Basta con Bella! Entro in scena io!

di Vampire_Swan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** A prima vista ***
Capitolo 3: *** Libro aperto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Di tre cose ero del tutto certa.

Primo, io non sono come Bella.

Secondo, non mi sarei fermata di fronte a piccoli problemi, ma li avrei affrontati.

Terzo, Edward era tutta la mia vita.

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Capitolo 2
*** A prima vista ***


ciao a tutti! spero tanto che questa specie di "Nuovo Twilight" vi piaccia. ci ho messo 3 giorni a scriverlo, quindi mi raccomando un minimo di soddisfazione per la fatica! non vi costa nulla mettere una piccola recensione. mi piacerebbe davvero tanto sapere se l'avete trovata noiosa, troppo seria, o proprio brutta o se invece vi è piaciuta. accetto tutti i consigli, ad esempio se qualcuno mi chiede di farla un po' più simpatica, divertente, ecc... annuncio da subito che se questa ff non riscuoterà molto successo... dopo un po' di capitoli la elimino... non servirebbe a niente continuare. un bacione a tutti e buona lettura!!

 

Per chi preferisce parlarmi in privato il mio contatto msn è: vampire_swan@hotmail.it

 

Un grazie immenso all'aiuto e alla collaborazione di _bellaswan_cullen!^-^ so sempre di poter contare su dite!! Leggete le sue ff! sono molto carineeee!!!!!!!

 

Capitolo 1: A prima vista

 

Io e mia madre Renèe stavamo viaggiando verso Forks. In macchina la musica a tutto volume e io che cantavo a squarciagola con i finestrini del tutto abbassati e il vento tra i capelli. Finalmente me ne andavo da quella città troppo soleggiata e afosa. Esatto: odio tutto ciò che ha a che fare con il sole, la luce, il caldo. Preferivo di gran lunga il freddo, il cielo scuro e nuvoloso, la pioggia, e meglio ancora il temporale. Lo adoro da quando sono bambina, e avevo il privilegio di godermelo soltanto quando andavo a trovare Charlie d’estate, il che non avviene da un paio di anni. Infatti era Charlie ora a venirci a trovare. Ho deciso di lasciare libera mia madre con Phil, in modo che potessero viaggiare insieme senza me tra i piedi, per trasferirmi nella mia adorata Forks per un po’ di tempo. Mia madre spense la radio.
“Ti mancherò almeno un po’?” mi chiese, già sapendo che andavo con il presupposto che mi sarei divertita e rilassata.
“Ma certo. Il fatto che mi vada a divertire non significa che non penserò a te. Ci sentiremo spesso, promesso” la rincuorai. Arrivammo all’aeroporto. Mia mamma parcheggiò e mi aiutò a tirare fuori i bagagli. Ovviamente mi ero portata praticamente tutta la roba che c’era in camera mia a Phoenix. Mi aiutò a portarli e infine con gli occhi gonfi di lacrime mi salutò con un abbraccio da serpente stritolatore.
“Mi mancherai immensamente!” mi disse.
“Anche tu.  Stai tranquilla, ogni volta che sentirai la mia mancanza potrai chiamarmi o mandarmi e-mail. Ti racconterò tutto quello che mi succederà. Sarai sempre aggiornata”.
“Potrai tornare quando vorrai. Se per caso non ti trovassi bene io e Phil verremo a prenderti!”.
“ Ma che dici, io amo Forks, lo sai. Dai adesso è meglio che vada. Ti chiamo appena arrivo a Seattle. Ciao mamma. Ti voglio bene”.
“Anche io. Salutami Charlie!”. Un ultimo abbraccio e andai. Da Phoenix a Seattle ci vogliono quattro ore. Arrivata a Seattle prenderò un piccolo aereo per arrivare a Port Angeles, il che vuol dire un'altra ora. Aggiungendone una di auto da Port Angeles a Forks. Passai il tempo in aereo a leggere. Avevo una passione innata per la lettura da quando ero piccola. Non amo lo sport, e infatti sono completamente negata nelle attività sportive. Leggevo di tutto, ma i miei preferiti erano le storie sui vampiri, le streghe, i licantropi, e fantasmi. Amavo quel genere di cose, infatti le mie amiche della scuola di Phoenix mi definivano “tenebrosa e oscura”. Che assurdità. In compenso condividevo queste mie passioni con la mia migliore amica e compagna di banco, Martina. In particolar modo mi affascinano soprattutto i vampiri. I miei occhi sono verde chiaro su una tonalità che si avvicina molto al giallo, la carnagione chiarissima: forse per la mia anemia. I miei capelli naturali sono castano chiaro con riflessi dorati, ma me li sono tinta e ora sono color mogano. Nel mio guardaroba, il colore che prevale è il nero. Non amo molto i colori forti e vivaci. Molte persone dicono che potrei davvero passare per una vampira. Per quanto amassi quei miti, sapevo benissimo che non esistevano né loro, né le streghe, né i licantropi e ben che meno i fantasmi. Finalmente arrivai. Non mi accorsi quasi per niente del viaggio e delle quattro ore passate a leggere. Appena scesa mi catapultai immediatamente sull’altro aereo che mi portava a Port Angeles. Se quello di prima lo avevo retto senza rendermene conto questo mi sembrò durare non più di cinque minuti. A Port Angeles riconobbi immediatamente l’auto della polizia di Charlie. Mi venne incontro per aiutarmi con le valige.
“Piccola mia! Vieni ad abbracciarmi!” strano. Anzi stranissimo, Charlie non era mai stato così affettuoso, è molto timido. Devo essergli mancata proprio tanto. Questo mi rese sorpresa e felice. Lo abbracciai e lo baciai sulla guancia.
“Ciao papà! Allora, come stai? È bello rivederti”.
“Bene. E tu? Hai viaggiato bene?”.
“Benissimo, il tempo è volato così in fretta da non lasciarmi il tempo di ammirare il panorama”.
“D’accordo, sbrighiamoci che sento che sta per arrivare un bel diluvio”.
“Fantastico! Che accoglienza!” dissi felice. La pioggia mi rilassava. Lo aiutai a caricare i bagagli e mi infilai in macchina al posto del passeggero. Charlie si mise al posto di guida e mise in moto.
“ Non capirò mai questo tuo entusiasmo per la pioggia” borbottò. Il viaggio lo passammo per la maggior parte in silenzio. Non erano molte le cose da dire.
“Ah, dimenticavo. Ti saluta la mamma”.
“Oh, certo. La chiamerò più tardi per avvisarla del tuo arrivo e che sei sana e salva. Prima che le venga un attacco cardiaco”.
“Già, sarà meglio” sghignazzai di fronte alla realtà. Se non l’avessi chiamata probabilmente si sarebbe preoccupata fino a scoppiare. A metà viaggio mi addormentai a causa della pioggia che piano piano mi fece assopire. Appena fummo arrivati, notai con piacere che la piccola casetta non era affatto cambiata.
“Ho trovato una buona macchina per te, un affarone” una macchina? Fico…
“Che genere di macchina?”.
“È un pick-up. Un Chevy per l’esattezza”.
“Dove l’hai trovato?”.
“Ti ricordi Billy Black, quello che sta a La Push?”. Quella microscopica riserva indiana sulla costa…
“Non molto, sinceramente”.
“Veniva con noi a pescare, d’estate”, mi suggerì.
“No, non ricordo…”.
“Ora è sulla sedia a rotelle, e non è più in grado di guidare, quindi mi ha offerto il pick-up a un buon prezzo”.
“È tanto vecchio?”.
“Be’… è del 1984”. Perfetto… ma sempre meglio che essere accompagnata a scuola con la macchina della polizia. “Tranquilla, quell’aggeggio va alla grande. Non ti causerà problemi”. Aggeggio… incoraggiante.
“Quanto ti è costato?”.
“Diciamo che è un regalo di benvenuto. L’ho praticamente già comprato”. Quindi non mi sarebbe toccato sborsare niente dai risparmi tenuti per il college.
“Papà, non dovevi, davvero. Me ne sarei comprata una con i soldi messi da parte”.
“Non dire sciocchezze. È solo un regalo”.
“Be’, allora grazie. Entriamo, non vedo l’ora di arredare la mia camera con tutto quello che mi sono portata!”.
“Non sei cambiata, eh?”. Entrai quasi di fretta e salii le scale che portavano alla mia stanza. Era esattamente come la ricordavo. Non aveva toccato niente. La prima cosa che feci fu aprire tende e finestre, per far cambiare l'aria che puzzava di chiuso. Poi poggiai le valige, e svuotai tutto il contenuto sul letto. Iniziai col mettere tutti i vestiti nell’armadio e nei cassettini all’interno. Dopodiché sistemai il mio computer portatile sulla scrivania, insieme ai miei libri, il mio album da disegno e i miei vari astucci. Sì, esatto sono un’artista, amo disegnare. Posai la mia chitarra nell’armadio, e iniziai ad appendere i miei due o tre poster preferiti e il quadro con le foto che mi ricordavano Phoenix. Le cianfrusaglie varie, mp3, trucchi, accessori come orecchini, collane, bracciali, elastici per capelli, li misi senza farci caso nei cassetti del comodino. Quando il letto fu vuoto, mi resi conto che le coperte e le lenzuola erano sporchi e pieni di polvere. Le tolsi e le misi a lavare mettendo quelle che mi ero portata da casa. Erano azzurre e verde acqua con dei fiori. Mi ero portata anche il mio adorato e comodissimo cuscino per fortuna, perché quello che c’era fino a poco fa era piatto e duro come la pietra. Per la coperta mi arrangiai con una che Charlie aveva di scorta. Almeno questa non era sporca e vecchia. Finalmente la mia camera era pronta. Mi sarei sentita subito a mio agio. Ora che era tutto pronto, presi il mio beauty case, l’accappatoio e mi infilai in bagno per una rilassante doccia calda. Mi lasciai andare sotto il getto potente dell’acqua per ben mezz’ora. Poi mi dedicai altri quindici minuti per districarmi i capelli e asciugarli. Un dubbio mi fece sobbalzare. Avevo portato la piastra per capelli? Cercai di ricordare se l’avessi messa a posto… Sì, nel comodino. Finii di asciugarmi i capelli, li stirai velocemente e mi lavai i denti, pronta per una buona e sana lettura a letto. Sulla scrivania c’era anche una lampadina, così la staccai e la attaccai al comodino, dato che dietro c’era una presa elettrica. Mi accasciai sul letto e iniziai a leggere uno dei miei tanti libri, prendendolo a caso. Tanto li avevo già letti tutti. Mi appuntai di dover andare al più presto in una libreria a comprarne qualcuno. Stranamente non riuscii a leggere più di tre pagine, perché fui presa da molti pensieri. Ero agitata per domani che era il primo giorno di scuola. Cercavo di non pensarci ma con scarsi risultati. Sarei stata al centro dell’attenzione di studenti e professori, l’argomento sulla bocca di tutti. Tutti conoscevano la figlia dell’ex moglie fuggitiva dell’Ispettore capo Swan. Mi chiesi se avrei fatto velocemente qualche amicizia, in modo da non girovagare per la scuola da sola. Un piccolo regalo dal cielo per rilassarmi e farmi addormentare: il tanto atteso temporale. Come speravo mi addormentai subito, succube della melodia del cielo.

 

il risveglio non fu molto dolce a causa della mia sveglia troppo rumorosa. L’avrei di sicuro cambiata. Di malavoglia mi alzai e andai a lavarmi. Tornai in camera e mi chiesi se era il caso di truccarsi il primo giorno di scuola. Magari i professori non gradivano, e io non volevo farmi prendere di mira da subito. Optai solo per un filo di matita nera. Fuori era tutto ricoperto dalla nebbia. Una specie di gabbia. La colazione con Charlie fu tranquilla. Mi augurò buona fortuna per il primo giorno di scuola e io mi diressi alla svelta alla mia nuova auto. Se così si poteva chiamare. Era di un rossiccio sbiadito. Pregai che nessuno avesse delle macchine di nuova generazione. Questa era degli anni sessanta. Mi sedetti in macchina poggiando lo zaino sul sedile affianco. L’abitacolo era accogliente e i sedili comodi. Misi in moto e con mio grande spavento fece un rumore assordante. Già avevo paura per quanto avrei attirato l’attenzione di chiunque stesse nei paraggi a scuola. Sì, mi serviva proprio un pick up Chevy per passare inosservata. Accesi la radio per coprire almeno in parte il rumore del motore, e fortunatamente funzionava, cosa che non mi aspettavo. Non fu difficile trovare la scuola, malgrado non ci fossi mai stata. Era poco lontana dall’autostrada, come quasi tutto qui a Forks. Parcheggiai di fronte al primo edificio, fortunatamente senza attirare l’attenzione di nessuno. Per ora. Scesi e mi diressi in segreteria, una stanza molto calda e accogliente. Dietro una scrivania c’era una donna imponente, con i gli occhiali e i capelli rossi. Alzò lo sguardo.
“Posso esserti utile?”.
“Emh… sono Roberta Swan.”, i suoi occhi si accesero. Evidentemente aveva capito chi ero. Mi aspettavano tutti. Ero il pettegolezzo più grande che Forks abbia mai avuto.
“Oh, certo. Solo un attimo”, iniziò a rovistare in un cassetto pieno di fogli e ne estrasse alcuni. “Questo è il tuo orario e qui c’è la pianta della scuola”. Mi mostrò le aule delle mie lezioni e come raggiungerle brevemente. Poi mi diede un modulo da far firmare a tutti gli insegnanti e da riportare in segreteria a fine giornata. La donna mi salutò con un sorriso e mi augurò una buona giornata. Le risposi sorridendole anche io. Tornai al pick up e notai che la scuola si stava affollando. Seguii il traffico e parcheggiai davanti a scuola. Notai con piacere che nessun auto era tanto appariscente. L’unica auto decente e bella era una Volvo che spiccava in mezzo alle altre come fosse una Lamborghini. Spensi il motore e scesi dall’auto prendendo il mio zaino. Mi poggiai con la schiena allo sportello e mi studiai la mappa per capirci qualcosa. La riposi nello zaino, sapevo che con le cartine non ci sapevo fare, nonostante le spiegazioni della segretaria. Era come leggere geroglifico. Iniziai a camminare verso l’entrata. Ero osservata da tutti, manco fossi un alieno intento a distruggere il loro pianeta. Cercai comunque di non farci caso e mi coprii il viso col cappuccio. Sapevo di essere in anticipo ma preferivo aspettare in classe piuttosto che fuori con tutti quei ragazzi. Con sollievo mi accorsi che non davo nell’occhio per la mia carnagione, o i miei vestiti bensì per il semplice fatto che ero la nuova arrivata. L’unica cosa che avevo capito dalla piantina era che dovevo entrare nell’aula 3. Non fu difficile trovarla, era poco lontano dalla mensa. Una volta trovata, mi ci buttai dentro ma era ancora vuota. Non presi posto per paura che fosse già occupato da qualcuno. Quindi mi avvicinai al calorifero sotto la finestra e mi ci appoggiai iniziando a perdere tempo col cellulare. Magari avrei mandato un messaggio alla mia migliore amica. Gli scrissi: “Ciao Marty. È il mio primo giorno di scuola, sono appena entrata in classe e non c’è nessuno. Sono molto nervosa… spero di farmi qualche amica… tu come te la passi?” .
Il professore entrò e io misi subito a posto il cellulare accertandomi di aver messo il silenzioso. Mi avvicinai a lui e gli porsi il modulo da firmare. Mi guardò come uno che casca dalle nuvole.
“Ah, tu devi essere Roberta Swan.”
“Esatto.” cercai di sorridergli ma non mi riuscii molto bene quando notai che era pelato. Odio gli uomini calvi. Hanno un non so’ che di… inquietante. Di certo non mi sarebbe andato a genio. Firmò il foglio e me lo restituì. Iniziarono ad entrare altri alunni e il professore mi indicò un posto in fondo, tra le ultime file. L’aula era piuttosto piccola. Per fortuna ero vicino alla finestra. Appoggiai la giacca sulla sedia e lo zaino per terra a fianco a me e tirai fuori un quaderno degli appunti. Mr Mason venne verso di me e mi porse una lista di letture, tra cui Shakespeare, Faulkner, Chaucer e Brontë, che avevo già fatto. Arrivata a casa avrei chiamato Renèe per dirle di spedirmi i miei vecchi temi e ricerche con la scusa che mi sarebbero serviti a studiare meglio. Se le avessi detto che li avrei riutilizzati per nuovi compiti, di sicuro non avrebbe accettato. Il professore iniziò la lezione. Non prestai molta attenzione, di solito il primo giorno di scuola non iniziano mai nuove lezioni, più che altro stava parlando del programma di studi che avremmo seguito durante tutto l’anno. Quindi mi lasciai andare e iniziai a scarabocchiare sul quaderno. Ne venne fuori un vero capolavoro: senza rendermene conto avevo realizzato un disegno astratto raffigurante un viso con tanti fiori attorno. Lo appenderò in camera mia. Quando la campana suonò, un ragazzo allampanato e dai capelli neri si avvicinò per parlarmi.
“Tu sei Roberta Swan, vero?” aveva l’aria da secchione, ma sembrava simpatico.
“Sì, ma mi faccio chiamare Babi. Il mio nome intero non mi piace” dissi sorridendogli.
“Dov’è la tua prossima lezione?” chiese lui. Controllai sul foglio. “Educazione civica, con Jefferson, edificio 6”. Tutti mi fissavano incuriositi, e non capivo perché. Forse non erano abituati a vedere qualcuno parlare con i secchioni. Beh secchione o no, è stato l’unico ad avere il coraggio a rivolgermi la parola.
“Io sto andando al 4, se vuoi ti mostro la strada…”.
“Emh… certo”.
“Ah, mi chiamo Eric” aggiunse. Gli sorrisi. “Grazie”. Ci infilammo i giubbotti e uscimmo sotto la pioggia. La gente continuava a fissarci e cercava di origliare la conversazione. Ora iniziavano a darmi sui nervi.
“Così, c’è una bella differenza tra qui e Phoenix, eh?” mi chiese.
“Già. Decisamente. Ma preferisco Forks, amo stare qui”.
"Laggiù non credo che piova molto” aggiunse.
“Tre o quattro volte all’anno. Ma io odio il sole e il caldo. La pioggia mi rilassa e in particolar modo i temporali”.
“Interessante. Sono poche le persone con questi gusti. Ma se vivi in una città così assolata, dove si rischia di abbronzarsi anche di notte, come mai tu hai la carnagione così chiara?” chiese incuriosito.
“Mia madre è mezza albina. In più sono anemica, il che vuol dire che ho pochi globuli rossi, che sono quelli che danno un colorito rosa alla pelle”. Mi squadrò con aria apprensiva, e io sospirai. Girammo attorno alla mensa e passammo accanto alla palestra per andare verso l’ala sud della scuola. Eric fu tanto gentile, e mi accompagnò fino all’ingresso dell’aula.
“Be’, buona fortuna”, disse, mentre aprivo la porta. “Magari ci vediamo a qualche altra lezione”, sembrava speranzoso. Apprezzai il suo gesto amichevole e lo salutai con un sorriso, entrando in classe. Il resto della giornata trascorse abbastanza tranquillo. Il professor Verner, insegnante di trigonometria, fu l’unico a farmi presentare alla classe dalla cattedra. Già lo odiavo, e non solo per la figuraccia che mi ha fatto fare –perché sono molto timida di fronte a tante persone- ma anche per la materia che insegnava. Dopo due lezioni già riconoscevo qualcuno. I più coraggiosi si avvicinarono, con la speranza che non mordessi, e si presentavano chiedendomi anche come mi trovassi a Forks. Dissi a tutti la stessa cosa, ovvero che mi trovavo molto meglio qui. Qualcuno ogni tanto, dopo aver verificato che non mordevo, si offriva anche di accompagnarmi a lezione. Se non altro non utilizzai la mappa, e intanto iniziavo a socializzare con chi mi circondava. D'altronde sono una ragazza socievole e mi piace conoscere nuove persone. Una ragazza, dai capelli ricci e piuttosto bassa, si sedette accanto a me sia nell’ora di trigo che in quella di spagnolo. Mi pare si chiamasse Jessica. Una ragazza molto vivace e chiacchierona. Con un po’ di fortuna sarebbe diventata presto mia amica. Stava parlando dei professori e delle lezioni. Cercai di seguire tutto il suo discorso, ma mi fu difficile perché parlava a raffica e gesticolava animatamente. Decisamente vivace. Quanta caffeina assumeva? Arrivammo in mensa e mi fece sedere accanto a lei in un tavolo con dei suoi amici, che mi presentò uno alla volta. Per fortuna non avevo difficoltà a ricordare i nomi delle persone. Dei ragazzi curiosi, ma erano buffi nella loro curiosità. Facevano domande come dei bambini che hanno tanta voglia di imparare e ascoltano gli adulti con un luccichio nello sguardo. In quel momento, vidi per la prima volta quei cinque ragazzi dalla bellezza stupefacente e mozzafiato. Erano seduti nell’angolo più lontano e isolato della mensa. Non parlavano e non mangiavano, benché ognuno di loro avesse di fronte a sé un piatto pieno di cibo. Ogni tanto si scambiavano qualche breve parola, per poi ritornare in silenzio. Erano così strabilianti da invogliarmi a guardarli, e attiravano la mia attenzione isolandomi da tutto il resto che mi circondava. Non si assomigliavano affatto. Ma la loro bellezza li accomunava tutti e cinque. Uno dei tre ragazzi era molto muscoloso e grosso, con i capelli neri e corti. Un altro era alto e magro, meno muscoloso dell’altro e con i capelli biondo miele. Il terzo –probabilmente il più giovane- era smilzo, meno robusto, con i capelli ramati e spettinati. Le ragazze erano sedute di fronte a loro. Una era slanciata e magra, statuaria, una bellezza da far invidia alle modelle o a chiunque altro. Aveva i capelli dorati, lunghi e leggermente ondulati ma comunque lisci. L’altra dava tanto l’idea di una specie di folletto. Molto minuta e aggraziata nei lineamenti del viso, l’espressione e il modo in cui si muoveva. Leggermente bassina, con capelli neri corvini, corti e sbarazzini. Oltre la bellezza molte altre cose li rendevano tutti somiglianti. La pelle pallida e candida e delle leggere occhiaie, che non sfiguravano minimamente il loro bel viso. Notai che tutti avevano i capelli di un colore ben diverso e gli occhi scuri. Non avevo mai visto una tale bellezza, non riuscivo a distogliere lo sguardo, in quanto era devastante e inumana. Mi chiesi se degli angeli potessero essere tanto belli. Si facevano competenza anche tra loro. Era difficile decidere chi fosse il più bello: forse la ragazza bionda e perfetta, o il ragazzo con i capelli bronzo-ramati. Sembravano distratti e non badavano a nessuno.
“Chi sono quelli?” chiesi alla ragazza che condivideva con me la lezione di trigonometria. Alzò lo sguardo per capire di chi stessi parlando. Il ragazzo più giovane ci fissò per un breve istante. Forse si era accorto che parlavamo di loro. Distolsimo tutti e due lo sguardo. Sentii le guance bruciare e probabilmente erano diventate fucsia.
“Sono Edward ed Emmett Cullen, assieme a Rosalie e Jasper Hale. Quella che se n’è appena andata è Alice Cullen; vivono tutti assieme con il dottor Cullen e sua moglie”, disse, con un filo di voce. Aveva l’aria di una che era portata per i pettegolezzi e sembrava conoscere tutto di tutti. Mi rigirai per controllare se quel ragazzo stava ancora guardando verso di noi, morivo dalla voglia. Stava guardando il proprio vassoio, senza toccare cibo, a parte per sbriciolare una ciambella. Muoveva la bocca piano e velocissimo, ero sicura che con quei movimenti impercettibili stesse parlando con gli altri. Mi piacevano i loro nomi, erano strani e poco diffusi. Molto originali.
“ Sono davvero belli. E strani… hanno un non so che di inquietante”. Dissi a Jessica.
“Già! Però stanno assieme. Voglio dire Emmett e Rosalie, e Jasper e Alice. E vivono assieme” mi fece notare. Sembrava alquanto indignata.
“Quali sono i Cullen? Non sembrano parenti” le dissi.
“Sono stati tutti adottati. Ma Jasper e Rosalie, i due biondi, sono gemelli e sono in affidamento. Quello più muscoloso è Emmett, quella bassa e con i capelli neri è Alice e infine quello con i capelli rossicci è Edward”.
“Immagino che vivano ancora con i genitori perché ci sono molto affezionati. È un bel gesto prendersi cura di loro nonostante siano giovani e tutto il resto”.
“Già” ammise Jessica, “comunque penso che la signora Cullen non possa avere figli”.
Non riuscivo a smettere di lanciare occhiate al loro tavolo di tanto in tanto. Loro continuavano a farsi gli affari loro senza toccare cibo. Mi girai di nuovo e questa volta incrociai lo sguardo del ragazzo dai capelli di bronzo. Era stranamente incuriosito e quando mi rivoltai di scatto continuando a guardarlo con la coda dell’occhio aveva un’espressione delusa.
“Quello lì… Edward, mi sta ancora guardando?” chiesi a Jessica.
“Sì. È davvero uno schianto. Ma non sprecare il tuo tempo. A quanto pare qui non ci sono ragazze abbastanza carine per lui” disse con disprezzo. Quella sua frase fece scattare qualcosa in me, come una bomba. Certo, come bellezza non potevo competere con Jessica o tante altre ragazze, ma non penso affatto che un ragazzo guardi solo la bellezza. Forse solo quelli più stupidi e superficiali. Secondo me ha detto che nessuna è abbastanza carina per lui per il semplice fatto che tutte si sono fatte intimorire dalla sua bellezza, e nessuna ha avuto il coraggio di andare a parlargli o fare amicizia con lui per paura di un disinteresse da parte sua. Per questo credono che nessuna è alla sua altezza. Certo, magari le ragazze non erano la sua prima priorità. Ma giudicarlo così su due piedi non mi sembrava giusto.
“Ci hai mai parlato?” le chiesi.
“Be’, no. Tu avresti il coraggio di andare a parlare con un ragazzo del genere?”. Come pensavo, non ci aveva neanche parlato. Non conosceva niente di lui se non chi erano i suoi fratelli e con chi vivevano. Ciò voleva dire che mi stavo facendo amica una delle ragazze più pettegole della scuola, e questo no andava bene.
“Perché no? A parte la bellezza su cui si soffermano tutti, a me sembra un ragazzo come tanti altri” risposi. I ragazzi al tavolo in fondo se ne andarono. Tutti si alzarono dal tavolo con una grazia inaudita. Rimasi ancora un po’ a chiacchierare con le persone al mio tavolo. Angela, aveva Biologia con me, quindi ci alzammo e ci dirigemmo verso l’aula. Sembrava piuttosto timida. Cercai di rompere il ghiaccio in qualche modo.
“Ehi, sai per caso dove posso trovare una buona libreria qui a Forks?” le chiesi.
“Emh… mi pare che ce ne sia una veramente buona a Port Angeles. Qui a Forks non c’è granché. Se devi fare shopping e compere di vario genere ti conviene sempre Port Angeles o Seattle”.
“Oh, be’ allora andrò a farci un salto in questa settimana credo. Grazie” le dissi, e le mi rispose con un sorriso. Nonostante non parlasse quasi mai, a differenza di Jessica, mi sembrava molto più simpatica di lei. Sotto sotto ci deve essere una bella personalità. Di solito sono brava a spronare i timidi. Entrammo in classe e Angela andò a sedersi accanto al suo compagno di lavoro per gli esperimenti. La prima cosa che notai era l’unico posto vuoto accanto al bellissimo ragazzo che avevo visto in mensa: Edward Cullen. Mi avvicinai al professore, mi presentai e gli feci firmare il modulo, mi diede un libro e andai a sedermi. Cercavo di non guardare Edward dritto negli occhi per vergogna, come se avessi fatto la più brutta delle figuracce. Quando mi avvicinai lo vidi irrigidirsi come per trattenersi dal fare qualcosa. Il suo sguardo era furioso, ostile. Mi chiesi perché mi guardava in quel modo, sembrava che ce l’avesse a morte con me. Cercai di non guardarlo e mi sedetti. Mi accorsi del colore dei suoi occhi: neri come la pece. Una volta seduta, lui si allontanò all’estremo del banco seduto sulla punta della sedia, il più lontano possibile, e teneva una mano tra la bocca e il naso, come per coprirsi da una tremenda puzza. Cercai di non badarlo per un po’ e lui cercava di allontanarsi ancora di più rischiando anche di cadere dalla sedia. Adesso basta, mi sono stufata.
“Professor Banner?” chiesi con paura che si arrabbiasse per l’interruzione.
“Sì?”.
“Potrei uscire un attimo dall’aula? Non mi sento molto bene”.
“Certo”. Uscii e andai dritta in bagno. Mi annusai i capelli, i vestiti, l’alito, perfino le ascelle! Non puzzavo affatto! Perché si comportava così? Al diavolo le buone maniere e il primo giorno di scuola! Appena finita la lezione gliene avrei dette quattro a quel Cullen! Tornai in classe dopo dieci minuti.
“Si sente meglio signorina Swan?” mi chiese il professore.
“Benissimo. avevo solo bisogno di una boccata d’aria”. E probabilmente ne aveva bisogno anche quell’Edward. Tornai a posto senza degnarlo neanche di un minimo sguardo e poggiai la testa sulla mano col gomito sul banco lasciando cadere i capelli davanti al viso in modo che non mi potesse più trafiggere con quello sguardo. Iniziai a prendere appunti sul mio quaderno nonostante la lezione parlasse di un argomento che già sapevo alla perfezione, ma era solo per tenermi distratta. Cercai di mostrarmi dura e ostile quanto lui. Mi concessi di guardarlo solo due o tre volte durante tutta la lezione. Non si rilassò neanche un attimo, era rigido e teneva i pugni stretti sulle gambe. Era tanto teso che i tendini del polso fuoriuscivano tanto stringeva il pugno. La lezione sembrava non finire più. Desideravo con tutte le mie forze poter uscire da quell’aula e allontanarmi da quel tizio seduto accanto a me. O meglio… seduto lontano da me. Si comportava sempre così? E io che pensavo che fossi io quella strana. Gli feci un favore: visto che voleva stare tanto lontano da me e lo dimostrava senza vergogna, mi allontanai anche io nel lato opposto. Sull’orlo della sedia, esattamente come lui. Ora capivo perché Jessica non ci avesse mai parlato. Come si fa a parlare con uno che sembra che vuole ucciderti con lo sguardo? La campanella finalmente squillò e il mio compagno di banco si alzò velocemente e se ne andò come e non vedesse l’ora di andarsene per non avermi più vicino. Vicino per modo di dire. Restai pietrificata dal suo comportamento assurdo e cattivo. E non ho avuto neanche il tempo di parlargli! Tanto ora sapevo che avevamo una lezione in comune e avrei trovato il momento di dirgliene quattro. Un ragazzo carino e con l’aria amichevole si avvicinò a me.
“Sei tu Roberta Swan?” mi chiese. Perché, mi stava cercando?
“Babi” precisai con un sorriso.
“Io sono Mike” mi disse sorridendo anche lui.
“Ah, molto piacere”.
“Serve aiuto a trovare la prossima lezione?” chiese senza smettere di sorridere.
“Devo andare in palestra, non credo di perdermi”.
“Oh, devo andarci anch’io” disse raggiante e entusiasta.
“Bene, allora… andiamo”. Uscimmo dall’aula e ci dirigemmo verso la palestra. Era un ragazzo simpatico, poco timido e chiacchierone. Molto socievole.
“Allora, come ti trovi a Forks? Deve essere dura per te stare lontana dal sole. Posso capirti, io ho vissuto in California fino all’età di dieci anni”. Mi disse.
“No, veramente io odio il sole. Mi trovo molto bene qui e sono in sintonia con la pioggia e i nuvoloni” dissi ridendo.
“Wow. Non l’avrei mai detto”.
“Lo so… sono strana. Ci sono abituata all’idea ormai”, ammisi.
“No, affatto. Non intendevo questo. Non sei strana, sei… diversa. Speciale, ecco”.
“Be’, grazie”. Stavamo ancora chiacchierando quando arrivai davanti alla porta dello spogliatoio femminile.
“Emh… io mi fermo qui. Non credo che tu possa entrare”, gli dissi sghignazzando.
“Ah, giusto. Be’ allora a dopo”. Che carino che era. Gli piacevo senza dubbio.
Mr Clapp mi diede una divisa, ma non me la fece indossare. Per quella lezione restai a guardare le partite di pallavolo. Fu un grande sollievo, io odio le attività sportive. Così sfilai il mio quaderno dallo zaino e iniziai a fare un disegno. Ne venne fuori un ragazzo, seduto sotto un albero, con le ginocchia vicine al petto e con lo sguardo di ghiaccio. Sembrava arrabbiato, frustrato. L’immagine della solitudine. Mi chiesi come mai avessi disegnato una cosa del genere. Lo misi accuratamente dentro una bustina di plastica per non farlo rovinare e lo misi nello zaino. Con le cuffie dell’mp3, riuscii a stento a sentire la campana che suonò. Mi precipitai in segreteria a restituire il modulo firmato da tutti gli insegnanti e… mi bloccai all’istante. Di fronte a me c’era Edward Cullen che parlava con la segretaria. Mi appoggiai al muro con lo sguardo fisso sul pavimento aspettando che finissero di parlare, e cercai di non origliare ciò di cui stavano parlando perché sapevo che era maleducazione, ma non ne fui capace. Stava chiedendo se poteva spostare l’ora di Biologia con un’altra qualsiasi. Non ci posso credere. Non potevo essere io la causa. Cosa avevo fatto? Per quale motivo era tanto furioso? Si voltò e mi fulmino con lo sguardo. Si rivolse di nuovo alla segretaria.
“Non fa niente, mi rendo conto ch è impossibile. Molte grazie lo stesso”, girò i tacchi e scappò via. Mi avvicinai quasi intimorita e posai il foglio sulla sua scrivania.
“Come è andato il primo giorno, cara?” mi chiese gentile.
“Magnificamente” dissi sarcastica. Tornai al pick up e misi subito in moto. Non vedevo l’ora di tornare a casa a rilassarmi e prendere a pugni il cuscino con tutta la forza che avevo immaginando che fosse la faccia di Cullen.

 

 

 

Edward: Grrr…
Babi: Ma che ti ho fatto? ç___ç *sigh*
Edward: GRRR!!!
Babi: Senti, vaffanculo. Ecco. -.- ’
Edward: *si trattiene dall’istinto di ucciderla nel peggiore dei modi*
Babi: Senti carino! Se hai un problema con me dimmelo così risolviamo. Tzè…
Edward: *gli tira un broccolo in testa*
Babi: *ahio* Ehi! Non è per niente carino! Maleducato! RECENSITEEE!!! ^_^’
Tutti e due: *si azzuffano e  si tirano i capelli*                     

Leggete anche l'altra mia ff!! "Da Oggi Cambia Tutto" ^^ baciii

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Capitolo 3
*** Libro aperto ***


♥ Ciao!! Mi scuso per il terribile ritardo, ma sono partita per tre giorni a Torino ^-^' ho cercato di rendere il capitolo un po' più divertente e interessante. Spero proprio che vi piaccia! Fatemi sapere se avete apprezzato il cambiamento. ;)
Bene, non so che dirvi, grazie mille per le recensioni e per chi mi segue emi ha aggiunto ai preferiti. Ora basta non vi voglio scocciare, BUONA LETTURAAA!!! baciii ♥   PS: alla fine del capitolo, le risposte alle recensioni.  PS2: Alla fine di ogni capitolo inserirò una piccola conversazione tra me e i personaggi della storia, soprattutto Edward. Giusto per divertirvi un po' ^^.

Capitolo 2: Libro aperto

Sapevo cosa dovevo aspettarmi dalla giornata. Mike si sedette accanto a me all’ora di inglese e mi accompagnò all’ora successiva, sotto lo sguardo infastidito di Eric. Poveretto. La gente iniziava a squadrarmi molto meno, e questo era un sollievo. Non facevo altro che pensare come una stupida a quel ragazzo bizzarro… e mi chiedevo ancora come fosse possibile che provasse tanto odio nei miei confronti. Cascasse il mondo, sarei riuscita a parlargli e avrei chiarito il problema. Magari non oggi… quando me la sarei sentita. Sono una ragazza piuttosto determinata, divento timida solo quando ho a che fare con tante persone. Entrando in mensa la prima cosa che controllai fu il tavolo dei Cullen. Erano solo in quattro, Edward non c’era. Sentii un vuoto dentro di me, che piano piano si riempiva d’angoscia. Non poteva essere che non era venuto a causa mia. Avevo davvero fatto qualcosa di male? Ripensai a tutto quello che avevo fatto dal primo istante che sono venuta a scuola. Poteva essere quando, in mensa, parlando con Jessica, ci eravamo voltate verso il suo tavolo e si era accorto che stavamo parlando di lui. Magari aveva colto qualcosa di sbagliato e aveva capito male. Magari avrà pensato che abbiamo detto cattiverie sul suo conto. In tal caso avrei dovuto parlarne con lui e dirgli che aveva capito male, e spiegargli tutta la faccenda. Mia avrebbe mai fatto le sue scuse dopo? Chissà… Intanto, il mio cuscino ieri sera ha subito tanti di quei pugni che ora è veramente malridotto. Ci ho praticamente fatto la lotta… una specie di wrestling. Ero talmente fuori di testa da riuscire anche a parlarci e a sfidarlo. “Dai! Fatti sotto! Cos’è, hai paura?” sono davvero conciata male… “Qual è il tuo problema Cullen? Perché non reagisci! Vigliacco!”, queste sono le cose che gli urlavo contro, finché non entrò Charlie a vedere cos’era successo. Gli spiegai che mi stavo solo allenando… mi inventai la scusa che volevo imparare la boxe. Il mio ultimo colpo di grazia, quando Charlie uscì dalla mia stanza, fu una testata al cuscino e dopo lo lanciai contro la finestra, aggiungendo “così t’impari. Ne hai avute abbastanza?”. Più tardi, quasi mi vergognai a riprenderlo per dormirci, sarebbe stato come farci pace e far finta che non sia successo niente. Ora mi avrebbe odiato, il mio povero cuscino. Di malavoglia lo ripresi, e gli chiesi scusa, poi andai subito a dormire. E ora eccomi qui, in mensa, aspettando di rivedere quella faccia tosta. E lui? NON SI PRESENTA! DOPO TUTTO QUELLO CHE AVEVO FATTO AL MIO CUSCINO! Ma non gliel’avrei fatta passare liscia.

Mi sedetti al tavolo con Jessica, Mike, Angela e altri. Continuavano a chiacchierare, ma non li ascoltai ero persa tra i miei pensieri. Nonostante tutto continuavo a girarmi per controllare se c’era o no. Dopo mezz’ora, con l’ansia che mi usciva dalle orecchie, non era ancora arrivato. Non avevo toccato cibo…
“Ehi Babi, c’è qualcosa che non va? Stai male?” mi chiese Mike.
“No, sto benissimo” mentii  “è che non ho fame. Io vado in classe. Ciao a tutti” sapevo di essere in anticipo ma non mi importava. Sarei rimasta in classe aspettando che arrivasse il professore e tutti gli altri. Posai con calma la mia roba e mi appoggiai sul bordo della finestra a guardare fuori. Almeno mi distraeva un po’. Nei momenti come questo, non c’era niente di meglio che suonare la chitarra. Da quant’è che non la utilizzo? Ok, nuovo impegno: voglio scrivere una canzone. Avrei iniziato appena tornata a casa. Il professore entrò, e io non mi resi conto che la classe si era già riempita. Già sapevo che Edward era assente e non sarebbe venuto. Chissà, magari ha preferito mangiare fuori in cortile e si è fatto spostare l’ora di Biologia. Cercai di non pensarci e di non farci caso, e prestai attenzione alla lezione. Infine, al termine della giornata, scappai dalla palestra e mi ficcai nello spogliatoio femminile e, una volta finito di cambiarmi, aspettai Mike che mi aveva chiesto di fare il pezzo di strada insieme. Lo vidi arrivare.
“Ok, andiamo?” mi chiese gentilmente.
“Sì, andiamo” risposi esausta. Non parlammo granché, probabilmente capì dalla mia faccia che ero stanchissima. Arrivai al pick up e lo salutai con un bacio sulla guancia. Lui ne rimase sorpreso, come se gli avessi dato un bacio appassionato.
“A domani Mike” gli dissi sorridendo. Non vorrei che interpretasse tutto questo come una cotta. Forse stavo esagerando, ma io sono sempre stata abituata così e un bacio sulla guancia si dà tra amici. Chissà cosa aveva in mente lui.
“Sì.. a domani” balbettò mentre iniziavo a salire in macchina. Arrivata a casa, sapevo che avrei dovuto cucinare io perché Charlie e la cucina non andavano d’accordo. Guardai nel frigo ma era vuoto. Più tardi sarei andata a fare la spesa. Intanto mi diressi in camera mia e accesi il computer. Controllai subito la posta elettronica: doveva esserci per forza una e-mail di mia madre. Infatti, ce n’erano due. Lessi la prima:

Ciao Babi,scrivimi appena arrivi. Raccontami tutto: com’è la scuola, se ti trovi bene, come stai a casa con Charlie, e se ti sei fatta degli amici. Io sto preparando le valige per la Florida. Un saluto anche da Phil.
Baci, mamma.

Nella seconda e-mail, spedita otto ore dopo la prima, si percepiva il nervosismo di Renèe:

Babi, se non rispondi entro le cinque e mezzo di oggi chiamo Charlie.
Mamma.

Mancava più di un’ora, ma risposi subito per farla rilassare.

Mamma, tranquilla, fai un bel respiro. Scusa, mi ero dimenticata di chiamarti dopo il viaggio. Il volo è andato alla grande, mi è sembrato durare pochi minuti. La scuola è molto bella, e piuttosto grande. Mi sono fatta degli amici, tutti molto simpatici. Uno di loro, Mike, credo che si sia preso una cotta per me, ma non è proprio il mio tipo. Una delle ragazze è una chiacchierona ed è vivacissima, non riesco mai a seguire i suoi discorsi tanto parla velocemente. I professori non mi hanno ancora caricato di compiti, ma solo perché sono i primi giorni di scuola. Con papà è tutto a posto, è davvero bravo con me. l’unico problema è che non sa cucinare, quindi di quello abbiamo deciso che me ne occupo io. Salutami Phil. Spero vi troverete bene in Florida. Ti voglio bene, baci.
Babi.

Una volta spedita, feci la lista della spesa, e me la ficcai in tasca. Scesi giù in cucina e scrissi un biglietto a Charlie per avvisarlo che ero uscita a fare la spesa. Poi presi il giubbotto e le chiavi di casa e mi diressi al supermercato. Entrai nel supermercato, non c’erano molte persone. Iniziai con la carne, poi le uova, il latte, e avanti così finché il carrello non si riempì. Caricai le quattro buste di spesa sul pick up e tornai a casa stremata. Charlie sentì il rumore della mia auto e venne fuori per aiutarmi a portare le buste in cucina.
“Lascia Babi. Le svuoto io, devi essere stanca” mi disse.
“No, non ti preoccupare. Ce la faccio, e poi dopo devo cucinare io. Ricordi il patto?”.
“Non se ne parla. Qui ci penso io, vai in camera tua. Quando sarà ora di cucinare ti chiamerò”.
“Va bene. Grazie”, e detto questo salii le scale e andai in camera. Se mi fossi fiondata sul letto, mi sarei addormentata e Charlie non mi avrebbe più svegliata per cucinare. Non sapendo cosa fare, riaccesi il computer e ricontrollai la posta elettronica per vedere se Renèe aveva risposto. C’era solo una e-mail ed era della mia migliore amica.

Ehi, Babi! Scusami se l’altro giorno non ti ho risposto al messaggio, ma non avevo soldi nel cellulare! Allora, devi raccontarmi tutto!! È bella la tua nuova scuola? Hai trovato qualche ragazzo carino?!?! Qui ci si annoia senza di te!! Manca il tuo umorismo, la tua pazzia, la tua vivacità, la tua simpatia, insomma CI MANCHI! Tu te la spassi? Con il tuo carattere devi esserti fatta subito qualche amica! Su, racconta e non tralasciare niente!!
Con affetto, Marty.

Ecco, ora mi toccava scrivere una e-mail lunga come un romanzo. Quando Martina dice “raccontami tutto e non tralasciare niente”, si metteva male. Feci un lungo respiro e iniziai a scrivere.

Ehi, ciao bella! Anche voi mi mancate tanto. Ovviamente mi sono fatta degli amici, ma qui le persone sono totalmente diverse da Phoenix! Sono tutti strani… soprattutto uno. In questi giorni le uniche cose particolari che sono successe sono a causa di un ragazzo che ho visto a scuola. Adesso ti starai di sicuro chiedendo se è figo o no… Be’ sì, lo è. E anche molto. L’ho visto per la prima volta in mensa, il primo giorno di scuola, era in un tavolo lontano con i suoi fratelli. Dovresti vederli: sono tutti divinamente stupendi. Le due ragazze potrebbero fare le modelle e i ragazzi potrebbero fare le pubblicità dei profumi di Giorgio Armani! Una ragazza accanto a me mi disse chi erano e mi spiegò tutto su di loro. Sono stati tutti adottati da un dottore che lavora all’ospedale di Forks e sua moglie. Ogni tanto mi giravo a guardarlo e anche lui guardava curioso verso di me. Dopo la mensa me lo trovai a lezione di Biologia, e l’unico posto libero era accanto a lui. Quando mi sedetti il suo sguardo era ostile, furioso. Si era allontanato da me ed era diventato tutto rigido, sembrava anche che trattenesse il respiro, come se puzzassi! Appena suonò la campanella già non c’era più: era scappato. Successivamente lo rincontrai in segreteria che chiedeva alla segretaria di spostargli l’ora di Biologia, senza successo. Che cosa strana… non ci siamo mai rivolti la parola, eppure sembra che mi odi! Oggi si è assentato, e credo sia a causa mia… ma magari sono io come al solito che mi faccio le paranoie e lui aveva altri motivi per assentarsi. Ora ti saluto, devo andare a preparare da mangiare. Ci sentiamo presto. Ti voglio bene.
Babi.

Charlie non mi aveva ancora chiamato, avevo ancora un po’ di tempo e lo utilizzai per mettere un a posto la camera. Poi a sorpresa mi chiamò Jessica.
“Pronto?”.
“Ehi, Babi, sono Jess. Io e le ragazze stiamo organizzando un’uscita per fare shopping uno di questi giorni. Ci saremo io, Angela e Lauren. Ti piacerebbe venire con noi?”.
“Emh… certo. Devo proprio comprare delle cosucce per arredare meglio la mia stanza”.
“Perfetto! Allora ci vediamo domani a scuola, ciao!”.
“Ciao Jess”e riattaccai.
“Bella? Ora puoi venire a cucinare!” mi urlò Charlie, ma ripensandoci mi era passata la voglia.
“Che ne dici di ordinare una pizza?” proposi mentre scendevo le scale.
“Emh, certo. Come preferisci”. Composi il numero della pizzeria e ordinai due pizze margherite. Arrivarono dopo venti minuti, calde e profumate.
“Allora, ti sei fatta qualche amica a scuola?” mi chiese mentre mangiavamo.
“Be’, sì. Ho conosciuto Jessica Stanley, Mike Newton, Angela Weber e altri di cui non ricordo il nome…”
“Oh, Mike… è un bravo ragazzo, e anche la sua famiglia. E ti trovi bene con loro?”.
“Sì, sono tutti così carini…” con una evidente eccezione…
“Bene. Sono contento”. Riprendemmo a mangiare in silenzio. Appena finii, lavai i piatti e andai in camera mia a vedere se la mia amica aveva risposto alla mia e-mail. No, non aveva ancora risposto. Be’ probabilmente l’avrebbe letta domani. Cercai qualcosa per tenermi impegnata. Ah, giusto, mi ero promessa di suonare la chitarra. La tirai fuori dalla custodia: era tutta impolverata e le corde arrugginite. Non la usavo da molto tempo, sembra vecchia cent’anni. Presi un quaderno di musica e iniziai a strimpellare. Dopo mezz’ora che ci lavoravo, il primo pezzo faceva schifo: probabilmente era l’umore che mi faceva mancare di fantasia. Stracciai il foglio e ricominciai. Stesso risultato. Sbuffando misi a posto la chitarra e il quaderno pentagrammato. Avrei ricominciato domani mattina, forse di umore migliore. Forse dovevo cominciare dal testo e non dallo spartito. Presi un foglio e sdraiandomi sul letto a pancia in giù, iniziai a pensare su cosa scriverlo. La scuola? Nah… non avrei niente da dire. Amori? No, al momento non ne ho. Amicizia? Con delle persone che ho appena conosciuto, non è una grande idea. Famiglia? Assolutamente no. Poi, avrei fatto una canzone Rock o una semplice e dolce melodia? Tutte e due le proposte mi attiravano. Ma tanto c’era tempo, le avrei fatte entrambe. Guardai l’orologio: le 23.34. Levai tutto di mezzo e mi ficcai sotto le coperte, sperando di fare un bel sogno che mi avrebbe rilassato per l’indomani.

Il resto della settimana trascorse tranquillamente, e io mi abituai alla routine delle lezioni, agli amici nuovi, e anche… alle ripetute assenze di Edward Cullen. Cercai di farmene una ragione e anche se non avevo mai visto un ragazzo più bello di lui, mi rassegnai e non ci pensai. Avrà cambiato scuola? O si starà assentando per evitarmi? Ma che senso aveva rovinarsi l’anno scolastico con le assenze per evitare me? Ma sì, chi se ne frega. Era solo un angelo di passaggio per onorarmi della sua bellezza. Niente di più. Mike stava organizzando una gita di lì a due settimane per la spiaggia di La Push, e io accettai volentieri di andarci, mi sarei distratta un po’. Il mio primo fine settimana fu bellissimo. Sabato chiesi ad Angela di venire con me in una libreria per prendere qualche libro. Anche lei comprò qualcosa. Domenica uscii con Jessica, Angela e Lauren e spesi un mucchio di soldi per l’arredamento della mia camera. Se il luogo in cui passo la maggior parte del tempo non è ben arredato, non mi troverei a mio agio. Ho comprato delle tendine rosa quasi trasparenti con sfumature azzurre e lilla, un tappetino tutto peloso e morbido, un piumone azzurro, e infine degli stampini a forma di fiore per decorare i muri con uno spray rosa perlato. Charlie me lo avrebbe permesso di sicuro.

Il lunedì mattina, durante la lezione di inglese, Mike si sedette accanto a me come al solito. Il professore ci rifilò a sorpresa un questionario su Cime Tempestose, per fortuna io lo conoscevo a memoria quel libro. A fine lezione iniziò a nevicare, e tutti iniziarono a schiamazzare e lanciarsi gridolini allegri. Mi piaceva la neve, ma preferivo di gran lunga la pioggia.
“Che bello! Nevica!” dissi a Mike.
“Già! È fantastico!” rispose. Quando uscimmo iniziarono i bombardamenti. Mike ricevette una palla di neve dietro la nuca. Quando ci girammo, Eric stava scappando: segno che era stato lui. Io e Mike iniziammo a fare delle palle di neve e lo rincorremmo per un po’ finché non si arrese e lo colpimmo.
“Bel lavoro”, disse Mike dandomi il cinque.
“Ehi, io vado a lezione, ci vediamo a pranzo” gli dissi. Dopo la lezione di spagnolo, io e Jessica entrammo in mensa. Mike ci raggiunse con i capelli ghiacciati e il sorriso di un bambino che si è divertito un mondo. Mentre facevamo la fila per il pranzo, quasi mi venne un infarto e mi ingozzai con la cicca. La scena fu questa:  io dietro a Mike e Jessica che parlavano, mi giro lentamente verso il tavolo dei Cullen… contandone cinque, in quel momento la mia succosa cicca alla menta mi si infilò in gola cercando di farmi morire, in più mi venne un attacco di panico e sudavo freddo, come se non bastasse tossivo come una pazza piegata in due, il cuore mi batteva a mille e il tutto con Mike e Jessica che cercavano di aiutarmi. Immaginatevi la scena a rallentatore. Avevo attirato l’attenzione di tutta la mensa, che improvvisamente era diventata fin troppo silenziosa. Tutti, persino i Cullen, mi guardavano immobili e con gli occhi sgranati. Quando finalmente mi fui ripresa, ingoiando a forza la cicca, mi guardai attorno e feci un sorrisetto come per chiedere scusa a tutti, anche se in realtà non avevo niente di cui essere perdonata. Piena di vergogna e rossa dai capelli alla punta dei piedi, cercai di coprirmi parte della faccia con i capelli e tenendo lo sguardo basso mi avviai con Jess e Mike al nostro tavolo, cercando con tutte le mie forze di non guardare nemmeno per un secondo Edward. MA COME SI PERMETTE? PRIMA FA L’ARRABBIATO, POI SI ASSENTA E MI FA SENTIRE IN COLPA PER NIENTE, E ORA MI FA QUASI VENIRE UN INFARTO! È TUTTA COLPA SUA!!! Sta diventando la rovina dei miei giorni questo ragazzo, più che angelo di passaggio mi sembra l’angelo della morte, e oggi era venuto per portarmi via dopo che sarei morta strozzata da una cicca. Ma chi si crede di essere? Un giorno lo vedo per la prima volta, e da lì è entrato nella mia vita per distruggermela così, in mille pezzi. Mi sedetti dando le spalle al loro tavolo. Sentivo delle risatine ogni tanto. Spero proprio per i Cullen che non vengano dal loro tavolo, altrimenti sta volta mi avrebbero sentito. Non avevo preso niente da mangiare… tanto mi avevano fatto passare la fame tutti quegli sguardi. Poggiai la testa sulle braccia incrociate sul tavolo, e per un secondo chiusi gli occhi cercando di rilassarmi e dimenticare la mia brutta figura. Non so per quanto tempo restai così, ma fu Jessica a interrompere tutti i miei pensieri.
“Edward Cullen ti sta fissando” disse con un sorrisetto.
“Quindi?” chiesi disinvolta, anche se le mie guance avvampavano.
“Quindi?!?! Babi, forse non ti è chiaro, il ragazzo più figo della scuola ti sta fissando!” mi disse come se fosse indignata dal mio (falso) disinteresse per lui.
“Lascialo guardare, si sta solo rifacendo gli occhi” dissi scherzando e riappoggiando la testa sul tavolo.
“Sei davvero strana” disse ridacchiando.
“Lo so”. Dopo altri cinque minuti mi resi conto della cosa più ovvia che mi era sfuggita. L’ora dopo avevo Biologia, e non ero del tutto certa che Edward fosse riuscito a convincere la signorina Cope per farsela spostare. Di colpo mi alzai.
“Emh, ragazzi, io vado in classe. Ci vediamo più tardi, ciao!” e scappai in bagno. Mi aggiustai il trucco, i capelli e mi riempii di profumo. Sta volta non avrebbe avuto nessun motivo per comportarsi in quel modo. La campanella suonò e io mi precipitai in classe. Più della metà degli studenti della mia classe erano arrivati, compreso Edward. Purtroppo i posto erano fissi e non si potevano cambiare. Dovetti sedermi per forza accanto a lui. Mi avvicinai convinta e disinvolta, poggiando lo zaino per terra vicino al banco e sedendomi senza degnarlo di uno sguardo. Al contrario, lui continuava a fissarmi curioso. Mi girai verso di lui.
“C’è qualcosa che non va?” chiesi.
“No, nulla” rispose una voce melodiosa e sorpresa.
“Bene, allora dovresti smetterla di guardarmi. Mette a disagio, e non è per niente educato” dissi mantenendo un tono tranquillo e gentile. A sua risposta, sentii una leggera risata suadente.
“Mi dispiace, non volevo metterti a disagio. Comunque, piacere, mi chiamo Edward Cullen” disse con un sorriso sghembo da far perdere la testa a chiunque. Occhi ipnotizzatori, labbra tentatrici, profumo inebriante, voce incantatrice… mescolate il tutto, e otterrete un affascinante e attraente ragazzo di nome Edward Cullen. Stavo per perdere i sensi, me lo sentivo. Ma che potere aveva? Mi aveva mandato il cervello in tilt.
“Piacere, Roberta. Ma chiamami Babi” perché ogni cosa che dicevo mi suonava stupida? Mi sentivo una perfetta cretina. Voltai lentamente lo sguardo per guardare il professore.
“Babi…” disse pensieroso, “ti chiedo scusa se la volta precedente non ho avuto occasione di presentarmi. Mi sono sentito… male” confessò.
“Oh, non preoccuparti. Nessun problema” dissi tirando fuori un timido sorriso.
“Be’, sono stato scortese. Cercherò di comportarmi bene e di non… fissarti” disse sghignazzando. Restai confusa, disorientata. Risposi con un semplice “d’accordo…”, dopodiché prestammo entrambi attenzione alla lezione. Questa volta fui io quella testa e coni nervi a fior di pelle. Mi sentivo agitata accanto a lui. Fin troppo direi, mi tremavano le mani… e quando prendevo appunti, non era d’aiuto. Lui ogni tanto buttava l’occhio verso di me e si faceva scappare qualche risatina. Iniziavo a sudare freddo, è strano che mi comporti così, a Phoenix avevo tanti amici maschi e buoni rapporti con loro, non mi sono mai agitata di fronte a un ragazzo, anche se bellissimo. Di cosa avevo paura? Di sfigurare davanti a lui? Il fatto che lui è bello come un Dio mi aveva già fatta a pezzi. Dovevamo separare ed etichettare dei vetrini contenenti epitelio di cipolla in base alla fase di mitosi, senza libri. Il professore diede ordine di iniziare. Avevamo solo venti minuti.
“Prima le donne, collega?” il suo sorriso mi catturò.
“Emh… certo” misi il vetrino nel microscopio e misi a fuoco. “Profase” dichiarai. Glielo passai per fargli vedere anche a lui.
“Profase” concordò. Lo scrivemmo entrambi su foglio nella prima casella. Prese la seconda e ci diede una rapida occhiata.
“Anafase” disse deciso, e lo scrisse nella seconda casella. Presi il microscopio per verificare, ed era giusto. Lo scrissi anche io. Insieme allungammo le mani per prendere il terzo vetrino, e quando la sua pelle mi toccò presi una piccola scossa. Mi scappò un “ahi!” a bassa voce, seguito da una leggera risatina. La sua pelle era fredda come il ghiaccio, come se fino ad adesso l’avesse tenuta nella neve.
“Scusa” mormorò con un sorriso appena accennato.
“Non è niente” risposi tranquilla. Mi porse gentilmente il vetrino e lo presi sorridendogli.
“Interfase. E con questo, abbiamo finito” annunciai. Lo scrisse sul foglio anche lui senza nemmeno guardare. Probabilmente aveva visto che ci sapevo fare e si fidava. Avevamo impiegato un quarto del tempo che ci misero tutti gli altri. Alcuni discutevano, altri spiavano dai libri sotto il banco. Dovevamo aspettare altri quindici minuti che gli altri finissero. Iniziai a scarabocchiare sul mio quaderno.
“Peccato per la neve, eh?” mi chiese Edward come se si sentisse in dovere di parlare con me.
“Già… preferisco i temporali, ma mi sarei accontentata anche di una pioggerellina” dissi accennando un sorriso.
“Non sei un’amante del sole e del caldo?”.
“In realtà no. È uno dei motivi per cui mi sono trasferita qui da Phoenix”.
“E non ti manca la tua vecchia città?”.
“Direi di no. Mi mancano soltanto le mie vecchie amiche, ma me ne farò una ragione” dissi. Ma perché gli stavo confidando tutte queste cose? E come mai mi faceva tutte quelle domande? Lo guardai per un secondo negli occhi. Erano… dorati. Io me li ricordavo neri e cupi. Forse portava le lenti a contatto.
“Che occhi… belli che hai” mi lasciai sfuggire, e d’improvviso arrossii. Lui rise, come se avessi fatto una battuta.
“Grazie” mi disse con un sorriso a trentadue denti. Credetti di stare per svenire.
“Com’è possibile che siano dorati? Hai le lenti a contatto?” gli chiesi. Tanto ormai il danno era fatto, tanto valeva continuare il discorso.
“No, è il mio colore naturale” rispose alzando le spalle. Capii che non dovevo insistere e lasciai perdere. Gli rivolsi un sorriso debole e mi voltai.
“Sembri… triste” mi disse, “a cosa stai pensando?”. Ma che razza di domanda era? Cosa gli importava?
“Non sono triste…” risposi “e non sto pensando a nulla” dissi.
“Ti sto dando fastidio?” chiese con aria dispiaciuta. Forse aveva frainteso le mie parole, non intendevo offenderlo.
“No, affatto. È che a chiunque basta guardarmi un attimo per capire se sono felice, triste, arrabbiata. Sono come un libro aperto, che tutti possono leggere”.
“Per me sei molto difficile da leggere” rispose con una specie di sorriso storto. Meditai sulle sue parole.
“Ah sì?” dissi frustrata. L’unica risposta che sentii da parte sua fu una risata divertita. Il professore iniziò a spiegare delle cose e io prestai attenzione. Non capivo più niente. Questo ragazzo, bizzarro e bellissimo, mi odiava o stava cercando di fare amicizia con me? Dopo tutto se Jessica diceva che i Cullen non avevano amici, ci deve pur essere un motivo. E allora come stava di nuovo arretrando, serrando i pugni e tenendo una mano tra la bocca e il naso, come a tapparli? Magari aveva degli attacchi d’asma e stava solo cercando di rilassarsi… che cosa strana. Appena la campanella suonò, Edward scivolò via dal banco e uscì dall’aula come il lunedì scorso. Rimasi ferma seduta al mio posto con uno sguardo tra lo stupore e il dispiacere. Mike, come un cagnolino fedele venne ad aiutarmi con i libri.
“Oggi Cullen sembrava piuttosto amichevole. La settimana scorsa sembrava l’avessi pugnalato” disse divertito.
“Già. Chissà cosa gli era preso” risposi sospirando. Andammo insieme alla lezione di ginnastica. Nonostante fosse la lezione che odiassi di più, mi sembrò passare in cinque minuti. Continuai a pensare a Edward, ai suoi occhi, ai suoi capelli, ai suoi denti bianchi e perfetti, al suo sorriso. Mentre io, Mike e Jessica stavamo uscendo da scuola, mi tirai senza rendermene conto uno schiaffo disperato. Loro due mi guardarono con gli occhi sgranati e preoccupati.
“Babi… ti senti bene?” chiese Jess.
“Uhm? Ah, sì. Benissimo” risposi “scusate, devo scappare a casa. Ci vediamo domani!” dissi e scappai nel mio pick up al sicuro dagli sguardi che avevano assistito alla patetica scena dello schiaffo. Misi in moto ma in quel momento, vidi Edward di fronte a me appoggiato alla sua macchina qualche metro più in fondo. Accellerai senza staccare gli occhi imbambolati da Edward e ci mancava poco che non mi scontrassi con un’auto. Per fortuna ero riuscita a inchiodare in tempo. Distolsi finalmente lo sguardo da Edward solo quando lo vidi sghignazzare ed entrare in macchina.

 

Edward: *arrossisce*
Babi: che c'è? perchè arrossisci?
Edward: davvero i miei occhi sono belli? *-*
Babi: Ma certo! Sono stupendi!
Edward: *tante coccole!!!*
Babi: Oh, suvvia. Ti ho fatto solo un complimento...
Mike: Ehi! Ma i vampiri non possono arrossire!!
Edward: E tu come fai a sapere che sono un vampiro?!
Babi: SEI UN VAMPIRO?!?!  O_o
Edward: Shì...
Babi: Mordimi!!
Edward: No! Ti maaaangio!! Muahuahauhauhaua

Mike: Emh...recensite... ^_^'

alexia__18: sono contenta che ti piaccia. quasi sicuramente farò quello di new moon... poi se avranno successo andrò avanti. Ma sinceramente non me la sento di fare BD! è lunghissimo xD
Queen Miriam X Cullen: Non hai letto l'intro della storia? x) comunque sì, la storia è basata sul fatto che ci sono io al posto di Bella e molte situazioni cambierebbero un po'. ^^
Per tutti quelli che mi hanno detto che se la aspettavano un po' più comica, ce la sto mettendo tutta >_<


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