All that you don't know

di _Dubhe
(/viewuser.php?uid=70928)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pilot ***
Capitolo 2: *** The truth;; - Isobel background ***
Capitolo 3: *** The way of not return ***
Capitolo 4: *** Don't leave me;; - Elena background ***
Capitolo 5: *** ...e il resto è fuoco ***
Capitolo 6: *** Finnally you, again. ***
Capitolo 7: *** Together;; - Damon's background ***
Capitolo 8: *** New game, new player ***
Capitolo 9: *** The party: past and future;; PART I ***
Capitolo 10: *** The party: past and future;; PART II ***
Capitolo 11: *** Goodbye, once and forever;; ***
Capitolo 12: *** Friends;; - Annie's background ***



Capitolo 1
*** Pilot ***


Si conoscono tante cose, alcune non si vivrà mai abbastanza per scoprirle, altre ancora abbiamo una tenue speranza di conoscerle. Ma cosa vogliamo davvero sapere? Cosa siamo in grado di sopportare, prima di cadere vittima degli eventi ed essere trascinati via?? Qual è il limite?

Aveva accettato tante cose prima, troppe: il fatto che Stefan fosse un vampiro, il fatto che avesse un fratello sadico per il quale poi aveva cominciato a provare dei sentimenti, il fatto che la sua migliore amica fosse una strega, il fatto che.. cosa c’era ancora?? A quanto sembrava qualsiasi evento della sua vita era ricollegabile al paranormale, da quell’anno in avanti. Soprattutto dopo che lei era tornata in città. Chiuse gli occhi, cercando di scacciare dalla mente i ricordi di quella maledetta sera.

E' notte fonda. Ha appena riagganciato la cornetta, Stefan arriverà tra poco. Jeremy vuyole ancora ignorarla, probabilment ein camera sua. Un rumore, un rumore dalla cucina. Un gemito.Vorrebbe pensare che sia una sua immaginazione, ma ormai è inutile fingere che ciò che la circonda non sia reale. Fa dei passi incerti, dirigendosi in cucina. Lo sguardo si sposta in un attimo di secondo da zio John - suo padre - alla ragazza che lo svorasta, con un coltello insanguinato in mano e gli occhi neri come la pece. Non aveva mai capito perchè tutti la considerassero identica a Katherine, adesso è tutto chiaro. Non erano simili, erano praticamente identiche, ed era tutt'altra storia. La ragazza la vede e sogghigna, quasi come un cacciatore che ha adocchiato la sua preda, si alza e guarda nella sua direzione, la testa piegta verso un lato, gli occhi che la scrutano divertiti.

"Ha fatto un ottimo lavoro, a quanto pare. Avrei dovuto fermarla prima. Ma ciò che è fatto è fatto, ormai non si torna indietro. Non mi resta che ucciderti, e saremo pari. Dopotutto io sono Katherine, Pierce, nessuno è come me, lo sai anche tu vero piccola?"

Un grido le uscì dal petto, puro terrore che riempiva l'aria circostante e si conficcava nella sua pelle bianca come marmo. Era sola, sola di fronte al predatore più terribile che esistesse su questa terra, identico a lei in ogni dettaglio. Era come un incubo a rovescio, in cui vieni inseguito dal tuo gemello malvagio e tenti di sfuggirgli per sfuggire ai tuoi difetti. Ma purtroppo il suo nemico era una vampira sadica, più forte e vecchia di lei di chissà quanti anni, che non aspettava altro che conficcare i suoi canini nel suo collo e prosciugarla di ogni goccia di vita. Al diavolo! Tentò di fuggire, ma la ragazza rise ancora più forte: aveva ragione lei, non c'era scampo. CAdde, sotto il peso del suo braccio e la vide sovrastarla, gli occhi famelici di desiderio. Provò ad urlare ancora, e fu quella la sua salvezza. La vampire si fermò e girò la testa, parlando soavemente.

"Che piacere rivederti, Damon. Vedo che insegui ancora amori impossibili, dico bene?"

Il volto di Damon indecifrabile, una maschera di orrore, gli occhi che si spostavano da Elena a katherine e viceversa, e ancora, e ancora. Era come un deja-vù ma non del tutto simile. QUando aveva visto Katherine l'ultiam volta era soggiogato dai suoi sentimenti, era pronto a gettarsi fra le fiamme per lei, ma era cambiato tutto. Elena, aveva cambiato tutto. Con un movimento circospetto sollevò la ragazza da terra, sentendo il suo peso su di lui: non aveva forze, era praticamnte quasi svenuta di paura e schock. Le accarezzò i capelli e sentì che singhiozzava. Per lo meno stava bene, era viva. Mlgrado gli costasse molto ammetterlo, il primo pensiero che lo sfiorò era quello di suo fratello: doveva assolutamente avvertirlo. Senza staccare gli occhi circospetti da una katherine gongolante di felicità, compose il numero e parlò in fretta: "Vieni subito a casa di Elena, abbiamo un problema."

"Oh, quant'è commovente - osservò la mora, avanzando verso di lui - vorrei tanto essere presente a questa riunioncina tanto simpatica, ma preferirei di no. Ho tante di quelle cose da fare, ora che sono tornata in città, sai comè? Però ci rivedremo presto. Te lo prometto. E salutami Stefan." Gli aveva stampato un bacio sulla guancia ed era uscita. Damon era rimasto fermo, immobile nella sua maschera di odio ed incredulità: avrebbe voluto ucciderla per tutto quello che gli aveva fatto passare, ma la scelta tra l'ammazzarla ed assciurarsi che Elena stesse bene gli era parsa scontata. Insomma, aveva tutto il tempo di riprendere quella stronza traditrice e piantarle uno, cento, mille paletti dritti nel cuore, se mai avesse scoperto che ne aveva uno.

Aveva appena adagiato Elena, svenuta far le lacrime, che la porta di casa si era spalancata per lasciar entrare Stefan, il volto deformato dalla preoccupazione. Ma per quella ci sarebbe stato tempo. Lo sguardò del fratello intravide qualcosa che lui non aveva notato - solo allora si accorse del corpo esanime di John in cucina, già una vittima e non era arrivata da neppure un'ora?? Maledizione! - e poi su Elena.

"Dieci parole, fratello. Katherine è tornata in città... ed è stata invitata ad entrare."

Si accoccolò contro il cuscino scomodo della sua sedia, nell'ospedale. Jenna era appena andata a casa, le aveva dato il cambio giusto un'ora prima: da quando Jeremy stava all'ospedale non lo lasciavano solo un istante. Tute quelle pillole lo avevano portato vicinissimo alla morte, ma non l'avevano ucciso grazie al cielo. Aveva capito cos'era successo quando aveva trovato la boccetta di sangue nel bagno - e la conferma di Stefan era stata la ciliegina sulla torta - ed era rimasta terrificata da quella scoperta: Heremy un vampiro, come gli era saltato in mente? Come aveva anche solo pensarlo? Adesso vederlo lì, in quel lettino, da ormai tre settimane.. era una tortura.. Tre settimane. Quante cose erano cambiate in quei pochi giorni. Katherine, ovviamente, era diventata il primo problema, anche se non si era fatta più viva da quella sera; questo aveva condizionato una presenza costante ora di Stefan ora di Damon al suo fianco. Stefan era proprio nella sala d'attesa adesso, pronto a entrare in azione al minimo cenno di pericolo. Doveva costargli molto l'essere al suo fianco, proprio in quelle cricostanze. Credeva di amarlo, sarebbe stata pronta a giurarlo davanti alla corte marziale, ma la verità era che era successo qualcosa quella sera. La presenza di Damon, l'averla difesa contro Katherine, aveva scatenato qualcosa a cui non era stata preparata. SI era sentita molto più legata a lui che a Stefan, e questo l'aveva scioccata. I suoi sentimenti erano in subbuglio, non abbastanza forti per stare con Damon ma nemmeno sufficientemente deboli per lasciare definitivamente Stefan. Aveva preso la scelta più vigliacca: aveva lasciato l'uno e si era preclusa la possibilità di stare con l'altro. Era sola adesso, ed entrambi erano costretti a starle accanto. Faceva male.

"So che sei parecchio stanca. Non si sveglierà più di qualche ora. Jenna ha chiamato, ha detto che sta arrivando per darti la possibilità di dormire. Non fare la coraggiosa, tornerai domani.."

Stefan sapegva premere i tasti giusti, doveva riconsocerglielo, ma chissà quanto gli costava quella vicinanza. Vide la sofferenza nel suo sguardo, la stessa soffernza di quando gli aveva detto che aveva bisogno di restare un pò da sola. Lo amava ancora, non poteva negarlo, ma lo amava troppo per farlo soffrire, nel caso fosse successo qualcosa con Damon. Era meglio così.

"Ok, hai ragione. Andiamo"

Baciò il fratello sulla fronte e si allontanò, direzione casa. Come sempre, sul portico di casa, seduto nella solita posa spavalda, c'era l'altro fratello Salvatore. Aveva preso l'abitudine di non lasciarla quasi mai sola, un senso di protezione che avrebbe dovuto spaventarla, ma in realtà la confortava. Lo salutò con un sorriso, per poi voltarsi verso Stefan con faccia supllichevole.

"Devi riposare, per favore, vai a dormire. C'è Damon. Per favore."

Malgrado fosse riluttante, negli ultimi tempi Stefan cercava in tutti i modi di controllare i suoi eccesi di gelosia, quindi non protestò, La salutò con un bacio sulla guancia e un cenno molto rigido al fratello, per poi cominciare ad allontanarsi. Pochi passi. Era così cupo ultimamente, così silenzioso: si sentiva in colpa per questo suo atteggaiemnto, ma non poteva pretendere che stesse con lui solo per pietà. L'amore certe volte si dimostra anche sapendo come lasciar andare una persona, non soltanto nel modo in cui si riesce ad averla vicina. Guardò Damon, ma sapeva di non poter trovare nessun conforto nei suoi occhi: per Damon c'era una giustizia, e c'era il giusto, e c'era la verità. La verità che Elena non voleva affatto ammettere. Come fargli capire che non voleva far soffrire nessuno dei due? Più cercava di riuscirci e più capiva quanto fosse impossibile. Sospirò, aprendo la porta di casa.

"Aspetta prima di entrare, Elena. Dobbiamo parlare, e se mi inviti dentro direi che possiamo parlarne con calma."

Si voltò di scatto, impaurita. La ragazza che le stava davanti era una donna alta da capelli mossi, neri. Era bellissima ma, soprattutto, era molto simile a lei. Sembrò capire anche lei cosa l'altra stesse pensando, perchè si limitò a sorridere. I due Salvatore erano schierati davanti a lei, veloci come fulmini, pronti a difenderla: ormai l'aveva capito anche lei che quella che aveva davanti era una vampira. Maledizione! Era proprio uan calamita che attira disgrazie, tutte a lei devono venire a rompere le scatole!!! Da un lato era atterrita, dall'altro avrebbe desiderato ardentemente conoscere il motivo di quella visita e, soprattutto, chi fosse quella mora. Aprì la bocca per parlare, ma l'altra la precedette.

"Risparmia il fiato, Elena. Non sono qui per farti del male ma per spiegarti. Mi chiamo Isobel. Elena, sono tua sorella."

 

 

Mi dispaice di aver scritto poco, ma comunque il Pilot doveva fungere da introduzione alla storia, la vicenda vera e propria inizia dal prossimo capitolo. Ci vediamo alla prossima. Baci!



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The truth;; - Isobel background ***


Grazie mille per tutti i vostri commenti, spero davvero di non deludervi con questo secondo capitolo [e spero anche, per il vostro bene, di fare meno obbriosità calligrafiche e di battitura, come la mia dolce Trilly mi ricordava!!!]. Buona lettura a tutti voi!!!

 

 

 

Era come se stesse vivendo l'ennesimo deja-vù: la stessa stanza, lo stesso divano, gli stessi due vampiri ai lati. L'unica cosa ad essere cambiata era la poltrona di fronte a lei, vuota l'ultima volta. Lanciò ancora uno sguardo atterrito in cucina, dove lo zio John giaceva esanime in una pozza di sangue, coperto da un lenzuolo bianco. Al suono delle urla zia Jenna era accorsa, rimanendo in preda allo schock, indecisa fra l'accusare Damon e scaraventare tutti fuori di casa; solitamente era del tutto contraria al giochetto della memoria - anche se era stata costretta a ricorrervi lei stessa, per aiutare Jeremy, una volta - ma stavolta non aveva avuto scelta: non poteva gestire tutto insieme, non poteva gestire tutti loro insieme. Guardò la zia salire in camera sua, completamente convinta che il rumore non fosse mai esistito e, inoltre, altrettanto certa di avere un sonno che avrebbe fatto invidia anche all'orso Yogi in letargo. Era a questo che era arrivata? A ricorrere a questi giochetti pur di tenere al sicuro la sua famiglia? Mentire, di nuovo, come non le capitava da tanto tempo? La verità non era sempre una cosa positiva, l'aveva capito a sue spese, l'aveva compreso nel momento in cui in cuor suo si era resa conto di essersi irrimediabilmente allontanata da Jeremy. Dov'era suo fratello? Probabilmente a godersi un buon sonno, visto che non era stato incuriosito dal frastuono in cucina. Ma ci sarebbe stato tempo per pensare a lui. Adesso c'era qualcun altro con cui vedersela.

La vampira seduta di fronte a lei era molto alta, capelli castani, leggermente più scuri dei suoi, che cadevano sulle spalle, ondulati e in ordine; indossava un top lungo verde acqua, con una maglietta altrettanto lunga da sopra, con maniche a tre quarti, colore bejè. Le gambe erano fasciate dai jeans stretti che finivano negli stivali alti, di pelle. Aveva gli occhi castani, gentili. Era un'antitesi, un vampiro con gli occhi gentili? Aveva visto un vampiro con lo sguardo innamorato, malizioso, sadico, omicida, ma mai dolce. Era come se quella donna stesse guardando sua figlia, una sua parente. Ma loro non erano parenti, a meno che quella stronza di Isobel non avesse avuto due gemelle dizigoti e - casualmente - una delle due era diventata un vampiro. Non aveva alcun senso.

Provò ad aprire la bocca per parlare ma non ne fuoriuscì alcun suono: cosa puoi chiedere ad una sconosciuta? Scusami, sei mia sorella come, dove quando e perchè? Esisteva pur sempre una certa educazione, no? Ah, quant'era complicato! Sentiva Stefan con i muscoli rigidi, tesi, pronto a saltare al minimo cenno dell'altra di farle del male: era stata una sua idea quella di invitarla, puntando comunque sull'ipotesi del 2 contro 1. Ipotesi, ma per quanto ne sapevano loro poteva anche benissimo essere più forte di tutti loro messi insieme. Quel pensiero la terrorizzò. La mano di Damon era posata sulla sua, quasi come se cercasse di farle capire che lui era lì, ci sarebbe stato sempre e l'avrebbe difesa. Anche da una vampira sadica che aveva amato. Anche da quella sconosciuta che aveva detto di essere sua sorella.

"So che avete moltissime domande, e io ho tutte le risposte che desiderate conoscere. Tutte. Ma non intendo parlare con voi due qui. - e, quasi a ribadire la frase, spostò il dito indice dall'uno all'altro dei Salvatore - Potete anche stare in cucina, a ripulire il casino di Katherine, come vi pare. Tanto non è nè il primo nè l'ultimo morto della settimana, quindi potete anche rassegnarvi."

Sul suo volto c'era un'espressione gentile, sicura di sè. Era come se desse per scontato che dovevano fare qualsiasi cosa lei dicesse. Non era una sicurezza, era molto più probabilmente una certezza. Lei non supponeva di essere più forte di loro, lo sapeva come dato di fatto. E, se l'aveva capito lei, probabilmente anche Stefan e Damon ci erano arrivati. PIù lei sorrideva e più la sua figura era riempita di fascino e mistero. Elena voleva sapere tutto. Le bastò un'occhiata a Stefan, che annuì come a rassicurarla.

"Ma non ti illudere, Isobel o come cavolo ti chiami! - balzò Damon, a pochi centimetri dalla sua faccia, gli occhi due lame, la rabbia che saliva al limite - Torcile un solo capello e l'ultima goccia di sangue che vedrai in vita tua sarà quella proveniente dalle mie mani dopo che ti avrò strappato il cuore."

La mora non si smosse di centimetro, si limitò a sorridere in maniera più evidente e a fare un unico movimento di assenso con il capo. La cosa innervosì parecchio Damon, tanto che Elena sarebbe stata pronta a giurare di avergli visto i canini uscire da dietro le labbra in un rinnghio, ma Stefan era meno impulsivo e più calcolatore: posò la mano sulla spalla del fratello, limitando a spingerlo in avanti, verso la cucina. Finalmetne l'ora della verità. Elena sospirò, guardando la sua interlocutrice. Aprì di nuovo la bocca per parlare ma l'altra la interruppe, senza smettere di sorridere e senza abbandonare l'aria bonaria nel volto.

"Ti dirò tutto, ma devi promettere di non interrompermi, altrimenti non usciremo da qui giovani. O per lo meno tu no di certo! - rise, con una risata cristallina che le ricordò in maniera terrificante la propria - Quindi iniziamo. Il mio nome è Isobel, Isbole Pierce. Si, esatto, come Katherine. In realtà non è necessario sorprendersi che io vi conosca tutti: sono la sorella di Katherine, anche se parlare di me non è certamente una delle cose che lei preferisce. SIamo nate molto tempo fa, molti secoli fa, da una famiglia che non era di certo ricca, ma benestante. Eravamo belle, coccolate e viziate dai nostri genitori: io ero felice ma a Katherine tutto questo non bastava.. voleva sempre di più, non si accontentava mai di nulla, il ventaglio più bello o il vestito più costoso non erano capaci di soddisfare la sua sete di perfezione.."

La storia di Katherine. Per certi versi anche la sua storia. Era pietrificata, ammaliata fino al midollo dalle parole di Isobel. Poteva giurare di sentire anche i Salvatore attenti, nell'altra stanza.

"Beh, io cercavo di farla ragionare ma, come capii col tempo, era impossibile. Un giorno Katherine tornò a casa dopo un ballo in maschera: era molto più pallida del solito, disse di avere fame e poi sete, di nuovo sete e poi fame. Non capivo cose le stesse succedendo. Poi, la mattina dopo, uscita nella veranda, accusò il sole di rovinare la sua pelle marmorea, ma in realtà era come se il sole la facesse stare male. Corse via, sbattendo la porta di casa. Ero preoccupata per lei, non sapevo dove fosse e se stesse bene. Ai nostri genitori non dissi nulla, cercando di proteggere mia sorella ancora una volta. Sbagliai. Katherine non tornò quella sera, nè la sera dopo. I miei genitori cominciarono a preoccuparsi, spedirono missioni di ricerca ma nessuno riuscì a trovarla. Neppure la sua amica Pearl sapeva dove fosse. Poi, circa otto giorni dopo che l'avevo vista l'ultima volta, un biglietto: c'era scritto che desiderava vedermi, parlarmi, spiegarmi. Fui una sciocca a raggiungerla. AL posto prestabilito non trovai nessuno, ma poi lei arrivò, Ricordo poco di quella notte, a parte il fatto che lei parlava di qualcosa che potesse realmente soddisfarla, l'eternità. E voleva me con lei, in quella vita infinita. Come puoi ben immaginare mi trasformò, ma mi costrinse a bere il sangue umano, altrimenti io non avrei mai ceduto. Poi, la mattina dopo, sentimmo la gente che gridava, che urlava come la casa dei Pierce fosse stata incendiata e come il sig. e la sig.ra fossero bruciati dentro nel sonno. Capii subito che era stata Katherine, ma lei al mio risveglio non c'era. Provai ad uscire dalla caverna dove mi trovavo, ma il sole rischiò di uccidermi. Aspettai mia sorella, che ritornò quella sera stessa con la sua amica Pearl, anch'essa vampira adesso. Mia sorella aveva finalemtne ciò che desiderava di più: un divertimento infinito. Capii che non mi aveva trasformato per affetto ma per avere qualcuno con cui spassarsela. Non volevo farlo, ma era mia sorella, potevo perdonarle tutto, anche l'omicidio dei nostri genitori - era palese limpido come acqua il fatto che li avesse uccisi lei. Rimasi con lei qualche tempo: l'ambizione di mia sorella la portò a soggiogare una strega per fabbricarci delle collane che ci proteggessero dal sole. Col tempo avrebbe imparato che le streghe sono fedeli alleate del nostro segreto, che non c'era motivo di soggiogarle, ma quello venne col tempo."

Il rumore dell'ingresso posteriore, una porta che si apriva e si richiudeva velocemente. Stefan era uscito e rientrato in tutta fretta. Probabilmente aveva portato il corpo di John nel Pensionario Salvatore, se ne sarebbero sbarazzati dopo. Damon aveva già ripulito il sangue in cucina ma gli occhi erano ancora neri come pece. Si rese conto della sguardo di Elena e voltò la testa, incapace di sopportare che lo vedesse in quello stato.

"Devi sapere, Elena - continuò Isobel, catturando di nuovo la sua attenzione - che io amavo molto mia sorella, desideravo ardentemente riavere quella bambina con la quale giocavo da piccola, una vera sorella. Fin dalla tenera età sviluppai una certa passione per la scienza, per le ricerche e la chimica in generale. L'idea che mi venne fu orribile, ma allettante: ero capace di creare una persona del tutto identica a Katherine, semmai l'avessi voluto, ma non ero convinta, era sbagliato e dentro di me lo sapevo. Ma ero troppo tentata, Elena, troppo."

Il silenzio che seguì rese tutto chiaro: non era uno scherzo della natura, non era una strana gemella di Katherine, non era sua parente in senso lato, era letteralmente lei in tutti i sensi. Isobel si era divertita a crearla in provetta come uno di quei esperimenti pazzi da laboratorio.

"Beh, lo feci. Creai un embrione, ma non fui abbastanza furba. Mia sorella lo scoprì e andò su tutte le furie: era già infuriata con me perchè non avevo scelto di seguire il suo stile di vita, figuriamoci adesso che cercavo di clonarla! Ma in verità non sapeva quello che stava facendo - di fisica e biologia ne sapeva quanto uno scoiattolo - e quindi non distrusse l'embrione ma solo il suo contenitore. Io continuai ad essere scettica su quello che stavo facendo. Abbandonai il progetto. Ma poi accadde quel martirio a Mystic Falls.."

Sentì i due vampiri in cucina trattenere il fiato. Conoscevano in prima persona le conseguenze della vita sregolata di Katherine.

"Ripresi le mie ricerche, ma le migliorai: la persona che avrei creato, sfruttando il mio DNA fuso a quello di mia sorella, sarebbe stata identica a lei in ogni dettaglio ma sarebbe stata una persona comunque. vera, con un proprio cervello, una propria vita, una propria famiglia, non solo una marionetta che sarebbe rimasta sotto i miei ordini. E allo stesso tempo dovevo preoccuparmi di nascondere la mia creatura a Katherine, perchè non la distruggesse. Ci pensai qualche settimana: qual'era il posto in cui mia sorella non sarebbe tornata mai e poi mai? Certamente la città di cui aveva più paura: questa. Pensai anche di rendere la bambina più sicura collocandola in una delle famiglie fondatrici, in modo tale che fosse a conoscenza del mondo dei vampiri e potesse così difendersi. E poi, quando venni in città per un sopralluogo, quella Isobel e il suo fidanzatino capitarono proprio a pennello. Lui un discendente di una famiglia fodnatrice - all'epoca non sapevo che avrebbe fatto adottare la bambina, ma lo sospettavo - e lei.. che guardacaso aveva il mio stesso nome. La soggiogai e le impiantai il seme con il DNA modificato, facendo sì che i suoi geni si combinassero con quelli dei Pierce e dei Gilbert. Per certi versi, diciamo, che puoi essere definita metà Gilbert e metà Pierce. Però la cosa importante è che sei viva, sei tu, e vivi una vita felice."

Si sporse in avanti e accarezzò una guancia di Elena, senza smettere di sorridere, mentre la ragazza la guardava paralizzata e a bocca aperta.

"Quando ti ho vista, a dieci anni, eri felice e in gamba.. e avevi una vita diversa da quella di mia sorella, era diversa da lei. E solo allora mi resi conto che avevo sbagliato perchè tu ti meritavi la vita che stavi vivendo, in pace e tranquilla. Con un pò di buona sorte saresti rimasta viva e al sicuro. Ma poi l'incidente, e Stefan e Damon e la storia che tornava a ripetersi, e tu che trovavi il collegamento con Katherine. Era questione di tempo prima che anche lei si rendesse conto di quello che avevo fatto e tentasse di distruggerti. Non volevo intervenire per non turbarti, ma adesso ho dovuto farlo, era indispensabile che tu capissi, che vedessi con i tuoi e sentissi con le tue orecchie l'intera vicenda della tua nascita e la motivazione della stessa. E mi dispiace, piccola, perchè so che è tutta colpa mia, ma non voglio che tu dubiti un solo istante del fatto che sei totalmente diversa da mia sorella e che non hai un briciola di quella crudeltà che ha invece lei."

Le baciò la fronte e si alzò, guardando in direzione dei due fratelli, fermi come statue con le mani congiunte, probabilmente indecisi se crederle o no, se saltarle addosso o lasciarla andare.

"Come possiamo fidarci di te? - Stefan espresse i suoi dubbi in parole, con foga - In fondo sei soltanto qualcuno che assomiglia a Katherine e che dice di essere sua sorella, cosa ci prova che lo sei davvero?"

Isobel si limitò a sorridere,

Nulla sembrava sconvolgerla, neppure una domanda come questa. Era davvero così sicura di sè? Così certa di riuscire a dimostrare a tutti di avere un legame di parentela con Katherine. A quanto pare sì. Le bastò un gesto, quasi teatrale, in cui estrasse da sotto la maglietta un ciondolo che portava al collo, lasciando che la luce delle lampade lo illuminasse. Elena non capiì al volo, visto che quel ciondolo non l'aveva mai visto in vita sua, ma i fratelli lo riconobbero più che bene: era lo stesso pendente che la loro carissima conoscente portava al collo per proteggersi dal sole, proprio come loro indossavano i due anelli. L'unica differenza era la pietra di cui era fatto - una specie di verde acqua - ma l'effigie di una donna inciso in corallo bianco, la rifinitura e il resto erano identici.

"A meno che mia sorella non sia stata tanto gentile da lasciarsi strappare dal collo il suo pendente e poi io non l'abbiamo modificato con una pietra diversa, avete la vostra prova."

Si alzò, lasciando che i lunghi capelli fluttuassero sulla schiena.

"Aspetta."

Era la prima volta che Elena parlava da quando Isobel aveva iniziato a raccontarle tutto. Aveva promesso di tacere per ascoltare tutta la vicenda ma non riusciva ancora a comprendere certi particolari, certi collegamenti che sembravano sfumati da strane coincidenze. Se davvero era per metà una Pierce, come mai aveva anche il sangue Gilbert nelle vene? Come mai, nemmeno una volta in diciassette anni Katherine l'aveva trovata? Dio, troppi quesiti tutti troppo in fretta. Sentì il pavimento che fluttuava sotto i piedi: quando si era alzata??? Tre paia di braccia la sostennerò all'istante e la riappoggiarono sul divano. Era troppo per lei, tutto in una sera.

"Forse dovresti proprio andare, sai? - fu l'ordine perentorio di Damon, per nulla garbato ma nemmeno pungente come al solito - Ne ha avuto abbastanza per oggi credo."

Isobel sorrise, guardando i due Salvatore, sicura che Elena non potesse sentirla. I due fratelli guardie del corpo di un'unica fanciula indifesa. La storia che si ripete.

"Non mi risulta difficile capire, ora che vi vedo, perchè mia sorella abbia scelto te. - sogghignò, indicano con un cenno del capo Stefan - Ma adesso mi risulta anche più semplice capire perchè lei abbia scelto te." - e stavolta fece un cenno verso Damon.

Potevano fingere di non aver capito, ma era chiaro come l'alba che si erano perfettamente intesi. La mora baciò dolcemente Elena sulla fronte, mormorando parole che i due vampiri non riuscirono a comprendere.

"Starò nella locanda fuori città, non andrò lontano. Se vorrai trovarmi chiedi di Helen Clearworth, era il nome da nubile di mia madre. Per il resto non preoccuparti di nulla, non permetterò a Katherine di farti del male. Notte anche a voi ragazzi."

E con un occhiolino scomparve. I due Salvatore si guardarono a lungo finchè Damon non si decise a prendere Elena in braccio e portarla di sopra, nella sua camera da letto. Jenna dormiva, avrebbe dovuto dare il cambio ad Elena in ospedale ma probabilmente Jeremy non si sarebbe svegliato prima di un paio d'ore, inutile disturbarla.

"Stefan, dobbiamo disfarci di John e insabbiare la vicenda, senza contare il fatto che, d'ora in poi, non lasceremo mai questa casa indifesa. Due vampiri in un mese, Stefan! - enfatizzò ancora, guardando il fratello con ardore - Ed entrambi invitati ad entrare! Cosa diavolo facciamo? Se davvero Isobel è dalla nostra è un bene, figuriamoci, ma Katherine? Potrebbe riapparire in qualsiasi momento e non mi fido di questo suo comportamento tranquillo, non è da lei! Dobbiamo assolutamente trovare un modo per proteggerla."

Stefan annuì con vigore, le braccia incrociate sul petto, le sopracciglia corrugate.

"Hai perfettamente ragione, ma come?"

E, nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole, una lampadina si accese nel suo cervello, e anche Damon parve capire. Quante volte le sorti della loro razza erano state affidate alle streghe? Questo era il momento di dimostrare quanto quella streghetta fosse realmente amica di Elena e quanto tenesse a lei.

"Bonnie!" - esclamarono all'unisono. Sapevano cosa fare.

 

 [______________________________________________Ringrazimenti__]

Grazie di aver resistito fino a qui. Un abbraccio enorme a dark rose, juju210 e poeticdream per i commenti <3, ci vediamo al prossimo capitolo!!!!

<

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The way of not return ***


Grazie mille a tutti per i commenti, siete fantastici! Vi chiedo anche scusa per l'attesa ma, purtroppo, visto che le ultime interrogazioni mi stanno dissanguando, non potevo fare altrimenti. Godetevi questo capitolo e poi ditemi che ne pensate, mi raccomando! So che finisce molto appeso come capitolo, ma c'est la vie! Alla prossima cari, grazie di tutto a tutti <3

[______________________________________________Ringrazimenti__]

 

 

 

Bussò circospetto alla grande porta di ciliegio, aspettando pazientemente sul portico e osservando la casa: non ci era mai stato e avrebbe preferito evitarlo ma, ormai, era pronto a tutto pur di risolvere la maledetta situazione in cui si trovavano. Certo che era proprio ironico un vampiro che bussava di sua spontanea volontà alla porta di una strega che, tra l’altro, non aveva fatto mistero di volerlo distruggere più di una volta. Chissà come stava Elena… lasciarla con Stefan era stata una sua scelta, ma questo non voleva dire che lo facesse stare meglio, affatto.

La porta si aprì e apparve Bonnie. La sua espressione mutò nella frazione di un secondo, le labbra si strinsero e gli occhi si ridussero a fessure: probabilmente stava valutando se ucciderlo subito o ascoltare prima cosa fosse venuto a fare. Grande dilemma, ragione in più per sbrigarsi. Damon si contorse le mani, gli occhi che sfuggivano il suo sguardo: non era il solito Damon a parlare lì, adesso, e il solo pensiero di quello che era capace di diventare per proteggere chi amava davvero lo terrorizzava più della sua ex fidanzata sadica. A Bonnie quel particolare non sfuggì ma, dato che era ancora all’oscuro di tutto, si limitò a scrutarlo con ancora più attenzione, in attesa.

“Senti, Bonnie.. – si decise finalmente lui, guardandola – So che non siamo mai stati grandi amici, te lo concedo, ma so anche quanto tieni ad Elena e quindi è per questo che sono qui, adesso, ad implorarti di darci il tuo aiuto. Elena è in pericolo e solo tu potresti essere in grado di proteggerla, mi capisci?”

“In pericolo? – ripetè la mora, facendo un passo avanti e lasciando il sicuro rifugio della sua casa – Potresti ripetere?”

La sua voce era chiaramente preoccupata, segno evidente che aveva colto un sottile filo di realtà nelle parole del vampiro. Damon non poteva semplicemente stare lì a chiacchierare, ogni secondo perso era un secondo in più che permetteva a Katherine di avvicinarsi ad Elena ed ucciderla. Guardò la strega con i suoi occhi di ghiaccio, magnetici, tendendole una mano e bisbigliando due sole parole.

“Fidati di me.”

Il salotto di casa Gilbert non era tanto affollato dai tempi del ballo degli anni ’50 di qualche mese prima, quando quel simpaticone di un vampiro maniaco era passato casualmente di lì con l’intento di uccidere la padrona di casa, per poi essere fermato e furtivamente ucciso dai Salvatore qualche ora dopo. Malgrado il contesto per certi versi fosse lo stesso, tutto era diverso da allora. Bonnie sedeva sul divano, con la testa di Elena sulle ginocchia, rannicchiata in posizione fetale ed avvolta da un plaid di lana; Stefan camminava avanti e indietro nella stanza, si fermava ogni tanto, come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensava e tornava a camminare, più buio e arrabbiato di prima. Damon sedeva sul bracciolo del divano, un bicchiere in mano, l’altra occupata a disegnare piccoli cerchi sulla spalla di Elena, senza che lei potesse accorgersene. Grazie a dio Jenna era in ospedale e non le toccava assistere a riunioni strategiche come quella, si ritrovò a pensare Elena, mentre si stringeva ancora più stretta nell’abbraccio dell’amica.

“Siete in due – parlò finalmente la strega, accusandoli in maniera evidente – e volete davvero farmi credere di essere stati tanto stupidi da permettere che accadesse tutto questo? Katherine non è Elena, tanto per cominciare, e non sappiano un bel niente di questa Isobel, che sbuca quasi come un angelo al momento giusto e al posto giusto: è una coincidenza forse? E l’avete anche invitata ad entrare, per la miseria!”

“Questa in realtà è stata una mia idea. – si giustificò Elena, alzando lievemente la testa – L’ho voluto io.”

“Ancora peggio! Non l’avete fermata!”

“Isobel o no, almeno al momento, non è lei il nostro problema, dobbiamo proteggere Elena da Katherine e da qualsiasi cosa lei possa farle e, conoscendola, non sarà nulla che potrà guarire col tempo, mi sono spiegato?”

Bonnie annuì grave, riflettendo con calma e accarezzando i capelli corvini dell’amica con gesti lenti e meccanici. C’erano tante cose che poteva fare per proteggere una sua amica, e l’idea più scontata era quella di farla dormire da lei, ma i vampiri avevano l’eternità dalla loro e non potevano vivere nel completo terrore per sempre. No. Doveva trovare una soluzione fra le tante formule che conosceva: era una strega potente, sapeva di potercela fare, doveva farcela a tutti i costi. Ma come? Bloccare la vampira dall’entrare in casa era fuori discussione: per quello aveva bisogno del suo sangue ed era ottimistico pensare di ottenerlo; distruggere il suo invito significava uccidere Elena, e non reggeva nemmeno un po’ come soluzione; ucciderla.. possibile; catturarla, meglio ancora, almeno avrebbe potuto divertirsi un bel po’. E mentre la sua mano correva distratta sul collo caldo dell’amica, le sue dita si impigliarono nella collanina che portava al collo: era piena di verbena, gliel’aveva detto la stessa Elena, qualche tempo prima, la proteggeva dall’essere soggiogata dal potere dei vampiri. Sorrise, soffermandosi sul pensiero che le stava passando in testa. I due Salvatore se ne accorsero e si limitarono ad osservarla con sguardo confuso.

“Almeno per adesso, direi, il problema primario è proteggere Elena, giusto? – annuì fra sé, senza badare agli sguardi sempre più confusi di quelli che la circondavano – Posso proteggerla,  ma questo lascerà il pericolo su Jeremy e Jenna.”

“Non se ne parla! – si scaldò l’amica, alzandosi su di un gomito e guardandola disperata – Non posso condannarli! Sono la mia famiglia, è per colpa mia che sono in pericolo. Siete tutti in pericolo per colpa mia.”

“Ma per piacere!!!” – esclamarono all’unisono Damon e Bonnie, per poi guardarsi di sbieco.

“Comunque è l’unica cosa che posso fare adesso, tesoro. Vorrei proteggerli ma non è nelle mie capacità, non adesso almeno. Loro sono all’ospedale, basta che tu dica a Jenna di sentirti poco bene e le chieda di restare qualche notte in più in ospedale. Lì saranno entrambi al sicuro. Fino ad allora nessun vampiro  potrà toccarti.”

Lo sguardo della strega corse involontariamente verso Stefan, quello di Stefan verso Damon che, malgrado sembrasse voler protestare, si limitò a trattenere un sospiro. Non gli importava. Se proteggere le persone a cui teneva significava sacrificare… sacrificarsi, non gli importava. Guardò Bonnie e si limitò ad un cenno con la testa.

“Il ciondolo di verbena è una difesa naturale, io lo renderò ancora più potente: almeno  finchè la situazione è critica, nessun vampiro potrà toccarla. Nel caso in cui la pelle di vampiro entri a contatto con la sua brucerà all’istante.”

Camminavano tranquillamente, Stefan a poca distanza da lei: Damon era stato categorico sul fatto che si sarebbe allontanato da Elena soltanto se gli avessero iniettato della verbena e l’avessero trascinato via a forza, quindi era toccato a lui accompagnare Bonnie. Le era grato per quello che stava facendo, visto che l’ultima volta che si erano parlati non si erano lasciati in maniera particolarmente amichevole. Riportarla a casa gli era sembrato il modo migliore di dimostrarle la sua gratitudine. E mentre il silenzio conduceva i loro passi per la via deserta, i tacchi della mora si bloccarono sull’asfalto bagnato. Il vampiro la gaurdò interrogativo, seguendo il suo sguardo, rendendosi solo allora conto che, davanti a loro, era ferma una ragazza alta, occhi scuri e capelli lunghi, ricci, raccolti in una coda. La giacca di pelle e gli stivali scamosciati. Ah, certo che le entrate ad effetto erano proprio il suo forte!

“Katherine.” – mormorò sorpreso.

“Katherine?” – gli fece eco Bonnie, gli occhi ridotti a due fessure, pronta a lanciare un qualche incantesimo.

“Katherine! – si burlò di loro la mora, facendo risuonare nel buio della notte la sua risata cristallina – Chi credevate che fossi? Suppongo che la vostra amichetta non andrebbe mai in giro da sola, ha due accompagnatori d’eccezione, perché rinunciarvi giusto?”

Bonnie non aspettò oltre: sulle punte delle sue dita comparve un fuocherello biancastro, quasi blu, inquietante. Dalla sua bocca fuoriusciva una cantilena lenta e melodica, quasi un canto. Con la forza di un leone lanciò la palla di fuoco sulla vampira che aveva di fronte. Fu un attimo. La vampira si limitò ad alzare una mano per proteggersi e lasciò che la palla colpisse un albero alla sua destra, senza procurarsi neppure un graffio. Fece qualche passo avanti, sempre più divertita.

“Mi hai preso per una stupida, Bonnie Bennett? Sai che ho avuto l’onore di conoscere la tua nonnia di nome Emily? Ah, la conosci! Beh, non era la prima strega che incontravo… e non ero stupida nemmeno allora. Se qualcuno è abbastanza forte da proteggerti, stai pure certa che potrà avere tutto il potere di distruggerti, un giorno. Io l’avevo capito..”

Tirò fuori una catenina dalla maglietta, sventolandola davanti ai loro occhi. Ci misero pochi istanti a capire: quando aveva fatto si che una strega la proteggesse dal sole, si era anche resa immune da qualsiasi altro potere che potesse distruggerla. Era immune alla magia. Avanzava verso di loro, come un felino che caccia la propria preda. Prima ancora che Stefan potesse reagire afferrò il collo della streghetta e la sollevò da terra.

“Te l’hanno mai detto che se non sei con me sei contro di me? E nessuno può permettersi questo lusso!”

Bonnie era sospesa qualche centimetro da terra ma l’aria già cominciava a mancarle, i polmoni chiedevano aria e la sua bocca si apriva spasmodica per cercare di respirare. Peccato che Katherine avesse dato per scontato che nessuno l’avrebbe salvata: un vampiro poteva anche essere meno forte di un altro vampiro più vecchio e quindi incapace di ucciderlo, ma metterlo fuorigioco per qualche secondo era un giochetto da ragazzi. Ripresosi dalla sorpresa, al biondo bastò un colpo ben assestato al petto della copia di Elena, afferrò Bonnie al volo e scappò. Correre non richiedeva un grande sforzo, arrivò sul portico di casa sua in un attimo. La depositò sulla sedia di legno, prendendole il mento con due dita.

“Stai bene?”

La ragazza sbattè gli occhi un paio di volte, massaggiandosi la gola con le dita affusolate. Stava respirando, era salva. Guardò Stefan, gli occhi ancora confusi, ma sinceramente riconoscenti.

“Mi hai salvato la vita.”

Lui si limitò a sorriderle, accarezzandole i capelli.

“Potremo aver avuto i nostri problemi, Bonnie, ma non ti lascerei mai morire, come puoi anche solo pensarlo? – le accarezzò una guancia, rassicurandola – TI considero un’amica, vorrei che lo capissi.”

La mora fissò il proprio sguardo in quello del biondo, il calore della sua mano sulla sua pelle che creava una zona di incredibile freddo, il brivido lungo la schiena. Lui parve accorgersene perché spostò la mano, prendendo quelle di lei e aiutandola ad alzarsi. La condusse davanti alla porta di casa – la solita ironia del “tanto io non posso entrare” – e fece un cenno con le spalle, come se capisse anche lui che era tutto qui. Era come se in quel breve istante in cui si fossero sfiorati avesse percepito qualcosa, ma fosse stato incapace di affrontarlo ed aveva preferito lasciarlo in sospeso. Aprì la bocca per parlare ma rinunciò, vedendola entrare in casa: doveva tornare da Damon al Pensionario Salvatore, dove aveva portato Elena ritenendo che sarebbe stata al sicuro.

“Aspetta, Stefan.. – lo richiamò la strega, facendolo di nuovo voltare – Ti andrebbe di… entrare?”

Lo lasciò basito: l’aveva invitato ad entrare? Era come dichiarargli apertamente che si fidava di lui, che era disposta ad affidargli la sua vita ora e per sempre. La osservò con occhi confusi, sorpreso dal suo dolce ma ingenuo sorriso. Non era capace di resistere. Varcò la soglia di casa Bennett e la porta si chiuse dietro di lui.

Ancora una volta Elena affidava la propria sicurezza agli altri: quante persone ancora avrebbero dovuto difenderla dal male? Quando sarebbe stata in grado di cavarsela da sola? Probabilmente mai. Che fregatura! Bonnie si era presa anche il ciondolo, adesso, e malgrado fosse certa che né Stefan né Damon avrebbero mai osato soggiogarla, c’erano molti altri che erano pronti a cogliere al volo l’occasione. Isobel le aveva mandato un sms dandole la buona notte, ricordandole di non preoccuparsi e di fidarsi di lei. Poteva davvero fidarsi di lei? SI rannicchiò ancora contro il braccio lo del divano: il fuoco scoppiettava allegro nel camino, riscaldandola. Avrebbe potuto dormire in qualche stanza della casa, ma quel posto le dava una certa sicurezza e un calore che, era certa, di non poter provare altrove. La camera di Stefan, poi, era fuori questione, quella di Damon figuriamoci! Lo stesso Damon che stava bevendo il suo bicchiere di burbon al suo fianco. Cercò di ignorarlo.

“Guarda che sei scomoda ti porto un cusicno.”

Nessuna risposta. Che testarda.

“Guarda che non mordo mica.. non te, comunque. Ok, brutta battuta. Però potresti anche parlare, continuare a fare la martire nel disagio e nel freddo non cambierà le cose.”

La mora continuava ad ignorarlo. Troppi discorsi. Sbuffò, afferrando la coperta sulla poltrona e sistemandogliela addosso. Le tolse prima uno stivale poi l’altro, senza che lei protestasse. Quindi la sollevò di peso per le braccia, sistemandosi sul divano e lasciando che l’incavo delle ginocchia le facesse da cuscino.

“Più comodo del bracicolo eh?”

“Devi smetterla. – protestò lei, ma non si mosse da quella posizione, che trovava indubbiamente molto comoda – Sai che sono tua amica, ma così mi costringi a porre limiti che non vorrei. Per favore, Damon. Mi rendi tutto più difficile.”

“Cosa c’è di difficile? Io, te, attrazione fatale! Insomma, parliamoci chiaro, quanto vogliamo ancora prenderci in giro? Siamo legati in qualche modo, me l’hai detto anche tu un tempo.”

“Era diverso – protestò lei – Non incominciare.”

Cominciare cosa? Era da tempo ormai che non faceva altro che restarsene lì, al suo fianco, senza minimamente condizionare le sue scelte. L’aveva lasciata libera di scegliere, libera di capire cosa fare, ma non poteva negare oltre quello che c’era fra di loro, era prendere in giro lui e prendere in giro se stessa, che era anche peggio. Era preoccupata per Stefan, e poteva capire fin lì, ma non poteva andare al martirio per suo fratello per tutta la vita. Avrebbe capito. Cioè, si sarebbe sbronzato, avrebbe riempito il suo amato fratellino di botte, avrebbe fatto un giro eremitico dell’Europa in bici, ma infine avrebbe capito.

“So che hai affrontato molto stanotte, ma non capisco quest’ipocrisia! – sbuffò lui, la solita voce ammaliante al suo orecchio – Insomma.. Elena, come devo fartelo capire? Vuoi un patto di sangue?”

“Non è divertente!” – protestò lei.

“No, non lo è. Sono innamorato di te, Elena.”

Lei sbarrò gli occhi chiusi, il riflesso delle fiamme sulle sue iridi. Ecco, adesso non si tornava più indietro.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Don't leave me;; - Elena background ***


A quanto pare, stavolta, avete ritenuto il mio capitolo indegno di commenti. Ma bravi =) Sapete che anche delle critiche negative, se costruttive e motivate, fanno sempre piacere ad una scrittore. Beh, non importa. Qualsiais cosa facciate non mi demoralizzerò e continuerò con questa FF, anche perchè mi garba troppo =P Come avrete notato il titolo è di nuovo il "background" di un personaggio. Cosa vuol dire? Semplicemente che, in quel capitolo, verrà approfondita la personalità di un pg in particolare, quindi qui Elena per esempio. Dovete sapere che non scelgo io di chi fare il background, semplicemente come viene viene, quindi non preoccupatevi... man mano cercherò di approfondirli tutti. Per il resto buona lettura miei cari ^^

P.S. darkrose (alias trilly, che mi aiuta con la trama) è lieta di informarvi che siamo arrivate alla storia fino all'ottavo capitolo, quindi... preparatevi al peggio ^^

[______________________________________________Ringrazimenti__]

Sbattè la porta, appoggiandosi al legno freddo della porta, sentendo l’aria fredda del mattino penetrarle nelle ossa. Non riusciva ancora a crederci eppure era vero: quella terrificante nottata era finita,e con essa era anche l’illusione di tranquillità. Come aveva potuto pensare anche solo per un attimo che la sua vita fosse finalmente tornata alla tranquillità? Stefan, Damon, Bonnie, adesso anche una povera innocente sconosciuta/vampira, tutte persone che si erano schierate al suo fianco nella battaglia contro il destino e che ora come non mai  rischiavano di venire spazzate insieme a lei. Inutile opporsi, inutile cercare di difenderle. Non c’era nulla di tanto forte che potesse sconfiggere il fato. Ma lei, pur proteggendo loro, avrebbe finito col cadere comunque, vittima della sua insignificante vita. La sua stessa esistenza era già una condanna a morte.

Sentì le lacrime bagnarle le guance, il petto che si alzava e abbassava frenetico in cerca d’aria: stava soffocando di quella che solitamente si definiva “una crisi isterica”. Non poteva restare lì un attimo di più. Cominciò a camminare, massaggiandosi il collo: era nudo, vuoto, come non lo era da tempo ormai; da quando Stefan le aveva donato il ciondolo aveva sempre avuto qualcosa che la facesse sentire sicura, anche se solo per una frazione di secondo. Adesso non c’era più nulla a proteggerla. Il ciondolo era in mano a Bonnie che, stregandolo, le avrebbe precluso ogni possibilità di essere toccata da un vampiro e, allo stesso tempo, cosa che nessun altro avrebbe potuto capire, l’avrebbe protetta dalle sue stesse debolezze. Debolezza? E’ così che poteva definire quel sentimento? Questo strano sentimento che le stava nascendo dentro?

E’ mezzanotte. Cosa le tocca fare per riuscire ad evitare che un’orda assatanata di vampiri riemerga dagli inferi e distrugga la sua città? Scendere a patti con il nemico! Ah, grandiosa idea Elena! Come ti era saltato in testa di venire lì, sola soletta e toglierti il ciondolo davanti a Damon… Damon! Stupido cervellino di cacca! E poi quegli occhi magnetici nei suoi, quell’azzurro quasi trasparente,un secondo interminabile… due oceani distanti che, per la prima volta, sentono di avere un qualche ruscello in comune, un collegamento indistruttibile. Il calore del suo tocco, il ferro di nuovo sulla pelle e quelle parole, quel suono della sua voce accanto a lei, tanto vicino da poterne quasi annusare l’odore, il profumo di muschio e di cannella mischiato a qualcosa di più forte… burbon? Inebriante…

“Non ti ho soggiogato ad Atlanta perché volevo che fosse reale. Mi sto fidando di te, non farmene pentire.”

 

Una frase. Era bastata una frase a smuovere il suo mondo: lui si era fidato di lei e da quella fiducia, poi, lei non era più riuscita a staccarsi. Si erano punzecchiati a vicenda, avevano giocato con i reciproci sentimenti, ed adesso non potevano più semplicemente guardarsi negli occhi e dire che erano amici. Ricacciò indietro i capelli ribelli che le ricadevano disordinati sulla fronte per colpa del vento: quanto in là erano andati, pur di negare l’evidenza e, questo, quanto avrebbe condizionato la loro vita di adesso? Gli aveva gridato di essere un egoista, di non essere capace di ragionare con razionalità, di volerla come trofeo ora che Stefan era fuori dai giochi. Di nuovo una donna in mezzo ai tenebrosi Salvatore. Di nuovo una fanciulla da salvare e da proteggere. Eppure lui sapeva che erano parole false, lo sapeva anche lei, ma l’isteria del momento poteva giocare brutti scherzi, soprattutto se non sei preparato come non lo era stata lei. Cosa ci aveva guadagnato confessandole di amarla? Nulla! Aveva e restava con la polvere fra le dita, solo che adesso si era anche giocato la sua amicizia, ferendo se stesso e condizionando così anche i suoi di sentimenti! Maledetti Salvatore!

E mentre quel pensiero le aleggiava nella testa, gli occhi annebbiati dalle lacrime di dolore e confusione, il suo cammino venne bloccato da una figura alta e slanciata, contro la quale andò letteralmente a sbattere. Non stava attenta alla strada, era più che comprensibile.

“Scusi tanto. – asserì scuotendo la testa – Avevo la testa da tutt’altra parte.”

“Lo immagino, piccola. Con tutti i vampiri che ti ritrovi addosso sono sorpresa che tu non abbia ancora perso la salute mentale.”

L’orrore. Quella voce, quella voce cristallina con un timbro tanto diverso ma con l’intonazione così simile alla sua. Alzò gli occhi, già consapevole di quello che avrebbe visto: di fronte a lei, più bella e spavalda che mai, Katherine Pierce la squadrava con occhi critici ma anche con un pizzico di ironia; Damon gliel’aveva spiegato un tempo, quando aveva voluto sapere di più sulla ragazza che li aveva gettati dal paradiso all’inferno: amava giocare, con tutti, con le sue prede in particolare, le piaceva stuzzicare ed ottenre qualsiasi cosa fosse nei suoi piani. Tutto, tutto era sotto i piedi di Katherine Pierce e, se proprio non riusciva nel proprio intento, il detto “o mio o di nessun altro”, più delle volte, spediva un bel po’ di cadaveri al cimitero. Notò con la coda dell’occhio un corpo steso vicino ad un alto arbusto, probabilmente dissanguato. Ma certo, a lei importava poco di nascondere le sue tracce, sarebbe svanita prima che chiunque potesse vederla ed era certa che fosse più che capace di destreggiarsi abilmente nella creazione di un alibi. Nessuno avrebbe mai sospettato di una fanciulla pia e rispettabile come lei, come no! Tanto vedendola chiunque avrebbe visto Elena Gilbert, un’orfana gentile e una studentessa modello. Quelle lievi differenze che le separavano, invece, era certa che non le avrebbe notato nessuno. Eppure quella petto felino le donava: quei capelli raccolti in una coda di cavallo, alta e ondulata, gli stivali di pelle nera e il giubbotto dello stesso colore; un pantalone grigio e una maglietta bianca. Un ciondolo, al collo, lo stesso che indossava Isobel, soltanto un po’ più scurito dal tempo. La vampira notò dove si posava lo sguardo di Elena: non le sfuggiva nulla..

“Vedo che sai di cosa si tratta. – asserì divertita, mentre l’altra cercava con tutte le sue forze una via d’uscita che non prevedesse correre via – Un pendente come un altro, anche se bisogna ammettere che qualche volta torna parecchio utile, dico bene?” – fece un movimento leggero con la testa verso il sole che stava sorgendo all’orizzonte.

La vampira si soffermò sul collo dell’umana e, se possibile, il suo ghigno divenne ancora più largo. Anche Elena capì all’istante: il ciondolo di verbena non era al suo posto, era una preda facile, vulnerabile, servita su un piatto d’argento. Anche l’altra doveva pensarla allo stesso modo, perché si avvicinò di qualche passo.

“Perché vuoi tanto distruggermi? – emise un suono stridulo e acuto, poco controllato, un vano tentativo di guadagnare tempo – Insomma io non ti ho fatto nulla, non ho poteri per contrastarti e sai benissimo che non sarò mai al tuo livello.  Cosa cerchi di tanto importante in me? Vendetta? Divertimento? Sono certa di non essere in grado di fornirti neppure uno di questi elementi quindi direi di lasciar perdere.”

“Bel discorsetto!- ammise l’altra, ma senza smettere di sorridere – Però è proprio qui che ti sbagli, mia cara.”

Le era ormai vicinissima. Sorrise, vedendo la pelle bianca come marmo diventare l’oca, e passò un’unghia ben lavorata sul volto della ragazza, spostando una ciocca dei suoi capelli corvini, neri più del cielo della notte. Era così tenera, indifesa, con quel qualcosa in più che alla sua personalità era sempre mancato; compassione, dolcezza, disponibilità… erano caratteristiche comuni, da deboli, e ancora stentava a credere che entrambi i Salvatore fossero caduti come due cretini ai piedi di una bambolina di porcellana come lei. Eppure era proprio questo, più di tutto, a infastidirla e a imporle di tornare – non c’era l’unica ragione, ma una delle più insidiose. Doveva vendicarsi, doveva distruggere l’unica donna che era migliore di lei: per sua sorella, per Stefan, per Damon, lei era la versione migliorata, la copia dell’originale che l’aveva superata in tutto, ed era un concetto che per lei era aldilà del perdonabile. Doveva morire. Ma non per questo doveva farlo subito. In fondo la mattinata era ancora lunga, poteva anche divertirsi un po’.

“Hai ragione, ma sbagli credendo di non potermi divertire. Anzi, sono certa che non sei la peggior compagnia del mondo Elena.”

La mora chiuse gli occhi. Un’altra pugnalata al cuore. Quella stessa frase profanata dalle labbra prive della perfezione dell’unico uomo che le aveva pronunciate. Smettila, sciocca! Non puoi pensare a Damon adesso. Anzi, non puoi pensarci proprio e basta. Guardò Katherine e vide i suoi occhi farsi attraenti, magnetici, indissolubilmente imperativi… non aveva mai sperimentato fino ad allora cosa si provava ad essere soggiogati, soprattutto se poi ti viene permesso di ricordare tutto ciò che fai. Sentiva ancora di possedere corpo, gambe, orecchie, labbra… ma nulla era controllato dal suo sistema nervoso. Era come se fluttuasse a qualche centimetro dall’asfalto e qualcuno guidasse tutte le sue mosse. Non era qualcosa di sgradevole, semplicemente di… inquietante. Capì di non avere potere, di essere totalmente in balìa di una pazza assassina che poteva fare di lei ciò che più le aggradava. Avrebbe voluto gridare, ma per dire cosa? E a chi? Mai come in quel momento desiderò che Damon o Stefan le fossero accanto, pronti a difenderla come sempre. Ma non erano lì. Non c’era nessun in grado di aiutarla. Ecco, intendeva proprio questo… destino e l’incapacità di sfuggirvi…

Tredici chiamate perse. Suo fratello era proprio impegnato se evitava di rispondere così a lungo. Jenna non l’aveva vista, a casa non rispondeva nessuno. Il suo cellulare era morto. Dov’era andata a finire quella maledetta ragazza? E lui, come aveva potuto essere tanto stupido da lasciarla andare? Qualsiasi cosa si fossero detti, qualsiasi cosa avessero fatto, non era da lui abbandonarsi ad una debolezza simile. Poteva essere dovunque. Con chiunque. No, era impossibile. Elena poteva essere tante cose – tra le quali “seducente e inimitabile” erano certamente tra i primi posti – ma non era una stupida. Però era anche vero che Katherine era molto più furba e abile di chiunque. Lo stato in cui Elena si trovava dopo aver lasciato il Pensionato avrebbe potuto facilmente permettere a chiunque – immortale o non – di coglierla di sorpresa. Colpa sua, maledizione, colpa sua. Sbattè un pugno contro il muro, frantumando una deliziosa rifinitura di legno dell’arco del soggiorno, riducendo roselline del Botticelli in polvere ai suoi piedi. L’aveva lasciata andare. L’aveva lasciata andare e, adesso, rischiava di non rivederla più.

La casa che Katherine aveva deciso di occupare, durante la sua permanenza a Mystic Falls, era di stile vittoriano, abitata dallo zio e dalla zia di Tyler Lockwood. Bella scelta: comodità unita all’utilità, nel caso qualche vampiro – alias i Salvatore – fosse venuto a disturbarla. L’interno non era molto diverso dall’interno di una qualsiasi casa benestante della città: ricche rifiniture in legno di ciliegio, mobili antichi, pesanti drappeggi appesi alle finestre alte due metri e mezzo. Si aspettava di vedere una casa deserta eppure, una volta di più, rimase sorpresa dallo scoprire il contrario. Nel salone, dove Katherine la condusse e la fece sedere sul divano accanto a lei, c’era un vero e proprio festino, con deliziose ragazze e ragazzi degni di una copertina di qualche famosa rivista: un particolare li univa tutti, morsi rimarginati in ogni parte del corpo. Ma certo. Nemmeno per questo poteva scomodarsi, la fanciulla, le sue prede dovevano sempre essere a sua disposizione. Cercò con la mente un modo di scappare, di andarsene, ma non vide vie di fuga. Per la prima volta da quando era entrata nella cripta, aveva paura. Aveva paura, e non capiva come ragionare in quello stato.

“E’ divertente, bisogna ammetterlo, non trovi tesoruccio?” – chiese Katherine, baciando sulla guancia uno dei modelli, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione su Elena. Le si avvicinò, guardandola con attenzione, quindi spostò una ciocca di capelli dalla sua faccia con una delle sue unghie lavorate. La stava studiando, la stava valutando, la trattava come un pezzo di carne al macello. Infine, come se niente fosse, si allontanò, sospirando.

“Sei troppo tesa, piccola, devi rilassarti! Ucciderti adesso è inutile o, per me, poco divertente. Vedi, tornando qui in città avevo un bel po’ di cosette da fare, e dopo che la tua mammina mi da informato del tuo legame con i Salvatore e della nostra somiglianza, tu sei diventata una di quelle cosette tanto importanti. La verità, Elena, è che lo faccio per il tuo bene. Insomma, davvero pensi che qualcuno dei due sia innamorato di te? Pronto! Sei me, sei solo più malleabile e meno indipendente, quindi più semplice da manipolare. La verità è che possono amare solo una di noi due..”

La guardò con sguardo ironico, sottintendendo la risposta.

“…sei libera di pensare ciò che vuoi ovviamente. Anche se, potrei giurare, che con te sono diventati più rammolliti che mai. Sai, Damon per esempio. Ne avevo fatto un così simpatico cucciolo, sempre pronto alla rissa e alle fontane di sangue. Me l’hai fatto diventare puffo! Inutile, rammolito.. sai la prima sera quando sono tornata e ho fatto fuori il tuo paparino? Beh, diciamo che mi sono divertita con il tuo nuovo amico. Avresti dovuto sentire i discorsetti che mi ha fatto prima di baciarmi..”

Una coltellata dritta nel petto, dove fino a poco prima si trovava il suo cuore. E ancora, e ancora, e di nuovo, più affondo, e sempre più affondo. In quel moemnto ringraziò di non avere abbastanza forza per nuocere a se stessa, incapace di controllare le sue azioni com’era, ma piangere non dipendeva da Katherine. Sentì gli occhi umidi e preferì rimanere in silenzio, per non darle anche la soddisfazione del suo dolore. Lei ci stava godendo, e come darle torto? Ma non più di così.. Udì parole sconnesse, frasi che probabilmente Damon aveva detto..

“…della seria Il bene non fa parte di me… bla bla bla… Bonnie mi ha slavato per te.. perchè questo vuol dire che.. aspetta cos’è che ha detto? Ah, giusto! Questo vuol dire che, da qualche parte, lungo il percorso, hai deciso che ero degno di essere salvato… e volevo ringraziarti per questo.. Si suppongo sia tutto, ti risparmio la parte vietata ai minori..”

L’aveva detto con quella vocina ironica, da presa in giro. Si burlava di lei. SI burlava delle parole che Damon le aveva confidato, fidandosi di lei una volta di più, e aveva sputtanato quelle stesse parole come meglio aveva potuto.

“Stronza! – sibilò, muovendole contro tutta la sua forza di volontà – Fai ciò che ti pare, ammazzami se vuoi. Tanto cosa credi di ottenere? Se lui ti ha baciato era solo perché credeva fossi io. Adesso, se potesse, non bacerebbe neppure una tua statua se non costretto.”

Storse le labbra in una smorfia, aspettandosi una reazione dell’altra. Ma ancora non capiva il suo gioco, era fin troppo sottile per una che aveva centinaia di anni meno dell’esperta. E se era sorprendente stare lì a parlare, fu altrettanto sorprendente sentire di nuovo il suo corpo che tornava in sé. Percepì di  potersi muovere di nuovo e fissò con terrore la vampira che le era seduta accanto, con una modella poggiata sulle ginocchia che le baciava il collo.

“Te l’ho detto: ho altri divertimenti con cui svagarmi, adesso, ucciderti non servirà a nulla. Ma, la prossima volta ricordati le buone maniere a casa mia… altrimenti..”

Con un movimento fulmineo estrasse un pugnale da sotto il cuscino e le tagliò la parte inferiore del braccio, un sorriso diabolico sulle labbra. In un secondo i suoi occhi si tinsero di nero, bordati da vene scure… ma non si mosse, rimase perfettamente controllata e rilassata, disinvolta nella sua perfidia.

“Alla prossima, tesoruccio, direi che per oggi ci siamo divertite abbastanza, non trovi? – e prima che Elena potesse sottrarsi leccò la sua ferita, assaporandone l’aroma – Mmm. Dissentante. Vuoi provare anche tu Danielle?”

E baciò la modella, coinvolgendola in una vorace danza di lingue e mani, in cui era difficile capire l’inizio dell’una e la fine dell’altra. Con una mano libera – ce n’era ancora una? – indicò ad Elena la porta, mentre l’altra già stava sbottonando la camicetta di Danielle. Malgrado puzzasse di trappola non aveva scelta. Scattò verso la porta, correndo fuori in un lampo e, cercando di bloccare il sangue che le scorreva lungo il braccio, corse via verso casa. Era salva? Non seppe dirlo, ma fato sta che arrivò a casa in un paio di minuti. Entrò in casa, chiudendosi dietro la porta e tirò un sospiro di sollievo, accorgendosi di piangere come una fontana. Calmarsi era fuori questione. Rabbia. Risentimento. Dolore. Comprensione. Paura. Gratitudine. Impazienza. Un vortice di diversi sentimenti che le vorticavano dentro. Respirò profondamente, asciugandosi il viso con il dorso della manica ancora pulita e fece mente locale su dov’erano le bende: cucina. Non era mai stata molto brava nelle medicazioni ma, tanto, peggio di cosi non poteva andare. Disinfettò la ferita e la pulì, per poi coprirla di una polverina cicatrizzante e ricoprirla di bende bianche. Solo una volta ferma si rese conto della cosa che le stava facendo turbinare lo stomaco. Damon aveva baciato Katherine. L’aveva baciata, non si era accorto che fosse lei, e per di più qualche ora prima giurava di amarla? Sorrise amareggiata. Brutto stronzo.

“Maledizione, Elena, mi hai spaventato a morte.. anche se, in teoria, lo sono già. Morto intendo. Però sparire così? Insomma una chiamata ti avrebbe distrutto?”

Si avvicinò a lei, cercando di capire se stesse bene. Lei aveva entrambe le mani poggiate sul bancone della cucina, la faccia coperta dalle ciocche corvine. Ecco, la persona che desiderava vedere. Lui parve capire che qualcosa non andava ma, prima ancora che potesse chiedere delle bende o del perché non avesse chiamato o del dove fosse stata, lei alzò lo sguardo e, con un sorriso funereo, parlò.

“E così.. da qualche parte, lungo il percorso, ho deciso che eri degno di essere salvato?”

Silenzio. Un vento ghiacciato lo investì. Sapeva.

“E magari volevi anche ringraziarmi per questo?”

Era distrutta ma, se non affrontava quel discorso adesso, era di certa di non poterci riuscire mai più. Lui non negò, non cercò di scusarsi. La guardò, esaminando con dolore sempre più crescente le sue lacrime e, infine, abbassò gli occhi.

“E così sai.”

Lei non aveva bisogno di sentire altro. Lo guardò incredula per qualche secondo ma, poi, si rese conto che non poteva aspettarsi altro da lui. Era Damon. Era la sua natura, quella di tradire e uccidere e squarciare e quant’altro. Lei era solo l’ennesima tacca sulla sua cintura. Mezza tacca, per fortuna, visto che non era ancora stata così stupida da concedersi a lui. Si avvicinò alla porta del retro e l’aprì, fissandolo a mento alto in segno di sfida.

“Fuori di qui.”

Lui respirava con affanno, per rabbia o per isteria, ma non se lo fece ripetere due volte, uscendo di casa e sentendo i suoi singhiozzi dietro di lui, sommersi dal rumore del frullatore. Cazzo! Aveva rovinato tutto. Katherine aveva, di nuovo, rovinato tutto. Un urlo di grida riempì il giardino, poi sommerso dal vento e dai suoi passi sull’erba. Davanti alla porta di casa non fu sorpreso di vedere Stefan. Il fratello lo guardò con occhio critico ma sinceramente confuso. Aveva in mano un sacchetto – probabilmente la catenina che Bonnie avrebbe dovuto stregare per impedire ad Elena… ah, basta pensare a lei!

“Damon, cosa succede? Stai…?”

“Sai fratellino? – intervenne l’altro, tutt’altro aperto al dialogo ora come ora – Vorrei chiederti dove sei stato e con chi per tutto questo tempo, impegnato tanto da non rispondere a tutte le mie chiamate, ma tanto adesso non me ne frega proprio niente. Vai dentro e bada a quella ragazza per qualche tempo. Quando sei stanco verrò a darti il cambio. Per adesso voglio solo restare solo e in silenzio.”

Gli puntò un dito contro, sbattendoglielo contro il petto, evidentemente intenzionato a dire altro ma, scuotendo la testa, si trattenne, gli diede una pacca sulla spalla e sparì. Stefan non si meritava quel comportamento, non c’entrava nulla stavolta, non era colpa sua. Se fosse stato quello di una volta gli sarebbe bastato poco per dimenticarla. Ma lui non era quello di una volta e, lei, non era come tutte le altre. Arrabbiato o no la desiderava come e più di prima, non c’era forza al mondo che potesse liberarlo da una pena come quella. Damon Salvatore era innamorato, negare l’evidenza non era utile né produttivo. L’unico modo di liberarsi di una tentazione è cedervi. Peccato che fosse difficile, ora come ora.

Elena si accasciò contro il ripiano della cucina, gli occhi rossi di lacrime, il viso fra le mani e i capelli arruffati. Perché stava soffrendo così tanto? Quando aveva cominciato a soffrire così tanto per Damon Salvatore. Il suo subconscio le diede la risposta.

Un giorno soleggiato. Stefan ancora drogato di sangue umano e la sua scalinata per il concorso di bellezza sembra interminabile. Nessuno la attende di sotto, non ci sarà nessuno ad accompagnarla, la figura peggiore della sua vita. E poi il suo volto. La sua mano. La sicurezza di averlo accanto, la sua stretta ferrea e decisa. Era stato un sollievo che fosse lì, pronto ad aiutarla. Sguardi. Il ballo degli sguardi, la canzone che aleggiava intorno a loro come il sottofondo di un sogno troppo bello da cui si desidera non svegliarsi mai. Un giro. Sotto il sole dovrebbe bruciare, ma l’anello lo protegge grazie al cielo. E poi solo i malvagi devono bruciare, lui non lo è. Non più. Secondo giro. Terzo. Non riesce a staccare gli occhi dai suoi, malgrado si sfiorino a malapena sente già di non potergli resistere, e questa cosa la spaventa. Un vortice di farfalle comincia a riempirle lo stomaco e, malgrado possa negarlo, vuole sentirlo accanto a sé, vuole le sue braccia intorno alla sua vita. E poi il valzer. E’ un ballerino eccezionale, lei è una frana. Prima non vuole credere a quello che sta succedendo, vuole resistere, convincere se stessa di essere forte abbastanza da evitare di abbandonarsi a quel qualcosa che la sta travolgendo. Ma è impossibile. Sorride, perché non può più fingere, ed è felice di essere lì con lui. Ma poi tutto finisce. Troppo presto, troppo infretta. E intorno a loro ci sono di nuovo tutti gli abitanti di Mytic Falls, e lei non è più certa di nulla. Lo guarda titubante, vedendo lui che ricambia sicuro e deciso il suo sguardo: l’hanno capito entrambi ormai. E’ un’attrazione a cui non possono sfuggire. Sono legati.

Sente Stefan entrare e chiamarla. Lui è andato via.

La porta dell’albergo è fin troppo comune per un vampiro ma, del resto, che può saperne lui di vampiri e di stanze di motel? Insomma, non è che abbia avuto a che fare con vampiri viaggiatori o roba simile. I Salvatore avevano il loro bel villone, anche quelli della cripta si erano fatti una casa niente male durante la loro permanenza e Mystic Falls – da quello che ricordava – mentre lei aveva scelto di risiedere in un albergo di seconda categoria. Per passare inosservata? Per carenza di denaro? Insomma, potevano esserci mille ragioni diverse per cui si trovava lì. Insomma era chiaro che volesse vedere Elena, conoscerla quanto meno, e lui aveva promesso di non rivelarle mai nulla, anche se d’altra parte non è che sapesse questo gran chè. La verità era che aveva scoperto molto di lei in Arizona, quella volta, quando Isobel era al centro dei suoi pensieri e quella sconosciuta gli era apparsa davanti come un angelo, al momento giusto e nel posto giusto. Già all’epoca gli metteva una soggezione assurda, considerando anche che portava lo stesso nome di sua moglie. Ex moglie, cretino, non ce lo dimentichiamo. Adesso è una vampira sadica e pronta a strozzarti, devo ricordartelo?

Titubante bussò alla porta, aspettando che qualcuno la aprisse. Sulla soglia gli apparve Isobel, perfetta come l’ultima volta che l’aveva incontrata, avvolta in un abito verde scuro, ornato da uno scialle marrone abbinato alle scarpe. Sul volto un’espressione confusa e poi bonaria: l’aveva riconosciuto, sapeva chi era e cosa voleva da lei. Anche Alaric le sorrise.

“Posso entrare? Dovrei parlarti.”

Lei annuì con semplicità e lasciò che lui varcasse la soglia. Prima di chiudere la porta, sulla maniglia, appese il cartello “Non disturbare”. Si, era vero, avevano bisogno di parlare.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ...e il resto è fuoco ***


Non sai mai quale sia la tua strada fino a quando non la percorri; non vedi il tuo cammino prima che una luce non lo illumini. Perché accade questo? Perché succede proprio a noi? Domande eterne senza risposta, secoli e secoli di speculazioni che, infine, non lasciano altro che dubbi irrisolti e nuovi enigmi a cui trovare risposta. E, peggio di tutto il resto, quando tentiamo di cambiare anche solo un frammento di eternità nelle nostre vite, tutto il resto che credevamo permanente si sgretola, lasciando a noi l’ardua decisione: scegliere una delle sue strade del bivio, senza possibilità di tornare indietro o di cambiare opinione. Perché, se credi davvero nel destino, non c’è una scelta sbagliata, solo modi diversi di guardarla. Alla fine tutti i tasselli finiscono ai propri posti, e il puzzle è completo, come sulla carta così nelle nostre vite.

Salì con passi lenti e misurati sul portico, cercando di non pensare alla notte precedente. Si, insomma, c’erano tante cose probabili a questo mondo – e chi più di lui poteva saperlo! – ma questa cos non l’aveva proprio presa in considerazione e, malgrado sul momento non ci avesse pensato, adesso si rendeva conto di essere spaventato da quella vicinanza improvvisa, da quell’improvvisa intesa che, fino a qualche settimana prima non avrebbe creduto possibile. Suo fratello era praticamente scomparso per una settimana – “chiamami quando sei stanco e verrò a darti il cambio” erano le ultime parole che aveva pronunciato prima di sparire – e la cosa l’aveva messo in mezzo a problemi di enorme portata, difficili da risolvere se sei solo in una città dove la parola “vampiro” non ha poi questo significato allegorico e tutti sono pronti ad infilzarti con un paletto di legno! Aveva parlato con il sindaco – la signora Lockwood – e con lo sceriffo, la madre di Caroline, ma in entrambi i casi aveva saputo soltanto dire che Damon era partito per qualche tempo, senza lasciare indicazioni sulla sua meta o altro, non sapeva quando sarebbe tornato e avrebbe tenuto aggiornate entrambe su eventuali sviluppi. Il vero guaio era che non sapeva se sarebbe tornato mai. Elena era rimasta silenziosa per tutta la settimana, considerando anche che, per cercare di tenere in piedi la copertura di Damon, aveva dovuto dedicarle meno tempo del previsto. Grazie al cielo c’era Isobel. Lei e Alaric erano stati essenziali nell’aiutarlo. Sapeva di potersi già fidare di Alaric ma, adesso, era altrettanto sicuro delle intenzioni di Isobel, che si era dimostrata una sorella maggiore migliore di qualsiasi altra avesse mai potuto sperare: non ci aveva pensato su due volte quando lui l’aveva chiamata, si era precipitata da Elena e l’aveva protetta per molti giorni. Jeremy era ritornato a casa, sempre debole e mal ridotto, mentre Jenna aveva avuto un grosso incarico per il suo lavoro e tornava a casa sempre meno spesso. Ovviamente, a conoscenza com’era di tutta la faccenda, a Jeremy non era sfuggito che Isobel era molto più che una semplice “nuova amica” ma, poiché ostentava ancora un completo silenzio nei riguardi di sua sorella non aveva potuto indagare oltre. Lui, invece, dopo che l’alibi di Damon si era dimostrato inaffondabile, si era dedicato al suo problema maggiore: Bonnie. La notte che avevano trascorso insieme, quella volta, parlando del più e del meno, aveva lasciato entrambi esterrefatti sulle cose che avevano in comune, sulla reale positività dei loro pensieri e della congruenza delle loro anime. Si erano incontrati spesso, negli ultimi giorni, e mentre a casa di Elena si erano scambiati solo un cenno distaccato con la mano – smentito da sguardi tutt’altro che indifferenti – a casa sua era tutt’altra storia.

Bussò, aspettando pazientemente che lei aprisse la porta. Apparve in pochi istanti, alzando su di lui i suoi grandi occhi marroni, indagatori. Rendendosi conto dell’intensità del suo sguardo abbassò le ciglia, mentre del sangue caldo saliva alle sue guance, tingendole di un delicato colorito rossastro, tutt’altro che visibile grazie alla carnagione scura. Anche Stefan sorrise, imbarazzato dell’imbarazzo di lei, per poi varcare la soglia una volta che lei si spostò per lasciarlo passare. Si sedette sullo sgabello alto del ripiano della cucina, visto che la streghetta stava cucinando, e rimase così ad osservarla, mentre si muoveva come una libellula fra gli scaffali e impastava con mani esperte la farina. Ogni tanto lo guardava anche lei, ma senza dire nulla. Era una situazione strana, e il silenzio sembrava essere l’unico modo di affrontarla.

“Allora – cominciò lei, finalmente decidendosi a rompere il silenzio una volta che la torta era in forno, e sedendosi accanto a lui – Isobel è ancora da Elena? Siamo sicuri di poterci fidare di lei?”

Lui si limitò ad un’alzata di spalle, accompagnata da un sorriso ironico. “Abbiamo altra scelta? Insomma, mio fratello è scomparso da una settimana, Katherine è ancora in circolazione, e io non posso gestire tutto da solo e tutto in una volta. Insomma, posso avere anche 163 anni, ma anche io ho certi limiti. Certo che Damon poteva scegliere un momento migliore per andarsene.”

Prese la testa fra le mani, i gomiti poggiati sul bancone della cucina, mentre rifletteva: che peso da portare sulle spalle, adesso tutto da solo. La mora parve intuirlo, così gli posò una mano su una spalla, la testa sulla schiena piegata.

“Non devi avere paura di affrontare tutto questo da solo, dico sul serio. Anch’io stavo malissimo un mese fa, insomma c’erano tante di quelle cose irrisolte nella mia vita, tanti tasselli ancora da mettere al loro posto. Tu mi hai aiutato, dico davvero. Il solo parlare con qualcuno che aveva la totale conoscenza di quello che intendevo è stato.. confortante. Davvero Stefan, non aver paura, si sistemerà tutto. Conosciamo benissimo Damon. Probabilmente avrà litigato con Elena e si sarà imbarcato in qualche crociera last minute con tante belle fanciulle a sua disposizione 24 ore su 24. Dai, tornerà presto, e nel frattempo noi sapremo cavarcela come abbiamo fatto fino ad ora.”

Lui alzò lo sguardo su di lei, come un cucciolo spaurito che cerca un padrone con cui potersi sentire al sicuro. Lei gli sorrise, rassicurante. Era davvero un genio, gentile e generosa, la forza delle streghe scorreva nelle sue vene, e questo la rendeva ancora più incantevole. Incantevole? Capì, quasi come un fulmine a ciel sereno, quello che stava succedendo.

“Grazie Bonnie. – la ringraziò con una carezza sui capelli, ricci e vellutati – Non so proprio come avrei fatto senza di te.”

Vide gli occhi di lei impiantarsi nei suoi, il suo viso vicinissimo quasi da poterlo toccare. Vedeva le sue iridi brillare di una qualche luce sconosciuta. E, la consapevolezza che anche le sue di iridi dovevano brillare allo stesso modo, lo spaventò. Era diverso a come lo guardava Elena. C’era stato qualcosa di molto forte fra di loro, di puro, ma lei non aveva mai visto in lui il predatore e l’assassino, l’aveva voluto salvare a tutti i costi da quello che era perché temeva la sua vera natura. Bonnie no. Lo conosceva per quello che era e non per quello che appariva, sapeva quale oscurità celava nel cuore perché era esattamente la stessa oscurità che opprimeva il suo spirito. Fu una frazione di secondo a cambiare tutto. Sentì le labbra della strega sfiorare le sue, come se avesse paura di avvicinarsi di più: non aveva paura di lui ma della sua reazione. In fin dei conti lui era l’ex della sua migliore amica, e non era certa che l’avesse dimenticato. Ma lui ne era certo ormai. Con un lamento di desiderio la strinse a se, attirando il suo corpo esile al suo, per quanto la posizione in cui si trovassero lo permettesse. Inspirò il profumo della sua essenza, assaporando con la lingua l’amaro del veleno che aveva dovuto celare così a lungo a tutti; ma per lui niente veleno sarebbe più uscito da quella bocca, solo ambrosia. Lei si strinse a lui, intrecciando le lunghe dita affusolate ai suoi capelli biondi e lasciando che le sue labbra ricche di desiderio si impadronissero prima della sua bocca e poi del suo collo. Si sedette su di lui, ancora più vicina, percependo che avevano celato troppo e troppo a lungo e lasciò che le sue mani esplorassero il profilo della sua schiena e poi delle sue natiche, mentre l’avida bocca si impadroniva di quanto le spettasse. Quando si staccarono, entrambi desiderosi di riprendere fiato, si resero conto di quando stava succedendo. Ma a nessuno dei due importava. Lo volevano entrambi, sentivano entrambi la voglia crescere, soppressa così a lungo. E poi, quando le bocche stavano per incontrarsi di nuovo, lo squillo di un telefono. Stefan posò un dito sulle sue labbra, in evidente imbarazzo, mentre lei si limitò a sorridere, aggiustandosi i capelli.

“Si, pronto. – la faccia sorridente si scurò di colpo, mentre qualcuno dall’altra parte parlava a raffica e Stefan lo ascoltava rapito – Si, ho capito, ci vediamo dopo.”

Chiusa la chiamata si limitò a guardare Bonnie.

“Damon è tornato. Ha detto che mi spiegherà dopo tutto quanto.”

“Ti fidi ancora di lui?” – gli chiese stupita Bonnie.

“Non so cosa credere, il problema di Damon è che non fa mai nulla per caso. E, neanche a farla apposta, ha detto di aver incontrato Jenna mentre tornava al Pensionato. Suppongo che Elena scoprirà in pochi minuti che è tornato, mi preoccupa cosa possa fare. Insomma, non mi ha mai detto cosa si sono detti.”

Bonnie sorrise in imbarazzo, scendendo dalle sue gambe. Si passò una mano sulla fronte, riflettendo, e poi fissò il suo sguardo su di lui.

“Ti fidi di me, Stefan Salvatore? – domandò, seria – Se è così lascia che parlino. Ne hanno davvero un gran bisogno da quello che so. E, anche se vorrei dirti di cosa si tratta, non posso, visto che Elena non vorrebbe che tu lo sapessi. Te lo dirà lei, una volta pronta, fino ad allora l’unica cosa che ti assicuro è che non vale la pena disturbare nessuno dei due adesso. Katherine è stata molto abile a giocare le sue carte ed ha di nuovo incasinato tutto, ma so che non finirà così. Dovrà pagarla. Io gliela farò pagare.”

Il tono della sua voce lo mise in allarme, in quanto vedeva la furia di strega nel suo sguardo, ma poi d’un tratto si concentrò di nuovo su di lui e gli sorrise. Gli si avvicinò e accolse nel rifugio del suo petto il suo volto, così teso e preoccupato. Lui udì il battito del suo cuore accelerare ma, poi, rallentare non appena le sue mani l’avevano stretto. Era una strana situazione trovarsi di nuovo al centro della vita di qualcuno: lui l’emarginato, lui sempre secondo, lui sempre in dubbio, forse aveva trovato un universo parallelo in cui non c’era bisogno di cercare, perché la sua stessa ricerca al’aveva portato ad un ritrovamento che, adesso, poteva renderlo felice. Strinse Bonnie a se,assaporando ancora una volta il suo dolce profumo. Poi il fornetto trillò e lei indossò velocemente i guanti e tirò fuori la torta dal forno, per poi guardarlo con una faccia da spriamo-di-non-avvelenare-nessuno e prendere un coltello.

“Dimmi che ti va una fetta di torta.”

Lui annuì, prendendo un coltello e aiutandola a tagliarla. Si, forse aveva trovato il suo posto.

Ci era voluto davvero cosi poco per farla correre da lui? Una chiamata? Zia Jenna era una persona leale: non appena aveva visto Damon scendere dalla sua auto per entrare nel Pensionato non ci aveva pensato due volte ad avvisare sua nipote, visto come si era sentita in quei giorni, a pezzi e tutt’altro che aperta al dialogo. E lei, stupida com’era, non si era lasciata sfuggire l’occasione: aveva pregato Isobel di restare e badare a Jeremy mentre lei guidava veloce verso la casa dei vampiri. Inquietante come visione, nulla da dire. Ma c’era Damon in quella casa, non poteva fare altrimenti.

Bussò. Una volta, due, tre. Nessuna risposta. Benissimo! Aprì la porta – e ti pareva che fosse aperta! – ed entrò, investita subito da una folata di puzza di alcool e di tartine.. al salmone? Gli piaceva il salmone? L’intera casa era soffocata dalle pressanti note ad alto volume dei Led Zeppelin. Entrò circospetta nel salone, vedendo la figura del vampiro emergere dalla porta alla sua sinistra. Era vestito di nero, ovviamente, la camicia sbottonata lasciava intravedere – anzi vedere proprio bene – il petto marmoreo che, se fosse vissuto prima, sarebbe stato fonte di inspirazione per più di uno scultore greco. In mano aveva una bottiglia di burbon, gli occhi semichiusi e la bocca aperta in un ghigno. Si trattenne dall’avvicinarsi a lui ma restò a fissarlo, le braccia incrociate sul petto e un’espressione collerica sul volto, nonché assolutamente stupita: era rimasto chissà dove a tracannare burbon per una settimana ed adesso che lei era lì era anche ubriaco? Maledizione, voleva davvero rovinare tutto in questo modo? Beh, ci stava sicuramente riuscendo in pieno.

“E così sei qui. – si limitò a constatare lei, incredula ancora di più – vorresti illuminarmi, perché sono leggermente confusa. Dove sei stato? Una chiamata ti avrebbe ucciso? Abbiamo provato a rintracciarti per giorni, Stefan era preoccupato.. io anche.”

Lui si limitò a ridere, mentre sorseggiava divertito quel che restava dell’alcool in bottiglia, per poi gettarla e ridurla in frantumi sul pavimento. Le si avvicinò, posandole le mani sulle spalle e guardandola dritto negli occhi, la sbornia evidente come non mai, la determinazione del suo sguardo praticamente inesistente.

“Mi fa immensamente piacere che siete stati in pensiero per me, Elena. Ma, dato che l’ultima volta che ci siamo visti sei stata categoricamente chiara, ho pensato di andarmi a svagare un po’. Odio essere di cattivo umore, i problemi mi uccidono capisci? E c’erano troppi problemi qui negli intorni di cui occuparmi quindi me la sono filata, sai? Infondo cosa avevo da perdere?”

“La tua famiglia! – si indignò lei, notando la serietà della sua voce, e scrollandosi di dosso le sue mani  – I tuoi amici! Tutto quello a cui tieni è qui, porca puttana! Vuoi ancora negarlo con i tuoi stupidi giochetti? Se temevi di perdere tutto ci sei andato molto vicino.”

Lui rise ancora più forte, per poi urlare come un indemoniato.

“Smettila di psicanallizarmi, ragazzina, non sai cosa sono, non sai cosa sono capace di fare. Ogni volta che ho cercato di cambiare è andato tutto a puttane, e l’ultima volta ci sono quasi rimasto secco. Se apri il tuo cuore e dimostri i tuoi sentimenti non vuol dire che la tua vita smette di fare schifo, Elena. Semplicemente farà schifo e a pagarne le conseguenze ci si è in due. Non capisci? Ti ho fatto un favore andandomene… è inutile fingere che ci sia stato qualcosa fra di noi, soffriremmo di più… e poi essere single è divertente… vuoi farti un goccetto per caso? Così, per ricordare i vecchi tempi.”

Le si avvicinò famelico, la sua bocca a pochi passi dalla sua… sbam! Uno schiaffo lo colpì in piena faccia, mentre Elena già si avviava veloce verso la porta. Cosa aveva pensato di ottenere venendo lì, incontrandolo? Lui non era mai cambiato, non sarebbe cambiato mai né per lei né per altri. Damon, nel frattempo si massaggiava la guancia, rendendosi conto che era bruciata. Bruciata? Guardò la ragazza quasi vicino alla porta, i suoi capelli racconti in un coda, il suo collo, la catenina… ma certo! L’incantesimo di Bonnie. Qualsiasi vampiro avesse tentato di toccare Elena sarebbe finito arrostito. Grandioso! Però non poteva certo lasciarla andare così.

“No no no no no, piccola! – la bloccò lui, appoggiando il braccio disteso sulla porta e bloccandole l’uscita – Sarò ubriaco ma non ancora stupido. Tu rimani comunque un bel giocattolino da difendere e proteggere, come un cane hai presente? Quindi finchè il mio fratellino non torna tu resti qui, buona, a cuccia!”

Lei ormai aveva smesso di mantenere le lacrime e lo fissava con odio.

“Sai, sono proprio felice che tu abbia baciato Katherine! Se fossi stata io adesso avrei dei sensi di colpa e qualcosa da rimproverarmi. Così, invece, posso semplicemente fingere che non ci sia stato nulla fra di noi e, dopo oggi, non ci sarà nulla mai più.”

Con un ultima occhiata di sdegno gli voltò le spalle e salì le scale fino al piano di sopra, gettandosi di peso sul letto della prima stanza che aveva trovato. Solo dopo mezz’ora capì che il profumo che sentiva era il suo e, alzando gli occhi, lo vide, appoggiato alla porta della camera, le gambe e le braccia incrociate alla James Bond. Lo sguardo era serio, nulla a che vedere con quello giocoso e ironico di poco prima. La fissò così a lungo, senza che lei protestasse, soffrendo delle lacrime che vedeva nascerle dalle guance. Lei, invece, aveva uno sguardo rassegnato, privo di speranze, e lui se ne rese conto.

“Camera mia. – asserì con un cenno della mano, mentre lei si voltava intorno ed esaminava quello che aveva intorno – mi dispiace di non averti fatto fare un giretto panoramico prima di oggi.”

L’ennesima provocazione. Lei sorrise incredula e si alzò, pronta ad andare via, ma lui la fermò, bloccandola per le spalle con le sue mani robuste. La fissò, per un istante, e poi le asciugò le lacrime con il pollice della mano. Più e più volte finchè non fu certo che non ne colassero più. IL pollice era ridotto ad un schifo, bruciato e quasi nero, ma non badava al dolore, cercando di non farci caso. Lei, però, se ne accorse, tanto da are un passo indietro a posare la mano sul ciondolo, capendo che lui non poteva sfiorarla finchè lei non gli avesse dato il suo consenso.

“Mi dispiace, Elena, per ciò che ho detto e ciò che ho fatto. E vorrei spiegarti, ma devo essere certo che mi ascolterai. Ti supplico.”

La fissava con quello sguardo intenso, da cacciatore, che poteva sembrare quasi un controllo mentale, se solo lui non avesse saputo che lei aveva il ciondolo di verbena al collo e lei che lui non si sarebbe mai permesso di farlo. Alzò una mano per cercare di sfiorarla ma, lei, più in fretta delle sue intenzioni, si scostò con grazia, impedendogli l’ennesimo martirio. Con il mento alto e lo sguardo fiero, indietreggiò, fino a sedersi sul letto. Lo fissò, in attesa, senza abbassare la guardia.

“La sera del giorno dei fondatori è cambiato tutto. Non ti ho mai nascosto come desiderassi ardentemente distruggere questa città mentre, quella sera, mi sono ritrovato a cercare di proteggerla, di salvarla. Non so cosa mi abbia fatto cambiare idea ma, sta di fatto, che l’amore che ho scoperto di nutrire quel giorno per te, per mio fratello, per tutti coloro che abitano qui, era maggiore alla mia sete di vendetta. E così ho lottato per tutti voi, insieme. E quando quella sera ho visto lei, credendo di averti davanti, mi sono reso conto di avere fra le mani qualcosa di incredibilmente prezioso, la tua fiducia. Tu ti eri sempre fidata di me quando gli altri mi avevano voltato le spalle. Ma eri la ragazza di mio fratello, e anche se i momenti condivisi insieme erano ricordi molto dolci, ero certo non mi avresti mai lasciato avvicinare tanto a te. Oggi so che non l’avresti mai fatto, e mi dispiace di aver creduto il contrario. Sapevo quanto tieni al fatto di essere diversa da lei, da Katherine, ed è per questo che temevo di dirti quello che ho fatto, sapevo che non mi avresti mai perdonato. Ma poi, quando ho sentito che non potevo più nasconderti i miei sentimenti, quando te li ho messi su di un piatto d’argento, sei scappata. Non sapevo cosa pensare. E poi hai scoperto tutto proprio la sera in cui avevo deciso di dirti tutto.. e sono morto dentro, da quel giorno, sapendo di non poter più contare su di te. Sono fuggito, si , ma solo perchè temevo che vederti mi avrebbe reso pazzo! Io non ho mai voluto il tuo male Elena, devi concedermi almeno questo.”

Lei non parlò, ascoltò il suo monologo senza fiatare e, quando lo vide avvicinarsi e sedersi al suo fianco, si alzò come riflesso involontario, giocherellando con la catenina. Lo guardò, la sua testa abbassata e colpevole, le mani incrociate sulle ginocchia, il volto afflitto e probabilmente l’animo distrutto. Ma non poteva perdonargli tutto.. era troppo chiederle anche questo. Aprì la bocca per parlare ma la richiuse all’istante, l’aprì di nuovo ma di nuovo nulla. Infine rinunciò e si avviò verso l’uscita.

“Elena, io ti amo. Non conta nulla?”

E in un attimo il castello di sabbia che si era eretta intorno cadde in mille pezzi, lasciando solo una fragile pellicola di incredulità a difenderla da lui. Si voltò, fissando i suoi lineamenti distesi, sicuri di se. Non stava mentendo, diceva la verità. Con un unico gesto decise il suo destino, perchè capì di non poterlo evitare.

“Mi sto fidando di te, non farmene pentire…” - sussurrò, buttando la catenina sul comodino e raggiungendolo con rapidi passi.

E il resto fu fuoco. La sua bocca trovò con facilità quella di lui, mentre si sedeva a gambe aperte sulle sue, era come se la perfezione delle loro anime trovasse pieno compiacimento nella danza delle lingue e delle mani. Non c’era stato alcun litigio, alcuna partenza, alcuna Katherine, alcun Stefan. C’erano loro due, adesso, ora, per sempre. In un attimo lei si ritrovò sotto di lui, i polsi bloccati dalle sue esperte mani, la schiena che si curvava sotto il suo bacio incandescente, la bocca che ansimava aspettando il ritorno delle sue labbra. Inspirò il suo profumo, baciandogli il collo e lasciando che lui si occupasse degli inutili stracci che ormai erano solo d’intralcio. La liberò in un lampo della canottiera grigia e dei jeans, le scarpe erano finite chissà dove. Lei, dal canto suo, non perse tempo. Le mani, vogliose, che ripercorrevano i lineamenti scolpiti dei suoi addominali arrivarono alla cintura e lo liberarono anche di quella, visto che era evidente che né quella né i pantaloni potevano contenere la sua eccitazione. Le mani di lui ritrovarono il suo volto, e ripercorsero con delicatezza prima la fronte, poi le gote e infine le labbra, prima di posarvi delicatamente le proprie. C’era più perfezione di quella che adesso li accomunava? Nessuna. Slacciò il reggiseno, inutile orpello, e lasciò cadere a terra anche quello, per poi liberarsi e liberarla dell’ultima cosa che li divideva realmente. Intrappolò di nuovo le sue mani sopra la testa, stringendole con attenzione i polsi sul cuscino. Lei voltò la testa di lato, scoprendo il collo, quasi fosse un invito esplicito. Lui parve notarlo, tanto che sorrise ironico e depositò le labbra con infinita dolcezza nell’incavo della sua sola, facendola sospirare di piacere. Le labbra che passeggiavano sulla sua pelle erano come fiamme, due fuochi che ne volevano esplorare ogni singolo millimetro. Le braccia di lui lasciarono i polsi di lei e si distesero lungo le sue curve, stringendola fra le mani e facendola sospirare ancora più forte.

“Non ti tradirò mai, Elena, potrai sempre contare su di me..”

Un mormorio quasi sfumato nell’atmosfera della stanza, tanto da sembrare frutto della sua immaginazione. Lo percepì reale soltanto quando si rese conto che i loro corpi si erano finalmente uniti e si muovevano in sincrono, l’uno nel profondo intimo dell’altra. Non era una questione di desiderio, o lussuria, o forse addirittura di entrambe, ma era un fatto di alchimia fisica e chimica, una reazione a cui non si poteva scappare. Lo strinse a se, sentendo la sua testa sulla spalla, infilando le mani nei suoi capelli neri, leggermente bagnati dal sudore, e piegò la testa all’indietro, percependo la forza della sua virilità in lei che la faceva arrivare a vette mai sfiorate prima. E il movimento crebbe, così come il legame che sentiva nascere. Le loro labbra si incontrarono di nuovo, e di nuovo, e gli sguardi si soffermarono tanto a lungo quanto l’eccitazione lo permetteva. Gli occhi di un predatore in quelli di una preda, il leone e la lepre. Percepì la vampata di fuoco espandersi in tutto il corpo, le mani di lui sulla sua pelle, le sue labbra sul suo corpo. Voleva di più, ed era certa che lui fosse ingrado di darglielo, ma preferì non chiedere, sapendo che ci sarebbero state altre occasioni per farlo. E il limite arrivò, mentre i loro gemiti si fondevano in un unico grande inno di puro piacere e amore… si, amore. Lui si accasciò sfinito al suo fianco, ma lei non voleva saperne di smettere: aveva aspettato quel momento per troppo tempo, non poteva certo accontentarsi! Ma la notte era ancora lunga.

“Damon? – sussurrò, ancora ansante, posandogli il capo sul petto e tirandosi addosso la coperta di seta marrone scuro – io mi sto fidando di te..”

“..e io non te ne farò mai pentire.” – promise solennemente lui, baciandole i capelli e accarezzandole la schiena con movimenti lenti e misurati. Era una promessa infrangibile, quella, una promessa di sangue.

 

 

*Spazio moi/ autrice ù.u

Dopo un pò mi sono finalmente decisa a far capire ad entrambi i fratellini cosa provano e, inoltre, mi sono convinta ad esternare i loro sentimenti. Beh, spero di non aver fatto male, che dite? Insomma, era ora che Elena capisse di tenere davvero a Damonuccio *.* Però ricordiamoci che Stefan non sa ancora nulla, e VOI non sapete ancora nulla di quello che si sono detti Alaric ed Isobel in motel. UUuuuuuuu, il prossimo capitolo si preannuncia interessante, non vi pare? Alla prossima miei cucciolotti!

P.S. Abbraccione enorme e poeticdream, Juliets, erika 90 e dark rose per i commenti. E' anche grazie a voi che trovo l'ispirazione epr continuare ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Finnally you, again. ***


Si sedette sul divanetto di stoffa verde, lasciando che Isobel si accomodasse sul letto di fronte a lui, le gambe incrociate e il vestito attillato verde che metteva in risalto le sue curve. Sorrise, vedendo l’imbarazzo di Alaric e si buttò i capelli corvini all’indietro, incrociando le mani sulle ginocchia. Era da tanto che non si vedevano, e in fondo non era stato uno degli incontri più lieti della loro vita ma senza dubbio uno dei più importanti.

Alaric, dal canto suo, aveva riflettuto molto prima di raggiungerla, eppure era stato essenziale vederla, parlarle. Da quando aveva scoperto che era in città, da quando aveva visto la sua auto davanti al vialetto di Elena, tutto era apparso chiaro. Era tornata per raccontare tutto, voleva proteggere Elena e salvarla dalle grinfie della sua omonima malvagia, la sua tenera sorellina Katherine. All’epoca, quando gli aveva raccontato tutto non poteva sapere, non poteva neppure immaginare cosa e come c’entrasse Isobel con sua moglie – all’epoca ormai non più tale, con Elena, con i Salvatore e con tutta la sua vita. Perché, benché gli costasse un certo sforzo ammetterlo, adesso era quella la sua vita, quello il suo posto nel mondo, e non gli dispiaceva un gran chè. Quasi come se fosse tornato indietro nel tempo, rivide quell’autunno, quei mesi che gli avevano cambiato la vita, quei mesi che l’avevano reso il cacciatore che era adesso..

“Non è cosi semplice come sembra. I vampiri non sono tutti dracula o Edward Cullen, dovresti saperlo. Insomma ci sono anche mezze verità me per il resto è finzione, i veri vampiri sono ben diversi.”

Lui la guarda ammirato, eppure ancora scettico, Cosa può saperne lei di vampiri? Sono seduti in un bar di Philadelphia, lui e la sua nuova amica, Isobel. Si sono conosciuti circa tre settimane fa, quando lui era arrivato in città per cercare informazioni su sua moglie; cercando una certa “Isobel” si era imbattuto in questa ragazza che, dopo qualche drink e risata, era diventata più che una semplice conoscente. Un’amica. Non era mai stato tipico di lui fidarsi delle persone ma, con lei, sentiva che era diverso. Gli aveva raccontato tutto di se, della propria sorella bastarda, Katherine, di come le avesse rovinato la vita e di come si fossero divise senza più rivedersi per lunghi anni. Quanti con certezza non l’aveva detto e lui, con la sua sensibilità da galantuomo, non aveva osato chiedere di più. E così lei, dopo molto tempo, quando lui sta per essere aggredito da un vampiro – come gli dirà dopo lei stessa – gli rivela tutto: chi è, cosa fa. E lui capisce che da allora non sarà più lo stesso, le chiede di sapere come combattere quelli delle sua razza, come sconfiggerli e lei, chissà perché, acconsente ad istruirlo, a insegnargli tutto sulla sua razza. Le ha anche chiesto di sua moglie ma lei, dopo uno sguardo perplesso ma riflessivo, gli ha risposto di non sapere nulla, purtroppo.

“Allora – continua lei, sorridente, davanti ad una bottiglia di whisky – per uccidere uno di noi devi conficcargli un paletto proprio qui, dritto nel cuore al centro del petto – e, come conferma, poggia le lunghe dita nell’incavo del seno – e ovviamente puoi usare la luce del sole, a meno che non si abbia un amuleto che ti protegga – sposta la mano un po’ più in alto, sul ciondolo che porta appeso al collo – E’ magia, Alaric. Si, esiste. Ti risulta difficile crederlo dopo quello che sai e vedi con me, ogni giorno?”

“Ormai non mi sorprendo più di nulla, Bells. – risponde divertito lui, per poi tirare fuori un pezzo di giornale e indicare un articolo – Ho trovato questo, sta mattina: una donna che corrisponde alla descrizione di mia moglie è stata vista proprio qui, ov’è morto questo campeggiatore. Forse dovrei..”

Lo sguardo di Isobel si fa subito più attento, più duro del solito. Guarda il pezzo del giornale con occhi attenti, quasi come se volesse trovare un modo per dire… qualcosa?

“Senti, Al, non vorrei dirti cosa fare e sai che non mi permetterei mai ma.. non credi sia passato troppo tempo? Insomma, per tua moglie intendo. Forse dovresti semplicemente…  lasciar perdere tutto, rifarti una nuova vita, senza di lei e senza tutti questi problemi… non trovi sarebbe più facile?”

Il suo sguardo è speranzoso, crede in quello che dice.

“Ma come puoi pensarlo? – si indigna lui, guardandola – Lo sai che tutta la mia vita è mia moglie, devo trovarla, devo capire cosa le è successo e riportarla a casa. Non ci sono altri discorsi da fare su questo.”

“Hai ragione. – conferma lei, falsamente convinta ma del tutto contraria, anche se una brava attrice non fa vedere un falso sorriso nemmeno se è tale – Io vado in albergo, ci vediamo dopo, così magari andiamo a sballarci in qualche pub fuori città. A dopo.”

Gli dà un veloce bacio sulla guancia e sparisce.

E’ mezzanotte passata, la strada è praticamente deserta. Ha raggiunto la porta della camera di Bells, ma nessuno risponde. Per fortuna ha con se una chiave magnetica. Apre la porta e si blocca. Isobel, la sua ormai migliore amica, sta facendo i bagagli  - cioè li ha quasi finiti – e se ne sta andando. Il suo cervello rifiuta quel pensiero, categoricamente, deve esserci una spiegazione. Non può lasciarlo, non lì, non adesso.

Lei lo vede e sorride, malinconica.

“Devo andarmene, Al, non posso più restare.”

“Cosa… Bells, cosa diamine dici? Tu… io.. NON PUOI ANDARTENE!”

Lei non si smuove di un centimetro davanti al suo urlo: non può vacillare, la sua messinscena dev’essere perfetta, lui non deve sospettare la verità, nemmeno per un istante, altrimenti la odierebbe a morte per non avergli rivelato tutto.

“Ascolta Al, non può andare avanti cosi. Tu ti stai autodistruggendo e io non voglio colare a picco con te, chiaro? E’ evidente che la nostra.. è più di una semplice amicizia, ormai. Molto di più. E io non voglio che tu rimanga per sempre con me, non lo meriti. Devi lasciarmi andare Al.”

Lui non risponde, sembra un bambino con il broncio. Stringe i pugni.

“No.”

Non aveva dubbi. Gli dà un ultimo bacio sulla guancia, prima che lui possa anche solo reagire. “Addio, Alaric.” Prima che lui riapra gli occhi, sia lei che i bagagli sono spariti.

“Dimmi la verità – incomincia lui, guardandola serio – Non te n’eri andata perché temevi ci fosse qualcosa fra di noi, vero? L’ho capito tardi ma ci sono arrivato anch’io, sei stata tu dopotutto ad insegnarmi a dar peso ai dettagli più insignificanti. Sapevi di lei, sapevi che cosa era diventata e non volevi ferirmi, ma sapevi che mentendomi facevi di peggio e hai semplicemente preferito scappare, non è così?”

Non c’era accusa nelle sue parole, solo evidenza, l’evidenza di quello che era successo.

“E ora sei qui per Elena, immagino. Deve c’entrare tua sorella, anche se non so bene come. Non vorrai dirmi che quell’esperimento che hai fatto, quello del DNA…”

Il sorriso di lei vale più di mille parole.

“..e lei lo sa?”

Ancora silenzio, solo un cenno millimetrico del capo. L’orrore si fece largo sul volto di Alaric, quando comprese come tutto quadrasse perfettamente. Sua moglie, Elena, Isobel, l’altra Isobel. Insomma, una famigliola allegra e felice in cui lui era legato a tutti ma, in effetti, a nessuno. La vampira continuò a scrutarlo.

“Era la soluzione migliore, Al, mi dispiace. Sai che ferirti era l’ultima delle mie intenzioni e, il solo dirti di lei, avrebbe fatto qualcosa di irreparabile e te e a noi due. Ci tenevo e ci tengo troppo alla tua amicizia per rovinarla a causa di quella donna. Ma ora non c’è di che preoccuparsi, visto che so che è già stata qui. Ma non temere, non tornerà, e non la farò tornare.”

Sul volto di Alaric apparve un sorriso mesto.

“E dopo tutto questo tempo cerchi ancora di difendermi? Sono cresciuto, Bells.”

“Stavolta non sei tu quello da proteggere, è Elena. Con mia sorella in città mi preoccupo per lei. E faccio bene, da quello che mi hanno detto.”

Alaric annuì, per poi alzarsi.

“Adesso ho quello per cui sono venuto, la verità. Suppongo che non è l’ultima volta in cui ci vediamo, viste le circostanze. E, spero, che stavolta il nostro addio sarà ben diverso, Bells.”

“Puoi contarci – confermò lei con un sorriso, sentendo che la chiamava come un tempo, prima di seguire la sua sagoma che scompariva dietro la porta – Eccome, se puoi contarci.”

Annuì, per l’ennesima volta. Er sul letto di Bonnie, in camera sua, immerso in vecchi libri impolverati e amuleti di vario tipo. La torta non era certo stata male, ma c’erano problemi più imminenti che far aumentare il loro colesterolo!

“Ecco, qui invece potremmo utilizzare metà della formula del sigillo, per intenderci lo stesso della cripta, e allo stesso tempo porre un sigillo ad personam, che permetterebbe soltanto ad una persona di romperlo, alias io. Potrebbe funzionare.”

Stefan scosse il capo.

“L’idea in sé è buona ma, considerando che il sigillo può comunque essere superato da una magia più forte, e che tu potresti sempre morire, lei poi tornerebbe libera, e saremmo punto e accapo.”

“Ma se io muoio il sigillo resta e lei resta lì per l’eternità! – continuò lei, ancora più sicura – insomma, una prigione tutta per se con tanti specchi e magari qualche cretino a pulirle le scarpe. Non è sempre stato il suo sogno, da quello che mi avete raccontato di lei? Deve pagarla per quello che ha fatto.”

E’ proprio bella quando si arrabbia, pensò lui, ma subito dopo si rese conto che stavano “lavorando”, come si suol dire, e non era il momento epr certe cose. Anzi, con Bonnie non ci sarebbe stato più il momento giusto. Ora che aveva una mente lucida per pensare non capiva come gli avesse potuto saltare in mente di baciarla. Si, insomma, esisteva tipo un codice fra ragazze o roba simile, e lei era e restava la migliore amica di Elena, agendo così tradiva e feriva entrambe. Lui era di natura una persona non-egoista,  e veder felici le persone intorno a lui lo rallegrava, ma se questo implicava una sofferenza da parte sua? Beh, questo passava in secondo piano. La verità era che lui era troppo fragile per subire la sofferenza altrui e quindi preferiva evitare di causarla, se ne era in grado.

“Su questo non ci piove, Bonnie. – convenne lui, annuendo – Ma rimane di fatto che già una volta abbiamo provato a rinchiuderla in una cripta, devo ricordartelo? Non è che sia andata proprio alla perfezione quella volta, e se la storia ci insegna qualcosa… e se sbagliando si impara…”

“Ok, ok ok! Ho capito! – si adirò lei – Niente cripte. Quindi cos…”

Lo squillo di un cellulare. Non era il suo, era necessariamente quello di lei.

“Oh, è Jenna. Aspetta che… Sì, Jenna, dimmi. Elena? No, non è… si, è probabile, ma non preoccuparti.. Stefan è qui con me e andrà subito a controllare… si, stai tranquilla ti chiamerò appena posso. Si, certo che sto bene. A dopo Jenna, non preoccuparti.”

Chiuso il telefono guardò in faccia Stefan.

“Non ti piacerà. Elena è fuggita di casa appena saputo del ritorno di Damon. – continuò a fissarlo, visto che la cosa non lo sconvolgeva – Ed è successo più di cinque ore fa. Cosa diamine può esserle capitato? Non chiamare o avvisare? Non sarà che Kath…”

“Non le è successo nulla-  la rassicurò Stefan, alzandosi e afferrando la giacca di pelle – Tu rimani qui a cercare altri modi di intrappolare o uccidere Katherine mentre io vado a controllare.”

“Stai attento!” – si raccomandò lei, seriamente preoccupata.

“Non preoccuparti. – la rassicurò lui – Ti faccio sapere al più presto.”

Una volta scomparso dietro la porta, Bonnie riaprì i libri e ritornò all’opera: non c’era tempo da perdere.

 

*Spazio autrice/ moi ù.u

So che, rispetto ai precedenti, questo cappy non è propriamente il massimo, ma purtroppo gli eventi del capitolo di per se rendevan oimpossibiel renderlo interessante, eccezion fatta per la storiella di Alaric. E, inoltre, sapendo già cosa succederà nel prossimo non potevo far altro che scribacchiare questo "Intermezzo" preparandovi al botto del capitolo prossimo. Suggerimento: se Stefan va al Pensionato dei Salvatore chi pensate che troverà?? E soprattutto, dove? E soprattutto... cosa farà?? XDXD Beh, vi lascio con questi interrogativi, come sempre sono molto crudele.

Trilly, grazie di esserci, anche per la trama via sms, sei unica ^^

P.S. poeticdream, erika90, juliets... abbracci e baci e grazie, leggere i vostri pareri è davvero molto importante per me!!! Alla prossima, guys!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Together;; - Damon's background ***


Aprì lentamente gli occhi, rendendosi conto che il sole era sorto da poco e inondava con raggi lunghi e luminosi la sua stanza. Stiracchio le gambe, stranamente indolenzite, e si rese conto di essere solo fra le sue costose lenzuola di seta marrone. Con le dita lunghe toccò sospettoso il cuscino, confermando i suoi sospetti: Elena non era lì, non era al suo fianco. Con infinita lentezza scrutò la stanza, gli occhi scuri che si muovevano come fulmini, attenti e vigili, e la vide. Perfetta, come una dea che nasce dalla spuma del mare; perfetta, come un petalo di rosa appena sbocciata; perfetta, come i primi raggi del sole al mattino, gli stessi che accarezzavano delicati la sua pelle liscia. Era in piedi davanti alla finestra, lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, il lenzuolo del letto avvolto intorno al suo corpo fragile e grazioso. Non si era accorta che lui si era svegliato, era ancora ferma lì, immobile e pensierosa. Anche Damon cercò di pensare, visto che quella notte aveva avuto poche occasioni per farlo. Cos’era successo? Beh, per quello non ci voleva certo un genio, visto che ricordava perfettamente ogni singolo dettaglio. Ma, più importante, perché era successo? Era ubriaco, dopotutto, all’inizio non pensava neanche di avvicinarla, anzi ignorarla era la parola d’ordine che si era fissato in mente quando aveva deciso di ritornare a Mystic Falls. Aveva vagato una settimana, senza meta e senza limite dopo che lei l’aveva cacciato di casa. Era stata una tortura quella valanga di pensieri e sofferenza che l’aveva avvolto in quei giorni penosi, il pensiero di tutto quello che aveva fatto, di tutto quello che non aveva fatto; ricordi, confusi al presente, la sofferenza di quel presente sullo sfondo del futuro… non c’era nulla di peggiore neppure all’inferno, quello che aveva provato era stata una sofferenza pura, così pura da lacerarlo e costringerlo a tornare a tutti i costi, ma non prima di aver fatto una promessa: non toccare Elena neppure per sbaglio. Ma poi, mentre la bottiglia di alcool nella sua mano lo teneva a cuccia come un cagnolino.. un dardo, un fulmine a ciel sereno l’aveva colto alla sprovvista, il suo volto si era stagliato con tanta forza davanti a lui che aveva dimenticato in un solo secondo tutti i suoi buoni propositi, tutto era diventato sfuocato e senza senso, non c’erano più promesse o verità o doveri. Lei, così perfetta e bella. E poi, quando stava per andarsene, si era reso conto di non poter permettere che la sua guerra personale mettesse in pericolo lei, l’unica persona che era stata capace di vedere le tenebre attraverso le nubi del suo tenebroso carattere. L’aveva fermata ma, ancora una volta contro le sue intenzioni, l’aveva ferita. Era corsa su per le scale, inconsapevole che la stanza sul letto della quale si era buttata era proprio la sua; aveva trattenuto l’istinto naturale di raggiungerla, ma dopo un po’ i suoi istinti erano diventati troppo forti per essere semplicemente dominati e quindi aveva ceduto, aveva ceduto a quanto di più folle c’era nel suo corpo ed era andato da lei; ancora parole dure, ancora lacrime ma, poi, una frase, la stessa con cui avevano sigillato le loro anime di amicizia e lealtà tempo prima, quando lui aveva posto la sua di vita nelle mani di lei, non il contrario. E poi, il nulla. O forse era il tutto? Fatto sta che l’aveva sentita sua come mai nessuna donna lo era stata prima di allora, calda e morbida fra le sue mani.

Si alzò in un guizzo di secondo, raggiungendola e posandole le mani sui fianchi, salutandola con un bacio sul collo, da vero predatore. Lei, a dispetto di quanto ci si potesse aspettare, non si mosse, non si v0oltò a salutarlo con il suo solito sorriso radioso ma rimase ferma, lo sguardo fisso davanti a se. Non ci volle molto a capire che qualcosa non andava.

“Siamo di buon umore stamattina. – ironizzò lui, sorridendo con il suo solito ghigno spavaldo – Dì la verità, sei ancora arrabbiata e vuoi che faccia di meglio per farmi perdonare, eh?”

“Lo trovi così divertente? – lo accusò lei, voltandosi a guardarlo, lo sguardo a metà fra l’indignato e la martire che era in lei – Il solo pensiero di ciò che abbiamo fatto, di quello che io ho fatto mi gela il sangue nelle vene, e tu ridi? Come farò a guardare in faccia tua fratello, dopo tutto quello che abbiamo passato? E lui, che è rimasto al mio fianco anche dopo che l’ho lasciato, sperando di non ferire i suoi sentimenti… mi sento così vile a fargli questo propri adesso, proprio quando speravo..”

Ok, non era certo la reazione che si aspettava dopo una nottata come quella, soprattutto perché era diventata isterica in maniera preoccupante quella ragazza.

“Ok, calma calma calma. – propose Damon, prendendola per le spalle – Perché non ti calmi e ne riparliamo? Insomma, non credo siano affari di mio fratello ciò che è successo stanotte e tantomeno credo tu debba sentirti in colpa, né per lui né per altri. Se ho imparato una cosa con i secoli, Elena..”

La vide stringersi nelle spalle alla parola “secoli” ma proseguì come se nulla fosse.

“..beh, è che la propria felicità non merita di essere barattata per niente e per nessuno, mai. Se non ti concedi di essere felice adesso – le prese il volto fra le mani, constringendola a guardarlo – quando? Non hai il dono dell’immortalità, Elena..”

O almeno, non ancora.. – pensarono entrambi, entrambi timorosi di dirlo a voce alta.

“Ti prego, smettila! – lo respinse lei, allontanandosi e prendendo con un unico e rapido gesto tutti i suoi vestiti e dirigendosi verso la porta – Io devo assolutamente andarmene.. lontano da qui… da te… da questa situazione..”

Ancora una volta lui la raggiunse in un lampo, posando la mano distesa, con i muscoli in bella vista, tesi e affascinanti, sulla trave della porta e fissandola.

“Dove stai andando?” – le chiese senza esitare.

“Non mi importa! Lontano da qui.. – la sua voce cominciava a inclinarsi, la certezza evaporava davanti al volto di lui, così bellissimo e perfetto, a pochi centimetri dal suo, così vicino - ..lontano da..”

“Si, ma dove stai andando?” – ripetè lui, praticamente assaporando il respiro caldo della sua bocca, ormai praticamente vicinissima alla sua.

E fu l’ultimo gradino di sopportazione del suo flebile autocontrollo. Finchè Damon dormiva, lontano da lei, era così semplice fare tutte quelle supposizioni sulla coscienza e sul giusto e lo sbagliato. Ma, adesso, con lui lì, non c’era ragione che tenesse di fronte ai sentimenti che provavano l’uno per l’altra. E, esattamente come la sera prima, si arrese, semplicemente e di sua spontanea volontà. I vestiti ritornarono sul pavimento, la coperta scivolò lungo le sue curve e si ritrovò di nuovo fra le sue braccia, completa e non più sola. Non c’era più quella leggera brezza di imbarazzo che forse aveva percepito la sera prima, non c’era quel senso di difficoltà o inadeguatezza, quel senso di disagio che, insomma, chiunque potrebbe provare fra le braccia di qualcuno che non ha mai conosciuto così intimamente. Ma non più, per loro, mai più. Sentì di nuovo il duro del letto sotto di sé, le labbra di Damon che lasciavano strisce incandescenti con le sue labbra sulla sua pelle dorata, le mani che accarezzavano vogliose i suoi capelli lunghi, che ricadevano come meduse sul letto, confondendosi con il colore dello stesso. Sentì quando entrò in lei, con un movimento rapido ma delicato e gettò la testa all’indietro, mordendosi il labbro e trattenendo il gemito di piacere che invece sfuggì alle labbra di lui, poco prima di incollarsi a quelle di lei. Fu un bacio forte, passionale, di quelli che crescono piano e piano e raggiungono l’apice nel momento più opportuno. I loro corpi si muovevano aggraziati, l’uno a perfetto agio nell’altra, come sue metà che erano destinate fin dall’inizio a stare insieme. Le mani di lei scorrevano delicate, troppo deboli per poter prendere il controllo – anche se era certa che lui gliel’avrebbe volentieri permesso – prima nei suoi capelli corvini, poi sul collo rigido, sui muscoli del torace ben scolpiti; le labbra che avevano abbandonato le sue, invece, correvano vogliose e umide sul suo volto e sulla sua gola, fino ad arrivare a mordicchiargli l’orecchio e sentirlo gemere ancora di più. Lui, invece, aveva intrappolato le sue mani, sentendo di poter e voler controllare la situazione, sopra la testa, incrociando le sue morbide e lunghe dita a quelle fragili e sottili di lei, per poi scendere più in basso e intrappolarle i polsi. Le sue labbra cominciarono ad esplorare il suo corpo, come se ogni centimetro che toccavano lo toccassero per la prima volta, così dolce, fragile e sconosciuto. E poi arrivo, quel limite al quale entrambi ambivano, mentre il loro battito cresceva, i corpi si muovevano sempre più veloci, flessuosi, i gemiti salivano di intensità. E finì troppo presto, quel sapore dolciastro della loro unione, che si spense nel desiderio, nella passione e nella lussuria di un singolo frammento di infinito, quel frammento che erano riusciti a condividere insieme.

Solo quando fu certo che lei fosse appagata si costrinse ad abbandonare il suo corpo, ricoprendola con il lenzuolo recuperato da terra, e lasciando che si adagiasse sul suo petto, i capelli distesi in morbide ciocche; vi infilò le dita, e cominciò ad accarezzarle piano la schiena, misurando i movimenti tanto da renderli quasi impercettibili. Sentì il respiro di lei calmarsi e poi farsi regolare, mentre la sua bocca si apriva a forma di O, in quell’espressione così buffa di quando dormiva. Non c’era bisogno di parlare, visto che tutto quello che avevano bisogno di dirsi i loro corpi avevano già provveduto a dire per loro. Solo allora anche lui si permise di riposare, appoggiando la testa con delicatezza sulla sua, senza fare pressione. Il sole era appena sorto ma, per loro, la giornata non era iniziata ancora, rintanati com’erano nella perfezione della loro notte eterna, lì fra quelle coperte. Una perfezione che, purtroppo, per crudeli macchinazioni del destino che nessuno di noi consoce, non sarebbe durata a lungo.

Si passò una mano sulla faccia, incapace di credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo in quel preciso instante: di solito saltare alle conclusioni non era il suo forte, insomma preferiva la spiegazione di una situazione piuttosto che giudicarla in partenza, ma quale poteva essere una spiegazione diversa da quella che la sua mente si figurava in quell’istante. Elena e Damon nudi, abbracciati, nel suo letto. Quante altre spiegazioni razionali potevano esistere su questa terra? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, e per lei! Come avevano osato spingersi fino a quel punto? Avrebbe voluto fare a pezzi entrambi ma, qualcosa, dentro di lui, gli suggeriva che in fondo non poteva fare nulla: Elena non era più la sua ragazza, e finchè avesse avuto vita Damon sarebbe rimasto sempre e comunque suo fratello. Strinse forte i pugni e chiuse gli occhi, senza poter più sopportare quella vista, uscendo veloce nella notte della città. Lo squillo del telefono lo riportò alla realtà.

“Stefan, sono Isobel. Sono qui nella deliziosa compagnia della zia di Elena, le ho detto di non preoccuparsi perché è al sicuro, ho fatto bene non è così?”

Rise, probabilmente per rispondere ad  una domanda della sua interlocutrice, ma nelle sue parole c’era una velata minaccia: se Elena non era al sicuro avrebbe letteralmente sbranato chiunque la toccasse.

“No, si, insomma non preoccuparti. – si ricompose Stefan, parlando con enfasi – Adesso è con Damon, suppongo sia al sicuro. Richiamala tra qualche ora, suppongo per allora dovrebbe aver finit..”

Si bloccò, stupito. Cosa diamine stava dicendo?

“Finito cosa? – continuò Isobel, e poteva sentire l’ansia fin lì – Stefan?”

“Buona giornata Isobel.”

Fu tutto ciò che riuscì a dire. Sentiva la rabbia che saliva e sgorgava dappertutto, dome un vulcano che sta eruttando dopo secoli di riposo. Era furioso, non poteva credere ancora a quello che aveva visto: benché naturalmente fossero loro dalla parte della ragione, si sentiva tradito e poco importava di quello che avrebbero fatto in seguito, sarebbe sempre stato così. Ma non poteva fargliela pagare. Doveva fare qualcosa, qualcosa che lo facesse sentire meglio. In un attimo fu lì, dove voleva essere. Alzò la mano e bussò due volte. Lei aprì la porta, accogliendolo con un sorriso.

“Non pensavo di rivederti. – ammise sincera, spostandosi per lasciarlo passare – Entra.”

Lui non se lo lasciò ripetere due volte e, soprattutto, non perse tempo, visto che voleva solo una cosa, ora come ora. Appena chiusa la porta la sbattè contro la parete, liberandola in un gesto secco e deciso della camicia e baciandola con trasporto. Lei, realmente sorpresa non reagì subito ma ci mise veramente poco a sintonizzarsi sulla sua stessa linea d’onda: strinse le proprie cosce intorno al suo torace e lasciò che le sue labbra invadessero senza riserve tutto il suo torace, i suoi seni, il suo collo, e poi le labbra, di nuovo, e di nuovo. Grazie al cielo non c’era nessuno in casa, e anche lui parve capirlo, perché non perse tempo per andare in qualche altra stanza. Si ritrovarono sul pavimento, lei ormai praticamente nuda, senza i jeans che aveva fino ad un secondo prima, senza le scarpe, i capelli che ricadevano indietro come onde di un mare in tempesta.  Non c’era dolcezza, solo passione, una furente passione fra di loro. Quando furono entrambi nudi entrò in lei e sentì il suo gemito elevarsi nel silenzio dell’ingresso. La sua testa ricadde all’indietro, la bocca aperta e gli occhi socchiusi per il piacere. La padroneggiò con forza, lasciando che il ritmo del movimento aumentasse, lasciando che il tremore del suo corpo invadesse anche il suo. E arrivò, venne con decisione e sentì la sua schiena inarcarsi sotto il suo tocco ruvido. Solo quando sentì la sua testa nell’incavo del collo, capendo che il limite era ormai superato, si concesse un bacio, rapido, sulle sue labbra carnose. Quindi si distese al suo fianco, coprendola allo stesso tempo con la sua giacca di pelle, lasciando che restasse lì distesa, come una visione celestiale e sensuale, un angelo tentatore accanto a lui. Respirò con calma, cercando di recuperare l’equilibrio dell’aria nel suo corpo. Lei, nel frattempo, si distese su un gomito, guardandolo con occhi attenti.

“Non sei venuto qui solo perché volevi vedermi, giusto? – insinuò con un sorriso, gli occhi sempre vigili – Allora dimmi, cosa ha provocato una simile rabbia in te? Lo percepisco.”

“Non tutto ha una spiegazione razionale, Bonnie. – concluse lui, chiudendo gli occhi, di nuovo sofferente – Se sono qui è perché avevo voglia di esserci.”

Bugia. Ma lei era troppo buona, non meritava la verità, era meglio una bugia che non la facesse soffrire, lei in fondo non c’entrava nulla. Le prese la guancia, accarezzandogliela con una carezza, prima di baciarla con trasporto, accoccolandosi di nuovo su di lei. Lei sorrise, maliziosa.

“Non dirmi che Caroline aveva ragione..”

Lui la guardò seriamente confuso, stavolta. “Caroline?”

“Si, Caroline. – continuò lei, la testa all’indietro per il piacere del suo tocco sulla sua pelle nuda – Ha detto che Damon è proprio insaziabile. Ora so che aveva ragione. Voi Salvatore siete proprio insaziabili, ora ne ho la prova.”

Lui sorrise lusingato, riprendendo a baciarle il collo, mentre la mano faceva scivolare la giacca di pelle lontano dal suo corpo.

“Beh, a quanto pare ho una reputazione da difendere..”

Elena aprì gli occhi, ma si rese conto di non essere la sola ad essere sveglia. Damon le stava accarezzando la schiena, muovendo le lunghe dita su e giù, lasciando che il suo tocco accarezzasse in maniera sensuale la sua pelle morbida e vellutata. Si accorse che anche lei muoveva gli occhi e sorrise.

“Sai che dormi quasi come parli? – cominciò lui, sorridendo – Insomma, se ti ci metti non la smetti più per un bel pezzo. Sono quasi le cinque.”

Lei sorrise. “Mi è venuta in mente una battuta oscena, quindi è meglio che te la risparmio, ma se non stai zitto forza dovrei continuare..”

Lui rise, Elena oscena? Fuori discussione… però era curioso.

“Ok – rise lei, capendo che voleva certamente sentire di cosa si trattava, quindi si voltò verso di lui, in modo tale che le loro labbra fossero a pochi centimetri di distanza – Dopo che ci siamo impegnati addirittura tre volte questa mattina, me lo merito.”

Lui non riuscì a trattenere la risata, e la baciò con trasporto, lentamente, senza la passione o la frenesia del momento a spingerli.

“Cosa facciamo adesso? – s’intromise lei, sapendo che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di parlarne altrimenti – Insomma, con gli altri. Con Stefan. Anche se ho accettato la situazione non significa che la mia coscienza vada meglio.”

Lui alzò gli occhi al cielo. Tipico di Elena. Preoccuparsi era la parola d’ordine, ma non poteva vivere con calma e felicità come il resto delle fanciulle che passavano nel suo letto? Eh no, capì solo allora, non poteva: lei non assomigliava a nessuna delle ragazze che aveva avuto, era questo il punto, lei era diversa in partenza, ed era per questo che la voleva, per questo che la amava. Sorrise, baciandola ancora.

“Ti prego, ci penseremo al momento opportuno. Adesso direi di fare colazione..”
Con un cenno della mano indicò il vassoio che si trovava sul comodino, pieno di cialde e sciroppo d’acero, succo di mela verde – come piaceva a lei – e una rosa rossa. Lei la prese e l’annuso. Poi sorrise, persa fra i suoi pensieri. Posò la rosa sul cuscino e si sedette a cavalcioni su di lui, fissando divertita il suo sguardo sorpreso e mordendosi il labbro.

“Io ho un’idea migliore.. – un bacio sul posto esatto di ove c’era il suo cuore - ..visto che siamo soli.. – ancora un bacio nell’incavo del collo - ..e visto che io ho dormito così a lungo…”

Lui capì all’istante e la baciò, afferrando deciso il suo volto fra le mani. Quella ragazza riusciva a sorprenderlo ogni secondo di più. La noia apparteneva al passato adesso. Come il dolore, come Katherine..

La donna era ferma, appoggiata ad un albero con le braccia incrociate sul petto. I suoi capelli corvini e ricci ricadevano con eleganza sul giubbotto di pelle, intonato agli stivali alti fino al ginocchio, con tacchi stratosferici. Tra le mani un mozzicone di sigaretta, quasi finita. La gettò a terra, con un sorriso diabolico sulle labbra rosse. Schiacciò la sigaretta con il tacco, precisissima, poi prese il cellulare e compose un numero.

“Ehi, sono io. Si, forse in fin dei conti avevi ragione. Posso ancora togliermi qualche soddisfazione con i Salvatore, e così prenderò sue piccioni con una fava. Non solo mi divertirò ancora una volta con loro ma, una volta finiti i giochi, mi sbarazzerò di Elena, visto che non ci saranno altri che quella sciocca di mia sorella a difenderla. Si, allora ci sentiamo.”

Chiuse il telefono e guardò la finestra di casa Bennett. Certo che i Salvatore si erano dati un gran da fare, da una parte Damon ed Elena – che aveva visto giusto mezz’ora prima rotolarsi come conigli – e Stefan invece fra le braccia della streghetta. Ah, fratellini. Adesso avrebbero dovuto guardarsi le spalle: il gioco di Katherine Pierce era appena cominciato.


*Spazio autrice/ moi ù.u

Vi avevo avvisato che questo capitolo sarebbe stato più interessante del precedente, e non a caso ci ho messo pochissimo tempo per scriverlo, visto che poi eravate tanto entusiasti di leggerlo (poeticdream, mi riferisco a te!!! xD). La verità è che le trame di potere a Mystic Falls sono appena iniziate. Katherine sta cominciando a rendersi conto che, dopotutto, forse i Salvatore l'hanno realmente dimenticata, e questo non le fa di certo piacere! Non solo, riconquistarli da un lato e dall'altro spianare la strada per far fuori Elena. E, tanto per essere di nuovo una birichina, vi do due dritte: prestate molta attenzione al neo atteggiamento di Stefan, alle parole di Isobel al telefono e, soprattutto, alla chiamata misteriosa della bellissima Katherine. Tutto chiaro?

P.S. poeticdream e erika90, un bacione enorme, ancora una volta, Siete grandiose. Un abbraccio a Robigna88, che ha iniziato a leggere la ff da poco ma che si rimetterà in pari molto presto! E beh non c'è bisogno che ricordi Trilly, o no, tesoro?? Alla prossima guys ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** New game, new player ***


Scese le scale con calma teatrale, l’ennesimo libro di incantesimi in mano, mentre il dito indice portava il segno della pagina dove si era fermato pochi istanti prima. Il rumore. Ecco una cosa che non riusciva a sopportare ma che, purtroppo, avendo Katherine Pierce come coinquilina, era praticamente all’ordine del giorno. I suoi festini erano meglio organizzati di quelli nei Palazzi del Governo ma, supponeva, il tutto dipendesse principalmente dal fatto che gli invitati facevano solo ciò che lei ordinava loro di fare, doveva essere un fattore che contribuisce. Roteò gli occhi al cielo, arrivando in salotto ed appoggiandosi allo stipite della porta. La sua alleata era stesa sul divanetto di pelle chiara, con indosso null’altro che una maglietta più lunga del normale, svolazzante, bianca e semitrasparente, che lasciava intravedere due gambe lunghe e lisce. Si poteva dire tanto di lei, ma non che non fosse bella: ammirarla sarebbe stato il sogno di qualsiasi artista che si rispetti ma, benché anche lui si considerasse un artista in fin dei conti, non per lui. Trovava fastidiosa qualsiasi distrazione che lo allontanasse dal suo obbiettivo primario, e purtroppo il divertimento /Katherine era proprio quel genere di “distrazione”. Davanti a lui c’erano una dozzina di persone, maschi e femmine senza distinzione, tutti con segni evidenti di morsi qua e là, alcuni in posti talmente strani che preferiva non soffermarsi a pensare al come avessero potuto esserseli procurati. Ballavano e ridevano, alcuni persino con i bicchieri in mano, pieni o vuoti per metà. La musica non era eccessivamente alta ma quanto basta per mandarli tutti in estasi… come se ci fosse bisogno della musica, pensò. La padrona di casa era intenta a giocherellare con i capelli di un tipo che stava ballando “su di lei” – probabilmente era il termine più appropriato. Sembrava un modello, e dall’accento era francese. Si schiarì la voce e vide gli occhi della predatrice fissarsi nei suoi. Non approvava come lui restasse fuori da tutto quel divertimento, si sentiva quasi responsabile del fatto che lui non si divertiva. Mormorò qualcosa al modello, che si allontanò obbediente per unirsi al festino, mentre Katherine si alzava e lo raggiungeva a grandi passi.

“Alexander, ancora una volta qui senza divertirti, tutto solo, con i tuoi libri di magia. Insomma, sciogliti, tra poco ognuno avrà quel che desidera e tutti potremo godercela, tanto vale festeggiare in anticipo..”

La sua mano gli accarezzò la guancia quindi corse lungo il collo, il petto scolpito, fino alla cintura.. La mano del moro fu pronta e scattante nell’intervenire, bloccandola per il polso e spostando la sua mano lontano da lì.

“E io non mi stancherò mai di ripeterti che non potrò mai essere pronto se continui con questi festini, giorno e notte, notte e giorno e così via. Siamo stati fermi un mese in questa cittadina del cavolo senza muovere un dito, e io ho avuto tempo, ovviamente, per completare il rito, ma non mi sarà utile tutto il tempo di questo mondo se continui così. Vuoi sbarazzarti di Elena? – la guardò dritto negli occhi, la voce un sussurro imperioso – Collabora.”

E detto questo risalì le scale, lo stesso passo leggero di quando era sceso. La mora lo guardò con rammarico: chiunque altro si fosse rivolto a lei a quel modo non sarebbe vissuto abbastanza da raccontarlo ma lui… lui era diverso da chiunque altro, sapeva che con lui al suo fianco avrebbe fatto molto più in fretta e molto più semplicemente ad ottenere quel che desiderava. Di norma non collaborava con nessuno ma, con lui, era stato un colpo di reale fortuna. Il nome di quel giovane era Alexander, Alexander Bennett per la precisione. Era nato 21 anni prima da una relazione extra-coniugale della zia di quella streghetta che Elena e i Salvatore avevano eletto come “protettrice”, Bonnie. Per questo lui e sua madre erano stati banditi dalla famiglia, visto e considerato che suo padre era un uomo di poteri magici inimmaginabili, cosa che lo rendeva mal voluto e temuto al tempo stesso. Lui era cresciuto lontano dal rango che gli spettava, fra la sua gente, fra i suoi familiari e, quando dopo la morte della Matriarca Sheila il Grimorio più importante di Emily era passato a Bonnie… beh, non l’aveva presa poi tanto bene. Aveva studiato, si era impegnato, ed era entrato in possesso di uno dei tanti libri che Emily a suo tempo aveva scritto: non era molto, ma sufficiente per permettergli di superare i poteri magici di qualsiasi altro componente della famiglia, Bonnie compresa. Da allora la sua missione è uccidere la strega che gli ha tolto il posto privilegiato in famiglia e, una volta morta lei, prendersi il posto che gli spetta fra i Bennett. Che piano stupido. Con in mano un potere forse anche superiore a quello di Emily  quell’uomo poteva avere tutto, anche il mondo, e invece si accontentava della sua famiglia. Aveva idee moraliste molto precise lui, troppo stupido per capire di poter e dover andare oltre. Ma le era utile, molto. Non vedeva talenti così dal 1864, quando aveva incontrato Emily. Il loro piano era semplice, ben strutturato, che si sarebbe concluso con l’arrivo di entrambi alla meta prestabilita: lui a Bonnie, lei a Elena. I Salvatore erano un “all inclusive”, paghi uno prendi due, quindi tanto meglio. Sorrise malinconica vedendo il ragazzo che ritornava ai suoi studi. La formula che doveva perfezionare non era certo semplice, considerato che avrebbe privato Bonnie dei suoi poteri magici. Efficace quanto basta da lasciarle tutto il tempo di evitare gli incantesimi protettivi intorno alla casa  - che avrebbero sicuramente posto – eliminare gli ostacoli come sua sorella e i Salvatore e, infine, sbarazzarsi di quella mocciosa!

Jenna sedeva accanto a Isobel, che le stava raccontando una storia divertentissima mentre sorseggiava il suo thè; Alaric era fermo, come una statua, attento ad ogni minimo movimento all’esterno o all’interno, tanto che più di una volta Isobel era stata costretta a dargli un calcio per farlo riprendere da quello stato di trans; Jeremy era di sopra, a giocare all’X-box. Tutto sembrava tranquillo, in apparenza. Quando il campanello suonò tutti fissarono gli occhi sulla porta, per poi sospirare delusi vedendo apparire Bonnie e Stefan. Alaric li osservò con cipiglio severo, notando che erano leggermente più vicini del normale, quasi come se il contatto l’uno dell’altra desse loro.. oh no, anche loro no! Cos’era diventata quella città, luogo per incontri! E che cavolo! Questi vampiri non riuscivano a frenare i loro bollenti spiriti neppure per un istante! Isobel si scambiò un cenno d’assenso con i due e chiese permesso, allontanandosi co entrambi in cucina. Jenna invece fissò allegramente Alaric, con quella vena di ottimismo che tanto apprezzava in lei: sua nipote era dispersa e lei continuava ad offrire thè.

“Un po’ di thè, Rick?” Ecco, appunto. Lui annuì sconfitto.

Isobel era appoggiata al bancone di marmo e guardava i due con sguardo intenso.

“Allora, cosa siete riusciti a scoprire? Qualche incantesimo? Qualche cosa che ci permetta di togliere di mezzo Katherine?”

Bonnie sorrise, spavalda.

“La magia può tutto Isobel, e il ciondolo che porti al collo ne è la prova. Non mi fido di te, penso che sia chiaro, ma Elena si fida di te e purtroppo le voglio troppo bene per ferirla uccidendoti, quindi suppongo che potrò fare ammenda uccidendo tua sorella, sempre se non ti dispiace, ovvio.”

Stefan sembrava incerto se ridere o essere preoccupato, quindi nascose la risata con un colpo di tosse e lasciò che le due si sbranassero. Quando Damon se n’era andato, una settimana prima, aveva lasciato loro tutto il tempo necessario per cercare una soluzione e difendere Elena al meglio insieme, ma purtroppo la collaborazione si era rivelata più difficile del previsto: Bonnie era già costretta a sopportare di buon grado i Salvatore, adesso anche un’altra, sorella di Katherine per giunta? Diciamo che i loro rapporti erano tesi. Abbastanza da far innervosire e preoccupare Elena, quanto meno.

“Comunque – riprese Bonnie – ho trovato un incantesimo che sarà in grado di difendere questa casa. In pratica mi serve il sangue del vampiro che è stato invitato ad entrare, insieme al sangue del proprietario della casa – in questo caso Elena, direi, ma potrebbe anche essere più sicuro usare Jenna – che così mi darà modo di annullare il suo invito.”

“Annullare? – chiese incredula Isobel spalancando gli occhi e guardando prima Stefan e poi Bonnie – Non credevo fosse possibile..”

“Come ho detto, la magia può tutto. Ed ora..”

Il chiavistello della porta che si apriva cancellò qualsiasi altro discorso: Elena entrò, soffermandosi con lo sguardo preoccupato prima sulla zia e su Alaric, poi sui tre che stavano confabulando in cucina. Vederla e vedere che stesse bene era un sollievo, non altrettanto fu il sollievo di veder entrare dopo di lei Damon, bellissimo e confuso quando la mora. Si guardarono, mentre a Isobel e probabilmente a Stefan non sfuggì come fino ad un istante prima le loro mani si fossero sfiorate. Era evidente, e non era affatto una cosa positiva. Isobel e Bonnie puntarono i loro occhi su Elena, Rick e Jenna su Elena.

“Dobbiamo parlare!” – tuonarono quattro voci all’unisono, ognuno rivolto a qualcun altro. Damon sorrise con fare divertito, quel ghigno sensuale che gli increspava le labbra non faceva altro che renderlo ancora più affascinante di quanto già non fosse. Fece un gesto eloquente con le spalle e si avviò in cucina. Proprio mentre faceva qualche passo in avanti, Stefan gettò uno sguardo alle sue interlocutrici.

“Scusatemi, devo andare. A dopo.” Scomparve prima che Isobel o Bonnie potessero seguirlo. Damon le raggiunse e alzò un sopracciglio.

“Se davvero volevate propormi una cosa a tre avrei preferito che fossimo soli.”

La strega lo fissò sconcertata e poi sbuffò, per poi dirigersi verso la porta sul retro: preferiva aspettare fuori finchè Isobel non avesse risolto i suoi guai con Damon, visto che dal suo sguardo era evidente che era pronta a scannarlo. Inoltre voleva parlare con Elena, ma era certa che la ramanzina avrebbe provveduto a fargliela Jenna, e stavolta preferiva essere la spalla su cui piangere piuttosto che la furia accusatrice. Salutò la sua migliore amica con un sorriso, scuotendo la testa al suo sguardo interrogativo, e mimando con le labbra “sono qui fuori” uscì nel freddo della notte, senza voltarsi.

“Io e te dobbiamo parlare, signorina! – si scaldò Jenna, alzandosi e rovesciando un po’ di thè sulla tavola nel poggiare con foga la tazza – Rick, ti dispiace concederci un secondo?”

L’uomo non se lo fece ripetere due volte. “Vado di sopra a vedere cosa sta facendo Jeremy… se ha bisogno… si insomma, vado.”

Jenna afferrò la nipote per un braccio e la trascinò senza ritegno nella sala da pranzo: era davvero furiosa, raramente Elena l’aveva vista lanciare scintille dagli occhi come stava facendo adesso. Le ricordava la mamma, quando la sgridava per essere stata fuori troppo a lungo o per essere rientrata tardi la sera. Non ci faceva poi troppo caso ma Jenna ormai stava diventando una madre per lei, si preoccupava come un genitore e l’amava più della sua stessa vita… Ma adesso non era del suo affetto genitoriale che voleva parlarle, ne era sicura.

“Mi vuoi spiegare? – le disse, infuriata – Per una settimana ti ho vista come in trans: non mangiavi, stavi malissimo, e poi… lui torna e te ne vai così, via, senza una parola o senza dirmi quando tornerai! E poi, cosa sei andata a fare ad Damon per tutto questo tempo? Lui non è Stefan, Elena, si Stefan ero pronta a fidarmi ma lui… è più grande! E non solo, non è come il fratello… finchè era un tuo amico potevo accettarlo ma questo proprio no. Non voglio che tu lo riveda, Elena, chiaro?”

La ragazza la guardò a bocca aperta. “Come osi? Non decidi tu chi devo vedere e chi no! Non provarci neppure!”

“Abiti sotto il mio tetto, signorina – Jenna alzò la voce, puntandole un dito contro – Non te lo dimenticare. Non mi interessa se è una cotta o se è l’amore della tua vita, non voglio che tu riveda più Damon Salvatore, sono stata chiara? E non accetterò altre proteste da parte tua, fila in camera.”

La ragazza puntò una sguardo supplichevole in cucina, ma Damon non riusciva a vederlo e la faccia di Isobel era impassibile. Non aveva scampo. “Bonnie! – chiamò a gran voce, perché l’amica la raggiungesse – E tu ricordati che io non mi arrenderò, perché non ho intenzione di darti retta né oggi né mai. Non sei mia madre.”

Parole del genere erano capaci di lasciare il segno, e probabilmente lo fecero. Jenna aprì la bocca e la richiuse. Era difficile sentirsi dire una cosa del genere e non reagire, ma la forza l’aveva abbandonata nell’istante in cui Elena aveva parlato, perché credeva in quello che diceva. E faceva male. Abbassò lo sguardo, mentre Rick scendeva dalle scale, scosso da quel trambusto. Guardò prima l’una e poi l’altra, fino a guardare interrogativo Bonnie, che era rientrata e ora aveva la stessa espressione confusa che aveva lui. Le due non litigavano quasi mai e, se davvero lo facevano, era per delle sciocchezze, cose da nulla. Ma stavolta era diverso: lo sguardo sconfitto di Jenna, l’espressione furiosa e omicida di Elena non lasciavano vie di scampo. Rick prese il proprio cappotto e lo appoggiò sulle spalle di Jenna, posandole le mani sulle spalle e conducendola fuori: aveva bisogno di stare lontana da lì, lui lo capiva bene. Allo stesso tempo Bonnie prese Elena per mano, notando che i suoi occhi cominciavano a luccicare e che le sue ginocchia erano molli, e la condusse su per le scale, dove avrebbe potuto parlarle in tutta calma.

Damon aveva assistito a tutta la scenetta, che però l’aveva portato a riflettere, molto attentamente anche. Elena era pronta a sacrificare se stessa, la sua stessa famiglia, per stare con lui, e solo adesso riusciva a comprendere le parole che aveva sentito una volta da suo fratello “Sarei disposto anche a lasciarla andare, se questo significasse farla soffrire di meno. Tu, ne saresti capace, Damon?”. Lì, allora, su due piedi, non aveva capito cosa intendesse Stefan, né perché avrebbe dovuto trovarsi in una situazione simile, ma adesso si, e capiva che non c’era una via d’uscita semplice, facile, che potesse essere risolta con un futile andrà tutto bene perché il solo dirlo non avrebbe cambiato le cose. Percepì la rabbia di Elena, la sua forza e, malgrado la situazione fosse tutt’altro che lieta, quel coraggio che sprizzava lo fece sentire orgoglioso di lei. Ma poi, quando aveva percepito le lacrime sulle sue guance… era già pronto a raggiungerla, se il suo polso non fosse stato trattenuto da Isobel. La guardò con odio: cosa voleva quella donna e perchè non lo lasciava andare? Era chiaro quanto tenesse ad Elena ma non per questo poteva impedirgli di vederla, soprattutto in quel momento: lei aveva bisogno di lui, lui aveva bisogno di lei. Era una cosa talmente da risultare quasi scontata. Lo sorprese la violenza dei sentimenti che il suo corpo faticava a contenere: non aveva mai provato qualcosa del genere, mai, nemmeno verso Katherine. Il possesso puramente fisico, che ti ammalia la mente e ti priva della razionalità nel ragionare non è amore, è come una droga che ti spinge verso un cammino tortuoso e degenerativo che, purtroppo, non ti lascia più nulla una volta che la passione e l’attrazione si sono consumati. Con lei no. Con Elena non c’era il rischio che accadesse. Sentiva veramente di tenere a lei, di essere pronto a gettarsi nell’altra stanza, lì, adesso, solo per stringerla a se e impedirle di piangere. Era come un istinto che ti porta sulla retta via, un presentimento che porta il tuo corpo a reagire ancor prima che la mente abbia il tempo di collegare i vari elementi e quindi elaborarne un pensiero logico. No. Non c’era logica in quello che provava per quella ragazza, e dubitava che ci sarebbe mai stata, ma gli stava bene così. Lasciò che l’espressione d’ira fosse sostituita sul viso da un ghigno spavaldo, mentre gli occhi si fissavano in quelli di Isobel e le mani si sollevavano in segno di resa: poteva fare quel che gli pareva ma quella vampira era molto più potente e forte di lui, non aveva scampo, doveva permetterle di parlare e dire quello che voleva. Per ora.

“Senti, Damon – incominciò lei, infuriata ancora di più da quel suo atteggiamento – posso aver visto tante cose in vita mia e tante ne ho accettate, ma poche persone a questo mondo mi sono care come lo è Elena, quindi non te lo ripeterò due volte: non voglio che tu la veda, non voglio che tu ti avvicini a lei, non voglio che tu la sfiori, non voglio che tu la tocchi e nemmeno voglio avere il pensiero di quello che è accaduto poche ore fa, stanotte. Oh, si… io so.”

Sorrideva, con quell’espressione tipica di un genitore o di una nonna che riesce a leggere tutto dei propri nipotini con un solo sguardo al loro piccolo visetto, per poi godersi la loro espressione ingenua quando sentono quello che ha da dire e pendono dalle loro labbra. Il sorriso beffardo scemò sul viso di Damon, lasciando spazio all’incredulità..

“So che è stata con te stanotte, e so anche che non avete semplicemente giocato a scarabeo: due che si sfiorano a quel modo sono più che amici, più che amanti.. lei non merita la vita che tu puoi offrirle, Damon, davvero non lo capisci? Tuo fratello ha avuto il coraggio e la forza di rinunciare a lei per non farla soffrire troppo, tu sarai e saresti capace di far altrettanto? L’egoismo per il proprio bene, il credere di morire se lei non ti è accanto – tu che sei immortale – dovresti saperlo, passerà. Ma quello che una vita al tuo fianco può farle… quello è permanente, non andrà più via.”

“Io sarei in grado di proteggerla da tutto – ringhiò lui, vicinissimo alla vampira, lo sguardo furioso ancora una volta – Lei è mia. Non sono uno sciocco come mio fratello, non vorrò mai che lei vada via da me, solo quando sarà lei a respingermi io me ne andrò e se provi a impedirmi..”

Non riuscì mai a finire la frase: una mano molto più veloce e forte della sua lo abbatte sul pavimento, stretta intorno alla sua gola: Isobel avvicinò le labbra al suo orecchio. Era uno strano deja-vu: si era già trovato in una simile posizione con un’altra Isobel, solo che quella volta era lui a stare sopra… ah, chissene.!

“Ascoltami, ragazzino: tengo ad Elena come ad una figlia. Se voglio proteggerla lo farò, e non mi importa se di mezzo ci andrete tu, questa città, o questo stato. Io farò quel che è necessario per proteggerla e se… casualmente… la tua incolumità ne risultasse compromessa, sarà un sacrificio che sarò disposta a fare.”

Con un movimento brusco lo liberò dalla stretta, per poi alzarsi e risistemarsi i capelli. Damon si mise a sedere, massaggiandosi il collo con una mano, lo sguardo ancora fisso sulla donna. Non la temeva – non c’era nessuno di cui avesse realmente paura – ma lo preoccupava, questo doveva ammetterlo: Elena era molto legata a quella donna, e sapere che non li voleva insieme l’avrebbe come minimo smossa un po’, anzi molto. Si rialzò, aggiustandosi al giacca con un movimento fluido delle mani, quindi lanciò un’occhiata veloce in direzione del piano di sopra: Elena era lì con Bonnie. No, non poteva, non adesso. Sotto lo sguardo di Isobel era impossibile cercare di contattarla, d’ora in poi, quindi era meglio lasciar perdere, per ora. Sorrise ancora, facendo un inchino ironico alla donna. Lei ricambiò con un sorriso gelido e si diresse verso la porta: era un chiaro invito quello, se lei lasciava la casa anche lui doveva farlo. Doveva riflettere, trovare un modo per parlare con Elena a quattr’occhi, e l’avrebbe fatto. Uscì di casa, passando attraverso la porta che Isobel gli teneva aperta davanti e sentì la stessa porta richiudersi con un tonfo dietro di lui. Aveva bisogno di parlare con Stefan.

Elena era seduta a gambe incrociate sul letto, con le mani unite su quelle di Bonnie: non parlavano da tanto tempo, non si confidavano da tanto tempo, ed era bello ritrovarsi di nuovo con lei, in quella stanza, solo loro due, anche se l’argomento della discussione era tutt’altro che leggero.

“E’ un rituale che dev’essere eseguito all’alba, quindi se non ti dispiace dormirò qui da te. – prese la sua borsa e ne tirò fuori due ampolle – Sangue di tua zia e di Isobel, tua zia insomma. E’ un rituale che richiede una specie di rinuncia da parte del proprietario della casa a parte della propria essenza – sangue, appunto – e quindi grazie a questo sacrificio gli spiriti possono scegliere di aiutarti e difenderti, in questo caso riattivando la protezione che la tua casa possedeva priam dell’invito. Non è semplice ma dobbiamo tentare. Insomma, se abbiamo una possibilità di proteggere sia te che tutta la tua famiglia, tentar non nuoce e, nel caso in cui qualcosa vada storto, ho già un altro rituale pronto… ma non voglio utilizzarlo fino a che non sarà strettamente necessario. Il solo pensiero… di quel che.. dovrei.. dovrei fare… mi terrorizza.”

Bonnie venne scossa ad un brivido di puro terrore; il rituale che voleva lasciare come asso nella manica era violento persino per un assassino o un serial killer, figuriamoci per lei. Elena guardò preoccupata l’amica e si limitò ad abbracciarla, lasciando che la stretta delle sue mani la cullasse e le trasmettesse sicurezza: qualsiasi cosa fosse accaduta sarebbero rimaste lì, insieme, per sempre, amiche.

Isobel era salita di sopra nella stanza degli ospiti, mentre Rick tardava un po’ ad andare via: non che fosse necessario, visto che aveva dormito lì già un paio di volte, ma mantenere le apparenze era sempre un bene. Jenna era stesa sul suo petto, che si muoveva lentamente al tempo dei suoi respiri. Era un piccolo pezzo di beatitudine, un frammento di tranquillità in quel via vai di pazzie e faide e guerre, e sangue sangue sangue e ancora sangue… Era bello poter stare per davvero con una persona, anche se questo significava proteggere in continuazione sua nipote dagli attacchi di una vampira sadica con l’aiuto della sorella della suddetta vampira e dei suoi due ex- amanti. Sorrise, accarezzandole i capelli: pazienza, era perfetto anche così, andava benissimo quella vita, era certo di preferirla molto di più alla futile monotonia. Qualcuno bussò alla porta. Alaric si alzò subito vigile, la mano che correva alla borsa in cerca del paletto. Jenna non ebbe la stessa reazione. Mormorò qualche parola sul “Chi potrebbe essere così tardi?” ma non si astenne dall’aprire. Alaric era pronto, pronto ad uccidere chiunque o a bloccare Jenna prima che invitasse chiunque altro ad entrare.. Ne avevano fin troppi di vampiri invitati, in quella casa..

“Buona sera, signorina. Il mio nome è Alexander, Alexander Bennett. Potrei vedere mia cugina Bonnie, ho una forte urgenza di parlarle.”

Da dietro un albero, Katherine osservava il suo Salvatore preferito farsi la doccia. Un cuoricino spezzato è mille volte meglio del gioco della seduzione. Era sempre un gioco, ma più interessante stavolta.

“Buona sera, Stefan – lo salutò, non appena lo vide avvolgersi l’asciugamano sulla vita – come andiamo sta sera?”

 

Spazio autrice ù.u alias moi*

Beh, nuovissimo capitolo tutto per voi. Non so perchè ma stavolta scriverlo non è stato per niente facile come con i precedenti, anche se non riesco a spiegarmi il perchè. Forse a causa dei nuovi intrecci: insomma, diciamo che la scena comincia a diventare affollata, non vi pare? Soprattutto con Alexander che entra nei giochi... che ne pensate di lui? Non è troppo bello? Io già lo adoro... soprattuto perchè tiene testa a Katherine... Suggerimenti per il prossimo capitolo: qualcuno morirà.. e sono tanto crudele da non dirvi altro, quindi spremetevi le meningi e pensate a chi potrebbe essere il fortunato a vincere un biglietto di sola andata all'inferno.. o al paradiso, chi lo sa! Sto parlando come giovanna adesso -.-

Bene direi di finirla qui. Coloro che pazientemente si degnano di recensire ogni capitolo GRAZIE davvero, mi riempie di gioia leggere le vostre riflessioni e i vostri commenti, continuate così! Un abbraccio forte forte, alla prossima ^^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** The party: past and future;; PART I ***


Sentì il suo tocco su di lui e una miriade di ricordi lo invase; fu spaventato dalla facilità di ritrovarla, di ritrovarsi con lei in una posizione così familiare e allo stesso tempo così sconosciuta, il sentire la sua pelle liscia, i loro corpi a contatto, e quelle labbra che l’avevano fatto dannare e per le quali sarebbe stato disposto ad uccidere un tempo… non sembrava poi essere cambiato molto. IL bacio che si scambiarono fu un attimo, quasi come un accordo, un patto, un sigillo che entrambi ponevano su quello che stava accadendo, ormai non si tornava più indietro. I vestiti giacevano sul pavimento, la finestra aperta lasciava che il vento muovesse lievemente le tende color panna, la luce della luna era l’unica che permettesse loro di emergere dall’oscurità, in tutti i sensi. La baciò ancora, mentre il suo tocco si faceva più deciso, mentre i movimenti diventavano più rapidi, vicini ad un limite desiderato e fortemente voluto da entrambi. Le sue labbra scesero come fiamme lungo il suo collo, il decoltè, i seni, fino ad arrivare alla pancia e all’inguine, dove ormai l’eccitazione era evidente. Sentiva i suoi gemiti e sentiva il forte desiderio di darle quello che chiedeva perché era anche il suo desiderio. Non smise di muoversi, e la penetrò ancora e ancora, finchè non percepì arrivare l’apice e sentì la sua nuca nell’incavo della propria spalla, mentre anche lui gettava la testa all’indietro e si mordeva il labbro nel trattenere un gemito. Aprì gli occhi ancora ansimando, mentre lei si distendeva al suo fianco con un sorriso soddisfatto e appagato, la testa poggiata sulla mano, il gomito sul cuscino. Lui non se la sentiva di sorridere perché, malgrado l’avesse fatto sentire appagato possederla, stringerla di nuovo fra le sue braccia, sapeva che con quel gesto stava tradendo le persone a lui più care: suo fratello, Elena, gli altri, tutti quelli che credevano in lui e si fidavano della sua persona. Era giusto? E malgrado volesse sentirsi completamente felice, non ci riuscì, non poteva farlo e non ci sarebbe mai riuscito. Katherine ghignò di nuovo, sorridendo contenta per aver ottenuto quel che desiderava: era una bambina certe volte, come se tutta la vita non fosse altro che una gara e le persone accanto a lei i premi. Il suo sguardo felino si concentrò nelle sue iridi.

“Non c’è cosa più lieta che ritrovare un Salvatore nel mio letto, soprattutto in questo posto, soprattutto dopo quello che è successo..”

Il sorriso si allargò ancora di più. “Vedrai, tornerà tutto come prima.” No, si sbagliava lei, non sarebbe mai tornato tutto come prima, mai.

 

24 ore prima

 

La zia Jenna le aveva portato il vestito in camera giusto qualche minuto prima: si era rifiutata di guardarla, di toccarla o solo di parlarle. Probabilmente le parole che le aveva buttato in faccia la sera precedente l’avevano turbata non poco e ancora non se la sentiva di metterci una pietra sopra. Avrebbe voluto parlarle ma, una cosa tira l’altra, non ne aveva trovato l’occasione.

“Pensi che quello sconosciuto tornerà?”

Bonnie era seduta sul suo letto, le dita che giocherellavano con un filo della sua trapunta, gli occhi preoccupati fissi su un punto indistinto del pavimento. La zia Jenna non aveva voluto far entrare in casa lo sconosciuto della sera precedente, eppure non aveva mancato di avvisare Bonnie sul ragazzo che era venuto a cercarla. Nulla di strano, fin qui: l’unico problema risultava essere che lei non aveva mai sentito un suo parente che si chiamasse Alexander e nemmeno pensava esistesse. Il tutto era bastato per farla innervosire e preoccupare, visto che temeva potesse essere un nuovo nemico. Ma non avevano prove sufficienti per affermarlo quindi avevano pensato di prenderla piuttosto alla leggera, per adesso quanto meno. Avevano già il loro gran da fare fra Katherine e i suoi diabolici piani e tutto il resto senza preoccuparsi di nuovi parenti! Per non parlare della festa di quella sera. La signora Lockwood aveva deciso di organizzare un party per raccogliere fondi per la 151 celebrazione per il Giorno dei Fondatori, perché riteneva ci volesse una sala da ballo o qualcosa di simile di cui la città non disponeva ancora. Quindi tutti dovevano essere presenti. Avrebbe rivisto Matt, Caroline e gli altri dopo chissà quanto! Con tutto quello che le succedeva accanto i suoi amici le sembravano lontani anni luce, benché vivessero solo a qualche isolato di distanza. Avrebbe voluto che fosse Damon ad accompagnarla ma la zia era stata irremovibile, quindi il suo accompagnatore sarebbe stato Jeremy. Dopo che era tornato dall’ospedale aveva deciso di non mentirgli più su nulla e gli aveva raccontato l’intera faccenda, che comprendeva anche particolari sulla sua rottura con Stefan e la caccia che una vampira sadica aveva deciso di iniziare con lei come preda. Anche se all’inizio era stata dura, dopo un po’ lui aveva smesso di non parlarle e adesso lì armistizio che avevano messo in atto sembrava continuare a reggere.

“Penso che se tornerà avremo modo di sapere chi è e cosa vuole da noi, fino ad allora suppongo dovremo accontentarci del mistero! – le lanciò un sorriso ironico, prima di riprendere a truccarsi – A proposito di misteri… Stefan tra quanto ti passa a prendere?”

Un silenzio carico di tensione scese nella stanza: non ne avevano mai realmente parlato, visto l’accaduto della sera precedente e il rito di quella mattina – un successo completo, tra l’altro!, quindi nessuna delle due sapeva comportarsi. Elena ci aveva pensato prima di addormentarsi e si era resa conto che sarebbe stato egoistico tenersi Stefan pur stando con Damon e quindi condannando anche la sua migliore amica all’infelicità. Non sarebbe stato per niente giusto nei suoi confronti.

“Non devi per forza darmi delle spiegazioni, sai? – continuò, spazzolandosi i capelli – Insomma, ti ho detto che era finita quindi qualsiasi cosa lui faccia, con chiunque, non sono affari miei. E tu meriti la felicità.”

Bonnie sospirò, alzando finalmente lo sguardo “Era il tuo ragazzo, non sarebbe giusto. Insomma io non ho neppure qualcosa da dirti per convincerti del fatto che faccio bene stando con lui, è successo troppo in fretta perché me ne accorgessi.”

Elena continuò a spazzolarsi i capelli, ma non rispose, lasciando che il silenzio si reimpossessasse della stanza: non giudicava l’amica ma capiva invece quanto lei giudicasse se stessa e sapeva che, in certe occasioni, era meglio tacere piuttosto che aggravare la situazione. Jeremy fece capolino dal bagno, bussando.

“Zia Jenna dice di scendere, Elena, perché noi andiamo con Stefan e Bonnie e lei invece andrà con Rick. Siete pronte?”

Le ragazze annuirono e decisero di rimandare il discorso ad un’occasione diversa, magari più tranquilla. Stefan era disotto, aspettava con due mazzetti di fiori in mano: uno era certamente per la una accompagnatrice, l’altro per lei.

“Damon ti manda questi..” – mormorò Stefan all’orecchio di Elena, anche se si percepiva la sua evidente irritazione. Probabilmente Damon l’aveva minacciato o altro, ma bisognava ammettere che quelle orchidee si abbinavano alla perfezione al suo vestito ocra pallido, quasi panna. Era lungo fino al ginocchio, con motivi più chiari e scuri tribali alla fine della gonna. Lei gli sorrise ma fu certa di non vederlo ricambiare.

Il viaggio in macchina fu lungo, grazie al cielo riempito dal chiacchiericcio di Jeremy, che una volta ogni tanto poteva sfogarsi e parlare con gente che sapeva tutto sul soprannaturale. Stefan sopportava di buon grado, Bonnie anche, mentre Elena si perdeva in riflessioni e fantasticherie sulla serata, durante la quale sperava ovviamente di rivedere Damon. Era strano quel senso di attrazione che provava nei suoi confronti, come un magnete e una calamita: lui era il magnete, lei la piccola calamita, o almeno era così che si sentiva. Però la preoccupava non poco che zia Jenna non approvasse, e da quello che aveva capito non era l’unica: erano tutti contro di lei, come se non fosse già sufficiente Katherine per quello. All’entrata della sala trovò ad aspettarla Isobel: era vestita con un lungo abito verde bottiglia e uno scialle nero e beige a coprirle le spalle. Le sorrise, salutandola con un bacio.

“Tesoro, sei un incanto stasera, lasciatelo dire. – rivolse un sorriso anche agli altri, a Jeremy in particolare – Jeremy, mi perdonerai se prendo in prestito tua sorella per qualche istante? Dovremmo scambiare due parole..”

Jeremy annuì. “Io nel frattempo vado a prendere da bere.”

Era davvero strano il modo in cui Jeremy si fosse affezionato a Isobel: all’inizio gli era parso piuttosto sospetto che una donna del tutto estranea si aggirasse in casa sua ma, dopo un’esauriente spiegazione di Elena e il suo resoconto sulla sua nascita, ne era rimasto come affascinato. Certo il fatto che sua sorella fosse una specie di esperimento l’aveva relativamente traumatizzato ma nulla gli era più gradito del fatto che sua sorella non gli nascondesse più nulla, o quasi. Non sapeva di Damon, non ancora. Si era ripromessa di parlargli quella sera, in modo che non potesse lamentarsi dell’ennesima bugia che gli aveva rifilato, magari nascondendosi da qualche parte con la sua nuova fiamma.

Isobel la condusse nel giardino laterale, quello più piccolo, dove le luci illuminavano i giochi d’acqua di una piccola fontana e le panchine di legno erano state ripulite dalla rugiada e risultavano quasi come nuove. Ma non si sedettero, continuarono a camminare, sembrava essere più rilassante e meno oppressivo.

“Beh, ci voleva proprio una bella serata.. – incominciò la donna, tentando di rompere il ghiaccio, ma si rese subito conto di quanto suonassero banali le sue parole, quindi si interruppe con un sorriso per poi riprendere – Senti, tesoro, io a te ci tengo davvero tanto, lo sai, e tutto quello che voglio – proprio come tua zia e i tuoi amici – è la tua sicurezza, la tua incolumità, affinchè tu possa avere una vita normale. Mi rendo conto che non è semplice con quello che devi affrontare, ma noi ci siamo provando.. Damon.. beh, non coincide perfettamente con il nostro ideale di normalità, e nemmeno con il tuo. Se Stefan poteva proteggerti, metterti al primo posto, stai pur certa che lui non lo farà. Finchè poteva trattarsi di una semplice infatuazione potevo accettarlo, riderci sopra, ma se la cosa diventa seria come lo sta diventando.. non me ne starò qui con le mani in mano a vederti soffrire, piccola, non puoi chiedermelo.”

Si fermò, prendendola per le spalle e guardandola negli occhi.” Voglio solo che tu sia felice, e devi capire che lo faccio per il tuo bene..”

“Perché.. non la… smettete.. tutti quanti… di continuare.. a dirmi che lo fate per me? Per il… mio bene?” – la ragazza parlò con voce strozzata da qualcosa di peggio dei singhiozzi, la sua voce era intervallata dalla rabbia, dall’ansia, dall’ira. In quelle 24 ore tutti non avevano fatto altro che continuare a ripeterle che tutto quello che volevano era il suo bene, la sua incolumità, ma perché nessuno si era soffermato a chiedere direttamente a lei quale fosse la sua scelta, quella che poteva renderla felice, che poteva farla stare bene? Non spettava forse a lei scegliere? Non era forse adulta e vaccinata?

“Non mi importa né di quello che pensa Jenna né di quello che dice Stefan, o tantomeno della tua personale battaglia contro tua sorella, che ti porta a difendermi per riscattarti dai tuoi errori del passato. Sono cresciuta, va bene? So da me cosa può farmi stare bene e cosa no, quindi dovete smetterla di ripetermi che lui è quello sbagliato perché, così facendo, quelli sbagliati lo diventerete voi!”

Si girò sui tacchi per andarsene ma la mano svelta di Isobel fu veloce ad afferrarla. “Tesoro, ti supplico, non fare così..”

Elena non fece altro che riservarle un’occhiataccia per poi liberarsi dalla sua presa.

“Avete finito di decidere per me.” Fu tutto ciò che disse prima di allontanarsi.

La festa procedeva nel migliore dei modi: la sala era stata addobbata con grandi striscioni colorati, fantastici tavoli pieni di cibarie, e camerieri in uniforme provvedevano che nessuno avesse mai il bicchiere vuoto. La signora Lokwood aveva organizzato tutto nel migliore dei modi, aveva proprio stoffa per il ruolo che un tempo era stato di suo marito. La gente era accorsa a fiotti, e a ragione, visto che feste come quelle erano l’unica occasione per sfuggire alla monotonia delle giornate a Mystic Falls. C’era praticamente mezza città in quella casa, e l’altra metà o era fuori città o era impegnata nel servizio dei camerieri. Cercò con lo sguardo qualche conoscente ma le uniche persone che riuscì a individuare furono Rick e Jeremy. Salutò il primo con un cenno, visto che stava portando da bere alla zia, mentre con il secondo decise di intraprendere una breve ma necessaria chiacchierata.

“Jer. – lo fermò per un braccio, spostandosi verso una stanza meno affollata – Dovrei parlarti di una cosa. So che forse hai sentito gridare ieri sera, e so anche che forse hai capito tutto.. mai sai che non voglio e non posso permettermi di mentirti: adesso mi sto vedendo.. o, comunque, beh… Damon. Si tratta di Damon. Sto uscendo con lui, più o meno..”

Sulla faccia di Jeremy apparve incredulità, ma non molta, considerato che gli aveva appena rivelato di vedersi con l’uomo che aveva ucciso la sua ex. Ok, reazione molto strana, a meno che..

“Lo sapevi? – domandò incredula – Non ci posso credere!”

“Ehi, Elena, senti: la verità è che siamo cercando di recuperare il nostro rapporto e va benissimo, e sinceramente se devo scegliere fra l’esserti riconoscente di avermelo detto e prendermela con te perché si tratta di un tipo che dopotutto non mi sta propriamente simpatico.. beh, nemmeno in questo caso è vero.. sai, no, dopo Anna..”

Fece un gesto vago con la mano. Già, dopo la morte di Anna era stranamente capitato che il rapporto Jeremy-Damon fosse diventato più stretto, ma non nel senso di amicizia, era qualcosa di strano che nessuno dei due era riuscito a spiegare. Li aveva sentiti qualche volta parlare a telefono, e le rare volte in cui si erano visti – poiché Jeremy raramente abbandonava camera sua – erano parsi piuttosto amichevoli, ma non abbastanza da sopportarsi. Strano, molto più strano di qualsiasi altra relazione a cui avesse assistito.

“E.. ti sta bene? – chiese esitante, ancora incerta sulla sua reazione – Insomma, questa cosa fra me e lui ti mette a disagio o roba simile?”

Entrambi erano parecchio imbarazzati, non erano discorsi che facevano abitualmente. “Senti, Elena, non voglio entrare nella tua vita; non mi fraintendere, mi piacerebbe fare la parte del fratellino iperprotettivo che ti protegge dal ragazzo sbagliato, ma non lo farò... Insomma, so come ci si sente a stare con qualcuno che tutti ritengono sbagliato per me… ci sono passato, e so che avrei voluto l’appoggio di qualcuno. Beh, stavolta puoi contare su di me..”

La sorprese sentirlo parlare così, quasi come se fosse già un adulto, ma si trattenne dal dirglielo, Semplicemente lo ringraziò con un sorriso commosso e una pacca sulla spalla prima di allontanarsi, poiché aveva intravisto una chioma scura all’ingresso.

“Bonnie, come stai? Da quanto tempo non ci sentiamo! E.. quante novità.. volete scusarci?”

Caroline e Bonnie si allontanarono, lasciando Matt e Stefan a discutere delle solite futilità maschili, visto che per loro era molto più semplice cominciare una conversazione dal nulla. Chissà perché poi.

“Tu e Stefan? – chiese incredula la bionda, in cerca del prossimo pettegolezzo – Non posso crederci! E Elena cosa ne pensa? Vi ha urlato contro o roba simile? Le sta bene?”

La mora sorrise dell’irrefrenabile parlantina dell’amica, sempre la solita. “Senti, Caroline, si le sta benissimo, anzi dice che la mia felicità va al primo posto. Quindi non devo sentirmi responsabile di nulla. E poi, forse, anche Elena ha già trovato un sostituto, non può pretendere che Stefan rimanga per sempre il suo fedele cagnolino..”

Caroline sgranò gli occhi. “Sostituto hai detto?”

“Io non ho detto nulla, Caroline. – si corresse la mora, mordendosi il labbro – Se la nostra Elena vorrà far sapere a tutti quello che sta facendo lo farà, fino ad allora non ho intenzione di dire nulla che potrebbe metterla nei guai. E ora scusami, ho visto che stanno portando dei stuzzichini alle erbe.. ne vado a prendere qualcuno… a dopo.”

In verità non c’erano né stuzzichini né erbe, ma sganciarsi di dosso Caroline prima che facesse altre domande indiscrete era un’arte che pochi conoscevano ma che lei praticava alla perfezione: non era di certo colpa sua se era così predisposta al pettegolezzo, tuttavia non si poteva far altro che assecondarla e, nel suo caso, evitarla. E poi aveva imparato a sue spese a tener chiusa la bocca sulle faccende dei propri cari, evitando così di risultare inaffidabile o bugiarda.

“Sei bellissima stasera.”

Un sussurro. Una mano sul suo fianco, l’altra stretta fino alla sua gola, quasi a bloccarle il respiro: grazie al cielo erano in un corridoio laterale, quasi per niente illuminato e deserto, quindi per ora nessuno poteva vederli. Sentì il suo respiro sulla sua gola, le sue labbra incandescenti sulla sua pelle, e il calore che saliva e si diffondeva in tutto il corpo. Non resistette dal voltarsi e baciarlo, ritrovandosi a perfetto agio nel conforto delle sue forti braccia, mentre le mani si insinuavano nei suoi capelli e sotto la sua camicia. Per come era eccitata, e per quanto sentiva lo fosse lui, gli avrebbe concesso di possederla anche lì e subito, ma dovevano parlare, e potevano rimandare anche più tardi. Con incredibile sforzo si staccò da lui, posandogli una mano sul torace per allontanarlo e, malgrado fosse debole, sentì il corpo di lui adeguarsi alla sua richiesta. Lo fissò negli occhi.

“Mi hanno fatto tante di quelle scenate che non puoi nemmeno immaginare. Isobel, Jenna… Bonnie si è trattenuta solo per via del rituale e del fatto che avevo scoperto che era andata a letto con Stefan. Insomma, in tutto questo l’unico che mi appoggia è Jeremy, eppure la cosa non mi conforta affatto. Perché devono essere gli altri a decidere per il mio futuro, per la mia felicità? Perché..”

“Shh, shh.. – la interruppe lui, mettendole un dito sulle labbra e bloccando il suo flusso ininterrotto di parole – Calmati e fai un bel respiro. Anch’io ho parlato con Isobel e diciamo che non è andata a finire particolarmente bene… anzi, direi che non le sono particolarmente simpatico. Ma cosa ti aspettavi? Insomma io non sono mio fratello… è lui quello perfetto ed è logico che quelli che ti vogliono bene vogliano il meglio per te..”

“Ma io voglio te.. – disse lei, ingenuamente – E’ sbagliato?”

“Non sto dicendo che è sbagliato – la corresse lui, prendendole il mento fra le dita – Sto dicendo che forse abbiamo corso troppo. Dovremmo abituarli all’idea e non metterli di fronte al fatto compiuto. Forse è meglio..”

“No, no e ancora no. – intervenne categorica lei – Non sei tu che parli, perché tu non parli così. Stai cercando di soddisfare me, e loro, ma non devi! Non dobbiamo giustificarci di nulla, davvero… smettila di comportarti come se ti importasse di loro..”

“Ma a te importa di loro… e dato che a me importa di te soltanto.. beh, direi che è una strada a senso unico, paghi uno prendi due o roba simile..”

Lei non trovava più argomentazioni: era come se la storia tornasse a ripetersi, un altro Salvatore che sacrificava tutto se stesso per il suo benessere. Che cosa c’era di sbagliato in lei e nel voler vivere una vita e una relazione normali? Forse tutto, forse nulla. Annuì piano con la testa. Non aveva voglia di discutere oltre.

“Beh, direi di tornare di là, altrimenti penso che Isobel potrebbe staccarmi la testa.” Le diede un bacio veloce sui capelli, inspirando il suo profumo, e svanì. Lei rientrò in sala con tutta calma, poco prima di accorgersi che Isobel e zia Jenna stavano confabulando come due comare, bicchieri in mano e le teste vicine. Seguì il loro sguardo e vide Damon, vicino al tavolo delle bevande, intento ad ordinarsi il suo solito goccetto quotidiano. Una furia assurda si impadronì di lei: non c’erano certi limiti? Almeno l’educazione in pubblico? Come osavano comportarsi cosi con lui? Aveva fatto qualcosa di male forse, forse l’aveva violentata o l’aveva picchiata? Beh, sul primo punto c’erano punti di vista divergenti, in effetti, ma nessuno che riguardasse la zia o Isobel. Si stavano spingendo fin troppo oltre per proteggerla e la cosa non solo la infastidiva ma le dava proprio sui nervi. Si sentiva come un piccolo insetto insignificante, incapace di imporsi sul mondo, che aveva tutti animali più grossi intorno e non poteva realizzare il suo sogno di vivere con un… animale più grosso e diverso da lui. Anche le metafore adesso, era mai possibile?! Lei amava Damon, voleva stare con lui, ed era questo il motivo per cui doveva rinunciarvi? Perché era pericoloso? Perché un tempo aveva ucciso qualcuno? Era cambiato, proprio come tanti altri l’avevano fatto, proprio come lei era cambiata dopo la morte dei propri genitori: ci sono cose che ti restano dentro e probabilmente anche lui ne aveva trovata una che l’aveva costretto a rimettersi sulla buona strada, a cambiare il suo metodo di vita o di caccia… Ma ora ne aveva abbastanza, sul serio. Dovevano finirla, tutti. Prese una decisione nell’esatto istante in cui le balenò in mente… non voleva più sentirsi dire quello che doveva o non doveva fare.. era libera, e lo sarebbe stata sempre.

Attraversò la sala a grandi passi, percependo immediatamente gli sguardi degli amici e dei parenti su di lei: meglio così, le avrebbero risparmiato la fatica di attirare l’attenzione. Raggiunse Damon e lo fece voltare, trovando il suo sorriso beffardo pronto ad attenderla della serie “cercava me, signorina?”. E proprio lì, alla presenza di mezza città, di Isobel, di Jenna, di Bonnie, di Stefan, di Jeremy e di tutti quanti gli altri, lo baciò. All’inizio sentì la sua sorpresa quando le loro labbra si incontrarono, soprattutto perché era una cosa del tutto inaspettata, inattesa, ma poi parve sciogliersi come un cubetto di ghiaccio al sole, prendendole il viso fra le mani e ricambiando il bacio con passione. Non seppe mai quanto rimasero lì, se un attimo o un’eternità, seppe soltanto che quando si distaccarono l’una dall’altro c’era qualcosa che fino ad allora era mancato e che invece adesso colmava alla perfezione la loro relazione. Lei sorrise, lui ricambiò, mentre intorno a loro piombava il silenzio. Chissene. Eppure quel momento di gloria non durò a lungo. Forse rimase un po’ delusa quando percepì che c’era qualcosa a distrarre l’attenzione dei vampiri presenti. Le bastò un’occhiata per notare come Stefan, Isobel e Damon si fossero voltati in contemporanea verso la porta la terale. Anche la mora si costrinse a guardare e fu costretta ad aggrapparsi a Damon per non gridare. Lui la strinse forte e trattenne un ringhio in gola.

“Certo che ci si diverte parecchio a queste feste, non credi Alexander?”

Nessuno si era accorto di lei eppure era lì, perfetta e bellissima come sempre, la predatrice più letale della città e probabilmente del mondo. Osava addirittura venire lì, con quello che questo comportava: era identica, una sua copia perfetta, bastava uno sguardo sbagliato e qualcuno avrebbe potuto accorgersi di lei. E solo allora capì, era una trappola. Lei voleva che si accorgessero di lei. Alexander entrò senza preoccuparsi della su aaccompagnatrice, che scomparve all'istante, e sorrise educatamente a Bonnie, la quale lo fulminò con uno sguardo: cominciamo bene... I fratelli si scambiarono un segno d'intesa mentre Isobel non si soffermò ad aspettare e seguì subito la sorella.. Se la sarebbe vista da sola, questa volta..

 

Spazio autrice ù.u ovvero moi*

Bene, avrete notato che il capitolo rimane a metà, nel senso che non è finito in maniera adeguata. Infatti il capitolo era troppo lungo per postarlo tutto in una votla e ho preferito dividerlo in due parti: quindi questa è la prima, a breve - quindi qualche giorno - posterò la seconda. Fino ad allora, buona lettura e buona lettura ;)

P.S. grazie a quanti mi seguono e recensiscono i capitoli, siete mitici!!! ...e, trilly? Blocco di memoria.. xD lo sai che dovrai riassumere di nuovo, vero?? Baci guys!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** The party: past and future;; PART II ***


L’arrivo di Katherine la lasciò spiazzata: non solo osava presentarsi lì, alla luce del sole, davanti a tutta la città, ma non aveva neppure paura di quello che tre vampiri sani e forti potessero farle. Senza contare il fatto che aveva un nuovo alleato adesso, a giudicare dal tono carezzevole con cui aveva parlato allo sconosciuto che aveva cercato Bonnie la sera precedente. Il suo nome era Alexander: quante probabilità c’erano che ce ne fossero due, nella stessa città, con lo stesso obbiettivo? Aveva imparato ad accantonare le coincidenze con una risata, perché non esistevano, non erano reali, o almeno non nel suo mondo.

E se all’inizio l’unica cosa di cui poteva percepire il flusso era l’angoscia e la sorpresa, pian piano qualcos’altro cominciò ad impossessarsi del suo corpo: era paura. Irrazionale, stupida, fuori luogo – visto che Damon e Stefan erano scattati al suo fianco come due saette, tanto da sembrare due bodyguard in piena regola – eppure fredda, terribile, da farti rizzare i capelli sulla nuca. Non aveva mai avuto così paura di quella donna come adesso, mai l’aveva guardata così, neppure quando l’aveva portata nel suo villone e l’aveva fatta assistere alla sua orgia personale, alludendo a lei come al suo dessert. E invece adesso aveva paura, tanta.

Per riflesso involontario la sua mano corse al decolté, fino al collo, stringendo con le dita lunghe la carne morbida e bianca, e subito il suo inconscio si rese conto del dettaglio mancante. Forse era più lenta rispetto alla mente di un vampiro, ma anche lei era in grado di elaborare un concetto piuttosto in fretta: mancava qualcosa, qualcosa… maledizione! Il ciondolo di Bonnie! Avrebbe dovuto rendersene conto almeno una mezz’ora prima, quando Damon l’aveva baciata, toccandole il collo, le braccia, le labbra.. toccandola. Dalla notte trascorsa insieme le era parso più un orpello inutile e d’intralcio alla loro relazione piuttosto che una potente arma di difesa, ma si rese conto dell’errore soltanto allora, incapace ormai di rimediare, visto che il gioiello era posato delicatamente sulla sua scrivania, a casa.

Il suo sguardo indugiò sulla sala, ancora sconvolto, fino a incontrare quello di Bonnie. Le iridi dell’amica che negli ultimi giorni erano stati il suo porto, il rifugio sicuro di problemi, non tradivano emozioni al di fuori dell’ira e dell’incredulità: creare un artefatto richiedeva molto sforzo, molta fatica, molta magia; Bonnie aveva sacrificato la sua magia per quella che riteneva essere la sua migliore amica e poteva solo immaginare come la facesse sentire il modo in cui trattava quel ciondolo, così poco rispettoso e tutt’altro  che attento. Avrebbe voluto fermarla, dirle che teneva in grandissima considerazione il suo aiuto, ma non ne ebbe il tempo.. Proprio mentre Bonnie le voltava le spalle, vide l’abito scuro di Isobel fluttuare al di fuori della porta, nello stesso punto dove sua sorella era appena scomparsa. Provò a seguirla ma due paia di mani la afferrarono da ambedue le parti quindi capì di essere costretta a lasciar perdere. Guardò prima Stefan poi Damon, con uno sguardo freddo e imperativo, ed entrambi la lasciarono non appena furono certi che non avrebbe tentato di scappare. Non era stupida, benché spesso fossero le sue emozioni ad agire per lei: seguire Katherine era fare il suo gioco, buttarsi nel fuoco con la speranza di veder piovere da un momento all’altro. Non poteva aiutare Isobel, doveva aspettare e poi consultarsi con lei, come faceva da tempo ormai. Odiava ammetterlo ma quella donna le era entrata nell’anima, era diventata così parte della famiglia da ritenere che ne avesse sempre fatto parte. Da un certo punto di vista era esattamente così, ma non del tutto.

La preoccupazione era pari soltanto all’irritazione nel vedere sua zia lanciarle occhiatacce da dietro il braccio di Alaric, che le stava parlando amorevolmente sorseggiando un drink. Chissà come dovevano vederla quelli presenti nella sala, specialmente quelli che conoscevano la sua vita solo per i pettegolezzi messi in giro dalle male lingue e dai piccoli frammenti che scoprivano con i loro occhi: lei, stretta fra i due Salvatore, praticamente vicini tanto da poterla stritolare con la sola forza dei loro corpi. Non doveva essere uno spettacolo particolarmente normale, ma la sua attenzione venne definitivamente catturata da Alexander che avanzava nella sala e tutto il resto perse d’importanza nella sua mente.

Fino a quel momento non si era minimamente interessata ad osservarlo, visto che l’aveva fin da subito bollato come un sottoposto di quella strega, ma capì all’istante di aver fatto un enorme, un grosso errore di valutazione: non sembrava il genere d’uomo che si lascia manipolare facilmente, tantomeno da quella strega. Camminava con grazia, un passo dopo l’altro, lo smoking nero e il bicchiere di champagne in mano che lo facevano assomigliare in maniera assurda a James Bond. La sua carnagione era scura, non quanto quella di Bonnie ma ci si avvicinava decisamente; aveva un fisico alto e atletico, decisamente più alto di Stefan, forse addirittura dello stesso Damon. I capelli erano corvini, leggermente ondulati, sufficientemente lunghi e fissati probabilmente con il gel. Il viso era squadrato, con linee molto più dure che morbide, in particolar modo la mascella squadrata; le labbra erano carnose e piene, il naso dritto un po’ più grande del normale e gli occhi nascosti da cespugliose sopracciglia erano di un verde scurissimo, quasi indistinto dal nero eppure vivace e vivido come pochi altri aveva visto in vita sua.

Avrebbe voluto raggiungere l’amica, difenderla, ma le mani che la trattenevano la costrinsero a non muoversi e lei capì che d’altra parte era meglio: Bonnie si era sentita offesa, tradita dal suo comportamento e completamente lontana dal pensiero di perdonarla: adesso come adesso era pronta a giurare che sarebbe stata capace di lanciare un incantesimo contro di lei e far credere a tutti di aver sbagliato mira! Ne era capace, sul serio. Ma adesso aveva altro a cui pensare. Chissà di cosa le stava parlando Alexander proprio in quell’istante..

“Credo che le presentazioni siano d’obbligo. – asserì educato, baciandole la mano – Il mio nome è Alexander, Bennett. Mi dispiace di non averti potuto incontrare prima ma.. fattori avversi hanno giocato a mio sfavore.”

Sorrise educato osservando la cugina con cipiglio divertito. La mora non mosse u muscolo, osservandolo impassibile e riflessiva: non aveva saputo nulla di lui fino alla notte in cui si era presentato a casa di Elena chiedendo di vederla. Lì per lì le era parso strano, ma pur sempre un elemento degno d’attenzione: aveva fatto qualche ricerca, si era messa d’impegno e aveva trovato di lui quante più informazioni possibili. Molte, ma non troppe e neppure abbastanza da scoprire perché fosse tornato o perché fosse alleato di Katherine. Era un rinnegato, un fuggiasco, uno che – in circostanze diverse – sarebbe stato uno dei capi maggiori della sua famiglia, uno degli stregoni più potenti. Ma non era così. Lui e sua madre non erano minimamente considerati membri integranti della famiglia, benché ne portassero ancora con orgoglio il nome. Scrutò con i suoi profondi occhio lo sconosciuto ma non riuscì a penetrare la sua corazza, trovandosi di fronte null’altro che lui e il suo sorriso spavaldo.

“So chi sei. – asserì distaccata lei – E puoi risparmiarti la scena, tanto scoprirò ben presto cosa vuoi.”

La sua risata cristallina proruppe nella conversazione, facendo girare un gruppetto di ragazzine eccitate che sembravano già aver eletto Alexander il loro futuro Edward-Cullen-vampiro-sexy-della-situazione. Peccato che lui non fosse un vampiro e fosse tutt’altro che sexy, pensò la streghettta, ignorando la sua risata.

“Posso anche risparmiarti la fatica, cugina, se lo desideri. – disse educato lui – Non voglio che nessuno ci vada di mezzo e se ti sposti e educatamente mi cedi il posto di Matriarca, o Patriarca nel mio caso, non farò del male né a te né alla tua amica.. anche se suppongo nella seconda ipotesi non dipende da me ma da qualcun altro. Sheila è morta, Bonnie, e so che è a te che spetta il suo posto, i suoi libri, il suo potere e la sua magia. Sarò chiaro… li voglio tutti per me, saprò gestirli meglio di te e, nel caso in cui tu opponga resistenza, me li prenderò comunque ma con la forza.”

Benchè le parole fossero chiare minacce, la perfezione e l’educazione della sua voce non si inclinarono neppure per un istante, lasciando Bonnie ancora più agghiacciata e terrorizzata da quell’uomo. Lui continuò a sorridere, le girò intorno per fermarsi dietro di lei, si abbassò in modo tale che le sue labbra sfiorassero il suo collo e la sua voce mormorasse al suo orecchio.

“Non opporre resistenza, cuginetta. Prima, dopo, che importa? Riconquisterò quanto mi spetta.. perché semplicemente non ti arrendi a me?”

“Scordatelo!!! – sibilò lei – Mai!”

Lui non si scompose. Semplicemente fece spallucce e si girò su se stesso, individuando dubito le persone che gli interessavano all’interno della sala: un piano semplice, ben strutturato, facile da eseguire per uno come lui. “Sindaco Lockwood! Sceriffo Forbes, siete davvero incantevoli mie signore.”

Bonnie si ricompose e automaticamente il suo sguardo guizzò verso quello preoccupato della sua migliore amica, che la fissava preoccupata. Era ancora arrabbiata con lei, e molto anche: ci sono cose che non si fanno per il semplice gusto di divertirsi o di mormorare qualche parole strana. La magia è potente, è pericolosa: usarla rende chi lo fa debole e può prosciugarlo tanto da morire. Come sua nonna. Dio solo sapeva quanto avrebbe desiderato il suo aiuto in quel momento, avrebbe saputo aiutarla e darle un consiglio come sempre nelle situazioni difficili. Ma lei non c’era più. Il ciondolo che Elena non indossava aveva causato davvero molta sofferenza al fisico di Bonnie, non solo alla sua magia, così come il rito per proteggere la casa e ritirare l’invito di Katherine: Elena non sapeva nulla, non si accorgeva di nulla perché lei era molto attenta a non farglielo notare, ma non poteva davvero pretendere che la perdonasse subito. Ma era comunque una sua amica, la migliore, e proteggerla costituiva ancora una delle sue maggiori priorità al momento, insieme al fermare Alexander. Percepì la rabbia di Isobel fuori dall’edificio: aveva imparato a riconoscere i suoi pensieri molto bene nelle settimane trascorse fianco a fianco, e adesso sapeva che stava soffrendo e combattendo insieme. Avrebbe voluto volentieri darle una mano a picchiare a sangue e piantare un paletto di legno nel cuore di quella fottuta bastarda di sua sorella, ma non le spettava, non in quell’occasione. Isobel era più che potente per farlo da sola e sospettava fosse più una resa dei conti che una vera lotta per difendere Elena quella lì fuori in quel momento. Avrebbe aspettato il suo turno dietro le quinte.

Si concentrò, focalizzandosi sui pensieri di Stefan: doveva pur avvertirli di dove andava, in modo tale che potessero organizzarsi. Stefan sembrava molto preso da Elena in quel momento ma era certa che l’avrebbe sentita.

Stefan.. – notò i suoi occhi fissarsi in quelli di lei – Vado al Pensionato e vi aspetto lì. Cercherò di trovare un modo per proteggerla e proteggerci, anche se sarà difficile. Ci vediamo lì.

Lo vide annuire con un cenno rigido del capo. Elena guardò l’amica con occhi supplichevoli ma l’altra non rispose che con un cenno del capo, non era in vena.. né di parlarle né di avvicinarla.

***

Isobel non riusciva ancora a crederci: sua sorella era rimasta al centro dei suoi pensieri per tutto il tempo del suo soggiorno a Mystic Falls, da quando era arrivata e aveva promesso di proteggere Elena. L’aveva sempre immaginato come sarebbe stato incontrarla, parlarle, chiederle tutto ciò che in quegli anni si erano reciprocamente taciute… ma era troppo codarda per affrontarla. Sua sorella era sempre stata più di lei in tutti i sensi: più bella, più coraggiosa, più amata dai loro genitori, più desiderata dai partiti che passavano per Pierce Manor.. insomma, non poteva competere. Eppure la cosa di cui quella stessa ragazza perfetta non si era resa mai conto era che tutto ciò che avrebbe dovuto fare per essere all’altezza delle aspettative di sua sorella era amarla, volerle bene.. Katherine vedeva sempre tutto quello che c’era davanti a se come opportunità, un modo per elevarsi al di sopra di quello che già era e già possedeva, chi non le era strettamente necessario finiva col essere eliminato, come i suoi genitori, morti bruciati perché non le erano di nessun aiuto ma solo d’impaccio. Aveva provato un migliaio di volte a riconquistare sua sorella, a ridarle quel qualcosa che le era sempre mancato, di renderla sua sorella, ma non ci era mai riuscita, mai. E poi Elena, e la somiglianza, e la differenza… aveva finito con l’accettare, per la prima volta dopo tanto tempo, che sua sorella non sarebbe mai stata come Elena: Elena non è Katherine. Eppure adesso eccola, a seguire la sua unica famiglia fuori da quell’edificio, senza nessuno a coprirle le spalle. Forse era ingenua a pensare che il legame di sangue avrebbe significato ancora qualcosa per Kath, forse l’avrebbe finalmente fatta ragionare, le avrebbe fatto capire come il suo modo di vita e i suoi giochetti non fossero altro che un ulteriore ridicola prova del fatto che doveva cambiare, necessariamente. Ma era un pensiero utopistico: sua sorella non sarebbe cambiata mai, e quella consapevolezza le aleggiava intorno anche quando la vide, la figura bellissima contro i lampioni della notte, gli stessi capelli, lo stesso sguardo beffardo di una volta. Non si vedevano dai tempi di San Pietroburgo, circa un secolo per quelle che erano le loro futili esistenze quasi umane. La osservò, cercando di vedere in lei quel pizzico di umanità che tanto agognava ci fosse. Non c’era. Kath era sempre la stessa, nulla faceva trasparire quell’umanità, nemmeno il sorriso che le sfiorava le labbra.

“E’ bello rivederti sorellina. – disse lei, facendo qualche passo avanti – Anche se devo essere sincera sul fatto che mi hai profondamente deluso, Izie. Insomma, difendere Elena, fare comunella con i Salvatore… non è una cosa che si fa ai propri familiari, non trovi?”

L’innocenza della sua voce, attribuibile ad una ragazzina dodicenne, era talmente inquietante da dare i brividi.

“Da quando mi ritieni una tua familiare, Kath? – chiese senza pietà Isobel, restando al proprio posto, gli occhi ridotti a due fessure – Credevo di essere quella che rinnegavi perché ero indegna di essere come te, incapace di accettare tutto quello che dicevi come un ordine e per questo totalmente lontana dalla tua vita e esistenza. Sbaglio forse? Io, Kath..”

“Come osi dire una cosa del genere? – rise l’altra, divertita quanto non mai da quella situazione, facendo un altro passo in direzione di sua sorella – Nessun diverbio può farti smettere di essere mia sorella, anche se certe volte vorrei proprio ucciderti.. ma possiamo rimediare.. vieni con me. Saremo di nuovo una famiglia, legate per l’eternità, come avevo sempre desiderato..”

Ormai era vicinissima, gli occhi che brillavano di emozione: sua sorella non si lasciava mai andare a simili attacchi di gioia, di sentimento. Era fredda come la roccia, cosa poteva averla mai indotta ad agire così. Lo capì nell’istante in cui la sua mano si strinse come un fulmine intorno al suo collo… avrebbe dovuto immaginarlo che era solo una tattica per distrarla. Riuscì a dimenarsi giusto in tempo, allontanandosi quanto basta per non essere alla portata di nessuno dei suoi arti.

Il sorriso indulgente era sparito dalla faccia di sua sorella, così come l’emozione degli occhi, rimpiazzati da uno sguardo freddo e calcolatore.

“Kath, ti prego..”

“Non pregarmi, Izie, tanto non andrai da nessuna parte. Ogni secondo dopo che ti ho creato rimpiango di averlo fatto. Sei stata un tale peso al piede, sempre in mezzo ai miei piani. E poi quella cosa di Elena, e il DNA, e tutto il casino che ne è uscito. Non solo hai mancato di rispetto a me, la tua unica famiglia, ma addirittura mi hai sottratto due giocattoli che amavo tantissimo..”

“Non mettere in mezzo i Salvatore! – sbuffò l’altra, liquidando le sue insinuazioni con un gesto deciso della mano – Non ti avrebbero mai interessato tanto se non avessi saputo che ti avevano dimenticato. Ti rode che Stefan ami Elena, ti rode che la ami Damon, mentre con te nessuno dei due era riuscito a provare quel sentimento. Forse Elena avrà il tuo stesso aspetto ma, credimi, quella è davvero l’unica cosa che avete in comune..”

E se i suoi riflessi erano veloci, quelli di sua sorella lo erano di più. Quasi non si accorse del paletto che teneva in mano finchè non la vide lanciarsi su di lei come una furia e atterrarla. Maledizione. Non aveva bevuto sangue quella sera, era più debole, ed era certa che non era un errore che Kath avrebbe mai commesso. Lei si cibava tanto da star male pur di non restare mai a corto dei suoi poteri. Vide il paletto nella sua mano e poi percepì il freddo duro legno conficcarsi esattamente al centro del suo petto. Sentì il legno diventare caldo all’improvviso e quel calore diffondersi in tutto il suo corpo, le vene, le arterie, qualsiasi fibra venne circondata da quel calore surreale e invece dell’immaginabile dolore percepì soltanto.. calma. L’aria le mancava ma era come se non ne avesse bisogno, come se non ne avesse mai avuto bisogno in vita sua. Eppure il freddo che all’improvviso percepì le fece capire che c’era qualcosa che non andava, ma non tanto da spaventarla. Ansimò un paio di volte, vedendo l’immagine di sua sorella diventare sempre più sfocata, ma non ci fece caso, almeno tentò di restare lucida. Non fu facile. Alla fine percepì il buio che calava su di lei. Non avrebbe più potuto aiutare Elena, non l’avrebbe più difesa, era inutile, proprio come Kath aveva sempre detto, proprio come aveva sempre temuto.. E profondò in un baratro di oscurità, capendo all’istante di morire. Era un modo assurdo di andarsene, ma non poteva aspettarsi di meglio. Adesso tutto era nelle mani dei Salvatore, difenderla, proteggerla, di Bonnie, aiutarla con la sua magia.. e, se avesse potuto, avrebbe vegliato su di lei… E poi fu il nulla.

***

Erano passati almeno dieci minuti e ancora di lui nessuna traccia. Umph. Guardò Stefan, visibilmente annoiata e preoccupata: possibile che riuscisse a restare così calmo e concentrato malgrado tutto? Insomma Isobel era chissà dove a regolare i conti secolari con sua sorella, nonché la sua gemella, Katherine; Damon era andato ad accompagnare Rick alla macchina e a chiedergli in prestito un po’ del suo arsenale. Elena aveva insistito perché Rick riaccompagnasse a casa Jenna Jeremy e lui aveva acconsentito, rendendosi immediatamente conto che era meglio per tutti se erano fuori pericolo. Una preoccupazione in meno. Lanciò un’occhiata fugace da dietro la propria spalla, fingendo di stiracchiarsi il collo, cogliendo Alexander intento a parlare con lo sceriffo… maledizione a lui e al suo fascino! Era così eprfetto, così bello, così stregante.. era come se riflettesse il potere della sua magia su chiunque gli fosse intorno. Era una cosa bella ma pericolosa al tempo stesso. Sperò in cuor suo di non dover mai sperimentare il suo controllo in prima persona.

“Ti prego, Elena, rilassati. – tentò inutilmente di calmarla Stefan, mettendole un braccio intorno alle spalle – Torneranno tra poco e saranno tutti salvi.”

“Non puoi saperlo. – lo corresse lei, indicando con un cenno del capo il loro nuovo amico – Tanto per cominciare non sappiamo che cosa voglia questo presunto cugino di Bonnie, e mi preoccupa pensare che con il suo charme non gli sarà difficile ottenerlo. E il fatto che sia alleato di Katherine non lo rende certo un nostro amico, o si?”

Stefan scosse la testa, evitando allo stesso tempo di rispondere e comunicandole di non sapere ancora nulla, esattamente come lei. Malgrado potesse sentire ben lontano, l’udito era inutile in una sala affollata di gente. Inoltre era certo che Bonnie avrebbe raccontato loro tutto in prima persona, non era qualcuno a cui piaceva origliare.

“Ok. – acconsentì dopo che Elena sbuffò per la 345 volta in 5 minuti – Se non arrivano entro i prossimi 5 minuti chiamo Damon, contenta?”

Il visetto della mora si illuminò come quello di un bambino che ha appena ricevuto un leccalecca.

***

Guardò la macchina di Rick allontanarsi velocemente dal parcheggio, i fari ormai due puntini luminosi. Lanciò uno sguardo al suo bagagliaio: era una fortuna avere un amico che si portava sempre un arsenale simile per “ogni evenienza”, come quella per esempio. Perché anche lui non aveva una cosa simile? Era una delle cose da fare, assolutamente: munirsi di un arsenale alla fratelli Winchester… peccato che, differenza loro, lui avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente di vampiri..

Di una vampira soltanto.. – si corresse mentalmente.

Era meglio tornare dentro. Ci aveva messo più tempo del previsto e doveva assicurarsi che Elena stesse bene. Troppo tardi. Roteò gli occhi al cielo, girandosi con fare teatrale e alzando le braccia come per presentare qualcuno di famoso ad una folla urlante.

“E dopo anni di assenza dai palchi di mezzo mondo, signore e signori, ecco a voi Katherine Pierce! Applausi signori, applausi!”

Mimò il gesto dell’applaudire con quel suo sorriso ironico, prima di farlo scomparire del tutto dal suo volto e fissare con gelida determinazione la donna che gli aveva rovinato la vita. Era stato uno sciocco a lasciarla andare quella volta, quella notte in cui era tornata ed aveva ucciso John. Non che il tizio gli fosse particolarmente simpatico, anzi! Era stata gentile a liberarlo di quel peso, ma per il resto… stronza egoista era e lo era rimasta anche adesso. Non era minimamente cambiata: ogni suo passo, ogni suo gesto, ogni sua singola parola, tutto era mirato ad uno scopo superiore, ad un fine maggiore che solo la sua mente perversa conosceva. Insomma, dire che era un genio era poco, era un geniaccio per bacco. Sarebbe stato un vero peccato per il mondo quando l’avrebbe uccisa, un gran peccato.

“Ti lascio esattamente trenta secondi per voltarti e andartene per sempre da Mytic Falls, altrimenti..”

“Altrimenti cosa, Damon? – lo derise la mora, facendo scorrere le sue lunghe dita sulla sua giacca elegante – Sappiamo entrambi che queste minacce vanno a finire esattamente dove dovrebbero… al diavolo. Non hai sufficiente forza per farmi fuori, Damon, e non puoi davvero pensare di essere tanto forte..”

L’ira negli occhi di Damon cresceva ogni istante di più, il petto che si alzava regolarmente con scatti ritmici e irati.

“Vattene dalla mia città, Katherine. Non te lo ripeterò un’altra volta. Ti voglio via dalla mia vita, via dalla vita delle persone che amo, via di qui.”

Ancora una volta la ragazza si concesse un sorriso giocoso, era tremendamente somigliante ad Elena con quei denti bianchi, peccato che non ci fosse paragone: per Elena il solo sorridere era un gesto così puro da illuminare chiunque le stesse accanto, per Katherine era la prova del suo gioco di morte con qualsiasi persona fosse tanto folle da intralciare il suo cammino. Ma lui aveva imparato dai suoi errori, e non li avrebbe più commessi. Quella stronza gli aveva rovinato l’intera esistenza con i suoi giochetti, era ora di dire addio a lei e ai suoi piani del cazzo. Non aveva avuto l’occasione di metterle le mani alla gola ma adesso, lì, da soli, nulla l’avrebbe fermato. Eppure la ragazza sembrava avere altri progetti: negli occhi del moro balenò un sentimento di confusione quando la vampira si avvicinò a lui in maniera provocante e gli posò le mani sulle spalle, con fare sensuale. Ma che..?

“Non capisco perché insisti… non sono venuta qui per farti la guerra, io voglio amore, Damon, solo fare e dare tanto tanto amore… letteralmente. Insomma, non piacerebbe anche a te ritornare ai vecchi tempi? Io, te e Stefan di nuovo insieme, per sempre stavolta.. e saresti di nuovo tu il mio preferito, vuoi?”

Anche i migliori potevano avere i loro momenti di debolezza, anche i più coraggiosi potevano tremare, e in quel momento l’autocontrollo e la sicurezza di Damon lo fecero: era un’alternativa così vera, così allettante, quello che aveva così ardentemente sognato per decenni era vicino, a portata di mano, la donna che aveva sempre amato, il futuro che aveva desiderato di costruire con lei. Suo fratello era un’aggiunta indesiderabile ma, dopo un po’, era sicuro di poterci fare l’abitudine e volergli quel briciolo di bene che serve per la convivenza. I Salvatore di nuovo uniti, Katherine di nuovo al suo fianco. Era un sogno che diventava realtà… o almeno lo sarebbe stato se fosse tornata qualche mese prima. Era cambiato troppo nel tempo trascorso in quella città, era lui ad essere cambiato per primo: non voleva più la vita di un tempo, non voleva lei e i suoi pericolosi giochetti di seduzione. Voleva una vita, una vita vera, con qualcuno al suo fianco che potesse dargli un sentimento vero, un calore, un cuore che batte. Voleva Elena, e non si era mai reso conto di quanto la desiderasse finchè non si rese conto in quell’istante che lei era l’unica cosa che non avrebbe mai lasciato, lei e le persone a cui voleva un bene diverso ma comunque intenso. La sua vita era lì adesso, e lo sarebbe sempre stata.

E quindi quell’attimo di insicurezza durò poco, solo qualche minimo istante, prima che lui si rendesse conto di quello che la vampira gli stava dicendo: menzogne, solo futili e sporche menzogne, come sempre aveva fatto e come avrebbe fatto per sempre. Non aveva mai preferito lui, era sempre stato Stefan il suo giocattolino migliore e perfetto. E adesso li rivoleva? Ma certo, il complesso del voglio-ciò-che-non-posso-avere. Tipico di Katherine, avrebbe dovuto immaginarlo. Peccato che quella sarebbe stata l’ultima volta che lei provava ad incasinare la sua vita..

Con una mossa fulminea le afferrò il collo con entrambe le mani e strinse forte, i denti che uscivano affilati dalle labbra, gli occhi che si tingevano pian piano di nero, la sua natura felina ed aggressiva, tanto a lungo repressa, finalmente alla luce. Ringhiò con forza, spingendola contro la parete dell’edificio e sibilando minaccioso.

“Hai finito di giocare, Katherine. Adesso andrai in un posto dove difficilmente potrai fare simili giochetti, sola, per l’eternità..”

Stringeva forte, ormai avrebbe dovuto essere morta, eppure su quel viso beato d’angelo continuava a perdurare il sorriso angelico e l’espressione di simbolica innocenza: lei era e sarebbe sempre stata più forte di Damon, non poteva aspettarsi di farla fuori così, da solo. Ma non poteva nemmeno accettare che si comportasse così con lei, era terribilmente da maleducati nei suoi confronti. Fece scemare il sorriso dalle labbra, sostituendolo ad un’espressione neutrale che necessariamente mise Damon in allerta.

“L’hai voluto tu. – concluse con voce apatica, prima di liberarsi con facilità dalla sua stretta e intrappolarlo da dietro la schiena con il suo braccio stretto intorno al suo collo, molto più forte e più efficace – Non solo ti farò pentire di non avermi voluta ma distruggerò anche chi ami, le loro case, le loro famiglie, finchè non verrai ai miei piedi strisciando e chiedendo pietà. Perché non ti uccido ora? E che divertimento ci sarebbe? Devi soffrire Damon Salvatore, provare pene infernali prima di vedermi uscire di scena, e poi dovrai vivere con quel rimorso, e io mi assicurerò che tu lo faccia.”
Lasciò andare il braccio e il corpo del vampiro di accasciò a terra, mani e piedi poggiati contro l’asfalto caldo, il respiro affannoso e tossicante. Maledetta strega. Alzò lo sguardo, tentando di capire se fosse ancora lì, ma naturalmente non c’era. L’aveva di nuovo usato come una marionetta e poi abbandonato. Non c’è due senza tre, ovviamente. Ma la terza volta sarebbe stato preparato: non l’avrebbe più colto alla sprovvista, l’avrebbe presa e uccisa lì, seduta stante. Si aggiustò il colletto della camicia, si ricompose e si costrinse a rientrare dentro.

***

“Prima che Damon rientri devo farti una domanda. E’ una cosa seria quello che c’è fra voi due? Non voglio essere invadente ma devo saperlo.”

Elena guardò ovunque che negli occhi del suo ex.

“E invece sei invadente, Stefan. Non ho intenzione di parlarle, non con te soprattutto.”

Non era la risposta che si aspettava, anzi era la peggior risposta che lei potesse dargli in quel momento: lui voleva risposte, certezze, realtà, non qualcosa di vago senza capo né coda. Aveva capito che c’era qualcosa fra loro e doveva capire se sarebbe stato in grado di accettarlo o meno ma, per questo, doveva sapere di preciso cosa avrebbe dovuto accettare. Alzò leggermente il tono della voce, pur non volendo.

“Non è una risposta, Elena, non puoi pretendere che io stia con le mani in mano e vi guardi diventare la coppietta felice proprio sotto il mio naso. Diavolo, non ti rendi conto di quanto mi stai facendo soffrire? Quando mi hai lasciato..”

“Hey, tutto bene qui?”

La voce di Damon arrivò improvvisa, una mano su quella di Elena l’altra sul petto di Stefan. Nessuno dei due si era realmente reso conto di quanto si fossero avvicinati e di quanto la loro conversazione avesse attirato l’attenzione. Stefan si guardò intorno, incontrando sguardi sorpresi e come minimo preoccupati, mentre lo sguardo della mora era molto più che sorpreso o preoccupato: era spaventato, spaventato da lui..  Guardò il fratello, che lo fissava con cipiglio severo ma altresì agitato, quasi preoccupato, quasi..

“Io.. mi dispaice.. io.. devo.. devo andarmene.”

Non lasciò loro il tempo di dire una sillaba e scomparve. Maledizione! Aveva pensato di essere finalmente riuscito a controllarsi, a dosare le emozioni e controllare gli eccessi di rabbia o di ira. Ma non poteva riuscirci sempre: certe volte era inevitabile che le emozioni prendessero il sopravvento, soprattutto quando si trattava di Elena e di Damon, presi in coppia o singolarmente. Non avrebbe mai creduto che le due persone a lui più vicine sarebbero state capaci di fargli tanto male: Elena non se ne accorgeva più di tanto, sospettava ma non tanto a fondo da prendere provvedimenti o precauzioni; Damon certamente era a conoscenza del suo stato d’animo interiore ma preferiva lasciarlo “cuocere nel suo brodo” o semplicemente aspettare che fosse lui il primo a confidarsi. Non sarebbe accaduto mai, né adesso né in futuro.  Elena era stata una parte troppo importante della sua vita, troppo bella per potere essere eliminata con qualche mese di lontananza. La desiderava ancora, si. La voleva, più di ogni altra cosa, e il fatto che lei volesse a tutti i costi tenerlo lontano dalla sua vita, privata e non, non faceva altro che aumentare quel senso di disagio e di preoccupazione frammista a ira che gli logorava il petto. Come se avesse sentito i suoi pensieri, la guidatrice di una porsche nera si fermò esattamente davanti a lui.

Uno sguardo bastò a svelargli la bellissima figura che vi sedeva dentro. Era così bella, così perfetta, così simile a lei in ogni dettaglio. Ma non era Elena, era un concetto che il tempo gli aveva chiaramente dimostrato. Eppure perché quel sorriso smagliante lo stava tentando? Certo, ovvio: voleva Elena, anche se significava avere la sua futile imitazione. Qualcosa si mosse dentro di lui. Il solo pensiero, il solo voler fare ciò che stava pensando era così raccapricciante, sbagliato, insano: così tradiva suo fratello, Elena, Bonnie… quest’ultima stava diventando così importante per lui. O forse no? Se ci pensava bene anche quella volta l’aveva portata a letto soltanto perché aveva visto Damon ed Elena a letto insieme, per ripicca. Se l’avesse rifatto con Katherine cosa ci sarebbe stato di sbagliato? Non l’avrebbe saputo nessuno.

Bevve un altro sorso dalla sua boccetta di metallo, assaporando il sangue umano scendergli nella gola e bagnare i suoi tessuti vitali. Si, si sentiva vivo e completo, una persona forte e diversa dal solito pappamolle che ormai era stanco di interpretare. Con un agile salto salì in macchina.

“Andiamocene da qui!” – furono le sue uniche parole. Ma non furono abbastanza veloci. Udì l’inconfondibile odore di carne putrefatta, come quella… guardò allarmato al di là del finestrino abbassato della decapottabile: avrebbe potuto riconoscere quel colore corvino, quasi bluastro, una sfumatura unica, dovunque.. Isobel era stesa sotto un albero, o almeno quello che restava di lei. Era morta.

Il vecchio Stefan avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutarla ma, ormai, non era il vecchio Stefan: il sangue e quello che suo fratello ed Elena si ostinavano a continuare a fare era assurdo e non poteva più essere il loro zimbello, era ora di andare avanti. Anche se significava ritornare sui propri passi.

Udì il vento della notte richiamarlo indietro ma non si voltò.  

 

Spazio autrice alias moi ù.u

Bene, rieccomi! Lo soc che sono stata ferma un bel pò con l'aggiornamento ma, mi perdonerete, il mare e il sole sono stai miei fedeli compagni d'avventura in questi giorni e non ho potuto davvero agire diversamente! Ma non temete, non mi dimentico mai di questa storia: non mi credete? Beh, diciamo che la storai è solo all'inizio.. ma se abbiamo già fatto tanti di questi capitoli, direte voi! Beh, c'è di peggio -.- fidatevi, le sorprese sono appena iniziate.

Voglio sapere se il capitolo vi è piacuto: che ve ne pare? Beh Isobel poverina ha fatto uan brutta fine.. mi dispiace ma mi stava diventando inutile.. troppo contro Damon per meritare qualche altro futile respiro. Stefan? DI nuovo soggiogato dal sangue umano ma stavotla più pericoloso, attenti: può controllarlo, avete visto? Insomma finchè non si mettono in gioco o Elena o Damon non si vede neppure un pò che sta continuando ad assuefarsi di quella sostanza.. e adesso è sfrecciato via sulla porsche nera di Katherine. Ah! Non vedo l'ora di scrivere quello che accade dopo.. soprattutto quando arriverà.. ok, mi sto zitta! U.U

Kimculle, _Delena_, poeticdream... è superfluo che vi faccia sapere che siete essenziali con i vostri sommenti, vero? Beh, io comunque ve lo ricordo e rignrazio quanti hanno la pazienza di continuare a seguirmi anche con questo afoso caldo estivo. Vi voglio bene, guys ^^

Alla Prossima =)

P.S. E ringraziate Trilly sull'illuminazione del capitolo 13/14... adesso so che Kristen Bell sarà perfetta.. per cosa? Lo scoprirete! Buona notte!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Goodbye, once and forever;; ***


Versò il liquido chiaro in due bicchieri di cristallo finemente lavorati, lasciando che il bourbon arrivasse esattamente a tre quarti del bicchiere, e vi gettò dentro anche due cubetti di ghiaccio, senza battere ciglio. Era una giornata da dimenticare, senza dubbio, ci voleva qualcosa di estremamente forte per affrontare la nottata, soprattutto se erano in tre nel Pensionato, soprattutto se quel “tre” comprendeva Bonnie Bennett.

Le porse il bicchiere e lei lo accettò con un cenno della testa, che nel suo linguaggio dei segni equivaleva ad un ringraziamento, che strappò al moro un mezzo sorriso ironico e un’alzata di sopracciglia altrettanto divertita: il solo veder Bonnie bere sul suo divano, di fronte al caminetto di casa sua, dai suoi bicchieri di cristallo.. beh, valeva qual cosina di più del suo semplice autocontrollo, dopotutto. E poi, molto probabilmente, sarebbe stata una compagna di bevute interessante quasi quanto lo era stata Elena ad Atlanta, ricordò malizioso. La ragazza stava in piedi, osservandoli con occhiate torve: come facevano ad essere così rilassati? Lei stessa faticava a mantenere l’autocontrollo e trattenere le lacrime, come potevano stare semplicemente lì a bere e a punzecchiarsi a vicenda!!?? Sbuffò frustrata, prima di salire gli scalini a due a due e entrare nella sua stanza – sì, adesso a quanto pare ne aveva una.

“Vado a farmi una doccia…” – asserì con voce roca, rispondendo agli sguardi improvvisamente attenti e allo stesso tempo interrogativi dei suoi due cecchini. Non solo non si rendevano conto che Isobel era morta, ma neppure volevano accettare il fatto che era un’altra tacca sulla lista di Katherine, un’altra persona che era morta perché si era frapposta tra lei e il suo inevitabile trapasso, sottraendola alle grinfie del destino ancora una volta, ma non per sempre. Come avrebbe potuto salvarsi per sempre? Non c’era salvezza in un mondo di sensi di colpa e tragedie, lei lo aveva capito ormai.

Damon e Bonnie si scambiarono uno sguardo eloquente.

“Chiama Stefan.. – le disse il vampiro, posando il proprio bicchiere sul tavolino di vetro - ..e dato che ultimamente vedo che siete in particolar modo intimi, digli dove diavolo si trova e per quale maledetta ragione non è ancora qui, con lei..”

Sorrise in maniera sghemba ma fulminea, prima di lasciare la strega sola con il suo bicchiere di bourbon e il telefono in mano. Anche lei era preoccupata, sarebbe stato evidente ad un cieco, ma sembrava al quanto restia a scoprire dove si trovasse realmente Stefan, come se percepisse quel poco che bastava per renderla sicura del fatto che non avrebbe scoperto nulla di buono, telefonandogli. Segreteria. Chiuse la chiamata e gettò con rabbia il telefono sul tavolo: per chi l’avevano presa, per un centralino? Se Stefan Salvatore era troppo impegnato da rispondere alle sue chiamate, lei poteva benissimo essere tanto impegnata da non telefonargli più.

Damon bussò per tre volte prima di entrare – non era il tipo che aspetta davanti alle porte, anche se non è camera sua – e vide che la stanza era deserta. Ma che diavolo…? Dov’era finita quella ragazzina? Due minuti e spariva così? Solo allora la preoccupazione e i sensi all’erta lo avvisarono dell’acqua che scorreva sotto la doccia… gli avrebbe fatto venire un infarto, quella furia, anche se era già morto, tecnicamente. Sorrise fra sé, compiaciuto dal proprio humor. Bussò anche alla porta del bagno ma stavolta non per avere risposta ma semplicemente per avvertirla della sua presenza, in modo che sapesse che era lì.

I vapori dell’acqua calda avvolgevano il bagno color verde muschio, offuscando lo specchio e le due piccole finestre, e rendendo l’ambiente molto simile ad un bagno turco. I singhiozzi erano ben udibili anche con il battere dell’acqua nella doccia. Non attese un invito e scostò i due pannelli trasparenti del cubicolo, trovandola appoggiata di faccia al muro, l’acqua che scendeva come una cascata sulla schiena bianca, i capelli scompigliati sulle spalle. Gli fece tenerezza, come un gattino piccolo sul marciapiede. Lui non si impressionava nemmeno di fronte a quello ma, in termini umani, era il paragone migliore a cui riuscisse a pensare al momento. Le sue mani erano strette al petto, scosso dai singhiozzi. Come si poteva non avere pietà di una creatura simile, pensò lui.

Con un impeto di forte emozione e passione la strinse a se, abbracciando da dietro il suo fragile corpo minuto, stringendola contro i suoi vestiti che stavano piano piano diventando fradici. Lei non si sottrasse al contatto ma rimase lì, tramante, immersa nella beatitudine della forza della sua stretta, protetta, sicura, salva. Quando si voltò per appoggiare la testa alla sua spalla si rese conto che la sua presenza non aveva soltanto un effetto calmante, era essenziale in quel momento, come qualcosa di cui hai profondamente bisogno in un determinato momento, un appoggio senza il quale precipiteresti nel baratro sul limite del quale ti trovi. Lei era esattamente lì, nel punto più vicino del precipizio, i capelli che sventolavano fieri al vento, gli occhi fissi sulla distesa di nulla di fronte a lei. L’unica cosa a trattenerla era lui, Damon, adesso, lì.

Percepì le sue sottili labbra su di lei, piccoli e rapidi baci che sfioravano prima i suoi capelli, poi la sua fronte, la sua guancia.. Con un piccolo gesto rimosse completamente la distanza fra le loro labbra e strinse le mani dei suoi capelli, prima di capire cosa ci fosse di stonato in quella scena. Appoggiò le mani sulla sua camicia, sbottonando ad uno ad uno i bottoni neri, per poi sfilargli l’indumento con un unico deciso gesto. I pantaloni fecero la stessa fine e anche i boxer. Solo allora si concesse di guardarlo negli occhi, nuda non solo nel corpo ma anche nell’anima: ormai non aveva difese contro di lui, se avesse voluto avrebbe potuto farla cadere con la pressione di un dito in quel medesimo istante, tanto era impotente di fronte alla sua persona. Ma lui non l’avrebbe mai fatto: se lei fosse caduta lui sarebbe andato a fondo con lei, l’avrebbe seguita, anche se il biglietto di sola andata era verso l’inferno. Le scostò i capelli dal volto, prendendolo con ambedue le mani e poggiando un casto labbro sulle sue labbra. Non era ciò che desiderava lei.

In quel momento era distrutta, spezzata in mille frammenti, aveva bisogno di una colla, di qualcosa che potesse saldare insieme i pezzi, aveva bisogno di lui. Lo baciò a sua volta, con passione, con fervore.

“Elena, forse non è il caso..” – provò lui, ma inutilmente.

“Codardo. Da quando Damon Salvatore è una simile femminuccia?”

Le sue parole ebbero l’effetto desiderato. Lui la spinse contro le mattonelle fredde della parete, sollevandola di quel poco che bastava perché le sue cosce si avvolgessero al suo torace, e prese a baciarla, voglioso, mentre le mani correvano all’impazzata sul suo corpo, sui suoi seni, su qualsiasi centimetro della sua femminilità che nessun altro avrebbe più profanato, mai, non avrebbe potuto permetterlo. La schiena di lei si inarcò, percependo la sua eccitazione così dura e vicina alla propria, ma sapeva che non era da lui dargliela vinta così facilmente. E  va bene… Lo baciò con ancora più trasporto, gemendo al contatto che le sue dita avevano instaurato con i suoi capezzoli. L’acqua calda era uno stimolante che non aveva mai provato né considerato in una relazione, e invece funzionava. Sembrava renderli ancora più eccitati e pronti del solito. Le labbra di lui lasciarono una scia infuocata sul suo collo, fino ad arrivare a prendere il posto delle mani sul suo petto. Un altro gemito di piacere. Si avvinghiò più forte ai suoi capelli, le dita lunghe e sottili che si aggrappavano convulsamente all’unica ancora che la teneva vicina alla realtà del mondo.

Percepì lingue di fuoco che laceravano la sua pelle bianca, lame che straziavano il suo essere e la sua intimità come coltelli di piacere, forti e implacabili. Solo quando seppe di non riuscire a sopportare oltre lo percepì in lei e l’esplosione che colse nel suo petto, all’altezza dell’ombelico, non riuscì a tenerla ferma e non la trattenne dal curvare la schiena, la testa all’indietro, i capelli adesso bagnati non solo d’acqua ma di sudore. Sentì che anche il suo corpo reagiva con un tremolio crescente a quel contatto e non si sottrasse, offrendo le sue labbra come tacito accordo di quel momento, un patto di sangue e passione.

 Una, due, tre. Ancora. Ancora.

Percepiva i movimenti di lui in lei e si sentì stupida per aver creduto che non ci fosse rimedio al suo dolore, alla sua ansia, a quello straziante senso di colpa: c’era un rimedio, unico nel suo genere, e quel rimedio era lui, era il suo corpo, era la sua essenza, era il suo muoversi accanto e dentro di lei, la forza che riempiva i loro gemiti e i loro corpi che si fondevano di acqua e piacere. Sospirò, sentendo il massimo del limite sfiorarla come una meteora e si accasciò con la fronte contro la sua spalla, ancora tremante e con la bocca aperta in certa d’aria. Le mani di lui erano poggiate contro la parete, prima che le allontanasse e le posasse sui suoi capelli: non gli costava la benché minima fatica tenerla in braccio.

Lei gli concesse un altro bacio – l’ultimo, promise a se stessa – ricordandosi che, malgrado tutto, malgrado restare in quella doccia con lui fosse più che un desiderio infinito, c’era il mondo ad attenderli – oltre a Bonnie, nel salotto al piano terra – e farli aspettare non era esattamente qualcosa di… corretto?

“Non so come hai fatto, né voglio saperlo, ma mi hai alleggerito questa maledetta serata.”

“Giornata! – la corresse lui ironico – Sono le cinque del mattino, è mattino ormai. Tra poco dovrò andare da Rick a dargli una mano con.. lo sai.”

Ecco. Non potevano restare per sempre lontani dal mondo, puntualmente quello tornava per riportarli dalla nuvola in cui si trovavano. Maledizione. Scese da lui, chiudendo il getto d’acqua e avvolgendosi in un asciugamano. Notò che anche lui fece altrettanto.

“Mandaci Stefan. – sbottò, quasi irritata – Se qualcuno ha qualche dovere, adesso, verso di me e Isobel quello è lui. Dove diamine si è cacciato?”

Damon roteò gli occhi al cielo, prima di recuperare il cellulare dal ripiano del lavandino.

“Ehi, sai che odio cambiare questa roba tecnologica. Non potevo lasciare che si bagnasse!”

Compose il numero del fratello, aspettando pazientemente che rispondesse. La sua voce suonò stanca, frastornata e parecchio… confusa? Stefan? Il perfettivo so-tutto-io e non-bevo-sangue-umano e sono-più santo-del-papa Stefan? Woho! Allora anche lui ogni tanto si lasciava andare a qualche seratina di follie, hai capito! Ma non era il momento – anche se era curioso di sapere i dettagli – ed Elena era impaziente, era meglio evitare qualsiasi cosa che potesse riportarla alla condizione di qualche ora prima.

“Senti, playboy. So che non sai nulla ma.. Isobel è morta.”

Aspettò una reazione di sorpresa che, tuttavia, non arrivò. Preferì tralasciare quel particolare, non c’era tempo.

“Rick ha detto che se ne occuperà lui ma ha bisogno di aiuto. Avevo un appuntamento con lui oggi verso le undici al vecchio ponte di West Land, hai presente? Bene, vai e dagli una mano. E’ meglio per tutti che non si sappia che quella donna è morta. E poi…”

Lanciò un’occhiata veloce a Elena, che aveva ripreso a tremare.

“…si, è meglio per tutti. Domande?”

Dall’altro capo della cornetta solo qualche parola sconnessa e incomprensibile.

“Io… Isobel… come? Elena.. devo..”

“Si, si, perfetto. Vedo che hai capito. Addio.”

Gli chiuse il telefono in faccia e lasciò che le sue mani ritornassero al proprio corpo, strette intorno alla minuta e fragile figura di Elena.

***

Cosa diamine…? Fece cadere il telefono sul comodino.

Allora non si era affatto sbagliato: Isobel era morta. Lui l’aveva vista, quella massa di capelli corvini e con i riflessi bluastri sotto l’albero, l’altra sera, erano proprio i suoi. Come aveva potuto ignorarla così e rigare dritto, senza voltarsi e aiutarla? Chi..?

E poi il ricordo vivido della notte precedente invase la sua mente, come un uragano a ciel sereno lo scosse e lasciò che il brivido freddo gli scorresse lungo la schiena, dalla nuca fino alle dita dei piedi e ai mignoli delle ruvide ma bianche mani. Cosa aveva fatto? Ogni sentimento di odio, di rancore, ogni singolo frammento di quelle lacrime e di quella sofferenza che aveva incatenato la sua esistenza al ricordo di quella donna.. fumo, solo fumo negli occhi. Gli era bastato un attimo, un misero attimo per ricominciare da dove avevano finito nel 1864..

“Buon giorno! – cantilenò una voce acuta, mentre la ragazza a cui apparteneva varcava la porta – Dormito bene? Ah, che sciocca! Certo che l’hai fatto, eri con me dopotutto! E non fare quella faccia. Ci siamo divertiti, noi due, come ai vecchi tempi..”

“Hai… ucciso.. Isobel.”

La mora sbuffò, come una bambina che non riesce ad ottenere un giocattolo che desidera. “Quanto la fai lunga! Anche tu e Damon vi odiate, io ho solo esternato i miei sentimenti, non è mica tanto sbagliato sai? E poi non sembravi tanto preoccupato per quello questa notte..”

Si avvicinò di qualche passo, fino a raggiungerlo, ma i sensi affilati del biondo furono più veloci. Saltò giù dal letto e si allontanò da lei. La ragazza lo fissò divertita. Poi semplicemente alzò le spalle con noncuranza e raggiunse di nuovo la porta.

“Io adoro giocare al gatto e al topo, dovresti saperlo. Resterei volentieri ma ho una questione importante da sbrigare, adesso. Ci vediamo domani notte nel mio letto, sempre che tu voglia.. divertiti con Isobel, io l’ho fatto!”

Si chiuse la porta alle spalle. In corridoio stava ancora ridendo.

***

Damon ed Elena scesero mano della mano. Lei indossava un paio di jeans e una camicia larga, bianca, con un paio di infradito che risaltavano per le tre pietre colorate che avevano sopra: una rosa, una blu, una bianca con venature nere. Erano un regalo. Di Isobel. Damon invece sfoggiava il solito look alla “corvi si nasce” con un abbigliamento completamente nero. Bonnie li salutò con una occhiata disinvolta al di sopra della sua rivista.

“Spero che ti sia rilassata sotto la doccia.. – disse, ironica, per poi aggiungere sottovoce - .. visto che ci hai messo un’ora e mezza.”

“Ho rintracciato Stefan. – disse semplicemente Damon, notando subito come quelle parole avessero avuto il potere di catturare l’attenzione della strega – E andrà lui da Rick per aiutarlo con la faccenda. Io posso restare qui, non è fantastico?! Potremmo giocare a monopoli!”

Asserì divertito, battendo le mani come un finto deficiente e poi tornando serio un attimo dopo.

“No, scherzavo. Ho solo l’x-box, niente giochi da tavolo.”

Si sedette sul divano, lasciando che Elena si accomodasse sulle sue ginocchia.

“Forse, adesso, sarebbe il caso di capire chi hai ucciso Isobel! – propose timidamente la strega.

“E ci sono dubbi? – s’intromise Elena – E’ stata Katherine!”

“Anche a me piace pensarlo ma, Katherine? Insomma era comunque sua sorella… avrebbe dovuto avercelo un minimo di pietà per un membro della sua famiglia, no?”

“Ha bruciato i suoi genitori soltanto perché le davano fastidio.. credi davvero che si farebbe degli scrupoli per una che ha ostacolato i suoi piani da sempre ed ha anche creato me? Non penso che avrebbe rinunciato ad una simile occasione..”

“Si – concesse Bonnie stancamente – ma…”

Si fermò, i sensi all’erta, gli occhi socchiusi. Quando li aprì il terrore si lesse nelle sue iridi color cioccolato. “Damon..” – mormorò spaventata. Troppo tardi. Una forza invisibile l’aveva sospesa in aria e poi inchiodata contro la parete più vicina, e bastò poco perché anche Damon facesse la stessa fine. Elena cadde dalle sue ginocchia sul pavimento, sorpresa del movimento repentino. Furono le parole pronunciate all’unisono da Bonnie e Damon a farle capire cosa stava succedendo.

“Alexander!” “Katherine!”

Alzò gli occhi e li vide avanzare: lui sobrio nei suoi jeans chiari, camicia blu e giacca grigia; lei bellissima nell’abito di stoffa beje scuro, con stivali neri, sciarpa identica e giubbotto di pelle, nera ovviamente. Mentre gli occhi e il volto di Alexander apparivano inespressivi, quasi apatici – benché stesse tenendo fermi un vampiro ed una strega -  quelli di Katherine sprizzavano gioia omicida e vendetta come fulmini, come fiamme. Sorrise vedendo l’innocente Elena per terra ai suoi piedi.

“Salve, ragazzi. Spero di non aver interrotto niente. Come ho già detto, adoro giocare.. ma, come si dice? Un gioco è bello quando dura poco? Beh mi sono stufata. Voglio posti nuovi… gente nuova, mi spiego? Isobel è andata… ora mi manchi solo tu, dolcezza. Alex, fai ciò che devi.”

Gli occhi terrorizzati di Elena guizzarono all’amica, che fissava con sgomento il coltello che Alexander le stava portando al braccio. Dalla bocca del ragazzo cominciò ad uscire una cantilena, in una lingua che non aveva mai udito prima di allora, parole strane che aleggiavano nell’aria e si avvinghiavano come serpenti.. era una magia, forte, potente, se ne percepiva la forza e l’intensità anche a chilometri. Le bastò poco per mettere a fuoco la scena e slanciari verso l’amica, gridando all’unisono un “No!” con Damon: lei perché temeva per Bonnie, lui perché temeva per lei.

Non andò lontano: una mano bianca l’avverrò, costringendola a voltarsi e imprecare sotto voce. Katherine sorrideva diabolica, muovendo ritmicamente il dito da una parte e dall’altra, come si fa con i bambini piccoli per insegnar loro a rispettare i genitori.

“Verrà anche il tuo turno, non temere.” – disse euforica. Che stronza!

Bonnie percepì le forze fluire: era normalissimo per una strega avere del fluido di energia nel proprio corpo ma era altrettanto difficile da percepire, solo in rare occasioni potevi sentirlo, come alla nascita oppure… alla morte. Era questo che le stava succedendo? Alexander la stava uccidendo?? Pregò con tutte le sue forze di resistere, di farcela, ma era come se ogni forma di energia che l’avesse tenuta in vita, ogni forma di residuo naturale e corporeo che l’aveva portata avanti per quei 18 anni stesse…. Semplicemente, svanendo. Sbattè più forte le palpebre cercando di mantenere il contatto con la realtà, ma non ci riuscì. Era come se il suo corpo fosse paralizzato e lei stesse assistendo come una spettatrice a quello che gli stava accadendo. E poi una parola. Una parola di quella futile cantilena che Alexander stava recitando la attraversò come un coltello, una lama a doppio taglio che la stordì ma la rese anche consapevole.

Sollievo, non stava morendo. Panico, quel bastardo le stava portando via i suoi poteri.

Ansimò in cerca d’aria quando i suoi polmoni cedettero e tossì forte, sentendo un rivolo di sangue che scendeva dalla bocca. Le parole confuse di Elena erano… confuse, appunto. Avrebbe voluto difendersi, anche piangere, qualsiasi cosa pur di rimpadronirsi del proprio corpo, delle proprie mani..

E poi, proprio come tutto era iniziato, finì, in un ultima spinta di grande forza che la privò completamente di tutto quanto c’era nelle sue vene: adesso non era più Bonnie Bennett, una delle streghe più potenti del mondo e del suo casato, era Bonnie e basta e non era una sensazione piacevole. Per quella poca visuale che aveva vide Damon stringere gli occhi e le labbra, immobilizzato anche lui, e Alexander sorridere soddisfatto. Bastardo maledetto! Sentì i suoi polsi liberarsi così come il proprio corpo, e percepì il freddo del pavimento di legno sotto di lei: ovvio, non avevano più bisogno di tenerla imprigionata o legata, era senza poteri, costituiva una minaccia al pari di un insetto. Era inutile, era tornata completamente inevitabilmente e sfortunatamente inutile. Tentò di non perdere i sensi, almeno per adesso, almeno per potersi assicurare che Elena stesse bene: che ironia! Era lì per proteggere Elena e, adesso, non poteva neppure più farlo. L’inutile amica del cuore che ritornava al suo posto, quello dell’amica inutile.

***

Si divincolò ancora più forte ma fu inutile proprio come la volta precedente: non poteva sfuggire a Katherine, non in quell’occasione. Non si era neppure resa conto del fatto che, fino a quel momento, circostanze favorevoli l’avevano bene o male aiutata nel suo intento, quello di preservare la propria vita e il proprio corpo, salvaguardandosi e cercando di non morire. Ma erano stati solo dei casi: Katherine non voleva realmente ucciderla in quelle occasioni – altrimenti l’avrebbe fatto! – e si sentì una sciocca a non essersene resa conto prima. L’inevitabile crudeltà della situazione la travolse: Bonnie giaceva a terra sotto l’effetto di chissà quale maleficio, Damon era schiacciato contro la parete opposta e lei era a terra, i polsi tenuti stretti dalle mani bianche e ben curate di Katherine. Ah! Che fine immonda le toccava.

La vampira sorrise con un ghigno soddisfatto… e così adesso la streghetta era fuori gioco, niente di meglio per portare a termine il suo geniale piano.

“Sai, Elena? – cominciò, tirandola in piedi di peso e adagiandola sul divano, senza togliere gli occhi di dosso a Damon – Vorrei davvero che non interpretassi male le azioni di stasera: io non ho assolutamente nulla contro Bonnie, davvero… insomma, serviva ad Alex, non a me, quindi non vorrei mi considerassi una… stronza, che fa tutto a sproposito..”

“Non c’è pericolo.. – si affrettò a controbattere la ragazza – io già ti considero una stronza, non temere per quello.”

“.. e per dimostrarti che faccio tutto per una ragione.. – continuò la vampira come se non l’avesse sentita - ..ti ucciderò molto lentamente e dolorosamente..” 

Ebbe soltanto il tempo di vedere il ringhio sulla faccia di Damon, ancora bloccato contro la parete, mani e piedi inutilizzabili, e poi sentì qualcosa che si abbatteva sulla sua pelle. All’inizio non percepì dolore, solo un fastidio. Ma il dolore non si fa mai aspettare troppo: arrivò, come un fiume in piena, un corso travolgente di agonia e sofferenza. Emise un debole grido, rendendosi conto che il suo braccio era squarciato da un lungo e profondo taglio, il coltello che Katherine teneva in mano ne era la prova, la sua tortura era iniziata.

Sentì le lacrime scenderle lungo le guance, l’amaro in bocca, il sangue che scendeva nauseante sul suo braccio: come aveva anche solo potuto pensare di salvarsi in qualche mod.. ahia!

Un altro grido, si rese conto, in contemporanea era uscito dalle sue labbra e da quelle del vampiro intrappolato: un altro taglio, un’altra ferita, l’ennesimo dolore straziante, all’altezza dello stomaco stavolta. Osò guardare la vampira che le stava facendo questo e non vide più nessun accenno di sorriso beffardo sul suo volto di porcellana solo ira, furiosa e implacabile ira di uccidere e mutilare, e lei era il suo pezzo di carne, il suo agnello sacrificale. Il fatto che Damon fosse presente, poi, era solo la ciliegina sulla torta.. Avrebbe voluto alzare lo sguardo e cercare conforto nei suoi occhi, ma non ne aveva il coraggio: il solo pensiero di vedervi l’amara consapevolezza della fine l’avrebbe uccisa, letteralmente.

Un altro taglio, la coscia. Un altro. Un altro ancora.

“Brutta stronza, liberami se hai coraggio. Affronta qualcuno alla tua altezza, sei davvero così meschina e puttana da prendertela con un’umana che non può avere nemmeno un quarto della tua forza? Stronza, liberami! AFFRONTAMI!!”

IL sorriso da bambina si riaccese sul suo volto, mentre gettava senza riguardo Elena sul pavimento e si inginocchiava accanto a lei, sollevandole di peso la testa per i capelli.

“Avresti dovuto sapere che io non lascio niente di incompiuto, ragazzino. Ciò che voglio lo ottengo. Volevo l’immortalità, l’ho avuta. Volevo te e Stefan, vi ho avuti. Mia sorella, aggiudicato! E ora… questo prelibato bocconcino è l’unica cosa che al momento mi separa dalla lieta consapevolezza di un’eternità piena di goduria e sfrenato divertimento.. ora, dimmi.. perché dovrei lasciarmi fregare dal tuo giochetto di parole? Giusto Elena?”

Stavolta non si limitò ad un taglio: il sangue sgorgò come una piena, rosso e caldo, scivolando con velocità terrificante prima sulla maglietta e poi sulla coscia fasciata dai jeans.

“Nooooooo! Elena, no! ELENA!!!”

Sentì la sua voce allontanarsi come un debole eco, sempre più lontana, sempre più lontana, come una cantilena antica, sempre più lontanta… lontana..

Si toccò la pancia, scoprendovi una ferita molto più profonda di quanto potesse aspettarsi: il coltello stavolta le era penetrato nella carne in tutta la sua considerevole lunghezza, sfasciandole arterie, vene, muscoli. Carne. Ma il dolore ormai la riempiva tutta a tal punto da toglierle la consapevolezza di percepirlo: i tagli e le ferite successive – non era neppure sicura di poter dire che le fossero inflitte con un coltello, una lama, unghie o quant’altro – le provocarono soltanto altra confusione, ma anche una lieta consapevolezza di avere ancora un corpo, cosa di cui non era stata poi tanto certa, avvolta da quella nube di dolora allucinante.

Ormai non sentiva più nulla, anche se era certa che Damon stesse continuando a gridare. Non seppe neppure per quanto continuò quell’allucinante tortura da film horror… ore, minuti, giorni? Cosa poteva importare? Ormai la consapevolezza della fine l’aveva presa e portata via, cosa poteva esserci di ancora importante da capire o percepire?

Katherine si divertì parecchio: era come se fosse nata per torturare le persone e, il fatto che qualcuno la guardasse e la insultasse, beh.. non faceva altro che aumentare il divertimento. Ma, come ogni gioco, è bello solo se dura poco: mezz’ora ed era già stanca di divertirsi con quell’ammasso di carne ed ossa, sempre se ce ne fossero rimaste di intere… Alexander teneva ancora stretto Damon, si permise di avvicinarsi, il viso con schizzi di sangue, la giacca altrettanto bagnata e sudicia. Lo vide sputarle in faccia ma non ci mise molto ad evitarlo. Gli afferrò il collo, inspirando il suo profumo e godendo nel sentire la sua riluttanza. Assaporò il suo vecchio sapore con la lingua, percorrendo il profilo della sua guancia, fino ad arrivare alle labbra.

Un bacio casto, per i suoi standard, il sapore del sangue di Elena sul rosso delle sue labbra. “Mi mancherai, Damon, davvero. Addio..”

Con un brusco gesto allontanò il suo viso. Poi sembrò ricordarsi qualcosa all’improvviso. “Ah, dimenticavo.. – gli occhi guizzarono su una Bonnie che sembrava aver ripreso un minimo di conoscenza e poi tornarono al vampiro – riferite a Stefan che è sempre il benvenuto nel mio letto, soprattutto dopo stanotte.”

Si sistemò i capelli ed uscì dalla stanza: era ora di lasciare per sempre quella schifosa cittadina, di nuovo. Ormai la piccola Gilbert era sul punto di morire, se già non lo era, morta si capisce. Aveva sprecato molto tempo ma, dopotutto ne era valsa la pena. Fece un occhiolino ad Alexander prima di uscire, e anche lui capì che doveva interpretarlo come un saluto, definitivo grazie al cielo. Era stata un suo alleato, ovvio, ma aveva voltato la faccia dall’altra parte quando il coltello si era abbassato sulla pelle della ragazza: lui non era un assassino, ma Katherine si, e in quella particolare occasione si erano reciprocamente aiutati, ma era stata la prima ed ultima volta. Era sollevato per la sua partenza. Gettò un’occhiata a Bonnie, ancora scioccata e mezza svenuta ai suoi piedi, ad Elena sanguinante ed infine a Damon, ancora sotto l’influsso del suo incantesimo, che lo fissava con odio.

“Ti lascerò andare ma sappi che non ti lascerò vivere se provi a sfiorarmi. Non mi interessa la tua ragazza, non ero qui per lei. Ti lascerò prenderla e portarla all’ospedale. Katherine è andata e non dovrai temere di essere intercettato. Buona serata.”

Con quell’ultima parola galante uscì dalla stanza.

***

“Nessuna novità – lo accolse la monotona voce di Bonnie, le mani congiunte in grembo e la testa sul cuscino accanto a quella della sua migliore amica – non vogliono o non possono dire nulla, Damon. E’ in coma, non è che si possa fare tanto dopotutto..”

Il moro posò un bacio sulla guancia della ragazza, bianca e pallida come non mai, accarezzandole di sfuggita i capelli scompigliati: starle troppo vicino, così come lo starle lontano, procuravano un sentimento unico, dolore, che non poteva essere evitato in nessun modo e che quindi gli procurava agonizzanti torture in ogni caso. Ma almeno poteva sentire il suo cuore battere, mentre era lì, quando si allontanava temeva di non sentirlo mai più..

Cambiò il mazzo di fiori nel vaso con quello nuovo, “Pensavo che preferissi altri tipi di compagnie, fratellino. – asserì ironico, lanciando un sorriso altrettanto divertente a Stefan, poggiato contro la parete opposta alla finestra – Ti ho riferito il messaggio di Katherine, vero? Quella storiella di notti trascorse insieme e letti.. o erano letti e notti.. beh..”

Una scrollata di spalle e si sedette al posto che gli spettava, l’altro lato del letto di Elena. I monitor indicavano che le sue condizioni non erano cambiate: le ferite erano fasciate strette per impedire che l’emorragia ricominciasse, i lividi stavano sbiadendo, lasciando che il blu/viola prendesse il posto del nero. Un tubicino era collegato al suo braccio: alimentatore, l’unica cosa che la tenesse ancora in vita. Era un vegetale, cavolo! Come avrebbe voluto prendere un pizzico di coraggio e trasformarla ma, tra Bonnie e Jeremy e Rick era in minoranza. Anche Stefan non voleva, ma la sua opinione al momento era paragonabile a quella di un pesce palla, quindi.. Non poteva perdonarlo. Mentre Elena stava morendo, squarciata dal coltello di quella psicopatica, lui aiutava Rick a seppellire Isobel, la sorella della vampira che si era portato a letto quella notte stessa. C’erano regole morali – non che lui le rispettasse di solito, ma non significava che non esistessero – e certamente fra quelle il santissimo Stefan avrebbe dovuto rispettare quella che recitava “Non andare a letto con il nemico, soprattutto se è la tua ex ragazza vampira, di cui tuo fratello era innamorato, che ha appena messo in coma la tua ex ragazza e ha lasciato che il suo aiutante togliesse il potere alla tua nuova ex ragazza..”. Chiariva il concetto come spiegazione no? Bonnie ovviamente aveva litigato con Stefan.. Più che litigio era stato un chiarimento: nessuno dei due si era sentito particolarmente legato a quello che c’era stato fra di loro e preferivano restare amici, almeno per il bene di Elena. Che fregatura! Una delusione sentimentale era quello che ci voleva per portare Bonnie dalla sua parte, ma dubitava che senza poteri sarebbe stata di benché minimo aiuto.. poteri..

Il pensiero lo attraversò come un fulmine. “Bonnie, la collana che hai fatto per Elena. L’ha presa al pensionato, non è così?”

La mora alzò gli occhi confusa. “Può anche darsi, perché? Oh!” Capì anche lei, alzandosi e cominciando a rovistare nella sua borsa, per poi prendere un sacchetto e tirare fuori la collana. Anche Stefan guardava curioso. Bonnie fissò Damon con intensità e lui fece un unico rigido cenno di assenso: la strega… oops, Bonnie mise il ciondolo al collo di Elena e tornò a sedere.

“Perché le hai rimesso la collana? – domandò stupito Stefan, avvicinandosi – Insomma non avete detto che Katherine se n’è andata per sempre?”

“Tu non hai voce in capitolo. – asserì secco Damon – Sei tu quello che se l’è scopata la notte scorsa, chi mi assicura che non voglia tornare? Oppure che non ti stia usando per arrivare ad Elena? EH?”

“Sei impazzito?! Non farei mai del male ad Elena!”

“Si, ma a quanto pare ti sei portato a letto quella..”

“Ho già detto che mi dispiace e non so cosa mi abbia preso! Ero drogato di sangue umano, non potevo reagire in maniera diversa..”

“Ah! Di nuovo sangue? Che scusa patetica.. sii più originale!”

“Ora basta!”

Tutti i presenti si voltarono verso la porta, dove il fratellino non più tanto piccolo di Elena si trovava con in mano due bicchieri di caffè fumanti. Jenna era al lavoro, Rick stava sistemando gli ultimi problemi con Isobel e teneva d’occhio Alexander, l’unico rappresentante della famiglia era lui. Entrò, porgendo la tazza a Bonnie, che lo ringraziò riconoscente.

“Sentite, so che qui dentro ci tenete tutti a mia sorella ma, sinceramente, non aiuta che stiate qui a litigare, anzi può solo peggiorare le cose. Se volete litigare o chiarire qualcosa vi consiglio di farlo altrove. Elena ha bisogno di riposo, Bonnie anche, e sono certo che anche i vampiri ogni tanto debbano riposare, quindi direi che serve una schiarita di idee a tutti, non vi pare?”

Damon fissò con stupore Jeremy: si era dimenticato di come tenesse alla sorella e di come, in certe occasioni, si fosse dimostrato capacissimo di esternare il suo lato adulto. In fondo non aveva tutti i torti, litigare non sarebbe servito a nulla, e poi aveva urgenza di fare una telefonata. Accennò un sì con la testa, per poi uscire, seguito a ruota da Stefan.

“Stammi bene a sentire! – proseguì Damon a bassa voce, puntando un dito contro il petto del fratello – perché non lo ripeterò. Quello che è successo ad Elena, non è colpa di nessuno. Ma il solo fatto che tu.. lo sai, fa di te un complice di quella troia. Non ti perdonerò facilmente, fratellino, o forse mai. Volevo solo assicurarmi che lo sapessi.”

Si allontanò a grandi passi, quel moccioso gli stava facendo venire l’emicrania… i vampiri potevano avere l’emicrania? Oh, che importa! Doveva fare quella telefonata e alla svelta.

Segreteria. Fantastico.

“Ehi, sono io. Lo so che non ci sentiamo da molto, anzi non ci siamo mai sentiti dopo il college, ma hai presente la storia del chiamami nel caso ti servisse il mio aiuto? Beh, mi serve, in fretta anche. Mi trovo a Mystic Falls e ti sarei grato se potessi venire qui. A presto.. spero..”

Scosse la testa, chiudendo la chiamata: chissà se davvero si sarebbe fatta viva. Insomma, avevano condiviso tantissimo insieme, era vero, ma quanto di quel tantissimo l’avrebbe convinta a lasciare qualsiasi cosa lei stesse facendo nella sua eccitante vita per correre lì da lui e dargli una mano, senza neppure sapere perché? Beh, la speranza era l’ultima a morire..

***

Alexander entrò con passo spavaldo nella stanza, guardando con piacere il volto di Bonnie sbiancare. Era passata circa una settimana e mezzo, o erano due?, dal loro ultimo incontro. Ripensandoci forse erano anche tre.. comunque la paura e il timore che aveva per lui non erano scomparsi nemmeno un po’: non aveva più poteri, era sola ed indifesa di fronte ad un potente stregone, il nuovo capo della stirpe dei Bennett, chi poteva darle torto? Sorrise compiaciuto.

“Non temere. – affrettò a spiegare – Non sono qui per farti alcun male.. direi che non ce n’è più alcun bisogno. Ma, sai, la verità è che.. da quella volta, al Pensionato dei Salvatore, non è passato giorno senza che ripensassi alla povera ragazzina, dissanguata sotto i miei occhi..”

Scosse la testa, visibilmente dispiaciuto. “Non sono un assassino, Bonnie. Anche se mi vedi come un bastardo: ti ho tolto i poteri, è vero, ma era l’unico modo per ottenere ciò che volevo, un mezzo per raggiungere un obiettivo..”

Parlava con voce bassa e delicata, come una maestra d’asilo che si appresta a spiegare ad un bambino di sette anni che due più due fa quattro.

“Beh, in poche parole mi sento responsabile per quello che è capitato ad Elena.. e vorrei rimediare.”

Bonnie rimase di stucco, ricacciando subito in gola i poco decorosi insulti che già aveva preparato per lui. Aiutare, rimediare? Non erano parole di uno che aveva tentato – ed era perfettamente riuscito – a rovinarti l’esistenza. Era strano da immaginare che fosse così diverso da Katherine, impossibile anzi.

“Rimediare? – gli fece eco Bonnie – E potrei sapere come? Elena è in coma, i dottori dicono che non si riprenderà presto, forse mai, a meno che tu non mi ridia..”

La risata di Alexander riecheggiò nella stanza. “Ho detto che sono una persona coerente, non un idiota: non sono qui per ridarti i poteri, piccola, mi dispiace. Chi mi assicura che poi non tenteresti di uccidermi? Anzi, sono certo che lo faresti eccome! Ma questo piccolo angioletto non ha fatto nulla… mi permetterai di guarirla?”. La fissò con occhi ammalianti.

C’era qualcosa nelle sue parole che la spaventava terribilmente, ma d’altra parte cosa avrebbe potuto fare per peggiorare le cose? Uccidere Elena? Se non ci avesse pensato lui l’avrebbe fatto il tempo di sicuro: ormai la mora non era altro che un vegetale, con lividi violacei su tutto il corpo e tagli talmente profondi da far impallidire chiunque. “Sappi solo che se le farai del male, poteri o no, troverò il modo di ucciderti Alexander, e se non ci riuscirò io stai pure certo che Damon e Stefan sarebbero felici di strapparti un pezzo qua e là.”

Il ragazzo sorrise educatamente e si avvicinò al letto; posò una mano su quella di Elena, l’altra all’altezza del suo cuore, vicino al collo. Passarono cinque minuti buoni prima che iniziasse a parlare, sufficienti perché Bonnie si convincesse quasi a chiamare aiuto. E poi iniziò a parlare, anche se non era la parola esatta: dalla sua bocca uscivano sì dei suoni ma non erano nemmeno lontanamente paragonabili alle parole. Una litania, lenta e ipnotizzante, con sibili tanto acuti e ringhi tanto gravi, un’alternarsi continua di suoni e di fischi e di.. altro. Bonnie era quasi del tutto certa che una cosa come quella non si trovasse nei libri di magia comuni, era una magia potente, al di là della sua portata, anche se avesse avuto ancora i poteri. E non passò molto prima che si accorgesse che stava facendo effetto: i lividi cominciarono a sbiadire, risucchiati verso il proprio epicentro come se qualcuno li stesse aspirando dall’interno, i graffi cominciarono a rimarginarsi piano, anch’essi risucchiati dentro il corpo da una forza invisibile. Le ferite, probabilmente ancora sanguinanti erano bendate quindi non potè vederle, ma suppose l’effetto fosse lo stesso. Ogni ferita si rimarginò sotto lo sguardo incredulo di Bonnie, piano e lentamente ma lo fece. Quando il corpo latteo tornò ad essere perfetto, ancora ricoperto di cerotti e bende, Elena Gilbert sbattè gli occhi, mettendo a fuoco quello che la circondava.

“Oh, Elena! – Bonnie le gettò le braccia al collo, stringendola forte come se stessero per portargliela via – Ho avuto così tanta paura, così tanta paura!”

“Elena, piccola mia!” Anche zia Jenna gettò le braccia al collo della nipote, ancora stordita e disorientata, attirata nella stanza dalle grida dell’amica, seguita a ruota da Rick e da Jeremy. Bonnie ebbe il tempo di vedere Alexander sorridere, voltarsi e uscire, ignorato da tutti per l’euforia generale. Aveva appena salvato la vita di Elena, l’aveva curata, come se fosse.. buono?

“Ahia! Vi prego mi fate male, devo ricordarvi che sono stata.. ahi!”

Solo allora Bonnie ritornò con gli occhi sull’amica: ma che..? Le ferite erano esattamente dove avrebbero dovuto essere, i lividi, i graffi. Era come se la miracolosa guarigione di Alexander fosse stata un miraggio, un miracoloso miraggio ma senza alcuna sostanza. E poi capì.. una lampadina le si accese in testa e tutto le fu chiaro: non sbagliava pensando che quella fosse una magia difficile, impossibile forse. Elena era uscita dal coma e questo era il primo passo della guarigione, con il tempo anche le ferite si sarebbero rimarginate, e le magia le aveva mostrato in pochi minuti quello che il corpo di Elena avrebbe fatto in giorni e settimane, ovvio! Nessun taglio o coltellata scompare.. neppure per magia!

“Piccola, vuoi dirmi cosa ti è successo? – zia Jenna stava piangendo, agitata da morire – Quando sono arrivata eri in queste condizioni, Damon ti aveva portato qui ridotta peggio di uno scolapasta.. tesoro, non è che lui..?”

“No! – sostenne con veemenza la mora, per quanto le fosse possibile nelle sue condizioni suonare convincente – Non è stato assolutamente Damon, come ti salta in mente?”

Come se fosse stato sempre fuori dalla porta, Damon entrò nella stanza seguito a ruota da Stefan. Ispezionò il corpo di Elena, avvicinandosi al letto e tentando di capire se stava bene.

“Sto bene. – disse lei, accarezzandosi distrattamente il collo e capendo all’istante di indossare il ciondolo di Bonnie – Davvero..”

Le sopracciglia alzate fecero capire a Damon che non era prudente toccarla e togliere quella collanina sarebbe parso sospetto. Annuì in silenzio. E poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo sorrise: non sembrava un sorriso rivolto a qualcuno in particolare, neppure ad Elena, era come se fosse piacevolmente compiaciuto. E lo era. Elena era salva.

***

“Ti prego Matt sto bene, lo giuro. Volete smetterla di trattarmi come se fossi di pastafrolla?”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e continuò a sistemarle i cuscini. “Senti, quando sarai in grado di fare tutto da sola me ne andrò, ce ne andremo tutti!”

“Parla per te, ragazzino. – ghignò Damon, seduto dall’altra parte del divano con le gambe di Elena in grembo – Io non ho proprio intenzione di andarmene.”

Matt rispose alla frecciatina con gli occhi al cielo. A differenza della galanteria di Stefan, Damon non aveva il concetto di “cortesia” o “educazione” profondamente radicati in sé: gli risultava difficile essere carino o disponibile con qualcuno che non rientrasse direttamente nella sua cerchia di fedeli, e probabilmente l’ex della sua attuale ragazza non era fra quelli. Ma Elena aveva bisogno di lui e quindi quella coesistenza forzata avevano pur dovuto affrontarla in quelle due settimane..

“Matt, davvero. Caroline ha chiamato almeno cinque volte, vai da lei. Io ho Bonnie, e Damon, e Jeremy qui, non voglio che tu abbia dei problemi per colpa mia. E poi dovrò pur iniziare a fare qualcosa, o poi non riuscirò a fare nulla e dovrete assistermi per la vita.”

Qualcosa nello sguardo di Matt diceva che non gli sarebbe dispiaciuto. “Si, boyscout, vai dalla tua ragazza. Alla mia ci penso io, grazie.” Perché tutte le frasi di Damon avevano un vago senso di minaccia?

Matt annuì con un sorriso radioso e salutò tutti con un “A presto.”

“Potresti anche essere più gentile, sai? Insomma, è stato carino!”

“E’ già tanto che io l’abbia sopportato queste due settimana, sai? E poi perché non posso badare io a te?”

“Perché.. – si intromise Jeremy, appena entrato con una ciotola di biscotti e un bicchiere di latte per la sorella - ..zia Jenna ti sopporta a malapena, crede ancora che potresti essere stato tu a ridurre Elena in quello stato, e aspetta solo una buona occasione per cacciarti fuori a calci. Ti basta come spiegazione?”

Elena e Jeremy lo fissarono con quell’espressione da “chiaro, no?” e il vampiro fu costretto ad arrendersi: con una Gilbert poteva ancora farcela, se erano in due era inutile provarci. La resa era una soluzione più che onorevole.

Il campanello suonò. “Vado io.” – si propose Damon, sperando che fosse di nuovo Matt e di potergli quindi dare un bel pugno in faccia lontano dagli occhi di Elena. Ma non era Matt. Aperta la porta si ritrovò davanti una ragazza, donna ormai, sulla trentina, con un fisico mozzafiato e capelli ondulati biondi. Il suo sorriso era qualcosa di molto vicino allo svenimento.

“Damon! – esultò lei, gettandogli le braccia al collo – Stefan ha detto che eri qui, sono corsa appena ho potuto. Sai, ero impegnata in Africa con un sortilegio abbastanza potente… sono stata così felice di sapere che avevi chiamato!”

L’occhiata che il vampiro gettò in salotto, leggermente scombussolata, gli rivelò un’Elena e una Bonnie sconvolte per la gonna super corta della bionda, i tacchi vertiginosi e il giubbotto di pelle. Sembrava una Damon al femminile, dall’abbigliamento, e ancora non sapevano che era perfettamente identica a lui anche nel carattere. Sorrise radioso, abbracciandola a sua volta e sollevandola da terra, per poi girare in tondo come un bambino di cinque anni. Infine la posò a terra e la salutò con un bacio. Un vero bacio, con tanto di bocca e.. chiaro no? “Non sai che piacere rivederti, Annie.”


Image and video hosting by TinyPic


 

Spazio autrice alias moi ù.u

Lo so, lo so: volete linciarmi perchè non aggiorno da un secolo. Avete ragione, tutti. E' solo che.. coem posso rinunciare al sole e al mare, proprio adesso? Soprattutto quando manca così poco alla fine di quest'estate fantastica? Però c'è da aggiungere che la mancanza della linea, che mi ha tagliato fuori dal mondo per una settimana, ha contribuito anch'essa!

Così.. ecco un piccolo regalino per farmi perdonare.. due capitoli in uno.. contenti? Spero di si! Altrimenti dovrete sorbirvi da furia di trilly.. dio solo sa quanto tempo e impegno ci abbiamo messo per far uscire fuori questa trama.. e quanto si hanno rimesso i nostri poveri fondoschiena.. ok, basta citazioni.

Spero che vi siate tutti goduti questo doppio-capitolo. Un bacio enorme, enorme, enormeeeeeeee quanto il globo terrestre a quanti trovano il tempo di commentare.. vi ringrazio tanto, mi fa sempre un sacco di piacere sapere che continuate a seguirmi.

Un abbraccio e alla prossima! *____________*

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Friends;; - Annie's background ***


“Elena, ti prego, calmati! E’ andato in un bar, cosa sarà mai!”

La mora gettò l’ennesimo urlo esasperato. “Calmarmi, calmarmi? L’hai vista quella com’era vestita? Sembrava una maledetta.. ah! Non so nemmeno io cosa! E poi lui, come se fosse la cosa più normale del mondo mi fa Tesoro questa è Annie, Annie Elena.. penso che la porterò a bere qualcosa, non ci vediamo da tanto, non ti dispiace vero??

Finì con una perfetta imitazione della voce del vampiro. Chi era quella che poteva far sorridere Damon e farlo girare in tondo come un ragazzino qualsiasi? Perché si conoscevano, perché era venuta? Ah! Nemmeno quando c’era stata Lexi e lei stava con Stefan aveva provato una gelosia simile. Maledizione a quella Annie!
E poi un’idea geniale. “Bonnie, ho voglia di uscire. Andiamo?”


L’amica la fissò a metà fra l’esasperato e l’incredulo. “Uscire? Ma se hai appena ricominciato a camminare? E per andare dove poi?” Lo sguardo di Elena non aveva bisogno di spiegazione.

“Oh, Elena Gilbert, te lo impedisco! Andare a spiare quei due non servirà.”

“A te forse no ma a me di certo. E se non vieni ci andrò da sola, poi te la vedrai tu con Jenna e gli altri se mi succede qualcosa.” Era una minaccia bella e buona, le era anche riuscita niente male.

“Ok – concesse l’altra – ma almeno mettiti il ciondolo!”

Da quando era tornata dall’ospedale, per facilitare la sua esistenza a casa con Damon, aveva finito con il togliersi il ciondolo e non portarlo, lasciando che Bonnie se lo legasse al polso. Ma aveva finito con lo stringere un patto: Damon, e ovviamente Rick e gli altri, pensavano che ora che stava meglio nulla impediva a Katherine di tornare e finire il lavoro. Ovviamente lei pensava che la vampira non usasse tornare sui propri passi – considerato che ormai la credeva morta – ma per loro la prudenza non era mai troppa, soprattutto ora che non aveva più la protezione magica di Bonnie o quella di Isobel. La morte di Isobel ancora le pesava, e molto. Era stata parte della sua famiglia per breve tempo eppure si era legata alla vampira in mille modi diversi, era diventata un’amica ed una confidente oltre che una semplice creatrice e guardia del corpo. Le mancava, ed era difficile pensare che non ci fosse più. La stessa Bonnie sembrava aver superato meglio la perdita dei propri poteri, ed anche quello era un mistero.

“Ok, perfetto. Sganciami questo ciondolo ed andiamo.”

***

Il bar era praticamente deserto, cosa particolarmente strana per un venerdì sera. Forse il tutto era dovuto al periodo estivo, poiché tutti o quasi avevano deciso di prendersi una vacanza lontano da Mystic Falls e dal solito via vai. Se il sindaco era via con suo figlio, perché anche gli altri non potevano seguire il suo esempio?

La risata del vampiro si diffuse nell’aria, mentre la bionda seduta sulle sue gambe tracannava l’ennesimo bicchierino di bourbon. Aveva gusto, bisognava concederglielo. “Non provare a fregarmi, Annie. Quei maledetti serpenti erano dieci, non venti. Non eri ancora abbastanza potente per farne fuori venti. Era febbraio.”

“Bugiardo d’un Salvatore! – lo apostrofò lei, ridendo ancora più forte – Ma se ho dovuto salvarti il tuo bel sederino quella volta, e sono certa che fossero venti i serpenti!”

Risero entrambi, convinti che nessuno dei due avrebbe dato ragione all’altro. “E tu, streghetta, vuoi raccontarmi o no cosa hai fatto in questi ultimi.. quanto è passato?”

La bionda sorrise ancora. “Non tentare di fare il finto tonto, Dam, sai perfettamente quanto è passato. Dodici anni, esatti. Da allora beh mi sono dedicata a varie attività. Per la maggior parte i miei poteri sono serviti per cosucce piccole e ben retribuite, per un'altra parte del tempo cosette leggermente più grandi con un guadagno ben oltre il ben retribuito e infine.. cose enormi con guadagni enormi. Ho reso l’idea?”

“Sapevo di poter puntare su di te.. però ora scommetto che..” Alzò un sopracciglio, guardando la ciliegina del suo drink precedente. Lei, capendo all’istante, alzò gli occhi al cielo e prese quella benedetta ciliegina. Poi, fissandolo negli occhi, se la mise in bocca e, qualche istante dopo, tirò fuori la lingua con il gambo della stessa stretto a nodo. Il moro ammiccò ironico e lo prese direttamente dalla sua lingua.

Peccato che, proprio in quel momento, la porta si fosse spalancata per lasciar entrare Elena. Era tutto quel che desiderava vedere, e più di quanto potesse sopportare. Non rimase neppure il tempo di veder Damon girarsi e vederla di sfuggita: girò i tacchi e uscì dal locale tanto in fretta come era entrata. Il vampiro non la seguì.

***

“Non voglio scuse, Stefan. Chi cavolo è quella bionda e perché lei e Damon si conoscono così bene?”

Bonnie alzò gli occhi al cielo, distogliendosi un secondo dai suoi pomodori, mentre Stefan si limitò ad una delle sue occhiate lunghe, penetranti e sofferenti. Ma perché sembrava sempre un cucciolo in agonia quell’uomo?? Era talmente difficile essere arrabbiati con lui!

“Ne stai facendo una tragedia, Elena. – asserì calmo lui, incrociando le mani sul petto – Insomma Damon è pur sempre..”

“Stefan Salvatore! – urlò lei, in preda all’isteria – Se vuoi cominciare a farti perdonare per l’essere andato a letto con la mia sorellastra, per averci tutti traditi e per esserti schierato, anche se per una notte, con il nemico mentre io venivo tagliata a pezzetti al pensionato, questo è il momento giusto! Parlami di questa maledettissima biondina e non tralasciare i dettagli!”

Stefan, evidentemente colpito nel vivo, si limitò a scuotere la testa, cominciando a raccontare…

***

Boston, 1989

Il bar è immerso nella penombra, una vecchia canzone anni ’60 che strimpella dal jukebox all’angolo, i pochi clienti ancora rimasti che guardano il vuoto, persi nei loro pensieri, o sonnecchiano sul tavolo, una bottiglia di birra in una mano, un fazzoletto per aciugare la bava nell’altra. E’ il posto perfetto da cui prendere qualche sconosciuto, tirarlo fuori con un inganno e ucciderlo: è statistica. Bere da soli in un bar, alle tre di notte, indica o una totale follia, o una famiglia non presente o un brutto litigio, meglio delusione amorosa, e in qualsiasi caso nessuno che ti aspetti a casa. Perfetto, semplicemente perfetto.

Si era già cibato in verità, la cosa che ora lo interessava era un po’ più vicina alla sfera del desiderio, e non intendeva desiderio di un pollo arrosto o di AB positivo.. I suoi occhi scrutarono la stanza, in cerca di quello che realmente desiderava, e la trovò lì, seduta al bancone a poche sedie da lui. Non era ubriaca, eppure era stranamente triste; non era brutta, quindi era da escludersi una delusione amorosa, ma era giovane e, in quell’età, si tende ad amplificare i problemi con più fervore di quanto sia realmente necessario. Le si avvicinò con passo felpato, per poi posarle la mano con voluta pressione sul fianco, la bocca vicino al suo orecchio.

“Permettimi di rendere la tua serata un po’.. più.. divertente..”

Si sarebbe aspettato qualsiasi reazione, qualsiasi, ma non che lei si sarebbe voltata, l’avrebbe guardato negli occhi, così verdi i suoi e neri quelli di lui, e avrebbe semplicemente avvicinato le sue labbra al volto di lui, assaporando il liquore che la sua bocca da predatore ancora conservava. Voleva essere conquistata,la ragazza. Non c’era nemmeno bisogno di soggiogarla, era una cosa rara eppure piacevole.

“E quindi, direi che devi essere molto stupida o molto.. ehm, per farmi venire da te.”

“Puoi andartene esattamente come sei entrato, dalla porta. Avevo bisogno di compagnia e, mi pare, che anche a te non dispiaccia. Tu, io, entrambi che vogliamo divertirci, entrambi liberi stasera. Dov’è l’impedimento?”

Non era da lui contestare quando una donzella si offriva così di buon grado. Posò la giacca sul tavolino e, mentre i suoi occhi indugiavano sul proprio riflesso nello specchio – che narcisista! – notò dei cristalli, allineati sulla mensola alle sue spalle. Non erano cristalli comuni, non erano semplici pietre dai colori vividi e luccicanti. Erano amuleti.. e, se quelli erano amuleti, lei doveva essere..

Con un movimento fulmineo la raggiunse alle spalle, buttandola sul letto e stendendosi sopra di lei, le sue mani che premevano come manette sulle sue. “Vuoi dirmi niente, streghetta? – cantilenò malizioso – O forse devo usare le maniere brusche?!”

Lei, stranamente, non si spaventò, ma semplicemente prese quel gesto come rabbia e impazienza dovute al desiderio. Non c’era paura nei suoi occhi, vide il vampiro, e neppure sorpresa.. era come se seriamente non capisse di cosa lui stesse parlando. Nessuno era in grado di fingere in questo modo, neppure la fattucchiera più brava. Sorrise, sentendosi sciocco per la sua paranoia, e si avventò su di lei, come una belva sulla sua appena catturata preda..

***

Era mezzanotte passata. Il bar di Bree era pieno come al solito. L’aveva conosciuta anni prima, all’Università, quando ancora pensava che sarebbe diventata un medico. Ma la medicina non le si addiceva proprio come una biancheria di cotone stonava su una bella ragazza. Lo zio era morto appena aveva completato gli studi e lei, senza perdere tempo, aveva deciso di prendersi il bar a carico: da allora quella bettola era diventato un posto confortevole, quasi piacevole in verità. Entrò, sorridendo spavaldo quando capì che la proprietaria l’aveva visto. Ma non ebbe tempo di salutarla: sul bancone, accanto a Bree, notò una ragazza che conosceva da meno tempo ma che, malgrado tutto, ricordava alla perfezione.

“Annie? Non posso crederci.. sei qui? Il mondo è piccolo…”

La salutò con un bacio sulla guancia, pericolosamente vicino alla bocca, per poi salutare Bree in modo molto più personale. “Allora, cosa ci fa questa biondina da queste parti? Credevo di averla lasciata a Boston.. come vi conoscete?”

Bree si limitò ad un sorriso diabolico “E’ bello vedere che, ogni tanto, anche tu tesoro perdi colpi. E’ una strega, non te l’aveva detto? Beh, ha un grandissimo potenziale e non voglio che vada sprecato, intendi?”

“Non sia mai che Damon Salvatore non capisca qualcosa..”

Tutti e tre si voltarono, per osservare chi aveva parlato: sulla soglia c’era una ragazza, lunghi capelli biondi, giacca di pelle e occhi ironici. Il moro si lasciò scappare un ringhio: era l’amichetta di suo fratello. Che ci faceva lì anche lei? Ah, Bree..

“Non voglio litigi, ragazzi, non qui.. con le vostre scariche di adrenalina finireste con il ridurre il bar in briciole.. evitiamo, vi va?”

“Io non alzo le mani su una signorina, a meno che non sia lei a chiedermelo..”

“Al diavolo, Damon. Non fosse per Bree sai che fine avresti fatto?”

“Già, mi saresti saltata addosso e mi avresti staccato la testa.. la prima parte mi piace, se vuoi possiamo anche discuterne..”
Lexi non era una che ci andava leggero, non riusciva a sopportare per molto tempo le offese, anche se ironiche e di poca importanza come quelle; poi, in più, l’odio che provava per quel viscido di Damon non era nulla, era logico che lo odiasse dal profondo e ogni scusa fosse buona per litigare.. Gli afferrò il polso con una mano, la gola con un’altra, gli occhi improvvisamente scuri come la pece. Accentuò la stretta, vedendo con piacere che lo sguardo del moro non era più tanto beffardo e cominciava a faticare per respirare. Ah, certe soddisfazioni non sono nemmeno lontanamente descrivibili.. Eppure, mentre quel momento di gloria la invadeva come una carica di adrenalina, una scossa elettrica molto potente la investì, costringendola ad allontanarsi di botto da lui.  Non capì inizialmente cosa l’avesse provocata ma poi, vedendo la bionda che la guardava con occhi fissi e i pugni stretti, capì che Bree non era l’unica strega con cui avere a che fare in quel bar. Sorrise, senza scomporsi.

“Vedo che anche le piccole streghette barbie sanno giocare. Non me ne dimenticherò, dolcezza. Bree, credo che berremo qualcosa insieme un’altra volta.. c’e troppa gente stasera..”

Gettando un’ultima occhiata all’uomo ai suoi piedi, si limitò a sorridere, prima di uscire nel buio di Atlanta.

Damon, ancora incredulo, fissò le iridi scure sul volto di Annie: gli aveva appena salvato la vita..

***

Il risveglio più dolce è quello sotto i raggi di un sole di primavera, le lenzuola stropicciate, una fantastica ragazza accanto a te. Beh, Annie non era solo una ragazza, ora che ci pensava attentamente, anzi era molto di più. Si erano incontrati casualmente a Bristol, lui era lì per un festino interessante, lei per un lavoro. Da quel poco che aveva potuto capire – non che gli interessasse più di tanto comunque – aveva cominciato ad usare le sue doti magiche per fare delle scaramucce piccole, insignificanti, e farsi ovviamente pagare. Era sveglia, oltre che incredibilmente sexy. Quando l’avevo conosciuta, a malapena avrebbe detto fosse maggiorenne, con quegli occhi sperduti e quelle treccine bionde. Adesso era una donna, adulta, con gonne corte e vertiginosi stivali alti, giacca di pelle nera e nessuna inibizione a frenarla dal dormire con un vampiro vecchio di 150 anni. Si, perché lei sapeva, lo sapeva bene chi era lui e a quale mondo apparteneva. Ma le stava bene, e a lui stava bene lei.

“Beh, allora posso finalmente sapere chi sei, Damon Salvatore?”

Lui sorrise ironico. “Il mio nome lo conosci, e la mia storia puoi fartela raccontare da chi lo conoscono, non che siano in molti intendiamoci.”

“Ci sarebbe Bree.:” – azzardò lei, facendo dei cerchi sui suoi addominali scolpiti. Lui non lasciò morire il suo sorriso e continuò a parlare con voce calma, suadente e ammaliante.

“Lei mi è stata utile un tempo, ma ormai non è così. Siamo buoni amici comunque. Ma la sua potenza magica non è abbastanza..”

“Per cosa? – azzardò lei, per poi mordersi immediatamente il labbro – Ignorami, non sei costretto a rispondere.”

Stranamente, una volta tanto, Damon voleva rispondere: era come se conoscesse quella ragazza da abbastanza tempo per poterle confidare tutto. E poi, non meno importante, lei era una strega, piacere e dovere erano due cose che, se unite, formavano un’accoppiata perfetta. Chiuse piano gli occhi.

“Mi sono innamorato, una volta. Il suo nome era Katherine, era la ragazza più bella che avessi mai visto: era spiritosa, brillante, intelligente anche. Ma aveva qualche difetto: era prepotente, spesso egoista, ma era perfetta ai miei occhi, non sono riuscito a togliermela dalla mente neppure dopo tutti questi anni…”

Fece una pausa teatrale, prima di proseguire, accarezzando distrattamente i capelli di Annie. “Ecco, il guaio è che, malgrado io la rivoglia, lei è chiusa in una cripta, maledetta da una strega 150 anni fa,e per riportarla indietro. Bree avrebbe voluto aiutarmi.”

“E lo vorrei tanto anch’io.. – mormorò commossa la ragazza, girandosi verso di lui – Ma non sono capace Damon, scusami. I miei poteri non sono forti abbastanza per darti una mano.. non ancora, almeno.”

E ti pareva. Inutile anche questa, sexy ma inutile..

“Però ti prometto questo.. – proseguì lei – Se mai, un giorno, dovessi avere bisogno di me, io ti aiuterò, dovunque io sia e qualsiasi cosa io stia facendo. La riavrai, Damon, rivedrai Katherine ancora una volta, e nulla ti impedirà di stare con lei..

***

1993 – San Francisco, Hotel

Caro Damon,

ti scrivo queste righe da una costa ombrosa nel sud della Russia, vicino al Mar Nero. Il tempo qui non è certamente quello che adesso c’è in California, mi piacerebbe essere li. Spero che il mio messaggio ti arrivi in tempo – sai, non sono ancora molto pratica con questa magia dei messaggi a distanza, e spero che il testo non ti arrivi frammentato. Beh, comunque ho rintracciato il vampiro che mi avevi chiesto e, non temere, avrà quel che si merita. Per il resto no, non ho ancora trovato un modo corretto per l’incantesimo quindi dovrai accontentarti dei miei servizietti, anche se mi fa piacere farli. Non so tra quanto ci rivedremo, ma spero che resteremo sempre in contatto. Per trovarmi.. beh, trova una strega e saprai dove sono. Ci sarà un giorno in cui ti aiuterò con il tuo incantesimo, Katherine sarà libera e tu felice.

Con infinito affetto, al più caro amico
Annie.

***

“E, in sintesi, direi che è tutto – finì Stefan – A larghe linee..”

Lanciò un’occhiata dubbiosa verso Elena, cercando di decifrare la sua espressione. Era impossibile capirla. Aveva le mani strette a pugno e gli occhi fissi davanti a se: e così Annie e Damon erano molto legati, aveva avuto ragione su di lui, Annie era la sua copia al femminile, logico che trovassero un modo per comunicare, che a lei era del tutto sconosciuto.

“E così.. sono perdonato?” – chiese speranzoso ma dubbioso Stefan.

La ragazza sembrò destarsi tutto d’un tratto. “Al diavolo! Fuori di qui, Salvatore, tu e tuo fratello siete due animali e non voglio vedere voi e i vostri canini per il resto della mia vita! Argg!”

Si infuriò, tentando di alzarsi, dimenticandosi del tutto del suo piccolo infortunio al piede, e si ripiegò sul divano con un gemito di dolore, stringendosi la gamba con ambedue le mani. Faceva ancora molto male, troppo male.

Tornò a guardare Stefan. “Tu non c’entri.. ma in questo momento potrei ucciderti pur sena volerlo..”

Il ragazzo si alzò, stranamente sorridente. “Non eri così gelosa quando stavi con me..” – sbuffò divertito, per poi scansare agilmente un cuscino lanciatogli da Elena. Salutò Bonnie con un cenno e se la svignò.

Bonnie si focalizzò sull’amica.. cosa passava ora nella mente di Elena?

“Dammi il telefono, chiamo Matt..”

“Matt? Elena.. non credo sia una buona idea.. e per fare cosa poi?”

“Uscirci! – fece con fare ovvio la ragazza, le braccia incrociate sul petto – Farò sapere a quel vampiro d’un Salvatore che non è l’unico uomo su cui possa contare!”

“E’ crudele fare questo a Matt, Elena.. – sottolineò decisa Bonnie, guardandola storto. – Non se lo merita, e lo sai.”

“Anch’io non merito un sacco di cose. Ma, se proprio dobbiamo giocare, giochiamo..”


Spazio autrice, alias moi ù.u

Aggiornata finalmente, contenti? Non sarà il migliore dei capitoli ma, almeno, sta progredendo la storia, che vi preavviso ho finito di pensare, quindi si tratta solo di mettere le parole nero su bianco. Perchè ci ho messo tanto? Provate a tenere il ritmo con il mio ultimo anno di liceo e ne riparliamo, vi va?? xD

Beh, alla prossima e, come sempre, ditemi cosa ne pensate..

Un bacio a tutti! Kat.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=512063