LoveHateTragedy

di Etoile_Noir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

 




LoveHateTragedy

1.


 

Tenevo il bicchiere di birra in mano, il liquido ambrato oscillava ad ogni mio passo dentro al contenitore trasparente. Tentavo di schivare quella marmaglia di gente armata di giacche di pelle e borchie che soffocava la stanza con la propria presenza.
La paura pazzesca di versarmi la birra addosso, e che mia madre fiutasse l'odore di alcool sui miei vestiti mi tormentava.
Mi sentivo gli occhi di tutti addosso. Accusatori, minacciosi, languidi rispondevano ai miei sguardi.
Nonostante i miei diciassette anni in mezzo a quella gente mi sentivo una bambina.
Ero intimorita ma nessuno sembrava notarlo,mantenevo la guardia alta io, lo sguardo fiero che squadrava dall'alto in basso, sotto quella mia tipica e apparente noncuranza.
Esaltata di essere in quel posto mi sembrava di camminare a tre metri da terra, era la prima volta che avevo il permesso dei miei, che mi lasciavano andare a vedere lo show di un mio amico.
"Ethan!! la birra!!"
Sì, esattamente stavo facendo da servetta al mio amico che aveva appena suonato.
Non sapevo nemmeno il perché di quel gesto, non ero proprio il tipo da fare i lavoretti alla gente. Forse la voglia di fare un giro aveva preso possesso di me nel momento in cui mi ero offerta, avere un'altra occasione di fare il giro del locale e osservare meglio i personaggi da circo di cui era composta l'audience non era affatto male.

Quattro battiti anticiparono la canzone.

La musica esplose. Corpi si scontrarono all'unisono in una danza violenta. Lo chiamavano pogo.
La gente si accalcava sempre più, sentivo il caldo esplodere fuori e dentro me come se fossi finita all'inferno.
Mi ritrovai a guardare il palco senza un motivo apparente, per inerzia, dopotutto era da lì che quella musica travolgente proveniva.
Potevo contare ogni singola ruga che si era formata sulla fronte, sul volto del cantante contratto in una smorfia di rabbia.

Cause I'm losing my sight
Losing my mind,
Wish somebody would tell me I'm fine
Losing my sight,
Losing my mind,
Wish somebody would tell me I'm fine



Le parole che ripeteva erano totalmente distorte da quel sentimento che in quell'istante lo scuoteva nel profondo. Si comportava come un pazzo, perso in quel suo mondo alternativo che era composto da quella musica assurda che non apparteneva decisamente ad un genere predefinito.
Non lo capivo quel ritmo eppure era esplosivo. Mi faceva sentire bene.
Diedi di nuovo un' occhiata complessiva, a tutto il palco, per evitare che il cantante mi facesse venire la nausea con quei movimenti da svitato. In un istante due occhi profondi, neri come il carbone si specchiavano dentro i miei.
Quel contatto che bruciava come il fuoco, così intenso che il chitarrista con i capelli alla moicana non resisteva alla tentazione di chiudere i suoi occhi e riaprirli giusto un secondo dopo per fissarmi diritto in volto come solo lui quella sera sapeva fare.
Gli sorrisi involontariamente. Un sorriso fastidioso si era plastificato sulla mia faccia e non aveva alcuna intenzione di scollarsi.
Mi sembrava di essere in una bolla d'aria ferma nel tempo e nello spazio, isolata da tutto il resto.
Solo lui. Riuscivo a pensare solo a quel dannato ragazzo e alla voglia così imminente di farmi largo tra quegli animali e stringerlo a me. Parlargli.
Quel giochetto continuò per un'eternità, per tutto il loro show, un inferno per me caratterizzato da un conflitto doloroso,quasi fisico, tra il mio cervello e il mio istinto.
Cinque dannate canzoni.
Vi sembrano poche?
Ebbene per me era anche troppo, avevo una soglia di sopportazione alquanto bassa, alcuni dicevano che fosse inesistente, ma erano solo cattiverie di qualche idiota o semplicemente di qualcuno che si era preso una mia sfuriata.
Un alcolico, uno di quelli forti era ciò che faceva per me. Un bicchiere di vodka o di Jack Daniel's, magari.

Certo che quel posto era proprio una noia se non sapevi dove andare e cosa fare. In quei diciassette anni quasi diciotto non mi ero persa un granché, dopotutto.
Qualche chiacchiera con Mel e due bicchieri dopo di Jack mi ritrovai di nuovo al bar.
“Un bicchiere di Jack, ho notato che ti piace parecchio” disse una voce sconosciuta che mi si accostò.
Restai basita, come cazzo poteva pretendere questo tizio di sapere quello che io volevo bere.
“Senti be-”
Mi girai per guardarlo dritto negli occhi ma le parole non ne volevano sapere di uscire dalla bocca.
Cazzo, è lui. " Ah, io sono Jerry ”
Eh? Non avevo quasi sentito il suo nome. Non ci potevo davvero credere.
Ero stata a sorridere e a fissarlo per quaranta fottuti minuti ed in quel momento non riuscivo nemmeno a trovare le parole per presentarmi.
Non ricordavo il mio nome, quello era davvero il colmo! Nemmeno un bambino al suo primo giorno di scuola avrebbe fatto queste figure di merda.
Mi sentivo totalmente bloccata. “ Come ti chiami?”
"oh, io.. scusami..Keri, piacere”
Il mio volto scottava come se avessi la febbre. Mi vennero in mente le parole di una hit suonata spesso nei club ' O boy, you make it so hot like i got the fever”
Non osavo immaginare come fosse conciata o di quale colore fosse la mia faccia in quel momento. Non volevo decisamente farlo.
“Sei stato bravo lassù”
“Grazie” Mi dedicò un suo sorriso, ancora più luminoso di come me lo potevo immaginare. Mi sentivo quasi sciogliere, quasi. “ Sono contento che tu la pensi così, ci abbiamo lavorato poco ”
Ed eccolo il momento in cui non sapevo cosa dire, in cui un silenzio imbarazzante e pesante si stava facendo strada nonostante la musica altissima del locale.
“Kerii ”
La voce di Melanie mi salvò in corner.
“Devo andare, mi dispiace
“Ci vediamo,Keri” mi rispose di rimando quando ero già lontana e la sua voce mi sembrava solo un eco.

 * * *



Nella quiete confusionale di questo posto, mi immersi nella mia apatia con la schiena appoggiata al muro e lontana dalla folla, con una sigaretta stretta tra l'indice e il medio della mano destra. Dopo aver preso un tiro e espirato un po' di fumo, vidi una ragazza passarmi davanti con un bicchiere di birra e lo sguardo curioso. La riconobbi subito, Keri. Si diresse verso un ragazzo, il nostro amico Ethan, e gli porse il bicchiere.
A quel punto mi decisi a buttare la cicca a terra e a schiacciarla con un piede, per poi avviarmi verso di loro. Ero piuttosto sorpresa nel vedere Keri in un posto così, con strani soggetti in giro, visto che i suoi genitori erano sempre molto restii a farla partecipare ad avvenimenti come questi.
"Ehi Keri!"
La ragazza si voltò, non appena pronunciai il suo nome. Mi rivolse un ampio sorriso e allargò le braccia, così che io corsi a rifugiarmi verso di lei. Ethan mi salutò con una pacca sulla spalla, che io ricambiai.
Spostai lo sguardo sul cantante a qualche passo dietro di lui, che discuteva allegramente e con un gran sorriso divertito. Accompagnava le parole con ampi gesti delle mani e delle braccia, cambiando spesso la mimica facciale.
E all'improvviso, quando i suoi occhi si posarono casualmente sulla mia figura, mi resi conto di chi avevo di fronte.
Jacoby Shaddix.
Eravamo nella stessa classe fino ad un anno fa, fino a quando decisi di lasciare la scuola perchè davvero, quel posto non faceva affatto per me.

Dopo il breve concerto, che io avevo gustato nel mio angolino lontano dalla folla in cui Keri sembrava sentirsi perfettamente a suo agio, mi guardai intorno per vedere dove fosse finita. Mi alzai in punta di piedi e strinsi gli occhi per cercare di focalizzarla ma non riuscivo a trovare nessun viso familiare. E in occasioni come quelle la mia bassa statura non aiutava affatto anzi, rendeva tutto più difficile. Ma di scarpe con il tacco nemmeno a parlarne.
Avanzai immischiandomi finalmente tra le persone con la gola arsa e voglia di nicotina. Quelle sigarette mi avrebbero uccisa, lo sapevo, ma erano la mia ambrosia. Provai a raggiungere l’altro lato del tendone a forza di spintoni e, non appena riuscii ad estrarre il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans, grazie ad un emerito idiota, finii con la faccia a terra. Con un gran sospiro mi misi con i gomiti impiantati a terra e i palmi rivolsi verso l’altro, per poi appoggiarci il viso. Mi ero comodamente stesa nella polvere, offesa, imbarazzata, e con nessuna voglia di alzarmi da lì.
Fissai per qualche minuto le scarpe dei presenti, sperando che con il tempo diventassero interessanti.
"La tua amica sta parlando con Jerry.”
Continuai ad avere lo sguardo fisso su un paio di Converse viola, senza dire nulla. “Avanti Williams, non puoi avercela ancora con me. ”
“Vedo che il mio cognome te lo ricordi ancora, Shaddix.” risposi dura, senza guardarlo.
Lo sentii ridacchiare, quella risata che migliaia di volte negli anni addietro mi aveva scaldato il cuore. Non dovevo lasciarmi scalfire. Si piegò sulle ginocchia, offrendomi una mano.
“Su, alzati. ”
“No. ”
Roteò gli occhi sbuffando, senza togliere quel maledetto sorriso…
Mi sfiorò la spalla con le dita, delicatamente, iniettando nel mio corpo una scarica elettrica. Socchiusi gli occhi per un istante, provando a rimanere forte.
“Dai, non credo ti stia divertendo lì per terra. ”
“Cosa te lo fa credere?” Alzai il viso e posai le mani a terra. “E’ illuminante, invece. Non credevo esistessero tutti questi tipi differenti di scarpe.” dissi sarcastica per poi tirarmi su, senza il suo aiuto.
Mi pulii i pantaloni con le mani, nonostante la polvere rimase tutta lì. Jacoby continuò a guardarmi compiaciuto.
“Che vuoi?!” tuonai scocciata.
“Nulla…” abbassò il viso. “Volevo solo chiederti come… se ti era piaciuto il concerto. ”
“Beh, siete stati bravi.” ammisi, calpestando allegramente tutto il mio orgoglio. Ma la sua voce mi aveva confortata per tutta la durata dell’esibizione, estrapolandomi da quel posto. Era da tanto che non mi sentivo così… bene.
Alzai l’indice della mano sinistra portandomela al viso, notando che l’unghia dipinta di nero era scheggiata da un lato.
“Cazzo…” mormorai.
“Da quando ti importa delle unghie? Non eri così quando passavamo i pomeriggi in punizione. Insieme.
“Shaddix, sono cambiate un sacco di cose negli ultimi due anni, sai? ”
“Avevamo quindici anni, non puoi pensarci ancora! ”
“Sentimi bene, io sono venuta qui solo per accompagnare una mia amica, Keri, e non per vedere te. E poi so io a cosa devo pensare, me la so cavare. ”
Sentivo le guance andare a fuoco e gli occhi ardere dalla rabbia.
Finalmente riuscii a vedere la mia amica intenta a parlare con il chitarrista e feci per avvicinarmi, se non fosse che Jacoby tentò di fermarmi.
“Dobbiamo parlare. ”
“Non voglio. Va bene così. ”
“Sono stato male. ”
“Anch’io e adesso, se vuoi scusarmi, vado a recuperare Keri. ”
Mi voltai con gli occhi velati e feci qualche passo in avanti fino alla mia amica. Il chitarrista se la stava letteralmente mangiando con gli occhi.
Mi dispiaceva interrompere quel momento, almeno qualcuno sembrava spassarsela, ma lo feci lo stesso. Forse per egoismo, forse perché non sopportavo l’idea che qualcuno potesse essere felice.
Quanto odio in una ragazza piccola ed esile come me, eh? Non si trattava nemmeno di odio, probabilmente, semplice disillusione.
“Keriii!” urlai con voce stridula.
Lei si voltò per un secondo verso di me, rivolgendomi uno sguardo sollevato. Tornò a guardare il ragazzo, lo salutò velocemente e io la tirai velocemente verso di me con la voglia impellente di scappare, fuggire… lontano da lui.

 

 

 * * *

Glo:

 Allora: buonsalve carissimi lettori! Questo primo capitolo è solo un assaggio di tutto quello che accadrà, e chi mi conosce sa dove voglio andare a parare -.- Spero sia piaciuto e un grazie in anticipo a tutti anche alla mia Hun che con pazienza mi ha aiutato a scrivere questa fic. È stato un onore collaborare con una fanwriter di questi livelli... Ti voglio bene Gio!!

Gio:

Sono seriamente emozionata, ci abbiamo messo quasi un anno per scrivere questa storia, e vedere che finalmente ha la sua ben meritata fine mi rende molto contenta. Un grazie gigantesco alla mia hun, perchè ha accettato di collaborare con me, per la sua pazienza e il tempo che ha dedicato a questa fic! 

Niente, spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo e che ci continuerete a seguire!!

  
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.



Il saluto alla bandiera era il momento più importante della settimana e sicuramente il più noioso ed insopportabile.
Sentire il coro della scuola che cantava l'inno nazionale alle otto e trenta del mattino, in cortile, non era il massimo.
La prima ragione era il cielo che ancora era scuro, il sole non era alto nel cielo in quel periodo dell'anno quindi c'era un freddo insopportabile.
Il vento freddo soffiava pungente. Mi strinsi tra le braccia, cercando, senza risultato, di scaldarmi.
Eppure c'è tanta gente radunata intorno a me, tutta la scuola insomma (era impressionante vedere tutte quelle facce scoglionate in solo colpo).
“Peterson, mi devi ancora una sigaretta”
“Vedo che sei il solito bastardo, Justin. Sempre a rompere”
“Tieni e sparisci dalla mia vista ”
Rise del mio tono scocciato “Certo capo. Ci si vede in giro”
Si allontanò giusto per accedersi la sigaretta ed essere beccato dalla vicepreside che gli diede subito uno dei suoi famosi foglietti gialli su cui erano segnate le ore da scontare in punizione.
Peccato per lui, tutti sapevano che era vietato fumare durante la sacra cerimonia del saluto alla bandiera.
Ma lui era Justin Coleman e tutti sapevano che a lui non importava di niente e nessuno.

La gente non era per niente sincera quando intervistata dalla tv locale definisce la scuola interessante con un sorriso a trentadue denti.
Interessante significa palloso.
Per non parlare del lunedì mattina. Persone esattamente nel posto sbagliato al momento sbagliato, inutili chiacchiere di continuo.
Okay, la giornata era decisamente iniziata con il piede sbagliato.
Camminare alla velocità della luce, come ero solita fare, non era una buona idea per calmarmi i nervi; tutto quel cozzare contro la gente che aveva piantato stabilmente radici nel corridoio mi faceva incazzare ancora di più. Non dovevano essere tutti a mensa a ingozzarsi come maiali?
Rimpiangevo i tempi in cui c'era Mel con me, sapeva quanto odiavo stare per i corridoi e mi portava sempre fuori a fumare. Mi faceva ridere e risultava tutto più leggero.
Gettai i miei libri alla rinfusa dentro l'armadietto per poi richiuderlo e cacciarmi in tasca una lucky strike e il lettore.
Il cortile della scuola era enorme, un vero e proprio parco dotato di campi per ogni disciplina sportiva per gli atleti e anche un spazio per mangiare all'aria aperta.
Feci per portare la sigaretta alle labbra ma mi resi conto che non avevo preso solo l'accendino, con tutta quella fretta me ne ero totalmente dimenticata, accidenti!
Mi avvicinai a Dylan e gli chiesi l'accendino in prestito. Era veramente dipendente dal fumo, fumava ad ogni pausa e quindi era uno con cui mi capitava spesso di scambiare due parole.
Solo un cenno della testa e lo tirò fuori dalla tasca “Tieni” Lo guardai in faccia, e non ci fu nulla che mi colpì di lui. Occhi azzurri e capelli biondi tagliati a spazzola erano un clichè a Vacaville, dopotutto non eravamo nemmeno troppo lontani da Hollywood.
“ Grazie ”
Inspirai a fondo sperando che quella boccata di tabacco, catrame e nicotina arrivasse sino all'anima e la contaminasse per bene per non aver più bisogno di quello schifo nemmeno nelle fasi più acute di rabbia o di stress. Era tipico del fumo quel rapporto di amore-odio che non ti permetteva di uscirne.
Le abitudini sono dure a morire.
“ Keri”
Mi voltai di scatto, qualcuno urlava a squarciagola il mio nome, non potevo stare in pace un secondo durante la mia vita.
Era Samantha una delle more più spigliate della scuola, e anche una delle mie compagne nel corso di matematica. Era un'amica di scuola, passavo molto tempo con lei dentro l'edificio ma era solo il rimpiazzo di Mel. Nessuno avrebbe mai potuto sostituirla.
“Ohi, ma dove ti eri cacciata, non abbiamo fatto altro che cercarti!”
“ Scusami”, le dissi con falso dispiacere. Probabilmente lei se ne accorse perché si allontanò con aria triste, dicendo solo che l'avrei trovata al solito tavolo.
Chiamai il suo nome ad alta voce, gettando la cicca della sigaretta sull'asfalto per correrle dietro.
“ Sam, senti, aspetta. Mi dispiace.”
“Perdonata”
“Quindi che schifo c'è da mangiare oggi? ”
“Cucina messicana” annunciò con aria afflitta
“Yum. La mia preferita ” “Solo tu mangi quella roba” Alzò un sopracciglio sentendo la mia risposta.
“Non solo io, ci sono un sacco di messicani a scuola” la intimai io.
Cercò di sopprimere una risata senza riuscirci “ Ma dai.."
“ Andiamo al tavolo prima che prenda a calci! ”

“ Si è un maledetto genio, non te l'aspetteresti da una persona del genere” La scena si ripeteva ancora una volta, gente invidiosa che bisbigliava e che si impicciava degli affari altrui. La solita routine no?
Stupide galline invidiose con i capelli appena fatti e le scarpe di dolce & gabbana ai piedi.
Era maledettamente frustrante tornare a fissare quella tela immacolata davanti a me. Sbuffai.
“ Keri, che succede? ”
Questa volta era il professore ad interrompere l'atmosfera mistica di quell'aula,
“ Piuttosto quello che non succede” affermai indicando il mio treppiede.
“Suvvia, cara, esprimi la tua interiorità! E' inutile cercare di imitare gli altri quando puoi dare centomila volte di più”
“Grazie, signor Brown ”
In un'altra occasione l'avrei preso come un oltraggioso insulto, come se le copie delle opere di Friedrich non fossero buttate a puttane. Non puoi dirmi così quando io amo le tele di quel pittore romantico con suo essere mistico e i suoi paesaggi naturali che commuovono, risvegliano sentimenti assai potenti e dimenticati.
Ripensai alla mia prima sera passata in un locale, alla libertà assoluta che avevo provato.
Istintivamente presi il pennello in mano senza avere in mente un' idea precisa di ciò che volevo raffigurare. Solo una sensazione, un brivido che sentivo scorrere dentro di me come un torrente in piena.
Incontenibile. Iniziai a colorare la tela di blu, ma nella mia mente non era un colore puro e pulito come il cielo, era torbido, ombreggiato da chiazze più scure, quasi nere. Un blu che sapeva di infinito e di oscuro che mi ricordava tremendamente l'oceano in tempesta.
Mi accorsi che le due ore pomeridiane di arte erano già terminate quando Mr. Brown si schiarì la gola.
“ Ragazzi, la prossima settimana dovete consegnarlo. Vale il cinquanta per cento del vostro voto finale e ricordate che sarà importante per il colloquio al college per chi di voi vorrà dedicarsi all'arte” Mi guardo dritto negli occhi e finì il discorso “ quindi impegnatevi! ”
“Aveva proprio bisogno di cinque minuti per dire solo che dobbiamo impegnarci?” bisbigliai ad Ethan, che come al solito sedeva sullo sgabello di fianco a me.
Ero stufa marcia di stare a sentire discorsi sul college, sapevo di doverci andare, perchè continuavano a ripeterlo ad ogni ora di ogni corso?
Avevamo diciassette anni, l'Alzheimer non l'avevamo ancora!!
La gente stava iniziando ad uscire dall'aula, e filarmela sarebbe stato il mio intento se non fosse che il professore richiamò la mia attenzione:
“Petersen, che hai detto questa volta? ”
“Che poteva risparmiarsi qualche parola. La sintesi non è proprio il suo forte! ”
“Eh, allora mi sa che mi ritroverai a fare i corsi estivi di lingua con te! ”
“Ahah. Signor Brown, io sono un capo in letteratura ” Andai a intingere il pennello nel barattolo di acqua ragia.
“ Perterson, ami così tanto la materia che hai intenzione di dormire qui dentro?”, mi chiese vedendo che in quel momento ci mettevo tanto a riordinare i miei effetti personali.
“Uhm. Un pensierino ce lo potrei anche fare.. non ci ho ancora passato la notte a scuola! ”
“Divertente, Keri, ora vai a casa ”
“Okay. A mercoledì signor Brown!” lo salutai con un sorriso, lui era il mio professore preferito nonostante si comportasse sempre così con me.
Uscii alla svelta per vedere se Ethan era rimasto ad aspettarmi, ma non era così, lui se n'era andato senza nemmeno salutarmi.
Ma non era importante, non avevo bisogno di compagnia; quell'infinito blu mi ossessionava e conoscevo anche il motivo; non potevo continuare il quadro fino a mercoledì ed per questo era la cosa che più desideravo fare.
Dovevo terminarlo o sarei impazzita!
Continuai a pensarci per i corridoi deserti fino al parcheggio dove sarebbe dovuta essere Melanie.
Lo scuolabus giallo se ne era già andato ed erano rimaste solo poche persone e gli skater con il loro capo tribù/dio, nonché perfetto idiota Justin , ma anche loro stavano per andarsene.
Justin sfortunatamente incrociò il mio sguardo e invece di seguire i suoi schiavetti, li congedò e s'incamminò verso di me.
“Hey ”
“Justin ”
Era stato cauto nell'avvicinarsi, e ora lo stava facendo di nuovo anche nel parlare
“Che si dice?”
“Ehm... in questo momento proprio nulla”, gli rivolsi un'occhiata stranita.
“Strano trovarti da sola”
La mia espressione doveva essere buffa perchè lui cercava di nascondere una risata.
Guardarlo negli occhi mi costava fatica, i raggi del sole colpivano direttamente la retina, non era una sensazione piacevole.
Ecco, meno male, si era spostato, si stava decisamente meglio.
“E' un privilegio che concedo a pochi eletti ”
“Ma per favore, Peterson. Nessuno vorrebbe questo piacere! ”
“Evidentemente tu. Ne stai usufruendo”
Si sistemò la cuffia sotto la quale si nascondeva una chioma terribilmente folta e scomposta. Avevo colpito nel segno, faceva sempre così quando era a disagio.
“ Nei miei incubi semmai ”
“Ovunque tu voglia, tesoro
“Smettila dai”
Mi divertivo come una pazza a metterlo in imbarazzo. Era troppo buffo vederlo in quella situazione.
“Hai iniziato tu commentando sul mio stato infelice ”
“Sul serio allora perché sei rimasta oggi c'era lezione fino alle due. Non dirmi che eri in punizione? ”
Riflettei un attimo e scoppiai a ridere “ Aspetta ma cos'è mi controlli?”
“ No io...” e fu come se gli si fosse attorcigliata la lingua.
“ Brown ha deciso che avevamo bisogno di più tempo. Ma perché tutti pensate sempre che ho fatto del casino quando resto a scuola?”
“Sei Keri Peterson? ”
Domanda retorica.
“Sei come Thelma ”
“Peccato che Lousie sia al lavoro” dissi con amarezza “ è finito il tempo di combinare casini, Justin ”
“Ah, non ci credo” disse tra una risata e l'altra. “Io ora andrei ”
“Okay”, stavo cercando di guardare da tutt'altra parte per non guardarlo in faccia e scoprire cose di cui non volevo rendermi conto
“A domani”
Mi sedetti sui gradini davanti all'entrata principale con lo zaino di fianco a me e lo guardai allontanarsi sullo skate. Che idiota.
I minuti passavano inesorabili sì, ma altrettanto lenti!

***

Salutai l’ultimo cliente della mattinata, lanciando un’occhiata raggiante all’orologio. Chiusi il registratore di cassa e poi mi alzai in piedi, stiracchiandomi le gambe.
“Tom, io vado.” annunciai allegra al mio capo, che stava ultimando di sistemare alcune confezioni di cereali su uno scaffale.
“Mancano ancora cinque minuti alla fine del turno.” rispose senza neanche voltarsi.
“Uff.” sbuffai incrociando le braccia intorno al petto e puntando un piede a terra.
“Mel, ma cosa ti costa aspettare cinque minuti? Aiutami con i cereali piuttosto. ”
Trascinandomi mi avvicinai a lui e cominciai a prendere, con molta ma molta lentezza, una scatola e metterla sul ripiano, alzandomi in punta di piedi.
Tom me la prese dalle mani con uno sbuffo.
“ Vattene, su. ”
“Grazie, ti adoro!” esclamai riprendendo vita.
“Tanto te li tolgo tutti dalla busta paga.” ribatté con un sorrisetto.
“Ma Tom, sono solo due minuti! ”
“Due centesimi in meno. Non te ne dovevi andare? ”
“Sì si… me ne vado. Corro a prendere Keri a scuola, almeno lei mi capisce. ”
Mi posizionai davanti alle porte automatiche del market che si aprirono ed io uscii, sentendo Tom ridacchiare. Entrai nella mia Ford del Settanta, vecchia e ammaccata.

Quando la misi in moto emise un suono metallico quasi inquietante, a cui io però ero fin troppo abituata.
La città sfilava veloce oltre il finestrino e i raggi di sole illuminavano anche l’abitacolo. Stesi il braccio fuori, picchiettando le dita sulla superficie metallica dello sportello.
Feci per frenare ad un semaforo rosso, quando sentii un colpo provenire da dietro.
Ti prego, fa che non mi abbiano tamponata.
Dallo specchietto vidi il conducente della vettura dietro la mia scendere, così attesi che si avvicinasse.
Chissà chi ha dato la patente a questo idiota. Quando vidi il ragazzo, il mio viso perse colore.
“Shaddix, ancora tu?!” esclamai irritata, preparandomi a rimettere in moto.
“Mel scusa… dai aspetta. ”
Rimasi interdetta quando lo sentii pronunciare il mio nome.

“ Piacere di conoscerti, io sono Jacoby.” Strinsi la mano che mi stava porgendo, sentendo il calore delle sue dita spargersi per il mio corpo. “ Melanie.” “Melanie…” ripeté lui, quasi pensieroso. “Posso chiamarti Mel?”

Non mi mossi per due secondi al massimo, il tempo necessario per rimangiare i ricordi, poi posai il piede sull’acceleratore pronta a partire. Vidi Jacoby scattare davanti alla mia auto, prima di appoggiare le mani sul cofano anteriore.
“Per favore. ”
“Shaddix, ringrazia che non ti abbia ucciso perché mi hai tamponato. Lasciami andare. ”
Abbassò di poco il viso, prima di alzarlo di nuovo.
“Mel…” mormorò flebilmente.
Solo in quel momento mi accorsi che intorno a noi si era formato un piccolo cerchio di persone.
Merda, devo sempre dare spettacolo per strada.
“Levati o ti investo. ” “Non ne hai il coraggio. ”
“Te lo ripeto una volta soltanto: vattene. ”
Non appena strinsi più forte lo sterzo, un ragazzo si avvicinò a quel pazzo che non voleva allontanarsi dalla mia macchina.
Era Jerry, il ragazzo che ieri sera stava mangiando Keri con gli occhi.
"Devi essere Melanie, giusto?” mi chiese guardandomi.
“Sì… e tu Jerry, immagino.” risposi con freddezza, preparandomi ad investire Jacoby.
“Dai andiamo.” sussurrò Jerry all’amico, tentando di tirarlo per un braccio.
“Che mi investisse. ”
Inchinai lievemente la testa all’indietro, chiedendomi perché stesse facendo il melodrammatico.
“Coby, da come me l’hai descritta, Melanie ti investe davvero. ”
Ridacchiai.
Jacoby si limitò a scuotere la testa.
“Non ha la faccia di una con le rotelle a posto, quindi andiamocene, non mi va di cercare un altro cantante. ”
Con uno strattone lo avvicinò a sé, per poi trascinarlo via.”
“Ci vediamo! ”
“Ciao Jerry!” salutai, con un cenno della mano.
Premetti il piede sull’acceleratore e, ignorando la folla, proseguii verso la scuola.
Non mi era mai piaciuto quel posto, avevo sempre avuto una certa riluttanza a frequentarlo. E poi, come se non bastasse, le poche volte che ci andavo le passavo in punizione.
Quando arrivai davanti al cancello dell’edificio scolastico, Keri era già lì o meglio, c’era solo Keri.
Guardando l’orologio mi resi conto di aver fatto giusto un po’ di ritardo.
Appena mi vide si alzò e si avvicinò con il broncio, nonostante gli occhi le brillassero. Allora non “Scusa per il ritardo, non è colpa mia se danno la patente anche ai criceti.” mi giustificai, quando si sedette sul sedile accanto al mio.
Keri alzò un sopracciglio e scosse la testa, borbottando qualcosa.

* * *

Vidi la vecchia Ford del settanta avvicinarsi nel parcheggio. Misi su un broncio, ma non ero “Scusa per il ritardo, non è colpa mia se danno la patente anche ai criceti.” si giustificò quando mi sedetti sul sedile.
“Come al solito ” mormorai troppo piano perchè lei potesse capire e non parlarmi più per tutto il viaggio “ Come mai?”, sbottai.
“ Un cretino mi ha fatto perdere tempo”
“Uno figo? Chi era? ”
“Ma niente, non lo conosci” e senza ammettere repliche cambiò argomento “ Chi era quello al locale? ”
Pensavo di poter evitare questa parte in eterno, ma sfortunatamente mi sbagliavo.
“Quello chi?”
“ Vedi di non fare la finta tonta. Lo sai benissimo di chi sto parlando”
“Ah, un certo Jerry... si lasciamo stare il nome, sembra quello di un orsacchiotto ”
Ci mettemmo a ridere insieme come se fossimo parte di uno stesso corpo.
“Non dire cazzate, dai”
“Mi ha offerto da bere. Mi ha detto che sembrava che mi piacesse molto bere il Jack Daniel's. E' un fottuto molestatore” sbottai io inacidita sentendo il disagio di essere piata ancora fresco sulla mia pelle.
Rise di nuovo e di gusto questa volta
“Eddai non puoi fare così ogni volta che uno cerca di fare il carino ”
“E tu perchè te la ridi così tanto? Non dirmi che lo conosci ”
Si ammutolì giusto un secondo come se nascondesse qualcosa, ma erano solo le risate che cercava di soffocare “No, no”
“ E tu perchè sei stata mezz'ora a fumare eh? ”
“Mi sono fumata due sigarette ”
“Certo come no ”
“ Dai, Keri, che ti riporto a casa da mamma”
“Stai sempre a cambiare argomento ultimamente. Tra migliori amiche non ci dovrebbero essere segreti!”, protestai io con rabbia.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.




"E chi ha detto che noi siamo migliori amiche?” replicai distogliendo per un attimo lo sguardo dalla strada e concentrarmi sul viso di Keri, troppo irritato per i miei gusti.
“Ehi.” aggiunsi dandole una pacca sulla spalla. “Non dirmi che ti sei offesa, lo sai che scherzo. ”
“No.” rispose sorridendo appena. “Solo che a volte non ti capisco, cambi argomento in continuazione. ”
“Siamo arrivati.” annunciai, premendo il piede sul freno.
“Ecco, appunto. ”
Sbuffando aprì la portiera e scese, correndo verso casa. Io la seguì con il mio solito passo trascinato, a volte mi chiedevo dove trovasse tutta l’energia per saltellare a qualsiasi ora del giorno e della notte.
“Salve famiglia!” urlò Keri appena varcò la soglia di casa e io sorrisi, lasciandomi trascinare dalla sua allegria.
“Salve famiglia adottiva.” dissi con meno entusiasmo, ma con lo stesso piacere di essere lì. Mi sentivo più a casa in quel posto, che nella mia vera casa, in cui tornavo solo per dormire.
“Ehi ragazze!” esclamò la madre di Keri, Jen, facendo capolino dalla cucina. “Com’è andata la scuola? ”
Era una donna molto giovane e ancora bella, con fluenti capelli scuri e un sorriso confortante.
“Bene.” rispose la mia amica, con voce neutra, posando un piede sul primo scalino che portava al piano di sopra.
“E tu Mel… il lavoro? ”
“Tom mi toglierà due minuti dalla busta paga.” commentai ridacchiando. “Ma per il resto tutto bene. ” “Sono contenta e- “
La donna non riuscì a terminare la frase perché Keri mi afferrò per un braccio trascinandomi su per le scale.
" Falle fare i compiti.” mi sussurrò la donna mentre venivo travolta da sua figlia, che rischiava di farmi cadere.
Si fermò solo quando arrivammo nella sua stanza, piccola ma confortevole. Io mi sedetti pesantemente sul suo letto, per poi sdraiarmi.
" Sono esausta. Sai Keri, credo che dormirò un pochino.” mugolai girandomi da un lato e chiudendo gli occhi, senza riuscire a smettere di ridere.
“Dai Mel!” protestò l’altra, gettandosi su di me e cominciando a farmi il solletico.
“Che c’è nana, vuoi la guerra?!” la sfidai destandomi dalla mia posizione fetale, e guardandola negli occhi.
I miei brillarono e, dopo aver afferrato il suo cuscino, cominciai a colpirla.
"No! No!” cominciò a protestare ridendo, posizionando le mani davanti al viso per proteggersi. “Per piacere, mi arrendo!”
Ansimante e rossa in viso mi fermai, e lei si posò sul letto, guardandomi.
" Che c’è?” le chiesi notando che lei non distoglieva lo sguardo dal mio.
“Sono curiosa. ”
“Riguardo cosa?” replicai fingendo di non capire.
“Di tutto. ”
“Keri non c’è niente da sapere.” affermai decisa, per nulla intenzionata a desistere.
“Oh sì, invece. Ci conosciamo da un anno ormai e io non so assolutamente niente di te. Non so nemmeno dove abiti! ”
Con un sospiro mi sedetti accanto a lei, assumendo un espressione seria.
"Allora, il mio numero di scarpe è 39 e il mio codice fiscale… Aspetta, ce l’ho nella borsa, non me lo ricordo.”
Feci per alzarmi, quando lei mi fermò con un cenno della mano.
“Mel!” protestò. “Sii seria, almeno per una volta. ”
“Nanerottola io… io non voglio parlare di ciò che sono stata, come sono cresciuta e via dicendo, è una storia troppo melodrammatica, molto da telefilm strappalacrime. E’ una storia stupida e ridicola. ”
“No, non lo è.” ribatté decisa, avvicinandosi a me.
“Come fai a dirlo? Non la conosci nemmeno. ”
“Allora tu raccontamela, così potrò esprimere la mia opinione. ”
Sospirai, sconfitta.
"Da dove vuoi che inizi?”
“Non so…” Fece spallucce. “Dimmi quello che preferisci. ”

Aprii la porta di casa, allegra e soddisfatta per aver preso la mia prima A in Scienze. Attraversai il lungo corridoio quasi saltellando, sentendo, man mano che mi avvicinavo alla cucina, lo scrosciare dell’acqua dal lavandino. Mamma doveva essere lì, come tutti i giorni, a lavare i piatti.
Quando sporsi il viso nella stanza però, mi accorsi che non c’era. L’acqua era aperta, ma la cucina era vuota.
“Mamma!” la chiamai, tentando di non farmi sopraffare dal panico.
“Mamma!”
Correndo mi fiondai in salotto. Cavolo, dov’era finita?
Un urlo attraversò la casa vuota, quando vidi il corpo di mia madre adagiato sul divano.
I suoi occhi erano chiusi.
Mi avvicinai velocemente, continuando a ripetere il suo nome a voce sempre più bassa, sperando di vedere i suoi occhi aprirsi, e la sua bocca incresparsi in un dolce sorriso.
Nonostante la scuotessi però, lei non sembrava svegliarsi e, quando le mie dita incontrarono la sua pelle ormai gelida, capii.
Era morta.

"Mel, calmati.” sussurrò Keri, abbracciandomi. “Ci sono io.”
Accoccolata sul suo petto continuai a singhiozzare come una bambina, all’improvviso ero tornata ad essere fragile e indifesa come un tempo, priva di qualsiasi protezione.
"Era morta…” replicai come in trance, chiudendo per un secondo gli occhi.
Keri posò un bacio sui miei capelli, cominciando a cullarmi.
"Shhhh… non piangere. Mi dispiace.”
Appena mi resi conto del mio stato, emotivo e fisico, tentai di divincolarmi dalla sua presa, e continuare a raccontare.
"Poi…” ripresi, ma lei mi interruppe.
“Se non ti va di andare avanti io… io lo capisco.” cercò di giustificarsi, imbarazzata.
“No.” risposi asciugando le lacrime che avevano preso a scorrere. “Ce la posso fare. ”
Sorrisi debolmente.

Senza rendermi del tutto conto di ciò che stava accadendo, presi il telefono sul mobile del corridoio e composi il numero del cellulare di papà.
"Papà!” esclamai appena capii che lui aveva risposto. “Vieni qui, mamma è morta!”
“Mel, ma cosa dici?” replicò lui, stupito. “Non si fanno questi scherzi.”
“Ma papà…” protestai continuando a piangere. “La mamma è sul divano con gli occhi chiusi ed è… fredda. Ho paura.”
Mio padre attaccò immediatamente e capii che stava arrivando. Mi avrebbe protetta, avrebbe sistemato tutto, come aveva sempre fatto.

"Di cosa è morta?”
“Infarto.” dissi, apatica. “Non aveva mai avuto problemi di salute, era perfettamente in forma. Eppure se n’è andata. ”
“E tuo padre? Si è risposato? ”
“No, magari. Ha cominciato a distruggersi, ignorandomi completamente. Era sempre ubriaco, intrattabile… e io ho dovuto trovare la mia valvola di sfogo. ”
Keri tirò le gambe sul materasso, sempre più curiosa.
"Se vuoi, chiedo a tua madre di prepararti dei pop corn.” commentai ridacchiando, facendola arrossire di nuovo.
“Dai nanerottola, devo pur sdrammatizzare, se no divento depressa, e sono insopportabile. ”
“Smettila di chiamarmi nanerottola, non è che tu sia così alta eh. ”
“Sono più alta di te? ”
Fece cenno di sì con la testa.
"Allora tu sei nana.”
Sbuffò, incrociando le braccia.
"Adesso devi dirmi della tua valvola di sfogo, non puoi lasciare il racconto a metà!”
“Mi dispiace, ma la nonna finisce di raccontare perché si è fatto tardi e tu devi fare i compiti. ”
“Ah, non ti sopporto quando fai così… la mamma. E quando lasci le cose a metà. ”
Le posai una mano sulla testa, facendole pat-pat.
"Non temere, finirò un’altra volta, sempre su questa rete, adesso ho la gola secca. Ti va una birra?” domandai alzandomi in piede.
“Mi andrebbe, ma sai che mamma non ce lo permetterebbe mai. ”
“Hai ragione. Una sigaretta almeno, possiamo fumarla? ”
“Sì, ma fuori. ”
Mi prese per mano e mi condusse al piano di sotto, fino alla veranda.
Tirava un vento fresco, che mi fece rabbrividire.
Ci sedemmo sugli scalini dell’ingresso ed io tirai fuori il mio pacchetto di sigarette, offrendone una prima a Keri.
"Non mi hai ancora detto chi è il criceto a cui hanno dato la patente.”
“Ma non lo so… un tipo. Non lo conosci, che differenza fa sapere come si chiama? ”
“Dimentichi che sono estremamente curiosa. ”
“No, semplicemente fingo di non saperlo. ”
Inclinai la testa, posandola sulla sua spalla.
" Ehi, cos’è tutto questo affetto?” domandò Keri, ridacchiando.
“Approfittane, non capita spesso di trovarmi carina e coccolosa. ”
Continuammo a fumare in silenzio, spesso in un’amicizia, soprattutto sincera, non c’era bisogno di troppe parole. Bastava sentire la presenza dell’altra, per stare bene. Bastava sapere che quella persona ti avesse raccolta dalla strada, se saresti caduta.
"Mel, rimani qui a cena, vero?!” Sentimmo Jen urlare dalla cucina.
"Non mi darà la possibilità di rifiutare, vero?” dissi a bassa voce, rivolgendomi alla mia amica.
“Sai meglio di me che non te lo permetterebbe mai.”
“Va bene!” urlai di rimando.
“Allora rientrate, la cena è pronta! ”

* * *
L'abbracciai stretta ancora una volta prima che entrasse in macchina. Il tempo era letteralmente volato ed era già tempo di salutarla. " Ti voglio un bene dell'anima, Mel"
"Anche io"
"Mel?”
Si voltò subito verso di me con un espressione interrogativa sul volto.
"Puntuale domani eh!” le urlai dalla veranda con una punta d'ironia nella voce.
Ero di nuovo in casa al caldo, eppure mi sentivo gelida e svuotata di tutto.
Lasciarla andare da sola dopo aver affrontato ancora una volta il suo passato mi faceva sentire malissimo.
Anche se non glielo avevo fatto vedere per fare quella forte,la sua confessione mi aveva shockato nel profondo , non avrei mai pensato che avesse dovuto vivere tutte quelle cose. Aveva solo un anno più di me eppure aveva sopportato più dolore di un adulto medio.
Si spiegavano tante cose, ma il resto rimaneva in ombra. Come se il buio fosse stato creato per lei.
Era tipico suo, quando mai riuscivi a capirla fino infondo?
Avevamo condiviso tutto in quell'anno passato insieme, tutto tranne il passato.
La ferita ancora aperta che non si sarebbe mai potuta rimarginare e che la faceva sentire debole, la cosa che lei, come me, non poteva sopportare.
Ma nei suoi confronti, la mia vita era rose e fiori.
Avevo una famiglia, avevo lei.


Spazio degli autori ( Gio & Dominil )
Volevamo ringraziare FrankieFuse per la recensione.
Siamo contente che ti piaccia e spero che ci continuerai a seguire.
Ringraziamo tutti coloro che hanno letto ;)

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