. Mi mette una mano sulla spalla, ferma e sicura.
«Ragazzi, che ne dite se ne parliamo a casa?» il suo tono è calmo e pacato come sempre.
La tensione si è fatta palpabile, carica di cattivi presagi.
Faccio spaziare lo sguardo dall’uno all’altro. Non mi braccano, non cercano di fermarmi. Sanno che sono molto più veloce di loro, che potrei arrivare dentro e uccidere quell’uomo prima che loro possano solo muovere una mano. Perché si comportano così? C’è qualcosa che non và.
Jasper … manca lui.
Sento la sua presenza, ma non lo vedo.
Dov’è? Sta cercando di usare il suo potere su di me? Anche lui ci metterebbe troppo tempo per calmarmi …
Leggimi la mente! Socchiudo le palpebre. Sono i pensieri dell’unico assente. Non è una richiesta comune. Soprattutto da parte di Jasper.
In realtà non è neanche una richiesta, ma quasi un ordine.
Adesso lo vedo. E’ vicino ad un angolo della vetrata, il viso rivolto verso l’interno. E’ estremamente concentrato, sotto tensione.
Edward, ascoltami per una volta! Leggi la mia mente. ORA!!
I miei occhi spaziano sui tre vampiri.
Ho capito.
Hanno fatto in modo di distrarmi, ma sapevano che ci sarebbero riusciti solo per una manciata di secondi, un tempo troppo breve affinchè Jasper potesse esercitare il suo potere su di me, ma abbastanza lungo per sentire le emozioni all’interno del locale. Le emozioni di Bella.
Non mi chiedo se è il caso, se è un trucco per fermarmi, se vogliono solo prendere tempo.
Chiudo gli occhi ed ascolto con tutti i miei sensi.
… imbarazzo, insicurezza, ansia … confusione, trepidazione …  consapevolezza …
Poi, i pensieri di Jasper.
Edward, Bella non prova niente per lui, non nel senso che credi tu almeno. Ne è affascinata, certo, ma - l’hai visto - non c’è attrazione fisica, non c’è coinvolgimento emotivo. Se non ti fidi di noi, fidati di te stesso, di quello che senti.
Resto immobile per due lunghi secondi. Poi, sempre ad occhi chiusi mormoro fra le labbra a tono bassissimo: «Chi mi dice che non stai modulando il suo stato d’animo?». Spalanco le palpebre di scatto puntando lo sguardo nel suo, dorato come il mio ed ora fisso su di me.
Mi risponde a voce, sempre con un tono impercettibile per gli umani: «Te lo giuro. Sul mio onore.»
Ci fronteggiamo in silenzio.
Lui non sta mentendo. Lo leggo nei suoi occhi che reggono con sicurezza e stoicismo la rabbia ed il dolore che sprizzano i miei.

Stiamo ancora così, fermi ed in silenzio quando la porta del Tandem si spalanca e ne esce Bella, di corsa, reggendo la borsa nelle mani per la tracolla, senza cappotto. Mi finisce letteralmente addosso, schiaffeggiandomi con il suo calore ed il suo profumo. Le passo le mani sotto ai gomiti reggendola ed impedendole una rovinosa caduta.
Alza lo sguardo su di me e vedo lo stupore imprimersi nei suoi occhi.
Stupore, non dispiacere.
Il sollievo che mi invade è il primo sentimento che non mi provoca dolore, e lo accolgo come un ospite gradito.
Il suo viso è leggermente arrossato, gli occhi sono lucidi, un po’ dilatati e il suo cuore adesso batte furiosamente , come il mio se fosse ancora in vita.
«Edward!» anche il suo tono è meravigliato.
«Bella» il mio è basso, appena un sussurro. Stringo un po’ la presa su di lei.
Si raddrizza, ma non accenna a volersi allontanare da me.
Ci guardiamo, occhi negli occhi, fino a che un colpo di tosse ad arte non ci interrompe.
«Mmm mmm» Emmett, una mano chiusa a pugno sulla bocca, ci guarda di sottecchi.
Bella si gira e nota oltre a lui anche Jasper e Carlisle: «Cosa … cosa ci fate tutti qui?» chiede con una punta di preoccupazione nella voce.
«Nulla, Bella. Eravamo solo di passaggio e abbiamo visto Edward che stava venendo a prenderti, così ci siamo fermati.» Carlisle sfodera un tono da attore consumato.
Bella riporta il viso su di me e mi scruta negli occhi. Reggo il suo sguardo senza battere ciglio, ma in silenzio. Io non posso mentirle. Non più.
Per la seconda volta in meno di un minuto la porta d’ingresso si riapre con forza e ne esce un Jensen trafelato, con in mano il cappotto di Bella: «Isabella, hai diment …» si ammutolisce di botto vedendo la scena.
Automaticamente spingo Bella verso di me, come se volessi preservarla dal contatto con una sostanza viscida e repellente. La vista mi si borda di rosso in meno di un attimo.
Fa scorrere lo sguardo su noi tre e poi si sofferma su lei:«E’ tutto ok?» chiede con la fronte aggrottata.
Sto per scoprire i denti che Carlisle fa una rumorosa risata:«Certo! Lei deve essere il professore di economia di Bella. Piacere, io sono suo suocero, il Dottor Cullen, ma mi chiami pure Carlisle.» ed allunga elegantemente la mano frapponendosi abilmente fra me e lui.
«E loro sono i miei figli: Emmett, Jasper ed Edward, il marito di Bella.»
Un senso di soddisfazione mi penetra nel cervello ascoltando i pensieri di Jensen:
Marito …!
Così giovane e già sposata …
«Piacere Eric … Jensen. Sì, sono il professore di Bella nel suo corso di economia gestionale.» dice poi con voce ferma, stringendo la mano di Carlisle.
Sento la tensione dei miei fratelli, i loro occhi puntati sul mio viso.
«Hai dimenticato il cappotto, Isabella» dice ed allunga la mano verso di lei.
Un ringhio mi parte dal petto. Subito Emmett si sporge al posto di mia moglie ed afferra l’indumento:«Dia pure a me»dice.
Jensen ci osserva incuriosito, un po’ seccato.
Ma che modi! Questi Cullen sono decisamente … strani, a cominciare dal loro aspetto. Forse dovrei parlare con lei, magari c’è qualcosa che posso fare, e potrei comunque conoscerla meglio … pensa Jensen
«Scordatelo» dico fra i denti e Bella sussulta fra le mie braccia.
Irrigidisco la mascella e comincio a digrignare i denti.
«Và in auto con Carlisle» dico rivolto a mia moglie con tono calmo, ma fermo.
Bella non accenna ad alcun movimento, ma sento che il suo respiro è aumentato in frequenza, così come i battiti del suo cuore.
Non tolgo gli occhi dal viso di Jensen che mi guarda di rimando, senza timore. Questo qui vuole una lezione con i fiocchi ed io non posso e non voglio negargliela.
La presa di Bella aumenta impercettibilmente sulle mie braccia. Con la vista periferica mi accorgo dello sguardo di Jasper fisso su di lei. Scuote la testa con un unico movimento del capo.
Stà male, Edward … pensa mio fratello e nello stesso istante lei si appoggia a me indebolita, la testa sul mio petto. Avvicino le labbra al suo capo: «Bella, cos’hai? Ti senti male?» sento la mia voce farsi allarmata.
«Io … non lo so … io … portami …via» la sua voce è appena un sussurro. Ho solo il tempo di vedere i suoi occhi ruotare verso l’alto che crolla su se stessa, come un castello di carte. L’accolgo prontamente nelle mie braccia, indifesa e priva di sensi.
«Carlisle!» cerco il conforto dell’unica persona di cui so ha bisogno ora Bella.
Colgo lo sguardo di Jensen che fa per muovere un passo verso di noi, ma alla mia occhiata infuocata si blocca.
«Maledizione!» sbotta mio padre e poi aggiunge a beneficio del nostro professore:«ancora questi cali glicemici! Ci scusi professore, ma dobbiamo davvero andare. » e, afferratomi per il gomito, mi spinge verso la strada. Jasper ed Emmet lo affiancano immediatamente.
Regalo un ultimo lungo sguardo all’uomo di fronte a me. Voglio che il mio viso gli resti ben impresso nella mente. Ogni volta che guarderà Bella sarà a me che dovrà pensare. A quello che i miei occhi promettono gli possa essere riservato.
Mi giro e mi allontano portando Bella fra le mie braccia.
Appena certi di essere lontani da occhi curiosi, apro come un fulmine la portiera dell’auto che Jasper ha portato qui vicino e distendo Bella sui sedili posteriori. Le accarezzo la fronte, scostandole i capelli dal viso.
«Bella … Bella amore, apri gli occhi. Apri gli occhi, sono qui, vicino a te» le sussurro piano, le mie labbra che le soffiano sui capelli.
Mio padre si accovaccia al mio fianco e procede con un rapido esame obiettivo: «E’ debolissima.» conclude dopo averle sfiorato il polso e la fronte. E dopo un attimo:«Dobbiamo portarla a casa.»
Ho bisogno di qualche informazione in più. Questa storia non mi piace. Lo stress, la mancanza di riposo e di cibo, il calo ponderale … continua sovrappensiero. Si blocca subito dopo, accorgendosi dei miei occhi fissi sul suo viso.
«Scusa figliolo» mi dice mettendomi una mano sulla spalla come ha fatto pochi minuti fa, ma con il chiaro intento di confortarmi adesso.
Scuoto il capo in silenzio.
La voce non ne vuole sapere di uscire. Tutto l’accaduto fino ad ora mi sembra niente in confronto a Bella incosciente distesa nell’auto, potenzialmente vittima di chi sa quale oscuro male.
«Muoviamoci» dico allora sedendo accanto a lei, impaziente di raggiungere casa.

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari eccoci a noi. Spero che il cappy vi sia piaciuto, mi sono davvero spremuta le meningi …
cloe cullen: L’amore è irrazionale … anzi ti dirò, è quando si ama davvero che si compiono gli errori più stupidi e più pericolosi. In questo cappy si capisce che Edward si convincerà della buona fede di Bella, ma … basterà? La gelosia è un tarlo, silenzioso e inesorabile … baci e grazie per la tua recensione.
tsukinoshippo: Tesoro, eccoci con il cappy tanto atteso… Niente scene alla Mario Merola (contro cui non ho niente) come avevi previsto, ma spero che ti sia piaciuto come ho sviluppato l’incontro/scontro. In realtà, benché molti si aspettassero la svolta, questo è un capitolo saliente, ma non è IL CAPITOLO, non so se mi spiego … Però sarà cruciale … perché qui Ed ha la certezza che intorno a Bella c’è qualcuno che ronza o ha intenzione di ronzare … Se la volta scorsa avresti voluto abbracciare Ed, so che adesso in un paio di occasioni sei quasi venuta meno … o sbaglio? Come hai visto Bella non flirta con Jensen, avevi ragione. Purtoppo il periodo no, non si concluderà presto … è appena cominciato! Grazie e ancora grazie. I tuoi complimenti sono la ricompensa per il mio impegno. Baci
keska: Gioia mia, che bello sapere che il tuo cuore palpita mentre leggi la mia storia, che trovi la trama avvincente e non solo un’accozzaglia di tante idee messe insieme! So che mi capisci se ti dico che una delle mie più grandi ansie è quella di perdermi in mezzo alle mie parole … La storia è già dentro la mia testa, ma quando comincio a scrivere mi sembra sempre che potrei fare di più … non so. Grazie sempre per la tua presenza costante. Ti abbraccio forte
arual93: Laura Laura, ma come devo fare con te? Non è che per caso Alice si è incarnata in te? Scusa il delirio, ma tra qualche capitolo tutto ti sarà più chiaro, ricorda solo queste mie parole … Baci
Piccola Ketty: GRAZIE mia nuova ammiratrice! Ti sei tirata tutti i capitoli? Certo che sei davvero tu l’intrepida!!! Alice…l’adoro anch’io, tanto. Insieme a Jazz è tra i miei personaggi preferiti … Spero che questo cappy non abbia disatteso le tue aspettative. Grazie per la tua recensione, mi ha fatto bene al cuore. Baci
00Stella00: Come sono andata?! Cappy discreto direi, anche se si poteva fare qual cosina in più … spero che ti sia piaciuto, e credo che il prossimo lo apprezzerai. Ti anticipo che sarà quasi il mio record di pagine di word. Un bacio anche a te mia cara, moooooolto più enorme del tuo!!!!!
Michelegiolo: Tesoro, pietà per il povero Ed. Come vedi le sue sofferenze non sono poche...in fondo la sua non è una posizione semplice. Baci e grazie per il tuo commento :))))

rodney: Spero di non aver deluso la tua curiosità anche se Edward nel locale non ci è entrato fisicamente. Per il prologo: no, non è scritto a caso, ma non posso dirti di più. Perdono, plizzzz. Saluti al tuo fidanzato: spiegagli che noi di efp siamo tutte un po’ matte e digli da parte mia che non è solo in questo mondo virtuale, anche mio marito ormai ha smesso di aspettarsi il pranzo a tavola :))))))))))))) Bacioni Simo
Per tutti gli altri: miei cari lettori silenziosi grazie di cuore, so che siete tanti e questo mi conforta.
Alla prossima
M.Luisa

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Capitolo 12
*** CAP.12 ***


Questo capitolo è dedicato a rodney, che fin dal primo si è posta una domanda con incessante curiosità: Cara Simona, qui c’è la risposta che volevi.


CAP.12

BELLA
«Ma dico, sei forse IMPAZZITA?!»
Le grida mi colgono alla sprovvista.
Mi blocco a piedi nudi sul primo gradino della scala. Gli occhiali - che Carlisle mi ha obbligato a portare per la stanchezza quando studio - in bilico sulla punta del naso, un notes pieno di appunti in una mano, una matita tutta mangiucchiata tra le labbra.
Nessuno, no dico nessuno, ha mai alzato la voce in questa casa. Normalmente tra i vari componenti della famiglia c’è solo un rapidissimo quanto impercettibile bisbigliare, escludendo, ovviamente, le silenziose conversazioni tra Alice ed Edward.
La voce che ho sentito è di Rosalie. Proviene dabbasso, dal salone.
Ha detto ”impazzita”. Non impazzito.
Lascio andare un sospiro di sollievo. Bene, almeno non ce l’ha con Edward.
E di certo non può avercela con Esme.
Rimane … Alice.
Rallento il respiro al minimo e tendo l’orecchio. Non sento la controparte.
«Calmati Rose, non è necessario agitarsi così.» Il tono è davvero basso, ma riconosco la voce di Emmett.
«Calmarmi?! Ma siete sbroccati tutti?!» non urla più, ma non penso che darà ascolto a suo marito. E’ esterrefatta.
«QUELLA E’ UN’UMANA, LO CAPITE O NO???!!!!» la sua voce raggiunge nuovamente un’altezza impensabile.
Indietreggio automaticamente di un passo.
Ne sono sicura. La colonnina di cristallo del corridoio, quella con la collezione di tartarughine di Esme, ha vibrato pericolosamente sotto quel tono.
Umana. Ha detto umana.
Sta parlando di me.
E ha detto “quella”.
No Bella. Neanche Isabella.  
QUELLA. Ancora maggiore distacco. Ancora maggiore freddezza.
Quasi disprezzo.
Che ho fatto? Rapidamente ripenso all’ultima settimana appena trascorsa. Non mi viene in mente un solo momento in cui io e Rosalie abbiamo interagito. Ed è una settimana che non esco, non posso aver combinato nulla di così grave, che non sia respirare al suo cospetto.
Già … una settimana che salto i corsi.
Da quando mi sono sentita male al Tandem.
Non ho mai capito cosa sia accaduto realmente, cosa abbia spinto tutti i maschi di casa Cullen a darsi appuntamento fuori dal locale quel giorno. L’ultima cosa che ricordo è lo sguardo di Jasper su di me e la voce allarmata di Edward lontana lontana.
Poi, più nulla.
Mi sono risvegliata in camera mia con un cerottino nella piega del gomito. Edward mi ha spiegato che mi avevano fatto un prelievo per un emocromo completo.
Ed io, da vero “Cuor di leone”, non ho fatto nessun’altra domanda. Soprattutto perché da quel giorno mi pare che le cose tra me e lui siano impercettibilmente migliorate. E’ premuroso. Se possibile anche più di prima. Spesso ho incrociato il suo sguardo su di me, a pranzo o a cena. I suoi occhi sono attenti, non si perdono nemmeno un minimo movimento. La notte mi addormento ancora sola, ma la mattina lo trovo spesso disteso al mio fianco. Una sola volta ho provato ad accennare qualche cosa ad Alice in merito a quel giorno, ma lei si è volatilizzata in un batter d’occhio lamentando un’intensa emicrania.
Emicrania ricorrente, dovrei aggiungere.
Ho concluso che Alice deve aver visto il mio malore in una delle sue visioni e che mi abbia chiamata per farmi andare incontro ad Edward che stava raggiungendomi. E mi sono quindi rassegnata a non indagare oltre.
Solo che … mi è rimasto un profondo imbarazzo nei confronti del professor Jensen. Mi sono talmente resa ridicola ai suoi occhi che non so se troverò più il coraggio di guardarlo ancora in viso. I miei vaneggiamenti, il mio comportamento … devo essergli sembrata isterica. Quel giorno, ovviamente, non sono intervenuta alla riunione e ho mandato a dire tramite Helèna che sarei mancata tutta la settimana per motivi di salute. Il che, se inizialmente è nata un po’ come una scusa, si è trasformata ben presto in realtà.
Più passano i giorni, più mi sento debole, perennemente assonnata ed inappetente. E, poi, ho perso peso … ad occhio e croce un paio di chili. Carlisle mi osserva sempre con molta discrezione, ma nessuno mi interpella apertamente. E’ come se cercassero di evitarmi qualsiasi tipo di stress … e domande sulla mia salute ne comportano parecchio.
Oggi, però, mi sono sentita in forma perfetta ed ho ripreso in mano i libri. Stavo giusto scendendo da basso per chiedere un chiarimento ad Alice, che sono diventata testimone involontaria della discussione che sta avendo luogo in questo momento.
Una discussione che ha me per oggetto.
«Non. La. Voglio. Qui. E’ chiaro?!» dice gelida Rosalie scandendo le parole una ad una.
Silenzio.
Stanno litigando a causa mia. Gli occhi mi si velano di lacrime.
E’ solo Rosalie. Ignorala. E’ fatta così. Meglio tornare in camera, meglio far finta di nulla.
Attenta a non fare il minimo rumore, alzo piano il piede e cerco silenziosamente di indietreggiare. Ne ho appoggiato giusto la punta che sento la voce di Alice: «Rosalie, non stai affrontando la cosa dalla giusta prospettiva. Potrei suggerirti di procedere secondo l’analisi conversazionale di Sock, Schegloff e Jefferson?»
Silenzio.
«Shok, shrek e Foff chi?» il tono è perplesso, basso e a malapena contenuto.
«Sock, Schegloff e Jefferson.» Alice sfodera il suo miglior tono da saputella saccente. Quasi riesco a vederla che ammicca soddisfatta. Per un istante sento compassione per Rose: a questo punto deve essere davvero difficile non strozzare la sorella.
Ma, comunque, che cavolo va blaterando?
«Edward, ti prego, vuoi spiegare a questa profana chi sono Sock, Schegloff e Jefferson?» dice con sufficienza.
Edward. C’è anche lui.
Mi sporgo con il collo e lo vedo.
Vedo il suo riflesso nello specchio in fondo alle scale. E’ in piedi. A braccia conserte e appoggiato alla parete. Ha l’aria seccata.
Ecco, adesso scoppia una lite coi fiocchi.
Mi preparo mentalmente e accenno un passo in avanti. Adesso vedo anche Rosalie.
«Sono teorici del modello microsociologico: interesse per le pause e per i turni della conversazione.» Risponde atono e la sua voce mi chiarisce meglio il suo stato d’animo.
Non è seccato. E’ annoiato.
Sbatto le palpebre perplessa.
«Vale a dire?» Rose è in difficoltà.
«Significa che, secondo Alice, non sai affrontare la conversazione correttamente. Il parlare viene considerato un agire ed il tuo è da considerarsi un comportamento intenzionalmente incivile. Lo stiamo studiando in psicologia della comunicazione» le sue parole non hanno inflessioni. Non sta dalla parte di nessuno. Non è adirato, offeso o risentito. Sta spiegando e basta.
Corrugo la fronte. Qualcosa non mi quadra. Non è da lui questo atteggiamento. Soprattutto quando ci sono io di mezzo. Capisco che è meglio non muovere un passo, ma sono stupita che nessuno si sia ancora accorto di me. Eppure il cuore batte così forte che mi sembra un tamburo …
«Aspetta, aspetta. Fammi capire … lei sta dando … dell’incivile … a me!?» Rosalie si sta rivolgendo ad Edward. Gesticola con una mano elegantemente. Poi si volta. Credo si sia girata verso Alice.
«Stai dicendo che sono un’incivile? Mi vuoi, forse, prendere per i fondelli?!!» La sua espressione passa rapidamente dall’incredulità alla furia.
D’un tratto la scena cambia.
Sento Edward urlare: «Emmett, bloccala!» E tutto accade alla velocità della luce.
Non vedo più Edward e Rose riflessi nello specchio, ma Jasper in posizione di difesa che fa da scudo ad Alice con il suo corpo.
Ai piedi della scala vedo Emmett che tiene Rosalie sospesa a mezz’aria mantenendola per la vita, mentre lei scalcia e si dimena come se fosse posseduta. Non c’è traccia della ragazza dai tratti perfetti e dall’eleganza raffinata nei modi e nell’aspetto. La vampira spietata e crudele ha preso il sopravvento.
« TI FACCIO A PEZZI!!! MI SENTI?! MI SENTIIII!!!!!????? » Le sue urla sono spaventose.
Edward è tra loro due, esattamente al centro.
Volto gli occhi terrorizzata su Alice, che, invece, non si scompone minimamente. Avrà di certo visto che non sarebbe successo niente. Segue la sorella con lo sguardo e scuote il capo con aria da professorina. In una parola … snervante.
«Cavolo Rose, così metti a rischio la parure … ahi!» Emmett la trattiene fermamente, distaccandola leggermente dal suo corpo, ma lei sembra un’invasata tanto è il suo scalciare.
«LASCIAMI! TI HO DETTO DI LASCIARMI!!!!» Rose è fuori di sé.
«Jazz, credo che adesso sia necessario …» Edward si rivolge al fratello.
«NON OSARE JASPER HALE! NON TI PERMETTO DI USARE I TUOI TRUCCHETTI DA STRAPAZZO SU DI ME. E TU LASCIAMI, HAI capito? Mi stai facendo male Em …» la voce le va via via affievolendosi, i movimenti furiosi del suo corpo anche. In fine si immobilizza. Emmett le fa poggiare i piedi a terra, ma continua a trattenerla per la vita.
Non riesco a vedere l’espressione di Jasper, ma capisco che tiene gli occhi fissi su di lei.
«Adesso che ci siamo dati una calmata …» comincia Edward.
«Non ci credo che tu sia così tranquillo come sembri. Vedrà che differenza c’è con la sua natura umana. Potrebbe essere la fine. Lo sai anche tu che è rischioso, rischiamo tutti a causa delle trovate geniali di Alice.» Rose, apparentemente calma, parla con Edward.
Ho capito. Stanno parlando della mia trasformazione.
Stanno valutando la possibilità di trasformarmi adesso.
O tra breve. Magari tra qualche giorno. Alice avrà suggerito di affrettare i tempi … forse … ha visto qualcosa che non và nel mio futuro … Per questo è così sfuggente da un po’ di tempo, per questo Rose è così adirata con lei. Lei non mi vuole qui, non ne ha mai fatto mistero.
Sobbalzo ad un lampo accecante alle mie spalle. Giro il capo verso la finestra e mi accorgo solo in questo momento che fuori sta diluviando.
Alla luce segue subito un tuono fortissimo.
Trattengo il fiato, e mi volto con il viso alle scale, da dove provengono le voci. Con tutti i miei sensi all’erta per ascoltare la risposta di Edward. Adesso le dirà di farsi gli affari suoi, che la cosa riguarda solo noi e nessun altro.
O forse dirà che dobbiamo farlo subito, che non ha più senso attendere, che potrebbe essere troppo rischioso …
Sento una strana malinconia pervadermi. Magari potrei informarlo a grandi linee dei miei impegni con il Tuck’s Center, posticipare la cosa ancora di un paio di mesi, non di più … Mi riscuoto sentendo la voce di mio marito.
«In effetti, Rose, la cosa mi lascia del tutto indifferente. Detto tra noi, non è propriamente lei il mio pensiero fisso in questo momento. Ho ben altro a cui pensare.»
Mi raggelo sul posto.
Indifferente …
Ben altro a cui pensare …
E’ come se all’improvviso mi avessero colpito allo stomaco con un pugno. L’aria diviene improvvisamente troppo poca per i miei polmoni, nelle orecchie solo un fastidioso ronzio oltre i normali toni della conversazione.
Non mi vuole più. Non gli interessa più condividere l’eternità con me.
Che Rose manifesti apertamente il suo disappunto per lui non è più un problema, a ben pensarci non lo è per nessuno …
Nessuno di loro si è posto il problema che potessi essere testimone della discussione, ascoltando qualcosa che non avrei dovuto.
O, forse, dovevo.
Forse per questo i toni erano così alti, per questo nessuno ha fatto cenno al fatto che fossi di sopra.
Mi hanno sentita.
Ne sono sicura.
E loro sanno che lo so.
Volevano che sapessi, che ascoltassi.
Lascio cadere il notes dalle mani e corro in camera mia con le guance inondate di lacrime.


EDWARD - When the Love Falls – Yiruma


Guardo Alice per un attimo. Ha l’aria profondamente soddisfatta. Sa già come andrà a finire tutta questa storia, tutto il polverone che ha alzato a causa di questo maledetto corso universitario.
Sa anche che Carlisle accetterà la sua proposta assurda.
Per questo non ha battuto ciglio alle accuse di Rose, anzi. Conoscendola direi che ci ha provato segretamente gusto a provocarla.
Emmett ha trascinato con sé sua moglie ed ora sono in garage.
A fare la pace direi, considerando il tipo di pensieri che mi raggiungono …
Alzo un sopracciglio leggermente infastidito. Quando Emmett e Rose sono in casa, far finta di essere umani risulta a tutti un po’ difficile.
Jazz sta parlando fitto con sua moglie. Credo che neanche a lui faccia piacere in realtà la direzione presa da Alice. Del resto è impossibile biasimarlo. Sembra che lei ci provi un sadico gusto a mantenerlo sul filo del rasoio, mettendolo in situazioni che lo spingono al limite del suo autocontrollo.
«Ti ho detto che non succederà nulla! Jazz, ma quando mai ho sbagliato?» dice con enfasi aggrappandosi al suo collo con le sue esili braccine.
Lui non risponde. Si è irrigidito.
Alice lo guarda confusa, lo fissa concentrandosi e dopo poco si prende il capo tra le mani.
Non ho bisogno di altri segni.
Come un lampo salgo al piano superiore. Mi fermo davanti alla camera da letto che divido con Bella. So che lei è dentro. Busso. Dopo un attimo la sua voce dall’interno: «Avanti»
Entro con fare rilassato, la posa che mi contraddistingue da una settimana a questa parte quando sono in presenza di mia moglie.
E’ seduta al centro del letto con le gambe incrociate.
Sulle ginocchia ha un libro aperto e tra le mani una matita. La agita fra le dita e sembra particolarmente assorta nella lettura.
La mia intuizione è naturalmente esatta. Bella ha pianto. Lo avverto nell’aria, c’è ancora il sentore di sale e di acqua.
E so anche che non vuole che io me ne renda conto.
Fingo una pacata noncuranza e mi avvicino al letto con circospezione.
«Già sveglia?» ovviamente conosco anche la risposta a questa domanda. Bella è sveglia da un pezzo. Ha ascoltato tutto lo show di Rose, ma evito di farne parola. Se lei non vuole, non intendo costringerla a farmi sapere che era sulla cima delle scale. Bella ha diritto alla sua privacy, no? E’ una lezione che cerco di tenere sempre a mente.
Rispetto dei suoi spazi.
«Oh, sì. Da qualche minuto. Mi è venuta voglia di studiare.» dice con la voce che le trema un po’ indicando il libro sulle sue ginocchia. Ha il capo inclinato sul palmo della mano ed evita il mio sguardo. Anche così riesco a scorgere le sue palpebre arrossate da sotto gli occhiali.
Un nodo alla gola mi impedisce di parlare e annuisco con un cenno del capo. Mi avvicino alla finestra di fianco alla poltrona.
Guardo per un po’ la pioggia cadere incessantemente e formare delle grosse pozzanghere in giardino.
Penso.
Penso ad una maniera per potermi avvicinare a lei senza turbarla. Voglio solo accarezzarla, stringerla fra le mie braccia e sussurrarle di non preoccuparsi di nulla, che ci sarò sempre io al suo fianco, per proteggerla ed amarla come merita. Vorrei asciugarle le lacrime con le mie labbra e dirle che non permetterò mai più a queste impertinenti di farsi strada nel suo corpo fino a raggiungere i suoi meravigliosi occhi, velandoli di tristezza. Vorrei dirle che sono sicuro che tutto andrà bene, ma in fondo so che il primo a pensare che qualcosa potrebbe andare storto sono proprio io.
Mi sembra di impazzire.
Carlisle mi ha mostrato gli esami di Bella. Dicono tutto e niente nello stesso tempo. Un quadro clinico praticamente atipico: neutrofili ben oltre i limiti della norma, valori di funzionalità epatica alterati, anemia sideropenica marcata. E’ più che comprensibile che sia sempre stanca, inappetente, che soffra di capogiri e svenimenti improvvisi. Ma è il suo sistema immunitario che mi preoccupa. Il suo organismo sta combattendo contro qualcosa che non riconosce, contro qualcosa che potenzialmente può danneggiarlo. Il corpo umano è una macchina perfetta, ma anche delicata. Spesso le battaglie che ingaggia sono … inutili, perché vi si oppone qualcosa di molto più forte.
Mi volto e le guardo il viso nascosto dai capelli che le scendono sulle spalle.
Il suo corpo sussulta una volta.
Il cuore mi si frantuma nel petto. Stà piangendo!
In un attimo sono da lei e la stringo contro di me. Al diavolo i buoni propositi, la paura di turbarla e tutto il resto.
Il posto di Bella è fra le mie braccia. Punto.
Mi stringe con tutta la sua forza e si aggrappa alle mie spalle come se fossi la sua ancora di salvezza.
«Shh, calmati amore, calmati»le sussurro sui capelli, mentre la cullo tra le mie braccia.
In risposta singhiozza ancora più forte di prima.
Prendo a carezzarle la schiena delicatamente su e giù, cercando di scioglierne la tensione e l’irrigidimento. Intanto non smetto un attimo di bisbigliarle parole dolci all’orecchio.
Piano, Bella sembra calmarsi un po’, ma non accenna minimamente ad allontanarsi da me. Intimamente mi godo questo contatto ravvicinato con mia moglie, il primo da non so quanto tempo. Le copro la fronte, i capelli, le guance di piccoli baci. Non sembra esserne infastidita, ma, come ipnotizzata, segue i movimenti delle mie labbra su di lei, assecondandoli. Presto mi trovo a ricoprirla di baci sul collo sottile e morbido, le mie braccia ai lati del suo corpo. Dall’incavo della spalla salgo su e poi riscendo per la mascella. Infinite volte. Quando una lacrima mi bagna la guancia, mi sposto lì dove è scesa con le mie labbra, per raccoglierla con dolcezza. Mi fermo vicino al suo orecchio con la fronte e dico, quasi a me stesso:«Cosa posso fare … dimmelo Bella, dimmi cosa posso fare per non vederti più soffrire così …»
Silenzio.
«Fa l’amore con me.» sussurra poi, con un alito di voce.
Mi irrigidisco solo un secondo, e forse, lei fraintende perché aggiunge con voce tremante: «… ti prego».
Stringo il lenzuolo nei palmi delle mani ai lati del suo corpo.
Mi sta pregando.
Come se dovesse convincermi.
Come se io non volessi e lei mi stesse chiedendo un enorme sacrificio.
Distacco la fronte dal suo capo e le cerco gli occhi con i miei. Li trovo e mi ci perdo in un attimo. Dolore, angoscia, paura. Bisogno, fame, desiderio.
E’ solo una frazione di secondo il tempo che mi serve per soppesare la situazione. La debolezza di Bella, la sua richiesta tra le lacrime, la mia voglia pazzesca di lei, la necessità di sentirci vicini.
Mi avvento sulle sue labbra come un assetato in mezzo al deserto che scopre un’oasi segreta. Contemporaneamente le poso una mano a sorreggerle la schiena. Lentamente, la distendo con delicatezza sotto di me. Lei risponde al mio bacio con dolcezza struggente, infilando le dita nei miei capelli ed attirandomi maggiormente verso di sé. E’come se volessimo fonderci attraverso le nostre bocche , le nostre lingue che si intrecciano e si rincorrono.
«Bella, amore … amore mio» le sussurro contro le labbra, tra un bacio ed una carezza al suo pallido viso.
Sospira e mi stringe a sé inclinando il capo all’indietro per offrire il suo meraviglioso collo alla bramosia della mia bocca. La sua pelle sa di lacrime e la bacio, la lecco per cancellarne ogni più piccola traccia.
Ben presto i suoi sospiri cominciano a diventare mugolii e prende a strusciarsi al mio corpo con inconsapevole sensualità.
Voglio donarle tutto il piacere che posso, cancellare ogni traccia del dolore che ho scorto prima nei suoi occhi.
Infilo le mani tra il materasso ed i suoi fianchi attirando il suo esile corpo più vicino a me. Voglio che senta quanto la desidero, quanto riesce ad eccitarmi. Voglio che capisca quanto piacere sto provando in questo momento: «Sei la mia vita, sei tutta la mia vita» le sussurro contro il seno coperto solo da una leggera maglietta rosa. Le mie labbra strofinano e accarezzano i suoi capezzoli attraverso il tessuto. La sua reazione è rapida ed immediata. Le due piccole protuberanze si ergono tese verso di me, verso i miei baci. Scivolo con una mano sotto la maglietta e mi faccio strada verso i due teneri boccioli. Un gemito esce dalle sue labbra e in un attimo desidero un contatto più intimo, pelle contro pelle. Mi sfilo rapidamente la maglia e le alzo la sua in modo da scoprire il suo seno sodo e chiaro. Bella non indossa mai il reggiseno quando è a casa.
Ed è una cosa che mi fa impazzire.
Immaginare la sua nudità, ogni volta che mi passa vicino … tutte le volte che l’ha fatto in questa settimana e non ho potuto nemmeno sfiorarla con lo sguardo.
Mi rifaccio del tempo perduto accogliendo i suoi seni tra le mani, lasciando che mi riscaldino i palmi ghiacciati. Strofino i pollici sulle due punte protese verso di me. Bella sospira ancora e ancora, fin quando le mie labbra scendono sulle due piccole, dolci tentazioni. Allora comincia a gemere di piacere inarcandosi verso di me. Da che le nostre gambe erano intrecciate, si dispongono naturalmente in una posizione più comoda per entrambi, nel contempo più intima ed eccitante. Mi sistemo su di lei con attenzione, e le si spinge verso di me automaticamente. Gli abiti rimasti ci sono d’intralcio, ma non abbiamo la lucidità necessaria, né la voglia per staccarci e sfilarceli.
 Continuiamo a baciarci, ad accarezzarci: io con esasperata passione, con bramosia, lei con struggente ardore, quasi con tormento. Le sue mani passano sul mio petto, sulla mia schiena senza sosta. Le sue labbra mi baciano la pelle della spalla, le guance, la fronte, gli occhi accompagnandosi con carezze febbrili delle mani sul mio viso, sui miei capelli e poi ritornano di nuovo con vorticosa veemenza indietro.
E’ come se volesse avermi tutto sotto le sue dita in ogni istante, come se non volesse perdersi nemmeno un centimetro della mia pelle.
«Oh, Bella …» il suo nome mi esce strozzato dalla gola quando le sue mani si infilano sotto il bordo dei jeans, sfiorandomi il bacino e si allungano sul mio sedere. Stringe la presa e mi spinge maggiormente contro di sé.
Non ho bisogno di alcun incitamento in questo senso e prendo a muovere i fianchi contro di lei. Il mio desiderio è al limite. La voglio da troppo tempo, ma so di non potermi permettere di affrettare la nostra unione. Bella ha bisogno di sentirmi vicino, lo sento. Non è solo una necessità fisica la sua, ma avverto una sensazione strana, come se fosse angosciata, come se volesse fare dei nostri corpi un unico organismo.
E’ come se volesse farmi entrare sotto la sua pelle, come se non fossi mai abbastanza vicino a lei.
Fa aderire ogni centimetro del suo corpo al mio: le braccia distese sulle mie, il suo seno contro il mio torace, le sue gambe sulle mie.
«Voglio … ti voglio sentire» comincia a dire con l’urgenza nella voce, mentre le sue dita tremano contro i bottoni dei miei jeans. Le agevolo il compito e mi sbarazzo dell’ingombro che le sue mani cercavano di eliminare, scostandomi da lei per pochi istanti. Resto in slip, mentre lei si libera della maglietta e comincia ad armeggiare con il nodo del suo pantalone grigio da casa.
Mi prendo un attimo umano per guardarla: il suo corpo è più sciupato, riesco a vedere le clavicole con chiarezza, la linea del collo, ora del tutto scoperto, è più sottile e si incava direttamente nella mascella.
Quando è dimagrita così tanto? Perché non me ne sono accorto?
Mi rendo conto che si è fermata solo quando la sua voce tremula mi riscuote: «Edward …?»
«Aspetta, lascia fare a me» le dico sorridendole prontamente e avvicinando le mie dita alla sua vita. Sciolgo il nodo rapidamente e l’aiuto a disfarsi del pantalone. Rimane un attimo rigida, in imbarazzo osservando l’indumento raggiungere gli altri già sparsi in terra. Avvicino la mia mano alla sua guancia ed i suoi occhi si spostano nei miei:«Tutto ok?» le chiedo con una punta d’ansia nella voce.
Annuisce con il capo ed il suo sguardo scende sul mio corpo, lentamente. Di nuovo sembra perdersi in chissà quali pensieri ed avvicina esitante la mano al mio petto. Quando lo raggiunge la copro con la mia e chiudo gli occhi.
Il suo tocco su di me …
Riapro gli occhi e la invito a stendersi sopra di me in una muta richiesta, usando le mani e lo sguardo per guidarla con dolcezza.
Bella è come incantata. Mi guarda come se mi vedesse per la prima volta, come se, per la prima volta, facesse l’amore con me. Ed io sono incantato nel guardare lei, il suo corpo che si allunga su di me, il suo viso che sfiora il mio petto.
Si siede a cavalcioni su di me e distende la schiena verso l’alto. Con le mani mi blocca all’altezza dei polsi. La lascio fare. La mia piccola, dolce tentatrice … Mi guarda intensamente, a lungo.
Sono dolorosamente cosciente dei suoi glutei che premono sulla mia eccitazione, della sua calda intimità su di me. Il primo istinto è di strapparle lo slip e di farla mia subito, all’istante. Ma poi le guardo il viso arrossato, gli occhi lucidi di eccitazione  e mi dico che preferirei morire piuttosto che essere ancora così brutale. Bella merita solo la massima delicatezza.
Come se mi avesse letto nel pensiero si libera del suo ultimo ostacolo e fa lo stesso con il mio. Trattengo il respiro quando prende la mia mano e l’avvicina al suo fianco.
Vuole che la tocchi. Lo faccio, ed è come se le mie mani prendessero vita propria. Sfiorano, accarezzano, esplorano, stuzzicano più e più volte. Ovunque.
Poi, anche le mie labbra compiono lo stesso percorso e penso che il paradiso deve essere qualcosa del genere: morbido, caldo, dolce, profumato.
Ma quando Bella si risistema a cavalcioni sul mio bacino, in modo da permettermi di entrare in lei, capisco di essermi sbagliato. Scende su di me e mi avvolge completamente.
Sì, decido. Sono proprio in paradiso.
Perché lei può essere solo un angelo.
Un angelo meraviglioso che mormora parole sconnesse e geme di piacere ad ogni mia spinta.
Aumento il ritmo sempre di più, fino a quando capisco che è al limite. Quando sta raggiungendo l’orgasmo e sento di esserci vicino anch’io, non stacco gli occhi dal suo viso per coglierne anche la più impercettibile espressione di godimento. Traggo da questo il mio più intimo piacere e mi lascio andare dentro di lei gemendo anch’io.
L’accolgo tra le mie braccia che abbiamo ancora entrambi il respiro affannoso.
Bella si adagia con il capo sul mio petto e quasi istantaneamente si addormenta. Ascolto attentamente il suo respiro tornare regolare, ed il suo battito scemare a ritmi fisiologici.
Sì, sta solo dormendo.
Mi tranquillizzo.
E’ da tempo che non scivola nel sonno così velocemente. Sono ancora perso i questi pensieri quando mi accorgo delle lacrime che mi bagnano il petto e che scendono dai suoi occhi.
Resto immobile, blocco il respiro.
Poi, delicatamente, l’avvolgo nel mio abbraccio.

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari, qualche piccola precisazione.
Neutrofili: tipi di cellule del sangue che rientrano nel gruppo dei globuli bianchi, deputati alla modulazione della risposta immunitaria nell’organismo.
Anemia sideropenica: diminuzione dell’emoglobina nel sangue circolante a causa di una carenza di ferro.
Emoglobina: molecola presente nei globuli rossi, mediante la quale avviene il trasporto di ossigeno nei tessuti. E’ responsabile del colore rosso del sangue.

Detto ciò, devo inchinarmi a voi.
GRAZIE.
Ho superato il mio record di recensioni per questa storia e sono commossa.
E, poi, ho fatto una cosa che non faccio mai: ho cliccato sulla funzione “Sono tra gli autori preferiti di …” e sono rimasta di stucco. Più del doppio rispetto alla mia prima fic.
ANCORA GRAZIE.
tsukinoshippo: Mia carissimissima tsuki, non basterebbe tutto il capitolo con le sole scritte “grazie” a te rivolte per rendere l’idea. La tua recensione mi colpisce sempre per il dettaglio con cui la scrivi e le leggo con il sorriso a fior di labbra. Mi sento lusingata. ENORMEMENTE. Spero che questo cappy ti sia arrivato così come intendevo io. Fammi sapere. Ci tengo tanto. Baci
keska: Mia adorata, addirittura la pubblicità!! Tu vuoi che mi sciolga in lacrime, ecco cosa vuoi!!! Sei dolcissima, mi sembra di conoscerti da sempre… E’ facile parlare con te, come se fossi davvero un’amica di vecchia data. Grazie anche per il tuo parere sulla musica. Mi scervello davvero molto perché io scrivo il capitolo sulla musica che poi ci monto su. Quindi se la musica non è adatta … Per i prossimi cappy ho delle vere chicche!!! Baci
Synie: Gioia, ci sono molti modi di morire … perdere la vita non è il solo! Baci e grazie per la tua recensione.
LOVA: Grazie davvero. Nuove recensioni = più motivazione per i capitoli successivi!!! Baci :))))
cloe cullen: Già già, il suo potere … Farà molti danni ti assicuro. E la gelosia farà il resto. Grazie tesoro e un bacione.
Antonya: Mia cara, ma quale sproloquio? Io sproloquio per sedici pagine di word alla volta, dodici o tredici righi sono una bazzecolina!!!! Grazie di cuore perché la tua è una recensione scritta con il cuore. Sai, hai ragione dicendo che essendo marito e moglie ci si dovrebbe capire di più, anche considerando tutto ciò che hanno vissuto, ma per esperienza personale ti dico che spesso non è così, purtroppo. E che in fondo ci si fa tanto male solo quando ci si vuole davvero troppo bene. E noi non parliamo di una storia d’amore e basta, ma DELLA STORIA D’AMORE. Grazie, spero che questo capitolo ti sia piaciuto, a me ha fatto male scriverlo. Credo che tu capisca perché. Baci
Piccola Ketty: La scena di te che apri un’altra fic convinta che sia la mia ed immaginare la tua faccia non ha prezzo!!! Grazie tesoro, sei davvero molto cara nel lasciarmi un commento così entusiasmante. Ti assicuro che in futuro leggerai pane per i tuoi denti affilati!!!! Baci
rodney: Mia cara … allora? Kiss
Michelegiolo: Evvai, W Edward maniacale!!! E non hai neppure idea di cosa vi ho riservato per il futuro!!!! Baci
arual93: Gioia, io sono così … mi piace quando sottolineo l’ovvio, soprattutto quando Eddy si prende una bella rivincita!!! Bacioni Laura
mine: Grazie cara, della recensione e dei complimenti! Le sorprese per il futuro non mancheranno, fidati!!! Baci


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Capitolo 13
*** CAP.13 ***


CAP. 13

EDWARD -A Bird's Song - Ingrid Michaelson

Ingrano la quarta e stabilizzo l’auto ad una velocità costante. Non troppo elevata, in linea con le altre vetture che procedono ad andamento sostenuto. Lancio uno sguardo rapido a Bella seduta al mio fianco.
E’ assorta, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino.
Non credo che noterebbe la differenza se procedessi a 50 o a 200 chilometri orari, ma il mio intento è cercare di non agitarla nemmeno inconsciamente.
Ha i capelli raccolti in una coda morbida, un abito marrone che le segna i fianchi ed il seno e scende in due balze sulle gambe. Calza degli stivali dal taglio maschile.
Sembra un’amazzone, ma nei suoi occhi non c’è alcuna fierezza, nessuna traccia di superbia.
E’ pensierosa, è triste.
Ed è …  bellissima.
E nel suo dolore lo è ancora di più. Perché suscita in me il più intenso istinto di protezione che potessi mai pensare di poter provare per una persona.
La sua mano si sposta a sistemare meglio la cartellina con i suoi appunti sulle ginocchia. Lo fa inconsapevolmente, con grazia.
Oggi torniamo al college. Dopo un’assenza di dieci giorni.
Carlisle ha effettuato a Bella tre prelievi in questo periodo, constatando un sensibile peggioramento delle sue condizioni di salute. Secondo la sua opinione – e la sua esperienza assolutamente da non trascurare – ad influire in modo determinante sulla sua situazione è il suo stato d’animo.
Bella sembra essersi … spenta.
Parla pochissimo, mangia appena ed è pallida quasi quanto me. Ieri sera ha rigettato tutta la sua misera cena: un hamburger.
Nonostante avesse cercato di affrontare l’episodio da sola, dicendomi chiaramente di voler restare in bagno per conto suo, non le ho dato ascolto e l’ho sorretta tutto il tempo. Per la fronte prima, per la vita poi, fino a quando non ho potuto impedirmi di prenderla fra le braccia e portarla a letto. E’ stata la scusa giusta per poterla stringere a me, per poter rubare una carezza sfuggente al suo esile corpo.
Tre giorni fa Bella ha fatto l’amore con me ed è stata un’esperienza di una dolcezza e di uno struggimento unici.
Da allora mia moglie non è più lei.
E’ altrove con la mente, silenziosa e anche fisicamente distante, nel senso che non cerca il più piccolo contatto con il mio corpo.
Tuttavia … il suo non è un senso di fastidio nei miei confronti. La spio di sottecchi e mi accorgo che il suo sguardo è spesso su di me quando fingo di essere assorbito altrove. Mi guarda come ha fatto quando ci siamo amati qualche giorno fa: intensamente, come se volesse imprimersi a fuoco il mio volto nella mente. Quando incrocio i suoi occhi, li abbassa repentinamente.
Mi sfugge.
Ed io mi sento sprofondare nella frustrazione e nell’impotenza più totali.
Poi, ieri un segnale. Alice da seduta che stava sul divano – o meglio, su Jasper – è saltata letteralmente per aria lanciando un urlo.
Di gioia.
Perché finalmente aveva avuto una visione di Bella che aveva un inizio ed una fine. Prima ancora che potessi infilarmi nella sua testa , mi aveva lanciato le immagini di Bella con la sua amica Helèna. Erano insieme in una camera, sedute su un letto e parlavano. Alle pareti un poster di Albert Einstein e le foto di un gatto tigrato. Una stanza che non avevo mai visto, forse quella di Helèna. Alice aveva insistito particolarmente sull’immagine di Bella, sulla sua espressione: sorridente, distesa.
Sento ancora i pensieri di Carlisle nella testa quando io ed Alice siamo andati nel suo studio per metterlo al corrente della novità:
“Alice saltellava davanti a me felice come non lo era da tempo. Vedere soffrire Bella era difficile anche per lei. I momenti di buio del suo futuro la rendevano irrequieta e si sforzava più del solito per riuscire ad avere qualche visione che la rassicurasse. Non avevamo più accennato all’ultima visione, quella iniziata nella nostra aula al college, per mia scelta categorica.
La mia priorità adesso era la salute di Bella. Tutto il resto poteva attendere.
Nonostante le immagini che mi avesse mostrato mia sorella fossero rassicuranti, mi lasciavano perplesso per due ragioni: primo, includevano un rientro all’università di Bella e quindi anche al suo corso di economia gestionale. E secondo, escludevano me. Non c’era traccia della mia presenza in quelle visioni, e ciò presupponeva che Bella si sarebbe dovuta allontanare da me.
E la cosa non mi entusiasmava. Ora meno di prima.
«Edward, ti ha colto la sindrome del bradipo?»  mi aveva domandato sarcastica lanciando una rapidissima occhiata alle sue spalle.
Senza rispondere,  avevo continuato a procedere con la stessa identica andatura. Tuttavia non mi era sfuggito che mia sorella non fosse schizzata in avanti per raggiungere nostro padre da sola nel suo studio e metterlo a conoscenza della sua visione. E, considerando la naturale impazienza di mia sorella, questo era davvero un notevole sforzo da parte sua …
Era evidente che la piccoletta vedeva davvero molto oltre. E sapeva che quello non era un momento facile per me.
Tuttavia tentava in ogni modo di alleggerire la tensione: «E dai, di questo passo troveremo Carlisle ridotto ad un mucchietto di cenere …»
Avevo alzato gli occhi al cielo. Era davvero un folletto impertinente …
All’interno dello studio Carlisle ci aveva osservato entrare con sguardo perplesso.
I suoi occhi furono su di me in una frazione di secondo.
-Bella …?- Pensò allarmato.
Avevo scosso il capo una sola volta: «Non esattamente»  avevo detto in un sussurro.
«Carlisle credi che Bella trarrebbe giovamento dall’uscire un po’?» Alice aveva preso a parlare velocemente, anche più del solito.
Nostro padre era riuscito giusto ad aprire la bocca che lei aveva continuato a valanga: «No, perché io l’ho visto. Bella era rilassata e rideva con la sua amica, quella del college»
Non mi era sfuggita l’inutilità della precisazione. Bella non ha altri amici qui ad Hanover.
«Lo so, lo so, non sono un medico … ma non credete che migliorare il suo umore possa aiutarla a sentirsi meglio anche fisicamente?» aveva fatto una pausa impercettibile per riprendere fiato, non perché ne avesse realmente bisogno, ma solo per avere più aria per far vibrare le sue corde vocali.
E vibravano, come se vibravano!
«Alice …» mio padre aveva tentato gentilmente di interromperla.
«Sapete, ho letto di questa cosa su un giornale una volta: la correlazione fra lo stress e i disordini del sistema immunitario. Pare che …» e aveva continuato come se fosse una mitragliatrice che spara parole.
Ero restato in silenzio, poco attento al suo sproloquio.
Mio padre, un sorriso paziente sulle labbra, aveva alzato i palmi aperti verso di lei:«Alice …»
Ma lei non sembrava nemmeno accorgersi del suo tentativo di parlare.
«ALICE!» aveva sbottato Carlisle infine esasperato. Lei si era bloccata di colpo con lo sguardo sorpreso: «Cosa?»
«Alice» aveva cominciato lui sistemandosi con lentezza ed attenzione sulla sedia. E’ un riflesso condizionato dall’agitazione di mia sorella, un meccanismo di compensazione: più lei è irrequieta più noi tendiamo a rallentare i nostri movimenti.
«Alice, siamo tutti molto in pensiero per la salute di Bella, non è un segreto.» e, lanciandomi uno sguardo fugace «ma agitarsi non ci è di alcun aiuto». Si era quindi interrotto, lasciando che le sue parole penetrassero le nostre consapevolezze.
-La sua non è una intuizione errata … Edward che ne pensi?-  Mi aveva chiesto con i suoi pensieri, ma anche questa era un’accortezza inutile. Nonostante le mie lauree in medicina, quando si tratta di Bella il mio cervello si congela, non segue i naturali processi di ragionamento. Se anche mi dicessero che Bella può stare meglio cospargendola di polvere di luna, andrei in capo al mondo pur di trovarne una briciola.
Decidere era stata questione di un attimo. Avevo annuito impercettibilmente ingoiando il nodo che mi si era formato all’altezza della gola.
Avrei fatto qualunque cosa per la mia Bella.
Mio padre mi aveva guardato a lungo, ma non aveva mosso verso di me, né dato voce ad alcun pensiero. Ma sapevo cosa avrebbe voluto dire. Era preoccupato per la mia possibile reazione.
«Non succederà nulla.» avevo detto piano, rispondendo alle sue domande inespresse.
«Bella viene prima di tutto, soprattutto prima di me.» Ed ero sicuro di ciò che dicevo, perché il benessere di mia moglie mi stava a cuore più dei miei istinti omicidi e dei miei personali desideri di vendetta.
Come per un meraviglioso uccello ferito, avrei curato la sua ala spezzata e, per quanto adorassi essere l’unico a poterla ammirare, avrei fatto l’impossibile pur di vederla volare di nuovo”
Bella lascia andare un sospiro e mi mordo la lingua per non chiederle se è tutto a posto. Tanto, da un po’ di tempo la risposta è sempre identica: “Sto bene”.
La guardo con la coda dell’occhio. Ha le mani strette in grembo, una sull’altra.
«Hai freddo?» mi volto e le chiedo dolcemente.
Mi guarda ed accenna ad un sorriso forzato: «No, grazie. Sto bene.»
Per l’appunto.
Riprendo a posizionare il viso in linea con la strada di fronte a me solo a beneficio di mia moglie. Mi fa apparire più umano ai suoi occhi e lo faccio, nonostante il mio sguardo sia costantemente su di lei.
«Alice?» mi chiede dopo un pò.
«E’ già al college. Non vuole perdersi la lezione della Watsford» dico pacatamente.
«E tu?» mi domanda dopo un attimo di silenzio.
«Io invece, sì» le rispondo e cambio rapidamente marcia.
«Edward, tu non devi rinunciare ai tuoi spazi per causa mia.» conclude dopo aver riflettuto attentamente.
I suoi occhi continuano a essere sul mio viso. Ne sento quasi il calore sulle guance.
Resto impassibile con un po’ di sforzo. Non posso girarmi, baciarla come vorrei e dirle che una stupida lezione persa non rappresenta nemmeno un milionesimo di quello che farei per lei.
«Non era niente di interessante» le dico allora strizzandole l’occhio e sorridendole, per sviare la sua attenzione.
Sussulta quando i nostri occhi si incrociano per un attimo.
Amore mio, ti sfinirei di baci quando … quando mi guardi così … penso mentre accarezzo il volante immaginando di avere la sua pelle morbida sotto la punta delle dita.
Continuo a parlare del più e del meno, cercando di strapparle un sorriso, di rilassarla. Credo di esserci riuscito, perché si riscuote sbattendo gli occhi quando fermo l’auto nel parcheggio.
Piove.
Usciamo dalla vettura e riparo Bella sotto un ombrello che apro sopra le nostre teste. Mentre cominciamo a camminare nel vialetto diretti alla sua aula, complice la vicinanza forzata, le prendo la mano nella mia.
E fredda, quasi quanto la mia.
Una volta di più rimpiango di non essere umano, di non poter avvicinare le sue dita alle mie labbra e riscaldarle con il mio respiro.
La temperatura all’esterno è davvero rigida e ringrazio mentalmente il rettore quando un tepore gradevole accoglie Bella all’ingresso dell’edificio principale.
«Mi avverti tu quando hai … finito?» le chiedo cercando le parole più appropriate, mentre cominciamo a percorrere il grande corridoio alla nostra sinistra. Guardo dinnanzi a me, il volto impassibile. So che deve esserci una di quelle riunioni con “Rodolfo Valentino”, ma non voglio innervosire Bella non controllando l’inflessione della mia voce entrando maggiormente in dettaglio.
«Sì. Ma … Edward?» si ferma improvvisamente obbligandomi a fare altrettanto.
«Che c’è?» le chiedo aggrottando le sopracciglia.
«Tu ... adesso … Che farai in tutto questo tempo?» mi chiede e vedo che subito dopo si morde il labbro inferiore nervosa.
«Tranquilla» le dico accarezzandole la guancia con il dorso delle dita «se non l’avessi ancora notato alle spalle del college c’è un bosco che si estende per diversi chilometri. Farò una passeggiata.» finisco con sguardo allusivo.
Riprendiamo a camminare e presto raggiungiamo l’aula 8. E’ più piccola dell’aula magna, ma comunque semicircolare con due serie di gradini ai lati delle lunghe file di poltrone. E’ ancora presto, ci sono molti posti vuoti. Bella scorge Helèna a metà della scalinata destra. Appena la nota, la sua amica alza il braccio in segno di saluto e comincia a scendere verso di noi.
«Ehi Bella! Finalmente stai meglio!» dice con tono caloroso.
Mamma quanto è sciupata … deve aver perso qualche chilo. Pensa Helèna contemporaneamente.
Tre e mezzo, penso io di rimando.
«Helèna, che piacere vederti!» risponde Bella abbracciandola e baciandole le guance.
Le osservo e capisco che fra loro c’è una sincera stima reciproca.
«Ciao Helèna» dico con un cenno del capo.
«Ciao Edward» mi risponde accennando un sorriso. Bella ci ha presentati qualche tempo fa, ma non abbiamo mai scambiato più di qualche chiacchiera superficiale. Nei suoi pensieri ho letto da subito un po’ di soggezione nei miei confronti e tendo sempre a restare in sua presenza giusto lo stretto necessario a non sembrare scortese.
«Beh, ti lascio in ottime mani» dico dopo un breve istante rivolgendomi a mia moglie e, reggendola per la vita, mi avvicino automaticamente alla sua fronte deponendole un bacio leggero.
Quando mi distacco, lei alza i suoi occhi su di me ed ho la chiara percezione che voglia dirmi qualcosa. Stringo la presa ed affilo lo sguardo cercando di acuire i sensi per percepire un qualche cambiamento nelle funzioni del suo organismo.
Il battito è un po’ più veloce, ma il ritmo del respiro ed il colorito sono nel complesso normali.
«Ok, a dopo» mi dice in fine, distogliendo lo sguardo.
Esco dall’aula dopo aver salutato ancora Helèna e lanciato un’ultima occhiata  a Bella.
Mi dirigo davvero verso il bosco. E’ parecchio che non vado a caccia.
Mi manterrò nei paraggi.
Le prime due ore sono di statistica, dopodiché ci saranno due ore di diritto commerciale sempre nella stessa aula. Poi, la riunione.
C’è tutto il tempo prima di ritrovarsi con Jensen.

BELLA
 «Sono davvero contenta che sei tornata» mi dice Helèna stringendomi le mani con calore.
Le sorrido. Mi è mancata.
Ci accomodiamo nei posti che ha conservato per noi: «Te l’ho già detto quanto è figo tuo marito?» mi chiede voltandosi un attimo verso di me con una espressione comica dipinta sul viso, mentre scivoliamo nelle nostre poltrone.
Sorrido ancora.
«Sì, almeno venti volte» rispondo io.
«Per forza, è vero!» dice facendo spallucce e sgranando gli occhi.
«Allora, come ti senti sul serio? » mi chiede dopo un po’ guardandomi con attenzione e assumendo un tono deciso. Poi, mentre sto prendendo fiato per rispondere, alza un palmo aperto in aria, come un poliziotto, e continua:«E non dirmi “bene” come hai fatto in questi giorni a telefono, perché ti mollo un ceffone.»
Faccio una smorfia con la bocca: «Beh, oggi mi sento molto meglio, ma a volte sono stanca, mi affatico facilmente e non ho molto appetito» mi fermo un attimo alzando gli occhi  in alto «mi pare di non aver mancato nulla. Sarà influenza.» concludo alzando le spalle e riportando lo sguardo su di lei.
Mi guarda sovrappensiero per un po’. Comincio a sentirmi quasi in imbarazzo che Helèna fa schioccare le dita e dice:«Ma lo sai che anche mia sorella una volta ha avuto una cosa come la tua?!»
Già la fantomatica sorella di Helèna. Prima o poi dovevamo conoscerci. Avevamo davvero troppe cose in comune …
La mia amica continua assorta:«Sì, sì. Una volta stava così male … nausea, capogiri, febbre. Pensa che la facemmo ricoverare perché non ci capivamo più nulla. Invece sai cosa aveva?» e fa una pausa ad effetto per creare la suspance della battuta finale. Inarco le sopracciglia mostrando una improbabile curiosità. «Era in …»
«Signori, vi prego un ‘attimo di attenzione» una giovane donna di fianco alla cattedra ha preso il microfono ed ora ci guarda aspettando che tutti si siano girati. Al suo fianco Eric Jensen.
«Sono l’assistente del Professor Collin. Purtroppo c’è stato un imprevisto e la lezione di stamane sarà posticipata a domani. Con estrema gentilezza il Professor Jensen ha acconsentito a scambiare le sue ore di domani con quelle di statistica di oggi.» l’assistente si ferma un attimo per assicurarsi che tutti abbiano compreso.
Con mia sorpresa mi rendo conto di avere lo sguardo di lui puntato addosso. Quando lo incrocio, volta subito gli occhi al resto della platea e mormora qualcosa all’orecchio della donna al suo fianco. Con la mano chiusa intorno al microfono, cominciano a parlare fitto.
Nella sala si alza un brusio sommesso.
Passano un paio di minuti, dopodiché Jensen prende il microfono dalle mani dell’assistente di Collin e lo avvicina alle sue labbra, schiarendosi la voce.
«Signori, mi rendo conto che la cosa è stata improvvisa e che non siete presenti tutti. Metteremo un avviso per lo slittamento della lezione del Professor Collin. Tuttavia …» fa spaziare un’altra volta lo sguardo su tutti noi « … tuttavia mi è impossibile tenere la mia lezione adesso.»
Nella sala il brusio si fa più acceso.
Molte sono le esclamazioni di disappunto, soprattutto appartenenti a voci femminili.
Mi guardo intorno e noto le facce dispiaciute di due ragazze sedute poco distanti da me.
E’ vero, non tutti seguono le lezioni del Professor Collin, ma decisamente TUTTI seguono quelle di Jensen. Quest’ultimo si scusa nuovamente e poi dice ancora nel microfono:«Signorina Torres?» e con un cenno della mano indica a Mia di avvicinarsi alla cattedra. Quest’ultima si alza dalla sua poltrona con calma e si avvicina a lui con un sorrisetto sulle labbra.
Tutto di lei, il modo di camminare, di muovere il capo per far ondeggiare i capelli sulle spalle, come alza la mano quando vuole rispondere ad una domanda, tutto sottolinea la sua natura snob. Nelle nostre riunioni non ha mai scambiato più di qualche rapido e superficiale saluto con gli altri componenti del gruppo.
Non ho mai capito cosa ci trovi in lei un ragazzo simpatico come Francisco. La vedo davvero molto bene, invece, con uno come Vik al suo fianco. Ed ora che ci penso, li ho anche visti spesso parlare fra loro …
Con me è stata antipatia al primo sguardo.
Nei confronti di entrambi, aggiungerei.
Ovviamente per il professor Jensen, Mia nutre una venerazione quasi pari a quella di Helèna, solo che nel suo sguardo verso di lui c’è qualcosa di … non so come definirlo … lascivo, indecente? Credo che se lui le desse il minimo spago, lei riuscirebbe a procurarsi un bel gomitolo …
Faccio spallucce e noto come Mia si appoggia alla cattedra, protesa verso di lui che le sta parlando facendo ogni tanto un gesto con la mano.
La vedo annuire con il capo e poi girarsi verso la platea. Fa spaziare velocemente lo sguardo fino a posarlo per un breve instante su me ed Helèna. Si rivolta verso di lui e annuisce nuovamente.
Intanto molti dei nostri colleghi si sono già alzati per dirigersi verso la zona ristoro. Mi giro verso Helèna che sta borbottando qualcosa tra sé e sé. Capisco che non è contenta del mancato recupero con Jensen.
«No, perché dico io il buongiorno si vede dal mattino.» comincia a dire raccogliendo la sua borsa ed il cappotto. «Prima Shirly che mi dice che lascia la camera entro la fine di questa settimana». Shirly è la ragazza che divide la stanza del dormitorio con Helèna
« … poi, Jensen che ci illude di far lezione al posto di quella barba di Collin e dopo si rimangia tutto» ci alziamo e cominciamo a scendere le scale verso l’ingresso.
«… e, dulcis in fundo, questa pioggia incessante che ci impedirà di raggiungere il Tandem».
Si gira un attimo verso di me e mi guarda dispiaciuta : «A proposito, scusami per come mi sono comportata quella volta. Se avessi saputo che già avevi l’influenza, io …» La zittisco con un movimento della mano e le sorrido. Le propongo di prenderci un caffè al bar. Dobbiamo pur far trascorrere queste due ore.
L’aula si è quasi svuotata del tutto.
Guadagniamo l’uscita e seguiamo la scia degli studenti, la maggior parte dei quali ha le nostre stesse intenzioni.
D’un tratto la voce di Mia ci fa bloccare in contemporanea.
«Ragazze, un attimo». Anche la sua voce è snob.
Ci giriamo verso di lei. Con un gesto della mano si ravviva i capelli verso destra. Ci guarda come se fossimo dei vermetti.
Reprimo un moto di stizza. La osservo in silenzio così come Helèna.
«Fra quindici minuti nello studio del Professore. Anticipiamo la riunione» dice seccata, come se avesse fatto un notevole sforzo per rivolgerci tutte quelle parole in una volta sola. E va via veloce.
Non è necessario chiedere quale professore. E’ il professore.
«Sì!!!!» dice Helèna illuminandosi tutta e battendo le mani come una bambina. Poi aggiunge in tono ossequioso, ma molto più contenuto, rivolta alle spalle di Mia:«Grazie o figlia sfigata di Hermes, messaggero degli dei … per una volta dalle tue labbra non esce veleno, ma pura poesia …» e finisce con un leggero inchino da etoile. Naturalmente è sicura che Mia non sia a portata d’orecchio.
Poi, si rivolge a me, radiosa : «Non è meraviglioso?!»
Si, davvero meraviglioso … penso sconsolata e continuo a camminare al suo fianco.

NOTA DELL’AUTRICE: Ragazzi calma, non volate subito con la fantasia. Ricordate che Bella è in convalescenza e che, quindi, non può stressarsi troppo … non fatele fare cose o farla assistere a cose che non dovrebbe …! (intendo botte, un bel litigio con quel rompicoglioni di Jensen, o simili)
E’ necessario cominciare a riempire il famoso vaso … anzi i vasi!

La canzone per Edward non è messa lì tanto per. Le più attente capiranno.
Credo che ormai vi sia chiaro come funziona la mia mente …

Sindrome del Bradipo !!



RenEsmee_Carlie_Cullen: Grazie, sono contenta che il cappy scorso ti sia piaciuto. Purtroppo Edward non sa come muoversi senza rischiare di far danni e talvolta, proprio per non rischiare, preferisce non farlo affatto. O troppo. Dipende dai punti di vista. Baci
rodney: Mia carissima Simo, di niente! Ti sei sempre domandata come, chi e perché riguardo la vampirizzazione. Non potevo non dedicarti il capitolo!!:) E sì, purtroppo ci sono ancora dei fraintendimenti, e non credo che … saranno finiti! Grazie per i complimenti sulla scena d’amore: hai centrato in pieno, perché non è una scena di sesso. Per il fatto che ti sei sentita come una bimba davanti alle giostre … faccio mie le tue sensazioni ogni volta che leggo le vostre recensioni. Solo che io mi sento nel Luna Park più grande del mondo *___* Baci
Michelegiolo: Curiosa eh?! Bhè come ho già detto stiamo riempiendo un vaso, fatto di piccole e fastidiose incomprensioni. Banali se vuoi, ma messe insieme … Nei prossimi capitoli? Emozioni, emozioni, emozioni … Baci e grazie
arual93: Mia fedele fan!! Sei impagabile!!!! Cara Laura una volta di più ti ringrazio per le tue lusinghe. Per i dubbi … bene, era proprio questo ciò che volevo!!!! Bacioni
Synie: Grazie cara, penso che questo cappy ti farà fremere per la voglia di sapere cosa succederà. O sbaglio?! Baci
Piccola Ketty: Sono COMMOSSA. Tu, persa nel lavoro, che ti precipiti a vedere se ho aggiornato. Che nella smania di leggere prendi fischi per fiaschi. Ripeto: sono COMMOSSA. Grazie e … continua così.
 “Mi interessano le tue teorie…”
Baci
keska: Mamma mia … Le tue recensioni mi fanno battere il cuore a tamburo. Non ho parole …  Bella, Bella … la NOSTRA Bella. Sì, lo ammetto. Un po’ ti immagino come lei: dolce, sensibile, un po’ timida, ma anche determinata, caparbia e piena di passione. In fondo nei nostri scritti mettiamo anche un po’ di noi stessi, no? Ed io leggendo i tuoi non posso fare a meno di pensarla così. A dirla proprio tutta, credo davvero che se la mia Bella esistesse, tu le somiglieresti molto. Per le tue lacrime, so che non esageri, e …  grazie. Le conservo nel cuore. Baci
__cory__: Grazie cory, non sai quanto siano importanti i tuoi complimenti. So che non posso incontrare il favore di tutti, ma l’apprezzamento di chi come te, mi ha anche inserita tra i suoi autori preferiti è davvero fondamentale. Sento una responsabilità in più, che è quella di non deludervi. Baci
SweetCherry: Che complimenti … cosa dire se non GRAZIE? Grazie per il tuo parere sullo stile e sui contenuti della mia storia. E grazie perché hai voluto rendermi partecipe dei tuoi pensieri lasciandomi il tuo commento. Baci
Holly__: Mia cara, ho capito perfettamente ciò che vuoi dire…:) E credo che neanche questo capitolo rientrasse nelle tue aspettative. Sono contenta. Essere prevedibile è una cosa che odio. Mi piace stupirvi, emozionarvi e commuovervi. Grazie e te, la mail di ringraziamento era il minimo. Baci
QUESTA RISPOSTA E’ PER TSUKI, MA E’ UN PO’ ANCHE PER TUTTI VOI LETTORI.
tsukinoshippo: Mia carissima Cami, ti enuncio un detto che spesso è ricorso nella mia vita: “La fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo” Allora, sorvolo IO sul fatto che le tue recensioni sono la ciliegina sulla mia torta, il cacio sui maccheroni … Si insomma, che sono diventate indispensabili come completamento del capitolo, ma non voglio divagare. Dunque Edward e Bella non si fanno una lunga chiacchierata … è vero, basterebbe così poco! Ma in realtà alcune cose anche se spiegate, dette e stradette non penetrano nelle coscienze se non sono sentite. La mia esperienza personale mi ha portato a capire che ti devi fidare di quello che senti. Sempre. Con ciò non voglio dire che se Bella pensa che Edward non la vuole più o che lui creda che lei lo tradisca allora hanno ragione. No. Ma se lui le dice una volta di più che la ama e lei che vuole solo lui, tu pensi che basterebbe? Bella ha subito un trauma, che è quello dell’abbandono. Non lo può superare perché in fondo pensa che succederà ancora. Il suo problema non è lui, ma se stessa. Si sente inadeguata a lui. Anche se ne parlasse con Edward ciò non cambierebbe lo stato delle cose.
Lui. La ama è chiaro. Ma non può perdonarsi il fatto che la priverà della sua umanità. E si trova a far coesistere la sua natura di vampiro e quella di uomo (e quest’ultima gli è del tutto sconosciuta, con tutte le emozioni annesse e connesse, gelosia in primis). Come pensi che reagirebbe Bella se lui le dicesse questa cosa? Pensi che le parole di conforto di sua moglie basterebbero ad Edward per far pace con se stesso? Dovrebbero parlare, è più che vero. Ma prima di tutto dovrebbero farlo con loro stessi. Tutto ciò che succede intorno a loro non crea il disagio, ma lo fa solo emergere dal loro inconscio.
Mia carissima amica, tu vedi oltre le righe, vedi ciò che tento in ogni modo di far venire a galla. Ci si ama così tanto a volte che le parole sono insufficienti, e ci si ferisce senza volerlo. Quando fanno l’amore … è tutto tranne che un incontro fisico e forse nelle loro intenzioni non c’era il tentativo di risolvere qualcosa, ma la necessità di non sentirsi soli, di non volersi perdere se non nell’altro.  
Grazie Cami. La tua recensione, insieme a tutte le altre, è una delle motivazioni più forti a continuare la mia storia. Baci
Cari lettori silenziosi, un saluto anche a voi.
Baci
M.Luisa

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Capitolo 14
*** CAP.14 ***


Questo capitolo è per Cami.
Tesoro te lo regalo col cuore, soprattutto il Pov di Bella: non è un caso se ti sfuggiva il motivo del suo comportamento. Qui la risposta.

CAP.14

EDWARD - The day after- Yiruma


Direi che sono sazio …
Quanto tempo è passato da che ho lasciato Bella nella sua aula?
Do una rapida sbirciata all’orologio …
… Trenta minuti!
Mmm … troppo presto. Almeno devo far trascorrere un’ora.
Penso distrattamente. Intanto, getto il corpo della mia prima preda alla base di un albero.
Vabbè, magari mi avvio piano piano, senza correre. Quanto ci impiego a tornare camminando?
Mmmm … No, no. Ci impiegherei troppo tempo.
La discussione con me stesso sta prendendo una brutta piega. Non è mai un buon segno quando ci si fa delle domande e ci si risponde da soli.
Affatto.
Opto per un’altra mezz’ora di  caccia, e per una corsa classica per il ritorno.
Mi accovaccio sulle gambe e mi concentro attentamente. Mi lascio trasportare dall’istinto, abbandonando con piacere per un breve lasso di tempo la razionalità che mi impongo costantemente ogni singolo giorno della mia esistenza.
Sapere cosa è giusto fare, ma propendere per fare tutt’altro è un boccone amaro, difficile da digerire.
E per un vampiro è quasi del tutto impossibile farlo. La nostra natura … prendiamo ciò che vogliamo, sempre. Anzi, facciamo in modo che ci cada tra le braccia. Tutto ciò che siamo è in funzione dell’attrazione della preda, di qualunque specie essa sia.
Fisso negli occhi un intrepido cervo che non solo si è spinto fin quaggiù, ma non sembra temermi affatto. Sente nell’aria l’odore del sangue, ma non fugge. E’ strano.
I cervi non sono predatori nel senso classico. Il loro istinto più forte è quello di conservazione, quello di sopravvivenza.
Questo animale mi osserva. Ha paura, lo vedo. Ha le orecchie che vibrano leggermente nel tentativo vano di percepire un mio respiro, o un battito fugace del mio cuore.
Gli occhi sono dilatati, sembrano volermi passare da parte a parte.
Vuole capire cosa sono.
Vuole capire se sono innocuo, se può fidarsi a stare lì dov’è.
No, penso con dolore. Non sono innocuo. Non lo sono per nessuno.
Con un balzo lo afferro.
Inclino la testa di lato. Con un lieve movimento dei denti gli recido la giugulare lasciando che la vita l’abbandoni lentamente fluendo attraverso le mie labbra, scorrendo giù per la mia gola.
Chiudo gli occhi. E vedo Bella nella mia mente.
Vedo lo stesso sguardo dolce, temerario e timido al contempo.
Sono preoccupato. Sento che c’è qualcosa che la turba perché questo sguardo è ormai velato perennemente da un’ombra di malinconia, di tristezza.
Ma ciò che realmente mi preoccupa è il perché non vuole parlare con me. Ormai dalle menzogne siamo passati ai silenzi.
Non so cosa mi faccia più male. Sapere che mi ha mentito o non sapere proprio nulla.
Mi chiedo in cosa sto sbagliando. E’ chiaro che se mia moglie non si confida con me c’è un problema. E, forse, quel problema sono io, le mie reazioni.
Ripenso alla mia impulsività, alla lotta che ingaggio tutti i giorni con me stesso per reprimerla.
Impedirmi di trattenere Bella sotto una campana di vetro è la lotta più difficile da affrontare. Perché siamo diversi. Perché lei è umana ed io no.
Perché lei ha tutto da perdere a stare con me, mentre io ho solo da prendere.
Perché, in fondo, penso che non meriti la condanna di essere al mio fianco, ma non posso fare a meno di volerlo, di desiderarlo con tutto il mio essere.
E per lei è lo stesso.
Non riesce a fare a meno di me, contro ogni logica, contro ogni naturale istinto di sopravvivenza.
La verità, la verità … Alice ha ragione, come sempre.
In questo momento mi è più facile vedere le cose per quello che sono. Non devo misurarmi, non devo preoccuparmi di sbagliare, posso far emergere le miei emozioni più nascoste.
Ho paura di perderla.
Che questo semestre a Dartmouth le faccia desiderare la luce, la vita e non un’eternità di buio con me. Non desidero per lei la stessa mia esistenza, ma tuttavia la ricerco in ogni modo.
Perché la amo.
L’ho vincolata a me ed ora attendo che venga il giorno in cui sarà come me.
Lo attendo, ma lo temo anche.
Perché sarà quello il giorno che metterò fine alla sua vita per segnare l’inizio della nostra insieme come due esseri della stessa natura. Ed intimamente temo che la sua tristezza, le sue lacrime di questi giorni siano dovute al fatto che non si senta ancora pronta ad affrontare questo sacrificio per me.
Che, dolce e sensibile com’ è, non trovi il coraggio e la forza necessarie per dirmelo.
Maledizione, perché non posso leggerti nella mente, Bella? Penso strizzando gli occhi infastidito.
Mi accorgo di avere tra le mani ancora il corpo, ormai esanime, del cervo del cui sangue mi sono appena nutrito e getto via il cadavere lontano da me, con stizza, nervosismo.
Che essere spregevole che sono!
Guardo la mia Bella, la ammiro, la desidero.
Dico di amarla.
Eppure, vederla mentre vive una vita che prometteva di essere luminosa, piena di gioia e di soddisfazioni, mi fa male al cuore.
Perché è tutto ciò che io, come vampiro, non potrò mai darle.
E, nello stesso tempo, ne sono geloso. Sono geloso di questa parte di lei che è sua e di tutti gli altri, ma che non include me. Non lo potrà mai fare.
Io non potrò mai essere umano.
Non potrò mai passeggiare con lei alla luce del sole in mezzo alla gente.
Non potrò mai gustare con lei un piatto prelibato, un dolce.
Non potrò mai dormire al suo fianco, parlare nel sonno come fa lei, sognarla.
Non potrò mai piangere con lei per la gioia di stringere tra le braccia il figlio che non potremo mai concepire.
E dico di amarla.
Le toglierò tutto ciò e dico di amarla.
E ancora, la trattengo a me.
Oh Bella, perché ti sei innamorata di me? Penso afflitto mentre con un movimento rapido ed aggraziato mi rialzo.
Ho lottato - solo Dio sa quanto - per impedirlo, ma è successo.
Ormai … ormai non sarò più in grado di lasciarti andare. Non fino a quando vorrai restare al mio fianco.
Mi fermo un attimo.
Intorno a me solo il silenzio e i lievi rumori del bosco.
E se non volesse più stare al mio fianco? Se le mie non fossero solo paure, ma intuizioni?
E se un giorno, magari neanche troppo lontano, dovesse volere altro …
Finalmente, ci sei arrivato Edward! Falla finita e mordila, impediscile di lasciarti! La belva dentro di me proietta nella mia mente l’immagine di Bella priva di vita tra le mie braccia. I muscoli mi si irrigidiscono, le mie mani tremano impercettibilmente.
Scuoto il capo, non voglio, non posso pensarci.
Mi fa male anche solo immaginarlo.
Lei è l’unica mia ragione di vita, lei è la mia vita.
Mia, per sempre …
Quasi senza accorgermene mi ritrovo in posizione di attacco, ma è l’istinto a guidarmi. Non sto solo cacciando una preda.
Il respiro mi si affretta, ma lo blocco e prendo a seguire con movimenti sinuosi e silenziosi un lupo inconsapevole.
Non si è reso conto della mia presenza, che il suo tempo qui sta per finire.
Quando lo ghermisco, il giovane lupo si dibatte furiosamente tra le mie mani. Lo trattengo senza sforzo, lo osservo.
E’ facile non lasciarlo andar via. Mi basta così poco. Mi basta solo volerlo.
E quando mi chino su di lui lo faccio senza delicatezza, ma con violenza.
Assaporo il sangue caldo che mi scorre tra le labbra, fino a discendere giù per la gola. Come un potente intruglio curativo acquieta il mio animo turbato,  e riesco a pensare nuovamente con più lucidità.  
Lascio che l’immagine di Bella esanime abbandoni la mia mente nello stesso momento in cui il corpo dell’animale scivola sul manto erboso dalle mie dita contratte.
Edward stai delirando. Tu e lei siete sposati, vorrà pur dire qualcosa? Tutti questi dubbi e queste incertezze non fanno altro che peggiorare la situazione.
La nostra situazione.
Ci stiamo allontanando. Lo vedo chiaramente, è un dato di fatto. Quando è cominciato? Perché?
E la sua tristezza … che dilania e tormenta e graffia il mio cuore.
Incessantemente.
Senza requie.
Ogni volta che una lacrima solca il suo viso, sento tutta la frustrazione e il peso dell’impotenza.
Stringo forte i pugni, sento quasi dolore.
Io penso che … non voglio. Voglio che Bella stia bene, stia al sicuro.
Che sia felice, serena.
Che stia con me.
Io e lei.
Insieme.
Perché ci amiamo e l’uno senza l’altro non siamo nulla.
Cosa devo fare? Cosa potrei fare?
Il telefono vibra nelle mie tasche.
Aggrotto le sopracciglia. E’ troppo presto …
E’ un messaggio. E’ di Bella.
-Finisco prima. Ci vediamo alle dodici al parcheggio. Buona … passeggiata.-
Lancio uno sguardo all’orario in alto a destra del display … le UNDICI E TRENTA?!!
Strabuzzo gli occhi.
Decisamente mi sono perso nelle mie elucubrazioni.
Scrollo il capo, mi raddrizzo e passo una mano rapidamente tra i capelli.
Do una sbirciata veloce ai miei abiti. Senza nemmeno una piega … perfetto.
Comincio, dunque, a correre ad un palmo da terra.
Nella mia testa ancora l’eco della mia ultima domanda …
… Cosa devo fare? Cosa potrei fare?

BELLA
Rieccoci alla nostra tavola rotonda.
Alla nostra riunione massonica.
Osservo i miei colleghi prendere posto. Helèna non si stacca dal mio fianco. E’ elettrizzata, euforica.
Ognuno di noi prende i propri appunti, li sistema alla meglio, organizza il filo del discorso.
Jensen ci osserva attento.
Io osservo attentamente i miei stivali.
Dal silenzio che cala nello studio capisco che tutti sono in attesa che cominci a parlare.
«Bene» Jensen prende la parola «ci siamo tutti»
Non mi sfugge il suo tono soddisfatto. Alzo gli occhi impercettibilmente.
Sta guardando qualcosa sulla sua scrivania.
«Signori, purtroppo devo comunicavi una brutta notizia.» piega alcuni fogli su loro stessi.
Sento che qualcuno dei presenti trattiene il fiato. Helèna al mio fianco è una di quelli.
«”Il consiglio direttivo del Tuck’s Center for Digital Strategies, preso nota dell’aumento considerevole dei bilanci consuntivi del Centro, nello specifico … bla bla bla … decreta una riduzione dei tempi di presentazione dei lavori nell’ambito del Progetto Top Tech Toys 2002.” » cita leggendo da uno dei fogli che ha davanti a sé.
Silenzio.
Jensen posa i fogli sulla scrivania e ci guarda uno ad uno.
Francisco è il primo a riprendersi: «Ma cosa c’entrano i bilanci consuntivi con i tempi di presentazione dei nostri lavori? Ormai gli stanziamenti sono fatti, non possono cambiare. Mese più, mese meno a loro non cambia nulla, ma per noi è un casino»
Jensen non risponde, continua a guardarci: «Abbiamo un mese.»
«Cosa?!» Helèna salta letteralmente dal divanetto.
Ci giriamo a guardarla tutti.
«E’ un’ingiustizia! Così ci boicottano!» dice quasi tra le lacrime.
Jensen si allunga con le braccia sulla scrivania:«No, vorrebbero. Ma non ci riusciranno.»
Si passa tutte e due le mani tra i capelli, poi si massaggia gli occhi:«Signori, devo chiedervi un grosso sacrificio» dice, quindi «Metterò a vostra disposizione ogni mia risorsa, ma ho bisogno di tutto il vostro impegno e di tutto il vostro tempo. Chi non se la sente può rinunciare in questo momento»
Silenzio.
Lascia che le sue parole ci siano ben chiare prima di proseguire:«Lavorerò con ognuno di voi singolarmente, ma ho bisogno che tutti vi teniate nei paraggi. Ho la possibilità di usufruire di tre alloggi nel dormitorio del campus. So che alcuni di voi risiedono all’esterno, e chiaramente comprendo le difficoltà che le mie richieste vi obbligherebbero ad affrontare. Si tratta di un mese, non un giorno di più. Pensateci con calma.» fa una pausa e posa gli occhi su di me per un lungo istante.
Reggo il suo sguardo e lui continua, fissandomi con insistenza:«Consultatevi con i vostri familiari, non siate impulsivi. Anche se sarebbe preferibile che non entraste troppo nel dettaglio, spiegate le vostre motivazioni. Ci tengo particolarmente a che questo gruppo rimanga intatto.»
Abbasso lo sguardo.
Si sta riferendo a me. Spera che continui a lavorare al mio progetto. Tempo fa l’ha definito “innovativo”, “geniale”.
Mi ha complimentata quando gli ho spiegato i concetti alla base della mia idea.
Ha mostrato fiducia ed interesse nelle mie capacità. E mi è parso sincero. Non sembra il tipo da perdersi in lusinghe inutili …
«Tuttavia adesso non facciamoci prendere dallo sconforto e continuiamo. Naturalmente, da che ho avuto questa “missiva d’amore”, mi sono subito messo all’opera e, con la collaborazione del Dipartimento di Ingegneria,  abbiamo selezionato due aziende che fanno al caso nostro. » mentre parla comincia a passare un  mucchietto di fogli bianchi a Mia che si trova seduta più vicina alla scrivania e le fa cenno di distribuirli.
Nelle mani mi arriva una lista con i nostri nomi e a fianco altrettanti nomi di sconosciuti e relativi numeri di telefono.
Di fianco al mio c’è il nome di un certo Kyne Joshua.
«Questi, signori miei, sono le persone che vi aiuteranno a realizzare i vostri lavori. Ovviamente ripongo in loro la massima fiducia, ma vi pregherei di tenere comunque gli occhi ben aperti e di mantenermi sempre, in qualsiasi momento, informato dei vostri movimenti e decisioni in merito al progetto.»

Continuiamo la riunione esponendo le difficoltà incontrate ed appuntando le possibili soluzioni che Jensen ci fornisce diligentemente, con pazienza. Mi rilasso sempre di più ogni minuto che passa e, quasi mi dispiace quando, in fine mi accorgo che gli altri si sono alzati. Mi alzo anch’io.
Mi volto per prendere il cappotto sullo schienale del divano e nel farlo incrocio lo sguardo di Mia. E’ fisso su di me. Ed è … cattivo.
Stringo le palpebre. Sinceramente ne ho le scatole piene di questa tipa.
Ma chi crede di essere?
Non c’è alcun legame che ci unisce, non interagiamo mai … ma allora a cosa devo il suo disprezzo?
Stranamente, benché mi aspettassi un qualche tipo di approccio da parte di Jensen, costui ci saluta tutti senza rivolgersi a nessuno in particolare e ci congeda. Usciamo dallo studio in piccoli gruppi.
Il nostro comprende oltre a me ed Helèna anche Francisco.
Lui parla fitto con Helèna. Discutono su chi tra loro due è il più disponibile a lavorare anche di notte pur di far andare in porto il proprio progetto per il Tuck.
Io mi perdo nei miei pensieri.
Credo che Edward non sarà entusiasta di questa cosa.
Affatto.
E, forse, in questo momento la mia salute è ancora troppo cagionevole per richiedere un impegno di tal genere al mio organismo. Lui si preoccuperebbe troppo e non avrebbe tutti i torti.
O almeno penso.
Chiaramente ormai sono diventata solo un peso per lui. Alla mia già onnipresente goffaggine si è aggiunto adesso anche uno stato di salute precario. Sono proprio al completo. Non c’è che dire.
E se … se accettassi di venire al dormitorio qui al campus …
Se riuscissi a convincere Edward che sarà solo una sistemazione temporanea, che stando al campus eviterei i continui spostamenti in auto, e che ne trarrei beneficio?
Non funzionerà,Bella. Ti si seccherà la gola a furia di pregare e scongiurare, ma non accetterà mai. Mi sussurra la mia vocina interna.
Però potrei provare.
Mi allontanerei da Rosalie, non sarei più costretta ad evitarla come se fossi un’appestata come ho fatto in questi giorni.
Libera.
Per un mese intero. Senza più l’ansia di poter fare qualcosa che la turba, di poter innescare un’altra reazione come quella di tre giorni fa.
Tre giorni fa …
Le parole sentite mi bruciano ancora, come se le avesse pronunciate ieri.
Non mi vuole qui.  L’ha detto così chiaramente!
Ok, ti allontani da Rose, ma con Edward come la metti? Come farai a stare lontana anche da lui, che è la tua aria, la tua forza, la tua luce, il tuo … mondo? La mia vocina interiore si è fatta impertinente, canzonatoria.
 “Indifferente … ben altri pensieri per la testa …”
Quelle sono le parole che davvero mi hanno spezzato il cuore. Ed è stato lui a pronunciarle.
Ho rivissuto la scena a ripetizione in questi giorni, riascoltato nella mia mente le sue frasi centinaia di volte. Ho cercato di darmi una spiegazione, di dare loro un significato diverso da quello che sono. Ho lottato contro la mia labile memoria di umana cercando di ricordare di aver ascoltato anche una sfumatura, una particolare inflessione della voce che mi era inizialmente sfuggita. Qualcosa cui potersi aggrappare, con le unghie e con i denti per giustificare ancora la mia presenza accanto al mio angelo.
Ma in cuor mio so che non c’è nulla di reale, di inoppugnabile che mi tenga legata a lui. Un matrimonio, certo. Ma cosa è se non un vincolo formale quando uno dei due non sente più la stessa urgenza dell’altro?
In questi tre giorni è lentamente emersa in me una certezza sopita nei meandri del dolore e del tempo.
Non le ho mai dato voce, non l’ho mai ascoltata davvero. L’ho ricacciata nel mio inconscio con prepotenza, ogni volta che tentava di fare capolino nella mia consapevolezza.
Cosa ci ha unito da che eravamo lontani? Cosa ci ha spinto l’uno nelle braccia dell’altro?
L’amore?
Amore … sì, per me c’è sempre stato amore. Anche quando lui mi ha abbandonata. L’ho continuato ad amare, l’avrei amato per sempre. Per amore ho quasi rischiato di morire. Più di una volta.
E lui?
Mi ha amato un tempo, lo so, voglio crederlo. Ma poi … poi cosa è successo? Adesso cosa succede?
E’ come se Edward avesse fame di me.
E una volta saziata la fame, rimane una specie di indigestione. Quel senso di fastidio che ti spinge nell’esatto opposto rispetto alla fonte di piacere.
Così solo posso spiegarmi la sua diserzione della nostra camera da letto, il fatto che Alice mi accompagni al college e che lui mi lasci sempre più spesso sola. Il fatto che ormai non gli interessi più la mia trasformazione, ma che nella sua testa ci siano “ben altri pensieri”.
Pensieri che non sono io.
La fame è stata saziata.
Gli rimane il senso di responsabilità.
Mi fermo un attimo, appoggio la mano sullo schienale di una poltrona nel corridoio, per sostenermi.
Ecco, l’ho detto.
Rimane con me per senso di responsabilità, perché sente di dovermi qualcosa, di dovermi ripagare per ciò che gli ho donato, per il mio amore.
E, poi, quel giorno l’ho pregato. Di fare l’amore con me.
Come un cane che annaspa in un fiume cercando di raggiungere una riva che non esiste, quella riva che ha nome Amare ed Essere Amato.*
Così, l’ho amato. Con disperazione, con dolore, con affanno.
L’ho ammirato, adorato.
Ho cercato di imprimere a fuoco nella memoria il suo odore, il gelo della sua pelle, la sensazione del tocco delle sue dita sul mio corpo.
Ho sfiorato il suo con venerazione, meravigliandomi una volta di più della bellezza, della magnificenza, della assoluta … perfezione esposta ai miei occhi increduli ed indegni.
Perché in fondo è come se dentro di me l’avessi sempre saputo.
Prima o poi ci sarebbe stata un’ultima volta.
Fare l’amore con lui è stato come combattere contro i Mulini a Vento, come cercare il sacro Graal …
L’angoscia più disperata, la ricerca più ardua, il dolore più profondo: ed è il tentativo di evitare che nella mia memoria rimanga solo la cenere dei ricordi.
Sussulto come una ladra colta in flagrante quando mi sento sfiorare la spalla con una mano.
E’ Helèna. Mi guarda preoccupata.
«Ehi Bella, è tutto a posto?».
Sbatto le palpebre e la vedo vicino al mio fianco, Francisco qualche passo più oltre.
Un’ondata di nausea mi travolge, ma abbozzo un sorriso ed annuisco con gli occhi, nemmeno con la testa.
Helèna aggrotta le sopracciglia e mi passa un braccio sotto il gomito: «Vieni, parlando con Francisco mi è venuta un’ottima idea»
La seguo, pensando distrattamente che devo avvertire Edward dell’anticipo della fine della mia giornata universitaria e che le ottime idee di Helèna, non so perché, mi incutono sempre un certo timore …

NOTA DELL’AUTRICE:
* Citazione tratta da “Lettera a un bambino mai nato” – Oriana Fallaci.
Se non l’avete fatto ancora (!!!) LEGGETELO. Penso che sia uno dei libri più struggenti che abbia mai letto in tutta la mia vita. E ne ho letti tanti.

Perdonate la mia leggerezza, ho dato per scontato un po’ di cose che per i “non addetti ai lavori” non sono così ovvie. Allora Carlisle ha fatto tre prelievi a Bella e non ha capito cosa abbia, perché sta facendo delle indagini generiche. Se si vuole conoscere un’eventuale stato di gravidanza è necessario effettuare altre indagini più specifiche: un test sulle urine (i comuni test in farmacia funzionano così) e per la sicurezza si effettua un dosaggio nel sangue di un ormone che si chiama Beta-HCG.

I dosaggi ormonali di questo tipo non sono un passaggio di routine, ma sono esami diretti. Cioè non si indaga su questo tipo di ormone se non si sospetta una gravidanza e direi che in casa Cullen nessuno si aspetterebbe una cosa del genere considerando che credono che i vampiri non possano procreare.
Quindi Carlisle non si è rimbambito, ma non lo sfiora neppure (per ora) il pensiero di una tale eventualità.
Un po’ per tutti: la famosa discussione tra Alice e Rose … io gli indizi li ho messi sparsi in giro (nel capitolo stesso), ma voi dovete anche leggere un po’ tra le righe. Edward non ne fa mai menzione (eccetto che nella prima frase del suo Pov nel capitolo incriminato, il 12), ricordate che ha detto che la cosa gli è del tutto indifferente e che ha altri pensieri per la testa (per questo non ne trovate traccia nel suo Pov, non è che sono smemorata!). Per Bella è diverso: in lei c’è traccia dell’accaduto perché lei ha tratto le sue deduzioni autonomamente ed il suo cervellino sta lavorando, lavorando, lavorando … Per ora posso dirvi solo questo. Spero che qualcosa vi sia più chiaro …
Ragazze siete argute! E siete più sadiche di me!!! Avete fatto bene i conti: uno più uno = Bella si trasferisce da Helèna, ma sulle modalità mi riservo la facoltà di stupirvi!
 

cloe cullen: Non sia mai detto che faccia impazzire una delle mie più accanite lettrici! Cara, il prossimo capitolo non arriverà tra molto tempo. Baci
tsukinoshippo: Mia cara, spero di aver reso bene le idee di entrambi in questo capitolo. L’ho riscritto due volte … Per quanto riguarda le teorie tue e di Francy mi avete commosso davvero. Voi, che chissà quante belle cose avete da dirvi, che parlate della mia storia!!! Il senso non è da dove sono nate, ma che SONO  nate!!! In effetti vorrei potervi rispondere, ma … so che non me ne vorrete se non lo faccio. La mia storia è già nella mia testa, ma scrivendola man mano cambiano delle cose … non posso pronunciarmi!!! Baci
arual93:Cara Laura, sono contenta davvero che un mio capitolo possa contribuire in qualche modo a migliorare il tuo umore, se potessi posterei ogni giorno … Jensen è un personaggio molto complesso: è una persona che ne ha viste di cotte e di crude, un uomo deciso, sensibile, che vede oltre le apparenze, che non si lascia intimorire, né scoraggiare … Penso proprio che farà altri danni! Baci
__cory__: Sette vampiri intelligentissimi che si perdono in una tazzina di acqua … Bhè il controllo, la sorveglianza … le cose potrebbero non rimanere tali!! Baci
Michelegiolo: Quella con atteggiamento snob … hai davvero lo sguardo lungo mia cara!!! Brava, potresti anche aver ragione ... Baci
ginny89potter: GRAZIE. In effetti hai fatto centro con quasi ogni tuo pensiero … Per la matematica … meriti un bel dieci perché invece penso che i conti li sai fare davvero bene! Ti scusi, poi , per una cosa che mi fa gongolare da morire: le recensioni come la tua sono la mia passione!!!! NON TI PERMETTO DI ESSERE PIU’ BREVE. OK?!! Spero che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto. In quello scorso si respirava angoscia, qui è sbandierata ai quattro venti! Spero di non essere stata TROPPO angosciosa!!! O forse, sì?!!! Bacioni
keska: Perfetto, mi hai lasciata senza parole … E, poi, io sarei quella che fa arte … tu che mi commuovi con una semplice recensione e non con un papiro di venti pagine, no eh?!! Questa storia sta cambiando pian piano che andiamo avanti, l’ho detto anche a Cami, e per le teorie non posso dir nulla … ma sono felice che tra di voi ci sia anche un po’ di me … Grazie davvero. Baci piccola :))))
rodney : Carissima, tu non mi annoi affatto con i tuoi commenti!!! So che ci tieni alla storia e mi piace un sacco che ne parliamo con questi scambi di battute … per il tuo inglese, non preoccuparti: il mio fa più pena del tuo ti assicuro. In genere controllo i testi su questo sito: http://www.testimania.com/. Molte canzoni che scelgo non hanno la traduzione in italiano, ma un semplice traduttore può darti il senso generale, la visione d’insieme … Per il capitolo scorso in cui c’era Bird’s song il riferimento sta alla fine del ricordo di Edward con Carlisle! Baci
aki93: Grazie cara. Nelle note generali ho dato la spiegazione alla tua domanda. Bacioni
SweetCherry: Merci,mon cheri … spero di aver chiarito qualche tuo dubbio con le note per tutti. Tranquilla, la svista è stata mia, non tua!!! Baci
sassy86:purtroppo non riesco a riassumere una risposta alla tua domanda in poche righe. Ti rimando alla risposta ad una recensione nel cap. 13, quella di tsukinoshippo. Spero così di riuscire a chiarirti qualche dubbio. Baci.
Piccola Ketty: Alloooora: ho letto la tua recensione e questa la mia faccia ù.ù
Poi ho letto la mia risposta nel capitolo scorso *_*
Allora ho riletto la tua recensione e ho capito tutto :)))))))
Tu mi ricordi in maniera incredibile la signorina sbadatella (lo vedevi no Candy-Candy?!!!!) e ti giuro che mi fai stampare sul viso un sorriso che parte da un orecchio e arriva all’altro: sei quasi più distratta di me.
E infatti non poteva essere che avevo trovato una sola ragazza in efp che non avesse visto Twilight, perché la mia frase non era “Mi interessano le tue storie” (anche se andrò a leggermele, prometto), bensì :”MI INTERESSANO LE TUE TEORIE …” Ahahhah!!!
Ti bacio fortissimo, KISS

Per tutti i lettori: GRAZIE, il solo capitolo scorso ha ricevuto OTTOCENTO VISITE in un giorno e mezzo!
Baci M.Luisa





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Capitolo 15
*** CAP.15 ***


CAP.15

EDWARD - The Fray - How To Save A Life

“Si prega di controllare attentamente l’esattezza dei dati forniti e di procedere con la conferma”
Evito di rileggere inutilmente e clicco su CONFIRM.
Qualche secondo di attesa.
Poi appare la schermata con il resoconto delle operazioni effettuate e lo specchietto riassuntivo con la ricevuta da conservare.
La salvo insieme a tutte le altre: voli di prima classe, alberghi di lusso, visita dei luoghi più suggestivi.
Che meraviglia internet! E’ praticamente possibile fare qualsiasi cosa con un computer ed una carta di credito.
Certo, per andare proprio sul sicuro con coincidenze e disponibilità avrei potuto affidarmi ad Alice, ma, momenti di buio a parte, voglio che questa cosa sia solo mia.
Mia e di Bella.
E voglio la sorpresa, l’imprevisto.
Voglio che questo non sia solo un viaggio, ma sia un percorso da fare insieme, io e lei. Un modo per riscoprirsi, per riavvicinarsi, per capirsi.
Ne abbiamo un dannato bisogno.
E se per caso dovesse capitare che uno dei nostri voli accumuli del ritardo, tanto meglio: non è arrivare a destinazione la cosa che mi interessa di più. Ma è tutto il tempo che trascorrerò con Bella.
In ogni situazione, in ogni circostanza. Anche in quelle che non avevamo messo in conto di dover affrontare. Ma lo faremo insieme. Decideremo insieme, senza avere già la soluzione a portata di mano.
Cosa le và di fare e cosa no, cosa desidera e cosa, invece, non le interessa affatto …
Voglio che si senta libera di scegliere secondo le sue inclinazioni. Io mi limiterò a proporle tutte le migliori alternative esistenti, gli angoli più suggestivi della città di Parigi, gli scorci paesaggistici più deliziosi della costa orientale francese.
Ovviamente niente giri per turisti … conosco talmente bene le nostre mete da sapere persino ciò che sfugge agli stessi français.
Mi allungo con la schiena sulla poltrona su cui sono seduto ed incrocio le mani dietro la testa.
Ci farà bene allontanarci un po’ da tutto.
Bella si distrarrà, si allontanerà anche da Rosalie. Non mi è sfuggito il modo in cui l’ha evitata in questi giorni. E neanche alla stessa Rose.
Ieri, all’ennesimo abbandono di Bella della stanza in cui Rose entrava, mia sorella si è bloccata di botto e mi ha chiesto con i suoi pensieri cosa aveva fatto qualcosa di sbagliato.
Mi si è stretto lo stomaco in una morsa.
Rose non è mai stata molto espansiva nei confronti di mia moglie, non è un segreto, ma neanche apertamente ostile.
Almeno ultimamente …
La Francia le piacerà. Ne sono certo. Il connubio perfetto di romanticismo ed eleganza, di atmosfere suggestive e di grazia trova la sua espressione più alta proprio lì.
Antibes, la meravigliosa Antibes dove “Tout rayonne, tout fleurit, tout chante"  - “tutto splende, tutto fiorisce, tutto canta"-, con i suoi ristorantini, i negozi, i mercatini multicolore.
Grasse, antica, caratteristica. Con le tipiche botteghe d’arte profumiera, il dedalo di viuzze strette e pittoresche in cui le fragranze odorose si mescolano tra loro creando sfumature uniche e preziose.
E poi, la capitale, i suoi luoghi più conosciuti, ma soprattutto quelli meno noti: i giardini segreti a cui il turismo tradizionale non ha accesso, il Cour de Rohan, Parc du Turlure con quella deliziosa cascata …
Ma, un momento … Grasse
Stringo lo sguardo cominciando a far lavorare la mente velocemente.
Chissà se …
Mi raddrizzo sulla sedia e comincio a muovere le dita sulla tastiera del computer.
Immediatamente si apre la pagina che cerco.
In pochi secondi trovo ciò che mi interessa. Afferro il cellulare e compongo il numero di telefono indicato.

«Fragonard, bonjour. Est-ce que je peux l'aider?»  - Fragonard, buongiorno. Posso aiutarla?- Una delicata voce femminile risponde dall’altro capo del telefono.
«Oui. Monsieur Colbert, s'il vous plaît» - Sì. Monsieur Colbert, per piacere -rispondo rapidamente.
«Qui le désire?» - Chi lo desidera?
Un sorriso si viene formando pian piano sul mio viso.
«Le docteur Carlisle Cullen» - Il dottor Carlisle Cullen - dico pronto.
«Campe en ligne, merci.» - Attenda in linea, grazie.-
Parte una musichetta in sottofondo e mi preparo per recitare questa breve scenetta. Mio padre non se la prenderà per questa innocua bugia.
Monsieur Colbert è il più importante profumiere di Gresse. Conobbe Carlisle quando questi era in Francia per un master in medicina alla Sorbonne.
Parliamo di circa sessanta anni fa. Mentre ero in giro per il mondo alla ricerca di una mia identità, Carlisle e Monsieur intessevano un profondo rapporto di amicizia. Al tempo Carlisle era un giovane e brillante medico desideroso di approfondire la propria cultura, mentre Monsieur era un modesto profumiere di bottega che aveva ereditato la piccola attività della famiglia. Si occupava di piccole ordinazioni, pochi prodotti di eccellente qualità lavorando sodo per un misero guadagno. Consultò Carlisle per il Morbo di Dupuytren alla mano destra e mio padre lo curò con pazienza e diligenza senza mai riscuotere il proprio onorario. Ricordo di averlo sempre sentito parlare di Monsieur come di un artista, un genio dell’arte profumiera e nel contempo una persona di spiccata modestia ed umiltà. Un uomo che, nella sua semplicità, nascondeva una tenacia ed una testardaggine unici.
Mio padre ne rimase affascinato.
Si persero di vista quando Carlisle si trasferì in America.
Qualche tempo dopo sapemmo che aveva rilevato la famosa Fragonard e l’aveva riportata al suo antico splendore. Di lì a poco, un pacco voluminoso venne recapitato a nome di Madame Cullen.
Tra le veline ed il polistirolo, ne uscì una boccetta minuscola.
Dentro, uno dei profumi più sublimi che abbia mai sentito in quasi cento anni.
Nel biglietto che l’accompagnava, un’unica parola vergata con una grafia svolazzante e delicata: Merci.
La musica si interrompe all’improvviso e la voce della centralinista la sostituisce prontamente: «Docteur Cullen, Monsieur en ligne.» - Dottor Cullen, Monsieur in linea.-
Sento chiaramente il clic del passaggio della linea telefonica.
Poi, silenzio.
«Allô» -  Pronto - una voce bassa, roca, risponde dall’altro capo.
«Monsieur» dico imitando alla perfezione la voce di mio padre, rendendola nel contempo leggermente più strascicata, più appesantita … più vecchia.
«Carlisle! Che piacere sentirti, mon chéri!» dice e dal tono capisco che l’entusiasmo è autentico.
Bene. Sorrido.
Una sola frase mi è bastata per capire come condurre la conversazione.
Si ricorda di noi, si danno del tu ed è così cortese da tralasciare la madrelingua a beneficio dell’idioma del suo interlocutore.
«Il piacere è tutto mio Emìle» dico «Ne è passato di tempo» aggiungo cercando di sondare la sua lucidità mentale.
Dovrebbe essere intorno all’ottantina. Un po’ tanti di anni per un umano.
«Mon Dieu! Direi proprio di sì, sono passati sessanta anni più o meno, giusto? Ormai siamo due vecchietti …» dice ripassando a me la battuta.
«Eh già» confermo sorridendo all’idea di un incontro attuale tra i “due vecchietti”. Vedendo Carlisle ad Emìle, come minimo, sarebbero scoppiate le coronarie.
Passiamo qualche minuto a discorrere amabilmente. Monsieur Colbert deve essere un vecchietto molto coriaceo. E’ più che lucido per la sua età, pronto nelle risposte, educato e di una gentilezza infinita.
Si informa sulla salute di Madame Esme e dei “nostri” figli.
Mi congratulo con lui per il successo ottenuto e lui liquida la questione con eleganza, definendola una”fortunata serie di coincidenze”.
So perfettamente che qui la fortuna non c'entra nulla. Monsiuer è un tipo che ha sofferto, ha lavorato sodo ed è rimasto, tuttavia, modesto e privo di boria.
E’ poi è un genio.
Si attarda nella conversazione, ma non chiede direttamente il motivo della mia telefonata. Ad un certo punto capisco che è venuto il momento di dirglielo ed il mio tono cambia impercettibilmente.
«Emìle, non vorrei sembrarti indelicato, ma vorrei chiederti un piacere.» dico tastando il terreno.
«Diable! Vuoi scherzare Carlisle? Consideralo come già fatto.» risponde quasi scandalizzato.
Sorrido impercettibilmente:«Ecco … mio nipote e sua moglie verranno in Francia per una vacanza e lui vorrebbe chiederti una grande cortesia. Sa che sei l’unico a poter realizzare ciò che desidera.»
«Bon. Passamelo» dice impaziente.
Faccio scivolare il telefono nell’altra mano, attendo due secondi: «Monsieur Colbert, sono Edward Cullen. Mio nonno mi ha molto parlato di lei. E’ un onore poterlo fare personalmente» uso la mia voce con naturalezza e non c’è traccia di menzogna nelle mie parole.
«Sottises, ragazzo. L’onore è mio. Tuo nonno non è una persona comune.» Ed in effetti non ha idea di quanto siano vere queste parole. «Ti prego, dimmi cosa posso fare per te.»
Mi appoggio allo schienale della poltrona e mi prendo un attimo per pensare alle parole giuste per esprimere ciò che voglio.
«Solo quello che sa fare meglio, Monsieur» dico infine con tono sicuro.


BELLA Ingrid Michaelson-The Chain


Cammino nervosamente da un lato all’altro della camera da letto.
Raggiungo la finestra, guardo fuori. Mi giro e raggiungo la porta.
Saranno più o meno dieci minuti che lo faccio.
Forse spero che miracolosamente accada qualcosa che mi illumini, che mi suggerisca come affrontare con Edward il discorso del mio trasferimento al campus.
Helèna è stata determinante nel convincermi. La sua coinquilina Shirly abbandonerà domani il suo posto nella stanza poiché ha deciso di convivere con il suo fidanzato. “L’ottima idea” consiste nel fatto che dovrei sostituirla per questo mese, in modo che la mia amica abbia tutto il tempo di cercare un’altra coinquilina fissa senza che la direttrice del dormitorio le affibbi una da elenco, della quale Helèna non sa nulla e che, quindi, potrebbe riservare qualche sgradita sorpresa.
D’altro canto io continuerei a lavorare al mio progetto e avrei la comodità di dividere la stanza con qualcuno che già conosco. E che conosce anche Edward.
E, poi, si tratta solo di un mese, diamine!
Passa in fretta.
Ma chi vuoi prendere in giro,Bella. Nemmeno un’ora passa in fretta se Edward non è vicino a te … La mia vocina.
Cara. Sempre sincera quanto inopportuna.
Sono stata così indomita da aver fatto passare quasi tutta la settimana senza avere il coraggio di dar voce ai miei pensieri.
Incrocio le braccia al petto e percorro nuovamente la stanza in tutta la sua lunghezza.
Edward, mi trasferisco …
E no, no … non va bene. Sembra che vado via definitivamente.
Mi fermo in mezzo alla stanza ed agito la mano per aria in circolo, cercando l’ispirazione.
Edward, i miei impegni nel corso di economia richiedono il mio allontanamento …
No, no! Ma che dico! Neanche fossi Paul Krugman.
Scuoto la testa afflitta.
Mi ripeto per l’ennesima volta che non posso più rimandare, che ormai devo affrontare la cosa. Joshua, lo studente di ingegneria all’ultimo anno che mi affianca nella realizzazione del lavoro, è rimasto veramente colpito dalle mie idee. Quando gliele ho esposte con voce titubante, imbarazzata fino all’inverosimile per timore di dire qualche colossale stupidaggine di fronte ad una persona della sua esperienza, mi ha ascoltata in silenzio. Mi ha fatto parlare senza interrompermi neanche una volta.

Quando in fine ha parlato, ha pronunciato solo una parola:«Splendido» e negli occhi gli luccicava un che di diabolico.
A quanto pare anche il Dipartimento di Ingegneria ha qualche conticino in sospeso con il consiglio direttivo che si occupa dello stanziamento dei fondi per la realizzazione dei progetti universitari …
Ovviamente è stata Helèna a “invogliarmi” a contattarlo, ma ciò non mi ha reso più determinata nella scelta. Anzi. Forse lo sono ancora meno, forse avrei sperato che mi dicesse che le mie idee non erano poi così speciali. Forse avrei voluto che questo scegliesse per me …
Ciò è accaduto due giorni fa.
Da allora Joshua non smette di darmi il tormento.
E’ assillante fino all’inverosimile. Ma non agisce di persona. Ha compreso bene di dover passare attraverso qualcuno di più incisivo, di qualcuno che non solo può agevolmente raggiungermi in qualunque momento, ma che è anche altrettanto motivato come lui: Helèna.
Il cellulare vibra sulla scrivania.
E’ un messaggio.
Ovviamente è di Helèna.
-Allora glielo hai detto?- Alzo gli occhi al cielo. Ancora. Non si decide a darmi pace.
Le rispondo. Non perché ne abbia realmente voglia, ma so che se non lo faccio questa sarà solo la prima di una lunga serie di minacce più o meno velate.
-Non ancora. Per favore, fammi riflettere.- Rileggo. Decido che va bene ed invio.
Poso il telefono dov’era e riprendo a camminare.
Dunque … Edward c’è una cosa che vorrei dirti …
Eh … non è poi un brutto inizio. Ammicco a me stessa con il capo.
Non posso entrare troppo nei particolari, ma con Helèna … noi partecipiamo ad un lavoro che … che …
Che … ?!! Cosa che?!! Che già da sé ci spinge a comportarci come dei piccoli 007, in più io, che notoriamente sono una temeraria, ho deciso di tenerti nascosta la natura del mio progetto, perché penso che tu possa ficcare il naso dove non devi e che possa ancora una volta eccellere lì dove io non faccio che dei passetti traballanti!
Ecco queste sarebbero proprio le parole più opportune!
Il ronzio della vibrazione, del tutto inutile dato che viene percepito benissimo da tutti anche da Rose che è in garage, mi raggiunge come un presagio sfortunato.
Afferro il cellulare seccata. Vorrei potermi sfogare su questo piccolo oggettino fastidioso.
Ancora …!
-J. dice che se non glielo dici entro oggi viene a casa tua e glielo dice lui. Concordo in pieno, siamo già per la strada.:)-
Rileggo il messaggio. Decisamente Helèna ha un umorismo macabro.
Sento bussare alla porta.
Sobbalzo  e mi volto terrorizzata. Che quella folle della mia amica …
Ma che vado a pensare!
Cerco di darmi una calmata e mi dico che la tensione non mi farà andare proprio da nessuna parte. Men che meno al campus.
«Bella, posso entrare?»
E’ Edward.
«Ehm … sì un … un attimo» Mi passo una mano nei capelli e mi giro intorno nervosa.
Tiro un profondo sospiro, alzo di scatto la testa verso la porta e mi scrollo i capelli all’indietro.
Ok, ci siamo.
Prendo l’aria necessaria per rispondergli, ma il telefono comincia a vibrarmi nelle mani.
Mi scappa e cade sul tappeto.
Maledizione!
Lo afferro e comincio a pigiare tutti i tasti come una pianista folle. Vorrei spegnerlo, ma l’indice non ne vuole sapere di soffermarsi sull’unico tasto utile allo scopo.
«Bella?!» la voce di Edward è interrogativa. Si starà chiedendo se per caso non mi sono data al fitness: il respiro affannato, il battito accelerato, dei rumori sospetti …
«Sì!» erompo decisa con il telefono fra le mani, leggermente chinata in avanti, con i capelli che mi ricadono in ciocche scomposte davanti agli occhi cercando invano di scostarmeli dalla fronte con dei movimenti inconsulti del capo.
Cazzo, e spegniti! Penso colta dalla smania febbrile di disfarmi di quella che ormai mi sembra una bomba a mano. L’oggetto mi ricade nuovamente a terra, ma questa volta la batteria si separa dal resto del telefono.
Perfetto! Esulto come se la dea fortuna, impietosita, avesse voluto sbendarsi e guardare finalmente nella mia direzione. Raccolgo i pezzi del telefono e li getto alla rinfusa nel primo cassetto della scrivania.
Chiudo il cassetto cercando di essere delicata e poi soffio appena rivolta alla porta: «Entra» mentre in contemporanea mi scosto dalla scrivania e mi avvicino alla finestra.
Lo osservo incedere con eleganza innata in camera.
E’ … stupendo. Penso con una nota di nostalgia.
Quando poi indossa quei jeans sbiaditi alla perfezione … che gli sottolineano la potenza delle cosce, la linea asciutta e scolpita dei fianchi, i glutei sodi … Sbatto ripetutamente le palpebre e mi do mentalmente della pervertita. Questo non è assolutamente il momento adatto.
Né di guardarlo come se fosse l’ultimo uomo sulla Terra, né di fantasticarci su, come se io fossi l’ultima donna e potessi, quindi, permettermelo.
Devo restare lucida.
Obbligo i miei occhi a puntarsi sul suo viso, che in questo momento mi sembra la parte più innocua del suo corpo. E, poi, è come se i suoi occhi fossero … non lo so … più luminosi, più brillanti? E’ possibile? Ora che lo guardo meglio vedo anche aleggiargli sulle labbra una specie di sorrisetto. Gli sorrido di riflesso.
E’ sempre così.
Quando lui è felice, lo sono anche io.
Il suo sguardo è su di me da che ha varcato la soglia di camera nostra. Mi guarda tranquillo, si muove con lentezza.
Mi si avvicina indolente. Lo seguo con gli occhi come un’ebete.
Credo anche di avere tutta l’espressione del viso da ebete. Quando siamo uno di fronte all’altra, poggia le sue mani con calma sulle mie, abbandonate lungo il corpo.
Sussulto come se avessi preso la scossa. Ho cercato per tanti giorni di evitare un contatto che adesso che lui lo ricerca con tanta naturalezza mi sento spiazzata.
Porta lentamente le mie mani alle sue labbra e ne sfiora con delicatezza prima un dorso e poi l’altro senza staccare gli occhi dai miei. Ne volta, quindi, i palmi in su e fa la stessa cosa. Si stacca di qualche centimetro e mi sussurra: «Tutto ok?»
Il suo respiro gelido si scontra con le mie mani e scivola su a lambire la pelle più sottile e delicata dei polsi.
Muovo piano la testa una volta verso il basso ed una verso l’alto.
In silenzio.
Spero che capisca che voglio dire di sì e che non mi sto sgranchendo l’osso del collo.
Ma come fa a farmi sempre questo effetto?
Sorride con le labbra che mi sfiorano ancora i palmi, gli occhi nei miei.
Sì, penso. E’ di buon umore. I suoi occhi sono come l’oro fuso:  brillanti e caldi.
Abbassa le sue mani e porta con sé le mie abbandonate nelle sue. Raddrizza le spalle ed inclina piano la testa di lato. Non molla la presa su di me, ma credo che abbia capito che sia meglio mettere qualche centimetro in più fra di noi. Prende però ad accarezzarmi il dorso delle mani con i pollici e continua a guardarmi.
Impossibile per me interrompere il contatto sia fisico che visivo.
«Come ti senti oggi?» il suono della sua voce mi solletica le orecchie. E’ una musica dolcissima. Accompagna le parole con un semplice sorriso che dalle sue labbra sembra proiettarsi in tutta la stanza. E’ come se tutto intorno a me fosse più chiaro, più nitido.
E’ come se insieme a lui fosse entrato anche il sole.
Deglutisco. La lucidità non ha nemmeno provato a farsi strada nella mia mente.
Bella ti ha chiesto come stai … E’ una domanda semplice … forza …
La mia natura umana mi viene per una volta in soccorso. Sono costretta a sbattere le palpebre e momentaneamente interrompo il contatto visivo.
«Meglio» dico e poi aggiungo «Anzi proprio bene» Ed è vero. Sono due giorni che mi sento davvero in forze.
Il suo sorriso si va accentuando.
«Perfetto» mormora «Cosa ti va di fare oggi? E’ sabato e la giornata è nuvolosa al punto giusto per fare una bella passeggiata se vuoi …»
Distolgo gli occhi puntandoli in terra.
Come cazzo gli dico che devo fare le valige? E perché oggi è così … così affettuoso, di buon umore, così … così … diverso? Sento vacillare tutta la sicurezza di qualche giorno fa, o meglio l’incertezza, su quelli che credevo fossero i suoi attuali desideri. A dirla tutta oggi Edward non sembra provare “indifferenza” per me, né sembra essere assorbito da “tutt’altri pensieri”. Anzi …
In questo momento sembra che per lui esista solo io in tutto l’universo … ma, è vero.  E’ vero sono una fragile umana, ma il mio udito non è fragile per niente. Io so cosa ho sentito quando avveniva la discussione in salotto. Io so cosa Edward ha detto, e so che è bravo a mentire.
Aggrotto le sopracciglia e lo osservo meglio. Cerco di capire se mi nasconde qualcosa.
Mmmm qualcosa oggi è successo, e deve essere qualcosa di davvero positivo. Che Alice abbia avuto qualche visione?
Sto quasi per chiederglielo, quando il suo sguardo cambia impercettibilmente e si sposta di lato al mio viso. Resta un attimo così. Poi riporta gli occhi su di me e dice:«Tuo padre sta per chiamarti. Alice dice che deve chiederti una cosa»
«Charlie?!» chiedo con gioia.
Annuisce e mi sorride.
«Vai» sussurra «ti aspetto qui».
Gli regalo un sorriso di gratitudine ed esco dalla stanza come un fulmine.

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari … in origine c’era un solo capitolo. Ma era di 25 pagine circa, il che credo sia improponibile anche per il lettore più accanito. Vi ho lasciato con il coccolone al cuore … lo so. Però abbiate fede! Posto tra pochissimi giorni, quindi, sbrigatevi a mettervi al passo. Se Bella può restare un mese lontano da Edward (può?!), voi potete restare un paio di giorni in attesa. Non mi punite, vi prego.
Non risponderò alle recensioni singolarmente per questo capitolo. Mi riservo di farlo nel prossimo.
I ringraziamenti sono quindi per TUTTI indistinatamente.
Questi sono capitoli spinosi. Come voi provate disagio nel leggerli, io lo provo scrivendoli. E dato che sono sull’onda dell’ispirazione e del sadismo più puro, non posso immergermi nella vita reale. Credo che mi capiate …

Ritorno a lavorare per voi … l’influenza credo che mi abbia beccata in pieno, quindi sono confinata. Ma internet è sempre acceso …
Fragonard.
Morbo di Dupuytren.
“Tout rayonne, tout fleurit, tout chante" è una citazione di Victor Hugo proprio su Antibes.
Saluti a tutti voi.
Baci
M.Luisa

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Capitolo 16
*** CAP.16 ***


CAP.16

EDWARD
«Tuo padre sta per chiamarti. Alice dice che deve chiederti una cosa»
«Charlie?!» chiede illuminandosi tutta.
Annuisco e le sorrido. Il suo entusiasmo è coinvolgente.
«Vai»le dico in un sussurro «ti aspetto qui»

Bella mi guarda per un attimo indecisa. Poi mi sorride notando il mio sguardo tranquillo ed esce quasi correndo dalla stanza.
La mia dolce piccolina! Forks, Charlie … devono mancarle molto.
Apro il cassetto della scrivania e osservo il cellulare di mia moglie abbandonato dentro. Sorrido. Le è caduto due volte mentre aspettavo di entrare in camera da lei.
Scuoto il capo: Bella e la tecnologia non sono fatte per stare nella stessa stanza.
Passo il dito indice piano sulla tastiera del telefono, sovrappensiero.
Bella sta un po’ meglio. Non mi servono delle indagini cliniche per accorgermene. Il suo incarnato è più roseo, si stanca meno e sembra più in forze. Nonostante ciò Carlisle non sembra essere soddisfatto. Lo scienziato che è in lui vorrebbe indagare in maniera più approfondita, capire. Da un lato è curiosità, una sfida che lo tenta, lui medico da trecento e più anni di esperienza. Dall’altro è in ansia per Bella: è un altro figlio da curare non solo nell’animo, ma anche nel corpo nel suo caso.
Prendo distrattamente la batteria del telefono tra le dita. E’ tiepida. Prima che cadesse dalle mani di Bella era nel telefono acceso. Ed è pesante. Molto di più degli interi microscopici telefoni che costruiscono adesso. La ripongo dov’era.
Neanche a dirlo Bella ha voluto conservare lo stesso cellulare da quando ci siamo conosciuti. Dice che è un ricordo. Io dico che è un trabiccolo.
Devo proprio regalargliene uno nuovo, penso osservando il display spento. E’ tutto graffiato, davvero non capisco come faccia a leggerci su … Per lei ci vuole qualcosa di più leggero, più elegante anche se non troppo sofisticato … ma questo qui …!
Scuoto il capo disgustato.
Da come l’ha gettato nel cassetto direi proprio che anche lei forse ci sta pensando su, forse le ha dato pure dei problemi. Magari si è rotto.
Prima di partire per la Francia devo convincerla a farsene regalare un altro. Forse posso dire che con questo rischiamo di pagare l’eccesso bagagli all’aeroporto …
Ascolto distrattamente la voce di mia moglie dabbasso. Ci vorrà un po’ di tempo. Anche se Charlie non è di molte parole così come la figlia, gli unici momenti che hanno da quando lei si è sposata sono questi. Ed entrambi sono diventati molto più loquaci.
Riporto lo sguardo sul telefono. Eppure ho sentito chiaramente che prima vibrava …, non credo sia rotto. Prendo entrambi i pezzi nella mano. Li osservo con attenzione.
No, a parte i graffi, non sembra esserci nulla di rotto.
Però … Charlie ha telefonato sull’impianto fisso. E non lo fa mai. La chiama sempre sul cellulare. Sempre. Ed ora l’ha trovato spento.
Però non è rotto.
O sì?
Applico la batteria al frontalino. Pigio sull’accensione. Attendo. Il display si illumina e, benché ci sia la modalità silenziosa, riesco a percepire chiaramente il ronzio dei flussi elettrici al suo interno.
No, non è rotto per niente. Anzi funziona bene. Perfettamente, direi, per essere un vecchio trabiccolo …
Sulla barra superiore lampeggia l’icona dei messaggi in arrivo.
E’ un messaggio inevaso.
D’un tratto il telefono nelle mie mani sembra pesare più di una tonnellata. Resto fermo, immobile.
Mi do del coglione mille volte.
Questi non sono affari miei.
Edward, spegni il telefono e rimetti tutto a posto. Mi dico.
Questi non sono affari miei. Mi ripeto.
Poi il telefono vibra nelle mie mani e mi do del coglione ancora una volta.
Qui dentro lo sanno tutti che sto spiando nel telefono di Bella. L’unica a non saperlo è proprio lei. E non perché non abbia il nostro stesso udito.
No.
Perché lei si fida di me. E si aspetta la stessa cosa da me.
Perché la sua opinione di me è talmente alta che neanche se mi vedesse con i suoi occhi fare qualcosa di sbagliato ci crederebbe. Mi darebbe sempre il beneficio del dubbio.
Un dubbio che non merito.
Perché io sono un mostro. Non sono quello che lei vede nei suoi occhi innamorati.
Io bevo sangue per vivere.
Ho ucciso degli uomini. Volevo uccidere anche lei.
Lotto ogni giorno con me stesso per non lasciarmi governare dai miei istinti naturali, ma loro sono sempre presenti in me, sempre.
Violenza, egoismo, menzogna, desiderio di possesso, lussuria, brama.
Ecco cosa sono. Ed in questo momento desidero prepotentemente conoscere il contenuto di quei messaggi.
Il display passa in modalità standby e si oscura. Anche se non vedo più quella maledetta bustina lampeggiare, nel mio cervello lo sta facendo ancora come un’insegna di Las Vegas.
Ma Edward, lei è tua moglie … e in una coppia non ci sono segreti … leggi quei messaggi, è un tuo diritto … la voce della mia belva è così suadente, così … carezzevole.
Questi non sono segreti, mi dico stringendo le labbra. Questa è semplice riservatezza. E Bella non merita che io frughi nella sua privacy come se fosse un’infedele, una bugiarda.
Ma lei è una bugiarda … hai dimenticato? Hai dimenticato che ti nasconde qualcosa? Leggi quei messaggi, lei … non se ne accorgerà.
Lei no, ma io sì. Io lo saprei quello che ho fatto. E quello che desidero fare è  un po’ come rubare, approfittare di lei.
La mano che mantiene il telefono trema leggermente nello sforzo che faccio per non sbriciolare l’oggetto che trattengo tra le dita.
Quando sono diventato così insicuro di me stesso?
Da quando sono cominciate le menzogne, Edward. Da quando pensi che la sua non sia più libera scelta, ma solo fedeltà alla parola data.
Serro la mascella, mi irrigidisco tutto.
Tu hai paura mio caro … Mi stuzzica la belva che dimora in me stesso.
Scuoto il capo. No, non è così.
Hai paura di scoprire, di sapere …  che ho ragione. Lei, la belva.
NO. Penso io.
Dimostramelo. Leggi in quel telefono. Mi sfida ancora lei.
NO!! Ripeto più forte.
DIMOSTRAMELO!!! Ormai la mia belva ruggisce nel mio cranio ad un volume impensabile.
Muovo le dita veloce. Non voglio più ascoltare.
Ho paura di impazzire.
Agisco d’istinto, agisco senza pensare.

BELLA
Volo per le scale veloce, ma un po’ dispiaciuta.
La telefonata di Charlie ha offuscato un po’ il mio buon umore. Umore che era diventato buono nel momento in cui ho visto Edward entrare nella nostra stanza sorridente e sereno.
Giunta all’ultimo gradino rischio di inciampare, ma riesco a riprendermi giusto in tempo, facendo quasi una capriola. Mi viene da ridere della mia sbadataggine, sono proprio un caso senza speranza …
Il mio animo, tuttavia, è più leggero ed entro in camera sorridendo ancora come una stupidina per la mia acrobazia di qualche attimo fa. Mi sento più fiduciosa, più sicura di quello che devo dire ad Edward.
So che mi capirà. Gli spiegherò che non posso entrare troppo nel particolare perché voglio che sia una sorpresa per tutti e che per realizzarla come si deve mi occorre un po’ di tranquillità al campus.
Ascoltare la voce di Charlie al telefono mi ha scombussolata tutta. Appena mi ha salutata mi sono venute le lacrime agli occhi.
Dio, quanto mi manca!
Ma la telefonata è stata utile per fare chiarezza nel mio animo turbato.
Ho deciso che nei fine settimana tornerò a casa.
Perché qui c’è la mia famiglia, c’è Edward. Ed io so che per me sarà già difficile resistere così. Io … non voglio privarmi della sua presenza, non ci riesco, non in modo volontario. E non c’è al mondo progetto o lavoro che possa tenermi lontana da lui più dello stretto indispensabile.
Tuck’s o meno, io nel fine settimana torno a casa.
E questo mi sembra un buon compromesso nella discussione che sto per affrontare.
Lo noto subito. Edward è di spalle, con il viso rivolto alla finestra.
Ha le mani nelle tasche dei pantaloni, ma non si gira quando entro.
Non si muove assolutamente.
La mia andatura da baldanzosa diviene più cauta. Mi avvicino a lui che non accenna al minimo movimento.
«Come sta Charlie?» mi chiede senza voltarsi.
«Bene.» rispondo, ma nella mia voce c’è un po’ di esitazione. Non so perché, ma nell’aria c’è qualcosa di diverso, qualcosa di … strano.
«Cosa doveva chiederti?» mi domanda senza alcuna inflessione.
«Niente … voleva invitarci a casa per … per …» mi zittisco.
«Per …?»
«… per … il Giorno del Ringraziamento» balbetto come una stupida. Come una che sa di dover essere interrogata a sorpresa a scuola.
Si gira verso di me che gli sono giusto alle spalle.
Sorride, ma solo con le labbra. I suoi occhi non brillano più, non illuminano più l’intera stanza.
«Bene, sono d’accordo.» dice pacato.
Abbasso gli occhi a terra.
E ora che dico?
«Sì, io vorrei … ma … non è possibile» ruoto gli occhi sempre rivolti a terra cercando di scorgere qualche suo movimento.
Non ne fa nessuno.
Non dice nulla.
Passo il peso da un piede all’altro, mi stropiccio le mani.
«Non è possibile?» la sua domanda e piatta, senza curiosità. Sembra che stia leggendo.
Scuoto solo il capo.
Non pensavo che sarebbe stato così difficile spiegarmi quando sono salita su in camera dopo la telefonata di mio padre. Ero animata da una grande euforia, da una nuova spinta. Perché la famiglia è famiglia … e perché essere già lontana da mio padre mi ha fatto capire che non vale la pena esserlo anche da Edward. Che i dubbi e le angosce di tutti i giorni possono allontanare due persone ancora di più che una separazione fisica.
Ed ora che devo affrontare quest’ultima, sentivo la necessità di spiegarmi. Il momento mi sembrava opportuno, favorevole.  Ma adesso …
Adesso mi sento bloccata. Perché …
Perchè mi aspettavo di vederlo con le braccia aperte, pronto ad afferrarmi mentre volavo nelle sue braccia … e perché prima mi ero specchiata nei suoi occhi e per un attimo mi ero vista al centro del suo universo … e poi perché mi era parso di vedergli luccicare nello sguardo una scintilla luminosa …
E, forte di ciò, mi sentivo più sicura.
E ora mi guarda, è vero, ma fra di noi c’è un muro invisibile, una forza che mi inchioda al pavimento e che non mi permette di muovere nemmeno un passo.
Lui … adesso, qui … non è mai stato più lontano di così.
Alzo gli occhi sul suo viso.
Ed i suoi occhi … perché è come se si fossero ghiacciati?
Muove il capo un po’ di lato ed il suo sorriso si accentua. E’ … duro.
Fa un passo verso di me.
«Dimmi Bella … C’è  … qualcosa che vuoi dirmi?» parla piano, parla con la sua voce di vampiro.
Aggrotto un po’ le sopracciglia. Io … non capisco.
Ma che ho fatto?
Abbasso gli occhi e deglutisco. Annuisco con il capo.
Improvvisamente mi sento insicura. E non mi pare più così giusto andarmene da Helèna, perché ho come la sensazione che non dipenda più dalla mia volontà. Ho come la sensazione che la più brutta delle mie sensazioni non sia più tale, ma sia la cruda realtà. Forse, forse … andare da Helèna può essere l’unica cosa che mi rimane da fare.
Sento il suo sospiro. Vedo le sue scarpe entrare nel mio campo visivo. E’ vicino a me. Molto.
Sobbalzo quando mi appoggia le mani sulle spalle: «Ti ascolto» dice.
Due dita gelide si appoggiano sotto il mio mento e lo alzano delicatamente.
Incontro i suoi occhi. Si sono un po’ addolciti, ma quel sorriso … io, quel sorriso … non lo so, perché sono così a disagio?
«Ti ascolto» ripete e la sua voce è più lieve, più carezzevole.
Prendo un bel respiro e comincio: «Edward dovrei andare al campus per un mese» dico in un soffio con la voce più bassa che ho mai avuto.
Non si scompone, non sembra sorpreso.
Continua a guardarmi con comprensione.
Scruto nei suoi occhi una reazione che non trovo. Le sue mani sono ancora sulle mie spalle.
Non dice nulla. Allora continuo:«Io, vorrei poterti spiegare, vorrei ma …» Non trovo le parole. Ecco. Perché non riesco più a parlargli?
«Io … credo che tu mi capisca. Ho bisogno di tranquillità per … lavorare ad un progetto.» Mi zittisco immediatamente. Non voglio dire troppo, e da lui non proviene nessuna reazione.
Che faccio? Continuo a parlare?
Non sembra irritato. O arrabbiato.
Cosa sta pensando in questo momento?
«Bella, tu non devi giustificarti con me.» dice, quindi, con voce bassa, senza inflessioni.
Alzo gli occhi su di lui.
Certo che devo invece. Perché non posso sparire così senza dargli nemmeno una spiegazione, una motivazione. Io non vorrei che lui lo facesse con me.
«Non … ti dispiace?» gli chiedo perplessa.
In realtà mi aspettavo di dover faticare non poco, di doverlo quasi pregare.
In realtà, mi sarei aspettata da lui tutto, ma non questa calma serafica.
Toglie le mani dalle mie spalle e mi osserva negli occhi.
«Io sono solo un po’ preoccupato.» riflette e quindi aggiunge: «Per la tua salute»
Annuisco con il capo.
Appunto. Il senso di responsabilità.
Decido di liberarlo di questo peso e la mia voce diviene fredda quanto la sua.
«Sto molto meglio, e comunque sia, andrò periodicamente da Carlisle in ospedale. Non hai di che preoccuparti.» parlargli con questo tono mi è difficile, come fingere che per me sia tutto a posto, e che andare via non mi costi così tanto.
«Bene» dice lui.
«Bene» dico io.
Ci guardiamo l’uno negli occhi dell’altro.
Mi mordo le labbra nervosa. Che faccio, gli dico che voglio tornare nei fine settimana?
E se questo è solo un mio desiderio, ma non il suo?
Bella ma che cazzo dici! E’ tuo marito, certo che vuole che torni nei weekend! Mi dice la mia vocina indispettita.
«Posso tornare … io … nei weekend …» deglutisco il mio imbarazzo e prendo un bel respiro «Posso tornare a casa, nei weekend … se … ti va» gli dico e mi maledico all’istante.
Bella, ma che fai lo supplichi?
Mi guarda e vedo le sue labbra che si stringono, la mascella che gli si irrigidisce.
«Tu vuoi?» mi chiede.
«Io?» gli rispondo confusa. Ma che domande mi fa, e c’è bisogno di chiederlo?!
«Sì tu. Cosa vuoi fare tu? Desideri davvero tornare … nei weekend?» me lo chiede con calma, come se la cosa non lo turbasse , non  lo interessasse …
“ … indifferente … ben altri pensieri per la testa …” è possibile che delle parole mi facciano ancora così male …?
Rifletto e ricaccio indietro le lacrime che sento affacciarsi tra le ciglia abbassando lo sguardo.
«In fondo … è solo un mese, passa in fretta. Se dovessero crearsi le condizioni … favorevoli … io … tornerò.» dico sforzandomi di stabilizzare questa voce maledetta che non sa fare altro che tremare e spezzarsi e …
Sussulto quando le dita della sua mano mi sfiorano la guancia. Vedo un lampo di dolore passargli negli occhi. Ritrae leggermente la mano, come se si fosse pentito. Il desiderio di afferrarla e di riportarla sul mio viso è così forte che mi trattengo a stento.
Io non mi impongo a chi non mi vuole.
«Bella, non preoccuparti per me. L’hai detto anche tu. E’ solo un mese, passa in fretta.» continua  a guardarmi e poi sulle sue labbra si delinea un accenno di sorriso «Io non ne morirò, sta tranquilla»
Che fa, mi prende in giro?! Lui non ne morirà, ma io sto cominciando a morire in questo momento. Con lui, adesso. Sentendo la sua indifferenza e la sua calma.
E’ come se quasi mi stesse incitando ad andare, mentre io ero convinta che avrebbe fatto di tutto per farmi restare. Che avrebbe usato il suo fascino da vampiro, la sua capacità di convincimento. Invece … mi lascia andare. Così, come se fossimo due conoscenti che si salutano dopo una piacevole serata trascorsa insieme, ma che non desiderano approfondire ulteriormente.
Io sono … mi sento … spiazzata, ecco.
Di nuovo il suo sguardo si posa al lato del mio viso.
Si concentra un attimo, in attesa.
Poi, riporta gli occhi su di me e dice: «Appena sei pronta, ti accompagno»
E mi aggira, uscendo dalla stanza.
 
NOTA DELL’AUTRICE: Non ve lo aspettavate questo capitolo, intendo scritto così, eh?! Allora … ancora contraddizioni, ancora fraintendimenti, ancora dubbi. Edward ha letto i messaggi? Sì, direte. Perché quando Bella è tornata l’atmosfera era diversa. No, direte. Perché altrimenti non si spiega perché non se la sia mangiata viva leggendo quella J., o meglio ancora non sia volato dalla finestra e abbia raggiunto il caro Jensen (ovviamente la J. sbagliata) per mettere fine alla sua vita. Chi lo sa?
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate. E cosa pensiate che capiterà adesso.
Non vi rammollite, siete più argute di quello che voi stesse credete ….!!!!

LOVA: Carissima grazie per la tua recensione. Purtroppo ci vorrà ancora un po’ per la risoluzione … Baci
arual93: Ciao carissima, purtroppo in questo cappy altri problemi, altri dubbi … Spero di essere stata rapida abbastanza, che dici? Baci
keska: Tesorina mia grazie come al solito. Tu sei emotiva in questo periodo e pure io, non ti nego. I tuoi commenti mi risollevano sempre il morale, mi ripagano dell’impegno che metto in questa storia. Come hai potuto vedere la cosa del cellulare aveva un suo perché … me contorta!!! Fammi sapere, sono sempre piena di dubbi sulla leggibilità e comprensività della storia, non voglio “fare casini”, ecco. Bacioni
Piccola Ketty: Mia cara, non preoccuparti affatto della “secchezza” della tua recensione. A me fa un piacere enorme sapere che mentre sei presa dalle pulizie trovi il tempo di leggere queste mie follie … e soprattutto che ne perdi altro commentandomi. Grazie … Baci
Michelegiolo: Su Mia non posso spoilerare, ma teniamola d’occhio la bionda!!! Baci
RenEsmee_Carlie_Cullen: Grazie piccola, sei molto cara ad avermi lasciato due recensioni in due giorni! Ho deciso di postare subito, così ci togliamo il pensiero … Meglio un taglio netto che una lenta agonia, giusto?!!! Al prossimo capitolo. Bacioni
ginny89potter: Carissima, come vedi il cellulare aveva un suo perché … ma chissà che danni avrà fatto… Per quanto riguarda Rosalie il mio intento non era renderla vittima, quanto esternare il suo senso di fastidio per una che addirittura si alza e se ne va dalla stanza quando lei entra. Diciamo che non era dispiaciuta, ma irritata. La mia modalità sadismo on in genere fa meno danni della tua, ma non è che fa meno male … La morte a volte è una liberazione! Baci e grazie: per le tue recensioni e per gli auguri di pronta guarigione. PS: non so se l’hai ricevuta, ma ti ho dato la prima risposta alla tua prima recensione in maniera più estesa tramite mail. Ciao
Holly__: Cara scusarti di cosa? Mica potete stare al pc ventiquattro ore su ventiquattro! E se io non ho una mazza da fare perché sono confinata a casa con l’influenza ed aggiorno alla velocità della luce, ciò non significa che voi dovete ingozzarvi con i cappy!!!! Comunque grazie davvero, sono sempre gongolante quando leggo le tue recensioni…! Baci
rodney: Mia cara, concordo con te per ciò che riguarda la scorpacciata di tutto ciò che è nero su bianco, ossia di libri. Anche io li adoro. Per la tua teoria, direi che la tua fantascienza si sposa meravigliosamente bene con la mia (più o meno) … A presto Baci
sily85: Carissima Alessandra è un vero piacere fare la tua conoscenza. Ti ringrazio per i complimenti e per la recensione. Grazie. Il capitolo con Yiruma devo ammetterlo, piace molto anche a me! E non preoccuparti per la tecnicità del tuo commento: a me basta sapere che ci sei e che la mia storia ti piace. Le frasi non sono fondamentali :))))))
cloe cullen: Ma và, sei stata alla Fragonard?! Tu non ti immagini quanto sia innamorata della Francia … una volta ho ricevuto un profumo da Gresse, era meraviglioso… Ah, che ricordi!!! Cmq, fossi in te non mi fiderei troppo nel mio buon animo … Bacioni
Aleu: Ciao, sono contenta di fare la tua conoscenza. E grazie per la tua recensione. A te sembrerà poca cosa, ma per me è fondamentale sapere cosa ne pensate di questa piccola follia. Sei davvero carina a farmi i tuoi complimenti li accetto con piacere e continua a seguirmi e se vorrai a recensirmi …! Baci M.Luisa

Spero di non aver scordato nessuno, se è successo fatemi notare la svista!!
Mmmm piccola comunicazione: ho aggiornato il mio profilo (più o meno!) per chi vuole, dateci un’occhiata …
Il prossimo cappy si farà un po’ attendere (non molto non temete!!)
Grazie a tutti voi lettori silenziosi o meno …
Baci
M.Luisa

 



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Capitolo 17
*** CAP.17 ***


CAP.17

ALICE

Allora che ne pensi? Sei d’accordo? Sarebbe perfetto, no?

Edward …

Ehi, ma mi ascolti?!
Mio fratello non si muove nemmeno di un millimetro. E’ seduto sullo sgabello del suo pianoforte, ma non è in procinto di suonare. E’ seduto e basta, e dà le spalle alla fila di tasti bianchi e neri nascosti dal frontale abbassato.
Ha le gambe distese, le mani nelle tasche e con i gomiti è appoggiato ad un lato dello strumento.
Il capo è inclinato in avanti, il mento appoggiato in giù sul petto. Non mi guarda, non capisco se ha sentito i miei pensieri oppure è perso nei suoi.
La seconda eventualità mi pare la più credibile.
«Edward …» dico allora.
«Ok» dice secco.
Ok … cosa? Ok, mi senti; ok, credi che la mia idea sia perfetta; ok, sei d’accordo?
«Quello che ti pare, Alice. Tanto non ho nulla da fare. Né ora, né fra una settimana.» I suoi occhi sono puntati sulle sue scarpe.
Odio vederlo in questo stato. E odio non poterci fare nulla.
Scusa, ma non sarebbe più semplice chiamarla e dirle di tornare perché ti senti un rottame senza di lei?
Questa volta sposta gli occhi su di me.
«Alice …» comincia a dire con quel tono infastidito ed esasperato che ben conosco.
Guarda che non c’è nulla di male ad ammetterlo. Io non posso stare lontana da Jasper nemmeno un attimo, figuriamoci un mese! E poi, ma cosa ti preoccupa? Te l’ho detto che sta lavorando ad un prog…
«Smettila» sibila lui «non mi interessa sapere cosa sta facendo al campus» fa una breve pausa «e poi le tue congetture mi fanno male alla testa»
I vampiri non soffrono di mal di testa … penso io di rimando.
Mi scruta ancora, sovrappensiero.
«Eccetto te.» conclude.
Già, eccetto me. Da quando Bella è andata al campus due giorni fa, la mia mente si è come liberata, schiarita. A volte non riuscivo nemmeno a stare  vicino a lei, tanto la testa mi pulsava, una sensazione opprimente come un macigno sulle spalle.
Annuisco con il capo.
Carlisle non è riuscito a spiegarselo questo strano fenomeno, ma crede che è come se la capacità di Bella di tenere Edward escluso dai suoi pensieri si stia estendendo anche alla mia dote.
Invece, Jasper non ha risentito di alcun cambiamento, anzi. Ha detto che è come se sentisse le emozioni di Bella amplificate all’ennesima potenza. Gli arrivano più chiare, più forti di come succede con gli umani, ma meno chiaramente rispetto a quelli della nostra specie.
«Dì un po’, hai ancora tutti quei momenti di buio?» mi chiede un po’ curioso.
«Non proprio. Da quando Bella non è più … in casa» stavo dicendo tra noi, ma mi riprendo dalla battuta di pessimo gusto che mi stava uscendo dalle labbra giusto in tempo.
Edward fa una smorfia con la bocca ed inarca le sopracciglia verso l’alto.
«Alice, hai davvero un umorismo tetro» e sottolinea le parole con lo scuotimento del capo. Ovviamente ha letto nella mia mente.
«Scusa, lo so era fuori luogo.» gli dico mordendomi un lato della bocca.
Lo osservo un po’. E’ davvero giù di morale.
«A volte la vedo, però» gli dico e spero di fargli cosa gradita. Magari alleggerisco un po’ la sua preoccupazione.
Poi continuo: «Stamattina giocherellava con il cuoricino che le hai regalato per il diploma, quello appeso al braccialetto» lo sbircio e vedo che mi guarda con un guizzo negli occhi.
Focalizzo l’immagine di Bella nella mia mente.
E’ vero. Da quando non è in casa la vedo un po’ meglio. E’ come se fisicamente vicino a lei si creasse un campo di interferenza.
Lancio un’altra occhiata a mio fratello e butto lì:«Penso proprio che le manchi molto»
«Alice, guarda che non l’ho buttata fuori di casa. Se n’è andata di sua spontanea volontà» dice con un tono un po’ duro, infastidito.
«Lo so, lo so» annuisco con il capo e mi avvicino al pianoforte. Cerco di prenderla alla larga.
«Forse aveva solo bisogno di un po’ di tranquillità» sussurro.
Edward alza lo sguardo su di me.
«Non mi pare che qui ci sia tutto questo baccano.» dice sorridendo di scherno.
«La tranquillità che serve a Bella sta qui» e mi indico il capo con un dito «ma anche qui» e poggio lo stesso dito sul petto, all’altezza del cuore.
«Cioè vorresti dire che io sono la sua fonte di stress?» mi chiede dubbioso.
Scuoto lentamente il capo «No, Edward. Non sei tu che la agiti, ma è come se Bella avesse bisogno di … ritrovarsi » aspetto che le mie parole facciano il loro effetto.
«Se ha deciso di stare al campus per un mese, tu non puoi andare in paranoia. Significa che avrà le sue ragioni. E, poi, anche se nemmeno io ne so molto, non mi turberei troppo. E’ studio, Edward. Punto. Lei ha bisogno di dimostrare quanto vale, soprattutto a se stessa»
Mi guarda scettico. E’ evidente che non lo convinco nemmeno un po’.
Stringo gli occhi a due fessure. Mi concentro un attimo per vedere se posso osare nel commento che ho a fior di labbra …
La visione di Edward che si alza ed esce dalla stanza come un lampo, mi chiarisce che il silenzio è la scelta più appropriata in questo momento.
Lo sento ridere sommessamente.
Mi volto verso di lui con lo sguardo interrogativo.
«Si può sapere cosa vorresti dire di tanto grave?» mi chiede con il sorriso ancora sulle labbra.
Serro le labbra con forza, indispettita.
«Proprio non riesci a non ficcare il naso, eh?» continua lui con sguardo eloquente ed un sopracciglio inarcato in su.
Incrocio le braccia ancora più stizzita.
Si raddrizza sullo sgabello ed intreccia le mani distendendo le braccia davanti a sé, in mezzo alle ginocchia, le caviglie incrociate, in attesa.
«Sentiamo … giuro che non me ne andrò» promette solennemente.
Soppeso il suo sguardo con l’incredibile voglia di rompergli il muso: «Secondo me quello che ficca il naso dove non dovrebbe sei tu» sentenzio allora e poi continuo nella mia mente: guarda che non ti stavo spiando, IO. Ma mi chiedevo cosa doveva essere successo per farmi avere una visione di te che demolivi mezza Dartmouth … visione che si è poi dissolta quando Bella è salita su in camera l’altro giorno … e un attimo dopo ti ho visto in macchina con lei diretto proprio al college.
Vedo il suo sguardo indurirsi e la mascella irrigidirsi.
Poi sento il suo profondo sospiro. Abbassa il capo e dice in un sussurro:« E’ vero, ho dato un’occhiata al cellulare di Bella»
«Edward …»
«Alice, per favore non metterti anche tu, mi sento già male abbastanza di mio» aggiunge. Poi riprende: «Quel Jensen le mandava a dire che … non poteva fare a meno di lei e poi, che … sarebbe venuto lui se non si decideva a dirmi che andava al campus. E … diceva che non c’era più molto tempo e dovevano sbrigarsi» chiude un attimo gli occhi e digrigna i denti.
«E ti assicuro che i pensieri di “Rodolfo Valentino” per Bella non sono per nulla solo professionali». Vedo che inspira ed espira lentamente, mentre stringe forte i pugni.
Quando si sente nuovamente padrone di sé, riprende:«Ma lei mi ha detto la verità … credo … quando mi ha riferito della telefonata di Charlie e mi ha informato che si allontanava per un mese per andare al dormitorio.»
Prende fiato e continua:«Cioè, non è stata molto esplicita, ma so che non mi ha mentito almeno. Io non lo so cosa mi sta succedendo. So che Bella ha diritto alla sua vita, che io per primo l’ho spinta a fare le sue esperienze da umana, però …» e la voce gli muore in gola.
«… però sei geloso» concludo io.
Non risponde, ma sempre seduto sullo sgabello poggia i gomiti sulle cosce e unisce i palmi come in preghiera direzionando le punte verso il basso.
Resta in silenzio per un po’, poi dice:«Alice, io la amo come non credevo fosse possibile amare. Ma i sentimenti che provo per lei sono così … complicati.»
«Guarda che non c’è nulla di complicato. Tu sei un vampiro, non un santo» dico io e poi continuo più decisa: «Edward tu non devi perdere di vista le cose essenziali. Noi siamo qui ad Hanover per dare a Bella l’opportunità di sperimentare situazioni che non potrà più ripetere in seguito, non per tenderle una trappola nella speranza, o nel timore, che lei ci cada»
Scuote piano il capo, lo fermo con un gesto della mano.
«Dalle il tempo che ti ha chiesto. Di che ti preoccupi? Pensi che lei non voglia più essere cambiata? Lei è innamorata di te. »
«Alice, sarei un ipocrita se dicessi che faccio i salti di gioia al pensiero di cosa attende Bella, della trasformazione, della sofferenza sia prossima che futura che l’attende. E so che sarò io ad infliggergliela.
Ma lo sarei ancora di più se dicessi che sono felice sapendola lontana da me e che non desidero che stia con me per l’eternità.»
Fa una breve pausa, cerca le parole adatte, poi continua.
«So che è coinvolta in qualcosa al college che la prende molto e … sono felice per lei, per l’impegno che ci mette e per i risultati che sono certo raggiungerà. Ma se sente la necessità di vivere questa esperienza da sola, è più che plausibile che ne possano seguire delle altre, che ne voglia ricercare delle altre, con ... altre persone.» si ferma ancora, prende un respiro e dice:«Alice, io non voglio che un mio desiderio egoistico scelga per lei, io non voglio essere un intralcio nella sua vita» termina concludendo con una smorfia.
Porto una mano sulla fronte e comincio a scuotere il capo.
«Edward, porca miseria! Sei davvero un testone …» comincio a dire incredula.
«Come fai a non capire che adesso più che mai Bella ha bisogno di te? Proprio ora che tu vuoi lasciarle tutta la libertà possibile, proprio ora lei ha bisogno di sentirti vicino, di sentire che hai fiducia in lei, nelle sue capacità. Si allontana, ti allontana, ma la verità è che ha un disperato bisogno di te» cerco di spiegarmi meglio :«Ascolta. Non ti ha mai sfiorato l’idea che Bella potesse sentirsi … “inferiore” a noi?» e mimo con gli indici e i medi in aria le virgolette.
Aggrotta le sopracciglia, mi fissa come se fossi un’aliena.
«Non dire sciocchezze, lei … lei è dolce, è altruista, è luminosa, è … perfetta» dice secco.
«Non ho detto che è inferiore, ho detto che forse lei si sente inferiore …» chiarisco.
Mi guarda cercando di dare un significato alle mie parole.
Abbassa gli occhi. Li rialza su di me.
Poi comincia a scuotere il capo:«Alice tu vaneggi.» ma il suo tono non è più molto convinto.
Gli passo davanti che ancora muove la testa: «Dici?!» gli chiedo con sufficienza.
Chiamala … aggiungo mentalmente.
Mi guarda con gli occhi ridotti a due fessure, le labbra strette.
E non essere troppo duro con te stesso! Dai retta a me, sei molto più umano di quello che credi …
La vista mi si oscura per un attimo.
Quando lo sguardo ritorna di nuovo limpido le labbra mi si piegano in un sorriso ed esco dalla stanza con passo leggero.


BELLA

Joshua tamburella pensieroso con la matita sul piano della scrivania. Lo osservo senza battere ciglio.
Nessuno dei due pronuncia una parola da cinque minuti.
Scribacchia velocemente con la matita su uno dei fogli svolazzanti sparsi in quantità impressionante di fronte a sé ed osserva il suo operato.
Riprende a tamburellare nervoso.
Mi alzo dalla mia sedia e mi avvicino alla grande vetrata. Da qui su è possibile avere la visuale di uno scorcio davvero suggestivo dei viali ricoperti di neve del campus. Appoggio leggermente la fronte contro il vetro del finestrone.
E’ freddo.
Fuori nevica da un bel po’. Fortuna che il dormitorio non è così distante.
La Libreria Rauner a Dartmouth è una delle cinque librerie di cui questo campus immenso è dotato. L’abbiamo eletta a nostra sede di studio, io e Joshua. A farmela scoprire è stato lui, dicendomi che c’era un solo posto in tutta Dartmouth ad essere degno di ospitare un’idea geniale sul nascere.
All’inizio sono diventata rossa come un peperone per il complimento velato nascosto dietro quelle parole.
Poi ho capito che aveva ragione, intendo sul luogo.
La Rauner ha un che di magico. Innanzitutto è tranquilla, ci vengono pochi studenti. Poi, è luminosa, con sei enormi vetrate a semicerchio – tre per lato -che lasciano entrare la luce naturale dall’esterno al piano superiore e che danno sui giardini del campus. Inoltre ha un fascino unico, conservando alcuni dei libri più antichi e preziosi di tutta Dartmouth.
Appena sono entrata, sono rimasta incantata a guardare la prima edizione di Paradise Lost esposta in una vetrina e allora ho capito che questo era il posto giusto per me.
Ho come avuto la sensazione di essere a “casa”. Anche nello studio di Carlisle ci sono moltissimi libri antichi quasi tutte prime edizioni, così come  giù in salone, di fronte al camino.  
Qui, in questa antica biblioteca, mi sento al sicuro.
«Che ne dici di un abbinamento di luci e suoni?» mi chiede Joshua avanzando una ennesima proposta dalla fattibilità non troppo complessa.
Non rispondo subito. Mi prendo un attimo per valutare la cosa.
Cooperare con lui su questo progetto mi ha portata a riconsiderare in una nuova luce le mie idee. Per quanto potessero essere innovative, geniali o come si vogliano definire, l’impatto con la realtà le ha messe a dura prova.
Sono due giorni che io e Joshua non usciamo da qui se non per andare a dormire.
In questo tempo ho assistito impotente allo sgretolarsi di ogni mia certezza e ho realmente capito quanto sia complicato ciò che voglio mettere in pratica. Bisogna tenere in conto tantissime cose: è necessario restare aderenti alle linee guida del progetto e nonostante la discreta autonomia che ci è stata concessa alcune cose non possono essere cambiate.
Innanzitutto il target. E qui c’è stato tutto un lavoro di dietro le quinte fatto con Helèna: indagini di mercato, ricerca dell’utente giusto, studio della spesa sostenibile, previsione di calcolo e di risposta. Ma poi l’abbiamo selezionato: il mio sono i bambini da sei mesi a due anni.
Poi c’è stata l’analisi dell’appropriatezza tecnologica alla psicologia del fruitore, un'altra spina nel fianco che mi ha portato con ogni probabilità a perdere diversi gradi alla vista per tutte le ore spese davanti al monitor del portatile. La psicologia non è propriamente il mio campo ed era necessario motivare e sostenere le mie idee con i fatti, non solo con le parole.
Ultimo fra tutti, ma primo per importanza: il tetto di spesa massimo che ci è stato imposto e che è la cosa che fa impazzire Joshua.
Mentre io sono la mente che lavora pressoché ad un metro da terra, lui è l’ancora che mi riporta alla realtà e che in ogni momento mi ricorda cosa non possiamo fare.
Non possiamo sacrificare la conformità alle norme di sicurezza a beneficio di un’estetica più accattivante. Non possiamo impiegare materiali, colori e forme geometriche che, se da un lato sono gradevoli alla vista, possono essere nocivi o addirittura tossici. Su questo aspetto non ho potuto fare altro che inchinarmi all’esperienza del mio collega. E’ stato un susseguirsi incessante di me che proponevo e lui che bocciava.
In questo momento stiamo facendo un braccio di ferro su qualcosa che io ritengo immodificabile e lui no.
Sospira alla scrivania e dice:«Bella ascolta, ti rendi conto di quanto ci farebbe uscire fuori budget realizzare questa cosa su cui ti ostini a non cedere?» la sua voce è implorante.
Continuo a guardare fuori attraverso la finestra e a pensare.
Se la situazione si fosse evoluta diversamente forse, avrei potuto anche farci su un pensierino. L’alternativa di Joshua non è poi così malvagia e devo ammettere che ha ragione. Risparmieremmo un bel po’ sul nostro già misero budget. Ma ora non sono disposta a capitolare. Non su questo, almeno.
Mi mordo le labbra nervosa.
«Non potremmo chiedere una revisione del tetto massimo di spesa?» chiedo rivolta sempre verso la finestra.
Joshua non risponde, allora mi volto.
Mi guarda con il viso poggiato al palmo aperto di una mano e gli occhiali penzoloni in bocca per una delle due stecche.
Resta in silenzio ancora un po’.
«Bella, ma tu mi vuoi vedere morto?» dice quindi con calma.
Si sfila gli occhiali dalle labbra e li poggia con cura sulla scrivania. Si massaggia gli occhi lentamente e poi rimette gli occhiali.
Posa nuovamente lo sguardo su di me:«Questa cosa è impossibile.» afferma serio.
«Ma no Joshua, pensaci bene. L’hai detto anche tu che l’idea era meravigliosa, che avrebbe fatto scalpore, che …» comincio a parlare avvicinandomi alla scrivania.
Lui alza una mano in aria a fermarmi:«Frena, frena, questo era prima. Quando non c’erano ancora questi.» e batte il dorso della mano sui prospetti relativi alla spesa del prototipo.
«Si, ma se l’idea era buona prima, non è che è diventata mediocre solo perché ci viene a costare di più …» cerco di convincerlo, ma lui scuote il capo.
«Bella, questa è la realtà. E noi dobbiamo attenerci al badget» risponde categorico.
Lo osservo stringendo forte le labbra.
No, non mi lascio scavalcare dal budget.
«Da chi dipende?» domando piano.
«Cosa?» chiede lui perplesso.
«Chi prende la decisione, chi stabilisce il tetto massimo di spesa per ciascun progetto.»
Silenzio.
«Bella …» comincia a dire inclinando il capo di lato e osservandomi eloquentemente.
«Dimmi chi è!» gli dico esasperata.
«Bhè, il consiglio direttivo determina lo stanziamento globale, poi un ricercatore scrive un razionale che verrà approvato in sede di …»
«Joshua, ti ho chiesto un nome, non di snocciolarmi la “Genesi”!» gli dico impaziente.
Serra le labbra, ma poi sospira:«Jensen» ed aggiunge subito:«Ma togliti dalla testa che vado a chiedergli una cosa del genere, perché come minimo mi scuoierebbe vivo»
«Tranquillo, la tua pelle è perfettamente al sicuro.» dico sorniona.
«No, Bella tu non capisci. Se credi che io sia testardo, non ti immagini neppure quanto lo sia lui. E poi,» aggrotta le sopracciglia guardandomi «io sono d’accordo con lui».
«Infatti non andrai tu a parlargli. Ci vado io» e detto ciò comincio a raccogliere i miei appunti.
Lui mi osserva in silenzio:«Sarà inutile, non lo convincerai mai»
«Almeno ci proverò» dico, ficcando tutto il mio materiale nella borsa.
Joshua segue ogni mio movimento con gli occhi, ma resta immobile:«Si arrabbierà. Questo non è un gioco per lui.»
Chiudo la zip con uno scatto secco e poggio con forza la borsa sul tavolo. Alcune teste si voltano. A voce bassa, ma decisa dico:«Nemmeno per me è un gioco. Non puoi nemmeno immaginare quanto.» i suoi occhi si spalancano e chiude la bocca di scatto.
«Ci parlerò domani» e, afferrando borsa e cappotto mi avvio verso le scale.

Sono appena rientrata nel dormitorio, rimuginando ancora sulla discussione avuta con Joshua, che mi ricordo di avere il telefono spento. Lo tengo così quasi tutto il tempo essendo in un posto che lo esige, ma ogni paio d’ore lo accendo di nascosto per vedere se mi ha chiamato qualcuno.
Cioè per vedere se Edward mi ha chiamata.
In due giorni non l’ha fatto nemmeno una volta.
La prima sera in camera con Helèna ho saltellato per tutta la stanza con il cellulare in mano cercando il punto esatto in cui c’era la migliore ricezione. Vicino al mio letto era scarsa,  a quello di Helèna ancora di più, così come pure sulla scrivania.
In fine ho optato per il davanzale della finestra. Ricezione discreta.
Ho ascoltato le chiacchiere della mia amica distrattamente, lanciando ogni cinque minuti lo sguardo alla finestra. Niente.
Ho continuato a guardarlo poggiato in bilico in un angolo mentre ero a letto, sperando di vederlo illuminarsi, nulla. Fino a quando il sonno non mi ha vinta e alle tre del mattino ho chiuso gli occhi.
Pigio il tasto dell’accensione e attendo il ripristinarsi delle funzioni di apertura. Il telefono vibra nelle mie mani e faccio un salto.
E’ un messaggio, ed è la prima volta che me ne arriva uno da quando sono qui.
In piedi in mezzo al corridoio del dormitorio, con la neve ancora poggiata sulle spalle e sul cappello entro nella sezione dei messaggi non letti.
E’ Edward, è lui. Finalmente … mi dico trepidante, mentre le dita si muovono alla velocità della luce.
Apro il messaggio e resto pietrificata.
-Stasera opterei per una bella pizza, che ne dici? Dillo anche a Joshua se gli va- E’ Helèna.
Helèna e basta.
Chiudo la finestra degli sms senza cancellare.
Non mi ha chiamata. Niente, nemmeno un messaggio.
Neanche oggi.
Ficco il cellulare nella tasca laterale della borsa e comincio a salire le scale, trascinando con me il mio morale a pezzi. Giunta davanti alla stanza della mia amica busso. Non sono ancora entrata nell’ottica che per le prossime settimane questa sarà anche la mia stanza e continuo a considerarmi un’ospite.
Helèna viene ad aprire la porta:«Bella! Ma le tue chiavi non funzionano?»
Non le dico nulla, faccio solo spallucce ed entro.
«Giornatina lunga eh?» dice richiudendo la porta dietro di sé.
Poggio la borsa a terra e comincio a sfilarmi la sciarpa ed il cappello.
«Più o meno.» rispondo laconica dandole le spalle e appendendo i miei indumenti.
Helèna mi supera e si getta letteralmente sul suo letto:«Io sono stremata! » dice guardando il soffitto «Anne non mi da tregua, è implacabile.» Anne è la studentessa di ingegneria che collabora con lei al suo progetto.
Continuo a non parlare ed entro in bagno. Non mi va di fare salotto adesso.
La voce della mia amica mi raggiunge anche qui.
«Mmm … nessuna novità?» dice e so cosa intende.
«No.» rispondo secca, sperando che la cosa finisca qui.
Prendo lo spazzolino e comincio a lavarmi i denti a ritmo sostenuto. Helèna si affaccia con la testa inclinata:«Niente, nemmeno un messaggio?»
Mi sciacquo la bocca dal sapone e mentre mi tampono le labbra con un asciugamano le dico:«In effetti, uno»
«Ecco! Te lo dicevo io che l’incazzatura gli passava subito! E che c’era scritto?!» Helèna chiede smaniosa entrando nel già minuscolo bagno.
Mi guardo nello specchio per un attimo, poi abbasso gli occhi e ripongo l’asciugamano al suo posto:«Se mi andava la pizza stasera» e mi giro verso di lei.
«Ah.» mi guarda con le sopracciglia inarcate e subito dopo chiude la bocca. Esce dal bagno mentre io prendo la spazzola dal beauty e comincio a martoriarmi il cuoio capelluto. Credo di essere riuscita a zittirla. Se mi impegno davvero magari riesco anche a diventare calva.
Dopo qualche minuto riecco la sua voce dall’altra stanza.
«Ehm … Bella …?» il suo tono è un po’ strano.
Sospiro e contemporaneamente chiudo gli occhi.
Resto un attimo così, poi, li riapro e rispondo:«Helèna non ho altre novità da riferirti» cerco di non essere troppo dura, ma in realtà sono seccata.
«Credo che il tuo telefono invece ne abbia. Qualcuno ti sta chiamando» e dalla porta fa capolino la sua mano che regge il mio cellulare.
Vibrante ed illuminato.
Faccio  cadere la spazzola nel lavandino e lo afferro con tutte e due le mani.
Strabuzzo gli occhi e leggo il nome che lampeggia sul display.
Edward. E’ lui. Mi sta chiamando. In questo momento.
Premo il tasto della risposta e con il cuore in gola avvicino il telefono all’orecchio.
La voce mi trema quando dico:«Pronto»
Silenzio.
Ripeto :«Pronto?»
Ancora silenzio. Distacco il telefono dall’orecchio e osservo il display.
Assenza di segnale! Ricezione di merda!!!
Esco come una dannata dal bagno e mi fiondo alla finestra, pregando che non sia già caduta la linea e ripetendo pronto, pronto come un’ossessa. Arrivo al davanzale e ci manca davvero un soffio che non mi ci appenda per il bordo esterno per avere una ricezione migliore.
«Pronto!» esclamo, ormai disperata.
«Bella»
Sentire la sua voce è un colpo di fucile in pieno petto. Il respiro mi si mozza in gola e mi sembra di non aver mai udito un suono più caldo, carezzevole e sensuale di questo.
«Edward» pronuncio il suo nome con un alito di voce, ed è un sollievo, quasi una liberazione poterlo fare. Ma brava Bella, pensi che non si ricordi come si chiami?
«Ciao» aggiungo, quindi, in un sussurro.
«Ciao» mi risponde di rimando e aspetta un attimo, forse per darmi la precedenza nella conversazione.
Poiché la voce sembra avermi salutata dopo l’ultima parola pronunciata, stringo forte il cellulare tra le dita e me lo premo sull’orecchio come se lo volessi far diventare parte del mio corpo. Cerco di schiarirmi la gola e comincio ad emettere dei sinistri gorgheggi misti a delle rumorose deglutizioni.
Mi sento un’imbranata.
Con la solita grazia, lui mi toglie dall’imbarazzo:«Come stai? Come va la nuova sistemazione?» chiede con fare tranquillo.
«Bene, grazie. Il dormitorio è molto accogliente» dico rapida e atona come se stessi leggendo per il telegiornale.
Dall’altra parte c’è un attimo di silenzio.
«Ne sono lieto» e nel suo tono mi pare di scorgere un accenno di sorriso.
Bella, cazzo, cerca di essere più originale!
Mi porto una ciocca dietro all’orecchio libero e dico con un finto tono noncurante:«A casa tutto … a posto?»
Altra domanda intelligente, Bella, che vuoi che possa succedere a dei vampiri immortali?
«Sì, direi di … sì» dice e gli sento ancora una nota divertita nella voce.
«Bene» dico.
Vorrei chiedergli tante cose, domandargli se gli manco, se mi pensa, se soffre così come succede a me. E le domande sembrano quasi voler uscire fuori, quasi sono sulla punta della lingua, ma poi mi ricordo di come ci siamo salutati. E’ vero che sono andata io via, che forse avrei dovuto chiamare io e non lui, ma è come se lui mi avesse gentilmente, ma fermamente accompagnata alla porta.
Lui voleva che io andassi via.  
Mi accorgo che mi ha chiesto qualcosa, ma complice lo scarso segnale e lo stato di rimbambimento che Edward mi provoca anche a considerevoli distanze, mi ritrovo a dovergli chiedere di ripetere.
«Ti chiedevo se il lavoro procede bene» mi dice nuovamente, ma non sembra seccato che non gli abbia prestato attenzione.
«Più o meno. E’ più impegnativo di quello che credessi» dico e non mento affatto. Lavorare con Joshua prosciuga ogni mia energia.
Dall’altro capo non proviene alcun suono, quasi mi chiedo se per caso non si è interrotta la comunicazione: «Bella non è che ti stai stancando troppo …» il suo tono è vagamente inquisitorio. Ci risiamo. Lui e le sue smanie di protezione.
«Edward no, non dal punto di vista fisico, ma da quello mentale intendevo» chiarisco cercando di evitare di incorrere sempre nel solito discorso: la mia salute.
Passa qualche secondo e mi pare che quasi voglia aggiungere qualcosa, ma poi dice:«Domani abbiamo lezione con la Watsford, se hai tempo … se ti va, possiamo vederci per pranzo» butta lì con disinvoltura.
Esulto nella mia mente e vorrei gridargli che non aspettavo altro che poterlo vedere e riabbracciare. Che due giorni mi sono sembrati due anni e che mi viene da piangere se penso che fra qualche minuto mi infilerò in un letto sconosciuto senza il calore delle sue braccia gelide. Penso tutto nell’arco di un secondo e cerco di modulare l’entusiasmo nella mia voce dicendogli semplicemente:«Certo, domani. E’ … sì … è … perfetto» e trattengo il sorriso che vuole tagliarmi il viso in due metà.
«Ok, allora ci vediamo al Tandem intorno alle dodici.» dice e mi sembra che abbia appena letto un passo della Bibbia tanto le sue parole mi suonano angeliche, sacre.
«Sì, alle dodici, al Tandem.» prendo un respiro prima di salutarlo e di entrare in apnea «A domani»
«A domani» ed è come se la sua voce mi avesse voluta avvolgere in un caldo abbraccio.
Chiudo la comunicazione e trattengo il telefono in mano per un po’, guardandolo come un’ebete.
Mi sento felice ed emozionata come una bambina al Luna Park.
Mi ha chiamata.
Gli mancavo, ne sono sicura. E domani vuole vedermi.
Cammino fino al mio letto e mi ci siedo su che ancora guardo il cellulare, come se mi aspettassi di vedere uscire Edward da lì dentro.
Alzo lo sguardo e vedo Helèna distesa di spalle sul suo letto che tiene il ritmo battendosi l’indice sulla coscia.
Le mie labbra si incurvano in un sorriso. Ha messo su l’IPod per lasciarmi un minimo di privacy. Che gentile!
Mi avvicino e le tocco una spalla. Lei si gira con le labbra che si muovono probabilmente a mimare le parole della canzone che sta ascoltando. Le sfilo una cuffia e le dico trionfante:«Mi ha chiamata!», mentre mi siedo al suo fianco sotto lo sguardo beffardo di Einstein e l’occhietto vispo di Golia, il gatto di Helèna, entrambi in bidimensione sulla parete dietro di noi.
«Dai, sputa il rospo!» dice lei.
Sedute entrambe sul letto, racconto alla mia amica la telefonata, le mie sensazioni. Mi ascolta con un sorriso, e non mi ferma mai, nemmeno per un commento.
Alla fine dice con un sospiro:«Ah, l’amore! Che cosa meravigliosa!!!» e si alza cominciando ad arrotolare le cuffie su due dita. Le faccio una boccaccia e lei tira fuori la lingua, fino a che mi rendo conto che ha smesso di sistemare le cuffie.
Solo le cuffie.
E l’IPod?
Dov’è l’IPod?
Aggotto le sopracciglia e la guardo interrogativa:«Ma …» comincio a dire e le mi ferma con un sorriso:«Nessuna musica poteva tenermi lontana dalla telefonata del secolo!!!» esclama e scivola via chiudendosi in bagno prima che possa acciuffarla.

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari eccomi a voi. Il cappy si è fatto un po’ attendere, ma è lunghetto almeno.
Fra poco si comincia a ballare … tenetevi pronti.
La Libreria Rauner in due immagini. Qui e qui.

Piccola Ketty: Cara Ketty, l’happy ending non è così vicino come sembra … Per il discorso frainteso: TU SAI che è stato frainteso, ma Bella ha solo sentito senza capire una cicca. Gli interessati non si sono affatto curati che Bella potesse sentire o meno. Nessuno crede che lei abbia associato quelle parole a se stessa. Forse, credono che non fosse nulla di che … Bacioni. PS: fra poco comunque il mistero sarà svelato!!!!!!
arual93: Ciao Laura, hai proprio detto bene! Oggi un bell’abbonamento ad un terapista di coppia dovrebbe essere inserito nelle liste di nozze!!! Abbi fiducia, tra poco dipaneremo qualche mtassina, ma solo qualcuna!! Baci
bella_josephine Ciao carissima, grazie della tua recensione :))) come hai potuto vedere Edward è più umano di quello che sembra …, spero di aver chiarito il suo comportamento. Bacioni e a presto
Michelegiolo: Carissima, come puoi ben capire, anche se in fondo non ha letto nulla di compromettente, ciò non toglie che lui sa che J. è attratto da Bella e che la gelosia agisce lentamente, ma inesorabilmente una volta instillato il dubbio … Baci e grazie della tua costante presenza! *_*
vitti: Bhè cara, quando gli equivoci saranno risolti, credo che la storia starà volgendo al termine. Direi che ci mancano più o meno qualche migliaio di capitoli!!!!! Baci
RenEsmee_Carlie_Cullen: E sì cara, direi che la tua analisi è stata un centro perfetto!!! Vediamo un po’ che succede adesso!!! Bacionissimi
ginny89potter: Mia cara, cinica e masochista lettrice ricevere il tuo commento è un piacevole formicolio nelle dita, che mi spinge a risponderti con altrettanta attenzione.
Ti ringrazio innanzitutto. Per me è davvero importante che, al di la della lettura d’insieme i “miei” personaggi vengano anche accuratamente vivisezionati, delle volte. Serve anche a me per non perdere il filo del discorso.
Devo dire che sei davvero implacabile. Questo mi piace, perché mi spinge a non rammollirmi e a stare sul chi vive. Su Edward non credo che debba aggiungere altro. Il suo comportamento come hai fatto giustamente notare è molto simile a quello dell’originale (forse io lo esaspero di più anche perché ci sono gli EPov). Per Bella ti giuro che ho ancora il sorriso sulle labbra. Probabilmente hai ragione, scaverebbe ancora un altro po’, ma l’EPov , se permetti, te lo do io. –Epov “Tesoro, non ti inginocchiare, fai scavare me che ho le dita più lunghe …”
Carissima, ho iniziato questa risposta appellandoti come cinica e masochista. Vorrei spiegarmi meglio: il masochista sta per quando mi dici che il capitolo era splendidamente angosciante. Lo penso io per prima che li scrivo. Da qui, poi, viene il cinica. Che ovviamente è retorico. Perché in realtà penso che si deve credere davvero tanto nell’amore per parlare in modo così disilluso ed ironico. E’ un po’ quello che mi succede quando penso ad un capitolo e decido di scriverlo: la realtà è così differente da quella che vorrei che per vederla me la devo scrivere da me. Per chi legge è l’inverso: ciò che si legge è, a volte, talmente somigliante a quello che vorremmo ci fosse nella realtà, che è necessario un po’ ridicolizzarlo per poterlo accettare.
Questo è ciò che penso.
Spero di non essere stata troppo enigmatica, né troppo sfacciata. La mia non è una critica, ma è un sorriso che voglio scambiare con te.
Baci e a presto
Spider Monkey: Cara ti ringrazio per i complimenti. Sai è importante che mi lasciate la vostra opinione, perché è una bella soddisfazione sapere che siete coinvolti e che la storia ha fatto presa (come il cemento rapido….!) Grazie grazie Baci
Aleu : Mia cara, tu vuoi uno spoilerone!!!! Ti dico questo, così capirai meglio: Edward e Bella vanno ancora d’amore e d’accordo. Il peggio non è ancora arrivato!!!! Baci
sily85 : Ciao Ale, anche a me la fisica faceva il tuo stesso effetto!!! Grazie per il tuo entusiasmo. Sei coinvolgente!!! Baci
keska: Ciao Francy, la senti eh nell’aria la tempesta che sta giungendo?! Ci stiamo avvicinando a capitoli  difficili, ma adesso mi ci vuole un po’ per organizzare il filo del discorso …
Grazie sempre. Di TUTTO.  
Baci
LOVA: Ciao Lorena. ALLOVA direi che ci hai azzeccato e siccome che lui non è propriamente un santo, mi aspetterei qualche caz… se fossi in voi lettori. Stop ho detto troppo!!!! Baci
Holly__: Grazie mia cara, purtroppo adesso mi devo dare una regolata con gli aggiornamenti perché ho strafatto un po’ … Ma non sono riuscita a resistere avendone già pronti un paio. Baci
rodney: Cara Simona, lo so, vi sto confondendo un po’ le idee…, ma ricordate che lui è il LEONE e lei è l’AGNELLO. Non dimenticatelo, io non lo farò!!! Baci
Grazie a tutti voi. Ho raggiunto il record del record di recensioni per un capitolo!!!
Grazie anche a chi preferisce leggere in silenzio. Se siete ancora così numerosi, suppongo che non troviate questa storia così brutta!
Oggi è il mio turno di andare a vedere New Moon … vi farò sapere!
Un saluto speciale a Cami.
Baci a tutti
M.Luisa
 


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Capitolo 18
*** CAP.18 ***


CAP. 18

BELLA
Allora … appunti, borsa.
Sistemo i libri nella borsa e ne osservo l’interno un po’ perplessa sbattendo le palpebre.
Mmmm c’è troppo spazio ancora … qualcosa non mi quadra.
Controllo soppesando la borsa nella mano … il peso è più o meno lo stesso di sempre. Mi volto verso la scrivania.
«Il telefono!» esclamo afferrandolo rapida e mettendolo nella tasca laterale.
Adesso devo proprio aver preso tutto … ma il senso di disagio non smette di accompagnarmi. Sono euforica e nervosa allo stesso tempo. Euforica perché a pranzo vedrò Edward, e nervosa perché in pomeriggio devo andare a rapporto da Jensen.
Oggi è il mio turno di lavoro singolo con lui.
Ci marca ad uomo, non lasciandoci nemmeno un attimo di respiro. Ed io ho meno di due ore per esporre i miei progressi e convincerlo ad operare una revisione del bilancio previsto per il mio progetto, dimostrandogli che ne vale la pena …
Mi blocco con la tracolla a mezz’aria, pronta per uscire dalla camera e andare a lezione, quando mi ricordo di non avere preso la cosa più importante: «Oh merda!» dico e lascio cadere borsa e cappotto a terra per dirigermi spedita all’armadio.
Rovisto, sposto, apro buste, frugo ogni angolo.
Niente.
«Non è possibile» mormoro a me stessa mentre scuoto il capo e riprendo a fare lo stesso percorso iniziale solo con più smania.
«Oh no … no … noooo» comincio ad imprecare con la testa ancora immersa nei miei abiti.
Mi raddrizzo con le guance accaldate ed il respiro affannoso.
Signore fa che non l’abbia lasciato a casa!
Mi avvento sulla borsa e ne rovescio tutto il contenuto sul letto. Non può essere, sono sicura di averne fatto una copia … Passo i palmi su tutti gli oggetti più e più volte: fazzoletti, elastici per capelli, occhiali, agenda, libri.
Niente!!!!
Mi siedo affranta sul copriletto e mi passo le mani fra i capelli.
E adesso? Che faccio?
Come convinco Jensen senza mostrargli concretamente quello che voglio realizzare? Le parole basteranno?
Forse, se mi ci metto d’impegno …
Aggrotto le sopracciglia. Ma chi prendo in giro … non posso farne a meno.
Bella pensa …
Allora … chi posso chiamare …
Edward e Alice sono da scartare a priori. Saranno già a lezione.
Jasper anche.
Carlisle a quest’ora è a lavoro …
Rosalie … ugh! Nemmeno per scherzo!
Rimane … Emmett!
Prendo il cellulare e cerco in rubrica il suo numero, mentre già mi avvicino al davanzale della finestra.
Due squilli, poi :«Ehi sorellina!»
Grazie Dio! Esulto non appena sento la sua voce.
«Ehm ciao Emmett, come va?» gli dico per cortesia.
«A me una favola, tu piuttosto … Come và la tua vacanza?»
Vacanza?!
«Emmett, guarda che io sono al college, non su un’isola tropicale …» gli dico perplessa, ma anche vagamente infastidita.
«Sì, sì … e senti, ti stai divertendo?» chiede ancora giulivo e non capisco se lo fa apposta o sul serio.
Decido di sviare il discorso.
«Emmett devo chiederti una cortesia» poi mi sorge un terribile dubbio «sei a casa?»
«Tecnicamente sì …» sembra tentennare.
Un dubbio ancora più terrificante si fa strada dentro la mia mente: «Sei con Rosalie?!!»
Silenzio.
Sto quasi per riattaccare, letteralmente terrorizzata di aver interrotto un momento di intimità tra loro due che sento una fragorosa risata dall’altro capo del telefono.
«Bella … tu … pensi che in tal caso … risponderei al telefono?» chiede mentre erompe in un’altra risata. «Sono sul tetto, cioè … appeso al cornicione» spiega tranquillo.
Trattengo il fiato immaginandomelo in quella posizione: «Sul tetto?!»
«Sistemo la parabolica» chiarisce e sento un rumore sinistro. Subito dopo un’imprecazione irripetibile esce dalla sua bocca e chiudo gli occhi cercando di scacciare la visione di Emmett che cade da svariati metri di altezza.
Anche se so che non si farebbe nemmeno un graffio, non posso non pensare che in questo momento sta contemporaneamente reggendosi al bordo del tetto, aggiustando l’antenna, facendo il giocoliere con le chiavi inglesi e rispondendo al telefono.
E tutto con due sole mani.
«Spara, Bella! Che posso fare per te?»
Decido di lasciar perdere le chiacchiere e gli dico svelta: «Emmett devi prendere una cosa nella stanza mia e di Edward. E me la devi portare qui. Al più presto.» parlo tutto d’un fiato, e poi aggiungo: «E’ importante.»
«Mmmm così pare … cos’è il vostro ultimo gioco da tavolo?!» chiede fingendo un comico interesse.
«Emmett!!!» lo appello esasperata.
«Ok, ok. Ho capito. La smetto.» dice e contemporaneamente sento un altro rumore soffocato. Forte. Sembra un boato.
Evito di chiedermi a cosa può corrispondere un suono del genere e dico flebile: «Emmett per favore …»
«A posto.» un attimo di silenzio, un fruscio, poi: « Carina la vostra stanza … il letto è ancora tutto intero a quanto vedo …» cerco di reprimere la stizza per i commenti sarcastici di Emmett e stringo le labbra.
«Allora sorellina, sono tutto orecchi. Dov’è il tesoro?!» mi chiede e riesco quasi a vederlo in mezzo alla stanza con lo sguardo che si sposta a destra e a sinistra e un palmo aperto girato in su.
Prendo un respiro e dico:«Nel primo cassetto della scrivania»

EDWARD
Oh. Mio. Dio! Ma questo lo vendono al Tandem? Marge mi aveva detto che era un posto magnifico, ma non COSI’ MAGNIFICO … i pensieri di una giovane donna che ha rallentato la sua camminata fino quasi a fermarsi del tutto vicino alla vetrata del Tandem, mi investono con prepotenza.
Mi lancia delle occhiate fugaci, mentre non esercita il minimo sforzo su se stessa per evitare di divorarmi con il pensiero.
Appoggiato ad un lampione a pochi passi dal locale, attendo che arrivi Bella.
Alzo un braccio e mi passo una mano tra i capelli. Spero così di nascondere a questa ragazza il mio viso, almeno parzialmente. Piego le dita nella massa di capelli ribelli e fingo di dare un improbabile sollievo al mio cuoio capelluto, vittima del più impossibile dei pruriti.
Magari pensa che ho i pidocchi. Magari crede che sono un tipo trascurato che non si lava da chissà quanto … e decide di passare oltre.
Oddio adesso svengo! Che goduria … che dita affusolate! E il collo?! O Signore, lo succhierei fino a raggiungere l’osso!!!!
Strabuzzo gli occhi e fatico non poco a trattenere una risata. In più di cento anni nessuna persona – uomo o donna – ha mai pensato di volermi  azzannare al collo. Almeno non in prima battuta. Avvicino la mano chiusa a pugno alla bocca e fingo un colpo di tosse per nascondere il sorriso.
Forse crederà che ho la tubercolosi. Gli umani hanno paura delle malattie, in genere. Accentuo il gesto, inclinandomi leggermente con il busto ed emettendo un rumoroso singulto. Ci aggiungo anche un bello starnuto.
Un tipo che nello stesso momento mi sta passando davanti fa quasi un saltello per mettere la maggiore distanza tra me e lui. Bene.
Lancio un’occhiata veloce alla giovane ancora impalata vicino alla vetrata. Non voglio che Bella possa turbarsi in qualche modo se arriva e si rende conto che l’ennesima ragazza è in piena crisi mistica al mio cospetto.
La ragazza si mordicchia un angolo delle labbra e fa saettare lo sguardo dalla sua borsa a me.
Oh che dolce! Ha il raffreddore!! Adesso gli offro un fazzoletto, e magari attacco bottone … pensa in uno slancio di altruismo la stessa umana che un attimo prima era particolarmente propensa a dedicarsi al cannibalismo.
Mi passo una mano sulla fronte ed alzo gli occhi al cielo.
Alcune sono davvero ostinate, non c’è verso di scoraggiarle.
Mi accorgo immediatamente che Bella è nei paraggi perché il suo profumo raggiunge le mie narici all’istante. Avverto l’odore del suo sangue, la fragranza della sua pelle, e mi volto istintivamente in quella direzione.
E’ dall’altro lato della strada, ferma e mi guarda.
I suoi occhi si spostano immediatamente alla mia destra quando nota la ragazza che nel peggiore dei momenti ha deciso di tradurre i pensieri in azioni e comincia ad avanzare verso di me, una mano a frugare nella borsa.
Contemporaneamente al primo passo della tipa in questione mi distacco dalla mia posizione e attraverso la strada diretto verso Bella. Gli occhi di mia moglie si riposano su di me e segue immobile il mio spostamento.
Non l’ho abbandonata con lo sguardo per un solo attimo.
Appena le sono vicino, abbozza un timido sorriso e scorgo nei suoi occhi un guizzo di gioia prima che li abbassi verso la strada davanti a sé.
E’ come se un cerino fosse caduto per sbaglio in una tanica di benzina.
Sento il fuoco scorrermi in corpo e mi dico che sono un pazzo.
Perché può essere solo pazzia il groviglio di sensazioni ed emozioni contrastanti che mi stanno esplodendo in corpo in questo istante.
E poi mi dico che sono un illuso.
Perché ho creduto di poter affrontare la nostra lontananza con il minimo risentimento possibile. Sono un idiota. Bella mi manca.
Tanto.
Troppo.
«Ciao Bella» le dico stringendo ed aprendo piano il palmo della mano. Devo darmi una calmata. Sono qui per farle compagnia a pranzo, non per saltarle addosso e trascinarla alla Volvo con me.
 «Ciao Edward» dice e sento il calore affiorarle alle guance. E’ arrossita! Un fremito mi scuote all’altezza dello stomaco ed il mio braccio trema un po’ quando lo faccio scivolare lungo il suo fino a trovare la sua mano.
«Vieni entriamo. Fa freddo qui» le dico forse per cercare in un locale affollato un briciolo di motivazione in più per non comportarmi come un bambino deficiente.
Riattraverso la strada con Bella al mio fianco e quando passiamo davanti alla ragazza che è rimasta ferma sull’altro marciapiede con ancora in mano i fazzolettini per il mio “raffreddore”, lancio un’occhiata di sbieco a mia moglie. Mantiene gli occhi bassi, e, sebbene tenga ancora la sua mano nella mia, cammina un po’ discostata da me.
E’ a disagio.
Stringo gli occhi per una frazione di secondo. Vorrei fermarmi qui, afferrarla per il capo e mozzarle il respiro con il bacio più sconvolgente della sua vita. Ma timida ed insicura com’è so che non apprezzerebbe le svariate teste che faremmo girare.
Per una volta Alice ha torto. Bella non si sente solo “inferiore” a noi, ma anche alla maggior parte delle persone che la circonda.
Anche a quella spudorata e squallida umana che avrebbe perfino strisciato in terra pur di farsi guardare dal sottoscritto.
Stringo le labbra e serro la mascella sentendomi travolgere da un moto di rabbia.
Come è possibile che l’opinione che Bella ha di se stessa sia così misera?!
Come può una persona così buona, dolce, luminosa, bella, sensuale, intelligente e spiritosa non riconoscere le sue qualità, che sono così … lampanti!
Mi accorgo di essermi irrigidito e di aver stretto forse troppo la sua mano, quando sento i suoi occhi su di me. Mi guarda perplessa.
Allora prendo un respiro, mi stampo un sorriso sul viso e le apro la porta del Tandem lasciandole la precedenza all’ingresso. Non voglio turbarla in alcun modo.
Lei lascia la mia mano ed entra nel locale.
Ci accoglie Paul, il fidanzato di Helèna. Non lo conosco personalmente e, quindi, Bella ci presenta. La sua stretta di mano è forte e decisa. Il gelo esterno mimetizza il freddo della mia pelle e il ragazzo non sembra farci affatto caso. Ma un’occhiata veloce mi dice che, con ogni probabilità, non avrebbe battuto ciglio comunque. Al di là dell’aspetto trasandato, Paul è uno sveglio e sa rapportarsi agli altri. Non avrebbe mai messo a disagio il marito di Bella per non offenderla, anche se io avessi avuto due teste e quattro braccia.
Ci accompagna ad un tavolino un po’ riparato, in un angolo abbastanza tranquillo e lontano dal chiacchiericcio generale. Mi stupisco vagamente del fatto che ci sia un posto ancora libero. Il locale è pieno.
Speriamo che vada bene, o Helèna mi farà a pezzi … pensa lui.
Abbozzo un sorriso e lo ringrazio per la sistemazione perfetta. Paul sorride di rimando e appare visibilmente sollevato. Avere Helèna come fidanzata deve essere più difficile di quanto si direbbe.
Si trattiene ancora un attimo e ci chiede se vogliamo subito qualcosa da bere. Mentre aiuto Bella a sfilarsi il cappotto mi colpisce una certezza terribile.
Bella ha perso ancora peso.
Senza tradire la minima emozione chiedo: «Bella?»
«Ehm … il solito, acqua liscia» dice lei e Paul annuisce. Poi si volta verso di me :«Anche per me. Grazie» mi limito a dire.
Paul si volta e sta per andarsene quando lo fermo dicendogli affabile:«Ah Paul ci porteresti anche un menu?» e dopo un attimo di esitazione in cui lancia un’occhiata a Bella, va via mormorando solo un incerto:«D’accordo»
Aspetto che Bella si accomodi e mi siedo subito dopo. Mi osserva perplessa. Sperando di non aver urtato la sua suscettibilità, mi affretto a dire:«Avrai fame immagino. E’ più o meno ora di pranzo per gli umani» e accenno ad un sorriso.
«Ehm sì … in effetti.» mi lancia un’occhiata in tralice ed aggiunge « ma di solito cerco di non appesantirmi troppo quando in pomeriggio c’è da studiare …» e abbassa gli occhi sul tavolino.
E’ chiaro come il sole che Bella al Tandem non ha mai toccato cibo.
Faccio scivolare la mia mano sulla sua che tortura il portatovaglioli e le dico  dolcemente:«Bella devi nutrirti se vuoi avere la forza per studiare» e visto che non mi risponde le chiedo:«Hai ancora difficoltà a prendere sonno?»
Annuisce con un breve cenno del capo e dice:«Un pò». Lascia scorrere lo sguardo sui tavolini accanto ai nostri e sembra perdersi in chissà quali pensieri.
Stringo le labbra. Nonostante sappia perfettamente che mi rivela solo una minima parte dei sintomi che l’affliggono, capisco di non poter indagare ulteriormente se non voglio rischiare di trasformare questo incontro in una seduta medica.
Un’occhiata rapida mi conferma, però, che le sue condizioni generali non sono peggiorate.
Sospiro e cerco di mettere da parte la mia preoccupazione mista al senso di ansia nel sapere di non poterla tenere sotto controllo come vorrei. Adesso Bella è con me e non mi lascio sfuggire questa occasione preziosa.
Ripenso alle parole di Alice, al fatto che Bella ha bisogno del mio sostegno e della mia fiducia e cerco di apparire rilassato mentre le chiedo:«Allora raccontami un po’ come procede lo studio. Progressi?»
Spalanca gli occhi e arrossisce fino alla punta dei capelli: «Uhm, ci … ci sto lavorando» risponde e noto come si muove a disagio sulla sedia.
Ma bravo Edward! Le hai fatto proprio la domanda giusta per rompere il ghiaccio. Mi dico infastidito, mentre Paul arriva con una bottiglia, due bicchieri con relativi sottobicchieri ed un menu.
Lo ringrazio e lui si allontana.
Faccio scivolare il menu sul tavolino avvicinandolo alle mani di Bella e lei comincia a scuotere il capo.
I miei occhi si induriscono per un breve attimo e, cercando di modulare la voce, le dico:«Amore ti prego, mangia qualcosa. Fallo per me» e le sorrido osservando i suoi occhi lievemente dilatati e la sua bocca semiaperta. Queste espressioni del suo viso così innocenti e nel contempo così buffe mi sono mancate da morire.
Tasta il menu con le dita senza distogliere lo sguardo dai miei occhi, lo afferra  e lo alza fra noi come una barriera.
Soffoco una risata sul nascere e avvicino il bicchiere alle labbra fingendo di bere, ma sfiorando appena il liquido trasparente.
Intanto che lei scorre il menu, lancio un’occhiata alla sala e mi accorgo di un ragazzo, quasi dal lato opposto che mi fissa. Quando i miei occhi scontrano i suoi sposta lo sguardo rapidamente, ma non abbastanza. L’ho già notato al nostro ingresso, perché ha squadrato Bella da capo a piedi accompagnando la cosa con pensieri che sfioravano l’indecenza. Purtroppo questa cosa non mi è nuova: mia moglie è una ragazza molto bella e non sarebbe possibile per me essere in un posto insieme a lei senza che qualche rappresentante dell’altro sesso indugi in qualche pensiero proibito. Ma con il tempo ho imparato a mascherare bene il senso di fastidio e a reprimere l’istinto subitaneo di far volare qualche testa.
Cerco di isolare i pensieri del ragazzo, ma Bella abbassa il menu e dice:«Ok, ho scelto» con voce sicura.
Con un movimento lieve della mano catturo l’attenzione di Paul che arriva rapido e contemporaneamente sfila il blocchetto delle ordinazioni dalla tasca posteriore dei jeans.
«Pronti?» dice lui guardando me ed io indico con un gesto mia moglie. Paul si volta nel momento in cui Bella dice:«Per me un’insalata mista» e chiude il menu porgendoglielo senza guardare nella mia direzione.
Un’insalata mista. E questo Bella me lo chiama cibo.
Sempre con gli occhi su di lei dico:«Per me una bistecca al sangue, con contorno di verdure al vapore»
Alle mia parole lei alza lo sguardo su di me ed in risposta le sorrido candidamente. Paul segna le ordinazioni e sgattaiola via.
Certa di non essere più a portata d’orecchio Bella si porta entrambe le mani in grembo e con gli occhi fiammeggianti dice:«Non ti aspetterai che mangi tutta quella roba?!»
«Ovviamente no. Puoi lasciare l’insalata se vuoi» le dico io serafico.
Bella apre la bocca per controbattere, ma io la precedo:«Perché fai così? Il cibo  è talmente cattivo qui?»
Si ferma e aggrotta le sopracciglia: «No, cioè … non credo. Oh, insomma! Non ho pranzato spesso qui.» conclude con un tono di sconfitta.
«Ad occhio e croce direi che non hai pranzato da nessuna parte in questi giorni» le dico con lo sguardo affilato e la voce dura, sforzandomi di contenere la rabbia.
Lei serra le labbra, ma non mi smentisce.
Cerco di reprimere le parole che sento affiorare sulla punta della lingua riguardo l’assurdità di questa nuova sistemazione in un periodo così delicato per la sua salute e le chiedo di Helèna.
Anche Bella decide di lasciar cadere il discorso e mi parla della sua camera al  dormitorio, della sua amica e di quanto sia premurosa con lei.
La ascolto incantato dal suono carezzevole della sua voce, dalle espressioni del suo viso che accompagnano le sue parole in molteplici sfaccettature diverse, beandomi del solo fatto di poterle essere accanto.
Poi lei mi chiede di noi, di Alice. Le racconto brevemente di come si sia fatta coinvolgere dalle lezioni della Wastford, tralasciando di sottolineare la similitudine del suo attaccamento al college con quello di mia sorella, e le accenno al fatto che è stata inserita in un programma speciale di scambio culturale con università straniere. La cosa sembra aver attirato la sua attenzione, perché mi invita a spiegarmi meglio.
«Tre studenti provenienti dal Centro di Dialettologia di Bellinzona, dalla Società Italiana di Glottologia e dall’Università di Berna verranno qui per approfondire il concetto di percorso evolutivo del linguaggio» cerco di chiarire e poi aggiungo:«In pratica Alice farà da baby-sitter ad uno di loro. Non è più nei panni.» concludo con un mezzo sorriso ed un’alzata di spalle.
Sorride anche lei e in un secondo scompare tutto: la folla , le voci, i rumori, i pensieri. C’è solo lei.
Lei e il suo meraviglioso sorriso.
«Probabilmente anche Jasper … » dice quindi, con ancora il sorriso a fior di labbra.
«Precisamente» confermo io e le labbra mi si incurvano automaticamente nello stesso atteggiamento delle sue.
Restiamo a fissarci negli occhi intensamente fino a che sento con chiarezza il battito del cuore di Bella accelerare pericolosamente e il mio corpo rispondere in maniera altrettanto imbarazzante. Con uno sforzo degno d’un titano distolgo lo sguardo. Non è questo il luogo giusto, né il momento.
Con un tempismo perfetto Paul ci raggiunge con la mia ordinazione fumante e l’insalata multicolore di Bella. Le appoggia sul tavolino e si allontana velocemente.
Avvicino il piatto con la bistecca al lato di mia moglie e le dico calmo:«Manda giù qualche boccone, prima che si freddi»
Bella distoglie gli occhi dal piatto e si appoggia allo schienale scuotendo la testa.
La cosa mi irrita notevolmente, ma cerco di mantenere la calma e non darlo a vedere:«Bella …» dico io con un tono che vorrebbe essere di convincimento, ma in realtà suona vagamente minaccioso.
Interrompe il movimento del capo e chiude li occhi:«No, io … non posso» sussurra e mi pare che il suo viso sia diventato più pallido del solito.
Mi maledico per il mio scarso tatto e, facendo scivolare la mia mano sulla sua,  proseguo con più dolcezza«Che significa “non posso”? Non vuoi la carne? Bene ordiniamo qualcos’altro … pesce, uova … quello che vuoi» dico e faccio per richiamare Paul con un cenno, ma lei riprende a muovere il capo lentamente in segno di diniego.
«Tu … non capisci» dice ancora più flebilmente di prima
Aggrotto le sopracciglia e acuisco tutti i sensi.
Nel medesimo istante Bella si copre la bocca con una mano «Io … Edward, scusami» e cerca di alzarsi puntando l’altro palmo sul tavolino per fare forza.
Sono da lei in una frazione di secondo e le cingo la vita con un braccio, sorreggendola.
Un’ occhiata alla sala mi permette di individuare subito la zona riservata alle toilette, per fortuna non troppo distanti da noi e mi dirigo spedito in quella direzione sostenendo il suo peso con la sola forza del braccio che l’avvolge all’altezza della vita.
Entriamo e quando un rapido sguardo mi conferma che siamo soli, lascio da parte ogni cautela, prendo Bella tra le braccia e alla mia velocità mi porto  vicino ad un lavandino appena prima che un colpo di tosse mi preannunci l’inevitabile. La sostengo per la fronte e per la vita, lasciando che si appoggi con una mano al lavabo e con l’altra alla mia maglia.
Se non ci fossi io non riuscirebbe nemmeno a reggersi in piedi.
Quando la situazione sembra essersi stabilizzata, sempre senza mollare la presa ai suoi fianchi, scendo con la mano dalla sua fronte a dietro al collo, cercando di darle un minimo di sollievo e le sussurro piano:«Tranquilla amore, è passato.»
Annuisce con il capo e comincia a sciacquarsi la bocca.
Le passo una tovaglietta monouso per asciugarsi e lei si tampona le labbra, lanciando un breve sguardo alla nostra immagine riflessa nello specchio. I suoi occhi si soffermano su di me e repentinamente li abbassa e cerca di discostarsi un po’.
«Grazie e … scusami. Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a questa scena pietosa» dice leggermente imbarazzata.
Stringo la presa facendole capire che non ho la minima intenzione di lasciarla e le dico con la voce bassa:«Bella, non essere sciocca.» Poi aggiungo «Ti senti un po’ meglio?»
Fa un cenno affermativo con la testa.
«Bene. Ce la fai a raggiungere il parcheggio o preferisci che porti l’auto qui fuori?» chiedo osservandola attentamente. Non voglio che sminuisca il suo stato e che si stanchi eccessivamente cercando di camminare.
Mi guarda in silenzio.
«Ok» dico «vieni, ti accompagno al tavolo, così mi aspetti seduta intanto che prendo la Volvo» ed accenno ad un passo. Ma lei non si muove e continua a guardarmi.
«Edward, ma dove vuoi andare?» mi chiede perplessa.
Reprimo un moto di stizza. Di certo non voglio portarla a fare un giro panoramico di Hanover.«Ti porto in ospedale. Da Carlisle» ed evito di aggiungerci un ovviamente che sento a fior di lingua.
«Non è necessario» dice piano.
La guardo un attimo, prendo un respiro: «Certo che è necessario» e riprendo a muovermi tirandola leggermente verso di me.
Mi segue – non potrebbe opporsi comunque – ma prima che riesca ad aprire la porta dice con tono insicuro:«Edward … ascoltami, per favore»
Mi volto e la guardo:«Bella, in macchina potrai parlare quanto vuoi. Ma  adesso ti porto in ospedale.»
Mi strattona con tutta la sua forza, che in questo momento è minima. Mi fermo e lei dice:«Io non voglio venire in ospedale. Mi … sento meglio adesso» e mi guarda con gli occhi supplichevoli.
Ruoto completamente il corpo verso di lei e le poggio le mani ai lati delle spalle:«Bella» e sfodero un tono pericolosamente calmo e deciso «non è il momento di fare i capricci. Tu hai bisogno di un medico. Ed io ora ti porterò da un medico»
«Io … non posso venire in ospedale» dice e si tira indietro con il corpo. Lascio che sfugga alla mia presa «non devi preoccuparti. Ti ho detto che sto bene. E’ già successo e bastano un paio di minu …»
Chiudo gli occhi per una frazione di secondo e alzo una mano per interromperla: «Aspetta. Che significa “è già successo”? Vuoi dire che in questi tre giorni ti sei sentita male altre volte?!» il mio tono è basso, quasi sinistro.
Distoglie lo sguardo da me ed io avanzo verso di lei prendendole il mento in una mano costringendola con una lieve pressione a guardarmi: «Sei stata male altre volte?» ripeto contenendo la voce a malapena.
Vedo il labbro inferiore tremarle un po’ mentre dice:«Un paio di volte»
Abbasso il braccio lungo il corpo e chiudo gli occhi per un interminabile  istante voltando il capo in direzione opposta a quello di mia moglie. Prendo due respiri profondi, riapro gli occhi e la guardo:«Ok» dico e credo di non essere mai stato più furente con lei come in questo momento «passiamo per il dormitorio» continuo cupo, e al suo sguardo interrogativo specifico meglio:«raduniamo le tue cose. Tu adesso torni a casa con me».
Faccio contemporaneamente un passo in avanti e lei ne fa due indietro.
«Io non … non posso tornare a casa adesso» dice con voce appena udibile.
Mi avvicino ancora di un altro passo  e lei indietreggia di nuovo.
«Devo … non posso … andarmene così!» esclama esasperata.
«Con Helèna ci parlo io» dico «adesso dobbiamo pensare a te». Cammino verso di lei mentre lei procede in senso opposto fino a che le sue spalle non toccano il muro. Mi fermo, le braccia lungo i fianchi, la mascella rigida e la guardo scuotere il capo.
«Sei stato tu a volere che andassi a Dartmouth, tu hai insistito che facessi le mie esperienze da umana! E ora, non … non puoi decidere per me» dice e la cosa mi fa imbestialire ancora di più perché in fondo so che ha ragione. Ma in questo momento non mi sento affatto in vena di ragionamenti.
«Bella. Io sono un individuo paziente, ma tu stai mettendo a dura prova il mio controllo» deglutisco un fiotto di veleno e prendo un altro respiro. Nel contempo cerco di rilassare l’espressione del viso: mia moglie la devo convincere, non spaventare a morte «Stai male. Hai perso ancora peso, sei pallida più di me, vomiti anche solo guardando in un piatto» faccio una pausa «Non puoi rimanere qui. Non ne vale più la pena, soprattutto se in gioco c’è la tua salute.» Guardo i suoi occhi saettare ai lati del mio corpo, le sopracciglia aggrottate. «E’ importante che Carlisle ti visiti. Dobbiamo capire cosa c’è che non va in te» concludo duro.
Sussulta alle mie parole e mi maledico per non essere stato più delicato, ma la rabbia per essere stato tenuto all’oscuro e la preoccupazione per lei offuscano la mia lucidità.
I suoi occhi si riempiono di lacrime.
Alza il capo con uno scatto e mi fissa intensamente:«Io non voglio venire con te ora. Devo … fare una cosa prima. Una cosa importante»
«Niente è più importante di te! Lo capisci questo?» ed il mio tono è alterato fuori controllo.
«No no, tu non capisci!» grida e le lacrime prendono a rotolarle giù per le guance «Non capisci il tempo, l’importanza, l’impegno, l’aspettativa che io … che io …» e la voce le si spezza.
Stringo forte i pugni e le labbra. Vederla in questo stato, debole e scossa dai singhiozzi è un’immagine che mi trapana la mente, che mi devasta.
Ma non cederò.
Questa volta non posso. Qui la posta è troppo alta.
E Bella deve tornare a casa.
Resto fermo, in silenzio.
Poi prendo il coraggio e la forza necessarie:«Bella, te lo chiederò solo una volta» lei alza gli occhi su di me, enormi, spalancati, lucidi e spaventati «Torna a casa con me. Adesso»
Mi guarda.
Sulle sue guance le lacrime riprendono a scorrere copiose.
E trema.
Dalla testa ai piedi.
Poi, lentamente, ruota il capo una sola volta a destra e a sinistra.
Chiudo gli occhi per un breve attimo.
Mi volto e in due falcate sono fuori dal locale.

NOTA DELL’AUTRICE: Ragazze grazie per la pazienza. Con New Moon in mezzo questa settimana è stata … strana. Non riuscivo a concentrarmi, a scrivere. I miei commenti al film li trovate nel mio account di facebook, così come anche una novità introdotta la scorsa volta … i teaser per i capitoli successivi.

tsukinoshippo: Mia cara cosa dire se non ancora “grazie”? So che potrai leggere questa risposta solo fra un bel po’, ma al tuo ritorno sarà qui ad aspettarti. Ovviamente non avevo dubbi sul fatto che fossi molto arguta e molte delle tue supposizioni sono esatte. Grazie per avermi detto che la trama si sta sviluppando bene. C’è sempre il rischio di strafare. Con le mail mi pare che stiamo migliorando. Mi arrivano quasi tutte!! Un Bacione
ginny89potter E no, non ci siamo. Helèna ti sta simpatica?!! Non la mettiamo alla gogna?!!!! Eh eh eh, visto che prima o poi riuscivo a scalfire la tua corazza? Credo che in futuro ti sarà ancora più simpatica. In quanto ad Alice, la piccoletta è la mia forza, cerchiamo di trattarla bene! Spero di averti angosciata abbastanza con questo capitolo, a me ha fatto abbastanza male. Baci e come sempre grazie.
 keska: Helèna me la immagino proprio una peste, una specie di Alice in versione umana, un po’ più goffa, ma una vera forza! La storia sta prendendo una direzione, speriamo che riesca a scrivere così come la immagino nella mia testa. Adesso che è un po’ più complicata devo essere ancora più accorta a non uscire fuori dai binari. Sono sicura che capisci cosa intendo. Grazie gioia per il tuo supporto :)))Questi giorni saranno un po’ duri … Baci
LOVA: il tuo intuito ti ha detto benissimo. Ovviamente non c’è mai da fidarsi con me nei paraggi! Bacioni
sily85: Ehmmm, non credo che questo cappy te lo aspettassi proprio così, ma il teaser è stato carino, no?! Spero di ritrovarti su fb, mi sono divertita un mondo sia all’evento che nei vari commentini sparsi! Al prossimo teaser! Baci
arual93: Cara Laura non mi uccidere! Lo so che questi capitoli angoscianti ti fanno male, ma pensa che se sono brava a farli stare uno schifo, sarò anche brava a farli andare in paradiso … Bacioni
Aleu: Tesoro mio grazie a te per essere ancora qui a leggere le mie paranoie e soprattutto a commentarle! Resto sempre un po’ sospesa quando posto e aspetto le vostre recensioni. Sarei un’ipocrita se non vi dicessi che mi chiedo sempre “piacerà, no, mi odieranno, poco sesso, troppe parolacce …?”Ma vabbè, l’importante è scrivere! Per Jensen … no, ancora non ha finito la sua parte. Anzi. Baci.
cloe cullen: Cara più presto di così non sono riuscita a postare, perché come hai capito la storia si intricherà ancora di più. Il prossimo è in cantiere. Pazienza plissss. Baci
RenEsmee_Carlie_Cullen: Agiranno d’istinto prima o poi, non ti preoccupare ….Muaaaaaaaa!!!!! New Moon è stato una favola, non tutto mi è piaciuto, ma E mi ha fatto uscire dal cinema con gli occhi a cuoricino. Su fb ho scritto qual cosina in più, ma ho intenzione di metterci un bel commentone. Quando ho tempo, s’intende. Baci cara
bella_josephine: Grazie carissima, Alice è la mia eroina, devo ammetterlo. Non a caso ho tagliato i capelli in suo onore. Magari non è proprio un monumento …, ma è almeno un piccolo riconoscimento!!! Bacioni
Piccola Ketty: Tanto per citare Helèna :”Giornatina eh?!” Spero vivamente che le cose siano migliorate, anche se ti giuro che un paio di volte a settimana io vorrei non alzarmi proprio la mattina … Comunque grazie piccola mia, sei stata il mio primo commento la volta scorsa e ti aspettavo con ansia. Baci
Mmmm ci tengo a mettermi sul patibolo … non si scrive badget, ma budget!! Ho corretto l’ORRORE. Perdono plissssss
Ringrazio le new entry … so che ci siete perché io tengo tutto sotto controllo!!!!!
Vi aspetto su fb.
Baci
M.Luisa




 



 

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Capitolo 19
*** CAP.19 ***


Vi giuro che vorrei essere una farfallina sul vostro schermo per vedere le vostre facce ...
Ci si vede alla fine.

CAP.19


BELLA
“… «Bella, te lo chiederò solo una volta.
Torna a casa con me.
Adesso» …”

«Isabella, accomodati prego».
Mi riscuoto vedendo il professor Jensen aprire maggiormente la porta del suo studio e spostarsi di lato per farmi entrare.
Sento il suo sguardo su di me, mentre gli passo davanti.
Con la borsa stretta innanzi a me, come uno scudo, avanzo con passo incerto e mi lascio scivolare sulla sedia di fronte alla sua scrivania.
Decisamente questo non è il momento più opportuno per affrontare una riunione con Jensen, ma dopo trenta minuti passati a piangere nei bagni del Tandem e altrettanti nella mia camera al dormitorio nel tentativo di cancellarne le tracce, mi sono detta che non aveva senso rimandare. Anzi, avrei solo peggiorato la situazione.
Questa cosa la devo risolvere oggi. Poi andrò da Carlisle.
Ancora scossa per la discussione avuta con Edward, sobbalzo quando sento la porta chiudersi con un tonfo. I miei nervi sono troppo tesi.
Cerco di auto-infondermi un atteggiamento composto e professionale e comincio a prendere i miei appunti dalla borsa. Non voglio prolungare questo incontro più del necessario perché credo di non riuscire a reggere la facciata per molto tempo ancora. Bramo la solitudine della mia stanza, Helèna permettendo. E poi, mi sento particolarmente giù, non solo moralmente. Mi sento fiacca, stanca e spossata. Ho, senza dubbio, bisogno di una buona dormita.
Jensen gira attorno alla scrivania e si accomoda di fronte a me:«Allora Isabella, come procede il tuo lavoro?» chiede con un sorriso affabile e i suoi occhi mi studiano, mi scrutano come se fossi il più interessante dei reperti di uno scavo archeologico.
«Bene» dico sbrigativa e con lo sguardo puntato sui miei appunti comincio a descrivergli i progressi fatti con Joshua. Parlo ininterrottamente per quindici minuti, spiego, descrivo, chiamando a raccolta tutta la forza e il briciolo di convinzione che mi è rimasto per la realizzazione di questo progetto.
Jensen mi ascolta. In silenzio, i suoi occhi sempre fissi su di me.
Ogni tanto mi interrompe chiedendomi cosa ne pensa Joshua di un cambiamento o di un particolare del prototipo. Cerco di rispondergli in maniera pertinente, di essere esaustiva, ma la voce suona stentata perfino alle mie orecchie.
Ormai sono al capolinea. Non riuscirò a parlargli della revisione del budget  in modo appropriato, convincente.
E, forse, non mi interessa neanche più.
La mia voce cala pian piano in intensità fino a spegnersi del tutto.
Jensen continua ad osservarmi pensieroso.
Il silenzio nella stanza comincia quasi ad essere imbarazzante, quando lui emette un sospiro e si allunga a prendere alcuni dei miei appunti in mano. Li studia pensieroso. Ne approfitto per riprendere fiato e radunare le idee.
Edward aveva ragione. Non ne vale la pena. A questo punto non più. E non per la mia salute.
Se per andare avanti in questa cosa devo litigare con lui, è certo che non ne vale la pena. Il mio entusiasmo si è dissolto, finito nel lavandino dei bagni del Tandem insieme ai resti della mia colazione. Non riesco a non pensare ai suoi occhi, al suo sguardo ferito quando ho rifiutato di seguirlo prima in ospedale  e poi a casa.
E ancora mi domando da dove mi è venuta fuori questa idiozia. Perché la verità è che il mio più grande desiderio è stare con lui, e che ora mi sento sconfitta e mortificata.
Ma cosa volevo dimostrare? L’ho fatto preoccupare, gli ho rinfacciato le sue stesse parole, e ho preferito il progetto a lui.
No, non è così … mi dico scuotendo il capo.
Io non stavo facendo i capricci, non volevo imporre il mio volere a priori. Ho cercato di spiegargli, di fargli capire il carico emotivo che ho investito in questo lavoro, ma lui era così … così duro, implacabile. Mi è parso di parlare con un muro di gomma. Qualunque cosa dicessi o facessi non faceva che rimbalzarmi contro, che peggiorare le cose.
Era come se il mio parere non contasse nulla.
“Dobbiamo capire cosa c’è che non và in te” così ha detto. E sebbene sappia che si riferiva alla mia salute, non ho potuto fare a meno di pensare che sarebbe stato infinitamente più semplice cercare cosa, invece,  funzionasse in me. Avrebbe risparmiato un sacco di tempo e di fatica.
«Isabella?!» Jensen mi riscuote con un tono un po’ esasperato. Mi deve aver chiamato diverse volte.
«Professore mi scusi. Ero distratta» mi affretto a dirgli mortificata.
Mi osserva un attimo. «Decisamente» dice eloquente, per poi proseguire «Ti ho chiesto il motivo di questo interrogativo alla voce “funzionalità”»
Ecco, ci siamo.
Raduno tutta la restante energia e dico:«Vorrei inserire questo». Nello stesso istante prendo un bel respiro e spingo la piccola custodia quadrata verso di lui.
«Le chiedo di pensarci su e di prendere una decisione» e ritiro la mano per nasconderla nell’altra appoggiata sul mio grembo.
«Che cos’è?» chiede aggrottando le sopracciglia  e allungandosi a prendere l’oggetto dinnanzi a sé.
Inspiro brevemente, poi deglutisco.
«Ho … pensato che potrebbe essere interessante. Sono delle musiche. Musiche classiche»
I suoi occhi si stringono per un attimo e mi osserva. Reggo lo sguardo solo per una frazione di secondo. Non sono in vena di ingaggiare un “braccio di ferro”. Non ne avrei la forza, né il mordente.
«Mmm» mormora ed apre la custodia.
Sussulto un attimo nel vedere il cd di Edward tra le mani di Jensen. E’ un ricordo così personale e nello stesso tempo doloroso che sento la necessità di distogliere lo sguardo.
Mi stringo forte le mani l’una contro l’altra in grembo.
«Professore … è l’unica copia di cui dispongo» riesco solo a dire con un alito di voce. I tempi si sono così ristretti che devo anche ritenermi fortunata di aver trovato in Emmett un ignaro complice. Chiedergli, oltre che di portarmi il cd, anche di farne una copia mi era sembrato davvero fuori luogo e non volevo attirare troppa attenzione su questa cosa. In fondo lui mi considera un po’ una “Bella Addormentata nel bosco” e lasciargli credere che la mia fosse solo nostalgia di casa non è stato affatto difficile. Se non fosse stato per lui adesso potrei già salutare il mio progetto da lontano.
Jensen mi osserva pensieroso, ma con un’intensità quasi imbarazzante. Ed io in questo momento mi sento troppo vulnerabile.
Comincio a radunare le mie cose e nel contempo cerco di spiegarmi, gli occhi rivolti ovunque tranne che sul viso del mio interlocutore: «Utilizzarlo comporterebbe un innalzamento dei costi del prototipo. Le chiedo solo di ascoltarlo. Io credo che ne … valga la pena.» finisco facendo spallucce e lanciandogli uno sguardo.
Ha il viso rivolto alla finestra.
Emetto un sospiro. Mi ero ripetuta talmente tante volte le parole più adatte per convincerlo che adesso mi stupisco di quanto sia stato semplice pronunciarle senza quell’intento. Ho parlato e basta, senza alcuna pretesa, senza alcuna speranza.
Ho solo voglia di andarmene.
Mi alzo e aspetto di sentire un secco rifiuto, quasi in trepida attesa. Mi serve la giusta spinta per chiudere definitivamente con questa follia, questo desiderio di riuscire a combinare qualcosa di vero, di mio, di reale, in un mondo che di reale ha ben poco e in cui io sento di valere meno di un granello di polvere.
Gli occhi azzurri di Jensen si spostano su di me: «Aspetta» dice e si alza dalla poltrona.
Gira intorno alla scrivania e si avvicina ad un mobile dietro le mie spalle. Lo seguo con lo sguardo e quando mi rendo conto di ciò che vuole fare comincio a tremare come una foglia.
«Se è l’unica copia di cui disponi, non voglio privartene. L’ascolteremo insieme adesso» e comincia ad armeggiare con un impianto stereo non particolarmente sofisticato.
Saetto con lo sguardo alla porta.
Non posso restare qui se voglio salvare un briciolo di dignità.
Me ne devo andare.
Afferro il cappotto, la borsa e faccio un paio di passi incerti verso la porta. Riesco ad appoggiare la mano sulla maniglia, mi schiarisco la gola e dico: «Io devo andare, purtroppo» e la voce mi trema come tremano le gambe.
Imprimo giusto una modesta pressione per sentire lo scatto della porta che lui ci poggia su una mano impedendomi di aprirla, mi fissa intensamente e dice: «Non ci vorrà molto» e con l’altra mano mi indica la poltrona al mio fianco.
Apro la bocca per replicare, ma in quel momento la stanza viene invasa dalle note suonate da Edward al suo pianoforte.
Mi lascio andare sulla poltrona senza forze, il capo chino.
Jensen si sposta e si avvicina alla finestra. Resta a guardarmi, immobile.
Mentre la mia ninna-nanna diffonde nel silenzio quasi reverenziale che si è creato, il mio cuore sembra contrarsi con dolore ogni secondo che passa.
E’ come se volesse implodere.
Sento tutto più pesante. La testa, il respiro, l’animo.
Dio quanto mi manca! Gli occhi mi si velano e una lacrima rotola giù dal viso, bagnandomi le dita.
Ma non è solo questo. Questa musica, in questo momento … mi ricorda quello che non avrei mai voluto che ritornasse alla mia mente. Mai.
E’ un altro abbandono, di un tempo più lontano, un tempo che avrei voluto dimenticare, ma che ha lasciato il suo segno indelebile dentro di me.
Perché mi fa ancora così male, perché non riesco a dimenticare?
Perché hai paura Bella. Hai paura che tutto svanisca e che tu possa cadere di nuovo a pezzi.
E perché l’idea che lui possa amarmi, amare un essere così insignificante come me è più evanescente della musica che risuona nel mio corpo.
E il dolore ti serve. Ti serve per ricordarti che lui c’è stato.
Ecco perché fa così male.
“Non sei la persona giusta per me … giusta per me … per me … per me …”
In un attimo rivivo il mio passato, la mia angoscia e mi sento sopraffare.
Non sono mai riuscita ad accettarmi al suo fianco, a darmi un motivo valido che mi confermasse che la nostra unione fosse giusta. Mi sembrava tutto impossibile e credere per un attimo che avrebbe potuto essere reale mi aveva regalato la sofferenza più grande di tutta la mia esistenza.
Perderlo.
E adesso mi appare davanti agli occhi quanto in realtà tutto sia estremamente sbagliato.
Quanto io sia sbagliata per lui.
No, no non ce la faccio …
Mi alzo e in due passi sono vicino allo stereo. Premo sul tasto per fermare la riproduzione e la musica cessa d’un tratto. Istantaneamente è come se la morsa che avvolgeva il mio cuore si fosse dissolta ed i polmoni riprendono a guadagnare aria.
Resto ferma così, senza dir nulla, senza muovere nemmeno un dito.
«Sai Isabella, la vita è davvero curiosa» le parole di Jensen mi riportano alla realtà «ci affanniamo per anni a cercare qualcosa. Denaro. Potere. Dio. Amore». Sento che si muove, ma non mi volto, non dico nulla. Mi reggo con le mani al mobile su cui è poggiato lo stereo, il respiro irregolare, lo sguardo sfocato dalle lacrime.
«Tu cosa cerchi, Isabella?» chiede con un tono di voce basso, quasi un sussurro.
Stringo gli occhi, cercando di allontanare le lacrime, di recuperare il controllo.
«Ho … ho commesso un errore» dico con la voce tremante «anzi troppi. Ho sopravvalutato le mie capacità, ho creduto di … di …» scuoto il capo, deglutisco il nodo che mi si è formato in gola. Prendo un respiro «Professore, la prego. Dimentichi il mio progetto, ormai non ha più importanza, non ne vale più la pena»
Un pesante silenzio scende tra di noi.
«No» dice secco e sento che è dietro di me.
«Sei entrata in questa stanza senza motivazione, senza alcuna determinazione. Sei spaventata. Cosa temi?» dice «Hai paura della mia risposta? Hai paura di essere giudicata?»
Scuoto il capo, non mi volto. Due lacrime scivolano giù bagnandomi le guance.
«Perché tu hai paura» dice con tono sicuro. «E cerchi qualcosa» e la sua non è una domanda «o qualcuno»
Dalla sua voce capisco che è ancora più vicino.
«Ho visto l’impegno che hai investito in questo lavoro. Ho visto la passione, il tempo, l’attenzione » la sua voce è calda, carica di tensione «Io e te siamo così simili Isabella … saremmo pronti a morire per le nostre convinzioni»
Chiudo gli occhi pensando a quanto siano vere le sue parole per me.
«Dicesti una volta che volevi dimostrare qualcosa a te stessa. Guardami negli occhi e dimmi che l’hai fatto. E ti lascerò andare.»
Il tono della sua voce, così suadente, carezzevole, ammaliante mi fa pensare per un attimo che Jensen sarebbe un vampiro perfetto. Le sue parole mi piombano addosso con la potenza di una valanga.
Mentre le lacrime scendono ancora più di prima, armeggio con lo stereo tentando di recuperare il cd. Le mie dita sono impacciate, nervose. Quando vedo uscire il disco lo afferro e senza voltarmi verso di lui, senza recuperare la borsa né il cappotto abbandonati sul divano, senza pronunciare nemmeno una parola mi avvicino alla porta aprendola leggermente.
«Aspetta, ti prego» la sua mano copre la mia, scende a stringerne il palmo e a staccarla dallo stipite. Con un movimento lieve cerca di farmi voltare e si accorge del mio viso inondato di lacrime.
I suoi occhi si spalancano.
Vi leggo tutta la sorpresa della scoperta, poi l’incertezza, infine la determinazione.
Piano le sue mani si avvicinano al mio volto e con i pollici prende a strofinarne le guance.
Trattengo il respiro, chiudo gli occhi. Penso ad un altro tocco, quello che vorrei sul mio corpo in questo momento, al gelo che vorrei sentire sulla mia pelle.
E allora la realtà mi appare in tutta la sua insopportabile crudezza.
Edward non c’è, è andato via.
Se n’è andato a causa mia.
E’ andato via, perché io sono meno di niente, solo un’umana. Un’umana e basta *. Con un fisico debilitato, una mente tormentata dalla vana speranza di dimostrargli di essere alla sua altezza, degna di lui, di loro.
Se fossi stata una immortale come loro, non mi sarei ammalata, non avrei mai dubitato di me stessa, non avrei mai sentito la necessità di mettermi alla prova.
Sarei stata perfetta per lui, la persona giusta
Il ricordo del passato comincia a confondersi con il presente.
Forks, il bosco, lui, io … i suoi occhi duri, le sue parole, le sue parole …
Non sei la persona giusta per me …
Mi è del tutto indifferente … ben altri pensieri per la testa …
Capire cosa c’è che non va in te … non va … non va …
La testa prende a girarmi sempre più velocemente, il respiro a spezzarsi e a farsi più rapido tentando di attingere più aria. Le mie mani si spostano in avanti febbrili, senza controllo solo per scontrarsi contro qualcosa, qualcuno e rimanerne imprigionate.
Braccia forti mi sorreggono, mi sostengono, mi impediscono di frantumarmi, di perdermi nell’abisso della solitudine.
«Isabella» un respiro leggero mi sfiora il viso «A volte non è necessario guardare troppo lontano per essere felici» un attimo di silenzio, poi «basta saper cogliere il momento quando arriva e non lasciarselo scappare».
Mani mi tengono fermo il capo. Apro gli occhi e mi specchio in due iridi azzurre come il mare dopo la pioggia.
«Io penso che tu sia una donna stupenda, piena di passione, di vita e di talento. E …» inclina il capo verso di me «… penso che per questo ne valga sul serio la pena.»
Mentre il suo viso si avvicina al mio, resto immobile, incapace di qualsiasi movimento o parola, come incantata.
Ma proprio un attimo prima che avvenga il contatto, riesco a percepire un  rumore alle mie spalle.

EDWARD
Spalanco la porta dello studio senza aspettare che mi inviti ad entrare, senza la minima delicatezza.
I suoi occhi si soffermano sulla mia figura e mi vedo nella sua mente avanzare con passo nervoso e affrettato, lo sguardo fisso, a tratti folle.
Figliolo, cosa è successo … i suoi pensieri sono allarmati.
Carlisle mi ha visto raramente in questo stato di agitazione.
«Devo parlarti di Bella» gli rispondo sbrigativo.
«E’ successo qualcosa?» mi domanda cauto, con la voce composta e questo ha un effetto tranquillizzante su di me. L’atteggiamento di mio padre si mantiene sempre su questi toni e mitiga da più di cento anni il mio carattere impulsivo e i miei istinti più nascosti.
Prendo un respiro e dico secco:«Carlisle, sta peggiorando»
Edward, calmati … i suoi pensieri sono decisi, sicuri. Mi dà l’illusione che la situazione non sia così grave, che ci sia sempre una soluzione per ogni difficoltà.
Cerco di rilassare i muscoli delle spalle, prendo un altro respiro e deglutisco il veleno che continua ad affiorarmi in bocca da quando sono uscito dal Tandem, da quando ho lasciato Bella in lacrime che a malapena si reggeva sulle sue gambe.
Da quando lei ha rifiutato di venire con me in ospedale.
Tuttavia, la rabbia per la sua decisione non ha diminuito affatto la preoccupazione per la sua salute. Ho girovagato in auto per un paio d’ore, senza una meta, pensando. La consapevolezza di essere stato vicino tanto così a commettere una sciocchezza mi ha colto giusto in tempo e mi ha spinto ad allontanarmi da lei all’istante.
E, poi, a cercare la sola persona che avrebbe potuto aiutarla.
Ho raggiunto l’ospedale da mio padre, con ancora nella mia mente lei, i suoi occhi, le sue lacrime.
E ho odiato profondamente il college, i suoi libri, la sua ostinazione.
Bella ha una tale predisposizione naturale nel mettere a rischio la sua vita che non riuscirò mai a capirla, ad accettarlo.
E ho odiato me stesso sopra ogni altra cosa, perché io l’ho spinta a seguire questo dannato semestre a Dartmouth, a vivere le esperienze che le sarebbero state precluse di lì a breve.
D’accordo.
Ma non volevo certo che affrontasse una malattia, l’unica esperienza che me l’avrebbe potuta portata via, che mortificasse e devastasse il suo corpo fragile e delicato!
«Edward, spiegati meglio» mi dice in tono professionale e lo ringrazio mentalmente perché il suo comportamento mi obbliga a cercare un certo equilibrio.
«Ha perso ancora peso, non molto in realtà. Meno di un chilo. Ma è avvenuto in appena tre giorni.» comincio a spiegare lentamente, richiamando alla mente i segni clinici che so essere importanti per effettuare un esame obiettivo di un paziente. Poi continuo:«è astenica, pallida forse più di prima»e, puntando gli occhi nei suoi, aggiungo « ha avuto un episodio emetico, anzi … più di uno, ripetuti» e nelle mie parole sento tutta la frustrazione che la notizia datami involontariamente da Bella mi ha provocato.
Ha avuto degli episodi di sanguinamento? Epistassi, sanguinamento delle gengive, ecchimosi cutanee … pensa lui con attenzione.
Scuoto il capo, poi mi ricordo del’episodio di un po’ di tempo prima e dico:«Un livido sul polso, una volta … ma è successo parecchio tempo fa. Ma non credo che fosse una generazione spontanea» concludo infastidito per poi precisare:«Almeno fino a quando era a casa».
Mio padre compie un breve movimento con il capo e abbassa gli occhi. So che vorrebbe tenermi nascosti anche i suoi pensieri, ma non è bravo come Alice in questo. Prima di leggere nella sua mente qualcosa che possa turbarmi lo invito ad esprimersi a parole:«Dimmi cosa ne pensi, Carlisle. La verità.»
Alza il capo e annuisce lentamente con la testa, puntando i miei occhi, che seguono ogni suo più piccolo movimento.
«Edward, voglio fare degli esami specifici. Una puntura sternale e una biopsia in cresta iliaca. E poi, ho bisogno di visitarla. Devo controllare fegato e milza.» mi dice e nei suoi occhi scorgo lo stesso gelo che sta avvolgendo in questo momento il mio cuore in una morsa.
Nonostante non riesca ad essere obiettivo quando si tratta di Bella, le mie lauree in medicina mi permettono di capire perfettamente cosa implicano queste indagini cliniche.
Mi appoggio con le mani alla poltrona in pelle di fronte a me. Non ho mai assistito al tipo di esami a cui Carlisle vuole sottoporre Bella, ma conosco le tecniche con cui vengono eseguiti. Dopo aver anestetizzato la cute e la parte più esterna dell’osso, Carlisle introdurrà un ago da aspirazione in profondità nell’osso fino a raggiungere il midollo ed effettuare il prelievo. Deglutisco visualizzando l’immagine di Bella sottoposta a questa pratica.
Ma è niente se penso cosa implica un esame del genere qualora risultasse positivo.
«Leucemia» dico e la voce mi trema.
Mio padre si alza dalla sua poltrona, mi viene vicino e mi poggia una mano sulla spalla: «Edward, non possiamo esserne sicuri. Per questo preferisco effettuare sia la puntura sternale che la biopsia profonda nel bacino. Voglio che non ci siano dubbi.» Prende un respiro e dice:«Cercherò di essere il più delicato possibile. Non sentirà nulla.»
Chiudo gli occhi per un istante e stringo i pugni per reprimere il desiderio inarrestabile di scaraventare la sedia di fronte a me attraverso il vetro della finestra.
E ancora di più cerco di tenere a freno l’istinto che mi suggerisce di montare in auto, andare al college, caricare Bella in spalla e condurla qui seduta stante.
«Quando vorresti eseguire l’esame?» gli chiedo, invece.
«Al più presto. Appena Bella sarà pronta.» mi risponde
Contraggo le dita sullo schienale della poltrona e annuisco.
«Edward, preferirei che non passasse troppo tempo. Voglio essere preparato … per ogni evenienza» aggiunge poi e i miei occhi si alzano sul suo viso.
La mia mente si rifiuta di assimilare queste parole.
Edward, non temere. Se qualcosa dovesse andare storto … c’è sempre la trasformazione. I pensieri di mio padre vorrebbero essere rassicuranti, ma in realtà mi gettano nello sconforto.
«Carlisle, io credo che lei non si senta ancora pronta per questo» dico con un certo sforzo.
Lui aggrotta le sopracciglia.
«Io non voglio che si senta obbligata a scegliere questa soluzione, come se fosse l’unica alternativa» chiarisco meglio.
Ma potrebbe esserlo … pensa lui e capisco che involontariamente ha fatto passare non il suo pensiero, ma un suo timore. Sul suo viso si delinea un’espressione dispiaciuta e allora si volta cominciando a togliersi il camice.
«Non ha senso preoccuparci di problemi che non sono ancora sorti» dice cercando di risultare confortante. Poi aggiunge:«Adesso torniamocene a casa, il mio turno è finito. E, poi, ne dobbiamo parlare con lei. Dobbiamo spiegarle la situazione» evita di aggiungerci la parola grave, ma è come se nella mia mente l’avesse urlata con tutta la sua forza.
Un parlottio sommesso arriva alle nostre orecchie.
Proviene dall’esterno.
Mentre mio padre appende il camice e prende il suo cappotto, ascolto distrattamente la conversazione che sta avvenendo fuori dallo studio.
«Se vuole può lasciare un messaggio, glielo farò recapitare» La segretaria di Carlisle, Lucy, una timorata ma determinata cinquantenne, parla con un tono gentile.
Mio padre si volta a prendere la sua valigetta e si gira verso di me: «Ok, possiamo andare»
Oddio, forse è meglio che chiami il dottore … questa ragazza non sembra affatto stare bene. I pensieri di Lucy sono un misto di preoccupazione e dispiacere.
«Mi dica almeno il suo nome, riferirò che è passata» continua lei ancora più incerta dall’esterno.
Spalanco gli occhi non appena sento la voce del suo interlocutore.
«Bella. Bella Swan»
E mi fiondo sulla porta spalancandola.


*Piccolo omaggio personale a New Moon.

Sterno e cresta iliaca sono due ossa piatte, rispettivamente del torace e del bacino.

NOTA DELL’AUTRICE: Riponete le armi e sappiate che no, non sono affatto cattiva … Un po’ sadica, magari … XD.
Scusate le risposte un po’ “striminzite”, ma se non volete attendere troppo per il prossimo cappy …

tsukinoshippo: Eccola la mia ciliegina sulla torta …XDD Dunque cara, certi capitoli a volte fanno piangere pure me, lo confesso. E fatico un po’ a scrivere questi perché devo sentire tutto il loro dolore prima di metterlo sulla carta. La risoluzione? Leggete, leggete, leggete!!! Baci
LOVA : Mai dire mai tesorina … a volte è necessario essere DAVVERO esasperati prima di fare qualche caz…. !!! Kiss
ginny89potter: Mmmmm così tu sei un’impaziente, eh?! Allora ti dico questo: quando sembra di vedere la luce, si può anche correre il rischio di rimanere del tutto abbagliati!!! Baci
sily85: Ale, Ale tu sei una santa!! Grazie per le tue parole di conforto su fb… mi sono state utili. La mia giornata dovrebbe essere di 48 ore per riuscire a fare tutto  … e poi complimenti sei arguta ragazza!!! Ho creato un mostro!!!!!XDDD
erika1975: no no… otto nanosecondi sono troppo pochi … devi farlo durare un po’ di più, altrimenti come si fa con l’astinenza!!:) Baci
keska: Mia cara per fortuna che te, come qualcun altro, vedi non solo Ed e Bella … le scene periferiche mi servono per creare l’atmosfera, per alleggerire la tensione e non rendere tutto troppo cupo. A volte, come in questo cappy, non riesco ad infilarcele … il dolore è dolore!! Kiss
RenEsmee_Carlie_Cullen: Non sono d’accordissimo con te … il matrimonio è importante, ma annullarsi per l’altro credo che sia sbagliato. In fondo Bella tenta di dimostrarsi degna agli occhi di suo marito, non cerca delle distrazioni!!! Ha deciso di rinunciare alla sua vita per stare con lui, un po’ di soddisfazione personale dovrà anche averla!!!Ti bacio forte …XD
Aleu:Grazie mia cara, i tuoi complimenti sono rinfrancanti!!! Qui Ed lo tratto un po’ male … dopo sarà peggio… Sei ancora qui?! XDD
Piccola Ketty Mamma tesoro tu mi vuoi commuovere!!!! Grazie. Bacioni
cloe cullen: Opsss (me si sposta di lato ed evita l’accetta puntata alla testa)!! Hai proprio ragione, con me non c’è da stare tranquilli. Affatto. -.-
Shinalia: Mmmm sono colpita! Ti sei sorbita tutta la storia in una notte, che dire se non … grazie? XD


Ringrazio tutti coloro che mi hanno aggiunta su facebook e vi lancio un'altra sfida … @endif1  (PS: ditemi chi siete!!!)
Lo so, lo so … sto impazzendo!!! XDDDD
Prossimamente il teaser su fb.
Bon, vi lascio a rimurginare …!!!
Baci
M.Luisa
 

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Capitolo 20
*** CAP.20 ***


Questo capitolo è per Grazia (kikkikikki): Tesorina, purtroppo non avevo null’altro da darti in cambio della tua gentilezza …

CAP.20

BELLA - Sarah McLachlan - Do What You Have To Do


Percorro il corridoio dell’ospedale ancora scossa, ancora turbata.
Sono uscita dal college come se il diavolo in persona mi stesse alle calcagna. In strada ho fermato un taxi e mi ci sono fiondata dentro, senza voltarmi indietro nemmeno una volta. Ho dato l’indirizzo dell’ospedale sprofondando nei sedili posteriori e cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore.
Non ha più senso continuare questa farsa.
Oltre a mettere a rischio la mia salute, oggi ho messo a rischio anche il mio matrimonio. E tutto per la mia insicurezza, per le mie folli idee.
Avrei dovuto essere più accorta, meno ingenua. L’interesse di Jensen nei miei confronti si è palesato per quello che è: un’attrazione fisica, altro che interesse professionale.
E’ tutto inutile. Ovunque mi volti non faccio che trovare i miei fallimenti. Come studentessa, come moglie, come umana.

Lo scatto della porta mi ha restituito alla realtà e lo sconforto per la menzogna smascherata ha agito su di me con tale prepotenza, da darmi tutta la lucidità necessaria a ritornare con i piedi per terra.
Ho allontanato Jensen con un gesto della mano, terrorizzata da quello che stava lì lì per accadere. Ho cominciato a tremare come una foglia e a tentoni sono riuscita a recuperare le mie cose capace solo di ripetere a fior di labbra no.
No, non è giusto.
No, non è possibile.
No, devo andare via.
Jensen mi osservava dapprima silenzioso, turbato almeno quanto me. Tuttavia le sue parole, in seguito, non sono riuscite a scalfire il muro che ho innalzato nella mia testa.
Rimbombano nel mio cervello come un eco lontano.
“Isabella … non è colpa tua. Io … ho sbagliato, e ti chiedo perdono. Perché ho sempre saputo che il tuo cuore non è libero. Ti prego, ti supplico … non lasciare il progetto, non gettare via tutti i tuoi sacrifici, il tuo impegno.”
Delle altre sue parole non ho memoria. Del suo viso, nemmeno.
Non ha cercato di fermarmi, non mi ha sfiorato nemmeno più con un dito.
Ho spalancato la porta e mi sono diretta come un tornado lungo il corridoio. Con gli occhi bassi, quasi travolgendo la persona che mi sono trovata di fronte, senza nemmeno chiedere scusa.  Sono passata oltre senza soffermarmi neanche un attimo, incapace di reggere in questo momento alcuno sguardo.

Ed ora eccomi all’ospedale, dove sarei dovuta andare sin da subito.
Salgo al piano in cui sono ubicati gli studi medici. Giù in accettazione mi hanno riferito che la stanza di Carlisle dovrebbe essere l’ultima in fondo a questo lungo corridoio. Quasi alla fine noto una porta aperta. All’interno un uomo parla con una signora, presumibilmente una segretaria.
«Mi spiace, davvero. Le fisso un appuntamento.» Sta dicendo lei rivolta all’uomo.
Le sue parole esprimono un sentimento che è ben lontano dall’essere anche nella sua espressione. Poi, facendo capolino da dietro le spalle dell’uomo, mi nota e mi fa un cenno come ad indicarmi di attendere.
Maledizione. Stavo già indietreggiando, per defilarmi silenziosamente …
L’uomo si gira e noto un vistoso cerotto sulla fronte, proprio al centro. Cammina verso di me e stropiccia un foglietto tra le mani, sbuffando fra i denti.
Entro nell’anticamera e mi metto da un lato per permettergli di passare. Lui lo fa senza neanche alzare lo sguardo, ma fissando sempre il foglietto.
«Signorina?»
Mi volto verso la segretaria e abbozzo un sorriso incerto.
«E’ qui per il  Dottor Cullen.» dice con ovvietà. Annuisco con il capo, e apro giusto la bocca per dire che passerò in un altro momento, quando un odore dolciastro mi arriva alle narici provocandomi un’ondata improvvisa di nausea. Mi volto verso la finestra e noto un vaso con dei fiori rosa. Il loro profumo è disgustoso, penetrante ed intenso.
«Mi dispiace, ma ha finito il suo turno. Deve tornare un altro giorno.» la segretaria è implacabile, parla con sicurezza e indifferenza, come se fosse abituata a recitare questa scena diverse volte al giorno.
Deglutisco i succhi gastrici - l’unica cosa che mi rimane nello stomaco - che sono arrivati alla mia gola e faccio un passo indietro, assentendo lievemente con il capo.
«Signorina … si sente bene?» mi chiede lei un po’ titubante.
Stringo la borsa al mio fianco e chiudo un attimo gli occhi.
Adesso passa, Bella. Mi ripeto cercando di auto-convincermi.
«Se vuole può lasciare un messaggio, glielo farò recapitare» il suo tono è più gentile ora, più materno.
Scuoto il capo in segno di diniego e mi volto per andarmene.
«Mi dica almeno il suo nome, riferirò che è passata» la sua voce mi coglie alle spalle e sembra davvero dispiaciuta, quasi preoccupata.
Con uno sforzo di volontà decido di risponderle:«Bella, Bella Swan».
Non finisco nemmeno di parlare che un’altra voce, melodiosa come quella di un angelo, mi fa bloccare prima che guadagni l’uscita.
«Bella»
E’ la sua voce.
Il mio personale e diretto contatto con il paradiso.
Mi volto e vedo Edward avvicinarsi a me, con passo rapido e aggraziato. I suoi occhi mi scrutano attenti, il suo sguardo sembra volermi trapassare  l’animo.
Incapace di reggerlo, punto gli occhi sul pavimento. Le orecchie cominciano a ronzarmi in maniera fastidiosa e una volta di più benedico quell’oscura anomalia che non gli consente di leggermi nella mente.
La voce della segretaria spezza il limbo in cui sono precipitata ma capisco che non è a noi che si sta rivolgendo: «Dottor Cullen, ho spiegato alla signorina che …»
«Non si preoccupi Lucy, è tutto a posto. Lei è la moglie di mio figlio» spiega Carlisle tranquillamente.
Intanto Edward, fermo al mio fianco fa scivolare un braccio intorno alla mia vita con fare rilassato, sereno.
Come se la nostra discussione di qualche ora prima non fosse mai avvenuta.
Come se non gli avessi mai rinfacciato di avermi spinta alle scelte che poi ho fatto e che ci hanno portato al litigio.
E che mi hanno condotta nello studio di Jensen …
«Vieni Bella, entriamo» dice Carlisle indicando con un gesto elegante della mano l’ingresso della sua stanza e poi aggiunge sbrigativo, rivolto alla segretaria:« Lucy, non ci sono per nessuno.»
Cercando di mantenermi il più lontano possibile dalla finestra, pienamente consapevole solo del braccio di Edward intorno al mio corpo come se fosse un tizzone ardente, metto un piede dinnanzi all’altro obbligandomi ad avanzare.
E’ come se mi trovassi in quella dimensione surreale, che precede appena il sogno prima di lasciarsi alle spalle la realtà.
In effetti, è da questa mattina che mi sembra di essere in un sogno.
Mi ritrovo seduta su una morbida poltrona senza sapere nemmeno come, con Edward in piedi al mio fianco. Carlisle si è già accomodato dinnanzi a me.
Mi sorride con calore: «Allora Bella, direi che dobbiamo fare qualche controllo.»
«Io … Carlisle se il tuo turno è finito, non vorrei … sì, insomma possiamo rimandare» dico d’un fiato colma d’imbarazzo. Forse lui ed Edward dovevano andare da qualche parte, ed io li ho interrotti …
Edward al mio fianco resta in silenzio, ma mi accorgo che si è irrigidito. Carlisle, intanto, prende una penna stilografica e comincia a scrivere velocemente su un blocco davanti a sé.
«Nemmeno per idea» dice lanciandomi un’occhiata «ci vorrà solo qualche minuto».
Sospiro rassegnata.
Lui riprende a parlare con la solita calma che lo contraddistingue:«Credo che sia opportuno sottoporti ad alcuni esami specifici, ma prima, se sei d’accordo,  vorrei visitarti»
Annuisco e lancio un’occhiata ad Edward, fermo sempre nella stessa posizione.
Non traspare nulla dalla sua espressione.
La rabbia, il dolore, il fastidio che hanno animato il suo volto qualche ora fa, paiono del tutto scomparsi. Ora più che mai sembra che i tratti del suo viso siano scolpiti nel granito. Ha gli occhi fissi sul padre e la mascella rigida. Mi pare che muova impercettibilmente la testa, ma forse è solo la mia impressione …
E’ ancora arrabbiato … mi dico fra me e me.
«Molto bene» e si alza con il foglio tra le mani. Mi muovo sulla poltrona a disagio. Non so bene cosa fare. Alzarmi anche io? Togliermi il cappotto? Distendermi sul lettino?
«Edward, vuoi intanto procurarmi questi farmaci?» dice rivolto al figlio che ha già la mano distesa davanti a lui per prendergli il foglio dalle mani, negli occhi un’espressione indecifrabile.
Li guardo entrambi interrogativa e un po’ allarmata.
Non posso negare che sottopormi ad una visita senza la presenza di Edward mi getti in uno stato di profonda agitazione, ma mi rendo anche perfettamente conto della tensione quasi palpabile che si è creata tra di noi.
Lo osservo mentre esce rapido e chiude la porta dietro di sé.
La stanza intorno a me, sembra improvvisamente troppo vuota, troppo fredda. E una sensazione di disagio mi piomba addosso.
Rimango a fissare lo stipite per qualche secondo, poi mi giro verso Carlisle, i cui occhi restano lontani, concentrati ancora per qualche attimo.
Poi, il suo viso si schiarisce in un lieve sorriso e mi guarda.
«Prego» dice indicando un separè di tela bianca.
Mi alzo, sfilo il cappotto e lo precedo sistemandomi su un lettino, ma restando seduta, la posa rigida.
Comincia a visitarmi accuratamente, a partire dagli occhi.
E a farmi una marea di domande, alle quali mi sforzo di rispondere con un minimo di sincerità. Ben presto le mie parole cominciano a diventare automatiche.
Sì, sono spesso stanca. No, non riposo bene. Sì, sì sono più o meno regolare nel ciclo. No, non ho avuto febbre di recente …
«Hai ancora nausea?» mi chiede intanto che poggia le sue dita gelide alla base del collo, risalendo sotto la mascella in un movimento circolare.
Annuisco.
«Quante volte hai vomitato?» mi chiede serio.
Sussulto. E’ evidente che abbia parlato con Edward. La cosa mi mette a disagio. Abbasso lo sguardo, imbarazzata.
«Bella, Edward non c’è. Devi dirmi la verità. Ti assicuro che non sbircerà nella mia mente e se dovesse provarci, non troverà nulla.» e distendendo le labbra in un sorriso, continua «Diciamo che Alice non è la sola a conoscere qualche trucchetto»
«Oggi una sola volta.» rispondo deglutendo.
Lui resta in silenzio, aspetta che prosegua:«Ieri e l’altro ieri … in tutto sei volte» dico affranta.
Non fa alcun commento e con una mano mi aiuta a distendermi sul lettino,  cominciando a palparmi l’addome con delicatezza.
Ormai avvezza a cogliere anche i più piccoli cambiamenti nei loro visi di porcellana, perfetti  e diafani, mi accorgo subito che qualcosa l’ha turbato perché gli vedo stringere le labbra impercettibilmente.
«Che c’è?» chiedo agitata.
«Nulla di grave.» dice scuotendo il capo «il tuo fegato è un po’ indolenzito. Ma non c’è di che preoccuparsi» e mi regala un altro dei suoi luminosi sorrisi.
Lascio andare un sospiro.
«Bene» continua lui «abbiamo finito».
Mentre scompare dietro al divisorio comincio a sistemarmi gli abiti.
Mi sento stanca e spossata. E ho solo voglia di dormire, come non faccio ormai da tempo.
Quando lo raggiungo alla scrivania, noto Edward in piedi vicino alla finestra, di spalle.
Sussulto. Non mi sono resa affatto conto che era rientrato.
Carlisle mi indica la poltrona e accetto più che volentieri di sprofondare in essa.
«Bella, come ti ho già accennato vorrei sottoporti a qualche esame più approfondito» lancia uno sguardo al figlio e prosegue «voglio eseguire due prelievi bioptici»
Lo guardo interrogativa. Se parlasse turco, forse lo capirei meglio.
Prelievo, nel mio cervello equivale a puntura. La cosa non mi entusiasma affatto e gli domando flebile, ma rassegnata:«Vuoi farli ora?» mentre indico incerta con la mano la piega del mio gomito.
Meglio togliersi il pensiero subito, mi dico.
«Se tu sei d’accordo, sì» poi osserva ancora fugacemente il figlio.
Annuisco e afferro il bordo della manica della mia maglia pronta a tirarlo su, ma lui scuote il capo:«No, no. Non si eseguono sul sangue, ma sul midollo osseo. Prima devo … anestetizzarti» i suoi occhi saettano veloci verso la finestra.
Anestesia uguale altra puntura.
Perfetto.
Meno male che la mia testa è vacua, così può darsi che mi risveglio nel mio letto e mi accorgo che è stato tutto solo un sogno.
O meglio, un incubo.
«Carlisle, io non capisco …» dico stringendomi nelle spalle, quasi vergognandomi della mia ignoranza.
Allora finalmente Edward si volta verso di me e dice:«Bella, Carlisle deve prelevare dei campioni dalle tue ossa. Dallo sterno, l’osso principale del torace e dalla cresta iliaca, che si trova sul bacino» mi guarda intensamente «non sentirai alcun dolore, per lo più un senso di fastidio»
Prelevare campioni dalle ossa?!
Sento il sangue defluire dal mio viso, che sembra essere diventato insensibile, come se non appartenesse più al resto del corpo.
«O … ossa?» e la voce mi trema.
Deglutisco e in un attimo Edward è inginocchiato al mio fianco, le sue mani sulle mie.
Ancora più lenta del mio solito, abbasso il capo verso di lui e con esso i miei  occhi. Il suo sguardo è attento, serio, preoccupato. Saetta dall’una all’altra delle mie pupille.
«Devo … devo essere addormentata?» gli chiedo con la voce strozzata, per la prima volta rivolta proprio a lui.
Nella mia testa c’è la speranza che mi venga regalata un’incoscienza totale. Un’incoscienza che mi protegga dall’indagine cui devo essere sottoposta in primo luogo, ma che mi liberi anche della pesantezza che sento ancora nel cuore.
Lui scuote il capo:«Non è necessario, non è un’operazione in senso stretto» prende un respiro e i suoi occhi si addolciscono «Non mi muoverò dal tuo fianco. Sarò sempre vicino a te»
I miei occhi si spalancano. Mi sento prossima ad una crisi di nervi.
All’improvviso sento tutto il peso degli eventi della giornata sulle mie spalle. Vorrei solo ritirarmi e leccarmi le ferite, ma prima devo affrontare quest’ultima cosa.
Bella, ancora uno sforzo …
Annuisco con il capo e lui mi stringe forte le mani, lasciando che il sorriso sghembo schiarisca, finalmente, il suo meraviglioso viso.

EDWARD - Sarah McLachlan – I will remember you-

Cammino al fianco di Bella, entrambi in coda a Carlisle che conduce il nostro piccolo gruppo, diretti al reparto di chirurgia.
La osservo senza farmi notare. Ha i tratti del volto tesi, tirati.
Gli occhi sono gonfi, ancora arrossati.
Dopo la nostra discussione al Tandem deve aver pianto.
E parecchio, anche.
Le tengo la mano nella mia. Vorrei che il mio tocco non fosse così gelido. Vorrei poterle infondere il calore necessario per scaldarla, per scaldare anche  il suo cuore.
Appena l’ho vista fuori dallo studio di mio padre, pallida e incerta, tutta la rabbia e la frustrazione che avevo accumulato si sono dissolti in una bolla di sapone.
Ho sbagliato.
Sono stato troppo rigido, troppo preso dalla preoccupazione per la sua salute da non rendermi conto che il mio atteggiamento al locale non era quello di un marito in ansia, ma di un tiranno prepotente.
Mentre lei tentava di spiegarsi in quella toilette, io cercavo solo il modo di  farla venire via con me.
Non ho avuto rispetto per lei.
Ho pensato che solo ciò che premeva a me avesse rilevanza, senza curarmi delle sue priorità.
Non si tratta così una persona che si ama.
Affatto.
Ma niente di tutto ciò che è stato ha importanza, perché adesso Bella è qui.
La mia dolce, coraggiosa, piccola umana …
Incede apparentemente tranquilla, lo sguardo fisso davanti a sé, la mano abbandonata nella mia.
Ma il battito forsennato del suo cuore non mente, e il suo passo è esitante.
Da parte mia, cerco di mantenere un atteggiamento composto, sereno.
In realtà fremo come non mai.
Vorrei poter scambiare tutta l’eternità della mia esistenza che si stende davanti ai miei occhi con i prossimi dieci minuti che, invece, aspettano Bella.
Vorrei potermi stendere su quel lettino al suo posto e farmi trapassare da parte a parte, non con uno, ma con un milione di aghi.
Tutti insieme, se questo potesse servire ad evitarle anche la più lieve delle sofferenze.
Mi inclino leggermente verso il suo capo, il respiro che le sfiora i capelli:«Bella, non hai nulla da temere. Carlisle ha il tocco più delicato che esista.» le sussurro piano all’orecchio, continuando a guardare in avanti.
Si volta un pò verso di me, sbatte le palpebre due volte come a riscuotersi da chissà quali pensieri e, muovendo appena il capo, mormora:«Non ha importanza».
Corrugo la fronte.
La sua risposta mi lascia perplesso e resto un attimo incerto sul suo reale significato.
Non riesco ad aggiungere altro che Carlisle si ferma e noi con lui. Pigia il dito su un interfono nella parete di fronte e dice:«Dottor Cullen»
Lo scatto automatico della porta fa sobbalzare Bella e stringo le labbra constatando quanto in realtà sia nervosa.
Entriamo e una donna bassina trotterella verso di noi tutta trafelata. Sulla sua divisa fa bella mostra di sé un cartellino con la dicitura “E.Stock-Caposala”
«Dottor Cullen è tutto pronto. Ho preparato personalmente la sala tre.» Non posso non notare quanto abbia strascicato la parola personalmente. E non posso non compatire Carlisle, il quale deve subire non solo le attenzioni suscitate dal suo aspetto, ma anche quelle scatenante dalla sindrome da camice bianco.
La “E.Stock.Caposala” si posiziona subito appena un passo dietro di lui, giusto davanti a noi, tallonandolo stretto.   
Nei suoi pensieri, la prepotente speranza di essere elogiata per il lavoro svolto. Carlisle fa dei cenni ad alcuni colleghi che lo salutano, mentre ci dirigiamo alla sala tre.
«Grazie signora Stock. Efficiente. Come al solito» dice con un sorriso e la caposala rimane un attimo in adorante venerazione con lo sguardo perso su di lui.
Oh Gesù, farei di tutto per te! Pensa lei letteralmente in estasi.
«S’immagini, dottore. Dovere.» dice ed io inarco un sopracciglio al suo apparente tono noncurante.
Ci fermiamo all’ingresso della sala tre. Carlisle apre la porta e aspetta che io e Bella gli passiamo davanti per entrare nell’anticamera.
«Se ha bisogno di aiuto … per qualunque cosa … non esiti ...» continua lei con lo sguardo incollato al suo viso, mentre lui dopo un istante ci segue all’interno.
«Grazie» risponde e le chiude gentilmente, ma fermamente la porta praticamente sul naso.
Senza lasciar trapelare il minimo senso di irritazione per l’eccessiva “efficienza” della signora Stock, Carlisle si gira verso di noi e con un sorriso invita Bella a sedersi su uno sgabello per poi scomparire nella sala operatoria vera e propria, di cui non si vede nulla da dove siamo noi, se non una parte del tavolo operatorio.
Mi accorgo che sta preparando tutto l’occorrente alla nostra velocità e lo ringrazio mentalmente, perché so che questa è un’altra accortezza per Bella, per non farla attendere troppo e per non accrescere la sua ansia.
Mi accovaccio sulle punte dei piedi, le braccia vicine alle sue ginocchia ai lati dello sgabello. Bella ha lo sguardo basso e quando entro nel suo campo visivo alza leggermente il capo fino ad incontrare i miei occhi.
Le sorrido ed il suo sguardo si vela appena di un sottilissimo strato di lacrime.
Mi sento stringere lo stomaco constatando come, con ottime probabilità, sia  tutto merito mio.
E del mio comportamento decisamente discutibile di qualche ora prima.
Prendo le sue mani nelle mie, tiro un respiro e con gli occhi puntati nei suoi le dico:«Bella … scusami. Sono stato imperdonabile al Tandem. Avrei dovuto ascoltarti, aspettare con te che sbrigassi i tuoi impegni. Non avrei dovuto andarmene così, lasciarti in quel modo …»
Mi fissa intensamente e la sua espressione si fa sofferente. Scuote la testa, lentamente.
So che questo non è il momento opportuno per una confessione, e non voglio caricarla di ulteriore tensione, quindi decido di rimandare la cosa a più tardi. Adesso devo pensare solo a lei. Le scuse verranno a tempo debito.
Edward … Carlisle mi riscuote con i suoi pensieri.
Mi raddrizzo e l’aiuto ad alzarsi:«Vieni»
Mi segue docile, eppur timorosa, a piccoli passi incerti.
Appena nota il tavolo operatorio si irrigidisce e si ferma.
Carlisle le si fa incontro, sicuro.
«Bella, l’esame è molto banale.» Le fa scivolare un braccio sotto il gomito e l’accompagna dolcemente verso il lettino operatorio, mentre continua a parlarle con voce melodiosa, serena. «Sono quattro punture, ma tu ne avvertirai solo due, quelle delle anestesie.» Sta cercando di tranquillizzarla con estrema delicatezza, con gesti misurati e con toni lievi, musicali. Le spiega i tempi, i dettagli meno cruenti al fine di stemperare la sua tensione.
Bella si muove seguendolo, ma non mi perde di vista nemmeno per un secondo, pur evitando un contatto diretto con i miei occhi.
E’ come se temesse di guardarmi in viso, ma nello stesso tempo volesse assicurarsi della mia presenza nella stanza.
Adesso è completamente distesa.
Mi avvicino al tavolo operatorio, in modo da essere pienamente nella sua visuale.
Edward, devo bloccarle gambe e braccia. Cerca di distrarla. Pensa lui ad un certo punto.
La osservo.
Sembra un angelo … penso colpito.
La pelle del suo viso, incorniciata dalla massa ondulata dei suoi capelli scuri, è pallida come non mai. I suoi occhi sono limpidi, due pozze infinite di dolcezza.  
Scuoto il capo e mi concentro su questi ultimi:«Bella» le dico e nel contempo mi inclino un po’ verso di lei «credi di riuscire a rimanere immobile?»
Mi fissa seria per un lungo istante. Poi abbassa lentamente le palpebre annuendo e voltando il capo dritto dinnanzi a sé.
Dopo aver sistemato un telo davanti al suo viso, mio padre comincia a prepararla. Scopre i lembi di pelle che devono essere disinfettati e descrive passo passo ogni suo movimento, giusto un attimo prima di compierlo, a beneficio di mia moglie che non può vedere i suoi gesti, ma sentire solo il suo tocco.
Mi sistemo con il viso all’altezza del suo e le punto gli occhi addosso. La mia mano scende sulla sua e la stringo dolcemente, ma con fermezza. Le sue dita si modellano intorno alle mie, i suoi occhi restano chiusi.
Edward comincerò dal bacino è …  meno doloroso. Pensa mio padre con sicurezza e calma.
«Bella, adesso avvertirai una sensazione di freddezza» comincia lui «E’ il disinfettante»
Non appena il batuffolo di cotone impregnato di antisettico tocca la sua pelle, Bella aumenta impercettibilmente la stretta sulla mia mano e prende un respiro profondo. Un brivido percorre il suo corpo e si propaga fino alle sue dita intrecciate alle mie.
«Ora sentirai un lieve pizzicore» continua Carlisle.
Con gli occhi non abbandono un attimo il suo viso. Quando l’ago penetra attraverso la sua pelle, le sue labbra si stringono ed il mento le trema per lo sforzo di non emettere alcun suono.
Chiudo per un istante gli occhi, blocco il respiro e mi concentro con tutte le mie forze. Vorrei strapparla da questo tavolo, stringerla a me e portarla il più possibile lontano da qui.
Riapro gli occhi e le carezzo il dorso della mano con il pollice.
Adesso non sentirà più nulla … pensa mio padre.
Riprendo a respirare.
Dopo meno di un paio di minuti, i pensieri di Carlisle ritornano a farsi strada nella mia mente. Perfetto, il primo prelievo è andato benissimo. Adesso lo sterno …
«Ha quasi finito» le sussurro con voce bassa. Le sue dita si stringono un po’ sulle mie, gli occhi sempre chiusi.
«Ora, Bella, farò le stesse cose di prima. Freddo e pizzicore» spiega lui sempre tranquillo.
La seconda puntura di anestetico le fa più male. Quando l’avverte corruga la fronte e piega un po’ il capo sul collo, irrigidendosi. Un gemito le sfugge dalle labbra.
«E’ passato, Bella» dice Carlisle.
Piano riappoggia la nuca sul lettino e sento i suoi muscoli rilassarsi lentamente.
Edward, preleverò poco midollo per causarle meno dolore, ma devo aspirare con lentezza e incidere la pelle di qualche millimetro … non voglio perdere cellule ritirando l’ago … Mi sembri troppo … teso, vuoi …? Lascia il pensiero inespresso, ma ho compreso benissimo la sua delicatezza.
Mio padre mi conosce meglio di quanto non mi conosca io stesso …
«Nemmeno per sogno» rispondo a denti stretti.
Sento che si muove velocemente dietro il telo. I suoi gesti sono precisi, accurati.
Appena avverto l’odore del sangue di Bella permeare l’aria, impedisco ai miei polmoni di incamerarla.
Penso fugacemente all’ironia della situazione: chi rischia in questo momento non è lei, ma Carlisle.
Ma, poi, mi ripeto che quello che le sta facendo, lo fa solo per il suo bene e cerco di calmare i miei istinti omicidi.
La lunghezza e la robustezza dell’ago che penetrerà nel petto di Bella entrano per una frazione di secondo nel mio raggio visivo.
Ogni più piccola fibra del mio corpo si irrigidisce, fino alla punta dei piedi.
Se potessi, darei libero sfogo a tutto il tormento che opprime il mio animo, radendo al suolo l’intero ospedale.
E, invece, immobile attendo.
Visualizzo dalla mente di mio padre tutta la sequenza: il piccolo taglio sulla pelle, l’accostarsi della siringa ai margini perfettamente incisi bordati di sangue, l’inserimento dell’ago nel suo corpo.
Nel preciso istante in cui comincia ad aspirare il midollo dallo sterno, gli occhi di Bella si spalancano, dilatati, sconvolti. Un rantolo strozzato le sfugge dalle labbra e cerca di inarcare la schiena in un movimento automatico, inclinando la testa all’indietro.       
La sensazione che sta provando adesso è simile alla mancanza di aria, amplificata in più dal dolore.
Con la mano, Carlisle le tiene ferma una spalla, bloccandole il busto sul lettino.
«Edw …» cerca di dire lei, ma la voce le resta bloccata in gola.
Mi muovo alla rapidità della luce e mi pongo con il viso perfettamente sul suo. Il suo sguardo è  vitreo, congelato nella sofferenza.
«Bella, sono qui» le dico con voce vibrante «Guardami, sono qui» e le mie mani scivolano sulle sue guance. I miei occhi incatenano i suoi, e quando vedo le sue pupille mettermi a fuoco, ripeto con tono più basso «Amore, sono qui»
Mi guarda fisso, con un’intensità quasi dolorosa.
Poi, un luccichio comincia ad affiorare e quando le sue palpebre si abbassano lentamente, una lacrima solitaria rotola indietro, lungo la sua tempia, bagnandomi le dita.
Nel medesimo istante, le sue labbra si piegano in un sorriso triste e sussurra piano:«Lo so».
Sento Carlisle dietro di me muoversi rapido. Ritira la siringa con le preziose cellule e la ripone con cura. Poi passa alla medicazione con gesti sicuri e precisi.
«E’ tutto finito, Bella» le dico soffiandole sul viso. I suoi tratti si distendono alle mie parole ed emette un sospiro leggero, senza tuttavia riuscire a rilassarsi completamente.
Non appena Carlisle si allontana con i campioni, l’aiuto a mettersi in posizione seduta, pensando che voglia rimanere così per qualche altro secondo ancora.
Ma, inaspettatamente, lei si alza subito in piedi, di fronte a me.
Restiamo a fissarci per un lungo istante, i miei occhi attenti, i suoi spiritati.
Non dico nulla, aspetto che sia lei a parlare. Non voglio più commettere gli stessi sbagli di qualche ora fa.
«Ti prego … » chiude gli occhi, per riaprirli subito dopo «… ti prego. Portami via» mormora a filo di labbra «Ho bisogno di restare sola»


NOTA DELL’AUTRICE: Mie cari, GRAZIE.

La risposta al capitolo scorso è stata molto positiva e di ciò sono contentissima. Vorrei poter procedere più velocemente, ma i miei tempi non sono così ampi e questi capitoli li scrivo con più attenzione del solito, perché sono … come sono.
Scusatemi anche se non rispondo alle vostre recensioni in questo capitolo. Nel prossimo cercherò di farmi perdonare.
Complimenti a Keska, il teaser su fb non è stato un mistero per lei e non ne avevo dubbi.
Grazie a chi ha voluto commentare le foto dei teaser.
Grazie a ginny89potter, kikkikikki, tsukinoshippo, cloe cullenlisa76, Aleu, _zafry_, sily85, keska, RenEsmee_Carlie_Cullen, arual93, rodney, Marika_BDerika1975, Piccola Ketty, LOVA, per aver voluto recensirmi.
Grazie a chi mi segue su facebook e su twitter.
Grazie a chi legge.
Bon, mi ritiro in buon ordine.
M.Luisa


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Capitolo 21
*** CAP.21 ***


CAP.21

BELLA -A Fine Frenzy - Almost Lover

«Ma porca miseria, vuoi darmi ascolto?»

«No, dico, ma che vuol dire “aspettare”?»
«Helèna …» un flebile rantolo esce dalle mie labbra.
«Aspettare cosa?! Che ti ricoverino d’urgenza? Che ti riempiano di cannucce NELLE BRACCIA?!!»
La sua voce rimbomba nella mia testa. E’ alterata.
Vorrei chiederle di non urlare, di non tartassarmi con le sue domande, di non nominare le “cannucce” nel braccio e di lasciarmi morire.
Sì, morire.
Perché la morte deve essere qualcosa di simile a quello che sto provando in questo momento.
Non ho dolore, non sento nulla.
Sono solo stanca.
Infinitamente stanca.
E non mi interessa nemmeno sapere cosa sta accadendo. E’ evidente ormai, anche ad una profana come me, che qualcosa di estraneo si sta impossessando del mio corpo. Qualcosa che mi indebolisce giorno dopo giorno, che prosciuga le mie energie.
E la mia condizione mentale attuale non fa altro che peggiorare la situazione. Perché sono demotivata, rassegnata e mortificata.
Appoggio la fronte sul braccio all’altezza del polso, e chiudo gli occhi.
Sono seduta sul pavimento del bagno della nostra camera al dormitorio, ancora vicino al gabinetto dove ho rigettato il tè che Helèna mi ha preparato.
E che mi ha appena obbligata a ingurgitare fino all’ultimo sorso.
Un misero tè. Acqua tiepida aromatizzata con una fettina di limone.
La mia amica è al mio fianco. Accovacciata sulle ginocchia, mi tiene una mano poggiata sulla schiena.
Freme dalla rabbia, ma soprattutto dalla preoccupazione.
«Scusa, ma sentire un altro parere che ti costa?» mi dice con la voce più calma, quasi implorante.
Inspiro ed espiro lentamente.
Mi costa, mi costa. Non sai quanto … penso, sfinita, nella mia testa.
«Te l’ho già detto. Devo solo asp…» ma non finisco che lei mi interrompe.
«… aspettare i risultati degli esami. Sì, me l’hai già detto» mi dice piccata.
Alzo un po’ la testa giusto quel tanto che mi permette di sporgere gli occhi e di lanciarle un’occhiata stanca.
Le sue labbra sono serrate. Incrocia le braccia al petto e mi lancia uno sguardo pericolosamente determinato.
«Io chiamo Edward» erompe dopo un evidente, quanto sofferto, tira e molla con la sua coscienza. Distoglie gli occhi dai miei e fa per alzarsi in piedi.
«NO!» e le afferro un braccio con forza.
«No … per favore» ripeto più piano con la voce tremante, gli occhi nei suoi. L’espressione del suo viso cambia e si fa dispiaciuta.
Il suo petto si alza e si abbassa in un sospiro pesante.
Mi aiuta ad alzarmi e mi accompagna vicino al letto. Mi ci siedo sopra e faccio scorrere le dita di una mano tra i capelli, pensando distrattamente a quanto siano diventati secchi, stopposi.
«Bella, questa cosa non è … normale» dice cercando con sforzo le parole più appropriate.
«Lo so … Helèna … lo so» le rispondo e mi sento ancora più male.
Ecco un’altra persona che soffre a causa mia.
Distolgo gli occhi dal suo viso e li punto in grembo. Non è giusto che coinvolga la mia amica costringendola a farmi anche da infermiera.
Sospiro.
Cosa mi trattiene ancora a Dartmouth? In pratica nulla. Le mie illusioni si sono sgretolate come sabbia tra le dita qualche giorno fa.
Ma chiamare Edward … tornare a casa adesso … senza neanche conoscere i risultati degli esami …
Tornerei con la sconfitta impressa a fuoco nell’animo e nel corpo. Verrei accolta una volta di più per le mie carenze e non per i miei meriti.
Ma forse sarebbe davvero l’unica cosa sensata da fare.
Lancio un’occhiata ad Helèna.
Decido di cambiare argomento e che è venuta l’ora anche per me di distrarmi un po’.
Le chiedo del suo progetto.
Mi osserva scettica per un attimo, ma poi l’entusiasmo ha la meglio e si lancia in una descrizione particolareggiata dei suoi progressi.
L’ascolto, con una punta di malinconia, pensando al mio di progetto, che con ottime probabilità non vedrà mai la luce …
Helèna è un fiume in piena, ma sentirla così presa, coinvolta, così … viva, mi riscalda il cuore.
«… no, perché ho pensato … “perché non fare come te”? Metterci qualcosa che parli di me, della mia vita?» questa frase catalizza la mia attenzione su di lei e automaticamente mi mette sull’attenti.
«E allora ho deciso di dare loro il nome delle mie sorelle, Abby e Emma» conclude ammiccando con il capo soddisfatta, come se avesse appena finito di dare l’ultima pennellata alla Cappella Sistina.
Mi guarda e aspetta da me un commento alla sua genialità.
«Hai fatto bene. E’ giusto. Il tuo progetto parla di te, di quello che è importante nella tua vita …» le dico e la voce si spegne alla fine.
“Vorrei inserire questo … sono delle musiche, musiche classiche … io credo che ne valga la pena …”
Una stilettata nel cuore farebbe meno male di questi ricordi.
Prendo un profondo respiro e mi concentro su Helèna. Mi ha chiesto qualcosa.
Sbatto le palpebre e scuoto il capo per farle capire di non aver afferrato la sua frase.
Penserà che la mia malattia abbia anche intaccato le orecchie.
«Ti ho chiesto se hai dato il cd a Jensen» scandisce lei calcando la voce sulle parole.
Eccole qui le domande spinose …
Mi muovo alla ricerca di una posizione più comoda, ovviamente invano dato che ad essere scomodo non è il letto, ma l’argomento «Ne ha ascoltato un pezzo, sì» dico con noncuranza.
«E …?» fa lei curiosa
«E …?!» le faccio eco io sarcastica.
«… che ha detto, no?!» conclude impaziente.
Che ha fatto dovresti dire … penso con amarezza.
«Niente» dico io facendo spallucce.
Mi fissa con le sopracciglia aggrottate. Starà pensando a quanto sia sveglia …
Assottiglia lo sguardo e mi chiede circospetta: «Quando hai la prossima riunione?»
Non rispondo, abbasso gli occhi.
«Bella …» comincia lentamente e mi preparo mentalmente.
«… tu non vuoi continuare?» il suo tono non è quello che mi aspettavo. E’ carico di dispiacere, non di rabbia.
«Non lo so» le rispondo sinceramente.
Soppesa le mie parole, poi si siede sul letto al mio fianco sospirando rumorosamente.
«E perché stai male?» mi chiede preoccupata, ma anche affranta.
Abbozzo un mezzo sorriso. Annuisco.
«Forse se ne parliamo con Joshua … magari troviamo un modo … » comincia a dire, ma io scuoto il capo.
«Helèna, non ne vale più la pena …» dico interrompendola.
Mi guarda come se avessi bestemmiato, disgustata.
Anzi, scandalizzata.
«Ma vuoi scherzare?!»
Eccola la rabbia.
«Tu hai investito tempo, ore e ore di studio! Sei stata tu a dire che questi progetti parlavano di noi, delle nostre vite, dei nostri desideri. Stai perdendo la salute su questo progetto … » freme visibilmente.
«Helèna, calmati» le dico cercando di posarle una mano sul braccio, ma lei si alza.
«No che non mi calmo!» dice arrabbiata, ma anche contrita.
«Io ho chiamato quelle stupide bamboline come le mie sorelle …» dice con gli occhi lucidi «tu … tu dovevi mettere le musiche di tuo marito … Questi progetti dovevano testimoniare l’amore per le nostre famiglie. E adesso, per un’influen …» la sua filippica si interrompe bruscamente «…za più pesante delle …» e la voce le muore in gola.
Le sue sopracciglia si aggrottano e i suoi occhi si accendono sul mio viso.
Pare che mi veda per la prima volta.
«Helèna, il tuo progetto continuerà anche senza il mio. E’ valido, è … meraviglioso» cerco di consolarla, ma lei si accarezza il mento con la mano lentamente.
«Ti ho mai parlato di Abby?» chiede e il cambiamento nei suoi modi mi spiazza.
Già, la famigerata sorella di Helèna. «Qualche volta …» dico confusa.
Come se non avesse parlato a me, come se nemmeno si aspettasse una risposta, si gira e comincia ad infilarsi il cappotto con gesti veloci, impazienti.
«Devo uscire. Torno subito» dice e scompare come un fulmine dalla stanza, chiudendosi di fretta la porta alle spalle con un tonfo.
Continua a guardare lo stipite chiedendomi se la mia amica è impazzita.
O se lo sono io.
Mi lascio cadere sul letto con un sospiro distendendomi e sentendo i muscoli dello stomaco ancora un po’ indolenziti.   
Questi episodi di vomito sono decisamente strani. Appena si esauriscono mi lasciano un senso di spossatezza, ma non continuo a sentirmi male come, credo, dovrei.
Stanca, certo, ma lucida.
Da quando sono tornata dall’ospedale e ho dormito per dodici ore filate.

Il tragitto in auto con Edward dall’ospedale fino al dormitorio era avvenuto in un silenzio tombale.
Senza avere il coraggio, ma soprattutto la forza di parlare, di spiegare il mio bisogno di solitudine, ho incassato la testa nelle spalle e provato a scomparire nel sedile della Volvo. Ma i movimenti delle sue gambe mentre pigiava i piedi sui pedali, il tocco leggero con cui le sue dita sfioravano il volante  o  si poggiavano rapide sul cambio, rimanevano nel mio campo visivo.
Gesti misurati, tranquilli, sicuri.
Troppo … controllati.
E allora ho abbassato le palpebre su quelle pupille traditrici che non facevano che guizzare verso di lui, veloci, nervose. Bramose di catturare un altro suo gesto, un altro piccolo movimento che mi rivelasse il suo reale stato d’animo.
Spiegargli di essere troppo mortificata per aver frainteso l’interesse del professor Jensen, illudendomi di poter realizzare qualcosa di unico, originale e mio, era troppa vergogna.  Non sarei riuscita a sostenere il suo sguardo compassionevole, il suo biasimo.
Ma, poi, che cosa avrei dovuto dire?
Che il professore, responsabile del progetto per il quale non ho esitato a lasciare casa e a mettere a rischio la mia salute, aveva provato a baciarmi?
Che solo un attimo prima che accadesse ero rientrata miracolosamente in possesso delle mie facoltà mentali e lo avevo allontanato da me?
Quante debolezze, incertezze, colpe e illusioni avrei dovuto ammettere? Già avevo il morale sotto la suola delle scarpe, e di mettermi alla gogna con il sorriso sulle labbra non ne avevo proprio la forza …
In primis ero stanca.
E, poi, confusa.
Sentivo la necessità di dover elaborare gli ultimi accadimenti con freddezza. Edward, il progetto, Jensen, la mia salute, il mio futuro …
Troppe informazioni per un’umana come me. La testa mi doleva solo a pensarci …
Ma quello che mi faceva più male era il silenzio di Edward.
Più di una sua sfuriata, più della rabbia a malapena contenuta.
Avrei voluto dirgli grazie, ma la voce non ne voleva sapere di venire fuori.
Grazie di essermi stato accanto durante tutto il tempo trascorso in ospedale, di avermi fatto sentire in ogni momento che c’era.
Di non avermi lasciato sola, nemmeno un attimo.
Anche se sentivo, in fondo, di non meritarlo. Perché, in fondo, ho sempre saputo che la responsabilità di tutto era solo mia.
E del mio essere inadeguata.
Quando la Volvo ha imboccato i viali del campus, Edward mi ha avvisato con voce atona che eravamo quasi arrivati. Il mio cuore ha fatto due capriole alla musicalità di quel suono che nell’abitacolo sembrava essere amplificato all’ennesima potenza.
Quando ha fermato l’auto, ho finalmente aperto gli occhi.
Ormai il buio era fitto e solo la luce sul portoncino del dormitorio creava un cono luminoso che si distorceva sui quattro gradini antistanti.
Intorno a noi il silenzio.
«Bella, non ti chiederò se vuoi tornare a casa ora» una pausa, poi:« Ma ti invito a riflettere».
Velluto.
Ecco cosa era la voce di Edward.
I miei occhi si erano automaticamente spostati nella sua direzione, senza, però, incontrare il suo sguardo.
Riflettere … sì, dovevo davvero riflettere.
Rigido, Edward fissava il buio davanti a sé.
Sembrava una statua greca. Dotato della stessa immobilità, ma soprattutto spietata bellezza.
«Edw…» avevo cominciato a dire, ma lui aveva alzato una mano chiudendo contemporaneamente gli occhi. Non voleva che parlassi.
«No. Ora sei esausta, Bella. Hai bisogno di riposare» un attimo di pausa, poi dopo aver ruotato appena il viso, mi aveva inchiodato con il topazio brillante dei suoi occhi.
«Spero che un po’ di tranquillità ti aiuti a porre tutto nella giusta prospettiva. Prenditi tutto il tempo che ti serve.» e le sue parole hanno frustato l’aria come uno scudiscio. Sembravano stranamente minacciose.
Senza afferrare appieno il senso delle sue parole, sono rimasta a fissarlo.
Con il cervello totalmente disconnesso dal resto del corpo, ho visto le mie mani posarsi  sulla maniglia della portiera, aprirla.
Bella, digli qualcosa … i miei pensieri avevano vita propria.
E anche le gambe, considerato che si erano mosse di propria iniziativa tentando di spingermi fuori dall’abitacolo. Ma in realtà cercavo qualcosa cui appigliarmi per posticipare la nostra separazione. La sensazione di freddo dall’esterno che avvertii nel momento in cui aprivo la portiera dell’auto mi colse impreparata, e mi provocò un brivido per tutto il corpo.  
Probabilmente Edward doveva aver percepito il mio disagio, il mio tentennamento perché con molta più leggerezza disse:«Corri … non voglio che tu muoia di freddo …».
Ma di quella che evidentemente doveva essere una battuta non sorrise e me ne chiesi il motivo.
Il suo sguardo penetrante mi accompagnò per tutto il tempo.
Sembrava voler aggiungere qualcosa anche lui, ma mi lasciò andare senza fermarmi.
Ancora sento il rumore del motore della Volvo che si allontana, l’aria fredda della sera che  mi accarezza il viso …

Sobbalzo spalancando le palpebre e trovando gli occhi di Helèna nei miei, una mano vicino alla mia guancia.
«Ti sei addormentata» dice dolcemente e mi sorride.
«Uhm, sì … » mi raddrizzo e mi stiracchio le braccia. La stanza è avvolta nella penombra. Helèna deve aver acceso la lampada del mio comodino che irradia una luce soffusa e molto intima intorno a noi.
«Come ti senti?» mi chiede.
«Mmmm molto meglio» le sorrido di rimando.
E’ vero. Sento anche lo stomaco gorgogliare e aggiungo: «e ho una fame da lupi» strizzandole l’occhio.
«Ovviamente» e le sue labbra si distendono in un sorriso da far invidia ad una pubblicità per dentifrici.
Mi alzo continuando a sgranchirmi il collo e le gambe:«Vado a sciacquarmi il viso e poi andiamo a mangiare qualcosa» e mi avvio verso il bagno.
«Ah, già che ti trovi …» dice con noncuranza allungandomi un sacchetto di cartone.
«Cos’è?» chiedo perplessa.
«Guarda» dice indicando con un gesto della mano il pacco.
Osservo il sacchetto.
E’ marrone, un po’ buffo. Riconosco il disegno impresso sul fronte, l’immagine di una mucca, che è quello che contraddistingue lo store più vicino al college, dove spesso anche io mi sono servita.
E osservo Helèna.
Valuto la pesantezza dell’oggetto nelle mie mani e la sanità mentale della mia amica in pochi attimi.
Concludo che non può esserci una bomba, né una trappola all’antracite e comincio a liberare l’apertura dalle punte metalliche con cui è sigillata la carta.
Che dolce … penso, mi ha comprato un regalo per tirarmi su di morale.
Forse una sciarpa o, magari, dei guanti …
Ficco la mano all’interno, già confusa per l’imbarazzo del ricevere un dono inaspettato, e ne estraggo una confezione sottile.
Resto ferma, con uno scatolino rettangolare lungo e piatto in una mano e la busta di carta marrone nell’altra.
Focalizzo gli occhi sulla scritta che occupa un angolo della confezione.
Sbatto le palpebre un paio di volte e rileggo.
Clearly - Pregnancy test –
La mano di Helèna sulla mia spalla mi fa fare un saltello e il cuore mi arriva fin nella gola:«Mi puoi ringraziare dopo, con calma» dice ammiccando soddisfatta e mi sospinge delicatamente, ma con fermezza, verso il bagno.
Nello stesso istante il mio telefono sul davanzale della finestra comincia a vibrare.


EDWARD - Creep by Radiohead -


Scruto distrattamente i visi in mezzo alla folla di persone che si accalca all’uscita degli imbarchi.
I pensieri intorno a me sono caotici, come le voci.
Esclamazioni di gioia, mormorii di sorpresa, voci mentali di disappunto.
Si alternano fra di loro, si confondono, si incontrano, si disperdono.
“L’aereo porterà ventisette minuti di ritardo.”
Alice non aveva mancato di darmi tutte le informazioni che riteneva importanti.
E, di ripetermele più volte, considerando la scarsa attenzione che le avevo prestato.
Mi aveva bombardato di immagini, di raccomandazioni mentali e vocali.
Ed io, nonostante l’inesistente interesse per la cosa, non mi ero potuto sottrarre all’evento del secolo, poiché glielo avevo promesso qualche giorno addietro.
Il giorno prima di incontrare Bella al Tandem, prima che effettuasse l’esame sul midollo osseo. Il giorno in cui mia sorella mi aveva convinto a telefonarle.
Ero così preso dalla mia situazione che avrei acconsentito a qualunque sua richiesta, pur di non farmi torturare come solo lei sa fare.
Parlando a raffica.
Ed ora eccomi qui, con l’immagine di questo prezioso collega d’oltreoceano che aleggia nella mia mente. E che dovrebbe materializzarsi davanti ai miei occhi da un momento all’altro.
In verità dovrei dire questa collega, trattandosi di una ragazza.
Una studentessa proveniente dalla Società Italiana di Glottologia, Andrea Franchi.
“Ti supplico. Cerca di essere gentile. Sforzati per quanto ti è possibile.”
Passi che devo essere comprensivo con Alice perché perennemente in adorazione al corso della Wastford … passi che, probabilmente, mi devo disobbligare con lei per i miliardi di volte in cui mi ha aiutato … passi che le ho fatto una promessa ed io mantengo sempre le promesse … ma essere anche gentili!
Fare pure conversazione, magari!
In questo frangente poi … in attesa dei risultati degli esami di Bella,  con lei che sta male più volte al giorno, con me teso fino allo spasimo …
Piego le labbra in una smorfia ed inarco le sopracciglia.
Ma per chi mi ha preso, comunque?
Le avrei dovuto dire di venirsela a raccogliere da sola la sua studentessa straniera ... magari mandando Jazz, così la tipa avrebbe saputo subito con chi aveva a che fare per il prossimo periodo …
Oppure Em … di sicuro la ragazza avrebbe fatto dietro front alla prima occhiata all’armadio a quattro ante, decidendo che, tutto sommato, un lavoro di scambio culturale con università straniere non valeva quanto la certezza di ritornare sana e salva nella sua cara Italia.
Su Rosalie … stendiamo un velo pietoso.
Ha espresso la propria posizione in maniera piuttosto … chiara fin dall’inizio.
Sogghigno al ricordo delle reazioni suscitate in casa quando Alice ha comunicato a tutti, tranne che a me già al corrente di ogni cosa, che molto presto avremmo avuto un ospite a casa.
Quella più contenuta è stata la reazione di Emmet: una risata tuonante e uno sfregarsi di mani.
Jasper si è limitato a coprirsi gli occhi con una mano e a scuotere il capo basito. Come non comprenderlo, ma soprattutto compatirlo per il piccolo demonio che si ritroverà al fianco per l’eternità …
La più divertente è stata Rose. Ha cercato di colpire alla gola Alice, senza riuscirci ovviamente, e ha dato sfoggio di tutta la sua innata grazia ed eleganza esibendosi in un numero degno del peggior scaricatore dei Docks …
Probabilmente si sarà lasciata anche prendere un po’ eccessivamente dall’impulsività, ma come darle torto?
Avremmo accolto un’umana.
Un’umana inconsapevole di essere ospitata in una casa di vampiri.
Già Rose aveva faticato non poco a tollerare la presenza di Bella, ignorandola per lo più, ma almeno non avrebbe dovuto fingere davanti a lei di essere qualcuno che non era.
O meglio, non troppo.
Adesso era diverso. La geniale trovata di Alice ci obbligava tutti a restare in tensione ventiquattro ore su ventiquattro, a non poter essere noi stessi nemmeno nella nostra casa.
Io non mi ero espresso. La cosa non mi toccava per niente. Sinceramente la presenza di uno studente in casa nostra, umano, vampiro, uomo, donna, bambino non mi interessava minimamente.
Avevo ben altri pensieri per la testa.
Per quanto mi riguardava, Alice avrebbe anche potuto decidere di invitare un licantropo nella mia stanza … probabilmente non me ne sarei nemmeno accorto.
Quando gli animi si erano quietati una obiezione ragionevole e di senso l’aveva avanzata Esme, proponendo di trovarle una sistemazione al college, pur lasciando intatta l’interazione con la famiglia per il resto della giornata.
Alice era montata su tutte le furie … ed era partita con una dissertazione filosofica sulla natura profonda esistente nella comunicazione del quotidiano, vissuta a tutti i livelli esistenziali. Certa che nessuno sarebbe riuscita a seguirla nel suo ragionamento – e chi si sarebbe mai realmente impegnato, poi? – aveva proseguito elencando gli irrinunciabili momenti in cui la presenza della studentessa avrebbe arricchito le nostre esistenze vuote e tormentate. Aveva, quindi, concluso asserendo con un tono di voce strappalacrime anche per i vampiri che la sua natura le era d’intralcio una volta di più nella sua lunga ed immensa eternità.
A questo punto nemmeno Rosalie si sarebbe più potuta opporre e Carlisle aveva accettato la prossima venuta con stoicismo e calma rassegnazione.
Sembrava che solo io riuscissi a vedere la luce diabolica e il ghigno soddisfatto di mia sorella …
Ma, dopotutto, a me non interessava. Quindi … eccomi all’aeroporto.

Un berretto da baseball rosso attira il mio sguardo.
Una occhiata superficiale mi conferma che quella è la ragazza che aspetto, identica all’immagine mostratami da Alice in una delle sue visioni.
Cammina a passo sostenuto trascinandosi dietro un trolley verde. Lancia delle occhiate a destra e a sinistra, scrutando i visi delle persone che le capitano davanti.
Concentro i miei occhi su di lei.
Sono proprio curiosa … Chissà che aspetto ha questo fantomatico “fratello più affascinante che ho”… speriamo che perlomeno sia puntuale … pensieri infastiditi.
I miei occhi si assottigliano.
Perfetto, questa me la paghi Alice … penso e comincio ad avvicinarmi con passo tranquillo.
Quando le sono dinnanzi forzo la mia espressione e rilasso il viso. E’ più di quanto possa realmente fare in questo momento.
Non ci tengo affatto ad incoraggiare entusiasmi ed esaltazioni.  
I suoi occhi si poggiano su di me e mi preparo a ricevere il suo primo commento.
Quello mentale.
Mi osserva solo per una frazione di secondo e, poi, i suoi occhi passano oltre.
Aggrotto per un attimo le sopracciglia e mi concentro più attentamente.
Sono distrutta … ho bisogno di dormire … adesso la chiamo e le dico che quel cafone di suo fratello sarà andato a fare una capatina allo zoo, a fare compagnia agli elefanti veloci quanto lui … pensa seccata.
Io un elefante?!
Appena le sono di fronte, senza tradire il minimo senso di irritazione e soffocando l’impulso malefico che mi suggerisce di garrire ad un centimetro dal suo naso, chiedo:«Andrea Franchi?»
Il suo sguardo si riposa su di me accigliato. Annuisce in maniera sospettosa.
«Sono Edward Cullen, il fratello di Alice» evito di cedere alla tentazione di aggiungere in tono salace se sono abbastanza affascinante per i suoi standard e mi chino rapido a prendere la valigia da terra.
«Ho sostato in doppia fila, dobbiamo sbrigarci» e mi giro avviandomi all’uscita senza troppe cerimonie.
La ragazza mi segue dopo un attimo di smarrimento, sorpresa.
Per essere carino è carino, ma che modi …! Pensa lei.
Bene. Penso io di rimando. Questo scoraggerà eventuali approcci futuri ...
Anche se l’arrivo di questa studentessa non suscita in me alcun interesse, essere sommerso da pensieri molesti non mi entusiasma. D’altronde non sono nello stato d’animo giusto per fare conversazione.
Men che meno con questa ragazzina.
Il telefono comincia a vibrare nella tasca posteriore del jeans proprio mentre usciamo passando attraverso le porte di vetro scorrevoli.
Lo prendo e dopo aver lanciato un’occhiata veloce al display, mi affretto a rispondere.
«Carlisle»
Sento lo stomaco contrarsi.
«Edward, mi hanno appena portato i risultati.» Il tono della voce di mio padre non lascia trasparire alcunché.
Sarebbe così in ogni caso, lo so.
Con uno movimento rapido faccio scattare le sicure della Volvo. Mentre la ragazza prende posto sul sedile del passeggero e ha gli occhi altrove, apro il portabagagli e sistemo la valigia al suo interno con una mano, quasi simultaneamente. Con l’altra tengo il telefono incollato all’orecchio.
Ecco, ci siamo. Penso frastornato.
Aspetto questa notizia da un tempo che mi sembra infinito e non da solo pochi giorni.
Adesso che so che dall’altra parte c’è qualcuno che potenzialmente conosce il destino di Bella, avverto una sensazione strana, quasi inebriante.
Mi sono ripetuto in questi giorni che lasciare Bella sola sia stato un bene. Lei stessa in ospedale mi ha chiesto di riaccompagnarla e di voler essere lasciata tranquilla.
Nonostante l’impulso di tirare dritto fino a casa senza neanche costeggiare il college mi sia parso inarrestabile, ho obbligato me stesso a non commettere imprudenze e l’ho riportata al campus. Stare in auto insieme a lei e non poterla supplicare di seguirmi è stata una delle cose più difficili che abbia fatto, ma è stata più che una necessità.
E’ stata una tattica.
Stesa sul lettino dell’ospedale, inerme, con un ago lungo venti centimetri piantato nel petto, Bella mi ha donato una delle immagini che difficilmente potrò mai cancellare dalla mia mente.
In quel momento, nel momento in cui ho realizzato che davvero c’era qualcosa che avrebbe potuto portarmela via al di là della sua volontà, ho capito di essermi perduto. E che non avrei avuto scelta.
In ogni caso.
Fermo al lato della Volvo, il telefono stretto nella mano, attendo il responso degli esami di Bella, senza battere ciglio. Dentro di me so di aver già preso la  mia decisione. E non cambierà, a prescindere da ciò che mi dirà Carlisle.
L’unica cosa che potrebbe cambiare sarebbe l’aggiunta di un briciolo di motivazione in più, una parvenza di giustificazione per il mio gesto.
«Sono negativi. Non è leucemia, Edward» le parole di Carlisle sono ferme, penetrano decise la mia consapevolezza, ma il sollievo che dovrebbe contraddistinguerle è come velato da un’ombra di dispiacere.
«Dobbiamo fare altre indagini» sentenzia e allora capisco.
Mio padre è in pena per Bella e ansioso di rintracciare la causa del suo malessere, ma sa che questo comporterà altri esami a cui sottoporla.
«No» dico secco, a voce bassa, vibrante «non permetterò che Bella subisca altre torture»
Dall’altro lato, silenzio.
«Edw …» comincia lui.
«La trasformerò» lo interrompo allora io con voce appena udibile «Al più presto. Gliene parlerò oggi stesso»
Riattacco senza attendere risposta.
Il mio respiro è appena un po’ più accelerato.
Compongo il numero di Bella.
Il suo telefono suona a lungo, poi sento il click della comunicazione che viene aperta, ma la voce dall’altro capo non è quella di mia moglie.
Un campanello d’allarme risuona nella mia testa. E’ Helena.
Ignorando completamente i pensieri seccati della studentessa seduta in auto, aggrotto le sopracciglia e richiudo la portiera che avevo intanto aperto, appoggiando una mano sulla parte superiore.
«Dov’è Bella?» chiedo lasciando stare i formalismi.
«Ah Edward, ciao, ehm … sì Bella è … in bagno» dice e la sua voce mi sembra strana, furtiva.
Chiedendomi se sta mentendo, ma consapevole che non avrei potuto comunque smascherarla, le chiedo di farmi richiamare appena possibile.
Entro in auto ancora pensando all’inflessione della voce di Helèna.
Che Bella stesse male e l’amica volesse nascondermelo?
Non credo. Innanzitutto, conoscendo Helèna, non si sarebbe staccata dal suo fianco e poi qualcosa mi dice che difficilmente sarebbe riuscita ad eludere una domanda diretta con una bugia altrettanto diretta.
Concludo, dunque, che abbia detto la verità.
Lancio un’occhiata alla ragazza la mio fianco. Si è tolta il berretto – il segno che Alice le aveva suggerito di mostrare per farsi riconoscere dall’affascinante fratello - e lo tiene fra le mani, poggiato sul grembo.
I suoi capelli sono biondi, gli occhi chiari. Per quanto la mia occhiata sia stata superficiale e saettante, ho notato nel suo sguardo un che di determinato, una certa … freddezza.
Anche ad un occhio poco interessato come il mio non sfugge che la studentessa ha nel complesso un aspetto gradevole.
«Ehm … Alice è a casa?» chiede ad un certo punto, imbarazzata.
«No, ma tornerà presto. Adesso non c’è nessuno, ma in tutto siamo otto … sette al momento. I nostri genitori, Esme e Carlisle; nostro fratello Emmett e sua moglie Rosalie; ed io e … Bella» avevo deciso di cominciare a dare la versione ufficiale. Jasper e Rose sarebbero stati sempre fratelli, ma non più in adozione presso i Cullen. Semplicemente un fratello e una sorella che ne avevano sposati altri due. Da qui i Cullen e gli Hale.
«La tua fidanzata vive con te?» chiede leggermente stupita.
«E’ mia moglie.» chiarisco «Al momento è impegnata con un lavoro al college» leggermente infastidito decido di sviare il discorso.
«Alice non ti ha detto che suo marito, Jasper, è il fratello della moglie di Emmett?» recito con una perfetta inflessione curiosa.
Questa conversazione rientra nella farsa da mostrare alla ragazzina. Ovviamente so che Alice ha già provveduto.
«Sì, mi pare che mi abbia accennato qualcosa …» dice con noncuranza.
Caspita se sarà affollata questa casa, speriamo che non mi mettano a dormire in garage …
Sorrido all’idea per nulla malvagia della ragazza, ma magari Rose avrebbe avuto davvero qualcosa da dire questa volta, considerando il tempo che lei ed Emmett trascorrevano tra i motori …
«Ti faccio ridere?» una voce acida e sprezzante mi riscuote dai miei pensieri.
E’ acuta, la ragazza … penso stringendo per un istante gli occhi.
«Ah, no pensavo …» dico di rimando, con leggerezza, scuotendo il capo.
Si volta indispettita e la conversazione scivola nel silenzio.
L’impazienza comincia ad impadronirsi di me.
D’un tratto la presenza della studentessa non mi è più così indifferente, ma scomoda. Ma di fronte alla necessità della trasformazione di Bella anche Alice acconsentirà ad una maggiore discrezione, se non addirittura ad un trasferimento in altra città.
Al diavolo il college, i progetti, gli scambi culturali …
E, poi, non possiamo rischiare che ad Helèna venga magari un attacco di nostalgia per l’amica e decida di farle visita un giorno o l’altro …
Il telefono prende a vibrare.
Non mi serve leggere sul display.
So che è Bella e con movimento veloce, ma non troppo, applico l’auricolare e rispondo. Il mio passeggero non sembra farci troppo caso.
«Pronto» dico con voce ferma.
«E … Edward sono Bella» la sua voce è incerta.
C’è qualcosa che non va.
Distolgo gli occhi dalla strada, e li punto sulle dita della mano che regge il volante. Mi concentro per non ritrovarmelo penzolante tra le mani e, prendendo un bel respiro, le chiedo con voce modulata:«Bella è tutto a posto?»
«Ehm … sì, più o meno … cioè … cre … credo che dovremmo vederci» adesso la voce le trema.
«Bella» deglutisco un fiotto di veleno e chiudo per un istante gli occhi «stai bene?»
«Sì sì» dice rapida, poi sento che prende un respiro profondo «è solo che vorrei … parlarti»
«Vengo immediatamente al dormitorio» dico e freno l’istinto violento di lasciare il mio passeggero in mezzo alla strada insieme all’auto e correre come il vento da lei.
«No, preferirei che ci incontrassimo da qualche altra parte» sento dalla voce che sta pensando con attenzione.
«Dove vuoi …» dico, e mi chiedo il perché di questi tentennamenti.
«Che ne dici della Libreria Rauner? Sai dov’è?» dice e mi viene spontaneo sorridere. Bella a volte dimentica che io mi sono già laureato a Dartmouth … chi non conosce la Rauner?
«Sì, so dove si trova.» confermo «Tra un’ora va bene per te?» aggiungo
«Perfetto» dice lei e sento una nota di preoccupazione nella sua voce «A dopo»
«A fra poco» sottolineo, invece, io.
Aumento deciso la pressione del piede sull’acceleratore e lascio che l’auto scivoli via silenziosa.

NOTA DELL’AUTRICE: Finalmente cominciamo a svelare qualche piccolo inghippo … la malattia di Bella, l’argomento di discussione dei Cullen nel capitolo 12 (che vi ha fatto tanto penare … XD).
Come promesso un po’ di risposte dei capitoli passati.

ginny89potter: Come sempre un’analisi inoppugnabile … Bella senso di inferiorità+convinzione che Edward non l'ami più=> Bella si allontana->Edward fraintende e le concede spazio ->Bella fraintende e vede conferma dei suoi timori. Tienila ben presente assieme alla tua supposizione sulla trasformazione. Ti sarà presto utile. Baci :***
kikkikikki: Tesorina, questo ed altro per te che sei stata così gentile su fb… Spero di non aver scritto qualche grossa caSSata sulle tecniche mediche, correggimi se ne trovi. Ci conto! Kiss
tsukinoshippo: Mia adorata … che dire? Con te le parole mi mancano, e mi sento un’imbranata. Spero che in questo cappy sia riuscita a dare un po’ di senso a questo Ed che finalmente prende una decisione concreta, anche se so già che con il tuo acume, non ti sfuggirà nulla  dei segnali che ho disseminato per il capitolo successivo. Grazie di TUTTO Cami :***
cloe cullen: grazie cara per il tuo commento entusiasta … spero che il tuo cuore resista ancora per qualche capitolo… ;)
lisa76: Cerca di capirlo il nostro povero Eddino … è subissato dai sensi di colpa… XD Grazie per i tuoi complimenti, sei un tesoro J
Aleu: :me si vergogna: grazie cara per tutti i complimenti di cui mi hai sommersa :me arrossisce: scrivere qualcosa per un editore … se ne trovo uno pazzo che mi pubblica! XD Baci
_zafry_: Non è malata XD Ma forse, se lo fosse stato davvero … non continuo altrimenti spoilero! Ti abbraccio cara e grazie della tua presenza costante J
sily85:  … a te cosa posso dire? Sei sempre presente, anche con una frase su fb, con un saluto, con un sorriso, con un commento delizioso … Sei davvero molto gentile Ale, e sei stata un balsamo per i miei giorni “scuri”. Grazie :***
keska: Cuore mio … rieccoci in carreggiata! Attendevi con ansia ed io spero di non essere stata deludente, anche se sei così dolce che difficilmente me lo faresti notare :P Siamo ad un punto di svolta, adesso il terreno è davvero accidentato e le mie dita fremono sulla tastiera per passare al capitolo successivo. Ti bacio stellina, e grazie di tutto :***
RenEsmee_Carlie_Cullen: Tesorina, x i mirakoli mi sto attrezzando, devi pazientare un po’, credo che per vederne uno dovrai aspettare la fine XD Ti bacio
arual93: Cara … tu e l’adsl sembrate me e la mia connessione wireless. Io che cammino con il portatile in mano per casa alla ricerca delle “ntacche” … priceless XD Grazie tesoro e abbi fede che se continuo di questo passo l’happy ending arriverà moooolto in là :P
rodney: Tesorina … tu sei pericolosa. Non posso dire altro. Perché … bhè lo vedrai nel prossimo capitolo. Per ora mi limito a ringraziarti dei bellissimi commenti che mi regali. Ti bacio XD
Marika_BD: … Non scriverò in maniera perfetta (esagerata!), ma scrivo con il cuore (credo si sia capito abbastanza …). Grazie per il tuo commento. Ti abbraccio XD
erika1975: Con te mi pare di fa come Jake e Bella con l’età … Questo cappy credo che abbia meritato qualcosa in più di “più di pochi nanosecondi” … cercherò di invogliarti ad una lettura più calma hihihihi! Me li guadagno una manciata di minuti?! Baci
Piccola Ketty: Carissima siamo giunti ad un punto parecchio spinoso … ma qualcosa che tu avevi già previsto un po’ di tempo fa … XD Baci
LOVA: Sto ancora ridendo per la cosa del kilo in tre giorni … non ci avevo mai pensato ahahahah. Ovviamente se a Bella toccava uno strafigo come Edward, mica che poteva essere come noi che pe perde cento grammi ce dobbiamo toglie le scarpe …! Ti bacio XDD
grepattz: Grazie per i complimenti hihihi! Sei davvero gentile. Kiss
silvia16595: Ma cara … tu sadica?! Con me vieni a cacio e maccheroni! Nel prossimo capitolo avremo di che sfregarci le mani hihihihi!

Un Pò per tutti...

LittleCullen: Eccoti qua!! Tu sei il commento che aspettavo con ansia! XD Spero che non me ne vorrai se ti prendo ad esempio.
“Ciao. Non ho mai recensito la tua storia, anche se la seguo da parecchio ormai.
lo so, avrei dovuto recensire subito, anche perchè credo che tu scriva da dio, ma ogni volta che lo stavo per fare, vedevo le altre infinite recensioni, e pensavo "ehm..mi sembra quasi stupido lasciare una misera righetta di complimenti..." e finivo per nn metterla. ma oggi ho deciso che era giusto ringraziarti per la tua magnifica storia; credo che le musiche che metti siano molto belle e appropriate, anche perchè in questo modo riesci a far capire meglio la situazione, come va presa. tipo, se avessi letto il capitolo 7 senza musica, mi sarebbe sembrato molto più triste e rabbioso di quanto nn sia.
Bon, aspetto il prossimo capitolo!questa storia riesce proprio ad appassionare!!
Baci, Franceca.”
Innanzittutto GRAZIE. Lo so che apprezzate la mia storia, lo so che vi siete appassionate. Grazie Francesca per i tuoi complimenti (spero di continuare sempre a meritarli). Signori miei, si scrive per se stessi, è vero. Se nessuno mi recensisse, io scriverei comunque. Ma se sentite la necessità di farlo, fatelo. Anche voi per voi stessi. Anche con una “misera righetta” come tu Francesca l’hai definita. Non avete mai notato che la recensione riflette il vostro stato d’animo? Lunga, corta, logorroica, striminzita … a volte può essere liberatorio. Anche se mi dovete prendere a parole, o mi dovete dire che il vostro cane c’ha il raffreddore …XD. Molte di voi sanno che non sempre io parlo delle mie fic in una risposta … vi saluto, scherzo con voi, facciamo una risata insieme. In questo modo ho trovato tante nuove preziose amiche … ma soprattutto fatelo solo se vi va davvero!!!

Un ringraziamento speciale per Meticcia (:******) : mia cara, attendo con ansia che ti rimetta in pari … ho bisogno della tua risata malefica … XD
A Rebecca Lupin, francef80, Meticcia, alessandraxxx81, kittylit90, LOVA, luisina, tsukinoshippo, michi85, mine, aly12potter12, keska, tittyswan89 : come ho già spiegato su fb, il regolamento di efp non mi permetteva di mantenere l’avviso per una questione di tempistica rispetto all’aggiornamento che ne sarebbe seguito. I vostri commenti, tuttavia, sono al sicuro sul mio pc. Vi dico GRAZIE per aver voluto esprimere il vostro parere in questo frangente così delicato per me.
Un grazie a chi ha voluto commentare i teaser su fb.
Grazie a chi mi segue su facebook e su twitter e a chi deciderà di farlo. Come al solito, se volete aggiungermi, ditemi chi siete o rischiate di essere defollowate o rifiutate … :(
Ora vi saluto :me si inchina:
XD
M.Luisa




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Capitolo 22
*** CAP.22 ***


La location qui e qui … tenetela presente.

Questo è per Francesca (Keska).
A te non potevo che dedicare IL CAPITOLO.

CAP.22

"How can I truly be angry with you?
All you want is to be part of me
You love like no human could
You love like no human should

Come posso davvero essere arrabbiato con te?
Tutto ciò che vuoi è essere parte di me
Tu sai amare come nessun umano può e dovrebbe amare."



              
(Mosquito – Ingrid Michaelson)  

EDWARD -My Immortal- Evanescence


La Libreria Rauner è sempre stata una delle mie preferite.
Quarant’anni fa mi rifugiavo qui ogni volta che potevo.
Nonostante a Dartmouth ci siano altre quattro fornitissime biblioteche, la mia predilezione è rimasta sempre per la più silenziosa, la meno frequentata e la più luminosa.
Avrei desiderato potermi sedere alle scrivanie del piano superiore, quelle vicino alle vetrate, in un giorno di sole, con la luce che filtrava attraverso le finestre e uno dei tanti libri speciali custoditi lì dentro tra le mie mani.
Quell’odore di antico e di consunto, lo sfrigolio delle pagine dei manoscritti più rari, mi ha sempre dato la chiarissima percezione del tempo che passa, degli anni che, uno dopo l’altro, scorrono comunque.
Inesorabilmente. Anche se non sembra.
Anche per qualcosa che pare immutabile, immortale.
Come un libro.
Come me.
A quest’ora del tardo pomeriggio la Rauner è quasi del tutto deserta. L’interno è illuminato in modo molto discreto, con diffusori a parete e con lunghe lampade per le scrivanie. I preziosi libri sono raccolti in atmosfera protetta, in una immensa “vetrina” che occupa l’intera parete proprio di fronte all’ingresso.
Questa quaranta anni fa non c’era.
Per il resto è rimasto tutto uguale.
Appena entriamo Andrea emette un sospiro di sollievo. In effetti all’esterno il freddo è davvero implacabile.
Ho chiamato Alice. Verrà a prendere la studentessa appena rientra dall’irrinunciabile shopping dell’ultimo momento.
Ovviamente Alice si era ricordata improvvisamente di non avere nulla di appropriato da indossare per il grande evento e ha deciso di fare una capatina a New York.
Rapida, aveva detto lei.
Inutile, avevo pensato io.
Emmett ha ritenuto opportuno allontanare Rose da casa sin da quella mattina. Per quanto ne sapevo, loro non erano a fare shopping …
Carlisle era in ospedale.
Esme e Jasper a caccia, un’accortezza in più di una madre per suo figlio.
Io, mio malgrado, mi ero dovuto improvvisare baby-sitter.
«Questa è la Libreria Rauner, una delle più antiche del college» spiego ad Andrea che si guarda intorno curiosa.
Lancio uno sguardo distratto ai pochi studenti che siedono alle scrivanie.
Il sopralluogo visivo è ovviamente inutile.
Bella non è tra loro.
Il suo odore avrebbe annunciato la sua presenza molto prima che i miei occhi riuscissero a posarsi sulla sua figura.
Sono impaziente. Vorrei subito parlarle della mia proposta di anticipare la trasformazione a prima della scadenza del termine previsto di un semestre di college. Ma devo ricordarmi dove sono, e devo ricordarmi che stiamo parlando della fine della vita di Bella da umana.
Non dell’anticipo di un rientro a casa da una vacanza deludente.
Ci vuole tatto, delicatezza.
E non voglio allarmarla facendole credere chissà cosa. In realtà i suoi problemi di salute non sono la ragione per la quale voglio trasformarla, non del tutto almeno. Sono solo un fastidioso fuori programma. Parlargliene non aiuterebbe affatto. Semmai peggiorerebbe le cose.
Le ho chiesto di riflettere. Su tutto. Spero vivamente che l’abbia fatto. Che da sola, nella sua stanza al dormitorio, sia giunta anche lei alla mia stessa conclusione.
Ossia che non ha più alcun senso aspettare.
In fondo è questo quello che ha sempre voluto. Ero io il reticente, quello che si doveva convincere … Bene, ora sono più che convinto.
Sono determinato.
Ma è ovvio che non possa parlarle di questo adesso. Non qui.
Aggrotto le sopracciglia pensieroso. Chissà di cosa lei vuole invece parlare con me …
Prima, a telefono, sembrava preoccupata. E sembrava che avesse da dirmi qualcosa di molto importante.
Grave direi, dal tono usato.
Sento gli occhi di Andrea fissarmi. Si sta chiedendo se ho sempre quest’aria tormentata o se sono solo infastidito dalla sua presenza.
«Alice e Jasper saranno qui a momenti» dico senza inflessione nella voce.
«Uhm, sì … beh faccio un giro» e con un dito mima un tondo nell’aria.
Annuisco e, mentre lei si allontana su per le scale che portano al piano superiore, io mi avvicino alla enorme vetrina in cui sono custoditi i libri più preziosi. In realtà è una vera e propria camera blindata che arriva fin sopra al soffitto. L’odore dolciastro, tipico del butinale polivinilico di cui il vetro è composto, raggiunge subito le mie narici.
D’altronde è ovvio. Questi sono vetri di sicurezza, spessi, infrangibili, antivandalismo, e testimoniano l’enorme valore di ciò che custodiscono.
Anche da qui giù riesco chiaramente a leggere i titoli dei libri più in alto disposti in ordine, perfettamente allineati gli uni agli altri.
So che Bella ama studiare qui. Lei stessa me l’ha accennato durante una delle nostre telefonate, quando la nostalgia era troppa e allora uno dei due chiamava e trovava l’altro già con il telefono in mano.
Scuse banali, solo per il piacere di sentire la voce amata …
«Ti dico che stava insieme a lei al Tandem …» un bisbiglio raggiunge le mie orecchie.
Il nome del locale che spesso anche mia moglie frequenta attira la mia attenzione. Si tratta di qualcuno alle mie spalle, terza scrivania da sinistra, a giudicare dalla direzione del suono.
Osservo il riflesso nel vetro.
Un ragazzo e una ragazza, entrambi dai capelli chiari, sono seduti e mormorano tra loro a voce impercettibile, una mano sulla bocca ad attutire i toni. L’aspetto del tipo mi ricorda qualcuno …
Mi sposto noncurante, facendo un passo alla mia sinistra. Nel movimento applico una leggera torsione al busto che mi permette di far entrare i due giovani nella mia visuale periferica per un centesimo di secondo. Nessuno potrebbe capire che questo gesto mi basta per memorizzare tutti i particolari, i colori, le forme, le espressioni dei visi che osservo.
E allora lo riconosco.
E’ il ragazzo che mi fissava al Tandem il giorno in cui ho incontrato Bella e lei si è sentita male. Ricordo perfettamente l’indecenza dei suoi pensieri che hanno accompagnato l’ingresso di mia moglie nel locale.
Il sapore del veleno comincia a solleticarmi la gola.
«Non può essere … ma l’hai visto? Che ci fa uno così al fianco di una come lei?!» il tono della ragazza è incredulo, carico di invidia.
Provo un immediato senso di fastidio per questa giovane, come se i suoi pensieri maligni potessero in qualche modo toccare me o la mia amata.
«Credo che sia un suo parente …» aggiunge lui con cautela «pallido come un cadavere, quel colore d’occhi … somiglia moltissimo a suo fratello»
L’argomento originario della discussione sono io.
E Bella.
Socchiudo le palpebre, mentre con un lieve movimento del capo mi riporto parallelo alla camera dei libri rari.
E adesso stanno parlando di Jasper. E’ l’unico che frequenta Dartmouth con noi e che può somigliarmi.
L’immagine che si forma nella testa del ragazzo mi conferma che è così. Frugo nella sua mente alla ricerca del ricordo di quando è potuto avvenire l’incontro tra mio fratello e questo sconosciuto. E’ lui che mi viene in aiuto con le sue parole.
«Una volta l’ho visto fuori lo studio di Jensen … la stava aspettando» dice elusivo e mi piomba addosso il ricordo del viso glaciale di Jazz.   
La ragazza muove il capo poco convinta e dice con voce scettica:«Mmm, non mi ricordo»
«Certo che non ti ricordi … Hai occhi solo per il tuo professore!» commenta beffardo.
Vedo attraverso di lui gli occhi fiammeggianti della sua interlocutrice.
Stronzo … sta pensando lei seccata.
«E’ lui che non ha occhi che per me. E se quella sgualdrina lo lasciasse stare si sarebbe già proposto» puntualizza acida.
Stringo i pugni fino a sentire le nocche tendere la pelle delle mani.
Se, come no … pensa il ragazzo.
«A me sembra l’inverso … non mi pare che lei gli sia proprio indifferente» dice lui con cattiveria nella voce.
«Non capisci niente Vik!» sbotta la ragazza piccata, il tono di voce alterato.
«Ti dico che Bella lo tartassa» esita un attimo e con voce aspra aggiunge:«lo so con certezza».
Il nome di mia moglie fra le labbra di questa persona è un pugno in pieno stomaco. L’aria mi manca come se davvero l’avessi ricevuto.
L’immagine di una porta socchiusa si forma nella sua mente e di riflesso anche nella mia. Scompare subito, così come è apparsa.
«Ma davvero?!» Vik è ancora scettico, ma curioso nello stesso tempo.
«Nell’ultima riunione, aveva l’incontro prima del mio … che pena!» comincia a raccontare lei con voce malevola, un lampo di sprezzo negli occhi «la porta era un po’ aperta e ho visto tutto. Ha tentato una scena di seduzione in piena regola» ammicca con il capo con aria soddisfatta.
Vik si zittisce, colpito.
Con un cenno della mano la invita proseguire.
Blocco il respiro senza nemmeno rendermene conto. Provo quella familiare sensazione di disagio di quando mi trovo ad ascoltare involontariamente i pensieri o le conversazioni altrui.
Ma nel contempo acuisco inconsciamente tutti i sensi. E’ un istinto incontrollabile pormi sulla difensiva, come se sapessi già di dovermi preparare ad affrontare una situazione spiacevole. Molto. Mi ci abbandono senza opporre resistenza.  
La ragazza si sistema meglio sulla sedia e inclina leggermente il busto nella direzione di Vik, pregustando l’effetto della sorpresa del racconto.
«Stavo aspettando che arrivasse il mio turno di lavoro con Eric» calca la voce sul nome del professore in modo da sottolineare una forma di confidenza tra loro «quando ho sentito una musica dallo studio»
«Musica?» Vik inarca le sopracciglia confuso.
Lei annuisce: «Classica. Di quelle sdolcinate. Dopo poco si è interrotta e ho visto che la porta veniva un po’ aperta» pausa, poi «allora mi sono avvicinata, perché pensavo che fosse il momento di entrare, e … li ho visti» la voce le si riduce ancora fino a diventare un sussurro «… si stavano baciando».
Nel medesimo istante l’immagine del ricordo della ragazza mi colpisce come un flash, accecandomi.
Una giovane dai capelli bruni di spalle alla porta.  
Jensen di fronte a lei che le tiene il capo fra le mani, con il viso inclinato sul suo in una posizione più che eloquente.
I palmi della ragazza appoggiati al petto di quell’uomo.
Mi basta un attimo per registrare ogni particolare degli abiti, dell’acconciatura, della sfumatura castana dei capelli, della morbidezza e dell’inclinazione di ogni curva del suo corpo e risalire a Bella. E al giorno in cui è avvenuto questo incontro.
Era il giorno in cui le ho chiesto di venire in ospedale.
Quello in cui lei si è opposta con fermezza, dicendomi che aveva da fare qualcosa di importante. Più importante di lei stessa, della sua salute.
Più importante di me.
L’illusione di un capogiro mi costringe a poggiare una mano di fronte a me.
E’ impossibile. Penso frastornato.
Chiudo gli occhi, lentamente. E mi lascio sommergere.


BELLA

I miei passi risuonano sul vialetto di ghiaia che dal dormitorio porta alla Rauner. Sono nervosi e affrettati. La neve intorno a me ne attutisce il suono, che tuttavia riecheggia prepotente nella mia mente ancora confusa.
Verde.
Nessuna linea rosa singola o doppia.
Ma un’unica, indistinta macchia di quel colore inquietante.
Ecco quale è stato il responso di quello stupido test che Helèna mi ha comprato.

Chiusa in bagno, ho eseguito scrupolosamente le istruzioni riportate sulla confezione. Le ho dovute leggere tre volte, le parole mi ballavano davanti agli occhi.
Ho poggiato quella stecchetta bianca sul bordo del lavandino e mi sono seduta a terra con la testa tra le mani ad attendere.
Tre minuti bastavano, ma ne ho impiegati quindici solo ad alzarmi in piedi. E solo dopo che Helèna ha bussato alla porta chiedendomi se stavo bene.
Intanto pensavo.
Incinta.
Non è possibile. I vampiri non possono procreare …
O possono?
Non mi sono mai posta una domanda del genere, mai. Ho dato per scontato che se fosse stato possibile Rose ed Esme avrebbero trovato il modo per farlo.
Edward mi ha ripetuto fino all’esaurimento che stare con lui avrebbe comportato solo rinunce, figli compresi. So che questa è stata una delle ragioni che tanto tempo prima l’hanno spinto ad andarsene ed ero ormai rassegnata a questo destino.
Non c’era sacrificio troppo grande che potesse dissuadermi dallo stare con lui per sempre.
E non ho mai seriamente pensato a quanto avrebbe pesato questa cosa nella mia vita.
La mia vita era lui. Tutto il resto era … niente.
Io ero niente.
Fino ad … ora.
Rannicchiata sul pavimento con le braccia strette intorno alle ginocchia, ho saputo che l’impossibile era diventato realtà. Non mi serviva un inutile test per averne la conferma … E, poi, i segnali c’erano tutti: nausea, vomito, debolezza. Avevo sentito dire che nei primi mesi era anche possibile che ci fosse una perdita di peso. Avevo attribuito a questo il fatto che il mio ciclo fosse diventato un po’ “ballerino”.
Mio figlio … il figlio di Edward …
Ripetevo queste parole nella mia mente in continuazione. L’effetto che mi facevano era … strano.
Ma ho continuato a ripeterle per tutto il tempo. E ogni volta mi sembravano più vere, più reali, più possibili.
Avrei dovuto sentirmi diversa?
Scioccamente avevo alzato la maglia e osservato la pancia.
Piatta.
Ci avevo premuto su un dito, per poi ritirarlo subito.
E se … gli avessi fatto male?
E’ stato in quel momento che l’ho sentito.
Uno spasmo, un movimento impercettibile, un lieve sussulto.
La mia mano è scesa a coprire il ventre, d’impulso. Ferma così, per un minuto intero, ho capito che la mia vita era cambiata. E anche quella di Edward.
Come una furia sono uscita dal bagno alla ricerca del cellulare.
Dovevo parlargli al più presto.
Durante la telefonata ho cercato di mantenere un tono tranquillo, ma mi sono accorta che la voce ha ceduto un paio di volte. E di certo a lui non sarà sfuggito.
Ogni tanto lanciavo un’occhiata ad Helèna che mi osservava, un sorriso compiaciuto stampato sul viso.
Ho riattaccato confusa e tremante, pronta a subire l’attacco verbale della mia amica e a cercare di convincerla che era possibile che si sbagliasse, che forse non avevo eseguito il test correttamente, che …
Helèna aveva interrotto il mio flusso scoordinato di pensieri e azioni. Sorprendentemente mi si era avvicinata e mi aveva carezzato una guancia dicendomi con dolcezza:«Andrà tutto bene». Subito dopo era sgusciata via dalla stanza non prima di avermi avvisata che sarebbe andata al Tandem e che avrei potuto chiamarla lì se ne avessi avuto bisogno.
Incapace di restare ferma in un solo posto, mi ero infilata sotto la doccia e avevo lavato i capelli. L’ora era volata.

Mi stringo nel cappotto.
Fa molto freddo. E nonostante l’impazienza, il tentativo di riempire il tempo che mi separava da Edward mi ha portato ad accumulare un certo ritardo.
Mentre cammino cerco di concentrarmi su quello che devo dire, sulle parole più appropriate da usare. La scelta della Rauner è stata istintiva. Lì mi sento al sicuro, è un luogo familiare. A quest’ora sarà anche tranquillo.
Mi sento su di giri. Sono confusa ed eccitata al tempo stesso. Milioni di domande si affollano nella mia testa, ma tutte impallidiscono di fronte alla potenza di ciò che sta avvenendo nel mio corpo.
Un miracolo.
Il nostro miracolo. Mio e di Edward.
Due nature così diverse che sono riuscite a fondersi e a generare una scintilla di vita.
La mente è come ovattata, avvolta in una specie di torpore. E’ come essere … ubriachi d’amore.
Un sorriso mi spunta sul viso, mentre salgo i gradini della Libreria Rauner.


EDWARD - Ingrid Michaelson – Mosquito

Riapro gli occhi lentamente e l’immagine di mia moglie tra le braccia di un altro uomo ritorna con prepotenza, più chiara di prima, di quando l’ho strappata alla mente ignara di questa ragazza che non conosco, ma che sembra conoscere perfettamente Bella.
E’ possibile che un ricordo rievocato possa essere così definito?
Mentre le immagini scorrono nella mia mente come un esasperante replay, sento quasi l’odore di Bella, l’odore del suo sangue, il profumo della sua pelle … misto a quello sconosciuto e acre di quell’uomo.
Eric Jensen …
Le carezzava il viso … nei suoi occhi la determinazione, il desiderio … la voglia di averla.
La stava toccando.
E lei toccava lui.
Le sue dita, piccole, gentili … che tante volte hanno sfiorato il mio corpo … erano contratte sulla camicia di quell’uomo, lo trattenevano a sé …
Bella.
La mia Bella.
Baciava un altro uomo.
Un umano. Come lei.
Come era giusto che fosse, come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
Richiudo gli occhi.
Vik sta parlando con foga. E’ irritato. Chiede i particolari, pone domande.
Quella puttanella! E con me ha fatto tanto la schizzinosa … i suoi pensieri, volgari quanto lui.
Spalanco gli occhi e mi giro con uno scatto, in volto uno sguardo omicida.
Nessuno. Nessuno può parlare di Bella in questo modo.
Faccio un passo in avanti, al limite del controllo.
«… e quando in fine è uscita come una furia, mi ha quasi travolta». La ragazza sta continuando a raccontare.
Troppo presi dalle chiacchiere i due non si accorgono che mi sto avvicinando.
«Mia, secondo me esageri … » le dice lui con una punta di diffidenza «mi sembra tutto un po’ … troppo. La musica, il bacio, la fuga …» la sfida con sufficienza.
«E questo allora?» la mano di Mia brandisce un cd «l’ha perso mentre correva via.»
Mi blocco all’istante.
E’ il disco che ho inciso io.
Per Bella, per il suo diciottesimo compleanno.
E’ impregnato del suo odore. Lo sento fin da qui.
Vederlo nelle mani di questa ragazza mi turba. Mi turba sapere che qualcosa appartenente a Bella sia a contatto con degli individui così meschini e disgustosi come questi due ragazzi.
E, più di tutto, mi turba sapere che mia moglie ha condiviso con quell’uomo la nostra musica, le composizioni che mi ha ispirato e che ho raccolto per lei.
Deglutisco. Il veleno che invade la mia bocca mi sembra il più tossico degli acidi. Scende giù lento, graffiandomi la gola.
Penso a scatti. A scatti le immagini tornano nella mia mente per poi scomparire subito dopo. Come un’onda d’urto s’impattano nelle mia mente e mi lasciano frastornato.
Vik si accorge d’un tratto di me, impallidisce e da di gomito a Mia per zittirla.
«Ahi! Ma sei impazzito?!» chiede stridula, mentre si massaggia il braccio.
Con un lieve movimento degli occhi lui indica nella mia direzione.
Mia gira il capo seguendolo.
Il suo sguardo passa dall’imbarazzo, alla curiosità fino a farsi strafottente.
Con una specie di sorriso sul volto, simile per lo più ad un ghigno, si volta completamente nella mia direzione e con sfrontatezza dice:«Hai bisogno di qualcosa?»
Mi avvicino alla scrivania senza pronunciare nemmeno una parola.
Li osservo.
Vik comincia a tremare. Il suo cuore batte impazzito. Ha paura, glielo leggo in faccia.
Mia è intimidita, ma anche attratta inesorabilmente da quello che percepisce come un pericolo. La sua mente è volgare e lussuriosa.
«Avete qualcosa che non vi appartiene» la voce che esce dalle mie labbra non la riconosco. Non è la mia, ma una pallida eco di un ragazzo morto due volte.
Non so cosa sto facendo, cosa credo di ottenere. Agisco d’istinto.
Distendo il palmo verso l’alto e attendo.
La ragazza fronteggia il mio sguardo con insolenza, ma non accenna ad alcun movimento.
Il desiderio di ruotarle completamente la testa con un solo gesto è così prepotente che restare immobile mi costa uno sforzo enorme.
Non so cosa mi trattiene.
Ma la mia espressione deve essere terrificante perché dopo un breve attimo, Vik si alza dalla sua sedia e sfila rapidamente il cd dalle dita di Mia.
Ignorando lo sguardo feroce di quest’ultima mi allunga il dischetto per poi rifugiarsi di nuovo sulla sua sedia. Le sue mani tremano.
Jazz deve averlo terrorizzato.
Senza dir nulla mi volto e comincio ad allontanarmi lentamente da loro.
Questo cd è fuoco nelle mie mani e pesa più di una tonnellata.
«Ehi! Ma come ti permetti?» comincia Mia alterata rivolta alla mia schiena
«Shhh» fa il suo amico.
«No che non sto zitta!» risponde isterica la ragazza. E, poi, aggiunge con tono più contenuto «Sarà di sicuro un suo parente … stessa superbia»
Mi fermo. Un piede sul primo gradino della scalinata che porta al piano superiore.
Prendo un respiro profondo.
Un altro commento. Uno solo.
Sento Vik alzarsi di scatto. La sedia dietro di lui stride sul pavimento.
«Tu sei pazza!» dice con voce bassa e vibrante «ma l’hai guardato in faccia?!»
Evito di entrare nella mente di Mia. A questo punto sarebbe troppo anche per me. Ma dai rumori e dai respiri affrettati, capisco che Vik sta raccogliendo le sue cose.
«Muoviti, stupida. Andiamocene» e la trascina letteralmente dietro di sé.
Accolgo l’improvviso silenzio nella mia testa con sollievo.
Resto un secondo ancora così, con la mano innaturalmente appoggiata al corrimano, ai piedi della scalinata a chiocciola che termina nel piano superiore.
Ora che quei due non ci sono più, mi sembra di poter respirare, io che non ne ho bisogno affatto.
Scavo dentro di me, cerco di valutare i danni.
E’ tutto immobile.
Per la prima volta davvero, è tutto morto.
E’ così che si è sentita Bella quando l’ho lasciata? Può un’umana sopportare una cosa simile?
Dovrei provare rabbia, dolore, rancore? E contro chi? Ma poi, perché?
Il sollievo mi invade quando mi rendo conto che i sentimenti per Bella sono rimasti immutati.
Paradossalmente, forse, si sono rafforzati.
Se possibile, la amo più di prima.
Oh Bella!
Quando sono andato via da lei, almeno avevo il conforto di sapere che l’amavo, una certezza che mi ero portato a Rio, che torturava il mio animo, ma che cullava il mio freddo cuore.
A lei, ora, cosa resta?
Cosa, se non il senso di colpa?
Mi conforta sapere che mai, nemmeno per un istante, il mio istinto mi abbia suggerito di odiarla.
Perché la verità era che lei non avrebbe mai dovuto amarmi. Ed io l’ho sempre saputo. Per un certo periodo l’ho anche sperato.
Bella, Bella … hai voluto soffrire per forza … hai amato ciò che ti avrebbe distrutta, che ti avrebbe ferita.
Hai amato come un umano non avrebbe mai potuto, come non avrebbe mai dovuto …
Come posso avercela con te?
D’un tratto ogni tassello si posiziona al posto giusto.
L’ospedale, il suo sguardo sfuggente, le sue lacrime, le mezze verità … tutto, anche la sua malattia.
Riesamino le mie conoscenze mediche e attimo dopo attimo, ogni cosa mi sembra più chiara.
Le somatizzazioni, le malattie autoimmuni, persino le stimmate … persone talmente emotive che traspongono inconsciamente le proprie sofferenze in mortificazioni corporali.
Bella non ha nulla di fisico che non vada.
Il suo tormento è interiore.
Ed io ne sono la causa.
Mi stupisco di ritrovarmi al piano superiore. Non mi sono reso conto che le gambe hanno preso a muoversi da sole.
E’ deserto. Completamente.
C’è solo Andrea vicina alla vetrata più lontana dalle scale. Osserva i giardini attraverso l’enorme finestrone.
Quando sento la porta d’ingresso aprirsi al piano inferiore, non ho bisogno della conferma visiva per sapere che si tratta di Bella.
Chiudo gli occhi.
Sgombro la mente da ogni pensiero e prendo un respiro profondo.
Quando li riapro, non sono più lo stesso.


BELLA - Imogen Heap - Hide and Seek

L’interno della Libreria Rauner è caldo e accogliente.
Appena entro l’atmosfera intima e confidenziale mi da il benvenuto tipico di una cara amica, e sento subito le spalle rilassarsi.
Ho fatto bene a dare appuntamento ad Edward in questo posto.
Joshua mi aveva detto una volta che non c’era altro posto a Dartmouth degno di accogliere una idea geniale sul nascere. Io spero che sia il posto giusto per accogliere anche una notizia speciale, come quella di una prossima nascita.
Faccio qualche passo ed il rumore dei miei passi mi sembra un frastuono assordante.
Mi fermo esitante e mi guardo intorno.
Al piano inferiore Edward non c’è.
E’ strano, non è da lui tardare.
Alzo lo sguardo al piano superiore. Sembra deserto, fatta eccezione per una  ragazza vicina all’ultima vetrata.
Decido di salire. Da lì avrò una visuale migliore.
Mi avvio alla grande scala a chiocciola sulla sinistra e comincio a salire.
Sono all’ultimo gradino quando noto la sagoma familiare e tanto amata di mio marito. Il cuore mi balza alla gola. Pare che voglia rotolarmi via dal petto.
E’ di spalle e cammina verso l’estremo opposto al mio con calma innaturale.
Faccio un passo in avanti, trepidante. Il cuore ha preso a battermi all’impazzata, il sangue a scorrere così velocemente da sentirne il ronzio nelle orecchie.
Senza nemmeno accorgermene, avvicino con delicatezza il palmo aperto della mano al mio grembo. Un gesto innocuo, forse il tentativo di tranquillizzare il mio piccolo miracolo.
Edward si ferma nei pressi dell’ultima vetrata. Faccio un altro passo in avanti più decisa. Ora lo vedo con chiarezza.
Aggrotto le sopracciglia. E’ strano che non si sia ancora girato … che non mi abbia sentita arrivare?
Sta … parlando con qualcuno?
Non capisco, non riesco a vedere bene poiché mi copre la visuale con la sua figura.
Rallento, istintivamente sulla difensiva, fino a fermarmi completamente.
E poi, il mio cuore con un singulto strozzato fa una capriola.
Una torsione del busto di Edward cambia la scena che si presenta ai miei occhi. Accompagna il gesto con un movimento lento e studiato delle mani sulle spalle della persona che ha di fronte. Dalle spalle una mano si stacca e sale sul viso.
«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore.
Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.
Con dolorosa lentezza Edward inverte le posizioni precedenti. La ragazza, la stessa che avevo visto dal piano inferiore, una sconosciuta dal viso dolce e gli occhi attenti entra chiaramente nella mia visuale, ma mi da ora le spalle, mentre due immense profondità color dell’oro ghiacciato si puntano per un attimo sul mio viso, nei miei occhi.
E’ gelo quello che mi scivola addosso? Che mi trapassa la schiena?
O, forse, è solo paura?
Capisco che qualcosa di terribile sta per accadere.
Con ulteriore, esasperante lentezza, Edward inclina il capo verso quello della ragazza.
Si ferma giusto un attimo. Il tempo necessario affinchè il suo sguardo sfiori il mio viso, i suoi occhi si fissino nei miei occhi, enormi e spalancati.
Ed ancora è solo un attimo, ma lungo un’eternità, il momento in cui si abbassa e, con decisione, la bacia.



NOTA DELL’AUTRICE:  :si copre la testa con le mani:
Non mi uccidete … altrimenti non saprete mai come si evolvono le cose ù.ù  Una lettura più cauta del cappy vi permetterà anche di non linciare Eddy. Voglio specificare solo che non si sta vendicando. Non dovreste pensarlo nemmeno per un attimo, ma non si sa mai … :P
Credo di potervi dire con discreta sicurezza che penso che siamo giunti al famoso fondo (almeno spero, c’è sempre tempo per scavare un po’ di più :D … ginny89potter insegna XD), ma non so ancora dirvi quanto ci vorrà per cominciare a risalire.
Questo capitolo è stato una spina nel fianco e non so se sono riuscita a rendere appieno ciò che volevo. Dopo la trecentesima rilettura e correzione ho deciso di postarvelo. Siate pure spietati, non temete … :paura:
Ringrazio chi ha voluto commentare il teaser su fb: la soluzione era nel nome di Mia, personaggio chiave del capitolo.  Mia = aggettivo possessivo della lingua italiana (grammatica e vocabolario della lingua italiana).

00Stella00: Spero che l’anZia non sia aumentata con questo cappy… Per un groviglio che si scioglie, altri cento se ne formano … :P
Aleu: Non avete aspettato molto per sapere a chi si riferiva il prologo … e adesso?! Kiss XD
cloe cullen: Nuuu cara! Ma tu la notte devi dormire, mica che ti metti a pensare alla mia storia?! : ammicca soddisfatta: Come avevi già capito la studentessa c’entra, ma Bellina adesso? Non è proprio un fraintendimento quello che gli vede fare ad Eddy… eh eh eh… Ti bacio cara XD
tsukinoshippo: Tu. Mi. Fai. Morire. Te lo giuro… leggo la tua recensione con il sorriso ebete stampato sul viso… che ti rispondo? Ci vogliono altre venti pagine…*___* Come mi aspettavo, prevedi bene…ci saranno un sacco di guai. Ti prego solo di non fare una strage. In fondo Eddy è coglione fino ad un certo punto, nel prossimo cappy dovrebbe essere più chiaro. Alice non me la toccate. Pietà. Ti bacio e ti abbraccio *.*
francef80: Per una risposta data, vi regalo dieci domande… lo scambio mi sembra vantaggioso… Baci XDDD
lisa76 : Ehmmm FINALMENTE! Penso che la tua sia stata l’accetta che mi ha davvero lisciato lo scalpo … adesso credo che prenderai la mitragliatrice. Non oso pensare a quando ti armerai di bazooka. Baci XD
 RenEsmee_Carlie_Cullen: E no! Non ti distrarre !! Bellina ha detto che era”più o meno regolare”e poi, non dimenticare il contesto, la giornatina che aveva sulle spalle… BaciXD
_zafry_: All’inizio mi pareva che nel tuo commento avessi scritto “OMMICIDIO”, carina come cosa x dirmi che mi volevi MOLTO morta… adesso penso che di M in Omicidio ce ne metterai venti… XD
Sissi_Cullen: mi spiace cara … la mia natura sadica me lo impedisce … muhahahahahah XD
rodney: tesora … non credo che fosse questo ciò che ti aspettavi … :chiede perdono in ginocchio: nun mi uccidere!!! XD
vitti: yes, ma forse peggiora solo la situazione … XD
kikkikikki: mi sa che dovrò allestire una nota solo per questo capitolo … magari di 100 domande, tipo … in quanti modi vuoi che l’autrice venga soppressa?! Baci *.*
keska: Mi aspetto di trovarti fuori casa, appena apro la porta … spero senza un’accetta alla Shining. Ti abbraccio XDDD
grepattz: ehmm, delusa?! XD
silvia16595: Diciamo che forse siamo le sole che si sono sfregate le mani per il sadismo di cui è farcito il capitolo … ce le sfregheremo ancora. E no, no è una promessa. Ma una minaccia. *.*
Lizzie95: Grazie, grazie, grazie …XD Per ora mi accontento di sorridere con voi. :)
Piccola Ketty: Piccola … rialza la mascella da terra … e sii clemente, plissss!XD
sily85: Tesorina *_* :mette le mani dietro la schiena e si dondola: sei una perla. Grazie … XDDDDD
mine: Non credo pensassi a questo … spero di non averti delusa … sono sadica, ma non a questi livelli ù.ù Bacioni
arual93: *_* direi che Edward l’ho cucinato per bene … adesso mi tocca arrostire Bella. Baci XD
LOVA: Peccato che non abbiano ancora fatto il test x sapere se il pupo è un vampiro o un umano …ihihihih Xd

Per la prima canzone –My immortal- vi linko una traduzione italiana fatta abbastanza bene qui  
Vi consiglio anche Mosquito della Michaelson (citazione in introduzione e canzone per l’ultimo EPov) … spendeteci qualche secondino per leggere il testo … ne vale la pena.   
Mmmmm credo di aver detto tutto … :si tampona il sudore sulla fronte:
Non penso di riuscire a postare il prossimo capitolo presto, quindi vi faccio i miei auguri più sinceri per un Natale sereno.
A tutti voi :***
Grazie
M.Luisa

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Capitolo 23
*** CAP.23 ***


Eravamo rimasti qui …

BELLA Pov-

“… il suo sguardo sfiora il mio viso, i suoi occhi si fissano nei miei occhi, enormi e spalancati.
Ed ancora è solo un attimo, ma lungo un’eternità, il momento in cui si abbassa e, con decisione, la bacia.”

Solo un piccolo suggerimento: caricate le canzoni. Senza, il capitolo non è lo stesso.

A Voi.

CAP.23

EDWARD - X-RAY DOG - The Vision-

La guardo.
Dritto negli occhi.
Non voglio che mi sfugga nemmeno una frazione di secondo della sofferenza e del dolore che sto per farle provare.
Voglio che dai suoi occhi arrivi ai miei, che mi scorra nelle vene come fuoco, che arrivi al mio cuore per sgretolarlo lentamente.
Voglio morire con lei. Con la mia Bella.
Voglio vedere il suo dolore trasformarsi in disprezzo.
Il disprezzo in rabbia.
La rabbia in odio.
L’odio in … sollievo.
Voglio perdermi nel suo tormento, guardarmi con i suoi occhi.
Osservare l’essere che sono, un mostro, che un destino beffardo ha voluto mettere al suo fianco. Al fianco di un angelo.
Non sto respirando.
Temo che l’odore della mia amata mi arrivi al cervello e mi faccia esplodere.
Sento il viso contratto, scolpito nella pietra.
Sento freddo.
Non so cosa ho detto ad Andrea. Ricordo solo il tono con cui ho parlato.
Il più subdolo, il più strisciante, il più sensuale che potessi mai usare.
La ragazza non è tanto fragile, ammortizzerà bene il colpo.
Toccare un corpo che non è Bella, sfiorare una pelle che non è la sua … una blasfemia.
Quando poso le mie labbra sulle labbra della persona che mi è di fronte, lo faccio guardando lei.
E’ immobile, non si muove, non trema. Non respira nemmeno.
Eppure sento il suo corpo vibrare.
Ogni più piccola fibra del suo essere, urlare dolore.
Aleggia su di lei, sotto la sua pelle, dentro il suo sangue. Fluisce dalle sue dita, ai polsi, alle braccia.
Dalle caviglie sale alle gambe.
Lo sento scorrerle dietro la schiena, sulla nuca, insinuarsi sulle spalle.
Da ogni parte di lei arriva al cuore.
L’avvolge, lo circonda. Come una carezza.
Senza preavviso, lo stritola al punto da farlo gemere.
Sento il suo cuore soffrire. Senza sosta, senza requie. E quando è troppo anche per lui, e il corpo del mio amore non riesce più a contenerlo, trova una via d’uscita.
Ma non quella che immaginavo.
Guardo Bella. I suoi occhi. Aspetto di scorgervi il luccichio e le lacrime che finalmente sgorgheranno da lei per liberarla di tutto il suo dolore.
Ma sono le sue labbra a muoversi impercettibilmente, senza che suono ne esca. Vi leggo tre parole.
Sorride.
Poi si gira e, dandomi le spalle, comincia a camminare.


BELLA – Keep Breathing - Ingrid Michaelson –


Il mio corpo si muove da solo, veloce.
Ho paura di voltarmi indietro.
Cammino, cammino. Prendo le scale.
Le dita mi tremano quando le poggio sul corrimano. Le gambe lo fanno quando scendo il primo gradino.
Me ne devo andare. Devo andare via.
Guardo i miei piedi e dico loro di andare avanti. Li supplico di non fermarsi.
Lo stomaco si contrae ad ogni respiro che prendo. I polmoni mi bruciano.
Sto per vomitare.
Oh Dio ti prego aiutami, non farmi sentire male … fammi uscire di qui.
Sento i suoi occhi ancora addosso a me. Li sento come fuoco sulla schiena.
Quando entro al sicuro nella tromba delle scale, vorrei fermarmi e cercare di respirare, ma non posso.
Devo andarmene. Devo andarmene.
Ad ogni svolta, ad ogni curva, mi dico che posso farcela, che posso resistere.
Che, in fondo lo sapevo, l’avevo sempre saputo.
Si trattava solo di tempo.
Non si è stancato di te, ha solo trovato un ‘altra a cui tiene più di te … la voce nella mia testa mi fa sussultare. Vacillo e la vista mi si oscura per un secondo.
Rallento.
Sbatto le palpebre due volte, ritorno a vedere.
Continuo a camminare, le gambe vanno da sole.
Ci sono quasi … penso guardando le ultime due curve della scala a chiocciola.
Mi affretto e … metto un piede in fallo.
Il braccio che mi afferra e mi impedisce di cadere è gelido. Lo sento persino attraverso i miei abiti.
E il brivido che mi percorre non è per la temperatura, ma per il terrore.
Dio, ti supplico … ti supplico …
Nella luce fioca delle scale, gli occhi di Edward brillano come non mai.
Chiudo i miei, non riesco a sopportare di guardarlo sapendo che non è più mio: «Lasciami …» riesco a sussurrare a malapena.
Continua a tenermi. La sua mano sul mio braccio è ferma.
Prendo un respiro e lo guardo.
«Lasciami …» ripeto con più convinzione, la voce sempre un alito.
Mi osserva corrucciato, una ruga gli increspa la fronte perfetta.
Il suo sguardo imperscrutabile, nei suoi occhi … sorpresa, dubbio?
Sento la gola secca, il battito del mio cuore è così forte che il petto mi fa male.
Respira, Bella, respira … mi ripeto ma non collaboro con la mia ragione.
Oddio, oddio … fammi andar via, ti scongiuro, lasciami andare via …
«Lasciami andare via …» e la voce mi si spezza.
Mi ascolta. La sua mano si stacca dal mio braccio e subito mi sento sola.
Bella, non piangere … non ora, non qui, non davanti a lui …
Chiude per un attimo gli occhi, quando li riapre sono diventati ghiaccio.
«Odiami, Bella» dice e al suono della sua voce le lacrime che avrei voluto versare in silenzio, in solitudine perché potessero farmi più male, cominciano a scorrere lentamente.
Non parlare, ti prego, non dir nulla … vorrei dirgli, ma la voce non esce, e le lacrime scorrono sulle mie labbra, portandosi via le parole che non riesco a pronunciare.
«No» riesco a mormorare, e questa parola mi annienta.
No, penso. Non potrei mai. Sarebbe come chiedermi di essere un’altra, di morire.
Non so come, non so con quale forza ma trovo la voce: «E’colpa mia»
Il suo sguardo.
Mi guarda come se avesse davvero cento anni, con la stanchezza nell’animo, e scuote la testa con lentezza.
«Non ti merito, Bella» dice e un altro colpo affonda nel mio cuore.
Le lacrime continuano a scendere, non riesco a fermarle, non posso.
Ancora, penso frastornata. Sta succedendo ancora. Sto per perderlo. Sta per andarsene.
Per sempre.
Ritorno nel bosco a Forks. Ritorno fra quegli alberi. Sento persino l’odore di terra bagnata, l’aria pesante, carica di cattivi presagi.
«Odiami.» prende un respiro. Poi un altro ancora.
«Odiami. » fa un passo indietro «E sii felice»
Mi sta lasciando andare. Come gli avevo chiesto.
Lo guardo. Il mio angelo, il mio amore.
Per l’ultima volta.
E’ tutto così sbagliato, così ingiusto. Odiarlo? Essere felice senza di lui? Come se fosse possibile, come se non avesse appena pronunciato una bestemmia.
Mi volto e comincio a correre.
Sulle labbra tre parole.
Vorrebbero uscire, aver voce. Le stesse che volevano uscire al piano di sopra, prima che mi girassi e mi allontanassi da lui, da lei.
Le stesse che hanno fatto muovere silenziosamente le mie labbra e hanno fatto spuntare un sorriso amaro sul mio viso.
Ti amo. Addio.


HELENA -Ingrid Michaelson - Everybody - Soldier

«Non sei divertente» gli dico sorridendo felice, facendo un gesto di diniego con una mano e afferrando contemporaneamente la tazza di tè dinnanzi a me con l’altra.
Paul mi guarda da sotto la cascata di riccioli scuri che gli sfiorano gli occhi. Il calore che emana arriva da ogni parte. Dagli occhi, dai gesti.
La fettina di limone che galleggia nel mio bicchiere ha la forma di un cuore.
L’ha tagliata lui così.
Per me.
Porto la tazza alle labbra e bevo un sorso della bevanda dolce e aspra nello stesso tempo.
Si volta e si allontana veloce dal bancone a cui sono seduta anche io, con un vassoio in una mano e tre caffè sopra.
Seguo i suoi movimenti, girandomi verso la vetrata e accompagnandolo con lo sguardo.
E’ un ragazzo speciale. Sopporta una tipa logorroica, un po’ isterica e profondamente insicura come me.
Lancio uno sguardo all’orologio sulla parete. Sono qui da un paio d’ore ormai.
Mi chiedo se Bella abbia già parlato con suo marito.
Un sorriso beato mi spunta sul viso.
Un figlio.
La mia amica aspetta un figlio. E sta per dare la notizia al suo amore.
Ingurgito un altro sorso di tè, caldo e rinfrancate. Pensare al gelo dell’esterno mi fa rabbrividire e stringo di più le dita sulla tazza cercando il conforto della sensazione di calore.
Penso distrattamente a come cambieranno adesso le cose per Bella.
Deve riguardarsi. Ma con le cure adeguate, vitamine e riposo, si riprenderà velocemente. Ci vorrà un po’ di tempo, certo, ma presto la vita fiorirà in lei e sboccerà come un rosa a primavera.
In effetti, con un po’ di aiuto, potrà anche continuare nel suo progetto.
Una gravidanza non è una malattia.
Decido che al più presto dovrò parlare con Joshua, e sistemare le cose. Se sarà necessario parlerò anche con il professor Jensen, gli spiegherò la situazione. Per Bella farà un ‘eccezione. Il grosso del lavoro è già stato fatto, restano da definire solo i dettagli. La sua presenza non è più indispensabile come all’inizio.
L’aiuteremo. Io e Joshua.
Paul ritorna dietro il banco e poggia il vassoio vuoto sul ripiano davanti a me.
«Se non è una visita inaspettata di Abby, nè una vincita insperata e nemmeno la perdita permanente della voce per tua madre …» comincia a dire riprendendo il discorso da dove l’avevamo lasciato «… davvero non saprei a cosa ti riferisci quando parli di  “bella notizia”… ». Apre il rubinetto dell’acqua scuotendo la testa e nel frattempo sistema delle tazzine sporche nella vaschetta sottostante.
«Non ho detto che riguarda me» puntualizzo senza, tuttavia, entrare troppo nel dettaglio.
Lanciando occhiate fugaci, ma attente, al mio viso comincia a lavare e a sciacquare le stoviglie.
Una caratteristica che ci accomuna è la curiosità. Discreta, ma insaziabile per entrambi.
Quello che, però, mi differenzia da lui è che io sono una donna.
E sono, quindi, maliziosa per natura.
Tenerlo un po’ sulle spine mi piace, mi diverte. E’ un gioco che lui stesso fa spesso con me. E, poi, questi sono affari di Bella. Io ho solo risposto alla sua domanda sul perché fossi così di buonumore quando sono entrata nel locale.
Prende uno strofinaccio e lo passa sui bordi del lavandino per asciugare alcune gocce di acqua che sono schizzate fuori.
Intanto mi soppesa con lo sguardo: «Riguarda il tuo progetto?» chiede noncurante.
«Naaa» dico con un sorriso. Scuoto la testa, punto i gomiti sul bancone e poggio il mento sui palmi delle mani «Sei lontano. Acqua».
Stringe le labbra e i suoi occhi mandano scintille.
«Riguarda Bella?» chiede affinando lo sguardo in attesa della mia reazione.
Sussulto e un lampo di soddisfazione gli attraversa rapidamente il viso.
Se io so essere un po’ dispettosa e caparbia, lui è un vero diavolo nello smascherarmi.
Ha l’occhio critico, attento e vede in me molto di più di quanto io stessa non conosca.
Anziché esultare per la propria sagacia, continua nelle sue mansioni. Si siede su uno sgabello basso e comincia a riempire i frigoriferi al di sotto del ripiano con lattine e bottiglie.
Invece di rispondere a quella che è una domanda, gli chiedo a mia volta: «Cosa te lo fa pensare?»
La tattica di rispondere ad una domanda con un’altra domanda non fa altro che confermare i suoi sospetti. Il viso gli si schiarisce in un sorriso, mentre si muove sempre con placidità: «E’ incinta?»
Strabuzzo gli occhi e la bocca mi si spalanca per la sorpresa.
Per giorni io sono stata a contatto con la mia amica e non ho capito nulla. Medici e analisi l’hanno rivoltata come un calzino, senza risalire alla causa del suo “malessere”.
E adesso, qui al Tandem, il mio fidanzato mi smaschera miseramente, traendo le somme da dettagli insignificanti cui nessuno aveva dato mai peso, finora.
Dire che sono esterrefatta è un eufemismo.
Paul richiude con un colpo secco la porta del frigo per sigillarla perfettamente, si alza e mi guarda sornione: «Che c’è?»
Muovo il capo scuotendolo leggermente, senza parole.
«Scusa, ma di cosa ti stupisci?» mi chiede e punta entrambi i palmi sul ripiano più basso davanti a lui, poggiandoci su il proprio peso. Quindi, continua : «Sono giovani, sono sposati, si amano alla follia. Pensi che la notte giochino a carte?»
Decido che inorgoglirlo ulteriormente lodando il suo acume sia decisamente darsi la zappa sui piedi e rispondo laconica: «No, certo che no … »
Si sporge verso di me, allungandosi verso il bancone e con l’indice mi sfiora la punta del naso:«Non te la prendere, sciocchina … dimentichi che l’attenzione per i particolari è un’appendice fondamentale per ogni mio esame al college.» Sorride al mio musetto imbronciato e si avvicina ancor di più per cercare di baciarmi.
Il suo sguardo viene catturato da qualcosa alle mie spalle. Aggrotta le sopracciglia «Ma cosa diavolo …» comincia a dire.
Si blocca e i suoi occhi si spalancano: «Dannazione!»
Allontana la mano dal mio viso e improvvisamente scatta via, verso l’ingresso del locale.
Confusa mi volto, seguendo la direzione del suo sguardo, alle mie spalle
E vedo Bella, all’esterno.
Senza cappotto, pallida come un cadavere con una mano appoggiata alla vetrata per sorreggersi, sta scivolando lentamente verso il basso.
 


BELLA - Elegy for Charlotte – Autumn in NY soundtrack-

«Appoggiati a me. Ecco così … ti tengo, ti tengo»
Di chi è questa voce?
Dove sono? Sto forse sognando?
Un viso, davanti al mio. Due occhi preoccupati, spaventati che mi osservano.
Chi è costui? Provo una sensazione di benessere, di leggerezza. Non sento le gambe, non sento le braccia. Non avverto nulla. Sono aria.
«Bella!» Un’ altra voce, femminile. Alterata, stridente. Bussa alla mia mente risvegliando il ricordo di qualcosa, di qualcuno.
Bella sono io.
Sì, sono io.
La voce chiama me. Giro il capo e vedo un volto corrucciato dall’ansia.
E’ vicino, come quello del ragazzo. Chiudo gli occhi. Li riapro. Questo viso mi è familiare, questi lineamenti … li conosco.
A chi appartengono?
Una mano si accosta al mio viso.
Mi stanno toccando? Vogliono farmi del male?
Forse dovrei preoccuparmi, forse dovrei allontanarmi. Provo a sentire dentro di me l’incipit per scostarmi, ma non lo trovo.
O, semplicemente, non ne ho la forza. Perché tutto mi sembra così irreale, lento?
«Cosa è successo?» la voce della ragazza  si incrina «Non eri alla Rauner?»
La Rauner …
Un gemito esce dalle mie labbra e per un attimo sento gli occhi chiudersi come a voler lasciare fuori un dolore troppo profondo da poter trovare spazio nel mio corpo.
«Helèna, calmati» la voce del ragazzo è tesa, ma risoluta «è sotto shock. Portiamola dentro.»
Dentro?
Dove vogliono portarmi?
Alle braccia che mi sorreggono cerco di opporre una lievissima resistenza. Un altro gemito esce dalle mie labbra. Vorrebbe essere una protesta, ma è solo un sussurro strozzato.
«Sta tranquilla, Bella. Ci siamo noi, Sei al sicuro» mi lascio trasportare trascinando le gambe e sostenendomi pesantemente contro questo corpo morbido. D’un tratto non mi sento più leggera come aria, ma mi sento stanca come se avessi camminato per giorni.
Acuisco lo sguardo. Non credo di riuscire ad andare molto lontano.
Comincio a sentire male agli occhi.
E al petto.
Rallento, non ce la faccio a camminare.
«Forza Bella, ci siamo quasi» è la ragazza adesso. Un suo braccio passa intorno alla mia vita e sento meno pesanti la schiena e le gambe.
Riprendo a camminare.
Entriamo in un posto affollato, pieno di rumore e di voci, ma nessuno bada a noi.
Velocemente passiamo attraverso una porta. Il rumore diventa un brusio e poi si affievolisce.
Quando le braccia si staccano piano dal mio corpo e tentano di farmi sedere su un divano, le gambe cedono all’improvviso. Nel riafferrarmi una fitta di dolore parte dal gomito e sale su per il braccio.
Devo sedermi. Mi girano con cautela, accompagnano i miei movimenti. Ma le gambe non sanno più come si procede, come riuscire a farmi arrivare al divano. Devo piegarle. E un’altra fitta mi colpisce le cosce.
Quando finalmente raggiungo il divano, il ragazzo si stacca immediatamente, la ragazza non mi lascia e le sue mani afferrano le mie.
«Paul, una coperta!» grida.
Le sue mani sfregano le mie velocemente. Le sento a malapena sul dorso delle  mie, inermi come due tronchi cavi e secchi.
Paul, Paul …
Guardo la ragazza. La riconosco.
«Helèna … » sussurro piano.
Mi guarda. I suoi occhi si illuminano di sollievo.
«Che è successo? Ti sei sentita male?» mi chiede e continua a sfregarmi le mani vigorosamente. Getta, intanto uno sguardo alle sue spalle, una mano si stacca delle mie. Un plaid grigio compare davanti ai miei occhi.
Lo posiziona sulle mie spalle e mi ci avvolge dentro come un bozzolo.
Riafferra le mie mani e riprende a strofinarle energicamente.
«Sei congelata!» mi rimprovera, ma senza acrimonia nella voce «Ma che ti salta in mente di uscire senza cappotto nel mese di dicembre?! Nelle tue condizioni!»
La mente totalmente offuscata, la guardo perplessa. Sono uscita senza cappotto? E’ dicembre? E che condizioni?
Una tazza fumante appare magicamente davanti a me. Guardo le mani che la reggono, seguo il prolungamento delle braccia, arrivo al viso del suo proprietario.
«Paul …» un altro sussurro che mi graffia la gola.
I suoi occhi si addolciscono e mi si accovaccia accanto.
«Bella, vuoi andare in ospedale?» mi chiede.
Alla parola ospedale mi irrigidisco e comincio a scuotere piano la testa, terrorizzata.
Un sospiro, poi «Vuoi che chiamiamo qualcuno?» una pausa «vuoi chiamare Edward?»
Al nome pronunciato il mio corpo comincia finalmente a reagire.
Un tremore, dapprima lieve, poi via via più intenso si impossessa prima delle mani, poi delle braccia, infine di tutto il corpo. Sembra che sia prenda di una  convulsione.
Paul ed Helèna si scambiano una rapida occhiata.
«Bella, tranquilla. Stai tranquilla» Helèna posiziona le mani ai lati delle mie spalle con fermezza, come a volermi fermare.
«Ok, vi accompagno al dormitorio» un’altra occhiata, un cenno d’assenso, qualche parola che sfugge alla mia comprensione.
Abbasso gli occhi sulle mie mani. Le vedo sfocate tanto che tremano.
Altri mormorii, un tintinnio. Paul che parla sommessamente, forse a telefono.
«Ti chiamo appena sono qua fuori»
Poi, silenzio.
Passa del tempo. Non so quanto.
Le mie mani. Le vedo meglio adesso. Sono vagamente arrossate sul dorso. Le volto con i palmi all’insù, piego le dita lentamente. Sono indolenzite.
Alzo gli occhi. Helèna mi osserva con la preoccupazione e l’ansia dipinte in ogni angolo del suo viso.
Senza dire nemmeno una parola, mi fissa. Intensamente. E poi, leggera e decisa, mi avvolge in un caldo abbraccio.
«Adesso sei al sicuro».

 


NOTA DELL’AUTRICE: Un graSSSie al gentilissimo tecnico della Telecom … ha sfiorato la morte per un soffio :)
Oltre a lui, credo di dovere un ringraziamento anche alla bottiglia di Amarone che il giorno di Natale mi ha ispirato gran parte del capitolo XD
Vi ho promesso che la storia sarà a lieto fine (ve l’ho davvero promesso?!), in fondo nel mio immaginario non può esserci un eternità senza la coppia B/E, solo che dovrete essere pazienti … Molto. :P

VampGirl: Ciao cara! Tu mi confondi…:)La tua prima recensione, che lusingheXDDD Grazie per i complimenti! Kiss
piemme: Ciao! Grazie , per i tuoi complimenti. Scrivere qualcosa di mio…non è improbabile. Per adesso mi diverto con i personaggi della Meyer, poi si vedrà! Baci XD
mikicullen: Ehmmm, la storia dovrebbe finire bene. Dovrebbe. Ripeto, non concepisco un mondo dove Ed e Bella non siano insieme, ma ti dirò che le storie più belle che ho letto sono quelle dove si è sofferto di più, e non necessariamente hanno avuto il lieto fine…:P
garakame: Grazie cara, per gli auguri, per i complimenti e per seguirmi … sarai accontentata presto XD
RenEsmee_Carlie_Cullen: Ed ecco la prima minaccia di morte…:) me l’aspettavo! Alice non poteva vedere … per due ragioni:1-Bella è incinta e lei ha dei buchi dovuti a ciò; 2-Edward ha deciso ciò che ha deciso solo all’ultimo momento, non l’ha premeditato, insomma. Ti ringraSio per gli auguri, tesora e a presto XD
cloe cullen: E tiè, la seconda minaccia di morte…XD Per Alice almeno! Come ho detto nella risposta sopra, Alice non poteva vedere. Perduno plisss … Mi piacerebbe scavare ancora un pochino…che dici è troppo?! Baci cara e grazie *.*
Aleu: Ahhh, la prima che mi venera! “Genialata coi fiocchi” me garba, molto :))) Ti ricordo solo che Ed non sa assolutamente che B è incinta … per ora! Baci XD
Checca Cullen: Tesora *.* Lo sapevo che quella foto l’avrei dovuta pagare a CARO prezzo, ma più di tutto la telecronaca dell’evento XD. Non uccidere Ed cara, nu … 4 libri e mezzo nun ce so riusciti, nun me fa portà questo scrupolo sul cuoricino con i pelucci sopra … Nun è colpa sua, povera stella! La laurea in medicina, certo … ma tu lo sai che se io vedo uno dei miei sgorbietti perdere una goccia di sangue, non so buona nemmeno a scartare un cerotto?! E la laurea l’ho presa all’uni, non con i punti del latte (carina la cosa dell’Agip, mi hai fatto scompisciare per mezz’ora!!!). Spero che il capitolo ti abbai angosciata a dovere, le musiche le ho scelte con mooooooolta cura. Per il prossimo commento mi preparo i corni. Rossi, dato che è arriveranno per Capodanno. Bacioni *___*
vitti: costruire un ascensore adesso? Con le feste in mezzo?! It’s impossible! Dovremo farci tutte le scale, cara e la salita sarà molto più dura della discesa…XD
keska: Altra minaccina di morte :si nasconde: Questo capitolo era necessario, anche se adesso il tuo cuoricino starà sanguinando…:( Riabiliterò il folletto, te lo prometto XD Per Eddino…non essere troppo dura, è meno st**** di quello che sembra, anche lui si riabiliterà. Non prestissimo, ma nemmeno troppo in là… Ti abbraccio forte mia cara e grazie sempre dei tuoi complimentoni…*______*
kikkikikki: Cara *.* La salute la sto perdendo anche io…se il tecnico non veniva sotto minaccia a ripristinare la connessione ti davo il suo numero, avresti fatto di sicuro un ottimo lavoro XD Se per Natale queste cose nun se fanno…non ti immagini  cosa ho preparato per l’anno nuovo :me malefica: Muhahahhaha. Ti abbraccio e ti AVVILUPPO… *___*
LOVA: E no, cara! Per raggiungere il fondo mi sono serviti 23 capitoli, la risoluzione verrà con mooolta calma :ghgghgh: Baci
Piccola Ketty: E tu sei un'altra minaccia di morte XDDD Conservati cara per i prossimi capitoli…e compra i clinex.!
rodney: Cara Simo XD Che bella recensione! Sono commossa nel sapere che ti sei emozionata così … *_* Grazie. Se con il capitolo scorso ti ho fatto quasi piangere, secondo le mie previsioni adesso dovresti essere in una pozzanghera di lacrime … Su, su :snifff insieme a te: ti abbraccio Kiss *____*
grepattz: Altra minaccia di morte -.- Povero Ed, me lo state massacrando! Fra poco chiederà di essere bannato dalla storia :))) Ancora un po’ di pazienza cara… XDDDD Grazie
Sissi_Cullen: Grazie tesoro! Sei una sadica come me, non possiamo che andare d’accordo! Auguri anche a te, baci XDD
astrea87: Cara Veronica, anche io mi ingozzo con la cioccolata calda, mentre scrivo!!!! Se me ne mandate una damigiana da 20 litri, rimetto tutto a posto sisi XDD
ginny89potter: Per la fustigazione mi impegno solennemente di mandarti Rob a casa, spero che il dolore lo sopporterai con il sorriso sulle labbra XD Spero anche che alla fine di questo cap tu sia ancora viva (ehehe non ho dimenticato che leggi prima le note a fondo capitolo), quindi con te non posso spoilerare. L’angoscia dovrebbe essere abbastanza, credo, sisi :ammicca compiaciuta: Non ti dico nient’altro, se non grazie XD le tue recensioni mi lasciano sempre un sorrisino ebete sul viso  *___*
00Stella00: Ehhhhh a tarallucci e vino?! E che sono una salumiera?!!!!! Nuuuu cara, qui siamo alla gogna, si soffre, si soffre!! Baci
francef80: Il lanciafiamme! Ihihihih!!! Puvritto!!! E’ saggio, ma è innamorato XD Baci
Lizzie95: giuro solennemente che nel prossimo capitolo avrete un Epov chiarificatore… questo qui doveva per forza andare così! Perduno plis!!!
sily85: Anche tu bisognosa del conforto della cioccolata… Alla fine della storia andremo tutte dal dietologo di Bella, in fondo lei riesce a perdere tre kili in una settimana, mentre io vi faccio prendere cinque kili in mezz’ora :P Mi sono concentrata per questo cappy, ti ci vorrà una vagonata di nutella XDDD
vanessa_91_: Grazie per la tua recensione, cara! E sì, in genere ci concertiamo per farvi soffrire a dovere XDDD Baci
arual93 Ehmmm già già, la donna di facili costumi! Sei davvero delicata a definirla così, davvero!!! Altre sono state leggermente più “incisive” grazie cara, a presto!!!
angteen: Grazie Grazie cara…dovrai pazientare ancora, temo. Coraggio, mancano solo altri trecento capitoli XDDD
tsukinoshippo: Tesorina, grazie *.* Che recensione meravigliosa XD E, sì. Edward è proprio un UOMO, hai detto proprio bene! Ma non penso che molti UOMINI UMANI si sarebbero preoccupati di liberare la propria compagna da un ipotetico senso di colpa, nono! Non avercela con lui, in fondo è adorabile. Te ne accorgerai… XD
SweetCherry : GraSie per i complimenti … sei molto carina a farmeli anche se ti faccio piangere !!! Baci
mine: La frase del prologo vi terrorizzava, lo so :ammicca: Questo perché ancora non sapete il resto. XD Muhahahahahhaha

Non voglio ripetermi troppo, quindi un unico GRAZIE generale *.*
Su Fb e twitter mi trovate ogni giorno, o quasi … XD
A presto
M.Luisa


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Capitolo 24
*** CAP.24 ***


CAP.24

BELLA

«Deve esserci un errore, non c’è altra spiegazione»
Helèna ripercorre l’intera lunghezza della nostra microscopica stanza al dormitorio del campus per l’ennesima volta, una cartellina rigida tra le mani.
Distesa sul letto, come ormai da una settimana a questa parte, la osservo.
E, come da una settimana a questa parte, non parlo. Sia perché in questo caso  lei non ha posto alcuna domanda, sia perché, se anche l’avesse fatto, non si sarebbe aspettata da me nessuna risposta.
E’ una settimana che non sento la mia voce.
E’ una settimana che non mi alzo dal letto.
Ed è da una settimana che ho smesso di vivere.
E’ anche una settimana che Helèna non ha smesso di dar fiato ai suoi polmoni, cercando di compensare la mancanza di un interlocutore soddisfacente. Parla, parla, parla senza fermarsi mai. Si pone le domande e si risponde da sola.
Chiusa nella mia bolla di apatia, sento il suo flusso incessante di parole come un elemento imprescindibile del quotidiano, un costante rumore di fondo.
La mancanza di interazione verbale da parte mia non la spaventa più di tanto. Forse perché, per tutto il resto, non oppongo resistenza.
Helèna lancia un’occhiata distratta all’orologio da polso, strabuzza gli occhi  ed esclama:«Caspita, sono già le undici!». Si affretta, quindi, verso la scrivania aprendone il cassetto inferiore e tira  fuori un confezione bianca con l’immagine di una donna che si accarezza il pancione enorme.
Si avvicina al mio letto con un bicchiere d’acqua in una mano e una pasticca nel palmo aperto dell’altra e li accosta al mio viso.
Meccanicamente mi raddrizzo giusto il necessario per afferrare prima la minuscola pillolina e poi l’acqua per mandarla giù e mi lascio sprofondare nuovamente sul cuscino.
La mia amica riafferra la cartellina e si siede al mio fianco sul letto.
Non ho idea di cosa stia facendo, di cosa confabula. Non le presto attenzione più di tanto. Osservo lo spiraglio di luce che entra dalla finestra e raggiunge il pavimento. Nel cono luminoso piccoli granelli dorati danzano con leggerezza.
«A detta di zio Jim, i tuoi esami sono nel complesso normali, eccetto due valori» comincia a spiegare, ma io continuo ad osservare la polvere illuminata dalla luce «i globuli bianchi che sono alle stelle» gira un foglio «e una marcata anemia causata dal ferro che praticamente rasenta il suolo».
Zio Jim mi pare sia un parente di Paul. L’ho visto solo una volta, una settimana fa. Non ho memoria del suo viso, ricordo solo le sue mani. E’ comparso davanti ai miei occhi dopo che, come in un sogno, mi sono ritrovata magicamente nel mio letto.
Mi ha sfiorato giusto il necessario, non ricordo se abbia detto qualcosa, se mi abbia parlato. Ricordo vagamente Helèna che si affaccendava al suo fianco, che spiegava e parlava.
Ricordo che volevano che alzassi la maglia per scoprire il ventre, ma ero così raggomitolata su me stessa che alla fine hanno rinunciato. Dopo che se ne fu andato, Helèna mi aveva guardato preoccupata e mi aveva detto solo che zio Jim riteneva opportuno un ricovero, o almeno che facessi un’ecografia e che avremmo dovuto avvertirlo immediatamente se accusassi fitte al ventre o avessi emorragie.
La mia amica non ha fatto domande, non ha cercato di tendermi tranelli per farsi raccontare qualcosa di quel giorno.
Da allora gravita attorno a me come un satellite. Si occupa di somministrarmi quotidianamente una serie di pasticche colorate a orari prestabiliti, cucina per me, legge per me quando sono sveglia e immobile nel letto. La lascio fare, vuole solo rendersi utile.
E, poi, non saprei dove altro andare.
«Dice che dovresti sottoporti ad una trasfusione, che non va affatto bene che tu sia così debole.» Chiudo gli occhi, ma non reagisco. Potrebbero fare di me ciò che vogliono, non mi interessa.
«Ma la cosa davvero strana è che questi valori di beta-HCG corrispondono ad una gravidanza avanzata, almeno di quattro mesi.» dice sorpresa e confusa.
Questa volta i miei occhi si posano sul suo viso.
«Di sicuro è un errore, dovremmo ripetere le analisi» afferma decisa, richiudendo la cartellina.
Deglutisco.
Cazzo. E’ ovvio che non sono incinta di quattro mesi. Ma è più che probabile che ad essere sbagliate non siano affatto le analisi. Nell’ultima settimana il mio ventre è diventato più pronunciato. E la crescita non è stata affatto “normale”come sarebbe dovuta essere in una gravidanza tradizionale.
E se dalle analisi fosse venuto fuori qualcosa di totalmente assurdo?  
Come lo avrei giustificato ad un medico, ad Helèna ?
Potevo forse dire loro che quel bimbo era mezzo vampiro?
Il panico comincia ad affiorare nella mia mente. Per quanto tempo ancora sarei potuta rimanere chiusa in questa stanza, per quanto avrei potuto nascondere quella che poteva essere una gravidanza assolutamente fuori dalla norma?
Ero dimagrita. Ancora. Eppure mi sforzavo di mangiare quello che la mia amica si ostinava a mettermi davanti alla bocca come un generale nazista.
E in tutta la settimana avevo vomitato solo due volte.
Pensavo di stare migliorando. Più o meno.
Non mi concedevo il lusso di rimuginare. Vegetavo e basta. E i ricordi non bussavano alla mia mente, mi lasciavano tranquilla.
Ero come sospesa in un limbo.
E la mia pancia aumentava.
Ciò significava che il mio bimbo cresceva, e per adesso questo mi bastava.
Avrei anche potuto alzarmi, se l’avessi voluto.
Per andare al bagno lo facevo, e, tranne qualche capogiro dovuto alla prolungata posizione supina, non ne risentivo. Almeno non in termini di stanchezza fisica.
Per la stanchezza emotiva … beh, per quello non trovavo un rimedio. Pensare mi richiedeva uno sforzo enorme, parlare lo stesso. E allora, semplicemente  non lo facevo mai.
Punto.
Incapace di trovare una soluzione, ma cosciente che il problema si sarebbe presto ripresentato quando zio Jim avesse avvicinato un ago al mio braccio o una penna ecografica al mio addome, chiudo gli occhi cercando di allontanare questi fastidiosi pensieri.
Sento il letto cigolare nel momento in cui Helèna si alza per, poi, rimboccarmi  le coperte.
Nella stanza scende il silenzio. Di norma non mi turba, ma in questo momento sì. Forse, perché ho indugiato troppo in pensieri spinosi.
Sento i passi della mia amica percorrere la stanza e fermarsi ad una certa  distanza. Venire messa a conoscenza delle sue supposizioni mi angoscia di più dei miei stessi pensieri, quindi decido di restare ad occhi chiusi e fingere di essermi appisolata.
Mi accorgo che sta alla finestra dal rumore che fa nel tentativo di chiuderla ermeticamente. Ci prova con insistenza.
Più di una volta.
«Devo decidermi ad inoltrare una protesta formale alla direttrice. Mi pare che da alcuni giorni questa imposta sia ancora più dura del solito, non riesco a chiuderla bene» dice stizzita.
Ben presto lo sferragliare dei due battenti comincia a cullarmi. Mi ricorda lo stridio del metallo, quando la meccanica di famiglia trascorreva le sue giornate in garage immersa in un motore ed io, in casa mi sentivo al sicuro dai suoi sguardi o commenti acidi.
E, poi, i rumori esterni sono molto meglio di quelli prodotti dai miei pensieri ansiosi.
Mi sono quasi davvero appisolata, quando una risata sommessa di Helèna raggiunge una minuscola parte di me ancora vigile.
«Chissà di chi è l’auto che si è fermata proprio quaggiù … Dio mio, che coraggio!» Non parla a nessuno, ma è tipico di Helèna pensare ad alta voce, poco importa se qualcuno la sta ascoltando. «Bisogna essere davvero dei tipi fuori dal comune per possedere una Porsche … e gialla, per giunta!»
Ci metto cinque lunghi secondi per rielaborare la frase.
E allora, i miei occhi si sbarrano.


EDWARD

Litigare con Alice, non mi è mai piaciuto.
Intendo litigare sul serio.
La prima cosa che ha fatto quando è arrivata a passo di marcia alla Rauner è stata afferrarmi per la camicia, alzarsi sulle punte dei piedi e mollarmi uno schiaffo in pieno viso con tutta la forza di cui era capace, uno sguardo feroce negli occhi.
Quello che, se non le avesse probabilmente procurato almeno una frattura multipla, mi sarei aspettato da Bella.
Ma che non è successo.
Ho rivissuto nella mente, per ogni istante passato lontano da lei, tutta la scena della Rauner. Ogni singolo momento è scolpito nei miei ricordi, nel mio animo.
Ogni sguardo.
Ogni parola che ha pronunciato.
Ma, soprattutto, quelle che non hanno avuto voce.
Mi sono illuso? Ho frainteso? Ho letto sulle sue labbra quello che avrei voluto mi dicesse?
Ovviamente avrei dovuto aspettarmi una reazione insolita, tipica di lei, eppure … Dopo il dolore, dopo la sofferenza attendevo con impazienza di scorgere nei suoi occhi la rabbia, l’ira per il tradimento subito, ed il sollievo per il senso di colpa sfumato.
Dovevamo incontrarci affinché mi riferisse qualcosa di importante, di grave. Aveva scelto un luogo pubblico, forse temendo la mia reazione.
E qualche giorno prima aveva baciato un altro uomo.
Non ci voleva un mago per capire cosa avesse di così urgente da dirmi.
Perché mortificarla, umiliarla costringendola a confessare la sua debolezza, lo spostamento più che lecito del suo interesse verso un’altra persona? In fondo, con il mio comportamento indecente rompevo la promessa di rispettarla per l’eternità. E sarebbe stata più che in diritto di poter vivere la vita che meritava al fianco di quell’uomo. L’uomo che desiderava, che aveva baciato, cui era aggrappata come a un’ancora di salvezza.
Paradossalmente questo pensiero non mi era così insopportabile come avevo sempre temuto.
Perché avrei dovuto essere triste se Bella stava bene? Era lei la mia sola ragione di sopravvivenza. Ogni mio gesto, ogni mio pensiero era sempre stato rivolto al suo benessere … se io non ero stato capace di renderla felice, perché avrei dovuto dispiacermi se qualcun altro ci riusciva al posto mio?
L’ira di mia sorella non si era placata dopo quello schiaffo che sentivo di meritare in pieno. Mi aveva ricoperto di insulti mentali di ogni genere, in ogni lingua. In fine mi aveva chiesto Perché.
Risponderle con la verità sarebbe stato come screditare Bella.
Semplicemente avevo detto che Andrea mi attraeva, e che non avevo resistito ora che sapevo come controllarmi in quel senso nell’entrare in contatto con un’umana.
Alice mi aveva guardato fisso.
Poi mi aveva risposto sarcastica, a voce:«Oh, ma davvero! E come mai se ti attrae tanto, ti vedo partire per l’Alaska stanotte? Solo?»
Ero rimasto in silenzio. Continuare a mentire con Alice sarebbe stato inutile, rischiavo di tradirmi.
Imperterrita, aveva continuato ad osservarmi. In fine mi aveva inchiodato con uno sguardo infuocato e con determinazione aveva aggiunto mentalmente: Fai come vuoi Edward, ma non chiedermi di appoggiarti, non chiedermi nulla. Questa volta non ti ascolterò.
Senza replicare ero uscito dalla libreria. Alice e la sua studentessa non erano più un mio problema.

Non ero più tornato a casa.
Ma non ero nemmeno andato in Alaska come nei miei progetti originari.
Avevo preso una camera in un motel. Sapevo che Alice era al corrente di ogni mio spostamento, reale o presunto, ma non mi interessava.
Avevo deciso di non potermene andare se prima non mi fossi accertato della ripresa di Bella. Ora che non ero più un ostacolo alla sua vita, alla realizzazione dei suoi desideri, dovevo assicurarmi che in un frangente così delicato, l’uomo che le sarebbe stato a fianco avesse intenzioni onorevoli, che si sarebbe preso cura di lei, che non l’avrebbe lasciata sola. E, poi, sarebbe stato necessario scioglierla anche formalmente dal nostro vincolo.
Bella era ancora una donna sposata, e non mi andava che potesse essere additata come una poco di buono.
E poi … quelle parole che – ormai non riuscivo più a capire se l’avessi o no immaginato – avevo letto sulle sue labbra.
“Ti amo. Addio.”
Le aveva pronunciate davvero? Non potevo esserne sicuro. Ma non ero nemmeno certo che non l’avesse fatto.
Continuavano a frullarmi per la testa, e mi zavorravano piacevolmente ad Hanover. A Dartmouth.
La notte, incurante dei rischi cui mi esponevo, mi arrampicavo sulla parete esterna del dormitorio fino alla finestra della sua camera e sgattaiolavo dentro. Avevo forzato la maniglia dell’imposta e , quando ero certo che le ragazze fossero entrambe addormentate, mi avvicinavo al letto di Bella.
Mi ripetevo che era per assicurarmi che stesse bene.
Forse, non ero ancora pronto a dirle addio definitivamente. Prima dovevo vederla felice.
Era sempre raggomitolata sotto le lenzuola, ma non aveva mai parlato nel sonno. Strano. Di solito era persino più loquace di notte che di giorno. La fissavo immobile, lei immobile nel suo letto. Se non avessi ascoltato il battito del suo cuore e il suo respiro profondo, avrei pensato che era morta.
Restavo ad osservarla per poco. Se Bella era silenziosa nei suoi sogni, non lo era anche Helèna. Lei sì che era loquace, ma per lo più russava come un trattore. E lo faceva così intensamente che spesso lo stesso rumore da lei prodotto la svegliava.
Due volte avevo rischiato di essere scoperto.
Mi aggrappavo tenacemente a quei minuti che riuscivo a rubare, lasciando che l’odore di Bella mi arrostisse la gola, fissando nella mente ogni sfumatura di colore che vedevo comparire sul suo volto pallido, sforzandomi di riconoscere una ripresa di vita in un lieve rossore, in realtà per lo più dovuto al calore delle coperte.
Ormai andava avanti così da una settimana.

Guardo il cellulare abbandonato sul tavolino accanto alla finestra di questo squallido motel di terz’ordine.
Mi manca il suono della sua voce.
Lo ricordo alla perfezione, ma nessuna memoria, neppure la mia, perfetta per ogni minimo dettaglio, riesce a rendergli giustizia.
Riesco a rievocarne il timbro, le variazioni di tono all’alternarsi delle sue emozioni, ma non riesco a sentirne il calore. Che è nella voce, ma anche negli occhi, nei gesti.
Sposto lo sguardo sulla finestra.
Mi manca lei.
Dio, se mi manca!
Dovrei andarmene, questa è la verità. Mi ostino a volerle restare silenziosamente accanto, ma so che è un errore.
Quanto ci vorrà prima di vederli insieme? Quanto prima di vederli passeggiare mano nella mano per il college?
Riuscirei a sopportarlo? E se non dovessi controllarmi?
Ormai, Bella appartiene ad un altro uomo. Ad un umano. E nel loro mondo non c’è spazio per uno come me.
Riporto lo sguardo sul cellulare. Forse potrei chiamare Alice. L’orgoglio non serve a nulla, in questo caso. Lei sa perfettamente che sono ancora qui ad Hanover. Non le servono i suoi poteri da veggente per capire anche quale è la ragione. Ha detto che non mi avrebbe appoggiato, e non posso che esserne contento. E’ Bella che ci sta lasciando, questa volta. Restarle accanto ancora un po’ potrebbe rivelarsi utile per renderle il distacco meno traumatico.
Mi avvicino per prendere il telefono, quando mi accorgo di pensieri familiari aleggiarmi intorno. In effetti, non mi serve nemmeno concentrarmi. Mi aspettavo da un momento all’altro una sua visita.
Senza indugiare ulteriormente, lascio stare il cellulare, mi accosto alla porta e la spalanco.


BELLA

Comincio a boccheggiare molto prima di sentire bussare alla porta. Non appena Helèna se ne rende conto, si affretta al mio letto e cerca di mettermi seduta.
«Bella, cos’hai? Stai male? Che succede??!» la sua voce è preoccupata, gli occhi sono spaventati. Mi passa le mani sulle guance, sulla fronte, febbrilmente.
Deglutisco e cerco di incamerare un po’ d’aria. Con uno sforzo immane riesco a sussurrare: «A … Ali … Alice» la voce strozzata, tremante.
«Alice?» nei suoi occhi lo stupore misto a sollievo, forse per essere riuscita a sentire nuovamente la mia voce «La sorella di Edw … ehm … tua sorella?»
Annuisco brevemente.
«Devo chiamare tua sorella al telefono? Vuoi parlarle?»
Scuoto la testa e chiudo gli occhi:«E’ … è Alice»
Nello stesso istante sento bussare alla porta e sono già in iperventilazione.
E’ venuta per dirmi che vanno via.
Che lasciano Hanover.
Per sempre.
Riapro gli occhi terrorizzata e guardo Helèna. In silenzio scuoto la testa.
Mi lancia una lunga occhiata, emette un sospiro. Poi, stringe le labbra e si alza per andare alla porta.
Quando la apre giusto un po’, trattengo il respiro in attesa di sentire la dolce voce di Alice.
«Posso … aiutarla?» Helèna è esitante, nervosa.
«Sono Alice Cullen.»una pausa « cerco Bella».
E non è una voce, ma una melodia delicata, un coro di risate di angeli.
Una pugnalata in pieno petto.
E, tuttavia, anelo a risentirla, a coglierne ancora lo scampanellio, ignorando il tamburo che ha preso il posto del mio cuore e che risuona impazzito.
Helèna resta imbambolata alla porta, la stringe forte, ma non parla.
«E’ mia sorella. So che è qui» una spiegazione secca, un tono impaziente.
«Ehm … sì. Sì è qui. Ma … sta riposando» si riprende la mia amica e risponde a voce traballante.
«Capisco» un attimo ancora di pausa, poi «Helèna, giusto?»
Vedo le sue spalle sobbalzare lievemente. Annuisce con il capo.
«Possiamo darci del tu, vero Helèna?» il tono di Alice diventa una carezza lieve come una piuma. Helèna annuisce di nuovo, sempre in silenzio «Vedi, Helèna, noi siamo molto in pensiero per Bella. Avrei davvero bisogno di parlare con lei. Ti spiace se aspetto che si svegli?» mi pare quasi di vedere quella luce diabolica negli occhi di Alice, la stessa di quando è decisa ad ottenere qualcosa.
«Beh … potrebbe volerci molto tempo. Ha appena preso sonno e stanotte non ha riposato bene.» L’insicurezza di Helèna lascia via via spazio ad una maggiore determinazione sulle ultime parole.
«Oh, ma non importa! Ho un’eternità di tempo a disposizione!» e le dita bianche, piccole e affusolate che ben conosco, spuntano d’un tratto di lato alla porta, come a volerla spingere verso l’interno.
Helèna barcolla leggermente all’indietro, ma riacquista subito l’equilibrio e stringe meglio la presa sullo stipite.
«Tu avrai anche tempo» dice seccata «ma io ho molto da fare»
«Appena si sveglia le riferirò che sei passata di qui. Se lo riterrà opportuno, sarà lei a chiamarti.» La voce è un po’ tremante, ma il tono è deciso.
Segue un silenzio terrificante.
Strabuzzo gli occhi immaginando l’espressione furiosa che deve essersi impressa sul viso dolce di Alice e un fremito mi invade pensando alla temerarietà della mia amica.
Le lacrime cominciano a fare capolino tra le mie palpebre.
Helèna sta facendo tutto questo per me, per difendermi. E so che non è di natura particolarmente coraggiosa.
Ma so anche, perfettamente, cosa significa mettersi contro Alice.
Un sospiro.
«Come preferisci» la voce di Alice è diventata dura. Non oso pensare ai lampi che in questo momento minacciano di uscirle dagli occhi.
Mentre la mia amica cerca di chiudere la porta, vedo una ballerina di vernice dorata spuntare nella parte inferiore.
«Non così in fretta … un’ultima cosa. Appena si sveglia, riferiscile, per favore,  che io non ho dimenticato la promessa che le ho fatto. Nemmeno per un istante.»
So che è a me che si sta rivolgendo, adesso.
Le lacrime si accumulano tutte insieme, traboccanti sull’orlo delle palpebre.
«Io non la lascio sola. Lei è mia sorella.»
Con un pugno chiuso sulla bocca per impedirmi di singhiozzare, lascio che le palpebre si chiudano, e liberino finalmente le mie lacrime.
Scendono giù bagnandomi le dita, le labbra e cadono sul lenzuolo.
Oh Alice!
Mi sembra quasi che Helèna stia trattenendo il respiro.
«Diglielo.»
Alice pronuncia l’ultima parola con durezza, un tono minaccioso, sferzante come un colpo di frusta.
Ritrae il piede e dopo un attimo la porta si chiude.


EDWARD

Lascio la porta spalancata e, senza degnarlo nemmeno di un’occhiata, mi sposto verso la finestra.
«Ti ha mandato Alice?» gli chiedo con voce seccata.
«Buongiorno anche a te» dice Jasper con tono affabile. La sua calma mi  stizzisce all’istante.
Sento che entra pur senza che faccia il minimo rumore. Solo la porta che si chiude spezza l’innaturale silenzio intorno a noi.
Fa qualche passo, poi si ferma al centro della stanza.
«Carino qui» dice «Il “Bates Motel” … suggestivo, non c’è che dire … hai intenzione di trattenerti molto?»
«Perché vuoi prenderla tu questa stanza?!» il mio tono è sarcastico. Lo sento sogghignare.
Sempre dandogli le spalle, stringo le labbra e serro la mascella.
Tranquillo, Edward … non serve agitarsi. Pensa sempre serafico da farmi saltare i nervi.
«Se avessi voluto compagnia, sarei rimasto a casa» sibilo fra le labbra.
«Ah, sì … non ho dubbi» Sento che si sposta con fare felino, indolente e silenzioso e si accomoda sul bordo del letto.
Quando vuole, Jasper sa essere davvero irritante. Almeno quanto Alice. Non mi stupisce affatto che siano anime gemelle.
«Ebbene?» Incrocio le braccia al petto e mi volto verso di lui. E’ concentrato su di me, un sorrisino sulle labbra. Sta sondando le mie emozioni che rimbalzano dalla sua mente alla mia in una sorta di rimpiattino.
Rabbia, frustrazione, gelosia, dolore, nostalgia, preoccupazione e … amore.
Sono le mie emozioni che leggo nella sua mente.
Il sorriso sul suo volto si accentua proporzionalmente al senso di fastidio che provo.
«Se hai finito, gradirei essere lasciato solo» gli dico sbrigativo.
«In effetti avevo finito già prima di entrare» spiega sottolineando come i miei sentimenti gli siano stati chiari molto prima di mettere piede in stanza «anzi, ancora prima di uscire di casa» e sorride beato.
Inarco un sopracciglio seccato «Sono contento che la cosa ti soddisfi. Salutami tutti» e faccio per avvicinarmi alla porta.
«Ah no! Lo sai che Alice preparerebbe immediatamente un bel falò» dice alzando un palmo verso di me.
Lascio andare un sospiro. Liberarmi di lui non sarà così indolore :«Jasper. Non sono dell’umore giusto per fare salotto, penso che tu lo sappia»
Annuisce placidamente.
«Se vuoi chiedermi di tornare a casa, la risposta è “no”. Se vuoi chiedermi perché, la risposta è “non sono affari tuoi”» lo osservo e cerco di carpirne i pensieri.
Ancora non ci sono riuscito da quando è entrato.
«Ah Edward! Tu la conosci Alice. Lo sai che impazzisce quando vede delle cose … strane … e non le motivazioni che ci sono dietro.»
Piego un angolo delle labbra in un sorriso amaro. Alice lo starà tormentando.
Compassione. Ancora le mie emozioni che leggo nella sua mente.
«Appunto. E grazie.» dice lui, annuendo con ovvietà, cosciente che ho appena letto il mio moto di solidarietà nei suoi confronti, nella sua testa.
«Jazz, ascolta.» Lo fisso negli occhi per un attimo e , poi, abbasso lo sguardo ai piedi del letto. «Anche se so che Alice sta male per quello che ha visto, non posso spiegarne il motivo … non sono cose che riguardano me, ma …» e mi interrompo, incapace di pronunciare quel nome.
Prendo un respiro, spingendo giù il nome della mia amata che si è bloccato in gola «Non sono disposto a rivelarvi nulla che abbia a che fare con la sua intimità, che non sia lei stessa a volerlo fare.»
«Il fatto che tu abbia la certezza che i miei sentimenti nei suoi confronti non siano mutati affatto, non cambia niente» scuoto la testa una volta soltanto «non è questo il punto.»
Mi fermo. Jasper è molto sensibile e sa leggere meglio di me nell’animo altrui.
Andare avanti a spiegare con mezze frasi equivale ad una confessione di proprio pugno, controfirmata.
Alzo lo sguardo e i suoi occhi sono rivolti alla finestra.
Sta pensando. Ad Alice. Ma non ha quello che lei gli dirà se non gli porta una spiegazione esauriente, ma ai sentimenti che prova per lei e al loro … passato.
Stringo gli occhi. Jazz sta ricordando una sensazione di fastidio, lontana nel tempo, ma molto intensa.
Brandelli di conversazioni, forse liti con sua moglie …
Si riscuote con una scrollata di spalle e dalla lucidità dei suoi occhi capisco che è ritornato al presente.
«Edward. Io ho qualche anno più di te, e ho avuto la fortuna di trovare una compagna da più tempo. I comportamenti delle donne a volte sembrano  inspiegabili.» Il tono della sua voce è serio, ma sereno.
«A volte, per noi che siamo loro accanto, è difficile capire.» Si volta a guardarmi «E, chissà per quale strana ragione siamo più inclini a cercare il male che a lasciarci andare al bene.»
Lo fisso in silenzio.
«Bella è tua moglie, Edward.»
E per la prima volta, in questa conversazione, il suo nome esce fuori. Raddrizzo il capo come se mi avesse schiaffeggiato. Deglutisco.
«Se tra voi ci sono delle incomprensioni, è tuo dovere cercare di risolverle.» Si alza dal letto e sento che il suo non è solo un consiglio, ma, involontariamente, mi sta raccontando qualcosa di molto privato tra lui ed Alice.
«Hai fatto in modo che ti vedesse baciare un’altra donna, che ti lasciasse.» mi inchioda con i suoi occhi chiari e dorati come i miei. Sostengo il suo sguardo senza muovere un muscolo. «Ovviamente stai aspettando l’evolversi di una situazione.»
Ovviamente.
«Ormai è passata una settimana. Non pensi che, se qualcosa doveva succedere, sarebbe già successo?»
Vedo che i suoi occhi colgono il guizzo nei miei.
Comincio a scuotere la testa, ma in fondo vorrei credere anche io alle sue parole.
«Non voglio sapere cosa ti aspettassi dalla tua performance. Quello che so, è che sei riuscito ad allontanarla dall’unica famiglia che abbia qui, dal suo unico sostegno, che sei tu, e che probabilmente in questo momento sarà sull’orlo della pazzia.»
La sua voce si è fatta dura, i suoi occhi sono freddi.
«Esme e Carlisle sono molto turbati. Non te lo farebbero mai notare, lo sai. Ma Bella è anche figlia loro, ormai. Non puoi costringerli a scegliere. Non un’altra volta.»
La rabbia prende il posto del dolore. Ovviamente hanno frainteso. Pensano che stia replicando la situazione dello scorso anno, quando avevo costretto tutta la famiglia a lasciare Forks per dare a Bella l’opportunità di vivere una vita da umana, malgrado i suoi desideri.
Pensano che sia io a volerla lasciare ancora, anche se per il suo bene.
«Non ho intenzione di farlo, Jasper. Questa volta non sono io a decidere. Sto solo cercando di rendere tutto più semplice» sibilo fra i denti, un labbro scoperto e digrignato. Ed è vero. Non voglio che scelgano tra me e Bella. E, sarebbe anche inutile.
Perché sarà lei, ben presto, a scegliere.
E non sceglierà noi.
Sceglierà una vita, con un umano. E non un’eternità, con dei vampiri.
I suoi occhi si stringono.
«Edward, abbiamo lasciato che passasse una settimana. Poteva essere una semplice lite fra moglie e marito e nessuno voleva intromettersi fra voi due.» fa una piccola pausa, poi continua «a questo punto è giusto che la situazione venga definita. Lo devi alla tua famiglia, ma soprattutto a tua moglie. E, poi, solo così le lascerai, davvero, tutta la possibilità di scegliere cosa vuole veramente.»
Essere dipinto come il mostro che non esita a farla soffrire, e con lei a far soffrire i miei familiari, mi fa male. Ma so che è vero.
Ognuno di loro vuol bene a Bella. Sapere che deliberatamente ho cercato di farmi lasciare esponendola ad un chiaro dolore non poteva che porli sul piede di guerra. Anche se non ne conoscono le motivazioni con esattezza, non ci sarebbe voluto molto per capire che i miei sentimenti non erano cambiati e che avevo delle ragioni diverse per fare ciò che avevo fatto.
Forse è anche giusto così.
Lascio che passi qualche secondo di silenzio, poi emetto un sospiro e dico «E sia.»
«Ma dipenderà da lei. Io non la forzerò in nessun modo. Sarà lei, se vorrà, a spiegarvi la situazione. E se non dovesse farlo, voi lo dovrete accettare senza metterla in imbarazzo» il mio tono è minacciosamente determinato «E senza farle domande » aggiungo.
«Perfetto» dice e il suo volto si schiarisce.
Dopo meno di un centesimo di secondo compare davanti ai miei occhi con il mio cellulare e un sorriso sulle labbra:«Chiamala»
Faccio un passo indietro e mi irrigidisco.
Potrei risentire la sua voce. Mi si spaccherebbe il cuore, ma ascolterei ancora il suo tono un po’ esitante, quel modo di pronunciare il mio nome come se lo stesse strappando dal cielo, quelle parole che prima di giungere a me sfiorerebbero la dolcezza delle sue labbra.
Potrei.
E la tentazione è forte, fortissima.
Ma ad un tratto il telefono mi pare un mezzo inadeguato, un’invasione inopportuna della sua intimità. E se stesse con lui, adesso? Dopo il modo in cui mi sono comportato, parlarle al telefono mi sembra una pessima idea.
No, per quanto la tentazione di farlo sia irresistibile, non sarebbe la scelta più oculata.
Afferro il cellulare dalle mani di Jasper e lo ripongo nella tasca dei jeans. Mi avvicino alla sedia su cui è appoggiato il cappotto e lo prendo, mentre comincio a dirigermi verso la porta.
«Andiamoci con calma …» sussurro, forse di più a me stesso «per adesso torniamo a casa. La incontrerò al college e le chiederò se ha voglia di parlare … con voi» e senza tradire in apparenza alcuna incertezza lascio il motel   insieme a lui.



NOTA DELL’AUTRICE: Calme, calme … per ricomporre i cocci ci vuole molta attenzione. E’ necessario raccogliere i frammenti, tutti, sistemarli con cura, e procedere con l’assemblaggio. Se fossi frettolosa, mi direste “brava, brava” , ma in cuor vostro sareste delusi. Ed io penso solo al vostro bene :incrocia le dita dietro alla schiena: mhuhauhauahuaa !

yle94: Ciao! Grazie per la tua solerzia nel leggere tutto in così breve tempo e per i complimenti. Come hai potuto vedere il cappy, almeno per te, è arrivato presto. Baci
tsukinoshippo: Tesoro non scusarti con me per questa che forse è la recensione più toccante che mi hai lasciato. Lo so che questo è un periodaccio per te, la storia sta sempre qui, quando e come vuoi. Lo sai che sapere che ti commuovi così per me è fondamentale? Non che abbia piacere che tu stia male, ovviamente, ma sapere che riesco a sfiorare così la tua sensibilità mi inorgoglisce come autrice e come amica. :) Bacioni cara e a presto *.*
Aleu: Ancora un po’ di pazienza cara… e buon anno anche a te :D
arual93: Tesoro, tu vuoi lusingarmi! Sono contenta che il cappy ti sia piaciuto, non è stato semplice da scrivere, ma spero che il seguito ti piaccia allo stesso modo. Grazie cara :D
Giorgina_Cullen: No Giorgina, non deve deluderti, perché a ben vedere il suo è un gesto d’amore, non di rabbia. Non lascia Bella per ripicca, ma per renderla felice, credendo che un altro lo possa fare meglio di quanto abbia fatto lui finora XD Spero di averlo chiarito meglio in questo capitolo. Grazie per la tua recensione :) Baci
SweetCherry: Jessy, ti prego non farmi avere lo scrupolo che non dormi la notte a causa mia :P Già non dormo io, voi almeno fate sogni d’oro! Ti saluto con affetto :D
ginny89potter: Mia cara *__________* Direi che avevi pienamente ragione: gongolo è proprio il termine più appropriato da dire! Sono certa che a breve riceverò la parcella del tuo psicologo, sperando che tu sopravviva fino alla prossima luna piena (giusto per mantenere qualche riferimento lupesco) Grazie lo devo io a te: sapere che scacci il chiodo della depressione che ti creo con altre ff mi inorgoglisce, significa che sono tra le tue autrici più angoscianti e lo prendo come un enorme complimento. Niente spoiler per te, solo “Buona Lettura” *.*
kikkikikki: Cherì *.* L’Amarone continua a fare danni e sapessi quanti! Grazie, mi sommergi sempre di complimenti, ma ti prego di non odiare Ed…quanti uomini pensi esistano che lascerebbero la propria amata sperando che sia più felice con un altro, pur amandola alla follia? :spulcia la rubrica: fammi sapere, se ne trovi uno come lui!
harley1958: No no, Alice non c’entra nulla e non avrebbe potuto vedere nulla … qui si dovrebbe capire meglio. Grazie spero che la mail ti sia arrivata :D
piccolinainnamora: Grazie, grazie , grazie …ma quanti complimenti mi hai fatto?! Spero di aver risposto a qualcuna delle tue domande in questo cappy, per le altre pazienza pliiiiis. Baci
sily85: Gioia *.* Ma forse dovrei chiamarti “viandante” giusto per mantenermi in linea con zia Stephie (l’hai letto  L’Ospite?) mi spiace che ti sequestrino il pc, cattivacci!! Ma tu glielo hai spiegato che ce basta poco a noi per andare in crisi di astinenza?!! Non ti preoccupare se non recensisci i teaser, mi basta sapere che ti tiri i miei capitoli con soddisfazione… Baci stellina *.*
VampGirl: Nuuuu niente lacrimucce! E allora, nu, Ed non ha sentito, Bella non le ha pronunciate, ma ha solo mosso le labbra. Ma lui è bravo … e le ha lette lo stesso. Si, ma adesso? In questo cappy c’è qualche rispostina… Grazie :si commuove: Bacioni
RenEsmee_Carlie_Cullen: mi sto impegnando, lo giuro sul mio onore…cerca di resistere XDDD
mony cullen GraSSie cara! Bacioni XD
Sissi_Cullen: Maduuu, grazie dei complimenti! Bacioni
garakame: Ho promesso?! Nun mi ricordo bene… cmq spero che anche Alice si sia comportata bene, nonostante non gli abbia dato un calcio…XD Baci
00Stella00: Grazie, speriamo che Bella si vada prima a fare un giro per altre autrici…io c’avrei famiglia a cui badare XD !!
Michelegiolo: Allora ti presento Jasper…è un tipo simpatico, vedrai che andrete una favola assieme!!!! Baci
grepattz: lo so, lo so … non resistete alla tentazione di passare le vostre ditine tra i capelli di Eddino … Alice che dici, l’abbiamo rivalutata un po’? Baci XD
LOVA: Grazie mia cara, sei un tesoro… Ti bacio forte XD
superlettrice: Allegro? :scuote la testa vigorosamente: le mie dita si muovono da sole…spesso non le comando nemmeno, come in questi giorni …a breve il frutto della mia pazzia XDDD. Grazie per il tuo commento :P
angteen: La tua domanda ha avuto risposta qui. Grazie, sono contenta che le musiche che scelgo ti piacciano. In genere sono loro ad ispirare gran parte del capitolo. Regalatemi qualche cd più allegro e provvedo subito XDDD Baci
mikicullen: Prego ^^ Ma in realtà sono io a dover dire GRAZIE a voi … Baci
astrea87: BHUAUAUAUAUAUAUUAUA Il tergicristallo negli occhi ti giuro che non l’avevo mai, mai sentita!!! Grazie Veronica, sei gentilissima e simpaticissima … ti accontenterò, ti assicuro. Solo devi avere un po’ di paSienSa … Baci *.*
cloe cullen Cara…c’hai uno sgorbio pure tu?! Che cosa meravigliosa!! Allora c’è un padre/nonna/fratellino/cuginetto che mi bestemmia dalla mattina alla sera perché a) te faccio piangere; b) faccio piangere il pargolo; c) te tengo incollata al pc. Mo davvero m’arrivano le minacce de morte -.- Grazie grazie grazie … so cosa significa cercare di mantenere l’equilibrio …ti prometto che presto ci saranno delle sorprese …su vari fronti *.*
keska: BRAVA!!!! E con te CAMI! Siete MITICHE!!!! Vi ho fatto industriare…sapevo che avreste accolto la provocazione ihihihi. Nu non era Carllisle, ma sempre di medici si tratta ù.ù Spero che il cappy ti sia piaciuto,  ho abbandonato per un po’ i toni angoscianti … (spero) La risposta alla tua recensione avviene in questo istante alle 0.59 di notte. Davvero vorrei postare adesso, ma se non ce la faccio domattina presto. Lo giuro !!!! Bacioni *.*
rodney: Carissima *.* L’Amarone è un vino buonissimo, che ho la fortuna di assaggiare quando vengono queste feste perché lo regalano in famiglia come dono natalizio … a me ispira molto bene ( o molto male, dipende dai punti di vista!). Quest’anno credo di essermene tracannata una bottiglia da sola (adesso penserete che sia un’ubriacona e vi spiegherete tante cose ù.ù), ma normalmente io non bevo mai. A voi le conclusioni *.* Grazie per gli auguri, te li rinnovo con calore e affetto. Baci
Piccola Ketty: Tesoro, grazie infinite!!! Per tutto, per i commenti su fb, alle foto, ai miei annunci mortuari …GraSie *.*


Ringrazio le tante persone che ancora hanno il coraggio di inserirmi tra preferiti e seguiti … una buona azione verrà sempre ripagata in paradiso :)

Ringrazio i miei funghetti, i miei followers sanno a cosa mi riferisco.
Ringrazio chi ha voluto commentare il teaser su fb . Si trattava proprio del famoso Bates Motel del film Psycho. A keska e a tsuki la cipolla d’oro :D
E ringrazio chi mi tiene compagnia e si sorbisce le mia caHate su twitter.
Un bacio a @vampadagosto lei sa perché.
Senza tediarvi ancora vi chiedo di pazientare un po’ perché in questo particolare momento storico nel mio cervellino ballano parecchie idee delle quali -spero presto- vi metterò al corrente.
Baci a tutti voi e buon inizio d’anno *.*
M.Luisa

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Capitolo 25
*** CAP.25 ***


CAP.25

BELLA
«Tieni» Helèna mi porge il cappotto e la borsa.
Li afferro di malavoglia, ma senza protestare.
Sarà una cosa breve, mi ripeto.
Non più di mezz’ora, al massimo.
Cerco di infilare il braccio nella manica dell’indumento, ma la borsa mi rende il movimento difficoltoso. Troppo rallentata nella mente e nei gesti, o forse semplicemente troppo svogliata per compiere anche un solo movimento in più, ci riprovo sempre con l’oggetto in mano ottenendo solo di far cadere il copri abito a terra.
Sento il sospiro della mia amica.
Si chiana a raccogliere il cappotto al mio posto, mi sfila dolcemente la borsa dalle mani e mi aiuta ad indossarlo: «Ecco. Mi raccomando cheta il tuo entusiasmo, però !» aggiunge sarcastica.
Le lancio un’occhiata di scuse. Mi dispiace non riuscire a dimostrarle come vorrei la gratitudine che provo per lei, per quello che sta facendo per me.
Continuo a non parlare.
Il nome di Alice è stata l’unica parola che sono riuscita a pronunciare cinque  giorni addietro.
Poi, sono ritornata nel silenzio.
Farlo non è un capriccio, né un modo per isolarmi. Credo sia una difesa inconscia del mio corpo –psicologia da strapazzo, penso - come zio Jim ha suggerito ad Helèna in una delle telefonate di routine che lei si ostina a fare per sentirsi più tranquilla.
Credo anche che, sempre zio Jim, abbia dato alla mia amica l’idea che adesso sta traducendo in realtà.
Uscire.
Ha cominciato a macchinare il giorno dopo che è venuta Alice al dormitorio.

Il mattino, con la scusa di dover far prendere aria alle lenzuola, di dover rifare il letto e di dover sistemare la mia “postazione”, mi ha piazzata su una poltroncina accanto alla finestra. Ostinatamente ho tenuto gli occhi incollati al pavimento per tutto il tempo.
Il giorno dopo, ha adottato la stessa tattica. E c’ha messo il doppio del tempo, cambiando di nuovo le lenzuola perfettamente pulite, e lisciando e tirando ogni angolo del copriletto in tutte le posizioni possibili. In quell’occasione mi sono concessa il lusso di lanciare uno sguardo ai viali del college, per poi, riportarlo caparbiamente in terra, dopo aver scorto una ragazza con una zazzera scura e scomposta di capelli, simile – ma forse più chiara-  a quelli di Alice.
Il terzo giorno, Helèna ha alzato il materasso pulendo con cura certosina ogni gancio della rete di metallo. Sono stata sulla poltrona per un’ora e mezza. Per sessanta minuti ho guardato il pavimento, negli altri venticinque ho contemplato un passerotto che tentava di sistemare il suo nido su un ramo di pino completamente innevato giusto di fronte alla finestra, nei restanti cinque ho lanciato qualche occhiata sfuggente al via vai di studenti imbacuccati fino alla punta di capelli nel viale sottostante.
Ho riconosciuto Joshua che entrava nell’edificio principale.
L’ho capito dal modo in cui si sistemava gli occhiali in un gesto nervoso, e ripetitivo. Lo faceva spesso anche quando studiavamo insieme.
Il quarto giorno, cioè ieri, da quando è filtrata un po’ di luce dalla finestra Helèna si è messa all’opera.
Non ho nemmeno aspettato che mi aiutasse, come suo solito, a sistemarmi sulla poltrona. Mi sono alzata da sola e sono andata in bagno. Mi sono lavata e ho tolto il pigiama a beneficio di un paio di pantaloni grigi da camera e una felpa larga di Helèna, indumento, quest’ultimo, rigorosamente off-limits nel mio armadio grazie alla personal shopper della mia vita passata.
Considerare quella di prima come la “mia vita passata” mi è di lievissimo conforto. So che c’è stata, so che non l’ho immaginata. E questo mi impedisce di impazzire dal dolore. E, poi, so che Alice non mi vuole lasciare, che mi considera ancora sua sorella.
Anche se … No.
Pensare è vietato e non me lo posso concedere. Sono già un peso morto per la mia amica … sentirmi male, avere una crisi di panico … non posso davvero permettermelo.
Quindi, niente pensieri.
E niente parole.
Non sono ancora pronta a riascoltare il suono della mia voce, cammino su un filo troppo sottile per poter rischiare di smuoverlo anche con un lievissimo spostamento d’aria. Fosse anche solo quella che esce dal mio corpo per emettere un suono, oltre a dover inevitabilmente respirare.
Perché io devo respirare per forza … giusto?
Quando sono uscita dal bagno, Helèna era immersa con la testa nel nostro armadio. Aveva già messo fuori tutta le mie cose, radunandole sul mio letto –intuii per paura che mi ci fiondassi dentro – e stava tirando fuori le sue.
Quando aveva lanciato uno sguardo al mio abbigliamento per poco gli occhi non le uscivano dalle orbite e aveva mormorato, quasi a se stessa: «Se ti vedesse ridotta in questo stato mi ucciderebbe davvero. E forse, farebbe anche bene.»
L’avevo guardata leggermente accigliata e lei aveva chiarito meglio il concetto:«Tua sorella» scandì piano, poi con un gesto aveva indicato i miei abiti «se ti vedesse conciata in questo modo, mi ucciderebbe. Non che abbia bisogno di qualche altro motivo per farlo. E, in effetti, credo che ci sia andata davvero vicina la scorsa volta …» rabbrividì al ricordo.
Aveva continuato a fissarmi sovrappensiero.
Avrei voluto chiederle scusa. Avrei voluto dirle che avevo davvero apprezzato il coraggio con cui aveva affrontato Alice. Ma preferii il silenzio.
D’un tratto s’era girata e aveva afferrato una maglietta dal mio letto. L’aveva distesa davanti a sé – davanti a me – e osservata con sguardo critico.
Aveva fatto la stessa cosa con quasi tutte le altre. Ne aveva messa una sulla sedia della scrivania insieme ad una gonna ampia, lunga poco sotto il ginocchio.
Stranamente non aveva detto più nulla.
Aveva scartato gli abiti più aderenti, lasciando fuori qualcosa di più comodo. Doveva anche essersi accorta che la mia pancia non era propriamente ciò che ci si aspetterebbe da una donna incinta di non più di un paio di mesi, ma non aveva mai fatto alcun accenno a questa cosa. Mai. E, ammettendo pure che non c’avesse fatto particolarmente attenzione grazie alla mia abilità di mimetizzarla in ogni modo, non mi illudevo sul fatto che presto non ci sarebbero state scappatoie.
Prima o poi sarei dovuta andar via dal dormitorio, dal college, e, forse, anche da Hanover.
Stamattina, prima che riuscissi a mettermi seduta in poltrona, Helèna mi ha  raggiunta alla porta del bagno con gli indumenti che aveva poggiato ieri sulla sedia.
Me li ha allungati con uno sguardo supplichevole: «Indossali, ti prego» ha  detto.
L’ho guardata. E ho capito.
Voleva che uscissimo da questa stanza e, sebbene la ritenessi una pessima idea, non ho avuto il coraggio di rifiutare.
Non mi ha mai chiesto nulla. Ha sopportato i miei silenzi, mi ha fatto da infermiera, ha affrontato Alice. E non mi ha mai chiesto nemmeno una piccola spiegazione.
Quando mi sono rifugiata in bagno con gli abiti appallottolati nelle mani, non ha esultato.
L’ho sentita solo sciogliersi e cominciare a tessere le lodi del negozio di articoli per neonati e premaman poco distante da Dartmouth. Le sue chiacchiere hanno accompagnato la mia vestizione.
«Il negozio è qui vicino, non ci impiegheremo più di mezz’ora … Ti farà bene prendere un po’ d’aria … hai bisogno di qualche cosa di più adeguato da indossare … e, comunque, non ci vorrà più di mezz’ora … lo so che porta male fare acquisti precoci per il nascituro, ma io sono sempre un po’ sua zia, giusto? … Vedrai, ti divertirai … E, poi, fra mezz’ora al massimo saremo di ritorno …» Queste alcune delle frasi che giungevano alle mie orecchie attraverso la porta del bagno.
La sua eccessiva loquacità e il fatto che ci infilasse spesso le parole “mezz’ora al massimo” erano decisamente molto indicativi. Non solo era entusiasta, ma anche molto nervosa. Forse si aspettava un secco rifiuto senza alcuna possibilità di replica.
Oppormi avrebbe richiesto un tale sforzo da parte mia che la consideravo una cosa improponibile. In fondo cosa mi costava mettere una gamba avanti l’altra? Non mi era richiesta alcuna altra interazione, non dovevo colloquiare, fingere di essere contenta di fare shopping, dovevo solo trascinarmi in un negozio, afferrare i primi due stracci che mi capitavano davanti e tornare in camera.
Facile. Avrei accontentato Helèna, acquietato il mio senso di colpa. E poi, come Helèna aveva ripetutamente sottolineato, non c’avremmo impiegato più di mezz’ora.

Entriamo da Dolly’s e immediatamente sento una vertigine schiaffeggiarmi in pieno il viso. Sarà per la vastità del locale, l’altezza del soffitto, le luci troppo luminose. Sarà che sono quasi due settimane che non faccio che stare a letto in una piccola stanza. Fatto sta che una sola occhiata agli stand con sopra i minuscoli abitini, in tutte le gradazioni dei colori pastello, è sufficiente a procurarmi un subitaneo senso di nausea.
Che ci faccio io in un posto come questo?
Dal soffitto pendono aeroplanini e piccole mongolfiere. In ogni angolo ci sono cartonati di personaggi delle fiabe. Donne che sfoggiano con orgoglio pancioni di tutte le dimensioni seguite a vista dallo sguardo compiacente dei propri compagni si affaccendano tra espositori di microscopici calzini e file di ripiani contenenti l’impossibile per il proprio bebè.
Da ogni parte dolcezza, gioia e allegria.
Che ci faccio io in un posto come questo? Mi domando ancora, sentendomi a disagio e puntando gli occhi a terra. Anche la moquette è allegra. Verde chiaro, pulitissima. Sembra di camminare su un prato a primavera.
Helèna si lascia andare a gridolini di gioia afferrando tra le mani un cappellino rosa più piccolo del mio palmo e mostrandomelo estasiata.
Me lo allunga e io lo afferro automaticamente.
La osservo mentre lei si allontana tra due scaffali poco distanti contenenti dei completini rosa, evidentemente per femminucce.
Guardo il cappellino nelle mie mani e cerco di convincermi che dentro di me porto un esserino su cui quel cappellino potrebbe stare bene. Osservo le altre donne. I loro abiti, i loro gesti, il modo in cui hanno il capo alzato e sfidano il mondo … Si sentono padrone di quel mondo in cui nascerà il loro bambino, si sentono agguerrite, sanno che lo plasmeranno affinchè diventi il posto giusto per accogliere il loro tesoro più prezioso.
Saranno madri. E si sentono madri.
Io non mi sento così. Il miei occhi guardano sempre in basso, dalla mia bocca non escono i commenti estasiati alla vista di questa o quella cosa deliziosa. I miei abiti poggiano su un corpo smagrito in cui la pancia è la sola cosa bella che vedo, ma che nascondo agli occhi di tutti.
L’ho nascosta anche ai miei?
Mi sforzo di ricordare quando è stata l’ultima volta che ho toccato il mio ventre. Stamattina. L’ho lavato, l’ho asciugato, l’ho coperto con i vestiti che mi ha dato Helèna. Ma l’ho anche accarezzato? La nebbia che mi avvolge non mi permette di rammentarlo, ma giurerei di non averlo fatto.
Mi sento afferrare delicatamente per un braccio e la mia amica mi spinge verso un bancone dietro cui c’è una commessa dall’aria affabile e gentile che mi sorride.
La fisso di rimando con la mia espressione vuota.
Senza mostrarsi curiosa o invadente, la signorina mi squadra velocemente e comincia a disporre uno sull’altro degli abiti che trovo vagamente osceni. Sembrano tutti sformati.
Mi ritrovo in un camerino con tre di questi completi scelti da Helèna e dalla commessa. Meccanicamente mi spoglio e indosso il primo.
E’ di un lilla chiarissimo, la stoffa è leggera e morbida. Mi volto automaticamente verso lo specchio a parete del camerino e, per la prima volta davvero, mi guardo da capo a piedi. L’abito mi scivola addosso con delicatezza, si adatta perfettamente alle forme del mio corpo. A tutte le forme.
E la mia pancia si vede. Anzi, l’abito la mette sfacciatamente in risalto. Resto incantata, gli occhi catalizzati sul ventre.
Sono incinta.
Aspetto un bambino.
Da Lui.
Chiudo gli occhi e, forse per la prima volta, consapevolmente mi accarezzo la pancia. Le dita della mia mano sono fredde, ma attraverso la stoffa non sento differenza di temperatura. Forse … forse non c’è. Forse anche l’esserino che sta crescendo dentro il mio corpo è freddo … freddo come Lui.
«Bella?» la voce di Helèna da dietro la porta mi fa sussultare. Sfilo velocemente l’abito e rimetto i miei vestiti, senza misurare gli altri due. Esco e il lampo di preoccupazione nello sguardo di Helèna va via immediatamente, per far spazio al sollievo. Scuoto leggermente il capo porgendole gli abiti che non ho provato e trattengo tra le mani quello lilla. Lei capisce e poggia gli indumenti che le ho passato sul bancone.
«Non vuoi provare qualcos’altro? Ci sono delle camicette davvero deliziose lì dietro» dice accompagnando le parole con un gesto della mano, ma io abbasso gli occhi.
Mi poggia, quindi, una mano sul braccio all’altezza dell’omero e mi accarezza con dolcezza: «Sei stanca?» mi chiede e sento nel suo tono un vago senso di colpa.
Annuisco lievemente e so di non dire una bugia. Credo di averne abbastanza per oggi. Ho voglia di rimettermi a letto.
C’abbiamo impiegato un po’ più di mezz’ora - l’orologio sulla cassa indica che sono le dieci e trenta - ma non importa.
Usciamo con due pacchetti che Helèna si è ostinatamente impuntata a pagare e a portare. In uno c’è l’unico abito che ho provato. In un altro una tutina. Giallo polvere. L’ha scelta lei mentre io la guardavo, assente.
E’ come se la consapevolezza della presenza di questo bambino mi colpisca ad ondate. Non riesco ad immaginarlo, forse non voglio.
Forse ho soltanto paura di farlo.
Perché fantasticare su di lui comporterebbe includere anche colui che so di non poter più includere nella mia vita. E adesso non posso proprio permettermelo. Non sono ancora pronta ad affrontare questo tipo di pensieri.
La giornata è fredda. Mi stringo nel cappotto. Helèna affretta il passo, mi lancia un’occhiata e chiama un taxi. Mi siedo dietro, mentre lei prende posto davanti, di fianco al tassista. Il tragitto è breve, non siamo molto distanti dal campus, ma credo che non voglia che mi stanchi troppo.
Arriviamo quasi sotto il portone del dormitorio.  
Apro la portiera appena sento che l’auto si ferma, mentre Helèna si attarda a pagare la corsa.
Ho messo giusto il naso fuori dall’abitacolo che mi blocco all’istante.  
Proprio davanti l’edificio principale – circa a trenta metri di distanza dall’auto - ondeggiano con grazia ed eleganza una zazzera scura e una massa inconfondibile di capelli rossicci tutti in disordine.
E in mezzo a loro … una folta chioma bionda.


EDWARD
Ritornare a casa non mi è mai costato tanto quanto in questo momento. Nemmeno quando, in preda alla mia “ribellione giovanile”, ho girovagato per un paio d’anni alla ricerca di uno scopo per la mia esistenza dannata,  per poi ritornare da Carlisle ed ammettere di aver sbagliato. Nemmeno in quell’occasione ebbi mai timore di incontrare lo sguardo di disapprovazione di mio padre. Sapevo che mi avrebbero accolto, di nuovo.
Adesso … invece. Adesso non sono in cerca di perdono, e non avrei mai potuto essere sincero. So che la mia presenza sarà fonte di sofferenza e non posso far nulla per evitarla.
Per la mia famiglia, per Bella.
La situazione in cui io e lei ci troviamo è spinosa. Pensare che tutto si sarebbe potuto risolvere senza danni era solo pura illusione e non l’ho mai creduto possibile. Ma avevo supposto … sperato, che l’unico a risentirne sarei stato solo io.
Ora, mi rendo conto, soffriranno tutti. Carlisle ed Esme perderanno una figlia, Alice, Emmett e Jasper una sorella, Rose … perfino Rose, sarei pronto a scommettere, resterà male in cuor suo, lei che tanto si era opposta a Bella, ma che aveva nel tempo imparato ad apprezzarne silenziosamente l’onestà e la bontà d’animo. Ma più di tutti, soffrirà la stessa Bella nel dover comunicare, sempre che decida di farlo e non preferisca il silenzio, la fine della nostra unione.
Conoscere la verità, forse è l’unico modo onesto per lasciare che tutti se ne facciano una ragione. E che, finalmente, Bella venga lasciata in pace a vivere la propria vita.
Ma il pensiero dell’imbarazzo che tutto ciò provocherà in lei mi turba. Io non voglio che si senta in colpa per volermi lasciare o per il fatto che lascerà la sua recente famiglia. Non voglio che senta di dovere delle scuse a qualcuno, non c’è nulla di cui rammaricarsi, e lei non ha nulla da farsi perdonare.
A conti fatti, sono io il cattivo. E’ così che deve essere. E’ così che deve continuare ad essere.
Non mi illudo sul fatto che il nostro non sarà un incontro piacevole: è  più che probabile che lei non mi faccia nemmeno aprir bocca.
In tal caso … in tal caso l’accetterò. E’ il minimo, dopo il modo spaventoso in cui l’ho trattata e le risparmierebbe tutto il calvario di una spiegazione. Forse, in cuor mio, spero davvero che lo faccia.

Esco dalla Volvo e già trovo Alice ad aspettarmi appena fuori il parcheggio del college. E’ ancora furiosa con me. In primis per il mio comportamento con Bella, ma anche per averla messa in imbarazzo con Andrea. Per la felicità di Rose, la studentessa italiana ha preferito cercare una sistemazione al college. Nessuno ha avuto nulla da ridire, nemmeno la stessa Alice che si è profusa in infinite scuse con la ragazza per il comportamento più che discutibile del suo fratello più affascinante, che da quel momento in poi, è diventato il più menefreghista, vanitoso, pieno di sé, irrispettoso, incivile latin lover dell’intero complesso universitario.
Andrea, con più perplessità che fastidio si è facilmente adattata al cambio di sistemazione. Come era intuibile, non ricorda bene l’accaduto tra noi. Sa solo che c’è stato un certo tipo di approccio da parte mia, ma non ne riesce a definire completamente i dettagli. Non ricorda quasi nulla di ciò che è successo alla Rauner. Da quando mi sono avvicinato a lei a quando è arrivata Alice conserva una memoria confusa, fatta di frammenti di immagini e sussurri. Mi sono soffermato poco sui suoi pensieri, limitatamente alle ore che trascorriamo in aula.
I contatti tra lei e mia sorella, infatti, restano inalterati per ciò che riguarda il corso universitario che seguiamo e al progetto di scambio culturale cui entrambe partecipano. Il mio ritorno al college comporta anche il fatto che devo restare a contatto con loro due per qualche ora al giorno.
Ma mi dico che è solo un accenno del castigo che merito e che è davvero un piccolo prezzo da pagare se la ricompensa è poter parlare con Bella.
Anche solo per un’ultima volta.
Ormai sono trascorsi cinque giorni da quando sono ritornato al college. Bella non l’ho ancora incontrata.  So che è qui, ma non sono più entrato nella sua stanza da quando Jasper è venuto a parlare con me al motel.
Si è deciso che l’avvicini. Se Dio vorrà, le potrò anche parlare. Ascolterò dalla sua stessa voce la verità, se vorrà rivelarla. Scrutarla di notte, ormai non ha più giustificazioni apparenti. Io non sono più nessuno nella sua vita per poter rubare per me il tempo che Bella dedica al sonno.
Quel tempo, ormai, non mi appartiene più. Forse non mi è mai appartenuto e non l’ho mai capito, se non adesso.
E poi, non sono ritornato per riconquistarla. Io devo lasciarla andare, non tormentarla anche nel sonno.
Cinque giorni. Cinque giorni … e ancora non sono riuscito a trovare le parole più adatte per parlarle.
Bella, la mia famiglia vorrebbe delle spiegazioni da noi ... Stringo le labbra all’assurdità dei miei pensieri, mentre altri, ben più fastidiosi bussano alla mia mente.
Ho provato a chiamarla ancora, ma non mi risponde. Pensa Alice dispiaciuta, ma con un filo di irritazione. Il suo dispiacere va oltre la situazione in sé. Bella non le ha voluto parlare quando è andata al dormitorio lo stesso giorno in cui Jasper è venuto da me. Si è accorta che era sveglia e ne è rimasta profondamente turbata.  
Sente che in parte la colpa dell’accaduto è anche un po’ la sua, del fatto che non riesce più a vedere con chiarezza gli eventi che accadranno nella vita di Bella. Ha cercato nella maniera più petulante che conosce di strapparmi qualsiasi informazione utile, una confessione, un accenno di spiegazione. Al mio atteggiamento sfuggente ha opposto una determinazione implacabile. Ma i buchi nelle sue visioni restano, forse anche più di prima. E la sua frustrazione aumenta. Sarà la più ostinata da convincere, una volta che Bella dirà di volere andarsene via.

Alice mi affianca mentre incedo con passo sicuro per il vialetto di ghiaia ai cui lati si accumula la neve.
Edward, così non va. Dobbiamo andare al dormitorio. Sento che qualcosa ci sfugge. Noi dobbiamo obbligarla a tornare!
Mi blocco e lei mi imita dopo un secondo.
«Non se ne parla, Alice. Noi non la costringeremo a fare qualcosa che non vuole» osservo con freddezza.
Stringe le labbra stizzita. Sì, ma se tu non avessi fatto quel teatrino, adesso non si rifiuterebbe di parlarmi! Almeno chiamala! Magari se lo fai tu, risponde. Pensa lei esasperata.
Magari no. Penso io di rimando. E un’intensa sensazione di delusione mi colpisce all’idea di provocare disgusto nella mia amata con una mia telefonata inopportuna. Farlo sarebbe come imporle la mia presenza con la forza, obbligarla a rivolgermi la parola.
Ma cosa pretendi, Edward? Che vedendoti passeggiare per il campus, si fiondi tra le tue braccia e ti implori di tenerla con te?! Continua Alice come una mosca fastidiosa che ti ronza nell’orecchio insistentemente.
Riprendo a camminare, senza degnarla di una risposta.
No, che non pretendo che mi si avvicini. E’ proprio questo il punto. Voglio che si senta libera di ignorarmi, se lo desidera.
A metà tragitto per l’edificio principale incontriamo Andrea. Ci osserva attentamente e, ignorando lo sguardo che mi rivolge, cerco di tenerla fuori dalla mia testa. Se è vero che non ricorda molto di ciò che è successo, è anche vero che la situazione ha suscitato la sua curiosità.
Cosa spinge un uomo sposato a cercare la compagnia di una ragazza che non è sua moglie? Cosa è successo tra loro?
Queste, solo alcune delle domande che affiorano nella sua testa quando mi guarda. Quando le siamo abbastanza vicini, Alice le sorride e lei la ricambia con una mezza smorfia. Anche di questo mia sorella si sente in colpa: se non si fosse fatta coinvolgere nel progetto dalla Watsford, Alice pensa che non sarebbe accaduto nulla.
Io so, invece, che si sarebbe solo prolungata l’agonia di Bella. Chissà quanto tempo le ci sarebbe voluto per capire che nella sua vita merita di meglio che avere uno come me al suo fianco!
Sorrido amaramente, mentre ci avviciniamo all’edificio principale, diretti alla nostra aula. Alice conversa distrattamente con Andrea, io ne approfitto per scostarmi a lato di quest’ultima e mettere un po’ di distanza tra me e mia sorella che, si ostina a bombardarmi con i suoi pensieri molesti. E’ già mattino inoltrato, gli studenti camminano frettolosamente alla volta delle rispettive destinazioni. I loro pensieri uniti a quelli di Alice mi infastidiscono e mi concentro per tenerli fuori dalla mia mente. Di recente, specie a casa, mi capita sempre più spesso di doverlo fare e ormai mi viene quasi spontaneo creare il vuoto nella mia testa. Sono qui con il corpo, al loro fianco, mentre i miei pensieri sono occupati da ben altre immagini, a profondità ben diverse.
Svoltiamo nel vialetto che porta all’ingresso principale proprio nel momento in cui un taxi sfila dolcemente nel viale a fianco al nostro, prendendo la diramazione opposta. Saliamo le scale, ma d’un tratto mi blocco come colpito da una sensazione che non riesco a definire completamente.
E’ una senso di disagio, uno strano presentimento …
Mi volto un attimo e faccio spaziare lo sguardo velocemente nel mio raggio visivo registrando milioni di particolari in pochi istanti: studenti, volti che non conosco, operai su una scala che sistemano un lampione al fianco di un‘aiuola, un inserviente spinge cumuli di neve ai lati dei vialetti, un taxi che rallenta nei pressi del dormitorio a trentacinque metri di distanza da qui, forme e colori di ogni oggetto che il mio sguardo riesce a sfiorare più o meno consciamente.
Apparentemente, nulla di strano.
Edward, che c’è? Pensa Alice allarmata. Scuoto la testa, ma ancora non riesco a staccare lo sguardo, come se una forza sconosciuta mi attirasse prepotentemente.
Poi, il viso di Andrea mi si para davanti: «Ehi bell’addormentato! Non ho intenzione di far tardi. Sono quasi le undici.»
La osservo come se fosse un’aliena e devo avere davvero un’espressione terrificante, perché indietreggia di un passo sbilanciandosi sul gradino dietro di lei. Le afferro un braccio automaticamente un attimo prima che rotoli indietro e lei si aggrappa alla mia spalla con un movimento istintivo.
«Umh … grazie» dice un po’ confusa, trattenendo un secondo la presa su di me per riprendere stabilità.
Le lascio il braccio praticamente subito e non le rispondo nemmeno.
Mi volto e varco l’ingresso principale.



NOTA DELL’AUTRICE: Innanzitutto CALME! Il cappy non si conclude così, prevede un altro BPov, ?Pov e un EPov. Potevo mai postarveli tutti insieme? Nu, vi rispondo io. Comunque il 26 vedrà la luce a breve, promesso.
Riponete le accette e sedate i bollenti spiriti … mani mozze e arti sanguinolenti non sono previsti in questa storia XD
Alcune delle risposte ai vostri commenti sono piuttosto lunghette, anche per questo ho tagliato il cappy a metà. Inoltre è necessaria una spiegazione tecnica (servirà per il prox cap) che, me tapina, ho omesso di darvi, ma che avrei dovuto specificare. Comincio proprio da questa.

----------inizio spiegazione tecnica----------
Molti di voi si sono posti una domanda più che lecita: Ma Alice non avrebbe dovuto vedere qualcosa, sentire il battito del bambino di Bella? A maggior ragione, non avrebbe dovuto sentirlo Edward che si avvicina al letto di Bella da una settimana?
Cercherò di rispondervi in maniera chiara, però seguitemi. -.-‘
Allora normalmente il battito fetale si avverte intorno alla quarta settimana di gestazione. Le immagini del bambino e il suono del suo cuore vengono rilevati tramite un apparecchio che si chiama ecografo il cui funzionamento si basa sugli ultrasuoni.
Gli ultrasuoni sono delle onde longitudinali di piccola lunghezza d’onda e frequenza elevata, non udibili dall’orecchio umano. Diciamo udibili da un orecchio vampiro. Vengono emessi e registrati dall’ecografo. Diciamo che un vampiro è come un ecografo (ù.ù)
Mi perdoneranno gli esperti in fisica per la mia spiegazione banale, ma penso che essere più particolareggiata in questa sede non sia utile.
Gli ultrasuoni si propagano con una certa velocità, ma per farlo hanno bisogno di un mezzo (ad esempio il corpo umano). A seconda del substrato, a seconda della sua densità e delle forze di coesione delle sue molecole, ci sarà una diversa velocità di propagazione dell’onda al suo interno. C’è un parametro che si chiama Impedenza Acustica che rappresenta la resistenza intrinseca della materia ad essere attraversata dagli ultrasuoni. Essa condiziona la loro velocità di propagazione nella materia ed è direttamente proporzionale alla densità del mezzo. Diciamo che la pelle dei vampiri ha la massima impedenza acustica.
Ogni volta che gli ultrasuoni incontrano un substrato, a seconda della sua Impedenza acustica, il fascio viene in parte riflesso (torna indietro) ed in parte rifratto (cioè assorbito dai tessuti sottostanti). Il fascio riflesso viene chiamato anche eco e da origine alle immagini.
Entrando nello specifico il battito fetale viene rilevato per un effetto chiamato Doppler, per il quale servono delle frequenze moooolto minori rispetto a quelle che servono per rilevare le immagini. Per intenderci è più facile sentire il battito del bambino che vedere il pupo nel monitor.
Ora, se Edward avesse un cuore che batte e io (!!!!) mettessi una penna ecografica sul suo torace (Gesùùùùùù!!!!!!) non riuscirei a vedere o sentire nulla, perché gli ultrasuoni non passerebbero attraverso la sua pelle che ha la massima impedenza acustica. Verrebbero, cioè totalmente riflessi senza poter assolutamente penetrare. Se gli ultrasuoni non passano, non vedo perché il semplice rumore del battito prodotto dal suo cuore dovrebbe passare dall’interno del suo corpo all’esterno. Anche se avessi un superudito, non lo potrei percepire. Ma il bimbo è (teoricamente) solo mezzo vampiro, la sua pelle potrebbe avere un minore valore di impedenza acustica. Il suo cuore potrebbe sentirsi. Si, ma la placenta che accoglie il bimbo di Bella è tutta pelle di vampiro 100% original (:D). Quindi niente entra (ecografo completamente cieco) e niente esce (il battito non supera la placenta).
Dunque, se nemmeno un ecografo (per il quale si dispone di potenze molto alte) può registrare immagini o suoni provenienti dal feto (almeno ciò è quello che ricordo da BD o che io ho recepito così), nemmeno Alice e Edward sentono il terzo battito.
Questa è la mia versione e la versione ufficiale per “In the arms of the angel”.
Per i meno esigenti posso addurre una spiegazione più banale, ma forse meno soddisfacente, almeno per ciò che riguarda Alice.
Alice va al dormitorio per incontrare Bella. Non dovrebbe sentire solo un terzo battito, ma ne sente moooolti di più: quelli di tutti gli altri studenti che vivono lì. Potrebbe realizzare che un altro battito viene dall’interno della stanza. Ma perché, c’è qualche regola che impedisce ad Helèna di avere ospiti nella sua stanza? D’accordo, direte voi. Ma non vede? No, vi rispondo. Alice non vede Bella, né quello che la coinvolge. E il bimbo potrebbe anche distorcere la sua sensibilità percettiva (come veggente ad Alice vengono le emicranie) e uditiva.
Ma Edward? Non nota che ha il pancione? No, Bella ha una pancia di “quattro mesi” non una di nove e sta sotto le lenzuola raggomitolata. Avrà anche la supervista, ma non ha ancora la vista a raggi X. Ma non sente il battito? No, la versione ufficiale è quella che ho dato prima.
Spero di essere stata esauriente/convincente/verosimile.
Ovviamente mi riferisco alla mia storia e rispetto i diversi punti di vista che ho avuto modo di  apprezzare in altre ff che toccano lo stesso argomento. So che fra voi lettori ci sono persone che frequentano medicina, fatemi notare se ho scritto caSSate, plis. Io non sono un tecnico per la diagnostica delle immagini, ma sono del campo sanitario, potete anche essere più specifiche, so che ci capiremo XD

--------fine spiegazione tecnica--------


:si asciuga il sudore: Passo alle risposte ad personam, scusate per la secchezza di alcune e per i papielli di altre. Non sono indice di minore o maggiore gradevolezza da parte mia, vi assicuro.

Checca Cullen: Si prostra davanti al Rosso Montepulciano…mia cara :*** ma quale commento al vetriolo! :adora il vetriolo: GraSie cara, gentile come sempre…ma non essere blasfema…nulla è come i Cullen *.*
cloe cullen: Ciao cara! Sicchè sei una zietta a tempo pieno!!!! Bello  e lodevole da parte tua dare una mano a tua sorella :) So cosa significa accudire un bimbo piccolo (anche più di uno, in realtà :P), quindi hai tutta la mia comprensione :) Baci e grazie per la tua recensione XD
piccolinainnamora: Grazie! Sei davvero gentile a leggerti e a commentare così tanti capitoli in poco tempo. Mi spiace, ma prima di così non riesco a postare…purtroppo ho una giornata abbastanza piena e non sono ancora riuscita ad allungarla almeno a 36 ore :P Baci
garakame: Ciao, spero che “spiazzata” sia positivo :P Spero anche di riuscire a riabilitare Ed ai tuoi occhi nei prossimi capitoli. Baci :)
Confusina_94: Bacioni anche a te! Spero che la mail ti sia arrivata :)
Mirya: Ciao Mirya! Innanzitutto grazie. Per aver letto finora (spero anche poi), per aver scelto di commentare e per averlo fatto senza la dote (?, dipende dai punti di vista) della sintesi. Devo ammettere di aver dovuto leggere la tua recensione due volte. E non perché fosse poco chiara, ma perché lo è stata fin troppo. Come molte, la folgorazione da libri della Meyer mi ha scavato una voragine dentro che necessita di essere riempita di tanto in tanto e, da qui , nasce il mio modo di giocare con i suoi personaggi. Ho scelto di inserirli in questa realtà perché ho sempre pensato che fosse davvero un peccato che Bella perdesse l’esperienza del college, una di quelle che io ricordo con più piacere (leggici pure “vecchia”, se vuoi, io preferisco “vissuta”). Il carattere di questi due testoni non poteva discostarsi dai personaggi di zia Stephe. Sono suoi, in tutto. Lo prendo come un complimento il fatto che nella mia storia rimangano infantili e insicuri così come zia Stephe l’ha dipinti. Entrambi. Sono due adolescenti (Edward forse più di Bella, perché era un adolescente della prima metà del 1900 e si ritrova a fare i conti con l’amore per la prima volta dopo 100 anni in una realtà totalmente diversa. Nel suo tempo sarebbe già stato uomo, ma in quello di Bella, dove tutto è accelerato, lo potremo definire inesperto) che dell’amore non sanno nulla, che commettono cose meravigliose come gli errori e i gesti istintivi, un po’ plateali se vogliamo, ma totalmente esenti dal vizio della maturità. Certo che non sono maturi. Se lo fossero stati non sarebbe in questa sezione che avrei postato questa fic. Probabilmente non sarebbe stata nemmeno questa la storia. Ma, ti dirò, non ci trovo nulla di male. Al contrario. La dolce impulsività dei personaggi, le loro debolezze, i loro difetti, parlano di un’innocenza che appartiene a loro e (ahimè) non a NOI. L’analisi che hai fatto è sicuramente accurata ed esatta. Loro non sanno amare. Almeno non ancora. Io ho cominciato a farlo solo da poco (non siamo vecchie cara, anche io ho passato la trentina, diciamo che siamo un po’ più …”vissute”?! Ecco ;) ). E non me ne faccio una colpa se tante (ma davvero TANTE) volte ho amato egoisticamente, ho fatto delle caHate che a ripensarci me faccio più rossa di un gambero, ho elemosinato un gesto d’amore o una carezza. Per cominciare ad imparare ad amare io sono passata attraverso un lavoro davvero duro di consapevolezza di me stessa. Come Bella, io sono stata insicura, debole, succube. E ho amato anche chi non l’avrebbe in realtà meritato. Ma uno non può amare solo i meritevoli, gli altruisti e i buoni. Quella sì che è fortuna sfacciata. Anche se Edward non è il paladino, non credo che Bella lo ami solo perché è figo. Ma credo che sì, lo ami. E  che il suo amore sia distorto dall’insicurezza per se stessa. E’ probabile che Edward, anziché aiutarla nell’accettazione di sé, agisca in senso contrario, ma chi non l’ha mai fatto? Io almeno un centinaio di volte. Ho pensato di far bene, secondo il mio metro di giudizio, peccando di arroganza (spero di non andare all’inferno!), ma spesso ho cercato di far valere il mio pensiero su quello altrui. Che abbia sbagliato, è stato anche vero, ma non sempre. Ma io ho più di trent’anni. Non meno di 20. Alla loro età, mi era concesso di poter “sbagliare” in quel modo, non vedo perché dovrei affermare che il loro è un errore. Per come la vedo io è un’esperienza.
E’ attraverso esperienze come queste che oggi io la penso come te.
Edward che ritiene che l’umanità di Bella sia uno svantaggio, scusami, ma non lo condivido. Non mi pare di aver mai scritto nemmeno un rigo in tal senso. Se ho lasciato intendere una cosa del genere mi scuso formalmente, perché non era intenzionale. Io penso che sia stupendo il modo in cui in ogni istante lui lotti con se stesso proprio nella speranza di preservare l’umanità di Bella. Sarà insicuro, sarà un cretino egoista, un ignorante del comportamento umano (e di sua moglie in particolare), ma lasciare il campo a chi potrebbe conservare quella stessa umanità di cui sopra, farsi da parte, pur desiderando ancora EGOISTICAMENTE la sua donna, cercare di liberarla da quello che –lui crede – sia il senso di colpa per dovergli rivelare di volere un altro … scusami di nuovo, ma io qui ci vedo dell’altruismo. E ci vedo amore.
Edward è “magnificamente imperfetto”. Ed è un personaggio carismatico, affascinante e coinvolgente proprio perché nonostante i suoi 100 anni, nonostante la sua bellezza, nonostante tutta la sua “fighezza” (concedimi l’espressione orrenda) è proprio pieno di tutti i difetti di ogni uomo, se non qualcuno in più anche. E non credo affatto che l’avrei adorato se, invece di dire a Bella:«Odiami. E sii felice», avesse detto:«Tesoro, potresti, per favore, spiegarmi il motivo per cui le tue labbra erano vicine a quelle del tuo professore?»
Se agiscono d’impulso, sbagliano, si feriscono, si tendono fin quasi a spezzarsi e tuttavia stanno ancora insieme, si cercano, si pensano … qui, di nuovo, io ci vedo amore.
Cito: “... reale capacità di comprendersi, accettarsi nei difetti, ascoltarsi nei momenti bui, starsi accanto in modo complementare. Niente di perfetto, ma qualcosa di meravigliosamente imperfetto.”
Cara, carissima Mirya … non mi sembra che si possa aspirare a qualcosa del genere senza dire di tendere alla perfezione. Non è assolutamente “meravigliosamente imperfetto”. E’ per questo, per la tua visione matura dell’amore che non puoi fare a meno di giudicare i nostri due giovani eroi. Perché loro sbagliano. Mentre secondo te non dovrebbero. Ma loro hanno 18-20 anni. NOI ne abbiamo qualcuno in più.
NOI abbiamo vissuto una delle esperienze più sconvolgenti e nello stesso tempo più responsabilizzanti della vita: diventare madri. Da qui “reale capacità di comprendersi, accettarsi nei difetti, ascoltarsi nei momenti bui, starsi accanto in modo complementare” assume un senso e un significato davvero importante. E’ giusto ed io la penso come te. Ma non è questo il metro di giudizio che devi usare con quei due là (i nostri giovani eroi).
Sii indulgente nei loro confronti.
Loro non sanno ancora amarsi … e sarà bello per NOI poter assistere alla loro evoluzione, alla loro crescita, al raggiungimento della loro consapevolezza e del loro essere “una per l’altro”. Ci sto lavorando. La storia non è ancora finita. Se è vero che nella vita si sbaglia, è anche vero che è bello poter dare a volte un’altra possibilità. Nella mia storia, loro l’avranno.
Da inguaribile romantica quale sono io (e spero sarò sempre), ti dico che l’amaro in bocca ci vuole. Serve per assaporare con più gusto il dolce.
E se anche loro (o adesso stiamo parlando di NOI?) un giorno dovessero ri-ferirsi, pensi che solo per questo motivo possiamo dire che non c’è stato il lieto fine?
Io penso di no. E, poi, a me la parola FINE non m’è mai piaciuta.
Per quanto riguarda il tuo piccolo dubbio sulla gravidanza, ho dato la spiegazione nelle note generali.
Ti faccio i miei auguri per il recente acquisto della tua famiglia. So cosa significa scrivere e ritagliarsi uno spazio in queste circostanze, io per altro ho già bissato, quindi, posso capirti ancora di più.
Grazie dei pensieri che hai voluto condividere con me. Spero di essere riuscita a chiarire  come il mio intento non sia stato quello di smantellare la tua recensione, ma piuttosto di darti la soddisfazione che meriti per aver impiegato un po’ del tuo tempo a leggere e commentare il frutto del mio cervellino allucinato.
Ti saluto con affetto :)
LOVA: E sì, in effetti Edward è un po’ teatrale… e non hai ancora visto niente…! Baci XD
Mgt88: mmmm GRAZIE XDDDD!! Ma niente rigiri, solo puro SADISMO 100% XD
SweetCherry: Grazie, soprattutto per il fatto che cerchi di non chiedermi quando posto -.-‘ Io per prima vorrei essere più veloce, ma se vedeste in che condizioni scrivo, mi direste” Cara M.Luisa, ma chi caSSo te lo fa fare?” Faccio del mio meglio, e so che lo sapete *.* Grazie ancora, baci
angteen: GraSie cara, gongolo quando siete così “ripetitive” XD Bacioni
harley1958: Ciao cara, ma Ed se n’è accorto che Bella è anemica e che i suoi globuli bianchi sono alle stelle…è che non sa il motivo…inoltre non ha ancora incontrato Helèna da quando quest’ultima ha saputo che Bella è incinta XD Baci
grepattz: Alice merita un premio…Jazz tutto infiocchettato nel suo letto (o pavimento o quello che vogliono loro…) !! Baci cara XD
LittleCullen: Francesca carissima XD Nella nota generale ho cercato di dare risposta anche alle tue perplessità. Spero di essere stata chiara. Sono nel campo sanitario, sì. Ma non volevo essere troppo tecnica, spero di essermi riuscita a spiegare abbastanza. Se hai altre perplessità chiedi pure. XD
piemme Grazie davvero :ditini:  Continua a seguirmi, fra poco ci saranno novità succulente…XD
arual93: E anche qui siamo un po’ di passaggio…l’azione ci sarà. Presto. Promesso XD
superlettrice: Sei siciliana!!!! Dimmi di sì, la mia nonna è di Messina e io adoro la Sicilia e i siciliani XDDD Per i tuoi dubbi…ne ho risolti un po’ nelle note generali?
keska: Cherì *.* Siamo rovinate…speriamo in un ospedale per veder comparire Carlisle con il camice svolazzante…povere noi! E, sì Alice è stata grande e Jazz…mmmm è il mio punto debole, lo ammetto XD Bacioni mia adorata :)
ginny89potter: Sicura sicura che non si può scendere più in giù, Martina? O.o Mi affido alla tua fantasia…so che non mi deluderai XD. Grazie delle tue minacce su twitter…ma mi cogli sempre all’ora de pranzo o cena, quando sto a magnà!!! Non riesco mai a replicare. Io c’ho famiglia, nun te scordare questo particolare :))) Prima o poi ti becco, non dubitare XD
kikkikikki: Grazie tesora!!! Sei quasi più cattiva di me…:) Quasi. Aspetta e vedrai :si sfrega le mani: nei prox capitoli ho in mente delle kikke (!) davvero terrificanti Mhuahuahauhauah
VampGirl: Irina, Bella l’abbiamo fatta uscire, anche se era meglio che se ne restava in camera, no?! Il capitolo non si conclude così, il prossimo spiega di più. Grazie per i complimenti *.*
mine: Grazie :si commuove: gongolo compulsivamente quando dici che sei stata felice di vedere il mio aggiornamento. Thanks XDD Cattivella anche tu, eh?
rodney: BHUAUAUAUAUAUAHUAHUAHAUAH il paladino senza cavallo!! :rido fino al 2999: Simona tu mi farai scoppiare qualche capillare nel cervellino allucinato… Bella diventerà una battona e Edward una draquine XD
sily85: tesoro…vi stavo facendo perdere il sonno con il teaser…però siete state brave, bravissime! Le mie feste sono andate bene…stancanti, ma serene. Grazie mia cara e  un bacione con schiocco *.*
tsukinoshippo:  Che dire, mi fai diventere di tutte le sfumature dell’arcobaleno con i tuoi complimenti. Grazie Cam (:***) sei la mia spalla su cui mi poggio nei momenti difficili e non. Che potrei dirti? Ogni tuo commento è così preciso, chiaro…Concordo su Jazz, lo ammetto, dopo Ed è il mio preferito. E ti spoilero che avrà una parte nel prossimo capitolo. Ora mi fermo, sennò ti mando anche quello e allora mi bannerai dalla tua rubrica mail! A presto Baci *.*
alicecullen_robert:  Oh grazie mia cara! La recensione più lunga per me!!! Spero di non deluderti per i prossimi capitoli, perché, purtroppo, la mia mente allucinata funziona in modo un po’ contorto e non seguo mai dei fili convenzionali…Baci XD
yle94:  nu, ci vuole ancora un pochetto affinchè si sistemi qualcosina… Bacioni XD
lisa76: mmmmm calma e sangue freddo. Se non fosse così, la parola The end già l’avrei messa assieme al fiocco (rosa o blu?) Baci XD
Piccola Ketty: Nuuuu non come Beautiful!!! Da quando ho cominciato ad avere un po’ di sale in zucca non l’ho più visto…spero che non farete la stessa cosa anche voi con la mia ff!!!! Baci cara *.*
erika1975: Yes… “l’amore è irrazionale. Più ami qualcuno, più perdi il senso delle cose” … credo calzi a pennello, zìzì. Baci XD



Il teaser … :si nasconde: era la pecora Dolly ---> Dolly’s negozio in cui si recono Bella e Helèna. Lo so,mi state bestemmiando in sanscrito -.-

Detto ciò, piccola comunicazione di servizio a cui penso sia giusto mettervi al corrente. Sto scrivendo il continuo della OS “Una sera, per caso…”. Purtroppo questo significa che ho meno tempo e devo sacrificare qualcosa. Non riuscirò a rispondere sempre alle vostre meravigliose recensioni, lo farò più saltuariamente, ma mi sembra corretto informarvi.
Altra comunicazione (ma quanto rompi oggi!!): è nato un blog mooolto carino e ben fatto. Vengono segnalate le ff che gli stessi lettori ritengono più interessanti. Dateci un’occhiata e commentate! Le ragazze che lo curano sono molto in gamba e serie. Qui il link.  
 

Credo che sia tutto. :coro di ola da parte dei lettori:
Grazie
M.Luisa





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Capitolo 26
*** CAP.26 ***


CAP.26

BELLA  Elisa – Eppure sentire

Avevo ragione. Il mio primo , primissimo pensiero.
Uscire non poteva che essere una pessima idea.
Lo shock iniziale, viene immediatamente sostituito dall’istinto e, con uno scatto, porto indietro la testa richiudendomi la portiera contro.
Edward, Alice … qui, a pochi metri di distanza da me.
Sono ancora qui, ad Hanover.
Lui è ancora qui.
Sollievo, gioia … e, poi … paura, dolore.
Roteo il busto quel tanto che mi permetta di poterli osservare e mi appiattisco contro la portiera. Sono ancora nel mio raggio visivo. Li vedo, li vedo. Mi danno le spalle, ma sono loro. Inconfondibili nella solita grazia, la solita eleganza e fluidità nei gesti.
Stanno solo camminando, come è possibile che anche nel compiere un movimento così banale, siano perfetti comunque?
Ma per una volta, i miei occhi non vengono irrimediabilmente risucchiati dalla loro spietata bellezza, e si soffermano sulla ragazza che cammina in mezzo a loro.
E’ lei? Quella della Rauner?
Mi stupisco di non ricordare dei dettagli così importanti. Forse perché in quel frangente, nulla avrebbe potuto distogliere i miei occhi da altri due, ambrati,  cristallizzati nella più gelida delle sfumature dorate che abbiano mai assunto.
Sembra lei. Era bionda.
Era bionda?
Stringo gli occhi, deglutisco.
Continuano a camminare, salgono i pochi gradini che li separano dall’ingresso principale.
Stanno per entrare, fra poco non li vedrò più. Riporto lo sguardo su di lui, spingendo la mia mente da umana a fare uno sforzo incredibile, affannandomi per fotografare questo momento e conservarlo per la mia solitudine.
Quanti secondi sono passati? Dieci, venti? Quanti?
Quanti me ne restano? Pochi, penso con amarezza. Troppo pochi.
Spalanco gli occhi, come se aprendoli di più riuscissi a vedere meglio, ad incamerare più dettagli, a rubare qualche fotogramma essenziale che, in seguito, mi pentirei dolorosamente di non essere riuscita a cogliere se solo avessi prestato più attenzione.
Mi rendo conto che stanno per sparire dalla mia visuale e scelgo volontariamente di prestare la mia attenzione solo a lui.
Lui, che fino a pochi giorni fa ho creduto essere mio.
Lui, che ha giurato di amarmi.
Lui, che avrei giurato mi amasse sopra ogni cosa.
No, Bella. Risposta sbagliata. Tu hai sperato che ti amasse, ma, in fondo, non hai sempre saputo di non essere abbastanza per lui? Di non avere abbastanza fascino, resistenza fisica, intelligenza, prestanza, grazia … di essere, insomma, solo e ancora un’umana imperfetta?
Sì, Bella. Risposta esatta. Tu questo l’hai sempre saputo. E dal saperlo al vederlo c’è stato proprio il breve spazio di quel bacio.
Prendo un breve respiro e mi piego leggermente con il busto in avanti, corrugando la fronte, gli occhi si abbassano. Il ricordo è un pugno allo stomaco e mi fa male, male come se lo vivessi di nuovo.
 Ma testarda, rialzo di nuovo lo sguardo sul mio angelo.
Cosa sento? Cosa provo? Lo amo di meno?
No, dannazione! Perché non riesco ad odiarlo? Perché non mi giro, non spezzo questo filo che, disperatamente, cerco di allungare fino a lui?
Perché mi rifiuto di accettare ciò che è successo? Perché lo osservo ancora e ancora ho un moto di speranza dentro?
Si ferma. E, mantenendo rigido il busto, volta il capo.
Verso di me.
Spalanco gli occhi, ma non mi muovo, non sbatto nemmeno le palpebre. Trattengo il respiro, perfino.
Pochi secondi, poi mi pare muoversi, scuote la testa forse.
E, poi, non lo vedo più. Biondi capelli si frappongono nella mia visuale, mentre il mio corpo vorrebbe urlare con la voce che non ho più.
Quando la vista mi si annebbia, capisco che devo respirare. Lo faccio, ma i miei respiri sono veloci, brevi e affrettati, mentre con la bocca lievemente aperta i denti stringono forte il labbro inferiore.
Quando la sua mano le afferra il braccio e lei gli si aggrappa alla spalla, sento mille piccoli brividi partire dal centro del mio corpo e arrivarmi fino alla punta delle dita, portando via con loro la sensibilità di ogni centimetro della mia pelle.
La bocca mi si secca d’un tratto e l’aria che entra mi graffia la gola.
Un attimo. Un attimo, e non ci sono più.
Continuo a fissare l’ingresso dell’edificio, perché l’aria che adesso occupa lo spazio dove prima c’era lui sarà ancora impregnata del suo dolcissimo odore, e non voglio perdermi nemmeno questa illusione.
«… Bella?»
Quando qualcosa mi scrolla per la spalla, mi lascio scuotere come una bambola di pezza, ma non mi volto, gli occhi ancora immobili «Bella, perché fai così?»
Così? Così come?
E’ poca la forza che mi costringe a girare il viso, ma sono preoccupati gli occhi che incontrano i miei.
E quando ne perdo il contatto e vedo che si abbassano su un punto al lato del mio viso, percepisco con chiarezza il cambio di espressione. Ormai sono brava nel capire queste cose solo dagli occhi.
Terrore.
Ecco cosa c’è ora negli occhi di Helèna.
«Oddio! Ma che hai fatto?! Bella? BELLA?» la sua mano si alza fino al mio viso, la sua voce si alza progressivamente di tono.
Quando ritrae la mano verso di sé, verso il suo viso, il suo palmo riluce di qualcosa di umido e brillante.
Di rosso.
Rialza lo sguardo su di me, spaventata ancora di più se possibile, e i suoi occhi si fissano sulle mie labbra.
«Smettila. SMETTILA!» la fronte è aggrottata, le mani le tremano.
Un'altra voce, pesante, strascicata.
«Signorina? Che succede?»
E’ il tassista. E mi stupisco di quanto tutti i dettagli intorno a me siano così chiari e nitidi. Forse, non sono poi così inutile come umana.
Helèna riporta di nuovo gli occhi nei miei occhi e con la voce tremula, ma piena di panico mi supplica:«Ti prego … ti prego, non fare così», prende un profondo respiro, chiude gli occhi, poi li riapre cercando di recuperare il controllo :«Bella, stai sanguinando». E mi mostra la sua mano intrisa del mio sangue.
Le fisso le dita, rosse e lucenti.
Sento un gorgoglio strano agitarmi la pancia e mi stupisco di non avvertire alcun senso di nausea alla vista del liquido brillante.
Poi uno schiocco, un rumore secco come di un ramo che si spezza parte dal mio torace, si propaga velocemente. Il mio cervello lo registra distintamente un attimo prima che mi manchi il respiro completamente.
E un dolore potente, immenso invade il mio corpo.
Spalanco la bocca e gli occhi simultaneamente distorcendo l’intero viso in una smorfia grottesca e premendomi una mano giusto sotto il seno.
Ma la voce non riesce ad uscire, l’aria non riesce ad entrare e, un secondo prima di perdere conoscenza, penso che sto per morire.


HELENA

«Si sbrighi!» grido secca al tassista, mentre il pover’uomo, con la fronte imperlata dal sudore è aggrappato con entrambe le mani al volante e credo stia già spingendo l’auto alla massima velocità consentita.
«Signorina! Sto andando più veloce che posso!» risponde lui un po’ esasperato, ma chiaramente anche spaventato.
Bella è immobile tra le mie braccia. Quanto tempo è che ha perso conoscenza? Dieci minuti? Di più?
Cerco di asciugarle un rivolo di sangue che le cola ancora sulla guancia tirandolo via con la mano. Non faccio che imbrattarle ancora di più il viso, ma non riesco a farne a meno.
Oddio, oddio … Muoviti cazzo, muoviti! Vorrei urlare sulla testa del tassista, ma mi impongo di mantenere un barlume di lucidità. In ospedale ci devo portare Bella, non finirci insieme a lei per un incidente frontale.
Perché non sono un medico? Perché non so cosa fare, come aiutarla?
Sta male, respira appena, si è morsa la bocca fino a sanguinare.
Nel momento in cui ho cominciato a sentire dei mugolii sommessi in auto ho creduto che si trattasse della radio. Ma quando mi sono voltata, mi sono accorta che era lei. Si lamentava, come se stesse provando dolore. E non appena l’ho girata verso di me …
Chiudo gli occhi cercando di scacciare l’immagine della mia amica  con la parte inferiore del viso ricoperta di sangue e le accarezzo piano i capelli.
Starai bene, starai bene … in ospedale sapranno cosa fare, sapranno prendersi cura di te … penso disperata.
Un pesante senso di colpa si somma alla preoccupazione per lei.
Devo chiamare i suoi familiari. Questo non è uno scherzo. Bella è incinta, lo sanno? Come ho fatto a credere che stesse pian piano migliorando?! Non parla da due settimane, mangia appena …  E forse, forse nasconderle le telefonate di sua sorella non è stata un’idea così brillante.
Ma ho creduto di far bene, di proteggerla. Perché è da quando doveva parlare con suo marito che Bella si è ridotta così.
Cosa faccio? Che dirò loro? A sua sorella Alice?
Mi ucciderà, avrebbe voluto farlo quando è venuta al dormitorio, gliel’ho letto su quello splendido viso che avrebbe desiderato farmi scomparire con enorme piacere.
Chiamo Edward? E se faccio un casino? Non l’ho mai nominato in sua presenza, ma non ci vuole uno psicologo per capire che è accaduto qualcosa di grave tra loro due …
Sì, ma adesso? Vale ancora tutto ciò adesso? Bella sta male, ha bisogno di aiuto … Scuoto piano il capo.
Li chiamo, decido.
E proprio in quel momento il taxi si ferma all’ingresso del Pronto Soccorso dell’ Union Hospital.

Non appena il tassista mi apre la portiera vedo con sollievo due infermieri  avvicinarsi rapidamente, il passo sicuro. Uno dei due spinge una barella.
«Cosa è successo?» mi chiede con fare professionale il primo e lancia un’occhiata a Bella tra le mie braccia, ma senza toccarla.
Mi accorgo di tremare solo quando la voce mi esce balbettante: «E’ …  è incinta … era … eravamo in auto … ha preso a lamentarsi e …»
«E’ caduta?» chiede lui osservando il sangue sul viso di Bella. Deglutisco e cerco di ritrovare una parvenza di calma nella voce «Si è morsa le labbra».
Devo essere chiara e coincisa. Devo mantenere la calma. Penso disorientata.
«Jimmy, vieni qui!» grida all’altro che, in realtà è proprio dietro di lui.
«Dammi una mano, mettiamola sulla barella» e due grosse mani me la sfilano con incredibile delicatezza dalle braccia.
«Ginecologia, subito». E si allontanano a tutta velocità.

Li seguo immediatamente, ma devo tenere il passo rapido, perché i due corrono quasi. Le hanno messo su una coperta, ma è comunque distesa e posso vedere con chiarezza quella pancia che in due settimane ha cercato con ogni sforzo possibile di nascondere. Non mi ero mai accorta che fosse così evidente, eppure viviamo nella stessa stanza. Sembra che sia cresciuta a vista d’occhio. Sembra davvero una donna incinta di quattro mesi, mentre so che non dovrebbe esserlo che da un paio.
O almeno credo.
La testa di Bella si muove a destra e a sinistra seguendo gli scossoni che gli infermieri, loro malgrado, sono costretti a farle prendere manovrando quell’inquietante lettino con le ruote.
Mi accorgo che mi stanno chiedendo qualcosa in maniera concitata, ma non ho afferrato. Uno dei due mi lancia un’occhiata seccata e ripete scandendo più forte:«A che mese è?»
«Secondo … credo» dico e poi aggiungo :«Ma le ultime analisi erano errate, e …  non ne sono sicura»
«Lei è una parente?» mi chiede mentre continuiamo a camminare per dei corridoi infiniti.
«Un’amica» preciso e non appena apre una porta con uno strattone, fa passare la barella e mi si para davanti :«Mi dispiace. Entrano solo i familiari».
Sgrano gli occhi e scuoto vigorosamente la testa: «La prego, la prego! Ha solo me!» mento spudoratamente e sarei disposta a gettarmi ai suoi piedi, pur di restare al fianco di Bella.
Mi guarda per un secondo, poi emette un sospiro e dice :«D’accordo. Ma solo perché è sua sorella». Annuisco velocemente e scivolo attraverso la porta aperta.

Appena entro mi accorgo che Bella è già stata presa in consegna da una donna con lo sguardo determinato. Poche parole con gli infermieri che ci hanno accolto al Pronto Soccorso e subito con voce imperiosa chiama due nomi: «Ricky! Stanza 4. Marge, il dottor Heinz. Subito!»
La stanza dove portano Bella è piena di macchinari di ogni genere. Attorno a lei la donna e gli altri due si muovono precisi. Una le misura la pressione, mentre l’altro avvicina una siringa al suo braccio libero.
Sento che la testa mi gira e la signora più autoritaria deve accorgersene perché mi guarda per un lungo istante aggrottando le sopracciglia:«Non mi svieni, vero?» chiede sbrigativa.
Scuoto la testa con forza e quando lei annuisce noto il cartellino che sventola in bella mostra sul suo petto. “E.Stock-Caposala”, riporta la scritta.
Ascolto le loro parole secche, per me prive di senso, che si scambiano concitatamente e di nuovo uno strano senso di conforto mi avvolge.
Non sto capendo nulla, ma la loro aria professionale, sicura, mi tranquillizza un pochino. Queste sono persone competenti, sanno cosa devono fare. E Bella starà bene.
«Ehi, piccola?» la voce della caposala si fa improvvisamente dolce mentre si rivolge alla paziente distesa sul lettino. Le prende con delicatezza il viso in una mano, tenendolo fermo e fissandolo con attenzione.
Oh Dio, quanto è pallida! Mi accorgo osservandolo insieme a lei qui da dove mi trovo io.
La signora stringe le labbra e sbraita rivolta all’infermiera che sta staccando il bracciale per la misurazione della pressione:«Il dottor Heinz l’hai chiamato?»
La ragazza abbassa gli occhi :«Sì signora Stock, ma è ancora in sala operatoria» ripone l’apparecchio che ha usato su un carrello al suo fianco e aggiunge:«Provo ancora?»
Intanto l’altro infermiere si avvicina con una specie di computer con un grosso monitor sopra. E’ già acceso, ma lo schermo è completamente nero, solo una mezzaluna grigia lo divide nella porzione inferiore.
Conosco quest’apparecchio. Abby è stata sottoposta a questo esame diverse volte quando era incinta di Holly. Serve per vedere il bimbo di Bella, per accertarsi che stia bene, e che il suo cuore batta.
«Chiama Joan, allora» risponde lei, poi rivolta a me:«Come si chiama?» e fa un cenno con il capo verso il lettino in direzione di Bella.
«Bella … » sussurro con un filo di voce.
La caposala si china verso di lei e le parla a poca distanza direttamente sul viso. Intanto la osserva : «Bella? Bella?» nessuna risposta.
«Bella, riesci a sentirmi? Sei in ospedale. Riesci a svegliarti, Bella?» ancora nulla.
Le alza le palpebre una ad una velocemente e poi si rivolge all’infermiere che le ha appena effettuato il prelievo: «Registra i suoi dati Ricky. Io vado direttamente dal dottor Joan» e con uno schiocco secco si sfila i guanti in lattice per poi gettarli in un contenitore giallo.
Ricky ha già preso un registro e ha cominciato a scrivere velocemente. Io osservo Bella immobile nel lettino e mi sento sommergere dall’angoscia.
Non si sveglia … non si è ancora ripresa … penso confusa.
Noto appena la caposala che mi passa davanti e l’infermiere che mi ripete, probabilmente per l’ennesima volta, una stessa domanda. Il suo tono è infastidito dalla mancanza di lucidità e prontezza della mia mente. Saranno scene che si ripetono spesso, penso distrattamente. Chissà quante volte sono costretti a replicare lo stesso atteggiamento … familiari confusi, non cooperativi, forse in crisi isterica, cedimenti di nervi …
E i miei? Quanto resisteranno i miei nervi?
«Nome. E. Cognome» scandisce lui.
«Isa … Isabella. Swan» dico, ma poi un pensiero mi colpisce e aggiungo :«Mi scusi, Cullen. Cullen è il suo cognome …». Quando verranno i suoi familiari in ospedale è probabile che chiedano di Isabella Cullen e non Swan. E, poi, mi sento meglio a sottolineare il suo legame con la sua famiglia … mi da l’impressione che lei non sia sola, che c’è qualcuno che si occuperà di lei … la sua famiglia.
La sua famiglia! Devo chiamarli!!
Mi volto per uscire dalla stanza con il capo chino e le mani in borsa alla ricerca del cellulare, ma mi scontro con una schiena, immobile sull’uscio della porta.
«Oddio, mi scusi!» mi affretto a dire alla caposala che intanto si è girata con uno sguardo perplesso e gli occhi spalancati. Anche le sue narici sono spalancate. Sembra un toro pronto a combattere nell’arena.
«Come ha detto che si chiama la ragazza?»
«Isabella Cullen»
La signora si avvicina al letto in due falcate e fissa Bella come se la vedesse per la prima volta. Le scosta i capelli dal viso con delicatezza e mormora qualcosa a se stessa che non riesco a sentire. Poi si gira e rivolta ai due infermieri, dice tetra: «Che nessuno osi toccare questa ragazza.»
«Chirurgia. Chiamate immediatamente il dottor Cullen.»


EDWARD

Due ore.
Due ore a lezione in compagnia di Alice e con il chiacchiericcio mentale di Andrea sono peggio dell’intera vuota eternità che si stende davanti ai miei occhi.
La studentessa italiana ha la capacità di passare con incredibile velocità da un pensiero all’altro sugli argomenti più disparati come se fosse una trottola impazzita. Chiuderla fuori dalla mia testa è diventata una necessità, oltre che un vero piacere.
Diversamente da quanto posso dire di Alice. Oh, sì … avrei tanto voluto mantenerla fuori dai mia mente, ma mia sorella mi conosce e sa cosa serve per attirare la mia attenzione.
Appena vuole parlarmi, con i suoi pensieri attira la mia attenzione rievocando un ricordo legato a Bella. Sa che le immagini mi raggiungono comunque, ma sa anche che scelgo io quali approfondire e lei conosce sempre il modo per trovare un canale preferenziale.
Non appena leggo nella mente della Watsford che sta per accomiatarsi dall’aula, mi alzo dalla mia poltroncina e afferro il blocco con gli appunti, senza aspettare che il pensiero si traduca in parola.
Senza dire nulla, mi avvio all’uscita sotto i colpi di un nuovo attacco mentale di mia sorella.
“Bella seduta sul suo letto, le gambe acciambellate sotto di sé, una matita tra le labbra e un libro aperto davanti.” E’ il ricordo che Alice ha “ingenuamente” richiamato alla sua mente.
Vuole che vada al dormitorio e che le chieda espressamente di parlare. So che probabilmente ha ragione, forse la mia è solo paura.
Ma adesso mi chiedo di cosa.
Che non voglia parlarmi? Probabile e più che lecito che lo faccia.
O magari, è paura di star male  nel divenire consapevole che la mia lontananza può davvero averle giovato … Sarebbe solo la conferma di quanto sia stato deleterio nella sua vita finora.
Fuori dall’aula trovo Jazz che mi osserva con uno sguardo compassionevole.
Lo so, pensa. E’ insopportabile quando fa così.
Mio malgrado sorrido. Jasper ha percepito la mia stizza e la determinazione di sua moglie. Di sicuro legge molto meglio di me.  Forse è più abile nel farlo, forse è più facile per lui di quanto non sia per me.
O, forse, più semplicemente la sa molto più lunga di me.
Si mette al mio fianco e camminiamo per il corridoio in silenzio.
Percepisce il mio stato d’animo turbato, ma non cerca di modularlo e di questo gli sono grato. Non si impone ai miei pensieri con pensieri suoi e anche di questo sono sollevato. Jasper è un’oasi nel deserto. Stargli vicino è confortante comunque, anche se non fa nulla per influenzare le emozioni di chi gli sta intorno in questo senso. A prescindere dal suo potere Jasper sa quando è il momento di parlare e quando è quello di restare in silenzio.
La sua è una predisposizione innata.
Per questo appena siamo fuori e nota l’uomo che ci è appena passato davanti con la testa immersa in un libro, non ha bisogno di concentrarsi sulle mie emozioni.
Gli basta cogliere la mia occhiata appena accennata per avere l’esatta percezione della tempesta che mi si scatena dentro. E non lo fa grazie al suo potere. Lo fa come uomo con secoli di esperienza alle spalle.
Lo scatto secco che sento con chiarezza proviene dal mio corpo. E’ il rumore scaturito dal movimento della mia mascella che ha portato i denti a serrarsi con forza.
Dovrei distogliere gli occhi dalla sua schiena, ma non posso. Continuo a fissarlo e sento l’odio montarmi dentro.
Ma sono ancora abbastanza lucido da capire che in realtà si tratta di un sentimento più strisciante, più subdolo, più logorante.
Gelosia.
Il tocco di una mano sulla mia spalla mi chiarisce che sono al limite con il controllo delle mie emozioni, ma evito di incontrare gli occhi dorati di mio fratello.
Poi, il buio nella mia mente e un flash subito dopo. Jazz stringe la presa su di me impercettibilmente, ma so che ha già capito dalle emozioni che stiamo entrambi provando, che Alice è in preda ad una delle sue visioni.
Sento la presa allentarsi sul mio corpo fino a scomparire del tutto e con la coda dell’occhio lo vedo tornare rapidamente indietro, dirigendosi verso sua moglie, immobile con gli occhi vacui proprio all’ingresso dell’aula.
Una stanza d’ospedale, lo studio di Carlisle, il telefono sulla sua scrivania …
Afferro il cellulare giusto un attimo prima che vibri, lo porto all’orecchio e dopo aver avviato la conversazione, sussurro piano: «Carlisle» senza attendere di ascoltare la conferma vocale di colui che so essere dall’altro capo del telefono.
«Edward, è il caso che tu venga in ospedale» il suo tono ha quasi del funesto. Carlisle non parla mai così. Mai. Nemmeno se si trova davanti ad una catastrofe.
Deglutisco e la certezza che davvero trattasi di qualcosa di enormi proporzioni, mi colpisce in tutte le sue implicazioni.
Carlisle è turbato e io dovrei andare in ospedale. Da qui a capire che lì c’è Bella è questione di millesimi di secondo.
Tuttavia, qualcosa di umano deve esserci ancora sepolto dentro di me, perché mi ritrovo a soffiare il nome della mia amata sul microfono del telefonino :« Bella».
Non sto chiedendo e non ho bisogno di conferme, ma mio padre aggiunge con tono più secco: «Edward devi venire al più presto» e chiude la comunicazione.
Gli occhi scendono automaticamente su Eric Jensen che ormai è già ad una discreta distanza da me.
Solo un attimo, e la vista mi si borda di rosso.


JASPER

Frappormi tra Alice ed Andrea è questione di pochi attimi. La ragazza non si è ancora resa conto che Alice si è fermata tre passi dietro di lei e che è immobile come una statua. Appena le passo davanti colgo il suo sguardo e lo imprigiono nel mio in pochi secondi, mi concentro giusto appena il minimo e le dico:«Scusaci Andrea, io ed Alice abbiamo da fare una commissione».
Lei annuisce confusa e continua a camminare mezza inebetita.
Appena sono vicino a mia moglie le faccio scivolare un braccio alla vita e la sospingo con delicatezza lontano dall’aula, verso l’esterno. Alice si fa trascinare senza opporre resistenza. Mi fermo appena poco dopo l’uscita e mi posiziono di fronte a lei in un angolo, proteggendola con il mio corpo da sguardi indiscreti. Nei pressi dell’uscita le occhiate degli studenti sono meno attente, tutti si affrettano verso l’esterno e io ed Alice sembriamo solo due innamorati che si scambiano sguardi languidi.
Edward è immobile anch’egli, nella stessa identica posizione in cui l’ho lasciato prima.
Accarezzo la fronte di Alice con la mano libera, mentre l’altra è ancora intorno alla sua vita per sostenerla. Quando le sue visioni sono così improvvise, le causano sempre dolore. Non l’ha mai detto, non s’è mai lamentata, ma so che a volte ne resta molto scossa. Esserle vicino mi conforta, ma non mi è permesso interferire con le sue emozioni.
E’ una delle poche eccezioni al mio potere. Se Alice non è cosciente, io non posso fare nulla.
Passano tre infiniti secondi e il suo sguardo si schiarisce. Il suo petto si abbassa ed emette un breve sospiro.
Ma il sollievo è di brevissima durata, perché si irrigidisce di nuovo e spalanca gli occhi cristallizzandoli in un’espressione impaurita.
No, no. Terrorizzata.
Un soffio leggero come brezza di mare esce dalle sue labbra portando con sé una sola parola: «Edward …» prima che una valanga di odio mi investa in pieno.
Barcollo impercettibilmente sotto questa spinta prepotente e mi volto verso mio fratello, seguendo la direzione dei suoi occhi. Puntano sul professore di Bella. Ma ciò che mi spiazza completamente è la ferocia che gli leggo dentro.

Ashram - Maria and the violin's string

Sforzandomi di mantenere un passo al limite della corsa umana lo affianco giusto un secondo prima che raggiunga l’uomo di spalle che sta camminando tranquillamente, ignaro di tutto.
Ma Edward è il vampiro più veloce che conosca e non mi stupisco affatto di ritrovarmelo ad un passo più avanti, senza che me ne renda nemmeno conto. Il movimento è rapidissimo, invisibile per qualsiasi occhio umano. Si sposta a scatti fulminei, nemmeno io riesco a seguirlo.
Ma se lui è più veloce, io sono di certo il più esperto. So dove vuole arrivare e decido di cambiare tattica. Invece di fermare lui, mi posiziono ad un passo dalle spalle del professore.
Incontrare lo sguardo impazzito di mio fratello, mi fa capire che non riuscirò ad impedire l’inevitabile.
Ragiono velocemente e con freddezza. Devo limitare i danni.
Quando il pugno di Edward si alza mi concentro come non mai, e isolo il movimento fotogramma per fotogramma. L’angolazione del braccio, la posizione del suo busto, la potenza che scaturirà dall’inclinazione che sta imprimendo alla spalla unita alla velocità che la caratterizzerà e cerco di anticiparne la mossa.
Ma proprio un attimo prima, forse avvertendo inconsciamente una sensazione di pericolo, il professore si volta indietro, appena in tempo per vedere la mia testa e il pugno si Edward che si sta abbattendo sul suo viso.
Punto i piedi a terra e alzo contemporaneamente la mia mano, certo di essere riuscito a calcolare con esatta precisione la direzione del colpo. Quando il mio  palmo si chiude sul pugno di mio fratello esulto dentro di me, e carico tutta la forza che posseggo nel respingerlo.
Nel tentativo di respingerlo.
Le mie scarpe stridono sulla ghiaia del vialetto e mi portano indietro di qualche passo spinti dall’unica variabile di cui non avevo tenuto la giusta misura: la furia di mio fratello.
Il colpo di Edward viene rallentato dalla mia mano, ma raggiunge ugualmente il viso del professore. Tecnicamente sono le mie nocche quelle che gli fracassano la mascella sotto la spinta del suo pugno.
Il corpo del professore fa un mezzo volo all’indietro e l’uomo stramazza in terra con un tonfo. Ma Edward ormai l’ho afferrato e seppure sento che per poco non mi abbia staccato l’intero braccio, stringo la presa con decisione.
Se mi sfugge non riconosceranno il corpo di questo Jensen nemmeno dai denti.
Smetto di respirare nello stesso istante in cui sento aleggiare nell’aria odore di sangue. E non mi volto neppure per accertarmi da quale parte del viso del professore provenga. E’ un miracolo che il viso ce l’abbia ancora.
Ma registro distrattamente il respiro affannoso dell’uomo, il battito accelerato del suo cuore e il gemito di dolore che gli esce strozzato dalla gola.
«Cosa … cosa le hai fatto?» Edward sibila con la voce vibrante di rabbia rivolto all’uomo riverso in terra. Poche volte l’ho visto così fuori controllo.
Intanto diversi paia d’occhi si sono già catalizzati su di noi. Uno studente si avvicina al professore esitante, lanciando delle occhiate insicura alla nostra volta.
«Professore … chiamo, chiamo la polizia?» dice a voce abbastanza bassa, credendo di essere udito solo da lui.
Non stacco gli occhi da Edward e mi concentro per agire il più in fretta possibile. Nello stato di agitazione in cui si trova mio fratello rischio di impiegarci troppo tempo e la cosa mi spaventa. Lancio uno sguardo fugace alle sue spalle e cerco Alice. La cerco inconsciamente perché sento di aver bisogno della sua presenza, della sua conferma.
La vedo a due passi da noi. Cammina rapida e decisa. In un attimo è al fianco di Edward e gli posa una mano sul braccio, mentre io sposto la presa sul polso. Un’occhiata al viso concentrato, ma tranquillo di mia moglie, mi suggerisce che lui non ci sfuggirà.
«No, no. Sto bene» gracchia Jensen.
«Ma sta sanguinando!» lo studente spaventato. Ormai un folto gruppetto ci si è fatto intorno cercando di cogliere dettagli succulenti.
Alice sposta il suo sguardo sul viso di Edward, capisco che gli sta parlando mentalmente.
Ma lui guarda ancora l’uomo in terra con rabbia, con disprezzo. Le sue emozioni sono ancora turbinose, ingestibili.
«Mi chiedevo quando sarebbe successo» dice Jensen e capisco che si sta rivolgendo a mio fratello.
I suoi occhi si stringono, lo sguardo si affila. Gli sta leggendo la mente.
«Credo proprio di meritarmelo» aggiunge il professore, al che mi volto un attimo e lo guardo.
Si è messo seduto e si tiene la guancia con la mano. Parla con difficoltà, sento che prova molto dolore, ma non è confuso, né stupito. Si aspettava una reazione simile da Edward. Sangue gli cola dal naso e gli impasta la bocca. Ma almeno è vivo.
«Lei non c’entra niente» continua imperterrito e sono ad un passo dall’intimargli di tacere se ci tiene a restare con tutti i pezzi del suo corpo ancora attaccati l’uno all’altro.
Ma un lieve cambiamento nelle emozioni di Edward mi dissuade dall’intervenire.
Si sta calmando. Con lentezza e difficoltà, ma sta recuperando il controllo.
E, poi, nel suo animo, ma soprattutto nel suo viso, leggo nuove emozioni farsi strada dolorosamente.
Lo stupore e la consapevolezza.
 

NOTA DELL’AUTRICE: Questa volta niente rispostine ad personam …ù.ù, un ringraziamento generale per le meravigliose recensioni e un credit a Keska per aver permesso al mio cuore di gioire delle musiche di Ashram. Grazie :)

Inizio con il ringraziare di vero cuore coloro che hanno risposto su fb al mio appello. Questo capitolo è qui grazie a voi e alla vostra solidarietà.

Per chi non lo sapesse posto qui una versione modificata (of course!) della bastard- note incriminata … leggetela, anche se la conoscete già ù.ù
“Nostra Signora degli Agnelli si è pronunciata!
Per chi non l’avesse ancora fatto andate al seguente link .
Per chi non lo sapesse (!!) l’Agnella è una talentuosa autrice di ff, nonché un genietto malefico.
La sua lodevole iniziativa ha permesso di raggiungere a tutt’oggi un contributo di circa cinquecento euro per aiutare i disagiati del terremoto di Haiti, per un totale di 150 donatori.
Dobbiamo fare di più.
Ho scoperto nel tempo che il popolo di internet può essere molto generoso e molto solidale. Questo suo invito alla donazione coniuga l’utile al dilettevole.
Suggerisco caldamente la lettura delle sue ff (le trovate qui  ) e la condivisione della sua iniziativa.
In “palio” ci sono:
·    Un extra HOT di “Vicini” (inedito)
·    Un capitolo di “Ridi Pagliaccio” (inedito)
·    Un capitolo di “Ricominiciare” (inedito)
Ma per ricevere questi “regali” è necessario raggiungere due tappe: la prima è rappresentata dai 150 donatori, la seconda dai 250 donatori. La prima tappa è stata raggiunta stasera, e con essa è arrivato anche questo capitolo di “In the arms of the angel”.
Ci resta la seconda.
Avete già donato?
Bravi, bravissimi!!
Possiamo, però, far girare la voce: familiari, amici, conoscenti … suggerite loro di donare!!!
E’ facilissimo. Basta un semplice SMS (anche vuoto) al 48541 (Vodafone, TIM, Telecom Italia) oppure al 48540 (3, Wind) per donare due euro, oppure consultate questo sito per effettuare un bonifico. Una volta inviato l'sms o fatto il bonifico, contattate Alessia via Facebook (Alessia Amazzone) o Twitter (@alessiaesse) ed inviatele una foto della ricevuta bancaria o una foto del display del cellulare che prova l'invio.

:sgranocchia un funghetto allucinogeno:

Sì, ma tu che c’entri, cara M.Luisa?

L’Agnella va sostenuta, nel bene e nel male (ù.ù) …
Io alzo la posta in palio ancora di più.
Non appena l’Agnella twitterà il raggiungimento dei 200 donatori posterò su fb un’anteprima di una SORPRESA.
Al tweet del 250° donatore, vi regalerò la SORPRESA.
Per ora non vi dico di più.
Anzi, vi dico DONATE  E SUGGERITE AGLI ALTRI DI FARLO.
Per chi avesse difficoltà ad inviare le foto direttamente all’Agnella, può farlo attraverso me, su fb o su twitter .
Siete ancora qui?
Su, su … afferrate il cellulare … “

Aggiungo solo una cosa. Haiti è devastata. La situazione peggiora ora dopo ora. Il mio morale sale un pochetto ogni volta che l’Agnella mi aggiorna sull’aumento del numero di donatori. Questo significa che il mio cuoricino si anima e scrivo con più impeto (e più velocità). Spero VIVAMENTE che il traguardo prossimo venga raggiunto presto … e nel frattempo chissà, potrei anche postare il cap.27 PRIMA dei miei consueti 10 giorni di pausa tra un aggiornamento e un altro … diciamo insieme al raggiungimento del 200° donatore?! O.o
DO-NA-TE.
Grazie miei cari e a presto :************
M.Luisa


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Capitolo 27
*** CAP.27 ***


CAP.27

CARLISLE

Lancio un’occhiata distratta al monitor sul quale a cadenza lenta, ma regolare, i parametri vitali di Bella si trasformano in linee e numeri. E’ ormai un’abitudine farlo, nonostante spesso non ne abbia affatto bisogno. Controllare gli apparecchi a cui vengono collegati i pazienti è un atteggiamento che mi sono sforzato di rendere il più possibile spontaneo fin da quando questi si sono aggiunti all’armamentario terapeutico del medico.
Nessuna macchina tiene in vita Bella, ma la prassi vuole che frequenza cardiaca, pressione arteriosa e andamento del cuore siano monitorati costantemente in pazienti incoscienti. Nonostante sia per me del tutto inutile controllarli attraverso il monitor quando il mio udito mi dice spesso molto di più, lo faccio comunque.
Anche se sono solo in stanza con lei, in questo momento.
Resta ugualmente un’abitudine radicata in me.
Ma mai avrei pensato che tali apparecchi, la cui utilità è rappresentata dal completare e facilitare le diagnosi dei medici, potessero un giorno per me essere di intralcio, se non del tutto indesiderati.
Quando sono stato rintracciato in studio per recarmi d’urgenza in ginecologia, ho aggrottato la fronte. Benché abbia una specializzazione anche il questo ramo, all’Union Hospital dirigo solo il reparto di chirurgia. Ginecologia non è nemmeno sul mio piano.
Ma può capitare che qualche collega richieda la presenza di uno specialista in altro campo. Per chirurgia capita spesso, ma in reparti come ginecologia non tanto. Anche perché la differenziazione delle specializzazioni – introduzione della recente medicina – permette ai medici di essere abbastanza autonomi. Operano con equipe già prestabilite, specie nei casi ordinari o negli interventi programmati. A molti ho partecipato, affiancato da neurochirurghi, cardiochirurghi, ortopedici. Anche ginecologi. Ma sempre in interventi organizzati a tavolino, razionalmente e accuratamente pensati per essere il più possibile rapidi, concertati e risolutivi.
Ma essere richiesta la mia presenza d’urgenza … in ginecologia, per la prima volta in questo ospedale, non mi faceva presagire nulla di buono .
Doveva essere di certo un caso grave.
Quando sono arrivato all’ingresso del reparto avevo trovato la signora Stock, la caposala del reparto di chirurgia ad aspettarmi fuori dalla porta di quello di ginecologia.
Di questo non mi ero stupito affatto. Capita a volte che gli infermieri scambino il proprio turno con quello di colleghi di altri piani e di altri reparti per rendere un piacere o per sostituire un assente.
Nemmeno la sguardo agitato e il sollievo al vedermi uscire dall’ascensore mi impressionarono troppo. La signora Stock è una persona capace, dedita al proprio lavoro e molto precisa. Forse un po’ troppo desiderosa di dimostrare la propria efficienza, ma resta una persona di sicuro spirito di sacrificio e competenza.
La gioia nei suoi occhi al vedermi arrivare era lampante.
«Dottor Cullen, finalmente!» e aveva lasciato andare il respiro come se lo stesse trattenendo da un pezzo.
Mi si era fatta incontro a passi rapidi, agitata.
Il mio sguardo si era fatto più attento. Un comportamento del genere da parte di una persona molto posata ed esperta come lei, non era usuale: «Che succede, signora Stock?» avevo chiesto, la mia voce tranquilla come al solito, continuando a camminare verso l’ingresso del reparto.
Ma lei mi si era parata davanti, come a volermi fermare:«Aspetti, la prego.»
Ed io mi ero fermato, aggrottando la fronte.
L’imbarazzo che le leggevo in viso e la voce insicura, mi suggerirono di ascoltarla. La osservai, lo sguardo interrogativo, ma sereno.
Qualsiasi cosa fosse, era importante, ma la caposala avrebbe dovuto essere  rapida. A volte è il tempismo il reale intervento che riesce a salvare una vita.
Mi predisposi ad ascoltarla prestandole particolare attenzione.
«E’ … hanno portato una ragazza. Dal Pronto Soccorso» cominciò esitante.
Attesi in silenzio che proseguisse.
«Io … credo che … credo che lei la conosca» ancora più imbarazzo, il suo viso aveva assunto un tono scarlatto.
Mi ero accigliato e lei deglutì. Un sospiro, poi:«Dottor Cullen è la ragazza della puntura sternale. E’ la moglie di suo figlio, Bella.»
Prendere in contropiede un vampiro è cosa assai difficile e a me, in particolare, è successo talmente di rado, che solo la padronanza dei miei atteggiamenti, faticosamente acquisita nel corso di quasi quattro secoli, mi salvò dallo smascherarmi miseramente.
Anche se credo che l’adorazione della signora Stock nei miei confronti non sarebbe stata minimamente scalfita neppure se mi avesse visto bere sangue direttamente dal collo di un paziente.
Senza rispondere nulla alla sua affermazione ma con la consapevolezza che mi sarei trovato di lì a breve con una scena già tristemente vissuta, con un passo deciso e rapido ero entrato in reparto.

Varcare la stanza delle emergenze ed essere colpito dalla visione di Bella, pallida, incosciente, con le labbra e le guance imbrattate di sangue, fu terribile e sconvolgente nello stesso tempo. Avvezzo ormai, ad assistere ad ogni tipo di devastazione che il fisico umano possa subire, ero pronto a tutto.
Undici metri di corridoio, quelli che dall’ingresso del reparto conducono alla stanza quattro.
Cinque i secondi impiegati per percorrerli.
Centinaia le immagini e i pensieri che avevano affollato la mia mente per prepararmi a ciò che avrei potuto trovare.
Ero pronto a tutto. Un incidente, un avvelenamento, un atto di violenza su se stessa …
A tutto, meno che a questo.
 
Osservo ancora una volta il viso addormentato di Bella, pallido e tirato. Il labbro inferiore è coperto da una garza. Anche così noto che si sta gonfiando rapidamente. E’ stato necessario applicarle dei punti interni, cosa rarissima, ed esterni.
Il mio sguardo scende al suo torace, bendato da una fasciatura elastica non troppo stretta. Il respiro è lento, ma regolare. Come una lieve risacca, culla il suo petto e … la sua pancia.
Una pancia che accoglie una vita.
La osservo con occhio professionale e con la calma che ormai è subentrata dopo averle prestato i primi soccorsi, cercando con razionalità di analizzare la situazione.
Bella è incinta. Dal volume della sua pancia e dal valore di beta-Hcg direi che il … feto sia di quattro mesi. Ma so per certo che quattro mesi fa non era incinta. E nemmeno tre. Non più di sette, otto settimane al massimo.
Esattamente da quando ha cominciato a star male, a dimagrire e a non mangiare. I risultati dei suoi esami … i valori alterati tutto si incastra perfettamente in una prospettiva nuova. Un lieve senso di fastidio misto al dispiacere mi turba. Io, medico da un’infinità di tempo, non sono riuscito a  formulare dai molteplici dettagli che mi si proponevano in maniera talmente evidente, una diagnosi tanto semplice quanto improbabile nella realtà.
Mai, ho assistito ad un evento del genere. Mai si è raccontato di individui appartenenti alla nostra specie che fossero in grado di procreare. Ho visto bambini immortali, questo sì. Esseri creati per brama di potere, per curiosità, per riempire un vuoto troppo grande nell’animo di vampire costrette ad un’eternità di solitudine. Ma la legge è chiara a riguardo. Non è più permesso da secoli. E, in ogni caso, non si  trattava di generazioni spontanee, quanto più intenzionali.
Il ventre di Bella si muove piano, sospinto dal suo respiro appena accennato.
Milioni di domande si affollano nella mia mente. Di che natura sarà questo essere?  Quanto risentirà delle due specie che l’hanno generato? Perché il suo sviluppo è così accelerato?
Eppure l’uomo, il padre che mi sento e sono ormai per questa nuova figlia, si scontra in una silenziosa lotta con lo scienziato che è in me. E la preoccupazione prende il sopravvento sulla curiosità.
Questa non è una gravidanza fisiologica. Il corpo di un umano, di Bella in particolare, non è adatto ad accogliere questa nuova esistenza. Lo vedo benissimo anche senza ricorrere ad indagini specifiche. Mi è bastato effettuare un esame obiettivo blando e una palpazione dell’addome, oltre a riconsiderare nella giusta ottica il malessere generale di Bella da quasi due mesi.
Bella ha una costola rotta, ed una incrinata. Ho personalmente assistito alla radiografia eseguita dal collega specializzato in diagnostica delle immagini, sapendo che il feto sarebbe stato schermato per questioni di sicurezza legate all’esame stesso.  E questo, non è stato un danno provocato da una caduta, così come ci ha raccontato la sua amica. Bella era in taxi e ha cominciato a star male senza una ragione apparente …
L’ora appena trascorsa è stata una delle più lunghe mai vissute finora. E ce ne sono state tante in quattro secoli.
Mediare le circostanze è stata la necessità primaria. Dopo essermi accertato che Bella non fosse in pericolo di vita –almeno per il momento- ho sentito su di me gli occhi di tutto il reparto, caposala in primis.
Attendevano la mia reazione.
Pensare alla rapidità della luce non mi è mai stato così utile come in quell’istante. Dovevo procedere secondo prassi, scongiurare l’arrivo di colleghi che sarebbero accorsi per rendersi utili e darmi conforto e     proteggere Bella che custodiva in sé la prova tangibile del nostro segreto.
Ho cominciato con il ridurre a due i presenti in stanza, inviando un’infermiera a prenotare una radiografia al piano interrato ed un altro infermiere a preparare soluzioni elettrolitiche infusive con l’aggiunta di un antidolorifico consentito in gravidanza.
Con l’ausilio della sola signora Stock ho disposto l’esecuzione di una ecografia.
Prassi per lei.
Unico vero rischio per noi.
Cosa si sarebbe visto?
Un attimo di distrazione creato ad arte con voce suadente e carezzevole ha destabilizzato la caposala il tempo necessario a recuperare come un lampo l’ultima registrazione ecografa presente nell’apparecchio.
Ho pregato che non fosse quella silente e immobile di un’interruzione di gravidanza. E’ stato il momento in cui ho temuto di più. Perché se anche avessi potuto spiegare l’assenza di battito e di mobilità del feto con un aborto in atto, non avrei potuto spiegare altrettanto facilmente la mia opposizione all’intervento operatorio cui conseguentemente Bella avrebbe  dovuto essere sottoposta.
Sarebbe parso alquanto curioso che il dottor Cullen portasse via sua figlia dall’ospedale in cui lavora perché non riteneva i suoi colleghi ginecologi abbastanza competenti per effettuare un intervento di espulsione indotta.
Quando il puntatore ad ogiva si è posato sul ventre di Bella la pressione su due pulsanti ha avviato la registrazione.
Battito e immagini!
Un  feto di sei mesi circa, piccola vita custodita nel ventre di chissà quale umana che si era sottoposta all’esame proprio prima di Bella, sgambettava senza sosta sul monitor, il suo battito al galoppo, forte e chiaro.
Molto prima che la signora Sotck si avvicinasse per dare un’occhiata alle immagini, avevo prontamente interrotto la registrazione, esalando un sospiro di sollievo da premio Oscar:«Per fortuna il bimbo sta bene» e avevo liquidato la questione ecografia, distogliendo l’attenzione della donna sulla necessità di  effettuare una radiografia il più presto possibile.
Scongiurato il pericolo di trovarci dinnanzi all’ecografia più assurda a cui la signora Stock avrebbe mai avuto il piacere di assistere, restava la necessità di dare voce concreta alle mie supposizioni. La palpazione mi aveva rivelato la rottura di una o più costole, ma non sembrava ci fossero perforazioni o emorragie interne.
La radiografia aveva confermato.
Bella era stata sistemata in una stanza singola, ed io l’avevo lasciata sola solo per pochi minuti.
Il tempo di dirigermi nel mio studio per fare un paio di telefonate.
La speranza di riuscire ad essere contemporaneamente una guida, un sostegno, un esempio … un “padre” per i miei figli ha da sempre cozzato con la necessità imperiosa di evitare l’imposizione per chi come noi ha tutto il tempo davanti per scegliere il tipo di esistenza che preferisce. Banale consolazione per chi come me, seppur spinto dalla compassione e dalla buona fede, ha comunque imposto a quattro esseri umani un’eternità magari non desiderata.
E, proprio in virtù di una tale condanna, ho spesso evitato di interferire nelle decisioni e nelle scelte dei miei figli, limitandomi a mostrare loro altre possibili alternative ad un’esistenza fatta di odio e di violenza.
Ho sperato, comportandomi così, di rendere più sopportabile il peso del loro fardello. Ho gioito quando hanno scelto di battere il mio stessa sentiero. Li ho sostenuti nei momenti di difficoltà. Ma sarei un ipocrita se non ammettessi di essermi sempre sentito intimamente in colpa nei loro confronti.
E lo sarei ancora di più se mi esimessi dal riconoscere la mia responsabilità nelle attuali circostanze. Bella è in un letto di ospedale, rischiando la sua vita, anche a causa mia. E questo non posso accettarlo.
Non considero un errore aver lasciato a lei ed Edward la possibilità di amarsi, di fare le loro scelte e di sostenerle senza esprimere giudizi. No. Ma la mia responsabilità nei confronti di Bella non può essere offuscata dal tentativo di liberarmi del senso di colpa per le mie azioni nei riguardi dei miei familiari. Certo, erano in fin di vita e sarebbero morti sicuramente, ma dal momento in cui hanno subito la trasformazione, l’effetto delle loro azioni ricade inevitabilmente nello spettro dei miei doveri.
Ed era mio preciso dovere informare Edward della situazione.
Ho preso il telefono e l’ho chiamato. E’ giusto che lui sappia.
Come è giusto che, in attesa di decidere il da farsi, resti qui io a vegliare su Bella.


EDWARD

Edward vedrai che tutto si sistema, c’è Carlisle con lei. I pensieri di Alice mi scivolano addosso senza che riesca ad assimilarne pienamente il senso.
Jasper sta guidando la mia auto e siamo diretti in ospedale. Ci siamo quasi, ormai.
Non so come ho fatto a ritrovarmi nella Volvo. Se avessi ceduto al mio istinto, adesso starei volando ad un passo da terra e probabilmente già sarei arrivato a destinazione. E credo che alla velocità che avrei raggiunto nessuno avrebbe potuto scorgere qualcosa di più di un’ombra.
«Jazz, basta» Sussurro a mio fratello. So che c’è lui dietro a tutto questo annebbiamento.
Mi lancia un’occhiata sul sedile del passeggero dove mi trovo e annuisce brevemente. Subito sento la mente schiarirsi e l’intorpidimento abbandonarmi. La rabbia è ancora presente. La sete di violenza anche. Ma non riesco a provare disprezzo per me stesso in questo momento. Non per questa cosa, almeno. Non mi pento di aver permesso all’istinto di avere il sopravvento e di aver colpito quell’uomo.
Questo, forse, è l’unico gesto sensato che mi sono concesso da molto, moltissimo tempo. Troppi anni trascorsi a reprimere le mie emozioni, a mortificare la mia essenza, a pensare a cosa non potevo, non dovevo fare.
Amare Bella è stata una di queste. Ho sempre creduto che farlo fosse sbagliato, ma ho ceduto. E questo, per me, è stato il peccato più grande che abbia mai ritenuto di aver commesso. L’ho desiderata e l’ho avuta.
E lei mi si è donata anima e corpo. Letteralmente. Ha deciso di rinunciare alla sua vita per stare con me. Ed io ho accettato. O almeno, lo credevo fino a poco fa. Credevo che fosse stato proprio così che le cose erano andate.
E, di nuovo, ho sbagliato.
Io non l’ho mai accettato veramente, questa è la realtà. In qualche recondito angolo del mio inconscio, ho continuato a ritenere un errore il permettermi di desiderarla, svilendo in tal modo, l’enorme gesto d’amore che Bella era pronta a compiere per me.
Ero così accecato dal senso di colpa che ho voluto dare un significato di mio comodo a gesti e a situazioni che l’hanno riguardata. E alla prima buona occasione, ho fatto in modo di allontanarla da me e dal destino che consapevolmente lei si era scelta.
Dalla nostra unione io ho solo preso. Ma ho mai concesso? Cosa ha avuto lei di me? Cosa le ho dato io come marito, come amante, come confidente, come amico, come sostegno? Cosa, eh? COSA??
Niente. Non ho mai concesso niente. Mi sono premurato di proteggerla, di curarla e l’ho rinchiusa in una campana di vetro, temendo che si sbriciolasse come un cristallo. Ho sostenuto di volerle far vivere tutte le esperienze da umana che, una volta trasformata, non avrebbe più potuto fare e ho continuato a spiarla mantenendomi sempre ad un passo davanti a lei.
E poi sono follemente geloso, mi rendo conto d’un tratto. E questo si è sommato a tutto il resto, rendendomi insicuro.
Ho sperato, ho cercato, un qualunque pretesto che desse conferma ai miei più oscuri timori, che sottolineasse ancore una volta la mia inadeguatezza come compagno di vita di Bella e mi liberasse contemporaneamente del peso del senso di colpa. Perché io Bella la amo e chiedere a me stesso di accettare di privarla della cosa più preziosa che avesse, la sua umanità, era improponibile.
Ma come le ho dimostrato il mio amore? Quando ha avuto bisogno davvero di me, che ho fatto, io?
Hai sbagliato tutto, Cullen e non l’hai saputa amare. Questo hai fatto.
Quel Jensen … l’uomo giusto al momento giusto. Stringo gli occhi al ricordo del viso insanguinato dell’uomo riverso a terra.
Ho desiderato la sua morte. Ho desiderato potergliela infliggere con le mie mani quando ho letto nella sua mente il reale svolgimento del suo incontro con Bella.
Lei … lei l’ha respinto, mentre io ho creduto che se ne sentisse attratta. Ma forse a questo punto è più corretto dire sperato ... Come ho potuto essere così cieco? Come?!
Dell’interesse di Jensen ero anche al corrente … e che ho fatto io? Mi sono stoicamente fatto da parte come un coglione.
Avrei dovuto lottare per lei, difendere e proteggere il nostro amore, coltivare e curare il nostro rapporto.
Avrei dovuto parlare e stare ad ascoltare ciò che aveva da dirmi.
Non sperare che si innamorasse di un altro.
Lo ripeto, il pugno è stata l’unica cosa giusta che ho fatto.
Mi passo una mano rapidamente tra i capelli.
Cristo! Ho baciato un’altra donna davanti ai suoi occhi. L’ho guardata soffrire sentendo ogni parte del suo corpo urlare dal dolore.
E l’ho fatto consapevolmente.
Ma che cazzo ho combinato?!
Jasper si gira verso di me e mi fissa intensamente. Edward, tu non sei ancora in te, non dovresti andare da lei in queste condizioni …
Gli lancio un’occhiata infuocata:«Vuoi scherzare?!» e per un attimo temo che userà di nuovo il suo potere su di me per dissuadermi.
Non mi importa cosa succederà. Bella è in ospedale e il mio posto è accanto a lei.
E questa volta non me ne andrò, nemmeno se sarà lei a chiedermelo.

Appena la Volvo si ferma nel parcheggio dell’ospedale, esco rapidamente e prendo a camminare a passi veloci. Alice è già al mio fianco e per una frazione di secondo un pensiero che non  è mia moglie mi passa nel cervello:  Jasper non è con lei. L’ospedale è di certo il luogo meno adatto a lui, ma so che resterà nei paraggi.
Cullen devi stare calmo. Adesso le cazzate sono off-limits sul serio. Penso fugacemente continuando a camminare.
Stranamente Alice è silenziosa. Persino i suoi pensieri lo sono. Non mi soffermo troppo su questi dettagli e varco l’ingresso dell’Union Hospital con sicurezza. E’ l’ora di visita dei pazienti, noto distrattamente. Molte persone camminano con grosse buste tra le mani e il chiacchiericcio è sommesso, ma generale. Evito di soffermarmi sui loro pensieri, nonostante la preoccupazione di parecchi di loro sia talmente un chiodo fisso, da raggiungere ugualmente la mia mente.
La maggior parte di loro si affolla agli ascensori. Quasi nessuno prende le scale e mi dirigo spedito proprio da questa parte. Un’occhiata rapida mi rivela l’assenza di telecamere e raggiungo subito il piano in cui sono ubicati gli studi medici. Alice mi tallona stretto. Qui devo riprendere la mia camminata da umano, mio malgrado, ma mantengo ugualmente un passo rapidissimo.
L’occhio di quattro telecamere si alterna per monitorare il lungo corridoio.
La porta dello studio di Carlisle mi sembra troppo lontana e mi sembra che passino secoli prima di arrivare ed aprirla senza bussare. Seduta alla scrivania dell’anticamera c’è Lucy, la segretaria di mio padre.
E seduto, comodamente stravaccato su una poltrona troppo piccola per lui, Emmett.
Emmett?! Aggrotto la fronte e mi blocco d’un tratto al centro della stanza. Lucy mi guarda a bocca lievemente aperta senza riuscire a pronunciare nemmeno una parola.
«Oh, finalmente! Mi avete fatto preoccupare! Tardavate tanto che ad un certo punto ho temuto che foste stati coinvolti in un incidente!» spara Emmett con un vocione tonante e chiudendo il siparietto con una risata fragorosa. Teatralmente si alza facendo attenzione a darsi la spinta con i palmi sulle ginocchia e, con passo fintamente appesantito si avvicina a me, mettendomi una mano sulla spalla. Un affettuoso segno di saluto per lo sguardo un po’ incerto di Lucy, una presa ferrea per me.
Fratellino stai calmo. Dobbiamo aspettare solo che arrivi Carlisle. Quindi non fare cazzate. E accompagna i pensieri con un ampio sorriso.
La segretaria si riprende rapidamente dallo stupore per l’improvvisa uscita di Emmett e afferra la cornetta del telefono digitando velocemente sulla tastiera:«Dottore» dice solo e capisco che mio padre ha lasciato detto di voler essere avvertito non appena fossi arrivato allo studio.
E sono davvero pochi i secondi che impiego per comprendere la situazione.
Punto uno: cercano di tenermi lontano dalla stanza di Bella.
Punto due: la situazione è di una tale gravità, che Carlisle non l’ha lascia sola, nemmeno per cambiare piano nello stesso ospedale.
«Emmett, lasciami andare» sibilo in un sussurro inudibile da Lucy.
Come risposta il sorriso da star di mio fratello si accentua e la presa si rafforza. Spiacente, ordini precisi.
Lo fisso intensamente negli occhi.
«Se ci fosse Rose in quel letto, io ti lascerei andare da lei». Gli dico e la voce mi trema, nonostante non faccia nulla per divincolarmi. Il mio atteggiamento è calmo.
Mi sento anche calmo.
Ormai sono qui. Qualunque cosa sia accaduta, Carlisle è con lei, sa cosa fare e non potrei fare nulla di più di lui per Bella.
Ma devo vederla. A qualsiasi costo.
Negli occhi di Emmett leggo il tentennamento e maledico la sorte che mi ha donato il potere sbagliato. Se ci fosse stato Jazz al mio posto, adesso starebbe  camminando indisturbato per il corridoio.
Edward, si tratta solo di un paio di minuti … pensa incerto lui.
«Vieni anche tu, se vuoi» incalzo, «ma non chiedermi di restare qui» e gli poso il mio palmo sul dorso della sua mano, senza imprimere però alcuna forza.
Dopo un instante, la mano di Emmett scivola via dalla mia spalla e ricade lentamente lungo il suo fianco. Leggo sul suo viso il dispiacere per me.
Devo essere davvero in uno stato pietoso.
Ok, ma tu resti al mio fianco. E non mi combini casini, intesi? E il sorriso che gli si dipinge in volto è diverso, è il riflesso del mio sollievo.
Usciamo velocemente dallo studio e ci dirigiamo alle scale.
«Dov’è?» chiedo a voce bassa continuando a guardare fisso davanti a me.
«Quinto piano» risponde e cominciamo a salire.
Mantengo il passo sostenuto, ma non lo affretto. In direzione contraria alla nostra incontriamo molte persone che scendono. Ma finalmente arriviamo:
QUINTO PIANO – Cita una targhetta sul muro di fronte all’ultimo scalino.
E di fianco l’elenco dei reparti ubicati proprio in questo piano.
Resto un attimo interdetto, accorgendomi solo in questo momento che non so quale sia il reparto in cui hanno portato Bella, ma lo smarrimento è di breve durata, perché, prima ancora di sentirne i pensieri, avverto la presenza di mio padre.
E dopo un attimo eccolo uscire da una porta con i vetri smerigliati.
Avrei preferito che rimanessi in studio. Pensa e contemporaneamente lancia uno sguardo ad Emmett, il quale si stringe nelle spalle e scrolla il capo in un gesto eloquente.
Mi avvicino mentre lui fa lo stesso. Ad un paio di passi l’uno dall’altro ci fermiamo.
Lo fisso, ma non dico nulla. E’ quell’istante infinito in cui sai che qualcosa di enorme sta per accadere, quello in cui proprio le parole possono stravolgere il destino di un individuo. E hai paura di pronunciarle.
E’ stato così con Bella. Fu sentire il mio nome uscire dalle sue labbra mentre era profondamente addormentata che decretò la presa di coscienza del mio amore nei suoi confronti.
Aspetto in silenzio e immobile, ma per la prima volta sento che è in difficoltà.
Materializzo in pochi istanti davanti agli occhi infiniti, possibili, drammatici scenari che coinvolgano mia moglie.
Per ognuno di essi, sento una stilettata in mezzo al petto.
Non ha ripreso ancora conoscenza, ma non è in pericolo di vita. Pensa lui finalmente.
Non è in pericolo di vita! Il mio cuore esulta, ma il sospiro di sollievo che sta per uscire spontaneamente dalle mie labbra si blocca.
Per adesso. Aggiunge mio padre, sempre con il pensiero e i suoi occhi si puntano nei miei.
«Come … cosa … vuol dire?» mi decido finalmente a chiedere, e la voce non  sembra nemmeno appartenermi più.
Emmett e Alice osservano silenziosi e attenti il nostro mezzo dialogo, quasi fosse una silenziosa partita di ping-pong, e allora mio padre decide di parlare ad alta voce: «L’ha portata qui una sua amica, pare che si sia sentita male in taxi.»
«Devo vederla». Dico, sentendo la mia pazienza essere pericolosamente sull’orlo di un baratro, e contemporaneamente faccio un passo in direzione della porta da cui è uscito Carlisle. Ma lui si sposta di un passo e mi copre la visuale, sbarrandomi nel contempo la strada.
Mantiene il palmo lievemente alzato e rivolto aperto verso di me. Questo movimento catalizza la mia attenzione e faccio scorrere lo sguardo prima sulla sua mano, poi, sul suo viso.
«Edward, ci sono delle cose che non sai. Che non sapevo nemmeno io … che non avrei mai sospettato» sospira, quindi.
«Cose … ?» chiedo perplesso «Che genere di … cose?» il mio tono è incerto, ma impaziente. Dei discorsi scientifici si può parlare anche in seguito. Sono stato fin troppo lontano da Bella ed ora, anche un solo altro minuto, non è più  sostenibile.
Scrollo il capo: «E’ necessario parlarne adesso?!» e forse la mia voce ha un che di urgente, perché Emmett fa un passo verso di me e lo noto con la coda dell’occhio.
Tiro un sospiro e noto il disagio di Carlisle.
Disagio … che mi nasconde?
Lo sguardo diventa più attento, la mente si concentra e automaticamente tutti i dettagli intorno a me entrano nel mio raggio percettivo con intensità e prepotenza.
Registro nella mia testa tutto alla velocità della luce. Tutti i particolari, i colori, gli odori e i pensieri … soprattutto quelli di persone a me familiari …
Innocui quelli nelle immediate vicinanze, sfuggenti quelli di mio padre, allegri, gioiosi la maggior parte di quelli del reparto da cui è uscito Carlisle.
Il reparto … l’occhio mi si sposta velocemente sulla targa di fianco alla porta dai vetri opachi … GINECOLOGIA E OSTETRICIA, cita.
Ginecologia ed ostetricia?!
I miei studi di medicina sembrano del tutto inadeguati a fornirmi un valido motivo per cui una donna giovane sia ricoverata in un tale reparto.
Certo, un parto, un’interruzione di gravidanza, un intervento … ma non è questo il caso di Bella.
E dunque? Guardo perplesso la targa. Guardo mio padre.
Non è questo il caso di Bella, … no?E i miei pensieri restano sospesi.
«Carlisle, ma … che succede?» Il mio tono è impercettibilmente cambiato.
Noto subito come le spalle di mio padre subiscano un leggero scatto al mutare della mia inflessione ed i suoi pensieri cambiano con essa.
Edward … ascoltami. Non è mai accaduto nulla del genere … nessuno di noi avrebbe potuto mai immaginare … prevedere … che potesse verificarsi un evento simile … se solo l’avessi sospettato, io … vi avrei messo in guardia …
Aggrotto la fronte.
Una consapevolezza terribile e angosciante si fa strada dentro di me.
E mi mozza il fiato.
Chiudo gli occhi, li riapro.
Quando a passo umano aggiro mio padre, Emmett è pronto ad afferrarmi, ma Carlisle gli mette una mano sul braccio e scuote la testa.
Entro nel reparto e l’odore di Bella mi colpisce nonostante sia misto agli altri,  tipici degli ospedali. Proviene da una stanza isolata rispetto a quelle dove presumibilmente ci sono tutte le altre pazienti e senza esitare mi dirigo lì.
Persone mi passano accanto, alcune mi urtano e si scusano, altre procedono veloci.
Non modifico il passo. Cammino. Cammino e basta.
E quando, giusto di fronte alla stanza in cui l’odore di Bella si concentra, mi fermo, mi rendo conto che a pochi passi da me Carlisle ed Emmett si sono bloccati vicino ad Alice, ferma un po’ prima di loro.
Si tiene la testa con le mani, premendosi le tempie ad occhi serrati.
Mi volto verso la porta e l’apro.
Distesa nel letto, incosciente e pallida, Bella.
Ne percorro ogni tratto del viso addormentato, ogni linea, ogni curva nascosta dalla coperta … fino a che, con la massima calma, i miei occhi si soffermano sul suo grembo dove è chiaramente visibile un evidente arrotondamento …
E’ quell’istante infinito in cui sai che qualcosa di enorme è appena accaduto, quello in cui le parole infrangeranno l’illusione che tra possibile ed impossibile ci sia una netta distinzione e che, tutto sommato, non è così semplice stravolgere il destino di un individuo.
E allora non hai più paura di pronunciarle, quelle parole.
Da sole, quelle stesse parole che la mia mente non avrebbe mai contemplato nemmeno di pensare, trovano la via d’uscita dal mio corpo.
Un sussurro, leggero come un soffio dalle mie labbra.
«Incinta».




NOTA  DELL’AUTRICE: Ehmmm il capitolo mi ha preso un po’ più di tempo rispetto a quello che avevo previsto. Perdono, pliss.
L’importante è esserci, ù.ù
Non rispondo a tutti, purtroppo il tempo stringe … fra poco riprenderò a lavorare e vorrei portarvi ad un buon punto della storia.
 Holly__ Cara, non preoccuparti per le recensioni….XD Spiegarti il motivo del bacio in poche righe non è affatto semplice, ma qui ho spiegato il punto di vista di Edward. Se hai tempo, in qualche risposta alle recensioni dei capitoli successivi al capitolo incriminato, potresti trovare maggiori delucidazioni … Baci XDD
congy; kira83pc : Benvenute! Grazie per aver voluto recensire XDD

Non me ne vogliano gli altri … cercherò di farmi perdonare con il prossimo capitolo.
Solo qualche piccola precisazione. So che è fastidioso interrompere i capitoli sul più bello, che quando si riprende ci si è quasi dimenticati del precedente, ma ognuno di loro necessitava dello giusto spazio. Ora la scena è finita, dal prossimo cambieremo ambientazione e circostanze.
Grazie a tutti coloro che hanno voluto leggermi e recensirmi. Sono sempre lusingata dal tempo che impiegate nel sorbirvi il frutto del mio cervellino allucinato …
Un bacio ed un abbraccio per tutti voi :****
M.Luisa


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Capitolo 28
*** CAP.28 ***


Per questo capitolo c’è una sola musica, che adoro profondamente.
Questa
Chi vuole può ascoltarla dall’inizio della lettura alla fine a ripetizione … io l’ho inserita più o meno ai due terzi del capitolo.
Il mio consiglio è di caricarla e di tenerla pronta per quando arriverete lì, resistendo a non ascoltarla fino ad allora. Quando finisce, rimettetela ...
“Do you trust me?”
Fidatevi.
Buona lettura.

CAP.28

BELLA

«Sono quattro giorni che non ti muovi da qui … devi uscire ogni tanto dalla stanza, altrimenti qualcuno comincerà a porsi qualche domanda … »

«Vai a fare un giro, prendi la Volvo … una mezz’ora, poi ritorni … rimango io con lei»
… … …
«Non puoi fare così! Sei impazzito, per caso?! Vuoi farci scoprire tutti?!!»
Ringhi sommessi.
… …
«Una sola persona alla volta. E’ un favore giusto perché siete i familiari del Dottor Cullen»
«Grazie, signora Stock».



«L’alimentazione per sondino non funziona» …
«No» … «Non qui. Dobbiamo portarla a casa».



Il freddo.
Lo sento in ogni istante. Sia in veglia che in sonno … O forse è in sogno? Sulla pelle, sulle mani, sugli occhi, sulle guance.
Sempre.
Un lieve fruscio, un soffio appena accennato.
La mente è annebbiata. La bocca mi duole. All’inizio moltissimo, poi sempre meno. Adesso è rimasto un fastidioso senso di tensione.
Non riesco a muovermi.
E’ un sogno, allora? E perché non mi sveglio? Perché ogni respiro mi sembra una coltellata e uno sforzo enorme?
E le voci … sono solo sussurri … eppure sembrano così reali …
Ma sono stanca. Troppo. Gli occhi non vogliono aprirsi.
E di nuovo, l’incoscienza.



Apro gli occhi.
E’ buio. Intorno a me c’è silenzio.
Dischiudo le labbra.
Sono secchissime, la bocca è completamente riarsa.
Ho sete.
Dove sono? C’è qualcuno? Vorrei chiedere dell’acqua, ma la voce non esce.
Tento di raddrizzare il busto, ma appena accenno ad un movimento, una fitta al torace mi mozza il respiro. Un gemito mi sfugge dalle labbra.
Una mano gelata mi si posa sulla fronte in una morbida carezza.
Due occhi brillano nell’oscurità vicino al mio viso.
Sembra Edward.
Chiudo gli occhi. Ho paura di vederlo dissolversi davanti a me, frutto di una allucinazione perversa.
Qualcosa scivola delicatamente sotto le mie spalle, la mia testa passa dal cuscino tiepido al marmo freddo eppur morbidissimo.
E c’è profumo. Di lui.
E’ ovunque. Intorno a  me, su di me.
In un gesto istintivo cerco di approfondire l’inspirazione, ma, di nuovo, un dolore acuto al torace mi blocca.
Una modesta pressione sulla bocca. E’ un bicchiere.
Schiudo le labbra accogliendone il bordo e, dopo un attimo, acqua fresca scorre nella mia bocca.
Deglutisco, ma un po’ di liquido fuoriesce, scivolandomi sul mento.
Dita ghiacciate ne intercettano il movimento in senso contrario, impedendo al rivolo di arrivare fino alla gola. Risalgono leggere sulla mia pelle, lente, e diventano una morbida carezza che mi sfora il labbro inferiore.
Poi, si staccano.
Il capo ritorna lentamente sul cuscino. Vorrei protestare con quel sogno crudele, dirgli che non sono ancora pronta a lasciarlo andare via … ma pochi istanti ed è, di nuovo, l’oblio.



Un tocco ovattato. Tessuto sulla mia pelle che non riesce a mascherare la sensazione di freddezza che penetra le fibre e raggiunge il mio corpo.
Un brivido mi percorre.
«Ti dico che si sta svegliando»
Uno scampanellio.
«L’hai visto?»
Una dolcissima voce melodiosa.
«No, no … intuito femminile»
«Mmmm, anch’io sono donna, ma l’intuito non mi dice niente» la voce melodiosa si tinge di lieve irritazione.
«Rose, tu sei donna solo dal collo in giù»
Rose … sì, sì è lei. E l’altra voce … chi se non Alice?
«Mi stai offendendo, per caso?» all’irritazione si somma l’incertezza.
«No, ma che vai a pensare! Voglio dire che dal collo in giù sei quanto di più perfetto esista con il nome “donna”» lo scampanellio della voce di Alice diventa un coro di campane a festa.
Silenzio.
«Mi stai offendendo» un tono secco «E, di grazia, potrei conoscerne il motivo?» l’irritazione è ormai palese.
Nessuna risposta. Silenzio da ambo le parti adesso.
Poi, «Stanno discutendo» nel sussurro di Alice una nota di preoccupazione.
«L’avevo intuito …» Rose calca l’ultimo termine.
«Spiritosa …» la prima.
«Grazie!» la seconda.
I loro gesti si fanno più rapidi. Mi stanno vestendo.
«Lascia stare Alice … sbrigati prima che venga a strigliarci ». L’urgenza si mescola all’irritazione.
Sento nell’aria un delicato profumo di fiori.
Mi stupisco del fatto che il loro tocco non mi faccia rabbrividire come invece mi aspetterei.
Decido che sì, posso arrischiarmi ad aprire gli occhi. Lo faccio e mi scontro con quelli ambrati di Alice, proprio ad un palmo dal mio viso. Sorride.
Ed io continuo a guardarla.
«Bentornata» soffia sui miei capelli, mentre scende a posarmi un lieve bacio sulla fronte.
Brilla.
Un raggio di sole penetra dalla finestra e si infrange sul suo viso, che lo riflette in una miriade di fasci luminosi più piccoli …
Un movimento appena accennato, e dietro di lei scorgo Rose.
Mi osserva curiosa per un lungo istante. Poi, i suoi occhi scendono e si fermano dopo un attimo, lo sguardo puntato sul mio ventre.
Non è mai stata più bella di così. O non l’ho mai notato prima. C’è un che di innocente e nello stesso tempo tormentato, che le dona un’aura nuova e misteriosa.
Resta ferma, immobile.
Sul viso perfetto uno sguardo indecifrabile. Credo trattenga anche il respiro. Ma, poi, si volta e in un secondo scompare senza fare il minimo rumore.
Alice sospira e mi giro a guardarla. «Non badarci, Bella. Lo sai com’è fatta»
Continuo a fissarla.
«Allora, come ti senti? Ti serve qualcosa?» chiede e nel contempo si sfila dei guanti di cotone bianchi con un gesto aggraziato.
Deve averli indossati per cambiarmi e non farmi entrare a diretto contatto con la sua pelle gelida. Lancio un’occhiata alle mie braccia. Un morbido pigiama di cotone bianco con dei piccolissimi fiorellini azzurri che non ho mai visto prima si adatta perfettamente in taglia e lunghezza al mio corpo. Riporto lo sguardo su Alice che mi fa l’occhiolino e mi sussurra con un alito di voce ed un’aria cospiratoria:«Delizioso, non trovi?»
Osservo tutto il movimento, fino a che Alice non ripone i guanti in un cassetto.
Nel cassetto della mia scrivania.
A casa nostra.
Nella stanza mia e di Edward.
Edward … Realizzo in pochi istanti che mi trovo davvero a casa, che questo non è un sogno e che sono sveglissima. Gli occhi cominciano a saettare per la stanza impazziti, alla sua ricerca o alla ricerca di un indizio che mi confermi la sua presenza, un dettaglio, un oggetto che gli appartiene.
«Ehi, ma che ti prende?» Alice si avvicina rapida, ma ad un passo da me si blocca improvvisamente, stringendo forte gli occhi e piegando il busto in avanti. E’ come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco.
Ma che succede?
Oddio, sta male … penso e sento il panico invadere ogni più piccola parte di me.
Corrugo la fronte, confusa. Che faccio? Non sembra in preda ad una delle sue visioni, ma sembra provare dolore. Decido di spostarmi sul letto, cercando di avvicinarmi, ma lei arretra di un passo reggendosi la testa con una mano, mentre con l’altra mi fa segno di non proseguire.
«Di nuovo … » sussurra.
Pochi istanti e la porta si apre. Sull’uscio Carlisle.
Si avvicina a lei sussurrandole parole inafferrabili. E lei risponde con movimenti del capo, ma non accenna ad aprire gli occhi. Osservo la scena stupita e un po’ spaventata.
E’ colpa mia? Perché Alice sta male se mi è vicina? Eppure un attimo prima mi era proprio ad un passo … Cosa è cambiato?
Sono ancora nella posizione di chi non sa cosa fare … se alzarsi e cercare di aiutare o rimettermi a letto. Semi seduta come sono ho fastidio al busto, ma non me ne curo. Mi guardo intorno, spaesata.
Ed i miei occhi si scontrano con i suoi.
E’ fermo sull’uscio della porta. Mi fissa, immobile e rigido.
Ma i suoi occhi ardono.
Sembra in attesa di … qualcosa. Ed io non riesco a staccare lo sguardo dal suo.
Poi si muove verso di me, con calma.
Ad un passo dal letto, alza con incredibile lentezza le mani verso l’alto, mettendole bene in vista e con il tocco più leggero che abbia mai avuto, mi sfiora leggermente la spalla, invitandomi a distendermi verso il cuscino e nello stesso tempo sostenendomi il busto. Continua a guardarmi in viso, come se si aspettasse qualcosa da me.
«E’ tutto a posto. Stai tranquilla. Le passerà subito» dice e la voce gli esce roca.
E’ turbato.
Mi lascio scivolare docile sui cuscini, ipnotizzata dal suo sguardo, e il movimento mi provoca una nuova fitta all’addome. Non emetto un solo lamento, ma a lui non sfugge l’impercettibile mutamento della mia espressione. Non dice nulla, limitandosi a stringere le labbra.
Solo in questo momento mi rendo conto che siamo rimasti soli in stanza. Per quanto sia possibile essere soli in una casa di vampiri dal super udito …
Siamo soli io e lui.
Sento il respiro affrettarsi, il mio cuore partire al galoppo.
Lo sente anche lui. Di sicuro. E, infatti, dopo un attimo, con voce controllata ma sprezzante dice:«Bella, ti prego, sta calma. Non ti farò ancora del male. Te ne ho già fatto fin troppo».
Lo osservo, incapace di profferire parola. Vorrei dirgli che si sbaglia, che non temerei nessun dolore se lui fosse al mio fianco, che potrei sopportare le peggiori torture se solo mi amasse. E nello stesso momento in cui formulo questi pensieri mi odio.
Bella, lui non è più tuo, se anche lo fosse mai stato prima … penso con doloroso distacco.
Si accovaccia di fianco al letto, e i suoi occhi scendono sulla mia mano mollemente abbandonata sul copriletto. Sembra esitare per una frazione di secondo, poi, punta i gomiti e si prende il capo tra le mani.
Resta così, fermo e in silenzio.
E’ a pochi centimetri dal mio braccio.
Potrei toccargli il capo solo alzando la mano. Osservo i suoi capelli. Quel disordine perfetto, quel colore come di foglie d’autunno. E l’istinto di passarci dentro le dita sembra inarrestabile. Eppure resto immobile.
Bella, lui non è più tuo … Mi ripeto e ho bisogno di farlo in continuazione, di convincermene io per prima. Stringo le dita sulla coperta per impedirmi di toccarlo.
Un sospiro e alza la testa.
 Sul suo viso, l’espressione più addolorata che gli abbia mai visto. Nemmeno la prima volta che mi abbandonò e poi ci ritrovammo l’ho mai scorta tra i suoi lineamenti perfetti. E mi sembra un’oscenità che i suoi tratti siano così distorti, così contratti come preda di un’oscura sofferenza.
Le dita si muovono da sole e la mia mano si poggia sulla sua guancia.
Non le controllo, vanno per conto loro. Voglio solo cancellare quel dolore … non sopporto di vederlo sul suo viso.
Il suo sguardo si affila, sembra stupito.
Volta il capo verso la mia mano, chiude gli occhi e le sue labbra sfiorano l’interno del mio palmo.
«Bella, sono un idiota» dice soffiando sulla mia pelle ed il suo fiato gelido sembra il più bollente dei tocchi.
Riapre gli occhi e si gira verso di me. Contemporaneamente inclina il capo sulla mia mano, richiudendola, così, tra la sua guancia e l’incavo del suo collo.
«Io ti amo» dice «ma ho rovinato tutto. Tutto quanto»
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Le lascio scorrere via dagli occhi, rotolare giù per le guance e trattengo il fiato. I suoi occhi seguono il movimento di quelle piccole, impertinenti traditrici e la sua espressione è quanto di più vicino ci sia alle lacrime. I suoi occhi brillano, sono chiarissimi.
I vampiri potranno anche non piangere, ma il dolore che provano sembra esplodergli dentro. Non riuscirei mai, mai a mettere in dubbio la sincerità di queste parole.
Ma questo cambia in qualche modo le cose?
Con la punta delle dita raccoglie le mie lacrime e poi le porta alla sue labbra.
«Da oggi, non permetterò che niente di te sia lontano da me. Nemmeno le tue lacrime» sussurra con gli occhi nei miei.
Poi con le sue mani prende la mia, con cui l’avevo sfiorato prima, ancora imprigionata su di lui. Ne bacia con dolcezza prima il dorso, poi il palmo e la richiude fra le sue. Si muove lentamente, mi sfiora appena. Come se temesse  di rompermi.
Continuo ad osservarlo. Vorrei parlargli, chiedergli cosa è successo a me, a noi, ma lui mi punta addosso uno sguardo determinato e dice:«Bella, posso parlare?»
Muovo appena il capo in segno d’assenso e lui stringe giusto un po’ la presa sulla mia mano. Prende un profondo respiro e con gli occhi fissi nei miei dice:«Non c’è mai stata nessuna al di fuori di te, te lo giuro».
Scruta i miei occhi, aspetta la mia reazione, poi decide di continuare:«Non ci sono giustificazioni per quello che ho fatto, ma vorrei spiegarti lo stesso».

EDWARD

«Non ci sono giustificazioni per quello che ho fatto, ma vorrei spiegarti lo stesso». Continuo ad osservarla, la sua mano imprigionata nelle mie.
Bella non ha ancora detto nulla da quando si è svegliata, da quando sono entrato nella nostra stanza dove Alice e Rose hanno approfittato di una mia momentanea e rarissima assenza per cambiarle il pigiama con uno nuovo di zecca. Normalmente lo faccio io. Non ho permesso a nessuno di avvicinarsi per una settimana. Non mi sono mosso dalla stanza notte e giorno.
E’ stata incosciente per dieci giorni. E’ dimagrita in maniera paurosa.
Il labbro  inferiore si è cicatrizzato perfettamente grazie alla precisione con cui Carlisle le ha applicato le suture. La costola è in via di guarigione, ma deve restare ferma, se non immobile ancora per qualche tempo.
Sempre sperando che il … feto non le rompa qualcos’altro prima.
All’urgenza di spiegarmi si aggiunge la necessità di assicurarmi che Bella sia messa a conoscenza della gravità della situazione in cui l’ho cacciata.
Per ore intere, immobile al suo fianco, in ascolto del suo flebile respiro, ho cercato di trovare le parole giuste per affrontare questo discorso in relazione al pochissimo tempo che rimane a nostra disposizione.
E sono giunto alla conclusione che non le troverò mai.
Ogni giorno che passa Bella rischia la vita, e, seppur cosciente della difficile situazione in cui ci troviamo come coppia, non posso fare a meno di pensare che da un momento all’altro il suo corpo possa cedere alla cosa che le sta crescendo in corpo.

Alexandre Desplat - New Moon (The Meadow) –

Mi osserva, con gli occhi grandi e incerti. E sento che questo è il momento in cui rischio davvero di perderla.
Non si fida più di me, penso sconfortato. E come posso darle torto, maledizione? Come??!
Deglutisco :«Bella, alla Rauner … quello che … ho voluto che tu vedessi è stato un terribile errore» dico d’un fiato e lei aggrotta leggermente le sopracciglia «Io ho … visto nella mente di alcuni tuoi colleghi ciò che è accaduto nello studio del professor Jensen». Sobbalza alle mie parole e nei suoi occhi leggo il panico, quindi mi affretto a proseguire:«Ho creduto … » prendo un respiro :« ho voluto credere che tu fossi attratta da quell’uomo. Sono uno stupido, Bella, ma ho sperato che il mio successivo comportamento ti risparmiasse la mortificazione di una spiegazione e ti liberasse da qualsiasi obbligo sentissi di provare nei miei confronti».
Mi fermo un attimo ed i suoi occhi si abbassano. Scuote piano il capo. Ovviamente è allibita.
Apre la bocca due volte, poi la richiude.
Helèna mi ha raccontato tutto. Da quando l’ha incontrata fuori dal Tandem a quando l’ha condotta in ospedale. E quello che non ha detto a voce, gliel’ho letto nella mente.
Ed ho visto. Tutto.
Chiudo per un istante gli occhi ricacciando l’immagine di Bella catatonica nel letto del dormitorio, con lo sguardo spento e vorrei staccarmi la testa da solo.
Li riapro e la guardo, tenendole sempre la mano nelle mie.
Vacci piano Cullen, non essere impetuoso … penso e mi dico che sono un coglione patentato. Solo un idiota poteva farle quello che ho fatto io, portarla sull’orlo di una crisi di nervi.
Non aspetto che mi parli. Helèna mi ha raccontato anche questo, e cioè che per tutto il tempo in cui è stata al dormitorio dal giorno della Rauner, Bella non ha pronunciato una sola parola. Escluso il nome di mia sorella quando è andata a parlarle lì.
Lo shock emotivo a cui è stata sottoposta, a cui l’ho sottoposta, non è uno scherzo e ha agito sul suo corpo e sulla sua mente in maniera inarrestabile.
E non pretendo di riuscire a farmi perdonare adesso. Forse … forse non ci riuscirò mai …
I miei errori non si limitano a quel bacio traditore.
Io ho dubitato di Bella. Ho creduto che il suo amore nei miei confronti fosse fragile, corruttibile. E, invece, lo è stato il mio. E, per quanto cerchi delle scusanti, non ci sono giustificazioni per questo.
Ed ho perso la sua fiducia. Non mi basterà tutta l’eternità per recuperarla.
«Bella, ascoltami ti prego» le dico e poggio un dito con delicatezza sotto al suo mento «Sai che non sono mai stato entusiasta del tuo desiderio di essere trasformata» lei alza gli occhi e mi guarda. Continuo:«Accettare che tu rinunciassi alla cosa più preziosa che avevi, la tua vita, solo per me … beh, era impensabile», abbasso la mano «era sbagliato».
«Ho usato Dartmouth come un banco di prova e ti ci ho messa su nella speranza e nel timore che cadessi. Di fatto non è mai accaduto. Ma non ero pronto ad affrontare uno scomodo avversario» e questa volta abbasso io gli occhi sulla coperta per un attimo, poi li rialzo nei suoi «la gelosia».
Nel suo sguardo scorgo per una frazione di secondo un lampo di comprensione. Allora mi faccio coraggio e proseguo :«Non sai cosa darei per tornare indietro Bella, per ritrovarmi in ogni situazione in cui avrei dovuto parlare con te, invece di permettere al silenzio e all’orgoglio di avere il sopravvento» sospiro profondamente «per evitare che tu … fossi costretta ad affrontare tutto questo da sola» e accompagno le parole con un gesto ampio della mano.
Avvicino la sua mano alle mie labbra e ne bacio le dita una ad una. Mi lascia fare, non la ritrae, non si discosta.
Attendo qualche secondo. Ho paura che tutto ciò sia troppo per lei, che la sua mente ed il suo corpo non reagiscano alla giusta maniera, ma ormai ci sono dentro fino al collo e decido di continuare.
“Edward non abbiamo molto tempo. Il feto è chiaramente di natura non umana. Non sappiamo quanto ci sia della nostra specie in lui, ma direi che la velocità di sviluppo sia all’incirca il doppio di quella di un feto umano. E’ come se Bella fosse quasi a cinque mesi di gravidanza, ma il suo corpo non si adatta alla sua crescita, non ne ha il tempo … ed è forte, Edward, potrebbe romperle qualcos’altro la prossima volta …”
Le parole di Carlisle risuonano nella mia mente e, anche se è impossibile, sento un brivido su per la schiena.
Come dirle quello che voglio dirle senza che adesso sembri una strana coincidenza? Perché cazzo non ho parlato quel giorno alla Rauner? Quando avevo già deciso che attendere oltre per la sua trasformazione fosse inutile, e che avrei potuto cambiarla non appena avesse voluto?
Cosa impedirà a Bella di credere che quello che sto per dirle non è solo un patetico tentativo di salvarle la vita e non il desiderio di voler condividere con lei l’eternità?
Se solo avessi più tempo … se solo potessi cercare di dimostrarle quanto l’amo …
Scelgo con cura le parole. Continua a guardarmi, ma non riesco a decifrare la sua espressione.
Meraviglioso … non so nemmeno dove sbattere la testa.
«Bella, io desidero stare con te più di ogni altra cosa al mondo. Sei la mia vita … sei … sei tutto per me». Non stacco gli occhi dai suoi e lei sembra ipnotizzata.
Le sfioro le guance e con delicatezza imprigiono il suo viso fra le mie mani. Sento la sua pelle vibrare al mio tocco.
«Se lo vuoi ancora …» deglutisco «se mi vuoi ancora … sono pronto a trasformarti oggi stesso». Sobbalza alle mie parole e sento il suo cuore perdere un battito, per poi cominciare a correre impazzito.
Mi sto giocando tutto, penso, tutto quanto in questo momento.
Decido che non ha più senso tacerle qualcosa e continuo:«Non c’è niente che non sarei disposto a fare per te, Bella. Chiedimi qualsiasi cosa. E ti giuro che l’avrai».
Esito solo un attimo, poi proseguo con più determinazione.
«Ti prego, ti supplico … dammi l’opportunità di essere il compagno della tua vita, se anche tu lo desideri ancora». Mi alzo e mi siedo al suo fianco senza staccarle le mani dal volto «Ci siamo fatti troppo male, e non ha più senso aspettare oltre. Starai bene, ora che sappiamo come agire, come aiutarti. E nulla … nulla si frapporrà più tra noi. Io … ti voglio» concludo e la mia voce trema, si fa un roco sussurro.  
Mi osserva, il respiro accelerato, il suo petto che si alza e si abbassa velocemente.
Inclino la testa con lentezza, voglio che abbia il tempo di ritrarsi se lo desidera, ma non lo fa. E allora con calma esasperante, ma solo apparente, ripetendomi nella testa che devo mantenere il controllo e non esagerare, mi avvicino e sfioro le sue labbra.
Una volta. Poi un’altra, e un’altra ancora..
L’incendio mi divampa dentro in un attimo e sento lava incandescente scorrermi nelle vene. E’ fuoco, è dolore, è possesso.
Lotterò per averla, per riconquistarla. Dovessi trascorrere tutta la mia esistenza nel farlo, lo farò.
Poggio la mia fronte sulla sua ed inspiro profondamente il suo profumo dolcissimo, lasciando che il fuoco si impossessi anche della mia gola.
«Dimmi cosa vuoi, Bella» le soffio sulle labbra e il suo respiro caldo e affannato si scontra con il mio gelido «dimmelo, ti prego»
Aspetto trepidante un cenno, un movimento. Sento la sua agitazione. Trema. E la sua pelle sotto le mie dita è percorsa da mille brividi.
E quando ormai ho perso quasi la speranza di ottenere una qualsiasi reazione  e sto per staccarmi da lei, alza una mano con lentezza e la posa sul mio petto. Tenta di  raddrizzarsi con il busto e di riflesso mi tiro indietro facendole scorrere un braccio dietro la schiena per sorreggerla ed avvicinarla a me. Sposta il capo scivolando con la guancia sulla mia guancia e avvicina le labbra al mio orecchio.
Un sussurro basso, appena percepibile:«Voglio …» e si ferma, esitante.
«Tutto ciò che vuoi amore, tutto … » mormoro sui suoi capelli, chiudendo gli occhi e stringendola con ferma delicatezza.
«… voglio questo figlio».
Spalanco gli occhi ed il mio corpo si irrigidisce in una frazione di secondo.
Le sole, uniche parole che non ero pronto ad ascoltare.

 

NOTA DELL’AUTRICE: Miei cari, eccoci a noi. ^^
Spero che questo capitolo non vi abbia delusi. Ho cercato di renderlo credibile e di spiegare qualcosa in più di questa strana gravidanza.
Vi ringrazio per il sostegno e per tutte le vostre meravigliose recensioni.
Un bacio a tutte le new entry su fb e su twitter. Grazie a chi mi aggiunge in preferiti e seguiti, per la vostra fiducia *.*

annalie: Non ti scusare per il crudele Mhuahuahauhauau!!!! Capirai che è un eufemismo per me ...:) Baci
Hanairoh: nuuu non ti preoccupare se non recensisci ^^ Io sono la pigrizia fatta persona, quindi ti capisco... ed è un piacere fare la tua conoscenza. Sto morendo dalle risate per il tuo gonnellino di paglia...ù.ù me curiosa di sapere come non ti vengono le gambine a pois con questo freddo... Baci XD
cloe cullen: sì sì lo ricordo, l’ho scritto io…vedremo un po’ Bellina cosa farà, ancora non è detta l’ultima parola :P Baci
arual93: Ciao cara Laura, qualcosa si muove, ma dici bene, non sarà una passeggiata… Grazie ancora per la tua donazione per Haiti. Un bacio XD
kikkikikki: :toglie il cappottino per il capitolo precedente e indossa il bikini per questo: lo so…la pressione è quella che ci frega ù.ù Dobbiamo studiare qualche antidoto alla Edwardite… altrimenti alla fine della storia non ci arriviamo mica, eh?! Bacioni *.*
FallingDoll: Ciao cara ^^ Dieci capitoli filati!!! Oddio sono lusingata…e non ti sei addormentata nemmeno una volta?! Nuuuu non ti preoccupare per gli errori, io ne faccio un casino….:PP E sono davvero onorata che tu voglia seguire la mia storia, senza voi rimarrebbe sul mio portatile… Baci e grazie per i complimenti XD
piccolinainnamora: Allora, carissima…non ho fatto un conto preciso dei capitoli che mancano alla fine, ma le storie infinite a me non piacciono. Perciò direi che siamo a tre quarti circa…orientativamente…ok? Bacioni XD
Sissi_Cullen: lo sho…shono cattivissima, ma è un istinto naturale…;P Bacioni cara
keska: Monamurrrrr :**** Tu puoi chiamarmi come preferisci tesora :) Lo sapevo che con Carlisle scioglievo il tuo cuoricino….ihihihih. Scrivevo e ti pensavo: “qua Francy sviene….!” Le notazioni scientifiche ti coinvolgono, ma spero di non essere stata troppo tecnica…a non tutti piace in realtà ù.ù Per il riavvicinamento ….bhè non sarà semplicissimo. Punto :si chiude la zip delle labbra: Ti ringrazio tesorina, di tutto. :*****
LOVA: bhè è proprio il caso di dire che ti ho lasciato stupefatta :DDDDD!! Bacionissimi cara XD
Mirya: Poiché io faccio più pena di te, non ho ancora risposta alla tua mail stupenda :**** Il mio sgorbietto sta mettendo il primo dentino e dato che il tuo ha già nove mesi (giusto?) sai cosa significa. Notti chiare come mezzogiorno -.-‘’ Mi riservo di farlo appena posso. Un bacione carissima Francesca ;)
RenEsmee_Carlie_Cullen: Grassie mia cara…zì, Eddy l’ha capito che è suo…questo è il problema ù.ù Bacioni cara XD
lisa76: Il tuo ATTENDO FIDUCIOSA è inquietante, giuro :brrrr: Come avrai capito la gravidanza è una via di mezzo tra quella di BD e una gravidanza normale…ma non sarà semplice per Bella. E no, non credo che seguirò completamente BD…ma non so se sarà un bene ù.ù
ginny89potter: INFAME ….BHUHUAHUAHAUHAUHAUAH Ma de che? Che sei pigra? E allora? Io sono nata pigra e continuo ad esserlo stoicamente, nonostante mio marito abbia cercato di traviarmi in ogni modo … Come al solito centri (proprio nel senso di azzeccarci) con una precisione millimetrica…ma ora dobbiamo fare i conti con qualche istinto in più…E mi fermo perché altrimenti ti spoilero il capitolo…e non sbirciare la fine…che ti ho vista!!!!!!!! E, per la cronaca, sei stata superbamente impietossissima Bacioni cara XDDD
harley1958: Giusto, ben detto. Non ho mai avuto intenzione di fargli sospettare che il figlio non fosse il suo, adesso posso dirlo, ma le cose non si risolveranno in maniera indolore. Però si risolveranno … ù.ù Baci cara XD
sily85 Cuoricina :***** Grazie, piaciuta la sorpresina su fb, “defibrillatore” alla mano sul nostro Rob?? Pensavo fosse giusto condividere con voi le perle che raccolgo nel mio portatile nella cartella “scorci di paradiso”ù.ù Bacioni *.*
superlettrice: Grazie cara, davvero:DD Alla prossima:P
Vampire93: Grazie … gongolo spudoratamente…un bacione :D
VampGirl: Per Haiti sono stata contentissima…e l’unione fa la forza. Grazie per i complimenti e adoro sapere che ti emozioni così tanto, leggendomi :***Baci:D
costi84: Ma ciaoooo! Grazie davvero XD Sono felice di sapere che hai tanto spirito di sacrificio da tirarti tutta la storia in così poco tempo…:me si inchina: Un bacioXD
lilly95lilly: Ciao e grazieXD
garakame: Nuuu è un idiota, è vero, ma non è completamente addormentato…XD
blu_ice: GraSSIe, lusingata :ditini:
yle94: niente fretta cara, ma tanta tanta pazienza XD
Rebecca Lupin: un dubbio mi assale…il tuo “mò” della recensione scorsa…che sei mia compaesana (Campana) ù.ù?
Giorgina_Cullen: Nuuuu non mi chiedete di postare presto…faccio quello che posso …:ditini ansiosi: Grazie dei complimenti cara e alla prossima XD
Mapi: ihihihi non lo sapevi che il defibrillatore è da richiedere insieme all’iscrizione ad efp?!!! Baci e grazie XD


Un bacione a tutti i lettori, silenziosi e non.

E alla prossima :****
M.Luisa



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Capitolo 29
*** CAP.29 ***


CAP.29

BELLA

Lo sguardo di Edward non lo potrò mai dimenticare.
C’è un che di unico, di particolare che lo contraddistingue da tutti gli altri che conosco, siano umani o vampiri.
Solo i suoi occhi sono capaci di esprimere così tante emozioni diverse. Quando sorride, sono i suoi occhi a diventare caldi e poi il sorriso raggiunge le sue labbra solo in un secondo momento. Quando è irritato emanano scintille, brillano sinistramente. Quando è eccitato sono neri, neri come la pece.
Ho sempre percepito dai suoi occhi il suo reale stato d’animo.
Perciò appena ho pronunciato le mie prime parole dopo tutto il mio silenzio, dopo tutto il suo discorso, ho letto subito nel suo sguardo la sua reazione.
Terrore.
All’inizio mi ha guardata come se fossi impazzita. Ho retto il suo sguardo con coraggio senza abbassare il mio. E deve aver capito subito che non scherzavo, che ero più che decisa, perché dopo un istante alla sorpresa si è succeduto lo sconforto.
Ha affondato la testa nei miei capelli e le sue braccia si sono chiuse su di me. Mi ha tenuta stretta così per non so quanto tempo. Ad un certo punto sono scivolata nel sonno e non ricordo più nulla. Al mio risveglio, la prima cosa che ho visto sono stati ancora i suoi occhi, fissi su di me, il capo inclinato.
E una meravigliosa sensazione di benessere mi ha invaso.
E’ rimasto con me per tutto il tempo, senza lasciarmi nemmeno un solo istante. Mi ha aiutata e sorretta mentre mi rinfrescavo, restando in silenzio ma con una dolcezza e una delicatezza struggenti.
Senza dir nulla, percependo il mio lieve affaticamento, mi ha sollevata tra le sue braccia per riaccompagnarmi a letto. Qui, mi ha gentilmente disteso. Poi ha alzato leggermente una mia mano verso il suo viso, l’ha sfiorata con le labbra e si è voltato appena verso la porta, ma senza abbandonare completamente i miei occhi. Un attimo e un lieve bussare ha annunciato una visita.
Carlisle.

Osservo Carlisle, calmo e sorridente, entrare con passo silenzioso e sicuro. Appena è vicino al letto, il suo sorriso si fa più evidente, ma è serio e avvicina una sedia per accomodarsi al mio fianco.
Ci siamo, penso, arrivano i nostri …
«Sono contento di vedere che ti sei svegliata», dice e riconosco immediatamente il tono di chi la prende alla larga.
Non lo so se è già al corrente della mia decisione, ma ormai non ha importanza. Se non lo sa già, dovrò dirglielo io. Ed è bene essere chiari. Di Carlisle ho bisogno, come di nessun altro.
Solo lui può aiutarmi a far nascere il mio bambino.
Annuisco con il capo e lui accavalla le gambe appoggiandosi allo schienale con fare rilassato.
Edward siede dall’altro lato, sul letto con me e mi tiene la mano. Gioca con le mie dita e non accenna a voler andarsene.
Due contro uno, penso e so che quell’uno sono io.
Edward non ha più detto nulla. Mi sarei aspettata una supplica in piena regola, l’uso di tutto il suo fascino e del suo ascendente su di me pur di convincermi, ma niente di tutto ciò è accaduto.
Ma, di nuovo, i suoi occhi non mentono.
E c’è una strana luce che li anima da quando mi sono svegliata stamane. Non più sconforto, no. Ma determinazione. Mascherata dalla premura, dalla dolcezza dei gesti, dalle attenzioni.
E’ lo sguardo di chi è pronto a tutto.
Quello a cui la Bella di un tempo avrebbe ceduto immediatamente, e forse, anche adesso … Se non ci fosse in me la scintilla della vita, se non sapessi intimamente che forse era a questo che doveva portare il nostro amore e che è giusto così, che non c’è nulla che possano dire o fare per modificare il mio destino, il nostro destino.
«Se mi permetti Bella, avrei necessità di visitarti» dice e lo guardo esitante. Annuisco lentamente e lui procede cominciando dal labbro inferiore e parlando man mano con calma. Edward non molla la mia mano e, anche se non so più cosa siamo a questo punto l’una per l’altro, non la ritraggo dalla sua. Mi fa stare bene saperlo al mio fianco, ma è come se non riuscissi a lasciarmi andare completamente, come se affidarmi a lui non mi venisse più spontaneo come una volta.
E’ vero, mi ha spiegato il motivo del suo comportamento. Ed io non dubito delle sue parole, eppure … non sono sicura che tutto sia risolto fra noi. L’ho perdonato razionalmente, ma con il cuore … l’ho fatto anche con il cuore?
Sono certa che lui, questa titubanza, l'avverta chiaramente.
«I punti esterni si sono perfettamente saldati, quelli interni ti danno sensazione di fastidio?»
Punti? Lo guardo perplessa e scuoto il capo. Carlisle lancia un’occhiata ad Edward al mio fianco che fa un breve cenno di diniego.
Sospira e riprende la sua visita. Passa al torace e, quando, scopre la pancia sento Edward trattenere il fiato. Lo guardo e i suoi occhi sono fissi sul mio ventre. Pochi secondi, troppo pochi per un’umana come me, per riuscire a cogliere l’infinità di emozioni che si alternano sul suo viso. Sofferenza, rabbia, furia … e sento il rumore della sua mascella che si serra. Le sue dita stringono un po’ troppo la mia mano e involontariamente mi sfugge un lamento.
Ma non è per la presa, no. Tra tutte le emozioni che sono riuscita a cogliere, non c’è stata ombra dell’unica che avrei voluto vedere: gioia.
«Hai dolore?» Chiede Carlisle attento.
Scuoto la testa piano e sussurro con voce roca:«La mano» e guardo la mia mano intrecciata a quella di Edward. Immediatamente lui allenta la presa, si accovaccia al mio fianco e dopo aver deposto un lieve bacio su ognuna delle dita mormora dolce:«Scusa» e anche la sua voce è roca come la mia.
«Dunque, Bella. E’ stato necessario applicarti una sutura al labbro inferiore, ma ormai è completamente cicatrizzata e ti darà sempre meno fastidio. Con il tempo resterà solo una pallida linea» sorride «le tue costole si sono quasi risaldate, ma è fondamentale che tu non faccia sforzi, né movimenti affrettati. Una era rotta» e di nuovo, mi accorgo che Edward trattiene il fiato.
«Il … bambino …» sussurro e mi stupisco della scarsa forza con cui parlo «come sta il bambino?»
Lo schiocco secco che sento proviene da Edward, ma quando mi giro a guardarlo, mi sorride. Calmo. Troppo calmo. Ma la sua mascella è tesa, rigida, e … trema. Impercettibilmente, ma trema. E non per il freddo, evidentemente.
«Il … feto», dice Carlisle distogliendo lo sguardo dal mio per un attimo «per quanto ne sappiamo non è completamente umano, Bella» sorride di nuovo, ma non c’è calore sul suo viso. Continua nella sua palpazione dell'addome:«Ti sarai accorta che il suo sviluppo è accelerato rispetto ad una gravidanza fisiologica. E’ all’incirca il doppio. E’ come se adesso tu fossi al quinto mese di gravidanza, una gravidanza avanzata» e sottolinea l’ultima parola pronunciandola con lentezza.
Scambia un rapido sguardo con Edward, poi prosegue «Crediamo che sia dovuta a … lui la rottura della tua costola»
Il mio bambino … mi ha rotto una costola. Beh, è forte, su questo non si discute, penso e mi sento strana a provare quasi un sentimento di orgoglio nei suoi confronti.
«Mi sembra di averne sentito parlare … intendo casi di bambini troppo grandi per le pance delle proprie madri che potevano causare cose come questa …» dico, ma la voce mi muore in gola allo sguardo di Edward, allibito e furioso. Apre e chiude i pugni e prende delle grosse boccate d’aria, come se ne avesse davvero bisogno. Poi deglutisce e avvicina con calma sinistra la sua mano al bordo del mio pigiama:«Nessuno di loro fa questo» e con la punta di un dito traccia una lieve linea gelida sul mio ventre. Abbasso gli occhi e ne seguo la direzione.
Lividi. Alcuni grossi come il mio palmo aperto, altri più piccoli, violacei.
Quando me li sono fatti? Mi chiedo perplessa.
Poi capisco ciò che Edward sta tentando di dirmi e impallidisco. I segni sul mio corpo provengono dall’interno, non dall’esterno. Prendo un lieve respiro e lo trattengo riportando lo sguardo su di lui.
Si trattiene a malapena. E’ come se fosse in lotta con se stesso. Come se volesse dire qualcosa, ma si sforzasse in ogni modo di evitarlo.
Carlisle si schiarisce la voce e mi volto verso di lui.
«Bella, normalmente il corpo di una donna segue il normale sviluppo del feto» comincia a spiegare con calma «l’organismo si adatta al cambiamento, i tessuti sono abbastanza elastici … persino le ossa si spostano sospinte dalla crescita del bambino, ma … » e lancia uno sguardo fugace al mio corpo riabbassando la maglia del pigiama «in questo caso le circostanze sono un po’ diverse».
«Questo sviluppo non procede di pari passo con i cambiamenti del tuo corpo» dice ancora con calma, ma senza giraci intorno. Un altro sguardo veloce a suo figlio «e il tuo organismo ne sta risentendo».
Accuso il primo colpo con tranquillità. Sono abituata a considerare il mio corpo un qualcosa di fragile, inconsistente. Non mi stupiscono le parole di Carlisle. Alzo il mento e deglutisco. Non voglio mostrare indecisione, né paura. E’ normale che possa risentirne.
«Mi nutrirò di più» dico e le parole mi escono tremanti. Edward sposta lo sguardo da me alla finestra e la sua espressione è indecifrabile. Sembra distaccato, ma la rigidità della sua posizione non mi sfugge.
«Se lo riterrai opportuno, mi nutrirò per flebo» continuo ancora imperterrita rivolta a Carlisle.
«Questo non cambia le cose, Bella. E potrebbe non essere sufficiente». Sospira e appoggia i gomiti sulle ginocchia avvicinando il suo viso a me: «Bella, è mio dovere dirti che la … situazione … potrebbe non evolversi come speri». Punta gli occhi nei miei e con altrettanta tranquillità prosegue nel suo discorso:«Non abbiamo informazioni sul feto, nessuna. L’ecografia è inutile, non risultano immagini né si rileva battito fetale. Probabilmente la membrana che lo circonda è come la nostra pelle … è praticamente indistruttibile».  Lo sguardo saetta su Edward che resta fermo, immobile :«E’ improbabile che si riesca ad arrivare al termine della gravidanza, mentre è più che … probabile che tu non sopravviva».
Solo una leggera pressione sulla mia mano, credo del tutto involontaria, mi ricorda che Edward è al mio fianco e ascolta tutto come me.
Rischio di morire, penso frastornata. E mi stupisco che la cosa non mi spaventi affatto. Anche questo non mi è nuovo.
Mi volto un attimo verso Edward, ancora in piedi al mio fianco, apparentemente imperturbabile. Continua a tenermi la mano. Con il pollice ne accarezza il dorso delicatamente, sembra perso in chissà quali pensieri, in chissà quale dimensione.
Strano che non dica niente … che non tragga acqua al suo mulino, sfruttando le parole di suo padre, che non tenti di convincermi in ogni modo a desistere dai miei propositi …
«Potreste … trasformarmi se la situazione degenerasse» dico con la voce troppo esitante rispetto a come vorrei che fosse.
Carlisle sorride debolmente: «Ci abbiamo pensato, ma … il tuo cuore deve continuare a battere nella trasformazione».
«Ma Esme …» chiedo e forse parlo a me stessa «… Esme era in condizioni peggiori, l’avevano data per morta» dico come in una supplica.
Ma lui scuote il capo piano «No, Bella. Nel caso di Esme, le sue condizioni erano sì molto critiche, ma il suo fisico non era debilitato come il tuo al momento dell’ … incidente. Il suo cuore era forte».
Rabbrividisco.
Incidente. Esme si è lanciata nel vuoto perché non sopportava di aver perso il suo bambino. Carlisle l’ha salvata per un soffio.
«Potreste … si potrebbe cercare di far nascere prima il bambino. Solo qualche settimana, magari» e il mio tono è ancora più flebile.
«E’ impossibile prevedere quando nascerebbe. Le nostre sono solo supposizioni … sei il primo caso che io abbia mai visto» E nelle sue parole c’è quasi la mortificazione.
Vorrebbe aiutarmi. Lo vedo nel suo sguardo, nel suo modo di essere proteso verso di me, nelle sue parole calme ma accorate.
E mi dispiace. Perché so che nulla di ciò che dirà potrà farmi cambiare idea.
«Non mi importa», dico quasi con testardo infantilismo e questa volta mi aspetto davvero che Edward reagisca.
Eppure niente.
Nessuna reazione.
Ma nemmeno nessun appoggio. Non si pronuncia, e basta.
Carlisle si ritrae sulla sedia ed emette un breve sospiro. Si appoggia allo schienale come se la conversazione l’avesse sfinito e mi lancia un’altra occhiata:«Potresti sacrificarti inutilmente. Questo feto potrebbe essere inadatto alla vita. E quasi sicuramente il tuo corpo cederà, Bella. Non credo che riuscirai a superare più di un altro mese».
Il suo sguardo è fermo. Le sue parole sono chiare, sono delle lame che mi trapassano il cervello. I suoi occhi sono freddi. E’ come quando si annuncia ad un familiare la morte di un parente caro. Si sa di fare del male, ma non se ne può fare a meno.
E d’un tratto, del tutto inaspettatamente, una fitta al ventre mi blocca il respiro.
Spalanco gli occhi e automaticamente la mia presa sulle dita di Edward si fa convulsa.
Oddio, mi manca l’aria … penso e il dolore è tale da farmi venire le lacrime agli occhi. Annaspo come se stessi affogando e gli occhi di Edward entrano subito nel mio raggio visivo. E’ su di me, è terrorizzato.
«Bella! Bella che succede?!» e le sue mani si muovono febbrilmente sul mio corpo, sulla mia pancia, cercando di scostare con delicatezza, ma con  fermezza, la mia premuta forte sul ventre.
Altre mani pallide.
Carlisle si muove con sicurezza e con decisone tira via il mio palmo dall'addome.
Ma subito dopo, la morsa mi libera e di nuovo l’aria entra nel mio corpo.
Il respiro che prendo è talmente profondo da far rumore. Lo sento anche io, come un sibilo.
Le mani di Edward sul mio volto, mi tengono con fermezza. I suoi occhi mi scrutano ansiosi. Poi inspira piano e il suo sguardo si fa triste, avvilito. Abbassa il capo e lo sprofonda sulla coperta, giusto sulle mie gambe.
Carlisle mi osserva e contemporaneamente palpa la pancia in diversi punti.
«Credo si sia girato» sussurra a voce appena impercettibile.
«Sto … » deglutisco «… bene» dico e sento un gemito provenire da Edward.
Rialza la testa di scatto e mi fissa con gli occhi allucinati.
«Non stai bene, Bella. Non starai mai bene» sembra impazzito, sembra che tutta la maschera di compostezza sia improvvisamente crollata e che la sua collera stia per scoppiare da un momento all’altro. Punta lo sguardo sul mio ventre e leggo nei suoi occhi l’odio.
Vampiro, penso e tremo. Mai, mai l’ho visto in questo stato nei miei confronti.
C’è una tale furia mista a dolore nel suo viso che d’istinto mi ritraggo sul letto. Ma è un attimo e le sue mani si poggiano sul suo volto, coprendolo ai miei occhi.
Tremano visibilmente.
«Edward, perché non esci un secondo? Credo che Esme dovesse dirti qualcosa» dice Carlisle.
E senza spostare nemmeno un muscolo, come proveniente da un altro tempo, la sua voce sussurra solo: «Io non mi muovo da qui», le sue mani sempre a coprire il viso.
Carlisle lo fissa e dopo un attimo, mi sembra che Edward scuota la testa. Ma forse mi sbaglio.
Ancora silenzio.
«No. Posso farcela». Dice, probabilmente in risposta ad una domanda mentale di suo padre.
E allora mi perdo.
A cosa si riferisce? Alla sete, alla mia vista, alla vista del bambino?
La mano di Carlisle si posa leggera sulla mia fronte e mi accarezza: «Chiamami in qualunque momento» dice. Si alza ed esce dalla stanza.



EDWARD

Dorme.
Dopo che Carlisle è venuto a spiegarle la situazione e i rischi cui ha deciso di esporsi, dopo che quella cosa si è mossa dentro di lei, la stanchezza ha preso il sopravvento, e il suo corpo e la sua mente hanno reclamato l’incoscienza.
Respira.
Piano, con un leggero sibilo. E il suo cuore batte, lieve, ma regolare.
Se agissimo adesso, si salverebbe. Se non volesse più la trasformazione, potrebbe continuare a vivere. Avrebbe una scelta.
Fra un mese non ne avrà nessuna, perché il suo cuore cesserà di battere.
Chiudo gli occhi e poggio il capo vicino al suo, facendo attenzione a non disturbarne il sonno.
Morirà.
Bella è così. Ed io l’amo anche per questo, per la sua testardaggine. Perché la sua vita per lei è stata sempre qualcosa che avrebbe potuto sacrificare per gli altri senza rimpianto.
Bella è generosa. Il suo non è mai un sacrificio, ma un donarsi con amore.
E lei ama quella cosa che cresce nel suo corpo.
Non le leggo la mente, ma leggo nel suo cuore. E lì ho letto che non cambierà idea.
E morirà. Ed io non sarò riuscito a proteggerla.
Non la potrò trasformare, il suo cuore cederà da un momento all’altro.
Già adesso lo sento più affaticato.
Ho pensato di obbligarla contro la sua volontà. Di agire con Carlisle per toglierle quella cosa dal corpo.
Se non mi avesse aiutato, ero disposto a farlo da solo.
Ci ho pensato per tutto il tempo in cui Bella era incosciente. A come avrei fatto, a cosa sarebbe stato necessario. Avevo previsto tutto nei minimi dettagli. Ogni cosa.
Ma volevo il suo assenso e in una forma non troppo brutale gliel’ho chiesto al suo risveglio.
Ma nei suoi occhi ho letto che non si fidava più di me.
E questo mi ha annientato.
Ho giurato a me stesso che avrei fatto di tutto per recuperare la sua fiducia. Il fatto che lei resti qui, in casa nostra, con me, non ha alcuna importanza. Non significa nulla. Dove potrebbe andare? In queste condizioni?
Questo non basta per rassicurarmi del suo perdono.
I suoi occhi … i suoi occhi mi dicevano tutto quello che non pronunciavano le sue labbra.  
Dolore. Quanto ne ha provato!
Insicurezza. Di se stessa, ma soprattutto di me. Di me!
Paura. Per lei, per noi, per la … situazione
E sfiducia.
Perché quando ho visto questo, mi ha fatto più male di tutto?
Perché in Bella c’è sempre stata vita, speranza, coraggio. Io ho mortificato in lei tutto ciò. Lei credeva in me, si fidava di me.
E l’Edward che ero avrebbe voluto prendere il sopravvento. Lo sentivo premere dentro di me per uscire, per convincerla con le lusinghe, con la persuasione subdola.
Se avessi voluto davvero, forse ci sarei anche riuscito.
Ma poi?
Le avrei salvato la vita. E l’avrei persa per sempre.
Anche così la perderò, ma nei suoi occhi almeno rivedrò di nuovo la scintilla della speranza, della gioia ... dell'amore. Voglio che viva, non che sopravviva. Anche se dovesse essere solo per un altro mese.
E’ una scelta che ha preso con convinzione.
Lei lo sa cosa sta succedendo dentro di sè. Lo sa adesso che Carlisle le ha parlato. Ma credo che dentro di lei lo sapesse da tempo.
E’ Bella.
E ho sempre avuto l’esatta percezione di quanto nel suo animo ci fosse di più di quello che mostrava e diceva.

Corruga la fronte nel sonno. Con la punta del dito sfioro quel delizioso cipiglio e la sua pelle si distende immediatamente al contatto con il gelo della mia pelle. Sposta il capo e cerca inconsapevolmente la mia mano. Quando la trova, la sua guancia vi si appoggia e sulle sue labbra spunta l’ombra di un sorriso stanco.
E’ così delicata, così indifesa. Eppure nel suo sguardo mentre parlava con Carlisle c’era determinazione.
La perderò. Qualunque cosa faccia adesso, la perderò lo stesso. Se anche le salvassi la vita, le strappassi dal ventre ciò che la sta prosciugando, sono certo che questa volta Bella non supererebbe il trauma. Ed io la lezione l’ho imparata.
Io non la lascio sola.
A costo di morire con lei.

I pensieri di Jasper mi raggiungono con discrezione, ma non entra nella stanza, non vuole essere invadente.
Edward, è tranquilla in questo momento. Potrebbe essere la giusta occasione per andare a caccia. Che ne pensi? Non ci allontaneremo molto, restiamo nei paraggi … e tu hai bisogno di nutrirti, è troppo che non lo fai …
«Io non mi muovo» sussurro piano per non svegliare Bella, ma so che mio fratello mi sente anche così.
Ascoltami. Come credi di poter affrontare tutto ciò se non mantieni le forze? Sarai sicuramente di maggiore aiuto se non sarai assetato … già adesso hai meno lucidità …
«No» insisto caparbiamente.
Il sospiro di Jasper, è reale, lo sento con il mio udito.
Edward …
«No» ripeto secco.
Finalmente i suoi pensieri mi lasciano solo.
Ma il sollievo è di brevissima durata, poiché altri più pressanti, frustrati, arrabbiati, mi raggiungono con prepotenza.
Mi alzo ritraendo delicatamente via la mano dal viso di Bella, sentendo il palmo leggermente tiepido, e mi avvio alla porta.
La apro facendo il minimo rumore e abbasso gli occhi già sapendo di incontrare quelli spaventati e sofferenti di Alice.
Ha visto.
Mi guarda fisso, il labbro inferiore le trema. E’ immobile e rigida.
Tu non puoi farci questo … non puoi farlo a me. Pensa addolorata.
«Non posso fare nient’altro».
 Dietro di lei, lungo il corridoio, una porta si chiude silenziosamente e nella mente mi esplode il singhiozzo strozzato di mia madre.

Dopo circa tre ore dal momento in cui Bella si è addormentata, mio padre rientra nella nostra stanza. Non mi giro a guardarlo, non mi volto neppure. I miei occhi sono fissi sul suo viso. Carlisle si avvicina silenziosamente, mi poggia una mano sulla spalla e mi chiede con i suoi pensieri se si è agitata, o se ho notato qualcosa di insolito.
Scuoto il capo. Sento che annuisce.
Dobbiamo nutrirla, Edward … e mantenere il giusto livello di idratazione nel suo corpo. Le applicherò un catetere endovenoso a permanenza, da lì avremo libero accesso al suo organismo evitando di essere ripetutamente invasivi.
«D’accordo» mormoro assente. Nonostante la gratitudine che provo per mio padre che tenta di sollevare Bella da inutili fastidi, sappiamo entrambi che questo è solo il principio della sua sofferenza.
Come se già non ne avesse sopportata abbastanza …
Edward, dovresti andare da tua madre. Lei … è molto turbata. E poi dovresti andare anche a caccia. Voglio che tu sia in grado di assistermi a dovere. I suoi pensieri sono solo apparentemente distaccati e so che ha ragione. Sono al limite, attendere ancora potrebbe rivelarsi controproducente. Eppure, il pensiero di lasciare, anche per un lasso di tempo minimo, Bella mi è insopportabile.
Esito solo un attimo, titubante. E allora la presa di mio padre sulla mia spalla si rafforza. Vai figliolo, rimango io con lei e ho chiesto a Jasper di restare, nel caso si rendesse necessario il suo intervento, ma non credo che succederà. Ti accompagnerà Emmett.
Scendo a sfiorare con delicatezza la fronte di Bella con le labbra.
Le lancio un’ultima occhiata e mi alzo. Quando apro la porta della stanza, Alice è ancora lì. Seduta a terra, si tiene le ginocchia con le braccia e il capo è  inclinato su di esse.
Non si muove quando le passo di fianco, ma sento un lamento smorzato provenire dal suo corpo.
Scendo le scale, senza voltarmi indietro.




NOTA DELL'AUTRICE: Miei cari ^^, due parole prima di salutarvi. Purtroppo la signora Telecom non mi ha molto in simpatia e la mia connessione non fa che andare e venire... :( In questo preciso istante sono on-line, ma la paura che cada la linea mi suggerisce di postare alla svelta…non rispondo ad personam, ma ho letto e riletto tutte le vostre recensioni e vi ringrazio di cuore per il sostegno e l'affetto.
Gongolo compulsivamente fino al collasso :****
A qualcuno verrà un colpo, ma ho fatto un conto approssimativo di quanto manca alla fine: sei capitoli, compreso l'epilogo. Non credo che mi spingerò oltre, nè che scriverò più riguardo i Cullen in forma non umana. Credo.
Non apprezzo molto le neverendig stories, anche se sarà difficile chiudere questa fanfiction a cui mi sento particolarmente legata. Ma non smetterò di scrivere, nè di pubbilcare su efp.
Prossimamente arriverà il continuo di "Una sera, per caso ..."
Devo solo assestarmi con il rientro al lavoro dopo un lungo periodo di assenza per ragioni familiari.
E tutto.
Grazie ancora a tutti voi. Di cuore. *.*
M.Luisa











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Capitolo 30
*** CAP.30 ***


In questa ff non si tiene conto dei fatti occorsi nel New Moon e nell’Eclipse di S.Meyer. Tuttavia ci saranno, in questo e nei prossimi capitoli, dei chiari riferimenti a questi due libri.
Buona lettura.

CAP.30

BELLA

Quando apro gli occhi, mi scontro con quelli dell’unica persona che non mi aspettavo di vedere.
Rosalie.
E’ ferma sulla porta, chissà da quanto.
Quando incrocia il mio sguardo, mi pare che abbozzi un lieve sorriso. Cerco di sistemarmi un po’ meglio nel letto, ma lei non accenna a muoversi. Prendo un breve respiro - ora che so che quelli troppo profondi rischiano di farmi male sto molto più attenta - e sento la bocca secca.
Cerco di deglutire, ma la sensazione di sete non si acquieta nemmeno un po’. Allora mi volto verso il comodino alla ricerca di un bicchiere e di un po’ d’acqua. Mi sento a disagio con lei nella stanza e ancora troppo intontita dal recente risveglio per riuscire ad essere pienamente in possesso della lucidità e della forza per affrontarla.
Sarà qui per dirmi che aveva ragione, che alla fine è stato tutto inutile e che se fossi stata al mio posto, lontano dalla sua famiglia, sarebbe stato meglio per tutti. Penso confusa e un po’ preoccupata.
Come un battito di luce, un bicchiere colmo d’acqua appare davanti ai miei occhi. E’ lei che me lo porge.
Le sue lunghe dita pallide si avvolgono intorno al vetro con grazia ed eleganza. Sarebbe impossibile credere che possano stritolare con facilità un osso.
Non è mai stata così vicina a me come adesso.
Mormoro un ringraziamento esitante e non appena accetto il bicchiere che mi porge, lei schizza nella stessa posizione di prima, vicina alla porta. Poggio   giusto le labbra sul bordo del bicchiere. Il liquido passa dalla mia bocca alla mia gola e sembra che il mio corpo lo assorba senza farlo nemmeno arrivare allo stomaco. E’ questo il momento in cui mi accorgo che qualcosa pende dal mio braccio.
E’ un tubicino di plastica trasparente che collega il mio corpo ad un sacchetto anch’esso di plastica, ma opaco, appeso ad un’asta attaccata al letto. Un liquido incolore gocciola lentamente.
«Carlisle ti ha applicato una flebo» mormora Rosalie e all’udire la sua voce, sobbalzo. Forse non mi aspettavo che mi parlasse. O forse, non mi aspettavo che lo facesse con un tono così … innocuo.
Annuisco con il capo, ancora sconcertata.
Restiamo così, in silenzio, per un po’.
E dopo un paio di minuti noto qualcosa di strano. Anche Rose è a disagio.
«Vuoi … c’è qualcosa che vuoi dirmi?» le chiedo esitante e questa volta è il mio turno di vederla sorpresa.
Forse non si aspettava che fossi così diretta.
Ma ormai il tempo a mia disposizione è contato come le gocce che scendono in questo tubicino, e francamente, trascorrerlo nell’attesa che Rose dica qualcosa non è propriamente il mio pensiero principale.
I suoi occhi passano da me alla porta dietro di sé velocemente. Poi si gira definitivamente alla mia volta ed annuisce.
«Posso … sedermi?» chiede e di nuovo annuisco incerta.
In un attimo è comodamente seduta su una sedia di fianco al letto, senza che sia riuscita a cogliere nessuno dei suoi movimenti. Batto un secondo le palpebre per rifocalizzare la scena.
Ora che mi è di nuovo così vicina, di nuovo vengo colpita dalla sua bellezza devastante.
Rose è perfetta.
In ogni minimo dettagli. Ma stranamente, questa volta nessuna nota di rammarico, nessuna scomoda invidia c’è nei miei pensieri. E’ così, e non me ne dispiace.
Riafferro il bicchiere che avevo riposto sul comodino e di nuovo lascio che l’acqua scenda nella mia gola. Il sollievo dall’arsura è solo momentaneo, ma il gesto mi permette di impegnare gli occhi per qualche secondo e distoglierli dalla figura accecante e inquietante a poca distanza da me.
Rose mi osserva, calma e pensierosa. Prende un respiro e inclinando il capo leggermente a destra:«Bella, io ti ho sempre osteggiato» comincia e la dolcezza della sua voce non riesce a mascherare il tono che avverto e che sento contraddistinguerà questa conversazione.
Sembra una confessione in piena regola.
Deglutisco, del tutto impreparata ad una situazione del genere.
«E’ così raro che si allontani da te, che ti lasci da sola, ed io volevo parlarti senza … orecchie indiscrete nei paraggi» fa una smorfia con le labbra con il risultato di dare al suo viso un’aria deliziosamente imbronciata.
Edward si è allontanato … penso confusa e forse nei miei occhi vede un accenno di panico perché si affretta ad aggiungere:«Oh, non temere, tornerà prestissimo … credo che lui ed Emmett non si siano allontanati per più di un paio d’ore» sorride «fosse stato per Edward credo che avrebbe cacciato gli uccelli in giardino pur di non muoversi da qui, ma Carlisle ha insistito parecchio, e non solo lui». Conclude «Era al limite, doveva nutrirsi»
«Certo … ovvio» dico con scarsa convinzione, delusa ma cosciente della mia totale irrazionalità.
Mi osserva senza bersi la mia scena poco convincente, ma evidentemente decide di sorvolare e prosegue:«Non è un mistero che non sono mai stata  entusiasta della tua presenza, ma … non credo che tu sia al corrente delle mie reali motivazioni». Mi guarda e forse aspetta che dica qualcosa, ma la situazione è così surreale che temo anche le mie stesse parole. Non mi interessa cosa pensa di me questa vampira meravigliosa, ora che le mie priorità sono cambiate mi importa ancor meno di prima, ma il suo atteggiamento in passato mi ha fatto molto soffrire ed in questo momento non riesco a frenare la curiosità di sapere cosa l’abbia spinta nella mia direzione. Senso di colpa?! Scuoto il capo sia alla sua domanda che alla mia riflessione.
Non riesco a moderare il tono sarcastico quando, tuttavia, una risposta acida affiora spontanea sulle mie labbra :«Antipatia a pelle?», ma subito dopo mi mordo la lingua. Di certo non è il miglior modo di incoraggiare confidenze da parte sua.
I suoi occhi si abbassano, ma le sue labbra si distendono in un accenno di sorriso:«Forse» sussurra «ma non solo».
Alza lo sguardo su di me e dice:«In realtà credo che ti invidiassi» e la mia espressione deve essere comica sul serio perché il suo quasi sorriso, diventa una risata cristallina «certo non intendo come bellezza, ma tu avevi qualcosa che io non avrei mai potuto avere. Non più».
Ovviamente non per la bellezza, penso quasi confortata di non trovarmi dinnanzi ad uno stadio conclamato di pazzia vampira ed inarco le sopracciglia interrogativa. Lei si affretta a spiegare:«Tu eri viva. Io non lo sarò mai più». Sospira e con la mano porta una morbida ciocca dei suoi biondi capelli dietro la spalla, muovendo il collo in un gesto flessuoso.
Nemmeno se mi esercitassi allo specchio per quindici anni riuscirei ad imitarla, penso e mi rendo conto che è una semplice constatazione, retaggio della Bella che ero, nulla di più.
Sono al cospetto della perfezione, in termini fisici, ma non soffro per la mia pochezza. Questa è davvero una novità.
«Bella, io non ti sto chiedendo scusa» e sfodera un’espressione davvero angelica. Le manca solo la corona di dodici stelle e potrebbe tranquillamente finire in una rappresentazione sacra.
Perché ho l’aria di una offesa? Ha solo tormentato i miei sogni con la sua espressione glaciale e con quel senso di insofferenza nei miei confronti che badava a non mascherare mai in mia presenza fin da quando ho messo piede per la prima volta in casa Cullen. Perché mai dovrei sentirmi offesa dal suo atteggiamento? !
«No … certo che no … e perché dovresti?» non posso far a meno di commentare alacre.
«Capisco la tua … perplessità. Io non ti ho reso la vita molto facile, devo ammetterlo, ma vederti buttare via la tua umanità, mentre io avrei dato qualsiasi cosa per essere al tuo posto … beh, non l’ho mai capito. Ancora adesso non lo capisco».
La mia espressione non cambia. Dovrei giustificarmi con lei, spiegarle le mie ragioni?
Decisamente no.
Sembra concentrarsi un attimo, in ascolto di chissà cosa, e poi continua con più decisione: «Non mi resta molto tempo», quindi, punta gli occhi nei miei:«Bella io ero convinta che decidessi di abortire questo bambino, che scegliessi l’eternità con Edward e accettassi la sua proposta di trasformarti subito» si avvicina con il busto verso di me «e so che Carlisle ti ha descritto tutti i rischi e la pericolosità legate alla tua scelta».
Annuisco con il capo una sola volta, ma continuo a non capire cosa voglia  Rosalie da me.
«Nessuno ti ha detto quanto la maternità sia meravigliosa, quanto possa essere appagante, quanto possa cambiare l’animo di una donna», la sua espressione cambia, alza lo sguardo in un punto indefinito verso l’alto e sembra perdersi in ricordi lontani. E allora il suo viso si illumina di una dolcezza struggente. Quando continua a parlare non sono più sicura che sappia dove si trovi e che si ricordi di parlare con me.
Parla a se stessa.
«Quando fui strappata alla vita ho covato un odio e un rancore che mi hanno accompagnato sempre. Da vampira ho avuto tutto quello che si potrebbe desiderare, o almeno che io credevo fosse indispensabile ad una donna: la bellezza senza imperfezioni, la ricchezza, l’eternità. All’inizio pensai che la mia nuova condizione non fosse poi così male. Ma se ti descrivessi le circostanze che hanno spinto Carlisle a trasformarmi vedresti la cosa da una prospettiva diversa, nuova. Non starò a raccontarti la mia vita, né la mia morte» e suo sul viso compare un’espressione d’odio puro «ma posso assicurarti che se tornassi indietro, mi trovassi nella tua identica situazione e potessi scegliere così come puoi fare tu, io prenderei la stessa decisione che hai preso tu in questo frangente»
Si volta verso di me e capisco che è proprio a me che deve dire qualcosa. Nessuna confessione in punto di morte per risollevarsi una coscienza già macchiata.
«Se potessi, darei la vita in cambio della vita di mio figlio. E posso capirti molto più di quanto tu non creda. Anche Esme la pensa come me. Ma nessuno, qui, oserebbe ferire Edward dandoti il suo appoggio in maniera diretta»
Tira in su un angolo della sua bocca perfetta:«Eccetto me».
Trattengo il fiato di fronte a questo offerta di pace di Rosalie e mi rendo conto che ha ragione. Nessuno mi ha manifestato aperta disapprovazione, ma nemmeno appoggio.
«Io … Rose … non so che dire» mormoro ancora confusa.
«Non devi dire niente. Voglio solo che tu sappia che hai il mio sostegno incondizionato  e credo che a breve ti servirà» conclude criptica.
Aggrotto la fronte:«In che senso?»
«Bella con ogni probabilità il parto coinciderà con la fine … della tua vita» esita solo un attimo, ma non penso che sia perché tema di turbarmi «c’è l’eventualità che in un momento così critico, qualcuno potrebbe scordarsi i suoi buoni propositi e decida di intervenire prima che sia troppo tardi».
La osservo scuotendo piano il capo:«Carlisle non agirebbe mai contro il mio volere» dico, ma intimamente mi chiedo se ci credo davvero io per prima.
«Lui forse no».
Ci penso su un attimo:«Edward … lui non mi farebbe una cosa simile. Sa come la penso»
Le sue sopracciglia si inarcano graziosamente verso l’alto: «E tu? Tu lo sai come la pensa lui?»
Sobbalzo, colta alla sprovvista dalla correttezza della sua riflessione. No, non lo so come la pensa Edward riguardo la mia decisione. Non ne ho la più pallida idea, poiché lui non ne ha fatto parola. Ed io non gliel’ho chiesto. Come se la cosa non lo riguardasse, come se non fosse anche la sua stessa esistenza coinvolta nella mia scelta.
In effetti le esistenze di tutti i Cullen in qualche misura risentiranno del mio comportamento.
In un modo o in un altro.
Il bambino che nascerà –perché so che nascerà – non sarà completamente umano. Crescerà tra dei vampiri. La sua vita influenzerà la vita delle persone intorno a lui. E viceversa.
Uno strano senso di sollievo mi invade al pensiero che se  non … dovessi farcela … il mio bambino sarà tra persone simili a lui, che lo proteggeranno e lo difenderanno dal mondo esterno. Ma lo ameranno anche? Resterà sempre un diverso.
«Edward si prenderà cura di lui» affermo convinta.
Lo sguardo di Rosalie si assottiglia:«Ne sei proprio convinta? Se non riuscirà a trasformarti in tempo, tu morirai. E il bambino sarà la causa della morte del suo amore».
Si appoggia allo schienale della sedia:«Pensi che proverà amore verso di lui?» e incrocia le braccia al petto in attesa di una mia risposta.
Resto interdetta. Non avevo preso in considerazione questo aspetto della questione. Ed il ricordo dello sguardo carico d’odio di Edward quando guardava i lividi sulla mia pancia mi passa davanti agli occhi con scioccante vividezza.
Abbasso lo sguardo sulle mie mani , intrecciate tra loro sopra il copriletto.
«Io non … lo so» ammetto in fine.
«Appunto» nella sua voce un tono di trionfo.
«Bella, io non sono qui per minare il vostro rapporto, non ne ho alcun interesse. Voglio solo che tu sappia che di me ti puoi fidare, che rispetterò sempre il tuo volere, e farò in modo che lo facciano anche gli altri» alla nota dura dell’ultima frase alzo lo sguardo su di lei. E a pochissima distanza dal mio viso.
«Se sarà necessario, io mi prenderò cura del tuo bambino …  come se fosse mio» aggiunge in un sussurro accorato.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Questa vampira, l’unica che nei miei confronti si è sempre mostrata apertamente ostile, è la sola che in questo momento mi sta tendendo la mano. Ma la mia tristezza deriva dal terribile sospetto che Rose abbia ragione su Edward, sul fatto che potrebbe rifiutare il bambino, il suo stesso figlio.
Rose protende una mano verso di me, i suoi occhi sono luminosi, sembra commossa, ma all’ultimo ci ripensa e la fa ricadere in giù:«Bella, io ti giuro che su di me puoi contare» e proprio mentre sta per aggiungere qualcosa, chiude la bocca di scatto e rapidamente si rialza, voltandosi verso la porta.
Giusto un secondo dopo, Edward la spalanca.


EDWARD

Ho messo piede in casa da meno di tre secondi, ma già ho capito che qualcosa non va. Alice siede tra le gambe di Jasper sull’ultimo gradino della scala, e  non alza lo sguardo mentre entro. Ma sono i suoi pensieri a darmi la certezza che è successo qualcosa. O meglio il suo tentativo di eludere il mio potere.
Mia sorella è impegnata a ricordare tutti i principali schemi del gioco degli scacchi, elencando a ruota. Jasper è teso, concentrato sulla captazione delle emozioni che lo circondano. Non riesco ad identificare con chiarezza chi tiene d’occhio, ma direi un po’ tutti.
E’ istintivo per me, dunque, tendermi nello sforzo sia uditivo che mentale nel tentativo di percepire la maggiore quantità possibile di informazioni.
Soprattutto quelle provenienti dalla stanza mia e di Bella al piano superiore. E’ in quel momento che sento la voce di Rosalie provenire da lì.
Mi ci vuole solo un millesimo di secondo per rabbuiarmi completamente. Non ce la voglio Rosalie nella stessa stanza con Bella. So che quest’ultima si sente a disagio in presenza di mia sorella e non voglio che qualcosa la turbi, specialmente in questo momento.
Schizzo come un lampo al piano superiore e spalanco la porta.
Il mio sguardo corre immediatamente a Bella e ai suoi occhi lucidi.
Di lacrime.
Saetto rapido su mia sorella, in piedi di fianco al letto, uno sguardo truce e di sfida sul viso.
La rabbia mi offusca in un secondo.
«Fuori» e il mio tono è calmo, mentre mi avvicino a passo misurato a Bella, ma non perdo di vista Rose. Pericolosamente calmo e controllato.
E’ istintivo cercare di frappormi fra loro. Non la voglio vicina a Bella, forse non voglio nessuno lì, ma mia sorella in particolar modo.
Sento Emmett seguirmi silenziosamente nella stanza, ma già sono accovacciato di fianco al letto:«E’ tutto a posto?» chiedo scrutando gli occhi umidi di Bella e poggiando una mano sulla sua con delicatezza. E come risposta le lacrime cominciano a scorrere copiose sulle sue guance. Una orrenda sensazione di frustrazione mi pervade e il desiderio di scaraventare Rose fuori dalla finestra è irresistibile.
Mi dico che devo restare calmo, che Bella non deve agitarsi e che riuscirò a mantenere il controllo. Per questo è necessario che mia sorella si allontani e, quindi, con voce più bassa e in tono gelido ripeto:«Ho detto fuori» senza nemmeno voltarmi a guardarla.
In pochi secondi, il corpo di Bella comincia a tremare, scosso dalla violenza dei suoi singhiozzi. Guarda me, guarda mia sorella.
«Cosa le hai detto? Cosa le hai fatto?!» mi raddrizzo e sovrasto Rose sia con il corpo che con l’espressione furiosa. Ma lei non si scompone minimamente, né si muove di un passo.
«In realtà stava benissimo, fino a che non sei arrivato tu» commenta acida.
Emmett è subito al suo fianco:«Ehi, diamoci una calmata, ok?» dice, rivolgendosi ad entrambi, ma frapponendosi nello stesso tempo tra noi. Dalla porta lasciata aperta vedo Alice fare capolino con l’espressione ansiosa.
Dietro di lei, Jasper.
Lo guardo torvo, ammonendolo con gli occhi. Non desidero che usi il suo potere su di me e voglio che sia chiaro. Stringe le labbra per un istante, esita un attimo, poi annuisce con il capo. Sa che non farò nulla che possa turbare Bella, e fa affidamento sul questa certezza.
Ma Rose mi osserva con astio, come se fossi un nemico. Forse è solo per reazione al mio comportamento, ma so che c’è di più … e riguarda lei, il suo passato.
Ci fronteggiamo, silenziosi, ma con due sguardi che scontrandosi liberano scintille. E nessuno dei due accenna a retrocedere.
«Le ho detto solo la verità. Ha diritto di conoscere il destino del suo bambino, soprattutto se lei non sarà qui a vegliare su di lui» dice ed alza il mento in segno di sfida.
Resto perplesso per un secondo interminabile.
«Bambino?» sussurro esterrefatto «ma quale bambino?! In lei non cresce un bambino, ma un assassino. Un essere che le sta rubando la vita, che si nutre delle sue forze, della sua stessa carne».
Affanno mentre i miei occhi si posano per un attimo su Bella :«Ma non la vedi? Non vedi come si è ridotta, come quella … cosa l’ha ridotta? Pensi che le tue parole l’aiutino? Che servano a qualcosa?»
Serviranno al bambino … Quando nascerà, ci sarò io a prendermi cura di lui … e voglio che Bella lo sappia. Mi risponde a mente Rose.
La guardo, confuso.
Ma che diavolo sta dicendo? Stringo gli occhi, riducendoli a due fessure e mi concentro su di lei. E, nonostante tutti i suoi tentativi di nascondermi i suoi pensieri, la conversazione appena intercorsa tra lei e Bella si dispiega con chiarezza nella sua mente, e, quindi, anche nella mia.
Sento tutti i muscoli irrigidirsi all’istante.
Perché anche se le parole di mia sorella non sono state brutali o irrispettose, non può nascondermi la vera natura dei suoi pensieri più intimi.
E più rivoltanti.
A Rose, non importa nulla di Bella, della sua salute fisica o psichica. Non le importa di rassicurarla circa il futuro, di risollevarle lo spirito offrendo il suo aiuto. Vuole solo assicurarsi il suo permesso per poter disporre della cosa una volta che questa avrà portato a termine la sua missione omicida sulla sua genitrice.
Ecco cosa vuole.
Anzi, a dirla tutta, lei confida, seppur inconsciamente, nella morte di Bella.
«Come osi … venire qui, davanti a lei … proclamarti sua amica» le parole mi escono con difficoltà, la vista mi si sta offuscando ogni secondo che passa.
«Vi prego» la voce di Bella è un sussurro lieve, rotto, tra un singhiozzo e l’altro «Non litigate, vi prego … non litigate a causa mia …»
«Tranquilla, Bella. Rose stava andando via» dico rivolgendo prima un’occhiata infuocata a mia sorella che stringe le labbra e poi abbassando il capo verso mia moglie con il più sereno dei sorrisi.
Ma il suo sguardo non è sulle mie labbra, bensì nei miei occhi.
E non può che leggervi rabbia, e sconforto, e dolore.
«Voleva solo aiutarmi, Edward …, rendersi utile. Non essere duro con lei» mormora e abbassa gli occhi.
Mi sono perso qualcosa? Da quando Bella difende Rosalie Hale?! Scuoto il capo, ancora più basito di prima.
«E come pensi che ti aiuterebbe? Supportandoti in questa tua scelta? Prospettandoti tutte le opzioni post-mortem che hai a tua disposizione? Lei vuole solo soddisfare un suo capriccio, Bella. Non le interessa nulla di te» concludo amaramente.
Mi osserva a lungo. In silenzio.
«E a te? A te interessa di me? Di noi?» e con la mano tremante sfiora leggera il suo ventre prominente celato dalla coperta.
Come un lampo sono al suo fianco, all’altezza del suo viso:«Come puoi pensare che non mi importi di te? Come puoi credere che tu non sia il mio chiodo fisso in ogni istante che passa e che sento scorrermi tra le dita senza che possa fare nulla per trattenerlo?» la mia voce è vibrante, carica di angoscia.
Sussulta colta alla sprovvista dalla veemenza della mia reazione, io che in sua presenza sto raggiungendo livelli di autocontrollo sconosciuti perfino a me stesso.
Alza piano una mano verso il mio viso, accarezzandomi una guancia. Resto immobile, congelato dalle mie stesse parole:«Non essere inquieto, Edward, ti prego … non sopporto di vederti stare male» dice e batte veloce le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Con la mano scende lentamente, fino a trovare la mia. Ne intreccia le dita con le sue e la tira leggermente verso di sé. Ne assecondo il movimento, ma improvvisamente mi blocco, capendo dov’è che vuole portarla.
Sul suo ventre.
Spalanco gli occhi, mentre nei suoi compare il dispiacere per la mia titubanza.
Sciolgo rapidamente la presa delle sue dita e le mie mani si chiudono ai lati del suo dolcissimo viso. Lo tengo fermo così, il mio sguardo perso nel suo quando sussurro:«Io ti amo. E sei tutto per me. Tutta la mia vita». Scendo con lentezza sulle sue labbra con le mie e le sfioro, senza chiudere i miei occhi. Non voglio perdere la vista del suo volto nemmeno per lo spazio di un battito di ciglia. Sessanta, settanta anni –la vita che Bella avrebbe avuto dinnanzi a sé se fosse rimasta umana- una volta mi erano sembrati pochi … perché ancora non avevo compreso davvero quanto potessero esserlo un paio di settimane … attimi rubati ad una insopportabile eternità.
«Io … lo so. E’ che avrei voluto … speravo che … » lancia uno sguardo fugace ai presenti, sospira e abbassa gli occhi sulla coperta, indecisa se proseguire. Ovviamente se fossimo soli in stanza non cambierebbe nulla, non sono certo le porte a darci privacy, ma è chiaro che non si sente di parlare con uno stuolo di spettatori al seguito.
«Per favore, uscite. Tutti» dico con la voce bassissima, senza staccare gli occhi dal suo viso.
Perché non le dici la verità sulle tue intenzioni, Edward? Perché non le riveli della tua prossima vacanza programmata per l’Italia? I pensieri di Alice suonano come delle frustate nella mia mente. E’ arrabbiata, dispiaciuta. E ha cercato di coprire Rose. Sapeva che sarebbe accaduto tutto ciò e sperava che in qualche modo potessi cambiare idea se Bella fosse stata messa al corrente della mia decisione. E sapeva anche che spontaneamente non le avrei mai rivelato nulla.
Cerca di farmi uscire allo scoperto.
«Smettila» sibilo a velocità e volume inafferrabili. Mi sforzo di controllare l’espressione del volto, di non digrignare i denti, di non irrigidire i muscoli.
No! Non smetterò mai di cercare di salvarti! Mai, hai capito? HAI CAPITO?! E accenna un passo verso di me senza nemmeno rendersene conto, tanto è presa, le piccole mani strette a pugno lungo i fianchi, tremanti.
Inclino la testa di lato e mi giro a guardarla da sopra la mia spalla, restando accovacciato di fianco al letto di Bella. Il viso di mia sorella è rigido, ma l’espressione degli occhi mi dice che è sconvolta.
La sua visione su di me non è cambiata.
Sposto gli occhi su Jasper indugiando intenzionalmente un secondo. Lui si avvicina rapido a sua moglie e le poggia dolcemente una mano sulla spalla, accarezzandola.
Edward, è difficile per lei accettare questa tua scelta. Lo sai quanto è legata a te … cerca di capirla. Ma contemporaneamente a questi pensieri, quelli irritanti di Rose si sovrappongono.
Non osare torcerle un solo capello, intesi? Riferito a Bella.
E’ inevitabile la smorfia sarcastica che mi attraversa il viso. Rose che cerca di difendere Bella da me. Assurdo.
Emmett e Rose lasciano la stanza per primi, e sembra che Alice non voglia muoversi, così che Jasper cerca di sospingerla con delicatezza verso la porta. Comincia a muoversi insieme a lui, ma i suoi occhi rimangono su di me. Restituisco lo sguardo, determinato.
E’ meglio che se ne faccia una ragione, e che smetta di torturarmi.
Perché vederla così angosciata è per me davvero una tortura.
E’ allora che vedo Jasper fermarsi di botto, mentre Alice quasi gli finisce contro. Il corpo di mio fratello viene percorso da un brivido. Si volta verso di noi, ma i suoi occhi sono fissi su Bella, spalancati e concentrati:«Cosa … cosa hai, Bella?»
Con uno scatto mi giro e mi tendo nell’attesa della prossima, ennesima sofferenza che attende mia moglie al varco.
Ma lei osserva Jasper perplessa e, dopo un attimo di sorpresa, scuote piano il capo:«Nien …» ma le parole le muoiono in gola al gemito di Alice.
Si è piegata sulle ginocchia e, con gli occhi serrati, si tiene la testa con le mani. Respira affannosamente, mentre le braccia di Jasper sonno attorno a lei, la sostengono con delicatezza e il cuore di Bella spicca il volo.
«Alice!» sussurra angosciata.
Congelo la scena e in una frazione di secondo ritornano alla mente tutte le altre volte in cui le circostanze sono state identiche a questa:  al risveglio di Bella il giorno prima Alice ha avuto la stessa reazione; quando Rosalie discusse con Alice per l’arrivo della studentessa italiana, ancora la stessa, identica reazione in mia sorella … ma non è una costante, non è un evento che si ripete sempre quando è vicina a Bella.
Alice … aggrotto la fronte e colgo nei suoi pensieri la sofferenza che le stritola la mente.
I suoi momenti di buio sempre più ampi sul futuro di Bella … osservo mia moglie, tesa e spaventata nel letto che continua a ripetere il nome di mia sorella, come a volerla risvegliare da un incubo.
Jasper che accarezza le spalle di mia sorella e le mormora parole confortanti con un tono melodioso e ipnotico.
Jasper …
Mi alzo immediatamente e li raggiungo entrambi. Afferro mio fratello per le spalle e lo scuoto quasi con violenza:«Che hai percepito?» mi guarda, perplesso e seccato della mia interferenza «prima, da Bella. Cosa hai avvertito?» Tenendo un braccio su Alice che si è intanto raddrizzata e ha mollato la presa con le mani sulla sua testa, senza tuttavia riaprire gli occhi,  Jasper cerca di concentrarsi sulle mie parole.
Ci pensa un po’ su, poi, incerto, dice:«Non lo so. E’ stato strano, come un impulso, come una scossa elettrica» lancia un’occhiata rapida alle mie spalle e prosegue a mente: Proveniva da lei, ma … io non credo che fosse una sensazione completamente “umana”, Edward.
I suoi occhi mi scrutano con insistenza.
Lentamente chiudo i miei. Sento la sua mano poggiarsi sulla mia spalla per una frazione di secondo, e nei suoi pensieri un moto di solidarietà per me.
Poi, entrambi, escono velocemente dalla stanza.
Dio mio, no … penso come se nella testa un macigno premesse a fondo, per annientare la mia lucidità, mentre con esasperante calma una sconvolgente consapevolezza prende possesso di ogni centimetro del mio corpo.
Sento il sospiro di Bella e mi volto verso di lei.
Tenta di raggiungere un bicchiere mezzo pieno d’acqua sul comodino.
Mi avvicino piano e lo afferro, porgendoglielo.
Mi ringrazia e beve un lungo sorso.
Abbassa nuovamente il capo e vedo i suoi occhi alzarsi di tanto in tanto, passandosi il bicchiere tra una mano e l’altra.
«Non essere arrabbiato, ti prego … » sussurra piano.
«Io non sono arrabbiato Bella. Sono solo preoccupato. Ti rendi conto di quello che dovrai affrontare? Sai cosa significa?»
Annuisce lentamente con il capo, ma il suo battito accelera, spaventato.
Proseguo con maggiore dolcezza:«Tu sai di cosa … siamo capaci. Questo … feto» mi sforzo di non chiamarlo cosa a beneficio della serenità spirituale di mia moglie, ma soprattutto della mia sanità mentale «sembra somigliarci molto».
Bella alza lo sguardo su di me e mi osserva con un filo di speranza negli occhi. Un lieve accenno di sorriso le fa incurvare l’angolo destro delle labbra:«Lo so» sussurra emozionata «sarà forte e bello … come te» e una sfumatura di una leggerissima tonalità di rosa le colora le guance, pallido ricordo dei violenti rossori di cui era preda involontaria nelle circostanze più varie.
Resto immobile, impotente.
Perché se tu dici ad una persona che qualcosa l’ucciderà, e lei ti risponde con un sorriso d’orgoglio per quella stessa cosa che segnerà la sua fine, allora non c’è altro da dire.
Ingoio la risposta acida che mi è salita alle labbra e aggrotto un po’ la fronte.
Osservo Bella, i suoi occhi brillanti persi nelle fantasticherie di un improbabile futuro.
E osservo il suo ventre, per un attimo ipnotizzato da un’idea proibita ed ammaliante … l’idea di un figlio … mio … in lei.
Ma non in questo tempo, non in questa vita.
Mi riscuoto, ma non do voce alle parole che ancora aleggiano nella mia testa.
Una smorfia simile ad un sorriso di comprensione mi spunta sulle labbra, mentre capisco che, anche se in una forma grezza e appena abbozzata, questo feto ha già una coscienza.


NOTA DELL’AUTRICE: Dunque…eccoci a noi XD
Sono ancora in fase di assestamento con il lavoro, quindi di volata. Spero di non ritardarmi troppo con i prossimi aggiornamenti. Se dovesse accadere … plisss, perdonatemi già da adesso ;)

kikkikikki: Zi, Eddino casca male…in fondo è giusto che si raccolga il proprio seminato, non trovi? Ma sarà meraviglioso lo stesso. E’ una promessa. Baci mia cara *.*
arual93: Ciao Laura ^^ Grazie infinite dei tuoi complimenti. A presto XD
harley1958: Il percorso di Edward sarà tortuoso, ma il lieto fine ci sarà. Mantengo sempre le mie promesse, cara XD
vitti: Si cara, il termine dovrebbe essere quello….sempre che il mio cervellino allucinato non si metta a funzionare e per farlo smettere non debba cominciare a scrivere la sceneggiatura di Beautilul :P
sily85: Mon cher :*** Grazie, sei sempre molto cara a spendere una parolina di conforto nei miei confronti. Ho ripreso il lavoro e va tutto bene…mi devo organizzare, ma non vi abbandono. Siete sempre nei miei pensieri e vi adoro… Baci *.*
lisa76: Ciao Lisa ^^ Allora, grazie del tempo che tu dedichi a questa storia e dei complimenti che mi fai XD Helèna ricomparirà, non potevo certo farla uscire di scena così, e poi, la gravidanza di Bella sarà un pochino diversa da BD, nei prossimi capitoli spiegherò tutto meglio. Un bacione XD
FallingDoll: Zi, hai ragione…ma ci sarà spazio anche per la felicità…promesso XD
RenEsmee_Carlie_Cullen: Carissima ^^ La risposta al tuo dubbio era in questo capitolo. Grazie infinite, sei un tesoro, ma fidati…Eddino non lo potrei mai far morire :P
VampGirl: Tesoro ^^ Se non chiudessi la storia, ad un certo punto nessuno si ricorderebbe nemmeno come è iniziata…a me è capitato per alcune ff che ho sempre seguito con piacere, ma che da un po’ mi stanno stancando. Odio perdere il filo del discorso e non voglio che succeda a voi con le mie storie. Hai ragione, le cose belle finiscono, ma lasciano lo spazio per altre ancora più belle…Baci *.*
piemme: Nuuu, non mi ricordo se me l’hai detto mai….:PPPPPPP Grazie mia cara XD
Hanairoh Ciao cara ^^ Mamma mia sei impietosa davvero … Eddino alla fine della tua recensione s’è nascosto nell’armadio e non voleva più uscire…na faticaccia convincerlo…Mmmm dovresti sapere che i finali scontati non mi garbano…ma non dico altro…perché c’è chi legge un po’ tutto e non posso spoilerare… Bacioni XD
superlettrice: Yessa!!! Hai compreso benissimo…ma non disperare, non sia mai detto che faccia qualcosa ad Eddino… Grazie cara, un bacione XD
garakame: mamma Telecom ce l’ha a morte con me…questa connessione maledetta proprio non mi facilita le cose, ma le vostre recensioni questa volta le ho salvate prima…Grazie per i complimenti, sei una mia affezzionatissima e lo so :arrossisco fino all’unghietta del mignolo: Il capitolo un po’ triste ci voleva, ma ne aspettano altri dolcissimi… Trust me XD
ginny89potter: Dunque. Abbiamo appurato che sono una s…adica, che sono malvagia all’inverosimile, che vi faccio rischiare l’infarto solo quando vedete che ho aggiornato (-.-), ma che ti faccio piangere …. NUOOOOOOOO!!! Qui piango io… ç________ç Hai centrato un punto fondamentale, che nemmeno io avevo mai realizzato prima. Sì, BD mi ha lasciata in qualche punto un po’ male, perché credo che gli stessi avvenimenti descritti secondo un Pov diverso da Jacob (>.<) sarebbero stati divini…ma zia Stephie aveva già in programma MS, quindi, la scelta era un po’ obbligata…la mente di Jake a me non è mai piaciuta tanto…e quando rileggo la salto puntualmente…Sono una caina, che posso farci ? Grazie di tutto e un bacione *.*
Rebecca Lupin: Buahuahuahauahu !!! La faccenda “tra.un.pò.tirerai.le.cuoia”…. Bhuauauahuauauaau rido fino al collasso!!!! :si asciuga le lacrime: Anche questo se vogliamo è sullo stesso stampo…ma qualcosa sta cambiando…Alla prossima cara. Un bacione XD
piccolinainnamora: Nuu, niente tristezza…fra poco le cose migliorano, I promise …Baci XD
alicecullen_robert: Sapere che vi faccio emozionare così è per me una soddisfazione enorme…sapessi come gongolo…Sì, ci sarà il lieto fine e dei capitoli dolcissimi….Grazie di ogni singola parola…*.*
keska: :si lustra le manine d’oro: moncherrrrr! Che carina che sei a riempirmi di tutti questi complimenti, sono lusingata. In effetti una capatina in Italia la dovevo mettere, perché è una parte che ho completamente saltato in My New Moon…un po’ melodrammatica nel NM di zia Stephie, ma qui mi sembrava appropriata dato che è la stessa Bella che ha deciso di sacrificarsi dopo tutto. Ma ancora è necessario un po’, perché Eddino è un testone silenzioso e come vedi, non ha intenzione di rivelare nulla…ma basta patemi d’animo, le cose si sistemano sempre…almeno nelle mie storie…:P Un bacione cherì *.*
lilly95lilly: La signora Telecom ce l’ha a morte con me… sto seriamente pensando di prendere una chiavetta superveloce, ma vabbè… Edward purtroppo è in una situazione paradossale, perché ha le mani completamente legate, visti i suoi trascorsi…Vedremo XD Baci :D
grepattz: Ciao ^^ E’ vero, credo anche io che poteva andare solo così…ma presto svolteremo….Adesso non posso dirti molto, ma Edward per ora non sente per un motivo preciso che ho accennato qui, ma che spiego meglio nel prossimo capitolo. Sempre Telecom permettendo…Baci e grazie XD


Volevo scusarmi per le prolungate assenze su twitter e fb, ma i miei problemi con la connessione continuano. Da ciò deriva anche il fatto che non riesco a mettere delle canzoni ai capitoli: non potendo navigare non riesco a linkarvele :(
Ringrazio anche tutti i lettori silenziosi: so che siete in tanti a seguirmi ^^
Bon, è tutto, I guess.
Grazie e alla prossima.
M.Luisa

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Capitolo 31
*** CAP.31 ***


CAP.31

EDWARD
Mi blocco e l’osservo, in silenzio.
Ha gli occhi chiusi, il viso proteso alla luce che filtra dalle finestre, l’espressione serena. Il respiro è lento.
Come lento e lieve è il battito del suo cuore.
«Sono sveglia. Continua, ti prego» mormora con gli occhi sempre chiusi distesa nel letto al mio fianco, muovendo giusto le labbra ma con un filo di voce.
Un sorriso accennato, tenta appena di alzare un angolo della mia bocca che praticamente resta nella stessa posizione di sempre.
Gli unici sorrisi che si dispiegano sul mio viso sono tutti per gli occhi di Bella, ma adesso i suoi occhi sono chiusi, e il mio animo non è abbastanza paziente   per ricercare alcun senso di felicità fuori, ma soprattutto dentro di me.
Chiudo il libro lentamente:«Cime tempestose lo conosci a memoria. Dovresti riposare, Bella» dico calmo.
Apre gli occhi e volta il capo per guardarmi in viso, roteandolo giusto un po’ sul mio petto, sul quale è posato quasi ventiquattro ore al giorno.  
«Continua. Mi piace ascoltare il suono della tua voce» dice dolcemente, battendo più volte le palpebre e non posso fare a meno di scendere con le mie labbra sui suoi occhi che faticano a restare aperti nel viso smagrito.
«Prova a dormire, ti farà bene» insisto ma senza durezza, alitandole sui capelli.
Scuote lievemente il capo e resta in silenzio.
Nonostante la stanchezza estrema, Bella dorme pochissimo.
E il suo fisico ne è molto provato.


Sono trascorse due settimane, ossia un altro mese di gravidanza per Bella secondo la teoria di Carlisle.
Teoria che, dal momento in cui Jasper ha percepito un primo bagliore delle emozioni del feto, è andata ampliandosi di nuove ipotesi.
Ovviamente il feto non è umano, ma già adesso mostra caratteristiche proprie della nostra specie. A parte la forza, di cui grazie a Dio non abbiamo più avuto testimonianze drammatiche ad esclusione di altri lividi, abbiamo capito che è capace di interferire con le percezioni di Alice.
E Jasper avverte ormai quotidianamente i suoi abbozzi di emozioni come delle scosse che gli percorrono il corpo. Li sente con facilità, come se stesse percependo uno di noi, e non un umano. Inutile tentare di controllarle, essendo ancora troppo immature e aspecifiche. Se non riconosce che tipo di emozione prova un soggetto, Jazz non può tentare di influenzarla.
Contemporaneamente alle sue percezioni,  compaiono le emicranie lancinanti di Alice.
Carlisle ha identificato questi fenomeni come una specie di sovrapposizione di campi magnetici: mentre con Jazz c’è una sommazione di effetti, con Alice c’è un interferenza percettiva.
Con me non accade nulla. Leggo nelle menti dei miei fratelli le sensazioni che avvertono , ma nulla di più.
Bella è felice. Stanca ma felice. O almeno sembra.
Osserva l’affaccendarsi della mia famiglia intorno a lei e a quello che viene ormai definito da tutti il bambino. Non più feto, e da parte mia non più cosa.
Ma bambino, no. Questo è al di là delle mie forze.
L’idea di un pargoletto paffuto, con gli occhi nocciola pieni di vita e di gioia non riesce ad essere eletta nella mia mente come l’immagine che non mi sono fatto dell’essere che cresce dentro di Bella.
Semplicemente io l’ignoro.
Mi sforzo di considerare mia moglie come se fosse affetta da una grave malattia e mi occupo di lei come se potesse guarirne, pur essendo perfettamente cosciente che se davvero fosse ammalata, sarebbe in uno stadio terminale di un terribile e infausto morbo, di quelli che non lasciano alcuno scampo per i fragili corpi degli esseri umani.
E la mia illusione si nutre ogni giorno un po’ di più.
Bella peggiora con una rapidità impressionante, ma la cosa più strana è che la sua gravidanza sembra essere entrata in una fase quiescente. Secondo le stime di Carlisle che stabilisce il progredire della gravidanza dalla misurazione della circonferenza del suo ventre, avrebbe dovuto prendere circa quattro centimetri, ma ne ha presi quasi due. Se Bella fosse in buone condizioni fisiche, questa sarebbe stata un’ottima notizia.
Invece, è solo un prolungamento della sua sofferenza.
Se il feto cresce con più lentezza, il periodo della gravidanza sarebbe  destinato ad allungarsi. Ma il cedimento delle condizioni di salute di Bella rischia di togliermi anche il poco tempo che Carlisle aveva preventivato essere a nostra disposizione.
Il “dubito” che supererai un altro mese è diventato un “sicuramente”.
Ogni istante che passa, lo trascorro con lei.
E sospetto che lei non voglia dormire per non ridurre ancora di più i giorni  che il destino ci ha beffardamente concesso.
Bella è felice. Eppure nei suoi occhi scorgo spesso un lampo d’angoscia mentre mi guarda, pur se tenta in ogni modo di mascherarmelo.
E’ spaventata. Ma non dalla sofferenza che sopporta ogni giorno o da quella che l’attende. Non quella fisica, almeno. La paura che le leggo in viso è più sottile.
Teme la parola fine.
Anche il dolore lo sopporta con stoicismo, senza lamentarsi mai.
Perché se soffri significa che sei vivo. Ancora.
E lei vuole vivere. Sebbene Carlisle la nutra endovena, ogni giorno ingurgita tutto ciò che il suo corpo riesce a trattenere e che Esme le prepara con amore e solerzia.
E’ convinta di farcela, di riuscire ad arrivare al termine della gravidanza e di resistere fino alla trasformazione.
Non vuole lasciarmi.
E, sebbene sappia che niente lo impedirà, non l’ho mai contraddetta.

Sospira profondamente e chiude gli occhi per un lungo istante.
«Da quando non vai a caccia?» mi chiede.
Con un dito le scosto una ciocca di capelli che l’è ricaduta sulla fronte, portandola indietro, verso il cuscino :«Non preoccuparti di questo, non sono così assetato».
Ovviamente non è la completa verità.
Solo due volte sono andato a caccia da quando abbiamo riportato Bella a casa dall’ospedale. Ma allontanarmi da lei è fuori discussione. Non fino a quando non si renda davvero indispensabile.
«Oh, allora dovresti riposare un po’… hai due occhiaie da far paura» e il suo corpo viene scosso da quella che dovrebbe essere una risata, ma che in realtà è una tosse convulsa.
Le faccio scivolare una mano dietro la schiena e la alzo un po’ verso l’alto, liberandola dalla compressione della posizione supina e ottenendo una migliore respirazione. Contemporaneamente, nel tono più spontaneo che riesco a costruire a suo beneficio, le dico:«Spiritosa … vorrà dire che lo farò quando lo farai anche tu».
Le avvicino un bicchiere d’acqua alle labbra. Mi lancia uno sguardo di gratitudine e lascia che qualche goccia del liquido passi nella sua bocca, per poi riposare la schiena sul letto, esausta.
Non stacca gli occhi dai miei, sembra volermi entrare dentro. Con una mano, mi sfiora la tempia e con la punta del dito disegna il tratto del mio viso che scende fino alla mascella:«Non l’avrei mai detto, ma vorrei che potessi leggermi la mente» sussurra.
Muovo appena il capo in modo da catturare il suo dito tra le mie labbra e lasciarci un piccolo bacio:«Anche io» ammetto e mi costa un po’ farlo «forse … forse non saremmo a questo punto se ne fossi stato capace».
Aggrotta leggermente la fronte:«Edward non devi sentirti in colpa. Io ho più colpe di te … Se avessi … » sospira «se fossi stata in grado di parlare delle  mie insicurezze con te, io …»
«Shhh» e le bacio con delicatezza la fronte ancora corrucciata:«Tu non devi rimproverarti nulla, Bella. Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata in cento anni e se tornassi indietro non cambierei nulla, te lo giuro, nulla …» mi scosto giusto il necessario per perdermi nel suo sguardo, più vivo e acceso che mai.
Si morde il labbro inferiore, gesto istintivo di quando è nervosa, ma poi si ferma, ricordando che ha ancora una cicatrice da far rimarginare e arriccia il naso in una smorfia.
Inclino il capo e accolgo il suo labbro martoriato fra le mie labbra con dolcezza:«Non essere turbata, amore» le soffio piano ancora sulla sua bocca, mentre la sua mano sale fino alla mia nuca e le sue dita si infilano tra i miei capelli.
Immerge la testa nel mio collo, portando la sua guancia nell’incavo della mia spalla e rivolgendo il viso al mio. Quando sussurra, il suo fiato tiepido si scontra sulla pelle della mia mascella e piccoli brividi, come mille scariche elettriche mi percorrono ovunque.
«Non sono turbata» dice «pensierosa, piuttosto» e sento le sue labbra distendersi in un sorriso sulla mia pelle.
«Mmm … in effetti sento il rumore delle rotelline del tuo cervello che si sono messe in moto … Vuoi rendermi partecipe di queste tue riflessioni?» le chiedo con dolcezza.
Annuisce con il capo, in silenzio.
Ma in silenzio resta per due minuti ancora. Attendo senza muovermi, carezzandole piano la schiena da sopra il pigiama con movimenti lenti.
Poi, tira un breve respiro e dice calma:«Se …» deglutisce «… se non dovessi farc…» si blocca con la voce rotta e un dolore acuto come una stilettata in pieno petto mi costringe a chiudere gli occhi per un attimo e a concentrarmi intensamente per non modificare il movimento della mano sulla sua schiena «… se non fossi molto in forma dopo il parto, vorrei che tu mi facessi una promessa» dice quindi, costringendosi a mantenere la voce ferma.
I muscoli della mascella si tendono istintivamente, perché so cosa vuole che le prometta. O meglio, so che avrà a che fare con il … feto e so che ho giurato a me stesso che non le avrei mentito mai più.
Dunque so che non posso promettere.
Attende che le dica qualcosa. Attende il mio assenso.
«Cosa?» dico senza inflessioni, atono.
La sento rabbrividire tra le mie braccia e maledico il mio senso di lealtà, caratteristica sconosciuta ai più, soprattutto agli appartenenti della nostra specie, ma ormai irrimediabilmente radicata in me.
Ma Bella da me merita solo la più completa sincerità. Niente di meno.
«Vuoi che non mi dia alla pazza gioia con Emmett, sulle tracce dei più temibili orsi del New Hampshire per distrarmi?» aggiungo con voce più leggera, cercando di stemperare la tensione che ho contribuito a creare con il tono della mia domanda precedente.
«Vinceresti tu» dice lei sussurrando sul mio collo, sempre nascondendomi il suo sguardo «sei il più veloce»
«E’ vero. Ma lui è il più forte» concludo io sorridendo.
Resta per un lungo momento in silenzio.
«Anche tu sei forte, Edward. Sei la persona più forte e generosa che abbia mai conosciuto» prosegue in tono serio ed emozionato «e sei speciale: buono, coraggioso, giusto».
Mi paralizzo all’istante, mentre un nodo comincia a stringersi intorno alla gola.
Lei sospira tremante, poi continua:«Io non ti lascerò mai, Edward. Anche se non dovessi più essere qui, staremo sempre insieme. Continuerò ad esistere … continuerò a vivere … nel nostro bambino».
Sento che trattiene il fiato, mentre aria dentro di me non entra e non esce. La mia mente non riesce ad elaborare le sue parole, si rifiuta di lasciarle entrare, di permettere che diventino pensieri e che siano plausibili.
Plausibili pensieri di morte.
Sono accanto a mia moglie. E stiamo discorrendo - lei discorre - sulla fine della sua vita. Sulla fine di ogni cosa. Sulla fine di tutto.
Per me nulla avrà più un senso. Ma non per lei.
Ed è per questo che i miei occhi si chiudono prima ancora che Bella avanzi la sua richiesta. E’ quasi inutile anche che la pronunci, avendo già perfettamente inteso quale sia il suo obbiettivo.
Se lei è lo scopo della mia esistenza, nel momento in cui non ci sarà più, pensa bene di assicurarmi un’altra ragione per continuare a vivere.
«Devi prenderti cura di lui, Edward» soffia piano sulla mia pelle, accentuando la sua debole presa sul mio torace «se non ci sarò più, gli rimarrai solo tu e tu avrai solo lui. Dovrete essere l’uno per l’altro».
Sento che alza il capo dalla mia spalla per fissarmi in viso, ma non apro gli occhi.
Non posso.
Non posso guardarla in viso sapendo che non potrei mai onorare questa promessa.
Il tocco delle sue dita gentili sulla mia guancia è come una lieve carezza di una piuma delicata e, come ogni volta, la mia pelle vibra a questo contatto.
La sua voce è timida e dolce, mentre sussurra il mio nome e la punta delle sue dita mi sfiora le palpebre, invitandomi a guardarla.
Scuoto lentamente il capo. Non voglio essere brutale, ma devo essere sincero. Glielo devo.
E’ in quel momento che al piano di sotto il telefono inizia a squillare.


BELLA
Apre finalmente gli occhi, ma invece di osservare me, il suo sguardo saetta immediatamente oltre la mia persona per poi fissarsi in un punto della porta.
Non so con precisione cosa provi in questo momento – i suoi occhi mi sfuggono – ma non è poi così necessario che parli per saperlo.
Lo so. E’ stupido da parte mia, considerando che è stato proprio il silenzio a complicare enormemente la nostra già difficile relazione, ma in questo caso non si tratta di un malinteso da chiarire.

In queste due settimane trascorse per lo più a letto, tra le braccia di mio marito, ho riflettuto moltissimo. Soprattutto sulle parole di Rosalie.
E allora, la maggior parte dei comportamenti di Edward mi è apparsa sotto una luce nuova.
E’ premuroso, attento, presente. Sempre gentile, delicato. E anticipa sempre di un battito i miei desideri e le mie necessità.
L’ho osservato.
E ho capito cosa c’è che non va.
Non parla più con nessuno, nemmeno con il pensiero. Nessuna risposta sospesa ad una domanda che non avrei mai potuto udire perché letta da Edward nella mente di uno dei suoi familiari. Nessuna interazione di alcun tipo nemmeno con Alice, che lo osserva almeno quanto me, ma con nel viso di gesso un’espressione tormentata, evidente come un’insegna al neon, ma chiaramente ignorata da Edward.
Perché ha a che fare con lui. E riguarda il suo futuro.
Edward è presente ogni giorno solo per me. Ma per nessun altro. E’ come se tutto il resto non avesse più alcuna importanza, come se il centro dell’universo fossi io.
Ma solo io.
Non il nostro bambino.
Mai, mai ho visto i suoi occhi posarsi sul mio ventre, nemmeno per sbaglio, nemmeno per distrazione.
E la cosa non è naturale. Più gli altri rivolgono un’attenzione a me e al bambino, più la sua indifferenza diventa palese. Ostentata quasi. Come se non esistesse nemmeno.
I miei tentativi di portare il discorso su questo argomento con lui vengono puntualmente sviati.
“… il bambino sarà la causa della morte del suo amore. Pensi che proverà amore verso di lui?” Rosalie aveva colto un aspetto fondamentale. Ed io ho capito nel corso dei giorni quanto vere siano state le sue considerazioni.
Con questa gravidanza, all’inizio ho creduto di aver finalmente trovato lo scopo della mia vita.
Ho visto la giustizia e la correttezza nell’ordine delle cose che mi era sempre sfuggita prima. Il nostro bambino era il frutto di questo amore così impossibile, così irrazionale che aveva avvicinato me ed Edward contro ogni possibile logica.
Abbiamo lottato contro questo amore, ferendoci e soffrendo con lui, vittime delle nostre pulsioni e schiavi delle nostre paure.
Il nostro bambino è riuscito dove nessuno avrebbe mai potuto, unendo ghiaccio e fuoco, perfetto e imperfetto, vampiro e umana.
Non c’è più il giusto e l’errato.
In lui tutto si annulla.
Perché solo un’umana come me avrebbe potuto generare un miracolo come questo insieme ad Edward. Né Rosalie con la sua algida bellezza, né Alice con i suoi poteri, né Esme con tutto il suo amore materno.
La perfezione è perfezione. Non cambia, non muta. E’ sospesa, congelata nell’immobilità dell’eternità, che scorre ma che non passa mai.
Io, fragile umana invece, posso.  Posso cambiare. Il mio corpo può mutare, può adattarsi –con difficoltà, ma può – allo sviluppo di un nuovo essere.
Io posso dare ad Edward qualcosa che lui non potrà mai donarmi.
La vita.
Ma questa mia consapevolezza non ha pervaso anche il suo animo.
Ed è per questo che ogni giorno obbligo il mio corpo a nutrirsi, costringo la mia mente a pensieri positivi, allontano da me l’idea della fine.
Io non devo morire, non posso. Non ancora.
Devo riuscire a trascinare il mio corpo per il maggior tempo possibile, nelle migliori condizioni per affrontare il parto e la trasformazione.
Perché mai come adesso, non sono disposta a dire addio ad Edward.
Perché adesso, io voglio vivere.
Ma tutte le mie riflessioni si scontrano con la realtà dei fatti, realtà a cui devo essere preparata comunque e a cui devo fare in modo lo siano anche gli altri.
Anche Edward.
Stamattina, mentre lui leggeva disteso al mio fianco, la vista mi è mancata all’improvviso. Non è durato molto, forse qualche minuto. Il tempo sufficiente a farmi capire quanto tutti i miei sforzi, tutte le mie speranze possano essere inconsistenti, e cancellabili da un colpo di spugna.
Il mio cuore ha spiccato il volo e solo l’assenza di respiro e l’aumento impercettibile della stretta del braccio di Edward, ignaro di tutto eccetto che di questa reazione incontrollabile del mio corpo, mi hanno dato conferma ulteriore della fragilità delle mie condizioni di salute.
Non sono state necessarie parole per comunicarmi la sua profonda angoscia, evidente dal senso di attesa per la successiva, possibile reazione del mio corpo, e dalla difficoltà nel rilassare i muscoli del suo.
E allora ho chiuso gli occhi, immaginando di aver creato il buio intenzionalmente e lasciandomi cullare dalle carezze vellutate della sua voce.
Quando li ho riaperti ho visto davvero quanto breve rischia di essere il tempo a mia disposizione per far comprendere ad Edward la sua importanza in tutta questa storia, per fargli capire che il centro dell’universo non siamo più né io né lui, entità distinte destinate a rimbalzare l’uno contro l’altra nel tentativo di avvicinarci, ma il bambino.
E noi con lui.
E’ per questo che ho raccolto il coraggio a due mani e gli ho chiesto di promettermi di prendersi cura di lui e di se stesso, se …

Mi riscuoto sentendolo mormorare parole incomprensibili verso la porta.
«Edward …» sussurro esitante cercando di attirare la sua attenzione. E’ concentrato nel cogliere qualcosa d’inafferrabile per le mie orecchie.
«Edward …» riprovo, alzando una mano verso il suo viso, sulla fronte lì dove tutti i pensieri si condensano in un'unica, piccola increspatura.
«Il telefono» dice, riportando lo sguardo su di me «è per te. E’ Helèna»
Batto le palpebre nel goffo tentativo di riavermi dalla sorpresa.
Non ho sentito squillare l’apparecchio.
Che stia perdendo anche l’udito?
«Non me ne sono accorta …» mormoro confusa e mi pento immediatamente.
Se comincio ad avere anche delle cedevolezze sensoriali, di certo non è una buona mossa renderne partecipe Edward.
 Ma lui non sembra scomporsi minimamente:«Rosalie» e subito dopo prosegue «ha ridotto il volume della suoneria al minimo per non disturbare il tuo riposo»
«Oh» e vorrei aggiungere “salvato dallo squillo del telefono”, ma la sua espressione truce mi dissuade dal farlo.
Nello stesso istante, senza che i suoi occhi lascino i miei, dice:«E’ sveglia. Puoi entrare» e la porta si apre silenziosamente.
Una Esme, apparentemente il ritratto della serenità, entra silenziosamente  reggendo il cordless in una mano e un bicchiere su un vassoio nell’altra in perfetto equilibrio:«Ti ho portato un succo d’arancia cara. Bevilo, ti farà bene»
La ringrazio con un sorriso, mentre poggia il succo sul comodino e mi avvicina il telefono che cerco di afferrare con molta cautela per non manomettere il delicato groviglio della flebo, ma Edward mi anticipa e lo prende per primo.
Attende che mi sia sistemata aiutandomi con delicatezza ad appoggiarmi ai cuscini in una posizione semiseduta, mentre la coperta beffardamente scivola verso le gambe scoprendomi la pancia in tutta la sua prominenza. Trattengo il respiro, quasi avessi paura di offenderlo con questa chiara manifestazione dell’unica cosa che invece di unirci, sembra solo dividerci ancora di più.
Ancora una volta.
Ma lui, con noncuranza, riafferra il  bordo della coperta e lo tira su, quasi sovrappensiero.
Avvicino il telefono che mi porge, all’orecchio e gli lancio uno sguardo mentre lo vedo appoggiarsi comodamente ai cuscini al mio fianco e prendermi la mano libera, quella su cui è stata applicata la flebo.
«Pr...pronto» e la voce mi esce bassa e rauca. Cerco di schiarirmela e ripeto più decisa:«Pronto»
«Bella! Sono Helèna, Bella. Come stai?» la voce squillante di Helèna è allegra e felice.
Di riflesso un senso di colpa enorme mi invade. Sono stata ingiusta con lei, non l’ho nemmeno chiamata per informarla delle mie condizioni –per quanto la situazione me lo permettesse – ma soprattutto per ringraziarla di tutto quello che ha fatto per me.
«Helèna ti chiedo perdono» comincio «non mi sono fatta più sentire, non ti ho dato più notizie …»
«Oh, non preoccuparti! Ci ha pensato tua sorella Alice a tenermi informata. Ogni volta che pensavo di chiamarti mi chiamava sempre lei un attimo prima, manco l’avesse saputo! Siamo decisamente in sintonia» e una risata cristallina dall’altro lato fa eco alla mia bocca mezza aperta.
Lancio un’occhiata ad Edward che lui non ricambia mentre continua a giocare con le dita della mia mano.
«Sai, mi ha anche risparmiato un inutile viaggetto fin lì, quando insieme a Paul avevamo deciso di venire a farti visita. Ma lei mi ha telefonata proprio la mattina dicendomi che saresti andata in ospedale per qualche giorno per degli accertamenti»
Alice … difficile prenderla di sprovvista. Penso, cominciando a chiarire alcuni dei momenti di buio della mia “convalescenza”.
«Sì … infatti» mormoro, un po’ in contropiede in questa strana conversazione.
«E’ tutto a posto? Ci sono mica problemi con la gravidanza?» mi chiede un po’ allarmata.
«No … cioè sì … sto bene. La … gravidanza procede bene» sussurro in un alito di voce e lancio un’altra occhiata ad Edward, che sembra sempre rilassato come se io e la mia amica stessimo discorrendo del tempo.
«Bene, ne sono contenta» afferma convinta «ti confesso che ero un po’ in pensiero sapendo che ti stavi riprendendo, ma che ogni volta che ti chiamavo eri o addormentata o a fare qualche esame. Credevo … » sussurra abbassando inutilmente il tono della voce «… che ci fossero dei problemi, che non ti fosse permesso rispondere».
Si zittisce di colpo, come se temesse di aver parlato troppo o a sproposito, ma poi continua:«Me lo diresti, vero Bella, se fosse così?» mi chiede quindi, con evidente sforzo, ma con la determinazione nella voce.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime, ma le ricaccio indietro e con il tono più fermo che posso rispondo:«Certo. Certo che te lo direi, Helèna» e faccio giusto in tempo a terminare la frase prima che la voce mi si spezzi.
Continuiamo a parlare per un po’ in terreno neutro. Mi racconta di lei, di Paul e dei loro futuri progetti di matrimonio con un po’ di imbarazzo, ma con genuino entusiasmo fino a quando la conversazione comincia a languire e mi rendo conto che c’è altro che vorrebbe dirmi, ma che non trova il coraggio per farlo.
Sto quasi per chiudere la conversazione, appellandomi ad una improvvisa stanchezza che non devo nemmeno fingere più di tanto, quando la sento emettere un sospiro profondo e dire:«Fra qualche settimana verranno le mie sorelle, ne approfittano per trascorrere il Natale qui ad Hanover»
La notizia mi lascia leggermente perplessa, come se nascondesse un messaggio che purtroppo non riesco a cogliere, perciò opto per un commento di cortesia. Helèna tentenna un po’, poi aggiunge:«Vengono anche per la presentazione dei progetti di economia. Jensen ha fissato la data della conferenza»
Al nome del professore di economia le dita di Edward si bloccano sulla mia mano e sento che il suo braccio intorno alle mie spalle si irrigidisce. Ma è un attimo, subito dopo riprende ad accarezzarmi il dorso con il pollice.
«Ah» dico solo e dato che lei resta in silenzio, aggiungo «sono contenta per te. Hai lavorato tanto Helèna, meriti il giusto riconoscimento» e la mia voce è serena.
«Anche tu Bella. Hai lavorato più di me e so quanto ci tenevi al tuo progetto» esita ancora un momento e poi dice «credo che il professor Jensen sarebbe felice se tu intervenissi»
Lo sguardo mi si punta su Edward che invece osserva le nostre mani intrecciate, con attenzione:«Io non credo sia … possibile»
Fra qualche settimana, potrei non avere nemmeno la forza di reggermi in piedi …
«Non mi sono ancora ripresa del tutto e … il progetto non era completo e …»
… potrei non essere più viva.
«… potrei non essere più qui» prendo un respiro «ad Hanover intendo. Abbiamo intenzione di trasferirci»
«Oh, Bella! Andrai via? Quando? Dove?» comincia a subissarmi lei senza riprendere fiato nemmeno una volta.
«Credo che torneremo a Forks. Vorrei trascorrere il resto della gravidanza tra i miei familiari che sono lì» dico rapida, complimentandomi mentalmente per la fermezza della mia voce nel raccontare una bugia così, su due piedi.
Sono migliorata molto.
«Capisco» dice lei un po’ mogia «ma ci manterremo in contatto, vero? E ci saluteremo prima che tu parta, no?»
«Ma certo!» esclamo imprimendo alla mia voce la giusta carica di entusiasmo.
Decisamente, sono migliorata molto.
Il sospiro che sento, seppur lieve, non mi sfugge.
E proviene da Edward.
Concludo la telefonata rapidamente, salutando la mia amica e promettendole per l’ennesima volta che ci vedremo presto.
Quando la mia voce finalmente tace, lui mi sfila con dolcezza il telefono dalla mano riponendolo sul comodino, girandosi poi verso di me con espressione seria.
Ecco, penso, qui mi ci vorrebbe la sua capacità di leggere nelle menti altrui.
«Mi dispiace» dice solo e non un muscolo del suo corpo si muove.
E’ immobile, come una statua di sale.
Mentre io lo osservo, incerta su quale sia realmente l’oggetto del suo dispiacere, il suo sguardo di ghiaccio sembra vacillare per un secondo. Per un attimo, vedo nei suoi occhi tutto il tormento di un uomo divorato dal senso di colpa, angosciato fino all’inverosimile. Un uomo per cui il tempo davanti a sé  è diventato un peso insopportabile, un uomo che arde vivo sul rogo.
E capisco quanto sia grande il peso che, mio malgrado, gli chiedo di sopportare ogni giorno stando al mio fianco.
E che gli ho chiesto di sopportare per il futuro.
La mia mancanza.
Per un attimo, solo per un attimo, mi chiedo cosa farei io nella situazione inversa e tremo, conoscendo la risposta.
Smarrita, confusa cerco di trovare le parole giuste. Quelle che gli diano l’esatta portata del mio amore per lui, quelle che devono convincerlo a vivere.
Quelle che gli diano la speranza.
Perché se lui è me ed io sono lui, c’è solo una cosa che può spingere Edward ad accettare l’eventualità di una nostra separazione, con questa rassegnazione apparente che gli leggo in viso da quando ha conosciuto le mie decisioni riguardo il bambino.
Il refrigerio di un destino comune. Una separazione che sarà solo temporanea.
E’ in questo momento che, guardandolo, capisco quali sono le sue intenzioni.
Apro la bocca per parlare, ma lui mi precede e posa delicatamente un dito sulle mie labbra, impedendomelo. Mi fissa negli occhi, intensamente. Poi,  come se fossimo rimasti congelati al momento in cui ho avanzato la mia richiesta, prima della telefonata di Helèna, dice:«Non chiedermelo, Bella. Non farlo, ti prego. Non condannarmi ad un’esistenza di buio … senza di te. Tu non sai quello che la tua richiesta implicherebbe, non puoi avere idea di come possa essere lunga l’eternità, specie se non potrò averti al mio fianco. Hai scelto della tua vita, ma non togliermi la possibilità di fare altrettanto con la mia».
Resto immobile, incapace di rispondere, né di abbassare lo sguardo dai suoi occhi limpidi e ardenti.
Mi sta pregando di lasciarlo morire. Di non strappargli una promessa che lo vincolerebbe alla vita contro la sua volontà. Ancora una volta.
A tentoni cerco il libro abbandonato sul copriletto. Mi lascia fare. Lo afferro e velocemente cerco la parte che mi interessa.
Con voce tremante, cito:”Il mio pensiero principale nella vita è lui. Se tutto il resto perisse e lui restasse, io continuerei ad essere; e, se tutto il resto persistesse e lui venisse annientato, l’universo mi diverrebbe estraneo; non mi sembrerebbe di farne parte. Il mio amore per lui è simile alle rocce eterne ai piedi degli alberi; fonti di poca gioia visibile, ma necessarie. Io sono lui, lui è sempre, sempre nella mia mente, non come un piacere, così come io non sono sempre un piacere per me, ma come il mio stesso essere: dunque, una nostra separazione è impossibile …
«Ecco» dico e la mia voce sembra calma, serena. Come se queste parole fossero la chiave di tutto, come se avessero la forza per risolvere tutto. «Non saprei come dirlo meglio».
Osservo la sua espressione ancora più addolorata, stanca, ormai chiaramente, senza che nulla si frapponga a mascherarmi il suo reale stato d’animo.
E mi sento piccola di fronte all’enormità della sua sofferenza, forse anche cattiva, come se andarmene in un fulgore di gloria dando alla luce il nostro bambino fosse una meschinità troppo crudele da infliggere ad un cuore così puro come quello di Edward.
Lui mi osserva, commosso.
E mentre con una mano mi sfiora la guancia, si abbassa verso di me, avvicinando le labbra al mio orecchio e, a memoria, comincia a citare:”Baciami ancora, e non lasciarmi vedere i tuoi occhi. Io ti perdono per quello che hai fatto a me. Io amo il mio carnefice; ma il tuo? Come potrò?




NOTA DELL’AUTRICE: Un grazie di cuore a tutti. L’ultima settimana è stata molto difficile e chi mi segue su twitter sa perché. Adesso la situazione è migliorata, anche se continuano i problemi di connessione e non sono riuscita a mettermi in contatto con chi mi ha chiesto notizie e con chi mi ha inviato messaggi di conforto, per rispondere e ringraziare.
Sappiate che nei brevi momenti in cui sono riuscita a connettermi ho letto ogni messaggio su fb, ogni tweet, ogni mail che avete voluto regalarmi e mi avete dato un enorme sostegno.
Quando mi si toccano gli sgorbi mi prende il panico.
Quindi questo capitolo è per voi tutti.

Confusina_94: eh, eh …dillo che alla fine ti ho stufato con tutta questa angoscia… :PPP. Ihihihihi Baci cara XD
rensmee iky: Ciao XD E’ un piacere conoscerti. Beh, ti sei tirata tutti i capitoli insieme…che dire se non grazie? E grazie dei complimenti, naturalmente…:P
00Stella00: In effetti Edward capisce che questo piccolo ha già una coscienza perché Jazz avverte il suo primo abbozzo di emozione, e lui ne resta turbato, perché è più facile avercela contro un mostro e un essere che si considera inanimato, piuttosto che contro qualcosa che già appare più “umano”. Grazie di tutto XD
VampGirl: Si, anche Alice avrà la sua parte … E sì, ti capisco quando dici che non riesci a concepire come un uomo possa pensare che sia il bambino ad uccidere la propria genitrice. Ma è un dato di fatto, non possiamo negarlo. A volte capita, ma il punto cruciale è che, secondo me, non si tratta affatto di un sacrificio. E’ questo che un uomo non riesce a capire. Un bacio affettuosissimo XD
arual93: Cara Laura…in effetti sei un po’ duretta con Rose…provare sentimenti negativi fa parte di noi, è naturale…se Rose fosse stata troppo baci e abbracci, non sarebbe stata credibile, non trovi? E, a ben guardare, il suo desiderio di diventare mamma deve essere davvero enorme se si “abbassa” a chiedere una cosa del genere a Bella…Baci, cara XD
piccolinainnamora: Grazie cara XD Si il bimbo ha qualche potere. E come potrebbe essere diversamente in questo mondo di magia?!
harley1958: Sì, in fondo (molto in fondo) io credo anche nell’istinto paterno, o meglio credo che spesso molti uomini ricevano dalla vita dei doni che nemmeno si aspettavano, e quasi contro la loro stessa volontà… Baci cara e a presto
rodney: Cara Simona! Non preoccuparti se non riesci a recensire spesso come vorresti, nemmeno io riesco per storie molto più valide della mia e ti giuro che me ne dispiace tantissimo…Quindi ti capisco benissimo. Allora, per rispondere alla tua domanda, sì, il comportamento di Rosalie è strano, così come in BD, ma è un personaggio che secondo me è stato un po’ sottovalutato. L’universo Rosalie è complessissimo… non credo che sia diventata improvvisamente amica di Bella, ma è mossa sicuramente da egoismo. Però…è una donna, come può non ammirare un’altra donna che si dona con tutta se stessa per il proprio bambino? Sicuramente influenzeranno le sue decisioni ance dei sentimenti di compassione e solidarietà femminile, come al solito un personaggio deve essere visto in tuttotondo e non solo da una angolazione. Spero di essermi spiegata come avrei voluto. Grazie di tutto, cara. Un bacione :***
beta persei: Grazie, grazie e grazie. Solo una mamma può scriverne, non saprei, ma che le mie parole siano comprensibili come voglio da parte dei lettori mi riempie di gioia XD Bacioni XD
lisa76: Ciao LisaXD In questo capitolo spero di aver risposto a qualcuna delle tue domande…per il fatto che Edward non avverta nulla…la ragione c’è e non è casuale. Baci XD
Lizzie95: Cara :*** Grazie infinite. Sì, il capitolo passato era tosto, ma è stato uno di quelli che ho scritto con più piacere. Rose non è tra i miei personaggi preferiti (se hai fatto attenzione, avrai anche capito chi è il mio personaggio preferito…ù.ù), ma trovo che sia molto interessante e controverso, quindi ottimo materiale, pur se difficile da rendere. Spero di esserci riuscita come volevo…. Un bacione XD
twilighttina: Ohhh anche tu autrice! Beh, farò un salto presto, promesso XD Grazie infinite XDD
garakame: Ahhhh e qui casca l’asino!! (vecchia battuta del mio fu Professore di Storia e Filosofia mila mila anni fa….). Hai centrato un aspetto fondamentale, che anche io mi sono sempre chiesta… è giusto dare la vita comunque, anche se non si potrà seguirla nella crescita?Ti confesso che una risposta ancora non me la sono data, ma penso che mai, mai permetterei al mio benessere di prevaricare quello di uno dei miei figli. Sta da vedere quale sia realmente il loro benessere. Fare la madre non è facile … io spero di fare del mio meglio, questo sì. Bacioni XD
Piccola Ketty: GraSSie cara…e non scusarti per le NON recensioni…lo so che mi segui sempre con accanimento e sono felice di riuscire a soddisfarti ogni volta… Grazie :***
RenEsmee_Carlie_Cullen:Ehm…spero che non mi ucciderai…ma vi ho promesso il lieto fine, sudato è vero, ma ci sarà. Baci :***
yle94: Non posso dire nulla…ma la gravidanza non sarà uguale a quella di BD. Baci XD
sily85: Querida…:***** Pare che finalmente la telecom, mossa a compassione, mi abbia esaudita -.- Pare. Grazie per i complimenti e per il pensiero…:adoro:
grepattz: Ya…Rose non è riuscita molto in là, ma la verità si viene sempre a sapere, no? Credo che il soprannome che mi darete sarà “angoscia”…:ammicca: Baci cara :***
keska: Oh tesoro, le tue recensioni mi spiazzano! Si, di Rose abbiamo avuto una visione più dettagliata in questo capitolo, i personaggi controversi sono la mia passione…stuzzicano incredibilmente la mia inventiva…Grazie come al solito per tutti i tuoi complimenti e non temere, che il lieto fine è dietro l’angolo…:***
lilly95lilly:mmmm per il sesso del nascituro si accettano scommesse. Sappiate che io ho una predilezione per le femminucce, ma che i miei sgorbi sono maschietti -.-‘ Chissà? Baci XD


Non mi dilungo ulteriormente, ma perdonatemi ancora per i miei tempi biblici.
Baci a tutti voi.
M.Luisa


 


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Capitolo 32
*** CAP.32 ***


Un solo consiglio.
Il capitolo è venuto fuori molto lungo, ma piuttosto che dividerlo ho preferito metterlo tutto. Leggete con calma.
Grazie.

CAP. 32

BELLA
I vampiri non possono cambiare.
«Ecco, così. Piano, ti aiuto io».
Abbozzo un sorriso logoro, che ha poco di formale, ma che reca in sé, oltre alla gratitudine, anche la consapevolezza che certe convinzioni sono del tutto errate e forse sono solo mascherate da stupidi pregiudizi.
«Grazie Rose».
La vampira ricambia il mio sorriso con uno dei suoi, luminoso, accecante, autentico.
Uno di quelli della “nuova” Rose, uno di quelli che non avevo mai visto fino a quando tutta questa storia non ha avuto inizio.
Appoggio i palmi sulla coperta, mentre lei con delicatezza mi distende le gambe e lascia che la mia schiena si posizioni sui cuscini sorretta dalla sua mano.
Mi scocca un’occhiata di lieve rimprovero e con tono dolce mormora:«Lo sai che non è necessario. Ti stanchi soltanto. Potresti evitare di alzarti ogni volta per andare in bagno»
«No. Non sono malata. Fin quando riesco, vorrei mantenere un minimo di autonomia», se di autonomia si può parlare dovendomi far accompagnare ogni volta dalla mia “infermiera personale”. Negli occhi, scuse silenziose per il disturbo arrecato a questa mia nuova sorella.
«Cara, non devi preoccuparti» e con una mano mi sfiora la guancia, regalandomi un altro sorriso «tutto ciò che desideri. Per me non è affatto un problema».
I vampiri non possono cambiare. Beh, se è per questo, si pensava anche che non potessero procreare … Le mie sopracciglia si inarcano leggermente verso l’alto, mentre scuoto una volta il capo, rendendomi conto di quanto fossi stata in errore.
Rose ne è un esempio lampante. Positivo, certo.
Ma non è l’unico.
Edward è lo stesso di sempre, ma solo apparentemente.
Anche stamattina gli ho chiesto di lasciarmi sola con Rose, ed è a lei che mi affido per la cura quotidiana del mio corpo. Ho dovuto insistere parecchio per vincere la sua reticenza e per non offendere la sua sensibilità, ma, se posso, voglio risparmiargli il tormento di vedermi in certe occasioni.
Nuda mentre mi lavo, sono totalmente esposta ai suoi occhi e, ormai, il mio corpo è troppo innaturalmente ingrossato per fingere che la situazione non sia degenerata eccessivamente.
Come se fingere servisse a qualcosa, come se il silenzio mantenesse insieme questo traballante castello di carte che regge su di una sempre più sottile ragnatela di illusioni.
Non riuscirò mai a sopravvivere, a fare in modo che il mio cuore resista per la trasformazione.
Lo so io. Lo sa lui. Lo sanno tutti.
«Rose, per favore» dico, indicando con un dito il bicchiere d’acqua sul comodino.
In un lampo il bordo del bicchiere è alle mie labbra e un intruglio opaco in cui Carlisle discioglie un mix di vitamine ed energetici scorre in poche gocce nella mia bocca.
Normalmente Rose si sforza di muoversi a velocità umana, ma alcune volte lo dimentica, troppo presa dal suo nuovo ruolo di protettrice – infermiera.
Scosto il capo per indicarle che basta così, e rapidamente lei riposiziona tutto nel giusto ordine: bicchiere, coperte, flebo, sedia accanto al letto.
Ho insistito per chiedere di essere portata sul divano, ma Carlisle è stato irremovibile, sostenendo che la mia schiena debba restare in una posizione più corretta, distesa nel modo giusto. Ho desistito quasi subito. In fondo, non sono davvero un bello spettacolo ed esporlo agli occhi di tutti, non sarebbe propriamente carino.
Sospiro.
«E’ ancora da Carlisle?» chiedo senza specificare a chi mi riferisco. In effetti è inutile.
«Sì» risponde lei e stringe i denti.
Tra lei ed Edward i rapporti si sono fatti notevolmente più tesi. Non possono stare nella stessa stanza contemporaneamente per più di due minuti. Rose è l’unica che Edward non tollera e non riesce nemmeno ad escludere dai suoi pensieri, a giudicare dal senso di insofferenza che gli si legge in viso. Non gli ho mai chiesto il motivo. Forse, non mi va di conoscerlo …
So che l’interessamento di Rose è alimentato dal suo istinto materno represso, ma so anche che in lei c’è di più.
Ne sono certa.
E non riguarda né il bambino, né me in particolar modo. E’ come un naturale sentimento di solidarietà femminile che la spinge a dedicarsi con pazienza e con partecipazione alla mia situazione, assicurandosi con discrezione, ma con attenzione, che nessuno imponga i suoi desideri al di sopra dei miei.
Anche per questo ce l’ha a morte con Edward. Perché ritiene che il mio morale sia irrimediabilmente stato compromesso dalle sue decisioni per il futuro. E dal fatto che io ne sia venuta a conoscenza.
Cosa che, invece, ha migliorato impercettibilmente l’umore di Alice. Chissà poi perché …
Chiudo gli occhi per un momento, cercando invano di dare riposo ai miei pensieri, almeno per un breve istante.
Con Edward non abbiamo più affrontato il discorso futuro. Ed io, schiacciata dalla correttezza delle sue riflessioni, ho smesso di insistere palesemente per strappargli promesse contro la sua volontà. Perché la sua volontà è chiara e, avendo dato avvio io stessa ai suoi propositi con le mie decisioni, ormai mi ritrovo vittima dei miei stessi desideri.
E’ un cane che gira in tondo cercando di mordersi inutilmente la coda. Voglio che il nostro bambino viva, voglio che Edward viva.
Due pensieri inconciliabili tra loro. Perché manca la parte cruciale.
Che io resti in vita.
Persa nelle mie riflessioni non mi rendo nemmeno conto di scivolare nel sonno, fin quando, riaprendo gli occhi come se li avessi chiusi un battito di ciglia prima, non mi trovo quelli dorati di Edward ad un palmo dai miei.
Mi sorride.
«Buongiorno. Anzi, buon pomeriggio » e con la mano mi accarezza la fronte.
Sospiro pesantemente: «Ho dormito così tanto?» mormoro cercando di raddrizzarmi un po’ «scusami» aggiungo automaticamente.
Mi aiuta toccandomi appena, come se temesse che, sfiorandomi, potesse rompermi qualcosa. E, in effetti, le mie ossa sono diventate così sporgenti, così evidenti, che mi stupisco anche io del fatto che non sia già successo prima, magari rigirandomi da sola nel letto.
«Hai fatto bene a riposare. Stanotte ti sei agitata parecchio» risponde lui sovrappensiero.
«Davvero?» gli chiedo perplessa. Di solito il mio sonno somiglia ad un coma profondo, come spesso mi ha fatto notare lo stesso Edward. Cerco di scrutare la sua espressione per capire se questa ultima informazione sia una notizia positiva o meno, indice di un ulteriore peggioramento, ma dal suo viso non traspare nulla.
Decido di soprassedere. Meglio non preoccuparmi anche di ciò che accade quando sono incosciente.
Tuttavia il cipiglio di Edward permane e capisco che qualcosa – qualcos’altro – lo turba.
«Edward …» sussurro e alzo la mano per sfiorargli la guancia.
E’ in questo momento che mi rendo conto che non ho più la flebo. Mi osservo il braccio, un po’ confusa, come se non mi appartenesse. E, in realtà, è un po’ davvero così, dato che entrambe le braccia sono quasi insensibili da diversi giorni.
Ovviamente non ho fatto parola con nessuno di questo dettaglio …
«Perché non ho più la flebo?» chiedo perplessa, ma con un filo di voce, come se temessi la risposta alla mia domanda.
I suoi occhi si puntano nei miei, seri e attenti. Sembra esitare solo un attimo, lanciando un’occhiata alle braccia, prima di dire con calma:«Te l’abbiamo tolta» prende un profondo respiro «le tue vene non … le reggono più. Sono sfiancate».
Per l’appunto. Facevo bene a temere la risposta.
Abbasso gli occhi sulle mie mani, strette sul mio ventre, sentendomi vagamente colpevole per questa ulteriore debolezza del mio corpo. Anche delle vene non mi posso più fidare … penso affranta.
«Lasciamo che riposino qualche giorno. Vedrai che dopo andrà meglio» si affretta ad aggiungere lui rapidamente, con tono forzatamente leggero.
«Certo» mormoro costringendo le labbra a dispiegarsi in un accenno di sorriso.
Ci guardiamo, in silenzio. Entrambi consapevoli della reciproca menzogna.
Poi, con un sospiro, Edward allunga le braccia verso di me, lasciando che mi rifugi nel mio porto sicuro e cullandomi con dolcezza, senza bisogno di aggiungere altro.

«Cosa desideri fare oggi?» mi chiede dopo un po’, recuperando la solita apparente tranquillità «leggiamo, guardiamo qualche vecchio film …» e lascia in sospeso la frase, accarezzandomi la spalla fino alla piega del gomito e risalendo su, sempre con la massima attenzione e delicatezza.
«Possiamo restare … abbracciati e basta?» chiedo in un sussurro, con la voce rotta.
Lui non mi risponde, ma mi stringe leggermente un po’ di più, per affondare poi le labbra nei miei capelli e soffiare piano, con la voce roca:«Tutto ciò che desideri, amore. Tutto».

Quando mi riprendo dallo stato di torpore in cui cado sempre più spesso da qualche giorno, mi ritrovo, come ogni volta, tra le braccia di Edward. In silenzio mi accarezza una guancia e al mio sospiro, depone un bacio sui miei capelli. E’al suo movimento che mi accorgo di un’altra presenza nella stanza.
Anzi di altre due: Jasper e Carlisle.
Il primo è in piedi, di fianco alla porta, immobile. Mi osserva con attenzione, pacato:«Ciao Bella» dice non appena si rende conto che l’ho focalizzato e riconosciuto.
«Ehi Jazz» rispondo e le mie labbra si incurvano in un sorriso stanco, ma sincero.
Di riflesso il volto di Jasper si apre in un ampio sorriso. Legge le mie emozioni, sa che sono felice di vederlo.
Carlisle è di fianco al letto dal lato di Edward, l’espressione serena e composta di sempre.
Mi occorre un lungo momento per metabolizzare lo stato delle cose. Non mi stupisce la presenza di Carlisle, ormai quotidiana, che scandisce i diversi momenti della giornata con i suoi controlli.
Ma quella di Jazz, sì.
Jazz entra di rado in questa stanza, presenza discreta e mai inopportuna. Jazz è anche l’unico che percepisce chiaramente il mio bambino.
Ed è l’unico che non ha ancora palesato la propria posizione a riguardo.
Mi osserva, silenzioso, ma concentrato.
Ed io lo osservo di rimando, approfittando dell’ inaspettata vicinanza per cercare di carpirne i pensieri dal suo atteggiamento.
La mia mente comincia ad andare in automatico.
Jasper è un soldato. Non rischierebbe di esporsi al nemico senza opportuna difesa.
Lancio uno sguardo a Carlisle che mi osserva con occhio attento e professionale e, poi, lo riporto su Jasper.
La sua posizione non è cambiata, staticità tipica del vampiro, ma non è teso, non è turbato.
Non è sulla difensiva.
No, decido. Jasper non è un nemico. E non potrebbe mai farci del male.
Lo so, lo sento.
Contemporaneamente al mio sospiro involontario, il sorriso di Jasper si allarga ancora di più e i suoi occhi si spostano al lato del mio viso, su Edward, la cui presa su di me aumenta impercettibilmente. Lo sento  prendere un breve respiro e chinarsi con le labbra sui miei capelli, mentre sussurra piano:«Lo so» in risposta a qualche domanda che solo lui ha potuto ascoltare dalla mente di suo padre o suo fratello.
Ma non ho il tempo di dire o fare nulla per sapere di più che la voce di Carlisle, tranquilla ma seria, cattura la mia attenzione assieme al mio sguardo:«Bella, ci sono delle novità».
Con gesto naturale, avvicina una sedia al letto e si siede, tranquillo e posato, prima di puntare i suoi luminosi occhi dorati sul mio viso.
Aggrotto la fronte e cerco di raddrizzarmi, più per educazione che per necessità di muovermi, ma la mano di Edward che mi circonda le spalle me lo impedisce. Non vuole che mi sforzi e accompagna la stretta alle parole:«Non preoccuparti, rilassati»
Giusto, rilassati. Penso cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore.
Novità.
Novità …
Che novità? Buone, cattive?
Annuisco piano con il capo e prendo un bel respiro, lasciandomi andare tra le braccia di Edward.
«Sto studiando la situazione da ogni punto di vista, Bella» comincia Carlisle e dalla mancanza di inflessione della voce, desumo che le novità non siano positive.
Non del tutto almeno.
«La quantità più cospicua di informazioni che sono riuscito a raccogliere proviene dall’America Latina, dove sono stati rintracciati casi di donne umane che pare abbiano concepito dei bambini con individui appartenenti alla nostra specie» attende un attimo che mi riprenda dalla sorpresa.
Stringo la presa sul braccio di Edward in maniera convulsa, ma subito dopo un senso di torpore mi invade e le mie dita si rilassano quasi istantaneamente. Un’occhiata rapida tra i due fratelli mi conferma che la presenza di Jazz non è casuale.
Tutt’altro.
Nonostante la stanchezza e l’intervento di Jasper la mia mente non può fare a meno di vagare per conto proprio.
Ce ne sono altri. Altri bimbi come te, piccolo mio, sono già nati …
E i miei pensieri sono felici, come se questa notizia da sola fosse la conferma che la mia non è una situazione paradossale e senza speranza, che se altre prima di me si sono trovate nelle stesse circostanze, allora non tutto è perduto e ci sarà di sicuro un modo per poter sistemare ogni cosa.
Mi volto verso Edward con lo sguardo sognante, traboccante di gioia e non sono preparata a quello che vedo.
Il gelo dei suoi occhi mi colpisce come uno schiaffo. Ma è un secondo solo quello che riesco a rubare prima che distolga lo sguardo e lo punti in quello di suo padre.
Allora guardo quest’ultimo anche io e mi accorgo che qualcosa non quadra. Anche Carlisle non gioisce di queste informazioni che a me sembrano una manna dal cielo.
«C’è dell’altro» affermo fioca.
Annuisce piano e prende un respiro:«Le donne che avrebbero generato questi bambini erano indigene di una tribù, i Mapuche».
Ascolto con attenzione e comincio ad avvertire uno strano formicolio alla base della schiena. Un pensiero allora fa capolino nella mia mente e mi arrischio a chiedere:«Quante donne sono … sopravvissute?» e vedo Carlisle abbassare gli occhi a terra, senza rispondermi.
«Nessuna» e la voce che mi risponde è quella di Edward, atona, senza alcuna inflessione.
«Quelle che ho raccolto sono leggende che provengono proprio da questa tribù. Pare che un Lobishomen infestasse la foresta nei pressi di quell’insediamento e si narra di molte giovani donne sparite o …  allontanate dopo che si veniva a conoscenza del loro stato gravidico inspiegabile» Carlisle comincia a raccontare cupo «non sono testimonianze, Bella, ma solo storie che potrebbero avere tutt’altra spiegazione da quella che stiamo presupponendo».
Resto in silenzio e lo fa anche lui per un po’.
Giovani donne che spariscono possono essere state semplicemente vittime di un vampiro non vegetariano, ma allora sarebbero spariti anche uomini, anziani …
«Ma le gravidanze misteriose? Come si spiegano?» chiedo forse parlando più a me stessa.
«Potrebbero esserci molte ragioni, Bella, non ultima quella di un concepimento con un immortale, ma il fatto è che … non siamo a conoscenza dell’esistenza di esseri generati in queste circostanze. E’ ragionevole, dunque, supporre che non siano affatto nati e che il corpo delle genitrici abbia ceduto molto prima che lo sviluppo fosse completo».
Appoggio il capo sul torace di Edward ed inspiro profondamente chiudendo gli occhi per un attimo.
No, penso, non sono affatto buone notizie.
Vedo Jasper fare un passo in avanti e fissarmi con insistenza. Distolgo lo sguardo e affondo il viso nella camicia di Edward che mi stringe forte a sé.
«Bella non agitarti». La voce di Jasper mi arriva ovattata, mentre la mano di Edward prende a carezzarmi i capelli con delicatezza.
“E’ ragionevole supporre che non siano affatto nati … “
“Quante donne sono … sopravvissute?” “Nessuna” …
Comincio a scuotere il capo contro il petto di Edward, mentre il formicolio alla schiena diventa più fastidioso, quasi doloroso.
«Amore, non fare così …» Edward  sussurra al mio orecchio cercando di scostarmi con dolcezza dal suo corpo per trovare il mio viso, ma con le dita arpiono il tessuto della sua camicia, mentre lacrime silenziose cominciano a scorrere sul mio viso, bagnando le mie guance e i suoi abiti.
Un conto è sperare di farcela.
Ma sapere che nessuna donna nella mia stessa situazione è mai sopravvissuta … beh, è tutto un altro discorso.
Tutte le mie paure, quelle che ho cercato invano di allontanare dalla mia mente, si materializzano davanti ai miei occhi con una chiarezza devastante. Morirò … il nostro bambino morirà … Edward morirà … ormai ne sono certa.
Un gemito strozzato mi esce involontariamente dalle labbra, mentre affondo ancora di più il viso nel marmo ghiacciato del corpo di Edward.
«Bella …»
«Bella». E’ Carlisle?
«Adesso basta!» la voce di Rose, glaciale e secca, è l’unica che non mi aspettavo di sentire, non essendo lei nemmeno presente in stanza «Ma non vedete che la state torturando?»
Alzo un po’ il capo e la scorgo attraverso il velo di lacrime che mi appanna la vista. E’ al centro della stanza, ad equa distanza da ognuno dei presenti e li guarda uno per uno con astio. Per ultimo si ferma su di me, anzi su Edward che, immobile disteso al mio fianco, ha smesso di respirare e di accarezzarmi.
La fissa di rimando e sento che trema. Si sta contenendo a malapena.
«Perché tu, invece, cosa le stai facendo?» le chiede con la voce bassa, calma e per questo ancor più pericolosa «Non è tortura quella che le infliggi ogni giorno descrivendole le meraviglie di una maternità che, con buone probabilità, non potrà mai vivere?  Prospettandole tutti gli scenari che non potrà mai vedere insieme al suo bambino? O dovrei dire il tuo bambino, Rosalie?» conclude con tono melenso e un sorriso duro sulle labbra.
Rosalie è pietrificata, immobile. Non si muove, non respira nemmeno.
«Io non ti permetto … che ne sai tu della mia vita?» le parole di Rose risuonano, vibranti, nella stanza.
Edward raddrizza leggermente il busto sul letto, senza tuttavia mollare la presa da me con gesto protettivo, fissando la sorella:«No. Come ti permetti tu. Stai parlando di mia moglie e di nostro figlio. E nessuna di queste è la tua vita. Non dimenticarlo».
Nostro figlio.
Nostro figlio.
Nostro.
Comincio a tremare nelle braccia di Edward, temendo la reazione di Rose la quale, ne sono certa, è quasi ad un soffio dall’aggredire suo fratello, che la figura imponente di Carlisle si frappone fra noi e lei,  innaturalmente silenziosa al centro della stanza.
Nessuno riesce a sfuggire all’asprezza dei commenti di Rose.
«Rose, Edward cercate di calmarvi. State mettendo in ansia Bella. E qui nessuno vuole torturarla, ma soltanto aiutarla». Il tono calmo di Carlisle vorrebbe essere tranquillizzante, eppure ottiene l’effetto contrario sui miei nervi.
E’ il tono che usa quando la situazione sta degenerando, quello che serve a compensare la perdita di controllo di chi è intorno a lui.
Fisso Edward, i suoi occhi puntati ancora su sua sorella.
Nostro figlio.
L’ha detto davvero?  Non me lo sono immaginata?
D’un tratto tutto mi sembra troppo. Troppe le persone nella stanza, troppe le informazioni che arrivano al mio cervello, troppa la tensione intorno a me e che sento gravarmi sulle spalle, come un peso che non riesco a reggere e che mi inchioda al pavimento.
Comincio a respirare pesantemente, mentre il fastidio alla schiena si amplifica avvolgendo anche il basso ventre. Un gemito esce dalla mie labbra, mentre il viso di Edward è istantaneamente su di me, le sue mani sulle mie guance, i suoi occhi fissi nei miei.
«Che succede?» chiede allarmato.
«Non è lei. E’ il bambino» la voce di Jasper è bassa, concentratissima.
«Ma bravi! L’avete fatto agitare, mi complimento davvero con voi!» il sarcasmo tagliente di Rose è una fitta lancinante nella mia testa. L’afferro con le mani, mentre un altro lamento sfugge dalle mie labbra.
«Rose taci». Edward si rivolge alla sorella, ma le sue mani continuano ad essere su di me, percorrendo la mia fronte, le mie spalle, agitate, febbrili «Hai dolore? Dimmi cosa senti, Bella, ti prego».
Scuoto il capo, incapace di profferire parola, mentre Carlisle, rapido si avvicina e mi scopre il ventre, cercando di farmi distendere sui cuscini. Invano. E’ una posizione che mi arreca dolore e che il mio corpo rifiuta, rannicchiandosi su se stesso come un elastico che ritorna nella posizione iniziale dopo che lo si tende troppo.
«Jasper, cosa avverti?» Carlisle parla a suo figlio in tono concitato, ma scruta con attenzione la mia pancia.
«Non lo so … Non sono sicuro … E’ agitato … Forse ha paura, o è irritato … Non riesco a percepirlo con chiarezza e non riesco a fare nulla …» la sua voce è contrita, impotente.
Non stacco i miei occhi da quelli di Edward e sento che la paura mi invade, mentre lui non molla il mio viso nemmeno per un momento, continuando a reggerlo a coppa tra le mani.
«Bella, devi calmarti» la sua voce è serena, pacata. Ma nei suoi occhi leggo chiara l’angoscia «sono qui, al tuo fianco. Non ti lascio, amore mio. Non ti lascio».
I suoi occhi si assottigliano e mi osserva con la fronte aggrottata. Poi, con delicatezza infinita, prende la mia mano, premuta forte sul ventre e la depone in una delle sue, mentre repentino, poggia l’altra, fredda eppur morbidissima, sulla mia pancia.
Sulla mia pancia.
Trattengo il respiro, e i miei occhi scendono verso il basso, calamitati  dall’immagine più struggente che mai avrei sognato di evocare nella mia mente.
Il candore della pelle di Edward, le sue lunghe dita che avvolgono con tenerezza il mio ventre martoriato da lividi e chiazze violacee.
Le sue mani che sfiorano il nostro bambino.
Nostro figlio.
Sussulto quando d’un tratto il formicolio, la tensione, il dolore scompaiono completamente lasciando spazio ad una sempre più intensa sensazione di benessere, simile a quella che subentra dopo uno sforzo fisico prolungato.
Si irradia dal ventre, dal centro esatto in cui il palmo di Edward è posato, per estendersi con lentezza al bacino fin dietro alla schiena e su per la colonna vertebrale.
Alzo gli occhi per incontrare quelli stupefatti, sconcertati di mio marito:«E’ fredda». Sussurra piano e, poiché lo guardo perplessa, aggiunge «La tua pancia. E’ fredda. Come … le mie mani».
Gli occhi mi si riempiono di lacrime nuove, lacrime di gioia.
E mentre annuisco, lascio che scivolino via dai miei occhi, rotolando giù gonfie  e pesanti, proprio come lo era il mio cuore un attimo prima.


EDWARD

«Bella, non è mia intenzione creare false illusioni, ma abbiamo anche qualche notizia positiva» le parole di Carlisle non sono pronunciate per consolazione, ma non riescono a penetrare lo stato di confusione che mi avvolge la mente.
A malapena mi sono reso conto dell’uscita plateale di Rosalie, che ha lasciato la stanza con un sonoro sbattere di porta e con molta malagrazia.
La mia mano è ancora lì, sul ventre gonfio e prominente di Bella.
Sul suo ventre freddo.
Freddo come noi.
Come me.
Sono già a conoscenza di ciò che mio padre vuole dire, ne abbiamo discorso ampiamente, ma Bella no. E tuttavia sembra incantata ad osservare la mia mano sulla sua pancia.
Con la punta delle dita ne accarezza il dorso, lievemente.
E sulle sue labbra, appena accennato, l’ombra di un sorriso pensieroso.
A osservarla la sua pancia sembra gonfia, innaturalmente, ma al tatto è dura, durissima.
Come roccia.
Sento la pelle tesa, ormai sottilissima, sotto i polpastrelli. E ho quasi paura di esercitare una pressione eccessiva con le mie dita, ma la mano di Bella sulla mia è delicata eppur decisa e, con stupore, mi accorgo di non volerla togliere via.
Come se fosse giusto tenerla lì, tenerla così.
A dirla tutta, è come se non mi dispiacesse affatto. Ignorare la sua presenza è diventato ogni giorno sempre più difficile …
«Bella, il fatto che la tua famiglia ti è vicina è un aspetto che dobbiamo sfruttare a nostro vantaggio» a queste parole di Carlisle, Bella alza il viso e i suoi occhi sono lucidi, mentre annuisce, la fronte corrugata nello sforzo di concentrarsi.
«Le giovani mapuche venivano abbandonate al loro destino, senza alcun aiuto e questo non è il tuo caso. Dove non arriva la scienza iniziano le doti supplementari di alcuni di noi, e credo che a questo punto sia giusto che tu conosca con esattezza la situazione, per avere tutte le informazioni che ti possono essere utili per scegliere in maniera consapevole» e lancia una rapidissima occhiata a Jasper.
«Nessuna di loro aveva appoggio, il nostro appoggio, Bella» le parole di Jasper fanno eco a quelle di nostro padre.
Sorride, gentile, a mia moglie che si è voltata appena nella sua direzione con l’espressione commossa, ma incerta.
«Il bambino dentro di te è speciale, Bella» il suo cuore fa una capriola e manca un battito alle parole di mio fratello. I suoi occhi si spostano verso il basso, lì dove la pancia è coperta dalle nostre mani intrecciate. Gli occhi di Bella si dilatano e sento che deglutisce.
«Grazie ai nostri poteri, possiamo avere delle informazioni supplementari e cercare di aiutarvi».
Fisso mio fratello negli occhi, intensamente, cercando di cogliere dal suo sguardo una qualche esitazione prima ancora di leggergliela nel pensiero.
«Tu riesci a percepirlo …» mormora lei esitante.
Annuisce «Sì, e ogni giorno che passa lo sento con più chiarezza. Lui … risente per lo più dei tuoi stati d’animo, delle tue sensazioni. E anche del tuo dolore. Hai notato che si muove molto di meno?»
Bella batte le palpebre un paio di volte, cercando di fare mente locale: «E’ vero, non lo sento più muoversi» conferma dopo un attimo, perplessa.
Trattengo un secondo il respiro e spero in cuor mio che abbiamo optato per la scelta migliore. A lungo ho discusso con Carlisle sulla necessità o meno di rivelare a Bella certi aspetti di cui siamo venuti a conoscenza, per lo più grazie a Jasper, il quale, silenziosamente, è stato sempre all’erta per cogliere anche i più impercettibili barlumi di emozioni dal corpo di mia moglie.
E poi, Alice …
Intanto Jasper continua a parlare:«Sa che facendolo ti arreca dolore. Non si muove per questa ragione. Teme il tuo dolore, perché lo avverte come suo. Non è una sensazione chiara, probabilmente è solo un istinto, ma lui non vuole farti del male», conclude a voce bassa.
«E’ forte. Non è colpa sua …» sussurra Bella sovrappensiero, e gli occhi di mio fratello si spostano su di me, immobile e rigido.
Te l’avevo detto prima, che tua moglie ha già un istinto materno ampiamente sviluppato … Pensa, osservandomi e ribadendo la stessa considerazione cui era giunto al momento del risveglio di Bella, quello in cui lei si è guardata intorno con circospezione, valutando inconsapevolmente il pericolo per se stessa e per il bambino.
«La buona notizia» inizia Carlisle «è che la sua crescita sembra essersi rallentata. Notevolmente. Jasper non avverte segni ulteriori di sofferenza da parte sua, quindi è plausibile che qualcosa stia influendo sul suo sviluppo, rendendolo più simile ad una gravidanza tradizionale» prende un respiro profondo «da un calcolo statistico, ritengo che il maggior sviluppo si sia avuto nel periodo in cui eri al dormitorio».
«Ulteriori … segni di sofferenza?» fa eco lei alle parole di mio padre «Cosa gli sta succedendo?» chiede, quindi, con una punta di allarmismo nella voce.
«Ecco … il tuo corpo rifiuta ogni forma di nutrimento, e lui ne risente, come te. Non c’è nulla di razionale in ciò che ti dico, e forse potrei sbagliarmi, ma credo che la presenza dei vampiri che ti circondano» e lancia una lunga occhiata a me, l’unico vampiro che realmente è sempre con Bella «abbia creato uno stato di quiescenza, una specie di atmosfera familiare in cui si senta sicuro. Credo che il rallentamento del suo sviluppo non dipenda completamente dalla mancanza di nutrimento, ma dal fatto che non si sente minacciato. Si sente tra suoi simili».
Gli occhi di Bella si accendono di un barlume di vita.
«E’ … è una buona notizia?» chiede speranzosa.
Carlisle alza una mano in aria, come a voler frenare il suo nascente entusiasmo :«Calma, calma … non è detto. Ma se riusciamo a capire come sostenerti adeguatamente, forse … riusciamo anche a dare al tuo corpo il giusto tempo per adattarsi alla nuova situazione, allo sviluppo cioè del bambino».
Ecco. La parte meno difficile è stata svelata.
Ma di comune accordo abbiamo deciso di non rivelare a Bella tutti gli altri dettagli che, invece, si prospettano essere più delicati. Primo fra tutti, se riuscissimo a portarla a termine della gravidanza, la modalità di svolgimento dello stesso parto. E poi, la trasformazione … e quella strana visione di Alice …
Qualche giorno fa, il giorno in cui leggevo per Bella “Cime Tempestose”, Alice ha avuto due visioni: una su di me e l’altra … anche.
Quella che mi riguardava risentiva del tentennamento della mia decisione di andare in Italia nel momento in cui il cuore di Bella avrebbe cessato di battere: non mi serve che lei mi chieda palesemente di badare al bambino per sapere che è ciò che desidera e che è ciò che la tormenta. E non è un segreto per nessuno che io non sappia negarle nulla.
Ma la cosa davvero curiosa è stata la seconda visione: Alice mi ha visto  mentre leggevo il libro a Bella, disteso sul nostro letto al suo fianco. Mi ha visto come se a vedermi fossero gli occhi di Bella.
Per questa seconda visione Carlisle ha avanzato una nuova ipotesi che avrebbe a che fare con lo stato di salute di Bella … o meglio con il suo peggioramento. Secondo mio padre le visioni su Bella si sono interrotte nel momento in cui il suo futuro era troppo incerto, mentre adesso che sta molto peggio … il suo futuro ricomincia ad essere più definito. A cominciare dal presente.
In effetti non sono molto favorevole ad avallare questa sua teoria, anche perché non si è trattato di una vera e propria visione, quanto piuttosto di una fedele telecronaca del presente e di quanto stava realmente accadendo in quel momento …
Mi riscuoto dai miei pensieri nel momento in cui Bella si gira verso di me e mi fissa :«Che ne pensi? Forse … forse, possiamo farcela …»
Sta chiedendo il mio parere.
Nonostante ciò che le ho fatto, ciò che le ho detto, e di più ciò che non le ho detto, le preme conoscere la mia opinione.
Una nuova scintilla anima il suo sguardo, e non so come, quando e perché sia accaduto, ma sento che Bella si fida nuovamente di me.
«Bella, non è più possibile applicare alcun tipo di flebo o catetere endovenoso, oltre ad essere del tutto inutile. Carlisle pensa che un ciclo di  trasfusioni di sangue siano necessarie, dato che dalle ultime analisi la tua emoglobina è molto al di sotto della soglia di rischio» il lampo di preoccupazione che le leggo in viso mi schiaccia come il più pesante dei macigni.
Sincerità, Edward. Solo la più completa sincerità.
«Jasper presenzierebbe ad ogni intervento cui saresti sottoposta, allo scopo di carpire le maggiori informazioni dal bambino». Lascio che le mie parole raggiungano la consapevolezza di mia moglie e concludo con la risposta alla sua domanda«Bella, io ti amo. Se potessi, prenderei sul mio corpo tutte le sofferenze che stai … state patendo, entrambi. Ma non è possibile». Prendo un profondo respiro e proseguo :«Qualunque sia la tua decisione io la sosterrò totalmente. Hai il mio appoggio incondizionato».
Mi fissa, a lungo. Poi si gira verso mio padre e con un filo di voce sussurra:«Ok, facciamolo».

La preparazione per la trasfusione è praticamente immediata, disponendo in casa di discrete scorte di zero negativo da quando Bella è diventata membro della nostra famiglia. Scorte che sono andate ampliandosi nel momento in cui ha cominciato a stare male.
Alice sta salendo con tre sacche di sangue, e Jasper dovrà uscire nel momento in cui sarà effettuata concretamente la trasfusione, per ragioni di sicurezza. Rimarrà, tuttavia, nei paraggi, all’erta sulle emozioni di Bella e del bambino.
Nel momento in cui entra mia sorella, sento Bella fremere tra le mie braccia. Le ho spiegato che non sarà una pratica dolorosa, ma sarà comunque fastidiosa e un po’ lunga.
Sempre che si riesca a trovare un accesso venoso valido … il che è improbabile.
Accarezzo le braccia di mia moglie e quando deglutisce il suo timore, cercando di mostrare un atteggiamento sereno, sento un moto di tenerezza invadermi. Le prendo il mento fra pollice ed indice e volto il suo viso verso di me:«Sei sicura?» e mentre lei annuisce lentamente sento un dolore sordo nel petto.
Sarebbe disposta a tutto. Anche a sottoporsi ad un tentativo inutile ed invasivo.
Le prendo la mano nella mia e mi volto verso mio padre, fermo in attesa al mio fianco , un po’ dietro di me.
Alla sua destra Alice. Dietro di lei, fermo sulla porta Jasper.
Annuisco impercettibilmente in direzione di mio padre e lui si avvicina.
Con delicatezza le prende un braccio scoprendolo fino al gomito e lo esamina attentamente.
Cerca di fare la stessa cosa con l’altro braccio, ma la presa delle dita di Bella su di me aumenta d’un tratto.
Mi volto verso di lei interrogativo ed è come in trance, gli occhi fissi sul copriletto. Respira appena.
Faccio cenno con una mano a mio padre di fermarsi e porto l’altra mano, intrecciata a quella di Bella, verso il mio viso.
«Cosa c’è che non va? Non vuoi farlo?» sussurro lievemente, soffiando sul dorso della sua mano.
Con gli occhi fissi, vacui, dinnanzi a sé, Bella tace.
E nel silenzio, un’immagine si staglia nella mia mente. Un flash, non più lungo di pochi centesimi di secondo.
Me stesso, al suo fianco.
Aggrotto le sopracciglia, mentre realizzo che l’immagine viene da Alice, immobile con le sacche di sangue in mano.
E’ una visione?
No, non lo è. E’ il presente, è adesso.
Le dita della mano di Bella tremano leggermente tra le mie e con la mano libera, le accarezzo una guancia, con delicatezza:«Bella?».
Nonostante il controllo che esercito su me stesso, non posso fare a meno di avvertire la nota allarmata nella mia voce.
Poi, un sussurro. Lieve come la più impalpabile delle sete orientali:«Edward …»
Le sue palpebre si abbassano sui suoi occhi vitrei, fissi. La sua presa si accentua leggermente, e, dopo aver preso un respiro breve, rassegnata, dice:«Non ci vedo».

Nell’immobilità e nel silenzio sovrannaturale che sono piombate nella stanza, solo il respiro lievemente affannato di Bella e il battito del suo cuore accelerato ma debole, giungono alle mie orecchie.
I suoni passano oltre. Arrivano al mio cuore penetrando come stiletti affilati.
«Carlisle» e il mio tono è basso, fermo. Ma roco.
Dopo due secondi di esitazione, mio padre si piega sulle ginocchia al mio fianco, di fronte a lei. Le prende una mano e avvicina il polso al suo naso:«Senti dolore alla testa, Bella?»
Lei scuote piano il capo, ma non una parola esce dalle sue labbra.
Edward, lo senti anche tu. Il suo cuore si sta scompensando e il suo sangue ha raggiunto livelli di anemia improponibili per un qualunque essere umano. E’ ipossiemica. Dobbiamo farle questa trasfusione. Adesso.
Le parole di mio padre sono decisamente ansiose, ma la sua espressione è   imperturbabile. Non stacco gli occhi dal viso di Bella, pallido come non mai, le labbra esangui, gli occhi, chiusi, infossati in un cranio del quale riesco quasi a scorgere le ossa.
Annuisco piano, un solo movimento del capo.
«Bella, adesso effettueremo la trasfusione. Se dovessi avvertire dei fastidi, brividi, nausea o vomito avvertimi immediatamente. Il tuo sangue non è correttamente ossigenato a causa della mancanza di ferro. Dopo la trasfusione starai meglio» conclude con voce serena, ma Bella non accenna a muoversi, continuando solo a stringere la mia mano come fosse l’unico appiglio alla vita.
Mi volto leggermente verso Alice, con ancora le tre sacche di zero negativo in mano, rigida, a cinque passi dal letto. I suoi occhi sono fissi sul viso di Bella, ma non è in trance.
«Cosa è stato?» le chiedo in un sussurro inudibile da mia moglie.
Senza spostare gli occhi, Alice riprende a respirare con lentezza. Per un attimo, ho avuto l’impressione che si aspettasse che accadesse qualcosa di terribile.
Fa un piccolo passo in avanti e poi si ferma.
Jasper è subito al suo fianco e lascia che un suo braccio scivoli attorno alla sua vita.
Alice fa un altro passo in avanti, ma è come se fosse spaventata. Stringe le sacche nella mano e sento il liquido muoversi al loro interno.
Trema. Le sue mani vibrano sottilmente, ma chiaramente.
Jasper è teso e non perde di vista il suo viso.
Rapido, mio padre si alza ed afferra dalle sue mani il sangue necessario alla trasfusione per poi posizionarlo sull’asta di fianco al letto:«Jasper» mormora e mio fratello, dopo aver lanciato uno sguardo a sua moglie, sparisce immediatamente dalla stanza, fermandosi giusto fuori alla porta.
Non appena il liquido tinge di rosso il deflussore e arriva alla congiunzione con la pelle, Bella tira un respiro profondo e contemporaneamente Alice cade in terra sulle proprie ginocchia.
Sento Bella irrigidirsi e spostare il capo in direzione dei rumori percepiti e mi affretto a chiedere a voce alta e chiara a Carlisle di spiegarle l’esecuzione della pratica cui verrà sottoposta, nel tentativo di distrarla.
Jasper è su Alice in un millesimo di secondo e la solleva tra le sue braccia. Rapidi, escono dalla stanza.
Resto fermo così, con gli occhi incollati sulla porta chiusa dietro di loro, prima di collegare tutti i fatti accaduti.
La perdita della vista di Bella.
Le immagini nella testa di Alice.
Il sangue.
Il respiro di Bella, come di sollievo.
Il dolore di Alice.
Il bambino.
Le immagini sono del bambino. E’ lui che sta soffrendo. La cecità non è di Bella, ma la sua. Per questo Alice si avvicinava con cautela. Sapeva che lui era cosciente e si aspettava il dolore da un momento all’altro. Ma lui era troppo debole. Fino a quando nuovo sangue non è entrato nel corpo di Bella.
Il sangue.
Il bambino.
Allora mi avvicino al viso di mia moglie e le sussurro in un orecchio:«Amore, mi sposto un secondo per lasciare spazio a Carlisle. Sono qui, non temere».
Sorride appena, triste, e annuisce stanca.
In un battito di ciglia sono fuori la porta, di fronte a Jasper che tiene ancora Alice tra le braccia, il capo di lei appoggiato al suo petto.
«Jasper» soffio piano con il viso rivolto alla porta «cosa provava Bella un istante prima che avvenisse la trasfusione?». C’è urgenza nella mia voce, ma tento in ogni modo di mantenere la calma.
Mi risponde a mente.
Era spaventata, dispiaciuta, rassegnata.
«Che altro?»
Mmm … che intendi? In generale, o oggi?
«Un suo pensiero ricorrente, che ritorna con regolarità o con costanza … Pensaci, ti prego. Non tralasciare nulla» nella mia voce appena sussurrata, una scintilla di vita.
Non so … è sempre stanca, si sente debole. A volte è affamata, ma teme il cibo, come se …
«La nauseasse?» chiedo e subito dopo aggiungo «Una sensazione simile alla nostra quando vediamo il cibo umano? E se invece di fame, avesse … sete
In quel momento Alice apre gli occhi e mi fissa, assorta.
Restiamo in silenzio e sento l’esclamazione di sorpresa di mio padre dall’interno della camera.
«Beve spesso, ma credo che non sia la disidratazione del suo corpo a suscitare questo istinto» dico sovrappensiero.
Gli occhi di mio fratello si accendono di un rinnovato interesse:«Potrebbe essere … cosa intendi fare?»
Guardo lui, guardo lei.
«Quello che avrei dovuto fare subito. Occuparmi di lui» e in un attimo rientro in camera.
Carlisle è in piedi al suo fianco e quando entro mi lancia un’occhiata penetrante, compiaciuto.
Faccio un cenno in direzione di Bella e lui scuote il capo. No, pensa, non ha ancora recuperato la vista. L’intuizione che hai avuto è interessante, Edward, ma non c’è tempo per sperimentare la via giusta di somministrazione …
«Lo so» sussurro.
Appena vicino a mia moglie, distesa e immobile ad occhi chiusi, le carezzo una guancia con il dorso della mano. Sussulta al contatto e sposta il viso verso la mia mano.
«Bella, vorrei provare una cosa» comincio un po’ incerto, lei sospira «Ti staccherò la flebo e vorrei che bevessi … una cosa che penso potrà farti bene. Molto bene. Soprattutto al bambino».
Resta un attimo ferma, poi annuisce.
«Trattieni il respiro» le dico e in un lampo sono davanti a lei con il bicchiere sempre al suo fianco sul comodino, pieno del sangue contenuto in una delle sacche.
Le poggio il bordo del bicchiere alle labbra che lei automaticamente dischiude.
Esita, incerta.
«Fidati di me» mormoro.
E lei comincia a mandar giù un sorso del liquido.
Non appena ne assapora la consistenza, arriccia il naso e stacca le labbra, ritraendosi.
Deglutisce e, dopo un istante, le sue dita, tremanti, si muovono per cercare la mia mano che regge il bicchiere. La trova e la avvicina nuovamente alle sue labbra.
Al terzo bicchiere, Bella apre gli occhi.
Alza una mano e con le dita mi sfiora le labbra, prima il labbro superiore, poi quello inferiore, lentamente:«Ciao» sussurra.
E mi sorride.


NOTA DELL’AUTRICE: Chiedo umilmente perdono. Lo so, sono in pauroso ritardo con l’aggiornamento, e dopo tutto questo tempo non ho nemmeno risposto alle vostre magnifiche recensioni. Ma ho pensato che, piuttosto che ritardare ulteriormente, fosse molto meglio postare appena possibile.
Mi farò perdonare –spero- presto.
Per quanto riguarda questo capitolo, c'ho messo tanto tempo, perchè sapevo cosa volevo dire, ma non sapevo come fare -.-'' Mi auguro di non essere stata troppo criptica.
Grazie a tutti per il continuo sostegno e per il vostro affetto.
Mi rimetto all’opera.
Baci :***
M.Luisa

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Capitolo 33
*** CAP.33 ***


CAP.33

EDWARD -Rocking Around The Christmas Tree-

In piedi, appoggiato al grosso arco in pietra viva che affaccia nel salone, la osservo,  seduta sull’ampio divano bianco.
Fili d’angelo dorati sono appoggiati alla sua spalla destra e ricadono, luccicanti, sul suo petto e sul suo braccio, mentre lei, con attenzione, scruta accuratamente due sfere di vetro.
A turno, le alza davanti al suo viso, rigirandole delicatamente tra le sue mani. E ripete l’operazione più volte, con una serietà che contrasta con l’espressione distesa del suo viso e dei suoi occhi.
I suoi gesti sono dettati dal solo piacere di compierli. Ogni volta che una palla di vetro con i suoi riflessi brillanti colpisce i suoi occhi, il sorriso che le illumina il viso sembra accentuarsi un po’ di più.
Bella si sta divertendo.
Come la più esperta delle organizzatrici, guida Alice nell’allestimento del primo albero di Natale in casa Cullen ad Hanover.
Lei suggerisce e mia sorella esegue diligentemente.
Lancio uno sguardo fugace ad Alice che a passo umano fa la spola tra il divano e l’albero, sistemando via via le sfere di vetro che Bella le passa di volta in volta, indicandone anche la disposizione. Vedo Alice sorridere lievemente, mentre, di spalle a Bella, regge una palla di vetro dorata riccamente decorata con brillantini ramati e chiede:«Sopra quella trasparente o di lato?»
«No, no. Questa va al centro … è la più bella, deve vedersi bene».
Sorrido di riflesso. Probabilmente Alice conosce già la disposizione di tutte le palline con una precisione millimetrica, ma sta facendo di tutto per non rovinare il divertimento a Bella, sia contenendo il suo entusiasmo, sia lasciando a lei carta bianca.
Da quando Bella ha cominciato a nutrirsi dell’unico vero sostegno per il bambino, entrambi sono diventati più forti, ma contemporaneamente molte cose sono diventate anche più chiare.
Per esempio, adesso riesco a percepire il bambino anche io.
O meglio, percepisco la differenza che c’è nei suoi pensieri da quando è sveglio a quando è incosciente. Riesco a distinguere il modo in cui gli arrivano le voci, a capire se sta per muoversi. Non sono propriamente pensieri compiuti, ma istinti inconsapevoli. Riesco, quindi, a mettere in allerta Alice prima che insorga in lei il dolore per la vicinanza con il bambino cosciente. E allora, Alice si defila con qualche scusa, con disinvoltura, quasi con noncuranza, al solo scopo di non arrecare dispiacere a mia moglie.
Mia sorella raccoglie un’altra palla di vetro dalle mani di Bella, anch’essa dorata con fantasiosi ricami rossi, e la osserva attenta:«La morte di questa magnifica sfumatura color oro è il rosso … mmm … un albero tutto rosso e dorato …» dice pensierosa e, alzando gli occhi, incontra lo sguardo un po’ incerto di Bella, che si è bloccata con la mano a mezz’aria e una campana rivestita di broccato dorato tra le dita.
«Oh. Ma io non ne capisco un tubo di alberi di Natale … Fortuna che ci sei tu a coordinare le disposizioni … sai, non siamo molto pratici» e abbozza un sorrisetto angelico.
Bella la guarda solo per un attimo con un lampo di scetticismo negli occhi per poi abbassarli, rapida, sugli scatoloni appoggiati al suo fianco e pescare dal mucchio un’altra campana identica a quella che già ha tra le mani. Gliele porge con un sorriso:«Ai due lati di fronte a me, a metà altezza» dice serena.
Appena Alice si gira, mi lancia un’occhiata fugace e mi strizza l’occhio. Da dov’è, Bella non può vedermi, essendoci il grande camino a centro stanza ad oscurarle la visuale.
Quel piccolo folletto impertinente le ha fatto credere che non si sia mai fatto un albero di Natale in casa, perché ritenuto una cosa per divertire i bambini e sostenendo che, adesso, poichè un bambino c’è, l’albero va fatto. In realtà, a Forks, alberi di Natale in casa ne sono già stati allestiti diversi.
E, ovviamente, tutti dalla stessa Alice.
Perfettamente equilibrati in forme e colori, discreti e molto … alla moda.
Alberi di Natale da copertina di giornale.
Ma questo …
Questo è fatto da e per Bella, secondo il suo gusto e il suo piacere.   
Tutti i colori dell’arcobaleno, nelle loro sfumature più luminose e più ricche, fanno bella mostra di sé nelle palle multicolore che penzolano dai rami d’abete.
Le luci, piccole e a delicata intermittenza, sono dorate e blu elettrico.
L’albero sta prendendo forma pian piano davanti ai nostri occhi e ha un fascino tutto particolare.
Trasuda allegria, gioia e serenità. La ritrovata serenità dell’intera famiglia, Bella in primis.
Con due sfere in una mano, Bella rovista in uno scatolone, borbottando sommessamente con la testa semicoperta dal cartone. Cerca di spostarselo in grembo per vedere meglio, allorché Alice le si fionda addosso facendoglielo scomparire dalla vista:«No dico: ma sei impazzita?!»
Con un tonfo lascia cadere lo scatolone sul tappeto e Bella ne segue con due scatti del viso, prima su Alice e poi sul pavimento, il movimento, perplessa.
Riporta gli occhi su mia sorella, mani sui fianchi e piedino convulsivo che in terra batte un ritmo forsennato:«Non.Devi.Fare.Sforzi. E’ così difficile per te?» e senza attendere risposta prosegue:«Bella le donne incinte devono solo farsi servire e riverire».
«Alice! Ho solo spostato uno scatolo!!» mormora lei esasperata, ma anche un po’ intimorita.
Mia sorella le piazza l’indice all’altezza degli occhi e lo muove in segno di diniego accompagnandolo ad uno schioccare di lingua:«Stavi contraendo i muscoli addominali ed esercitando una pressione inappropriata sulla parte bassa della pancia» alza il mento contrariata e punta il dito sul ventre rotondo «Non dimenticare, per favore, che lì dentro c’è mio nipote. Di conseguenza, tu diventi più delicata di un cristallo e ti curerai come se fossi l’unico vaso sopravvissuto della collezione Ming. Spero di essere stata chiara» conclude con un’espressione minacciosa.
Due secondi … ed entrambe erompono in uno slancio di ilarità. Una risata spontanea, autentica, alla fine della quale Bella si asciuga gli occhi e Alice si liscia la zazzera di capelli.
Attirato dalle risate Jasper fa capolino dalla portafinestra, guardando prima Bella e poi sua moglie. Scuote la testa e ritorna in giardino.
Sul suo viso un ampio sorriso.
Nello stesso momento la porta d’ingresso si apre, lasciando entrare Emmett seguito da Rosalie.
«Ah, che bello! Finalmente l’albero!» tuona mio fratello con un vocione cavernoso, cui segue un’immediata quanto invisibile gomitata di Rosalie assestata con precisione millimetrica tra il fegato e la costola soprastante.
«Ahi, che ho detto di sbagliato?!» chiede accigliato a sua moglie, portandosi la mano all’altezza del fianco.
Con uno scatto del capo lei si gira, senza degnarlo di una risposta, mentre incede, sommersa di pacchetti e borse, a passo umano verso il divano.
«Bello, vero?» si gira noncurante Alice verso di lui con uno sguardo feroce, mentre Rosalie si accomoda sul divano di fianco a Bella «Esme sarà contenta della novità» termina il folletto con un‘occhiata eloquente, sempre in direzione di Emmett.
«Nov…Ehi!» e con una mano lui afferra un massiccio posacenere di quarzo a  mezzo centimetro dalla sua testa. Lanciato da Alice.
«La smettereste di cercare di colpirmi, per favore?» chiede con tono burbero, mentre Bella si copre la bocca con la mano soffocando una risata. Dopo un attimo, con ancora il sorriso sulle labbra, dice:«Sì, Emmett. Alice mi ha spiegato che non avete mai fatto un albero di Natale, qui almeno, e mi ha chiesto di darle qualche … consiglio».  
«Consiglio?» ripete lui, perplesso «Oh. Oh, certo consiglio». Ammicca compiaciuto, come se finalmente tutta la sua mente si fosse illuminata a giorno «Ci voleva proprio un bell’albero di Natale» conclude mentre con fare disinvolto e un sorrisetto sul viso, Bella si volta verso Rosalie.
«Ho trovato questi in un negozietto di un rigattiere giù in paese. Pensavo … non so … se non ci sono abbastanza decorazioni …» dice Rose tendendo una busta di cartone a mia moglie e abbassando subito gli occhi.
Lei la prende e la apre.
Quando ritira la mano, tra le dita regge il cordoncino dorato da cui pende un angioletto ricavato da una pigna. Gli occhi di Bella si dilatano mentre porta l’oggetto all’altezza del viso con delicatezza, porgendo da sotto l’altra mano, quasi a cullarlo.
La decorazione è davvero originale. Tre petali di stoffa verdi bordati di filo dorato separano il visetto di legno dipinto dalla vera e propria pigna che rappresenta il corpo. Una sciarpetta rossa completa il tutto.
«E’ meraviglioso» sussurra Bella, incantata.
«Sì, beh … ci sono di sicuro delle decorazioni più costose e appropriate …» comincia Rosalie, ma Bella la interrompe con un gesto della mano. Deglutisce la commozione e dice:«E’ perfetto. Proprio quello che ci mancava» e sorride.
Di nuovo.
Affilo lo sguardo e mi concentro, mentre un nascente pensiero, estraneo ai presenti si fa largo nella mia mente. Faccio un passo avanti e in un soffio pronuncio il nome di Alice, che, impercettibilmente si irrigidisce e svelta ripone l’angioletto che lei stessa aveva pescato dalla busta di Rosalie. Si volta verso la portafinestra e, a voce teatralmente alta dice:«Sì, Jasper. Arrivo». Fa spallucce:«Uomini» commenta e si allontana come una saetta.
Bella resta interdetta solo un secondo, prima di rivolgersi a Rosalie e chiederle se ha voglia di aiutarla a terminare la decorazione dell’albero insieme a lei.
Rose esita incerta.
Subito dopo si alza e si scusa adducendo la giustificazione di un precedente impegno con Emmett e lo acciuffa prima che lui la smentisca, non senza avermi lanciato un’occhiata rapida e nervosa.
Poi, sparisce.
E’ quello il momento in cui anche Bella si accorge di me. E il suo viso si illumina, sottolineando così la sua felicità.
Le sorrido e mi avvicino con calma. E mentre lei protende il viso verso di me, mi inclino su di lei, sfiorandole prima la punta del naso, poi le labbra con le mie labbra.
«E’ bellissimo» mormoro.
Bella apre gli occhi e il suo sguardo si sposta per un secondo sull’albero dietro di me, prima di ritornare, luccicante, nei miei occhi :«Sì, sta venendo proprio bene»
Le mie labbra si incurvano in un mezzo sorriso, mentre con un lieve movimento del capo scendo all’altezza del suo orecchio, per soffiare  dolcemente:«Baciarti è bellissimo» e sottolineo le parole premendo le labbra contro i suoi capelli «Vederti così felice è bellissimo» e spingo il viso giù facendomi spazio verso la pelle candida del collo, scoprendolo con una carezza leggera della mano.
Bella sospira mentre con le braccia mi cinge la nuca e con la fronte si appoggia alla mia spalla:«Vedere … te mi rende felice».
Restiamo fermi così e sento che questo è uno di quei momenti che si imprimono nella memoria, quelli destinati a diventare ricordi indelebili.
I colori natalizi.
L’odore di agrifoglio, di terra, di abete.
Il profumo di Bella mischiato a questi.
Le sue risate.
Noi due, noi … tre.
Insieme.
Si distacca leggermente da me e con gli occhi ridenti mi incalza:«Allora signor Cullen … pensa di riuscire a prendere il posto della sua incantevole sorella e di aiutarmi a terminare di applicare le decorazioni all’albero, fingendo anche lei, con la stessa abilità,  che sia la prima volta che lo fa?»
La fisso scandalizzato.
E quando noto che sta cominciando a martoriarsi il labbro inferiore pensando di aver esagerato, rispondo:«Ma naturalmente signora Cullen! Ha forse dubitato che come bugiardo non valga quanto lei?»
I suoi occhi si dilatano e quando gli angoli delle sue labbra si innalzano, con voce carezzevole, mormora:«No. Nemmeno per un attimo».


BELLA - Coldplay - Have Yourself A Merry Little Christmas

Sapevo che ero in un sogno.
Perché nella realtà non avrei mai potuto muovermi con quella delicatezza, con quella grazia, senza rischiare, almeno una dozzina di volte, di rompermi il femore.
Sapevo anche che ero in un bel sogno.
Perché, a parte l’assenza della mia irrimediabile goffaggine, Edward era con me. E, quindi, qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe potuto intaccare il mio stato di beatitudine.
Mi teneva tra le sue braccia e volteggiavamo leggiadri sulle note di una musica dolcissima.
La cosa strana era che eravamo in un bosco. Ma nel mio sogno perfetto nessuna pietra, o radice era in agguato per tendermi un tranello.
Sentivo l’aria profumata e pungente come dopo la pioggia, l’odore di terra e di muschio.
Poi, lentamente, i colori intorno a noi si fecero più chiari, più luminosi e i raggi del sole cominciarono a farsi strada tra i rami, indisturbati, fendendo il fogliame e avanzando implacabili.
Colpirono Edward e rimbalzarono in tutte le direzioni scomposti in una miriade di raggi più sottili.
Ma quando il raggio proseguì il suo percorso, abbandonando il corpo del mio amore, i miei occhi non cessarono di avvertire il luccichio tipico della pelle adamantina dei vampiri a diretto contatto con la luce del sole. Spostai il capo per identificarne la fonte.
La pelle che brillava non era quella di Edward, ma la mia.
Un rumore lontano, ma chiaro, arrivò alle mie orecchie.
Il pianto di un neonato.

Apro gli occhi di scatto, il respiro affannato e le mie mani corrono subito al mio ventre solo per scontrarsi con altre due fredde e lisce a diretto contatto con la pelle.
«Shh amore, era solo un sogno» Edward non smette di massaggiarmi la pancia e si allunga verso il mio viso, deponendo lievi, piccoli baci sulle guance e sugli occhi, nel tentativo di tranquillizzarmi.
Lascio andare il capo pesantemente all’indietro e sospiro.
«Ti sei agitata molto. E … anche lui» sorride ai miei occhi confusi e ancora un po’ turbati.
«Mi dispiace» mormoro con la voce ancora impastata di sonno «era un bel sogno … ma poi … ».
Mi zittisco di botto, di fronte al suo sguardo attento ed acuto:«Poi?» mi invita a continuare lui.
«Poi … poi non lo era più» concludo, laconica.
Tiro un profondo respiro, rendendomi conto della pressione leggera ma profondamente piacevole che le mani di Edward esercitano sulla mia pancia e della sensazione di benessere che lentamente sta invadendo ogni centimetro del mio corpo. Le spalle sprofondano maggiormente tra i cuscini, le gambe si distendono automaticamente e le braccia si poggiano naturalmente ai lati del mio ventre. Nessun segno di tensione sembra alloggiare più in me.
E’ in quel momento che la mia attenzione viene attirata dai riflessi blu e oro che si infrangono intermittenti sulla morbida coperta bianca e sulle mani candide di Edward.
E’ notte.
E dal buio dell’ambiente non mi ero resa conto di non essere in camera, né nel mio letto.
Sono distesa sul divano del salotto, proprio di fronte all’albero di Natale. L’unica fonte di luce proviene dalle microscopiche lampadine dello stesso albero, il cui riverbero si riflette sulle sfere di vetro che nel pomeriggio Alice ha provveduto a sistemare.
Alzo lo sguardo e contemplo, affascinata, lo spettacolo delle ombre che si proiettano in ogni angolo della stanza e su di noi.
La pelle di Edward riluce lievemente ed i suoi occhi sembrano due gemme.
«Ti sei addormentata mentre finivo di aggiungere le ultime decorazioni. Non volevo svegliarti portandoti in camera, ma forse il divano non è abbastanza comodo …» dice un po’ colpevole.
«No, no …» mi affretto a dire «è bellissimo svegliarmi qui … con l’albero acceso. E poi, il divano è comodissimo».
Mi osserva scettico per una frazione di secondo, per poi sfiorarmi una guancia con il pollice e sussurrare un po’ inquieto:«Hai voglia di raccontarmi il tuo sogno?»
Scuoto il capo piano, afferro la sua mano e lo tiro gentilmente verso di me:«No. Ho solo voglia di sentirti vicino».

Dopo un tempo indefinito in cui il silenzio e le continue carezze di Edward mi hanno restituito alla tranquillità, sono ancora immersa nella contemplazione dell’albero di Natale e nella decodificazione del mio sogno.
Un sogno inquietante.
Ho pensato a lungo, sforzandomi di essere sincera con me stessa.
Ed Edward ha rispettato il mio desiderio di solitudine mentale, restandomi vicino fisicamente, ma senza tentare di estorcermi confidenze che non mi sentivo pronta a fornirgli.
Cosa mi turba? La trasformazione? La nascita del nostro bambino?
Ho concluso che non si tratta di nessuna delle due prese da sole, ma di entrambe. Insieme.
Ho paura che, una volta trasformata, non riesca a prendermi cura del mio bambino, ad attendere alle sue necessità come dovrei.
Ma come dovrei?
Come umana? O come vampira?
Qual è il modo migliore per farlo?
Ormai è chiaro che riuscirò a concludere la gravidanza e, anche se Edward non è entrato nel dettaglio della modalità di svolgimento del parto –immagino per non stressarmi – non ho ben chiaro se l’evento coinciderà con la mia trasformazione o meno.
Ho timore di saperlo.
Perché ho paura che, indagando, Edward possa pensare che abbia dei tentennamenti o peggio.
Che non sia più mio desiderio condividere l’eternità con lui.
Mentre la verità è che non è affatto così. La verità è che, mai come adesso, il mio futuro mi è sembrato più chiaro.
Non so quale sarà la natura di questo bambino, ma già adesso capisco che molto è stato ereditato da Edward: la sua forza, il suo sostentamento …
Ed è naturale per me pensare che come vampira avrò tutto il tempo e tutta l’energia per potermi occupare di lui, ma … ne avrò anche la capacità?
Come vampira neonata sarò assetata di sangue, non ci sarà altro nei miei pensieri che questo. Almeno per un anno.
Un anno … un anno in cui non potrò accudire mio figlio, rispondere alle sue necessità come dovrebbe fare una buona madre …
Mentre i riflessi delle luci blu e dorate si alternano sulla coperta chiara mi sembra quasi beffardo come nella mia mente si ripetano, con la medesima cadenza ritmata, due domande: aspettare o trasformarmi subito?
Ed è quasi comico se penso che dopo tutti gli eventi che ci sono capitati, dopo tutte le mie insistenze, ora sia proprio io ad avere dei tentennamenti.
I miei occhi vengono catturati dal luccichio dei riccioli dorati degli angioletti di Rose e le sue parole riecheggiano nella mia mente:”… tu avevi qualcosa che io non avrei mai potuto avere. Non più. … Tu eri viva. Io non lo sarò mai più”.
Non ho mai pensato seriamente alle sue parole, a cosa significassero davvero. A me, in fondo, non importava. Ma adesso mi ritrovo a considerarle sotto un altro aspetto. Cosa abbia significato per lei la perdita dell’umanità, con tutte le sue implicazioni.
Rose non sarà mai una madre. E nei suoi occhi rimarrà per sempre congelata  un’immagine che non potrà mai appartenerle: cullare fra le braccia quel figlio che non potrà mai avere.
L’eternità, con un rimpianto del genere, deve essere decisamente dura da sostenere.
«Edward?» chiamo a voce bassissima.
«Si?» risponde pronto, come se non aspettasse altro che un mio cenno.
«Non essere troppo … duro … con Rose … » sussurro in un soffio.
Le dita che in questo momento stanno risalendo con dolcezza sul mio braccio si bloccano all’altezza del gomito per una frazione di secondo, per poi proseguire nella carezza.
Non udendo alcuna risposta, decido di insistere. Non mi è sfuggita la ritirata sospetta di Rose e la conseguente comparsa di Edward nel primo pomeriggio, quando Alice è schizzata via come un fulmine. «Devi essere indulgente. Non è facile per lei …» aggiungo.
Avverto l’immediato irrigidimento del suo corpo alle mie parole:«Non è così semplice, Bella» esita per un attimo e poi aggiunge:«I suoi pensieri sono alquanto più complessi delle sue parole».
«Edward … » comincio io, ma lui mi interrompe, deciso:«Tu non puoi sapere quanto siano stati ributtanti».
«Non siamo tutti perfetti» mi lascio sfuggire per poi pentirmi quasi contemporaneamente.
Lo sento trattenere il respiro. «Ha desiderato la tua morte, Bella. Non posso … perdonarla per questo» e ho quasi l’impressione che la sua voce tremi nel pronunciare queste parole.
Resto in silenzio per un po’, indecisa.
La cosa mi sconvolge? No, per niente.
Osservo pensierosa gli angioletti che penzolano dai rami, i loro capelli biondi, il loro visetto paffuto e dolce.
«Anche tu l’hai desiderata. La mia morte, intendo» mi decido, infine, a rispondere.
Il silenzio che accompagna le mie parole è teso da entrambe le parti. Entrambi preoccupati, seppur in tempi diversi, di aver ferito l’altro.
«Non è la stessa cosa» afferma «è la mia natura ad aver suscitato questo istinto» sibila a voce bassa, ma vibrante.
«Anche per lei è così. Solo che è stato un istinto diverso a suscitare lo stesso desiderio: il suo istinto di madre, Edward». Non ho il coraggio di girarmi e guardarlo in viso, quindi resto appoggiata al suo corpo fissando la coperta su cui ho piantato i miei occhi e proseguo:«Io … sento di capirla. Prima non ci riuscivo, mentre adesso … adesso vedo tutto più chiaramente».
Finalmente mi volto e incontro il suo sguardo duro:«So che anche tu sai che è così, che non è cattiva, ma solo … » aggrotto la fronte alla ricerca delle parole giuste. Invano.
« … vittima delle circostanze?» mi viene in aiuto lui, con tono chiaramente scettico.
«Precisamente» confermo soddisfatta e scruto attentamente i suoi occhi alla ricerca di un mutamento nella sua espressione, indice del cambiamento anche del suo umore.
Soppesa la mia espressione speranzosa e dopo qualche istante piega le labbra in una smorfia, scuotendo il capo:«Sei proprio ostinata» e un angolo delle sue labbra si piega all’insù in un accenno di sorriso:«Vedrò che posso fare, ma non contarci troppo».
Il mio sorriso si amplia a dismisura quando il suo capo si inclina verso di me  e mormoro un grazie contro le sue labbra un attimo prima che scivolino leggere sulle mie.
Ho appena sostenuto la causa di Rosalie Hale, penso frastornata, come cambiano le cose …
Già, e tra un po’ cambieranno ancora di più.
Il sollievo per la chiacchierata chiarificatrice con Edward in merito al suo rapporto con Rose viene, tuttavia, rapidamente spiazzato da un nuovo viaggio mentale che involontariamente la mia testa prende a fare.
Rose non sarà mai una madre, ma … potrebbe esserlo? Diciamo per un annetto?
Mi perdo in queste elucubrazioni perdendo completamente il contatto con la realtà e il senso del tempo. Non so se sono trascorsi pochi minuti oppure delle ore, quando mi accorgo del sospiro di Edward, sul petto del quale sono appoggiata con la schiena.
Con cautela volta il mio viso giusto il necessario affinché i miei occhi possano scorgere la frustrazione dei suoi.
«Cosa c’è che non va?» chiede e vedo quanto gli costi farlo.
Resto in silenzio, scuotendo il capo, ma dai miei occhi deve trasparire tutta la mia preoccupazione, perché con evidente sforzo lui prosegue:«Immagino che non è a Rose che stai pensando» constata rassegnato. «Bella, non dirò che vorrei poterti leggere nel pensiero, perché in questo momento so che non è ciò che desideri, ma vorrei solo che tu … non ti torturassi così» sussurra con quella sua voce morbida e calda.
Piego le labbra in una smorfia contrita e lui sospira di nuovo:«Bella, tu … tu non hai niente da temere. Soprattutto da me».
«Lo so» rispondo abbassando gli occhi e scorgendo le dita affusolate e pallide della sua mano allungarsi verso il mio mento e spingerlo delicatamente in su, invitandomi a mantenere il contatto visivo.
«Ma?» aggiunge delicatamente lui.
Aggrotto la fronte e i suoi occhi si fanno più attenti:«Ma?» incalza più determinato.
«Ok. Ecco, io ho paura di non … riuscire a spiegarmi bene … e … e … non vorrei che tu pensassi … che io … che noi … che non mi interessi più la … la …» balbetto, incapace di terminare la frase e rendendomi pienamente conto di essere sconclusionata.
«La trasformazione?» finisce lui per me.
Annuisco con lentezza, scrutandolo in viso alla ricerca di un segno qualunque di irritazione o di dispiacere.
Ma l’unico movimento visibile del suo viso è un sopracciglio che si inarca con grazia verso l’alto:«E, se non è troppo chiedertelo, potrei sapere perché dovrei pensare una cosa del genere?»
«Io … sì beh, pensavo che con il parto, e con la trasformazione, io non riuscirò ad occuparmi di lui e tu … tu dovrai occuparti di me … e io sarò ingestibile … e allora dovremmo allontanarci … e lui avrà bisogno di me … di noi … »
«Bella …»
«e noi saremo lontani … »
«Bella …»
«e lui resterà solo … senza i suoi genitori …»
«Amore …»
«ma questo non significa che non voglia, perché è ciò che desidero di più al mondo …»
Le sue mani fredde si portano decise ai lati del mio viso e la sua voce ferma interrompe la valanga di frasi che scivola incontrollata dalla mia bocca senza che più nessuna indecisione ci sia a fermarla, tramutata ormai in una inarrestabile necessità di convincerlo della mia buona fede.
«Amore. Calmati» e il suo sguardo ardente cattura i miei occhi che, impazziti, cercavano, senza vedere, in ogni angolo della stanza un appiglio, un  suggerimento che illuminasse il mio ragionamento.
Mi arrendo ad incontrare il suo sguardo, temendo di scorgervi la disapprovazione e stupendomi di leggervi solo gioia, calore, dolcezza.
«Non sei … arrabbiato?» chiedo, leggermente stupita.
Adesso entrambe le sue sopracciglia si inarcano verso l’alto e il suo sorriso diventa l’unica fonte di luce nella stanza.
E di calore nel mio cuore.
«Bella. Non potrei mai essere inquieto con te. E soprattutto non potrei mai esserlo se ti preoccupi di nostro figlio e del suo benessere». Inclina un po’ il capo senza mollare la presa sul mio viso e senza perdere i miei occhi.
«Mi devi perdonare» e nel mio sguardo deve leggere la perplessità, perché subito si affretta ad aggiungere «volevo proteggerti, evitare che ti preoccupassi inutilmente anzitempo con i dettagli del parto o del dopo, ma mi rendo conto che, una volta di più, il silenzio è stato solo deleterio». Ammicca verso di me, forse, sottolineando quanto anche da parte mia il suo discorso possa ritenersi valido.
«Aspetteremo il più possibile Bella, ma non andrai a termine con i conti. Non possiamo permettercelo perché se lo facessimo, in quel momento il bambino potrebbe cercare di farsi strada …» esita un attimo «autonomamente».
Mi lascia il tempo di interiorizzare le sue parole, ma è tranquillo mentre le pronuncia, infondendo in me la sua stessa serenità.
Se Edward non teme quel momento, significa che non devo farlo nemmeno io.
Lascio andare il respiro che nemmeno mi ero accorta di aver trattenuto quando lui ha cominciato a parlare, ma non una parola esce dalle mie labbra insieme ad esso.
Gli occhi fissi sul viso di mio marito, illuminato dalle brillanti lucine dell’albero, aspetto che continui.
E lui, dopo un attimo, lo fa.
«Agiremo prima che la circonferenza della tua pancia sia arrivata a quaranta centimetri. Adesso sei a trentadue. Ma non si riesce più a prevedere con discreta precisione la sua crescita dato che pare essersi molto rallentata. No » e alza una mano verso l’alto «non è un male. E non c’è nulla di preoccupante. Carlisle ti ha già spiegato la sua teoria sulla sensazione di sicurezza che avvolge il bambino e che Jasper ha confermato. Lui sta bene, Bella».
Con lo sguardo più ardente che mai, prosegue:«E voglio che anche tu stia bene».
Gli circondo il collo con le braccia e affondo con il capo nell’incavo della sua spalla respirando il suo profumo fresco e inebriante. Sento che mi stringe, dolcemente.
«Quando?» sussurro piano contro il suo maglione.
«Subito dopo Natale, se la crescita si mantiene stabile».
Dopo Natale … mancano solo due settimane.
Annuisco con il capo, grata per la sincerità e per la delicatezza con cui mi sta parlando e conscia della difficoltà che, malgrado tutto, deve costargli un tono così apparentemente sereno.
«Bella … per ciò che riguarda la trasformazione …» esita un momento e cerca di scostarmi con gentilezza dal suo petto per trovare il mio viso.
Non appena i miei occhi incontrano i suoi, leggo la serietà e la tensione che vi albergano:«Ti prometto che non succederà nulla che tu non voglia, e sono certo che se procederemo nei tempi giusti non sarà necessario nessun … intervento estremo».
Intervento estremo.
Sorrido tra me e me, notando l’accostamento di termini innocui che ha scelto per non usarne altri ben più brutali.
Per me. Per non evocare una situazione spiacevole nella mia mente, un’idea di ineluttabilità e di panico in cui la trasformazione sarebbe la mia sola possibilità di sopravvivenza.
Eventualità tutt’altro che impossibile.
Come se una lampadina si fosse accesa, illuminando improvvisamente la mia mente, capisco quanto sia delicata la posizione in cui le mie parole hanno messo Edward.
“Ti prometto che non succederà nulla che tu non voglia …” E’ questo che pensa, che non voglia?
E, finalmente, le trovo. Quelle parole che cercavo disperatamente prima, quando volevo spiegarmi e non sapevo come fare per non urtare la sua sensibilità.
«Edward. Non c’è nulla che io non desideri di più che stare al tuo fianco e al fianco di nostro figlio per l’eternità» comincio a dire, esitante.
Mi osserva attentamente, in silenzio.
Prendo un bel respiro e continuo:«Il fatto che mi preoccupi per lui, per quelli che possono essere i suoi bisogni, nasce dalla considerazione, ahimè, non molto alta che ho di me stessa». Sento che sta per ribattere e, delicatamente, appoggio l’indice sulle sue labbra:«No, aspetta. Fammi finire».
Sospira, ma resta in silenzio.
«Ho sempre saputo di non essere alla vostra altezza. Alla tua altezza» mi correggo, avendo stabilito che, dopotutto, il silenzio è solo deleterio.
«Edward, tu sei perfetto. Sai fare tutto, sei … beh … quanto di più bello abbia mai avuto in tutta la mia vita». Faccio una smorfia alla pochezza dell’unico termine che la mia mente è riuscita a scovare per descriverlo. «E non parlo solo dal punto di vista fisico: sei di una dolcezza struggente, premuroso, accorto, generoso, coraggioso».
Abbasso gli occhi per una frazione di secondo, incapace di reggere l’intensità del suo sguardo. Ma subito dopo, con decisione, li rialzo.
Sorrido.
«Accettare di vedermi al tuo fianco, non è stato facile per me. I confronti … lo sai, non sono mai stati il mio forte. E, mio malgrado, mi trovavo a conviverci tutti i giorni». Non appena noto che scuote il capo, mi affretto ad aggiungere:«Il problema non eri tu, Edward, ma io».
«Dartmouth è stata un’esperienza molto importante perché mi ha restituito ad una stima per me stessa che non sapevo nemmeno di avere. Anche se … se non sono riuscita ad andare fino in fondo, so che ce l’avrei potuta fare. So che ne avevo la stoffa» sospiro brevemente «so che ti avrei reso orgoglioso di me».
Mi fermo, abbasso gli occhi. Non riesco ad andare avanti. La voce ha tremato solo per un attimo, ma so che non gli è sfuggito.
Eppure, il commento che pensavo di sentire, le parole che mi aspettavo avrebbe pronunciato allo scopo di smentirmi, non giungono e dopo un certo tempo, rialzo lo sguardo.
Solo per sentirmi mozzare il respiro incrociando il suo.
E’ immobile. Non un tratto del suo viso si muove, ma i suoi occhi sembrano aver vita propria. Brillano così intensamente da sembrare fuoco, lava incandescente che trabocca lentamente dall’estremità di un vulcano.
E non so nemmeno come, ma riprendo a parlare. Perché so che è giusto, che adesso posso farlo davvero, senza remore.
Adesso che tutto mi è chiaro.
«Avevo bisogno di dimostrare a me stessa di essere capace in qualcosa, senza l’aiuto di nessuno. Avevo bisogno di sentirmi … speciale, e» gli lancio un’occhiata fugace, solo per notare quanto sia perfettamente concentrato su di me «adesso che è accaduto questo … miracolo dentro di me so che, anche se non sono bella come Rose, aggraziata come Alice o … o intelligente come te, lo sono davvero» proseguo dopo aver sfiorato con la mano la mia pancia «speciale, intendo. A … a modo mio».
Ma ancora non ho finito e deglutisco per trovare il coraggio di continuare.
Nessuna fretta da parte sua, nessun commento.
Solo il più assoluto silenzio.
«Edward, io … io ti amo e ora che una nuova vita dipende da me, dalle mie azioni, sento che devo essere sicura che nostro figlio stia bene, al sicuro prima di … allontanarmi da lui e realizzare i miei sogni … con te. Se per impazienza facessi un casino, non mi basterebbe l’eternità per perdonarmi» concludo.
Mi stupisco di me stessa, di come sia riuscita ad organizzare le idee e ad esprimere i miei sentimenti in modo semplice e, spero, comprensibile.
Ma Edward continua a fissarmi senza parlare.
«Ho finito» sussurro e gli sorrido di nuovo, più mestamente, quasi a volermi scusare.
«Mmm … » mormora sommessamente lui.
Istintivamente afferro l’angolo delle mie labbra tra i denti ed inizio a torturarmelo senza nemmeno accorgermene, mentre i miei occhi restano su mio marito.
E, dopo un minuto interminabile, lui comincia a scuotere il capo lentamente:«Non va bene … » arriccia il naso «non va affatto bene».
«Ho … ho detto qualcosa che … che non va?» balbetto improvvisamente incerta, cercando di ripassare in un fulmine tutto il mio discorso per trovare la falla colossale.
«Shh» mi posa un dito gelido sulle labbra come a volerle sigillare «se permetti, adesso tocca a me» e sorride. Di quel sorriso mozzafiato, un po’ beffardo, appena accennato e assolutamente letale.
Letale per la mia lucidità mentale.
«Non va affatto bene» riprende «che tra i due, io rischi di essere il peggior genitore per il nostro piccolo. Almeno quanto sia stato un marito distratto per te. Finora».
Batto un paio di volte le palpebre, provando a schiarire la mente. E nel frattempo lui prosegue a parlare con noncuranza:«Dovrai avere molta pazienza con me, Bella. Decisamente. Ho tante cose da imparare da te e spero che l’eternità sia sufficiente. Tu …» continua imperterrito dinnanzi al mio sguardo perplesso:«sei quanto di più meraviglioso sia mai entrato nella mia vita e sarai la migliore madre che questo bambino possa mai avere» e con dolcezza poggia il palmo aperto sul mio ventre «Che tu sia umana o vampira».
«Ed io sono la persona più fortunata della Terra, perché nonostante tutta la mia “perfezione”» fa una smorfia buffa con le labbra «ho sbagliato con te talmente tante volte, che meriterei la decapitazione istantanea».
Silenzio.
«Respira, amore» sussurra con un sorriso alla mia espressione basita e solo in questo momento mi accorgo di aver trattenuto nuovamente il fiato.
Annuisco con il solo movimento del capo, mentre la sua mano si avvicina al mio viso e, pensieroso, porta una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio, scostandomela dal volto.
«Tu sei unica, amore mio» sospira «ed io sono … beh … fortunato è dir poco».
Sorrido, poggiando il capo sulla sua spalla. Gentilmente, depone un bacio sui miei capelli e la sua carezza scivola verso il basso, sul mio braccio, fino ad avvolgermi il ventre.
«Ti giuro, Bella, che non hai nulla di cui preoccuparti. E del futuro ancora meno. Quando sarai pronta, e solo allora, realizzeremo il tuo, ma ti assicuro ancor più mio, desiderio».
E’ il mio cuore quello che batte così furiosamente?
E’ possibile che, in pochi giorni, la felicità che abbiamo tanto inseguito e che abbiamo temuto di vederci scivolare tra le dita, diventi una possibilità concreta nel nostro futuro? Mi chiedo, ancora frastornata.
Scosto un po’ il capo di lato e lascio che i miei occhi scorrano sul maglione di Edward che si tende sul suo petto forte e ampio. Il mio sguardo percorre il suo braccio che, protettivo, si chiude intorno a me.
A noi.
Annuisco con il capo e sussurro:«Ok. Quando sarò pronta», stupita io stessa  di scoprire, una volta di più, quanto la nostra vita insieme si prospetta ancora ricca di sorprese.



NOTA DELL’AUTRICE: Chiedere perdono per il ritardo mi sembra quasi superfluo, ma lo faccio ugualmente.

Perdono *.*
Ancora le mie scuse per non aver risposto alle vostre recensioni stupende, ma rischiavo di postare tra altri 10 giorni e davvero credo che sarei rimasta io sola a leggere gli ultimi capitoli.
Questo capitolo forse vi sembrerà strano: trust me…non è superfluo, ma FONDAMENTALE. Capirete a breve.
Per la prima canzone, i ringraziamenti vanno a @alessiaesse e @vampadagosto.
Altro piccolissimo inciso: gli angioletti di Rose esistono davvero. Ovviamente ho arricchito la descrizione dipingendoli migliori di quello che sono, perché in realtà li ho fatti io con le mie manine l’anno scorso mentre ero in attesa di mio figlio. Se siete deboli di stomaco, non sbirciate ù.ù Rose's angels
Mmmm penso sia tutto.
Per il prossimo capitolo…preparatevi per una sorpresa.
Non dico altro.
Anzi, sì.
Grazie a tutti.
M.Luisa

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Capitolo 34
*** CAP.34 ***


Consiglio: caricate le canzoni.
Buona lettura

CAP.34


BELLA – Suddenly I see –


«No, non posso dirtelo. Mi dispiace».
E’ il terzo “mi dispiace”. Da quando Alice ha cominciato a sfrecciare per la sua camera, facendomi quasi venire il mal di stomaco nel tentativo vano di seguirne i movimenti.

Il primo “mi dispiace” l’ha pronunciato quando ha fatto irruzione nella mia camera da letto, senza nemmeno bussare, facendomi spaventare a morte.
Il secondo, è arrivato quando ha fatto volare via le coperte e contemporaneamente mi ha presa in braccio, strappandomi al mio letto nel quale aspettavo che Edward tornasse dopo aver fatto la doccia.
Avevo ancora la bocca spalancata per la sorpresa, quando, rivolta alla porta del bagno in cui c’era lui, aveva sussurrato al nulla che mi sequestrava e che non c’era di che preoccuparsi.

Arriccio le labbra in una smorfia seccata.
Quel folletto sa essere di un fastidio enorme quando vuole.
Una indistinta macchia di colore chiaro mi passa davanti e ruoto il capo seguendone la scia, ovviamente con un discreto ritardo.
Dalla poltrona in cui sono seduta da dieci minuti, ho osservato Alice vestirsi e truccarsi, ad una velocità assurda. C’avrà messo in tutto un minuto e mezzo ed il risultato è perfetto. Neanche una minima sbavatura di rossetto.
Il mio sguardo scende sulle sue scarpe.
Alice ha messo su dei tacchi che come minimo saranno di dodici centimetri.
Deglutisco, immaginandomi nei suoi panni, o meglio nelle sue scarpe, e rabbrividisco al pensiero di dover mai un giorno essere sottoposta a quella che mi sembra una tortura diabolica.
I restanti otto minuti e mezzo li ha trascorsi volando su quei trampoli dal bagno all’armadio.
«Scusa, ma perché, se non vuoi dirmi dove devi andare, mi hai … chiesto di venire nella tua stanza?» chiedo esasperata inarcando un sopracciglio eloquentemente.
Chiedere non è davvero da Alice.
«Uffaaa» mormora lei «ma dov’è il piegaciglia di Shu Uemura?». Si pianta le mani sui fianchi osservando una trousse, di dimensioni vergognose, aperta sul suo letto.
Un letto matrimoniale. Una metà del quale è quasi scomparsa sotto cumuli di trucchi e flaconi e prodotti di bellezza.
«Ehm … Alice?»
«Eh?»
«Allora?!»
«Oh. Sì. Cioè no. Non posso dirtelo, Bella. Mi dispiace». E si volta giusto un attimo a guardarmi, alzando le spalle in un gesto di scuse.
Ecco il quarto. Al quinto “mi dispiace” le lancio una scarpa. Possibilmente come una di quelle che indossa in questo momento. Penso, in un moto di rabbia e frustrazione, ben sapendo che non riuscirei nemmeno a sfiorarla. Innanzitutto perché la scanserebbe, e poi, ma solo poi, perché anche se potessi non riuscirei mai farle del male.
Sospiro rassegnata. Non parlerà. E, se da un lato sono infastidita dall’essere stata letteralmente rapita dalla mia camera e a mio marito, sono anche curiosa di sapere cosa bolle in pentola.
Alice non solo è chiaramente in ghingheri per andare da qualche parte, ma è anche emozionata e nervosa.
Ed è strano, visto che lei dovrebbe essere la persona più calma e serena del pianeta, dal momento che il futuro per lei non ha segreti.
D’un tratto le macchie indistinte si sdoppiano e dinnanzi ad Alice si materializza Rosalie.
Oh.
Oh.
Se Alice è splendida, Rose è uno schianto.
Un morbido cardigan di cachemire nero le scende dolcemente fin sulle ginocchia, lasciando intravedere un abitino di seta nero che forse le coprirà appena il sedere. Lunghe catene dorate le adornano il collo e arrivano quasi alla vita. Ai piedi, stivali di camoscio. Neri. Con un tacco forse di un centimetro in meno della sorella. I capelli le si poggiano in onde ordinate sulle spalle.
In mano regge uno strano oggetto che pare una forbice dorata. Lo porge ad Alice con un’alzata di spalle:«Ecco»
«Mmmm … ma il tuo che fine ha fatto?» le chiede quest’ultima afferrandolo al volo e schizzando verso il bagno con in mano altri prodotti.
Troppi altri prodotti.
«Rotto» commenta atona lei, prendendo distrattamente in mano un flacone dal letto.
«Ancora!» risponde Alice dal bagno con una risata soffocata.
Sono ferma e imbambolata a guardarla, sensuale come nessuna donna potrebbe –e forse dovrebbe?- mai essere e, nello stesso tempo, elegante e raffinata, che lei si volta verso di me.
«Sei … sei bellissima, Rose» sobbalzo imbarazzata di essere stata colta a fissarla e mi affretto a dire con genuina sincerità. E le mie parole suonano alle mie stesse orecchie troppa poca cosa per poterle rendere davvero giustizia. Un termine più appropriato non credo che sia stato ancora coniato.
«Grazie» mi dice semplicemente. Ma poi le sue labbra si distendono in un sorriso mozzafiato.
Sto per chiederle se si festeggia qualcosa che lei, in un battito di ciglia, svanisce.
E ricompare Alice.
«Ma è un anniversario?» mi lascio sfuggire, mio malgrado, a voce cospiratrice.
La piccoletta si ferma dinnanzi a me, le mani sui fianchi, in tutto il suo splendore e nel morbido velluto del suo abitino color panna, calze nere coprenti e decolté nero. Mi sorride :«No».
Non riesco a trattenere un’esclamazione di stizza e mi ritrovo i suoi occhi dorati ad una spanna dai miei:«Ti prego. Ti prego, non ti agitare. Se me lo svegli» e indica con un dito la mia pancia «è la fine».
«Ma …» comincio e mi interrompo subito vedendo che con una mossa disinvolta, Alice mi ha caricata tra le braccia con tutta la poltrona e ha cominciato a marciare verso il bagno.
«Alice! Ma che fai?!» le chiedo stupita piantando fermamente le mani ai braccioli della poltroncina e cercando di evitare di guardare in basso.
«Tranquilla! Solo quello che so fare meglio. Ma ti prometto che sopravviverai!»

«Ok. Credo che possa andare. Puoi aprire gli occhi». Finalmente dalla bocca di Alice esce qualcosa che non sia ferma, non ti muovere o non ti agitare.
Batto due volte le ciglia per focalizzare lo sguardo davanti a me ma, invece di scorgere la mia immagine in uno specchio come mi sarei aspettata, mi ritrovo la figuretta impaziente di Alice con le mani sui fianchi ed un’espressione a metà fra l’ansioso e l’irritato.
«Perfetto» commenta, ma dal suo tono sembra che abbia appena pronunciato una bestemmia.
La osservo perplessa e non riesco a fare a meno di domandarle:«Non si direbbe. Che c’è che non va?»
Mi sono rassegnata a non indagare oltre su questi misteriosi preparativi –che evidentemente contemplano la mia presenza-  un po’ per stanchezza, un po’ perché ho capito che sarebbe comunque inutile insistere. E ho lasciato che Alice si impegnasse a fare quello che sa fare meglio.
Ossia, torturarmi.
«C’è» comincia come se dovesse spiegare l’ovvio ad una bimba di tre anni «che adesso viene il difficile».
Perfetto.
Fino ad ora, il continuo tirare la mia pelle, staccarmi sopracciglia con una pinzetta acuminata, spennellarmi e massaggiarmi in ogni porzione di viso è stato il facile.
«Eh?» dico.
Sbuffa, si volta e prende dietro di sé delle sacche blu scuro.
«Il tuo abito» spiega «il furfante lì dentro» fa un cenno con la testa in direzione della mia pancia «mi ha impedito di vedere quale abito ti sarebbe stato meglio, e» continua affilando lo sguardo «questo significa che te li devo provare tutti».
Tutti?
Tutti?!?
«Ma sei impazzita?» la mia voce trema, ma ha, nell’ultima parola pronunciata, assunto un tono quasi isterico «saranno almeno una decina di abiti!»
«Per la precisione sono sedici» e forse sono sbiancata, perché si affretta a mettermi una mano sulla spalla e ha darmi una pacca gentile per rincuorarmi «sarà meglio darci una mossa. Non abbiamo molto tempo».
Sospiro pesantemente e provo a fare un altro misero tentativo per sottrarmi al mio destino:«A…Alice ti prego, non scherzare …»
Mi osserva con imperturbabilità :«Ti pare che stia scherzando?»
«Oddio …» mormoro sentendo le forze venirmi a mancare «avevi detto che sarei sopravvissuta … » termino chiudendo gli occhi stancamente, avvertendo una sorta di gorgoglio provenire dal mio ventre.
Quando li riapro vedo Alice, immobile, dal lato del bagno più lontano da me:«Merda» dice a voce bassa e poi, con tono leggermente più alto «Rose!».
Sono forse un paio di secondi quelli che trascorrono prima che Rosalie entri in bagno e con uno scambio tanto rapido quanto impercettibile di frasi con Alice, prende il suo posto, mentre quest’ultima sparisce in un attimo.
E sono ancora mezza imbambolata, con gli occhi sulla porta dalla quale è uscita, che Rose si avvicina alla pila di copri abiti cominciando ad abbassarne le cerniere una per volta.
«Cosa è successo?» chiedo un po’ stralunata dalla rapidità con cui si sono succeduti gli eventi degli ultimi minuti.
«Oh niente, non preoccuparti!» sorride lei «finalmente c’è in casa qualcuno che riesce ad avere la meglio su Alice» e ammicca compiaciuta, lanciando uno sguardo affettuoso da sotto le lunghe ciglia in direzione del mio ventre.
Ah, grazie piccolo! Penso sentendomi improvvisamente più leggera, per poi rabbuiarmi altrettanto velocemente vedendo il tripudio di sete, velluti, cachemire che man mano Rose sta liberando dalle sacche.
Adesso non ho scampo, penso con una punta di terrore, mentre gli occhi si soffermano su di lei che ha appena finito di estrarre l’ultimo abito.
Ma Rose si volta verso di me e con passo aggraziato raggiunge lo sgabello al mio fianco e ci si accomoda su. A braccia conserte e gambe accavallate, mi osserva.
E sorride.
«Allora …» comincia, ma io la interrompo con lo sguardo terrorizzato alzando una mano.
«Ti prego, ti scongiuro. Non chiedermi di indossare tutti questi abiti, non ne ho la forza, né la voglia» mormoro flebilmente congiungendo le mani in un gesto di preghiera «E, poi, tutto questo solo per …» e lascio la frase in sospeso fingendo di saperne molto più di quanto sia in realtà.
Il suo sorriso si accentua, ma non cade nel mio infantile tranello.
La mia irritazione aumenta.
«Oh, insomma!» sbotto infine «Nessuno mi dice cosa sta succedendo. Per quale ragione siete tutti in tiro, il motivo per cui quella … quella …» ansimo cercando il termine più appropriato che descriva il comportamento decisamente snervante di Alice da questa mattina. Rose mi suggerisce con prontezza:«Pazza furiosa?»
Precisamente!
Un ringhio proveniente dall’esterno fa tremare la porta del bagno ed io rettifico:«… adorabile impertinente, mi ha sequestrato ad un orario indecente per giocare alle bambole». Prendo fiato e continuo, decisa:«Sono stufa di tutti questi misteri. Voglio sapere che succede o giuro che resto in pigiama».
Da parte di Rose un silenzio tombale.
«Aspettiamo … visite?» chiedo perplessa e anche un po’ timorosa, sorvolando sul fatto che in tutti questi mesi non abbiamo mai avuto ospiti.
Ancora silenzio.
«Rose!» esclamo esasperata.
Nella più completa immobilità, Rosalie continua ad osservarmi. E nessuna delle mie parole ha scheggiato minimamente l’imperturbabilità della sua espressione.
Resta sorridente a fissarmi.
«Non esattamente» si decide infine a rispondere «ma se io fossi in te, farei la brava, e sceglierei un abito da indossare».
«Io non voglio fare la brava. E non ho nessuna intenzione di …» sottolineo petulante, ma mi fermo a metà frase.
Aspetta, aspetta …
Ha detto scegliere?
Io potrei scegliere?
Questa è una novità.
Richiudo la bocca che mi si era spalancata per la sorpresa e i miei occhi saettano dagli abiti a Rose alternando dei movimenti quasi comici del capo dagli uni all’altra.
«Ehm Bella … credi di farcela a scegliere qualcosa in giornata o preferisci che sia io …»
«Scelgo … devo scegliere … io?» chiedo esitante, forse anche diffidando delle mie stesse orecchie.
«Se non vuoi, lo faccio io. Ma di norma l’abito che si indossa deve innanzitutto piacere, altrimenti non ti starà mai bene» commenta lei saggiamente, mentre si alza e comincia ad ancheggiare sensualmente verso i vestiti disposti con cura uno di fianco all’altro.
Prende a sfiorarne i tessuti con le dita.
«Il colore» e fa un passo verso un abito di una chiarissima sfumatura di grigio perla «la sensazione al tatto» con una mano ne saggia la consistenza «persino l’odore …» e lo avvicina al naso con un gesto quasi reverenziale, inspirando profondamente ad occhi chiusi.
«… tutto deve piacerti, ispirarti, farti sentire a tuo agio» conclude girandosi verso di me, inchiodata alla poltrona nello splendore del mio pigiama a cuoricini di flanella pesante.
«Uhm, sì … penso di  … sì» balbetto presa in contropiede., senza tuttavia realmente comprendere appieno le sue parole.
Sono solo abiti no? Mica amanti da venerare?
Ho già dimenticato le mie richieste chiarificatrici in merito a questi strani comportamenti, mentre, facendo leva sulle braccia, mi do la spinta per potermi alzare e avvicinare a lei con cautela.
«Non è molto importante sapere chi incontrerai, come sarà il suo vestito o che situazione devi affrontare. Il segreto sta nel sapere cosa si vuole. Seguire le tue inclinazioni, le tue sensazioni, i tuoi desideri» mi abbaglia con un altro dei suoi sorrisi mozzafiato.
«Alla fine, Bella, la scelta viene di conseguenza» conclude amabilmente e descrive con la sua mano affusolata una linea che abbraccia tutti gli abiti disposti in fila.
Scetticamente, cerco di soffermarmi solo sul suo viso, tentando di non vagare sulla perfezione del suo corpo. Il discorso, forse, sarebbe stato molto più convincente se Rose fosse stata bassa quanto me e con un pancione che la  sbilancia quando cammina.
Come se ce ne fosse stato bisogno e la mia mancanza di coordinazione non fosse sufficiente allo scopo.
«Allora» e afferra una gruccia sulla quale è appoggiato un abito di seta rosso fuoco «come ti senti oggi? Aggressiva e provocante?» e mi sventola sotto il naso l’abito per poi sostituirlo con un altro sempre rosso, ma di un soffice cachemire di una tonalità più scura, quasi tendente al bordeaux «o dolce e remissiva?»
Faccio scorrere i miei occhi dall’una all’altra mano di Rose e osservo i due abiti come se non avessi mai davvero guardato un vestito.
Un abito per uno stato d’animo.
Non solo una maniera per non morire di freddo o per non essere indecenti tra la gente, ma un piacere personale, un modo di coccolarsi, di prendersi cura del proprio corpo e del proprio spirito.
«Ma … sei sicura che mi staranno? Non sarò troppo … » e con un gesto descrivo un arco intorno alla mia pancia, facendo una smorfia.
«Ma certo! Questi abiti sono tutti della tua misura e adatti al tuo stato. Devi solo … scegliere» e fa spallucce.
Con delicatezza, le mie dita cominciano a scorrere sui tessuti dinnanzi a me e i miei occhi, come se fossi ipnotizzata, si immergono in sfumature di colore, tagli di scollatura e particolari a cui non avevo mai prestato attenzione prima, per  qualsiasi cosa avessi indossato.
Con pazienza, Rose mi lascia fare.
«Questo» decido dopo qualche minuto «mi piacerebbe indossare questo» pronuncio in un soffio. E la mia voce sembra strana, ovattata alle mie stesse orecchie.
«Bene» commenta Rose «Ottima scelta».

Con il suo aiuto indosso l’abito che ha catturato la mia attenzione su di sé quasi da subito.
Dal taglio semplice, essenziale, sembra un kimono d’altri tempi ma senza la pesantezza e l’ingombro di tutti gli strati di tessuto che caratterizzavano questo genere di abito tipico dell’oriente e di un tempo lontano.
E’ più corto di un kimono tradizionale, arrivando giusto sopra il ginocchio, ed il taglio sapiente permette che l’impalpabile seta scivoli sul mio corpo adattandosi perfettamente alle mie nuove curve. Una specie di grossa cintura segna il distacco con la pancia. Potrebbe quasi dirsi austero se non fosse per la profonda scollatura che mette in risalto il mio seno pieno e generoso.
Un seno che non ho mai avuto, penso con una punta di vergogna.
«Non morirò di freddo?» chiedo lanciando un’occhiata all’ampia porzione di pelle del mio petto scoperta.
«Sciocchezze, provvedo io» sventola una mano in aria Rose.
Ma la particolarità dell’abito è il colore.
Sfumature diverse di verde si fondono tra loro, come il frutto delle geniali  pennellate di un artista. A sottolineare il passaggio di colore, sottilissimi fili dorati sono stati sistemati dallo stilista all’interno del tessuto, pensati e previsti per dare risalto ad alcune zone del corpo: la linea dei fianchi, la morbida curva del seno.
Verde … il suo colore … uno stato d’animo … il mio stato d’animo.
Senza avere il coraggio di guardarmi allo specchio, abbasso lo sguardo sulle ballerine dorate, unica scelta riservata a Rose. Immagino per la mia sicurezza.
A differenza di Alice, Rose non ama parlare molto e mi ha aiutato ad indossare l’abito senza che ci scambiassimo più di qualche parola appena accennata.
Ma al silenzio prolungato che segue la fine della mia preparazione, i miei occhi dal basso si alzano lentamente verso il suo viso, ripercorrendo il suo corpo ed il suo abito che definire sexy è dir poco.
«Sei bellissima, Rose» non posso fare a meno di ripetermi ancora una volta.
Un angolo delle sue labbra si piega verso l’alto e con delicatezza le sue mani si portano ai lati delle mie spalle, invitando il mio corpo a girarsi verso lo specchio:«E’ vero. Ma tu lo sei di più».
Dallo specchio, una donna meravigliosa ed emozionata mi guarda di rimando.
La prima cosa che attrae la mia attenzione è il trucco. Perché è apparentemente inesistente. Alice ha trascorso almeno un’ora per qualcosa che io ritenevo di poter fare in dieci minuti in tutto.
Ma ad uno sguardo più attento, non posso fare a meno di notare quanto la mia pelle sia più luminosa, quanto brilli il nocciola dei miei occhi evidenziato da una sfumatura lievemente bronzea dell’ombretto.
Le mie labbra sono solo leggermente più lucide, ma il colore non è stato coperto da quello artificiale di un rossetto d’alta classe.
C’è un qualcosa di indefinito e di inafferrabile che aleggia intorno alla mia figura: non è il trucco, non è l’abito. E’ … è come un’aura che mi circonda, che addolcisce e dona una luce diversa ai tratti del mio viso.
Nel complesso sono io e mi ci rivedo pienamente.
Allora un pensiero mi colpisce e mi passano davanti agli occhi tutte le volte in cui Alice mi ha sottoposta a trattamenti simili in passato: con cura, pazienza e abilità non ha fatto altro che mettere sempre in evidenza i punti di forza del mio viso o del mio corpo, senza stravolgere niente, senza rendermi diversa da quella che ero in realtà.
Mi ha dato tutto quello di cui avevo bisogno, quasi contro la mia volontà.
E l’ha fatto sì con irruenza, ma anche con amore.
Cosa cambia? Perché ora lo vedo e prima no?
Perché sono cambiata io. E sono cambiata dentro, non fuori, nonostante questa grossa pancia, celata appena da un sottile strato di seta, che sembra voler quasi sfidare la forza di gravità e rivendicare il suo diritto alla vita in questo mondo.
Tutto ciò che Alice e Rose hanno fatto oggi, e hanno tentato di fare sempre, è  che, quello che avevo dentro, si riuscisse a vedere anche fuori.
E, mentre mi osservo ancora stupefatta allo specchio, per la prima volta nella mia vita, davvero mi vedo bella.



New Moon The Score - "Marry me, Bella"


“Papà, ti prego, non lasciarmi cadere …”
«Rose, ti prego, non lasciarmi cadere» pronuncio ad alta voce riandando inevitabilmente con la mente al giorno del mio matrimonio.
A volte penso di essermi sognata tutto, salvo, poi, venire colpita da flash come questo.
Quel giorno ero trepidante ed emozionata. I tacchi ai piedi ed il lungo strascico amplificavano all’ennesima potenza la mia irriducibile goffaggine. Il terrore di spalmarmi sulla scalinata di casa Cullen, tuttavia, non era alimentato da un inconsapevole istinto di sopravvivenza, bensì dal timore che la scoordinata Bella Swan desse a tutti i presenti un’ulteriore prova di quanto improbabile e inadeguata fosse la nuova signora Cullen.
Oggi, sebbene l’emozione si mescoli alla confusione per la totale assenza di qualsiasi informazione riguardo “l’evento”, ho riprovato la stessa sensazione di paura di cadere, anche se l’abito che indosso non mi intralcia e le scarpe sono comodissime.
Ed è con stupore che mi accorgo che la lunga scalinata dinnanzi a me la vorrei percorrere correndo e non camminando esitante. Sento perfino che riuscirei a non inciampare. Eppure le mie parole a Rose sono accorate, preoccupate.
Paura, sì. Ma solo per il mio bambino.
Quando cominciamo a scendere i gradini, i miei occhi si puntano con attenzione su ogni scalino sopra cui poggerò i piedi.
Cavoli. Ma quanto è lunga questa scala? Penso, troppo concentrata sui miei piedi e sul braccio solido di Rose sul mio, per rendermi effettivamente conto di quanto ci manchi ancora per raggiungere il piano terra.
Quando finalmente vedo il legno chiaro del parquet, sorrido.
Ce l’ho fatta! Penso esultante mentre alzo lo sguardo dinnanzi a me.
E resto senza fiato.
Edward, impeccabile in un completo nero, mi sta guardando.
Sulle sue labbra aleggia un sorriso mozzafiato e nel suo viso scorre un’espressione indecifrabile. Sorpresa, compiacimento, ammirazione, desiderio …
Abbasso lo sguardo, imbarazzata, ma i suoi occhi sono ancora su di me, li sento con chiarezza.
Nel mio raggio visivo entrano prima le sue scarpe, poi, il candore della sua mano. Con lentezza scivola sulla mia e la porta verso l’alto, verso il suo viso.
Ne seguo il movimento rialzando gli occhi e quando le sue labbra sfiorano il dorso della mia mano, mi sembra di prendere fuoco proprio da quel punto.
«Sei … radiosa» dice con voce emozionata.
«Grazie» mormoro mezza inebetita.
«Ehm … io andrei» la voce di Rose sembra provenire da molto lontano. Ma né io né lui distogliamo gli occhi dall’altro.
Dalle braccia di Rose, passo a quelle di Edward senza nemmeno rendermene conto. Ma del sussurro di Edward verso la sorella sì.
Quando la voce carezzevole di mio marito sussurra un grazie, il lampo di sorpresa negli occhi di Rose non mi sfugge prima che svanisca via silenziosamente.
Mi sta ancora contemplando, quasi si trovasse davanti ad un quadro d’autore e volesse imprimersi nella memoria ogni minimo dettaglio, che inevitabilmente comincio a domandarmi, di nuovo, cosa stia per accadere di così importante da aver messo in subbuglio l’intera famiglia.
Edward non mi terrà all’oscuro.
Mi avvicino a lui con un sorriso appena accennato e osservo i suoi occhi spostarsi al mio movimento, seguendomi attentamente. Quando alzo una mano verso il suo viso, il suo braccio scivola dolcemente sul mio corpo a cingermi la vita. Il suo tocco attraverso la seta che mi sfiora la pelle del fianco evoca una sensazione di assoluto piacere, ma, faticosamente, cerco di ignorarla per concentrarmi sui pensieri cui devo dare voce.
Le mie dita dalla guancia si fanno strada tra i suoi capelli e noto, non senza un certo compiacimento, che la cosa non gli è affatto indifferente. Le palpebre gli si assottigliano impercettibilmente, schiude le labbra e la sua presa sul mio corpo si accentua leggermente.
«Io … » comincio esitante.
«Sì» sussurra lui.
Istintivamente abbasso gli occhi sulle sue labbra. «Ehm … io vorrei sapere … »
Oddio, Bella! Concentrati! Deglutisco.
«Ecco … vorresti dirmi cosa … cosa dobbiamo fare?» chiedo in un soffio.
Quando le sue labbra si piegano in un sorriso, mi sembra di diventare più leggera. Troppo leggera. La sua presa aumenta ancora un po’ e le mie palpebre si abbassano sugli occhi roteati verso l’alto quando le sue labbra sfiorano prima la mia guancia e, poi, risalgono fin sull’orecchio lasciando una scia di fuoco sulla mia pelle: «Mmmm avrei due o tre idee, ma per adesso puoi aprire la porta. Qualcuno è qui per te».

Batto le palpebre un paio di volte e già Edward ha riacquistato un atteggiamento più controllato.
Guardo la porta, guardo lui.
Per me? Qualcuno è qui fuori per me?
Non faccio in tempo a formulare qualche ipotesi che il campanello suona ed io, nonostante fossi stata anche avvisata, sobbalzo.
Helèna e Paul?
O magari … Charlie?
Il sorriso sereno di Edward mi incoraggia e mi suggerisce di mettere da parte ogni timore. Non può essere niente di preoccupante, sembra dirmi con gli occhi ridenti.
Quando apro la porta la luce che mi investe mi impedisce di scorgere il viso del misterioso visitatore.
Sembra in divisa, ma la visiera di un berretto rosso mi impedisce di focalizzarne i tratti. Quando fa un passo verso l’ingresso lo vedo più distintamente.
E’ un corriere.
E tra le mani ha un voluminoso pacco.
«Per …» e avvicinando un foglio al viso, prosegue «Cullen» e alza lo sguardo verso di noi, in attesa.
Ferma, come se le braccia non mi appartenessero, resto a guardare il ragazzo senza fare nessun movimento per prendere il pacco dalle sue mani.
Con gesto rapido Edward libera il corriere dall’involucro, firma su una cartellina che questo gli porge e richiude la porta dietro di sé.
Quando si volta verso di me, inclina il capo di lato, e mi porge una busta.
La prendo. La guardo. Guardo lui, perplessa.
«Aprila» dice con un mezzo sorriso.
Faccio come mi dice.
Sfilo dalla busta un pesante cartoncino color avorio e subito un odore delizioso, indefinito, arriva alle mie narici.

Madame Cullen, spero che la fiducia che è stata riposta nel mio lavoro non sia stata eccessiva. Non ho mai sentito parlare un uomo di una donna, nel modo in cui suo marito ha fatto di lei. Dentro questo pacco c’è il frutto di quella chiacchierata, che mi ha permesso, seppur in minima parte, di ripagare un debito di affetto e di stima profonda che nutro verso la sua famiglia.
Spero che sia di suo gradimento.
Nell’attesa di avere l’onore di conoscerla personalmente la prego di porgere i miei più calorosi saluti al mio amico Carlisle e a Madame Cullen, sua moglie.
Sentitamente
E. Colbert

I miei occhi si rialzano per incontrare quelli di Edward.
Sorride.
E sembra quasi in imbarazzo, nel porgermi il pacco.
Quando lo afferro esitante, mi stupisco di notare quanto sia leggero. Gli lancio un’altra occhiata e lui mi fa cenno di proseguire.
Tolgo i sigilli che richiudono la carta e rimuovo il coperchio. Immerso in un diversi strati di carta velina c’è un minuscolo flaconcino dorato, semplicissimo.
Lo prendo con delicatezza e magicamente l’ingombrante scatola di cartone sparisce dalle mie mani.
«E’ …»
«Un profumo» finisce Edward per me «proviene dalla Francia, da Grasse per la precisione».
Grasse … ricordo di averla sentita nominare da mia madre in toni estasiati, sottolineando le meraviglie dell’arte profumiera che trova lì le sue origini, e anche Alice … tante volte …
«Tu hai … » ma sono incapace di proseguire.
Una scritta sull’etichetta attrae la mia attenzione: Belle de nuit.
«… fatto questo per me?» chiedo emozionata, alzando gli occhi verso di lui.
«Ehm … è un po’ difficile da spiegare. Diciamo che avevo in programma di fare un giro da quelle parti un po’ di tempo fa, insieme a te» si passa le dita  tra i capelli, nervoso «e poiché in questo momento non è possibile, Monsieur Colbert è stato così gentile da inviarci un piccolo spicchio di quel paradiso che avrei voluto mostrarti» conclude con un’alzata di spalle.
«E’ molto bravo nel suo lavoro» continua in risposta al mio prolungato silenzio «spero che … ti piaccia e …».
Non lo faccio nemmeno finire di parlare che gli butto letteralmente le braccia al collo, commossa.
«Oh Edward!»
Lo sento ridere sommessamente e sono ad un soffio dallo scoppiare in lacrime. Alzo gli occhi al cielo, pregando di resistere e di non sciupare il lavoro di Alice, che sento le dita di Edward accarezzarmi gentilmente i capelli.
«In realtà non gli ho detto granché, ma Monsieur è un artista. E come tutti gli artisti ha una sensibilità fuori dal comune. Mi ha chiesto …» esita un attimo scrutandomi attentamente in viso con un’intensità sconvolgente «… tre aggettivi per descriverti».
Mi scosto il necessario per osservare meglio i suoi occhi.
«Cosa gli hai detto?» chiedo a voce bassa.
«Beh, secondo me tre erano pochi, ma ho scelto quelli che penso ti si addicono di più».
Fa un passo verso di me, lentamente: «… delicata» e con il dorso della mano comincia a tracciare il profilo del mio viso scendendo fino al collo «sensuale» prosegue, seguendo il bordo della profonda scollatura sfiorandomi la pelle scoperta del seno con la punta di un dito «mia» termina accorato, allacciando la mano sul mio fianco e spingendomi delicatamente, ma fermamente, verso di sé.
«Edward …» mormoro languidamente mentre le sue labbra si posano sull’angolo della mia bocca.
«Mmm … dimmi» sussurra sul mio viso.
«Io … grazie» riesco solo a dire, prima che la sua bocca mi tolga ogni possibilità di respiro. Il bacio che segue inizia con dolcezza, ma rapido cresce in intensità per poi approfondirsi subito. Percepisco chiaramente le sue mani scorrere su e giù per la mia schiena in una carezza morbida e sensuale.
Ai gesti, si sommano le parole che Edward pronuncia distaccandosi lievemente per darmi la possibilità di riprendere fiato.
«Sei così … bella. Dio quanto sei bella!» dice ed i suoi non mi sembrano solo dei complimenti.
Mi sento bella, davvero.
Si stacca a fatica dopo quelle che mi sembrano ore e prende un paio di respiri profondi per calmarsi.
Io, totalmente inerme, non riesco a far altro che osservare il colore dei suoi occhi virare dal nero pece a tonalità via via più chiare, fino a ritornare limpidi e dorati.
Mi accorgo solo vagamente che mi ha sfilato il flaconcino dalla mano e che con gesto lento e studiato lascia che il tappo impregnato di poche gocce di profumo mi sfiori i polsi e l’incavo tra i seni. Ripone fulmineamente la bottiglina sul tavolino dell’ingresso e in un attimo mi distende il braccio a poca distanza dal suo naso.
Inspira profondamente e chiude gli occhi.
Quando li riapre, sono nuovamente neri come la notte: «Monsieur è davvero un esperto» sospira per poi riscuotersi subito dopo e, sistemandomi un lungo cappotto nero sulle spalle, conclude:«Vieni, le sorprese non sono ancora finite».


NOTA DELL’AUTRICE: Salve a tutti ^^
Chiedo venia per aver dovuto interrompere il capitolo a questo punto, ma ho preferito dividerlo in due parti piuttosto che postare un mammone enorme e, sinceramente, troppo lungo. Cercherò di postare in fretta il prossimo…perdono, plissss.

beta persei: Grazie mia cara per i tuoi complimenti. Temevo di diventare troppo sdolcinata, ma il Natale è per me troppo coinvolgente ... non potevo evitare un capitolo con questa atmosfera. Non ho resistito XD
Mirya: Ola cara! Grazie infinite per essere riuscita a darmi il tuo parere riguardo questi ultimi capitoli. In effetti la mia intenzione era proprio sottolineare quanto sia proprio l’acquisita consapevolezza individuale ad aver legato maggiormente i nostri protagonisti e quanto la prospettiva di un figlio ponga inevitabilmente tutto in una luce diversa. Ci si interroga come mai prima, ci si mette in discussione con uno spirito nuovo. Colgo l’occasione qui per un breve inciso: se il primo anno di vita del tuo patato ti sembra duro…aspettati fuochi d’artificio quando andrà stabilmente all’asilo. True story :ammicca: Un abbraccio :***
KStewLover: Ciao Cristina ^^ Che piacere ricevere una recensione così calorosa come la tua! Anche io ho un debole per gli uomini che si lasciano travolgere dalla dolcezza di un pancione e, avendo vissuto l’esperienza diretta, ti dico che poche cose sono paragonabili allo svegliarsi di fronte ad un albero di Natale con il tuo bimbo dentro ed il tuo uomo che ti abbraccia… A presto XD
Rebecca Lupin: Grazie infinite. Le tragedie sono il mio forte, ma cimentarmi in un capitolo sereno è stato alquanto piacevole anche per me. Sono contenta che ti sia piaciuto. Alla prossima XD
garakame: Shiiii lo ammetto! Quando si parla di Natale gli occhietti mi sbrilluccicano tutti. Grazie per i complimenti per i miei angioletti…sei stata davvero gentile. Non immagini che divertimento è stato farli ù.ù un abbraccio XD
Sissi_Cullen: Ah! Che bello che tu abbia percepito esattamente quello che volevo si sentisse dal capitolo! Sarà proprio la speranza quella che sosterrà i nostri protagonisti, in questo capitolo si è visto abbastanza bene. Grazie per i complimenti benevoli sui miei sgorbietti di angeli. In fondo è il pensiero che conta :P
 lilly95lilly: Grazie! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! “Opere d’arte” di personale manifattura non ce ne saranno più, ma ti assicuro che mi sono divertita tantissimo a fare i miei angioletti sgangherati!!!
 keska: Monamùr :*** E che ti dico a te?! I ringraziamenti ormai ti sarai stufata di sentirli, ma te li ripropongo ugualmente. Grazie Francesca. Per essere stata sempre presente in questo percorso, per avermi sempre sostenuta e incoraggiata. Può una semplice risposta commuovermi? Ripensando a te non mi è affatto difficile. E se io ti faccio piangere, non sai che lacrime mi hai fatto versare tu, con la tua gentilezza e con il tuo calore. Mi fermo, altrimenti non vado più avanti ù.ù Ma mi conservo per la fine. Promesso. :***********
yle94: Grazie mia cara ^^ Anche poche parole per me sono importanti: mi danno la sicurezza di aver fatto un buon lavoro e la soddisfazione di avervi emozionato. E’ questa la cosa importante. A presto XD
Marika_BD: Arrossisco… che dire se non grazie? Beh, continua a seguirmi. Non te ne pentirai! Baci XD
VampGirl: Ehi cara! Che bella la tua recensione ^^ Sei davvero carinissima a complimentarmi per i miei angioletti orripilanti, ma mi sono divertita tanto a farli: ho raccolto le pigne, le ho pulite, verniciate. E poi mi sono sbizzarrita con la fantasia! E ti giuro che è stato taumaturgico!!! Chissà cosa pensi dell’importanza del capitolo scorso…sono curiosissima! Secondo me non ci sei lontana…non lo so, è una sensazione! Baci cara e a presto :***
congy: Cara Federica! Tu sei troppo buona! E mi dispiace sempre non riuscire a postare più celermente ma vi giuro che il mio cervelletto allucinato fuma, tante sono le cose che devo fare nella mia famiglia. E poi c’è il lavoro…che mi stressa e mi stanca tantissimo. Marito e figli poi…non ne parliamo :scuote la testa: Ma è tutto nella mia testa! Devo solo fare una proposta a Nostro Signore e fare allungare le giornate diciamo … di una decina di ore!!! Baci e a presto XD
 annalie: E’ quello che più ti è piaciuto FINORA! Aspetta di vedere gli altri, potresti restare piacevolmente sorpresa ù.ù Non dico altro :si cuce la bocca: Baci XD
spidermapi: adesso forse vorrai uccidermi…dopo che hai visto come ho lasciato il capitolo. Intanto pensate e riflettete…di sicuro sapete già cosa sta per accadere…XD
fioredipesco: Ciao^^ Sono contenta che le canzoni ti siano piaciute! Le idee sono venute da twitter e dalle amiche che mi seguono e che seguo a mia volta lì. A Natale dell’anno scorso è stato un tripudio di canzoni che ogni tanto qualcuno linkava e ho scelto queste due con infinito piacere. A presto XD
LadySile Ciao! Spero che la mia mail ti sia arrivata. Nel dubbio la riposto qui, potrebbe essere esplicativa anche per altri lettori che hanno avuto le tue stesse perplessità.
“Allora, la tua domanda è più che legittima e ti ringrazio per avermela posta, perché mi permette di puntualizzare alcuni aspetti che, per questioni di tempo, ho scelto di non approfondire.

Hai assolutamente ragione, un confronto diretto non c’è stato e non ci sarà.
Perché in questa ff un “tradimento” vero non c’è stato e viene a sovrapporsi ad un evento che, necessariamente, si trova ad avere la priorità: ossia la vita di Bella che è stata messa a rischio da questa gravidanza fuori dal comune.
Nel momento in cui si ritrovano ho ritenuto poco credibile dare la precedenza ad un confronto tra i due per diversi motivi:
1-    lo stato di salute di Bella: non mi sembrava possibile che una in fin di vita si preoccupasse di linciare il marito. Ho scelto per lei il silenzio e la reticenza, mi sembravano più appropriati, tipici di Bella e calzanti per una donna ferita che ha già da sola una bassissima stima per se stessa.
2-    La preoccupazione di Edward: C’è una parte in cui Edward cerca di spiegarsi, perché dal suo punto di vista, è importante che sua moglie sappia la verità e non continui a credere alla menzogna che lui ha congeniato. In quell’occasione Bella non gli risponde, non commenta. Ma riprende a parlare e dice che vuole quel figlio. Bella non l’ha perdonato, in realtà.
3-    Il bambino: Dunque. Bella rischia di morire, ma è incinta e vuole che suo figlio viva. Quello che è successo con Edward agisce in modo più subdolo sulla sua psiche. Questo pseudo tradimento ha comportato una perdita di fiducia. E non perché Edward ha baciato un’altra (Per lei è stato facile crederlo all’inizio perché l’evento non deve scavare molto nella voragine di insicurezza di Bella, ma, nonostante ciò, non può negare l’evidenza quando lui le dice la verità. Insomma non ha motivo per non credere alla sua sincerità quando lui le dice che l’ha fatto per “liberarla dal senso di colpa”. E’ tipico di Edward, no?). Bella perde fiducia in lui perché suo marito ha potuto pensare che lei non l’amasse abbastanza da rinunciare alla sua umanità per lui. Bella non si fida più di Edward e l’unico modo che lui ha per recuperare è rispettare le sue scelte (suo malgrado) pur non condividendole. Questo, a mio parere, è un enorme passo avanti.
Il problema di Edward e Bella sta nella reciproca insicurezza. Rovesciarsi addosso fiumi di parole sui reciproci “tradimenti” non sarebbe stato funzionale alla storia, penso. Eclatante, forse. Ma inutile.
Perché non è quello il punto.
E non è solo Edward ad aver sbagliato. Lui l’ha fatto per eccesso di protezione, lei per eccesso di insicurezza.
E veniamo a Bella.
Cosa cambia in lei? Cambia che sta morendo e sceglie di non salvarsi per dare alla luce il suo piccolo. Cambia la sua prospettiva, cioè.
Perché nella condizione in cui si trova, è lei ad avere la possibilità di fare qualcosa di straordinario, qualcosa che nessuno dei perfetti Cullen potrà mai fare: dare la vita.
In fondo è anche questo il motivo che la spinge con tanto entusiasmo a Dartmouth: fare qualcosa di unico e di suo.
La sua fiducia in se stessa aumenta, si rafforza nella sofferenza, si solidifica nel nuovo modo di porsi di suo marito. Perché quest’ultimo non le impone nulla, non cerca di farle cambiare subdolamente opinione.
La rispetta e rispetta le sue scelte.
E’ diverso a questo punto sia il modo in cui Bella considera Edward (ricomincia ad avere fiducia in lui) che quello in cui lui considera lei (Bella è disposta a morire. E non per avere un figlio, ma suo figlio. Non immagino una prova d’amore più grande).
Dopo tutte queste parole sconclusionate, cosa voglio dire?
Che il filo portante della storia non è la menzogna tra i due e gli eventi che ne conseguono (ossia il tradimento). Ma la crescita personale di ognuno di loro. Forse ci sarebbe anche stata bene la “litigata chiarificatrice”, ma avrei allungato enormemente la storia e non posso farlo.
Di sicuro sarebbe stato più “gustoso”, ma, mi chiedo, anche attinente?
Non lo so… Spero di non avervi deluso con la mia visione delle cose. Se si fosse trattato di un tradimento tradizionale, ci sarebbe stato di sicuro un confronto diretto.
Credo di aver detto tutto. E spero di essermi riuscita a spiegare con un minimo di coerenza.
Grazie per aver letto e commentato XD”
flora55: Grazie cara! Cerco di fare il possibile per postare presto, ma non sempre gli impegni me lo permettono…so cosa significa restare “appesi” e so che non è affatto divertente. Quindi i miei ringraziamenti per te sono doppi, perché sei così gentile da non farmi pesare le mie mancanze! Baci XD
rodney:Ciao Simo! Mi hai fatto ridere per mezz’ora con la tua recensione! Allora, per andare per gradi… Gli angioletti non sono carini affatto, ma al mio sgorbio piacciono, quindi li ho salvati dal finire nella spazzatura e c’ho dato anche visibilità su internet. Credo che non possano aspirare ad altro…e forse scompariranno magicamente prima del prossimo Natale…ù.ù Mmmmm dici felicità…in effetti ora che mi ci fai pensare mi sa che devo metterci un po’ di pepe…non sia mai che si dica che i sono rammollita. Prepara i fazzolettini. Meh!
 Joey88: Giulia carissima! Sei stata tu dolcissima a lasciarmi una recensione così affettuosa, spendendo una buona parola anche per quei terrificanti angioletti! Grazie sinceramente. Sapere che hai tenuto a lasciarmi la tua opinione anche se siamo quasi alla fine della storia è molto importante per me, non sai quanto. Grazie ancora infinite per tutti i complimenti che mi hai fatto…Baci :****
sily85: Ale!!!!!! Mamma che coccolone che avevo per questo capitolo…e c’ho già le lacrimucce pronte per il prossimo…Spero di essere all’altezza delle tue aspettative e di non deluderti! Sei così carina che non me lo diresti nemmeno in punto di morte! Resto in attesa…Baci :*****
cloe cullen: E sì…non potevo far fare ad Ed la parte del duro senza cuore per troppo tempo…Adesso poi, le sorprese sono dietro l’angolo, e speriamo che il peggio sia passato! :si nasconde per evitare il linciaggio: Ma lo sai che solo adesso ti collego a twitter? :si vergogna: Mica che me l’avevi detto chi eri! Baci :****


Il piegaciglia di Shu Uemura.

Il profumo di Bella non è una mia invenzione, ma esiste e viene prodotto proprio alla Fragonard di Grasse. Eccolo.

In fine, permettetemi un ringraziamento speciale per KESKA. Per merito della sua segnalazione ad Erika, questa storia è stata inserita tra le storie scelte. Dire che mi sono commossa è dir poco :******
Grazie a tutti voi.
M.Luisa

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Capitolo 35
*** CAP.35 ***


CAP.35

EDWARD -Vanessa Carlton -A Thousand Miles-

«Devo dire che i sedili di quest’auto sono davvero comodi» sussurra Bella  quasi stupita, facendo scorrere le dita sulla pelle costosa del sedile del passeggero dell’Aston Martin, accanto ad me.
Scoppio a ridere di gusto e mi giro a guardarla: «Ti faccio ridere?» chiede con una nota di allegria repressa nella sua stessa voce.
«No, no … » e scuoto il capo sentendo ancora il sorriso aleggiarmi sul viso «è che … lo dici come se … ti dispiacesse» affermo convinto.
Aggrotta la fronte.
In effetti, so che quell’auto non le è mai piaciuta, mentre io ho sempre pensato che le si addicesse in pieno: elegante, aggraziata, sensuale.
«No» dice «oggi non mi dispiace nulla» e i suoi occhi sono luminosi mentre pronuncia queste parole in un sussurro lieve e fa spaziare lo sguardo lontano, davanti a sé.
Sorride leggermente e il mio cuore fa una capriola.
Sento che è emozionata, ma sembra essersi rassegnata a non fare altri tentativi per conoscere la nostra destinazione.
Quando Alice mi ha informato di ciò che aveva architettato, per un attimo sono rimasto interdetto, poco convinto che la sua fosse una buona idea. D’altro canto è stata ferrea nell’insistere sulla necessità di tenere Bella all’oscuro dei suoi progetti fino all’ultimo e quando le ho chiesto se avesse ripreso ad avere visioni su mia moglie, lei mi ha sorriso in un modo … inquietante e mi ha risposto che, per una volta, dovevo solo fidarmi del suo istinto femminile.
Cambio marcia con rapidità e lascio che il paesaggio scorra veloce intorno a noi. Pur guardando fisso dinnanzi a me, non perdo di vista Bella nemmeno per un attimo.
Un lungo cappotto nero la avvolge completamente e valuto la temperatura dell’abitacolo, chiedendomi se sia abbastanza alta per lei. Quell’abito che indossa … scuoto il capo una sola volta cercando di scacciare l’immagine divina di mia moglie, dello straccetto di seta che la copriva mentre premeva con delicatezza il suo ventre pieno sul mio corpo.
«Hai freddo?» tanto vale chiederglielo direttamente.
«No, per niente» mi sorride, abbagliandomi come poco prima, quando è scesa dal piano superiore insieme a Rose … una visione.
 Un sorriso spontaneo, radioso … come è lei oggi, ma come lo è stata sempre, inconsapevolmente. E’ solo che, da qualche tempo, sembra avere una sicurezza, una serenità che non ho mai ravveduto prima in lei.
Oggi Bella sembra poter, e voler, sfidare il mondo intero.
Con il sorriso sulle labbra.
La mia bocca si piega impercettibilmente in una smorfia di compiacimento.
Se solo penso a non più di qualche giorno fa … sembra impossibile che al mio fianco ci sia seduta la stessa persona.
Bella stava morendo.
Forse era questione di giorni, forse di ore, ma sarebbe successo certamente.
Pur di dare la vita al nostro bambino, era disposta a dare la sua in cambio.
Sospiro brevemente, pensando a quell’eventualità e tremo, chiedendomi se davvero sarei riuscito a vederla morire tra le mie braccia senza far nulla per impedirlo.
Avrei dovuto operare una scelta … lei o mio figlio.
«E’ una festa» mormora d’un tratto, spezzando il silenzio che si era creato nell’abitacolo «non disturbarti a negare, tanto l’ho capito» e fa un gesto buffo, facendosi aria con la mano.
Le mie labbra si piegano in un accenno di sorriso.
Si sforza a guardare fisso dinnanzi a sé, ma la vedo con chiarezza sbirciare verso di me con la coda dell’occhio, spiando una mia eventuale reazione.
«Se lo dici tu …» rispondo con finta noncuranza, incapace di resistere alla tentazione di provocarla.
Le sue labbra si stringono in una linea sottile:«Partecipa tutta la famiglia?» chiede ostentando un tono indifferente.
«Ovviamente», rispondo tranquillo.
«Anche Emmett?» continua lei.
«Sì»
«Allora è una festa» ripete più convinta, con la voce a metà tra il trionfante ed il seccato.
Non dico nulla, ma non posso impedirmi di sorridere.
La curiosità la sta divorando.
Decido di giocare un po’ con lei, manca ancora qualche minuto alla nostra destinazione, e Bella è davvero spassosa quando si comporta in questo modo.
«Verrà anche Jasper» aggiungo in un lieve sussurro, complice.
Ruota il capo, girandosi a guardarmi e restringe gli occhi in due fessure:«Quindi?»
«Lo sai che non è a suo agio in mezzo a troppe persone. In una festa, poi … sarebbe ancora peggio» suggerisco, conscio di aver instillato il seme del dubbio nelle sue convinzioni.
«Mmm … » mormora sovrappensiero «ma c’è Alice» sottolinea lei «e non lo metterebbe mai in una situazione rischiosa».
Inarco un sopracciglio, lanciandole uno sguardo fugace e lei mi fissa di rimando: «Beh, non sempre, almeno» rettifica quindi, e ci ritroviamo a ridere nello stesso momento.
Il suono della sua risata riempie l’aria intorno a noi e mi solletica piacevolmente le orecchie. Mi ritrovo a desiderare ardentemente di risentirlo.
«Lo sapevi che una volta l’ha costretto a portarla ad un rave?» le chiedo in tono serio.
C’è un attimo di silenzio da parte sua, poi i suoi occhi si dilatano:«Jasper … ad un rave?» chiede esterrefatta.
Annuisco con il capo:«Più o meno trent’anni fa … e uno di quelli duri, eh» ammicco verso di lei e noto la sua espressione stupita, la bocca lievemente  aperta … più o meno la stessa espressione con cui Jasper era tornato a casa dopo quell’esperienza.
Per giorni non aveva detto una parola e si era tenuto alla larga da noi tutti. Alice, invece, era serena … serafica per meglio dire.
Era ridotto davvero ad uno straccio e per anni, alla parola rave ha continuato a dileguarsi, terrorizzato.
Tolgo lo sguardo dalla strada osservando Bella premere con forza entrambe le mani sulla sua bocca, nel tentativo di soffocare le risate.
«Non posso crederci …» mormora con la voce incrinata.
«Parola di scout» dico solennemente alzando due dita verso l’alto.
E, di nuovo, la sua risata cristallina, spontanea, vera mi scalda il cuore.
«Tu non sei uno scout!» aggiunge, sempre ridendo.
«Ne sei proprio sicura?» le chiedo di rimando, calmo.
Sembra rifletterci su per un attimo, fissandomi con la fronte aggrottata:«Non ti ci vedo in pantaloncini e berretto, mentre accendi il fuoco sfregando due bastoncini di legno …», dice scuotendo il capo. Ma poi le sue labbra si distendono in un sorriso incerto:«Sei uno scout?» mi chiede esitante.
Questa volta è il mio turno di ridere:«No, io no … ma … Emmett sì …»
Mi osserva stupita, con gli occhi quasi fuori dalle orbite:«EMMETT?»
Annuisco e questa volta, le risate quasi le tolgono il respiro.
«Oddio, mi sto sentendo male …» dice con la voce spezzata mentre cerca di asciugarsi le lacrime pizzicando il bordo delle palpebre con la punta delle dita.
Prende un bel respiro e mormora un “questa informazione mi sarà utile” a voce bassissima, per poi sistemarsi più comodamente nel sedile.
Sorrido tra me e me, felice per il clima sereno che ci avvolge.
Continuiamo a discorrere piacevolmente ancora per qualche minuto.
Bella è perfettamente a suo agio, rilassata contro lo schienale del sedile con le ginocchia piegate leggermente verso di me, il busto ruotato quasi completamente nella mia direzione, il capo inclinato sul poggiatesta.
Batte le palpebre nel momento in cui si rende conto che ho fermato l’auto, forse stupita lei stessa di aver dimenticato la sua curiosità per la nostra uscita a sorpresa.
«Ma cosa …» comincia, guardandosi attorno.
Senza risponderle, esco dall’auto e mi avvio dal suo lato per aiutarla ad uscire. Con una mano le tengo aperta la portiera, mentre l’altra la tendo verso di lei con il palmo rivolto in su in un muto invito a seguirmi.
Afferra la mia mano esitante, perplessa.
Quando è fuori, dinnanzi a me, i suoi occhi grandi e confusi spaziano per tutto il parcheggio per poi fermarsi nei miei:«Edward, perché siamo a Dartmouth?»



BELLA- Ennio Morricone - "Love Theme" - from "Cinema Paradiso"



Dartmouth.
Questa era la nostra destinazione.
Il rumore delle mie scarpe sulla ghiaia del vialetto mi rammenta che stiamo camminando, che non siamo più in auto, e che Edward mi sta conducendo verso gli edifici del college.
Mi lascio trasportare dalla sua presa sicura sulla mia mano.
Non è molto tempo che manco da questi viali, ma mi sembrano trascorsi secoli.
Ma che ci facciamo qui?
«Ehi, ma che ci facciamo qui?» chiedo ad alta voce, affrettando un po’ il passo per affiancarlo. Ruoto completamente il capo verso di lui e punto i miei occhi sul suo viso.
Sta sorridendo, mi pare.
Continuiamo a camminare a passo sostenuto. Dopo un minuto, lo tiro un po’ verso di me nel tentativo di farlo procedere con più lentezza:«Edward … » ansimo «rallenta, ti prego».
Si ferma di botto:«Perdonami Bella» e alza una mano per carezzarmi la guancia «mi sono lasciato … prendere dall’entusiasmo».
E di nuovo, sorride.
«Ma vuoi dirmi che succede?!» chiedo con una punta di esasperazione.
Con un gesto elegante, Edward si fa da parte e dietro la sua figura scorgo un tabellone poggiato in terra dinnanzi all’ingresso principale, con un manifesto sopra.

“L’Mba della Business School Tuck di Dartmouth
presenta
Top Tech Toys 2002”
Oh.
Oh…
Oh, merda.
Resto così.
Immobile, come se mi fosse stato appena rovesciato addosso un secchio d’acqua gelata.
Il cervello comincia a lavorare freneticamente.
La presentazione.
Un vago ricordo di una telefonata di Helèna, mi suggerisce che questa cosa l’avrei dovuta sapere, che lei mi aveva avvertito e anzi mi aveva anche pregato di parteciparvi.
Ovviamente non poteva sapere che con buone probabilità, non sarei sopravvissuta nemmeno al Natale.
Oggi c’è la presentazione dei progetti del nostro gruppo.
Oh, no. Mi correggo. C’è la presentazione dei progetti del gruppo a cui io appartenevo.
Con gli occhi puntati sul manifesto, mi rendo appena conto delle dita gelide di Edward sulla mia guancia.
E non so se mi sta parlando, perché il vuoto sembra essersi fatto intorno a me e dentro la mia mente.
No.
Comincio a scuotere piano il capo e istintivamente faccio un passo indietro, gli occhi ancora fissi davanti a me.
La mano di Edward scende e cerca di trattenermi per la vita, ma un altro passo indietro mi permette di sfuggire alla sua presa.
«Bella?» la sua voce è cauta, appena un sussurro.
Come un automa i miei occhi si muovono nella sua direzione.
Mi fissa, intensamente. Nel suo sguardo vi leggo stupore, e sì … anche preoccupazione:«Cosa c’è che non va?» mi chiede piano, le mani leggermente discostate dal corpo, i palmi rivolti verso l’alto.
Lo osservo a lungo, in silenzio.
Sposto lo sguardo un attimo sul manifesto, poi nuovamente su di lui.
«Io …» chiudo gli occhi per un momento, scuoto il capo una volta soltanto.
«Mi dispiace. Non posso».
Mi giro e comincio ad allontanarmi a grandi passi.

EDWARD -Vanessa Carlton - Ordinary Day Lyrics


Sono più di cento anni.
Cento anni a questa parte che nessuno, nessuno mai mi ha preso alla sprovvista.
Fino a che non ho conosciuto Bella, ed il mio mondo, l’eterno, immobile, perenne crepuscolo che è stata la mia vita, non si è improvvisamente acceso di milioni di sfumature di colore, di luci, di emozioni.
Mi occorrono dieci lunghissimi secondi per capire che Bella sta andando via.
«Bella!» la chiamo, ma lei non si gira. Non rallenta neppure.
Mi affretto a seguirla. L’affianco.
«Bella. Si può sapere che ti prende?» cerco di controllare il tono della voce, sforzandomi di non apparire impaziente o brutale.
Odio non sapere quello che le passa per la mente.
«Niente» risponde secca «voglio andare via» e continua a camminare, lo sguardo fisso davanti a sé.
Stringo le labbra … odio ancora di più quando è evidente che qualcosa la turba, ma fa di tutto per nascondermelo.
Inspiro profondamente, riporto lo sguardo su di lei.
«Fermati un attimo, parliamone» le dico, cercando di essere condiscendente e mantenendo il suo passo, decisamente sostenuto per i suoi standard.
«Non c’è niente di cui discutere. Voglio andarmene. Punto» ribadisce, candidamente.
«Ok. Va bene. Ma almeno rallenta. Rischi di inciampare» le suggerisco in tono vagamente allusivo.
E lei si ferma, lanciandomi uno sguardo di fuoco:«Non inciamperò, Edward Cullen» e alla determinazione nella sua voce mi si distende di riflesso un sorriso mentale che evito di far affiorare alle mie labbra.
Credo davvero che non lo apprezzerebbe in questo momento.
Ma almeno adesso ho la sua attenzione, e la mia mente lavora velocemente per afferrare il motivo del suo comportamento così strano, così oscuro.
«Pensavo ci tenessi a questo progetto» continuo sullo stesso tono, calmo, controllato, perplesso ma molto cauto.
Ho necessità di capire, di farla parlare, non di irritarla e farla chiudere ancora di più in se stessa.
«Ci tenevo … prima» mormora lei, corrugando leggermente la fronte.
I miei occhi si restringono e lei abbassa i suoi, imbarazzata.
«Prima?» le chiedo, perplesso.
Annuisce brevemente con il capo.
«Prima di cosa?» incalzo, avanzando in maniera impercettibile verso di lei.
Resta in silenzio, ma si muove a disagio sui suoi stessi piedi. Questo discorso non le piace. E’ nervosa, il suo cuore batte veloce, il suo respiro è affrettato.
E, chiara come non mai, del tutto inaspettata, mi arriva una percezione del bambino.
Trattengo il respiro, acuisco tutti i sensi. E, d’un tratto, un suono mi colpisce come uno schiaffo: la mia voce che chiama Bella. Un sussurro inafferrabile, lontano, basso, il tono attutito, ovattato. Come se provenisse da sott’acqua.
O come se fosse arrivato sott’acqua.
Sono ricordi di voci.
Sono i ricordi del bambino.
Quelli che ha accumulato indirettamente attraverso le esperienze di Bella. I suoni, i discorsi che lei ha udito e che in qualche modo sono giunti anche a lui. Come è possibile? La placenta … lo isola completamente … penso frastornato.
“Bella” sussulto alla voce flebile che risuona nella mia testa “Odiami. Odiami e sii felice”
Corrugo la fronte.
E’ la mia voce. Distorta, quasi inudibile, ma è la mia. Sono le parole che ho detto a Bella quel giorno alla Rauner … anche allora Bella fuggiva via da me.
Un senso di disagio, di nervosismo, di soffocamento accompagna questa percezione.
Paura.
Mio figlio ha paura. Come Bella, quel giorno alla Libreria Rauner.
«Bella» e mi avvicino cautamente di un altro passo «non agitarti, ti prego» i suoi occhi si alzano nei miei, ansima senza rendersene conto «se lo fai, si agita anche lui» con la mano indico in basso, verso il suo ventre.
Batte rapida le palpebre, e, con un gesto istintivo, porta la mano destra sulla sua pancia, mentre il suo sguardo resta fisso nel mio.
Ha paura. Anche lei.
Ha paura di me? Mi chiedo con un nodo alla gola.
Senza perdere il contatto visivo, mi accosto ancora un po’. Il suo battito rallenta impercettibilmente.
Con delicatezza avvicino la mia mano fino al suo ventre, scostando il bordo del cappotto e scivolo lentamente sulla seta sottile dell’abito. Le mie dita scorrono sul tessuto teso, fino ad incontrare quelle di Bella, verso cui mi faccio strada, intrecciandole nelle mie.
E’ quasi istantanea la sensazione di benessere che sento pervadermi e che sono conscio provenire da più fronti: è il mio piacere nello sfiorare la pancia di Bella; il suo piacere nell’essere toccata da me, evidente dai suoi occhi lievemente socchiusi; il piacere del bambino, puramente istintivo e primordiale.
Tranquillità.
Sorpreso, mi faccio sommergere ancora da altre voci mentali, basse e lontane, quasi inafferrabili che i ricordi del bambino formano nella mia mente. Voci impalpabili, le nostre, di un paio di settimane prima: “… ti sei addormentata mentre finivo di aggiungere le ultime decorazioni …” e la sensazione di piacere che questa eco richiama mi invade con prepotenza.
Anche allora, accarezzavo il ventre di Bella, mentre lei dormiva sul divano di fronte all’albero.
E capisco che è il bambino, di nuovo, che sta rievocando quella sensazione associandola a questo momento in cui la mia mano accarezza lui e mia moglie contemporaneamente.
Sta formulando dei pensieri istintivi sulla base dei suoi unici ricordi.
In qualche modo, in questo momento, mi sta parlando.
Avverto chiaramente il respiro di Bella farsi più lieve, meno ansante.
Lascio che la mano libera le avvolga la vita e con una leggera pressione le massaggio la schiena tesa.
«Sta tranquilla, Bella» inclino il capo, sussurrandole all’orecchio.
I suoi occhi si chiudono per un istante e automaticamente il suo viso si avvicina a me, al mio petto.
Nei viali di Dartmouth, mentre studenti frettolosi ci passano intorno lanciandoci sguardi curiosi e saltuariamente, pensieri incuriositi, aspetto che le persone più importanti della mia vita siano restituite alla serenità e alla calma.
E mi sento colpevole.
Senza che nemmeno sia messo al mondo mio figlio sa già cosa siano il dolore e la paura. E lo sa grazie a me, a causa di quello che ho fatto soffrire a sua madre in tutto questo tempo.
E lei, poi … Bella non ama le sorprese. Non ama essere al centro dell’attenzione.
Portarla qui non poteva che inquietarla.
Mentre epiteti impronunciabili prendono forma nelle mia testa e si accostano naturalmente al nome di Alice, Bella tira un profondo respiro.
«Stai bene?» sussurro tra i suoi capelli, mentre il suo viso poggia ancora sul mio petto.
Annuisce, strofinando la guancia contro la mia camicia.
La scosto leggermente e con un dito le alzo il mento in su, in modo che i suoi occhi non mi siano più preclusi.
E il suo sguardo … la differenza con quello della Bella che in auto discorreva argutamente con me è lampante.
E’ lo sguardo che tante volte è passato sul viso di mia moglie in questi mesi, lo sguardo di chi teme, di chi è incerto, di chi si sente a disagio e del tutto fuori luogo.
«Bella. Dì qualcosa, ti prego» mormoro, mentre le sistemo una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Mi guarda con quegli occhi nocciola, dilatati e timorosi. Deglutisce e inspira profondamente, scuotendo il capo.
Non vuole entrare in quella sala. Chiaramente è a disagio.
Ed è spaventata, così come il bambino.
Eppure, era così entusiasta quando andava al college e frequentava quel corso … prima.
Ha detto che sì, lo era, ma … prima.
Prima di cosa?
Prima …
«Vieni, ti porto a casa» decido, interrompendo il corso dei miei pensieri e concludendo che nulla vale il turbamento di mia moglie e di mio figlio.
La stringo a me e inizio a dirigermi verso il parcheggio.
Quasi vicino all’auto, Bella si ferma improvvisamente ed io con lei. Si volta verso di me e mi punta uno sguardo timoroso dritto negli occhi:«Ti ho … deluso?» chiede con la voce talmente bassa e roca da essere appena percettibile.
Spalanco gli occhi e mi porto completamente di fronte a lei in un battito di ciglia:«Ma cosa stai dicendo?» le chiedo sconvolto.
«Io … » deglutisce e corruga la fronte. Si schiarisce la voce e prosegue «volevi che andassimo alla presentazione … e adesso il mio comportamento ti dispiace» emette un breve sospiro «non negare. Tanto ti si legge negli occhi» termina con la voce incrinata.
«Bella, ascoltami bene» sento la mia voce dura e le porto entrambe le mani ai lati del viso, incatenando il mio sguardo al suo «io ti amo» mi fermo un attimo osservando intensamente la profondità di quei due diamanti nocciola «Trascorreremo la vita insieme … l’eternità se lo vorrai. E questo non cambierà mai, qualunque cosa fosse mai accaduta lì dentro. Se nel mio sguardo scorgi un velo di inquietudine è solo perché sono preoccupato per quello che accade qui, non lì» e con delicatezza le poggio una mano sul suo petto, all’altezza del cuore, mentre con il capo indico l’edificio principale del college.
I suoi occhi diventano lucidi e prende un respiro profondo.
«Sapere che sei turbata, che siete turbati … questo è ciò che mi dispiace. Ogni volta che ho creduto di agire per il tuo bene, senza tenere in debito conto le tue necessità, ho sbagliato, Bella» mi fermo solo per riprendere fiato «Troppo volte non ti ho ascoltata, ma adesso … da adesso faremo come desideri e non devi giustificarti o preoccuparti per quello che penso io. Prima che te ne renda conto sarai a casa, nel tuo letto» appoggio la mia fronte alla sua «Non voglio altri rimpianti nella mia esistenza. E non voglio che tu soffra ancora».
Senza attendere risposta da parte sua, faccio scattare a distanza le serrature delle portiere ed apro quella dal suo lato.
Attendo che si avvicini per salire.
Ma lei, resta ferma.
E mi guarda.
«E rimorsi?» mi chiede in un sussurro.
La fisso di rimando, confuso.
«Hai detto che non vuoi altri rimpianti nella tua vita, ma rimorsi … ne hai?» incalza lei ed il suo tono è leggermente diverso, basso, ma fermo.
Resto a pensarci un attimo, la fronte corrugata: «Solo uno» mormoro.
Trattiene il fiato, mentre mi guarda, in attesa. Raddrizza le spalle, alza il mento:«Avermi conosciuta?»
Le labbra mi si incrinano in un sorriso appena accennato. Scuoto il capo:«Averti lasciata».
Non appena pronuncio queste parole, il viso di Bella di distende e sulle sue labbra si dispiega un ampio sorriso:«Anche io penso che non voglio rimpianti nella mia vita» dice «credo che sia meglio agire e sbagliare, piuttosto che fuggire via. Io penso che … preferisco i rimorsi».
«E ne hai qualcuno?» chiedo a voce bassa.
«Solo uno» mormora lei dopo una lieve esitazione.
Lancia uno sguardo verso gli edifici del college. Gli occhi le brillano.
«Avermi conosciuto?» aggiungo, roco.
Sorride:«Aver rinunciato, quasi sempre».
Una nuova determinazione le anima il volto e sussurra lievemente:«Ok» si volta verso di me e, poi, aggiunge «le piacerebbe accompagnarmi ad una presentazione, Mr. Cullen?»
Cento anni.
E nessuno era mai riuscito a sorprendermi.
Fino ad ora.



BELLA -Trading Yesterday - Shattered (MTT Version)

La sala congressi è enorme.
Appena entriamo sento il tepore dell’ambiente riscaldato sul viso e un soffuso chiacchiericcio giunge alle mie orecchie.
Ovunque, persone.
Tante persone.
Sedute nelle poltroncine di velluto rosso scuro, in piedi in ogni angolo libero della sala.
Sono studenti, ma anche gruppi più maturi che discutono sommessamente fra loro.
E sono tutti vestiti elegantemente.
Come se fosse davvero una cerimonia importante.
Deglutisco rumorosamente e liscio una ciocca di capelli, sistemandola dietro l’orecchio.
Ecco … proprio il genere di situazioni che fanno al caso mio, penso con una punta di allarmismo.
«Non essere nervosa» sussurra Edward al mio fianco.
Gli lancio una breve occhiata e lui mi osserva, tranquillo.
«Non lo sono» ribatto flebilmente.
«Invece sì» rettifica aprendosi in un sorriso smagliante «Ma è più che naturale» e mi offre il braccio, galantemente, per procedere lungo i corridoi laterali e portarci in avanti.
Le prime file sono semivuote, non saranno più di una ventina di posti.
Davanti a loro, un palco.
Subito dietro di esse noto alcune persone sedute, con dei blocchetti tra le mani, come se stessero preparandosi per prendere appunti e ai loro lati, in piedi, dei giovani che armeggiano con vari tipi di macchinari, treppiedi, telecamere.
Oh, merda … ma quelli sono … fotografi!
Mi lascio condurre da Edward verso due poltroncine libere e praticamente sprofondo in una di esse.
Lo sento al mio fianco, ridere sommessamente e mi volto verso di lui, perplessa:«Cosa c’è di divertente?»
Lui scuote il capo e inclinandosi verso di me, sussurra piano:«Te lo spiego dopo. Occhio, c’è qualcuno per te».
E, infatti, meno di due secondi dopo una voce familiare prorompe in un’esclamazione estasiata:«Bella!»
Assieme alla mia testa se ne voltano almeno altre dieci e sento le guance già ardermi.
Helèna trotterella verso di noi, trascinando per una mano una donna incredibilmente somigliante a lei. Inchioda i suoi tacchi a spillo con tale forza sul pavimento, chiaramente non il suo abituale look, da farmi temere che da un momento all’altro uno dei perfidi stiletti possa spezzarsi e farla cascare rovinosamente a terra.
Cerco di alzarmi maldestramente dalla poltroncina, ma Edward mi posa una mano sulla spalla, invitandomi con delicatezza a non compiere sforzi. Nello stesso istante, invece, si alza lui, prendendo la mia mano tra le sue e sorride cortesemente in direzione delle due ragazze che stanno sopraggiungendo.
Noto con chiarezza Helèna lanciare uno sguardo affilato ad Edward, scendere verso le nostre mani intrecciate e risalire al mio viso, scrutandomi negli occhi.
Appena mi è vicina, si ferma.
E’ lievemente ansante.
«Bella, che gioia rivederti! Ce l’hai fatta a venire!» esclama raggiante, e si abbassa per darmi un formale bacio sulla guancia, ma dopo un attimo, trasportata dall’entusiasmo lascia via ogni esitazione e mi abbraccia calorosamente.
Abbandono la mano di Edward per ricambiare la stretta della mia amica.
Gli occhi cominciano a pizzicarmi e mi rendo conto, d’un tratto, che Helèna mi è mancata terribilmente.
Mi mordo il labbro inferiore che ha preso a tremare e batto le palpebre un paio di volte. Quando lei si stacca da me, scorgo nei suoi occhi la stessa, identica commozione che deve esserci nei miei.
Si riscuote quando mio marito fa scivolare la mano sulla mia spalla sfiorandomi la nuca in una leggera carezza e contemporaneamente la saluta.
«Ciao Helèna» dice, cortese.
«Edward» fa un cenno lei, aggrottando leggermente le sopracciglia, prima di voltarsi verso la donna al suo fianco e dire con orgoglio:«Lei è Abby, mia sorella. Abby, la mia amica e suo marito».
La ragazza allunga la mano prima verso Edward, e poi verso di me, con un ampio sorriso sulle labbra, indugiando in una stretta ferma e sicura:«Bella, è un vero piacere fare finalmente la tua conoscenza».
«Grazie, anche per me» ricambio con un sorriso sincero.
La fantomatica sorella di Helèna …
Sento la mano di Edward sulla mia spalla farsi impercettibilmente più forte e la sua voce, udibile solo a me, che sussurra, perplesso:«Gran Canyon?» ed io  mi volto un secondo a guardarlo.
I suoi occhi sono divertiti e guarda in successione Helèna, sua sorella per poi fermarsi sul mio viso e strizzarmi l’occhio, complice.
«Che pancione!» esclama la mia amica allungando dolcemente una mano verso il mio ventre «Stai benissimo, Bella. Non ti ho mai visto così distesa»
Cominciamo a discorrere, Edward sempre fermo in piedi al mio fianco, la sua mano che mi massaggia dolcemente la spalla. Dopo l’iniziale tentennamento, anche Helèna sembra essersi rilassata e non lancia più occhiate incerte ad Edward.
Prendo nota mentalmente di chiedergli spiegazioni a riguardo in un momento di maggiore calma, fino a quando il brusio in sala non inizia a diminuire, fino ad esaurirsi completamente.
Anche noi ci zittiamo.
Molte teste si voltano verso l’entrata in fondo e mi giro giusto in tempo per assistere all’entrata dei Cullen al completo. Inutile dire che una metà degli occhi dei presenti è su tutti loro, che incedono con grazia ultraterrena a coppie: Carlisle ed Esme, dietro di loro Alice e Jasper, e in ultimo Rosalie ed Emmett.
L’altra metà dei presenti, ha la bocca spalancata e fissa adorante Rosalie Hale come se fosse scesa direttamente dal paradiso.
Sorrido tra me, pensando che quella è la mia famiglia.
Helèna si raddrizza d’un tratto e si defila velocemente da noi, mormorando una scusa.
Il cuore mi si stringe al ricordo dell’ultimo ed unico incontro tra lei ed un membro di questa stessa famiglia: Alice. Ovviamente in questo momento Helèna si sentirà enormemente a disagio e con un vago senso di colpa mi rendo conto che in parte la responsabilità di questa situazione è anche la mia.
Sospiro.
Edward, sogghignando, riprende il suo posto al mio fianco. Lo fisso e con una leggera esasperazione gli dico a voce bassissima:«Posso sapere cosa hai da ridere?!»
Stringe le labbra sforzandosi di non cedere allo scoppio di ilarità, ed è rilassato, mentre afferra la mia mano, depone un bacio fugace sul dorso e mi dice:«Tu avrai anche tempo … ma io ho molto da fare … la tua amica, Bella, è molto coraggiosa» fa una piccola pausa, inclina il capo di lato ed aggiunge «Appena mi ha visto al tuo fianco ha pensato ad un tipo di tortura che nemmeno io conoscevo. Ti vuole molto bene», conclude.
“Tu avrai anche tempo … ma io ho molto da fare…”
Scavo nella memoria e ricordo che queste sono state le esatte parole che la mia amica ha pronunciato quando Alice è venuta a cercarmi al dormitorio e lei le ha impedito di vedermi.
Mi volto di scatto sgranando gli occhi  e lui mi fissa, divertito.
«Come fai a sapere queste cose? Le hai lette nella mente di Alice?» gli chiedo incuriosita.
Lui scuote il capo lentamente.
«Alla fine, un modo per leggere una parte dei tuoi pensieri l’ho trovato» e fissandomi con gli occhi ardenti, posa una mano sulla mia pancia, accarezzandola e sorridendo.
«Come?» sussurro sconcertata.
«Il nostro piccino a quanto pare è … molto in sintonia con te. E ha dei ricordi molto … vividi. I tuoi» conclude e la sua voce mi pare essersi incrinata per un momento.
Lo osservo ancora inebetita, incerta sulla reale implicazione delle sue parole.
Ma, d’altro canto, che il nostro bambino fosse speciale, l’avevo già capito …
Sto ancora pensando alle rivelazioni di Edward che qualcosa di ancora più sconvolgente accade proprio a pochi metri da me: Alice ed Helèna, perfettamente a loro agio, si abbracciano come due vecchie amiche.
Oddio … ma mi sono persa qualche anno di vita?
La mia bocca è ancora spalancata per la sorpresa, quando Edward si affretta a spiegare:«Non stupirti, Bella. Helèna ed Alice hanno scoperto di avere molte cose in comune … prima fra tutte, l’affetto nei tuoi confronti» aggrotta leggermente le sopracciglia «e qualcosa riguardo moda e … bambole?!» e si volta verso di me con un’espressione interrogativa quasi comica.
Ovviamente.
Solo una persona sopra le righe come Helèna avrebbe potuto avere interessi comuni ad una eccentrica come Alice. E poi …
Una lampadina si accende nella mia mente. Ma è naturale! Il progetto di Helèna! Alice deve averla aiutata con i suoi consigli in fatto di moda.
D’un tratto, sento un nodo stringermi la gola.
Io ho lasciato il mio progetto ad uno stadio avanzato, sì, ma non definito completamente. Ognuno dei componenti del gruppo ha avuto modo, tempo e  mezzi per curarne ogni dettaglio, mentre io … io ho rinunciato.
Oggi saranno presentati i loro prototipi e all’improvviso mi chiedo cosa realmente ci faccia io qui, in questa cerimonia.
Assistere al loro successo?
Anche, penso con serenità.
Come non essere felice per Helèna o per Francisco?
Hanno impegnato tutte le loro energie in questi lavori, lo so bene, e meritano il giusto riconoscimento.
Forse Joshua ha portato avanti le nostre idee. Magari non saranno più come avevamo stabilito insieme, ma è giusto che sia così. In fondo, ormai, si tratterebbe di un suo lavoro ed il pensiero che il suo impegno e la sua fatica non siano andati completamente sprecati nonostante il mio abbandono, mi fa sentire un po’ meglio.
Sempre che sia stato possibile realizzare nella pratica quelle che avevamo solo abbozzato come teorie.
Le persone cominciano ad accomodarsi.
La mia famiglia prende posto lateralmente, poco distante da noi, in una fila quasi vuota, dove possono restare tutti vicini. Noto ancora alcuni posti liberi al fianco di Jasper e mi volto verso Edward:«Possiamo sederci vicino agli altri se vuoi …» gli dico timidamente.
«E’ meglio che restiamo qui» mi risponde e al mio sguardo perplesso, aggiunge «il piccolo è sveglio» spiega con un’occhiata carica di affetto diretta alla mia pancia «e Alice sarebbe costretta ad allontanarsi se ci avviciniamo».
Annuisco, pensierosa.
Chissà se sarà ancora così anche dopo la sua nascita…
Da dove sono seduta ho una visuale completa di tutta la sala.
Mentre lancio un’occhiata fra i presenti, incrocio lo sguardo di Emmett che mi sorride e con due dita mi fa il segno della vittoria, ammiccando.
Gli rispondo con un cenno del capo e arrossisco come se fossi stata colta in flagranza di reato.
Decisamente Emmett guarda la vita attraverso un paio di occhiali tutto colorato. Per lui ogni cosa è un gioco. Ma il gioco in cui prova più gusto è mettermi in imbarazzo.
Improvvisamente mi ricordo del discorso in macchina fatto con Edward in merito ai boy-scout e non resisto alla tentazione di tirare io, per una volta, una frecciatina ben piazzata al mio fratellone orso.
Con il più angelico dei sorrisi, quindi, lo fisso.
Alzo la mano destra all’altezza delle spalle, l’indice, il medio e l’anulare tesi ed uniti verso l’alto, il mignolo ripiegato sotto il pollice, il palmo in avanti.
Tre giovani, una ragazza e due ragazzi seduti poco distanti da me, ma in linea d’aria con il filo immaginario che unisce i miei occhi con quelli di Emmett, seguono la direzione del mio sguardo e sorridendo, rivolti a lui, i tre imitano il mio stesso gesto.
L’universale saluto con cui si riconoscono gli scout di tutto il mondo.
Vedere congelarsi il sorriso di Emmett, sentire con chiarezza lo scampanellio delle risate di Alice e di Rose, nonché di Esme in maniera più soffocata, e persino di Carlisle e di Jasper, sempre così seri e compiti, non ha prezzo.
Quando mi raddrizzo sulla poltrona, sono la soddisfazione fatta persona.
Ma la sensazione di trionfo è di breve durata, quando mi rendo conto che la cerimonia sta per avere inizio.
Sul palco, sono disposti in ordine cinque colonnine, coperte da altrettanti drappi neri fino a metà della loro lunghezza.
Cinque, non sei. Penso frastornata, un po’ dispiaciuta, ma forse anche … sollevata?
Le voci in sala aumentano in intensità per un breve attimo per poi scemare fino a spegnersi completamente. Le poltrone al nostro fianco sono ancora semivuote.
Noto che i componenti del nostro gruppo di lavoro non ci sono tra i presenti in sala.
Nemmeno più Helèna.
Abby, sua sorella, è seduta sola, qualche poltrona leggermente più distante da noi.
Improvvisamente fa il suo ingresso il professor Jensen.
Raddrizzo il capo come se avessi ricevuto uno schiaffo e dopo un breve secondo Edward si irrigidisce. Me ne rendo subito conto dall’impercettibile aumento della sua stretta sulla mia mano.
Forse trattiene anche il fiato. Io lo sto facendo, penso, frastornata.
Non appena il professore comincia a parlare, Edward sembra rilassarsi. Di riflesso, mi rilasso anche io.
«Signori buongiorno» esordisce e la sua voce è proprio come la ricordavo: profonda, calda, diretta. Sussulto, avvertendo un movimento nel mio ventre e in un battito di ciglia vedo già il palmo aperto della mano di Edward, scivolare con delicatezza sul tessuto del mio abito e carezzarmi la pancia in movimenti circolari. Quando mi volto a guardarlo, noto che è perfettamente a suo agio, rilassato, e fissa il palco, ascoltando le parole di Jensen con attenzione, come se niente lo potesse distogliere da questa occupazione e come se, accarezzarci, fosse la cosa più naturale del mondo.
«Vorrei innanzitutto ringraziarvi per essere intervenuti a questo evento a cui tengo particolarmente» e i suoi occhi si puntano con insistenza e con una scintilla di sfida nella prima fila, quella dove sono seduti tutti i pezzi grossi di Dartmouth, a cominciare dal Rettore per finire ai rappresentanti del consiglio di amministrazione «disperavamo di riuscire in questa impresa e non vi negherò che ci sono state molte difficoltà da affrontare per poter essere qui oggi» abbassa gli occhi su un foglio e noto chiaramente un sorrisetto sardonico distendergli le labbra.
Mentre il professore continua nel suo discorso, mi soffermo a guardarlo. Mentre tutti i membri importanti del College sono in abiti eleganti, sorprendentemente lui è in jeans. Scuri, ma pur sempre jeans. Unico segno d’eleganza è la giacca nera su una camicia immacolata. E non indossa la cravatta.
Rifletto tra me e me pensando a quanto deve essere refrattario alle formalità quest’uomo.
E quanto deve essere ostinato, anche.
In alcune delle nostre iniziali riunioni aveva accennato al fatto che volessero chiudere il Tuck’s Center for Digital Strategies, ossia il centro di rilevanza internazionale di cui è responsabile. E, in seguito, aveva anche parlato di un tentativo di boicottaggio nello stanziamento dei fondi per il Centro e del coinvolgimento di industriali di dubbia moralità …
Il mio sguardo si sposta da lui fino a passare lentamente in rassegna le schiene dei “grandi” di Dartmouth, nella primissima fila, tutti composti, attenti, con il capo leggermente alzato verso il palco e mi chiedo chi tra loro sia l’individuo compiacente contro cui, se pur per breve tempo, ho lottato inconsapevolmente anche io.  
Presto, la voce del professore diventa solo un sussurro, mentre con la mente ritorno al nostro ultimo incontro nel suo studio … a quel bacio rubato ...
Il solo ricordo basta per mandarmi le guance in fiamme e farmi sentire profondamente a disagio.
Certo che è un uomo ostinato … e a ben guardare, senza nemmeno troppi scrupoli.
Istintivamente lancio un’occhiata ad Edward e noto che è sempre nella stessa identica posizione. Lo sguardo fisso davanti a sé, concentrato … troppo concentrato.
Le labbra sono strette tra loro e posso quasi vedere la sua mascella serrata.
Arrossisco ancora di più.
Se è vero che riesce a leggere i miei ricordi attraverso il filtro della mente del nostro bambino, allora non potrà non leggere quel ricordo in particolare. Ma leggerà anche il senso di disagio e di fastidio che ho provato.
Con più sicurezza mi giro a guardarlo. E quando con un sospiro, infine, cede e si volta verso di me, ritirando la sua mano dal mio ventre, non ho paura di sostenere il suo sguardo.
Restiamo a fissarci per dei lunghissimi, interminabili istanti.
I suoi occhi, scuri, profondi, seri sembrano volermi scandagliare l’animo.
E, poi, sorride.
«… ma credo che non sia il caso di indugiare oltre e quindi passerei direttamente al motivo per cui siamo tutti qui riuniti oggi» la voce di Jensen cattura l’attenzione dei giornalisti alle nostre spalle che si raddrizzano nelle loro poltrone e dei fotografi che direzionano gli obiettivi delle loro macchine verso il centro del palco.
Edward continua a tenere lo sguardo su di me e quando faccio spallucce il suo sorriso si accentua ed inclina il capo verso il mio, deponendo un leggerissimo bacio sulle mie labbra.
Si raddrizza nuovamente volgendo lo sguardo al palco e riprende ad accarezzarmi la pancia, in un massaggio rilassante e tranquillizzante.
Edward sembra davvero vivamente interessato alla presentazione.
«E’ nota a tutti l’importanza del Tuck’s Center for Digital Strategies, un organo totalmente imparziale ed obiettivo per ciò che riguarda l’impatto della tecnologia digitale sull’attuale mercato internazionale» e non credo che la scelta dei due aggettivi per descrivere il Centro sia stata casuale.
Edward mormora qualcosa a volume bassissimo ed io ruoto il capo nella sua direzione.
Il suo sguardo saetta per un breve istante in prima fila, mi sembra che si fissi su un anonimo signore in un completo grigio dall’aria molto distinta e apparentemente innocua.
«Purtroppo è noto come l’attuale crisi del mercato internazionale, ma soprattutto dell’America del Nord, abbia  costretto colossi del settore dei giocattoli a chiudere i battenti. Quest’anno, miei cari signori, sarà l’anno dell’innovazione e della creatività » fa una breve pausa e prosegue «Il nostro Centro si è proposto di individuare quei giochi che utilizzino la tecnologia più avanzata per stimolare la fantasia dei bambini che esplorano sempre di più il mondo digitale, ma che non traducano la creatività e l’innovazione in un aumento significativo dei costi di produzione».
Il silenzio in sala è totale.
«Dall’analisi del mercato attuale, è stato evidenziato, infatti, che la maggior parte dei giocattoli che utilizzano la tecnologia digitale ha un costo improponibile per la famiglia americana media. L’Mba della Business School Tuck di Dartmouth, con il prezioso aiuto del Dipartimento di Ingegneria, è lieta, quindi, di presentarvi Top Tech Toys 2002 …» fa un passo indietro e si volta in direzione di un lato del palco, da cui, in fila, cominciano ad avanzare i cinque: Francisco, Mia, Charles, Victor, Helèna.
Rivederli, tutti insieme, mi fa uno strano effetto.
Ma non posso negare che non trovarmi lì sopra, al loro fianco, in realtà non è che mi dispiaccia , poi, tantissimo …
I cinque avanzano fino al centro del palco e, intanto, Jensen li presenta alla platea uno ad uno, spiegando la formazione del gruppo ed il loro ruolo all’interno del progetto.
Quando arriva a Vik, impettito in un abito dall’aria costosissima e con un’espressione spavalda e trionfante, provo una repentina sensazione di fastidio. Potrà appartenere anche alla famiglia più facoltosa della Virginia, ma resta ugualmente l’essere più viscido che ho avuto il dispiacere di conoscere.
Forse non proprio il più viscido … diciamo che è un testa a testa con Mia.
Scivolo rapidamente anche sulla figura di quest’ultima, la quale mi regala la stessa, identica sensazione di disagio dell’amico.
Jensen presenta infine Francisco ed Helèna.
Il primo non riesce a star fermo un attimo: si sbottona la giacca, poi la riabbottona; si stringe il nodo della cravatta, poi lo allenta un pochino. Helèna, invece, ondeggia da ferma sui suoi tacchi come se lo spostamento d’aria provocato dal parlare di Jensen rischiasse di farle perdere l’equilibrio da un momento all’altro.
Dire che sono emozionati è davvero un eufemismo e mi ritrovo ad emozionami insieme a loro.
«… lascio, dunque, a questi signori l’onore di presentarvi i loro prototipi. Grazie» e fa qualche rapido passo sul lato destro del palco, lasciando la parola ai miei colleghi, che, uno alla volta, si dispongono alle spalle di una delle cinque colonnine.
La prima a parlare è proprio Helèna.
Si schiarisce la gola, prende un bel respiro e tira via il drappo dal suo piedistallo.
Sorrido immediatamente. So già di cosa si tratta e mi appresto ad ascoltare la spiegazione della mia amica.
«Questo lavoro prende spunto da una mia segreta passione: la moda» Prende tra le mani due bamboline di legno.
«Questo è il Deluxe Magnetic Dress-Up e loro» alzale bamboline verso l’alto e le mostra alla platea «sono Abby ed Emma» dice e contemporaneamente a lei mi ritrovo a lanciare uno sguardo a sua sorella Abby, poco distante da dove sono seduta io.
Abby non è stupita. No, di più. A bocca spalancata, è totalmente incredula.
La mia amica continua:«Il gioco non è altro che una nuova versione delle bamboline di carta e dei loro vestiti. Un set di elementi d’abbigliamento da combinare tra loro,  per inventare nuove camicie e pantaloni, o un abbigliamento sportivo del tutto innovativo, con parti di vestiti e accessori da accostare sulle bamboline di legno. I pezzi si incastrano tra loro per forza magnetica. Non sono necessarie batterie, né corrente. E’ un gioco pensato per bambini dai 3 ai 6 anni, e la versione più piccola costa sette dollari».
Helèna prende fiato tutto in una volta, avendo parlato a raffica e si volta un attimo verso il professore che le fa un cenno del capo in assenso. Si riporta con lo sguardo alla platea ed aggiunge:«Permettetemi di ringraziare la mia famiglia, a cui è dedicato l’intero progetto e … una cara amica, Alice Cullen, per i preziosi consigli sugli abbinamenti. Grazie».
L’uditorio al completo erompe in un applauso e i fotografi scattano varie istantanee del gioco e della sua ideatrice che sorride imbarazzata.
Man mano vengono presentati tutti i progetti.
Il prototipo di Francisco si chiama Mega Bloks Magnext Deluxe. E’ un sistema di costruzioni di pezzi magnetici e componenti di materiale plastico. I magneti e i componenti si collegano tra loro con delle palline. Si possono realizzare oggetti, riproduzioni di animali, di case, ma anche oggetti del tutto immaginari.
Seguono quello di Mia, il Barbie iDesign Ultimate Stylist, un modo per cambiare look a questa famosa bambola, dal guardaroba alla vita sociale, tramite un programma su CD-Room chiamato iDesign; quello di Charlie, l’Hasbro Playskool Honeybee Hop, ossia un gioco interattivo che crea il movimento di una semplice asta, intorno alla quale i bambini di tutte le età possono ballare, saltare, fare ginnastica, giocare in competizione tra loro, per esempio in una serie di saltelli a tempo di musica; e quello di Vik, l’Air Hogs Zero Gravity Micro Car, una macchina telecomandata che sfida la forza di gravità potendo camminare dappertutto, sensibile agli oggetti fragili davanti ai quali miracolosamente indietreggia e cambia strada. Una versione più evoluta delle infernali macchinette radiocomandate.
Ognuno di questi giochi non supera il costo di venti dollari.
In parole povere, una rivoluzione nel campo del gioco tecnologico.
Quando i giornalisti sono ormai in piedi, i fotografi accecano i miei colleghi con una serie impressionante di flash, Jensen si fa avanti con un sorriso trionfante sulle labbra.
«Signori, vi prego» dice e fa un gesto con la mano per tranquillizzare l’agitazione generale. Da ogni parte piovono domande, maggiori delucidazioni, richieste di previsioni dell’impatto dei Top Tech Toys sull’economia internazionale.
«Signori, calmatevi» ma il tono della sua voce tradisce l’intima soddisfazione derivante dall’entusiastica reazione dell’intero uditorio.
Gli unici a non muovere nemmeno un dito sono alcuni componenti delle prime file.
Paralizzati, è il termine che li descrive meglio.
«C’è ancora un altro prototipo da presentare» sobbalzo alle sue parole «ma lo farò personalmente».
Edward smette all’istante di respirare.
Dal lato destro, un ragazzo porge al professore una scatola quadrata di cartone.
«Sono pienamente soddisfatto del lavoro svolto da questi studenti. Il loro impegno e la loro dedizione sono stati encomiabili. Ragazzi» dice rivolto ai cinque «potete accomodarvi»e indica le poltrone in seconda e terza fila. Le uniche file semivuote.
«L’ideatrice di questo progetto ha avuto dei problemi di salute che l’hanno costretta ad un periodo di riposo. Ciò nonostante, il suo lavoro è stato portato a termine per volontà di un promettente ingegnere, Joshua Kyne, e … mia»
La mascella di Edward scatta, e un ringhio basso gli nasce dal petto.
Il mio respiro diventa un alito.
Oh, merda.
«L’originalità di questo prototipo deriva dalla genialità della sua ideatrice. »
Oh, merdissima.
Un gemito mi esce dalle labbra, mentre cerco di nascondere il tremito delle mie mani, lisciandomi lentamente un sopracciglio.
Ho annunciato all’inizio di quest’incontro che questo sarà l’anno dell’innovazione. Ebbene, qui» e con una mano batte sul coperchio dello scatolo «c’è il gioco che la rappresenta meglio e in maniera più emblematica».
Con lentezza, Jensen apre il coperchio e ne estrae un cubo.
Sembra un enorme dado, ma le pareti sono morbide, gli angoli smussati. Ed è colorato, ogni faccia ha un colore diverso, con impresso uno strumento diverso.
Le mie idee sono lì.
Il mio lavoro è lì.
Tutto in quel cubo, un cubo magico.
«Il nome di questo gioco è Munchkin Magic Cube. E’ destinato a bambini piccolissimi, dai sei mesi ai due anni. E’ fatto di un materiale solido, ma morbido e al tocco di una delle facce dove sono riprodotti i vari strumenti musicali, è possibile ascoltare delle melodie classiche» con una mano Jensen afferra il microfono e lo porta vicino al cubo, poi con un dito preme sull’immagine di un pianoforte e si attiva una melodia.
O, per meglio dire, si attiva la melodia.
La musica di Edward, stilizzata in semplici passaggi, risuona negli altoparlanti dell’intera sala congressi. Le note sono semplificate, ma la melodia è chiaramente la sua.
Il silenzio dell’intera sala, non fa che amplificare ancora di più l’effetto d’insieme.
«Le musiche sono state scelte dall’autrice del prototipo e riadattate per le nostre esigenze, ma sono composizioni inedite» continua il professore.
Con gli occhi sulle mie mani, penso che adesso Edward scoppia.
Scoppia e polverizza Eric Jensen.
Con l’angolo dell’occhio cerco di catturare un movimento delle sue dita poggiate sul bracciolo della poltrona.
Immobili.
«Abbiamo parlato di innovazione. Questo gioco la incarna pienamente, poiché propone il ritorno degli stessi bambini a giochi più semplici, nei quali la tecnologia non sia invasiva, bensì stimolante e costruttiva».
Un applauso scrosciante sovrasta l’ultima parola del professore, che lancia uno sguardo alla sala, determinato.
No, no. Minaccioso.
E dopo un istante mi trova. Trova i miei occhi e sembra che mi sorrida, pur senza aver fatto nessun movimento con le labbra.
«Se me lo permettete» e lancia uno sguardo ad Edward al mio fianco, impassibile e imperturbabile «vorrei presentarvi la studentessa a cui i vostri applausi dovrebbero essere realmente rivolti. Isabella, vorresti avvicinarti, per piacere?»
Oddio no … questo no, davvero.
Il respiro mi si mozza in petto quando mi rendo conto che tutti, ma tutti davvero, hanno puntato gli occhi su di me.
E allora mi volto verso Edward, in cerca di aiuto.
Scontrarmi con l’oro liquido dei suoi occhi rende le mie gambe ancora più deboli di come pensavo. Sono due ramoscelli secchi e non ce la farò mai nemmeno ad alzarmi, figuriamoci a camminare.
Ma la sua mano è già tesa verso di me e con grazia, mi aiuta ad mettermi in piedi.
Un altro applauso accompagna la nostra salita verso il palco.
Il mio braccio è intrecciato strettamente al suo, le mie dita sono incuneate nel suo palmo.
Quando siamo a pochi passi dal professore, sul palco, vedo meglio il prototipo fra le sue mani.
E’ proprio come lo avevo immaginato, penso rapita.
Decido di alzare lo sguardo, certa di scontrarmi con quello azzurro e deciso del professore, ma mi accorgo che, invece, è in corso una muta conversazione tra lui ed Edward.
E, scioccamente mi ritrovo a pensare che forse, se ci metto una mano in mezzo, magari quelli me la arrostiscono pure …
Senza lasciarmi, Edward fa ancora un altro passo verso di lui.
E poi, sorridendo, mi bacia una mano, indugiando un attimo sul dorso.
Lì.
Su un palco, sotto gli occhi di centinaia di persone.
«Isabella, prego» dice Jensen, e mi allunga un microfono.
Un microfono.
Io, con un microfono in mano.
Battole palpebre un paio di volte, il cuore che galoppa furiosamente lo sento fin nelle orecchie, e poi lascio la mano di Edward e prendo l’oggetto da quella del professore.
Mi schiarisco la voce e le parole cominciano a fluire con naturalezza, da sole:«Buongiorno» inizio serena, rivolta alla platea «sono onorata delle parole che il professor Jensen ha voluto riservare a questo lavoro e grata al consiglio d’amministrazione che ha scelto di finanziare l’intero progetto, permettendo a tutti noi studenti dell’Mba di impegnarci in un’esperienza nuova e gratificante».
Noto con stupore che la mia voce è calma e che gli occhi di tutti sono attenti.
Lancio un’occhiata ad Edward, qualche passo di distanza da me.
Mi sorride, sicuro.
Continuo, rivolta all’uditorio.
«Non ho altro da aggiungere alla dettagliata e lusinghiera presentazione del professore, ma desidero ringraziare una persona speciale» prendo un respiro profondo e deglutisco «è l’autore delle melodie che mi hanno ispirato e che sono state inserite nel prototipo da persone competenti e professionali come Joshua» non guardo verso Edward ma sento i suoi occhi riscaldarmi il viso.
«Sto parlando di mio marito, Edward Cullen» sussurro e la voce mi si spezza per un attimo «questo lavoro, lo dedico a lui. Grazie a tutti» e faccio un passo indietro, solo per sentire le mani di Edward circondarmi all’altezza della vita.
Tra gli applausi e i flash scendiamo dal palco. Ad ogni passo sento talmente tanti occhi su di noi che temo di cadere non per goffaggine, ma per il peso dei loro sguardi …
Ci riaccomodiamo sulle nostre poltrone, la mano di Edward sempre intrecciata alla mia, e la cerimonia prosegue, volgendo alla fine.
Nessuno di noi due parla.
Non ho il coraggio di guardare nessun componente della mia famiglia, mentre noto con la coda dell’occhio Helèna farmi dei cenni per attirare la mia attenzione. Invano.
«Stai bene?» mormora improvvisamente Edward al mio orecchio ed io sussulto.
Annuisco, ancora con la testa bassa.
Ma poi mi faccio coraggio e la alzo verso di lui.
Il suo sguardo è tranquillo, composto … ma compiaciuto.
«Cosa stai pensando?» gli chiedo, dopo un breve momento.
«A te. A noi. A tutti questi mesi» il tono della sua voce è basso, ma intenso. Chi ci osserva da fuori, potrebbe solo notare un innocuo scambio di frasi tra due amici, ma i suoi occhi ardono in questo momento, e le sue parole vibrano tra le sue labbra.
Scuoto il capo lentamente, e la sua stretta sulla mia mano aumenta.
«Qualunque cosa fosse accaduta qui dentro non avrebbe mai cambiato quello che provo per te. Anche adesso, come prima ancora di entrare Bella, sono e sarò sempre orgoglioso di te» sussurra carezzevole e gli occhi mi pizzicano, mentre lo ascolto.
Le dita della sua mano scivolano sulla mia guancia, fino a tracciare il bordo inferiore del mio labbro, quello dove c’è ancora una piccola cicatrice:«No amore mio, non devi più essere triste. Mai più. E grazie ... di tutto» e rapido si porta la mano che mi sta stringendo da quando siamo scesi dal palco alle sue labbra.
Non appena la cerimonia finisce, veniamo letteralmente sommersi da giornalisti, fotografi, semplici studenti. Fanno a spintoni per raggiungere i miei colleghi, ma i più si accalcano su me ed Edward.
Domande, flash, piovono da ogni parte e mi sento spaesata mentre alle mie orecchie arrivano i quesiti più disparati:
«A quale azienda ha deciso di vendere i diritti del prototipo?»
«Suo marito è un compositore?»
«Quando pensa che sarà commercializzabile il prodotto?»
La testa prende a girarmi vorticosamente e mi aggrappo al braccio di Edward, poggiando la fronte sulla sua spalla.
«Signori, per favore. Come avete potuto notare mia moglie è in avanzato stato di gravidanza e non è il caso di sottoporla ad ulteriori stress» la voce di Edward è calma ma gelida «vi pregherei di lasciarci passare e di non tartassarla di altre domande. Il responsabile del progetto sarà certamente in grado di fornirvi tutte le delucidazioni che vorrete».
Fa scivolare un braccio attorno alla mia vita e, senza troppe cerimonie comincia a farsi largo tra la calca.
Forse si sentono così i personaggi famosi quando vengono perseguitati dai paparazzi … penso confusamente.
E mentre ci allontaniamo una voce maschile, alta e quasi esasperata sovrasta tutte le altre:«Almeno ci dica il suo nome completo! Isabella …?» e gli altri si zittiscono, evidentemente anche loro interessati alla risposta della stessa domanda.
Sento il braccio di Edward farsi rigido sul mio fianco e un ringhio affiorargli dal profondo del suo petto, mentre fa per girarsi con uno sguardo omicida negli occhi.
Ma con una mano lo trattengo dolcemente.
Mi giro e rivolta ad un punto imprecisato del nugolo di persone che ci sta seguendo, rispondo:«No. Isabella era prima. Ora sono semplicemente Bella. Bella Cullen».


NOTA DELL’AUTRICE: Questo capitolo non ne voleva sapere di trovare una fine. Odio i capitoli troppo lunghi, ma non sarei riuscita a condensare tutte queste informazioni nemmeno con altri trenta mesi davanti a me per farlo. Se siete arrivati fino a qui senza addormentarvi meritereste un premio … una golden onion, per esempio ù.ù
Saluto degli scout
Il Top Tech Toys è reale, ma è datato 2008. Lo spunto per tutta questa macchinazione mi è venuto leggendo questo articolo . 
Naturalmente ho adattato la cosa alle mie esigenze narrative e ho modificato un po’ l’ordine universitario rendendo l’Mba un corso e non un prestigioso master post-universitario quale in realtà è. Ogni riferimento di questa fanfiction a nomi o fatti legati alla vera Dartmouth è puramente casuale.
Abby &Emma Deluxe Magnetic Dress-Up , il prototipo di Helèna.
Munchkin Magic Cube, il prototipo di Bella.
I credits per le canzoni vanno a @LauraSupertramp per Vanessa Carlton -A Thousand Miles (fortuna che ti svegliasti con questa canzone in mente*.*) e a @ dazzled_Vale per Trading Yesterday - Shattered (continuo a sostenere che sei un’artista*.*)
Ringrazio tutti voi, perdonatemi se non rispondo alle recensioni, ma credetemi, vi porto nel cuore uno ad uno.
Il prossimo sarà l’epilogo.
Grazie
M.Luisa







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Capitolo 36
*** Epilogo ***



Consiglio: comiciate a caricare questa canzone. Vi servirà a momento debito.


EPILOGO

BELLA
La sua risata è dolce, pulita, chiara.
Sembrano cento angeli che ridono insieme.
Alza le manine in su, inarcandosi all’indietro, mentre Emmett la fa volteggiare in aria per poi caricarla sulle sue spalle con un gesto rapido, ma delicato.
Con i pugnetti stretti, afferra una ciocca dei suoi capelli e tira con forza.
Alla risata di mia figlia, si accompagna quella di Emmett, cui seguono quelle di Alice e di Jasper, i suoi angeli custodi.
Alice non la perde mai di vista. Mai.
Dal momento in cui Reneemse è venuta al mondo, tra loro due s’è instaurato un legame strano, unico.
Alice non ha più avvertito alcun tipo di dolore dall’istante esatto in cui mia figlia è uscita dal mio grembo e la piccola l’ha guardata per la prima volta dritto negli occhi.
La sua mente s’è come schiarita, come se tutta la nebbia che l’avvolgeva si fosse dipanata d’un tratto. E nel momento in cui l’ha presa tra le braccia e le sue manine piccole ed esitanti le hanno sfiorato il viso, Alice è rimasta folgorata.
Reneesme è l’esatta antitesi del suo dono.
Mentre Alice vede il futuro, lei racconta il passato.
E, poiché il passato di Alice era buio ed inconsistente nella sua mente, per lo più legato ad esperienze dolorose che, con naturale meccanismo di difesa, il suo cervello aveva rifiutato, anche il primissimo contatto tra loro due è stato dello stesso tipo.
Dolore.
In pochi secondi, Reneesme le ha raccontato mesi di sofferenze da umana di cui Alice non aveva più memoria evocando nella mente di quest’ultima dei ricordi che la sola Alice aveva sepolti nel recessi della sua mente.
Poi, più nulla.
Secondo Jasper, la bambina ha avvertito la necessità di condividere queste memorie dolorose, a lei sconosciute, con Alice ma, avendo percepito con chiarezza il disagio di quest’ultima ha come “scelto” di non arrecarle ulteriore sofferenza.
E adesso Alice gravita intorno a lei timorosa, eppur affamata, di ulteriori ricordi.
Le voci dal giardino dove quasi l’intera famiglia sta provvedendo a divertire mia figlia con ogni sorta di intrattenimento capitanata da Emmett, mi raggiungono nuovamente, attutite dal vetro della finestra della mia camera da letto.
«Piccola tigre, se tiri ancora un po’, zio Emmett diventerà calvo…». In risposta alle parole dello zio, Reneesme alza trionfante una ciocca di capelli venuta via nelle sue manine, mostrandola allo zio Jasper, il suo maestro di strategie.
«Brava, tesoro. Ben fatto. Colpire sempre nei punti deboli …»
Emmett ringhia a suo fratello e la piccola gli assesta un pugnetto sul naso.
Guai a chi le tocca zio Jasper.
Le labbra mi si distendono automaticamente in un sorriso triste, mentre, con la fronte appoggiata al vetro, non riesco a distogliere gli occhi dai riccioletti color rame di mia figlia che le sfiorano già quasi le spalle.
Una crescita straordinaria.
E inquietante.
Un mese di vita e mia figlia sembra averne dieci.
Distolgo lo sguardo e mi giro verso l’interno della camera, lanciando una lunga occhiata all’intera stanza.
Una camera che mi ha ospitato per pochi, intensissimi mesi. Mesi in cui la mia vita è radicalmente cambiata.
Gli occhi si fermano sulla porta, quindi alla sua destra, dove tre valige sono state sistemate con cura, in attesa di essere trasportate in auto.
Il mio beauty è ancora sul letto, aperto.
Tiro un sospiro e con una scrollata di spalle decido che è ora di chiudere anche questa ultima borsa.
Ci attende un lungo viaggio.


«Starà bene, vedrai. Rosalie si prenderà cura di lei»
«Lo so» rispondo, lo sguardo perso sul paesaggio che sfila via veloce al lato del mio viso, la fronte inclinata sul vetro del finestrino della Volvo.
«E Jasper la difenderebbe a costo della vita» continua Edward a voce bassissima.
«Lo so» la mia voce, ancora priva di espressione.
«Carlisle ci terrà informati su ogni minimo cambiamento» prosegue lui.
«So anche questo» nella mia voce una traccia di preoccupazione. Sospiro e chiudo gli occhi.
Sento le sue dita gelide avvolgere le mie, abbandonate, inermi, sul mio grembo. Le stringe dolcemente.
«Bella, se vuoi possiamo aspettare. Torniamo indietro anche subito, se lo desideri» La voce di Edward è tesa.
Sorrido leggermente, restando nascosta dietro alle mie palpebre chiuse.
«Non ci penso nemmeno. Abbiamo già perso troppo tempo» riapro gli occhi e mi volto nella sua direzione. E’ concentrato sulla guida.
E questo non è da lui.
«Non devi essere preoccupato» aggiungo con voce dolce.
Resta immobile per qualche secondo, poi le mani si rilassano sul volante:«Lo so» emette un breve sospiro.
«A che ora arriveremo?» gli chiedo, decidendo di cambiare discorso.
«Fra un’ora saremo all’aeroporto. Sei ore di viaggio in tutto. Faremo solo una breve sosta per scalo a Vancouver e poi saremo a destinazione. L’Alaska, in fondo, non è in capo al mondo» conclude mesto.
«Lo dici per rassicurare me o te stesso?» gli chiedo inarcando un sopracciglio.
«Entrambi» risponde dopo un attimo di incertezza, con la voce tranquilla, ma roca.
Passano un paio di minuti in cui restiamo entrambi in silenzio, persi nei rispettivi pensieri.
Edward continua a guidare con una mano sola, mentre con l’altra mi accarezza le dita, con dolcezza.
Richiudo gli occhi e reclino il capo sul poggiatesta.
Ho bisogno di un po’ di tempo per me stessa, per elaborare la tristezza e l’ansia che si sono impossessate di me nell’istante in cui ho posato un ultimo bacio sulla fronte di mia figlia e ho lasciato che Jasper l’accogliesse tra le sue braccia.
I suoi occhi, nocciola come i miei …
Come può una bimba così piccola aver capito cosa stava succedendo? Come può essere stato il suo sguardo così serio, così comprensivo?
Quando è venuto il turno di Edward di salutarla, gli si è aggrappata con le braccine al collo, stringendolo forte. Lui le ha sussurrato qualcosa con il capo inclinato al lato del suo orecchio e lei s’è scostata un pò, posandogli le manine ai lati del viso.
Edward s’è irrigidito per un momento, e poi ha sorriso.
Chissà cosa si sono detti … lei con le sue immagini, lui con le sue parole.
«Edward?» sussurro piano, interrompendo il silenzio nell’abitacolo.
«Mmm?»
«Pensi … » sospiro «pensi che le mancheremo troppo?» domando sforzandomi di mantenere ferma la voce.
Il ronzio soffuso del motore è l’unico suono tra noi per quasi un minuto intero.
«Certo che le mancheremo, Bella. Siamo i suoi genitori» risponde calmo «Ma sa che torneremo presto e che l’abbiamo lasciata a malincuore. Lei …» prende un breve respiro «si fida di noi. E … di me».
Volto il capo verso di lui e lo fisso attentamente:«Cosa ti ha “detto”?»
Le sue labbra si piegano in un accenno di sorriso:«Non so come sia possibile, ma è come se sapesse che sta per accadere qualcosa di importante, in cui io avrò un ruolo cruciale».
Stringe un po’ la presa sulle mie dita:«Ha evocato nella sua mente il primo giorno in cui ci siamo conosciuti, la nostra lezione di biologia» con un gesto rapido si porta la mia mano alle labbra.
Assorbo queste informazioni con avidità.
Edward può leggerle nella mente e lei comunica le sue emozioni evocando dei ricordi per ognuno di noi.
Per tutti.
Ma non per me.
Carlisle ha addotto diverse possibili spiegazioni per questa eccezione, ma quella che a me sembra essere la più valida è che si tratti dello stesso, oscuro meccanismo che preclude la mia mente ad Edward.
La mia cara, vecchia anomalia … Reneesme non ha mai mostrato fastidio o irritazione a riguardo. Gioca tranquilla con me più che con gli altri e, anche se spesso ha poggiato le mani sul mio viso, non ho mai avuto l’impressione che fosse per mostrarmi qualcosa.
«Quel giorno per te non è stato un bel giorno» rifletto ad alta voce «volevi …» mi blocco imbarazzata «non è stato un giorno facile» concludo in un sussurro.
«E’ vero. Ma è il giorno in cui la mia vita è cambiata per sempre. E’ il giorno in cui sono rinato» mormora sereno e si volta verso di me abbagliandomi con un sorriso luminoso «la strada per il paradiso è in salita. Percorrerla non è mai semplice».
Gli sorrido di rimando.
E mi domando quanto sarà difficile per me percorrere il mio personale sentiero per la felicità.
Sarà doloroso, lo so. Ma quanto?
Sospiro sommessamente. Non voglio mostrargli alcuna titubanza. Ho tutto il viaggio per cercare di tranquillizzare il mio animo e prepararmi al momento cui anelo da quando l’ho conosciuto.
E ormai, è questione di ore.


EDWARD
Il suo respiro è regolare, profondo.
Il suo seno si alza e si abbassa lentamente tendendo la stoffa della camicetta, sotto la spinta dei polmoni e il suo viso è sereno, disteso nel sonno che l’ha accolta dopo appena un’ora dal decollo.
La testa reclinata sulla mia spalla, lascio che il suo respiro mi solletichi la mascella e la porzione di pelle tra il collo e la maglia in una dolcissima carezza.
Ripenso in un lampo a tutte le volte che l’ho osservata dormire, momenti di cui ho avuto la fortuna di poter godere quasi ogni notte da quando Bella è entrata nella mia vita.
Mi mancheranno, penso con una punta di rammarico.
Faccio un segno con la mano per richiamare l’attenzione della hostess che si avvicina rapidamente ai nostri posti.
«Mi porterebbe un cuscino, per cortesia?» le chiedo lanciando un’occhiata a Bella, profondamente addormentata al mio fianco.
La ragazza annuisce e dopo un minuto ritorna e mi porge un cuscino piccolo e quadrato, defilandosi subito dopo con un accenno di sorriso sulle labbra.
Con delicatezza, posiziono il cuscino giusto di lato al suo capo e lentamente lo faccio scivolare sotto, al posto della mia spalla. Bella mugola nel sonno, ma non si sveglia.
Le accarezzo lievemente la guancia e le sistemo una ciocca di capelli allontanandogliela dal viso.
«Edward …» mormora nel sonno, strofinando la testa sul cuscino.
Sorrido.
Parla di nuovo mentre dorme, da quando è nata Reneesme.
«Resta, non andare …» continua il suo inconscio discorso.
Avvicino le labbra al suo orecchio e comincio ad intonare la sua ninna nanna.
Il cipiglio della sua fronte si distende immediatamente e un sorriso affiora soddisfatto sulle labbra.
«Reneesme …» sussurra serena il nome di nostra figlia, probabilmente rievocando un ricordo piacevole.
La sua ninna nanna è diventata anche la musica preferita di nostra figlia. Più volte al giorno, Reneesme mi chiede di cantargliela, posizionando le manine sul mio viso e sommergendomi dei ricordi in cui facevo lo stesso per la sua mamma.
Quando ho tentato di comporre un’altra melodia esclusivamente per lei, ha mostrato il suo disappunto con un musetto delizioso, mi ha tirato per la camicia verso di sé e ha riproposto nella sua e nella mia mente altri ricordi con la vecchia nenia. Pazientemente. Come se dovesse ripetere ad un bambino un po’ duro l’ennesima, ovvia spiegazione.
Bella si agita un po’ nel suo posto e il cuscino scivola leggermente verso il basso. Con un veloce movimento lo riposiziono sotto la sua testa e lo fermo dal mio lato con la mia spalla.
Con gli occhi fissi sul su viso, registro i cambiamenti visibili e non che la nostra nuova situazione ha portato nelle nostre vite.
E’ incredibile quanto Bella sia sempre la stessa eppure sia notevolmente cambiata.
Esteriormente è identica.
La sua pelle è sempre liscia e vellutata, il viso un po’ più smagrito e con ancora i segni della recente, ultima disavventura che ha concluso la sua eccezionale gravidanza.
Prima del parto avevamo fatto in modo di supportarla con un surplus di “nutrimento”che aveva reso Reneesme particolarmente forte. Subito dopo l’anestesia totale, la piccola ha avuto una reazione imprevista e, spaventata, ha cominciato a farsi strada da sola attraverso il corpo di Bella.
Rottura dell’utero ed emorragia interna.
Quando il suo cuore s’è fermato per shock circolatorio, le mie labbra erano già poggiate sul suo collo, i miei denti pronti per affondare nella sua giugulare.
Poi, con un sussulto, il suo cuore ha ripreso a battere.
Carlisle ha estratto Reneesme dal suo ventre martoriato e ha assistito Bella con rapidità e competenza, mentre io mi tormentavo tra il desiderio di morderla e la volontà di rispettare la promessa che le avevo fatto di non trasformarla se non in caso di assoluta necessità.
Lentamente, i suoi parametri vitali si sono stabilizzati. Ma, svanito l’effetto del’anestesia, lei non s’è svegliata.
Coma.
Bella è stata in coma per una settimana.
La settimana più lunga di tutta la mia eternità.
In condizioni così insolite, Carlisle mi aveva suggerito di attendere e di non cedere alla tentazione di morderla. Non potevamo prevedere la reazione del suo cervello, che con la trasformazione si sarebbe congelato in questo oscuro stato di limbo, perennemente in bilico tra la vita e la morte.
Sarebbe potuto essere un limbo eterno.
Ogni singolo secondo di quella infinita settimana, i miei occhi sono rimasti incollati al viso di mia moglie, i miei sensi tesi a cogliere anche la più impercettibile delle variazioni del suo corpo.
Sapevo che la piccola stava bene, che Bella era nelle più che ottime mani di Carlisle, ma non sarei riuscito a staccarmi da lei per nulla al mondo.
Poi, una sera, le dita della sua mano destra si sono mosse e dopo un minuto ha aperto gli occhi, ritornando da me.
E, come un richiamo tanto potente quanto silenzioso, in quello stesso momento Reneesme ha preso a dibattersi tra le braccia di Rosalie al piano terra, sbracciandosi per indicare la via per il piano superiore e, di lì, per la stanza mia e di sua madre.
Solo una volta che Rose l’ha condotta lì, lei si è calmata.
E dal momento in cui Bella l’ha tenuta tra le braccia, in assoluto quello è stato eletto a luogo prediletto dalla bambina.
Se anche interagiva con gli altri componenti della famiglia, Reneesme doveva essere sicura che la madre fosse nei paraggi.
Nella sua mente, la bambina ha mostrato sempre una sorta di … senso di protezione nei confronti di Bella, comprendendo pienamente la differenza esistente tra lei ed il resto della famiglia.
Scegliendo di non turbarla con i ricordi legati alla sua vita di umana, ma evocandoli ugualmente e inconsciamente nella sua mente.
E, dunque, a tratti ho “spiato” la vita di mia moglie a Phoenix, alcuni suoi ricordi di bambina, le lezioni di danza con sua madre, la torta con le mele della nonna Swan, i castelli di sabbia a La Push …
Fino a quando Reneesme semplicemente ha scelto di non pensarci più. Almeno di non farlo più in mia presenza.
Decisamente, una bimba molto perspicace … penso mentre un sorriso affiora sulle mie labbra.
La voce metallica del pilota ci annuncia che siamo prossimi all’atterraggio a Vancouver e con delicatezza allaccio la cintura di sicurezza intorno alla vita di Bella.
Si muove un po’, ma non si sveglia.
E’ come se il suo corpo avesse finalmente deciso di prendersi il suo riposo, come se la sua mente avesse scelto di abbandonare il controllo ferreo sul resto del suo organismo e Bella si stesse rilassando solo ed esclusivamente in questo momento.
E’ dal momento in cui s’è svegliata dal coma che attende a tutte le necessità di Reneesme con dedizione infaticabile, o meglio, a quasi tutte le sue necessità.
La piccola predilige la nostra alimentazione.
Ma non ha mai voluto nutrirsi in presenza di sua madre, bensì solo con me. Con me e nessun altro.
Questo, unito a tanti altri piccoli dettagli ha consolidato in me la certezza che Reneeme sia dotata di una eccezionale sensibilità e che abbia sviluppato un naturale istinto di protezione nei riguardi di sua madre. Infatti, in sua presenza, cerca di non mostrare mai le sue “differenze” da lei.
Non appena i motori dell’aereo si spengono, Bella si sveglia.
«Ehi, bentornata» sorrido al suo sguardo confuso, gli occhi ancora un po’ lucidi per il sonno, mentre lancia un’occhiata veloce dinnanzi a sé e poi fuori dal finestrino alla sua sinistra.
Si raddrizza con una smorfia sul viso ed il cuscino scivola in mezzo a noi.
«Oh. Siamo già arrivati?» chiede, e la sua voce è ancora un po’ arrochita.
«E’ solo la prima tappa, appena saremo sul volo per l’Alaska potrai riposare un po’ di più» le sussurro piano, consapevole della sua necessità di riprendere contatto con la realtà lentamente.
Acciglia la fronte osservando l’affaccendarsi rapido di tutti i passeggeri che raccolgono i propri bagagli a mano e che si affrettano verso l’uscita. Pasticcia con la fibbia della cintura di sicurezza, fino a strattonarla con gesto stizzito.
L’aiuto, slacciandole la cintura con calma :«Aspettiamo che scendano tutti» mormoro.
Annuisce e la sua fronte si distende.
Bella è tesa.
Benché cerchi di mostrarsi serena, il suo cuore non mente e nemmeno i suoi occhi.
Non che abbia tentennamenti, no. Ma è in uno stato d’ansia subliminare dal momento in cui, tre giorni prima, mentre le porgevo il piatto con la colazione, mi ha fissato dritto negli occhi e con fermezza ha pronunciato una frase che mi ha fatto balzare via il cuore dal petto:«Credo che sia il momento di partire per l’Alaska» ha detto in un soffio.
L’Alaska è stata un’idea sua e di Jasper.
Bella è terrorizzata dall’eventualità di poter fare del male a qualcuno, prima fra tutti a nostra figlia, per metà umana. Allontanarsi da ognuno, prima della sua trasformazione, le è parsa la scelta migliore, seppur la più sofferta.
Jasper, consapevole dell’instabilità dei neonati, s’è detto subito d’accordo, sebbene sia incerto della reale reazione di Bella, comunque predisposta ad una trasformazione volontaria.
Inoltre, preferendo avere qui tutti i componenti della famiglia a sorvegliare Reneesme, era necessario comunque essere in un posto abbastanza isolato, ma nello stesso tempo a “portata” di orecchio di qualcuno che avrebbe potuto aiutarci in caso di necessità.
I vampiri di Denali sono stati più che felici di saperci a poca distanza da loro, e hanno subito espresso la loro più completa disponibilità in caso di bisogno.
Ovviamente, confido nel fatto che non si renderà necessario.
Bella ed io risiederemo in un cottage molto isolato, difficile da raggiungere per qualsiasi essere umano.
In una delle nostre valige, ho provveduto a sistemare viveri e nutrimento per un paio di mesi, senza mettere al corrente Bella di questa mia iniziativa.
L’ultima cosa che voglio è affrettare questo passo così importante per lei.
Un passo che la porterà a superare un limite dal quale non potrà più retrocedere. E voglio che lei abbia tutto il tempo che ritiene necessario prima di procedere.
In una borsa speciale, ho sistemato della morfina.
Deglutisco al pensiero di quello che l’attende.
E darei un braccio se solo potessi prendere la sua imminente sofferenza su di me.
Ma sarò lì con lei e non la lascerò mai sola.
L’attesa per il volo successivo non è molto lunga, e non appena mettiamo piede fuori dall’aereo Bella comincia ad armeggiare con la sua borsa. Trova il cellulare e mi osserva di sottecchi, spiando la mia reazione. Sorrido sommessamente e la libero del suo bagaglio a mano, mentre lei si affretta a comporre il numero di casa dal suo cellulare.
Dopo due squilli risponde Carlisle. Nonostante il trambusto intorno a noi sento chiaramente la voce pacata di mio padre che aggiorna Bella sulle condizioni di Reneesme.
“Sì, ha mangiato... No, non si è addormentata nemmeno per un pisolino... In questo momento gioca alla bambole con Alice... No, non ha pianto quando vi siete allontanati... Le misurazioni di altezza e circonferenza cranica le faremo alle sette di sera, come al solito… Certo che vi terremo informati anche per ogni minimo dettaglio…” Le parole di Carlisle non sono beffarde e non c’è traccia di ilarità nella sua voce. Risponde con pazienza e gentilezza alle domande ansiose di Bella, il cui tono diviene via via più sereno.
Quando si salutano e lei ripone il suo cellulare in borsa, la sto fissando senza nemmeno rendermene conto.
Mi lancia uno sguardo di scuse ma, scuotendo il capo, mi avvicino a lei per accarezzarle una guancia:«Bella, non devi scusarti se sei in pena per Reneesme. E’ normale, e ti avrei chiesto io stesso di telefonare. Anzi, chiameremo non appena arriveremo al cottage, giusto per sicurezza» e le strizzo l’occhio, mentre le sue labbra si distendono in un sorriso riconoscente.
Il resto del viaggio prosegue molto più agevolmente.
L’aereo è più grande e Bella sprofonda nei sedili di prima classe con un sospiro di sollievo. Dopo mezz’ora dal decollo si addormenta di nuovo. La cosa non mi stupisce. Il corpo umano tende a risentire molto più degli stress emotivi che non di quelli fisici. E per Bella, lasciare nostra figlia, rappresenta un dolore immenso.
Al nostro arrivo, dopo aver ritirato i nostri bagagli, mezza intontita, si lascia trascinare da me verso un Cherokee, l’auto in cui Eleazar ci sta attendendo. Lo saluto rapidamente e lei gli lancia un sorriso tirato. La faccio accomodare sui sedili posteriori e mi sistemo al suo fianco:«Tesoro, ti senti bene?» non riesco a fare a meno di chiederle, cercando di mascherare la mia apprensione.
Annuisce :«Sì. E’ solo che mi sento un po’ stanca, non so spiegarmelo nemmeno io …» mormora confusa.
«E’ del tutto naturale Bella» interviene allora Eleazar girandosi verso di noi, un braccio dietro il poggiatesta del sedile del passeggero «il clima qui è molto più rigido e l’organismo tende al risparmio energetico. Per questo il tuo cervello è intorpidito. Ci farai presto l’abitudine. Hai fatto bene a coprirti così» e con un sorriso avvia il motore per immettersi rapidamente nel traffico. Bella lancia uno sguardo incerto al pesante giaccone che le ho fatto indossare e alla sciarpa con il cappello che le ho infilato mentre ancora era nel dormiveglia, un momento prima di scendere dall’aereo, ma poi poggia il capo sulla mia spalla voltando il viso verso il finestrino.
Con un braccio sulle spalle di mia moglie, discorro con Eleazar a voce, per non escludere Bella dalla conversazione, ma lei resta con lo sguardo fisso alla sua destra.
Lo informo sul occupazioni e progetti della famiglia. Lui mi aggiorna sul resto del clan di Denali.
Man mano le mie risposte divengono più scarne, fino a trasformarsi in monosillabi, mentre non faccio nemmeno più finta di osservare davanti a me, e mi giro completamente con il busto verso la nuca di mia moglie:«Bella … »
Non si volta, non mi ha sentito.
Con una mano le sfioro i capelli e lei sussulta:«Ehi … siamo quasi arrivati» le dico a voce bassa, constatando, non senza una punta di inquietudine, quanto sia tesa. Aggrotto le sopracciglia, mentre lei deglutisce e si volta nuovamente con gli occhi sul finestrino.
“Edward, non preoccuparti. Dalle tempo. E’ la scelta migliore” faccio un cenno in direzione di Eleazar, ringraziandolo per il suo pensiero gentile, ma la mente è ferma sugli occhi lucidi di mia moglie.
E’ preoccupata, penso. E automaticamente ritorno alla valigia con i viveri che ho portato con noi.
L’arrivo al cottage è di lì a pochi minuti. Eleazar si propone di aiutarmi con i bagagli mentre io apro la porta di casa con un movimento fulmineo e ritorno all’auto mentre Bella sta aprendo la portiera dal suo lato. La sera è molto fredda e cerco di coprirla con il mio corpo mentre saliamo i pochi gradini che ci separano dall’ingresso.
Una volta dentro, Bella comincia a guardarsi intorno.

In The Arms Of an Angel – Sarah McLaughlin

Kate ha provveduto a riscaldare l’ambiente prima che arrivassimo, e nel piccolo salotto un fuoco scoppietta nel camino. Eleazar si congeda rapidamente augurandomi buona fortuna a mente e Bella lo saluta distratta, mentre si toglie giaccone, sciarpa e cappello posandoli su una poltrona.
E’ ancora ferma nel mezzo del salotto, quando ritorno da lei dopo aver portato le nostre valigie al piano superiore.
«E’ carino qui» mormora a voce bassa, dandomi le spalle e fissando il fuoco.
Mi avvicino a passo umano, e da dietro le cingo la vita, poggiando il mio mento sulla sua spalla:«Sì, è vero»
Ruota il corpo tra le mie braccia e si porta con il viso di fronte al mio viso, allacciando le mani dietro al mio collo.
Si alza sulle punte e mi bacia delicatamente sulle labbra.
Quando si discosta, mi osserva intensamente ed io di rimando.
«Sei molto stanca. Perché non vai su a rinfrescarti un po’? Io preparo la cena, intanto» le suggerisco con tono dolce.
«Ok. Non ci metterò molto» e con un sorriso, esce dalla stanza per dirigersi in camera da letto.
Con rapidità apparecchio il tavolo in soggiorno, lì dove il calore del camino è più intenso e preparo un’omelette.
Dopo che l’acqua della doccia smette di scorrere, porto il piatto in tavola con il pane riscaldato in forno e una bottiglia di vino rosso.
Ma trascorrono dieci minuti e Bella non scende.
Decido di salire e, fuori dalla porta della camera da letto, resto in ascolto.
Silenzio.
Busso leggermente :«Bella, è tutto ok? Posso entrare?» e faccio capolino dalla porta.
Bella è distesa sul letto, in accappatoio e dorme profondamente.
Mi avvicino silenziosamente e osservo i suoi capelli scompigliati sul cuscino, il suo viso disteso e sereno nel sonno.
Con leggerezza, tento di toglierle l’accappatoio umido e di farle indossare qualcosa di asciutto, ma subito lei si sveglia.
Sbatte le palpebre un paio di volte e si guarda intorno incerta, non riconoscendo la stanza in cui si trova.
Poi riposa gli occhi su di me:«Mi … mi sono addormentata» sussurra «scusami».
Mi siedo sul letto al suo fianco e le sfioro una guancia:«Tranquilla, fa niente. Devi mettere qualcosa di asciutto, però. Altrimenti ti ammalerai» mormoro piano.
«Credo che tu abbia ragione» dice dopo un attimo «faccio subito e poi scendo» e si alza dal letto avvicinandosi alle valigie.
Rovista un po’ al loro interno e poi si blocca.
«Cos’è questo?» dice, alzando la borsa speciale, piccola, nera e imbottita.
La raggiungo e mi posiziono al suo fianco:«Morfina» dico.
Riporta lo sguardo per una frazione di secondo sulla borsa e poi me la porge, con gli occhi bassi, senza dir nulla.
Afferro la borsetta e lei si allontana da me verso la sua valigia, riprendendo a rovistarci dentro. Seguo il suo movimento solo con lo sguardo, la borsa ancora fra le mani.
«Bella, è solo una precauzione. Non è detto che la useremo» sottolineo, cercando di rassicurarla.
Ferma le mani ai lati della valigia e abbassa la testa:«Lo so che è … sciocco da parte mia, ma … io non voglio che tu me la somministri» sussurra in un alito di voce.
Mi porto di fronte a lei e le spingo il mento in su delicatamente:«Bella, puoi cambiare idea in qualunque momento. Io non ti farò nessuna pressione. Non hai firmato un contratto che dica che devi trasformarti per forza. Aspetteremo» concludo e le mie parole sono accorate. Sento l’urgenza premere nel mio petto e mi devo trattenere per non stringere le mani sul suo corpo, gesto automatico che accompagna il mio fervore.
Mi guarda confusa prima in un occhio, poi nell’altro.
«Stringimi» mormora «Stringimi, Edward» ripete, le braccia lungo i suoi fianchi.
Assecondo la sua richiesta immediatamente, eco del mio bisogno di lei.
Restiamo così, fermi, abbracciati, senza dir nulla.
«Io … vorrei che l’ultima cosa che ricordo sia tu, non un ago» mormora roca, poi porta il capo all’indietro per cercare i miei occhi «non mi importa del dopo … se ce l’avete fatta tutti, posso farcela anche io» e il cuore mi si stringe in una morsa guardandola in quegli occhi enormi e sinceri.
Annuisco con un unico cenno del capo.
Poggia la testa sul mio petto e ondeggia piano sui suoi piedi, come se stesse ballando una danza lenta, stringendomi con tutta la sua forza.
«Non voglio più aspettare» mormora contro la mia maglia ed il mio respiro si blocca.
«Qui, qui è il posto dove voglio essere per tutto il resto della mia esistenza. Nelle tue braccia. Nelle braccia di un angelo» continua mentre i miei occhi si chiudono alle sue parole.
«Sei sicura, Bella?» sussurro con la voce più bassa che abbia mai avuto in tutta la mia vita.
«Sì. Sono pronta» alita contro il mio petto e poi rialza il capo a guardarmi.
Riapro gli occhi per immergermi nei suoi, dolcissimi, nocciola, vivi.
«Saranno le mie labbra l’ultima cosa che ricorderai. Te lo prometto, amore mio».
E mentre le sue palpebre si abbassano, con una carezza percorro la lunghezza del suo collo, scostandole i capelli e lasciando che lo reclini verso la mia spalla.
Con un unico movimento, scendo sulla sua pelle, la respiro, sfiorandola appena con le labbra.
Trovo il punto in cui il suo sangue pompa furioso e chiudo gli occhi a mia volta.
E, dopo un attimo, la mordo.

FINE


NOTA DELL’AUTRICE:
Non sono brava in queste cose, non lo sono mai stata.
Per questo cercherò di non dilungarmi più del necessario.
Ho scoperto di voler scrivere per caso, quando, bloccata in casa (o meglio a letto) per problemi con la mia seconda gravidanza, sono incappata su Efp.
Da quando ho cominciato a farlo non mi sono più fermata. Più di una passione, parlerei di necessità.
Come dice una carissima persona che ho apprezzato da subito, “scrivere è come respirare”. Cara Mirya, lo è davvero. Grazie per le nostre chiacchierate “filosofiche”per aver dedicato parte del tuo prezioso tempo (ancor più prezioso perché sei una super mamma!) alla lettura della mia storia, per avermi espresso la tua opinione in maniera schietta, ma sempre corretta e gentile. Grazie per essere riuscita ad arrivare fino a qui.

Questa storia si conclude. Non posso negarvi che digitare quelle quattro lettere mi sia costato in maniera indicibile e la parola “Fine” ha faticato enormemente a trovare la sua strada dal mio cuore al monitor del mio pc.
Vorrei ringraziarvi.
Tutti.
Chi mi segue fin dall’inizio, chi ha cominciato a farlo solo da poco, chi mi ha sempre recensito, chi l’ha fatto di rado, chi non l’ha mai fatto ma ha solo letto.
Per questi ultimi mi auguro sempre che il tempo sia stato loro nemico ma che, intimamente, abbiano trovato questa fan fiction di loro gradimento.
Ringrazio gli amici di facebook e coloro che mi seguono tutti i giorni su twitter.
Nonostante abbia lasciato alcune dediche ad personam per certi capitoli, ne avrei voluto scrivere in numero sufficiente per potervi regalare un capitolo a testa. E nel timore di dimenticare qualcuno non vi citerò singolarmente, eccetto che per due persone. Il mio rapporto con loro ha bucato lo schermo ed il tempo che trascorro su Efp. Spero che nessuno se ne abbia a male se spendo due parole per loro.

Francesca, sei la lettrice ideale. Sempre acuta, sensibile. Non hai mai dimenticato di esprimere il tuo gradimento nemmeno per un capitolo.
Mai.
Ed ogni volta che l’hai fatto, hai avuto sempre una parola di conforto e di lode per me. L’ho apprezzato più di quanto possa esprimere in questa sede.
Oltre alla tua spiccata sensibilità, apprezzo molto anche la tua lealtà, una dote che molto di rado ho riscontrato nelle persone di mia conoscenza.
Camilla. Parole semplici da dirti non bastano e non sarebbero mai sufficienti. Poche, pochissime volte ho trovato una tale affinità d’animo con un’altra persona, come è successo con te.
La nostra reciproca “psicoterapia” quotidiana è ormai parte integrante delle mie giornate e di questo non sarò mai abbastanza grata ad Efp che mi ha dato modo di conoscere una persona speciale come te. I love you, baby.

Questa storia, iniziata per gioco si è arricchita volta per volta di emozioni, di riflessioni, di sensazioni che parlano di me e che spero vi abbiano mostrato un piccolo scorcio del mio intimo. Anche solo attraverso una canzone che vi ho linkato o una situazione che vi ho descritto.
Se sono arrivata fino a qui oggi, lo devo a voi tutti, lettori, ma in particolare a queste due ragazze, Francesca e Camilla.
A loro, è dedicata “In the arms of the angel”
Grazie.
M.Luisa

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