Deadly Wrath

di JoJo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Here we go ***
Capitolo 3: *** Bloody day ***
Capitolo 4: *** Goodnight! ***
Capitolo 5: *** New point of view ***
Capitolo 6: *** Game Over ***
Capitolo 7: *** Lovely bones ***
Capitolo 8: *** A new fresh start ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.

- Aristotele


Alcune giornate semplicemente non dovrebbero mai iniziare.
Si dovrebbe rimanere a letto, coccolati dalla confortante sofficità delle proprie lenzuola, a rigirarsi da un fianco all'altro senza pensare a niente.
Riposare. Rilassarsi. Prendersi il proprio tempo.
Ma non tutti possono concedersi questi piccoli lussi.
La sveglia suona e ci obbliga a prenderci le proprie responsabilità, risucchiati nel caotico tran tran quotidiano.
Si esce, si incontrano persone, si interagisce con chi non si vorrebbe, ci si arrabbia.
E lui era arrabbiato.
Era dannatamente arrabbiato.
E quello che più di tutto lo faceva infuriare era che non poteva portarsi a casa quella frustrazione.
L'avrebbe covata dentro di sé, alimentandola e facendola crescere passo passo, senza riuscire mai a dargli una valvola di sfogo.
Nella sua mente, si vedeva proiettato avanti di cinque anni, magari meno in forma e con qualche ruga in più, e aveva il terrore di diventare uno di quegli uomini repressi che sfogano i propri impulsi su degli innocenti. Magari sarebbe successo così anche per lui: sarebbe impazzito all'improvviso e avrebbe fatto un uso sbagliato del proprio fucile da caccia.
Sbattè la portiera dell'auto con forza, lasciando che il rumore si diffondesse in un eco sinistro per tutto quel parcheggio sotterraneo.
Aveva lasciato il cellulare nell'abitacolo ed era pronto per concedersi qualche attimo di libertà, uno dei pochi nella sua vita di adulto responsabile.
Avrebbe dovuto sentirsi l'animo un po' più leggero in quel momento, ma il suo cervello iperattivo glielo impediva. Era ancora infuriato col mondo intero.
Forse, se l'avesse saputo prima, avrebbe cercato di scacciare quel sentimento odioso.
Non era una bella cosa da provare, la rabbia, come ultima impressione del mondo.

Solo un teaser piccino-picciò. Al primo vero capitolo!Besos!!JoJo

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Capitolo 2
*** Here we go ***


La crudeltà sarebbe deliziosa

se si potesse trovare qualche tipo di crudeltà

che non facesse veramente male.

- George Bernard Shaw

Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Tormentare Spencer Reid era il suo hobby preferito.
Lo sapevano tutti e, in effetti, a parte i deboli tentativi di JJ di difendere il giovane genietto, anche tutti gli altri membri della squadra si divertivano ascoltando le sue battute che riuscivano a mettere facilmente in difficoltà il ragazzo.
Derek Morgan lasciò che un sorriso sghembo si allargasse sulle proprie labbra carnose e rivolse uno sguardo d'intesa a Garcia, che gli strizzò l'occhio con complicità, mentre faceva girare distrattamente un cucchiaino nella tazza di caffè che teneva fra le mani ornate da vistosi e variopinti anelli.
“Hai passato un buon week-end, mio dolce cioccolatino al latte?” domandò gioviale, rivolgendosi al bell'uomo di colore.
Lui le rispose con un grosso sorriso “Ti dirò, bambolina, non è stato affatto male.”
Poco più in là, Reid fece roteare gli occhi. Quando i suoi due colleghi partivano con quei discorsi allusivi e pieni di nomignoli zuccherosi, erano in grado di andare avanti a parlare per ore. Mosse qualche passo per allontanarsi dall'area relax con la sua bella tazza di caffè iper-dolcificata fra le mani, sicuro che i due non avrebbero fatto troppo caso alla sua assenza.
“E tu, ragazzino, che hai fatto di bello?”
La voce di Morgan lo inchiodò a metà strada, con un piede ancora sollevato a mezz'aria.
“Niente di particolare.” assicurò, voltandosi verso i due e scrollando le spalle esili per dare enfasi alle proprie parole.
“Davvero?- incalzò Penelope, un ghigno dipinto sulle labbra colorate di cremisi- Sicuro che non ci sia niente che tu ci voglia dire?”
Quando Spencer notò i sorrisi troppo larghi sui volti dei due colleghi indietreggiò quasi inconsapevolmente: quello aveva tutta l'aria di essere un attacco incrociato e lui sapeva bene di non essere in grado di spuntarla.
“Che c'è?” riuscì a domandare con voce leggermente acuita da quella strana sensazione di ritrovarsi indifeso e disarmato di fronte a due leoni affamati.
Garcia le rivolse uno sguardo saccente prima di iniziare a parale“La tua ragazza è adorabile, genietto.”
“C-cosa?- boccheggiò il ragazzo, scioccato da quell'affermazione- Quale ragazza?”
Morgan sollevò gli occhi verso il soffitto e la donna rispose alla domanda, divertita dall'agitazione che improvvisamente attanagliava il genietto della squadra.
“La regina delle ossa.- spiegò- La pulzella dagli occhi blu.”
Reid non potè impedire alla sua bocca di aprirsi per lo stupore. Beccato, lo avvisò una vocetta all'interno della sua testa, mentre le parole di Garcia gli riportarono alla mente le immagini di una ragazza dai lunghi capelli corvini e due profondi occhi azzurri.
Erano ormai passati quasi più di tre mesi da quando lui e il resto della squadra avevano conosciuto Alaska Ross, giovane antropologa forense che li aveva aiutati a risolvere un caso piuttosto complicato a Baltimora. Quello che i suoi colleghi non sapevano, o meglio, quello che i suoi colleghi non avrebbero dovuto sapere, era che lui era rimasto in contatto con lei, e che si scambiavano mail e lettere pressoché quotidianamente.
“Alaska non è la mia ragazza.- si affrettò a specificare con voce acuta- Siamo solo amici.”
“Solo amici, uh?- lo punzecchiò Derek, incrociando le braccia muscolose- E com'è che la vedi così spesso, allora?”
Reid spalancò gli occhi scuri “Ci siamo visti solo un paio di volte...”
“Da quando avete chiuso quel caso ho trovato cinque voli andata e ritorno verso Baltimora prenotati da te, caro il mio genietto. ” gli rivelò Garcia, con un sorriso smagliante sul volto.
“Sai, non credo che sia legale che tu controlli queste cose su di me.” tergiversò Spencer, non prima di aver deglutito rumorosamente in preda all'imbarazzo.
La donna scrollò le spalle “Puoi denunciarmi, se ti va.”
“E poi...- continuò il giovane profiler- non devo giustificarmi con voi se faccio qualche viaggio nei week-end.”
Morgan rise “Nessuno ti giudica perchè vuoi passare del tempo con la tua ragazza, ragazzino.”
“Non è la mia ragazza!” sbottò Reid, alzando la voce di un'ottava.
“Parlate di Alaska?” domandò Rossi, avvicinandosi per agguantare una tazza di caffè.
Penelope e Derek annuirono con aria saccente “Mmm”
“Mi ha mandato una cartolina.” rilevò il profiler di origini italiane, ricordando con piacere lo scambio di corrispondenza che aveva avviato con quella ragazza riaffiorata improvvisamente dal suo passato.
“Anche a me. - disse Garcia- E pensare che nemmeno ci siamo mai conosciute di persona.”
“Com'è che è in Guatemala?” domandò quindi Morgan che, come ogni altro membro del team, aveva ricevuto una cartolina dall'antropologa.
“Deve affiancare il docente che conduce uno scavo al posto del dottor Stein.” spiegò David, ricordandosi le parole scritte in stampatello e inclinate per la troppa fretta che aveva letto su una delle lettere che aveva ricevuto.
Derek annuì “Giusto, me l'ero scordato. Ormai è laggiù da parecchio, però, saranno...”
“Ventun giorni domani.” buttò fuori velocemente Reid.
Tre paia d'occhi si puntarono su di lui, facendolo immancabilmente arrossire.
“Per non essere la tua ragazza, sei piuttosto interessato a quello che fa.” trillò Penelope con il tono di chi la sa lunga.
In quel momento JJ fece capolino nell'area relax, pronta a richiamare al dovere i profiler. Quando vide il volto paonazzo di Spencer e i sorrisi divertiti degli altri immaginò immediatamente che tipo di conversazione potessero aver avuto i suoi colleghi.
“D'accordo, fine primo round.- dichiarò la bionda, prima di sventolare una cartelletta gialla- Abbiamo un nuovo caso.”

“Questo è Bill Port.- annunciò l'agente Jereau, sventolando il telecomando dello schermo di presentazione verso la foto di un uomo di circa trent'anni- trovato in un parcheggio coperto a Georgetown ieri pomeriggio.”
Premette un pulsante e il proiettore passò alla foto di un altro uomo, dai tratti tipicamente latini “Manuel Gomez, rinvenuto circa due settimane fa pestato a morte a Logan Circle.- continuò a parlare- Ieri sera il capo della polizia di Washington ha richiesto il nostro intervento.”
“Non ha dato importanza al primo omicidio?” azzardò Hotch, pensando a quanto fosse toccata dalla criminalità la seconda zona citata dalla collega.
JJ fece ondeggiare la testa “Questo sommato al fatto che un medico legale di Prince George's County, nel Maryland, ha letto il bollettino e ha segnalato di avere dovuto esaminare un caso simile giusto un mese fa.”
L'immagine sul proiettore cambiò ancora, mostrando tre di quelli che sembravano a tutti gli effetti dei mucchi di sangue rappresso.
“Perchè non ci sono foto del corpo?” domandò Derek, sfogliando il fascicolo del caso.
“Quello è il corpo.” lo informò Rossi. Aveva visto molte cose, e tutte terribili, durante la sua carriera, ma quello che si ritrovavano davanti in quel momento non sembravano affatto i resti di una persona, ma dei semplici mucchietti di carne tritata.
“Accidenti!- esclamò l'uomo di colore, aggrottando le sopracciglia-Come diavolo...”
“Non lo sappiamo ancora.- continuò JJ- Quello che rimane della seconda e terza vittima è stato spedito ai nostri laboratori solo stamattina, mentre la prima è stata già seppellita.”
Reid storse le labbra perplesso “Quindi avrebbero già archiviato il caso?”
“Già, come incidente automobilistico.” confermò la bionda, voltandosi verso di lui.
“Sarebbe dovuto essere stato risucchiato da una betoniera per finire in questo stato.” commentò Emily, fissando lo sguardo sulla foto della scena del crimine.
“Le zone dove sono avvenuti i primi omicidi sono aree con un alto tasso di criminalità.- riflettè ad alta voce Morgan- Non si può dire lo stesso di Georgetown.”
“Probabilmente sta cambiando raggio d'azione, sta prendendo confidenza.” ipotizzò Emily con sguardo concentrato.
“Abbiamo già qualcuno che è stato incaricato di occuparsi del caso?- domandò Rossi- Voglio dire: un medico legale capace di rimettere insieme i pezzi e dirci come sono state uccise le vittime?”
“Il nostro antropologo forense ha la mononucleosi ed è in quarantena e gli altri di cui dispone l'FBI sono già oberati di lavoro senza dover occuparsi di questo caso.- disse Hotch, che aveva già esaminato la cartella del caso la sera precedente quando, come al solito, era rimasto in ufficio oltre l'orario di lavoro- Ho pensato che una consulenza esterna fosse l'ideale.”
“Una consulenza esterna?” ripetè Spencer, alzando la testa. Un campanello di allarme gli risuonava da qualche parte a metà fra lo stomaco e il cuore, ma non sapeva dargli significato in quel momento.
“E chi pensavi di chiamare?” domandò Prentiss, alzandosi all'unisono con tutti gli altri.
“Ho già contattato qualcuno.-continuò il capo dell'Unità Comportamentale- È laggiù ad aspettare nell'open space.”
Annuirono distrattamente prima che l'uomo ricominciasse a snocciolare direttive “Io e Rossi andremo dal capo della polizia, Morgan e Prentiss a parlare con le famiglie delle vittime e Reid si occuperà della vittimologia. JJ, voglio che prepari un comunicato stampa.”

Avevano già conosciuto tutti il dottor Davon Stein, antropologo forense di fama internazionale, ma in quel nuovo incontro c'era qualcosa di sostanzialmente diverso.
L'uomo, i cui capelli canuti e le numerose e profonde rughe del volto rivelavano l'età non più giovane, se ne stava in piedi, sorretto da un'unica stampella che l'aiutava a muoversi nonostante la displasia congenita all'anca che lo faceva zoppicare vistosamente, ad attendere con impazienza che qualcuno lo ragguagliasse sul suo compito di consulenza per l'FBI. Indossava una camicia azzurra a maniche corte e un cravattino a farfalla gli stringeva il collo rinsecchito; se non avesse avuto sul viso quell'aria arcigna e quello sguardo severo, sarebbe potuto benissimo passare come un qualsiasi bonario vecchietto felice di godersi gli anni della pensione.
L'agente Hotchner aveva ricevuto un appunto su un seminario che il dottor Stein avrebbe tenuto a Washington riguardo a delle nuove analisi forensi su resti già decomposti e potenzialmente non identificabili così, quando JJ le aveva fatto vedere la cartella di quel nuovo caso, il suo pensiero era subito andato all'antropologo.
“Dottor Stein.” lo salutò, allungando una mano per stringere quella dell'uomo.
“Spero che abbiate un buon motivo per trattenermi qui.- disse l'altro, saltando i convenevoli e ignorando la mano tesa- Quando mi avete chiamato stavo per l'appunto per tornarmene a Baltimora.”
“Lo so. Ma abbiamo fra le mani un caso piuttosto complicato.- spiegò, ignorando le cattive maniere del professore- Tre uomini sono stati uccisi con estrema violenza e probabilmente ci sarà la necessità del parere di un esperto per identificare il tipo di fratture subite e con quale oggetto sono state fatte.”
JJ gli porse la cartella del caso, ma Stein alzò la mano con la quale non teneva la stampella per rifiutare “Non mi interessano le vostre informazioni superficiali.- chiarificò - Mi ha detto che i corpi sono già nei vostri laboratori, ho mandato la mia assistente a prendere le cartelle di modo da poterle visionare.”
“Avrà a disposizione tutti gli strumenti forniti dai laboratori federali di Quantico.”lo informò la bionda con tono professionale e trattenendo a stento una smorfia. Era difficile apprezzare la compagnia del misantropo dottor Stein ma, mentre gli altri se l'erano cavata con un veloce cenno di saluto, lei e Hotch erano costretti a fare gli onori di casa.
“Dovrà solo rendere conto delle sue analisi alla responsabile del caso, la dottoressa Tanaka.” continuò Aaron.
Il vecchio si lasciò sfuggire un verso gutturale di disappunto. Non avevano capito se a causare quella reazione fosse stato il fatto che doveva rendere conto a qualcuno delle proprie azioni o perchè potesse effettivamente conoscere il capo dei loro laboratori.
Dietro di loro un trillo acuto avvisò che l'ascensore era appena arrivato al piano. Stein si voltò leggermente, giusto quanto bastava per riconoscere la ragazza che stava per raggiungerli.
Poco più in là Spencer Reid allungò il collo dalla propria scrivania verso le porte ancora spalancate dell'ascensore e rimase inaspettatamente abbagliato da un sorriso che gli stava diventando pericolosamente familiare.

Percorse il tratto dall'ascensore all'open space in una corsa goffa, trascinandosi dietro un trolley arancione e che di certo aveva visto tempi migliori e cercando di non farsi scivolare giù dalla spalla esile la tracolla di un borsone stracolmo. Alaska Ross indossava una camicia indiana bianca, che metteva in risalto la sua carnagione insolitamente abbronzata e gli occhi chiari, e dei jeans leggermente consumati: sembrava una ragazza pronta per il viaggio premio alla fine del college.
“Davon, quel laboratorio è un paradiso per scienziati!” trillò, non appena raggiunse JJ; Hotch e il suo capo, che fece roteare gli occhi vistosamente, con un'espressione scocciata dipinta sul volto.
“Ti stai forse lamentando del nostro laboratorio, Quarantanove?”
“Dico che se avessimo più fondi sarebbe meglio attrezzato.-specificò la giovane- Vorrei tanto un microscopio comparativo tutto mio e non da condividere con il reparto tracce!”
“Ha portato la dottoressa Ross?” chiese Hotch, sottolineando l'evidenza, sorpreso di incontrarla di nuovo.
Lei rivolse finalmente la sua attenzione anche a lui e JJ e fece sventolare una mano in segno di saluto.
“Mi hai detto che potevo portare uno dei miei assistenti.- borbottò Stein con voce monocorde- Lei è la migliore, soprattutto se tace un pò.”
Quando Reid aveva riconosciuto Alaska una strana forza l'aveva costretto ad alzarsi e raggiungere i suoi colleghi di fianco all'antropologo. Sembrava un fantasma o, perlomeno, uno che un fantasma lo aveva appena visto e ciò gli impedì di parlare, almeno fino a quel momento.
“Credevo...credevo fossi in Guatemala a...a tenere un corso sul riconoscimento dei cadaveri non identificati al posto di Stein...”intervenne quindi Spencer, senza riuscire a non balbettare.
“Non sono in Guatemala.- sottolineò l'ovvio lei, sorridendo- In effetti è stato un rientro piuttosto improvviso...”
“Le è scaduto il passaporto.” rilevò Davon, con un sospiro rassegnato. Era abituato alla sbadataggine della propria assistente, ma costantemente rimaneva stupito da quanto lei fosse in grado di rimuovere dalla propria mente le cose più necessarie.
“Non è vero!-protestò Alaska mettendo il broncio per un istante- Mi è scaduto il visto, giusto in tempo per evitare la stagione delle piogge...”
JJ la guardò con aria compassionevole “E sei venuta direttamente qui dall'aeroporto?”
“Davon ha detto che era urgente, quindi ho fatto scalo a New York e invece di tornarmene a Baltimora sono volata qui.” l'avevo detto come se fosse stata un'equazione logica, ma in effetti era la sola a crederlo. Per di più, non erano in molti quelli che potevano affermare di essere così disponibili ad assecondare i capricci di Stein.
“Che stiamo aspettando, quindi?” cinguettò di nuovo, con impazienza. Aveva fatto scivolare al proprio fianco i bagagli e si era messa a tamburellare con impazienza le dita sulle cartelle che teneva fra le mani.
“La dottoressa Tanaka.- la informò Hotch- È la responsabile del caso e coordinatrice dei laboratori forensi: vorrei presentarvela prima di lasciarvi al vostro lavoro.”
“La dottoressa Tanaka?” ripetè Ross, spalancando la bocca.
Il capo dell'unità di analisi comportamentale annuì, mentre JJ e Reid aggrottavano le sopracciglia confusi da quella reazione.
“Amy Tanaka?!” esclamò di nuovo la giovane antropologa, le guance arrossate dall'emozione.
“Quarantanove ti prego, contegno.” la richiamò all'ordine Stein, con tono secco.
Alaska si tappò immediatamente la bocca con entrambe le mani, ma dai suoi occhi continuava a trapelare l'evidente eccitazione per quella notizia.
“Quarantanove apprezza molto il lavoro della dottoressa.” si decise a spiegare Davon, stringendosi nelle spalle. Personalmente non si capacitava di quell'interesse.
“Apprezzo?- ribattè Ross, prima di iniziare a spiegare le proprie ragioni tanto velocemente da rendere difficile seguire il discorso- Lei è decisamente la migliore patologa forense dello Stato!Inoltre ha portato delle innovazioni straordinarie nelle tecniche di laboratorio, senza contare che le sue pubblicazioni sono sulle migliori riviste scientifiche del mondo!La dottoressa Tanaka è semplicemente...cavolo, sto andando in iperventilazione.”
JJ si mise una mano davanti alla bocca per coprire la risatina che le era salita alle labbra, mentre Reid e Hotch volsero lo sguardo verso una donna in camice bianco che si era presentata alle spalle dei due antropologi.
La dottoressa Tanaka aveva un aspetto severo, con gelidi occhi scuri e la bocca contratta in una linea dura. I lunghi capelli, pura seta nera, erano raccolti sulla nuca in una crocchia.
“Dottor Stein.” salutò freddamente l'orientale.
“Dottoressa Tanaka.- le fece eco l'antropologo con voce piatta- Non mi sarei mai aspettato di lavorare ancora con lei. Questa è la dottoressa Ross, mi assisterà durante questo caso.”
“Quella ragazzina nel mio laboratorio?- domandò, squadrando Alaska da capo a piedi-Non direi proprio.”
Reid storse la bocca infastidito da quell'ingiustificato disprezzo e Hotch stava per aprire bocca per informare la dottoressa che avrebbero dovuto collaborare volenti o nolenti, ma la voce di Stein lo precedette.
“Quarantanove perchè non risolvi un po' delle scartoffie lasciate indietro dal tizio con la mononucleosi?”
Alaska annuì, con il suo solito sorriso imperturbabile sul volto.
“Che stai facendo?” domandò la Tanaka, guardando con sospetto la giovane che sfogliava con foga dei fogli che era sicura fossero stati presi dal suo laboratorio.
“Consulenza sui casi lasciati aperti dal vostro antropologo, come mi ha chiesto Davon.- spiegò semplicemente Ross, prima di iniziare a esaminare i casi che le passavano fra le mani-Queste ceneri umane sono incomplete, il loro volume e peso sono troppo inferiori alla media per essere associati all'aspetto dei resti di un intero corpo umano. Questo teschio?Abbastanza antico da dire che si può trattare di resti riportati alla luce da una sepoltura illegale, in ogni caso si tratta di una donna afroamericana, di mezza età. Il pezzo di avambraccio probabilmente è di un uomo, alto circa un metro e settantacinque. È stato trovato in mare?Perchè questo spiegherebbe il taglio della frattura che corrisponde con l'elica di un'imbarcazione di qualche tipo. E le ossa di quelle mani non sono classificabili come resti umani, appartengono a degli orsi, quindi immagino che il caso non sia di vostra competenza.”
Sui volti di JJ e Reid si aprirono dei sorrisi soddisfatti. Avevano avuto modo di conoscere la preparazione professionale di quella ragazza, ma erano contenti che potesse dimostrarlo anche in quel momento, cambiando l'impressione negativa che si era creata la Tanaka.
“D'accordo, Davon.- tagliò corto la giapponese, soprassedendo sull'aria strafottente del collega- La tua assistente Dakota è dei nostri, ma non intendo farle da babysitter.”
“In realtà è Alaska.” intervenne l'interpellata, divertita da quello sbaglio.
“Come?” sibilò la patologa, stringendo gli occhi.
“Il mio nome è Alaska.- ribadì- Ma se vuole possiamo fare che quando chiama uno Stato confederato risponderò io. Potrebbe non chiamarmi Washington o Colorado, però?Mi sembrano nomi maschili...”
“Allora- domandò il dottor Stein, interrompendo uno degli usuali ed improbabili discorsi della sua assistente- che cosa c'è di così complicato da richiedere il mio intervento?”
Alaska strinse le labbra e gli passò la cartelletta riassuntiva che aveva recuperato dal laboratorio.
“Dov'è il corpo?” domandò quindi, mentre si sporgeva oltre la spalla di Davon per osservare la foto della scena del crimine.
“E' sulla foto.” fu la risposta lapidaria della dottoressa Tanaka.
Quello è un cadavere?” buttò fuori con tono incredulo. Era difficile associare a delle figure anatomiche quell'ammasso di carne e sangue.
“Così pare.” interloquì il suo mentore, mentre avvicinava la foto al volto per osservarla meglio con i suoi occhi compromessi dalla vecchiaia.
Sul volto della giovane comparve un'espressione rammaricata “Oh.”
“Ci sarà da lavorarci parecchio.” dichiarò quindi l'antropologo.
“Torno in laboratorio per procedere con la rimozione dei tessuti?” si propose immediatamente la ragazza, riprendendo la propria vivacità immediatamente.
“No.” la contraddisse la dottoressa Tanaka.
“No?” ripeterono in coro Alaska e Reid, cosa che causò al ragazzo un diffuso rossore al volto, soprattutto quando la ragazza gli rivolse un sorriso divertito, accompagnato da una strizzata d'occhio, per l'accaduto.
“No?!-sbottò Stein-Perchè dai ordini alla mia assistente?”
L'orientale fece roteare gli occhi spazientita prima di rispondere “Devo prima continuare con le mie analisi. Al momento le uniche cose che potete fare sono quelle che non vi faranno toccare nulla che mi possa essere utile.”
“Quindi dovremmo analizzare quelle ossa stando lontani dalle ossa?” riepilogò il vecchio antropologo, alzando scetticamente un sopracciglio.
“Vedo che hai mantenuto il tuo dono della sintesi.” sibilò la donna, rivolgendogli uno sguardo di sfida.
Hotch strinse gli occhi mentre li osservava. Era palpabile la tensione che scorreva fra i due luminari, e non occorreva certo essere un profiler per capirlo. Sperò vivamente che tutto ciò non compromettesse sul lavoro che dovevano svolgere per venire a capo di quel caso.
“D'accordo.- capitolò Stein- Io vado in laboratorio e vedo quali mezzi abbiamo a disposizione, mentre tu, Quarantanove, fatti portare sulla scena del crimine.”
“Lavoro sul campo!- trillò, facendo un saltello sul posto- Vado a prendere un kit in laboratorio.”

Primo capitolo ufficiale!Olè!Come mi è stato fatto notare, non ho specificato niente riguardo la storia durante il prologo. Ebbene sì: questo è il seguito di Invisible Women anche se non ritengo sia necessario conoscere l'altra storia per capire questa: i personaggi già conosciuti sono stati reintrodotti e quelli nuovi sono nuovi per tutti, in più, se ci sarà qualche riferimento alla storia precedente verrà ben spiegato. In ogni modo, se volete leggere anche l'altra fatelo pure, eh!Beware my friends, Alaska is back! ;) Fatemi sapere che pensate di questo cap, besitos e alla prossima!JoJo

takara : Ma ciao, my dear!Visto che velocità di pubblicazione?Non te lo aspettavi, vero?Soprattutto dopo i miei soliti tempi da lumaca al rallentatore!Che ne pensi dunque del primo capitolo ufficiale, o mia assidua lettrice?Kisses JoJo

MissMiluna : Wow!Davvero grazie mille per il tuo commento, sono contenta che ti sia piaciuto lo stile del prologo. Come vedi, il primo capitolo è di tutt'altra pasta, ma spero che ti sia piaciuto lo stesso. Alla prossima, besos JoJo

aliena : Lo confesso: mi ero completamente dimenticata di dire che questa è la continuazione della storia di Alaska. Sorry, ma soffro di disturbi alla memoria a breve termine...uhm, anche quella a lungo termine ora che ci penso!eheheh!Comunque sì:Alaska è tornata! :) Sono contenta che le citazioni che scelgo siano di tuo gusto!Al prossimo capitolo, un bacio JoJo

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Capitolo 3
*** Bloody day ***


Chi può versare sangue nero, sangue giallo, sangue bianco, mezzo sangue?
Il sangue non è indio, polinesiano o inglese.
Nessuno ha mai visto sangue ebreo, sangue cristiano, sangue musulmano, sangue buddhista.
Il sangue non è ricco, povero o benestante.
Il sangue è rosso.
Disumano è chi lo versa, non chi lo porta.

Ndjock Ngana

Route 29. Washington, DC.

“Lo sapevate che quasi il venti per cento della superficie di DC è costituita da parchi?” disse Alaska, sporgendosi in avanti facendosi perno con le mani su entrambi i sedili anteriori.
Morgan e Prentiss si scambiarono un'occhiata stranita. Hotch li aveva invitati a portare con loro la giovane antropologa e a fargli vedere la scena dell'ultimo omicidio prima di andare a parlare con i familiari delle vittime.
“Uhm...no.” ammise Emily, scuotendo la testa e facendo ondeggiare leggermente i capelli corvini.
“Perchè tu lo sai, invece?” si informò invece l'uomo alla guida.
“Adoro Washington.- spiegò la ragazza- Spero di riuscire a visitarla, magari dopo aver finito la mia consulenza per il caso...”
Morgan la guardò attraverso lo specchietto retrovisore “Non sei mai venuta qui?”
“Sì, diverse volte.- continuò Ross facendo sventolare una mano- Qualche visita ai musei, conferenze e seminari, ma non ho mai girato molto. In effetti conosco meglio gli alberghi, che la città vera e propria.”
Emily le sorrise incoraggiante “Sai una cosa? Quando avremo chiuso il caso ti accompagnerò io a vedere la città.”
Lo sguardo ceruleo di Alaska si accese all'istante “Davvero?”
“Ma certo.” confermò la donna, con una risatina causata dalla gioia che esprimeva l'altra.
“E io ti farò vedere i locali in cui vale la pena fare una capatina.- si propose Morgan, strizzandole l'occhio- Sembri una che sa come divertirsi.”
La ragazza si strinse nelle spalle con un sorriso furbo, prima che l'uomo di colore continuasse a parlare.
“Comunque, cara Quarantanove, non vorrai darcela a bere, vero?”
“Che cosa?- domandò Ross confusa, cercando aiuto sul volto di Emily- E' vero che non ho mai davvero visitato DC.”
“Sto parlando della tua presunta ricerca in Guatemala.-le rinfrescò la memoria Derek- Io non ci credo, anche se ti sei sforzata di non sembrare troppo abbronzata, secondo me ti sei fatta una bella vacanza a Cabo alle spalle di Stein.”
“Mi dispiace, ma il mio cervello non mi permette di elaborare piani tanto macchiavellici.- rise- E poi, non sono molto abbronzata solo perchè mia mamma è finlandese e mi ha passato un fototipo zero.”
“Davvero?- domandò Prentiss incuriosita- Finlandese dalla Finlandia?”
“No, da Philadelphia.- rivelò contenta- I miei nonni si sono trasferiti lì quando lei aveva quindici anni.”
Morgan annuì distrattamente: ora capiva da dove arrivavano quegli occhi così marcatamente azzurri. Lanciò uno sguardo d'intesa alla propria collega, ma lei gli rivolse un'occhiata confusa. Aveva capito che aveva in mente qualcosa dall'espressione divertita che aveva dipinta in viso, ma non era in grado, come Garcia, di decifrare così facilmente i suoi pensieri.
“Dimmi un po', bimba,-continuò quindi a parlare l'uomo- che succede tra te e il nostro genietto preferito?”
Alaska sbattè le palpebre prima di rispondere con un'altra domanda “Perchè, avete altri colleghi con un QI decisamente sopra la media ma meno simpatici di Spencer?”
“Era solo un modo di dire.” le disse Emily.
“Meglio, sarebbe stato piuttosto cattivo preferire qualcuno a qualcun' altro.” ribattè con una scrollata di spalle.
“Sai, se non fossi sicura del contrario direi che stai evitando la domanda.” la punzecchiò divertita la profiler.
“Allora, Quarantanove?” incalzò Morgan, con sguardo indagatore.
“Stiamo bene insieme, siamo molto amici.- rivelò la mora con sincerità- Perchè, lui che vi ha detto?”
Il tono che aveva usato per porre la domanda rivelava tutta la sua curiosità e il fatto che si era sporta ancora di più verso di loro aveva confermato la loro ipotesi che teneva molto alla risposta. Certo, avevano letto l'intonazione e il linguaggio del corpo, ma Alaska era così trasparente che non occorreva certo essere profiler per capire che gli importava molto del giovane agente dell'FBI.
“Sai com'è Reid, è molto riservato sulle cose che non riguardano il suo cervello troppo sviluppato.” scherzò Derek, senza però andare lontano dalla realtà.
“Non vi ha mai parlato di me?” indagò l'antropologa, e i suoi occhi erano così grandi e carichi d'aspettativa che, anche se non fosse stato vero, le avrebbero detto una bugia cosmica pur di accontentarla.
“Non senza arrossire come un peperone e cominciare a balbettare.” rivelò Prentiss con un sorriso da Stregatto.
“Lo fa anche con me!- buttò fuori in fretta- Sapete, credo che dovrebbe farsi vedere da un dottore: la sua micro circolazione è piuttosto bizzarra...”
Derek alzò gli occhi, esasperato dall'ingenuità della ragazza, mentre Emily, più comprensiva, si voltò verso di lei “Non credo sia quello il problema, Alaska.”
“Voi finlandesi fate troppo i finti tonti, secondo me.” rincarò la dose l'uomo, alzando le sopracciglia.
“Io sono solo mezza finlandese, come tara genetica dominante ho ereditato solo l'amore per le saune e l'adorazione incondizionata verso Babbo Natale.-spiegò Ross come se fosse logica pura- Ma davvero, non capisco a cosa ti riferisci...”
Prentiss aprì la bocca, indecisa se spiegarle cosa intendesse il suo collega oppure per cambiare repentinamente argomento, abbandonando l'impresa di cercare di mettere in imbarazzo la giovane riguardo il rapporto che la legava a Reid.
“Siamo arrivati.” disse, staccando una mano dal volante per indicare il palazzo dove era avvenuto l'ultimo omicidio.

Wisconsins Avenue. Washington, DC.

“Ok, Alaska.”
Morgan si era fermato davanti alla linea gialla che sigillava la scena e si era voltato verso la ragazza con sguardo serio.
“Questo è il tuo pass.- continuò, porgendole un tesserino plastificato attaccato a una cordicella- Te lo infili al collo e non te lo togli finchè non torniamo in auto, d'accordo?”
L'antropologa annuì sorridendo, facendo ondeggiare le onde corvine dei suoi capelli.
“Non vorremmo che si ripetesse lo stesso incidente della prima volta che hai visto Derek, vero?” punzecchiò Prentiss, cercando di non sghignazzare.
La prima volta che aveva visto l'antropologa, il bell'agente FBI era rimasto spiazzato totalmente dal fatto che la ragazza avesse un teschio nascosto nella borsa.
Morgan fece roteare gli occhi, scocciato “Sì, davvero una storia divertente. Garcia la tira fuori almeno una volta al giorno.”
“Siete i tizi da Quantico?” domandò un agente dall'aria burbera, mentre sollevava il nastro giallo per farli passare.
I due profiler tirarono fuori i distintivi, mentre snocciolavano il proprio titolo.
“Agenti Morgan e Prentiss.”
Stavano per presentare anche Alaska, ma quando l'uomo puntò gli occhi interrogativi su di lei, l'antropologa iniziò a parlare velocemente, col solito tono scanzonato.
“Sono con loro anche io!- disse sorridendo, mentre sollevava il suo pass e glielo sventolava sotto il naso- Vede questo?Consulente dell'FBI!”
Prentiss le afferrò al volo un bracciò, trascinandola all'interno con un sorriso imbarazzato sul volto.
Il corpo di Bill Port era stato trovato in un parcheggio sotterraneo a pochi passi di distanza dalla sua macchina. Quando un uomo di mezza età era tornato a prendere la propria auto era inciampato in qualcosa di molliccio e quando aveva abbassato lo sguardo aveva visto il cadavere. Perlomeno, quello che ne restava.
I poliziotti che erano accorsi sul posto si erano domandati come il pover'uomo non fosse morto di infarto a quella vista.
“I parcheggi sotterranei mi hanno sempre dato i brividi.” commentò Alaska ad alta voce, mentre sentiva l'aria fresca che le solleticava la pelle ancora calda per il clima esterno.
“Forse perchè guardi troppi film thriller.- ribattè Morgan- Sai, Quarantanove, non credo nemmeno che tu possa vederli, senza la presenza di un adulto.”
“No, i film non c'entrano.- continuò la ragazza seria, mentre si fermava simultaneamente con Emily di fronte alla vera scena del crimine- È che, visto che qua sotto non batte il sole, la temperatura è più bassa.”
“Posso farti una domanda?” chiese la donna, mettendosi le mani sui fianchi mentre guardava la macchia vermiglia che suggeriva cosa fosse successo lì sotto meno di ventiquattrore prima.
“Anche questa è una domanda.” le fece notare, senza perdere il tono spensierato.
Prentiss lo ignorò e continuò a parlare “Come mai Stein ti ha mandato qua?Il corpo è già in laboratorio e quelli della scientifica hanno già fatto tutti i rilevamenti e le foto.”
“Non credo che il corpo sia tutto al laboratorio.” borbottò Alaska, inclinando la testa di lato.
“Certo che è là, Alaska.” le assicurò Morgan.
La ragazza allungò il braccio e con l'indice indicò la copiosa chiazza di sangue ormai rappreso che si trovava sull'asfalto.
“Fortuna che la scena non è ancora stata aperta.-buttò fuori, iniziando a parlare velocemente, portando al limite la sua voce sottile- Sapete, esistono delle agenzie di pulizie specializzate nel ripulire da cima a fondo i luoghi in cui sono avvenuti omicidi, suicidi o altri incidenti spiacevoli!Se fossero già passati di qui avrei fatto un viaggio a vuoto, non che mi sarei lamentata, sia ben chiaro: adoro la vostra compagnia e le gite in macchina, anche se credo che dovreste usare delle auto ibride ed ecologiche. Quelle a metano oppure elettriche, la tecnologia di certo negli ultimi anni ha...”
“Alaska?” la interruppe l'uomo, attirandosi addosso il suo sguardo confuso.
“Sì?”
“Stai perdendo il filo del discorso.”
L'antropologa aprì la bocca in una “O” sorpresa e Derek, scuotendo la testa rassegnato, le posò una mano sulla spalla.
“Dunque, che cosa cerchi, esattamente?” si informò, vedendola recuperare un piccolo computer portatile dalla borsa del laboratorio.
“Qualsiasi traccia di sangue.-spiegò semplicemente- Ne determino l'angolo di impatto, le caratteristiche di spruzzo e le proiezioni: questo dovrebbe aiutarmi a scoprire le azioni svolte dall'assassino e da quelle voi potrete entrare nella sua mente e cercare di capire cosa diavolo aveva in testa. In laboratorio stanno già procedendo con l'analisi del sangue per verificare viscosità ed altre caratteristiche particolari che potrebbero aver cambiato le condizioni di spruzzo.”
Emily spalancò gli occhi scuri “Sembra una cosa complicata.”
“Lo so, è per questo che ve l'ho spiegato: per farvi capire quanto sia difficile il mio lavoro e di quanto dovrete essermi grati quando scoprirò qualcosa.”
Rivolse ai due profiler un sorriso radioso e appoggiò il computer per terra, pronta a inserire i dati che avrebbe trovato. Prese un metro e iniziò a vagare da un punto all'altro di quella piccola zona del parcheggio sotto il loro sguardo interessato.
“Ok.- esordì, dopo vari minuti di silenzio in cui rimase concentrata e seria- La direzione verso cui punta la parte più sottile della goccia è quella da cui è partito il colpo. Quindi il vostro US si trovava qui.”
Si era spostata di nuovo, enfatizzando le proprie parole con un ampio gesto delle braccia.
“US?” ripetè Emily confusa.
“Uomo Sconosciuto.- chiarificò Ross con ovvietà- Non è così che lo chiamate?”
Morgan scosse la testa, sorridendo “In realtà è SI. Soggetto Ignoto.”
“Non è quello che ho detto?” domandò Alaska, sbattendo le palpebre incerta.
“Non esattamente.” la informò Prentiss, aggrottando la fronte.
“Ma il concetto era lo stesso, no?- continuò l'antropologa con convinzione- Che differenza fa?”
“Dicevi che l'SI si trovava qui?” incalzò Derek, cercando di riportare quella conversazione sui giusti binari.
“Già.-riprese a parlare la giovane, come se non si fosse mai interrotta- Ha attaccato Bill alle spalle, colpendolo direttamente alla testa. Probabilmente lui si è girato per fronteggiarlo ed è stato colpito di nuovo.”
L'uomo fece vagare il suo sguardo verso i punti indicati dalla scienziata, soppesando bene le sue parole “E' una tua ipotesi o c'è qualcosa che ti fa dedurre tutto ciò?”
Alaska annuì prima di inginocchiarsi e fare segno ai due profiler di avvicinarsi “Vedete quella bolla d'aria? Vuol dire che all'interno di quella goccia di sangue c'era anche della saliva, quindi viene dalla bocca. Perciò: colpo frontale. Dalla foto che ho visto del signor Port posso dire che era un uomo atletico, capace di difendersi, quindi è probabile che sia stato colpito alle spalle, la prima volta, cosa che l'ha preso alla sprovvista.”
“Hai notato qualcos'altro?” si informò Prentiss, impressionata.
“Ci sono numerosi schizzi di sangue con tracce di materia cerebrale.- rivelò l'antropologa, mentre digitava qualcosa al computer- La forma allungata degli schizzi e la distanza a cui si trovano dal luogo dove è caduta la vittima ci dicono che il nostro US...”
“SI” la corresse immediatamente Morgan.
“Quello che ho detto. Comunque, lui, ha usato un attrezzo dalla forma allungata. Procederò ad una ricostruzione dell'episodio in laboratorio.”
Si girò verso i due agenti facendo un largo sorriso mentre chiudeva con uno scatto il portatile.
“Allora, adesso dove si va?”

Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Spencer Reid inclinò leggermente la testa di lato, aggrottando le sopracciglia pensieroso, mentre osservava con intensità la cartina di Washington che troneggiava nella loro sala riunioni.
C'era un campanello d'allarme che gli risuonava in testa, quel segnale gli diceva che c'era qualcosa che, nonostante fosse ben davanti ai suoi occhi, gli stava sfuggendo. Un particolare troppo piccolo, forse, per poter essere notato immediatamente, ma lui sapeva che era lì, da qualche parte. Avrebbe dovuto rifletterci su ininterrottamente, come faceva di solito, fino a che non sarebbe venuto a capo della situazione.
“Novità?”
La voce secca di Hotch lo fece sobbalzare e, quando si voltò verso la porta, vide lui e Rossi che lo osservavano con aria d'attesa.
“La dottoressa Tanaka mi ha detto che la parte più colpita, e su cui l'SI si è accanito per prima è la faccia.- snocciolò in fretta- Questo ci potrebbe far pensare che è proprio l'identità delle vittime la chiave.”
“Hai trovato qualche collegamento?” si informò Dave, aggrottando la fronte.
“Nessuno.- continuò Reid scuotendo la testa- Età diverse, diverse estrazioni sociali, frequentavano zone diverse e non si conoscevano fra loro.”
Hotch sbuffò sommessamente “Quindi cosa abbiamo?”
“L'SI ha riversato su di loro la propria rabbia cercando di annientare la loro identità attraverso la distruzione fisica delle proprie vittime.- disse velocemente il giovane profiler, brandendo la penna che reggeva fra le mani come se fosse stata un'arma impropria- Ci dev'essere qualcosa che hanno in comune e che fa scattare la furia omicida.”
“Non ci resta che scoprire cos'è.” concluse Rossi.
Reid annuì “Il capo della polizia che vi ha detto?”
“Che non era a conoscenza del caso di Prince's George Country, altrimenti avrebbe richiesto prima il nostro intervento.- spiegò Aaron, mentre spostava lo sguardo sulla mappa geografica per accompagnare le proprie parole- Aveva classificato l'omicidio di Logan Circle come un regolamento di conti o una questione di droga.”
“C'è qualcosa che non mi torna riguardo la distribuzione degli omicidi.- rilevò Spencer, tornandò a voltarsi verso il tabellone- L'SI ha agito inizialmente in zone problematiche e piene di criminalità, dove il suo operato non sarebbe spiccato particolarmente. Perchè ha sentito il bisogno di spostarsi?”
“Forse ha acquistato maggior sicurezza.- azzardò Rossi, meditabondo- Ha trovato una stabilità nei propri gesti, in un certo senso ha confermato il proprio modus operandi in modo tale che possa agire dove vuole e non solo in zone più facili.”
“Se è così dobbiamo trovare qualcosa e in fretta.” concluse il capo dell'unità uscendo velocemente dalla stanza.
Reid tornò a sfogliare le cartelle delle tre vittime, cercando di trovare un elemento comune che collegasse i tre uomini, ma sentiva su di sé lo sguardo di Rossi.
“Non sembri contento che Stein abbia portato anche Alaska.” parlò infatti l'uomo, dopo diversi minuti di silenzio.
“Come?- domandò confuso, la voce più alta del solito- Io sono contento che sia arrivata anche qui. Noi siamo amici.”
Dave annuì, scettico “Mmm”
Spencer stava tentando di controbattere in maniera più convincente ma in quel momento, quello che sembrava a tutti gli effetti un uragano troppo colorato entrò nella stanza, attirando lo sguardo dei due agenti su di sé.
Garcia ignorò momentaneamente le loro espressioni interrogativi e fece scorrere i propri occhi indagatori per tutta la stanza.
“Alaska non è qui.” borbottò infine, scontenta.
“No, infatti.- ribattè Rossi confus- Non dovresti essere dai tuoi computer a cercare dei collegamenti nelle vite delle vittime?”
“Già fatto. Pare che quei tre non abbiano mai condiviso nemmeno una corsa in metro.- spiegò, mettendosi a fissare Reid- Dov'è Alaska?”
Il ragazzo arrossì, dando fine al contatto visivo “E' con Morgan e Prentiss sulla scena del crimine-rispose, prima di iniziare a balbettare-P-perchè io dovrei sapere dove si trova, poi?”
Dave e Penelope fecero roteare gli occhi in sincronia
“Al massimo potevi trovarla nei laboratori.” continuò a parlare l'uomo.
Garcia scosse la testa “Si dice che la Tanaka voglia defenestrarla.” 
“Si dice?” Dave alzò un sopracciglio perplesso.
“Voci di corridoio.” disse sibillina, facendo roteare la mano con noncuranza.
“Garcia?” la richiamò l'agente più anziano, che voleva sapere quale fosse il problema fra la loro patologa e la giovane antropologa.
“Odio i profiler.- commentò la bionda sbuffando- Diciamo che ho fatto una piccola capatina anche ai laboratori per conoscere la famosa Alaska. E credimi, laggiù fra la nostra dottoressa musona e l'antropologo che non credo si candiderà per Mister Simpatia, non scorre affatto buon sangue. E l'oggetto del contendere pare proprio essere la ragazza del nostro G-man. ”
“Non è la mia ragazza!” sbottò Reid, più rosso di un peperone.
“Come vuoi, genietto. In ogni caso, non c'era. Ma non riuscirete a tenermela nascosta ancora per molto!” minacciò prima di uscire dalla stanza velocemente come vi era entrata.

Casa di Bill Port. Avon Lane. Washington, DC.

La gravità di quanto era successo il giorno prima era già dipinta a chiare lettere sul volto della signora Port. Quella che aveva aperto la porta pochi secondi dopo che Morgan aveva premuto il dito sul campanello, era di certo quella che sembrava una moglie perfetta. Lo stile di vestire sobrio ed elegante, ma comunque comodo per accompagnarla durante le mille faccende che l'impegnavano durante la giornata, una bambina di poco meno di un anno aggrappata docilmente al suo collo, e il trucco impeccabile nonostante tutto. Tuttavia, non ci volle molto ai tre per notare le occhiaie profonde e la lucidità sospetta degli occhi rossi e stanchi.
“Sì?” domandò la donna, con voce debole.
“Signora Port?- chiese conferma Emily, prima che lei e Morgan tirassero fuori i loro distintivi- Siamo gli agenti Prentiss e Morgan, dell'Unità di Analisi Comportamentale dell'FBI e questa è la dottoressa Ross, un'antropologa forense.”
“Antropologa forense?” ripetè la signora Port, confusa.
“Sì. Sono come un medico legale, ma mi occupo solo di ossa.- semplificò Alaska, prima di posarle la mano su un braccio con fare consolatorio- Mi dispiace molto per la sua perdita.”
La donna la guardò stranita per diversi istanti, ma negli occhi limpidi della ragazza trovò solo sincera compassione.
“Grazie.” rispose infine, aggrottando la fronte incerta da quel comportamento invadente ma stranamente rassicurante.
“E' una bambina deliziosa.- continuò Ross con tono casuale-Vuole che gliela tenga mentre parla con loro due?I bambini non dovrebbero ascoltare certe cose.”
La vedova la fissò spiazzata, mentre quasi meccanicamente le consegnava la bambina “Grazie. Sa come...”
Alaska strinse quel fagottino fra le braccia, sotto gli sguardi confusi di Prentiss e Morgan, mentre seguivano in casa la signora Port “Quando avevo diciott'anni mia mamma ha avuto due gemelli. Me la cavo con questi esserini.”
L'antropologa sparì nella stanza attigua, mentre la padrona di casa faceva accomodare gli agenti FBI nella cucina grande e ariosa.
“Sappiamo che è un brutto momento- esordì Emily- ma dovremmo farle qualche domanda su suo marito.”
Dalle labbra secche della donna uscì una risata senza allegria “Pare che tutti non vogliano che fare questo, ultimamente.”
“Sa se suo marito ha avuto qualche scontro con qualcuno, di recente?” chiese Morgan.
La signora Port alzò le sopracciglia “Certo. Mio marito era un avvocato e aveva un temperamento particolarmente infiammabile. Non era raro che litigasse con qualcuno, al lavoro, ma la cosa finiva lì.”
“Signora Port- continuò l'uomo di colore cercando di soppesare bene le parole- ci sono stati altri due omicidi simili a quello di suo marito. Crediamo possa trattarsi di un assassino seriale.”
“Seriale.” ripetè con voce atona, gli occhi immobili su un infisso della cucina.
“I primi due omicidi sono avvenuti in zone piene di criminalità- continuò Prentiss- C'è la possibilità che suo marito possa aver frequentato quei posti?Che fosse coinvolto in qualche tipo di affare che...”
“Mio marito non era un santo, se è questo che intende, ma non era immischiato in alcun tipo di affare illegale.- rispose, fissando lo sguardo su Alaska che vedeva giocare con sua figlia attraverso la porta che dava sull'altra stanza- Non meritava certo questo. Nessuno lo meriterebbe.”
I due agenti tacquero, incerti su cosa dire.
“Abbiamo finito?” domandò stancamente.
“Certo.- confermò Prentiss- Può darsi che avremo di nuovo bisogno di lei...”
“Sapete dove trovarmi.” assicurò la signora Port, mentre li scortava alla porta.
Morgan era andato a richiamare Alaska e lei aveva riconsegnato la bambina nelle mani della madre.
“E' una bambina deliziosa.” le assicurò, prima di seguire i due profiler lungo il vialetto ben tenuto.
“Dottoressa Ross?” la richiamò la voce, leggermente acuita, della vedova.
L'antropologa si voltò, confusa “Sì?”
“Posso...posso chiederle una cosa?” continuò la donna, non riuscendo a non balbettare.
“Ma certo.” sorrise comprensiva la giovane.
“Bill ha sofferto molto?” buttò fuori la frase tutto d'un fiato, e sul suo volto bello ma stanco si leggeva chiaramente la paura della risposta. Quell'espressione fece gelare la dottoressa sul posto, nonostante la canicola estiva.
Derek e Emily fissarono la ragazza preoccupati, senza sapere bene cosa avrebbe risposto.
Alaska fissò gli occhi in quelli della donna, rivolgendole il sorriso più dolce di cui disponeva “No. Il primo colpo alla testa è stato fatale.- mentì- Non si è accorto di nulla.”

Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Quando tornarono agli uffici di Quantico, Alaska si sentì sollevata. Dopo quella della signora Port, avevano fatto altre due visite ai familiari delle prime vittime, ed ora, appena tornati alla base, Emily e Derek si erano fiondati a riferire tutto ai propri colleghi.
Ad aspettare lei, invece, ci sarebbe stato qualche piano più in basso, il rassicurante caos che governava quel piccolo universo che erano i laboratori forensi.
“Hey, Quarantanove!-la chiamò Stein, che era tornato al piano del BAU per aspettarla-Ho quello che volevi.”
La ragazza si voltò verso di lui, sorridendo apertamente “Un pony?”
“No, del lavoro da fare mentre l'arpia non ci permette di avvicinarci al corpo.-snocciolò l'uomo facendo una smorfia- Devi fare la ricostruzione delle ossa partendo dalle radiografie che ho fatto. Voglio che a partire da quelle e da quello che hai scoperto sulla scena ricrei quello che è successo passo passo.”
La ragazza mora annuì “Vado subito.”
“Tutto qui?- ribattè sospettoso l'antropologo- Nessun “Davon non è carino appioppare soprannomi odiosi alle persone”?Nessun “La dottoressa Tanaka è una forza e non un'arpia”?”
“Lo sapevo che fingevi soltanto di non ascoltarmi, quando ti dicevo queste cose.” sorrise Ross.
“Va tutto bene, Alaska?” indagò Stein, guardingo.
“Certo, devo solo...devo andare in laboratorio.- disse, iniziando ad avviarsi agli ascensori- La ricostruzione non si fa da sola.”
Stava camminando verso l'ascensore, con ancora gli occhi indagatori di Davon incollati alle spalle quando incrociò lo sguardo di Reid, che stava uscendo dalla sala riunioni in quell'esatto istante.
Il profiler alzò a mezz'aria la mano, facendole un segno di saluto e lei gli rivolse un sorriso luminoso.
I suoi occhi azzurri, però, ci misero più del tempo necessario per socchiudersi leggermente, accompagnando propriamente quel gesto.
Fu in quel momento che Spencer si accorse che in Alaska c'era qualcosa che non andava.

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Pubblicazione del nuovo capitolo: check! Finalmente, oserei dire, magari dando voce ai vostri pensieri, o miei cari e amati lettori!Firt of all: grazie davvero tanto tanto tanto per i bei commenti!Mi hanno resa davvero felice e sono contenta che la storia vi piaccia, che Alaska vi piaccia e che, soprattutto, vi piaccia come scrivo. Tante tante grazie! E anche chi ha letto, ho visto che siete in tanti e anche se non vi esprimete vi dico ugualmente grazie! ; ) Detto ciò...il capitolo mi è uscito un pò lungo, o almeno così mi sembra, spero che non sia tedioso da leggere. Che ve ne pare dell'evolversi della storia? Fatemi sapere, miei prodi!Besos JoJo

aliena : Grazie, che chiudi un occhio sulla mia età. Però ti prego, voglio che continui ad immaginarmi saggia e vissuta, con una gamba di legno e l'occhio di vetro. Però i capelli rigorosamente senza tinta!eheheh!Bando alle ciance, rispondo al commento: Garcia e Morgan sono un arma di distruzione di massa, credo che la Cia li voglia assumere per estrapolare informazioni ai nemici della nazione!Reid non resisterà molto, credo...E la Tanaka avrà modo di chiamare la nostra Alaska con i nomi di tutti gli stati confederati, ora che finisce la ff! Al prossimo cap, un bacione!

kiry95Urgh!Non moltissimi Alaska e Reid insieme in questo capitolo, ma giuro che la situazione migliorerà. Grazie mille per la recensione, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!Bacibaci

takaraBeata te che sei libera e felice dalle incombenze!Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto, spero che l'inizio sia all'altezza del resto della storia...Per quanto riguarda il caso...a volte mi preoccupa cosa riesce a partorire la mia mente, spero che chi legge non sia un "focalizzatore" come me e che non si immagini tutte le scene cruente, bleah! E Tanaka...vabbè, se la amo io che l'ho creata non vale, ma se mi dici che piace anche a te sono soddisfatta!Alla prossima, kisses!

Maggie_LullabyScusata!Non preoccuparti, ho avuto un'educazione rigida e severa che mi costringe a essere una dispensatrice di scuse da Guinness, eheheh!Sono contenta che sei riuscita a recensire comunque, sono curiosa di sapere che pensi di questo capitolo. Un baciotto!

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Capitolo 4
*** Goodnight! ***


Blu scuro, è il colore della notte dove si concentrano
e si bloccano i nostri occhi, le nostre orecchie, le parole,
tutto quanto.
-Banana Yoshimoto

“Voglio che sia riesumato il corpo.” sentenziò Stein, lo sguardo determinato e la bocca stretta in una linea dura.Alaska fece una smorfia preoccupata, mentre guardava il proprio capo formulare quella richiesta e poi riposò lo sguardo su Hotch, che aveva alzato gli occhi severi sull'antropologo senza nascondere il proprio disappunto per quella mancanza assoluta di gentilezza.
“Riesumare il corpo?” ripetè, alzando un sopracciglio, ben sapendo che il vecchio si riferiva alla prima vittima che era stata seppellita in una tomba senza nome dopo che la sua morte era stata classificata come incidente d'auto.
“E' quello che ho detto.” confermò Stein in un borbottio.
La ragazza fece qualche passo verso la scrivania, gli occhi grandi e innocenti “La dottoressa Tanaka non ci ha ancora dato il permesso di rimuovere i tessuti, e per quanto possa essere interessante utilizzare gli strumenti ipertecnologici che il governo federale ci ha messo a disposizione, per farvi sapere qualcosa di utile alla svelta dovremmo davvero analizzare qualcosa di concreto.”
“Perchè gliel'hai ripetuto?- sbottò Davon, fulminandola con lo sguardo- Hai solo sprecato fiato allungando qualcosa che avevo già eccellentemente sintetizzato io!”
Hotch ignorò quel commento “Non avete davvero scoperto niente finora?”
“Dire che non abbiamo scoperto niente sarebbe inesatto...” iniziò a dire Alaska, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore.
“Da quanto si vede dalle radiografie e dal rapporto presentato da Quarantanove sugli schizzi di sangue, non abbiamo trovato alcuna corrispondenza.” rivelò quindi Stein, appoggiando ancora di più il peso sulla stampella che lo sorreggeva.
“Sarebbe a dire?” domandò il capo dell'unità di analisi comportamentale aggrottando le sopracciglia.
L'antropologo alzò gli occhi al soffitto, come se fosse scocciato dal fatto di spiegare una cosa tanto elementare, ma Ross, intuendo che avrebbe dato l'ennesima rispostaccia, parlò al suo posto “Sulla carta, al momento, il modo in cui è stato ucciso Bill Port non coincide con il sangue ritrovato sulla scena.”
“E da qui ritorniamo al fatto che esigo quel cadavere al più presto.- ribadì Davon- Quando avremo fra le mani delle ossa vere e non delle stupide radiografie riusciremo a raccapezzarci di quanto ora ci sfugge.”
“D'accordo.- acconsentì Aaron, mettendo mano al telefono per ordinare immediatamente quella riesumazione- Alaska, tu puoi procedere anche all'identificazione?Ci sarebbe utile per la vittimologia.”
“Dipende dalla condizione dei resti, ma sono certa di poterci provare.” confermò la ragazza con un largo sorriso sul volto, felice di rendersi utile
“Non appena avrà finito di fare il suo lavoro, ovvero assistermi.” disse prima di uscire dall'ufficio di Hotch col suo passo sciancato.
Alaska fece roteare gli occhi teatralmente prima di mimare uno “Scusalo” in direzione dell'uomo in giacca e cravatta seduto alla propria scrivania.


Circa mezz'ora dopo, gli uffici vicino al laboratorio forense assegnato ai due consulenti esterni era nel caos. Analisti e membri della scientifica abbandonavano i propri posti di lavoro per passare, con una scusa qualsiasi, di fronte alle pareti di vetro di quella grande e caotica stanza, solo per dare una sbirciatina a quello che stava succedendo al suo interno. Tuttavia, si dileguarono tutti non appena il volto irato dell'antropologo di cui avevano sentito tanto parlare e la faccia, altrettanto furiosa, del loro capo ritornarono ad imperversare in quei corridoi sempre brulicanti di gente.
Davon Stein spalancò la porta con violenza, permettendo alla melodia ritmata di diffondersi ancora di più oltre l'uscio di vetro rinforzato lungo gli intricati corridoi dei laboratori forensi di Quantico.
Alle sue spalle, la patologa Amy Tanaka si era pietrificata sul posto osservando inorridita la scena che si ritrovava di fronte. In quella piccola ala del laboratorio, il suo laboratorio, la dottoressa Ross si muoveva fra i tavoli colmi di provette, radiografie e campioni di tessuto seguendo il tempo di una canzone trasmessa a tutto volume da uno dei computer accesi. Non riusciva a cogliere le parole, che sembravano essere in una lingua straniera che non aveva mai sentito, ma era troppo orripilata da quella situazione per prestarci davvero attenzione.
“Quarantanove, cosa avevamo detto riguardo quell'orribile musica?” sbottò Stein a voce alta, cercando di farsi sentire al di sopra di quei suoni cadenzati conditi con versi rigorosamente in suomi.
Alaska sembrò accorgersi solo in quel momento della presenza dei due superiori e, per niente imbarazzata e senza nessun senso di colpa, si voltò verso di loro “Che è ottima per ballarci sopra e che rende il laboratorio più allegro mentre procediamo con le analisi?” domandò con tono allegro.
La dottoressa Tanaka la incenerì con lo sguardo “Spegnila immediatamente.” sibilò.
La ragazza sporse il labbro inferiore, in un'espressione imbronciata, mentre iniziava a spiegare “Ma è più facile per me lavorare così: ho una memoria di tipo plurisensoriale quindi se associo a ciò che vedo e tocco con mano anche dei suoni, non ho assolutamente bisogno di prendere appunti e tu, Davon, lo sai come la penso sullo spreco di carta e qui all'FBI non usano nemmeno quella riciclata!”
“Spegnila e basta.” tagliò corto Stein, senza nascondere quanto fosse infastidito dal fatto che per una volta si trovava d'accordo con la patologa di origini nipponiche.
“Così almeno riusciremo a parlare come persone civili.- si intromise Rossi, entrando nella stanza seguito da Reid- Sai che sentire musica a quel volume rischi di comprometterti i timpani?”
Alaska rivolse ai due profiler un ampio sorriso mentre spegneva le casse del computer.
“Pare che i federali non credano che abbiamo effettivamente fatto qualcosa oggi, perciò hanno mandato questi due ad interrogarci.” le spiegò Stein, mentre si lasciava cadere su una sedia e appoggiava la stampella di fianco a sé.
“Hotch ha detto che avevate qualcosa da comunicarci riguardo al modo in cui le vittime sono state uccise.” disse quindi Spencer, facendo saettare i suoi occhi scuri verso i tre scienziati. Si fermò per qualche secondo di troppo sul volto di Alaska e, contrariamente a quanto aveva pensato, non trovò alcun segno di cedimento o debolezza, a differenza di quanto aveva colto qualche ora prima. Forse, si ritrovò a pensare, aveva confuso quelle occhiaie nascoste dall'abbronzatura e probabilmente causate dal repentino cambio di fuso orario, per qualcosa di più problematico.
Tanaka riprese a parlare, sfogliando una cartella che aveva preso dal ripiano di fronte a lei “In effetti ci sono delle cose che forse potreste aiutarci a capire, visto la vostra capacità di intuire cosa passa per la testa degli psicopatici.”
Rossi fece una smorfia: non gli piaceva il suono della voce di quella donna e nemmeno come definiva il suo lavoro anche se, in effetti, aveva centrato il punto.
“Parla pure, Alabama,- continuò la patologa con tono di sufficienza, mentre guardava la ragazza che sembrava morire dalla voglia di spiegare quanto aveva scoperto- e ti prego sii normale, se ti riesce.”
Stein fece roteare gli occhi teatralmente mentre i due profiler e la donna si erano posizionati alle spalle della giovane antropologa per osservare lo schermo su cui aveva lavorato.
“Questa è la ricostruzione che ho fatto di quanto è successo.- esordì Alaska mostrando con un gesto della mano lo schermo del computer che aveva di fronte- Ho inserito nel pc i dati che ho raccolto sulle macchie di sangue e quelli riguardanti Bill Port, altezza, peso, stazza. Poi, ho aggiunto una figura standard con caratteristiche fisiche medie per interpretare l'assassino e gli ho assegnato un'arma arbitraria che potrebbe coincidere con quella usata realmente.”
“Che cosa hai usato?” si informò Spencer, gli occhi fissi sul monitor.
“Una mazza da baseball.”
“Uno degli sport americani per eccellenza.- commentò Dave- Chi non ne ha una in casa?”
“Io.” risposero all'unisono Alaska, Reid e Stein.
“Torneremo più tardi sul concetto di domanda retorica.-sbuffò la Tanaka- Ora vai avanti, Ohio.”
“E' proprio qui che nascono le stranezze.-continuò Ross alzando il dito indice- Da quanto io e Davon abbiamo potuto osservare dalle radiografie delle ultime due vittime, pare che siano effettivamente state picchiate con una mazza da baseball, o comunque qualcosa di simile...”
“Ma?” incalzò Rossi, che si aspettava una rivelazione da un momento all'altro.
“Ma le macchie di sangue dicono tutt'altra cosa.” concluse Alaska stringendosi nelle spalle.
Avviò la ricostruzione e sugli schermi che si trovavano sulla parete di quell'ala del laboratorio l'uomo, anonimamente grigio, che reggeva l'arma cominciò ad accanirsi sulla vittima, secondo uno schema cronologico elaborato da Stein in base alle fratture.
In rosso, era evidenziato come gli schizzi di sangue si sarebbero dovuti diffondere sull'asfalto e la parete attigua. Ross digitò qualcosa sulla tastiera e in pochi istanti l'immagine degli schizzi reali e di quelli ricostruiti si ritrovarono affiancate.
“Non coincidono.” osservò Rossi, spalancando gli occhi.
“No, infatti.” sospirò la ragazza, scuotendo piano la testa.
“Sei sicura di aver inserito correttamente tutte le variabili?- indagò Reid- Umidità?Temperatura?Caratteristiche esterne del luogo come la pendenza e....”
“Ho controllato più volte, Spencer.- gli assicurò Alaska stringendosi nelle spalle costernata- Non coincide.”
“I calcoli sono stati fatti correttamente.” tagliò corto Stein.
La dottoressa Tanaka si avvicinò allo schermo, con l'aria di sufficienza che la caratterizzava “Sulla scena mancavano totalmente le macchie passive.”
“Quelle dovute allo sgocciolamento dovuto alla forza di gravità.” spiegò Reid ad alta voce.
“Esatto.-confermò la donna prima di proseguire- Abbiamo invece schizzi a bassa e media velocità, che sarebbero adeguati alla nostra ricostruzione, ma oltre a quelli ce ne sono anche a velocità alta, e questo non ha senso: sarebbe dovuta esserci un altro tipo di arma a fare quello.”
“Devo assolutamente vedere quelle ossa da vicino.” ripetè Stein, per l'ennesima volta da quando era arrivato al BAU.
“Non ancora, Stein.” lo contraddì Tanaka.
I due luminari iniziarono a battibeccare come al solito e Reid e Rossi si ritrovarono a distogliere lo sguardo scioccati.
“Fanno sempre così?” domandò Dave ad Alaska, la quale si limitò a stringersi nelle spalle.
“Sapete- disse alzando gli occhi da quelle immagini sanguinolente- Washington non ha avuto una bandiera fino al millenovecentotrentotto. Negli anni venti hanno creato una commissione, presieduta da Dubois, per trovare un disegno adatto e hanno preso spunto dallo stemma di famiglia di George Washington.”
“Ah, sì?” ribattè Rossi, aggrottando le sorpacciglia confuso da quel cambio di argomento. Non era raro che Alaska facesse commenti totalmente casuali ma, doveva ammetterlo, rimaneva spiazzato ogni volta.
“Io lo sapevo.” si affrettò a dire Spencer.
Quello scambio di battute sembrò distogliere l'orientale dal proprio irritante collega “Dottoressa Ross la prossima volta che le viene in mente qualcosa di non pertinente con il suo lavoro, la inviterei a tacere.”
“D'accordo.-asserì Alaska, con una scollata di spalle- Posso assistere alle sue analisi mentre aspettiamo i resti della vittima non identificata?”
La Tanaka la guardò con una luce quasi divertita negli occhi scuri, credendo che fosse uno scherzo di cattivo gusto, ma quando vide serietà in quelli della giovane tornò alla propria espressione ostile “No.” buttò fuori, come se stesse sputando una medicina amara.
“E se le giurassi di stare in silenzio?” tentò di nuovo la giovane antropologa.
“Fammi pensare...no!” ribadì la patologa, inorridita dal pensiero di dover avere alle calcagna quella ragazza. Non sapeva esattamente cosa la irritasse di più, se l'aria da svampita da film in bianco e nero, o se quell'insopportabile buonumore che non sembrava mai abbandonarla. Ciò che sapeva è che si sentiva meglio se non l'aveva fra i piedi.
“La prego. -supplicò di nuovo Alaska- Voglio solo osservare le tecniche che utilizzerà.”
“Non mi interessa, questo non è un laboratorio didattico.” ribadì la dottoressa Tanaka, alzando il mento.
Stein sbuffò, anche se mentalmente registrò quella frase per riutilizzarla con chi si aggirava nel suo laboratorio del Maryland senza autorizzazione; nel frattempo Rossi e Reid erano incerti se potevano andarsene senza dover temere a una qualche conseguenza negativa per Alaska.
“E se glielo chiedo per favore, mettendomi in ginocchio?” continuò la ragazza, che probabilmente ignorava il significato di un rifiuto.
“Tu!- sibilò la donna, rossa in viso-Tu sei la ragazzina più irritante esistente sulla faccia della terra.”
Questa frase sembrò colpire Ross talmente che abbandonò subito la propria crociata. Dave la guardò scettico, incerto se interpretare positivamente quel silenzio improvviso.
“Non può dirlo.” disse con sguardo concentrato, riprendendo a parlare dopo qualche secondo.
“Come?” domandò Tanaka, alzando un sopracciglio.
“Beh,- iniziò a spiegare convinta la mora- per affermare una cosa del genere dovrebbe conoscere tutte gli abitanti del pianeta e non credo proprio che lei...”
“Ok, Quarantanove, è proprio il caso che tu ti prenda una pausa ora.” proruppe Stein, intuendo la tempesta che stava per arrivare.
“D'accordo.- trillò Alaska, come se quella proposta, di punto in bianco, fosse perfettamente logica- Avevo giusto fame.”
Trotterellò fuori dalla stanza e Reid e Rossi la seguirono, cogliendo al volo un'occasione per lasciare i due eccentrici luminari.


“Sapete- esordì Alaska, non appena si ritrovò davanti alla macchinetta che distribuiva merendine nell'area relax- non mi ero accorta di avere così tanta fame da quanto Davon non ha menzionato del cibo!”
“E' perchè eri impegnata in altro- si ritrovò a spiegare Reid, parlando a macchinetta- quando il nostro cervello è impegnato in attività diverse riusciamo a non focalizzare l'attenzione su certi stimoli. Come per il dolore: mia madre quando mi disinfettava i tagli quando ero piccolo esercitava una leggera pressione su un'altra parte del corpo di modo da impedire al mio cervello di concentrarsi sul senso di bruciore. Dipende dal fatto che...”
“Ok, abbiamo capito.-lo interruppe Rossi con un'occhiata rassegnata, prima di consegnare all'antropologa una banconota da un dollaro- Da quand'è che non mangi?Sei arrivata dall' areoporto e non ti ho vista fermarti un attimo.”
Ross alzò gli occhi celesti, riflettendo su quella domanda “Guatemala.” sentenziò infine.
“E...e da quand'è che non dormi?” indagò Spencer, che ancora non aveva abbandonato l'idea che qualcosa nella ragazza non andasse.
“Guatemala.” ripetè, con lo stesso tono gioviale.
In quel momento entrò nella stanza JJ, reggendo fra le mani un fascicolo che stava sfogliando.
“Oh!- esclamò quando alzò gli occhi su i due colleghi- Vi stavo giusto cercando...”
“JJ!” trillò Alaska, abbracciando di slancio la bionda con disinvoltura.
La donna la strinse in risposta, lanciando a Reid e Rossi un sguardo stranito da sopra le spalle.
“Mi fa piacere vederti, Alaska.” borbottò confusa, mentre si separavano.
“Mi è dispiaciuto non averti salutato, stamattina.- spiegò la ragazza- Davon dice che non rispetto gli spazi personali altrui e poi c'era la Tanaka, ero un po' emozionata perchè lei è una specie di mito, per me. Comunque i vostri laboratori sono fantastici, così grandi e tecnologici e...Credi che dovrei mandare una lettera di ringraziamento a qualcuno?Tipo al direttore dell'FBI o al presidente?”
“Alaska!” la richiamò Reid, col tono di un genitore che richiama il figlio troppo esuberante. Non ricordava quando avesse preso quell'abitudine, ma quando l'antropologa perdeva il filo del discorso in quel modo, sentiva il bisogno di riportarla sui giusti binari.
JJ fece una risatina, scambiandosi uno sguardo divertito con Rossi “Quindi, ti trovi bene qui?”
“Oh, sì, grazie!- continuò a parlare la mora, mentre estraeva una barretta di cioccolato dalla macchinetta- Sai, a Baltimora non avevo un attimo di respiro: c'erano i compiti degli studenti di Davon da correggere, seguire i tirocinanti per evitare che combinassero disastri in sala autopsie, chiamate da ogni punto della città per consulenze e rilevamenti...Devo dire che lavorare su un solo caso alla volta è decisamente rilassante.”
I tre la fissarono esterrefatti. C'erano diversi modi per definire quel caso: orribile, spaventoso...di certo non rilassante.
Alaska ci mise qualche secondo di troppo prima di decifrare le loro espressioni “Non che io ritenga rilassante trattare un caso del genere...- si ritrovò a giustificarsi-io volevo solo dire che...”
“Lo abbiamo capito, Alaska.- la rassicurò Dave, posandole una mano sulla spalla- Quindi ti trovi bene qui?”
“Molto.- sorrise Ross- In realtà sono tutti davvero carini con me, giù al laboratorio. Potrei abituarmici.”
Spencer non trattenne una smorfia infastidita “Non ne dubitavo.” sbottò.
“Di cosa?” gli domandò la ragazza, fissandolo interrogativa.
“Del fatto che siano tutti carini con te.” borbottò di nuovo, distogliendo lo sguardo.
JJ e Rossi capirono immediatamente qual era il problema del giovane collega.
“Perchè?” chiese di nuovo Alaska, sinceramente confusa.
“E' molto difficile non trovarti simpatica se sei aperta e affettuosa con tutti quelli che incontri.” berciò Reid, con un tono più secco di quanto si aspettasse.
L'antropologa spalancò gli occhi e lo guardò stranita, non afferrando completamente il perchè di quel commento.
“Quello che Reid voleva dire- intervenne Dave per salvare la situazione, avvolgendo un braccio intorno alle spalle della ragazza e stringendola in un mezzo abbraccio paterno- è che sei una ventata di aria fresca qua dentro. Una novità dai grandi occhi azzurri e un bellissimo sorriso, è ovvio che tutti siano carini con te.”
“Ok, forse non proprio tutti.” rettificò, pensando alla Tanaka e agli sguardi fulminanti che rivolgeva ad Alaska.
“Uh, noi dobbiamo andare.” aggiunse JJ, lanciando uno sguardo carico di significato a Spencer, che se ne stava in piedi impacciato, appoggiato ad un mobile.
“Andare?” indagò, uscendo dal suo stato di trance.
“Sì, a fare una...cosa.” confermò incerta, mentre anche Rossi capiva le intenzioni della donna.
Alaska cercò di seguirli verso l'uscita “Vi serve una mano?”
“Oh, no.-assicurò JJ agitando i palmi- Voi due rimanete pure qui.”
Prima che se ne andassero, però, Reid non potè non notare gli sguardi che si scambiarono i due colleghi: gli sguardi di due che la sapevano lunga.
Deglutì rumorosamente e tornò a fissare i propri occhi in quelli dell'antropologa, guardandola come se fosse il peggior SI con cui avesse mai avuto a che fare.
Da come Alaska continuò a sgranocchiare la propria barretta, fissando il giovane profiler con aria svagata, si poteva capire che il silenzio non la infastidiva. Non si poteva di certo dire la stessa cosa di Reid: si sentiva nervoso e tremendamente imbarazzato, il che era piuttosto stupido. Era uscito diverse volte con l'antropologa, e non aveva mai sentito quell'agitazione. Probabilmente, pensò, riguardava il fatto che si trovavano al BAU e che lui era abituato a tenere la propria (poca) vita privata separata da quella lavorativa.
“Quindi...uhm...- iniziò a parlare nervoso- ti è piaciuto il Guatemala?”
“Un'esperienza interessante, devo ammetterlo. - confermò la giovane con un sorriso-Tu hai fatto qualcosa di interessante mentre non c'ero?”
“No, io ho...abbiamo avuto un paio di casi importanti e poi sto ancora preparando la mia tesi per la laurea in filosofia e...”
“Dicevo nel tempo libero.-rise Alaska, fissandolo intensamente- Hai fatto qualcosa di bello?”
“No. Non ho fatto niente di che.- rispose Spencer, sentendosi un perfetto idiota- Tu...tu ti sei divertita con tutte le persone che hai conosciuto laggiù?”
“Sì. Ma mi mancavi tu.” disse con naturalezza, mentre mandava giù l'ultimo boccone.
Reid arrossì violentemente iniziando a balbettare in modo sconclusionato“I-io...A-anche tu...Anche tu mi...”
“Devo per forza mangiare ancora una di queste.-lo interruppe la ragazza mentre inseriva un'altra banconota nella fessura della macchinetta- Sai, ne mangio sempre due alla volta.”
“Perchè devi mangiare sempre due barrette alla volta?”
“Come?” domandò, mentre si rialzava con in mano la merendina.
“Hai appena detto che ne mangi sempre due alla volta.-spiegò Spencer- Sembrava una specie di regola, perchè?”
“Perchè così butto sempre due carte e non una sola.” disse semplicemente Alaska, rigirandosi il piccolo pacchetto fra le mani.
Reid aggrottò le sopracciglia “Non credo di capire il nesso.”
“Quando ero piccola credevo che gli oggetti avessero un'anima, così, quando buttavo la carta di una caramella o di qualcos'altro pensavo si sentisse sola e ne mangiavo subito un'altra perchè andasse a farle compagnia nel cestino.” rivelò sorridendo a quel ricordo. In realtà, era stata sua madre, che in quel momento stava attraversando una fase animista piuttosto convinta a spiegargli quella cosa, e lei con la sua mentalità da bambina aveva creato su quanto appreso una propria filosofia di vita.
“Una storia carina, ma non ha senso.- commentò il profiler, sinceramente confuso- Gli oggetti non hanno un' anima e in effetti, non è nemmeno dimostrabile che la abbiano gli esseri umani o gli animali...”
Ma Alaska non parve prendere troppo sul serio le sue proteste “Continuo a farlo perchè non sono ancora del tutto certa che non sia vero.”
“Sei una scienziata, non trovi strano credere in queste cose?” domandò Reid, guardandola interrogativo.
“No, perchè?- ribattè la ragazza sbattendo le palpebre-Non c'è niente che provi che l'anima non esista.”
“Quindi fino a prova contraria tu ci credi?” indagò di nuovo Spencer. Voleva cercare di capire il pensiero, ma gli risultava difficile. La razionalità era il suo regno, non il caos che sembrava fare a capo ai ragionamenti dell'antropologa. Eppure, in quel momento, non riusciva a trovare qualcosa di effettivamente illogico in quello che diceva.
“Esatto.” confermò Alaska, lasciando che un sorriso le si allargasse sul viso.
“Quindi, seguendo questo modo di pensare, credi anche agli angeli, agli unicorni, ai puffi?” ricapitolò, sempre più incerto.
Ross annuì, facendo ondeggiare i capelli corvini “Certo, sono una persona molto coerente.”
“E' del tutto assurdo.” sospirò Spencer, scuotendo la testa.
“Come quella tua cravatta, ma mi piace lo stesso.” rise la ragazza, appoggiando con noncuranza la propria mano sull'indumento, sfiorando immancabilmente il petto di Reid.
Lui si irrigidì all'istante. Non gli ci era voluto molto per capire che Alaska apparteneva a quel genere di persone che non hanno problemi nell'invadere lo spazio personale altrui, ma ogni volta che lo sfiorava, candidamente e senza malizia, non poteva far altro che imbambolarsi e sentire il proprio cuore iniziare a galoppare a mille, come impazzito.
Deglutì a vuoto, sperando che l'antropologa non si accorgesse di quanto stesse arrossendo.
Vedeva i suoi occhi vivaci puntati sul suo viso, per niente consapevole dell'imbarazzo che gli stava causando, e cercò di aprire la bocca più volte cercando di iniziare un discorso di qualsiasi tipo, possibilmente uno in grado di convincerla di allontanarsi da lui dandogli il tempo di ritornare a pensare lucidamente, ma l'unica cosa che gli riuscì fu di fornire una triste imitazione di un pesce rosso.
“Sai che Washington è stata costruita secondo un progetto ispirato al parco di Versailles, come una sorta di ringraziamento ai francesi per il loro contributo durante la guerra d'indipendenza?” disse di punto in bianco, con il solito largo sorriso sul volto.
Il cervello del profiler urlava che, sì, lui sapeva di quella cosa, ma la sua bocca e le sue corde vocali non volevano ancora collaborare. Reid cominciò a pensare che forse si era rotto qualcosa a livello nervoso ed era quello a causare quell'irritante afonia.
“Reid!”
Non appena sentì la voce di Derek il ragazzo fece un balzo improvviso che lo portò direttamente dalla parte opposta dell'area relax, allontanandolo da Alaska. Lei, a differenza sua, non aveva sul volto l'espressione di essere stata colta in flagrante. In flagrante di cosa, poi?
L'agente di colore fece passare lo sguardo da uno all'altra per un istante, ma poi tornò a fissare il serio il proprio collega.
“S-sì, Morgan?” riuscì a balbettare, voltandosi verso l'uomo affacciato alla porta.
“Dobbiamo andare, Reid.- disse con tono grave, facendogli cenno di seguirlo- C'è stata un'altra vittima.”
Il giovane camminò veloce dietro di lui “Un'altra vittima?” ripetè, di nuovo concentrato.
“Già- confermò Derek- stesso modus operandi, ma ha cambiato di nuovo zona.”
“Devo venire anche io?” pigolò Alaska alle loro spalle. Li aveva seguiti così discretamente che nemmeno se ne erano accorti.
“No.- le spiegò Morgan- Verranno Stein e Tanaka per i rilevamenti, tu dovrai rimanere al laboratorio: fra un po' arriverà il corpo riesumato.”
L'antropologa annuì, fermandosi sul posto e rimanendo per un po' a guardarli mentre si allontanavano in quelli che, per lei, erano corridoi troppo intricati e labirintici.
Quando non furono più in vista, si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.


Quando sentì la porta del suo ufficio aprirsi rumorosamente, Garcia era già pronta a inveire contro chiunque si fosse introdotto così sgarbatamente nel suo regno.
“La mia unica salvezza!Finalmente!” strillò Alaska, entrando nella sala computer di Penelope come una furia.
La bionda si voltò verso di lei, roteando sulla sua sedia da ufficio “Alaska Ross?”
“La dea della tecnologia, vero?Sei l'unica che può aiutarmi!” implorò, sventolando con entrambe le mani un computer portatile.
“Problemi con il pc?” rise Garcia, togliendogli il portatile dalle mani.
“Già.- ammise la mora, lasciandosi scivolare su una sedia- Vogliono che qualsiasi cosa che riguardi il caso non sia memorizzata sul mio portatile e quindi me ne hanno dato uno del governo.”
Penelope alzò un sopracciglio “E non funziona?”
“No!Quel computer mi odia!- piagnucolò Alaska, facendo una buffa smorfia infastidita-E sì che, essendo un federale, dovrebbe essere buono con i cittadini e gentile e collaborativo...”
“Fammi vedere, nocciolina.” disse risoluta la bionda, iniziando a trafficare con quel pezzo di tecnologia ribelle.
Alaska sporse il collo verso di lei, cercando di capire cosa stesse facendo “Sai, gli ho anche parlato, ho usato vezzeggiativi molto carini, ma lui è davvero insensibile e mi ha ignorato.”
“Ogni tanto lo fanno, credo che sia per un bisogno d'attenzione.” confermò Garcia con tono leggero.
“L'ho anche chiamato stronfolottino, che non so cosa voglia dire, però lo trovo delizioso.” rivelò l'antropologa.
Ci vollero pochi minuti alla donna per venire a capo del problema “Et-voilà, mon amie. Ma la prossima volta, puoi anche non usare una scusa del genere per venire a trovarmi.”
“Beccata!- esclamò Alaska, stando al gioco- Credevo che non ci avrebbero mai fatto incontrare.”
“Lo sospettavo anche io.- continuò Penelope, strizzando gli occhi- Sai, Morgan mi ha parlato di una possibile reazione nell'incontro fra due persone come noi che avrebbe causato una rottura del continuum spazio/temporale portando l'universo alla distruzione!”
Proprio in quel momento, come richiamato dalle sue parole, il telefono iniziò a squillare.
“Mio dolce muffin al cioccolato!- esordì Garcia, premendo un tasto per mettere in vivavoce la chiamata- Stavamo giusto parlando di te!”
Dall'altro capo del telefono, Morgan sembrò perplesso “Ah, sì?Tu e chi?”
“Alaska Ross, mia nuova dama di compagnia.” trillò contenta.
“E sventolatrice reale!” le fece immediatamente eco l'antropologa.
“D'accordo: non fate troppo casino voi due. Piuttosto, bambolina, hai trovato qualche collegamento fra le vittime?”
“Non ancora, ma se c'è puoi giurarci che lo troverò.” gli assicurò Penelope, determinata.
“La nuova vittima si chiamava Trent Bouford.- spiegò Derek- Apparentemente nemmeno lui non aveva nulla in comune con gli altri.”
“Davon ti ha detto qualcosa sulle condizioni del corpo?” si informò Alaska.
Morgan fece roteare gli occhi “Non conosci ancora il tuo capo?A parte qualche raro grugnito, l'ho sentito parlare solo per battibeccare con la Tanaka.”
Ross rise, prima di iniziare a spiegare quanto stava iniziando a fare “Sto facendo ora una ricostruzione multimediale del volto dell'uomo non identificato, non appena rimetterò insieme i pezzi del cranio vi darò uno schizzo fatto a mano e più accurato.”
“Trent Bouford- la interruppe Penelope, per fornire un quadro iniziale sulla vittima- Trentotto anni, nato in Ohio, si è trasferito qui a Washington da cinque anni. Dirigeva un negozio di pesca. Viveva da solo. Per ora, nessun collegamento. E questo è tutto quello che posso dirvi. Anzi, credo che aggiungerò una cosa: sto pensando di adottare Alaska, o perlomeno di tenerla con me come animaletto da compagnia. È deliziosa.”
“E preparo dolci buonissimi, cosa da non sottovalutare.” aggiunse la ragazza, senza staccare gli occhi dallo schermo su cui stava lavorando.
“Visto?- trillò di nuovo Garcia- Ti saluto, mio marshmellow, devo andare a preparale una cuccia!”
Passarono diversi minuti prima che le due parlassero di nuovo. In realtà Penelope avrebbe voluto tempestare Alaska di domande e non avrebbe esitato a farlo, se non l'avesse vista così estremamente concentrata. Con le sopracciglia aggrottate e le labbra premute una contro l'altra, fissava lo schermo del proprio computer con serietà, lavorando attentamente sull'immagine di identikit che stava elaborando.
“Quindi...- domandò all'improvviso, facendo sobbalzare la bionda sulla sua sedia- Spencer ha qualche ex-ragazza psicopatica di cui dovrei aver paura?Oppure una vecchia fiamma che non ha ancora dimenticato?”
Sulle labbra di Garcia si aprì un sorriso da Stregatto: sapeva che c'era qualcosa sotto, fra quei due! “Che io sappia, da quando lavora al BAU non ha avuto storie serie.- rispose, voltandosi verso l'antropologa per indagarne l'espressione- Una volta ha conosciuto Lila Archer mentre lavorava a un caso, ma non è durata molto...”
“Lila Archer?- ripetè Alaska, alzando gli occhi interrogativi- Perchè il nome non mi è completamente nuovo?”
“E' un'attrice.” spiegò Penelope con pazienza, ma vedendo che l'altra non sembrava ricordare chi fosse, avviò una ricerca immagini su uno dei suoi tanti monitor. “Oh, ora ricordo!- esclamò Alaska, battendosi il pugno sul palmo aperto-Mia sorella una volta voleva farsi i capelli come lei.”
“Oooh!Guarda com'erano carini insieme!” trillò di nuovo, puntando il dito verso una foto che ritraeva i due mentre Spencer passava la mano sul collo di Lila.
Garcia si voltò a guardare la giovane scioccata. “Scusa?Stiamo guardando la stessa cosa?Lei sarebbe praticamente la tua rivale in amore...”
Alaska scrollò le spalle “Questo non cambia il fatto che fossero davvero adorabili...”
La bionda scosse la testa, riprendendo il proprio discorso “Per quanto ne so poi, a parte un paio di appuntamenti con una certa Austin, il nostro caro genietto è libero come l'aria.”
Ross annuì pensierosa.
“A volte penso di non interessargli, in quel senso.” rivelò, dopo qualche secondo di riflessione
“Reid è piuttosto timido.- la rassicurò Garcia- E da come evita di parlare di te per paura di essere colto in flagrante, direi che non gli sei del tutto indifferente.”
Gli occhi celesti dell'antropologa si accesero “Davvero?”
Penelope annuì solenne “Credo che tu gli piaccia, ma se così ancora non fosse, devi stupirlo con le tue mirabolanti capacità.”
“Tipo quella di unire i gomiti dietro la schiena, di cantare la tavola degli elementi, di allacciarmi la camicetta con una sola mano e di fare telefonate imbarazzanti in cui espongo pensieri aggrovigliati?” elencò Alaska, particolarmente fiera di sé.
Garcia rise “Visto?Sei fenomenale: mi sto già innamorando di te.”
La ragazza le fece eco, sghignazzando un po', mentre tornava a puntare lo sguardo verso il pc.
“Credi che abbia delle capacità paranormali?” chiese di punto in bianco. Aveva alzato gli occhi e fissava seriamente la bionda.
“Come?”
“Reid, credi che abbia capacità paranormali?- ripetè prima di spiegarsi-Sai, tipo quella bambina di quel libro...”
“Ah!Quello di Ronald Dahal!- esclamò Garcia, capendo dove voleva andare a parare-L'ho letto alle elementari!”
“Esatto!- confermò Alaska, esaltata da quell'argomento- Quella bambina era molto intelligente e ha sviluppato dei poteri telecinetici come valvola di sfogo...Magari funziona così anche per Spencer, è difficile utilizzare al cento per cento un quoziente intellettivo come il suo.”
“Già...- si ritrovò a dire Penelope, quasi convinta- Non credo che lo guarderò più nello stesso modo.”
Si scambiarono uno sguardo stranito e poi, per l'ennesima volta da quando si erano conosciute, l'antropologa cambiò repentinamente argomento, dando a Garcia il computer che reggeva fra le mani.
“Identikit fatto.- spiegò- Ecco John Doe.”
Penelope inclinò la testa mentre osservava il volto sullo schermo. Era un uomo ispanico, di circa trent'anni. “E' ben fatto. Credevo fossi solo una scienziata, non una disegnatrice provetta.”
“Questo è solo un identikit.- disse Alaska, facendo sventolare una mano con aria noncurante- Mia madre è la vera artista, è lei che mi ha costretta a partecipare a delle lezioni di disegno quando ero piccola e ora uso quanto ho imparato per il mio lavoro.”
“Beh, a me pare molto bello invece.- ribadì la bionda- Sai, potrei ingaggiarti per fare un mio ritratto in veste di regina del mondo a grandezza naturale da appendere qua in ufficio, che dici?”
“Che sarebbe molto decorativo. Lo vuoi ad olio su tela?”
Bien sûr, mon amie.


“Ci vediamo domani, Nocciolina!” trillò Penelope, prima che si chiudessero le porte dell'ascensore, mentre Alaska sventolava la mano felice.
“Nocciolina?” ripetè Derek, alzando un sopracciglio.
“Nocciolina.” confermò la giovane.
“Nocciolina?!”
“E' il soprannome che mi ha dato Penny.- spiegò calma Ross- Ora vado da Hotch.”
Morgan guardò l'antropologa rassegnato mentre si avviava verso l'ufficio del capo di analisi comportamentale.
Erano rientrati da poco, dopo essersi recati sul luogo dell'ultima vittima, che era stata trovata nelle stesse inumane condizioni di quelle precedenti. Garcia non aveva ancora trovato nulla che accomunasse le vite degli uomini uccisi e loro, nonostante le abilità da profiler e l'esperienza che avevano alle spalle, continuavano a sbattere inutilmente la testa al muro, come se si trovassero all'interno di un labirinto da cui era difficile uscire.
Hotch, vedendoli troppo stressati e, soprattutto, non ancora in grado di venire a capo di qualcosa in quel caso, aveva ordinato ai suoi sottoposti di tornarsene a casa a riposare, e ripresentarsi la mattina successiva. Sperava che un po' di riposo potesse chiarire a tutti loro le idee.
JJ, Emily e Rossi erano già tornati a casa ed ora, solo lui e Reid stavano radunando le proprie cose prima di uscire dagli uffici FBI.
“Devi darti una mossa, ragazzino.” disse, rivolgendosi al giovane collega.
Spencer alzò lo sguardo dalla propria scrivania, confuso “Perchè?Non credevo volessi darmi un passaggio.”
“Non sto parlando di questo.- sbuffò Derek, facendo roteare gli occhi- Parlo di Quarantanove. Nocciolina. La bambolina che ti mangi con gli occhi da quando è arrivata qua.”
“I-io non faccio niente del genere.- arrossì velocemente il genietto- Alaska e io siamo solo amici.”
Sbuffò sonoramente mentre si chinava a raccogliere i fogli con gesti nervosi e rigidi. Almeno in questo modo riusciva ad evitare il contatto visivo. Mentiva meglio, in quel modo.
“Certo, come no. Continua a ripeterlo se ti fa piacere.” ribattè l'uomo di colore, per niente convinto.
“S-siamo solo amici.” ribadì. Ma, in effetti, non riusciva a mentire. Non a Morgan. Non su un argomento che gli faceva illogicamente salire la pressione.
“Lei non fa per me...- sospirò quindi Reid- Insomma,l'hai vista?Lei è spontanea e spensierata mentre io...”
“Senti Reid, perchè ti fai dei problemi che non esistono?Per una volta lascia stare le riflessioni ed agisci!” sbottò, cercando di spronarlo.
“M-ma lei...lei...- il ragazzo alzò gli occhi verso l'ufficio di Hotch da dove, attraverso il vetro che si affacciava sul corridoio, poteva vedere lui e l'antropologa parlare-Sai come mi ha detto che partiva per il Guatemala?”
Derek aggrottò le sopracciglia, non capendo il nesso “Come?”
“Prendevamo un caffè e ad un certo punto, dal niente dice: Sai, domani parto per il Guatemala. E quando le ho chiesto quanto sarebbe stata via ha risposto che non ne era sicura.- concluse, come se fosse un argomento più che valido per non rischiare- Io non sono in grado di vivere così, tu mi conosci.”
“E' solo questo il problema?” domandò Morgan, alzando un sopracciglio.
“Solo questo il problema?- ripetè Spencer con voce acuta-Non mi sembra una cosa da poco.”
L'amico gli diede una pacca sulle spalle “Credimi, ragazzino, un po' di spontaneità ti farebbe solo bene.”
“Non è solo questo!- balbettò incerto-Lei...lei...”
“Lei ti piace, al di là della razionalità, Reid.- continuò al suo posto, con un sorriso saccente sul bel viso- Accettalo e basta.”
Ma il ragazzo aggrottò la fronte, pensieroso “C'è qualcosa che non riesco a cogliere di lei. Sai, di quella faccenda di tanti anni fa, con Rossi...”
Morgan si fece serio. Dave non aveva voluto rivelare il modo in cui avesse conosciuto Alaska, ma Reid...beh, Reid era un genio dalla memoria eidetica e Rossi era aveva divorato tutti i suoi libri: non ci aveva messo molto a scoprire che il loro collega più anziano aveva conosciuto l'antropologa quando questa era ancora una bambina di otto anni. Era stata rapita e segregata in un lurido capannone, torturata e trattenuta in gabbia come un animale. Conoscendo David, era facile pensare che lui si sentisse ancora in colpa per non aver fermato prima quell'SI, nonostante la ragazza lo guardasse sempre come se fosse il suo salvatore. Morgan conosceva Reid: sapeva che il giovane era convinto che quell'esperienza non poteva essersi cancellata magicamente dalla mente di Alaska, ma in quel momento non sapeva cosa potergli consigliare.
“Mi dispiace, ragazzino, non credo che questa sia una cosa che riuscirai mai a controllare.- concluse, strizzandogli la spalla con una mano- Nemmeno con quel tuo cervello supersonico.”
Gli fece un cenno di saluto e si avviò verso l'ascensore.
Spencer, rimasto alla propria scrivania, si mordicchiò nervoso il labbro inferiore.
Doveva rimanere per parlare con Alaska o tornarsene a casa?


Aaron non alzò nemmeno gli occhi dal fascicolo che stava rivisionando per la centesima volta, quando sentì bussare alla porta del proprio ufficio.
“Mi avevano detto che ti avrei trovato ancora qui.-esordì la ragazza, dirigendosi sicura verso la sedia di fronte alla scrivania e sedendosi comodamente- Stacanovista, uh?”
Hotch le fece un cenno col capo mentre si sporgeva verso di lei per afferrare la tazza di caffè che gli stava offrendo “Credevo che fossi già tornata in albergo. Ho visto il dottor Stein andarsene un'oretta fa.”
“Credo di essere più utile qui.- disse Alaska con una scrollata di spalle- E poi, ho bevuto tre caffè non decaffeinati oggi, il che significa che il mio organismo resterà attivo per le prossime settantadue ore senza alcun bisogno di riposo.”
Lasciò vagare gli occhi nella stanza, fermandosi solo sui particolari più interessanti.
“Quello è tuo figlio, vero?- domandò, indicando una foto di Jack- Avete dei tratti del viso in comune, credo che ti assomiglierà molto quando crescerà.”
Hotch le rivolse un mezzo sorriso stiracchiato “La dottoressa Tanaka è d'accordo col fatto che rimani ai laboratori anche senza la sua supervisione?”
Ross fece dondolare la testa, incerta “Diciamo di sì.”
“Alaska...” la richiamò l'uomo, alzando un sopracciglio.
“La dottoressa Tanaka è una vera forza. Mi piace.”
Aaron la guardò stranito “Credevo che lei ti odiasse.”
“Lo so, ma a me piace vedere il lato positivo delle persone.- continuò Alaska, col tono sognante di qualcuno che sta parlando del proprio mito- Lei è determinata, si è fatta strada in un ambiente dove gli uomini la fanno da padrone: non posso non ammirarla.”
“Questa è la ricostruzione che ho fatto del volto della vittima.” aggiunse, allungando sulla scrivania l'identikit su cui aveva lavorato fino a poco prima.
Hotch alzò il foglio per esaminare meglio quel viso sconosciuto“Controllerò con le persone scomparse.”
“Già fatto: Penny mi ha iniziato alle sacre arti dell'informatica. Se creerò un fan club a suo nome con tanto di magliette con la sua foto ha detto che mi rivelerà ogni più recondito segreto della sua arte.-buttò fuori velocemente prima di rivelargli il nome- Si chiamava Carlos Grimes.”
“Grazie.” le disse, e dalla sua voce si poteva sentire che quel caso stava sfiancando anche lui.
Alaska fece sventolare una mano “Ringrazia la caffeina. E la teina. E i vari eccitanti di origine naturale con cui sono entrata in contatto ultimamente.”
“Alaska...” la richiamò di nuovo l'uomo, guardandola accigliato.
“Ti giuro che non uso sostanze illegali per...” iniziò a giustificarsi la ragazza, che aveva mal interpretato il suo sguardo.
“Credo che ora tu debba andare a riposare un po'.” concluse quindi Hotch.
“Oh.- esclamò stupita-Ok.”
Fece qualche passo verso la porta “Forse dovresti tornare a casa anche tu.- gli propose, lanciando un'occhiata alla foto di Jack- Quel ragazzino avrà bisogno che suo padre gli rimbocchi le coperte.”
Aaron le fece un sorriso, ma quando aveva già la mano sulla maniglia, l'antropologa si girò di nuovo.
“Ah, Hotch: che cos'è l'ADD?” domandò incuriosita.
“E' la sigla della sindrome da deficit di attenzione e iperattività.” spiegò l'uomo, perplesso da quella domanda.
“Ok.- disse Ross, assimilando l'informazione- Credi che io possa averla?”
“Perchè me lo domandi?” ribattè Hotch, sempre più confuso.
“La dottoressa Tanaka dice di sì.” rispose con una scrollata di spalle.
“La dottoressa Tanaka non può diagnosticarti una cosa del genere, Alaska, te l'ha detto per prenderti in giro.” sospirò.
“Visto?- sorrise apertamente la giovane prima di uscire-Te lo dicevo che c'era qualcosa di buono in lei: ha senso dell'umorismo!”

Quando Alaska scese le scale e camminò nell'open space, trovò Spencer chino alla propria scrivania, con l'aria di qualcuno intento a riflettere troppo intensamente su un qualche problema.
Cambiò la direzione dei propri passi e si sedette sul tavolo, facendo sobbalzare il ragazzo per la sorpresa.
“Credevo fossi già a casa, dottor Reid.” sorrise. Le piaceva usare quel titolo per chiamarlo, quando era particolarmente di buon umore.
Spencer tenne le sopracciglia aggrottate “Ho visto che hai fatto un sacco di pubblicazioni in questo periodo.”
Alaska non notò quanto fosse strano quell'argomento “Sì, ho avuto del tempo extra.”
“Tempo extra?- domandò stranito, fissandola intensamente- Credevo che avessi molto da fare al laboratorio...”
“Diciamo che ho avuto delle nottate piuttosto lunghe e proficue.” confessò quindi.
“Insonnia?” ipotizzò il profiler ad alta voce.
“Incubi, per lo più.” disse, abbassando lo sguardo.
Quel gesto fece preoccupare Reid: non l'aveva mai vista abbassare lo sguardo davanti a niente, e soprattutto non in quel modo. Sembrava stanca, sconfitta.
“Mi dispiace.” buttò fuori in un sussurro, non sapendo che altro dire.
“Tranquillo, passeranno. Passano sempre.- lo tranquillizzò, con un sorriso ampio sul volto, quando tornò a guardarlo in viso- Solo che ho davvero bisogno di fare una bella dormita, hai presente?Di quelle che ti tengono inchiodata al letto per quasi dieci ore.”
Spencer deglutì a vuoto un paio di volte “Tu lo sai vero che...che con me puoi parlare?”
La ragazza non sembrò capire a cosa si riferisse “Ma io ho parlato con te, Spencer...In effetti, non capisco come fai a trattenerti dal dirmi di tacere.”
“Non sto parlando di semplici chiacchiere, ma di quello che è successo a Baltimora.- sbottò Reid, quasi irritato. La fisso con occhi fiammeggianti- Sei stata rapita, picchiata e hai sparato a un uomo. Non puoi comportarti come se niente sia accaduto.”
Vide le spalle della giovane piegarsi leggermente all'ingiù e la vide quasi svuotata, per un attimo.
“Quindi, non vuoi parlare con me, Alaska?” le domandò, con tono gentile.
“Quello che è successo non è importante...- Spencer alzò le sopracciglia, lanciandole uno sguardo perplesso- Voglio dire:è stato scioccante e tutto il resto ma è passato. È inutile che io continui a pensarci. Quello che davvero mi fa stare male sono gli incubi.”
“Ti sogni di quella notte?” chiese preoccupato. Sapeva cosa voleva dire avere quel genere di incubi.
Alaska scosse la testa, abbassando gli occhi, e a lui venne subito in mente quale potesse essere il vero problema. Non era il passato recente a bussare prepotentemente nella mente della sua nuova amica, ma quello remoto della sua infanzia quando ad appena otto anni era stata tenuta prigioniera per giorni da un SI.
“E' che...- continuò, e a Spencer salì un po' il panico quando notò il suo labbro inferiore tremare vistosamente- sono immagini così nitide, reali. Quando mi sveglio e mi passa per la testa che, forse, sono davvero cose che mi sono accadute e non solo frutto della mia immaginazione io...io...”
Reid allungò piano una mano verso di le, posandola sopra la sua che teneva abbandonata sopra le ginocchia fasciate dal tessuto leggero dei jeans. Con una spontaneità che non gli era propria, la iniziò ad accarezzare timidamente con il pollice.
La ragazza prese dei respiri profondi per ricacciare indietro quelle lacrime che si stava tenendo dentro da troppo e, gli occhi fissi sulle mani affusolate del profiler, si sentì all'improvviso un po' meglio.
Alzò lo sguardo, colmo di gratitudine, verso Spencer, che la osservava preoccupato e, come al solito, con quello strano senso di confusione. Non capiva esattamente il motivo per cui ogni volta che incontrava quelle iridi chiare aveva la sensazione di avere un turbinio di farfalle nello stomaco.
Aggrottò le sopracciglia: che Morgan avesse ragione?Che lui provasse davvero qualcosa al di là della semplice amicizia verso l'eccentrica antropologa?
Fissò di nuovo lo sguardo sul volto abbronzato di Alaska e vide che i suoi occhi erano tornati accesi e vivaci.
“Ti ho portato un souvenir!”annunciò, sorridente e apparentemente dimentica dei propri problemi.
Si alzò di slancio e corse verso la propria valigia, che aveva lasciato nell'open space quella mattina.
Ritornò saltellando, con una scatola non impacchettata fra le mani.
“Una scacchiera a tre dimensioni?- disse titubante, guardando il regalo che gli aveva consegnato-Tipica del Guatemala, immagino.”
“No, l'ho presa allo scalo al JFK.- confessò con leggerezza- L'ho vista e ho pensato a te.”
Spencer la ringraziò, nonostante avesse capito che, attraverso quel cambio di argomento e quell'allegria, stava cercando di ricacciare di nuovo indietro le proprie fastidiose emozioni.
“Però devi promettermi che quanto tornerai a casa, adesso, non ti metterai a giocare, ma ti farai un po' di ore di sonno!” ciarlò allegra.
“Se vuoi resto qui con te...- balbettò incerto, cercando di decifrare la reazione della ragazza- Voglio dire...se ti va, posso...posso farti compagnia...”
Alaska gli sorrise dolcemente “No, tranquillo. Ho del lavoro da finire e poi credo che mi concederò un po' di sonno sul divanetto nell'ufficio di Dave. Ci vediamo domani, ok?”
L'antropologa gli rivolse un nuovo sorriso, stanco, e, dopo avergli passato con dolcezza una carezza sulla guancia, si alzò sulle punte per lasciare un bacio dove prima erano passate le sue dita fresche.
Spencer rimase immobile, pietrificato. Con in mano la scatola degli scacchi tridimensionali e il volto paonazzo, non riuscì a fare altro che guardarla mentre si infilava nell'ufficio di Rossi.
“A domani, Alaska.” soffiò, quando ormai era troppo tardi.

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Nuovo capitolo. La faccio breve perchè è uno di quei periodi in cui non mi va mai bene niente. Non mi piace: credo che sia troppo lungo, che non ci sai dentro niente di particolarmente rilevante e...boh, non so. Mi sento un pò iper-critica e la cosa non mi fa apprezzare particolarmente questo capitolo...
In ogni caso: grazie mille a chi ha letto i capitoli precedenti e anche a chi a commentato!Fatemi sapere che ne pensate della storia!Baci JoJo

aliena : Hai colto nel segno, Alaska è più un topo da laboratorio, diciamo!eheheh E con la bambina: in fondo è una bambina troppo cresciuta anche lei, quindi è ovvio che si trovi bene con gli infanti!Reid è un profiler, e in più pare abbia una piccola cotta per l'antropologa, ergo non può che cogliere anche le più piccole sfumature di comportamento! Diciamo che quella di Emily è più solidarietà femminile... Bones mi piace, anche se non lo guardo spesso, ti dirò che mi piacciono molto di più i libri di Katy Reichs, la sua creatrice: sono una pazza amante dei particolari scientifici, quindi non posso che adorarla!eheheh!Al prossimo capitolo, baci JoJo

Maggie_Lullaby : Tranquilla, le tue recensioni redatte nottetempo sono davvero carine!eheheh!Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto :) Uhmm...dunque, Abby di NCIS ce l'ho presente, è una forza, ma credo che la mia Alaska sia troppo...svampita...per essere brillante come lei; l'Ispettore Lanza mi giunge nuovo, ma mi informerò, ora sono incuriosita dal personaggio! Ho aggiornato abbastanza presto?Fammi sapere che pensi di questo capitolo in cui si spiegano un pò delle cose che ti incuriosivano!Kisses JoJo

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Capitolo 5
*** New point of view ***



La crudeltà ha volto umano,
e volto umano la gelosia ,
il terrore, umana forma divina,
e veste umana, il mistero.

-William Blake

Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia

Una notte può passare molto velocemente.
Per i membri del BAU, ogniqualvolta lavoravano a un caso, le notti duravano un battito di ciglia e non erano mai serene.
Non vi era nulla, però, nell'aspetto dei membri della squadra a dimostrare che le ore appena trascorse non erano state tranquille. Il bel viso dell'agente Jereau, per esempio, non mostrava alcun segno di occhiaie, nonostante la stanchezza e lo sconforto per il caso, e il suo sobrio completo formato da camicia e pantaloni era impeccabile. Camminava veloce lungo l'open space dell'Unità di Analisi Comportamentale, ma non guardava nessuno. In effetti, era abbastanza presto perchè non vi fosse ancora molta gente in ufficio, tuttavia aveva sentito il bisogno di tornarsene al lavoro per fare qualcosa. Doveva occuparsi delle reazioni della stampa dopo il comunicato che avevano diffuso il giorno precedente, ma ignorò l'uscio del proprio ufficio per raggiungere con aria determinata la propria meta.
Aprì la porta di vetro soprappensiero, ma non appena si accorse di non essere sola nella stanza, si ritrovò attenta a focalizzare cosa si era trovata davanti e aprì la bocca stupita.
Sul tavolo della sala conferenze, disposte in modo perfetto secondo l'ordine anatomico, si trovavano le ossa di Carlos Grimes. China su quei frammenti, Alaska stava ispezionandone le fratture per l'ennesima volta, ricapitolando mentalmente quanto aveva scoperto nel corso della notte.
Con indosso il camice bianco, gli occhiali da vista calcati sul naso e quelli da laboratorio in equilibrio sulla sommità del capo, l'antropologa aveva davvero l'aria di una ricercatrice navigata e non, come capitava invece più spesso, di una studentessa pronta ad assistere a un laboratorio di chimica. Certo, forse se non avesse avuto l'Ipod nelle orecchie la sua professionalità ne avrebbe guadagnato.
“Ehm...Alaska?-domandò JJ, cauta, attirando l'attenzione della giovane- Che cosa è successo qui?”
“Oh, mi dispiace JJ.- si scusò Alaska, togliendosi gli auricolari, prima di iniziare uno dei suoi interminabili discorsi alla velocità della luce- Avevo intenzione di classificare e ispezionare le ossa in laboratorio, ma a quanto pare durante la notte gli strumenti non sono accessibili, perciò ho pensato di trasferirmi momentaneamente qua. Uno dei custodi mi ha aiutato a trasportare il tutto prima di andare via, comunque prevedo di riportare le ossa di sotto al più presto, dopo avervi fatto il mio rapporto. Il custode, persona deliziosa fra parentesi, ha detto che mi aiuterà di nuovo. Ah, e stamattina mi ha aperto prima i laboratori, così ho potuto avviare le analisi sui resti di Port...”
JJ sorrise materna, prima di interromperla “D'accordo, Alaska. Prendi fiato, ora.”
La ragazza seguì alla lettera quelle istruzioni, inspirando rumorosamente e buttando poi fuori l'aria, facendo piegare le spalle all'ingiù a fine operazione.
“Questi sono i resti di Grimes?” si informò quindi, vedendola più tranquilla. Sapeva che la salma era arrivata a Quantico il giorno prima, ma era sorpresa dal fatto che Alaska avesse già provveduto alla catalogazione dello scheletro.
“Esatto!-confermò annuendo vigorosamente-Credo di aver scoperto qualcosa che forse potreste ritenere utile.”
JJ alzò le sopracciglia, interessata “Che cosa credi di...”
“Oh!- la interruppe l'antropologa, rizzandosi di scatto- E' arrivato Davon!Lo vado a salutare!”
“Ma Alaska...” cercò di protestare la bionda, ma stava già parlando alla sua schiena.
Con pochi balzi la ragazza aveva raggiunto l'open space, correndo incontro al proprio mentore che non sembrava condividere il suo umore eccessivamente allegro.
“Davon!-lo salutò, con un sorriso radioso in volto- Hai dormito bene?”
Stein storse la bocca “Quell'albergo è una bettola. Però fanno un'ottima colazione.”
“Dici così di ogni posto che non sia casa tua. Spero che tu non abbia mangiato niente che sia dannoso per le tue arterie...” il suo tono era scherzosamente accusatorio, mentre aveva appoggiato la mano sul fianco, per fissarlo di traverso.
“Forse.-ammise colpevole il professore, prima di cambiare argomento- Spero almeno che tu non sia tornata in albergo per un buon motivo!”
“Ti illustrerò tutto nella sala riunioni.-gli assicurò Alaska, facendogli cenno di seguirla- Sai, Davon, quella ampia e luminosa, con tutti quegli aggeggi elettronici che rendono il mio lavoro davvero semplice e immediato e...”
L'uomo fece un gesto seccato “Ancora una parola sulla tecnologia di cui dispone il governo, Quarantanove, e ti ritroverai a occuparti dei tesisti da qui all'eternità.”
“Ma lo faccio già.” gli ricordò la giovane, gioviale.
Stein aggrottò le folte sopracciglia candide “Allora dei laboratori sugli scavi.”
“Faccio anche questo, e fra l'altro lo trovo piuttosto divertente.” rise Alaska, facendo dondolare la testa.
“Sto iniziando ad odiarti.” la informò il vecchio, burbero. 
“Oh, lo dici sempre di prima mattina.” commentò Alaska, facendo roteare la mano. Quando si voltò per indagare la sua espressione riconobbe il volto tirato e serio della donna che si stava dirigendo per l'appunto nella stessa direzione in cui stavano camminando loro.
“Buongiorno anche a lei dottoressa Tanaka!” trillò, facendo sventolare il braccio
“Toh, il piccolo Umpa Lumpa degli obitori.- la salutò la donna, con una smorfia poco amichevole sul volto- Non dovresti essere in laboratorio a spargere le tue irritanti perle di felicità fra i miei collaboratori?Che ci fai qui?”
La ragazza si strinse nelle spalle: come al solito non aveva colto l'astio nella voce della patologa “Niente di importante, espongo i risultati delle mie analisi e in più stavo per dire a Davon che fra circa un'ora le ossa di Bill Port saranno pronte per le sue analisi.”
“Cosa?!-esclamò la Tanaka, fermandosi di colpo- Hai autorizzato la rimozione dei tessuti senza consultarti con nessuno di noi?Approfittandoti del fatto che non eravamo qua?”
L'espressione di Alaska si fece confusa e Stein intuì immediatamente che non aveva assolutamente idea di cosa avesse fatto di sbagliato. “La dottoressa Ross ha le competenze per agire in perfetta autonomia- si affrettò a difenderla- ed è abituata a farlo senza problemi.”
“Forse nel tuo laboratorio del Maryland, Stein, qua c'è un'altra musica.- sbottò, per poi rivolgersi stizzita alla ragazza- Si può sapere che cosa hai fatto?”
“Ho liberato sui resti in nostro possesso un centinaio di scarafaggi carnivori.” disse con naturalezza.
“Geniale, avrei dovuto proporlo io: in questo modo le ossa non si rovineranno nonostante i tessuti siano compromessi.-si congratulò Stein, senza nascondere l'orgoglio verso la propria allieva- Brava, Quarantanove.”
“No!- lo contraddisse l'orientale, prima di voltare lo sguardo fiammeggiante verso Ross-Sei pazza?”
La ragazza aggrottò la fronte, pensierosa “Non so, non mi hanno mai fatto test per verificarlo.”
“Era una domanda retorica, Quarantanove.” sospirò Davon, passandosi una mano sul volto.
“Ah, ok.- acconsentì la giovane- Mentre aspetto che le ossa siano pronte pensavo di procedere con un riassunto di quanto ho scoperto con le ultime analisi che ho fatto.”
I due luminari della medicina forense la seguirono nella sala conferenze e, quando vi entrarono, Alaska la trovò decisamente più affollata di come l'aveva lasciata. Rossi le rivolse un sorriso stiracchiato, così come Prentiss, mentre il capo dell'unità di analisi comportamentale non sembrava particolarmente di buon umore. Di certo, dopo aver ritrovato la propria sala riunione invasa da dei resti umani, lo era un po' meno rispetto a quando si era alzato.
L'antropologa si avvicinò al tavolo, mentre gli altri due esperti forensi entravano nella stanza e si sedevano con naturalezza davanti alle ossa ordinate, e si ritrovò a domandarsi dove fossero Reid e Morgan. In particolare, sperò di poter rivedere presto il giovane profiler e di godere ancora per un po' della rassicurante sensazione che gli dava incrociare i suoi occhi scuri ed espressivi.
“Che cosa è successo qua dentro?” le domandò Hotch, le sopracciglia aggrottate.
JJ fece un sorriso tirato “Alaska ha pensato di farci vedere su cosa ha lavorato.”
“Mi avevi giurato che dovevi solo controllare dei risultati e poi te ne saresti andata a dormire.” la rimbeccò Rossi, lanciandole uno sguardo ammonitore.
“Lo so!Ma io dormo meglio se prima svolgo qualche attività impegnativa, solo che questo posto è un mortorio di notte. Se fossi stata una di quelle persone fissate con la pulizia e se non avessi avuto uno scheletro da rimettere insieme avrei potuto aiutare Anton con le pulizie e chiacchierare un po'...” Alaska parlava veloce, gesticolando animatamente.
Prentiss la guardò stranita “Anton?” ripetè.
“Il ragazzo che si occupa delle pulizie a questo piano.- spiegò, con un sorriso radioso sul volto- È simpatico, sua moglie ha appena avuto due gemelli, sono davvero adorabili anche se so per esperienza che vivere con due neonati è peggio di una tortura medievale: se dorme uno, l'altro strilla e fa svegliare il fratello e continuano così all'infinito e...”
“Alaska...” la interruppe David, con quel tono che ormai gli era diventato abituale.
“Lo so, sto divagando, mi dispiace!- si scusò in fretta la ragazza, prima di continuare il discorso- In ogni caso stanotte mi sono sentita particolarmente ispirata, sono riuscita a rimettere insieme il corpo, ho catalogato tutte le ossa, non ve ne sono di mancanti e, in più, sono riuscita a trovare un metodo per...” “Quarantanove!” berciò Stein, con voce dura.
Alaska rivolse verso di lui i suoi occhi chiari “Sissignore?”
“Credo che tu debba passare al decaffeinato.” disse lapidario.
La ragazza gli rivolse un'occhiata confusa “Perchè?”
“Sei un tantino sovragitata.- le spiegò con gentilezza JJ- Hai dormito stanotte?”
“Certo.- rispose sicura, con un gesto casuale della mano- Per una mezz'oretta, ma poi mi sono svegliata. Sapete una cosa che ho scoperto sul caffè?Credo che il mio organismo non sia in grado di assimilarlo. E poi è così amaro!Ci ho dovuto mettere un quintale di zucchero per mandarlo giù...”
“Ok, ok.- la interruppe Hotch serio, fissando gli occhi scuri sui resti-Ora dicci che cos'hai scoperto.”
L'antropologa annuì, facendo dondolare i suoi folti capelli corvini e tornò immediatamente a concentrarsi sul proprio compito “Carlos Grimes non è stato picchiato come le altre vittime.”
“No?- cercò conferma Emily, confusa-Quindi è stato davvero un incidente?”
“Questo è assurdo. - interloquì la Tanaka, mentre sfogliava svogliatamente il fascicolo del caso-Avrebbe dovuto passarci sopra mille volte per ridurlo in questo stato.”
“Esattamente.” confermò Ross, annuendo concorde.
“Stai dicendo che Grimes è stato investito?” si accertò Stein, alzando un sopracciglio.
“Più e più volte.” specificò, mentre nella stanza entravano anche Reid e Morgan.
Il più giovane membro della squadra, lanciò un'occhiata intensa all'antropologa, impegnata a sollevare un femore che aveva ricostruito quella notte ed analizzarlo da vicino per l'ennesima volta. Storse la bocca, maledicendosi di non essere rimasto con lei, mentre notava che i suoi grandi occhi chiari erano stranamente cerchiati di scuro.
“E questo è tutto quello che hai scoperto con una notte insonne?” commentò la Tanaka sprezzante.
“No.- ribattè Alaska, alzando un indice di scatto e brandendo l'osso come se fosse un'arma impropria- Grimes è stato investito da un furgone o un fuoristrada col paraurti piuttosto alto. Ho individuato le prime fratture e coinciderebbero con questa conclusione.”
“Un furgone a Washington.- continuò la patologa, sarcastica- Beh, siamo a cavallo!”
Rossi sospirò “Di certo è più di quello che avevamo finora.”
“E' possibile che riusciate a trovare delle informazioni più approfondite con le informazioni in vostro possesso?” si informò quindi Hotch, rivolgendosi ai due antropologi.
Stein si voltò verso la propria assistente, che in quel momento aveva un quadro d'insieme più completo sul caso “Quarantanove?”
“Certo!Credo che potrei risalire al tipo di auto usata dal vostro US!” trillò soddisfatta.
“Che cos'è un US?” domandò JJ, sporgendosi leggermente verso Emily.
La mora scosse leggermente la testa, socchiudendo gli occhi “Credimi, è meglio se non glielo chiedi.”
“Quindi è stato un gesto improvvisato.- ricapitolò Morgan- L'SI ha visto la sua vittima e senza pianificare nulla ha deciso di agire immediatamente.”
“Per poi affinare la tecnica con gli altri omicidi.” concluse Reid, la fronte aggrottata e un'espressione concentrata in viso.
“Direi che l'ha affinata parecchio- commentò la Tanaka- La maggior parte dei tessuti di quegli uomini sono diventati dei semplici agglomerati di sangue, e i loro organi completamente spappolati.”
Mentre i suoi colleghi continuavano a parlare, l'attenzione di Spencer venne di nuovo calamitata dal volto di Alaska. Si era seduta un po' in disparte, per appoggiare il computer nell'unico punto rimasto libero del grande tavolo della sala riunioni, ed ora sembrava piuttosto impegnata nell'immettere dati di qualche tipo sul pc. Sapeva che non aveva dormito per paura dei suoi incubi, e nessuno meglio di lui poteva capire il suo comportamento, tuttavia non potè fare a meno di rimproverarsi per non essere rimasto con lei. Che cosa avrebbe potuto fare, poi?Lui non era bravo a consolare le persone e, per quanto sentisse la necessità di proteggere Alaska, sapeva che non era in grado di farlo. Perlomeno, non come lei aveva bisogno.
Come se avesse sentito il suo sguardo insistente, la giovane antropologa alzò gli occhi dallo schermo, fissandoli in quelli di Spencer. Non appena vide il sorriso dolce che le si era allargato sul volto, si ritrovò ad arrossire vistosamente e a girarsi di nuovo verso il resto del team, imbarazzato.
Vedendo quella scena Alaska non potè trattenere una risatina sommessa ma divertita.
La Tanaka la fulminò con lo sguardo “Che cosa c'è di così divertente?”
“Sternocleidomastoideo.- rivelò tranquilla- Decisamente la parola più divertente relativa al corpo umano”
“Kansas!-la rimbeccò in un sibilo-Concentrati sul tuo lavoro e possibilmente fallo in silenzio.”
“E' un mio diritto costituzionale ridere sul posto di lavoro.-piagnucolò l'antropologa sporgendo il labbro inferiore- Mi appello al secondo emendamento!”
“Il diritto di possedere armi?” domandò confuso Stein, voltandosi verso di lei.
“Il tredicesimo?” riprovò, incerta, la ragazza.
“L'abolizione della schiavitù?” ribattè la Tanaka con sufficienza.
“Forse sarei dovuta stare più attenta alle lezioni di diritto, uh?” rise, scuotendo la testa.
Davon fece roteare gli occhi, esausto “Torna a fare quello che stavi facendo, Quarantanove.”
“Sissignore.” assicurò Ross, tornando a lavorare sul pc, non prima di essersi sfiorata la fronte con due dita in una buffa imitazione di un saluto militare.
Aveva sentito i profiler interrogarsi spesso sulle vittime di quell'SI. A loro parere erano troppo casuali, per niente legate né dall'aspetto fisico che dallo status e dal tenore di vita. David le aveva spiegato che era difficile entrare nella mente di una persona che non seguiva uno schema nemmeno per se stesso, quindi aveva capito che, al momento, il problema era capire perchè venissero scelti quegli uomini come vittime. Inclinò leggermente la testa di lato, mentre osservava il volto di Carlos Grimes che la scrutava impassibile dal monitor. Era un brav'uomo, si ritrovò a pensare, mentre leggeva la sua scheda. Viveva con sua madre da quando quest'ultima si era ammalata e faceva mille lavoretti per far quadrare i conti. Perchè qualcuno, anche un pazzo criminale, poteva avercela con una persona del genere?
Fece scorrere le sue dita leggere sulla tastiera e quando la risposta che le diede il programma che stava utilizzando la lasciò a bocca aperta.
“Aspettate!-chiamò, alzandosi di scatto, anche se nessuno aveva fatto cenno ad andarsene-Ho appena trovato un'altra cosa che forse potreste trovare interessante.”
Aspettò di avere di nuovo la loro attenzione e digitò sulla tastiera un comando per trasmettere le informazioni anche sui monitor della sala riunioni “Ho rifatto il controllo del riconoscimento facciale, stavolta inserendo la ricostruzione tridimensionale fatta sulla base della forma del cranio, e ho trovato una cosa particolare.”
Sugli schermi comparvero prima i frammenti del teschio di Grimes e poi da questi si ricompose il cranio della vittima, che ben presto prese i tratti che l'uomo aveva quand'era in vita. 
“Di che tipo?- domandò Derek aggrottando la fronte-C'è stato uno sbaglio nell'identificazione?”
“Quarantanove non sbaglia le identificazioni.” lo informò Stein annoiato.
“No, infatti.- assicurò Alaska- Solo che da un controllo incrociato con i vostri database ho scoperto che c'è un pregiudicato che condivide il settanta per cento dei tratti in comune con la vittima.”
“Il settanta per cento?- ripetè la Tanaka- E' tanto.”
“Già, si somigliavano molto.” confermò la giovane, mentre sui monitor si affiancavano le due immagini, decisamente simili.
Stessi occhi scuri, mascella prominente e naso aquilino. In effetti, avrebbero potuto essere fratelli.
“Chi è?” chiese quindi Hotch.
“Trent LeBeau.-lesse Emily dal computer dell'antropologa- È dentro perchè ha tentato di uccidere sua moglie circa tre mesi fa.”
L'uomo annuì, prima di rivolgersi di nuovo alla ragazza“Puoi fare la stessa ricerca anche con le altre vittime?”
“Certo, nessun problema.” disse, prima di richinare il capo sul pc per avviare la nuova ricerca.
Rimasero tutti in attesa in silenzio, mentre nella stanza si sentiva solo il leggero ticchettio delle dita di Alaska sulla tastiera.
“Ok.- esalò dopo qualche minuto, mentre sullo schermo comparivano i volti truci di pregiudicati- Tom Langston, la somiglianza con Bill Port è del sessantacinque per cento. Ed Ramos, al settanta per cento simile a Manuel Gomez. Sean Holler e Mike Bronsan, settantotto per cento di somiglianza.”
“Per che tipo di reati sono stati arrestati?” si informò Rossi, mentre osservava con sguardo attento quegli uomini.
“Aggressioni, violenza domestica, violenza su minore, tentato stupro...” elencò, mentre storceva il naso disgustata. Odiava sapere questo genere di cose delle persone, vedere il male negli occhi la metteva sempre tremendamente a disagio nonostante ciò che vedeva lei in un mese di lavoro era già più di quanto di orribile avrebbe visto una persona comune nell'arco di una vita.
“Ci siamo!” esclamò Morgan, facendola sobbalzare.
Hotch annuì “Ok, finalmente abbiamo il collegamento.”
“Il collegamento sarebbe la somiglianza?” domandò incerta la ragazza, osservando i profiler confusa.
“Sì, Alaska.” gli rispose Rossi gentilmente.
L'antropologa agitò i palmi “Scusate, appena si esce dai confini della scienza da laboratorio e si entra in quelli della psiche mi perdo un po'.”
“Quello che abbiamo capito dell'SI è che agisce per rabbia e la rabbia ha una caratteristica particolare, soprattutto nel modo in cui ha ucciso: è istintiva.” si affrettò a spiegarle Reid.
“Quindi il fatto che si è accanito sarebbe una manifestazione di rabbia istintiva?” cercò di capire, aggrottando le sopracciglia.
“Esatto.” confermò Emily.
“E che cosa c'entrano le somiglianze?” continuò. Non aveva ancora capito perfettamente quanto avevano scoperto gli agenti FBI in seguito alle informazioni che lei stessa aveva fornito.
“Forse è questo che collega le vittime fra loro: non erano loro i bersagli dell'SI, ma semplicemente si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.- disse Prentiss, gesticolando animatamente- Lui aveva l'occasione e quella rabbia istintiva e loro assomigliavano a qualcuno in grado di scatenarlo.”
Non riuscì a trattenere l'ennesima domanda “Ma cos'è che scatena la rabbia?”
“Questo non lo sappiamo ancora.” ammise Rossi.
“Però, ora che sappiamo i nomi delle potenziali vere vittime possiamo fare un nuovo controllo geografico.” aggiunse JJ subito dopo.
Spencer osservò la giovane antropologa scuotere leggermente la testa e abbassare lo sguardo. Sapeva che lei, nonostante avesse vissuto qualche esperienza drammatica nel corso della sua vita, non era ancora in grado di capacitarsi del perchè le persone riuscissero ad agire in modo tanto crudele. Si ritrovò a sorridere con la mente assente per un momento: Alaska era pura e innocente e capiva come la psiche di quelle menti assassine potessero risultargli impossibili da comprendere.
A distrarlo dai suoi pensieri fu la voce secca di Stein “Bene, Quarantanove. Lascia che gli agenti FBI continuino a fare il loro lavoro e seguimi ai laboratori.”
La giovane annuì, con un grande sorriso sul volto “Prendo le ossa e arrivo.” 
“No.” la contraddisse il vecchio immediatamente, lasciandola interdetta.
“Ok, niente ossa.”
“Non intendevo questo, Quarantanove.-spiegò stizzito- Lascia perdere il volto e occupati dell'entità delle fratture corporee: se davvero ha usato una macchina, voglio che scopriamo il modello, perlomeno.”
Alaska fece scrollare le spalle “Come vuoi, Davon. Sei tu il capo.”
“In realtà sono io il capo.- intervenne la Tanaka- Quindi tu prendi quelle ossa e le riporti dove le hai trovate, prima di fare quanto ti ha detto Stein.”
“D'accordo.” acconsentì la ragazza, con un largo sorriso amichevole.
Stavolta però la Tanaka non se ne andò stizzita. Inclinò leggermente la testa di lato, iniziando ad osservare l'antropologa che si trovava davanti con un sentimento che non gli era ancora capitato di provare verso di lei da quando l'aveva conosciuta:curiosità. Perchè sembrava ignorare i suoi commenti acidi e aveva sempre quell'insopportabile buon umore? Strinse gli occhi scuri prima di parlare di nuovo.
“Quello che davvero non capisco, Nevada, è perchè tu fai questo.” le disse, attirando la sua attenzione.
Alaska aggrottò la fronte, confusa “Perchè riporre le ossa in una scatola per riportarle in laboratorio mi sembra il metodo più efficace per...”
“Non hai capito.-la interruppe secca- Questo mestiere, si vede che non fa per te. Tu sembri inconsapevolmente uscita dal mondo delle favole e ti muovi smarrita in una realtà troppo complicata.”
Stein fece roteare gli occhi, mentre gli occhi azzurri della giovane continuavano a covare un'espressione interrogativa “Non credo di seguirla.”
“Ce l'hai stampato in faccia quello che sei: una ragazzina di campagna che va a studiare nella grande città, trova un professore dalla personalità forte che elegge a suo mentore e una materia che trova interessante forse perchè è l'unica in cui ottiene risultati eccellenti o forse perchè la considera fuori dagli schemi ed intellettualmente stuzzicante, una volta laureata si ritrova nel mondo vero, con vittime vere, e non sa gestire tutto l'insieme di situazioni che si creano quindi si attacca come un francobollo al suo mentore sperando che tutto si risolvi al più presto, prima di considerare finalmente l'ipotesi di tornare sotto le ali protettive di mammina e papino.”
Avevano ascoltato tutti il discorso della patologa, trovandolo decisamente inopportuno. Dopotutto, però, la Tanaka era famosa per i suoi modi aridi e la scarsa sensibilità. Rossi la osservò corrucciato per qualche secondo, valutando se davvero la patologa fosse stata così inopportuna, e provò il solito e forte istinto di mettersi a difesa di Alaska ma, inaspettatamente, fu lei stessa a parlare per prima, con il solito tono leggero.
“Si vede che non è un'antropologa: la mia faccia non dice affatto questo, anche se non credo che quello che ha appena elencato sia deducibile dalla conformazione del viso.-spiegò divertita, mentre continuava a sistemare le ossa nella loro scatola stando bene attenta alla loro classificazione- Infatti non ho mai vissuto in città con meno di quattrocentomila abitanti, Davon ha di certo una personalità interessante, ma il motivo principale per cui è lui da cui ho voluto apprendere l'antropologia è perchè è il migliore degli Stati Uniti, e quello che faccio mi piace perchè gli scheletri mi ricordano che fondamentalmente tutti gli uomini sono uguali e sì, spesso ho problemi nel pensare al fatto che tutto ciò che mi passa fra le mani aveva una vita, una personalità e via dicendo, ma non per questo ho mai pensato di mollare perchè credo che quello che facciamo sia importante. Seguo ancora Davon perchè ho ancora molto da imparare, ed anche se i miei genitori non credono che questo lavoro sia giusto per me rispettano le mie scelte e, mi creda, non sento il bisogno di rifugiarmi sotto le ali di nessuno.”
Quando ebbe finito sollevò la scatola di plastica prendendola per le maniglie che sporgevano ai lati e alzò gli occhi guardandosi intorno stranita per quell'insolito silenzio“Che facce buffe, che avete tutti: sembra che abbiate appena visto un fantasma!” disse, prima di andarsene saltellando allegra.
“Era davvero Alaska quella che ha parlato?” domandò Morgan, incerto.
“Sembra di sì.” rispose David, allo stesso modo stupito.
Emily scosse la testa “Forse è bipolare.”
“Forse è un clone.” aggiunse JJ, inclinando la testa.
“Non importa.-tagliò corto Hotch- Dobbiamo tornare al lavoro.”
“Io vado a fare una richiesta perchè sia sottoposta a un tox screen.” dichiarò la Tanaka, infilando la porta da dove era uscita la giovane antropologa.
“Gliene faccio fare uno al mese.-la informò Stein mentre la seguiva fuori dalla stanza-Quarantanove è pulita.”
Hotch trattenne un sospiro e cercò di ignorare quei commenti prima di snocciolare le direttive ai membri del proprio team.
“Prentiss e Morgan,-disse, rivolgendosi ai due agenti- dovete trovare informazioni sui pregiudicati che ha individuato Alaska: dove abitano, chi si è occupato del loro caso e le accuse che gli sono state rivolte.”
“Tu, Reid,-continuò voltandosi verso il ragazzo- devi elaborare un nuovo profilo geografico in base alle nuove informazioni.”
“JJ, devi controllare se Alaska ha avuto l'autorizzazione della signora Port per quella cosa degli scarafaggi. Io e Rossi torneremo dal capo della polizia, per vedere se ci sono precedenti di pestaggi e aggressività nei confronti di pregiudicati da parte di qualcuno in particolare.” concluse, prima di uscire dalla stanza seguito da Rossi e JJ.
Spencer iniziò immediatamente a distendere la cartina sopra il tavolo finalmente libero, mentre Emily si era già messa davanti al computer che aveva lasciato lì Alaska, per entrare nel sistema e iniziare a cercare di scoprire qualcosa senza l'aiuto di Penelope.
Morgan si sedette sulla sedia di fianco a lei, con espressione meditabonda.
“In pratica fino adesso non abbiamo fatto altro che perdere tempo: la vittimologia è stata inutile dato che le vittime in realtà sono state colpite per sbaglio dall'SI.” borbottò, passandosi una mano sulla testa rasata.
“Forse è proprio questo il problema.” commentò Reid, mentre con un pennarello rosso iniziava a scarabocchiare sulla mappa della città.
Prentiss non staccò gli occhi dallo schermo “Che vuoi dire?”
“Che stiamo guardando nella direzione sbagliata.-continuò il giovane genietto- Fino ad ora abbiamo cercato di capire il collegamento fra le vittime, ma forse dovremmo concentrarci maggiormente sull'SI.”
“D'accordo.- concordò Derek con una scrollata di spalle- Perchè l'SI sceglie quelle vittime?”
“Perchè lo fanno arrabbiare, si vede da come le ha ridotte.” rispose Prentiss.
Spencer si voltò, agitando goffamente il pennarello “Ma lui non voleva colpire loro: voleva gli uomini che ha trovato Alaska.”
“Che non sono certo dei boy scout.” aggiunse Morgan, osservando le loro foto segnaletiche che troneggiavano ancora sui monitor della sala conferenze.
“Li accomuna il fatto che tutti hanno compiuto dei reati che hanno come vittime donne e bambini.” notò Emily, guardando intensamente i due colleghi.
“Quindi l'SI...” cominciò a dire Spencer, mentre il pensiero gli si formava velocemente in testa.
“Non voleva semplicemente ucciderli.” disse Morgan, le sopracciglia aggrottate.
Prentiss annuì gravemente “Voleva vendicare le loro vittime.”

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Eccoci qui, finalmente, direte voi...Scusate un sacco il ritardo nell'aggiuornare ma ero in altre faccende affaccendata in questo periodo e questo capitolo mi è stato un pò ostico da scrivere: volevo metterlo unito con quello seguente ma poi mi sono accorta che il filo logico della storia ne avrebbe risentito e, oltretutto, ne sarebbe uscita una cosa che ne anche una cantica dantesca, quindi...E poi è tutto ambientato nello stesso posto, con un'accozzaglia di personaggi tutti nella stessa stanza...Non so, sono perplessa, ma spero che a voi piaccia lo stesso! A questo punto devo informarvi che forse non riuscitò ad aggiornare per un pò (fino a settembre) perchè domenica parto e quando riavrò il pc, solo ad agosto, non credo che potrò usare internet perchè ovviamente il wi-fi funziona solo quando è inutile! Ma non disperate, ce la metterò tutta per fare un aggiornamento lampo sabato!Se non riuscissi auguro a tutti voi lettori delle meravigliose vacanze e vi mando un grosso bacio!Divertitevi, miei cari!Kisses JoJo


aliena : Ma ciao!Guarda, io i suoi libri te li consiglio molto, ne ha scritti 13, tra l'altro l'ultimo è uscito pure di recente. Credo che mi farò una specie di maratona quest'estate dato che avrò un pò di tempo!Ole!Eheheh Alaska fra Nocciolina e gli stati confederati ne ha di soprannomi assurdi, sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto!Se non dovessi pubblicare in tempo, ti auguro delle splendide vacanze!besos

takara : Hey!Spero che il brutto periodo sia passato :) Mi fa piacere leggere di nuovo un tuo commento, sono proprio contenta che Alaska ti piaccia così tanto e così anche le scenette con Reid e il rapporto che si sta instaurando fra i due giovincelli!Uhm...non credo che esista un Tanaka fan club, ma se c'è ti manderò una maglietta!Un bacione e se dovessi latitare nella pubblicazione, buone vacanze!

Maggie_Lullaby : Contenta anche di un commentino mignon, non preoccuparti!Ormai sarò in ritardo ma comunque ti auguro buone vacanze!Baci baci

lillina913 : Hey!Mi ha fatto davvero piacere leggere il tuo commento così dettagliato!:) In effetti Alaska non può certo buttarsi tutto alle spalle, ma è talmente ...uhm...leggera, diciamo, nei suoi atteggiamenti che fa dimenticare quello che ha passato. Grazie mille per tutti i complimenti, continua pure a commentare se ti riesce!un bacione e buone vacanze!

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Capitolo 6
*** Game Over ***


Di solito si dice che tutto è bene quel che finisce bene. Per come la vedo io, tutto è bene quel che finisce. Punto.
-Paperinik


Trent LeBeau.
Tom Langston.
Ed Ramos.
Sean Holler.
Emily Prentiss stava facendo passare fra le proprie dita lunghe e affusolate quei quattro fascicoli da circa mezz'ora. Seduto scompostamente su una sedia dall'altro lato del tavolo, Morgan faceva lo stesso. I quattro uomini, ritratti al loro peggio nelle foto segnaletiche, condividevano, oltre a una smorfia infastidita, un curriculum di malefatte invidiabile. La loro carriera criminale era iniziata in tenera età, perlopiù durante l'adolescenza, e si era conclusa con i loro ultimi arresti che riportavano accuse quali tentato omicidio, maltrattamenti e violenza. Ma a parte questo particolare e sinistro talento, non c'era molto altro che li legasse.
“Ho finito il nuovo profilo geografico!” annunciò Reid, picchiettando due volte il tappo del pennarello sulla mappa di Washington DC che era appesa su un pannello di sughero ad un lato della stanza.
All'udire quelle parole gli occhi vigili di Emily e Derek si fissarono sul giovane collega, pronti a sentire quanto aveva appena scoperto.
“L'area di azione di LeBeau e Langston era il Settimo Distretto, quella di Ramos il Secondo mentre quella di Holler il Terzo. L'SI agiva in questa zona.- specificò, quindi, circondando con un tratto vermiglio un'area della mappa piuttosto estesa-Questo ci dovrebbe fare escludere gli agenti di polizia, dunque, dato che chi si è occupato dei loro casi apparteneva a commissariati diversi.”
Prentiss staccò la mano su cui aveva appoggiato il mento in maniera pensierosa per agitarla a mezz'aria “Quindi è più probabile che si tratti di qualcuno che agisce nel sociale.”
“Quelle aree sono assistite da enti diversi.” puntualizzò Morgan, stringendosi nelle spalle.
“Gli assistenti sociali operano anche in distretti diversi.” ribattè la donna, voltandosi verso di lui.
L'agente di colore storse le labbra, meditabondo “Questi casi però sono stati gestiti da operatori ed agenzie differenti.”
“Sì, ma tutte fanno riferimento ad un database centrale comune a tutta la città.-rivelò Spencer, ricordandosi di quel particolare- Il nostro SI deve aver scelto le proprie vittime da lì.”
Morgan si alzò, per avvicinarsi alla mappa e analizzarla pensieroso “Quindi sarebbe una sorta di giustiziere.”
“Con problemi di gestione della rabbia, per questo ha sbagliato ad agire.- confermò Reid, annuendo e facendo così ondeggiare i suoi capelli castano chiaro- È un uomo solo, che ha fatto della propria carriera il pilastro per la sua intera esistenza.”
Emily seguì immediatamente il filo di pensiero degli altri due agenti “Probabilmente è stato messo in aspettativa o comunque esentato dal lavoro per motivi di salute o di esaurimento nervoso e il fatto di aver perso, anche solo momentaneamente, il proprio impiego ha fatto scattare questa idea. Vuole continuare ad aiutare i più deboli e crede che questo sia il modo migliore per farlo.”
“Ma perchè scegliere qualcuno che è già stato processato?” domandò Derek, voltandosi verso di lei come se potesse ottenere la risposta dal suo viso teso e concentrato.
“Perchè è fuori servizio da un po', non sa di questo particolare.- rispose Reid al suo posto- Probabilmente sono gli ultimi casi che ha visualizzato, gli ultimi di cui si voleva occupare.”
“A quando risale l'ultimo arresto fra i quattro prescelti?” chiese quindi il giovane, allungando il collo verso i fascicoli che non aveva ancora avuto modo di leggere.
“Tre mesi fa.” disse la mora, dopo aver fatto un breve calcolo mentale.
“Quindi cerchiamo un assistente sociale in aspettativa per motivi di salute da circa tre o quattro mesi.” ricapitolò Prentiss, alzandosi in piedi.
Spencer annuì, muovendo qualche passo verso la porta: sarebbero dovuti recarsi al databese centrale per venire a capo di quel problema e parlare con qualche dipendente governativo “Controlliamo quelli che sono stati ricoverati: sarebbe il motivo per cui ha tardato così tanto ad agire.”
Morgan aveva già messo mano al cellulare mentre li seguiva fuori dalla sala riunioni diretti al parcheggio per poi raggiungere Rossi e Hotch a DC.
“Hey, bambolina!- esordì- Abbiamo bisogno della tua magia.”

Impiegò qualche secondo di troppo per raggiungere il proprio cellulare che squillava insistentemente sul brillante tavolo anatomico e quando rispose la sua voce risultava leggermente trafelata.
“Qui Alaska!” trillò, per poi aggrottare la fronte al suono delle proprie parole.
“Cioè, volevo dire, qui Ross.-specificò velocemente- Non sono in Alaska, come poteva sembrare dalle mie parole, ma mi chiamo Alaska, che è una cosa piuttosto assurda, ma probabilmente se hai il mio numero di cellulare sai che sono Alaska Ross e mi trovo a Quantico e...”
“Alaska!- la interruppe la voce di Rossi dall'altro capo del filo- Perchè non rispondi semplicemente dicendo Pronto?”
La ragazza si strinse nelle spalle sorridendo, senza rendersi conto che l'uomo non poteva vederla “Mi sembra così impersonale...- per poi alleggerire il tono di voce- Che posso fare per te, Dave?Avete scoperto qualcosa di nuovo?”
“In realtà stavo per chiederti la stessa cosa.” rivelò Rossi, con un sospiro.
“Siamo telepatici, allora!- commentò l'antropologa, prima di iniziare a parlare di ciò che stava facendo- Comunque, sto lavorando al modello della macchina e credo di poterne venire a capo fra un po'. Almeno credo. Sai quanti modelli di SUV, furgoncini, autobus e via dicendo esistono?Un'infinità!Per me le auto sono delle specie di cubi con le ruote, non so distinguere un'auto sportiva italiana da un trattore...”
L'agente FBI si affrettò ad interrompere quel fiume di parole “Sei sicura di riuscire a trovare il modello giusto da sola?”
Non potevano permettersi di perdere altro tempo e, per quanto stimasse Alaska e sapesse quanto fosse competente nel proprio lavoro, avevano una squadra di esperti pronta a venire a capo di un problema come quello che stava affrontando la giovane in una decina di minuti.
“Per niente.- rispose Ross, confermando i suoi sospetti- È per questo che ho chiesto aiuto a Danny.”
“Danny?” ripetè Dave interdetto. Non conosceva nessuno con quel nome ai loro uffici.
“Sì, lavora alla sezione di crittografia ed è un vero esperto di automobili.- spiegò Alaska, ringalluzzita- Gli ho appena fornito la descrizione del paraurti, l'altezza del cofano e la consistenza del corpo dell'auto all'impatto e stiamo facendo delle ricostruzioni dei mezzi che potrebbero aver causato quel tipo di fratture.”
“A quando raggiungerete dei risultati?” si informò Hotch, che aveva assistito a tutta la conversazione tramite il vivavoce.
“Hey, Hotch!”disse Alaska a mo' di saluto, prima di allontanare la cornetta e parlottare con Danny, seduto al suo fianco di fronte ad uno dei pc del laboratorio di crittografia.
Aaron e David aspettarono pazientemente, non riuscendo a distinguere le parole che i due esperti si stavano scambiando al di là del filo.
“Dunque- continuò la ragazza, riprendendo le redini della conversazione- Dan dice che probabilmente abbiamo un vincitore. Una specie di camioncino bianco, siamo ancora incerti sul vero nome del modello perchè sia io che lui non sappiamo nemmeno sbadigliare in tedesco, comunque è fra i modelli registrati nel vostro database governativo.”
I due profiler si scambiarono un'occhiata ricca di significato “Perfetto” esalò Rossi.
“Puoi darci un nome?” si informò immediatamente Hotchner.
“Certo, posso farlo.- assicurò Alaska prima di fare una pausa in cui i due agenti poterono distinguere il suono delle sue dita che picchiettavano sulla tastiera- Devo solo chiedere a Penny di aiutarmi nell'identificazione della targa. Devo solo trovare un modo per raggiungere il suo ufficio.”
Dave aggrottò le sopracciglia, confuso da quel commento “Alaska?”
“Eh?” ribattè la giovane soprappensiero.
“Perchè stai bisbigliando?” domandò, pensando a quanto fosse strano che non avesse usato il suo solito tono di voce leggermente acuto.
“Oh, niente.-minimizzò, mentre la sentivano camminare- Mi sto nascondendo.”
Hotch sapeva che il suo collega si sarebbe pentito di aver fatto quella domanda, ma lo lasciò fare “Da chi?”
“Dalla Tanaka. Pare che sia un tantino arrabbiata con me...” Non c'era un minimo di senso di colpa nella voce dell'antropologa. Probabilmente, come l'imbarazzo e la rabbia, era uno dei sentimenti di cui ignorava l'esistenza.
“Un tantino?- l'agente di origini italiane alzò un sopracciglio-Che hai combinato?”
Alaska fece sventolare la mano con noncuranza, mentre camminava veloci lungo i corridoi della sede FBI di Quantico “Niente di particolare. Pare si sia verificato un piccolo incidente con gli scarafaggi, roba da niente.”
Aaron aggrottò le sopracciglia “Devo chiedere a Garcia di contattarti per sapere quello che ti ho chiesto?”
“No, no!- gli assicurò Alaska- Ci sono, sto andando.”
“E' una decolorazione dovuta all'uso di antibiotici durante il periodo di sviluppo dei molari.” continuò poi a dire.
“E questo che c'entra?” Per quanto fosse usuale per la giovane fare commenti campati in aria, quello era decisamente assurdo.
“Scusate, sono al telefono con il laboratorio del Maryland.-rivelò, mentre si destreggiava fra il proprio cellulare e quello del dottor Stein, che era suo compito gestire- Comunque, ho qua le cartelle di chi ha subito maltrattamenti dalle presunte vittime designate, se la cosa può esservi utile: me le ha consegnate uno degli assistenti della Tanaka. Ve le mando immediatamente via mail.”
“No, Carl, non a te.- la sentirono dire, più distante- Come posso mandarti un campione dentario via mail?”
Dave scosse la testa, esasperato “D'accordo, Alaska, facciamo così: tu e Garcia dovete chiamarci immediatamente quando avrete quel nome.”
“Agli ordini, capitano!” si congedò con un trillo, contenta di poter gestire solo una telefonata alla volta.

Alaska Ross entrò nell'ufficio di Penelope Garcia saltellando, con il pc portatile del laboratorio sotto braccio e un sorriso a trentadue denti sul viso leggermente abbronzato grazie alla recente permanenza in Guatemala. Nel reparto di scienze forensi avevano ormai concluso tutte le analisi di laboratorio, Stein aveva visionato le ossa che lei aveva ripulito e aveva redatto un'analisi completa e dettagliata sotto la supervisione della Tanaka. In effetti, era proprio per via del suo sguardo penetrante ed indagatore che era fuggita via dai laboratori di analisi forense dell'FBI, anzi, in effetti, era stata la stessa patologa ad invitarla ad andarsi a farsi un giro piuttosto di irritarla con la sua serenità inspiegabile. Il che, in effetti, era stata una fortuna visto che aveva incontrato Danny e con lui era riuscita a identificare finalmente l'auto dell'SI.
“Hey, Penny!- la salutò, lasciandosi andare su una sedia- Sai che Washington Dc è lo stato confederato in cui sono registrati i livelli di istruzione più alti, rispetto alla popolazione abitante?”
La bionda le rivolse un sorriso da Stregatto, mentre si voltava verso di lei facendo ruotare di centottanta gradi la sedia “Nocciolina, forse credo che non sia una grande idea che tu inizi a frequentare il nostro G-man. Sai, stai iniziando già a caricare troppe informazioni in quel tuo cervellino iperattivo.”
“In realtà l'ho letto sulla mia guida della città.” rivelò Alaska, dandosi un colpetto sulla tasca dei jeans chiari, da cui sbucava il piccolo libro.
“A che ti serve una guida quando hai a disposizione la più grande risorsa informatica del pianeta?” protestò Garcia con un sorriso.
“Non dell'universo?” la assecondò l'antropologa, l'espressione speculare a quella della tecnica informatica.
“Accidenti, hai ragione, nocciolina!- rise divertita, prima di porre la fatidica domanda riguardando la sua presenza nel suo ufficio- Allora, cosa ti porta di nuovo qui?Cioè, lo so che la mia compagnia causa dipendenza a causa del mio carattere amabile, ma che scusa hai usato per sgattaiolare fin qui?”
“Devo fare delle ricerche su delle auto in base alle misure che ho individuato sullo scheletro di Grimes. Ho pensato che iniziando qui la ricerca del tipo di auto poi avrei potuto comunicarti più tempestivamente il modello e tu avresti cercato subito la targa.” spiegò la mora, indicando con un cenno il proprio computer.
“Eccellente!- commentò Penelope, tornando a voltarsi verso i propri schermi-Sono sicura che ti crederanno, quando lo racconterai.”
“Tu che stai facendo?” si informò l'antropologa, allungando il collo verso la tastiera su cui la bionda digitava velocemente e senza sosta.
Lo sguardo di Penelope era determinato “Cerco di scoprire l'identità di quel mostro.”
“Come?” domandò Ross, l'espressione interessata.
“Sto cercando qualcuno che lavori nella polizia o nei servizi sociali e che si sia occupato di tutti i casi in cui erano coinvolte le vittime, o che comunque abbia avuto accesso a quei file. È un controllo incrociato piuttosto lungo, però, visto che abbiamo informazioni sommarie.”
“Beh, puoi aggiungere questo nella lista delle caratteristiche da ricercare.- disse Alaska, mostrandole l'immagine del mezzo sul proprio computer- Secondo le ricerche mie e di un ragazzo giù al reparto crittografia, il killer che cerchiamo guidava un furgoncino come questo.”
Garcia le rivolse un sorriso trionfante “Direi che con queste informazioni avremo il suo nome in meno di cinque minuti!”

Luke Orson, quarantadue anni, era un uomo distinto. Il viso era serio, con una mascella prominente e le labbra sottili. Gli occhi, più piccoli di due olive, rivolgevano all'obiettivo uno sguardo privo di qualsiasi vitalità.
Pessima foto per il tesserino di riconoscimento, aveva commentato Garcia, quando i dati sull'assistente sociale erano comparsi sullo schermo davanti a lei.
Orson era stato ricoverato per esaurimento nervoso circa quattro mesi e mezzo prima, dopo di che aveva continuato a inviare lettere sempre più insistenti al proprio capo, per sollecitare un reinserimento che era destinato a non dover mai verificarsi: gli episodi di crollo nervoso dell'uomo erano troppo intensi per essere ignorati, perfino dopo il suo reinserimento in società.
“Siamo dei geni.” disse Penelope, che si era appena messa in collegamento al telefono con Derek.
“Siamo?” ripetè scettico l'uomo di colore.
“Io e Alaska.- rivelò la donna- Geni allo stato puro.”
“Che hai scoperto, bambolina?” domandò Morgan, sotto lo sguardo incuriosito di Spencer ed Emily, confortato dal fatto che la collega avesse un tono tanto soddisfatto.
“Ho appena fatto un controllo delle targhe e fra un po' ti riuscirò a dare quella dell'SI, che non è più un soggetto ignoto ma ha ormai nome e cognome.” rivelò Garcia allegra.
“Davvero?” In realtà non era molto colpito: la donna era solita a quel tipo di miracoli.
“Uh, uh.- confermò tronfia Penelope- Luke Orson, ti sto inviando tutti i dati.”
“Come avete fatto a trovarlo?” si informò quindi, mentre passava le informazioni ai due colleghi.
“Io ho fatto uno dei miei soliti trucchetti, mentre Alaska è riuscita a risalire al modello dell'auto calcolando il peso dell'abitacolo e la grandezza dei pneumatici in base alla grandezza e la profondità delle fratture.” snocciolò con tono saputo l'informatica.
Sulle labbra carnose di Morgan si stese un sorriso “Siete due geni.”
“Come avevo detto io fin dall'inizio!” continuò Garcia sorridendo.
“Mi fa paura immaginarvi a lavorare insieme.- continuò con lo stesso tono l'uomo- Credo che potreste ottenere il dominio del mondo con facilità.”
“Io più che il mondo vorrei Venere, lo trovo un pianeta delizioso.” scherzò la bionda, dondolandosi sulla sedia.
“Oh, oh!- intervenne Alaska con tono allegro-Io voglio Saturno!”
“Andata.” assicurò Penelope con una strizzata d'occhio, prima di rivolgersi nuovamente a Derek.
“Vuoi anche tu un pianeta, zuccherino?”
“Forse, come premio, dopo che avrò preso quel tizio.” ribattè il bell'agente, ormai concentrato su quanto avrebbe appena fatto coadiuvato dai colleghi.
“Certo, cioccolatino.- continuò Garcia, prima di rivolgersi alla giovane antropologa- Che dici, nocciolina, quale sarebbe il pianeta più adatto a lui?”
Ci fu una pausa di pochi secondi, dopo di che, le voci allegre delle due si fusero mentre pronunciavano la stessa parola.
“Marte!”

Aveva fatto resistenza. Molta.
Certo, non che servisse davvero, una volta che Morgan l'aveva buttato a terra e ammanettato, ma il fatto che continuasse a protestare veementemente per il proprio arresto e che li accusasse di aver dovuto agire proprio perchè le forze dell'ordine non avevano fatto il loro lavoro era stata la conferma che Luke Orson era il loro SI, oltre che di certo aveva ancora bisogno di psicofarmaci.
Eppure, mettere finalmente la parola fine a quel caso che aveva assorbito totalmente le loro energie aveva fatto trarre a tutti i membri della squadra di Analisi Comportamentale un respiro di sollievo.
JJ avrebbe tenuto una conferenza stampa al più presto per annunciare l'arresto del serial killer che operava a Washington: l'idea di affrontare un gruppo di giornalisti bellicosi, stranamente, non la disturbava troppo, soprattutto perchè pensava che avrebbe avuto l'intera serata a disposizione da dedicare totalmente alla propria famiglia, senza dover pensare, almeno per un po', a criminali psicopatici.
Hotch aveva messo in conto di dover rimanere in ufficio fino a tardi di nuovo, per quella sera, di modo da compilare il rapporto sul caso e consegnarlo immediatamente, e poi avrebbe finalmente un po' di tempo di qualità da dedicare a Jack.
Rossi pensava alla serata libera che gli si prospettava davanti: gli sarebbe piaciuto portare a cena Alaska, per farle vedere la città e informarsi un po' sulle novità nella vita della ragazza in seguito alla sua spedizione in Guatemala, ma sapeva che forse invitandola avrebbe tolto un'occasione a Reid, e lui sapeva di quanto il giovane ne avesse bisogno.
Prentiss si immaginava poltrire placidamente nella vasca da bagno, a mollo fra sali profumati e acqua calda.
Morgan stava già organizzando nella propria mente una serata di celebrazione per la conclusione del caso. Prima un ristorante cinese, magari, e poi un giro in qualche pub o discoteca...
Spencer Reid cercava di tenere la propria mente occupata con pensieri diametralmente opposti a quelli che invece continuavano a bussargli in testa.
Ma proprio mentre stava elencando mentalmente la tavola degli elementi, con tanto di pesi specifici e via dicendo, salì sullo stesso ascensore che stavano utilizzando una segretaria che indossava una camicetta blu. Non riuscì a impedire ai propri pensieri di dirigersi verso Alaska Ross e ai suoi grandi occhi del color del mare.
Quando Derek gli diede amichevolmente una pacca sulla spalla sobbalzò sul posto, guardandosi intorno stralunato.
Nemmeno si era accorto che erano arrivati al piano dove si trovava l'open space del BAU.
“Allora, ragazzino, sei dei nostri?” ripetè Morgan, vedendolo smarrito.
“Eh?” esalò Spencer, che aveva perso completamente il filo del discorso.
“Stasera usciamo a festeggiare: prima cinese e poi un giro fra i locali del centro.-ripetè la propria proposta, che era già stata accettata dagli altri- Non puoi dire di no: pensiamo di invitare anche la fanciulla che sussurra alle ossa!”
“Beh, ecco, io...” balbettò di nuovo, cercando di riattivare le proprie cellule grige alla ricerca di una scusa accettabile: non era pronto a passare la serata con i propri colleghi e Alaska contemporaneamente. Soprattutto non con Morgan e le sue continue battutine e allusioni.
Non ebbe il tempo di aprire bocca, però, perchè non appena si avvicinarono alla propria postazione Garcia agitò ampiamente le braccia per poi fare segno a tutti loro di tacere.
“Che c'è?- domandò Emily alzando un sopracciglio- Siamo intercettati?”
La bionda fece roteare gli occhi platealmente e poi indicò con un gesto del capo la sedia dietro di lei. Alaska vi era seduta compostamente, ma con le braccia e le gambe rilassate. La testa era reclinata in avanti, il mento appoggiato al petto; non potevano vedere gli occhi chiusi, ma il respiro regolare indicava nettamente che stava dormendo.
Fra i membri della squadra si alzò una risatina sommessa.
“Da quanto tempo dorme così?” chiese Hotch, scuotendo il capo incredulo.
“Cinque minuti.-disse Penelope, dopo aver fatto un breve calcolo- Stavamo chiacchierando ed è crollata all'improvviso e la cosa buffa è che stava parlando lei.”
Sul bel volto di JJ si allargò un sorriso materno “Era davvero esausta, non ha avuto un attimo di respiro ultimamente...”
Stava ancora parlando quando la giovane antropologa rialzò la testa di scatto, ricominciando a parlare come se non avesse mai smesso di farlo.
“...e poi non è così difficile come sembra e...- continuò, per poi interrompersi e far vagare il proprio sguardo interrogativo sugli agenti FBI che l'attorniavano- Quando siete tornati voi?”
“Neanche due minuti.” rispose Dave, con un sorriso sornione sul volto.
Alaska aggrottò la fronte, scrutandoli perplessa.
“Direi che se quello era un provino per la Bella Addormentata te la stai cavando alla grande!” la punzecchiò Morgan, strizzandole l'occhio.
La giovane accennò a una risata, prima di pensare agli avvenimenti degli ultimi giorni.
“L'avete preso?” domandò, con la voce impastata dal sonno, mentre alzava le braccia e si stirava la schiena.
“Sì.” confermò Aaron, annuendo.
“Il che mi fa ricordare che stasera pensavamo di andare fuori a cena, per festeggiare la conclusione del caso.- intervenne Derek, mettendole un braccio intorno le spalle esili- Sei dei nostri, Quarantanove?”
“Mi piacerebbe, ma non credo di avere ancora finito qui.” borbottò imbronciata, mordendosi il labbro inferiore.
Le chiese Emily “Che altro devi fare?”
“Appena all'accademia hanno saputo della presenza del dottor Stein è stato allestito a tempo di record un seminario sull'antropologia forense.” li informò Garcia, che aveva saputo di quella notizia in anteprima.
Stranamente, sapere che Alaska non avrebbe cenato con loro, non portò a Spencer il sollievo che si aspettava.
“In effetti mi è arrivato un comunicato, stamattina.- ricordò Rossi, passandosi una mano sul mento- Recupero dei cadaveri per i membri della squadra della raccolta prove, giusto?”
“Già.- confermò l'antropologa alzandosi in piedi, con un sorriso ampio sul viso- Devo andare al Centro per la Ricerca e l'Addestramento nelle Discipline Forensi e preparare una richiesta per i materiali che mi serviranno per la lezione di domani, oltre che il permesso scritto per svolgere un'esercitazione pratica nei boschi qua intorno durante i prossimi giorni.”
Reid aggrottò la fronte “Ma il relatore del corso non è Stein?”
Alaska alzò i palmi, facendo una piccola smorfia rassegnata.
“Gli serve un'assistente per tenere alla larga le reclute fastidiose, diciamo.”ricapitolò JJ, che aveva intuito immediatamente com'era la situazione.
“Esatto.- confermò radiosa- Lo aiuterò nelle dimostrazioni e sarò disponibile per le delucidazioni alla fine delle lezioni, ma devo anche preparare la dimostrazione pratica per dopodomani e i test di fine corso.”
“Sembra uno spasso.” ironizzò Derek, alzando un sopracciglio.
“Certo- gli diede ragione Alaska, non cogliendo il tono dell'uomo- ma credo che dovrò andare immediatamente, prima che gli uffici chiudano.”
Fece un breve cenno di saluto e si avviò verso gli ascensori, ma la voce titubante di Spencer la richiamò.
“Ci vediamo, allora.” balbettò, sotto le occhiate divertite dei propri colleghi.
Gli occhi di Alaska si illuminarono all'istante “Certo.- confermò contenta- Credo che rimarrò da queste parti per un pò!”

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Miracolo!Miracolo!Aggiornamento direttamente dalla location estiva!Ho scoperto di essere una Garcia in erba considerando che ho risolto da sola e senza distruggere il pc un problema alla linea wireless, cosa che i tecnici mi avevano detto impossibile senza una formattazione del portatile!Perciò, eccomi qua: felice come una Pasqua per questo aggiornamento non previsto!!Il capitolo è un pochetto corto e siamo in dirittura d'arrivo (ancora due capitoletti) ma visto che ci sto prendendo gusto ci sarà un sequel del sequel!Olè!!Almeno, olè se l'idea piace anche a voi!Fatemi sapere, cari lettori!E fatemi pure sapere che ne pensate di questo aggiornamento estivo!!Un bacione e godetevi le vacanze!
JoJo

dizzyreads : Hey!!Wow quanti complimenti tutti in una recensione, me arrossisce!:) Sono contenta che la storia ti piaccia e anche i personaggi, spero che l'aggiornamento sia arrivato abbastanza in fretta per i tuoi gusti, addirittura con la conclusione del caso del picchiatore anonimo!Fammi sapere che ne pensi di questo capitolo!Besos

Luna Viola : Ecco il next chapter tanto atteso!Sono contenta che anche il sequel ti piaccia!Che ne dici dell'idea di un sequel del sequel?Non voglio abbandonare Alaska!!:) Kisses

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Capitolo 7
*** Lovely bones ***


Farò della mia anima uno scrigno per la tua anima,
del mio cuore una dimora per la tua bellezza, del mio petto un sepolcro per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta la storia delle onde.

Kahlil Gibran


Da qualche parte, nei corridoi della sede dell'FBI. Quantico, Virginia.

Non era abituata a guardare dove metteva i piedi. In effetti, quando camminava, passava più tempo a guardarsi intorno oppure a vagare con il pensiero che a guardare effettivamente la direzione in cui procedeva. Tuttavia Alaska Ross aveva una scusa, quella volta, per il fatto che se ne andava a zonzo con il naso all'insù: i corridoi dei palazzi dell'FBI erano dei veri labirinti e lei aveva il senso dell'orientamento di una bussola rotta.
Sapeva esattamente, però, che camminare in quel modo non era consigliabile, infatti non passò molto da quando si era persa fra quegli spazi ampi e tutti uguali che andò a sbattere violentemente contro qualcuno, cadendo rovinosamente a terra.
La giovane antropologa alzò immediatamente le braccia, alzando il viso su cui troneggiava un sorriso largo e di scuse “Colpa mia!- si affrettò a dire- Non guardavo dove stavo andando.”
“Forse dovresti iniziare a farlo.- la rimbeccò bonariamente una voce conosciuta- Potresti imbatterti nella Tanaka e le daresti un motivo in più per odiarti con un placcaggio del genere.”
Alaska strizzò gli occhi cerulei, divertita da quel commento, mentre si rialzava di fronte a Derek, Emily e Spencer.
“Non riesco a credere che siamo riusciti ad incrociarti,- le rivelò la donna, mettendole una mano sulla spalla- ormai credevo che fossi imprigionata nell'aula da Stein.”
“Mi sto godendo l'ora d'aria.- rivelò Ross, affiancandosi a loro che si stavano dirigendo verso gli ascensori, probabilmente per uscire per la pausa pranzo- Ho il pomeriggio libero perchè ho già finito di preparare tutto per l'esercitazione di domani. Volete partecipare anche voi?”
Certo, l'invito era rivolto a tutti loro, ma Prentiss e Morgan non riuscirono a non notare che la ragazza si era voltata verso Spencer.
Fu proprio lui a informarsi a riguardo “Che tipo di esercitazione è?”
“La simulazione del ritrovamento di un cadavere decomposto.” spiegò Alaska.
“Direi che passo.” disse Emily, con una smorfia sul viso.
“Idem.- le fece eco Morgan- Non ho voglia di vedere gente che da di stomaco.”
Gli occhi carichi di aspettativa della giovane si spostarono su Reid “Magari ci farò un salto: dicono che le lezioni di Stein siano davvero interessanti.”
“Grandioso!- trillò contenta- E voi?Non andate a salvare il mondo, oggi?”
Derek le scompigliò i capelli fraternamente “Tu sei qui, Quarantanove, sei sotto il nostro controllo: direi che il mondo è al sicuro!”
Alaska gonfiò le guance per poi fare la linguaccia in direzione del bell'uomo di colore, mentre le risate divertite degli altri due profiler riempivano l'aria intorno a loro.
“Che hai lì?” domandò incuriosita Emily, mentre stavano ormai camminando nella hall in direzione del parcheggio. La ragazza stava stringendo fra le mani una scatoletta che sembrava contenere dei dolci di qualche tipo.
“Un regalo, me l'hanno dato al corso di Davon.” rivelò Ross, dando un colpetto all'involucro.
Spencer non riuscì a trattenere un nuovo e stranamente violento moto di gelosia“Oh. Scommetto che uno dei tanti agenti che hanno casualmente deciso di frequentare il corso dopo aver scoperto della tua presenza lì ha tentato di fare colpo...”
“In realtà è stata una ragazza che sta facendo uno stage ai laboratori:- spiegò Alaska, che sembrò non notare il tono del giovane genio- le ho promesso che l'aiuterò ad ottenere un tirocinio al centro per il recupero e l'identificazione dei resti dei soldati delle guerre americane alle Hawaii.”
Emily fece roteare gli occhi, dopo aver visto l'espressione sul volto di Reid rilassarsi nuovamente nell'udire quelle parole.
“Secondo me l'aiuti solo per ottenere i biscotti!- scherzò Derek, strizzandole l'occhio, prima di additare con il pollice il Suv alle proprie spalle- Hotch ci ha dato il pomeriggio libero: stiamo andando in città per andare a pranzo. Vuoi unirti a noi?”
“In realtà sto andando in centro.- rivelò Alaska mordendosi il labbro inferiore- Devo vedere delle persone.”
“Ti accompagniamo noi!” si affrettò a dire Reid, anche se la macchina era di Morgan e sarebbe spettato a lui invitarla.
Il viso della giovane si illuminò “Davvero?Grazie!”

Hotel Sofitel, Washington DC.

Derek allungò il collo per vedere l'insegna dell'albergo oltre il parabrezza. L'hotel Sofitel era rinomato in città ed era nella lista degli alberghi più belli. Sapeva per certo che non era il posto dove soggiornavano Ross e Stein perciò si ritrovò immediatamente a chiedersi chi dovesse incontrare la ragazza lì dentro.
“Chi sei venuta a trovare?” domandò incuriosita Emily quando scesero dall'auto, facendo scivolare lo sguardo su dei cartelloni che si stavano svolgendo per quella settimana proprio in quella struttura.
Sul volto di Alaska comparve un sorriso dolcissimo “I miei fratellini.”
“I tuoi fratelli sono qui?” ripetè Reid. Si ricordava dei due fratelli minori di cui l'antropologa era decisamente orgogliosa: gliene aveva parlato spesso e gli aveva pure promesso che glieli avrebbe fatti conoscere.
“Già, c'è il torneo nazionale di matematica.” confermò, additando uno dei grossi poster che decoravano anche la hall, invasa da ragazzi di ogni età.
“Sono in gamba.” si complimentò Prentiss, guardandosi intorno per vedere se riusciva a individuarli in base a qualche somiglianza.
“Molto, mia madre gli ha fatto fare il test per il calcolo del quoziente intellettivo ma non ha voluto riferire a nessuno il risultato.- spiegò ridendo- Credo di essere imparentata con i nuovi Einstein: due al prezzo di uno.”
Morgan corrugò la fronte “Sono gemelli?”
“Omozigoti. Non li distinguono fra loro nemmeno i loro genitori.- rivelò Alaska, per poi additare un ragazzino che le si stava avvicinando di corsa- Quello è TJ”
“Hai appena detto che sono indistinguibili.” le fece notare Spencer.
“Di solito appiccico sulla schiena di uno dei due un post-it, ma di recente JD è un po' arrabbiato con me quindi non ho bisogno di ricorrere a questo espediente.”
Emily si fece scappare una risatina per quel metodo strambo e il giovane genio scosse la testa altrettanto divertito. L'attenzione di Derek si era invece concentrata su un altro particolare.
“Aspetta un momento, Alaska.- disse, fermandosi di colpo e alzando i palmi- I tuoi fratelli si chiamano TJ e JD?Credevo fosse tuo padre quello fissato con i nomi improponibili.”
La mora lo guardò aggrottando la fronte “No, mio padre è quello fissato con l'Alaska. Mia madre è finlandese e il suo nuovo marito le ha permesso di dare ai gemelli nomi finnici.”
“So che me ne pentirò,ma...- continuò Emily al suo posto-Quali sono questi nomi?”
“Tuomas Jalo e Jaakko Daavid.” rispose contenta l'antropologa.
“Carini.- ironizzò Morgan alzando un sopracciglio- Mi domando perchè non usate direttamente questi invece dei soprannomi.”
“Perchè chiunque non possieda geni urgo-finnici di solito trova difficoltà a ricordarli e pronunciarli nella maniera corretta.- spiegò Ross non cogliendo il tono scherzoso- Sono contenta che a te piacciano, Derek.”
I tre profiler si lanciarono le solite occhiate rassegnate, che spesso accompagnavano i commenti della giovane antropologa, proprio mentre lei si era piegata leggermente per accogliere fra le proprie braccia un bambino abbastanza alto ma magro, che avrà avuto al massimo sette anni.
Quando l'abbraccio si sciolse il ragazzino li osservò dal basso con i suoi grandi e lucenti occhi blu, nascosti dietro sottili lenti di occhiali da vista dalla montatura leggera in titanio. Aveva i capelli di un biondo impossibile, talmente chiaro da sembrare bianco, e il volto leggermente magro nonostante l'età ancora infantile. Non si poteva dire che assomigliasse alla sorella maggiore, ma aveva un'aria talmente tranquilla e svagata che rispecchiava esattamente quella di Alaska, rivelando così la parentela che li legava.
“TJ, ti presento i miei amici dell'FBI: Emily, Derek e Spencer.” annunciò la ragazza, sventolando il braccio verso i tre.
Il bambino li scrutò con i suoi grandi occhi vivaci “FBI?Forte!”
Alaska sorrise materna, avvolgendogli il braccio intorno alle spalle, strizzandolo un po' a sé “Allora, come vanno le gare di matematica?”
“Mi hanno già eliminato.” la informò il biondino, senza perdere il proprio sorriso.
Reid spalancò gli occhi per quanto si era accentuata la somiglianza fra i due solo per quell'atteggiamento.
“Mi dispiace, tesoro.” le labbra di Alaska presero una leggera piega all'ingiù.
“Non fa niente.-la rassicurò TJ sereno- Ho più tempo libero, e poi JD andrà sicuramente in finale quindi abbiamo un rappresentante della famiglia.”
“Giusto.- concordò la giovane- A proposito, dov'è tuo fratello?”
“Ha di nuovo saltato la lezione privata pre-gara per andare a nuotare nella piscina.-TJ aveva fatto roteare gli occhi, al pensiero del fratello- Sai, credo che la piscina dell'albergo sia di tipo olimpico.”
Alaska spalancò gli occhi “Davvero?”
“Credo di sì.” annuì il bambino.
I tre profiler li osservavano senza dir nulla: era chiaro il forte legame fra i due e gli sembrava scorretto intromettersi, nonostante la conversazione non fosse per niente intima o riservata.
“Ti sei guadagnato una bella vacanza, allora.” continuò a chiacchierare la ragazza.
Per la prima volta i tre agenti FBI riuscirono a individuare un broncio sul volto del ragazzino “Mai come la tua in Guatemala.”
Alaska sospirò, mentre una sua mano andava a scompigliarli i fili d'oro che si trovava al posto dei capelli “Tesoro, lo sai che dovevo lavorare.” 
“Lo so, lo so.- TJ fece di nuovo roteare gli occhi- Stai lavorando anche adesso?”
“No, ora sono in vacanza.- trillò contenta l'antropologa- Sai una cosa?Se tuo fratello ed io faremo la pace potremmo organizzare un bel pomeriggio tutti insieme, che ne dici?”
“Ok!”
“Vado a cercare JD, tieni tu compagnia ai miei amici TJ?” continuò a parlare Alaska, lanciando un'occhiata ai tre agenti per scusarsi se si assentava.
“Certo, Al.- assicurò, mentre lei si allontanava sventolando una mano- Allora...mi offrite un'aranciata?”
Prentiss rise nel riconoscere nel sorriso del ragazzino uno specchio di quello dell'antropologa “Ma certo.- gli assicurò, posandogli una mano sulla spalla e seguendolo al bar dell'albergo- Quindi ti hanno già eliminato?”
TJ annuì, mentre si arrampicava su uno sgabello di fianco al bancone “Sì: le gare erano noiose e io mi annoiavo.”
Derek alzò un sopracciglio “Ti sei fatto eliminare di proposito?”
Il biondino si strinse nelle spalle, mentre si rigirava nelle mani il bicchiere col succo d'arancia.
“Magari avresti potuto vincere.” disse Spencer, giusto per unirsi alla conversazione. Si sentiva un po' sotto pressione, e non sapeva perchè: solo, qualcosa dentro di lui diceva che doveva fare bella figura con quel bambino, piacergli, ed era certo che questo c'entrasse col fatto che fosse il fratello di Alaska. Si diede mentalmente dello stupido: perchè mai sentiva il bisogno di piacergli?Fra lui e Alaska non c'era niente...
Scosse la testa, tornando a concentrarsi sulla voce di TJ che continuava a porre domande interessate a Prentiss e Morgan “E' difficile entrare all'FBI?”
“Hai intenzione di fare domanda?- rise Emily- Non è un po' presto per pensare alla carriera?”
“Sto solo prendendo in considerazione alcune possibilità.” rivelò il bambino, con un tono talmente serio da risultare buffo, così in contrasto con il suo aspetto infantile.
“Davvero?Quali sarebbero?” chiese curioso Derek.
“Medicina con specializzazione in diagnostica o in chirurgia d'urgenza, ingegneria aerospaziale, oppure ricercatore in campo nucleare.” snocciolò il bambino, lasciandoli di stucco.
“Wow. Dove sono finiti i semplici poliziotti e giocatori di baseball?” si lasciò sfuggire l'agente di colore, stupito.
Prentiss diede un colpetto scherzoso a Reid “Scommetto che anche tu alla sua età pensavi a carriere del genere.”
Spencer stava per aprire bocca per protestare, ma il ragazzino fu più svelto.
“A te piace mia sorella, vero?” domandò indifferente. Evidentemente il cambio repentino di argomenti di conversazione e l'assenza di interesse per la privacy erano dei caratteri genetici ereditari.
“Beccato!” proruppe Derek divertito.
“I-Io...beh ecco...” balbettò Reid, senza riuscire ad impedirsi di diventare rosso come un peperone.
“Sai che le pupille si dilatano del quarantacinque per cento quando guardiamo qualcosa che ci piace?” spiegò quindi TJ, come prova del proprio ragionamento.
“Sì, ma non credo che questo...” riuscì a dire il giovane profiler, estremamente imbarazzato anche dalle risate dei colleghi.
“Le tue pupille si dilatano un sacco quando guardi lei.” lo informò il ragazzino, prima di succhiare un po' di succo con la cannuccia.
“Beccato!- ripetè Morgan dandogli una pacca sulla spalla- Da un ragazzino di sette anni, oltretutto.”
Spencer insaccò la testa fra le spalle, rosso in volto, e incrociò le braccia. Se era così evidente la sua cotta, allora, perchè Alaska sembrava essere l'unica che ancora non l'aveva capito che si era innamorato di lei?, si ritrovò a pensare.

JD era la copia esatta di TJ. Stessi occhi, stessi capelli, stessa corporatura. Avevano persino la stessa fossetta verticale che gli si formava sulla guancia quando sorridevano apertamente.
Ma JD, in quel momento, non aveva affatto voglia di sorridere. Sguazzando da solo nella piscina coperta dell'albergo, sentiva a malapena gli schiamazzi degli altri avventori che occupavano invece la piscina esterna, qualche metro più in là. In quel momento era troppo impegnato a mostrare alla sorella maggiore un broncio che gli avrebbe benissimo potuto fruttare un Oscar.
Alaska, dal canto suo, lo osservava con uno sguardo comprensivo.
“Quindi io sono una pizza, eh?- gli domandò, ripetendo le accuse che il ragazzino le aveva fatto l'ultima volta che si erano sentiti- Una sorella antipatica e noiosa?”
JD sporse il labbro inferiore prima di rispondere dopo un gesto d'assenso “Il fratello maggiore di Austin suona la batteria in una band, tu fai la scienziata in un laboratorio.”
“Un vero schifo.” commentò Alaska, alzando un sopracciglio.
“Già.” concordò il bambino, battendo la mano nell'acqua per un paio di volte.
“Quindi non c'entra con il fatto che non ti ho portato con me in Guatemala?” lo stuzzicò la ragazza, che ben sapeva che era quello il motivo per cui il fratellino era arrabbiato. Gli aveva promesso che lo avrebbe portato in uno dei suoi viaggi di studio, ma sapeva che il Guatemala non era un Paese particolarmente facile da vivere, specialmente per un ragazzino, quindi era partita senza riuscire a mantenere la sua promessa. Se TJ aveva soprasseduto in fretta sulla cosa, JD era ancora evidentemente arrabbiato.
“No.” mentì, girandosi dalla parte opposta a lei.
Alaska annuì, assecondandolo “Se mettessi su una band ti ritornerei simpatica?”
“Non credo.” borbottò JD, scontroso.
“Perchè sono una noiosa scienziata che lavora in un laboratorio.” continuò a dire la ragazza, seguendo il ragionamento del fratello.
“Già. E poi non sai suonare decentemente nemmeno il campanello di casa!” la accusò, senza riuscire a trattenere una specie di sorriso.
Alaska annuì, seria “Capisco”
Si scostò dal bordo della piscina, abbandonò la propria giacca e la borsa su una sdraio poco distante e si voltò di nuovo per correre verso l'acqua. Il tuffo a bomba fece un piccolo eco in quello spazio e, quando riemerse, i suoi occhi azzurri riflettevano esattamente il colore dell'acqua intorno a lei.
“Al!- la chiamò stupito il bambino, avvicinandosi a nuoto- Che cosa hai fatto?”
“Un tuffo a bomba.- rise Ross- Sono ancora una pizza?” 
JD non potè fare a meno di ridere “No.”
“Bene, perchè io non mi sentivo così.” disse sorridendo e schizzandolo scherzosamente.
“Adesso sei tutta bagnata, e non hai niente con cui cambiarti.- la rimproverò però il ragazzino- A che cosa stavi pensando?”
“A niente.- rivelò Alaska, allungando una mano per scompigliargli i capelli- Dovresti provarci anche tu qualche volta, hai solo sette anni, il mondo non ha bisogno di un altro genietto musone!”
JD la guardò serio, come per soppesare bene le parole che la sorella gli aveva appena detto e si scostò fingendosi infastidito quando lei gli afferrò il mento con la mano per fargli un buffetto.
“Forse dovremmo uscire da qui- le disse- il guardiano della piscina sta arrivando e sembra molto, molto arrabbiato.”

L'unico a non avere un'espressione stupita, quando JD li raggiunse insieme ad Alaska, avvolta in un accappatoio candido con lo stemma dell'albergo, fu TJ.
“Fammi indovinare:-azzardò Derek alzando le mani- sei caduta in piscina?”
“No!- lo contraddisse Alaska, scuotendo la testa ancora piuttosto umida- Mi ci sono buttata di mia volontà.”
“Con i vestiti?” Emily alzò un sopracciglio, scettica.
La ragazza annuì, sotto gli occhi divertiti dei due fratellini “Non avevo il costume.”
“Ma ora sei bagnata.” le fece quindi notare Spencer: il suo modo di ragionare e di agire riusciva sempre a stupirlo. Per lui era assurdo pensare che Alaska riuscisse a vivere riducendo al minimo l'uso della logica, per lo meno fuori dal suo lavoro.
“Scusami, uomo-che-pensa-troppo,- lo rimproverò scherzosamente l'antropologa, dandogli una pacca amichevole sul braccio esile- ma sto insegnando a mio fratello che non pensare alle conseguenze delle proprie azioni fa bene, a volte.”
“E in questo specifico caso ha funzionato?” si informò quindi TJ.
“Noi abbiamo fatto pace, e come prezzo da pagare ho avuto solo un paio di vestiti bagnati.” annuì ridendo la ragazza.
Dall'altoparlante uscì una voce meccanica che richiamò i partecipanti delle gare a riunirsi nella sala congressi.
“Io devo andare.- annunciò quindi JD rivolgendosi ai presenti, per poi lanciare uno sguardo leggermente imbarazzato alla sorella- Ti prego, Al, non venire a vedermi conciata così.”
“D'accordo.- assicurò la giovane, posando una carezza sulle teste dei due gemelli- Tieni alto il nome della famiglia.”
I due ragazzini corsero via, unendosi alla scia di altri giovani che si stavano avviando alle scale che portavano al piano inferiore, dove si sarebbe tenuta la gara.
“Forse dobbiamo andare anche noi...” iniziò a dire Prentiss. Avere un pomeriggio libero era una vera rarità nel loro lavoro e aveva intenzione di goderselo fino in fondo, facendo tutto quello che rimandava da tempo a causa scarsità di tempo.
“Tu...tu non puoi venire con noi, mi sa...” puntualizzò Reid, guardando la strana mise della ragazza.
“Già, infatti.- concordò Alaska stringendosi nelle spalle- Devo aspettare che si asciughino i miei vestiti.”
“Allora ci vediamo a Quantico.- salutò Morgan, strizzandole l'occhio- Anzi, sbaglio o devi ancora presenziare ad una serata folle con noi?”
Sul volto di Ross si dipinse un sorriso birichino “Non stasera, agente, ho altri programmi.”
“Ah, sì?” domandò incuriosito.
“Ho la bocca cucita, a riguardo.- assicurò Alaska ridendo, mentre li accompagnava all'ingresso- Ci vediamo in giro, d'accordo?”
Lasciò sventolare il braccio alle loro spalle, sorridendo fra sé e sé per l'idea che gli era venuta in mente. Dietro di lei le si era avvicinato lo stesso ragazzo che l'aveva aiutata a uscire dall'acqua, poco prima, e che le aveva dato l'accappatoio. Era titubante mentre le picchiettava leggermente un dito sulla spalla.
“Signorina!-la richiamò, rivelando un forte accento texano-Pensavo che forse potremmo...sa, se non conosce la città quando finisco il turno potrei portarla a fare un giro. Tanto deve aspettare che le si asciughino i vestiti, giusto?”
Alaska gli rivolse un sorriso gentile “Mi dispiace, ho altri programmi.”
“Sicura?” ritentò di nuovo, sfoderando il proprio sorriso più accattivante.
“Preferisco i ragazzi del Nevada.” le rivelò la ragazza, prima di tornare all'interno, la mente proiettata su quanto avrebbe fatto quella sera.

Casa di Spencer Reid. Washington DC.

Quando il campanello del suo appartamento iniziò a trillare insistentemente Spencer Reid sobbalzò sulla propria poltrona preferita, su cui stava placidamente leggendo un tomo di filosofia.
Aveva perso la cognizione del tempo e, quando guardò l'orologio, scoprì che erano le otto e mezza passate. A quel punto non avrebbe più fatto in tempo a raggiungere il centro per andare a cenare fuori con Derek e Emily, come invece aveva promesso avrebbe fatto.
Sbuffò mentre si alzava controvoglia: avrebbe dovuto inventarsi una scusa decente per l'indomani per placare le lamentele del collega riguardo la sua inesistente vita sociale.
Il campanello, intanto continuava a trillare, implacabile.
“Sto arrivando!” urlò leggermente spazientito. Si stava anche domandando chi potesse essere, a quell'ora. Il portiere del suo palazzo non faceva entrare nessuno, a meno che non lo conoscesse, e se per caso un estraneo voleva entrare nel palazzo per andare a trovare un condomino, lui chiamava direttamente in casa, per assicurarsi che fosse davvero un conoscente.
Quando Spencer Reid aprì la porta, quella sera, la sua bocca si spalancò immediatamente per lo stupore, non appena riconobbe la figura che occupava l'uscio di casa sua.
“Et-voilà!Cibo Thailandese da asporto e qualche dvd a noleggio. Penny mi ha detto che ti piacciono quei film di fantascienza, ma non mi ricordavo più il nome però mi ricordavo che c'era la parola star: ho preso i dvd di Star Wars, Star Trek, Stardust, Stargate, Startruck e poi non ricordo che altro, ma troveremo qualcosa da guardare, giusto?”
Nel sentire quella voce frizzante e la parlantina svelta Reid aveva stretto ancora di più la mano intorno alla maniglia della porta, letteralmente pietrificato. Il sorriso aperto di Alaska, posizionato magnificamente sul suo volto da folletto piccolo e dai tratti delicati, si trovava esattamente alla soglia di casa sua. L'antropologa, che brandiva un sacchetto di un take-away come se fosse un'arma impropria in una mano, e una borsa piena delle custodie piatte e rettangolari dei dvd nell'altra, lo stava fissando con una luce allegra negli occhi chiari, in attesa di una sua risposta, ma lui non era ancora in grado di parlarle.
Aveva sempre un problema nel trovarsela di fronte all'improvviso. Quando si era appena unito alla squadra di Hotch, e si era preso una cotta per JJ, la bellezza angelica della ragazza gli procurava lo stesso problema: si imbambolava, perdendo immediatamente il vantaggio del proprio cervello brillante. Con JJ quella situazione era durata poco: aveva fatto in fretta ad abituarsi alla sua presenza e l'infatuamento era sparito velocemente...Con Alaska, invece, che pur non essendo così palesemente bella come la bionda agente riusciva sempre a coglierlo alla sprovvista, la situazione era destinata a continuare...
“Non ti piace il Thailandese?” domandò la ragazza, il sorriso sempre ben largo sul viso, ma una leggera incertezza nella voce sottile.
Spencer scosse la testa violentemente, dandosi dell'idiota per essere rimasto imbambolato per svariati secondi “No, no!Mi piace molto, solo mi domandavo...che ci fai qui?”
“Mi pare ovvio: sono venuta a trovarti per passare del tempo insieme!” trillò, guardandolo stranita perchè non capiva una cosa tanto elementare.
“Posso entrare?” domandò ancora, e Reid si scostò immediatamente, come se avesse ricevuto un ordine.
Si chiuse la porta alle spalle e seguì l'intraprendente ospite all'interno della propria casa, guardandola esplorare velocemente gli spazi che si trovava davanti mentre chiacchierava allegra, parlando in fretta come suo solito.
“Abiti in una zona un po' fuori mano, sai?Il tassista e io abbiamo dovuto connetterci su Google Maps sul mio cellulare per trovare casa tua!Poveretto, però, posso capirlo: è la sua prima settimana di lavoro, ma è davvero gentile!Sai che mi ha fatto uno sconto perchè era dispiaciuto che non conosceva la via?E il portiere di questo palazzo è un personaggio: mi ha fatto entrare anche se non mi conosceva perchè gli ho detto che ti volevo fare una sorpresa. Ha detto: sono contento che il dottor Reid abbia una ragazza così carina che pensa a lui!Non lo trovi simpatico?Di certo tu devi essergli molto simpatico!”
Alaska si voltò verso di lui, dopo aver appoggiato sul piano della cucina che aveva trovato esplorando la casa i sacchetti che teneva in mano. “Allora, Spencer, sei contento di vedermi?”
“Certo, solo che non mi sarei mai aspettato che saresti venuta qui.” rivelò, ancora confuso da quell'improvvisa intrusione nel proprio mondo.
“Ci credo che non te lo aspettavi.- rise contenta- Era una sorpresa!”
Spencer sorrise, rilassato dalla presenza della giovane antropologa che, dopo avergli stretto una spalla gentilmente si era diretta sicura verso il frigorifero.
“Che...che stai facendo?” domandò Reid spiazzato dal fatto che stava analizzando minuziosamente il contenuto dell'elettrodomestico.
Ross fece scostò leggermente il volto per riuscire a guardarlo in faccia “Ti faccio un profilo, profiler.”
Spencer alzò un sopracciglio “Dal mio frigorifero?”
“Ah-a!- annuì sicura- Si capiscono un sacco di cose dal frigorifero di una persona. Credo che all'FBI dovreste attivare dei corsi per studiare questa nuova e infallibile scienza.”
“Infallibile?” ripetè di nuovo il profiler, senza riuscire a trattenere una risata.
“Certo: nessuno ha mai eluso il mio frigo-test e i risultati sono sempre stati assolutamente veritieri!”
“Davvero?E che cosa puoi dire su di me in base a quello?” aveva incrociato le braccia magre al petto e la guardava curioso.
Alaska si mordicchiò il labbro inferiore meditabonda prima di iniziare a parlare “Che vivi solo e che sei abituato a farlo da tempo: ci sono un sacco di porzioni monodose e non solo di cibo spazzatura. Sei via spesso da casa, ma non per questo vuoi rinunciare ad un alimentazione sana. C'è verdura ammuffita e frutta troppo matura, cosa che mi fa pensare che ti dimentichi di averla in casa, nonostante i buoni propositi. Hai un'alimentazione sregolata, così come i tuoi orari, e cerchi di compensare assumendo cibi particolarmente nutrienti o ricchi di carboidrati e zuccheri...”
Reid spalancò i suoi grandi occhi scuri, sinceramente colpito “Wow. Se lo sapesse Hotch ti assumerebbe all'istante.”
“Potrei creare un nuovo campo di studio del comportamento.- rise la ragazza, alzandosi e chiudendo il frigo- Ceniamo?Ho una fame da lupi.”
Spencer annuì e si sedettero al tavolo della cucina dove gustarono le prelibatezze esotiche che Alaska aveva portato. Si lamentò del fatto che la ragazza avesse acquistato porzioni troppo abbondanti e lei aveva replicato che lui doveva assolutamente mettere su qualche chilo, dopo di erano rimasti in silenzio per un po', semplicemente mangiando. A Reid sembrava quasi naturale essere lì, non gli sembrava particolarmente strano il fatto che non parlassero, ma gli venne in mente che forse per lei poteva non essere altrettanto. Alaska amava chiacchierare, in qualsiasi momento, soprattutto con lui e Spencer sapeva che se era così taciturna doveva esserci un perchè. Si ricordò degli incubi di cui gli aveva parlato qualche giorno prima e gli venne in mente che forse il problema poteva essere di nuovo quello. Mandò giù l'ultimo boccone e osservò attentamente i tratti della sua ospite, cercando una qualche conferma per la sua ipotesi e le trovò nell'aria stanca e le occhiaie sempre più marcate. Voleva parlarle ma stava cercando un argomento neutro con cui avviare un discorso: notò il disegno che decorava la sua canottiera e iniziò a parlare velocemente, cercando di riempire quel silenzio strano che lo metteva tremendamente in agitazione “Sai che i personaggi di Winnie The Pooh sono basati su problemi psicologici?”
Alaska alzò un sopracciglio, per niente insospettita dall'argomento insolito “Davvero?”
“Sì. Winnie soffre di disturbi alimentari, Pimpi di attacchi di panico e ansia, Eeyore di depressione, Tappo di un disturbo ossessivo compulsivo, Tigro di deficit di attenzione e iperattività e Christopher Robin di schizofrenia.” snocciolò le informazioni come era solito fare.
“Wow.- rise l'antropologa, prima di guardarlo divertita- Prometti di non menzionare queste cose davanti a ragazzini di età inferiore ai tredici anni, vero?”
Anche Spencer rise, ma la sua risata si esaurì in fretta, quando la vide riporre le posate e sospirare pesantemente.
“Alaska, stai bene?Io...io non voglio farti parlare se non ne hai voglia, vorrei solo...sai...sapere come stai.”
“Non lo so, Spencer.- mormorò, gli occhi cerulei puntati come fari su di lui- Io non capisco quello che mi sta succedendo.”
Reid annuì serio “Intendi i tuoi incubi?”
“Sì. Tu puoi...potresti spiegarmelo?Cosa succede qui dentro?” domandò, picchiettandosi la fronte con l'indice.
“Che cosa intendi?”
“Gli incubi.- specificò Alaska, gli occhi ardenti per la richiesta che aveva fatto- Vorrei capire perchè continuano a tornare, perchè mi fanno vedere cose che non ricordo nemmeno di avere vissuto...”
Reid strinse la labbra in una linea sottile. Per una delle pochissime volte in vita sua non sapeva che dire perchè si preoccupava decisamente troppo della reazione del suo interlocutore.
“Sai, l'ho letto il libro di Dave, quello in cui parla anche di me.- continuò, confidandogli quell'informazione di cui nemmeno Rossi era al corrente- E più leggevo, più non capivo: io non mi ricordo assolutamente niente: io non sono la ragazzina che lui ha descritto. È impossibile.”
Spencer non sapeva che dire, ma lo sguardo di Alaska, così intento e fermo mentre gli scrutava il volto, non gli permetteva di aggirare quella domanda e nemmeno di cambiare argomento. Sospirò, passandosi una mano fra i capelli, prima di cominciare a spiegarle quanto poteva a riguardo.
“Credo...Credo che tu abbia una dissociazione. Il tuo cervello ti impedisce di ricordare quanto è successo perchè sono ricordi talmente carichi emotivamente che potrebbero portarti all'esaurimento. È un metodo che il tuo corpo usa per proteggerti da quanto hai vissuto, solo che nella fase del sonno, soprattutto nei periodi di particolare stress, questo meccanismo può incepparsi e portare a galla quei ricordi...”
Alaska annuì seria, concentrata su quanto Spencer le aveva appena detto. Era tutto nella sua testa, quindi, ed era vero e lui lo sapeva. Stranamente, però, la cosa non la preoccupò, anzi. Improvvisamente, sapendo che Reid riusciva a comprenderla, si sentì tremendamente tranquilla.
Alzò di nuovo lo sguardo, per osservare il volto del ragazzo che si trovava di fronte: non aveva una bellezza classica ma gli piaceva, molto. I suoi occhi erano intensi e avrebbe potuto benissimo passare delle giornate intere soltanto a fissarlo leggere.
“Sai, è un bene che tu abbia dimenticato.- continuò Reid con un sospiro- Diverso tempo fa io sono stato rapito e torturato da un SI...”
“Ommiodio, Spencer!” Ross aveva spalancato gli occhi chiari, e aveva allungato immediatamente una mano per afferrare la sua.
Spencer continuò, confidandole quanto sapevano in pochi “Ho avuto un brutto periodo, subito dopo. Ho fatto di tutto, anche cose sbagliate, per poter dimenticare quello che era successo, per tornare la persona di prima.”
“E ci sei riuscito?” domandò la ragazza con voce sottile. 
“No. Era una cosa impossibile da pretendere, ma ne sono uscito, grazie all'aiuto di alcune persone.”
Alaska allungò di nuovo la mano sul tavolo, per andare a stringere la sua “Ci sono molte persone che ti vogliono bene, Spencer, ed è facile capire perchè.”
Quell'affermazione lo stupì “Come?”
“Ti ammiro tanto, sai?” continuò sorridendo dolcemente.
“Come?” ripetè, di nuovo stordito sotto quello sguardo serafico.
“Ma sì, per quello che fai, per quello che affronti tutti i giorni e per il fatto che resti comunque una persona fantastica.-spiegò- Ti ammiro tanto.”
Reid dovette distogliere lo sguardo di fronte a una confidenza così sincera e sentiva chiaramente di avere il volto paonazzo “Beh, ecco...io...”
“Hai deciso quale film guardare?”
“Come?” il ragazzo alzò lo sguardo, spiazzato dal cambio d'argomento.
“Fra quelli che ho noleggiato quale preferisci?- domandò di nuovo, sventolando qualche dvd-Una serata film e popcorn senza film sarebbe...beh, una semplice serata popcorn.”

Non aveva capito niente del film, benchè l'avesse già visto un migliaio di volte prima di allora. Tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi in quel momento era Alaska e la sua strana presenza accanto a lui su quel divano. Aveva perfino rinunciato a mangiare i popcorn che la ragazza aveva preparato poco prima, perchè alla seconda manciata che stava prendendo dalla bacinella le loro mani si erano sfiorate e lui aveva sentito una scarica elettrica lungo la spina dorsale che l'aveva fatto sobbalzare sul posto.
Reid si voltò piano verso Alaska, cercando di non farsi vedere da lei, e la osservò mentre guardava la televisione concentrata.
“Siamo già a metà film.- disse la giovane antropologa, portandosi alla bocca una manciata di pop corn al burro alla bocca- A questo punto potresti anche baciarmi.”
Spencer spalancò gli occhi, scioccato da quanto aveva appena detto. O se l'era sognato?
La ragazza si voltò verso di lui, uno sprizzo di vivacità negli occhi chiari mentre lo vedeva arrossire e boccheggiare.
“C-che cos...Che cosa hai detto?” riuscì a balbettare, mentre lei posava la bacinella sul tavolino di fronte a sé.
Il sorriso di Alaska lo abbagliò, quando la giovane tornò a voltarsi verso di lui “Che dovresti baciarmi.- ripetè avvicinandoglisi lentamente- Oppure potrei farlo io...”
Spencer si sentì avvampare di nuovo e si ritrovò a domandarsi se per caso il condizionatore non si fosse spento all'improvviso “Forse...forse non è una buona idea...”
O, perlomeno, questo era quanto gli diceva il suo cervello e la sua logica. Il suo corpo urlava di assecondare la ragazza, che stava azzerando le distanze fra loro.
“Perchè?- domandò Ross, aggrottando la fronte liscia- Tu mi piaci e credo che anche io ti piaccio, giusto?”
“Certo!- si affrettò a dire Reid, agitando i palmi- Solo che non credo che sia una cosa giusta...Tu stai lavorando a Quantico ora e siamo stati praticamente colleghi e...”
Quelle scuse suonavano ridicole perfino a lui, ma la verità è che aveva troppa paura per lasciarsi andare. Per quanto Morgan, Penelope, Emily e perfino Rossi gli avessero confermato che Alaska sembrava davvero innamorata di lui, Spencer pensava che fosse soltanto un sentimento passeggero, destinato a scemare in breve lasciandolo solo e con cicatrici difficili da far rimarginare.
La ragazza sembrò comprendere le sue preoccupazioni e le afferrò docilmente entrambe le mani, avvicinandole a sé. “Che cosa c'è che ti preoccupa, Spencer?”
Reid abbassò lo sguardo “Io...io non capisco cosa tu veda di speciale in me...”
“Beh, per prima cosa, adoro quando parli. Sai quando hai quell'espressione da scusate ma sono troppo preso da argomenti di fondamentale importanza per avere il completo controllo della mia coordinazione muscolare” rispose Alaska con tono dolce, prima di posargli un bacio leggero sulle nocche. Spencer fece fatica a concentrarsi sulle parole, troppo spiazzato da quel gesto.
Poi, amo i tuoi occhi. Perchè sei un profiler eccezionale ma non sei capace di mentire per niente e i tuoi occhi, alla fine, rivelano sempre quello che pensi.” continuò a dire, girandogli i palmi verso l'alto e baciando anche quelli.
E mi piace quando mi capisci, nonostante tutto, che è quello che capita praticamente sempre.-gli rivelò di nuovo, mentre si allungava sopra di lui- Sai, quando noti qualcosa di particolare in me e me lo fai presente.”
Spencer la fissò con occhi sgranati, incapace di muoversi e di dire qualsiasi cosa, mentre le sue labbra morbide sfioravano gentilmente i suoi zigomi. In effetti, era perfino stupito di essere in grado di respirare e che il proprio cuore non fosse ancora esploso, considerando la velocità con cui stava pompando il sangue.
E trovo rassicurante il fatto che sai praticamente tutto e che se ti facessi una domanda di qualsiasi tipo saresti in grado davvero di darmi una risposta soddisfacente di cui potrei fidarmi ciecamente.”
Il bacio che seguì l'ultimo commento fu lento e dolce. Le loro labbra si sfiorarono piano, senza pretese, in un contatto leggero ma che lasciò entrambi sconvolti.
Spencer si ritrovò intossicato dalla presenza dell'antropologa e Alaska decise che non avrebbe più voluto baciare nessun altro in quel modo.
“E questo cos'era?” domandò Reid, ancora intontito.
“Direi un bacio.- sorrise l'antropologa, accarezzandogli il viso- Forse il bacio perfetto.”
“Ma...ma...Sei sicura di questo?- le proteste uscivano incerte dalle sue labbra, mentre sentiva di volerla sempre più vicino a sé e non allontanarla-Forse non dovremmo, siamo ancora colleghi e tu...”
“Fatti un favore, Spence.- sussurrò al suo orecchio- Lascia da parte la logica e fai quello che senti sia giusto.”
Reid alzò un sopracciglio “Citi Emerson?”
“Vuoi dire che questa perla di saggezza l'aveva già pensata qualcuno prima di me?Non è gusto!”
La protesta di Alaska lo fece ridere, e nel frattempo notò i suoi occhi chiari illuminarli.
“Sono blu polvere.” la informò.
Ross rimase spiazzata da quell'affermazione “Cosa?”
“I tuoi occhi.- specificò, mentre con mano tremante le accarezzava il viso- Non sono azzurri, sono blu polvere.”
“Esiste un colore che si chiama così?” rise Alaska, senza smettere di fissarlo con intensità.
“Sì, blu polvere o smalto, è riferito a un prodotto a base di polvere di vetro utilizzato nel lavaggio della biancheria, è stato utilizzato riferito a un colore per la prima volta nel 1707 e...”
Alaska si sporse di nuovo verso di lui, baciandolo con passione. Spencer le infilò le mani fra i capelli, attirandola ancora di più a sé, governato da degli istinti cui non aveva mai dato ascolto.

Spencer Reid si svegliava spesso prima del suono effettivo della sveglia. Il giovane profiler dava la colpa al proprio orologio biologico, oltre al fatto che la quantità industriale di caffè che assumeva nel corso di una giornata. Oltretutto Spencer odiava con tutto il cuore il suono sordo della propria sveglia. Per questo motivo, come ogni mattina, allungò la mano destra, cercando l'infernale aggeggio sul comodino, pronto a disattivarlo. Al contrario del solito, però, la sua mano si ritrovò sospesa nel vuoto.
Aggrottò le sopracciglia, incapace ancora di aprire gli occhi, e si domandò se per caso si fosse addormentato in salotto, magari mentre leggeva quel libro di filosofia che ricordava di non aver finito.
In effetti, gli capitava spesso di dormire sul divano. C'erano sere in cui semplicemente non riusciva ad arrivare alla camera da letto per quanto si sentiva stanco, oppure altre in cui si sdraiava per guardare un film o leggere un libro e immancabilmente si addormentava. Probabilmente quella precedente doveva essere una di quelle.
“Aw...”
Quel verso leggero, assonnato, pronunciato da una voce sottile e femminile, gli fece spalancare gli occhi di scatto.
Quando abbassò lo sguardo sul proprio petto, dove sentiva premere dolcemente quel peso, si irrigidì, ricordando finalmente tutto quello che era successo.
Ricordò i gemiti gioiosi di Alaska nel suo orecchio, il suo profumo leggero di sapone, lo scorrere delle proprie dita sulla sua pelle vellutata e il viso affondato nel suo collo leggermente abbronzato.
Non potè evitare che un sorriso gli si allargasse sulle labbra a quei pensieri. Abbassò lo sguardo sulla ragazza che, ignara del fatto che lui fosse già sveglio, dormiva tranquillamente, la testa appoggiata alla sua spalla e il braccio aggrappato al suo torso esile, cui era aggrappata come se fosse un'ancora di salvezza.
Non riuscì a frenare l'istinto di passare una mano fra quella massa folta di capelli corvini e, qualche minuto dopo che lui aveva iniziato ad accarezzarle piano la testa, la ragazza aprì gli occhi, sorridendo non appena incontrò il suo sguardo amorevole.
“Hey!- lo salutò, gli occhi ancora velati da un leggero strato di stanchezza- Sai che sei meglio di un sonnifero?”
“Niente incubi?” domandò, felice che non ne avesse avuti.
Alaska scosse piano la testa, sorridendo “Ho dormito come una bambina. Sai che parli nel sonno?”
Spencer aggrottò la fronte “Davvero?Che ho detto?”
“Gli elefanti in cucina stanno prendendo tutto il caffè.- citò, imitando la voce del ragazzo, prima di interrompersi per sporgersi verso le sue labbra e lasciargli un bacio delicato- Sembrava molto importante.”
Reid rise “Davvero ho detto questo?”
“Mmm.” confermò Alaska, prima di allungare il collo verso di lui e lasciargli un bacio languido sulle labbra.
Lui rispose al bacio, mentre il suo profumo leggero gli entrava dritto nel cervello stordendolo.
“Alaska?” riuscì a mormorare dopo svariati minuti, mentre lei continuava a baciargli gli zigomi, la linea della mascella e il collo.
“Uh?”
“Forse dovremmo...- gli costò molto dirlo: tutto quello che avrebbe desiderato era starsene lì a baciarla per l'intera giornata- devo essere a Quantico fra un po' e tu hai la lezione con Davon...”
“Ma non voglio andare a lezione oggi!- si lamentò Ross, tirandosi la coperta leggera sopra la testa e sprofondando nei cuscini del divano- La lezione che ho preparato per Davon è troppo cruenta. Le reclute si sentiranno male e io non voglio essere là quando accadrà.”
“Quando dici male intendi...” azzardò Spencer, storcendo il naso.
“Che verrò a conoscenza della loro colazione.” sbuffò la ragazza, la voce che usciva ovattata dal suo nascondiglio.
“Ma il dottor Stein non si arrabbierà se non ti presenti?”
Il volto di Alaska spuntò dalla coperta, con un sorriso birichino a decorarlo “Posso dirgli che sono in stato di fermo trattenuta da un agente dell'FBI.”
“Non sarebbe nemmeno una bugia...- sorrise Spencer- Ma anche io devo andare a Quantico e non posso proprio starmene a casa...”
Alaska annuì mentre lo vedeva alzarsi e raccogliere i propri vestiti. Ogni tanto trovava qualcuno dei suoi e glieli porgeva gentilmente, con il sorriso più dolce che lei avesse mai visto sulle labbra.
“Vuoi restare qui per un po' e fare una doccia?” le propose, quando ormai erano tutti e due pronti in cucina e sorseggiavano piano una tazza di caffè fumante.
“Forse è meglio che vada a cambiarmi in albergo,- declinò l'inviti la ragazza, con tono leggero- almeno pago la stanza per un motivo.”
“Quindi farai la lezione?” le domandò ancora Spencer, pensando che così avrebbe potuto vederla anche in giornata.
Gli occhi di Alaska brillarono di felicità “Sì, ma per questo pomeriggio ho altri progetti.”
“Che cosa hai deciso di fare?” chiese incuriosito, dopo che lei aveva fatto una chiamata per far arrivare un taxi che la portasse al proprio hotel.
“La sorella maggiore.- rivelò con un sorriso largo in volto- Porterò i miei fratellini e un gruppo dei loro amichetti allo Smithsonian Institution.”
“Sembra divertente.- commentò Reid- Te la caverai con tutti quei ragazzini?”
“Certo che sì, sarà una passeggiata. Ti porto un souvenir, ok?Magari uno di quegli Einstein con la testa ballonzolante.” disse velocemente, con il suo tono usuale.
Spencer non potè fare a meno di sorriderle “Non vedo l'ora di possederne uno.”
“Lo metterai sulla tua scrivania in ufficio?” trillò felice Alaska.
“Certo.” rise, pensando a cosa ne avrebbe detto Morgan.
“Così quando lo guarderai penserai a me!” disse di nuovo, dandogli un bacio veloce sulle labbra.
Come se fosse possibile il contrario, pensò. Ma ad alta voce sussurrò solo un “Già...”
Si fissarono in silenzio per alcuni istanti, senza dover dire niente.
“Sai, credo di amarti.” lo informò con tono allegro Alaska.
Reid spalancò la bocca, esterrefatto “Come?”
“Ti amo.” ripetè l'antropologa con semplicemente.
“Beh, io...” non riuscì a dire nient'altro. Non si sentiva pronto a pronunciare quelle fatidiche parole.
“No, non dire niente.- lo ammonì Ross, sorridendogli apertamente- Non voglio che tu ti senta obbligato a dirmi qualcosa, lo farai quando sarai pronto.”
“Questo è il mio taxi.” annunciò la ragazza, dopo aver sentito suonare il campanello pochi secondi dopo.
Si alzò sulle punte e di slancio diede un tenero bacio sulla bocca a Spencer, che se ne stava ancora immobile e basito per la confessione di poco prima.
“Buon lavoro, dottor Reid.” lo salutò gioviale, mentre usciva di corsa di casa.
Reid si riscosse in quel momento, correndo velocemente per starle dietro.
“E se ti offrissi io la cena, stasera?” le urlò dietro, seguendola sul pianerottolo.
Alaska si fermò sulla rampa di scale e gli rivolse un sorriso amorevole “Speravo che me lo chiedessi.”

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Finalmente qualcosa di concreto fra Alaska e Reid!Spero che la scena lovvosa vi sia piaciuta, ci ho messo un pò a scriverla e questo capitolo alla fine esiste solo al fine di questo episodio...Che ne pensate?Oramai manca solo un breve epilogo e poi ci sarà il sequel del sequel, come avevo già annunciato! Scusate se sono un pò stringata oggi ma devo scappare!Fatemi sapere che pensate di questo capitolo!Kisses JoJo

Luna Viola : Ahahah!Thank, direi che il sequel quindi ci sta di rigore!Che ne pensi di questo chap e dell'evoluzione della storia fra reid e alaska?fammelo sapere!Besos !

dizzyreads : Hey!Sono happy che il capitolo ti sia piaciuto!Fammi sapere che ne pensi anche di questo e dell'evoluzione della storia fra i due giovincelli!Besos!

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Capitolo 8
*** A new fresh start ***


Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

“Bel tentativo!- trillò la voce di Alaska dall'altro capo del telefono- Ma se la tua idea era quella di parlare con me ora non ti posso accontentare. Richiama più tardi, o se pensi di non ricordarti lascia un messaggio!Ci sentiamo dopo!”
Spencer sospirò rumorosamente e mise fine alla chiamata, ricacciandosi il cellulare in tasca.
Era l'ennesimo tentativo che faceva di chiamare Alaska ma, come quelli precedenti, non era andato in porto. A quel punto era palesemente preoccupato, ma cercava con tutto sé stesso di non darlo a vedere.
Ormai lui e Alaska stavano insieme da sei mesi e il loro rapporto si era ormai consolidato. Lei, meglio di qualsiasi altra persona, capiva perfettamente il suo lavoro, compresi i ritmi pressanti, i viaggi improvvisi e gli orari allucinanti, e lui aveva iniziato a riconoscere pian piano tutte le stranezze della giovane antropologa. Beh, perlomeno ci stava provando.
Eppure, nonostante sembrasse che tutto stava procedendo a meraviglia nella loro storia, il profiler che era in lui aveva avuto la meglio e da circa due settimane cominciava a sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come di un campanello d'allarme. Nelle loro numerose telefonate sentiva che Alaska gli stava nascondendo qualcosa e, a farlo preoccupare ancora di più, era stato il suo rifiuto quando le aveva proposto di andarla a trovare il week-end precedente.
Spencer Reid sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui la dolce e frizzante Alaska Ross si sarebbe stufata di lui, ma non credeva che sarebbe arrivato così in fretta.
Deglutì a vuoto, lo sguardo fisso di fronte a sé: non era affatto pronto a lasciarla andare, perlomeno non ancora.
“Che c'è, Romeo?Problemi in paradiso?”
La voce allegra di Morgan lo riportò alla realtà. Erano appena tornati da un caso a Santa Fe e ormai stavano per raggiungere l'ampio open space del BAU. Reid strinse le labbra: doveva fingere che tutto fosse a posto ancora per qualche minuto e poi sarebbe stato salvo e a casa sua avrebbe potuto tranquillamente continuare ad autocommiserarsi e a scervellarsi sul perchè dello strano comportamento della sua fidanzata.
Il leggero annuire del ragazzo non convinse per niente il collega, che non voleva affatto lasciare perdere la propria domanda “Qualcosa non va, ragazzino?”
“No, niente, tutto ok.” ritentò Spencer, abbozzando un sorriso.
“Avanti, a me puoi dirlo.” disse Morgan fissandolo intensamente e facendogli capire che ormai non aveva altra scelta che confidarsi con lui.
Reid si mordicchiò leggermente il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo mentre parlava “Uhmm...Morgan, come fai a sapere quando una ragazza è stanca di stare con te?”
“Wowowo, frena, Reid- esclamò Derek agitando i palmi verso il ragazzo- Di che cosa stai parlando?”
“Di me e Alaska...- sospirò il genietto, piegando le spalle all'ingiù, come svuotato- Insomma le cose non vanno molto bene...”
Morgan alzò un sopracciglio, facendosi tutt' orecchie “In che senso?”
“Con...con Alaska, intendo.- confessò Reid con voce debole- Credo che voglia scaricarmi.”
Derek fece roteare gli occhi, infastidito da quelle preoccupazioni inutili“Alaska è innamorata persa di te, Reid.”
Ma il suo giovane collega non sembrava affatto della stessa opinione “Sono settimane che si comporta in modo strano. Di solito mi chiamava ogni giorno anche solo per raccontarmi di aver comprato un paio di calzini e ora invece...- gli rivelò, la voce acuita dalla preoccupazione per quegli strani segnali- Non so, c'è qualcosa che non va. Forse si è stancata di me.”
“Reid...” lo chiamò Morgan con tono accondiscendente.
“Lo capisco.- continuò a dire Spencer, ormai perso nei propri ragionamenti- Lei è un'istintiva, è attiva e vivace e io invece...Insomma, capisco benissimo che possa essersi stufata di me...”
Derek stava per interromperlo, esasperato dalle sue continue ed inutili preoccupazioni, ma a fermare i vaneggiamenti del giovane collega ci pensò invece Garcia, che li stava raggiungendo con passo svelto, facendo ondeggiare ad ogni movimento una strana piuma rosa shocking che adornava una delle mollettine che stava indossando.
“Di qualsiasi cosa stiate parlando, dovete rimandare a più tardi.- ordinò, rivolta a tutti i membri della squadra che cessarono di parlare all'istante, incuriositi- C'è qualcuno che vi aspetta.”
“Noi?” domandò JJ, i grandi occhi blu alla ricerca di chi li stava aspettando.
“Già, tutti quanti.” confermò Penelope, indicando con l'indice la scrivania di Reid, dove qualcuno si stava facendo roteare ritmicamente sulla sedia da ufficio.
“Alaska?” domandò incerto Spencer, la gola improvvisamente secca. Che fosse venuta per lasciarlo definitivamente?, pensò.
Nel sentire il proprio nome la ragazza si alzò con un balzo leggero, raggiungendoli con un sorriso largo sul volto: non c'era niente in lei che facesse intuire che qualcosa non andava.
“Meno male che siete arrivati: mi stavo annoiando a morte!A quanto pare quassù nessuno ha tempo per fare quattro chiacchiere.” si lamentò scherzosamente. Al collo indossava una collana fatta con le graffette colorate che lei stessa aveva regalato a Spencer, probabilmente l'aveva fabbricata nell'attesa. Senza dargli la possibilità di reagire gettò le braccia al collo al suo ragazzo e gli scoccò un bacio sulle labbra, sotto gli sguardi divertiti degli altri membri del team.
“Buongiorno, Alaska.” la salutò Hotch per tutti, alzando un sopracciglio.
La giovane antropologa si voltò verso di lui e agli altri, rimanendo comunque aggrappata alla spalla esile di Spencer. Il vestito lungo e colorato che indossava sotto la giacca di pelle, così come gli strani stivali da cowboy, la facevano sembrare completamente fuori luogo in quegli uffici così seriosi.
“Ciao ragazzi!” rispose con un sorriso smagliante dipinto sul volto minuto.
Morgan non si lasciò sfuggire l'occasione di lanciare a Reid un'occhiata accusatoria: non sembrava affatto che la ragazza fosse intenzionata a lasciarlo.
“Non sapevo che passassi di qui, credevo fossi ancora a Baltimora. Ho provato a chiamarti.” disse titubante il genietto della squadra, fissando il lieve rossore sano che decorava le guance della ragazza.
“Oh, credo di aver perso il cellulare.- spiegò con una scrollata di spalle- Salterà fuori, prima o poi.”
Rossi scosse la testa divertito “Allora, Alaska, che cosa ti ha portato qui?”
“L'American Airlines!” ribattè Ross, come al solito prendendo la domanda alla lettera.
“Intendevo il motivo per cui sei qua a Quantico.” specificò con un sospiro Dave.
Alaska sciolse il mezzo abbraccio che ancora la legava a Reid e allargò le braccia, eccitata dalla grande notizia che stava per comunicare “Ho trovato una casa a DC!”
“Cosa?!” esclamò Derek stupefatto.
“Perchè avresti dovuto cercare casa a Washington?” chiese invece Emily.
“Perchè nonostante mia madre mi abbia inculcato una cultura hippie e mi abbia educata di modo da poter vivere anche su un cartone in mezzo alla strada, non riesco a rinunciare ai comfort di una casa. Perciò ho affittato un piccolo appartamentino vicino alla zona universitaria!- spiegò velocemente con tono gaio- Dovreste vederlo: i padroni di casa sono deliziosi, il vicinato è ottimo e ho una terrazza e...”
Reid aggrottò la fronte, confuso “Perchè ti serve una casa qui?”
“Per abitarci, no?- rise Alaska- E stasera ho intenzione di festeggiare!”
“Festeggiare?- ripetè Penelope entusiasta-E che cosa dovremmo festeggiare?Il tuo recente contratto d'affitto?”
“Ma no!Al laboratorio stanno facendo dei tagli al personale:- li informò Ross, senza una sfumatura nel proprio tono leggero- Davon ha deciso di andare in pensione e io sono stata praticamente licenziata.”
Sul gruppetto cadde un silenzio incerto, che tuttavia non fece scomparire dal volto della ragazza il suo sorriso limpido.
“Quando arriva la parte in cui ci spieghi il motivo per cui c'è da festeggiare?” domandò JJ, una sorta di incertezza negli occhi chiari.
“Avete davanti la nuova responsabile del reparto di ricerche paleoantropologiche dello Smithsonian Institution!” annunciò quindi, facendo un breve inchino.
“Ricerche paleoantropologiche?-ripetè Rossi stupito- Credevo che tu volessi continuare con l'antropologia forense.”
“Oh, sì!E suonare la batteria e avere un pony per il compleanno: ma ho un pessimo senso del ritmo e non è pensabile tenere un cavallo in miniatura in appartamento...”
“Forse se parli con la dottoressa Tanaka potrebbe trovarti un posto qui...”azzardò l'ipotesi Hotch, interrompendola.
Prentiss scosse leggermente la testa, facendo ondeggiare i capelli scuri “Non credo che lo farebbe davvero.” disse, ricordando l'avversità che il capo della loro sezione di patologia forense provava nei confronti dell'antropologa.
“Non importa.- assicurò Alaska agitando i palmi- Il lavoro allo Smithsonian mi piacerà, la ricerca mi piace e tutti gli antropologi amano l'archeologia. Anzi, mi sentivo un po' strana a non aver iniziato anche io da lì come hanno fatto tutti: in questo modo è un po' come se recuperassi, giusto? E poi mi hanno detto che potrò collaborare col reparto di antropologia forense dell'istituto che viene contattato dalla polizia del distretto per gli stessi casi che trattavo a Baltimora. Forse se faccio qualcosa di buono posso sperare in un trasferimento...”
Rossi si morse l'interno della guancia, meditabondo: forse, se avesse agito tramite le sue conoscenze e avesse fatto un po' di pressione a qualcuno, sarebbe di certo riuscito ad ottenere per lei un incarico che riguardasse la carriera che intendeva davvero seguire la giovane. Sentiva il bisogno di farlo, come al solito, spinto da quello strano senso di protezione che nutriva verso di lei da quando si erano incontrati di nuovo. Lanciò un'occhiata a Reid e lesse negli occhi del giovane la stessa sua preoccupazione.
“Stasera ci sarà una specie di festa, una cosa tranquilla:- sentì raccontare da Ross, quando tornò a rifocalizzare la propria attenzione sulla sua voce frizzante- solo pochi intimi, i miei nuovi colleghi e naturalmente voi!Non accetto un no come risposta!Possono venire anche Jack e Will e Henry e Kevin!Potete portare chi volete, ma dovete assolutamente venire!”
Hotch fece per protestare “Ma veramente...”
“Ho detto che non accetto rifiuti!- ribadì Alaska, mentre scappava verso l'ascensore tappandosi le orecchie con le mani- Anzi, non vi sento nemmeno!Dadadadada!”
La squadra dell'unità di analisi comportamentale rise divertita da quel comportamento forse un po' infantile ma che visto lì nei loro uffici, dove spesso la morte e la malvagità degli esseri umani erano gli argomenti principali, era rassicurante come una boccata d'aria fresca.

Donnely's Irish Pub. Washington, DC.

Trovare il locale, benchè si trovasse in una zona non proprio centrale della capitale, non era stato affatto difficile. Più che altro era stata un'impresa titanica trovare un parcheggio. E quel fatto, sommato al folto gruppo di persone che inondava l'ingresso del pub irlandese, fece pensare ai membri della squadra di analisi comportamentale che forse le informazioni che gli aveva fornito Alaska non fossero poi così precise.
“Una cosa tranquilla, uh?” domandò Will a JJ, alzando un sopracciglio.
La bionda strinse a sé Henry, mentre scrollava le spalle incerta. Il resto della squadra, compresi il figlio di Hotch e Kevin, il ragazzo di Penelope, li stavano aspettando all'ingresso.
“Beh, a quanto pare è qui la festa!” disse Garcia, allargando le braccia, mentre entravano nel locale.
Sulla porta d'entrata c'era un cartello che informava i clienti abituali che quella sera ci sarebbe stato un party privato, e che li invitava in modo un po' colorito, ma tuttavia spiritoso, a tornare l'indomani.
Stavano muovendo qualche passo incerto all'interno quando videro Alaska correre verso di loro, schivando con grazia i gruppetti di persone che le ostacolavano il passaggio. Con una camicetta cremisi in tinta con il rossetto, sembrava una nuvola rossa che gli si avvicinava veloce.
“Sono così contenti che siate venuti tutti!- trillò, non appena li ebbe raggiunti, afferrando contemporaneamente con naturalezza la mano di Spencer- E con tutti intendo tutti...Sgancia il dinero, Derek.”
L'uomo di colore allungò alla ragazza un biglietto da venti dollari. Aveva scommesso che Hotch avrebbe trovato una scusa dell'ultimo minuto per non presentarsi. Non erano il suo genere di cose quelle serate.
“Credevo che avessi detto che era una cosa per pochi intimi.” commentò il capo dell'unità, mentre la ragazza stava scompigliando i capelli a suo figlio, un sorriso divertito sul volto di entrambi.
“Lo so.- rise, facendo al gruppetto di seguirli in un'altra delle tre grandi stanze che formavano il locale- Ma i miei pochi intimi hanno dei pochi intimi che hanno altri pochi intimi.”
“Una catena che neanche la Muraglia Cinese.” disse Kevin.
Alaska annuì “Già, fortuna che è il giorno di chiusura del locale.”
Li aveva condotti in un'ala laterale da dove era visibile tutto il locale. L'antropologa indicò loro un piccolo tavolo, sul quale un biglietto recitava che era riservato ai migliori amici della festeggiata, e qualche divanetto che, a differenza di quelli che avevano incrociato fino a quel momento, erano miracolosamente liberi.
“Questo posto è bello.” le disse Emily, mentre si guardava intorno.
La ragazza annuì contenta prima di iniziare a parlare velocemente “Ok, il tutto è organizzato così: da qualche parte c'è il buffet, non ricordo bene dove ma immagino che se seguite il gruppo di persone più ampio lo troverete facilmente; laggiù c'è una sala che abbiamo sistemato per i bambini con tanto di baby-sitter referenziata assoldata per tenerli a bada mentre noi grandi ci rilassiamo...Credo che ci sia anche un clown da qualche parte, prima mi ha regalato un palloncino ma l'ho perso e, no, non è uno di quei clown terrificanti e alcolizzati che si vedono in tv.”
“Sembra un'organizzazione perfetta.- constatò Rossi, impressionato- Da quando sei diventata una pianificatrice?”
“Mai. Fosse stato per me non avremmo nemmeno dei tramezzini.- ammise Alaska, con un sorriso colpevole- Ha organizzato tutto la moglie di un mio collega, è suo il locale.”
“Beh, sembra tutto fantastico.” la rassicurò Derek, strizzandole l'occhio.
Lei si strinse un po' di più contro Spencer, pensando che effettivamente, era la prima volta che vedeva i colleghi del suo ragazzo fuori dal loro “ambiente naturale”. E la cosa le piaceva molto.
“Hey, Ross!- tuonò un omone di colore, tanto grosso quanto alto- Ci hai lasciati così all'improvviso, pensavamo che i discorsi di Trent fossero finalmente riusciti ad annoiarti e che avessi finalmente gettato quella maschera di fanciulla gentile che mi fa venire il diabete!”
Le altre cinque persone che lo accompagnavano sghignazzarono e gli occhi di Alaska si illuminarono all'istante, mentre di voltava verso i profiler e i loro cari e, prendendo per mano Rossi e Penelope, li trascinava tutti verso di loro.
“Sono i miei nuovi colleghi. Vi piaceranno, sono tutti fantastici!” spiegò.
“Presentazioni!” trillò di nuovo prima di girarsi verso l'eterogeneo gruppetto che li aveva raggiunti e accennare con il capo agli ultimi arrivati.
“Colleghi, loro sono JJ, Will, Henry, Hotch e Jack, Emily, Derek, Dave, Penny, Kevin e Spencer.”buttò fuori tutto d'un fiato, accompagnando ad ogni nome un gesto della mano per indicare la persona a cui si riferiva.
“Il famoso Spencer.” sottolineò con un sorriso malizioso una donna dai capelli rossi e gli occhiali dalla montatura verde e vistosa.
“L'onnipresente Spencer.-ribadì un tipetto basso e un po' calvo- Ho proposto a mia moglie di chiamare così nostro figlio, per quanto ne parli e solo quando lei mi ha chiesto perchè mi sono riscosso dal coma cerebrale.”
Reid arrossì vistosamente, imbarazzato dal fatto di essere stato al centro dei discorsi di quegli sconosciuti. Una parte di lui, oltretutto, gli diceva quanto fosse stato stupido a credere che Alaska lo volesse lasciare.
“FBI,- continuò quindi l'antropologa, voltandosi verso di loro sorridendo radiosa- questi sono i miei nuovi colleghi: Big Jim, Eliza, Danny, Paulo, Kara e Trent.”
Il grande uomo di colore alzò la mano “Io sono solo Jim. Alaska avevamo già discusso di quel soprannome e ti avevo detto che lo detesto.”
“Ma l'abbiamo messo ai voti:- gli ricordò Eliza, una bionda col volto pieno di lentiggini- a parte Paulo che proponeva Colosso, Big Jim ha ottenuto la maggioranza.”
“Viva la democrazia!” esclamò Danny, alzando il pugno.
“Beh, vi assicuro che allo Smithsonian vige ancora una dittatura.- li rimbeccò immediatamente Jim- Anzi, una monarchia assoluta ed io sono il sovrano incontrastato.”
Garcia scosse la testa violentemente “Non se ne parla proprio, mi dispiace.- dichiarò, sfilando dalla propria borsa multicolore una coroncina di plastica decorata con brillantini e piume colorate e mettendola in testa ad Alaska- Stasera lei è l'unica regina del reame.”
La ragazza rise divertita e accennò ad una reverenza, allargando un'immaginaria gonna.

Spencer Reid si guardò intorno, sprofondando leggermente nel confortevole abbraccio della pelle bianca di quel divanetto. Intorno a sé un mucchio di gente si stava divertendo, chiacchierando vivacemente e muovendosi di qua e di là con allegria. JJ e Will erano andati a fare una capatina nella stanza allestita per i bambini, probabilmente per fare vedere di nuovo al piccolo Henry e a Jack il clown che avevano già trovato particolarmente buffo. Penelope e Kevin si stavano scatenando in una pista da ballo improvvisata in mezzo alla sala principale, mentre Hotch e Rossi, seduti al loro tavolo, stavano discutendo animatamente di qualcosa. Poco più in là, Emily stava chiacchierando con Big Jim e la donna coi capelli rossi, Kara, mentre Morgan era finito chissà dove, con chissà chi.
“Ti piacciono i miei nuovi colleghi?” gli domandò Alaska, alzando la testa verso di lui per osservarne l'espressione del viso.
“Sì, sembrano tutti molto...- tentennò, non riuscendo a trovare una parola per descrivere quanto li trovasse strani- Ti sei inserita bene, mi sembra.”
“Oh, sì.-confermò Ross, accoccolandosi meglio contro di lui- Lo Smithsonian è un posto da favola, mi piacerà lavorare lì.”
Spencer strinse le labbra “Non come ti piaceva lavorare a Baltimora, però.”
“Non puoi dirlo con certezza, no?” lo punzecchiò la mora, strizzandogli l'occhio.
Ma Reid non si fece depistare dal suo solito ottimismo “Alaska, io lo so che lavorare con Stein era la cosa che preferivi.”
“Ma i fondi erano sempre troppo pochi, e ultimamente hanno fatto dei nuovi tagli.- spiegò l'antropologa, mettendosi seduta meglio e gesticolando animatamente- Pensaci bene, Spencer, io a Baltimora non ho nessuno. È solo la città dove lavoravo, tutto qui. Ma altri colleghi avevano una casa da finire di pagare, una famiglia, delle radici. Era più giusto che rimanessero loro, non io.”
“Quindi ti sei dimessa?” domandò scettico, alzando un sopracciglio.
“Non sei contento che vengo a stare a DC?- glissò abilmente la domanda lei- Così staremo nella stessa città, potremo vederci tutti i giorno, quando non sei via per lavoro.”
Reid scosse la testa, rassegnato a dover abbandonare le argomentazioni più logiche quali la necessità di avere un posto fisso e l'instabilità del mondo della ricerca.
Sospirò, prima di voltarsi verso di lei con un sorriso timido “Ti ho portato un regalo.”
“Davvero?” trillò la ragazza, rizzandosi immediatamente e battendo le mani con entusiasmo.
Spencer rise e tirò fuori dalla propria borsa un pacchetto piatto e rettangolare, che Alaska prese fra le mani con reverenza.
“A questo punto ti dovrei dire che non dovevi, ma sai quanto io adori i regali, vero?” rise, mentre faceva passare le mani lungo la carta colorata.
“Faremo finta che hai pronunciato la frase di rito, allora.” sorrise Reid, divertito.
“Ok. Che cos'è?-domandò Ross, agitando il pacchetto cercando di capirne il contenuto- Un sacco a pelo?Un soprammobile a forma di contadinella olandese?Un cucciolo di foca?”
Il giovane profiler fece roteare gli occhi platealmente “Al, avanti...Aprilo e basta.”
“D'accordo.”
Il suo sguardo mentre leggeva era solenne e concentrato. Sorrideva ancora, certo, ma Reid notò una sfumatura diversa in quel gesto usuale così iniziò a parlare, giustificandosi.
“Mors ubi gaudet succurrere vitam.- recitò in latino, leggendo ad alta voce ciò che c'era scritto nel quadro rilegato che le aveva regalato- Qui la morte è felice di soccorrere la vita. È latino. Sai è...è quello che fai col tuo lavoro, in fondo. E pensavo, anche se per ora farai solo ricerche su uomini vecchi di milioni di anni avere questo nel tuo ufficio ti potrebbe fare piacere e pensare a quando tornerai a fare quello che sai fare meglio e...”
“E' perfetto, Spencer, davvero.- Alaska gli sorrise dolcemente, posandogli una carezza leggera sulla guancia e dandogli un bacio a stampo- Solo che non potrò appenderlo in ufficio visto che non ne ho uno, al momento.”
“D'accordo.- il ragazzo fece scrollare le spalle, prima di posare un braccio intorno al busto esile di lei- Allora puoi metterlo sulla tua scrivania.”
“Ehm...” mormorò l'antropologa, come imbarazzata, spostando i suoi vivaci occhi cerulei in un altro angolo della sala.
“Alaska!- il tono di Reid era quasi quello di un genitore mentre sbottava incredulo-Non puoi aver lasciato il tuo lavoro per un altro in cui non hai nemmeno una scrivania!”
Ross si morse il labbro inferiore, colpevole, senza però perdere la propria espressione scanzonata “Lo metterò nel mio armadietto, ok?”
“Puoi metterlo dove ti pare, carina- la interruppe Paulo, uno dei suoi colleghi, prendendola per mano e trascinandola via con sè- ma ora vogliamo sentire il discorso!”
Discorso?- ripetè Alaska, interdetta- Che discorso?”
Ma quello che tutti fanno alle proprie feste, sciocchina!” spiegò l'uomo, spingendola di malagrazia su una sedia in mezzo alla sala. Immediatamente l'attenzione di tutti i presenti fu su di lei.
Anche i profiler la guardavano intensamente, scoprendone subito un aspetto del tutto nuovo.
Alaska era arrossita e si sistemava delle ciocche di capelli dietro le orecchie, con un certo imbarazzo negli occhi chiari.
Rossi sogghignò: l'aveva vista tenere un discorso sul come trattare dei resti scheletrizzati di fronte a un mucchio di studenti di Quantico ed ora sembrava invece intimidita da un gruppetto di persone qualunque.
Anche Emily, Hotch e Derek sorrisero divertiti, come se stessero assimilando un nuovo elemento del tutto inaspettato da aggiungere al suo profilo, e la osservarono iniziare a parlare un po' titubante, dopo aver agitato una mano affusolata a mo' di saluto.
“Salve a tutti!Spero che vi stiate divertendo: per chi non mi conoscesse, sono Alaska, la festeggiata. Mi hanno chiamato qua sopra per dire qualche parola riguardo il mio nuovo lavoro, quindi eccole qui: ossa, antropologia, preistoria e laboratorio!”
Dai presenti si levò una risata corale, mentre lei si sistemava imbarazzata i capelli dietro le orecchie.
“Ora potete continuare a divertirvi!” li esortò con un gesto della mano, prima di scendere velocemente dalla sedia e sgattaiolare via, solo per essere intercettata poco più in là dai due tecnici informatici dell'FBI.
Derek scosse la testa mentre guardava Alaska immersa in una conversazione piuttosto vivace con Kevin e Penelope, mentre tornava verso Reid con una bottiglia di birra in mano.
Si lasciò cadere seduto sul divanetto, proprio di fianco al giovane collega, e osservò il suo viso illuminarsi nel vedere la giovane antropologa ridere di gusto.
“Sei in grossi guai, Reid.” lo avvisò, dandogli una pacca sulla spalla.
“Cosa?- domandò incerto il giovane, aggrottando le sopracciglia-Perchè?”
Morgan scosse la testa con aria saccente “Con quegli occhi da Bambi quella ragazza ti rigirerà come un calzino...”
Reid non rispose, ma tornò a puntare lo sguardo verso la propria ragazza. Come se lo avesse intercettato, la giovane si voltò piano verso di lui strappandogli immediatamente un sorriso.
Alaska gli sorrise di rimando e alzò le mani davanti a sé, congiungendo indici e pollici.
“Ti amo.” potè leggere a chiare lettere sulle labbra rosse dell'antropologa.
Spencer arrossì vistosamente guardando la forma stilizzata di un cuore che aveva così formato ma dopo qualche secondo, ignorando quella parte del suo cervello che gli diceva che i suoi colleghi lo stavano guardando, imitò il suo gesto.
“Anche io.” si ritrovò a sussurrare, prima ancora di rendersene conto.


Perché, senza che vi fosse la necessità di spiegarselo a chiare lettere e senza che ciò causasse alcun senso di autocompiacimento,

egli sapeva che la sua vita già possedeva un innato equilibrio,

quel tipo di armonia a inseguire la quale altri sembravano passare la maggior parte della loro esistenza.

Non gli veniva in mente che quel dono potesse essere qualcosa di speciale.

Si sentiva semplicemente parte di un disegno, di un'unione di elementi animati e inanimati, cui lo collegavano sia lo spirito che la carne.

-Nicholas Evans

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E così si mette la parola fine al secondo capitolo della storia che ha per protagonista Alaska Ross!Avrei voluto pubblicare questo epilogo già qualche giorno fa, ma fra una cosa e l'altra (tra cui una ribellione da parte del wi-fi!Maledetto!) ho dovuto rimandare tutto a oggi. Voglio dirvi che mi ha fatto sempre un grandissimo piacere leggere i vostri commenti, sempre deliziosi, e spero davvero che continuiate a leggere le storie che pubblicherò. A tal proposito: se cercate fra le storie di questa sezione troverete già quella nuova, continuazione delle peripezie dell'antropologa!Spero che continuiate a seguirmi!Baciotti!JoJo

dizzyreads : Beh, grazie davvero tanto dei complimenti!In effetti la scena fra loro era quella che mi preoccupava di più, e sono contenta di non aver rovinato una storia che comunque ho visto che piace fregandomi proprio sul finale!Grazie mille ancora, e ti aspetto alla prossima storia!;) Kisses

lillina913 : Capitolo pubblicato!Olè!E come puoi vedere con il trasloco di Alaska ci sono le premesse affinchè il rapporto fra questi due migliori sempre di più. Spero che seguirai anche la nuova storia!Un bacione

Luna Viola : Addirittura!Eheheh!Sono davvero contenta che il capitolo precedente e le scene fra Ross e Reid ti siano piaciute e spero che apprezzerai anche questo epiloghino!Spero che farai una capatina anche nel sequel!Besos

Maggie_Lullaby : Io te lo devo dire: i tuoi commenti mi fanno troppo ridere!Sei un personaggio, davvero!:D E non sentirti in colpa che poi ci rimango male!eheheh! Dai, sono davvero contenta che la storia ti sia piaciuta e grazie dei complimenti!Il sequel del sequel lo pubblico oggi stesso, quindi stay tuned e lo troverai senz'altro!Un basino!


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