Runaway Train di The Corpse Bride (/viewuser.php?uid=16423)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Troublemaker ***
Capitolo 2: *** 1. I've got a life (though it refuses to shine) ***
Capitolo 3: *** 2. Please Don't Let Me Be Misunderstood ***
Capitolo 4: *** 3. Ready Steady Go ***
Capitolo 5: *** 4. Family Portrait ***
Capitolo 6: *** 5. Boom ***
Capitolo 7: *** 6- Hey, Ho, Let's Go ***
Capitolo 8: *** 7. You don't hear my name anymore ***
Capitolo 9: *** 8. Ice Age Coming ***
Capitolo 10: *** 9. Thank You for Loving Me ***
Capitolo 1 *** Prologo - Troublemaker ***
-Chado, alle spalle!
Ichigo strinse i denti e si bloccò di scatto.
Preparò i pugni, pronto a combattere.
-Non preoccuparti, Ichigo Kurosaki; non abbiamo bisogno di colpirti
alle spalle.
Ci fu silenzio per un attimo; Ichigo e Chado si lanciarono
un’occhiata d’intesa.
-Come vedi, siamo una decina. Pensi che uno studente del primo anno
riesca per caso – OUCH!
Ichigo ghignò, mentre, al pugno che aveva steso a terra il
suo avversario, aggiungeva un calcio alla gola che gli
assicurò che i nemici d’ora in avanti sarebbero
stati nove.
-Che accidenti hai fatto, moccioso?! Credi che te la lasceremo passare
solo perché sei un moccio – OUCH!
Chado si ripulì le nocche delle dita, quasi fosse disgustato
di aver toccato quel tizio. Non si poteva esserne certi,
poiché il suo sguardo era sempre celato sotto la frangia, ma
Ichigo riteneva di conoscerlo.
-Questo è troppo! – un terzo si parò
loro davanti – Pensate forse, solo perché avete
preso di sorpresa due dei nostri compagni – OUCH!
Il tizio si chinò a terra, stringendosi lo stomaco che
Ichigo aveva appena colpito. Si complimentò con se stesso
per la propria velocità.
-Adesso puoi star certo che ti facciamo il culo! Non ci siamo
dimenticati del nostro ultimo incontro, Ichigo Kurosaki! – un
quarto gli si avventò contro – e adesso siamo
ancora più incazzati di prima! Questa volta – OUCH!
A questo era bastato un calcio tra gli occhi. Ma era colpa sua: gli si
era gettato contro lasciando buchi in tutta la guardia.
-Questo stronzo…! E va bene, allora ti verremo incontro
tutti assieme!
Ichigo si spartì con Chado i sei rimanenti; tre ciascuno.
-Ti spacco tutti i denti, così ti levo dalla faccia quello
stupido sorri – OUCH!
-Piccolo bastardo, non pensare di passarla li – OUCH!
-Sei un moccioso insolente! Adesso ti insegno io cosa vuol –
OUCH!
Quand’ebbe finito con loro, diede un’occhiata a
Chado, che era ancora nel bel mezzo, ma a buon punto. Per lui era stato
un po’ più complicato, perché aveva
preferito immobilizzarli tutti e tre contro la parete prima di
sbatterceli contro, ma Ichigo dovette ammettere che farli gridare in
coro, ammassati contro il muro, era stato molto artistico da parte di
Chado. Coreografico, quasi.
-Ti spaccherò il cu – OUCH!
-Solo perché sei grande e grosso, non – OUCH!
-Non penserai di cavartela così bene anche con me. No,
fermo. Ehi! OUCH!
Batté una mano sulla spalla di Chado. Poi si rivolse a
quello che sembrava il loro capo, che lo stava fissando, ansimante e
fumante di rabbia. Alzò le mani.
-Non guardare me, è tutta colpa vostra. Sai qual
è la differenza fra noi due e voi dieci idioti?
L’altro digrignò i denti, incapace di prender
fiato per parlare.
-Nel tempo che voi usate per parlare e tirarvela da pezzi grossi, io e
il mio amico Chad passiamo all’azione. Tutto qui.
Lo salutò con un cenno della mano e si incamminò
con Chad verso la scuola.
-Ehi, Chado, cosa c’è alla prima ora?
-Hm. Matematica, credo.
-Matematica? Che palle. La salterei volentieri, ma se saltiamo le
lezioni inizieranno a farci storie sul serio.
-Mh.
-Dai, muoviamoci. Sta per suonare l’ultima campanella, e non
ho voglia di sentire le sfuriate di quel vecchio rompicoglioni.
-Nemmeno io.
Accelerarono il passo; presero a correre giunti in
prossimità del cancello. Erano arrivati giusti in tempo; il
custode stava per chiudere.
-Ehi, voi due – disse quello – come avete fatto a
conciarvi così di primo mattino?
-Uh?
Ichigo, stupito, guardò Chad, che stava guardando lui
altrettanto spaesato.
-La vostra divisa è impresentabile – la
indicò con un cenno della testa; poi si avvicinò
ai due ragazzi, sistemandosi meglio gli occhiali – e queste
macchie rosse, cosa sono?
-Ah! Queste? Beh, mi sono rovesciato la marmellata di azuki sulla
giacca mentre facevo colazione.
-Marmellata di azuki…? Quella non può essere
della marmellata di azuki. Sembra più… una
consistenza liquida, non saprei dire…
-Senti, vecchio, se ti dico che è marmellata di azuki vuol
dire che è marmellata, ok?
-Oh, certo, certo. Stavo solo dicendo che…
-Credo che dovremmo entrare, se non vogliamo fare tardi –
disse Chado.
Davanti alla sua aria quasi funerea, il custode rimase zitto per un
attimo. Poi si riprese.
-Esatto, proprio così. Entrate, e sbrigatevi, o vi
prenderete una ramanzina.
Ichigo sbuffò e si avviò a passo di marcia; Chado
lo seguì silenzioso, mani in tasca e occhi coperti.
Arrivarono in classe due minuti prima del professore. In quei due
minuti, ricevettero l’accoglienza dei loro amici.
-Fragoliiiino! Ma… ma cosa ti sei fatto, fragolino?! F-fammi
vedere! Non ti avranno mica fatto qualcosa di male, eh?
Lo liquidò dribblandolo.
-Ehilà, Kurosaki.
-Buongiorno, Mizuiro. Per la cronaca – volse un ghigno verso
Keigo – nessuno
è in grado di farmi del male.
Mizuiro sorrise.
-Oh…! Buongiorno, Kurosakikun!
Orihime Inoue sventolava la mano, allegra e felice come sempre, dal suo
banco accanto alla finestra.
-Oss – disse Tatsuki dal banco dietro di lei.
-Oss. Buongiorno, Inoue.
-M-ma come avete fatto a ridurvi così, eh, Chado? Dimmelo
tu, dato che Ichigo per non farmi preoccupare non mi dice mai nulla!
Certo, sono preoccupato, ma ormai ci sono più o meno
abituato, quindi posso sopportarlo! Quindi, Chado? Eh? Dì
qualcosa!
-... qual era la domanda?
-Che cosa vi è successo?!
-Abbiamo…
Tutti rimasero in attesa. Lui sospirò.
-… incontrato dei tizi.
-Aah, voi e la vostra mania di fare i misteriosi! Non dovete cacciarvi
in questi guai! Io… io non dormo la notte pensando che un
giorno potrei non rivedervi a scuola!
-Ehi – Ichigo gli lanciò un’occhiataccia
– la jella portala a qualcun altro.
-Io non sarei tanto preoccupato.
-Ma, Mizuiro…!
-Sono tutti interi, giusto? E Ichigo ha detto che è stato
lui ad averla vinta. Quindi è ok, no?
-Che hai combinato, Ichigo? – Tatsuki alzò un
sopracciglio – Se continui così, dovrai comprarti
una divisa nuova ogni giorno.
-Bah, c’erano questi tizi che ce l’avevano con me
dalla settimana scorsa. Sono venuti per vendicarsi, ma non ci sono
riusciti.
-Ah sì? E… che cos’è
successo la settimana scorsa? – chiese Inoue, con un gran
sorriso.
-Ehm… - lanciò uno sguardo a Chado –
sono cose che una ragazza non dovrebbe sapere.
-Parli di Orihime? Ha. Tu non conosci il potenziale nascosto di questa
ragazza.
-Eh? Che vuoi dire, Tatsuki?
-Lascia stare – sogghignò lei –
piuttosto, non fare il misterioso per darti arie da figo; sicuramente
si tratterà dell’ennesima rissa tra idioti.
-Idioti erano idioti, sicuro. Comunque, ce l’avevano con me
perché, la settimana ancora prima, avevo fatto nero un
membro del loro gruppo.
-E questo perché…?
-Perché senza nemmeno conoscermi mi aveva tirato per i
capelli e trascinato a terra, e poi mi ha detto che se uno va in giro
con dei capelli del genere, significa che sta cercando la
rissa. – Alzò le spalle. – Che
altro dovevo fare?
-Certo, ok, sono dei veri bastardi, però, fragolino, se
continui così non finirai mai di litigare.
-Innanzitutto, piantala con quel nome o ti riduco come quei tizi
là fuori.
-Ok, ok! Perdonami!
-Comunque, che ci devo fare? Mi cercano. E se qualcuno mi cerca, io lo
accolgo. Non mi tiro certo indietro.
-Se qualcuno ti cerca, tu lo accogli, Kurosakikun? – Inoue
aveva una strana espressione. – Davvero è
così…?
-Certo che sì. Lo prendo e lo pesto finché non
rimpiange di essere nato.
-Oh..! Intendevi, in questo
senso.
-Chiaro. Per cos’altro dovrebbe cercarmi la gente?
-Eh, già! Cos’altro? Eh eh!
Il professore entrò in classe; tutti si alzarono in piedi, e
lui li squadrò tutti da capo a piedi. Il suo sguardo si
fermò su Ichigo.
-Kurosaki.
-Sì?
-Si può sapere che accidenti è successo alla tua
divisa?
-Oh; sa, stavo facendo colazione quando improvvisamente della
marmellata di azuki si è…
-Anche tu, Sado. Anche stamattina? Dite un po’; quanto dista
casa vostra dalla scuola?
-Uhm; direi un quarto d’ora – disse Ichigo.
-Più o meno lo stesso.
-Possibile che in quindici minuti siate in grado di trovare con chi
fare a botte, e di prendervi a botte fino a distruggere la
divisa…?
-Via, non è distrutta. È giusto un po’
sporca.
-Che fai, prendi in giro i professori?!
-No. È solo che credo che questo infici le mie prestazioni
scolastiche. In altri termini: a lei che importa?
Sentì il sospiro esasperato di Tatsuki e il suono della sua
testa che sbatteva contro il banco.
-Come ti permetti di rispondere indietro a un insegnante?! Dovrei
rimandarvi a casa, con la divisa conciata in quel modo. Non capisco
perché nessuno abbia ancora pensato di espellervi. Solo
perché avete dei buoni voti, non significa che siate un buon
investimento per quest’istituto!
Ichigo alzò gli occhi al cielo mentre il professore si
girava verso la lavagna. Le solite.
Mentre spostava lo sguardo dal professore alla finestra,
notò che Keigo stava facendo dei gestacci in direzione dela
cattedra. Quando si accorse che Ichigo lo stava guardando, gli fece
l’occhiolino e alzò il pollice.
Ichigo sogghignò davanti a quella dimostrazione di
solidarietà.
-Asano! – il professore batté le mani sulla
cattedra. – Che accidenti stai facendo, razza
di…?! Fuori con il secchio in testa!
Adesso tutta la classe sogghignava.
-Almeno potresti ringraziarmi, Ichigo…! Eh?! Mi sono fatto
immolare per la tua causa!
-Fatti tuoi, no? Mica te l’ho chiesto io. Poi, ti sembra il
modo di immolarsi, alzare il medio a un professore? Io lo chiamo essere
scemi.
Gli batté una pacca sulla spalla, che quasi lo
buttò a terra.
-Ichigo, non è che magari vi aspettano fuori da scuola per
la rivincita? – disse Mizuiro.
-Se hanno ancora voglia di prenderle, io sono qui. E anche Chad
è qui. Vero?
-Oggi ho un impegno.
-Eh? Impegno? E che roba sarebbe?
-Un corso di pugilato.
-Toh; alla fine ti sei iscritto? Magari parteciperai a qualche gara
importante. Se avessi scelto il karate, potresti combattere con Tatsuki.
-Tatsuki cosa? – l’interessata gli mise una mano
sulla spalla, bloccandolo – Non parlare di me quando non sono
presente.
-Che palle, dicevo solo che se Chado facesse karate potreste diventare
avversari.
-Non mi sento il tipo da karate.
-Dici? In effetti, credo non avresti la pazienza per fare karate. Io ci
stavo dietro a malapena
-A proposito, Ichigo, perché cavolo hai mollato il corso, si
può sapere? Alle medie eri diventato quasi bravo.
-Stai scherzando? Io ero bravo,
sei tu che non sei normale!
-Ha; se lo fossi non potrei partecipare agli inter-hi, non ti pare?
-Piuttosto, Ichigo – intervenne Mizuiro –
perché non ti iscrivi a un qualche club? O a un corso dopo
la scuola. Non dici sempre che non hai granché da fare?
-Perché mi piace fare le cose a modo mio, e farle per conto
mio. Non riuscirei a stare in una squadra. Prenderei a calci tutti
quelli che mi dicono “fai le cose a questo modo, come lo fai
tu è contro il regolamento!”
-Kurosakikun riesce a fare squadra solo con Sadokun, non è
vero?
Il sorriso di Inoue spuntò da dietro la cartella di Tatsuki.
-Ohi, Inoue, da dove vieni fuori? Comunque, è proprio
così. Chado è la mia squadra, e abbiamo
già abbastanza da fare così.
-Sono in fondo alla strada – disse Chado.
-Già, li avevo visti.
-Ragazzi, serve una mano? Avrei proprio bisogno di sgranchirmi un
po’ – Tatsuki si scrocchiò le dita, con
un ghigno in volto.
-Ehi, guarda che è da un pezzo che so cavarmela senza il tuo
aiuto. Sai cosa? Stai vicino ad Inoue e stai attenta che non si faccia
male.
-La riporto dentro…?
-Nah, non ce n’è bisogno. Continuate
tranquillamente a camminare; ci pensiamo io e Chado.
Ichigo sapeva di avere addosso gli occhi di un intero cortile mentre,
assieme a Chado, apriva per i suoi amici un passaggio a suon di calci e
pugni, scaraventando a metri di distanza i tizi che gli si scagliavano
contro urlanti. Sapeva che tutti lo stavano guardando, pietrificati, e
che, quando si sarebbero ripresi, avrebbero subito iniziato a
chiacchierare.
Ma era per i suoi amici – Keigo, Mizuiro, Tatsuki, Inoue
– che aveva aperto quel varco, e per nessun altro. Quei suoi
amici che continuarono, come niente fosse, a parlare degli inter-hi di
Tatsuki, a ridere della faccia terrorizzata di Keigo, a camminare al
suo fianco senza alcuna esitazione.
Il resto, era come se non ci fosse nemmeno.
Ma non poté fingere che “il resto non ci fosse
nemmeno” a lungo, perché, non appena ebbe finito
di sistemarli, il professor Kagine li rincorse fuori dal cancello,
furibondo e ansimante.
-Si può sapere… si può sapere che
avete combinato?! Sado, Kurosaki! Ancora voi!
-Che palle – borbottò Ichigo, incrociando le
braccia dietro la testa.
-Che hai detto?!
-Non ha detto nulla, professore! Avrà sentito male!
– Inoue si sbracciò, sfoderando il suo migliore
sorriso; ma Ichigo dubitava che sarebbe bastato.
-Beh; non importa che hai detto, non davanti a questo spettacolo!
– indicò una decina di tizi miagolanti, sparsi nei
dintorni faccia a terra. – Non è ammissibile.
L’istituto punisce severamente il…
-Ma non siamo nell’istituto – disse Chado.
Tutti si voltarono verso di lui. Il professore, stupito, tacque per un
attimo.
-Che… che vorresti dire?
Chado indicò il cancello, pochi metri dietro di loro.
-In questo momento, non siamo “a scuola”.
-Quindi, vuoi dire, ciò che avete fatto non riguarda il
corpo docenti, giusto? – esclamò Keigo –
Ma certo! Il regolamento dell’istituto può punire
solo ciò che accade all’interno
dell’istituto.
-Non fa una piega – osservò Tatsuki, mani ai
fianchi.
-Questo è quello che credete voi teppisti. Credete che
l’essere fuori dalle mura scolastiche vi tenga al riparo dai
provvedimenti disciplinari?! La fama che vi fate in giro finisce
comunque col danneggiare la nostra reputazione, e tanto basta per
buttarvi fuori!
-Teppisti? Io e Orihime non c’entriamo nulla –
Tatsuki circondò le spalle di Inoue con un braccio
– le sembra che possiamo essere state noi a fare tutto questo?
-Beh, forse voi non c’entrate, Arisawa. Ma…
-E guardi me! Me, professor Kagine! L-le sembro in grado di fare una
cosa simile?! Ero terrorizzato, non riuscivo a scappare!
-Tu sì che hai principi incrollabili, eh? – Ichigo
alzò un sopracciglio.
-Kojima? Sei responsabile di quanto è successo?
-Io sono appena arrivato. Non saprei.
-Ad ogni modo, voi due, Chado e Kurosaki, avete finito di fare come
volete! Ne parlerò in corpo docenti. Avrete una punizione
esemplare! Altroché! E sappiate che… OUCH!
Un sasso cadde a terra, dopo essere rimbalzato sulla testa del
professore. Quest’ultimo si massaggiò la testa,
strabuzzando gli occhi.
-Chi… chi… chi diavolo…?!
KUROSAKI!
-Calma: non posso essere stato io.
-Sado!
Quello non si sentì nemmeno in dovere di rispondere.
-Professore – disse Mizuiro – erano davanti ai suoi
occhi, se fossero stati loro li avrebbe visti. Probabilmente qualcun
altro la ha in antipatia.
-Tu – Kagine digrignò i denti – tu hai
visto chi è stato, vero?
-No, professore. Ero qui proprio come lei.
-Vedrete, se non riuscirò a farvi espellere! Poco ma sicuro!
– agitò un dito verso Ichigo e Chado –
Capito? State attenti a come vi comportate!
Si allontanò, con le mani strette sulla testa, lungo il
vialetto che portava all’entrata. Lo fissarono
finché non si fu allontanato. Poi Mizuiro prese la parola.
-Davvero, ragazzi: chi è stato?
-Io di sicuro no – piagnucolò Keigo.
-Io e Chado ci stavamo prendendo la ramanzina. Quindi no.
-Non guardate me; io sono una karateka, non faccio questo genere di
cose.
-Beh, io non sono una karateka, quindi ogni tanto me lo posso
permettere!
Inoue fece un gran sorriso, grattandosi la nuca.
Questione conclusa.
-Ehi, avete visto? Inoue ha protetto quel teppista di Kurosaki.
-Proprio lei? Non è che ha una cotta per lui?
-Non è che stanno assieme?
-Con quelle tette che si ritrova lei, l’avranno sicuramente
già fatto.
-Anche se non stanno assieme!
-Kurosaki è figo, l’avrà convinta a
fargliele vedere, in qualche modo.
Questione comunque conclusa.
*
O almeno, così credeva.
No, la questione non era affatto conclusa: lo scoprì il
giorno dopo quando la professoressa Ochi, poco prima che suonasse la
campanella, gli chiese di seguirla dal preside, poiché
questi aveva necessità di parlargli.
Ichigo sbuffò da dietro le spalle della Ochi; se quella
storia era venuta a orecchio del preside, era logico che non se la
sarebbe cavata senza conseguenze. Ma ormai c’era abituato;
gli bastava che non lo sospendessero sul serio.
-Eccolo qua, signor preside! Tutto suo!
Lo spedì con un colpo sulla schiena dritto davanti alla
sedia, che stava di fronte alla scrivania. Il preside
aspettò che si sedesse.
-Buongiorno, Kurosaki.
-Ah… buongiorno.
-Come stai?
-Uh? Beh... direi bene. Ehm… e lei?
Il preside rise.
-Non servono queste formalità. Volevo soltanto chiederti
come stai.
-Bene – alzò le spalle.
-Mi fa piacere che tu mi dica così. Il punto, Kurosaki, che
è il motivo per cui ti abbiamo chiamato…
Che non importa che io
stia bene, se il mio ‘star bene’ provoca dei danni
alle altre persone. Giusto?
-… è che non ci sembra che tu stia poi
così bene come dici. Sbaglio?
-Eh?! – Ichigo sbarrò gli occhi – Che
co…?
Questo era un imprevisto.
Alla ramanzina era più che pronto, ma a questo, dannazione,
no che non era pronto.
E non lo sarebbe mai stato.
-Abbiamo dovuto parlare con tuo padre, ieri pomeriggio.
-Il vecchio? Ma è stato tutto il giorno in ambulatorio.
-L’abbiamo chiamato lì, infatti. Se avessimo
chiamato a casa tua, di sicuro tu non ce l’avresti passato,
giusto?
Giusto.
-Ma no, ve l’avrei passato.
-Ad ogni modo, gli abbiamo comunicato quello che è successo,
e…
-Siete sicuri che abbia capito bene? Non mi ha né preso a
calci, né mandato a letto senza cena,
né…
-Kurosaki: ha capito benissimo. E, alla fine, abbiamo capito anche noi.
Ti manca tua madre, vero…?
Ichigo sentì un pugno trapassargli lo stomaco.
-È così, vero…? È per
questo che tu, assieme a Sado…
Tentò di recuperare un filo di voce; ma il pugno nello
stomaco gliel’aveva strappata via tutta.
-Non… c’entra niente – faticava a
parlare – non… la nomini adesso.
-D’accordo, ti chiedo scusa. Non la nominerò
più. Ma quello che noi e tuo padre crediamo, Kurosaki,
è che tu non abbia bisogno di una punizione. Tu hai bisogno
di un aiuto.
-Aiuto…?
-Vedi; qui a Karakura hanno appena aperto un consultorio, pensato per
la cura delle persone in difficoltà. Donne maltrattate,
bambini in affido, e anche… adolescenti problematici.
Capisci cosa voglio dire? Questo consultorio ha inaugurato un progetto
nuovo; una serie di incontri tra adolescenti per parlare, con la
mediazione di una professionista, dei problemi che li affliggono, e che
normalmente si tengono dentro. Adolescenti come te, Kurosaki.
– Fece una pausa, scrutando la sua reazione. –
Quindi…
-No.
-Ma non hai neanche…
-Scherziamo? Neanche per sogno. Non intendo parlare con degli
sconosciuti dei fatti miei, men che meno con un’
‘esperta’. Esperta di cosa? Di adolescenti? Di
problemi? Non se ne parla.
-Parlane con tuo padre, almeno. E pensaci un po’ per conto
tuo. Ma, soprattutto, vedila come un’alternativa alla
sospensione.
Ichigo puntò gli occhi in quelli del preside, cercando di
capire se fosse serio, stavolta. La sua calma imperturbabile suggeriva
di sì.
-Sempre più insegnanti pensano che tu sia un soggetto di
disturbo, che tu vada espulso. Io e alcuni altri preferiamo pensare
che, se fossi aiutato, allora saresti soltanto… uno dei
nostri studenti migliori.
Ichigo tacque, incapace di replicare.
-Con dei capelli un po’ strani. Ma sono cose a cui si
può passar sopra, non credi, Kurosaki?
Ichigo si alzò, girò i tacchi e se ne
andò senza salutare.
La realtà era che avrebbe soltanto voluto dirgli
“grazie”. Una cosa semplice, di cui erano capaci
tutti; ma non lui.
Ecco,
pensò, il
livello in cui non sono in grado di esprimere ciò che provo.
Che idea idiota, quello di farlo parlare con un gruppo di idioti uguali
a lui.
*
-Tu sapevi tutto, non è vero, dannato?
Erano a cena. Yuzu e Karin masticavano tranquille, guardando la
televisione. Alzarono lo sguardo per seguire la conversazione.
-Mi chiedo come hai fatto a pensare che non venissero a comunicarmelo.
Figlio idiota!
-Che?! E che ne so, io, se tu non me lo dici? Hanno chiamato te, mica
me!
-Fa’ silenzio a tavola! – un pugno in testa fu
schivato per un pelo – Yuzu si è data tanto da
fare per questo okonomiyaki, quindi, se proprio devi riempirti la
bocca, fa’ che sia di okonomiyakii e non di parole inutili.
-D… d’accordo – Ichigo lo
fissò, stupefatto. – OUCH! Vecchio?! –
Il secondo pugno l’aveva raggiunto. – Questo era
gratuito, bastardo!
Più tardi, mentre Yuzu lavava i piatti e Karin guardava la
televisione accanto a lei, Ichigo si avviò verso camera sua.
A un certo punto, gli arrivò un chop dritto in mezzo al
cranio, spedendolo faccia a terra sui gradini.
-Vecchio imbecille! Stai cercando di uccidermi?!
-Ecco cosa si merita un piccolo teppista!
-Levami quel piede puzzolente dalla faccia…! Da chi credi
che abbia imparato a picchiare la gente, eh?!
-Questo è tuuuuutto un altro discorso – suo padre
gli tolse il piede dalla faccia e lo tirò su per un braccio.
– Dimmi; credi che tuo padre sia orgoglioso di te, a sapere
che suo figlio se ne va in giro a picchiare la gente…?
Ichigo non rispose; riuscì soltanto a guardarlo, confuso su
questa nuova versione del vecchio Barbetta. Quest'ultimo
interpretò il suo silenzio come noncuranza.
-Beh, se non per me, allora cosa pensi che ne penserebbe…
Ichigo smise di ascoltarlo; si voltò, fece le scale e, in un
balzo, fu in camera sua.
Chiuso a chiave.
-Vedi? È proprio per questo che dovresti andarci. Parlare
non è mai stato il tuo forte, eh, Ichigo…?
La porta rimase chiusa a chiave, ma quel pensiero entrò in
camera con lui e non se ne andò finché, alle luci
dell’alba, Ichigo non prese una decisione.
(Nda: Innanzitutto, naturalmente, grazie di aver letto questa premessa
e di essere arrivati fin qui ^^.
Questa è la prima volta, in tutta la mia carriera di
ficwriter, in cui mi cimento in un'AU :D e, per la cronaca, lo trovo
difficilissimo *_*''. Come ho già anticipato nelle note,
troverete più o meno tutti i personaggi apparsi nel corso
del manga, ovviamente chi più e chi meno; vedrò,
nel corso del tempo, chi approfondire di più. Ad ogni modo
posso assicurare che ognuno avrà la sua comparsa.
Purtroppo, molti personaggi di Bleach
sono caratterizzati quasi esclusivamente da avvenimenti accaduti nella
Soul Society o a Las Noches: impossibile per me rendere fedelmente il
personaggio - quindi non scadere nell'OOC - senza ricreare un contesto
quantomeno simile all'originale. Altri casi, invece, lasciano un po'
più di libertà, ma tenete sempre conto che in
questo mio AU la SS non esiste, e, considerato che ci sono personaggi
che cambiano molto quando si trovano lì, o che comunque sono
cambiati molto dopo averci vissuto, il personaggio potrebbe avere un
comportamento un po' diverso. Ad esempio, Rukia nella Soul Society ha
un atteggiamento di profonda deferenza ed è molto chiusa in
se stessa, perché è un luogo dove non si sente a
proprio agio; qui potrebbe perdere quest'aspetto della sua
personalità, ma ciò è dovuto appunto
al fatto che il contesto è diverso. Per il resto
cercherò di fare il possibile per rimanere attaccata alla
caratterizzazione originaria.
Non ho ancora inserito tutti gli avvertimenti per evitare gli spoiler; li inserirò, e al massimo alzerò il rating, quando sarà il momento di farlo.
Altra cosa: dubito che esistano simili gruppi di aiuto, men che meno in Giappone, specie considerando che si tratta di adolescenti; ma lasciatemelo passare ''XD.
Ultima nota: la canzone, Troublemaker,
è copyright dei Weezer e mi ha sempre fatto pensare a Ichigo :D mentre il titolo della storia viene da una canzone piuttosto famosa dei Soul Asylum
Un grazie a Fla che mi ha fatto da pre-reader :* ma per ringraziamenti,
dediche eccetera aspetto la fine :D.
Al prossimo capitolo ^^)
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Capitolo 2 *** 1. I've got a life (though it refuses to shine) ***
-Ehilà, Ichigo.
-Oh, buongiorno, Mizuiro.
-Non ci hai ancora detto perché la Ochi, ieri, ti ha
chiamato in presidenza.
-Bah, niente di che; volevano avvertirmi che se continuo
così mi sospendono.
-Sei preoccupato?
-Nah, basta non farmi più sgamare.
Mizuiro sorrise, e gli allungò un biglietto da visita.
-Ti va di uscire con questa ragazza? È un’amica
della mia ragazza. Potrebbe svagarti un po’.
-Uh? Questa?
Ma questa avrà almeno dieci anni più di me.
-Per la verità, credo ne abbia anche di più, sai?
-Che?!
-WOOH – Keigo spuntò in mezzo a loro due
– Accidenti, che bombe! Mizuiro, dove la tenevi nascosta,
questa?
-Non la nascondevo. È solo che fino a poco fa era impegnata;
adesso è single, ma chissà per quanto lo
rimarrà? Perciò suggerivo a Ichigo di
approfittarne subito.
-Passo – Ichigo alzò la mano –
è decisamente troppo.
-Le tette non sono mai
troppe! Presentala a me, Mizuchan! A me! Io ne ho più
bisogno rispetto a Ichigo! Lui è sempre pieno di belle
ragazze!
-Buongiorno, Kurosakikun!
-Ah, Inoue, buongiorno. Mizuiro, faresti meglio a nascondere quella
ro…
-Caspita!
– esclamò Inoue – Questa ragazza
è davvero…
-Orihime! – Honsho comparve alle sue spalle, tutta festosa
– Adesso sei interessata al corpo femminile? Oh, ma
perché non me l’hai detto subito? Non avrei
esitato a mostrarti qualunque cosa ti fosse interessata!
Keigo prese in mano il biglietto e scrutò la foto.
-Però, Honsho, devi ammettere che questa è al di
sopra di tutte voi.
-Fa’ vedere? – Honsho si sistemò gli
occhiali – QUESTA? Ma questa… questa è
una dea!
Non… non sarà mai meravigliosa come la
Principessa, ma…
-Quindi adesso ti interessano le donne, eh, Ichigo? – Tatsuki
si sporse sopra le spalle di Inoue – Ecco perché
salti karate. Per uscire con questa.
-Che cavolo dici, cretina? Potrebbe essere mia madre.
-Oh, e infatti ha un figlio, dimenticavo di dirtelo!
-Cheee?! Volevi farmi uscire con una che ha un figlio?!
-Una MILF*? – Keigo si sciolse sul pavimento – Si
può sapere perché tutto il meglio capita a te?!
Ti odio!
-Comunque, Ichigo – riprese Tatsuki – cosa voleva
la Ochi ieri?
-Niente, volevano solo avvertirmi di stare al mio posto. Tutto qui.
-Tutto qui?
-Già, tutto qui.
-Bah; niente di strano. E io che mi aspettavo qualche notizia bomba.
Dai, andiamo, Orihime, se continuiamo a frequentare questo qui ci
faremo una cattiva reputazione.
-Tsk; guarda che sei tu quella che fa paura.
Tatsuki alzò la mano in segno di saluto e si
allontanò con Inoue, che le saltellava appresso. Honsho le
seguì, protestando di non lasciarla indietro con quei fetidi
uomini. Keigo, dopo aver osservato il back side delle tre per un tempo
ragionevole, si voltò verso i suoi amici.
-Senti, Ichigo, ma perché non hanno chiamato anche Sado in
presidenza? In fondo anche lui, ieri, ha steso a terra quei tizi.
-Chissà? Forse Chado gli fa paura. O forse lui non ne ha
bisogno.
-Eh? In che senso…?
-In fondo, non lo conosco poi molto. Grazie di avermelo fatto notare;
un giorno glielo dovrò proprio chiedere!
Ichigo si alzò dal banco di Keigo e si diresse tranquillo
verso il proprio.
-Mizuiro…? Ichigo sta dicendo cose senza senso, lo sai?
-Su, su, non mi sembra grave, tu ne dici in continuazione.
-Aaah! Ti odio, ti odio, Mizuiro…!
Se piove, significa che
non ci devo andare.
Ma erano a metà maggio; alquanto improbabile che, nel bel
mezzo di una giornata di sole, scendesse improvvisamente un acquazzone.
Se Yuzu mi dice di
mettere a posto la camera, significa che non ci devo andare.
Chi voleva prendere in giro? Era sempre Yuzu a pulire camera sua.
Doveva ricordarsi di darci una sistemata, ogni tanto.
Se… se Karin
mi invita fuori a giocare a calcio, significa che non ci devo andare.
Karin era già fuori con i suoi amici, e, per la
verità, da quando era entrato alle superiori non
l’aveva più chiamato. Per sua esplicita richiesta,
oltretutto.
Ok. Andiamo di sotto da
Barbetta a vedere se ha bisogno d’aiuto. Se ha bisogno di una
mano, significa…
Suo padre non aveva bisogno del suo aiuto, altrimenti
l’avrebbe già chiamato. Era ora di piantarla con
quelle assurdità.
E inoltre, che uomo
è quello che si sottrae alle proprie decisioni con una scusa?
Ichigo Kurosaki non era certo uno che non manteneva le promesse.
Soprattutto se la promessa l’aveva fatta a se stesso.
-Ehi, Yuzu , io esco per un po’, ok?
-Oh, ok! Dove vai di bello, Ichinii?
-Vado… al club.
-Al club? Ti sei iscritto a un club…?
-Ah ah, no, scherzavo! Vado a studiare da Mizuiro.
-Ma, Ichinii, tu mi hai sempre detto che preferisci studiare da solo.
-Aaah, insomma, chiedi al vecchio dove sto andando. Lui ne è
al corrente.
-Eh? A papà?
-Esatto, al vecchio! Ci vediamo, Yuzu!
Filò fuori dalla porta in men che non si dica.
-Ichinii, ma non mi hai detto cosa volevi per cena…!
Il consultorio non era poi molto distante da casa sua, appena una
ventina di minuti a piedi. Pensando fosse molto più lontano,
alla fine si era ritrovato in anticipo. Meglio così; avrebbe
preso confidenza col posto.
Entrando, notò che sembrava non esserci nessuno;
l’intera sala d’aspetto era in penombra.
C’era uno sportello, però, quindi vi si
avvicinò.
Dentro c’era una ragazza con gli occhiali, probabilmente la
segretaria. Bussò sul vetro.
-Ehm…
-Oh? Buongiorno. Nanao Ise, segretaria del consultorio. Posso aiutarla?
-Spero. Io dovrei… sto cercando… –
guardò altrove, imbarazzato – cioè, qui
dovrebbe esserci una riunione.
-Riunione? Qui non c’è nessuna riunione.
– La tipa lo guardò meglio. – Ah, forse
lei si riferisce al gruppo
di discussione?
Le fu grato per averlo chiamato “gruppo di
discussione”.
-Proprio – si avvicinò al vetro, aggrappandosi al
ripiano – quello lì, già. Lei sa dirmi
dove si trova?
-Controllo subito sul computer. Mi dia solo un secondo.
-Sali le scale, corridoio a sinistra, ultima porta in fondo –
disse una voce maschile. Ichigo e la segretaria si voltarono in coro.
-La ringrazio, direttore. Ma mi sarebbe bastata una breve ricerca.
La ragazza si sistemò gli occhiali sul naso; sembrava un
po’ piccata, ma l’uomo che aveva parlato le si
avvicinò placidamente.
-Nanaochan, so che tu sei perfettamente competente. Volevo solo fare la
conoscenza del nostro giovane amico.
-Ehi, io non sono tuo amico.
-Come sei nervoso – il tizio sorrise; certo, con quel
camicione a fiori, quei pantaloni kaki, e quei sandali mezzi consumati,
doveva essere la persona più tranquilla del mondo.
– Vuoi un tiro di questa? È rilassante.
-Chee?! Ma… cosa mi stai proponendo?!
-Direttore! Che cosa stava facendo, negli uffici nel retro?!
-Prova anche tu, Nanaochan. Mi sembri piuttosto tesa. Ti aiuterebbe, se
ti facessi un bel massaggio?
-Beh, comunque io vado, eh? – Ichigo agitò una
mano e si diresse verso le scale – Voi fate quello che vi
pare. A sinistra in fondo, no?
Il tizio annuì e lo benedisse alzando una mano, nella quale
teneva una sigaretta rollata a mano. O almeno così voleva
pensare Ichigo.
Si allontanò a passo di marcia da quei due, e
salì le scale pregando di non trovare nessuno, pregando che
avrebbero annullato tutto perché nessuno si era presentato.
Detestava ammetterlo, ma iniziava a sentirsi piuttosto agitato.
In effetti, inizialmente non trovò nessuno; ma, su una delle
sedie nel corridoio a sinistra, si accorse che c’era una
ragazza.
E questa da dove salta
fuori…?!
Era una cosplayer, o come accidenti si chiamavano quei tizi. Vestito da
bambolina, enorme fiocco in testa e scarpe a bebé: Ichigo la
fissò inorridito.
Ma lei non si era ancora accorta di lui: stava leggendo con molta
attenzione una rivista e notificò la sua presenza solo
quando sentì i suoi passi vicini nel corridoio.
Alzò lo sguardo.
Aveva grandi occhi blu e un’espressione seria; lo
fissò silenziosa da sotto un lungo ciuffo nero, che le
attraversava il viso.
Ichigo, invece, non riuscì a trattenersi: sbarrò
gli occhi, sollevò un sopracciglio e prese a fissarla, senza
preoccuparsi di essere stato maleducato.
Di certo non si aspettava che quella bambolina reagisse come fece.
-Beh? Che hai da guardare, tu, con quei pantaloni stracciati? Non hai i
soldi per comprartene di nuovi?
Ichigo spalancò la bocca.
-Chee? Sono strappi al ginocchio attentamente studiati! È un
look casual!
E il tuo che accidenti sarebbe?
-Gothic Lolita. Elegant
Gothic Lolita, ad essere precisi.
-Sicura che non sia un costume da cameriera per carnevale…?
-Come ti permetti, teppista…?! Bada che a quelli come te
faccio fare una brutta fine.
-Forse è di quando eri piccola. Non potevi essere molto
più bassa, a sette o otto anni.
La tipa si alzò, furibonda; gli si avvicinò a
pugni stretti e, quando gli fu vicino, gli sferrò un calcio
sullo stinco con una scarpina di vernice.
-Ouch…! Ma sei stupida?!
-Mi stai dando della stupida?! Cos’è, non ne hai
abbastanza?
-Brutta…!
Ma lei sogghignava. Evidentemente, non l’aveva presa
così sul serio.
-Commenti e occhiate come i tuoi, ha; ne sento ogni giorno. Non ho
tempo per curarmi di queste sciocchezze.
-‘Sciocchezze’? È da quando
vado alle elementari che non sentivo questo termine.
-Guardami bene – la ragazza indicò i suoi abiti,
con una smorfia – io non parlo come i ragazzi della mia
generazione. Io sono una signora.
-Ah sì? Mi sembri una bambina dell’asilo alla sua
festa di compleanno, invece.
-Allora ne vuoi ancora?!
Fu mentre quella ragazza gli premeva un piede sulla testa, incurante
delle sue proteste, che furono raggiunti da una terza persona.
Aveva i capelli completamente bianchi, due occhi color ghiaccio,
l’uniforme di una scuola prestigiosa e l’aria di
chi avrebbe preferito essere ovunque, ma non lì.
Ichigo e la ragazza si fermarono, imbarazzati, ma quello non fece altro
che abbandonarsi su una sedia, accavallare le gambe e accendere il
lettore mp3. Come se loro non fossero stati a tre metri da lui.
-D-dici che si è accorto di noi? –
sussurrò Ichigo alla tizia.
-Non saprei. Anche se se ne fosse accorto, non sembra importargli molto
della nostra presenza.
-Allora possiamo continuare a parlare?
-Ok, continuo a pestarti.
-Non ha senso pestarmi sussurrando…!
-E allora piantiamola qui, non ho tempo da perdere con te.
-Nemmeno io, se è per questo, cosa credi?!
La ragazza non gli badò e tirò fuori un astuccio
dalla borsetta a forma di cuore; ne estrasse uno specchietto e un
pettinino. Si sistemò i lucidi capelli neri.
-Per colpa tua – borbottò – guarda come
mi sono ridotta i capelli! Ci metto secoli, a metterli in piega.
-Colpa mia?! Sei tu che hai attaccato rissa!
-Rissa…? Io sono una signora, e una signora non attacca
risse.
-Senti un po’, mocciosa…
-Mocciosa?! Quanti anni pensi che abbia?
Adesso avevano ripreso un tono di voce normale.
-Ne avrai tredici? No? Quattordici? No, ne hai tredici. Ma sei alta
come una di dieci.
-Chiudi quella bocca! Sono al secondo anno delle superiori. E tu, con
tutte queste arie, a che anno saresti?
-A… al primo anno. C-cioè tu…
tu… avresti…
-Un anno più di te – fece una smorfia, trionfante
– sono una tua senpai. Quindi non devi mancarmi di rispetto,
e non osare mai più contraddirmi.
-Non esiste, scordatelo.
-E allora sai il destino che ti aspetta.
Erano così presi dalla conversazione che si accorsero solo
all’ultimo momento dell’arrivo di due personaggi
nuovi.
-Ehi, siamo sicuri che sia questo, il posto? Quel vecchio ubriacone non
mi sembrava troppo in bolla.
-Forse questi ragazzi lo sanno. Oh, tesoro – uno dei due
tizi, con un caschetto dal taglio perfetto e delle ciglia
esageratamente lunghe, si avvicinò alla ragazza -
adoro questi tuoi vestiti. Dove li hai presi? Angelic Pretty?
-No, in realtà sono di Baby; a parte la borsa, che
è di…
-Nonono, non dirmelo, voglio indovinare! È di Moi
Même**, vero?
-Bravissimo – spalancò gli occhi –
è proprio così.
-E quel giornale che stai leggendo è Kera***, giusto? Me lo
faresi leggere?
Ichigo e l’altro tizio appena arrivato li guardarono,
inorriditi. Fu il tizio a risvegliarsi dalla trance e a rivolgersi a
lui per primo.
-Mi sa che quel cretino si è dimenticato quello che voleva
chiedervi. In realtà volevamo domandarvi: è
questo il… ecco…
Il tipo, imbarazzato, si grattò la pelata. Lanciò
un’occhiata a Ichigo, poi al pavimento, poi di nuovo a Ichigo.
-Il gruppo di
discussione, intendi?
-Eh, sì, proprio quello – vide nei suoi occhi lo
stesso guizzo di gratitudine che aveva avuto lui poco prima con la
segretaria – è questo qui?
-Sì, in teoria sì. Il tizio con la sigaretta mi
ha detto di venire qui.
-La sigaretta? Quale tizio? Dici quel fattone che fumava hashish dietro
alla segretaria?
-Preferisco pensare che fosse una sigaretta. - Gli fece un mezzo
sorriso, e gli porse la mano. – Ichigo Kurosaki. Piacere.
-Ikkaku… aah, maledizione, devo fermare
quell’idiota, o non potrò più guardarmi
in faccia allo specchio. Ehi, Yumichika!
-Che c'è, Ikkaku? Non vedi che sono occupato?
-Piantala di leggere riviste da donne, ok?
-Ma mi ha appena detto che me la presta! Potremmo portarla a…
-Non se ne parla!
-Ma dai, ne sarebbe così felice.
-Proprio per questo! – Ikkaku sospirò. –
Quindi, Kurosaki, eh... Ichigo.
-Ichigo.
-D’accordo, Ichigo. Che razza di manica di scoppiati.
Ikkaku aggrottò la fronte e Ichigo si sentì
sollevato; ecco finalmente uno normale.
-Quel tipo lì, coi capelli bianchi… - entrambi
gli lanciarono un’occhiata circospetta – voglio
dire, è uno di noi?
-Boh. Sembra non si accorga nemmeno della nostra presenza, a parte quel
tic al sopracciglio, come se… gli dessimo fastidio.
– Il tizio ghignò. – Così mi
viene ancora
più voglia di dargli fastidio. Tu che ne dici,
Ichigo?
-Dico che mi sei simpatico – ghignò anche lui
– ma che mi hanno mandato qua apposta per risvegliare il
pacifista che c’è in me.
-Toh; anche tu? Più o meno, sono qui per lo stesso motivo.
Lui, invece, no.
Osservarono Yumichika che si estasiava davanti all’orlo di
pizzo dell’abito della tizia.
-Ehm… buongiorno – disse una voce femminile. Si
voltarono tutti, a parte il ragazzo coi capelli bianchi; gli occhi di
Yumichika si accesero. – Piacere di conoscervi, il mio nome
è Kurotsuchi Nemu. – Si inchinò con
grande deferenza. – Spero che ci troveremo bene.
-Mmh, sei proprio bella. Sembri quasi una bambola.
-Ciao – disse Ikkaku,con un cenno. Ichigo fece lo stesso.
Il ragazzo coi capelli bianchi le rivolse un’occhiata
fulminea, mentre la ragazza gothic lolita si inchinò con
altrettanta formalità.
-Comincio a capire perché li abbiano sbattuti qua dentro
– borbottò Ikkaku, facendosi sentire solo da
Ichigo. – Io e te saremo due attaccabrighe, ma questi hanno
problemi seri.
Quel tipo gli piaceva. Era contento che ci fosse uno così
tra di loro.
-Buongiorno a tutti – esordì una voce dolce e
pacata. Tutti si voltarono, stavolta anche il ragazzino asociale.
Davanti a loro c’era una donna alta e bella, con una
lunghissima treccia di capelli neri portata sul petto
anziché sulla schiena. Li guardò tutti con un
sorriso.
-Dottoressa Unohana Retsu, piacere di fare la vostra conoscenza. Io
sono la mediatrice dei nostri incontri; sono molto felice di vedere che
siamo un gruppo ben nutrito.
In effetti, dietro di lei c’era dell’altra gente,
ma non fecero in tempo ad osservarli, poiché la dottoressa
iniziò a dirigerli verso la porta.
-Entrate pure, è aperta. Accomodatevi dove preferite.
Quella più vicina alla porta era la ragazzina lolita, quindi
fu lei ad avventurarsi per prima.
Le sedie erano disposte a cerchio; nessuno di loro, a parte i due che
erano arrivati assieme, sembrava conoscere gli altri. La lolita prese
posto e Ichigo si sedette vicino a lei, perché era la prima
che aveva conosciuto; Ikkaku gli si mise di fianco, cosa di cui Ichigo
fu soddisfatto, e il tizio effeminato si mise accanto a lui. In ordine,
si sistemarono il ragazzo asociale e Kurotsuchi.
Mentre la dottoressa apriva bene i balconi per far entrare luce, anche
gli altri ragazzi presero posto.
Uno era un tizio biondo con un gran ciuffo di capelli davanti agli
occhi; aveva un’espressione angosciata e continuava a
guardarsi attorno come se fosse stato circondato da bestie feroci
pronte ad attaccarlo. Si sedette vicino a Kurotsuchi.
Di fianco a lui c’era un tizio con degli occhi verdissimi e
dei capelli neri piuttosto lunghi; era vestito interamente di nero e la
sua pelle era di un pallore mortuario.
Accanto a lui si sedette un ragazzo coi capelli tinti di azzurro. Si
distese completamente sulla sedia, appoggiando i gomiti sullo schienale
e allargando le gambe; si guardava attorno con l’aria di chi
aveva voglia di buttare la le sedie, le persone che vi erano sedute e
anche la dottoressa fuori dalle finestre aperte.
Ma fu sfortunato, perché fu proprio accanto a lui che la
dottoressa scelse di sedersi. Questa gli rivolse un sorriso, ma lui
fece una smorfia orripilata e si voltò dall’altra
parte. La dottoressa non sembrò badarci e non perse il
sorriso.
-Dunque .– Li guardò uno per uno, ma senza lo
sguardo d’astio che avevano la maggior parte degli adulti.
Sembrava davvero contenta di averli lì. –
Benvenuti a questo primo appuntamento; non mi aspettavo che foste
così tanti, dato che l’iniziativa è
appena nata.
-Non siamo poi molti – osservò Yumichika,
guardandosi attorno.
-Così avremo più tempo per ciascuno di voi.
È un vantaggio.
Ichigo non era molto d’accordo, ma decise di seguire il
discorso.
-Mi presento di nuovo: Retsu Unohana, laureata in psicologia.
-Esiste una laurea un psicologia…? – Ichigo
avrebbe preferito non essere il primo a parlare, ma la
curiosità aveva vinto.
La dottoressa lo ricompensò con un sorriso gentile.
-No, mi sono laureata all’estero. Posso chiederti come ti
chiami?
Ichigo deglutì; tutti lo guardavano.
-Io mi chiamo Kurosaki Ichigo.
Fece per alzarsi e farle un piccolo inchino, ma lei gli fece cenno di
stare seduto.
-Kurosaki Ichigo. Da che scuola provieni?
-Ah, io studio alla Karakura High. Abito qui, a Karakura.
-Capisco – annuì, con un sorriso dolce -
qualcun altro, qui, abita a Karakura?
Tutti tacquero; la ragazza lolita si guardava attorno, Ikkaku e
Yumichika scossero la testa; il biondo e Kurotsuchi tennero gli occhi
bassi, mentre i due che erano entrati per ultimi sembravano non aver
nemmeno sentito la domanda.
Ma una mano si alzò: era quella del ragazzo coi capelli
bianchi.
Tutti lo guardarono; aveva in faccia un’espressione di noia e
fastidio supremi. Se stava tentando di nasconderli, non ci riusciva
molto bene.
-Anche tu frequenti la Karakura High?
-No – finalmente parlò; a braccia incrociate e
fissando il pavimento, ma parlò. Aveva una voce piuttosto
profonda, benché ancora infantile.
-Quindi suppongo che non vi conosciate.
Ti sembra che ci comportiamo come due che si conoscono?,
pensò Ichigo.
-Posso chiedere i nomi di tutti gli altri?
Il tizio coi capelli azzurri cambiò posizione e nel farlo
fece un po’ di baccano con la sedia. Stavolta
l’attenzione si spostò su di lui.
Su di lui, sulla sua maglietta strappata, sui pantaloni in tessuto
scozzese con i lacci, sugli anfibi e sui bracciali con le borchie che
aveva sui polsi.
Con quei capelli e quell’abbigliamento, pensò
Ichigo, io coi miei capelli arancioni e i miei miseri strappi sui jeans
sembro quasi normale.
Alla faccia di Kagine e della ragazzina lolita.
-Allora sarò io il primo – sorrise Yumichika
– io sono Yumichika, e amo le cose belle. Mentre lui
è Ikkaku. Siamo felici di…
-Ehi, guarda che sono
in grado di presentarmi – gli diede un
pugno in testa.
-Ti ho detto mille volte che non
devi spettinarmi, scimmione!
-Piantala, mi fai venire i brividi!
-Smettila di dire che ti faccio venire i brividi!
-Quindi, voi due avete deciso di frequentare questi incontri assieme?
-In realtà, è lui che voleva venire. Senza
offesa, eh, ma non mi sembra che questa sia molto una cosa da uomini.
-Ben detto – disse il tizio coi capelli azzurri.
-E chi te l’ha chiesto?
-Che stai dicendo?! Ti stavo dando ragione, idiota.
-Te lo ripeto… e
chi te l’ha chiesto?
-Vi pregherei di calmarvi – disse la dottoressa Unohana; il
suo sguardo, improvvisamente gelido, pietrificò tutti gli
astanti. Una volta placati gli animi, tornò a sorridere.
-Proseguiamo con le presentazioni dunque? Seguiamo questa linea?
Ichigo trovò straordinario il modo in cui quella donna
ignorava le provocazioni di quel tizio. Fosse stato lui, avrebbe
reagito esattamente come Ikkaku, o forse gli avrebbe risposto perfino
peggio.
Forse, ignorandolo, voleva evitargli una serie infinita di figure da
stupido. Era quindi un gesto di gentilezza.
Sprecato, a parere di Ichigo, per uno come quello.
-Vuoi dirci il tuo nome…? – disse la dottoressa,
distogliendo Ichigo dai suoi pensieri.
Il ragazzo coi capelli bianchi alzò lo sguardo. Stavolta,
sembrava li stesse sfidando a replicare qualcosa.
-Toshiro Hitsugaya. Dalla città vicina.
Detto ciò, abbassò di nuovo uno sguardo
contrariato, e, avendo effettivamente dato tutte le risposte di cui
avevano bisogno, nessuno poté chiedergli
nient’altro.
La ragazza coi capelli lunghi, Kurotsuchi, si alzò in piedi.
Teneva gli occhi bassi, ma si poteva intuire una certa inquietudine nel
suo sguardo; niente di morboso come quella del biondo,
poiché era mitigata da una certa dolcezza, ma dava comunque
un’impressione di timidezza, di introversione.
-Buongiorno a tutti. Nemu Kurotsuchi, felice di fare la vostra
conoscenza – si inchinò ancora e si sedette al suo
posto.
Fu quando l’ebbero vista in piedi, e osservata bene per la
prima volta, che si resero conto che era più svestita che
vestita. Quella scollatura esagerata e quella minigonna inguinale le
coprivano appena la biancheria intima. Ichigo deglutì.
-Io… mi chiamo Izuru. Izuru Kira. Piacere di conoscervi.
Izuru Kira, mentre parlava, continuò a guardare il pavimento
con gli occhi pieni di terrore. Tutti erano perplessi di fronte a quel
ragazzo. Certo, il punk seduto in fondo non era rassicurante, ma tutti
gli altri sembravano inoffensivi; non c’era motivo di
inquietarsi.
A Ichigo dispiacque per quel tizio, ma non avrebbe saputo cosa dirgli.
Notava comunque che una buona parte di loro sembrava aver problemi, con
quella questione di guardare gli altri negli occhi.
Adesso toccava al tipo coi capelli neri, e, dato che aveva sempre
tenuto lo sguardo fisso in un punto imprecisato del pavimento, Ichigo
sospettava che nemmeno lui sarebbe riuscito a guardarli negli occhi;
anzi, che non sarebbe neppure riuscito a parlare.
E invece quello sollevò uno sguardo verdissimo, ma verde
come il veleno e non come i prati in fiore. Lo puntò sulla
dottoressa Unohana e parlò con voce ferma e chiara.
-Schiffer Ulquiorra.
Quel mormorio cupo gli ricordò vagamente Chado. Un Chado
vampiresco, oscuro. Un Chado con occhi di gatto.
-Da dove vieni, Ulquiorra?
-Non ha importanza.
La dottoressa sorrise, e passò al successivo.
-Tu, invece? Qual è il tuo nome?
-Grimmjow Jaggerjack. Ricordatevi bene il mio nome, teste di cazzo.
-Ma falla finita – disse Ikkaku – se hai voglia di
farti fare a pezzi, allora andiamocene fuori, ok?
-Beh, con cosa te ne vieni fuori, adesso? Non eravamo forse qui per
parlare dei nostri problemi?
-E adesso tu sei il mio problema numero uno.
-Vuoi che la facciamo finita subito?
-Piantatela – sbottò Ichigo – insomma, e
poi dicono a me che faccio casino. Non mi sarei mai aspettato che un
giorno sarei stato io a fermare una rissa, ma…
-E allora non farlo. Veditela con me. Se vuoi che taccia, allora fammi
tacere, che ne dici?
-Non ho motivo di pestarti – Ichigo sospirò; si
era alle solite.
-Vuoi che te ne dia uno? Eh? Vuoi che faccia qualcosa di talmente grave
da darti un motivo?
– ghignò – Lo faccio immediatamente.
-Si può sapere che problema hai? Se vuoi che ci meniamo,
bene, come ha detto Ikkaku. Ma fuori.
Non qui.
-Cos'è, avete paura? Siete proprio dei froci.
-Ehi, ehi, questo non è politically correct! –
Yumichika sorrise amabilmente. – Sei in errore, se pensi che
i froci si tirino indietro quando c’è da spargere
sangue.
-Manca un’altra persona che non si è ancora
presentata – disse la dottoressa Unohana – vogliamo
concludere questo cerchio?
La ragazza lolita si alzò; fece un piccolo inchino, reggendo
le balze del vestito.
-Kuchiki Rukia. Piacere di conoscervi.
-Rukiachan, ricordarti di prestarmi Kera, mh?
-Certo che sì, Yumichikakun. Ricordamelo a fine incontro.
-Vi conoscevate già, voi due?
-Oh, no, no, ci siamo conosciuti mentre aspettavamo. Mi ha subito
colpito il suo look!
Si sentivano i cuoricini alla fine della frase come se fossero stati
scritti in un baloon.
-Ti piace questa roba?
– Ichigo era inorridito.
-A me piace tutto quello che è bello. Ma, parte questo, mi
ha ricordato… oh, ma guarda. Ichigo, fossi in te starei
attento a quel che dico.
Yumichika gli fece cenno di voltarsi.
Rukia Kuchiki lo stava guardando con un’espressione
terribile. I suoi occhi promettevano morte certa. Ma quando la
dottoressa si voltò verso di lei, tornò composta.
-Unohanasan, spero che lavoreremo bene insieme – disse con un
inchino.
La dottoressa sorrise amabilmente, poi abbracciò con lo
sguardo quel cerchio di persone. Ichigo fece lo stesso:
realizzò che razza di gruppo allucinante costituissero.
C’era davvero di tutto. E a tutti loro si leggeva in faccia
un grido che suonava come “ho problemi”.
Si era fatto un’idea per qualcuno di loro: il tizio punk e
Ikkaku erano sicuramente lì per il suo stesso motivo,
ovvero, evitare la sospensione. Kira Izuru sembrava sull’orlo
del suicidio. Nemu Kurotsuchi sembrava una ragazza gentile, ma era
vestita come una sgualdrina, e questo lasciava intuire che qualcosa in
lei non andasse. Schiffer Ulquiorra e Toshiro Hitsugaya, invece,
dovevano avere più di qualche difficoltà di
comunicazione.
Mentre Rukia Kuchiki, la lolita…? Nel suo caso non era
chiaro. Certo: Ichigo era convinto che chiunque girasse vestito a quel
modo dovesse avere di sicuro qualche rotella fuori posto, ma purtroppo,
quella non era una prova sufficiente. Di qualunque cosa si trattasse,
Rukia Kuchiki era l’unica persona di cui non si intuisse il
problema a un primo sguardo.
*MILF: Mother
I’d Like to Fuck. Guardatevi American Pie per
capire meglio, oppure semplicemente fatevi una cultura di porno :D.
**Angelic Pretty, Baby
the Stars Shine Bright, Moi Même Moitié:
marche di abbigliamento lolita.
***Kera:
una rivista sull’abbigliamento lolita.
Il titolo proviene da una canzone degli Eurythmics ^^.
(Nda: Rukia lolita semplicemente perché in The Sealed Sword
Frenzy Rukia mostra apprezzamento per questo stile (Ichigo, per la
cronaca, ne è disgustato). In effetti la sigla finale di
quell’OAV mi ha ispirato molto per questa fic, ma non voglio
aggiungere altro :D.
Grazie davvero a chi ha recensito il prologo, non mi sarei mai
aspettata così tanti commenti ç_ç
avete fatto di me una donna felice. Per rispondervi…
@TaKari 94:
grazie dei complimenti <3 spero che questa introduzione sia
all’altezza delle aspettative è_é!
@Exodus:
d’accordissimo per quanto riguarda l’ultima parte,
me n’ero accorta anch’io; ultimamente sto cercando
di focalizzarmi sull’essenziale ma forse ho esagerato XD.
Grazie mille per il sostegno!
@Garconne:
purtroppo non so dire con esattezza quanto spesso riuscirò
ad aggiornare ._. nelle mie intenzioni, settimanalmente, ma siccome
sono sotto esami non posso garantirlo. Farò comunque il
possibile per rispettare delle scadenze decenti :D.
@FefyNiisan:
in effetti era proprio di quell’Ichigo e di quei tempi che
volevo parlare ;_; comunque sì, ci saranno parecchi altri
capitoli, nelle mie idee questa è un’AU lunga XD.
Grazie della fiducia :D!
@Fla: lo sai
che sei sempre la prima ;D*.
@Lou Asakura:
grazie mille di aver letto tutte le mie fanfic ;_; spero che
l’incontro tra Rukia e Ichigo sia piaciuto, anche se per ora
siamo solo alle battute d’inizio ^_^.
@Hanon Honsho:
troppo gentile, davvero ._. sono felice che la scena di Inoue sia
piaciuta, io adoravo la Inoue un po’ violenta dei primi
capitoli *_* quella la cui intenzione nascosta era quella di nuocere al
prossimo, altro che “nel suo animo non
c’è alcuna intenzione di far del male
;O;”
E con ciò vi rimando al prossimo capitolo ;D spero di
starmela cavando bene con quest’esperimento di AU, fatemi
sapere, mi raccomando ;_;)
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Capitolo 3 *** 2. Please Don't Let Me Be Misunderstood ***
-Posso considerare concluse le presentazioni, dunque. Vorrei iniziare
subito con il dialogo. A turno, vorrei che mi diceste spontaneamente la
ragione per cui siete stati invitati a venire qui, o per cui avete
deciso di venire qui, nel caso non sia stata la scuola a suggerirvelo.
Tutti tacquero. Nessuno voleva cominciare.
-Allora dovrò scegliere io a caso – sorrise
– spero che non sia un problema.
Ancora silenzio; Grimmjow Jaggerjack sbuffò.
-Nemu Kurotsuchi?
La ragazza si alzò in piedi senza obiettare. Ichigo rimase
di nuovo stravolto dalla sua mancanza di decenza. Era quasi preoccupato
che qualcuno potesse aggredirla mentre tornava a casa dal consultorio.
Kurotsuchi si inchinò ancora, prima di cominciare a parlare.
-Io sono stata mandata qui dai miei insegnanti. Sono preoccupati per la
mia promiscuità sessuale.
Ichigo strabuzzò gli occhi; non fece in tempo a controllare
le reazioni degli altri, tanto era stravolto, ma di fronte a quelle
parole nemmeno Grimmjow Jaggerjack riuscì ad aprir bocca.
-E tu ritieni che il loro giudizio sia veritiero?
-Non ritengo nulla, Unohanasan. Sono liberi di avere di me
l’idea che preferiscono – chinò la
testa, come a mitigare la forza delle sue parole.
-Ma tu, Nemukun? Tu che cosa ne pensi? Sai che cosa significa
l’accusa che ti rivolgono?
-Credo di sì. Significa che non dovrei vestirmi a questo
modo, perché distrae i miei compagni maschi.
-Non significa esattamente questo. Se tu fossi realmente promiscua
avresti rapporti piuttosto approfonditi e frequenti con i tuoi compagni
di scuola. Le cose stanno così?
-No – scosse la testa – non stanno così.
-E l’hai spiegato ai tuoi professori?
-Non ho alcun interesse a spiegarglielo; vede, non mi
crederebbero comunque.
Come la capiva.
-Ma se non lo spieghi, loro continueranno ad accusarti di
promiscuità, e tu verrai qui senza motivo.
-Oh. Ma a me fa piacere venire qui, Unohanasan.
La dottoressa batté le ciglia: non perse il sorriso, ma
sembrò un po’ spiazzata. Ichigo avrebbe voluto
darle una solidale pacca sulla spalla.
-Mentre tu, Schifferkun? Come mai sei qui?
Quello spostò su di lei quello sguardo incredibile. Aveva
occhi ipnotizzanti, penetranti. Era impossibile perfino per Ichigo
distoglierne lo sguardo.
-Mi hanno detto che dovrei venire qui.
Come potevano essere tanto attraenti quand’erano
così vuoti?
Quegli occhi sembravano proiettare tutte le loro attenzioni
all’esterno perché all’interno non
c’era nulla da guardare. O perché c’era
qualcosa di talmente terribile che non volevano guardarlo.
-Per quale motivo ti hanno suggerito di venire qui?
Quello tacque e continuò a guardarla dal basso, tenendo la
testa leggermente inclinata in avanti. La scrutava, quasi con
interesse. Ma era l’interesse asettico di uno scienziato che
osserva la cavia mentre si dibatte in preda all’agonia.
Quello sguardo congelava gli astanti in un istante sospeso nel tempo,
in cui c’erano solo lui e i suoi occhi color veleno.
-Avanti, Ulquiorra, piantala con questa scena. Ve lo dico io
perché. – Grimmjow Jaggerjack si
sistemò meglio sulla sedia, accavallando le gambe. Aveva
rotto l’incantesimo. – Questo qui non
parla mai con un accidenti di nessuno, neanche con i professori. Salta
scuola, e quando viene non fa niente. Cazzo, io almeno mi sforzo di far
qualcosa, ma a questo qui non gliene frega proprio niente. Non risponde
alle interrogazioni e non scrive nei compiti scritti. Non
perché sia un idiota. È che non gliene frega
niente.
-Ti ringrazio per l’aiuto – disse la dottoressa;
stavolta, pensò Ichigo, probabilmente non era sarcastica
– e tu, Schifferkun, sei d’accordo con questa
descrizione?
-Sì – rispose, inaspettatamente –
è così. Non mi interessa.
Ichigo era sorpreso. E dire che aveva sempre pensato di essere uno a
cui non fregava niente; eppure, se davvero lo fosse stato, si sarebbe
comportato come questo Ulquiorra. E invece lui a scuola ci andava, e si
dava anche da fare con lo studio per recuperare la condotta.
Ecco che cos’era il vero fregarsene di quel che pensavano gli
altri, pensò Ichigo amaramente.
-Mentre tu, Grimmjowkun? Che cosa ti ha spinto a partecipare a questi
incontri?
Quello le lanciò un’occhiataccia.
-Mi hanno detto che se non fossi venuto qui mi avrebbero espulso.
D’accordo? Non mi va di farmi espellere.
-Non pensavo ti interessasse la scuola – Ichigo, sorpreso,
non era riuscito a fare a meno di intervenire – senza offesa,
pensavo fossi quel tipo di persona che si fa espellere senza problemi.
-Che cazzo dici? No che non mi faccio espellere da quegli stronzi. Se
mi facessi espellere, loro sarebbero contenti. Quindi potessi morire
fulminato, se gli lascerò questa soddisfazione!
Ichigo non sapeva se considerarlo uno stupido testardo o un tizio con
una volontà da invidiare, nonostante fosse incanalata in
qualcosa di totalmente idiota. Forse, se l’avesse incanalata
in qualcosa d’intelligente, non sarebbe sembrato un tale
scoppiato.
La dottoressa aveva deciso, evidentemente, di seguire
l’ordine in cui erano seduti, perché, dopo
Grimmjow Jaggerjack, interrogò Rukia Kuchiki.
-E tu, Rukiakun? Come mai sei qui, oggi?
Lei si alzò e si inchinò di nuovo. Ichigo si
guardò attorno: Grimmjow guardava per aria e aveva
l’espressione di chi avrebbe preferito mangiare
un’anguilla viva piuttosto che ascoltare le vicissitudini
della lolita. Yumichika sembrava interessatissimo; Ikkaku la guardava
con scetticismo. Assoluta indifferenza da parte di Schiffer
Ulquiorra e Toshiro Hitsugaya. Kira Izuru e Nemu Kurotsuchi la
guardavano in attesa, gli unici educati in mezzo a quella banda.
-I miei professori pensano che io sia troppo silenziosa in classe.
Tutto qui, Unohanasan. Niente di grave, penso che si stiano
preoccupando un po’ troppo per me.
-Che?! – anche stavolta Ichigo non seppe trattenersi
– Tu saresti silenziosa?!
-Oh? Che cosa intendi, Kurosakikun?
-Ma… che razza di gioco stai giocando?
-Non capisco davvero cosa intendi dire, Kurosakikun.
-Ne riparleremo…!
-Rukiakun, sei sicura che sia davvero solo questo il motivo per cui ti
hanno consigliato di partecipare a questi incontri?
Quella batté le ciglia e fece un’espressione
stupita.
-Certo che sì, Unohanasan. Non c’è
davvero motivo di preoccuparsi. Ma, per far stare più
tranquilli i miei insegnanti, ho deciso di venire qui.
Questo era probabile. Quel che sembrava meno probabile era che quella
tizia se ne stesse zitta, anzi, zitta al punto da far preoccupare i
suoi insegnanti; anche perché da quando in qua un alunno
silenzioso costituiva un problema?
Ad ogni modo, a ben pensarci, era anche vero che Rukia Kuchiki, finora,
aveva parlato solo quando interrogata.
Lì dentro c’erano solo casi abbastanza vicini al
limite, e Ichigo trovava improbabile che i suoi professori
l’avessero spedita lì senza un motivo serio.
Eppure, non riusciva a capire che cosa l’avesse spinta fin
lì.
-Proseguiamo con te, Ichigokun?
Era vero, dopo di lei toccava a lui. Ma non si sentiva affatto a suo
agio all’idea.
-Beh, sembra che io faccia un po’ troppo casino. Insomma,
faccio a botte, rispondo male ai professori…
però, io lo faccio solo se provocato. Il punto è,
vaglielo a spiegare.
-Chi ti provoca?
Ecco la fregatura dello svelare tutto subito: con lui, la dottoressa
avrebbe scavato più a fondo.
-Mah, gente. Senpai, yankees*. Gente a cui non piaccio così,
a pelle.
-Posso chiederti perché non gli piaci?
Ma perché continuava a risponderle? Non faceva che scavarsi
la fossa.
-Per i miei capelli, in primo luogo. Pensano che io voglia fare il
figo. E poi dicono che ho una faccia da schiaffi.
-Beh, dagli torto – disse Ikkaku, alzando un sopracciglio
– non hai un’espressione tanto conciliante.
-Che devo farci? Questa è la mia faccia, non posso mica
cambiarla.
-Non puoi? – chiese la dottoressa.
La guardò. Aveva uno sguardo impenetrabile;
chissà cosa gli stava realmente chiedendo, dietro
quell’espressione pacifica e gentile.
-Beh, credo di no. Ognuno ha la sua faccia, no? Per esempio,
c’è qualcuno, qui dentro, che ha la faccia
più indisponente che abbia mai visto. Ma mica posso menare
una persona per questo.
-Hai voglia di provocarmi, Ichigo Kurosaki?
-No, Grimmjow, non mi riferivo a te – sospirò.
Una scarpina di vernice col fiocco atterrò con inaudita
violenza sul suo piede destro. Ichigo trasalì, ma tenne duro.
Ti ucciderò,
le disse con lo sguardo. Sei
una nana morta.
Lei sorrise amabilmente, ma, per un attimo, in quel sorriso colse il
guizzo di un’occhiata diabolica.
-Vogliamo passare ad Ikkakukun? Qual è la tua storia?
Lui si grattò la testa, pensieroso. Come se non lo sapesse
bene nemmeno lui.
-Io sono qui per controllare questo qui, principalmente –
fece un cenno verso Yumichika – mi ha suggerito lui di
accompagnarlo. I miei insegnanti non si preoccupano granché
di certe cose, loro vorrebbero semplicemente buttarmi fuori e, detto
tra noi, penso che prima o dopo lo faranno.
-A te non importa che ti espellano?
-Nah. Voglio dire, sì, non mi sarebbe dispiaciuto prendere
un diploma, credo che male non possa farmi. Ma non è che mi
interessi. In realtà, io vorrei andare a lavorare subito.
-E perché non hai lasciato…?
-Perché non sarebbe stato male portare un diploma nella mia
famiglia di ignoranti. Però, cosa devo dirle, sono fatto
così, non riesco a perdere tempo su quella roba. Solo che
ovviamente ai professori non fa piacere sapere che non me ne frega
niente di quello che stanno dicendo, quindi ci litigo in continuazione.
Sono un po’ come Ichigo – gli fece un cenno col
capo – se mi rompono le palle, mi viene da sfidarli.
-Ehi, piano. A me non viene da sfidarli. Io, se potessi, mi farei gli
affari miei.
-Allora non ci somigliamo per niente – alzò le
spalle – vabé. Il fatto è che mi
annoio, e voglio movimentare un po’ l’atmosfera,
capisce? Quando litigo con quelli, per un attimo mi sento vivo.
-Hai bisogno della lotta per sentirti vivo?
Ikkaku corrugò la fronte.
-Sa che non ci ho mai pensato? Io non faccio mai pensieri tanto
complicati.
-Che c’è di strano? – disse Grimmjow
– Ha bisogno di fare a botte. È normale. A chi non
viene voglia di pestare uno che gli sta sull’anima? O anche
uno che non gli sta sull’anima, tanto per fargli vedere chi
sei.
-E chi saresti?
-E sta’ zitto. Un altro degli scopi del fare a botte
è quello di sfogarsi se hai i coglioni girati per qualche
motivo; e tu sei un ottimo motivo.
-Ikkakukun ha posto un’ottima questione –
intervenne Unohanasan – chi sei, Grimmjowkun?
-Che vuol dire, chi sono?
-Chi è la persona che senti di essere?
-Non lo so, ma sono più di tutti quanti voi messi assieme.
Ichigo alzò gli occhi al cielo e stesso fece Ikkaku; gli
altri non commentarono.
-Possiamo proseguire? Yumichika, hai voglia di parlarci di te?
-Come no – sorrise – eccomi qui. Che cosa vuole
sapere, Unohanasan?
Furbo, il tipo. Così lui avrebbe dovuto rispondere
unicamente a una domanda precisa della dottoressa, senza sbrodolarsi in
divagazioni.
-Come mai hai deciso di venire a questi incontri?
Ma anche la dottoressa sapeva il fatto suo.
-Beh, vede, come credo di aver già detto, mi piacciono le
cose belle. Ad esempio, tu… - indicò Rukia
Kuchiki – poi tu – indicò Kurotsuchi
– e, mmh, direi tu – puntò il dito su
Schiffer Ulquiorra – voi siete belli. Ma il resto, ew. Fatico
a tenere gli occhi aperti, con gente come voi nel mio campo visivo.
-Ma chiudi quello stupidissimo becco – Ikkaku gli
assestò un pugno sul braccio.
-Oh, e anche tu sei carino, sì.
Si riferiva a Toshiro Hitsugaya, che si limitò a lanciargli
un’occhiata di sbieco. Poi tornò a chiudere gli
occhi, infastidito ma composto.
Ichigo sospirò e alzò un sopracciglio; non gli
interessava molto il giudizio di Yumichika, e, soprattutto, non gli
importava molto se era bello o meno. Gli altri brutti del gruppo
sembravano pensarla come lui.
-Quindi, ti piacciono le cose belle – riprese Unohanasan, con
un sorriso. Era davvero scaltra. Stava cercando di tornare a bomba, e
ci stava riuscendo.
-Esattamente. Oh, e con questo intendo anche lei, Unohanasan,
naturalmente.
-Ti ringrazio, Yumichikakun. Dunque è stato
l’amore per le cose belle a portarti qui?
-Oh, no, Unohanasan. Sono molto sensibile alla bruttezza, certo, ma per
ora riesco a sopravvivere anche davanti a dei ceffi come questi;
è dura, ma devo farcela, per portare avanti il sacro ideale
della bellezza.
-Dunque il vero motivo qual è?
-Beh – accavallò le gambe come una donna, poi si
portò un dito alla bocca –
c’è una persona che mi odia per quello che sono,
capisce? E questo non va bene. La tristezza rovina la pelle, lo sapeva?
La dottoressa sorrise comprensiva, e annuì.
-Certo, lo sostengo anch’io. Tutti i sentimenti negativi
incidono profondamente sulla nostra bellezza. I tratti e la figura non
ne risultano modificati, ma niente fa distogliere gli sguardi come un
volto segnato dalla tristezza.
A quelle parole, tutti tacquero. Perfino Grimmjow.
-Toshirokun? Vuoi parlarci di te?
A Ichigo sembrò che la dottoressa, per una volta, avesse
voluto fermarsi, e non chiedere altro a Yumichika. Forse
perché non ce n’era bisogno.
-C’è bisogno che io parli?
Aveva una voce cavernosa, quel ragazzino. Decisamente troppo bassa e
cupa per uno della sua età.
-Vorrei che mi dicessi per quale motivo sei qui con noi,
così che io possa aiutarti nel corso di questi appuntamenti.
-Sono qui perché i miei professori vorrebbero che
frequentassi i miei compagni – bofonchiò. Sembrava
che il fatto di dover parlare gli causasse un infinito fastidio.
-Non esci con i tuoi compagni, Toshirokun?
Quello scosse la testa.
-E a scuola parli con loro?
-No. Ho altro da fare.
-E loro parlano con te?
-Avranno altro da fare.
-E se non lo avessero?
Toshiro Hitsugaya alzò la testa e, da sotto la fronte
corrugata, guardò Unohanasan con un pizzico
d’interesse.
-E se invece non avessero dell’altro da fare? Forse quella di
non parlare con te è una loro scelta, Toshirokun.
Così come lo è nel tuo caso.
-Io ho detto…
-So cos’hai detto; ma, se dici questo, significa che se tu
non avessi da fare parleresti con loro.
Lui scosse ancora la testa.
-Non è così – disse.
-Può essere che anche loro ragionino allo stesso modo.
-Non lo so. Non m’importa – alzò le
spalle e tornò a guardare così in basso che
sembrava avesse gli occhi chiusi.
-Come mai non t’importa di loro, Toshirokun?
Alzò lo sguardo, immensamente seccato.
-Perché sono fastidiosi. Rumorosi. E stupidi. Non
m’interessa un contatto con loro. –
Abbassò lo sguardo, con un che di definitivo.
Abbassò la voce. – Questo è tutto.
Unohanasan passò oltre senza chiedere altro. Rimaneva solo
Izuru Kira; la dottoressa gli sorrise affabilmente, per incoraggiarlo a
parlare.
Lui la guardò spaventato, poi fissò lo sguardo a
terra. Infine parlò.
-Io… non riesco più a vivere.
Questa risposta li spiazzò tutti quanti; Ichigo lo seppe
perché perfino Unohanasan per un attimo stette in silenzio.
Ma fu svelta a riprendersi.
-Cosa significa, esattamente, questa frase, Kirakun?
Lui si prese la testa tra le mani.
-Svegliarmi la mattina è una condanna. Coricarmi una
tortura. Lo svolgersi della giornata è un incubo.
Unohanasan, per me non è più possibile sopportare
la vita.
-Ma che cazzo stai dicendo?! – Ikkaku si batté le
mani sulle cosce – Questo è un disonore! Come
può un vero uomo giapponese dire una cosa simile?!
-Ikkakukun – la dottoressa alzò una mano
– non siamo qui per giudicare i sentimenti delle altre
persone. Questo non è solo un gruppo di discussione; prima
di tutto viene l’ascolto.
-L’ho ascoltato benissimo! E mi sembra una cazzata!
– sbuffò – Quando sento uno dire cose
del genere, viene naturale sbraitargli dietro.
-Ma gli dei ci hanno concesso la facoltà di trattenere le
parole, qualora esse risultassero inopportune. Ti invito quindi a
rispettare le parole di Kirakun e ad ascoltare con attenzione.
-D’accordo – disse Ikkaku, pur seccato –
ascolterò. Anche se non sono d’accordo.
-Non è affatto necessario che siamo d’accordo
– Unohanasan sorrise – non devi preoccuparti per
questo.
Ikkaku la fissò, stranito, premendo le mani sulle cosce.
Come se non avesse mai preso in considerazione l’idea che si
potesse essere in disaccordo senza picchiarsi.
-Dunque, Kirakun, stavamo parlando del tuo problema. Dicevi che la vita
ti è diventata pesante; sapresti indicarmi il motivo per cui
ti senti così?
-Sì – esalò – lo saprei fare.
Ma non posso. E non voglio.
-Si tratta di qualcosa che noi noi possiamo sapere?
-Anche – era sempre più agitato – ma
anche se lo sapeste, non cambierebbe nulla. Adesso mi sento
così, e non riesco a cambiare lo stato di cose.
-Tu vorresti cambiare questo tuo stato d’animo?
-Come? – sembrò sorpreso – C-certo che
voglio cambiarlo. Non riesco più a resistere.
-Ritieni di aver fatto il possibile per uscirne?
Quello abbassò lo sguardo.
-Unohanasan, sono qui. Non sapevo più a chi rivolgermi per
uscire dal posto dove sono ora.
La dottoressa annuì.
-Eppure, non è possibile lavorare sulle conseguenze, se
prima non si è messa in luce la causa scatenante. Dovremo
parlarne in gruppo, Kirakun, e temo che dovrai forzarti a raccontare
quello che ti è successo. – Lui sembrò
terrorizzato. La dottoressa lo guardò con dolcezza.
– Non subito; quando te la sentirai di farlo. Ma dovrai dirci
come possiamo fare ad aiutarti, altrimenti venire qui sarà
stato soltanto un gesto simbolico.
-Ma come pensa che possiamo aiutarlo, noi, questo? –
sbottò Grimmjow – A me non frega niente di lui. Se
in questa cosa non ci credo neanch’io,
com’è possibile che aiuti questo qui?
-Probabilmente, vi siete già aiutati moltissimo a vicenda.
Solo che non ne siete consapevoli.
Ichigo rimase paralizzato di fronte a quella verità. Forse
non aveva risolto nulla, ma aveva imparato qualcosa da quei ragazzi, e
riflettuto parecchio sulle loro storie.
E chissà che alla fine non sarebbe riuscito a riflettere
anche su se stesso.
E magari, un giorno, raccontare; schiudere i petali come una rosa in
boccio ed esporsi al vento e alla pioggia, sperando di trovare riparo.
*Senpai e Yankees: non credo di dovervi spiegare cosa sia un senpai;
gli yankees sono semplicemente i teppisti.
(Nda: grazie a tutti delle recensioni ^-^ in risposta ai vostri
commenti…
@FefyNiisan:
XD Rukia lolita è strana, lo ammetto. Ma non è un
parto della mia mente: nel film diceva davvero che erano gli unici
abiti terrestri che considerasse decenti… XD Quanto a
Yumichika, davvero è esagerato? :/ Sapresti indicarmi in che
punti esattamente? Così cerco di correggere ^^ grazie
dell’osservazione!
@MayCry:
wow, sono onorata *.* ma mi sa che dovrai aspettare prima di soddisfare
la tua curiosità, perché i personaggi sono tanti
e nessuno di loro ama parlare di sé XD
@Lou Asakura:
avevo già risposto per la questione Renji nel forum, ma mi
ripeto: le mie note danno una risposta XD grazie per l’IC,
è una cosa che mi rende oltremodo felice T^T
@Exodus:
innanzitutto, devo assolutamente ringraziarti per tutta la
pubblicità che mi hai fatto (nel programma recensioni, nelle
storie scelte, e per aver seguito i miei lavori). Davvero, grazie
infinite ç__ç.
Comunque, se cerchi comicità non so se troverai pane per i
tuoi denti XD ovviamente ci saranno parti comiche, ma questa fic
è nata per essere drammatica. E, sì, Nemu
è un personaggio molto triste, sono felice che la cosa sia
arrivata al lettore è_é.
E grazie naturalmente delle segnalazioni, amo l’angolo del
pignolo ;D*
@Lanxie Gin:
wow, grazie! Se può essere d’aiuto,
l’Ichiruki non sarà l’unico pairing XD
ma per queste cose temo dovrete aspettare XD.
@Mix: che
recensione, wow *_* troppo gentile! Comunque, se ti piace Hitsugaya,
sappi che l’amo anch’io e che avrà
assolutamente il suo spazio. è_é
@Tesar:
“sofferenza negata” è la parola adatta
^^. Sono contenta che ti piaccia ^^ spero che anche questo capitolo sia
piaciuto!
Concludo specificando che il titolo del capitolo è un verso di una canzone famosissima, Esmeralda Suite.
Grazie ancora a tutti delle recensioni! Al prossimo capitolo ;))
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Capitolo 4 *** 3. Ready Steady Go ***
-Ora che abbiamo ben chiari davanti a noi i nostri problemi, vorrei che
tentassimo assieme di trovare una risposta. Sarei felice se, a turno,
poteste pensare a una possibile soluzione per il vostro problema.
Ichigo rimase basito.
-Ma certo – mormorò.
-Come dici, Ichigokun?
-No, io… dico, non ci avevo mai pensato.
-A che cosa?
-Che possa esserci una soluzione. Eppure è la prima cosa che
ti insegnano, no? Perfino alle elementari. Davanti a un problema, cercare la soluzione.
-Sei proprio idiota, eh? – fece Ikkaku; Ichigo
però sapeva che lo diceva con benevolenza.
-Beh, se siamo qua, vuol dire che siamo idioti tutti, no? Con
benevolenza parlando.
-Vogliamo partire proprio da te, Ichigokun? Cosa credi che sarebbe
necessario per farti stare meglio?
Ma perché dovevano partire proprio da lui?
-A me? Beh, io… credo che se la gente mi lasciasse in pace,
sarebbe tutto perfetto.
-Tutto qui?
-Beh, sì, credo che sia tutto qui.
Non avrebbe mai e poi mai aperto la bocca per pronunciare il nome di
sua madre; non davanti a quegli idioti.
-Ikkakukun?
-Io penso di star bene così, tutto sommato. Magari vorrei
essere un po’ più intelligente.
-Non è vero – disse Yumichika con un sospiro
– digli come stanno le cose.
-Che accidenti dovrei dirgli?! E poi, si può sapere cosa ne
sai tu?
-Ah, beh: se non lo so io, chi altri dovrebbe saperlo?
-Sapere cosa,
dannazione?
-Che soffri di complessi d’inferiorità nei
confronti di tuo padre. Vorresti essere più figo di lui, ma
non lo sarai mai.
-Che c’è di strano ad ammirare il proprio padre?!
Lo ammiri anche tu, se non sbaglio! Anzi, tu sei in costante ricerca
della sua approvazione.
-Purtroppo nostro padre non possiede sufficiente apertura mentale per
accettare la mia naturale inclinazione e completa dedizione
per…
-… i maschi? – disse Ichigo.
-Il bello
– si esasperò Yumichika. – Cielo, mi
sembri proprio mio padre.
-Aspettate – disse Unohanasan, sorpresa – quindi,
voi due siete fratelli…?
-Oh, sì, certo che siamo fratelli. Non ve
l’avevamo detto…?
-No, deficiente, che non gliel’avevamo detto. Mentre cercavo
di presentarmi, te ne sei saltato fuori interrompendomi a
metà discorso.
-Comunque, siamo proprio fratelli: i fratelli Zaraki, figli di Kenpachi
Zaraki.
-Avrete sicuramente sentito parlare di nostro padre – si
accalorò Ikkaku.
-Sì – intervenne Grimmjow – ho sentito
il suo nome. Sembra che sia uno con cui vale la pena fare a pugni.
-Puoi scommetterci – Ikkaku strinse i pugni; i suoi occhi
brillavano – se si tratta di mio padre, allora non ce
n’è per nessuno.
-Nostro padre è un biker – sospirò
Yumichika, passandosi una mano a controllare se i capelli erano a posto
– musica metal a tutto volume, giacche di pelle nere, stivali
da motociclista… e quella orribile, rumorosa Harley Davidson.
-Sta’ zitto, sei tu che ti metti sempre quei maglioncini
lilla.
-E costui è esattamente identico a suo padre; solo, non
altrettanto fico. O almeno così la pensa lui. Secondo me,
lui è altrettanto fico.
-Pensa per te. Non gli stai forse nascondendo qualcosa di importante?
-La cosa dei maschi? – disse Ichigo.
-Credo che se ne sia accorto, in fondo. Beh, non mi importa di dirlo a
voi perché non mi sembrate molto intelligenti. Ma dirlo a
mio padre, quella è tutta un’altra storia.
-Quindi, voi due cosa proponete per voi stessi? – chiese
Unohanasan.
I due ci pensarono su; risposero quasi all’unisono.
-Vorrei essere diverso.
-Vorrei essere migliore.
Poi si guardarono, seccati per essersi parlati sopra l’uno
con l’altro.
La dottoressa sorrise.
-Per ora fermiamoci qui; ma torneremo sicuramente sulla questione.
Vorrei proseguire nel giro; ascoltate attentamente le risposte degli
altri ragazzi, per favore. Dunque, Toshirokun? È il tuo
turno.
-Mh.
Si rialzò stancamente dalla posizione in cui si era
adagiato, ovvero, sprofondato nella sedia con le gambe accavallate.
-Che cosa pensi che potrebbe aiutarti per il tuo problema?
Lui fissò un punto invisibile davanti a sé; negli
occhi aveva una determinazione e un fastidio che Ichigo non aveva mai
visto a nessuno.
-Vorrei vivere da solo.
-Vivere da solo, perché…?
-Perché diminuirebbe sensibilmente il numero di seccature.
Mentre pronunciava la parola “seccature”,
guardò tutti gli astanti con un breve giro di occhiate.
-Sei esplicito, eh…? – gli disse. Non era riuscito
a trattenersi.
Quello si voltò verso di lui, e quando si trovarono a
guardarsi Ichigo vide lo sguardo più irritato e minaccioso
che avesse mai visto. Un’occhiata che lo traforò
in un solo colpo.
E se io fossi
così?, gli venne da pensare.
Forse era per quello sguardo che ai senpai veniva da picchiarlo? Anche
a lui veniva spontaneo irritarsi, con un tipo simile.
-Quali sono le “seccature”, Toshirokun?
Quello prese un respiro profondo, come se stesse portando una
quantità infinita di pazienza; ma rispose. Grave, serio e
per nulla conciliante, ma rispose senza scortesia.
-Chiunque sia attorno a me e faccia troppo rumore. –
Sospirò. – Non sopporto il caos.
Ichigo fu sorpreso davanti a una simile confessione, del tutto
spontanea. Nessuno commentò, probabilmente per incentivarlo
a sentirsi libero di parlare. O, almeno, queste erano le intenzioni di
Ichigo nei suoi confronti.
-Nemukun? Cosa credi che ti potrebbe aiutare, nel tuo caso?
-Credo, Unohanasan… un amico.
Anche la dottoressa tacque per un attimo.
-Credi che farti un amico sarebbe sufficiente, per sentirti meglio?
-Sì. Se ne avessi uno, forse sarei più felice.
Ichigo si commosse davanti a una simile dichiarazione. Almeno, lui gli
amici ce li aveva. Discutibili, ma almeno c’erano.
“Noi saremo i tuoi amici, d’ora in poi”
avrebbero dovuto dirle. Tutti, uno per uno.
Ma nessuno disse niente di simile. Nessuno di loro aveva voglia di
caricarsi sulle spalle i guai degli altri. Unohanasan non fece commenti
al riguardo; probabilmente Nemukun si sarebbe sentita ancora
più ferita, se la dottoressa avesse sottolineato la loro
totale mancanza di solidarietà.
-Proseguiamo con Kirakun?
-S-sì…?
-C’è qualcosa che credi che potrebbe
aiutarti…?
-Io… il fatto è che non lo so. –
Guardò in basso, angosciato, torturandosi le mani.
– Perché io ho cercato quella soluzione
dappertutto, Unohanasan, da moltissimo tempo. Per cui, qualsiasi cosa
fosse, a me andrebbe bene. Mi basterebbe che esistesse. Poi,
quello che potrebbe essere… a me non importa.
Andrà bene comunque.
-Ma tu che cosa pensi che potrebbe aiutarti?
-Io…? – sembrò quasi che stesse per
mettersi a piangere, ma non lo fece. – Andarmene, Unohanasan.
-Vorresti trasferirti in un’altra città?
-No. Andarmene, intendo… da questo mondo.
Ikkaku fece uno scatto, ma Yumichika gli posò una mano sul
braccio.
-Devi sempre essere così rozzo, tu…? –
gli disse, guardandolo di sottecchi.
-Beh, qual è il problema? – disse Grimmjow
– È libero di fare quel che vuole. Se pensa che si
sentirebbe meglio da morto, perché biasimarlo?
-Vorresti dire che ha il diritto di essere debole e arrendersi?!
-No. Sto dicendo che se pensa che morire lo renderebbe felice, allora
che diritto abbiamo di ostacolarlo?
Ichigo fu sorpreso che Grimmjow dicesse una cosa simile, che era, a
conti fatti, un’apologia del suicidio.
Diede un’occhiata a Rukia Kuchiki accanto a lui; lo guardava
con un’espressione che non le aveva mai visto. Seria, grave,
come se le parole di Grimmjow l’avessero colpita
profondamente. Aveva l’aria di voler dire qualcosa, ma non lo
fece.
Anzi, quando si accorse di essere guardata, gli rivolse un grugno pieno
di sfida, come a dire, “e tu che accidenti vuoi?”
Ichigo le rispose con una smorfia e si voltò
dall’altra parte, con sovrano disprezzo.
-Questa è una questione molto interessante – disse
Unohanasan – se sia giusto o meno permettere a un altro di
scegliere la morte. Avremo modo di parlarne, su questo non
c’è dubbio. Ma prima vorrei parlare con
Schifferkun.
Era tanto taciturno che Ichigo a volte si dimenticava della sua
presenza; se non fosse stato seduto davanti a lui e non fosse stato
tanto appariscente nell’aspetto, probabilmente se ne sarebbe
del tutto scordato.
Gli occhi adesso erano puntati su di lui. Benché, come
Toshiro Hitsugaya, non amasse parlare, a differenza
dell’altro non sembrava infastidito dal fatto che
l’attenzione fosse rivolta a lui. Probabilmente, come per
tutto il resto del creato, non gliene importava assolutamente nulla.
Mentre a Toshiro Hitsugaya doveva pur importare qualcosa di quello che
lo circondava, se gli concedeva la capacità di infastidirlo
a tal punto.
-Avevi detto che il tuo problema è il
‘disinteresse’ verso tutto.
Che Unohanasan avesse intenzionalmente evitato di dire “verso
la vita”? Eppure, era la prima parola che a Ichigo era venuta
in mente, e quella che sembrava più adatta.
-Non è un problema – rispose Ulquiorra,
guardandola fisso negli occhi.
Sebbene non avesse affatto un’aria aggressiva, sembrava che
stesse cercando di cancellarla con la sola forza dello sguardo.
Incenerirla con un raggio annientante. Nei suoi occhi non
c’era però rabbia; sembrava che fosse curioso di
vedere se lei avrebbe resistito ai suoi occhi.
Ma Unohanasan, serafica come sempre, lo guardo con
curiosità. Poi gli parlò gentilmente.
-Tu pensi che il tuo disinteresse verso il mondo non sia un problema?
-No. Credo che sia un vantaggio.
-Non ha torto, non ha torto – disse Yumichika – per
esempio, se il nostro amico Izuru avesse la stessa disposizione
d’animo, probabilmente non si tormenterebbe a tal punto.
Guardando l’espressione di terrore negli occhi di Kira Izuru
quando sentì il proprio nome, Ichigo non poté
fare a meno di pensare che Yumichika avesse ragione.
-Dunque che cosa ti ha portato qui, Schifferkun?
Cos’è che ti tormenta in realtà?
Quello chiuse gli occhi, come se stesse cercando delle parole semplici
per spiegarsi meglio davanti a una folla di ignoranti.
-Non avrebbe senso rispondere.
-Perché? – Ichigo non riuscì a non
chiedere.
Schiffer Ulquiorra riaprì lentamente gli occhi, e li
puntò su di lui.
Ichigo si sentì come se il mirino di un fucile si fosse
spostato dritto sulla sua testa.
-Perché non esiste una risposta univoca.
-Che vuol dire? Nessuno di noi, credo, ha una risposta univoca. Le
rotture di palle sono tante. Per tutti.
-Quali sono le tue, Kurosaki Ichigo?
Era la prima volta che Ulquiorra mostrava interesse per il dialogo con
uno dei presenti. Ichigo ci mise un attimo a riprendersi dallo stupore.
-L’ho già detto prima, no? – con quel
tipo non riusciva ad essere maleducato, nonostante tutto. A un altro
avrebbe risposto a insulti. – C’è questa
gente che mi infastidisce.
-Davvero?
-Beh, sì. Guarda Grimmjow: non ho fatto in tempo a mettere
piede qui dentro, che già aveva voglia di pestarmi.
Yumichika ridacchiò. Grimmjow si unì a lui, con
un ghigno divertito.
-Avevi appena detto che nessuno di noi ha una risposta univoca.
Ichigo a quelle parole tacque, la bocca semiaperta.
-Ti ha proprio fregato – gli sussurrò Rukia
Kuchiki.
-Tu non devi essere un idiota, eh? – disse Ichigo ad
Ulquiorra.
Quello alzò le spalle, e la discussione finì
lì. Quel tizio aveva meno voglia di esporsi di quanta ne
avesse lui, e, in fondo, rispettava la sua decisione.
Forse era questo, che lui stava cercando di fargli capire: se Ichigo
non voleva parlare, bene, ma che non costringesse gli altri a farlo.
-Chiudiamo quindi questo cerchio – disse Unohanasan
– con Grimmjowkun.
Lui tacque e la guardò di traverso.
-Cosa potrebbe aiutarti?
-Che chiudessimo tutti il becco e facessimo un dannato qualcosa.
-Non credi che parlarne possa aiutare?
-Parlare delle loro paranoie non mi aiuterà di sicuro a
passare l’anno.
-Se il tuo solo problema è il desiderio di passare
l’anno scolastico, credo che un buon programma di ripetizioni
in un doposcuola faccia al caso tuo; sicuramente, come dici tu, questi
incontri ti serviranno a ben poco.
-È quello che ho detto anch’io.
-E che cosa ti hanno risposto?
-Che ho bisogno di farmi controllare da qualcuno, perché ho
dei disturbi o qualche cagata del genere.
-Tu che cosa ne pensi?
-Merda, ma in questo posto non si deve far altro che pensare, pensare, pensare in
continuazione? Cosa ne penso di questo, cosa ne penso di quello. Se
tutti questi qui facessero qualcosa di concreto, invece che continuare
a parlare, avrebbero già risolto i casini delle loro vite.
-Se ho capito bene, Grimmjowkun, tu pensi che l’azione
immediata sia la soluzione migliore.
-E brava, la penso proprio così. Perché stare a
rimuginare?! Prendi e fai qualcosa per la tua vita; questo è
tutto! E io non ho intenzione di stare qui a guardarmi
l’ombelico piagnucolando con un gruppo di depressi.
-Eppure è quello che stai facendo – disse
Yumichika.
Ikkaku, accanto a lui, stava ribollendo di rabbia. Le sue orecchie
erano rosse come se le avesse tenute al sole per un’intera
giornata in pieno agosto.
-Che stai farneticando?! – disse Grimmjow.
-Avresti potuto andartene in qualsiasi momento; perché sei
qui? Se vuoi andartene, fa’ pure. Daresti un gran sollievo ai
miei occhi, oltre che al resto dei presenti.
-Sta’ a sentire – sbottò Ikkaku
– io sono un uomo d’azione. Chiaro?! Ma
c’è una differenza tra essere un uomo
d’azione ed essere un imbecille avventato. A meno che tu non
sia il migliore, dietro alla vittoria avrai sempre bisogno di una
strategia. E per avere una strategia dovrai pensare, non ci sono altri
modi.
-Si dà il caso che senza farmi troppi piani nella testa io
abbia sempre avuto la meglio su tutti quelli che mi si sono parati
davanti.
-Perché non hai ancora trovato quello che ti fa abbassare la
cresta. Se conoscessi mio padre, tu…
-E poi mi dici che non hai complessi di inferiorità
– sospirò Yumichika – ma sentilo.
“Guarda che ti mando mio papà che ti
picchia!”, disse il pulcino* Ikkaku.
-Vuoi che ti ammazzi?! – strillò Ikkaku, facendo
per afferrare il fratello, il quale schivò abilmente
–Vieni qui, con quelle ciglia lunghe! Ti apro quella testa
vuota che ti ritrovi e col tuo scalpo ci faccio lo straccio per pulire
i cessi!
-Non dirlo nemmeno per scherzo! Con tutta la cura che ci dedico, come
osi dire una cosa simile?!
-Ma voi due… - disse Ichigo, alzando un sopracciglio
– Siete davvero fratelli…?
-Proprio così – Yumichika annuì, mentre
parava i pugni di Ikkaku – e siamo anche figli della stessa
madre.
-Uh? Che significa, ‘figli della stessa madre’? Mi
sembra normale.
-Che cazzo dici? Non lo è affatto – disse Ikkaku
– nostra sorella è figlia di un’altra
donna.
-Avete una sorella? Sul serio?!
-Sì, ma Ikkaku non la sopporta. A dire la verità,
anche a me verrebbe voglia di strozzarla, quando mi nasconde il mascara
e me ne accorgo quando sto per uscire e ho fretta… o, peggio
ancora, quando me lo ruba per usarlo! Se penso alle mie preziose cose
in mano a quelle dita rapaci, mi viene voglia di tagliargliele e
lasciarla con un moncherino di mano.
-Ecco, nostra sorella assomiglia a lei – Ikkaku fece un cenno
col capo verso Rukia Kuchiki – si veste così.
-Che? Un’altra?!
Ma cos’è, un virus?
-Io lo trovo uno stile molto bello – intervenne Nemu
Kurostuchi. Tutti, basiti, tacquero per un istante. Lei
arrossì. – Scusatemi, non volevo interrompervi.
-Ma figurati – disse Yumichika – se non ci fossimo
io e mio fratello, e Ichigo, qui sarebbe un mortorio. Non vi si consuma
mica la lingua, se parlate, lo sapete?
-Ehi, Ichigo, stasera andiamo a bere qualcosa assieme?
-Volentieri, se mio padre non rompe le palle per l’orario
come al solito.
-Speiamo che la piattola non insista per venire con noi –
Ikkaku guardò Yumichika, preoccupato – che scusa
ci inventiamo con Yachiru?
-Possiamo dirle quello che vogliamo, lo sai, ma se vuole venire
verrà comunque.
-Dobbiamo fare in modo che se la tenga appresso nostro padre…
-Perdonatemi se vi interrompo – Unohanasan sorrise
– ma temo che stiamo allontanandoci dall’argomento
principale. Spero che questo non vi offenda.
-Ah! Ci scusi, non ci avevo pensato.
-No, Unohanasan – Yumichika scosse la chioma –
normalmente non mi farei problemi, ma con lei voglio essere educato.
-In ogni caso, credo che il primo incontro possa considerarsi concluso.
Vi ringrazio di cuore per aver partecipato e spero di rivedervi tutti
la settimana prossima.
Ichigo avrebbe voluto dire qualcosa come “grazie a lei,
Unohanasan”, ma sarebbe stato l’unico idiota a
parlare.
Poi, però Nemu Kurotsuchi si alzò e fece un
inchino; Kira Izuru la imitò, e infine Ichigo decise che li
avrebbe seguiti.
Contemporaneamente a lui, si alzò anche Rukia Kuchiki. Si
scambiarono uno sguardo, stavolta non seccato, ma non si dissero nulla.
-Allora alla prossima, Unohanasan – disse Yumichika, facendo
per alzarsi e andarsene.
-Un’ultima cosa – rispose la dottoressa –
c’è qualcosa che vorrei che faceste, per la
prossima settimana.
-Cioè? – chiese Ikkaku.
-Vorrei che per la prossima settimana pensaste a una possibile
soluzione… per i problemi degli altri ragazzi. Se avete
ascoltato attentamente come vi avevo chiesto, sicuramente sarete in
grado di farvi un’idea.
-Cosa dovrei fare, io?! – disse Grimmjow, strabuzzando gli
occhi.
-Pensare.
Dannazione, sei un homo sapiens o no?! Sarai capace di mettere in moto
il cervello, no? – disse Ikkaku.
-Non lo metto di certo in moto per le vostre inutili vite. Tenetevele
finché potete e se proprio volete cambiarle pensateci da
voi; io ci penso da solo alla mia, non vengo a domandare aiuto a
voialtri.
-Ugualmente, io vorrei sentire qual è la tua opinione,
Grimmjowkun – gli disse Unohanasan. – Per me
è molto importante sapere cosa ne pensi. Se pensi che
dovrebbero fare qualcosa per le loro vite, è pur sempre una
risposta.
-Tsk – fece Grimmjow, e poi si alzò senza
aggiungere altro.
-Arrivederci a tutti. Passate una buona settimana.
-La ringrazio, Unohanasan – Rukia Kuchiki
s’inchinò di nuovo – spero che anche lei
passerà dei giorni pieni di letizia.
-Ma che stai dicendo…? – le mormorò
Ichigo, dandole una piccola spinta sulla schiena che la fece
barcollare. Quella si voltò verso di lui con occhi di fuoco
e iniziò a togliersi minacciosamente i guantini, quindi
Ichigo alzò le mani in segno di resa.
-Arrivederci, Unohanasan. Grazie.
-A-arrivederci.
Nemu Kurotsuchi e Kira Izuru si allontanarono e infilarono la porta.
Schiffer Ulquiorra le passò accanto e le rivolse un
impercettibile cenno con la testa, al quale lei rispose con un sorriso
e un inchino.
Ichigo la salutò formalmente e si incamminò
assieme a Rukia Kuchiki, mentre Toshiro Hitsugaya borbottava un
“arrivederci”.
Ichigo camminò lentamente, tenendo il passo con le gambette
corte di Rukia Kuchiki, e aspettò che Grimmjow gli passasse
accanto. Nell’istante in cui fu di fianco a lui, gli
afferrò la spalla.
-Tu non sei un idiota, quindi perché insisti a comportarti
come se lo fossi? – gli mormorò, continuando a
camminare come nulla fosse.
-Hah; stesso si può dire di te, Kurosaki.
Incapace di rispondere, lasciò la sua spalla e si
incamminò verso l’uscita, mentre Rukia Kuchiki
accanto a lui si sistemava i capelli davanti a uno specchietto.
O almeno così sembrava agli astanti.
Rukia Kuchiki, grazie al suo specchietto a forma di cuore, non si era
persa un singolo gesto della loro conversazione.
-Ehi, Ichigo! – Ikkaku si voltò verso di lui
– Allora, stasera? Questa bevuta?
-Oh! Chiedo a mio padre. Se mi lasci il tuo numero di cellulare, ti
faccio sapere appena arrivo a casa.
-D’accordo, adesso te lo scrivo. Ma non mandarmi sms o
diavolerie simili, che non ci capisco un accidente di tutte queste
stronzate.
-Ti telefono, allora.
-Seh, telefonami. Se quella mocciosa diabolica mi frega il telefono e
ti risponde, ignorala, d’accordo? Se le dai confidenza
è peggio.
-Tanto, anche se non gliela dai se la prende comunque –
osservò Yumichika.
-È da un casino di tempo che non giochiamo a pachinko, no,
Yumichika? Potremmo andare in una sala giochi. Senti, Ichigo,
c’è qualcosa del genere, qui a Karakura?
-Ah, sì, ci andavo sempre con Tatsuki. Anche se lei mi
batteva ogni volta.
-Tatsuki? E chi sarebbe? La tua ragazza?
-Ma che ti salta in mente?!– Ichigo rabbrividì
– No, quella non potrebbe essere la ragazza di nessun uomo.
È un’amica d’infanzia. Ma è
tosta, per essere una ragazza; mi ha sempre battuto in qualsiasi
attività da maschi, e ancora adesso è
l’unica che ho paura a far arrabbiare.
-Sembra una tipa divertente – ghignò Ikkaku
– perché non la porti?
-Potrebbe fare a botte con Ikkaku – disse Yumichika,
deliziato – ma aspetta. Se è così tanto
mascolina, devo dedurre che sia una brutta ragazza?
-Che ne so?! Non l’ho mai guardata in quel modo. Nessuno oserebbe
mai guardarla in quel modo.
-Beh, lo saprai se è una bella ragazza o no; cosa sei, cieco?
-Ma che me ne frega, se è bella o no! Non è
questo il punto
di Tatsuki!
-Per caso è grassa…?
-Eh? D-direi di no.
-Ha un bel seno?
-MA CHE CAVOLO…
-E il viso? Che mi dici del viso?
-Insomma, guardala tu e poi giudica! Non ho nessuna voglia di pensare a
Tatsuki in quella maniera. Se non ti piace, picchiala!
-Mi sembra un’ottima idea – Yumichika sorrise
– potrebbe diventare la mia migliore amica.
-E picchiarla ti sembra un modo per fare amicizia…?!
-Beh, perché no? – disse Ikkaku – Una
buona scazzottata è sempre un ottimo principio, per
un’amicizia.
Ichigo pensò a Chado. In effetti, loro due non si erano
presi a pugni tra loro,
ma poteva anche darsi che quei due avessero ragione.
-Allora vi chiamo, ok? Ma se non posso, non prendetevela. Mio padre
è rigido, per quanto riguarda certe cose.
-Non preoccuparti. Nemmeno io oserei mai far incazzare mio padre.
Allora a dopo.
-A dopo!
I due fratelli si allontanarono salutandolo con la mano.
Ichigo rimase ad osservarli; scosse la testa.
-Che tipi – mormorò tra sé e
sé.
-Lo penso anch’io.
-AGH! – Ichigo si accorse che Rukia Kuchiki era rimasta
lì di fianco a lui – Ma sei sempre stata qui?!
-Certo che sono stata qui, dove pensavi che me ne fossi andata? Non
vado mica via senza salutare, come i trogloditi della tua risma.
-Ma che vuoi?! Puoi anche andar via senza salutarmi, sai che me ne
importa.
-A casa mia sono stata cresciuta nel rispetto della
formalità e dell’educazione. Per cui, anche se non
mi va per niente, saluto anche i trogloditi come te.
-E com’è che non hai salutato Ikkaku e
Yumichika…?
-C’è un limite anche alla mia cortesia. Nella mia
famiglia, i teppisti non vengono nemmeno considerati.
-Cos’è, pensate che a loro freghi qualcosa, se voi
non li considerate?
-No. A nessuno importa come loro la pensino. Comunque, quei due non
sembrano cattive persone.
-No, nemmeno a me.
Rimasero un momento in silenzio a fissare i fratelli che si
allontanavano; continuarono a guardare davanti a loro, uno di fianco
all’altra, anche quando ebbero svoltato l’angolo.
Poi Ichigo d’improvviso si ridestò.
-Ehi, ma il sole sta tramontando.
-È ancora maggio, e sono le sei di sera – rispose
Rukia Kuchiki, a bassa voce, come se si fosse incantata a fissare quel
tramonto.
-Dovresti andare a casa prima che faccia buio.
-Cos’è, sei preoccupato per me?
Lei si girò e fece un ghigno. Ichigo fece una smorfia,
incrociò le braccia e si voltò da
un’altra parte.
-Figurati cosa m’interessa di te. Però, le strade
non sono sicure per una ragazza da sola. Rischi di trovare un
malintenzionato che…
-Ah, sono venuti a prendermi! Ora devo proprio andarmene. Arrivederci, Kurosakikun.
Ichigo la guardò, attonito, mentre correva verso una
limousine nera lunga più di una decina di metri. Lei gli
fece un cenno con la mano mentre qualcuno le apriva la portiera; poi
sparì dietro i vetri oscurati.
-Che cosa tamarra – si disse Ichigo tra sé e
sé, disgustato.
Però, adesso che doveva farsi venti minuti a piedi ed era
stanco per la lunga giornata, pensò che una limousine
tamarra come quella sarebbe andata benissimo anche a lui.
*Mi sembra di aver capito che i pulcini, negli asili giapponesi, siano
i ‘piccoli’ XD.
(Nda: ok; e con questa è finito il primo incontro.
D’ora in poi, la struttura dei capitoli cambierà;
non ci saranno più solo dialoghi, ma vedrete qualcosa di
nuovo. Comunque non voglio anticiparvi nulla.
Per Kenpachi metallaro biker e Yachiru lolita: anche qui, mi rifaccio
alla sigla di The Sealed Sword Frenzy; guardatela per farvi
un’idea XD. Del resto, non ho dubbi che Kenpachi sarebbe un
tipo del genere.
Rispondo un po’ ai vostri commenti <3:
@ Fla: per
gli altri personaggi sai già come stanno le cose XD non
costringermi a parlare!
@Sarunia:
wow, addirittura *_* iscriviti presto che ti diamo il benvenuto. Grazie
mille dei complimenti ^^!
@Garconne:
ehm, no, non voglio spoilerare XD forse sì, forse no.
Metterò la maggior parte dei personaggi, ma non
tutti… questo è tutto ciò che posso
dire XD
@Exodus: me
l’hai anche segnalata per le scelte ;_; non ho parole,
grazie! Comunque mi fa piacere leggere che sono riuscita a rendere quel
senso “da manga”, è proprio quello che
mi ripropongo. Non so quanto potrà durare date le tematiche,
ma ci si prova.
Hai anche colto in pieno la difficoltà di diversificare i
tre teppisti (e pensa se ci fosse Renji XD!).
Di Nemu non dirò nulla :X bocca cucita fino a quando non
sarà sotto i riflettori.
Mi dispiace molto per Yumichika, non sei il primo a farmelo notare; ho
anche riletto l’intero manga per studiarmelo, ma
evidentemente non è nelle mie corde
ç_ç’’ però sto
cercando di sistemarlo, spero sia venuto bene!
Per la questione di Ulquiorra, in realtà non volevo
enfatizzare nulla né creare suspence
ç_ç’ è solo che gli occhi di
Ulquiorra mi danno quest’impressione. Starò
più attenta.
Grazie in ogni caso dei complimenti e di seguirmi!
@Xazy: uh,
grazie *_* è molto difficile stare dietro a questi pazzoidi
in un’AU, mi fa piacere sapere che è venuta fuori
decente. Thanks!
@Lou: ho
visto che mi hai segnalato, e ti ringrazio tantissimo! Però
non dirò niente sui personaggi che appariranno o no XD tanto
lo scoprirete tra non molto.
Ad ogni modo, per ora la caratterizzazione dei personaggi è
a un livello abbastanza superficiale, così come la storia :D
c’è ancora molto che devo raccontarvi.
Eccoti comunque accontentata col capitolo :D son stata veloce eh XD?
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Capitolo 5 *** 4. Family Portrait ***
Yumichika camminava in silenzio fianco a fianco con suo fratello.
Fischiettava un motivetto, la canzoncina di un’idol della
quale non ricordava nemmeno il nome. Ikkaku ogni tanto dava un calcio a
qualche sassolino, masticando una gomma e facendo scoppiare
rumorosamente la bolla.
Gli passò di fianco un tizio. Era alto, snello, la pelle
chiara e lunghi capelli neri. Negli occhi gli brillavano diamanti; duri
e inattaccabili, ma affascinanti come solo i diamanti possono essere.
Yumichika lo fissò, e incontrò il suo sguardo. Fu
questione di un attimo, e poi il tizio tornò a guardare
davanti a sé, con un’alterigia degna di un re.
-Semplicemente adoro
l’uomo in completo – mormorò tra
sé e sé.
-Uh? –Ikkaku si voltò verso di lui – Che
hai detto?
-Oh, no, nulla. Ti ricordi quel film occidentale, con Nicole Kidman? Diamonds are a girl’s
best friends – canticchiò.
-Ti sembra che io possa guardare roba del genere, demente?
-Solo un grezzo come te può non apprezzare Moulin Rouge.
-Ma davvero? Perché non lo dici a nostro padre, mister
maglioncini lilla?
-Piantala.
-Piantala, eh? Però ti faccio comodo quando ti copro le
spalle per andare a vedere il concerto di Madonna.
-Io fossi in te non cercherei di farmi innervosire, sai?
-Altrimenti? Mi trafiggi con la spazzolina del mascara?
-Sai benissimo che potrei farti del male anche con quella,
-Urgh. Sta’ zitto, o mi tocca prenderti a pugni qui in mezzo
alla strada.
-Piuttosto, sfoghiamoci stasera con quei tizi dell’altra
volta alla sala giochi. Potrei sempre scaricarmi su di loro per essermi
perso l’ultima data di Anna Tsuchiya…
-Senti, se vuoi menarli in nome del Dio dei Gay, fa’ pure, ma
per favore tieniti per te delle motivazioni del genere, ok?
-Sei proprio un bastardo, Ikkaku.
-Oooh, cazzo! È così che dovresti rispondere a
nostro padre, se la cosa non gli va giù. Se con me puoi
farlo, perché non con lui?
-Lo sai benissimo perché, fratello; non farmelo ripetere
ogni volta.
-Heeyy! Pelatino e Ciglione! Dov’eravate stati?!
Un turbine di pizzi bianchi e neri si scaraventò su di loro;
Ikkaku finì a terra mentre Yumichika, che era riuscito a
schivarla, si riassettò i vestiti con sussiego.
-Vuoi piantarla di chiamarmi a questo modo?! Dico io, non puoi salutare
come una persona normale?!
-Ehi, tu, idiota. Tratta con rispetto tua sorella minore –
tuonò una voce.
Davanti a loro si stagliò il capofamiglia in tutta la sua
imponente statura.
Capelli ingellati, il chiodo con le borchie, la cintura con la
cartucciera e un paio di solidi anfibi con la punta in acciaio.
Kenpachi Zaraki si appese una catena al fianco, guardando i nuovi
arrivati con aria seccata.
-Perché diamine dovete sempre fare tutto ‘sto
casino?
-Ma è stata la mocciosa!
-Ah sì? Beh, allora tu non fare ancora più
casino. Ho appena finito di lavorare, e sono dell’umore
giusto per ammazzare qualcuno.
-Padre – intervenne Yumichika – stasera io e Ikkaku
vorremmo uscire con un nostro amico. C’è bisogno
di noi al lavoro?
-Nah – agitò una mano – andate dove vi
pare, almeno non mi state in mezzo alle palle.
-Grazie, padre.
-Ehi – Ikkaku riuscì a levarsi Yachiru di dosso,
anche se questa iniziò a mordicchiargli il braccio
– tu, piccoletta. C’è qualcosa da
mangiare?
-Eeeeh?! Mangiare? Ma io pensavo che voi avreste portato a casa
qualcosa!
-Che?! Io…? Hai già dodici anni, sarebbe ora che
iniziassi a imparare a cucinare come una brava donna giapponese, no?
-Ma io mi annoio a economia domestica! È assolutamente
noioso! Preferisco giocare alla lotta con i maschi.
-Quanto siete fastidiosi. Perché non imparate a far qualcosa
di utile, voi due? Siete più grandi di lei, almeno un riso
in bianco dovreste essere capaci di farlo, no?
Ikkaku era arrabbiato, ma non fu in grado di rispondere. Yumichika
sbuffò.
-Padre, fai sempre preferenze per Yachiru. Finiremo per pensare che
vuoi più bene a lei che a noi.
-Certo che vuole più bene a me! – la ragazzina
fece una linguaccia – Voi due siete stupidi e anche brutti!
-Che cosa… - Yumichika si portò una mano al
petto, oltraggiato – Tu… cos’hai appena
detto?!
-Volete starvene zitti un minuto…? Quanto siete rumorosi.
Sbrigatevi a mangiare e poi trovatevi qualcosa da fare; io stasera vado
alle corse.
-Oh, voglio venire anch’io, voglio venire anch’io!
E voglio fare la camomilla*!
-Fa’ come ti pare. Se poi però ti raschi la faccia
sull’asfalto non lamentarti con me, chiaro?
-No, papino! Io verrei con te dappertutto, tanto lo so che non
lasceresti mai che mi faccia male.
-Non esserne troppo sicura, cretina.
I due si allontanarono, con Yachiru che saltellava per farsi prendere
in groppa dal padre. Quello non ci fece caso e continuò a
camminare, con quella sua andatura a gambe larghe da teppista navigato.
-Gne, gne, gne, papino gne gne – mormorò
Yumichika, facendole il verso e accompagnandolo con qualche gestaccio.
Ikkaku gli diede una botta sul braccio.
-Ne basta uno di moccioso, qua dentro. Piuttosto, tu che sei mezzo
femmina, perché non impari a cucinare qualcosa? Tra un
po’ ci tocca condire il riso con l’olio del motore.
-Se non la finisci con queste battute, te lo faccio bere sul serio.
Senti, andiamo a un convenience store e compriamo qualcosa di
già pronto, no?
-Che? Qua finisce che ci rimettiamo il fegato. Secondo me, quella
mocciosa è cresciuta male perché ha sempre
mangiato roba in scatola.
-Affari suoi, non sta a me far da mangiare per tutti. A noi uomini mica
insegnano a cucinare, a lei invece sì.
-Ma tu mangeresti qualcosa che esce dalle mani di quella?
-Certo che no; ma almeno potrebbe provvedere per sé. E dire
che sarebbe così carina, se solo non avesse quel
caratteraccio. Sua madre dev’essere una donna bellissima.
-E chi l’ha mai vista? Però, se piaceva a nostro
padre, probabilmente lo era.
-Ma se ha detto che non si ricorda nemmeno il suo nome.
-Tanto, non si ricorda il nome nemmeno della nostra, di madre.
-Secondo me le nostre madri dovevano essere quelle tipe,
sai… quelle che trovi nelle feste dei motociclisti. Quelle
tizie sempre mezze nude e ubriache che vanno con i biker.
-Non voglio saperne nulla. Non ho mai voluto saperlo e non
m’interessa adesso.
-Volete sapere chi erano le nostre mamme?
Una vocina squillante irruppe nel soggiorno, accompagnata dal gran
sorriso di Yachiru.
-TU! – strillò Ikkaku – Ti sembra il
modo di saltare fuori all’improvviso?!
-Non sta bene origliare, lo sai, Yachiru? Se lo fai un’altra
volta, ti decapito l’Orsoconiglio**.
-Però vuoi che ti dica chi sono le nostre mamme, vero?
-Non me ne frega un accidente, ho detto!
-Beh, a me invece interessa. Su, dicci quello che sai.
-Lo vuoi proprio sapere, Ciglione? Proprio, proprio, proprio sapere?
-Sì, voglio saperlo.
-Ma proprio tanto, ma tanto tantissimo?
-Oh, avanti. Dimmi che cosa vuoi in cambio.
-Mmmh! – fece un enorme sorriso – Allora vai fuori
e comprami il sushi.
-E tu – disse Ikkaku – vendi
l’identità di tua madre per un piatto di sushi?!
-E quindi? Di mamma non mi interessa niente, mentre adesso ho una fame
da lupi e voglio assolutamente il sushi. Voglio il sushi, il sushii!
-No! Piantala di morsicarmi! Non sono da mangiare, mocciosa maledetta!
-Se Ciglione non mi porta il sushi, io ti mangio!
-Ho capito – sospirò Yumichika – non sai
un accidente nemmeno tu; però hai fame, e sei disposta a
bluffare perfino su tua madre pur di avere del cibo.
-Yumm! – fu la risposta, mentre sul braccio di Ikkaku
iniziavano a comparire i solchi dei suoi canini.
-Yumichika, merda, comprale da mangiare!
-Come faccio? Avevo giusto i soldi per i gettoni, stasera…
-Prenditi i miei e va’ a prendere quel dannato sushi! AHIA!
Io vi ammazzo tutti e due, deficienti…!
Yumichika si allontanò con un cenno di saluto e
frugò nella tasca di Ikkaku, mentre Yachiru lo teneva
immobilizzato con una presa di wrestling. Stavano per uscirgli gli
occhi dalle orbite, nel vedere Yumichika scomparire dietro la porta con
tutti i suoi risparmi della settimana, quando Yachiru improvvisamente
lo mollò e sorrise.
-Però è vero che so qualcosa, Pallina da Pachinko
– gli sorrise – se vuoi, te lo dico.
-Non mi estorcerai degli altri soldi, piccolo avvoltoio! Anche
perché non ne ho più, hah! Come pensi di fare ora
a fregarmi?
-Bah, te lo dicevo anche senza i soldi, tanto adesso Ciglione torna con
la cena. Lo sai perché mi chiamo Yachiru?
-E come potrei saperlo? Mio padre mica si è consultato con
noi, scema.
-Sceemaa? – Yachiru, indispettita, fece per tirargli i
capelli; vedendo che non ce n’erano, scoppiò a
ridere e dimenticò di essere stata insultata. –
Uuh, pelatino, con te mi diverto così tanto!
-Che stavi dicendo…?
-Ah, sì, perché mi hanno dato questo nome. Una
volta, papino me l’ha detto. Fammi pensare…?
– Yachiru si portò un dito alla bocca e ci
rifletté un attimo. Poi tornò a guardare Ikkaku.
– Ci sono, ci sono, Pelatino! Ecco cos’ha detto.
– Prese un bel respiro e poi parlò, imitando la
voce bassa di suo padre. – “Yachiru… questo
è il nome dell’unica persona al mondo alla quale
vorrei somigliare.”
Ikkaku tacque, sopraffatto da quella rivelazione. Aprì la
bocca e subito la richiuse. La riaprì, la richiuse. La
riaprì; “tsk”, disse soltanto, e poi ci
rinunciò.
-Ah ah ah! Beh, che c’è? Sei sorpreso? Eh? Io ho
il nome della persona alla quale vorrebbe somigliare! È
ovvio che vuole più bene a me che a voi!
-Sta’ zitta per un momento. – Ikkaku
abbassò la voce. – Yachiru, è un nome
da donna.
-Certo che sì, ti sembro un maschio?
-Mio padre vorrebbe somigliare… a una donna.
-Già! Doveva ammirarla molto!
-E Yumichika… adesso
si spiega tutto…! Ecco da chi ha preso, quel dannato! Oh, ma
averlo scoperto prima!
-Che stai dicendo, Pelatino?!
-Corro subito a dirglielo! Stavolta la smetterà di farsi
paranoie, sapendo questo su nostro padre! Mocciosa, per una volta ti
sei resa utile.
-Ma…
-Offro io la cena anche domani!
Ikkaku si precipitò fuori dalla porta con entusiasmo,
lasciando Yachiru seduta sul pavimento dell’entrata.
-E poi dicono che io non capisco mai niente –
sospirò, preoccupata – stupido
Pelatino… papino non vuole diventare una donna. Papino vuole
soltanto…
Ma sospirò, perché non lo sapeva nemmeno lei. Ma
sapeva che c’era qualcosa,
e sapeva che avrebbe aiutato suo padre a cercarlo.
-Hai capito?! Nostro padre. Chi avrebbe mai detto che…
-Ma che stai dicendo? Non hai capito assolutamente niente.
-Ti dico di sì, invece, Yachiru mi ha detto…
-Non cercare espedienti assurdi per convincermi a parlargliene. Non lo
farò mai.
-Daaah – Ikkaku alzò gli occhi al cielo,
esasperato – dico, ma cosa pensi che potrebbe succedere? Non
ti butterà di certo fuori di casa.
-No, ma di sicuro mi odierebbe. Ti ricordi quella volta che ho appeso i
poster di Britney e Lady Gaga? Ho dovuto raccontargli che era
perché rappresentavano il culmine delle mie fantasie
erotiche.
Ikkaku scoppiò a ridere sgangheratamente; Yumichika
gonfiò le guance, seccato, mentre suo fratello si asciugava
le lacrime dagli occhi.
-Vorrei vedere te, se fossi costretto a nascondere qualcosa a tuo padre.
-Anche lui nasconde molte cose a noi, no? Non sarebbe giusto che se la
prendesse, se tu per un po’ avessi avuto un segreto. Idiota?
Ascoltami. In officina sei bravo quasi quanto me. Hai idea di quanto
fatturato gli fai fare, a quell’uomo? E nessuno come te
riesce a dribblare sulle ricevute fiscali coi clienti.
-Mi odia perché mi metto i guantini per non sporcarmi e ogni
volta che mi arriva uno schizzo d’olio vado a cambiarmi il
vestito.
-E io dico che non gliene frega niente, se tanto alla fine fai il tuo
lavoro.
-Io invece dico che si vergogna con i clienti.
-Io, invece, dico che dovrebbe vergognarsi se tu fossi un incapace. Ma
non lo sei.
-Questo lo dico anch’io – sospirò
– il punto è che tra quello che dovrebbe fare e
quello che in realtà farà, passa un orizzonte.
Lasciamo le cose come sono, Ikkaku. È meglio così.
-Come ti pare. Se vuoi il mio silenzio, però, domani la cena
la paghi tu.
-Che?! Sei veramente un bastardo!
-Bastardo, io?! Sei tu che sei un idiota.
Ikkaku prese la rincorsa e diede un calcio a un ciottolo, e poi
continuò a correre e a calciarlo per tutto il tragitto fino
a casa, lasciando Yumichika indietro a pensare alla sua situazione.
Poi vide che interrompeva il suo gioco per rispondere al telefono; dopo
un paio di battute, si fermò ad aspettarlo.
-Ichigo dice che stasera può venire; ci aspetta alla sala
giochi di Karakura. Ha detto che lì è pieno di
gente a cui piace attaccare rissa, quindi di non farci caso se
dovrà abbandonarci qualche minuto per liberarsi di quei tizi.
Ikkaku lo guardò.
Yumichika sorrise.
Ikkaku ghignò a sua volta.
-Se ci lascia indietro davanti a una rissa –
sospirò Yumichika, lisciandosi i capelli – digli
che non lo perdonerò mai.
-Sapevo che l’avresti detto – ghignò
Ikkaku – e sta’ tranquillo: lo sa anche nostro
padre.
*Perdonatemi, non so come si dica in giapponese e il mio amore per la
coerenza non basta a mandarmi in cerca del corrispettivo XD. In
pratica, una ragazza viene legata dietro la sella con una cintura,
seduta al contrario, mentre la moto gareggia con un’altra
impennata su una ruota.
** Una borsa:
http://i13.photobucket.com/albums/a252/nemabelial666/Orsoconiglio.jpg
(Nda: wii, la famiglia Zaraki XD! Che dite, mi sono usciti bene XD? Io
adoro Kenpachi e Yachiru, e spero davvero di averli resi il meglio
possibile. Al prossimo capitolo leggeremo dell’uscita con
Ichigo e Tsuki e poi approfondiremo ancora un po’ le vicende
di questi due personaggi ^-^.
Mi raccomando, rassicuratemi oppure fatemi sapere le vostre
osservazioni sulla caratterizzazione di questa allegra famigliola
è_é ci tengo!
Nota: nello scorso capitolo ho fatto un errore, scrivendo
‘marzo’ anziché
‘maggio’. Ho corretto, quindi sappiate che nel
momento in cui questa storia inizia siamo a metà maggio ^^
che è il momento in cui Ichigo e Rukia si incontrano.
Per rispondere ai vostri commenti:
@Xazy: mi sa
che sia per la prossima seduta, sia per Rukia dovrai aspettare un po'
XD in questo momento il focus è su di loro, ma tranquilli,
avrete la vostra dose di Rukia e Ichiruki ;D abbiate pazienza. E' solo
che in questa fic non saranno il punto focale, ma ci saranno.
@Sarunia: se
ti piace l'idea della famigliola, ecco a te serviti XD! Spero davvero
che tu abbia apprezzato. Grazie della recensione e buona estate anche a
te!
@MayCry:
grazieee ^-^! Dunque, per la questione dei suffissi, in
realtà a quanto so "kun" è sì
maschile, ma viene usato anche con ragazze quando con esse non si ha
confidenza. E "chan" è sì femminile, ma appunto
*molto* femminile, e parecchio confidenziale, dunque non lo vedevo il
caso questo in cui una professionista adulta si rivolge a Rukia con
"Rukiachan ^o^" (la faccina è come se ci fosse XD). Ho
chiesto a una laureanda in giapponese (grazie Elenaaa ;3;) e mi ha
più o meno confermato questa versione, anche se mi ha detto
che Kuchikikun sarebbe più corretto. Ormai però
è tardi per rimediare ;_; chiedo scusa alla lingua
giapponese *si autobacchetta le mani* Grazie comunque per aver
precisato :)!
Alla prossima!)
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Capitolo 6 *** 5. Boom ***
-Yo, Ichigo! Siamo qui!
Yumichika si sporse da dietro il fratello per guardare la ragazza
accanto a Ichigo.
Ne fu stupito: era senz’ombra di dubbio una bella ragazza.
Bel fisico, proporzionato nelle forme e ben tornito, un seno
impeccabile e un viso piuttosto carino.
Peccato per quell’espressione di sfida, pensò
Yumichika assottigliando gli occhi e grattandosi il mento.
Fu bruscamente portato alla realtà da una voce femminile.
-Ehi, tu, posso sapere cosa stai fissando?
-Mmh…?
Guardò la ragazza di fianco a Ichigo: era stata lei a
parlare. Lo guardava come se avesse voluto incenerirlo.
-Piantala di squadrarmi da capo a piedi, chiaro?
-Tatsuski Arisawa – sospirò Ichigo, sopracciglia
aggrottate, indicandola col pollice – compagna di classe e
amica d’infanzia.
-Ehi, lo dici come se per te fosse un fastidio.
-Sei proprio bella, lo sai, Tatsukichan?
-CHE…? Ma come ti permetti?! Vuoi che ti stenda a terra?
-Idiota, lei non sa
– disse Ikkaku – scusati immediatamente.
-Scusarmi? Non ci penso nemmeno. Non capisco perché qui in
Giappone un complimento sia considerato alla stregua di una molestia
sessuale. Per noi amanti del bello,
questo…
-Sei sicuro che questo qui sia a posto? – sentì
Tatsuki Arisawa mormorare all’orecchio di Ichigo.
-In realtà non ne sono poi così sicuro. Beh,
comunque, questo è Ikkaku, mentre lui è Yumichika.
-Ah-ha. Piacere di conoscervi.
Ikkaku fece un cenno con la testa e Yumichika sfoderò il
più enigmatico dei sorrisi.
-Ichigo mi ha detto che non sei male a combattere, eh? –
disse Ikkaku a Tatsuki.
-Ichigo ti ha detto bene. Non ha mai vinto una sola volta contro di me,
finché non è arrivato alle medie.
-La pianti di raccontare sempre la stessa storia…?!
-Cos’è, ti brucia? –
sogghignò Tatsuki – Comunque, che
cos’avete intenzione di fare?
-Pensavamo di andare alla sala giochi – disse Ikkaku
– anche se, forse, una ragazza… non è
che non è il posto adatto?
-Ikkaku, non dire mai una cosa simile di fronte a Tatsuki. Consiglio da
amico.
-Che cosa hai appena
detto…? – gli occhi di Tatsuki
fiammeggiarono – Solo perché sono una ragazza, io
dovrei… bene.
L’hai voluto tu. Sfidami a
Street Fighter, se ne hai il fegato.
-Io, il figlio di Kenpachi Zaraki, non avrei il fegato?!
L’hai voluto. Avanti, entriamo e fatti sotto. Sappi che non
ci andrò piano solo perché sei una donna.
-È proprio quello che voglio! Andiamo!
I due si incamminarono pestando i piedi e accelerarono il passo. Ichigo
rimase indietro con Yumichika, a fissarli con gli occhi sbarrati.
-Beh, sembra che vadano d’accordo –
commentò, grattandosi la testa.
-Oh, ci puoi scommettere. A Ikkaku è sicuramente simpatica.
Perché non usciamo più spesso insieme? Oppure
potreste venire a trovarci in officina.
-Ah, avete un’officina?
-Già; è di proprietà di nostro padre,
e noi diamo una mano in cambio di un po’ di soldi. Dato che
siamo senza madre, dobbiamo arrangiarci in qualche modo, visto che
siamo quattro bocche da sfamare. E poi io ho bisogno di soldi per i
vestiti, quindi…
-Ah… c-certo, capisco. Ehm… e quindi avete
un’officina. Beh, è una cosa utile; se ci si
guasta la macchina, la porteremo da voi. In cambio, se qualcuno di voi
si ammala, potete venire alla clinica di mio padre.
-Mah, a casa nostra per la verità godiamo tutti di una
salute di ferro. Poi, mio padre sarebbe capace di ucciderci, se ci
lamentassimo per un po’ di febbre o di mal di pancia.
-Dev’essere un bel tipo, vostro padre.
-Lo è. È il nostro idolo, mio e di Ikkaku. E
nostra sorella, beh, per lei esiste solo lui. Eppure non è
di certo una persona amabile.
-Ah, no? E perché allora gli siete così
affezionati…?
-Me lo chiedo sempre. A volte preferirei non dipendere così
tanto dalla sua considerazione, eppure… non so come
spiegarmi, ma non riesco a farne a meno. Anche se non fosse mio padre,
credo che proverei per lui lo stesso tipo di adorazione.
-Ah – buttò lì Ichigo, pensando al suo,
di padre. Il padre che sollevava le gonne alle bambine e lo accoglieva
in casa con un calcio. Disgustato, tornò alla conversazione.
– Sarebbe figo conoscere un padre così. Un giorno
vengo a trovarvi di sicuro, magari col mio amico Chado.
-Chado? Chi sarebbe?
-Credo sia il mio miglior amico. Sì, è proprio
così. È un tipo che stimo molto, e di cui mi
posso fidare.
-Mmh. È bello?
-Stammi a sentire –
sbottò Ichigo – passi chiedermi di Tatsuki, ma non
domandarmi mai più se Chado sia bello. –
Si diede uno scossone per scacciare i brividi. – Quando lo
vedrai, capirai cosa intendo. Chissà, magari lo troviamo in
giro…
Ikkaku e Tatsuki erano già entrati nella sala giochi ed
entrambi avevano le tasche dei pantaloni rigonfie di gettoni. Entrambi,
le mani fisse sui comandi, fissavano lo schermo con aria battagliera,
sbuffando dalle narici.
-Ma guarda, mio fratello si sta divertendo. Ichigo, che ne diresti se
andassimo a farci le foto nel print club*?
-Cheee?! Ma è roba da donne! Poi, lo facevano almeno dieci
anni fa!
-Io adoro fotografarmi da tutte le angolazioni, per vedere da quale
lato sono più bello.
-Beh, io non ci penso nemmeno! Se vuoi ci sfidiamo a Soul Edge e questa
è la mia ultima offerta.
-Non ti piace Dance
Dance Revolution?
-Ma sei fuori?! Non farò mai una cosa tanto ridicola!
-Uff; avrei dovuto portarmi Yachiru. Con lei faccio sempre questo tipo
di cose.
-Ma che razza di famiglia siete…?!
-Ma guarda qua chi c’è – disse una voce
familiare, abbastanza ad alta voce perché tutta la sala
giochi si voltasse.
Tra questi, anche Ichigo e Yumichika, che rimasero sorpresi nel
constatare l’identità del proprietario della voce:
che ci faceva Grimmjow Jaggerjack a Karakura a quell’ora di
sera?
Tutta la sala taceva, in ossequioso silenzio. Questo faceva pensare che
Grimmjow fosse un tipo parecchio conosciuto.
Solo due voci continuarono ad alzarsi come se niente fosse, dal lato
dei giochi di picchiaduro.
-Credi forse che ti lascerò vincere così
facilmente?! Non hai ancora visto le mie vere capacità!
-Ah sìì? Faresti meglio a mostrarmele in fretta,
io mi sto annoiando;
sei quasi più scarso di Ichigo, lo sai?
-Questi due cretini – mormorò Ichigo. Poi
tornò a guardare Grimmjow. – Beh, e tu che ci fai
qui?
-Che ci faccio qui? Beh, quello che stai facendo tu, no? Che cosa stai
facendo qui, Ichigo Kurosaki?
-Mah, mi faccio un giro con Ikkaku e Yumichika, e con la mia amica
Tatsuki.
-Chiaro. Anch’io sono qui con degli amici –
indicò dei tizi dietro di lui – non ti spiace se
ci fermiamo qui, no?
-Perché dovrebbe dispiacermi? Fai quel che ti pare. Non
è mica mia, la sala giochi.
-Ben detto. Allora, Ichigo Kurosaki, ti presento i miei amici: Di Roy,
Shawlong, Edrad, Yylfordt e Nakeem.
Ichigo spalancò gli occhi e li passò in rassegna
con lo sguardo.
-Cos’è; ti fanno paura, Kurosaki
Ichigo?
-N- no, è che… - sollevò un
sopracciglio, basito – avete tutti dei nomi assurdi.
-Dì un po’, ma tu ti sei visto, con quei capelli?
– disse un biondino – E vieni da noi a parlare di
‘assurdo’?
-Beh, se vogliamo parlare di capelli, dovresti guardare il vostro capo!
Possibile che lui abbia i capelli azzurri e nessuno gli dica mai
niente…?!
-Questo dovrebbe farti capire – lo apostrofò
Grimmjow Jaggerjack, avvicinandosi a lui con le mani in tasca
– che io sono un uomo temuto. E rispettato. E quando ti
temono o ti rispettano, i tuoi capelli azzurri non vogliono dire
assolutamente niente.
-C’è perfino gente che per copiarlo si
è tinto i capelli di azzurro – disse il biondino.
-Che terribile cattivo gusto – disse Yumichika, chiudendo gli
occhi come per allontanare da sé tutta
quell’ineleganza.
-Non esiste! Non puoi star vincendo! È
impossibile…!
-E invece sì, uomo!
Assapora la sconfitta attimo per attimo!
-Aaahh, no, cazzo! Eppure sto dando il massimo!
-Evidentemente non basta, contro di me!
Ichigo si voltò verso i due, che erano ancora immersi nella
loro partita di Street
Fighter. Scosse la testa.
-E dovresti vedere lui e Yachiru a casa – sospirò
Yumichika.
-Lo posso immaginare. Vabé; allora, questa sfida a Soul Edge?
-Mmh, ok. Io prendo Sophitia, non osare sceglierla per te.
-Ehi, Kurosaki – lo chiamò Grimmjow –
perché, invece che combattere su uno schermo, non vieni
fuori a misurarti con me?
-Che…? E perché dovrei?
-È ovvio, no? – Grimmjow assottigliò
gli occhi – Per vedere chi di noi due è il
più forte.
-Ah – Ichigo scosse la testa – ma questo non
avrebbe senso.
-Perché diavolo non avrebbe senso?
- È ovvio, no? – assottigliò gli occhi
– Perché non c’è dubbio sul
fatto che il più forte sono io.
Grimmjow scoppiò a ridere di gusto. Non sembrava affatto
piccato; anzi, sembrava entusiasta.
-Allora dimostramelo, no? – ghignò nella sua
direzione – Fammi vedere di cosa sei capace, Ichigo Kurosaki.
-Lascia stare – Ichigo alzò una mano –
non ho motivo di fare a botte con te.
-Un motivo…? Vorresti dirmi che hai bisogno di un motivo per
combattere…?
-Chiaro! Non ho ragione di prendere a pugni un tale, se quel tale non
mi ha provocato.
-Cazzate! Se non amassi visceralmente combattere, Ichigo Kurosaki…
non combatteresti nemmeno se provocato! Non hai bisogno di cercare scuse per il sano
istinto di prendere a pugni qualcuno.
-Pensala come ti pare. Io gioco a Soul Blade con Yumichika.
-Ah, è così…? – Grimmjow si
puntò le mani sui fianchi. – Ehi, Di Roy. Shawlong.
-Subito.
-Sissignore.
Sissignore?,
pensò Ichigo, stralunato. Cos’erano, i suoi servi?
Ma non fece in tempo a fare le sue riflessioni, che un biondino e un
tizio con la treccia nera si pararono davanti a loro.
-Vogliamo giocare a Soul
Blade – sogghignò il biondino.
-Con tutti i giochi che ci sono… proprio a
questo…?!
-Proprio così. Vogliamo giocare a Soul Blade, e vogliamo
giocarci adesso.
Ichigo strinse i pugni e cercò di contenere la rabbia.
-D’accordo – disse tra i denti – giocate.
Io e Yumichika ci troviamo un altro gioco. Ehi, ti va bene Tekken? Anche se
non ti va bene, vedi di fartelo andare bene lo stesso.
-Che scortesia. Sei proprio un grezzo a volte, Ichigo.
-Piantala e vieni con me!
Si diresse verso la consolle di Tekken, ma aveva un brutto
presentimento.
E ne aveva ben donde: davanti al videogioco sostavano un tizio grasso e
un armadio coi baffi, con un’espressione tutt’altro
che conciliante.
-Fatemi indovinare. Voi volete giocare a Tekken; qui e adesso, non
è così?
-Perspicace – commentò un altro tizio che era
rimasto vicino a Grimmjow.
In quel momento, Tatsuki e Ikkaku tornarono dalla loro partita,
sgranchendosi rumorosamente le dita e il collo.
-Bella partita – le stava dicendo lui – Ichigo
aveva ragione su di te.
-Ammetto che anche tu non te la cavi male.
In quel momento Ikkaku si accorse dell’assoluto silenzio che
regnava nel posto, e, subito dopo, di Ichigo e Yumichika che
fronteggiavano quei due tizi enormi.
-Beh? Si può sapere che state combinando, voi due?
-Se non fossi stato tanto occupato a strillare con Tatsuki, adesso lo
sapresti!
-Fratello, con quella tua mania di scaldarti subito, ti perdi sempre il
meglio.
-Tsk. Vorrà dire che recupererò al più
presto. Quindi? Che vogliono questi?
-Questi, non lo so – disse Ichigo – ma lui –
indicò Grimmjow – ha voglia di fare a botte.
-Ottimo – si rallegrò Ikkaku –
dov’è il problema? Ehi, Grimmjow, andiamo fuori.
Se poi vinci tu, ti offro il saké al locale qua di fianco.
-Non mi interessi tu, e neanche quell’altro. A me interessa
Ichigo Kurosaki.
-Se lo dici così, sembri quasi ambiguo, sai? –
osservò Yumichika, controllandosi le pellicine delle unghie.
Grimmjow lo ignorò.
-Qual è il problema? Mi sembra che tu non ti sia mai tirato
indietro quand’era ora di fare a botte. O la tua fama
è solo frutto di pettegolezzi mal riportati?
-Non me ne è mai fregato granché di quello che
dice la gente, per cui non so che cosa ti abbiano detto di preciso.
Cioè, piuttosto, perché ti sto così
tanto sull’anima?
-Perché tu
sei considerato al mio livello. E quando ti avrò fatto
assaggiare l’asfalto, a quel punto io sarò
considerato il più forte.
-E quando avrai ottenuto questo, che farai?
Grimmjow tacque per un attimo. Poi rispose con decisione.
-Ovvio, no?
Quando avrò ottenuto questo, cercherò uno ancora
più forte da sconfiggere.
Ichigo alzò un sopracciglio, e incrociò le
braccia.
-A me una cosa del genere sembra stressante – gli disse.
-A me, invece, sembra sensato – intervenne Ikkaku –
quantomeno, credo che a mio padre sembrerebbe sensato. Ad ogni modo,
hai ragione tu: perché non divertirsi a prendersi a pugni,
senza inutili scuse?
-Ti ho detto che tu non mi interessi. Veditela con uno di loro, se
proprio hai voglia di sfogarti.
-D’accordo – alzò le spalle –
ma bada che se li faccio fuori tutti, poi vengo da te a chiedere il
conto.
-Intanto pensa ad uscire da qui tutto intero, e poi se ne
riparlerà. Edrad, pensaci tu a questo. Non ho nessuna voglia
di sentirlo blaterare.
-Nessuno mi fa compagnia? – Yumichika sorrise – Vi
assicuro che non ve ne farò pentire –
lanciò un occhiolino, davanti al quale tutti inorridirono.
Tutti tranne uno.
-Eccomi qua, tutto tuo – disse un tale con dei lunghi capelli
biondi; si avvicinò a Yumichika e lo prese a braccetto
– troviamoci un luogo appartato, che ne dici?
-Uh, sono così felice!
Tatsuki, nel frattempo, assisteva alla scena con orrore.
-Eurgh – biascicò – Ichigo, si
può sapere dove accidenti li hai raccolti?!
-Eh?! Ehm, beh, direi… in officina! Sì. In
officina. E tu non ridere, Grimmjow!
-Ma siete scemi, voi due…?! Baah; comunque. Io che dovrei
fare, qui?
-Ma che ne so, ti pare il momento?! Vai a giocare a catcha,
o…
-Deficiente. Con questi qui, intendevo.
-Prenditene uno e dammi una mano!
-Mmmh, ok. Vedo che ce ne sono tre. Avanti, voi tre; venite fuori con
me.
-Sei pazza? – sogghignò il biondino – Ti
ridurremmo in pezzi.
-Cos’è che faresti, tu? – gli rivolse la
sua celebre occhiata di fuoco – Chiudi quel dannato becco e
seguimi fuori come ti ho detto.
Il tizio coi baffi scoppiò a ridere.
-Ottimo spirito! Divertente, ragazzina. Se vuoi, ti accompagno al
catcha di Rilakkuma.
Si avvicinò a lei e la sospinse non troppo delicatamente
verso la macchinetta. Tatsuki non disse una parola finché
non vi furono di fianco. Poi posò entrambe le mani su di
essa.
-Vedi di imparare una cosa, sulla sottoscritta… -
mormorò, scura in volto – A ME RILAKKUMA FA
SCHIFO, CHIARO?!
Subito dopo, caricò una spinta tale che la macchinetta
intera si rovesciò di lato sul gigante baffuto, con tanta
forza che questi vi si trovò schiacciato sotto.
-Hello Kitty, Rilakkuma, Cinnamonroll… accompagno Orihime a
prendere questa roba perché è mia amica,
d’accordo?! Ma NON OSARE MAI PIU’ portarmi davanti
a una di queste schifezze!
Detto ciò, montò sulla macchinetta,
pestò per bene i piedi incurante delle urla di agonia che
provenivano da sotto, e poi proseguì il suo cammino verso
gli altri due, fulminando con gli occhi chiunque incrociasse il suo
sguardo.
-Il prossimo! Avanti!
Anche tutti e due assieme, non ho tempo da perdere!
-Tatsuki, lo sai che dovrai ripagare la macchinetta, vero…?
-Come, prego?
– ringhiò – Non dirlo nemmeno per
scherzo! E poi tu, con quella testa blu. Spero che i tuoi siano ricchi,
perché non
garantisco per questo locale.
-Ehi, Ichigo Kurosaki. Prendi esempio dalla tua amica. Mi sembra che
abbia decisamente più palle di te.
-Che? È ovvio che ho più palle di Ichigo! Nemmeno
da mettere in discussione. E poi, voi due; fatevi sotto, vi ho
detto! Sappiate che non vi perdonerò per aver compromesso la
mia serata in sala giochi.
-Io lo sapevo che dovevo comprarmi la Playstation e starmene a casa
– borbottò Ichigo – come volete. Avanti,
Grimmjow. Usciamo; non voglio saperne niente, se Tatsuki distrugge la
sala giochi.
-Ora sì che mi piaci, Kurosaki Ichigo.
-E chi se ne frega se ti piaccio…?
Uscirono dal locale, mentre il gestore, terrorizzato al punto di non
riuscire a chiamare la polizia, li seguiva con lo sguardo.
-Ehi, non preoccuparti – gli disse Ichigo – noi
finiamo qui fuori. Quanto a Tatsuki, al massimo distruggerà
un paio di macchinette, ma sempre meglio che farsi distruggere
l’intero locale, no?
Quello non riuscì a rispondere; Ichigo sospirò,
alzò le spalle e uscì.
Fuori, Ikkaku stava parando i pugni quel tale Edrad; Yumichika, invece,
schivava il biondo con agilità. Ichigo notò che
trovava anche il tempo di controllarsi i capelli sullo specchietto.
-Insomma, ti decidi a contrattaccare?! – gli disse il suo
avversario – Che razza di modo di combattere sarebbe, il tuo?
-Vedi, è che mi dispiace prendere a pugni un viso
così bello – sospirò Yumichika
– preferirei lasciarti sfinire a furia di cercare di
colpirmi, capisci.
-Che stai dicendo?! Pensi che non sia in grado di colpirti?!
-Ah-ha – prese tra due dita un ciuffo e lo
controllò accuratamente – non lo penso, lo affermo. Mmh, come
sempre, niente doppie punte. A proposito, hai dei capelli stupendi,
potresti dirmi qual è il tuo balsamo?
-Tanto non farai mai in tempo a comprarlo – disse
l’altro, che prese la rincorsa e si gettò verso di
lui col pugno carico. Yumichika sollevò lo sguardo dallo
specchietto e non si mosse di un millimetro. – Te lo faccio a
pezzi, quell’affare, e poi vedremo se non farai sul serio!
Yumichika non mosse un ciglio e lasciò che l’altro
colpisse lo specchietto.
Ma, quando il tizio l’ebbe colpito, ritirò la mano
con un grido di dolore; era interamente segnata da un taglio profondo e
stava iniziando a grondare sangue.
-Si può sapere che significa questo?! –
urlò, stringendosi la mano ferita con l’altra.
-Significa semplicemente che sei un perdente. Non lo prevedevi? Questo
non è uno specchietto. O meglio, lo è, ma pensavi
davvero che questo fosse del vetro? – Sorrise amabilmente;
estrasse il dischetto da dentro la plastica e lo mostrò
all’avversario. – Questa è una lama. Non
faccio che lucidarla, di modo che sia sempre perfettamente
tagliente… e, naturalmente, che mi rifletta perfettamente.
Una bellezza come me lo merita, non credi?
-Maledetto – mormorò l’altro –
sei subdolo come mio fratello.
-Ma davvero? Allora presentamelo, potremmo andare d’accordo.
– Yumichika mosse impercettibilmente la mano; un secondo
dopo, il suo avversario aveva un taglio sul petto. – Ops. Mi
sa che non te ne sei nemmeno reso conto, mh?
-AAH!
Il dischetto tornò in mano a Yumichika, che lo
rigirò per osservare la lucentezza della lama.
-Eh, già. Un oggetto così bello non poteva che
essere mio. – Poi alzò lo sguardo verso il suo
nemico. – Beh? Vuoi che continuiamo? Hai voglia di farti fare
a fettine con stile?
-Fatti sotto da uomo! Vieni qui e colpiscimi!
-Ma dai. Avevo capito che non eri molto intelligente, ma addirittura
così stupido…
Yumichika si avvicinò, camminando tranquillamente;
l’altro, che si stava scaldando, iniziò a
corrergli incontro.
Prima che riuscisse a colpirlo, Yumichika fece uno scatto e lo
colpì allo stomaco con la mano tesa; quello tossì
e si ripiegò su se stesso, mentre Yumichika lo gettava
faccia a terra con un calcio e ne afferrava i polsi, torcendoglieli
dietro la schiena. Li torse finché non sentì dei
rumori di rottura che somigliavano molto a delle ossa spezzate. Fatto
questo, con un altro calcio lo rimise a pancia in su.
-Devi essere proprio un idiota senza stile, per chiedermi di fare una
roba del genere – disse con una smorfia, mentre gli apriva la
camicia e gli scopriva il petto – se già
è un’arma pericolosa in un combattimento a
distanza, cosa credi che potrei farti, una volta che mi sei vicino?
Potrei maciullarti il viso al punto che nemmeno tua madre ti
riconoscerebbe, ma capirai anche tu che sarebbe un’azione del
tutto priva di classe. – Tirò fuori dalla tasca un
qualcosa che, nella sua mano, sembrava il manico di un coltellino. Il
biondo lanciò un urlo di paura. – Sshh, accidenti,
non fare tanto casino. Quanto sei grezzo e rumoroso. Permettimi di
insegnarti un po’ di quello che si chiama stile,
d’accordo?
Il tizio gridò e gridò, nonostante il fastidio di
Yumichika, per tutto il tempo in cui questi tracciò segni
indecifrabili lungo il suo petto.
Quando ebbe finito Ichigo si avvicinò, e notò una
serie di macchie rosse sul suo petto. Preoccupato, si
avvicinò; quanto bastava per rendersi conto che quelle
macchie rosse non erano sangue, ma rossetto.
Con un sottile cuoricino al lato della parola, sul petto del biondo
troneggiava fieramente la scritta Chanel.
-Kylie avrebbe fatto la stessa cosa – cinguettò,
tutto contento. – Beh, io vado a vedere come se la passa
Tatsuki. Sarebbe un tale peccato se rovinassero una tale
bellezza…
-Prega che nostro padre non ti veda mai fare una cosa simile
– gli gridò Ikkaku, respingendo Edrad con un
calcio – per questo sì che potrebbe diseredarti.
-Che ci posso fare se preferisco un’arma efficace ai pugni?
Guardati. Non hai ancora finito, eppure vi siete logorati a forza di
darvele. Aah, molto meglio la mia, molto meglio la mia.
Ikkaku scosse la testa e continuò a menare calci in
direzione di Edrad; sembravano alla pari.
-Direi che abbiamo visto abbastanza – sospirò
Ichigo – fammi un favore, iniziamo.
-Inizia pure. Fatti avanti.
In quel momento, il biondino coi denti da squalo venne scaraventato
fuori dalla porta; Yumichika ebbe la presenza di spirito di scansarsi.
Il ragazzino rotolò ai piedi di Grimmjow.
-Non è proprio destino che iniziamo –
osservò quest’ultimo – Di Roy,
è stata la ragazza?
-Urgh… - non riusciva nemmeno ad alzarsi sui gomiti
– è stata lei. Non avrei mai pensato…
-E Shawlong? È a terra anche lui?
-Lui… è arrivato un tizio enorme, e…
In quel momento, Shawlong oltrepassò la porta, senza
camminare, ma sospeso nell’aria. Ichigo ebbe un momento di
smarrimento, quando poi si accorse che dietro la sua collottola
c’era una mano enorme e abbronzata.
Poco a poco, da oltre la soglia emersero un lungo braccio muscoloso, un
torace imponente e un volto nascosto da capelli ricci e spettinati.
-Chado?!
– Ichigo per poco non cadde a terra. –
Ma… dov’eri?! Eri anche tu nella sala giochi?
Lui annuì, senza lasciare Shawlong, che comunque non
sembrava avere le forze di dimenarsi: aveva lividi ovunque, e il suo
naso sanguinava.
-Ma non ti ho mica visto! Da dove sei entrato?!
-Ero lì da prima. Solo, in quel momento ero in bagno.
Ichigo si passò una mano sulla fronte e cercò di
farsi forza; dopo pochi attimi si riprese e ghignò verso
Chado.
-Ben fatto, in ogni caso. Possiamo considerarlo sistemato?
Tutti guardarono Shawlong: il suo occhio destro era talmente gonfio che
sembrava non ce l’avesse nemmeno.
-Credo di sì.
-Ho capito. Grazie, Chado. Ma adesso…
-Ehi, e a me non spettano i ringraziamenti? – Tatsuki
arrivò con le mani sui fianchi e un sorriso trionfante.
Indicò col capo Di Roy. – Quel tizio,
là. Credi che si sia lanciato fuori dal locale da solo? E
per di più non ho distrutto nulla.
Ichigo fece un mezzo sorriso.
-Grazie, Tatsuki.
Poi si rimboccò le maniche e iniziò a correre
verso Grimmjow.
* Quelle macchinette dove ci si fanno le foto per poi decorarle in modo
divertente xD.
(Nda: salve a tutti ^^ finalmente inizia l’azione *_* era un
po’ che aspettavo di scrivere una scena simile. Per la
verità non ho mai amato i combattimenti, ma mi sono accorta
che invece descriverli è divertentissimo XD per cui
aspettatevi un prossimo capitolo sulla falsariga.
Questione "Tatsuki ha le stesse capacità belliche di
Yumichika, Ichigo e Ikkaku": sì. In questo universo non ci
sono shikai, bankai, shunpo, hakuda o kido; c'è solo la
forza fisica, e Tsuki non è stata per un soffio campionessa
nazionale in Giappone. Penso che a livello di corpo a corpo non abbia
niente da invidiare a dei ragazzi dotati di mera forza fisica.
Tra parentesi, nella versione originale Yumichika non imbrattava col
rossetto il povero disgraziato, ma la versione segreta
rimarrà rigorosamente nel mio hard disk… XD
@MayCry:
figurati, anzi, mi fa piacere ricevere delle correzioni. Spero di
essere stata abbastanza veloce XD quanto a Ikkaku, sì, in
effetti della famiglia è il meno psicopatico XD in questo ho
ripreso il manga. Comunque ci sarà di che raccontare anche
su di lui ☺.
@Xazy: vuoi
l’Ichiruki, eh :D? Arriverà, arriverà,
ma non essendo la mia storia incentrata su quello, lo vedrai
più avanti. Però di Ichiruki ne ho scritte una
decina XD se spulci un po’ il mio account dovresti trovare
pane per i tuoi denti :D.
@Sarunia:
Pappagallo potrebbe essere un’ottima alternativa XD! Grazie
del suggerimento! E grazie ovviamente dei complimenti, spero stia
andando ancora “alla grande” anche se non
c’è il romance ;.;!
@Exodus:
sono d’accordo con te, non era allo stesso livello. Lettore
acuto ;D. Per quanto riguarda Yumichika, spero che con questo capitolo
tu ti sia ricreduto ^^. Era dall’inizio che aspettavo di
mostrarlo in battaglia e finalmente ci sono riuscita XD
perché finora in effetti è stato solamente un gay
non dichiarato. Del resto, in questa storia voglio che vengano
esaminati aspetti che non hanno a che fare con le battaglie, per cui
ciò che rimane di lui, per come la vedo, *è* un
gay non dichiarato XD. Come dicevo all’inizio, purtroppo
alcuni personaggi sono molto caratterizzati dalla battaglia e dalla
Soul Society, per cui alcuni aspetti della loro personalità
purtroppo vanno perduti. In effetti è
l’introspezione psicologica ad interessarmi di
più, per cui spero soltanto che continuerà a
piacerti comunque :D!
@Fla:
sapremo del nome di Yachiru, ma non aspettarti di venire a saperlo
presto XD e, sì, Ikkaku ha ovviamente frainteso…
XD
Alla prossima e grazie di aver recensito! Il prossimo capitolo
sarà più lungo e altrettanto succoso…
è_é amanti delle risse, gioite!)
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Capitolo 7 *** 6- Hey, Ho, Let's Go ***
Ikkaku era impegnato con quell’Edrad, che non gli lasciava un
momento libero. Non aveva ancora preso il sopravvento, ma di sicuro non
l’aveva preso nemmeno Ikkaku.
Parò l’ennesimo pugno, rivolto al suo petto.
Bloccò con la gamba un calcio. Edrad fece per colpirlo in
volto col pugno sinistro, e Ikkaku intercettò la finta e
riuscì a bloccare il pugno destro rivolgo al suo stomaco.
Non fece in tempo a congratularsi con sé stesso, che dovette
parare un gancio sinistro.
Fece per assestargli un montante sul setto nasale, quando Edrad si
abbassò e cercò di colpirgli le ginocchia. Ikkaku
saltò e cercò di colpirgli il volto in volo con
un calcio. Edrad gli afferrò il piede e tentò di
farlo cadere, ma riuscì a liberarsi con uno strattone.
Quel tizio non gli dava un attimo di tregua.
-Ehi, serve una mano? – sentì la voce di Tatsuki
dietro di lui. Di certo non voleva darle di nuovo
un’occasione per manifestare la sua superiorità.
-Certo che no! Il divertimento è mio. Va’ ad
aiutare Ichigo, se proprio devi.
-Non sembrerebbe, ma Ichigo sa cavarsela – sbuffò
– d’accordo, fa’ come vuoi.
-Certo che faccio come voglio – sogghignò
– mio padre mi ha insegnato a farlo sempre!
Nel frattempo, Ichigo era finalmente faccia a faccia con Grimmjow.
-Allora, Kurosaki? Che ne dici, iniziamo?
-Ormai mi è passata la voglia, ma immagino che non abbia
molta scelta, no? Via il dente, via il dolore.
-Proprio così – approvò Grimmjow, prima
di scagliarsi contro di lui con un pugno rivolto al suo naso. Ichigo lo
parò con un braccio, ma ugualmente barcollò;
aveva una forza spaventosa.
-Niente male, eh – commentò.
-Grazie. E ora, vediamo di cosa sei capace tu.
-E va bene. Se ci tieni così tanto, sarebbe scortese non
accontentarti – prima ancora di finire la frase, si
scagliò contro di lui con potenza media. Il fatto che fosse
forte in attacco non significava che fosse resistente.
Indirizzò il pugno alla sua gola; progettava di tendere la
mano all’ultimo momento, per colpirlo con la punta delle dita
e lasciarlo in apnea almeno per qualche secondo.
Ma Grimmjow, fulmineo, gli afferrò il polso e con una forza
inaudita glielo immobilizzò.
-Come accidenti…
Grimmjow rise.
-Se non sapessi fare questo, non sarei degno della mia fama, ti pare?
Piuttosto, tu; mi aspettavo qualcosa di meglio! Di minimamente decente!
-Ah sì? Allora dimmi che ne pensi di questo –
prese la spinta piegando il ginocchio e fece per colpirlo alla bocca
dello stomaco con la pianta del piede; lo colpì in pieno, ma
Grimmjow si limitò a vacillare.
-Ma cos’è, hai un magnete sotto le scarpe?!
-No – rise, di una risata cattiva – ho solo un
casino di forza più di te.
-Ti piacerebbe!
Caricò un calcio montante mirato al suo mento; con quel
calcio, ne aveva spaccati almeno quattro o cinque, di menti.
Fu deviato con una manata, e fu Ichigo a rischiare di finire per terra,
non Grimmjow.
-Merda!
-Non mi dirai che è tutto quello che sai fare!
-E cosa ti sembra che possa fare?! Più che calci e pugni,
uno che cosa dovrebbe inventarsi?!
-Non parlo di quello. È ovvio che non si può far
altro che prendersi a calci e pugni. Quello di cui sto parlando, Ichigo
Kurosaki… è una differenza di forza.
Prima ancora che se ne rendesse conto, gli arrivò in pieno
stomaco un pugno che lo piegò a metà. Gli ci
volle un attimo prima di riuscire a riprendere a respirare.
-Ichigo, che cazzo stai facendo? – gridò Tatsuki
– Vedi di tirarti su immediatamente! Mi vergogno a dire di
essere stata battuta da uno così debole, anche se
è stato per un paio di volte!
-Ehi, vuoi provarlo tu, questo qui?
Si rialzò con fatica, respirando profondamente per
regolarizzare il respiro. Grimmjow sembrò piacevolmente
sorpreso.
-Ti alzi pure? Pensavo di avertelo distrutto, lo stomaco.
-Beh, le voci che girano su di me significheranno pur qualcosa, no?
-Questo è il minimo
che pretendo per essere paragonato a te, Ichigo Kurosaki –
ghignò, subito prima di partire con un diretto
all’altezza del volto.
Ichigo portò due braccia a ripararsi, e con questo
sembrò stabilizzarsi; ma non aveva calcolato che, impegnando
due mani a parare il pugno, non poteva usarne nemmeno una per parare il
calcio che gli stava arrivando sullo stomaco, nello stesso punto
già colpito.
Quando gli arrivò, gli sembrò di essersi preso
una cannonata sul ventre.
-Uh…! – boccheggiò, sbarrando gli occhi
mentre cadeva a terra.
Fu bloccato nella caduta dal piede di Grimmjow, che lo raccolse
puntandogli l’anfibio sullo stesso punto dello stomaco.
-Argh…!
-Ehi, Ichigo! Che stai facendo?!
Tatsuki sembrava nervosa. Allora era vero che le cose si stavano
mettendo male.
Anche Ikkaku non sembrava passarsela bene: era a terra, incapace di
rialzarsi, e si stava prendendo una raffica di calci, ma non voleva
saperne di mollare.
-Faresti meglio a dichiararti sconfitto, no? – gli disse
Edrad – In queste condizioni, mettitelo in testa, non puoi
far nulla!
-A dichiararmi sconfitto sarà Yumichika quando
accerterà che non ho più voce per parlare
– tossì Ikkaku – fino ad allora, ouch!
Mi prendo i tuoi calci, e poi, quando rie… cough! Quando
riesco, te li restituisco… ehi, ma fammi almeno finire di
parlare!
Edrad si fermò per un attimo.
-Avanti, parla.
-No, avevo finito. Però potevi anche lasciarmi dire due
parole in fila!
Edrad gli assestò un calcio nel costato.
-Così da lasciarti uno spiraglio per alzarti e scaraventarti
su di me? Non sono un tale idiota.
-E io non sono così furbo come pensi…
urgh…!
-Tu – Tatsuki si voltò verso Yumichika –
sei suo fratello; intendi aspettare finché non
potrà più parlare sul serio?
-Chiaramente sì.
-Come sarebbe a dire?! Non è tuo fratello? Non ci tieni a
lui?
-Proprio perché è mio fratello e ci tengo a lui,
sono ancor più obbligato a rispettare la sua
volontà. Io al posto suo mi darei alla fuga, ma se a lui
piace così, affari suoi, no?
-Assurdo – Tatsuki scosse la testa – non potrei mai
pensarla così. Se ci tengo a una persona, io… la
proteggo!
-Evidentemente si trattava di qualcuno che voleva la tua protezione,
non credi…? Ma Ikkaku ti sembra il tipo da volere una cosa
del genere?
Tatsuki lo fissò, paragonandolo mentalmente a Orihime.
Per un attimo, lo vide con lunghi capelli castani e un gran paio di
tette.
Ma scacciò velocemente quell’immagine inopportuna
e tornò a focalizzarlo, muscoloso, pelato, violento e pieno
di lividi. Eppure, con un ghigno di gioia sulla faccia.
-Decisamente no – sospirò, aggrottando le
sopracciglia – direi che mi ucciderebbe, se soltanto ci
provassi.
-Proprio così!
Tatsuki tornò a controllare Ichigo e notò che non
se la stava passando bene. Quel Grimmjow gli aveva storto il braccio
dietro la schiena e ora con l’altro braccio gli aveva
circondato il collo.
-In difficoltà, Ichigo Kurosaki?
-Forse no – disse Ichigo con aria risoluta, e poi gli
circondò le gambe con le sue. Si diede la spinta per
spingerlo all’indietro; ma fu come incontrare la resistenza
di un muro d’acciaio.
-Pessima idea – ghignò Grimmjow, e poi diede una
spinta in avanti che li fece cadere entrambi; Ichigo finì
faccia a terra, e lanciò un grido di dolore che fece
rabbrividire Tatsuki.
-Adesso basta! Ichigo, lascia perdere!
-No! – riuscì ad esalare in qualche modo
– Ha detto… ha detto che devo dimostrarglielo, no?
– ansimò come un animale sgozzato –
Quindi… quindi…
-Quindi, devi morire per dimostrarglielo?! Ichigo, non è
questo che ci hanno insegnato al dojo!
-Che c’entra il dojo, ora… - la sua voce si
affievolì – urgh…
-Sembri forte, ma sei fatto di quattro ossa tenute in piedi con lo
sputo, eh?
Tenendolo fermo, Grimmjow si alzò quanto bastava per
caricare una ginocchiata; questa finì dritta nel centro
della schiena di Ichigo, colpendogli la colonna vertebrale. Ichigo
lanciò un urlo lacerante che torse le budella a Tatsuki.
-Ichigo, maledizione, piantala! Non è un avversario per te!
-Te lo consiglio anch’io – disse Yumichika, che si
stava limando le unghie – è chiaro che questo non
è un avversario per nessuno di noi.
-Forse, tutti assieme potreste farmi qualcosa. Qualcuno vuole farsi
sotto?
-Bastardo! – urlò Tatsuki, poi si
lanciò contro di lui, senza un piano, animata soltanto dalla
rabbia.
Lui la bloccò alzando una mano all’altezza della
sua fronte; questo bastò a bloccarla e a farla cadere
all’indietro, dopo un volo di due o tre metri.
Quando Tatsuki riaprì gli occhi, doloranti, qualcuno la
stava sollevando dal suolo.
-Sado… - mormorò – devi fermare Ichigo.
Subito.
-Non ce n’è bisogno.
La depositò su una panchina lì vicino e si
diresse con calma verso Grimmjow. Quest’ultimo lo
scrutò con interesse.
-E tu chi saresti?
-Sono un amico di Ichigo.
-Questo l’avevo capito anche da solo. Qual è il
tuo nome?
-Yasutora Sado.
-Si chiama Chado – ebbe la forza di dire Ichigo.
-Ichigo… adesso non muoverti da lì. Lo
farò io, al posto tuo.
-… d’accordo.
Sado non perse tempo e iniziò subito prendendo la carica per
un diretto. Grimmjow lo schivò, ma lui fu veloce a deviare
il pugno e riuscì a colpirlo ad un orecchio.
-Ah! – Grimmjow si portò una mano sulla zona
colpita. – Sei furbo, tu. Hai pensato: non mirerò
alla testa perché tanto schiverà e non
potrò raggiungerlo, ma se miro all’orecchio posso
fargli male comunque. Giusto?
-Può essere.
-Hah! Vuoi fare il misterioso. D’accordo, Chado Yasutora.
Dato che Ichigo Kurosaki si è rivelato una delusione, vedete
almeno di farmi spillare una goccia di sudore in due.
Chado non lo lasciò finire di parlare e partì con
un altro tentativo di diretto. Venne parato con una mano aperta.
-Non mi fai parlare, eh? Un uomo d’azione. È
così che mi piace combattere! Avanti, tira fuori un
po’ di forza!
Chado ce la stava già mettendo, la forza, e parecchia.
Solitamente, anche se magari la cosa non si concludeva al primo
scambio, almeno i colpi riusciva a metterli a segno, tutti. Ma la sua
altezza e il suo vigore fisico sembravano inutili, di fronte a quel
tizio.
Continuò a cercare di assestargli un pugno, mirando ovunque:
al naso, agli occhi, la bocca, la gola, il petto, lo stomaco. Ma quello
riusciva sempre a scansarsi o a ritirarsi in tempo; quelli che non
riusciva ad evitare, li parava con facilità, e non aveva mai
bisogno di entrambe le braccia.
Anzi; ogni volta che parava un attacco, quando Chado non era ancora
pronto a sferrare il prossimo, approfittava per cercare di colpirlo con
la mano rimasta libera. Chado non sempre riusciva a schivare; prese
diversi pugni sul petto, ma riuscì ad evitare di essere
colpito in altre zone.
-Mi sembra che con te si possa iniziare a fare sul serio –
disse Grimmjow, dopo un po’.
-Significa che finora stavi…
-Stavo testandoti, ovvio! Con Ichigo Kurosaki non mi sono premurato di
controllare la sua forza prima di attaccare, ed è stato un
errore; è caduto subito. Perciò, ho pensato che
stavolta avrei potuto metterti alla prova, per vedere se almeno resisti
ai colpi di base.
Tatsuki notò che perfino uno come Yasutora Sado sembrava
spaventato. Nemmeno lei si sentiva tranquilla: con una sola spinta,
quel Grimmjow era riuscito a farle battere violentemente la schiena. Le
sembrava che fosse ancora tutta intera, ma doveva avere una contusione
piuttosto estesa.
Tuttavia, Ichigo sembrava versare in condizioni molto peggiori:
probabilmente aveva qualche costola rotta.
Quanto a Ikkaku, stava lentamente e inesorabilmente trasformandosi in
una poltiglia di sangue e carne piagata.
-Ho capito; chiamo un paio di ambulanze – sospirò
Yumichika – Tatsukichan, ne hai bisogno anche tu?
-No. Io sto bene Al massimo mi farò controllare domattina.
Ma Ichigo… - sentì una goccia di sudore freddo
colarle lungo la mascella – lui è messo male. E
tuo fratello…
Si voltarono verso Ikkaku.
Edrad gli premeva un piede sullo stomaco, impedendogli di rialzarsi. Ma
lui, come un insetto ostinato, continuava ad agitare le membra e a
cercare la spinta per rialzarsi.
-Non ce la farà mai! – Tatsuki perse la pazienza;
batté sulla spalla di Yumichika – Senti, non me ne
frega niente delle vostre idee da pazzoidi. Io agisco così,
che vi vada bene o no – detto ciò, strinse i denti
davanti al dolore alla schiena e si scagliò verso Edrad.
Prendendolo di sorpresa, riuscì a piazzargli un pugno
potente sulla mascella, che per un attimo gli fece perdere la
concentrazione su Ikkaku.
-Che stai…! Chi ti ha chiesto di…
-Alzati e fa’ silenzio! D’ora in poi, se sei un
uomo, sbrigatela da solo!
Tatsuki sbuffò, gli diede le spalle e tornò verso
la panchina camminando decisa come un militare.
Ikkaku perse solo una frazione di secondo per fissarla sbalordito, ma
poi si riprese e si affrettò a rialzarsi.
-Pensi di riuscire a colpirmi, ridotto come sei? È assurdo!
Ritirati e vattene, se hai un minimo di buonsenso!
Ikkaku ansimò. Ghignò, asciugandosi il sudore e
il sangue dalla faccia.
-Sai cos’ha sempre detto mio padre? – si mise in
posizione d’attacco – Ha sempre detto: buonsenso?
Non…
In quel momento, però, Ikkaku vacillò. Normale,
pensò Tatsuki con rabbia; era distrutto. Ma adesso quel
tizio non l’avrebbe risparmiato.
-Non, cosa…? – disse Edrad –
D’accordo, ho deciso che non m’interessa. Adesso la
finiamo una volta per tu…
La ghigliottinata di tacco che stava per colpire Ikkaku dritto alla
tempia fu fermata a mezz’aria da una mano. Quella mano
indossava un guanto nero di pelle senza dita e fu abbastanza forte da
immobilizzare il calcio di Edrad senza sforzo.
-Non riportare male le mie parole – disse una voce bassa e
sguaiata – era “sanità
mentale”. Sanità
mentale, capito?
Edrad, nervoso, si girò verso la figura emersa
dall’ombra. Si trattava di un uomo enorme, con i capelli
ingellati, un chiodo con le borchie, un paio di anfibi e una catena
appesa ai fianchi.
-Sanità mentale…? Che…?! –
mormorò, cercando di divincolarsi.
-Ovvio, tu non l’hai mai sentita. A tal proposito, ho sempre
detto… - il nuovo arrivato allungò
l’altra mano; con uno strattone deciso e netto, gli storse
completamente il polpaccio, lasciandolo penzolare storto dal ginocchio.
Un urlo di agonia tagliò l’aria circostante. -
… che non ricordo di aver mai avuto un simile disturbo!
-AAH! Bastardo! Bastardoo!
-Chiudi il becco – fece il tizio, prendendolo per il collo e
scaraventandolo contro la parete della sala giochi. Quello, battuta la
testa, perse i sensi. – Che diamine sta succedendo qui?
Yumichika, com’è che tu non hai un graffio?
-In realtà mi ero spettinato un po’, ma ho subito
risistemato i capelli! – cinguettò –
Questo qui non era un tipo difficile.
Indicò al nuovo arrivato Yylfordt, a terra con il marchio
“Chanel” impresso sul petto. L’omone
scosse la testa.
-Proprio il tuo stile. Assurdo. Vabé, vediamo se riusciamo a
cavarne qualcosa di buono.
-Padre, perché ti trovi qui?
-Mah, non ho trovato nulla da fare in giro. Forse qui posso trovare
qualcosa con cui ammazzare il tempo.
-Papino ha fatto a gara d’impennate con gli altri
motociclisti, ma loro avevano troppa paura di lui, perché
faceva zigzag e cercava di buttarli tutti per terra, quindi non
giocavano!
Una ragazzina che poteva essere delle elementari scese con un balzo dal
dorso di quell’uomo. Tatsuki si voltò verso
Yumichika, ormai talmente stranita da non avere le forze per chiedere
spiegazioni.
-Ah, quello è nostro padre, mio e di Ikkaku. Kenpachi
Zaraki, l’avrai sicuramente sentito nominare. E quella
è nostra sorella Yachiru. Forse non l’hai sentita
nominare, ma le medie di tutta la zona conoscono il suo nome e pregano
che lei non si iscriva nel loro istituto.
-Prrr! Tanto a me basta papino! Della scuola non mi interessa!
-Vedi, è un po’ la filosofia della nostra
famiglia. Io, invece, vorrei… - bisbigliò
– studiare da designer d’interni, ma non dirlo a
nessuno!
-Ma che razza di famiglia siete?!
-Se sapessi in quanti ce lo dicono.
-Pelatino è a terra!– rise Yachiru –
Pelatino si è fatto battere. Guarda come sei ridotto!
-Non toccarmi dove sono ferito, stupida!
-Se mi chiami stupida, ti tocco ancora di più!
-Guarda che stavolta ti ammazzo!
-Volete fare un po’ di silenzio, ogni tanto? –
borbottò Kenpachi Zaraki – Sentite, adesso vorrei
divertirmi un po’, quindi voi andatevene da qualche parte,
capito? Al pronto soccorso, per esempio. – Poi
incontrò il corpo di Ichigo steso a terra. Lo
indicò col pollice. – E questo qui?
-Ah, quello è un amico, padre – disse Yumichika
– è stato lui a procurarci il divertimento di
stasera.
-Ah sì? Beh, mi sembra che lui abbia finito di divertirsi,
per oggi. – Lo sollevò la terra come se fosse
stato fatto di gommapiuma; poi lo direzionò verso Tatsuki e
Yumichika. – Prendetelo. Se vi casca, sono affari vostri,
chiaro?
-Eh?! – esclamò Tatsuki – Ma
cosa… ma lo vuole fare davvero?!
-Ricordi cos’ha appena detto…? Sulla
sanità mentale?
-ZITTO, STA ARRIVANDO!
Riuscirono ad afferrarlo in tempo prima che si schiantasse
sull’asfalto; caddero entrambi sulla panchina,
però, a causa della forza di quel lancio.
-Non male mio padre, eh?
-È… è mostruoso…
-Yachiru, chiama qualcuno che si prenda cura di Ikkaku. Io porto Ichigo
in spalla, e faccio controllare anche Tatsuki.
Kenpachi Zaraki raggiunse Grimmjow e Sado.
-Allora, chi è il più forte di voi due?
– domandò.
-Non dovresti chiederti piuttosto chi è il tuo avversario?
– disse Grimmjow.
L’uomo alzò le spalle.
-Me ne frega poco di chi è l’avversario. Io decido
in base al mio criterio.. Quindi? Il più forte? A giudicare
dalle condizioni di quest’altro, direi che dovresti essere tu.
-Sì, ma…
In quel momento, Di Roy si alzò faticosamente dal
marciapiede dove Tatsuki l’aveva scaraventato. Pur faticando
a mantenere l’equilibrio, si rivolse verso Kenpachi Zaraki
con un sorrisetto di sfida.
-Grimmjow stava combattendo con colui a cui era interessato –
gli sputò contro – quindi non disturbarlo e
veditela con me.
L’uomo si voltò e lo fissò,
inespressivo. O meglio, sarebbe stato inespressivo se non avesse avuto
la pazzia e la furia omicida impresse a fuoco negli occhi, anche nei
momenti di calma.
-IDIOTA! Levati da lì, immediatamente!
Inutile; Kenpachi Zaraki gli assestò un ceffone sul naso che
glielo ruppe istantaneamente, e lo stese a terra dopo un paio di
giravolte.
-Che seccatura – mormorò – dicevamo.
Come hai detto che ti chiami?
-Grimmjow Jaggerjack.
-Ho capito. Un teppistello con una certa fama. Io sono…
-Kenpachi Zaraki. So perfettamente chi sei.
-Allora possiamo risparmiarci le presentazioni.
Non aspettò nemmeno un decimo di secondo prima di colpirlo
in volto con una manata, che fu prontamente fermata; ma con qualche
difficoltà.
-Se sconfiggo te, poi potrò dire di essere veramente il migliore.
Kenpachi Zaraki scoppiò a ridere.
-Cos’è che intenderesti fare, tu? – un
pugno partì da dietro i suoi fianchi; non fu particolarmente
veloce, ma andò a segno e prese Grimmow sotto il cuore.
Quello, pur accusando il colpo, sogghignò.
-Finalmente un avversario degno.
Tatsuki si era incantata a guardare quei due folli combattersi; fu
riportata alla realtà da Yumichika, che la prese per un
braccio.
-Andiamo, se non vuoi finire in pezzi. Lui non fa molta distinzione tra
amici e nemici, in questi casi.
-Io rimango con papino! – esclamò Yachiru
– Voi portate Pelatino e Icchy in ospedale, poi vi aspettiamo
a casa!
-Capito? – fiatò Ikkaku – Siete tutti
invitati.
-Almeno – sussurrò Ichigo – ci ho
rimediato un invito a cena.
-Sei scemo? Sono le undici di sera!
-Ma mi offrirete comunque qualcosa, no?
-State zitti, voi due! – Tatsuki li colpì entrambi
in testa con un pugno – A malapena riuscite a respirare!
Piuttosto, Ichigo. Andiamo a casa tua, così ci
rimetterà in sesto tuo padre.
-Sei pazza? – diede qualche colpo di tosse; sputò
sangue. – Se quello mi vede e sa che ho fatto a botte di
nuovo, mi fa il resto!
-Davvero? Nostro padre, invece, è fiero di noi se torniamo a
casa con un po’ di ematomi.
-Vostro padre non è normale!
-Nemmeno Isshin è normale, Ichigo, ma non è
così folle da lasciarti in queste condizioni!
-Se abiti a Karakura, effettivamente è più
vicino, Ichigo – disse Yumichika.
-Fate come volete. Se poi cerca di farmi la pelle, me la
prenderò con voi, chiaro?
-Pff – fece Ikkaku – e cosa pensi di potermi fare,
ridotto così?
-Tanto, non riusciresti a ridurlo peggio neanche se volessi –
concluse Yumichika.
Isshin li accolse con uno stupefatto mutismo.
Dietro di lui Karin e Yuzu, che erano andate a letto da poco, si
presentarono in pigiama, ancora sonnolente.
-Papà, che succede? – mormorò Yuzu,
stropicciandosi gli occhi.
-Oh! Ah… ma voi due bambine dovreste essere a nanna, no? A
nanna, a nanna! Volete che il papà vi canti una…
-Ichi, ma che hai combinato? – chiese Karin, che invece era
abbastanza lucida da accorgersi che non camminava sulle sue gambe, ma
era sulle spalle di un tizio con le ciglia lunghe.
-Dormi – fu tutto quello che riuscì a dirle, e le
fece cenno di andarsene. Karin non disse nulla e portò la
sorella di sopra, mettendole un braccio attorno alle spalle.
-Ma che avete fatto? – si sbalordì Isshin
– Ichigo, come sei ridotto?
-Lo vedi, come sono ridotto. Vedi di far qualcosa!
-Ehm, Isshin – Tatsuki lanciò
un’occhiataccia a Ichigo – dei teppisti ci hanno
attaccati, e Ichigo ha cercato di difendersi. Questi sono nostri amici,
e sono stati attaccati anche loro.
-Beh, non penserete che io da solo, a quest’ora, possa
rimettervi in sesto. Vi porto al pronto soccorso, salite in macchina.
-Cioè, vuoi dire che non mi dai il colpo di grazia? Non mi
prendi a calci, non cerchi di lanciarmi contro il muro?
-Figlio mio, come potrei ridurti peggio di così? –
si grattò la testa – Per almeno un mese, credo che
non potrò nemmeno sfiorarti.
-Almeno, farmi pestare è valsa la pena di qualcosa
– mormorò Ichigo.
-Che hai detto?
-Nulla, nulla. Andiamo, che Tatsuki si è fatta male.
-Una deliziosa fanciulla come Tatsuki, ferita? Di corsa!
Immediatamente! Quando sarai guarito te la farò pagare per
non averla portata tu stesso sulle tue spalle!
-Vecchio stronzo! Non credo nemmeno di avercele più, le
spalle!
Al pronto soccorso c’era una folla piuttosto eterogenea.
Vecchietti in preda a infarti, vittime di incidenti stradali, drogati
in overdose, teppisti come loro.
Ma, nonostante la stranezza del loro gruppo – un pelato, un
effeminato, una ragazza con gli occhi di un demone e un omone
dall’aria del tutto tranquilla – passarono
completamente inosservati, perché gli occhi di tutti erano
puntati su un’unica persona.
All’accettazione, tenuto in piedi da un’infermiera,
c’era un tizio con una gamba rotta, un braccio appeso al
collo e un collare sanitario.
Un tizio coi capelli azzurri.
(Nda: salve ^^! Solo per questa volta, permettetemi di usare questo
spazio per le note per un po’ di pubblicità
è_é!
Voilà! Se cliccate sul banner troverete tutte le info; ad
ogni modo, si tratta di un concorso di fanfiction IchiRuki
(cioè, con pairing IchigoxRukia) indetto dal forum
Death&Strawberry. Se voleste partecipare, avete tempo fino al
10 agosto per scrivere una fanfic ^^ il bello di questo concorso
è che potrete scegliere un numero al quale è
collegata una citazione random tra quelle riportate, alla quale la
vostra fanfic dovrà ispirarsi. Secondo me è
un’idea molto carina *_* inoltre io sono il giudice ^-^ per
cui, se voleste mettervi alla prova, partecipate! Su che vi
aspetto *_*
Poi, le risposte alle vostre recensioni... :D wow, siete stati davvero
tanti! Continuate così *_*!
@MayCry:
spero di essere stata celere XD comunque, Chado stava
presumibilmente facendo pipì XD la mia sarà una
mente perversa, ma non fino a questo punto! Comunque, ecco a te la
rissa, pronta e servita ;D.
@NekoGirl94:
essì, Grimmjow punk :D a parte la questione
capelli, me lo vedo proprio un adolescente ribelle… XD
@Kirschblute:
grazie, grazie ^-^! L’idea di Kenpachi biker
non è propriamente mia (anche se giuro che me
l’ero immaginato un vecchio metallaro pure io XD) ma spero di
averla sviluppata bene!
@Garconne:
eh eh XD nella versione segreta… il rossetto non
era un rossetto :°D solo che mi sembrava un po’
troppo cattiva come cosa e così ho corretto il tiro.
ù_u
@Xazy: spero
tu abbia trovato qualcosa di carino ^^ guarda,
indicativamente ci sono “Desiderio” e
“Under Your Spell” che sono delle lemon;
“Drift to You” e “Senses” sono
introspettive; “Choices” e “And you swore
to run to my side” sono dei dialoghi, mentre “St.
Valentine’s Day” è una cagatina senza
pretese. Poi ci sono una RenjixRangiku e una NelxNnoitra, e poi
“Meant to Live” e “Crucify” che
sono sì Ichiruki, ma lì Rukia è morta
^^;. Spero troverai qualcosa di tuo gradimento!
@Selfish:
uuh, grazie ^.^! Sì, è come dici tu,
è difficilissimo estrapolarli da un mondo che li
caratterizza così tanto. Infatti ho capito che con Yumichika
ci devo rinunciare ‘’xD ad ogni modo, spero che
anche questo capitolo sia stato coinvolgente, e sono felicissima di
leggere che la storia piace anche se non è prettamente
romantica. Grazieee ^-^!
@Sexta_aram:
grazie davvero, ci tengo moltissimo all’IC. E,
tranquilla, lo tratterò bene il tuo Grimmjow XD. Non
è decisamente uno dei miei personaggi preferiti, anzi
‘’XD, ma mi prenderò cura di lui. In
fondo mi fa tenerezza.
@Exodus:
ammetto che ho dovuto chiedere al mio ragazzo qualche
approfondimento XD io ho sempre giocato a Soul Calibur e non
sapevo
bene che personaggi ci fossero nella vecchia versione…
comunque Sophitia mi ha sempre fatto il culo, ma forse
perché io uso di base Amy XD
Sono contenta di aver soddisfatto il mio lettore più
esigente e spero di aver mantenuto il livello (un film di Bud Spencer
*_* per me è un complimento XD!). Ti prego di silurarmi se
così non fosse.
@nick nibbio:
wow, grazie o.o beh, eccoti subito il capitolo nuovo XD
buon appetito! è_é
E con ciò vi saluto, ringraziandovi ancora dei vostri
commenti (:*) e invitandovi a dare almeno un’occhiatina al
concorso… ;D su che la sezione va ripopolata di IchiRuki!
(Precisazione: per il titolo di ringraziano i Ramones)
Alla prossima!)
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Capitolo 8 *** 7. You don't hear my name anymore ***
-Grimmjow? – lo chiamò Ichigo, da dietro la
schiena di suo padre, che l’aveva portato in spalla.
Lui si voltò, con un’espressione nera di rabbia,
che, sospettava Ichigo, nascondeva una buona dose di frustrazione.
-Mio padre ti ha sistemato per bene, eh? – disse Ikkaku
– Non sentirti umiliato. Saresti inumano, se fossi in grado
di fare qualcosa contro di lui.
-Jaggerjack Grimmjow, codice verde – disse
l’infermiera del triage.
-Verde? – si stupì Yumichika – Ma ha un
braccio e una gamba rotti, e una distorsione alla colonna vertebrale.
-Ma non è in pericolo di vita – disse Isshin
– quindi non è urgente. Comunque lo chiameranno
presto.
-Siediti con noi – lo invitò Ichigo.
-Sei impazzito? – Tatsuki era inorridita – Questo a
momenti ti ammazzava!
-Sì, ma adesso non può farmi niente. E poi voglio
farmi raccontare com’è andata.
-Sedermi accanto a voi?! Sei fuori. E ho ancora abbastanza forze da
spaccarti a metà, Ichigo Kurosaki!
-Beh, se tu adesso vuoi spaccarlo a metà, significa che
prima non ci sei riuscito, no? – osservò Isshin
– Quindi, forse non
sei in grado di spaccare a metà mio figlio.
– Si mise le mani sui fianchi e prese un bel respiro.
– E poi, pensi che te lo lascerei fare?
Grimmjow sbuffò e lo fissò con odio. Ma Isshin
riprese allegramente.
-Ma certo
che te lo lascerei fare! Quando torna tardi, per esempio, o mangia
tutto quello che c’è in frigo… vorrei
che ci fosse qualcuno che lo picchia al posto mio! Ormai sto
invecchiando e non ho sempre le energie per metterlo in riga, ma
tu… tu mi sembri quello adatto a dare una bella lezione a
questo mio figlio!
-E poi dite a noi che la nostra famiglia è strana?
– mormorò Yumichika a Tatsuki. Lei alzò
le spalle.
-Questo è il vecchio di Ichigo, io non c’entro
niente. La mia famiglia è normale.
-In compenso, sei tu che non sei molto normale…
-Vuoi finire
direttamente in codice rosso…?
Classificarono Ichigo e Ikkaku codice verde; Tatsuki, che riferiva
solamente il dolore alla schiena dovuto all’impatto,
finì nel codice bianco; avrebbe soltanto dovuto fare delle
radiografie.
-Ve lo dico io, qui non usciamo prima di domattina –
borbottò Ichigo.
-Di che ti lamenti? Sei tu che ti sei fatto pestare fino a questo punto.
-Perché accidenti dai la colpa a me?! Prenditela con lui!
Indicò Grimmjow, che se ne stava a due posti da loro con lo
sguardo fisso a terra. Era immusonito e ricurvo su se stesso.
-Ehi, mi sa che c’è rimasto male davvero
– disse Ikkaku.
-Se era convinto di essere il migliore, dev’essere stato un
bel colpo – disse Yumichika – avrà di
che parlare al prossimo incontro, eh?
Ichigo lo fulminò con lo sguardo e, indicando Tatsuki con un
cenno, gli fece segno con le mani di non parlarne davanti a lei.
Yumichika alzò un sopracciglio, come a dire, “e
perché mai?”.
-S-sentite, io vorrei prendermi qualcosa alla macchinetta., ho proprio
sete! Yumichika, mi
accompagni?
-Ti accompagno se mi prendi da bere. E anche una merendina.
-D’accordo, dannato, ti offro quello che ti pare. E ora
andiamo…!
Yumichika gli fece da appoggio e lo portò fuori nel
corridoio, dove c’erano le macchinette. Su quel corridoio
dava anche la porta dell’area “codice
verde”, che si aprì mentre loro cercavano delle
monetine in tasca.
-Merda, devono essermi cadute durante la lotta… adesso che
faccio?
-Beh, io ho una moneta da cinquecento yen. Mi comprerò
qualcosa. Solo per me, naturalmente.
-Ha!, peccato che questa macchinetta non dia il resto, mi spiace per te.
-Questo non è un problema, posso sempre chiedere a quelli
che sono appena usciti…
Si voltò per chiedere alle persone che erano appena uscite
dall’area a codice verde; Ichigo si voltò con lui,
e rimase fulminato.
-K… Kurotsuchi? – balbettò, basito.
La ragazza era conciata come loro se non peggio.
Aveva entrambi gli occhi neri, ematomi sul volto, i capelli spettinati
come se glieli avessero strappati e una gamba ingessata. Inoltre aveva
una grossa benda sul braccio sinistro, intrisa di sangue.
Lei stava camminando dritta davanti a sé e non si era
accorta di loro; non udì nemmeno il balbettio di Ichigo.
Yumichika, evidentemente, non aveva avuto la faccia tosta di chiederle
di cambiargli la moneta.
Quando uscì dalla porta automatica, Ichigo tirò
una manica di Yumichika.
-Hai visto anche tu la stessa cosa…?!
-Chiaro che l’ho vista. Dici che anche lei ama fare a
botte…?
-Sei idiota?! Quella è stata menata da qualcuno. Magari
l’hanno derubata e poi picchiata! I soliti teppisti. Se solo
potessi…
-Sì, ma non puoi. E non agitarti, o finisce che ti alzano il
codice. Anche se, viste le tempistiche, magari ci faresti anche un
favore.
Rientrarono nella sala d’attesa; Grimmjow era ancora seduto
per conto suo a rimuginare. Ichigo lo scrutò per un secondo;
poi tirò un sospiro e scosse la testa.
-Yumichika, lasciami sulla sedia accanto a lui, per favore.
-Fatti tuoi se ti ammazza, ok?
-Ok.
Lo adagiò sulla sedia e Ichigo cercò di
sistemarsi alla bell’e meglio, mentre Yumichika tornava al
suo posto.
Grimmjow si accorse di lui e gli lanciò
un’occhiataccia.
-Che vuoi, tu, ora?!
-Vuoi star calmo? Cosa ti sembra che possa volere, conciato
così…?!
-Vuoi godere della mia… della mia… tch –
digrignò i denti.
-“Sconfitta”?
-Non dirlo! – sbraitò. – Non
è che un caso. Se mi avesse davvero sconfitto non sarei qui
a parlare con te!
-Che c’è di male ad ammettere la sconfitta, scusa?
Anch’io sono stato sconfitto, e quindi? Significa che la
prossima volta farò mille volte meglio.
-Che vorresti dire? Mi stai invitando a farti a pezzi
un’altra volta…?
-La prossima volta sarò io
che ti farò a pezzi. Perché in questo tempo, io
migliorerò. E non ci sarà bisogno che Chado
scenda in campo per me.
-Tu parti dal presupposto che tu e il tuo amico assieme possiate farmi
un graffio.
-Non ero preparato alla tua forza. La prossima volta, vedrò
di tenere un livello decente, te lo prometto.
-Ti converrà farlo, se non vorrai finire in briciole!
Entrambi tacquero e guardarono davanti a sé, ma non
sembravano tesi o arrabbiati. Ichigo riprese la parola.
-Dì la verità; non è un caso se questa
sera eri a Karakura, vero?
-Chiaro che no – borbottò Grimmjow, che
però sembrava essersi calmato – vi ho sentiti
parlare e ho deciso di… farvi una sorpresa –
ghignò.
-E poi hai pensato bene di provocarmi, così da darmi un
motivo per combattere, eh?
-Ha. Che devo farci se non c’era altro modo?
Ichigo tutto sommato non riuscì a non sorridere tra
sé e sé.
Grimmjow poco dopo fu chiamato al codice verde e non ebbero
più occasione di parlare, ma Ichigo, vedendo quella figura
appariscente di spalle, che camminava decisa anche con una gamba rotta
come se stesse sfidando il mondo, non riuscì a fare a meno
di pensare che, in qualche modo contorto che nemmeno lui riusciva a
spiegarsi, quel tizio non riusciva a stargli antipatico.
Nel giro di due ore Ichigo e Ikkaku furono fuori, ingessati e bendati.
Dovettero però aspettare le radiografie di Tatsuki, che
prolungarono l’attesa di un’ora; i risultati
menzionavano una forte contusione, ma nessuna frattura o incrinatura.
Fu liquidata con la raccomandazione di passare una settimana senza fare
sport o attività pericolose, e con una ricetta per un
antidolorifico
Isshin si offrì di accompagnare a casa Ikkaku e Yumichika,
che accettarono; una volta giunti davanti a casa loro, notarono che
c’erano le luci accese.
-Entrate – li invitò Yumichika.
-Non preoccuparti, non c’è bisogno –
disse Isshin – grazie lo stesso.
-Avanti, ci hai riportati a casa, lascia che almeno ti offriamo una
birra – disse Ikkaku.
-Beh, se la metti così… come posso rifiutare
l’invito degli amici di Ichigo?
Ichigo e Tatsuki si lanciarono un’occhiata di disgusto, ma li
seguirono dentro.
Ad accoglierli fu Yachiru che si gettò volando addosso ai
nuovi arrivati, gridando “kyaah, bentornati!”. Fu
Isshin a bloccarla a mezz’aria, tenendole ferma la testa con
una mano.
-Ooh? Finora nessuno ci era mai riuscito, lo sai, Barbetta?
-Ma dai, hai indovinato! Anche noi a casa lo chiamiamo così.
-Avanti, non fate complimenti – disse Ikkaku – non
fateci essere formali, ché qui dentro non siamo abituati, ok?
-Ooook – disse Isshin, allegro – allora? Ichigo mi
ha detto che vostro padre ha sistemato il tizio coi capelli azzurri.
-Cerchi papino, Barbetta? – Yachiru lo prese per la manica
– Vieni, vieni; papino è in cucina che beve una
birra. Suda un sacco, a girare con quella giacca di pelle in questa
stagione…
-Mi sembra naturale – Ichigo alzò un sopracciglio.
-Papino! Abbiamo ospiti! Ci sono gli amici di Pelatino e di Ciglione!
Ci sono Barbetta, Icchy, e anche Spazzola!
-Spazzola sarei io…?! – Tatsuki alzò
minacciosamente un pugno.
-Spazzola! – Yachiru indicò i suoi capelli.
-Dì, ma hai mai visto i tuoi, di capelli…?!
-Tatsuki, piantala – disse Ichigo – è
una ragazzina.
-Giusto, Icchy Carota!
-Carota….?!
-Mmh? Che sta succedendo? Chi c’è?
Kenpachi Zaraki si affacciò alla porta della cucina.
Sembrò vagamente sorpreso nel vederli, ma poi
tornò a sedersi senza dir nulla.
-Papino vuole dire che potete venire avanti. Ehm…
credo… sedetevi? Fate come volete.
-Permesso – borbottò Tatsuki.
-Piantatela – disse Yumichika – avanti, mettetevi
dove trovate posto.
Kenpachi Zaraki sorseggiò la sua birra, rovesciando la testa
all’indietro; poi schiacciò la lattina vuota tra
pollice e indice. I non membri della famiglia lo guardarono attoniti.
-Ah, sì. Birra anche per voi? Yachiru, fa’ quella
roba.
-Quale roba, papino?
-Quella che si fa quando c’è qualcuno in casa.
-Riempirli di botte?
-No, non quando ci sono i ladri, cretina. Quando
c’è gente. Ospiti.
-Intendi il the? – suggerì Yumichika.
-Seh, quella roba che piace a te.
-Ma papino, noi non abbiamo mai avuto del the! Beviamo solo birra!
-Che stai dicendo, mocciosa? Tu bevi il succo di frutta.
-Non è vero, io bevo anche la birra.
-Che?!
-Insomma, dagli qualcosa. Quello che trovi, andrà bene lo
stesso.
Ichigo era sbalordito; quella famiglia era di una scortesia talmente
sfacciata da diventare quasi affascinante.
Isshin si fece avanti.
-Dunque, piacere di conoscerla, signor…
-Kenpachi. Kenpachi Zaraki.
Si alzò in cerca di una birra, ignorando la mano tesa di
Isshin. Questi batté le ciglia, vagamente sperduto, ma poi
sorrise.
-Beh, io e mio figlio la ringraziamo per
l’ospitalità e ci scusiamo se per la
stupidità della mia prole la sua è finita
coinvolta. Ci scusiamo, vero, Ichigo?
Gli afferrò la testa e gliela strattonò verso il
basso con tanta forza che Ichigo pensò di che non sarebbe
mai più riuscito a rimettersi in piedi.
-Sei impazz…?!
-Ichigo è così terribilmeeente dispiaciuto!
-Dispiaciuto di cosa? Uno che è dispiaciuto di aver
combattuto, per conto mio non è altro che un idiota. E voi
due? – si rivolse ai figli – Che avete da dire?
-Gli avrei aperto il cranio alla prossima, se l’avessi
lasciato vivo.
-Uuh, mi sono divertito da morire!
-Vedi? – disse Kenpachi a Isshin – Per noi
è stata un’ottima serata. Almeno non si sono
annoiati.
-Io qualche volta mi annoio – disse Tatsuki, irritata
– ma è sempre meglio annoiarsi che farsi pestare.
-E tu che vuoi? Intendi per caso farci la morale?
-Oh, no, padre. Lei ne ha battuti due da sola. Uno l’ha
schiacciato sotto una macchinetta catcha, e l’altro
l’ha scaraventato fuori dalla porta. Il biondino coi denti da
squalo.
-Ah sì? – Kenpachi la guardò con
più interesse. – In effetti, sembra che stasera le
donne siano andate meglio di tutti.
Yumichika, che era l’unico senza un graffio, distolse lo
sguardo, ma non replicò. Tatsuki alzò gli occhi
al cielo.
-Dunque, signor Zaraki, la ringraziamo per la sua
ospitalità, ma l’ora è decisamente
tarda e io devo tornare a Karakura e lasciare a casa Tatsuki.
-Bene. Ciao.
-Alla prossima, Ichigo. Facci di nuovo divertire così tanto!
-Aspettate, vi accompagno.
-Icchy, ve ne andate di già? – Yachiru mise su il
broncio.
-Scema, Ichigo è in pezzi. Non serve a nulla, ridotto
così.
-Ma la prossima volta giocherai con papino, eh, Icchy?
-Non se ne parla neanche…!
Quando se ne furono andati, Ikkaku tornò in cucina e
cercò una birra.
-Ehi, ma le abbiamo quasi finite. Poi, qui dentro ci sono solo birre,
cosa dovrebbe bere la mocciosa domattina?
-Yay, la birra!
-No che non berrai birra, mostriciattolo. Adesso vieni con me in
supermarket notturno e ti scegli la tua colazione.
-Papino, dì a Pelatino che voglio bere birra!
-Diglielo tu, che c’entro io?
-Comunque, padre, come mai stasera eri dalle parti della sala giochi?
-Mah, non c’era niente da fare. Tutti quelli a cui passavo di
fianco avevano paura che gli andassi addosso. Pensano che sia idiota?
So benissimo guidare in ruota alta senza andare addosso alla gente.
-Perché una volta di queste non porti anche me? –
disse Ikkaku – Non me la cavo male con le moto. Poi, le
Harley non hanno una grande potenza, non dovrebbero essere pericolose.
-Non ero con le Harley. Come potrei impennare con un affare del genere?
Ho noleggiato un’altra moto. Anzi, se hai voglia di guidare,
domani riportala al concessionario.
-Ah-ha. Tra l’altro, ho visto una Suzuki che mi piaceva
molto, l’altro giorno. Una cosa tranqulla, un
seicentocinquanta. Usata, forse, coi miei risparmi ce la faccio.
-Per te va bene una cosa del genere. Io, alla prossima, mi prendo il
mille e due. Quella di stasera aveva due cilindri che sembravano due
missili.
Yumichika li ascoltò, annoiato. Si sentiva sempre fuori
posto quando parlavano di moto. Era vero che anche lui le riparava, in
officina, ma lo faceva per soldi, e per convincere suo padre che gli
interessassero un po’; se non avessero lavorato assieme, non
avrebbero davvero avuto nulla in comune.
-Ehi? Ehi, Ciglione? Sveglia! Ehi, mi aiuti a farmi gli odango*?
-E-eh? – Oh, sì che aveva voglia di farglieli. Ma
suo padre lo stava osservando. – Ti sembro capace di fare una
cosa del genere? Falli tu da sola.
-Ma l’altra volta me li hai fatti tu!
Intercettò lo sguardo di suo padre, che lo stava fissando in
silenzio. Poi sospirò, scosse la testa e bevve una lunga
sorsata di birra.
-Dai, su, andiamo, Ciglia Finte! Quand’è che ti
togli quelle ciglia finte…?
Yachiru lo prese per mano e lo trascinò di sopra.
A Yachiru non sembrava importare che gli piacesse acconciare i capelli
o truccarsi ogni tanto; né, nonostante i suoi modi burberi,
sembrava dispiacere a Ikkaku.
Perché per suo padre era tanto importante?
Avrebbe dovuto odiarlo per la sua intolleranza, ma la verità
era che, radicata in fondo al suo animo, esisteva una paura viscerale
che suo padre non l’amasse affatto.
Perché si preoccupava di questo? L’opinione di una
persona incapace di accettarlo non avrebbe dovuto interessargli. A
Grimmjow, quella volta, aveva risposto per le rime; aveva sempre
risposto per le rime a chiunque dicesse qualcosa di sbagliato
sull’argomento, senza crucciarsi troppo o sentirsi ferito.
E allora perché non riusciva a fare lo stesso con suo padre?
Perché non riusciva a disfarsi dell’importanza
della sua opinione?
-Guarda, li voglio a quest’altezza e voglio due ciuffi ai
lati del viso. E poi, voglio che mi arricci i due ciuffi.
-Come faccio ad arricciarteli? Non posso mica farti una permanente.
-Lo so che hai l’arricciacapelli in camera tua!
-Ma tu… frughi tra le mie cose…?
-Certo che frugo! Frugo dappertutto! La casa per me non ha segreti!
-Fallo ancora, e vedrai che non ci sarà nessuno a farti gli
odango o ad arricciarti i capelli.
-E allora? Lo farà papino!
-Scherzi? “Papino” non lo farebbe mai. Non ti
conviene farmi arrabbiare, perché sono l’unico che
sa acconciarti i capelli e che ti accompagna a comprare i vestiti. E
chi è che ti ha regalato la parrucca rosa? Mh?
-Hmm, è Ciglione – ammise Yachiru, controllandosi
allo specchio l’acconciatura.
Yumichika tacque; almeno, lì dentro, era utile a qualcuno.
Quando faceva quelle cose con Yachiru, o andava a comprare vestiti in
un bel negozio, o sfogliava i dépliant per i corsi di
design, si sentiva bene.
Si sentiva nel suo ambiente, si sentiva vivo. Ed era
sicuro, assolutamente sicuro che quella sensazione fosse la
“felicità”; ed era forse giusto,
continuava a chiedersi giorno e notte, rinunciare a quella
felicità per mantenere una facciata che non gli apparteneva?
Ma poi una parte di lui spuntava fuori dal buio e domandava:
è giusto percorrere una strada che il tuo genitore disprezza?
Se la disprezzava, probabilmente c’era un motivo. E forse era
lui, Yumichika, ad essere sbagliato. In fondo, non era forse vero che
tutti gli altri maschi si interessavano di moto proprio come suo padre
e Ikkaku? Quanti altri avrebbero assecondato la sorellina in tutte
quelle cose da donna? Quindi era lui a sbagliare, e suo padre aveva
ragione?
Era principalmente per questo, per questo dubbio di essere sbagliato, che non
riusciva a parlare. Se fosse stato sicuro di fare qualcosa di giusto,
magari avrebbe anche affrontato suo padre. O magari no. Ma sicuramente
sarebbe stato più sereno, e questo a prescindere dal suo
giudizio.
Ma il Giappone non era molto aperto per quel genere di cose. Quando
Yumichika guardava su Youtube le manifestazioni in occidente, come ad
esempio il Gay Pride, pensava che avrebbe voluto essere lì
con loro, in un posto dove il suo diritto di essere se stesso non solo
fosse riconosciuto, ma fosse addirittura dato per scontato.
Quante volte, a scuola, aveva evitato il pestaggio solamente
perché era più forte di tutti i suoi compagni?
Ma se non avesse ereditato da suo padre tanta forza, che
cos’avrebbe dovuto subire?
Quindi solo chi era più forte degli altri poteva esprimere
totalmente se stesso? Solo chi, in qualche modo, poteva metterli a
tacere?
Il caso di quel Grimmjow parlava da sé. A chi altri
avrebbero lasciato passare quei capelli azzurri?
-Yachiru?
-Mmmh?
-Ma tu non hai delle amiche femmine che ti facciano gli odango?
-Nooo, io non vado tanto d’accordo con le femmine.
Naturale, dato che suo padre l’aveva sempre portata ai raduni
di vecchi motociclisti.
-E quindi, come fai? Se non vai d’accordo con le ragazzine
che dovrebbero essere tue amiche?
-Ma è ovvio! Io sto con i maschi!
Aveva dovuto dirglielo una bambina di dieci anni, per capirlo? Era
così ovvio.
Stare con quelli
più simili a te.
-Grazie, Yachiru.
-Grazie di che?
-Stai ferma, altrimenti gli odango vengono male.
-Aye, aye!
Aveva preso una solenne decisione: più tardi, dopo aver
finito con i capelli di Yachiru, sarebbe andato in Internet e avrebbe
cercato un gay bar nella zona.
E se Ikkaku e suo padre non erano d’accordo, allora
significava che li avrebbe tenuti all’oscuro di tutto; se
loro intendevano escluderlo dalla loro vita, beh, allora lui li avrebbe
esclusi dalla sua.
Ratificò la sua decisione con un sorriso di soddisfazione.
Nel frattempo, in salotto, Ikkaku faceva flessioni per sfogare la
tensione.
Non sei riuscito a fare
nulla.
Stinse i denti e intimò a quella voce interiore di tacere.
Ha dovuto intervenire
tuo padre.
Si morse l’interno della bocca e strizzò gli
occhi, sperando di mettere a tacere quei pensieri.
Penserà che
sei un incapace.
Aumentò la velocità delle flessioni. La fatica
cancellava qualsiasi voce interiore; ci riusciva quasi sempre.
Farsi difendere da tuo
padre. Non sei abbastanza forte. E non ti stai avvicinando di un passo
a lui.
La rabbia gli riempì il petto; quella voce maledetta aveva
ragione da vendere.
Imperdonabile, irreparabile: farsi difendere da suo padre. Come aveva
potuto non riuscire a sconfiggerlo? Perfino Tatsuki ne aveva fatti
fuori due. Yumichika ne era uscito addirittura illeso. Ichigo era
ferito, ma lui aveva affrontato il più forte di tutti,
quindi non contava.
E lui, invece? Lui era stato l’unico a farsi pestare senza
giungere a nulla. Probabilmente, quando se n’era accorto, suo
padre ne era rimasto deluso. Come aveva potuto dare un tale dispiacere
a suo padre?
Perché non riusciva a diventare forte la metà,
no, un terzo, no, un decimo di lui?
Si allenava ogni volta che poteva e quando era ora di combattere ci
metteva tutto se stesso. Quindi perché non progrediva? O
almeno, non abbastanza da somigliare a suo padre?
Non sei
nient’altro che una delusione.
Due figli, e nemmeno uno dei due che lo eguagliasse, o che gli si
avvicinasse soltanto.
Yumichika era un caso particolare; lui viveva nel suo mondo, e si
realizzava in quello. Ma Ikkaku, lui era tale e quale a suo padre: e
dato che aveva scelto quella strada, suo preciso dovere era percorrerla
fino in fondo, dove, come traguardo, c’era il livello in cui
stava quella specie di semidio corrotto che l’aveva messo al
mondo.
Non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi quando
l’aveva trovato faccia a terra, per paura del disprezzo che
vi avrebbe letto, e che gli avrebbe fatto più male dei colpi
ricevuti in battaglia.
Ikkaku era alto, ma suo padre lo era di più.
A diciotto anni, però, era quasi sicuro che la sua crescita
fosse giunta al termine.
Forse che il fisico raggiungeva dei limiti invalicabili, oltre ai quali
non avrebbe più potuto evolversi?
Forse che la sua forza fisica era giunta al termine? Forse non avrebbe
potuto progredire più di così?
Quell’uomo avrebbe continuato a stagliarsi
all’infinito davanti a lui, aprendogli una strada che per lui
sarebbe sempre stata già battuta, e mai
esplorata…?
*odango: acconciatura con gli chignon. Presente Usagi Tsukino (Sailor
Moon)?
(Nda: perdonatemi se ci ho messo più del solito, spero mi
stiate ancora seguendo ^^!
Per il titolo del capitolo... beh, è una citazione da veri esperti di Bleach :D non lo rivelerò.
Poi, una cosa: non ho idea di come funzioni la sanità pubblica in Giappone, vi prego di passarmi anche questa perché proprio non avevo voglia di complicarmi la vita XD
E ora rispondo alle vostre recensioni ;D:
@Nekogirl94: in realtà non amo affatto gang, violenza e
risse XD è solo che capitoli simili si sono resi necessari.
Terrò comunque da conto il tuo consiglio e ci
darò un'occhiata, grazie ;)
@Sexta_aram: grazie mille davvero ^^ non sono un'esperta in questo tipo
di scene, per cui sentire che mi escono decentemente mi fa un immenso
piacere!
@nick nibbio: sì, lo so, purtroppo, ma con Nvu benché mi ingrandisca il carattere nella mia finestra poi l'effetto non si riflette anche nell'html che poi posto qua ._. comunque, se la lettura risulta difficoltosa, un ctrl + dovrebbe aiutarti ad ampliare la grandezza del
carattere (cmd + se hai un Macintosh). Spero di averti aiutato ;)
@sarunia: ciao ^_^ come ho già detto via pm, nessun problema
con le critiche, anzi, sono le benvenute. Per la prima, buono a
sapersi, non me n'ero accorta :/ farò più
attenzione in furuto. Per la seconda... hmm, non so esattamente quali
passaggi tu intenda, comunque se l'impressione generale è
che mi sia incasinata e abbia voluto tirarmene fuori prima di fare un
disastro... XD oddio, in realtà volevo solo ricalcare le
dinamiche del manga, dove il primo scontro Ichigo/Grimmjow viene
interrotto a metà. Non voglio mica farla finire
così tra quei due ;D* tutto qui.
Alla prossima e grazie dei vostri commenti ;)! Bye!)
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Capitolo 9 *** 8. Ice Age Coming ***
“Arrabbiato”.
Questo avrebbe risposto, se gli avessero chiesto come si sentiva. E,
probabilmente, quella dottoressa Unohana gliel’avrebbe
chiesto molto presto.
Come fossero riusciti a convincerlo che andare a quegli incontri gli
avrebbe fatto bene, poi, doveva ancora capirlo.
Lei gli avrebbe chiesto “perché”,
perché fosse tanto irritato. Cosa mai gli avessero fatto gli
abitanti del mondo per odiarli a tal punto.
Non aveva una risposta logica. Li guardava e li odiava. Come potevano
gli altri non essere infastiditi da quella marmaglia disposta in
gruppetti?
Si guardò intorno, disgustato già in partenza.
Le madri che si lagnavano dei capricci dei rispettivi figli. I
cosplayer che facevano gruppo in un angolo. Le ragazzine che lanciavano
strilletti al cellulare.
Non avrebbe saputo puntare il dito su qualcosa in particolare, in
quelle persone; quando tutti
ti danno ai nervi, te stesso compreso, inizi a pensare di non odiare
qualcosa in particolare, ma di odiare e basta,
perché non ne puoi più di nessuno.
Forse, generalmente, l’unica cosa che poteva dire con
precisione era che non sopportava il loro vivere le loro vite
concentrati su cose stupide, rinchiusi nel loro piccolo cerchio
rassicurante, e noncuranti di quanto accadeva attorno a loro.
A volte – a volte? No, era più corretto dire tutto il tempo -
invidiava la loro stupidità e la loro cecità, la
loro incapacità di vedere il mondo al di fuori del loro
angolino. Proseguivano avanti dritti con gli occhi puntati sulle loro
esigenze, sicuri di sé anche nella loro sconfinata
insignificanza, con la fiera ottusità e
l’ignoranza di un somaro, e senza alcuna vergogna per questo.
Toshiro lanciava spesso occhiatacce furiose in direzione della gente. E
poi, quando se ne accorgevano, faceva una smorfia di disgusto, per
chiarire quanto sconfinato fosse il suo disprezzo nei loro
confronti… ma loro? Loro alzavano un sopracciglio e poi si
voltavano, tornando alle loro insulse occupazioni.
Altri, invece, non si accorgevano nemmeno del suo sguardo. Quel tipo di
stupidi non aveva alcun interesse per ciò che gli succedeva
attorno. Quel tipo di stupidi non si metteva mai a osservare.
Toshiro, invece, osservava moltissimo.
E a volte pensava che avrebbe fatto meglio a guardare per terra e
lasciar perdere quella marea di idioti che popolava il mondo,
ché almeno ci avrebbe guadagnato il fegato e,
chissà, quella ruga verticale che gli solcava la fronte a
quindici anni magari sarebbe sparita.
Sospirò e tirò fuori le chiavi di casa dallo
zaino; pregò che la casa fosse vuota.
-Ehi, scusa.
La voce di un ragazzo lo chiamò da dietro le sue spalle.
Toshiro si voltò, preparando l’occhiataccia
peggiore di cui era capace.
-Sei Toshiro?
Il ragazzo che si trovò davanti aveva capelli neri e un
tatuaggio sulla guancia che recava la scritta “69”.
Indossava un collare e abiti neri, e aveva una maglia aderente di rete
che gli copriva le braccia muscolose.
-E tu chi saresti?
-Io sono… cioè, non lo sai? La signorina Rangiku
non ti ha detto niente di me…?
-Rangiku…?
– alzò un sopracciglio.
-B-beh, sì. Mi ha detto che posso chiamarla per nome.
-Ti ha detto così, eh…?
Toshiro si voltò senza più badare al tizio e
girò le chiavi nella toppa con una certa violenza.
Spalancò la porta e si liberò delle scarpe con un
calcio.
-Senti, allora mi faresti entrare…?
Toshiro si voltò verso di lui. Sbatté lo zaino a
terra e gli lanciò un’occhiata fulminante. Infine
chiuse la porta con un botto.
-Dove accidenti sei? – gridò, con le mani a coppa.
-Aye, aye! Sto arrivando, Capitano!
L’aspettò con le braccia incrociate e le orecchie
che gli bruciavano dalla rabbia.
Lei comparve con i lunghi capelli biondi bagnati, coperta da un
accappatoio che le arrivava a metà coscia. Era ancora
avvolta dal vapore del bagno.
-Oh, sei tornato a casa! Ma pensa, mi stavo facendo un bel bagno
rilassante, a tutt’a un tratto ecco che l’ora di
pranzo è arrivata!
Solita morale: avrebbe dovuto prepararsi da mangiare da solo. Non che
si aspettasse qualcosa da lei; in un modo o nell’altro,
trovava sempre il sistema per perdere la cognizione del tempo.
Ci era abituato, ma doversi preparare
da mangiare era fastidioso. Dove finiva il piacere di abbandonarsi sul
tavolo e gettarsi su un pasto caldo, se prima di concedersi quel misero
piacere era costretto a mettersi mezz’ora ai fornelli, con
ancora addosso la stanchezza della scuola?
E non c’era lo stesso gusto, questo l’avrebbe
sempre sostenuto, a consumare qualcosa che aveva creato con le sue
mani. Quello che abbiamo modellato dalla sua nascita alla sua forma
finale non ha lo stesso fascino di quello che troviamo già
costruito.
Ma erano riflessioni inutili, queste. Non gli avrebbero di certo
preparato la cena, e poi c’era qualcosa, prima di tutto, che
ci teneva a chiarire.
-Chi sarebbe quello?
– indicò col pollice la porta.
-“Quello”? Di chi stai parlando?
-Quel tizio che mi ha chiesto di entrare.
-Oh, ti riferisci a Shuhei! Ma certo, l’avevo invitato a
cena. Spero che abbia portato qualcosa da mangiare, perché
io…
La lasciò blaterare finché non sentì
silenzio; quando lei finì, tentando di conservare la calma,
parlò scandendo bene le parole.
-Chi è quel
tizio?
-Oh, lui è un ragazzo molto gentile che mi ha aiutato un
giorno a portare la spesa in macchina. Ma non vorrai lasciarlo fuori
dalla porta; ora vado ad apri…
-Non vorrai andare ad aprirgli in quelle condizioni! Vai a
vestirti…
-Gli apri tu, allora?
Sospirò, troppo esasperato per urlarle dietro.
-Gli apro io. Ma renditi presentabile.
-Sissignore!
Mentre lei correva verso il piano di sopra, aprì la porta ed
accolse Shuhei con l’occhiata più torva che gli
riuscì di produrre.
-Hm. Allora permesso...
Lo lasciò passare e chiuse la porta dietro di lui con un
altro botto. Quello sussultò.
-Dunque… tu devi essere Toshiro. Tua madre mi ha parlato
molto di te.
Toshiro incrociò le braccia e lo fissò con odio.
-Ah, beh, mi aveva avvertito che non eri molto loquace. Beh, che
c’è di buono da mangiare?
-Verifica tu stesso.
Gli indicò la cucina e lo seguì mentre,
mettendovi piede, si rendeva conto che non solo non c’era
niente da mangiare sul tavolo, ma che c’erano reggiseni
appesi alle sedie, lattine di birra vuote sul pavimento e cosmetici
sparsi per tutto il ripiano.
-Ma che…?
-Tsk… e dire che avevo pulito ieri…
Toshiro si inginocchiò e iniziò a raccogliere le
lattine per buttarle via.
-Ti serve una mano?
-Sono abituato.
-Ti prendo un sacchetto.
-Ti ho detto che non mi
serve.
Shuhei si allontanò cautamente e prese posto sul divano.
Toshiro lo controllò con la coda dell’occhio;
questo qui era parecchio più giovane di lei. Doveva avere
poco più di vent’anni.
-Sei tornato da scuola?
Non gli rispose; con la divisa addosso e uno zaino in spalla, gli
sembrava che la risposta fosse evidente.
-Come mai non mangi in mensa?
-Che vorresti dire…?
-Oh, nulla. È solo che tutti gli studenti mangiano in mensa,
di solito.
-Io mangio a casa mia,
invece.
Un estraneo entrava in casa sua e insinuava anche che lui, legittimo
abitante della casa, stava facendo la parte del terzo incomodo?
Gli suggeriva inoltre di starsene assieme i suoi compagni e di levare
le tende…?
A uno così non valeva la pena di spiegare che non sopportava
i suoi compagni, quel loro modo di raggrupparsi in tavolate e mangiare
le schifezze della mensa e chiacchierare sempre delle stesse stupide
cose: dell’ultimo stupido voto (potevate studiare di
più), dell’ultima stupida cotta (ma quanto si può
essere banali?), dell’ultimo stupido litigio con
i genitori (tutte queste
storie per andare a uno stupido karaoke).
-Allora, nel frattempo, potrei andare a prendere qualcosa da mangiare
– disse quello Shuhei – che cosa ti piace?
Ironico che gli chiedesse una cosa simile, benché stesse
parlando del cibo.
-Prendi quello che ti pare. Io me ne vado a studiare.
Lo lasciò con un palmo di naso e per le scale
incontrò sua madre, pimpante come al solito.
Tanto valeva che non si vestisse: per quella magliettina scollata e
quella gonnellina, forse sarebbe stata più coperta se si
fosse tenuta l’accappatoio.
-Ehi, non ti unisci a noi? È ora di pranzo! Non hai bisogno
di energie, per affrontare un pomeriggio di studi?
-Non ho nessuna fame. E poi, non dovevamo fare i conti delle bollette,
oggi…?
-Ma certo! Ma possiamo farli con la pancia piena, no?
-Preferisco non rimandare. Dammeli, li faccio io nel tempo rimanente.
-Subito, Capitano!
Sbuffò.
Lo chiamava così, molto spesso; il più delle
volte, quando dimostrava di essere lui il vero padrone di casa. Ovvero,
praticamente sempre.
-Dove accidenti le avevo messe…?! Ero convintissima di
averle lasciate proprio qui!
-Qui dove?
-Ma sì, qui!
Qui in giro.
Quella scena si ripresentava ogni mese, ma ogni volta aveva il potere
di fargli pulsare le vene delle tempie. Strinse i pugni, chiuse gli
occhi e prese a contare per calmarsi.
-Ecco! Eccole qua. Tieni.
Gliele strappò di mano e le lesse velocemente.
-Queste… - mormorò, cercando di mantenere la
calma – queste sono le conferme di un ordine su eBay! Che
diavolo… che
razza di oggetto…
Arrossì violentemente e sentì le orecchie
diventargli bollenti. Sua madre non fece altro che scoppiare a ridere.
-Ops, sembra che abbia fatto confusione! È quella lingerie
speciale che avevo ordinato la settimana scorsa. Meno male che
l’hai ritrovata, non sapevo davvero più
dove…
-Le bollette!
-Certo, certo. Su, non agitarti, vedrai che saranno da qualche parte
– si stiracchiò e, saltellando sui gradini, si
diresse verso il piano di sotto.
Shuhei stava uscendo.
-Allora vado a comprare un po’ di carne… per
festeggiare l’incontro mio e di Toshiro!
-Mi sembra un’ottima idea! Mmh, carne! Tu
sì che sai come trattare una donna, Shuhei!
-Oh… - quello arrossì e si fiondò
fuori dalla porta.
Toshiro si voltò furibondo verso sua madre, che fissava
soddisfatta la porta con le mani ai fianchi. La fissò
finché lei non si accorse di essere guardata.
-Mh? Che c’è? Tutto a posto, Capitano?
-Mi chiedi che
c’è…? – A volte
dubitava di aver sentito bene. – Io… questo tizio,
ti pare…
Ma lei lo guardava stupita, chiaramente chiedendosi quale potesse
essere il problema.
Inutile parlarci; se non capiva le cose più elementari,
figurarsi se avrebbe seguito la sua ramanzina.
-Fa’ come ti pare, non voglio saperne niente –
concluse, poi girò i tacchi e imboccò le scale.
Mentre cercava le bollette in giro per la casa sentì che
quello Shuhei entrava in casa, poi che i due si erano accomodati in
cucina, e poi rumore di risate e bicchieri che tintinnavano.
Le risate e il tintinnio di bicchieri a un certo punto salirono di
volume e di frequenza, segno che probabilmente sua madre ci aveva dato
dentro di saké fin dal mattino. Scosse la testa, indignato,
e tornò alle sue bollette.
Il fatto che disponessero solo dello stipendio di sua madre, che faceva
l’estetista e non la dirigente, non aiutava a far quadrare i
conti a fine mese. Se Toshiro non avesse avuto quella borsa di studio,
non avrebbe mai potuto frequentare la costosissima scuola che
frequentava; figurarsi il doposcuola, poi.
Come se tutto questo non fosse bastato, quella donna aveva il brutto
vizio di sperperare i soldi; se almeno avesse conservato gli scontrini
o si fosse annotata da qualche parte i suoi acquisti, almeno Toshiro
avrebbe capito dove finivano parecchie migliaia di yen. Di solito gli
toccava indagare in lunghe sessioni d’interrogatorio.
Non avrebbe mai voluto tornare di sotto, ma doveva farlo, se voleva
capire dove fossero finiti ventimila yen che sembravano essersi persi
in un varco spazio-temporale.
-Ehi – chiamò, dalle scale. Non ebbe risposta.
Aggrottò le sopracciglia e si rassegnò ad entrare
in cucina, dove il tizio si era addormentato sul divano e sua madre
direttamente sul tavolo, con la lattina di birra ancora stretta tra le
mani. – Svegliati!
Quella mugolò, aprì e richiuse la bocca un paio
di volte, poi tornò a dormire serena. Toshiro iniziava a
innervosirsi.
-SVEGLIA! – urlò a due centimetri dal suo
orecchio, e lei, con un lamento, si svegliò.
-Insomma! Potevi anche chiamarmi con più gentilezza!
L’aveva
fatto, ma lei non…
… ma a che serviva puntualizzare?
-Hai speso ventimila yen, di recente?
Non era quello che avrebbe voluto dirle. Il discorso che avrebbe voluto
farle, e che, involontariamente, era andato formandosi nella sua testa
mentre scendeva le scale pestando i piedi, suonava più o
meno così:
-Si può sapere
che accidenti stai facendo?! Ti sembra normale ubriacarsi dal mattino?!
Ti rendi conto che devo sempre fare tutto da solo?! E, tanto per
sapere, chi diavolo sarebbe questo tizio, appena uscito dal liceo, che
si siede sul divano di casa mia
e si comporta come se io e lui fossimo obbligati ad avere qualcosa a
che fare?!
Quante volte aveva raffinato il discorso nella sua testa, gustandosi il
momento in cui finalmente avrebbe sfogato tutta la sua rabbia,
lanciando una raffica di accuse che non avrebbe tralasciato niente, neanche una
singola mancanza che normalmente sarebbe stata perdonabile.
Tuttavia sapeva bene cosa sarebbe seguito a una simile scena: due occhi
spalancati, un battito di ciglia, e l’espressione di chi non
capiva che bisogno ci fosse di prendersela tanto per un completino di lingerie. Fosse
stata una che capiva, si pentiva e abbassava il capo, annegata nella
vergogna, un simile sfogo avrebbe anche potuto avere un senso. Ma nulla
poteva abbattere il muro dell’ottusità. Con una
simile fannullona, qualunque discorso pratico era inutile.
Il che non sarebbe stato un grosso problema, se quel suo modo di fare
si fosse limitato alle piccolezze. Alla spesa extra, alla dimenticanza
occasionale, insomma, quelle cose a cui si poteva passare sopra. Ma sua
madre non era una persona affidabile con dei momenti di debolezza, che
sarebbero stati perdonati, dato che era una madre single e che,
teoricamente, avrebbe dovuto mandare avanti una casa e un figlio da
sola. No. Sua madre era una farfallona nullafacente che delegava a lui
il lavoro di genitore, punto e stop. Non cooperavano, non
l’aveva semplicemente coinvolto nella gestione familiare:
l’aveva investito di tutte le responsabilità che
le spettavano ed eletto a padrone di casa, pensando che, dato che gli
concedeva pieni poteri e piena libertà, allora sarebbe stato
uno scambio equo.
-Non lo è – mormorò.
-Uh?
-Dicevo, ventimila yen. Dove hai speso una cifra simile?
-Ventimila… yen…?
Vide i suoi occhi farsi vacui e la sua espressione perdersi in pensieri
nebulosi.
-Sì, ventimila yen. Non puoi dimenticare in che cosa hai
speso una tale somma di denaro!
-Hmm… - si portò un dito alla bocca e
aggrottò le sopracciglia. Disgraziatamente, notò
il proprio riflesso sul vetro della finestra e, trovandosi
particolarmente carina, si fece l’occhiolino e si
mandò un bacio.
-Ehi!
-Ah, sì, sì, ventimila yen. Sto pensando.
-Hai forse fatto la spesa?
-Ma no, Capitano, sei sempre tu che vai a fare la spesa.
-Già – strinse i denti – e allora che
cos’è?
-Proprio non lo so – mormorò incantata, chinando
il capo di lato.
-Se solo capissi dove è stato effettuato
l’acquisto, potrei venirne a capo. Invece hai prelevato la
somma per poi farne qualcosa. Cosa?
Lei fece sporgere e tremolare il labbro inferiore, inscenando
un’espressione da cucciolo sperduto. Cosa che aveva
unicamente il potere di fargli perdere gli ultimi residui di pazienza.
Ma non aveva più voglia di urlarle dietro; ci aveva provato
tante volte, in passato, senza risultato. L’unica era andare
avanti. Avanti senza sbraitare, senza stupirsi; avanti cercando di
lasciar perdere. Fissarsi su qualcosa di immutabile sarebbe stato
stupido, e lui, lui, non era uno stupido.
Cercò di calmarsi; tirò un respiro profondo, poi
mantenne un tono fermo.
-Ti do tempo fino a questa sera per pensarci. Capito? Poi
dovrò detrarre questa somma dai tuoi soldi.
-Eeeh? Ma nooo! Volevo comprarci quell’abitino
così carino che…
-Non se ne parla. Prima i ventimila yen. Se mi dimostrerai che sono
stati investiti in qualcosa di utile, nessuno toccherà i
tuoi soldi; altrimenti sarò costretto a requisirteli.
-Sei cattivo, capitano! Uff!
Fece sporgere le labbra a ciuccio e si abbandonò su una
poltrona. Toshiro le lanciò un’occhiata fredda,
che poi però, vista sul riflesso della finestra, era solo
un’occhiata arrabbiata.
Quella rabbia muta e non espressa, sul punto di esplodere in mille
schegge incandescenti, che non riesce mai a essere fredda. È
calda come brace.
Eppure lui avrebbe voluto essere freddo e maestoso come un dragone di
ghiaccio, così che nessuno gli si avvicinasse, nessuno
osasse infastidirlo, altrimenti lui l’avrebbe ingoiato in un
inferno di gelo, paralizzandolo per sempre con la bocca spalancata a
vuoto.
Voleva troneggiare sul suo cielo ghiacciato, rilucendo come una luna
piena ghiacciata.
(Nda: eccomi qua :D.
So che la mia velocità d’aggiornamento
è diminuita, chiedo scusa; del resto due settimane mi
sembrano un tempo più che equo u_u, considerato che sono
stata (e sarò sempre di più, purtroppo :( )
abbastanza impegnata.
Comunque, eccoci. Penso che sia chiaro a tutti il riferimento finale
(strizzata d’occhio, la chiamerei piuttosto :D) ma non ho
potuto resistere, era troppo appetitosa.
Una cosa vorrei aggiungere (e varrà sempre di più
nei prossimi capitoli): è chiaro che i rapporti, rispetto a
quelli esistenti in Bleach,
sono un po’ alterati o, come in questo caso, amplificati.
Perciò ricordo che queste persone, nel mondo reale, non
conducono una vita militare, e sono persone per lo più
qualsiasi, alle prese con problemi qualsiasi. Questioni di natura
sentimentale o personale assumono dunque molto più rilievo e
acquistano più peso. Cose che nella SS verrebbero giudicate
disgustosamente umane qui sono il punto focale della storia. Questa fic
è nata per essere drammatica – cosa che Bleach non
è affatto – per cui i personaggi si faranno
influenzare e ferire da cose che nel manga li scalfirebbero appena.
Infine: il titolo, riconoscibilissimo :D, dai Radiohead
(benché sia la theme song di Uryuu :°D).
In risposta a voi recensori :* (e gli altri? Dove vi siete nascosti
è_é?)
@NekoGirl94:
alla fine ho guardato un episodio di Durarara!, ma non mi è
piaciuto ‘’XD il mio pane quotidiano è
il dramma! Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo,
benché privo di pugni e nasi rotti XD!
@nick nibbio:
ci mancherebbe che non rispondessi ai miei recensori u_u grazie a te
per i commenti! ;D
@Exodus: non
dirò a cosa mi riferisco, ma… accidenti, o sono
io prevedibile o tu hai l’occhio lungo XD! Sono felice
comunque di aver reso bene la scazzottata, e mi dispiace di averla
interrotta presto ;_; la prossima la stoppo solo quando saranno tutti
attaccati al respiratore.
Tra l’altro mi sembrava di aver letto da qualche parte che
Toshiro ti piacesse (o ti ci riconoscessi)… spero davvero di
aver fatto un buon lavoro con questo!
Ciao a tutti, alla prossima ;D!)
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Capitolo 10 *** 9. Thank You for Loving Me ***
Toshiro si diresse verso la scuola, tenendo salda la cartella. Un
raggio di sole tiepido gli scaldò le braccia pallide, ma non
gli piacque; odiava il sole del primo pomeriggio, lo trovava pesante e
nauseante. Gli ricordava che avrebbe dovuto essere su un futon a
riposare, nel fresco di casa sua, e invece era costretto ad andare a
scuola, anzi, peggio, a tornare
a scuola, dopo aver sperimentato la gioia di uscirne, finalmente.
A Toshiro la scuola non piaceva. La riteneva una seccatura; avrebbe di
gran lunga preferito rimanere a casa a leggere un libro, magari in
giardino, sulla sedia sdraio all’ombra del pruno della casa
accanto, che estendeva i rami oltre lo steccato di legno.
Così il sole cocente del primo pomeriggio, immerso
nel silenzio, sarebbe stato più sopportabile.
C’era solo lui per le strade della città a
quell’ora; gli altri erano tornati al lavoro, oppure stavano
mandando giù gli ultimi bocconi alla mensa per poi tornare
nelle aule.
La sensazione di essere l’unica persona, in quel momento, a
esistere sulla Terra, lo fece sentire bene. Era come se il resto del
mondo si fosse adattato a nascondersi al suo sguardo infastidito,
chiudendosi negli edifici e regalandogli finalmente del sano silenzio.
In questo modo, forse… forse poteva anche sopportare quel
sole pressante che gli premeva sullo stomaco pieno. Ora il sole lo
stava illuminando. C’era pace, e gli altri erano dove
avrebbero dovuto essere: lontani da lui.
Ma fece una smorfia quando si trovò davanti alla scuola,
che, anche se era chiusa e nessuno era in cortile, gli
ricordò immediatamente il baccano, la banalità,
la stupidità e la sua solitudine perenne.
Tsk,
pensò, tanto
che me ne faccio di questi idioti.
Anche se avessero voluto essere suoi amici – ed era
abbastanza certo che non lo volessero – lui non sarebbe mai
andato d’accordo con quei bambocci. Erano così
infantili e nemmeno se ne rendevano conto. Non capivano nulla.
Non capivano la crisi, la casa, il lavoro, i soldi, la borsa di studio.
Erano ragazzini agiati che non avevano bisogno di preoccuparsi di
nulla. La loro madre non beveva sin dal primo mattino. Non
c’erano sconosciuti a casa loro. E potevano permettersi di
discutere di locali e acconciature e sigarette come se fossero state
quelle le questioni importanti della vita.
Ma essere felici non era una colpa. E Toshiro non gliene faceva, in
fondo, una colpa. La loro colpa era quella di essere stupidi –
assottigliò gli occhi.
Non facevano altro che leggere manga, fumare di nascosto, e andare in
centro a comprare vestiti. Il che non sarebbe stato del tutto
sbagliato, supponeva Toshiro, se ogni tanto però avessero
aperto un libro, guardato un telegiornale, o preso sul serio un brutto
voto a scuola.
Ma poi, chi voleva prendere in giro?
Ciò per cui li odiava era il fatto di essere legati
l’uno all’altro. Non aveva altri motivi per
detestarli. Altrimenti, gli sarebbero scivolati addosso.
Toshiro avrebbe voluto che tutto
gli scivolasse addosso. Ma si ritrovava sempre, con suo enorme
fastidio, a dare importanza a cose che invece avrebbe voluto congedare
con una smorfia, anzi, con un’occhiata, anzi, non guardarle
proprio. Avrebbe voluto essere altero e distante e impassibile, uno che
non veniva seccato dagli altri e che non seccava gli altri. Questo
voleva essere. Un pezzetto di ghiaccio: visibile, certo, ma trasparente.
Più o meno lo era, ad ogni modo. Se ne accorse entrando a
scuola. Lo conoscevano tutti, certo: era quello con i voti
più alti della storia della scuola, il prodigio, il ragazzo
con la borsa di studio. Ed era l’unico, l’unico
che girasse per i corridoi della scuola perennemente da solo. Non
gl’importava. Erano solo dei caproni. Lo stesso, gli pesava
passare la maggior parte della sua giornata in silenzio.
E, quando tornava a casa, dover ragionare con quell’elemento
di sua madre.
Quando c’era Lei, era diverso. Lei lo prendeva a braccetto e
camminava con lui a scuola. Poi facevano merenda assieme. E quando
stava con lei, che era dolce e sorridente e solare, lei che andava
d’accordo con tutti e piaceva a tutti, la gente lo guardava
in modo diverso. Come se si stesse chiedendo che cosa avesse spinto
senpai Hinamori, così bella e simpatica, a legarsi
così tanto a quel lupo solitario di Hitsugaya Toshiro; come
se stessero prendendo atto del fatto che lui potesse avere qualcosa di
speciale, qualcosa che aveva attirato Lei.
Lo guardavano così, con curiosità, in parte per
il suo noto profitto, in parte per il suo noto carattere introverso, in
parte perché era amico di Momo. Anche se era da un pezzo che
non la chiamava più Momo. La chiamava Hinamori, come tutti
gli altri, e lei, dopo svariate insistenze, aveva preso a chiamarlo
Hitsugaya.
Se solo lei non avesse avuto tanta fretta di diplomarsi, adesso sarebbe
stato con lei, almeno. Lei era ingenua e un po’ sempliciotta,
forse, ma era meno peggio degli altri. Invece aveva voluto affrettare
il diploma e frequentare il secondo e il terzo anno assieme, quindi
aveva preso lezioni in un doposcuola costosissimo e alla fine era
uscita dalle scuole superiori un anno prima. Così avevano
trascorso soltanto un anno insieme in quella scuola, il primo anno di
Toshiro.
Il fatto di trascorrere tutto il tempo libero con lei durante il primo
anno, pur se la verità era che stava con lei solo
perché gli altri gli sembravano dei perfetti idioti, non
l’aveva aiutato ad amalgamarsi con la classe. Lo
consideravano come uno che passava il suo tempo con gli studenti
più grandi. Perché, ai tempi, Hinamori aveva il
suo gruppo solido; c’era quell’Abarai, con cui non
aveva mai scambiato più che un saluto, e
c’era quel Kira, che ora veniva agli incontri con lui, ma,
così come non l’aveva considerato agli incontri,
non l’aveva mai preso in considerazione nemmeno prima. Lo
trovava un tipo insignificante, così insignificante da
doversi riempire la testa di Hinamori per averci dentro qualcosa. Non
che gli importasse degli affari personali di Hinamori, ma, se proprio
doveva scegliersi qualcuno, che per carità non fosse
quell’insulso di Kira. Abarai, piuttosto. Era sgradevole come
pestare una cacca sul marciapiede, ma almeno era un uomo.
Poi lei gli aveva raccontato che c’era un tale Hisagi, nel
loro gruppetto, quando loro ancora erano al primo anno e lui era
all’ultimo; li aveva presi sotto un’ala protettiva
e ogni tanto si univa a loro, anche se erano del primo anno, per due
chiacchiere sul terrazzo. Glielo aveva descritto come un bel ragazzo,
forte e coraggioso, con un cuore grande. Ma questo non contava.
Hinamori descriveva così più o meno chiunque;
questo Hisagi avrebbe anche potuto essere un idiota mezzasega come
quello Shuhei di quel pomeriggio, che tanto per lei sarebbe stato il
più impavido degli eroi dal cuore d’oro.
-Tu non capisci niente – le aveva detto una volta,
sgranocchiando una mela durante l’intervallo. Naturalmente
non si era spiegato. Lei aveva subito interrotto la sua merenda e
l’aveva guardato stupita.
-Eeh? Perché, Shirochan?
-Ti ho detto di non chiamarmi così.
-Ma qui non ci sentirà nessuno, non devi preoccu..
-Se mi chiami Shirochan vado a mangiare da un’altra parte.
-D’accordo, Hitsugaya…
- ridacchiò un poco, cosa che infastidì Toshiro,
ma non poi così tanto – perché non
capisco niente, allora?
-Perché pensi che tutti siano bravi e buoni e belli. Mentre
non è così. Quand’è che ti
deciderai a crescere e impararlo?
-Mmh – lei non si era offesa, benché un kohai
fosse tanto presuntuoso da andare a insegnarle a stare al mondo; adesso
ne capiva l’animo paziente, allora pensava che lei avrebbe
dovuto strizzare gli occhi, folgorata davanti alla Verità.
Ma lei non l’aveva fatto – tu invece non dovresti
pensare che siano tutti stupidi, brutti e cattivi. Credo che se
smettessi di pensarlo cresceresti un po’ anche tu.
Lui era arrossito e l’aveva fissata, piccato, ancora con la
bocca piena. Lei aveva riso e gli aveva sfiorato la guancia con
l’indice.
-Ricordati di masticare e mandare giù, - gli aveva detto, e
lui era arrossito ancora di più e si era arrabbiato per aver
fatto quella figura.
-Tieni le distanze, sei una senpai
dopotutto – aveva bofonchiato, e lei l’aveva
guardato con un sorriso tenero, come a dirgli che tra loro due non
sarebbero mai esistite distanze.
Non quando in tutti quegli anni, prima del liceo, avevano scavato
assieme grotte nella terra umida e creato montagne sulle radici degli
alberi, non dopo le raccolte delle prugne con un cestino di vimini ogni
estate, nel giardino oltre lo steccato, non dopo tutte le cioccolate
calde e i biscotti davanti a una videocassetta in inverno; questo
glielo riconosceva.
-Ricordi quando dicevo che potevo sollevare l’albero di
prugne con i miei poteri magici?
-Sì. Il tuo pruno volante.
-Me lo immaginavo come un tappeto magico, che ci avrebbe portati
lontano, in posti sconosciuti pieni di cascate, arcobaleni, ruscelli e
fate, e poi boschi…
-Tu non devi essere mai cresciuta da allora, eh?
-Mentre tu invece parlavi di dragoni alati che sputavano brina e
ghiaccio invece che fuoco. Ti piaceva l’idea di attaccare,
vero, Shiro? E tu sei cambiato, da allora…?
Lei aveva sorriso.
Lui aveva pensato che non sapeva proprio perché passava le
sue ricreazioni con questa sciocchina anziché starsene da
qualche parte, in pace, per conto suo.
-Ehi, buongiorno, Hitsugaya – lo salutò Renji
Abarai con un cenno, ma senza un sorriso. Non che Abarai fosse un tipo
sorridente, ma di certo era gioviale con gli amici. Con lui aveva
provato a fare l’allegrone all’inizio, ma aveva
presto capito che non era il tipo giusto.
-‘Giorno – gli rispose, con un cenno del capo. Kira
non c’era. Non lo vedeva in giro da un po’, in
effetti. Ma non gl’importava, per cui non chiese nulla.
Avrebbe voluto chiedergli di Hinamori, piuttosto, chiedergli cosa
stesse facendo, perché non uscisse mai di casa. Naturalmente
stava studiando, questo lo sapeva, vedeva la luce accesa ogni sera fino
a tarda notte. Ma non la vedeva mai andare fuori né
rientrare. Evidentemente avevano orari diversi; e, anche se gli era
saltata in testa l’idea di controllare dalla finestra quando
rincasava, si era dato immediatamente dello stupido perché
quello, diamine, sarebbe stato davvero un modo stupido per perdere
tempo prezioso.
Non gli chiese nemmeno di lei. Era troppo orgoglioso. Era lui il suo vicino
di casa, no? Era tenuto a saperlo, più di Abarai. Era con
lui che aveva passato la sua infanzia, non con lo stupido Abarai,
né con l’ancora più stupido Kira. E
anche se non sapeva quasi più nulla di lei, non la vedeva
più e avrebbe voluto vederla, non disse nulla. Era
l’unico modo per conservare la sua superiorità.
Non era questione di Hinamori, ma solo di superiorità.
Nel frattempo Abarai si era allontanato e Toshiro si diresse verso la
sua classe; prese posto al suo banco, in seconda fila vicino alla
finestra. Non gl’importava stare nelle prime file –
non aveva mica niente da nascondere, lui – ma era
fondamentale poter stare vicino alla finestra. Da lì poteva
illudersi di essere per metà fuori dall’aula.
Poteva guardare l’erba verde riflettere la luce del sole e
cullarsi dolcemente al soffio del vento. I campi sportivi si
estendevano promettendo giochi, estate e risate.
E quando si rese conto che lui non vi avrebbe preso parte,
perché non ne era
parte, pensò che non gli sarebbe dispiaciuto salire su quel
pruno volante e partire, alla volta di mondi incantati al di fuori del
tempo reale.
(Nda: scusate il ritardo, anche se non particolarmente
pesante… scrivo queste note principalmente per avvertire chi
segue questa storia che potrebbe non essere aggiornata a breve (questo
stesso capitolo era stato scritto in concomitanza col precedente). Le
idee ci sono sin dall’inizio e naturalmente questa storia,
che nei miei progetti è lunga e densa di contenuti,
sarà portata avanti; purtroppo, ora come ora, non so quando.
Ringrazio chi mi ha recensito e mi scuso di non rispondere
personalmente come di consueto. Alla prossima)
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