Runaway Train

di The Corpse Bride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Troublemaker ***
Capitolo 2: *** 1. I've got a life (though it refuses to shine) ***
Capitolo 3: *** 2. Please Don't Let Me Be Misunderstood ***
Capitolo 4: *** 3. Ready Steady Go ***
Capitolo 5: *** 4. Family Portrait ***
Capitolo 6: *** 5. Boom ***
Capitolo 7: *** 6- Hey, Ho, Let's Go ***
Capitolo 8: *** 7. You don't hear my name anymore ***
Capitolo 9: *** 8. Ice Age Coming ***
Capitolo 10: *** 9. Thank You for Loving Me ***



Capitolo 1
*** Prologo - Troublemaker ***


-Chado, alle spalle!
Ichigo strinse i denti e si bloccò di scatto. Preparò i pugni, pronto a combattere.
-Non preoccuparti, Ichigo Kurosaki; non abbiamo bisogno di colpirti alle spalle.
Ci fu silenzio per un attimo; Ichigo e Chado si lanciarono un’occhiata d’intesa.
-Come vedi, siamo una decina. Pensi che uno studente del primo anno riesca per caso – OUCH!
Ichigo ghignò, mentre, al pugno che aveva steso a terra il suo avversario, aggiungeva un calcio alla gola che gli assicurò che i nemici d’ora in avanti sarebbero stati nove.
-Che accidenti hai fatto, moccioso?! Credi che te la lasceremo passare solo perché sei un moccio – OUCH!
Chado si ripulì le nocche delle dita, quasi fosse disgustato di aver toccato quel tizio. Non si poteva esserne certi, poiché il suo sguardo era sempre celato sotto la frangia, ma Ichigo riteneva di conoscerlo.
-Questo è troppo! – un terzo si parò loro davanti – Pensate forse, solo perché avete preso di sorpresa due dei nostri compagni – OUCH!
Il tizio si chinò a terra, stringendosi lo stomaco che Ichigo aveva appena colpito. Si complimentò con se stesso per la propria velocità.
-Adesso puoi star certo che ti facciamo il culo! Non ci siamo dimenticati del nostro ultimo incontro, Ichigo Kurosaki! – un quarto gli si avventò contro – e adesso siamo ancora più incazzati di prima! Questa volta – OUCH!
A questo era bastato un calcio tra gli occhi. Ma era colpa sua: gli si era gettato contro lasciando buchi in tutta la guardia.
-Questo stronzo…! E va bene, allora ti verremo incontro tutti assieme!
Ichigo si spartì con Chado i sei rimanenti; tre ciascuno.
-Ti spacco tutti i denti, così ti levo dalla faccia quello stupido sorri – OUCH!
-Piccolo bastardo, non pensare di passarla li – OUCH!
-Sei un moccioso insolente! Adesso ti insegno io cosa vuol – OUCH!
Quand’ebbe finito con loro, diede un’occhiata a Chado, che era ancora nel bel mezzo, ma a buon punto. Per lui era stato un po’ più complicato, perché aveva preferito immobilizzarli tutti e tre contro la parete prima di sbatterceli contro, ma Ichigo dovette ammettere che farli gridare in coro, ammassati contro il muro, era stato molto artistico da parte di Chado. Coreografico, quasi.
-Ti spaccherò il cu – OUCH!
-Solo perché sei grande e grosso, non – OUCH!
-Non penserai di cavartela così bene anche con me. No, fermo. Ehi! OUCH!
Batté una mano sulla spalla di Chado. Poi si rivolse a quello che sembrava il loro capo, che lo stava fissando, ansimante e fumante di rabbia. Alzò le mani.
-Non guardare me, è tutta colpa vostra. Sai qual è la differenza fra noi due e voi dieci idioti?
L’altro digrignò i denti, incapace di prender fiato per parlare.
-Nel tempo che voi usate per parlare e tirarvela da pezzi grossi, io e il mio amico Chad passiamo all’azione. Tutto qui.
Lo salutò con un cenno della mano e si incamminò con Chad verso la scuola.



-Ehi, Chado, cosa c’è alla prima ora?
-Hm. Matematica, credo.
-Matematica? Che palle. La salterei volentieri, ma se saltiamo le lezioni inizieranno a farci storie sul serio.
-Mh.
-Dai, muoviamoci. Sta per suonare l’ultima campanella, e non ho voglia di sentire le sfuriate di quel vecchio rompicoglioni.
-Nemmeno io.
Accelerarono il passo; presero a correre giunti in prossimità del cancello. Erano arrivati giusti in tempo; il custode stava per chiudere.
-Ehi, voi due – disse quello – come avete fatto a conciarvi così di primo mattino?
-Uh?
Ichigo, stupito, guardò Chad, che stava guardando lui altrettanto spaesato.
-La vostra divisa è impresentabile – la indicò con un cenno della testa; poi si avvicinò ai due ragazzi, sistemandosi meglio gli occhiali – e queste macchie rosse, cosa sono?
-Ah! Queste? Beh, mi sono rovesciato la marmellata di azuki sulla giacca mentre facevo colazione.
-Marmellata di azuki…? Quella non può essere della marmellata di azuki. Sembra più… una consistenza liquida, non saprei dire…
-Senti, vecchio, se ti dico che è marmellata di azuki vuol dire che è marmellata, ok?
-Oh, certo, certo. Stavo solo dicendo che…
-Credo che dovremmo entrare, se non vogliamo fare tardi – disse Chado.
Davanti alla sua aria quasi funerea, il custode rimase zitto per un attimo. Poi si riprese.
-Esatto, proprio così. Entrate, e sbrigatevi, o vi prenderete una ramanzina.
Ichigo sbuffò e si avviò a passo di marcia; Chado lo seguì silenzioso, mani in tasca e occhi coperti.
Arrivarono in classe due minuti prima del professore. In quei due minuti, ricevettero l’accoglienza dei loro amici.
-Fragoliiiino! Ma… ma cosa ti sei fatto, fragolino?! F-fammi vedere! Non ti avranno mica fatto qualcosa di male, eh?
Lo liquidò dribblandolo.
-Ehilà, Kurosaki.
-Buongiorno, Mizuiro. Per la cronaca – volse un ghigno verso Keigo – nessuno è in grado di farmi del male.
Mizuiro sorrise.
-Oh…! Buongiorno, Kurosakikun!
Orihime Inoue sventolava la mano, allegra e felice come sempre, dal suo banco accanto alla finestra.
-Oss – disse Tatsuki dal banco dietro di lei.
-Oss. Buongiorno, Inoue.
-M-ma come avete fatto a ridurvi così, eh, Chado? Dimmelo tu, dato che Ichigo per non farmi preoccupare non mi dice mai nulla! Certo, sono preoccupato, ma ormai ci sono più o meno abituato, quindi posso sopportarlo! Quindi, Chado? Eh? Dì qualcosa!
-... qual era la domanda?
-Che cosa vi è successo?!
-Abbiamo…
Tutti rimasero in attesa. Lui sospirò.
-… incontrato dei tizi.
-Aah, voi e la vostra mania di fare i misteriosi! Non dovete cacciarvi in questi guai! Io… io non dormo la notte pensando che un giorno potrei non rivedervi a scuola!
-Ehi – Ichigo gli lanciò un’occhiataccia – la jella portala a qualcun altro.
-Io non sarei tanto preoccupato.
-Ma, Mizuiro…!
-Sono tutti interi, giusto? E Ichigo ha detto che è stato lui ad averla vinta. Quindi è ok, no?
-Che hai combinato, Ichigo? – Tatsuki alzò un sopracciglio – Se continui così, dovrai comprarti una divisa nuova ogni giorno.
-Bah, c’erano questi tizi che ce l’avevano con me dalla settimana scorsa. Sono venuti per vendicarsi, ma non ci sono riusciti.
-Ah sì? E… che cos’è successo la settimana scorsa? – chiese Inoue, con un gran sorriso.
-Ehm… - lanciò uno sguardo a Chado – sono cose che una ragazza non dovrebbe sapere.
-Parli di Orihime? Ha. Tu non conosci il potenziale nascosto di questa ragazza.
-Eh? Che vuoi dire, Tatsuki?
-Lascia stare – sogghignò lei – piuttosto, non fare il misterioso per darti arie da figo; sicuramente si tratterà dell’ennesima rissa tra idioti.
-Idioti erano idioti, sicuro. Comunque, ce l’avevano con me perché, la settimana ancora prima, avevo fatto nero un membro del loro gruppo.
-E questo perché…?
-Perché senza nemmeno conoscermi mi aveva tirato per i capelli e trascinato a terra, e poi mi ha detto che se uno va in giro con dei capelli del genere, significa che sta cercando la rissa.  – Alzò le spalle. – Che altro dovevo fare?
-Certo, ok, sono dei veri bastardi, però, fragolino, se continui così non finirai mai di litigare.
-Innanzitutto, piantala con quel nome o ti riduco come quei tizi là fuori.
-Ok, ok! Perdonami!
-Comunque, che ci devo fare? Mi cercano. E se qualcuno mi cerca, io lo accolgo. Non mi tiro certo indietro.
-Se qualcuno ti cerca, tu lo accogli, Kurosakikun? – Inoue aveva una strana espressione. – Davvero è così…?
-Certo che sì. Lo prendo e lo pesto finché non rimpiange di essere nato.
-Oh..! Intendevi, in questo senso.
-Chiaro. Per cos’altro dovrebbe cercarmi la gente?
-Eh, già! Cos’altro? Eh eh!
Il professore entrò in classe; tutti si alzarono in piedi, e lui li squadrò tutti da capo a piedi. Il suo sguardo si fermò su Ichigo.
-Kurosaki.
-Sì?
-Si può sapere che accidenti è successo alla tua divisa?
-Oh; sa, stavo facendo colazione quando improvvisamente della marmellata di azuki si è…
-Anche tu, Sado. Anche stamattina? Dite un po’; quanto dista casa vostra dalla scuola?
-Uhm; direi un quarto d’ora – disse Ichigo.
-Più o meno lo stesso.
-Possibile che in quindici minuti siate in grado di trovare con chi fare a botte, e di prendervi a botte fino a distruggere la divisa…?
-Via, non è distrutta. È giusto un po’ sporca.
-Che fai, prendi in giro i professori?!
-No. È solo che credo che questo infici le mie prestazioni scolastiche. In altri termini: a lei che importa?
Sentì il sospiro esasperato di Tatsuki e il suono della sua testa che sbatteva contro il banco.
-Come ti permetti di rispondere indietro a un insegnante?! Dovrei rimandarvi a casa, con la divisa conciata in quel modo. Non capisco perché nessuno abbia ancora pensato di espellervi. Solo perché avete dei buoni voti, non significa che siate un buon investimento per quest’istituto!
Ichigo alzò gli occhi al cielo mentre il professore si girava verso la lavagna. Le solite.
Mentre spostava lo sguardo dal professore alla finestra, notò che Keigo stava facendo dei gestacci in direzione dela cattedra. Quando si accorse che Ichigo lo stava guardando, gli fece l’occhiolino e alzò il pollice.
Ichigo sogghignò davanti a quella dimostrazione di solidarietà.
-Asano! – il professore batté le mani sulla cattedra. – Che accidenti stai facendo, razza di…?! Fuori con il secchio in testa!
Adesso tutta la classe sogghignava.

-Almeno potresti ringraziarmi, Ichigo…! Eh?! Mi sono fatto immolare per la tua causa!
-Fatti tuoi, no? Mica te l’ho chiesto io. Poi, ti sembra il modo di immolarsi, alzare il medio a un professore? Io lo chiamo essere scemi.
Gli batté una pacca sulla spalla, che quasi lo buttò a terra.
-Ichigo, non è che magari vi aspettano fuori da scuola per la rivincita? – disse Mizuiro.
-Se hanno ancora voglia di prenderle, io sono qui. E anche Chad è qui. Vero?
-Oggi ho un impegno.
-Eh? Impegno? E che roba sarebbe?
-Un corso di pugilato.
-Toh; alla fine ti sei iscritto? Magari parteciperai a qualche gara importante. Se avessi scelto il karate, potresti combattere con Tatsuki.
-Tatsuki cosa? – l’interessata gli mise una mano sulla spalla, bloccandolo – Non parlare di me quando non sono presente.
-Che palle, dicevo solo che se Chado facesse karate potreste diventare avversari.
-Non mi sento il tipo da karate.
-Dici? In effetti, credo non avresti la pazienza per fare karate. Io ci stavo dietro a malapena
-A proposito, Ichigo, perché cavolo hai mollato il corso, si può sapere? Alle medie eri diventato quasi bravo.
-Stai scherzando? Io ero bravo, sei tu che non sei normale!
-Ha; se lo fossi non potrei partecipare agli inter-hi, non ti pare?
-Piuttosto, Ichigo – intervenne Mizuiro – perché non ti iscrivi a un qualche club? O a un corso dopo la scuola. Non dici sempre che non hai granché da fare?
-Perché mi piace fare le cose a modo mio, e farle per conto mio. Non riuscirei a stare in una squadra. Prenderei a calci tutti quelli che mi dicono “fai le cose a questo modo, come lo fai tu è contro il regolamento!”
-Kurosakikun riesce a fare squadra solo con Sadokun, non è vero?
Il sorriso di Inoue spuntò da dietro la cartella di Tatsuki.
-Ohi, Inoue, da dove vieni fuori? Comunque, è proprio così. Chado è la mia squadra, e abbiamo già abbastanza da fare così.
-Sono in fondo alla strada – disse Chado.
-Già, li avevo visti.
-Ragazzi, serve una mano? Avrei proprio bisogno di sgranchirmi un po’ – Tatsuki si scrocchiò le dita, con un ghigno in volto.
-Ehi, guarda che è da un pezzo che so cavarmela senza il tuo aiuto. Sai cosa? Stai vicino ad Inoue e stai attenta che non si faccia male.
-La riporto dentro…?
-Nah, non ce n’è bisogno. Continuate tranquillamente a camminare; ci pensiamo io e Chado.
Ichigo sapeva di avere addosso gli occhi di un intero cortile mentre, assieme a Chado, apriva per i suoi amici un passaggio a suon di calci e pugni, scaraventando a metri di distanza i tizi che gli si scagliavano contro urlanti. Sapeva che tutti lo stavano guardando, pietrificati, e che, quando si sarebbero ripresi, avrebbero subito iniziato a chiacchierare.
Ma era per i suoi amici – Keigo, Mizuiro, Tatsuki, Inoue – che aveva aperto quel varco, e per nessun altro. Quei suoi amici che continuarono, come niente fosse, a parlare degli inter-hi di Tatsuki, a ridere della faccia terrorizzata di Keigo, a camminare al suo fianco senza alcuna esitazione.
Il resto, era come se non ci fosse nemmeno.

Ma non poté fingere che “il resto non ci fosse nemmeno” a lungo, perché, non appena ebbe finito di sistemarli, il professor Kagine li rincorse fuori dal cancello, furibondo e ansimante.
-Si può sapere… si può sapere che avete combinato?! Sado, Kurosaki! Ancora voi!
-Che palle – borbottò Ichigo, incrociando le braccia dietro la testa.
-Che hai detto?!
-Non ha detto nulla, professore! Avrà sentito male! – Inoue si sbracciò, sfoderando il suo migliore sorriso; ma Ichigo dubitava che sarebbe bastato.
-Beh; non importa che hai detto, non davanti a questo spettacolo! – indicò una decina di tizi miagolanti, sparsi nei dintorni faccia a terra. – Non è ammissibile. L’istituto punisce severamente il…
-Ma non siamo nell’istituto – disse Chado.
Tutti si voltarono verso di lui. Il professore, stupito, tacque per un attimo.
-Che… che vorresti dire?
Chado indicò il cancello, pochi metri dietro di loro.
-In questo momento, non siamo “a scuola”.
-Quindi, vuoi dire, ciò che avete fatto non riguarda il corpo docenti, giusto? – esclamò Keigo – Ma certo! Il regolamento dell’istituto può punire solo ciò che accade all’interno dell’istituto.
-Non fa una piega – osservò Tatsuki, mani ai fianchi.
-Questo è quello che credete voi teppisti. Credete che l’essere fuori dalle mura scolastiche vi tenga al riparo dai provvedimenti disciplinari?! La fama che vi fate in giro finisce comunque col danneggiare la nostra reputazione, e tanto basta per buttarvi fuori!
-Teppisti? Io e Orihime non c’entriamo nulla – Tatsuki circondò le spalle di Inoue con un braccio – le sembra che possiamo essere state noi a fare tutto questo?
-Beh, forse voi non c’entrate, Arisawa. Ma…
-E guardi me! Me, professor Kagine! L-le sembro in grado di fare una cosa simile?! Ero terrorizzato, non riuscivo a scappare!
-Tu sì che hai principi incrollabili, eh? – Ichigo alzò un sopracciglio.
-Kojima? Sei responsabile di quanto è successo?
-Io sono appena arrivato. Non saprei.
-Ad ogni modo, voi due, Chado e Kurosaki, avete finito di fare come volete! Ne parlerò in corpo docenti. Avrete una punizione esemplare! Altroché! E sappiate che… OUCH!
Un sasso cadde a terra, dopo essere rimbalzato sulla testa del professore. Quest’ultimo si massaggiò la testa, strabuzzando gli occhi.
-Chi… chi… chi diavolo…?! KUROSAKI!
-Calma: non posso essere stato io.
-Sado!
Quello non si sentì nemmeno in dovere di rispondere.
-Professore – disse Mizuiro – erano davanti ai suoi occhi, se fossero stati loro li avrebbe visti. Probabilmente qualcun altro la ha in antipatia.
-Tu – Kagine digrignò i denti – tu hai visto chi è stato, vero?
-No, professore. Ero qui proprio come lei.
-Vedrete, se non riuscirò a farvi espellere! Poco ma sicuro! – agitò un dito verso Ichigo e Chado – Capito? State attenti a come vi comportate!
Si allontanò, con le mani strette sulla testa, lungo il vialetto che portava all’entrata. Lo fissarono finché non si fu allontanato. Poi Mizuiro prese la parola.
-Davvero, ragazzi: chi è stato?
-Io di sicuro no – piagnucolò Keigo.
-Io e Chado ci stavamo prendendo la ramanzina. Quindi no.
-Non guardate me; io sono una karateka, non faccio questo genere di cose.
-Beh, io non sono una karateka, quindi ogni tanto me lo posso permettere!
Inoue fece un gran sorriso, grattandosi la nuca.
Questione conclusa.

-Ehi, avete visto? Inoue ha protetto quel teppista di Kurosaki.
-Proprio lei? Non è che ha una cotta per lui?
-Non è che stanno assieme?
-Con quelle tette che si ritrova lei, l’avranno sicuramente già fatto.
-Anche se non stanno assieme!
-Kurosaki è figo, l’avrà convinta a fargliele vedere, in qualche modo.

Questione comunque conclusa.

*

O almeno, così credeva.
No, la questione non era affatto conclusa: lo scoprì il giorno dopo quando la professoressa Ochi, poco prima che suonasse la campanella, gli chiese di seguirla dal preside, poiché questi aveva necessità di parlargli.
Ichigo sbuffò da dietro le spalle della Ochi; se quella storia era venuta a orecchio del preside, era logico che non se la sarebbe cavata senza conseguenze. Ma ormai c’era abituato; gli bastava che non lo sospendessero sul serio.
-Eccolo qua, signor preside! Tutto suo!
Lo spedì con un colpo sulla schiena dritto davanti alla sedia, che stava di fronte alla scrivania. Il preside aspettò che si sedesse.
-Buongiorno, Kurosaki.
-Ah… buongiorno.
-Come stai?
-Uh? Beh... direi bene. Ehm… e lei?
Il preside rise.
-Non servono queste formalità. Volevo soltanto chiederti come stai.
-Bene – alzò le spalle.
-Mi fa piacere che tu mi dica così. Il punto, Kurosaki, che è il motivo per cui ti abbiamo chiamato…
Che non importa che io stia bene, se il mio ‘star bene’ provoca dei danni alle altre persone. Giusto?
-… è che non ci sembra che tu stia poi così bene come dici. Sbaglio?
-Eh?! – Ichigo sbarrò gli occhi – Che co…?
Questo era un imprevisto.
Alla ramanzina era più che pronto, ma a questo, dannazione, no che non era pronto.
E non lo sarebbe mai stato.
-Abbiamo dovuto parlare con tuo padre, ieri pomeriggio.
-Il vecchio? Ma è stato tutto il giorno in ambulatorio.
-L’abbiamo chiamato lì, infatti. Se avessimo chiamato a casa tua, di sicuro tu non ce l’avresti passato, giusto?
Giusto.
-Ma no, ve l’avrei passato.
-Ad ogni modo, gli abbiamo comunicato quello che è successo, e…
-Siete sicuri che abbia capito bene? Non mi ha né preso a calci, né mandato a letto senza cena, né…
-Kurosaki: ha capito benissimo. E, alla fine, abbiamo capito anche noi. Ti manca tua madre, vero…?
Ichigo sentì un pugno trapassargli lo stomaco.
-È così, vero…? È per questo che tu, assieme a Sado…
Tentò di recuperare un filo di voce; ma il pugno nello stomaco gliel’aveva strappata via tutta.
-Non… c’entra niente – faticava a parlare – non… la nomini adesso.
-D’accordo, ti chiedo scusa. Non la nominerò più. Ma quello che noi e tuo padre crediamo, Kurosaki, è che tu non abbia bisogno di una punizione. Tu hai bisogno di un aiuto.
-Aiuto…?
-Vedi; qui a Karakura hanno appena aperto un consultorio, pensato per la cura delle persone in difficoltà. Donne maltrattate, bambini in affido, e anche… adolescenti problematici. Capisci cosa voglio dire? Questo consultorio ha inaugurato un progetto nuovo; una serie di incontri tra adolescenti per parlare, con la mediazione di una professionista, dei problemi che li affliggono, e che normalmente si tengono dentro. Adolescenti come te, Kurosaki. – Fece una pausa, scrutando la sua reazione. – Quindi…
-No.
-Ma non hai neanche…
-Scherziamo? Neanche per sogno. Non intendo parlare con degli sconosciuti dei fatti miei, men che meno con un’ ‘esperta’. Esperta di cosa? Di adolescenti? Di problemi? Non se ne parla.
-Parlane con tuo padre, almeno. E pensaci un po’ per conto tuo. Ma, soprattutto, vedila come un’alternativa alla sospensione.
Ichigo puntò gli occhi in quelli del preside, cercando di capire se fosse serio, stavolta. La sua calma imperturbabile suggeriva di sì.
-Sempre più insegnanti pensano che tu sia un soggetto di disturbo, che tu vada espulso. Io e alcuni altri preferiamo pensare che, se fossi aiutato, allora saresti soltanto… uno dei nostri studenti migliori.
Ichigo tacque, incapace di replicare.
-Con dei capelli un po’ strani. Ma sono cose a cui si può passar sopra, non credi, Kurosaki?
Ichigo si alzò, girò i tacchi e se ne andò senza salutare.

La realtà era che avrebbe soltanto voluto dirgli “grazie”. Una cosa semplice, di cui erano capaci tutti; ma non lui.
Ecco, pensò, il livello in cui non sono in grado di esprimere ciò che provo.
Che idea idiota, quello di farlo parlare con un gruppo di idioti uguali a lui.

*

-Tu sapevi tutto, non è vero, dannato?
Erano a cena. Yuzu e Karin masticavano tranquille, guardando la televisione. Alzarono lo sguardo per seguire la conversazione.
-Mi chiedo come hai fatto a pensare che non venissero a comunicarmelo. Figlio idiota!
-Che?! E che ne so, io, se tu non me lo dici? Hanno chiamato te, mica me!
-Fa’ silenzio a tavola! – un pugno in testa fu schivato per un pelo – Yuzu si è data tanto da fare per questo okonomiyaki, quindi, se proprio devi riempirti la bocca, fa’ che sia di okonomiyakii e non di parole inutili.
-D… d’accordo – Ichigo lo fissò, stupefatto. – OUCH! Vecchio?! – Il secondo pugno l’aveva raggiunto. – Questo era gratuito, bastardo!

Più tardi, mentre Yuzu lavava i piatti e Karin guardava la televisione accanto a lei, Ichigo si avviò verso camera sua.
A un certo punto, gli arrivò un chop dritto in mezzo al cranio, spedendolo faccia a terra sui gradini.
-Vecchio imbecille! Stai cercando di uccidermi?!
-Ecco cosa si merita un piccolo teppista!
-Levami quel piede puzzolente dalla faccia…! Da chi credi che abbia imparato a picchiare la gente, eh?!
-Questo è tuuuuutto un altro discorso – suo padre gli tolse il piede dalla faccia e lo tirò su per un braccio. – Dimmi; credi che tuo padre sia orgoglioso di te, a sapere che suo figlio se ne va in giro a picchiare la gente…?
Ichigo non rispose; riuscì soltanto a guardarlo, confuso su questa nuova versione del vecchio Barbetta. Quest'ultimo interpretò il suo silenzio come noncuranza.
-Beh, se non per me, allora cosa pensi che ne penserebbe…
Ichigo smise di ascoltarlo; si voltò, fece le scale e, in un balzo, fu in camera sua.
Chiuso a chiave.
-Vedi? È proprio per questo che dovresti andarci. Parlare non è mai stato il tuo forte, eh, Ichigo…?
La porta rimase chiusa a chiave, ma quel pensiero entrò in camera con lui e non se ne andò finché, alle luci dell’alba, Ichigo non prese una decisione.



















(Nda: Innanzitutto, naturalmente, grazie di aver letto questa premessa e di essere arrivati fin qui ^^.
Questa è la prima volta, in tutta la mia carriera di ficwriter, in cui mi cimento in un'AU :D e, per la cronaca, lo trovo difficilissimo *_*''. Come ho già anticipato nelle note, troverete più o meno tutti i personaggi apparsi nel corso del manga, ovviamente chi più e chi meno; vedrò, nel corso del tempo, chi approfondire di più. Ad ogni modo posso assicurare che ognuno avrà la sua comparsa.
Purtroppo, molti personaggi di Bleach sono caratterizzati quasi esclusivamente da avvenimenti accaduti nella Soul Society o a Las Noches: impossibile per me rendere fedelmente il personaggio - quindi non scadere nell'OOC - senza ricreare un contesto quantomeno simile all'originale. Altri casi, invece, lasciano un po' più di libertà, ma tenete sempre conto che in questo mio AU la SS non esiste, e, considerato che ci sono personaggi che cambiano molto quando si trovano lì, o che comunque sono cambiati molto dopo averci vissuto, il personaggio potrebbe avere un comportamento un po' diverso. Ad esempio, Rukia nella Soul Society ha un atteggiamento di profonda deferenza ed è molto chiusa in se stessa, perché è un luogo dove non si sente a proprio agio; qui potrebbe perdere quest'aspetto della sua personalità, ma ciò è dovuto appunto al fatto che il contesto è diverso. Per il resto cercherò di fare il possibile per rimanere attaccata alla caratterizzazione originaria.
Non ho ancora inserito tutti gli avvertimenti per evitare gli spoiler; li inserirò, e al massimo alzerò il rating, quando sarà il momento di farlo.
Altra cosa: dubito che esistano simili gruppi di aiuto, men che meno in Giappone, specie considerando che si tratta di adolescenti; ma lasciatemelo passare ''XD.
Ultima nota: la canzone, Troublemaker, è copyright dei Weezer e mi ha sempre fatto pensare a Ichigo :D mentre il titolo della storia viene da una canzone piuttosto famosa dei Soul Asylum
Un grazie a Fla che mi ha fatto da pre-reader :* ma per ringraziamenti, dediche eccetera aspetto la fine :D.
Al prossimo capitolo ^^)

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Capitolo 2
*** 1. I've got a life (though it refuses to shine) ***



-Ehilà, Ichigo.
-Oh, buongiorno, Mizuiro.
-Non ci hai ancora detto perché la Ochi, ieri, ti ha chiamato in presidenza.
-Bah, niente di che; volevano avvertirmi che se continuo così mi sospendono.
-Sei preoccupato?
-Nah, basta non farmi più sgamare.
Mizuiro sorrise, e gli allungò un biglietto da visita.
-Ti va di uscire con questa ragazza? È un’amica della mia ragazza. Potrebbe svagarti un po’.
-Uh? Questa? Ma questa avrà almeno dieci anni più di me.
-Per la verità, credo ne abbia anche di più, sai?
-Che?!
-WOOH – Keigo spuntò in mezzo a loro due – Accidenti, che bombe! Mizuiro, dove la tenevi nascosta, questa?
-Non la nascondevo. È solo che fino a poco fa era impegnata; adesso è single, ma chissà per quanto lo rimarrà? Perciò suggerivo a Ichigo di approfittarne subito.
-Passo – Ichigo alzò la mano – è decisamente troppo.
-Le tette non sono mai troppe! Presentala a me, Mizuchan! A me! Io ne ho più bisogno rispetto a Ichigo! Lui è sempre pieno di belle ragazze!
-Buongiorno, Kurosakikun!
-Ah, Inoue, buongiorno. Mizuiro, faresti meglio a nascondere quella ro…
-Caspita! – esclamò Inoue – Questa ragazza è davvero…
-Orihime! – Honsho comparve alle sue spalle, tutta festosa – Adesso sei interessata al corpo femminile? Oh, ma perché non me l’hai detto subito? Non avrei esitato a mostrarti qualunque cosa ti fosse interessata!
Keigo prese in mano il biglietto e scrutò la foto.
-Però, Honsho, devi ammettere che questa è al di sopra di tutte voi.
-Fa’ vedere? – Honsho si sistemò gli occhiali – QUESTA? Ma questa… questa è una dea! Non… non sarà mai meravigliosa come la Principessa, ma…
-Quindi adesso ti interessano le donne, eh, Ichigo? – Tatsuki si sporse sopra le spalle di Inoue – Ecco perché salti karate. Per uscire con questa.
-Che cavolo dici, cretina? Potrebbe essere mia madre.
-Oh, e infatti ha un figlio, dimenticavo di dirtelo!
-Cheee?! Volevi farmi uscire con una che ha un figlio?!
-Una MILF*? – Keigo si sciolse sul pavimento – Si può sapere perché tutto il meglio capita a te?! Ti odio!
-Comunque, Ichigo – riprese Tatsuki – cosa voleva la Ochi ieri?
-Niente, volevano solo avvertirmi di stare al mio posto. Tutto qui.
-Tutto qui?
-Già, tutto qui.
-Bah; niente di strano. E io che mi aspettavo qualche notizia bomba. Dai, andiamo, Orihime, se continuiamo a frequentare questo qui ci faremo una cattiva reputazione.
-Tsk; guarda che sei tu quella che fa paura.
Tatsuki alzò la mano in segno di saluto e si allontanò con Inoue, che le saltellava appresso. Honsho le seguì, protestando di non lasciarla indietro con quei fetidi uomini. Keigo, dopo aver osservato il back side delle tre per un tempo ragionevole, si voltò verso i suoi amici.
-Senti, Ichigo, ma perché non hanno chiamato anche Sado in presidenza? In fondo anche lui, ieri, ha steso a terra quei tizi.
-Chissà? Forse Chado gli fa paura. O forse lui non ne ha bisogno.
-Eh? In che senso…?
-In fondo, non lo conosco poi molto. Grazie di avermelo fatto notare; un giorno glielo dovrò proprio chiedere!
Ichigo si alzò dal banco di Keigo e si diresse tranquillo verso il proprio.
-Mizuiro…? Ichigo sta dicendo cose senza senso, lo sai?
-Su, su, non mi sembra grave, tu ne dici in continuazione.
-Aaah! Ti odio, ti odio, Mizuiro…!



Se piove, significa che non ci devo andare.
Ma erano a metà maggio; alquanto improbabile che, nel bel mezzo di una giornata di sole, scendesse improvvisamente un acquazzone.
Se Yuzu mi dice di mettere a posto la camera, significa che non ci devo andare.
Chi voleva prendere in giro? Era sempre Yuzu a pulire camera sua. Doveva ricordarsi di darci una sistemata, ogni tanto.
Se… se Karin mi invita fuori a giocare a calcio, significa che non ci devo andare.
Karin era già fuori con i suoi amici, e, per la verità, da quando era entrato alle superiori non l’aveva più chiamato. Per sua esplicita richiesta, oltretutto.
Ok. Andiamo di sotto da Barbetta a vedere se ha bisogno d’aiuto. Se ha bisogno di una mano, significa…
Suo padre non aveva bisogno del suo aiuto, altrimenti l’avrebbe già chiamato. Era ora di piantarla con quelle assurdità.
E inoltre, che uomo è quello che si sottrae alle proprie decisioni con una scusa?
Ichigo Kurosaki non era certo uno che non manteneva le promesse.
Soprattutto se la promessa l’aveva fatta a se stesso.

-Ehi, Yuzu , io esco per un po’, ok?
-Oh, ok! Dove vai di bello, Ichinii?
-Vado… al club.
-Al club? Ti sei iscritto a un club…?
-Ah ah, no, scherzavo! Vado a studiare da Mizuiro.
-Ma, Ichinii, tu mi hai sempre detto che preferisci studiare da solo.
-Aaah, insomma, chiedi al vecchio dove sto andando. Lui ne è al corrente.
-Eh? A papà?
-Esatto, al vecchio! Ci vediamo, Yuzu!
Filò fuori dalla porta in men che non si dica.
-Ichinii, ma non mi hai detto cosa volevi per cena…!





Il consultorio non era poi molto distante da casa sua, appena una ventina di minuti a piedi. Pensando fosse molto più lontano, alla fine si era ritrovato in anticipo. Meglio così; avrebbe preso confidenza col posto.
Entrando, notò che sembrava non esserci nessuno; l’intera sala d’aspetto era in penombra. C’era uno sportello, però, quindi vi si avvicinò.
Dentro c’era una ragazza con gli occhiali, probabilmente la segretaria. Bussò sul vetro.
-Ehm…
-Oh? Buongiorno. Nanao Ise, segretaria del consultorio. Posso aiutarla?
-Spero. Io dovrei… sto cercando… – guardò altrove, imbarazzato – cioè, qui dovrebbe esserci una riunione.
-Riunione? Qui non c’è nessuna riunione. – La tipa lo guardò meglio. – Ah, forse lei si riferisce al gruppo di discussione?
Le fu grato per averlo chiamato “gruppo di discussione”.
-Proprio – si avvicinò al vetro, aggrappandosi al ripiano – quello lì, già. Lei sa dirmi dove si trova?
-Controllo subito sul computer. Mi dia solo un secondo.
-Sali le scale, corridoio a sinistra, ultima porta in fondo – disse una voce maschile. Ichigo e la segretaria si voltarono in coro.
-La ringrazio, direttore. Ma mi sarebbe bastata una breve ricerca.
La ragazza si sistemò gli occhiali sul naso; sembrava un po’ piccata, ma l’uomo che aveva parlato le si avvicinò placidamente.
-Nanaochan, so che tu sei perfettamente competente. Volevo solo fare la conoscenza del nostro giovane amico.
-Ehi, io non sono tuo amico.
-Come sei nervoso – il tizio sorrise; certo, con quel camicione a fiori, quei pantaloni kaki, e quei sandali mezzi consumati, doveva essere la persona più tranquilla del mondo. – Vuoi un tiro di questa? È rilassante.
-Chee?! Ma… cosa mi stai proponendo?!
-Direttore! Che cosa stava facendo, negli uffici nel retro?!
-Prova anche tu, Nanaochan. Mi sembri piuttosto tesa. Ti aiuterebbe, se ti facessi un bel massaggio?
-Beh, comunque io vado, eh? – Ichigo agitò una mano e si diresse verso le scale – Voi fate quello che vi pare. A sinistra in fondo, no?
Il tizio annuì e lo benedisse alzando una mano, nella quale teneva una sigaretta rollata a mano. O almeno così voleva pensare Ichigo.
Si allontanò a passo di marcia da quei due, e salì le scale pregando di non trovare nessuno, pregando che avrebbero annullato tutto perché nessuno si era presentato. Detestava ammetterlo, ma iniziava a sentirsi piuttosto agitato.
In effetti, inizialmente non trovò nessuno; ma, su una delle sedie nel corridoio a sinistra, si accorse che c’era una ragazza.
E questa da dove salta fuori…?!
Era una cosplayer, o come accidenti si chiamavano quei tizi. Vestito da bambolina, enorme fiocco in testa e scarpe a bebé: Ichigo la fissò inorridito.
Ma lei non si era ancora accorta di lui: stava leggendo con molta attenzione una rivista e notificò la sua presenza solo quando sentì i suoi passi vicini nel corridoio.
Alzò lo sguardo.
Aveva grandi occhi blu e un’espressione seria; lo fissò silenziosa da sotto un lungo ciuffo nero, che le attraversava il viso.
Ichigo, invece, non riuscì a trattenersi: sbarrò gli occhi, sollevò un sopracciglio e prese a fissarla, senza preoccuparsi di essere stato maleducato.
Di certo non si aspettava che quella bambolina reagisse come fece.
-Beh? Che hai da guardare, tu, con quei pantaloni stracciati? Non hai i soldi per comprartene di nuovi?
Ichigo spalancò la bocca.
-Chee? Sono strappi al ginocchio attentamente studiati! È un look casual! E il tuo che accidenti sarebbe?
-Gothic Lolita. Elegant Gothic Lolita, ad essere precisi.
-Sicura che non sia un costume da cameriera per carnevale…?
-Come ti permetti, teppista…?! Bada che a quelli come te faccio fare una brutta fine.
-Forse è di quando eri piccola. Non potevi essere molto più bassa, a sette o otto anni.
La tipa si alzò, furibonda; gli si avvicinò a pugni stretti e, quando gli fu vicino, gli sferrò un calcio sullo stinco con una scarpina di vernice.
-Ouch…! Ma sei stupida?!
-Mi stai dando della stupida?! Cos’è, non ne hai abbastanza?
-Brutta…!
Ma lei sogghignava. Evidentemente, non l’aveva presa così sul serio.
-Commenti e occhiate come i tuoi, ha; ne sento ogni giorno. Non ho tempo per curarmi di queste sciocchezze.
-‘Sciocchezze’? È  da quando vado alle elementari che non sentivo questo termine.
-Guardami bene – la ragazza indicò i suoi abiti, con una smorfia – io non parlo come i ragazzi della mia generazione. Io sono una signora.
-Ah sì? Mi sembri una bambina dell’asilo alla sua festa di compleanno, invece.
-Allora ne vuoi ancora?!
Fu mentre quella ragazza gli premeva un piede sulla testa, incurante delle sue proteste, che furono raggiunti da una terza persona.
Aveva i capelli completamente bianchi, due occhi color ghiaccio, l’uniforme di una scuola prestigiosa e l’aria di chi avrebbe preferito essere ovunque, ma non lì.
Ichigo e la ragazza si fermarono, imbarazzati, ma quello non fece altro che abbandonarsi su una sedia, accavallare le gambe e accendere il lettore mp3. Come se loro non fossero stati a tre metri da lui.
-D-dici che si è accorto di noi? – sussurrò Ichigo alla tizia.
-Non saprei. Anche se se ne fosse accorto, non sembra importargli molto della nostra presenza.
-Allora possiamo continuare a parlare?
-Ok, continuo a pestarti.
-Non ha senso pestarmi sussurrando…!
-E allora piantiamola qui, non ho tempo da perdere con te.
-Nemmeno io, se è per questo, cosa credi?!
La ragazza non gli badò e tirò fuori un astuccio dalla borsetta a forma di cuore; ne estrasse uno specchietto e un pettinino. Si sistemò i lucidi capelli neri.
-Per colpa tua – borbottò – guarda come mi sono ridotta i capelli! Ci metto secoli, a metterli in piega.
-Colpa mia?! Sei tu che hai attaccato rissa!
-Rissa…? Io sono una signora, e una signora non attacca risse.
-Senti un po’, mocciosa…
-Mocciosa?! Quanti anni pensi che abbia?
Adesso avevano ripreso un tono di voce normale.
-Ne avrai tredici? No? Quattordici? No, ne hai tredici. Ma sei alta come una di dieci.
-Chiudi quella bocca! Sono al secondo anno delle superiori. E tu, con tutte queste arie, a che anno saresti?
-A… al primo anno. C-cioè tu… tu… avresti…
-Un anno più di te – fece una smorfia, trionfante – sono una tua senpai. Quindi non devi mancarmi di rispetto, e non osare mai più contraddirmi.
-Non esiste, scordatelo.
-E allora sai il destino che ti aspetta.
Erano così presi dalla conversazione che si accorsero solo all’ultimo momento dell’arrivo di due personaggi nuovi.
-Ehi, siamo sicuri che sia questo, il posto? Quel vecchio ubriacone non mi sembrava troppo in bolla.
-Forse questi ragazzi lo sanno. Oh, tesoro – uno dei due tizi, con un caschetto dal taglio perfetto e delle ciglia esageratamente lunghe, si avvicinò alla ragazza  - adoro questi tuoi vestiti. Dove li hai presi? Angelic Pretty?
-No, in realtà sono di Baby;  a parte la borsa, che è di…
-Nonono, non dirmelo, voglio indovinare! È di Moi Même**, vero?
-Bravissimo – spalancò gli occhi – è proprio così.
-E quel giornale che stai leggendo è Kera***, giusto? Me lo faresi leggere?
Ichigo e l’altro tizio appena arrivato li guardarono, inorriditi. Fu il tizio a risvegliarsi dalla trance e a rivolgersi a lui per primo.
-Mi sa che quel cretino si è dimenticato quello che voleva chiedervi. In realtà volevamo domandarvi: è questo il… ecco…
Il tipo, imbarazzato, si grattò la pelata. Lanciò un’occhiata a Ichigo, poi al pavimento, poi di nuovo a Ichigo.
-Il gruppo di discussione, intendi?
-Eh, sì, proprio quello – vide nei suoi occhi lo stesso guizzo di gratitudine che aveva avuto lui poco prima con la segretaria – è questo qui?
-Sì, in teoria sì. Il tizio con la sigaretta mi ha detto di venire qui.
-La sigaretta? Quale tizio? Dici quel fattone che fumava hashish dietro alla segretaria?
-Preferisco pensare che fosse una sigaretta. - Gli fece un mezzo sorriso, e gli porse la mano. – Ichigo Kurosaki. Piacere.
-Ikkaku… aah, maledizione, devo fermare quell’idiota, o non potrò più guardarmi in faccia allo specchio. Ehi, Yumichika!
-Che c'è, Ikkaku? Non vedi che sono occupato?
-Piantala di leggere riviste da donne, ok?
-Ma mi ha appena detto che me la presta! Potremmo portarla a…
-Non se ne parla!
-Ma dai, ne sarebbe così felice.
-Proprio per questo! – Ikkaku sospirò. – Quindi, Kurosaki, eh... Ichigo.
-Ichigo.
-D’accordo, Ichigo. Che razza di manica di scoppiati.
Ikkaku aggrottò la fronte e Ichigo si sentì sollevato; ecco finalmente uno normale.
-Quel tipo lì, coi capelli bianchi… - entrambi gli lanciarono un’occhiata circospetta – voglio dire, è uno di noi?
-Boh. Sembra non si accorga nemmeno della nostra presenza, a parte quel tic al sopracciglio, come se… gli dessimo fastidio. – Il tizio ghignò. – Così mi viene ancora più voglia di dargli fastidio. Tu che ne dici, Ichigo?
-Dico che mi sei simpatico – ghignò anche lui – ma che mi hanno mandato qua apposta per risvegliare il pacifista che c’è in me.
-Toh; anche tu? Più o meno, sono qui per lo stesso motivo. Lui, invece, no.
Osservarono Yumichika che si estasiava davanti all’orlo di pizzo dell’abito della tizia.
-Ehm… buongiorno – disse una voce femminile. Si voltarono tutti, a parte il ragazzo coi capelli bianchi; gli occhi di Yumichika si accesero. – Piacere di conoscervi, il mio nome è Kurotsuchi Nemu. – Si inchinò con grande deferenza. – Spero che ci troveremo bene.
-Mmh, sei proprio bella. Sembri quasi una bambola.
-Ciao – disse Ikkaku,con un cenno. Ichigo fece lo stesso.
Il ragazzo coi capelli bianchi le rivolse un’occhiata fulminea, mentre la ragazza gothic lolita si inchinò con altrettanta formalità.
-Comincio a capire perché li abbiano sbattuti qua dentro – borbottò Ikkaku, facendosi sentire solo da Ichigo. – Io e te saremo due attaccabrighe, ma questi hanno problemi seri.
Quel tipo gli piaceva. Era contento che ci fosse uno così tra di loro.
-Buongiorno a tutti – esordì una voce dolce e pacata. Tutti si voltarono, stavolta anche il ragazzino asociale.
Davanti a loro c’era una donna alta e bella, con una lunghissima treccia di capelli neri portata sul petto anziché sulla schiena. Li guardò tutti con un sorriso.
-Dottoressa Unohana Retsu, piacere di fare la vostra conoscenza. Io sono la mediatrice dei nostri incontri; sono molto felice di vedere che siamo un gruppo ben nutrito.
In effetti, dietro di lei c’era dell’altra gente, ma non fecero in tempo ad osservarli, poiché la dottoressa iniziò a dirigerli verso la porta.
-Entrate pure, è aperta. Accomodatevi dove preferite.
Quella più vicina alla porta era la ragazzina lolita, quindi fu lei ad avventurarsi per prima.
Le sedie erano disposte a cerchio; nessuno di loro, a parte i due che erano arrivati assieme, sembrava conoscere gli altri. La lolita prese posto e Ichigo si sedette vicino a lei, perché era la prima che aveva conosciuto; Ikkaku gli si mise di fianco, cosa di cui Ichigo fu soddisfatto, e il tizio effeminato si mise accanto a lui. In ordine, si sistemarono il ragazzo asociale e Kurotsuchi.
Mentre la dottoressa apriva bene i balconi per far entrare luce, anche gli altri ragazzi presero posto.
Uno era un tizio biondo con un gran ciuffo di capelli davanti agli occhi; aveva un’espressione angosciata e continuava a guardarsi attorno come se fosse stato circondato da bestie feroci pronte ad attaccarlo. Si sedette vicino a Kurotsuchi.
Di fianco a lui c’era un tizio con degli occhi verdissimi e dei capelli neri piuttosto lunghi; era vestito interamente di nero e la sua pelle era di un pallore mortuario.
Accanto a lui si sedette un ragazzo coi capelli tinti di azzurro. Si distese completamente sulla sedia, appoggiando i gomiti sullo schienale e allargando le gambe; si guardava attorno con l’aria di chi aveva voglia di buttare la le sedie, le persone che vi erano sedute e anche la dottoressa fuori dalle finestre aperte.
Ma fu sfortunato, perché fu proprio accanto a lui che la dottoressa scelse di sedersi. Questa gli rivolse un sorriso, ma lui fece una smorfia orripilata e si voltò dall’altra parte. La dottoressa non sembrò badarci e non perse il sorriso.
-Dunque .– Li guardò uno per uno, ma senza lo sguardo d’astio che avevano la maggior parte degli adulti. Sembrava davvero contenta di averli lì. – Benvenuti a questo primo appuntamento; non mi aspettavo che foste così tanti, dato che l’iniziativa è appena nata.
-Non siamo poi molti – osservò Yumichika, guardandosi attorno.
-Così avremo più tempo per ciascuno di voi. È un vantaggio.
Ichigo non era molto d’accordo, ma decise di seguire il discorso.
-Mi presento di nuovo: Retsu Unohana, laureata in psicologia.
-Esiste una laurea un psicologia…? – Ichigo avrebbe preferito non essere il primo a parlare, ma la curiosità aveva vinto.
La dottoressa lo ricompensò con un sorriso gentile.
-No, mi sono laureata all’estero. Posso chiederti come ti chiami?
Ichigo deglutì; tutti lo guardavano.
-Io mi chiamo Kurosaki Ichigo.
Fece per alzarsi e farle un piccolo inchino, ma lei gli fece cenno di stare seduto.
-Kurosaki Ichigo. Da che scuola provieni?
-Ah, io studio alla Karakura High. Abito qui, a Karakura.
-Capisco – annuì, con un sorriso dolce -  qualcun altro, qui, abita a Karakura?
Tutti tacquero; la ragazza lolita si guardava attorno, Ikkaku e Yumichika scossero la testa; il biondo e Kurotsuchi tennero gli occhi bassi, mentre i due che erano entrati per ultimi sembravano non aver nemmeno sentito la domanda.
Ma una mano si alzò: era quella del ragazzo coi capelli bianchi.
Tutti lo guardarono; aveva in faccia un’espressione di noia e fastidio supremi. Se stava tentando di nasconderli, non ci riusciva molto bene.
-Anche tu frequenti la Karakura High?
-No – finalmente parlò; a braccia incrociate e fissando il pavimento, ma parlò. Aveva una voce piuttosto profonda, benché ancora infantile.
-Quindi suppongo che non vi conosciate.
Ti sembra che ci comportiamo come due che si conoscono?, pensò Ichigo.
-Posso chiedere i nomi di tutti gli altri?
Il tizio coi capelli azzurri cambiò posizione e nel farlo fece un po’ di baccano con la sedia.  Stavolta l’attenzione si spostò su di lui.
Su di lui, sulla sua maglietta strappata, sui pantaloni in tessuto scozzese con i lacci, sugli anfibi e sui bracciali con le borchie che aveva sui polsi.
Con quei capelli e quell’abbigliamento, pensò Ichigo, io coi miei capelli arancioni e i miei miseri strappi sui jeans sembro quasi normale.
Alla faccia di Kagine e della ragazzina lolita.
-Allora sarò io il primo – sorrise Yumichika – io sono Yumichika, e amo le cose belle. Mentre lui è Ikkaku. Siamo felici di…
-Ehi, guarda che sono in grado  di presentarmi – gli diede un pugno in testa.
-Ti ho detto mille volte che non devi spettinarmi, scimmione!
-Piantala, mi fai venire i brividi!
-Smettila di dire che ti faccio venire i brividi!
-Quindi, voi due avete deciso di frequentare questi incontri assieme?
-In realtà, è lui che voleva venire. Senza offesa, eh, ma non mi sembra che questa sia molto una cosa da uomini.
-Ben detto – disse il tizio coi capelli azzurri.
-E chi te l’ha chiesto?
-Che stai dicendo?! Ti stavo dando ragione, idiota.
-Te lo ripeto… e chi te l’ha chiesto?
-Vi pregherei di calmarvi – disse la dottoressa Unohana; il suo sguardo, improvvisamente gelido, pietrificò tutti gli astanti. Una volta placati gli animi, tornò a sorridere. -Proseguiamo con le presentazioni dunque? Seguiamo questa linea?
Ichigo trovò straordinario il modo in cui quella donna ignorava le provocazioni di quel tizio. Fosse stato lui, avrebbe reagito esattamente come Ikkaku, o forse gli avrebbe risposto perfino peggio.
Forse, ignorandolo, voleva evitargli una serie infinita di figure da stupido. Era quindi un gesto di gentilezza.
Sprecato, a parere di Ichigo, per uno come quello.
-Vuoi dirci il tuo nome…? – disse la dottoressa, distogliendo Ichigo dai suoi pensieri.
Il ragazzo coi capelli bianchi alzò lo sguardo. Stavolta, sembrava li stesse sfidando a replicare qualcosa.
-Toshiro Hitsugaya. Dalla città vicina.
Detto ciò, abbassò di nuovo uno sguardo contrariato, e, avendo effettivamente dato tutte le risposte di cui avevano bisogno, nessuno poté chiedergli nient’altro.
La ragazza coi capelli lunghi, Kurotsuchi, si alzò in piedi. Teneva gli occhi bassi, ma si poteva intuire una certa inquietudine nel suo sguardo; niente di morboso come quella del biondo, poiché era mitigata da una certa dolcezza, ma dava comunque un’impressione di timidezza, di introversione.
-Buongiorno a tutti. Nemu Kurotsuchi, felice di fare la vostra conoscenza – si inchinò ancora e si sedette al suo posto.
Fu quando l’ebbero vista in piedi, e osservata bene per la prima volta, che si resero conto che era più svestita che vestita. Quella scollatura esagerata e quella minigonna inguinale le coprivano appena la biancheria intima. Ichigo deglutì.
-Io… mi chiamo Izuru. Izuru Kira. Piacere di conoscervi.
Izuru Kira, mentre parlava, continuò a guardare il pavimento con gli occhi pieni di terrore. Tutti erano perplessi di fronte a quel ragazzo. Certo, il punk seduto in fondo non era rassicurante, ma tutti gli altri sembravano inoffensivi; non c’era motivo di inquietarsi.
A Ichigo dispiacque per quel tizio, ma non avrebbe saputo cosa dirgli.
Notava comunque che una buona parte di loro sembrava aver problemi, con quella questione di guardare gli altri negli occhi.
Adesso toccava al tipo coi capelli neri, e, dato che aveva sempre tenuto lo sguardo fisso in un punto imprecisato del pavimento, Ichigo sospettava che nemmeno lui sarebbe riuscito a guardarli negli occhi; anzi, che non sarebbe neppure riuscito a parlare.
E invece quello sollevò uno sguardo verdissimo, ma verde come il veleno e non come i prati in fiore. Lo puntò sulla dottoressa Unohana e parlò con voce ferma e chiara.
-Schiffer Ulquiorra.
Quel mormorio cupo gli ricordò vagamente Chado. Un Chado vampiresco, oscuro. Un Chado con occhi di gatto.
-Da dove vieni, Ulquiorra?
-Non ha importanza.
La dottoressa sorrise, e passò al successivo.
-Tu, invece? Qual è il tuo nome?
-Grimmjow Jaggerjack. Ricordatevi bene il mio nome, teste di cazzo.
-Ma falla finita – disse Ikkaku – se hai voglia di farti fare a pezzi, allora andiamocene fuori, ok?
-Beh, con cosa te ne vieni fuori, adesso? Non eravamo forse qui per parlare dei nostri problemi?
-E adesso tu sei il mio problema numero uno.
-Vuoi che la facciamo finita subito?
-Piantatela – sbottò Ichigo – insomma, e poi dicono a me che faccio casino. Non mi sarei mai aspettato che un giorno sarei stato io a fermare una rissa, ma…
-E allora non farlo. Veditela con me. Se vuoi che taccia, allora fammi tacere, che ne dici?
-Non ho motivo di pestarti – Ichigo sospirò; si era alle solite.
-Vuoi che te ne dia uno? Eh? Vuoi che faccia qualcosa di talmente grave da darti un motivo? – ghignò – Lo faccio immediatamente.
-Si può sapere che problema hai? Se vuoi che ci meniamo, bene, come ha detto Ikkaku. Ma fuori. Non qui.
-Cos'è, avete paura? Siete proprio dei froci.
-Ehi, ehi, questo non è politically correct! – Yumichika sorrise amabilmente. – Sei in errore, se pensi che i froci si tirino indietro quando c’è da spargere sangue.
-Manca un’altra persona che non si è ancora presentata – disse la dottoressa Unohana – vogliamo concludere questo cerchio?
La ragazza lolita si alzò; fece un piccolo inchino, reggendo le balze del vestito.
-Kuchiki Rukia. Piacere di conoscervi.
-Rukiachan, ricordarti di prestarmi Kera, mh?
-Certo che sì, Yumichikakun. Ricordamelo a fine incontro.
-Vi conoscevate già, voi due?
-Oh, no, no, ci siamo conosciuti mentre aspettavamo. Mi ha subito colpito il suo look!
Si sentivano i cuoricini alla fine della frase come se fossero stati scritti in un baloon.
-Ti piace questa roba? – Ichigo era inorridito.
-A me piace tutto quello che è bello. Ma, parte questo, mi ha ricordato… oh, ma guarda. Ichigo, fossi in te starei attento a quel che dico.
Yumichika gli fece cenno di voltarsi.
Rukia Kuchiki lo stava guardando con un’espressione terribile. I suoi occhi promettevano morte certa. Ma quando la dottoressa si voltò verso di lei, tornò composta.
-Unohanasan, spero che lavoreremo bene insieme – disse con un inchino.
La dottoressa sorrise amabilmente, poi abbracciò con lo sguardo quel cerchio di persone. Ichigo fece lo stesso: realizzò che razza di gruppo allucinante costituissero. C’era davvero di tutto. E a tutti loro si leggeva in faccia un grido che suonava come “ho problemi”.
Si era fatto un’idea per qualcuno di loro: il tizio punk e Ikkaku erano sicuramente lì per il suo stesso motivo, ovvero, evitare la sospensione. Kira Izuru sembrava sull’orlo del suicidio. Nemu Kurotsuchi sembrava una ragazza gentile, ma era vestita come una sgualdrina, e questo lasciava intuire che qualcosa in lei non andasse. Schiffer Ulquiorra e Toshiro Hitsugaya, invece, dovevano avere più di qualche difficoltà di comunicazione.
Mentre Rukia Kuchiki, la lolita…? Nel suo caso non era chiaro. Certo: Ichigo era convinto che chiunque girasse vestito a quel modo dovesse avere di sicuro qualche rotella fuori posto, ma purtroppo, quella non era una prova sufficiente. Di qualunque cosa si trattasse, Rukia Kuchiki era l’unica persona di cui non si intuisse il problema a un primo sguardo.











*MILF: Mother I’d Like to Fuck. Guardatevi American Pie per capire meglio, oppure semplicemente fatevi una cultura di porno :D.
**Angelic Pretty, Baby the Stars Shine Bright, Moi Même Moitié: marche di abbigliamento lolita.
***Kera: una rivista sull’abbigliamento lolita.
Il titolo proviene da una canzone degli Eurythmics ^^.

(Nda: Rukia lolita semplicemente perché in The Sealed Sword Frenzy Rukia mostra apprezzamento per questo stile (Ichigo, per la cronaca, ne è disgustato). In effetti la sigla finale di quell’OAV mi ha ispirato molto per questa fic, ma non voglio aggiungere altro :D.
Grazie davvero a chi ha recensito il prologo, non mi sarei mai aspettata così tanti commenti ç_ç avete fatto di me una donna felice. Per rispondervi…
@TaKari 94: grazie dei complimenti <3 spero che questa introduzione sia all’altezza delle aspettative è_é!
@Exodus: d’accordissimo per quanto riguarda l’ultima parte, me n’ero accorta anch’io; ultimamente sto cercando di focalizzarmi sull’essenziale ma forse ho esagerato XD. Grazie mille per il sostegno!
@Garconne: purtroppo non so dire con esattezza quanto spesso riuscirò ad aggiornare ._. nelle mie intenzioni, settimanalmente, ma siccome sono sotto esami non posso garantirlo. Farò comunque il possibile per rispettare delle scadenze decenti :D.
@FefyNiisan: in effetti era proprio di quell’Ichigo e di quei tempi che volevo parlare ;_; comunque sì, ci saranno parecchi altri capitoli, nelle mie idee questa è un’AU lunga XD. Grazie della fiducia :D!
@Fla: lo sai che sei sempre la prima ;D*.
@Lou Asakura: grazie mille di aver letto tutte le mie fanfic ;_; spero che l’incontro tra Rukia e Ichigo sia piaciuto, anche se per ora siamo solo alle battute d’inizio ^_^.
@Hanon Honsho: troppo gentile, davvero ._. sono felice che la scena di Inoue sia piaciuta, io adoravo la Inoue un po’ violenta dei primi capitoli *_* quella la cui intenzione nascosta era quella di nuocere al prossimo, altro che “nel suo animo non c’è alcuna intenzione di far del male ;O;”
E con ciò vi rimando al prossimo capitolo ;D spero di starmela cavando bene con quest’esperimento di AU, fatemi sapere, mi raccomando ;_;)

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Capitolo 3
*** 2. Please Don't Let Me Be Misunderstood ***


-Posso considerare concluse le presentazioni, dunque. Vorrei iniziare subito con il dialogo. A turno, vorrei che mi diceste spontaneamente la ragione per cui siete stati invitati a venire qui, o per cui avete deciso di venire qui, nel caso non sia stata la scuola a suggerirvelo.
Tutti tacquero. Nessuno voleva cominciare.
-Allora dovrò scegliere io a caso – sorrise – spero che non sia un problema.
Ancora silenzio; Grimmjow Jaggerjack sbuffò.
-Nemu Kurotsuchi?
La ragazza si alzò in piedi senza obiettare. Ichigo rimase di nuovo stravolto dalla sua mancanza di decenza. Era quasi preoccupato che qualcuno potesse aggredirla mentre tornava a casa dal consultorio.
Kurotsuchi si inchinò ancora, prima di cominciare a parlare.
-Io sono stata mandata qui dai miei insegnanti. Sono preoccupati per la mia promiscuità sessuale.
Ichigo strabuzzò gli occhi; non fece in tempo a controllare le reazioni degli altri, tanto era stravolto, ma di fronte a quelle parole nemmeno Grimmjow Jaggerjack riuscì ad aprir bocca.
-E tu ritieni che il loro giudizio sia veritiero?
-Non ritengo nulla, Unohanasan. Sono liberi di avere di me l’idea che preferiscono – chinò la testa, come a mitigare la forza delle sue parole.
-Ma tu, Nemukun? Tu che cosa ne pensi? Sai che cosa significa l’accusa che ti rivolgono?
-Credo di sì. Significa che non dovrei vestirmi a questo modo, perché distrae i miei compagni maschi.
-Non significa esattamente questo. Se tu fossi realmente promiscua avresti rapporti piuttosto approfonditi e frequenti con i tuoi compagni di scuola. Le cose stanno così?
-No – scosse la testa – non stanno così.
-E l’hai spiegato ai tuoi professori?
-Non ho alcun interesse a  spiegarglielo; vede, non mi crederebbero comunque.
Come la capiva.
-Ma se non lo spieghi, loro continueranno ad accusarti di promiscuità, e tu verrai qui senza motivo.
-Oh. Ma a me fa piacere venire qui, Unohanasan.
La dottoressa batté le ciglia: non perse il sorriso, ma sembrò un po’ spiazzata. Ichigo avrebbe voluto darle una solidale pacca sulla spalla.
-Mentre tu, Schifferkun? Come mai sei qui?
Quello spostò su di lei quello sguardo incredibile. Aveva occhi ipnotizzanti, penetranti. Era impossibile perfino per Ichigo distoglierne lo sguardo.
-Mi hanno detto che dovrei venire qui.
Come potevano essere tanto attraenti quand’erano così vuoti?
Quegli occhi sembravano proiettare tutte le loro attenzioni all’esterno perché all’interno non c’era nulla da guardare. O perché c’era qualcosa di talmente terribile che non volevano guardarlo.
-Per quale motivo ti hanno suggerito di venire qui?
Quello tacque e continuò a guardarla dal basso, tenendo la testa leggermente inclinata in avanti. La scrutava, quasi con interesse. Ma era l’interesse asettico di uno scienziato che osserva la cavia mentre si dibatte in preda all’agonia. Quello sguardo congelava gli astanti in un istante sospeso nel tempo, in cui c’erano solo lui e i suoi occhi color veleno.
-Avanti, Ulquiorra, piantala con questa scena. Ve lo dico io perché. – Grimmjow Jaggerjack si sistemò meglio sulla sedia, accavallando le gambe. Aveva rotto l’incantesimo.  – Questo qui non parla mai con un accidenti di nessuno, neanche con i professori. Salta scuola, e quando viene non fa niente. Cazzo, io almeno mi sforzo di far qualcosa, ma a questo qui non gliene frega proprio niente. Non risponde alle interrogazioni e non scrive nei compiti scritti. Non perché sia un idiota. È che non gliene frega niente.
-Ti ringrazio per l’aiuto – disse la dottoressa; stavolta, pensò Ichigo, probabilmente non era sarcastica – e tu, Schifferkun, sei d’accordo con questa descrizione?
-Sì – rispose, inaspettatamente – è così. Non mi interessa.
Ichigo era sorpreso. E dire che aveva sempre pensato di essere uno a cui non fregava niente; eppure, se davvero lo fosse stato, si sarebbe comportato come questo Ulquiorra. E invece lui a scuola ci andava, e si dava anche da fare con lo studio per recuperare la condotta.
Ecco che cos’era il vero fregarsene di quel che pensavano gli altri, pensò Ichigo amaramente.
-Mentre tu, Grimmjowkun? Che cosa ti ha spinto a partecipare a questi incontri?
Quello le lanciò un’occhiataccia.
-Mi hanno detto che se non fossi venuto qui mi avrebbero espulso. D’accordo? Non mi va di farmi espellere.
-Non pensavo ti interessasse la scuola – Ichigo, sorpreso, non era riuscito a fare a meno di intervenire – senza offesa, pensavo fossi quel tipo di persona che si fa espellere senza problemi.
-Che cazzo dici? No che non mi faccio espellere da quegli stronzi. Se mi facessi espellere, loro sarebbero contenti. Quindi potessi morire fulminato, se gli lascerò questa soddisfazione!
Ichigo non sapeva se considerarlo uno stupido testardo o un tizio con una volontà da invidiare, nonostante fosse incanalata in qualcosa di totalmente idiota. Forse, se l’avesse incanalata in qualcosa d’intelligente, non sarebbe sembrato un tale scoppiato.
La dottoressa aveva deciso, evidentemente, di seguire l’ordine in cui erano seduti, perché, dopo Grimmjow Jaggerjack, interrogò Rukia Kuchiki.
-E tu, Rukiakun? Come mai sei qui, oggi?
Lei si alzò e si inchinò di nuovo. Ichigo si guardò attorno: Grimmjow guardava per aria e aveva l’espressione di chi avrebbe preferito mangiare un’anguilla viva piuttosto che ascoltare le vicissitudini della lolita. Yumichika sembrava interessatissimo; Ikkaku la guardava con scetticismo. Assoluta indifferenza da parte di  Schiffer Ulquiorra e Toshiro Hitsugaya. Kira Izuru e Nemu Kurotsuchi la guardavano in attesa, gli unici educati in mezzo a quella banda.
-I miei professori pensano che io sia troppo silenziosa in classe. Tutto qui, Unohanasan. Niente di grave, penso che si stiano preoccupando un po’ troppo per me.
-Che?! – anche stavolta Ichigo non seppe trattenersi – Tu saresti silenziosa?!
-Oh? Che cosa intendi, Kurosakikun?
-Ma… che razza di gioco stai giocando?
-Non capisco davvero cosa intendi dire, Kurosakikun.
-Ne riparleremo…!
-Rukiakun, sei sicura che sia davvero solo questo il motivo per cui ti hanno consigliato di partecipare a questi incontri?
Quella batté le ciglia e fece un’espressione stupita.
-Certo che sì, Unohanasan. Non c’è davvero motivo di preoccuparsi. Ma, per far stare più tranquilli i miei insegnanti, ho deciso di venire qui.
Questo era probabile. Quel che sembrava meno probabile era che quella tizia se ne stesse zitta, anzi, zitta al punto da far preoccupare i suoi insegnanti; anche perché da quando in qua un alunno silenzioso costituiva un problema? Ad ogni modo, a ben pensarci, era anche vero che Rukia Kuchiki, finora, aveva parlato solo quando interrogata.
Lì dentro c’erano solo casi abbastanza vicini al limite, e Ichigo trovava improbabile che i suoi professori l’avessero spedita lì senza un motivo serio.
Eppure, non riusciva a capire che cosa l’avesse spinta fin lì.
-Proseguiamo con te, Ichigokun?
Era vero, dopo di lei toccava a lui. Ma non si sentiva affatto a suo agio all’idea.
-Beh, sembra che io faccia un po’ troppo casino. Insomma, faccio a botte, rispondo male ai professori… però, io lo faccio solo se provocato. Il punto è, vaglielo a spiegare.
-Chi ti provoca?
Ecco la fregatura dello svelare tutto subito: con lui, la dottoressa avrebbe scavato più a fondo.
-Mah, gente. Senpai, yankees*. Gente a cui non piaccio così, a pelle.
-Posso chiederti perché non gli piaci?
Ma perché continuava a risponderle? Non faceva che scavarsi la fossa.
-Per i miei capelli, in primo luogo. Pensano che io voglia fare il figo. E poi dicono che ho una faccia da schiaffi.
-Beh, dagli torto – disse Ikkaku, alzando un sopracciglio – non hai un’espressione tanto conciliante.
-Che devo farci? Questa è la mia faccia, non posso mica cambiarla.
-Non puoi? – chiese la dottoressa.
La guardò. Aveva uno sguardo impenetrabile; chissà cosa gli stava realmente chiedendo, dietro quell’espressione pacifica e gentile.
-Beh, credo di no. Ognuno ha la sua faccia, no? Per esempio, c’è qualcuno, qui dentro, che ha la faccia più indisponente che abbia mai visto. Ma mica posso menare una persona per questo.
-Hai voglia di provocarmi, Ichigo Kurosaki?
-No, Grimmjow, non mi riferivo a te – sospirò.
Una scarpina di vernice col fiocco atterrò con inaudita violenza sul suo piede destro. Ichigo trasalì, ma tenne duro.
Ti ucciderò, le disse con lo sguardo. Sei una nana morta.
Lei sorrise amabilmente, ma, per un attimo, in quel sorriso colse il guizzo di un’occhiata diabolica.
-Vogliamo passare ad Ikkakukun? Qual è la tua storia?
Lui si grattò la testa, pensieroso. Come se non lo sapesse bene nemmeno lui.
-Io sono qui per controllare questo qui, principalmente – fece un cenno verso Yumichika – mi ha suggerito lui di accompagnarlo. I miei insegnanti non si preoccupano granché di certe cose, loro vorrebbero semplicemente buttarmi fuori e, detto tra noi, penso che prima o dopo lo faranno.
-A te non importa che ti espellano?
-Nah. Voglio dire, sì, non mi sarebbe dispiaciuto prendere un diploma, credo che male non possa farmi. Ma non è che mi interessi. In realtà, io vorrei andare a lavorare subito.
-E perché non hai lasciato…?
-Perché non sarebbe stato male portare un diploma nella mia famiglia di ignoranti. Però, cosa devo dirle, sono fatto così, non riesco a perdere tempo su quella roba. Solo che ovviamente ai professori non fa piacere sapere che non me ne frega niente di quello che stanno dicendo, quindi ci litigo in continuazione. Sono un po’ come Ichigo – gli fece un cenno col capo – se mi rompono le palle, mi viene da sfidarli.
-Ehi, piano. A me non viene da sfidarli. Io, se potessi, mi farei gli affari miei.
-Allora non ci somigliamo per niente – alzò le spalle – vabé. Il fatto è che mi annoio, e voglio movimentare un po’ l’atmosfera, capisce? Quando litigo con quelli, per un attimo mi sento vivo.
-Hai bisogno della lotta per sentirti vivo?
Ikkaku corrugò la fronte.
-Sa che non ci ho mai pensato? Io non faccio mai pensieri tanto complicati.
-Che c’è di strano? – disse Grimmjow – Ha bisogno di fare a botte. È normale. A chi non viene voglia di pestare uno che gli sta sull’anima? O anche uno che non gli sta sull’anima, tanto per fargli vedere chi sei.
-E chi saresti?
-E sta’ zitto. Un altro degli scopi del fare a botte è quello di sfogarsi se hai i coglioni girati per qualche motivo; e tu sei un ottimo motivo.
-Ikkakukun ha posto un’ottima questione – intervenne Unohanasan – chi sei, Grimmjowkun?
-Che vuol dire, chi sono?
-Chi è la persona che senti di essere?
-Non lo so, ma sono più di tutti quanti voi messi assieme.
Ichigo alzò gli occhi al cielo e stesso fece Ikkaku; gli altri non commentarono.
-Possiamo proseguire? Yumichika, hai voglia di parlarci di te?
-Come no – sorrise – eccomi qui. Che cosa vuole sapere, Unohanasan?
Furbo, il tipo. Così lui avrebbe dovuto rispondere unicamente a una domanda precisa della dottoressa, senza sbrodolarsi in divagazioni.
-Come mai hai deciso di venire a questi incontri?
Ma anche la dottoressa sapeva il fatto suo.
-Beh, vede, come credo di aver già detto, mi piacciono le cose belle. Ad esempio, tu… - indicò Rukia Kuchiki – poi tu – indicò Kurotsuchi – e, mmh, direi tu – puntò il dito su Schiffer Ulquiorra – voi siete belli. Ma il resto, ew. Fatico a tenere gli occhi aperti, con gente come voi nel mio campo visivo.
-Ma chiudi quello stupidissimo becco – Ikkaku gli assestò un pugno sul braccio.
-Oh, e anche tu sei carino, sì.
Si riferiva a Toshiro Hitsugaya, che si limitò a lanciargli un’occhiata di sbieco. Poi tornò a chiudere gli occhi, infastidito ma composto.
Ichigo sospirò e alzò un sopracciglio; non gli interessava molto il giudizio di Yumichika, e, soprattutto, non gli importava molto se era bello o meno. Gli altri brutti del gruppo sembravano pensarla come lui.
-Quindi, ti piacciono le cose belle – riprese Unohanasan, con un sorriso. Era davvero scaltra. Stava cercando di tornare a bomba, e ci stava riuscendo.
-Esattamente. Oh, e con questo intendo anche lei, Unohanasan, naturalmente.
-Ti ringrazio, Yumichikakun. Dunque è stato l’amore per le cose belle a portarti qui?
-Oh, no, Unohanasan. Sono molto sensibile alla bruttezza, certo, ma per ora riesco a sopravvivere anche davanti a dei ceffi come questi; è dura, ma devo farcela, per portare avanti il sacro ideale della bellezza.
-Dunque il vero motivo qual è?
-Beh – accavallò le gambe come una donna, poi si portò un dito alla bocca – c’è una persona che mi odia per quello che sono, capisce? E questo non va bene. La tristezza rovina la pelle, lo sapeva?
La dottoressa sorrise comprensiva, e annuì.
-Certo, lo sostengo anch’io. Tutti i sentimenti negativi incidono profondamente sulla nostra bellezza. I tratti e la figura non ne risultano modificati, ma niente fa distogliere gli sguardi come un volto segnato dalla tristezza.
A quelle parole, tutti tacquero. Perfino Grimmjow.
-Toshirokun? Vuoi parlarci di te?
A Ichigo sembrò che la dottoressa, per una volta, avesse voluto fermarsi, e non chiedere altro a Yumichika. Forse perché non ce n’era bisogno.
-C’è bisogno che io parli?
Aveva una voce cavernosa, quel ragazzino. Decisamente troppo bassa e cupa per uno della sua età.
-Vorrei che mi dicessi per quale motivo sei qui con noi, così che io possa aiutarti nel corso di questi appuntamenti.
-Sono qui perché i miei professori vorrebbero che frequentassi i miei compagni – bofonchiò. Sembrava che il fatto di dover parlare gli causasse un infinito fastidio.
-Non esci con i tuoi compagni, Toshirokun?
Quello scosse la testa.
-E a scuola parli con loro?
-No. Ho altro da fare.
-E loro parlano con te?
-Avranno altro da fare.
-E se non lo avessero?
Toshiro Hitsugaya alzò la testa e, da sotto la fronte corrugata, guardò Unohanasan con un pizzico d’interesse.
-E se invece non avessero dell’altro da fare? Forse quella di non parlare con te è una loro scelta, Toshirokun. Così come lo è nel tuo caso.
-Io ho detto…
-So cos’hai detto; ma, se dici questo, significa che se tu non avessi da fare parleresti con loro.
Lui scosse ancora la testa.
-Non è così – disse.
-Può essere che anche loro ragionino allo stesso modo.
-Non lo so. Non m’importa – alzò le spalle e tornò a guardare così in basso che sembrava avesse gli occhi chiusi.
-Come mai non t’importa di loro, Toshirokun?
Alzò lo sguardo, immensamente seccato.
-Perché sono fastidiosi. Rumorosi. E stupidi. Non m’interessa un contatto con loro. – Abbassò lo sguardo, con un che di definitivo. Abbassò la voce. – Questo è tutto.
Unohanasan passò oltre senza chiedere altro. Rimaneva solo Izuru Kira; la dottoressa gli sorrise affabilmente, per incoraggiarlo a parlare.
Lui la guardò spaventato, poi fissò lo sguardo a terra. Infine parlò.
-Io… non riesco più a vivere.
Questa risposta li spiazzò tutti quanti; Ichigo lo seppe perché perfino Unohanasan per un attimo stette in silenzio. Ma fu svelta a riprendersi.
-Cosa significa, esattamente, questa frase, Kirakun?
Lui si prese la testa tra le mani.
-Svegliarmi la mattina è una condanna. Coricarmi una tortura. Lo svolgersi della giornata è un incubo. Unohanasan, per me non è più possibile sopportare la vita.
-Ma che cazzo stai dicendo?! – Ikkaku si batté le mani sulle cosce – Questo è un disonore! Come può un vero uomo giapponese dire una cosa simile?!
-Ikkakukun – la dottoressa alzò una mano – non siamo qui per giudicare i sentimenti delle altre persone. Questo non è solo un gruppo di discussione; prima di tutto viene l’ascolto.
-L’ho ascoltato benissimo! E mi sembra una cazzata! – sbuffò – Quando sento uno dire cose del genere, viene naturale sbraitargli dietro.
-Ma gli dei ci hanno concesso la facoltà di trattenere le parole, qualora esse risultassero inopportune. Ti invito quindi a rispettare le parole di Kirakun e ad ascoltare con attenzione.
-D’accordo – disse Ikkaku, pur seccato – ascolterò. Anche se non sono d’accordo.
-Non è affatto necessario che siamo d’accordo – Unohanasan sorrise – non devi preoccuparti per questo.
Ikkaku la fissò, stranito, premendo le mani sulle cosce. Come se non avesse mai preso in considerazione l’idea che si potesse essere in disaccordo senza picchiarsi.
-Dunque, Kirakun, stavamo parlando del tuo problema. Dicevi che la vita ti è diventata pesante; sapresti indicarmi il motivo per cui ti senti così?
-Sì – esalò – lo saprei fare. Ma non posso. E non voglio.
-Si tratta di qualcosa che noi noi possiamo sapere?
-Anche – era sempre più agitato – ma anche se lo sapeste, non cambierebbe nulla. Adesso mi sento così, e non riesco a cambiare lo stato di cose.
-Tu vorresti cambiare questo tuo stato d’animo?
-Come? – sembrò sorpreso – C-certo che voglio cambiarlo. Non riesco più a resistere.
-Ritieni di aver fatto il possibile per uscirne?
Quello abbassò lo sguardo.
-Unohanasan, sono qui. Non sapevo più a chi rivolgermi per uscire dal posto dove sono ora.
La dottoressa annuì.
-Eppure, non è possibile lavorare sulle conseguenze, se prima non si è messa in luce la causa scatenante. Dovremo parlarne in gruppo, Kirakun, e temo che dovrai forzarti a raccontare quello che ti è successo. – Lui sembrò terrorizzato. La dottoressa lo guardò con dolcezza. – Non subito; quando te la sentirai di farlo. Ma dovrai dirci come possiamo fare ad aiutarti, altrimenti venire qui sarà stato soltanto un gesto simbolico.
-Ma come pensa che possiamo aiutarlo, noi, questo? – sbottò Grimmjow – A me non frega niente di lui. Se in questa cosa non ci credo neanch’io, com’è possibile che aiuti questo qui?
-Probabilmente, vi siete già aiutati moltissimo a vicenda. Solo che non ne siete consapevoli.
Ichigo rimase paralizzato di fronte a quella verità. Forse non aveva risolto nulla, ma aveva imparato qualcosa da quei ragazzi, e riflettuto parecchio sulle loro storie.
E chissà che alla fine non sarebbe riuscito a riflettere anche su se stesso.
E magari, un giorno, raccontare; schiudere i petali come una rosa in boccio ed esporsi al vento e alla pioggia, sperando di trovare riparo.









*Senpai e Yankees: non credo di dovervi spiegare cosa sia un senpai; gli yankees sono semplicemente i teppisti.


(Nda: grazie a tutti delle recensioni ^-^ in risposta ai vostri commenti…
@FefyNiisan: XD Rukia lolita è strana, lo ammetto. Ma non è un parto della mia mente: nel film diceva davvero che erano gli unici abiti terrestri che considerasse decenti… XD Quanto a Yumichika, davvero è esagerato? :/ Sapresti indicarmi in che punti esattamente? Così cerco di correggere ^^ grazie dell’osservazione!
@MayCry: wow, sono onorata *.* ma mi sa che dovrai aspettare prima di soddisfare la tua curiosità, perché i personaggi sono tanti e nessuno di loro ama parlare di sé XD
@Lou Asakura: avevo già risposto per la questione Renji nel forum, ma mi ripeto: le mie note danno una risposta XD grazie per l’IC, è una cosa che mi rende oltremodo felice T^T
@Exodus: innanzitutto, devo assolutamente ringraziarti per tutta la pubblicità che mi hai fatto (nel programma recensioni, nelle storie scelte, e per aver seguito i miei lavori). Davvero, grazie infinite ç__ç.
Comunque, se cerchi comicità non so se troverai pane per i tuoi denti XD ovviamente ci saranno parti comiche, ma questa fic è nata per essere drammatica. E, sì, Nemu è un personaggio molto triste, sono felice che la cosa sia arrivata al lettore è_é.
E grazie naturalmente delle segnalazioni, amo l’angolo del pignolo ;D*
@Lanxie Gin: wow, grazie! Se può essere d’aiuto, l’Ichiruki non sarà l’unico pairing XD ma per queste cose temo dovrete aspettare XD.
@Mix: che recensione, wow *_* troppo gentile! Comunque, se ti piace Hitsugaya, sappi che l’amo anch’io e che avrà assolutamente il suo spazio. è_é
@Tesar: “sofferenza negata” è la parola adatta ^^. Sono contenta che ti piaccia ^^ spero che anche questo capitolo sia piaciuto!
Concludo specificando che il titolo del capitolo è un verso di una canzone famosissima, Esmeralda Suite.
Grazie ancora a tutti delle recensioni! Al prossimo capitolo ;))

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Capitolo 4
*** 3. Ready Steady Go ***


-Ora che abbiamo ben chiari davanti a noi i nostri problemi, vorrei che tentassimo assieme di trovare una risposta. Sarei felice se, a turno, poteste pensare a una possibile soluzione per il vostro problema.
Ichigo rimase basito.
-Ma certo – mormorò.
-Come dici, Ichigokun?
-No, io… dico, non ci avevo mai pensato.
-A che cosa?
-Che possa esserci una soluzione. Eppure è la prima cosa che ti insegnano, no? Perfino alle elementari. Davanti a un problema, cercare la soluzione.
-Sei proprio idiota, eh? – fece Ikkaku; Ichigo però sapeva che lo diceva con benevolenza.
-Beh, se siamo qua, vuol dire che siamo idioti tutti, no? Con benevolenza parlando.
-Vogliamo partire proprio da te, Ichigokun? Cosa credi che sarebbe necessario per farti stare meglio?
Ma perché dovevano partire proprio da lui?
-A me? Beh, io… credo che se la gente mi lasciasse in pace, sarebbe tutto perfetto.
-Tutto qui?
-Beh, sì, credo che sia tutto qui.
Non avrebbe mai e poi mai aperto la bocca per pronunciare il nome di sua madre; non davanti a quegli idioti.
-Ikkakukun?
-Io penso di star bene così, tutto sommato. Magari vorrei essere un po’ più intelligente.
-Non è vero – disse Yumichika con un sospiro – digli come stanno le cose.
-Che accidenti dovrei dirgli?! E poi, si può sapere cosa ne sai tu?
-Ah, beh: se non lo so io, chi altri dovrebbe saperlo?
-Sapere cosa, dannazione?
-Che soffri di complessi d’inferiorità nei confronti di tuo padre. Vorresti essere più figo di lui, ma non lo sarai mai.
-Che c’è di strano ad ammirare il proprio padre?! Lo ammiri anche tu, se non sbaglio! Anzi, tu sei in costante ricerca della sua approvazione.
-Purtroppo nostro padre non possiede sufficiente apertura mentale per accettare la mia naturale inclinazione e completa dedizione per…
-… i maschi? – disse Ichigo.
-Il bello – si esasperò Yumichika. – Cielo, mi sembri proprio mio padre.
-Aspettate – disse Unohanasan, sorpresa – quindi, voi due siete fratelli…?
-Oh, sì, certo che siamo fratelli. Non ve l’avevamo detto…?
-No, deficiente, che non gliel’avevamo detto. Mentre cercavo di presentarmi, te ne sei saltato fuori interrompendomi a metà discorso.
-Comunque, siamo proprio fratelli: i fratelli Zaraki, figli di Kenpachi Zaraki.
-Avrete sicuramente sentito parlare di nostro padre – si accalorò Ikkaku.
-Sì – intervenne Grimmjow – ho sentito il suo nome. Sembra che sia uno con cui vale la pena fare a pugni.
-Puoi scommetterci – Ikkaku strinse i pugni; i suoi occhi brillavano – se si tratta di mio padre, allora non ce n’è per nessuno.
-Nostro padre è un biker – sospirò Yumichika, passandosi una mano a controllare se i capelli erano a posto – musica metal a tutto volume, giacche di pelle nere, stivali da motociclista… e quella orribile, rumorosa Harley Davidson.
-Sta’ zitto, sei tu che ti metti sempre quei maglioncini lilla.
-E costui è esattamente identico a suo padre; solo, non altrettanto fico. O almeno così la pensa lui. Secondo me, lui è altrettanto fico.
-Pensa per te. Non gli stai forse nascondendo qualcosa di importante?
-La cosa dei maschi? – disse Ichigo.
-Credo che se ne sia accorto, in fondo. Beh, non mi importa di dirlo a voi perché non mi sembrate molto intelligenti. Ma dirlo a mio padre, quella è tutta un’altra storia.
-Quindi, voi due cosa proponete per voi stessi? – chiese Unohanasan.
I due ci pensarono su; risposero quasi all’unisono.
-Vorrei essere diverso.
-Vorrei essere migliore.
Poi si guardarono, seccati per essersi parlati sopra l’uno con l’altro.
La dottoressa sorrise.
-Per ora fermiamoci qui; ma torneremo sicuramente sulla questione. Vorrei proseguire nel giro; ascoltate attentamente le risposte degli altri ragazzi, per favore. Dunque, Toshirokun? È il tuo turno.
-Mh.
Si rialzò stancamente dalla posizione in cui si era adagiato, ovvero, sprofondato nella sedia con le gambe accavallate.
-Che cosa pensi che potrebbe aiutarti per il tuo problema?
Lui fissò un punto invisibile davanti a sé; negli occhi aveva una determinazione e un fastidio che Ichigo non aveva mai visto a nessuno.
-Vorrei vivere da solo.
-Vivere da solo, perché…?
-Perché diminuirebbe sensibilmente il numero di seccature.
Mentre pronunciava la parola “seccature”, guardò tutti gli astanti con un breve giro di occhiate.
-Sei esplicito, eh…? – gli disse. Non era riuscito a trattenersi.
Quello si voltò verso di lui, e quando si trovarono a guardarsi Ichigo vide lo sguardo più irritato e minaccioso che avesse mai visto. Un’occhiata che lo traforò in un solo colpo.
E se io fossi così?, gli venne da pensare.
Forse era per quello sguardo che ai senpai veniva da picchiarlo? Anche a lui veniva spontaneo irritarsi, con un tipo simile.
-Quali sono le “seccature”, Toshirokun?
Quello prese un respiro profondo, come se stesse portando una quantità infinita di pazienza; ma rispose. Grave, serio e per nulla conciliante, ma rispose senza scortesia.
-Chiunque sia attorno a me e faccia troppo rumore. – Sospirò. – Non sopporto il caos.
Ichigo fu sorpreso davanti a una simile confessione, del tutto spontanea. Nessuno commentò, probabilmente per incentivarlo a sentirsi libero di parlare. O, almeno, queste erano le intenzioni di Ichigo nei suoi confronti.
-Nemukun? Cosa credi che ti potrebbe aiutare, nel tuo caso?
-Credo, Unohanasan… un amico.
Anche la dottoressa tacque per un attimo.
-Credi che farti un amico sarebbe sufficiente, per sentirti meglio?
-Sì. Se ne avessi uno, forse sarei più felice.
Ichigo si commosse davanti a una simile dichiarazione. Almeno, lui gli amici ce li aveva. Discutibili, ma almeno c’erano.
“Noi saremo i tuoi amici, d’ora in poi” avrebbero dovuto dirle. Tutti, uno per uno.
Ma nessuno disse niente di simile. Nessuno di loro aveva voglia di caricarsi sulle spalle i guai degli altri. Unohanasan non fece commenti al riguardo; probabilmente Nemukun si sarebbe sentita ancora più ferita, se la dottoressa avesse sottolineato la loro totale mancanza di solidarietà.
-Proseguiamo con Kirakun?
-S-sì…?
-C’è qualcosa che credi che potrebbe aiutarti…?
-Io… il fatto è che non lo so. – Guardò in basso, angosciato, torturandosi le mani. – Perché io ho cercato quella soluzione dappertutto, Unohanasan, da moltissimo tempo. Per cui, qualsiasi cosa fosse, a me andrebbe bene. Mi basterebbe che esistesse. Poi, quello che potrebbe essere… a me non importa. Andrà bene comunque.
-Ma tu che cosa pensi che potrebbe aiutarti?
-Io…? – sembrò quasi che stesse per mettersi a piangere, ma non lo fece. – Andarmene, Unohanasan.
-Vorresti trasferirti in un’altra città?
-No. Andarmene, intendo… da questo mondo.
Ikkaku fece uno scatto, ma Yumichika gli posò una mano sul braccio.
-Devi sempre essere così rozzo, tu…? – gli disse, guardandolo di sottecchi.
-Beh, qual è il problema? – disse Grimmjow – È libero di fare quel che vuole. Se pensa che si sentirebbe meglio da morto, perché biasimarlo?
-Vorresti dire che ha il diritto di essere debole e arrendersi?!
-No. Sto dicendo che se pensa che morire lo renderebbe felice, allora che diritto abbiamo di ostacolarlo?
Ichigo fu sorpreso che Grimmjow dicesse una cosa simile, che era, a conti fatti, un’apologia del suicidio.
Diede un’occhiata a Rukia Kuchiki accanto a lui; lo guardava con un’espressione che non le aveva mai visto. Seria, grave, come se le parole di Grimmjow l’avessero colpita profondamente. Aveva l’aria di voler dire qualcosa, ma non lo fece.
Anzi, quando si accorse di essere guardata, gli rivolse un grugno pieno di sfida, come a dire, “e tu che accidenti vuoi?”
Ichigo le rispose con una smorfia e si voltò dall’altra parte, con sovrano disprezzo.
-Questa è una questione molto interessante – disse Unohanasan – se sia giusto o meno permettere a un altro di scegliere la morte. Avremo modo di parlarne, su questo non c’è dubbio. Ma prima vorrei parlare con Schifferkun.
Era tanto taciturno che Ichigo a volte si dimenticava della sua presenza; se non fosse stato seduto davanti a lui e non fosse stato tanto appariscente nell’aspetto, probabilmente se ne sarebbe del tutto scordato.
Gli occhi adesso erano puntati su di lui. Benché, come Toshiro Hitsugaya, non amasse parlare, a differenza dell’altro non sembrava infastidito dal fatto che l’attenzione fosse rivolta a lui. Probabilmente, come per tutto il resto del creato, non gliene importava assolutamente nulla.
Mentre a Toshiro Hitsugaya doveva pur importare qualcosa di quello che lo circondava, se gli concedeva la capacità di infastidirlo a tal punto.
-Avevi detto che il tuo problema è il ‘disinteresse’ verso tutto.
Che Unohanasan avesse intenzionalmente evitato di dire “verso la vita”? Eppure, era la prima parola che a Ichigo era venuta in mente, e quella che sembrava più adatta.
-Non è un problema – rispose Ulquiorra, guardandola fisso negli occhi.
Sebbene non avesse affatto un’aria aggressiva, sembrava che stesse cercando di cancellarla con la sola forza dello sguardo. Incenerirla con un raggio annientante. Nei suoi occhi non c’era però rabbia; sembrava che fosse curioso di vedere se lei avrebbe resistito ai suoi occhi.
Ma Unohanasan, serafica come sempre, lo guardo con curiosità. Poi gli parlò gentilmente.
-Tu pensi che il tuo disinteresse verso il mondo non sia un problema?
-No. Credo che sia un vantaggio.
-Non ha torto, non ha torto – disse Yumichika – per esempio, se il nostro amico Izuru avesse la stessa disposizione d’animo, probabilmente non si tormenterebbe a tal punto.
Guardando l’espressione di terrore negli occhi di Kira Izuru quando sentì il proprio nome, Ichigo non poté fare a meno di pensare che Yumichika avesse ragione.
-Dunque che cosa ti ha portato qui, Schifferkun? Cos’è che ti tormenta in realtà?
Quello chiuse gli occhi, come se stesse cercando delle parole semplici per spiegarsi meglio davanti a una folla di ignoranti.
-Non avrebbe senso rispondere.
-Perché? – Ichigo non riuscì a non chiedere.
Schiffer Ulquiorra riaprì lentamente gli occhi, e li puntò su di lui.
Ichigo si sentì come se il mirino di un fucile si fosse spostato dritto sulla sua testa.
-Perché non esiste una risposta univoca.
-Che vuol dire? Nessuno di noi, credo, ha una risposta univoca. Le rotture di palle sono tante. Per tutti.
-Quali sono le tue, Kurosaki Ichigo?
Era la prima volta che Ulquiorra mostrava interesse per il dialogo con uno dei presenti. Ichigo ci mise un attimo a riprendersi dallo stupore.
-L’ho già detto prima, no? – con quel tipo non riusciva ad essere maleducato, nonostante tutto. A un altro avrebbe risposto a insulti. – C’è questa gente che mi infastidisce.
-Davvero?
-Beh, sì. Guarda Grimmjow: non ho fatto in tempo a mettere piede qui dentro, che già aveva voglia di pestarmi.
Yumichika ridacchiò. Grimmjow si unì a lui, con un ghigno divertito.
-Avevi appena detto che nessuno di noi ha una risposta univoca.
Ichigo a quelle parole tacque, la bocca semiaperta.
-Ti ha proprio fregato – gli sussurrò Rukia Kuchiki.
-Tu non devi essere un idiota, eh? – disse Ichigo ad Ulquiorra.
Quello alzò le spalle, e la discussione finì lì. Quel tizio aveva meno voglia di esporsi di quanta ne avesse lui, e, in fondo, rispettava la sua decisione.
Forse era questo, che lui stava cercando di fargli capire: se Ichigo non voleva parlare, bene, ma che non costringesse gli altri a farlo.
-Chiudiamo quindi questo cerchio – disse Unohanasan – con Grimmjowkun.
Lui tacque e la guardò di traverso.
-Cosa potrebbe aiutarti?
-Che chiudessimo tutti il becco e facessimo un dannato qualcosa.
-Non credi che parlarne possa aiutare?
-Parlare delle loro paranoie non mi aiuterà di sicuro a passare l’anno.
-Se il tuo solo problema è il desiderio di passare l’anno scolastico, credo che un buon programma di ripetizioni in un doposcuola faccia al caso tuo; sicuramente, come dici tu, questi incontri ti serviranno a ben poco.
-È quello che ho detto anch’io.
-E che cosa ti hanno risposto?
-Che ho bisogno di farmi controllare da qualcuno, perché ho dei disturbi o qualche cagata del genere.
-Tu che cosa ne pensi?
-Merda, ma in questo posto non si deve far altro che pensare, pensare, pensare in continuazione? Cosa ne penso di questo, cosa ne penso di quello. Se tutti questi qui facessero qualcosa di concreto, invece che continuare a parlare, avrebbero già risolto i casini delle loro vite.
-Se ho capito bene, Grimmjowkun, tu pensi che l’azione immediata sia la soluzione migliore.
-E brava, la penso proprio così. Perché stare a rimuginare?! Prendi e fai qualcosa per la tua vita; questo è tutto! E io non ho intenzione di stare qui a guardarmi l’ombelico piagnucolando con un gruppo di depressi.
-Eppure è quello che stai facendo – disse Yumichika.
Ikkaku, accanto a lui, stava ribollendo di rabbia. Le sue orecchie erano rosse come se le avesse tenute al sole per un’intera giornata in pieno agosto.
-Che stai farneticando?! – disse Grimmjow.
-Avresti potuto andartene in qualsiasi momento; perché sei qui? Se vuoi andartene, fa’ pure. Daresti un gran sollievo ai miei occhi, oltre che al resto dei presenti.
-Sta’ a sentire – sbottò Ikkaku – io sono un uomo d’azione. Chiaro?! Ma c’è una differenza tra essere un uomo d’azione ed essere un imbecille avventato. A meno che tu non sia il migliore, dietro alla vittoria avrai sempre bisogno di una strategia. E per avere una strategia dovrai pensare, non ci sono altri modi.
-Si dà il caso che senza farmi troppi piani nella testa io abbia sempre avuto la meglio su tutti quelli che mi si sono parati davanti.
-Perché non hai ancora trovato quello che ti fa abbassare la cresta. Se conoscessi mio padre, tu…
-E poi mi dici che non hai complessi di inferiorità – sospirò Yumichika – ma sentilo. “Guarda che ti mando mio papà che ti picchia!”, disse il pulcino* Ikkaku.
-Vuoi che ti ammazzi?! – strillò Ikkaku, facendo per afferrare il fratello, il quale schivò abilmente –Vieni qui, con quelle ciglia lunghe! Ti apro quella testa vuota che ti ritrovi e col tuo scalpo ci faccio lo straccio per pulire i cessi!
-Non dirlo nemmeno per scherzo! Con tutta la cura che ci dedico, come osi dire una cosa simile?!
-Ma voi due… - disse Ichigo, alzando un sopracciglio – Siete davvero fratelli…?
-Proprio così – Yumichika annuì, mentre parava i pugni di Ikkaku – e siamo anche figli della stessa madre.
-Uh? Che significa, ‘figli della stessa madre’? Mi sembra normale.
-Che cazzo dici? Non lo è affatto – disse Ikkaku – nostra sorella è figlia di un’altra donna.
-Avete una sorella? Sul serio?!
-Sì, ma Ikkaku non la sopporta. A dire la verità, anche a me verrebbe voglia di strozzarla, quando mi nasconde il mascara e me ne accorgo quando sto per uscire e ho fretta… o, peggio ancora, quando me lo ruba per usarlo! Se penso alle mie preziose cose in mano a quelle dita rapaci, mi viene voglia di tagliargliele e lasciarla con un moncherino di mano.
-Ecco, nostra sorella assomiglia a lei – Ikkaku fece un cenno col capo verso Rukia Kuchiki – si veste così.
-Che? Un’altra?! Ma cos’è, un virus?
-Io lo trovo uno stile molto bello – intervenne Nemu Kurostuchi. Tutti, basiti, tacquero per un istante. Lei arrossì. – Scusatemi, non volevo interrompervi.
-Ma figurati – disse Yumichika – se non ci fossimo io e mio fratello, e Ichigo, qui sarebbe un mortorio. Non vi si consuma mica la lingua, se parlate, lo sapete?
-Ehi, Ichigo, stasera andiamo a bere qualcosa assieme?
-Volentieri, se mio padre non rompe le palle per l’orario come al solito.
-Speiamo che la piattola non insista per venire con noi – Ikkaku guardò Yumichika, preoccupato – che scusa ci inventiamo con Yachiru?
-Possiamo dirle quello che vogliamo, lo sai, ma se vuole venire verrà comunque.
-Dobbiamo fare in modo che se la tenga appresso nostro padre…
-Perdonatemi se vi interrompo – Unohanasan sorrise – ma temo che stiamo allontanandoci dall’argomento principale. Spero che questo non vi offenda.
-Ah! Ci scusi, non ci avevo pensato.
-No, Unohanasan – Yumichika scosse la chioma – normalmente non mi farei problemi, ma con lei voglio essere educato.
-In ogni caso, credo che il primo incontro possa considerarsi concluso. Vi ringrazio di cuore per aver partecipato e spero di rivedervi tutti la settimana prossima.
Ichigo avrebbe voluto dire qualcosa come “grazie a lei, Unohanasan”, ma sarebbe stato l’unico idiota a parlare.
Poi, però Nemu Kurotsuchi si alzò e fece un inchino; Kira Izuru la imitò, e infine Ichigo decise che li avrebbe seguiti.
Contemporaneamente a lui, si alzò anche Rukia Kuchiki. Si scambiarono uno sguardo, stavolta non seccato, ma non si dissero nulla.
-Allora alla prossima, Unohanasan – disse Yumichika, facendo per alzarsi e andarsene.
-Un’ultima cosa – rispose la dottoressa – c’è qualcosa che vorrei che faceste, per la prossima settimana.
-Cioè? – chiese Ikkaku.
-Vorrei che per la prossima settimana pensaste a una possibile soluzione… per i problemi degli altri ragazzi. Se avete ascoltato attentamente come vi avevo chiesto, sicuramente sarete in grado di farvi un’idea.
-Cosa dovrei fare, io?! – disse Grimmjow, strabuzzando gli occhi.
-Pensare. Dannazione, sei un homo sapiens o no?! Sarai capace di mettere in moto il cervello, no? – disse Ikkaku.
-Non lo metto di certo in moto per le vostre inutili vite. Tenetevele finché potete e se proprio volete cambiarle pensateci da voi; io ci penso da solo alla mia, non vengo a domandare aiuto a voialtri.
-Ugualmente, io vorrei sentire qual è la tua opinione, Grimmjowkun – gli disse Unohanasan. – Per me è molto importante sapere cosa ne pensi. Se pensi che dovrebbero fare qualcosa per le loro vite, è pur sempre una risposta.
-Tsk – fece Grimmjow, e poi si alzò senza aggiungere altro.
-Arrivederci a tutti. Passate una buona settimana.
-La ringrazio, Unohanasan – Rukia Kuchiki s’inchinò di nuovo – spero che anche lei passerà dei giorni pieni di letizia.
-Ma che stai dicendo…? – le mormorò Ichigo, dandole una piccola spinta sulla schiena che la fece barcollare. Quella si voltò verso di lui con occhi di fuoco e iniziò a togliersi minacciosamente i guantini, quindi Ichigo alzò le mani in segno di resa.
-Arrivederci, Unohanasan. Grazie.
-A-arrivederci.
Nemu Kurotsuchi e Kira Izuru si allontanarono e infilarono la porta. Schiffer Ulquiorra le passò accanto e le rivolse un impercettibile cenno con la testa, al quale lei rispose con un sorriso e un inchino.
Ichigo la salutò formalmente e si incamminò assieme a Rukia Kuchiki, mentre Toshiro Hitsugaya borbottava un “arrivederci”.
Ichigo camminò lentamente, tenendo il passo con le gambette corte di Rukia Kuchiki, e aspettò che Grimmjow gli passasse accanto. Nell’istante in cui fu di fianco a lui, gli afferrò la spalla.
-Tu non sei un idiota, quindi perché insisti a comportarti come se lo fossi? – gli mormorò, continuando a camminare come nulla fosse.
-Hah; stesso si può dire di te, Kurosaki.
Incapace di rispondere, lasciò la sua spalla e si incamminò verso l’uscita, mentre Rukia Kuchiki accanto a lui si sistemava i capelli davanti a uno specchietto.
O almeno così sembrava agli astanti.
Rukia Kuchiki, grazie al suo specchietto a forma di cuore, non si era persa un singolo gesto della loro conversazione.



-Ehi, Ichigo! – Ikkaku si voltò verso di lui – Allora, stasera? Questa bevuta?
-Oh! Chiedo a mio padre. Se mi lasci il tuo numero di cellulare, ti faccio sapere appena arrivo a casa.
-D’accordo, adesso te lo scrivo. Ma non mandarmi sms o diavolerie simili, che non ci capisco un accidente di tutte queste stronzate.
-Ti telefono, allora.
-Seh, telefonami. Se quella mocciosa diabolica mi frega il telefono e ti risponde, ignorala, d’accordo? Se le dai confidenza è peggio.
-Tanto, anche se non gliela dai se la prende comunque – osservò Yumichika.
-È da un casino di tempo che non giochiamo a pachinko, no, Yumichika? Potremmo andare in una sala giochi. Senti, Ichigo, c’è qualcosa del genere, qui a Karakura?
-Ah, sì, ci andavo sempre con Tatsuki. Anche se lei mi batteva ogni volta.
-Tatsuki? E chi sarebbe? La tua ragazza?
-Ma che ti salta in mente?!– Ichigo rabbrividì – No, quella non potrebbe essere la ragazza di nessun uomo. È un’amica d’infanzia. Ma è tosta, per essere una ragazza; mi ha sempre battuto in qualsiasi attività da maschi, e ancora adesso è l’unica che ho paura a far arrabbiare.
-Sembra una tipa divertente – ghignò Ikkaku – perché non la porti?
-Potrebbe fare a botte con Ikkaku – disse Yumichika, deliziato – ma aspetta. Se è così tanto mascolina, devo dedurre che sia una brutta ragazza?
-Che ne so?! Non l’ho mai guardata in quel modo. Nessuno oserebbe mai guardarla in quel modo.
-Beh, lo saprai se è una bella ragazza o no; cosa sei, cieco?
-Ma che me ne frega, se è bella o no! Non è questo il punto di Tatsuki!
-Per caso è grassa…?
-Eh? D-direi di no.
-Ha un bel seno?
-MA CHE CAVOLO…
-E il viso? Che mi dici del viso?
-Insomma, guardala tu e poi giudica! Non ho nessuna voglia di pensare a Tatsuki in quella maniera. Se non ti piace, picchiala!
-Mi sembra un’ottima idea – Yumichika sorrise – potrebbe diventare la mia migliore amica.
-E picchiarla ti sembra un modo per fare amicizia…?!
-Beh, perché no? – disse Ikkaku – Una buona scazzottata è sempre un ottimo principio, per un’amicizia.
Ichigo pensò a Chado. In effetti, loro due non si erano presi a pugni tra loro, ma poteva anche darsi che quei due avessero ragione.
-Allora vi chiamo, ok? Ma se non posso, non prendetevela. Mio padre è rigido, per quanto riguarda certe cose.
-Non preoccuparti. Nemmeno io oserei mai far incazzare mio padre. Allora a dopo.
-A dopo!
I due fratelli si allontanarono salutandolo con la mano.
Ichigo rimase ad osservarli; scosse la testa.
-Che tipi – mormorò tra sé e sé.
-Lo penso anch’io.
-AGH! – Ichigo si accorse che Rukia Kuchiki era rimasta lì di fianco a lui – Ma sei sempre stata qui?!
-Certo che sono stata qui, dove pensavi che me ne fossi andata? Non vado mica via senza salutare, come i trogloditi della tua risma.
-Ma che vuoi?! Puoi anche andar via senza salutarmi, sai che me ne importa.
-A casa mia sono stata cresciuta nel rispetto della formalità e dell’educazione. Per cui, anche se non mi va per niente, saluto anche i trogloditi come te.
-E com’è che non hai salutato Ikkaku e Yumichika…?
-C’è un limite anche alla mia cortesia. Nella mia famiglia, i teppisti non vengono nemmeno considerati.
-Cos’è, pensate che a loro freghi qualcosa, se voi non li considerate?
-No. A nessuno importa come loro la pensino. Comunque, quei due non sembrano cattive persone.
-No, nemmeno a me.
Rimasero un momento in silenzio a fissare i fratelli che si allontanavano; continuarono a guardare davanti a loro, uno di fianco all’altra, anche quando ebbero svoltato l’angolo.
Poi Ichigo d’improvviso si ridestò.
-Ehi, ma il sole sta tramontando.
-È ancora maggio, e sono le sei di sera – rispose Rukia Kuchiki, a bassa voce, come se si fosse incantata a fissare quel tramonto.
-Dovresti andare a casa prima che faccia buio.
-Cos’è, sei preoccupato per me?
Lei si girò e fece un ghigno. Ichigo fece una smorfia, incrociò le braccia e si voltò da un’altra parte.
-Figurati cosa m’interessa di te. Però, le strade non sono sicure per una ragazza da sola. Rischi di trovare un malintenzionato che…
-Ah, sono venuti a prendermi! Ora devo proprio andarmene. Arrivederci, Kurosakikun.
Ichigo la guardò, attonito, mentre correva verso una limousine nera lunga più di una decina di metri. Lei gli fece un cenno con la mano mentre qualcuno le apriva la portiera; poi sparì dietro i vetri oscurati.
-Che cosa tamarra – si disse Ichigo tra sé e sé, disgustato.
Però, adesso che doveva farsi venti minuti a piedi ed era stanco per la lunga giornata, pensò che una limousine tamarra come quella sarebbe andata benissimo anche a lui.







*Mi sembra di aver capito che i pulcini, negli asili giapponesi, siano i ‘piccoli’ XD.

(Nda: ok; e con questa è finito il primo incontro. D’ora in poi, la struttura dei capitoli cambierà; non ci saranno più solo dialoghi, ma vedrete qualcosa di nuovo. Comunque non voglio anticiparvi nulla.
Per Kenpachi metallaro biker e Yachiru lolita: anche qui, mi rifaccio alla sigla di The Sealed Sword Frenzy; guardatela per farvi un’idea XD. Del resto, non ho dubbi che Kenpachi sarebbe un tipo del genere.
Rispondo un po’ ai vostri commenti <3:
@ Fla: per gli altri personaggi sai già come stanno le cose XD non costringermi a parlare!
@Sarunia: wow, addirittura *_* iscriviti presto che ti diamo il benvenuto. Grazie mille dei complimenti ^^!
@Garconne: ehm, no, non voglio spoilerare XD forse sì, forse no. Metterò la maggior parte dei personaggi, ma non tutti… questo è tutto ciò che posso dire XD
@Exodus: me l’hai anche segnalata per le scelte ;_; non ho parole, grazie! Comunque mi fa piacere leggere che sono riuscita a rendere quel senso “da manga”, è proprio quello che mi ripropongo. Non so quanto potrà durare date le tematiche, ma ci si prova.
Hai anche colto in pieno la difficoltà di diversificare i tre teppisti (e pensa se ci fosse Renji XD!).
Di Nemu non dirò nulla :X bocca cucita fino a quando non sarà sotto i riflettori.
Mi dispiace molto per Yumichika, non sei il primo a farmelo notare; ho anche riletto l’intero manga per studiarmelo, ma evidentemente non è nelle mie corde ç_ç’’ però sto cercando di sistemarlo, spero sia venuto bene!
Per la questione di Ulquiorra, in realtà non volevo enfatizzare nulla né creare suspence ç_ç’ è solo che gli occhi di Ulquiorra mi danno quest’impressione. Starò più attenta.
Grazie in ogni caso dei complimenti e di seguirmi!
@Xazy: uh, grazie *_* è molto difficile stare dietro a questi pazzoidi in un’AU, mi fa piacere sapere che è venuta fuori decente. Thanks!
@Lou: ho visto che mi hai segnalato, e ti ringrazio tantissimo! Però non dirò niente sui personaggi che appariranno o no XD tanto lo scoprirete tra non molto.
Ad ogni modo, per ora la caratterizzazione dei personaggi è a un livello abbastanza superficiale, così come la storia :D c’è ancora molto che devo raccontarvi.
Eccoti comunque accontentata col capitolo :D son stata veloce eh XD?

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Capitolo 5
*** 4. Family Portrait ***


Yumichika camminava in silenzio fianco a fianco con suo fratello. Fischiettava un motivetto, la canzoncina di un’idol della quale non ricordava nemmeno il nome. Ikkaku ogni tanto dava un calcio a qualche sassolino, masticando una gomma e facendo scoppiare rumorosamente la bolla.
Gli passò di fianco un tizio. Era alto, snello, la pelle chiara e lunghi capelli neri. Negli occhi gli brillavano diamanti; duri e inattaccabili, ma affascinanti come solo i diamanti possono essere.
Yumichika lo fissò, e incontrò il suo sguardo. Fu questione di un attimo, e poi il tizio tornò a guardare davanti a sé, con un’alterigia degna di un re.
-Semplicemente adoro l’uomo in completo – mormorò tra sé e sé.
-Uh? –Ikkaku si voltò verso di lui – Che hai detto?
-Oh, no, nulla. Ti ricordi quel film occidentale, con Nicole Kidman? Diamonds are a girl’s best friends – canticchiò.
-Ti sembra che io possa guardare roba del genere, demente?
-Solo un grezzo come te può non apprezzare Moulin Rouge.
-Ma davvero? Perché non lo dici a nostro padre, mister maglioncini lilla?
-Piantala.
-Piantala, eh? Però ti faccio comodo quando ti copro le spalle per andare a vedere il concerto di Madonna.
-Io fossi in te non cercherei di farmi innervosire, sai?
-Altrimenti? Mi trafiggi con la spazzolina del mascara?
-Sai benissimo che potrei farti del male anche con quella,
-Urgh. Sta’ zitto, o mi tocca prenderti a pugni qui in mezzo alla strada.
-Piuttosto, sfoghiamoci stasera con quei tizi dell’altra volta alla sala giochi. Potrei sempre scaricarmi su di loro per essermi perso l’ultima data di Anna Tsuchiya…
-Senti, se vuoi menarli in nome del Dio dei Gay, fa’ pure, ma per favore tieniti per te delle motivazioni del genere, ok?
-Sei proprio un bastardo, Ikkaku.
-Oooh, cazzo! È così che dovresti rispondere a nostro padre, se la cosa non gli va giù. Se con me puoi farlo, perché non con lui?
-Lo sai benissimo perché, fratello; non farmelo ripetere ogni volta.



-Heeyy! Pelatino e Ciglione! Dov’eravate stati?!
Un turbine di pizzi bianchi e neri si scaraventò su di loro; Ikkaku finì a terra mentre Yumichika, che era riuscito a schivarla, si riassettò i vestiti con sussiego.
-Vuoi piantarla di chiamarmi a questo modo?! Dico io, non puoi salutare come una persona normale?!
-Ehi, tu, idiota. Tratta con rispetto tua sorella minore – tuonò una voce.
Davanti a loro si stagliò il capofamiglia in tutta la sua imponente statura.
Capelli ingellati, il chiodo con le borchie, la cintura con la cartucciera e un paio di solidi anfibi con la punta in acciaio.
Kenpachi Zaraki si appese una catena al fianco, guardando i nuovi arrivati con aria seccata.
-Perché diamine dovete sempre fare tutto ‘sto casino?
-Ma è stata la mocciosa!
-Ah sì? Beh, allora tu non fare ancora più casino. Ho appena finito di lavorare, e sono dell’umore giusto per ammazzare qualcuno.
-Padre – intervenne Yumichika – stasera io e Ikkaku vorremmo uscire con un nostro amico. C’è bisogno di noi al lavoro?
-Nah – agitò una mano – andate dove vi pare, almeno non mi state in mezzo alle palle.
-Grazie, padre.
-Ehi – Ikkaku riuscì a levarsi Yachiru di dosso, anche se questa iniziò a mordicchiargli il braccio – tu, piccoletta. C’è qualcosa da mangiare?
-Eeeeh?! Mangiare? Ma io pensavo che voi avreste portato a casa qualcosa!
-Che?! Io…? Hai già dodici anni, sarebbe ora che iniziassi a imparare a cucinare come una brava donna giapponese, no?
-Ma io mi annoio a economia domestica! È assolutamente noioso! Preferisco giocare alla lotta con i maschi.
-Quanto siete fastidiosi. Perché non imparate a far qualcosa di utile, voi due? Siete più grandi di lei, almeno un riso in bianco dovreste essere capaci di farlo, no?
Ikkaku era arrabbiato, ma non fu in grado di rispondere. Yumichika sbuffò.
-Padre, fai sempre preferenze per Yachiru. Finiremo per pensare che vuoi più bene a lei che a noi.
-Certo che vuole più bene a me! – la ragazzina fece una linguaccia – Voi due siete stupidi e anche brutti!
-Che cosa… - Yumichika si portò una mano al petto, oltraggiato – Tu… cos’hai appena detto?!
-Volete starvene zitti un minuto…? Quanto siete rumorosi. Sbrigatevi a mangiare e poi trovatevi qualcosa da fare; io stasera vado alle corse.
-Oh, voglio venire anch’io, voglio venire anch’io! E voglio fare la camomilla*!
-Fa’ come ti pare. Se poi però ti raschi la faccia sull’asfalto non lamentarti con me, chiaro?
-No, papino! Io verrei con te dappertutto, tanto lo so che non lasceresti mai che mi faccia male.
-Non esserne troppo sicura, cretina.
I due si allontanarono, con Yachiru che saltellava per farsi prendere in groppa dal padre. Quello non ci fece caso e continuò a camminare, con quella sua andatura a gambe larghe da teppista navigato.
-Gne, gne, gne, papino gne gne – mormorò Yumichika, facendole il verso e accompagnandolo con qualche gestaccio. Ikkaku gli diede una botta sul braccio.
-Ne basta uno di moccioso, qua dentro. Piuttosto, tu che sei mezzo femmina, perché non impari a cucinare qualcosa? Tra un po’ ci tocca condire il riso con l’olio del motore.
-Se non la finisci con queste battute, te lo faccio bere sul serio. Senti, andiamo a un convenience store e compriamo qualcosa di già pronto, no?
-Che? Qua finisce che ci rimettiamo il fegato. Secondo me, quella mocciosa è cresciuta male perché ha sempre mangiato roba in scatola.
-Affari suoi, non sta a me far da mangiare per tutti. A noi uomini mica insegnano a cucinare, a lei invece sì.
-Ma tu mangeresti qualcosa che esce dalle mani di quella?
-Certo che no; ma almeno potrebbe provvedere per sé. E dire che sarebbe così carina, se solo non avesse quel caratteraccio. Sua madre dev’essere una donna bellissima.
-E chi l’ha mai vista? Però, se piaceva a nostro padre, probabilmente lo era.
-Ma se ha detto che non si ricorda nemmeno il suo nome.
-Tanto, non si ricorda il nome nemmeno della nostra, di madre.
-Secondo me le nostre madri dovevano essere quelle tipe, sai… quelle che trovi nelle feste dei motociclisti. Quelle tizie sempre mezze nude e ubriache che vanno con i biker.
-Non voglio saperne nulla. Non ho mai voluto saperlo e non m’interessa adesso.
-Volete sapere chi erano le nostre mamme?
Una vocina squillante irruppe nel soggiorno, accompagnata dal gran sorriso di Yachiru.
-TU! – strillò Ikkaku – Ti sembra il modo di saltare fuori all’improvviso?!
-Non sta bene origliare, lo sai, Yachiru? Se lo fai un’altra volta, ti decapito l’Orsoconiglio**.
-Però vuoi che ti dica chi sono le nostre mamme, vero?
-Non me ne frega un accidente, ho detto!
-Beh, a me invece interessa. Su, dicci quello che sai.
-Lo vuoi proprio sapere, Ciglione? Proprio, proprio, proprio sapere?
-Sì, voglio saperlo.
-Ma proprio tanto, ma tanto tantissimo?
-Oh, avanti. Dimmi che cosa vuoi in cambio.
-Mmmh! – fece un enorme sorriso – Allora vai fuori e comprami il sushi.
-E tu – disse Ikkaku – vendi l’identità di tua madre per un piatto di sushi?!
-E quindi? Di mamma non mi interessa niente, mentre adesso ho una fame da lupi e voglio assolutamente il sushi. Voglio il sushi, il sushii!
-No! Piantala di morsicarmi! Non sono da mangiare, mocciosa maledetta!
-Se Ciglione non mi porta il sushi, io ti mangio!
-Ho capito – sospirò Yumichika – non sai un accidente nemmeno tu; però hai fame, e sei disposta a bluffare perfino su tua madre pur di avere del cibo.
-Yumm! – fu la risposta, mentre sul braccio di Ikkaku iniziavano a comparire i solchi dei suoi canini.
-Yumichika, merda, comprale da mangiare!
-Come faccio? Avevo giusto i soldi per i gettoni, stasera…
-Prenditi i miei e va’ a prendere quel dannato sushi! AHIA! Io vi ammazzo tutti e due, deficienti…!
Yumichika si allontanò con un cenno di saluto e frugò nella tasca di Ikkaku, mentre Yachiru lo teneva immobilizzato con una presa di wrestling. Stavano per uscirgli gli occhi dalle orbite, nel vedere Yumichika scomparire dietro la porta con tutti i suoi risparmi della settimana, quando Yachiru improvvisamente lo mollò e sorrise.
-Però è vero che so qualcosa, Pallina da Pachinko – gli sorrise – se vuoi, te lo dico.
-Non mi estorcerai degli altri soldi, piccolo avvoltoio! Anche perché non ne ho più, hah! Come pensi di fare ora a fregarmi?
-Bah, te lo dicevo anche senza i soldi, tanto adesso Ciglione torna con la cena. Lo sai perché mi chiamo Yachiru?
-E come potrei saperlo? Mio padre mica si è consultato con noi, scema.
-Sceemaa? – Yachiru, indispettita, fece per tirargli i capelli; vedendo che non ce n’erano, scoppiò a ridere e dimenticò di essere stata insultata. – Uuh, pelatino, con te mi diverto così tanto!
-Che stavi dicendo…?
-Ah, sì, perché mi hanno dato questo nome. Una volta, papino me l’ha detto. Fammi pensare…? – Yachiru si portò un dito alla bocca e ci rifletté un attimo. Poi tornò a guardare Ikkaku. – Ci sono, ci sono, Pelatino! Ecco cos’ha detto. – Prese un bel respiro e poi parlò, imitando la voce bassa di suo padre. – “Yachiru… questo è il nome dell’unica persona al mondo alla quale vorrei somigliare.”
Ikkaku tacque, sopraffatto da quella rivelazione. Aprì la bocca e subito la richiuse. La riaprì, la richiuse. La riaprì; “tsk”, disse soltanto, e poi ci rinunciò.
-Ah ah ah! Beh, che c’è? Sei sorpreso? Eh? Io ho il nome della persona alla quale vorrebbe somigliare! È ovvio che vuole più bene a me che a voi!
-Sta’ zitta per un momento. – Ikkaku abbassò la voce. – Yachiru, è un nome da donna.
-Certo che sì, ti sembro un maschio?
-Mio padre vorrebbe somigliare…  a una donna.
-Già! Doveva ammirarla molto!
-E Yumichika… adesso si spiega tutto…! Ecco da chi ha preso, quel dannato! Oh, ma averlo scoperto prima!
-Che stai dicendo, Pelatino?!
-Corro subito a dirglielo! Stavolta la smetterà di farsi paranoie, sapendo questo su nostro padre! Mocciosa, per una volta ti sei resa utile.
-Ma…
-Offro io la cena anche domani!
Ikkaku si precipitò fuori dalla porta con entusiasmo, lasciando Yachiru seduta sul pavimento dell’entrata.
-E poi dicono che io non capisco mai niente – sospirò, preoccupata – stupido Pelatino… papino non vuole diventare una donna. Papino vuole soltanto…
Ma sospirò, perché non lo sapeva nemmeno lei. Ma sapeva che c’era qualcosa, e sapeva che avrebbe aiutato suo padre a cercarlo.


-Hai capito?! Nostro padre. Chi avrebbe mai detto che…
-Ma che stai dicendo? Non hai capito assolutamente niente.
-Ti dico di sì, invece, Yachiru mi ha detto…
-Non cercare espedienti assurdi per convincermi a parlargliene. Non lo farò mai.
-Daaah – Ikkaku alzò gli occhi al cielo, esasperato – dico, ma cosa pensi che potrebbe succedere? Non ti butterà di certo fuori di casa.
-No, ma di sicuro mi odierebbe. Ti ricordi quella volta che ho appeso i poster di Britney e Lady Gaga? Ho dovuto raccontargli che era perché rappresentavano il culmine delle mie fantasie erotiche.
Ikkaku scoppiò a ridere sgangheratamente; Yumichika gonfiò le guance, seccato, mentre suo fratello si asciugava le lacrime dagli occhi.
-Vorrei vedere te, se fossi costretto a nascondere qualcosa a tuo padre.
-Anche lui nasconde molte cose a noi, no? Non sarebbe giusto che se la prendesse, se tu per un po’ avessi avuto un segreto. Idiota? Ascoltami. In officina sei bravo quasi quanto me. Hai idea di quanto fatturato gli fai fare, a quell’uomo? E nessuno come te riesce a dribblare sulle ricevute fiscali coi clienti.
-Mi odia perché mi metto i guantini per non sporcarmi e ogni volta che mi arriva uno schizzo d’olio vado a cambiarmi il vestito.
-E io dico che non gliene frega niente, se tanto alla fine fai il tuo lavoro.
-Io invece dico che si vergogna con i clienti.
-Io, invece, dico che dovrebbe vergognarsi se tu fossi un incapace. Ma non lo sei.
-Questo lo dico anch’io – sospirò – il punto è che tra quello che dovrebbe fare e quello che in realtà farà, passa un orizzonte. Lasciamo le cose come sono, Ikkaku. È meglio così.
-Come ti pare. Se vuoi il mio silenzio, però, domani la cena la paghi tu.
-Che?! Sei veramente un bastardo!
-Bastardo, io?! Sei tu che sei un idiota.
Ikkaku prese la rincorsa e diede un calcio a un ciottolo, e poi continuò a correre e a calciarlo per tutto il tragitto fino a casa, lasciando Yumichika indietro a pensare alla sua situazione.
Poi vide che interrompeva il suo gioco per rispondere al telefono; dopo un paio di battute, si fermò ad aspettarlo.
-Ichigo dice che stasera può venire; ci aspetta alla sala giochi di Karakura. Ha detto che lì è pieno di gente a cui piace attaccare rissa, quindi di non farci caso se dovrà abbandonarci qualche minuto per liberarsi di quei tizi.
Ikkaku lo guardò.
Yumichika sorrise.
Ikkaku ghignò a sua volta.
-Se ci lascia indietro davanti a una rissa – sospirò Yumichika, lisciandosi i capelli – digli che non lo perdonerò mai.
-Sapevo che l’avresti detto – ghignò Ikkaku – e sta’ tranquillo: lo sa anche nostro padre.








*Perdonatemi, non so come si dica in giapponese e il mio amore per la coerenza non basta a mandarmi in cerca del corrispettivo XD. In pratica, una ragazza viene legata dietro la sella con una cintura, seduta al contrario, mentre la moto gareggia con un’altra impennata su una ruota.
** Una borsa: http://i13.photobucket.com/albums/a252/nemabelial666/Orsoconiglio.jpg



(Nda: wii, la famiglia Zaraki XD! Che dite, mi sono usciti bene XD? Io adoro Kenpachi e Yachiru, e spero davvero di averli resi il meglio possibile. Al prossimo capitolo leggeremo dell’uscita con Ichigo e Tsuki e poi approfondiremo ancora un po’ le vicende di questi due personaggi ^-^.
Mi raccomando, rassicuratemi oppure fatemi sapere le vostre osservazioni sulla caratterizzazione di questa allegra famigliola è_é ci tengo!
Nota: nello scorso capitolo ho fatto un errore, scrivendo ‘marzo’ anziché ‘maggio’. Ho corretto, quindi sappiate che nel momento in cui questa storia inizia siamo a metà maggio ^^ che è il momento in cui Ichigo e Rukia si incontrano.
Per rispondere ai vostri commenti:
@Xazy: mi sa che sia per la prossima seduta, sia per Rukia dovrai aspettare un po' XD in questo momento il focus è su di loro, ma tranquilli, avrete la vostra dose di Rukia e Ichiruki ;D abbiate pazienza. E' solo che in questa fic non saranno il punto focale, ma ci saranno.
@Sarunia: se ti piace l'idea della famigliola, ecco a te serviti XD! Spero davvero che tu abbia apprezzato. Grazie della recensione e buona estate anche a te!
@MayCry: grazieee ^-^! Dunque, per la questione dei suffissi, in realtà a quanto so "kun" è sì maschile, ma viene usato anche con ragazze quando con esse non si ha confidenza. E "chan" è sì femminile, ma appunto *molto* femminile, e parecchio confidenziale, dunque non lo vedevo il caso questo in cui una professionista adulta si rivolge a Rukia con "Rukiachan ^o^" (la faccina è come se ci fosse XD). Ho chiesto a una laureanda in giapponese (grazie Elenaaa ;3;) e mi ha più o meno confermato questa versione, anche se mi ha detto che Kuchikikun sarebbe più corretto. Ormai però è tardi per rimediare ;_; chiedo scusa alla lingua giapponese *si autobacchetta le mani* Grazie comunque per aver precisato :)!
Alla prossima!)

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Capitolo 6
*** 5. Boom ***


-Yo, Ichigo! Siamo qui!
Yumichika si sporse da dietro il fratello per guardare la ragazza accanto a Ichigo.
Ne fu stupito: era senz’ombra di dubbio una bella ragazza. Bel fisico, proporzionato nelle forme e ben tornito, un seno impeccabile e un viso piuttosto carino.
Peccato per quell’espressione di sfida, pensò Yumichika assottigliando gli occhi e grattandosi il mento.
Fu bruscamente portato alla realtà da una voce femminile.
-Ehi, tu, posso sapere cosa stai fissando?
-Mmh…?
Guardò la ragazza di fianco a Ichigo: era stata lei a parlare. Lo guardava come se avesse voluto incenerirlo.
-Piantala di squadrarmi da capo a piedi, chiaro?
-Tatsuski Arisawa – sospirò Ichigo, sopracciglia aggrottate, indicandola col pollice – compagna di classe e amica d’infanzia.
-Ehi, lo dici come se per te fosse un fastidio.
-Sei proprio bella, lo sai, Tatsukichan?
-CHE…? Ma come ti permetti?! Vuoi che ti stenda a terra?
-Idiota, lei non sa – disse Ikkaku – scusati immediatamente.
-Scusarmi? Non ci penso nemmeno. Non capisco perché qui in Giappone un complimento sia considerato alla stregua di una molestia sessuale. Per noi amanti del bello, questo…
-Sei sicuro che questo qui sia a posto? – sentì Tatsuki Arisawa mormorare all’orecchio di Ichigo.
-In realtà non ne sono poi così sicuro. Beh, comunque, questo è Ikkaku, mentre lui è Yumichika.
-Ah-ha. Piacere di conoscervi.
Ikkaku fece un cenno con la testa e Yumichika sfoderò il più enigmatico dei sorrisi.
-Ichigo mi ha detto che non sei male a combattere, eh? – disse Ikkaku a Tatsuki.
-Ichigo ti ha detto bene. Non ha mai vinto una sola volta contro di me, finché non è arrivato alle medie.
-La pianti di raccontare sempre la stessa storia…?!
-Cos’è, ti brucia? – sogghignò Tatsuki – Comunque, che cos’avete intenzione di fare?
-Pensavamo di andare alla sala giochi – disse Ikkaku – anche se, forse, una ragazza… non è che non è il posto adatto?
-Ikkaku, non dire mai una cosa simile di fronte a Tatsuki. Consiglio da amico.
-Che cosa hai appena detto…? – gli occhi di Tatsuki fiammeggiarono – Solo perché sono una ragazza, io dovrei… bene. L’hai voluto tu. Sfidami a Street Fighter, se ne hai il fegato.
-Io, il figlio di Kenpachi Zaraki, non avrei il fegato?! L’hai voluto. Avanti, entriamo e fatti sotto. Sappi che non ci andrò piano solo perché sei una donna.
-È proprio quello che voglio! Andiamo!
I due si incamminarono pestando i piedi e accelerarono il passo. Ichigo rimase indietro con Yumichika, a fissarli con gli occhi sbarrati.
-Beh, sembra che vadano d’accordo – commentò, grattandosi la testa.
-Oh, ci puoi scommettere. A Ikkaku è sicuramente simpatica. Perché non usciamo più spesso insieme? Oppure potreste venire a trovarci in officina.
-Ah, avete un’officina?
-Già; è di proprietà di nostro padre, e noi diamo una mano in cambio di un po’ di soldi. Dato che siamo senza madre, dobbiamo arrangiarci in qualche modo, visto che siamo quattro bocche da sfamare. E poi io ho bisogno di soldi per i vestiti, quindi…
-Ah… c-certo, capisco. Ehm… e quindi avete un’officina. Beh, è una cosa utile; se ci si guasta la macchina, la porteremo da voi. In cambio, se qualcuno di voi si ammala, potete venire alla clinica di mio padre.
-Mah, a casa nostra per la verità godiamo tutti di una salute di ferro. Poi, mio padre sarebbe capace di ucciderci, se ci lamentassimo per un po’ di febbre o di mal di pancia.
-Dev’essere un bel tipo, vostro padre.
-Lo è. È il nostro idolo, mio e di Ikkaku. E nostra sorella, beh, per lei esiste solo lui. Eppure non è di certo una persona amabile.
-Ah, no? E perché allora gli siete così affezionati…?
-Me lo chiedo sempre. A volte preferirei non dipendere così tanto dalla sua considerazione, eppure… non so come spiegarmi, ma non riesco a farne a meno. Anche se non fosse mio padre, credo che proverei per lui lo stesso tipo di adorazione.
-Ah – buttò lì Ichigo, pensando al suo, di padre. Il padre che sollevava le gonne alle bambine e lo accoglieva in casa con un calcio. Disgustato, tornò alla conversazione. – Sarebbe figo conoscere un padre così. Un giorno vengo a trovarvi di sicuro, magari col mio amico Chado.
-Chado? Chi sarebbe?
-Credo sia il mio miglior amico. Sì, è proprio così. È un tipo che stimo molto, e di cui mi posso fidare.
-Mmh. È bello?
-Stammi a sentire – sbottò Ichigo – passi chiedermi di Tatsuki, ma non domandarmi mai più se Chado sia bello. – Si diede uno scossone per scacciare i brividi. – Quando lo vedrai, capirai cosa intendo. Chissà, magari lo troviamo in giro…
Ikkaku e Tatsuki erano già entrati nella sala giochi ed entrambi avevano le tasche dei pantaloni rigonfie di gettoni. Entrambi, le mani fisse sui comandi, fissavano lo schermo con aria battagliera, sbuffando dalle narici.
-Ma guarda, mio fratello si sta divertendo. Ichigo, che ne diresti se andassimo a farci le foto nel print club*?
-Cheee?! Ma è roba da donne! Poi, lo facevano almeno dieci anni fa!
-Io adoro fotografarmi da tutte le angolazioni, per vedere da quale lato sono più bello.
-Beh, io non ci penso nemmeno! Se vuoi ci sfidiamo a Soul Edge e questa è la mia ultima offerta.
-Non ti piace Dance Dance Revolution?
-Ma sei fuori?! Non farò mai una cosa tanto ridicola!
-Uff; avrei dovuto portarmi Yachiru. Con lei faccio sempre questo tipo di cose.
-Ma che razza di famiglia siete…?!
-Ma guarda qua chi c’è – disse una voce familiare, abbastanza ad alta voce perché tutta la sala giochi si voltasse.
Tra questi, anche Ichigo e Yumichika, che rimasero sorpresi nel constatare l’identità del proprietario della voce: che ci faceva Grimmjow Jaggerjack a Karakura a quell’ora di sera?
Tutta la sala taceva, in ossequioso silenzio. Questo faceva pensare che Grimmjow fosse un tipo parecchio conosciuto.
Solo due voci continuarono ad alzarsi come se niente fosse, dal lato dei giochi di picchiaduro.
-Credi forse che ti lascerò vincere così facilmente?! Non hai ancora visto le mie vere capacità!
-Ah sìì? Faresti meglio a mostrarmele in fretta, io mi sto annoiando; sei quasi più scarso di Ichigo, lo sai?
-Questi due cretini – mormorò Ichigo. Poi tornò a guardare Grimmjow. – Beh, e tu che ci fai qui?
-Che ci faccio qui? Beh, quello che stai facendo tu, no? Che cosa stai facendo qui, Ichigo Kurosaki?
-Mah, mi faccio un giro con Ikkaku e Yumichika, e con la mia amica Tatsuki.
-Chiaro. Anch’io sono qui con degli amici – indicò dei tizi dietro di lui – non ti spiace se ci fermiamo qui, no?
-Perché dovrebbe dispiacermi? Fai quel che ti pare. Non è mica mia, la sala giochi.
-Ben detto. Allora, Ichigo Kurosaki, ti presento i miei amici: Di Roy, Shawlong, Edrad, Yylfordt e Nakeem.
Ichigo spalancò gli occhi e li passò in rassegna con lo sguardo.
-Cos’è; ti fanno paura, Kurosaki Ichigo?
-N- no, è che… - sollevò un sopracciglio, basito – avete tutti dei nomi assurdi.
-Dì un po’, ma tu ti sei visto, con quei capelli? – disse un biondino – E vieni da noi a parlare di ‘assurdo’?
-Beh, se vogliamo parlare di capelli, dovresti guardare il vostro capo! Possibile che lui abbia i capelli azzurri e nessuno gli dica mai niente…?!
-Questo dovrebbe farti capire – lo apostrofò Grimmjow Jaggerjack, avvicinandosi a lui con le mani in tasca – che io sono un uomo temuto. E rispettato. E quando ti temono o ti rispettano, i tuoi capelli azzurri non vogliono dire assolutamente niente.
-C’è perfino gente che per copiarlo si è tinto i capelli di azzurro – disse il biondino.
-Che terribile cattivo gusto – disse Yumichika, chiudendo gli occhi come per allontanare da sé tutta quell’ineleganza.
-Non esiste! Non puoi star vincendo! È impossibile…!
-E invece sì, uomo! Assapora la sconfitta attimo per attimo!
-Aaahh, no, cazzo! Eppure sto dando il massimo!
-Evidentemente non basta, contro di me!
Ichigo si voltò verso i due, che erano ancora immersi nella loro partita di Street Fighter. Scosse la testa.
-E dovresti vedere lui e Yachiru a casa – sospirò Yumichika.
-Lo posso immaginare. Vabé; allora, questa sfida a Soul Edge?
-Mmh, ok. Io prendo Sophitia, non osare sceglierla per te.
-Ehi, Kurosaki – lo chiamò Grimmjow – perché, invece che combattere su uno schermo, non vieni fuori a misurarti con me?
-Che…? E perché dovrei?
-È ovvio, no? – Grimmjow assottigliò gli occhi – Per vedere chi di noi due è il più forte.
-Ah – Ichigo scosse la testa – ma questo non avrebbe senso.
-Perché diavolo non avrebbe senso?
- È ovvio, no? – assottigliò gli occhi – Perché non c’è dubbio sul fatto che il più forte sono io.
Grimmjow scoppiò a ridere di gusto. Non sembrava affatto piccato; anzi, sembrava entusiasta.
-Allora dimostramelo, no? – ghignò nella sua direzione – Fammi vedere di cosa sei capace, Ichigo Kurosaki.
-Lascia stare – Ichigo alzò una mano – non ho motivo di fare a botte con te.
-Un motivo…? Vorresti dirmi che hai bisogno di un motivo per combattere…?
-Chiaro! Non ho ragione di prendere a pugni un tale, se quel tale non mi ha provocato.
-Cazzate! Se non amassi visceralmente combattere, Ichigo Kurosaki… non combatteresti nemmeno se provocato! Non hai bisogno di cercare scuse per il sano istinto di prendere a pugni qualcuno.
-Pensala come ti pare. Io gioco a Soul Blade con Yumichika.
-Ah, è così…? – Grimmjow si puntò le mani sui fianchi. – Ehi, Di Roy. Shawlong.
-Subito.
-Sissignore.
Sissignore?, pensò Ichigo, stralunato. Cos’erano, i suoi servi?
Ma non fece in tempo a fare le sue riflessioni, che un biondino e un tizio con la treccia nera si pararono davanti a loro.
-Vogliamo giocare a Soul Blade – sogghignò il biondino.
-Con tutti i giochi che ci sono… proprio a questo…?!
-Proprio così. Vogliamo giocare a Soul Blade, e vogliamo giocarci adesso.
Ichigo strinse i pugni e cercò di contenere la rabbia.
-D’accordo – disse tra i denti – giocate. Io e Yumichika ci troviamo un altro gioco. Ehi, ti va bene Tekken? Anche se non ti va bene, vedi di fartelo andare bene lo stesso.
-Che scortesia. Sei proprio un grezzo a volte, Ichigo.
-Piantala e vieni con me!
Si diresse verso la consolle di Tekken, ma aveva un brutto presentimento.
E ne aveva ben donde: davanti al videogioco sostavano un tizio grasso e un armadio coi baffi, con un’espressione tutt’altro che conciliante.
-Fatemi indovinare. Voi volete giocare a Tekken; qui e adesso, non è così?
-Perspicace – commentò un altro tizio che era rimasto vicino a Grimmjow.
In quel momento, Tatsuki e Ikkaku tornarono dalla loro partita, sgranchendosi rumorosamente le dita e il collo.
-Bella partita – le stava dicendo lui – Ichigo aveva ragione su di te.
-Ammetto che anche tu non te la cavi male.
In quel momento Ikkaku si accorse dell’assoluto silenzio che regnava nel posto, e, subito dopo, di Ichigo e Yumichika che fronteggiavano quei due tizi enormi.
-Beh? Si può sapere che state combinando, voi due?
-Se non fossi stato tanto occupato a strillare con Tatsuki, adesso lo sapresti!
-Fratello, con quella tua mania di scaldarti subito, ti perdi sempre il meglio.
-Tsk. Vorrà dire che recupererò al più presto. Quindi? Che vogliono questi?
-Questi, non lo so – disse Ichigo – ma lui – indicò Grimmjow – ha voglia di fare a botte.
-Ottimo – si rallegrò Ikkaku – dov’è il problema? Ehi, Grimmjow, andiamo fuori. Se poi vinci tu, ti offro il saké al locale qua di fianco.
-Non mi interessi tu, e neanche quell’altro. A me interessa Ichigo Kurosaki.
-Se lo dici così, sembri quasi ambiguo, sai? – osservò Yumichika, controllandosi le pellicine delle unghie. Grimmjow lo ignorò.
-Qual è il problema? Mi sembra che tu non ti sia mai tirato indietro quand’era ora di fare a botte. O la tua fama è solo frutto di pettegolezzi mal riportati?
-Non me ne è mai fregato granché di quello che dice la gente, per cui non so che cosa ti abbiano detto di preciso. Cioè, piuttosto, perché ti sto così tanto sull’anima?
-Perché tu sei considerato al mio livello. E quando ti avrò fatto assaggiare l’asfalto, a quel punto io sarò considerato il più forte.
-E quando avrai ottenuto questo, che farai?
Grimmjow tacque per un attimo. Poi rispose con decisione.
-Ovvio, no? Quando avrò ottenuto questo, cercherò uno ancora più forte da sconfiggere.
Ichigo alzò un sopracciglio, e incrociò le braccia.
-A me una cosa del genere sembra stressante – gli disse.
-A me, invece, sembra sensato – intervenne Ikkaku – quantomeno, credo che a mio padre sembrerebbe sensato. Ad ogni modo, hai ragione tu: perché non divertirsi a prendersi a pugni, senza inutili scuse?
-Ti ho detto che tu non mi interessi. Veditela con uno di loro, se proprio hai voglia di sfogarti.
-D’accordo – alzò le spalle – ma bada che se li faccio fuori tutti, poi vengo da te a chiedere il conto.
-Intanto pensa ad uscire da qui tutto intero, e poi se ne riparlerà. Edrad, pensaci tu a questo. Non ho nessuna voglia di sentirlo blaterare.
-Nessuno mi fa compagnia? – Yumichika sorrise – Vi assicuro che non ve ne farò pentire – lanciò un occhiolino, davanti al quale tutti inorridirono.
Tutti tranne uno.
-Eccomi qua, tutto tuo – disse un tale con dei lunghi capelli biondi; si avvicinò a Yumichika e lo prese a braccetto – troviamoci un luogo appartato, che ne dici?
-Uh, sono così felice!
Tatsuki, nel frattempo, assisteva alla scena con orrore.
-Eurgh – biascicò – Ichigo, si può sapere dove accidenti li hai raccolti?!
-Eh?! Ehm, beh, direi… in officina! Sì. In officina. E tu non ridere, Grimmjow!
-Ma siete scemi, voi due…?! Baah; comunque. Io che dovrei fare, qui?
-Ma che ne so, ti pare il momento?! Vai a giocare a catcha, o…
-Deficiente. Con questi qui, intendevo.
-Prenditene uno e dammi una mano!
-Mmmh, ok. Vedo che ce ne sono tre. Avanti, voi tre; venite fuori con me.
-Sei pazza? – sogghignò il biondino – Ti ridurremmo in pezzi.
-Cos’è che faresti, tu? – gli rivolse la sua celebre occhiata di fuoco – Chiudi quel dannato becco e seguimi fuori come ti ho detto.
Il tizio coi baffi scoppiò a ridere.
-Ottimo spirito! Divertente, ragazzina. Se vuoi, ti accompagno al catcha di Rilakkuma.
Si avvicinò a lei e la sospinse non troppo delicatamente verso la macchinetta. Tatsuki non disse una parola finché non vi furono di fianco. Poi posò entrambe le mani su di essa.
-Vedi di imparare una cosa, sulla sottoscritta… - mormorò, scura in volto – A ME RILAKKUMA FA SCHIFO, CHIARO?!
Subito dopo, caricò una spinta tale che la macchinetta intera si rovesciò di lato sul gigante baffuto, con tanta forza che questi vi si trovò schiacciato sotto.
-Hello Kitty, Rilakkuma, Cinnamonroll… accompagno Orihime a prendere questa roba perché è mia amica, d’accordo?! Ma NON OSARE MAI PIU’ portarmi davanti a una di queste schifezze!
Detto ciò, montò sulla macchinetta, pestò per bene i piedi incurante delle urla di agonia che provenivano da sotto, e poi proseguì il suo cammino verso gli altri due, fulminando con gli occhi chiunque incrociasse il suo sguardo.
-Il prossimo! Avanti! Anche tutti e due assieme, non ho tempo da perdere!
-Tatsuki, lo sai che dovrai ripagare la macchinetta, vero…?
-Come, prego? – ringhiò – Non dirlo nemmeno per scherzo! E poi tu, con quella testa blu. Spero che i tuoi siano ricchi, perché non garantisco per questo locale.
-Ehi, Ichigo Kurosaki. Prendi esempio dalla tua amica. Mi sembra che abbia decisamente più palle di te.
-Che? È ovvio che ho più palle di Ichigo! Nemmeno da mettere in discussione. E poi, voi due; fatevi sotto, vi ho detto! Sappiate che non vi perdonerò per aver compromesso la mia serata in sala giochi.
-Io lo sapevo che dovevo comprarmi la Playstation e starmene a casa – borbottò Ichigo – come volete. Avanti, Grimmjow. Usciamo; non voglio saperne niente, se Tatsuki distrugge la sala giochi.
-Ora sì che mi piaci, Kurosaki Ichigo.
-E chi se ne frega se ti piaccio…?
Uscirono dal locale, mentre il gestore, terrorizzato al punto di non riuscire a chiamare la polizia, li seguiva con lo sguardo.
-Ehi, non preoccuparti – gli disse Ichigo – noi finiamo qui fuori. Quanto a Tatsuki, al massimo distruggerà un paio di macchinette, ma sempre meglio che farsi distruggere l’intero locale, no?
Quello non riuscì a rispondere; Ichigo sospirò, alzò le spalle e uscì.
Fuori, Ikkaku stava parando i pugni quel tale Edrad; Yumichika, invece, schivava il biondo con agilità. Ichigo notò che trovava anche il tempo di controllarsi i capelli sullo specchietto.
-Insomma, ti decidi a contrattaccare?! – gli disse il suo avversario – Che razza di modo di combattere sarebbe, il tuo?
-Vedi, è che mi dispiace prendere a pugni un viso così bello – sospirò Yumichika – preferirei lasciarti sfinire a furia di cercare di colpirmi, capisci.
-Che stai dicendo?! Pensi che non sia in grado di colpirti?!
-Ah-ha – prese tra due dita un ciuffo e lo controllò accuratamente – non lo penso, lo affermo. Mmh, come sempre, niente doppie punte. A proposito, hai dei capelli stupendi, potresti dirmi qual è il tuo balsamo?
-Tanto non farai mai in tempo a comprarlo – disse l’altro, che prese la rincorsa e si gettò verso di lui col pugno carico. Yumichika sollevò lo sguardo dallo specchietto e non si mosse di un millimetro. – Te lo faccio a pezzi, quell’affare, e poi vedremo se non farai sul serio!
Yumichika non mosse un ciglio e lasciò che l’altro colpisse lo specchietto.
Ma, quando il tizio l’ebbe colpito, ritirò la mano con un grido di dolore; era interamente segnata da un taglio profondo e stava iniziando a grondare sangue.
-Si può sapere che significa questo?! – urlò, stringendosi la mano ferita con l’altra.
-Significa semplicemente che sei un perdente. Non lo prevedevi? Questo non è uno specchietto. O meglio, lo è, ma pensavi davvero che questo fosse del vetro? – Sorrise amabilmente; estrasse il dischetto da dentro la plastica e lo mostrò all’avversario. – Questa è una lama. Non faccio che lucidarla, di modo che sia sempre perfettamente tagliente… e, naturalmente, che mi rifletta perfettamente. Una bellezza come me lo merita, non credi?
-Maledetto – mormorò l’altro – sei subdolo come mio fratello.
-Ma davvero? Allora presentamelo, potremmo andare d’accordo. – Yumichika mosse impercettibilmente la mano; un secondo dopo, il suo avversario aveva un taglio sul petto. – Ops. Mi sa che non te ne sei nemmeno reso conto, mh?
-AAH!
Il dischetto tornò in mano a Yumichika, che lo rigirò per osservare la lucentezza della lama.
-Eh, già. Un oggetto così bello non poteva che essere mio. – Poi alzò lo sguardo verso il suo nemico. – Beh? Vuoi che continuiamo? Hai voglia di farti fare a fettine con stile?
-Fatti sotto da uomo! Vieni qui e colpiscimi!
-Ma dai. Avevo capito che non eri molto intelligente, ma addirittura così stupido…
Yumichika si avvicinò, camminando tranquillamente; l’altro, che si stava scaldando, iniziò a corrergli incontro.
Prima che riuscisse a colpirlo, Yumichika fece uno scatto e lo colpì allo stomaco con la mano tesa; quello tossì e si ripiegò su se stesso, mentre Yumichika lo gettava faccia a terra con un calcio e ne afferrava i polsi, torcendoglieli dietro la schiena. Li torse finché non sentì dei rumori di rottura che somigliavano molto a delle ossa spezzate. Fatto questo, con un altro calcio lo rimise a pancia in su.
-Devi essere proprio un idiota senza stile, per chiedermi di fare una roba del genere – disse con una smorfia, mentre gli apriva la camicia e gli scopriva il petto – se già è un’arma pericolosa in un combattimento a distanza, cosa credi che potrei farti, una volta che mi sei vicino? Potrei maciullarti il viso al punto che nemmeno tua madre ti riconoscerebbe, ma capirai anche tu che sarebbe un’azione del tutto priva di classe. – Tirò fuori dalla tasca un qualcosa che, nella sua mano, sembrava il manico di un coltellino. Il biondo lanciò un urlo di paura. – Sshh, accidenti, non fare tanto casino. Quanto sei grezzo e rumoroso. Permettimi di insegnarti un po’ di quello che si chiama stile, d’accordo?
Il tizio gridò e gridò, nonostante il fastidio di Yumichika, per tutto il tempo in cui questi tracciò segni indecifrabili lungo il suo petto.
Quando ebbe finito Ichigo si avvicinò, e notò una serie di macchie rosse sul suo petto. Preoccupato, si avvicinò; quanto bastava per rendersi conto che quelle macchie rosse non erano sangue, ma rossetto.
Con un sottile cuoricino al lato della parola, sul petto del biondo troneggiava fieramente la scritta Chanel.
-Kylie avrebbe fatto la stessa cosa – cinguettò, tutto contento. – Beh, io vado a vedere come se la passa Tatsuki. Sarebbe un tale peccato se rovinassero una tale bellezza…
-Prega che nostro padre non ti veda mai fare una cosa simile – gli gridò Ikkaku, respingendo Edrad con un calcio – per questo sì che potrebbe diseredarti.
-Che ci posso fare se preferisco un’arma efficace ai pugni? Guardati. Non hai ancora finito, eppure vi siete logorati a forza di darvele. Aah, molto meglio la mia, molto meglio la mia.
Ikkaku scosse la testa e continuò a menare calci in direzione di Edrad; sembravano alla pari.
-Direi che abbiamo visto abbastanza – sospirò Ichigo – fammi un favore, iniziamo.
-Inizia pure. Fatti avanti.
In quel momento, il biondino coi denti da squalo venne scaraventato fuori dalla porta; Yumichika ebbe la presenza di spirito di scansarsi. Il ragazzino rotolò ai piedi di Grimmjow.
-Non è proprio destino che iniziamo – osservò quest’ultimo – Di Roy, è stata la ragazza?
-Urgh… - non riusciva nemmeno ad alzarsi sui gomiti – è stata lei. Non avrei mai pensato…
-E Shawlong? È a terra anche lui?
-Lui… è arrivato un tizio enorme, e…
In quel momento, Shawlong oltrepassò la porta, senza camminare, ma sospeso nell’aria. Ichigo ebbe un momento di smarrimento, quando poi si accorse che dietro la sua collottola c’era una mano enorme e abbronzata.
Poco a poco, da oltre la soglia emersero un lungo braccio muscoloso, un torace imponente e un volto nascosto da capelli ricci e spettinati.
-Chado?! – Ichigo per poco non cadde a terra. – Ma… dov’eri?! Eri anche tu nella sala giochi?
Lui annuì, senza lasciare Shawlong, che comunque non sembrava avere le forze di dimenarsi: aveva lividi ovunque, e il suo naso sanguinava.
-Ma non ti ho mica visto! Da dove sei entrato?!
-Ero lì da prima. Solo, in quel momento ero in bagno.
Ichigo si passò una mano sulla fronte e cercò di farsi forza; dopo pochi attimi si riprese e ghignò verso Chado.
-Ben fatto, in ogni caso. Possiamo considerarlo sistemato?
Tutti guardarono Shawlong: il suo occhio destro era talmente gonfio che sembrava non ce l’avesse nemmeno.
-Credo di sì.
-Ho capito. Grazie, Chado. Ma adesso…
-Ehi, e a me non spettano i ringraziamenti? – Tatsuki arrivò con le mani sui fianchi e un sorriso trionfante. Indicò col capo Di Roy. – Quel tizio, là. Credi che si sia lanciato fuori dal locale da solo? E per di più non ho distrutto nulla.
Ichigo fece un mezzo sorriso.
-Grazie, Tatsuki.
Poi si rimboccò le maniche e iniziò a correre verso Grimmjow.








* Quelle macchinette dove ci si fanno le foto per poi decorarle in modo divertente xD.



(Nda: salve a tutti ^^ finalmente inizia l’azione *_* era un po’ che aspettavo di scrivere una scena simile. Per la verità non ho mai amato i combattimenti, ma mi sono accorta che invece descriverli è divertentissimo XD per cui aspettatevi un prossimo capitolo sulla falsariga.
Questione "Tatsuki ha le stesse capacità belliche di Yumichika, Ichigo e Ikkaku": sì. In questo universo non ci sono shikai, bankai, shunpo, hakuda o kido; c'è solo la forza fisica, e Tsuki non è stata per un soffio campionessa nazionale in Giappone. Penso che a livello di corpo a corpo non abbia niente da invidiare a dei ragazzi dotati di mera forza fisica.
Tra parentesi, nella versione originale Yumichika non imbrattava col rossetto il povero disgraziato, ma la versione segreta rimarrà rigorosamente nel mio hard disk… XD
@MayCry: figurati, anzi, mi fa piacere ricevere delle correzioni. Spero di essere stata abbastanza veloce XD quanto a Ikkaku, sì, in effetti della famiglia è il meno psicopatico XD in questo ho ripreso il manga. Comunque ci sarà di che raccontare anche su di lui ☺.
@Xazy: vuoi l’Ichiruki, eh :D? Arriverà, arriverà, ma non essendo la mia storia incentrata su quello, lo vedrai più avanti. Però di Ichiruki ne ho scritte una decina XD se spulci un po’ il mio account dovresti trovare pane per i tuoi denti :D.
@Sarunia:  Pappagallo potrebbe essere un’ottima alternativa XD! Grazie del suggerimento! E grazie ovviamente dei complimenti, spero stia andando ancora “alla grande” anche se non c’è il romance ;.;!
@Exodus: sono d’accordo con te, non era allo stesso livello. Lettore acuto ;D. Per quanto riguarda Yumichika, spero che con questo capitolo tu ti sia ricreduto ^^. Era dall’inizio che aspettavo di mostrarlo in battaglia e finalmente ci sono riuscita XD perché finora in effetti è stato solamente un gay non dichiarato. Del resto, in questa storia voglio che vengano esaminati aspetti che non hanno a che fare con le battaglie, per cui ciò che rimane di lui, per come la vedo, *è* un gay non dichiarato XD. Come dicevo all’inizio, purtroppo alcuni personaggi sono molto caratterizzati dalla battaglia e dalla Soul Society, per cui alcuni aspetti della loro personalità purtroppo vanno perduti. In effetti è l’introspezione psicologica ad interessarmi di più, per cui spero soltanto che continuerà a piacerti comunque :D!
@Fla: sapremo del nome di Yachiru, ma non aspettarti di venire a saperlo presto XD e, sì, Ikkaku ha ovviamente frainteso… XD
Alla prossima e grazie di aver recensito! Il prossimo capitolo sarà più lungo e altrettanto succoso… è_é amanti delle risse, gioite!)

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Capitolo 7
*** 6- Hey, Ho, Let's Go ***


Ikkaku era impegnato con quell’Edrad, che non gli lasciava un momento libero. Non aveva ancora preso il sopravvento, ma di sicuro non l’aveva preso nemmeno Ikkaku.
Parò l’ennesimo pugno, rivolto al suo petto. Bloccò con la gamba un calcio. Edrad fece per colpirlo in volto col pugno sinistro, e Ikkaku intercettò la finta e riuscì a bloccare il pugno destro rivolgo al suo stomaco.
Non fece in tempo a congratularsi con sé stesso, che dovette parare un gancio sinistro.
Fece per assestargli un montante sul setto nasale, quando Edrad si abbassò e cercò di colpirgli le ginocchia. Ikkaku saltò e cercò di colpirgli il volto in volo con un calcio. Edrad gli afferrò il piede e tentò di farlo cadere, ma riuscì a liberarsi con uno strattone.
Quel tizio non gli dava un attimo di tregua.
-Ehi, serve una mano? – sentì la voce di Tatsuki dietro di lui. Di certo non voleva darle di nuovo un’occasione per manifestare la sua superiorità.
-Certo che no! Il divertimento è mio. Va’ ad aiutare Ichigo, se proprio devi.
-Non sembrerebbe, ma Ichigo sa cavarsela – sbuffò – d’accordo, fa’ come vuoi.
-Certo che faccio come voglio – sogghignò – mio padre mi ha insegnato a farlo sempre!
Nel frattempo, Ichigo era finalmente faccia a faccia con Grimmjow.
-Allora, Kurosaki? Che ne dici, iniziamo?
-Ormai mi è passata la voglia, ma immagino che non abbia molta scelta, no? Via il dente, via il dolore.
-Proprio così – approvò Grimmjow, prima di scagliarsi contro di lui con un pugno rivolto al suo naso. Ichigo lo parò con un braccio, ma ugualmente barcollò; aveva una forza spaventosa.
-Niente male, eh – commentò.
-Grazie. E ora, vediamo di cosa sei capace tu.
-E va bene. Se ci tieni così tanto, sarebbe scortese non accontentarti – prima ancora di finire la frase, si scagliò contro di lui con potenza media. Il fatto che fosse forte in attacco non significava che fosse resistente. Indirizzò il pugno alla sua gola; progettava di tendere la mano all’ultimo momento, per colpirlo con la punta delle dita e lasciarlo in apnea almeno per qualche secondo.
Ma Grimmjow, fulmineo, gli afferrò il polso e con una forza inaudita glielo immobilizzò.
-Come accidenti…
Grimmjow rise.
-Se non sapessi fare questo, non sarei degno della mia fama, ti pare? Piuttosto, tu; mi aspettavo qualcosa di meglio! Di minimamente decente!
-Ah sì? Allora dimmi che ne pensi di questo – prese la spinta piegando il ginocchio e fece per colpirlo alla bocca dello stomaco con la pianta del piede; lo colpì in pieno, ma Grimmjow si limitò a vacillare.
-Ma cos’è, hai un magnete sotto le scarpe?!
-No – rise, di una risata cattiva – ho solo un casino di forza più di te.
-Ti piacerebbe!
Caricò un calcio montante mirato al suo mento; con quel calcio, ne aveva spaccati almeno quattro o cinque, di menti.
Fu deviato con una manata, e fu Ichigo a rischiare di finire per terra, non Grimmjow.
-Merda!
-Non mi dirai che è tutto quello che sai fare!
-E cosa ti sembra che possa fare?! Più che calci e pugni, uno che cosa dovrebbe inventarsi?!
-Non parlo di quello. È ovvio che non si può far altro che prendersi a calci e pugni. Quello di cui sto parlando, Ichigo Kurosaki… è una differenza di forza.
Prima ancora che se ne rendesse conto, gli arrivò in pieno stomaco un pugno che lo piegò a metà. Gli ci volle un attimo prima di riuscire a riprendere a respirare.
-Ichigo, che cazzo stai facendo? – gridò Tatsuki – Vedi di tirarti su immediatamente! Mi vergogno a dire di essere stata battuta da uno così debole, anche se è stato per un paio di volte!
-Ehi, vuoi provarlo tu, questo qui?
Si rialzò con fatica, respirando profondamente per regolarizzare il respiro. Grimmjow sembrò piacevolmente sorpreso.
-Ti alzi pure? Pensavo di avertelo distrutto, lo stomaco.
-Beh, le voci che girano su di me significheranno pur qualcosa, no?
-Questo è il minimo che pretendo per essere paragonato a te, Ichigo Kurosaki – ghignò, subito prima di partire con un diretto all’altezza del volto.
Ichigo portò due braccia a ripararsi, e con questo sembrò stabilizzarsi; ma non aveva calcolato che, impegnando due mani a parare il pugno, non poteva usarne nemmeno una per parare il calcio che gli stava arrivando sullo stomaco, nello stesso punto già colpito.
Quando gli arrivò, gli sembrò di essersi preso una cannonata sul ventre.
-Uh…! – boccheggiò, sbarrando gli occhi mentre cadeva a terra.
Fu bloccato nella caduta dal piede di Grimmjow, che lo raccolse puntandogli l’anfibio sullo stesso punto dello stomaco.
-Argh…!
-Ehi, Ichigo! Che stai facendo?!
Tatsuki sembrava nervosa. Allora era vero che le cose si stavano mettendo male.
Anche Ikkaku non sembrava passarsela bene: era a terra, incapace di rialzarsi, e si stava prendendo una raffica di calci, ma non voleva saperne di mollare.
-Faresti meglio a dichiararti sconfitto, no? – gli disse Edrad – In queste condizioni, mettitelo in testa, non puoi far nulla!
-A dichiararmi sconfitto sarà Yumichika quando accerterà che non ho più voce per parlare – tossì Ikkaku – fino ad allora, ouch! Mi prendo i tuoi calci, e poi, quando rie… cough! Quando riesco, te li restituisco… ehi, ma fammi almeno finire di parlare!
Edrad si fermò per un attimo.
-Avanti, parla.
-No, avevo finito. Però potevi anche lasciarmi dire due parole in fila!
Edrad gli assestò un calcio nel costato.
-Così da lasciarti uno spiraglio per alzarti e scaraventarti su di me? Non sono un tale idiota.
-E io non sono così furbo come pensi… urgh…!
-Tu – Tatsuki si voltò verso Yumichika – sei suo fratello; intendi aspettare finché non potrà più parlare sul serio?
-Chiaramente sì.
-Come sarebbe a dire?! Non è tuo fratello? Non ci tieni a lui?
-Proprio perché è mio fratello e ci tengo a lui, sono ancor più obbligato a rispettare la sua volontà. Io al posto suo mi darei alla fuga, ma se a lui piace così, affari suoi, no?
-Assurdo – Tatsuki scosse la testa – non potrei mai pensarla così. Se ci tengo a una persona, io… la proteggo!
-Evidentemente si trattava di qualcuno che voleva la tua protezione, non credi…? Ma Ikkaku ti sembra il tipo da volere una cosa del genere?
Tatsuki lo fissò, paragonandolo mentalmente a Orihime.
Per un attimo, lo vide con lunghi capelli castani e un gran paio di tette.
Ma scacciò velocemente quell’immagine inopportuna e tornò a focalizzarlo, muscoloso, pelato, violento e pieno di lividi. Eppure, con un ghigno di gioia sulla faccia.
-Decisamente no – sospirò, aggrottando le sopracciglia – direi che mi ucciderebbe, se soltanto ci provassi.
-Proprio così!
Tatsuki tornò a controllare Ichigo e notò che non se la stava passando bene. Quel Grimmjow gli aveva storto il braccio dietro la schiena e ora con l’altro braccio gli aveva circondato il collo.
-In difficoltà, Ichigo Kurosaki?
-Forse no – disse Ichigo con aria risoluta, e poi gli circondò le gambe con le sue. Si diede la spinta per spingerlo all’indietro; ma fu come incontrare la resistenza di un muro d’acciaio.
-Pessima idea – ghignò Grimmjow, e poi diede una spinta in avanti che li fece cadere entrambi; Ichigo finì faccia a terra, e lanciò un grido di dolore che fece rabbrividire Tatsuki.
-Adesso basta! Ichigo, lascia perdere!
-No! – riuscì ad esalare in qualche modo – Ha detto… ha detto che devo dimostrarglielo, no? – ansimò come un animale sgozzato – Quindi… quindi…
-Quindi, devi morire per dimostrarglielo?! Ichigo, non è questo che ci hanno insegnato al dojo!
-Che c’entra il dojo, ora… - la sua voce si affievolì – urgh…
-Sembri forte, ma sei fatto di quattro ossa tenute in piedi con lo sputo, eh?
Tenendolo fermo, Grimmjow si alzò quanto bastava per caricare una ginocchiata; questa finì dritta nel centro della schiena di Ichigo, colpendogli la colonna vertebrale. Ichigo lanciò un urlo lacerante che torse le budella a Tatsuki.
-Ichigo, maledizione, piantala! Non è un avversario per te!
-Te lo consiglio anch’io – disse Yumichika, che si stava limando le unghie – è chiaro che questo non è un avversario per nessuno di noi.
-Forse, tutti assieme potreste farmi qualcosa. Qualcuno vuole farsi sotto?
-Bastardo! – urlò Tatsuki, poi si lanciò contro di lui, senza un piano, animata soltanto dalla rabbia.
Lui la bloccò alzando una mano all’altezza della sua fronte; questo bastò a bloccarla e a farla cadere all’indietro, dopo un volo di due o tre metri.
Quando Tatsuki riaprì gli occhi, doloranti, qualcuno la stava sollevando dal suolo.
-Sado… - mormorò – devi fermare Ichigo. Subito.
-Non ce n’è bisogno.
La depositò su una panchina lì vicino e si diresse con calma verso Grimmjow. Quest’ultimo lo scrutò con interesse.
-E tu chi saresti?
-Sono un amico di Ichigo.
-Questo l’avevo capito anche da solo. Qual è il tuo nome?
-Yasutora Sado.
-Si chiama Chado – ebbe la forza di dire Ichigo.
-Ichigo… adesso non muoverti da lì. Lo farò io, al posto tuo.
-… d’accordo.
Sado non perse tempo e iniziò subito prendendo la carica per un diretto. Grimmjow lo schivò, ma lui fu veloce a deviare il pugno e riuscì a colpirlo ad un orecchio.
-Ah! – Grimmjow si portò una mano sulla zona colpita. – Sei furbo, tu. Hai pensato: non mirerò alla testa perché tanto schiverà e non potrò raggiungerlo, ma se miro all’orecchio posso fargli male comunque. Giusto?
-Può essere.
-Hah! Vuoi fare il misterioso. D’accordo, Chado Yasutora. Dato che Ichigo Kurosaki si è rivelato una delusione, vedete almeno di farmi spillare una goccia di sudore in due.
Chado non lo lasciò finire di parlare e partì con un altro tentativo di diretto. Venne parato con una mano aperta.
-Non mi fai parlare, eh? Un uomo d’azione. È così che mi piace combattere! Avanti, tira fuori un po’ di forza!
Chado ce la stava già mettendo, la forza, e parecchia. Solitamente, anche se magari la cosa non si concludeva al primo scambio, almeno i colpi riusciva a metterli a segno, tutti. Ma la sua altezza e il suo vigore fisico sembravano inutili, di fronte a quel tizio.
Continuò a cercare di assestargli un pugno, mirando ovunque: al naso, agli occhi, la bocca, la gola, il petto, lo stomaco. Ma quello riusciva sempre a scansarsi o a ritirarsi in tempo; quelli che non riusciva ad evitare, li parava con facilità, e non aveva mai bisogno di entrambe le braccia.
Anzi; ogni volta che parava un attacco, quando Chado non era ancora pronto a sferrare il prossimo, approfittava per cercare di colpirlo con la mano rimasta libera. Chado non sempre riusciva a schivare; prese diversi pugni sul petto, ma riuscì ad evitare di essere colpito in altre zone.
-Mi sembra che con te si possa iniziare a fare sul serio – disse Grimmjow, dopo un po’.
-Significa che finora stavi…
-Stavo testandoti, ovvio! Con Ichigo Kurosaki non mi sono premurato di controllare la sua forza prima di attaccare, ed è stato un errore; è caduto subito. Perciò, ho pensato che stavolta avrei potuto metterti alla prova, per vedere se almeno resisti ai colpi di base.
Tatsuki notò che perfino uno come Yasutora Sado sembrava spaventato. Nemmeno lei si sentiva tranquilla: con una sola spinta, quel Grimmjow era riuscito a farle battere violentemente la schiena. Le sembrava che fosse ancora tutta intera, ma doveva avere una contusione piuttosto estesa.
Tuttavia, Ichigo sembrava versare in condizioni molto peggiori: probabilmente aveva qualche costola rotta.
Quanto a Ikkaku, stava lentamente e inesorabilmente trasformandosi in una poltiglia di sangue e carne piagata.
-Ho capito; chiamo un paio di ambulanze – sospirò Yumichika – Tatsukichan, ne hai bisogno anche tu?
-No. Io sto bene Al massimo mi farò controllare domattina. Ma Ichigo… - sentì una goccia di sudore freddo colarle lungo la mascella – lui è messo male. E tuo fratello…
Si voltarono verso Ikkaku.
Edrad gli premeva un piede sullo stomaco, impedendogli di rialzarsi. Ma lui, come un insetto ostinato, continuava ad agitare le membra e a cercare la spinta per rialzarsi.
-Non ce la farà mai! – Tatsuki perse la pazienza; batté sulla spalla di Yumichika – Senti, non me ne frega niente delle vostre idee da pazzoidi. Io agisco così, che vi vada bene o no – detto ciò, strinse i denti davanti al dolore alla schiena e si scagliò verso Edrad. Prendendolo di sorpresa, riuscì a piazzargli un pugno potente sulla mascella, che per un attimo gli fece perdere la concentrazione su Ikkaku.
-Che stai…! Chi ti ha chiesto di…
-Alzati e fa’ silenzio! D’ora in poi, se sei un uomo, sbrigatela da solo!
Tatsuki sbuffò, gli diede le spalle e tornò verso la panchina camminando decisa come un militare.
Ikkaku perse solo una frazione di secondo per fissarla sbalordito, ma poi si riprese e si affrettò a rialzarsi.
-Pensi di riuscire a colpirmi, ridotto come sei? È assurdo! Ritirati e vattene, se hai un minimo di buonsenso!
Ikkaku ansimò. Ghignò, asciugandosi il sudore e il sangue dalla faccia.
-Sai cos’ha sempre detto mio padre? – si mise in posizione d’attacco – Ha sempre detto: buonsenso? Non…
In quel momento, però, Ikkaku vacillò. Normale, pensò Tatsuki con rabbia; era distrutto. Ma adesso quel tizio non l’avrebbe risparmiato.
-Non, cosa…? – disse Edrad – D’accordo, ho deciso che non m’interessa. Adesso la finiamo una volta per tu…
La ghigliottinata di tacco che stava per colpire Ikkaku dritto alla tempia fu fermata a mezz’aria da una mano. Quella mano indossava un guanto nero di pelle senza dita e fu abbastanza forte da immobilizzare il calcio di Edrad senza sforzo.
-Non riportare male le mie parole – disse una voce bassa e sguaiata – era “sanità mentale”. Sanità mentale, capito?
Edrad, nervoso, si girò verso la figura emersa dall’ombra. Si trattava di un uomo enorme, con i capelli ingellati, un chiodo con le borchie, un paio di anfibi e una catena appesa ai fianchi.
-Sanità mentale…? Che…?! – mormorò, cercando di divincolarsi.
-Ovvio, tu non l’hai mai sentita. A tal proposito, ho sempre detto… - il nuovo arrivato allungò l’altra mano; con uno strattone deciso e netto, gli storse completamente il polpaccio, lasciandolo penzolare storto dal ginocchio. Un urlo di agonia tagliò l’aria circostante. - … che non ricordo di aver mai avuto un simile disturbo!
-AAH! Bastardo! Bastardoo!
-Chiudi il becco – fece il tizio, prendendolo per il collo e scaraventandolo contro la parete della sala giochi. Quello, battuta la testa, perse i sensi. – Che diamine sta succedendo qui? Yumichika, com’è che tu non hai un graffio?
-In realtà mi ero spettinato un po’, ma ho subito risistemato i capelli! – cinguettò – Questo qui non era un tipo difficile.
Indicò al nuovo arrivato Yylfordt, a terra con il marchio “Chanel” impresso sul petto. L’omone scosse la testa.
-Proprio il tuo stile. Assurdo. Vabé, vediamo se riusciamo a cavarne qualcosa di buono.
-Padre, perché ti trovi qui?
-Mah, non ho trovato nulla da fare in giro. Forse qui posso trovare qualcosa con cui ammazzare il tempo.
-Papino ha fatto a gara d’impennate con gli altri motociclisti, ma loro avevano troppa paura di lui, perché faceva zigzag e cercava di buttarli tutti per terra, quindi non giocavano!
Una ragazzina che poteva essere delle elementari scese con un balzo dal dorso di quell’uomo. Tatsuki si voltò verso Yumichika, ormai talmente stranita da non avere le forze per chiedere spiegazioni.
-Ah, quello è nostro padre, mio e di Ikkaku. Kenpachi Zaraki, l’avrai sicuramente sentito nominare. E quella è nostra sorella Yachiru. Forse non l’hai sentita nominare, ma le medie di tutta la zona conoscono il suo nome e pregano che lei non si iscriva nel loro istituto.
-Prrr! Tanto a me basta papino! Della scuola non mi interessa!
-Vedi, è un po’ la filosofia della nostra famiglia. Io, invece, vorrei… - bisbigliò – studiare da designer d’interni, ma non dirlo a nessuno!
-Ma che razza di famiglia siete?!
-Se sapessi in quanti ce lo dicono.
-Pelatino è a terra!– rise Yachiru – Pelatino si è fatto battere. Guarda come sei ridotto!
-Non toccarmi dove sono ferito, stupida!
-Se mi chiami stupida, ti tocco ancora di più!
-Guarda che stavolta ti ammazzo!
-Volete fare un po’ di silenzio, ogni tanto? – borbottò Kenpachi Zaraki – Sentite, adesso vorrei divertirmi un po’, quindi voi andatevene da qualche parte, capito? Al pronto soccorso, per esempio. – Poi incontrò il corpo di Ichigo steso a terra. Lo indicò col pollice. – E questo qui?
-Ah, quello è un amico, padre – disse Yumichika – è stato lui a procurarci il divertimento di stasera.
-Ah sì? Beh, mi sembra che lui abbia finito di divertirsi, per oggi. – Lo sollevò la terra come se fosse stato fatto di gommapiuma; poi lo direzionò verso Tatsuki e Yumichika. – Prendetelo. Se vi casca, sono affari vostri, chiaro?
-Eh?! – esclamò Tatsuki – Ma cosa… ma lo vuole fare davvero?!
-Ricordi cos’ha appena detto…? Sulla sanità mentale?
-ZITTO, STA ARRIVANDO!
Riuscirono ad afferrarlo in tempo prima che si schiantasse sull’asfalto; caddero entrambi sulla panchina, però, a causa della forza di quel lancio.
-Non male mio padre, eh?
-È… è mostruoso…
-Yachiru, chiama qualcuno che si prenda cura di Ikkaku. Io porto Ichigo in spalla, e faccio controllare anche Tatsuki.
Kenpachi Zaraki raggiunse Grimmjow e Sado.
-Allora, chi è il più forte di voi due? – domandò.
-Non dovresti chiederti piuttosto chi è il tuo avversario? – disse Grimmjow.
L’uomo alzò le spalle.
-Me ne frega poco di chi è l’avversario. Io decido in base al mio criterio.. Quindi? Il più forte? A giudicare dalle condizioni di quest’altro, direi che dovresti essere tu.
-Sì, ma…
In quel momento, Di Roy si alzò faticosamente dal marciapiede dove Tatsuki l’aveva scaraventato. Pur faticando a mantenere l’equilibrio, si rivolse verso Kenpachi Zaraki con un sorrisetto di sfida.
-Grimmjow stava combattendo con colui a cui era interessato – gli sputò contro – quindi non disturbarlo e veditela con me.
L’uomo si voltò e lo fissò, inespressivo. O meglio, sarebbe stato inespressivo se non avesse avuto la pazzia e la furia omicida impresse a fuoco negli occhi, anche nei momenti di calma.
-IDIOTA! Levati da lì, immediatamente!
Inutile; Kenpachi Zaraki gli assestò un ceffone sul naso che glielo ruppe istantaneamente, e lo stese a terra dopo un paio di giravolte.
-Che seccatura – mormorò – dicevamo. Come hai detto che ti chiami?
-Grimmjow Jaggerjack.
-Ho capito. Un teppistello con una certa fama. Io sono…
-Kenpachi Zaraki. So perfettamente chi sei.
-Allora possiamo risparmiarci le presentazioni.
Non aspettò nemmeno un decimo di secondo prima di colpirlo in volto con una manata, che fu prontamente fermata; ma con qualche difficoltà.
-Se sconfiggo te, poi potrò dire di essere veramente il migliore.
Kenpachi Zaraki scoppiò a ridere.
-Cos’è che intenderesti fare, tu? – un pugno partì da dietro i suoi fianchi; non fu particolarmente veloce, ma andò a segno e prese Grimmow sotto il cuore.
Quello, pur accusando il colpo, sogghignò.
-Finalmente un avversario degno.
Tatsuki si era incantata a guardare quei due folli combattersi; fu riportata alla realtà da Yumichika, che la prese per un braccio.
-Andiamo, se non vuoi finire in pezzi. Lui non fa molta distinzione tra amici e nemici, in questi casi.
-Io rimango con papino! – esclamò Yachiru – Voi portate Pelatino e Icchy in ospedale, poi vi aspettiamo a casa!
-Capito? – fiatò Ikkaku – Siete tutti invitati.
-Almeno – sussurrò Ichigo – ci ho rimediato un invito a cena.
-Sei scemo? Sono le undici di sera!
-Ma mi offrirete comunque qualcosa, no?
-State zitti, voi due! – Tatsuki li colpì entrambi in testa con un pugno – A malapena riuscite a respirare! Piuttosto, Ichigo. Andiamo a casa tua, così ci rimetterà in sesto tuo padre.
-Sei pazza? – diede qualche colpo di tosse; sputò sangue. – Se quello mi vede e sa che ho fatto a botte di nuovo, mi fa il resto!
-Davvero? Nostro padre, invece, è fiero di noi se torniamo a casa con un po’ di ematomi.
-Vostro padre non è normale!
-Nemmeno Isshin è normale, Ichigo, ma non è così folle da lasciarti in queste condizioni!
-Se abiti a Karakura, effettivamente è più vicino, Ichigo – disse Yumichika.
-Fate come volete. Se poi cerca di farmi la pelle, me la prenderò con voi, chiaro?
-Pff – fece Ikkaku – e cosa pensi di potermi fare, ridotto così?
-Tanto, non riusciresti a ridurlo peggio neanche se volessi – concluse Yumichika.

Isshin li accolse con uno stupefatto mutismo.
Dietro di lui Karin e Yuzu, che erano andate a letto da poco, si presentarono in pigiama, ancora sonnolente.
-Papà, che succede? – mormorò Yuzu, stropicciandosi gli occhi.
-Oh! Ah… ma voi due bambine dovreste essere a nanna, no? A nanna, a nanna! Volete che il papà vi canti una…
-Ichi, ma che hai combinato? – chiese Karin, che invece era abbastanza lucida da accorgersi che non camminava sulle sue gambe, ma era sulle spalle di un tizio con le ciglia lunghe.
-Dormi – fu tutto quello che riuscì a dirle, e le fece cenno di andarsene. Karin non disse nulla e portò la sorella di sopra, mettendole un braccio attorno alle spalle.
-Ma che avete fatto? – si sbalordì Isshin – Ichigo, come sei ridotto?
-Lo vedi, come sono ridotto. Vedi di far qualcosa!
-Ehm, Isshin – Tatsuki lanciò un’occhiataccia a Ichigo – dei teppisti ci hanno attaccati, e Ichigo ha cercato di difendersi. Questi sono nostri amici, e sono stati attaccati anche loro.
-Beh, non penserete che io da solo, a quest’ora, possa rimettervi in sesto. Vi porto al pronto soccorso, salite in macchina.
-Cioè, vuoi dire che non mi dai il colpo di grazia? Non mi prendi a calci, non cerchi di lanciarmi contro il muro?
-Figlio mio, come potrei ridurti peggio di così? – si grattò la testa – Per almeno un mese, credo che non potrò nemmeno sfiorarti.
-Almeno, farmi pestare è valsa la pena di qualcosa – mormorò Ichigo.
-Che hai detto?
-Nulla, nulla. Andiamo, che Tatsuki si è fatta male.
-Una deliziosa fanciulla come Tatsuki, ferita? Di corsa! Immediatamente! Quando sarai guarito te la farò pagare per non averla portata tu stesso sulle tue spalle!
-Vecchio stronzo! Non credo nemmeno di avercele più, le spalle!


Al pronto soccorso c’era una folla piuttosto eterogenea.
Vecchietti in preda a infarti, vittime di incidenti stradali, drogati in overdose, teppisti come loro.
Ma, nonostante la stranezza del loro gruppo – un pelato, un effeminato, una ragazza con gli occhi di un demone e un omone dall’aria del tutto tranquilla – passarono completamente inosservati, perché gli occhi di tutti erano puntati su un’unica persona.
All’accettazione, tenuto in piedi da un’infermiera, c’era un tizio con una gamba rotta, un braccio appeso al collo e un collare sanitario.
Un tizio coi capelli azzurri.








(Nda: salve ^^! Solo per questa volta, permettetemi di usare questo spazio per le note per un po’ di pubblicità è_é!
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Voilà! Se cliccate sul banner troverete tutte le info; ad ogni modo, si tratta di un concorso di fanfiction IchiRuki (cioè, con pairing IchigoxRukia) indetto dal forum Death&Strawberry. Se voleste partecipare, avete tempo fino al 10 agosto per scrivere una fanfic ^^ il bello di questo concorso è che potrete scegliere un numero al quale è collegata una citazione random tra quelle riportate, alla quale la vostra fanfic dovrà ispirarsi. Secondo me è un’idea molto carina *_* inoltre io sono il giudice ^-^ per cui, se voleste mettervi alla prova, partecipate! Su che vi aspetto  *_*
Poi, le risposte alle vostre recensioni... :D wow, siete stati davvero tanti! Continuate così *_*!
@MayCry: spero di essere stata celere XD comunque, Chado stava presumibilmente facendo pipì XD la mia sarà una mente perversa, ma non fino a questo punto! Comunque, ecco a te la rissa, pronta e servita ;D.
@NekoGirl94: essì, Grimmjow punk :D a parte la questione capelli, me lo vedo proprio un adolescente ribelle… XD
@Kirschblute: grazie, grazie ^-^! L’idea di Kenpachi biker non è propriamente mia (anche se giuro che me l’ero immaginato un vecchio metallaro pure io XD) ma spero di averla sviluppata bene!
@Garconne: eh eh XD nella versione segreta… il rossetto non era un rossetto :°D solo che mi sembrava un po’ troppo cattiva come cosa e così ho corretto il tiro. ù_u
@Xazy: spero tu abbia trovato qualcosa di carino ^^ guarda, indicativamente ci sono “Desiderio” e “Under Your Spell” che sono delle lemon; “Drift to You” e “Senses” sono introspettive; “Choices” e “And you swore to run to my side” sono dei dialoghi, mentre “St. Valentine’s Day” è una cagatina senza pretese. Poi ci sono una RenjixRangiku e una NelxNnoitra, e poi “Meant to Live” e “Crucify” che sono sì Ichiruki, ma lì Rukia è morta ^^;. Spero troverai qualcosa di tuo gradimento!
@Selfish: uuh, grazie ^.^! Sì, è come dici tu, è difficilissimo estrapolarli da un mondo che li caratterizza così tanto. Infatti ho capito che con Yumichika ci devo rinunciare ‘’xD ad ogni modo, spero che anche questo capitolo sia stato coinvolgente, e sono felicissima di leggere che la storia piace anche se non è prettamente romantica. Grazieee ^-^!
@Sexta_aram: grazie davvero, ci tengo moltissimo all’IC. E, tranquilla, lo tratterò bene il tuo Grimmjow XD. Non è decisamente uno dei miei personaggi preferiti, anzi ‘’XD, ma mi prenderò cura di lui. In fondo mi fa tenerezza.
@Exodus: ammetto che ho dovuto chiedere al mio ragazzo qualche approfondimento XD io ho sempre giocato a Soul Calibur e non sapevo bene che personaggi ci fossero nella vecchia versione… comunque Sophitia mi ha sempre fatto il culo, ma forse perché io uso di base Amy XD
Sono contenta di aver soddisfatto il mio lettore più esigente e spero di aver mantenuto il livello (un film di Bud Spencer *_* per me è un complimento XD!). Ti prego di silurarmi se così non fosse.
@nick nibbio: wow, grazie o.o beh, eccoti subito il capitolo nuovo XD buon appetito! è_é
E con ciò vi saluto, ringraziandovi ancora dei vostri commenti (:*) e invitandovi a dare almeno un’occhiatina al concorso… ;D su che la sezione va ripopolata di IchiRuki!
(Precisazione: per il titolo di ringraziano i Ramones) Alla prossima!)

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Capitolo 8
*** 7. You don't hear my name anymore ***


-Grimmjow? – lo chiamò Ichigo, da dietro la schiena di suo padre, che l’aveva portato in spalla.
Lui si voltò, con un’espressione nera di rabbia, che, sospettava Ichigo, nascondeva una buona dose di frustrazione.
-Mio padre ti ha sistemato per bene, eh? – disse Ikkaku – Non sentirti umiliato. Saresti inumano, se fossi in grado di fare qualcosa contro di lui.
-Jaggerjack Grimmjow, codice verde – disse l’infermiera del triage.
-Verde? – si stupì Yumichika – Ma ha un braccio e una gamba rotti, e una distorsione alla colonna vertebrale.
-Ma non è in pericolo di vita – disse Isshin – quindi non è urgente. Comunque lo chiameranno presto.
-Siediti con noi – lo invitò Ichigo.
-Sei impazzito? – Tatsuki era inorridita – Questo a momenti ti ammazzava!
-Sì, ma adesso non può farmi niente. E poi voglio farmi raccontare com’è andata.
-Sedermi accanto a voi?! Sei fuori. E ho ancora abbastanza forze da spaccarti a metà, Ichigo Kurosaki!
-Beh, se tu adesso vuoi spaccarlo a metà, significa che prima non ci sei riuscito, no? – osservò Isshin – Quindi, forse non sei in grado di spaccare a metà mio figlio. – Si mise le mani sui fianchi e prese un bel respiro. – E poi, pensi che te lo lascerei fare?
Grimmjow sbuffò e lo fissò con odio. Ma Isshin riprese allegramente.
-Ma certo che te lo lascerei fare! Quando torna tardi, per esempio, o mangia tutto quello che c’è in frigo… vorrei che ci fosse qualcuno che lo picchia al posto mio! Ormai sto invecchiando e non ho sempre le energie per metterlo in riga, ma tu… tu mi sembri quello adatto a dare una bella lezione a questo mio figlio!
-E poi dite a noi che la nostra famiglia è strana? – mormorò Yumichika a Tatsuki. Lei alzò le spalle.
-Questo è il vecchio di Ichigo, io non c’entro niente. La mia famiglia è normale.
-In compenso, sei tu che non sei molto normale…
-Vuoi finire direttamente in codice rosso…?

Classificarono Ichigo e Ikkaku codice verde; Tatsuki, che riferiva solamente il dolore alla schiena dovuto all’impatto, finì nel codice bianco; avrebbe soltanto dovuto fare delle radiografie.
-Ve lo dico io, qui non usciamo prima di domattina – borbottò Ichigo.
-Di che ti lamenti? Sei tu che ti sei fatto pestare fino a questo punto.
-Perché accidenti dai la colpa a me?! Prenditela con lui!
Indicò Grimmjow, che se ne stava a due posti da loro con lo sguardo fisso a terra. Era immusonito e ricurvo su se stesso.
-Ehi, mi sa che c’è rimasto male davvero – disse Ikkaku.
-Se era convinto di essere il migliore, dev’essere stato un bel colpo – disse Yumichika – avrà di che parlare al prossimo incontro, eh?
Ichigo lo fulminò con lo sguardo e, indicando Tatsuki con un cenno, gli fece segno con le mani di non parlarne davanti a lei. Yumichika alzò un sopracciglio, come a dire, “e perché mai?”.
-S-sentite, io vorrei prendermi qualcosa alla macchinetta., ho proprio sete! Yumichika, mi accompagni?
-Ti accompagno se mi prendi da bere. E anche una merendina.
-D’accordo, dannato, ti offro quello che ti pare. E ora andiamo…!
Yumichika gli fece da appoggio e lo portò fuori nel corridoio, dove c’erano le macchinette. Su quel corridoio dava anche la porta dell’area “codice verde”, che si aprì mentre loro cercavano delle monetine in tasca.
-Merda, devono essermi cadute durante la lotta… adesso che faccio?
-Beh, io ho una moneta da cinquecento yen. Mi comprerò qualcosa. Solo per me, naturalmente.
-Ha!, peccato che questa macchinetta non dia il resto, mi spiace per te.
-Questo non è un problema, posso sempre chiedere a quelli che sono appena usciti…
Si voltò per chiedere alle persone che erano appena uscite dall’area a codice verde; Ichigo si voltò con lui, e rimase fulminato.
-K… Kurotsuchi? – balbettò, basito.
La ragazza era conciata come loro se non peggio.
Aveva entrambi gli occhi neri, ematomi sul volto, i capelli spettinati come se glieli avessero strappati e una gamba ingessata. Inoltre aveva una grossa benda sul braccio sinistro, intrisa di sangue.
Lei stava camminando dritta davanti a sé e non si era accorta di loro; non udì nemmeno il balbettio di Ichigo. Yumichika, evidentemente, non aveva avuto la faccia tosta di chiederle di cambiargli la moneta.
Quando uscì dalla porta automatica, Ichigo tirò una manica di Yumichika.
-Hai visto anche tu la stessa cosa…?!
-Chiaro che l’ho vista. Dici che anche lei ama fare a botte…?
-Sei idiota?! Quella è stata menata da qualcuno. Magari l’hanno derubata e poi picchiata! I soliti teppisti. Se solo potessi…
-Sì, ma non puoi. E non agitarti, o finisce che ti alzano il codice. Anche se, viste le tempistiche, magari ci faresti anche un favore.
Rientrarono nella sala d’attesa; Grimmjow era ancora seduto per conto suo a rimuginare. Ichigo lo scrutò per un secondo; poi tirò un sospiro e scosse la testa.
-Yumichika, lasciami sulla sedia accanto a lui, per favore.
-Fatti tuoi se ti ammazza, ok?
-Ok.
Lo adagiò sulla sedia e Ichigo cercò di sistemarsi alla bell’e meglio, mentre Yumichika tornava al suo posto.
Grimmjow si accorse di lui e gli lanciò un’occhiataccia.
-Che vuoi, tu, ora?!
-Vuoi star calmo? Cosa ti sembra che possa volere, conciato così…?!
-Vuoi godere della mia… della mia… tch – digrignò i denti.
-“Sconfitta”?
-Non dirlo! – sbraitò. – Non è che un caso. Se mi avesse davvero sconfitto non sarei qui a parlare con te!
-Che c’è di male ad ammettere la sconfitta, scusa? Anch’io sono stato sconfitto, e quindi? Significa che la prossima volta farò mille volte meglio.
-Che vorresti dire? Mi stai invitando a farti a pezzi un’altra volta…?
-La prossima volta sarò io che ti farò a pezzi. Perché in questo tempo, io migliorerò. E non ci sarà bisogno che Chado scenda in campo per me.
-Tu parti dal presupposto che tu e il tuo amico assieme possiate farmi un graffio.
-Non ero preparato alla tua forza. La prossima volta, vedrò di tenere un livello decente, te lo prometto.
-Ti converrà farlo, se non vorrai finire in briciole!
Entrambi tacquero e guardarono davanti a sé, ma non sembravano tesi o arrabbiati. Ichigo riprese la parola.
-Dì la verità; non è un caso se questa sera eri a Karakura, vero?
-Chiaro che no – borbottò Grimmjow, che però sembrava essersi calmato – vi ho sentiti parlare e ho deciso di… farvi una sorpresa – ghignò.
-E poi hai pensato bene di provocarmi, così da darmi un motivo per combattere, eh?
-Ha. Che devo farci se non c’era altro modo?
Ichigo tutto sommato non riuscì a non sorridere tra sé e sé.
Grimmjow poco dopo fu chiamato al codice verde e non ebbero più occasione di parlare, ma Ichigo, vedendo quella figura appariscente di spalle, che camminava decisa anche con una gamba rotta come se stesse sfidando il mondo, non riuscì a fare a meno di pensare che, in qualche modo contorto che nemmeno lui riusciva a spiegarsi, quel tizio non riusciva a stargli antipatico.


Nel giro di due ore Ichigo e Ikkaku furono fuori, ingessati e bendati. Dovettero però aspettare le radiografie di Tatsuki, che prolungarono l’attesa di un’ora; i risultati menzionavano una forte contusione, ma nessuna frattura o incrinatura. Fu liquidata con la raccomandazione di passare una settimana senza fare sport o attività pericolose, e con una ricetta per un antidolorifico
Isshin si offrì di accompagnare a casa Ikkaku e Yumichika, che accettarono; una volta giunti davanti a casa loro, notarono che c’erano le luci accese.
-Entrate – li invitò Yumichika.
-Non preoccuparti, non c’è bisogno – disse Isshin – grazie lo stesso.
-Avanti, ci hai riportati a casa, lascia che almeno ti offriamo una birra – disse Ikkaku.
-Beh, se la metti così… come posso rifiutare l’invito degli amici di Ichigo?
Ichigo e Tatsuki si lanciarono un’occhiata di disgusto, ma li seguirono dentro.
Ad accoglierli fu Yachiru che si gettò volando addosso ai nuovi arrivati, gridando “kyaah, bentornati!”. Fu Isshin a bloccarla a mezz’aria, tenendole ferma la testa con una mano.
-Ooh? Finora nessuno ci era mai riuscito, lo sai, Barbetta?
-Ma dai, hai indovinato! Anche noi a casa lo chiamiamo così.
-Avanti, non fate complimenti – disse Ikkaku – non fateci essere formali, ché qui dentro non siamo abituati, ok?
-Ooook – disse Isshin, allegro – allora? Ichigo mi ha detto che vostro padre ha sistemato il tizio coi capelli azzurri.
-Cerchi papino, Barbetta? – Yachiru lo prese per la manica – Vieni, vieni; papino è in cucina che beve una birra. Suda un sacco, a girare con quella giacca di pelle in questa stagione…
-Mi sembra naturale – Ichigo alzò un sopracciglio.
-Papino! Abbiamo ospiti! Ci sono gli amici di Pelatino e di Ciglione! Ci sono Barbetta, Icchy, e anche Spazzola!
-Spazzola sarei io…?! – Tatsuki alzò minacciosamente un pugno.
-Spazzola! – Yachiru indicò i suoi capelli.
-Dì, ma hai mai visto i tuoi, di capelli…?!
-Tatsuki, piantala – disse Ichigo – è una ragazzina.
-Giusto, Icchy Carota!
-Carota….?!
-Mmh? Che sta succedendo? Chi c’è?
Kenpachi Zaraki si affacciò alla porta della cucina. Sembrò vagamente sorpreso nel vederli, ma poi tornò a sedersi senza dir nulla.
-Papino vuole dire che potete venire avanti. Ehm… credo… sedetevi? Fate come volete.
-Permesso – borbottò Tatsuki.
-Piantatela – disse Yumichika – avanti, mettetevi dove trovate posto.
Kenpachi Zaraki sorseggiò la sua birra, rovesciando la testa all’indietro; poi schiacciò la lattina vuota tra pollice e indice. I non membri della famiglia lo guardarono attoniti.
-Ah, sì. Birra anche per voi? Yachiru, fa’ quella roba.
-Quale roba, papino?
-Quella che si fa quando c’è qualcuno in casa.
-Riempirli di botte?
-No, non quando ci sono i ladri, cretina. Quando c’è gente. Ospiti.
-Intendi il the? – suggerì Yumichika.
-Seh, quella roba che piace a te.
-Ma papino, noi non abbiamo mai avuto del the! Beviamo solo birra!
-Che stai dicendo, mocciosa? Tu bevi il succo di frutta.
-Non è vero, io bevo anche la birra.
-Che?!
-Insomma, dagli qualcosa. Quello che trovi, andrà bene lo stesso.
Ichigo era sbalordito; quella famiglia era di una scortesia talmente sfacciata da diventare quasi affascinante.
Isshin si fece avanti.
-Dunque, piacere di conoscerla, signor…
-Kenpachi. Kenpachi Zaraki.
Si alzò in cerca di una birra, ignorando la mano tesa di Isshin. Questi batté le ciglia, vagamente sperduto, ma poi sorrise.
-Beh, io e mio figlio la ringraziamo per l’ospitalità e ci scusiamo se per la stupidità della mia prole la sua è finita coinvolta. Ci scusiamo, vero, Ichigo?
Gli afferrò la testa e gliela strattonò verso il basso con tanta forza che Ichigo pensò di che non sarebbe mai più riuscito a rimettersi in piedi.
-Sei impazz…?!
-Ichigo è così terribilmeeente dispiaciuto!
-Dispiaciuto di cosa? Uno che è dispiaciuto di aver combattuto, per conto mio non è altro che un idiota. E voi due? – si rivolse ai figli – Che avete da dire?
-Gli avrei aperto il cranio alla prossima, se l’avessi lasciato vivo.
-Uuh, mi sono divertito da morire!
-Vedi? – disse Kenpachi a Isshin – Per noi è stata un’ottima serata. Almeno non si sono annoiati.
-Io qualche volta mi annoio – disse Tatsuki, irritata – ma è sempre meglio annoiarsi che farsi pestare.
-E tu che vuoi? Intendi per caso farci la morale?
-Oh, no, padre. Lei ne ha battuti due da sola. Uno l’ha schiacciato sotto una macchinetta catcha, e l’altro l’ha scaraventato fuori dalla porta. Il biondino coi denti da squalo.
-Ah sì? – Kenpachi la guardò con più interesse. – In effetti, sembra che stasera le donne siano andate meglio di tutti.
Yumichika, che era l’unico senza un graffio, distolse lo sguardo, ma non replicò. Tatsuki alzò gli occhi al cielo.
-Dunque, signor Zaraki, la ringraziamo per la sua ospitalità, ma l’ora è decisamente tarda e io devo tornare a Karakura e lasciare a casa Tatsuki.
-Bene. Ciao.
-Alla prossima, Ichigo. Facci di nuovo divertire così tanto!
-Aspettate, vi accompagno.
-Icchy, ve ne andate di già? – Yachiru mise su il broncio.
-Scema, Ichigo è in pezzi. Non serve a nulla, ridotto così.
-Ma la prossima volta giocherai con papino, eh, Icchy?
-Non se ne parla neanche…!

Quando se ne furono andati, Ikkaku tornò in cucina e cercò una birra.
-Ehi, ma le abbiamo quasi finite. Poi, qui dentro ci sono solo birre, cosa dovrebbe bere la mocciosa domattina?
-Yay, la birra!
-No che non berrai birra, mostriciattolo. Adesso vieni con me in supermarket notturno e ti scegli la tua colazione.
-Papino, dì a Pelatino che voglio bere birra!
-Diglielo tu, che c’entro io?
-Comunque, padre, come mai stasera eri dalle parti della sala giochi?
-Mah, non c’era niente da fare. Tutti quelli a cui passavo di fianco avevano paura che gli andassi addosso. Pensano che sia idiota? So benissimo guidare in ruota alta senza andare addosso alla gente.
-Perché una volta di queste non porti anche me? – disse Ikkaku – Non me la cavo male con le moto. Poi, le Harley non hanno una grande potenza, non dovrebbero essere pericolose.
-Non ero con le Harley. Come potrei impennare con un affare del genere? Ho noleggiato un’altra moto. Anzi, se hai voglia di guidare, domani riportala al concessionario.
-Ah-ha. Tra l’altro, ho visto una Suzuki che mi piaceva molto, l’altro giorno. Una cosa tranqulla, un seicentocinquanta. Usata, forse, coi miei risparmi ce la faccio.
-Per te va bene una cosa del genere. Io, alla prossima, mi prendo il mille e due. Quella di stasera aveva due cilindri che sembravano due missili.
Yumichika li ascoltò, annoiato. Si sentiva sempre fuori posto quando parlavano di moto. Era vero che anche lui le riparava, in officina, ma lo faceva per soldi, e per convincere suo padre che gli interessassero un po’; se non avessero lavorato assieme, non avrebbero davvero avuto nulla in comune.
-Ehi? Ehi, Ciglione? Sveglia! Ehi, mi aiuti a farmi gli odango*?
-E-eh? – Oh, sì che aveva voglia di farglieli. Ma suo padre lo stava osservando. – Ti sembro capace di fare una cosa del genere? Falli tu da sola.
-Ma l’altra volta me li hai fatti tu!
Intercettò lo sguardo di suo padre, che lo stava fissando in silenzio. Poi sospirò, scosse la testa e bevve una lunga sorsata di birra.
-Dai, su, andiamo, Ciglia Finte! Quand’è che ti togli quelle ciglia finte…?
Yachiru lo prese per mano e lo trascinò di sopra.
A Yachiru non sembrava importare che gli piacesse acconciare i capelli o truccarsi ogni tanto; né, nonostante i suoi modi burberi, sembrava dispiacere a Ikkaku.
Perché per suo padre era tanto importante?
Avrebbe dovuto odiarlo per la sua intolleranza, ma la verità era che, radicata in fondo al suo animo, esisteva una paura viscerale che suo padre non l’amasse affatto.
Perché si preoccupava di questo? L’opinione di una persona incapace di accettarlo non avrebbe dovuto interessargli. A Grimmjow, quella volta, aveva risposto per le rime; aveva sempre risposto per le rime a chiunque dicesse qualcosa di sbagliato sull’argomento, senza crucciarsi troppo o sentirsi ferito.
E allora perché non riusciva a fare lo stesso con suo padre?
Perché non riusciva a disfarsi dell’importanza della sua opinione?
-Guarda, li voglio a quest’altezza e voglio due ciuffi ai lati del viso. E poi, voglio che mi arricci i due ciuffi.
-Come faccio ad arricciarteli? Non posso mica farti una permanente.
-Lo so che hai l’arricciacapelli in camera tua!
-Ma tu… frughi tra le mie cose…?
-Certo che frugo! Frugo dappertutto! La casa per me non ha segreti!
-Fallo ancora, e vedrai che non ci sarà nessuno a farti gli odango o ad arricciarti i capelli.
-E allora? Lo farà papino!
-Scherzi? “Papino” non lo farebbe mai. Non ti conviene farmi arrabbiare, perché sono l’unico che sa acconciarti i capelli e che ti accompagna a comprare i vestiti. E chi è che ti ha regalato la parrucca rosa? Mh?
-Hmm, è Ciglione – ammise Yachiru, controllandosi allo specchio l’acconciatura.
Yumichika tacque; almeno, lì dentro, era utile a qualcuno.
Quando faceva quelle cose con Yachiru, o andava a comprare vestiti in un bel negozio, o sfogliava i dépliant per i corsi di design, si sentiva bene. Si sentiva nel suo ambiente, si sentiva vivo. Ed era sicuro, assolutamente sicuro che quella sensazione fosse la “felicità”; ed era forse giusto, continuava a chiedersi giorno e notte, rinunciare a quella felicità per mantenere una facciata che non gli apparteneva?
Ma poi una parte di lui spuntava fuori dal buio e domandava: è giusto percorrere una strada che il tuo genitore disprezza?
Se la disprezzava, probabilmente c’era un motivo. E forse era lui, Yumichika, ad essere sbagliato. In fondo, non era forse vero che tutti gli altri maschi si interessavano di moto proprio come suo padre e Ikkaku? Quanti altri avrebbero assecondato la sorellina in tutte quelle cose da donna? Quindi era lui a sbagliare, e suo padre aveva ragione?
Era principalmente per questo, per questo dubbio di essere sbagliato, che non riusciva a parlare. Se fosse stato sicuro di fare qualcosa di giusto, magari avrebbe anche affrontato suo padre. O magari no. Ma sicuramente sarebbe stato più sereno, e questo a prescindere dal suo giudizio.
Ma il Giappone non era molto aperto per quel genere di cose. Quando Yumichika guardava su Youtube le manifestazioni in occidente, come ad esempio il Gay Pride, pensava che avrebbe voluto essere lì con loro, in un posto dove il suo diritto di essere se stesso non solo fosse riconosciuto, ma fosse addirittura dato per scontato.
Quante volte, a scuola, aveva evitato il pestaggio solamente perché era più forte di tutti i suoi compagni?
Ma se non avesse ereditato da suo padre tanta forza, che cos’avrebbe dovuto subire?
Quindi solo chi era più forte degli altri poteva esprimere totalmente se stesso? Solo chi, in qualche modo, poteva metterli a tacere?
Il caso di quel Grimmjow parlava da sé. A chi altri avrebbero lasciato passare quei capelli azzurri?
-Yachiru?
-Mmmh?
-Ma tu non hai delle amiche femmine che ti facciano gli odango?
-Nooo, io non vado tanto d’accordo con le femmine.
Naturale, dato che suo padre l’aveva sempre portata ai raduni di vecchi motociclisti.
-E quindi, come fai? Se non vai d’accordo con le ragazzine che dovrebbero essere tue amiche?
-Ma è ovvio! Io sto con i maschi!
Aveva dovuto dirglielo una bambina di dieci anni, per capirlo? Era così ovvio.
Stare con quelli più simili a te.
-Grazie, Yachiru.
-Grazie di che?
-Stai ferma, altrimenti gli odango vengono male.
-Aye, aye!
Aveva preso una solenne decisione: più tardi, dopo aver finito con i capelli di Yachiru, sarebbe andato in Internet e avrebbe cercato un gay bar nella zona.
E se Ikkaku e suo padre non erano d’accordo, allora significava che li avrebbe tenuti all’oscuro di tutto; se loro intendevano escluderlo dalla loro vita, beh, allora lui li avrebbe esclusi dalla sua.
Ratificò la sua decisione con un sorriso di soddisfazione.



Nel frattempo, in salotto, Ikkaku faceva flessioni per sfogare la tensione.
Non sei riuscito a fare nulla.
Stinse i denti e intimò a quella voce interiore di tacere.
Ha dovuto intervenire tuo padre.
Si morse l’interno della bocca e strizzò gli occhi, sperando di mettere a tacere quei pensieri.
Penserà che sei un incapace.
Aumentò la velocità delle flessioni. La fatica cancellava qualsiasi voce interiore; ci riusciva quasi sempre.
Farsi difendere da tuo padre. Non sei abbastanza forte. E non ti stai avvicinando di un passo a lui.
La rabbia gli riempì il petto; quella voce maledetta aveva ragione da vendere.
Imperdonabile, irreparabile: farsi difendere da suo padre. Come aveva potuto non riuscire a sconfiggerlo? Perfino Tatsuki ne aveva fatti fuori due. Yumichika ne era uscito addirittura illeso. Ichigo era ferito, ma lui aveva affrontato il più forte di tutti, quindi non contava.
E lui, invece? Lui era stato l’unico a farsi pestare senza giungere a nulla. Probabilmente, quando se n’era accorto, suo padre ne era rimasto deluso. Come aveva potuto dare un tale dispiacere a suo padre?
Perché non riusciva a diventare forte la metà, no, un terzo, no, un decimo di lui?
Si allenava ogni volta che poteva e quando era ora di combattere ci metteva tutto se stesso. Quindi perché non progrediva? O almeno, non abbastanza da somigliare a suo padre?
Non sei nient’altro che una delusione.
Due figli, e nemmeno uno dei due che lo eguagliasse, o che gli si avvicinasse soltanto.
Yumichika era un caso particolare; lui viveva nel suo mondo, e si realizzava in quello. Ma Ikkaku, lui era tale e quale a suo padre: e dato che aveva scelto quella strada, suo preciso dovere era percorrerla fino in fondo, dove, come traguardo, c’era il livello in cui stava quella specie di semidio corrotto che l’aveva messo al mondo.
Non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi quando l’aveva trovato faccia a terra, per paura del disprezzo che vi avrebbe letto, e che gli avrebbe fatto più male dei colpi ricevuti in battaglia.

Ikkaku era alto, ma suo padre lo era di più.
A diciotto anni, però, era quasi sicuro che la sua crescita fosse giunta al termine.
Forse che il fisico raggiungeva dei limiti invalicabili, oltre ai quali non avrebbe più potuto evolversi?
Forse che la sua forza fisica era giunta al termine? Forse non avrebbe potuto progredire più di così?

Quell’uomo avrebbe continuato a stagliarsi all’infinito davanti a lui, aprendogli una strada che per lui sarebbe sempre stata già battuta, e mai esplorata…?





*odango: acconciatura con gli chignon. Presente Usagi Tsukino (Sailor Moon)?


(Nda: perdonatemi se ci ho messo più del solito, spero mi stiate ancora seguendo ^^!
Per il titolo del capitolo... beh, è una citazione da veri esperti di Bleach :D non lo rivelerò.
Poi, una cosa: non ho idea di come funzioni la sanità pubblica in Giappone, vi prego di passarmi anche questa perché proprio non avevo voglia di complicarmi la vita XD
E ora rispondo alle vostre recensioni ;D:
@Nekogirl94: in realtà non amo affatto gang, violenza e risse XD è solo che capitoli simili si sono resi necessari. Terrò comunque da conto il tuo consiglio e ci darò un'occhiata, grazie ;)
@Sexta_aram: grazie mille davvero ^^ non sono un'esperta in questo tipo di scene, per cui sentire che mi escono decentemente mi fa un immenso piacere!
@nick nibbio: sì, lo so, purtroppo, ma con Nvu benché mi ingrandisca il carattere nella mia finestra poi l'effetto non si riflette anche nell'html che poi posto qua ._. comunque, se la lettura risulta difficoltosa, un ctrl + dovrebbe aiutarti ad ampliare la grandezza del carattere (cmd + se hai un Macintosh). Spero di averti aiutato ;)
@sarunia: ciao ^_^ come ho già detto via pm, nessun problema con le critiche, anzi, sono le benvenute. Per la prima, buono a sapersi, non me n'ero accorta :/ farò più attenzione in furuto. Per la seconda... hmm, non so esattamente quali passaggi tu intenda, comunque se l'impressione generale è che mi sia incasinata e abbia voluto tirarmene fuori prima di fare un disastro... XD oddio, in realtà volevo solo ricalcare le dinamiche del manga, dove il primo scontro Ichigo/Grimmjow viene interrotto a metà. Non voglio mica farla finire così tra quei due ;D* tutto qui.
Alla prossima e grazie dei vostri commenti ;)! Bye!)

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Capitolo 9
*** 8. Ice Age Coming ***


“Arrabbiato”.
Questo avrebbe risposto, se gli avessero chiesto come si sentiva. E, probabilmente, quella dottoressa Unohana gliel’avrebbe chiesto molto presto.
Come fossero riusciti a convincerlo che andare a quegli incontri gli avrebbe fatto bene, poi, doveva ancora capirlo.
Lei gli avrebbe chiesto “perché”, perché fosse tanto irritato. Cosa mai gli avessero fatto gli abitanti del mondo per odiarli a tal punto.
Non aveva una risposta logica. Li guardava e li odiava. Come potevano gli altri non essere infastiditi da quella marmaglia disposta in gruppetti?
Si guardò intorno, disgustato già in partenza.
Le madri che si lagnavano dei capricci dei rispettivi figli. I cosplayer che facevano gruppo in un angolo. Le ragazzine che lanciavano strilletti al cellulare.
Non avrebbe saputo puntare il dito su qualcosa in particolare, in quelle persone; quando tutti ti danno ai nervi, te stesso compreso, inizi a pensare di non odiare qualcosa in particolare, ma di odiare e basta, perché non ne puoi più di nessuno.
Forse, generalmente, l’unica cosa che poteva dire con precisione era che non sopportava il loro vivere le loro vite concentrati su cose stupide, rinchiusi nel loro piccolo cerchio rassicurante, e noncuranti di quanto accadeva attorno a loro.
A volte – a volte? No, era più corretto dire tutto il tempo - invidiava la loro stupidità e la loro cecità, la loro incapacità di vedere il mondo al di fuori del loro angolino. Proseguivano avanti dritti con gli occhi puntati sulle loro esigenze, sicuri di sé anche nella loro sconfinata insignificanza, con la fiera ottusità e l’ignoranza di un somaro, e senza alcuna vergogna per questo.
Toshiro lanciava spesso occhiatacce furiose in direzione della gente. E poi, quando se ne accorgevano, faceva una smorfia di disgusto, per chiarire quanto sconfinato fosse il suo disprezzo nei loro confronti… ma loro? Loro alzavano un sopracciglio e poi si voltavano, tornando alle loro insulse occupazioni.
Altri, invece, non si accorgevano nemmeno del suo sguardo. Quel tipo di stupidi non aveva alcun interesse per ciò che gli succedeva attorno. Quel tipo di stupidi non si metteva mai a osservare.
Toshiro, invece, osservava moltissimo.
E a volte pensava che avrebbe fatto meglio a guardare per terra e lasciar perdere quella marea di idioti che popolava il mondo, ché almeno ci avrebbe guadagnato il fegato e, chissà, quella ruga verticale che gli solcava la fronte a quindici anni magari sarebbe sparita.
Sospirò e tirò fuori le chiavi di casa dallo zaino; pregò che la casa fosse vuota.
-Ehi, scusa.
La voce di un ragazzo lo chiamò da dietro le sue spalle. Toshiro si voltò, preparando l’occhiataccia peggiore di cui era capace.
-Sei Toshiro?
Il ragazzo che si trovò davanti aveva capelli neri e un tatuaggio sulla guancia che recava la scritta “69”. Indossava un collare e abiti neri, e aveva una maglia aderente di rete che gli copriva le braccia muscolose.
-E tu chi saresti?
-Io sono… cioè, non lo sai? La signorina Rangiku non ti ha detto niente di me…?
-Rangiku…? – alzò un sopracciglio.
-B-beh, sì. Mi ha detto che posso chiamarla per nome.
-Ti ha detto così, eh…?
Toshiro si voltò senza più badare al tizio e girò le chiavi nella toppa con una certa violenza. Spalancò la porta e si liberò delle scarpe con un calcio.
-Senti, allora mi faresti entrare…?
Toshiro si voltò verso di lui. Sbatté lo zaino a terra e gli lanciò un’occhiata fulminante. Infine chiuse la porta con un botto.
-Dove accidenti sei? – gridò, con le mani a coppa.
-Aye, aye! Sto arrivando, Capitano!
L’aspettò con le braccia incrociate e le orecchie che gli bruciavano dalla rabbia.
Lei comparve con i lunghi capelli biondi bagnati, coperta da un accappatoio che le arrivava a metà coscia. Era ancora avvolta dal vapore del bagno.
-Oh, sei tornato a casa! Ma pensa, mi stavo facendo un bel bagno rilassante, a tutt’a un tratto ecco che l’ora di pranzo è arrivata!
Solita morale: avrebbe dovuto prepararsi da mangiare da solo. Non che si aspettasse qualcosa da lei; in un modo o nell’altro, trovava sempre il sistema per perdere la cognizione del tempo.
Ci era abituato, ma doversi preparare da mangiare era fastidioso. Dove finiva il piacere di abbandonarsi sul tavolo e gettarsi su un pasto caldo, se prima di concedersi quel misero piacere era costretto a mettersi mezz’ora ai fornelli, con ancora addosso la stanchezza della scuola?
E non c’era lo stesso gusto, questo l’avrebbe sempre sostenuto, a consumare qualcosa che aveva creato con le sue mani. Quello che abbiamo modellato dalla sua nascita alla sua forma finale non ha lo stesso fascino di quello che troviamo già costruito.
Ma erano riflessioni inutili, queste. Non gli avrebbero di certo preparato la cena, e poi c’era qualcosa, prima di tutto, che ci teneva a chiarire.
-Chi sarebbe quello? – indicò col pollice la porta.
-“Quello”? Di chi stai parlando?
-Quel tizio che mi ha chiesto di entrare.
-Oh, ti riferisci a Shuhei! Ma certo, l’avevo invitato a cena. Spero che abbia portato qualcosa da mangiare, perché io…
La lasciò blaterare finché non sentì silenzio; quando lei finì, tentando di conservare la calma, parlò scandendo bene le parole.
-Chi è quel tizio?
-Oh, lui è un ragazzo molto gentile che mi ha aiutato un giorno a portare la spesa in macchina. Ma non vorrai lasciarlo fuori dalla porta; ora vado ad apri…
-Non vorrai andare ad aprirgli in quelle condizioni! Vai a vestirti…
-Gli apri tu, allora?
Sospirò, troppo esasperato per urlarle dietro.
-Gli apro io. Ma renditi presentabile.
-Sissignore!
Mentre lei correva verso il piano di sopra, aprì la porta ed accolse Shuhei con l’occhiata più torva che gli riuscì di produrre.
-Hm. Allora permesso...
Lo lasciò passare e chiuse la porta dietro di lui con un altro botto. Quello sussultò.
-Dunque… tu devi essere Toshiro. Tua madre mi ha parlato molto di te.
Toshiro incrociò le braccia e lo fissò con odio.
-Ah, beh, mi aveva avvertito che non eri molto loquace. Beh, che c’è di buono da mangiare?
-Verifica tu stesso.
Gli indicò la cucina e lo seguì mentre, mettendovi piede, si rendeva conto che non solo non c’era niente da mangiare sul tavolo, ma che c’erano reggiseni appesi alle sedie, lattine di birra vuote sul pavimento e cosmetici sparsi per tutto il ripiano.
-Ma che…?
-Tsk… e dire che avevo pulito ieri…
Toshiro si inginocchiò e iniziò a raccogliere le lattine per buttarle via.
-Ti serve una mano?
-Sono abituato.
-Ti prendo un sacchetto.
-Ti ho detto che non mi serve.
Shuhei si allontanò cautamente e prese posto sul divano.
Toshiro lo controllò con la coda dell’occhio; questo qui era parecchio più giovane di lei. Doveva avere poco più di vent’anni.
-Sei tornato da scuola?
Non gli rispose; con la divisa addosso e uno zaino in spalla, gli sembrava che la risposta fosse evidente.
-Come mai non mangi in mensa?
-Che vorresti dire…?
-Oh, nulla. È solo che tutti gli studenti mangiano in mensa, di solito.
-Io mangio a casa mia, invece.
Un estraneo entrava in casa sua e insinuava anche che lui, legittimo abitante della casa, stava facendo la parte del terzo incomodo?
Gli suggeriva inoltre di starsene assieme i suoi compagni e di levare le tende…?
A uno così non valeva la pena di spiegare che non sopportava i suoi compagni, quel loro modo di raggrupparsi in tavolate e mangiare le schifezze della mensa e chiacchierare sempre delle stesse stupide cose: dell’ultimo stupido voto (potevate studiare di più), dell’ultima stupida cotta (ma quanto si può essere banali?), dell’ultimo stupido litigio con i genitori (tutte queste storie per andare a uno stupido karaoke).
-Allora, nel frattempo, potrei andare a prendere qualcosa da mangiare – disse quello Shuhei – che cosa ti piace?
Ironico che gli chiedesse una cosa simile, benché stesse parlando del cibo.
-Prendi quello che ti pare. Io me ne vado a studiare.
Lo lasciò con un palmo di naso e per le scale incontrò sua madre, pimpante come al solito.
Tanto valeva che non si vestisse: per quella magliettina scollata e quella gonnellina, forse sarebbe stata più coperta se si fosse tenuta l’accappatoio.
-Ehi, non ti unisci a noi? È ora di pranzo! Non hai bisogno di energie, per affrontare un pomeriggio di studi?
-Non ho nessuna fame. E poi, non dovevamo fare i conti delle bollette, oggi…?
-Ma certo! Ma possiamo farli con la pancia piena, no?
-Preferisco non rimandare. Dammeli, li faccio io nel tempo rimanente.
-Subito, Capitano!
Sbuffò.
Lo chiamava così, molto spesso; il più delle volte, quando dimostrava di essere lui il vero padrone di casa. Ovvero, praticamente sempre.
-Dove accidenti le avevo messe…?! Ero convintissima di averle lasciate proprio qui!
-Qui dove?
-Ma sì, qui! Qui in giro.
Quella scena si ripresentava ogni mese, ma ogni volta aveva il potere di fargli pulsare le vene delle tempie. Strinse i pugni, chiuse gli occhi e prese a contare per calmarsi.
-Ecco! Eccole qua. Tieni.
Gliele strappò di mano e le lesse velocemente.
-Queste… - mormorò, cercando di mantenere la calma – queste sono le conferme di un ordine su eBay! Che diavolo… che razza di oggetto
Arrossì violentemente e sentì le orecchie diventargli bollenti. Sua madre non fece altro che scoppiare a ridere.
-Ops, sembra che abbia fatto confusione! È quella lingerie speciale che avevo ordinato la settimana scorsa. Meno male che l’hai ritrovata, non sapevo davvero più dove…
-Le bollette!
-Certo, certo. Su, non agitarti, vedrai che saranno da qualche parte – si stiracchiò e, saltellando sui gradini, si diresse verso il piano di sotto.
Shuhei stava uscendo.
-Allora vado a comprare un po’ di carne… per festeggiare l’incontro mio e di Toshiro!
-Mi sembra un’ottima idea! Mmh, carne! Tu sì che sai come trattare una donna, Shuhei!
-Oh… - quello arrossì e si fiondò fuori dalla porta.
Toshiro si voltò furibondo verso sua madre, che fissava soddisfatta la porta con le mani ai fianchi. La fissò finché lei non si accorse di essere guardata.
-Mh? Che c’è? Tutto a posto, Capitano?
-Mi chiedi che c’è…? – A volte dubitava di aver sentito bene. – Io… questo tizio, ti pare…
Ma lei lo guardava stupita, chiaramente chiedendosi quale potesse essere il problema.
Inutile parlarci; se non capiva le cose più elementari, figurarsi se avrebbe seguito la sua ramanzina.
-Fa’ come ti pare, non voglio saperne niente – concluse, poi girò i tacchi e imboccò le scale.
Mentre cercava le bollette in giro per la casa sentì che quello Shuhei entrava in casa, poi che i due si erano accomodati in cucina, e poi rumore di risate e bicchieri che tintinnavano.
Le risate e il tintinnio di bicchieri a un certo punto salirono di volume e di frequenza, segno che probabilmente sua madre ci aveva dato dentro di saké fin dal mattino. Scosse la testa, indignato, e tornò alle sue bollette.
Il fatto che disponessero solo dello stipendio di sua madre, che faceva l’estetista e non la dirigente, non aiutava a far quadrare i conti a fine mese. Se Toshiro non avesse avuto quella borsa di studio, non avrebbe mai potuto frequentare la costosissima scuola che frequentava; figurarsi il doposcuola, poi.
Come se tutto questo non fosse bastato, quella donna aveva il brutto vizio di sperperare i soldi; se almeno avesse conservato gli scontrini o si fosse annotata da qualche parte i suoi acquisti, almeno Toshiro avrebbe capito dove finivano parecchie migliaia di yen. Di solito gli toccava indagare in lunghe sessioni d’interrogatorio.
Non avrebbe mai voluto tornare di sotto, ma doveva farlo, se voleva capire dove fossero finiti ventimila yen che sembravano essersi persi in un varco spazio-temporale.
-Ehi – chiamò, dalle scale. Non ebbe risposta. Aggrottò le sopracciglia e si rassegnò ad entrare in cucina, dove il tizio si era addormentato sul divano e sua madre direttamente sul tavolo, con la lattina di birra ancora stretta tra le mani. – Svegliati!
Quella mugolò, aprì e richiuse la bocca un paio di volte, poi tornò a dormire serena. Toshiro iniziava a innervosirsi.
-SVEGLIA! – urlò a due centimetri dal suo orecchio, e lei, con un lamento, si svegliò.
-Insomma! Potevi anche chiamarmi con più gentilezza!
L’aveva fatto, ma lei non…
… ma a che serviva puntualizzare?
-Hai speso ventimila yen, di recente?
Non era quello che avrebbe voluto dirle. Il discorso che avrebbe voluto farle, e che, involontariamente, era andato formandosi nella sua testa mentre scendeva le scale pestando i piedi, suonava più o meno così:
-Si può sapere che accidenti stai facendo?! Ti sembra normale ubriacarsi dal mattino?! Ti rendi conto che devo sempre fare tutto da solo?! E, tanto per sapere, chi diavolo sarebbe questo tizio, appena uscito dal liceo, che si siede sul divano di casa mia e si comporta come se io e lui fossimo obbligati ad avere qualcosa a che fare?!
Quante volte aveva raffinato il discorso nella sua testa, gustandosi il momento in cui finalmente avrebbe sfogato tutta la sua rabbia, lanciando una raffica di accuse che non avrebbe tralasciato niente, neanche una singola mancanza che normalmente sarebbe stata perdonabile.
Tuttavia sapeva bene cosa sarebbe seguito a una simile scena: due occhi spalancati, un battito di ciglia, e l’espressione di chi non capiva che bisogno ci fosse di prendersela tanto per un completino di lingerie. Fosse stata una che capiva, si pentiva e abbassava il capo, annegata nella vergogna, un simile sfogo avrebbe anche potuto avere un senso. Ma nulla poteva abbattere il muro dell’ottusità. Con una simile fannullona, qualunque discorso pratico era inutile.
Il che non sarebbe stato un grosso problema, se quel suo modo di fare si fosse limitato alle piccolezze. Alla spesa extra, alla dimenticanza occasionale, insomma, quelle cose a cui si poteva passare sopra. Ma sua madre non era una persona affidabile con dei momenti di debolezza, che sarebbero stati perdonati, dato che era una madre single e che, teoricamente, avrebbe dovuto mandare avanti una casa e un figlio da sola. No. Sua madre era una farfallona nullafacente che delegava a lui il lavoro di genitore, punto e stop. Non cooperavano, non l’aveva semplicemente coinvolto nella gestione familiare: l’aveva investito di tutte le responsabilità che le spettavano ed eletto a padrone di casa, pensando che, dato che gli concedeva pieni poteri e piena libertà, allora sarebbe stato uno scambio equo.
-Non lo è – mormorò.
-Uh?
-Dicevo, ventimila yen. Dove hai speso una cifra simile?
-Ventimila… yen…?
Vide i suoi occhi farsi vacui e la sua espressione perdersi in pensieri nebulosi.
-Sì, ventimila yen. Non puoi dimenticare in che cosa hai speso una tale somma di denaro!
-Hmm… - si portò un dito alla bocca e aggrottò le sopracciglia. Disgraziatamente, notò il proprio riflesso sul vetro della finestra e, trovandosi particolarmente carina, si fece l’occhiolino e si mandò un bacio.
-Ehi!
-Ah, sì, sì, ventimila yen. Sto pensando.
-Hai forse fatto la spesa?
-Ma no, Capitano, sei sempre tu che vai a fare la spesa.
-Già – strinse i denti – e allora che cos’è?
-Proprio non lo so – mormorò incantata, chinando il capo di lato.
-Se solo capissi dove è stato effettuato l’acquisto, potrei venirne a capo. Invece hai prelevato la somma per poi farne qualcosa. Cosa?
Lei fece sporgere e tremolare il labbro inferiore, inscenando un’espressione da cucciolo sperduto. Cosa che aveva unicamente il potere di fargli perdere gli ultimi residui di pazienza. Ma non aveva più voglia di urlarle dietro; ci aveva provato tante volte, in passato, senza risultato. L’unica era andare avanti. Avanti senza sbraitare, senza stupirsi; avanti cercando di lasciar perdere. Fissarsi su qualcosa di immutabile sarebbe stato stupido, e lui, lui, non era uno stupido.
Cercò di calmarsi; tirò un respiro profondo, poi mantenne un tono fermo.
-Ti do tempo fino a questa sera per pensarci. Capito? Poi dovrò detrarre questa somma dai tuoi soldi.
-Eeeh? Ma nooo! Volevo comprarci quell’abitino così carino che…
-Non se ne parla. Prima i ventimila yen. Se mi dimostrerai che sono stati investiti in qualcosa di utile, nessuno toccherà i tuoi soldi; altrimenti sarò costretto a requisirteli.
-Sei cattivo, capitano! Uff!
Fece sporgere le labbra a ciuccio e si abbandonò su una poltrona. Toshiro le lanciò un’occhiata fredda, che poi però, vista sul riflesso della finestra, era solo un’occhiata arrabbiata.
Quella rabbia muta e non espressa, sul punto di esplodere in mille schegge incandescenti, che non riesce mai a essere fredda. È calda come brace.
Eppure lui avrebbe voluto essere freddo e maestoso come un dragone di ghiaccio, così che nessuno gli si avvicinasse, nessuno osasse infastidirlo, altrimenti lui l’avrebbe ingoiato in un inferno di gelo, paralizzandolo per sempre con la bocca spalancata a vuoto.
Voleva troneggiare sul suo cielo ghiacciato, rilucendo come una luna piena ghiacciata.







(Nda: eccomi qua :D.
So che la mia velocità d’aggiornamento è diminuita, chiedo scusa; del resto due settimane mi sembrano un tempo più che equo u_u, considerato che sono stata (e sarò sempre di più, purtroppo :( ) abbastanza impegnata.
Comunque, eccoci. Penso che sia chiaro a tutti il riferimento finale (strizzata d’occhio, la chiamerei piuttosto :D) ma non ho potuto resistere, era troppo appetitosa.
Una cosa vorrei aggiungere (e varrà sempre di più nei prossimi capitoli): è chiaro che i rapporti, rispetto a quelli esistenti in Bleach, sono un po’ alterati o, come in questo caso, amplificati. Perciò ricordo che queste persone, nel mondo reale, non conducono una vita militare, e sono persone per lo più qualsiasi, alle prese con problemi qualsiasi. Questioni di natura sentimentale o personale assumono dunque molto più rilievo e acquistano più peso. Cose che nella SS verrebbero giudicate disgustosamente umane qui sono il punto focale della storia. Questa fic è nata per essere drammatica – cosa che Bleach non è affatto – per cui i personaggi si faranno influenzare e ferire da cose che nel manga li scalfirebbero appena.
Infine: il titolo, riconoscibilissimo :D, dai Radiohead (benché sia la theme song di Uryuu :°D).
In risposta a voi recensori :* (e gli altri? Dove vi siete nascosti è_é?)
@NekoGirl94: alla fine ho guardato un episodio di Durarara!, ma non mi è piaciuto ‘’XD il mio pane quotidiano è il dramma! Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, benché privo di pugni e nasi rotti XD!
@nick nibbio: ci mancherebbe che non rispondessi ai miei recensori u_u grazie a te per i commenti! ;D
@Exodus: non dirò a cosa mi riferisco, ma… accidenti, o sono io prevedibile o tu hai l’occhio lungo XD! Sono felice comunque di aver reso bene la scazzottata, e mi dispiace di averla interrotta presto ;_; la prossima la stoppo solo quando saranno tutti attaccati al respiratore.
Tra l’altro mi sembrava di aver letto da qualche parte che Toshiro ti piacesse (o ti ci riconoscessi)… spero davvero di aver fatto un buon lavoro con questo!
Ciao a tutti, alla prossima ;D!)

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Capitolo 10
*** 9. Thank You for Loving Me ***


Toshiro si diresse verso la scuola, tenendo salda la cartella. Un raggio di sole tiepido gli scaldò le braccia pallide, ma non gli piacque; odiava il sole del primo pomeriggio, lo trovava pesante e nauseante. Gli ricordava che avrebbe dovuto essere su un futon a riposare, nel fresco di casa sua, e invece era costretto ad andare a scuola, anzi, peggio, a tornare a scuola, dopo aver sperimentato la gioia di uscirne, finalmente.
A Toshiro la scuola non piaceva. La riteneva una seccatura; avrebbe di gran lunga preferito rimanere a casa a leggere un libro, magari in giardino, sulla sedia sdraio all’ombra del pruno della casa accanto, che estendeva i rami oltre lo steccato di legno. Così il sole  cocente del primo pomeriggio, immerso nel silenzio, sarebbe stato più sopportabile.
C’era solo lui per le strade della città a quell’ora; gli altri erano tornati al lavoro, oppure stavano mandando giù gli ultimi bocconi alla mensa per poi tornare nelle aule.
La sensazione di essere l’unica persona, in quel momento, a esistere sulla Terra, lo fece sentire bene. Era come se il resto del mondo si fosse adattato a nascondersi al suo sguardo infastidito, chiudendosi negli edifici e regalandogli finalmente del sano silenzio.
In questo modo, forse… forse poteva anche sopportare quel sole pressante che gli premeva sullo stomaco pieno. Ora il sole lo stava illuminando. C’era pace, e gli altri erano dove avrebbero dovuto essere: lontani da lui.
Ma fece una smorfia quando si trovò davanti alla scuola, che, anche se era chiusa e nessuno era in cortile, gli ricordò immediatamente il baccano, la banalità, la stupidità e la sua solitudine perenne.
Tsk, pensò, tanto che me ne faccio di questi idioti.
Anche se avessero voluto essere suoi amici – ed era abbastanza certo che non lo volessero – lui non sarebbe mai andato d’accordo con quei bambocci. Erano così infantili e nemmeno se ne rendevano conto. Non capivano nulla.
Non capivano la crisi, la casa, il lavoro, i soldi, la borsa di studio. Erano ragazzini agiati che non avevano bisogno di preoccuparsi di nulla. La loro madre non beveva sin dal primo mattino. Non c’erano sconosciuti a casa loro. E potevano permettersi di discutere di locali e acconciature e sigarette come se fossero state quelle le questioni importanti della vita.
Ma essere felici non era una colpa. E Toshiro non gliene faceva, in fondo, una colpa. La loro colpa era quella di essere stupidi – assottigliò gli occhi.
Non facevano altro che leggere manga, fumare di nascosto, e andare in centro a comprare vestiti. Il che non sarebbe stato del tutto sbagliato, supponeva Toshiro, se ogni tanto però avessero aperto un libro, guardato un telegiornale, o preso sul serio un brutto voto a scuola.
Ma poi, chi voleva prendere in giro?
Ciò per cui li odiava era il fatto di essere legati l’uno all’altro. Non aveva altri motivi per detestarli. Altrimenti, gli sarebbero scivolati addosso.
Toshiro avrebbe voluto che tutto gli scivolasse addosso. Ma si ritrovava sempre, con suo enorme fastidio, a dare importanza a cose che invece avrebbe voluto congedare con una smorfia, anzi, con un’occhiata, anzi, non guardarle proprio. Avrebbe voluto essere altero e distante e impassibile, uno che non veniva seccato dagli altri e che non seccava gli altri. Questo voleva essere. Un pezzetto di ghiaccio: visibile, certo, ma trasparente.
Più o meno lo era, ad ogni modo. Se ne accorse entrando a scuola. Lo conoscevano tutti, certo: era quello con i voti più alti della storia della scuola, il prodigio, il ragazzo con la borsa di studio. Ed era l’unico, l’unico che girasse per i corridoi della scuola perennemente da solo. Non gl’importava. Erano solo dei caproni. Lo stesso, gli pesava passare la maggior parte della sua giornata in silenzio.
E, quando tornava a casa, dover ragionare con quell’elemento di sua madre.
Quando c’era Lei, era diverso. Lei lo prendeva a braccetto e camminava con lui a scuola. Poi facevano merenda assieme. E quando stava con lei, che era dolce e sorridente e solare, lei che andava d’accordo con tutti e piaceva a tutti, la gente lo guardava in modo diverso. Come se si stesse chiedendo che cosa avesse spinto senpai Hinamori, così bella e simpatica, a legarsi così tanto a quel lupo solitario di Hitsugaya Toshiro; come se stessero prendendo atto del fatto che lui potesse avere qualcosa di speciale, qualcosa che aveva attirato Lei.
Lo guardavano così, con curiosità, in parte per il suo noto profitto, in parte per il suo noto carattere introverso, in parte perché era amico di Momo. Anche se era da un pezzo che non la chiamava più Momo. La chiamava Hinamori, come tutti gli altri, e lei, dopo svariate insistenze, aveva preso a chiamarlo Hitsugaya.
Se solo lei non avesse avuto tanta fretta di diplomarsi, adesso sarebbe stato con lei, almeno. Lei era ingenua e un po’ sempliciotta, forse, ma era meno peggio degli altri. Invece aveva voluto affrettare il diploma e frequentare il secondo e il terzo anno assieme, quindi aveva preso lezioni in un doposcuola costosissimo e alla fine era uscita dalle scuole superiori un anno prima. Così avevano trascorso soltanto un anno insieme in quella scuola, il primo anno di Toshiro.
Il fatto di trascorrere tutto il tempo libero con lei durante il primo anno, pur se la verità era che stava con lei solo perché gli altri gli sembravano dei perfetti idioti, non l’aveva aiutato ad amalgamarsi con la classe. Lo consideravano come uno che passava il suo tempo con gli studenti più grandi. Perché, ai tempi, Hinamori aveva il suo gruppo solido; c’era quell’Abarai, con cui non aveva mai scambiato più che un saluto, e  c’era quel Kira, che ora veniva agli incontri con lui, ma, così come non l’aveva considerato agli incontri, non l’aveva mai preso in considerazione nemmeno prima. Lo trovava un tipo insignificante, così insignificante da doversi riempire la testa di Hinamori per averci dentro qualcosa. Non che gli importasse degli affari personali di Hinamori, ma, se proprio doveva scegliersi qualcuno, che per carità non fosse quell’insulso di Kira. Abarai, piuttosto. Era sgradevole come pestare una cacca sul marciapiede, ma almeno era un uomo.
Poi lei gli aveva raccontato che c’era un tale Hisagi, nel loro gruppetto, quando loro ancora erano al primo anno e lui era all’ultimo; li aveva presi sotto un’ala protettiva e ogni tanto si univa a loro, anche se erano del primo anno, per due chiacchiere sul terrazzo. Glielo aveva descritto come un bel ragazzo, forte e coraggioso, con un cuore grande. Ma questo non contava. Hinamori descriveva così più o meno chiunque; questo Hisagi avrebbe anche potuto essere un idiota mezzasega come quello Shuhei di quel pomeriggio, che tanto per lei sarebbe stato il più impavido degli eroi dal cuore d’oro.
-Tu non capisci niente – le aveva detto una volta, sgranocchiando una mela durante l’intervallo. Naturalmente non si era spiegato. Lei aveva subito interrotto la sua merenda e l’aveva guardato stupita.
-Eeh? Perché, Shirochan?
-Ti ho detto di non chiamarmi così.
-Ma qui non ci sentirà nessuno, non devi preoccu..
-Se mi chiami Shirochan vado a mangiare da un’altra parte.
-D’accordo, Hitsugaya… - ridacchiò un poco, cosa che infastidì Toshiro, ma non poi così tanto – perché non capisco niente, allora?
-Perché pensi che tutti siano bravi e buoni e belli. Mentre non è così. Quand’è che ti deciderai a crescere e impararlo?
-Mmh – lei non si era offesa, benché un kohai fosse tanto presuntuoso da andare a insegnarle a stare al mondo; adesso ne capiva l’animo paziente, allora pensava che lei avrebbe dovuto strizzare gli occhi, folgorata davanti alla Verità. Ma lei non l’aveva fatto – tu invece non dovresti pensare che siano tutti stupidi, brutti e cattivi. Credo che se smettessi di pensarlo cresceresti un po’ anche tu.
Lui era arrossito e l’aveva fissata, piccato, ancora con la bocca piena. Lei aveva riso e gli aveva sfiorato la guancia con l’indice.
-Ricordati di masticare e mandare giù, - gli aveva detto, e lui era arrossito ancora di più e si era arrabbiato per aver fatto quella figura.
-Tieni le distanze, sei una senpai  dopotutto – aveva bofonchiato, e lei l’aveva guardato con un sorriso tenero, come a dirgli che tra loro due non sarebbero mai esistite distanze.
Non quando in tutti quegli anni, prima del liceo, avevano scavato assieme grotte nella terra umida e creato montagne sulle radici degli alberi, non dopo le raccolte delle prugne con un cestino di vimini ogni estate, nel giardino oltre lo steccato, non dopo tutte le cioccolate calde e i biscotti davanti a una videocassetta in inverno; questo glielo riconosceva.
-Ricordi quando dicevo che potevo sollevare l’albero di prugne con i miei poteri magici?
-Sì. Il tuo pruno volante.
-Me lo immaginavo come un tappeto magico, che ci avrebbe portati lontano, in posti sconosciuti pieni di cascate, arcobaleni, ruscelli e fate, e poi boschi…
-Tu non devi essere mai cresciuta da allora, eh?
-Mentre tu invece parlavi di dragoni alati che sputavano brina e ghiaccio invece che fuoco. Ti piaceva l’idea di attaccare, vero, Shiro? E tu sei cambiato, da allora…?
Lei aveva sorriso.
Lui aveva pensato che non sapeva proprio perché passava le sue ricreazioni con questa sciocchina anziché starsene da qualche parte, in pace, per conto suo.
-Ehi, buongiorno, Hitsugaya – lo salutò Renji Abarai con un cenno, ma senza un sorriso. Non che Abarai fosse un tipo sorridente, ma di certo era gioviale con gli amici. Con lui aveva provato a fare l’allegrone all’inizio, ma aveva presto capito che non era il tipo giusto.
-‘Giorno – gli rispose, con un cenno del capo. Kira non c’era. Non lo vedeva in giro da un po’, in effetti. Ma non gl’importava, per cui non chiese nulla.
Avrebbe voluto chiedergli di Hinamori, piuttosto, chiedergli cosa stesse facendo, perché non uscisse mai di casa. Naturalmente stava studiando, questo lo sapeva, vedeva la luce accesa ogni sera fino a tarda notte. Ma non la vedeva mai andare fuori né rientrare. Evidentemente avevano orari diversi; e, anche se gli era saltata in testa l’idea di controllare dalla finestra quando rincasava, si era dato immediatamente dello stupido perché quello, diamine, sarebbe stato davvero un modo stupido per perdere tempo prezioso.
Non gli chiese nemmeno di lei. Era troppo orgoglioso. Era lui il suo vicino di casa, no? Era tenuto a saperlo, più di Abarai. Era con lui che aveva passato la sua infanzia, non con lo stupido Abarai, né con l’ancora più stupido Kira. E anche se non sapeva quasi più nulla di lei, non la vedeva più e avrebbe voluto vederla, non disse nulla. Era l’unico modo per conservare la sua superiorità.
Non era questione di Hinamori, ma solo di superiorità.
Nel frattempo Abarai si era allontanato e Toshiro si diresse verso la sua classe; prese posto al suo banco, in seconda fila vicino alla finestra. Non gl’importava stare nelle prime file – non aveva mica niente da nascondere, lui – ma era fondamentale poter stare vicino alla finestra. Da lì poteva illudersi di essere per metà fuori dall’aula. Poteva guardare l’erba verde riflettere la luce del sole e cullarsi dolcemente al soffio del vento. I campi sportivi si estendevano promettendo giochi, estate e risate.
E quando si rese conto che lui non vi avrebbe preso parte, perché non ne era parte, pensò che non gli sarebbe dispiaciuto salire su quel pruno volante e partire, alla volta di mondi incantati al di fuori del tempo reale.












(Nda: scusate il ritardo, anche se non particolarmente pesante… scrivo queste note principalmente per avvertire chi segue questa storia che potrebbe non essere aggiornata a breve (questo stesso capitolo era stato scritto in concomitanza col precedente). Le idee ci sono sin dall’inizio e naturalmente questa storia, che nei miei progetti è lunga e densa di contenuti, sarà portata avanti; purtroppo, ora come ora, non so quando.
Ringrazio chi mi ha recensito e mi scuso di non rispondere personalmente come di consueto. Alla prossima)

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