Deadly Wrath di JoJo (/viewuser.php?uid=4512)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Here we go ***
Capitolo 3: *** Bloody day ***
Capitolo 4: *** Goodnight! ***
Capitolo 5: *** New point of view ***
Capitolo 6: *** Game Over ***
Capitolo 7: *** Lovely bones ***
Capitolo 8: *** A new fresh start ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Chiunque
può
arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona
giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo
giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle
possibilità
di chiunque e non è facile.
-
Aristotele
Alcune giornate
semplicemente non
dovrebbero mai iniziare.
Si dovrebbe rimanere a letto, coccolati
dalla confortante sofficità delle proprie lenzuola, a
rigirarsi da un fianco all'altro senza pensare a niente.
Riposare. Rilassarsi. Prendersi il
proprio tempo.
Ma non tutti possono concedersi questi
piccoli lussi.
La sveglia suona e ci obbliga a
prenderci le proprie responsabilità, risucchiati nel caotico
tran tran quotidiano.
Si esce, si incontrano persone, si
interagisce con chi non si vorrebbe, ci si arrabbia.
E lui era arrabbiato.
Era dannatamente arrabbiato.
E quello che più di tutto lo
faceva infuriare era che non poteva portarsi a casa quella
frustrazione.
L'avrebbe covata dentro di sé,
alimentandola e facendola crescere passo passo, senza riuscire mai a
dargli una valvola di sfogo.
Nella sua mente, si vedeva proiettato
avanti di cinque anni, magari meno in forma e con qualche ruga in
più, e aveva il terrore di diventare uno di quegli uomini
repressi che sfogano i propri impulsi su degli innocenti. Magari
sarebbe successo così anche per lui: sarebbe impazzito
all'improvviso e avrebbe fatto un uso sbagliato del proprio fucile da
caccia.
Sbattè la portiera dell'auto con
forza, lasciando che il rumore si diffondesse in un eco sinistro per
tutto quel parcheggio sotterraneo.
Aveva lasciato il cellulare
nell'abitacolo ed era pronto per concedersi qualche attimo di
libertà, uno dei pochi nella sua vita di adulto responsabile.
Avrebbe dovuto sentirsi l'animo un po'
più leggero in quel momento, ma il suo cervello iperattivo
glielo impediva. Era ancora infuriato col mondo intero.
Forse, se l'avesse saputo prima,
avrebbe cercato di scacciare quel sentimento odioso.
Non era una bella cosa da provare, la
rabbia, come ultima impressione del mondo.
Solo un teaser
piccino-picciò. Al primo vero capitolo!Besos!!JoJo
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Capitolo 2 *** Here we go ***
La
crudeltà sarebbe
deliziosa
se si
potesse trovare
qualche tipo di crudeltà
che
non facesse veramente
male.
-
George Bernard Shaw
Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Tormentare Spencer Reid era
il suo
hobby preferito.
Lo sapevano tutti e, in effetti, a
parte i deboli tentativi di JJ di difendere il giovane genietto,
anche tutti gli altri membri della squadra si divertivano ascoltando
le sue battute che riuscivano a mettere facilmente in
difficoltà
il ragazzo.
Derek Morgan lasciò che un
sorriso sghembo si allargasse sulle proprie labbra carnose e rivolse
uno sguardo d'intesa a Garcia, che gli strizzò l'occhio con
complicità, mentre faceva girare distrattamente un
cucchiaino
nella tazza di caffè che teneva fra le mani ornate da
vistosi
e variopinti anelli.
“Hai passato un buon week-end, mio
dolce cioccolatino al latte?” domandò gioviale,
rivolgendosi
al bell'uomo di colore.
Lui le rispose con un grosso sorriso
“Ti dirò, bambolina, non è stato
affatto male.”
Poco più in là, Reid fece
roteare gli occhi. Quando i suoi due colleghi partivano con quei
discorsi allusivi e pieni di nomignoli zuccherosi, erano in grado di
andare avanti a parlare per ore. Mosse qualche passo per allontanarsi
dall'area relax con la sua bella tazza di caffè
iper-dolcificata fra le mani, sicuro che i due non avrebbero fatto
troppo caso alla sua assenza.
“E tu, ragazzino, che hai fatto di
bello?”
La voce di Morgan lo inchiodò a
metà strada, con un piede ancora sollevato a mezz'aria.
“Niente di particolare.” assicurò,
voltandosi verso i due e scrollando le spalle esili per dare enfasi
alle proprie parole.
“Davvero?- incalzò Penelope,
un ghigno dipinto sulle labbra colorate di cremisi- Sicuro che non ci
sia niente che tu ci voglia dire?”
Quando Spencer notò i sorrisi
troppo larghi sui volti dei due colleghi indietreggiò quasi
inconsapevolmente: quello aveva tutta l'aria di essere un attacco
incrociato e lui sapeva bene di non essere in grado di spuntarla.
“Che c'è?” riuscì a
domandare con voce leggermente acuita da quella strana sensazione di
ritrovarsi indifeso e disarmato di fronte a due leoni affamati.
Garcia le rivolse uno sguardo saccente
prima di iniziare a parale“La tua ragazza è
adorabile,
genietto.”
“C-cosa?- boccheggiò il
ragazzo, scioccato da quell'affermazione- Quale ragazza?”
Morgan sollevò gli occhi verso
il soffitto e la donna rispose alla domanda, divertita
dall'agitazione che improvvisamente attanagliava il genietto della
squadra.
“La regina delle ossa.- spiegò-
La pulzella dagli occhi blu.”
Reid non potè impedire alla sua
bocca di aprirsi per lo stupore. Beccato,
lo avvisò una vocetta all'interno della sua testa, mentre le
parole di Garcia gli riportarono alla mente le immagini di una
ragazza dai lunghi capelli corvini e due profondi occhi azzurri.
Erano ormai passati
quasi più di tre mesi da quando lui e il resto della squadra
avevano conosciuto Alaska Ross, giovane antropologa forense che li
aveva aiutati a risolvere un caso piuttosto complicato a Baltimora.
Quello che i suoi colleghi non sapevano, o meglio, quello che i suoi
colleghi non avrebbero dovuto sapere, era che lui era rimasto in
contatto con lei, e che si scambiavano mail e lettere
pressoché
quotidianamente.
“Alaska non è la mia ragazza.-
si affrettò a specificare con voce acuta- Siamo solo
amici.”
“Solo amici, uh?- lo punzecchiò
Derek, incrociando le braccia muscolose- E com'è che la vedi
così spesso, allora?”
Reid spalancò gli occhi scuri
“Ci siamo visti solo un paio di volte...”
“Da quando avete chiuso quel caso ho
trovato cinque voli andata e ritorno verso Baltimora prenotati da te,
caro il mio genietto. ” gli rivelò Garcia, con un
sorriso
smagliante sul volto.
“Sai, non credo che sia legale che tu
controlli queste cose su di me.” tergiversò
Spencer, non
prima di aver deglutito rumorosamente in preda all'imbarazzo.
La donna scrollò le spalle “Puoi
denunciarmi, se ti va.”
“E poi...- continuò il giovane
profiler- non devo giustificarmi con voi se faccio qualche viaggio
nei week-end.”
Morgan rise “Nessuno ti giudica perchè
vuoi passare del tempo con la tua ragazza, ragazzino.”
“Non è la mia ragazza!”
sbottò Reid, alzando la voce di un'ottava.
“Parlate di Alaska?” domandò
Rossi, avvicinandosi per agguantare una tazza di caffè.
Penelope e Derek annuirono con aria
saccente “Mmm”
“Mi ha mandato una cartolina.”
rilevò il profiler di origini italiane, ricordando con
piacere
lo scambio di corrispondenza che aveva avviato con quella ragazza
riaffiorata improvvisamente dal suo passato.
“Anche a me. - disse Garcia- E
pensare che nemmeno ci siamo mai conosciute di persona.”
“Com'è che è in
Guatemala?” domandò quindi Morgan che, come ogni
altro
membro del team, aveva ricevuto una cartolina dall'antropologa.
“Deve affiancare il docente che
conduce uno scavo al posto del dottor Stein.”
spiegò David,
ricordandosi le parole scritte in stampatello e inclinate per la
troppa fretta che aveva letto su una delle lettere che aveva
ricevuto.
Derek annuì “Giusto, me l'ero
scordato. Ormai è laggiù da parecchio,
però,
saranno...”
“Ventun giorni domani.” buttò
fuori velocemente Reid.
Tre paia d'occhi si puntarono su di
lui, facendolo immancabilmente arrossire.
“Per non essere la tua ragazza, sei
piuttosto interessato a quello che fa.” trillò
Penelope con
il tono di chi la sa lunga.
In quel momento JJ fece capolino
nell'area relax, pronta a richiamare al dovere i profiler. Quando
vide il volto paonazzo di Spencer e i sorrisi divertiti degli altri
immaginò immediatamente che tipo di conversazione potessero
aver avuto i suoi colleghi.
“D'accordo, fine primo round.-
dichiarò la bionda, prima di sventolare una cartelletta
gialla- Abbiamo un nuovo caso.”
“Questo
è Bill Port.- annunciò
l'agente Jereau, sventolando il telecomando dello schermo di
presentazione verso la foto di un uomo di circa trent'anni- trovato
in un parcheggio coperto a Georgetown ieri pomeriggio.”
Premette un pulsante e il proiettore
passò alla foto di un altro uomo, dai tratti tipicamente
latini “Manuel Gomez, rinvenuto circa due settimane fa
pestato a
morte a Logan Circle.- continuò a parlare- Ieri sera il capo
della polizia di Washington ha richiesto il nostro
intervento.”
“Non ha dato importanza al primo
omicidio?” azzardò Hotch, pensando a quanto fosse
toccata
dalla criminalità la seconda zona citata dalla collega.
JJ fece ondeggiare la testa “Questo
sommato al fatto che un medico legale di Prince George's County, nel
Maryland, ha letto il bollettino e ha segnalato di avere dovuto
esaminare un caso simile giusto un mese fa.”
L'immagine sul proiettore cambiò
ancora, mostrando tre di quelli che sembravano a tutti gli effetti
dei mucchi di sangue rappresso.
“Perchè non ci sono foto del
corpo?” domandò Derek, sfogliando il fascicolo del
caso.
“Quello è il corpo.” lo
informò Rossi. Aveva visto molte cose, e tutte terribili,
durante la sua carriera, ma quello che si ritrovavano davanti in quel
momento non sembravano affatto i resti di una persona, ma dei
semplici mucchietti di carne tritata.
“Accidenti!- esclamò l'uomo di
colore, aggrottando le sopracciglia-Come diavolo...”
“Non lo sappiamo ancora.- continuò
JJ- Quello che rimane della seconda e terza vittima è stato
spedito ai nostri laboratori solo stamattina, mentre la prima
è
stata già seppellita.”
Reid storse le labbra perplesso “Quindi
avrebbero già archiviato il caso?”
“Già, come incidente
automobilistico.” confermò la bionda, voltandosi
verso di
lui.
“Sarebbe dovuto essere stato
risucchiato da una betoniera per finire in questo stato.”
commentò
Emily, fissando lo sguardo sulla foto della scena del crimine.
“Le zone dove sono avvenuti i primi
omicidi sono aree con un alto tasso di criminalità.-
riflettè
ad alta voce Morgan- Non si può dire lo stesso di
Georgetown.”
“Probabilmente sta cambiando raggio
d'azione, sta prendendo confidenza.” ipotizzò
Emily con
sguardo concentrato.
“Abbiamo già qualcuno che è
stato incaricato di occuparsi del caso?- domandò Rossi-
Voglio
dire: un medico legale capace di rimettere insieme i pezzi e dirci
come sono state uccise le vittime?”
“Il nostro antropologo forense ha la
mononucleosi ed è in quarantena e gli altri di cui dispone
l'FBI sono già oberati di lavoro senza dover occuparsi di
questo caso.- disse Hotch, che aveva già esaminato la
cartella
del caso la sera precedente quando, come al solito, era rimasto in
ufficio oltre l'orario di lavoro- Ho pensato che una consulenza
esterna fosse l'ideale.”
“Una consulenza esterna?” ripetè
Spencer, alzando la testa. Un campanello di allarme gli risuonava da
qualche parte a metà fra lo stomaco e il cuore, ma non
sapeva
dargli significato in quel momento.
“E chi pensavi di chiamare?”
domandò Prentiss, alzandosi all'unisono con tutti gli altri.
“Ho già contattato
qualcuno.-continuò il capo dell'Unità
Comportamentale-
È laggiù ad aspettare nell'open space.”
Annuirono distrattamente prima che
l'uomo ricominciasse a snocciolare direttive “Io e Rossi
andremo
dal capo della polizia, Morgan e Prentiss a parlare con le famiglie
delle vittime e Reid si occuperà della vittimologia. JJ,
voglio che prepari un comunicato stampa.”
Avevano già
conosciuto tutti il
dottor Davon Stein, antropologo forense di fama internazionale, ma in
quel nuovo incontro c'era qualcosa di sostanzialmente diverso.
L'uomo, i cui capelli canuti e le
numerose e profonde rughe del volto rivelavano l'età non
più
giovane, se ne stava in piedi, sorretto da un'unica stampella che
l'aiutava a muoversi nonostante la displasia congenita all'anca che
lo faceva zoppicare vistosamente, ad attendere con impazienza che
qualcuno lo ragguagliasse sul suo compito di consulenza per l'FBI.
Indossava una camicia azzurra a maniche corte e un cravattino a
farfalla gli stringeva il collo rinsecchito; se non avesse avuto sul
viso quell'aria arcigna e quello sguardo severo, sarebbe potuto
benissimo passare come un qualsiasi bonario vecchietto felice di
godersi gli anni della pensione.
L'agente Hotchner aveva ricevuto un
appunto su un seminario che il dottor Stein avrebbe tenuto a
Washington riguardo a delle nuove analisi forensi su resti
già
decomposti e potenzialmente non identificabili così, quando
JJ
le aveva fatto vedere la cartella di quel nuovo caso, il suo pensiero
era subito andato all'antropologo.
“Dottor Stein.” lo salutò,
allungando una mano per stringere quella dell'uomo.
“Spero che abbiate un buon motivo per
trattenermi qui.- disse l'altro, saltando i convenevoli e ignorando
la mano tesa- Quando mi avete chiamato stavo per l'appunto per
tornarmene a Baltimora.”
“Lo so. Ma abbiamo fra le mani un
caso piuttosto complicato.- spiegò, ignorando le cattive
maniere del professore- Tre uomini sono stati uccisi con estrema
violenza e probabilmente ci sarà la necessità del
parere di un esperto per identificare il tipo di fratture subite e
con quale oggetto sono state fatte.”
JJ gli porse la cartella del caso, ma
Stein alzò la mano con la quale non teneva la stampella per
rifiutare “Non mi interessano le vostre informazioni
superficiali.-
chiarificò - Mi ha detto che i corpi sono già nei
vostri laboratori, ho mandato la mia assistente a prendere le
cartelle di modo da poterle visionare.”
“Avrà a disposizione tutti gli
strumenti forniti dai laboratori federali di Quantico.”lo
informò
la bionda con tono professionale e trattenendo a stento una smorfia.
Era difficile apprezzare la compagnia del misantropo dottor Stein ma,
mentre gli altri se l'erano cavata con un veloce cenno di saluto, lei
e Hotch erano costretti a fare gli onori di casa.
“Dovrà solo rendere conto
delle sue analisi alla responsabile del caso, la dottoressa
Tanaka.”
continuò Aaron.
Il vecchio si lasciò sfuggire un
verso gutturale di disappunto. Non avevano capito se a causare quella
reazione fosse stato il fatto che doveva rendere conto a qualcuno
delle proprie azioni o perchè potesse effettivamente
conoscere
il capo dei loro laboratori.
Dietro di loro un trillo acuto avvisò
che l'ascensore era appena arrivato al piano. Stein si voltò
leggermente, giusto quanto bastava per riconoscere la ragazza che
stava per raggiungerli.
Poco più in là Spencer
Reid allungò il collo dalla propria scrivania verso le porte
ancora spalancate dell'ascensore e rimase inaspettatamente abbagliato
da un sorriso che gli stava diventando pericolosamente familiare.
Percorse il tratto
dall'ascensore
all'open space in una corsa goffa, trascinandosi dietro un trolley
arancione e che di certo aveva visto tempi migliori e cercando di non
farsi scivolare giù dalla spalla esile la tracolla di un
borsone stracolmo. Alaska Ross indossava una camicia indiana bianca,
che metteva in risalto la sua carnagione insolitamente abbronzata e
gli occhi chiari, e dei jeans leggermente consumati: sembrava una
ragazza pronta per il viaggio premio alla fine del college.
“Davon, quel laboratorio è un
paradiso per scienziati!” trillò, non appena
raggiunse JJ;
Hotch e il suo capo, che fece roteare gli occhi vistosamente, con
un'espressione scocciata dipinta sul volto.
“Ti stai forse lamentando del nostro
laboratorio, Quarantanove?”
“Dico che se avessimo più
fondi sarebbe meglio attrezzato.-specificò la giovane-
Vorrei
tanto un microscopio comparativo tutto mio e non da condividere con
il reparto tracce!”
“Ha portato la dottoressa Ross?” chiese Hotch,
sottolineando l'evidenza, sorpreso di incontrarla di
nuovo.
Lei rivolse finalmente la sua
attenzione anche a lui e JJ e fece sventolare una mano in segno di
saluto.
“Mi hai detto che potevo portare uno
dei miei assistenti.- borbottò Stein con voce monocorde- Lei
è
la migliore, soprattutto se tace un pò.”
Quando Reid aveva riconosciuto Alaska
una strana forza l'aveva costretto ad alzarsi e raggiungere i suoi
colleghi di fianco all'antropologo. Sembrava un fantasma o,
perlomeno, uno che un fantasma lo aveva appena visto e ciò
gli
impedì di parlare, almeno fino a quel momento.
“Credevo...credevo fossi in Guatemala
a...a tenere un corso sul riconoscimento dei cadaveri non
identificati al posto di Stein...”intervenne quindi Spencer,
senza
riuscire a non balbettare.
“Non sono in Guatemala.- sottolineò
l'ovvio lei, sorridendo- In effetti è stato un rientro
piuttosto improvviso...”
“Le è scaduto il passaporto.”
rilevò Davon, con un sospiro rassegnato. Era abituato alla
sbadataggine della propria assistente, ma costantemente rimaneva
stupito da quanto lei fosse in grado di rimuovere dalla propria mente
le cose più necessarie.
“Non è vero!-protestò
Alaska mettendo il broncio per un istante- Mi è scaduto il
visto, giusto in tempo per evitare la stagione delle
piogge...”
JJ la guardò con aria
compassionevole “E sei venuta direttamente qui
dall'aeroporto?”
“Davon ha detto che era urgente,
quindi ho fatto scalo a New York e invece di tornarmene a Baltimora
sono volata qui.” l'avevo detto come se fosse stata
un'equazione
logica, ma in effetti era la sola a crederlo. Per di più,
non
erano in molti quelli che potevano affermare di essere così
disponibili ad assecondare i capricci di Stein.
“Che stiamo aspettando, quindi?”
cinguettò di nuovo, con impazienza. Aveva fatto scivolare al
proprio fianco i bagagli e si era messa a tamburellare con impazienza
le dita sulle cartelle che teneva fra le mani.
“La dottoressa Tanaka.- la informò
Hotch- È la responsabile del caso e coordinatrice dei
laboratori forensi: vorrei presentarvela prima di lasciarvi al vostro
lavoro.”
“La dottoressa Tanaka?” ripetè
Ross, spalancando la bocca.
Il capo dell'unità di analisi
comportamentale annuì, mentre JJ e Reid aggrottavano le
sopracciglia confusi da quella reazione.
“Amy Tanaka?!” esclamò di
nuovo la giovane antropologa, le guance arrossate dall'emozione.
“Quarantanove ti prego, contegno.”
la richiamò all'ordine Stein, con tono secco.
Alaska si tappò immediatamente
la bocca con entrambe le mani, ma dai suoi occhi continuava a
trapelare l'evidente eccitazione per quella notizia.
“Quarantanove apprezza molto il
lavoro della dottoressa.” si decise a spiegare Davon,
stringendosi
nelle spalle. Personalmente non si capacitava di quell'interesse.
“Apprezzo?- ribattè Ross,
prima di iniziare a spiegare le proprie ragioni tanto velocemente da
rendere difficile seguire il discorso- Lei è decisamente la
migliore patologa forense dello Stato!Inoltre ha portato delle
innovazioni straordinarie nelle tecniche di laboratorio, senza
contare che le sue pubblicazioni sono sulle migliori riviste
scientifiche del mondo!La dottoressa Tanaka è
semplicemente...cavolo, sto andando in iperventilazione.”
JJ si mise una mano davanti alla bocca
per coprire la risatina che le era salita alle labbra, mentre Reid e
Hotch volsero lo sguardo verso una donna in camice bianco che si era
presentata alle spalle dei due antropologi.
La dottoressa Tanaka aveva un aspetto
severo, con gelidi occhi scuri e la bocca contratta in una linea
dura. I lunghi capelli, pura seta nera, erano raccolti sulla nuca in
una crocchia.
“Dottor Stein.” salutò
freddamente l'orientale.
“Dottoressa Tanaka.- le fece eco
l'antropologo con voce piatta- Non mi sarei mai aspettato di lavorare
ancora con lei. Questa è la dottoressa Ross, mi
assisterà
durante questo caso.”
“Quella ragazzina nel mio
laboratorio?- domandò, squadrando Alaska da capo a piedi-Non
direi proprio.”
Reid storse la bocca infastidito da
quell'ingiustificato disprezzo e Hotch stava per aprire bocca per
informare la dottoressa che avrebbero dovuto collaborare volenti o
nolenti, ma la voce di Stein lo precedette.
“Quarantanove perchè non
risolvi un po' delle scartoffie lasciate indietro dal tizio con la
mononucleosi?”
Alaska annuì, con il suo solito
sorriso imperturbabile sul volto.
“Che stai facendo?” domandò
la Tanaka, guardando con sospetto la giovane che sfogliava con foga
dei fogli che era sicura fossero stati presi dal suo laboratorio.
“Consulenza sui casi lasciati aperti
dal vostro antropologo, come mi ha chiesto Davon.- spiegò
semplicemente Ross, prima di iniziare a esaminare i casi che le
passavano fra le mani-Queste ceneri umane sono incomplete, il loro
volume e peso sono troppo inferiori alla media per essere associati
all'aspetto dei resti di un intero corpo umano. Questo
teschio?Abbastanza antico da dire che si può trattare di
resti
riportati alla luce da una sepoltura illegale, in ogni caso si tratta
di una donna afroamericana, di mezza età. Il pezzo di
avambraccio probabilmente è di un uomo, alto circa un metro
e
settantacinque. È stato trovato in mare?Perchè
questo
spiegherebbe il taglio della frattura che corrisponde con l'elica di
un'imbarcazione di qualche tipo. E le ossa di quelle mani non sono
classificabili come resti umani, appartengono a degli orsi, quindi
immagino che il caso non sia di vostra competenza.”
Sui volti di JJ e Reid si aprirono dei
sorrisi soddisfatti. Avevano avuto modo di conoscere la preparazione
professionale di quella ragazza, ma erano contenti che potesse
dimostrarlo anche in quel momento, cambiando l'impressione negativa
che si era creata la Tanaka.
“D'accordo, Davon.- tagliò
corto la giapponese, soprassedendo sull'aria strafottente del
collega- La tua assistente Dakota è dei nostri, ma non
intendo
farle da babysitter.”
“In realtà è Alaska.”
intervenne l'interpellata, divertita da quello sbaglio.
“Come?” sibilò la patologa,
stringendo gli occhi.
“Il mio nome è Alaska.-
ribadì- Ma se vuole possiamo fare che quando chiama uno
Stato
confederato risponderò io. Potrebbe non chiamarmi Washington
o
Colorado, però?Mi sembrano nomi maschili...”
“Allora- domandò il dottor
Stein, interrompendo uno degli usuali ed improbabili discorsi della
sua assistente- che cosa c'è di così complicato
da
richiedere il mio intervento?”
Alaska strinse le labbra e gli passò
la cartelletta riassuntiva che aveva recuperato dal laboratorio.
“Dov'è il corpo?” domandò
quindi, mentre si sporgeva oltre la spalla di Davon per osservare la
foto della scena del crimine.
“E' sulla foto.” fu la risposta
lapidaria della dottoressa Tanaka.
“Quello
è un cadavere?” buttò fuori con tono
incredulo. Era
difficile associare a delle figure anatomiche quell'ammasso di carne
e sangue.
“Così pare.” interloquì
il suo mentore, mentre avvicinava la foto al volto per osservarla
meglio con i suoi occhi compromessi dalla vecchiaia.
Sul volto della giovane comparve
un'espressione rammaricata “Oh.”
“Ci sarà da lavorarci
parecchio.” dichiarò quindi l'antropologo.
“Torno in laboratorio per procedere
con la rimozione dei tessuti?” si propose immediatamente la
ragazza, riprendendo la propria vivacità immediatamente.
“No.” la contraddisse la dottoressa
Tanaka.
“No?” ripeterono in coro Alaska e
Reid, cosa che causò al ragazzo un diffuso rossore al volto,
soprattutto quando la ragazza gli rivolse un sorriso divertito,
accompagnato da una strizzata d'occhio, per l'accaduto.
“No?!-sbottò Stein-Perchè
dai ordini alla mia assistente?”
L'orientale fece roteare gli occhi
spazientita prima di rispondere “Devo prima continuare con le
mie
analisi. Al momento le uniche cose che potete fare sono quelle che
non vi faranno toccare nulla che mi possa essere utile.”
“Quindi dovremmo analizzare quelle
ossa stando lontani dalle ossa?” riepilogò il
vecchio
antropologo, alzando scetticamente un sopracciglio.
“Vedo che hai mantenuto il tuo dono
della sintesi.” sibilò la donna, rivolgendogli uno
sguardo
di sfida.
Hotch strinse gli occhi mentre li
osservava. Era palpabile la tensione che scorreva fra i due luminari,
e non occorreva certo essere un profiler per capirlo. Sperò
vivamente che tutto ciò non compromettesse sul lavoro che
dovevano svolgere per venire a capo di quel caso.
“D'accordo.- capitolò Stein-
Io vado in laboratorio e vedo quali mezzi abbiamo a disposizione,
mentre tu, Quarantanove, fatti portare sulla scena del
crimine.”
“Lavoro sul campo!- trillò,
facendo un saltello sul posto- Vado a prendere un kit in
laboratorio.”
Primo capitolo
ufficiale!Olè!Come mi è stato fatto notare, non
ho specificato niente riguardo la storia durante il prologo. Ebbene
sì: questo è il seguito di Invisible
Women anche se non
ritengo sia necessario conoscere l'altra storia per capire questa: i
personaggi già conosciuti sono stati reintrodotti e quelli
nuovi sono nuovi per tutti, in più, se ci sarà
qualche riferimento alla storia precedente verrà ben
spiegato. In ogni modo, se volete leggere anche l'altra fatelo pure,
eh!Beware my friends, Alaska is back! ;) Fatemi sapere che pensate di
questo cap, besitos e alla prossima!JoJo
takara : Ma
ciao, my dear!Visto che velocità di pubblicazione?Non te lo
aspettavi, vero?Soprattutto dopo i miei soliti tempi da lumaca al
rallentatore!Che ne pensi dunque del primo capitolo ufficiale, o mia
assidua lettrice?Kisses JoJo
MissMiluna
: Wow!Davvero
grazie mille per il tuo commento, sono contenta che ti sia piaciuto lo
stile del prologo. Come vedi, il primo capitolo è di
tutt'altra pasta, ma spero che ti sia piaciuto lo stesso. Alla
prossima, besos JoJo
aliena : Lo confesso: mi ero
completamente dimenticata di dire che questa è la
continuazione della storia di Alaska. Sorry, ma soffro di disturbi alla
memoria a breve termine...uhm, anche quella a lungo termine ora che ci
penso!eheheh!Comunque sì:Alaska è tornata! :)
Sono contenta che le citazioni che scelgo siano di tuo gusto!Al
prossimo capitolo, un bacio JoJo
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Capitolo 3 *** Bloody day ***
Chi
può versare
sangue nero, sangue giallo, sangue bianco, mezzo sangue?
Il sangue non è
indio, polinesiano o inglese.
Nessuno ha mai visto sangue
ebreo, sangue cristiano, sangue musulmano, sangue buddhista.
Il sangue non è
ricco, povero o benestante.
Il sangue è rosso.
Disumano è chi lo
versa, non chi lo porta.
Ndjock Ngana
Route 29. Washington, DC.
“Lo sapevate che
quasi il venti per
cento della superficie di DC è costituita da
parchi?” disse
Alaska, sporgendosi in avanti facendosi perno con le mani su entrambi
i sedili anteriori.
Morgan e Prentiss si scambiarono
un'occhiata stranita. Hotch li aveva invitati a portare con loro la
giovane antropologa e a fargli vedere la scena dell'ultimo omicidio
prima di andare a parlare con i familiari delle vittime.
“Uhm...no.” ammise Emily, scuotendo
la testa e facendo ondeggiare leggermente i capelli corvini.
“Perchè tu lo sai, invece?”
si informò invece l'uomo alla guida.
“Adoro Washington.- spiegò la
ragazza- Spero di riuscire a visitarla, magari dopo aver finito la
mia consulenza per il caso...”
Morgan la guardò attraverso lo
specchietto retrovisore “Non sei mai venuta qui?”
“Sì, diverse volte.- continuò
Ross facendo sventolare una mano- Qualche visita ai musei, conferenze
e seminari, ma non ho mai girato molto. In effetti conosco meglio gli
alberghi, che la città vera e propria.”
Emily le sorrise incoraggiante “Sai
una cosa? Quando avremo chiuso il caso ti accompagnerò io a
vedere la città.”
Lo sguardo ceruleo di Alaska si accese
all'istante “Davvero?”
“Ma certo.” confermò la
donna, con una risatina causata dalla gioia che esprimeva l'altra.
“E io ti farò vedere i locali
in cui vale la pena fare una capatina.- si propose Morgan,
strizzandole l'occhio- Sembri una che sa come divertirsi.”
La ragazza si strinse nelle spalle con
un sorriso furbo, prima che l'uomo di colore continuasse a parlare.
“Comunque, cara Quarantanove, non
vorrai darcela a bere, vero?”
“Che cosa?- domandò Ross
confusa, cercando aiuto sul volto di Emily- E' vero che non ho mai
davvero visitato DC.”
“Sto parlando della tua presunta
ricerca in Guatemala.-le rinfrescò la memoria Derek- Io non
ci
credo, anche se ti sei sforzata di non sembrare troppo abbronzata,
secondo me ti sei fatta una bella vacanza a Cabo alle spalle di
Stein.”
“Mi dispiace, ma il mio cervello non
mi permette di elaborare piani tanto macchiavellici.- rise- E poi,
non sono molto abbronzata solo perchè mia mamma è
finlandese e mi ha passato un fototipo zero.”
“Davvero?- domandò Prentiss
incuriosita- Finlandese dalla Finlandia?”
“No, da Philadelphia.- rivelò
contenta- I miei nonni si sono trasferiti lì quando lei
aveva
quindici anni.”
Morgan annuì distrattamente: ora
capiva da dove arrivavano quegli occhi così marcatamente
azzurri. Lanciò uno sguardo d'intesa alla propria collega,
ma
lei gli rivolse un'occhiata confusa. Aveva capito che aveva in mente
qualcosa dall'espressione divertita che aveva dipinta in viso, ma non
era in grado, come Garcia, di decifrare così facilmente i
suoi
pensieri.
“Dimmi un po', bimba,-continuò
quindi a parlare l'uomo- che succede tra te e il nostro genietto
preferito?”
Alaska sbattè le palpebre prima
di rispondere con un'altra domanda “Perchè, avete
altri
colleghi con un QI decisamente sopra la media ma meno simpatici di
Spencer?”
“Era solo un modo di dire.” le
disse Emily.
“Meglio, sarebbe stato piuttosto
cattivo preferire qualcuno a qualcun' altro.”
ribattè con
una scrollata di spalle.
“Sai, se non fossi sicura del
contrario direi che stai evitando la domanda.” la
punzecchiò
divertita la profiler.
“Allora, Quarantanove?” incalzò
Morgan, con sguardo indagatore.
“Stiamo bene insieme, siamo molto
amici.- rivelò la mora con sincerità-
Perchè,
lui che vi ha detto?”
Il tono che aveva usato per porre la
domanda rivelava tutta la sua curiosità e il fatto che si
era
sporta ancora di più verso di loro aveva confermato la loro
ipotesi che teneva molto alla risposta. Certo, avevano letto
l'intonazione e il linguaggio del corpo, ma Alaska era così
trasparente che non occorreva certo essere profiler per capire che
gli importava molto del giovane agente dell'FBI.
“Sai com'è Reid, è
molto riservato sulle cose che non riguardano il suo cervello troppo
sviluppato.” scherzò Derek, senza però
andare lontano
dalla realtà.
“Non vi ha mai parlato di me?”
indagò l'antropologa, e i suoi occhi erano così
grandi
e carichi d'aspettativa che, anche se non fosse stato vero, le
avrebbero detto una bugia cosmica pur di accontentarla.
“Non senza arrossire come un peperone
e cominciare a balbettare.” rivelò Prentiss con un
sorriso
da Stregatto.
“Lo fa anche con me!- buttò
fuori in fretta- Sapete, credo che dovrebbe farsi vedere da un
dottore: la sua micro circolazione è piuttosto
bizzarra...”
Derek alzò gli occhi, esasperato
dall'ingenuità della ragazza, mentre Emily, più
comprensiva, si voltò verso di lei “Non credo sia
quello il
problema, Alaska.”
“Voi finlandesi fate troppo i finti
tonti, secondo me.” rincarò la dose l'uomo,
alzando le
sopracciglia.
“Io sono solo mezza finlandese, come
tara genetica dominante ho ereditato solo l'amore per le saune e
l'adorazione incondizionata verso Babbo Natale.-spiegò Ross
come se fosse logica pura- Ma davvero, non capisco a cosa ti
riferisci...”
Prentiss aprì la bocca, indecisa
se spiegarle cosa intendesse il suo collega oppure per cambiare
repentinamente argomento, abbandonando l'impresa di cercare di
mettere in imbarazzo la giovane riguardo il rapporto che la legava a
Reid.
“Siamo arrivati.” disse, staccando
una mano dal volante per indicare il palazzo dove era avvenuto
l'ultimo omicidio.
Wisconsins Avenue.
Washington, DC.
“Ok,
Alaska.”
Morgan si era fermato davanti alla
linea gialla che sigillava la scena e si era voltato verso la ragazza
con sguardo serio.
“Questo è il tuo pass.-
continuò, porgendole un tesserino plastificato attaccato a
una
cordicella- Te lo infili al collo e non te lo togli finchè
non
torniamo in auto, d'accordo?”
L'antropologa annuì sorridendo,
facendo ondeggiare le onde corvine dei suoi capelli.
“Non vorremmo che si ripetesse lo
stesso incidente della prima volta che hai visto Derek,
vero?”
punzecchiò Prentiss, cercando di non sghignazzare.
La prima volta che aveva visto
l'antropologa, il bell'agente FBI era rimasto spiazzato totalmente
dal fatto che la ragazza avesse un teschio nascosto nella borsa.
Morgan fece roteare gli occhi,
scocciato “Sì, davvero una storia divertente.
Garcia la tira
fuori almeno una volta al giorno.”
“Siete i tizi da Quantico?” domandò
un agente dall'aria burbera, mentre sollevava il nastro giallo per
farli passare.
I due profiler tirarono fuori i
distintivi, mentre snocciolavano il proprio titolo.
“Agenti Morgan e Prentiss.”
Stavano per presentare anche Alaska, ma
quando l'uomo puntò gli occhi interrogativi su di lei,
l'antropologa iniziò a parlare velocemente, col solito tono
scanzonato.
“Sono con loro anche io!- disse
sorridendo, mentre sollevava il suo pass e glielo sventolava sotto il
naso- Vede questo?Consulente dell'FBI!”
Prentiss le afferrò al volo un
bracciò, trascinandola all'interno con un sorriso
imbarazzato
sul volto.
Il corpo di Bill Port era stato trovato
in un parcheggio sotterraneo a pochi passi di distanza dalla sua
macchina. Quando un uomo di mezza età era tornato a prendere
la propria auto era inciampato in qualcosa di molliccio e quando
aveva abbassato lo sguardo aveva visto il cadavere. Perlomeno, quello
che ne restava.
I poliziotti che erano accorsi sul posto si erano
domandati come il pover'uomo non fosse morto di infarto a quella
vista.
“I parcheggi sotterranei mi hanno
sempre dato i brividi.” commentò Alaska ad alta
voce, mentre
sentiva l'aria fresca che le solleticava la pelle ancora calda per il
clima esterno.
“Forse perchè guardi troppi
film thriller.- ribattè Morgan- Sai, Quarantanove, non credo
nemmeno che tu possa vederli, senza la presenza di un adulto.”
“No, i film non c'entrano.- continuò
la ragazza seria, mentre si fermava simultaneamente con Emily di
fronte alla vera scena del crimine- È che, visto che qua
sotto
non batte il sole, la temperatura è più
bassa.”
“Posso farti una domanda?” chiese
la donna, mettendosi le mani sui fianchi mentre guardava la macchia
vermiglia che suggeriva cosa fosse successo lì sotto meno di
ventiquattrore prima.
“Anche questa è una domanda.”
le fece notare, senza perdere il tono spensierato.
Prentiss lo ignorò e continuò
a parlare “Come mai Stein ti ha mandato qua?Il corpo
è già
in laboratorio e quelli della scientifica hanno già fatto
tutti i rilevamenti e le foto.”
“Non credo che il corpo sia tutto al
laboratorio.” borbottò Alaska, inclinando la testa
di lato.
“Certo che è là,
Alaska.” le assicurò Morgan.
La ragazza allungò il braccio e
con l'indice indicò la copiosa chiazza di sangue ormai
rappreso che si trovava sull'asfalto.
“Fortuna che la scena non è
ancora stata aperta.-buttò fuori, iniziando a parlare
velocemente, portando al limite la sua voce sottile- Sapete, esistono
delle agenzie di pulizie specializzate nel ripulire da cima a fondo i
luoghi in cui sono avvenuti omicidi, suicidi o altri incidenti
spiacevoli!Se fossero già passati di qui avrei fatto un
viaggio a vuoto, non che mi sarei lamentata, sia ben chiaro: adoro la
vostra compagnia e le gite in macchina, anche se credo che dovreste
usare delle auto ibride ed ecologiche. Quelle a metano oppure
elettriche, la tecnologia di certo negli ultimi anni ha...”
“Alaska?” la interruppe l'uomo,
attirandosi addosso il suo sguardo confuso.
“Sì?”
“Stai perdendo il filo del discorso.”
L'antropologa aprì la bocca in
una “O” sorpresa e Derek, scuotendo la testa
rassegnato, le posò
una mano sulla spalla.
“Dunque, che cosa cerchi,
esattamente?” si informò, vedendola recuperare un
piccolo
computer portatile dalla borsa del laboratorio.
“Qualsiasi traccia di sangue.-spiegò
semplicemente- Ne determino l'angolo di impatto, le caratteristiche
di spruzzo e le proiezioni: questo dovrebbe aiutarmi a scoprire le
azioni svolte dall'assassino e da quelle voi potrete entrare nella
sua mente e cercare di capire cosa diavolo aveva in testa. In
laboratorio stanno già procedendo con l'analisi del sangue
per
verificare viscosità ed altre caratteristiche particolari
che
potrebbero aver cambiato le condizioni di spruzzo.”
Emily spalancò gli occhi scuri
“Sembra una cosa complicata.”
“Lo so, è per questo che ve
l'ho spiegato: per farvi capire quanto sia difficile il mio lavoro e
di quanto dovrete essermi grati quando scoprirò
qualcosa.”
Rivolse ai due profiler un sorriso
radioso e appoggiò il computer per terra, pronta a inserire
i
dati che avrebbe trovato. Prese un metro e iniziò a vagare
da
un punto all'altro di quella piccola zona del parcheggio sotto il
loro sguardo interessato.
“Ok.- esordì, dopo vari minuti
di silenzio in cui rimase concentrata e seria- La direzione verso cui
punta la parte più sottile della goccia è quella
da cui
è partito il colpo. Quindi il vostro US si trovava
qui.”
Si era spostata di nuovo, enfatizzando
le proprie parole con un ampio gesto delle braccia.
“US?” ripetè Emily confusa.
“Uomo Sconosciuto.- chiarificò
Ross con ovvietà- Non è così che lo
chiamate?”
Morgan scosse la testa, sorridendo “In
realtà è SI. Soggetto Ignoto.”
“Non è quello che ho detto?”
domandò Alaska, sbattendo le palpebre incerta.
“Non esattamente.” la informò
Prentiss, aggrottando la fronte.
“Ma il concetto era lo stesso, no?-
continuò l'antropologa con convinzione- Che differenza
fa?”
“Dicevi che l'SI si trovava qui?”
incalzò Derek, cercando di riportare quella conversazione
sui
giusti binari.
“Già.-riprese a parlare la
giovane, come se non si fosse mai interrotta- Ha attaccato Bill alle
spalle, colpendolo direttamente alla testa. Probabilmente lui si
è
girato per fronteggiarlo ed è stato colpito di
nuovo.”
L'uomo fece vagare il suo sguardo verso
i punti indicati dalla scienziata, soppesando bene le sue parole
“E'
una tua ipotesi o c'è qualcosa che ti fa dedurre tutto
ciò?”
Alaska annuì prima di
inginocchiarsi e fare segno ai due profiler di avvicinarsi
“Vedete
quella bolla d'aria? Vuol dire che all'interno di quella goccia di
sangue c'era anche della saliva, quindi viene dalla bocca.
Perciò:
colpo frontale. Dalla foto che ho visto del signor Port posso dire
che era un uomo atletico, capace di difendersi, quindi è
probabile che sia stato colpito alle spalle, la prima volta, cosa che
l'ha preso alla sprovvista.”
“Hai notato qualcos'altro?” si
informò Prentiss, impressionata.
“Ci sono numerosi schizzi di sangue
con tracce di materia cerebrale.- rivelò l'antropologa,
mentre
digitava qualcosa al computer- La forma allungata degli schizzi e la
distanza a cui si trovano dal luogo dove è caduta la vittima
ci dicono che il nostro US...”
“SI” la corresse immediatamente
Morgan.
“Quello che ho detto. Comunque, lui,
ha usato un attrezzo dalla forma allungata. Procederò ad una
ricostruzione dell'episodio in laboratorio.”
Si girò verso i due agenti
facendo un largo sorriso mentre chiudeva con uno scatto il portatile.
“Allora, adesso dove si va?”
Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Spencer Reid
inclinò leggermente
la testa di lato, aggrottando le sopracciglia pensieroso, mentre
osservava con intensità la cartina di Washington che
troneggiava nella loro sala riunioni.
C'era un campanello d'allarme che gli
risuonava in testa, quel segnale gli diceva che c'era qualcosa che,
nonostante fosse ben davanti ai suoi occhi, gli stava sfuggendo. Un
particolare troppo piccolo, forse, per poter essere notato
immediatamente, ma lui sapeva che era lì, da qualche parte.
Avrebbe dovuto rifletterci su ininterrottamente, come faceva di
solito, fino a che non sarebbe venuto a capo della situazione.
“Novità?”
La voce secca di Hotch lo fece
sobbalzare e, quando si voltò verso la porta, vide lui e
Rossi
che lo osservavano con aria d'attesa.
“La dottoressa Tanaka mi ha detto che
la parte più colpita, e su cui l'SI si è accanito
per
prima è la faccia.- snocciolò in fretta- Questo
ci
potrebbe far pensare che è proprio l'identità
delle
vittime la chiave.”
“Hai trovato qualche collegamento?” si
informò Dave, aggrottando la fronte.
“Nessuno.- continuò
Reid scuotendo la testa- Età diverse, diverse estrazioni
sociali, frequentavano zone diverse e non si conoscevano fra
loro.”
Hotch sbuffò sommessamente
“Quindi cosa abbiamo?”
“L'SI ha riversato su di loro la
propria rabbia cercando di annientare la loro identità
attraverso la distruzione fisica delle proprie vittime.- disse
velocemente il giovane profiler, brandendo la penna che reggeva fra
le mani come se fosse stata un'arma impropria- Ci dev'essere qualcosa
che hanno in comune e che fa scattare la furia omicida.”
“Non ci resta che scoprire cos'è.”
concluse Rossi.
Reid annuì “Il capo della
polizia che vi ha detto?”
“Che non era a conoscenza del caso di
Prince's George Country, altrimenti avrebbe richiesto prima il nostro
intervento.- spiegò Aaron, mentre spostava lo sguardo sulla
mappa geografica per accompagnare le proprie parole- Aveva
classificato l'omicidio di Logan Circle come un regolamento di conti
o una questione di droga.”
“C'è qualcosa che non mi torna
riguardo la distribuzione degli omicidi.- rilevò Spencer,
tornandò a voltarsi verso il tabellone- L'SI ha agito
inizialmente in zone problematiche e piene di criminalità,
dove il suo operato non sarebbe spiccato particolarmente.
Perchè
ha sentito il bisogno di spostarsi?”
“Forse ha acquistato maggior
sicurezza.- azzardò Rossi, meditabondo- Ha trovato una
stabilità nei propri gesti, in un certo senso ha confermato
il
proprio modus operandi in modo tale che possa agire dove vuole e non
solo in zone più facili.”
“Se è così dobbiamo
trovare qualcosa e in fretta.” concluse il capo
dell'unità
uscendo velocemente dalla stanza.
Reid tornò a sfogliare le
cartelle delle tre vittime, cercando di trovare un elemento comune
che collegasse i tre uomini, ma sentiva su di sé lo sguardo
di
Rossi.
“Non sembri contento che Stein abbia
portato anche Alaska.” parlò infatti l'uomo, dopo
diversi
minuti di silenzio.
“Come?- domandò confuso, la
voce più alta del solito- Io sono contento che sia arrivata
anche qui. Noi siamo amici.”
Dave annuì, scettico “Mmm”
Spencer stava tentando di controbattere
in maniera più convincente ma in quel momento, quello che
sembrava a tutti gli effetti un uragano troppo colorato
entrò
nella stanza, attirando lo sguardo dei due agenti su di sé.
Garcia ignorò momentaneamente le
loro espressioni interrogativi e fece scorrere i propri occhi
indagatori per tutta la stanza.
“Alaska non è qui.” borbottò
infine, scontenta.
“No, infatti.- ribattè Rossi
confus- Non dovresti essere dai tuoi computer a cercare dei
collegamenti nelle vite delle vittime?”
“Già fatto. Pare che quei tre
non abbiano mai condiviso nemmeno una corsa in metro.-
spiegò,
mettendosi a fissare Reid- Dov'è Alaska?”
Il ragazzo arrossì, dando fine
al contatto visivo “E' con Morgan e Prentiss sulla scena del
crimine-rispose, prima di iniziare a balbettare-P-perchè io
dovrei sapere dove si trova, poi?”
Dave e Penelope fecero roteare gli
occhi in sincronia
“Al massimo potevi trovarla nei
laboratori.” continuò a parlare l'uomo.
Garcia scosse la testa “Si dice che
la Tanaka voglia defenestrarla.”
“Si dice?” Dave alzò
un sopracciglio perplesso.
“Voci di corridoio.” disse
sibillina, facendo roteare la mano con noncuranza.
“Garcia?” la richiamò
l'agente più anziano, che voleva sapere quale fosse il
problema fra la loro patologa e la giovane antropologa.
“Odio i profiler.- commentò la
bionda sbuffando- Diciamo che ho fatto una piccola capatina anche ai
laboratori per conoscere la famosa Alaska. E credimi, laggiù
fra la nostra dottoressa musona e l'antropologo che non credo si
candiderà per Mister Simpatia, non scorre affatto buon
sangue.
E l'oggetto del contendere pare proprio essere la ragazza del nostro
G-man. ”
“Non è la mia ragazza!”
sbottò Reid, più rosso di un peperone.
“Come vuoi, genietto. In ogni caso,
non c'era. Ma non riuscirete a tenermela nascosta ancora per
molto!”
minacciò prima di uscire dalla stanza velocemente come vi
era
entrata.
Casa di Bill Port. Avon
Lane.
Washington, DC.
La gravità di
quanto era
successo il giorno prima era già dipinta a chiare lettere
sul
volto della signora Port. Quella che aveva aperto la porta pochi
secondi dopo che Morgan aveva premuto il dito sul campanello, era di
certo quella che sembrava una moglie perfetta. Lo stile di vestire
sobrio ed elegante, ma comunque comodo per accompagnarla durante le
mille faccende che l'impegnavano durante la giornata, una bambina di
poco meno di un anno aggrappata docilmente al suo collo, e il trucco
impeccabile nonostante tutto. Tuttavia, non ci volle molto ai tre per
notare le occhiaie profonde e la lucidità sospetta degli
occhi
rossi e stanchi.
“Sì?” domandò la
donna, con voce debole.
“Signora Port?- chiese conferma
Emily, prima che lei e Morgan tirassero fuori i loro distintivi-
Siamo gli agenti Prentiss e Morgan, dell'Unità di Analisi
Comportamentale dell'FBI e questa è la dottoressa Ross,
un'antropologa forense.”
“Antropologa forense?” ripetè
la signora Port, confusa.
“Sì. Sono come un medico
legale, ma mi occupo solo di ossa.- semplificò Alaska, prima
di posarle la mano su un braccio con fare consolatorio- Mi dispiace
molto per la sua perdita.”
La donna la guardò stranita per
diversi istanti, ma negli occhi limpidi della ragazza trovò
solo sincera compassione.
“Grazie.” rispose infine,
aggrottando la fronte incerta da quel comportamento invadente ma
stranamente rassicurante.
“E' una bambina deliziosa.- continuò
Ross con tono casuale-Vuole che gliela tenga mentre parla con loro
due?I bambini non dovrebbero ascoltare certe cose.”
La vedova la fissò spiazzata,
mentre quasi meccanicamente le consegnava la bambina “Grazie.
Sa
come...”
Alaska strinse quel fagottino fra le
braccia, sotto gli sguardi confusi di Prentiss e Morgan, mentre
seguivano in casa la signora Port “Quando avevo diciott'anni
mia
mamma ha avuto due gemelli. Me la cavo con questi esserini.”
L'antropologa sparì nella stanza
attigua, mentre la padrona di casa faceva accomodare gli agenti FBI
nella cucina grande e ariosa.
“Sappiamo che è un brutto
momento- esordì Emily- ma dovremmo farle qualche domanda su
suo marito.”
Dalle labbra secche della donna uscì
una risata senza allegria “Pare che tutti non vogliano che
fare
questo, ultimamente.”
“Sa se suo marito ha avuto qualche
scontro con qualcuno, di recente?” chiese Morgan.
La signora Port alzò le
sopracciglia “Certo. Mio marito era un avvocato e aveva un
temperamento particolarmente infiammabile. Non era raro che litigasse
con qualcuno, al lavoro, ma la cosa finiva lì.”
“Signora Port- continuò l'uomo
di colore cercando di soppesare bene le parole- ci sono stati altri
due omicidi simili a quello di suo marito. Crediamo possa trattarsi
di un assassino seriale.”
“Seriale.” ripetè con voce
atona, gli occhi immobili su un infisso della cucina.
“I primi due omicidi sono avvenuti in
zone piene di criminalità- continuò Prentiss-
C'è
la possibilità che suo marito possa aver frequentato quei
posti?Che fosse coinvolto in qualche tipo di affare che...”
“Mio marito non era un santo, se è
questo che intende, ma non era immischiato in alcun tipo di affare
illegale.- rispose, fissando lo sguardo su Alaska che vedeva giocare
con sua figlia attraverso la porta che dava sull'altra stanza- Non
meritava certo questo. Nessuno lo meriterebbe.”
I due agenti tacquero, incerti su cosa
dire.
“Abbiamo finito?” domandò
stancamente.
“Certo.- confermò Prentiss-
Può darsi che avremo di nuovo bisogno di lei...”
“Sapete dove trovarmi.” assicurò
la signora Port, mentre li scortava alla porta.
Morgan era andato a richiamare Alaska e
lei aveva riconsegnato la bambina nelle mani della madre.
“E' una bambina deliziosa.” le
assicurò, prima di seguire i due profiler lungo il vialetto
ben tenuto.
“Dottoressa Ross?” la richiamò
la voce, leggermente acuita, della vedova.
L'antropologa si voltò, confusa
“Sì?”
“Posso...posso chiederle una cosa?”
continuò la donna, non riuscendo a non balbettare.
“Ma certo.” sorrise comprensiva la
giovane.
“Bill ha sofferto molto?” buttò
fuori la frase tutto d'un fiato, e sul suo volto bello ma stanco si
leggeva chiaramente la paura della risposta. Quell'espressione fece
gelare la dottoressa sul posto, nonostante la canicola estiva.
Derek e Emily fissarono la ragazza
preoccupati, senza sapere bene cosa avrebbe risposto.
Alaska fissò gli occhi in quelli
della donna, rivolgendole il sorriso più dolce di cui
disponeva “No. Il primo colpo alla testa è stato
fatale.-
mentì- Non si è accorto di nulla.”
Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Quando tornarono agli
uffici di
Quantico, Alaska si sentì sollevata. Dopo quella della
signora
Port, avevano fatto altre due visite ai familiari delle prime
vittime, ed ora, appena tornati alla base, Emily e Derek si erano
fiondati a riferire tutto ai propri colleghi.
Ad aspettare lei, invece, ci sarebbe
stato qualche piano più in basso, il rassicurante caos che
governava quel piccolo universo che erano i laboratori forensi.
“Hey, Quarantanove!-la chiamò
Stein, che era tornato al piano del BAU per aspettarla-Ho quello che
volevi.”
La ragazza si voltò verso di
lui, sorridendo apertamente “Un pony?”
“No, del lavoro da fare mentre
l'arpia non ci permette di avvicinarci al corpo.-snocciolò
l'uomo facendo una smorfia- Devi fare la ricostruzione delle ossa
partendo dalle radiografie che ho fatto. Voglio che a partire da
quelle e da quello che hai scoperto sulla scena ricrei quello che
è
successo passo passo.”
La ragazza mora annuì “Vado
subito.”
“Tutto qui?- ribattè
sospettoso l'antropologo- Nessun “Davon non è
carino
appioppare soprannomi odiosi alle persone”?Nessun
“La dottoressa
Tanaka è una forza e non un'arpia”?”
“Lo sapevo che fingevi soltanto di
non ascoltarmi, quando ti dicevo queste cose.” sorrise Ross.
“Va tutto bene, Alaska?” indagò
Stein, guardingo.
“Certo, devo solo...devo andare in
laboratorio.- disse, iniziando ad avviarsi agli ascensori- La
ricostruzione non si fa da sola.”
Stava camminando verso l'ascensore, con
ancora gli occhi indagatori di Davon incollati alle spalle quando
incrociò lo sguardo di Reid, che stava uscendo dalla sala
riunioni in quell'esatto istante.
Il profiler alzò a mezz'aria la
mano, facendole un segno di saluto e lei gli rivolse un sorriso
luminoso.
I suoi occhi azzurri, però, ci
misero più del tempo necessario per socchiudersi
leggermente,
accompagnando propriamente quel gesto.
Fu in quel momento che Spencer si
accorse che in Alaska c'era qualcosa che non andava.
_____________________________________________________________________________________
Pubblicazione
del nuovo capitolo: check! Finalmente, oserei dire, magari dando voce
ai vostri pensieri, o miei cari e amati lettori!Firt of all: grazie
davvero tanto tanto tanto per i bei commenti!Mi hanno resa davvero
felice e sono contenta che la storia vi piaccia, che Alaska vi piaccia
e che, soprattutto, vi piaccia come scrivo. Tante tante grazie! E anche
chi ha letto, ho visto che siete in tanti e anche se non vi esprimete
vi dico ugualmente grazie! ; ) Detto ciò...il capitolo mi
è uscito un pò lungo, o almeno così mi
sembra, spero che non sia tedioso da leggere. Che ve ne pare
dell'evolversi della storia? Fatemi sapere, miei prodi!Besos JoJo
aliena : Grazie, che chiudi un occhio
sulla mia età. Però ti prego, voglio che continui
ad immaginarmi saggia e vissuta, con una gamba di legno e l'occhio di
vetro. Però i capelli rigorosamente senza tinta!eheheh!Bando
alle ciance, rispondo al commento: Garcia e Morgan sono un arma di
distruzione di massa, credo che la Cia li voglia assumere per
estrapolare informazioni ai nemici della nazione!Reid non
resisterà molto, credo...E la Tanaka avrà modo di
chiamare la nostra Alaska con i nomi di tutti gli stati confederati,
ora che finisce la ff! Al prossimo cap, un bacione!
kiry95: Urgh!Non moltissimi Alaska e
Reid insieme in questo capitolo, ma giuro che la situazione
migliorerà. Grazie mille per la recensione, sono contenta
che il capitolo ti sia piaciuto!Bacibaci
takara: Beata te che sei libera e felice
dalle incombenze!Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto, spero che
l'inizio sia all'altezza del resto della storia...Per quanto riguarda
il caso...a volte mi preoccupa cosa riesce a partorire la mia mente,
spero che chi legge non sia un "focalizzatore" come me e che non si
immagini tutte le scene cruente, bleah! E Tanaka...vabbè, se
la amo io che l'ho creata non vale, ma se mi dici che piace anche a te
sono soddisfatta!Alla prossima, kisses!
Maggie_Lullaby: Scusata!Non preoccuparti, ho
avuto un'educazione rigida e severa che mi costringe a essere una
dispensatrice di scuse da Guinness, eheheh!Sono contenta che sei
riuscita a recensire comunque, sono curiosa di sapere che pensi di
questo capitolo. Un baciotto!
|
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Capitolo 4 *** Goodnight! ***
Blu
scuro, è il
colore della notte dove si concentrano
e si bloccano i nostri
occhi, le nostre orecchie, le parole,
tutto quanto.
-Banana Yoshimoto
“Voglio che sia
riesumato il corpo.”
sentenziò Stein, lo sguardo determinato e la bocca stretta
in
una linea dura.Alaska fece una smorfia preoccupata,
mentre guardava il proprio capo formulare quella richiesta e poi
riposò lo sguardo su Hotch, che aveva alzato gli occhi
severi
sull'antropologo senza nascondere il proprio disappunto per quella
mancanza assoluta di gentilezza.
“Riesumare il corpo?” ripetè,
alzando un sopracciglio, ben sapendo che il vecchio si riferiva alla
prima vittima che era stata seppellita in una tomba senza nome dopo
che la sua morte era stata classificata come incidente d'auto.
“E' quello che ho detto.” confermò
Stein in un borbottio.
La ragazza fece qualche passo verso la
scrivania, gli occhi grandi e innocenti “La dottoressa Tanaka
non
ci ha ancora dato il permesso di rimuovere i tessuti, e per quanto
possa essere interessante utilizzare gli strumenti ipertecnologici
che il governo federale ci ha messo a disposizione, per farvi sapere
qualcosa di utile alla svelta dovremmo davvero analizzare qualcosa di
concreto.”
“Perchè gliel'hai ripetuto?-
sbottò Davon, fulminandola con lo sguardo- Hai solo sprecato
fiato allungando qualcosa che avevo già eccellentemente
sintetizzato io!”
Hotch ignorò quel commento “Non
avete davvero scoperto niente finora?”
“Dire che non abbiamo scoperto niente
sarebbe inesatto...” iniziò a dire Alaska,
mordicchiandosi
nervosamente il labbro inferiore.
“Da quanto si vede dalle radiografie
e dal rapporto presentato da Quarantanove sugli schizzi di sangue,
non abbiamo trovato alcuna corrispondenza.” rivelò
quindi
Stein, appoggiando ancora di più il peso sulla stampella che
lo sorreggeva.
“Sarebbe a dire?” domandò il
capo dell'unità di analisi comportamentale aggrottando le
sopracciglia.
L'antropologo alzò gli occhi al
soffitto, come se fosse scocciato dal fatto di spiegare una cosa
tanto elementare, ma Ross, intuendo che avrebbe dato l'ennesima
rispostaccia, parlò al suo posto “Sulla carta, al
momento,
il modo in cui è stato ucciso Bill Port non coincide con il
sangue ritrovato sulla scena.”
“E da qui ritorniamo al fatto che
esigo quel cadavere al più presto.- ribadì Davon-
Quando avremo fra le mani delle ossa vere e non delle stupide
radiografie riusciremo a raccapezzarci di quanto ora ci
sfugge.”
“D'accordo.- acconsentì Aaron,
mettendo mano al telefono per ordinare immediatamente quella
riesumazione- Alaska, tu puoi procedere anche all'identificazione?Ci
sarebbe utile per la vittimologia.”
“Dipende dalla condizione dei resti,
ma sono certa di poterci provare.” confermò la
ragazza con
un largo sorriso sul volto, felice di rendersi utile
“Non appena avrà finito di
fare il suo lavoro, ovvero assistermi.” disse prima di uscire
dall'ufficio di Hotch col suo passo sciancato.
Alaska fece roteare gli occhi
teatralmente prima di mimare uno “Scusalo” in
direzione dell'uomo
in giacca e cravatta seduto alla propria scrivania.
Circa mezz'ora dopo, gli uffici vicino
al laboratorio forense assegnato ai due consulenti esterni era nel
caos. Analisti e membri della scientifica abbandonavano i propri
posti di lavoro per passare, con una scusa qualsiasi, di fronte alle
pareti di vetro di quella grande e caotica stanza, solo per dare una
sbirciatina a quello che stava succedendo al suo interno. Tuttavia,
si dileguarono tutti non appena il volto irato dell'antropologo di
cui avevano sentito tanto parlare e la faccia, altrettanto furiosa,
del loro capo ritornarono ad imperversare in quei corridoi sempre
brulicanti di gente.
Davon Stein spalancò la porta
con violenza, permettendo alla melodia ritmata di diffondersi ancora
di più oltre l'uscio di vetro rinforzato lungo gli intricati
corridoi dei laboratori forensi di Quantico.
Alle sue spalle, la patologa Amy Tanaka
si era pietrificata sul posto osservando inorridita la scena che si
ritrovava di fronte. In quella piccola ala del laboratorio, il suo
laboratorio, la dottoressa Ross si muoveva fra i tavoli colmi di
provette, radiografie e campioni di tessuto seguendo il tempo di una
canzone trasmessa a tutto volume da uno dei computer accesi. Non
riusciva a cogliere le parole, che sembravano essere in una lingua
straniera che non aveva mai sentito, ma era troppo orripilata da
quella situazione per prestarci davvero attenzione.
“Quarantanove, cosa avevamo detto
riguardo quell'orribile musica?” sbottò Stein a
voce alta,
cercando di farsi sentire al di sopra di quei suoni cadenzati conditi
con versi rigorosamente in suomi.
Alaska sembrò accorgersi solo in
quel momento della presenza dei due superiori e, per niente
imbarazzata e senza nessun senso di colpa, si voltò verso di
loro “Che è ottima per ballarci sopra e che rende
il
laboratorio più allegro mentre procediamo con le
analisi?”
domandò con tono allegro.
La dottoressa Tanaka la incenerì
con lo sguardo “Spegnila immediatamente.”
sibilò.
La ragazza sporse il labbro inferiore,
in un'espressione imbronciata, mentre iniziava a spiegare “Ma
è
più facile per me lavorare così: ho una memoria
di tipo
plurisensoriale quindi se associo a ciò che vedo e tocco con
mano anche dei suoni, non ho assolutamente bisogno di prendere
appunti e tu, Davon, lo sai come la penso sullo spreco di carta e qui
all'FBI non usano nemmeno quella riciclata!”
“Spegnila e basta.” tagliò
corto Stein, senza nascondere quanto fosse infastidito dal fatto che
per una volta si trovava d'accordo con la patologa di origini
nipponiche.
“Così almeno riusciremo a
parlare come persone civili.- si intromise Rossi, entrando nella
stanza seguito da Reid- Sai che sentire musica a quel volume rischi
di comprometterti i timpani?”
Alaska rivolse ai due profiler un ampio
sorriso mentre spegneva le casse del computer.
“Pare che i federali non credano che
abbiamo effettivamente fatto qualcosa oggi, perciò hanno
mandato questi due ad interrogarci.” le spiegò
Stein, mentre
si lasciava cadere su una sedia e appoggiava la stampella di fianco a
sé.
“Hotch ha detto che avevate qualcosa
da comunicarci riguardo al modo in cui le vittime sono state
uccise.”
disse quindi Spencer, facendo saettare i suoi occhi scuri verso i tre
scienziati. Si fermò per qualche secondo di troppo sul volto
di Alaska e, contrariamente a quanto aveva pensato, non
trovò
alcun segno di cedimento o debolezza, a differenza di quanto aveva
colto qualche ora prima. Forse, si ritrovò a pensare, aveva
confuso quelle occhiaie nascoste dall'abbronzatura e probabilmente
causate dal repentino cambio di fuso orario, per qualcosa di
più
problematico.
Tanaka riprese a parlare, sfogliando
una cartella che aveva preso dal ripiano di fronte a lei “In
effetti ci sono delle cose che forse potreste aiutarci a capire,
visto la vostra capacità di intuire cosa passa per la testa
degli psicopatici.”
Rossi fece una smorfia: non gli piaceva
il suono della voce di quella donna e nemmeno come definiva il suo
lavoro anche se, in effetti, aveva centrato il punto.
“Parla pure, Alabama,- continuò
la patologa con tono di sufficienza, mentre guardava la ragazza che
sembrava morire dalla voglia di spiegare quanto aveva scoperto- e ti
prego sii normale, se ti riesce.”
Stein fece roteare gli occhi
teatralmente mentre i due profiler e la donna si erano posizionati
alle spalle della giovane antropologa per osservare lo schermo su cui
aveva lavorato.
“Questa è la ricostruzione che
ho fatto di quanto è successo.- esordì Alaska
mostrando
con un gesto della mano lo schermo del computer che aveva di fronte- Ho
inserito nel pc i dati che ho raccolto sulle macchie di sangue e
quelli riguardanti Bill Port, altezza, peso, stazza. Poi, ho aggiunto
una figura standard con caratteristiche fisiche medie per
interpretare l'assassino e gli ho assegnato un'arma arbitraria che
potrebbe coincidere con quella usata realmente.”
“Che cosa hai usato?” si informò
Spencer, gli occhi fissi sul monitor.
“Una mazza da baseball.”
“Uno degli sport americani per
eccellenza.- commentò Dave- Chi non ne ha una in
casa?”
“Io.” risposero all'unisono Alaska,
Reid e Stein.
“Torneremo più tardi sul
concetto di domanda retorica.-sbuffò la Tanaka- Ora vai
avanti, Ohio.”
“E' proprio qui che nascono le
stranezze.-continuò Ross alzando il dito indice- Da quanto
io
e Davon abbiamo potuto osservare dalle radiografie delle ultime due
vittime, pare che siano effettivamente state picchiate con una mazza
da baseball, o comunque qualcosa di simile...”
“Ma?” incalzò Rossi, che si
aspettava una rivelazione da un momento all'altro.
“Ma le macchie di sangue dicono
tutt'altra cosa.” concluse Alaska stringendosi nelle spalle.
Avviò la ricostruzione e sugli
schermi che si trovavano sulla parete di quell'ala del laboratorio
l'uomo, anonimamente grigio, che reggeva l'arma cominciò ad
accanirsi sulla vittima, secondo uno schema cronologico elaborato da
Stein in base alle fratture.
In rosso, era evidenziato come gli
schizzi di sangue si sarebbero dovuti diffondere sull'asfalto e la
parete attigua. Ross digitò qualcosa sulla tastiera e in
pochi
istanti l'immagine degli schizzi reali e di quelli ricostruiti si
ritrovarono affiancate.
“Non coincidono.” osservò
Rossi, spalancando gli occhi.
“No, infatti.” sospirò la
ragazza, scuotendo piano la testa.
“Sei sicura di aver inserito
correttamente tutte le variabili?- indagò Reid-
Umidità?Temperatura?Caratteristiche esterne del luogo come
la
pendenza e....”
“Ho controllato più volte,
Spencer.- gli assicurò Alaska stringendosi nelle spalle
costernata- Non coincide.”
“I calcoli sono stati fatti
correttamente.” tagliò corto Stein.
La dottoressa Tanaka si avvicinò
allo schermo, con l'aria di sufficienza che la caratterizzava
“Sulla
scena mancavano totalmente le macchie passive.”
“Quelle dovute allo sgocciolamento
dovuto alla forza di gravità.” spiegò
Reid ad alta
voce.
“Esatto.-confermò la donna
prima di proseguire- Abbiamo invece schizzi a bassa e media
velocità,
che sarebbero adeguati alla nostra ricostruzione, ma oltre a quelli
ce ne sono anche a velocità alta, e questo non ha senso:
sarebbe dovuta esserci un altro tipo di arma a fare quello.”
“Devo assolutamente vedere quelle
ossa da vicino.” ripetè Stein, per l'ennesima
volta da
quando era arrivato al BAU.
“Non ancora, Stein.” lo contraddì
Tanaka.
I due luminari iniziarono a
battibeccare come al solito e Reid e Rossi si ritrovarono a
distogliere lo sguardo scioccati.
“Fanno sempre così?” domandò
Dave ad Alaska, la quale si limitò a stringersi nelle spalle.
“Sapete- disse alzando gli occhi da
quelle immagini sanguinolente- Washington non ha avuto una bandiera
fino al millenovecentotrentotto. Negli anni venti hanno creato una
commissione, presieduta da Dubois, per trovare un disegno adatto e
hanno preso spunto dallo stemma di famiglia di George
Washington.”
“Ah, sì?” ribattè
Rossi, aggrottando le sorpacciglia confuso da quel cambio di
argomento. Non era raro che Alaska facesse commenti totalmente
casuali ma, doveva ammetterlo, rimaneva spiazzato ogni volta.
“Io lo sapevo.” si affrettò
a dire Spencer.
Quello scambio di battute sembrò
distogliere l'orientale dal proprio irritante collega
“Dottoressa
Ross la prossima volta che le viene in mente qualcosa di non
pertinente con il suo lavoro, la inviterei a tacere.”
“D'accordo.-asserì Alaska, con
una scollata di spalle- Posso assistere alle sue analisi mentre
aspettiamo i resti della vittima non identificata?”
La Tanaka la guardò con una luce
quasi divertita negli occhi scuri, credendo che fosse uno scherzo di
cattivo gusto, ma quando vide serietà in quelli della
giovane
tornò alla propria espressione ostile
“No.” buttò
fuori, come se stesse sputando una medicina amara.
“E se le giurassi di stare in
silenzio?” tentò di nuovo la giovane antropologa.
“Fammi pensare...no!” ribadì
la patologa, inorridita dal pensiero di dover avere alle calcagna
quella ragazza. Non sapeva esattamente cosa la irritasse di
più,
se l'aria da svampita da film in bianco e nero, o se
quell'insopportabile buonumore che non sembrava mai abbandonarla.
Ciò
che sapeva è che si sentiva meglio se non l'aveva fra i
piedi.
“La prego. -supplicò di nuovo
Alaska- Voglio solo osservare le tecniche che
utilizzerà.”
“Non
mi interessa, questo non è un laboratorio
didattico.” ribadì
la dottoressa Tanaka, alzando il mento.
Stein sbuffò, anche se
mentalmente registrò quella frase per riutilizzarla con chi
si
aggirava nel suo laboratorio del Maryland senza autorizzazione; nel
frattempo Rossi e Reid erano incerti se potevano andarsene senza
dover temere a una qualche conseguenza negativa per Alaska.
“E se glielo chiedo per favore,
mettendomi in ginocchio?” continuò la ragazza, che
probabilmente ignorava il significato di un rifiuto.
“Tu!- sibilò la donna, rossa
in viso-Tu sei la ragazzina più irritante esistente sulla
faccia della terra.”
Questa frase sembrò colpire Ross
talmente che abbandonò subito la propria crociata. Dave la
guardò scettico, incerto se interpretare positivamente quel
silenzio improvviso.
“Non può dirlo.” disse con
sguardo concentrato, riprendendo a parlare dopo qualche secondo.
“Come?” domandò Tanaka,
alzando un sopracciglio.
“Beh,- iniziò a spiegare
convinta la mora- per affermare una cosa del genere dovrebbe
conoscere tutte gli abitanti del pianeta e non credo proprio che
lei...”
“Ok, Quarantanove, è proprio
il caso che tu ti prenda una pausa ora.” proruppe Stein,
intuendo
la tempesta che stava per arrivare.
“D'accordo.- trillò Alaska,
come se quella proposta, di punto in bianco, fosse perfettamente
logica- Avevo giusto fame.”
Trotterellò fuori dalla stanza e
Reid e Rossi la seguirono, cogliendo al volo un'occasione per
lasciare i due eccentrici luminari.
“Sapete- esordì Alaska, non
appena si ritrovò davanti alla macchinetta che distribuiva
merendine nell'area relax- non mi ero accorta di avere così
tanta fame da quanto Davon non ha menzionato del cibo!”
“E' perchè eri impegnata in
altro- si ritrovò a spiegare Reid, parlando a macchinetta-
quando il nostro cervello è impegnato in attività
diverse riusciamo a non focalizzare l'attenzione su certi stimoli.
Come per il dolore: mia madre quando mi disinfettava i tagli quando
ero piccolo esercitava una leggera pressione su un'altra parte del
corpo di modo da impedire al mio cervello di concentrarsi sul senso
di bruciore. Dipende dal fatto che...”
“Ok, abbiamo capito.-lo interruppe
Rossi con un'occhiata rassegnata, prima di consegnare all'antropologa
una banconota da un dollaro- Da quand'è che non mangi?Sei
arrivata dall' areoporto e non ti ho vista fermarti un
attimo.”
Ross alzò gli occhi celesti,
riflettendo su quella domanda “Guatemala.”
sentenziò
infine.
“E...e da quand'è che non
dormi?” indagò Spencer, che ancora non aveva
abbandonato
l'idea che qualcosa nella ragazza non andasse.
“Guatemala.” ripetè, con lo
stesso tono gioviale.
In quel momento entrò nella
stanza JJ, reggendo fra le mani un fascicolo che stava sfogliando.
“Oh!- esclamò quando alzò
gli occhi su i due colleghi- Vi stavo giusto cercando...”
“JJ!” trillò Alaska,
abbracciando di slancio la bionda con disinvoltura.
La donna la strinse in risposta,
lanciando a Reid e Rossi un sguardo stranito da sopra le spalle.
“Mi fa piacere vederti, Alaska.”
borbottò confusa, mentre si separavano.
“Mi è dispiaciuto non averti
salutato, stamattina.- spiegò la ragazza- Davon dice che non
rispetto gli spazi personali altrui e poi c'era la Tanaka, ero un po'
emozionata perchè lei è una specie di mito, per
me.
Comunque i vostri laboratori sono fantastici, così grandi e
tecnologici e...Credi che dovrei mandare una lettera di
ringraziamento a qualcuno?Tipo al direttore dell'FBI o al
presidente?”
“Alaska!” la richiamò Reid,
col tono di un genitore che richiama il figlio troppo esuberante. Non
ricordava quando avesse preso quell'abitudine, ma quando
l'antropologa perdeva il filo del discorso in quel modo, sentiva il
bisogno di riportarla sui giusti binari.
JJ fece una risatina, scambiandosi uno
sguardo divertito con Rossi “Quindi, ti trovi bene
qui?”
“Oh, sì, grazie!- continuò
a parlare la mora, mentre estraeva una barretta di cioccolato dalla
macchinetta- Sai, a Baltimora non avevo un attimo di respiro: c'erano
i compiti degli studenti di Davon da correggere, seguire i
tirocinanti per evitare che combinassero disastri in sala autopsie,
chiamate da ogni punto della città per consulenze e
rilevamenti...Devo dire che lavorare su un solo caso alla volta
è
decisamente rilassante.”
I tre la fissarono esterrefatti.
C'erano diversi modi per definire quel caso: orribile,
spaventoso...di certo non rilassante.
Alaska ci mise qualche secondo di
troppo prima di decifrare le loro espressioni “Non che io
ritenga
rilassante trattare un caso del genere...- si ritrovò a
giustificarsi-io volevo solo dire che...”
“Lo abbiamo capito, Alaska.- la
rassicurò Dave, posandole una mano sulla spalla- Quindi ti
trovi bene qui?”
“Molto.- sorrise Ross- In realtà
sono tutti davvero carini con me, giù al laboratorio. Potrei
abituarmici.”
Spencer non trattenne una smorfia
infastidita “Non ne dubitavo.” sbottò.
“Di cosa?” gli domandò la
ragazza, fissandolo interrogativa.
“Del fatto che siano tutti carini con
te.” borbottò di nuovo, distogliendo lo sguardo.
JJ e Rossi capirono immediatamente qual
era il problema del giovane collega.
“Perchè?” chiese di nuovo
Alaska, sinceramente confusa.
“E' molto difficile non trovarti
simpatica se sei aperta e affettuosa con tutti quelli che
incontri.”
berciò Reid, con un tono più secco di quanto si
aspettasse.
L'antropologa spalancò gli occhi
e lo guardò stranita, non afferrando completamente il
perchè
di quel commento.
“Quello che Reid voleva dire-
intervenne Dave per salvare la situazione, avvolgendo un braccio
intorno alle spalle della ragazza e stringendola in un mezzo
abbraccio paterno- è che sei una ventata di aria fresca qua
dentro. Una novità dai grandi occhi azzurri e un bellissimo
sorriso, è ovvio che tutti siano carini con te.”
“Ok, forse non proprio tutti.”
rettificò, pensando alla Tanaka e agli sguardi fulminanti
che
rivolgeva ad Alaska.
“Uh, noi dobbiamo andare.” aggiunse
JJ, lanciando uno sguardo carico di significato a Spencer, che se ne
stava in piedi impacciato, appoggiato ad un mobile.
“Andare?” indagò, uscendo
dal suo stato di trance.
“Sì, a fare una...cosa.”
confermò incerta, mentre anche Rossi capiva le intenzioni
della donna.
Alaska cercò di seguirli verso
l'uscita “Vi serve una mano?”
“Oh, no.-assicurò JJ agitando
i palmi- Voi due rimanete pure qui.”
Prima che se ne andassero, però,
Reid non potè non notare gli sguardi che si scambiarono i
due
colleghi: gli sguardi di due che la sapevano lunga.
Deglutì rumorosamente e tornò
a fissare i propri occhi in quelli dell'antropologa, guardandola come
se fosse il peggior SI con cui avesse mai avuto a che fare.
Da come Alaska continuò a
sgranocchiare la propria barretta, fissando il giovane profiler con
aria svagata, si poteva capire che il silenzio non la infastidiva.
Non si poteva di certo dire la stessa cosa di Reid: si sentiva
nervoso e tremendamente imbarazzato, il che era piuttosto stupido.
Era uscito diverse volte con l'antropologa, e non aveva mai sentito
quell'agitazione. Probabilmente, pensò, riguardava il fatto
che si trovavano al BAU e che lui era abituato a tenere la propria
(poca) vita privata separata da quella lavorativa.
“Quindi...uhm...- iniziò a
parlare nervoso- ti è piaciuto il Guatemala?”
“Un'esperienza interessante, devo
ammetterlo. - confermò la giovane con un sorriso-Tu hai
fatto
qualcosa di interessante mentre non c'ero?”
“No, io ho...abbiamo avuto un paio di
casi importanti e poi sto ancora preparando la mia tesi per la laurea
in filosofia e...”
“Dicevo nel tempo libero.-rise
Alaska, fissandolo intensamente- Hai fatto qualcosa di bello?”
“No. Non ho fatto niente di che.-
rispose Spencer, sentendosi un perfetto idiota- Tu...tu ti sei
divertita con tutte le persone che hai conosciuto
laggiù?”
“Sì. Ma mi mancavi tu.”
disse con naturalezza, mentre mandava giù l'ultimo boccone.
Reid arrossì violentemente
iniziando a balbettare in modo sconclusionato“I-io...A-anche
tu...Anche tu mi...”
“Devo per forza mangiare ancora una
di queste.-lo interruppe la ragazza mentre inseriva un'altra
banconota nella fessura della macchinetta- Sai, ne mangio sempre due
alla volta.”
“Perchè devi mangiare sempre
due barrette alla volta?”
“Come?” domandò, mentre si
rialzava con in mano la merendina.
“Hai appena detto che ne mangi sempre
due alla volta.-spiegò Spencer- Sembrava una specie di
regola,
perchè?”
“Perchè così butto
sempre due carte e non una sola.” disse semplicemente Alaska,
rigirandosi il piccolo pacchetto fra le mani.
Reid aggrottò le sopracciglia
“Non credo di capire il nesso.”
“Quando ero piccola credevo che gli
oggetti avessero un'anima, così, quando buttavo la carta di
una caramella o di qualcos'altro pensavo si sentisse sola e ne
mangiavo subito un'altra perchè andasse a farle compagnia
nel
cestino.” rivelò sorridendo a quel ricordo. In
realtà,
era stata sua madre, che in quel momento stava attraversando una fase
animista piuttosto convinta a spiegargli quella cosa, e lei con la
sua mentalità da bambina aveva creato su quanto appreso una
propria filosofia di vita.
“Una storia carina, ma non ha senso.-
commentò il profiler, sinceramente confuso- Gli oggetti non
hanno un' anima e in effetti, non è nemmeno dimostrabile che
la abbiano gli esseri umani o gli animali...”
Ma Alaska non parve prendere troppo sul
serio le sue proteste “Continuo a farlo perchè non
sono
ancora del tutto certa che non sia vero.”
“Sei una scienziata, non trovi strano
credere in queste cose?” domandò Reid, guardandola
interrogativo.
“No, perchè?- ribattè
la ragazza sbattendo le palpebre-Non c'è niente che provi
che
l'anima non esista.”
“Quindi fino a prova contraria tu ci
credi?” indagò di nuovo Spencer. Voleva cercare di
capire il
pensiero, ma gli risultava difficile. La razionalità era il
suo regno, non il caos che sembrava fare a capo ai ragionamenti
dell'antropologa. Eppure, in quel momento, non riusciva a trovare
qualcosa di effettivamente illogico in quello che diceva.
“Esatto.” confermò Alaska,
lasciando che un sorriso le si allargasse sul viso.
“Quindi, seguendo questo modo di
pensare, credi anche agli angeli, agli unicorni, ai puffi?”
ricapitolò, sempre più incerto.
Ross annuì, facendo ondeggiare i
capelli corvini “Certo, sono una persona molto
coerente.”
“E' del tutto assurdo.” sospirò
Spencer, scuotendo la testa.
“Come quella tua cravatta, ma mi
piace lo stesso.” rise la ragazza, appoggiando con noncuranza
la
propria mano sull'indumento, sfiorando immancabilmente il petto di
Reid.
Lui si irrigidì all'istante. Non
gli ci era voluto molto per capire che Alaska apparteneva a quel
genere di persone che non hanno problemi nell'invadere lo spazio
personale altrui, ma ogni volta che lo sfiorava, candidamente e senza
malizia, non poteva far altro che imbambolarsi e sentire il proprio
cuore iniziare a galoppare a mille, come impazzito.
Deglutì a vuoto, sperando che
l'antropologa non si accorgesse di quanto stesse arrossendo.
Vedeva i suoi occhi vivaci puntati sul
suo viso, per niente consapevole dell'imbarazzo che gli stava
causando, e cercò di aprire la bocca più volte
cercando
di iniziare un discorso di qualsiasi tipo, possibilmente uno in grado
di convincerla di allontanarsi da lui dandogli il tempo di ritornare
a pensare lucidamente, ma l'unica cosa che gli riuscì fu di
fornire una triste imitazione di un pesce rosso.
“Sai che Washington è stata
costruita secondo un progetto ispirato al parco di Versailles, come
una sorta di ringraziamento ai francesi per il loro contributo
durante la guerra d'indipendenza?” disse di punto in bianco,
con il
solito largo sorriso sul volto.
Il cervello del profiler urlava che,
sì, lui sapeva di quella cosa, ma la sua bocca e le sue
corde
vocali non volevano ancora collaborare. Reid cominciò a
pensare che forse si era rotto qualcosa a livello nervoso ed era
quello a causare quell'irritante afonia.
“Reid!”
Non appena sentì la voce di
Derek il ragazzo fece un balzo improvviso che lo portò
direttamente dalla parte opposta dell'area relax, allontanandolo da
Alaska. Lei, a differenza sua, non aveva sul volto l'espressione di
essere stata colta in flagrante. In flagrante di cosa, poi?
L'agente di colore fece passare lo
sguardo da uno all'altra per un istante, ma poi tornò a
fissare il serio il proprio collega.
“S-sì, Morgan?” riuscì
a balbettare, voltandosi verso l'uomo affacciato alla porta.
“Dobbiamo andare, Reid.- disse con
tono grave, facendogli cenno di seguirlo- C'è stata un'altra
vittima.”
Il giovane camminò veloce dietro di lui
“Un'altra vittima?” ripetè, di nuovo
concentrato.
“Già- confermò Derek-
stesso modus operandi, ma ha cambiato di nuovo zona.”
“Devo venire anche io?” pigolò
Alaska alle loro spalle. Li aveva seguiti così discretamente
che nemmeno se ne erano accorti.
“No.- le spiegò Morgan-
Verranno Stein e Tanaka per i rilevamenti, tu dovrai rimanere al
laboratorio: fra un po' arriverà il corpo
riesumato.”
L'antropologa annuì, fermandosi
sul posto e rimanendo per un po' a guardarli mentre si allontanavano
in quelli che, per lei, erano corridoi troppo intricati e
labirintici.
Quando non furono più in vista,
si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.
Quando sentì la porta del suo
ufficio aprirsi rumorosamente, Garcia era già pronta a
inveire
contro chiunque si fosse introdotto così sgarbatamente nel
suo
regno.
“La mia unica salvezza!Finalmente!”
strillò Alaska, entrando nella sala computer di Penelope
come
una furia.
La bionda si voltò verso di lei,
roteando sulla sua sedia da ufficio “Alaska Ross?”
“La dea della tecnologia, vero?Sei
l'unica che può aiutarmi!” implorò,
sventolando con
entrambe le mani un computer portatile.
“Problemi con il pc?” rise Garcia,
togliendogli il portatile dalle mani.
“Già.- ammise la mora,
lasciandosi scivolare su una sedia- Vogliono che qualsiasi cosa che
riguardi il caso non sia memorizzata sul mio portatile e quindi me ne
hanno dato uno del governo.”
Penelope alzò un sopracciglio “E
non funziona?”
“No!Quel computer mi odia!-
piagnucolò Alaska, facendo una buffa smorfia infastidita-E
sì
che, essendo un federale, dovrebbe essere buono con i cittadini e
gentile e collaborativo...”
“Fammi vedere, nocciolina.” disse
risoluta la bionda, iniziando a trafficare con quel pezzo di
tecnologia ribelle.
Alaska sporse il collo verso di lei,
cercando di capire cosa stesse facendo “Sai, gli ho anche
parlato,
ho usato vezzeggiativi molto carini, ma lui è davvero
insensibile e mi ha ignorato.”
“Ogni tanto lo fanno, credo che sia
per un bisogno d'attenzione.” confermò Garcia con
tono
leggero.
“L'ho anche chiamato stronfolottino,
che non so cosa voglia dire, però lo trovo
delizioso.”
rivelò l'antropologa.
Ci vollero pochi minuti alla donna per
venire a capo del problema “Et-voilà, mon amie. Ma
la
prossima volta, puoi anche non usare una scusa del genere per venire
a trovarmi.”
“Beccata!- esclamò Alaska,
stando al gioco- Credevo che non ci avrebbero mai fatto
incontrare.”
“Lo sospettavo anche io.- continuò
Penelope, strizzando gli occhi- Sai, Morgan mi ha parlato di una
possibile reazione nell'incontro fra due persone come noi che avrebbe
causato una rottura del continuum spazio/temporale portando
l'universo alla distruzione!”
Proprio in quel momento, come
richiamato dalle sue parole, il telefono iniziò a squillare.
“Mio dolce muffin al cioccolato!-
esordì Garcia, premendo un tasto per mettere in vivavoce la
chiamata- Stavamo giusto parlando di te!”
Dall'altro capo del telefono, Morgan
sembrò perplesso “Ah, sì?Tu e
chi?”
“Alaska Ross, mia nuova dama di
compagnia.” trillò contenta.
“E sventolatrice reale!” le fece
immediatamente eco l'antropologa.
“D'accordo: non fate troppo casino
voi due. Piuttosto, bambolina, hai trovato qualche collegamento fra
le vittime?”
“Non ancora, ma se c'è puoi
giurarci che lo troverò.” gli assicurò
Penelope,
determinata.
“La nuova vittima si chiamava Trent
Bouford.- spiegò Derek- Apparentemente nemmeno lui non aveva
nulla in comune con gli altri.”
“Davon ti ha detto qualcosa sulle
condizioni del corpo?” si informò Alaska.
Morgan fece roteare gli occhi “Non
conosci ancora il tuo capo?A parte qualche raro grugnito, l'ho
sentito parlare solo per battibeccare con la Tanaka.”
Ross rise, prima di iniziare a spiegare
quanto stava iniziando a fare “Sto facendo ora una
ricostruzione
multimediale del volto dell'uomo non identificato, non appena
rimetterò insieme i pezzi del cranio vi darò uno
schizzo fatto a mano e più accurato.”
“Trent Bouford- la interruppe
Penelope, per fornire un quadro iniziale sulla vittima- Trentotto
anni, nato in Ohio, si è trasferito qui a Washington da
cinque
anni. Dirigeva un negozio di pesca. Viveva da solo. Per ora, nessun
collegamento. E questo è tutto quello che posso dirvi. Anzi,
credo che aggiungerò una cosa: sto pensando di adottare
Alaska, o perlomeno di tenerla con me come animaletto da compagnia.
È
deliziosa.”
“E preparo dolci buonissimi, cosa da
non sottovalutare.” aggiunse la ragazza, senza staccare gli
occhi
dallo schermo su cui stava lavorando.
“Visto?- trillò di nuovo
Garcia- Ti saluto, mio marshmellow, devo andare a preparale una
cuccia!”
Passarono diversi minuti prima che le
due parlassero di nuovo. In realtà Penelope avrebbe voluto
tempestare Alaska di domande e non avrebbe esitato a farlo, se non
l'avesse vista così estremamente concentrata. Con le
sopracciglia aggrottate e le labbra premute una contro l'altra,
fissava lo schermo del proprio computer con serietà,
lavorando
attentamente sull'immagine di identikit che stava elaborando.
“Quindi...- domandò
all'improvviso, facendo sobbalzare la bionda sulla sua sedia- Spencer
ha qualche ex-ragazza psicopatica di cui dovrei aver paura?Oppure una
vecchia fiamma che non ha ancora dimenticato?”
Sulle labbra di Garcia si aprì
un sorriso da Stregatto: sapeva che c'era qualcosa sotto, fra quei
due! “Che io sappia, da quando lavora al BAU non ha avuto
storie
serie.- rispose, voltandosi verso l'antropologa per indagarne
l'espressione- Una volta ha conosciuto Lila Archer mentre lavorava a
un caso, ma non è durata molto...”
“Lila Archer?- ripetè Alaska,
alzando gli occhi interrogativi- Perchè il nome non mi
è
completamente nuovo?”
“E' un'attrice.” spiegò
Penelope con pazienza, ma vedendo che l'altra non sembrava ricordare
chi fosse, avviò una ricerca immagini su uno dei suoi tanti
monitor. “Oh, ora ricordo!- esclamò Alaska,
battendosi
il pugno sul palmo aperto-Mia sorella una volta voleva farsi i
capelli come lei.”
“Oooh!Guarda com'erano carini
insieme!” trillò di nuovo, puntando il dito verso
una foto
che ritraeva i due mentre Spencer passava la mano sul collo di Lila.
Garcia si voltò a guardare la
giovane scioccata. “Scusa?Stiamo guardando la stessa cosa?Lei
sarebbe praticamente la tua rivale in amore...”
Alaska scrollò le spalle “Questo
non cambia il fatto che fossero davvero adorabili...”
La bionda scosse la testa, riprendendo
il proprio discorso “Per quanto ne so poi, a parte un paio di
appuntamenti con una certa Austin, il nostro caro genietto è
libero come l'aria.”
Ross annuì pensierosa.
“A volte penso di non interessargli,
in quel senso.” rivelò, dopo qualche secondo di
riflessione
“Reid è piuttosto timido.- la
rassicurò Garcia- E da come evita di parlare di te per paura
di essere colto in flagrante, direi che non gli sei del tutto
indifferente.”
Gli occhi celesti dell'antropologa si accesero
“Davvero?”
Penelope annuì solenne “Credo
che tu gli piaccia, ma se così ancora non fosse, devi
stupirlo
con le tue mirabolanti capacità.”
“Tipo quella di unire i gomiti dietro
la schiena, di cantare la tavola degli elementi, di allacciarmi la
camicetta con una sola mano e di fare telefonate imbarazzanti in cui
espongo pensieri aggrovigliati?” elencò Alaska,
particolarmente fiera di sé.
Garcia rise “Visto?Sei fenomenale: mi
sto già innamorando di te.”
La ragazza le fece eco, sghignazzando
un po', mentre tornava a puntare lo sguardo verso il pc.
“Credi che abbia delle capacità
paranormali?” chiese di punto in bianco. Aveva alzato gli
occhi e
fissava seriamente la bionda.
“Come?”
“Reid, credi che abbia capacità
paranormali?- ripetè prima di spiegarsi-Sai, tipo quella
bambina di quel libro...”
“Ah!Quello di Ronald Dahal!- esclamò
Garcia, capendo dove voleva andare a parare-L'ho letto alle
elementari!”
“Esatto!- confermò Alaska,
esaltata da quell'argomento- Quella bambina era molto intelligente e
ha sviluppato dei poteri telecinetici come valvola di sfogo...Magari
funziona così anche per Spencer, è difficile
utilizzare
al cento per cento un quoziente intellettivo come il suo.”
“Già...- si ritrovò a
dire Penelope, quasi convinta- Non credo che lo guarderò
più
nello stesso modo.”
Si scambiarono uno sguardo stranito e
poi, per l'ennesima volta da quando si erano conosciute,
l'antropologa cambiò repentinamente argomento, dando a
Garcia
il computer che reggeva fra le mani.
“Identikit fatto.- spiegò-
Ecco John Doe.”
Penelope inclinò la testa mentre
osservava il volto sullo schermo. Era un uomo ispanico, di circa
trent'anni. “E' ben fatto. Credevo fossi solo una scienziata,
non
una disegnatrice provetta.”
“Questo è solo un identikit.-
disse Alaska, facendo sventolare una mano con aria noncurante- Mia
madre è la vera artista, è lei che mi ha
costretta a
partecipare a delle lezioni di disegno quando ero piccola e ora uso
quanto ho imparato per il mio lavoro.”
“Beh, a me pare molto bello invece.-
ribadì la bionda- Sai, potrei ingaggiarti per fare un mio
ritratto in veste di regina del mondo a grandezza naturale da
appendere qua in ufficio, che dici?”
“Che sarebbe molto decorativo. Lo
vuoi ad olio su tela?”
“Bien sûr,
mon amie.”
“Ci vediamo domani, Nocciolina!”
trillò Penelope, prima che si chiudessero le porte
dell'ascensore, mentre Alaska sventolava la mano felice.
“Nocciolina?” ripetè Derek,
alzando un sopracciglio.
“Nocciolina.” confermò la
giovane.
“Nocciolina?!”
“E' il soprannome che mi ha dato
Penny.- spiegò calma Ross- Ora vado da Hotch.”
Morgan guardò l'antropologa
rassegnato mentre si avviava verso l'ufficio del capo di analisi
comportamentale.
Erano rientrati da poco, dopo essersi
recati sul luogo dell'ultima vittima, che era stata trovata nelle
stesse inumane condizioni di quelle precedenti. Garcia non aveva
ancora trovato nulla che accomunasse le vite degli uomini uccisi e
loro, nonostante le abilità da profiler e l'esperienza che
avevano alle spalle, continuavano a sbattere inutilmente la testa al
muro, come se si trovassero all'interno di un labirinto da cui era
difficile uscire.
Hotch, vedendoli troppo stressati e,
soprattutto, non ancora in grado di venire a capo di qualcosa in quel
caso, aveva ordinato ai suoi sottoposti di tornarsene a casa a
riposare, e ripresentarsi la mattina successiva. Sperava che un po'
di riposo potesse chiarire a tutti loro le idee.
JJ, Emily e Rossi erano già
tornati a casa ed ora, solo lui e Reid stavano radunando le proprie
cose prima di uscire dagli uffici FBI.
“Devi darti una mossa, ragazzino.”
disse, rivolgendosi al giovane collega.
Spencer alzò lo sguardo dalla
propria scrivania, confuso “Perchè?Non credevo
volessi darmi
un passaggio.”
“Non sto parlando di questo.- sbuffò
Derek, facendo roteare gli occhi- Parlo di Quarantanove. Nocciolina.
La bambolina che ti mangi con gli occhi da quando è arrivata
qua.”
“I-io non faccio niente del genere.-
arrossì velocemente il genietto- Alaska e io siamo solo
amici.”
Sbuffò sonoramente mentre si
chinava a raccogliere i fogli con gesti nervosi e rigidi. Almeno in
questo modo riusciva ad evitare il contatto visivo. Mentiva meglio,
in quel modo.
“Certo, come no. Continua a ripeterlo
se ti fa piacere.” ribattè l'uomo di colore, per
niente
convinto.
“S-siamo solo amici.” ribadì.
Ma, in effetti, non riusciva a mentire. Non a Morgan. Non su un
argomento che gli faceva illogicamente salire la pressione.
“Lei non fa per me...- sospirò
quindi Reid- Insomma,l'hai vista?Lei è spontanea e
spensierata
mentre io...”
“Senti Reid, perchè ti fai dei
problemi che non esistono?Per una volta lascia stare le riflessioni
ed agisci!” sbottò, cercando di spronarlo.
“M-ma lei...lei...- il ragazzo alzò
gli occhi verso l'ufficio di Hotch da dove, attraverso il vetro che
si affacciava sul corridoio, poteva vedere lui e l'antropologa
parlare-Sai come mi ha detto che partiva per il Guatemala?”
Derek aggrottò le sopracciglia,
non capendo il nesso “Come?”
“Prendevamo un caffè e ad un
certo punto, dal niente dice: Sai, domani parto per il Guatemala. E
quando le ho chiesto quanto sarebbe stata via ha risposto che non ne
era sicura.- concluse, come se fosse un argomento più che
valido per non rischiare- Io non sono in grado di vivere
così,
tu mi conosci.”
“E' solo questo il problema?”
domandò Morgan, alzando un sopracciglio.
“Solo questo il problema?- ripetè
Spencer con voce acuta-Non mi sembra una cosa da poco.”
L'amico gli diede una pacca sulle
spalle “Credimi, ragazzino, un po' di spontaneità
ti farebbe
solo bene.”
“Non è solo questo!- balbettò
incerto-Lei...lei...”
“Lei ti piace, al di là della
razionalità, Reid.- continuò al suo posto, con un
sorriso saccente sul bel viso- Accettalo e basta.”
Ma il ragazzo aggrottò la
fronte, pensieroso “C'è qualcosa che non riesco a
cogliere
di lei. Sai, di quella faccenda di tanti anni fa, con
Rossi...”
Morgan si fece serio. Dave non aveva
voluto rivelare il modo in cui avesse conosciuto Alaska, ma
Reid...beh, Reid era un genio dalla memoria eidetica e Rossi era
aveva divorato tutti i suoi libri: non ci aveva messo molto a
scoprire che il loro collega più anziano aveva conosciuto
l'antropologa quando questa era ancora una bambina di otto anni. Era
stata rapita e segregata in un lurido capannone, torturata e
trattenuta in gabbia come un animale. Conoscendo David, era facile
pensare che lui si sentisse ancora in colpa per non aver fermato
prima quell'SI, nonostante la ragazza lo guardasse sempre come se
fosse il suo salvatore. Morgan conosceva Reid: sapeva che il giovane
era convinto che quell'esperienza non poteva essersi cancellata
magicamente dalla mente di Alaska, ma in quel momento non sapeva cosa
potergli consigliare.
“Mi dispiace, ragazzino, non credo
che questa sia una cosa che riuscirai mai a controllare.- concluse,
strizzandogli la spalla con una mano- Nemmeno con quel tuo cervello
supersonico.”
Gli fece un cenno di saluto e si avviò
verso l'ascensore.
Spencer, rimasto alla propria
scrivania, si mordicchiò nervoso il labbro inferiore.
Doveva rimanere per parlare con Alaska
o tornarsene a casa?
Aaron non alzò nemmeno gli occhi
dal fascicolo che stava rivisionando per la centesima volta, quando
sentì bussare alla porta del proprio ufficio.
“Mi avevano detto che ti avrei
trovato ancora qui.-esordì la ragazza, dirigendosi sicura
verso la sedia di fronte alla scrivania e sedendosi comodamente-
Stacanovista, uh?”
Hotch le fece un cenno col capo mentre
si sporgeva verso di lei per afferrare la tazza di caffè che
gli stava offrendo “Credevo che fossi già tornata
in
albergo. Ho visto il dottor Stein andarsene un'oretta fa.”
“Credo di essere più utile
qui.- disse Alaska con una scrollata di spalle- E poi, ho bevuto tre
caffè non decaffeinati oggi, il che significa che il mio
organismo resterà attivo per le prossime settantadue ore
senza
alcun bisogno di riposo.”
Lasciò vagare gli occhi nella
stanza, fermandosi solo sui particolari più interessanti.
“Quello è tuo figlio, vero?-
domandò, indicando una foto di Jack- Avete dei tratti del
viso
in comune, credo che ti assomiglierà molto quando
crescerà.”
Hotch le rivolse un mezzo sorriso
stiracchiato “La dottoressa Tanaka è d'accordo col
fatto che
rimani ai laboratori anche senza la sua supervisione?”
Ross fece dondolare la testa, incerta
“Diciamo di sì.”
“Alaska...” la richiamò
l'uomo, alzando un sopracciglio.
“La dottoressa Tanaka è una
vera forza. Mi piace.”
Aaron la guardò stranito
“Credevo che lei ti odiasse.”
“Lo so, ma a me piace vedere il lato
positivo delle persone.- continuò Alaska, col tono sognante
di
qualcuno che sta parlando del proprio mito- Lei è
determinata,
si è fatta strada in un ambiente dove gli uomini la fanno da
padrone: non posso non ammirarla.”
“Questa è la ricostruzione che
ho fatto del volto della vittima.” aggiunse, allungando sulla
scrivania l'identikit su cui aveva lavorato fino a poco prima.
Hotch alzò il foglio per
esaminare meglio quel viso sconosciuto“Controllerò
con le
persone scomparse.”
“Già fatto: Penny mi ha
iniziato alle sacre arti dell'informatica. Se creerò un fan
club a suo nome con tanto di magliette con la sua foto ha detto che
mi rivelerà ogni più recondito segreto della sua
arte.-buttò fuori velocemente prima di rivelargli il nome-
Si
chiamava Carlos Grimes.”
“Grazie.” le disse, e dalla sua
voce si poteva sentire che quel caso stava sfiancando anche lui.
Alaska fece sventolare una mano
“Ringrazia la caffeina. E la teina. E i vari eccitanti di
origine
naturale con cui sono entrata in contatto ultimamente.”
“Alaska...” la richiamò di
nuovo l'uomo, guardandola accigliato.
“Ti giuro che non uso
sostanze illegali per...” iniziò a giustificarsi
la ragazza,
che aveva mal interpretato il suo sguardo.
“Credo che ora tu debba andare a
riposare un po'.” concluse quindi Hotch.
“Oh.- esclamò stupita-Ok.”
Fece qualche passo verso la porta
“Forse dovresti tornare a casa anche tu.- gli propose,
lanciando
un'occhiata alla foto di Jack- Quel ragazzino avrà bisogno
che
suo padre gli rimbocchi le coperte.”
Aaron le fece un sorriso, ma quando
aveva già la mano sulla maniglia, l'antropologa si
girò
di nuovo.
“Ah, Hotch: che cos'è l'ADD?”
domandò incuriosita.
“E' la sigla della sindrome da
deficit di attenzione e iperattività.”
spiegò l'uomo,
perplesso da quella domanda.
“Ok.- disse Ross, assimilando
l'informazione- Credi che io possa averla?”
“Perchè me lo domandi?”
ribattè Hotch, sempre più confuso.
“La dottoressa Tanaka dice di sì.”
rispose con una scrollata di spalle.
“La dottoressa Tanaka non può
diagnosticarti una cosa del genere, Alaska, te l'ha detto per
prenderti in giro.” sospirò.
“Visto?- sorrise apertamente la
giovane prima di uscire-Te lo dicevo che c'era qualcosa di buono in
lei: ha senso dell'umorismo!”
Quando Alaska scese le
scale e camminò
nell'open space, trovò Spencer chino alla propria scrivania,
con l'aria di qualcuno intento a riflettere troppo intensamente su un
qualche problema.
Cambiò la direzione dei propri
passi e si sedette sul tavolo, facendo sobbalzare il ragazzo per la
sorpresa.
“Credevo fossi già a casa,
dottor Reid.” sorrise. Le piaceva usare quel titolo per
chiamarlo,
quando era particolarmente di buon umore.
Spencer tenne le sopracciglia
aggrottate “Ho visto che hai fatto un sacco di pubblicazioni
in
questo periodo.”
Alaska non notò quanto fosse strano
quell'argomento “Sì, ho avuto del tempo
extra.”
“Tempo extra?- domandò
stranito, fissandola intensamente- Credevo che avessi molto da fare
al laboratorio...”
“Diciamo che ho avuto delle nottate
piuttosto lunghe e proficue.” confessò quindi.
“Insonnia?” ipotizzò il
profiler ad alta voce.
“Incubi, per lo più.” disse,
abbassando lo sguardo.
Quel gesto fece preoccupare Reid: non
l'aveva mai vista abbassare lo sguardo davanti a niente, e
soprattutto non in quel modo. Sembrava stanca, sconfitta.
“Mi dispiace.” buttò fuori
in un sussurro, non sapendo che altro dire.
“Tranquillo, passeranno. Passano
sempre.- lo tranquillizzò, con un sorriso ampio sul volto,
quando tornò a guardarlo in viso- Solo che ho davvero
bisogno
di fare una bella dormita, hai presente?Di quelle che ti tengono
inchiodata al letto per quasi dieci ore.”
Spencer deglutì a vuoto un paio
di volte “Tu lo sai vero che...che con me puoi
parlare?”
La ragazza non sembrò capire a
cosa si riferisse “Ma io ho parlato con te, Spencer...In
effetti,
non capisco come fai a trattenerti dal dirmi di tacere.”
“Non sto parlando di semplici
chiacchiere, ma di quello che è successo a Baltimora.-
sbottò
Reid, quasi irritato. La fisso con occhi fiammeggianti- Sei stata
rapita, picchiata e hai sparato a un uomo. Non puoi comportarti come
se niente sia accaduto.”
Vide le spalle della giovane piegarsi
leggermente all'ingiù e la vide quasi svuotata, per un
attimo.
“Quindi, non vuoi parlare con me,
Alaska?” le domandò, con tono gentile.
“Quello che è successo non è
importante...- Spencer alzò le sopracciglia, lanciandole uno
sguardo perplesso- Voglio dire:è stato scioccante e tutto il
resto ma è passato. È inutile che io continui a
pensarci. Quello che davvero mi fa stare male sono gli
incubi.”
“Ti sogni di quella notte?” chiese
preoccupato. Sapeva cosa voleva dire avere quel genere di incubi.
Alaska scosse la testa, abbassando gli
occhi, e a lui venne subito in mente quale potesse essere il vero
problema. Non era il passato recente a bussare prepotentemente nella
mente della sua nuova amica, ma quello remoto della sua infanzia
quando ad appena otto anni era stata tenuta prigioniera per giorni da
un SI.
“E' che...- continuò, e a
Spencer salì un po' il panico quando notò il suo
labbro
inferiore tremare vistosamente- sono immagini così nitide,
reali. Quando mi sveglio e mi passa per la testa che, forse, sono
davvero cose che mi sono accadute e non solo frutto della mia
immaginazione io...io...”
Reid allungò piano una mano
verso di le, posandola sopra la sua che teneva abbandonata sopra le
ginocchia fasciate dal tessuto leggero dei jeans. Con una
spontaneità
che non gli era propria, la iniziò ad accarezzare
timidamente
con il pollice.
La ragazza prese dei respiri profondi
per ricacciare indietro quelle lacrime che si stava tenendo dentro da
troppo e, gli occhi fissi sulle mani affusolate del profiler, si
sentì all'improvviso un po' meglio.
Alzò lo sguardo, colmo di
gratitudine, verso Spencer, che la osservava preoccupato e, come al
solito, con quello strano senso di confusione. Non capiva esattamente
il motivo per cui ogni volta che incontrava quelle iridi chiare aveva
la sensazione di avere un turbinio di farfalle nello stomaco.
Aggrottò le sopracciglia: che
Morgan avesse ragione?Che lui provasse davvero qualcosa al di
là
della semplice amicizia verso l'eccentrica antropologa?
Fissò di nuovo lo sguardo sul
volto abbronzato di Alaska e vide che i suoi occhi erano tornati
accesi e vivaci.
“Ti ho portato un souvenir!”annunciò,
sorridente e apparentemente dimentica dei propri problemi.
Si alzò di slancio e corse verso
la propria valigia, che aveva lasciato nell'open space quella
mattina.
Ritornò saltellando, con una
scatola non impacchettata fra le mani.
“Una scacchiera a tre dimensioni?-
disse titubante, guardando il regalo che gli aveva consegnato-Tipica
del Guatemala, immagino.”
“No, l'ho presa allo scalo al JFK.-
confessò con leggerezza- L'ho vista e ho pensato a
te.”
Spencer la ringraziò, nonostante
avesse capito che, attraverso quel cambio di argomento e
quell'allegria, stava cercando di ricacciare di nuovo indietro le
proprie fastidiose emozioni.
“Però devi promettermi che
quanto tornerai a casa, adesso, non ti metterai a giocare, ma ti
farai un po' di ore di sonno!” ciarlò allegra.
“Se vuoi resto qui con te...-
balbettò incerto, cercando di decifrare la reazione della
ragazza- Voglio dire...se ti va, posso...posso farti
compagnia...”
Alaska gli sorrise dolcemente “No, tranquillo.
Ho del lavoro da finire e poi credo che mi concederò un po'
di
sonno sul divanetto nell'ufficio di Dave. Ci vediamo domani,
ok?”
L'antropologa gli rivolse un nuovo
sorriso, stanco, e, dopo avergli passato con dolcezza una carezza
sulla guancia, si alzò sulle punte per lasciare un bacio
dove
prima erano passate le sue dita fresche.
Spencer rimase immobile, pietrificato.
Con in mano la scatola degli scacchi tridimensionali e il volto
paonazzo, non riuscì a fare altro che guardarla mentre si
infilava nell'ufficio di Rossi.
“A domani, Alaska.” soffiò,
quando ormai era troppo tardi.
______________________________________________________________________________________
Nuovo capitolo. La faccio breve
perchè è uno di quei periodi in cui non mi va mai
bene niente. Non mi piace: credo che sia troppo lungo, che non ci sai
dentro niente di particolarmente rilevante e...boh, non so. Mi sento un
pò iper-critica e la cosa non mi fa apprezzare
particolarmente questo capitolo...
In ogni caso: grazie mille a chi ha letto i capitoli precedenti e anche
a chi a commentato!Fatemi sapere che ne pensate della storia!Baci JoJo
aliena : Hai colto nel segno, Alaska
è più un topo da laboratorio, diciamo!eheheh E
con la bambina: in fondo è una bambina troppo cresciuta
anche lei, quindi è ovvio che si trovi bene con gli
infanti!Reid è un profiler, e in più pare abbia
una piccola cotta per l'antropologa, ergo non può che
cogliere anche le più piccole sfumature di comportamento!
Diciamo che quella di Emily è più
solidarietà femminile... Bones mi piace, anche se non lo
guardo spesso, ti dirò che mi piacciono molto di
più i libri di Katy Reichs, la sua creatrice: sono una pazza
amante dei particolari scientifici, quindi non posso che
adorarla!eheheh!Al prossimo capitolo, baci JoJo
Maggie_Lullaby
: Tranquilla,
le tue recensioni redatte nottetempo sono davvero carine!eheheh!Sono
contenta che il capitolo ti sia piaciuto :) Uhmm...dunque, Abby di NCIS
ce l'ho presente, è una forza, ma credo che la mia Alaska
sia troppo...svampita...per essere brillante come lei; l'Ispettore
Lanza mi giunge nuovo, ma mi informerò, ora sono incuriosita
dal personaggio! Ho aggiornato abbastanza presto?Fammi sapere che pensi
di questo capitolo in cui si spiegano un pò delle cose che
ti incuriosivano!Kisses JoJo
|
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Capitolo 5 *** New point of view ***
La
crudeltà ha volto
umano,
e volto umano la gelosia ,
il terrore, umana forma
divina,
e veste umana, il mistero.
-William Blake
Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia
Una notte può
passare molto
velocemente.
Per i membri del BAU, ogniqualvolta
lavoravano a un caso, le notti duravano un battito di ciglia e non
erano mai serene.
Non vi era nulla, però,
nell'aspetto dei membri della squadra a dimostrare che le ore appena
trascorse non erano state tranquille. Il bel viso dell'agente Jereau,
per esempio, non mostrava alcun segno di occhiaie, nonostante la
stanchezza e lo sconforto per il caso, e il suo sobrio completo
formato da camicia e pantaloni era impeccabile. Camminava veloce
lungo l'open space dell'Unità di Analisi Comportamentale, ma
non guardava nessuno. In effetti, era abbastanza presto
perchè
non vi fosse ancora molta gente in ufficio, tuttavia aveva sentito il
bisogno di tornarsene al lavoro per fare qualcosa. Doveva occuparsi
delle reazioni della stampa dopo il comunicato che avevano diffuso il
giorno precedente, ma ignorò l'uscio del proprio ufficio per
raggiungere con aria determinata la propria meta.
Aprì la porta di vetro
soprappensiero, ma non appena si accorse di non essere sola nella
stanza, si ritrovò attenta a focalizzare cosa si era trovata
davanti e aprì la bocca stupita.
Sul tavolo della sala conferenze,
disposte in modo perfetto secondo l'ordine anatomico, si trovavano le
ossa di Carlos Grimes. China su quei frammenti, Alaska stava
ispezionandone le fratture per l'ennesima volta, ricapitolando
mentalmente quanto aveva scoperto nel corso della notte.
Con indosso il camice bianco, gli
occhiali da vista calcati sul naso e quelli da laboratorio in
equilibrio sulla sommità del capo, l'antropologa aveva
davvero
l'aria di una ricercatrice navigata e non, come capitava invece
più
spesso, di una studentessa pronta ad assistere a un laboratorio di
chimica. Certo, forse se non avesse avuto l'Ipod nelle orecchie la
sua professionalità ne avrebbe guadagnato.
“Ehm...Alaska?-domandò JJ,
cauta, attirando l'attenzione della giovane- Che cosa è
successo qui?”
“Oh, mi dispiace JJ.- si scusò
Alaska, togliendosi gli auricolari, prima di iniziare uno dei suoi
interminabili discorsi alla velocità della luce- Avevo
intenzione di classificare e ispezionare le ossa in laboratorio, ma a
quanto pare durante la notte gli strumenti non sono accessibili,
perciò ho pensato di trasferirmi momentaneamente qua. Uno
dei
custodi mi ha aiutato a trasportare il tutto prima di andare via,
comunque prevedo di riportare le ossa di sotto al più
presto,
dopo avervi fatto il mio rapporto. Il custode, persona deliziosa fra
parentesi, ha detto che mi aiuterà di nuovo. Ah, e
stamattina
mi ha aperto prima i laboratori, così ho potuto avviare le
analisi sui resti di Port...”
JJ sorrise materna, prima di
interromperla “D'accordo, Alaska. Prendi fiato,
ora.”
La ragazza seguì alla lettera
quelle istruzioni, inspirando rumorosamente e buttando poi fuori
l'aria, facendo piegare le spalle all'ingiù a fine
operazione.
“Questi sono i resti di Grimes?” si
informò quindi, vedendola più tranquilla. Sapeva
che la
salma era arrivata a Quantico il giorno prima, ma era sorpresa dal
fatto che Alaska avesse già provveduto alla catalogazione
dello scheletro.
“Esatto!-confermò annuendo
vigorosamente-Credo di aver scoperto qualcosa che forse potreste
ritenere utile.”
JJ alzò le sopracciglia,
interessata “Che cosa credi di...”
“Oh!- la interruppe l'antropologa,
rizzandosi di scatto- E' arrivato Davon!Lo vado a salutare!”
“Ma Alaska...” cercò di
protestare la bionda, ma stava già parlando alla sua schiena.
Con pochi balzi la ragazza aveva
raggiunto l'open space, correndo incontro al proprio mentore che non
sembrava condividere il suo umore eccessivamente allegro.
“Davon!-lo salutò, con un
sorriso radioso in volto- Hai dormito bene?”
Stein storse la bocca “Quell'albergo
è una bettola. Però fanno un'ottima
colazione.”
“Dici così di ogni posto che
non sia casa tua. Spero che tu non abbia mangiato niente che sia
dannoso per le tue arterie...” il suo tono era scherzosamente
accusatorio, mentre aveva appoggiato la mano sul fianco, per fissarlo
di traverso.
“Forse.-ammise colpevole il
professore, prima di cambiare argomento- Spero almeno che tu non sia
tornata in albergo per un buon motivo!”
“Ti illustrerò tutto nella
sala riunioni.-gli assicurò Alaska, facendogli cenno di
seguirla- Sai, Davon, quella ampia e luminosa, con tutti quegli
aggeggi elettronici che rendono il mio lavoro davvero semplice e
immediato e...”
L'uomo fece un gesto seccato “Ancora
una parola sulla tecnologia di cui dispone il governo, Quarantanove,
e ti ritroverai a occuparti dei tesisti da qui
all'eternità.”
“Ma
lo faccio già.” gli ricordò la giovane,
gioviale.
Stein aggrottò le folte
sopracciglia candide “Allora dei laboratori sugli
scavi.”
“Faccio
anche questo, e fra l'altro lo trovo piuttosto divertente.”
rise
Alaska, facendo dondolare la testa.
“Sto iniziando ad odiarti.” la
informò il vecchio, burbero.
“Oh, lo dici sempre di
prima mattina.” commentò Alaska, facendo roteare
la mano.
Quando si voltò per indagare la sua espressione riconobbe il
volto tirato e serio della donna che si stava dirigendo per l'appunto
nella stessa direzione in cui stavano camminando loro.
“Buongiorno anche a lei dottoressa
Tanaka!” trillò, facendo sventolare il braccio
“Toh, il piccolo Umpa Lumpa degli
obitori.- la salutò la donna, con una smorfia poco
amichevole
sul volto- Non dovresti essere in laboratorio a spargere le tue
irritanti perle di felicità fra i miei collaboratori?Che ci
fai qui?”
La ragazza si strinse nelle spalle:
come al solito non aveva colto l'astio nella voce della patologa
“Niente di importante, espongo i risultati delle mie analisi
e in
più stavo per dire a Davon che fra circa un'ora le ossa di
Bill Port saranno pronte per le sue analisi.”
“Cosa?!-esclamò la Tanaka,
fermandosi di colpo- Hai autorizzato la rimozione dei tessuti senza
consultarti con nessuno di noi?Approfittandoti del fatto che non
eravamo qua?”
L'espressione di Alaska si fece confusa
e Stein intuì immediatamente che non aveva assolutamente
idea
di cosa avesse fatto di sbagliato. “La dottoressa Ross ha le
competenze per agire in perfetta autonomia- si affrettò a
difenderla- ed è abituata a farlo senza problemi.”
“Forse nel tuo laboratorio del
Maryland, Stein, qua c'è un'altra musica.-
sbottò, per
poi rivolgersi stizzita alla ragazza- Si può sapere che cosa
hai fatto?”
“Ho liberato sui resti in nostro
possesso un centinaio di scarafaggi carnivori.” disse con
naturalezza.
“Geniale, avrei dovuto proporlo io:
in questo modo le ossa non si rovineranno nonostante i tessuti siano
compromessi.-si congratulò Stein, senza nascondere
l'orgoglio
verso la propria allieva- Brava, Quarantanove.”
“No!- lo contraddisse l'orientale,
prima di voltare lo sguardo fiammeggiante verso Ross-Sei
pazza?”
La ragazza aggrottò la fronte,
pensierosa “Non so, non mi hanno mai fatto test per
verificarlo.”
“Era una domanda retorica,
Quarantanove.” sospirò Davon, passandosi una mano
sul volto.
“Ah, ok.- acconsentì la
giovane- Mentre aspetto che le ossa siano pronte pensavo di procedere
con un riassunto di quanto ho scoperto con le ultime analisi che ho
fatto.”
I due luminari della medicina forense
la seguirono nella sala conferenze e, quando vi entrarono, Alaska la
trovò decisamente più affollata di come l'aveva
lasciata. Rossi le rivolse un sorriso stiracchiato, così
come
Prentiss, mentre il capo dell'unità di analisi
comportamentale
non sembrava particolarmente di buon umore. Di certo, dopo aver
ritrovato la propria sala riunione invasa da dei resti umani, lo era
un po' meno rispetto a quando si era alzato.
L'antropologa si avvicinò al
tavolo, mentre gli altri due esperti forensi entravano nella stanza e
si sedevano con naturalezza davanti alle ossa ordinate, e si
ritrovò
a domandarsi dove fossero Reid e Morgan. In particolare,
sperò
di poter rivedere presto il giovane profiler e di godere ancora per
un po' della rassicurante sensazione che gli dava incrociare i suoi
occhi scuri ed espressivi.
“Che cosa è successo qua
dentro?” le domandò Hotch, le sopracciglia
aggrottate.
JJ fece un sorriso tirato “Alaska ha
pensato di farci vedere su cosa ha lavorato.”
“Mi avevi giurato che dovevi solo
controllare dei risultati e poi te ne saresti andata a
dormire.” la
rimbeccò Rossi, lanciandole uno sguardo ammonitore.
“Lo so!Ma io dormo meglio se prima
svolgo qualche attività impegnativa, solo che questo posto
è
un mortorio di notte. Se fossi stata una di quelle persone fissate
con la pulizia e se non avessi avuto uno scheletro da rimettere
insieme avrei potuto aiutare Anton con le pulizie e chiacchierare un
po'...” Alaska parlava veloce, gesticolando animatamente.
Prentiss la guardò stranita
“Anton?” ripetè.
“Il ragazzo che si occupa delle
pulizie a questo piano.- spiegò, con un sorriso radioso sul
volto- È simpatico, sua moglie ha appena avuto due gemelli,
sono davvero adorabili anche se so per esperienza che vivere con due
neonati è peggio di una tortura medievale: se dorme uno,
l'altro strilla e fa svegliare il fratello e continuano così
all'infinito e...”
“Alaska...” la interruppe David,
con quel tono che ormai gli era diventato abituale.
“Lo so, sto divagando, mi dispiace!-
si scusò in fretta la ragazza, prima di continuare il
discorso- In ogni caso stanotte mi sono sentita particolarmente
ispirata, sono riuscita a rimettere insieme il corpo, ho catalogato
tutte le ossa, non ve ne sono di mancanti e, in più, sono
riuscita a trovare un metodo per...”
“Quarantanove!” berciò
Stein, con voce dura.
Alaska rivolse verso di lui i suoi
occhi chiari “Sissignore?”
“Credo che tu debba passare al
decaffeinato.” disse lapidario.
La ragazza gli rivolse un'occhiata
confusa “Perchè?”
“Sei un tantino sovragitata.- le
spiegò con gentilezza JJ- Hai dormito stanotte?”
“Certo.- rispose sicura, con un gesto
casuale della mano- Per una mezz'oretta, ma poi mi sono svegliata.
Sapete una cosa che ho scoperto sul caffè?Credo che il mio
organismo non sia in grado di assimilarlo. E poi è
così
amaro!Ci ho dovuto mettere un quintale di zucchero per mandarlo
giù...”
“Ok, ok.- la interruppe Hotch serio,
fissando gli occhi scuri sui resti-Ora dicci che cos'hai
scoperto.”
L'antropologa annuì, facendo
dondolare i suoi folti capelli corvini e tornò
immediatamente
a concentrarsi sul proprio compito “Carlos Grimes non
è
stato picchiato come le altre vittime.”
“No?- cercò conferma Emily,
confusa-Quindi è stato davvero un incidente?”
“Questo è assurdo. -
interloquì la Tanaka, mentre sfogliava svogliatamente il
fascicolo del caso-Avrebbe dovuto passarci sopra mille volte per
ridurlo in questo stato.”
“Esattamente.” confermò
Ross, annuendo concorde.
“Stai dicendo che Grimes è
stato investito?” si accertò Stein, alzando un
sopracciglio.
“Più e più volte.”
specificò, mentre nella stanza entravano anche Reid e Morgan.
Il più giovane membro della
squadra, lanciò un'occhiata intensa all'antropologa,
impegnata
a sollevare un femore che aveva ricostruito quella notte ed
analizzarlo da vicino per l'ennesima volta. Storse la bocca,
maledicendosi di non essere rimasto con lei, mentre notava che i suoi
grandi occhi chiari erano stranamente cerchiati di scuro.
“E questo è tutto quello che
hai scoperto con una notte insonne?” commentò la
Tanaka
sprezzante.
“No.- ribattè Alaska, alzando
un indice di scatto e brandendo l'osso come se fosse un'arma
impropria- Grimes è stato investito da un furgone o un
fuoristrada col paraurti piuttosto alto. Ho individuato le prime
fratture e coinciderebbero con questa conclusione.”
“Un furgone a Washington.- continuò
la patologa, sarcastica- Beh, siamo a cavallo!”
Rossi sospirò “Di certo è
più di quello che avevamo finora.”
“E' possibile che riusciate a trovare
delle informazioni più approfondite con le informazioni in
vostro possesso?” si informò quindi Hotch,
rivolgendosi ai
due antropologi.
Stein si voltò verso la propria
assistente, che in quel momento aveva un quadro d'insieme
più
completo sul caso “Quarantanove?”
“Certo!Credo che potrei risalire al
tipo di auto usata dal vostro US!” trillò
soddisfatta.
“Che cos'è un US?” domandò
JJ, sporgendosi leggermente verso Emily.
La mora scosse leggermente la testa,
socchiudendo gli occhi “Credimi, è meglio se non
glielo
chiedi.”
“Quindi è stato un gesto
improvvisato.- ricapitolò Morgan- L'SI ha visto la sua
vittima
e senza pianificare nulla ha deciso di agire immediatamente.”
“Per poi affinare la tecnica con gli
altri omicidi.” concluse Reid, la fronte aggrottata e
un'espressione concentrata in viso.
“Direi che l'ha affinata parecchio-
commentò la Tanaka- La maggior parte dei tessuti di quegli
uomini sono diventati dei semplici agglomerati di sangue, e i loro
organi completamente spappolati.”
Mentre i suoi colleghi continuavano a
parlare, l'attenzione di Spencer venne di nuovo calamitata dal volto
di Alaska. Si era seduta un po' in disparte, per appoggiare il
computer nell'unico punto rimasto libero del grande tavolo della sala
riunioni, ed ora sembrava piuttosto impegnata nell'immettere dati di
qualche tipo sul pc. Sapeva che non aveva dormito per paura dei suoi
incubi, e nessuno meglio di lui poteva capire il suo comportamento,
tuttavia non potè fare a meno di rimproverarsi per non
essere
rimasto con lei. Che cosa avrebbe potuto fare, poi?Lui non era bravo
a consolare le persone e, per quanto sentisse la necessità
di
proteggere Alaska, sapeva che non era in grado di farlo. Perlomeno,
non come lei aveva bisogno.
Come se avesse sentito il suo sguardo
insistente, la giovane antropologa alzò gli occhi dallo
schermo, fissandoli in quelli di Spencer. Non appena vide il sorriso
dolce che le si era allargato sul volto, si ritrovò ad
arrossire vistosamente e a girarsi di nuovo verso il resto del team,
imbarazzato.
Vedendo quella scena Alaska non potè
trattenere una risatina sommessa ma divertita.
La Tanaka la fulminò con lo
sguardo “Che cosa c'è di così
divertente?”
“Sternocleidomastoideo.- rivelò
tranquilla- Decisamente la parola più divertente relativa al
corpo umano”
“Kansas!-la rimbeccò in un
sibilo-Concentrati sul tuo lavoro e possibilmente fallo in
silenzio.”
“E' un mio diritto costituzionale
ridere sul posto di lavoro.-piagnucolò l'antropologa
sporgendo
il labbro inferiore- Mi appello al secondo emendamento!”
“Il diritto di possedere armi?”
domandò confuso Stein, voltandosi verso di lei.
“Il tredicesimo?” riprovò,
incerta, la ragazza.
“L'abolizione della schiavitù?”
ribattè la Tanaka con sufficienza.
“Forse sarei dovuta stare più
attenta alle lezioni di diritto, uh?” rise, scuotendo la
testa.
Davon fece roteare gli occhi, esausto
“Torna a fare quello che stavi facendo,
Quarantanove.”
“Sissignore.” assicurò Ross,
tornando a lavorare sul pc, non prima di essersi sfiorata la fronte
con due dita in una buffa imitazione di un saluto militare.
Aveva sentito i profiler interrogarsi
spesso sulle vittime di quell'SI. A loro parere erano troppo casuali,
per niente legate né dall'aspetto fisico che dallo status e
dal tenore di vita. David le aveva spiegato che era difficile entrare
nella mente di una persona che non seguiva uno schema nemmeno per se
stesso, quindi aveva capito che, al momento, il problema era capire
perchè venissero scelti quegli uomini come vittime.
Inclinò
leggermente la testa di lato, mentre osservava il volto di Carlos
Grimes che la scrutava impassibile dal monitor. Era un brav'uomo, si
ritrovò a pensare, mentre leggeva la sua scheda. Viveva con
sua madre da quando quest'ultima si era ammalata e faceva mille
lavoretti per far quadrare i conti. Perchè qualcuno, anche
un
pazzo criminale, poteva avercela con una persona del genere?
Fece scorrere le sue dita leggere sulla
tastiera e quando la risposta che le diede il programma che stava
utilizzando la lasciò a bocca aperta.
“Aspettate!-chiamò, alzandosi
di scatto, anche se nessuno aveva fatto cenno ad andarsene-Ho appena
trovato un'altra cosa che forse potreste trovare
interessante.”
Aspettò di avere di nuovo la
loro attenzione e digitò sulla tastiera un comando per
trasmettere le informazioni anche sui monitor della sala riunioni
“Ho
rifatto il controllo del riconoscimento facciale, stavolta inserendo
la ricostruzione tridimensionale fatta sulla base della forma del
cranio, e ho trovato una cosa particolare.”
Sugli schermi comparvero prima i
frammenti del teschio di Grimes e poi da questi si ricompose il
cranio della vittima, che ben presto prese i tratti che l'uomo aveva
quand'era in vita.
“Di che tipo?- domandò Derek
aggrottando la fronte-C'è stato uno sbaglio
nell'identificazione?”
“Quarantanove non sbaglia le
identificazioni.” lo informò Stein annoiato.
“No, infatti.- assicurò
Alaska- Solo che da un controllo incrociato con i vostri database ho
scoperto che c'è un pregiudicato che condivide il settanta
per
cento dei tratti in comune con la vittima.”
“Il settanta per cento?- ripetè
la Tanaka- E' tanto.”
“Già, si somigliavano molto.”
confermò la giovane, mentre sui monitor si affiancavano le
due
immagini, decisamente simili.
Stessi occhi scuri, mascella prominente
e naso aquilino. In effetti, avrebbero potuto essere fratelli.
“Chi è?” chiese quindi
Hotch.
“Trent LeBeau.-lesse Emily dal
computer dell'antropologa- È dentro perchè ha
tentato
di uccidere sua moglie circa tre mesi fa.”
L'uomo annuì, prima di
rivolgersi di nuovo alla ragazza“Puoi fare la stessa ricerca
anche
con le altre vittime?”
“Certo, nessun problema.” disse,
prima di richinare il capo sul pc per avviare la nuova ricerca.
Rimasero tutti in attesa in silenzio,
mentre nella stanza si sentiva solo il leggero ticchettio delle dita
di Alaska sulla tastiera.
“Ok.- esalò dopo qualche
minuto, mentre sullo schermo comparivano i volti truci di
pregiudicati- Tom Langston, la somiglianza con Bill Port è
del
sessantacinque per cento. Ed Ramos, al settanta per cento simile a
Manuel Gomez. Sean Holler e Mike Bronsan, settantotto per cento di
somiglianza.”
“Per che tipo di reati sono stati
arrestati?” si informò Rossi, mentre osservava con
sguardo
attento quegli uomini.
“Aggressioni, violenza domestica,
violenza su minore, tentato stupro...” elencò,
mentre
storceva il naso disgustata. Odiava sapere questo genere di cose
delle persone, vedere il male negli occhi la metteva sempre
tremendamente a disagio nonostante ciò che vedeva lei in un
mese di lavoro era già più di quanto di orribile
avrebbe visto una persona comune nell'arco di una vita.
“Ci siamo!” esclamò Morgan,
facendola sobbalzare.
Hotch annuì “Ok, finalmente
abbiamo il collegamento.”
“Il collegamento sarebbe la
somiglianza?” domandò incerta la ragazza,
osservando i
profiler confusa.
“Sì, Alaska.” gli rispose
Rossi gentilmente.
L'antropologa agitò i palmi
“Scusate, appena si esce dai confini della scienza da
laboratorio e
si entra in quelli della psiche mi perdo un po'.”
“Quello che abbiamo capito dell'SI è
che agisce per rabbia e la rabbia ha una caratteristica particolare,
soprattutto nel modo in cui ha ucciso: è
istintiva.” si
affrettò a spiegarle Reid.
“Quindi il fatto che si è
accanito sarebbe una manifestazione di rabbia istintiva?”
cercò
di capire, aggrottando le sopracciglia.
“Esatto.” confermò Emily.
“E che cosa c'entrano le
somiglianze?” continuò. Non aveva ancora capito
perfettamente quanto avevano scoperto gli agenti FBI in seguito alle
informazioni che lei stessa aveva fornito.
“Forse è questo che collega le
vittime fra loro: non erano loro i bersagli dell'SI, ma semplicemente
si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.- disse
Prentiss, gesticolando animatamente- Lui aveva l'occasione e quella
rabbia istintiva e loro assomigliavano a qualcuno in grado di
scatenarlo.”
Non riuscì a trattenere
l'ennesima domanda “Ma cos'è che scatena la
rabbia?”
“Questo non lo sappiamo ancora.”
ammise Rossi.
“Però, ora che sappiamo i nomi
delle potenziali vere vittime possiamo fare un nuovo controllo
geografico.” aggiunse JJ subito dopo.
Spencer osservò la giovane
antropologa scuotere leggermente la testa e abbassare lo sguardo.
Sapeva che lei, nonostante avesse vissuto qualche esperienza
drammatica nel corso della sua vita, non era ancora in grado di
capacitarsi del perchè le persone riuscissero ad agire in
modo
tanto crudele. Si ritrovò a sorridere con la mente assente
per
un momento: Alaska era pura e innocente e capiva come la psiche di
quelle menti assassine potessero risultargli impossibili da
comprendere.
A distrarlo dai suoi pensieri fu la
voce secca di Stein “Bene, Quarantanove. Lascia che gli
agenti FBI
continuino a fare il loro lavoro e seguimi ai laboratori.”
La giovane annuì, con un grande
sorriso sul volto “Prendo le ossa e
arrivo.”
“No.” la
contraddisse il vecchio immediatamente, lasciandola interdetta.
“Ok, niente ossa.”
“Non intendevo questo,
Quarantanove.-spiegò stizzito- Lascia perdere il volto e
occupati dell'entità delle fratture corporee: se davvero ha
usato una macchina, voglio che scopriamo il modello,
perlomeno.”
Alaska fece scrollare le spalle “Come
vuoi, Davon. Sei tu il capo.”
“In realtà sono io il capo.-
intervenne la Tanaka- Quindi tu prendi quelle ossa e le riporti dove
le hai trovate, prima di fare quanto ti ha detto Stein.”
“D'accordo.” acconsentì la
ragazza, con un largo sorriso amichevole.
Stavolta però la Tanaka non se
ne andò stizzita. Inclinò leggermente la testa di
lato,
iniziando ad osservare l'antropologa che si trovava davanti con un
sentimento che non gli era ancora capitato di provare verso di lei da
quando l'aveva conosciuta:curiosità. Perchè
sembrava
ignorare i suoi commenti acidi e aveva sempre quell'insopportabile
buon umore? Strinse gli occhi scuri prima di parlare di nuovo.
“Quello che davvero non capisco,
Nevada, è perchè tu fai questo.” le
disse, attirando
la sua attenzione.
Alaska aggrottò la fronte,
confusa “Perchè riporre le ossa in una scatola per
riportarle in laboratorio mi sembra il metodo più efficace
per...”
“Non hai capito.-la interruppe secca-
Questo mestiere, si vede che non fa per te. Tu sembri
inconsapevolmente uscita dal mondo delle favole e ti muovi smarrita
in una realtà troppo complicata.”
Stein fece roteare gli occhi, mentre
gli occhi azzurri della giovane continuavano a covare un'espressione
interrogativa “Non credo di seguirla.”
“Ce l'hai stampato in faccia quello
che sei: una ragazzina di campagna che va a studiare nella grande
città, trova un professore dalla personalità
forte che
elegge a suo mentore e una materia che trova interessante forse
perchè è l'unica in cui ottiene risultati
eccellenti o
forse perchè la considera fuori dagli schemi ed
intellettualmente stuzzicante, una volta laureata si ritrova nel
mondo vero, con vittime vere, e non sa gestire tutto l'insieme di
situazioni che si creano quindi si attacca come un francobollo al suo
mentore sperando che tutto si risolvi al più presto, prima
di
considerare finalmente l'ipotesi di tornare sotto le ali protettive
di mammina e papino.”
Avevano ascoltato tutti il discorso
della patologa, trovandolo decisamente inopportuno. Dopotutto,
però,
la Tanaka era famosa per i suoi modi aridi e la scarsa
sensibilità.
Rossi la osservò corrucciato per qualche secondo, valutando
se
davvero la patologa fosse stata così inopportuna, e
provò
il solito e forte istinto di mettersi a difesa di Alaska ma,
inaspettatamente, fu lei stessa a parlare per prima, con il solito
tono leggero.
“Si vede che non è
un'antropologa: la mia faccia non dice affatto questo, anche se non
credo che quello che ha appena elencato sia deducibile dalla
conformazione del viso.-spiegò divertita, mentre continuava
a
sistemare le ossa nella loro scatola stando bene attenta alla loro
classificazione- Infatti non ho mai vissuto in città con
meno
di quattrocentomila abitanti, Davon ha di certo una
personalità
interessante, ma il motivo principale per cui è lui da cui
ho
voluto apprendere l'antropologia è perchè
è il
migliore degli Stati Uniti, e quello che faccio mi piace
perchè
gli scheletri mi ricordano che fondamentalmente tutti gli uomini sono
uguali e sì, spesso ho problemi nel pensare al fatto che
tutto
ciò che mi passa fra le mani aveva una vita, una
personalità
e via dicendo, ma non per questo ho mai pensato di mollare
perchè
credo che quello che facciamo sia importante. Seguo ancora Davon
perchè ho ancora molto da imparare, ed anche se i miei
genitori non credono che questo lavoro sia giusto per me rispettano
le mie scelte e, mi creda, non sento il bisogno di rifugiarmi sotto
le ali di nessuno.”
Quando ebbe finito sollevò la
scatola di plastica prendendola per le maniglie che sporgevano ai
lati e alzò gli occhi guardandosi intorno stranita per
quell'insolito silenzio“Che facce buffe, che avete tutti:
sembra
che abbiate appena visto un fantasma!” disse, prima di
andarsene
saltellando allegra.
“Era davvero Alaska quella che ha
parlato?” domandò Morgan, incerto.
“Sembra di sì.” rispose
David, allo stesso modo stupito.
Emily scosse la testa “Forse è
bipolare.”
“Forse è un clone.” aggiunse
JJ, inclinando la testa.
“Non importa.-tagliò corto
Hotch- Dobbiamo tornare al lavoro.”
“Io vado a fare una richiesta perchè
sia sottoposta a un tox screen.” dichiarò la
Tanaka,
infilando la porta da dove era uscita la giovane antropologa.
“Gliene faccio fare uno al mese.-la
informò Stein mentre la seguiva fuori dalla
stanza-Quarantanove è pulita.”
Hotch trattenne un sospiro e cercò
di ignorare quei commenti prima di snocciolare le direttive ai membri
del proprio team.
“Prentiss e Morgan,-disse,
rivolgendosi ai due agenti- dovete trovare informazioni sui
pregiudicati che ha individuato Alaska: dove abitano, chi si
è
occupato del loro caso e le accuse che gli sono state
rivolte.”
“Tu, Reid,-continuò voltandosi
verso il ragazzo- devi elaborare un nuovo profilo geografico in base
alle nuove informazioni.”
“JJ, devi controllare se Alaska ha
avuto l'autorizzazione della signora Port per quella cosa degli
scarafaggi. Io e Rossi torneremo dal capo della polizia, per vedere
se ci sono precedenti di pestaggi e aggressività nei
confronti
di pregiudicati da parte di qualcuno in particolare.”
concluse,
prima di uscire dalla stanza seguito da Rossi e JJ.
Spencer iniziò immediatamente a
distendere la cartina sopra il tavolo finalmente libero, mentre Emily
si era già messa davanti al computer che aveva lasciato
lì
Alaska, per entrare nel sistema e iniziare a cercare di scoprire
qualcosa senza l'aiuto di Penelope.
Morgan si sedette sulla sedia di fianco
a lei, con espressione meditabonda.
“In pratica fino adesso non abbiamo
fatto altro che perdere tempo: la vittimologia è stata
inutile
dato che le vittime in realtà sono state colpite per sbaglio
dall'SI.” borbottò, passandosi una mano sulla
testa rasata.
“Forse è proprio questo il
problema.” commentò Reid, mentre con un pennarello
rosso
iniziava a scarabocchiare sulla mappa della città.
Prentiss non staccò gli occhi
dallo schermo “Che vuoi dire?”
“Che stiamo guardando nella direzione
sbagliata.-continuò il giovane genietto- Fino ad ora abbiamo
cercato di capire il collegamento fra le vittime, ma forse dovremmo
concentrarci maggiormente sull'SI.”
“D'accordo.- concordò Derek
con una scrollata di spalle- Perchè l'SI sceglie quelle
vittime?”
“Perchè lo fanno arrabbiare,
si vede da come le ha ridotte.” rispose Prentiss.
Spencer si voltò, agitando
goffamente il pennarello “Ma lui non voleva colpire loro:
voleva
gli uomini che ha trovato Alaska.”
“Che non sono certo dei boy scout.”
aggiunse Morgan, osservando le loro foto segnaletiche che
troneggiavano ancora sui monitor della sala conferenze.
“Li accomuna il fatto che tutti hanno
compiuto dei reati che hanno come vittime donne e bambini.”
notò
Emily, guardando intensamente i due colleghi.
“Quindi l'SI...” cominciò a
dire Spencer, mentre il pensiero gli si formava velocemente in testa.
“Non voleva semplicemente ucciderli.”
disse Morgan, le sopracciglia aggrottate.
Prentiss annuì gravemente
“Voleva vendicare le loro vittime.”
_______________________________________________________________________________________
Eccoci qui, finalmente, direte
voi...Scusate un sacco il ritardo nell'aggiuornare ma ero in altre
faccende affaccendata in questo periodo e questo capitolo mi
è stato un pò ostico da scrivere: volevo metterlo
unito con quello seguente ma poi mi sono accorta che il filo logico
della storia ne avrebbe risentito e, oltretutto, ne sarebbe uscita una
cosa che ne anche una cantica dantesca, quindi...E poi è
tutto ambientato nello stesso posto, con un'accozzaglia di personaggi
tutti nella stessa stanza...Non so, sono perplessa, ma spero che a voi
piaccia lo stesso! A questo punto devo informarvi che forse non
riuscitò ad aggiornare per un pò (fino a
settembre) perchè domenica parto e quando riavrò
il pc, solo ad agosto, non credo che potrò usare internet
perchè ovviamente il wi-fi funziona solo quando è
inutile! Ma non disperate, ce la metterò tutta per fare un
aggiornamento lampo sabato!Se non riuscissi auguro a tutti voi lettori
delle meravigliose vacanze e vi mando un grosso bacio!Divertitevi, miei
cari!Kisses JoJo
aliena
: Ma ciao!Guarda, io i suoi libri te li consiglio molto, ne ha scritti
13, tra l'altro l'ultimo è uscito pure di recente. Credo che
mi farò una specie di maratona quest'estate dato che
avrò un pò di tempo!Ole!Eheheh Alaska fra
Nocciolina e gli stati confederati ne ha di soprannomi assurdi, sono
contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto!Se non dovessi
pubblicare in tempo, ti auguro delle splendide vacanze!besos
takara :
Hey!Spero che il brutto periodo sia passato :) Mi fa piacere leggere di
nuovo un tuo commento, sono proprio contenta che Alaska ti piaccia
così tanto e così anche le scenette con Reid e il
rapporto che si sta instaurando fra i due giovincelli!Uhm...non credo
che esista un Tanaka fan club, ma se c'è ti
manderò una maglietta!Un bacione e se dovessi latitare nella
pubblicazione, buone vacanze!
Maggie_Lullaby
: Contenta anche di un commentino mignon, non preoccuparti!Ormai
sarò in ritardo ma comunque ti auguro buone vacanze!Baci baci
lillina913
: Hey!Mi ha fatto davvero piacere leggere il tuo commento
così dettagliato!:) In effetti Alaska non può
certo buttarsi tutto alle spalle, ma è talmente
...uhm...leggera, diciamo, nei suoi atteggiamenti che fa dimenticare
quello che ha passato. Grazie mille per tutti i complimenti, continua
pure a commentare se ti riesce!un bacione e buone vacanze!
|
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Capitolo 6 *** Game Over ***
Di
solito si dice che tutto
è bene quel che finisce bene. Per come la vedo io, tutto
è
bene quel che finisce. Punto.
-Paperinik
Trent LeBeau.
Tom Langston.
Ed Ramos.
Sean Holler.
Emily Prentiss stava facendo passare
fra le proprie dita lunghe e affusolate quei quattro fascicoli da
circa mezz'ora. Seduto scompostamente su una sedia dall'altro lato
del tavolo, Morgan faceva lo stesso. I quattro uomini, ritratti al
loro peggio nelle foto segnaletiche, condividevano, oltre a una
smorfia infastidita, un curriculum di malefatte invidiabile. La loro
carriera criminale era iniziata in tenera età,
perlopiù
durante l'adolescenza, e si era conclusa con i loro ultimi arresti
che riportavano accuse quali tentato omicidio, maltrattamenti e
violenza. Ma a parte questo particolare e sinistro talento, non c'era
molto altro che li legasse.
“Ho finito il nuovo profilo
geografico!” annunciò Reid, picchiettando due
volte il tappo
del pennarello sulla mappa di Washington DC che era appesa su un
pannello di sughero ad un lato della stanza.
All'udire quelle parole gli occhi
vigili di Emily e Derek si fissarono sul giovane collega, pronti a
sentire quanto aveva appena scoperto.
“L'area di azione di LeBeau e
Langston era il Settimo Distretto, quella di Ramos il Secondo mentre
quella di Holler il Terzo. L'SI agiva in questa zona.-
specificò,
quindi, circondando con un tratto vermiglio un'area della mappa
piuttosto estesa-Questo ci dovrebbe fare escludere gli agenti di
polizia, dunque, dato che chi si è occupato dei loro casi
apparteneva a commissariati diversi.”
Prentiss staccò la mano su cui
aveva appoggiato il mento in maniera pensierosa per agitarla a
mezz'aria “Quindi è più probabile che
si tratti di
qualcuno che agisce nel sociale.”
“Quelle aree sono assistite da enti
diversi.” puntualizzò Morgan, stringendosi nelle
spalle.
“Gli assistenti sociali operano anche
in distretti diversi.” ribattè la donna,
voltandosi verso di
lui.
L'agente di colore storse le labbra,
meditabondo “Questi casi però sono stati gestiti
da
operatori ed agenzie differenti.”
“Sì, ma tutte fanno
riferimento ad un database centrale comune a tutta la
città.-rivelò
Spencer, ricordandosi di quel particolare- Il nostro SI deve aver
scelto le proprie vittime da lì.”
Morgan si alzò, per avvicinarsi
alla mappa e analizzarla pensieroso “Quindi sarebbe una sorta
di
giustiziere.”
“Con problemi di gestione della
rabbia, per questo ha sbagliato ad agire.- confermò Reid,
annuendo e facendo così ondeggiare i suoi capelli castano
chiaro- È un uomo solo, che ha fatto della propria carriera
il
pilastro per la sua intera esistenza.”
Emily seguì immediatamente il
filo di pensiero degli altri due agenti “Probabilmente
è
stato messo in aspettativa o comunque esentato dal lavoro per motivi
di salute o di esaurimento nervoso e il fatto di aver perso, anche
solo momentaneamente, il proprio impiego ha fatto scattare questa
idea. Vuole continuare ad aiutare i più deboli e crede che
questo sia il modo migliore per farlo.”
“Ma perchè scegliere qualcuno
che è già stato processato?”
domandò Derek,
voltandosi verso di lei come se potesse ottenere la risposta dal suo
viso teso e concentrato.
“Perchè è fuori
servizio da un po', non sa di questo particolare.- rispose Reid al
suo posto- Probabilmente sono gli ultimi casi che ha visualizzato,
gli ultimi di cui si voleva occupare.”
“A quando risale l'ultimo arresto fra
i quattro prescelti?” chiese quindi il giovane, allungando il
collo
verso i fascicoli che non aveva ancora avuto modo di leggere.
“Tre mesi fa.” disse la mora, dopo
aver fatto un breve calcolo mentale.
“Quindi cerchiamo un assistente
sociale in aspettativa per motivi di salute da circa tre o quattro
mesi.” ricapitolò Prentiss, alzandosi in piedi.
Spencer annuì, muovendo qualche
passo verso la porta: sarebbero dovuti recarsi al databese centrale
per venire a capo di quel problema e parlare con qualche dipendente
governativo “Controlliamo quelli che sono stati ricoverati:
sarebbe
il motivo per cui ha tardato così tanto ad agire.”
Morgan aveva già messo mano al
cellulare mentre li seguiva fuori dalla sala riunioni diretti al
parcheggio per poi raggiungere Rossi e Hotch a DC.
“Hey, bambolina!- esordì-
Abbiamo bisogno della tua magia.”
Impiegò qualche
secondo di
troppo per raggiungere il proprio cellulare che squillava
insistentemente sul brillante tavolo anatomico e quando rispose la
sua voce risultava leggermente trafelata.
“Qui Alaska!” trillò, per
poi aggrottare la fronte al suono delle proprie parole.
“Cioè, volevo dire, qui
Ross.-specificò velocemente- Non sono in Alaska, come poteva
sembrare dalle mie parole, ma mi chiamo Alaska, che è una
cosa
piuttosto assurda, ma probabilmente se hai il mio numero di cellulare
sai che sono Alaska Ross e mi trovo a Quantico e...”
“Alaska!- la interruppe la voce di
Rossi dall'altro capo del filo- Perchè non rispondi
semplicemente dicendo Pronto?”
La ragazza si strinse nelle spalle
sorridendo, senza rendersi conto che l'uomo non poteva vederla
“Mi
sembra così impersonale...- per poi alleggerire il tono di
voce- Che posso fare per te, Dave?Avete scoperto qualcosa di
nuovo?”
“In realtà stavo per chiederti
la stessa cosa.” rivelò Rossi, con un sospiro.
“Siamo telepatici, allora!- commentò
l'antropologa, prima di iniziare a parlare di ciò che stava
facendo- Comunque, sto lavorando al modello della macchina e credo di
poterne venire a capo fra un po'. Almeno credo. Sai quanti modelli di
SUV, furgoncini, autobus e via dicendo
esistono?Un'infinità!Per
me le auto sono delle specie di cubi con le ruote, non so distinguere
un'auto sportiva italiana da un trattore...”
L'agente FBI si affrettò ad
interrompere quel fiume di parole “Sei sicura di riuscire a
trovare
il modello giusto da sola?”
Non potevano permettersi di perdere
altro tempo e, per quanto stimasse Alaska e sapesse quanto fosse
competente nel proprio lavoro, avevano una squadra di esperti pronta
a venire a capo di un problema come quello che stava affrontando la
giovane in una decina di minuti.
“Per niente.- rispose Ross,
confermando i suoi sospetti- È per questo che ho chiesto
aiuto
a Danny.”
“Danny?” ripetè Dave
interdetto. Non conosceva nessuno con quel nome ai loro uffici.
“Sì, lavora alla sezione di
crittografia ed è un vero esperto di automobili.-
spiegò
Alaska, ringalluzzita- Gli ho appena fornito la descrizione del
paraurti, l'altezza del cofano e la consistenza del corpo dell'auto
all'impatto e stiamo facendo delle ricostruzioni dei mezzi che
potrebbero aver causato quel tipo di fratture.”
“A quando raggiungerete dei
risultati?” si informò Hotch, che aveva assistito
a tutta la
conversazione tramite il vivavoce.
“Hey, Hotch!”disse Alaska a mo' di
saluto, prima di allontanare la cornetta e parlottare con Danny,
seduto al suo fianco di fronte ad uno dei pc del laboratorio di
crittografia.
Aaron e David aspettarono
pazientemente, non riuscendo a distinguere le parole che i due
esperti si stavano scambiando al di là del filo.
“Dunque- continuò la ragazza,
riprendendo le redini della conversazione- Dan dice che probabilmente
abbiamo un vincitore. Una specie di camioncino bianco, siamo ancora
incerti sul vero nome del modello perchè sia io che lui non
sappiamo nemmeno sbadigliare in tedesco, comunque è fra i
modelli registrati nel vostro database governativo.”
I due profiler si scambiarono
un'occhiata ricca di significato “Perfetto”
esalò Rossi.
“Puoi darci un nome?” si informò
immediatamente Hotchner.
“Certo, posso farlo.- assicurò
Alaska prima di fare una pausa in cui i due agenti poterono
distinguere il suono delle sue dita che picchiettavano sulla
tastiera- Devo solo chiedere a Penny di aiutarmi nell'identificazione
della targa. Devo solo trovare un modo per raggiungere il suo
ufficio.”
Dave aggrottò le sopracciglia,
confuso da quel commento “Alaska?”
“Eh?” ribattè la giovane
soprappensiero.
“Perchè stai bisbigliando?”
domandò, pensando a quanto fosse strano che non avesse usato
il suo solito tono di voce leggermente acuto.
“Oh, niente.-minimizzò, mentre
la sentivano camminare- Mi sto nascondendo.”
Hotch sapeva che il suo collega si
sarebbe pentito di aver fatto quella domanda, ma lo lasciò
fare “Da chi?”
“Dalla Tanaka. Pare che sia un
tantino arrabbiata con me...” Non c'era un minimo di senso di
colpa
nella voce dell'antropologa. Probabilmente, come l'imbarazzo e la
rabbia, era uno dei sentimenti di cui ignorava l'esistenza.
“Un tantino?- l'agente di origini
italiane alzò un sopracciglio-Che hai combinato?”
Alaska fece sventolare la mano con
noncuranza, mentre camminava veloci lungo i corridoi della sede FBI
di Quantico “Niente di particolare. Pare si sia verificato un
piccolo incidente con gli scarafaggi, roba da niente.”
Aaron aggrottò le sopracciglia
“Devo chiedere a Garcia di contattarti per sapere quello che
ti ho
chiesto?”
“No, no!- gli assicurò Alaska-
Ci sono, sto andando.”
“E' una decolorazione dovuta all'uso
di antibiotici durante il periodo di sviluppo dei molari.”
continuò
poi a dire.
“E questo che c'entra?” Per quanto fosse usuale
per la giovane fare commenti campati in aria, quello era decisamente
assurdo.
“Scusate, sono al telefono con il
laboratorio del Maryland.-rivelò, mentre si destreggiava fra
il proprio cellulare e quello del dottor Stein, che era suo compito
gestire- Comunque, ho qua le cartelle di chi ha subito maltrattamenti
dalle presunte vittime designate, se la cosa può esservi
utile: me le ha consegnate uno degli assistenti della Tanaka. Ve le
mando immediatamente via mail.”
“No, Carl, non a te.- la sentirono
dire, più distante- Come posso mandarti un campione dentario
via mail?”
Dave scosse la testa, esasperato
“D'accordo, Alaska, facciamo così: tu e Garcia
dovete
chiamarci immediatamente quando avrete quel nome.”
“Agli
ordini, capitano!” si congedò con un trillo,
contenta di
poter gestire solo una telefonata alla volta.
Alaska Ross
entrò nell'ufficio
di Penelope Garcia saltellando, con il pc portatile del laboratorio
sotto braccio e un sorriso a trentadue denti sul viso leggermente
abbronzato grazie alla recente permanenza in Guatemala. Nel reparto
di scienze forensi avevano ormai concluso tutte le analisi di
laboratorio, Stein aveva visionato le ossa che lei aveva ripulito e
aveva redatto un'analisi completa e dettagliata sotto la supervisione
della Tanaka. In effetti, era proprio per via del suo sguardo
penetrante ed indagatore che era fuggita via dai laboratori di
analisi forense dell'FBI, anzi, in effetti, era stata la stessa
patologa ad invitarla ad andarsi a farsi un giro piuttosto di
irritarla con la sua serenità inspiegabile. Il che, in
effetti, era stata una fortuna visto che aveva incontrato Danny e con
lui era riuscita a identificare finalmente l'auto dell'SI.
“Hey, Penny!- la salutò,
lasciandosi andare su una sedia- Sai che Washington Dc è lo
stato confederato in cui sono registrati i livelli di istruzione
più
alti, rispetto alla popolazione abitante?”
La bionda le rivolse un sorriso da
Stregatto, mentre si voltava verso di lei facendo ruotare di
centottanta gradi la sedia “Nocciolina, forse credo che non
sia una
grande idea che tu inizi a frequentare il nostro G-man. Sai, stai
iniziando già a caricare troppe informazioni in quel tuo
cervellino iperattivo.”
“In realtà l'ho letto sulla
mia guida della città.” rivelò Alaska,
dandosi un
colpetto sulla tasca dei jeans chiari, da cui sbucava il piccolo
libro.
“A che ti serve una guida quando hai
a disposizione la più grande risorsa informatica del
pianeta?”
protestò Garcia con un sorriso.
“Non dell'universo?” la assecondò
l'antropologa, l'espressione speculare a quella della tecnica
informatica.
“Accidenti, hai ragione, nocciolina!-
rise divertita, prima di porre la fatidica domanda riguardando la sua
presenza nel suo ufficio- Allora, cosa ti porta di nuovo
qui?Cioè,
lo so che la mia compagnia causa dipendenza a causa del mio carattere
amabile, ma che scusa hai usato per sgattaiolare fin qui?”
“Devo fare delle ricerche su delle
auto in base alle misure che ho individuato sullo scheletro di
Grimes. Ho pensato che iniziando qui la ricerca del tipo di auto poi
avrei potuto comunicarti più tempestivamente il modello e tu
avresti cercato subito la targa.” spiegò la mora,
indicando
con un cenno il proprio computer.
“Eccellente!- commentò
Penelope, tornando a voltarsi verso i propri schermi-Sono sicura che
ti crederanno, quando lo racconterai.”
“Tu che stai facendo?”
si informò l'antropologa, allungando il collo verso la
tastiera su cui la bionda digitava velocemente e senza sosta.
Lo sguardo di Penelope era determinato
“Cerco di scoprire l'identità di quel
mostro.”
“Come?” domandò Ross,
l'espressione interessata.
“Sto cercando qualcuno che lavori
nella polizia o nei servizi sociali e che si sia occupato di tutti i
casi in cui erano coinvolte le vittime, o che comunque abbia avuto
accesso a quei file. È un controllo incrociato piuttosto
lungo, però, visto che abbiamo informazioni
sommarie.”
“Beh, puoi aggiungere questo nella
lista delle caratteristiche da ricercare.- disse Alaska, mostrandole
l'immagine del mezzo sul proprio computer- Secondo le ricerche mie e
di un ragazzo giù al reparto crittografia, il killer che
cerchiamo guidava un furgoncino come questo.”
Garcia le rivolse un sorriso trionfante
“Direi che con queste informazioni avremo il suo nome in meno
di
cinque minuti!”
Luke Orson, quarantadue
anni, era un
uomo distinto. Il viso era serio, con una mascella prominente e le
labbra sottili. Gli occhi, più piccoli di due olive,
rivolgevano all'obiettivo uno sguardo privo di qualsiasi
vitalità.
Pessima foto per il tesserino di
riconoscimento, aveva commentato Garcia, quando i dati
sull'assistente sociale erano comparsi sullo schermo davanti a lei.
Orson era stato ricoverato per
esaurimento nervoso circa quattro mesi e mezzo prima, dopo di che
aveva continuato a inviare lettere sempre più insistenti al
proprio capo, per sollecitare un reinserimento che era destinato a
non dover mai verificarsi: gli episodi di crollo nervoso dell'uomo
erano troppo intensi per essere ignorati, perfino dopo il suo
reinserimento in società.
“Siamo dei geni.” disse Penelope,
che si era appena messa in collegamento al telefono con Derek.
“Siamo?” ripetè scettico
l'uomo di colore.
“Io e Alaska.- rivelò la
donna- Geni allo stato puro.”
“Che hai scoperto, bambolina?”
domandò Morgan, sotto lo sguardo incuriosito di Spencer ed
Emily, confortato dal fatto che la collega avesse un tono tanto
soddisfatto.
“Ho appena fatto un controllo delle
targhe e fra un po' ti riuscirò a dare quella dell'SI, che
non
è più un soggetto ignoto ma ha ormai nome e
cognome.”
rivelò Garcia allegra.
“Davvero?” In realtà non era
molto colpito: la donna era solita a quel tipo di miracoli.
“Uh, uh.- confermò tronfia
Penelope- Luke Orson, ti sto inviando tutti i dati.”
“Come avete fatto a trovarlo?” si
informò quindi, mentre passava le informazioni ai due
colleghi.
“Io ho fatto uno dei miei soliti
trucchetti, mentre Alaska è riuscita a risalire al modello
dell'auto calcolando il peso dell'abitacolo e la grandezza dei
pneumatici in base alla grandezza e la profondità delle
fratture.” snocciolò con tono saputo l'informatica.
Sulle labbra carnose di Morgan si stese
un sorriso “Siete due geni.”
“Come avevo detto io fin
dall'inizio!” continuò Garcia sorridendo.
“Mi fa paura immaginarvi a lavorare
insieme.- continuò con lo stesso tono l'uomo- Credo che
potreste ottenere il dominio del mondo con
facilità.”
“Io più che il mondo vorrei
Venere, lo trovo un pianeta delizioso.” scherzò la
bionda,
dondolandosi sulla sedia.
“Oh, oh!- intervenne Alaska con tono
allegro-Io voglio Saturno!”
“Andata.” assicurò Penelope
con una strizzata d'occhio, prima di rivolgersi nuovamente a Derek.
“Vuoi anche tu un pianeta,
zuccherino?”
“Forse, come premio, dopo che avrò
preso quel tizio.” ribattè il bell'agente, ormai
concentrato
su quanto avrebbe appena fatto coadiuvato dai colleghi.
“Certo, cioccolatino.- continuò
Garcia, prima di rivolgersi alla giovane antropologa- Che dici,
nocciolina, quale sarebbe il pianeta più adatto a
lui?”
Ci fu una pausa di pochi secondi, dopo
di che, le voci allegre delle due si fusero mentre pronunciavano la
stessa parola.
“Marte!”
Aveva fatto resistenza.
Molta.
Certo, non che servisse davvero, una
volta che Morgan l'aveva buttato a terra e ammanettato, ma il fatto
che continuasse a protestare veementemente per il proprio arresto e
che li accusasse di aver dovuto agire proprio perchè le
forze
dell'ordine non avevano fatto il loro lavoro era stata la conferma
che Luke Orson era il loro SI, oltre che di certo aveva ancora
bisogno di psicofarmaci.
Eppure, mettere finalmente la parola
fine a quel caso che aveva assorbito totalmente le loro energie aveva
fatto trarre a tutti i membri della squadra di Analisi Comportamentale
un respiro di sollievo.
JJ avrebbe tenuto una conferenza stampa
al più presto per annunciare l'arresto del serial killer che
operava a Washington: l'idea di affrontare un gruppo di giornalisti
bellicosi, stranamente, non la disturbava troppo, soprattutto
perchè
pensava che avrebbe avuto l'intera serata a disposizione da dedicare
totalmente alla propria famiglia, senza dover pensare, almeno per un
po', a criminali psicopatici.
Hotch aveva messo in conto di dover
rimanere in ufficio fino a tardi di nuovo, per quella sera, di modo
da compilare il rapporto sul caso e consegnarlo immediatamente, e poi
avrebbe finalmente un po' di tempo di qualità da dedicare a
Jack.
Rossi pensava alla serata libera che
gli si prospettava davanti: gli sarebbe piaciuto portare a cena
Alaska, per farle vedere la città e informarsi un po' sulle
novità nella vita della ragazza in seguito alla sua
spedizione
in Guatemala, ma sapeva che forse invitandola avrebbe tolto
un'occasione a Reid, e lui sapeva di quanto il giovane ne avesse
bisogno.
Prentiss si immaginava poltrire
placidamente nella vasca da bagno, a mollo fra sali profumati e acqua
calda.
Morgan stava già organizzando
nella propria mente una serata di celebrazione per la conclusione del
caso. Prima un ristorante cinese, magari, e poi un giro in qualche
pub o discoteca...
Spencer Reid cercava di tenere la
propria mente occupata con pensieri diametralmente opposti a quelli
che invece continuavano a bussargli in testa.
Ma proprio mentre stava elencando
mentalmente la tavola degli elementi, con tanto di pesi specifici e
via dicendo, salì sullo stesso ascensore che stavano
utilizzando una segretaria che indossava una camicetta blu. Non
riuscì a impedire ai propri pensieri di dirigersi verso
Alaska
Ross e ai suoi grandi occhi del color del mare.
Quando Derek gli diede amichevolmente
una pacca sulla spalla sobbalzò sul posto, guardandosi
intorno
stralunato.
Nemmeno si era accorto che erano
arrivati al piano dove si trovava l'open space del BAU.
“Allora, ragazzino, sei dei nostri?”
ripetè Morgan, vedendolo smarrito.
“Eh?” esalò Spencer, che
aveva perso completamente il filo del discorso.
“Stasera usciamo a festeggiare: prima
cinese e poi un giro fra i locali del centro.-ripetè la
propria proposta, che era già stata accettata dagli altri-
Non
puoi dire di no: pensiamo di invitare anche la fanciulla che sussurra
alle ossa!”
“Beh, ecco, io...” balbettò
di nuovo, cercando di riattivare le proprie cellule grige alla
ricerca di una scusa accettabile: non era pronto a passare la serata
con i propri colleghi e Alaska contemporaneamente. Soprattutto non
con Morgan e le sue continue battutine e allusioni.
Non ebbe il tempo di aprire bocca,
però, perchè non appena si avvicinarono alla
propria
postazione Garcia agitò ampiamente le braccia per poi fare
segno a tutti loro di tacere.
“Che c'è?- domandò
Emily alzando un sopracciglio- Siamo intercettati?”
La bionda fece roteare gli occhi
platealmente e poi indicò con un gesto del capo la sedia
dietro di lei. Alaska vi era seduta compostamente, ma con le braccia
e le gambe rilassate. La testa era reclinata in avanti, il mento
appoggiato al petto; non potevano vedere gli occhi chiusi, ma il
respiro regolare indicava nettamente che stava dormendo.
Fra i membri della squadra si alzò
una risatina sommessa.
“Da quanto tempo dorme così?”
chiese Hotch, scuotendo il capo incredulo.
“Cinque minuti.-disse Penelope, dopo
aver fatto un breve calcolo- Stavamo chiacchierando ed è
crollata all'improvviso e la cosa buffa è che stava parlando
lei.”
Sul bel volto di JJ si allargò
un sorriso materno “Era davvero esausta, non ha avuto un
attimo di
respiro ultimamente...”
Stava ancora parlando quando la giovane
antropologa rialzò la testa di scatto, ricominciando a
parlare
come se non avesse mai smesso di farlo.
“...e poi non è così
difficile come sembra e...- continuò, per poi interrompersi
e
far vagare il proprio sguardo interrogativo sugli agenti FBI che
l'attorniavano- Quando siete tornati voi?”
“Neanche due minuti.” rispose Dave,
con un sorriso sornione sul volto.
Alaska aggrottò la fronte,
scrutandoli perplessa.
“Direi che se quello era un provino
per la Bella Addormentata te la stai cavando alla grande!” la
punzecchiò Morgan, strizzandole l'occhio.
La giovane accennò a una risata,
prima di pensare agli avvenimenti degli ultimi giorni.
“L'avete preso?” domandò,
con la voce impastata dal sonno, mentre alzava le braccia e si
stirava la schiena.
“Sì.” confermò Aaron,
annuendo.
“Il che mi fa ricordare che stasera
pensavamo di andare fuori a cena, per festeggiare la conclusione del
caso.- intervenne Derek, mettendole un braccio intorno le spalle
esili- Sei dei nostri, Quarantanove?”
“Mi piacerebbe, ma non credo di avere
ancora finito qui.” borbottò imbronciata,
mordendosi il
labbro inferiore.
Le chiese Emily “Che altro devi
fare?”
“Appena all'accademia hanno saputo
della presenza del dottor Stein è stato allestito a tempo di
record un seminario sull'antropologia forense.” li
informò
Garcia, che aveva saputo di quella notizia in anteprima.
Stranamente, sapere che Alaska non
avrebbe cenato con loro, non portò a Spencer il sollievo che
si aspettava.
“In effetti mi è arrivato un
comunicato, stamattina.- ricordò Rossi, passandosi una mano
sul mento- Recupero dei cadaveri per i membri della squadra della
raccolta prove, giusto?”
“Già.- confermò
l'antropologa alzandosi in piedi, con un sorriso ampio sul viso- Devo
andare al Centro per la Ricerca e l'Addestramento nelle Discipline
Forensi e preparare una richiesta per i materiali che mi serviranno
per la lezione di domani, oltre che il permesso scritto per svolgere
un'esercitazione pratica nei boschi qua intorno durante i prossimi
giorni.”
Reid aggrottò la fronte “Ma il
relatore del corso non è Stein?”
Alaska alzò i palmi, facendo una
piccola smorfia rassegnata.
“Gli serve un'assistente per tenere
alla larga le reclute fastidiose,
diciamo.”ricapitolò JJ,
che aveva intuito immediatamente com'era la situazione.
“Esatto.- confermò radiosa- Lo
aiuterò nelle dimostrazioni e sarò disponibile
per le
delucidazioni alla fine delle lezioni, ma devo anche preparare la
dimostrazione pratica per dopodomani e i test di fine corso.”
“Sembra uno spasso.” ironizzò
Derek, alzando un sopracciglio.
“Certo- gli diede ragione Alaska, non
cogliendo il tono dell'uomo- ma credo che dovrò andare
immediatamente, prima che gli uffici chiudano.”
Fece un breve cenno di saluto e si
avviò verso gli ascensori, ma la voce titubante di Spencer
la
richiamò.
“Ci vediamo, allora.” balbettò,
sotto le occhiate divertite dei propri colleghi.
Gli occhi di Alaska si illuminarono
all'istante “Certo.- confermò contenta- Credo che
rimarrò
da queste parti per un pò!”
__________________________________________________________________
Miracolo!Miracolo!Aggiornamento
direttamente dalla location estiva!Ho scoperto di essere una Garcia in
erba considerando che ho risolto da sola e senza distruggere il pc un
problema alla linea wireless, cosa che i tecnici mi avevano detto
impossibile senza una formattazione del portatile!Perciò,
eccomi qua: felice come una Pasqua per questo aggiornamento non
previsto!!Il capitolo è un pochetto corto e siamo in
dirittura d'arrivo (ancora due capitoletti) ma visto che ci sto
prendendo gusto ci sarà un sequel del
sequel!Olè!!Almeno, olè se l'idea piace anche a
voi!Fatemi sapere, cari lettori!E fatemi pure sapere che ne pensate di
questo aggiornamento estivo!!Un bacione e godetevi le vacanze!
JoJo
dizzyreads : Hey!!Wow quanti complimenti
tutti in una recensione, me arrossisce!:) Sono contenta che la storia
ti piaccia e anche i personaggi, spero che l'aggiornamento sia arrivato
abbastanza in fretta per i tuoi gusti, addirittura con la conclusione
del caso del picchiatore anonimo!Fammi sapere che ne pensi di questo
capitolo!Besos
Luna Viola : Ecco il next chapter tanto
atteso!Sono contenta che anche il sequel ti piaccia!Che ne dici
dell'idea di un sequel del sequel?Non voglio abbandonare Alaska!!:)
Kisses
|
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Capitolo 7 *** Lovely bones ***
Farò
della mia anima
uno scrigno per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza, del mio petto un sepolcro per le tue pene.
Ti amerò come le
praterie amano la primavera,
e vivrò in te la
vita di un fiore sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome
come la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò il
linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta la
storia delle onde.
Kahlil Gibran
Da qualche parte, nei corridoi della
sede dell'FBI. Quantico, Virginia.
Non era abituata a guardare
dove
metteva i piedi. In effetti, quando camminava, passava più
tempo a guardarsi intorno oppure a vagare con il pensiero che a
guardare effettivamente la direzione in cui procedeva. Tuttavia
Alaska Ross aveva una scusa, quella volta, per il fatto che se ne
andava a zonzo con il naso all'insù: i corridoi dei palazzi
dell'FBI erano dei veri labirinti e lei aveva il senso
dell'orientamento di una bussola rotta.
Sapeva esattamente, però, che
camminare in quel modo non era consigliabile, infatti non
passò
molto da quando si era persa fra quegli spazi ampi e tutti uguali che
andò a sbattere violentemente contro qualcuno, cadendo
rovinosamente a terra.
La giovane antropologa alzò
immediatamente le braccia, alzando il viso su cui troneggiava un
sorriso largo e di scuse “Colpa mia!- si affrettò
a dire-
Non guardavo dove stavo andando.”
“Forse dovresti iniziare a farlo.- la
rimbeccò bonariamente una voce conosciuta- Potresti
imbatterti
nella Tanaka e le daresti un motivo in più per odiarti con
un
placcaggio del genere.”
Alaska strizzò gli occhi
cerulei, divertita da quel commento, mentre si rialzava di fronte a
Derek, Emily e Spencer.
“Non riesco a credere che siamo
riusciti ad incrociarti,- le rivelò la donna, mettendole una
mano sulla spalla- ormai credevo che fossi imprigionata nell'aula da
Stein.”
“Mi sto godendo l'ora d'aria.- rivelò
Ross, affiancandosi a loro che si stavano dirigendo verso gli
ascensori, probabilmente per uscire per la pausa pranzo- Ho il
pomeriggio libero perchè ho già finito di
preparare
tutto per l'esercitazione di domani. Volete partecipare anche
voi?”
Certo, l'invito era rivolto a tutti
loro, ma Prentiss e Morgan non riuscirono a non notare che la ragazza
si era voltata verso Spencer.
Fu proprio lui a informarsi a riguardo
“Che tipo di esercitazione è?”
“La simulazione del ritrovamento di
un cadavere decomposto.” spiegò Alaska.
“Direi che passo.” disse Emily, con
una smorfia sul viso.
“Idem.- le fece eco Morgan- Non ho
voglia di vedere gente che da di stomaco.”
Gli occhi carichi di aspettativa della
giovane si spostarono su Reid “Magari ci farò un
salto:
dicono che le lezioni di Stein siano davvero interessanti.”
“Grandioso!- trillò contenta-
E voi?Non andate a salvare il mondo, oggi?”
Derek le scompigliò i capelli
fraternamente “Tu sei qui, Quarantanove, sei sotto il nostro
controllo: direi che il mondo è al sicuro!”
Alaska gonfiò le guance per poi
fare la linguaccia in direzione del bell'uomo di colore, mentre le
risate divertite degli altri due profiler riempivano l'aria intorno a
loro.
“Che hai lì?” domandò
incuriosita Emily, mentre stavano ormai camminando nella hall in
direzione del parcheggio. La ragazza stava stringendo fra le mani una
scatoletta che sembrava contenere dei dolci di qualche tipo.
“Un regalo, me l'hanno dato al corso
di Davon.” rivelò Ross, dando un colpetto
all'involucro.
Spencer non riuscì a trattenere
un nuovo e stranamente violento moto di gelosia“Oh. Scommetto
che
uno dei tanti agenti che hanno casualmente deciso di frequentare il
corso dopo aver scoperto della tua presenza lì ha tentato di
fare colpo...”
“In realtà è stata una
ragazza che sta facendo uno stage ai laboratori:- spiegò
Alaska, che sembrò non notare il tono del giovane genio- le
ho
promesso che l'aiuterò ad ottenere un tirocinio al centro
per
il recupero e l'identificazione dei resti dei soldati delle guerre
americane alle Hawaii.”
Emily fece roteare gli occhi, dopo aver
visto l'espressione sul volto di Reid rilassarsi nuovamente
nell'udire quelle parole.
“Secondo me l'aiuti solo per ottenere
i biscotti!- scherzò Derek, strizzandole l'occhio, prima di
additare con il pollice il Suv alle proprie spalle- Hotch ci ha dato
il pomeriggio libero: stiamo andando in città per andare a
pranzo. Vuoi unirti a noi?”
“In realtà sto andando in
centro.- rivelò Alaska mordendosi il labbro inferiore- Devo
vedere delle persone.”
“Ti accompagniamo noi!” si affrettò
a dire Reid, anche se la macchina era di Morgan e sarebbe spettato a
lui invitarla.
Il viso della giovane si illuminò
“Davvero?Grazie!”
Hotel Sofitel, Washington
DC.
Derek allungò il
collo per
vedere l'insegna dell'albergo oltre il parabrezza. L'hotel Sofitel
era rinomato in città ed era nella lista degli alberghi
più
belli. Sapeva per certo che non era il posto dove soggiornavano Ross
e Stein perciò si ritrovò immediatamente a
chiedersi
chi dovesse incontrare la ragazza lì dentro.
“Chi sei venuta a trovare?” domandò
incuriosita Emily quando scesero dall'auto, facendo scivolare lo
sguardo su dei cartelloni che si stavano svolgendo per quella
settimana proprio in quella struttura.
Sul volto di Alaska comparve un sorriso
dolcissimo “I miei fratellini.”
“I tuoi fratelli sono qui?” ripetè
Reid. Si ricordava dei due fratelli minori di cui l'antropologa era
decisamente orgogliosa: gliene aveva parlato spesso e gli aveva pure
promesso che glieli avrebbe fatti conoscere.
“Già, c'è il torneo
nazionale di matematica.” confermò, additando uno
dei grossi
poster che decoravano anche la hall, invasa da ragazzi di ogni
età.
“Sono in gamba.” si complimentò
Prentiss, guardandosi intorno per vedere se riusciva a individuarli
in base a qualche somiglianza.
“Molto, mia madre gli ha fatto fare
il test per il calcolo del quoziente intellettivo ma non ha voluto
riferire a nessuno il risultato.- spiegò ridendo- Credo di
essere imparentata con i nuovi Einstein: due al prezzo di
uno.”
Morgan corrugò la fronte “Sono
gemelli?”
“Omozigoti. Non li distinguono fra
loro nemmeno i loro genitori.- rivelò Alaska, per poi
additare
un ragazzino che le si stava avvicinando di corsa- Quello è
TJ”
“Hai appena detto che sono
indistinguibili.” le fece notare Spencer.
“Di solito appiccico sulla schiena di
uno dei due un post-it, ma di recente JD è un po' arrabbiato
con me quindi non ho bisogno di ricorrere a questo
espediente.”
Emily si fece scappare una risatina per
quel metodo strambo e il giovane genio scosse la testa altrettanto
divertito. L'attenzione di Derek si era invece concentrata su un
altro particolare.
“Aspetta un momento, Alaska.- disse,
fermandosi di colpo e alzando i palmi- I tuoi fratelli si chiamano TJ
e JD?Credevo fosse tuo padre quello fissato con i nomi
improponibili.”
La mora lo guardò aggrottando la
fronte “No, mio padre è quello fissato con
l'Alaska. Mia
madre è finlandese e il suo nuovo marito le ha permesso di
dare ai gemelli nomi finnici.”
“So che me ne pentirò,ma...-
continuò Emily al suo posto-Quali sono questi
nomi?”
“Tuomas Jalo e Jaakko Daavid.”
rispose contenta l'antropologa.
“Carini.- ironizzò Morgan
alzando un sopracciglio- Mi domando perchè non usate
direttamente questi invece dei soprannomi.”
“Perchè chiunque non possieda
geni urgo-finnici di solito trova difficoltà a ricordarli e
pronunciarli nella maniera corretta.- spiegò Ross non
cogliendo il tono scherzoso- Sono contenta che a te piacciano,
Derek.”
I tre profiler si lanciarono le solite
occhiate rassegnate, che spesso accompagnavano i commenti della
giovane antropologa, proprio mentre lei si era piegata leggermente
per accogliere fra le proprie braccia un bambino abbastanza alto ma
magro, che avrà avuto al massimo sette anni.
Quando l'abbraccio si sciolse il
ragazzino li osservò dal basso con i suoi grandi e lucenti
occhi blu, nascosti dietro sottili lenti di occhiali da vista dalla
montatura leggera in titanio. Aveva i capelli di un biondo
impossibile, talmente chiaro da sembrare bianco, e il volto
leggermente magro nonostante l'età ancora infantile. Non si
poteva dire che assomigliasse alla sorella maggiore, ma aveva un'aria
talmente tranquilla e svagata che rispecchiava esattamente quella di
Alaska, rivelando così la parentela che li legava.
“TJ, ti presento i miei amici
dell'FBI: Emily, Derek e Spencer.” annunciò la
ragazza,
sventolando il braccio verso i tre.
Il bambino li scrutò con i suoi
grandi occhi vivaci “FBI?Forte!”
Alaska sorrise materna, avvolgendogli
il braccio intorno alle spalle, strizzandolo un po' a sé
“Allora, come vanno le gare di matematica?”
“Mi hanno già eliminato.” la
informò il biondino, senza perdere il proprio sorriso.
Reid spalancò gli occhi per
quanto si era accentuata la somiglianza fra i due solo per
quell'atteggiamento.
“Mi dispiace, tesoro.” le labbra di
Alaska presero una leggera piega all'ingiù.
“Non fa niente.-la rassicurò
TJ sereno- Ho più tempo libero, e poi JD andrà
sicuramente in finale quindi abbiamo un rappresentante della
famiglia.”
“Giusto.- concordò la giovane-
A proposito, dov'è tuo fratello?”
“Ha di nuovo saltato la lezione
privata pre-gara per andare a nuotare nella piscina.-TJ aveva fatto
roteare gli occhi, al pensiero del fratello- Sai, credo che la
piscina dell'albergo sia di tipo olimpico.”
Alaska spalancò gli occhi
“Davvero?”
“Credo di sì.” annuì
il bambino.
I tre profiler li osservavano senza dir
nulla: era chiaro il forte legame fra i due e gli sembrava scorretto
intromettersi, nonostante la conversazione non fosse per niente
intima o riservata.
“Ti sei guadagnato una bella vacanza,
allora.” continuò a chiacchierare la ragazza.
Per la prima volta i tre agenti FBI
riuscirono a individuare un broncio sul volto del ragazzino
“Mai
come la tua in Guatemala.”
Alaska sospirò, mentre una sua
mano andava a scompigliarli i fili d'oro che si trovava al posto dei
capelli “Tesoro, lo sai che dovevo
lavorare.”
“Lo so, lo
so.- TJ fece di nuovo roteare gli occhi- Stai lavorando anche
adesso?”
“No, ora sono in vacanza.- trillò
contenta l'antropologa- Sai una cosa?Se tuo fratello ed io faremo la
pace potremmo organizzare un bel pomeriggio tutti insieme, che ne
dici?”
“Ok!”
“Vado a cercare JD, tieni tu
compagnia ai miei amici TJ?” continuò a parlare
Alaska,
lanciando un'occhiata ai tre agenti per scusarsi se si assentava.
“Certo, Al.- assicurò, mentre
lei si allontanava sventolando una mano- Allora...mi offrite
un'aranciata?”
Prentiss rise nel riconoscere nel
sorriso del ragazzino uno specchio di quello dell'antropologa
“Ma
certo.- gli assicurò, posandogli una mano sulla spalla e
seguendolo al bar dell'albergo- Quindi ti hanno già
eliminato?”
TJ annuì, mentre si arrampicava
su uno sgabello di fianco al bancone “Sì: le gare
erano
noiose e io mi annoiavo.”
Derek alzò un sopracciglio “Ti
sei fatto eliminare di proposito?”
Il biondino si strinse nelle spalle,
mentre si rigirava nelle mani il bicchiere col succo d'arancia.
“Magari avresti potuto vincere.”
disse Spencer, giusto per unirsi alla conversazione. Si sentiva un
po' sotto pressione, e non sapeva perchè: solo, qualcosa
dentro di lui diceva che doveva fare bella figura con quel bambino,
piacergli, ed era certo che questo c'entrasse col fatto che fosse il
fratello di Alaska. Si diede mentalmente dello stupido:
perchè
mai sentiva il bisogno di piacergli?Fra lui e Alaska non c'era
niente...
Scosse la testa, tornando a
concentrarsi sulla voce di TJ che continuava a porre domande
interessate a Prentiss e Morgan “E' difficile entrare
all'FBI?”
“Hai intenzione di fare domanda?-
rise Emily- Non è un po' presto per pensare alla
carriera?”
“Sto solo prendendo in considerazione
alcune possibilità.” rivelò il bambino,
con un tono
talmente serio da risultare buffo, così in contrasto con il
suo aspetto infantile.
“Davvero?Quali sarebbero?” chiese
curioso Derek.
“Medicina con specializzazione in
diagnostica o in chirurgia d'urgenza, ingegneria aerospaziale, oppure
ricercatore in campo nucleare.” snocciolò il
bambino,
lasciandoli di stucco.
“Wow. Dove sono finiti i semplici
poliziotti e giocatori di baseball?” si lasciò
sfuggire
l'agente di colore, stupito.
Prentiss diede un colpetto scherzoso a
Reid “Scommetto che anche tu alla sua età pensavi
a carriere
del genere.”
Spencer stava per aprire bocca per
protestare, ma il ragazzino fu più svelto.
“A te piace mia sorella, vero?”
domandò indifferente. Evidentemente il cambio repentino di
argomenti di conversazione e l'assenza di interesse per la privacy
erano dei caratteri genetici ereditari.
“Beccato!” proruppe Derek
divertito.
“I-Io...beh ecco...” balbettò
Reid, senza riuscire ad impedirsi di diventare rosso come un
peperone.
“Sai che le pupille si dilatano del
quarantacinque per cento quando guardiamo qualcosa che ci
piace?”
spiegò quindi TJ, come prova del proprio ragionamento.
“Sì, ma non credo che
questo...” riuscì a dire il giovane profiler,
estremamente
imbarazzato anche dalle risate dei colleghi.
“Le tue pupille si dilatano un sacco
quando guardi lei.” lo informò il ragazzino, prima
di
succhiare un po' di succo con la cannuccia.
“Beccato!- ripetè Morgan
dandogli una pacca sulla spalla- Da un ragazzino di sette anni,
oltretutto.”
Spencer insaccò la testa fra le
spalle, rosso in volto, e incrociò le braccia. Se era
così
evidente la sua cotta, allora, perchè Alaska sembrava essere
l'unica che ancora non l'aveva capito che si era innamorato di lei?,
si ritrovò a pensare.
JD era la copia esatta di
TJ. Stessi
occhi, stessi capelli, stessa corporatura. Avevano persino la stessa
fossetta verticale che gli si formava sulla guancia quando
sorridevano apertamente.
Ma JD, in quel momento, non aveva
affatto voglia di sorridere. Sguazzando da solo nella piscina coperta
dell'albergo, sentiva a malapena gli schiamazzi degli altri avventori
che occupavano invece la piscina esterna, qualche metro più
in
là. In quel momento era troppo impegnato a mostrare alla
sorella maggiore un broncio che gli avrebbe benissimo potuto fruttare
un Oscar.
Alaska, dal canto suo, lo osservava con
uno sguardo comprensivo.
“Quindi io sono una pizza, eh?- gli
domandò, ripetendo le accuse che il ragazzino le aveva fatto
l'ultima volta che si erano sentiti- Una sorella antipatica e
noiosa?”
JD sporse il labbro inferiore prima di
rispondere dopo un gesto d'assenso “Il fratello maggiore di
Austin
suona la batteria in una band, tu fai la scienziata in un
laboratorio.”
“Un vero schifo.” commentò
Alaska, alzando un sopracciglio.
“Già.” concordò il
bambino, battendo la mano nell'acqua per un paio di volte.
“Quindi non c'entra con il fatto che
non ti ho portato con me in Guatemala?” lo
stuzzicò la
ragazza, che ben sapeva che era quello il motivo per cui il
fratellino era arrabbiato. Gli aveva promesso che lo avrebbe portato
in uno dei suoi viaggi di studio, ma sapeva che il Guatemala non era
un Paese particolarmente facile da vivere, specialmente per un
ragazzino, quindi era partita senza riuscire a mantenere la sua
promessa. Se TJ aveva soprasseduto in fretta sulla cosa, JD era
ancora evidentemente arrabbiato.
“No.” mentì, girandosi dalla
parte opposta a lei.
Alaska annuì, assecondandolo “Se
mettessi su una band ti ritornerei simpatica?”
“Non credo.” borbottò JD,
scontroso.
“Perchè sono una noiosa
scienziata che lavora in un laboratorio.” continuò
a dire la
ragazza, seguendo il ragionamento del fratello.
“Già. E poi non sai suonare
decentemente nemmeno il campanello di casa!” la
accusò,
senza riuscire a trattenere una specie di sorriso.
Alaska annuì, seria “Capisco”
Si scostò dal bordo della
piscina, abbandonò la propria giacca e la borsa su una
sdraio
poco distante e si voltò di nuovo per correre verso l'acqua.
Il tuffo a bomba fece un piccolo eco in quello spazio e, quando
riemerse, i suoi occhi azzurri riflettevano esattamente il colore
dell'acqua intorno a lei.
“Al!- la chiamò stupito il
bambino, avvicinandosi a nuoto- Che cosa hai fatto?”
“Un tuffo a bomba.- rise Ross- Sono
ancora una pizza?”
JD non potè fare a meno di ridere
“No.”
“Bene, perchè io non mi
sentivo così.” disse sorridendo e schizzandolo
scherzosamente.
“Adesso sei tutta bagnata, e non hai
niente con cui cambiarti.- la rimproverò però il
ragazzino- A che cosa stavi pensando?”
“A niente.- rivelò Alaska,
allungando una mano per scompigliargli i capelli- Dovresti provarci
anche tu qualche volta, hai solo sette anni, il mondo non ha bisogno
di un altro genietto musone!”
JD la guardò serio, come per
soppesare bene le parole che la sorella gli aveva appena detto e si
scostò fingendosi infastidito quando lei gli
afferrò il
mento con la mano per fargli un buffetto.
“Forse dovremmo uscire da qui- le
disse- il guardiano della piscina sta arrivando e sembra molto, molto
arrabbiato.”
L'unico a non avere
un'espressione
stupita, quando JD li raggiunse insieme ad Alaska, avvolta in un
accappatoio candido con lo stemma dell'albergo, fu TJ.
“Fammi indovinare:-azzardò
Derek alzando le mani- sei caduta in piscina?”
“No!- lo contraddisse Alaska,
scuotendo la testa ancora piuttosto umida- Mi ci sono buttata di mia
volontà.”
“Con i vestiti?” Emily alzò
un sopracciglio, scettica.
La ragazza annuì, sotto gli
occhi divertiti dei due fratellini “Non avevo il
costume.”
“Ma ora sei bagnata.” le fece
quindi notare Spencer: il suo modo di ragionare e di agire riusciva
sempre a stupirlo. Per lui era assurdo pensare che Alaska riuscisse a
vivere riducendo al minimo l'uso della logica, per lo meno fuori dal
suo lavoro.
“Scusami, uomo-che-pensa-troppo,- lo
rimproverò scherzosamente l'antropologa, dandogli una pacca
amichevole sul braccio esile- ma sto insegnando a mio fratello che
non pensare alle conseguenze delle proprie azioni fa bene, a
volte.”
“E in questo specifico caso ha
funzionato?” si informò quindi TJ.
“Noi abbiamo fatto pace, e come
prezzo da pagare ho avuto solo un paio di vestiti bagnati.”
annuì
ridendo la ragazza.
Dall'altoparlante uscì una voce
meccanica che richiamò i partecipanti delle gare a riunirsi
nella sala congressi.
“Io devo andare.- annunciò
quindi JD rivolgendosi ai presenti, per poi lanciare uno sguardo
leggermente imbarazzato alla sorella- Ti prego, Al, non venire a
vedermi conciata così.”
“D'accordo.- assicurò la
giovane, posando una carezza sulle teste dei due gemelli- Tieni alto
il nome della famiglia.”
I due ragazzini corsero via, unendosi
alla scia di altri giovani che si stavano avviando alle scale che
portavano al piano inferiore, dove si sarebbe tenuta la gara.
“Forse dobbiamo andare anche noi...”
iniziò a dire Prentiss. Avere un pomeriggio libero era una
vera rarità nel loro lavoro e aveva intenzione di goderselo
fino in fondo, facendo tutto quello che rimandava da tempo a causa
scarsità di tempo.
“Tu...tu non puoi venire con noi, mi
sa...” puntualizzò Reid, guardando la strana mise
della
ragazza.
“Già, infatti.- concordò
Alaska stringendosi nelle spalle- Devo aspettare che si asciughino i
miei vestiti.”
“Allora ci vediamo a Quantico.-
salutò Morgan, strizzandole l'occhio- Anzi, sbaglio o devi
ancora presenziare ad una serata folle con noi?”
Sul volto di Ross si dipinse un sorriso
birichino “Non stasera, agente, ho altri programmi.”
“Ah, sì?” domandò
incuriosito.
“Ho la bocca cucita, a riguardo.-
assicurò Alaska ridendo, mentre li accompagnava
all'ingresso-
Ci vediamo in giro, d'accordo?”
Lasciò sventolare il braccio
alle loro spalle, sorridendo fra sé e sé per
l'idea che
gli era venuta in mente. Dietro di lei le si era avvicinato lo stesso
ragazzo che l'aveva aiutata a uscire dall'acqua, poco prima, e che le
aveva dato l'accappatoio. Era titubante mentre le picchiettava
leggermente un dito sulla spalla.
“Signorina!-la richiamò,
rivelando un forte accento texano-Pensavo che forse potremmo...sa, se
non conosce la città quando finisco il turno potrei portarla
a
fare un giro. Tanto deve aspettare che le si asciughino i vestiti,
giusto?”
Alaska gli rivolse un sorriso gentile
“Mi dispiace, ho altri programmi.”
“Sicura?” ritentò di nuovo,
sfoderando il proprio sorriso più accattivante.
“Preferisco i ragazzi del Nevada.”
le rivelò la ragazza, prima di tornare all'interno, la mente
proiettata su quanto avrebbe fatto quella sera.
Casa di Spencer Reid.
Washington DC.
Quando il campanello del
suo
appartamento iniziò a trillare insistentemente Spencer Reid
sobbalzò sulla propria poltrona preferita, su cui stava
placidamente leggendo un tomo di filosofia.
Aveva perso la cognizione del tempo e,
quando guardò l'orologio, scoprì che erano le
otto e
mezza passate. A quel punto non avrebbe più fatto in tempo a
raggiungere il centro per andare a cenare fuori con Derek e Emily,
come invece aveva promesso avrebbe fatto.
Sbuffò mentre si alzava
controvoglia: avrebbe dovuto inventarsi una scusa decente per
l'indomani per placare le lamentele del collega riguardo la sua
inesistente vita sociale.
Il campanello, intanto continuava a
trillare, implacabile.
“Sto arrivando!” urlò
leggermente spazientito. Si stava anche domandando chi potesse
essere, a quell'ora. Il portiere del suo palazzo non faceva entrare
nessuno, a meno che non lo conoscesse, e se per caso un estraneo
voleva entrare nel palazzo per andare a trovare un condomino, lui
chiamava direttamente in casa, per assicurarsi che fosse davvero un
conoscente.
Quando Spencer Reid aprì la
porta, quella sera, la sua bocca si spalancò immediatamente
per lo stupore, non appena riconobbe la figura che occupava l'uscio
di casa sua.
“Et-voilà!Cibo Thailandese da
asporto e qualche dvd a noleggio. Penny mi ha detto che ti piacciono
quei film di fantascienza, ma non mi ricordavo più il nome
però mi ricordavo che c'era la parola star: ho preso i dvd
di
Star Wars, Star Trek, Stardust, Stargate, Startruck e poi non ricordo
che altro, ma troveremo qualcosa da guardare, giusto?”
Nel sentire quella voce frizzante e la
parlantina svelta Reid aveva stretto ancora di più la mano
intorno alla maniglia della porta, letteralmente pietrificato. Il
sorriso aperto di Alaska, posizionato magnificamente sul suo volto da
folletto piccolo e dai tratti delicati, si trovava esattamente alla
soglia di casa sua. L'antropologa, che brandiva un sacchetto di un
take-away come se fosse un'arma impropria in una mano, e una borsa
piena delle custodie piatte e rettangolari dei dvd nell'altra, lo
stava fissando con una luce allegra negli occhi chiari, in attesa di
una sua risposta, ma lui non era ancora in grado di parlarle.
Aveva sempre un problema nel trovarsela
di fronte all'improvviso. Quando si era appena unito alla squadra di
Hotch, e si era preso una cotta per JJ, la bellezza angelica della
ragazza gli procurava lo stesso problema: si imbambolava, perdendo
immediatamente il vantaggio del proprio cervello brillante. Con JJ
quella situazione era durata poco: aveva fatto in fretta ad abituarsi
alla sua presenza e l'infatuamento era sparito velocemente...Con
Alaska, invece, che pur non essendo così palesemente bella
come la bionda agente riusciva sempre a coglierlo alla sprovvista, la
situazione era destinata a continuare...
“Non ti piace il Thailandese?”
domandò la ragazza, il sorriso sempre ben largo sul viso, ma
una leggera incertezza nella voce sottile.
Spencer scosse la testa violentemente,
dandosi dell'idiota per essere rimasto imbambolato per svariati
secondi “No, no!Mi piace molto, solo mi domandavo...che ci
fai
qui?”
“Mi pare ovvio: sono venuta a
trovarti per passare del tempo insieme!” trillò,
guardandolo
stranita perchè non capiva una cosa tanto elementare.
“Posso entrare?” domandò
ancora, e Reid si scostò immediatamente, come se avesse
ricevuto un ordine.
Si chiuse la porta alle spalle e seguì
l'intraprendente ospite all'interno della propria casa, guardandola
esplorare velocemente gli spazi che si trovava davanti mentre
chiacchierava allegra, parlando in fretta come suo solito.
“Abiti in una zona un po' fuori mano,
sai?Il tassista e io abbiamo dovuto connetterci su Google Maps sul
mio cellulare per trovare casa tua!Poveretto, però, posso
capirlo: è la sua prima settimana di lavoro, ma è
davvero gentile!Sai che mi ha fatto uno sconto perchè era
dispiaciuto che non conosceva la via?E il portiere di questo palazzo
è un personaggio: mi ha fatto entrare anche se non mi
conosceva perchè gli ho detto che ti volevo fare una
sorpresa.
Ha detto: sono contento che il dottor Reid abbia una ragazza
così
carina che pensa a lui!Non lo trovi simpatico?Di certo tu devi
essergli molto simpatico!”
Alaska si voltò verso di lui,
dopo aver appoggiato sul piano della cucina che aveva trovato
esplorando la casa i sacchetti che teneva in mano. “Allora,
Spencer, sei contento di vedermi?”
“Certo, solo che non mi sarei mai
aspettato che saresti venuta qui.” rivelò, ancora
confuso da
quell'improvvisa intrusione nel proprio mondo.
“Ci credo che non te lo aspettavi.-
rise contenta- Era una sorpresa!”
Spencer sorrise, rilassato dalla
presenza della giovane antropologa che, dopo avergli stretto una
spalla gentilmente si era diretta sicura verso il frigorifero.
“Che...che stai facendo?” domandò
Reid spiazzato dal fatto che stava analizzando minuziosamente il
contenuto dell'elettrodomestico.
Ross fece scostò leggermente il
volto per riuscire a guardarlo in faccia “Ti faccio un
profilo,
profiler.”
Spencer alzò un sopracciglio
“Dal mio frigorifero?”
“Ah-a!- annuì sicura- Si
capiscono un sacco di cose dal frigorifero di una persona. Credo che
all'FBI dovreste attivare dei corsi per studiare questa nuova e
infallibile scienza.”
“Infallibile?” ripetè di
nuovo il profiler, senza riuscire a trattenere una risata.
“Certo: nessuno ha mai eluso il mio
frigo-test e i risultati sono sempre stati assolutamente
veritieri!”
“Davvero?E che cosa puoi dire su di
me in base a quello?” aveva incrociato le braccia magre al
petto e
la guardava curioso.
Alaska si mordicchiò il labbro
inferiore meditabonda prima di iniziare a parlare “Che vivi
solo e
che sei abituato a farlo da tempo: ci sono un sacco di porzioni
monodose e non solo di cibo spazzatura. Sei via spesso da casa, ma
non per questo vuoi rinunciare ad un alimentazione sana. C'è
verdura ammuffita e frutta troppo matura, cosa che mi fa pensare che
ti dimentichi di averla in casa, nonostante i buoni propositi. Hai
un'alimentazione sregolata, così come i tuoi orari, e cerchi
di compensare assumendo cibi particolarmente nutrienti o ricchi di
carboidrati e zuccheri...”
Reid spalancò i suoi grandi
occhi scuri, sinceramente colpito “Wow. Se lo sapesse Hotch
ti
assumerebbe all'istante.”
“Potrei creare un nuovo campo di
studio del comportamento.- rise la ragazza, alzandosi e chiudendo il
frigo- Ceniamo?Ho una fame da lupi.”
Spencer annuì e si sedettero al
tavolo della cucina dove gustarono le prelibatezze esotiche che
Alaska aveva portato. Si lamentò del fatto che la ragazza
avesse acquistato porzioni troppo abbondanti e lei aveva replicato
che lui doveva assolutamente mettere su qualche chilo, dopo di erano
rimasti in silenzio per un po', semplicemente mangiando. A Reid
sembrava quasi naturale essere lì, non gli sembrava
particolarmente strano il fatto che non parlassero, ma gli venne in
mente che forse per lei poteva non essere altrettanto. Alaska amava
chiacchierare, in qualsiasi momento, soprattutto con lui e Spencer
sapeva che se era così taciturna doveva esserci un
perchè.
Si ricordò degli incubi di cui gli aveva parlato qualche
giorno prima e gli venne in mente che forse il problema poteva essere
di nuovo quello. Mandò giù l'ultimo boccone e
osservò
attentamente i tratti della sua ospite, cercando una qualche conferma
per la sua ipotesi e le trovò nell'aria stanca e le occhiaie
sempre più marcate. Voleva parlarle ma stava cercando un
argomento neutro con cui avviare un discorso: notò il
disegno
che decorava la sua canottiera e iniziò a parlare
velocemente,
cercando di riempire quel silenzio strano che lo metteva
tremendamente in agitazione “Sai che i personaggi di Winnie
The
Pooh sono basati su problemi psicologici?”
Alaska alzò un sopracciglio, per
niente insospettita dall'argomento insolito
“Davvero?”
“Sì. Winnie soffre di disturbi
alimentari, Pimpi di attacchi di panico e ansia, Eeyore di
depressione, Tappo di un disturbo ossessivo compulsivo, Tigro di
deficit di attenzione e iperattività e Christopher Robin di
schizofrenia.” snocciolò le informazioni come era
solito
fare.
“Wow.- rise l'antropologa, prima di
guardarlo divertita- Prometti di non menzionare queste cose davanti a
ragazzini di età inferiore ai tredici anni, vero?”
Anche Spencer rise, ma la sua risata si
esaurì in fretta, quando la vide riporre le posate e
sospirare
pesantemente.
“Alaska, stai bene?Io...io non voglio
farti parlare se non ne hai voglia, vorrei solo...sai...sapere come
stai.”
“Non lo so, Spencer.- mormorò,
gli occhi cerulei puntati come fari su di lui- Io non capisco quello
che mi sta succedendo.”
Reid annuì serio “Intendi i
tuoi incubi?”
“Sì. Tu puoi...potresti
spiegarmelo?Cosa succede qui dentro?” domandò,
picchiettandosi la fronte con l'indice.
“Che cosa intendi?”
“Gli incubi.- specificò
Alaska, gli occhi ardenti per la richiesta che aveva fatto- Vorrei
capire perchè continuano a tornare, perchè mi
fanno
vedere cose che non ricordo nemmeno di avere vissuto...”
Reid strinse la labbra in una linea
sottile. Per una delle pochissime volte in vita sua non sapeva che
dire perchè si preoccupava decisamente troppo della reazione
del suo interlocutore.
“Sai, l'ho letto il libro di Dave,
quello in cui parla anche di me.- continuò, confidandogli
quell'informazione di cui nemmeno Rossi era al corrente- E
più
leggevo, più non capivo: io non mi ricordo assolutamente
niente: io non sono la ragazzina che lui ha descritto. È
impossibile.”
Spencer non sapeva che dire, ma lo
sguardo di Alaska, così intento e fermo mentre gli scrutava
il
volto, non gli permetteva di aggirare quella domanda e nemmeno di
cambiare argomento. Sospirò, passandosi una mano fra i
capelli, prima di cominciare a spiegarle quanto poteva a riguardo.
“Credo...Credo che tu abbia una
dissociazione. Il tuo cervello ti impedisce di ricordare quanto
è
successo perchè sono ricordi talmente carichi emotivamente
che
potrebbero portarti all'esaurimento. È un metodo che il tuo
corpo usa per proteggerti da quanto hai vissuto, solo che nella fase
del sonno, soprattutto nei periodi di particolare stress, questo
meccanismo può incepparsi e portare a galla quei
ricordi...”
Alaska annuì seria, concentrata
su quanto Spencer le aveva appena detto. Era tutto nella sua testa,
quindi, ed era vero e lui lo sapeva. Stranamente, però, la
cosa non la preoccupò, anzi. Improvvisamente, sapendo che
Reid
riusciva a comprenderla, si sentì tremendamente tranquilla.
Alzò di nuovo lo sguardo, per
osservare il volto del ragazzo che si trovava di fronte: non aveva
una bellezza classica ma gli piaceva, molto. I suoi occhi erano
intensi e avrebbe potuto benissimo passare delle giornate intere
soltanto a fissarlo leggere.
“Sai, è un bene che tu abbia
dimenticato.- continuò Reid con un sospiro- Diverso tempo fa
io sono stato rapito e torturato da un SI...”
“Ommiodio,
Spencer!” Ross aveva spalancato gli occhi chiari, e aveva
allungato
immediatamente una mano per afferrare la sua.
Spencer continuò, confidandole
quanto sapevano in pochi “Ho avuto un brutto periodo, subito
dopo.
Ho fatto di tutto, anche cose sbagliate, per poter dimenticare quello
che era successo, per tornare la persona di prima.”
“E ci sei riuscito?” domandò
la ragazza con voce sottile.
“No. Era una cosa impossibile da
pretendere, ma ne sono uscito, grazie all'aiuto di alcune
persone.”
Alaska allungò di nuovo la mano
sul tavolo, per andare a stringere la sua “Ci sono molte
persone
che ti vogliono bene, Spencer, ed è facile capire
perchè.”
Quell'affermazione lo stupì
“Come?”
“Ti ammiro tanto, sai?” continuò
sorridendo dolcemente.
“Come?” ripetè, di nuovo
stordito sotto quello sguardo serafico.
“Ma sì, per quello che fai,
per quello che affronti tutti i giorni e per il fatto che resti
comunque una persona fantastica.-spiegò- Ti ammiro
tanto.”
Reid dovette distogliere lo sguardo di
fronte a una confidenza così sincera e sentiva chiaramente
di
avere il volto paonazzo “Beh, ecco...io...”
“Hai deciso quale film guardare?”
“Come?” il ragazzo alzò lo
sguardo, spiazzato dal cambio d'argomento.
“Fra quelli che ho noleggiato quale
preferisci?- domandò di nuovo, sventolando qualche dvd-Una
serata film e popcorn senza film sarebbe...beh, una semplice serata
popcorn.”
Non aveva capito niente del
film,
benchè l'avesse già visto un migliaio di volte
prima di
allora. Tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi in quel
momento era Alaska e la sua strana presenza accanto a lui su quel
divano. Aveva perfino rinunciato a mangiare i popcorn che la ragazza
aveva preparato poco prima, perchè alla seconda manciata che
stava prendendo dalla bacinella le loro mani si erano sfiorate e lui
aveva sentito una scarica elettrica lungo la spina dorsale che
l'aveva fatto sobbalzare sul posto.
Reid si voltò piano verso
Alaska, cercando di non farsi vedere da lei, e la osservò
mentre guardava la televisione concentrata.
“Siamo già a metà
film.- disse la giovane antropologa, portandosi alla bocca una
manciata di pop corn al burro alla bocca- A questo punto potresti
anche baciarmi.”
Spencer spalancò gli occhi,
scioccato da quanto aveva appena detto. O se l'era sognato?
La ragazza si voltò verso di
lui, uno sprizzo di vivacità negli occhi chiari mentre lo
vedeva arrossire e boccheggiare.
“C-che cos...Che cosa hai detto?”
riuscì a balbettare, mentre lei posava la bacinella sul
tavolino di fronte a sé.
Il sorriso di Alaska lo abbagliò,
quando la giovane tornò a voltarsi verso di lui
“Che
dovresti baciarmi.- ripetè avvicinandoglisi lentamente-
Oppure
potrei farlo io...”
Spencer si sentì avvampare di
nuovo e si ritrovò a domandarsi se per caso il
condizionatore
non si fosse spento all'improvviso “Forse...forse non
è una
buona idea...”
O, perlomeno, questo era quanto gli
diceva il suo cervello e la sua logica. Il suo corpo urlava di
assecondare la ragazza, che stava azzerando le distanze fra loro.
“Perchè?- domandò Ross,
aggrottando la fronte liscia- Tu mi piaci e credo che anche io ti
piaccio, giusto?”
“Certo!- si affrettò a dire
Reid, agitando i palmi- Solo che non credo che sia una cosa
giusta...Tu stai lavorando a Quantico ora e siamo stati praticamente
colleghi e...”
Quelle scuse suonavano ridicole perfino
a lui, ma la verità è che aveva troppa paura per
lasciarsi andare. Per quanto Morgan, Penelope, Emily e perfino Rossi
gli avessero confermato che Alaska sembrava davvero innamorata di
lui, Spencer pensava che fosse soltanto un sentimento passeggero,
destinato a scemare in breve lasciandolo solo e con cicatrici
difficili da far rimarginare.
La ragazza sembrò comprendere le
sue preoccupazioni e le afferrò docilmente entrambe le mani,
avvicinandole a sé. “Che cosa c'è che
ti preoccupa,
Spencer?”
Reid abbassò lo sguardo “Io...io
non capisco cosa tu veda di speciale in me...”
“Beh, per prima cosa, adoro quando
parli. Sai quando hai quell'espressione da scusate ma sono
troppo
preso da argomenti di fondamentale importanza per avere il completo
controllo della mia coordinazione muscolare”
rispose Alaska con tono dolce, prima di posargli un bacio leggero
sulle nocche. Spencer fece fatica a concentrarsi sulle parole, troppo
spiazzato da quel gesto.
“Poi,
amo i tuoi occhi. Perchè sei un profiler eccezionale ma non
sei capace di mentire per niente e i tuoi occhi, alla fine, rivelano
sempre quello che pensi.” continuò a dire,
girandogli i
palmi verso l'alto e baciando anche quelli.
“E
mi piace quando mi capisci, nonostante tutto, che è quello
che
capita praticamente sempre.-gli rivelò di nuovo, mentre si
allungava sopra di lui- Sai, quando noti qualcosa di particolare in
me e me lo fai presente.”
Spencer la fissò
con occhi sgranati, incapace di muoversi e di dire qualsiasi cosa,
mentre le sue labbra morbide sfioravano gentilmente i suoi zigomi. In
effetti, era perfino stupito di essere in grado di respirare e che il
proprio cuore non fosse ancora esploso, considerando la
velocità
con cui stava pompando il sangue.
“E
trovo rassicurante il fatto che sai praticamente tutto e che se ti
facessi una domanda di qualsiasi tipo saresti in grado davvero di
darmi una risposta soddisfacente di cui potrei fidarmi
ciecamente.”
Il bacio che seguì
l'ultimo commento fu lento e dolce. Le loro labbra si sfiorarono
piano, senza pretese, in un contatto leggero ma che lasciò
entrambi sconvolti.
Spencer si ritrovò
intossicato dalla presenza dell'antropologa e Alaska decise che non
avrebbe più voluto baciare nessun altro in quel modo.
“E questo cos'era?” domandò
Reid, ancora intontito.
“Direi un bacio.- sorrise
l'antropologa, accarezzandogli il viso- Forse il bacio
perfetto.”
“Ma...ma...Sei sicura di questo?- le
proteste uscivano incerte dalle sue labbra, mentre sentiva di volerla
sempre più vicino a sé e non allontanarla-Forse
non
dovremmo, siamo ancora colleghi e tu...”
“Fatti un favore, Spence.- sussurrò
al suo orecchio- Lascia da parte la logica e fai quello che senti sia
giusto.”
Reid alzò un sopracciglio “Citi
Emerson?”
“Vuoi dire che questa perla di
saggezza l'aveva già pensata qualcuno prima di me?Non
è
gusto!”
La protesta di Alaska lo fece ridere, e
nel frattempo notò i suoi occhi chiari illuminarli.
“Sono blu polvere.” la informò.
Ross rimase spiazzata da
quell'affermazione “Cosa?”
“I tuoi occhi.- specificò,
mentre con mano tremante le accarezzava il viso- Non sono azzurri,
sono blu polvere.”
“Esiste un colore che si chiama
così?” rise Alaska, senza smettere di fissarlo con
intensità.
“Sì, blu polvere o smalto, è
riferito a un prodotto a base di polvere di vetro utilizzato nel
lavaggio della biancheria, è stato utilizzato riferito a un
colore per la prima volta nel 1707 e...”
Alaska si sporse di nuovo verso di lui,
baciandolo con passione. Spencer le infilò le mani fra i
capelli, attirandola ancora di più a sé,
governato da
degli istinti cui non aveva mai dato ascolto.
Spencer Reid si svegliava
spesso prima
del suono effettivo della sveglia. Il giovane profiler dava la colpa
al proprio orologio biologico, oltre al fatto che la
quantità
industriale di caffè che assumeva nel corso di una giornata.
Oltretutto Spencer odiava con tutto il cuore il suono sordo della
propria sveglia. Per questo motivo, come ogni mattina,
allungò
la mano destra, cercando l'infernale aggeggio sul comodino, pronto a
disattivarlo. Al contrario del solito, però, la sua mano si
ritrovò sospesa nel vuoto.
Aggrottò le sopracciglia,
incapace ancora di aprire gli occhi, e si domandò se per
caso
si fosse addormentato in salotto, magari mentre leggeva quel libro di
filosofia che ricordava di non aver finito.
In effetti, gli capitava spesso di
dormire sul divano. C'erano sere in cui semplicemente non riusciva ad
arrivare alla camera da letto per quanto si sentiva stanco, oppure
altre in cui si sdraiava per guardare un film o leggere un libro e
immancabilmente si addormentava. Probabilmente quella precedente
doveva essere una di quelle.
“Aw...”
Quel verso leggero, assonnato,
pronunciato da una voce sottile e femminile, gli fece spalancare gli
occhi di scatto.
Quando abbassò lo sguardo sul
proprio petto, dove sentiva premere dolcemente quel peso, si
irrigidì, ricordando finalmente tutto quello che era
successo.
Ricordò i gemiti gioiosi di
Alaska nel suo orecchio, il suo profumo leggero di sapone, lo
scorrere delle proprie dita sulla sua pelle vellutata e il viso
affondato nel suo collo leggermente abbronzato.
Non potè evitare che un sorriso
gli si allargasse sulle labbra a quei pensieri. Abbassò lo
sguardo sulla ragazza che, ignara del fatto che lui fosse
già
sveglio, dormiva tranquillamente, la testa appoggiata alla sua spalla
e il braccio aggrappato al suo torso esile, cui era aggrappata come
se fosse un'ancora di salvezza.
Non riuscì a frenare l'istinto
di passare una mano fra quella massa folta di capelli corvini e,
qualche minuto dopo che lui aveva iniziato ad accarezzarle piano la
testa, la ragazza aprì gli occhi, sorridendo non appena
incontrò il suo sguardo amorevole.
“Hey!- lo salutò, gli occhi
ancora velati da un leggero strato di stanchezza- Sai che sei meglio
di un sonnifero?”
“Niente incubi?” domandò,
felice che non ne avesse avuti.
Alaska scosse piano la testa,
sorridendo “Ho dormito come una bambina. Sai che parli nel
sonno?”
Spencer aggrottò la fronte
“Davvero?Che ho detto?”
“Gli elefanti in cucina stanno
prendendo tutto il caffè.- citò, imitando la voce
del
ragazzo, prima di interrompersi per sporgersi verso le sue labbra e
lasciargli un bacio delicato- Sembrava molto importante.”
Reid rise “Davvero ho detto questo?”
“Mmm.” confermò Alaska,
prima di allungare il collo verso di lui e lasciargli un bacio
languido sulle labbra.
Lui rispose al bacio, mentre il suo
profumo leggero gli entrava dritto nel cervello stordendolo.
“Alaska?” riuscì a mormorare
dopo svariati minuti, mentre lei continuava a baciargli gli zigomi,
la linea della mascella e il collo.
“Uh?”
“Forse dovremmo...- gli costò
molto dirlo: tutto quello che avrebbe desiderato era starsene
lì
a baciarla per l'intera giornata- devo essere a Quantico fra un po' e
tu hai la lezione con Davon...”
“Ma non voglio andare a lezione
oggi!- si lamentò Ross, tirandosi la coperta leggera sopra
la
testa e sprofondando nei cuscini del divano- La lezione che ho
preparato per Davon è troppo cruenta. Le reclute si
sentiranno
male e io non voglio essere là quando
accadrà.”
“Quando dici male intendi...”
azzardò Spencer, storcendo il naso.
“Che verrò a conoscenza della
loro colazione.” sbuffò la ragazza, la voce che
usciva
ovattata dal suo nascondiglio.
“Ma il dottor Stein non si arrabbierà
se non ti presenti?”
Il volto di Alaska spuntò dalla
coperta, con un sorriso birichino a decorarlo “Posso dirgli
che
sono in stato di fermo trattenuta da un agente dell'FBI.”
“Non sarebbe nemmeno una bugia...-
sorrise Spencer- Ma anche io devo andare a Quantico e non posso
proprio starmene a casa...”
Alaska annuì mentre lo vedeva
alzarsi e raccogliere i propri vestiti. Ogni tanto trovava qualcuno
dei suoi e glieli porgeva gentilmente, con il sorriso più
dolce che lei avesse mai visto sulle labbra.
“Vuoi restare qui per un po' e fare
una doccia?” le propose, quando ormai erano tutti e due
pronti in
cucina e sorseggiavano piano una tazza di caffè fumante.
“Forse è meglio che vada a
cambiarmi in albergo,- declinò l'inviti la ragazza, con tono
leggero- almeno pago la stanza per un motivo.”
“Quindi farai la lezione?” le
domandò ancora Spencer, pensando che così avrebbe
potuto vederla anche in giornata.
Gli occhi di Alaska brillarono di
felicità “Sì, ma per questo pomeriggio
ho altri
progetti.”
“Che cosa hai deciso di fare?”
chiese incuriosito, dopo che lei aveva fatto una chiamata per far
arrivare un taxi che la portasse al proprio hotel.
“La sorella maggiore.- rivelò
con un sorriso largo in volto- Porterò i miei fratellini e
un
gruppo dei loro amichetti allo Smithsonian Institution.”
“Sembra divertente.- commentò
Reid- Te la caverai con tutti quei ragazzini?”
“Certo che sì, sarà una
passeggiata. Ti porto un souvenir, ok?Magari uno di quegli Einstein
con la testa ballonzolante.” disse velocemente, con il suo
tono
usuale.
Spencer non potè fare a meno di
sorriderle “Non vedo l'ora di possederne uno.”
“Lo metterai sulla tua scrivania in
ufficio?” trillò felice Alaska.
“Certo.” rise, pensando a cosa ne
avrebbe detto Morgan.
“Così quando lo guarderai
penserai a me!” disse di nuovo, dandogli un bacio veloce
sulle
labbra.
Come se fosse possibile il contrario,
pensò. Ma ad alta voce sussurrò solo un
“Già...”
Si fissarono in silenzio per alcuni
istanti, senza dover dire niente.
“Sai, credo di amarti.” lo informò
con tono allegro Alaska.
Reid spalancò la bocca,
esterrefatto “Come?”
“Ti amo.” ripetè
l'antropologa con semplicemente.
“Beh, io...” non riuscì a
dire nient'altro. Non si sentiva pronto a pronunciare quelle
fatidiche parole.
“No, non dire niente.- lo ammonì Ross,
sorridendogli apertamente- Non voglio che tu ti senta obbligato a
dirmi qualcosa, lo farai quando sarai pronto.”
“Questo è il mio taxi.”
annunciò la ragazza, dopo aver sentito suonare il campanello
pochi secondi dopo.
Si alzò sulle punte e di slancio
diede un tenero bacio sulla bocca a Spencer, che se ne stava ancora
immobile e basito per la confessione di poco prima.
“Buon lavoro, dottor Reid.” lo
salutò gioviale, mentre usciva di corsa di casa.
Reid si riscosse in quel momento,
correndo velocemente per starle dietro.
“E se ti offrissi io la cena,
stasera?” le urlò dietro, seguendola sul
pianerottolo.
Alaska si fermò sulla rampa di
scale e gli rivolse un sorriso amorevole “Speravo che me lo
chiedessi.”
________________________________________________________________
Finalmente qualcosa di concreto
fra Alaska e Reid!Spero che la scena lovvosa vi sia piaciuta, ci ho
messo un pò a scriverla e questo capitolo alla fine esiste
solo al fine di questo episodio...Che ne pensate?Oramai manca solo un
breve epilogo e poi ci sarà il sequel del sequel, come avevo
già annunciato! Scusate se sono un pò stringata
oggi ma devo scappare!Fatemi sapere che pensate di questo
capitolo!Kisses JoJo
Luna Viola
: Ahahah!Thank,
direi che il sequel quindi ci sta di rigore!Che ne pensi di questo chap
e dell'evoluzione della storia fra reid e alaska?fammelo sapere!Besos !
dizzyreads
: Hey!Sono
happy che il capitolo ti sia piaciuto!Fammi sapere che ne pensi anche
di questo e dell'evoluzione della storia fra i due giovincelli!Besos!
|
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Capitolo 8 *** A new fresh start ***
Uffici
dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
“Bel tentativo!-
trillò la
voce di Alaska dall'altro capo del telefono- Ma se la tua idea era
quella di parlare con me ora non ti posso accontentare. Richiama
più
tardi, o se pensi di non ricordarti lascia un messaggio!Ci sentiamo
dopo!”
Spencer sospirò rumorosamente e
mise fine alla chiamata, ricacciandosi il cellulare in tasca.
Era l'ennesimo tentativo che faceva di
chiamare Alaska ma, come quelli precedenti, non era andato in porto.
A quel punto era palesemente preoccupato, ma cercava con tutto
sé
stesso di non darlo a vedere.
Ormai lui e Alaska stavano insieme da
sei mesi e il loro rapporto si era ormai consolidato. Lei, meglio di
qualsiasi altra persona, capiva perfettamente il suo lavoro, compresi
i ritmi pressanti, i viaggi improvvisi e gli orari allucinanti, e lui
aveva iniziato a riconoscere pian piano tutte le stranezze della
giovane antropologa. Beh, perlomeno ci stava provando.
Eppure, nonostante sembrasse che tutto
stava procedendo a meraviglia nella loro storia, il profiler che era
in lui aveva avuto la meglio e da circa due settimane cominciava a
sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come di un
campanello d'allarme. Nelle loro numerose telefonate sentiva che
Alaska gli stava nascondendo qualcosa e, a farlo preoccupare ancora
di più, era stato il suo rifiuto quando le aveva proposto di
andarla a trovare il week-end precedente.
Spencer Reid sapeva che prima o poi
sarebbe arrivato il momento in cui la dolce e frizzante Alaska Ross
si sarebbe stufata di lui, ma non credeva che sarebbe arrivato
così
in fretta.
Deglutì a vuoto, lo sguardo
fisso di fronte a sé: non era affatto pronto a lasciarla
andare, perlomeno non ancora.
“Che c'è, Romeo?Problemi in
paradiso?”
La voce allegra di Morgan lo riportò
alla realtà. Erano appena tornati da un caso a Santa Fe e
ormai stavano per raggiungere l'ampio open space del BAU. Reid
strinse le labbra: doveva fingere che tutto fosse a posto ancora per
qualche minuto e poi sarebbe stato salvo e a casa sua avrebbe potuto
tranquillamente continuare ad autocommiserarsi e a scervellarsi sul
perchè dello strano comportamento della sua fidanzata.
Il leggero annuire del ragazzo non
convinse per niente il collega, che non voleva affatto lasciare
perdere la propria domanda “Qualcosa non va,
ragazzino?”
“No, niente, tutto ok.” ritentò
Spencer, abbozzando un sorriso.
“Avanti, a me puoi dirlo.” disse
Morgan fissandolo intensamente e facendogli capire che ormai non
aveva altra scelta che confidarsi con lui.
Reid si mordicchiò leggermente
il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo mentre parlava
“Uhmm...Morgan, come fai a sapere quando una ragazza
è
stanca di stare con te?”
“Wowowo, frena, Reid- esclamò
Derek agitando i palmi verso il ragazzo- Di che cosa stai
parlando?”
“Di me e Alaska...- sospirò il
genietto, piegando le spalle all'ingiù, come svuotato-
Insomma
le cose non vanno molto bene...”
Morgan alzò un sopracciglio,
facendosi tutt' orecchie “In che senso?”
“Con...con Alaska, intendo.- confessò
Reid con voce debole- Credo che voglia scaricarmi.”
Derek fece roteare gli occhi,
infastidito da quelle preoccupazioni inutili“Alaska
è
innamorata persa di te, Reid.”
Ma il suo giovane collega non sembrava
affatto della stessa opinione “Sono settimane che si comporta
in
modo strano. Di solito mi chiamava ogni giorno anche solo per
raccontarmi di aver comprato un paio di calzini e ora invece...- gli
rivelò, la voce acuita dalla preoccupazione per quegli
strani
segnali- Non so, c'è qualcosa che non va. Forse si
è
stancata di me.”
“Reid...” lo chiamò Morgan
con tono accondiscendente.
“Lo capisco.- continuò a dire
Spencer, ormai perso nei propri ragionamenti- Lei è
un'istintiva, è attiva e vivace e io invece...Insomma,
capisco
benissimo che possa essersi stufata di me...”
Derek stava per interromperlo,
esasperato dalle sue continue ed inutili preoccupazioni, ma a fermare
i vaneggiamenti del giovane collega ci pensò invece Garcia,
che li stava raggiungendo con passo svelto, facendo ondeggiare ad
ogni movimento una strana piuma rosa shocking che adornava una delle
mollettine che stava indossando.
“Di qualsiasi cosa stiate parlando,
dovete rimandare a più tardi.- ordinò, rivolta a
tutti
i membri della squadra che cessarono di parlare all'istante,
incuriositi- C'è qualcuno che vi aspetta.”
“Noi?” domandò JJ, i grandi
occhi blu alla ricerca di chi li stava aspettando.
“Già,
tutti quanti.” confermò Penelope, indicando con
l'indice la
scrivania di Reid, dove qualcuno si stava facendo roteare
ritmicamente sulla sedia da ufficio.
“Alaska?” domandò incerto
Spencer, la gola improvvisamente secca. Che fosse venuta per
lasciarlo definitivamente?, pensò.
Nel sentire il proprio nome la ragazza
si alzò con un balzo leggero, raggiungendoli con un sorriso
largo sul volto: non c'era niente in lei che facesse intuire che
qualcosa non andava.
“Meno male che siete arrivati: mi
stavo annoiando a morte!A quanto pare quassù nessuno ha
tempo
per fare quattro chiacchiere.” si lamentò
scherzosamente. Al
collo indossava una collana fatta con le graffette colorate che lei
stessa aveva regalato a Spencer, probabilmente l'aveva fabbricata
nell'attesa. Senza dargli la possibilità di reagire
gettò
le braccia al collo al suo ragazzo e gli scoccò un bacio
sulle
labbra, sotto gli sguardi divertiti degli altri membri del team.
“Buongiorno, Alaska.” la salutò
Hotch per tutti, alzando un sopracciglio.
La giovane antropologa si voltò
verso di lui e agli altri, rimanendo comunque aggrappata alla spalla
esile di Spencer. Il vestito lungo e colorato che indossava sotto la
giacca di pelle, così come gli strani stivali da cowboy, la
facevano sembrare completamente fuori luogo in quegli uffici
così
seriosi.
“Ciao ragazzi!” rispose con un
sorriso smagliante dipinto sul volto minuto.
Morgan non si lasciò sfuggire
l'occasione di lanciare a Reid un'occhiata accusatoria: non sembrava
affatto che la ragazza fosse intenzionata a lasciarlo.
“Non sapevo che passassi di qui,
credevo fossi ancora a Baltimora. Ho provato a chiamarti.”
disse
titubante il genietto della squadra, fissando il lieve rossore sano
che decorava le guance della ragazza.
“Oh, credo di aver perso il
cellulare.- spiegò con una scrollata di spalle-
Salterà
fuori, prima o poi.”
Rossi scosse la testa divertito
“Allora, Alaska, che cosa ti ha portato qui?”
“L'American Airlines!” ribattè
Ross, come al solito prendendo la domanda alla lettera.
“Intendevo il motivo per cui sei qua
a Quantico.” specificò con un sospiro Dave.
Alaska sciolse il mezzo abbraccio che
ancora la legava a Reid e allargò le braccia, eccitata dalla
grande notizia che stava per comunicare “Ho trovato una casa
a DC!”
“Cosa?!” esclamò Derek
stupefatto.
“Perchè avresti dovuto cercare
casa a Washington?” chiese invece Emily.
“Perchè nonostante mia madre
mi abbia inculcato una cultura hippie e mi abbia educata di modo da
poter vivere anche su un cartone in mezzo alla strada, non riesco a
rinunciare ai comfort di una casa. Perciò ho affittato un
piccolo appartamentino vicino alla zona universitaria!-
spiegò
velocemente con tono gaio- Dovreste vederlo: i padroni di casa sono
deliziosi, il vicinato è ottimo e ho una terrazza
e...”
Reid aggrottò la fronte, confuso
“Perchè ti serve una casa qui?”
“Per abitarci, no?- rise Alaska- E
stasera ho intenzione di festeggiare!”
“Festeggiare?- ripetè Penelope
entusiasta-E che cosa dovremmo festeggiare?Il tuo recente contratto
d'affitto?”
“Ma no!Al laboratorio stanno facendo
dei tagli al personale:- li informò Ross, senza una
sfumatura
nel proprio tono leggero- Davon ha deciso di andare in pensione e io
sono stata praticamente licenziata.”
Sul gruppetto cadde un silenzio
incerto, che tuttavia non fece scomparire dal volto della ragazza il
suo sorriso limpido.
“Quando arriva la parte in cui ci
spieghi il motivo per cui c'è da festeggiare?”
domandò
JJ, una sorta di incertezza negli occhi chiari.
“Avete davanti la nuova responsabile
del reparto di ricerche paleoantropologiche dello Smithsonian
Institution!” annunciò quindi, facendo un breve
inchino.
“Ricerche paleoantropologiche?-ripetè
Rossi stupito- Credevo che tu volessi continuare con l'antropologia
forense.”
“Oh, sì!E suonare la batteria
e avere un pony per il compleanno: ma ho un pessimo senso del ritmo e
non è pensabile tenere un cavallo in miniatura in
appartamento...”
“Forse se parli con la dottoressa
Tanaka potrebbe trovarti un posto qui...”azzardò
l'ipotesi
Hotch, interrompendola.
Prentiss scosse leggermente la testa,
facendo ondeggiare i capelli scuri “Non credo che lo farebbe
davvero.” disse, ricordando l'avversità che il
capo della
loro sezione di patologia forense provava nei confronti
dell'antropologa.
“Non importa.- assicurò Alaska
agitando i palmi- Il lavoro allo Smithsonian mi piacerà, la
ricerca mi piace e tutti gli antropologi amano l'archeologia. Anzi,
mi sentivo un po' strana a non aver iniziato anche io da lì
come hanno fatto tutti: in questo modo è un po' come se
recuperassi, giusto? E poi mi hanno detto che potrò
collaborare col reparto di antropologia forense dell'istituto che
viene contattato dalla polizia del distretto per gli stessi casi che
trattavo a Baltimora. Forse se faccio qualcosa di buono posso sperare
in un trasferimento...”
Rossi si morse l'interno della guancia,
meditabondo: forse, se avesse agito tramite le sue conoscenze e
avesse fatto un po' di pressione a qualcuno, sarebbe di certo
riuscito ad ottenere per lei un incarico che riguardasse la carriera
che intendeva davvero seguire la giovane. Sentiva il bisogno di
farlo, come al solito, spinto da quello strano senso di protezione
che nutriva verso di lei da quando si erano incontrati di nuovo.
Lanciò un'occhiata a Reid e lesse negli occhi del giovane la
stessa sua preoccupazione.
“Stasera ci sarà una specie di
festa, una cosa tranquilla:- sentì raccontare da Ross,
quando
tornò a rifocalizzare la propria attenzione sulla sua voce
frizzante- solo pochi intimi, i miei nuovi colleghi e naturalmente
voi!Non accetto un no come risposta!Possono venire anche Jack e Will
e Henry e Kevin!Potete portare chi volete, ma dovete assolutamente
venire!”
Hotch fece per protestare “Ma
veramente...”
“Ho detto che non accetto rifiuti!-
ribadì Alaska, mentre scappava verso l'ascensore tappandosi
le
orecchie con le mani- Anzi, non vi sento nemmeno!Dadadadada!”
La squadra dell'unità di analisi
comportamentale rise divertita da quel comportamento forse un po'
infantile ma che visto lì nei loro uffici, dove spesso la
morte e la malvagità degli esseri umani erano gli argomenti
principali, era rassicurante come una boccata d'aria fresca.
Donnely's Irish Pub.
Washington, DC.
Trovare il locale,
benchè si
trovasse in una zona non proprio centrale della capitale, non era
stato affatto difficile. Più che altro era stata un'impresa
titanica trovare un parcheggio. E quel fatto, sommato al folto gruppo
di persone che inondava l'ingresso del pub irlandese, fece pensare ai
membri della squadra di analisi comportamentale che forse le
informazioni che gli aveva fornito Alaska non fossero poi
così
precise.
“Una cosa tranquilla, uh?” domandò
Will a JJ, alzando un sopracciglio.
La bionda strinse a sé Henry,
mentre scrollava le spalle incerta. Il resto della squadra, compresi
il figlio di Hotch e Kevin, il ragazzo di Penelope, li stavano
aspettando all'ingresso.
“Beh, a quanto pare è qui la
festa!” disse Garcia, allargando le braccia, mentre entravano
nel
locale.
Sulla porta d'entrata c'era un cartello
che informava i clienti abituali che quella sera ci sarebbe stato un
party privato, e che li invitava in modo un po' colorito, ma tuttavia
spiritoso, a tornare l'indomani.
Stavano muovendo qualche passo incerto
all'interno quando videro Alaska correre verso di loro, schivando con
grazia i gruppetti di persone che le ostacolavano il passaggio. Con
una camicetta cremisi in tinta con il rossetto, sembrava una nuvola
rossa che gli si avvicinava veloce.
“Sono così contenti che siate
venuti tutti!- trillò, non appena li ebbe raggiunti,
afferrando contemporaneamente con naturalezza la mano di Spencer- E
con tutti intendo tutti...Sgancia il dinero, Derek.”
L'uomo di colore allungò alla
ragazza un biglietto da venti dollari. Aveva scommesso che Hotch
avrebbe trovato una scusa dell'ultimo minuto per non presentarsi. Non
erano il suo genere di cose quelle serate.
“Credevo che avessi detto che era una
cosa per pochi intimi.” commentò il capo
dell'unità,
mentre la ragazza stava scompigliando i capelli a suo figlio, un
sorriso divertito sul volto di entrambi.
“Lo so.- rise, facendo al gruppetto
di seguirli in un'altra delle tre grandi stanze che formavano il
locale- Ma i miei pochi intimi hanno dei pochi intimi che hanno altri
pochi intimi.”
“Una catena che neanche la Muraglia
Cinese.” disse Kevin.
Alaska annuì “Già,
fortuna che è il giorno di chiusura del locale.”
Li aveva condotti in un'ala laterale da
dove era visibile tutto il locale. L'antropologa indicò loro
un piccolo tavolo, sul quale un biglietto recitava che era riservato
ai migliori amici della festeggiata, e qualche divanetto che, a
differenza di quelli che avevano incrociato fino a quel momento,
erano miracolosamente liberi.
“Questo posto è bello.” le
disse Emily, mentre si guardava intorno.
La ragazza annuì contenta prima
di iniziare a parlare velocemente “Ok, il tutto è
organizzato così: da qualche parte c'è il buffet,
non
ricordo bene dove ma immagino che se seguite il gruppo di persone
più
ampio lo troverete facilmente; laggiù c'è una
sala che
abbiamo sistemato per i bambini con tanto di baby-sitter referenziata
assoldata per tenerli a bada mentre noi grandi ci rilassiamo...Credo
che ci sia anche un clown da qualche parte, prima mi ha regalato un
palloncino ma l'ho perso e, no, non è uno di quei clown
terrificanti e alcolizzati che si vedono in tv.”
“Sembra un'organizzazione perfetta.-
constatò Rossi, impressionato- Da quando sei diventata una
pianificatrice?”
“Mai. Fosse stato per me non avremmo
nemmeno dei tramezzini.- ammise Alaska, con un sorriso colpevole- Ha
organizzato tutto la moglie di un mio collega, è suo il
locale.”
“Beh, sembra tutto fantastico.” la
rassicurò Derek, strizzandole l'occhio.
Lei si strinse un po' di più
contro Spencer, pensando che effettivamente, era la prima volta che
vedeva i colleghi del suo ragazzo fuori dal loro “ambiente
naturale”. E la cosa le piaceva molto.
“Hey, Ross!- tuonò un omone di
colore, tanto grosso quanto alto- Ci hai lasciati così
all'improvviso, pensavamo che i discorsi di Trent fossero finalmente
riusciti ad annoiarti e che avessi finalmente gettato quella maschera
di fanciulla gentile che mi fa venire il diabete!”
Le altre cinque persone che lo
accompagnavano sghignazzarono e gli occhi di Alaska si illuminarono
all'istante, mentre di voltava verso i profiler e i loro cari e,
prendendo per mano Rossi e Penelope, li trascinava tutti verso di
loro.
“Sono i miei nuovi colleghi. Vi
piaceranno, sono tutti fantastici!” spiegò.
“Presentazioni!” trillò di
nuovo prima di girarsi verso l'eterogeneo gruppetto che li aveva
raggiunti e accennare con il capo agli ultimi arrivati.
“Colleghi, loro sono JJ, Will, Henry,
Hotch e Jack, Emily, Derek, Dave, Penny, Kevin e
Spencer.”buttò
fuori tutto d'un fiato, accompagnando ad ogni nome un gesto della
mano per indicare la persona a cui si riferiva.
“Il famoso Spencer.” sottolineò
con un sorriso malizioso una donna dai capelli rossi e gli occhiali
dalla montatura verde e vistosa.
“L'onnipresente Spencer.-ribadì
un tipetto basso e un po' calvo- Ho proposto a mia moglie di chiamare
così nostro figlio, per quanto ne parli e solo quando lei mi
ha chiesto perchè mi sono riscosso dal coma
cerebrale.”
Reid arrossì vistosamente,
imbarazzato dal fatto di essere stato al centro dei discorsi di
quegli sconosciuti. Una parte di lui, oltretutto, gli diceva quanto
fosse stato stupido a credere che Alaska lo volesse lasciare.
“FBI,- continuò quindi
l'antropologa, voltandosi verso di loro sorridendo radiosa- questi
sono i miei nuovi colleghi: Big Jim, Eliza, Danny, Paulo, Kara e
Trent.”
Il grande uomo di colore alzò la
mano “Io sono solo Jim. Alaska avevamo già
discusso di quel
soprannome e ti avevo detto che lo detesto.”
“Ma l'abbiamo messo ai voti:- gli
ricordò Eliza, una bionda col volto pieno di lentiggini- a
parte Paulo che proponeva Colosso, Big Jim ha ottenuto la
maggioranza.”
“Viva la democrazia!” esclamò
Danny, alzando il pugno.
“Beh, vi assicuro che allo
Smithsonian vige ancora una dittatura.- li rimbeccò
immediatamente Jim- Anzi, una monarchia assoluta ed io sono il
sovrano incontrastato.”
Garcia scosse la testa violentemente
“Non se ne parla proprio, mi dispiace.- dichiarò,
sfilando
dalla propria borsa multicolore una coroncina di plastica decorata
con brillantini e piume colorate e mettendola in testa ad Alaska-
Stasera lei è l'unica regina del reame.”
La ragazza rise divertita e accennò
ad una reverenza, allargando un'immaginaria gonna.
Spencer Reid si
guardò intorno,
sprofondando leggermente nel confortevole abbraccio della pelle
bianca di quel divanetto. Intorno a sé un mucchio di gente
si
stava divertendo, chiacchierando vivacemente e muovendosi di qua e di
là con allegria. JJ e Will erano andati a fare una capatina
nella stanza allestita per i bambini, probabilmente per fare vedere
di nuovo al piccolo Henry e a Jack il clown che avevano già
trovato particolarmente buffo. Penelope e Kevin si stavano scatenando
in una pista da ballo improvvisata in mezzo alla sala principale,
mentre Hotch e Rossi, seduti al loro tavolo, stavano discutendo
animatamente di qualcosa. Poco più in là, Emily
stava
chiacchierando con Big Jim e la donna coi capelli rossi, Kara, mentre
Morgan era finito chissà dove, con chissà chi.
“Ti piacciono i miei nuovi colleghi?”
gli domandò Alaska, alzando la testa verso di lui per
osservarne l'espressione del viso.
“Sì, sembrano tutti molto...-
tentennò, non riuscendo a trovare una parola per descrivere
quanto li trovasse strani- Ti sei inserita bene, mi sembra.”
“Oh, sì.-confermò Ross,
accoccolandosi meglio contro di lui- Lo Smithsonian è un
posto
da favola, mi piacerà lavorare lì.”
Spencer strinse le labbra “Non come
ti piaceva lavorare a Baltimora, però.”
“Non puoi dirlo con certezza, no?”
lo punzecchiò la mora, strizzandogli l'occhio.
Ma Reid non si fece depistare dal suo
solito ottimismo “Alaska, io lo so che lavorare con Stein era
la
cosa che preferivi.”
“Ma i fondi erano sempre troppo
pochi, e ultimamente hanno fatto dei nuovi tagli.- spiegò
l'antropologa, mettendosi seduta meglio e gesticolando animatamente-
Pensaci bene, Spencer, io a Baltimora non ho nessuno. È solo
la città dove lavoravo, tutto qui. Ma altri colleghi avevano
una casa da finire di pagare, una famiglia, delle radici. Era
più
giusto che rimanessero loro, non io.”
“Quindi ti sei dimessa?” domandò
scettico, alzando un sopracciglio.
“Non sei contento che vengo a stare a
DC?- glissò abilmente la domanda lei- Così
staremo
nella stessa città, potremo vederci tutti i giorno, quando
non
sei via per lavoro.”
Reid scosse la testa, rassegnato a
dover abbandonare le argomentazioni più logiche quali la
necessità di avere un posto fisso e l'instabilità
del
mondo della ricerca.
Sospirò, prima di voltarsi verso
di lei con un sorriso timido “Ti ho portato un
regalo.”
“Davvero?” trillò la
ragazza, rizzandosi immediatamente e battendo le mani con entusiasmo.
Spencer rise e tirò fuori dalla
propria borsa un pacchetto piatto e rettangolare, che Alaska prese
fra le mani con reverenza.
“A questo punto ti dovrei dire che
non dovevi, ma sai quanto io adori i regali, vero?” rise,
mentre
faceva passare le mani lungo la carta colorata.
“Faremo finta che hai pronunciato la
frase di rito, allora.” sorrise Reid, divertito.
“Ok. Che cos'è?-domandò
Ross, agitando il pacchetto cercando di capirne il contenuto- Un
sacco a pelo?Un soprammobile a forma di contadinella olandese?Un
cucciolo di foca?”
Il giovane profiler fece roteare gli
occhi platealmente “Al, avanti...Aprilo e basta.”
“D'accordo.”
Il suo sguardo mentre leggeva era
solenne e concentrato. Sorrideva ancora, certo, ma Reid notò
una sfumatura diversa in quel gesto usuale così
iniziò
a parlare, giustificandosi.
“Mors ubi gaudet succurrere vitam.-
recitò in latino, leggendo ad alta voce ciò che
c'era
scritto nel quadro rilegato che le aveva regalato- Qui la morte
è
felice di soccorrere la vita. È latino. Sai
è...è
quello che fai col tuo lavoro, in fondo. E pensavo, anche se per ora
farai solo ricerche su uomini vecchi di milioni di anni avere questo
nel tuo ufficio ti potrebbe fare piacere e pensare a quando tornerai
a fare quello che sai fare meglio e...”
“E' perfetto, Spencer, davvero.-
Alaska gli sorrise dolcemente, posandogli una carezza leggera sulla
guancia e dandogli un bacio a stampo- Solo che non potrò
appenderlo in ufficio visto che non ne ho uno, al momento.”
“D'accordo.- il ragazzo fece
scrollare le spalle, prima di posare un braccio intorno al busto
esile di lei- Allora puoi metterlo sulla tua scrivania.”
“Ehm...” mormorò
l'antropologa, come imbarazzata, spostando i suoi vivaci occhi
cerulei in un altro angolo della sala.
“Alaska!- il tono di Reid era quasi
quello di un genitore mentre sbottava incredulo-Non puoi aver
lasciato il tuo lavoro per un altro in cui non hai nemmeno una
scrivania!”
Ross si morse il labbro inferiore,
colpevole, senza però perdere la propria espressione
scanzonata “Lo metterò nel mio armadietto,
ok?”
“Puoi metterlo dove ti pare, carina-
la interruppe Paulo, uno dei suoi colleghi, prendendola per mano e
trascinandola via con sè- ma ora vogliamo sentire il
discorso!”
“Discorso?-
ripetè Alaska, interdetta- Che discorso?”
“Ma
quello che tutti fanno alle proprie feste, sciocchina!”
spiegò
l'uomo, spingendola di malagrazia su una sedia in mezzo alla sala.
Immediatamente l'attenzione di tutti i presenti fu su di lei.
Anche
i profiler la guardavano intensamente, scoprendone subito un aspetto
del tutto nuovo.
Alaska era arrossita e si sistemava
delle ciocche di capelli dietro le orecchie, con un certo imbarazzo
negli occhi chiari.
Rossi sogghignò: l'aveva vista
tenere un discorso sul come trattare dei resti scheletrizzati di
fronte a un mucchio di studenti di Quantico ed ora sembrava invece
intimidita da un gruppetto di persone qualunque.
Anche Emily, Hotch e Derek sorrisero
divertiti, come se stessero assimilando un nuovo elemento del tutto
inaspettato da aggiungere al suo profilo, e la osservarono iniziare a
parlare un po' titubante, dopo aver agitato una mano affusolata a mo'
di saluto.
“Salve a tutti!Spero che vi stiate
divertendo: per chi non mi conoscesse, sono Alaska, la festeggiata.
Mi hanno chiamato qua sopra per dire qualche parola riguardo il mio
nuovo lavoro, quindi eccole qui: ossa, antropologia, preistoria e
laboratorio!”
Dai presenti si levò una risata
corale, mentre lei si sistemava imbarazzata i capelli dietro le
orecchie.
“Ora potete continuare a divertirvi!”
li esortò con un gesto della mano, prima di scendere
velocemente dalla sedia e sgattaiolare via, solo per essere
intercettata poco più in là dai due tecnici
informatici
dell'FBI.
Derek scosse la testa mentre guardava
Alaska immersa in una conversazione piuttosto vivace con Kevin e
Penelope, mentre tornava verso Reid con una bottiglia di birra in
mano.
Si lasciò cadere seduto sul
divanetto, proprio di fianco al giovane collega, e osservò
il
suo viso illuminarsi nel vedere la giovane antropologa ridere di
gusto.
“Sei in grossi guai, Reid.” lo
avvisò, dandogli una pacca sulla spalla.
“Cosa?- domandò incerto il
giovane, aggrottando le sopracciglia-Perchè?”
Morgan scosse la testa con aria
saccente “Con quegli occhi da Bambi quella ragazza ti
rigirerà
come un calzino...”
Reid non rispose, ma tornò a
puntare lo sguardo verso la propria ragazza. Come se lo avesse
intercettato, la giovane si voltò piano verso di lui
strappandogli immediatamente un sorriso.
Alaska gli sorrise di rimando e alzò
le mani davanti a sé, congiungendo indici e pollici.
“Ti amo.” potè leggere a
chiare lettere sulle labbra rosse dell'antropologa.
Spencer arrossì vistosamente
guardando la forma stilizzata di un cuore che aveva così
formato ma dopo qualche secondo, ignorando quella parte del suo
cervello che gli diceva che i suoi colleghi lo stavano guardando,
imitò il suo gesto.
“Anche io.” si ritrovò a
sussurrare, prima ancora di rendersene conto.
Perché,
senza che vi
fosse la necessità di spiegarselo a chiare lettere e senza
che
ciò causasse alcun senso di autocompiacimento,
egli
sapeva che la sua vita
già possedeva un innato equilibrio,
quel
tipo di armonia a
inseguire la quale altri sembravano passare la maggior parte della
loro esistenza.
Non
gli veniva in mente che
quel dono potesse essere qualcosa di speciale.
Si
sentiva semplicemente
parte di un disegno, di un'unione di elementi animati e inanimati,
cui lo collegavano sia lo spirito che la carne.
-Nicholas
Evans
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E così si
mette la parola fine al secondo capitolo della storia che ha per
protagonista Alaska Ross!Avrei voluto pubblicare questo epilogo
già qualche giorno fa, ma fra una cosa e l'altra (tra cui
una ribellione da parte del wi-fi!Maledetto!) ho dovuto rimandare tutto
a oggi. Voglio dirvi che mi ha fatto sempre un grandissimo piacere
leggere i vostri commenti, sempre deliziosi, e spero davvero che
continuiate a leggere le storie che pubblicherò. A tal
proposito: se cercate fra le storie di questa sezione troverete
già quella nuova, continuazione delle peripezie
dell'antropologa!Spero che continuiate a seguirmi!Baciotti!JoJo
dizzyreads
: Beh,
grazie davvero tanto dei complimenti!In effetti la scena fra loro era
quella che mi preoccupava di più, e sono contenta di non
aver rovinato una storia che comunque ho visto che piace fregandomi
proprio sul finale!Grazie mille ancora, e ti aspetto alla prossima
storia!;) Kisses
lillina913
: Capitolo
pubblicato!Olè!E come puoi vedere con il trasloco di Alaska
ci sono le premesse affinchè il rapporto fra questi due
migliori sempre di più. Spero che seguirai anche la nuova
storia!Un bacione
Luna Viola
: Addirittura!Eheheh!Sono
davvero contenta che il capitolo precedente e le scene fra Ross e Reid
ti siano piaciute e spero che apprezzerai anche questo epiloghino!Spero
che farai una capatina anche nel sequel!Besos
Maggie_Lullaby
: Io
te lo devo dire: i tuoi commenti mi fanno troppo ridere!Sei un
personaggio, davvero!:D E non sentirti in colpa che poi ci rimango
male!eheheh! Dai, sono davvero contenta che la storia ti sia piaciuta e
grazie dei complimenti!Il sequel del sequel lo pubblico oggi stesso,
quindi stay tuned e lo troverai senz'altro!Un basino!
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