Everything to gain

di _Pulse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Go forwards ***
Capitolo 2: *** New life, after... ***
Capitolo 3: *** Afraid of love ***
Capitolo 4: *** Good dreams ***
Capitolo 5: *** Jole's past and Souls ***
Capitolo 6: *** Cry in Paradise ***
Capitolo 7: *** Bodies at the party (Part I) ***
Capitolo 8: *** Bodies at the party (Part II) ***
Capitolo 9: *** Goodbye and Hello ***
Capitolo 10: *** Insecurities ***
Capitolo 11: *** Reactions ***
Capitolo 12: *** Hugs ***
Capitolo 13: *** Not infallible ***
Capitolo 14: *** Ghost's heart ***
Capitolo 15: *** Whose fault is it? ***
Capitolo 16: *** Lively and dead ***
Capitolo 17: *** Cold - Control ***
Capitolo 18: *** I love you ***
Capitolo 19: *** Physically and mentally (Part I) ***
Capitolo 20: *** Physically and mentally (Part II) ***
Capitolo 21: *** Give life to someone else ***
Capitolo 22: *** Release ***
Capitolo 23: *** I'll never let you go ***
Capitolo 24: *** Epilogo: Morale della favola ***



Capitolo 1
*** Go forwards ***


Buona sera a tutti!
Avevo detto che avrei postato questo sequel a breve ed eccolo qui, in pasto ai leoni! xD
Spero vi piaccia, davvero *-* In questo momento ho la pelle d’oca perché riprendere Franky è un’emozione davvero indescrivibile: come già sapete, mi sono affezionata tantissimo a lui e ci tengo, per questo motivo oltre che ad essere felice ed emozionata, sono anche un po’ in angoscia.
Il motivo è semplice: non voglio deludere le aspettative! Non voglio rovinare Nothing to
lose, quindi spero vivamente di aver fatto un buon lavoro e che lo apprezziate :D
Questo primo capitolo è un po’ d’introduzione: è un po’ un modo per riambientarci nella storia, ecco.
Bene, direi che ho detto tutto per ora. Le altre novità le scoprirete man mano, non c’è nessuna fretta! State tranquilli u.u

Voglio ringraziare brevemente chi ha recensito l’ultimo capitolo di Nothing, ossia Big Angel_Dark, PhaNtoMriDerJK, Gemi_Black, Isis 88 e quella stupenda persona, Utopy, l'oracolo ( xD ) che come al solito è riuscita a far stringere il mio cuore di pietra e a farmi commuovere ( Ti voglio troppo bene, è questa la verità! *-* Grazie di tutto © ). Sostienimi sempre, mi raccomando! *-*
Inoltre, ringrazio ancora chi ha messo questa FF fra le preferite e le seguite e chi è sempre stato accanto a me leggendo solamente.
Vi ringrazio davvero di cuore, non so come altro spiegarmi; ci vorrebbe un capitolo intero solo per ringraziarvi tutti e questo mi rende orgogliosa *-* Mi raccomando, state sempre con me!
Ora vi lascio davvero xD Buona lettura! ;D Con affetto, vostra _Pulse_

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Ad Ales

1. Go forwards
[Di sotto]

«Non puoi andartene Franky, non puoi! Come farò senza di te? Come farò?!»
«Piccola, io sarò sempre al tuo fianco, ok?»
«Franky… Franky no…»

Si svegliò di soprassalto nella notte e si trovò a stringersi le gambe al petto, appoggiata con la schiena alla testata del letto.

«Franky», mormorò cercando inutilmente di trattenere le lacrime. «Franky…»

Un singhiozzo le scappò dalle labbra, poi un altro, e un altro ancora, fino a trovarsi accasciata sul cuscino, scossa dai fremiti.

Perché se n’era andato? Perché?

Quella mattina si era svegliata presto, tormentata da quel sogno che la perseguitava incessantemente da molte notti ormai, e come un automa aveva fatto colazione con sua mamma, l’aveva accompagnata al lavoro e poi era andata a scuola.

Senza di lui tutto era diventato così grigio e spento dentro di lei e intorno a lei che a volte dubitava fortemente della sua esistenza, del motivo per il quale lei era lì, da sola, e non con lui.

Durante le lezioni che trascorrevano lentamente, aveva ricevuto un messaggio di Tom, il quale le chiedeva se quel pomeriggio voleva passare da loro, per cambiare un po’ aria. Lei aveva accettato, senza nemmeno pensarci: quei due strambi gemelli, assieme ai loro amici, riuscivano ancora a regalarle dei sorrisi, quei sorrisi simili a quelli che Franky le aveva confessato più volte di amare.

«Zoe», la richiamò Susan, guardandola apprensiva.

«Scusi prof», mormorò tornando al libro di letteratura di fronte ai propri occhi, ma ciò che vide furono solo le scritte disordinate lasciate in matita sul bordo della pagina: era la sua scrittura, l’avrebbe riconosciuta fra un milione…

Ciao Zoe!
Non possiamo
parlare, altrimenti
chi la sente la
nuova fidanzatina
di zio David!
Non ti fa strano? xD
Nemmeno un pochino?
Beh, ora meglio se
torniamo a seguire.
Ti amo piccola!
Sempre.

Chiuse gli occhi come ad evitare di vedere, ma sapeva che era tutto inutile: la sua immagine era impressa molto bene nella sua testa oltre che a caldo nel suo cuore graffiato e che soffriva di solitudine, nonostante fosse sempre in mezzo a tanta gente che le voleva bene. Chiuse gli occhi come a proteggersi dal dolore, al buio dietro le palpebre. Una scarna protezione, inefficace.

Non poteva cercare di non pensarci e allo stesso tempo non poteva dimenticarlo, questo mai. Era destinata a soffrire per sempre? Perché a ricordarlo con un sorriso ancora non ci riusciva.

Il suono della campana la fece tornare al mondo reale di colpo e il segno che vedesse appannato voleva dire che aveva gli occhi lucidi.

Ficcò in fretta e furia il libro, il quaderno e l’astuccio nello zaino e schizzò fuori da quella prigione, fino a quando non sentì la voce di Susan dietro di lei e dovette fermarsi in mezzo al corridoio, fra gli studenti che parlavano tra di loro, ridevano e scherzavano senza accorgersi minimamente della sua presenza.

«Zoe, tutto bene?», le chiese con un velo di compassione negli occhi. Lei non voleva far pena a nessuno, non voleva compassione, ma non poteva di certo costringere le persone a non intristirsi: non erano affari suoi.

«Sì, sto bene.» Spudoratamente falsa.

«Chi ti accompagna a casa?»

«Tom. Non si preoccupi, sto bene davvero.» Spudoratamente falsa un’altra volta.

«Ok, va bene. Allora ci vediamo domani.»

«Sì, a domani», salutò mogia con un movimento della mano, per poi girarsi e incamminarsi più veloce di prima verso l’uscita, con una maledetta voglia di piangere che represse velocemente dentro di sé.

La relazione fra David e Susan andava a gonfie vele, lui dopo un periodo di semi-mutismo aveva rincominciato a respirare e la causa di questa veloce ripresa era soprattutto Susan, che capiva e condivideva il suo dolore e lo sosteneva ogni giorno con il suo amore. Zoe chi aveva a sostenerla, chi le dava amore?

Raggiunse finalmente il cortile e trovò una delle molteplici e plausibili risposte alla domanda. Corse verso l’Audi che conosceva ormai bene e si fiondò fra quelle braccia forti che l’accolsero senza esitazioni: lui era una delle poche persone che aveva al proprio fianco e che riusciva a farla sentire se non bene, qualcosa di molto simile.

«Ciao Sea

Sea, uno dei tanti soprannomi che le aveva affibbiato Tom per gioco e che alla fine le era rimasto, perché era vero, i suoi occhi erano azzurri come il mare.

«Ciao Tom.»

Si infilarono in macchina e rimasero un attimo in silenzio a fissarsi, poi Tom diede gas al motore e Zoe infilò un cd nel lettore, come d’abitudine.

«Com’è andata a scuola?»

«Come vuoi che sia andata?», si appoggiò al finestrino freddo con la testa, concentrandosi sulla strada che scorreva silenziosa sotto le quattro ruote.

Le piaceva andare in auto con Tom, sapeva guidare così bene che era anche più rilassante di un massaggio. Poi era sciolto, sicuro di ogni sua mossa… era bello anche da guardare.

«Sai che non ci voglio più andare.»

«Oh no, tu ci vai bella mia.»

«Perché dovrei? Non capisco niente, ho preso più insufficienze in questo periodo che in tutta la mia vita…»

«E la colpa di chi è?»

«Non è colpa mia se… se…»

«Non scaricare le colpe su Franky, Zoe», disse duro, stringendo saldamente le mani intorno al volante.

«Cosa ne vuoi capire tu», mormorò lei girandosi di nuovo verso il finestrino.

«Credi che non sappia cosa vuol dire? Lo pensi davvero? Non sto male quanto te, questo no, però sto male anch’io, cazzo! Ma non per questo mi arrendo, io combatto, io –»

«Io non ce la faccio Tom, io non sono abbastanza forte!»

Un silenzio pesante e carico di malinconia scese su di loro e Tom in uno scatto d’ira spense il lettore cd con un pugno, grugnendo.

Arrivarono all’appartamento dei ragazzi e il primo a scendere dall’auto fu proprio lui, che fece il giro e aprì la portiera ad una Zoe di nuovo cupa e seria, che lo aggirò e si incamminò da sola per le scale; lui invece prese l’ascensore.
Si incontrarono di fronte alla porta, Tom si fermò a cercare le chiavi di casa ed incrociò il suo sguardo: vide la stanchezza in quegli specchi azzurri, una stanchezza dovuta al dolore della perdita, una stanchezza compresa da tutti. Zoe lo abbracciò d’impeto e nascose il viso e le occhiaie nel suo petto, stringendo i pugni sulla sua schiena. Poi ebbe la forza di staccarsi e di ricomporsi, guardandolo in viso.

«Scusa», mormorò.

«Scusa di cosa? È stata una giornata pesante per tutti e due, non ti preoccupare», sorrise e le fece un buffetto sulla guancia, per poi aprire la porta e trovare il salotto insolitamente deserto.

«Dove sono i ragazzi?», chiese Zoe con la fronte increspata.

«Georg e Gustav sono usciti, mi pare. Ma non mi ricordo dove sono andati.» Si tolse la giacca e la lanciò sul divano.

«E Bill?»

«Magari è di sopra.»

«Vado a controllare?»

«Vai in missione segreta, dai. Io intanto preparo qualcosa di caldo», sorrise.

Zoe annuì e si avviò verso le scale che portavano al piano superiore, dove si trovava la camera di Bill.

***

Tom andò in cucina e si mise ai fornelli per preparare tre tazze di cioccolata calda.

In quel momento avrebbe tanto preferito non pensare a niente, ma, anche se fosse sua precisa volontà, non riusciva a schiodarsi dall’immagine sorridente di Franky, quel ragazzino rompiscatole con cui già dal primo giorno si era sempre scontrato.

Erano sei mesi che non c’era più, le loro vite erano andate avanti, come non poteva essere altrimenti, ma c’erano giorni in cui si sentiva fermo, sentiva la sua vita ferma in un punto e non sembravano esserci speranze per il suo regolare svolgimento, per la sua normale continuità.

Se lui stava così, non voleva nemmeno pensare come potesse stare Zoe, quella piccola ragazzina per la quale Franky aveva lottato, difendendola da tutto e da tutti, tentando in ogni modo di farla sempre sorridere, fino alla fine, fino all’ultimo respiro.

Perché ora che non c’era più aveva quella maledetta voglia di vederlo, di litigarci, di prenderlo in giro e di ridere e scherzare assieme a lui? Proprio come prima.

Avevano iniziato decisamente con il piede sbagliato, loro due, ma con il tempo in lui aveva visto non solo un quindicenne arrogante e chiuso in se stesso, ma anche la figura di un amico, un amico vero, come pochi ce n’erano stati nella sua vita. Un migliore amico. Un fratello minore.

Nemmeno Franky aveva accettato di buon grado di trasferirsi da loro, all’inizio, ma dopo essersi abituato li aveva sempre sostenuti, li aveva incoraggiati prendendoli in giro, li aveva fatti sorridere quando le cose sembravano andare male, mettendo se stesso sempre all’ultimo posto, con il sorriso sempre accesso sulle labbra, un sorriso che ora come ora faceva male ricordare.

Ricordare, perché non lo avrebbero più visto di nuovo.

Avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lui ora, avrebbe tanto voluto dirgli semplicemente grazie per quello che aveva fatto, e si sentiva in colpa per averlo lasciato andare via da loro in quel modo che poteva essere evitato.
Se magari fossero stati più attenti ai primi sintomi, se fossero intervenuti prima, magari lui sarebbe stato ancora fra loro…
Ma era tardi ormai, e piangere non serviva a niente, lo sapeva bene.

Nonostante tutto non riuscì ad impedire ad una lacrima di lasciare un solco sulla sua guancia.

***

Pioveva, in quel giorno di giugno. Bill era sempre stato un tipo solare e pieno di vita, ma quel giorno si identificava bene con la pioggia, anche se lui non sarebbe mai riuscito a lavarsi di dosso la malinconia che lo assaliva ogniqualvolta pensasse a Franky.

Gli mancava. Tanto.

Appoggiò la testa al vetro freddo della sua finestra e chiuse gli occhi, stringendo fra le mani quello skate rotto a metà, rimasto sempre in camera sua per chissà quale motivo.

Com’era possibile che quel ragazzino che ne aveva passate di cotte e di crude nella sua giovane vita, avesse avuto pure la sfortuna di prendersi il cancro e di morire così, lasciando la ragazza che amava e che finalmente lo ricambiava?

Non riusciva ancora a credere che fosse successo davvero… Ma doveva farsene una ragione: Franky era morto e non sarebbe più tornato da loro.

Abbassò lo sguardo e fissò con gli occhi colmi di lacrime le parti divise dell’oggetto forse più caro a lui, l’oggetto che riusciva a ricordarglielo maggiormente, che lo rappresentava in tutto e per tutto: nonostante Franky sapesse che era spezzato ormai, non l’aveva mai buttato, proprio come aveva fatto col suo corpo quando aveva scoperto che gli si stava ritorcendo contro. Aveva lottato fino alla fine, facendo vedere a tutti chi era il vero Franky, una delle persone più belle che avesse mai conosciuto, con la sua schiettezza e la sua voglia di vivere, anche contro al suo stesso destino; forte e testardo, tanto quanto il suo gemello, con il quale si era sempre stuzzicato.

Quanto gli mancava assistere ai loro battibecchi…

Continuare a pensarci e piangere però, non li avrebbe aiutati, li avrebbe fatti sentire solo peggio.

Bill aveva sempre creduto ad una vita dopo la morte e sperava ardentemente, ora più che mai, di aver ragione, perché non poteva immaginare una fine netta per lui, sarebbe stato ingiusto.
Voleva che fosse felice, ovunque lui si trovasse in quel momento.

Qualcuno bussò alla sua porta, riscuotendolo dai suoi pensieri, e si passò un braccio sugli occhi prima di biascicare un «avanti».

Immaginava chi potesse essere, quindi cercò di farsi trovare il più presentabile possibile, anche se era un’impresa davvero ardua, se non addirittura impossibile.

«Ehi», sussurrò con un piccolissimo sorriso che a stento riusciva a vivere sulle sue labbra rosse.

«Ciao Zoe.»

Zoe era stata la migliore amica di una vita di Franky e successivamente anche la sua ragazza, lo era tutt’ora, e non riusciva nemmeno ad immaginare come potesse essersi sentita o come si sentisse ricordando ogni volta che la persona che amava si era rifiutata di prendere quelle maledette medicine ed era morta fra le sue braccia.

I capelli neri come la pece le ricadevano mossi sulla schiena e gli occhi azzurri come il mare limpido erano velati dalla stessa malinconia che avvolgeva un po’ tutti quel giorno. Erano sei mesi esatti che non c’era più…

Stretta in quella maglietta nera a collo alto, con quelle borse sotto gli occhi, come al solito contornati da matita e ombretto nero, e il viso pallido e stanco, sembrava ancora più fragile di quanto in realtà non lo fosse già.

Fra loro non era stata simpatia a prima vista, con le sue frecciatine sulla sua identità sessuale, ma dopo averla conosciuta meglio l’aveva trovata subito amabile e aveva capito come Franky potesse essersi affezionato e alla fine anche innamorato così tanto di lei.
Vederla in quelle condizioni per lui in quel momento era doloroso quasi quanto la scomparsa dell’amico, perché le voleva bene.

Chiedere come stavano era stupido, visto che erano nella stessa situazione, e Bill non sapeva come avviare una conversazione con lei.

«Che… che fai qui tutto solo?», gli chiese piano lei, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, gettando una rapida occhiata distratta allo skate rotto che teneva sulle gambe, come se non le si fosse aperta una ferita vedendolo.

«Niente», lo appoggiò piano a terra. «Guardavo la pioggia.»

«In effetti è rilassante…»

«Sì», mormorò tornando a fissare la pioggia fitta che da quella notte non cessava di cadere dal cielo coperto di nuvole.

«Questa sarà la mia prima estate senza di lui», mormorò Zoe senza nemmeno rendersene conto. Si accorse di aver parlato e non di aver pensato fra sé e sé, solo quando sentì gli occhi tristi di Bill puntati sulla sua figura, in piedi di fronte a lui.

Abbassò lo sguardo e lo stesso fece Bill, prima di alzarsi e di raggiungerla a passo incerto. Zoe alzò il viso e dal suo metro e sessanta guardò il metro e novanta di fronte a sé, dicendogli che un abbraccio era proprio quello di cui aveva bisogno.

Bill la abbracciò dopo aver avuto il suo permesso, il tutto in silenzio, e la strinse a sé avvolgendole la schiena con le lunghe braccia, facendole nascondere il viso nel proprio petto e posandole un bacio fra i capelli profumati.

La tranquillità che provava quando era accanto a lei era… inspiegabile.

Dopo qualche minuto di religioso silenzio, stretti l’uno nelle braccia dell’altro, Zoe si schiarì la voce alzò gli occhi, incontrando quelli nocciola di Bill.

«Meglio se andiamo giù da Tom, che ne dici?»

Bill annuì e le prese la mano, lasciandosi alle spalle la pioggia e lo skate di un passato che sentiva anche fin troppo lontano, ma incancellabile.

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Capitolo 2
*** New life, after... ***


2. New life, after…
[Di
sopra
]

«La scuola mi perseguita!», gridò piano passandosi le mani sui capelli scuri a spazzola. «Già la odiavo di sotto, non credevo di dover stare sui libri anche qui!»

Erano sei mesi esatti che lo ripeteva, ma non ne era mai stanco.

«Anche in Paradiso si studia, mio caro Franky», sorrise Kenzie, seduta alla sua destra.

«E soprattutto tu, che hai scelto di diventare un angelo custode. È una delle mansioni più difficili», aggiunse Norbert, alla sua sinistra.

«Lo so ragazzi, lo so!», si grattò la testa e rificcò il libro nello zaino.

Kenzie aveva lunghi capelli color biondo platino, così chiari da sembrare quasi bianchi, sempre scompigliati con stile sulla testa, una frangia laterale che ogni tanto le cadeva sugli occhi chiari contornati sempre da matita ed ombretto nero, e il perenne rossetto bordeaux sulle labbra piene. Era davvero bella, con i suoi vestiti vaporosi bianchi e neri, anche sexy a dirla tutta, ma non era decisamente il suo tipo.

Norbert invece aveva i capelli scuri e gli occhi castani, alto e slanciato, ed era palese che fosse cotto di lei: Franky se n’era accorto immediatamente.

Era subito diventato loro amico perché erano stati gli unici in quella scuola ad accoglierlo con il sorriso sulle labbra e poi perché avevano molto in comune, a partire dalla causa delle loro morti: il cancro.
Come Franky l’aveva avuto allo stomaco, Norbert l’aveva avuto al cervello e Kenzie ai polmoni.

Lei aveva avuto la fortuna di riuscire a fare un po’ di chemioterapia, ma era stata pressoché inutile e aveva solo illuso la sua famiglia, infatti poco tempo dopo era morta. Kenzie in confidenza gli aveva rivelato che era rimasta sollevata quando arrivata in Paradiso aveva riavuto i propri adorati capelli. Franky aveva riso, capaci di ridere delle loro morti, anche se avevano lasciato in sospeso molte cose di sotto.

Se pensava al modo con cui lui aveva lasciato tutti, non volendo più prendere le medicine che per qualche ora ancora lo avrebbero tenuto lì, si sentiva un po’ in colpa, perché aveva visto come tutti avevano sofferto, soprattutto Zoe. Non avrebbe mai voluto farla soffrire, ma lui non poteva più stare lì, non si sentiva più parte di quel mondo, e aveva preferito andarsene con dignità, sorridendo.

Ma Zoe gli mancava, come gli mancavano Bill, Tom, Gustav, Georg e suo zio, e voleva vederli ancora, voleva stargli accanto tutti i giorni e, per quanto avrebbe potuto, aiutarli nelle difficoltà. E quelle erano tutte mansioni che poteva compiere solo un angelo custode, che per quanto fosse difficile ed impegnativo diventarlo, per loro, per lei, lo avrebbe fatto.

«Franky, se non te ne sei accorto è suonata da un pezzo», gli disse Kenzie picchiettando le unghie laccate di rosso scuro sulla sua spalla.

«Ah, sì, arrivo», si alzò e raggiunsero Norbert che li aspettava alla porta dell’aula.

«Ti eri perso ancora a pensare a Zoe?», gli chiese l’amico, camminando nel corridoio gremito di studenti.

«Già», annuì abbassando il capo.

Kenzie represse un grugnito e strinse i pugni, innervosita dall’argomento: era gelosa di Zoe, questo era chiaro a tutti e due; quello che non era chiaro ancora a Franky era se non le piacesse Zoe oppure se si fosse presa una cotta per lui. Sperava tanto la prima, perché per lui Kenzie non era altro che un’amica.

«Ti manca?», gli chiese ancora.

«Tu non puoi immaginare quanto.»

Kenzie sbattè l’anta del suo armadietto e si avviò verso l’uscita, senza salutarli.

«Io non la capisco», disse Norbert scuotendo la testa. «Che problemi ha?»

«Non lei, ma io avrò dei problemi se continua così», spiegò Franky, demoralizzato. 

L'amico lo guardò accigliato, mentre faceva un gesto con la mano e si avviavai verso l’ufficio del preside.
«Ed ora dove vai?», gli chiese alzando le braccia.

«Devo parlare con il grande capo», Franky gli sorrise. «Ci sentiamo dopo!»

Norbert gli sorrise e mostrò i pollici, raggiungendo Kenzie che era sicuro li stesse aspettando, anche se irritata. Lei non aveva nessuno oltre loro due non come Norbert che aveva diversi amici lì dentro, quindi doveva tenerseli stretti, nonostante a volte volesse strozzarli entrambi.

Bussò sul legno bianco della grande porta al piano superiore, sulla quale c’era inciso a caratteri dorati il nome del preside, e una voce potente e allo stesso tempo rassicurante gli diede il permesso di entrare.

«Buon giorno San Pietro», salutò pimpante Franky, chiudendosi la porta alle spalle.

Esatto, il preside della scuola era proprio San Pietro, colui che aveva le chiavi del Paradiso.

Tutti gli angeli minorenni dovevano andare a scuola appena arrivati – chi più e chi meno, proprio come se riprendessero da dove avevano lasciato – quindi quello era il suo vero posto, attraverso il quale cresceva tutti i nuovi angeli e li rendeva liberi dalla vita precedente al Paradiso. Solo gli angeli custodi mantenevano intatta la loro memoria, e Franky era uno di quelli che non voleva dimenticare la sua vita, anche se era finita troppo presto.

L’ufficio era molto spazioso e luminoso, c’era un’ampia finestra che dava sul giardino della scuola, provvisto di una grande fontana d’argento al centro, e l’arredamento era bianco e raffinato.

«Franky, figliolo!», si girò, le mani unite sotto la pancia, un sorriso bonario sul viso e una grande chiave dorata appesa al collo. Ovviamente quella non era la vera chiave del Paradiso, era solo una chiave simbolica! Non sarebbe stato molto furbo portarsi appresso una chiave di tale valore!
«Accomodati pure!»

Franky si mise seduto su una comodissima poltrona bianca e notò una cartellina aperta sulla scrivania: senza farlo apposta scorse la foto del volto di sua madre graffettata nell’angolo.

«Mamma», mormorò.

San Pietro con un gesto fulmineo chiuse la cartelletta e la infilò fra le altre nel cassetto, che chiuse a chiave.

Franky sollevò lo sguardo su di lui: «Era mia mamma.»

«Sì, figliolo.»

«Perché aveva la sua cartella aperta? Perché la stava riguardando? Credevo fosse un caso archiviato, ormai!»

«Lo so, Franky. Dovevo solo controllare dei dati, il computer è andato di nuovo in palla», sorrise dando una pacca al computer bianco accanto a sé: in effetti non era un guru delle tecnologie.

«Non mi può dire proprio niente, su di lei?», quasi lo supplicò.

«No, mi dispiace Franky», sospirò sedendosi sulla poltrona dietro la scrivania, serio in volto. «Sai quali sono le regole.»

«Sì, le so», abbassò il capo. «Io volevo solo sapere come mai non ha scelto di diventare un angelo custode, ecco.»

«Perché aveva raggiunto il limite di età, ricordi? Gli angeli custodi devono avere meno di trent’anni quando sono eletti perché dentro si ha ancora quell’energia vitale in grado di sostenere un compito del genere… Ma non l’avete fatto con il professor Schulz?», chiese con un sorriso furbetto.

«Sì, ehm… devo essermi addormentato.»

«Di nuovo?»

«Di nuovo», rise leggermente fra un sospiro.

«Ah Franky, cosa devo fare con te? Sei ancora sicuro della tua scelta di diventare un angelo custode? Devo per caso ricordarti che oltre a dover studiare ed impegnarti molto – cosa che non stai facendo per niente in questo momento, e siamo già agli sgoccioli, tra tre settimane avrai gli esami – essere angeli custodi non vuol dire solo stare assieme alle persone a cui vogliamo bene? Ma vegliarle, curarle… senza divertirsi come se si fosse vivi?»

«Sì, sì, queste cose ormai le so a memoria! Prometto che mi impegnerò, lo giuro.»

«Non devi prometterlo a me, devi fare ciò che vuoi, devi prometterlo a te stesso, se è proprio quello che desideri.»

«Io lo desidero, con tutte le mie forze; solo che stare attento alle lezioni non è proprio il mio forte.»

San Pietro sorrise bonario e si girò appena per tornare a contemplare il giardino ora invaso da studenti.

«E non può nemmeno dirmi in chi si è rincarnata?», chiese piano Franky, all’ultima spiaggia ormai. «Solo… solo per vederla una volta.»

«Non posso Franky. Mi dispiace.»

San Pietro sospirò afflitto quando Franky abbassò lo sguardo dispiaciuto, un sorriso amaro sulle labbra: lui era il suo pupillo, passavano ore a chiacchierare e amavano ognuno la compagnia dell’altro, e non riusciva proprio a vederlo triste. Purtroppo però quella volta non poteva farci niente: sapeva quanto Franky fosse legato alla sua mamma, ma le regole erano regole e dovevano essere rispettate da tutti, anche in un luogo benevolo e pacifico come il Paradiso.

«Non fino a quando non diventerai un angelo custode», aggiunse sorridendo. Franky alzò il viso e speranzoso ricambiò. «Sei venuto qui per qualche motivo in particolare?»

«Beh, ecco… mi chiedevo… So di essere un ingrato», abbassò lo sguardo. «Lei crede così tanto in me, io non faccio mai niente per renderla orgoglioso, in più non studio mai abbastanza e non sono mai attento in classe… però volevo chiederle comunque se poteva firmarmi un permesso per…»

«Ecco qua», glielo porse sorridendo, gli occhi luccicanti.

«È troppo buono con me», prese il foglietto di carta gialla, ricambiando il sorriso, pieno di gratitudine.

«Forse. Ma riconoscere i propri sbagli e soprattutto esprimermeli è stato un gesto che mi ha reso molto orgoglioso di te, Franky», lo rassicurò. «So che ce la farai, ho fiducia in te. E ora vai a trovare i tuoi amici.»

«Grazie. Davvero, grazie mille.»

San Pietro gli fece l’occhiolino e Franky si chiuse la porta alle spalle, stringendo fra le mani quel foglio firmato da San Pietro in persona. Quando sarebbe passato ai controlli avrebbe dovuto aspettare mezz’ora prima che decretassero che quella firma era autentica e non un falso.

Sospettosi pure in Paradiso, bah!

***

«Eccoti finalmente! Dov’eri finito?!», gridò Kenzie alzandosi dalla panchina e andandogli incontro con passi felini, la borsa di pelle nera che le sfiorava il fianco.

«Sono andato a parlare con San Pietro.»

«Un altro permesso?», chiese guardandolo stretto nella sua mano, un po’ infastidita.

«Esattamente», Franky le rivolse un sorriso aperto, superandola.
Si sentiva un po’ stronzo a trattarla così, ma nel suo cuore non c’era posto per lei se avesse voluto essere più di una semplice amica: quel posto era già riservato ad un’unica ragazza, Zoe.

Kenzie borbottò qualcosa stringendo i denti e lo seguì, mentre si avviava assieme a Norbert verso l’Ufficio di Collegamento, chiamato così per la sua funzione, ossia quella di collegare il Paradiso con il mondo dei vivi.

«Tu non hai mai nessuno a cui far visita?», le chiese Franky, guardandola con la coda dell’occhio.

«No», voltò il viso offesa e strinse le braccia al petto.

«E la tua famiglia?», chiese allora Norbert.

«Non ho voglia di vederli: non glien’è mai importato nulla di me, hanno pianto solo al mio funerale, poi la loro vita è ricominciata normalmente», sollevò le spalle.

«Ok, come vuoi. Tu vieni con me, Nor?»

«No amico, grazie. Domani abbiamo una verifica importante, ci sono tre capitoli sugli Intrappolati da studiare, ricordi?», sogghignò. Franky si portò una mano alla fronte, chiudendo gli occhi.

«Me n’ero dimenticato! Grazie per avermelo detto! Allora forse è meglio se scappo, eh? Ciao ragazzi, a domani!», gridò con una mano alzata, correndo via.

«Ciao Franky!», lo salutò Norbert; Kenzie fece una smorfia e biascicò qualcosa di molto simile ad un saluto: gli era andata bene!

Franky scosse la testa con un sorriso sulle labbra, sorridendo per non disperarsi: già le cose erano complicate, ci mancava solo Kenzie per incasinare tutto maggiormente.

Arrivò all’Ufficio di Collegamento e trasse un respiro di sollievo: era un semplice venerdì, quindi non c’era molta coda come nei giorni festivi.
Franky si mise dietro ad una ragazza grassottella e aspettò il suo turno con il permesso stretto fra le mani, facendosi beatamente i cavoli suoi, quando una discussione lo distrasse e lo portò a voltare lo sguardo in avanti.

«Il permesso, signorina», chiese Miguel, un’agente celeste ormai suo amico, in divisa bianca e blu, un cappellino calato sul viso che lasciava solo intravedere i suoi capelli biondi.

«Ehm…», balbettò la ragazza, tastandosi le tasche del giubbino chiaro e quelle dei jeans. «Ce l’avevo!»

«Sì, certo. Ragazzina, non abbiamo tempo da perdere qui, mi dispiace. Hai il permesso o non ce l’hai?»

«Io… io ce l’avevo!», gridò con le lacrime agli occhi, mentre Miguel la prendeva per le spalle e le faceva fare retrofront, permettendo così alla fila di scorrere.

Un ascensore si riempì e sparì di sotto; il prossimo sarebbe stato quello che avrebbe preso anche Franky.

Guardò la ragazza, che tirava su col naso, asciugandosi il viso dalle lacrime ribelli che le erano scivolate lungo le guance, e improvvisamente gli venne in mente Zoe e non poté lasciarla andare via così, non poteva.

«Ehi», le disse prendendola per il polso.

«Sì?», mormorò la ragazza, alzando lo sguardo e incrociando gli occhi d’oro liquido – davvero belli – con quelli di Franky.

«Senti…», Franky guardò il proprio permesso e poi le fece un sorriso. «Tu ce l’avevi davvero?»

«Sì che ce l’avevo! Ma non sono mai stata molto ordinata…», arrossì.

«Per questa volta puoi venire con me, dai.»

«Dici sul serio?», i suoi occhi si illuminarono.

«Sì, dico sul serio.»

«Oddio, grazie!», gli strinse le braccia intorno al collo, felice.

Franky ridacchiò, solleticato in viso dai suoi corti capelli color miele, rendendosi conto che non sapeva nemmeno il nome di quella ragazza; eppure gli era sembrato naturale aiutarla in quel momento. Che sentisse già dentro di sé l’influenza dello spirito dell’angelo custode?

«Ehm-ehm», si schiarì la voce Miguel, ridacchiando. «Tocca a voi.»

La ragazza si staccò di scatto da Franky, imbarazzata, e le sue guance presero immediatamente colore, diventando rosse come ciliegie.

L’agente celeste si lasciò scappare un sorrisino e fece l’occhiolino a Franky, che lo spinse sulla spalla scuotendo la testa: che aveva capito?!

Salirono sull’ascensore di vetro e quando le porte si chiusero iniziarono a scendere fra le nuvole. Ovviamente sarebbero stati comunque invisibili, nessun umano sarebbe stato in grado di vederli o di vedere un ascensore scendere dal cielo.

«A proposito, come ti chiami?», le chiese Franky, mentre aspettavano di arrivare a destinazione.

«Oh, è vero! Io mi chiamo Jole Krüger, molto piacere. Ti sono infinitamente grata, davvero.»

«Non ti preoccupare, per me è stato un piacere. Io mi chiamo Franky, comunque. È la prima volta che scendi?»

«Sì», sussurrò abbassando lo sguardo, fissandosi i piedi.

«Ok. E chi vai a trovare?»

«T… una persona», balbettò, correggendosi immediatamente.

Franky rimase in silenzio per tutto il resto del tragitto, senza sapere che altro chiedere, visto che lei sembrava così timida e riservata. Ma forse era solo morta da poco e doveva ancora accettare tutto quello, e parlarne per la prima volta con uno sconosciuto non doveva essere proprio il massimo.
Semplicemente rispettò il suo silenzio, pensando a Zoe, che avrebbe rivisto di lì a poco.

____________________________________

‘Giorno, gente!
Ho il raffreddore, accidenti, e mi sento abbastanza intontita, ma non potevo non lasciarvi il capitolo di Franky! *-* Finalmente il mio bimbo torna in scena! Ora siamo in Paradiso ( [Di sopra] xD ) e accanto a lui ci sono dei nuovi personaggi che mi piacciono tanto e che spero piacciano anche a voi u.u
Anche questo, come il capitolo precedente, è un po’ da introduzione ^-^
Fatemi sapere in tanti che ne pensate, mi raccomando!

Ringrazio, per le recensioni allo scorso capitolo:

Deeper_and_Deeper: Grazie mille! (:

Utopy: Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa *-* Grazie, danke, mercì! Sono contentissima che tu ti sia innamorata di QUESTA storia, davvero davverissimo! *-* Franky, però, è MIO U.U XD Se ti è piaciuto tanto lo scorso capitolo, poss ben sperare che questo ti sia piaciuto il doppio, vero? u.u Sono una ragazza con poche preteseeeeeee *ç* Grazie, davvero! Ti voglio tantissimissimo bene, ranocchietta MIA!! La Storia è TUA xD

Isis 88: Yeah, in questo capitolo Franky torna! ;D Spero ti sia piaciuto! Grazie mille, alla prossima!

eleonor483: Sono contenta di essere riuscita ad incanalare bene in voi le sensazioni dei ragazzi ^-^ Grazie mille, baci!

Poi non posso non ringraziare quelle persone che hanno già messo questa storia fra le preferite e le seguite, mi fa tantissimissimissimo piacere! *-*
Grazie a tutti, anche a chi legge soltanto, alla prossima! Con affetto, vostra

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Capitolo 3
*** Afraid of love ***


3. Afraid of love
[Di sotto]

Zoe grattò la ceramica della propria tazza di cioccolata calda con le unghie, lo sguardo basso e sfuggente, immersa in mille e più pensieri.

Bill la osservò di sottecchi, chiedendosi se fra i suoi pensieri ci fosse Franky, la causa di tutto il dolore che aveva provato in quel mesi, la causa di tutte le lacrime che aveva versato, anche addosso a loro.
Sospirò leggermente e il gemello lo guardò interrogativo, come fece poco dopo anche la stessa Zoe, che fece un sorrisetto da bambina, dolce e tenero, che gli sciolse il cuore all’istante.

«Possiamo andare?», chiese.

«Sì, andiamo», annuì Tom prendendo anche la sua tazza vuota e poggiandola nel lavandino. «Bill non stare lì imbambolato, dobbiamo andare.»

Bill scosse la testa e si girò sulla sedia, lo guardò in viso accigliato: «E dove?»

«Andiamo a trovare Franky», gli disse piano Zoe, passandogli una mano sulle spalle.

A quel contatto lui rabbrividì, ogni suoi singola terminazione nervosa lo avvertì che qualcosa stava cambiando in lui: qualcosa nel suo cuore stava cambiando per lei, per quella ragazzina. O era già cambiato. O era sempre stato così.

Poteva essere benissimo una sua impressione, poteva aver frainteso tutto, però era già un po’ di tempo che si sentiva strano quando si trovava accanto a lei, che sentiva quei brividi ogni volta che si sfioravano, che sentiva un nodo salirgli in gola quando si parlavano, che nel suo stomaco si libravano milioni di farfalline nate chissà come e perché.
Tutti quei sintomi avevano un’unica risposta, lui la sapeva, e bene anche, ma quella era Zoe… e non poteva stare con lei. Era solo una ragazzina! O forse, che fosse piccola, non era la causa principale della sua reticenza a quel sentimento.

Si alzò e le rivolse un sorriso, poi andò di sopra a cambiarsi, senza pensarci ancora. Era così strana quella situazione che se ci pensava gli veniva il mal di testa e un grande senso di colpa gli attanagliava il cuore: come poteva essersi innamorato di Zoe, la ragazza di Franky?

«Bill, non metterci tre ore!», gli gridò Tom dal piano inferiore; Bill gli fece il verso con una smorfia.

***

Tom sospirò sprofondando nel divano e le indicò di venire a sedersi al suo fianco. Zoe si lasciò avvolgere le spalle dal suo braccio, sorridendogli e appoggiando la testa al suo petto.

Stava bene lì con lui, in quel momento. Di solito quando era con lui non pensava quasi mai a Franky e le pareva pure che tutto fosse normale, che non fosse mai accaduto niente di tutto quello che invece in realtà era successo. Quel giorno però faceva davvero fatica ad accantonare il passato dal presente, non ci riusciva proprio, ma lì fra le sue braccia si sentiva sicura e soprattutto non più sola.

«Novità?», le chiese piano, mentre con una mano le accarezzava i capelli.

«Niente di che», rispose con un’alzatina di spalle.

«Sicura? Credo di conoscerti abbastanza bene ormai da capire quando succede qualcosa oppure no. Ne vuoi parlare?», la guardò in viso, spostandole i capelli dalla spalla sinistra.

«No, solo che…», abbassò lo sguardo, torturandosi le mani. «Forse Heinz viene a stare da noi, ecco.»

«Il compagno di tua mamma?»

«Esattamente», sospirò. «Tom, non ti sembra un po’ troppo presto? Insomma… sono solo cinque mesi che si frequentano…»

Tom sorrise piano, sollevandole il viso e guardandola negli occhi azzurri: «Tua mamma ti sembra felice?»

«Sì, ma…»

Tom in silenzio chiuse gli occhi, le mise un dito sulle labbra, poi li riaprì e continuò: «E tu non sei felice se lei lo è?»

«Sì», sospirò. «Tu hai ragione, io ho torto, come sempre.»

«Io non detto questo…»

Ma Zoe era già partita, non poteva fermarla, né farsi ascoltare in alcun modo: quando faceva così era tale e quale a Bill, accidenti!

«Io non sono ancora pronta ad un altro uomo nella mia vita. Cioè, un altro uomo come… nel senso di… padre. E non voglio che mia mamma soffra, se dovesse andare male. È davvero troppo presto! Io non voglio che venga a stare da noi, no. Però tu hai ragione, sì, perché se lei è felice non dovrei metterle i bastoni fra le ruote ed essere così egoista. Solo che…»

Zoe non riuscì a finire, travolta da un abbraccio di Tom, che la strinse forte al suo petto, appoggiando il mento alla sua testa: si sentì infinitamente piccola in confronto a lui, in quel momento, tanto che strinse i pugni sulla sua schiena e chiuse gli occhi.

«Dici che forse ho solo paura?», sussurrò, il viso premuto contro la sua maglietta. «Non so che fare… E tu mi stai soffocando», ridacchiò.

«Scusa», Tom rise e sciolse l’abbraccio, la prese per le spalle e la guardò negli occhi. «Credo sia normale avere queste paure. Quello che puoi fare è vedere cosa sceglie tua madre, magari parlarne con lei, da sole…»

«Non ti facevo così saggio, Kaulitz», sogghignò. Uno spiraglio della vecchia Zoe, di quella solare e felice, si fece spazio nell’oscurità e lo fece sorridere: avrebbe voluto vederla sempre così, però non era possibile.

«Tu mi sottovaluti», le sussurrò malizioso all’orecchio, facendola ridacchiare.

Qualcuno si schiarì la voce alle loro spalle: non poteva che essere Bill, l’unico in quella casa oltre a loro due. Si staccarono velocemente l’uno dall’altro e lo guardarono leggermente imbarazzati; Zoe diventò persino rossa sulle guance.

«Possiamo andare», borbottò Bill avviandosi verso l’uscita, infilandosi gli occhiali sul viso.

Tom e Zoe si guardarono corrugando la fronte e poi sollevarono le spalle all’unisono, sorridendo.

***

Non era stato carino da parte loro aspettare che se ne andasse di sopra a prepararsi per scambiarsi quelle effusioni! Se dovevano, potevano benissimo farlo di fronte a lui, tanto… tanto non era geloso. No, non era geloso. Non era geloso, giusto?
E allora perché quando li aveva visti abbracciati un’improvvisa fitta all’altezza del petto gli aveva fatto salire il sangue al cervello? E perché per tutto il viaggio in macchina non aveva rivolto la parola a nessuno dei due, mantenendo quell’espressione imbronciata?

Avrebbe dovuto parlarne con Tom, anche se, come ben sapeva, non era da lui dargli dritte in amore. Proprio lui che di amore non ne sapeva un fico secco! Però l’avrebbe fatto. Forse il giorno seguente, forse fra vent’anni, ma lo avrebbe fatto.

Scesero dall'auto in silenzio e Zoe rimase ferma di fronte al grande cancello del cimitero stretta nelle spalle, gli occhi lucidi. Poi fece un respiro profondo e fece qualche passo, ma poco prima di entrare si ricordò dei fiori. Si girò e guardò i gemelli:

«Dobbiamo… cambiare i fiori?»

Uscì più come una domanda che come un’affermazione, infatti Bill e Tom annuirono e la scortarono dal fiorista all’altro lato della strada. Per Zoe quella sarebbe stata la prima volta in sei mesi: dopo il suo funerale non era mai andata a trovarlo, non ne aveva mai avuta la forza.

Restarono diversi minuti in silenzio a guardare i diversi mazzi già pronti, sotto lo sguardo della signora dai capelli grigi che si occupava del banchetto, e alla fine Tom, visto che Zoe non ne aveva la più pallida idea, prese il solito mazzo di fiori bianchi.

«Grazie e arrivederci», li salutò la signora con un sorriso.

Bill rabbrividì: come poteva sorridere e vivere con i soldi di persone che compravano fiori da lasciare sulle tombe dei defunti?
Poi guardò Zoe, ancora ferma lì, che sfiorava con le dita una rosa rossa, lo sguardo spento perso chissà dove.

«Se vuoi puoi prenderla, tesoro», le disse l’anziana, stringendole la mano. Zoe fece un debole sorriso e la prese dal vaso, se la portò al petto come se fosse la cosa più cara che avesse e li raggiunse.

Camminarono in silenzio sotto la pioggia fine, ascoltando il rumore dei loro passi sulla ghiaia, fra tutte quelle lapidi di marmo o di semplice granito.

Zoe si guardava intorno, il cuore stretto in una morsa d’acciaio: aveva paura di rivederlo, aveva paura di tutto in quel momento. Non sapeva se ce l’avrebbe fatta, anche per questo aveva voluto che ci fossero anche Bill e Tom. Si sarebbe poggiata su di loro, se le forze accumulate in sei mesi non fossero bastate.
Non le piaceva appoggiarsi sempre a loro per le proprie difficoltà, ma non poteva fare altrimenti: non aveva nessun altro e da sola non poteva farcela. Era un ostacolo ancora troppo grande da superare quello di camminare con le sue gambe, di soffrire da sola.

Tom si fermò di fronte alla tomba di Franky e Zoe ebbe un tuffo al cuore rivedendo quel sorriso immortalato nella fotografia incastonata nel marmo bianco e protetta dal vetro.

Le sue labbra tremarono e non riuscì ad arrestare le lacrime che iniziarono a scorrerle lentamente lungo le guance. Fu un pianto silenzioso però, un pianto che da troppo tempo era sempre stato solo rumoroso alle sue orecchie. Quella volta invece no, era silenzioso, dolce, triste, era un pianto che liberò quasi del tutto il suo cuore da ogni peso.

Non si appoggiò né a Bill né a Tom, rimase lì di fronte al sorriso e agli occhi verdi di Franky, immobile, la rosa stretta fra le mani. Non aveva spine, esattamente come lei in quei mesi: senza alcuna difesa, una facile preda del dolore e della malinconia.

«A Franky non piacciono nemmeno i fiori», disse con un mezzo sorriso guardando Tom mentre levava quelli vecchi per mettere quelli nuovi.

«Lo immaginavo.»

Zoe si inginocchiò all’altezza della foto e la sfiorò con le dita, asciugando il vetro dalle gocce di pioggia.

Quanto le mancava… Troppo. Lo voleva di nuovo accanto a sé, voleva che non fosse mai andato via. Voleva che il destino non gliel’avesse strappato dalle braccia. Voleva poterlo stringere ancora, voleva poterlo baciare, voleva poter fare ancora l’amore con lui. Lo voleva e basta.

Appoggiò la rosa rossa sotto la foto, come segno del suo passaggio, e sorrise alzandosi.

Ti amo, Franky. Ti amo e non smetterò mai di farlo, pensò prima di prendere il braccio di Bill e di tornare alla macchina di Tom.

***

«Perfetto, mamma è a cena con Heinz», sbuffò Zoe nei sedili posteriori della Cadillac.

«Se vuoi puoi restare a cena da noi, allora», propose Tom.

«Sì, grazie. Non ho voglia di stare a casa da sola, sinceramente. Per te va bene, Bill?»

Bill guardava distrattamente fuori dal finestrino, sul suo pianeta, e non aveva sentito niente di tutto quello che si erano detti lei e suo fratello.

«Ehi, Bill!», lo chiamò il gemello, schioccandogli le dita nell’orecchio. Bill sobbalzò e si girò verso di lui, lo sguardo interrogativo. «Zoe ha chiesto se per te va bene se resta a cena da noi.»

«Ah! Sì, certo che per me va bene», le sorrise. Zoe ricambiò abbassando lo sguardo, arrossendo leggermente sulle guance.

Arrivarono all’appartamento e Zoe si lasciò cullare anche dalle braccia di Georg e Gustav, poi ritrovò la borsa a tracolla abbandonata nel salotto, la prese e si mise sul tavolino a fare degli stupidissimi esercizi di matematica che sicuramente non avrebbero mai avuto un’utilità nella sua vita e che non l’avrebbero comunque aiutata a cancellare il debito che presumeva già d’avere.

Tom in un primo momento si era messo a guardare la tv sul divano, facendole compagnia con la propria presenza, poi aveva pensato bene di andare a farsi una doccia.

«Vai vai, se no poi puzzi», rise Zoe, dandogli una pacca sulla gamba.

«Io non puzzo mai», le fece una linguaccia, scontrandosi con il gemello che più serio di così non poteva essere.
«Che hai?», gli chiese.

«Io e te dobbiamo parlare, muoviti», Bill lo prese per il colletto della felpa e lo trascinò al piano superiore insieme a lui.

Lo portò in bagno e si chiuse la porta alle spalle, facendo un giro di chiave. Tom lo guardò un po’ spaventato, portandosi le mani di fronte al petto.
«Bill, io ti voglio bene, ma non in questo modo!»

«Ma che cosa hai capito, idiota?! Non ho detto che ti voglio stuprare, ma che dobbiamo parlare. Mi sembrano due concetti ben diversi fra loro!»

«E di cosa dobbiamo parlare?»

Bill fece un respiro profondo, sentendosi uno stupido megagalattico: doveva essere proprio cotto se arrivava a quei livelli!

«Tu e Zoe…»

«Sì? Io e Zoe cosa?»

«Ma vedi?! In questi momenti la telepatia fra gemelli dove va a finire?!»

«Stai tentando di chiedermi, in un modo alquanto assurdo e con reazioni da prima donna isterica, se tra me e Zoe c’è qualcosa di più di una semplice amicizia?»

«Oh, alleluia!»

«No! Ma come ti è saltato in mente?»

«Beh, sai, mi salta in mente se vi vedo per il novanta per cento del tempo abbracciati, o a sorridervi e a lanciarvi le occhiatine oppure a comportarvi come se foste una coppietta felice!»

Non aveva più fiato e aveva gli occhi sgranati, Tom stentava a riconoscerlo: che cosa gli stava prendendo? Che fosse…

«Aspetta un attimo, per favore», il chitarrista chiuse gli occhi, portandosi le mani alle tempie, massaggiandosele. «Allora, per prima cosa: io e Zoe siamo solo ed unicamente amici. Secondo: non è che tu sei geloso?»

«Geloso?! Geloso, io?! Ma va’, che vai a pensare?!», ridacchiò nervosamente.

«Sei geloso marcio. Ti sei preso una cotta per Zoe? Da quando?!»

«No, io… Non lo so!», si prese la testa fra le mani, sedendosi sul bordo della vasca. «Non ci capisco più niente, Tomi!»

Tom sospirò roteando gli occhi al soffitto, sperando che quella storia non finisse per creare ulteriori casini nella vita di Zoe, e si mise seduto di fianco a lui.
«Bill, non ho la più pallida idea di cosa dirti.»

«Certo, come al solito sei molto d’aiuto», bofonchiò.

«Però almeno sono sincero», sollevò le spalle. «E sono sempre al tuo fianco.»

Bill sollevò lo sguardo e sorrise: il suo fratellone, il solo ed unico. Gli gettò le braccia al collo in uno dei suoi abbracci stritolatori:
«Grazie Tomi.»

***

«Dai, la pasta non era tanto male!», rise Zoe sistemando i piatti nella lavastoviglie, aiutata da Bill. Chissà come mai si era offerto per aiutarla… Di solito lui non faceva mai niente!

«No, era solamente… disgustosa! Se volevi avvelenarci ci sei quasi riuscita!», gridò Tom dal salotto, dove si era spaparanzato sul divano, di fronte alla tv, accanto a Georg, mentre Gustav era andato a farsi una doccia.

«Faceva così schifo?», chiese allora a Bill, che ridacchiò sollevando lo sguardo sul suo viso.

«Era leggermente incollata ed insipida…»

«Immangiabile!», gridò ancora Tom.

«Stai zitto, Tom! Uffi, io che volevo fare una cosa carina… ho combinato il solito disastro.»

«Dai Zoe, è il pensiero che conta.»

«E il mio apparato digerente a risentirne!»

«Se hai così tanti problemi, Tom, vai a cagare!»

«Penso ci andrò!», rise.

«Strano però», disse Bill appoggiandosi al piano della cucina.

«Che cosa?», chiese Zoe spingendo dentro il cestello e chiudendo la lavastoviglie.

«Di solito le ragazze sanno cucinare.»

«Io sono negata, davvero. Ogni volta che Franky veniva a casa mia cucinava sempre lui…», la sua voce era diminuita sempre di più, fino a diventare un sussurro udibile a stento da Bill, che era al suo fianco.
«Sembra passato così tanto tempo», disse ancora, sollevando lo sguardo su di lui, incerto sul da farsi.

«E ne è passato, di tempo.»

«Già…»

Fra loro cadde un pesante silenzio e si sentì soltanto la televisione accesa in salotto, pure Tom si era azzittito. Bill si schiarì la voce e Zoe sospirò stringendosi nelle spalle.

«Forse è meglio che torni a casa, domani è un altro giorno di scuola…»

«Ok, ti accompagno io», si offrì lui, uscendo dalla cucina per andare a mettersi le scarpe di sopra.

Zoe andò in salotto e vide Tom con gli occhi chiusi sul divano. Che si fosse addormentato per davvero? Gli passò una mano di fronte al viso e ridacchiando dedusse che sì, si era addormentato veramente. Sorrise addolcita, fissando la sua espressione serena.
Lui era un po’ il fratello maggiore che non aveva mai avuto, quello che la proteggeva e la rassicurava, quello da cui andare quando c’erano dei problemi e quando aveva bisogno di parlare.

Si chinò su di lui e gli diede un bacio sulla fronte, accarezzandogli le treccine.

«Ti voglio bene, Kaulitz», sussurrò sorridendo.

«Ehi? Non vorrei dire, ma ci sono anch’io qui», disse Georg aprendo le braccia per farsi notare; Zoe arrossì di colpo e si coprì la bocca con le mani per non svegliare Tom.

«Scusa. È ovvio che voglio bene anche a te.»

Poco dopo Bill fece la sua comparsa nel salotto e la vide accanto alla porta, pronta per andare, con la borsa a tracolla sulla spalla. Gli sorrise appena lo vide e Bill venne percosso da un brivido, poi la raggiunse.

«Ciao Georg!», salutò Zoe ridacchiando.

«Ciao, buona notte!»

Scesero nei garage sotterranei del palazzo, si infilarono nella macchina di Bill e uscirono nel buio della notte, fra le strade poco affollate di Amburgo, diretti verso casa di Zoe, nella zona periferica della città.
Passarono più o meno tutto il viaggio in silenzio: Bill perché non sapeva cosa dire, Zoe perché si soffermava a guardare fuori dal finestrino la luna che nel suo spettacolo recitava col suo sipario di nuvole che leggere la coprivano e la rivelavano grazie al vento.

Quando finalmente arrivarono sotto casa sua, Zoe si girò verso Bill e gli sorrise:
«Grazie.»

«E di che cosa?»

«Per essermi stati vicini oggi. È stato… piuttosto difficile, ma ce l’ho fatta, grazie a voi. E poi grazie a te, per avermi accompagnata a casa.»

«Non devi ringraziarci», ricambiò il sorriso.

Avvicinò la mano al suo viso e le sfiorò la guancia con le nocche, poi si avvicinò a lei e respirando il suo profumo le posò un bacio sulla guancia, morendo dalla voglia di baciarla sulle labbra. Ma non poteva, non ancora.

Zoe arrossì e sorrise fugacemente uscendo dall’abitacolo, lo salutò con la mano e si chiuse il portone alle spalle.

Si sentiva tutto un fremito, era corsa su per le scale con uno strano sorriso sulle labbra e quando si era trovata nel silenzio della casa – sua madre doveva già essere andata a dormire – non ne aveva fatto un dramma. Non sapeva cosa le succedeva, ma non era una bella sensazione.

Si chiuse in camera sua, si infilò fra le coperte e si coprì il viso fino agli occhi, che iniziarono a lacrimarle. Di tristezza, di malinconia… ma anche di gioia, perché Bill con un semplice e stupidissimo bacio sulla guancia le aveva fatto sentire le farfalle nello stomaco.

Lacrime di colpevolezza.

Erano passati solo sei mesi dalla scomparsa di Franky e non poteva pensare già ad un altro ragazzo, che fra l’altro era… Bill.

Quello che prima di conoscerlo odiava profondamente e prendeva in giro insieme a Franky. Quello che assieme a suo fratello Tom riusciva a farla sorridere. Quello che era uno dei suoi più cari amici…

Si raggomitolò sotto le coperte e spense la luce, chiedendosi se mai avrebbe avuto una giornata normale, senza accumulare casini su casini.

________________________________________


Buongiorno gente! *-*
Oggi sono di buon umore, anche se la neve qui a Milano ci seppellirà tutti xD
Bene, bene, siamo al terzo capitolo e siamo tornati di sotto! Ancora per un po’ sarà così, con “di sopra” e “di sotto”, abbiate pazienza xD
Okay, spero vi sia piaciuto e fatemi sapere in tanti che cosa ne pensate! ;D

Ringrazio le persone che hanno lasciato una recensione allo scorso capitolo:

Utopy: Credo che questo capitolo ti abbia sconvolto i piani, anche se te l’ho detto subito che non saremmo stati “di sopra” xD Beh, spero che anche questo ti sia piaciuto però! Non ne dubito, visto che ami questa storia *_________________*
Nel prossimo capitolo però ti prometto che ci sarà Jole e che Franky incontrerà Tom u.u Parola d’onore! :D
Grazie mille di tutto *-* Ti voglio tantissimo bene fatina, davvero assai tanto!
©

Isis 88: Ciao! ^-^ Beh, però San Pietro ( Amo quell’uomo *ç* ) ha detto “fino a quando non diventerai un angelo custode…” xD
Oddio, adoro quando le persone si fanno i film e me li raccontano *____* Grazie davvero, mi hai fatta molto felice scrivendomelo!
Eppoi, eppoi, eppoi... Sì, sicuramente sarà un perfetto angelo custode, ne vedremo delle belle! Sono contenta che ti piaccia come abbia descritto le cose, a volte mi vengono i lampi di genio *-*
Grazie! Buon viaggio e buona permanenza a Londra! Baci ^-^

freency: Ciao cara! *-* Grazie mille davvero, mi fa tantissimo piacere che le mie storie ti siano piaciute e anche io trovo che Nothing sia una delle migliori, ne vado fiera ;D Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, a presto!

Ringrazio inoltre tutte le persone che hanno messo questa storia fra le preferite e le seguite e chi legge soltanto (: Grazie di cuore!

Al prossimo mercoledì! Con affetto, vostra

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Capitolo 4
*** Good dreams ***


4. Good dreams
[Di sotto]

«Dove siamo?», chiese spaventata Jole quando l’ascensore di vetro si bloccò improvvisamente e le sue porte si aprirono, mostrando loro una delle navate laterali di una chiesa, all’ombra rispetto a quella centrale.

«È la chiesetta del cimitero, tranquilla», le sorrise facendole strada lungo la navata illuminata solamente dai ceri accesi.

«Ma non ci possono vedere?», si guardò intorno, soffermandosi sulle persone sedute sulle panche che pregavano sotto la luce delle grandi finestre colorate, rivolte al crocefisso.

«No, siamo invisibili. E non ci possono nemmeno sentir parlare.»

«Oh, ok.»

Uscirono all’aperto e le loro strade si divisero: Jole lo salutò ringraziandolo, dicendogli che da lì in poi si sarebbe arrangiata, e si allontanò, sparendo alla sua vista; Franky invece si incamminò fra le tombe, guardandosi i piedi e non sentendo il rumore dei propri passi.

Arrivò di fronte alla propria lapide e un sorriso gli illuminò il viso: «Mi hanno cambiato i fiori…» Non gli erano mai piaciuti, a dire la verità, però gli faceva piacere il pensiero.
Notò la rosa rossa appoggiata sotto la sua foto e corrugò la fronte avvicinandosi e sfiorandola con le dita, fin quando non sentì le lacrime pungergli gli occhi pensando che doveva essere passata di lì anche Zoe, e quella rosa ne era la prova.

Quanto gli mancava la sua piccolina che profumava di fragola e che amava più di ogni altra cosa al mondo, sia terreno che ultraterreno.

Sorrise pensandola e si incamminò verso casa sua, passando per le strade affollate del centro. Era una strana sensazione quella di non essere né visto né sentito da nessuno, però da un lato era anche positivo: a Bill e a Tom avrebbe fatto sicuramente comodo, visto le orde di ragazzine che si trovavano sempre appresso se mettevano anche solo un piede fuori casa.

Una volta arrivato, rimase a fissare immobile il suo condominio: lo ricordava bene, e ricordava altrettanto bene tutto quello che avevano passato insieme, dal primo all’ultimo giorno.

Con un po’ di malinconia raggiunse il suo piano facendo le scale, proprio come se ancora fosse in vita, e attraversò la porta, trovando la casa vuota e silenziosa. Probabilmente era da Bill e Tom, come spesso era successo in quel periodo: era felice che tra loro si fosse instaurato un così bel rapporto ed era contento del sostegno che si stavano dando l’un l’altro. Però aveva notato qualcosa di strano in Bill, qualcosa che lo rendeva sia sereno che a disagio. Ma non era il momento per pensarci.

Si mise seduto sul letto di Zoe e avvicinò il cuscino al viso, aspirandone il profumo dolce: per lui non era più come quando era vivo, gli odori li sentiva attutiti, ma quello era l’unico svantaggio dell’essere un angelo. Per il resto, poteva volare, leggere nella mente delle persone quando e come voleva, non invecchiava... sostanzialmente una figata, rispetto a quando era malato.

Si guardò intorno e fece un sorriso amaro, sospirando: c’era anche da dire però, che avrebbe pagato oro per tornare da Zoe come un tempo, per sentirla sua, per coccolarla, per rassicurarla; non era la stessa cosa, però non si poteva lamentare più di tanto.
Quando sarebbe diventato un angelo custode tutto sarebbe stato più semplice. Doveva solo superare quegli stupidi esami.

Sentì la porta di casa aprirsi e si sporse sul corridoio per accertarsi che fosse Zoe, ma vide sua madre con Heinz, che si baciavano impetuosamente.

«Oh-oh, qui è meglio filarsela», ridacchiò ad alta voce, tanto non lo potevano sentire! «O vedrò cose che non dovrei vedere.»

Rientrò in camera e il suo sguardo venne catturato dal diario di pelle nera che spuntava fuori dal cassetto del comodino. Corrugò la fronte e guardandosi intorno lo prese fra le mani, titubante: era la cosa migliore da fare, sbirciare in un oggetto tanto privato?

Sentì i primi gemiti provenire dall’altra stanza e si affrettò ad uscire dalla finestra, borbottando che potevano aspettare ancora un attimo. Era contento per la mamma di Zoe, aveva il diritto di rifarsi una vita con un uomo che l’amava, ma Zoe non si era ancora abituata all’idea di avere un nuovo padre e un po’ la poteva capire.

Si mise seduto sul davanzale, appoggiato al vetro freddo, e guardò il diario fra le sue mani: la tentazione c’era, però... avrebbe potuto benissimo tenerlo lì chiuso, senza guardarlo. Però ormai era lì... Fece un grande respiro profondo e lo aprì, pentendosene quasi subito, ma ormai i suoi occhi scorrevano sulle parole, sulle righe, sulle pagine quasi autonomamente, senza che lui lo volesse.


È solo un incubo, domani mi sveglierò e tutto sarà finito, sparito…
No, invece, no… NO, NO, NO!
Franky… Te ne sei andato davvero. Mi hai lasciato davvero… Per sempre.
In questo momento vorrei solo raggiungerti, però… ho paura. Non so come tu abbia potuto sorridere, sei troppo forte, lo sei sempre stato.
Già mi manchi, mi manchi da impazzire.
Ti amo, ti amo, ti amo. Ti amerò sempre.

Chiuse di scatto il diario e si portò una mano sul viso, ricacciando indietro le lacrime.

Non aveva mai detto che andarsene fosse stato bello, anzi… Quando si era trovato in una stanza irradiata da una forte luce aveva pensato a Zoe e a tutte quelle persone che aveva lasciato dall’altra parte, sentendosi maledettamente in colpa. Già si sentiva nostalgico, avrebbe voluto tornare, ma… non era possibile.

Una donna bellissima e gentile – una delle tante segretarie addette all’accoglienza – lo aveva accompagnato fino alla “città” e la sua vita era in qualche modo rincominciata come sulla Terra, con la scuola e dei nuovi amici, Norbert e Kenzie, anche se era sostanzialmente diverso senza tutte quelle persone che aveva amato, che ancora amava e che aveva lasciato.

Si era cercato di consolare sperando di poter rincontrare sua madre, ma si era trovato di fronte ad una realtà che non avrebbe mai immaginato: tutti gli angeli, se non volevano diventare angeli custodi, si reincarnavano, e non aveva fatto in tempo a salutarla perché era già rinata in un nuovo corpo, partendo esattamente da zero sulla Terra.

Il giorno del suo funerale aveva avuto il permesso di scendere e di assistere alla cerimonia: quella era stata la prima volta in cui aveva rivisto Zoe e tutte le persone a lui care piangere per lui di fronte alla sua tomba. Persino Tom si era lasciato scappare una lacrima e non se lo era ancora del tutto perdonato – anche per quella lacrima, e per tutte le altre versate, aveva deciso di diventare un angelo custode per poter stare accanto a tutti loro.

Ricordava bene il momento in cui non era più riuscito a resistere e aveva parlato a Zoe. Non sapeva né come né perché, ma in quel momento ne era stato inspiegabilmente in grado ed era stato bello quanto doloroso, perché aveva letto negli occhi di Zoe una sofferenza che non aveva mai visto e che non avrebbe mai voluto vedere. E la causa era lui, solo ed esclusivamente lui.

Sentì il colpo sordo della porta della camera di Zoe che veniva chiusa e si voltò: scorse proprio lei che si guardò intorno spaesata e poi si spogliò velocemente, gettandosi sul letto, sotto le coperte. Franky entrò senza far rumore – anche perché non ne sarebbe stato comunque in grado – e rimise a posto il diario nel cassetto del comodino, poi si avvicinò alla ragazza che aveva amato e che amava e si accorse che sotto le coperte stava piangendo, per qualche motivo a lui sconosciuto.

Si mise sdraiato accanto a lei con un sorriso amaro sulle labbra e abbracciò quel fagotto singhiozzante sotto le coperte, la strinse forte ma ovviamente lei non lo sentì, come lui non sentì la stessa sensazione di quando era vivo. Ma continuare a lamentarsi era inutile.

Rimase lì accanto a lei in silenzio fin quando non si addormentò, ad ascoltare i battiti del suo cuore e il suo respiro; aspettò anche che sua madre tornasse a letto dopo una capatina in bagno, poi si alzò di malavoglia e la osservò intensamente, lasciando che un sorriso nascesse sulle sue labbra a quella innocenza. Si chinò su di lei e le baciò titubante le labbra: a quel contatto mille brividi gli percorsero la schiena e si sentì esattamente come sei mesi prima; inoltre vide nella propria testa un pensiero che tormentava Zoe, un bacio sulla guancia che le aveva dato Bill sorridendo.

Si scostò, aprì gli occhi e si passò le dita sulle labbra, scuotendo la testa, divertito.

E così era questo il problema? Era per lui che piangevi?

Un improvviso moto di irritazione a quel pensiero lo fece muovere più velocemente nella notte e corse all’appartamento dei ragazzi. Anche quello lo ricordava bene e con nostalgia, c’erano troppe cose che ricordando lo facevano sorridere e gli mancavano quei tempi, i litigi con Tom… Ma per quello aveva scoperto che c’era rimedio.

Raggiunse subito la camera di Bill e si ritrovò spiazzato perché lo trovò sveglio, seduto al davanzale della finestra, lo sguardo perso nella notte scura. Lo osservò attentamente e unì le braccia al petto quando lo vide sospirare ed abbassare lo sguardo. Se solo fosse stato vivo, quante gliene avrebbe dette! Sapeva che Bill quando voleva era forte come un leone, ma a volte si lasciava sopraffare da stupide paure che lo bloccavano.

Si avvicinò lentamente e si mise seduto al suo fianco, posò una mano sulla sua e chiuse gli occhi alle prime immagini e ai primi pensieri che si fecero spazio nella sua testa: Bill che mangiava una pasta non condita, insipida e appiccicosa; Bill che sorrideva a Zoe; Bill che aiutava Zoe a caricare la lavastoviglie; Bill che accompagnava Zoe a casa e la baciava sulla guancia. La maggior parte delle immagini erano concentrate su Zoe e a Franky questo fece male, anche se sapeva che lei non poteva più essere sua come un tempo né tantomeno poteva evitarle di vivere e di amare di nuovo, se era Bill che voleva. Ma era questo che non capiva… Perché Bill era tanto tormentato? Aveva paura di un rifiuto oppure… Aveva paura di “ferire” lo stesso Franky?

Scosse la testa e aprì gli occhi spezzando quel contatto e portandosi la mano nella tasca della felpa, insieme all’altra. Guardò ancora Bill per un istante, poi si alzò e con la testa ancora piena di quelle immagini andò nella stanza accanto, dove trovò Tom che dormiva scomposto e scoperto nel suo letto matrimoniale. La sua espressione si rilassò di fronte a quella tenerezza e si mise sdraiato accanto a lui, lentamente gli avvolse un braccio intorno alla vita e fece scontrare le loro fronti, poi sorrise creando un sogno. Se era scarso nella teoria, nella pratica era imbattibile.

Tom si guardò intorno confuso, chiedendosi dove fosse finito così all’improvviso e perché: di solito non faceva quel genere di sogni!

Probabilmente era in un ristorante, visti i tavoli rotondi ricoperti da candide tovaglie bianche e con al centro dei candelabri con tanto di candele accese; però era un ristorante deserto, c’era solo lui nel tavolo più appartato, in un angolo.

Un cameriere sorridente e vestito come un pinguino si avvicinò a lui: «Le vostre ordinazioni, signori?», chiese, reggendo una block notes e una penna.

«Ahm… Io voglio una coppa di gelato al cioccolato e fiordilatte, è un sacco che non lo mangio!»

Tom si girò di scatto, incredulo, gli occhi sgranati, e notò che davanti a sé c’era qualcuno, il cui viso però era nascosto dal menù. Ma la voce… Quella voce…

Lo tirò giù, sbattendolo sul tavolo, e rimase senza fiato alla visione di Franky che gli sorrise e agitò una mano in segno di saluto.

«Ciao Kaulitz, è molto che non ci si vede, vero?»

«Fr-Franky», balbettò con gli occhi che iniziavano a pizzicargli.

«Sì, proprio io. Che c’è di strano?»

«Beh, direi tut–»

«Scusi se la interrompo, ma la sua ordinazione?», chiese il cameriere, cortesemente.

«Lo stesso che ha preso lui», soffiò, per poi rivolgere subito lo sguardo sul ragazzino di fronte a sé che era rimasto uguale per tutto quel tempo, che come nulla fosse giocherellava con il bicchiere.

Il cameriere si allontanò e Franky si illuminò, guardandolo negli occhi e sporgendosi sul tavolo, tanto che Tom si spaventò e automaticamente si ritrasse.

«Che c’è, ti faccio paura adesso?», si imbronciò, portando le braccia strette al petto.

«No, è che… Che ci faccio qui? Che ci fai tu qui?»

«È un sogno Thomas, dovresti saperlo tu!», sogghignò. «Non ti fa piacere vedermi?»

«Sì, ma… Smettila di farmi queste domande! Sei tu che devi rispondere a me, non il contrario!»

«Io ti ho risposto, mi pare», sollevò le spalle. «Cosa vorresti chiedere che non sai già?»

«Beh… Per esempio… Ora, dove sei? Nel senso…», farfugliò agitato, gesticolando: «Dove… “abiti”?»

«Tom», sospirò. «Io sono dove tu credi che io sia, perché sono sempre con voi, in un modo o nell’altro. E comunque dove “abito” è un’informazione riservata», ridacchiò.

«Hai pure il coraggio di prendermi in giro?», sbattè un pugno sul tavolo, facendo tremare le bottiglie d’acqua e di birra.

«Oh, Tom! Ma mi dici qual è il tuo problema? Scherzavo sulla mia morte e non andava bene, ora sono morto e hai la fortuna di farmi partecipare ad un tuo sogno e non va bene?! Se vuoi che sparisca per sempre dimmelo!»

«Non è… non è quello che volevo dire», abbassò lo sguardo e nello stesso istante le due coppe di gelato arrivarono di fronte a loro, portate dallo stesso cameriere di prima.

«Buon appetito», augurò per poi sparire di nuovo.

Franky si gettò subito sul cioccolato e Tom lo guardò mangiare avidamente in silenzio, cercando di trattenere una risata quando vide che si stava sporcando tutto come un bambino.

«Mi manchi tanto, sai? Ci manchi tanto.»

«Anche voi mi mancate tantissimo, lo sai», sospirò passandosi un tovagliolo sulle labbra. «Raccontami, come vanno le cose?»

«Vanno», sentenziò indeciso, stringendosi le mani sotto al tavolo.

«Zoe, invece?»

«Tira avanti.»

«Proprio ti sprechi a parlare, eh… Cazzo, è un sogno! Hai il concetto di sogno? Se non vuoi che sia un incubo, vedi di stamparti un cazzo di sorriso in faccia, altrimenti lo diventerà: mi verrai a fare compagnia per mano del sottoscritto. Chiaro?», fece un sorrisetto sfrontato, al quale Tom rispose con una smorfia, anche se divertita.

«Non cambi mai, ragazzino.»

«Nemmeno tu. E deve essere sempre così.»

«Sai… Forse dovrei dirti una cosa, anche se è un sogno e so che domani mattina, quando mi sveglierò, mi sentirò un completo deficiente, ma… No, lasciamo perdere.»

«Dai, non mi lanciare il sassolino per poi riprendertelo! Adesso me lo dici!» Era quello il punto a cui aveva la massima urgenza d’arrivare, voleva sapere se i suoi sospetti erano esatti. Non importava se avrebbe fatto male o meno, lui doveva sapere ed essere contento se… Perché indietro non si poteva tornare.

«Beh, ecco… Bill e Zoe… Cioè… Bill…»

Tom continuava a balbettare, si sentiva un bambinetto stupido, soprattutto perché non riusciva a dire quella cosa a Franky, che oltretutto era solo un sogno!

Aveva forse paura di una sua reazione? Di vedere il velo di tristezza, di malinconia e di nostalgia che si aspettava calare sul suo viso? Aveva forse paura di aver tradito la promessa che gli aveva fatto, non proteggendo Zoe come avrebbe dovuto?

«Mi dispiace, Franky. Forse avrei dovuto starle più vicino, fare che questo non accadesse, ma…»

«Tom, guardami.»

Tom sollevò il viso e incontrò il volto sereno di Franky: fu come una pugnalata in pieno petto, nonostante dovesse solo essere felice se lui ora stava bene, anche se era perdutamente ed infinitamente lontano da loro…

«Che cosa cavolo stai dicendo, posso saperlo? Proteggerla non vuol dire soffocarla, chiuderla in una stanza e far sì che non si faccia del male. Io ti ho chiesto di prenderti cura di Zoe e fino ad adesso sei stato impeccabile, come sono certo che lo sarai anche in futuro. La colpa non è tua, se lei ricomincia a vivere… con un altro ragazzo. È quello che voglio anch’io, te lo giuro; anche se mi fa un po’ male, è giusto così.»

Calò uno strano silenzio, anche imbarazzante, e Franky vide aprirsi una crepa sul soffitto che non gli piacque per niente. L’unica spiegazione a quel fenomeno non gli piacque per niente. Che qualcuno stesse cercando di entrare nel sogno dall’esterno, di distruggerlo?

Tom non pareva essersene accorto, in quanto era girato di spalle, e Franky mantenne la calma, deglutendo diverse volte.

Calma Franky, calma… Ci deve essere una soluzione, ok?

«Franky…», la voce di Tom uscì in un sussurro, ma Franky la udì benissimo grazie ai sensi in allerta.

«Che cosa c’è, Tom?», chiese cercando di essere il più normale possibile, nonostante fosse preoccupato e alla ricerca della soluzione efficace e più immediata.

«Com’è… com’è morire?»

Rimase spiazzato alla domanda, poi si sciolse in un naturale sorriso: da Tom poteva aspettarsi di tutto, l’aveva capito negli ultimi mesi della sua vita. Poteva essere l’idiota e lo sbruffone del gruppo quanto voleva, ma era capace di essere davvero un amico, dolce e anche sensibile. Se solo lo desiderava, se solo qualcosa o qualcuno gli stava a cuore.

«Non saprei come spiegartelo, Tom. Non è una sensazione molto piacevole, perché ovviamente nessuno vorrebbe morire… Però le signorine dell’accoglienza sono tutte molto carine.»

«Le… signorine dell’accoglienza?», sgranò gli occhi.

Ops, si maledì mentalmente Franky, ridacchiando. «Scherzavo, Kaulitz! Credo che non si possa spiegare a parole, non capiresti… Non è bello da dire, ma finché non si prova sulla propria pelle non si può capire.»

«Uhm… Ok», annuì sconsolato.

Franky sollevò lo sguardo sulla crepa e scoprì che si stava espandendo a vista d’occhio, ormai era arrivata quasi fino sopra alle loro teste. Doveva fare qualcosa, subito.

«Ora devo andare Tom», disse frettolosamente, alzandosi in piedi.

«Cosa, perché? E dove vai?» Lo imitò, seguendolo quando gli passò accanto. 

Franky si girò, preoccupato che potesse vedere la crepa scura, e lo guardò severamente. «Questo sogno deve finire, Tom.»

«No, non voglio!»

«Non posso restare per sempre!»

Lui assunse un’espressione arrabbiata e lo abbracciò prendendolo alla sprovvista, stringendolo forte fra le braccia e appoggiando il mento alla sua testa: «Resta Franky, resta», mormorò sull’orlo del pianto.

Franky sospirò afflitto e guardò la crepa che continuava imperterrita ad ingrandirsi sotto il suo sguardo, provocandogli una strana sensazione di malessere.

«Mi dispiace Tom, devo andare. Stammi bene, ok?», gli sussurrò prima di chiudere gli occhi e di svanire lentamente fra le sue braccia. L’ultima parola che sentì, prima di uscire dal sogno che iniziava a deformarsi, fu il suo nome, gridato ripetutamente da una voce… ferita.

Riaprì gli occhi infastidito, teso come una corda di violino, e scattò seduto sul letto, trovandosi di fronte Jole.

«E tu che ci fai qui?», sollevò il sopracciglio, indagatore: che avesse cercato davvero lei di irrompere nel sogno?

Jole non rispose, lo sguardo spiritato fisso sul viso inespressivo di Tom, che probabilmente stava ancora sognando.

Una smorfia di rabbia le contrasse il viso chiaro e Franky reagì di riflesso, proteggendo Tom dalle sue unghie che si erano improvvisamente allungate e che erano pericolosamente vicine al suo petto.

La spinse via con forza e si guardarono in cagnesco, poi lei si gettò addosso a lui mostrando i denti, aggrappandosi al suo collo con le mani. Franky la spinse contro al muro e le fece sbattere la schiena, fin quando lei non sogghignò e perse consistenza, finendo dall’altra parte del muro e colpendolo di sorpresa con uno schiaffo in viso.

Quella non era Jole, la ragazza timida e riservata di quel pomeriggio. Non poteva essere davvero lei, c’era qualcosa che non andava! Che cosa le stava succedendo?

Comunque, non poteva lasciare che facesse del male a Tom e inoltre stava iniziando a dargli noia.

«Io non mi batto con le ragazze, ma tu mi hai stufato!», la prese per le spalle e le tirò una testata, facendola svenire fra le sue braccia.
«Testa dura», mugugnò portandosela sulla spalla e trascinandola via da lì, prima che si svegliasse e avesse un altro raptus.

Uscì dalla finestra e saltò nel bel mezzo del giardino. Appoggiò Jole fra l’erba fresca della notte e la guardò dall’alto, portandosi le mani sui fianchi.

Chissà che cosa le era preso. E poi, perché era così arrabbiata con Tom? La conosceva? Che le aveva fatto?

Si inginocchiò ad osservarla meglio e vide una macchia scura sulla pelle diafana, sul petto, che pian piano si ritirò sotto la camicetta.

Non aveva mai visto nulla del genere: magari se avesse studiato un po’ di più la teoria, invece di focalizzare tutta la sua attenzione sulla pratica, avrebbe saputo qualcosa di più.

Non poteva lasciarla lì a vagare sul mondo dei vivi, doveva tenerla d’occhio anche solo per evitare che attaccasse di nuovo Tom; così non poté far altro che sedersi non molto distante da lei, sui gradini all’entrata del palazzo, ed aspettare che si svegliasse.

Si passò le mani sul viso e respirò profondamente, pensando alla chiacchierata con Tom. Si erano incontrati in sogno già altre volte, ma Franky era stato ben attento a non fargli ricordare nulla la mattina dopo, al risveglio. Quella volta invece non ne aveva avuto il tempo: chissà come si sarebbe sentito il chitarrista, sicuramente non sarebbe andato in giro saltellando, soprattutto visto il loro saluto brusco.

I sensi di colpa – a volte anche ingiustificati – erano ormai all’ordine del giorno per lui, perché qualunque cosa facesse o non facesse, era causa di dolore per tutte le persone che gli volevano bene. Aveva imparato a convivere con queste sgradevoli sensazioni, ma a volte era troppo, davvero troppo da sopportare. Era anche per quel motivo che la maggior parte degli angeli decidevano di reincarnarsi, quando non diventavano dei custodi.

Pensò alle parole incerte di Tom che comunque avevano confermato i suoi sospetti: Bill si era preso una cotta per Zoe, chissà da quanto, e lei molto probabilmente si sentiva insicura e allo stesso tempo contraccambiava perché era debole e aveva bisogno di qualcuno con cui ricominciare.

Ora che ne era sicuro, che cosa sentiva? Aveva una maledetta voglia di piangere, perché dopo tutta la fatica che aveva fatto per conquistarla, per farla sua, aveva passato la maggior parte del tempo a star male; non si era goduto pienamente il loro tempo, già scarso. Non solo lui era stato strappato via da lei, ma lei era stata strappata via da lui, separati da qualcosa di più forte e di incontrastabile.

Con il tempo aveva anche imparato ad accettare che quello era il suo destino, ma non era per niente semplice. Nulla era semplice, una volta presi alla sprovvista dalla morte, soprattutto perché dopo di essa c’era ancora qualcosa.

Comunque, non voleva che Zoe stesse male e che fosse infelice; anche se si sentiva demoralizzato e triste, doveva sforzarsi ed essere contento per lei, perché non voleva nulla di più che la sua felicità. E se Bill fosse stato in grado di farla sorridere sempre, gliene sarebbe stato infinitamente grato.

Alzò il viso e vide Jole svegliarsi, aprire gli occhi lentamente e guardarsi intorno, tirandosi immediatamente seduta, allarmata.

«Ti sei calmata?», chiese Franky unendo le mani, i gomiti sulle ginocchia.

«Che cos’è successo, che ci faccio qui?»

«Ci siamo picchiati, in poche parole. E io ti ho fatta svenire con una testata», le spiegò sogghignando, mentre lei si portava una mano alla fronte dolorante. «Hai la testa dura.»

«Simpatico… Ma perché ci siamo picchiati?»

«Non te lo ricordi davvero?» In effetti, doveva aspettarselo: in quel momento non era lei, era una persona completamente diversa… come se la parte cattiva di lei avesse preso il sopravvento su quella buona.

Jole scosse la testa, dispiaciuta. Franky si alzò e le porse la mano, lei sorrise debolmente e la prese, si alzò da terra e lo guardò in viso, biascicando un timido «grazie» arrossendo sulle guance.

No, decisamente quella con la quale si era battuto non era la vera Jole: era la sua parte malvagia che chissà come mai aveva preso il sopravvento. Avrebbe davvero fatto meglio a seguire le lezioni, invece di giocherellare o di pensare a cosa stessero facendo i suoi amici al piano inferiore.

A proposito di lezioni e di scuola…

«La verifica!», gridò terrorizzato, schiaffandosi una mano sulla fronte.

«Che… che verifica?», chiese Jole.

«Domani ho una verifica importantissima, se non prendo un bel voto sono fritto! Vieni», la prese per mano e se la trascinò dietro.

«Ma… Dove andiamo?»

«Di sopra! Devo ancora studiare!»

___________________________________________

Oh oh oh, iniziamo ad entrare nel vivo della vicenda! xD
Spero vi sia piaciuto, è uno dei miei preferiti per ora *-*
Vorrei tanto sapere che ne pensate di Jole, se vi ricorda qualcuno che è comparso molto fugacemente in Nothing to lose e… Secondo voi perché ce l’ha con Tom? Ipotizzate! xD Vorrei sapere da voi, vorrei scoprire che ne pensate *-* Io per queste cose schizzo, mi piace quando le persone si fanno i film xD
Bene, ringrazio già tutti in anticipo perché so che mi farete felice ;D
Ma la parte indiscutibilmente migliore è quella del sogno, in cui Franky si incontra con Tom, vero? xD Beh, lascio decidere voi! Io passo a ringraziare le persone che hanno recensito lo scorso capitolo:

Utopy: Buongiorno xD Tu in questo momento sei a Roma, sei partita ieri e quando leggerai queste cose sarai di nuovo con me *-* Non vedo l’ora, cacchio -.-“ Sono felice per te, ma sono fondamentalmente egoista e ti vorrei sempre con me xD Mi manchi un macello bordello :’(
Comunque sia, questo capitolo l’hai letto prima di partire perché te l’ho passato e so già quello che pensi, ma ovviamente la tua recensione non può mancare u.u Sii ligia al dovere, al tuo ritorno xD
Grazie di tutto! Ti voglio tantissimissimo bene, Mond! Da impazzire *-*

Tokietta86: Grazie mille! Sono contenta che ti piaccia questa storia! In effetti Bill è molto tenero *ç* Grazie!

Isis 88: Hello! :) Ben tornata! Anche io devo andare in England quest’estate con la scuola, sono emozionatissima *-*
Tornando a parlare del capitolo xD Sarà un bel casino, sul serio o.o Non voglio anticipare nulla però xD Staremo a vedere. Poverino il cervellino di Zoe e poveri i suoi neuroni xD
David… David l’ho dimenticato >////< No, scherzo! Ci sarà anche lui, prima o poi! Quando si calmeranno un po’ le acque u.u Non ti preoccupare!
Tom come fratello maggiore mi esce sempre dolce dolcissimo *-* Speriamo sia così anche nella realtà xD Ma vedrai che cosa combinerà, anzi che cos’ha combinato… *Risata malefica xD*
Alla prossima, baci e grazie!

Ringrazio tantissimo anche chi ha messo questa FF fra le preferite, le seguite e le ricordate!
E poi anche chi legge soltanto! Grazie davvero di cuore!
Al prossimo capitolo, con affetto vostra,

_Pulse_

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Capitolo 5
*** Jole's past and Souls ***


5. Jole’s past and Souls
[Di sopra]

«Mi dai un bacio?»

Un bacio. Chiedeva solo quello, un bacio. Un bacio che mai aveva avuto.

Gliel’aveva chiesto molte volte, alla fine di ogni notte di passione, quasi supplicandolo senza darlo a vedere. Il suo cuore lo implorava, perché ne aveva bisogno, perché era intrappolato in quel gioco in cui non si divertiva più.

All’inizio era stato così, era tutto un gioco, ma poi qualcosa era cambiato e lentamente si era trasformato in… non sapeva nemmeno lei come, in amore. Amore incondizionato.

Era stanca di fare solo la groupie, voleva qualcosa di più da lui, qualcosa che sapeva anche lei sarebbe stato difficile se non impossibile ottenere.

«Io ti riempio di baci», le aveva sussurrato, posandole un bacio sul collo, distruggendola.

Un bacio sulle labbra. Voleva solo ed unicamente un bacio sulle labbra. Non l’aveva mai avuto. E non lo avrebbe più potuto avere.

Gli aveva chiesto più volte se potevano vedersi anche al di fuori di una camera da letto, ma la sua risposta era sempre stato un «No» deciso. Solo una volta le aveva dato quella falsa speranza.

Gli aveva mandato l’ennesimo messaggio, ormai senza speranze, solo per forza di abitudine, e poco dopo, incredula, aveva letto la sua risposta, il cuore che le batteva impazzito in mezzo al petto:

Ci vediamo tra mezz’ora al bar del centro commerciale.

Ci aveva messo un sacco a prepararsi, ma poi aveva optato per un paio di jeans e una felpa blu, per estraniarsi sempre di più da quell’immagine errata che aveva dato di sé per mostrarsi più grande, forte e matura, sentendosi però una bambina disorientata.

Era arrivata lì in orario e si era seduta ad uno dei tavolini all’interno, di fianco alla vetrata dalla quale poteva vedere le vetrine dei negozi di fronte a sé, aspettandolo con il cuore in fibrillazione.

I minuti non sembravano passare mai, erano ore; lei aveva ordinato una birra, poi un’altra. Era passata mezz’ora, ma di lui nemmeno l’ombra.

Quando stava per abbandonare la testa al tavolino, dandosi della stupida per la sua ingenuità, l’aveva visto passare attraverso la vetrata: era assieme ad una ragazzina mora, occhi azzurri mozzafiato, minuta e con i lineamenti del viso dolci. E che sorriso… 
Le teneva un braccio intorno alle spalle e anche lui aveva le labbra incurvate all’insù, che per lei erano sempre state troppo lontane, irraggiungibili.

Una rabbia insormontabile le aveva fatto ribollire il sangue nelle vene, ma non era riuscita a muovere un muscolo, guardandolo mentre il suo sguardo si posava lentamente su di lei e poi tornava a sorridere alla moretta che gli stava parlando.

L’aveva visto andare via con le lacrime agli occhi, il cuore che le si disintegrava in mezzo al petto. Poi aveva pagato le sue birre e se n’era andata, lo sguardo basso e le ceneri del suo insignificante cuore che volavano via all’arietta fredda della sera.

[I was betrayed
There is no fate
An open sore
I'm in too deep
I can't believe anymore
Will you take what's left of me
Reanimate my trust in fate]

Si era rifugiata in un supermercato non molto lontano da casa sua che stava per chiudere e aveva preso un pacchetto di caramelle gommose, giusto per prendere qualcosa. Aveva pagato ed era uscita di nuovo nel buio, senza una meta.

Aveva camminato tanto, forse per un ora, mangiucchiando le caramelle, l’una dopo l’altra, ricordando a stento quand’era stata l’ultima volta che l’aveva fatto.

Una volta di fronte al palazzo in cui viveva, aveva fatto un respiro profondo, aveva fatto le scale a piedi e aveva aperto la porta dell’appartamento con le sue chiavi, trovando la semioscurità e un silenzio che la fece tremare sul posto.

«Papà», mormorò, appoggiandosi alla porta con le spalle, gli occhi che iniziavano ad abituarsi al buio.

Sentì puzza di alcool e non fece in tempo a capire quello che stava succedendo che uno schiaffo la colpì in pieno viso, facendola cadere a terra talmente era stato forte ed inaspettato.

«Dove sei stata, troietta?!»

«Papà, ti prego…», singhiozzò.

«Dove, dimmi dove sei stata!», gridò più forte, dandole un calcio nello stomaco.

Gemette di dolore, rannicchiandosi su se stessa e non riuscendo ad impedire alle lacrime di graffiarle il viso. Tentò di rialzarsi e di scappare in camera sua, ma una serie infinita di calci le tolsero il fiato: ogni colpo era come morire, avrebbe tanto preferito che tutto finisse, piuttosto che continuare a soffrire in quel modo…

«Sei proprio una troia come tua madre, non c’è niente da fare!»
La prese per i polsi e lei tentò di liberarsi, urlando e dimenandosi, graffiandolo e mordendogli la mano che le coprì la bocca con forza.

«Puttana!» Le avvolse le mani intorno al collo, stringendo sempre più forte.

Quella era la fine? Uccisa da suo padre, alcolizzato e drogato?
Infondo… che cosa aveva da perdere? Nella sua vita tutto era andato storto da quando sua madre se n’era andata, e quando finalmente aveva creduto di trovare il suo punto di riferimento, anche questo l’aveva abbandonata, lasciandola da sola in quel mondo ostile.

Troppi sogni infranti, troppi dolori, troppe perdite.
Che senso aveva stare ancora lì, se l’amore della sua vita aveva preferito una ragazzina a lei?

Aveva aspettato una vita intera, sperando nel domani nonostante tutto, lottando, difendendosi, provandoci… Attendendo quella luce che alla fine era arrivata con lui.
Lui era stato la sua luce, il suo sole… ma ora, che si era spento di fronte ai suoi occhi, che senso aveva ancora la sua vita? Non aveva più nulla per cui vivere, per cui lottare; non aveva più nulla in cui credere, in cui sperare… Era troppo ferita per rialzarsi e ricominciare da capo. Era arrivata al limite, al suo punto di non ritorno. Tutto quello non lo poteva più sopportare, non più.

Era inutile stare lì, respirare ancora, lasciar battere ancora il suo cuore lacerato. Era inutile e nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.

Era quella la sua fine? Sarebbe svanita per sempre, con come ultimo pensiero il suo viso perfetto?

[Angel in disguise - you save my soul,
but you make my heart go blind
My devils rage inside - just can't let go,
‘cause it feels so right
You make my heart go blind]

Improvvisamente, quando ormai credeva di passare a miglior vita – poco, ma sicuro – la lasciò e cadde a terra, non retta dalle gambe. Le faceva male respirare, la gola era in fiamme e gli occhi fuori dalle orbite.

Quel mostro che aveva assunto le sembianze del suo dolce papà grugnì qualcosa e si mise di nuovo in salotto a guardare la tv come se nulla fosse, mentre lei ancora era sdraiata a terra, dolorante e con a malapena la forza di respirare.

Passarono minuti, forse ore prima che riuscisse ad alzarsi e, appoggiandosi al muro, a raggiungere il bagno. Prese un barattolino nell’armadio e camminò lentamente verso la sua camera, nella quale si chiuse a chiave, scossa da un tremito.

Si abbandonò sul davanzale della finestra, con una smorfia di dolore sul viso ad ogni movimento, e guardò la città silenziosa, illuminata e così eterna… Poi il suo sguardo si posò sul barattolino che stringeva fra le mani tremanti.

[The city sleeps in empty streets
No glam of hope - godforsaken
There's no escape
I'm so afraid of being cold
Just to cope with society

Reanimate my trust in fate]

Forse… forse era sbagliato gettare al vento una base sulla quale ancora qualcosa poteva essere costruito. Chissà come sarebbe stata, la morte: forse avrebbe trovato finalmente la pace che tanto aveva cercato, la fine di quell’agonia… Sicuramente sarebbe stato meglio di vivere in quel modo.

Eppure, quella vita non se l’era scelta lei… Non aveva voluto lei che sua madre se ne andasse, scatenando una forte depressione nel padre che aveva iniziato a bere e a drogarsi e a picchiare la figlia. Quelle erano le conseguenze di una vita che lei non avrebbe voluto, che aveva cercato di cambiare, senza risultato.

Nessuno aveva mai capito quello che viveva, nessuno si era mai interessato a ciò che le succedeva, nessuno le aveva mai chiesto dei lividi che ogni tanto le comparivano sul corpo.

Nemmeno lui, nemmeno il suo sole si era mai accorto di nulla. Nessuno avrebbe pianto per lei, nemmeno lui.
Nemmeno lui sarebbe stato in grado, ora, di fermare quel meccanismo che nella sua testa era già iniziato e finito. Ormai lei era già morta.

[There is no fate, we've been betrayed
Can you ease my mind?
I'm blind with rage
Reanimate my trust in fate
Search deep down inside and heal the pain

Angel in disguise…]

Era bastata qualche pillola di troppo e puff, tutto era finito come per magia, senza che nemmeno se ne accorgesse.

Jole si alzò da quella panchina su cui si era fermata a riflettere sulla sua vita passata – quel grande fardello che le appesantiva il cuore – di cui ricordava ancora tutto perfettamente, e iniziò a camminare fra le strade del centro, l’ombra di un sorriso sul suo viso chiaro e malinconico.

La sera precedente era stata per la prima volta fra i vivi, grazie a quel ragazzino, Franky, tanto dolce e simpatico, che l’aveva aiutata senza nemmeno conoscerla. Era stata molto colpita dal suo comportamento, mai nessuno era stato così gentile con lei…

Era passata a vedere che fine avesse fatto suo padre e aveva scoperto che era finito in carcere, da cui non sarebbe uscito presto, con l’accusa di tentato omicidio.
Poi era andata a trovare Tom, ma di lui non ricordava assolutamente nulla: le uniche cose che le erano rimaste impresse erano il suo viso addormentato che avrebbe contemplato in silenzio per ore, e il prato su cui si era ritrovata aprendo gli occhi ed incontrando subito il viso gentile di Franky, che le aveva spiegato in modo molto confuso quello che le era successo.

Voleva parlare con lui, capire perché aveva quel buco nella memoria: forse lui avrebbe saputo darle delle risposte che da sola non poteva avere. E inoltre… aveva voglia di rivederlo.

***

Era esausto.

Quella notte era stato sui libri per diverse ore, subito dopo essere tornato di sopra con Jole, ma ne era valsa la pena: era sicuro di aver fatto un compito da dieci e lode. E poi era stato semplice memorizzare le informazioni, perché l’argomento da studiare erano gli Intrappolati, che da sempre avevano attirato la sua attenzione.

Erano esseri ancora legati alla propria vita, incapaci di potersi reincarnare o di trasformarsi in angeli custodi. Non erano nemmeno angeli normali: erano semplici anime bloccate all’interno del corpo ferito, traumatizzato, che ancora non aveva trovato la pace, l’equilibrio esatto per lasciarsi alle spalle la vecchia vita e passare ad una nuova, ripartendo da zero.
Erano spinti dalla voglia di rivedere la causa del loro dolore, inconsapevoli di avere delle reazioni violente, come se si volessero vendicare, mettendo a rischio la salute delle persone vive, senza poi ricordarsi assolutamente nulla di quello che avevano appena fatto.
In base ai tipi di dolori subiti, inoltre, comparivano segni evidenti che manifestavano queste sofferenze, in diverse parti del corpo.

Quella notte, studiando tutte quelle cose sul libro di testo che odorava ancora di inchiostro, Franky si era reso conto che Jole aveva tutte le caratteristiche necessarie ad essere un’Intrappolata.
Insomma, quella sera aveva cercato di fare del male a Tom, aveva lottato con tutte le sue forze e quando lui era riuscito a metterla fuori combattimento, al suo risveglio non si ricordava nulla. E in più aveva visto con i suoi occhi quella macchia scura sulla sua pelle, prima evidente e poi invisibile sul petto.

«Franky? Franky, stai bene?»

Scosse il capo e guardò Kenzie che, insieme a Norbert, lo fissava preoccupata. Fece un sorriso ed annuì con la testa.
«Sto bene, sì. Ho solo bisogno di parlare con San Pietro.»

«Ancora?», alzò il sopracciglio, scocciata. «Questa volta per cosa?»

«Devo chiedergli… una cosa», sollevò le spalle.

«Come vuoi», bofonchiò.

«Dai Kenzie, se vuoi oggi pomeriggio usciamo io e te! Tanto domani è domenica, non bisogna studiare», disse Norbert, lo sguardo illuminato da una scintilla di speranza. «Che ne dici?»

La campanella suonò e la ragazza si alzò di scatto, mettendosi la borsa nera a tracolla sulla spalla: «Non mi va», mugugnò e uscì fuori dall’aula.

Norbert abbassò lo sguardo ferito e Franky sorrise di conforto, mettendogli una mano sulla spalla: «Amico, posso darti un consiglio? Non arrenderti mai.»

«Franky… lei è cotta di te, non posso farci niente», disse, prima di alzarsi anche lui e di andarsene accennando un saluto con la mano, lasciandogli l’amaro in bocca.

***

Ci mancava solo che mi sentissi in colpa per Kenzie e Norbert, sbuffò sistemandosi lo zaino su una spalla, salendo le scale lentamente.

Aveva tante cose da dire a San Pietro, voleva discutere di Jole e soprattutto trovare un modo per tenerla d’occhio e…

Un momento. Si fermò in mezzo alle scale, la mano stretta intorno al corrimano. Gli Intrappolati non hanno bisogno dei permessi per scendere di sotto, sono autonomi da questo punto di vista, eppure… eppure Jole non lo sapeva.

Spalancò gli occhi, capendo finalmente tutto, e corse su per le scale, rischiando anche di scontrarsi con la simpatica segretaria di San Pietro che gli raccomandò di non andare così veloce, se non voleva farsi “male”.

Simpatica, pensò con un sorrisetto sulle labbra, mentre continuava la sua corsa. Ma perché mai non ho preso l’ascensore?!

«Ah! Franky!»

Si fermò e guardò giù dalla scalinata, dove c’era ancora la segretaria: «Sì, dimmi.»

«Se stai cercando San Pietro non è nel suo ufficio.»

«Oh. E dove posso trovarlo?»

«Beh, ecco… in questo momento è veramente impegnato…», tentennò.

«Ti prego, ho un assoluto bisogno di parlare con lui! È importante!», fece gli occhi dolci, talmente fremeva. Era quasi certo di aver capito tutto, ma aveva proprio bisogno di consultarlo.

«Ok», sospirò arrendevole. «È all’ultimo piano.»

«All’ultimo piano? Ma l’ultimo piano è…»

«L’Ufficio delle Rinascite, sì», sorrise.

«Non ci sono mai stato prima, può entrare solo il personale autorizzato, sei sicura che…»

«Dì alla guardia che devi consegnare questo documento a San Pietro con la massima urgenza. Se ti fa qualche altra domanda, digli che ti ho mandato io», gli fece l’occhiolino e gli diede un foglio intestato con lo stemma del Paradiso.

«Grazie Betty, io ti amo!», le gridò pieno di gratitudine, iniziando a correre di nuovo su per le scale; lei ridacchiò e scosse la testa.

Franky arrivò di fronte alle grandi porte dell’Ufficio delle Rinascite eccitato, tanto da non sentire nemmeno la gola che gli andava in fiamme.
Non era mai stato in quell’Ufficio e ora ne avrebbe avuto l’onore. Avrebbe davvero visto le anime delle persone scendere di nuovo sulla Terra per ricominciare a vivere in un nuovo corpo e l’idea lo elettrizzava tantissimo: era sempre stato un suo sogno sapere com’erano fatte le anime ed ora era ad un passo dallo scoprirlo.

«Ehi ragazzino, dove credi di andare?», chiese la guardia, sollevando il capellino blu e rivelando un viso a Franky familiare.

«Miguel!»

«Franky», sorrise.

«Che ci fai qui? Credevo lavorassi solo all’Ufficio di Collegamento!»

«E invece no, oggi ho il turno qui.»

«Oh, wow. Comunque, devo passare.»

«Hai il permesso per entrare qui?», chiese stupito.

«Sì», rispose pieno d’orgoglio, mostrandogli il foglio che gli aveva dato la segretaria. «Devo dare a San Pietro questo documento, è urgente.»

«Che fortuna sfacciata che hai Franky», sorrise divertito. «E così vedrai anche questa stanza, eh?»

«Non vedo l’ora. Posso andare?»

«Sì.» Prese il mazzo di chiavi che teneva attaccato alla cinta e ne infilò una nella serratura della grande porta, l’aprì e fece segno a Franky di entrare, che sorrise entusiasta.

L’aria sembrava quasi rarefatta e c’era una strana nebbiolina che rendeva l’atmosfera più misteriosa. Franky fece qualche passo all’interno, quando la porta si chiuse dietro di lui con un tonfo e sobbalzò dallo spavento.

«E tu che ci fai qui?»

Si girò di scatto all’udire una voce femminile e vide una ragazza, doveva essere la segretaria di quell’Ufficio, che lo guardava insospettita.

«Sono Franky. Devo consegnare questo documento a San Pietro, è qui?»

«Se ti hanno detto di venire qui, evidentemente lo è», gli strappò il foglio dalle mani e lo guardò infilandosi gli occhiali sottili sul naso; Franky fece una smorfia: perché doveva beccare proprio quella antipatica?

«Posso consegnarglielo io», gli disse dopo qualche secondo.

«Ehm… No», rispose prendendolo di nuovo e portandoselo al petto, provocando forse una reazione isterica in quella ragazza, che diventò rosso porpora in viso.

«Cosa?! E perché no?!»

«Ehm… Ahm… Devo consegnarlo io a San Pietro! L’incarico è stato dato a me!» Non poteva farsi buttare fuori, proprio ora che era ad un passo da vedere le anime senza veli!

«Che cosa succede qui?», la voce potente e allo stesso tempo rassicurante di San Pietro fece la sua comparsa e Franky trasse un sospiro di sollievo.

Sono salvo!

«Questo ragazzino pretende di volerLe dare –», incominciò la segretaria, ma venne interrotta e quella volta non poté obbiettare.

«Franky! Che bella sorpresa! Sei riuscito ad infiltrarti pure qui, eh?», sorrise.

«Sì, gliel’avevo detto che ce l’avrei fatta! Posso restare?»

«Ma certo!»

«Ma, signore…», balbettò la segretaria, parecchio innervosita.

«Non ti preoccupare, a lui ci penso io», la rassicurò. «Torna pure ai tuoi registri, le anime non vanno e vengono da sole.»

«Sì, signore», mormorò e se ne andò, ma non prima di aver lanciato un’occhiata astiosa a Franky, che non la calcolò nemmeno.

«Uff, grazie», sussurrò lui al suo salvatore. «Avevo paura che mi sbattesse fuori.»

«Sono arrivato proprio in tempo, eh? Forza, ti faccio fare un giro turistico, tanto ormai sei qui.»

Franky trattenne la gioia per non farsi cacciare fuori davvero e lo seguì saltellando, felice come un bambino a Natale, curiosando in giro e rimanendo sempre più affascinato.

La sua voglia di sapere era pressoché infinita, ogni cosa che vedeva aveva bisogno di una spiegazione e San Pietro era contento di poter rispondere a quelle domande. Credeva molto in lui, era un allievo eccezionale, diverso da quelli che normalmente frequentavano l’accademia… Aveva qualcosa in più, forse aveva preso la morte da un lato più positivo, forse non era a conoscenza nemmeno lui di che cosa avesse, ma sicuramente aveva un cuore grande, pieno d’amore, degno di ogni angelo custode che si rispettasse.

«Wow», soffiò Franky incredulo quando arrivarono di fronte a delle grandi celle che contenevano le anime e a dei… «Cannoni. Sono dei cannoni!», li indicò eccitato.

«Sì», rise San Pietro. «Possiamo chiamarli così, anche se sono un po’ più speciali.»

«Oddio, è… è pazzesco!», quasi gli brillavano gli occhi.

San Pietro si avvicinò alla corsia che portava al primo cannone e prese fra le mani un’anima, delicato come se fosse di cristallo.
«Franky, vuoi provare a tenerne una in mano?», gli chiese sorridente.

«Cosa? Davvero posso?», si indicò, guardandosi intorno.

«Sì, vieni dai.» Franky si avvicinò e unì le mani così da formare una conca, San Pietro con delicatezza gli passò l’anima e lui rimase estasiato a contemplare quella palla di luce azzurrina: era una sensazione strana quella di avere fra le mani la parte fondamentale di un essere umano, ciò che lo rendeva tale.

«È tiepida», sussurrò guardando l’anziano di fronte a sé, gli occhi lucidi dall’emozione.

«Sì, è il calore che senti dentro normalmente.»

«È magnifica, davvero.» La posò assieme alle altre e guardò un operaio raccoglierla ed infilarla nella fessura del cannone.

«Aspetta», gli disse San Pietro. L’operaio si fermò e lo guardò incuriosito mentre si avvicinava alla macchina, lui si girò verso Franky e gli fece segno di avvicinarsi.
«Con questi cannoni, come li hai chiamati tu, si spediscono le anime sulla Terra e loro viaggiano invisibili nel cielo finché non trovano il corpo al quale sono destinate, un corpo nuovo che deve ancora nascere.»

«E quanto tempo hanno per trovare il corpo?»

«Nove mesi, ovviamente.»

«Non ci credo. Vuol dire che i bambini nella pancia della mamma non hanno un’anima?»

«Uhm… non è proprio così», rifletté. «Te la metto semplicemente: quando un bambino è nella pancia della mamma condivide anche l’anima della mamma, fin quando non arriva la sua.»

«Cavolo. È… è assurdo.»

«Quante cose stai imparando, eh?»

«Magari fossero tutte così, le lezioni! Sarei il migliore dell’accademia, può giurarci.»

«Dai, genietto. Vuoi augurare buon viaggio a quest’anima?»

«Mi sta… mi sta dicendo che posso spararla sulla Terra?»

«Sì», annuì. «Ho tentato solo di dirlo in un modo più carino.»

Franky si avvicinò al cannone e sotto la supervisione dell’operaio e di San Pietro posò la mano sulla maniglia e con un colpo secco la tirò giù, poi si spiaccicò contro il piccolo oblò: l’anima attraversò in un lampo lo strato di nuvole e scomparve alla sua vista.

Buon viaggio, anima.

«Come ti senti, Franky?», chiese San Pietro.

«Mi sento… mi sento importante, e felice.»

«Mi fa piacere», sorrise bonario. «Abbiamo visto tutto qui, possiamo andare. Ho da fare un sacco di cose!»

«No, aspetti San Pietro!», lo fermò Franky con il cuore che batteva all’impazzata: si era quasi dimenticato il vero motivo per il quale era andato da lui! Doveva assolutamente chiedergli di Jole per sapere se era davvero un’Intrappolata e in quel caso che cosa doveva fare per proteggere Tom da lei. «Io ero venuto da lei anche perché le devo parlare.»

«Di cosa, figliolo?»

«Credo di aver conosciuto un’Intrappolata.»

«Vieni, andiamo nel mio studio, questo non è il luogo adatto per parlarne», disse risoluto, per poi incamminarsi; Franky lo seguì in silenzio, facendo un sorrisino all’operaio che li guardava confusi.

***

«Ricapitolando: tu hai portato con te sulla Terra un’Intrappolata.»

«Non sapevo che lo fosse! Come potevo immaginarlo?!»

«Ok, va bene», San Pietro annuì. «Vi siete separati e poi, mentre eri dal tuo amico Tom, ha cercato di entrare nel sogno che avevi creato.»

«Esatto.»

«Tu l’hai fermata appena in tempo e hai avuto uno scontro con lei, che era fuori di sé.»

«Sì, l’ho messa K.O. e quando si è ripresa non ricordava assolutamente nulla di quello che era successo. E aveva anche una strana macchia scura sul petto, gliel’ho vista prima che svanisse.»

«Mmm», mugugnò passandosi una mano sul mento. «Sì, non c’è dubbio, deve essere per forza un’Intrappolata.»

«Non posso fare delle ricerche nel database per sapere come è morta, la sua situazione familiare, il perché ce l’abbia così tanto con Tom…? Qualsiasi cosa! Da quello che ho capito bisogna risalire all’origine del dolore che ha intrappolato la sua anima nel corpo, per liberarla.»

«Sì, tu hai ragione, ma sai che non potrei fartelo fare: sono informazioni riservate e degli Intrappolati se ne occupa un altro Ufficio.»

«Credo che lei non sappia che cosa sia veramente.»

«È vero! Se l’avesse saputo non avrebbe nemmeno pensato di cercare un permesso per scendere di sotto!»

«Esattamente», Franky sospirò. «Che si fa ora?»

«Non saprei», rispose meditabondo il Santo.

«Se Jole scopre che è un’Intrappolata e che può scendere di sotto tutte le volte che vuole, potrebbe anche fare del male a Tom senza rendersene conto e io… io non voglio! La prego San Pietro, si tratta del mio migliore amico, non posso sopportare di sapere e di starmene con le mani in mano!»

San Pietro lo guardò intensamente negli occhi e vide quella luce che distingueva gli angeli normali da quelli custodi: Franky dentro di sé lo era già, ne aveva tutte le qualità – ottime qualità – aveva solo bisogno dell’atto scritto che lo metteva nero su bianco e il Santo non poteva esserne più orgoglioso. Gli sorrise e si alzò dalla poltrona, indicandola a Franky, che non se lo fece ripetere due volte e si fiondò al computer.

«Jole… Jole Krüger, sì ecco.» Trovò la sua scheda personale e anche San Pietro si chinò per leggere. Scritta in tre pagine e mezza c’era tutta la sua vita, fra cui la scomparsa di sua madre, il padre che aveva iniziato a bere, a drogarsi e a diventare violento con lei, ma non c’era nulla che indicava un legame fra lei e Tom.

Accidenti! E adesso come faccio?!

«Ma… si è suicidata», mormorò leggendo le ultime righe della sua biografia.

«Sì», constatò San Pietro. Si accorse dello sguardo insistente di Franky solo dopo qualche minuto e sospirò: «Stai per chiedermi perché non è all’Inferno?»

«Già. Io ho sempre saputo che i suicidi finissero lì!»

«È luogo comune, pensare ciò. È vero che togliersi la vita è rinunciare a ciò che di più prezioso ci è stato dato, ma come si dice… si torna tutti alle origini, prima o poi.»

«Mi sta dicendo che… che tutte le anime alla fine tornano qui?»

«Eccome, mio caro Franky.»

«Non è possibile! Anche quelle di tutte le persone cattive?»

«Sì, Franky. Nessun’anima è cattiva di natura, lo diventa. E tornando qui, ricomincia tutto daccapo. Certo, le anime che hanno subito un ingente flusso di malignità fanno un percorso di purificazione, come… come gli alcolisti e i drogati per disintossicarsi. Ma tornano sempre qui.»

«E quindi… l’Inferno non esiste!»

«No, non esiste.»

***

Sospirò e abbassò lo sguardo, osservandosi i piedi. Possibile che non gliene andasse bene una?

Già quando era viva non era riuscita a stare con il ragazzo che le piaceva, per un motivo o per un altro: lei era destinata a fare la modella, l’attrice, a diventare una stella… Non aveva tempo per quelle cose, perché quando sarebbe diventata famosa avrebbe avuto tutto ciò che voleva. Per questo nessuno si era mai preoccupato della sua salute, fino a quando una tac fatta per caso, dopo un incidente in motorino, aveva rivelato una vasta e compatta massa nel polmone destro.
Nonostante le varie chemio, nulla aveva impedito a quel male annidato nel suo corpo, proprio in ciò su cui tutti avevano sempre puntato l’attenzione e che doveva essere il suo passaporto per il successo, di portarla via da tutti loro, di porre fine alla sua vita ancora troppo giovane.

Ora, che si era presa una cotta per Franky, anche lui sembrava irraggiungibile, quella volta perché lui era fedele a quella Zoe… Solo a pensare il nome di quella smorfiosetta le veniva il voltastomaco.
Non poteva credere che preferisse quella a lei… Che cos’aveva Zoe di più in confronto a lei? Che avesse qualcosa di sbagliato lei? Sì… forse era lei che era sbagliata…

«Ehi, scusa.»

«Mmh?», si girò e guardò una ragazza dai capelli biondi e gli occhi dorati, che doveva avere giusto qualche anno in più di lei, venirle incontro, chiedendosi chi fosse e che cosa volesse da lei; non l’aveva mai vista prima.

«Non è che per caso conosci un ragazzo di nome Franky?»

Kenzie si immobilizzò e alzò il sopracciglio, insospettita. Come faceva a conoscere Franky? E soprattutto… che cosa voleva da lui?

«Perché vorresti saperlo?», le chiese con un’espressione dura in volto.

«Beh, ecco… Io devo parlare con lui. Lo conosci?»

«Sì, lo conosco.»

«E sai anche dove posso trovarlo?» Una strana luce si fece spazio in quegli occhi davvero belli e provò una sensazione di fastidio puro. Perché doveva lasciarla andare da lui? Già c’era quella Zoe a metterle i bastoni fra le ruote, ora pure quella?!

«In realtà non ho idea di dove possa –», iniziò con gli occhi chiusi, il naso rivolto all’insù, quando la voce del diretto interessato la interruppe bruscamente, facendo crollare ogni sua certezza.

«Jole!», gridò correndole incontro con un sorriso. «Che ci fai da queste parti?»

«Ciao Franky!», ricambiò il saluto, illuminandosi in viso. «Devo parlarti, hai da fare?»

«No, nulla di particolare. Andiamo a fare una passeggiata, ti va?»

«Perché no?»

Franky si girò e fece un cenno con la mano a Kenzie, dicendo: «Ci vediamo!». 
Kenzie non rispose, sollevò soltanto la mano, gli occhi tristi per la consapevolezza di non poter mai ricevere quello che desiderava davvero: un po’ d’amore.

______________________________

Buongiorno! ^-^ Come state? Io abbastanza bene, anche se questa settimana, ovviamente, siamo sommersi da una montagna di verifiche -.-“ Beh, passerà xD Spero o.o
Che ne pensate di questo capitolo? Anche questo è uno dei miei preferiti! Non solo perché si sono scoperte diverse cose sul conto di Jole, a partire dal suo passato con Tom e la sua morte tragica – povera ragazza, non si merita tutto ciò xD – ma anche perché si parla dell’Ufficio delle Rinascite! *-* È in un assoluto una delle parti che preferisco!
Tutto quello che ho scritto riguardo a questo è frutto della mia fantasia (taaaanta fantasia xD); non so se poi è realmente così… ma lo spero tanto! *ç* Io mi immagino che sia così, la vita dopo la morte; e che non ci sia l’inferno u.u
Voi che ne pensate? Se volete dirmelo basta lasciare una recensione e scriverlo! ;)

La canzone che ho usato in questo capitolo è Angel in disguise, dei Cinema Bizzarre. E poi… poi basta xD Spero che vi sia piaciuto! :D

Ringrazio le persone che hanno recensito la scorsa volta:

Isis 88: Ciao! ^-^ Eh sì, Franky sa quello che è meglio per Zoe e per tutti, ma sarà un po' più complicato u.u
Jole? XD Questa è la sua storia e vedremo che cos'ha combinato!
Tom ha fatto bene, ma anche fatto un casino allucinante xD Vedremo, la storia è ancora lunga *-*
Spero che anche questo ti sia piaciuto, alla prossima!
PS: Sì, vado a Milano con la mia Utopy! *-* Cavolo Padova è dopodomaniii! Divertiti! :D

Tokietta86: Ciao! Sì, le cose si sistemeranno ma ci vorrà un bel po' di tempo u.u Comunque Franky è molto maturo, si *-*
Waa, ti ricordi di leiii *-* Sono super orgogliosa! E wow, mi hai anche sorpresa perchè ci hai quasi azzeccato o.o Anche se non era incinta e poi beh c'è la variabile del suo papà violento u.u Ma per il resto, hai azzeccato tutto *-* Era così prevedibile? xD Adesso bisogna solo aspettare per vedere che cosa succederà!
Spero che anche questo capitolo ti sia poaciuto, grazie per la recensione e i complimenti!

Utopy: Aleeeeeeeeees *-* Oggi sono uscita prima perchè non c'era inglese u.u E sono qui xD
Ebbene, sono strafelice che ami questa storia! Quasi più del sogno? o.o Wow. xD Sono contenta davvero *-*
Franky è miooooo e tira le testate ;D Ti ha sorpresa Jole che è diventata cattiva? xD E questo è solo l'iniziooo! Sì, tu sai tutto! Spero che qualche sorpresa però ci sarà comunque!
Ti voglio tantissimo bene Mooond! <3 Tua, Sonne *-*

E poi anche tutte quelle che hanno messo questa storia fra le preferite, le seguite e le ricordate. E infine anche chi legge soltanto! Grazie di cuore!
Alla prossima, con affetto vostra,

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Capitolo 6
*** Cry in Paradise ***


6. Cry in Paradise
[Di sopra]

«Allora, come mai tanta urgenza di vedermi?», le chiese portando le mani dietro la testa, stiracchiandosi sulla panchina in mezzo al parco in cui si erano seduti per chiacchierare.

«Volevo chiederti se hai scoperto qualcosa di più rispetto a quello che mi è successo ieri, ecco», Jole si morse il labbro, come se fosse imbarazzata.

«Sì, credo di sapere cosa ti è successo», sospirò.
Non sapeva se era la cosa giusta da fare, dirle chi era e che cosa poteva fare incoscientemente, ma sperava che fosse abbastanza intelligente da evitare di fare azioni avventate, una volta scoperta la verità. Voleva provare a fidarsi di lei, sperare che facesse ciò che le avesse raccomandato di fare.

«E… puoi dirmelo?», chiese con gli occhi pieni di brillante speranza.

«Sì, Jole, posso, ma tu devi promettermi che mi ascolterai bene e che tu mantenga il controllo, ok?»

Annuì, anche se confusa, e si girò meglio verso di lui. Franky fece un respiro profondo e iniziò a parlare, cambiando idea all’ultimo secondo: «Perché non inizi tu a raccontarmi? Come facevi a conoscere Tom?»

«Ok, te lo racconto se vuoi», sollevò le spalle, ma lui era pronto a scommettere che non fosse affatto facile per lei, soprattutto ora che sapeva della sua vita conclusa in maniera tragica.

«Ho conosciuto Tom alla fine di un concerto, uno dei tanti. Mi ha sorteggiata fra altre ragazze, basandosi puramente sul mio aspetto, e mi ha portato in camera sua. Puoi immaginarti quello che è accaduto, non mi perdo in particolari», sventolò la mano, sorridendo debolmente. «Dopo quella notte ce ne sono state altre, sono arrivata a rinunciare a tutto il resto per seguirlo e per ottenere semplice sesso, quando… quando non mi bastava più», abbassò lo sguardo e si prese le mani l’una dentro l’altra, facendo una lunga pausa.

No, è impossibile che lei sia… pensò Franky, destandosi subito da quel pensiero assurdo che gli era venuto in mente.

«Me n’ero accorta che ogni volta che mi toccava, che mi guardava e vedevo quella scintilla di malizia nei suoi occhi, non sentivo più niente, solo una grande tristezza nel cuore. Volevo di più da lui, mi ero innamorata. Solo che… tu lo devi conoscere sicuramente meglio di me, lui non è tipo da ragazza fissa e… io pur di non perderlo mi facevo usare proprio come una bambola, soffrendo in silenzio.»

Man mano che parlava, che raccontava la sua “storia” con Tom, Franky sentiva crescere dentro di sé una preoccupazione che gli avviluppò il petto, rendendogli difficile pure la normale respirazione. Come un presentimento.
Ma non poteva davvero essere lei, sarebbe stato assurdo incontrarsi lì! Ma a volte il destino, lui lo sapeva bene, poteva sorprendere anche nei modi più impensabili.

«Ho chiesto molte volte a Tom se ci potevamo vedere, anche solo per chiacchierare, non pensavo di chiedere chissà cosa, ma lui…», si interruppe e Franky osservò una lacrima di malinconia scivolare sulla sua guancia e fermarsi sul mento, ma nonostante tutto lei alzò il viso e continuò, fiera come una leonessa.

Deve avere una forza incredibile questa ragazza, anche se ne ha passate così tante…

«Lui ha sempre rifiutato, inventandosi scuse su scuse. Una volta…», ridacchiò, tirando su col naso. «Pensa che una volta mi ha persino detto che doveva andare a prendere due ragazzini a scuola. Pazzesco.»

Dio Tom, io ti ucciderei, se potessi! Strinse i denti, facendo un mezzo sorriso. Se fosse andata avanti così per molto, se gli avesse raccontato ancora qualcosa che l’aveva fatta soffrire, si promise che l’avrebbe fatta pagare a Kaulitz, perché lei non si meritava di certo un trattamento del genere.

«Però poi, un giorno, gli ho mandato l’ennesima richiesta e lui stranamente accettò. Solo ora mi rendo conto della mia ingenuità», si portò una mano sulla fronte, china in avanti. «Ci eravamo dati appuntamento al bar del centro commerciale, io sono arrivata prima di lui, dopo essermi fatta mille seghe mentali sull’abbigliamento, e mi sono messa ad aspettarlo. Con lui ho imparato che la pazienza non è mai troppa, che sperare e continuare a credere in ciò che si vuole dava i suoi frutti, ma è stata… è stata tutta un’illusione. Si è presentato con una ragazza minuta, mora, gli occhi azzurri, e non è nemmeno entrato; mi ha guardata al di là del vetro, stando abbracciato a lei ridendo, ed è andato via, come se nulla fosse. Quella è stata la fine, il chiaro segno che ha distrutto in un attimo tutti i castelli in aria che mi ero fatta per quasi un anno.»

No… Tom, dimmi che non l’hai fatto davvero…

Franky era sconvolto, non poteva credere che Tom, il suo migliore amico, fosse arrivato a quello, eppure ora era certo che Jole fosse la ragazza che lui non aveva mai voluto. L’aveva fatta soffrire ingiustamente, l’aveva illusa, l’aveva usata e poi buttata, senza pensare minimamente ai suoi sentimenti.
Non avrebbe mai immaginato che Tom potesse essere così: sapeva che era un po’ stronzo con le ragazze, ma… ma non così tanto! Quello che aveva fatto era imperdonabile e riusciva a capire Jole, se la colpa del suo stato da Intrappolata era causa sua. Le dava persino ragione, cavolo! E il modo in cui l’aveva scaricata…

«Scusa», disse con gli occhi sgranati, resosi conto che c’era qualcosa che non aveva afferrato bene dell’ultimo incontro. «Era con una ragazza minuta, mora e gli occhi azzurri?»

«E con un sorriso capace di sciogliere il cuore a chiunque, sì», sospirò. «Non posso biasimarlo se ha scelto lei invece che me, infondo –»

«NO! NO, CAZZO, NO!», gridò balzando in piedi e portandosi le mani nei capelli.

ZOE! ZOE! ZOE! ZOE! ZOE! ZOE! TOM HA USATO ZOE PER SCARICARE JOLE!

«Ehi, che ti prende?», chiese Jole preoccupata, posandogli una mano sulla spalla e cercando di calmarlo, ma era una furia.

«Lasciami stare, lasciami stare!», gridò.

«Ma… ma almeno spiegami!»

«No, adesso… adesso no», si spostò bruscamente e non fece aggiungere altro alla ragazza, si girò e iniziò a correre per quel parco, senza curarsi della gente che lo guardava.

Perché pur essendo in Paradiso, c’era ancora qualcuno che sapeva piangere.

***

Bussò alla porta, tanto per farsi del male, ma non udì nessuna risposta. Era già buio fuori, doveva essere tornato da un pezzo dall’uscita improvvisata con quella ragazza di nome Jole; o almeno, lo sperava. Però era strano che nemmeno Norbert ci fosse in stanza, visto che la luce che proveniva da sotto la porta dimostrava che era accesa.

Incuriosita, tirò giù la maniglia e sbirciò all’interno: vide Franky steso sul letto, rivolto verso il soffitto, le guance rosse e gli occhi lucidi, un’espressione devastata in viso; sembrava che avesse addirittura pianto.

«Franky. Franky, che ti è successo?», chiese piano Kenzie, raggiungendolo e sedendosi accanto a lui, accarezzandogli una guancia bollente.

«Kenzie…»

«Sì, sono qui», accennò un sorriso, cercando di nascondere l’ansia che la stava lentamente divorando. Che cosa poteva essere successo? Chi era stato a ridurlo in quello stato? Forse quella Jole?

«Ti va di… di stare un po’ qui con me?»

«C-Certo», miagolò addolcita.

Franky le fece un po’ di spazio e lei si mise sdraiata al suo fianco, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dal profilo del suo viso. Era a dir poco perfetto, l’avrebbe osservato per ore in silenzio.
Sospirò e timorosa avvolse un braccio intorno al suo petto, appoggiandosi con la testa alla sua spalla. Franky le posò una mano sulla schiena e la massaggiò lentamente, lo sguardo vacuo ancora rivolto al soffitto.

Era in Paradiso, ora più che mai, e sorrise beata. Poi però si ricordò che la persona accanto a lei era Franky, il ragazzo che all’esterno pareva tutt’altro che serio, ma che in realtà aveva giurato eterna fedeltà alla sua Zoe e che poteva anche essere che si fosse lasciato andare un po’ di più quella sera perché era sconvolto, fragile e aveva bisogno del sostegno di qualcuno e quel qualcuno era proprio lei, in assenza di Norbert.

A proposito… «Dov’è Norbert?»

«Abbiamo avuto una mezza discussione, prima; non so dove sia.»

«È a causa sua che stai male?»

«No… No, no, lui non c’entra niente.»

«Perché avete litigato?»

«Per… per te, Kenzie.»

Per la prima volta la guardò negli occhi e Kenzie si sentì mancare un battito: erano così tristi e spenti... Avrebbe pestato a sangue la persona che gli stava facendo del male!

«Per me? In che senso?»

«Beh», sospirò Franky, «dovresti essere a conoscenza del fatto che è cotto di te dalla prima volta che vi siete visti.»

«Sì, lo so», distolse lo sguardo, arrossendo.

«Però tu ti sei presa una cotta per me, si è creato un triangolo che non mi piace per niente e Norbert ci sta male.»

«Solo Norbert? E io? Io non ci sto male?!», gridò d’impeto, senza pensarci.

«Kenzie… So che stai soffrendo anche tu, ma… devi fartene una ragione, ok? Io amo Zoe, la amo con tutto il cuore e non potrei mai stare con un’altra ragazza. Ho deciso di diventare un angelo custode per starle accanto anche dopo la morte e… e comunque fra noi non potrebbe funzionare, mi dispiace. Da quello che so tu ti rincarnerai, dopo l’esame.»

«Sì, lo so», mormorò abbassando lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime. «Ma al cuore, seppure apparentemente vivo, non si comanda, dovresti saperlo.»

«Eccome se lo so, Kenzie», le sorrise e le accarezzò la guancia, spazzando via la lacrima che lentamente tracciava un solco su di essa. «Mi sono innamorato della mia migliore amica, vuoi che non lo sappia? Però so anche che noi due non avremmo speranze, davvero; tanto vale lasciar perdere da subito, perché non voglio che tu soffra inutilmente. E non voglio che soffra anche Norbert.»

«Mi stai già facendo soffrire, Franky», singhiozzò nascondendo il viso nel suo petto, stringendolo forte a sé.

«Mi dispiace, davvero.»

Forse il suo destino era proprio quello di non trovare mai l’amore, o comunque di trovarlo nella persona sbagliata; forse ciò che doveva fare, la cosa migliore per lei, era proprio ricominciare tutto daccapo, sperando in una vita migliore, magari in un corpo che non sarebbe stato sfruttato. Voleva solo essere una ragazza normale, con un ragazzo normale che amava e che l’amava. Non desiderava altro.

«Non importa Franky, questo… questo l’ho sempre saputo, infondo. Ma sentirselo dire è tutta un’altra cosa, non credevo facesse così male.»

«Posso immaginarlo, mi dispiace davvero tanto. Sei una delle più belle persone che abbia mai conosciuto, bella in tutti i sensi, non solo fisicamente», le spostò la frangia dagli occhi e si lasciò scappare un sorriso che contagiò la ragazza. «Penso che faresti meglio a chiarire anche con Norbert, sai?»

«Lo penso anch’io, solo che non ho mai trovato la forza di farlo. So bene come ci si sente ad essere rifiutati e non voglio che lui –»

«Sono sicuro che capirà e che apprezzerà il fatto che tu finalmente gliel’abbia detto. Credi davvero che non l’abbia capito da solo?», sorrise. «Forza, andiamo a cercarlo.»

«Va bene», ricambiò il sorriso e si alzò dal letto, lo prese per mano ed uscirono insieme dalla stanza.

Una strana pace la stava avvolgendo e riscaldando, come se tutto avesse improvvisamente preso la piega giusta, nonostante il rifiuto che sostanzialmente non era proprio ciò per cui avrebbe fatto i salti di gioia. Ma era giusto così, lo sapeva e ora che era tutto ben chiaro nella sua mente, era come se si fosse liberata di un peso, anche se ovviamente un po’ di malinconia c’era.

«Grazie Franky», gli disse a bassa voce, arrossendo.

«E di che cosa? Grazie a te per essermi stata accanto, avevo bisogno di qualcuno e tu ti sei rivelata di grande importanza.»

«Vuoi dirmi ciò che è successo?»

«In pratica», sospirò, «ho scoperto una cosa che non avrei mai voluto scoprire, perché ora mi sento preso in giro, tradito, da una delle persone più importanti della mia vita: il mio migliore amico.»

«E si tratta di quella Jole?», alzò il sopracciglio.

«Esatto. Lei è un’Intrappolata, sai?»

«Un’Intrappolata, davvero? Cavolo, che cosa le è successo? Oh… Credi che c’entri il tuo migliore amico?»

«Ne ho il forte sospetto. Ma non è questo che mi preoccupa maggiormente, è che… lui ha usato Zoe, per scaricare questa ragazza e ora non so…»

«Dici che se Jole vedesse Zoe, tenterebbe di farle del male?»

«È questo che mi terrorizza», abbassò lo sguardo, nonostante tenesse i pugni stretti con forza come se fosse arrabbiato.

«Vedrai Franky, andrà tutto bene», gli sorrise incoraggiante. «Sono certa che le cose si sistemeranno, sì.»

«Lo spero anch’io.»

Si voltarono contemporaneamente verso destra all’avvicinarsi di un’ombra e sotto la luce dei fari che illuminavano la fontana nel giardino della scuola comparve Norbert, il viso stanco e rassegnato, come se fosse arrivato alla conclusione di un problema che non vedeva di per sé molte soluzioni, soprattutto positive.

«Norbert», esclamò sorpresa Kenzie, togliendo subito la mano da quella calda di Franky.

«Kenzie, Franky», fece un cenno col capo e poi li superò e raggiunse l’entrata del dormitorio, quando Kenzie si girò e lo chiamò, fermandolo.

«Norbert, possiamo parlare?»

Il ragazzo annuì cedendo ad un po’ di quella tensione, portandosela in volto, e mentre Kenzie lo raggiungeva all’interno, qualcuno corse verso Franky e lo prese per il polso.

«Jole!»

«Franky, finalmente! Io e te dobbiamo parlare, ancora. Che cosa ti è successo oggi, posso saperlo?!»

Franky guardò Kenzie per un’ultima volta, i loro sguardi si incontrarono e si fecero un debole sorriso, poi ognuno prese la propria strada, dividendosi.

«Hai ragione Jole, ti devo delle spiegazioni», la prese per il braccio e la portò con sé a fare un’altra passeggiata.

***

«Allora, di cosa dobbiamo parlare?», chiese Norbert stringendosi le mani l’una dentro l’altra, i gomiti sulle ginocchia e il viso rivolto verso il basso per non cedere di fronte agli occhi stupendi della ragazza per cui avrebbe fatto follie.

«Non fare finta di non saperlo, Nor», sospirò malinconica e si appoggiò con la testa alla sua spalla. «Dobbiamo parlare di noi.»

«Non c’è mai stato un noi, Kenzie.»

«Però tu avresti voluto. Sono… sono solo io la stupida, qui. Mi dispiace tanto di averti fatto soffrire.»

«Si dice che l’amore è cieco», mormorò.

«E sai perché lo è? Perché non riesce a vedere chi glielo sta dimostrando, non riesce a riconoscere chi sta veramente donando altro amore gratuitamente. È questo che fa più male, Nor, e mi dispiace da morire.»

«Non è colpa tua, Kenzie, davvero. Sono cose che succedono e comunque fra noi non avrebbe funzionato: manca poco ormai agli esami ed entrambi ci reincarneremo, le nostre strade si divideranno per sempre e separarci avrebbe fatto molto più male, fidati; già lo farà così, pensa se io e te…»

«Ehi, mai dire mai», gli sorrise dandogli una spallata amichevole. Norbert la guardò incuriosito e non poté non sorridere quando lei lo abbracciò d’impeto e lo strinse forte a sé.
«Chi lo sa, magari ci rivedremo nella prossima vita», mormorò passandogli una mano sulla nuca. «E anche se non ci riconosceremo…»

«Sentirò un brivido percorrermi la schiena», concluse lui per lei, prendendole il viso fra le mani e stampandole un delicato bacio sulla fronte, carico di affetto e allo stesso tempo di malinconia, perché suonava maledettamente di addio.

«Ti voglio tanto bene, Nor», gli disse, gli occhi lucidi. «Grazie per il tuo amore, io ne sono onorata.»

«Non devi ringraziarmi per questo. Ti voglio tanto bene anch’io, tu non sai quanto, e non mi pento di quello che ho provato, sono contento di averti conosciuta. Grazie a te per esserci stata.»

«Spero che nella prossima vita troverai il tuo vero amore, lo spero con tutto il cuore, te lo meriti.» Le sfuggì una lacrima dalle ciglia e Norbert sorrise, raccogliendola con il dito.

Spero sia tu, il mio vero amore, Kenzie. Farò di tutto per non dimenticarti, per trovarti di nuovo, ovunque tu sarai.

«Mai dire mai. Chi lo sa, magari ci rivedremo nella prossima vita.»

***

«Scusa se mi sono comportato in quel modo, oggi, ma… è complicato da spiegare.»

«C’entra con qualcosa che ho detto io?»

«Sì, c’entra.»

Si misero seduti sulla panchina e Jole lo guardò: era arrivato il momento di spiegarle che cosa le era successo quella sera, non poteva più aspettare.

«Jole, vale sempre quello che ti ho detto oggi pomeriggio, ok? Devi stare calma e ascoltarmi molto attentamente.»

«Sì, sì, ho capito!»

«Bene.» Franky fece un respiro profondo e avvolse le spalle della ragazza con un braccio, gli occhi socchiusi. «Tu sei un’Intrappolata, Jole.»

«Un… un’Intrappolata? E che cosa…?»

«La tua anima è intrappolata nel tuo corpo, incapace di liberarsi della tua vita passata e di reincarnarsi.»

«Ma… ma perché?» Aveva gli occhi lucidi, come al solito era diversa e sola. O forse no.

«Credo che sia a causa della tua morte tragica, di ciò che hai dovuto subire da tuo padre da quando eri una bambina e… e anche da Tom, probabilmente. Il tuo corpo è così ferito da non riuscire a liberare l’anima che contiene.»

«Io… Tom non ha colpe, no…»

Franky la guardò e fece un sorriso amaro, accarezzandole i capelli. Nonostante fosse molto probabile che un po’ di colpa ce l’avesse anche lui, perché era stato il suo amore più grande e l’aveva usata e poi buttata in quel modo, ferendola, lei continuava a difenderlo. Era ancora innamorata di lui e avrebbe fatto di tutto per non renderlo colpevole.

«Può anche essere che io mi sbagli e che Tom non abbia colpe, però… perché avresti tentato di fargli del male, l’altra sera?»

Alzò il viso pallido e lo guardò con occhi sgranati, incredula: «Che cos’ho fatto? Davvero io ho… ho tentato di fargli del male?»

«Sì, purtroppo», annuì con il capo. «Ma non eri cosciente di ciò che facevi, perché la tua parte ferita ha preso il sopravvento. Succede a tutti gli Intrappolati, credimi. Per questo… per questo vorrei chiederti di non andare più di sotto, perché se lo vedessi tenteresti di nuovo di…»

«Dubito che io riesca a trovare un altro permesso a breve, comunque», abbassò il capo, sconsolata.

«Ecco, Jole… In realtà gli Intrappolati non hanno bisogno di permessi per scendere di sotto. Tu non lo sapevi perché non eri a conoscenza di esserlo, ora lo sai e ti pregherei di stare attenta. Io te l’ho detto perché… perché mi fido di te, so che non andrai giù, visto che non vuoi fare del male a Tom, vero?»

«Certo, io… io non permetterei mai a nessuno di fare del male a Tom, tantomeno a me stessa. Grazie per avermelo detto, Franky. E grazie per la fiducia che hai riposto in me», sussurrò abbracciandolo. «Sei forse la prima persona che lo fa, non ti deluderò.»

«Lo spero tanto Jole, lo spero tanto.»

____________________________________

Buonasera a tutti! Scusate il ritardo xD C’è chi capirà xD

Capitolino piuttosto malinconico, come i vecchi tempi. Direi che ormai il puzzle è completo, in quanto l’identità di Jole è stata svelata completamente. La reazione di Franky però è stata abbastanza infelice e vedremo che cosa accadrà nei prossimi capitoli u.u
Si è anche venuto a sapere di Kenzie e Norbert e io personalmente adoro questi due, anche se loro non hanno potuto assaporare per niente un lieto fine. Hanno solo la speranza di potersi rincontrare e di ritrovarsi, un giorno.
Mi sento molto filosofica stasera xD
Fatemi sapere se vi è piaciuto, mi raccomando! Fatevi sentire, voi che avete amato “Nothing to lose” perché io non vi sento ù.u

Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo:

Isis 88: Ciao! Allora, com’è stato il concerto? *-* Io non vedo l’ora! Grazie mille per i complimenti e per la recensione, sono contenta che ti piaccia! La mia fantasia credo sia un essere a parte che ogni tanto prende il sopravvento xD E’ molto felice anche lei, se la mettiamo così! :D Ciao, alla prossima!

Tokietta86: Franky è molto saggio, nonostante tutto ciò che ha passato u.u Jole si comporterà come verrà spinta a comportarsi, chissà se ce la farà a mettere a tacere la parte cattiva di lei e a perdonare Tomi. Grazie mille, alla prossima!

Utopy: Sono contenta che ti piaccia, è anche uno dei miei preferiti! *-* Io credo o almeno spero che sia proprio così, cavolo sarebbe bellissimo e io diventerei un angelo custode, penso u.u
No, non ci avrei mai creduto. Sono quasi commossa *-* Ti voglio tantissimo bene, Mond! Grazie mille e di tutto. <3

E ringrazio anche tutte le persone che leggono soltanto! ;D
Grazie a tutti, vostra

_Pulse_

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Capitolo 7
*** Bodies at the party (Part I) ***


7. Bodies at the party (Part I)
[Di sotto]

Aprì gli occhi e sobbalzò quando vide l’ora sulla sveglia: era in ritardo! Tom sarebbe passato a prenderla fra pochissimo!

Si alzò in fretta e furia, si diede una lavata veloce e si infilò le prime cose che trovò nell’armadio: dei semplici jeans chiari e una maglietta viola.

La scuola era finita, finalmente libera, e quello appena iniziato era il giorno dei tabelloni che avrebbero stabilito la sua promozione o la sua bocciatura, nel peggiore dei casi. Sperava di essere soltanto rimandata a settembre, non le andava di ripetere un intero anno!

Corse in cucina e prese dal tavolo due biscotti al cioccolato che trangugiò con un po’ di caffèlatte che le aveva preparato sua madre, che ora la stava guardando con un sorriso divertito sulle labbra.

«Sei in ritardo?», le chiese.

«Giusto un po’», bofonchiò a bocca piena. «Tom dovrebbe arrivare esattamente fra tre minuti.»

«Uhm, capisco. Poi ti fermi da loro?»

«Non so, tu che fai?»

«Heinz dovrebbe venire qui a pranzo, volevo… volevo che ci fossi pure tu, per una volta.»

Zoe quasi non si strozzò e dovette bere un altro po’ dì caffèlatte caldo, sedendosi al tavolo.

L’idea di pranzare assieme a lui non le piaceva affatto, però si ricordò del discorso fatto con Tom qualche tempo prima: non aveva ancora parlato con sua madre e forse era arrivato il momento di farlo, di ascoltarla e di aprirsi all’opportunità che quell’uomo entrasse nella sua quotidianità e in quella casa, soprattutto.

«Va bene, se ti fa piacere ci sarò», sorrise, anche se sembrava un po’ una forzatura: doveva accontentarsi ed apprezzare lo sforzo!

«Davvero? Oh tesoro, grazie!», la abbracciò e le diede un bacio sulla testa, appoggiandola al suo grembo.

«Mamma…»

«Dimmi, che cosa c’è?»

«Tu sei felice, con lui?»

«Sì, credo di esserlo», le accarezzò il viso, guardandola negli occhi. «Ma se per te è ancora troppo presto vedertelo sempre intorno, possiamo sempre aspettare. So che non è facile, però io sto bene con lui, è il primo uomo che è riuscito a farmi sentire di nuovo bene, di nuovo donna, dopo tuo padre.»

«Io sono felice se lo sei tu», sussurrò stringendola forte, trattenendo le lacrime. Anche lei avrebbe trovato un uomo capace di farla sentire di nuovo bene, dopo Franky?
Solo l’idea la terrorizzava, Franky era ancora così vivido nella sua mente e nel suo cuore che non avrebbe voluto che fosse rimpiazzato da nessuno, ma forse era normale; anche sua mamma aveva aspettato tanto prima di ricominciare, aveva dovuto aspettare di avere la forza necessaria e lei ancora non la possedeva.

«Grazie tesoro.»

Suonarono al campanello e sobbalzarono, poi Zoe zampettò alla porta e l’aprì, trovandosi di fronte un Tom sorridente che la prese fra le braccia e le fece fare un giro a mezz’aria.

«Ciao Tom, che hai, sei felice?», gli chiese ridacchiando, di nuovo con i piedi per terra.

«Sì, sono felice di vederti, era un po’ che non ci vedevamo. Da quella volta in cui ti sei fermata a mangiare da noi, vero?»

«Vero», gli sorrise e Tom si sporse all’interno per salutare la signora Wickert che stava sistemando il tavolo.

«Ciao Tom, come stai?»

«Tutto bene, grazie! E lei?»

«Non c’è male», gli sorrise e sparì in cucina.

«Possiamo andare?», gli chiese Zoe, prendendogli le braccia forti fra le mani.

«Sei così ansiosa di sapere che sei stata bocciata?», sogghignò, beccandosi un pugno sul petto.

«Non dirlo nemmeno per scherzo! Non posso essere stata bocciata, rischierei la fucilazione!»

«Brava!», concordò sua mamma.

«Ecco, visto? Forza, muoviamoci.»

Zoe prese il cellulare e le chiavi di casa e uscì con Tom dopo aver salutato sua mamma. Scesero le scale e lei vide subito la macchina di Tom parcheggiata lì di fronte, aprì convinta la portiera del sedile del passeggero, ma si trovò a sgranare gli occhi:

«Bill!», sobbalzò, cercando inutilmente una via di fuga da quella situazione che non si era per niente aspettata.

«Ciao Zoe, tutto bene?»

«Sì, tutto ok. Ma che ci fai qui?»

«Stamattina mi sono svegliato presto e così sono venuto con Tom. Non ti dispiace, vero?»

«No, certo che no…», sorrise nervosamente e si infilò nei sedili posteriori, poi portò lo sguardo fuori dal finestrino per non incontrare più quello di Bill. Si sentiva soffocare quando lo guardava, per qualche strano motivo.

«Ehi, che cos’è questo silenzio?», chiese Tom mettendo in moto. «Avete perso la lingua?»

«No», ridacchiò Zoe, anche se si sentiva parecchio agitata.
Che fosse proprio colpa di Bill? Non era una bella sensazione quella che provava, avrebbe voluto scappare, eppure c’era qualcosa che la faceva rimanere incollata con il sedere a quel sedile, come se si sentisse bene ma allo stesso tempo male.

Dal giorno in cui si era fermata a mangiare da loro non li aveva più visti, si era solamente tenuta in contatto con Tom tramite sms e si era finalmente resa conto di ciò che lui fosse diventato ormai per lei: il suo migliore amico, con il quale poteva confidarsi liberamente, senza alcun tipo di vergogna. Però non sarebbe mai stato come con Franky, lui era unico… Sapeva di non poter più avere un migliore amico come lui, Tom era qualcosa che si avvicinava, ma non l’avrebbe né raggiunto né tantomeno superato.
Con Bill invece era diverso. Bill era diverso. Era sempre stato quello che le stava più antipatico, ma Franky era riuscito a farglielo apprezzare e ora si trovava nell’imbarazzante situazione di dire che era diventato una delle persone a cui teneva di più, quella a cui teneva di più dopo Tom, ormai di vitale importanza nella sua quotidianità.
Però l’ultima volta che si erano visti c’era stato quel bacio sulla guancia che su di lei aveva avuto la disarmante potenza di uno vero e proprio sulle labbra. Che si fosse presa una cotta per lui?

La stessa sensazione di soffocamento le bloccò la gola e tirò giù il finestrino, sporgendo fuori il viso.

«Zoe! Chiudi il finestrino, è accesa l’aria condizionata!», gridò Tom.

«Ok», mormorò con gli occhi bassi, pigiando il bottoncino e rimanendo incantata a fissare il vetro che saliva fino a chiuderla lì dentro, come si era chiusa intorno a lei quella bolla di tristezza alla morte di Franky.

«Che cosa ti prende Zoe, sei diventata troppo silenziosa», riprese Tom dolcemente, stando concentrato con lo sguardo sulla strada. «È successo qualcosa?»

«No, sono solo un po’ agitata.»

«Non penso sia per la scuola», ridacchiò, contagiandola. «Di che si tratta? Parlane con il tuo Tomi.»

«Perché il mio Tomi non si fa i fatti suoi, ogni tanto?», si sporse fra i due sedili e sobbalzò quando si trovò troppo vicina al viso di Bill, così si voltò subito verso Tom, arrossendo violentemente sulle guance; lui se ne accorse, la guardò titubante, ma non disse niente.

«Ho parlato con mamma, prima che tu arrivassi», si schiarì la voce.

«E che vi siete dette?»

«Abbiamo parlato di lei e di Heinz, le ho chiesto se è felice e lei ha risposto di sì e… e oggi lui viene a pranzo da noi.»

«Ah, ecco perché sei agitata», annuì comprensivo.

«Vedrai che andrà tutto bene, non ti preoccupare», disse Bill, sorridente. «All’inizio sarà un po’ strano, visto che per te è la prima volta, ma sarà una buona occasione per parlare con lui e cercare di capire se anche lui sta bene con tua mamma.»

«Sì, forse avete ragione. Grazie ragazzi.»

«Prego!», incorarono in coro, sorridendosi.

«Ora dovresti sentirti agitata il doppio, però», Tom fece l’ultima manovra di parcheggio e poi si girò verso Zoe: «Arrivati!»

«Grazie Tom, come sei di conforto! Meglio se mi aspettate qui, tanto torno subito.»

Zoe scese dall’auto e si incamminò verso l’entrata della scuola, Bill e Tom la osservarono oltre il parabrezza e poi si guardarono negli occhi.

«Tom!», piagnucolò Bill, prendendolo per la maglia. «Perché si comporta così con me, che cosa le ho fatto?! Non mi dire che le hai detto che io…», serrò la mascella e strinse gli occhi, trucidandolo con lo sguardo.

«No, non le ho detto niente!», gridò muovendo le mani di fronte al petto, allarmato. «E mi stavo chiedendo anch’io perché si comporta così con te nei paraggi… Quello che mi viene in mente è solo una cosa, se la conosco bene.»

«Ossia?»

«Non è che magari anche lei prova qualcosa per te?»

Il silenzio calò fra i due e Tom sentì di aver fatto un grosso sbaglio nel rivelare al proprio gemello ciò che era solo un sospetto campato in aria.

«VAI E AGISCI!», gli gridò infatti, aprendogli la portiera e spingendolo giù dall’auto, al sole mattutino.

Tom si guardò intorno. Era decisamente rischioso infiltrarsi in un posto colmo di ragazze che avrebbero potuto riconoscerlo, ma a Bill non doveva interessare, visto che gli fece segno di andare e di muoversi.
Perché non me ne sto zitto qualche volta? Rischierei meno la vita!

***

La reazione che aveva avuto era stata di puro imbarazzo, non si era mai sentita così con Bill! Perché in quel periodo tutto le faceva pensare ad un’ipotetica cotta per il ragazzo più amato e bramato dalle ragazzine di tutto il mondo? Lui non era che un amico per lei, non poteva nemmeno immaginarselo come qualcosa di più!

Peccato che pensassi così anche di Franky…

La sua immagine le graffiò il cuore e dovette fare un respiro profondo per controllarsi: non poteva cedere, non lì davanti a tutti. Avrebbe tanto voluto chiedergli che cosa doveva fare, se gli avrebbe dato fastidio che lei si frequentasse così presto con un altro ragazzo… Lo avrebbe voluto avere semplicemente al suo fianco, cosicché tutti quei casini non sarebbero nemmeno esistiti.

Sollevò lo sguardo sul tabellone e cercò il suo nome fra tutti quelli dei suoi compagni di classe. Era una delle ultime e incrociò le dita percorrendo la sua riga, desolatamente bianca, fino alla fine, dove lesse che era stata rimandata a settembre.

«Sia ringraziato il cielo!», gridò alzando le braccia, fregandosene che ci fosse altra gente intorno a lei.

«Promossa?», bisbigliò una voce non molto distante da lei, una voce che associò subito a quella di Tom.

Si voltò di scatto e dietro il cespuglio vide proprio lui, mascherato con cappellino nero e occhiali da sole sul viso, un sorrisetto sulle labbra. Lo raggiunse senza farsi vedere e si nascose meglio trascinandolo con sé, guardandolo severamente negli occhi:
«Sbaglio o ti avevo detto di aspettarmi in macchina?!», disse con voce strozzata.

«Sì, lo so!»

«E allora che ci fai qui?», sollevò il sopracciglio e Tom balbettò qualcosa, insicuro, fino a incrociare le braccia al petto. «No, dimmi che non ti ha mandato Bill!»

«Esatto, mi ha mandato lui contro la mia volontà!», mugugnò.

«Perché!?»

«Perché… Perché tu ti sei comportata in quel modo, prima? Se n’è accorto pure lui che c’era qualcosa che non andava!»

«Eh?», sgranò gli occhi. «Io… Io non lo so, Tom! È… è tutto così confuso!»

«Ok, calmati Sea», le accarezzò le guance e la sorrise. «Non è che tu… ti sei presa una cotta per Bill?»

«Che cosa? Tom come puoi dire una cosa del genere?»

«Beh, io pensavo…»

«Non pensare, tanto non ci riesci», berciò scostandosi dall’abbraccio e incamminandosi di nuovo verso l’auto, sconcertata. Come aveva fatto a capirlo, ad intuire che forse quello che provava per Bill stava cambiando? E soprattutto, era veramente così?

«Zoe, Zoe aspetta!», la prese per il braccio e la guardò negli occhi, poi la strinse forte a sé.
Ho promesso a Franky di proteggerti e lo farò. Nessuno ti farà del male, nessuno.

«Ehi!»

Si voltarono contemporaneamente verso l’Audi e videro Bill accanto alla portiera aperta, occhiali da sole e un debole sorriso sul viso.

«Tom… Bill non si è preso una cotta per me, vero?», gli chiese piano, stanca psicologicamente oltre che fisicamente.

«Penso che tu ti possa rispondere anche da sola», sospirò e la trascinò con sé alla macchina.

«Com’è andata?», chiese Bill ad una Zoe disorientata, gli occhi spenti e il viso rivolto verso il basso. «Non mi dire che sei stata bocciata!»

«No, rimandata a settembre. Nei prossimi giorni dovrò andare a vedere su cosa prepararmi per l’esame», provò a sorridere, ma le venne una smorfia. «Ora andiamo, devo prepararmi per il pranzo con Heinz.»

«Sì, andiamo», sbuffò Tom con un grande peso nel petto.

Forse sarebbe stato più complicato del previsto mantenere quella promessa, ma ce l’avrebbe comunque messa tutta. Non poteva fallire.

***

«Ciao tesoro, sei tornata! Com’è andata?»

«Sono stata rimandata a settembre», sospirò gettandosi sul divano.

«Beh, meglio che essere bocciata», disse passandole una mano fra i capelli. «Ti ho preparato le patatine fritte, sai?»

«Grazie, mamma», sorrise abbracciandola, appoggiandosi al suo petto con la testa.

«Ma non è tutto, vero? C’è qualcos’altro che ti preoccupa.»

«Sì», sospirò. «Non ti si può nascondere niente.»

«Conosco bene mia figlia», le stampò un bacio sulla fronte, massaggiandole il braccio. «Vuoi parlarne con me?»

«Credo… Anzi so che un ragazzo si è preso una cotta per me.»

«Oh. E tu ricambi?»

«Non ne sono sicura», le si inumidirono gli occhi e alzò il viso, incontrando l’espressione tranquillizzante di sua madre. «E anche se fosse, io non penso di potercela fare ancora. Franky… Io vorrei ricominciare, ma non posso fargli questo… Mamma, cosa devo fare? Mi sento male ogni volta che vedo quel ragazzo…»

«Oh tesoro…», la strinse forte a sé e soffocò i suoi singhiozzi contro la spalla, accarezzandole i capelli sulla nuca. «Io ti capisco bene, è normale quello che senti, però… sai che Franky vorrebbe che tu fossi solo felice, non vorrebbe mai vederti piangere, perciò asciugati le lacrime e sii forte. Prenditi tutto il tempo che vuoi con questo ragazzo, se ti interessa davvero.»

«È Bill, mamma.»

La donna rimase in silenzio e tutto si congelò, fino a quando non venne distratta dal campanello e ancora un po’ frastornata dalla dichiarazione si alzò e andò alla porta; l’aprì e si trovò di fronte Heinz che l’abbracciò e proprio come aveva fatto Tom con Zoe qualche tempo prima, le fece fare un giro a mezz’aria dopo averle dato un mazzo di fiori.

«Ciao Zoe», la salutò l’uomo, con un sorriso caldo e rassicurante.

«Ciao», ricambiò, poi si alzò: «Vado a lavarmi le mani!» E corse in bagno, dove ci si chiuse con un sospiro.

Si sciacquò le mani e anche il viso, rendendosi conto che quel giorno non si era per niente truccata, era uscita allo scoperto senza nessuna protezione e questo non accadeva da molto tempo ormai. Sia Bill che Tom l’avevano vista così, nuda, e non avevano detto niente. Forse non ne aveva più bisogno, perché non aveva più nulla da cui proteggersi, non aveva più nulla che valesse la pena di proteggere.

***

«Bill, ti prego smettila, mi stai facendo impazzire.»

«Ma… ma non posso crederci! Gliel’hai detto! Adesso quando la vedrò saprò che lei sa e mi sentirò tremendamente in imbarazzo! Doveva rimanere una cosa fra me e te, Tom!»

«Senti, guardami bene negli occhi e capiscimi: lei è ancora scossa, è debole, ha bisogno di punti fermi e se io non gliel’avessi detto, se gliel’avessi nascosto, avrei tradito la sua fiducia. Inoltre, ho una promessa mantenere e andrò anche contro di te, se necessario.»

«La promessa che hai fatto a Franky?»

«Esatto», si portò la sigaretta alle labbra e sbuffò il fumo nell’aria, intossicando involontariamente il povero Gustav che stava sparecchiando. «Non voglio che Zoe stia male, non ancora. Quindi, vedi di regolarti; un pugno in faccia non te lo toglie nessuno», sogghignò mostrando la mano.

«Georg, passami la padella!», gridò Bill a mò di sfida, finendo con ridere insieme a Tom. «Zoe sa della festa di questa sera?»

«Sì, gliene ho parlato un po’ di tempo fa. Non dirmi che vuoi invitarla! Hai appena detto che ti sentiresti in imbarazzo blablabla e ora le vuoi chiedere se vuole venire ad una festa?! Sei impossibile, Bill; rinuncio a capirti.»

«Non la invito io, infatti», sollevò il sopracciglio e Tom si schiaffò una mano in faccia.

In che casino mi sono ficcato?

***

«Sono piena come un uovo», disse portandosi le mani sulla pancia, un sorriso soddisfatto sulle labbra.

«Idem. Come al solito sei una cuoca eccezionale», aggiunse Heinz, portandosi la mano di sua mamma alle labbra, facendola sorridere.

Zoe guardò quella scena sorridendo, arrivando alla conclusione che non era stato affatto un brutto pranzo: aveva sentito come del calore provenire da quell’uomo, riusciva a rassicurarla e la faceva sentire a proprio agio. Forse sua madre aveva ragione, forse era proprio quello giusto con il quale ricominciare.

«Zoe, il tuo cellulare sta suonando», la avvertì lei, stretta fra le braccia dell’uomo.

«Oh sì, non me n’ero accorta!», lo estrasse dalla tasca dei jeans e lesse sul display il nome di Tom. «Scusate.» Si alzò e andò in camera, dove si chiuse dentro e si gettò sul letto, a pancia in su.

«Pronto!», rispose.

«Alleluia! Stavo per mettere giù. Cavolo, perché non hai risposto un po’ più tardi?», biascicò quell’ultima frase, tanto che a stento Zoe riuscì a capire.

«Scusa, ero di là con Heinz e mamma. Perché non dovevo rispondere?»

«Storia lunga.»

«Raccontamela, tanto paghi tu», ridacchiò.

«In poche parole Bill mi ha chiesto di chiederti se volevi venire con noi alla festa di stasera. Te ne avevo parlato, ti ricordi?»

«Ah sì, mi ricordo! Te l’ha chiesto Bill?», si morsicò il labbro in preda al nervosismo.

«Sì. Tu vuoi venire?»

«Mi aiuterai, vero?»

«Certo. Ti aiuterò a far cosa?»

Sospirò e si girò a pancia in giù, attorcigliando intorno al dito una ciocca di capelli neri: «Sei senza speranze, Tomi. Io credo di non essere ancora pronta ad una nuova storia, soprattutto con Bill; è un mio caro amico, non voglio che soffra a causa mia e quindi…»

«Devo fare in modo che non vi troviate da soli?»

«Bravo!»

«Ma perché non glielo dici direttamente? Sarebbe la soluzione migliore e poi sono sicuro che lui capirebbe. Da quello che so è cotto come una pera e ti aspetterebbe.»

«Non voglio che aspetti proprio me, rinunciando magari ad altre persone… Capisci? Io non sono pronta, Tom, e lui deve avere la sua vita.»

«Ecco, quando glielo dirai però non essere così dura, lui è sensibile, lo sai.»

«No caro, io non glielo dirò! Mi dispiacerebbe troppo vederlo deluso e poi non sono dell’umore giusto.»

«Uffa però. Non voglio fare da Cupido per l’eternità!»

«Spero che questa situazione si risolvi prima dell’eternità!»

«Lo spero anch’io. Quindi, vieni?»

«Va bene, vengo. Mi passi a prendere tu però, vero?»

«Certo.»

«E senza sorprese di nome Bill nel sedile accanto al tuo!»

«Ok, d’accordo», ridacchiò. «Ah, com’è andata con Heinz?»

«Molto bene, sai? Non me lo aspettavo. Mi sembra un tipo a posto, è dolce con mamma.»

«Visto, te l’avevo detto io!» Lo immaginò sorridere trionfante e ridacchiò. «Non avevi motivo di essere agitata.»

«Mi dispiace deluderti, Tom, ma quello che mi ha detto di non preoccuparmi è stato Bill.»

«Ma io la pensavo esattamente come lui. Oh-oh, a proposito, sta sclerando perché mi sono chiuso in bagno per parlarti. Ha scoperto che tu sai che è cotto di te, a proposito.»

«Oddio, ma tu tenere la bocca chiusa no, eh?»

«Eh, farebbe comodo anche a me, ma non ci riesco! Dai, vado prima che butti giù la porta. Ci vediamo stasera Zoe, ti voglio bene!»

«Anche io te ne voglio tanto, davvero. A stasera, Tomi.» Pose fine alla chiamata e gettò la faccia in mezzo al cuscino, chiuse gli occhi e cadde in un sonno tranquillo, con il sorriso sulle labbra. Ma era solo una tranquillità apparente, perché sapeva che quella sera sarebbe stata ancora più agitata.

____________________________________

Buonasera a tutti!
Questo capitolo, questa prima parte, non è un granché, ma visto che dovevo per forza dividerla dalla seconda, dovete accontentarvi xD
Il prossimo (la seconda parte) sarà meglio, ve lo giuro! U_U

Ringrazio infinitamente:

Isis 88: Sono sicura che mi divertirò tanto anch’io! *-*
Sono contentissima che ti piaccia, spero che anche questo non sia troppo male xD
Kenzie e Norbert sono veramente belli, ma il destino è crudele a volte e vedremo se si rincontreranno!
Franky gli farà una bella ramanzina, appena potrà, stanne certa u.u Ma essendo suo migliore amico… sì, certo che lo perdonerà :)

Tokietta86: Sì, quei due erano proprio carini; vedremo se ce la faranno a ricongiungersi nella nuova vita ;)
Franky si è davvero arrabbiato, ma questo è niente rispetto a quello che succederà in seguito xD Ma come avete già detto, lo perdonerà!
Sono contenta che ti piaccia! *-* Un bacio, alla prossima!

Utopy: Non ho voglia di ringraziarti, la prossima volta u.u
XD Sto scherzandooooo! Ci sei rimasta male, eh? Dai, ammettilo su u.u
Ritornando alle cose serie, grazie Mond! *-*
Beh, sì anche io tifavo per Kenzie e Norbert, ma devono ricominciare… e io sfascio le coppie xD
Jole è una delle mie preferite assai, mi piace la lotta interiore che ha, anche se non credo di riuscire a spiegarla bene. Bah, vedremo xD
Non osare farlo, Alessandra o_o Piuttosto non dormo e non mi faccio la doccia ù.u XD
Ti voglio tantissimissimo bene anch’io, Mond! *-* <3

E ringrazio anche chi ha letto soltanto! Grazie mille a tutti!
Alla prossima, vostra

_Pulse_

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Capitolo 8
*** Bodies at the party (Part II) ***


8. Bodies at the party (Part II)
[Di sotto]

«Vai ad una festa?»

«Sì mamma, con Tom, Georg, Gustav e… e Bill.»

«A proposito di quest’ultimo…», si mise seduta sul letto e la guardò, posando la testa sulla spalla. «Mi sembra un bravo ragazzo, è sempre stato dolce, premuroso, e penso che tenga davvero a te. Però non so, non è un po’ troppo grande?»

«L’età è l’ultima cosa che mi preoccupa, mamma», sospirò. «Dove cavolo ho ficcato i pantacollant neri?»

«Nell’ultimo cassetto. Fai quello che ti senti, Zoe. Ma se davvero tiene a te, aspetterà e capirà.»

«Dovrei davvero dirglielo?»

«Certo! Se no lo faresti aspettare per niente!»

«Va bene, magari… magari glielo dirò.»

Il cellulare di Zoe suonò sul letto e sua madre, che era più vicina, lo prese fra le mani e lo guardò incuriosita: «Ti è arrivato un messaggio da Tom.»

«Sarà già giù, corro!» Prese il cellulare, lo ficcò nella borsetta nera di pelle e diede un bacio a sua madre, poi schizzò fuori dalla stanza.

«Mi raccomando, non tornare tardi!»

«Ok! Non aspettarmi in piedi, però! Ciao mamma!», la salutò prima di chiudersi la porta alle spalle e di fiondarsi giù dalle scale tentando di non ammazzarsi, visto che aveva infilato ai piedi degli stivaletti di pelle nera con i tacchi.

Tom mi farà la solita ramanzina! «Sempre in ritardo! Che cosa sono io, il tuo taxi?!»

Sorrise al pensiero del suo tenero Tomi, ma quel sorriso svanì presto quando vide Bill appoggiato al cofano della sua macchina, sovrappensiero.

Oh mio Dio. Tirò fuori il cellulare e lesse il messaggio che le aveva inviato Tom pochi minuti prima, le ginocchia che le tremavano.

So che mi ucciderai, ne sono consapevole! Ma Bill ha insistito così tanto che non ho potuto non cedere! Sai che quando ci si mette è capace di tutto! Mi dispiace Zoe, davvero! Ci vediamo alla festa, io ho accompagnato Georg e Gustav. Ti voglio tanto bene!

Tom Kaulitz, serrò la mascella, mettendo via il cellulare e avanzando con una finta sicurezza verso Bill. Hai appena decretato la tua fine.

~ ~ ~

Avrebbe dovuto impiegare ogni minuto del suo tempo a studiare per l’esame, ma non aveva saputo resistere. Era da un po’ che non vedeva Zoe e ne sentiva assolutamente la necessità, se non l’avesse vista non sarebbe riuscito più a concentrarsi.

Franky raggiunse il suo palazzo e vide qualcosa, qualcuno, che lo paralizzò sul posto, il cuore che batteva velocissimo: Bill era appoggiato al cofano della sua macchina e sorridente guardava Zoe venire verso di lui, che ricambiava debolmente.

Lei era bellissima: indossava un vestitino giallo sotto una larga camicia nera a maniche corte; aveva i capelli sciolti sulle spalle e la mollettina con il fiore giallo alla quale era tanto affezionata che le teneva ferma la frangia di lato; gli occhi già magnifici contornati da matita e ombretto nero come suo solito; e quel sorriso, purché fosse appena accennato, era come sempre in grado di mozzargli il fiato. Quella volta però fu quasi una pugnalata, perché era rivolto ad un altro.

Scosse la testa e andò verso di loro, si fermò a guardarli mentre si scambiavano i convenevoli più imbarazzati del solito e quando entrambi furono dentro l’abitacolo, seduti nei sedili anteriori, lui saltò sul tetto dell’auto e si mise a gambe incrociate, pronto a scoprire dove dovessero andare tutti e due.

Si fece forza e si consolò con l’aria fresca della sera che lo trapassava piacevolmente mentre l’auto sfrecciava per le vie illuminate di Amburgo.
Aveva sempre sognato di fare un viaggio sul tettuccio di un’automobile, ora però non riusciva a goderselo appieno a causa di quella strana malinconia che gli invadeva il petto.

~ ~ ~

Sei finito Tom, preparati alla tua fine! pensò piena di rabbia Zoe, seduta accanto a Bill.

C’era molto silenzio e nessuno dei due accennava a voler dire qualcosa, era come se ci fosse una lastra di vetro fra di loro, e la cosa si stava facendo parecchio imbarazzante. Zoe avrebbe voluto dire qualcosa, ma che cosa? Era in un vicolo cieco.

«Ahm… Tom mi ha detto che è andato bene il pranzo con Heinz», disse Bill incerto, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

«Sì», si schiarì la voce Zoe. «È andato tutto bene.»

«Sono contento», sorrise e lei si sentì sciogliere e allo stesso tempo congelare sul posto: era talmente strano che non riusciva nemmeno a distinguere le sue emozioni!

«Senti Bill, io… Non ti dispiace se uccido Tom, vero?»

«Ucciderlo? Che ha fatto di male?»

«In teoria niente, in pratica… Cioè, lui cerca di fare quello che può, ma la verità è che… dobbiamo risolvercela io e te.»

«Non so di cosa tu stia parlando», disse meccanicamente, allarmato.
Tom, sarò io ad ucciderti, stanne certo! È tutta colpa tua!

«Sì, nemmeno io so di che cosa sto parlando», sussurrò Zoe abbassando lo sguardo sulle sue mani. Almeno ci aveva provato.

Arrivarono alla festa e la prima cosa che fecero fu cercare Tom fra tutto quel casino, quando lo individuarono lo puntarono, ma non si resero minimamente conto che stessero camminando vicini, talmente erano assorti nei loro piani di vendetta e di torture varie.

«Ehi ragazzi!», ridacchiò nervoso il chitarrista, trovandoseli di fronte. «Tutto bene? Com’è andato il viaggio?»

«Una meraviglia!», gridarono in coro, accorgendosi della presenza dell’altro, arrossendo violentemente.

Bill si allontanò e raggiunse Georg e Gustav, lasciando Tom in pasto a Zoe, che sembrava tutt’altro che amichevole.

«Wow, sei molto carina stasera! Stile un po’ Ape Maia, però…», tentò di entrare nelle sue grazie, ma lei non abboccò.

«Tom, non ho per niente voglia di scherzare, ok? Tu… tu mi hai lasciata da sola in macchina con Bill! Non puoi capire quanto sia stato imbarazzante!»

«Lo so, mi dispiace tanto! Ma sai com’è Bill! Era certo di fare un figurone, invece scommetto che non ha nemmeno detto una parola.»

«No, abbiamo parlato un po’: di Heinz.»

«Oh, è già qualcosa però!»

«E poi quando gli ho chiesto se potevo ucciderti, mi ha chiesto il motivo e stavo per dirgli tutto, che non sono pronta ad avere una nuova storia, ma lui sai cos’ha detto?! Ha detto che non sapeva di quello di cui stavo parlando!», gridò aprendo le braccia, gli occhi sgranati che iniziavano a pizzicarle. «Io non ce la faccio Tom, voglio già tornare a casa.»

«Mi dispiace tanto Zoe, io…»

«No, non è colpa tua Tom. Solo che è complicato e ho bisogno di tempo. Ti va di ballare un po’ con me?»

«Ma certo!», sorrise brillante, posandole una mano sulla schiena e conducendola verso la pista da ballo. «Solo se mi prometti che non mi uccidi.»

«Non ti uccido, promesso», sorrise.

~ ~ ~

Una festa?

Camminò fra la folla e raggiunse il piano superiore del locale, si appoggiò alla ringhiera con i gomiti e guardò dall’alto la pista da ballo, individuando subito Zoe con il suo abitino giallo che ballava un lento con Tom, le braccia avvolte intorno al suo collo e viso appoggiato alla sua spalla.

Il suo sguardo si soffermò più del dovuto su Tom e dovette distoglierlo perché se no lui si sarebbe sentito osservato e avrebbe alzato lo sguardo, incontrando ovviamente il vuoto, ma per Franky sarebbe stata una tortura incrociare i suoi occhi dopo quello che aveva scoperto.

Aveva sempre visto Tom come una bella persona, a volte l’aveva pure preso come modello, ma ora… ora era sceso di molto nella sua classifica, l’aveva deluso con il suo comportamento codardo e anche traditore, perché era questo che aveva fatto: aveva tradito la sua fiducia, involontariamente ma l’aveva fatto. Non avrebbe mai immaginato che proprio lui, il suo migliore amico, potesse fare una cosa così a Zoe che ora rischiava quasi quanto lui se Jole fosse di nuovo scesa di sotto.
Tom l’aveva messa in pericolo, lei che non c’entrava niente in quella storia, l’aveva usata per risolvere nella maniera più veloce e menefreghista un suo problema che ora era come minimo quintuplicato di gravità. E lei sicuramente non ne sapeva nulla.

Tom, non riuscirò a perdonarti facilmente. Tu… tu mi avevi fatto una promessa! Se le dovesse succedere qualcosa… Ti rovinerei con le mie stesse mani.

~ ~ ~

La strinse a sé e appoggiò la guancia alla sua testa, facendola sbuffare divertita. Sapeva che le dava fastidio perché la faceva sentire bassa, ma le piaceva bisticciare con lei e poi farci pace.

«Tooo-om», sospirò tirandogli una treccina a tradimento.

«Ok, ok, va bene! Lascia, lascia!»

Zoe sorrise soddisfatta e lo guardò negli occhi, sentendosi a casa; poi dietro di lui vide Bill che la stava osservando con la coda dell’occhio, mentre Georg e Gustav, con un cocktail in mano, chiacchieravano sopra la musica.

«Che c’è?», le chiese lui, accorgendosi della tristezza che si era fatta spazio nei suoi occhi.

«Bill mi sta guardando.»

«E che cosa c’è di male? Ti ha sempre guardato anche prima.»

«Non fare lo stupido, Tom. Come mi guarda ora è diverso da come mi guardava prima.»

«E a te che importa?»

«Come a me che importa?! Ma cosa ti sei bevuto prima che arrivassi?! È uno dei migliori amici, è ovvio che mi importa!»

«Se fosse solo uno dei tuoi migliori amici glielo diresti chiaro e tondo che non vuoi avere una storia con lui. Io penso che tu… che tu qualcosa provi, solo che… che non lo vuoi ammettere, ecco.»

«E per quale motivo non dovrei ammettere una cosa del genere, eh?!»

«Perchè… perché non vuoi che Franky venga sostituito da un altro. Credo.»

«Tom… Tom stai zitto, ti prego. Tappati quella fogna che ti trovi al posto della bocca una volta per tutte! Non capisci un cazzo, non capisci un cazzo di niente!», gridò non riuscendo a trattenere le lacrime, spingendolo con forza liberandosi dall’abbraccio e correndo via da lui, lontana dalla pista da ballo.

«Zoe», mormorò mortificato, maledicendosi da solo. Possibile che quando si trattasse di sentimenti, sbagliasse sempre, in ogni stramaledetto caso?!

«Ehi, cos’è successo?», chiese Bill comparendo alle sue spalle.

«Credo di aver litigato con Zoe.»

«Perché?»

«Per te.»

~ ~ ~

Ci mancava solo questa, cavolo!

Seguì con attenzione quello che sembrava proprio un litigio fra Tom e Zoe, senza riuscire a sentire quello che si stavano dicendo a causa della musica troppo alta, e guardò la ragazza correre via da lui, facendosi spazio fra la folla, le lacrime che le rigavano le guance.

Che qualcuno la segua, cazzo! Perché se ne stanno tutti con le mani in mano?

Guardò Bill preoccupato parlare con Tom e poi tornare da Gustav e Georg ai divanetti, mentre il chitarrista di passava le mani sulle treccine, frustrato, per poi venire circondato da tre ragazze che sensualmente iniziarono a ballargli intorno.

E lui ovviamente non rifiuta, come al solito preferisce scappare dai problemi!

Tornò con lo sguardo a Bill, sembrava pensieroso, seduto sul divanetto, lo sguardo basso. Franky voleva che facesse qualcosa per Zoe, ma dall’altra parte non voleva che fosse proprio lui a sistemare le cose.

Ok, sono geloso, ma è normale! No?

Sospirò e saltò giù dalla ringhiera, cadendo direttamente nella pista da ballo sulle gambe, come un gatto che cade sempre sulle quattro zampe senza farsi niente.

Non dovette nemmeno farsi spazio, passò direttamente fra tutte le persone che ballando intralciavano il suo cammino, indisturbato, e raggiunse la sua piccola, seduta su uno degli sgabelli del bancone illuminato da poche luci colorate. Stava ordinando un alcolico, cosa che non avrebbe dovuto fare e che non avrebbe mai fatto se ci fosse stato qualcuno con lei.

«L’alcol non risolve le cose, piccola. E sai che non lo reggi», le sussurrò all’orecchio, proprio come se fosse la voce della sua coscienza, posandole una mano sulla schiena, ma lei non ascoltò la vocina che si infiltrò nella sua testa e iniziò a bere, anche se titubante.

«Piccola non farlo, ti prego…» ritentò, ma la sua mente sembrava così stanca di tutto che non lo volle ascoltare, anche se sapeva che la cosa giusta da fare era proprio smettere, lasciare giù quel bicchiere e andare a chiedere a Gustav o a Georg uno strappo per ritornare a casa. Continuava soltanto a bere, come un automa, senza pensare alle conseguenze molto più che negative che si sarebbero susseguite l’una dopo l’altra.

Franky non riuscì ad estraniarsi dalla sua mente e venne travolto dai suoi pensieri, così potenti che gli fecero chiudere gli occhi. Stava pensando esattamente ad un ricordo, a quel ricordo, che lo ferì come poche cose da quando era salito in Paradiso lo avevano fatto soffrire: il loro primo incontro.

«Secondo me non ci riesci.»

Zoe alzò il capo e scese dallo skate, rischiando anche di inciampare. Si portò le mani sui fianchi come se nulla fosse e lo guardò negli occhi con una scintilla d’orgoglio nei propri: «Franklin, non sapevo che facessi skate.»

«È la mia passione, fare skate! E comunque non chiamarmi così, chiamami solo Franky.»

«Ok, Franky», fece un sorriso. «Magari io non ci riuscirò, però ci proverò comunque! Non mi arrendo.»

«Mi piace la tua tenacia», ricambiò il sorriso, avvicinandosi. «Zoe.»

«Che ne dici, se tu sei più bravo di me potresti darmi una mano!»

«Non ci guadagnerei niente, ma… sono un cavaliere, infondo.»

«Oh, ne sono veramente onorata!» E risero insieme per la prima volta.

Il ricordo si interruppe, sopraffatto da una sensazione sgradevole che gli fece aprire gli occhi: Zoe era pallida, tanto che sobbalzò e si guardò intorno. Tom era ancora a ballare con le sue oche, Bill era ancora in quella fase di depressione e Gustav e Georg non sapevano nemmeno quello che era successo.

Cazzo, adesso che si fa?

Sentì la mente di Zoe farsi sempre più distante e meno accessibile ai suoi flussi e infatti la ragazza si alzò e corse verso i bagni. Lui la seguì di corsa, entrò senza dare importanza al fatto che fosse il bagno delle ragazze – tanto non lo vedeva nessuno – e vide Zoe piegarsi su un cesso e tirare su tutto ciò che aveva dentro. Era uno spettacolo pietoso e per la prima volta capì quanto fosse ridicolo far soffrire così il proprio corpo, mutilandolo e rendendolo incapace di difendersi da ogni attacco.

Si chinò accanto a lei e la guardò per qualche secondo, poi si rese conto che lui non poteva proprio fare niente a causa del suo stato; doveva chiamare qualcuno di vivo e vegeto che potesse aiutarla, ma chi?

Lasciò in sospeso la domanda e corse fuori dal bagno, raggiunse di nuovo la pista da ballo e la prima persona che gli venne in mente fu Tom, ma si trovò a dirsi di no, perché non poteva davvero manipolare il suo corpo ora come ora: gli faceva schifo entrare in lui dopo aver scoperto ciò che aveva fatto e ciò che stava nascondendo a Zoe e a se stesso. Possibile che non si fosse reso conto della gravità del suo gesto?

Però… potrebbe essere l’occasione per vedere nella sua testa se si ricorda di Jole e di quello che ha fatto, usando Zoe per trarre dei vantaggi per se stesso. Voglio proprio sapere che cosa pensa.

Si avvicinò a malincuore e lo guardò ballare con quelle ragazze con una smorfia sul viso, gli mise una mano sulla spalla ed entrò nella sua testa: c’era un casino che non avrebbe mai immaginato, ogni ricordo era accavallato l’uno sull’altro, tranne quelli dei suoi compagni di band, quelli in cui c’era suo fratello gemello Bill e quelli in cui c’erano Franky e Zoe: quelli, stranamente, erano in ordine; per il resto, caos. Cercò di trovare degli appigli con Jole, cercando il bar del centro commerciale, qualche notte passata con lei, ma sembrava essersela proprio dimenticata, come tutte le altre ragazze che erano entrate ed uscite dalla sua vita.

Si scostò bruscamente da Tom, ancora più deluso, per non arrivare ad odiarlo, e si decise che l’unica persona che poteva aiutare Zoe in quel momento era proprio Bill. Doveva farlo, anche se gli sarebbe costata molta fatica.

Si avvicinò al frontman e una volta di fronte a lui fece un respiro profondo, svuotò la mente e sperò che funzionasse e che non commettesse errori, anche perché sarebbe stata la prima volta per lui: non era mai entrato in un corpo di un vivo davvero, se qualcosa fosse andato storto c’era anche la possibilità di intaccare la sua anima, di sconvolgerla, e non voleva che accadesse; non doveva sbagliare, perciò aveva bisogno di concentrazione. Inoltre, una volta dentro di lui non doveva permettere che i suoi pensieri si mescolassero con quelli di Bill, doveva essere distaccato, come se non fosse lì; doveva far combaciare tutto perfettamente e mantenere i nervi saldi mentre lo controllava.

Quando si sentì pronto si girò e si mise seduto esattamente su di lui, lasciando che il suo spirito entrasse nel corpo di Bill, fondendosi magicamente alla sua anima. Prese possesso delle sue articolazioni, dei suoi muscoli e si sentì un tutt’uno con lui. Per fortuna era andato tutto bene.

~ ~ ~

Era da un po’ che era seduto lì a pensare. Aveva visto quello che era successo tra Tom e Zoe, l’aveva vista scappare via, ma non aveva avuto il coraggio di andare da lei dopo aver saputo che avevano litigato proprio a causa sua e dei suoi stupidi sentimenti.
Perché si era preso una cotta proprio per lei? Era così complicato!

Sentì un brivido percorrergli la schiena e si alzò di scatto dal divanetto, un po’ traballante, pensando che doveva assolutamente andare a cercare Zoe: era sparita da troppo tempo, dove si era cacciata?

«Ehi Bill, tutto bene?», gli chiese Gustav e si girò verso di lui.

«Sì, tutto ok», fece un sorriso sforzato. «Avete visto dov’è andata Zoe?»

«Prima era al bancone del bar.»

«Vado a cercarla.»

Si incamminò fra la folla e vide suo fratello ballare circondato da delle ragazze: un moto di irritazione lo percosse, ma non ne capì perfettamente il motivo. Non era il momento di pensarci su, doveva raggiungere Zoe!

Qualcosa lo spinse a pensare che si fosse rifugiata in bagno e senza pensarci un attimo di più vi fece irruzione, trovandolo fortunatamente deserto. La stessa sensazione di prima lo fece andare sicuro alla porta in mezzo, l’aprì e vide Zoe china sul water, che rimetteva.

«Zoe», si avvicinò a lei e le tirò indietro i capelli tenendole la fronte.

«Bill, che ci fai tu qui? È il bagno delle ragazze», biascicò quando i conati di vomito cessarono.

«Non importa. Come ti senti?»

«Uno schifo.»

«Forza, tirati su», la prese per il braccio e la strinse a sé, sorreggendola fino al lavandino, dove le sciacquò la bocca, dicendole di fare dei respiri profondi.

«Grazie Bill, grazie», soffiò avvolgendogli le braccia intorno alla vita, appoggiandosi a lui senza forze.

«Non mi devi ringraziare, piccola.»

Zoe alzò di scatto la testa e lo guardò con occhi stanchi e lucidi: «Come… come mi hai chiamato? Sai che non puoi chiamarmi in quel modo…»

«Scusami, io… non l’ho fatto apposta. Mi dispiace. Dai, ti accompagno a casa, è inutile stare qui.»

Zoe acconsentì debolmente e si lasciò portare fuori. Il casino della gente che ballava e della musica le rimbombò nella testa che già le faceva un male cane, come se contenesse un nido di vespe, e chiuse gli occhi, portandosi una mano sulla fronte.

Tom si avvicinò a loro preoccupato, liberandosi da quelle ragazze che l’avevano trattenuto più a lungo del previsto, e Bill sentì lo stesso moto di irritazione che lo aveva travolto prima, facendogli assumere un’espressione burbera.

«Ma che è successo a Zoe?», chiese il chitarrista.

«Quello che non doveva succedere, ok?! Sei un coglione, Tom!», gridò con tutto il fiato che aveva in gola, ma quelle parole… quelle parole non le aveva pensate lui! Né si sentiva così arrabbiato con Tom, perché allora…?
Improvvisamente gli mancò il respiro e sentì un altro brivido percorrergli la schiena, quella volta però molto più violentemente, e sentì una strana sensazione, come se il suo corpo fosse di nuovo suo, solo suo; persino la rabbia nei confronti di Tom svanì e si sentì come più leggero e semplicemente preoccupato per Zoe.

Che cosa mi è successo?

~ ~ ~

Respirò velocemente e corse fuori dal locale senza guardare in faccia nessuno, poi si lasciò cadere sull’erba fresca, sotto il cielo scuro, senza più forze, e chiuse gli occhi.

Era stato più difficile del previsto estraniarsi dalla mente di Bill, aveva visto tutto, aveva sentito ogni suo pensiero, aveva vissuto dentro di lui e ora non aveva più segreti. Era stata un’esperienza traumatizzante, ancora doveva riprendersi da tutte quelle sensazioni, quei pensieri e quei ricordi che lo avevano travolto inaspettatamente.
Non era riuscito neppure a mantenere del tutto il controllo di se stesso, infatti aveva fatto sentire a Bill sensazioni che se fosse stato pienamente lui non avrebbe sentito, come l’irritazione verso Tom e l’amore fin troppo vasto per Zoe, tanto da chiamarla piccola come aveva sempre fatto lui.

Si sentiva debole, senza più forze, ma si tirò sui gomiti e guardò Bill accompagnare alla macchina l’inerme Zoe, che si lasciò mettere la cintura di sicurezza senza obbiettare. Con gli occhi seguì Bill mentre entrava in auto e metteva in moto, poi si lasciò cadere di nuovo a terra con un sospiro. Aveva fatto la cosa giusta, lasciandola sola con lui?
Beh, meglio lui che altri, dopotutto, cercò di consolarsi.

~ ~ ~

Non riusciva davvero a capire che cosa gli fosse preso. Perché aveva chiamato così Zoe? Sapeva che nessuno doveva chiamarla piccola perché era sempre stato Franky a chiamarla in quel modo, eppure gli era uscito naturale, facendo una figuraccia. E poi, perché aveva provato irritazione vedendo suo fratello Tom? Non aveva fatto nulla di così esageratamente sbagliato, se Zoe si era sentita male non era colpa sua, però gli era venuto allo stesso modo spontaneo insultarlo con quella ferocia, lasciandolo di stucco.

Non sembrava io, in quel momento! rifletté, ma ogni spiegazione che gli veniva in mente non poteva essere considerata logica, quindi lasciò perdere e si concentrò sulla Zoe immobile, sdraiata scomposta sul sedile al suo fianco, la testa appoggiata al finestrino.

«Zoe», la chiamò piano e lei mugugnò qualcosa, aprendo a fatica gli occhi. «Come stai?»

«Sono a pezzi e mi fa malissimo la testa», biascicò.

«Mi dispiace.»

«Non è colpa tua, Bill.»

«Sì invece che lo è. È tutta colpa mia. Non voglio farti del male, Zoe. E… e non voglio metterti fretta, ok?» Non sapeva perché le stava parlando di quelle cose proprio in quel momento, forse perché credeva che il mattino seguente non si sarebbe ricordata nulla. «Io… io mi sono preso una cotta per te, una bella tosta anche, ma so che hai bisogno di tempo, lo capisco; sono disposto ad aspettare, anche tutta la vita se necessario, l’importante è che tu sia felice e non ti senta obbligata a stare con me.»

Zoe, in silenzio, lo guardò e fece un debole sorriso posando la mano sulla sua.
«Grazie, Bill», mormorò prima di voltarsi di nuovo verso il finestrino, gli occhi chiusi e l’espressione del viso un po’ più serena.

_____________________________________

Buongiorno gente! ^_____^

Ooooh *-* Questo capitolo è uno dei miei preferiti! Sicuramente meglio del precedente xD
Si è suddiviso fra i Tokio e Zoe e Franky, spero si sia capito xD Spero si sia capito anche di quando Franky entra nel corpo di Bill e quello che succede, perché un conto è avere le cose chiare in testa, uno scriverle xD Dai, spero nelle vostre capacità intuitive ;D

Ringrazio di cuore queste tre sante che commentano sempre *-*

Isis 88 : Ciao! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero anche questo! ^-^
Sì in effetti la situazione è moooolto intricata. Bill e Zoe si sono “parlati” e come risultato volevano uccidere il povero Tom xDD
Uhm, il triangolo Zoe-Bill-Franky darà qualche problemino, vedremo se davvero riusciranno a trovare un equilibrio…
Grazie mille, alla prossima, baci!

Tokietta86 : No, non è per niente facile e non lo sarà ancora per tanto tempo. Vedremo che cosa combineranno xD Tom cupido xDD Io me lo immagino, con il pannolone e le freccette X°°°D Oh mein Gott sto sclerando xD
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! *-*
Grazie ancora per aver votato il Future per il concorso! *-* Grazie anche per la recensione, alla prossima, baci!

Utopy : Tu sei già santa per me xD Heliiiiiiig *-* Mamma mia questi giorni con te sono stati bellissimi ma già lo sai xD Soprattutto il concerto! *Q* Non me lo dimenticherò mai assai mai ù.u
Okay, tornando al capitolo, questo l’hai già avuto un po’ in anteprima, no? Non mi ricordo più bene che cosa hai letto e cosa no xD Le parti che ti ho chiesto io vabbè, sì, il resto non so xD So che odi Zoe, ma non è facile con Frankyyy, pensa se accadesse a te u.u Però vabbè, se la odi più di Ary e lei scala in seconda posizione sono strafelice *-* (Vorrei che non le odiassi entrambe, però mi accontento xD) Tom la bocca larga xD San Pietro è the best xDD
Cavolo, mercoledì scorso mancavano 4 giorni, ora siamo qui e boh xD Che strano, che triste. Però ce la faremo fino a giugno, best! *-* Dai dai! Ti voglio tantissimo bene Mond, ma tanto tanto tantissimo! *_______* <3

E poi ringrazio anche tutte quelle persone che non recensiscono ma che leggono sempre!
Grazie a tutti! Alla prossima, vostra

_Pulse_

PS: Ah, mi stavo per dimenticare! Da oggi in poi aggiornerò anche di venerdì, oltre che di mercoledì, perché per qualcuno una volta alla settimana era troppo poco e quindi è riuscita a convincermi xD Spero che tutti riescano a seguire comunque ^__^ Ciaooo!

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Capitolo 9
*** Goodbye and Hello ***


9. Goodbye and Hello

Finì di parlare e fece un respiro profondo, come se fosse stato in apnea per tutto quel tempo, poi guardò i professori di fronte a sé che come dei giudici stavano soppesando il suo esame, guardandosi negli occhi a vicenda e bisbigliando fra loro.

Franky era seduto proprio di fronte a San Pietro, che lo guardava intensamente negli occhi, un sorriso rassicurante sulle labbra, come se volesse dirgli: «Non ti preoccupare, andrà tutto bene.»

Era agitato fino all’inverosimile, stava sudando! Voleva sapere se era passato o meno, in fretta, o sarebbe svenuto dall’ansia.

Il professor Schulz si schiarì la voce e si alzò, si sistemò la cravatta e Franky sobbalzò sulla sedia: era arrivato il momento!

«Franklin Weigel, hai superato l’esame e da oggi sei ufficialmente un angelo custode.»

«Oddio, sì! Ce l’ho fatta!», gridò alzandosi in piedi con le braccia stese verso l’alto, felice come una pasqua. Dietro di lui anche Kenzie e Norbert avevano iniziato a gridare saltellando, abbracciandosi.

«Sempre se San Pietro è d’accordo!», aggiunse il prof, guardando il Santo al suo fianco. Egli si alzò e cadde un pesante silenzio che fece azzittire pure la gioia incontenibile di Franky, l’angelo custode.

«Ovvio che sono d’accordo!», gridò aprendo le braccia, scoppiando a ridere.

Franky fece un sospiro di sollievo e lo ringraziò con lo sguardo, poi corse dai suoi amici, unendosi a loro in quel balletto improvvisato, godendosi quel momento di pura felicità.

***

«Oddio, sono bellissime», disse Kenzie estasiata, sfiorando le piume candide con la punta delle dita.

Franky annuì e si guardò allo specchio, girandosi di spalle per osservare meglio le grandi ali bianche che come per magia gli erano cresciute sulla schiena quando aveva firmato la sua “Carta d’Angelo Custode”, sulla quale c’era anche scritto il nome della persona che adesso lo possedeva e che in realtà l’aveva sempre posseduto: Zoe Wickert.

«Sei emozionato?», gli chiese lei, abbracciandolo da dietro goffamente proprio a causa di quelle ali.

«Voi non potete capire quanto», ridacchiò con le guance rosso porpora.

Ancora non poteva credere di avercela fatta, era troppo incredibile per pensarlo! Ce l’aveva fatta! Il giorno seguente avrebbe lasciato il Paradiso e sarebbe tornato sulla Terra sotto forma di angelo custode, sarebbe stato visibile alla sua protetta e ad alcune persone speciali. Avrebbe avuto l’importante compito di proteggere la sua piccola, ma ce l’avrebbe fatta pure quella volta: aveva superato cose peggiori nella sua vita! E poi avrebbe potuto di nuovo abbracciarla, sostenerla, però… avrebbe fatto male all’inizio, lo sapeva; insieme avrebbero superato pure quello, loro erano forti.

«Hai pensato a come glielo dirai?», gli chiese, gettandosi sul suo letto, i gomiti che la sorreggevano.

«In che senso?», corrugò la fronte.

«Ma come? Non ti sei posto il problema di come la prenderà? Insomma, vedere una persona che dovrebbe essere morta e sepolta apparire di fronte ai propri occhi, dicendo: “Ciao, sono il tuo angelo custode!” non è cosa da tutti i giorni! Potrebbe rimanerci traumatizzata!»

«Cavolo Kenzie, hai ragione!»

La ragazza schioccò la lingua indicandosi, dandosi mille arie di fronte a Norbert, che le diede un colpetto con la spalla.

«E se non dovesse prendermi sul serio? Se credesse di essere diventata pazza? Oddio, è un problema!»

«Magari dovresti prepararla entrando in un sogno e spiegandole le cose con cautela», ipotizzò Norbert, sollevando le spalle.

«Non lo so… Non sono mai andato a trovarla in sogno, sarebbe anche quello traumatico e se dopo mi vede anche da sveglia potrebbe anche svenire.»

«Uff, bel casino», sbuffò Kenzie. «Beh, troverai sicuramente una soluzione, ne sono certa!»

«Grazie Kenzie, molto d’aiuto come al solito», fece un sorrisetto e si mise seduto sul bordo del letto, venendo subito raggiunto da lei a sinistra e da lui a destra. Sorridenti gli posarono una mano sulla spalla e Norbert gli porse una bottiglia di birra, che Franky prese sorridendo.

«E queste da dove le hai tirate fuori?», gli chiese Kenzie, ridacchiando.

«Dalla borsa di Mary Poppins, ovviamente», fece l’occhiolino e l’attirò a sé, baciandola sulla testa, sorridendo.

Franky guardò i suoi amici ridere e scherzare con le loro birre in mano e gli venne spontaneo sorridere. Avvicinò la bottiglia alle labbra, ma Norbert lo fermò:

«Dobbiamo brindare!»

«A cosa?»

«Franky!», aprì le braccia Kenzie, un sorriso divertito e allo stesso tempo indignato sulle labbra. «Sei diventato un angelo custode! È una cosa da festeggiare! E poi… domani mattina partirai.»

«Partirò dopo di voi, non vi preoccupate», sorrise rassicurante e si avvicinò a loro, porgendo il collo della propria bottiglia. «Non vi dimenticherò mai ragazzi, alla nostra.»

«Alla nostra!»

Il rumore del vetro tintinnò nella stanza, sopraffatto presto dalle loro voci emozionate e dalle loro risate che quella notte non sarebbero andate a dormire presto.

***

«Pronti?», chiese San Pietro uscendo con la testa dalla saletta. «È il vostro turno.» Fece un sorriso rassicurante e Franky lo imitò, guardando i suoi amici che si stringevano forte la mano, fissandosi negli occhi.

«Siamo pronti», disse Norbert, trascinandosi dietro Kenzie.

Franky li seguì ed entrò nella saletta, si mise accanto a San Pietro e vide i ragazzi avvicinarsi a due cabine di vetro trasparente, irradiate da una forte luce rosata. Lui le chiamava scherzosamente Cabine Risucchia Anime, ma in realtà facevano il contrario, perché “risucchiavano”, "lavavano" via il corpo dall’anima, rendendola libera e priva dei ricordi che la tenevano legata all’organismo in cui aveva vissuto.

«Vi siete già salutati, è tutto a posto, possiamo cominciare?», chiese un operaio con dei grossi guanti di cotone, già dietro dei sofisticati computer.

«Sì», tremolò Kenzie con le labbra increspate, gli occhi gonfi pieni di lacrime.

«Baby», disse intenerito Franky, avvicinandosi e prendendola fra le braccia. Norbert trattenne le lacrime e con un piccolo sorriso si unì all’abbraccio, stringendo forte i due.

«Mi mancherete tantissimo ragazzi, anche se non me ne ricorderò affatto», disse Kenzie fra i singhiozzi. «Siete stati importantissimi, siete stati i migliori amici che abbia mai avuto, davvero. Promettetemi che questa non è la fine.»

«Non è la fine», sussurrò Norbert accarezzandole i capelli sulla nuca.

«Vi verrò a trovare, anche se sarete solo dei neonati», ridacchiò Franky. «Ve lo prometto.»

«Franky, non ci deludere», sorrise Kenzie, asciugandosi il viso dalle lacrime e tirando su col naso. «Sei il nostro orgoglio, svolgi al meglio il tuo compito.»

«Certo. Vi auguro una vita felice, ragazzi. Alla prossima.»

Si sorrisero e poi, con il cuore più leggero, Kenzie e Norbert entrarono nelle cabine, tenendosi la mano fino all’ultimo. Le porte si chiusero di fronte a loro e lei fece un sorrisetto salutando con la mano, prima che la sua figura venisse lentamente irradiata da quella luce. Venne come assorbita e rimase solo la sua anima, una sfera azzurrina, agli occhi di Franky più bella di quelle che aveva visto con San Pietro, che galleggiava nell’aria come quella di Norbert, altrettanto luminosa e ricca di fascino.

Le porte si aprirono di nuovo e San Pietro gli porse dei guanti, indicando con il capo di andare; Franky gli sorrise, se li infilò e raggiunse l’operaio che aveva già fra le mani l’anima di Norbert. Prese quella di Kenzie fra le sue e la osservò estasiato, la luce proveniente da essa che si rifletteva nelle sue iridi verdi. Seguì l’operaio ai cannoni che le avrebbero rispedite sulla Terra e prima di metterla nell’apposito spazio, la guardò con tenerezza e posò un delicatissimo bacio sulla superficie liscia, sentendo un piacevole tepore sulle labbra, poi la lasciò andare.

Buona fortuna, Kenzie… Mi mancherai. E mi mancherai anche tu, Norbert. Siete stati davvero fantastici, grazie di tutto. Non mi dimenticherò mai di voi, mai.

Sospirò sereno e si girò verso San Pietro, che gli aveva messo una mano sulla spalla.

«E tu sei pronto, Franky?»

«Sì, sono pronto», sorrise annuendo.
E si avviò con San Pietro, che lo scortò fino all’Ufficio di Collegamento.

«Anche gli angeli custodi passano da qui, per tornare sulla Terra?», chiese Franky incuriosito.

«Ovviamente, però… per una via secondaria», sorrise e lo spinse verso una porta che per lui era sempre rimasta un mistero.

Quando entrarono, rimase senza parole, incredulo: «Oh mio Dio.»

Di fronte a lui si trovava una lunga ed alta stanza, circondata solo da finestre che permettevano di vedere un bellissimo parco, come se fosse una serra. Era molto illuminata, c’era un via vai continuo di gente, fra personale ed angeli, e tanto trambusto. Ma era qualcosa di magnifico, perché su ogni viso c’era un sorriso ad illuminarne l’espressione e Franky si sentì invaso da una tranquillità senza paragoni. Ai lati c’erano due file di camerini, con tende color porpora, dotati di grandi specchi nei quali ci si poteva riflettere interamente per avere una visione più completa.
Sembrava tanto uno di quei negozi che vendevano vestiti da spose, nei quali c’era il sarto a disposizione che girava intorno al povero mal capitato, solo che l’armonia che vi si respirava era incomparabile: tutti erano complici, contenti del proprio lavoro e dei propri vestiti bianchi e lucenti.

«Benvenuto nella…»

«Stanza dei Manichini», concluse Franky per San Pietro, che sospirò divertito.

«Possibile che tu debba cambiare sempre i nomi alle stanze?»

«Beh, i miei nomi sono più originali!»

«Va bene, come vuoi», rise. «Ti accompagno dalla ragazza che si occuperà di te, dai.»

«Che cosa?», gridò inorridito. «Anche io dovrò mettermi uno di quei vestiti eleganti?!» Non aveva pensato a quel particolare, avvolto in quella serenità, solo in quel momento si rendeva conto della gravità della situazione.

«Certo Franky, questa è la divisa da angeli custodi! Forza, su!»

No, non voglio! pensò disperato, ma non poté opporsi e venne trascinato di fronte ad una ragazza che senza nemmeno presentarsi, sorridendo, lo squadrò da capo a piedi e gli porse un completo – giacca e pantaloni – di seta bianca. Franky prese fra le mani l’ometto al quale era appeso tutto e seguì la sarta che gli indicò un camerino libero, entrò e si guardò allo specchio, poi sospirando iniziò a cambiarsi, mentre lei lo aspettava fuori.

«Tutto a posto?», gli chiese dopo un po’.

«Sì, ho quasi finito.»

«La taglia è quella giusta?»

«Perfetta. E pensare che mi hai solo guardato! Come hai fatto?»

«Ho molta esperienza, ormai», ridacchiò. «Sei emozionato? Per il tuo ritorno sulla Terra, intendo.»

«Sì, tantissimo. Ma è proprio necessaria questa divisa

«Sì, Franky!», tuonò la voce di San Pietro e la ragazza rise di nuovo. «Ti fa entrare nel personaggio!»

«Divertente», bofonchiò.

Finì di mettersi la giacca e si guardò allo specchio critico, sistemandosi i polsi. Dopotutto non era tanto male, se sotto teneva quella maglietta celeste, se si metteva un cappellino dei suoi sulla testa e teneva le sue scarpe della DC bianche: poteva dire di stare anche bene!

«Hai finito?»

«Sì, ho finito», tirò di lato la tenda e fece un giro su se stesso, sorridendo innocentemente. «Che ve ne pare?»

«Sei veramente bello», disse la ragazza, sistemandogli il bavero, compiaciuta. «Sembri fatto apposta per questo completo, ti calza a pennello!»

«Grazie», tossicchiò vagamente imbarazzato, passandosi una mano sulla nuca. «Ora, che si fa?»

«Ora niente, ti accompagno», disse San Pietro. «È arrivato il momento di andare.»

«Ok.» Si girò verso la ragazza che l’aveva vestito e la salutò con un cenno della mano, al quale lei ricambiò affettuosamente, poi seguì San Pietro.

«Hai tutto?»

«Sì», rispose tastandosi le tasche. «La Carta d’Angelo Custode ce l’ho, la cosa più importante; gli altri documenti… Sì, penso di avere tutto.»

«Il Cellulare Celeste te l’hanno dato?»

«Il… il Cellulare Celeste?»

San Pietro chiese ad una delle segretarie e ne ottenne subito uno, che porse a Franky con il sorriso sulle labbra: «Con questo puoi metterti in contatto con le persone che sono ancora in Paradiso», si avvicinò al suo orecchio e bisbigliò: «Ho già salvato il mio numero in rubrica.»

«Grazie, è bellissimo!» Era argentato, con il touch screen e una bellissima antennina con una piccola aureola dorata all’estremità.

«Mi fa piacere che ti piaccia. Per qualunque cosa, Franky… non esitare a contattarmi, ok?»

«Ehi, ma… si è commosso!», indicò il viso del Santo, meravigliato.

«Shhhh!», gli tappò la bocca allarmato, guardandosi intorno, ma Franky si liberò e lo abbracciò dolcemente. Era stato come un padre per lui, non avrebbe mai smesso di ringraziarlo abbastanza.

«Grazie per tutto quello che ha fatto, davvero. Grazie.»

«Grazie a te, Franky. Ho imparato molte cose, osservandoti. E volevo dirti che sono orgoglioso di te. Vai e fai ciò che devi, non deludermi.»

«Non lo farò, può starne certo», lo guardò negli occhi e sorrise.

«Mi raccomando, non fare nulla d’avventato!», gli gridò quando ormai era già arrivato di fronte l’ascensore che stava per scendere.

«Non si preoccupi!», lo salutò con la mano, ma si fermò quando vide Jole corrergli incontro e travolgerlo in un abbraccio stretto.

«Franky!» Aveva il fiatone, doveva aver corso per un bel pezzo. «Franky, scusami, mi sono addormentata! Volevo dirti, prima che tu partissi… Grazie», gli sorrise. «Grazie davvero per tutto quello che hai fatto.»

«Noi ci rivedremo, Jole! Non ti preoccupare! Non ho intenzione di lasciarti qui, voglio provare a liberarti. Ci metteremo in contatto, magari con il Cellulare Celeste.»

«Il Cellulare Celeste? Io non ne ho uno…»

San Pietro la raggiunse e glielo porse, lei lo guardò con gli occhi brillanti e se lo strinse al petto, raggiante.

«Beh, ora ce l’hai», ridacchiò Franky. «Farò di tutto, davvero. Insieme ce la faremo.»

«Ok, Franky. Fai buon viaggio e sii forte.»

«Grazie.»

L’abbracciò ancora e poi entrò nell’ascensore: non poteva più aspettare. Si appoggiò alla vetrata e accennò un saluto con la mano, quando le porte si chiusero e cominciò a scendere fra le nuvole candide, verso la città.
E la sua avventura come angelo custode ebbe realmente inizio.

***

Entrò nella camera che conosceva fin troppo bene, ansioso, e sobbalzò all’udire un cane abbaiare. Alzò lo sguardo e vide Ariel balzare giù dal letto e corrergli incontro, portando le zampette corte sulle sue gambe.

«Ariel», sussurrò perplesso, mentre un sorriso si faceva spazio sul suo viso, cancellando ogni tipo di preoccupazione per quel breve attimo. «Quanto tempo è passato, Ariel! Che ci fai qui?»

La cagnolina di Zoe, una bassottina cicciottella e non eccessivamente lunga, con il pelo di un marrone caldo, abbaiò ancora e quando Franky si abbassò gli leccò il viso, mostrando tutto l’affetto che da sempre gli aveva riservato. Era così tenera, affettuosa… tanto che era impossibile non volerle bene.

Era sorpreso di vederla, ma d’altro canto doveva aspettarselo: il suo posto era lì, accanto alla sua padroncina che aveva lasciato troppo presto a causa di un incidente fin troppo banale per essere vero.

Si sdraiò sul letto con la cucciola ed incominciò ad accarezzarla distrattamente sul dorso, chiedendosi perché non era mai riuscito a vederla prima. Probabilmente quella di vedere gli altri angeli custodi o pseudo era una facoltà che si poteva ottenere soltanto diventando uno di loro.

Si perse fra mille pensieri, soffermandosi sul fatto che era lì e tra poco avrebbe rivisto Zoe, la sua piccola… Come avrebbe fatto a spiegarle che lui era un angelo custode?

Kenzie aveva ragione, accidenti! Non mi sono mai posto il problema, ma come posso fare a farmi credere “reale” da Zoe? È un vero problema, sbuffò e si portò le mani sotto il mento. Magari potrei… Nah, sarebbe ancora peggio. E se… No! Come cavolo posso fare?

Sentì la porta della camera aprirsi e rimase paralizzato sul letto, anche il suo cuore d’angelo cessò di battere.

In casa non c’era nessuno, la mamma di Zoe era uscita con Heinz e il silenzio che l’avvolse lo fece rabbrividire. Quando riuscì ad alzare il viso, fu una fitta al cuore incontrare quello sguardo terrorizzato che lo fissava. Si alzò di scatto, facendo scendere anche Ariel – invisibile – che non fiatò. Zoe seguì attentamente ogni suo movimento: fu in quell’istante che Franky comprese che riusciva già a vederlo.

«Zoe», soffiò, facendo un passo indietro, anche se la sua mente gli diceva di avanzare.

Lei scosse la testa e strabuzzò gli occhi gonfi di pianto, poi iniziò ad urlare, accasciandosi a terra, rannicchiandosi con le gambe strette al petto.

L’angelo non riuscì a muovere il muscolo, era troppo scosso dalla sua reazione più che prevedibile, ma immaginarla e vederla con i propri occhi non era assolutamente la stessa cosa: si sentiva un mostro, qualcuno di cui avere terrore.
Era una sensazione straziante quella che si faceva spazio nel suo cuore, tanto che iniziò a piangere in silenzio. Zoe, la ragazza che aveva amato e che amava ancora, stava gridando di paura perché riusciva a vederlo. Si sentiva un essere immondo, ma doveva essere forte, doveva capirla, doveva cercare di rassicurarla, ma cavolo… cavolo quanto era difficile!

Le grida cessarono, Franky se ne accorse quando sentì solo i propri singhiozzi. Alzò il viso e guardò quello di Zoe, ancora a terra, rannicchiata come se volesse proteggersi, stravolta.

«Zoe», riprese, anche se la gola gli andava in fiamme e non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, talmente si sentiva male. Infondo le stava di nuovo parlando, dopo tutto quel tempo, e non era così bello come se lo aspettava: si sentiva così infinitamente in colpa, così… fuori luogo… Nessuno lo aveva preparato a questo, nessuno.
Che fosse proprio il primo incontro con il proprio protetto a stabilire la forza di un angelo custode? Che fosse quella, la vera prova? Il vero esame?

«So… so che sembra impossibile che io sia qui, so come ti senti, sto provando anche io quello che stai provando tu, ma… come posso dirtelo, se non in questo modo? Io sono qui, io sono vero, io… io sono il tuo angelo custode, Zoe. Sai», sorrise, tirando su col naso. «Tutte le volte in cui ci siamo fermati a parlare, a chiederci come sarebbe stato dopo la morte… beh, c’è questo dopo la morte. Ho studiato, ho persino dato degli esami per essere qui ora, per diventare un angelo custode. Per essere il tuo angelo custode.
«Non sei pazza, Zoe, te lo posso assicurare. Cerca… cerca di vedere la cosa dal mio punto di vista, per un attimo, ok? È abbastanza complicato anche per me, farmi credere “reale” e non sintomo di pazzia», fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi per schiarirsi le idee. «Ho pensato alla tua reazione, questa reazione, solo ieri e non ho avuto il tempo di pensare ad un modo per dirti tutto questo che non ti avrebbe traumatizzata e, infatti, hai visto quali sono stati i risultati. Se non hai perso la voce ti faccio i miei complimenti», ridacchiò. Lentamente tutto si stava schiarendo, come l’espressione di Zoe si stava ammorbidendo.

«Io… io posso darti tutto il tempo che vuoi per accettare la mia esistenza, non deve essere per niente una cosa facile, posso capirlo benissimo. È comprensibile, se fosse capitato a me penso avrei reagito allo stesso tuo modo. Però, voglio dirti una cosa, prima… Posso avvicinarmi?», le chiese, piegando il viso leggermente verso destra, un sorriso rassicurante sulle labbra. Zoe esitò, ma annuì con il capo. Franky, cautamente, fece qualche passo verso di lei e una volta al suo cospetto si inginocchiò e la guardò negli occhi:
«Non puoi capire quanto mi sei mancata, quanto ho avuto paura di non poterti più vedere all’inizio, quanto ho sudato per arrivare fino a qui, quanta gioia ho provato quando ho superato l’esame e sono diventato un angelo custode. Ho fatto tutto questo per te, solo per te, piccola. Ti amo, ti amo e ti amo», concluse e la sua voce ormai era un sussurro: non era stato facile quel discorso, ma ce l’aveva fatta e sinceramente pensava peggio.

Sollevò il viso verso di lei e non si azzardò a sfiorarla, anche se avrebbe tanto voluto; la guardò soltanto negli occhi, riuscendo perfettamente a specchiarsi in quelle iridi azzurre da togliere il fiato.

«Vuoi che ti lasci da sola per un po’?», le chiese con immensa fatica e un nodo stretto in gola.

Zoe parve soppesare le sue parole, fino a quando un debole sorriso piegò le sue labbra all’insù e Franky si sentì morire per la seconda volta talmente era bella.

«Non voglio che mi lasci mai più, Franky, mai più», sussurrò, avvicinandosi lentamente. «Magari sarò anche pazza a credere che tu sia veramente qui, ma quando mai non lo sono stata? Ho la pazzia nel sangue, dovresti saperlo. Se essere pazzi è l’unico modo che ho per averti, sono contenta di esserlo. Ti prego, non andartene più.»

«Non me ne andrò, non me ne andrò mai più», tirò fuori dalla tasca dei jeans di seta bianca la sua Carta d’Angelo Custode e gliela mostrò; lei con la mano che tremava la prese e la osservò.

«C’è… c’è il mio nome, qui.»

«Sì, Zoe. Questa è… è la mia nuova carta d’identità, ecco. E c’è il tuo nome perché io sono il tuo angelo custode, ti appartengo, e per questo non potrò mai più lasciarti. È come… come se fossimo uniti da un filo indistruttibile.»

«Oh Franky», nuove lacrime sgorgarono dai suoi occhi, ma erano diverse da quelle precedenti: erano arrendevoli, di sollievo, di gioia. «Posso toccarti?»

«Certo che puoi. Ora puoi.»

Zoe avvicinò le dita al suo viso e gli sfiorò lo zigomo, lentamente. A quel contatto l’angelo chiuse gli occhi, era una sensazione fin troppo piacevole poter essere di nuovo toccato da lei, eppure non si mosse: anche un solo movimento avventato e avrebbe potuto spaventarla di nuovo.
Si lasciò sfiorare per un po’, completamente immobile, fin quando lei non si gettò letteralmente fra le sue braccia e lo strinse forte, tanto da togliergli il respiro.

«Stringimi Franky, stringimi», lo supplicò, il fiato mozzato dai singhiozzi.

Non se lo fece ripetere due volte e la strinse, affondando il viso nei suoi capelli, respirando il loro profumo inconfondibile. Sentì le sue mani stringere intorno alla sua schiena e sorrise quando iniziò a tastarla incuriosita.

«Ma che cos’hai sulla schiena?», gli chiese, come aveva previsto.

«Sicura di volerlo scoprire già adesso? Non vorrei che avessi un sovraccarico di emozioni.»

«Franky!», lo guardò indignata e la riconobbe: quella era la sua Zoe, quella!

«E va bene», si alzò e fece un respiro profondo. Cercò la sua totale attenzione e una volta ottenuta distese le ali in tutta la loro lunghezza, trovando l’espressione estasiata di una bambina sul volto della sua piccola.
«Allora, ti piacciono?», le chiese immaginando già la sua risposta.

«Sono magnifiche!», gridò alzandosi ed osservandole da più vicino, poi tornò a contemplare il suo viso.
«Franky, allora tu… tu sei il mio angelo custode.»

«Esatto.»

«E… e quindi…»

«Ho la capacità di leggere nel pensiero, so che cosa stai pensando», sorrise, facendola arrossire. «Zoe, noi non possiamo più stare insieme. Io sono qui per starti accanto, per proteggerti, non perché sono tornato da un viaggio e possiamo riprendere da dove abbiamo lasciato. Mi dispiace. Mi dispiace quanto te, te lo giuro. Purtroppo, essere angeli custodi non significa resuscitare.»

«Ho capito», annuì sconsolata. «Devo accontentarmi.»

«Credo non si possa fare altrimenti.»

Si guardarono complici e si abbracciarono di nuovo, quella volta delicatamente. Franky appoggiò il mento alla sua testa e la cullò fra le sue braccia, avvolgendole attorno anche le ali calde.
Chiusero gli occhi e sentirono una sensazione strana, una specie di pace, che li portò a credere di essere entrambi in Paradiso per un attimo. Di nuovo insieme.

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Buongiorno! Che strano salutarvi qui due volte a settimana xD
Beh, contenti voi, sono contenta anch’io *-*
Bene, okay. Questo capitolo è uno dei miei preferiti (Okay, dovrei dire che ce ne sono pochi che non lo sono, però vabbè xD Li amo tuttiiii :D), soprattutto perché Franky torna da Zoe! Certo, la sua reazione è stata quella che è stata, ma infondo chi non avrebbe reagito così? xD Solo i pazzi come la sottoscritta, direi u.u Comunque, spero vi sia piaciuto! *-*
Ringrazio con tutto il cuore le mie predilette che commentano sempre:

Utopy

Isis 88

Tokietta86

Vi ringrazio davvero di cuore, ci siete sempre e mi sostenete tantissimo! *_____*
Chissà tutte le altre persone che leggevano Franky e che ogni tanto commentavano, che fine hanno fatto xD Se ci siete, fate un fischio! xD Dai, anche se non recensite vi voglio bene lo stesso!
Grazie a tutti, un bacio a mercoledì! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 10
*** Insecurities ***


10. Insecurities

Si svegliò, ma decise di non aprire gli occhi, godendosi la sensazione paradisiaca delle sue ali calde sulla pelle. Si lasciò scappare un sorriso rasserenato girandosi verso di lui e avvicinando la fronte al suo petto caldo.

Non poteva ancora credere che lui fosse lì di nuovo con lei, era talmente assurdo, così oltre ogni scienza… Voleva la conferma che lui fosse reale e di non essere pazza; per questo aveva deciso di convincerlo a farsi vedere anche da Gustav, Georg, Tom e Bill: se anche loro l’avessero visto non avrebbe avuto più nulla di cui temere! Anche se si sentiva un po’ in colpa per non riuscire a credere ciecamente alla sua parola.
Però, insomma… Franky, un angelo custode! Chiunque avrebbe avuto quella reazione trovandosi di fronte ad una persona che doveva essere morta, ma ripensandoci non poteva non sentirsi una stupida.

«Ehi, sei sveglia», soffiò lui contro la sua guancia. Una scarica elettrica la percosse a quel respiro fresco e aprì gli occhi, perdendosi di nuovo in quelli verdi di Franky.

«Tu non puoi capire quanto mi sei mancato. Ma sei davvero… un angelo?»

«Zoe, che altro potrei essere? Sai che sono morto. E ti dico che non sei pazza. Ti prego, fidati di me. Credi in me. È… è brutto non essere creduti, soprattutto se la persona di fronte a te è quella che hai sempre amato e che ami.»

«Scusami, Franky», mormorò e accarezzò una piuma candita con le dita, lo sguardo basso. Non aveva più il coraggio di guardarlo in viso, si sentiva in colpa per la sua scarsa fiducia, però… «Cerca di metterti nei miei panni…»

«So esattamente tutto quello che senti, posso capirti benissimo.»

«Hai detto che sai leggere nel pensiero, ieri. È vero?», alzò il sopracciglio, vagamente preoccupata. Tutto… Tutto quello che pensava, lui lo percepiva? Sapeva anche di quello che era successo con Bill nell’ultimo periodo? Sbiancò.

«Beh, Zoe… Io posso decidere se sentire i pensieri della gente oppure no. Non mi piace molto frugare nella testa delle persone e quindi non lo faccio quasi mai, però… quando c’è il contatto avviene quasi naturalmente e, anche se non voglio, a volte i pensieri sono così vividi che mi travolgono. Capisci? Stanotte per esempio ho sognato con te.»

«Davvero?» In quel momento il sogno che aveva fatto quella notte le sfuggiva, forse non se lo ricordava proprio. «Che cos’ho sognato?»

Franky arricciò il naso e guardò il soffitto bianco, portandosi le mani dietro la nuca. «Hai sognato…», chiuse gli occhi, ritrovandosi davanti le immagini di quel sogno che glieli fece pizzicare. «Il tuo compleanno, quando…» La sua voce si incrinò e Zoe si rannicchiò ancora di più contro il suo petto.

«Mi dispiace, Franky», biascicò mentre le lacrime le rigavano il viso silenziosamente.

«Non è colpa tua, Zoe; non dispiacerti. Dopotutto, i sogni sono desideri inconsci…»

«Non è poi così inconscio, lo sanno tutti che darei qualsiasi cosa per averti di nuovo.»

Le sfiorò il viso con la mano e Zoe sussultò, alzando lo sguardo su di lui; ad accoglierla un sorriso dolce, che nascondeva bene un’amarezza profonda.
«Piccola, tu mi hai ora. Sono qui per restare.»

Sapeva che non era la stessa cosa, ma doveva accontentarsi. O forse no? Forse era normale avere un angelo custode. O lei era l’unica a possederne uno?

«No, non sei di certo l’unica», le sorrise. «Solo che non ne eri a conoscenza.»

«Non leggermi nel pensiero, è irritante!»

«Non è vero, ogni tanto ha i suoi vantaggi.» A volte no…

Quanto sapeva Franky? La possibilità che sapesse di Bill e di tutto quel casino la rendeva inquieta ed ansiosa. Che cosa avrebbe pensato di lei? E di lui?

«Ma se non vuoi che ti legga nel pensiero mi impegnerò per non farlo, anche se…» Nei suoi occhi scintillò l’ombra di un dubbio.

«Anche se?», lo incalzò lei, nonostante sentisse uno strano groppo in gola.

«Sta arrivando tua mamma», mormorò e perse consistenza, il suo corpo si schiarì tanto che anche Zoe faticò a vederlo, e sentì la sua mano sfiorare le lenzuola, trapassandolo, solleticata da una piacevole arietta fresca. Che fosse il suo corpo evanescente a provocarla?

La porta si aprì dopo il leggero bussare e Zoe guardò sua madre: era sorridente, felice; lei, più che altro, era terrorizzata che potesse vedere l’angelo al suo fianco.

«Tesoro, sei sveglia. Tutto bene?» Doveva avere proprio un’espressione spaventata e nervosa.

«S-sì, tutto bene», balbettò, annuendo.

«È pronta la colazione.»

«Ok, grazie.» Ricambiò il sorriso che sua mamma le aveva rivolto prima di uscire e poi si girò verso Franky, tranquillo e rilassato, completamente a proprio agio.

«Ehi, come mai quella faccia? Sembra che hai visto un fantasma!», sghignazzò della propria battuta e Zoe gli diede un colpo sul braccio, sentendolo: era tornato corporeo.

«Tua mamma non può vedermi, stai tranquilla», le sorrise rassicurante. «Sono poche le persone, scelte da me, che hanno l’onore di vedermi.»

«Certo che non sei cambiato per niente», ridacchiò e lo abbracciò. «Ti farai vedere dai ragazzi? Sarebbero felicissimi.»

«Sarebbero felici loro, oppure lo saresti tu, sapendo con certezza di non essere l’unica pazza capace di vedermi?», sollevò il sopracciglio, canzonatorio, e Zoe sbuffò. Si alzò e raggiunse la scrivania, alla quale si appoggiò, stringendo le braccia al petto.

«Ah, cavolo, non mi sento più l’ala», si lamentò Franky, muovendola come se se la stesse stiracchiando. «Ci hai dormito sopra tutta la notte, sai?»

«Mi dispiace», bofonchiò, ma non perse la sua aria offesa.

«Dai Zoe, non essere arrabbiata», si alzò e la raggiunse, poi sbattè le ali di fronte a lei, per sgranchirsele ancora un po’, e il vento leggero provocato da esse le scompigliò i capelli; lei si morse un sorriso e lo guardò di sottecchi: come poteva essere arrabbiata con lui?
«Io non è che non voglio vederli, è che… non è un po’ troppo presto? Per me, non per te… Cioè, solo ieri sono venuto da te e tu hai fatto quella scenata che ancora mi mette i brividi se ci penso...», sospirò. «È stato orribile, mi sentivo un mostro.»

«Scusami Franky, io non volevo», soffiò avvolgendogli le braccia intorno al collo. «Perdonami.»

«Non è stata colpa tua, infondo… Non potevi sapere che sarei tornato, ecco.»

«Penso che i ragazzi siano un po’ più intelligenti di me, almeno lo spero», gli sorrise e gli accarezzò la guancia; rapita dalla sua pelle perfetta passò le dita sulle sue labbra e fremette, avvicinandosi con le proprie, ma Franky la trattenne con gli occhi adombrati da un velo di tristezza.

«Non si può», sussurrò e fu peggio di una pugnalata per Zoe, che si ritrasse e abbassò lo sguardo mortificata.

Franky fece un debole sorriso, cercando di tirarla su di morale, ma era un’impresa ardua: anche lui sentiva quel dolore profondo nel petto, nella consapevolezza di non poterla più avere.

«Se vuoi vengo dai ragazzi, penso di aver passato di peggio», le fece l’occhiolino e Zoe annuì, anche se poco convinta.

Franky avrebbe fatto di tutto per lei, anche sopportare le reazioni di altre quattro persone insieme. In più, era profondamente preoccupato da due in particolare: quelle di Bill e Tom. Come avrebbe fatto a guardarli in faccia? Con il primo l’ovvio problema era la cotta che si era preso per Zoe, ma sapeva che con il tempo avrebbe pure potuto superarlo; con Tom invece era ancora più complesso: lui non solo l’aveva deluso comportandosi da stronzo con Jole, ma aveva anche immischiato Zoe, che non c’entrava niente, usandola senza che lei se ne accorgesse per lo scopo che aveva raggiunto egregiamente.

«Dai, andiamo», disse Zoe prendendolo per mano.

«Zoe, non puoi tenermi per mano», la fermò, guardando divertito la sua espressione confusa. «Beh, di solito tu non prendi per mano il vuoto! Che direbbe tua madre? Mi raccomando, non guardarmi e soprattutto non parlarmi di fronte ad altre persone che non mi vedono, altrimenti sarai presa pazza sul serio», ridacchiò e Zoe arricciò le labbra, prima di uscire dalla sua stanza in silenzio, seguita da Franky e da Ariel che si strusciava contro le gambe di quest’ultimo. Al contrario di lui, Ariel era invisibile anche per Zoe.

Si mise seduta al tavolo a fare colazione, chiacchierando tranquillamente con sua madre, resistendo alla tentazione di girarsi e di guardare la figura di Franky che la osservava stando seduto sul piccolo davanzale della finestra, le ali quasi interamente nascoste dietro la schiena.

Chissà se sapeva volare. Chissà com’era volare nel cielo senza essere visti da nessuno. Anche lei avrebbe voluto provare, ma se avesse iniziato probabilmente non si sarebbe più fermata e sarebbe fuggita da tutti i casini, da tutte le responsabilità, da tutte le paure.

«Mamma, stasera posso dormire dai ragazzi?», chiese cambiando discorso, la bocca mezza piena di cereali e caffèlatte.

«Ti ricordi che giorno è, vero?», inarcò le sopracciglia.

«Ah, già!», si sbattè una mano sulla fronte. «Oggi Heinz trasloca qui!»

Ora le cose con Heinz andavano decisamente meglio, Zoe aveva capito che sua madre lo amava davvero e che lui la ricambiava. E anche a lei piaceva, era simpatico e le faceva piacere vedere come riempisse la sua mamma di attenzioni. Non aveva più motivo di essere ostile nei suoi confronti e stare in case separate ormai aveva poco senso.

«Esattamente. Vuoi andare da loro lo stesso?»

«Sì, così non vi intralcio troppo», le fece l’occhiolino e sua mamma arrossì di colpo, come ogni tanto capitava anche alla figlia. Si girò e iniziò a sciacquare le tazze nel lavandino.

«Va bene, allora vai.»

«Grazie mamma!», le stampò un bacio sulla guancia e poi corse in camera sua per preparare la borsa, consapevole che Franky l’avrebbe subito raggiunta. Non aveva ancora chiesto il permesso ai ragazzi, ma non ci sarebbe stato problema: come sempre lei era la benvenuta a qualsiasi ora del giorno e della notte.

«Perché le hai chiesto se potevi dormire da loro?», berciò aspramente una voce alle sue spalle, anche se si sforzava di mantenere un tono calmo e pacato.

«Che cosa c’è che non va, Franky?» Lo osservò attentamente e vide quasi una scintilla d’ira nei suoi occhi, oltre al suo viso contratto in una smorfia e le sue mani strette a pugno così forte da avere le nocche chiare.

«Lasciamo perdere», sbuffò a mezza voce, gettandosi sul letto.

«Tu… tu sai di Bill, non è così?», chiese Zoe con il cuore in gola. Franky sollevò lo sguardo su di lei e annuì tristemente.

Cosa doveva fare, mentirle? Non sarebbe servito a niente, prima o poi sarebbe venuto tutto a galla. E poi voleva fare un discorsetto a Bill: lei era pur sempre la sua Zoe e doveva essere trattata bene! Se anche solo avesse avuto l’idea di farla soffrire gli avrebbe fatto patire le pene dell’inferno. L’avrebbe creato lui apposta, l’Inferno!

«Quanto sai?», vacillò, gli occhi sgranati dalla sorpresa e dalla paura.

«So tutto, Zoe.»

«Tutto», mormorò, lo sguardo vacuo. Lo sollevò su Franky e si gettò fra le sue braccia, stringendolo così forte da sentire il limite della sua consistenza e quell’arietta fresca accarezzarle ancora la pelle. «Mi dispiace, ti giuro che io…»

«Non hai nulla di cui giustificarti, piccola», le sorrise e le sfiorò la guancia. «Io voglio che tu sia felice, non voglio nient’altro. Se è Bill ciò che vuoi, sarò il primo a sostenerti. Solo che mi serve un po’ di tempo, tutto qui.»

«Anche a me serve tempo, Franky.»

«Hai tutto il tempo che vuoi», sussurrò e le accarezzò la schiena e i capelli, poi la baciò sulla fronte. Sorridente, guardò i pozzi azzurri di cui non avrebbe mai fatto a meno: «Allora, andiamo?»

Uscirono di casa e in silenzio si incamminarono verso la fermata dell’autobus, visto che l’appartamento dei Tokio Hotel era abbastanza lontano dalla zona periferica d’Amburgo.

Era un silenzio strano quello da cui erano avvolti, carico di tensione ma anche di semplice malinconia. Per entrambi. Era un silenzio che stringeva il cuore, che mozzava il respiro, che rendeva insicuri.

Salirono sul’autobus e Zoe si mise seduta accanto al finestrino, Franky si mise al suo fianco. Incerto posò una mano sulla sua e la sentì tremare; lentamente le accarezzò il braccio, fino ad arrivare alla guancia, che nonostante l’avesse sfiorata appena si infuocò. Abbozzò un sorriso e fu più forte di lui, percepì i suoi pensieri e li fece propri.

“Chissà che reazioni avranno Bill, Tom, Gustav e Georg vedendolo…
“Chissà che cosa pensa davvero di me, Franky. Lui può leggere nel mio pensiero, ma io no… Potrebbe anche pensare che sono una poco di buono che va con il primo che capita, anche se… Bill non è il primo che capita, anzi è quello che non doveva capitare…”

Un sospiro e Franky cercò di scostarsi da quei pensieri che gli graffiavano il petto. Per un po’ ci riuscì, perché Zoe aveva smesso di pensare: semplicemente guardava l’asfalto scorrere sotto le grandi ruote, il paesaggio di palazzi e negozi, una coppia di ragazzi che camminavano sul marciapiede tenendosi la mano… Ed ecco di nuovo l’onda che lo travolse.

“Franky è di nuovo qui con me, non ci posso credere. Magari sono pazza. Chissà se i ragazzi riusciranno a vederlo. Beh, loro sono pazzi sempre e comunque.” Un sorriso tenue. “E se non dovessero vederlo, che farò?
“Oh, Franky… Mi stai ascoltando, in questo momento? Perché la tua mano non si allontana dalla mia guancia? È come se stessi prendendo fuoco…” Un’occhiata fugace e la certezza di essere ascoltata. Un sospiro rassegnato. “Franky, mi dispiace tantissimo. Ti chiedo scusa ora, per quello che dirò. O meglio, quello che penserò. Mi chiedo… Perché sei venuto? Perché proprio ora? È tutto così complicato, avendoti di nuovo qui… Non voglio farti del male, non voglio far del male a Bill, non voglio far del male a me…”

[Ma pur avendoti qui,
ti sentirei distante]

“Zoe, mi senti?”, pensò piano, sperando che la sua tecnica di trasmissione del pensiero fosse migliorata e non ci fossero più quegli strani ronzii come quando si esercitava con Norbert.

Lei sobbalzò, ma non distolse lo sguardo dal finestrino, anche se era tentata e con la coda dell’occhio ogni tanto cercava di guardarlo.

“Sì, ti sento.”

“Ho sentito tutto quello che hai pensato, scusami; mi hai travolto. L’unica cosa che posso dirti è davvero di non pensare a me. Come ti ho già detto, io voglio solo la tua felicità.”

“E la tua felicità, Franky?” Anche nei suoi pensieri la sua voce era incrinata, ben accompagnata dalla sua espressione triste e dagli occhi lucidi.

“La mia felicità, Zoe, è saperti felice. Questo mi basta. Se potessi, provvederei io stesso alla tua felicità, ma… siamo due entità distinte, adesso: tu sei ancora viva, io sono un angelo; non possiamo unirci, lo sai. Sono venuto per aiutarti, sono qui per sostenerti, non farei mai nulla che possa ferirti. Se vorrai, mi farò anche da parte. Se è questo che desideri.”

[Siamo figli di mondi diversi,
una sola memoria
che cancella e disegna distratta la stessa storia]

“Non voglio che tu te ne vada. Mai più, Franky”, sussurrò mentalmente e si girò verso di lui, rannicchiandosi sul sedile come poté senza dare sospetti. Chiuse gli occhi e Franky l’abbracciò, affondando il viso nei suoi capelli, cercando il più possibile di respirare il loro profumo che in lui era solo un ricordo sfuocato.

“Dobbiamo scendere”, pensò Zoe e lui la lasciò, le posò le mani sulle spalle e la seguì giù dall’autobus, che ripartì immediatamente, lasciandoli sotto al sole di quell’estate che fino a pochi giorni prima le era sembrata una delle più fredde e vuote in assoluto.

Raggiunsero il condominio dei TH in quell’ormai normale silenzio, Franky però le aveva preso la mano dicendole di non ricambiare la stretta. Mentre lei citofonava ai ragazzi, l’angelo sentì il suo cellulare celeste suonare nella tasca dei suoi pantaloni.

«Che cos’è?», chiese Zoe a bassa voce, dopo essersi guardata intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno.

«Oh», sorrise e lo prese fra le dita. «Il mio cellulare speciale. Ti spiegherò. Perché intanto non vai a parlare con i ragazzi? A prepararli, ecco. Io arrivo subito.» Sorrise rassicurante e Zoe annuì, entrò nel portone e ingenuamente lo lasciò aperto per lui: ancora non sapeva che non aveva più barriere.

Guardò il cellulare che suonava nella sua mano e fece un respiro profondo, poi rispose: «Jole?»

***

Le mani le tremavano, il cuore le galoppava nel petto, la testa era infastidita da un cerchio che si stava sempre più stringendo. Non sapeva in che modo avrebbe preparato i ragazzi all’incontro con Franky, ma doveva almeno provarci. Ormai accanto a lui si sentiva al sicuro, forte, quasi indistruttibile. Chissà chi lo cercava a quel cellulare speciale. Un altro angelo?

«Zoe!»

Quasi inciampò sull’ultimo gradino per alzare lo sguardo verso la voce che l’aveva chiamata. Si aggrappò al corrimano e sospirò, passandosi le mani sui jeans una volta sul pianerottolo.

«Dimmi, Tom.»

«Che sorpresa!», l’abbracciò di slancio e quasi non la soffocò. In quelle ore era stata abituata all’abbraccio soffice, inconsistente, ma altrettanto profondo e caloroso di Franky; il suo le sembrò una mossa di soffocamento.
«Stavo per chiamarti io, sai? Domani partiamo e…»

«Partite?», sobbalzò a quella parola e sollevò lo sguardo sul suo viso: «E dove andate?»

«America, baby», ammiccò e le fece un buffetto sulla guancia.

«E quanto starete via?»

«Non più di due settimane.»

«Due settimane… Due settimane!», Zoe sgranò gli occhi rendendosi conto che sarebbe stata quindici giorni da sola. O quasi. «E quando avevate intenzione di dirmelo, eh?!», gridò isterica.

«Beh, adesso!»

«Uffa», bofonchiò ed entrò nell’appartamento, dove trovò Georg, Gustav e Bill, sparpagliati per il salotto: era una visione insolita, a quell’ora del mattino; sembrava che tutti si fossero alzati apposta per lei. Per loro.

«Buongiorno», mormorò mentre l’ansia la montava e le faceva tremare le mani. Se lei era ridotta in quello stato, non voleva nemmeno immaginare come potesse stare Franky!

«Ciao Zoe», risposero i ragazzi quasi in coro, soffermandosi sul suo viso chiaro, libero da ogni traccia di trucco nero, arrossato dalle lacrime, ma allo stesso tempo sereno, anche se con un accenno di preoccupazione negli occhi.

«Tutto bene?», le chiese Georg.

«Sì, tutto ok», sorrise e posò la borsa sul tavolo, facendole fare un tonfo. «Mi fermo da voi stanotte, sapete?»

«Non lo sapevamo», disse Gustav.

«Beh, ora lo sapete. È di moda sapere le cose all’ultimo minuto.»

«Tom», lo fulminò Bill, socchiudendo gli occhi. «Sbaglio o dovevi dirglielo già tre giorni fa?»

«Sì, ma…», si portò una mano sul collo, ridacchiando nervosamente. Ma non ci volle molto prima che si arrendesse: «Non volevo dirglielo, non volevo che fosse triste.»

Zoe si girò verso di lui e sorrise dolcemente, stringendolo in un abbraccio. «Grazie Tomi, non dovevi preoccuparti per me.» Lo baciò fugacemente sulla guancia e lo portò con sé sul divano, accanto a Bill e Gustav. Lo fece sedere e si mise sulle sue gambe, avvolta dal suo braccio, pronta per iniziare il suo discorso.

«Devo parlarvi di una cosa, ragazzi.»

Georg spense la televisione. In un attimo tutti puntarono la loro attenzione e la loro curiosità su di lei, che si sentì fastidiosamente al centro.

«Beh, chi di voi crede alla vita dopo la morte?» Li spiazzò, se ne accorse dalle loro bocche che si erano dischiuse e dai loro occhi che si erano ingranditi. Solo Bill, come aveva immaginato, alzò la mano lentamente; poi a sorpresa si aggiunse Tom, che biascicò: «Lo spero.»
«E agli angeli custodi, ci credete?», deglutì, forse un po’ troppo rumorosamente. Voleva dimostrarsi calma, ma non era facile di fronte ad un argomentazione che sembrava così assurda.

«Ma che cavolo ti prende, Zoe?», sbottò Tom prendendola fra le braccia e guardandola negli occhi.

«Voi… voi non mi crederete pazza se vi dico che Franky è qui ed è il mio angelo custode, vero?»

***

«Ciao Franky! Come stai? Tutto bene con la tua protetta? Come l’ha presa?»

«Ehi, una domanda alla volta!», la fermò con il sorriso sulle labbra. «Sto bene e con la mia protetta è tutto ok, ora. Anche se ha avuto la reazione che avrebbero avuto tutti. Ora sono da Tom e gli altri, vuole avere la conferma che io esista sul serio.»

«Da… Tom?», la sua voce si incrinò e Franky si fece serio, sedendosi sugli scalini che portavano al portone, il mento sulla mano.

«Sì. Non mi fa molto piacere vederlo, dopo tutto quello che è successo, però… è quello che vuole Zoe e io la voglio accontentare.»

«Capisco. A proposito di lui, credi… credi che potrei venire giù a trovarlo, qualche volta?»

«Jole, io… io penso che sia meglio di no, non prima di… di essere guarita, ecco.»

«Franky, io ho bisogno di vederlo!»

«Lo so, lo so… e mi dispiace.»

L’ascoltò singhiozzare per un po’ al ricevitore, poi sentì un brivido attraversargli la schiena, il cui significato gli era fin troppo chiaro: Zoe aveva detto ai ragazzi di lui e loro non dovevano averla presa molto bene, visto che riusciva a percepire la sua pelle d’oca.

«Ne parliamo dopo un’altra volta, ok? Adesso devo scappare.»

«Ok, Franky», tirò su col naso. «Sono contenta per te, comunque. Buona fortuna con i ragazzi.»

«Grazie, Jole. Grazie.»

Chiuse rapidamente la chiamata, sentendosi leggermente in colpa, e sollevò lo sguardo sulla terrazza dei ragazzi, qualche piano più su. Sbattè le ali e le osservò mentre si sentiva sollevare da terra: era la prima volta che volava, si sentiva stranamente euforico, nonostante non fosse proprio il momento. Raggiunta la terrazza ci saltò su e guardò all’interno del salotto: Tom era davanti a Zoe e le stringeva forte il polso, gridandole contro; nell’espressione della ragazza poteva leggere tutta la sofferenza, oltre che quella sensazione insopportabile di non sentirsi creduti dalle persone che da sempre si erano ritenute così importanti.

Franky strinse i pugni e accecato dalla rabbia attraversò le porte finestre e prese Tom per le spalle, lo scrollò dalla Zoe inerte e lo fece ricadere seduto sul divano.

«Ehi, va tutto bene piccola?», le chiese piano, accarezzandole il viso.

«Franky, non mi credono… Ma tu ci sei, vero?» Aveva persino iniziato a piangere. Tutta colpa di quello stupido di Tom! Gli rivolse un’occhiata truce e per la prima volta si rese conto di ciò che aveva provocato: Tom per primo aveva gli occhi sgranati, anche se velati da uno strato di lacrime che li rendeva lucidi, incredulo, e la bocca spalancata; Bill era pressoché identico, Gustav sembrava controllarsi un po’ di più e Georg era rigido, confuso, come se fosse andato in coma. Ma in quel momento non importava, c’era solo Zoe ai suoi occhi.

«Sì, piccola, io ci sono davvero.»

«No, tu non esisti», mormorò Tom, scuotendo la testa.

«Vuoi la prova della mia esistenza, Kaulitz?», tuonò di rabbia, prendendo con la mano il centro tavola e tirandolo giù: il vaso di fiori si schiantò a terra e si ruppe in mille pezzi rumorosamente. «Cos’è stato a farlo cadere, il vento? Eh? Mi sono stancato, ok? Gli angeli custodi esistono, sì, come esistono i fantasmi, come esiste la vita dopo la morte. E il fatto che io sia un angelo, non vuol dire che sia sempre caro e buono. Sono incazzato nero! Non ti azzardare mai più a toccarla, Kaulitz», sibilò l’ultima frase, facendo tremare anche Zoe.

«No, lui… lui non ha fatto niente di male», tentò di dire, ma lui non la fece finire.

«No Zoe, sei tu che non sai quello che ha fatto.» Non disse altro, solo si avvicinò ai ragazzi e li guardò uno per uno in faccia, come se li stesse giudicando.

Bill non resse e svenne sul divano, accasciandosi su Tom, che sobbalzò. Georg scosse la testa e si alzò, aggirò l’angelo e si diresse verso la porta.

«Dove vai, Georg?», gli chiese Gustav con poca voce.

«Scusate, penso che andrò a prendere una boccata d’aria. Fuori. Da solo», mormorò e poi uscì, senza voltarsi indietro.

Gustav sospirò e guardò Tom, ancora con gli occhi sbarrati, sconvolto da tutto quello che era successo in pochi attimi, in un mutismo che gli fece gelare il sangue nelle vene.

Franky si prese la testa fra le mani e rantolò, trattenendo dentro di sé tutta quella rabbia che non gli si addiceva di natura, ora più che mai.

«E tu, dove vai?», gli chiese Zoe tentando di prendergli la mano, ma le sfuggì.

«Ho bisogno di un po’ d’aria anch’io, ok?»

«Starai qui nei paraggi?»

«Sì. Anche se fossi dall’altra parte del mondo sentirei se tu avessi bisogno del mio aiuto, non ti preoccupare», le fece un debole sorriso e poi sparì oltre le porte finestre, spiccando il volo verso l’alto cielo azzurro, fra le nuvole.

[Cosa può significare, sentirsi piccolo?
Quando se il più grande sogno è il più grande incubo?]

Si sentiva affogare, senza ossigeno, perso dentro di sé, in quei mille dubbi che lo assalirono contemporaneamente. Le lacrime scesero incontrollate sul suo viso, bruciandolo a contatto con il vento freddo di quell’altitudine, mentre si poneva nuovamente quelle domande a cui aveva dovuto rispondere già quando era di sopra, prima di decidere che cosa fare del suo stato: se diventare ciò che era diventato oppure ricominciare tutto daccapo. Quella volta era stato così semplice rispondere, così automatico… Perché ora aveva tutte quelle insicurezze che sembravano fin troppo a dei ripensamenti?

Che fosse davvero quella la prova di ogni angelo custode? Sopportare le reazioni delle persone care, ricevere i colpi, subire in silenzio e sentirsi comunque al posto giusto?
E se non ce l’avesse fatta, se non fosse riuscito a sopportare, a reagire? Il suo sogno più grande si sarebbe davvero trasformato in un incubo?

Ho fatto la scelta giusta diventando un angelo custode? È stata la scelta migliore? D’altronde, pure Zoe mi ha chiesto perché fossi tornato, perché avessi scelto quest’opzione. Forse ho solo complicato ulteriormente la vita a tutti, quando… quando volevo solo aiutarli e stargli accanto.
Mi sono impegnato tanto per arrivare qui, ho dato tutto quello che potevo dare… E cosa ho ottenuto? Persone che gridano terrorizzate vedendomi, che rinnegano la mia esistenza, che pensano siano diventate pazze. Ho ottenuto insicurezze, più che ingratitudine.
Se è questa la prova, è davvero troppo difficile. Non so se ce la farò. Non lo so, non lo so…


«Franky, non ci deludere. Sei il nostro orgoglio, svolgi al meglio il tuo compito.»
Kenzie… Norbert…


«Vai e fai ciò che devi, non deludermi.»
San Pietro…


«Fai buon viaggio e sii forte.»
Jole…

I sorrisi di tutte quelle persone che credevano in lui lo fecero calmare e si fermò in mezzo alle nubi fresche. Si appoggiò ad una di essere con le gambe a penzoloni nel vuoto e guardò un aereo passare sotto di lui. Gli scappò un sorriso, asciugandosi le lacrime.

Aveva lottato per avere tutto quello, non poteva arrendersi alla prima difficoltà. Lui non se la sarebbe svignata, non avrebbe rinunciato così facilmente; avrebbe affrontato ogni problema ed era sicuro che li avrebbe risolti, uno dopo l’altro.

Per quelle persone che credevano in lui.

Per quelle che ancora non lo facevano ma che l’avrebbero fatto, prima o poi.

______________________________

Buongiorno a tutti! ^-^

Uh uh, questo capitolo è tosto xD Zoe ha convinto Franky a farsi vedere anche dai ragazzi, ma loro non sono stati molto meglio di lei in quanto reazioni… Vedremo meglio nel prossimo capitolo ;)

La canzone che ho usato è Ti scatterò una foto, di Tiziano Ferro.

Spero che vi sia piaciuto! *-*

Grazie davvero di cuore a chi commenta sempre e mi rende taaaanto taaaanto felice, ossia Utopy (I love you sooooooo much u.u genietta xD), Tokietta86 e Isis 88 (Come vedi Franky è stato visto anche dagli altri xD E per David non ti preoccupare, arriverà anche lui xD Per sua madre, invece… più avanti anche lei xD) Grazie, grazie, grazie!
Grazie anche a chi ha solo letto e a chi ha messo questa storia fra le preferite, le seguite e le ricordate! *-*

Ciao a tutti, a venerdì! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 11
*** Reactions ***


11. Reactions

[Spend all your time waiting
for that second chance,
for a break that would make it okay
There's always one reason
to feel not good enough
and it's hard at the end of the day]

~ Zoe ~

Bene, ho ottenuto ciò che volevo: la conferma che Franky è davvero di nuovo fra noi, sottoforma di angelo custode. Il mio, angelo custode.

Guardò sconsolata il pezzi di vetro trasparente del vaso che proprio lui aveva frantumato a terra in uno scatto d’ira e sospirò.

Non posso nemmeno immaginare come si sia sentito quando Tom, proprio il suo migliore amico, gli ha detto che non esiste. Solo ora posso capire, perché anche io ho provato la stessa sensazione quando ho chiesto ai ragazzi se mi avessero creduta pazza se gli avessi detto che Franky era di nuovo qui.
È stato un duro colpo, e ora chissà dove si è cacciato. Ha spiccato il volo da un’ora ormai e non l’ho ancora visto da nessuna parte. Che abbia la facoltà di essere invisibile anche a me? Che sia così arrabbiato da non volermi più vedere?

Si lasciò sfuggire un nuovo sospiro con lo sguardo perso fuori dalla finestra e una forte malinconia le schiacciò il petto.

Una mano calda si posò sul suo braccio e sollevò lo sguardo su Gustav, che le sorrideva dolcemente porgendole uno straccio. Tentò di ricambiare e si mise con lui a pulire per terra e a raccogliere i cocci di ciò che tutti avevano sempre desiderato: Franky di nuovo al loro fianco.

~ Gustav ~

Questa situazione è strana, quasi impossibile. Tutti ci speravamo, avremmo fatto appello a qualsiasi cosa per avere ciò che adesso c’è, però nessuno ci credeva davvero. Credevamo superficialmente e questo è il risultato: ci è stato dato e noi l’abbiamo infranto. Che sia tutto perduto?

Osservò Zoe in mezzo al salotto, immersa nei suoi pensieri, con lo sguardo puntato sui pezzi di vetro a terra, fra l’acqua e i fiori che si erano un po’ appassiti. Alzò il viso e guardò verso la finestra, forse stava sperando che Franky tornasse.

Tornerà oppure no? Non dev’essere stato bello quello che gli abbiamo fatto. Se io fossi stato al suo posto e i miei migliori amici avessero dubitato della mia esistenza avrei reagito esattamente come lui, andandomene prima di dire cose che non pensavo sul serio.

Andò nel ripostiglio e prese uno strofinaccio per asciugare il pavimento e scopa e paletta per raccogliere i cocci di vetro. Raggiunse Zoe e le posò una mano sul braccio, cercando di essere rassicurante con un sorriso. La ragazza ricambiò incerta e si inginocchiò con lo straccio, mentre lui depositava il vaso frantumato sulla paletta di plastica, facendo attenzione a non tagliarsi.

«Credi tornerà?», gli chiese Zoe a bassa voce, nonostante non ci fosse nessun altro nei paraggi. Non alzò il viso, continuò soltanto ad impregnare lo straccio d’acqua, i capelli neri che le coprivano gli occhi.

«Tu che credi?»

«Deve tornare. Mi ha promesso che è qui per restare, per non lasciarmi mai più.»

«Allora tornerà, diamogli un po’ di tempo.»
Serve a lui, come serve a noi per metabolizzare questa spiazzante realtà.

«Hai ragione.»

~ Georg ~

Tutto ciò è assurdo, impossibile, da pazzi. Si vedono solo nei film di fantascienza, queste cose! Non può essere vero! Però… lo abbiamo visto tutti, vuol dire che siamo tutti pazzi?

Qualcosa non tornava e Georg era parecchio scocciato. Non riusciva ad accettare la presenza di un angelo custode fra loro, non riusciva a crederlo possibile, eppure sarebbe stato il primo a pregare che una cosa del genere potesse accadere.
Il confine fra i desideri e la realtà poteva essere molto sottile e altrettanto sottile era il confine fra un desiderio esaudibile e piacevole alla sua realizzazione e un desiderio ritenuto oltre ogni immaginazione, quindi scioccante.

Non ho idea di che pensare: se esiste, vuol dire che tutto ciò che è impossibile potrebbe esistere; se è solo frutto della nostra immaginazione, eccessivamente sviluppata per il dolore della perdita che tutti sentiamo, siamo tutti da ricoverare.

Ma cosa voleva sperare? Fra le due, quale voleva che fosse l’opzione veritiera? Ciò che, anche un po’ ingenuamente e infantilmente, avrebbe voluto credere possibile? Senza pensarci due volte, la prima. E lo sapeva.

Bisogna buttare giù il muro della razionalità in questa situazione, o non ne verremo mai a capo.

Sospirò e si convinse di quelle parole, un piccolo sorriso si fece spazio fra le sue labbra increspate e si alzò dal gradino sul quale si era seduto qualche ora prima per riflettere.

~ Bill ~

Franky è qui? Franky è un angelo custode?

Riaprì gli occhi con quelle domande in testa e il ricordo della figura del suo amico che si stagliava nel salotto, l’espressione del viso dura e arrabbiata, ma anche ferita e delusa.
Un magone gli mozzò il respiro e si tirò su, scoprendo di essere nella sua stanza: qualcuno doveva averlo spostato.

Sono svenuto, esattamente come una femminuccia, sospirò e si passò le mani sulla faccia.
Ma questo è l’ultimo dei problemi. Franky è qui… Chissà se è a conoscenza di me e Zoe. Se lo fosse, che farò?

Gli tremarono le mani e dovette stringere i pungi per calmarsi. Era come se tutto gli stesse scivolando via e come se si sentisse colpevole di un reato che non avrebbe mai voluto commettere. Che cosa poteva farci però, se si era preso un’assurda cotta per la sua ragazza?

Ora quella non era più l’assurdità numero uno della sua classifica, era scesa direttamente al secondo posto quando aveva visto Franky attraversare le porte finestre e togliere di dosso Tom dalla sua Zoe. Da come l’aveva protetta, persino dal suo migliore amico, doveva ancora essere innamorato di lei.

Come farò? Che cosa succederà ora? Come la prenderà Franky? Si arrabbierà?

Iniziò a disperarsi, quando gli venne in mente il gemello. Chissà che fine aveva fatto e come l’aveva presa lui. Tom aveva sofferto più di tutti, dopo Zoe, e vedere di nuovo la causa del suo dolore doveva averlo sconvolto parecchio.

Si alzò e raggiunse la sua camera lentamente, rimuginando ancora su quella strana situazione da film nella quale si erano trovati tutti catapultati.

Ma se Franky è un angelo, vuol dire che ce ne sono altri… E noi non lo sapevamo! Chissà se ci sono altre persone che conosciamo che nascondono questo segreto, quello di avere un angelo custode…

Si sporse nella camera di Tom e lo vide seduto ai piedi del letto, le ginocchia strette al petto e la testa fra le braccia. Per un attimo trattenne il respiro, immobilizzandosi sul posto: non lo vedeva così triste, così fragile ed indifeso da moltissimo tempo… Era come ritornare al passato, quel passato che da sempre avevano cercato di cancellare.

Tom era forte, ma anche lui aveva dei limiti e una volta raggiunti e superati, sapeva persino essere più debole di lui. Avrebbe tanto voluto sostenerlo, ma che cosa poteva fare?

~ Tom ~

«… Mi sono stancato, ok? Gli angeli custodi esistono, sì, come esistono i fantasmi, come esiste la vita dopo la morte. E il fatto che io sia un angelo non vuol dire che sia sempre caro e buono. Sono incazzato nero! Non ti azzardare mai più a toccarla, Kaulitz.»
Gli aveva sibilato in faccia, con un'espressione talmente adirata che aveva sentito un crack in mezzo al petto, come se realmente gli si fosse spezzato il cuore. Zoe aveva provato persino a difenderlo, era stata carina, però sentiva che infondo si meritava quel trattamento. Non sapeva che cosa aveva fatto, oltre alla sfuriata che le aveva riservato quando aveva iniziato a “blaterare” sulla presenza di Franky sottoforma di angelo custode, ma sentiva di meritarselo. Infondo Franky stesso aveva detto a Zoe che era lei a non sapere che cos’aveva fatto. A che cosa si riferiva? Che cos’aveva fatto di così male, tanto da non poterla più nemmeno toccare?

Franky, mi dispiace… soffiò nella sua testa, come se lo potesse sentire.

Non ne era certo, ma magari poteva anche essere che leggesse nel pensiero; non si sarebbe impressionato. Difficilmente, d’ora in avanti, si sarebbe impressionato per qualcosa. Aveva visto il suo migliore amico dopo la sua morte, aveva scoperto che era l’angelo custode di Zoe… Che cosa poteva esserci di più impressionante?

Sfregò il braccio sugli occhi per spazzare via le lacrime che premevano per scivolare via dal suo controllo e gettò l’ennesima maglietta nella prima valigia aperta sul suo letto.

Non sapeva cosa fare né come comportarsi. Franky sembrava molto arrabbiato con lui, ferito, deluso da un comportamento scorretto che doveva aver tenuto senza che se ne rendesse conto. Avrebbe voluto chiedergli che cosa avesse fatto, il perché della sua rabbia nei suoi confronti, ma ora come ora non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia. I motivi erano sostanzialmente due: il fatto che fosse un angelo, per quanto fosse bello che fosse di nuovo con loro, lo sconcertava. Non aveva mai creduto fortemente a quelle cose, doveva abituarsi e anche se era con loro, non era e non sarebbe mai stata la stessa cosa… Il secondo motivo era più semplice: lui aveva fatto una promessa a Franky, prima della sua morte, e venire a sapere, da lui, che non era riuscito a mantenerla, lo aveva fatto a pezzi.

Franky, mi dispiace tantissimo… Io… io non volevo… si lasciò sfuggire un singhiozzo e lasciò perdere le valigie, si mise seduto per terra, la schiena appoggiata al bordo del letto, nascondendo il viso e le lacrime fra le braccia.

Si sentiva un bambino stupido, non era da lui piangere, ma non sapeva che altro fare in quel momento. Aveva bisogno di qualcuno, di conforto, ma in chi doveva andarlo a cercare? Chi lo avrebbe ancora voluto, dopo il gesto imperdonabile che aveva fatto, dicendo a Franky che non esisteva, nonostante lo vedesse con i propri occhi?

«Tomi…»

Alzò lo sguardo, sorpreso, e vide Bill sulla porta, comprensivo come solo un fratello poteva essere, un leggero sorriso sulle labbra. Si avvicinò e si mise seduto al suo fianco, gli avvolse le spalle con un braccio e lo attirò a sé, stringendolo forte.

Certo, chi potrebbe volermi sempre e comunque se non Bill, il mio tenero fratellino?

Un sorriso appena accennato si fece spazio sul suo viso, fra le lacrime che scendevano silenziose a rigargli le guance e a bagnare la maglia di Bill.

«Sai che ti voglio bene, vero?», singhiozzò stringendo i pugni sulla sua schiena. «E anche se non te lo dico spesso, lo penso sempre?»

«Certo che lo so, Tomi. Ti voglio bene anch’io.»

Grazie. Grazie di starmi accanto ogni giorno; tu ci sei sempre, in ogni attimo della mia vita e non riuscirei mai ad esprimere a parole tutta la gratitudine che ti dovrei. Grazie per starmi accanto nelle difficoltà. Grazie per conoscermi così bene. Grazie di tutto.

~ Franky ~

«Ok, la mia reazione è stata un tantino esagerata.»

«Giusto un tantino, eh?», ridacchiò San Pietro dall’altra parte del ricevitore.

«Oh su, non mi dica che lei non avrebbe perso le staffe! Anche perché non ci crederei.»

«Di certo io non avrei gridato come un pazzo e non avrei fatto a pezzi un vaso.»

«Io non sono un santo e mi capita sclerare, va bene?», sospirò e osservò delle nuvole spostarsi sotto di lui grazie alla forza del vento. «È stato così… doloroso, trovarmi di fronte alle persone per le quali mi sono sempre impegnato, per le quali ho lottato per essere qui e poterle aiutare, e ricevere in cambio solo espressioni terrorizzate ed incredule. È stata più dura di quanto immaginassi.»

«È una cosa che succede sempre, Franky.»

«Perché non mi avete avvertito? Avrei potuto… che ne so, prepararmi! Invece sono arrivato qui e tutto mi è piombato addosso all’improvviso. Mi sono sentito… un mostro!»

«Sai, non sono cose che si dicono queste. Perché sono delle specie di prove, non so se capisci. Se un angelo custode, dopo aver ricevuto questo bel trattamento si abbatte e rinuncia, è ancora in tempo per reincarnarsi in un altro corpo; se invece rimane dell’idea che questa è la sua strada, tanto meglio! È una sicurezza in più. Tu… tu non vuoi rinunciare, vero?»

«Certo che no! Dopo tutta la fatica che ho fatto… figurarsi! Io sono convinto di ciò che sto facendo. Credo serva ancora un po’ di tempo ai ragazzi, ecco. È stata dura, ma non per questo voglio rinunciare.»

«L’ho sempre detto che sei destinato a fare l’angelo custode.»

Franky sorrise e pensò che aveva perfettamente ragione: non avrebbe potuto fare altro, non si sarebbe trovato altrettanto bene in panni diversi da quelli che indossava ora.

«Piuttosto, come va di sopra?», cambiò argomento.

«Tutto noiosamente normale senza te nei dintorni.»

«Sentite la mia mancanza, eh?», sogghignò.

«Sì, la sentiamo tutti.»

«E Jole, come sta?», si incupì. «Prima mi ha chiamato, mi ha chiesto se era andato tutto bene con Zoe e… voleva sapere se poteva venire a trovarmi; io le ho detto di no, non mi sembra il caso, anche se ora sa di essere un’Intrappolata. Ma non posso impedirglielo per sempre… Che cosa devo fare? Come faccio a liberarla?»

«Franky, è complicato… Un Intrappolato deve essere liberato dalla causa del suo stato…»

«Jole deve essere liberata da Tom?», fece una smorfia e si morse l’interno della guancia, nervoso.

«Sì. Jole deve riuscire a perdonarlo, per essere di nuovo libera. Quindi arriverà per forza il momento del loro incontro, sì.»

«Bel casino», sbuffò.

«Sono sicuro che le cose si sistemeranno. Un po’ per volta.»

«Lo spero anch’io.»

Terminò la conversazione e sistemò il cellulare nella tasca dei pantaloni.

Devo riuscire a sistemare le cose. Sono venuto qui per facilitare le cose, non per complicarle. Si prospetta un’estate difficile e con tanti problemi da risolvere.

Un brivido gli attraversò la schiena e sentì distintamente i pensieri di Zoe nella testa. Lo stava cercando, lo stava chiamando, ma non aveva veramente bisogno di lui. Franky represse il desiderio incondizionato di starle accanto e si lasciò cadere sulla nuvola soffice: sembrava cotone, era bello stare lì e guardare il cielo limpido, a pensare. Zoe poteva aspettare ancora un po’; ora come ora non era indispensabile la sua presenza.

***

Che disastro.

Si guardò intorno e vide solo volti impacciati e ancora un po’ sconvolti, silenziosi e presi dalle loro riflessioni tanto da non accorgersi di quello che gli succedeva intorno. Era stato Franky, la sua presenza, a scatenare tutto quello?

Li ha mandati in crisi. Ci ha mandati in crisi.

Catturò lo sguardo di Gustav, l’unico che sembrava non essere stato colpito nel profondo dalla situazione e che era riuscito ad accettarla, più o meno, cercando di trovarvi conforto, ma venne interrotta dalla voce ancora spezzata di Tom, che posò la forchetta nel piatto di pasta ancora intoccato e si alzò.

«Dove vai?», gli chiese Bill come se lo stesse abbandonando.

«Di sopra. Non ho molta fame, scusate.»

Zoe lo guardò salire le scale lentamente, le mani sul collo e le spalle incurvate in avanti, profondamente demoralizzato, e sospirò. Non voleva starsene con le mani in mano, non dopo tutto l’aiuto che le aveva dato senza mai chiedere nulla in cambio. Ma cosa poteva fare per tirargli su il morale?

«Scusate anche me, vado a vedere se è tutto ok», disse alzandosi e zampettando velocemente sulle scale.

Raggiunse la camera del chitarrista e non bussò nemmeno, ci si fiondò diretta e quasi non cadde inciampando su una valigia. Qualcuno l’aveva presa al volo prima della caduta e quel qualcuno era Tom, che appena incrociò il suo sguardo si staccò e si allontanò, portando le mani in tasca, come se volesse nasconderle, come se fossero le armi di un delitto.

«Tom…», lo chiamò piano, scavalcando la valigia con attenzione.

Lui non l’ascoltò, riprese a gonfiare a casaccio un borsone, gettandoci dentro cose che parevano essere pescate per puro caso dall’armadio. Zoe sapeva che stava facendo tutto quello non perché aveva voglia, ma perché voleva distrarsi e pensare a qualcosa che non c’entrasse con Franky.

«Ti prego Tom, fermati», tentò di nuovo, prendendogli il braccio.

Tom si scostò come se scottasse e con un velo di paura e di malinconia negli occhi si allontanò ancora un po’, finendo seduto sul bordo del letto, il viso rivolto verso il pavimento.

«Tom, non… Io non voglio che tu non mi tocchi più, ok? Quello che ha detto Franky… cancellalo dalla testa. Tu per me non hai fatto nulla di sbagliato, non so cosa pensi lui né so perché ti abbia detto quelle cose, ma non può decidere per me; anche se è il mio angelo custode, non ha questo diritto, quindi… mi vuoi abbracciare?», aprì le braccia e Tom le prese le mani, la trascinò sul letto e la strinse forte a sé, iniziando a singhiozzare contro la sua spalla.

«Tomi, calmati…», sussurrò massaggiandogli la schiena, senza sottrarsi però dal suo abbracciò che le toglieva il fiato.

«Come faccio a calmarmi…», singhiozzò. «Franky è sparito, l’ho trattato da schifo e come se non bastasse è incazzato con me, ma non so perché…»

«Franky tornerà, non ti preoccupare», gli accarezzò le treccine ispide e lo baciò sulla fronte. Era come un bambino in quel momento, bisognoso di rassicurazioni, di conforto… Dal fratellone che era diventato per lei, si era trasformato temporaneamente nel fratellino minore, da proteggere e coccolare per fargli passare la paura.

«Secondo te è arrabbiato con me?», le chiese piano, il viso arrossato dalle lacrime che Zoe asciugò delicatamente con le dita. «Forse perché ho lasciato che accadesse quello che sta succedendo fra te e Bill?»

«No… E poi non saresti stato in grado di far nulla comunque, è successo e basta… Franky lo sa, di me e Bill.»

«E che ne pensa?»

«È felice se lo sono io, ovviamente», sbuffò divertita e lo strinse ancora a sé, accucciandosi sotto il suo mento. «Sai com’è fatto.»

«E se fosse proprio per questo, invece? Se fosse arrabbiato con me perché non voleva che nascesse qualcosa fra te e Bill? Sono un’idiota… Gli avevo fatto una promessa e non sono nemmeno stato in grado di mantenerla…»

«Che promessa?», sollevò il viso e lo guardò interrogativa.

«Prima che se ne andasse… gli ho promesso che mi sarei preso cura di te, che ti avrei protetta e che ti avrei sempre fatta sorridere…»

«Quindi l’hai fatto per lui?», sgranò gli occhi, irrigidendosi fra le sue braccia. «Non l’hai fatto perché volevi farlo?»

«No, Zoe, non fraintendermi pure tu. Io l’avrei fatto comunque, anche se non l’avessi promesso a Franky… Io ti voglio un bene dell’anima, sei… sei come una sorellina per me, non permetterei a nessuno di farti del male.»

Lei sorrise e gli donò un altro bacio sulla fronte: «Ti voglio tantissimo bene anch’io, Tomi. Grazie per essermi stato vicino per tutto questo tempo. Vedrai che le cose con Franky si sistemeranno, non ho dubbi.»

«Lo spero tanto.»

«Posso stare qui con te, stanotte?», gli chiese stringendosi a lui e chiudendo gli occhi.

«Certo che puoi», accennò un sorriso e tirò su col naso, accarezzandole i capelli. «Per me non c’è nessun problema

«Nemmeno per Franky, se lo voglio io», mormorò Zoe prima di abbandonarsi al sonno.

Tom la guardò con un pizzico di malinconia negli occhi, ascoltò il suo respiro diventare pesante e poi si abbandonò al suo fianco, chiudendo gli occhi ed imponendosi di dormire. Non era così facile ed immediato come credeva, le domande e le preoccupazioni che gli frullavano per la testa erano troppe e decisamente complicate per poter arrivare ad una conclusione e tranquillizzarsi.

Sospirò e accarezzò il viso di Zoe, soffermandosi sulla guancia rosata, lasciandosi scappare un sorriso. Quella ragazzina fatta tutta a modo suo ne aveva passate tante, ma era forte. Era entrata nel suo cuore improvvisamente, aveva legato con lei come non aveva mai fatto con una ragazza, aveva visto in lei un’amica vera, una delle quali potersi sempre fidare; doveva avere qualcosa di diverso dalle altre, perché altrimenti lui non si sarebbe nemmeno accorto della sua presenza.

Ricordò tutti i momenti passati con lei, sia quelli felici a ridere e a scherzare, sia quelli tristi e dolorosi, come la scoperta della malattia di Franky, la sua morte… Ogni ricordo aveva una sua importanza e Tom si rilassò, arrivando all’unica conclusione che forse non era lei ad avere bisogno di lui, ma l’esatto contrario. E finché l’avesse avuta al suo fianco, nulla avrebbe potuto spaventarlo davvero.

Però, Franky… Ricordò con un brivido di paura la sua espressione dura. Sarebbe riuscito a superare anche lui, a chiarire, grazie alla sola presenza di Zoe?
Dove sei? Mi dispiace… Mi manchi.

[I need some distraction,
oh beautiful release
Memory seeps from my veins,
let me be empty
and weightless and maybe
I'll find some peace tonight]

~ ~ ~

Sentì un altro brivido attraversargli la schiena e aprì gli occhi: era qualcosa d’indefinito, quel richiamo non aveva un emittente preciso; sembrava molto la volontà di tante persone mescolate insieme. Sapeva chi facesse parte di quel gruppo, ma riuscì a distinguere un picco di malinconia in un pensiero in particolare, che avrebbe riconosciuto fra milioni: Tom.

È l’ultimo che vorrei sentire invocare il mio nome, pensò d’istinto, ma riflettendo quella situazione rendeva malinconico anche lui. Era il suo migliore amico… che però l’aveva deluso profondamente. Come si sarebbe dovuto comportare? Avrebbe tanto voluto che tutto quel casino non fosse mai successo, così da poter tornare tranquillamente da lui e abbracciarlo, ma… purtroppo era andata così e non era in grado nemmeno lui di cambiare il corso degli eventi.

Si sollevò dalla nuvola su cui si era fermato per riflettere e rimase ad osservare dall'alto la città illuminata nel buio della notte: tutto sembrava così piccolo e dava anche l’impressione di precarietà e di continua mutazione, quando lui ormai era un essere superiore, un angelo, una creatura celeste immutabile, immortale e capace di volare, oltre che di fare tanti altri giochetti divertenti.

Ora basta perdere tempo, ci sono persone che hanno bisogno di me e non mi tiro indietro di fronte alle difficoltà.

Spiccò il volo e scese in picchiata sulla città, lasciando che il vento fresco diventasse parte di lui.


~ ~ ~

Banchi di nuvole nere oscurarono lo spicchio di luna che aveva cominciato a fissare quando aveva capito che non sarebbe riuscito ad addormentarsi molto presto.
La finestra era aperta, c’è un piacevole venticello fresco quella sera d’estate e respirò a pieni polmoni, cercando di stendere i nervi che sentiva a pezzi.

L’intensità del vento aumentò un poco e un’ombra scura ed ampia coprì anche quella poca luce lunare che entrava nella stanza. Tom socchiuse gli occhi, fingendo di dormire, per continuare a sbirciare senza essere scoperto.
L’ombra si aggrappò alla grondaia che c’era sopra la finestra e si dondolò all’interno, atterrando sul pavimento senza fare il minimo rumore. Solo allora Tom riuscì a vederlo in viso: era Franky, nel suo completo di seta bianca, ed aveva le ali ancora spalancate.

Una fitta al cuore lo colpì quando quegli occhi verdi scintillanti che non erano mai stati così belli lo osservarono severi, mentre si portava le mani sui fianchi e schioccava la lingua contro il palato di fronte a quella scena. Poi però un velo di malinconia si fece spazio sul suo viso e si avvicinò al letto, guardò Zoe stretta a lui e successivamente portò l’attenzione su Tom, che continuò a far finta di niente, sudando freddo per la paura di essere scoperto.

Franky, Franky mi dispiace da morire, qualsiasi cosa abbia fatto! pensò senza nemmeno rendersene conto, aumentando la presa intorno alla vita di Zoe e muovendo impercettibilmente le palpebre.

Franky sospirò, si sdraiò in mezzo a loro e gli prese Zoe dalle braccia, dandogli le spalle, facendogli spalancare gli occhi e la bocca, stupito. Tanto ormai era certo che si fosse accorto del suo patetico tentativo di sembrare addormentato, non aveva senso continuare.

Tom rimase a fissare la sua schiena ricoperta da quelle ali maestosamente grandi, avvicinò la mano alle piume candide e le sfiorò con la punta delle dita, ma a quel punto si contrassero come se avesse fatto qualcosa di male e si allontanò, ferito.

Sentì Franky sospirare ancora e lo guardò mentre avvolgeva le ali intorno al corpo di Zoe, la quale subito sorrise serena, accoccolandosi in quella sensazione piacevole. Infine mormorò:

«Dormi, Kaulitz.»

E a quelle parole, anche se dette in tono neutro e piatto, Tom chiuse gli occhi e si lasciò andare al sonno che finalmente calò su di lui.

[… In the arms of an angel]

__________________________________

Buongiorno a tutti! :)

Ecco nello specifico le reazioni di tutti, compresa quella di Franky trovandosi di fronte a queste espressioni terrorizzate xD L’ultima parte è quella che preferisco *-*
La canzone che ho usato è Angel (xD) di Sarah McLachlan.
Spero vi sia piaciuto e ringrazio di cuore Utopy e Tokietta86 che hanno votato questa storia per il concorso “Storie con migliori personaggi originali” *-* Per chi volesse votare Franky, Zoe, Jole e tutti gli altri originalssss, vi ricordo che la prima sessione di voti finirà il 30 di questo mese! ^-^
Grazie mille anche a Isis 88, Tokietta86 e Utopy per le recensioni allo scorso capitolo :D Infine, ringrazio chi legge soltanto e chi ha inserito questa ff nelle seguite, nelle preferite o nelle storie da ricordare ^-^

Al prossimo mercoledì, un bacio! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 12
*** Hugs ***


12. Hugs

Aprì lentamente gli occhi, infastidita dalla luce del sole che entrava dalla finestra, e non fece in tempo a proteggersi con la mano che un ammasso di piume bianche le fece ombra sul viso.

«Franky», mugugnò Zoe sorridente, girandosi verso di lui e accoccolandosi contro il suo petto, cercando di abbracciarlo più forte che poteva senza attraversarlo.

«Buongiorno, piccola», le sussurrò all’orecchio, sfiorandole i capelli sulla tempia. «Dormito bene?»

Annuì e lo guardò negli occhi felice, quando la sua attenzione si posò sulla parte di letto sfatta e vuota oltre di lui. «Dov’è Tom?», sobbalzò preoccupata.

«Ahm…», Franky arricciò il naso e corrugò la fronte, come se lo stesse cercando mentalmente. «In questo momento sta aiutando a sistemare le valige nell’auto che li porterà all’aeroporto.»

«Menomale», sospirò sollevata. «Pensavo se ne fosse andato senza salutarmi.»

«Non lo farebbe mai, lo sai», le sorrise cercando di rassicurarla, ma Zoe notò una traccia di falsità fra le sue labbra, oltre che di malinconia.

«Non dovevi scappare via così, ieri. Ci è rimasto parecchio male.»

«Lo so, ho visto quello che è successo», rispose serio. «Ma, fidati, quello che c’è stato più male di tutti sono io. Prova te a fare di tutto per tornare, credendo di rendere le persone felici, e sentirti dire che non esisti mentre vieni guardato con terrore, manco fossi un mostro.»

«Mi dispiace Franky», mormorò. «Ma la nostra è stata una reazione involontaria. Non capita tutti i giorni di vedere un angelo custode.»

«Già.» Guardò fuori dalla finestra, poi un sorriso si fece spazio sul suo viso serio. «Però ora sono di nuovo qui e sono pronto ad affrontare tutto il terrore dei vostri occhi», ridacchiò.

«Stupido», gli tirò un colpo sul braccio, sapendo di non potergli fare niente. «Sai che dovresti fare, piuttosto? Parlare con Tom.»

«In questo momento non ho nulla da dirgli.» Di nuovo quell’espressione seria e dura.

«Mi spieghi per quale motivo ce l’hai così tanto con lui?», sbuffò innervosita. «Che ti ha fatto?!»

«Meglio che tu non lo sappia», sventolò la mano come per scacciare una mosca e si mise seduto sul letto, ripiegando le ali dietro la schiena.

«Grazie. Dicendo così è ovvio che voglio saperlo, ora!»

«E io non te lo dico lo stesso», le fece una linguaccia e Zoe ricambiò, imbronciandosi.

«C’è almeno un motivo valido?»

«Sì, non lo tratterei in questo modo se non ci fosse», sospirò. «Ora è meglio se scendi, altrimenti partiranno veramente senza salutarti.»

«Ok.» Fece un grande respiro profondo e saltò giù dal letto. Quella nuova giornata non si prospettava un granché, come le due settimane che avrebbe dovuto passare senza di loro, ma doveva farsi forza perché ora… ora aveva Franky al suo fianco. Lo guardò per qualche secondo e un sorriso sereno le illuminò il viso come mai da quando se n’era andato le era successo veramente.

«Beh… Io sono felice che tu sia qui, nonostante…», arrossì mordendosi il labbro. «La mia espressione terrorizzata.»

«Lo so, Zoe. Grazie», le regalò uno dei suoi sorrisi migliori e le mancò un battito: era così vicino, eppure così lontano…

Scese di sotto lentamente, gradino dopo gradino sentiva l’ansia aumentare mentre si avvicinava al vociare di Bill e Gustav che probabilmente stavano ancora facendo colazione. Era un’ansia improvvisa e strana perché dopotutto non era preoccupata per sé, bensì per Franky che avrebbe dovuto affrontare nuovamente i ragazzi; e per loro per lo stesso motivo.

Rabbrividì quando si accorse che gli scalini erano finiti ed era in salotto. Bill alzò lo sguardo luminoso su di lei e poi saettò alle sue spalle, dove c’era Franky. Nello stesso momento la porta d’ingresso si aprì ed entrarono Tom e Georg: gli occhi del primo incontrarono subito quelli dell’angelo e fu costretto ad abbassarli subito. Zoe guardò Franky e dalla sua espressione indagatoria e severa capì il motivo della chiusura a riccio di Tom.

«Smettila!», gli gridò a mezza voce per non attirare l’attenzione, ma accadde proprio il contrario a sua insaputa. Gli diede un pizzicotto sul braccio, lui sghignazzò guardandola sbuffare: «Non c’è gusto nel picchiarti, non senti niente!»

«Questo è un graaande vantaggio», la placcò scherzosamente e cominciò a farle il solletico, al quale scoppiò a ridere alleggerendo l’atmosfera tesa che si era creata.

La lasciò respirare e le avvolse le ali intorno alla schiena, cullandola nel suo abbraccio. Appoggiò il mento alla sua testa e ne approfittò per guardare i ragazzi, ancora un po’ irrigiditi dalla sua presenza. Incontrò gli occhi di Bill e lui quasi non cadde dalla sedia, talmente era intenso il suo sguardo.

“Noi due dobbiamo parlare, a proposito di lei”, gli comunicò Franky mentalmente e quella volta Bill rischiò davvero di cadere sentendo la sua voce nella testa, tanto che dovette aggrapparsi al tavolo.

«Tutto bene?», gli chiese Gustav sollevando il sopracciglio; Bill si affrettò ad annuire e Franky ridacchiò, stampando un bacio fra i capelli di Zoe.

«La macchina è pronta», disse flebilmente Tom, passandosi una mano sul collo, nervoso.

«Che aria tesa, accidenti», pensò Zoe ad alta voce, liberandosi dall’abbraccio di Franky e portandosi le mani sui fianchi.

«Vuoi risolvere la situazione?», le chiese lui, divertito.

«Assolutamente sì! Non posso sopportare di vederli così.» Rivolse la sua attenzione sui ragazzi e stirò un sorriso, prendendo Franky per mano e trascinandolo dietro di lei.

«Che cosa vuoi fare, pazza?», le chiese ancora, quella volta più preoccupato.

«Non li hai ancora salutati per bene! Salutali!»

«Ehm… Ciao ragazzi, è bello rivedervi», stiracchiò un sorriso.

«Non sei per niente convincente!», lo riproverò. «Perché non li abbracci come hai fatto con me?»

«A quale scopo?», incrociò le braccia al petto, arricciando il naso.

«Beh… può darsi che sentendoti, si rilasserebbero e si abituerebbero più in fretta alla tua presenza!»

«Non posso farlo se loro non vogliono.»

«Loro vogliono! Vero?» Si girò e fissò le espressioni titubanti dei Tokio Hotel. «Gli hai letto nella mente?», strinse gli occhi rivolgendosi di nuovo all’angelo.

«I loro pensieri sono arrivati così nitidi che non ho potuto non ascoltarli», sollevò le spalle. «Sono ancora spaventati, hanno ancora paura di me, forse è meglio…» Si interruppe e si girò verso Bill, scattato in piedi e con le braccia tese verso di lui.

«Visto, Bill vuole abbracciarti», annuì Zoe indicandolo.

«E non provare a… leggermi nel pensiero», lo minacciò il cantante, anche se a fatica e con poca voce.

«E tu non pensare a niente», gli sorrise Franky, dimentico per un attimo del triangolo che si era creato con Zoe. Lui era Bill, il suo amico infantile e tanto primadonna, e, cosa più importante, gli era mancato.

Si avvicinò d’un passo e lo abbracciò, posando il viso sul suo petto, nel quale il cuore aveva preso a correre velocissimo. Si era quasi lasciato andare al piacere di quell’abbraccio fraterno quando sentì Zoe prendergli un’ala e cercare di avvolgerla intorno alla schiena del cantante.

«Lascia stare le mie ali», disse sbattendola e scompigliandole i capelli.

«Ok, scusa! Quanto sei permaloso!»

«Sono nuove di zecca, ci tengo!»

Zoe incrociò le braccia al petto e Bill sciolse l’abbraccio, rosso in viso e con un piccolo sorriso che gli curvava le labbra all’insù.

«Com’è stato?», gli chiese Zoe piena di curiosità.

«Bello…», balbettò, abbassando lo sguardo. «Grazie Franky.»

«P-Prego, non c’è di che.»

«Chi è il prossimo?», sbattè le mani emozionata, saltellando sul posto. Ma il suono di un clacson distrusse ogni sua aspettativa.

«Ehm… dobbiamo andare o… perderemo l’aereo», disse Georg.

«Uffa, che peccato», sbuffò Zoe. «Beh, quando tornerete!», esclamò illuminandosi di nuovo.

«Sei sempre la solita», sorrise Franky passandole una mano sulla testa.

Li accompagnarono alla macchina che li aspettava nel parcheggio e rimasero diversi secondi a guardarsi, senza proferir parola.

«Divertitevi», spezzò il silenzio Zoe, che gettò le braccia al collo di Tom. «E tornate presto, mi raccomando.» Lui annuì e si lasciò baciare a stampo sulla guancia, come gli altri tre. Poi tornò fra le braccia di Franky, che sorrise accennando un saluto con la mano.

“Tanto è probabile che verrò a trovarvi” gli disse mentalmente, facendoli sobbalzare tutti e quattro.

Lei se ne accorse e lo guardò truce: «Gli hai parlato con il pensiero? Non devi nascondermi niente! Che cosa gli hai detto?»

«Uff, mi ero quasi dimenticato di quanto sei capace di rompere quando ti ci metti», ridacchiò accusando un colpo sul braccio. «Gli ho semplicemente detto che è probabile che andrò a trovarli in America, per spiegargli un po’ di cose visto che non ne abbiamo avuto il tempo qui. Voglio parlare un po’ con loro da solo.»

«Ah, capisco… E come farai ad andare fino a là?»

«Non mi hanno dato le ali solo per abbracciarti e fartici dormire sopra», sogghignò.

«Cioè, volerai? Ma è tanta strada!», sgranò gli occhi, incredula.

«Diciamo che il mio tachimetro arriva fino alla velocità della luce.»

«Non ci credo! Puoi volare alla velocità della luce?!»

«Sì. Però c’è un piccolo inconveniente, quando si viaggia a questa velocità di notte: si creano dei fasci di luce, molto simili a quelli delle stelle cadenti, e molte volte vengono confusi proprio con queste; sono le stelle cadenti fuori stagione… Per fortuna nessuno pensa: “Oh, un angelo che vola alla velocità della luce!”, quindi non ci sono pericoli», ridacchiò.

«Fantastico… E quanto ci metteresti a fare il giro del mondo?»

«Non ho mai provato, te lo farò sapere se ti interessa.»

«Sì che mi interessa! Wow, voglio sapere tutto! Dev’essere una gran figata essere un angelo.»

«Sì, ha… ha i suoi aspetti positivi», abbassò lo sguardo, un velo di tristezza negli occhi; e anche Zoe si intristì, rendendosi conto della grande cavolata che aveva detto. Lui era morto…

«Non importa», si riprese Franky e sorrise. «Ora è davvero meglio se andate», disse ai ragazzi. «Ci vediamo.»

«Sì, ci vediamo», mormorò Tom prima di infilarsi nell’abitacolo insieme ai suoi compagni.

«Fate buon viaggio!», gridò Zoe agitando le braccia quando la macchina partì lasciandoli dietro di sé.

Tom fece in tempo a salutarla con un cenno di mano e poi si girò verso il gemello, di fianco a lui.
«Tu ci credi?», gli chiese, gli occhi gonfi di pianto.

«Non posso non crederci. E tu ci credi, Tomi?»

«Con tutte le mie forze.»

***

«Franky?»

«Dimmi.»

«Dove sei stato, per tutto questo tempo?»

«Tu dove credi che sia stato?», la guardò sorridente e le sfiorò la guancia con la mano.

«Non so», sospirò e guardò il cielo azzurro, le mani dietro la nuca.

Erano sdraiati in mezzo ad un prato verde, nel parco in cui andavano sempre a fare le passeggiate i primi tempi della loro amicizia. C’erano parecchi bambini che giocavano sulle altalene, sugli scivoli e nelle buche di sabbia, e si sentivano i loro schiamazzi da lontano. Si respirava un’aria fresca, pulita, di nuovo… Tutto era così tranquillo e rilassante che Zoe si sarebbe facilmente addormentata sotto i raggi del sole e i tocchi delicati di Franky.

«In Paradiso?», ipotizzò, corrugando la fronte.

«Brava, hai indovinato.»

«Davvero? Il Paradiso esiste?», si tirò sui gomiti e lo guardò sorpresa.

«Certo che esiste. E non è poi tanto diverso da qui.»

«Puoi raccontarmi?»

«No, mi dispiace, non posso raccontarti niente…» Sarebbe troppo facile sapere ciò che c’è dopo la morte.

«Ah», abbassò il viso e Franky le spostò i capelli dagli occhi, sorridendole dolce. «Ma hai incontrato altre persone?»

«Certo che ho incontrato altre persone.»

«Per esempio… tua madre?»

«No, purtroppo lei… no, non l’ho incontrata.»

«E… e avresti potuto incontrare anche mio papà?», lo guardò in viso e le sfuggì una lacrima che le rigò la guancia. «Perché posso vedere te e lui no?»

«Piccola, io… io sono il tuo angelo custode», si strinse nelle spalle. «E ho deciso di farmi vedere da te; avrei anche potuto starti accanto a tua insaputa.»

«Quindi… papà potrebbe essere il mio angelo custode a mia insaputa?»

«Se lo fosse, lo vedrei…», rispose sconfortato. Non gli piaceva vederla triste, era il peggior dolore che un angelo potesse sopportare. «E si può avere solo un angelo custode. Se tu avessi avuto tuo papà, io non avrei potuto sceglierti come protetta.»

«E chi avresti scelto, se io avessi già avuto un angelo custode?», sollevò il sopracciglio, incuriosita. Franky strabuzzò gli occhi: quella domanda l’aveva colto alla sprovvista e si trovò a boccheggiare.

Chi avrebbe scelto, se lei avesse già avuto un angelo custode? Avrebbe scelto di reincarnarsi oppure avrebbe scelto un’altra persona? La risposta ce l’aveva, era sulla punta della sua lingua, ma dirla ad alta voce avrebbe provocato un’altra ferita, perché ora come ora, avrebbe tanto voluto che non fosse proprio quella…

«Credo… credo che avrei scelto Tom», sospirò.

«Se solo mi dicessi che cosa cavolo ha combinato quella testa di cocco, potrei aiutarti a chiarire con lui…» Avvicinò la mano al suo viso per accarezzarglielo, ma Franky si alzò in piedi e guardò il cielo, infilandosi le mani nelle tasche.

«Devo fare alcune commissioni», disse. «Ti dispiace se vado?»

«Quando torni?», Zoe si aggrappò al suo braccio e si tirò su, guardandolo ansiosa.

«Torno presto.» Le sorrise e le stampò un bacio sulla fronte. «Non ti preoccupare.» Lei annuì e Franky spiccò il volo, sparendo in fretta fra un banco di nuvole soffici e bianche.

***

«Franky! Che sorpresa!», si alzò dalla scrivania e gli andò incontro, lo abbracciò stringendolo forte a sé.

«Salve, San Pietro. Sono felice di rivederla. Come sta?»

«Molto bene! E tu?»

«Anche io. Diciamo che le cose si sono stabilizzate un minimo.»

«Sono contento per te. Come mai da queste parti?» Si mise di nuovo seduto sulla poltrona dietro la scrivania, illuminata dal sole che entrava dalla finestra, e Franky si sedette di fronte a lui, appoggiandosi allo schienale.

«Volevo chiederle alcune cose. E poi mi dovrebbe fare un favore.»

«Che tipo di favore?», sollevò il sopracciglio, incuriosito.

«Visto… visto che in qualche modo devo liberare Jole e che l’unica persona in grado di salvarla da se stessa è chi ha provocato il suo stato, pensavo di parlarne con il diretto interessato.»

«Che cosa? Vuoi dirlo a Tom?», il Santo strabuzzò gli occhi. «Potrebbe rimanerne scioccato, Franky!»

«Sono disposto a rischiare. Lui è forte, lo conosco, e… insieme potremmo farcela a salvare Jole», rispose serio e deciso.

«Ma da quello che so ora non sei molto benevolo con lui. Sei arrabbiato per quello che ha fatto, saresti in grado di mettere da parte questo rancore pur di salvare Jole?»

«Sì, sarei disposto.»

«Da te me lo sarei aspettato», sorrise annuendo. «Ok, quindi?»

«Quindi… vorrei la copia dei documenti di Jole, così da mostrargli delle prove e spiegargli meglio ciò che è successo.»

«Sì, si può fare. Ora ti stampo il suo fascicolo.»

«Bene. E poi volevo chiederle…», abbassò lo sguardo, imbarazzato.

«Che cosa?», lo incalzò, corrugando la fronte.

«Ricorda di quando mi ha detto che quando sarei diventato un angelo custode mi avrebbe permesso di “incontrare” mia madre… Beh, ora lo sono e mi chiedevo se… se si poteva davvero fare, ecco», concluse a fatica, prendendo fiato e sollevando gli occhi speranzosi, che incontrarono quelli buoni e dolci del santo.

«Certo che si può fare. Altro?»

«Ah, sì!»

«La mia era una domanda retorica», ridacchiò. «Dì pure.»

«Volevo sapere anche di Kenzie e di Norbert, se è possibile. E poi anche di un’altra persona che dovrebbe essersi già reincarnata da tempo.»

«Kenzie e Norbert hanno trovato i loro nuovi corpi e se vuoi puoi andare a trovarli, ma non sono ancora nati. Per l’altra persona, invece, di chi si tratta?»

«Del padre di Zoe.»

«Sai che lei non deve sapere la sua identità, non puoi diglielo.»

«Non glielo dirò. È solo per… per farglielo vedere un’ultima volta, a sua insaputa.»

***

Per prima cosa, voglio indagare un po’ su Jole.

Sfogliò il fascicolo appena stampato da San Pietro, nelle sue mani, e non fece caso a dove andava, infatti si scontrò contro qualcosa, o meglio, contro qualcuno.

«Franky!» Alzò il viso all’udire il suo nome pronunciato da quella voce familiare e incrociò gli occhi d’oro liquido del motivo principale della sua visita in Paradiso.

«Jole!» Si lasciò abbracciare forte e ricambiò, infilando le schede nella tasca interna della sua giacca.

«Come mai quassù?», gli chiese raggiante, gli occhi brillanti.

«Avevo delle questioni da sbrigare con San Pietro.»

«Ah», sillabò delusa; i suoi occhi, come si erano accesi all’ipotesi che fosse andato a prenderla per portarla di nuovo giù, si spensero quando capì che non era sua intenzione. Almeno non ancora.

«Mi dispiace, Jole», scosse la testa e le posò una mano sulla spalla, ma lei si scostò quasi con rabbia.

«Perché non mi vuoi portare con te?! Io devo vederlo, ne ho bisogno! Non resisto più! So controllarmi, so che posso farcela! Ti prego Franky, dammi una possibilità!»

Franky fece finta di soppesare le sue parole, ma la sua decisione l’aveva già presa ed era inequivocabile: era troppo rischioso far incontrare Jole e Tom, che oltretutto non ne era ancora a conoscenza. Anche se tutta la sua parte irrazionale avrebbe tanto voluto che Jole gli desse una lezione.

«Mi dispiace Jole, ancora non posso portarti con me, anche se vorrei. Mi dispiace tanto.»

Lei sospirò pesantemente e annuì con le lacrime agli occhi, poi si girò accennando un sorriso che lo ferì in pieno petto e si allontanò da lui a passo svelto, sparendo presto alla sua vista.

Sospirò anche lui e decise che era meglio tornare di sotto, se non voleva metterci troppo nelle sue investigazioni.

***

«Eccoti! Ci hai messo un bel po’!»

«Sì, scusa Zoe», sorrise e le accarezzò i capelli con un movimento veloce, poi si mise seduto sul davanzale della finestra, con le gambe a penzoloni nel vuoto.

«Che guardi?», si sporse al suo fianco e seguì la traiettoria del suo sguardo, fino a trovare il cielo azzurro mischiato al rosa del tramonto e il sole infuocato all’orizzonte. «Oh.»

«Questo mi è mancato, sai?», sorrise sereno, gli occhi verdi che riflettevano l’oro del sole creando una sfumatura semplicemente spettacolare. Zoe non l’aveva mai visto così bello e una strana malinconia le assalì il petto.

«Non hai mai visto un tramonto, in Paradiso?», gli chiese senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua espressione beata.

«No. E poi non sarebbe la stessa cosa, non credi?»

«Non so, io…»

«Lascia perdere, hai ragione, non puoi capire», sorrise. «Ora vieni con me, devo farti conoscere una persona.»

«Una persona?»

Non fece in tempo a dire altro che Franky la prese fra le braccia e spiccò il volo. Zoe in un primo momento non riuscì a capire quello che stava succedendo, ma quando capì che i suoi piedi non stavano più toccando terra guardò giù e vide la città dall’alto, illuminata dalla luce del tramonto.

[Komm und hilf mir fliegen
Leih mir deine Flügel
Tausch sie gegen die Welt,
gegen alles was die dich hält
Ich tausch sie heute Nacht,
gegen alles was ich hab]

«Sto… stiamo volando!», gridò cercando di guardare Franky, che sorrise. Aumentò la presa sulle sue braccia e rimase incantata a fissare il paesaggio che scorreva sotto di lei a velocità sostenuta, mentre il vento le scompigliava i capelli e le frustava il viso ad ogni colpo d’ali del suo angelo.

Stava volando davvero, non era un sogno. Riusciva a percepire tutte le sensazioni nitidamente, ma non era in grado di descriverle a parole talmente erano vivide dentro di lei. Si sentiva libera e felice, capace di tutto.

«È meraviglioso», mormorò senza fiato.

«Sono contento che ti piaccia. E che tu non soffra di mal d’aria; sarebbe stato un bel casino», scoppiò a ridere e Zoe con lui.

«Ma non ci possono vedere?», gli chiese dopo un po’. Si era pure dimenticata del perché stessero volando, non importava più sapere la loro destinazione; avrebbe dato di tutto pur di non smettere mai, le sarebbe piaciuto volare per sempre, senza toccare mai terra.

«No, in questo momento sei invisibile. Ti pare che ti avrei lasciata visibile?! Saresti finita su tutti i telegiornali del mondo!»

«In effetti…»

Iniziarono a perdere quota e ad avvicinarsi al terreno e Zoe avrebbe tanto voluto opporsi, l’altitudine stava diventando una droga, ma si trattenne. Una volta di nuovo con i piedi per terra, stretta fra le sue braccia, si guardò intorno, non riconoscendo quel parco giochi per bambini quasi vuoto: c’era solo una mamma ancora, seduta sulla panchina, che rideva coprendosi gli occhi ridenti dal sole, guardando il suo “bambino” andare su e giù per il quadro svedese.

«Mamma, sono bravo, vero?»

«Sì tesoro, sei bravissimo!»

Zoe si girò verso Franky e guardò la sua espressione sorridente, non riuscendo a decifrare il perché fossero lì: «Dove siamo?», si decise allora a chiedergli.

«Siamo semplicemente dall’altra parte della città e lui è la persona che volevo farti conoscere.» Indicò il ragazzino dai capelli ricci e neri e gli occhi azzurri, che doveva avere al massimo tredici anni. Zoe provò a cercare nella sua memoria la sua figura, ma non l’aveva davvero mai visto prima!

«E chi è, scusa?»

«Tuo padre», le sussurrò all’orecchio e Zoe sobbalzò, girandosi di scatto con gli occhi spalancati.

«Cos’hai detto?»

«Cosa?», la fissò interrogativamente. «Stavo per dirti che ho conosciuto il padre di quel bambino, in Paradiso», mentì sorridente, passandole delicatamente le mani sulle guance e rilassandola.
«Che dici, andiamo a casa? Tua mamma si preoccuperà, se non ti vedrà.»

«Ok», annuì assorta e si lasciò prendere da Franky, che la strinse forte al petto prima di agitare elegantemente le sue grandi ali e sollevarsi da terra. Si girò un’ultima volta verso il parco e dall’alto guardò il ragazzino correre dalla sua mamma e abbracciarla forte.
Non si accorse nemmeno del sorriso che le era nato fra le labbra.

***

«Penso che andrò dai ragazzi, questa sera stessa», disse Franky con tono calmo e pacato, passandole una mano fra i capelli. Zoe annuì con la testa e gli avvolse la vita con un braccio.

«Prima chiarite meglio è, sì.»

«Già. Sarà dura parlare con Bill… Sai che devo parlargli di te, no?»

«Sì… Quando capirà che tu sai tutto come minimo sverrà, come quando ti ha visto per la prima volta», sorrise divertita. Non aveva la forza necessaria per una risata, era stata una giornata fin troppo intensa e il sonno le faceva chiudere gli occhi.

«Probabile», ridacchiò. «Tu sei d’accordo, se ci parlo?»

«Sì, è più una cosa vostra che una cosa mia ora… Io ho capito che non posso più averti e penso che adesso che sei qui, posso anche provare a ricominciare. Non sono certa che Bill sia la persona giusta, però voglio provarci», sbadigliò; a Franky scappò un sorriso.

«Forse è meglio se dormi, eh piccola? Ne parliamo domani», la baciò sulla fronte e rimase in quella posizione per diversi istanti, troppo felice per riuscire a separarsi da quella sensazione.

«Chiarisci anche con Tom, mi raccomando. Non sopporto di vedervi così.» Furono le sue ultime parole sussurrate prima che Franky la facesse cadere nel mondo dei sogni, solo bei sogni.

«Buonanotte, amore mio», le sussurrò carezzevole all’orecchio.

Aspettò la mattina senza riuscire a dormire molto e poi la baciò delicato sulla fronte. Scivolò via dal suo abbraccio e portò un piede sul davanzale della finestra, guardò ancora all’interno: Ariel, che era rimasta silenziosamente accucciata ai piedi della sua padroncina, appoggiò il viso sul suo ventre e la accarezzò con una zampa.

«Stai tu con lei, mi raccomando», le sorrise e uscì dalla finestra, diretto verso il cielo e poi verso occidente.

[Erzähl mir alle Lügen
Mach es so, dass ich es glaub
Sonst krieg ich keine Luft mehr
und diese Stille macht mich taub
Nur graue Mauern und kein Licht
Alles hier ist ohne mich]

Quella precedente, era stata una giornata davvero intensa e nel breve – per lui – tragitto fra Germania e America, che lo costrinse anche a sorvolare l’Oceano Atlantico e ad attraversare ben nove fusi orari, ripensò a ciò che aveva scoperto e a chi aveva “rivisto”.

Subito dopo aver incontrato Jole e averci quasi litigato, era sceso di nuovo di sotto ed era andato a visitare, come se fosse quasi un giro turistico, tutti i posti in cui lei aveva a lungo vissuto: l’appartamento che condivideva con suo padre da quando sua madre se n’era andata; la scuola che aveva abbandonato presto; la camera d’hotel che vedeva protagonisti lei e Tom durante i loro incontri puramente focalizzati sul sesso… Era riuscito a vedere tutta la vita di Jole sfiorando gli oggetti abbandonati: ovunque lei era stata, c’era rimasto un pezzettino di lei.

Aveva scoperto che suo padre era stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio, per aver indotto al suicidio la figlia, per averla molestata per anni e per detenzione e uso di droga. Non sarebbe uscito di prigione tanto presto, anzi non ci sarebbe proprio uscito se non fosse stato per uno strano malore che, indagando, l’aveva ricondotto proprio al giorno in cui Jole era scesa per la prima volta fra i vivi.

Così, dopo aver trapelato le informazioni che gli servivano entrando nel corpo di una delle guardie carcerarie, era andato all’ospedale, dove tutt’ora si trovava il padre di Jole: un uomo dal viso segnato, gli occhi grandi e scuri – opposti a quelli della figlia, i capelli brizzolati. Stando al suo capezzale, ascoltando il suo respiro rauco, aveva percepito una strana aura maligna che aveva collegato subito a quella di Jole; ne ebbe pienamente conferma quando sfiorò il petto dell’uomo ed apparvero dei graffi, altrimenti invisibili, profondi sulla pelle, neri come la pece.

Sobbalzò, quando l’uomo aprì di scatto gli occhi ed iniziò ad agitarsi nel letto, come in preda a delle convulsioni, e a piangere, guaendo: «Mi dispiace, mi dispiace tanto! Io non volevo, te lo giuro! Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto!»

Riuscì a capire solo quelle parole del lungo e confuso discorso che farfugliò fino a quando degli infermieri fecero irruzione nella stanza e gli somministrarono della morfina, sotto gli effetti della quale si calmò e tornò a dormire pesantemente.

«È giorni che continua a dire così… Che si sia pentito dei suoi reati solo ora?», chiese un infermiere all’altro, ignari che ad ascoltare la loro conversazione ci fosse Franky.

«È molto strano, in effetti. Così, di punto in bianco? Potrebbe anche essere impazzito, succede in carcere, soprattutto ai tossici più deboli.»

«Sì, potrebbe essere.»

Franky fece ancora un passo verso l’uomo e appoggiò la mano tremante sulla sua fronte, delicatamente; chiuse gli occhi e si immerse nella sua mente, cercando di trovare qualcosa che lo riconducesse direttamente a Jole e a ciò che gli avesse fatto. Riuscì ad individuare il ricordo, ma era tutto così confuso… Distinse benissimo il viso adirato di Jole, i suoi occhi solitamente così docili iniettati di sangue e le sue unghie che graffiavano il suo torace senza però farlo sanguinare, facendolo solo gridare di dolore.

Sbalzò fuori da quelle immagini e respirò velocemente, sedendosi sulla sedia lì accanto. Gli infermieri erano usciti dalla stanza e nemmeno se n’era accorto, talmente era concentrato. Il cuore gli batteva a mille e in quel momento più che mai capì che, per quanto potesse avercela con Tom, non poteva lasciare che Jole lo riducesse in quelle condizioni. L’uomo inerme steso sul letto di fronte a lui stava patendo una pena, inflitta dalla stessa Intrappolata; stava soffrendo ogni suo cattivo gesto con un rimorso quasi vivo dentro di sé, capace di accartocciargli l’anima, strappandogli urla di dolore disumane come se fosse impazzito.

Se non fosse stato per lui, quella notte, Tom avrebbe sofferto esattamente come il padre di Jole.

No, non posso permettere che questo accada.

Aumentò la velocità, infrangendo ogni barriera acustica, raggiungendo pienamente i livelli di quella della luce, e sorrise al pensiero di qualcuno laggiù che, guardando il cielo nelle ultime ore di buio, lo avrebbe scambiato per una stella cadente e avrebbe espresso un desiderio.

Come il desiderio di vedere sua madre un’ultima volta, la sua cara mamma a cui era stata strappata la vita con violenza e senza un perché preciso.

«Susan?»

«Sì, dimmi.» La ragazza, che lui conosceva bene, si avvicinò alla sorella con uno straccio in mano e la guardò, mentre teneva per le manine la bambina, che non doveva avere più di un anno, che appena accennò un sorriso sciolse il cuore ad entrambe.

Franky era lo spettatore silenzioso, sorridente e con gli occhi lucidi nel vedere la sua mamma di nuovo felice ed amata.

«Prima ha fatto qualche passo!», le disse raggiante. «Provo a lasciarla andare ancora?»

«Sì, dai!»

Susan si mise seduta sul divano e guardò la bambina cercare l’equilibrio sui propri piedini, una volta che la madre le aveva lasciato le mani. Fece qualche timido passo, poi cadde sul tappeto morbido con il sedere, riprendendo a giocare come se nulla fosse. Le due donne si misero a ridere e Franky accennò una risata, piegandosi sulle ginocchia e sfiorando con le dita la guancia rosata e paffuta della bimba.

«Ciao, mamma», mormorò e una lacrima gli sfuggì dall’occhio, quando la piccola si girò verso di lui inconsciamente, mostrando i dentini davanti. Franky ridacchiò e le accarezzò dolcemente la testa, che poi sfiorò anche con le labbra. «Ti voglio tanto bene, davvero tanto.»

«Allora Susan, adesso devi andare da David?»

Al nome di suo zio sobbalzò e guardò la sua ex-prof e sua sorella, che chiacchieravano tranquillamente.

«Ah già, è vero! Me ne stavo quasi per dimenticare! Menomale che ci sei tu, sorellina! Oggi dobbiamo andare a fare shopping!», batté le mani di fronte al viso, entusiasta.

«Povero quell’uomo, lo farai esaurire.»

«Nah, mi ama!», allargò le braccia e rise ancora.

Franky sorrise amaro. Nonostante lo volesse tanto, sapeva di non poter farsi vedere da lui a causa della sua età troppo avanzata per credere fino in fondo all’esistenza di esseri come lui. Ma poi, pensandoci bene, sarebbe stato meglio se lui non si fosse fatto vedere: suo zio aveva superato da relativamente poco la sua scomparsa, gli avrebbe fatto solo male rivederlo, e non voleva che ciò accadesse. Sarebbe comunque passato a trovarlo, prima o poi.

«Sono già in ritardo, scappo!», esordì Susan tirandolo fuori dai suoi pensieri. Si alzò, acchiappò la giacca e salutò la nipotina e la sorella, poi uscì di casa lasciandolo con l’amaro in bocca.

«Prenditi cura di zio David», mormorò.

Oppure come il desiderio di rivedere due dei più cari amici che avesse mai avuto e che stavano per rincominciare a vivere. Insieme, come avrebbero voluto.

Sorrise di fronte all’espressione serena della futura mamma e scosse la testa, pensando a come fosse pazzesco tutto quello. Kenzie e Norbert si erano promessi di ritrovarsi un giorno, di nuovo sulla Terra, e invece avrebbero avuto ancora di più: sarebbero nati insieme, uniti da un legame speciale ed indivisibile. Fratelli gemelli.

Si avvicinò alla ragazza seduta sul divano, accoccolata al neomarito che sorrideva accarezzandole il braccio mentre guardavano la televisione. Posò una mano sulla pancia già evidente e la accarezzò:

«Vi verrò a trovare fra qualche mese, ok? Sono contentissimo per voi, alla fine vi siete ritrovati. Statemi bene e siate felici, io sto facendo come mi avete detto: non mi arrendo e non vi deluderò, farò del mio meglio.»

Un aereo fin troppo vicino a lui lo fece tornare al presente e si scansò, soffermandosi a guardare il cielo buio di Los Angeles, oscurato dalla molteplicità di luci della città che quasi sembrava protendersi verso di lui grazie ai grattacieli e i palazzoni che si stagliavano a poca distanza l’uno dall’altro. E non molto lontano da tutto quel centro megaurbanizzato, c’era la costa. Era una fortissima contrapposizione, natura-cemento, ma il paesaggio che ne veniva fuori gli piaceva.

Si decise a muoversi e in qualche minuto raggiunse l’hotel in cui pernottavano i ragazzi. Percepì le aure di Gustav e di Georg e capì che il secondo era già a letto che se la ronfava, anche se non era poi così tardi. Quindi decise di andare dal calmo e riflessivo Gustav, prima di affrontare i gemelli. Più tardi li incontrava, meglio era; ma sapeva di non poter rimandare per sempre, prima o poi, che lo volesse o no, sarebbe arrivato il momento e non sapeva nemmeno lui come avrebbe fatto.

Entrò nella stanza senza annunciare la propria presenza e guardò il batterista tirare indietro le lenzuola del letto, sospirando pensieroso. Franky capì che era in pensiero per lui, oltre che per i gemelli che quel giorno si erano comportati in modo più strano del solito.

«Non c’è bisogno che ti preoccupi, Gus. Tutto si sistemerà, vedrai», disse sorridendo, facendolo sussultare dallo spavento.

«Franky», si ricompose immediatamente. «Avresti potuto anche avvisare.»

«Se avessi bussato alla porta ti avrei fatto fare la figura del cretino, non pensi? Avresti aperto al niente e magari qualcuno ti avrebbe persino visto salutarmi», ridacchiò, pensando alla scena; Gustav si lasciò scappare un sorriso: infondo non aveva tutti i torti.

«Sei venuto presto», constatò, invitandolo ad accomodarsi dove preferiva. Franky si mise seduto sulla poltrona accanto alla finestra, dalla quale riusciva a vedere il mare che rifletteva i deboli raggi della luna.

«Sì, ho pensato che… prima risolvo le cose, meglio è per tutti; evito di fondermi il cervello, di far preoccupare Zoe e di far soffrire gli scemi di là», rispose massaggiandosi le tempie.

«Soffrire?», inarcò il sopracciglio.

«Sì, per quanto mi costa dirlo, sto facendo soffrire Tom e Bill con il mio comportamento, malgrado la colpa ce l’abbiano loro.»

«Ne vuoi parlare?»

«Meglio parlarne prima con loro, penso sia più giusto», sorrise. «Grazie comunque.»

«Prego. Allora… come vanno le cose?», chiese titubante.

«Vanno piuttosto bene, diciamo che ormai avete superato la fase: “Oddio, Franky è un angelo!”. Quindi vanno molto meglio, sì.»

«Mi dispiace per quello che è successo ieri, solo che…»

«Non serve che ti scusi, infondo… dovevo saperlo, solo che pensarlo è viverlo sono due cose completamente distinte. Non avrei mai immaginato che potesse fare così male.» Abbassò il viso, il ricordo delle loro espressioni ancora lo feriva. «Ma ora è tutto passato.» Si alzò dalla poltrona e incrociò le braccia al petto, guardando fuori dalla finestra. «A voi, come vanno le cose?»

«Bene. Abbiamo finito il tour da qualche mese… sì, tutto bene diciamo. Ora siamo in pausa, a parte questi viaggi intercontinentali. Ma siamo più tranquilli.»

«Mi fa piacere. E… zio David, come sta? Non sono ancora passato a trovarlo, non ho avuto tempo», un velo di malinconia si fece spazio nei suoi occhi e Gustav si avvicinò a lui, portando lentamente la mano sulla sua spalla.

«Posso?», gli chiese, imbarazzato.

«Certo che puoi», ridacchiò. «Anzi, devi

Gustav prima gli posò la mano sulla spalla a mo’ di conforto, poi si lasciò trascinare dal suo sorriso incoraggiante e lo abbracciò, tenendolo più stretto che poteva a sé.

«Ne ho davvero bisogno, in questo momento», mormorò Franky. «Penso che tu sappia che Bill si è preso una colossale cotta per Zoe…»

«Non ne avevo la certezza, ma avevo intuito qualcosa», annuì.

«Ah. E quindi, beh… io devo parlare con lui, perché ora ci sono e… insomma, è complicato.»

«E con Tom?»

«Tom… ha combinato un bel casino», sospirò amareggiato. «E appunto per questo, sarà meglio che vada.» Lo guardò negli occhi e gli rivolse un sorriso: «Grazie per l’abbraccio.»

«Di niente. È bello riaverti fra noi.»

«Ne sono felice, se siete felici voi.»

Lo salutò con un gesto di mano e gli augurò la buona notte, poi uscì dalla stanza e camminò per i corridoi deserti fino ad arrivare alla stanza di Tom. Rimase a fissare il legno bianco della porta e digrignò i denti, sentendo provenire dei gemiti dietro di essa. Non gli serviva nemmeno vedere, per capire quello che stava succedendo.

«Non perdi tempo, Kaulitz. Come al solito», sbuffò innervosito e fece dietrofront, stringendo i pugni lungo i fianchi, trattenendosi per non trapassare la porta e rovinare la festa. La chiacchierata con Gustav non aveva dato i suoi frutti, visto che era già nero; e un angelo arrabbiato, oltre che essere paradossale, non era un bello spettacolo.

Marciò a passo spedito verso la camera dell’altro gemello e non fece complimenti prima di entrare, ma ne pagò le conseguenze.

«Oh mio Dio!», gridò coprendosi gli occhi con un braccio.

«Franky!», gridò spaventato Bill, prendendo l’asciugamano e avvolgendoselo intorno alla vita in fretta e furia, rosso d’imbarazzo. «Avvisare no, eh?!»

«Scusa gallina spennacchiata, ma che ne sapevo che eri andato a farti la doccia?!»

«Non hai dei sensori speciali? Qualsiasi cosa!», farfugliò stridulo gesticolando con le braccia in aria.

«Ho tutto, tranne che sensori per rilevare se sei vestito o meno!», fece una smorfia che fece sorridere Bill, mentre si infilava di nuovo in bagno per vestirsi.

«Peccato!», si girò e gli fece una linguaccia, prima di chiudere la porta. «Sarebbe stato molto utile!»

«Vedo che ti sei ripreso bene da ieri e da stamattina!», disse Franky appoggiandosi alla parete con la spalla, di fianco alla porta del bagno.

«Sì, ehm… più o meno…», balbettò.

«Bill, non sforzarti di fare come se tutto questo fosse normale: non lo è e non lo sarà più, quindi… sii naturale, non aver paura di mostrare le tue debolezze oppure le tue paure, come hai sempre fatto», sospirò passandosi una mano sul viso.

«È che… sono nervoso e tutto mi sembra così assurdo che…»

«Ci farai l’abitudine, anche se non sarà facile.»

«Zoe si è abituata subito, però…»

«No, anche lei cerca di mascherare ciò che ha dentro. Ma è inutile, ragazzi, io sento e vedo tutto. Siete così dolcemente ridicoli…», ridacchiò e guardò Bill uscire dal bagno vestito, con i capelli ancora bagnati pettinati all’indietro sulla testa.

«Sai, ti preferivo prima», gli disse indicando la pettinatura. «Così sembri… snob! Ecco», incrociò le braccia al petto. «E che vuol dire che ti metti i costumi di scena? Per non parlare della sfilata che hai fatto! Giuro, è stato orribile», scosse la testa, come per scacciare quelle immagini, poi si lanciò sul letto, dove si sdraiò comodamente con le spalle appoggiate alla testata.

«Come fai a sapere tutte queste cose?», sgranò gli occhi, avvicinandosi rigidamente al bordo del letto e sedendocisi.

«Io c’ero, Bill», sorrise dolcemente. «Sono sempre stato al vostro fianco, solo che voi non lo sapevate.»

«Sul serio?»

«Sì, sul serio. Non mi sono perso un attimo della vostra vita e non potete nemmeno immaginare che strazio sia stato essere solo lo spettatore, senza potervi parlare direttamente oppure farmi vedere. Adesso è tutto diverso.»

«Già», annuì assorto. «Radicalmente diverso. Quindi tu sai anche –»

«So ogni cosa Bill», chiuse gli occhi, traendo un respiro profondo. «Anche che tu ti sei preso una cotta per Zoe. È di questo che dovevamo parlare, no?»

«Sì…», deglutì rumorosamente. Era così nervoso che aveva persino iniziato a sudare, nonostante avesse appena finito di fare la doccia! Franky avvertì la sua tensione e gli diede una pacca sulla spalla.

«Sono contento che Zoe ricominci con te, posso fidarmi. Giusto?» Bill annuì con la testa, la bocca asciutta. L’angelo sollevò le spalle: «Allora non c’è nessun problema. Certo… a me fa un certo effetto e se penso che se mi fa effetto ora, chissà che cosa mi farà quando…» Diventarono rossi entrambi e Franky gli tirò un pugno sul braccio, scandalizzato: «Sei andato direttamente a pensare a quello!»

«Scusa Franky!», cercò di difendersi il cantante, annaspante. «E poi tu non puoi leggermi nella testa!»

«Lo farò», strinse gli occhi, minaccioso: «Stai pur certo che lo farò sempre. Lei è la mia piccola, non ti permetterò di farle del male… Non anche tu.» Abbassò lo sguardo e si adombrò, Bill corrugò la fronte notando il suo improvviso sbalzo d’umore e rimase parecchio impressionato quando, subito dopo, alzò il viso con l’accenno di un sorriso sulle labbra. «Prenditi cura di lei e guardati le spalle, io sarò sempre lì a controllarti.»

«Sempre?»

«Sempre.»

«Sempre sempre?»

«Sempre sempre», sorrise beffardo e scoppiò a ridere all’espressione terrorizzata di Bill, che una volta resosi conto che era uno scherzo, si tranquillizzò e si lasciò trasportare.

«Abbraccio?», chiese allora, stendendo le lunghe braccia verso l’angelo, che sorrise e annuì avvicinandosi. Lo accontentò anche avvolgendogli le ali intorno alla schiena e sorrise vedendo il suo viso e i suoi occhi felici. «Grazie, Franky.»

«E di che cosa? È andata meglio di quanto pensassi!», si alzò e si stiracchiò le ali, sbadigliando. Bill lo osservò da capo a piedi e notò l’inusuale vestito elegante che indossava, tanto che sghignazzò coprendosi la bocca con la mano.

«E ora che hai da ridere?», gli chiese guardandosi, quando ci arrivò si portò le mani ai fianchi scocciato; Bill non riuscì più a trattenersi e si lasciò andare in una risata che gli gonfiò i polmoni e gli fece lacrimare gli occhi, rasserenandolo.
«Non c’è niente da ridere! È la mia divisa!»

«Divisa? Oddio Franky, è strano vederti così elegante! Però stai bene, devo ammetterlo», disse a fatica, riprendendo fiato.

«Sì, grazie Bill. Vogliamo parlare di te? Quando hai iniziato andavi a fare i concerti in maglietta e jeans, ora ti vesti da robot! Non è che il sistema ha intaccato anche te? E le vostre belle parole, quelle in cui dicevate che non volevate farvi comandare da nessuno, dove sono finite?»

Si guardarono in silenzio per diversi istanti, poi Bill fece un ampio sorriso: «Io non sono cambiato e noi non ci stiamo facendo comandare, ho solo voluto mettermi quei vestiti. È stata una mia scelta, non un’imposizione.»

«Oh, beh… ottima scelta, direi. Visto che ti fanno anche cadere», si prese il mento nella mano e ridacchiò quando Bill diventò paonazzo. «Quante risate mi sono fatto! Volevo prenderti per il culo fino a star male, ma per tua enorme fortuna non potevi vedermi.»

«Per tua enorme fortuna, perché ti avrei fatto passare una pessima serata!», schizzò, con il solo risultato di far divertire Franky. «E poi io non sono l’unico ad essere caduto in quel tour! Anche Tom ha rischiato una volta!»

«Ah sì, è vero… Tom…» Franky abbassò il viso e quella malinconia nei suoi occhi colpì ancora Bill, che si sentì in colpa: aveva detto qualcosa di sbagliato? In effetti, ora che ci pensava, Franky era stato duro con lui, manteneva le distanze, era freddo… Che fosse cambiato qualcosa nel loro rapporto?

«Non ti preoccupare, le cose si sistemeranno. Spero», gli rispose ancor prima che potesse formulare la domanda. Lo guardò severamente, ma non poté rimproverarlo, solo si alzò e lo strinse in un abbraccio, al quale lui ricambiò sorridente.
«Ora è meglio se vado da lui, devo parlargli», mormorò staccandosi e donandogli uno sguardo riconoscente.

«Prima… ehm… insomma, penso sia libero ora…», Bill arrossì passandosi una mano sul collo.

«Sì, me ne sono accorto che aveva compagnia», l'angelo roteò gli occhi al cielo, quasi schifato. «Spero abbia finito, se no pongo io fine alla serata», annuì stringendo un pugno, poi lo salutò con la mano ed uscì dalla stanza, lasciandolo un po’ sbigottito, ma tutto sommato sereno.

***

Era da un po’ che fissava il soffitto bianco, mezzo scoperto, con le braccia dietro la testa. Il silenzio che aleggiava in quella stanza non gli piaceva, soprattutto dopo aver sentito gridare quella ragazza mora che ora dormiva al suo fianco.

Chiuse gli occhi e la prima cosa che gli venne in mente fu il viso di Franky, le sue ali, il suo sguardo acceso… Lui era di nuovo lì, fra loro, ed era un angelo custode. Inoltre, era arrabbiato con lui. Quella situazione di gelo fra loro lo faceva soffrire, così aveva cercato di non pensarci troppo e di distrarsi quella sera: l’unico buon diversivo era stata quella ragazza, ma non si sentiva in colpa per averla usata, infondo i suoi problemi erano molto al di sopra dei normali problemi!

Sospirò e si alzò, tanto non sarebbe riuscito comunque a dormire quella notte. Andò in bagno e ci si chiuse dentro, si chinò sul lavandino e si sciacquò il viso con l’acqua fredda, poi lo sollevò e guardò la propria immagine riflessa nello specchio. Sobbalzò quando vide anche quella di Franky, dietro di sé, appoggiato con le spalle alla parete e le braccia incrociate al petto.

«Franky», sussurrò; sentì un guizzo nello stomaco e l’ansia salire: che ci faceva lì? Aveva detto che sarebbe andato a trovarli, ma… così presto? Non era per niente preparato.

«Mi hai fatto spaventare», balbettò. Franky lo guardò dall’alto verso il basso e a Tom parve di vedere una punta di disgusto nel suo sguardo, tanto che cercò di distrarlo, di deviare la sua attenzione, parlando nervosamente: «Che ci fai da queste parti? Pensavo ci venissi a trovare fra qualche giorno… E perché hai quella faccia seria?» Non ottenne nessuna risposta, solo quello sguardo tagliente che fu come una pugnalata in mezzo al petto. «Ok, ho capito che sei arrabbiato con me… Mi vuoi spiegare il motivo, almeno? Mi vuoi spiegare che cos’ho fatto? È per questo che sei qui?»

L’angelo non rispose per l’ennesima volta, solo si staccò dal muro e si avvicinò a lui, facendolo arretrare istintivamente di un passo.

«Franky… che cos’hai?», chiese ancora, preoccupato, ma in risposta ricevette solo un forte schiaffo sulla guancia, che gli fece voltare il viso e venire le lacrime agli occhi.

«Questo è ciò che comunemente si chiama schiaffo morale», mormorò lui, aprendo bocca per la prima volta.

«Ma… ma… perché?», balbettò il chitarrista, guardandolo negli occhi, nonostante le lacrime premessero per uscire.

«Perché ora più che mai mi sono reso conto che sei un coglione.»

«Che cosa… Perché?»

«La smetti di chiedere perché e ragioni?! Ah già, dimenticavo che non ne sei capace», ringhiò.

«Franky, ti prego, illuminami!», aprì le braccia. «Perché non ci sto capendo un cazzo!»

«Quanto tempo credi di poter continuare così, portandoti a letto una ragazza diversa ogni sera?!»

Tom socchiuse le labbra: era davvero quello che aveva spinto Franky a schiaffeggiarlo?

«No, non è per questo», rispose, come se gli avesse letto nel pensiero, ed era proprio quello che aveva fatto. «Ma c’entra. Cosa speri di ottenere, comportandoti in questo modo, eh? Cosa speri di trovare?»

«Insomma, Franky», sorrise nervosamente, ma lui lo interruppe bruscamente e non gli permise di finire la frase:

«Tu non sai quante opportunità hai sprecato. Tu non sai… quante persone stupende hai lasciato andare, perché ti interessava solo il sesso! Oppure perché lo usavi come distrazione o come svago quando ti sentivi annoiato! Tom, non so se te ne rendi conto, ma… lasciamo perdere, va’. A volte parlare con te è come parlare ad un muro», sbuffò muovendo una mano. «Sai chi ho conosciuto in Paradiso?»

«Chi?», chiese portandosi le mani sui fianchi: stava iniziando a spazientirsi.

«Una ragazza che conosci bene: Jole.»

«Jole?», Tom corrugò la fronte. «Scusa, ma non conosco nessuna ragazza con questo nome.»

Franky trattenne un urlo frustrato, ma in compenso si tolse lo sfizio di tirargli un altro schiaffo che gli arrossò il viso.

«Franky!», si portò la mano sulla guancia, sbalordito: non lo aveva mai visto così e non se lo sarebbe mai immaginato, nemmeno nelle sue fantasie più ardite.

Lui tirò fuori dalla tasca interna della giacca di seta bianca una cartelletta chiara e gliela schiaffò fra le mani.

«La conoscevi», gli disse stizzito. Tom deglutì innaturalmente a quelle parole che gli fecero venire i brividi e aprì la cartellina: gli mancò un battito alla visione della fotografia di quella ragazza sorridente e dagli occhi dorati.

«Ti è tornata la memoria?», gli chiese l'angelo, mentre Tom leggeva le parole una dopo l’altra, sentendosi sempre più male.

«Non… non è colpa mia», mormorò spaventato. «Non lo è…»

«No, Tom», rispose Franky morbido, con un pizzico di comprensione. «Però… Tu eri tutto ciò che ancora aveva; tu avevi il potere di farla sorridere… Era innamorata davvero di te, ti amava nonostante i tuoi atteggiamenti, nonostante le facessi del male, nonostante non fosse corrisposta da te. Ora invece… è un’Intrappolata.»

«Cioè?», balbettò. Aveva paura di fare quella domanda e aveva paura di sapere la risposta.

«Come faccio a spiegartelo senza dirti cose che non potresti sapere?», si portò le mani sulla testa e chiuse gli occhi, respirando lentamente. E il cuore di Tom prese a battere impazzito, quando li riaprì e incontrò i suoi senza alcuna traccia di disprezzo, né di odio. Quella neutralità un tempo gli avrebbe dato i nervi, aveva sempre preferito essere bianco oppure nero, odiato oppure amato, piuttosto che grigio o non essere considerato, ma quella volta gli fece bene, fu una ferita in meno, un po’ di ossigeno ai suoi polmoni affaticati.

«La sua anima è intrappolata all’interno del suo corpo e non può tornare a… vivere, perché è ancora afflitta dal dolore che ha subito nella sua vita. In poche parole è questo essere degli Intrappolati, ma tu non dovresti nemmeno saperlo.»

«E… e cosa bisogna fare per liberarsi?», il groppo che gli si era formato in gola gli rendeva difficoltoso anche il solo parlare.

«Bella domanda, ma ti ho già detto troppo per oggi: devo dosare il carico di informazioni, o potresti anche uscirci pazzo. Succedono tante di quelle cose di sopra che non te le immagineresti mai.»

Tom rimase in silenzio e si mise seduto sul bordo della vasca, sovrappensiero: in effetti, era già sconvolto a causa di quello che sapeva; figurarsi se gli avesse detto altro.

«Ma quello che mi ha spinto a schiaffeggiarti non è questo», riprese Franky, guardandolo ancora più duramente di prima. «Sono veramente deluso dal tuo comportamento, Tom. Jole era la ragazza che ti voleva incontrare, vero? Quella di cui mi avevi parlato.»

«Sì, ma… ma io non credevo…», quasi singhiozzò, la gola che bruciava insieme agli occhi, che sfregò.

«Non importa quello che credevi, ora non importa più. Non puoi fare nulla o quasi per rimediare alla sua scomparsa, ok? Fammi finire il discorso una volta per tutte, poi puoi pure tornare dalla tua ragazza di là.» Fece un respiro profondo e annuì deciso. «Tu, invece di affrontarla personalmente, hai preferito… hai preferito mettere in mezzo Zoe! Hai usato lei per non dire a quella ragazza che non la volevi più intorno, ti rendi conto?!»

Si ricordò di quel pomeriggio passato con Zoe al centro commerciale, la passeggiata di fronte a quel bar e gli occhi pieni di tristezza di quella ragazza, Jole, quando lo aveva visto stretto a lei, sorridente.

«Per questo, Tom, io… io non ti perdono.»

«Che cosa?», sfiatò guardandolo negli occhi. «Tu… Tu non puoi non perdonarmi!»

«Finché le cose non si sistemeranno, dubito che io e te avremo lo stesso rapporto che… avevamo. Sarà solo una tregua, perché ho promesso a Jole che l’avrei aiutata. E io le promesse le mantengo.»

«No, Franky», sgranò gli occhi, ormai stracolmi di lacrime, e si alzò, cercando di afferrarlo, ma la sua figura sparì e si trovò con della stupidissima aria nel pugno chiuso.

«NO!», scoppiò in un pianto quasi isterico, che lo portò persino a tirare calci e pugni alla parete, a gettare a terra tutto ciò che c’era sulle mensole e a spaccare con un pugno lo specchio di fronte a sé, tagliandosi. Si guardò in quei frammenti e vide la sua immagine, in quel momento ripugnante, della quale si vergognava come mai prima, divisa in tanti pezzi, come ora lo era il suo cuore, lacerato da quelle parole, da quell’ingenuo sbaglio, dal passato.

«Tom, what’s going on here?», chiese la ragazza irrompendo nel bagno e rimanendo senza fiato di fronte a quello spettacolo. «Tom, what have you done

«Please, go away», singhiozzò muovendo la mano, coprendosi il viso ormai rigato dalle lacrime che lo sfregiavano senza pietà. «And I’m sorry for what I’ve done, forgive me…»

«Forgive you? What have you done? I can’t understand.»

«Please, go!», gridò rauco, marciandole contro e chiudendola fuori dal bagno.

Sentì a malapena la ragazza che si rivestiva e usciva dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

Tom non riuscì più a soffocare i singhiozzi, scivolò sul legno della porta e strinse le gambe al petto. Osservò il sangue che colava sulla sua mano, bruciando, ma non era niente in confronto a ciò che sentiva dentro in quel momento: una ferita fin troppo grande da poter medicare.

Non poteva aver perso un’altra volta Franky, non poteva essere vero… Non poteva! Era tutta colpa sua, maledettamente colpa sua. Se non fosse stato così codardo… Sarebbe andato tutto in un altro modo, tutto.

Sentì una piacevole sensazione di calore sulla mano tagliata e vide quella evanescente di Franky; sollevò il viso ed incontrò il suo, disteso e rilassato.

«Che cosa fai, sei impazzito?», lo rimproverò, ma fu quasi amorevole, mentre magicamente il taglio si cicatrizzava e si richiudeva sotto i suoi occhi ormai abituati a quel genere di sorprese. «Tu devi suonare, come fai con la mano tagliata?»

«Franky… Mi dispiace tanto», disse flebilmente, abbassando lo sguardo, pieno di vergogna.

«Guarirà», rispose come se non avesse inteso il significato delle sue scuse.

«Non per questo…»

Sospirò. «Non è con me che ti devi scusare, infondo. E anche se questa è una tregua e non sarei dovuto tornare, ti voglio troppo bene per lasciarti solo in un momento del genere.»

«Non mi merito tutto questo, non me lo merito.»

«Già, non te lo meriti.» Gli sollevò il viso per poterlo guardare negli occhi e gli accennò un sorriso. «Ma insieme possiamo farcela, non è tutto perduto. Mi sei mancato, sai Thomas?»

«Anche tu mi sei mancato. Troppo.»

Lo abbracciò di slancio, continuando a piangere su di lui, e sentì anche lui la sensazione delle sue ali che lo circondavano in quel modo così protettivo e dolce, tanto che si sentì quasi sollevato. Ma non poteva esserlo del tutto, non dopo quello che aveva saputo su Jole… Sarebbe ancora riuscito a dormire, sapendo di essere un assassino?

«Non lo sei, Tom. Non lo sei», gli sussurrò all’orecchio e uno strano sonno lo pervase. Lottò contro le palpebre che si chiudevano contro la sua volontà, tirò su col naso e strinse ancora di più la presa sulle braccia di Franky, mugugnando.

«Dormi, ne hai bisogno… Thomas.»

Si lasciò andare al buio, che in modo suadente lo invitava, con l’immagine sfuocata del viso di Franky acceso da un minuscolo sorriso all’angolo delle labbra.

[Ich find mich hier nicht wieder,
erkenn mich selbst nicht mehr
Komm und zieh mich raus hier,
ich gib alles däfur her
Ich hab Fernweh
und will züruck
Entfern mich immer weiter,
mit jedem Augenblick]

_____________________________________________


Buongiorno a tutti! :)
Questo è uno dei capitoli che preferisco, assieme al prossimo *-* L’ho intitolato “Hugs” – Abbracci – perché credo che sia la parola chiave, ciò che un abbraccio può fare è sempre magico, a volte vale più di mille parole…
Si scoprono un sacco di cose che fin’ora sono state tenute nascoste, tra cui anche le nuove vite della mamma di Franky, del papà di Zoe e quella che ancora deve cominciare sul serio di Norbert e Kenzie che, alla fine, si sono ritrovati… Per non parlare della situazione del papà di Jole!
È un po’ lunghetto, ma spero che non sia stato troppo pesante e che vi sia piaciuto come piace a me! ;)
La canzone che ho usato è Hilf mir fliegen, dei Tokio Hotel: credo sia perfetta.
Ora non voglio dilungarmi troppo, ho già detto tutto quello che dovevo dire, voglio solo ringraziare le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, ossia:

Tokietta86 : Ciao! Grazie mille, gentilissima come al solito *-* Le reazioni dei ragazzi sono state tutte diverse, come hai detto tu, ma Tom ci ha sofferto particolarmente. Jole andrà a trovarlo, sì… presto xD Quando Zoe scoprirà di essere stata usata, uhm… vedremo come la prenderà xD Anche per il triangolo Bill-Zoe-Franky sarà un bel casino, ma prima o poi tutto si sistemerà! :) La parte finale è quella che preferisco, dello scorso capitolo! Grazie mille, alla prossima, baci!

Isis 88 : Tom ha sempre fatto tanto il duro, ma è arrivato il momento per lui di crescere un po’, di capire che provare dei sentimenti, soffrire e piangere per qualcuno a cui si vuole davvero bene non è da bambini né da deboli… Sono contenta che ti sia piaciuto! :) Spero che anche questo sia di tuo gradimento. Grazie mille, alla prossima, baci.

Sarah92 : Ciao. Ho letto le tue recensioni e diciamo che mi sono sentita sia felice che delusa: la prima è stata tutto sommato bella, mi hai fatto un sacco di complimenti, ma anche qualche critica costruttiva che sempre serve. Nella seconda, invece, mi ha fatto un po’ effetto sentirmi dire che non dovevo continuare Nothing, ecc. Mi ha toccato profondamente, perché io sono molto legata a Franky, a Zoe e a tutti gli altri e mi sembrava un bel modo per continuare quella ff che, per quanto io l’abbia amata e sia stata una mia decisione farla finire così, non volevo che finisse. Insomma, tutto ha una fine, però non ci sono riuscita a separarmene e l’unico modo che ho trovato per continuarla è stato questo. Detto ciò, non posso che dispiacermene, ma non sei l’unica persona che segue questa storia e so che a molti piace e ci si sono affezionati; è la tua opinione e la rispetto, ma penso di saper bene che cosa fare, senza pensarci nemmeno tanto: la continuerò, senza ombra di dubbio. Per me, per le persone già citate e per – chissà, io lo spero sempre – altre che arriveranno. Ti ringrazio comunque per il tempo che hai dedicato a questa ff e per esserti affezionata a Nothing.

Utopy : Ciao Mondddddd *-* Quanto tempo che non ci sentiamo, eh? xD Spero che questo capitolo ti tiri un po’ su di morale dalla brutta giornata, anche se non è dei più felici u.u Grazie per tutto! Ti voglio tantissimo bene assaiii, tua Sonne.

E anche chi ha inserito questa storia fra le preferite, le seguite, le ricordate e chi legge soltanto! ^-^
Grazie di cuore a tutti, a venerdì! Vostra,

_Pulse_

Momento spam xD
Vi ricordo che potete ancora votare – fino al 30 aprile! – questa storia, o meglio i suoi personaggi, per il concorso ‘Storia coi migliori personaggi originali’! È semplice, basta cliccare il link sotto il nome del capitolo! Grazie a tutti per il supporto *-*

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Capitolo 13
*** Not infallible ***


13. Not infallible

Strinse i pugni e soffocò un grido nel cuscino. Senza riuscire ad arrestarle, alcune lacrime le tracciarono il viso e si trovò a singhiozzare, completamente indifesa e disarmata.

Aveva ricevuti molti «No» nella sua vita, non ne aveva mai fatto un dramma vero e proprio, si limitava ad incassare i colpi e a soffrire in silenzio, ma… non si era mai sentita così prigioniera di se stessa. Cercava di resistere alla voglia irrefrenabile di vederlo, di combatterla, di dire lei «No» per una volta: non voleva assecondare la parte cattiva di lei, sapeva che se avesse ceduto anche solo un momento ne avrebbe approfittato e avrebbe fatto di lei tutto quello che voleva. Inoltre, sapeva che, lasciandosi controllare, non si sarebbe resa conto del male che avrebbe potuto causare a Tom.

«Tom», singhiozzò, stringendo ancora più forte il cuscino sotto la sua faccia. «Tom, Tom, Tom… Non voglio farti del male, eppure…»

Si alzò di scatto dal letto, seppure rigida, e passò di fronte allo specchio, di fronte al quale non si fermò: non voleva vedersi debole, non voleva vedere quella parte di lei che odiava, non voleva vedere quegli occhi rossi… Aveva fallito.

«Io devo vederti.»

***

Aprì gli occhi e venne travolto dalle immagini e dalle parole della serata precedente, grazie alle quali si rese conto per la seconda dura volta di ciò che aveva fatto: non era stato solo un brutto sogno, bensì la realtà.

Sentì una sgradevole sensazione salirgli su per la gola, così intensa che dovette alzarsi e caracollare in bagno, dove si piegò a vomitare tutto ciò che aveva ingerito ventiquattr’ore prima.

«Ehi Tom, tutto ok?», gli chiese Franky, nascondendo magistralmente la nota d’ansia che traspariva dalla sua voce. Si inginocchiò al suo fianco e gli fece aria con un’ala, mentre gli teneva la fronte con la mano.

«Ti pare che sia tutto ok?», sfiatò, passandosi un braccio sugli occhi, che iniziavano a pizzicargli, e non togliendolo più: odiava farsi vedere debole, nonostante al suo fianco ci fosse solo Franky, un angelo che poteva comprendere benissimo ogni suo stato d’animo.
«Ho ucciso una persona, come… come potrebbe essere tutto ok?», gli sfuggì un singulto che gli fece male alla gola. «La colpa è mia, solo mia. Sono un assassino! Uno schifosissimo assassino.»

«No, Tom tu non sei un assassino; non l’hai uccisa tu, non ne hai nessuna colpa», gli disse prendendogli la spalla, ma Tom reagì istericamente e gridò, spostandosi da lui e premendosi forte le mani sulle orecchie, scuotendo la testa. Lacrime ardenti gli bruciavano il viso stanco e pallido.

«Tom, ti prego, non fare così», cercò di calmarlo, avvicinandosi, ma tutto ciò che ottenne furono altre grida disperate, insieme a singhiozzi che gli laceravano il petto.
«Tom, ti scongiuro!», gridò più forte di lui, afferrandogli le spalle. Il chitarrista si ammutolì, piangendo in silenzio, le labbra arricciate in una smorfia. Si lasciò scuotere senza protestare: sembrava l’involucro vuoto di un qualcosa che lo aveva abbandonato, ormai da buttare.
«Tom, ascoltami bene», riprese serio Franky, cercando di guardarlo in faccia. Gli tirò su il mento e guardò le sue guance irritate dal sale delle lacrime, i suoi occhi chiusi con forza. «Apri gli occhi, guardami.» Tom rimase immobile per qualche secondo, un pesante silenzio li avvolse, poi si decise a fare come gli aveva detto: li aprì piano, spaventato, e ricambiò il suo sguardo vergognosamente.

San Pietro aveva ragione, quando diceva che sarebbe potuto impazzire… Bisogna davvero prenderlo con le pinze, non dev’essere per niente facile.

«Ti posso assicurare che la colpa non è tua, se lei è morta. La tua unica colpa è di non esserle stato accanto anche quel pizzico in più, di non aver fatto qualche domanda in più, di non averla ascoltata anche un secondo in più. È stata lei a decidere di morire. Tu avresti potuto fare qualcosa, è vero, ma… ormai non si può fare più niente. Non si torna indietro e il passato, purtroppo, è incancellabile. Ora, se vuoi davvero riscattarti, farti perdonare e perdonare te stesso, l’unica cosa che puoi fare è aiutarmi… aiutarla. Solo tu puoi farlo. Solo tu puoi liberarla e tu… vuoi farlo, non è così?» Non attese la sua risposta affermativa, l’aveva già letta nei suoi pensieri. «E allora alzati, sii forte, stare a piangere è inutile e, inoltre, è disdicevole per Tom Kaulitz», accennò un sorriso e si tirò su, porgendogli la mano.

Tom tirò su col naso e, anche se incerto, l’afferrò.

Per quanto si potesse sentire inutile e colpevole e desideroso di crogiolarsi nella sua vergogna, nel suo dolore, doveva aiutarla. Doveva farlo, doveva provarci e doveva anche riuscirci, ma da solo… da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile. Oltre tutto, come aveva detto Franky, piangere non avrebbe migliorato la situazione.

«Un’altra cosa, Tom…»

Alzò lo sguardo e lo osservò: rimase quasi folgorato dal bel sorriso che Franky gli stava rivolgendo, quando ancora le loro mani erano unite.

«Jole non è arrabbiata con te. Cioè… sì, però… Uff, è troppo complicato da spiegarti ora. Comunque… Nonostante tu non l’abbia mai corrisposta, lei ancora ti ama», piegò la testa di lato, angelico.

«Dimmi che cosa devo fare per aiutarla», tremolò, gli occhi rossi e di nuovo lucidi.

«Ti spiegherò tutto dopo, con più calma. Io devo fare una telefonata. Tu intanto cerca di rilassarti e non ti preoccupare, ci sono io al tuo fianco e ci resterò fin quando tu lo vorrai, sempre se Zoe me lo permetterà», gli fece l’occhiolino e gli diede una pacca sulla spalla. «Hai un aspetto pessimo, lasciatelo dire. Ti consiglio di farti una doccia. Se mi cerchi, sono in camera di Bill.»

«Ok», soffiò guardandolo aprire la porta del bagno, come se davvero per lui fosse necessario. «Franky.» L’angelo si girò e lo guardò incuriosito. «Grazie. Grazie di tutto.»

«Prego, Kaulitz», ridacchiò. Alzò la mano in segno di saluto e sparì.

***

Entrò nella camera di Bill e lo trovò ancora addormentato, le lenzuola stropicciate che toccavano terra. Sembrava un bambino, con quell’espressione beata!

Sogghignò e andò in bagno, prese un asciugamano e lo inzuppò d’acqua gelata, poi tornò in camera, senza badare alle gocce sulla moquette. Diventò invisibile e iniziò a muoverlo in aria, verso Bill, che solo dopo qualche secondo si accorse degli schizzi d’acqua che lo bagnavano.

Questo aprì gli occhi infastidito e confuso e si guardò intorno per capire quello che succedeva. Stava per tornare a dormire, dandosi dello stupido. Non può piovere in camera! si era detto, quando si accorse di un piccolo particolare: un asciugamano zuppo d’acqua galleggiava nell’aria ed era proprio quello che lo stava schizzando. Sgranò gli occhi e si portò le mani alla bocca, impaurito. Avrebbe voluto gridare, ma che figura ci avrebbe fatto se fosse stato solo frutto della sua fantasia per il mancato riposo di quei giorni?

«Un asciugamano fantasma!», gridò a mezza voce, agitandosi, incerto sul da farsi.

Una risata argentina lo destò dai suoi pensieri e lo fece sobbalzare. Girò il viso proprio verso l’asciugamano e si strinse le gambe al petto: che fosse anche un asciugamano parlante!?

La figura di Franky apparve lentamente, dalla testa ai piedi, facendo scattare in Bill un moto di rabbia ma anche di vergogna: come aveva fatto a non pensarci prima?!

«Oh mio Dio!», si piegò in due dalle risate, le lacrime agli occhi. «È stato divertentissimo, tu non puoi capire!»

«Molto divertente, Franky», bofonchiò offeso, incrociando le braccia al petto.

«Scusa Bill, non prendertela», disse facendo un passo in avanti, tenendosi la pancia con una mano e tentando di trattenere le risa, il viso arrossato. «Ma è stato più forte di me! È una vita che volevo farlo! E ne è valsa veramente la pena, avresti dovuto vederti!»

Bill tentò di resistere, ma i suoi occhi ridenti e le sue labbra che si arricciarono in un sorriso contro la sua volontà lo tradirono. Guardò Franky e scoppiò a ridere, stendendosi di nuovo sul letto con le braccia aperte.

«Come mai qui a quest’ora?», gli chiese dopo qualche minuto di silenzio.

«Ahm… Devo chiederti un favore.»

«Che tipo di favore?», si tirò sui gomiti e sollevò il sopracciglio.

«Niente di che, dovresti solo chiamare Zoe», si stampò un sorriso a trentadue denti sul viso.

«Chiamare… Zoe?», Bill diventò bordeaux, gli occhi leggermente sgranati dalla sorpresa. «Alla faccia del Niente di che

«Su, che sarà mai!», sbuffò, sedendosi al suo fianco. «Devi solo dirle che io mi fermo qui ancora per un po’! Anzi, è quasi un giorno che sono sparito… Là dovrebbero essere le cinque di pomeriggio!»

«Giusto, il fuso orario. Va bene, se insisti tanto la chiamo.»

«Oh, sarà un enorme sforzo per te! Anche a te fa piacere sentirla, è inutile che fingi con me. Ti ho detto che fino ad un certo punto non mi dà fastidio, non devi trattenerti.»

«Ok, come preferisci.» Saltò giù dal letto e corse alla sua borsa, dalla quale estrasse il cellulare. Digitò freneticamente il numero di Zoe e se lo portò all’orecchio, guardato da un Franky divertito e con un sorriso che sapeva tanto di amaro sul volto.

«Pronto, Bill!», rispose squillante Zoe.

«Ciao! Come stai?»

«Tutto bene! Tu, ti sei appena svegliato, immagino!»

«Sì, mi ha svegliato Franky! Quello stupido…», lo guardò e rise in silenzio. «Anzi, ha voluto che ti chiamassi perché dice che starà qui ancora per un po’.»

«Nessun problema!», la vide quasi sorridere e quella sua risposta fece insospettire entrambi, che corrugarono la fronte all’unisono.

«Come mai sei così felice?»

«Sono anche io qui!»

«In… in che senso sei anche tu qui?», sgranò gli occhi e Franky schizzò in piedi, una luce strana negli occhi.

«David doveva raggiungervi, così mi ha chiesto se volevo venire e io ho detto di sì, ovviamente! Visto che quest’estate non andrò in vacanza, almeno posso passare qualche giorno a Los Angeles con voi!», spiegò euforica. «Siamo partiti stamattina.»

«Oh, wow! È una figata!», sorrise. Stava per dire a Zoe di aspettare un attimo perché doveva spiegare a Franky, ma lui mosse la mano, sussurrando che aveva già sentito.

«Chiedile se dovete andarla a prendere all’aeroporto, no?», aggiunse.

«Ah, sì. Zoe, dobbiamo venirti a prendere all’aeroporto?»

«Ahm… no, David dice di no. Grazie comunque. Allora ci vediamo tra poco!»

«Va bene, a tra poco!», la salutò e pose fine alla chiamata, tornando con lo sguardo su Franky, pensieroso e con lo sguardo assorto rivolto verso la finestra.
«Qualcosa non va?», gli chiese titubante.

«No, niente. Solo che dovrò rivedere zio David e… non sarà facile.»

«Già, chissà che reazione avrà lui vedendoti di nuovo», disse meditabondo, una mano sul mento.

«Non avrà nessuna reazione», rispose risoluto, tanto che Bill si sentì quasi ferito, oltre che smarrito: che cosa voleva dire con quelle parole?
«Vuol dire che non mi vedrà di nuovo.»

«Come?», strabuzzò gli occhi. Aveva sentito bene?

«È meglio così, Bill, fidati», annuì, anche se intristito.

«Non ci posso credere! Lui è tuo zio, lui… lui ha sofferto tanto, quando… Insomma, perché non dovresti farti vedere?!»

«Prova a immaginare, Bill», Franky gli schioccò un’occhiataccia. «Non dico che sia vecchio, ma ha una certa età ed è regola che una persona, più va avanti con gli anni, più smette di credere alle cose impossibili. Perché i bambini hanno tanta fantasia? I bambini credono, sono ingenui. Crescendo, si perde questa ingenuità e…»

«Vuoi dire che le persone più adulte non possono vederti?»

«Esatto, è così, per quanto possa sembrare triste. Voi ancora siete giovani, è per questo che siete riusciti a vedermi e un po’ di quel lato bambinesco c’è ancora dentro di voi, soprattutto dentro di te», sorrise. «Ma è un altro discorso. Quello che voglio dire, è che… anche se riuscisse a vedermi, non riuscirebbe ad accettare la mia esistenza, oltre al fatto che starebbe male.»

«Io non sono d’accordo. Chi ha inventato questa stupida regola dell’età? Si è tutti un po’ bambini e se le cose si vogliono, ci si può credere!»

«Bill, sei troppo per i lieto fine, tu. Fidati di me, è meglio che non mi veda. Sarà meglio per tutti.» Bill provò a ribattere ancora una volta, ma l’angelo lo precedette: «Non provarci nemmeno. La mia decisione l’ho già presa ed è irremovibile, ok? Ora basta discutere di questo, tra un po’ arriveranno e vorrei che foste presentabili. Almeno voi.»

«Va bene», sospirò spazientito, prendendo dei vestiti dalla valigia aperta per terra. «Ma sappi che io…»

«Non sei d’accordo, sì, ok, ho capito! Quanto sei testardo!», gridò portandosi le mani ai fianchi. Poi un sorriso sereno gli illuminò il volto: «È bello essere di nuovo a casa.»

***

«Ragazzi!», gridò Zoe aprendo le braccia e correndo verso di loro, il borsone che le sbatteva sul fianco rallentandola. Saltò in braccio a Georg e Gustav che ebbero la prontezza di prenderla al volo e rise, portando un po’ di aria fresca nel clima di tensione che si respirava.
«Mi siete mancati tanto!», continuò, passando a salutare Bill con un abbraccio e lo stesso fece con Tom, avvolgendogli le braccia introno al collo e baciandogli la guancia, in punta di piedi.

Notò il suo viso pallido e stanco, i suoi occhi velati da uno strato di malinconia, erano come spenti, e capì che doveva essere per forza successo qualcosa nelle ore in cui erano stati distanti. Si voltò verso Franky, silenzioso al fianco del chitarrista, e stava per chiedergli che cosa fosse successo, ma lui l’azzittì con un gesto della mano, che poi si portò alla bocca in segno di silenzio.

“Che cosa hai combinato, Franky?”, gli chiese la ragazza col pensiero, mentre David scambiava i convenevoli con i Tokio Hotel.

“Niente, ho solo parlato con Tom”, rispose l’angelo sollevando le spalle.

“Cavolo! È messo peggio di prima! Che cosa vi siete detti?”

“Ti spiegherò, ora non è il momento.”

“Ah, a proposito, perché dovrei stare zitta?”

“Perché David non può vedermi e ti prenderebbe per pazza, se parlassi con me come se fosse tutto normale.”

“Non può vederti? In che senso?”

«Zoe, che cosa stai fissando?», chiese proprio lui, portandole una mano sulla spalla per girarla e guardarla negli occhi.

«No, niente», fece un sorriso forzato e si strinse di nuovo a Tom, che la cullò fra le sue braccia, continuando però a tenere lo sguardo basso, come se si vergognasse.

Franky fece un respiro profondo, mentre i ragazzi parlavano con David per far sembrare tutto normale, proprio come se lui non ci fosse, e si avvicinò a suo zio. Ad ogni passo che diminuiva la distanza tra loro sentiva aumentare quel groppo in gola.

Era una strana sensazione sapere di poter essere visti da alcune persone e da altre no, anche se l’affetto era lo stesso per entrambe. Forse Bill aveva ragione, forse doveva provarci, ma… ne valeva davvero la pena? E se non fosse andata come doveva? Era talmente strana ed angosciosa, quella situazione, che stava seriamente pensando che forse era stato meglio essere visto ed essere temuto, piuttosto che non essere visto, come se non esistesse.

Ad un passo da lui, trattenne le lacrime e lo guardò sorridere ai ragazzi che invece lo stavano facendo nervosamente, riuscendo a capire lo stato d’animo di Franky. Gli appoggiò una mano sul braccio e poi non resistette: lo abbracciò per un fianco, stringendolo forte senza essere percepito, lasciando che qualche lacrima sfuggisse al suo controllo.

“Ne vale davvero la pena, Franky? Ti stai facendo del male e ne faresti anche a lui, se sapesse che sei tu a non volerti far vedere. Di che hai paura?”, pensò in tono canzonatorio Bill: ormai sapeva che Franky era sempre collegato alle loro teste, sapeva che l’avrebbe sentito.

“Ne abbiamo già parlato, non continuare ad insistere!”, tuonò, staccandosi ed asciugandosi le lacrime dal viso.

«Ok, come vuoi», sbuffò a mezza voce, muovendo la mano.

«Davvero Bill mi accompagneresti a vedere l’arena nella quale suonerete stasera? Grazie!», esclamò David contento; Franky sghignazzò indicandolo.

“Ti sta bene!”

“Ma stai zitto”, pensò irritato, reprimendo la voglia di gridarglielo in faccia.

Dopo aver salutato gli altri, David si portò via Bill, d’umore nero per ciò che era riuscito a combinargli Franky in una sola mattinata. Gustav, Georg, Tom, Zoe e Franky si guardarono negli occhi, indecisi se parlare ad alta voce oppure no.

«Che ne dite di fare una passeggiata sulla spiaggia?», chiese Gustav. «Tanto non abbiamo nient’altro da fare.»

«Per te va bene, Zoe?», le chiese il bassista.

«Sì! È un’idea fantastica! Vado a mettermi qualcosa d’adatto e arrivo subito!», sorrise solare e corse su per le scale con il borsone al seguito.

Franky la guardò con un’espressione serena in volto e poi si girò verso Tom, ancora incupito. Gli posò una mano sulla spalla e incrociò il proprio sguardo con il suo: «Come va?»

Lui alzò le spalle, muovendo la testa sconsolato: sembrava proprio giù di morale, forse un po’ di sole e dell’aria fresca erano giusto quello di cui aveva bisogno per distrarsi e pensare ad altro.

***

«L’acqua è calda!», esclamò correndo verso di loro, sorridente. «Chi viene con me a fare il bagno?» Li guardò tutti in faccia e dovette arrendersi all’idea che nessuno sarebbe andato con lei: Gustav e Georg erano sdraiati sulla sabbia con gli occhiali da sole sul viso, Tom era in una fase depressiva che la preoccupava alquanto e Franky… beh, Franky era la sua ombra ormai, ovunque andava Tom, lui lo seguiva in silenzio.

Si mise seduta al suo fianco, dalla parte opposta a Franky, e si appoggiò alla sua spalla con la testa, sospirando: «Mi spiegate che cos’è successo?»

Tom guardò l’angelo, in cerca di una risposta. Lui sollevò le spalle, facendogli intendere che la scelta era sua, se dirglielo oppure no. Era pronto per farlo? Per ammettere i suoi errori e accettarne le conseguenze? Sapeva che probabilmente Zoe non si sarebbe arrabbiata, però… quella paura gli graffiava il petto come poche cose nella sua vita avevano fatto.

«Niente, sono solo parecchio stanco», mugugnò.

«Certo Tom, come se non lo capissi che mi stai mentendo. Che mi nascondete?»

«Non ne vuole parlare ora, lascialo stare», lo difese Franky, appoggiando i gomiti alla sabbia e chiudendo gli occhi al sole splendente. Zoe ne rimase sorpresa, tanto che dischiuse la bocca.

«Prima eri incazzatissimo con lui, non volevi nemmeno parlarci; ora avete parlato, lui è depresso e tu lo difendi? Dovete assolutamente raccontarmi tutto.»

«Non ora Zoe, non è il momento», strinse gli occhi, ponendo fine alla discussione.

«Che palle, ti senti tanto superiore ora che sei un angelo?», non riuscì a resistere ed iniziò a diventare rossa, come sempre quand’era arrabbiata.

«Superiore? Non dire fesserie, Zoe.»

«E allora perché nascondermi le cose?!»

«Non ti stiamo nascondendo niente, ok? Ti abbiamo solo detto che non è né il momento né il luogo adatto, tutto qui! Io, superiore», sbuffò. «Non so se ti rendi conto che io sono morto. Sembra che io sia tornato da una vacanza e tutto sia tornato come prima. Ma no, Zoe. Sarei stato più felice se fosse stato così.»

«Sai che non volevo dire questo», soffiò con gli occhi lucidi.

Franky ebbe un sussulto: forse aveva esagerato, non doveva dire quelle cose. Zoe sapeva bene che era morto, aveva sofferto tantissimo, e si comportava così solo perché odiava quando le si tenevano nascoste le cose; in più, doveva ancora abituarsi all’idea di riaverlo lì, e non sapeva bene come comportarsi.

«Scusa Zoe, non volevo dire quello che ho detto. Mi sono lasciato trascinare, perché sono molto stanco anch’io. Sono stati giorni intensi, ma tutto si risolverà per il meglio», sorrise allungandosi per accarezzarle una guancia con il pollice. «E lo stesso vale per te, Tom», gli diede un pugno sulla spalla. «Pensa a rilassarti, ne hai parecchio bisogno.»

«Io… io non so se ce la faccio…», mormorò. Franky si accinse a rispondere, ma un rumore sordo in lontananza lo fece scattare in piedi.

«Che è successo?», chiese Georg sollevando il viso, come Gustav, nel chiasso delle persone che si giravano verso gli edifici subito dopo la spiaggia.

«Quello è fumo, no?», chiese Zoe coprendosi gli occhi infastiditi dal sole con una mano, per osservare meglio la nuvola nera che saliva lenta verso il cielo limpido.

«Si direbbe proprio di sì», constatò Gustav e tutti si girarono verso Franky, che tratteneva il respiro, gli occhi spalancati e il corpo rigido.

«Che cos’è successo?», chiese Tom.

«C’è stata un’esplosione, un incendio in… in un hotel, sì è proprio un hotel.» I suoi occhi ripresero vivacità, come se fossero stati scollegati per un attimo, e li guardò in viso: «Un angelo ha lanciato una richiesta d’aiuto, io devo andare.»

«Che cosa? No, Franky, è pericoloso!», tentò di fermarlo Zoe, ma lui non l’ascoltò e fece di testa sua. In un attimo aprì le ali e schizzò in direzione dell’hotel, più veloce che poté.

Arrivò di fronte all’edificio, alto ma non troppo, e vide un nugolo di folla composta dalla gente fatta evacuare dall’hotel e dai passanti: alcune persone piangevano e si disperavano per i familiari intrappolati fra le fiamme che prendevano almeno gli ultimi tre piani; alcune gridavano; alcune chiamavano casa per spiegare l’accaduto. Arrivarono anche due camion dei pompieri a sirene spiegate, insieme ad alcune vetture di polizia, alle quali si affiancò poco più tardi il furgone della CNN, arrivata a documentarsi per mandare la notizia nel notiziario del primo pomeriggio.

«Ehi!» Si girò di scatto e si trovò di fronte ad un altro angelo, ansioso in volto. Era lui che aveva lanciato la richiesta d’aiuto?
«Sì, sono io!», rispose ancor prima che potesse fargli la domanda. Franky annuì, avrebbe dovuto saperlo che anche lui sapeva leggere nel pensiero. «La mia protetta è intrappolata in quest’edificio, ma ci sono troppe persone in pericolo! Ho bisogno del tuo aiuto, o sarà una strage.»

«Va bene, certo», rispose senza esitazioni.
La sua vita ormai era proteggere le persone, non poteva starsene con le mani in mano di fronte ad una simile quantità di innocenti che stavano rischiando la vita, non l’avrebbe mai sopportato.

L’angelo annuì e corse verso i pompieri che stavano per intervenire, entrò in uno di essi e Franky fece lo stesso. Una volta preso pienamente possesso del nuovo corpo, fece un respiro profondo e seguì il compagno che era già entrato. Riusciva a sentire ogni suo pensiero, erano più che altro d’ansia, quasi irrazionali; provava sensazioni forti, tanto che intaccarono anche lui: essere preoccupati per il proprio protetto era orribile, soprattutto sapendo di avere poco tempo per salvarlo. La paura di perderlo, di fallire, era enorme, quasi insopportabile, e dovette sforzarsi per isolarsi dai suoi pensieri e non provare le stesse opprimenti emozioni.

Salì le scale di corsa, l’ossigeno era sempre più raro man mano che avanzava e faceva caldo: il fuoco gli bruciava la gola e sentiva rivoli di sudore scendergli sulla fronte e sulla schiena. Si fece forza, resistendo nella sua tuta, e spinse l’uomo ad andare avanti, cercando gente fra le mura che cadevano a pezzi per l’azione del fuoco e il fumo che si stava sempre di più addensando, togliendogli il respiro.

«Forza, ce la posso fare», si disse e scoprì che la sua voce era grave, tanto che rimase sorpreso dal cambiamento per un attimo.

“L’hai trovata?”, gli chiese mentalmente l’angelo, sempre più preoccupato.

“No, qui non c’è nessuno, accidenti! Tu come sei messo?”

“Niente. Continuiamo a cercare!”

Franky annuì e continuò ad ispezionare il piano, tossendo ad ogni sbuffo di calore provocato dalla caduta di parti di muro. Sentì dei deboli segni vitali al di là di una porta e l’aprì con un colpo sordo, trovando la stanza ancora più torrida del normale. Stesa a terra c’era una donna, non era la protetta dell’altro angelo, ma era una vita che poteva essere ancora salvata.

“Ho trovato qualcuno!”, gli comunicò.

“La bambina?”

“Qui non c’è.”

Si avvicinò alla donna e la tirò su, sussurrandole parole di conforto anche se dubitava riuscisse a sentirlo: «Tieni duro, ce la farai.»

La prese fra le braccia, ringraziando Dio di essere entrato in un pompiere con una tale forza di resistenza, e uscì fuori da quella stanza per un pelo: ancora un secondo e sarebbe rimasto bloccato nella camera a causa degli stipiti della porta che erano caduti in un boato bloccandone l’accesso.

“Ehi, l’hai trovata?” provò ancora a chiedere mentre continuava a scendere cautamente le scale.

Non ricevette alcuna risposta e un brivido gli attraversò la schiena, obbligandolo a fermarsi e a fissare un’altra porta che prima aveva superato perché non aveva sentito provenire dall’interno nessun segno vitale. Guardò la donna fra le sue braccia e dovette prendere una decisione che non avrebbe mai voluto trovarsi ad affrontare: rischiare la vita di quella donna per salvarne un’altra oppure salvarla e lasciare l’altra vita, ancora più debole, alla sua fine?

Con un grugnito sfondò la porta prendendola a calci e perquisì la stanza con lo sguardo, fino a quando non vide un bambino che non doveva avere più di dieci anni, abbracciato alla sua mamma. Corse in loro soccorso ma con una grande tristezza nel cuore scoprì che per la donna non c’era più niente da fare: era stata schiacciata da una parte di soffitto che era caduta; aveva protetto il figlio sacrificando la propria vita, come avrebbe fatto ogni madre.

Prese il bambino e lo appoggiò al corpo dell’altra donna, li tirò su con fatica ma ci riuscì. Doveva farcela, anche se il tempo era contro di lui e anche i suoi polmoni iniziavano ad arrancare, assieme alla sua vista sempre più offuscata.

Provò a ricontattare l’angelo, ma non ebbe, per l’ennesima volta, nessuna risposta, tanto che temette per la vita del pompiere che aveva posseduto.

Strinse i denti e con un ultimo sforzo raggiunse i piani in cui l’incendio non si era ancora espanso, dove un gruppo di paramedici intervenì ed iniziò ad occuparsi dei due sopravvissuti per strapparli alla morte.

Franky era esausto, non aveva mai vissuto così intensamente tante emozioni e non vedeva l’ora di chiudere gli occhi e di risposarsi un po’.

«Ce l’hai fatta! Sei stato grande, hai fatto un miracolo», disse una voce, mise a fuoco il viso sporco di fronte a lui e capì che si trattava di un altro pompiere che gli stava facendo i complimenti, mentre un altro lo stava sorreggendo, aiutandolo a camminare.

«La donna e il bambino si riprenderanno. Ora è meglio se ti riposi, però.»

Annuì e fece appena in tempo a tirarsi fuori dal corpo del pompiere, che chiuse gli occhi sopraffatto dalla fatica. L’angelo barcollò al fianco dei tre pompieri e guardò l’uomo in cui era entrato respirare ossigeno puro e riprendere colore in viso, anche se non accennava ad aprire gli occhi.
Franky se li strofinò: si sentiva stanco, ma non come quando si trovava nel suo corpo. Ora che era solo ed esclusivamente se stesso, sentiva solo la stanchezza di aver dovuto possedere un corpo per così tanto tempo, oltre che la normale stanchezza psicologica.

Sentì un urlo straziante di cui nessun altro parve accorgersi e si girò di scatto verso sinistra. Ciò che vide lo ferì nel profondo, gli si strinse un nodo in gola, iniziarono a bruciargli gli occhi e non ebbe la forza di muovere un muscolo per diversi istanti. Rimase fermo immobile a guardare l’angelo che aveva cercato disperatamente la sua protetta fra le fiamme, piegato su una bambina dai capelli ricci, un visetto dolce e sporco di cenere, ma pallido. I paramedici scossero la testa, decretando la sua morte, e si allontanarono: non c'era più niente da fare per lei, li aveva abbandonati.

«No! Non può essere vero! No, ti prego!», continuò a gridare l’angelo, piangendo lacrime taglienti, stringendo convulsamente le braccia della piccola.

Franky allora si riscosse e andò da lui, si inginocchiò al suo fianco e gli tolse le mani dal suo gracile corpo, con delicatezza gli prese la testa e la fece appoggiare alla sua spalla:
«Nemmeno noi angeli siamo infallibili.»

[I know that nothing lasts forever,
we journey once, then no more never]

***

Erano tutti nella stanza di Bill, non a caso la più grande, che guardavano il notiziario della sera. Ormai la notizia dell’esplosione aveva fatto il giro di tutti i telegiornali americani e la stima dei danni e dei morti, soprattutto, era altissima.

Era stato intervistato anche il pompiere che aveva posseduto Franky, che era riuscito a salvare la vita di una donna e di un bambino di nove anni, ed era stato chiamato molte volte “angelo”, manco a farlo apposta, perché aveva fatto un vero e proprio miracolo.

«Cavolo, Franky. È pazzesco», mormorò Bill, guardando le immagini dell’hotel per metà raso al suolo dalle fiamme.

«Sì, ma hai rischiato grosso! Mi hai fatto preoccupare tantissimo!», gridò Zoe, girandosi e osservando la schiena alla quale erano saldate le ali di Franky, seduto sul parapetto della terrazza, lo sguardo vacuo rivolto verso la città sottostante al cielo blu della notte.

Zoe chiuse la bocca, amareggiata, e guardò Tom alzarsi e raggiungerlo, chiudendosi le porte a vetro alle spalle, in modo tale che gli altri non sentissero. Si appoggiò con le braccia al muretto e guardò il suo profilo illuminato dalla luce della luna: era spento, pensieroso e malinconico.

«Non ti rendi conto di tutte le vite che si spengono ingiustamente fino a quando non te le ritrovi di fronte. Io potevo salvare altre persone. Troppa gente innocente è morta e io sono qui, macchiato del loro sangue», disse senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte, mentre dai suoi occhi scendevano tiepide lacrime che gli rigavano le guance. «Avrei potuto fare qualcosa.»

«Sì, forse avresti potuto», mormorò Tom stringendo il collo nelle spalle. Franky si voltò a guardarlo, le labbra strette, e lui incatenò lo sguardo con il suo: «Però ormai non si può fare più niente. Non si torna indietro e il passato, purtroppo, è incancellabile. Non è colpa tua se quelle persone sono morte, tu hai fatto del tuo meglio. Sii forte, stare a piangere è inutile e, inoltre, è disdicevole per Franky Weigel», fece un sorriso per ricambiare quello appena accennato di Franky, che scosse la testa, e gli asciugò una lacrima passandoci il dito sopra. «Non ti preoccupare, ci sono io al tuo fianco e ci resterò fin quando tu lo vorrai», concluse il discorso, molto simile a quello che gli aveva fatto l’angelo quella mattina.

«Tom.»

«Uhm?»

«Grazie. Grazie di tutto.»

«Prego, Franky», ridacchiò alzando il viso verso le stelle e gli diede una leggera spallata contro il braccio, contagiandolo.

[No, I don't want an eternal life
No, just let me be by your side
All the way]

_________________________________________

Buondì a tutti! ^-^
Capitolino un po’, come dire… pesante, ma dovevo scriverlo. È stato frutto di un ispirazione improvvisa e mi piace molto *-* Spero che sia lo stesso anche per voi!
La canzone che ho usato è All the way, di Kerli, ed è stata la mia colonna sonora mentre scrivevo. Mi sono persino commossa ç_ç

Vabbè, questo non importa a nessuno xD Passiamo ai ringraziamenti!

Utopy : Tu e le tue fantasie xDD Sono contenta che ti sia piaciuto *-* e come vedi, sono qui a postare il seguito. Non so quando tu abbia capito che questo è quel capitolo, ma spero che tu l’abbia letto tutto. Ti voglio tantissimissimo bene anch’io, Mond! *-* Tua, Sonne.

Isis 88 : Sono strafelice che tu sia riuscita a leggere questo capitolo e che ti sia piaciuto! Fai pure con calma, questa volta hai tempo fino a mercoledì xD Mi fa “piacere” che ti sia commossa!
Grazie mille, alla prossima, bacio!

Layla : Ciao! Quando ho visto la tua recensione ci sono rimasta senza parole, ma mi ha fatto veramente piacere che tu abbia letto questa storia e che la trovi carina ^^
La scelta di Franky di diventare un angelo custode è davvero molto coraggiosa, non è e non sarà facile per lui stare con Zoe e vederla con qualcun altro…
Sì, forse Zoe ce la farà a fare qualche passo verso Bill, prima o poi xD
La storia di Jole è una delle cose che preferisco, anche se amo tutta la storia in generale xD Lei ha qualcosa in più e con l’aiuto di Franky e dello stesso Tom ce la farà ^^
Sì, il rapporto fra Franky e Tom sarà sempre lo stesso, non può cambiare anche se Franky è arrabbiato con lui… davvero non ce la fa, sono due calamite quelli xD
Grazie mille per la recensione, alla prossima!

Tokietta86 : Ciao! Grazie mille *-* L’idea dei gemelli è l’unica cosa che mi è venuta in mente anche perché farli ritrovare da grandi sarebbe stato davvero complicato, anche se Franky ci sarebbe riuscito in un modo o nell’altro ;) Essere gemelli è ancora più bello, secondo me.
Per quanto riguarda Jole, invece, è davvero molto pericolosa ma lei è del tutto incosciente in quei momenti e vedremo che cosa combinerà con Tom… Franky è davvero il suo salvavita in questo momento.
Oddio, il chiarimento fra Tom e Franky è stato difficile da scrivere, soprattutto perché anche io continuavo a piangere scrivendolo xD Però posso dire che sì, ce la farà *-*
Grazie mille per tutti i complimenti, un bacio!

Ringrazio di cuore anche chi legge soltanto e chi ha messo questa ff fra le preferite, le seguite e le ricordate! *-*
A mercoledì, baci! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 14
*** Ghost's heart ***


14. Ghost’s heart

Nell’appartamento dei Tokio Hotel c’era silenzio, fin troppo.

«Qui non c’è nessuno», mormorò, guardandosi intorno nella stanza.

Respirò il suo profumo prendendo il cuscino fra le mani e per un attimo ritrovò la pace, ma all’improvviso lo scaraventò contro il muro: lo guardò scivolare a terra pietrificata, le mani che le tremavano, sotto il controllo dell’altra lei. Cercò di riprendersele, ma prima che potesse riuscirci un moto d’ira le fece bollire il sangue nelle vene ed avanzare verso la finestra, nonostante cercasse di opporsi.

«Dove sei, Tom?», chiese a bassa voce, le lacrime che le rigavano il viso. «Ho bisogno di te, aiutami…»

La parte cattiva ebbe per un attimo il sopravvento e la fece saltare giù, gridando con voce rauca e rabbiosa: «Dove sei, codardo!»

[I'm going away for a while,
but I'll be back don't try and follow me,
'cause I'll return as soon as possible]

***


L’aria che si respirava non era delle più rilassate. Per una serie di motivi, tra cui anche il concerto di quella sera. Ma quello era l’ultimo, il meno angosciante. Erano successe cose ben più sconvolgenti, in quei tre giorni che sembravano settimane, talmente erano stati intensi e stancanti.

«Franky?», bisbigliò Zoe, guardandolo con la coda dell’occhio di tanto in tanto. Lui ricambiò lo sguardo, accendendosi: si stava annoiando anche lui, di fronte a quel mortorio!

Bill andava avanti e indietro per il camerino, agitato; Tom era ricaduto in quella fase di mutismo e di depressione dalla quale non stentava a volersi riprendere; Georg era sdraiato scomposto sul divanetto, sul quale stava schiacciando un pisolino come tutte le volte in cui si sentiva nervoso; e Gustav era l’unico ancora sano, ma isolato nel suo mondo, che faceva stretching ascoltando la musica con delle grandi cuffie.

«Fai qualcosa, ti scongiuro!», spalancò le braccia, attirando l’attenzione su di sé: Gustav si coprì la bocca con la mano per nascondere un sorriso divertito, Bill invece rimase ad osservarla a lungo, finché Franky non tossicchiò, nonostante si fosse ripromesso di non mettersi in mezzo a quei due. Doveva mandare via quella maledetta gelosia ogni volta che gli si presentava come calore nelle vene, ma era più forte di lui!

Bill arrossì impercettibilmente e andò a sedersi accanto a Tom, che nemmeno sollevò lo sguardo: fissava un punto indefinito del pavimento, spento, come se lo tenesse in vita soltanto la consapevolezza di non poter lasciare lì il gemello e la sua band. Era per loro che respirava in quel momento, oltre che per Zoe. Però, poi, sapeva che lo faceva per un altro motivo: voleva vivere, voleva farlo e voleva aiutare Jole, quella ragazza che per colpa sua, anche per colpa sua, aveva deciso di porre fine alla sua esistenza.

«Cosa dovrei fare, intrattenerli ballando il tiptap?», le chiese con tanto d’occhi, poi incrociò le braccia al petto. «Fai come se non esistessi, non sono venuto qui per occuparmi di tirargli su il morale.»

«E perché sei qui, allora?», pronunciò quelle parole aspra, quasi come se fosse una sfida.

«Per proteggere te.»

«Beh, non ho bisogno di essere protetta», sventolò la mano, dandogli le spalle. «Puoi pure tornare da dove sei venuto.»

Franky la scrutò attentamente e scoppiò in una risatina sommessa, che fece alterare ancora di più la ragazza, che lo trucidò con lo sguardo.

«E ora che hai da ridere?»

«Non sai che cosa ho letto nella tua testolina… “Oh Franky, non crederci, non crederci! Non è vero! Non riuscirei a vivere nella consapevolezza di averti perso per la seconda volta!”», sogghignò, imitando la sua voce, riducendo a stridula la propria. Zoe diventò bordeaux e si alzò in piedi, correndo da lui con intenzioni tutt’altro che amichevoli.

«Punto primo, ti avevo già detto di non leggermi nella mente!» Cercò di pizzicarlo, ma l’angelo le bloccò i polsi, con espressione molto divertita: per lui era uno spasso, farla arrabbiare! Gli era sempre piaciuto anche prima, stuzzicarla e poi fare pace con lei in quattro e quattr’otto, dopo un quasi incontro di lotta libera.
«Punto due, dovevi dire i miei pensieri proprio ad alta voce?!»

«Mi piace vantarmi», ridacchiò.

«Quanto sei stupido! Anche se sei un angelo, il tuo quoziente intellettivo non è aumentato di una virgola!»

«Può darsi…», sogghignò e guardò oltre la sua spalla, vide una bottiglietta d’acqua sul tavolo e con un balzo fu accanto ad esso, la prese e l’aprì, gettandone un po’ contro a Zoe, che rimase impalata lì, con la bocca aperta e gli occhi socchiusi mentre l’acqua le scivolava sulla faccia sciogliendole il trucco nero. «Però tu sei una piccola ingrata», concluse la frase.

«Franklin Weigel», ringhiò, rossa di rabbia. «Questa me la paghi.»

«Oh-oh, si è arrabbiata sul serio», mormorò, ma lo prese come un divertimento aggiuntivo e si lasciò prendere la bottiglietta d’acqua dalle mani, incominciando a correre per tutto il camerino, distraendo i ragazzi, ai quali spuntò un sorriso sulle labbra. Persino a Tom, perso nei rimpianti di quella che non poteva nemmeno essere definita una storia.

«Franky, fermati!», gridò Zoe, furiosa. Lui si fermò, ma sparì improvvisamente, salutandola con la mano. «E ora dove ti sei cacciato!? Vieni fuori!»

«Sono qui!», gridò comparendo dietro di lei.

Zoe si girò di scatto e gli tirò l’acqua, ma purtroppo non ebbe l’effetto desiderato, infatti non bagnò Franky, lo trapassò e bagnò Tom, seduto sul divanetto alle sue spalle. Tutti rimasero con il fiato sospeso, anche Franky, che si girò e guardò il suo viso che gocciolava sulla maglietta bianca.

«Scusa, mi dispiace!», gridò stridula Zoe, mortificata. Tom alzò la testa e al contrario di quello che si aspettavano tutti, scoppiò a ridere, sorprendendoli felicemente.

«Non è niente, anzi… mi serviva proprio», disse, lanciando un’occhiatina a Franky, impietrito. «Te, tutto bene?»

«Non… non tanto», soffiò prima di sparire di nuovo alla loro vista.

Si guardarono in faccia e poi Tom si alzò sospirando, sussurrando un: «Ci penso io», prima di uscire dalla stanza alla ricerca dell’angelo.

“Franky, dove ti sei cacciato?”, provò a chiedergli con la mente, mentre percorreva i corridoi del backstage dell’arena. Mentre si avvicinava al palco, sentiva le grida aumentare sempre di più e l’adrenalina con esse, ma senza chitarra al collo si sentiva un po’ nudo, fuori posto. Stava andando lì, davanti a tutte quelle persone, ma perché? Che cos’aveva da offrire, senza il suo strumento?
Chissà se davvero le fan avrebbero apprezzato solo la sua presenza, se l’effetto sarebbe stato lo stesso con o senza chitarra. Ogni tanto si faceva quelle domande, e ogni volta che ci pensava gli veniva il voltastomaco, sapendo che per la maggior parte di quelle non avrebbe avuto importanza se lui non avesse suonato.

“Vuoi che ti faccio da navigatore satellitare?” Venne sbalzato fuori dai suoi pensieri dalla voce scorbutica di Franky che gli rimbombò nella testa, assieme alle voci ancora più amplificate delle fan.

“Potrei sempre vantarmi di avere un navigatore satellitare incorporato nella testa!”

“Figo, mmh.”

Arrivò nella prossimità del palco e seduto su un flight case nero vide l’angelo, lo sguardo perso sulle ragazze in fibrillazione che attendevano i loro beniamini appoggiate alle transenne, gridando come delle pazze e incorando delle canzoni con gli starlight in mano.

«Eccoti», gli disse, sedendosi al suo fianco. «Che cosa ti è preso?»

«Niente», bofonchiò, senza rivolgergli uno sguardo.

«Però non vale che tu puoi leggerci nel pensiero e noi no», incrociò le braccia al petto, imbronciato, e Franky accennò un sorriso, che si spense quasi subito, quando iniziò a parlare.

«Il fatto è che, giocando con Zoe, mi ero quasi dimenticato di essere… ciò che sono; mi sono lasciato trasportare e me ne sono dimenticato», sospirò. «Ormai dovrei esserci abituato, ma in situazioni come queste è difficile. Mi dispiace per la lavata», accennò la sua faccia e la sua maglietta ancora umida.

«Non devi scusarti, lascia stare. E poi non devi fartene una colpa, se ogni tanto ti capita di dimenticarti di essere… così. Sei fin troppo bravo, secondo me. Già essere qui, con noi, è sintomo di grande forza e tu… tu sei sempre stato forte.»

«Come sei profondo questa sera. Mi sorprendi, Kaulitz», stiracchiò un sorriso e si passò una mano sulla testa, fra i capelli a spazzola.

«So esserlo anch’io, ogni tanto», ricambiò.

«Sai, un po’ cambiato ti trovo, ora che ci faccio caso», Franky arricciò il naso, osservandolo.

«Dici?», Tom guardò in basso, muovendo le gambe avanti e indietro.

«Già. Il dolore fa crescere, oltre che far male. Sembri più consapevole dei limiti, della forza e della determinazione che uno ha. Mi sbaglio?»

«No, non ti sbagli. Ho iniziato a guardare in modo diverso i comportamenti delle persone, a riflettere su cose che prima non avrei nemmeno considerato. E poi, Zoe… oh, lei mi ha insegnato tanto: ho visto come ha sofferto e come in certi momenti riuscisse a nascondere così bene tutto, tanto che a volte me ne dimenticavo anch’io.»

«Sì, sei cresciuto Kaulitz», annuì, assorto. «E penso che il concetto di “tregua”, tra noi, non possa esistere. Dal modo in cui ci parliamo, dal modo in cui ostinatamente ti difendo da tutti e da tutto… no, il mio non è un atteggiamento di semplice “tregua”.»

«Infondo noi siamo tipi da o tutto o niente», sollevò le spalle e lo guardò con la coda dell’occhio, senza trovare corrispondenza, solo il suo profilo steso dall’ombra di un sorriso.

«Il fatto è che ti odio così tanto da amarti», ridacchiò l’angelo, passandosi una mano sul viso, come rassegnato, facendo sorridere anche il chitarrista.

«Però in quei due schiaffi ci hai dato dentro, eh?»

«Ti sono rimasti i segni per due giorni!», si lasciò andare in una risata e Tom con lui. Gli piaceva come si era alleggerita l’atmosfera, non sentiva nemmeno la normale ansia pre-concerto.

«Jole mi ha chiesto di te, un po’ di tempo fa», esordì Franky, distruggendo quella pace apparente che si era creata.

È durata poco, ma ne è valsa la pena, si disse Tom sospirando.

«Mi ha chiesto anche se poteva venirti a trovare.»

«E tu, che le hai detto?», gli chiese con il cuore in gola.

«Le ho detto che è troppo pericoloso, per il momento.»

«Pericoloso?», si spaventò tanto che quasi non cadde, ma Franky lo prese per il braccio ed evitò che si rompesse l’osso del collo.

«Tutto bene, Tom?», chiese David che l’aveva visto barcollare mentre controllava gli ultimi effetti speciali con i tecnici.

«Sì, tutto ok», fece un sorriso tirato e tornò a guardare l’angelo al suo fianco, che scosse la testa.

«Purtroppo, gli Intrappolati sono definiti tali a causa del dolore che sentono dentro e dal quale non riescono a liberarsi, quindi se vedono la causa della loro sofferenza… come posso dire, è come se si trasformassero, come se andassero fuori di testa. Non uccidono, ma… la pena a cui sottopongono le persone, è tutt’altro che leggera. Io ho visto come ha ridotto suo padre e…», si interruppe. Forse non doveva dire certe cose, Tom era già sconvolto così, non era necessario che lo facesse preoccupare ancora di più.

«Che cosa gli ha fatto?», chiese con voce spezzata.

«Meglio che tu non lo sappia, infondo… Finché ci sarò io, non hai di che avere paura», gli strinse la spalla con la mano e, tastando la sua consistenza, fece un sorriso amaro: «Non è affatto bello essere trapassati, sai? È… fastidioso.»

Tom lo guardò in viso e non fece in tempo a dire altro, perché i ragazzi si avvicinarono, Georg con il basso al collo, pronti per iniziare quel concerto. Lui non si sentiva affatto preparato, non dopo quella conversazione, ma era suo dovere, quindi non obbiettò quando Zoe gli porse la chitarra timidamente, ancora dispiaciuta per l’incidente con l’acqua.

«Non ti preoccupare Sea, è tutto a posto», le fece una carezza sulla guancia e si infilò la chitarra al collo, sistemandosi il cappellino sulla fronte.

«Tutto ok?», chiese Gustav cercando lo sguardo di tutti, che più o meno convinti annuirono.

Tom, poco prima di salire sul palco buio, si avvicinò a Franky e gli disse nell’orecchio, per sovrastare il boato che era esploso al loro fianco: «Voglio incontrarla. Prima è, meglio è. E poi, con te al mio fianco, non ho di che avere paura», gli sorrise e poi si avviò.

Franky rimase sbigottito dalle sue parole, mai si sarebbe aspettato una presa di posizione del genere, non dopo quello che gli aveva detto e, soprattutto, non dopo quello che aveva saputo di aver fatto. Che quegli schiaffi morali gli fossero serviti davvero e gli avessero fatto ritrovare il coraggio che gli ricordava come caratteristica?

«Scusami, per le cose che ho detto prima. Non le pensavo sul serio.»

L'angelo si girò sorpreso e guardò Zoe, in piedi di fronte a lui, lo sguardo basso e le mani unite sul ventre, vergognosa ed intimidita dai suoi occhi.

«Ti stai scusando di… niente? Ti prego Zoe, so che non le pensavi sul serio, l’avevo capito anche senza leggerti nel pensiero», sorrise divertito e lei ricambiò imbarazzata, lasciandosi accarezzare le guance.

«Beh, non era difficile da capire», si strinse a lui, appoggiando il viso al suo petto, le braccia appoggiate al flight case così che i tecnici che andavano avanti ed indietro dietro le quinte non notassero nulla di strano nella sua posizione.

I ragazzi stavano già suonando dietro di loro e le urla erano capaci di far fischiare i timpani, tanto che si guardarono arricciando il naso.

“Meglio parlarci nel pensiero, sai?”, disse Franky, accarezzandole la schiena.

“Sì, forse sì. Se mi mettessi a gridare per parlare con qualcuno che non c’è mi prenderebbero per pazza. Anche se è ancora un po’ strano per me”, ridacchiò. “Di che dobbiamo parlare?”

“Per esempio… del fatto che io abbia parlato a Bill di te, di voi.”

“L’hai fatto sul serio?”

“Già.”

“Non ci credo… Tu sei pazzo. E che ti ha detto?”

“Era molto insicuro, penso che se gli avessi detto di starti lontano per un po’ lo avrebbe fatto.”

Per un po’?”

“Sì, per un po’ soltanto, perché… insomma, è cotto come una pera e prima o poi avrebbe ceduto.”

“Franky…”

“Dimmi.”

“Mi sento a disagio a parlare di me e di Bill con te. Cioè…”

“Figurati a me. Come dovrei sentirmi?”

“Ti dà fastidio, che Bill possa avere certi pensieri e che tu possa vederli?”, la sua voce mentale si incrinò.

“Provo a fare finta di niente, ma… sono geloso, lo sai e… sì, mi dà ancora un po’ di fastidio. È successo prima, non te ne sei accorta?”

“Ahm… no. Quando?”

“Lascia perdere. Comunque dovrò imparare a controllarmi, prima o poi. Non puoi stare in questa situazione per l’eternità, dovrete… parlarvi e decidere che cosa fare.”

“Io voglio sapere che cosa ne pensi tu, proprio tu, senza contare il fatto che vuoi solo la mia felicità e quelle cazzate varie”, si accese all’improvviso.

Cazzate varie? Zoe! Io sono quello che sono, non posso costringerti a non stare con Bill se è quello che desideri e l’idea folle che ti sta salendo in zucca è proprio come ho detto: folle. Noi due non possiamo stare insieme, fattene una ragione. E tu non puoi rimanere da sola per l’eternità per giurarmi fedeltà. Capisco fossimo sposati, fossimo stati insieme chissà quanto, però…”

“Stai dicendo che la nostra storia non è stata importante? Che non è stata abbastanza importante da poterti giurare fedeltà fino alla fine dei miei giorni?! Quanto sei scemo, Franky.”

“Non ho detto questo… Assolutamente no”, sospirò. “La nostra storia è stata importantissima, è stata la mia unica vera storia e io ti amo ancora, ma… io posso fare un giuramento di fedeltà, io che non posso più legarmi a nessuno; tu invece…”, le sollevò il viso e glielo accarezzò dolcemente, guardandola negli occhi. “Tu hai una vita davanti e io voglio che tu la viva, che tu sia felice e che tu stia con qualcuno. Perché una cosa di te l’ho capita e sono sicuro di questa: tu non puoi stare da sola, hai bisogno di qualcuno al tuo fianco.”

“Potrei avere te, se tu volessi.” I suoi occhi erano lucidi e Franky asciugò quelle lacrime prima che cadessero a rigarle le guance.

“Ancora… no, Zoe, no. Tu hai bisogno di qualcuno di vero, di qualcuno che si può prendere cura di te in tutti i sensi. Qualcuno di vivo.” Le sorrise e le stampò un bacio sulla fronte, lei tirò su col naso. “Mi prometti che parlerai con Bill? Se poi tu e solo tu non vorrai stare con lui è un altro conto, ma non devi pensare a me. Me lo prometti?”

“Te lo prometto solo se tu mi prometti che mi starai sempre accanto, anche quando e se… con Bill… Hai capito.”

“Te lo prometto.” La strinse fra le braccia e affondò il viso fra i suoi capelli, respirandone il profumo. «Ti amo, piccola», le sussurrò ad alta voce e lei annuì, ma non rispose.

«E ora godiamoci un po’ questo concerto, che ne dici?», le sorrise solare e la prese per mano, conducendola vicino al palco: dalla loro posizione si vedeva tutto, avevano i posti migliori e inoltre non erano ammassati ed erano ben nascosti.

«Sai, ho sempre voluto fare una cosa e ora posso farla», le disse, sorridendo. Zoe ricambiò lo sguardo incerta e rimase sbigottita quando lo vide raggiungere i ragazzi in mezzo al palco, che per poco non si misero a ridere per quell’entrata di scena fuori programma.

Franky si mise di fronte al pubblico, sul bordo del palco, e alzò le braccia sorridendo, come se volesse incanalare tutte quell’energia dentro di sé: era una sensazione strepitosa, da far tremare le ginocchia.
Un boato lo sorprese e vide alla sua sinistra Bill, che cantava Dark side of the sun al pubblico ormai in disibilio; alla sua destra, scoprì Tom, che si appoggiò a lui con la schiena, sorridendo beffardo.

“Che idioti”, pensò Franky. “Ma vi voglio bene.”

***

Un lieve bussare alla porta lo fece schizzare in piedi e subito si maledì per il suo stupido nervosismo. Zoe non attese la sua risposta ed entrò in camera, richiudendosi la porta alle sue spalle senza fare il minimo rumore.

«Ciao», sussurrò muovendo la mano.

«Ciao Zoe. Perché parli così a bassa voce? Io sono mezzo sordo!»

Sventolò la mano come se avesse detto una castroneria e non valesse nemmeno la pena di sprecare fiato. Si mise seduta sul letto, a gambe incrociate, e iniziò ad arricciarsi una ciocca di capelli intorno al dito, pensierosa e con un piccolo broncio in viso. Tom la fissò per alcuni istanti, ma decise di non impiegare i suoi neuroni per scoprire che cosa le frullasse nella testa: tanto non ci sarebbe mai arrivato comunque!

«Sai dov’è finito Franky?», le chiese allora, grattandosi la testa.

«Mi ha detto di dirti una cosa», Zoe si portò il dito sul mento, gli occhi rivolti al soffitto e la fronte corrugata. «Una cosa importante.»

«Che cosa?», spalancò gli occhi, raggiungendola sul letto a gattoni per guardarla in viso da vicino.

«Facciamo un gioco divertente», sogghignò e Tom venne percosso da un brivido: non prometteva nulla di buono.

«Tu mi dici la cosa che ti ha detto di dirmi Franky e poi te ne vai?», tentò sfarfallando le ciglia.

«No, un gioco ancora più divertente.»

«Non avevo dubbi», sospirò e si lasciò cadere a pancia in giù sul letto. «Che cos’ha in mente quella testolina diabolica?»

«Come credi che la prenderà Bill se gli dico che sono pronta a ricominciare?», si appoggiò alle sue spalle e lo guardò con il labbrino.

«Oh, è questo quello che ti preoccupa?» Si girò e Zoe si appoggiò a lui con la testa sul suo petto, all’altezza del cuore. Le accarezzò la schiena, immaginandosi la scena e rabbrividendo di terrore.

«Ho paura», mugugnò proprio come una bambina.

«Ne hai parlato con Franky?»

«Sì, prima che salisse sul palco in cerca della gloria perduta», ridacchiò. «È stato davvero… emozionante, ho rischiato seriamente di piangere. Sarei potuta affogare nelle mie lacrime!»

«Immagino. Non deve essere affatto semplice… Ma Bill lo sa, è consapevole di questo e credo che capirà ogni cosa che tu sceglierai. Certo, si sfogherà su di me in entrambi i casi, però… posso sopportare, fino ad un certo punto.»

«Quindi credi che sarà felice?»

«Sicuramente!», le sorrise rassicurante. «Non avere paura, andrà tutto bene.»

«Ok. Grazie Tomi», lo abbracciò stringendosi a lui come se stesse facendo le fusa.

«Sì, sì, lo so. Ora mi dici che ti ha detto di dirmi Franky?»

Zoe si mise seduta sulle ginocchia e sbuffò, tornando a guardare il soffitto: «Prima è, meglio è. L’hai detto tu. Vado e torno, preparati», disse atona, come se fosse una filastrocca imparata a memoria. «Questo ha detto.»

Tom sgranò gli occhi e aprì la bocca, incredulo: «Oh mio Dio.»

«Che cosa?», chiese lei, curiosa.

«Niente, è… è una cosa nostra! Cavolo, non pensavo mi prendesse alla lettera! Accidenti non sono pronto», si portò le unghie alla bocca, nervosamente, ma Zoe gliele allontanò subito.

«Mi vuoi spiegare che cos’è che mi nascondete, voi due?!»

«Zoe, non è per niente il momento! Vai a parlare con Bill, su!», la spinse giù dal letto e la trascinò fuori senza badare alle sue proteste.

«Mi stai sbattendo fuori?!», gli gridò, ma Tom le chiuse la porta in faccia sventolando la mano come aveva fatto lei poco prima.

Si appoggiò alla porta e sbuffò, coprendosi il volto con le mani.
Cazzo. E adesso che si fa?!

***

«Buonasera», salutò Franky entrando nell’ufficio di San Pietro, che stava sfogliando dei fascicoli con la sola luce della lampada sulla scrivania ad illuminare la stanza.

«Franky», si levò gli occhiali dal naso e gli sorrise bonario, indicandogli di sedersi sulla poltrona di fronte a lui. «Qual buon vento?»

«Ho parlato con Tom e diciamo che l’ha presa piuttosto male, però sembra si stia riprendendo: ha chiesto di vederla», spiegò nervosamente, senza sedersi sulla poltrona, solo appoggiandosi allo schienale con un braccio.

«Oh, davvero? Bene, è… è una bella cosa, dopotutto. Stai attento, Franky. Non sottovalutare la forza della parte malvagia, potrebbe prendere il sopravvento in qualsiasi momento e cogliere di sorpresa te e il tuo amico.»

«Sì, lo so. Sono parecchio agitato, infatti.»

«Già, ho notato. Ma non è solo per questo, vero?»

«In effetti, no… Vede, sono andato a cercarla e ho incontrato anche la psicologa che l’aveva in cura per alleviare la presenza della parte malvagia e –»

«Non è una psicologa, Franky», lo corresse il santo, consapevole del fatto che non lo avrebbe ascoltato nemmeno quella volta. «È un angelo specializzato e qualificato che –»

«Ha le stesse funzioni di uno psicologo, quindi non ha importanza! Quello che conta adesso è che… Jole è sparita.»

***

Bussò alla porta con lo stomaco in subbuglio: era davvero certa di ciò che stava facendo? Non era proprio necessario che ci parlasse ora, però… non le andava di prolungare oltre quella che stava diventando un’agonia. Voleva che le cose si risolvessero, in un modo o in un altro, più in fretta possibile.

«Avanti.»

Scosse la testa e si affacciò all’interno, trovando Bill con un asciugamano appoggiato alle spalle, i capelli bagnati e vestito solo dalla cintura in giù: aveva il petto nudo ed indossava un paio di pantaloni di una tuta neri che gli cadevano addosso come se fossero stati disegnati per lui.

Sono solo un paio di pantaloni! si rimproverò, ma tutto ciò che indossava Bill faceva quell’effetto agli occhi, anche un paio di calzini, per quanto potesse essere impossibile.

«Ciao», lo salutò timidamente, chiudendosi la porta alle spalle.

«Ciao Zoe», ricambiò sorridente e quasi fu un colpo al cervello, tanto che tentennò alla ricerca delle prossime parole da pronunciare.
«Come mai qui?», la precedette lui, passandosi l’asciugamano fra in capelli neri.

«Ahm… Siete stati fantastici stasera, davvero», farfugliò, gesticolando con le mani.

«Sei venuta fino a qui per dire solo questo?», sogghignò e la guardò con gli occhi brillanti. Zoe arrossì di colpo e si guardò i piedi, incrociati fra loro.

«E tu hai deciso di mettermi in imbarazzo ad ogni costo?», reagì, avanzando a grandi falcate verso di lui, facendolo arretrare di un passo: e ora, tutta la sua sicurezza dov’era finita?

«No», balbettò, inarcando il sopracciglio. «Ma tu non hai ancora risposto alla mia domanda: come mai qui?»

Zoe abbassò lo sguardo e fece un respiro profondo, grazie al quale riuscì ad inalare il suo profumo dolce che quasi la inebriò, confondendole le idee: «Ho parlato con Franky, prima, e… credo di essere pronta a ricominciare. Prima o poi dovrò farlo e visto che tu…»

«Stai cercando di dirmi che mi userai come cavia, per capire se puoi farcela oppure no?», inarcò il sopracciglio, scettico.

«No, assolutamente no, Bill», scosse la testa. «Dico solo che… potremmo provarci, insieme. Insomma, tu… tu non mi passi inosservato, non sei una semplice cavia.»

«Cioè… provi qualcosa per me anche tu?»

«Non sapevo provassi qualcosa per te stesso», ridacchiò, sollevando lo sguardo. Bill accennò un sorriso e le sue guance presero colore.

Diminuì di un passo la distanza che li divideva e Zoe avvampò quando sentì le sue mani posarsi sui suoi fianchi e il suo respiro sul viso. Ebbe la forza di guardarlo negli occhi e di spostarsi appena in tempo, schiarendosi la voce e lasciandolo sbigottito.

«Non corriamo, ora», mormorò e si liberò dalla sua stretta. Raggiunse la porta, lo guardò di sfuggita e poi uscì in corridoio, dove si passò le mani sul viso, sospirando stancamente.

Dai, non è andata poi tanto male, si disse mentre tornava in stanza da Tom per aggiornarlo. Dovrò solo trovare il coraggio di fare qualche passo, se ho detto di non correre.

***

[See, I'm trying to find my place,
but it might not be here where I feel safe
We all learn to make mistakes]

Spense la TV di fronte a lui e lanciò il telecomando dall’altra parte del letto, sbuffando. Si stava annoiando e l’ansia saliva di minuto in minuto. Dove si era cacciato Franky? Era ormai da un po’ che era andato via, sarebbe dovuto essere già lì da un pezzo!

Un rumore lo distrasse dal suo malcontento e aggrottò la fronte, rizzando le orecchie, mentre un brivido gli correva su per la schiena immobilizzandolo sul posto.

«Franky, sei tu?», sussurrò.

Il silenzio che ottenne in risposta lo fece alzare in piedi e guardarsi intorno: gli sembrava di essere in un film dell’orrore, nel punto di massima tensione in cui spuntava il killer dietro la sua vittima per farla a pezzi.
Si girò di scatto a quel pensiero e sospirò quando non vide nessuno, ma un altro rumore più forte lo fece voltare di nuovo dall’altra parte e vide una figura evanescente accanto alla finestra fino ad un attimo prima chiusa. I capelli biondo miele spostati dal vento leggero, gli occhi castani-gialli velati da uno strato di malinconia, il viso magro e delicato… La riconobbe e si spaventò, deglutendo nervosamente.

Jole era lì, di fronte a lui, e lo guardava, ma non sembrava pericolosa, tutt’altro: sembrava così docile ed indifesa, tanto che provò a dire qualcosa, forse delle scuse, forse delle rassicurazioni, forse delle parole di conforto. Di fatto aprì la bocca, ma non uscì alcun suono perché lei lo interruppe sul nascere.

«Tom», mormorò con la voce spezzata, iniziando a piangere e a tremare. «Aiuto…»

Il chitarrista si sentì soffocare, accorgendosi di non sapere assolutamente che cosa fare: non sapeva come aiutare quella ragazza, non sapeva niente; aveva solo quel magone in gola che gli rendeva difficile pure respirare.

Si rese conto che era rigida, come se stesse lottando con se stessa, come se stesse provando a resistere a qualcosa che era evidentemente più forte di lei e che voleva prendere il sopravvento. Ma lei ne era consapevole, era per quello che piangeva.

La porta si aprì all’improvviso ed entrò l’ignara Zoe, che iniziò subito a parlare a Tom in tono concitato, senza accorgersi di Jole.

«Non è il momento, Zoe», disse Tom cercando di mandarla via, spaventato a causa dello sguardo che il fantasma le stava rivolgendo, ma lei, cocciuta, non si mosse, anzi si arrabbiò:

«Mi sono stufata Tom! Dimmi subito che cosa sta succedendo!»

Lui inspirò irritato e la girò, mostrandole la ragazza di fronte a loro. La mora rimase senza fiato e si aggrappò al suo braccio, gli occhi della bionda invece presero una sfumatura rossastra che lo pietrificò sul posto: doveva aver riconosciuto la ragazza che gli stava accanto.

“Franky, dove cavolo sei finito!?”, gridò il chitarrista nella sua testa, pregando disperatamente un suo aiuto.

«Mi dispiace, Tom», disse Jole con voce grave e a quel punto ringhiò prendendosi la testa fra le mani: la trasformazione stava avvenendo sotto i suoi occhi e una volta assunto quell’aspetto feroce, con tanto di unghie lunghe ed affilate e l’agilità di un felino, balzò verso di loro.

Tom con una prontezza di riflessi che non si sarebbe mai aspettato prese Zoe fra le braccia e la difese con il proprio corpo, trascinandola con sé accovacciata ai piedi del letto, poi chiuse gli occhi, pronto a ricevere il colpo.

«NO!», gridò la voce che avrebbe riconosciuto fra un milione e si sentì un tonfo, poi un grido frustrato che lo fece girare: Franky era piombato addosso a Jole e si stavano azzuffando sul pavimento della camera, e lui sembrava avere la meglio.

«Jole! Jole, ti prego, torna in te!», le urlò in faccia, ma lei lo colpì in viso con un sonoro schiaffo, dimenandosi. L’angelo non si arrese: «Cerca di riprendere il controllo! Fallo per me! Tu non vuoi che quella prenda il possesso di te! Non vuoi che faccia del male a Tom, vero?! Combatti Jole, combatti! So che puoi farcela!»

La ragazza gridò ma parve più un grido umano, mentre piangeva travolta da quelle che davano l’impressione di essere delle convulsioni d’agonia. Franky continuò ad incoraggiarla, accarezzandole le guance e sorridendo nonostante alcune lacrime gli rigassero il viso.

Tom abbassò lo sguardo e vide gli artigli di Jole conficcati nelle sue braccia, dalle quali usciva un liquido argenteo che gli scivolava sulle mani come rivoli d’acqua. Sangue? Un conato gli salì su per la gola ma si trattenne, girandosi verso Zoe che guardava la scena scioccata, gli occhi gonfi e lucidi. L’abbracciò e nascose il suo viso nel petto, stringendola forte.

«Forza Jole, ce l’hai quasi fatta! Cacciala infondo alla tua mente, lontana, lontana… Dove non riuscirà più ad intaccare i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti. Perché tu lo ami, mi hai detto che non permetteresti mai a nessuno di fargli del male… Lotta con te stessa, con quella parte che non vuoi», le disse ancora Franky con voce bassa, respirando lentamente, le palpebre che gli si chiudevano a causa dell’enorme perdita di quel liquido. «Tu lo ami, tu ami Tom…», mormorò e la ragazza chiuse gli occhi, come se si fosse addormentata all’udire una dolce ninnananna. I suoi lineamenti si stesero e i suoi artigli si ritirarono, solo allora Franky cadde accanto a lei, senza più forze.

Tom andò da lui a quattro zampe, gli occhi umidi, e si avvicinò alle sue labbra che si muovevano per sentire che cosa volesse dire: «L’hai protetta. Bravo, Thomas.» Poi chiuse gli occhi, vinto dalla stanchezza.

Il chitarrista si voltò verso Zoe e la guardò, la raggiunse e si lasciò abbracciare forte, lasciando sfogare su di sé lacrime che più di tutte lo ferirono. Quando si fu calmata, l’appoggiò sul letto e quasi immediatamente si addormentò; accanto a lei sistemò Franky e si fermò a fissare Jole, sdraiata a terra, il viso pallido e steso in una maschera di neutralità. Cautamente si mise seduto a gambe incrociate al suo fianco e la osservò per minuti, forse per ore, fino a quando il sonno non si impossessò anche di lui e si rannicchiò al suo fianco, non dando peso alla superficie dura che gli avrebbe fatto da letto. Sentiva che per un po’ quello sarebbe stato semplicemente il suo posto.


[But now I'm told that this life
and pain is just a simple compromise
So we can get what we want out of it]

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Buoooongiornoooo :)
Giornata uggiosa qui a Milano (Diluvia, in verità ò.ò), sto tempo mi contagia, infatti sono un po’ fiacca u.u A parte questo, sto bene e sono qui a postare only for youuu *-*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è uno dei miei preferitiii *Q* Franky ha parlato con Zoe e l’ha quasi convinta a scegliere il nostro Billie, ha parlato anche con Tom e hanno discusso su Jole, che è riuscita a scovare Tom e ha fatto il casino che ha fatto, ma il nostro angioletto ha salvato la situazione, anche se ci ha rimesso un pochino. Un sacco di cose, insomma!
La canzone che ho usato è Misguided ghosts, dei Paramore.
Ringrazio di cuore le persone che hanno recensito lo scorso capitolo:

Isis 88 : Ciao! Non ti preoccupare per David, gli ho riservato qualcosa di veramente speciale :D
Più che altro, per stare con i Tokio Hotel, deve essere pazzo totalmente u.u xD
Sono contenta che ti sia piaciuta la parte dell’asciugamano fantasma, piace tanto anche a me!
Noooo, Jole non c’entraaaa xDDD Hanno fatto del loro meglio, sì u.u
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, alla prossima, baci! :)

Layla : David, vedremo… xD
In effetti, Jole è preoccupante, ora come ora, ma c’è Franky che sistema sempre tutto!
Grazie, alla prossima!

Tokietta86 : La scena dell’asciugamano fantasma è bellissima, sono fiera di me, a volte non riesco a credere che abbia scritto io certe cose xDD
Sì, Franky ha bisogno di pensarci prima di decidere se vedere suo zio David o no…
Franky e Tom sono molto legati assaii, li amo, perché si confortano sempre e comunque a vicenda *-*
Grazie mille, alla prossima! Un bacio!

Utopy : Sono contenta che tu lo abbia letto tutto, mi fa tantissimo piacere *-* La mia fedeleeeeeeeeeeeee *-*
JODI? Si chiama JOLE ahahahahahahahahah xDD Però sì, è un bel problema, anzi lo è stato! Però per fortuna c’era Franky, neeee *ç* Il mio bimbo!
Lo consoli tu Tom? xD Solo la parte sopra u.u
Grazie mille, trottolina! Ti voglio tantissimissimo bene, Mond! *____* Tua, Sonne.

E tutte quelle che hanno letto soltanto, grazie milleeee ;)
A venerdì! Con affetto, vostra,

_Pulse_

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Capitolo 15
*** Whose fault is it? ***


15. Whose fault is it?

Se non riusciva a sentire il dolore inferto dai vivi, quello inferto dai morti lo sentiva fin troppo bene e bruciava sulla pelle come fuoco vivo.

Alzò lo sguardo dai buchetti provocati dalle ferite già cicatrizzate e dal bagno guardò Tom e Zoe stesi sul letto matrimoniale, che dormivano tranquillamente, anche se lui aveva il viso stropicciato in una smorfia.

Quando Franky si era svegliato lo aveva trovato steso per terra, accanto a Jole che tutt’ora dormiva, e senza la minima fatica lo aveva portato sul letto: prima di lasciarlo così alla portata dell’Intrappolata doveva essere sicuro che riuscisse a controllarsi quel tanto che bastava per non fargli del male.

La raggiunse senza fare rumore e la trovò vigile, ma immobile: cercava di guardarsi intorno senza muovere altro a parte gli occhi aperti. Sembrava spaventata e confusa, esattamente come la prima volta in cui era stata assalita dalla parte cattiva di lei, ma al contrario di quello che si sarebbe aspettato Franky, era cosciente di essersi trasformata e furono le sue parole a confermarlo.

«Mi dispiace, mi dispiace tanto qualsiasi cosa abbia fatto. Ho ferito qualcuno?», chiese con la voce rotta da singhiozzi silenziosi, mentre le lacrime le rigavano il viso.

«Non ti preoccupare, Jole», le sorrise e le accarezzò la guancia con il pollice, asciugando le lacrime. «Non hai ferito nessuno.»

«E quei segni cosa sono?», indicò i buchi che aveva sulle maniche della giacca e le tirò su, scoprendo le cicatrici sulla sua pelle. «Oh Franky…»

«Shhh, non ti preoccupare, è tutto finito», le sussurrò e le posò un bacio sulla fronte prima di metterla seduta e di stringerla forte a sé, rassicurandola.

La sentì irrigidirsi e ne capì subito il motivo: il suo sguardo aveva trovato il corpo di Tom ancora addormentato steso sul letto, rannicchiato come un bambino, accanto a Zoe che si era da poco spostata sotto il suo mento per trovare conforto.

«Mi dispiace così tanto», singhiozzò più forte, e la sua presa su di lui si rilassò: stava riuscendo a cacciare la parte malvagia di lei lontana, come aveva fatto la sera prima.

«Sei perdonata, Jole», le massaggiò la schiena. «E io sono superorgoglioso di te: sei stata bravissima ieri sera, davvero. Ora come va? Come ti senti?» La prese per le spalle e la guardò in viso con l’accenno di un sorriso sulle labbra.

«La sento, sta cercando di uscire ma credo di essere più forte, in questo momento. Per favore, portami via da qui, non voglio che…»

«Sì, forse è meglio.»

La prese per mano e la scortò alla finestra, la fece andare per prima e poi guardò all’interno per l’ultima volta: vide Tom aprire lentamente gli occhi e fissarlo per qualche istante, cercando di stiracchiare un sorriso, che però prese una piega amara. Franky lo salutò con un cenno della mano e poi saltò, all’inseguimento di Jole che si era già avviata.

***

Aprì gli occhi e vide Franky appoggiato alla finestra che lo guardava. Non capì subito perché fosse lì, ma poi si accorse della mancanza di Jole e allora tentò di stiracchiare un sorriso per ringraziarlo, ma pensando alla sera precedente e a ciò che aveva dovuto subire per colpa sua non ci riuscì molto bene. Una sensazione di disagio e di profonda vergogna, oltre che di tristezza, lo avvolsero e guardò sparire Franky nel cielo illuminato dal sole del mattino dopo un cenno della mano nella sua direzione.

Si girò con un sospiro sofferente per il mal di schiena, causato dalle poche ore che aveva passato sul pavimento, e vide Zoe appiccicata a lui, rannicchiata in posizione fetale come a trarre conforto e sicurezza da se stessa. Non sapeva come l’aveva presa, ma doveva essere stato un brutto colpo vedere quella ragazza così arrabbiata con lui che aveva lottato e aveva ferito Franky per proteggerlo.

Le accarezzò i capelli soprappensiero e la sentì mugugnare, poi lei sollevò le palpebre e lo osservò per una frazione di secondo, fin quando i ricordi della sera precedente non si fecero spazio nella sua testa facendola spaventare e scattare seduta sul letto in direzione del punto in cui era avvenuto lo scontro tra ultraterreni.

«Dov’è Franky?», chiese con il fiatone, gli occhi che iniziavano ad inumidirsi. «E quella ragazza? Chi era? Che cosa voleva da te?»

Erano decisamente troppe domande, ma forse era il caso che Zoe sapesse. Era arrivato il momento.
«Ti ricordi di quella ragazza che continuava a mandarmi i messaggi, chiedendomi di uscire con lei… Io le ho sempre detto di no… E quella volta in cui siamo andati al centro commerciale? Beh anche lei era lì, ci ha visti insieme e ha pensato che… Insomma, io le avevo detto che ci saremmo visti e ho portato dietro te cosicché capisse che non volevo avere nulla a che fare con lei…»

«In poche parole mi hai usata per levartela dalle scatole?», sibilò incredula, gli occhi colmi di lacrime.

«Io… io…»

«Che cosa le è successo?»

«Lei… lei, ecco… Suo padre era un tipo violento e quella sera stessa si è… suicidata», abbassò lo sguardo, stringendo i pugni sulle gambe. «Scusami.»

«Non servono a niente le tue scuse e poi non devi scusarti con me.» Era fredda e Tom si sentì morire quando tentò di accarezzarle la guancia e lei cacciò via la sua mano con uno schiaffo.

Zoe scese di scatto dal letto, corse verso la porta ed uscì in mezzo al corridoio sbattendosela rumorosamente alle spalle, lasciandolo ferito e con la mano ancora a mezz’aria.

Corse disperatamente verso la camera di Bill, infondo al corridoio che in quel momento le sembrava infinitamente lungo. Aveva la vista appannata a causa delle lacrime e si passò un braccio sugli occhi, tirando su col naso.
Era scossa ed era spaventata, non sapeva dove fossero finiti Franky e quella ragazza, né cosa sarebbe successo da lì in avanti. Era quello il segreto che lui e Franky le tenevano nascosto, il motivo della depressione del chitarrista. Ora lo sapeva e poteva capire perché avessero aspettato a dirglielo.

Bussò freneticamente alla porta e Bill le aprì con una faccia molto assonnata, segno che si era appena svegliato. Quando la vide con il viso rigato dalle lacrime però spalancò gli occhi e l’avvolse con le braccia, facendola entrare nella sua stanza.

«Va tutto bene, va tutto bene», le sussurrò all’orecchio ripetutamente e Zoe sperò con tutte le sue forze che fosse vero.

***

«Avrei dovuto darti ascolto, starmene di sopra e continuare la terapia ancora per un po’, ma… è stato più forte di me, è stata lei a spingermi», si guardò i piedi, delusa dal suo stesso comportamento.

«Non fartene una colpa, prima o poi saresti dovuta scendere comunque. E poi io stesso ero venuto a prenderti ieri sera, ma tu eri già scesa da un pezzo.»

«Davvero sei salito per prendermi?», Jole lo guardò stupita e l’angelo annuì, sorridendo.

«Ho parlato di te a Tom e voleva vederti. È molto dispiaciuto per quello che ha fatto, te lo posso assicurare.»

«Hai parlato di me a… Quindi lui mi ha riconosciuta?»

«Sì, ti ha riconosciuta», le posò una mano sulla spalla e la guardò sorridere in direzione del mare che brillava sotto i raggi del sole. «Ora, che hai intenzione di fare?»

«Vorrei parlare con lui, ma non sono sicura di riuscire a farcela.»

«Ci sarò io con te.»

Jole si voltò e gli sorrise: adorava quel ragazzino e ora capiva perché fosse diventato migliore amico di Tom; era impossibile non volergli bene ed essere un angelo custode doveva essere proprio la sua vocazione, ciò a cui era sempre andato incontro inconsapevolmente.

«E se non dovessi farcela, se dovessi cedere? Non voglio farmi vedere in quello stato, non voglio farti ancora del male.»

«Ehi», Franky le sollevò il viso prendendole il mento fra le dita e la guardò negli occhi. «Non saprai mai se sei riuscita a sconfiggerla, se non provi a guardarlo negli occhi.»

«Hai ragione, io voglio saperlo, però…», accarezzò le ferite sulle sue braccia, «non me lo perdonerei mai, se dovesse succedere di nuovo.»

«Non succederà, ne sono sicuro.» Si alzò in piedi e le porse la mano, il viso illuminato dal sole e un sorriso angelico sulle labbra. «Forza, andiamo.»

Jole l’afferrò e ricambiò il sorriso. Doveva farcela quella volta, non poteva fallire. E non avrebbe fallito, se accanto a sé avesse avuto Franky.

***

«Scusa se sono piombata qui così all’improvviso senza spiegarti niente», Zoe tirò su col naso e si stropicciò gli occhi. Bill l’abbracciò da un lato e le baciò la testa, ridacchiando.

«E perché avresti dovuto spiegarmi qualcosa? Non mi interessa ciò che è successo, io voglio solo vederti sorridere.»

«Grazie Bill», gli sorrise. «Sicuro di non voler sapere che cos’è successo?»

«Uhm», si morse il labbro.

«La curiosità ti sta uccidendo», ridacchiò e lo spinse a sdraiarsi sul letto, poi si appoggiò al suo petto e si lasciò accarezzare i capelli con movimenti dolci e rilassanti, tanto che chiuse gli occhi.
«Scusami per ieri sera», gli disse senza guardarlo in viso, disegnando con l'indice cerchi immaginari sulla sua maglietta nera. «Credo che bisognerà andare a passo di lumaca, mi dispiace.»

«Non ti devi scusare e capisco, non mi dispiacerà andare a passo di lumaca: l’importante è andare, no?»

«Sì», sorrise.

«Ma… ma Franky, che cosa ti ha detto di preciso?», corrugò la fronte.

«Perché vorresti saperlo?», si girò verso di lui, una scintilla divertita negli occhi. Bill rimase in silenzio, le guance rosso porpora, e nel silenzio che si era creato si sentì il borbottio del suo stomaco. Zoe scoppiò a ridere e lui si coprì il viso con il cuscino.

«Andiamo a fare colazione?», gli chiese asciugandosi gli angoli degli occhi.

«Muoviti, dai.»

Scesero di sotto e nella sala ristorante trovarono Tom, Georg e Gustav che facevano colazione. Appena il chitarrista alzò lo sguardo ed incontrò quello di Zoe scattò in piedi e la guardò implorante, ma lei sbuffò e incrociò le braccia al petto.

«Oh, ora ho capito che cos’è successo: hai litigato con Tom», disse Bill, annuendo.

In realtà le cose sono un po’ più complicate… pensò Zoe sospirando e una maschera di malinconia si fece spazio sul suo viso mentre si sedeva di fronte a lui senza proferirgli parola.

«Zoe, ti prego, perdonami!», si sentì solo la sua voce in tutta la stanza e i pochi presenti – due cameriere che pulivano gli altri tavoli e l’uomo che stava alle porte girevoli nella hall che stava bevendo un caffè – si girarono verso il loro tavolo, ma Tom non ci badò e continuò, prendendole le mani. «Lo so, sono stato un completo idiota, lo riconosco e mi sono assunto tutte le mie colpe… Come credi che stia io, sapendo che quella ragazza…»

Zoe lo osservò per la prima volta e lo vide ricadere sulla panca con il viso affranto, le mani strette in pugni tremanti. Non voleva vederlo in quello stato, però…

«Franky, quando è venuto e mi ha raccontato di averla conosciuta, mi ha fatto capire i miei errori; sono dispiaciuto, farei di tutto per cambiare le cose, ma… non si può. Io mi sento un assassino», sussurrò l’ultima parola. «E non voglio che tu sia arrabbiata con me, non potrei sopportarlo. Ho bisogno del tuo aiuto, di tutto l’aiuto possibile. Ti prego, Zoe.»

«Credo di essermi perso qualcosa», disse Georg a nome anche di Gustav e Bill che ci avevano capito ben poco.

Zoe, gli occhi puntati in quelli del chitarrista, si morse il labbro pensierosa, poi parlò, spezzando quel clima di gelo che si era creato: «Tom, io… io non credo di essere arrabbiata con te, solo… solo che è un periodo un po’ di cacca, te ne sei reso conto? Insomma... Franky che ritorna, il tuo caro fratellino», gli rivolse un’occhiata e sorrise divertita, «adesso questa ragazza… E voglio sapere dove cavolo è finito quello che dovrebbe essere il mio angelo custode. Passa più tempo con te che con me a momenti!»

«Credevo avessi scoperto il mio amore segreto per Kaulitz.»

Zoe si girò di scatto e si trovò di fronte a Franky che teneva la ragazza della sera precedente per un polso, ma in quel momento non sembrava pericolosa. Lui sorrideva sbarazzino, con una punta di malizia negli occhi.

«Amore segreto per Kaulitz?», chiese la ragazza con cipiglio sorpreso, le labbra arricciate per non farsi scappare una risata.

«Storia lunga, ti racconterò un giorno», mosse la mano e tornò a guardare i ragazzi che si guardavano a vicenda: Zoe e Tom erano spaventati e cercavano di allontanarsi più che potevano da quella biondina tanto innocua quanto pericolosa.

«Ragazzi, lei è Jole, per la cronaca», la presentò Franky indicandola e lei fece un segno di saluto con la mano, sorridendo. «Jole, loro sono Bill, Georg, Gustav e poi ci sono Tom e Zoe che conosci già.»

L’Intrappolata incontrò gli occhi di Tom e aumentò la presa sul polso di Franky, che le accarezzò la mano rassicurante.

«Tutto ok? Riesci a controllarti? Vuoi che ti porti fuori?», le chiese.

«No, io…», deglutì chiudendo gli occhi e poi li riaprì, il volto steso e rilassato. «Sto bene.»

«Ok, bene», esclamò contento. «Non esitare a dirmi se non ce la fai più, eh.» La ragazza annuì, riconoscente. «Allora, ci fate un po’ di spazio o dobbiamo stare in piedi?»

Georg e Bill si fecero più in là sulle panche e Franky si mise accanto al bassista, Jole affianco a Bill, così da poter vedere in viso l’angelo a cui doveva tutto: dubitava che senza il suo supporto e la sua determinazione sarebbe riuscita a controllarsi così velocemente.

«Allora, che mi sono perso?», chiese Franky incrociando le braccia sul tavolo.

«Niente di particolare», sollevò le spalle Zoe e lui si morse il labbro dopo aver sbirciato nella sua testa.

«Infatti, nulla di particolare», borbottò. «Hai avuto una discussione con Tom e poi ti sei rifugiata da Bill.»

«Sapevo che mi avresti guardato nella testa, ti ho servito le scene migliori su un piatto d’argento», sfarfallò le ciglia.

«Che stronza», ridacchiò e guardò Jole, che aveva lo sguardo basso sulle sue mani. Con la coda dell’occhio vide il motivo del suo isolamento: Tom la stava fissando con insistenza e non sembrava voler smettere.

«Jole», Franky richiamò la sua attenzione e lei lo guardò timidamente, non riuscendo a resistere alla tentazione di catturare lo sguardo di Tom.

«Dimmi», si riscosse, cercando di ignorarlo. Ma era così difficile… Sentiva i suoi occhi su di sé ed era una sensazione completamente nuova, perché non erano bramosi del suo corpo né disprezzanti, solo… dispiaciuti e tristi. Non voleva che lo fosse per causa sua, ma sentiva di non essere ancora pronta per stargli più vicina.

«Hai avuto l’onore di conoscere la mia…», Franky incespicò, ma il dubbio era lecito: come doveva chiamare ora Zoe? «Quand’ero in vita era la mia ragazza, ora non saprei come definirla, è complicato…», gettò un’occhiata a Bill. «Comunque, lei è Zoe.»

«Oh. Davvero è stata la tua ragazza?», sollevò il sopracciglio, confusa.

«Sì», sospirò. «Solo che c’è stato un piccolo equivoco.»

«Che tipo di equivoco?», sentì le mani pruderle e le mise fra le gambe, resistendo alla parte malvagia che premeva per uscire.

«So che non è proprio il momento adatto, ma non posso permettere che tu le faccia del male, quindi… Lei non è mai stata la ragazza di Tom e quando tu li hai visti insieme… lui sapeva che tu avresti pensato che fossero insieme. Ma la verità è…»

«Era tutta una farsa per dirmi che non voleva vedersi con me?», fece una smorfia, buttando giù quel groppo in gola.

«Sì.»

Si voltò verso quella voce piena di sensi di colpa ed incontrò ancora quel nocciola che la uccise per la seconda volta.

«Lei non c’entra niente, non sapeva nemmeno quello che stavo facendo, te lo posso assicurare. Sono stato un codardo e mi dispiace… Jole.» Tom aveva gli occhi lucidi, non l’aveva mai visto così.

La bionda rimase pietrificata sul posto e si scollegò per un attimo da tutto: la rivelazione era stato un colpo al cuore, sapere di essersi ammazzata quasi per un equivoco non era stato carino. Si sentì tanto piccola e tanto sprovveduta e si dimenticò pure di convivere con uno spicchio di lei molto arrabbiato, che sfruttò l’occasione e cercò di sopraffarla nel suo momento di debolezza e di distrazione. Le sue mani iniziarono a tremare con violenza e iniziò a vedere rosso, ma con la parte razionale che ancora aveva riuscì ad alzarsi e a correre via prima che la scena della sera precedente si ripetesse di fronte a degli innocenti.

«Bella mossa, Kaulitz», si complimentò Franky sospirando, dopo che Jole fosse uscita dall’hotel in fretta e furia. «Perché gliel’hai detto in questo modo?»

«Prima o poi avrei dovuto dirglielo comunque.»

«Franky.»

Si girò verso Zoe e la fissò, cercando di decifrare i suoi pensieri, ma non ci riuscì, era come se avesse eretto un muro contro di lui, in modo tale che non potesse frugare nella sua testa.

«Che cosa c’è?», chiese spazientito.

«Perché le stai così dietro? Ti ha ferito. E infondo non è un problema tuo!»

«E dovrei lasciare Tom da solo ad affrontare questo problema? E poi, il problema è una mia amica e ho tutte le intenzioni di questo mondo di aiutarla.»

«Ok, come vuoi.»

«Non ti preoccupare, mi racconti dopo di ciò che hai provato quando hai parlato con Bill. Non vedo l’ora», sbattè le mani sul tavolo e corse fuori, schizzando nel cielo una volta all’aria aperta.

«Che situazione del cazzo», sibilò Zoe. Si alzò e marciò verso le scale che portavano alle stanze, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla per fermarla: Bill.

«Dove vai?»

«In camera», si liberò dalla sua stretta e corse su per le scale, lui tornò al tavolo dagli amici, sconsolato.

Sentiva di non essersi comportata affatto bene né con Franky né con Bill, ma la sua posizione non le aveva concesso di fare altro: lei era gelosa, gelosa allo stato puro a causa di quella Jole che non solo l’aveva ferito, ma che stava riuscendo a strapparglielo via perché bisognosa d’aiuto. E lei non aveva bisogno di aiuto?!

E Franky, non ha bisogno d’aiuto? berciò la sua coscienza, facendola immobilizzare con la chiave elettronica della propria camera d’hotel in mano.
In effetti, da quando era arrivato non avevano fatto altro che trattarlo male e gli avevano affidato tutti i loro problemi, come se fosse un mago, non ringraziandolo mai abbastanza per essere di nuovo al loro fianco. In più, ora lei si comportava così per della stupida gelosia, quando doveva essere lui il più geloso, fino a prova contraria.

Entrò in camera e ci si chiuse dentro, poi scivolò sul legno della porta e si strinse le gambe al petto.
«È proprio una situazione del cazzo», sbuffò e affondò la testa fra le braccia.

***

«Finalmente ti ho trovata», Franky sospirò e si mise seduto accanto a lei, avvolgendole le spalle con un braccio. «Tutto ok?»

«Sì, ora va meglio», Jole fece un grande respiro profondo e gli sorrise. «Ma il modo in cui mi guardava…»

«Ehi, è tutto ok.»

«Ora che si fa?», chiese titubante. «Tu… tu non hai una bella cera, è successo qualcosa? Con Zoe, magari.»

«No, non è successo niente», si massaggiò gli occhi. «Sono solo molto stanco.»

«Sei sicuro? Puoi parlare tranquillamente con me.»

«Beh… Bill si è preso una cotta per Zoe e sembra che lei a volte pretendi la mia attenzione per raccontarmi di lui, ma… non capisce che ci sto male? Per me non è semplice, accettare che lei possa essere di proprietà di qualcun altro.»

«Ah. Posso capirti…», annuì pensierosa. «Sono sicura che risolverete, un compromesso si trova sempre.»

«Sì, lo spero.» Guardò il cielo e si perse ad osservare le nuvole bianche e gonfie, tanto da sembrare di zucchero filato. «È strano... da quando sono morto non faccio altro che sperare.»

«Noi non sappiamo come andrà a finire, non possiamo fare altro che sperare.»

«Tu in che cosa speri, Jole?»

«Spero… spero di poter perdonare Tom, anche se in cuor mio l’ho già fatto; spero di riuscire a liberarmi di questa parassita che mi ritrovo dentro e spero… spero di ricominciare una nuova vita. Una migliore di quella che ho già vissuto.»

Franky le sorrise. «Per questo non serve sperare: la tua prossima vita sarà sicuramente migliore, ci scommetto.»

«Grazie, è molto bello sentirselo dire. Spero davvero sia così.»

«Jole?»

«Sì?»

«Che ne diresti di provare ancora? Tom ora è da solo nella sua stanza, se dovessi perdere il controllo ci sarei io e…»

«Sì.»

«Sì cosa?», le chiese corrugando la fronte. Capì quando vide il suo sorriso ampio sulle labbra.

Si alzarono in volo entrambi, lui agitando le sue grandi ali e lei solo con quel potere naturale, e arrivarono di nuovo all’hotel. Franky percepì i pensieri di Zoe e strinse i denti, celando quel dolore che gli stava nascendo in mezzo al petto.

«Tutto bene?», gli chiese Jole e lui annuì, indicandole di andare per prima.

Si intrufolarono furtivamente, ma con grazia, nella stanza del chitarrista, passando per la finestra, e lui sobbalzò quando li vide di fronte a sé. Non li aspettava.

«Ehi», salutò nervosamente. «Come va?»

«Tutto a meraviglia», risposte l’angelo atono. Jole gli massaggiò il braccio e gli sorrise.

«Posso… posso parlare con lui da sola?», gli chiese, forse un po’ titubante. «Sempre… sempre se tu vuoi, Tom», aggiunse in fretta.

«Sì, ahm… Certo!» Tentava di nascondere il nervosismo, si capiva anche senza leggere i suoi pensieri agitati ed ansiosi.

«Ok, allora… allora io sto qui nei paraggi», disse Franky indicando la finestra. «Se avete bisogno… Ok.» Annuì ed uscì, lasciandoli soli.

Risentì i pensieri di Zoe e non riuscì più a resistere. Volò fino alla sua camera e sbirciò da dietro la finestra: era seduta a gambe incrociate sul letto, la testa appoggiata al palmo della mano, meditabonda. Sbuffò e, visto che la finestra era chiusa, attraversò il vetro, per poi sedersi al suo fianco, spalleggiandola.

«Che vuoi?», mugugnò lei, senza rivolgergli uno sguardo.

L’angelo le prese il mento fra le dita e le voltò il capo, per potersi immergere in quell’azzurro mozzafiato. «Voglio… o meglio, non voglio che tu sia arrabbiata con me, ecco tutto.»

«Non sono arrabbiata con te», sbuffò e cadde fra le sue braccia, un leggero broncio sul viso. «È tutta la situazione, capisci? Ci sono rimasta male.»

«Per come ti ho risposto prima? Scusami, io –»

«No, non per quello. Per… per Jole.» Abbassò lo sguardo.

«Per Jole?», corrugò la fronte, confuso. «Oh no, non dirmi che sei gelosa…»

«Ecco, appunto

«Zoe, il più geloso dovrei essere io qui! Tu… tu e Bill potete… Insomma avreste potuto benissimo... mentre io… Hai capito. Jole non è niente per me, è solo una mia amica e lei è fottutamente innamorata di Tom.»

«Non hai capito quello che voglio dire, Franky.» Si girò verso di lui con gli occhi stracolmi di lacrime e gli accarezzò le guance. «Anche io sono fottutamente innamorata, di te però. E non potrò mai sopportare che tu mi rimanga fedele per sempre mentre io… ricomincerò, se non con Bill, con qualcun altro. È un dolore che non posso sopportare. Ma d’altra parte, se tu stessi con un’altra del tuo stesso… stato… io sarei gelosa fino ad impazzire. Franky», singhiozzò e strinse nei pugni la sua felpa. «Ti amo, ti amo e ti amo, come posso…? Io mi odio, Franky. In qualsiasi caso.»

«Zoe, tu… tu non devi sentirti così», le asciugò le lacrime. «Non voglio stare con nessun altra ragazza, io amo solo te. E so che anche tu ami me, però… però non è giusto perché io non esisto, agli occhi degli altri. Forse… forse sarebbe stato meglio se io ti fossi stato vicino senza farmi vedere, sarebbe stato più semplice e tu non avresti sofferto così tanto. Noi non avremmo sofferto così tanto. Ma io sono stato troppo egoista, volevo vederti, volevo poterti parlare, volevo… cose che non avrei più dovuto avere.»

«Franky, non piangere pure tu, ti prego…»

«Prometto che affogherò ogni mia gelosia, ti starò accanto sempre, come potrò. Mi potrai parlare di Bill o di tutti gli altri ragazzi che ti piaceranno senza problemi, io ti ascolterò, anche se farà male e –»

«Shhh, basta, ho capito», annuì Zoe, un dito sulle sue labbra fresche. «E io proverò a ricominciare e a non farti soffrire troppo, sarò… delicata. Voglio aiutarti, Franky, non farti soffrire. Tu non sei il nostro mago, tu sei solo il mio angelo custode, non puoi risolvere tutti i problemi.»

«Se ti stai riferendo a Jole, non è un problema. Anzi, è… è molto importante, ora come ora. È un’amica che mi ha aiutato a superare certe situazioni…»

Sorrise dolcemente e gli passò una mano fra i capelli. «Non parlo di Jole. Ho capito quello che senti. Ora… dormi un po’, sei esausto.»

«Sì, forse… Però no, non posso: Jole sta parlando con Tom e se succede qualcosa…»

«Jole è da sola con Tom?», un brivido le percosse la schiena al pensiero del suo amico attaccato da quella belva dagli occhi rossi.

«Jole non è un mostro, Zoe. È solo ferita, tutto qui. Sta lottando contro il dolore e ne verrà a capo sicuramente. Non devi preoccuparti, è molto forte», sbadigliò e si avvicinò il cuscino. «Forse è meglio se mi riposo un po’, svegliami se hai bisogno di me», mormorò e chiuse gli occhi.

Zoe si rilassò e si mise accanto a lui, sotto la sua ala. Rimase ad osservare i suoi lineamenti, ogni piccolo particolare, sorridendo serena, ma anche con una punta di amarezza: sapeva che non sarebbe più stato suo come lo era prima, ma lo sentiva dentro, era radicato nella profondità del suo cuore e mai niente e nessuno lo avrebbe sradicato.
Però, alcuni germogli, accanto a lui, stavano crescendo. Non avrebbero raggiunto la sua maestosità, di forte albero dal grande tronco e con le fronde fitte, ma sarebbero riusciti ugualmente a portare un po’ di quella dolcezza e di quell’amore che le aveva donato quella fonte inesauribile prima di loro.

***

Tom non sapeva cosa fare, era completamente paralizzato da quella presenza che lo guardava per qualche secondo e poi si guardava attorno, come imbarazzata.

Jole si mise le mani nelle tasche e con la coda dell’occhio lo osservò per l’ennesima volta, senza riuscire ad aprire bocca. Aveva così tante cose da dirgli, eppure… non ci riusciva. Esattamente come quando era viva, lui era ad un passo ma in realtà era fin troppo lontano anche solo per pensare di raggiungerlo.

«Tu… sai leggere nel pensiero?»

Si girò sorpresa e incrociò il suo sguardo: due occhi nocciola che in apparenza non avevano nulla di particolare, ma così profondi da togliere il respiro. Anche il suo di fantasma.

«Io… No, è un trucchetto che sanno fare solo gli angeli e poche altre eccezioni», annuì concentrata, fissando il pavimento.

«Come vi siete conosciuti tu e Franky?», le chiese allora, sentendosi un pochino più rilassato, sedendosi sul bordo del letto.
Il ghiaccio iniziava a sciogliersi, ma era presto per dire che si trovava a suo agio. Non sapeva nemmeno se sarebbe mai stato a suo agio con lei, non dopo quello che aveva scoperto di aver fatto, coscientemente o meno che fosse.

«È stata una vera fortuna conoscerlo, credo che senza di lui mi sarei odiata fino alla vera fine dei miei giorni. Forse senza di lui non sarei nemmeno qui a parlarti più o meno tranquillamente», ridacchiò.

Guardarla e sentirla parlare era rilassante, era… bello. Solo ora Tom si rese conto di come la sua voce fosse melodiosa all’udito e la sua risata argentina, nonostante la punta di malinconia che l’accompagnava. E capì anche come potesse essere, forse in un modo assurdo, bello ascoltarla, sentire la sua voce. Sarebbe stato ore, avrebbe passato ore intere a non fare altro, se solo avesse saputo… se non fosse stato… Se.

«Avevo…», si passò una mano sul collo e la sua pelle evanescente prese colore sulle guance. «Avevo la mezza idea di venirti a trovare, quel giorno. Ero riuscita ad ottenere un permesso per venire e tutto quanto, solo che… l’ho perso. Non sono mai stata ordinata, ma sono contenta che sia andata così: se non l’avessi perso, non avrei incontrato Franky. Stavo per tornare a casa, arrabbiata con me stessa, quando lui mi ha fermato e con mia grande sorpresa mi ha fatta scendere con lui. Non so perché l’abbia fatto, è un ragazzino molto altruista, farebbe davvero di tutto per voi, per Zoe, per te…», sorrise addolcita, nei suoi occhi dorati brillò una luce che lì per lì il chitarrista non riuscì ad associare ad un’emozione.
«Sta di fatto che quella sera sono venuta a casa vostra e ti ho guardato dormire», continuò lei e abbassò lo sguardo. «Per fortuna c’era Franky con te, in quel momento. Se non ci fosse stato, non so che cosa ti avrei fatto e non lo voglio nemmeno sapere.» Strinse forte i pugni lungo i fianchi e tirò su col naso, senza alzare lo sguardo.

Tom era incredulo e allo stesso tempo addolorato. Franky era già stato da lui? E Jole pure? Quanto tempo prima? E cos’era successo? Aveva rischiato così tanto? Ma vedere Jole così realmente dispiaciuta, non poteva scatenare in lui rabbia, né rancore. Era praticamente impossibile essere arrabbiati con lei, non perché in quel momento si sentisse in colpa per quello che le era successo, ma perché era così vera, così bella, così… lei.

«È stata la prima volta in cui mi sono “trasformata” e la prima in cui ho lottato contro Franky. Sì, quella che avete visto tu e Zoe non era la prima volta; lui ti aveva già difeso da me e io mi sento così in colpa per avergli fatto del male e per aver tentato di farne a te…»

«N-Non è colpa tua, infondo», disse Tom con voce roca. Lei alzò il viso e scoprì le lacrime, che si asciugò distrattamente con i palmi delle mani. «Franky mi ha spiegato che cosa sei ed è come se ci fosse una parte cattiva dentro di te, che salta fuori quando mi rivede, giusto?»

«Sì, condivido il mio corpo con una vera parassita. Io la odio con tutte le mie forze e sto cercando di liberarmene, ma lei è sempre pronta a sfruttare i miei momenti di debolezza. Come stamattina, ci mancava solo che mi trasformassi di fronte a Bill, Georg e Gustav, che non hanno fatto niente», sospirò.

«Quella non sei tu e quindi non devi fartene una colpa.»

«La colpa è mia, Tom!», gridò e si avvicinò a lui, facendolo scattare indietro sul letto. «Scusa, non volevo farti spaventare», mormorò e tornò sui suoi passi, accanto alla finestra.

Restò in silenzio per qualche minuto, lo sguardo perso sulla spiaggia che si intravedeva fra i grattacieli, che con le loro enormi vetrate riflettevano la luce del sole, e le palme. L’acqua del mare era tutto un luccichio che però si univa perfettamente all’azzurro del cielo terso, invaso da uno stormo di gabbiani bianchi.

«La colpa è mia perché sono io che sono debole, che non riesco a liberarmene e a far sì che riesca a sopraffarmi ogni volta.» Parlò a bassa voce, non rivolgendogli uno sguardo. Incrociò le braccia al petto e si appoggiò al muro accanto alla finestra con una spalla.

«No, invece. La colpa non è tua, Jole.»

Tom si alzò dal letto e timoroso fece qualche passo verso di lei. Jole lo guardò incredula, stava davvero avvicinandosi? Le si formò un groppo in gola quando, ad un passo da lei, precisamente dall’altra parte della finestra, lui la guardò negli occhi e ci lesse tutta la sofferenza e la colpa per qualcosa che non voleva gli fosse addossato.

«La vera colpa di tutto questo è mia, Jole. Se io non fossi stato così tanto… stupido e menefreghista, mi sarei accorto di ciò che in realtà sei: una ragazza meravigliosa che non si meritava quello che ha dovuto subire. È colpa mia se ora sei arrabbiata, se quell’altra te ti dà non pochi problemi, se sei costretta a combatterla ogni momento.» Si passò una mano sugli occhi lucidi. «Sono stato un vero stronzo, eh? Io non volevo che accadesse tutto questo e mi dispiace, mi dispiace da morire e non mi perdonerò, finché tu non sarai di nuovo solamente tu.»

«Tom…» La sua voce era debole, spezzata, in balia di quei singhiozzi che le si bloccavano in gola mentre le lacrime scendevano fin troppo liberamente sulle sue guance. «La colpa non è affatto tua, non devi sentirti in dovere di…»

«Non prendermi in giro, ti prego. Non prendere in giro nemmeno te stessa. Sai che la colpa, almeno una parte, è mia.» Aveva gli occhi ardenti e battaglieri, come se li ricordava bene. «Se ti avessi ascoltata anche un solo minuto in più, se avessi capito tutto quello che nascondevi, se avessi capito cosa… provavi, se non fossi stato così maledettamente cieco! Il mio non è un dovere. Voglio aiutarti, voglio farlo con tutte le mie forze, perché tu non ti meriti tutto questo e, te l’ho detto, non mi perdonerò mai se non ti aiuterò ad uscire da questa situazione a cui anche io ti ho costretta. Hai capito?»

Jole annuì muovendo il capo, le labbra contratte in una smorfia: avrebbe voluto gridare, gridare che non voleva che si riducesse così per lei, che stesse male per lei, che piangesse per lei. L’amore che provava per lui era ancora così profondo, così vivo dentro di lei… Non avrebbe mai potuto lasciarlo andare, era l’unica forza che ancora le permetteva di lottare contro la sua parte malvagia.

«Bene.» Tom stiracchiò un sorriso e avvicinò le dita alla guancia del fantasma, lentamente e con cautela, sotto lo sguardo della stessa che non voleva schiodare gli occhi dai suoi, ora più non tanto sicuri.

La sua pelle, al contrario di quella di Franky, era gelata e al tocco sembrava ancora più fievole. La sfiorò con la punta delle dita, cogliendo le lacrime, e un sorriso amaro si fece spazio sul suo viso.

Possibile che fosse stato così stupido da permettere che accadesse una cosa del genere? Se avesse potuto tornare indietro nel tempo avrebbe fatto molto diversamente, ma visto che non si poteva, almeno doveva fare qualcosa per aiutarla a guarire dal dolore che le attanagliava il cuore in maniera così subdola e fine, così forte e così impercettibile.

«Scusa», soffiò Jole tremante, prima di fuggire lanciandosi giù dalla finestra.

Tom si sporse per vedere che fine avesse fatto, ma non vide altro che palazzi, cielo azzurro e automobili che passavano nella strada sotto di lui. Era scomparsa. Scomparsa come le lacrime sulle sue dita, delle quali erano rimasti solo riflessi argentati che alla luce del sole brillavano come diamanti.

Avevano molto lavoro da fare, molto ancora di cui parlare, ma sapeva che con un po’ di fatica ce l’avrebbero fatta. Insieme. Sarebbe riuscito a donarle di nuovo la sua bellezza, paragonabile a quella dei giochi di colore sulla sua mano, e la luce che aveva sempre avuto negli occhi e nel sorriso che non era mai riuscito ad apprezzare pienamente come ora.

_______________________________________

Buon pomeriggio, gente! ^-^
Allora… che dire di questo capitolo?
Ahm… forse è l’unico fin ora che non mi piace tanto xD Lo trovo un po’ troppo meccanico e poco scorrevole, ma a voi il giudizio finale!
La traduzione del titolo è "Di chi è la colpa?" per chi non fosse una cima in inglese xD
Jole ce la sta mettendo tutta, ma per lei è ancora difficile stare vicina a Tom e infatti si è visto, è un continuo scappare. Tom, dal canto suo, non ha molta paura di lei ora e vorrebbe stare con lei sempre più tempo, mettendola a dura prova. Riusciranno a trovare un equilibrio?
Tom ha spiegato a Zoe in poche parole quello che è successo quel famoso giorno al centro commerciale e lei l’ha presa… uhm, nemmeno tanto male, ha altro a cui pensare xD Tra cui anche la sua gelosia infondata per Jole, alla quale Franky sembra così attaccato. In effetti lo è, ma non perché ne è innamorato.
Okay, basta, finisco qui se no è la fine xD
Ringrazio le persone che hanno commentato lo scorso capitolo:

_lile_ : Ciao! Il fatto che tu abbia deciso di evadere dalla tua “routine” e recensire mi fa davvero superfelice, grazie! *-* Sono contenta che ti piaccia, grazie mille davvero!

Isis 88 : La scena in cui Franky sale sul palco è una delle mie favorite! Solo all’idea che tutta la gente che guarda non lo vede ma lui c’è mi da i brividi.
Jole, poverina, è solo la vittima della situazione :( Si rimetterà prestissimo!
Sì, chi va piano va sano e va lontano! si dice da me xD Bill e Zoe ce la faranno, in un modo o nell’altro!
Grazie a te per la recensione, baci!

Tokietta86 : E chi non vorrebbe un amico come Tom? *ç* Tom, come hai detto tu, sicuramente si sarebbe comportato in modo diverso se avesse saputo di combinare tutto questo macello, e c’è anche da contare che non ha mai conosciuto “veramente” Jole, quindi non ha mai potuto affezionarsi sul serio, perché di Jole ci si può solo affezionare! *-* È uno dei miei personaggi preferiti non a caso :)
Grazie mille per la recensione, alla prossima! Un abbraccio!

Utopy : Il sangue argentato è una figata, assolutamente *-* Sì perché all’inizio lo avevo messo normale, solo che no, è un angelo, che fa, va in giro ancora con il sangue rosso normale? ù.u
Tifiamo per Zoe/Bill, ne hanno bisogno! xD Io non ho capito bene che cosa intendi, ma comunque ho già modificato da qualche parte xD
Sono contenta che ti sia piaciuto, ovviamente *-* Spero che anche questo sia di tuo gradimento, my best! Ti voglio tantissimissimo bene assai, Mond! <3 Tua, Sonne.

E ringrazio anche chi legge soltanto e tutte le persone che mi sostengono ogni momento, tra cui la stessa Utopy! Grazie trottolina! *-* E poi un ringraziamento anche a Sarah, la mia compagna di tram che mi sopporta sempre, soprattutto alle otto di mattina, quando la mia parlantina è già attiva u.u Grazie e auguri, Sarah! (Anche se non leggerai mai questa cosa xD).
Bene, penso di aver finito sul serio! Grazie a tutti quanti! Al prossimo mercoledì, vostra

_Pulse_

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Capitolo 16
*** Lively and dead ***


16. Lively and dead

[You fly with angel’s wings
You’ve got my blood in your veins
And your eyes see everything
and they shine like diamond rings]

«Quindi tu puoi scendere ogni volta che vuoi, fino alla fine del mondo?», chiese Gustav, concentrato per seguire il ragionamento.

Erano sull’aereo che li avrebbe riportati in Germania. Dopo i primi giorni turbolenti passati a Los Angeles, tutto pian piano si era stabilizzato. Ognuno cercava di fare la propria parte, coesistendo l’uno con l’altro, che fosse vivo o meno.

Tom aveva preso confidenza con Jole, ma non troppa, visto che lei ogni tanto doveva allontanarsi e distrarsi per non essere sopraffatta dalla sua parte malvagia. Guardarlo, soprattutto negli occhi, per lei significava indebolire le sue difese e dar campo d’azione alla rivale che abitava dentro di lei. Pian piano stava imparando a gestirsi, ma doveva ancora allenarsi parecchio per assopire del tutto la scomoda presenza. Toccarlo e lasciarsi toccare erano tutt’altro paio di maniche: era ancora più difficoltoso, perché erano azioni che la distraevano ancora di più da quella battaglia interiore.

Zoe – divisa fra quell’amore definito e che purtroppo non poteva continuare ad esistere e quello nuovo e fresco che stava appena assaporando, guardandolo da lontano – stava chiacchierando, due sedili avanti, con Bill, che sorrideva sincero. (Per lui era già tanto avere la sua attenzione, quando lei sorrideva andava in estasi).

Georg, davanti a lui, dormiva e Gustav, per non disturbarlo e lasciargli più spazio, era scalato nell’ultima fila, accanto a Franky. Il batterista non aveva resistito all’idea allettante di proporgli molti quesiti che sin dal primo giorno lo avevano catturato e che erano rimasti irrisolti.
Così, cellulare all’orecchio, Gustav faceva finta di parlare con sua sorella per non attirare l’attenzione di David, Susan e tutti gli altri pochi passeggeri che non erano in grado di vedere l’angelo.

«In teoria, da quando si diventa angeli custodi non si dovrebbe più salire», ridacchiò. «Bisogna sempre stare con il proprio protetto. Solo in casi particolari si risale in Paradiso. Fin quando avrò da proteggere Zoe, non la lascerò un attimo.»

«Ma… scusa Franky, ma non ha senso.»

«Eh già, molte cose non hanno senso, amico mio.»

«No, non ha senso davvero perché sarebbe come se tu non fossi mai… morto», mormorò l’ultima parola, incerto anche sulla sua pronuncia. «Che senso ha morire se poi puoi stare sempre con noi? E anche con Zoe… potresti tornare con lei. Non capisco.»

Franky si passò una mano intorno al mento e sulla bocca, cercando di mandar via l’amarezza dal suo sorriso. «Vedi, Gustav… Ci sono delle regole da rispettare, dei limiti. Io non posso stare con Zoe perché sono un angelo, e il fatto di esserlo già evidenza il mio stato di non più vivo. Sai cosa, io ho deciso di farmi vedere. Molti angeli custodi non si fanno vedere, proprio per non dare questa falsa idea e per non soffrire… ci si coinvolge troppo emotivamente e a volte si dimentica, come hai detto tu, di essere morti. Non è facile, per me, stare qui con voi come se nulla fosse e allo stesso tempo sapere di essere morto e di non poter più stare con Zoe, soprattutto. Almeno, non in quel modo. Ma è questa la prova per un angelo custode, no?»

«Sì, ma non ha senso morire, allora, se poi si ha questa scelta, no? È come… come essere ancora vivi», ribadii imperterrito.

«Sembra di essere ancora vivi, ma non sarà mai come la vita reale. È solo un’apparenza. Il mio scopo è proteggere Zoe, non posso far finta di non essere morto. È una sensazione strana, che non mi abbandona mai: io ho sofferto, in realtà non molto, quando me ne sono andato e so che questa non è vita vera.»

Lo guardò e capì che era ancora indeciso: aveva un’idea totalmente diversa di quello che c’era dopo la morte da quello che c’era in realtà e non era facile incanalare come verità tutte le cose che stava dicendo. Forse era troppo complicato, per una persona ancora viva e che non aveva provato direttamente le sensazioni e le esperienze che invece aveva vissuto Franky.

«Boh, io non capisco. Tu sei comunque qui, con noi, come se non ci avessi mai abbandonati. Io… boh…», sospirò e guardò fuori dal finestrino. Se avessero continuato così, ne sarebbe uscito matto.

«Continua, non ti mangio mica», disse Franky sorridente.

«Che senso ha parlare, hai già visto il resto della frase nella mia testa?», lo guardò eloquente e si lasciò scappare una risata quando vide il suo broncio e le sue braccia incrociate al petto: in quel momento gli ricordò molto Tom quando si rendeva conto di essere stato colto nel segno. «Io, all’inizio, pensavo che tu dovessi concludere una specie di… missione, qui sulla Terra. Tipo, che ne so, far tornare felice Zoe… qualsiasi cosa! E che poi avresti continuato a proteggerla dall’alto, altrimenti… mi sembra uguale alla vita che avevi prima, a parte per le cose carnali e roba varia. Lo è, teoricamente.»

«Quello che dici è giusto, Gustav. Se la questione si guarda da questo punto di vista, sì, la mia è una missione e la devo compiere.» Abbassò lo sguardo, malinconico, e il batterista capì di aver toccato un tasto dolente.

«E quando la tua missione finirà, te ne andrai, non è così?», chiese allora, cercando di utilizzare un tono per quanto più poteva delicato e comprensivo.

«No, non me ne andrò. Solo… non riuscirete più a vedermi, ecco. Sarò con voi sempre e comunque.»

«Sarai invisibile ai nostri occhi?»

«Esattamente

«E se per caso qualcuno ti viene addosso, ti sentirebbe?»

Franky non rispose. Cadde un religioso silenzio che Gustav interpretò come dissenso: era un «no» in piena regola, quello, e non doveva essere telepatico per capirlo.

«Però, insomma… è prematuro morire a sedici anni appena compiuti, no?», disse Franky un po’ troppo ad alta voce, tanto che Zoe si girò impercettibilmente verso di lui, preoccupata.

Nei suoi occhi, anche se nascosti alla sua vista, era sicura che ci fosse dell’ira, come se quello che gli fosse successo fosse stata un’ingiustizia. Ed era così, infondo. Che ragione aveva di morire un ragazzo di sedici anni che aveva appena trovato l’amore della sua vita e degli amici con i quali condividere ogni giorno?

«Mi merito un po’ di tempo in più con i miei amici, no?» Il suo tono di voce tornò normale, forse ancora più basso per farsi sentire solo dal biondo, e le sue labbra si curvarono all’insù in un sorriso appena accennato. «Alcuni direbbero che il mio è egoismo e io concordo con loro: sono un fottuto egoista, perché, nonostante qualcuno abbia voluto così, ho deciso di prendermi ciò che non sarebbe più dovuto appartenermi: un po’ di tempo con i miei amici, la mia Zoe… Anzi, direi che ho deciso di farmi vedere solo per lei, perché il mio egoismo mi ha portato a volere di nuovo i suoi abbracci, la sua voce nei timpani e i suoi occhi nei miei.»

«Quella dell’egoista è l’ultima caratteristica che ti avrei dato. Forse nemmeno l’avrei considerata, onestamente», rifletté Gustav, solare. «Quindi… se tu sei qui è solo perché sei l’angelo custode di Zoe? E quando Zoe… insomma…»

«Quando Zoe non ci sarà più? Che cosa farò io? Beh, è facile.» Si sistemò sul sedile, le mani sui braccioli e il capo sul poggiatesta morbido. Concluse la risposta ad occhi chiusi: «“Morirò” con lei, perché il mio compito è finito.»

Sgranò gli occhi. «Che intendi con morirò? Tu…»

«Sì, sono già morto e bla bla bla. Vorrei rispondere alla tua domanda, ma sono informazioni riservate di cui non posso parlare con le persone ancora vive.» Fece un occhiolino e si risistemò comodo sul proprio sedile. Non aveva mai pensato seriamente a ciò che avrebbe fatto al termine del suo “lavoro”, ma aveva già le idee chiare: sarebbe tornato in Paradiso, avrebbe liberato la sua anima da ogni ricordo di quella vita, breve ma intensa, e ne avrebbe incominciata una nuova, in un nuovo corpo.

Gustav sorrise, scuotendo leggermente la testa e infilando il cellulare nella tasca dei jeans: quella conversazione era finita. E bene. Si infilò le cuffie nelle orecchie e si immerse nel suo mondo, lo sguardo perso fra le nuvole che attraversavano.

Franky, gli occhi ancora chiusi, si sintonizzò, proprio come se fosse una radio, sul canale di Tom e Jole, qualche posto più avanti. Lei era seduta sul sedile accanto a lui, tenuto vuoto apposta dal chitarrista; ogni tanto incrociava il suo sguardo caldo e arrossiva, ritornando a guardarsi le ginocchia strette al petto ed avvolte dalle braccia.

Tom non sapeva come comunicare con lei, visto che non sapeva nemmeno leggere nel pensiero. Il loro era un dialogo silenzioso, fatto di parole non dette e mezzi sguardi, di imbarazzi e di emozioni contrastanti che soprattutto dentro Jole si facevano sentire.

Nei sedili accanto erano seduti suo zio David e Susan. Lei stava parlando e David la ascoltava sorridente. L’argomento le faceva sorridere il cuore e Franky catturò subito i suoi pensieri, vedendoci giusto: stava raccontando della sua nipotina. Si sentì subito rincuorato, quando udì che era sana come un pesce e che soprattutto era amata e felice. La sua mamma se lo meritava.

“Come mai quel sorrisino ebete?”

Si voltò verso Zoe che lo osservava con occhi ridenti dalla fessura fra i sedili e le fece una linguaccia. Il suo sguardo schizzò di nuovo verso David quando percepì i suoi pensieri. I suoi folli pensieri.

«Sta scherzando?!», gridò senza nemmeno accorgersene, alzandosi in piedi e attirando l’attenzione di tutti quelli che lo vedevano, che con nonchalance si erano girati verso di lui, incuriositi. Persino Georg si era svegliato dal suo letargo.

“Che è successo?”, chiese Bill ansioso.

“Che cosa hai sentito?”, ci mise del suo Zoe.

“Dentro a quale testa hai frugato stavolta?”, aggiunse Jole, divertita.

«Ragazzi, qualsiasi cosa io vi dica, state calmi, ok?», li avvertì, muovendo le mani come se volesse calmare una folla che senza badare a lui continuava a fare baccano. «Zio David vuole chiedere a Susan di sposarlo. Ora. Su questo aereo.»

Tom e Gustav rimasero a bocca aperta, sorpresi; Georg si grattò la testa e dopo una scrollatina di spalle stiracchiò un sorriso, mormorando un «Viva gli sposi», per poi riappoggiarsi allo schienale e chiudere di nuovo gli occhi; Bill e Zoe si guardarono a bocche spalancate, gli occhi brillanti, pronti ad esprimere tutta la loro gioia e la loro emozione in gridolini e cose varie; Jole, di fronte a tutte quelle reazioni diverse, si coprì la bocca con la mano e rise; mentre Franky si spalmava una mano sulla faccia, sconsolato, dicendosi che se l’era cercata.

Tutti, chi prima chi dopo, si girarono verso la coppia, le orecchie ben tese e gli occhi ben aperti per non perdersi nemmeno una sillaba, un battito di ciglia, della dichiarazione.

David, sentendosi un tantino osservato, si guardò alle spalle e vide cinque paia di occhi puntati su di sé, accompagnati da espressioni più o meno bramose di sapere ciò che ancora stava solo pensando.

«Che avete da guardare tutti così?», chiese nervosamente.

«Niente, niente! Fai quello che devi fare, non badare a noi!», rispose frettolosamente Bill anche per Zoe, che gli sorrise complice.

«Siete dei mostri! Come…?» Era incredulo, come facevano a sapere… Non aveva ancora aperto bocca e tantomeno lo aveva detto a qualcuno!

«Ehm-ehm», si schiarì la voce Bill, indicandogli di girarsi senza aggiungere altro.

Al manager non rimase altro che dargli retta, nonostante l’assurdità della situazione. Si trovò di fronte a due grandi occhi grigio-verdi, curiosi e pieni di vita, belli. Arrossì, sentendosi un bambino delle elementari di fronte alla bambina più bella della classe e per la quale si era preso una folle cotta.

«Che cosa succede, amore?», gli chiese Susan, sfiorandogli il mento con un dito per incastrare meglio il suo verde con il proprio, mescolandoli, fondendoli in un unico incredibile colore.

Si schiarì la voce. Che ci fossero preoccupanti spettatori o meno, era arrivato il momento. Le prese le mani e fece un lungo respiro profondo prima di attaccare con la parlantina:

«Quanto tempo è che ci conosciamo, Susan? Otto mesi, forse nove… Sei sempre stata tu a tenere il conto, sai che io non sono bravo. Sta di fatto che è un bel po’ di tempo, forse non abbastanza… ma ho capito che con la razionalità si fa ben poco, devo usare il cuore se voglio raggiungere i traguardi che mi sono prefissato. Devo prendere la mia decisione come un atto di volontà e non come un atto programmato, un qualcosa su cui si deve riflettere. Non c’è bisogno di pensieri e riflessioni, in certi casi. Se due persone si amano è giusto che vivano la loro vita insieme, insieme davvero. Ti offro tutto quello che ho e tutto quello che sono, ti prometto di amarti nello stesso modo ogni giorno. E so che senza di te, difficilmente sarei qui, ora. Tu, ancor prima di conoscermi a fondo come ora mi conosci, mi hai dato tutto, senza pretendere nulla in cambio. Non me lo sono dimenticato e mai lo farò. Ringrazierò sempre Franky e la sua pessima situazione scolastica, perché grazie a lui ho potuto incontrarti ed intrecciare il mio cammino al tuo. Susan», le prese le mani nelle sue e la vide arrossire violentemente sulle guance, senza distogliere lo sguardo dal suo. «Mi vuoi sposare?»

«La mia situazione scolastica non era poi così pessima», sbuffò Franky alzando gli occhi al cielo, ma con un sorriso intenerito sul viso. Era contento se era contento suo zio, proprio l’unico che ce l’aveva fatta senza di lui.

Zoe ridacchiò alla sua frase, asciugandosi le lacrime di commozione che le erano scese incontrollabili sulle guance: anche lei avrebbe voluto una dichiarazione di matrimonio così! Era stata così bella, così intensa, così… vera! Doveva essere il sogno di tutte le donne. A quel pensiero si girò verso Jole, il fantasma con cui non aveva ancora avuto la possibilità di parlare, e la colse con il capo chino, le mani strette l’una dentro l’altra. Poi vide una cosa che la destabilizzò del tutto, nel silenzio e nell’attesa della fatidica risposta: Tom, timidamente e con cautela, come se fosse di cristallo, le avvolse un braccio intorno alle spalle e con l’altra mano le sollevò il viso, poi le sorrise, facendole incurvare le labbra all’insù a sua volta.

«Sì, certo che voglio.» Fu la timida risposta di Susan, che sorrise in quel modo semplice ma che allo stesso tempo toglieva il respiro, quando lui le infilò l’anello al dito, prima di baciarla sulle labbra.

Bill si mise a gridare di felicità, saltellando sul sedile, fregandosene altamente delle altre persone, più che altro imprenditori in giacca e cravatta di ritorno da congressi di lavoro in America. Nello stesso momento tutti si misero ad applaudire e qualcuno si mise a fischiare, Zoe, che era anche più contenta del cantante ma che aveva un minimo di contegno.

«Che hai Tom, un crampo?», gli chiese David.

L’interpellato corrugò la fronte. «No, perché?»

«Come lo spieghi quel braccio alzato a mezz’aria?»

Lui non vedeva Jole, se n’era quasi dimenticato. «Oh.» Lo tolse e fece un debole sorriso al fantasma, che sorrise solare per quegli attimi di paradiso che le aveva donato senza saperlo.

Ognuno fece i propri auguri ai due futuri sposini e in poco tempo fu servito lo champagne a bordo, da una hostess che non perse tempo ad adocchiare Tom, dal quale però non venne per nulla ricambiata: sembrava come perso a guardare fuori dal finestrino, ma in realtà tra lui ed esso c’era Jole, ad insaputa di chi non poteva vederla, e, con un espressione da ebete, si era come incantato sul suo viso, sul profilo del suo naso, sulla morbida curva che faceva la sua bocca, sulle ciglia lunghe che le accarezzavano le guance quando chiudeva le palpebre…

Venne improvvisamente risvegliato da lei, che gli passò una mano di fronte agli occhi e ridacchiò, dicendogli che andava da Franky. Non le rispose, ma in compenso non ne perse un movimento, affascinato: si alzò con leggerezza e raggiunse l’angelo, seduto da solo nell’ultima fila, lo sguardo spento rivolto verso Gustav, Georg, Bill e Zoe che stavano intorno a David e Susan a fare complimenti, a ridere e a scherzare. Si mise seduta sul bracciolo del sedile e gli passò una mano sui capelli, con tenerezza.

Franky sospirò, facendo cadere le spalle una volta rilasciata l’aria dai polmoni. «È in questi momenti, in cui non posso condividere la gioia delle persone a me care, che mi ricordo che sono davvero morto.»

Lei sorrise e nel momento in cui Franky la guardò negli occhi, ringraziandola per le parole silenziose e di conforto che gli aveva rivolto e avvolgendole la vita con un braccio, Tom e Zoe si girarono, punti nel vivo. Sentendo i loro pensieri di pura e folle gelosia per due parti così diverse eppure così maledettamente simili nel provare quell’amore devoto ed infinito per quelle stesse persone che li stavano guardando imbronciati, Franky alzò il viso e ridacchiò scuotendo la testa e contagiando Jole.

“Pazzi. Sono completamente pazzi”, le trasmise mentalmente.

“Sì. Ed è per questo li amiamo.”

[You’re my Sunday
Make my Monday come alive
Just like Tuesday
You’re a new day that wakes me up
Wednesday’s raining
Thursday’s yearning
Friday nights
Then it all ends at the weekend
You’re my star]

A causa del fuso orario, il cielo che stavano attraversando in quel momento era illuminato dalla luce calda del tramonto, le nuvole avevano una sfumatura rosea e man mano che le fendevano, andavano sempre di più verso il buio della notte.

Zoe sbuffò e si girò per l’ennesima volta sul sedile. «Quanto manca? Mi sto annoiando!»

«Manca ancora poco, resisti.» Bill posò la mano sulla sua, senza nemmeno rendersene conto, e lei arrossì violentemente, guardandolo in viso. «Che c’è?»

“La mano, cretino”, gli suggerì Franky e Bill subito la levò, sorridendo nervosamente.

«Scusa», le disse.

«Non ti preoccupare», bisbigliò lei e tornò a guardare fuori dal piccolo oblò.

Nel suo stomaco si libravano milioni di farfalline e non poteva ancora credere di essere arrossita così palesemente di fronte a lui, quando con loro c’era anche Franky che, ne era certa, doveva aver visto tutto quanto. Si girò verso di lui e lo osservò: aveva gli occhi chiusi, la testa appoggiata accanto al suo finestrino, ma non stava dormendo, le piccole increspature sulla sua fronte indicavano che era sempre collegato ai loro pensieri. Vide nascere un sorriso sulle sue labbra e capì che stava sentendo proprio i suoi, di pensieri.

“Ehi, tutto bene?”, gli chiese, incerta.

“Certo, perché me lo chiedi?”

“Per quello che ha fatto Bill…”

“Che ha fatto Bill?”

“Non far finta di non saperlo, dai!”

“Non so di cosa tu stia parlando. Piuttosto, sei rimasta sorpresa quando Tom ha abbracciato Jole?”

“Sì, un po’. È strano. La settimana scorsa voleva fargli del male, adesso vanno così d’accordo…”

“Se Jole non fosse forte, la sua parte malvagia emergerebbe e lei cercherebbe ancora di attaccare Tom. Jole fa molta fatica a tenere imprigionata l’altra lei, deve sempre stare attenta quando sta accanto a lui, non è una passeggiata.”

Zoe la guardò sorridere a delle parole di Tom, pronunciate a bassa voce. “Non sembra si stia sforzando.”

“È molto brava a nascondere tutto, vero?”

Si rabbuiò. “Anche tu, nascondi una battaglia interiore?”

“Tu che ne pensi?”

La battaglia in cui stava lottando Franky era molto diversa da quella di Jole, non doveva preoccuparsi di poter far male a qualcuno (O forse sì?), ma era altrettanto ardua e anche dolorosa: lui voleva Zoe, la voleva con tutte le sue forze, ma sapeva di non poterla avere; la amava, ma non poteva più amarla come voleva lui, e doveva lasciare campo libero a Bill, perché così era giusto, ma non era per niente facile.

Per un istante incrociò gli occhi azzurri di Zoe e poi lei si girò, come se potesse davvero riuscire a celare i pensieri che le vorticavano nella testa: momenti di loro, momenti in cui si erano vissuti, amati, desiderati così ardentemente da far battere il cuore tanto forte da far male.

Improvvisamente, sentì una presenza molto particolare e dei pensieri tutt’altro che normali: irradiavano amore, amore infinito ed indissolubile, come quello che sentiva lui. Non erano pensieri concepibili da una mente umana, viva.

I suoi occhi schizzarono nell’abitacolo alla ricerca di un suo simile e quando lo trovò rimase sorpreso, quasi sconcertato. L’angelo che irradiava quei pensieri dalla potenza prorompente era una ragazza ed era appena comparsa sull’apice dello schienale occupato da uno degli imprenditori in giacca e cravatta: un uomo piuttosto giovane, i capelli neri e gli occhi scuri, che stava lavorando al computer portatile come se non si fosse accorto della presenza che gli stava accarezzando amorevolmente la guancia; Franky, però, era a conoscenza che lui in realtà sentiva benissimo l’angelo, sapeva che era arrivata ed era sollevato: le era mancata.

«Scusa se ho tardato tanto», gli disse con voce celestiale, donandogli un bacio fra i capelli.

“Non fa niente, sono contento che tu sia qui ora”, le disse mentalmente l’uomo. Se Franky non avesse sentito direttamente i suoi pensieri non avrebbe mai capito che le stava parlando; doveva essere piuttosto esperto per non dare il minimo sospetto, chissà da quanto tempo comunicava in quel modo con il suo angelo custode.

Franky si alzò e le andò incontro, sorridendo impacciato. Era la prima volta che incontrava un suo simile del gentil sesso, che inoltre si faceva vedere dal suo protetto. Era curioso ed impaziente di parlare con lei, di porle i suoi interrogativi e i suoi dubbi, di essere in qualche modo confortato, sapendo di non essere l’unico a vivere quelle sensazioni contrastanti nel suo essere.

«Non sono certa di poter essere all’altezza delle tue aspettative, ma ci proverò», disse l’angelo, che aveva letto ogni suo pensiero mentre si avvicinava.

«Chissà, magari sarai più che all’altezza delle mie aspettative», rispose Franky, solare. Le porse la mano: «Il mio nome è Franky, è davvero un piacere e una… sorpresa, lo ammetto, conoscerti.»

«Steffi, piacere mio. Oh beh, è sempre una sorpresa incontrare un angelo! Soprattutto su un aereo con così pochi passeggeri», sorrise, ricambiando la stretta.

“Con chi stai parlando, amore?”, chiese l’uomo a cui stava accarezzando la guancia, senza distogliere lo sguardo dallo schermo di fronte a sé.

«Con un altro angelo, si chiama Franky.»

“Piacere di conoscerti, Franky”, accennò un sorriso.

“Piacere mio.”

Steffi gli sorrise e passò ad accarezzargli i capelli, amorevole. «Vuoi che ti racconti la mia storia, Franky?»

«Mi piacerebbe molto.»

«Ma con chi sta parlando?», sbuffò innervosita Zoe, guardando Franky accanto al sedile di un uomo che sembrava non essersi accorto di nulla. Visto che lei non vedeva il suo interlocutore, era ovvio che non fosse una persona viva: che fosse un altro angelo custode? Magari quell’uomo ne aveva uno e forse non era vero che non si era accorto di nulla, forse stava solo fingendo per non dare nell’occhio…

«Sta parlando con un angelo», rispose alla sua domanda Jole.

«Tu riesci a vederlo?», le chiese Tom.

«Eccome! E ti assicuro che è una lei», ridacchiò.

«E com’è, bella?», chiese ancora il chitarrista, peggiorando la situazione dell’equilibrio già precario di Zoe.

«Secondo il mio parere sì: ha i capelli lunghi e lisci, castani, gli occhi chiari e quella divisa bianca mette in risalto ogni sua curva. Veramente sexy, diresti tu», lo indicò ridendo e, strano ma vero, lo fece arrossire.

Zoe divenne rossa come un peperone, forse di gelosia. Di fatto, non le piaceva che Franky parlasse con una ragazza che di sicuro, essendo un angelo, era bellissima, senza che lei potesse vederla. Si sentiva fuori dalla sua vita ed era una sensazione orrenda.

«Che cosa si stanno dicendo?», chiese lei, stringendo i pugni sulle gambe.

«Gli sta raccontando com’è… morta.»

«Faceva molto freddo quella sera. Lucas, l’amore della mia vita, era venuto a prendermi per andare ad una festa. Ero molto contenta e su di giri, era da tanto che aspettavo quella serata e se ora ci ripenso mi viene da ridere, perché la fatalità… Io lavoravo, avevo appena iniziato ad affiancare uno stilista, la mia famiglia era normale, avevo un fidanzato che mi amava, ero felice. Quella sera la mia intera vita si è distrutta, tutti i miei sogni, i miei o meglio i nostri progetti… dovevamo sposarci, l’estate successiva.»

Una lacrima scivolò lentamente sulla guancia dell’uomo all’udire il doloroso ricordo, raccontato in prima persona dalla ragazza che amava e che non c’era più.

«È successo tutto in un attimo, un incidente davvero banale, Franky. Il conducente dell’altra auto, quella che ci è venuta addosso a folle velocità, era ubriaco e… l’impatto è stato terribile, io non ce l’ho fatta, ma ringrazio Dio che almeno Lucas sia sopravvissuto. Non ce l’avrei fatta, se anche lui…» Gli asciugò la lacrima, raccogliendola sull’indice, e la osservò, malinconica.

«Anche mia madre è morta in questo modo», disse Franky, passandole una mano sul braccio, cercando di essere di conforto.

«E lei che cos’ha fatto?»

“Si è reincarnata in un altro corpo”, le parlò passando alla modalità nel pensiero perché non voleva che Zoe, Tom e gli altri sentissero. Erano, anche quelle, informazioni riservate.
«Come mai tu hai deciso di diventare un angelo custode e di essere visibile al tuo protetto, soprattutto?»

Steffi sorrise. «Per le tue stesse motivazioni. Ma io, oltre che per egoismo», sottolineò la parola, accennando una risata, «l’ho fatto anche perché ero troppo codarda per incominciare una nuova vita. Sono ancora troppo attaccata alla mia, per liberarmene. E poi, avevo visto che Lucas aveva bisogno di me, quaggiù.»

“Non è stato facile per me, quando lei se n’è andata”, gli spiegò il ragazzo, con espressione neutra. “Mia madre è morta quando io ero molto piccolo e i rapporti con mio padre non sono mai stati buoni: lui voleva a tutti i costi che seguissi le sue orme, che prendessi il suo posto a dirigere le diverse aziende che ha in tutto il mondo, ma io non volevo. Quando Steffi è morta però, ero disperato e malleabile. Lui ha giocato d’astuzia e mi ha convinto. Ora sono qui, ma come quando c’era Steffi e adesso che c’è sotto forma di mio angelo custode, so che questa non è la mia vita. Non sono felice, vivo e basta, senza trovare il coraggio di cambiare, di ribellarmi. Non so perché ti sto dicendo tutte queste cose, scusami se ti sto annoiando.”

“No, non mi annoia affatto”, lo rassicurò Franky. “La ringrazio per avermi raccontato tutto questo.”

Steffi gli posò una mano sulla spalla e gli sorrise: «La tua protetta è un tantino gelosa o sbaglio?»

Franky si girò verso Zoe e scoppiò a ridere, scuotendo la testa: non sarebbe mai cambiata, la sua piccola. La guardò stringersi le braccia al petto, imbronciata, e non rivolgergli più lo sguardo.

«Sì, è parecchio stupida», rispose. «Sai, c’è una cosa che volevo chiederti in particolare.»

«Dimmi, ti ascolto.»

“Ecco… Io penso che lei debba rifarsi una vita, senza pensare a me, solo che è cocciuta e come vedi ha queste strane reazioni, come la gelosia e cose varie… Io sono promesso a lei e lo sa, però… So che non è semplice, facendomi vedere non l’aiuto di certo a dimenticarmi… Io mi sento in mezzo ad una tempesta, una tempesta di sentimenti, perché io la amo e sono geloso se la penso con qualcun altro, ma dall’altra parte sono il primo a dire che deve rifarsi una vita e che io mi devo mettere da parte. Tu, con Lucas, che cosa hai fatto?”, sospirò.

Era stato difficile spiegarle quel concetto, erano sensazioni fin troppo personali e profonde per raccontarle decentemente, quello era il meglio che poteva fare. Sapeva che da solo non poteva farcela, aveva bisogno del parere di qualcuno nella sua stessa situazione.

«Perfetto, adesso ritorna a parlare col pensiero», borbottò Zoe, furiosa. «C’è qualcosa dal quale mi devi tenere all’oscuro?»

Franky sbuffò e allo stesso tempo rise, poi si girò verso di lei e scrollò le spalle: «Sì, e allora? Sono…»

«Informazioni riservate», incorarono Zoe, Bill, Tom e Jole, con gli occhi rivolti al cielo. Si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere, senza accorgersi dello sguardo preoccupato di David.

«Il fuso orario fa strani scherzi», concluse il manager, per poi girarsi verso la sua futura sposa e sorriderle.

Steffi, divertita, rispose alla sua domanda dopo aver riordinato le idee: «Capisco bene che cosa senti, sono sensazioni che ho provato e che tutt’ora provo. Sai, anche io ho insistito tanto per convincere Lucas a rifarsi una vita, ma ancora non ci sono riuscita.» Lucas sorrise vittorioso. «Quando sarà il momento, non dico che mi dimenticherà, ma riuscirà ad essere felice insieme ad un’altra. E io gli starò accanto in qualsiasi caso, sarò felice della sua felicità, anche se ovviamente non sarà facile. È la nostra… vita, Franky, dobbiamo accettarla con i suoi pregi e difetti.»

Franky annuì, rincuorato. Non era né il primo né l’ultimo a vivere quella situazione delicata e sapendo di non essere il solo, si sentì sollevato, per quanto poco altruista potesse essere.

«Grazie mille per il tuo tempo, Steffi», la ringraziò per l’ennesima volta. Lei lo abbracciò, scatenando tutti quei folli pensieri nella mente di Zoe, che si aggrappò più saldamente al braccio di Bill.

«Non c’è di che Franky, è stato bello parlare con te.»

«Auguro a te e a Lucas tutto il bene di questo mondo.»

«Anche a te, a Zoe e ai tuoi amici. Stammi bene, ok?»

«Ok.» Sorrise e la guardò andare via con Lucas, poi raggiunse i ragazzi nella loro macchina dai vetri oscurati.

“Tu non entri, Franky?”, gli chiese mentalmente Georg, esitando con la portiera aperta nonostante non dovesse più entrare nessuno secondo David.

«No, io salgo sul tetto!», rispose l’angelo, ilare.

Il bassista rimase sbigottito, come Gustav al suo fianco; invece Jole sorrise e lo raggiunse. Chiuse la portiera e salì con lui sul tettuccio della macchina, a gambe incrociate, il viso beato e i capelli scompigliati dal vento. Era una bella sensazione e Franky per la prima volta se la godette pienamente, senza pensieri preoccupanti per la testa.

Arrivarono sotto il grande palazzone nel quale c’era l’appartamento dei Tokio Hotel e Jole e Franky si scrutarono per diversi istanti, sotto gli sguardi di Tom e Zoe, ai quali prudevano le mani. Zoe era comprensibile, aveva sempre quel pizzico di gelosia che le pungeva il cuore, ma… Tom? Tom era geloso di Jole? Franky non poteva crederci! Non l’aveva guardata per mesi, l’aveva sempre e solo sfruttata ed ora, solo perché era un fantasma e lui era in parte colpevole del suo stato, era così protettivo? O forse… Se si era innamorato di una persona ormai morta, dopo due sole settimane, era veramente stupido! Aveva avuto la possibilità quando era viva… ma era troppo facile, no?

«Ridicoli, ecco cosa siete», ridacchiò Franky, guardandoli eloquente.

«Ehi!», gridarono assieme, per poi fissarsi e tirarsi uno schiaffo sul braccio a vicenda.

«Jole, che fai?», le chiese allora l’angelo.

«Io… Non lo so… Tu che dici?» Aveva lo sguardo basso, sfuggente, e i piedi incrociati l’uno con l’altro.

Si passò una mano sul mento, pensieroso. «Penso che tu possa farcela», decretò con un sorriso. «Sei forte Jole, la presenza dentro di te si è molto indebolita rispetto all’inizio, non la sento quasi più. Se quello che vuoi è rimanere con Tom, sei libera di farlo.»

Il chitarrista trattenne il fiato: era di quello allora che stavano discutendo! Si voltò verso Jole e le prese la mano, stringendola nella sua. La ragazza alzò il viso e sorrise lievemente, annuendo.

«Ok, allora», Franky batté le mani. «Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi.»

Jole zampettò da lui e gli avvolse le braccia intorno al collo, stampandogli un bacio sulla guancia, scherzosamente. «Grazie Franky, sei unico!»

Arrossì impercettibilmente. «Ahm, grazie.»

Zoe, i pugni stretti tanto forte da farsi male, andò da Bill e lo abbracciò, sperando di scatenare in Franky la stessa gelosia che la faceva diventare rossa. Il cantante fu sorpreso, ma felice per la dimostrazione d’affetto, e ricambiò.

“Sempre più ridicola”, la beffeggiò il suo angelo custode e lei grugnì qualcosa di incomprensibile, staccandosi.

«Ciao ragazzi, grazie per la vacanza!», li salutò con la mano. «Grazie Bill», aggiunse suadente, stampandogli un bacio sulla guancia.

«Forza Zoe, andiamo», roteò gli occhi al cielo Franky. «Si sta facendo tardi, non vorrei che tua madre si preoccupasse.»

“Allora ti ho ingelosito!”, esultò silenziosamente, girandosi e sogghignando.

“Non mi hai ingelosito, ma se ti fa piacere credilo pure”, ridacchiò.

«Non voglio fare tutta la strada a piedi!», si impuntò allora, come una bambina. Era una ripicca, ne era certo.

«Su, non frignare e muoviti.» Mosse il braccio per incitarla, ma lei non mosse un muscolo e incrociò persino le braccia al petto. «Non ti porterò a casa volando», l’avvertì serio.

«Perché no?», sbattè i piedi a terra, le braccia lungo i fianchi.

Bill, Georg, Tom, Gustav e Jole erano gli spettatori di quel litigio e si stavano divertendo molto, nella consapevolezza che quei due non sarebbero mai cambiati.

Franky si guardò intorno, nella via buia illuminata solo dai lampioni. «Qualcuno potrebbe vederti scomparire nel nulla; non è prudente.»

«Da quando sei così rispettoso delle regole?», lo prese in giro, portandosi le mani ai fianchi. «Non mi sarai diventato un angioletto modello!»

«Dai Zoe, non fare storie, andiamo a casa.»

«Mi porti a casa volando?», chiese ancora ed unì le mani a mo’ di preghiera di fronte al viso. «Ti prego.»

Franky sbuffò e si massaggiò le meningi, esasperato. Quando Zoe si convinceva di qualcosa era più che determinata, cercare di farle cambiare idea era inutile, solo una perdita di tempo.
«Forza, vieni qui, mostriciattolo», sbuffò aprendo le braccia. Lei saltellò felice e ci si tuffò, salutò con la mano i ragazzi e poi come per magia scomparve di fronte ai loro occhi.

«Guarda che facce sconvolte, è fighissimo!», gridò Zoe.

«Ciao ragazzi, buonanotte», ridacchiò Franky prima di aprire le ali e di sparire nel cielo blu della notte.

«Wow», mormorò Bill, lo sguardo ancora rivolto verso l’alto. «Anche tu sei capace di far diventare invisibili le persone, Jole?» Ci furono lunghi istanti di silenzio, non ricevendo alcuna risposta si guardò intorno e si accorse che erano già tutti andati dentro al palazzo.
«Ehi, non lasciatemi qui da solo!», gridò correndo da loro.
Prese per un pelo l’ascensore e notò che mancava qualcuno. «Dov’è Jole?»

«Ha preferito… le scale», tossicchiò Tom, alzando lo sguardo.

«Che cosa nascondi?»

«C’è poco spazio e stare così a contatto con me avrebbe finito per… distrarla troppo.»

«Mi spieghi come funziona?»

«Sì, anche io voglio saperlo», disse Georg, incuriosito.

«Beh… La parte malvagia che abita nel suo corpo è molto, molto incazzata con me e se Jole non sta attenta rischierebbe di farsi sopraffare e quindi potrebbe farmi del male. In questo momento lei sta cercando di imprigionare questo suo alter ego nella sua mente, in modo tale da liberarsi e… Ma ci riuscirà solo con il mio aiuto, sono io che devo farmi perdonare dalla sua parte malvagia.»

«Che cosa complicata.»

«Parla quello che si è preso la cotta del secolo per la ragazza di un angelo.»

«Beh almeno lei è viva.»

«Non sei per niente divertente, Bill», lo fulminò con lo sguardo e, appena si aprirono le porte, uscì cupo e andò dritto verso la porta del loro appartamento, dove li aspettava Jole, serena.

«È successo qualcosa?», gli chiese quando lo vide così di cattivo umore.

«No, niente», stiracchiò un sorriso e la fece entrare per prima.

Jole si guardò intorno, ricordando a malapena il luogo in cui era: ci era stata solo una volta, con Tom, ma non aveva potuto vedere quasi niente.

Le fece sbattere la schiena contro la porta d’ingresso e la morse sul collo cercando le chiavi nelle tasche della giacca. Quando le trovò, l’aprì e si trovarono nel bel mezzo del salotto: c’era un tavolo al centro, di fronte una televisione e alla parete, in parallelo alle porte finestre che davano sulla terrazza, c’era un ampio divano.

Non fece in tempo a dare un giudizio al resto dell’arredamento, Tom l’aveva già presa fra le braccia e stretta a sé con prepotenza. La sollevò da terra, riprendendo a baciarla sui lembi di pelle che il vestitino nero che indossava lasciavano scoperti; Jole si aggrappò a lui portando le braccia intorno al suo collo e le gambe intorno alla sua schiena.

Salirono le scale che portavano alle camere da letto e il chitarrista la lasciò andare a terra, lei barcollò per la sorpresa e l’alcool che aveva ingerito poco prima, perse anche una scarpa dal tacco fucsia, ma non ci badò molto. Si tolse anche l’altra, lasciandole in mezzo al corridoio, e Tom pensò al suo giubbottino di pelle, che cadde a terra con un suono soffice.

Entrò nella stanza insieme a lui come tutte le altre volte…

«Jole?»

Sbattè le palpebre, ritrovandosi di nuovo nel salotto illuminato, sotto forma di fantasma. Di fianco a lei c’era Tom, che la guardava preoccupato, sventolando una mano davanti al suo viso per farla riprendere.

«È tutto ok, Jole?»

«Sì, mi ero solo… persa nei miei pensieri», sorrise e si guardò intorno: c’erano solo loro due. Per quanto tempo era rimasta imbambolata, intrappolata in quel ricordo doloroso quanto lontano? Sembrava scorsa una vita da quella sera e dopotutto era così, la sua vita era finita da un pezzo…
«Dove sono andati a finire gli altri?», chiese.

«Sono già andati a letto, ti hanno persino dato la buonanotte, ma tu non ti sei accorta di niente. Posso sapere a che cosa stavi pensando?»

Sollevò il sopracciglio e si coprì la bocca per non scoppiare a ridergli in faccia. «Niente che tu non sappia.»

«Che cosa…?» Si guardò intorno e un flash gli ricordò di quella sera: era stata la prima volta che l’aveva portata lì. La prima ed unica volta.

Un tonfo fuori dalla porta, come se qualcuno fosse caduto, lo svegliò e aprì gli occhi, trovandosi di fronte il viso di quella ragazza, Jole – doveva essere quello il suo nome, se non ricordava male – che si spaventò e si ritrasse, coprendosi con il lenzuolo.

«Che ci fai ancora qui?», le chiese con voce roca, tirandosi sui gomiti. «Lo sai che non voglio…»

«Sì, lo so, scusami, scusami!», farfugliò raccogliendo i suoi vestiti e rivestendosi, dandogli le spalle. «Mi dispiace.»

«Hai intenzione di scusarti ancora per molto? Sbrigati e vattene.» Sbadigliò e si risdraiò, rinvigorendo il cuscino e girandolo dalla parte fresca sotto la sua testa. «Ah, sei stata tu prima a fare quel rumore?»

«No, veniva da fuori», gli rispose. Si alzò, raggiunse la porta e si girò un’ultima volta per salutarlo, come sempre, quando sobbalzò vedendolo così vicino.

«Che c’è?», mugugnò passandosi una mano sul viso. «Guardo che cosa è stato a fare quel rumore.»

«Mmh», annuì la ragazza ed uscì in corridoio, prese i suoi tacchi e se li infilò; fece lo stesso con il giubbottino di pelle e poi si girò verso il chitarrista, che si stava dirigendo verso il bagno – nonostante la luce fosse spenta, si sentivano dei rumori – nel corridoio buio. «Tom?», lo chiamò. Lui si girò e la guardò, leggermente infastidito.

«Ciao», lo salutò a bassa voce. Abbassò gli occhi e poi se ne andò, silenziosa come era entrata nella sua vita.

Quel giorno Tom non poteva nemmeno immaginare quello che sarebbe successo, né aveva risposto al suo saluto, quel «Ciao» che in realtà doveva essere un «Addio», perché quella era stata l’ultima volta in cui avevano sentito l’uno la voce dell’altra, prima che lei…

«Sembra passato così tanto tempo…», disse Jole, risvegliandolo da quel ricordo che lo aveva trascinato lontano, lontanissimo da lì.

Si passò una mano sul collo, senza trovare la forza di guardarla negli occhi. «Mi dispiace da morire.»

«Stai tranquillo», gli sorrise e fece qualche passo nel salotto, poi si avviò verso le scale e le salì lentamente. Tom la seguì, incuriosito: e ora cosa voleva fare?

Di fronte alla porta della sua camera, si fermò e fissò il legno bianco con occhi vacui. Il chitarrista la raggiunse e l’aprì, dandole il permesso d’entrare. Jole fece qualche passo all’interno e fece una rapida ispezione con lo sguardo, poi sorrise.

«Come mai sorridi?», le chiese.

«Perché è tutto come allora.»

«E sei contenta?»

«Sì, vuol dire che in un certo senso sei lo stesso ragazzo di cui…», arrossì e si portò una mano sulle labbra, gli occhi preoccupati. Aveva parlato fin troppo.

«Io spero vivamente di essere cambiato da allora, in meglio. Sapere di essere lo stesso stronzo menefreghista che ti ha fatto solo soffrire mi dà la nausea.» Si gettò sul letto e si sistemò il cuscino dietro le spalle, appoggiate alla testata.

«Non mi hai fatta solo soffrire», lo corresse e si avvicinò; sfiorò il copriletto con le dita e si lasciò cadere seduta sul materasso, dandogli la schiena. «Anche se non sembra, mi hai donato emozioni che mai nessuno mi aveva fatto provare prima. Sei il ragazzo che mi ha resa donna e…»

«Come, mi avevi detto –!»

«Ho mentito», ridacchiò. «Mi hai fatta sentire desiderata come mai nessuno aveva fatto; certo, si è trasformato in un desiderio perverso, però… all’inizio era bello, sapere che tu chiamavi me, vivere nella consapevolezza che non c’era nessun altra per te. Poi vabbè, le cose sono andate come sono andate… Mi hai fatta innamorare e per quanto possa avermi fatto male, è stata l’emozione più bella che abbia mai provato. Ho capito che cosa si prova ad avere tutte quelle farfalline impazzite nello stomaco; ho capito che cosa vuol dire sentirsi bruciare ad un semplice sguardo, un tocco; ho capito quanto un cuore può battere forte; ho capito quanto migliore e buona possa diventare una persona innamorata, ma anche ingenua e sensibile. Insomma, Tom, senza di te…»

Due forti braccia le avvolsero delicatamente la vita e sentì il suo respiro caldo sulla nuca. Si irrigidì, ma non poté non sorridere a quel gesto infinitamente dolce.

«Resta con me, stanotte», le sussurrò e milioni di brividi, esattamente come se fosse ancora in vita, le attraversarono la spina dorsale.

«Non credo sia una buona idea. È rischioso, lo sai.»

«Ti prego.»

Sapeva che non era la cosa giusta da fare, che se la parte malvagia fosse sfuggita al suo controllo e avesse fatto del male a Tom non se lo sarebbe mai perdonata, ma… come poteva realmente resistere a lui, al ragazzo per cui avrebbe persino venduto l’anima – tutto ciò che le restava a parte i ricordi – ?

«Posso farti una domanda, prima?», gli chiese. Non aspettò una risposta, prima di continuare: «Tu lo fai… sei così dolce e tutto quanto, solo perché io sono un fantasma?»

La girò fra le sue braccia e la costrinse a guardarlo negli occhi, calore puro che emanava solo sincerità: «Certo che no, io… è complicato da spiegare, è una cosa che sento dentro e che non riesco a…»

«Va bene così», sorrise. «Grazie.»

Si stese accanto a lui, rannicchiata contro il suo petto così caldo in confronto alla sua pelle fredda, si perse nel nocciola caldo dei suoi occhi e quando lui l’abbracciò con tenerezza capì di aver fatto la scelta giusta, perché non c’era niente come la paradisiaca sensazione di stare fra le sue braccia e sentirsi inondare da quel calore, sentirsi desiderata e anche un pizzico amata. Inoltre, la sua parte malvagia si era assopita magicamente, senza che lei avesse fatto nulla, facendole godere ancora di più quel momento. Che lo avesse perdonato? Che quell’abbraccio avesse fatto breccia così in profondità, tanto da raggiungere e rasserenare pure lei? Non lo sapeva, ma era contenta che fosse così.

«A volte vorrei poterti leggere nel pensiero», le disse Tom a bassa voce, spostandole un ciuffo biondo miele dalla fronte e portandolo dietro l’orecchio.

Accennò una risata, chiudendo gli occhi. «Finiresti per annoiarti a morte, penso sempre alle solite cose.» Per esempio che ti amo ancora, come il primo giorno. «Mi chiedevo soltanto se dovevo proprio morire, per avere anche solo una minima parte di tutto questo.»

«No.» Tom la strinse un po’ più forte, sentendo il suo freddo penetrargli fin dentro le ossa. Non importava. Fece per aggiungere qualcos’altro, ma Jole gli posò un dito sulle labbra.

«Ora dormi, Tom.»

«Non ho sonno, tre ore fa era solo mezzogiorno a Los Angeles!»

«Buonanotte, Tomi», sussurrò e gli posò un bacio sulla fronte.

All’improvviso le sue palpebre si fecero pesanti, tanto che non riuscì a tenere gli occhi aperti, e sprofondò nel mondo dei sogni.

Jole sorrise, soddisfatta del proprio operato, e gli accarezzò il viso con la punta delle dita. Vide la sua pelle ricoprirsi di leggeri brividi e si alzò, prese una coperta e gliela mise addosso: nonostante fosse piena estate, stando accanto a lei rischiava seriamente di congelare. Ritornò al suo fianco e lo osservò, forse per tutta la notte, vegliando in silenzio sul suo sonno, gli occhi pieni d’amore.

[It’s a thrill to see your imagination
Just watching you is an education
What’s in your mind is my fascination
It blows my mind and sets my heart a racing]


«Grazie ancora per aver avuto pietà delle mie povere gambe», gli disse Zoe e gli stampò un bacio sulla guancia, ridacchiando. «Saluto mamma ed Heinz e poi ti aspetto in camera, ok?»

«Ok», annuì e la guardò entrare nell’appartamento e chiudersi la porta alle spalle.

Sentì la voce emozionata della signora Wickert accogliere la figlia dopo due settimane di lontananza. Udì anche la voce di Heinz, il compagno di sua madre, salutarla affettuosamente. Era contento che tutto si fosse sistemato e che lei avesse una nuova figura paterna nella sua vita, ne aveva proprio bisogno.

Franky si lasciò trasportare dai pensieri e pensò a suo padre, quell’uomo che non poteva essere definito tale perché non l’aveva nemmeno mai voluto conoscere. Era una figura totalmente sconosciuta a lui, sapeva che cosa voleva dire averne uno solo grazie a suo zio David, che aveva ricoperto quel ruolo nell’ultima parte della sua vita. Ora aveva la possibilità di conoscerlo, ma… non ne aveva molta voglia. Dopotutto non sarebbe cambiato niente: l’avrebbe visto, avrebbe capito che faccia avesse l’uomo che aveva fatto soffrire in quel modo sua madre e poi se ne sarebbe andato. Non era molto utile.

Sentì un rumore alla sua sinistra e vide le due ragazzine, amiche per la pelle, vicine di casa di Zoe, la biondina e la moretta che avevano anche avuto l’occasione di conoscere Tom in un bar.
Si fermarono sul pianerottolo e lo fissarono sorridendo, le mani sui fianchi, così convinte che Franky dubitò di essere invisibile ai loro occhi. Riuscivano a vederlo? Perché? C’era qualcosa che non andava.

«Non ti preoccupare Franky, è tutto a posto. Noi due non siamo esseri umani, siamo angeli, esattamente come te», gli spiegò la mora.

«Ma… ma come, io quando ero vivo vi vedevo! Com’è possibile?»

«Spieghi tu?», chiese la moretta alla bionda, che annuì, anche se non sembrava entusiasta.

«Perchè sempre a me i compiti più disdicevoli?», borbottò, avvicinandosi a lui.

Gli spiegarono che loro erano angeli ancora più speciali, inviati sulla Terra per aiutare e confortare gli angeli custodi insicuri sulla loro decisione o che non volevano più esserlo; gli Intrappolati che una volta che si erano resi conto di quello che avevano fatto avrebbero preferito la morte della loro anima, pur di levarsi di dosso quelle colpe; e tutti gli esseri non vivi che avevano bisogno del loro aiuto. Avevano sembianze umane e si inserivano nella comunità solo per non destare sospetti ed agire indisturbate.

«Inoltre», disse la ragazza bionda, «noi abbiamo un potere esclusivo, ossia quello di vedere nel futuro.»

«Non è che proprio vediamo nel futuro, possiamo vederlo solo se la persona che ci sta di fronte morirà… come dire, in tempi brevi, ecco, e possiamo prevedere quello che deciderà di fare una volta in Paradiso.»

«Cioè, voi… sapevate tutto di me?», chiese incredulo.

«Noi abbiamo visto il tuo cancro, Franky, già dalla prima volta in cui ci siamo incontrati», la biondina sorrise, posandogli una mano sulla spalla. «E abbiamo visto che saresti diventato l’angelo custode di Zoe.»

«Non potevi fare scelta più azzeccata, stanne certo.»

«Non so, ora come ora mi trovo in una situazione difficile», si passò una mano sul collo, indeciso se parlarne o meno con quegli angeli “psicologi”. Non gli erano mai piaciuti, gli psicologi.

«Noi conosciamo le tue preoccupazioni», disse la mora, con un tono di voce rassicurante. «E quello che possiamo dirti è che questa è la tua strada e questi sono i problemi che dovrai affrontare. Non sappiamo se ci riuscirai o meno, però ci proverai. Noi crediamo in te come mai abbiamo fatto, sei un angelo custode molto speciale, in qualche strano modo.»

«Beh, grazie», ridacchiò Franky, lusingato.

«Ricordati che il tuo compito è quello di proteggere Zoe. Che senso avrebbe, se le togliessi la felicità per quello che tu chiami egoismo? Che senso avrebbe se, prima di tutto, non la proteggi da te stesso e dai tuoi desideri che non possono più avverarsi?»

Entrò in camera di Zoe scosso, ma con la certezza che quelle parole che si insinuava lentamente nel suo cervello fossero giuste. Forse era solo merito degli strani poteri di quei due angeli, ma gli credeva e gli dava pienamente ragione: prima di proteggere Zoe dal resto del mondo, doveva prima proteggerla da se stesso e dai suoi desideri che non sarebbero mai stati esauditi.

La luce era accesa, Zoe era sdraiata sul letto e mentre lo aspettava si era addormentata. Sorrise ammorbidito dalla sua espressione tenera, da bambina. Le sfiorò la guancia con la punta delle dita e si disse che per quanto fosse ardua quella sfida, ce l’avrebbe fatta: per lei avrebbe fatto di tutto, persino morire una seconda volta.

Spense la luce e si mise seduto alla scrivania, a vegliare in silenzio sul suo sonno.

[You’re my Sunday
Make my Monday come alive
Just like Tuesday
You’re a new day that wakes me up
Wednesday’s raining
Thursday’s yearning
Friday nights
Then it all ends at the weekend
You’re my star

Yes, you are]

_______________________________________

Buona sera! :)
Questo è indubbiamente uno dei miei capitoli preferiti e forse il mio preferito in assoluto, ma è difficile stabilirlo, io non sono obbiettiva! ;)
Sono successe un bel po’ di cose, tra cui una dettagliata spiegazione e una piccola anticipazione su ciò che fa, i suoi compiti, e che farà Franky in un prossimo futuro. David ha chiesto a Susan di sposarlo *ç* Franky ha conosciuto e ha parlato con un altro angelo custode con le sue stesse “caratteristiche”, ha scoperto anche ciò che nascondevano le due vicine di casa di Zoe, e per finire in bellezza fra Jole e Tom le cose vanno meglio e io li trovo infinitamente dolci! *-*

La canzone che ho usato in questo capitolo, e che consiglio vivamente di andare ad ascoltare, è You’re my star, degli Stereophonics (che a quanto pare piacciono molto anche a Bill xD).

Ringrazio Utopy, per avermi ispirato gran parte del dialogo iniziale fra Franky e Gustav e per avermi aiutata nella richiesta di matrimonio di David: la maggior parte delle parole sono sue. Sei the best, beibi

Notare bene xD: Quei tacchi fucsia, quel giubbottino bianco e quel tonfo, simile ad una caduta, (nei ricordi di Jole e Tom) non vi suonano familiari? xD (Per chi è smemorato come me, vedere capitolo numero 7 di Nothing to lose!) Ebbene sì, erano di Jole quei tacchi e quel giubbottino bianco; e la caduta è proprio di Franky. Erano così vicini! Com’è piccolo il mondo xD

Bene, ho detto tutto, passo ai ringraziamenti:

_lile_ : Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, anche a me Tom e Jole piacciono tanto *-* Grazie mille, alla prossima!

Tokietta86 : Oh, che bello, sei partita con i viaggi mentali! *ç* Sì, penso anche io che sarebbe bello se Jole potesse tornare in vita, ma è troppo bello per essere vero… ç_ç La situazione di gelosie, amori, fra quel trio lì la porterò avanti ancora per un po’, tremate, perché non è ancora finita qui xD
Grazie mille per la recensione, sono davvero contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero che questo non sia da meno! ;) Alla prossima, un bacio!

Isis 88 : E’ un bel casino assai xD Però è vero, le cose stanno migliorando, ma non lasciamoci ingannare troppo… Jole è stata davvero brava, sìsì u.u Grazie per la recensione, alla prossima, baci!

Utopy : Wow, recensione superveloce o.o Bella comunque *-* Grazie per aver rischiato la vita! xD Sono contenta che ti sia piaciuto e uhm… Zoe e l’indecisione xD Si deve buttare su Bill u.u Ci sentiamo dopo allora (ho fame u.u), ti voglio tantissimissimo beneeee! Un bacio grande grandissimo! Tua, Sonne.

Ringrazio anche chi ha letto soltanto!
A venerdì. Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 17
*** Cold - Control ***


17. Cold – Control

Allungò il braccio alla sua ricerca e sentì le coperte fredde, fin troppo fredde: doveva essersi alzata da poco. Aprì lentamente gli occhi e si tirò su a sedere per perlustrare la stanza, alla sua ricerca. Sentì delle voci e dei rumori provenire dal piano inferiore e capì che forse lui era l’ultimo, il bell’addormentato di turno.

Si alzò e dopo aver fatto una capatina in bagno per lavarsi il viso, ancora piuttosto gonfio di sonno, scese di sotto e spuntò in salotto, deserto. Tutte le voci, tra cui distinse anche la sua, si concentravano in cucina.

«Ma i tuoi genitori?», chiese Bill e Jole rispose:

«Mia madre se n’è andata da casa quando avevo quindici anni, non amava più papà e non so che fine abbia fatto, parlando sinceramente. E mio padre invece dovrebbe essere in carcere.»

«In realtà», intervenne Franky – C’era persino lui! – «Ora si trova in ospedale.»

«In ospedale?»
Jole sobbalzò di spavento quando l’angelo le mostrò ciò che aveva visto quando era andato da lui a reperire informazioni sul conto dell’Intrappolata.
«Io… io non…», balbettò lei, gli occhi lucidi.

«Credo che l’unica in grado di liberarlo sia tu, Jole. Quella che gli Intrappolati infliggono è una pena, dolorosissima, dalla quale si può essere assolti solo dall’Intrappolato che l’ha inflitta.»

«Che pena?», chiese allora Zoe. C’erano proprio tutti, a quel punto. Franky non le rispose e si sporse verso la porta, dove c’era Tom, che ascoltava senza fiatare.

«Ciao Thomas», lo salutò muovendo le dita della mano. «Ti sei svegliato? Jole, ci sei andata pesante ieri sera, eh?»

«Aveva bisogno di dormire», annuì la ragazza, sorridendogli.

«Sei stata tu allora a farmi cadere come un sasso!», le puntò un dito contro, scherzosamente.

Jole era seduta sul ripiano della cucina, gli occhi sbarazzini e un sorriso da bambina, i capelli raccolti sulla nuca, anche se alcune ciocche ribelli le sfioravano le guance. Si era anche cambiata: indossava un paio di pantaloncini corti, in jeans, e una maglietta blu piuttosto larga per il suo fisico asciutto, che si stringeva sulla vita. Franky era appoggiato accanto alla finestra, oltre la quale ogni tanto osservava il panorama della città, le braccia strette al petto e un sorriso sereno che non vedeva da tempo. Bill, Georg, Gustav e Zoe, invece, erano seduti al tavolo della cucina, sul quale c’era di tutto per la colazione. Si accorse che la maggior parte delle cose erano le sue preferite e arricciò il naso.

«Chi ha preparato la colazione?», chiese, indicando il tavolo.

«Io!», rispose entusiasta Jole, alzando una mano, che trapassò il mobile sopra la sua testa. La ritrasse, ridacchiando insieme a Franky.

«Perché l’hai fatto?» Il suo tono di voce era duro, simile a quello di un rimprovero. Si portò le mani sui fianchi e la guardò, in attesa di una risposta.

Zoe si schiarì la voce. «Ehm… Bill, Gustav, Georg, Franky, potete venire un attimo con me di là?» Sentiva che Tom voleva parlare da solo con Jole, anche se non pensava arrivasse addirittura ad un litigio; però c’era quella tensione nell’aria.
I ragazzi, anche se titubanti, seguirono Zoe in salotto, che tentò di distrarli accendendo la TV, sintonizzandola su Mtv. Purtroppo con Franky non funzionò: era collegato con il pensiero alle menti dei due, per capire che cosa stesse succedendo.

Jole abbassò lo sguardo, ferita. «Scusa, io… pensavo di aver fatto una cosa carina.»

«Sì, lo è, ma…» Tom si avvicinò e arrivò a pochi centimetri da lei, tanto da poterle sfiorare le ginocchia con i fianchi. La guardò fisso negli occhi, sollevandole il viso chiaro. «Io non mi merito questo trattamento, lo sai. Se fai tutto questo per me mi fai sentire solo… più merda di quello che mi sento.»

«Non l’ho fatto solo per te, non sei l’unico che abita questa casa», gli disse, ma il suo tentativo fu patetico. Non era mai stata capace di mentire e si maledì per questo.

«Ti ho trattata sempre da schifo, perché tu invece sei così buona con me?», sussurrò e le sfiorò le gambe nude con la punta delle dita. Sentì il suo cuore di fantasma partire in quarta e sorrise amaro, fissando quegli occhi dorati con i propri.

Le gote della bionda presero colore. «La conosci la risposta.»

Diminuì ancora la distanza fra loro e le accarezzò le gambe fino ad arrivare ai fianchi. Lei era rigida, la testa appoggiata al legno del mobile: cercava di andare indietro ad ogni centimetro che lui otteneva, ma se avesse continuato così si sarebbe trovata direttamente con la testa nella credenza.

Tom si avvicinò ancora un po’ e si passò la lingua fra le labbra, incerto se farlo o meno: come sarebbe stato baciare un fantasma? Lui la voleva, la voleva come mai aveva fatto prima e anche il suo cuore da vivo batteva furiosamente, il suo respiro era leggermente più veloce e nonostante il freddo di Jole sentiva la propria temperatura interna superare i quaranta gradi centigradi.

Mancava ormai pochissimo, sentiva il suo respiro gelato sulle labbra, e all’ultimo Jole voltò il viso, chiudendo gli occhi e portando le mani sulle sue spalle, come se volesse spingerlo via da sé ma in realtà non volesse farlo. «Non si può.» Fu il suo sussurro, appena udibile.

«Scusa», mormorò Tom allontanandosi, imbarazzato fino all’inverosimile.

Qualcuno dietro di loro si schiarì la voce e si voltarono: Franky era appoggiato allo stipite della porta, il sopracciglio alzato. Da quanto tempo era lì a guardarli?
Le sue parole, stizzite, rimbombarono nella testa del chitarrista: “Vedi di non innamorarti di un fantasma.”

«Non mi sto innamorando», balbettò, nervoso, con un tono che doveva essere offeso, ma che non produsse l’effetto desiderato.

«Ti ho solo detto di stare attento, noi non siamo vivi.»

«E dai Franky, lascialo stare», sbuffò Jole, tenendo saldamente le mani al ripiano, cercando di non pensare al tremore che le stava percuotendo lievemente.

«Gli ho detto solo come stanno le cose», scrollò le spalle e non riuscì nemmeno a vedere Jole che saltò verso di lui: si ritrovò direttamente con la schiena a terra e lei addosso.

«Ti ho detto di lasciarlo stare!»

Un’occhiata gli fece capire che cosa era successo: Jole si era trasformata, con tanto di occhi rossi e unghie lunghe. Ma… perché? Non riuscì a darsi una risposta, troppo impegnato a schivare i colpi che l’Intrappolata cercava di infliggergli, spostando la testa a destra e a sinistra.
Riuscì a liberarsi facendo leva con i piedi sul suo stomaco. Jole volò per aria e con una capriola sul pavimento si rialzò in piedi, ai piedi delle scale, in posizione di difesa, rannicchiata su se stessa.

«Che cosa sta succedendo?!», chiese Zoe spaventata, allontanandosi sempre di più sul divano: quella scena l’aveva già vista, era come un déjà-vu.

«Non lo so, allontanatevi!», fece in tempo a gridare Franky, prima che Jole tornasse all’attacco.

Erano velocissimi. Tom, ancora in cucina, non riusciva a distinguere cosa fosse di uno e cosa dell’altro; erano tanto veloci da fondersi in immagini sfuocate ed evanescenti.

«Jole, ma che cosa diavolo ti prende?», chiese Franky con il fiato corto, evitando l’ennesimo colpo che però gli graffiò la guancia.

«Lascia stare Tom!»

«Cioè tu… lo stai difendendo da me?»

Sorpreso, perse il tempo e Jole ne approfittò: fu un colpo secco, deciso e soprattutto preciso. Tutto si fermò, il silenzio fu l’unico rumore udibile, oltre ad uno strano fischio che stava facendo scoppiare la testa a Franky. Era appoggiato a lei, la guancia sulla sua spalla, le sue unghie conficcate nel ventre, dal quale colava liquido argentato. Quando si ritirarono con un suono quasi metallico, lui cadde a terra con un tonfo, privo di sensi, la maglietta squarciata e macchiata del suo sangue.

«NO!», gridò Zoe con tutto il fiato che aveva in gola, iniziando a piangere. Corse al suo capezzale, liberandosi dalla stretta di Bill, e si chinò su di lui: gli accarezzò le guance, farfugliando cose senza senso. Alzò il viso verso la Jole tornata normale, pietrificata sul posto, gli occhi spalancati e pieni di terrore, e la guardò truce.

«Ti odio. TI ODIO!», urlò e stringendo a sé il corpo di Franky continuò: «Vattene via! VATTENE DA QUI!»

Jole non riusciva a crederci. Si guardò le mani, ancora sporche, e iniziò a tremare, non di rabbia, ma di disgusto. Sentì l’impellente voglia di vomitare, ma sapeva che era solo una sensazione impulsiva: lei non ne era in grado. Si portò quelle stesse mani sulla testa e si rannicchiò a terra, cominciando ad urlare tutto il suo dolore per ciò che aveva fatto, ciò che aveva permesso di fare al suo alter ego che aveva preso totalmente il controllo di lei, schiacciandola nel suo stesso corpo.
Sapeva perché l’aveva fatto: la lei malvagia sapeva che ferire Franky l’avrebbe fatta soffrire e quale miglior vendetta, se Jole l’aveva ferita non permettendo a Tom di baciarla? Era una lotta fra affetti.

Qualcuno la prese per le spalle e la tirò su, Tom, che cercò di calmarla abbracciandola, ma lei si liberò continuando a gridare e a piangere, poi scappò via, lanciandosi giù dalla finestra.

«Sarai contento ora», singhiozzò Zoe, guardando il chitarrista e la sua maglietta sporca d’argento. «Ora che la tua amichetta fantasma ha… ha… oh mio Dio.» Non riuscì più a parlare, si strinse soltanto contro Franky, tremando mentre le lacrime le sfregiavano il viso.

***

Si svegliò dopo qualche ora. Era steso sul divano, sotto una coperta, e qualcuno gli aveva fasciato l’addome con delle garze umide. Provò a girarsi, ma accanto a sé, compressa nel poco spazio che lui lasciava libero, c’era Zoe, che lo abbracciava delicatamente.

«Ti sei svegliato», mugugnò sollevata, stropicciandosi gli occhi. «Non sai che paura che mi sono presa, pensavo…»

Franky sorrise divertito. «Ehi, rilassati. Io non posso morire, ricordi? È un’esperienza che ho già vissuto.»

«Non sei divertente. Mi sono spaventata da morire!»

«Mi dispiace», le accarezzò la guancia e si mise seduto.

«Non sforzarti!», lo rimproverò e tentò di farlo sdraiare di nuovo, ma lui rise e si sciolse le bende: al posto delle profonde ferite, c’erano solo quattro piccoli segnetti bianchi.

«Vedi? Sono cicatrici, sto bene! Guarisco in fretta.»

«Wow», soffiò e lo guardò rivestirsi. «Ahm, Bill ti ha lasciato lì una sua maglietta. La tua è più che bucata.»

«Oh, grazie.» La prese e se la infilò: era una maglietta bianca, semplice, che si abbinava perfettamente al resto della sua divisa di seta. «A proposito, dove sono tutti gli altri?»

«Noi siamo qui!», disse Bill uscendo dalla cucina con una punta d’ansia negli occhi, seguito subito da Gustav e Georg che sorridevano.

A Franky bastarono tre secondi per capire il perché di quell’agitazione: Bill aveva intenzione di chiedere a Zoe un appuntamento, in modo tale da iniziare quello che a malapena era incominciato.

“Trattamela bene, mi raccomando”, gli disse nel pensiero e il frontman annuì, sorridendo.

«Di che confabulate voi due?», chiese Zoe mettendosi in mezzo.

«Niente, niente», ridacchiò Franky. «Grazie per la maglia, Bill.»

«Prego, non c’è di che. Come stai?»

«Bene, adesso. È stato molto impressionante?»

«Sì, abbastanza», rispose Georg. «Soprattutto quando sei caduto a terra come un sacco di patate, senza sensi, con quei buchi nella pancia.»

«Sembrava la scena di un film», constatò Gustav, facendolo sorridere.

«E Tom, dov’è?»

Zoe abbassò lo sguardo sulle sue mani intrecciate. «Di sopra, si è chiuso in camera e non sembra voglia uscirci presto.»

«Mmh, parlerò con lui più tardi. E Jole, dov’è finita?»

Zoe scattò e gli tirò uno schiaffo, cieca dalla rabbia. Franky accusò il colpo e chiuse gli occhi, respirando pesantemente con il naso per non perdere anche lui le staffe.

«Jole dov’è?», ripropose la domanda e una nuova sberla lo colpì, solo sull’altra guancia. Altro respiro profondo. «Ho chiesto: dov’è Jole?» Quella volta le bloccò la mano in tempo, senza nemmeno aprire gli occhi. Quando li aprì fissò quelli di Zoe, colmi di lacrime.

«Scusami, Franky, ma come puoi cercarla, dopo quello che ti ha fatto?», gli chiese, il respiro spezzato.

«La colpa non è di Jole, non era lei in quel momento. Quella che ci sta più male in questo momento è lei e devo assolutamente raggiungerla, prima che faccia qualche cazzata di cui si potrebbe pentire.»

«Stai attento», mormorò e Franky sorrise, la prese per la nuca e la baciò sulla fronte, abbracciandola per un istante.

«Ci vediamo dopo!», salutò pimpante e si lanciò di testa dalla finestra, scese in picchiata sulla strada e ad un soffio dal cemento risalì a tutta velocità, perdendosi nelle nuvole che abitavano a fiotti il cielo azzurro.

***

Era rannicchiato nella sua parte di letto, come quando da bambino sentiva i litigi dei suoi genitori. Il viso era senza un’espressione vera e propria, solo le lacrime che stavano scivolando dai suoi occhi gonfi e arrossati manifestavano ciò che sentiva dentro: sofferenza, tristezza, sensi di colpa.

Non poteva smettere di incolparsi per ciò che era successo, per la ferita che Jole aveva inflitto a Franky senza un motivo apparentemente logico, come la sua trasformazione inaspettata.

L’angelo aveva ricevuto il colpo dopo essere stato sorpreso dal fatto che Jole stesse difendendo Tom. Quella volta si era trasformata per proteggerlo, non per attaccarlo, e la cosa era parecchio strana e tutto fuorché prevedibile. Forse l’alter ego di Jole non era solo ciò che loro credevano, un’essenza puramente malvagia molto rancorosa nei suoi confronti, ma un essere assestante, che condivideva con Jole lo stesso corpo: un essere capace anche di amare, oltre che di ferire. Poteva essere definita come la parte istintiva di Jole, quella che agiva senza riflettere minimamente.

In ogni caso era lui, Tom, il perno attorno al quale ruotavano quella presenza e Jole. Che fossero due esseri inscindibili, che però dovevano trovare un equilibrio? Non lo sapeva, ma si sentiva maledettamente in colpa. Oltre per quello che era successo a Franky, anche per la fuga e le urla disperate di Jole.
Chissà ora dov’era finita, se stava bene…

Soffocò un urlo frustrato nel cuscino e lo strinse talmente forte fra i pugni da farsi male alle nocche.

***

Bussò alla porta dell’appartamento accanto a quello dove abitava Zoe e la ragazzina bionda gli aprì la porta, già consapevole di tutto quello che era successo.
«Dove credi sia andata?», gli chiese infatti.

«Non ne ho la minima idea, ma ho assolutamente bisogno del vostro aiuto.»

«Certo», annuì. «Alexandra, muoviti!»

«Si chiama Alexandra, la mora?», chiese Franky.

«Sì, io invece mi chiamo Ariadne.»

«Wow, finalmente so i vostri nomi.»

La ragazza sorrise e venne affiancata dalla sua amica, che si sistemò la maglietta sui fianchi. «Pronta?»

«Pronta. Dove andiamo?», sollevò lo sguardo sull’angelo.

«Pensavo mi avreste aiutato voi!»

«Dai, ci penso io.» Ariadne si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi, concentrandosi. Dopo qualche istante, li riaprì: «Si trova al suo vecchio domicilio e sta cercando in tutti i modi di togliersi la vita. Dobbiamo muoverci.»

Uscirono fuori dal palazzo e con le ali spiegate raggiunsero il cielo, che nel frattempo aveva preso una sfumatura scura, quasi violacea. Si preannunciava un temporale estivo molto forte, vista l’elettricità che si respirava nell’aria.

Volavano a velocità sostenuta, sotto di loro il paesaggio era una massa di grigio sfuocato ed indefinito, con qualche picco di colore ogni tanto, quando passavano sopra alla campagna.

«Togliersi la vita? Com’è possibile?», chiese Franky ad un tratto, ripensando alle loro parole.

«Inteso come uccidere l’anima», gli spiegò Alexandra.

«E come si fa?»

Ariadne arricciò il naso, infastidita. «Questo tipo di suicidio non è ammesso, per questo è necessario sapere la tecnica esatta.»

«È un procedimento molto complicato e doloroso: si deve proprio voler non più vivere, rifiutando ciò che ci rende capaci di fare tutto quello che facciamo a tal punto da espellere l’anima dal corpo. Non viene mai spiegato, soprattutto agli Intrappolati, che sono così fragili.»

«Qualcuno ci è mai riuscito? Ad espellere l’anima.»

«Sì, qualcuno sì», rispose la biondina e questo fece aumentare a tutti la velocità.

Raggiunsero il palazzone, nella zona periferica della città, in cui c’era il vecchio appartamento che Jole aveva abitato insieme al padre. Entrarono senza troppi complimenti e sentirono dei gemiti soffocati al piano superiore. Trovarono Jole stesa sul pavimento, nella sua ex camera, ferita su tutto il corpo, con tagli e abrasioni di ogni genere: ce la stava proprio mettendo tutta per farsi fuori, doveva voler morire con tutte le sue forze. Infondo, l’aveva fatto una volta, poteva farlo di nuovo.

«Jole!», gridò Franky raggiungendola e accarezzandole le guance. «Che cosa fai, stupida? Sto bene!» Lei tentò di parlare, ma tossì e un rivolo di liquido argentato le scivolò fuori dalla bocca. «Sono qui Jole, sono qui.»

«Non voglio più stare qui, Franky», mormorò a bassa voce. «Non sono nemmeno capace di far tacere la voce nella mia testa. Fa male. Tanto male. Ti prego falla smettere, falla smettere!»

Franky guardò disperato le due ragazze dietro di lui, che gli fecero segno di spostarsi. Lui si fece da parte e loro presero il suo posto accanto all’Intrappolata, chiusero gli occhi e si strinsero le mani, mentre le altre due libere erano aperte sopra il corpo sofferente di Jole ed irradiavano una strana luce biancastra.

Fuori aveva iniziato a diluviare, l’odore della pioggia entrava dalla finestra insieme alla luce dei fulmini e ai rombi dei tuoni. Il silenzio che divideva un rombo dirompente da un altro era un silenzio assassino, rotto solo dal rumore della pioggia che batteva forte sulle strade, sui tetti delle case e dei palazzi, sugli ombrelli delle persone che si rifugiavano negli edifici, sui tettucci delle macchine che erano in coda all’incrocio sempre trafficato, fino nell’acqua del fiume Elba e nel Mare del Nord, dove acqua salata e acqua dolce si mescolavano l’una con l’altra in una lotta furiosa come quella che stava vivendo Jole, divisa fra due entità che volevano due cose diverse dallo stesso corpo.

Alexandra e Ariadne abbassarono le mani sopra il corpo di Jole e respirarono stancamente, ma non lasciarono la presa sulla mano dell’altra: erano sempre strette, unite, come per confortarsi a vicenda.

Franky, di fronte a quella scena che sapeva tanto di sconfitta, non riuscì ad impedire ad una lacrima di scivolare lungo la sua guancia. Cadde sulle ginocchia e strinse i pugni sul pavimento, sbattendoli ogni tanto, mormorando: «Non doveva succedere, non doveva… Perché, perché?!»

I due angeli si alzarono e abbassarono il capo di fronte a quello scempio, poi si voltarono verso Franky. «Ci dispiace tanto. Abbiamo fatto tutto il possibile.»

Stavano per andarsene, scosse e fortemente demoralizzate, quando un sussurro appena percettibile le fece voltare di scatto. Franky aveva alzato la testa e aveva raggiunto a gattoni la ragazza, portandole una mano sulla guancia.

«Tom…», mormorò ancora Jole, il viso storpiato in una morsa di dolore.

«Sì, Jole, sì. Tom sta bene, ti porto da lui, ma tu resisti, ok?», le rispose concitato, spostandole i capelli dal viso. Si girò verso le due ragazze e accennò un sorriso strafottente: «Volete stare impalate lì per molto o mi volete aiutare?»

***

Oggi è proprio una brutta giornata.
Lo era già, ancor prima che scendesse giù quest’acquazzone.
Chissà Franky dove si è cacciato, quell’idiota.

Sospirò e lasciò andare la tenda, che con grazia ricoprì il vetro, punteggiato da goccioline di pioggia, dietro il quale si era scatenato un temporale estivo in piena regola.

Sentì dei passi leggeri alle sue spalle e con la coda dell’occhio riconobbe la figura di Bill, che in poco tempo l’affiancò a guardare il cielo livido.

«Sei preoccupata per Franky?», le chiese a bassa voce.

«Inutile dirlo», sorrise. «A volte è così cocciuto… Da quando è diventato un angelo è ancora più altruista: vuole aiutare sempre tutti. Deve imparare che ci sono cose più importanti di altre e capire che non può fare tutto, soprattutto. Non sempre le cose vanno come si vorrebbe.»

Ridacchiò e sorrise beffardo. «Come sei profonda oggi pomeriggio.»

«Sfotti?», sollevò il sopracciglio e scherzosamente gli tirò uno schiaffo sul braccio, poi si accoccolò contro il suo petto, stringendosi nelle spalle, l’orecchio sul suo cuore che batteva.
«Sai, il cuore di Franky non batte come il nostro», gli disse soprapensiero. «È più lento e si sente di meno. Il tuo sembra una locomotiva ora.»

«Sei tu che mi fai questo effetto.»

Si guardarono negli occhi e Zoe accennò un sorriso. «Lo prendo come un complimento?»

«Prendilo come vuoi», scrollò le spalle, ricambiando. «Zoe, mi chiedevo…»

Capì quello che voleva chiederle e cambiò subito argomento, nascondendosi di nuovo nel suo petto per non farsi vedere in faccia: era certa di essere bordeaux. «Sono anche preoccupata per Tom. Ho paura di essere stata troppo dura con lui, che non c’entrava niente.»

Bill sospirò, capendo a che gioco stava giocando. «Sicuramente non sarà arrabbiato con te. Ora posso chiederti – ?»

«E se invece lo fosse?» Fece finta di essere preoccupata.

Bill la prese per le braccia, l’allontanò da sé e la guardò negli occhi con la maschera da persona seria sul volto: «La smetti e mi fai parlare? Al massimo dici di no, non è che finisce il mondo.»

«Ma io ci voglio uscire con te!», farfugliò, muovendo nervosamente le mani di fronte al petto.

Corrugò la fronte, senza riuscire a nascondere un sorrisino di pura felicità: sarebbe uscita con lui! «E allora cosa c’è che non va?»

«È che ancora mi devo abituare all’idea e… ho paura.»

«Paura di cosa? Non ti mangio mica!» La riaccolse fra le braccia e le posò un bacio sulla testa, fra i capelli.

«Franky che cosa dirà, come la prenderà? Lui dice sempre che è contento se lo sono io, ma sono certa che ci soffre sotto sotto. E poi… se tra noi non dovesse funzionare? Io non voglio perderti anche come amico.»

«Non mi perderai, te lo giuro.» Le accarezzò i capelli, con tenerezza. «Per quanto riguarda Franky, invece… Sarà difficile, ma lui è forte e arriverà ad essere veramente felice per te se lo sarai tu…»

«Ehi, sei arrossito», gli fece notare, sfiorandogli una guancia bollente.

«Sì, beh…»

«Quanto darei per sapere a cosa stai pensando!» Fece un sorrisino malizioso che lo mandò ancora di più nel pallone e poi lo baciò sulla guancia, quando, all’improvviso, dalle porte finestre entrò Franky, perfettamente asciutto nonostante il diluvio che si era scatenato fuori.

«Mi dispiace interrompere il momento romantico, ma sono un po’ di fretta», sorrise strafottente. Fra le braccia aveva Jole, ferita e senza sensi, e dietro di lui c’erano due ragazzine, le vicine di casa di Zoe, che sorrisero guardandola.

«Loro?», chiese sbalordita, guardando prima Franky e poi le due. «Come… Loro non sono umane?»

«No, sono due angeli speciali, ma ora non c’è tempo per le spiegazioni. Dove la porto?», chiese al cantante.

«In camera tua», balbettò indicando le scale.

«La camera degli ospiti è diventata mia? E da quando?», sorrise. «Comunque va bene, grazie.» Lui e il suo gruppo salirono sulle scale e Bill e Zoe non poterono far altro che seguirlo, insieme a Gustav e Georg che si unirono a quello che somigliava tanto ad un pellegrinaggio.

Poggiò la ragazza sul letto e la osservò, poi si voltò verso il gruppo dei vivi: «Per favore, portate degli asciugamani bagnati e poi…»

«Tom», disse flebilmente l’Intrappolata, stringendo i pugni intorno al copriletto, gli occhi chiusi e il viso contratto come se fosse sotto tortura.

«… chiamate Tom», concluse l’angelo con un sospiro, per poi tornare a guardarla con espressione malinconica.

Gustav e Georg si diressero verso il bagno, Bill andò dal fratello, invece Zoe rimase lì con lui e gli altri due angeli che aveva sempre creduto fossero due semplici ragazzine umane. Questa cosa la sconvolgeva, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare.

«Franky, noi andiamo», dissero le due contemporaneamente, come se avessero letto nel pensiero a Zoe, che le ringraziò con un mezzo sorriso. Loro ricambiarono fugacemente e uscirono dalla finestra, sotto l’acquazzone.

Franky si mise seduto su una sedia, al capezzale del fantasma, le mani sotto il mento che reggevano la testa, gli occhi puntati sulla sua mano tremante. Zoe si avvicinò e gli passò una mano sulla testa, che poi baciò appoggiandola al suo ventre.

«Si riprenderà», gli sussurrò massaggiandogli le spalle.

«Sei piuttosto benevola, visto che tu la odi.»

Si imbronciò. «Non è vero che la odio.» Lui la guardò sollevando le sopracciglia e ridacchiò, lei dovette cedere. «Ok, forse un pochino. Ma non per questo devo dire che non ce la farà, giusto? Ti ferirei.»

«Uhm. Sentiamo, che cosa vuoi dirmi d’altro che potrebbe ferirmi

«Potresti, per una volta, non leggermi nel pensiero e lasciarmi i miei tempi, grazie?» Era scocciata e se fossero stati soli e non di fianco ad un fantasma in pessime condizioni, non gli avrebbe risparmiato una bella litigata con tanto di urla e di oggetti tirati addosso, che lo avrebbero trapassato.

Franky sollevò le mani, finto innocente; poi si chiuse la bocca come se avesse chiuso una cerniera.

«Bill mi ha chiesto di uscire.» Pausa di silenzio. «E io ho detto di sì.» Pausa di silenzio. «Ora puoi parlare.»

«Ok», sorrise sbarazzino. «Però non saprei che dirti, comunque.»

Roteò gli occhi al cielo, spazientita. Doveva proprio dirgli tutto lei! «Tu che ne pensi?»

Scrollò le spalle. «Non penso a niente in particolare.»

«Sei contento?»

«Dovrei essere contento io? Ha chiesto a te di uscire, non a me. Sono contento per te, se lo sei tu.»

«Uhm… Sicuro?»

«Sicurissimo.»

Georg e Gustav li interruppero entrando nella stanza con gli asciugamani e una bacinella contente dell’acqua fresca, con i quali Franky iniziò subito a bagnare delicatamente le ferite di Jole, pulendole e facendo sì che si potessero cicatrizzare più velocemente. Poco dopo arrivò anche Bill, solo.

«Dov’è Tom?»

«Non sono nemmeno riuscito a farmi aprire la porta», rispose demoralizzato.

L’angelo sbuffò forte col naso. «Vado io. Zoe, puoi sostituirmi per qualche minuto?»

«Sì, ma perché è così importante la presenza di Tom?»

«Quelle sono ferite dalle quali massimo massimo, noi non più vivi, riusciamo a guarire in dieci minuti nemmeno. Il fatto è che è lei a non voler guarire. Sentendolo vicino, magari cambierà idea.»

Bill, Zoe, Gustav e Georg si voltarono verso il fantasma, gli occhi spalancati dallo stupore: avevano di fronte a loro un essere che stava cercando il suicidio, il dolore, che stava facendo di tutto per non guarire, che rifiutava tutto ciò che le rimaneva, la sua anima.

Franky uscì dalla stanza e camminò a passo svelto verso quella di Tom, la seconda del corridoio, non molto lontana dalla rampa delle scale. Bussò un paio di volte e, visto che non ottenne alcuna risposta, si sentì autorizzato ad entrare.

Chi tace acconsente, no?

Lo vide rannicchiato sul letto, le spalle rivolte alla porta, lo sguardo perso fuori dalla finestra. Gli andò accanto e schioccò la lingua, deluso.

«Certo che ti sei rammollito parecchio, eh Kaulitz? Da quando piangi come un bambino?»

«È inutile Franky, puoi usare tutte le tecniche vuoi, ma non uscirò da qui.»

«Questo è quello che dici tu. Tutte le tecniche che voglio, eh? Ok, te la sei cercata.» Lo prese per la maglietta e lo fece cadere a terra, poi si chinò e gli prese i piedi, iniziando a trascinarlo verso la porta.

«Franky, fermati!», gridò Tom dimenandosi, ma non riuscì a liberarsi dalla sua presa ferrea.

Sorrise vittorioso. «Sono diventato più forte, non trovi? Su, non fare la femminuccia.»

Il chitarrista si arrese, incrociò le braccia al petto e si lasciò trasportare così per tutto il corridoio, come se Franky avesse deciso di pulire il pavimento con una tecnica del tutto innovativa.

«Lo spazzolone chitarrista, carina questa! Forse era ancora meglio quando avevi i rasta: saresti stato perfetto per fare il Moccio Kaulitz! Sono troppo simpatico, vero?»

«Come un riccio nelle mutande», borbottò lui e l’angelo si lasciò andare ad una fragorosa risata, per poi spegnersi, come se avesse schiacciato l’interruttore apposito, una volta di fronte alla camera degli ospiti, dentro la quale c’erano tutti gli altri, compresa Jole che si dimenava sofferente, stringendo i denti, spingendo la testa all’indietro e graffiando il copriletto con le unghie.

«Tom, che ci fai per terra?», gli chiese Gustav.

«Se Franky mi lasciasse i piedi, mi alzerei!», lo indicò eloquente e l’angelo glieli lasciò, lui però non era pronto e quindi sbatterono forte sul pavimento, facendolo mugugnare di dolore.

«Tu hai detto che dovevo lasciarti i piedi», scrollò le spalle e si affrettò a raggiungere Zoe, fin troppo impacciata nei movimenti. «Dammi, faccio io.» Le prese gli asciugamani bagnati dalle mani e li posò delicatamente sulla pelle di Jole. «Bene, ora che il signorino ci ha degnati della sua presenza, gli altri possono andare. Forza, non c’è niente da vedere, fuori dalle scatole.»

«Io posso restare?», chiese Zoe.

«No, vai via anche tu.»

«Ok», bofonchiò e chiuse la fila, composta dagli altri componenti della band. Nella stanza rimasero solo Tom, Franky e Jole.

«Che cosa le è successo?», mormorò il chitarrista e all’udire la sua voce il fantasma calmò di un poco le sue convulsioni.

«Tom, continua a parlare», gli disse Franky.

«Che cosa? Scusa, ti ho fatto una domanda! Perché è ridotta in questo stato? Chi è che le ha fatto del male?»

Il corpo di Jole si rilassava sempre di più, la voce di Tom aveva lo stesso effetto della morfina. «Bravissimo, continua così. Toccala.»

«Eh?!»

Franky sbuffò irritato e gli prese la mano, la schiaffò in quella di Jole e lei la strinse lievemente, tranquillizzandosi definitivamente, tanto che riuscì persino ad aprire gli occhi, anche se sul suo viso aleggiava ancora una leggera smorfia di dolore.

«Tom», mormorò. «Tom, fa tanto male.»

«Che cosa? Che cosa ti fa male?», le chiese, spostandole i capelli dal viso, sul quale iniziarono a scivolare delle lacrime. «Jole, dimmi dove.»

«Tutto, fa male tutto… E quella voce nella testa… È lei, ti prego falla smettere», singhiozzò. «Non ce la faccio più, non ce la faccio più.»

«Che cosa vuole? Che cosa vuole la voce nella tua testa?»

Il corpo di Jole si inarcò bruscamente, come se fosse appena stato sottoposto ad una scarica elettrica. «Un bacio.» Furono le labbra di Jole a parlare, ma la voce non era la sua: era più roca, più arrabbiata; era la sua parte malvagia.

«Che cosa devo fare?!» Tom guardò Franky disperato, in cerca d’aiuto. La vista gli si appannò e le lacrime si condensarono talmente tanto nei suoi occhi che caddero sulla pelle gelata e tremante di Jole.

«Non ne ho idea!», rispose l’angelo. In quel momento le convulsioni ripresero, ancora più violente di quelle precedenti, e si udì urlo soffocato, ma micidiale.

Un bacio. Un bacio. Perché chiede un bacio? si chiese Franky frenetico. Un flash gli attraversò la mente: una volta aveva visto, nei pensieri, o meglio nei ricordi di Jole, quella richiesta! Aveva chiesto a Tom un bacio, un bacio che mai aveva ricevuto. Che fosse quella la chiave per liberarla, l’ossessione della sua parte malvagia?

«Assecondala!», urlò, sperando ardentemente nella sua teoria.

Tom annuì, incerto, ma d’altronde non aveva altra scelta se non quella. Si sporse su Jole e le prese il viso fra le mani, le accarezzò le guance, fece un respiro profondo poi premette le labbra contro le sue, sperando con tutte le sue forze che funzionasse.

Quel bacio, prima rigido e statico, si sciolse lentamente in qualcosa che andava oltre la tenerezza. Il corpo di Jole iniziò a guarire in fretta, le ferite si cicatrizzarono; le convulsioni smisero di tormentarlo e Franky avrebbe giurato che si fosse addormentata, se non fosse stato per la sua mano che si era sollevata lentamente e aveva accarezzato la guancia di Tom, con l’eleganza e la delicatezza di una farfalla. Le labbra di Jole si muovevano lente insieme a quelle di Tom e l’angelo, anche in quel caso spettatore silenzioso, riusciva a malapena a distinguerle: erano così unite, così perfette insieme! Due pezzi dello stesso puzzle che in quel momento si stavano completando a vicenda.

Allora è vero che un bacio cambia la vita. Che un bacio può anche ridonare la vita. Se Tom l’avesse baciata prima, magari, si sarebbe reso conto che era lei la ragazza della sua vita, quella di cui innamorarsi davvero e con la quale passare tutta la vita.
Ma volte si è troppo ciechi per cogliere ciò che la vita ci lascia davanti. Noi guardiamo e passiamo avanti, forse per ambizione, forse per distrazione, forse per paura di un futuro già scritto.
Dio, che stupido l’essere umano.

Dopo attimi che erano sembrate ore, sospese ed eterne, Tom si scostò dolcemente e la guardò: il suo viso era rilassato e sereno, c’era persino l’ombra di un sorriso sulle sue labbra. Le sfiorò la guancia e le sistemò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, sentendosi al posto giusto e al momento giusto. Però la tensione e l’ansia antecedenti lo travolsero: non riuscì a reggersi in piedi e cadde seduto a terra, accanto a Franky, scivolato sul pavimento con un sorriso ebete stampato in faccia.

«Ce l’hai fatta», sussurrò, incredulo.

«Ce l’ho fatta. Già.» Tom appoggiò la testa alla parete e respirò velocemente.

«Com’è baciare un fantasma?»

«Freddo.»

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere, nell’euforia e nella loro poca lucidità dovuta alla stanchezza, abbracciandosi.

___________________________________

Buon pomeriggio! :)
Allora, che dire… questo capitolo è un po’ pesantino, ma alla fine pare che si sia risolto tutto per il meglio. Che per Jole sia davvero tutto finito? Speriamo!
Passo molto velocemente ai ringraziamenti perché non mi viene in mente nient’altro da dire xD

_lile_ : Non si è capito che ti piacciono Tom e Jole xD Non ti preoccupare, piacciono anche a me da morire e se Tom non fosse stato così stupido… Bah, lasciamo perdere! :( In questo capitolo succede quello che succede e voglio proprio sapere che ne pensi *-* Spero che ti sia piaciuto, visto che è molto centrato su questi due. Grazie mille per la recensione, alla prossima! Baci.

Isis 88 : Georg dormiva xDD La richiesta di David è stata bellissima, sì *-* Jole in questo capitolo è un po’ caduta, ma non l’ha fatto apposta, la sua parte cattiva è balzata fuori all’improvviso :( Ah Zoe deve preoccuparti molto xD Adesso lei e Bill devono uscire e vedremo che accadrà xD Ariadne e Alexandra? Magie xD Grazie a te, a mercoledì! Baci.

Layla : Zoe si deciderà con chi stare, si spera xD Tom e Jole sono proprio belli, ma impossibili! Tutte a loro capitano xD Grazie per la recensione, alla prossima! :)

Tokietta86 : E a chi non piacciono Tom e Jole? *-* Penso di essere veramente meschina a farveli piacere così tanto, ma lasciamo stare xD Ora si svilupperà anche la storia fra Bill e Zoe, andiamo nel vivo, ma già che Bill le ha chiesto di uscire è un passo avanti! Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero che questo non sia da meno! *-* Grazie mille per le tue recensioni sempre presenti, mi fanno un sacco di piacere! A mercoledì, baci!

Utopy : Sei una genietta assai, non posso nasconderlo *-* Gustale e Frankanna xD “Frankanna” mi ricorda Anna Frank o_O XD Beh, a parte questo u.u Questo capitolo mi sembra che tu l’avevi già letto in parte quando eri da me, no? E’ successo il patatrack! Ma tutto sembra essersi sistemato, ora vedremo xD Dai, Bill le ha chiesto di uscire, è un passo avanti xD Ti voglio tantissimo bene anch’io Mond, grazie per la recensione xD SMACK *-* Tua, Sonne.

Ringrazio anche chi legge soltanto!
A mercoledì! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 18
*** I love you ***


18. I love you

Fece un giro su se stessa, ridendo, poi si portò le mani sui fianchi e guardò Tom e Georg seduti di fronte a lei, sul divano, che le fecero un’approfondita ispezione con lo sguardo.

«Allora, come sto?», chiese lei.

«Benissimo!», rispose Georg, estasiato. Tom lo guardò un po’ di traverso, ma quando incrociò lo sguardo liquido di Jole sorrise dolcemente:

«Potrebbe mai starti male qualcosa?»

Arrossì impercettibilmente, abbassando la testa. «Grazie.»

«Prova questo!» Georg le allungò uno dei giornali di moda di Bill e le mostrò un abito da sera blu notte, con il corpetto a cuore.

«Ok», annuì e, dopo averlo memorizzato, chiuse gli occhi e si concentrò, fino a quando non le comparve addosso. Si guardò e si stirò il tessuto lucido sul ventre, sorridendo. «Non è decisamente il mio genere», ridacchiò. «Che ne pensate?»

Georg aveva la bocca aperta, come Tom, rimasto completamente senza fiato. Ma come sempre, come ogni volta che gli sembrava di essere nella più totale delle normalità, una vocina fastidiosa, alquanto pungente, lo stuzzicò ripetendogli che lei era morta e non poteva essere una situazione normale. Inoltre, la malinconia gli riempì gli occhi, ricordandogli che era morta anche… per lui.

«Ehi Tom, tutto ok?», gli chiese Jole, abbassandosi un poco sulle ginocchia per vederlo dritto negli occhi.

«Sì, tutto a posto», stiracchiò un sorriso per non farla preoccupare. «È che sono senza parole, sei stupenda.»

«Ahm… grazie», mormorò, gli occhi brillanti. Si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, guardando di sottecchi il chitarrista, che fece un sorrisetto e le indicò di avvicinarsi. Lei fece qualche passo e lui la prese per i fianchi, ridendo se la fece cadere addosso e l’abbracciò, stringendola più che poteva al petto e nascondendo il viso contro il suo collo.

Georg si alzò e se ne andò in cucina per lasciarli da soli, non gli andava di fare il terzo incomodo. Jole lo guardò di sfuggita e sorrise, poi si lasciò cullare da quell’abbraccio e chiuse gli occhi.

«Sto gelando», Tom rabbrividì, facendola ridacchiare. «Però… non voglio lasciarti.»

Jole si irrigidì a quelle parole, presa alla sprovvista da una stretta al cuore, e per fortuna arrivò Franky che spezzò quel clima di tensione che si era creato dentro di lei.

Entrò dalla finestra solo con la testa, ridacchiando: «Scusate, posso disturbare?»

Jole sorrise e si alzò di scatto, lasciando Tom vagamente sbigottito. «Non ti preoccupare, vieni!»

Franky entrò del tutto in salotto e una volta con i piedi per terra si stiracchiò, alzando le braccia al soffitto, e sbadigliò.

«Come mai da queste parti solo soletto? Zoe dov’è?», chiese Tom, incrociando le braccia al petto, infastidito.
Ma dico, arriva sempre al momento sbagliato! E poi Jole, perché ha approfittato subito del momento per alzarsi, come se non volesse stare un po’ da sola con me? Che nervi. Sempre colpa sua.

Franky lo guardò sgranando leggermente gli occhi e il chitarrista si maledì: perché aveva pensato quelle cose!? Si tirò uno schiaffo sulla fronte e scivolò sul divano, come se potesse davvero scomparire fra le molle.

L’angelo, ancora un po’ scioccato, scosse la testa al richiamo di Jole, e provò a sorriderle: «Zoe sta studiando con un’amica di sua madre, che fa la professoressa. Deve prepararsi per gli esami: ha da recuperare il debito d’inglese e quello di matematica. Io mi stavo annoiando e così sono venuto qui.» Si schiarì la voce e si passò una mano sul collo. «Bill dov’è?»

«Di sopra, te lo vado a chiamare se vuoi!» Tom schizzò in piedi e si girò verso le scale, ma Franky con velocità impressionante si piazzò davanti a lui e sorrise bonario.

«Non ce n'è bisogno, Kaulitz.» Poi, parlandogli nel pensiero, aggiunse: “E non cercare di fuggire da questa situazione imbarazzante, non passerà facilmente. Ti stai quasi innamorando di una fantasma, è grave, soprattutto ora che…”

«Ehi, di che parlate voi due?» Jole aveva la fronte corrugata, le mani sui fianchi: una posizione che gli ricordò molto Zoe.

«Niente», rispose l’angelo. I lineamenti del suo viso si distesero. «Posso scambiare due parole con te, Jole?» Schioccò un’occhiata a Tom. «Da soli?»

«Ahm… sì, certo.» Il fantasma si avviò verso il terrazzo e Franky la seguì, senza aggiungere altro.

“No, no! Aspetta, devi finire la frase!”, gridò Tom mentalmente, ma Franky non lo calcolò minimamente, preferì lasciarlo nell’ansia, e si chiuse la porte vetrate alle spalle.

Cazzo!

«È successo qualcosa?»

«No, non ti preoccupare, non è successo niente.» Sorrise e si mise seduto sul davanzale, lei lo imitò.

«E allora che cosa devi dirmi?»

«Come stai, Jole?»

«Io sto… sto bene, perché?»

«Intendevo, la parte cattiva di te. L’hai più sentita, da quella volta?»

«No, mai», confermò Jole, decisa.

«Niente di niente?»

«Assolutamente niente. Mi sento sola in questo corpo, per la prima volta. La mia mente è solo mia, sento pensieri solo miei; niente più tremori, niente più lotte. Nulla più assoluto. Da quando Tom mi ha…»

«Baciata», disse Franky per lei, con un sorriso sulle labbra. Lei ricambiò appena: non era ancora in grado di parlare di quel momento, se lo ricordava a malapena, tanto era stata forte l’altra presenza dentro di lei. E poi si sentiva in imbarazzo.

Erano passati alcuni giorni dall’episodio, Jole si era del tutto ripresa dalle ferite, ma ancora si sentiva in colpa per quello che aveva inflitto a Franky, infatti non aveva più parlato con Zoe, né lei aveva manifestato il desiderio di comunicare. Era un silenzio che le faceva male, soprattutto perché aveva già i suoi sensi di colpa che la ferivano.
Con Tom invece si era instaurato un legame ancora più forte, oltre che di natura diversa. Jole non voleva che accadesse, che lui si sentisse attratto da lei, perché sapeva che, un giorno…

Abbassò lo sguardo. «Sì, da allora non l’ho più sentita. È… sparita.»

«Sai che vuol dire, vero?» Franky la guardò e lei annuì, senza ricambiare lo sguardo. «Sono stato di sopra, stamattina, prima di venire qui. Ho chiesto a San Pietro che cosa succederà, gli ho parlato di te, della tua “guarigione”…»

«E che ti ha detto?» Fu quasi un sussurro. Non voleva lasciare la Terra, non dopo aver conquistato quel posticino a cui aveva tanto ambito da viva, accanto a Tom. Non voleva lasciare lui.

«Mi ha spiegato che, prima di fare diagnosi affrettate, dovrai sottoporti a delle specie di esami che confermeranno o smentiranno la tua guarigione e, nel caso tu non sia davvero più un’Intrappolata, potrai decidere che fare della tua “vita”.»

«Potrei scegliere se reincarnarmi oppure diventare angelo custode… quelle cose lì?»

«Sì.»

Rimasero in silenzio per qualche minuto, Jole si perse fra i suoi pensieri e Franky non provò nemmeno a seguirne il flusso, le posò un dito sotto al mento e le sollevò il viso per guardarla negli occhi:
«So cosa vuol dire, ho vissuto mesi nella consapevolezza che prima o poi me ne sarei andato, senza volerlo realmente. Il fatto è che anche tu dovrai andartene, a meno che tu non scelga di diventare un angelo custode come me. Jole, devi parlarne con Tom, anche se fa male, anche se non vorresti andartene, anche se non vorresti lasciarlo.»

«Lo so, Franky, lo so. Ma se non dovessi farcela?» Una lacrima le scivolò lungo la guancia, seguita a ruota da un’altra.

«Ce la devi fare, Jole. Se lasci che si affezioni ancora di più, lasciarti gli farà ancora più male, come ne farà a te, dovendo lasciare tutto ciò che hai desiderato.»

«Hai ragione. Sarebbe una sofferenza ulteriore per entrambi. Ma è così… difficile…»

«Se vuoi possiamo parlargliene insieme.»

«Grazie Franky, ma… forse è meglio se me ne occupo io, da sola.»

«Ok, però se hai bisogno di aiuto sappi che io ci sono», le fece l’occhiolino e lei rise. «Ora è meglio se torniamo da Tom, mi sta insultando più o meno mezz’ora.»

Rientrarono dentro e trovarono Tom intento a fare un po’ di zapping, annoiato, svaccato sul divano.

«Guarda Franky, questo ti assomiglia.» Indicò un ragazzino, un certo Justin Bieber, che stava “cantando” e si stava “muovendo” nel suo nuovo video musicale. A Franky venne naturalmente un’espressione di puro disgusto sul viso.

«Scusami, in che cosa mi assomiglia, precisamente?»

«Precisamente in niente», ridacchiò beffardo. «Però mi ricorda te.»

«Che schifo, è un bambino che puzza ancora di latte», bofonchiò e provò ad imitare qualche sua mossa di quello che molto probabilmente quel tizio definiva un ballo. «Tanto che se vedi una foto di lui da piccolo è uguale ad adesso!», sogghignò, prima di gettarsi accanto al chitarrista.

«Di che avete parlato?», chiese lui, incrociando le braccia al petto.

«Niente di che, non ti preoccupare», disse Jole, poi si sedette sulle sue gambe e lo strinse forte a sé, anche se era parecchio impacciata ed imbarazzata.

Dopo questa, eccome se mi preoccupo, pensò Tom, ma non l’allontanò da sé, anzi le massaggiò la schiena con le mani, cercando di riscaldarla, ma era inutile: il suo freddo era penetrante.

Il campanello trillò e Georg uscì dalla cucina, guardò il trio spaparanzato in salotto e alzò una mano, sorridendo: «Tranquilli, ci pensa Georg!»

«Grazie, Hagen!», incorarono tutti e tre, per poi sghignazzare alla sua smorfia.

Aprì la porta ed entrarono Gustav, Bill e Zoe; gli ultimi due, stravolti, si tenevano a braccetto.

«Zoe, che ci fai qui?», chiese Franky sorpreso. Lei si staccò frettolosamente dal cantante, come se avesse commesso un reato, si ficcò le mani nelle tasche e stiracchiò un sorriso.

«Ho appena finito di studiare matematica. Stavo venendo qui e ho incontrato Bill e Gustav, che mi hanno dato uno strappo.»

«E tu Bill, come mai così afflitto?», chiese Jole.

«David ci ha confermato che domani abbiamo quel concerto là, organizzato dagli sponsor. Non ce la posso fare!», sbuffò e si lasciò cadere sul divano, dal quale si dovette alzare Franky per non essere schiacciato. «E tu come mai hai quel vestito addosso?», corrugò il sopracciglio.

Jole si guardò e si accorse di essere ancora in abito da sera, l’ultimo che aveva provato in quella specie di sfilata. Arrossì d’imbarazzo, coprendosi e levandosi da Tom, che aveva la bella vista, e lui scoppiò a ridere, portandosi un braccio sugli occhi.

«Non c’è niente da ridere, idiota!», gridò lei, concentrandosi per tornare con i suoi abiti, ma non fece in tempo, perché lui scattò in avanti e la prese per la vita, prendendosela sulla spalla e portandosela in giro come un sacco di patate.
«Tom, lasciami giù! Ti prego!», cercò di liberarsi, ma lui rideva e non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare, anche perché non pesava niente ed era abbastanza facile tenerla. «Non costringermi a farlo.»

«Fare cosa?», le chiese.

«Questo.» Jole sparì dalle sue braccia e comparve seduta in mezzo al tavolo, a gambe incrociate. Addosso aveva di nuovo i pantaloncini corti e la maglietta.

«Sai teletrasportarti!», esclamò meravigliato. «Non lo sapevo!»

«Adesso lo sai. Ora, mi fai rispondere alla domanda di Bill? Poverino, è lì da mezz’ora che aspetta. Volevi sapere perché indossavo quel vestito?»

«Sì, è abbastanza insolito.»

«Prima ci siamo messi a giocare a fare le sfilate», spiegò Tom. «Cioè, non io… ci mancherebbe altro! Jole guardava gli abiti sulle riviste e se li copiava addosso.»

«Wow, che figata!» Bill aveva gli occhi brillanti. «Puoi indossare tutti i vestiti che vuoi, senza nemmeno andarli a comprare! È… è… meraviglioso! Voglio anche io questo potere!»

«Sì, però la parte più bella non l’ha fatta.» Il gemello si imbronciò, con tanto di labbrino.

«TOM! ERA LA SEZIONE D’INTIMO!», urlò Jole scandalizzata, coprendosi il viso con le mani.

Tutti scoppiarono a ridere, Franky compreso, anche se con minor vigore: guardandoli insieme, si accorse che non sarebbe stato facile dividerli; il chitarrista, ne era certo, avrebbe fatto carte false per tenerla lì con sé. Ormai, lui, era totalmente andato: nonostante gli avvertimenti, nonostante sapesse che non doveva, nonostante cercasse di rinnegarlo a tutti, persino a se stesso, si era innamorato.

«Tom non cambia mai, fattene una ragione», disse Zoe scuotendo la testa, un sorriso divertito sulle labbra.

«Arriva lei, che si è fatta mettere il debito in inglese! Sei un’ignorante!», le gridò scherzosamente, per poi prendere in spalla pure lei, con un po’ più di difficoltà.

«Come se tu fossi più tanto più bravo di me! Idiot

«I’m the best!»

«Don’t say… cazzate! Your head is full of… segatura! You don’t have a… cervello! You think with your… your…»

«Zona inguinale», disse Bill.

Ci fu un momento di silenzio e poi tutti scoppiarono a ridere; Jole si mise seduta di fianco all’angelo, sorridente.
“Tutto ok?”, gli chiese.

“Sì, pensavo soltanto.”

“A che cosa?”

“Anche io, prima o poi, dovrò lasciare Zoe.”

“Ce la faremo?”

“Spero tanto di sì.”

“Anche io.”

Sospirarono contemporaneamente, ma nessuno se ne accorse, troppo immersi in quell’aria che profumava vagamente di serenità.

***

Sospirò e alzò lo sguardo verso il cielo ancora chiaro, punteggiato dalle prime stelle. Era fuggita da Tom un po’ di tempo prima, non sapeva precisamente da quanto tempo era seduta lì fuori a pensare, ma non era mai fuggita mentalmente da lui: era il centro intorno al quale tutti i suoi pensieri ruotavano ed era improbabile che cambiassero asse.

«Ehm… ciao.»

Si girò di scatto, sorpresa, e guardò Zoe con le mani nelle tasche, lo sguardo rivolto verso il pavimento. Sembrava… intimidita.

«Ciao», sussurrò Jole. Non se lo aspettava. «Posso aiutarti?»

«Sì, perdonandomi.» Fece un respiro profondo e continuò da sé, avvicinandosi un po’ di più alla ragazza, seduta di sbieco sul muretto: «Non ti ho mai vista di buon occhio, prima per una ragione, poi per un’altra… Insomma, non mi sei mai piaciuta, ma erano tutti giudizi da bambina stupida, superficiali. Volevo scusarmi, per il mio comportamento a volte scontroso. Ho capito la tua situazione, Franky mi ha spiegato più volte come stavano le cose, ma non ho mai voluto dargli retta sul serio. Questa sera, quando ti ho vista giocare con Tom, ho capito che lui tiene tanto a te e così… visto che io tengo tanto a lui, volevo chiederti scusa, tutto qui.»

Jole sorrise, addolcita. «Non hai di che scusarti, davvero. Tutte le tue reazioni erano comprensibili e le colpe sono anche mie, sai. Avrei dovuto stare più attenta, avrei dovuto… riflettere, prima di commettere certi errori che adesso sto pagando sulla mia pelle.»

«Come…»

«Sì, io… insomma, anche per quello l’ho fatta finita. Pensavo che non avesse più senso, se lui aveva un’altra e non volesse più vedermi. Invece era tutto un equivoco e io mi sento tanto stupida… A quest’ora, se fossi stata più intelligente, avrei ancora una vita, avrei potuto fare… che ne so. Avevo tanti sogni, ma li ho buttati tutti via. Franky mi ha fatto capire molte cose, mi è stato tanto vicino, sei fortunata.»

«Sì, lo so», mosse il piede avanti e indietro, sfregandolo sul pavimento. «Mi dispiace, per l’equivoco.»

«Non ti preoccupare.»

«Potremmo… sì, pensavo… potremmo anche essere amiche, io e te.»

«Mi farebbe tanto piacere, Zoe.» Sorrise commossa. «Meglio tardi che mai.»

La mora sollevò la testa di scatto e la guardò per la prima volta negli occhi, accorgendosi della loro luce al chiarore del sole che ancora tardava a tramontare nonostante avessero già finito di cenare da un pezzo. «Tardi?» Un nodo le serrò la gola, quasi non riuscì a pronunciare quell’unica parola.

Jole sospirò afflitta, tornando a guardare il sole all’orizzonte. «Non è che abbia tutto questo tempo ancora.»

«In… in che senso?» Una lieve preoccupazione iniziò ad insediarsi dentro di lei, all’altezza del cuore, che le fece venire i brividi, come uno spiffero gelido intrufolatosi da sotto la porta. Che anche Franky avesse un limite di tempo? Seppure con fatica, riuscì a concludere la domanda: «Te ne devi andare?»

«Sì», annuì dispiaciuta. «Non devo andarmene subito, però…»

«Quando?»

«Forse fra qualche giorno, non lo so con precisione. Franky mi accompagna.»

Zoe, spinta da un moto di malinconia, trasmessa da quegli occhi tanto belli quanto espressivi, si avvicinò ancora un po’ e l’abbracciò, poggiando il viso al suo braccio. «Mi dispiace di essere arrivata così in ritardo, non pensavo…»

«Non fa niente, l’importante è che ci siamo chiarite, no?», le accarezzò i capelli.

«L’hai già detto a Tom?»

«No, devo ancora farlo. Non so assolutamente come. E ho paura. E… e non voglio lasciarlo.»

«Ci verrai a trovare, giusto? Non è un addio.»

«No, prima di… fare qualsiasi cosa, verrò a salutarvi per bene.»

«Ok», tirò su col naso.

«Ehi.» La voce di Franky si fece spazio nel silenzio e si voltarono verso di lui, alle porte finestre, che sorrideva: doveva aver ascoltato tutta la conversazione. «Zoe, andiamo? Si sta facendo tardi.»

«Sì, adesso arrivo.» Si voltò verso Jole e le sorrise lievemente: «Buona fortuna con Tom, poi fammi sapere, mi raccomando.»

«Va bene», annuì serena. «Buonanotte.»

«Anche a te.»

Franky le fece l’occhiolino, felice per quella pacificazione, e la salutò con un cenno della mano, poi rientrò nel salotto con Zoe, tenendole un braccio intorno alle spalle. Era contento che quelle due si fossero finalmente parlate, era ora!

«Sei contento?», gli chiese la sua ex, guardandolo.

«Molto.»

Ridacchiò. «Non si era capito.»

«Andate?», chiese Bill, lanciando il telecomando sul divano ed alzandosi, stirandosi la maglietta sul petto.

«Sì. Grazie per la serata.»

«Prego», ricambiò il sorriso. «Prima che tu vada, Zoe… Possiamo parlare un attimo?»

Il frontman e la ragazza guardarono Franky, che stava guardando con totale indifferenza il soffitto, le mani nelle tasche dei pantaloni. Quando si accorse dei loro sguardi, sbuffò e se tornò fuori, da Jole, ancora seduta sul parapetto, le gambe a penzoloni nel vuoto.

«Mica dovevi andare via con Zoe?», gli chiese ridendo.

«Sì, solo che Bill voleva chiederle quando voleva uscire con lui e mi hanno fatto andare via.»

«E li stai ascoltando?»

«No», sbuffò e si sedette al suo fianco.

«Questa cosa mi sorprende. Come mai?»

«Non voglio più mettermi in mezzo fra loro, creerei solo casini. Piuttosto, hai intenzione di dirlo stasera a Tom?»

«Sì, penso di sì… Ho paura.»

«Non ti preoccupare, dai. In qualche modo capirà.» Le massaggiò il braccio. «Io direi di partire la mattina dopo il concerto di domani. Così hai più tempo per salutare tutti e…»

«Va benissimo.» Sorrise. «Grazie Franky.»

«Non mi devi ringraziare, non ho fatto nulla di speciale.» Scrollò le spalle e saltò giù dal muretto, quando nello stesso istante Zoe uscì fuori per chiamarlo, con un sorrisetto sulle labbra.
«Ciao Jole, ci vediamo domani!» La salutò e poi, finalmente, si diressero verso casa di Zoe, camminando lentamente.

«Allora?», zampettò la ragazza, guardandolo in viso curiosa.

«Che cosa?», chiese Franky, come se non sapesse ciò che stava aspettando con impazienza.

«Non mi chiedi niente?»

Ridacchiò e chiese, atono: «Cosa ti ha detto Bill?»

«Quanto interesse!» Fece la finta offesa, ma dopo tre secondi nemmeno incominciò a parlare, senza che Franky aggiungesse altro. «Alla fine usciamo dopodomani, visto che domani c’è il concerto. Oh mio Dio, sono emozionata. Non mi ha voluto dire niente, è una sorpresa. Tu sai che cos’ha in testa?»

«No, niente», sogghignò.

«Non è vero, tu lo sai! Ti prego, dimmelo!», lo strattonò per un braccio, scatenandogli una risata fragorosa.

«Non te lo direi nemmeno se mi pregassi in ginocchio. Dai Zoe, devi aspettare solo qualche giorno.»

«Uff, ok», incrociò le braccia al petto. Franky le sorrise e le avvolse le spalle con un braccio, poi le stampò un bacio sulla testa.

«Sono molto contento per te, sai?»

«Mi fa piacere», sospirò.

«E sono anche contento per come hai saputo sistemare le cose con Jole. Credevo di doverti fare un altro discorsetto, ma mi hai preceduto e hai fatto tutto da sola! Sono orgoglioso di te, piccola.»

Sorrise fiera, rizzando le spalle. «Grazie. Lo trovavo giusto, Jole è una brava ragazza. Non si meritava tutto quello che le è successo.»

«Già, proprio no.»

«Ma come mai se ne deve andare?» Deglutì rumorosamente, in ansia: non voleva ricevere una risposta, temendola, ma d’altra parte la voleva perché doveva capirci chiaro in tutta quella vicenda, visto che ci era in mezzo.

«Diciamo che deve fare degli esami per vedere se effettivamente la parte malvagia dentro di lei è sparita.»

«Quindi tornerà, giusto?»

«Sì, tornerà.» Sorrise debolmente e Zoe sentì un sapore amaro in bocca, tanto che abbassò gli occhi.

Arrivarono a casa e la ragazza salutò sua madre ed Heinz, poi disse che andava a dormire perché era stanca e il giorno dopo avrebbe avuto molto da fare, tra cui anche sostenere i ragazzi per il concerto. Gli augurò la buonanotte e andò in bagno, dove si infilò il pigiama e si lavò i denti, senza pensare a niente in particolare, poi raggiunse Franky, già seduto sul letto, lo sguardo perso fuori dalla finestra, dalla quale i deboli raggi della luna entravano ad illuminare la stanza buia.

In silenzio si accucciò al suo fianco e, appoggiata con il viso alla sua spalla, contro il suo collo, chiuse gli occhi. Franky sorrise quando sentì le sue labbra sfiorargli la pelle, e le avvolse la schiena con un’ala.

«La verità è che anche tu, come Jole, prima o poi te ne andrai, vero?», mormorò.

Com’era perspicace la sua piccola. Forse lo conosceva solo troppo bene, tanto che non riusciva più a nasconderle niente. Riusciva a leggergli dentro senza alcuna difficoltà. E dire che non era nemmeno telepatica.

Franky accennò un sorriso e le baciò la fronte: «Preoccupiamoci del presente. Al futuro ci penseremo.»

Zoe, in un improvviso dormiveglia causato sicuramente da qualche potere di Franky, capì che dietro la sua risposta c’era un «Sì», che non la rasserenò per niente. Ma la sua magia era più forte: scacciò ogni pensiero e le fece chiudere gli occhi.

***

Rimase lì da sola a pensare ancora per un po’ e quando fu pronta, salì al piano di sopra, dove doveva esserci Tom. Salendo le scale, però, si rese conto di non essere per niente preparata: quel piccolo discorso che si era costruita in precedenza era svanito nel nulla, avvolto dalla nebbia; andava lì solo con cosa doveva dirgli, senza sapere come farlo.

Bussò alla porta, guardandosi i piedi, e quando vide quelli di Tom ridacchiò e sollevò il viso. «Ciao.»

«Ciao, perché hai bussato?»

«Io… dobbiamo parlare.»

«Ok.» Annuì titubante e la fece entrare, poi chiuse la porta. «È qualcosa di brutto?»

«Dipende dai punti di vista.»

Si mise seduta sul letto, il cuscino fra le braccia e le gambe incrociate per il nervosismo. Guardò il ragazzo di fronte a sé e ne rimase quasi incantata: non si era accorta che addosso aveva solo dei miseri pantaloncini neri! Lo guardò per diversi istanti, rapita dai suoi addominali scolpiti, poi distolse lo sguardo, imbarazzata.

«La cosa inizia a preoccuparmi. In effetti è da quando è arrivato Franky che sei strana.»

«Sì, insomma… è che lui mi ha ricordato che dovevo dirti questa cosa. È un po’ complicato, quindi se cerchi di non distrarmi è meglio.» La guardò interrogativo. «Mettiti una maglietta!»

«Oh», sogghignò e se ne infilò una bianca, larga, che nascose tutto quel bendiddio. Si mise sdraiato accanto a lei e la tirò giù con sé, appoggiandosela al petto. «Così va meglio?»

«Sì, grazie», mormorò la bionda.

Iniziò a giocherellare con un lembo della maglia, senza sapere da dove cominciare. Si mordicchiava il labbro, nervosa. Non sapeva come avrebbe reagito: se non l’avesse presa bene cosa avrebbe fatto? L’avrebbe consolato? Si sarebbe arrabbiata? Avrebbe fatto di tutto per renderlo felice, per accontentarlo?

«Jole», le prese il viso fra le mani e la guardò negli occhi, serio come poche volte l’aveva visto. «Mi stai facendo preoccupare. Mi spieghi che cosa c’è che non va?»

«Tom, io… come faccio a spiegartelo, è così difficile!» Si tirò su, si coprì il viso con le mani e un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, seguito da un altro.

«Ehi, shhhh.» La prese fra le braccia e la cullò, stringendola forte al suo petto, per cercare di calmarla. «Non piangere, ci sono qui io. Dimmi quello che non va, lo risolviamo insieme!»

«Il problema sono io!»

«Che significa? Non ci sto capendo niente!»

Lo guardò negli occhi, nonostante le lacrime continuassero a rigarle il viso. «Io devo tornare in Paradiso e per un po’ di tempo non ci vedremo.»

Tom rimase senza fiato all’udire quelle parole. Certo, non era un dramma, sarebbe stato solo un po’ di tempo, non l’eternità, ma chi gli assicurava che un giorno non sarebbe dovuta andare via per sempre? C’era anche quello, dietro al significato di quella frase struggente. Era nascosto, impercettibile, ma altrettanto insidioso e tagliente.

Aumentò la presa intorno al suo corpo freddo, tanto che la sentì quasi sfuggire. «No, non puoi andartene!»

«Sapevo che avresti reagito così», singhiozzò e gli accarezzò le guance, freneticamente. «Non sarà per sempre, ok? Solo… solo per un po’, fino a quando…»

«E poi, dopo che sarai salita su? Che cosa succederà? Tornerai?»

«Sì, certo che tornerò! Però… non potrò fare su e giù per sempre, arriverà il momento in cui… Non andiamo troppo avanti, manca tantissimo tempo ancora.»

«Ma tu te ne andrai, Jole! Te ne andrai e io non voglio che tu mi lasci!»

«Tom», sussurrò. «Tom, è solo per poco e verrò a trovarti appena potrò, ok? È inutile fasciarsi la testa ora, ancor prima di essersela rotta.»

Il chitarrista scosse la testa e affondò il viso fra i suoi capelli, stringendola forte. Lei ricambiò la stretta, confortata da quel calore, e gli massaggiò la schiena.

«Quando partirai?», le chiese dopo un po’ di silenzio. Un silenzio bello, pieno di parole che nessuno dei due però era ancora in grado di pronunciare all’altro.

«Dopodomani. Non mi perderei mai il vostro concerto.»

«Suonerò per te, allora.»

Si guardarono negli occhi e Jole sorrise, sfiorandogli il collo con le dita. «Grazie.» Si avvicinò per baciarlo sulla fronte, ma lui si scostò, allarmato.

«Non ci provare nemmeno! Non voglio addormentarmi ora!»

«Non volevo farti addormentare», incrociò le braccia al petto, offesa. Era così tenera quando si imbronciava, tanto che Tom si sentì in colpa per non averle dato fiducia.

«Ah, allora… allora puoi», disse frettolosamente e lei sorrise smagliante, gli prese il viso fra le mani e lo baciò con delicatezza sulla fronte, restando lì vicina a lui per qualche istante. Tom ricambiò il sorriso e sbuffò innervosito, prima di cadere steso sul cuscino, addormentato.

***

I ragazzi, nervosi quanto emozionati, come sempre, si infilarono gli auricolari nelle orecchie e sorrisero a Zoe, poi salirono sul palco, pronti per incominciare quel concerto fuori stagione. Gli sponsor avevano insistito tanto e David, ammorbidito dalla sua bella e dai preparativi per il matrimonio, aveva ceduto. Nonostante tutto i fans accorsi erano molti e ora se ne stavano lì trepidanti ad aspettare le loro rockstar, gridando e agitando gli starlight nel buio che era sceso sulla sala.

Cominciarono con Noise e pian piano la tensione scemò, mentre ogni tanto con lo sguardo fissavano il soffitto, sorridendo. Avevano due spettatori speciali quella sera: Franky e Jole erano appollaiati ai tralicci dei riflettori, che osservavano lo spettacolo dall’alto, l’ultimo prima della partenza del fantasma.

Tom stava dando il massimo, come aveva promesso stava suonando per lei, ogni nota era per lei. Bill era in ottima forma, al contrario dei suoi pronostici se la stava cavando alla grande. Gustav era carico e Georg pure, muovendosi sul palco persino più del solito, con la stessa frequenza del chitarrista esagitato.

«È magnifico», mormorò Jole, gli occhi brillanti. «Mai visto un concerto migliore di questo. E io ne ho visti tanti, posso giurarlo.»

«È il loro modo per salutarti», le spiegò Franky, solare.

«Non potevano farlo in un modo migliore.» Anche se in quel momento era felice, non poté impedire ad un sorriso amaro di comparire sulle sue labbra. «Non so se puoi capirmi, ma mi sento davvero contraria alla partenza.»

«Ti sei affezionata molto a loro, è ovvio che non vuoi lasciarli. Soprattutto Tom.»

Sospirò. «Già.»

Franky posò lo sguardo sul palco e sorrise vedendo i ragazzi esibirsi in una versione acustica di Humanoid, seduti sugli sgabelli al centro del palco. La voce di Bill era un concentrato di pura emozione; Tom, con la chitarra in grembo e gli occhi socchiusi, era un piacere per gli occhi, ma anche per le orecchie.

«Ce la farai, Jole. Ne hai passate ben di peggiori.»

«Sentirò molta nostalgia, lo so.»

Calò di nuovo il silenzio fra loro e alla fine della canzone le fans si misero a gridare, così forte da riuscire ad infastidire i loro uditi fini. Poi Bill introdusse la canzone successiva e Tom incrociò lo sguardo dell’angelo, con un sorriso che nascondeva anche una punta di amarezza: Phantomrider, la sua canzone per eccellenza, anzi la canzone che ora apparteneva anche a Jole, per ovvi motivi.

«Oh mio Dio, amo questa canzone», Jole si portò le mani al petto, commossa. «E ora la capisco ancora di più, sai?»

«Sì, lo so», ridacchiò. «Mi concedi questo ballo?»

«Che cosa?» Stupita, si voltò verso di lui, che con sguardo sbarazzino la prese per mano e la trascinò con sé in mezzo al palco, illuminato da poche luci soffuse.

La folla di fronte a loro sembrava sospesa, per un attimo aveva smesso persino di respirare. Forse era solo una sensazione, ma quando Jole si girò verso i ragazzi, seduti sugli sgabelli, che stavano già suonando quella canzone commovente, sentì il proprio cuore di fantasma esplodere.

Tom aveva lo sguardo chino sulla propria chitarra acustica, della quale pizzicava le corde con dolcezza; Bill sorrideva, cantando; Georg anche, concentrato sulle note; e Gustav semplicemente dettò il ritmo, che si unì perfettamente a quello dei battiti del suo cuore.

Franky le sorrise e lì, di fronte a tutti – anche se a vederli erano ben in pochi, tra cui anche Zoe, dietro le quinte, che aveva le lacrime agli occhi per l’emozione del momento – la strinse a sé e iniziò a ballarci un lento, dirigendosi sempre di più verso la passerella al centro della fossa.

«Tu sei pazzo, Franky», mormorò Jole, con la voce che le tremava.

«Lo so, che ci posso fare?», sospirò e le accarezzò i capelli. «So che questo non è un addio, però… sai Jole, forse non te ne sei resa conto, ma sei stata veramente importante. È stata davvero una fortuna incontrarti. E pensare che se tu non avessi perso il permesso per scendere non ti avrei mai conosciuta… O meglio, sì, però… Mi hai aiutato tanto, in certi momenti, e penso che un grazie non sia sufficiente, davvero. Non sono mai stato bravo con le parole, ma almeno volevo provarci. Grazie mille di tutto.»

«Franky… Tu che ringrazi me? Questo è il colmo. Sono io che ti devo tutto. Senza di te non sarei qui, ora. Non starei bene. Forse avrei commesso un’altra delle mie cavolate. Tu sei un angelo, uno vero. E ti voglio un bene dell’anima, lo giuro.»

«Anche io ti voglio bene, Jole.»

«Tornerò a trovarvi presto.»

«Promettilo.»

«Lo prometto.»

[Hey! I’m here with you
I am here, here
Leave me alone
Phantom rider
Always die on their own]

Soffocò quelle poche lacrime che le tracciarono il viso contro la sua spalla e tirò su col naso alle ultime note che si espandevano nell’arena facendo tremare i cuori di tutti i presenti, in un attimo in cui il tempo sembrò svanire per Tom e Jole, che si guardarono negli occhi sorridendo impacciati ed imbarazzati.

***

«Siete stati davvero magnifici stasera, ci potete giurare!»

«Grazie», rispose Bill con un sorriso a trentadue denti sul viso. «È stato molto emozionante vederti ballare con Franky.»

«Già», ridacchiò Tom, malizioso, rivolgendosi all’angelo. «Se quello può essere definito ballare

«Adesso cosa fate?», chiese Georg.

«Io direi di portare a casa questo sacco di patate», sorrise fissando Zoe, appoggiata a lui con la guancia sulla sua spalla, addormentata. Aveva fatto tutto lei, quella volta Franky non c’entrava. Era davvero molto stanca, era stata una giornata piena di emozioni e il concerto ne era stato la conclusione. «E poi domani mattina…»

«Già, domani mattina…», riprese Jole, ma nemmeno lei riuscì a concludere quella frase che faceva tanto male. Incrociò per un attimo lo sguardo di Tom e lo vide abbassare gli occhi, sospirando.

«Ma… torni, vero?», chiese Bill, preoccupato.

«Sì, certo che torno», rispose dolce.

L’automobile si fermò sotto il palazzo dei Tokio Hotel e una volta scesi, ripartì, lasciandoli nell’oscurità di quella notte silenziosa.

«Bene, allora io… vado», disse Franky prendendo Zoe, in un dormiveglia, fra le braccia e rendendola invisibile. «Ci vediamo domattina, Jole.»

«Sì», abbassò lo sguardo. «Buonanotte.»

«Anche a te. Ciao ragazzi, buonanotte.» Non aspettò la loro risposta, solo guardò Tom di sfuggita, poi aprì le ali e schizzò in cielo, diretto verso la casa di Zoe.

Anche gli altri tornarono a casa e si diradarono quasi subito, infatti ognuno si chiuse nella propria camera. Tom e Jole, dunque, si ritrovarono soli in quella del chitarrista, che prese la sua Gibson e si mise a comporre una melodia, seduto sul letto. Jole, al suo fianco, rimase ad osservarlo in silenzio, fino a quando lui non sospirò e lasciò perdere, cercando conforto nelle sue braccia fredde ma accoglienti e rassicuranti.
Infilò una mano tremante sotto la sua maglia e sfiorò la sua pelle gelida, mentre con il naso tracciava il profilo del suo collo. Il fantasma si irrigidì quando percepì il suo respiro accelerare assieme ai battiti del suo cuore. Tom la strinse ancora un po’ di più a sé, poi incominciò a baciarle il collo lievemente, con calma e con tenerezza.

«Tom, che cosa stai facendo?», gli chiese, spaventata.

Non si degnò nemmeno di risponderle, le accarezzò la schiena e le levò la maglietta con un gesto secco, allora Jole si tirò indietro, coprendosi con un braccio.

«Jole…» Implorante.

«Tom.» Seria.

«Jole…» Ancora più implorante.

«Tom.» Ancora più seria. Non gli permise di pronunciare ancora una volta il suo nome, lo precedette: «Non… non si può!»

«E chi lo dice?», sbottò, innervosito. La prese di nuovo fra le braccia e provò a baciarla sulle labbra, ma lei gli sfuggì ancora e si teletrasportò dall’altra parte del letto, alle sue spalle.

«Un po’ di logica, lo dice! Sono un fantasma, cazzo!», gridò, con i lucciconi sotto gli occhi. Tom non l’aveva mai vista così, si sentì profondamente scottato, tanto che si tirò indietro, in colpa.

«Tom», pronunciò il suo nome lentamente, socchiudendo gli occhi per non cedere, stringendo le mani sulle gambe. «Non sai quanta fatica mi costi, essere qui e… e non poterti avere come avrei potuto da viva, ma il punto è proprio questo: io non sono più viva. Io sono morta. Ti rendi conto che il mio corpo è in una bara, sotterrato sotto una lapide e qualche metro di terra, in un cimitero? Non ti fa… impressione, stare qui a baciare qualcuno che in realtà non dovrebbe esistere, qualcuno che è legato ad un corpo ormai morto?» Persino lei aveva ribrezzo.

«No.»

Alzò di scatto lo sguardo e trovò quello concentrato di Tom, così intenso da metterla in seria soggezione. «No?»

«No», ripeté convinto. Incatenò gli occhi con quelli di Jole e si avvicinò, prendendole le mani fredde nelle sue grandi e calde: «No, perché io non… non mi sono… innamorato di quel corpo, ma di te. Te. Fantasma, essenza, spirito che tu sia… È di te che mi sono innamorato.»

«Tu non puoi esserti innamorato di me», balbettò in un sussurro, gli occhi stracolmi di lacrime.

«E perché no? Che teoria vuoi tirar fuori, ora? Non posso innamorarmi di chi voglio, quando cavolo mi pare?» Si alterò, il suo viso si arrossò un poco, ma il suo sguardo caldo e sincero rimase lo stesso.

«Non sto dicendo questo, sto dicendo soltanto che è… assurdo. Non potevi innamorarti prima?! Ho voglia di picchiarti!»

«Anche io ho voglia di picchiarmi», mormorò. «Sono così arrabbiato con me stesso per tutto quello che sono riuscito a combinare che… e ora pretendo pure che tu ricambi. Un coglione, ecco cosa sono.»

Jole gli prese il viso fra le mani e accennò un sorriso: «Che cosa ti fa pensare che io non ricambi?»

«Per esempio il fatto che… ecco…», si passò una mano sul collo, imbarazzato.

«Che non voglio lasciarmi baciare? Che non voglio stare con te?»

«Uhm», annuì.

«Domani io parto, Tom… sarebbe tutto più difficile, sarebbe decisamente più difficile lasciarci se… e poi non lo faccio perché non voglio», rise, «lo faccio perché davvero non si può. Oltre ad essere contro natura, è… impossibile.» Tom la guardò interrogativo, anche un po’ curioso, e lei gli porse il palmo aperto della mano. «Metti un dito in mezzo al mio palmo.» Il ragazzo posò l’indice sulla sua mano, come gli aveva di detto di fare. Lei sorrise amara e chiuse gli occhi: «Spingi.»

«Devo spingere?»

«Sì, spingi.»

Tom deglutì e non le pose altri interrogativi, solo eseguì l’ordine e ciò che ottenne fu il suo dito in mezzo al palmo di Jole: la trapassava! Lo tirò indietro, rabbrividendo: se era fredda fuori, dentro era ghiacciata!

«Ora… hai capito perché non si può?», gli chiese a fatica, rossa.

«Sì, ho capito.» Attimo di silenzio, poi mugugnò: «Potevi dirmelo prima.»

Jole spalancò le braccia, incredula. Tom le fissò il seno, lei si fece spuntare addosso una maglietta viola. «Credevo ci arrivassi!», concluse, con tanto d’occhi.

«Mai dire mai con me», ridacchiò. «Però i baci… quelli li senti! Perché non vuoi che ti baci sulle labbra?»

«Oh, questo… questo è un po’ più difficile da spiegare.»

«Ci provi? Prometto di impegnarmi!»

Jole sorrise divertita: il suo Tom, non sarebbe mai cambiato… «È una questione di principio, penso. Non mi hai mai voluta baciare da viva, perché dovresti da morta?»

«Quando eri viva, non ero innamorato di te.»

«La smetti di dire che sei innamorato di me?! Mi fai stare solo più male!»

«Scusa.»

«Non importa», sospirò. «La fissa del bacio mi ricorda la mia parte cattiva, era la sua ossessione, perché da viva lo avevo desiderato tanto. Ora che lei non abita più il mio corpo – così sembra – non voglio… perché… perché so che non riuscirei più a farne a meno. Ecco, l’ho detto. Sono stata innamorata di te una volta, lo sono ancora in verità, non voglio che accada di nuovo e in realtà non volevo che tutto questo accadesse a te…»

«Non puoi impedire che io –», si interruppe, le dita di Jole gli sfiorarono le labbra, un sorriso amaro sul viso.

«Penso che tu debba dormire, ora», gli sussurrò. «È molto tardi.»

«Non ci pensare nemmeno! Ieri sera mi hai fottuto, ma oggi no.» Si mise seduto a gambe incrociate sul letto, deciso. «Dormi tu, se sei stanca.»

«Non è indispensabile che io dorma. Il mio sonno è eterno…»

«Non voglio sprecare i miei ultimi momenti con te dormendo», le confidò, languido. «E posso amarti anche senza baciarti e senza… hai capito. Vieni qui.»

Jole si infilò fra le sue braccia calde e posò l’orecchio sul suo petto, all’altezza del cuore. Si fermò ad ascoltarne i battiti e sorrise, rilassata: era meglio di una ninnananna, la più bella che avesse mai udito.

«Lui batte per te», le sussurrò con le labbra sui suoi capelli biondi.

«Spero che non ne soffra, quando sarò lontana.»

«Un pochino.»

E quando me ne andrò per sempre, soffrirà di più? Non poté non chiederselo e una lacrima le scivolò sulla guancia, sentendosi così colpevole. Strinse il lembo della sua maglietta fra i pugni e tirò su col naso. Tom si accorse delle sue lacrime ma non le chiese niente, la strinse un po’ più forte e le accarezzò i capelli, sfiorandoli con le labbra ogni tanto.

«Ti amo, Tom», mormorò. «Non smetterò mai.»

Lui sorrise e la fece sdraiare al suo fianco, poi spense la luce. Si guardarono per diversi istanti in silenzio, fino a quando lei sorrise e si accoccolò contro il suo petto, chiudendo gli occhi.

«Sei bellissima, non l’avevo mai notato prima», le sussurrò, sfiorandole la guancia con la punta delle dita, sistemando un ciuffo di capelli biondi dietro l’orecchio. Il suo sorriso si era allargato, accarezzò l’angolo delle sue labbra chiare.

«Grazie, anche tu.» Ridacchiò e decise di stuzzicarlo un po’, d’altronde erano gli ultimi attimi che passavano insieme: quella notte era solo loro. «A volte mi chiedo come tu faccia a convivere con la tua straordinaria bellezza, sai?»

Un sorrisetto fiero e molto, molto poco modesto si impadronì del suo viso: «Non per vantarmi, ma posso tranquillamente dire che se non andassi in giro con i bodyguards verrei stuprato ogni cinque minuti.»

Jole gli accarezzò la guancia, con una vocetta preoccupata e consolatrice: «Povero il mio Tomi… Dev’essere una bella rogna, eh?»

Lui annuì, con il labbrino: «Sì. Non è mica facile essere così belli.»

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere contemporaneamente, stringendosi in un abbraccio affettuoso.

«Non voglio che vai via», mugugnò ancora Tom.

«Su, non fare il bambino… Torno presto, prometto.»

«Va bene.»

Sorrise e si mise di nuovo con la testa sul cuscino. Rimase a fissarla per minuti, forse per ore, fino a quando capì che si era addormentata sotto le sue carezze. Era così dolce ed indifesa, avrebbe voluto svegliarla e farci l’amore – non sesso – ma non era possibile e la sua spiegazione con il palmo della mano e il suo dito era stata più che esplicita; era stata anche imbarazzante, ora che ci ripensava.

Sembrava ieri quando l’aveva rincontrata, invece erano passate intere settimane e il loro rapporto, prima freddo e statico, quasi forzato, si era sciolto, stretto in un modo che Tom non avrebbe mai immaginato. E poi lui aveva capito, anche grazie a Franky, che si era innamorato. Si sentiva così stupido, dopo tutto quello che aveva combinato… E Jole aveva ragione, quando gli aveva detto che poteva innamorarsi prima. Eccome.

La guardò e si accorse che si era girata, nel sonno. Chissà se stava sognando qualcosa, se magari stava sognando proprio lui. Chissà. Si tirò sul gomito per vederla in viso, grazie alla luce della luna, e le spostò i capelli dalla guancia. La sua pelle era fredda, chiara, ed era così bella che a Tom si strinse il petto: come aveva potuto farle così del male? Ora, solo ora se ne pentiva davvero. E non voleva che partisse, che lo lasciasse. Se solo pensava che dal giorno dopo non l’avrebbe più vista ne sentiva già la mancanza. Ormai faceva parte della quotidianità, era una parte di lui… Era la ragazza di cui si sarebbe volentieri innamorato e della quale, beh, lo era, per quanto assurdo potesse essere. Il bello era che era un amore impossibile, come se Amore si fosse messo contro di lui: ora che aveva capito cosa voleva, che era disposto a lasciar perdere tutte le altre per una sola ed unica ragazza, non gliela voleva dare, perché era già stata strappata via a Vita, da Morte.

Sospirò e si mise in ginocchio, la guardò dall’alto, intenerito. Poi gli venne un’idea e saltò giù dal letto, prese il cellulare e azionò la fotocamera, inquadrando il suo viso perfetto. Scattò la foto e soddisfatto andò a guardarla, ma ne rimase deluso: si vedeva solo il cuscino, senza nemmeno l’impronta della sua testa; era invisibile agli occhi della tecnologia e a tutti quegli occhi umani che non erano in grado di vederla. Si sentì speciale, ma allo stesso tempo sbuffò, non avrebbe avuto altro che i ricordi per rivederla mentre era di sopra.

«Mi sarebbe piaciuto fare un calendario», mormorò la ragazza, sorridendo.

«Era una bella idea», piagnucolò Tom e si mise di nuovo al suo fianco. Lei l’abbracciò teneramente, donandogli un bacetto sulla gola.

«Solo per te, però», concluse, dolce.

Lui sorrise, poi chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla sua magia che lo accompagnò verso il mondo dei sogni. Prima di addormentarsi, riuscì a sentire la sua voce sussurrargli ancora una volta: «Ti amo», poi silenzio.

***

Il sole dell’alba sorgeva all’orizzonte e Franky sorrise, si stiracchiò le braccia e le ali, sbadigliando all’arietta frizzante, poi si sciolse le gambe con due piegamenti. Era il grande giorno, ma prima voleva fare una cosa che da molto tempo desiderava fare.

Si piegò sulle ginocchia e una volta accovacciato, guardò all’interno della cameretta di Zoe: lei era sdraiata sul letto, con il solo lenzuolo addosso che le sfiorava la pelle chiara; Ariel, lo spirito della sua cagnolina, era accucciata ai suoi piedi, un occhio aperto a guardarlo e un’espressione che somigliava tanto ad un sorriso. Le fece l’occhiolino e poi schizzò in aria, nel cielo ancora chiarissimo.

L’aria lo trapassò e con un brivido scoppiò a ridere, poi diede via al timer dell’orologio che aveva al polso. Incominciò il suo viaggio intorno alla Terra alla velocità della luce e in pochissimo tempo sorvolò tutti i luoghi attraversati dall’Equatore: dal Gabon, in Africa, all’Oceano Indiano, all’Indonesia, all’Oceano Pacifico, all’Ecuador e la Colombia, in America Centrale, all’Oceano Atlantico fin ad arrivare di nuovo nel punto esatto in cui era partito. Ci mise più tempo a mettere fine al timer che a fare l’intero giro, infatti sbuffò scocciato e tornò da Zoe, con i capelli appiccicati al viso arrossato, soffrendo un caldo pauroso per gli sbalzi di temperature e i diversi climi che aveva attraversato in nemmeno un secondo.

Entrò nella camera con un leggero fiatone e trovò Zoe che si stava stiracchiando, stropicciandosi gli occhi con i pugni chiusi, mugugnando versetti che lo fecero sorridere.
«Torna a dormire, è l’alba», le disse.

Zoe scrollò le spalle e si tirò sui gomiti, lo osservò e corrugò la fronte. Pure i suoi pensieri erano strascicati, appena svegli, tanto che Franky rise.

«Non sono andato a fare jogging per tutta la Germania», escluse la sua ipotesi campata in aria. «Ho solo fatto il giro della Terra, per saperti dire quanto ci avrei messo alla velocità della luce.» Gli occhi della ragazza si riempirono di curiosità, ma non provò nemmeno a parlare: quella mattina il fatto che Franky sapesse leggere nel pensiero era alquanto utile.
«Ebbene, ci ho messo meno, molto meno di un secondo. Te lo giuro, una delusione! Avrei potuto farlo altre sei volte, prima di arrivare ad un secondo intero!», scosse la testa, demoralizzato. Zoe aveva gli occhi sgranati, ma dopo un po’ sbadigliò e ricadde con la testa sul cuscino, salutandolo con la mano.

«Buongiorno, ne?», ridacchiò e la baciò sulla fronte, accarezzandole i capelli; lei sorrise. «Vado ad accompagnare Jole di sopra, poi torno, ok?»

Lei annuì e provò a parlare, con voce roca, ma lui le posò un dito sulle labbra e sogghignò: «Io ti amo. Tu devi uscire con Bill.»

Zoe sbuffò e si coprì la faccia con il cuscino, Franky ridacchiò e si portò una mano fra i capelli sudati, andando alla finestra. Un ultimo sguardo e poi via, nel cielo ancora opaco.

Arrivò a casa Tokio Hotel e raggiunse subito la finestra della stanza di Tom. La trovò socchiusa, sbirciò al suo interno e vide Jole seduta sul letto, che osservava Tom addormentato al suo fianco, accarezzandogli una treccina nera soprappensiero.

«Ehi», la chiamò a bassa voce. Lei si voltò di scatto e gli sorrise, nonostante la lacrima che le brillava sulla guancia.

«Arrivo», gli disse.

«Puoi fare pure con calma, io ero solo venuto…», tentò di spiegarle, ma lei scosse la testa.

«Adesso arrivo.»

Si alzò, ma lo sguardo era ancora fisso sul corpo addormentato di Tom, del suo Tom; sembrava lo stesse accarezzando con il pensiero e forse era proprio ciò che stava facendo, lo stava salutando, magari dicendogli che lo amava. Franky non lo sapeva, non se la sentiva di guardare nella sua mente in quel momento, era un momento troppo personale per poterlo sbirciare così spudoratamente.

Si asciugò la lacrima e tirò su col naso, poi accennò un sorriso, salendo sul davanzale della finestra. Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un singhiozzo, uno solo. Strinse i denti e stese la mano verso Franky, che la prese e la strinse forte, incoraggiandola.

Si voltò ancora verso il ragazzo che amava e non poté non ammorbidirsi: «A presto, Tomi. Ti amo tanto.»

L’angelo, in silenzio, attese che avesse finito e poi la seguì, volando dietro di lei, verso il sole che brillava chiaro dietro i palazzoni della città.

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Buon pomeriggio a tutti :)
Un altro capitolino riservato prevalentemente a Tom e Jole, eh? (Mi sono innamorata di quei due quanto voi, eggià xD) Sono davvero adorabili, ma Tom… come dire xD pretende un po’ troppo da quella poveretta! >//////< Purtroppo come coppia non andrebbero lontano, appartengono a due mondi diversi e si è proprio notato in questo capitolo, poiché Jole torna in Paradiso :’(
Nel prossimo capitolo vedremo in scena Bill e Zoe, finalmente escono insieme! *-* Vedremo come andrà a finire la situazione xD Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! *___*
La canzone che ho usato è, l’avrete riconosciuta, la bellissima Phantomrider, dei Tokio Hotel. È stata la colonna sonora di Nothing e anche qui non poteva mancare :D

Ah! Io AMO Justin Bieber, nessuno si prenda male xD Oh, non so come possa essere successo, ma quel ragazzino mi ha conquistata *-* E dopo tante, tante, taaaante discussioni con la mia carissima (La diretta interessata lo sa xD) ho deciso di farlo entrare pure qui *-* E poi Franky ci assomiglia a lui, secondo come me lo immagino io! :D

Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:

_lile_ : Le ff deprimenti sono il mio forte! xD No, comunque… per Tom e Jole non è ancora finita, li vedremo ancora insieme e… bah, chissà…
Grazie per la recensione, spero anche che questo capitolo ti sia piaciuto! :)

Utopy : Non so mai se essere contenta o felice quando i tuoi livelli di odio raggiungono o superano quelli di Ary xD Comunque! *-* Ci siamo nonii xDD Very special, oh yeah u.u
Il bacio tra Tom e Jole è stupendissimo, lo riconosco u.u (Me la tiro sese xD) Sono contenta di aver sedotto il tuo impianto lacrimario (Esiste? ò.ò Bah xDD)
Tutta la cosa che hai detto tu delle cose che fanno quelle cose e devo cambiare quella cosa, il prossimo capitolo xD Dai, devi aspettare solo fino a venerdì! *-* Fino ad allora, spero che questo ti sia piaciuto altrettanto e… uhm… Ti voglio tantissimo bene Mond! *-* Tua fooooorrrrreeeeevvvvveeeeerrrrrrr Sonne u.u *-*

Layla : Eh sì, l’amore fa fare strane cose! XD Purtroppo Jole è dovuta tornare di sopra, ma tornerà, come promesso :) Grazie, alla prossima!

Tokietta86 : Tom è molto, molto sulla buona strada per essere davvero innamorato xD Però cavolo, poteva pensarci prima quella testa di vitello, no? ò.ò
Ancora un po’ per assistere all’uscita di Bill e Zoe, il prossimo capitolo! *-*
Il bacio fra Tom e Jole *ç* Mi è piaciuto un sacco anche a me! xDD
Lei se n’è andata :’( Hai pianto? xD Ah, la reazione di Tom la vediamo nel prossimo capitolo xD Per quanto riguarda sempre la partenza di Jole, arriverà il momento anche per liberare il suo papà, stai tranquilla.
Grazie mille per tutti i complimenti, alla prossima! Un bacio!

Inoltre, ringrazio tutte le persone che leggono solamente e che hanno inserito questa ff fra le preferite/seguite. Grazie! ^-^
A venerdì, un bacio! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 19
*** Physically and mentally (Part I) ***


19. Physically and mentally (Part I)

Sbadigliò rumorosamente e allungò il braccio, trovando la debole consistenza di un corpo al quale si avvicinò, rasserenato. Solo dopo qualche secondo si accorse che era tiepido e non freddo come lo ricordava, allora aprì gli occhi e trattenne un urlo frustrato, quando vide il ghigno sul volto di Franky.

«Buongiorno, amore mio.» L’angelo lo prese in giro con una voce zuccherosa e lui si staccò bruscamente, ma facendolo perse il senso dello spazio e cadde a terra in un tonfo.
«Ti sei fatto male?», gli chiese.

«Io ti odio, Franky», piagnucolò Tom, poi posò la guancia sul pavimento freddo: la sensazione che provò gli ricordò quella che avvertiva quando stava abbracciato a Jole e fu come un colpo al cuore, notandone l’assenza.

Si alzò in piedi di scatto, anche se traballante per via della poca lucidità dovuta al risveglio fin troppo recente, e con gli occhi che pizzicavano si sporse verso l’angelo, sdraiato con le ali dietro la schiena e le mani unite dietro il capo.

«Dov’è?» La sua voce era un sussurro spezzato e gli tremava il labbro, proprio come un bambino sull’orlo di un pianto. Franky non rispose, solo distolse lo sguardo e il suo viso perse ogni traccia d’allegria. Ma a quel punto, non aveva bisogno di una risposta, era fin troppo chiaro.
«Perché se n’è andata senza salutarmi?!», gridò disperato, le lacrime che gli sfregiavano il viso, ormai incontrollabili.

«Mi ha detto che vi eravate già salutati a sufficienza ieri sera», rispose pacato.

«È vero, ma… cazzo!» Si gettò sul letto e soffocò i singulti nel cuscino che in poco tempo diventò umido, bagnato da quel fiume inarrestabile d’acqua salata.

Franky gli passò una mano sulle spalle, per confortarlo. «Ci sarebbe stata ancora più male, se tu fossi stato sveglio al momento della sua partenza», gli confidò.

«Non è giusto», replicò strascicato, tirando su col naso.

«Sai quante cose sono ingiuste in questo mondo? Eppure vanno così e non ci si può fare niente. Io capisco come ti senti, fin troppo bene, ma… se Jole fosse qui e ti vedesse in questo stato ne resterebbe delusa. Anzi, conoscendola si sentirebbe in colpa. Assurda quella ragazza. Io la vedo molto bene come angelo custode», si passò una mano sul mento, pensieroso.

Cadde uno strano silenzio, che nessuno dei due violò: Franky, a gambe incrociate, stava osservando il soffitto, immaginandosi Jole nella divisa di angelo custode, pronta a proteggere Tom in qualsiasi circostanza; il chitarrista, dal canto suo, si passò le mani sul viso arrossato per asciugarsi le lacrime, poi si voltò verso l’angelo, che osservò per interminabili istanti.

«No», sospirò Franky scuotendo la testa. «È forte, ma a tutto c’è un limite.»

«Che cosa stai farneticando?», gli chiese, confuso. «Jole non sarebbe in grado di fare l’angelo custode?»

«Già.» Annuì. «Sarebbe efficientissima, non ho alcun dubbio su questo; avrebbe dato la vita persino da viva, per te, ma… credo che non possa reggere questo compito, è troppo impegnativo: starti vicino ogni giorno, per proteggerti… finirebbe per allontanarti da tutti per averti tutto per sé, non so se rendo l’idea. Come se io proteggessi Zoe da Bill, perché sono geloso. Quando si è angeli custodi, bisogna pensare solo al proprio compito e svolgerlo al meglio senza mettere in mezzo i propri sentimenti e credo che Jole non ne sarebbe in grado. L’amore che prova per te è… pff… indescrivibile! Mai sentito un amore così potente. Pensa che quando entravo nella sua testa pensavo di amarti sul serio pure io!» Strappò una risata a Tom, che abbassò lo sguardo.

«Allora, quale credi che sia la sua vocazione?», gli chiese e Franky assunse di nuovo quell’aria meditabonda e concentrata.

«Non vedo molte altre opzioni, per lei, se non…», lo guardò negli occhi e sorrise; Tom scrollò le spalle, chiedendogli cosa non andava con lo sguardo. «Nulla, solo che non posso parlarti di questa cosa: è un’informazione riservata.»

«Non puoi dirmi dove vanno a finire gli spiriti, se non scelgono di diventare angeli custodi o altri angeli “speciali”?», chiese scettico.

«Sì, il concetto è questo.»

«Perché, è così traumatico?»

«No, semplicemente non si può dire ciò che c’è dopo la morte alle persone vive. Già che voi sappiate che si può diventare angeli custodi è tanto.» Con un balzo scese giù dal letto e si stiracchiò; Tom, ancora perplesso, si lasciò cadere con la testa sul cuscino.

«Perlomeno, ti ha detto qualcosa?», gli chiese sconfortato.

«No, non mi ha detto nulla.»

Sorpreso, si voltò di scatto e lo guardò negli occhi: «E non hai nemmeno frugato nella sua testa per sapere che cosa pensava?»

«No», scosse la testa deciso. «So quando posso e quando no, non sono così insensibile. Quello che pensava in quel momento era solo suo, non potevo mettermi in mezzo.»

«Capisco…» Poi domandò ancora, malinconico: «Cosa credi starà facendo, ora?»

«Non ne ho idea, l’ho accompagnata di sopra e subito il suo angelo “psicologo” l’ha presa per portarla a fare gli esami necessari in quello che io chiamo ospedale, perché è molto simile… pavimenti lindi, un profumo strano, gli angeli “infermieri” e “dottori”…»

«È proprio come qui.» I suoi occhi brillarono di curiosità e si mise in posizione d’ascolto, con i gomiti sul materasso, ma allora Franky ghignò e schioccò la lingua contro il palato.

«Se speri di ottenere altre informazioni, dovrai prima imparare a leggermi nel pensiero.»

«Non vale», sbuffò. «Almeno… almeno puoi dirmi se lei starà bene?»

«Certo che starà bene! Gli ospedali del Paradiso sono i più efficienti che abbia mai visto e poi ho i miei contatti e farò in modo che possa venirti a trovare il più presto possibile», gli fece l’occhiolino e Tom sorrise. «Certo, sentirà la tua mancanza, ma quando tornerà sarà ancora più bello condividere del tempo con lei, non credi?»

«Sì… Franky?»

«Uhm?»

«Sei un angelo, in tutti i sensi», sorrise smagliante e Franky ricambiò, orgoglioso.

«Lo so. E… sì.»

« cosa?», arricciò il naso.

«Ho risposto alla domanda che mi avresti posto all’incirca adesso», sghignazzò e Tom scosse la testa, ma non poté non sorridere: Franky era unico nel suo genere e proprio per questo gli volevano tutti così bene, compreso lui.

Scesero al piano inferiore e trovarono tutti già svegli, a fare colazione seduti intorno al tavolo della cucina.

«Buongiorno», salutò l’angelo e i ragazzi gli rivolsero delle occhiate di sfuggita, mezze addormentate, tra cui una di Bill, particolarmente infastidita, che mugugnò qualcosa di indefinito; e poi Tom, che sbuffò e prese posto accanto al gemello. Per loro non doveva essere una bella giornata, evidentemente.

«Jole è partita?», chiese mogio Georg, stropicciandosi gli occhi. Guardandolo, a Franky scappò da sorridere: aveva un nodo gigante in testa, non dei capelli!

«Sì», rispose atono Tom, abbassando lo sguardo sulla propria tazza di latte e cereali, della quale non aveva ancora mangiato un boccone: non doveva avere neppure fame. «E non mi ha nemmeno salutato», concluse con una smorfia. L’angelo roteò gli occhi al soffitto e sbuffò con il naso.

«Non ricominciare, Kaulitz. Te l’ho già spiegato. E poi ha ragione lei, vi siete salutati abbastanza ieri sera.»

Tom lasciò giù il cucchiaino ed incrociò le braccia al petto, incupendosi: «Perché non hai frugato nella sua testa e invece nella mia sì?»

«Al tuo piccolo ed unico neurone sperduto non dà fastidio un po’ di compagnia, ogni tanto», ridacchiò, ma il chitarrista non colse la battuta e continuò nel suo atteggiamento, in modo così convinto che costrinse Franky a ritornare sui propri passi e a cedere: «Ok, l’ho fatto perché ero curioso, ecco tutto.»

Tom accennò un sorriso. «Finalmente un po’ di sincerità.»

«Però, dirle che ti sei innamorato di lei… potevi evitarlo», lo informò e a quelle parole Tom rischiò di strozzarsi con il boccone che aveva appena messo in bocca, mentre tutti gli sguardi si erano puntati su di lui, incerti ed increduli.

Bill gli diede qualche colpetto sulla schiena e lui ricominciò a respirare correttamente, riprendendo il suo normale colorito da quel rosso porpora che aveva assunto. Guardò l’angelo in cagnesco e sibilò: «Grazie tante. Menomale che hai detto che non sei insensibile. Hai sparato ai quattro venti che io –»

«Non ci voleva un genio per capire che ti sei innamorato di lei», lo smentì Bill, facendolo voltare preoccupato.

«Già», concordò Georg, annuendo. A quel punto, osservò il batterista e quando lo vide annuire con quel sorriso bonario e comprensivo sul volto, sprofondò nella sedia: tutti avevano capito che si era innamorato prima di lui, com’era possibile?!

«Oh sì che è possibile», disse Franky. «Mi ricorda tanto quando qualcuno, e sottolineo qualcuno, mi ha torturato per giorni interi, dicendomi che ero l’unico che non si era accorto di essermi innamorato della mia migliore amica», sollevò le sopracciglia eloquente e divertito allo stesso tempo.

«Lì era diverso, era… così ovvio!», Tom spalancò le braccia, alzando il tono della voce, intanto che le sue guance riprendevano colore.

«È stato ovvio anche fra te e Jole, solo tu non l’avevi ancora capito.» Bill, saccente, lo indicò con il cucchiaino.

«Tu fatti gli affari tuoi, che hai le tue gatte da pelare!», gli rispose con un’isteria nella voce molto simile a quella che raggiungeva il frontman, imbronciandosi. Il gemello si ammutolì e tornò alla sua tazza di latte e cereali.

«Uh, è vero», sogghignò Franky. «Il grande giorno è oggi, Bill. Teso?»

«Abbastanza», mormorò, vergognoso.

«Anche Zoe è nelle tue stesse condizioni. Non ti preoccupare, andrà tutto bene, ne sono certo.»

Tom lo osservò attentamente: nonostante fosse ancora innamorato pazzo di Zoe, la sua protetta, era in grado di sorridere – seppure con una punta di amarezza, – di parlare tranquillamente con Bill dell’appuntamento, persino di rassicurarlo. Era in grado di farsi da parte, anche se faceva male, e in quel momento più che mai comprese le sue parole: Jole non sarebbe stata in grado di comportarsi in modo così neutrale e così disinteressato come faceva Franky, mai; non avrebbe sopportato l’idea che lui potesse appartenere ad un’altra; non sarebbe riuscita ad affogare dentro di sé quel dolore.

«Hai già in mente dove portarla?», chiese Franky al cantante, sinceramente curioso.

«In realtà… no», sospirò e si massaggiò le tempie. «Non ne ho la più pallida idea.»

«Lei adora il sushi. Le sarebbe piaciuto andare in quel ristorante giapponese... come si chiama? Matsumi, se non mi sbaglio.»

«Quello in centro?», chiese Georg e l'angelo annuì.

«Sì, ma io sono vegetariano», gli ricordò Bill. «C’è il sushi per vegetariani?»

«Sì, credo di sì. Comunque io e lei non siamo mai riusciti ad andarci perché con i miei problemi… Insomma, potresti portarla lì!», sorrise, cercando di mandare via la tristezza dai suoi occhi.

«Grazie Franky», ricambiò docilmente.

«Prego.» Abbassò lo sguardo e si mise seduto sul ripiano in marmo della cucina, muovendo le gambe avanti ed indietro.

Franky sospirò e nello stesso istante trillò il campanello, Gustav si alzò e andò ad aprire, trovandosi di fronte Zoe.

«Ciao», lo salutò con un sorriso lei. «Disturbo?»

«No, siamo tutti svegli.» La fece entrare e la scortò in cucina, dove diede il buongiorno con un movimento della mano, poi si fiondò da Tom, che la guardò preoccupato.

«Ho bisogno di te», piagnucolò.

«Di me?», si indicò. «A che posso servirti io, alle nove e mezza di mattina?»

Avvolse le mani intorno al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa, Franky sorrise perché aveva sentito, e scese giù dal ripiano della cucina. Gli aveva chiesto se poteva darle una mano per l’appuntamento di quella sera.

«Buona fortuna, Tom», gli augurò alzando la mano.

Con un sospiro si lasciò cadere nel divano e chiuse gli occhi, incrociando le braccia al petto. Cadde in sonno leggero, attraverso il quale riuscì a sentire spezzettoni di pensieri e di stati d’animo delle persone che gli passavano accanto senza fare rumore per non svegliarlo. Ovviamente, Bill e Zoe erano i possessori di quelli più ansiosi ed ossessionati da vestiti, trucchi e il frontman aveva persino paura che il sushi si animasse e lo mangiasse. In quel momento doveva aver borbottato «Che idiota» nel sonno, perché sentì Gustav ridacchiare al suo fianco.

Tom, invece, era rimasto chiuso in se stesso per tutto il tempo in cui l’angelo si era assopito. Solo quando era ormai impaziente di andare, si avvicinò e Franky percepì i suoi pensieri nostalgici verso Jole, e si immaginava persino la loro visita imminente alla sua lapide.

Franky mugugnò e si stropicciò gli occhi, ancor prima che Tom lo toccasse sulla spalla per svegliarlo. Quando lo focalizzò di fronte a sé, vide che sorrideva divertito.

«Possibile che tu legga nel pensiero degli altri persino dormendo?», gli chiese e non attese alcuna risposta, andò verso l’ingresso e prese le chiavi dell’auto, salutò di sfuggita, senza dare il tempo a nessuno di chiedergli dove andasse, e si chiuse la porta dell’appartamento alle spalle.

Sorrise e con la massima della calma si stiracchiò, poi si alzò e si diresse verso la portafinestra. Sentì la voce di Zoe chiamarlo, ma non si girò, chiuse gli occhi e continuò.

«Franky, fermati!», gli disse e lo prese per le braccia, lo scosse per fargli aprire gli occhi, ma fu inutile. «Che cos’hai, guardami! Dove andate tu e Tom?»

«Perché dovrei dirtelo io, se non te l’ha detto lui? Se vorrà dirtelo, te lo dirà lui stesso», rispose e si liberò dalla sua stretta. «E per quanto riguarda me, sto bene. Divertiti stasera.»

«Ti brucia, non è così?», tremò e Bill, dietro di loro, si pietrificò. Franky sorrise amaro e raggiunse la terrazza e salì sul parapetto, poi si girò e la guardò: «Brucerei se ti vedessi infelice, ma non è così. A dopo!» Salutò con la mano e poi si lasciò cadere all’indietro.

Cadde sdraiato sui sedili posteriori della Cadillac, dopo aver attraversato il tetto, e Tom fece sgommare gli pneumatici sull’asfalto, borbottando: «Alla buon’ora.» Franky si portò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi, l’ombra di un sorriso sulle labbra.

Il viaggio fino al cimitero fu breve ed accompagnato dal silenzio, rotto solamente dalle dita che Tom tamburellava sul volante in preda al nervosismo. Si fermarono a comprare dei fiori, un mazzo di gerbere bianche e rosa, decisi dal chitarrista, e poi si addentrarono fra le lapidi.

Franky si mise le mani in tasca e sorrise, tanto da indispettire Tom, che gli chiese il perché. L’angelo scrollò le spalle.
«Mi piace camminare qui.»

«Sul serio?», fece una smorfia. «A me mette tanta di quell’angoscia…»

«Perché tu sei vivo. Io non lo sono più e sapere che tutte queste persone sono sopra le nostre teste oppure sparse per il mondo come angeli custodi e simili mi rende felice. Si ha una visione diversa della morte, sai? E poi mi piace anche perché non c’è molta gente e quindi la mia mente non è sovraffollata di pensieri. Quando cammino per strada capita che venga investito da pensieri diversissimi allo stesso tempo ed è una cosa irritante.»

«Mmh, sarà.»

Arrivarono di fronte alla tomba di Jole e Tom sistemò i fiori nell’apposito vaso, poi accese il cero spento e, rimanendo inginocchiato, osservò la foto che la ritraeva sorridente. Non ci volle molto prima che i suoi occhi iniziassero a pizzicare, ma un sorriso tenue alleggerì quella maschera di tristezza. Sfiorò il vetro in cui era incastonata la foto e sentì la mano di Franky posarsi sulla sua spalla.

«Non ti senti meglio, sapendo che lei in realtà è lassù e che la sua vita non è finita del tutto, sepolta sotto questa terra? La sua anima, è ancora viva e io la trovo una grande consolazione.»

«Sì, forse hai ragione», gli rispose e si alzò da terra, senza distogliere lo sguardo da quello ambrato nella foto.

Ritornarono all’auto nel parcheggio e Franky si mise seduto accanto a lui, sul sedile del passeggero. Portò lo sguardo fuori dal finestrino e rimase in silenzio per la maggior parte del tempo, fino a quando non fu Tom a parlare:

«Forse hai ragione, sul fatto che Jole non possa diventare un angelo custode.» Franky annuì distrattamente, mentre il paesaggio scorreva al suo fianco, e lo lasciò continuare: «Ho visto come ti sei comportato stamattina con Bill… Gli hai pure dato un consiglio su dove portare Zoe! Io se fossi stato in te non l’avrei mai fatto. Però… non sono sicuro che tu sia così forte come dici. Cioè, lo sei, ma sotto ci stai male, non è così?»

Franky sospirò, malinconico. «È ovvio che è così, Tom. Ma che cosa ci posso fare, devo per forza farmi da parte, è l’unica cosa che posso fare, oltre ad assicurarmi la felicità di Zoe. Tanto vale aiutare Bill a conquistarla e farla finita in fretta, no?»

«Che cosa intendi dire con farla finita in fretta?», gli si sgranarono gli occhi dalla preoccupazione e dovette deglutire un bel po’ di saliva.

«Niente, lascia perdere», mormorò.

«Franky, tu… tu una volta resa felice Zoe… tu te ne andrai, non è così?»

L’angelo non rispose, lo stesso sorriso amaro di poco prima fece tutto. Allora Tom si sentì ancora più stretto in quella morsa d’angoscia: avrebbe dovuto ascoltarlo, lasciar perdere, ma ovviamente aveva fatto di testa sua e ora sapeva che, prima o poi, Franky se ne sarebbe andato finita quella “missione”.

«Sai perché le persone anziane sono più propense ad andarsene con il sorriso sulle labbra, Tom?», gli chiese tutto d’un tratto.

Il ragazzo si ripeté la domanda nella testa, parcheggiando la Cadillac nel garage, e poi spense il motore, guardando di fronte a sé. Nella penombra, mormorò: «Perché?»

«Perché dopo una vita vissuta intensamente, dopo aver conosciuto tante persone, sanno che è ora di andare e vivono gli ultimi attimi nella speranza che qualcuno che hanno incrociato nel loro cammino li ricorderà e non piangerà la loro morte, bensì sorriderà al loro pensiero. Io me ne sono andato sorridendo, perché sapevo che voi vi saresti ricordati di me e speravo che avreste superato la cosa e che un giorno avreste sorriso, pensandomi. La presenza fisica, Tom, non è essenziale. Un ricordo, abbinato ad un sorriso, è dieci volte meglio di un abbraccio, di un bacio… Non sto impazzendo, ti posso giurare che è davvero così perché l’ho vissuto. Voi volete tanto la mia presenza fisica, ma anche adesso… è qualcosa che non c’è, voi riuscite a vedermi così chiaramente perché vivete del mio ricordo… Quando me ne andrò non dovete pensare: “Oddio, Franky non c’è” solo perché non mi vedete; dovete sorridere, perché io sarò sempre lì con voi, non vi lascerò mai veramente. Sarò sempre lì, nei vostri cuori, nelle vostre menti, e vi proteggerò, vi cullerò nelle notti insonni, vi darò la determinazione di andare avanti nei giorni in cui tutto sembra andare storto. E la mia presenza fisica non sarà necessaria, te lo posso giurare.» Si girò verso di lui e sorrise, facendo un lungo respiro profondo: «Credo che sia proprio ora di andare, Zoe ha assolutamente bisogno di te. Ah, ricordati, nero.»

Strabuzzò gli occhi, confuso. «Nero?»

«Tu ricordati il colore nero», gli fece l’occhiolino e poi scese dalla macchina attraversando direttamente la portiera.

Tom lo raggiunse e lo fermò, poi lo abbracciò. «Grazie, Franky.»

«Non fare lo sdolcinato, Kaulitz, non ti si addice per niente», sbuffò ma al contempo sorrise, felice di averlo come amico.

Presero l’ascensore ed entrarono nell’appartamento sorridenti, ma durò poco perché prima Bill e poi Zoe si fiondarono addosso ai due con ferocia, tutt’altro che amichevoli.

«Dove siete andati?!»

«Perché?!»

«VOGLIAMO SAPERE TUTTO!»

Tom e Franky si guardarono e poi scoppiarono a ridere, facendo innervosire ancora di più i due.

«Forza, tu vieni con me», decretò Zoe prendendo Tom per un braccio e trascinandoselo fuori dall’appartamento, senza badare minimamente alle sue domande/proteste. «Zitto, devi aiutarmi a prepararmi per stasera e non hai alcun diritto di opporti!»

Bill invece posò lo sguardo sull’angelo custode e sorrise in un modo che lo fece rabbrividire: non prometteva proprio nulla di buono.
«Allora tu aiuterai me.»

***

«Me lo sento, sarà un disastro completo», sbuffò Zoe sedendosi sul letto, con addosso solo slip e reggiseno neri.

«Perché?», chiese Tom con il suo stesso tono sconfortato, facendo un giro completo sulla sedia girevole della scrivania.

«Perché… perché boh, non lo so! Sono nervosa, Tomi.»

«Sono certo che andrà tutto bene, Bill è molto bravo a capire le persone e stai tranquilla che ti capisce benissimo.»

«Uhm, ok.» Si alzò e andò all’armadio, dal quale tirò fuori due ometti con due vestiti diversi, uno viola e uno nero. Glieli mostrò e sorrise: «Questo o questo?»

Tom ridacchiò, ricordandosi di Franky, e indicò con la testa quello a destra: «Nero.»

***

Guardò le due diverse opzioni di capi d’abbigliamento stese sul letto di fronte a sé e si portò le mani sui fianchi, terribilmente indeciso. Il primo completo era formato da maglietta bianca, con disegni neri e rossi, pantaloni neri con cintura di borchie, anfibi e come accessori un collarino e un braccialetto con altre borchie. Il secondo, invece, comprendeva una maglietta viola, un paio di jeans neri, le semplici scarpe da tennis bianche e nere, e una semplice collana argentata al collo.

«Uffa», sbuffò nervoso e sbattè i piedi a terra. A guardarlo c’era Franky, appoggiato con la spalla alla finestra, e dalla sua espressione doveva essere abbastanza divertito. «Aiutami!»

«Maglia viola», sbuffò e poi sventolò la mano: «Ti fai troppe paranoie.»

«Io?! Non puoi capire come posso sentirmi. Ok, forse sì, però… Dentro di me c’è una tempesta!»

«Rilassati, andrà tutto bene!»

«Vorrei avere la tua calma.» Si sedette sul letto e tenne il viso fra le mani, sconsolato. «Se fossi come te sarebbe tutto più facile.»

«Vuoi l’impossibile», ridacchiò, con gli occhi rivolti al soffitto.

«Se tu potessi entrare dentro di me…»

L’angelo si pietrificò sul posto e lo guardò con gli occhi sgranati. «No.»

«Però sei entrato nel corpo di quel pompiere!», lo indicò, rialzandosi in fretta, emozionato.

«Non è la stessa cosa! Si trattava di salvare delle vite!»

«Potresti salvare la mia! Mi potresti aiutare!»

«Una volta dentro di te basta e avanza.»

«Dentro di me?», chiese sia sorpreso che confuso, indicandosi.

Franky sgranò ancora di più gli occhi e si spalmò una mano sulla faccia, mordendosi la lingua: aveva fatto una grande, grandissima cazzata.

«Tu sei già entrato dentro di me?!», gridò Bill, indicandolo con l’indice smaltato di nero e bianco. «Dimmi quando, dove, come e perché!»

Franky sospirò e si mise seduto sulla scrivania: «Quando ancora non ero un angelo custode, ma semplicemente un fantasma. Alla festa in cui Zoe si è ubriacata. Entrando dentro te? Perché lei si stava ubriacando, è finita in bagno a vomitare e visto che da solo non potevo fare niente perché non potevate né vedermi né sentirmi, sono entrato dentro di te e tu sei andato ad aiutarla.»

«Oh.» Chiuse la bocca, pensieroso, poi si rianimò: «Ecco perché l’ho chiamata piccola! E perché ho provato irritazione vedendo Tom!»

«Sì, in quei momenti mi sono un po’ imposto sui tuoi pensieri…», si passò una mano sul collo, imbarazzato. «E l’hai pure insultato, ricordi? Ero ancora arrabbiato con lui.»

«Sì, sì, mi ricordo! Cavolo…»

«Non intendo entrare dentro di te una seconda volta», disse deciso, incrociando le braccia al petto: sarebbe stato irremovibile.

«Ma perché?!», Bill piagnucolò e si aggrappò alle sue spalle.

«Perché… per prima cosa non voglio mettermi in mezzo fra te e Zoe. E poi si spendono un sacco di energie per controllare un corpo, non è una passeggiata!»

«Tu non dovrai controllare il mio corpo!», si affrettò a spiegare; Franky sorrise alla sua espressione inorridita. «Dovrai solo convivere con me e ogni tanto potresti consigliarmi che dire, che fare… Come se fossi la mia coscienza! Dovrai solo startene in un angolino della mia testa, per il resto faccio io!»

I suoi occhi brillavano dall’emozione di attuare quel piano che per molti versi era perfetto, per altri un po’ meno… Franky era indeciso, non se la sentiva di partecipare in diretta al loro appuntamento stando tra l’altro nel corpo di Bill, nel quale confluivano pensieri non suoi che avrebbero finito sicuramente per farlo ingelosire; non sapeva se avrebbe retto anche quello…

«Ti prego», cinguettò il frontman con gli occhi grandi e da cerbiatto, ai quali nemmeno lui riuscì a dire di no.

«Al diavolo!»

***

Suonarono al campanello e Zoe sobbalzò sul letto, emettendo un gridolino soffocato. «È lui», gracchiò a Tom, cercando convulsamente la sua mano per trascinarselo dietro. Si sistemò il vestito nero sulle gambe e si schiarì la voce, cercando di mascherare tutta l’agitazione con un’espressione tranquilla e rilassata, poi aprì la porta, trovandosi di fronte Bill che si guardava le scarpe.

“Non dovevo mettermi quelle da ginnastica, sono orribili!”

“Smettila con le tue paranoie e guarda avanti, cretino”, tuonò la voce di Franky nella sua testa.

“Cazzo, sto stretto qui dentro con te!”, borbottò ancora, ma Bill non lo ascoltò e sollevò lo sguardo su Zoe, bellissima come sempre, forse anche più del solito: indossava un vestitino che le arrivava alle ginocchia, nero, con una fascia stretta intorno al seno, senza spalline; gli occhi erano truccati con matita e ombretto nero in modo tale da far risaltare ancora di più quei diamanti azzurri; i capelli erano a boccoli sulle spalle chiare e il ciuffo che di solito le copriva metà viso era tenuto indietro grazie ad una mollettina con un fiocco nero; ai piedi delle scarpe col tacco nero.

«Wow», soffiò rapito. «Sei bellissima.»

«Grazie», rispose arrossendo sulle guance e sfuggì al suo sguardo portandolo su Tom, impalato accanto a lei.

«Bene, potete… anzi, possiamo perché non devo stare qui… Insomma, muovetevi», li incitò ad uscire con un gesto della mano. Zoe salutò all’interno e sua madre accorse alla porta, augurandole di divertirsi e di non fare troppo tardi.

«Sarà fatto, è in buone mani», disse Franky con la voce di Bill, agitando la mano verso la signora Wickert.

Zoe lo guardò titubante, riconoscendo quel modo di salutare, finché Bill non le sorrise forzato e lei scosse la testa, mandando via tutti quei sospetti infondati. Una volta alle macchine Tom si diresse verso la propria e poco prima di entrare si appoggiò alla portiera e si rivolse al gemello: «Franky è a casa?»

Lì per lì non seppe cosa dire, poi Franky gli suggerì di inventare una scusa. «No, non c’è, è andato… Non so dov’è andato, mi ha detto che aveva da fare.»

Tom sentì fin troppo bene l’odore di quella bugia ma lasciò correre. «Divertitevi, mi raccomando», li salutò ed entrò in auto, uscì in fretta dal parcheggio e sparì poco dopo.

Bill aprì la portiera a Zoe e lei salì, lievemente imbarazzata, poi lui fece il giro e si mise al volante.

“Figata! Non ho mai guidato!”, esultò Franky e portò subito le mani di Bill sul volante e sul cambio, ma il frontman si irrigidì.

“Metti le mani a posto, Franky, o le cose si mettono male!”, lo ammonì e l’angelo dentro di lui si ritirò più che poté, quasi diventò impercettibile.

«Bill? Tutto bene?», chiese preoccupata Zoe.

«Sì, certo, perché?»

«Perché sei lì da mezz’ora, come se non sapessi cosa fare. Per prima cosa devi accendere il motore e poi…»

«So guidare la mia macchina! Mi ero solo distratto, tu mi confondi le idee», sorrise furbetto e Zoe gli lanciò un’occhiatina divertita.

«Sicuro che vada tutto bene? Sei strano.»

«Non sono strano, sono solo emozionato.» Accese il motore e uscì dal parcheggio, diretto verso il centro d’Amburgo. «È da tanto che aspettavo questo momento e… finalmente eccoci qui.»

«Eh già. Eccoci qui», sospirò. «Dove mi porti?»

«Al Matsumi.»

Zoe si voltò sorpresa: «Il Matsumi? Il ristorante giapponese in cui fanno il sushi buono, vicino al Binnenalster?»

«Esattamente quello», rispose raggiante.

«È una vita che ci volevo andare! Come facevi a saperlo?» I suoi occhi luminosi si spensero presto, lasciando spazio alla malinconia: «Ah, te l’ha detto Franky…»

Bill si irrigidì. “Ecco, in questo caso che devo fare?”, chiese all’angelo dentro di sé.

“Dille la verità, no?”

«Beh… Io non sapevo dove portarti e così ho chiesto a Franky e lui mi ha dato quest’idea. Se vuoi possiamo anche –»

«No», sorrise, «va benissimo così, grazie mille Bill.»

“Grazie mille, Franky!”

“Prego, Bill”, ridacchiò.

Arrivarono al ristorante e un cameriere li portò al loro tavolo, separato dagli altri grazie a dei divisori di plastica gialla ed opaca. Si sedettero e Bill rimase ad osservare le bacchette di fronte a sé e tutti i piattini nei quali c’erano già disposte diverse salse, tra cui primeggiava quella di soia.

“Franky, c’è un piccolo problema”, tremolò Bill.

“E quale sarebbe?”

“Non ci sono le forchette. E io non so usare le bacchette!”

“Che incapace. Ti va bene che le so usare io!”

“Davvero? Sai, penso che sia stata davvero una bella idea farti entrare dentro di me. Certo, mi sento un po’ compresso, però va beh ne vale la pena!”

“Sì, sì… Adesso basta parlare… pensare, o Zoe potrebbe insospettirsi.”

Bill sollevò la testa e come aveva previsto Franky, lei lo stava guardando accigliata, anche un tantino preoccupata. Si sporse sul tavolo e lo guardò negli occhi, per essere sicura che lo sentisse sopra il chiacchiericcio e lo sfrigolio del cibo che stava cuocendo nelle cucine perfettamente visibili poiché appena di fronte all’entrata.

«Ti senti bene? Ci sono dei momenti in cui ti assenti!»

«Sto bene Zoe, stavo solo pensando», ridacchiò. «Non sapevo ti piacesse così tanto il sushi. Come mai questa passione per il pesce crudo?», fece una smorfia.

«Oh mamma», si coprì la bocca con le mani. «Bill, ma tu sei vegetariano! Scusami, io… non dev’essere bello mangiare con davanti una persona che mangia ciò che tu non mangi!»

«Eh?», rise. «Stai tranquilla, non mi da fastidio», la rassicurò. «Sono solo scelte diverse e bisogna rispettarle tutte.»

«Ok, sicuro?»

«Sicuro, grazie.»

Lo stesso cameriere di prima, gentile e disponibile, portò loro i menù e Zoe andò subito a controllare se c’erano dei piatti vegetariani e sospirò quando li trovò: sarebbe stato un bel casino se non ci fossero stati!

«Comunque, rispondendo alla tua domanda», riprese Zoe una volta scelto. «La prima volta che ho mangiato il sushi è stata con mia mamma, qualche anno fa. Me ne sono letteralmente innamorata, anche se l’idea di mangiare pesce crudo non sembri molto allettante. È buono.»

«Devo chiederti se stai bene? Balbetti», Bill sogghignò.

«No, è che mi prende male parlarti di carne quando tu non la mangi», arrossì, abbassando lo sguardo.

“Oh cavolo”, sbuffò Franky dentro la sua testa, distraendolo ulteriormente. “Vuoi davvero dirmi che devo mangiare solo ed esclusivamente verdure, per di più giapponesi? Bill, perché sei diventato vegetariano?”, piagnucolò. “Che schifo…”

“Ehi, occhio come parli”, lo ammonì. “È il mio corpo e lo nutro come voglio.”

“Il tuo corpo sparirà, se non ci metti un po’ di proteine!”

“Ammutolisciti, va’.”

E Franky si ritirò nella sua testa, lasciandolo solo di nuovo con Zoe, che gli sorrise timidamente, inclinando la testa sulla spalla, proprio come una bambina.

«Sono contenta di essere qui con te, Bill.»

«Anche io sono contento», riuscì ad arrossire pure lui, facendola sorridere intenerita.

Il cameriere andò a ritirare le ordinazioni e fra una chiacchiera e l’altra, in tutta tranquillità dopo che il ghiaccio fu completamente rotto, non si accorsero nemmeno che il tempo era volato e avevano già mangiato tutto quello che gli era stato portato: Bill aveva mangiato un’insalata di alghe marine, una porzione di Yaki Udon (la pasta giapponese) Vegetariano e una Tempura di verdure; Zoe, invece, si era accontentata di una porzione abbondante di Sashimi Moriawase (sushi misti) e di qualche Uramaki, conosciutissime polpette di riso circondate da una foglia d’alga, rappresentate spesso nei cartoni giapponesi.

“Mi viene da vomitare, Bill, ti prego risparmiami!”, lo supplicò Franky, nauseato, quando al frontman piaceva tanto tutto, rispetto ai suoi pronostici non proprio positivi.

“Ti va bene che sono sazio.”

Si portò le mani sullo stomaco e si appoggiò alla sedia. Sorrise soddisfatto a Zoe e lei ricambiò, quando il cameriere si presentò di nuovo da loro, sorridente, con un vassoio su cui c’erano una bottiglia, due bicchieri e due biscottini dorati.

«I biscotti della fortuna!», si ridestò Zoe, saltellando sulla sedia come una bimba, le mani di fronte al viso luminoso.

«Ma non sono cinesi, i biscotti della fortuna?», chiese Bill.

«Sì, ma questo ristorante è sia cinese che giapponese», gli rispose direttamente il cameriere, posando la roba sul tavolo e servendo il liquido chiaro nei bicchieri.

«Che cos’è questo?»

«Mirin, o più comunemente Sakè dolce. È un vino molto particolare, perché fatto con il riso, ma è la bevanda più diffusa in Giappone», gli spiegò Zoe. «Ed è buonissimo.»

Bill si portò il bicchiere vicino al viso e prima lo annusò, notandone l’aroma quasi fruttato, poi lo portò alla bocca e lo scoprì dolce e, al contrario di come pensava – visto che lo avevano definito come un vino, analcolico.

«Allora?», chiese Zoe con occhi grandi e brillanti.

«È buono, mi piace!», sorrise.

“Su questo ti do ragione, Bill”, concordò Franky.

«Bene. Allora ci mancano solo questi!» Zoe arraffò uno dei due biscotti lasciati lì dal cameriere e lo ruppe con i denti, tirò fuori il bigliettino e poi ne mangiò un pezzo, srotolando la carta sulla quale c’era scritto il “saggio consiglio”.

«Che dice?», chiese curioso.

«Ahm…», balbettò. «Prima il tuo.»

“Quando fa così è tutto dire. Ma assecondala”, gli suggerì Franky e lui scrollò le spalle, prese il biscotto, lo ruppe e ne lesse il contenuto a voce alta:

«Qualcuno ti sta pensando. Ora.» Guardò Zoe e lei arrossì, poi si ficcò l’altro pezzo in bocca che inghiottì a fatica. Bill tossicchiò. «Bene, tocca a te.»

«Devo proprio?», mugugnò e sospirò al suo sorrisetto, prese il biglietto fra le mani e si schiarì la voce: «Non nascondere l’amore che nasconde te stessa.»

“'Sti cazzi”, pensò Franky, rischiando di far strozzare il cantante.

«Mmh, saggi questi giapponesi», borbottò Bill, mentre un silenzio imbarazzato calava su di loro. «Mmm… Che dici, andiamo a fare una passeggiata?»

«Ok», annuì Zoe con un sorriso impacciato.

Si alzarono e dopo che Bill ebbe pagato, da vero cavaliere, uscirono all’arietta fresca della sera. Zoe si strinse nel coprispalle a maniche corte e lui ridacchiò, togliendosi la giacca di pelle nera e posandogliela sulle spalle.

«Grazie», mormorò.

«Prego, freddolosa.»

«Non sono freddolosa», ribatté fiera. «Si era solo alzato un venticello…»

«Mmh, sarà», rise.

Camminarono per un po’ lì nei dintorni, passando anche per il più vecchio giardino botanico nel centro d’Amburgo, il Planten und Blomen, nel quale si fermarono per un po’ a chiacchierare, seduti su una panchina sotto un grande platano che però non impediva loro di guardare le stelle brillanti nel cielo.

Franky era quasi impercettibile nel corpo di Bill e lui si sentiva bene, c’era una bella atmosfera e l’imbarazzo era quasi del tutto svanito, le parole confluivano veloci come i sorrisi, sempre più frequenti. Anche Zoe era tranquilla, si sentiva al posto giusto e con la persona giusta, non pensava a Franky, anche se qualcosa le diceva che non era poi così lontano da loro. Aveva quella strana sensazione che la perseguitava.

Da lì si spostarono ancora un po’ e arrivarono ai pressi del fiume artificiale Binnenalster, si misero appoggiati al parapetto del ponte, sotto la luce di un lampione, e rimasero lì a guardare l’acqua che fluiva sotto di loro, sempre parlando, sempre sorridendo.

«Guarda, un cigno!», disse Zoe, indicandolo. Al suo passaggio l’acqua tremava e sembrava tanto che creasse un varco per lui e per la sua straordinaria bellezza, oltre che eleganza. Sotto la luce della luna era ancora più bello. «Non ne avevo mai visto uno da così vicino. È straordinario.»

«Straordinario come sei tu?», chiese Bill e lei si girò verso di lui, sorpresa ma allo stesso tempo felice per il complimento.

«Io sono ancora un brutto anatroccolo, in confronto a te», gli rispose e il cantante l’abbracciò dolcemente, stringendosela forte al petto.

Bill la riaccompagnò a casa e si fermarono accanto al portone, sotto la flebile ma allo stesso tempo magnifica luce della luna.

«È stata una bella serata», sorrise e alzò gli occhi nei suoi. «Grazie, Bill.»

«Di niente. Sono contento che ti sia divertita.»

Rimasero qualche secondo in silenzio, guardandosi di sfuggita senza sapere bene che cosa fare.

“Vuoi stare lì impalato ancora per molto?”, gli disse Franky e la sua voce irritata stava a significare che non vedeva l’ora di uscire dal suo corpo troppo stretto per entrambi.

“Che cosa dovrei fare, a questo punto?”, gli chiese.

“Beh…”, tentennò e Bill vide chiaramente, ma solo di sfuggita, il pensiero che aveva concepito: lui e Zoe che si baciavano. L’aveva scartato immediatamente, non doveva essere facile per Franky concedergli anche quel lusso stando nel suo corpo per giunta, facendo da spettatore silenzioso. Aveva sopportato in silenzio fin troppo. 
“Credo che a questo punto dovresti darle la buona notte e tornartene a casa. Sì”, concluse, schiarendosi la voce.

“E se scegliessi l’opzione che hai scartato?”

“Fai come vuoi”, borbottò e si fece piccolo piccolo nella sua mente, un pensiero quasi impercettibile; non l’aveva mai sentito così assente in tutta la serata, era una bella sensazione sentire di essere di nuovo, quasi, solo.

Incrociò lo sguardo di Zoe e le sorrise avvicinandosi, posando le mani sui suoi fianchi. Lei rimase sbigottita di fronte alla sua mossa audace e infatti lo guardò avvicinarsi lentamente, pensando freneticamente se spostarsi o meno, fin quando nei suoi occhi ancora aperti vide un riflesso verde, grazie alla luce della luna. Un verde che conosceva bene, fin troppo bene. Un verde che finalmente la rese sicura di quel minuscolo sospetto che si era insinuato nella sua testa fin dall’inizio di quella serata. Un verde inconfondibile. Un verde che la spaventò e che la eccitò allo stesso tempo.

«Franky è dentro di te, non è così?», chiese piano, prendendolo per la nuca e avvicinandosi di sua spontanea volontà ad occhi chiusi.

Sia Bill che Franky erano rimasti sorpresi alle sue parole, ma come Bill si sentì sprofondare, Franky si fece sempre più spazio per arrivare a ciò che desiderava: un ultimo bacio di Zoe.

Bill si sentì eclissare nel suo stesso corpo, divenne lui l’ospite in quel momento indesiderato, divenne lui lo spettatore silenzioso; si sentì calpestato ed usato, senza alcuna considerazione. I suoi sentimenti, i suoi sentimenti erano stati spazzati via in un soffio: in quel momento lui non era importante, lui non esisteva.

Sentì il proprio corpo avvicinarsi ancora di più a Zoe e stringerla, poi le sue labbra incontrare le sue in un bacio da togliere il fiato. Sentì il suo cuore perdere un battito e poi il suo respiro diventare affannato mentre la lingua di Zoe giocava con il suo piercing.
Sapeva che tutto quello non era per lui e faceva male. Tanto male. Non era lui a comandarsi, era Franky che lo stava dominando nonostante cercasse in ogni modo di cacciarlo via da sé, ma era troppo potente, troppo preso da quella situazione.

“Basta! Ti prego, basta, Franky!”, urlò disperato dentro il suo stesso corpo, nel quale cercava di dimenarsi e di farsi spazio. Iniziava a mancargli l’aria.

In quel preciso momento, alle sue grida, Franky tornò lucido e si staccò violentemente da Zoe, che guardò spaventato e consapevole di aver fatto una cosa bruttissima.

“Io… Mi dispiace, Bill”, balbettò, ma sapeva che non sarebbero bastate delle scuse per essere perdonato.

“Fuori. Esci fuori da qui!”, gridò Bill singhiozzando, riprendendo lentamente possesso di sé: le sue mani, le sue braccia, i suoi piedi, le sue gambe, il suo cuore, il suo cervello, la sua faccia, i suoi occhi, la sua bocca.

Sentì un brivido percorrergli la schiena, più intensamente degli altri perché non era preparato. Quando mancava ormai poco per dividersi completamente da Franky quasi lo strappò via e si girò verso di lui, lo guardò con occhi pieni d’ira e di delusione, oltre che di lacrime; si voltò verso Zoe, che aveva gli occhi dispiaciuti che imploravano perdono, e guardò anche lei nello stesso modo, solo che una lacrima lo tradì scivolandogli sulla guancia.

«Bill», tentò di dire lei, alzando una mano, ma lui scosse la testa e corse all’auto, chiudendo la portiera con colpo secco, poi sgommò via.

Zoe guardò Franky di fronte a sé e si coprì il volto con le mani, cercando inutilmente di trattenere quelle lacrime che sentiva di non poter versare, visto che era stata colpa loro. L’angelo l’abbracciò delicatamente, nascondendo il viso contratto in una smorfia di disgusto per se stesso fra i suoi capelli.

«Che cos’abbiamo fatto…?», singhiozzò la ragazza. «Io… Io devo andare da lui, scusa Franky.»

Si liberò dal suo abbraccio e corse via, verso l’appartamento dei ragazzi. L’angelo rimase ad osservarla fermo immobile fino a quando non scomparve alla sua vista una volta svoltato l’angolo. Allora abbassò il capo e subì il colpo senza lamentarsi, poi entrò nel palazzo così da non essere più visto né giudicato dalla luna, la spettatrice silenziosa per eccellenza.

___________________________

Buon pomeriggio a tutti! *-*
Ebbene sì, questo è IL capitolo, quello che immagino attendavate con ansia xD
Tom ha reagito alla partenza di Jole, è andato a trovarla al cimitero, ma cosa più importante… Bill e Zoe sono usciti! O, meglio… Bill, Zoe e Franky… Sono successi un po’ di casini, eh? >.< Lascio a voi il compito di giudicare, se no potrei trattenervi qui per anni, anni ed anni e non è assolutamente il caso, fidatevi u.u
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, ossia:

Utopy : Èvvero, èvvero, il mondo della Aria andrebbe a rotoli se non ci fossi tu u.u
Sono contenta di averti fatta piangere, era il mio intento, da perfida quale sono *buahbuahbuah xDD* Per quanto riguarda Tom e il suo “ti amo”… uhm, chissà u.u
Scommetto che questo capitolo ora è il tuo preferito xD Privilegiata ù.ù xD
Zoe è complicata, lo penso anche io ahahah xD Beh, comprendiamola, poveretta…
Spero che ti sia piaciuto (xD) Ti voglio tantissimo bene Mond! Tua, Sonne <3

_lile_ : Alla fine odio e adorazione vanno a braccetto, no? :D Non ti preoccupare, Tom e Jole tornano! ;) Grazie mille per la recensione, alla prossima!

Isis 88 : Buona fortuna per gli esami, allora! ;D

Tokietta86 : Ma davvero, dagliela una botta in testa a sto cretino xD Tom si è innamorato assai alquanto, chissà se le dirà mai che la ama…
Zoe ha chiarito con Jole e anche con Franky per quanto riguarda al suo compito sulla Terra… Ora vediamo come si sviluppa la situazione qui xD Parecchio incasinata. Il triangolo no… xD
Naaaah, non ci credo che l’avevi immaginato come Justin Bieber *-* Sei una maga u.u
Grazie mille per la recensione, alla prossima! Un abbraccio :)

Ringrazio anche chi ha letto soltanto e chi ha messo questa ff fra le preferite/seguite!
A mercoledì, vostra

_Pulse_

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Capitolo 20
*** Physically and mentally (Part II) ***


20. Physically and mentally (Part II)

[Where are you now,
when nothing's going right
Where are you now
I can't see the light]

La porta si aprì e subito si richiuse violentemente, Tom si sporse sul divano per riuscire a vedere l’ingresso e sobbalzò alla vista del gemello sconvolto ed in lacrime.

«Bill!» Corse da lui e gli prese le spalle fra le mani per guardarlo negli occhi, rossi e gonfi di pianto. «Che ti è successo?»

Bill scosse la testa e singhiozzando cercò di divincolarsi dalla sua presa ferrea, ma dovette cedere al suo abbraccio.

«Calmati, ok?», gli sussurrò Tom all’orecchio, cercando di tranquillizzarlo, stringendolo a sé ed accarezzandogli i capelli sulla nuca. «Ci sono io con te.»

Il cantante rimase per un po’ fra le saldi braccia del fratello, desiderando il silenzio, poi si asciugò le lacrime e lo guardò in viso: «Grazie, Tomi.»

Gli sorrise e gli accarezzò una guancia: «Se ne vuoi parlare sono qui.»

Bill annuì e corse su in camera sua, sbattendosi la porta alle spalle. Si gettò sul letto e strozzò i singhiozzi nel cuscino, stringendolo forte fra le braccia. Non poteva credere che fosse successo davvero, che Franky avesse avuto il coraggio di fargli una cosa simile: l’aveva usato, aveva usato il suo corpo per provare ancora la sensazione di baciare Zoe nonostante non gli fosse più permesso, nonostante non toccasse più a lui!

Non riusciva a pensare razionalmente, escludeva qualsiasi ipotesi nel quale Franky non aveva tutta la colpa, era troppo ferito e troppo arrabbiato per assegnare ad ognuno la propria parte di colpevolezza. Rimase soltanto lì a consumare tutte le sue lacrime, poi guardò la luna fuori dalla finestra che illuminava una parte del letto.

Il silenzio venne rotto da una voce femminile proveniente dal piano di sotto. Bill sapeva di chi era, l’avrebbe riconosciuta fra un milione.

«Tom, lasciami stare! Voglio solo andare da Bill! No, non ti spiego adesso che cos’è successo, te lo spiegherò, ma non ora! Non rompere!»

Poi dei passi pesanti salire le scale due a due e raggiungere la porta della sua camera, sulla quale bussò velocemente prima di entrare senza aspettare alcuna risposta.

«Bill», mugugnò e tirò su col naso, chiudendo la porta alle proprie spalle.

Il cantante si alzò dal letto e si passò le mani sul viso per cercare di ristamparsi in faccia quell’espressione delusa e arrabbiata, ma non ci riuscì molto bene. «Che cosa vuoi?»

«Io… mi dispiace per quello che è successo», sussurrò guardando in basso, poi alzò gli occhi con una punta di orgoglio a farli brillare: «Perché hai voluto Franky nel tuo corpo, non hai immaginato che potesse accadere? E, a parte questo, non hai minimamente pensato a come lui potesse sentirsi dentro di te, con tutti i tuoi pensieri su di me e… come mi spieghi questa cosa?»

Bill sospirò, gli occhi socchiusi: «Avevo paura.»

«Paura?», corrugò la fronte. «Di che cosa?»

«Che ne so», sbuffò e si avvicinò a lei, tanto da sentire il suo profumo invadergli i polmoni. «Avevo paura che non fossi all’altezza di Franky, tanto da non riuscire a sostituirlo… Insomma, le mie solite seghe mentali.»

Zoe sorrise, divertita. «Hai detto proprio bene: seghe mentali. Inutili, aggiungerei.»

Bill accennò un sorriso e diminuì ancora la distanza fra i loro corpi, le prese il viso con le mani e catturò le sue labbra nelle proprie, quasi con prepotenza: voleva che quel bacio fosse suo, fosse solo ed esclusivamente per lui. Voleva che Zoe fosse sua, in quel momento preciso.

Le portò le mani sui fianchi, stringendola a sé, e in poco tempo gliele infilò sotto il vestitino nero, glielo levò in una mossa e incastrò le dita fra i suoi capelli baciandola ancora sulla bocca, mentre la spingeva verso il letto. Lei ci cadde sopra e lui la sovrastò, si tolse la maglia e si occupò del suo reggiseno, che cadde a terra.

L’accarezzò, la baciò e quando entrò in lei con una spinta secca si sentì euforico, quasi provò un piacere perverso pensando a Franky che avrebbe sofferto quando avrebbe scoperto quello che stavano facendo. Avrebbe sofferto come aveva sofferto lui, sentendosi schiacciato nel suo stesso corpo.

Il ritmo, da frenetico e possessivo, rallentò e divenne persino dolce, tenero, ma Zoe non riusciva a lasciarsi andare: aveva gli occhi stracolmi di lacrime, lottava per non farle sgorgare da quelle deboli barriere, e soffocava i gemiti di piacere contro la spalla di Bill, come se non si volesse sentire, quando invece lui non si vergognava a dimostrarle quanto lo stesse prendendo.

Quando crollò esausto su di lei, strusciò il naso contro il suo collo, baciandolo delicatamente, e Zoe non riuscì più a resistere: strinse il pugno nei capelli corvini del cantante e pianse, stringendolo forte. «Scusami, scusami», riusciva solo a farfugliare fra i singhiozzi.

Bill le accarezzò il viso e le baciò la fronte, poi si mise nella sua parte di letto e l’abbracciò per la vita, mentre lei gli girò le spalle per non farsi vedere. Si vergognava delle sue lacrime, perché ancora non sapeva da che parte stare, se da quella di Franky o quella di Bill. O meglio, lo sapeva, ma aveva paura a lasciar andare l’altra, quella del passato. Era davvero pronta a fare quel salto, a ricominciare? E se non ce l’avesse fatta?

Sentì le braccia di Bill aumentare la stretta intorno la sua vita e poi la sua fronte contro la sua schiena, sulla quale lasciò una scia di baci. Il frontman soffiò sulla sua pelle e Zoe si rilassò, rassicurata, e chiuse gli occhi ancora umidi.

Forse, forse ce l’avrebbe fatta. Doveva solo crederci e non avere paura, perché non poteva avere paura di niente, se accanto a sé aveva il suo angelo custode e delle persone come Tom pronte a correre da lei in qualsiasi situazione.

***

Si svegliò e si stropicciò gli occhi, sfregandosi la pelle arrossata dalle lacrime della sera precedente. Allungò la mano nel letto, ma non trovò nessuno accanto a sé. Sbuffò e si tirò seduta sul letto, con il magone in gola quando rivisse tutto quello che era successo la notte prima.

Si alzò e trovò dei vestiti puliti ai piedi del letto, li guardò e se li portò al viso: il profumo di Bill era inconfondibile e ne erano impressi. Se li infilò e poi scese al piano inferiore timidamente. Scorse Tom in cucina, girato verso i fornelli, che parlava a bassa voce con qualcuno. Si avvicinò e si appoggiò alla porta: Bill era seduto al tavolo, ancora mezzo addormentato.

«Buongiorno», la salutò Tom con un sorriso obliquo sulle labbra. Il cantante si voltò e sorrise a sua volta, con tenerezza. «Dormito bene?»

«Uhm», scrollò le spalle, sedendosi a capotavola.

«Caffè?», le chiese allora il chitarrista.

«Sì, un pochino. Grazie.»

«Prego.»

Calò il silenzio e Zoe capì che era a causa sua, o meglio per quello che era successo fra lei e Bill che c’era quell’aria tesa ed imbarazzata. Tom si schiarì la voce e fu l’unico rumore udibile in quei minuti in cui lei si sentiva soffocare.

«Che fine ha fatto Franky?» Sia Bill che Zoe rischiarono di strozzarsi e lo guardarono con gli occhi spalancati. «Che c’è, che ho detto di male?»

«Niente», mugugnò il gemello. «Comunque non ho idea di dove sia.»

Lo sguardo di Tom, così, si spostò su di lei, che rispose allo stesso modo, alzando le spalle afflitta.

«Menomale che ero io quello nella situazione complicata», borbottò.

«Piuttosto, Gustav e Georg?», chiese Bill.

«Per quel che ne so, dormono.»

«Uhm.»

Zoe finì il proprio caffè e si appoggiò allo schienale della sedia, sospirando. «Forse dovrei chiamarlo, forse…» Lo sguardo glaciale di Bill la fece ammutolire.

«Ciao», mormorò una voce alle loro spalle e tutti si voltarono verso la finestra, davanti alla quale stava Franky, lo sguardo basso e dispiaciuto. «Sono… sono solo passato per scusarmi con Bill per quello che –» Si interruppe bruscamente e guardò il cantante con gli occhi sgranati, che pian piano si inumidirono di lacrime mano a mano che il flusso dei suoi pensieri raggiungeva la sua mente.

La spinse sul letto e la sovrastò, Zoe lo strinse a sé e sorrise quando la spogliò ed entrò in lei. Gemeva di piacere, lo incitava, gridava il suo nome e sorrideva. Erano una cosa sola e sembrava che niente e nessuno poteva dividerli.

«Bill, ti amo», sfiatò quando vennero insieme. Il ragazzo si accoccolò su di lei e si lasciò accarezzare i capelli. Zoe continuò: «A che mi serve un angelo custode, quando ho te?»

Franky scosse la testa a quelle parole che gli inflissero il colpo di grazia e cercò di scollegarsi dalla mente di Bill, ma i suoi pensieri erano troppo potenti, li urlava e nel contempo sorrideva. Si raccolse la testa fra le mani e lo guardò implorante, mentre tutto si ripeteva per l’ennesima volta, con ancora più particolari, come se il suo scopo fosse quello di farlo soffrire.

«Ti prego, ti prego basta», singhiozzò. Era la peggior tortura a cui lo avessero mai sottoposto.

Zoe si alzò di scatto e lo affiancò, cercò di farlo calmare, ma lui la spostò e allora guardò Bill, osservando molto attentamente la sua espressione tranquilla e innocente.

«Bill! Bill, smettila! Qualsiasi cosa tu stia facendo, finiscila!», gridò disperata, ma Franky continuava a farfugliare, sconvolto, fin quando non riuscì più a resistere:

«Devo… devo andarmene da qui, non posso… non ce la faccio, non ci riesco!» E scappò dalla finestra, allontanandosi nel cielo ad una velocità impressionante.

Zoe si girò verso Bill, che sorrise soddisfatto. Marciò verso di lui e lo guardò negli occhi, seria: «Che cosa gli hai fatto?»

«Niente, che io sappia», scrollò le spalle. «È lui che ha letto i miei pensieri.»

Sgranò gli occhi, che si colmarono di lacrime. «Tu… tu… l’hai fatto davvero? COME HAI POTUTO?!» Gli tirò un ceffone sulla guancia, tanto forte che gli rimasero subito le cinque dita rosse stampate sulla pelle candida, e corse al piano di sopra, raccattò le sue cose e poi fuggì dall’appartamento, in lacrime.

~ ~ ~


«Non esistono punizioni per gli angeli, Franky», disse per l'ennesima volta Alexandra, massaggiandogli la schiena.

Ariadne era accanto alla finestra, lo sguardo concentrato e le braccia incrociate al petto.

«IO ho sbagliato, IO devo essere punito!», farfugliò, fra i singhiozzi e le lacrime che continuavano a graffargli le guance. Tirò su col naso e si sfregò gli occhi umidi con le mani.

«Potresti stare con noi, per un po’», mormorò Ariadne, gli occhi che ancora perlustravano il tetto della città fuori dalla finestra. Sia Franky che Alexandra alzarono lo sguardo su di lei, con il fiato sospeso. «Giusto il tempo per mettere in ordine le idee…»

«Non è una cattiva idea», constatò Alexandra, sorridendogli. «Te la senti, Franky?»

L’angelo annuì con un cenno del capo. «Voglio fare qualcosa di utile, qualcosa che, per quanto possa sembrare egoista, mi distragga e mi faccia sentire meno colpevole, come se stessi scontando la mia pena.»

«Va bene, saremo spietate», ridacchiò.

***

«Tesoro…» La madre di Zoe si alzò dal divano ed andò verso la figlia, il viso preoccupato. «Che fine hai fatto ieri sera, mi sono preoccupata da morire! Stai bene?»

«Mamma, lasciami in pace, ok?»

«Ma, tesoro…»

«Lasciami in pace», singhiozzò, poi si divincolò dall’abbraccio della madre e si chiuse in camera sua, dove riprese a piangere come una fontana, accasciandosi contro il legno della porta.

Quando alzò il viso per controllare che fosse effettivamente sola nella stanza, si accorse che sul proprio cuscino c’era una busta bianca. Gattonò accanto al letto e l’afferrò, strappò la carta quasi freneticamente e poi si tuffò su quelle parole che le graffiavano il cuore una dopo l’altra, inesorabili ed inarrestabili.

Zoe,

non pensavo di arrivare a questo punto, pensavo di essere più forte, ma mi sbagliavo.

Ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere, per ritrovare la forza di mettermi da parte e lasciarti vivere la tua vita, com’è giusto.

Non incolpare nessuno della mia partenza, né te né Bill… Se proprio devi farlo, incolpa me: sono io che ho deciso di andarmene per un po’, perché sono così debole…

Non sono arrabbiato, né con te né con Bill, ma un po’ sono rimasto ferito, lo devo ammettere.

Mi dispiace tanto lasciarti, non sai quanto. Sarò più vicino di quanto credi, ma, ti prego, non fare cose di cui potresti pentirti.

Il tuo angelo custode,
Franky

Zoe respirava in modo irregolare, sentiva il cuore scoppiarle nella cassa toracica e piangeva lacrime pesanti che nonostante tutto non riusciva a sentire. Non esisteva più niente, intorno a sé, non dopo averlo perso per la seconda volta.

Com’era possibile? L’aveva perso quand’era morto ed era riuscita a perderlo persino ora, che doveva stare sempre con lei perché era il suo angelo custode.

Lasciò cadere la lettera a terra e la guardò bruciare di un fuoco fatuo, azzurrino. Non ne rimasero nemmeno le ceneri. Zoe si piegò in avanti, la fronte sul pavimento freddo, stringendosi il petto con le mani, e gridò tutto il suo dolore. Gridò il suo nome, fin quando sua madre non irruppe nella camera con Heinz al seguito, spaventato quanto lei. Cercò di calmarla, di rassicurarla cullandola al proprio petto, ma niente e nessuno, niente se non il suo ritorno, ne sarebbe stato in grado.

[Can someone help me find my angel
‘cause every breath I take without, is painful
Please someone, help me find my angel]

~ ~ ~

Un brivido gli attraversò la schiena e chiuse gli occhi, il cuore invaso dal dolore. Si fermò in mezzo al cielo limpido e fra le case vide quella di Zoe. Alexandra tornò indietro e lo prese per un braccio:

«So che vorresti tornare, non vuoi che soffra, è comprensibile, ma… non puoi farlo. O tutto quello che stai facendo sarebbe inutile.»

Franky annuì, gli occhi colmi di lacrime, e riprese il suo volo accanto ai due angeli speciali, sfrecciando fra le nuvole.

***

Erano parecchi giorni che non vedeva né sentiva Zoe. Gli mancava da morire e, assieme a lei e alla sua allegria, era sparito pure Franky. Certo, l’angelo lo aveva avvisato che se ne sarebbe stato lontano per un po’ – gli aveva lasciato una lettera che si era autodistrutta – ma non aveva capito molto bene quello che era successo. Aveva cercato di parlarne con Bill, di ricavare almeno le informazioni essenziali, ma tutto ciò che aveva ottenuto era stato un litigio di quelli epocali, un vero litigio fra gemelli, tanto che Gustav e Georg avevano dovuto abbandonare l’appartamento manco si fosse scatenata la terza guerra mondiale.

Di peggio, sospirò e guardò il gemello al tavolo della cucina, che leggeva una rivista di moda in religioso silenzio.

«Bill?»

Il gemello nemmeno alzò gli occhi, mugugnò un «Mmh?» di risposta.

«Sei arrabbiato con me?», chiese allora, con gli occhi tristi.

«No», scrollò le spalle e strinse le braccia al petto, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Ma lo divento, se inizi di nuovo a fare l’interrogatorio.»

Tom sbuffò e colpì le gambe con le mani, spazientito. «Possibile che tu sia così egoista, tanto da non dirmi quello che è successo?! Non ci stai soffrendo solo tu, ma anche Zoe e Franky e, per quanto mi riguarda, non me ne starò con le mani in mano come te!» Uscì dalla cucina a passo spedito, fumante di rabbia, e raccattò le chiavi della macchina.

«Sì, vai ad aiutare l’angelo custode. Sbaglio o è lui quello che dovrebbe aiutare?», disse Bill con stizza. Tom si fermò e chiuse gli occhi, poi marciò di nuovo verso la cucina, si fermò sulla soglia e lo squadrò truce.

«E se non dovesse tornare più, la penseresti ancora così?! Ringrazia che sia qui, cretino.»

Dopodiché uscì di casa e salì in macchina, diretto verso casa Wickert. Fu la madre di Zoe ad accoglierlo, il viso stanco e preoccupato, così felice di vederlo che lo travolse in un abbraccio.

«Menomale che sei qui, Tom. Zoe ha bisogno di te», sfiatò e aggiunse, guardandolo negli occhi: «Non vuole mangiare, piange sempre, di notte ha gli incubi e si sveglia urlando… io non so più che cosa fare. La trovi in camera sua, è chiusa lì da giorni.»

«Ci penso io», si sforzò di fare un sorriso quantomeno rassicurante e si avviò verso la camera della ragazza. Una volta di fronte ad essa, si accostò alla porta e fece un respiro profondo, poi bussò:
«Zoe?»

«Tom… Che cosa vuoi?» La sua voce era debole e nasale.

«Voglio che esci da lì.»

«No.»

«Che senso ha quello che stai facendo?»

«Non lo so. E potrei chiederti la stessa cosa.»

«Non fare la scema.»

Il silenzio divenne il protagonista per diversi minuti. Tom, con lo sguardo rivolto verso il pavimento, si appoggiò alla porta con la spalla.

«La presenza fisica non è essenziale», disse titubante. Perché Franky era riuscito a dire tutte quelle cose con così tanta semplicità? «È sempre qui con il pensiero e… un sorriso è più importante anche di un abbraccio… Insomma, io non riesco a spiegarlo come farebbe Franky, ma il succo è che devi uscire da lì e mostrargli di che pasta sei fatta, o tutti i suoi sforzi per starti accanto saranno stati inutili.»

Calò di nuovo il silenzio e quando stava per andarsene sconfitto, sentì la porta aprirsi dall’interno e Zoe si fiondò fra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto e stringendolo forte. Tom sospirò e le massaggiò la schiena, poi le baciò la testa con delicatezza.

«Che ne pensi di pizza e film?», le chiese. Lei sollevò il viso e, tirando su col naso, sorrise ed annuì.

Non si cambiò nemmeno, uscì con la maglietta e i pantaloni della tuta, struccata, e insieme al suo migliore amico andò ad affittare quel film. Avevano optato per New Moon, ma visto che Tom aveva visto a spizzichi e bocconi  il primo della famosa serie, Twilight, presero anche quello sotto l’occhio vigile della commessa che, sicuro come l’oro, aveva riconosciuto il chitarrista dei Tokio Hotel, che però non la calcolò nemmeno, nonostante fosse una bella ragazza.

«Uh, vampiri… questi sì che mordono», commentò maliziosa, guardando Tom negli occhi.

Zoe, scocciata, si fece più vicina a Tom e gli infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans larghissimi; poi sogghignando rispose: «Io preferisco i licantropi.»

La ragazza fece una smorfia e con la più totale dell’indifferenza, come se davvero non le avesse dato fastidio il suo intervento, gli diede i DVD e li salutò.

Una volta fuori Zoe sorrise, soddisfatta del suo operato, e guardò Tom di sfuggita prima di salire in auto.

«Perché mi hai toccato il culo?», le chiese ricambiando lo sguardo, realizzando solo in quel momento ciò che era successo.

«Perché odio le persone così sfrontate: quella ci stava provando con te e io ero lì accanto!»

«Ci stava provando con me?», corrugò la fronte.

Zoe spalancò gli occhi e lo osservò attentamente mentre usciva dal parcheggio con una semplice mossa. Com’era possibile che lui, proprio lui, non si fosse accorto di quel tentativo d’abbordaggio così palese?! Forse la spiegazione era solo una: Jole si era presa ciò che mai nessuno era riuscito a rubargli e questi ne erano i risultati. Si era innamorato... Purtroppo in ritardo. Un sorriso dispiaciuto si fece spazio sul viso della moretta:

«Mi dispiace, Tomi…»

«Di che cosa? Scusami, ma stasera non ti capisco proprio», scosse la testa. Gli si leggeva la confusione negli occhi.

«Niente, lascia stare.»

«Mmh.»

Sotto casa Tokio Hotel, Zoe esitò prima di scendere dall’auto.

«Qualcosa che non va?», le chiese il chitarrista.

«C’è Bill in casa?» Nella sua voce si leggeva benissimo quella nota di paura che si rispecchiava pure negli occhi azzurri. Tom sorrise e le porse una mano, che lei afferrò immediatamente.

«Se c’è, sarà chiuso in camera sua come sempre. E poi ci sono io a proteggerti, no?», le fece l’occhiolino e lei ridacchiò, scendendo dall’auto.

Salirono le scale stando vicini, ogni tanto lui giocava a spingerla sul lato e lei ricambiava con colpi d’anca, ridendo sommessamente per non dar fastidio agli altri condomini.

Entrarono nell’appartamento silenzioso, per enorme sollievo di Zoe, e raggiunsero la camera di Tom mano nella mano. Lei si gettò subito sul letto matrimoniale del chitarrista e si portò un cuscino sulla faccia, respirandone tutto il dolce profumo.

«Ti sniffi il mio cuscino?», le chiese ridacchiando, poggiando un ginocchio sul materasso, mentre si portava il telefono all’orecchio.

«Sì, hai un buon profumo.»

«Mi fa piacere», sorrise di sfuggita prima di concentrarsi nell’ordinare le pizze e fare lo spelling l’indirizzo, in un modo così divertente che fece scoppiare a ridere Zoe, che si rotolò persino sul letto stringendosi la pancia.

Chiuse la chiamata e la guardò, poi si tuffò su di lei per farle il solletico. «Che cosa c’è da ridere, eh?!»

«No, ti prego Tom, io non lo sopporto!» Era rossa in viso, le lacrime agli occhi e il fiato corto.

«Almeno ridi per qualcosa, no?»

«Ti supplico!»

Tom sbuffò e cadde al suo fianco, supino. «Giusto perché sono buono.»

«Menomale, credevo mi scoppiasse tutto», sorrise abbracciandolo per la vita.

In silenzio sollevò lo sguardo sul suo viso e lo trovò sereno, gli occhi chiusi e la fronte liscia, senza pensieri, il naso leggermente all’insù e le labbra, quelle labbra che le ricordarono fin troppo quelle di Bill. Abbassò gli occhi di scatto e aumentò un po’ la stretta del suo abbraccio, mordicchiandosi il labbro inferiore.

«Ehi, qualcosa che non va?», le chiese Tom.

«No, è tutto… ok.»

Le sollevò il viso con un dito e sorrise sghembo: «A chi vuoi darla a bere? Forza, raccontami.»

«Niente, stavo pensando che… somigli tanto a Bill.»

Lui aggrottò le sopracciglia. «A parte che siamo fratelli gemelli… Perché ti è venuto in mente Bill, proprio ora?» Attese in silenzio una risposta, fino a quando una vocina si insidiò fra il filone dei suoi pensieri, rendendo tutto estremamente più chiaro: c’era qualcosa che lui non sapeva e che doveva assolutamente sapere, e quello era il momento adatto. «Mi racconti cos’è successo la sera del vostro appuntamento?»

«Ahm…», balbettò Zoe. Come poteva davvero raccontarglielo? Era il suo migliore amico, sì, ma… Insomma, era lì per distrarsi, non per pensarci ancora!

«Non vuoi dirmelo, non puoi? Che cosa, Zoe?»

«Io… Ecco è successo che…» Non seppe più come continuare, davvero non ce la faceva! Alla fine cedette e sospirando disse: «Scusa Tom, ma non ho voglia di parlarne, davvero.»

«Ok, non fa niente», le sorrise e le fece un buffetto sulla guancia, che invece di renderla felice la fece sentire ancora più male: perché era così buono con lei? Non si meritava un amico così. Non si meritava neppure un angelo custode…
«Me lo dirai quando sarai pronta.» Altra pugnalata al cuore, così dolorosa che stava per dirgli tutto, quando il campanello al piano di sotto trillò.

«Saranno le pizze, arrivo subito!», esclamò Tom e si precipitò giù: doveva avere proprio una gran fame, visto che aveva pure rischiato di inciampare nei suoi stessi jeans caracollando giù dal letto.

Zoe scosse la testa e si guardò intorno per un po’ nella stanza che conosceva bene, poi prese il DVD di Twilight e si accinse ad inserire il dischetto nel lettore, stando di fronte al televisore.

Si rigirò il telecomando tra le mani per una decina di secondi, borbottando: «Mmh, vediamo… Come funzioni, tu?» C’erano fin troppi tasti rispetto al suo!

Sentì dei passi avvicinarsi alla camera e, pensando che fosse Tom di ritorno con le pizze, uscì per andargli incontro.

«Tom, come diavolo funziona questo coso?», chiese, ma quando sollevò lo sguardo si trovò di fronte a Bill, che sollevò il sopracciglio dubbioso. Zoe perse la poca luce che aveva negli occhi e una fitta al cuore la fece boccheggiare.

«Ciao», la salutò lui.

«C-Ciao.»

«Che… Non credevo che tu fossi qui.»

«E invece…»

Abbassarono entrambi lo sguardo e si rintanarono nei loro pensieri. Zoe era ancora arrabbiata con lui per quello che aveva fatto a Franky, ma era arrivata alla conclusione che la colpa non era solo sua, infondo. Bill, dal canto suo, aveva capito di aver sbagliato, ma era a sua volta arrabbiato con Franky per quello che gli aveva fatto e per essere sparito in quel modo.

Quanto cavolo ci metti, Tom?! Zoe stava pregando perché arrivasse in fretta a tirarla fuori da quella situazione.

«Senti, Zoe…», incominciò timidamente Bill, muovendo un piede sul pavimento, poi grattandosi la nuca. Non si sentiva colpevole, non era il termine adatto secondo lui, ma non poteva fare a meno di volersi scusare con lei per quello che aveva fatto: era troppo cotto per sopportare quel silenzio fra loro.

«Mi dispiace da morire per quello che è successo», avrebbe voluto dire, ma quelle parole non uscirono mai dalla sua bocca, grazie o a causa di Tom che comparve in corridoio con due cartoni di pizza fra le mani, sbraitando:

«È costato di più il trasporto a domicilio che le pizze!» Si immobilizzò sul posto quando vide il gemello e l’amica l’uno di fronte all’altra, gli occhi spenti rivolti verso di lui.

«Io devo andare», mormorò Bill prima di girarsi e di ritornare nella propria stanza, sbattendosi la porta alle spalle, così forte che Zoe dovette chiudere gli occhi come se fosse stato un colpo di frusta infertole sulla schiena.

Tom non fece in tempo a chiedere nulla: Zoe, senza riaprire gli occhi, solo dandogli le spalle, disse: «Forza con queste pizze, ho fame. E guardiamoci ‘sti benedetti film.»

Si misero sul letto e mangiarono le loro pizze in silenzio. Tom lanciava continue occhiate alla ragazza, ma tutto ciò che trovava era il desolante ritratto della passività sul suo volto e il riflesso azzurrognolo della TV nei suoi occhi. Avrebbe voluto chiederle che cosa fosse successo con Bill, se era per causa sua che il fragile castello di carte che aveva costruito per difendersi era crollato di nuovo, ma sentiva che non avrebbe cavato alcun ragno dal buco.

Quel film non lo prendeva per niente, non riusciva nemmeno a capire come potesse essere piaciuto tanto alle ragazzine di tutto il globo e persino a suo fratello, entusiasta: ne aveva parlato per giorni, dopo averlo visto! Forse era solo la situazione, non era proprio il momento adatto per vedere un film, tra l’altro d’amore. Un amore alquanto impossibile. Ma lui, di amori impossibili, ne sapeva qualcosa.

Sospirò malinconico e si appoggiò alla spalla di Zoe, gli occhi fissi sullo schermo per concentrarsi almeno sull’ultima scena – Bella ed Edward alla ballo di fine anno – che aveva fatto scoppiare in lacrime suo fratello. Lei lo guardò per un attimo, poi sorrise debolmente tornando a guardare lo schermo.

“Edward, perché mi hai salvata? Se avessi lasciato diffondere il veleno… adesso sarei come te.”

“Non sai di cosa parli. Tu non lo vorresti.”

“Io voglio te. Sempre.”

“Io non metterò mai fine alla tua vita.”

“Ma sto già… morendo. Ogni secondo mi avvicino alla morte, invecchio!”

“Ed è così che deve essere…”

«Oh mamma quanto la tira lunga», sbuffò Tom. «Falla diventare vampira e basta, è quello che vuole! Sto qui si fa un sacco di problemi, è complessato!»

Zoe si girò verso di lui, lentamente, e lo guardò fisso negli occhi per diversi istanti, finché lui non abbassò il braccio che aveva innalzato contro la televisione, poi scoppiò a ridere, accasciandosi sul suo petto.

«Sì, forse è un po’ complessato, ma se la facesse diventare vampira ora… non ci sarebbe il seguito, il seguito del seguito e il seguito del seguito del seguito! Sì, forse il seguito ci sarebbe, però…»

«Niente più money per la Mayer!», riassunse il chitarrista con il gesto della mano, ridendo insieme a lei.

«Tom, posso chiederti una cosa?», gli domandò Zoe, diventata improvvisamente seria, arrotolando il bordo della maglia del ragazzo fra le dita, quasi intimidita.

«Sì, dimmi.»

«Non hai seguito quasi niente del film… Posso sapere a chi stavi pensando?»

«Chi te lo dice che è un chi, ciò a cui stavo pensando?» La moretta lo guardò eloquente, un sorriso obliquo sulle labbra, e lui dovette cedere. «Stavo pensando a… a Jole.»

«Mmh, immaginavo. Ti manca?»

Un inusuale rossore si impadronì del viso di Tom. «Ma… che domanda è questa?!»

«Una domanda normalissima», scrollò le spalle, incurante. «Ti manca?»

«Uff… sì, che mi manca, è… ovvio che mi manchi, no?»

Zoe ricadde con la testa sul suo petto e sospirò: «Ci siamo ficcati proprio in una situazione complicata, eh? Altro che vampiri complessati… Noi siamo addirittura innamorati di… morti», rabbrividì a quella parola e Tom la strinse di più al suo petto.

«Ce la faremo, vedrai», le sussurrò prima di stamparle un bacio sulla testa. «E ora vediamoci il seguito, va’! Sono curioso di sapere che cosa decide quel vampiro complessato.»

Si guardarono negli occhi e risero. Infilarono il secondo DVD nell’apposita fessura e lo fecero partire, sedendosi di nuovo l’uno accanto all’altro, stretti in un abbraccio che sapeva di vicinanza, supporto e conforto, oltre che di vera amicizia.

In New Moon, però, qualcosa fra Bella ed Edward era andato storto. O meglio, fra Bella e Jasper, che aveva tentato alla sua vita a causa di un po’ di sangue uscito da una ferita provocatale da un taglio con la carta in cui era avvolto uno dei tanti regali che le avevano fatto per il compleanno. Edward era rimasto molto scosso da quell’episodio e infatti, qualche giorno dopo l’accaduto, aveva deciso di andare via perché riteneva che Bella sarebbe stata più al sicuro lontana da lui. Sarebbe andato via e non l’avrebbe più rivisto, come se non fosse mai esistito. E per un po’ fu così, fino a quando, una sera, Bella non immaginò di vedere Edward: era in una situazione di pericolo e lui le diceva di non fare nulla di stupido ed era stato allora che aveva capito che ogni volta che si metteva a rischio lo vedeva, come una coscienza che le consigliava cos’era giusto e cosa sbagliato.

Nello stesso momento, con Tom addormentato sulla sua spalla, russando leggermente, Zoe venne percossa da un brivido mentre la sua mente concepiva quella che ancora considerava un’idea folle. Anche Franky, sparito e chissà quando e se sarebbe mai tornato, le aveva detto esplicitamente di non fare cose di cui si sarebbe potuta pentire e che comunque lui sarebbe sempre stato vicino a lei. Dunque, seguendo il ragionamento, se lei si fosse messa in pericolo lui sarebbe subito intervenuto…

«Non posso credere di pensare davvero a queste cose», mormorò a se stessa, stringendosi di più a Tom. Ma quella vocina ormai era dentro la sua testa e la voglia di riavere Franky al suo fianco troppo forte per essere sovrastata, la stava completamente risucchiando in un vortice impetuoso che non sembrava volersi fermare. «No, no, non posso farlo…» E nonostante non volesse, si alzò e lasciò tutto così com’era: il televisore acceso, il DVD nel lettore, la finestra socchiusa, Tom che dormiva scomposto sul letto con la testa semplicemente sul materasso.

Si chiuse la porta alle spalle con un tocco soffice e strinse gli occhi per abituarsi al buio e raggiungere le scale senza far rumore. Quando ci riuscì, scese e uscì dall’appartamento.

L’aria quella sera sembrava più fredda del solito, tanto che mille brividi le attraversarono il corpo a velocità folle, accompagnando il suo cuore nel ritmo furioso. Nella testa solo le parole che Franky le aveva lasciato nella lettera: “Sarò più vicino di quanto credi, ma, ti prego, non fare cose di cui potresti pentirti”. Era certa che se avesse riavuto indietro Franky, non se ne sarebbe pentita, quindi… era giusto ciò che stava facendo, no?

Iniziò a correre insieme ai suoi brividi, al suo cuore, a quelle parole. Corse nella notte e arrivò nei pressi del lago Binnenalster, sul ponte dove aveva passeggiato anche con Bill e… Franky dentro Bill… Insomma, la sera in cui avevano mangiato dell’ottimo sushi al ristorante giapponese.

Si appoggiò al parapetto con le mani, sotto la luce lattiginosa del lampione, e guardò l’acqua scura sotto di lei. Non sapeva nuotare, non aveva mai imparato… Franky aveva tentato di insegnarle, ma aveva sempre avuto paura dell’acqua, del mare… Lui avrebbe realmente saputo e sarebbe accorso in suo aiuto, se avesse deciso di tuffarsi?

Il cielo sopra la sua testa era scuro, punteggiato da poche e rare stelle, nessuna cadente. Nessun angelo che volava alla velocità della luce. Perlomeno, quel cielo, ancora lo condividevano, lei e Franky.

Deglutì rumorosamente e chiuse gli occhi: tremava, e non per il freddo. Si girò e si coprì il viso con le mani, mormorando: «Che cosa sto facendo? Che cosa sto facendo, sono completamente impazzita…»

Si era appena convinta a tornare indietro, fra le braccia di Tom a vedere quel film, fortemente demoralizzata, quando due ragazzi su un solo motorino e con il casco allacciato dietro il collo, si fermarono al lampione di fronte a lei e la guardarono.

«Hai da accendere?», chiese quello che era appena sceso dal veicolo, andandole incontro. L’amico aveva già la sigaretta penzoloni fra le labbra, una malizia negli occhi che non le piaceva per niente. Doveva andare via da lì, lo sentiva dentro, doveva andarsene immediatamente.

«Ehi ragazzina, non sai parlare? Ti ho chiesto se hai da accendere!», ripeté il ragazzo che ormai le stava di fronte. Dal suo alito Zoe capì che aveva bevuto.

«No, mi dispiace», balbettò, con i rimasugli della propria voce, e tentò di uscire dalla traiettoria del ragazzo, ma lui sogghignò e la prese per il braccio, tenendola lì con la forza.

«Dove credi di andare?», le chiese ad un soffio dal suo viso. «Visto che non posso fumare, dovrò trovare qualcos’altro da fare… Tu che proponi?»

«Lasciami! Ti prego, lasciami andare!», gridò divincolandosi, ma la sua era una presa ferrea, tanto da farle male il braccio fra le sue dita.

Zoe venne spinta sul parapetto, incastrata fra esso e il corpo del ragazzo che aveva iniziato ad infilarle le mani dappertutto, cercando di baciarla sulle labbra. Lei cercava di evitarlo in tutti i modi, grandi lacrime le scivolavano giù dagli occhi e l’amico del ragazzo, quello sul motorino, si guardava intorno come se non fosse lì. Lei voleva urlare, ma in quel momento la gola le andava in fiamme e non aveva voce per farlo. Solo un grande dolore dentro.

Se non fosse stata così stupida, se non fosse uscita di casa, se fosse rimasta con Tom a guardare quello stupido film, se, se…

Con uno scatto brusco provò ad allontanare il ragazzo da lei, ma lui rispose spingendola a sua volta, non misurando la propria forza: Zoe si sbilanciò all’indietro sul parapetto troppo basso e in un attimo, nel quale non riuscì nemmeno a capire ciò che stesse succedendo, sospesa nel vuoto, precipitò giù dal ponte e cadde nell’acqua gelata del lago che le frustò la schiena all’impatto.

[Now, who's gonna pick me up
when I fell down (down)
You left with a part of me
The air is thinning,
it's getting so hard to breathe]

____________________________________________

Hallo, hallo, hallo *-*
Capitolo piuttosto triste, eh?
Bill e Zoe… uhm xD Franky se n’è andato, ahimè ç.ç, e Zoe si caccia sempre nei guai! ò.ò Chissà come andrà a finire… Bah, voi che ne dite? xD
Le canzoni che ho usato sono: la prima è Where are you now, di Justin Bieber e la seconda Calling for my angel, di Jason Derülo. Sono entrambe molto belle, consiglio a tutti di andarle ad ascoltare! ;)

Ora, non perdo altro tempo e ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:

Tokietta86 : Io sono più che certa che Bill poteva farcela da solo ed infatti per colpa sua, ma anche di quel testone di Franky che l’ha assecondato, è successo tutto sto putiferio o.o Franky, inoltre, si è completamente scordato di Bill e ha baciato Zoe… l’amore per lei è ancora forte, nonostante tutto, ma non doveva farlo per nulla al mondo ç.ç Ora vedremo come si risolverà la situazione, se si risolverà…
Grazie mille, grazie per esserci sempre! A venerdì, un bacio! :)

Utopy : Beh dai, come hai detto tu una volta, hai lasciato due recensioni quindi ti è piaciuto di più xD Allora, allora… Spero di non averti delusa! ç.ç E che ti sia piaciuto tanto!
(Sì, sei una genia xD)
Grazie infinitamente, anche a me quella parte è piaciuta tanto! Il mio cuoricino impazziva *-* Okay, basta xD Non sono una lagna ù.ù xDD
Ti voglio tantissimissimo bene Mond! *-* Tua, Sonne!

Solo dueee ç___ç Dove siete finite tutte quante?! Vi aspetto, tornate ç__ç
Ringrazio anche chi ha letto soltanto! Alla prossima!
Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 21
*** Give life to someone else ***


21. Give life to someone else

Tom entrò trafelato nel pronto soccorso, con il respiro mozzato che gli bruciava la gola. Chiese all’infermiera dietro al bancone della reception dove fosse stata portata Zoe e lei gli rispose che era al piano superiore, in fondo al corridoio, la penultima porta a sinistra. Il chitarrista ringraziò e corse su per le scale, poi lungo il rettilineo. Incontrò la signora Wickert e Heinz, seduti su delle poltroncine blu di fronte alla sua stanza: lei era scossa, gli occhi gonfi e lucidi di pianto; lui la consolava, stringendola forte al suo petto. Poco più in là vide suo fratello, il viso stravolto, pallido come un lenzuolo e gli occhi vacui puntati sul pavimento.

«Tom», singhiozzò lui quando lo vide. Aveva davvero un pessimo aspetto.

Il maggiore corse da lui e lo strinse in un forte abbraccio, sedendosi al suo fianco. Restarono in silenzio per minuti che sembrarono ore e poi Bill ebbe la forza di parlare, con voce roca, da pianto.

«Dove sono Georg e Gustav?», gli chiese.

«Dovrebbero arrivare a momenti», lo rassicurò, senza smettere un momento di massaggiargli la schiena. «Come sta Zoe?», chiese, anche se un po’ titubante.

«Hanno detto che si riprenderà presto… ora sta dormendo. Mi sono spaventato a morte, io… io…» Si coprì il viso con le mani, trattenendo i singhiozzi che gli facevano tremare convulsamente la schiena.

Tom si diede dell’idiota, del completo idiota. Era tutta colpa sua. Se non si fosse addormentato in quel modo… In quel momento, però, era inutile farsi gli esami di coscienza: voleva vederla, ne aveva un disperato bisogno, come se dovesse vedere con i propri occhi prima di credere alle parole del fratello.

«Deve esserci stato un angelo con lei, in quel momento», sentì singhiozzare la mamma di Zoe e alla parola “angelo” sia Bill che Tom sobbalzarono, il primo con un velo di sincera preoccupazione e l’altro con una strana curiosità. Franky.

«Si può entrare?», chiese ancora Tom, rivolto però ad Heinz, il più lucido di tutti, lanciando uno sguardo alla porta della camera in cui Zoe riposava.

«Sì, sì certo…»

«Grazie.»

Tom guardò all’interno della stanza grazie alla piccola finestrella incassata nella porta: Zoe dormiva sdraiata sul letto, gli occhi chiusi e una flebo infilata nel braccio. Nonostante non fosse nelle migliori condizioni, vederla sana e salva gli fece tirare un sospiro di sollievo.

Accanto a lei trovò Franky, seduto su una sedia al cospetto del letto e con la testa sul suo grembo. Anche lui aveva gli occhi chiusi, così aprì piano la porta e si avvicinò, posò una mano sulla spalla dell’angelo con un sorriso debole sulle labbra e senza nemmeno rendersene conto venne travolto da un pensiero potentissimo, molto simile ad un sogno che invece era proprio la realtà, tanto vivo da fargli credere di essere lì dentro, nel momento e nella situazione.

Quanto tempo era che volava in mezzo a quella tormenta? Si sentiva intorpidito, quel freddo lo avrebbe in poco tempo congelato: ghiacciolo gusto angelo.

«Ci siamo quasi!», gridò Ariadne e sia Franky che Alexandra aumentarono la velocità per starle dietro.

L’ennesimo Intrappolato finito fra i vivi ed impazzito per ciò che si era reso conto di aver fatto alla persona che aveva sempre amato ma che alla fine gli aveva fatto del male.

«Eccolo, è laggiù!», la ragazza lo indicò, rifugiato nella grotta di una montagna, in cui si stava infilzando il torace con le sue stesse unghie affilate, gridando di dolore. Erano urla straziate, tanto piene di dolore che spingevano istintivamente chiunque potesse sentirle lontano da lì, talmente erano insopportabili, ma Alexandra e Ariadne no, loro erano imperturbabili, era come se non sentissero quella spessa barriera di sofferenza che li divideva dall’Intrappolato.

«Muoviti Franky, non c’è tempo da perdere!»

Atterrarono di fianco all’essere pallido, tremante e con gli occhi iniettati di sangue e cercarono di calmarlo, ma ad ogni parola era un urlo, ogni tentativo di avvicinarsi a lui un passo indietro e una nuova ferita sulla pelle già mutilata.

«Okay», Alexandra fece un respiro profondo e poi si gettò addosso a lui, concludendo con un: «Fermiamolo con la forza!» Ariadne la seguì senza esitazioni nella zuffa e Franky rimase pietrificato sul posto, incapace di muovere anche solo un muscolo.

«Perché te ne stai lì impalato, Franky?!», gridò la biondina. «Dacci una mano!»

Le aveva già aiutate nei giorni precedenti, erano riusciti a salvare molte anime in balia dell’istinto animale, ma quella volta era diverso, quell’uomo dagli occhi a mandorla era diverso… C’era qualcosa nella sua ferocia, nella sua voglia di morire, che lo faceva tremare di paura. Il sottile confine che divideva la vita e la morte in lui era segnato con una sola parola: amore. L’amore lo stava portando ad uccidersi, perché a modo suo aveva “ucciso” l’anima viva della sua amata che dopo anni di matrimonio lo aveva tradito, per noia. Amore non era solo Vita, dunque… ma anche Morte.

«Franky!», urlò Alexandra e allora si risvegliò dai suoi pensieri, scuotendo il capo, e si unì alla zuffa per salvare quell’uomo da Morte, perché senza di lui Amore non sarebbe sopravvissuto, non sarebbe più riuscito a far guarire la propria anima, e Vita non sarebbe più tornata.

Era quello, ciò per cui combattevano gli angeli speciali? Quelli erano i tre punti fondamentali. O forse era solo il freddo a farlo impazzire.

Quando riuscirono a sedarlo e a farlo piombare in un sonno guaritore, Franky si lasciò scivolare sulla pietra dura e guardò i due angeli seduti più in là, al di fuori della grotta, con le gambe a penzoloni nel vuoto. Si guardavano, ma non parlavano. Franky cercò di sbirciare nei loro discorsi silenziosi, ma non ci riuscì. Il fatto era che non si parlavano nemmeno col pensiero. Era un linguaggio segreto a lui, sconosciuto. Una lingua fatta di sguardi, fin quando non si sorrisero a vicenda e si presero per mano, tornando a guardare il cielo bianco dal quale, finalmente, non scendeva più neve a seppellire tutto.

«Voi due…», balbettò Franky, la fronte corrugata. «Da quanto vi conoscete, posso saperlo?»

Si guardarono ancora occhi negli occhi e risposero simultaneamente, senza nemmeno consultare un pensiero, un ricordo, solo gli occhi dell’altra: «Da sempre.»

«È impossibile conoscere una persona da sempre», obbiettò, allargando le braccia. Alexandra si dipinse un sorriso furbetto sulle labbra. Ariadne, un sorriso infinitamente più amorevole, scrollò le spalle.

Fu in quel preciso istante che Franky avvertì un brivido potentissimo attraversargli la spina dorsale ed espandersi in tutto il corpo. Scattò in piedi, gli occhi vacui, e si avvicinò ai due angeli.

«Vai da lei», mormorarono entrambe e lui non se lo fece ripetere due volte. Schizzò in alto nel cielo e con gli occhi che gli bruciavano e il fiato corto dall’ansia, volò più veloce che poté per raggiungere la sua protetta che si trovava in serio pericolo.

Quella stupida, perché si ficca sempre nei guai!?

La vide su quel ponte, schiacciata contro il parapetto e minacciata da quel ragazzo. Vide anche Bill, correre verso il trio, ma nessuno dei due fece in tempo ad intervenire che lei si sbilanciò all’indietro e cadde nell’acqua scura del fiume con un rumore che a lui sembrò quello di un sonoro schiaffo, secco e doloroso.

NO!

Si tuffò nell’acqua fredda e si guardò intorno alla spasmodica ricerca del suo amore. Era buio e Franky riusciva a sentire solo il battito frenetico del proprio cuore rimbombargli nella testa insieme a quella sensazione opprimente che gli squarciava l’anima. Doveva salvarla, non poteva fallire.

La vide poco distante da lui, svenuta, i capelli che le galleggiavano intorno al viso pallido ed inespressivo. La raggiunse velocemente e la portò fuori dall’acqua, proprio come se facesse parte della corrente, lottando per strapparla via da quella forza che voleva trascinarla con sé, lontano da tutto e da tutti. Di nuovo quella linea sottile… Morte e Vita in battaglia, Amore che tenta di salvare Vita, invece di abbandonarla a Morte…

La portò sulla sponda ciottolosa del lago e la guardò con la paura negli occhi: aveva bevuto troppa acqua, i suoi polmoni ne erano pieni, la sua pelle era fredda, le labbra cianotiche, e lui da solo non poteva fare niente per aiutarla.

Alzò lo sguardo nel sentire un cuore battere frenetico, un respiro accelerato, e incontrò lo sguardo terrorizzato di Bill. No era solo.

«Ho già chiamato l’ambulanza», farfugliò Bill, gettando rapidi occhiate a Zoe. «I due ragazzi se la sono data a gambe, non ho fatto in tempo a…»

«Le spiegazioni a dopo!», lo interruppe bruscamente. La loro situazione non era delle migliori, ma non si poteva permettere di stare calmo e usare le buone maniere – come avrebbe dovuto fare, visto che il casino era nato da lui. La vita di Zoe era in pericolo e nulla era più importante.

Bill si inginocchiò accanto al corpo gelido della ragazza e, dopo un breve sguardo d’intesa con Franky, tentò di rianimarla: lui era l’unico in grado di fare qualcosa di concreto, fra i due. Provò in tutti i modi a liberarle i polmoni, a farla respirare di nuovo, ma sembrava completamente inutile…

L’angelo custode, sull’orlo della disperazione, con le mani nei capelli, udì delle sirene in lontananza: l’ambulanza stava arrivando finalmente. Strinse convulsamente la mano di Zoe, quella vicina a lui, e ne baciò il dorso mentre calde lacrime gli rigavano il viso e farfugliava: «Piccola, siamo qui. Siamo qui, resisti. Non ci lasciare, ti prego…»

Bill rimase con lei nell’ambulanza, durante la corsa verso l’ospedale. Franky gli diede il cambio quando delle infermiere gli bloccarono la strada, impedendogli di seguire la ragazza nella sala rianimazioni.

Gli strinse forte la mano, con affetto sincero, e lo guardò negli occhi: «So che non è il momento migliore, Bill, ma è giusto che io ti dica che mi dispiace, mi dispiace da morire per quello che ho fatto. Sono stato davvero imperdonabile, non avevo alcun diritto di estraniarti dal tuo corpo, né di desiderare qualcosa che non potevo più avere. Tu hai tutta la ragione di questo mondo ad essere arrabbiato con me.»

«Sì, in effetti», balbettò.

Franky accennò un sorriso, anche se teso. «Tu non hai nessuna colpa, sei solo la vittima della situazione e sei passato per lo stronzo di turno. Non lo trovo giusto. Anche gli angeli commettono degli errori e devono pagarne le conseguenze. Spero che tu riesca comunque a perdonarmi.»

«Non sono più arrabbiato con te. Almeno, non credo di esserlo, non so se è per via di Zoe in pericolo, della situazione… non lo so… Hai visto come ci siamo aiutati, adesso? È stato un vero lavoro di squadra.»

«Come dovrebbe essere», sorrise. «Ora è meglio che vada, ha davvero bisogno di me.»

«Fai del tuo meglio, Franky. Salvala», lo supplicò con le lacrime agli occhi e le immagini della loro notte insieme inondarono la sua mente, nitide e vere, senza finzioni: Zoe che si faceva piccola piccola, che faceva di tutto per non sentirsi gemere di piacere, che alla fine aveva pianto, stringendo forte il pugno fra i suoi capelli e farfugliando scuse che non sarebbero servite a nessuno.

L’angelo, a quella visione, rimase interdetto, ma poi ridacchiò.

«Scusami, se ti ho mostrato la realtà… modificata, quella volta.» Ormai le lacrime rigavano imperterrite il viso candido di Bill.

«Questo è niente, in confronto a quello che ho fatto a te. Grazie lo stesso.» Aumentò la presa sulla sua mano e si fusero insieme: uniti per lei.

Franky chiuse gli occhi e poi li riaprì, schizzando nella sala in cui, dopo svariati ed inutili tentativi di rianimazione, le facce inizialmente determinate dei medici e delle infermiere si stavano trasformando in altre tutt’altro che speranzose.

«Non c’è più niente da fare», mormorò un’infermiera, ma il dottore caricò di nuovo le impugnature del defibrillatore e ordinò di riprovare. Il corpo inerme di Zoe si inarcò per l’ennesima volta, senza risultati.

Franky la raggiunse, squarciato dal dolore, e si accasciò sul suo ventre, singhiozzando e farneticando frasi sconnesse fra di loro. Sollevò il viso e guardò il tracciato dell’elettrocardiogramma desolatamente piatto, allora si fece forza e scivolò sul corpo di Zoe, avvicinando il viso al suo.

«Tu non puoi lasciare questo mondo, hai capito? Non puoi, piccola mia», sussurrò prima di posare le labbra contro le sue e stringendola a sé.

Un picco sull’elettrocardiogramma, dritto verso il cielo, e gli specializzati che stavano per segnare l’ora del decesso si riattivarono intorno a lei. Ripresero con i massaggi cardiaci, le iniettarono nelle vene nuovi medicinali e il cuore di Zoe rispose, tanto da riprendere un ritmo stabile che infuse una ventata di speranza pura in tutta la stanza.

Franky si scostò delicatamente dalle sue labbra e fece un piccolo sorriso, prima di perdere i sensi, stremato. Zoe era ancora lì, quello era l’importante.

Tom sgranò gli occhi e si scostò bruscamente da Franky, il respiro affannoso come se fosse stato in apnea per tutto quel tempo. Aveva visto tutto ciò che era successo con gli occhi dell’angelo, era stato come stare nel suo corpo, sconvolgente…

Guardò Zoe sul letto, Bill oltre quella porta e poi di nuovo l’angelo, che dormiva pesantemente con la testa sul materasso, immobile, la mano stretta intorno a quella della ragazza, anch’essa addormentata.

«Le hai salvato la vita, le hai donato la vita…», mormorò il chitarrista con gli occhi lucidi, poi li strofinò con un braccio e tirò su col naso.

Franky mosse impercettibilmente le palpebre e Tom rimase con il fiato sospeso, fin quando l’angelo non aprì gli occhi lentamente, focalizzando l’ambiente intorno a sé.

«Ehi, Franky», sussurrò il chitarrista, portandosi al suo fianco. «Franky, stai bene?»

«Sì, sono solo… esausto», biascicò con la voce impastata di sonno. Si scrollò come un cane bagnato, per darsi una svegliata, ma la stanchezza che provava era di quelle interiori, come se parte della sua vita fosse finita dentro Zoe attraverso quel bacio che effettivamente le aveva ridato la vita.

«Ho… ho visto tutto quello che è successo», disse ancora Tom, incerto, facendo incontrare le mani di fronte al petto.

Franky corrugò la fronte: «E come hai fatto?»

«Ho appoggiato la mano sulla tua spalla e… e ho visto tutto, sono riuscito ad entrare nella tua testa.»

«Wow», si passò le mani sul viso. «Devo essere veramente distrutto, se sono così senza difese, tanto che può leggermi nel pensiero chiunque.»

«Forse… forse è meglio se ti riposi un po’, no?»

«Sì, forse… dopo.» Si voltò verso Zoe e l’accarezzò con uno sguardo così carico d’amore e premura che Tom quasi si commosse.

Il labbro di Franky iniziò a tremare e i suoi occhi si chiusero, mentre calde lacrime gli rigavano il viso e i singhiozzi gli bruciavano la gola. «Ho avuto una maledetta paura di perderla, perderla per sempre, Tom… capisci? Mi sono sentito morire per la seconda volta, una morte molto più dolorosa e… è stato orribile. Non dovevo andarmene, dovevo parlarne prima con Bill, fare la persona matura, ma non lo sono… Tom, Tom ho avuto così paura», farfugliò, il chitarrista si avvicinò a lui e lo abbracciò, stringendolo forte a lui ed accarezzandogli i capelli.

«Ora è tutto finito, è tutto finito, Franky. Calmati.»

Due figure entrarono dalla finestra, silenziose come ombre, e Tom sobbalzò dallo spavento. Erano solo Alexandra e Ariadne, sorridenti, le mani nelle tasche, simili quanto diverse, inseparabili.

«Franky», sussurrò Ariadne. «Vieni con noi, hai bisogno di un po’ di riposo.» Gli angeli fecero un passo verso di lui con le braccia stese in avanti, Tom lo strinse di più a sé.

«No, dove lo portate?», chiese indagatore.

«In Paradiso, giusto per un po’. Lì si riprenderà più in fretta, quello che ha fatto per salvare Zoe è molto… faticoso.»

«Lasciami andare, Tom», faticò a dire l’angelo, al quale si chiudevano gli occhi.

Il chitarrista, il cuore in gola, lo lasciò nelle mani della mora e della bionda, che lo portarono fuori dalla stanza utilizzando di nuovo la finestra. Tom si sporse all’esterno e guardò il cielo punteggiato di stelle, quando una brillò più delle altre per un attimo.

***

«Franky… Franky…», biascicò Zoe in un dormiveglia che fece scattare sua madre al suo cospetto. Le accarezzò i capelli, spostandoglieli dalla fronte.

«Amore, amore mio…»

«Franky…»

La signora Wickert chiuse gli occhi alle lacrime per quel nome che nel suo cuore bruciava ancora.

«Zoe, tesoro… Sono la mamma, mi senti?»

Lentamente aprì gli occhi e si guardò intorno, poi fissò sua madre al suo fianco, che le stringeva la mano e con l’altra le accarezzava i capelli sulla fronte.

Iniziò a piangere in silenzio e mormorò: «Dov’è Franky?»

«Amore, lui è… lui è su in cielo», singhiozzò la donna.

Zoe capì di star facendo la domanda sbagliata alla persona sbagliata. «E Tom, Tom dov’è? Voglio vedere Tom.»

«Te lo vado a chiamare subito», le stampò un bacio sulla fronte e uscì frettolosamente dalla stanza. Nel corridoio tutti gli sguardi si puntarono su di lei e sia Heinz che Tom che Bill si alzarono dalle poltroncine, scattando come molle.

«Si è svegliata», li informò. «Vuole te, Tom.»

Il ragazzo annuì ed entrò nella camera dopo aver abbracciato per qualche secondo la donna. Si chiuse la porta alle spalle e si voltò verso Zoe, immobile nel letto, le guance rigate da qualche lacrima.

«Brutta irresponsabile che non sei altro, sai che adesso siamo in due a non sapere la fine di quello stupidissimo film? Dovremo rivedercelo!»

Zoe sorrise.

~~~

«Sto bene, sto bene vi ho detto! Lasciatemi andare!»

Si liberò dell’infermiera che le girava intorno e uscì dalla sua stanza con un accappatoio verdino addosso. Si strinse con le braccia e corse al piano di sopra, dove sapeva che era ricoverato Franky. Chiese ancora informazioni e raggiunse la sua camera con un’ultima corsettina, poi ci si infilò dentro senza farsi notare.

«Buondì», salutò Alexandra agitando la mano, seduta su una sedia bianca, accanto al letto in cui riposava l’angelo. Ariadne, invece, era di fronte alla grande finestra che dava sul giardino.

«Ciao», salutò Jole sorpresa. «Non pensavo voi foste qui.»

Aveva sentito voci di corridoio  ciò che Franky aveva fatto salvando per un pelo la vita di Zoe, ma non credeva che i due angeli speciali fossero con lui.

«Invece», ridacchiò la moretta sollevando le spalle.

«Come sta?» Jole indicò Franky, addormentato con la testa sulla spalla, un’espressione neutrale in viso.

«Si sta riprendendo, pian piano, contando che quando l’abbiamo preso noi non riusciva nemmeno a stare in piedi.»

«È stato fenomenale, non avevo mai visto un angelo all’azione», mormorò Ariadne, gli occhi rivolti fuori dal vetro. «Ma è stato anche così… stancante, per lui. Ha donato gran parte della sua energia di angelo a Zoe, per strapparla alla morte.»

Jole si avvicinò al letto silenziosamente e guardò il viso ancora da bambino del suo amico, gli sfiorò la guancia con la punta delle dita e un sorriso amaro le modellò le labbra quando ripensò a tutto quello che gli aveva fatto passare e ciò che aveva fatto per lei gratuitamente, senza ricevere mai una ricompensa vera e propria. Quella volta era lei a voler fare qualcosa per lui, glielo doveva.

«Noi ora dobbiamo tornare di sotto, stai tu con lui?», le chiese piano Ariadne.

«Sì, certo. Andate pure», le rassicurò con un sorriso e le due uscirono dalla stanza, lasciandoli soli. Jole si mise seduta sulla sedia su cui poco prima era stata Alexandra e accarezzò il dorso della mano di Franky con la punta delle dita, soprappensiero.

Ammirava ciò che aveva fatto con Zoe, come si era comportato. Si chiese se anche lei sarebbe stata in grado di sacrificarsi in quel modo per qualcuno e senza nemmeno accorgersene i suoi pensieri presero una direzione ormai più che conosciuta: Tom. Per lui avrebbe fatto di tutto, persino morire per la seconda volta.

Tom… Aveva passato giorni d’inferno rinchiusa in quella stanza al piano di sotto, così inquietantemente simile a quella di un ospedale, a sottoporsi ad esami per sapere se era davvero libera da quella parte malvagia che aveva abitato il suo corpo rendendola un’Intrappolata. Le mancava tantissimo, fin troppo, più di quanto dovesse mancarle. Tanto che ancora non riusciva ad immaginarsi il momento in cui avrebbe dovuto dirgli addio per sempre. Come avrebbe fatto?

Un nodo le serrò la gola e in quell’istante la mano di Franky si mosse impercettibilmente sotto la sua, facendole alzare il viso di scatto. Gli occhi svegli di Franky, verdi come un prato infinito su cui correre fino a non riuscire più a respirare, la fecero sorridere mentre una lacrima le solcava la guancia.

«Ehi», gracchiò l’angelo stringendole la mano, sorridente. «Avresti preferito che non mi svegliassi, eh?»

Rise piano. «No. Piango perché sono… solo felice di vederti.»

«Anche io sono felice di vederti, Jole.»

«Ho saputo quello che è successo, volevo dirti che mi dispiace, prima di tutto… E poi volevo congratularmi con te, sei stato mitico.»

«Non ho fatto tutto da solo. C’era Bill con me», le disse, sorridendo in modo tenue, ma tanto dolce, come se si sentisse in debito verso di lui.

Ricambiò e si mise seduta accanto a lui sul letto. «Come stai?»

«Meglio. Tu, come te la passi?»

«Mi annoio», sollevò le spalle, gli occhi rivolti al soffitto.

«Ma… gli esami che dicono?»

Jole sorrise e non servì nemmeno parlare. Lo abbracciò, stringendogli le braccia intorno al collo con delicatezza, e lo baciò sulla guancia.

***

Quella mattina si sentiva avvolta da un bozzolo. Era una sensazione strana, come se a ricoprirla ci fossero strati e strati di emozioni che rendevano impossibile o almeno improbabile mostrare la vera Zoe al mondo. Ciò che sentiva di più era il rimorso per essere stata così stupida nel cercarsi il pericolo solo per riavere Franky al suo fianco.

Tom le aveva raccontato quello che era successo dopo che lei era caduta in acqua: era quasi affogata, aveva rischiato di morire ed era stato un miracolo a salvarla. Anzi due, di nome Bill e Franky.

Si erano uniti, anche se era successo tutto quel gran casino fra loro, si erano uniti per salvare lei, come una vera squadra. Bill l’aveva vista uscire di casa e, preoccupato che potesse finire nei guai, l’aveva seguita, fin quando non era caduta nell’acqua fredda del lago artificiale. Aveva aiutato Franky a rianimarla e avevano fatto a turni per stare con lei, poi Franky aveva fatto il vero e proprio miracolo, donandole parte della sua vita. Ora, dentro, aveva un po’ di lui e se ci faceva caso, lo sentiva sempre accanto a sé, onnipresente. In quel momento l’angelo si trovava in Paradiso perché bisognoso di cure ed era tutta colpa sua, fondamentalmente. Se non fosse stata così sciocca…

Era seduta sul letto, le spalle alla porta, quando qualcuno bussò leggero e dovette distogliere lo sguardo dalla finestra di fronte a sé. Bill entrò e le fece un debole sorriso, avvicinandosi.

«Ehi, sei pronta?»

Guardò la borsa con i pochi abiti che sua madre le aveva portato in ospedale, chiusa sul letto. «Sì.»

«Zoe…» Le posò una mano sulla spalla e con l’altra le sollevò il viso, poi la strinse a sé, fortissimo, come se si stessero dicendo addio, quando il loro era appena un inizio. «Mi dispiace per tutto quello che è successo.»

«Tu non hai colpe, Bill. Sono stata io la stupida a fare quella cavolata, se non ci foste stati tu e Franky…»

Le posò le dita sulle labbra, interrompendola, e chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di sfuggirgli. «No, non dirlo. Non posso nemmeno pensare che tu…»

Fu Zoe quella volta a non lasciarlo finire di parlare, con un bacio che sorprese entrambi. Un bacio dolce, delicato, ma voluto. Si abbracciarono impacciati e Bill le accarezzò i capelli, Zoe strinse i pugni sulle sue spalle e si appoggiò al suo petto caldo. Quella volta sorrise, rasserenata dalla sua presenza.

«Grazie, Bill», mormorò. Il cantante non rispose, bensì sospirò felice.

Tom irruppe nella stanza, gridando: «Allora, vi muovete?» Ma quando li vide abbracciati, stretti l’uno all’altro come se fossero in un paradiso tutto loro – non si erano nemmeno accorti della sua presenza – sbuffò e rivolse gli occhi al cielo, poi, sorridendo, chiuse la porta.

***

«Dovrebbero togliere dal mercato quel film, induce ad atteggiamenti pericolosi», borbottò Tom cercando le chiavi dell’appartamento nelle grandi tasche.

«Per favore, possiamo non parlarne più?», chiese Zoe con un filo di voce.

Il chitarrista la guardò negli occhi e la strappò dalle braccia di Bill per stringerla fra le proprie. D’altronde era ancora la sua migliore amica! «Sea, è che mi hai fatto così preoccupare…»

«Lo so. E mi dispiace, davvero.» Gli accarezzò una guancia e tirò su col naso, poi lo baciò sulla guancia.

«Ok Tom, apro io», si propose Gustav con le chiavi già alla mano. Le infilò nella serratura e la porta si aprì, Bill catturò di nuovo la mano di Zoe nella sua e le sorrise, poi entrarono tutti insieme nell’appartamento, felici di essere di nuovo a casa.

«Eccoli, sono arrivati!», sentirono gridare una ragazza e Tom scattò subito in salotto, il cuore che gli rimbalzava nel petto.

«Shhh! Ecco, sei sempre la solita guastafeste! Doveva essere una sorpresa!», la rimbeccò un’altra voce a cui Zoe rispose con un brivido.

Tutti raggiunsero il chitarrista e si trovarono di fronte a Franky e Jole che bisticciavano sul divano, proprio come se non si fossero accorti del loro piccolo pubblico.

«Jole!», riuscì finalmente a gridare Tom e lei si voltò lentamente verso di lui, lo guardò e con la testa sulla spalla gli sorrise.

«Ciao, Tom.»

«Jole, Jole, Jole!» Corse da lei e la prese fra le braccia, se la strinse al petto nascondendo il viso fra i suoi capelli biondi e ridendo la fece girare su se stessa. «Mi sei mancata da impazzire!»

«Taci», gli disse solare. «Sono io l’unica che stava impazzendo, lassù!»

«È stato tanto brutto?» Le fece toccare terra con i piedi, ma non la lasciò un attimo: era ancora stretta fra la salda e allo stesso tempo delicata presa delle sue braccia.

«Una tortura, ma…», sorrise birichina.

«Ma cosa?»

«Ma ora ho la certezza che sono guarita», lo disse quasi commossa, sfiorandogli la guancia sulla quale era scivolata una lacrima di gioia pura. «Non farò più male a nessuno!»

«Jole, è stupendo!» Gli venne naturale sporsi per baciarla, ma lei si scostò tossicchiando e arrossì, tanto che contagiò anche le guance di Tom, in fiamme.

Zoe, ancora ferma accanto a Bill, incrociò lo sguardo di Franky e quando lui le sorrise fu un colpo al cuore. La vista le divenne sfuocata e il labbro incominciò a tremarle.

«Oh no», sbuffò l’angelo. «Ma cos’è, una malattia? Possibile che tutti quelli che mi vedono si mettono a piangere?» Abbassò lo sguardo e poi scoppiò a ridere. Si alzò e raggiunse la sua piccola, le asciugò le lacrime con rapidi gesti delle mani e poi si lasciò abbracciare.

«Scusa per la stupidata che ho fatto, io…», singhiozzò Zoe, tirando su col naso, il viso contro il suo petto. «Mi sei mancato da morire e… grazie per avermi salvata…»

«Ehi, è il mio dovere tirarti fuori dai guai, no? Certo, questo era bello grosso, hai rischiato parecchio», la guardò severo, poi si addolcì. «E non ho fatto tutto da solo», aggiunse, lanciando un sorriso a Bill.

Zoe si asciugò gli occhi, tornando a rifugiarsi fra le braccia di Bill, che le posò un bacio affettuoso sulla testa. Franky li guardò portandosi le mani sui fianchi e sorrise, quasi con orgoglio.

«Finalmente ce l’avete fatta!»

Altre risate e i diretti interessati arrossirono, guardandosi di sottecchi con un sorriso accennato sul viso e negli occhi un futuro che tutto sommato non era male. Anzi.

_____________________________________

Tadada-dàààààn! *-*
Okay, ammetto che un po’ corto, che ci sono parecchi buchi che avrei potuto riempire, che avrei potuto fare di meglio… ma nella sua imperfezione, amo questo capitolo! :D
Le cose si sono risolte per il meglio e si spera che ora fra Bill e Zoe vada tutto per il verso giusto. Alla buon ora! xD Non dimentichiamoci però di Alexandra e Ariadne! Mi è piaciuto tantissimo scrivere di loro due, in questo capitolo. Sono inseparabili *-*
E niente… spero che vi sia piaciuto ;)
Ah, ci stiamo avvicinando alla fine, purtroppo… :’(

Ringrazio chi ha commentato lo scorso capitolo, ossia:

Tokietta86 : Beh, Bill ha sbagliato, ma anche Franky e Zoe hanno le loro belle colpe da farsi perdonare… In questo capitolo si è risolto tutto, però! :D Spero che ti sia piaciuto come capitolo! Un bacio, alla prossima!

freency : Ciao! :) Innanzitutto, ti ringrazio per i complimenti, mi fanno davvero piacere! *-* (Come il fatto che tu abbia commentato *-*). Bill era frustrato in quel momento, Zoe si sentiva in colpa verso di lui e insomma, è successo…
La coppia Tom/Jole la amano tutti e mi sento un po’ perfida xD Comunque in questo capitolo e in quelli che seguiranno ci saranno sempre! *-*
Franky… oh, Franky *___* MIO xD
Grazie mille, alla prossima!

Utopy : Non puoi odiarmi *-* Spero che questo capitolo ti abbia, come dire, rabbonita dalla scorsa volta xD E che ti sia piaciuto, ovviamente! “Voglio fare una cosa tipo New Moon” xDD Bella, no? xDD (Non Bella Bella, ma bella frase x°°D) Oh ma ti muovi a salire su msn o no? ò.ò Voglio sapere quella cosaaa! xD
Ti voglio un’infinità di bene, mia fatina del mondo fatatoo *-* Nonché Mond *-* Tua, Sonne! <3

E ringrazio anche ci legge soltanto! :)
A mercoledì, vi aspetto! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 22
*** Release ***


22. Release

[Sai che tra poco dovrò dirti addio - angelo mio -

Hai detto tu che se sei qui non è perché sei mio, ma perché è così
che compirai il volere del tuo Dio... angelo mio.

Al tuo volo io non mi opporrò

Tu presto volerai e ne morirò

Cercherò di non scordarti mai... angelo mio]

Franky era seduto sul divano, lo sguardo perso fuori dalle porte finestra, il viso chiaro illuminato da una tenue luce che lo faceva sembrare ancora più bello. Zoe era appoggiata con una mano allo stipite della porta della cucina e lo guardava, immersa nei suoi pensieri.

Ci mise un attimo a ricordare il loro primo incontro, i momenti in cui si erano sentiti legati da un legame indistruttibile, quando erano giunti alla conclusione di essere migliori amici; le loro litigate, le ore passate sullo skate, a ridere, a scherzare, a piangere; i momenti difficili, quelli in cui tutto era sembrato buio, un ostacolo insormontabile; le volte in cui le loro mani si era strette forti, le loro labbra si erano trovate e l’unica volta in cui i loro corpi si erano fusi in uno; infine, il giorno della morte di Franky e quello in cui era tornato da lei sottoforma di angelo. Pensò a tutto questo durante un minuto scarso.

Il tempo passato con lui – come ragazzo, almeno – era talmente concentrato, breve, e allo stesso tempo così intenso e vissuto da farle venire i brividi. Lo aveva amato, era stata amata, si erano amati, e ora tutto era così diverso… ma non avrebbe mai rinnegato nulla, nemmeno un secondo di loro, e non lo avrebbe mai dimenticato, custodito gelosamente nel suo cuore.

[Non ho mai avuto rimorsi, amore
e sai... non ne avrò,
E se un giorno vorrai, da me tornerai
per riportarmi più su, su]

Sorrise dolcemente e lo raggiunse sul divano, si mise seduta al suo fianco e lo abbracciò, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla. Franky le posò un bacio sulla fronte e le massaggiò il braccio, ma rimase in silenzio, proprio come se non avesse sentito nulla dei suoi pensieri.

Rimase ad osservare il suo viso, in quel momento più che mai angelico, e le si strinse il cuore alla consapevolezza che prima o poi, presto o tardi, avrebbe dovuto dirgli addio. Lo sapeva già da molto tempo, ormai, ma se n’era quasi dimenticata, visti tutti i problemi che si erano creati. Ora, a mente lucida, se l'era ricordato.

Con Bill filava tutto liscio e non si aspettava di essere così felice; con Franky non era più come prima, ovviamente, ma l’affetto che provavano l’uno verso l’altra non sarebbe mai scomparso: lui ora era esclusivamente il suo angelo custode, il suo migliore amico, il suo fratello gemello.

Le sarebbe mancato moltissimo, ma non poteva farlo restare, non ne sarebbe stata in grado né ora né mai. Avrebbe vissuto dei ricordi di loro e l’avrebbe sempre sentito vicino a sé, poiché parte di lui era dentro al suo corpo. Era legata indissolubilmente a lui, niente li avrebbe separati davvero, né la terra né il cielo.

[Se poi pensi che non ne vivrò, chiamami ti seguirò

Volevo io che tu fossi qui, ho chiesto troppo e quindi è andata così
Un sogno lungo, una notte e poi addio... angelo mio]

«A che cosa stai pensando, Zoe?»

Jole la distrasse dai suoi pensieri e si voltò verso il fantasma, che le sorrideva incuriosita, stretta fra le braccia di Tom. Franky trattenne una risata e rispose al posto suo:

«A quanto io sia incapace a ballare.» Indicò la tv: c’era un video musicale in cui tutti ballavano in sincronia perfetta, sotto la musica di Lady Gaga.

Zoe aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca per correggerlo, poi capì che lo aveva fatto apposta: come doveva andarsene lui, doveva andarsene anche Jole e non voleva che quell’atmosfera di apparente tranquillità si frantumasse in mille pezzi.

Annuì al suo piccolo angelo altruista e poi si voltò verso Jole e Tom, non completamente convinti: «Già, non ha mai imparato! Magari sarebbe anche ora, no?» Lo prese per il polso e lo trascinò in piedi con lei. Franky intercettò i suoi pensieri e sbuffò, roteando gli occhi al cielo. «Sarò la tua insegnante!»

Iniziarono a muovere qualche passo, ma Franky era davvero un incapace.

«No, non così!», lo rimproverò per l’ennesima volta.

Franky scoppiò a ridere e diede un colpo d’anca a Zoe, che si appoggiò alla sua spalla.

«Ho l’impressione che non riuscirai mai ad imparare a ballare come si deve», disse, seppur scossa dai singulti di riso.

«Non sono portato, che pretendi?», tentò di difendersi ed incrociò le braccia al petto con un broncio infantile sul viso.

«Dai Jole, facciamogli vedere noi come si balla!», disse Tom e Jole non fece in tempo ad opporsi che era già contro di lui, in mezzo al salotto. Si muoveva sinuoso intorno a lei, immobile come un palo della luce.

«Jole, dai muoviti un po’!», la incitò guardandola con gli occhioni, lei cedette e gli prese le mani, alzandole all’altezza dei loro petti. Iniziò a scuotere la testa a destra e sinistra, provocandolo con qualche colpo di bacino, mordendosi le labbra, su cui era comparso un sorriso divertito.

«Vedi, Tom è ridicolo, ma almeno ci prova», disse Zoe stringendosi nelle spalle, facendo scoppiare tutti a ridere, tranne il diretto interessato che fece una smorfia.

«Come se Franky potesse davvero imparare qualcosa da te, che sei peggio di un pezzo di legno», la prese in giro con il sopracciglio sollevato.

«Io so ballare benissimo, invidioso che non sei altro!»

«Ah sì? Dimostramelo!» Andò al computer portatile su cui stava giocando Gustav e glielo sequestrò, mise su una canzone da discoteca, molto movimentata, e la guardò in attesa.

Zoe si guardò intorno e prese Bill dal divano, lo tirò su e lo guardò negli occhi: «Vuoi ballare con me? Sì che lo vuoi.» Rise ed iniziò a ballare con lui, utilizzandolo più che altro come palo da lapdance: molto sensualmente gli girava intorno e lo sfiorava, ogni tanto lo guardava maliziosamente negli occhi e Franky scoppiò a ridere quando percepì i pensieri di Bill: anche quelli erano imbarazzati! Si unì a Zoe e ridendo iniziò a ballare intorno al frontman, assieme a Jole e a Tom, fino a quando Bill non capì che lo stavano palesemente prendendo in giro.

«Ma dico, mi avete davvero preso per un palo?!» , strepitò e uscì dal piccolo cerchio in cui era stato chiuso, si sistemò i capelli sulla testa, con atteggiamento da spocchioso, e li guardò male.

«Idea!», esultò la moretta con gli occhi brillanti, saltellando sul posto.

«Oh», sospirò Franky, che aveva già visto quello che aveva in mente – letteralmente – e iniziò a portarsi una mano sul viso, sconfortato.

«Perché questa sera non andiamo tutti a ballare? Conosco un locale super appena fuori città e non ci sono mai stata! Ci andiamo, ci andiamo?»

Bill, Tom e Jole guardarono in altre direzioni come se non avessero sentito niente; il chitarrista prese persino a fischiettare. Zoe però andò a colpo sicuro dal cantante, sapeva che lui avrebbe ceduto in poco tempo. Lo abbracciò teneramente e lo guardò negli occhi con i suoi azzurri e grandi, sfarfallando le ciglia e trasformando la voce ormai da donna in quella di una bambina: «Ti prego Bill, ci andiamo?»

«Solo se me lo chiedi in inglese», le rispose con un sorriso furbo. Gliel’aveva suggerito Franky, quel ragazzo – angelo – era un genio!

«Ahm…», balbettò Zoe, in evidente difficoltà. «E dai, Bill!», piagnucolò battendo i piedi a terra e allora non poté resistere.

«Accidenti a me!», squittì chiudendo gli occhi e lei esultò di gioia, saltando in giro per tutto il salotto.

Franky, sorridente, scosse la testa e si voltò verso Jole, incuriosito dai suoi pensieri. Sollevò il sopracciglio e si portò la mano al mento.

“Si potrebbe provare”, rimuginò in modo tale che Jole potesse sentirlo. “Ma non ne so molto, non ti assicuro che…”

«Non importa, voglio provarci!»

Bill, Zoe, Tom, Georg e Gustav guardarono il fantasma per la sua uscita, poi posarono lo sguardo su Franky, pensieroso.

«Potremmo chiedere aiuto ad Alexandra e Ariadne, è possibile che loro ne sappiano più di me. Anzi, è sicuro», disse infine, sorridendo alla ragazza. «Tu… sei sicura di volerlo fare?»

«Sì. Sì, certo!» Aveva gli occhi umidi, ma nel cuore una determinazione e una voglia di aiutare il proprio padre che solo una figlia poteva avere.

«Scusate, potete spiegare anche a noi?», chiese Tom, infastidito.

«Magari più tardi», soffiò Jole con l’ombra di un sorriso sul viso, poi prese Franky per mano e lo trascinò verso il terrazzo.

«Ehi, aspettate! Diteci dove andate, almeno!», gridò Zoe, ma ormai avevano già spiccato il volo.

Zoe sbuffò e quando si girò si trovò ad un soffio dal petto di Bill, che sorridendo l’abbracciò, avvolgendo le braccia intorno alla sua schiena.

«Visto che stasera vuoi andare a ballare», le disse suadente, «che ne dici se prima andiamo a mangiare qualcosa? So che ti piace molto il sushi e c’è un ristorante giapponese davvero carino in centro… Ti va?» Ormai la cullava fra le braccia, come se stessero ballando un lento. Zoe arricciò le labbra per non scoppiare a ridere e annuì: quella serata sarebbe stata loro, loro e basta.

***

Jole si fermò di fronte alla camera d’ospedale del padre e le si strinse il cuore quando lo vide addormentato sotto le coperte candide, una flebo nel braccio, il viso sciupato e la barba incolta. Per lei quella non era una visione nuova, da quando aveva iniziato a drogarsi e ad ubriacarsi era ridotto nelle stesse condizioni, se non peggio, ma quella volta la colpì in modo diverso e forse anche in modo più doloroso, perché lui era lì per colpa sua, era stata lei a ridurlo così.

«Non ce la faccio», mormorò con la voce strozzata e con gli occhi lucidi, lasciandosi cadere su una delle poltroncine dietro di sé.

«Jole…», disse Franky, accarezzandole la schiena.

Ariadne sospirò, stringendosi le braccia al petto. «Se non sei pronta non fa niente.»

«Sì, puoi sempre tornare un altro giorno», aggiunse Alexandra.

«No, io… io voglio farlo, solo che… se non dovessi farcela?», chiese, tirando su col naso.

«Le insicurezze non fanno altro che ledere i nostri sogni. Se quello che vuoi è salvare tuo padre, vai lì dentro e fallo, Jole.»

La ragazza si voltò verso Franky e annuì, stringendogli forte la mano. «Vieni con me?»

«Certo», le sorrise.

Alexandra e Ariadne seguirono i due nella stanza dell’uomo e, stando accanto alla porta, li osservarono mentre si avvicinavano con cautela al letto dell’uomo.

Jole sfiorò le lenzuola fino ad arrivare alla mano calda di suo papà, ruvida e con le vene rigonfie sul dorso; chiuse gli occhi quando un brivido le attraversò la schiena.

Franky, al suo fianco e con una mano sulla sua spalla, non riuscì ad impedire ai suoi ricordi di invadere la propria mente: una Jole bambina che correva contro ad un uomo parecchio più giovane e sorridente, che si rifugiava in uno dei suoi morbidi e affettuosi abbracci, che rideva con lui, che si lasciava riempire di baci; l’immagine di una donna dai lunghi capelli biondi, come i suoi, che preparava da mangiare e salutava l’uomo con un bacio a fior di labbra, nell’aria profumo di felicità… Poi, improvvisamente, immagini buie, un uomo che puzzava d’alcool, con gli occhi cattivi, il dolore delle botte, il dolore del cuore pensando a quel papà che non c’era più…

Franky si riscosse e uscì fuori da quei pensieri, seppure con fatica, talmente erano intensi, e osservò Jole che stringeva i denti, poi suo padre che si dimenava nel letto, gemendo ogni tanto.

«Mi dispiace, mi dispiace papà», singhiozzò Jole e una lacrima invisibile cadde sul petto dell’uomo, dal quale sparirono i graffi neri.

Il padre di Jole si rilassò e dopo alcuni secondi di silenzio aprì gli occhi, si guardò intorno e parve sentire la presenza della figlia, pietrificata e con il respiro mozzato.

«Tutto bene?», gli chiese Ariadne facendosi vedere. Alexandra si diede una manata sulla faccia: perché faceva sempre di testa sua?

L’uomo la osservò confuso. «Chi sei? Io non ti conosco…»

All’udire la sua voce, Jole abbassò il capo e strinse i pugni, incominciando a piangere lacrime che silenziosamente le rigarono il viso. Franky le posò nuovamente una mano sulla spalla.

«Sono un’amica di sua figlia», rispose Ariadne con il sorriso sulle labbra, ormai china sul viso dell’uomo. «Vuole dirle qualcosa?»

Il papà di Jole iniziò a piangere, ma non era come le altre volte in cui pensava alla figlia, ora poteva farlo liberamente, sentendosi meglio ad ogni lacrima. «Era una ragazza così carina e gentile… Io sono stato un mostro con lei e mi dispiace da morire, è stata colpa mia se… se…» I singhiozzi lo interruppero e Ariadne si spostò, guardò Jole e le porse una mano, incoraggiante. Il fantasma l’afferrò e si asciugò gli occhi, sporgendosi verso il padre.

«Papà?», mormorò. «Papà, mi senti? Sono io… Jole.»

L’uomo aprì di scatto gli occhi e vide la sua figura evanescente di solito impossibile da vedere: grazie all’aiuto di Ariadne, però, poteva essere vista per un ultimo addio.

«Jole», singhiozzò. «Tesoro…»

«Sì, sono io, papà», sorrise e gli accarezzò la fronte.

«Tesoro, potrai mai perdonarmi?»

«Certo. Certo, papà, l’ho già fatto.»

Il padre le sorrise in quel modo affettuoso ed infantile che le faceva sempre nascere le ali al cuore e allungò la mano verso di lei, timoroso. Prima che potesse toccarla, Jole guardò Ariadne e le fece segno di staccarsi da lei; l’angelo obbedì e la ragazza iniziò a scomparire agli occhi dell’uomo, serena.

«Devo andare papà, ti voglio bene», gli disse piegando la testa di lato.

«Ti voglio bene anch’io», sussurrò lui e in poco tempo si addormentò, grazie ad un tocco di Ariadne.


«Siamo tornati!», annunciò Franky entrando in salotto dalle portefinestre, Jole dietro di lui che gli teneva la mano.

«Finalmente! Dove siete andati?», chiese il chitarrista, sollevando il sopracciglio con fare indagatore.

Franky e Jole si guardarono e ridacchiarono, poi lei rispose: «Sono andata a salutare mio padre per l’ultima volta.»

Tom si trovò senza parole, un nodo stretto in gola. Per l’ultima volta, continuava a ripetersi mentalmente, spaventato. Era tanto vicina, la loro definitiva separazione?

Franky, sentendo i suoi pensieri, aprì la bocca, però poi la chiuse, allargando un sorriso dolce. Quindi, pensando che sarebbe stato meglio posticipare il più possibile quel discorso, chiese: «Bill e Zoe dove sono finiti?»

«Sono usciti», rispose Georg.

L’angelo sobbalzò. «Usciti? E dove sono andati?»

«Non… non lo sapevi?», chiese sorpreso Tom.

«No. Non so ancora dove sono andati, qualcuno mi vuole rispondere?»

«Al ristorante giapponese dell’altra volta», rispose Gustav.

«Oh, finalmente», sorrise e si sedette mollemente sul divano. Si portò le braccia dietro la testa e chiuse gli occhi.

«Non… non sei arrabbiato con loro?», chiese Tom indeciso.

«Perché dovrei? Non sono obbligati a dirmi tutto quello che fanno! Io volevo solo saperlo così posso controllare la zona nel caso dovesse succedere qualcosa, ma ne dubito.»

«Oh. Ok. Ahm… vado a fare la doccia.»

«Va bene», disse Jole, salutandolo con la mano e sedendosi a gambe incrociate accanto a Franky.

Tom annuì e salì le scale, Jole si voltò verso Franky e si accoccolò sotto il suo braccio: gli voleva un bene immenso, ormai era un fratellino minore per lei, anche se era stato lui più volte ad aiutarla, a proteggerla e a salvarla.

«Grazie», le disse Franky in risposta a quei pensieri.

«Prego, non c’è di che.» Gli baciò la guancia e poi tornò con la testa sulla sua spalla. «Ah, mi dici a che cosa stava pensando Tom prima?»

«Uhm…», arricciò il naso, fissandola negli occhi. «Pensava a quanto tempo mancasse prima della vostra separazione definitiva.»

«Oh.» Abbassò lo sguardo, mordicchiandosi il labbro.

«Tu hai deciso cosa fare, Jole?» Si guardarono in viso per diversi istanti e Franky lesse la risposta nei suoi occhi. Le spostò un ciuffo dal viso e ridacchiò. «Sarà un bel problema dirlo a Tom.»

Jole annuì e nascose le lacrime contro il suo collo, stringendo tra i pugni i lembi della sua giacca di seta bianca. L’angelo le massaggiò la schiena e sospirò, guardando Gustav e Georg seduti al tavolo, di fronte a loro, che guardavano la scena senza fiatare e senza capire. Gli sorrise e si rilassarono, anche se un po’ di malinconia la si poteva già benissimo respirare nell’aria.

***

Ridevano. Avevano passato più o meno tutta la serata a ridere, di fronte ai piatti che Bill già conosceva. Zoe era accanto a lui, che l’aiutava ad usare le bacchette – senza Franky non ne era proprio capace – ma era impedito!

«Bill, impegnati un pochino!»

«Non sono capace!», piagnucolò e la osservò con gli occhioni grandi, da cerbiatto, di fronte ai quali lei arrossì.

«Forse è meglio se chiedi delle forchette», balbettò. Bill annuì e le accarezzò una guancia rosea, avvicinandosi lentamente alle sue labbra.

«Prima posso chiedere una cosa a te?», le chiese, ad un soffio dal suo viso. Lei annuì e sorrise. Come risposta gli bastò, infatti posò la bocca sulla sua e ne assaporò ogni minimo particolare, con calma, intento a godersi ogni attimo. Zoe gli accarezzò il viso, attirandolo a sé.

Bill ridacchiò, in modo soffocato. «Forse non te ne sei accorta, ma ci stanno guardando tutti.»

Lei si scostò di un poco e si guardò intorno, poi gli avvolse le braccia intorno al collo, sorridendo in modo malizioso: «Sai che non me ne importa niente? Sei tu il timido, qui…»

«Pff, io timido?», le sue guance presero immediatamente colore.

«Come volevasi dimostrare», ridacchiò lei. «Dai, finiamo qui e poi andiamocene.»

Bill si fece portare le posate e mangiarono in fretta ciò che c’era ancora nei loro piatti, poi si alzarono e andarono a pagare. Il cameriere alla cassa li vide e li riconobbe (era quello che li aveva serviti la volta precedente), così gli offrì altri due biscotti della fortuna. Loro li accettarono e con il sorriso sulle labbra uscirono dal ristorante, tenendosi abbracciati. All’aria fresca della sera, iniziarono a camminare lungo il marciapiede, verso il lago artificiale che la ragazza conosceva bene.

Zoe, senza fermarsi né staccarsi da Bill, ruppe il biscotto a metà e ne tirò fuori il bigliettino, che lesse velocemente e poi buttò nel cestino.

«Ehi, io volevo leggerlo!», gridò il cantante fermandosi.

«Ma per favore», ridacchiò e gli tirò un pezzo di biscotto addosso. Bill parve arrabbiarsi e la rincorse, fino a quando non riuscì a prenderla, intrappolandola fra le braccia. La ragazza gli infilò l’altro pezzo di biscotto il bocca e lui lo mangiò, poi le baciò la punta del dito.

«Il tuo dov’è?», chiese Zoe. Bill glielo porse e lei lo ruppe, gettò via anche quel bigliettino e se ne infilò un pezzo in bocca, l’altro lo porse a Bill, che serrò le labbra, gli occhi stretti.

«Perché hai gettato via pure quello?», le chiese.

«Perché non abbiamo bisogno di consigli saggi, ora come ora. Faccio quello che mi va di fare, non mi fido dei giapponesi.»

Bill sorrise e le fregò dalle dita il pezzo del biscotto, lo mangiò e una volta inghiottito si avvicinò al suo viso, che accarezzò con la punta delle dita.

«Credi che Franky se la sia presa, per il fatto che non gli abbiamo detto niente di questa uscita?», chiese Zoe.

«Uhm… secondo me no», le rispose. «Sei in pensiero per lui?»

«Ma và, lui sa proteggersi meglio di me… Pensavo a quanto mi sento bene, adesso, con te.» Si morse un sorriso, accarezzandogli i capelli sulla nuca.

«Oh, Zoe…»

«Ci saremmo risparmiati tanta sofferenza, se tu non fossi stato così irrimediabilmente stupido…»

«Dovrei farmene una colpa?»

«Sì!» Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. «Sì, perché io ti volevo anche se non eri come Franky. Anzi, appunto perché non lo eri… Eri tu che mi interessavi.»

Il ragazzo le sorrise felice e la baciò sulle labbra, prendendola per la nuca. Fu un bacio lento e delicato, Zoe si sentì le ali al cuore e ogni pensiero venne sopraffatto da uno unico e più potente: Bill; lui era ovunque nella sua testa, in quel momento. Aveva scoperto molte cose sul suo conto, aveva visto il vero Bill all’opera e non poteva esserne più soddisfatta di così.

Quando si dissero che forse era meglio raggiungere gli altri nel locale in cui si erano dati appuntamento, salirono in macchina e si avviarono, fin quando la ragazza non sospirò e guardò il cantante.

«Che cosa c’è?», le chiese, incuriosito.

«Non ho molta voglia di ballare, in realtà.»

«Eh? Ma se sei stata tu ad insistere tanto! I ragazzi sono già là, che cosa…»

«Diamogli buca.»

La guardò con la coda dell’occhio e notò una scintilla di malizia nei suoi occhi, al che arrossì. «Non è molto carino.»

«Bill… io voglio stare solo con te questa sera.» Era arrossita anche lei, ma era più che convinta delle sue parole.

Il cantante svoltò di colpo e sgommò verso l’appartamento che per ovvi motivi era deserto. Fece scendere Zoe dall’auto e non resistette, già in ascensore incominciò a baciarla e non smise fino a quando non furono nella sua camera da letto, al buio.

Zoe stava per togliergli la maglietta, dopo essersi tolta la propria, quando lui la fermò e le disse, con la fronte appoggiata alla sua e un leggero fiatone: «Aspetta, aspetta… Sei sicura di volerlo fare?»

«Non ti sei fatto problemi la prima volta, perché adesso…»

«Quale prima volta? Noi non abbiamo mai fatto l’amore.»

Zoe sorrise e riprese a baciarlo, incastrando le dita fra i suoi capelli neri e trascinandolo con sé sul letto. Quando furono più nudi che vestiti, lui la fermò di nuovo e la guardò negli occhi, ad un soffio dalle sue labbra.

«E ora che c’è, Bill?», ridacchiò, tanto euforica da sembrare brilla.

«Devo chiederti una cosa, prima. Vuoi stare con me? Stare nel senso di… fare coppia», balbettò, con le guance in fiamme.

«Ah, perché, non siamo già una coppia?»

Risero insieme e quella notte, amandosi, raggiunsero il loro Paradiso personale.

***

Franky si passò le mani sul viso e incrociò lo sguardo di Jole in pista, che si scatenava a ritmo di musica ballando con Tom che con nonchalance schivava tutte le ragazze che gli si avvicinavano per continuare a ballare “da solo”.

“C’è qualcosa che non va?”, chiese all’angelo, dopo averlo guardato per qualche istante e aver capito che doveva essergli successo qualcosa.

“Bill e Zoe ci hanno dato buca.”

Il fantasma capì subito il perché del suo umore calato così precipitosamente a terra e andò da lui senza spiegare niente a Tom, che rimase lì come un cretino, sbigottito. Gli passò una mano fra le spalle e gli sorrise incoraggiante, prima di stringerlo forte a sé.

«Ehi, ma che è successo?», chiese Tom a bassa voce, sapendo che anche con la musica alta sarebbero riusciti a sentirlo, e si sedette accanto a Jole, che gli rispose:

«Bill e Zoe non vengono più.»

«Hanno mangiato sushi avariato?», la buttò sul ridere, ma quando vide il viso spento di Franky, si rese conto che forse non c’era nulla da ridere e si ammutolì.

«Ho bisogno di un po’ d’aria fresca», mugugnò l’angelo e lei annuì, accompagnandolo fuori dal locale. Tom intanto andò ad avvertire Georg e Gustav del cambio di programma.

Franky si appoggiò al muro con la schiena e sollevò il viso verso la luna, che glielo illuminò tanto da far brillare le lacrime che lente sgorgavano dai suoi occhi. Jole era lì a guardarlo, senza proferire parola: sapeva che a volte il silenzio era la cosa migliore.

«Oramai tutto sta giungendo al termine», soffiò l’angelo con voce roca, tirando su col naso. «Ci stiamo avvicinando al capolinea.»

«Che cosa stai dicendo, Franky?» Guardò in basso, intrecciando le dita delle mani fra loro. Sapeva bene di ciò che stava parlando, invece.

«Evitiamo di mentire persino a noi stessi… Tutto si sta sistemando, ognuno sta ritrovando il proprio equilibrio, la propria felicità… Ancora poco e non avranno più bisogno di noi.»

«Franky…» Le si era formato anche a lei un nodo in gola, che le faceva male.

«Ce ne dovremo andare e tutto finirà qui, perché è giusto così.» Si voltò per la prima volta verso di lei e la guardò intensamente.

«Beh, non poteva di certo durare per sempre… Meglio così, no? Hanno il diritto di essere felici anche senza di noi.»

«Che cosa?»

Jole si voltò di scatto all’udire quella voce e collegò lo sguardo di Franky alla figura di Tom che le stava alle spalle. Le si inumidirono gli occhi, incrociando quelli nocciola del ragazzo che amava.

«Tom…», farfugliò.

Il chitarrista abbassò il viso, affranto, e disse: «Georg e Gustav ci raggiungono dopo», poi si avviò verso la propria auto, parcheggiata non molto lontano da lì. L’angelo e il fantasma lo seguirono silenziosi, ognuno immersi nei propri pensieri, ma molto simili fra loro. L’addio era vicino, tanto da sentirne l’odore nell’aria.

Franky preferì andarsene sul tettuccio dell’auto, Jole si mise seduta sui sedili posteriori. Tom non osò parlare con lei fin quando non fu proprio il fantasma a tossicchiare, cercando di trovare le parole adatte per spiegargli quello che aveva sentito poco prima all’uscita del locale.

«Beh, sapevi che prima o poi sarebbe finito tutto.» Le sue parole suonarono dure e severe, del tutto fuori dal suo controllo. Anche lei era triste, da morire, e vedere Tom che non le rivolgeva la parola per quel motivo, pensando prevalentemente a sé, la infastidiva.

«Sì, lo sapevo.»

«E allora perché… perché ti comporti così?»

«Come mi sto comportando?»

«Ci sto male anche io, Tom! Che cosa credi, che sia contenta di andarmene e di non rivederti mai più?!»

«Lo so che ci stai male anche tu.»

«Tom, ti supplico!», singhiozzò. «Rispondi con la tua testa, non con la mia. So che la mia funziona.»

Il ragazzo accennò un sorriso e la guardò attraverso lo specchietto retrovisore, i loro sguardi si incontrarono e gli si riempirono gli occhi di lacrime. Non poteva davvero credere che fosse giunto il momento… era ancora così presto!

«Davvero non ci rivedremo mai più?», le chiese con quel groppo in gola. La ragazza abbassò gli occhi e annuì con un cenno del capo. «Non ve ne dovete per forza andare!»

«Ho i miei dubbi.»

«Sarò l’uomo più infelice della Terra se ve andrete. È ovvio che senza di voi non saremo ugualmente felici!»

Jole alzò il viso e gli sorrise. «Io non posso rimanere con te.»

«Perché no?!»

«Perché è contro tutto ciò che ci ha creati… Io sono morta, Tom.»

«Fin quando ti vedrò, tu non sei morta!», gridò e ormai le lacrime gli scivolavano sulle guance, nonostante cercasse di trattenerle.

«Non ce ne andiamo domani, possiamo riparlarne con calma un’altra volta. Ora smettila di piangere, ti scongiuro.»

«No, no Jole! Lo vuoi capire che non puoi lasciarmi?!»

«Ti ho già lasciato.»

«Quella volta non ti… non ti amavo», soffiò, ferito nel profondo.

«Mi dispiace, Tom.» Riuscì a mantenere un tono di voce piuttosto calmo, anche se dentro le si stava scatenando una tempesta.

«Jole, ti amo», soffiò. Ormai ne era più che certo, ma non sapeva nemmeno lui perché glielo stesse dicendo, forse era solo un modo, un’inutile speranza di riuscire a convincerla a restare. Forse perché sentiva che, una volta tanto, aprirsi era la cosa giusta da fare. Se non gliel’avesse detto poteva anche essere che se ne sarebbe pentito per tutta la vita. Tanto valeva rischiare.

Il fantasma rimase senza fiato e, senza scomporsi troppo, si sdraiò sui sedili, dandogli le spalle, i capelli biondi che le accarezzavano le spalle e la schiena.

Tom si asciugò le lacrime e cercò di ricomporsi, concentrandosi sulla guida. Ma la sua testa era da tutt’altra parte.

L’autostrada, una lunga linea retta illuminata dai fari della sua auto, non era trafficata, anzi era fin troppo deserta per i suoi gusti.

Il buio era già calato sul giorno da qualche ora e nel paesaggio si intravedevano diverse zone collinari e di montagna, illuminate da scie di luci che le rendevano particolarmente belle.

Entrarono in galleria e la coda dell’occhio gli cadde sulla figura quasi evanescente di Franky, tanto che sembrava attraversata dai raggi di luce giallastra, seduto sul sedile accanto a lui.

Non sapeva quando era arrivato, né se era sempre stato con loro, ma nel vederlo, così assorto nei suoi pensieri e con lo sguardo perso fuori dal finestrino, gli si strinse il cuore e un sottile strato di lacrime si impadronì nuovamente dei suoi occhi.

Franky fece un sorrisino e si voltò verso di lui: «Qualcosa che non va, Thomas?»

«Non cambi mai, eh? Fai sempre certe domande stupide…» Solo allora si accorse della sua voce nasale, da pianto.

Franky sospirò e gli posò una mano sulla spalla: «Io non vi lascerò.»

«Sarà come se tu ci lasciassi.»

«Oh, grazie per la considerazione. Ti ho già spiegato tutto, non farmi ripetere; stasera non sono per niente ispirato per i discorsi filosofici.»

Tom fece un respiro profondo, ma non riusciva a calmarsi. Aveva una domanda, più di tutte le altre, che gli frullava prepotentemente nella testa: quando sarebbero andati via?

«Non me ne andrò», mormorò Franky sorridente, avvicinando il dito e asciugando apparentemente la lacrima che era scappata al chitarrista. «Sono qui. Sarò qui.»

***

Zoe si svegliò e sorrise ad un bacio a fior di labbra. Il sole entrava dalla finestra, lo percepiva sulla pelle, ma non sul viso, protetto da un altro. Aprì gli occhi e trovò proprio quello di chi immaginava, sorridente e meraviglioso.

«Buongiorno, principessa», la salutò dolcemente.

«Buongiorno», mugugnò, stiracchiandosi e circondandogli la vita con nonchalance. «Sei sveglio da tanto?»

«Giusto un po’. Sei bella persino quando dormi, sai?»

«Sì, bellissima», ridacchiò.

«Dico sul serio! La più bella di tutte.»

«Bill, che hai mangiato ieri sera?»

«Quello che hai mangiato tu.»

«Uff, mi hai fregata…» Gli sorrise apertamente e gli prese il viso fra le mani per stampargli un bacio sulla bocca. «Sono stata benissimo», sussurrò.

«Anche io.»

«Grazie. Di tutto.»

Bill la baciò di nuovo e si sentì così felice e nel contempo stupido, perché se non fosse stato così insicuro quella volta avrebbero davvero sofferto tutti di meno, compreso Franky.

Franky, chissà dov’era finito. Aveva paura di incontrarlo, di leggere nei suoi occhi qualsiasi sfumatura che lo riconducesse ad una tristezza interiore per aver concesso la sua piccola a qualcun altro. Non voleva che fosse arrabbiato con lui, perché Bill si trovava nella situazione delicata di essere quel qualcun altro che si era acciuffato Zoe prima di tutti. Il loro rapporto era già in bilico sopra un precipizio, non voleva che uno dei due cadesse, non voleva che finisse, sapendo soprattutto che il suo gemello era quasi dipendente da quell’angelo.

«A che cosa stai pensando?»

La voce della ragazza lo riscosse dai suoi pensieri. «Niente, stavo… stavo solo pensando che ho fame.»

«Andiamo a fare colazione, allora!»

Lei si tuffò sotto le coperte, si vestì e saltò giù dal letto zampettando, trascinandoselo dietro tenendolo per mano. Fecero una capatina in camera di Tom, nella quale Zoe arraffò una delle sue tante e larghissime magliette e se la infilò come camicia da notte, poi scesero in salotto, nel quale trovarono solo Franky, sdraiato sul divano, con gli occhi chiusi e le mani sul ventre.

Zoe si avvicinò a lui senza far rumore e si sedette al suo fianco piegando una gamba sotto l’altra. Gli sfiorò la guancia e si rese conto di essere felice davvero, di aver trovato il suo equilibrio fra quei due amori, fra lui e Bill. Perché Bill era il suo futuro, Franky invece il suo passato, ma ci sarebbe sempre stato nella sua vita.

L’angelo cercò di trattenere un sorriso e Zoe sbuffò, capendo che aveva percepito i suoi pensieri. «Ma tu non dormi mai?», gli chiese.

«Sì, ogni tanto.»

Non era più triste, aveva ripensato molto alla reazione che aveva avuto la sera prima e si era accorto che era stato un po’ eccessivo. Aveva esagerato, poiché la felicità di Zoe era tutto ciò per cui avrebbe sempre lottato e doveva essere solo contento per lei, se ora stava bene con se stessa.

«Oh beh, mi fa piacere.» Si guardarono negli occhi e poi si abbracciarono, stringendosi forte.

Bill era in piedi in mezzo al salotto e si sentiva a disagio. Cercava in tutti i modi di non pensare alla serata precedente, ma la sua testa non era d’accordo e infatti faceva il contrario. Quando incontrò lo sguardo di Franky, arrossì e abbassò lo sguardo.

L’angelo chiuse gli occhi e sospirò, poi si alzò dal divano e camminò lentamente verso di lui. Gli arrivò di fronte e gli alzò il mento per poterlo guardare negli occhi, dopodiché gli sorrise e lo strinse in un abbraccio affettuoso.

“Non potrei mai essere arrabbiato con te, Bill, tutt’altro… Sono contento se fai felice Zoe e che tutto si sia sistemato per il meglio. Trattala bene, mi raccomando”, gli disse mentalmente e il cantante assentì con il cuore pieno di gioia.

«Stai tranquillo», gli rispose a bassa voce. «Mi prenderò cura di lei come se fosse la cosa più preziosa della mia vita.»

«E lo è. Lo è.»

Si sorrisero e Zoe tossicchiò, portandosi il pugno di fronte alla bocca. «Avete finito di confabulare?», gli chiese divertita. Li raggiunse e li strinse un abbraccio unico, sentendosi davvero al settimo cielo.

«Grazie, grazie di tutto», mormorò con le lacrime agli occhi.

«Non c’è di che», sussurrò Franky massaggiandole la schiena con una mano. «Dovere.»

Bill e Zoe ridevano mentre facevano colazione, ascoltando Franky che raccontava loro un episodio divertente della sua vita in Paradiso, dopo la sua morte. Non andava molto nei particolari, né aveva fatto esplicitamente il nome di Norbert e Kenzie, con i quali aveva sempre passato la maggior parte del tempo. Si soffermò a pensarli e si rese conto di quanto quei due gli mancassero.

«E allora questa ragazza si è messa di fronte a tutti e ha cercato di teletrasportarsi. Peccato che sia stato un completo disastro ed è finita nella fontana!»

«Oh mamma, davvero?!», scoppiò a ridere Zoe, tenendosi la pancia. «Questa ragazza era una tua amica?»

Sospirò e annuì. «Eccome. Una delle migliori.»

Zoe corrugò la fronte e lo guardò con una punta di interesse in più negli occhi. «Non dirmi che ti piaceva!»

«No, in realtà… ero io che piacevo a lei, ma… è una storia complicata.» Sarebbe dovuto andare a trovarli, prima o poi.

«Oh. E l’altro ragazzo?»

Franky stava riordinando le idee per rispondere, quando sentì una macchina entrare nel garage e percepì i pensieri di Tom. In effetti era sparito da qualche ora con Georg e Gustav, ma perché tutti stavano pensando intensamente alle carote?

Si alzò dal tavolo, preoccupato per ciò che tentavano di nascondergli, e iniziò a camminare in tondo, massaggiandosi le tempie nervosamente. Cercò di concentrarsi e capì che con loro c’era anche un’altra persona, che pensava anch’essa alle carote. Si voltò verso Bill e lo guardò negli occhi, in ansia:

«Tu sai dove sono andati quei tre idioti che stanno salendo le scale in questo momento?»

«No, perché?»

«Perché diamine pensano alle carote?! Che cosa mi stanno tenendo all’oscuro?!»

Zoe e Bill si guardarono, con gli occhi sgranati, e la risposta alle sue confuse domande gli si presentò di fronte: Georg, Gustav e Tom erano sorridenti, soprattutto l’ultimo, e avevano accanto a loro un ospite che fece venire la pelle d’oca all’angelo.

«Ragazzi, non fatemi perdere tempo, per favore. Ho un sacco di cose da fare e ho promesso a Susan che sarei andato con lei per occuparmi della sua nipotina», disse David, guardando Tom in particolare, che sorrideva smagliante.

«Non ti preoccupare, è solo questione di un minuto.»

Il silenzio calò nella stanza e Franky assottigliò gli occhi, già colmi di lacrime, mentre tutti gli sguardi, tranne quello confuso di David, si puntarono su di lui.

«Che cosa vedi lì, David?», chiese ancora il chitarrista, indicando il punto in cui c’era l’angelo.

«Io non vedo niente, perché? A che gioco state giocando?!»

«Nessun gioco, lì… lì c’è Franky…»

Il manager trattenne il respiro e fece un passo indietro, pronto ad andarsene dopo quello scherzo di cattivo gusto che gli aveva aperto una profonda ferita in mezzo al petto. Aveva lottato tanto per ricominciare dopo la sua scomparsa, si era fatto forza, ma lui forte non lo era per niente.

C’era qualcosa che non andava: loro non potevano essere davvero così insensibili, per quale motivo gli stavano facendo una cosa del genere. Era davvero tutto uno scherzo?

Non aveva mai creduto ai fantasmi, né agli angeli, ma se questo gli avrebbe permesso di vedere Franky un’ultima volta ci avrebbe creduto, avrebbe fatto di tutto…

Stava appunto per girarsi, quando iniziò ad intravedere una figura sfuocata apparire di fronte ai suoi occhi. Lentamente assunse delle forme definite, dei lineamenti, e David riconobbe il viso di Franky, nervoso e amareggiato, i suoi occhi verdi erano rivolti al pavimento e si sollevarono stupiti, quando iniziò a boccheggiare.

«Zio, tu… tu mi vedi?»

La sua voce fu peggio di un pugno nello stomaco e fece un altro passo indietro, con le lacrime che gli rigavano le guance. Si voltò e uscì di corsa dall’appartamento, voltandosi solo una volta.

Franky si portò le mani sul viso e ringhiò frustrato, osservò Tom e gli disse, incenerendolo con quegli stessi occhi che stavano piangendo: «Perché l’avete fatto?»

Tom aprì la bocca e allungò una mano verso di lui, ma l’angelo non gli diede il tempo per rispondere e scappò dalla finestra, lasciandosi trasportare dal vento.

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Buongiorno e buona festa della repubblica a tutti! :)
Allora… Uhm, quante cose che sono successe! Già, già… Sapete, questo capitolo è uno degli ultimi: venerdì posterò il penultimo e poi mercoledì l’ultimo, l’epilogo. Non sapete quanto mi mancheranno Franky e tutti gli altri :( Ma, ahimè, le ff come iniziano devono finire…
Non a caso si stanno tirando le somme: Zoe e Bill sono ufficialmente una coppia, Jole è riuscita a salvare suo papà, Tom ha detto questo sospirato “Ti amo” a Jole e per concludere in bellezza Tom, Georg e Gustav hanno avuto la brillante idea di portare a casa, all’insaputa di Franky (la tecnica delle carote è the best xD), David, che è riuscito a vederlo! Purtroppo però non è andato tutto liscio… Vedremo se le cose si risolveranno!
La canzone che ho usato per questo capitolo è Angelo mio, di Tiziano Ferro, che mi ha consigliato la mia Ales *-* Danke schön *-*
Passo subito ai ringraziamenti:

Tokietta86 : A chi lo dici, anche a me mancheranno un mondo :( Però sono contenta che ti piaccia e che ti sia piaciuto lo scorso capitolo! Zoe e Bill sono davvero una bella coppia ^-^ E Tom e Jole sono davvero magnifici: sicuramente Tom non commetterà gli stessi errori! Ha imparato la lezione :) Per quanto riguarda Franky… non poteva fare cosa migliore, davvero *-* Grazie mille, alla prossima! Un bacio!

Utopy : Hai visto? u.u Io posso sempre accontentarti ;D Il fatto che ti mancherà più del sogno non mi sorprende, se devo dire la verità… Anche io mi sono affezionata da morire a Franky e sarà davvero brutto non postarlo più :( Beh… ma non fasciamoci la testa prima di essercela rotta! Mancano ancora due capitoli e devono succedere ancora un paio di cose belle *-* Dunque, chi vivrà vedrà! Grazie mille Mond, ti voglio tantissimo bene anch’io! Tua, Sonne.

marty sweet princess : La speranza è l’ultima a morire ;) Vedremo… Grazie per la recensione!

Ringrazio anche chi ha letto soltanto e chi sostiene me e questa ff da sempre! Grazie, grazie davvero! :)
A venerdì, vostra

_Pulse_

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Capitolo 23
*** I'll never let you go ***


Oddio, non posso credere che siamo arrivati alla fine :( È così… triste! ç__ç
Franky, Zoe, Bill, Tom, Georg, Gustav, Jole, David, Susan, Alexandra, Ariadne… e chi più ne ha più ne metta, tutti i personaggi secondari, quelli che hanno reso questa storia davvero speciale (almeno per me)… mi mancheranno da impazzire!
Non mi dimenticherò mai questa storia e tutte le persone che l’hanno seguita con le recensioni e non, mi sono davvero sentita bene e vi ringrazio dal più profondo del cuore.
Ora non mi dilungo troppo, visto che c’è il capitolo che vi aspetta :) Vi auguro solo una buona lettura! A dopo!

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23. I’ll never let you go

«Sei sicuro di non voler venire?», gli chiese Zoe – vestita di tutto punto e bellissima – per l’ennesima volta; Franky annuì senza sollevare lo sguardo dal pavimento lucido.

«Allora noi andiamo», disse Tom e sollevò la mano in segno di saluto, prima di dirigersi con Gustav, Georg, Bill e Zoe fuori dall’appartamento.

Jole esitò accanto all’angelo e gli sorrise, poi gli stampò un bacio sulla fronte e gli sussurrò, guardandolo negli occhi: «Penso che oggi sia la fine.»

«Già, penso anche io che il matrimonio sia la fine di…»

«No, io intendevo proprio…»

«Oh.»

«Ci vediamo dopo.» Lo salutò e raggiunse Tom che, con la fronte corrugata, aveva assistito alla scena stando sulla soglia. Gli sorrise dolcemente per l’ultima volta, poi si chiuse la porta alle spalle, lasciandolo solo.

Franky sospirò e si passò le mani sul viso stanco, lasciandosi sprofondare nella morbida pelle del divano. Fece scorrere i pensieri nella sua mente, immerso nel silenzio, chiudendo gli occhi.

Erano passate un paio di settimane da quell’incontro con suo zio e da allora nessuno aveva più osato parlare di David in sua presenza, a parte Tom che poco dopo l’accaduto lo aveva tirato da parte e gli aveva chiesto scusa in tutti i modi possibili immaginabili. Franky l’aveva perdonato, anche perché in realtà non era mai stato arrabbiato con lui. Aveva capito che lo aveva fatto cercando di fare una cosa bella, ma non ci era riuscito e non si meritava un rimprovero. Franky si era sentito solo frustrato, quando aveva visto negli occhi di suo zio quella paura che aveva letto anche in quelli degli altri, all’inizio. Come al solito era stato terribile.

Nessuno aveva parlato di lui in sua presenza e Franky non aveva cercato nei loro pensieri notizie su di lui. Non ci aveva nemmeno pensato, non voleva pensarci per non starci male e solo in quel momento si rese conto di quanto gli avesse fatto piacere poter essere visto da lui. Già il fatto che ci fosse riuscito voleva dire molto, perché stava a significare che in minima parte ci credeva. Si sentiva un po’ in colpa per non averlo più cercato, ma preferiva stare male lui, piuttosto che veder soffrire le persone che amava. Era sempre stato così e lo sarebbe sempre stato.

Riaprì gli occhi e si guardò intorno, trovando desolante l’atmosfera che si respirava. Non era mai stato in quell’appartamento da solo e gli sembrava così triste, senza le persone piene di vita che lo abitavano… Sembrava un appartamento come tanti altri, non il luogo in cui aveva vissuto la parte forse più bella della sua vita, nonché l’ultima.

Si alzò dal divano con un sorriso strascicato sul viso e si passò un braccio sugli occhi umidi. Tutto stava giungendo al termine per la seconda volta e percepiva un grande nodo serrargli la gola. Era passato tutto così in fretta… Sembrava ieri il giorno in cui si era ritrovato catapultato in quello stesso salotto con una valigia al fianco e una maledetta voglia di tornare a casa. Presto, però, contro ogni pronostico, quella voglia di tornare a casa si era tramutata in una voglia assurda di non volersene più andare. Non sapeva nemmeno come, ma si era legato così saldamente a Bill, Georg, Gustav, Tom e suo zio che non ne poteva più fare a meno.

Ne avevano passate tante insieme, tra lacrime e sorrisi, tra risate e giorni davvero pessimi. Quando era morta sua madre, quando aveva scoperto di avere il cancro, quando si era innamorato della sua migliore amica Zoe e aveva lottato per averla… loro erano sempre stati lì con lui e lui lì con loro, uniti come una vera e propria famiglia. C’erano stati persino quando li aveva lasciati, quella mattina di dicembre. E anche dopo la sua morte si erano ritrovati e aveva vissuto momenti difficili, oltre che felici, ma insieme avevano sempre risolto ogni problema. Insieme.

Tirò su col naso e sul mobile alla parete del salotto scorse una foto, la prese fra le mani e la osservò, sorridendo debolmente: erano tutti insieme, stretti in un grande abbraccio, immortalati mentre ridevano, seduti sul divano di quello stesso salotto. Franky era fra Zoe e Tom, alle loro spalle c’erano Bill, Georg e Gustav e di lato Susan, stretta fra le braccia di David. Quella foto era stata scattata così, per gioco, dalla mamma di Zoe, quando si erano ritrovati tutti insieme. Non ricordava nemmeno più per quale motivo si fossero riuniti, sapeva solo che era stata una delle giornate più belle della sua vita da vivo.

Rimise la cornice al suo posto e pensò a quante cose fossero cambiate da allora. Un po’ tutto, pensò, ma c’era una cosa, una cosa semplicissima quanto intensa, che non era mai cambiata nel corso di tutto quel tempo: l’amicizia e l’amore dai quali erano sempre stati uniti gli uni all’altri, sin dal principio.

Fu in quel momento che Franky capì di star facendo un errore colossale, non volendosi far vedere da suo zio, credendo di farlo solo per il suo bene. Si precipitò fuori dalla finestra e volò più veloce che poté verso la chiesa in cui sapeva si sarebbero svolte le nozze. Suo zio era una delle persone più importanti in assoluto, non poteva fargli una cosa del genere, mancando proprio al suo matrimonio.

Entrò in chiesa e come se nulla fosse, durante la celebrazione, percorse la navata centrale quasi di corsa, verso i due sposi, disposti di fronte al parroco.

«Psst!», sussurrò qualcuno e Franky si voltò, incontrando il volto ilare di Bill, insieme a quelli di Zoe, Tom, Georg, Gustav e di Jole, che gli sorridevano e lo incitavano a raggiungerli.

Franky si avvicinò agli amici e vide che c’era un posto libero sulla panca in prima fila, occupato solamente da un portafoto d’argento che raffigurava proprio il suo viso.

«Oddio, questa foto è orribile», disse l’angelo e non si accorse nemmeno di aver parlato ad alta voce, ma David si voltò verso di lui e lo vide. Rimasero un po’ ad osservarsi, poi il manager dei Tokio Hotel sorrise commosso e mormorò:

«Sei venuto.»

Franky annuì. «Non potevo mancare. Scusa il ritardo.»

David ridacchiò e si voltò di nuovo verso la sua sposa e verso il parroco, che non aveva mai smesso di pronunciare la funzione.

Jole avvolse le spalle di Franky con un braccio e appoggiò la testa alla sua, contenta; Tom gli tirò un pugno sulla spalla e gli fece l’occhiolino, al quale subito ricambiò.

[There's a dream that I've been chasin’
Want so badly for it to be reality

C'è un sogno che ho inseguito per molto tempo
Ho desiderato tanto che diventasse realtà]

Susan si voltò e lanciò all’indietro il bouquet, che finì proprio fra le braccia di Zoe, che arrossì d’imbarazzo accanto a Bill, che le posò un bacio sulle labbra.

Fra gli applausi e i cori dei pochi ed intimi invitati, David e Susan tagliarono la maestosa torta alla frutta sotto un gazebo bianco, mentre i flash catturavano attimi che sarebbero sempre stati racchiusi nelle loro memorie.

Tom si occupò del taglio della cravatta di David e il nuovo sposo tolse la giarrettiera a Susan, timida come suo solito.

Dopo quella serie infinita di impegni, David riuscì a liberarsi un attimo e a raggiungere Franky, che se ne stava solo soletto sotto una grande quercia nell’ampio giardino del ristorante in cui si erano tutti riuniti per pranzare.

Si mise seduto al suo fianco e lo guardò attentamente, analizzò il suo profilo e il suo sorriso dolce, e con le lacrime agli occhi, ma il cuore gonfio di gioia, si rese conto che non era affatto cambiato, nonostante fosse passato molto tempo dalla sua scomparsa.

«Zio, volevo scusarmi con te, prima che tu possa chiedermi qualsiasi altra cosa», disse Franky e David chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni: era un sogno sentire di nuovo la sua voce… quante volte l’aveva immaginata? Ora quel sogno stava diventando realtà.
«Io non mi sono comportato bene con te: credevo che tu non riuscissi a vedermi e non mi sono mai fatto avanti perché non volevo che tu soffrissi… Mi dispiace tanto.»

«Non hai niente di cui dispiacerti, Franky. Per me… per me è importante che tu sia qui oggi. Mi sei mancato da morire.»

Lo guardò negli occhi e David trattenne il fiato, si lasciò abbracciare e ricambiò la stretta, facendosi scappare solo una lacrima.

«Anche tu mi sei mancato tanto, davvero.» Si guardarono e si sorrisero, poi Franky gli diede un pugno amichevole sulla spalla: «E così alla fine ti sei sposato, eh? Sono tanto felice per te.»

«Grazie», arrossì. «Per… per quanto starai?»

«Un tempo per ogni cosa», gli rispose, senza lasciare che la serietà delle sue parole intaccasse il sorriso che aveva sulle labbra. «Ora è meglio se ritorni dalla tua sposa, o si chiederà dove ti sei cacciato.»

David annuì, si alzò e rientrò nel ristorante. Nello stesso momento Jole si sporse fuori e gli sorrise mesta, dicendogli che era arrivato il momento. Franky annuì e si alzò, si stirò i vestiti addosso e fece un respiro profondo, portando lo sguardo sul cielo limpido sopra la sua testa.

***

Jole rientrò nel ristorante dopo aver parlato silenziosamente con Franky e sorrise a chi era in grado di vederla.

«Qualcosa non va?», le chiese Zoe senza farsi vedere dagli altri ospiti.

Jole scosse la testa, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Poi, con un filo di voce, disse: «Potete venire un attimo fuori?»

Bill, Georg, Gustav, Zoe e infine Tom, raggiunsero il fantasma nel giardino del ristorante e la osservarono: sotto il sole sembrava ancora più evanescente, quasi trasparente, e il sorriso debole che aveva sulle labbra non prometteva nulla di buono, tanto che il chitarrista cominciò a sospettare che…

«No, dimmi che non è vero», mormorò e in un attimo le lacrime si impossessarono dei suoi occhi nocciola.

La ragazza schioccò la lingua al palato e non badò al suo piagnucolare, si voltò verso Zoe e le indicò di avvicinarsi, aprendo le braccia. La ragazza corse da lei e la strinse in un forte abbraccio.

«Jole», balbettò Zoe, non riuscendo a trattenere le lacrime.

«Shhh, non piangere ti prego», le sussurrò, massaggiandole la schiena per cercare di tranquillizzarla.

Bill, Georg e Gustav guardavano la scena sbigottiti: loro, al contrario della ragazza e del chitarrista, non avevano capito bene quello che stava succedendo e che stava per accadere.

«Mi dispiace che il nostro rapporto d’amicizia sia nato così tardi, sei davvero una bella persona, Zoe, e… penso che mi mancherai», concluse Jole e le accarezzò la testa, accennando un sorriso.

«Mi mancherai anche tu», rispose, poi si spostò per dare il cambio agli altri, anche loro consapevoli, a quel punto, che era il momento degli addii.

Jole salutò Bill, Georg e Gustav, riservando loro un grande carico di sorrisi, anche se un po’ rovinati dalle lacrime che non riusciva ad arrestare, e qualche parola d’elogio e di profonda gratitudine, oltre che di affetto. Era stata davvero bene con loro, che l’avevano accolta come una di famiglia, nonostante avesse causato più danni che altro. Le avevano voluto bene e per questo gliene era infinitamente grata. Le dispiaceva lasciarli, ma non era niente in confronto alla voragine che sentiva sotto i piedi ogni volta che il suo pensiero ricadeva all’addio con Tom, quello stesso Tom che ora stava di fronte a lei, con lo sguardo implorante e carico di preghiere che nessuno avrebbe esaudito.

Ricambiò lo sguardo e lo prese per mano, iniziando a camminare verso la maestosa quercia che regnava nel giardino come se fosse il suo impero. Si misero seduti all’ombra, l’uno accanto all’altra, e rimasero in silenzio per un po’, ad osservare il cielo terso e il sole che filtrava fra le fronde dell’albero, mosse da un leggero vento che sembrava sussurrare loro antiche canzoni.

«Ho pensato così tanto a questo momento, a quello che avrei potuto dirti, ma… ora ho dimenticato tutto», esordì Jole, sospirando. «È così difficile separarmi da te.» Tom non intervenì, rimase in silenzio ad ascoltarla, e questo le diede la spinta a continuare: «Ho preso in considerazione ogni alternativa a me concessa, anche quella di diventare un angelo custode», ridacchiò e alzò il viso verso il cielo. «Assurdo, vero? Ho sempre detto che avrei fatto di tutto per te, ma questo… questo no, non posso farlo. Diventando un angelo custode mi ricorderei per filo e per segno la vita d’inferno che ho passato, ma questa non è una cosa tanto spiacevole, dopotutto; potrei anche sopportarlo, per te. Il fatto è che… non sarei in grado di essere il tuo angelo, e mi dispiace da morire ammetterlo. Non sono forte come Franky, non sarei capace di starti accanto e allo stesso tempo di mettermi da parte perché tu incominci una nuova vita. Finirei per pensare alla mia felicità e non alla tua.»

Tom aprì la bocca e Jole se ne accorse, tanto che pose fine momentaneamente al suo monologo. Rimase ad osservarlo mentre abbassava lo sguardo per raccogliere le idee, facendo sì che delle piccole rughe s’impossessassero della sua fronte.

«Questa storia ha dell’irreale», disse infine, a bassa voce. «Tutta quanta. Dal primo momento all’ultimo. Angeli, Intrappolati, fantasmi… è un mondo al quale non avevo mai immaginato, a cui non credevo, prima di ritrovarmi immerso in questa storia. Ora che ci penso, non sembra nemmeno che l’abbia vissuta. È stato così… normale e spontaneo. Sono cresciuto molto grazie a questa esperienza e… Jole, ciò che renderebbe davvero felice la mia esistenza è saperti felice. Sul serio.» Le prese la mano nella sua e l’accarezzò, poi alzò lo sguardo verso il suo viso, incontrando quel sorriso che tanto amava.

«E se io ti promettessi che sarò felice, tu saresti felice?», gli chiese.

«In parte», sbuffò. «Averti sempre con me mi renderebbe felice in maniera assoluta, ma mi sono reso conto che non si può. Io la vedo come un’ingiustizia, ma per te… è ciò che ti meriti, Jole: ricominciare daccapo ed essere veramente felice, con qualcuno che ti ami veramente e dall’inizio, cosa che io non sono stato in grado di fare.»

Jole sorrise e gli accarezzò la guancia, alzandogli il viso per ammirare ancora i suoi occhi nocciola. Si soffermò a tracciare i contorni del suo volto pressoché perfetto, ritrovando quel calore che lei aveva perso.

«Mi mancherai moltissimo, Jole. Tu non sai quanto… mi dispiace», tremò tenendo gli occhi chiusi per celare le lacrime. Avrebbe voluto abbracciarla, affondare il viso fra i suoi capelli, baciarla, ma tutto ciò che riusciva a fare era distruggersi lentamente, arrendendosi al dolore.

«Anche tu mi mancherai, Tom», gli sussurrò. «Grazie per tutto quello che hai fatto per me, ti amo e ti amerò per sempre, nel profondo del mio cuore.»

Tom aprì gli occhi e la osservò: stava piangendo. Le accarezzò le guance con le mani e non riuscì più a resistere: l’abbracciò con impeto e allo stesso tempo con affetto, se la strinse al petto e nascose il viso fra i suoi capelli profumati. Sentiva il suo freddo penetrargli nelle ossa, ma non gli importava minimamente. Non voleva lasciarla, era l’ultimo momento che poteva condividere con lei e non voleva perdersene nemmeno un secondo.

«Ora… è meglio che vada», mormorò Jole e si scostò da lui. Il suo cuore da fantasma le martellava nel petto e quanto avrebbe voluto non lasciarlo mai… Sarebbe riuscita a ricominciare, senza di lui?

Si guardarono negli occhi e Tom si avvicinò al suo viso per baciarla, ma lei si voltò e le sue labbra si posarono delicatamente sulla sua guancia.

«Non ti arrendi mai, eh?», ridacchiò lei, riuscendo a strappare un sorriso anche al chitarrista.

«Prenditi cura di te», le disse con il cuore stretto in una morsa e la mente invasa dai ricordi dei momenti trascorsi insieme. Sembrava ieri il giorno in cui l’aveva conosciuta, il giorno in cui le aveva fatto del male, il giorno in cui l’aveva rivista sottoforma di fantasma, il giorno in cui si era innamorato di lei, quando avevano riso insieme e avevano pianto… E ora stava per andarsene, per sempre.

«Anche tu. Promettimi che sarai felice.»

«Lo prometto.»

Jole accennò un sorriso e poi si alzò. La gonna del suo vestito bianco ondeggiò al vento e si sistemò una ciocca di capelli prima di salutarlo con la mano.

«Addio Tom», gli sussurrò e scomparì serena, di fronte ai suoi occhi, senza lasciare la minima traccia di sé. Almeno, non una traccia che si potesse vedere con gli occhi, perché dentro di lui, nel cuore di Tom, un po’ di lei ci sarebbe sempre stato: non l’avrebbe mai dimenticata, poco ma sicuro.

Una lacrima solitaria gli rigò il volto e sollevò lo sguardo verso il cielo azzurro: guardò il sole dell’estate brillare, ricordandogli per un attimo il suo sorriso, così vivace, così allegro, così luminoso…

«Addio, Jole.»

***

Franky vide Jole avanzare verso di lui e quando gli fu di fronte le sorrise e la strinse in un abbraccio carico di parole, poi la prese per mano e, in silenzio, l’accompagnò verso l’Ufficio delle Rinascite, in cui trovarono anche San Pietro, avvisato poco prima dall’angelo.

Il santo li accolse con un sorriso bonario e Jole fece un respiro profondo, annuendo, e quando le loro mani si separarono si guardarono negli occhi con un velo di malinconia, ma con un’espressione dolce in viso, che parlava da sola.

Jole entrò nella cabina di vetro trasparente e in poco tempo una forte luce la irradiò, fino a quando non si affievolì e Franky ebbe la possibilità di scorgere la sua anima: era forse la più bella che aveva mai visto, persino più bella di quella di Kenzie. Si avvicinò, la prese fra le mani, trovandola piacevolmente calda al tocco, e la osservò per diversi istanti.

«Buona fortuna, Jole. Ci rivedremo presto, ti voglio tanto bene», le sussurrò e le donò un bacio, poi la inserì in uno dei cannoni e la sparò sulla Terra. La guardò sparire fra le nuvole candide e poi chiuse gli occhi.

Scese di nuovo sulla Terra e nel giardino del ristorante trovò Tom che, nonostante fosse passato un bel po’ di tempo dalla loro partenza, non si era mosso da sotto quella quercia. Aveva il viso nascosto fra le braccia, appoggiate alle ginocchia, e sembrava così fragile ed indifeso…

Si mise silenziosamente seduto al suo fianco e rimase ad osservare il sole che oramai donava una sfumatura rosata al cielo del pomeriggio.

«Sarà felice?», gli chiese improvvisamente, senza alzare lo sguardo.

Franky sorrise e gli posò una mano sulla spalla: «Sì, lo sarà.»

***

«Ehi!»

Tom sobbalzò e si portò una mano al cuore, sospirando. «Franky, mi hai fatto spaventare!», gridò.

«Scusami, ma avresti dovuto farci l’abitudine ormai», ridacchiò e gli strappò un sorriso. «Che ci fai qui tutto solo?»

Il chitarrista scrollò le spalle. «Georg è dalla sua ragazza, Bill e Zoe sono usciti, come al solito, e Gustav è andato in palestra.»

«Perché non sei andato con lui?», sollevò il sopracciglio.

«Non ne avevo voglia», si portò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale del divano, ignorando totalmente la TV accesa su un ridicolo notiziario di gossip.

«Uhm», annuì l’angelo, poi si lasciò cadere accanto a lui.

Erano passati diversi giorni da quando Jole se n’era andata e Tom, esattamente come la prima volta, era caduto in uno stato di depressione dalla quale cercava di uscire, senza risultato. Faceva finta di niente, sorrideva e rideva, ma era solo una facciata per nascondere ciò che provava veramente, perché le aveva promesso che sarebbe stato felice, ma… la verità era che non lo era affatto. Gli mancava, gli mancava troppo e Franky riusciva a percepire benissimo i suoi stati d’animo. Dopotutto mancava anche a lui.

«Non la vedrò mai più», mormorò Tom tutto d’un tratto, stringendo i pugni sulle gambe e serrando la mascella per non modificare l’espressione del suo viso. Non voleva che diventasse triste, affranta…

Franky si irrigidì e cercò le parole adatte per confortarlo, ma… che cosa poteva dirgli? Infondo era vero, non l’avrebbe più vista per come se la ricordava, però…

«Forse… forse posso fare una cosa per te, Tom.»

Il chitarrista lo guardò e trattenne il respiro mentre osservava il sorrisetto che era comparso sulle labbra di Franky, con un briciolo di speranza nel cuore: forse non tutto era finito.

«Dammi il tempo di fare una telefonata», ridacchiò.

«Una telefonata?», alzò il sopracciglio e poi sollevò le spalle: inutile sforzarsi tanto, con Franky era tutto un mistero ormai.

Tirane fuori una delle tue, ti prego…

Ok, non pensavo questo però!

«Franky, che ci facciamo in un ospedale?», chiese a bassa voce, per non farsi credere pazzo dagli infermieri e dalle persone nella sala d’aspetto.

«Godi della fortuna che hai e abbi un po’ di pazienza, Kaulitz!»

Passarono diversi minuti in silenzio: Franky era comodamente spaparanzato su una sedia libera, gli occhi chiusi come se stesse aspettando pazientemente un avvenimento che l’avrebbe reso felice; Tom, invece, si guardava intorno e si scervellava per capire che cosa avesse in mente, perché l’avesse portato lì, ma non riusciva proprio ad arrivarci. Poco tempo prima aveva fatto quella telefonata e poi gli aveva detto di accompagnarlo in un posto, che si era rivelato un ospedale. Già allora aveva quel sorrisetto stampato in faccia.

«Scusi, ha bisogno?», gli chiese un’infermiera, anche abbastanza carina, avvicinandosi a lui.

«Uhm… no, grazie.»

«E per quale motivo è qui?», sollevò il sopracciglio.

«Ahm…» Franky… ora che mi invento?! Vide la vecchietta lì accanto e si mise seduto al suo capezzale, senza badare a Franky che se la rideva come un matto senza essere sentito da nessuno oltre che da lui. «Sono qui con mia nonna!», sorrise indicandola, dandole leggere pacche sulla schiena.

«Oh, ok», la ragazza sorrise e tornò al suo posto.

Tom sospirò sollevato e guardò la vecchietta che lo osservava in silenzio, annuì e stiracchiò un sorriso: «Grazie dell’aiuto», le disse, senza essere minimamente calcolato.

«Oddio, oddio, oddio», disse senza fiato Franky, le lacrime agli occhi e la pancia stretta fra le mani. «È stato bellissimo, la cosa più divertente che io abbia visto da due mesi a questa parte!»

«Non c’è niente da ridere, cretino», bofonchiò. «Posso sapere che cosa stiamo aspettando?»

Un bip bip rimbombò nella sala d’aspetto, fra qualche colpo di tosse, ma solo Tom e Franky lo sentirono. Quest’ultimo sorrise e tirò fuori dalla tasca dei jeans chiari lo speciale cellulare: «Aspettavamo proprio questo. Forza, andiamo.»

Tom non fece in tempo a chiedere altro che venne preso per il braccio e trascinato lungo i corridoi dell’ospedale, fino ad arrivare al reparto neonatale, di fronte al vetro dietro il quale c’erano tante culle con tanti bambini appena nati all’interno, che dormivano beati o che piangevano.

«Bambini. Uhm», disse Tom. «Ok, non ci riesco: non capisco.»

«E quando mai», l’angelo roteò gli occhi al soffitto e sospirò. «Tom, guarda quella bambina là.»

Seguì il dito di Franky e vide una bambina con pochi capelli biondi, piccolissima e che piangeva portando i pugnetti vicino al viso arrossato.

«Mi sembra una bambina come tutte le altre, che ha di speciale?»

Sei proprio senza speranze, Kaulitz.

Si appoggiò alla spalla dell’amico con il braccio e sorrise, guardandolo: «Dentro di lei, dentro quell’esserino minuscolo che è appena venuto al mondo, c’è l’anima di Jole.»

«L’anima di… di chi?!», sgranò gli occhi, incredulo.

«Hai capito bene, sì. Sai… è un cerchio senza fine», ridacchiò. «Chi l’avrebbe mai immaginato.»

«Oddio, io… io non posso crederci! Cioè lei è… è Jole?»

«No, non lo è; diventerà ciò che vorrà diventare. E comunque non ci devi credere, Tom.»

«In che senso? E perché quel sorrisino?»

«Non puoi sapere queste cose, sono informazioni riservate. Mi dispiace.» Dopodiché gli tirò un pugnò sul naso abbastanza forte da farlo cadere a terra nello stesso momento in cui la porta accanto si aprì, facendo credere alla ragazza che era appena uscita di averlo beccato in pieno.

Franky ridacchiò e si appoggiò alla parete per godersi meglio lo spettacolo.

«Oddio, scusami! Scusami, scusami, scusami!», gridò la ragazza chinandosi piano su di lui e tirandogli su la testa. «Come stai? Tutto bene? Ti ho fatto tanto male?»

Tom aprì gli occhi e un po’ confuso si guardò intorno, trovando subito il viso di quella ragazza di fronte a sé, che lo guardava leggermente preoccupata.

Una fitta di dolore al naso lo fece mugugnare e si chiese dove fosse finito quello scemo di Franky e perché fosse in quello che doveva essere proprio un ospedale. Non riusciva a ricordare nulla!

«Scusami, mi dispiace davvero tanto!», disse ancora la ragazza.

«Che… che cos’è successo?», chiese lui.

«Ho aperto la porta, ma non credevo tu stessi passando! Certo, non potevo saperlo, non ho i raggi x, non vedo attraverso i muri», ridacchiò nervosamente, poi tornò a guardare il ragazzo che credeva di aver buttato a terra. «Scusa, quando sono nervosa incomincio a parlare a raffica e sono ridicola. Comunque ti ho tirato la porta in faccia.»

«Oh, ehm…», riuscì a tirarsi seduto, grazie all’aiuto di quella ragazza, e sorrise porgendole la mano: «Io sono Tom.»

«Piacere, Linda», ricambiò il sorriso, luminoso e sincero come ne aveva visti ben pochi.

Si alzò e si guardò intorno, ma non vide né Franky né qualcosa che gli spiegasse il perché lui fosse lì.

«Come mai sei qui? Hai un figlio anche tu?», chiese curiosa Linda, avvicinandosi al vetro.

«Un… un figlio?! No! No, no!», farfugliò agitando le mani di fronte al petto, in preda ad una crisi nervosa.

«E allora che ci fai qui? Questo è il reparto neonatale.»

Si ricordò vagamente di una vecchietta e montò su una scusa per coprire il suo buco di memoria: «Ero con mia nonna, credo di essermi perso.»

«Oh, capisco.»

Guardò il suo profilo dolce, i capelli chiari, gli occhi castani: era davvero bella. Si accorse di essersi imbambolato solo dopo diversi istanti, allora portò lo sguardo oltre il vetro.

Chissà che ci faccio qui, bah.

«Tu hai un figlio?», chiese Tom, pensando alle parole che gli aveva rivolto in precedenza.

«Sì», sorrise commossa. «È quella bambina con i capelli biondi, che piange, come al solito. È bellissima anche quando piange però, vero?»

«Non me ne intendo molto, ma… sì, forse hai ragione», annuì, sentendo pulsare la nuca, come se si stesse sforzando di cercare di ricordare qualcosa di importante.

«Però… non ho ancora deciso un nome», sospirò. «Non ne ho la più pallida idea.»

Qualcosa balenò nella testa di Tom e gli venne spontaneo pensare a quel nome: Jole. Ricordò quello che era successo, ma non il motivo per il quale si trovasse in quell’ospedale. Forse, semplicemente, non era importante.

«Tu hai qualche idea?», gli chiese speranzosa.

«Jole», sputò senza esitazione.

«Jole?», corrugò la fronte la ragazza. «Jole… Sì, mi piace! Sarà Jole, la mia piccola principessa.»

«Sei… sei troppo giovane per avere una bambina. Tu…», iniziò incerto, ma lei capì e fece un sorriso che risultò amaro.

«Sì, non è stata voluta, in effetti.»

«E… e lui?»

«Non ho la più pallida idea di dove sia finito.» Riportò lo sguardo sul vetro e Tom lo abbassò verso le sue scarpe. «Ma sai una cosa? Meglio così. Io e Jole vivremo felici anche senza di lui», annuì convinta, per poi sorridergli aperta.

«Lo spero per voi, davvero», ricambiò.

«Grazie. Forse però è meglio se ti riaccompagno da tua nonna, eh», ridacchiò prendendolo sotto braccio e scortandolo lungo il corridoio.

Tom rimase sorpreso, ma fu una sensazione piacevole quella che provò in mezzo al petto, tanto che si lasciò portare sorridendo, scambiando ancora qualche chiacchiera con quella ragazza che il destino gli aveva fatto incontrare.

Il destino di nome Franky.

«E bravo Tomi», sospirò felice l’angelo, girandosi verso il vetro. «Tutto è bene quel che finisce bene, no?» Guardò la bambina nella sua culla che aveva finalmente smesso di piangere e si era abbandonata al sonno, un piccolo sorriso sul volto.

«E così, Jole… ho il forte sospetto che avrai da Tom tutto quello che hai sempre desiderato: amore.»

***

Si stiracchiò sul divano e dopo qualche secondo di ulteriore ed inutile riflessione, si alzò. Si stiracchiò e fece un sorriso ai presenti, che ricambiarono con poca convinzione.

«Bene, possiamo andare», disse, buttando fuori l’aria dai polmoni.

«Tom non è ancora arrivato», osservò David, aggrappandosi ad una speranza illusoria, poiché il chitarrista entrò trafelato nell’appartamento con il fiatone.

«Menomale, siete ancora qui», sospirò sollevato, una mano sul cuore.

«Com’è andata con Linda e Jole?», chiese allegro Franky.

«Bene.» Un sorriso gli illuminò il viso, pensando alle sue due nuove donne, ma si spense presto, quando tornò a pensare che era arrivato il momento dei saluti persino per lui.

«Sei pronto? Avevo l’intenzione di andare», lo informò.

«Sì, se proprio devi…», mormorò.

«Già, è proprio necessario?», chiese Bill, che teneva Zoe stretta a sé. «Insomma, potresti prenderti un altro po’ di tempo…»

«E fare la bella statuina nel salotto», ridacchiò. «No, Bill, è ora che io vada.»

La discussione terminò lì e andarono a recuperare le automobili: Franky salì con Tom, Bill e Zoe nella Cadillac del chitarrista, invece Georg e Gustav andarono con David.

Tom sospirò e si voltò verso l’angelo: «Dove ti devo portare?»

«Ti faccio io da navigatore satellitare», gli fece un sorriso furbo, a cui Tom ricambiò appena.

Il viaggio trascorse silenzioso, almeno all’esterno. All’interno della testa di ognuno dei suoi compagni di viaggio, Franky riusciva a sentire milioni di pensieri, a vedere milioni di immagini e di ricordi che gli fecero venire le lacrime agli occhi. Ciò che lo fece più emozionare fu notare come tutti lo ricordassero felice, con il sorriso sulle labbra; non c’era un solo pensiero rivolto ai mesi della sua malattia, alle notti in cui stava veramente male. Erano solo ricordi felici, pieni d’affetto, e questo gli fu di grande aiuto.

Guardando ognuno di loro, si rese finalmente conto che era quello il suo Paradiso: vedere i loro sorrisi, sentire le loro risate, guardare il frutto dei loro sforzi e la felicità riflessa nei loro occhi… Tutto quello lo faceva sentire più in Paradiso di quanto non lo fosse realmente di sopra, lo faceva sentire come se un altro angelo lo prendesse e lo facesse sentire da Dio. Quando stava con loro, quando respirava di loro, quando viveva di loro.

[Cuz baby when you’re with me
it's like an angel came by and took me to heaven
(It's like you took me to heaven, girl)
Cuz when I stare in your eyes it couldn't be better
(I don't want you to go, oh no)

Perchè piccola quando sei con me
è come se un angelo venisse e mi portasse in Paradiso
(È come se tu mi portassi in Paradiso, ragazza)
Perchè quando guardo nei tuoi occhi non potrebbe essere meglio
(Non voglio che tu vada via, oh no)]

«Fermati qui, Tom.»

«Qui?»

«Sì, grazie.»

Il chitarrista non obbiettò oltre e parcheggiò l’auto a ridosso della parete della galleria, sotto le luci giallognole. Franky uscì dalla macchina e accennò un sorriso quando il vento che proveniva dalla fine del tunnel lo trapassò piacevolmente. Sapeva di salsedine.

Tom, Bill e Zoe lo raggiunsero e nello stesso momento suo zio David parcheggiò dietro l’auto di Tom. Aspettò che ci fossero tutti, anche Gustav e Georg, prima di fare un passo avanti e di girarsi, dando le spalle alla luce.

Zoe rimase senza fiato quando lo vide in quel modo, con le ali solleticate dalla brezza e quel sorriso tenero sulle labbra. Non riusciva a vederlo bene in viso, la luce dietro di lui era impressionante, come se provenisse direttamente dal Paradiso, ma era certa che aveva anche lui le lacrime agli occhi.

«E così, devi andare», mormorò Tom con il volto basso, scalciando un sassolino verso la sua direzione.

«Andare è una parola grossa», si strinse le braccia al petto. «Sarò sempre con voi, solo che… non mi vedrete.»

«E se avremo voglia di vederti?», chiese Bill tirando su col naso.

Franky si portò una mano sulla nuca, pensieroso. «Beh… ci vorrebbe un permesso speciale, per niente facile da ottenere… Ma farò il possibile, ve lo prometto.»

«Oh, Franky», singhiozzò Zoe scostandosi da Bill e correndogli in contro, gli saltò in braccio e lo strinse forte, nascondendo il viso e le lacrime contro il suo collo. «Non andare, ti prego.»

«Devo andare, Zoe…»

«Perché, perché?!»

«Perché sei felice, ora, e la mia presenza qui non è fondamentale.» Sospirò ridacchiando e le scompigliò i capelli sulla testa. «Ehi, non dire quello che hai pensato perché non è vero! Lo sei eccome, non puoi nasconderlo, né a me né a te.»

«Ok, mi arrendo», sorrise divertita e scese da lui.

Franky le asciugò le lacrime sulle guance con le dita e ricambiò, poi guardò Bill dietro di loro, che sorrideva commosso e anche un po’ intristito.

«Mi raccomando mini Kaulitz, stammi bene e fai felice la mia piccola.»

«Se non la faccio felice torni prima?», gli chiese.

Franky per un attimo lo prese sul serio, poi udì una risata che tentava di essere repressa fra le sue labbra e si lasciò andare ad un sospiro sollevato. «Non devi nemmeno pensarci», gli puntò un dito contro, cercando di fare il minaccioso.

Poi fu il turno di suo zio David, silenzioso ed immerso nei suoi pensieri.

«Zio?» L’angelo lo distrasse ed ottenne la sua attenzione: i loro occhi si incontrarono, così simili eppure così diversi. «Sii felice con Susan, è una ragazza meravigliosa e hai fatto la cosa forse più saggia della tua vita sposandola.»

«Sì, lo penso anch’io», gli disse, aprendo le braccia. Franky ci si fiondò senza pensarci due volte e lo strinse forte, il volto premuto contro il suo petto. «Mi mancherai, ragazzino.»

«Uhm… avrai altro a cui pensare, da qui ai prossimi nove mesi… e poi ancora per molto, molto tempo», sogghignò e lo guardò negli occhi, brillanti.

«Che cosa stai tentando dire?», balbettò.

«Che, beh… non dovrei dirtelo, ma non ce la faccio proprio! Diventerai papà! A breve. Susan deve ancora scoprirlo in realtà. Quindi, vedi di fare il sorpreso quando te lo dirà.»

«Dio», soffiò, portandosi una mano alla bocca.

«Già, un altro bambino a cui badare oltre ai quattro qui.»

«Era proprio quello a cui stavo pensando!»

Si guardarono e scoppiarono a ridere, insieme ai ragazzi che accennarono qualcosina. Tutti tranne Tom, che guardava a terra, come se le sue scarpe e i sassolini fossero le cose più interessanti del mondo.

«Dov’è il mio migliore amico?», chiese Franky con le mani sui fianchi, la testa appoggiata alla spalla.

Tom sollevò la testa di scatto e trattenne un sorrisetto, facendo l’indifferente: «Perché io sono sempre l’ultimo che consideri?»

«Perché mi tengo il meglio per la fine», rispose l’angelo con semplicità. Tom si pietrificò sul posto e lo guardò negli occhi, lasciandosi andare a tutto ciò che provava, infatti calde lacrime gli rigarono il viso e corse da lui per stringerlo in un abbraccio fin troppo forte.

«Se non vieni presto te la faccio pagare», lo minacciò, singhiozzando.

«Ci parli tu col capo?»

«Io sono Tom Kaulitz!»

«Oh sì, il vice di Dio!», scoppiò a ridere, contagiandolo. «Mi mancherai parecchio, stronzo che non sei altro. Per favore, tratta bene Linda e Jole, soprattutto…»

«Certo, puoi contarci. Stammi bene, tu.»

«Sì. Ricordati che ti controllo, eh.»

«Che paura», sbuffò e lo strinse ancora forte.

«Ora è meglio che vada, non mi piacciono gli addii troppo lunghi.» Si scostò e tornò in controluce, guardò la schiera di persone che gli stava davanti, osservò uno per uno i volti delle persone più importanti della sua vita e fece un respiro profondo, poi si voltò e incominciò a camminare verso la luce.

«Franky», lo chiamò Zoe con la voce roca, allungando il braccio verso di lui. L’angelo si fermò e piegò la testa di lato, in ascolto. «Ti vogliamo bene.»

Ridacchiò. «Anche io ve ne voglio tanto. A presto.»

Riprese a camminare verso la fine della galleria, contro il vento impregnato di salsedine, fino a quando le persone a lui care non sparirono nel buio. Guardò avanti a sé e sorrise, poi corse verso la roccia a strapiombo sul mare agitato dal vento, aprì le braccia al cielo grigio e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

[Show no fear, don't you worry ‘bout a thing
I am here, right here
(I'll never let you go)
Don't shed a tear
Whenever you need me I'll be near
I’ll never let you go

Non mostrare paura, non preoccuparti di niente
Io sono qui, proprio qui
(Non ti lascerò mai)
Non far scorrere una lacrima
Ogni volta che avrai bisogno di me sarò vicino
Non ti lascerò mai]

__________________________________

Eccoci di nuovo qui…

Alcune informazioni di tipo tecnico xD Il titolo che ho dato a questo capitolo deriva dal titolo della canzone che ho usato, Never let you go, di Justin Bieber. È la canzone che mi ha ispirata a scrivere questo capitolo e l’ultima scena scritta prende spunto dal video di questa canzone. Grazie Justiiiin *-*

Ho preparato la locandina di questa FF e con mio grande orgoglio (mi piace davvero tanto, spero anche a voi!) ve la mostro: QUI
Riprende molto questo capitolo finale, ma d’altronde secondo me questo è uno dei più belli in assoluto ;)

E poi, che dire ancora? :( Il prossimo non sarà proprio un capitolo, è l’epilogo, per me questa storia finisce qui xD (Chi mi conosce sa che tendo a sottovalutare – se non di più xD – i miei ultimi capitoli xD). Dunque… non mi resta che salutarvi!

Ringrazio ogni singola persona che abbia letto, inserito questa FF nelle preferite, nelle seguite e in quelle da ricordare; chi ha recensito lo scorso capitolo (Utopy , Isis 88 , Tokietta86 e Layla. Vi adoro assai *-*), in anticipo chi recensirà questo e chi ha recensito almeno una volta durante tutta questa storia che ci ha accompagnati e mi ha accompagnata per moltissimo tempo (più o meno dieci mesi fra Nothing ed Everything! o.o). Spero che i miei pargoli siano stati di buona compagnia, sono superorgogliosa di loro *-*

Grazie mille davvero, spero di rivedervi in qualche altra FF! :D

Con affetto, vostra

_Pulse_

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Capitolo 24
*** Epilogo: Morale della favola ***


Eccoci alla fine… Non è un granché, come al solito i miei “The end” sono pessimi, ma spero che sia almeno accettabile.
La canzone che ho usato è ancora Never let you go, di Justin Bieber.
I ringraziamenti li ho già fatti la scorsa volta, quindi non mi dilungo troppo, anche perché sono a rischio pianto :’(
Ringrazio Layla, freency, Tokietta86, Isis 88, Utopy e tly per le recensioni allo scorso capitolo e ringrazio tutti voi, tutte le persone che hanno messo questa FF fra le preferite, le seguite e in quelle da ricordare, tutte quelle che hanno recensito, tutte quelle sono riuscite, con le loro parole, le loro emozioni, i loro sorrisi e le loro lacrime (anche quelle, soprattutto quelle), il loro sostegno, a far vivere questa storia a me, personalmente, rimarrà sempre nel cuore. Spero che anche per voi sia lo stesso. Grazie davvero.
Spero di rivedervi presto, un bacio enorme e un abbraccio.
Vostra,

_Pulse_

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24. Epilogo: Morale della favola

Un angelo camminava per le strade d’Amburgo con il sorriso sulle labbra e le mani nelle tasche.

Potrebbe essere l’inizio di una bella favola, ma la sua, di favola, è iniziata moltissimo tempo fa.

Raggiunse una villetta appena fuori dal centro urbano, la osservò dall’esterno – un grande giardino curato, una bella automobile parcheggiata nel vialetto di fronte al garage – e ridacchiò nel sentire una voce e dei pensieri in particolare che provenivano dall’interno: non era cambiato per niente.

Un ragazzo uscì in veranda tenendo per mano la sua bimba di dieci anni e mezzo, con i capelli biondi e gli occhi castani che alla luce del sole prendevano una sfumatura dorata. (Certo, non era davvero sua figlia, però le voleva bene come se fosse sua). Le sorrideva teneramente e la guardava con gli occhi pieni d’amore mentre le raccontava una storia.

«Papà, ma gli angeli esistono sul serio?», gli chiese la bambina, incuriosita, alzando il viso per poterlo guardare negli occhi.

«Certo che esistono!», rispose convinto, nascondendo anche a se stesso quella malinconia che gli aveva velato lo sguardo. «Se mamma non fosse un angelo credi che sarebbe ancora qui a sopportarmi?»

Linda li raggiunse e accarezzò i capelli di nuovo biondi del ragazzo, dandogli un bacio affettuoso sulle labbra. «Potrebbe esserci una speranza», gli rispose divertita.

Entrarono in auto discutendo ancora sull’argomento, il ragazzo mise in moto e si girò con il busto verso i sedili posteriori per fare la retromarcia, quando rimase senza fiato: accanto alla figlia c’era un Franky sorridente, che incrociò il suo sguardo.

«E dove vivono, gli angeli?»

Tom la sentì parlare, ma non capì quello che la bambina gli aveva chiesto, sempre più interessata. Boccheggiava come un pesce fuor d’acqua, incredulo, senza riuscire a fare altro.

Era passato così tanto tempo... Aveva sperato, persino pregato, così ardentemente il suo ritorno che vedendolo non ce la faceva a credere che fosse davvero lì.

«In Paradiso, tesoro», rispose Linda al suo posto, poi si soffermò a guardare il marito: aveva gli occhi fissi sul sedile accanto a Jole, come se ci fosse realmente qualcuno e questo lo sconvolgesse.

«È davvero bella», disse Franky a Tom.

La sua voce gli sembrò così… assurdamente familiare, tanto che tutto quel tempo a sperare che tornasse gli scivolò addosso, riportando a galla ricordi su ricordi, come se non li avesse mai lasciati.

«La tua vita», aggiunse l’angelo a scanso di equivoci, anche se il ragazzo in quel momento sembrava del tutto incapace di capire quello che stava accadendo intorno a lui.

Tom non fece in tempo a rispondere che l’angelo scomparve ridendo della sua espressione più che frastornata.

Linda, con la fronte corrugata, gli portò una mano sulla guancia e lo guardò negli occhi. «Amore, è tutto ok?», gli chiese leggermente preoccupata. Il ragazzo annuì, stiracchiando un sorriso. «Allora muoviamoci, altrimenti arriveremo domani da Bill e Zoe.»

***

Zoe posò nella culla la loro meravigliosa bambina, dopo averla fatta addormentare, e Bill l’abbracciò da dietro, baciandole delicato la tempia e sfiorandole la fede che portava all’anulare, identica alla sua. Si sorrisero guardandosi negli occhi e poi uscirono dalla stanza da letto per tornare in salotto, dove li stavano aspettando Georg e Gustav con le loro relative compagne e David, Susan e Mirko, il loro bambino dagli occhi verdi e i capelli neri – somigliava al padre, perciò anche a Franky – di quasi un anno più piccolo di Jole.

«Tom non è ancora arrivato?», chiese Zoe, sedendosi sul divano, accanto a Susan.

«Dovrebbe arrivare a momenti», la informò Gustav con un sorriso rassicurante.

Era piuttosto in ansia, non per lei, ma per Bill: era lui che se la prendeva per quelle cose. Infondo compiva solo un mese, non un anno! Ma per lui ogni pretesto era buono per festeggiare e trovarsi tutti insieme e, sotto quel punto di vista, aveva ragione.

Qualche minuto dopo il campanello trillò e il marito si precipitò alla porta, attraversando il salotto addobbato a festa, evitando di inciampare sulla marea di palloncini che aveva costretto tutti a gonfiare. Quello che si era divertito di più era stato Mirko, che ne aveva sempre uno fra le mani.

«Sempre gli ultimi, eh?!», gridò con le mani sui fianchi, verso gli ospiti.

«Scusaci, zio Bill!», disse quella vocina adorabile che non poteva essere altro che di Jole.

«Non ti preoccupare piccolina», le sorrise solare baciandole la fronte. «So che è colpa di quello scellerato del tuo papà! È sempre colpa sua!»

Proprio mentre lo nominava, spuntò dietro Linda e Jole, con un’espressione tutt’altro che tranquilla sul viso: sembrava teso, agitato come se stesse trattenendo dentro di sé qualcosa molto più grande di lui. Lo guardò negli occhi e capì che doveva essere successo per forza qualcosa.

«Tom, che hai?», gli chiese e lo face entrare, insieme alle sue due donne. Jole andò subito a giocare con i palloncini con il coetaneo, mentre i grandi si riunirono nel salotto, contagiati dall’ansia del chitarrista.

«Che ne so, è da prima che è così!», disse Linda, tenendogli stretto il braccio.

«Un attimo», disse Tom, come se avesse avuto un’illuminazione. «Dov’è Evelyn?»

«In camera, l’ho appena fatta addormentare…», rispose Zoe, la fronte corrugata. «Perché?»

Tom schizzò verso la camera in cui sapeva di trovare la bambina e Bill, Zoe, Georg, Gustav e David lo seguirono, incuriositi oltre che preoccupati. Il chitarrista aprì la porta e di nuovo quel blocco alle vie respiratorie, quando scorse la figura di Franky, completo di ali sulla schiena, accanto alla culla della bambina di Zoe e Bill.

«Franky», mormorò Zoe con gli occhi velati dalle lacrime.

L’angelo si voltò lentamente e incrociò il suo sguardo. «Ciao, Zoe.»

La ragazza, ormai donna, moglie e mamma, gli corse in contro e lo strinse forte al petto. Rise, notando che era diventata più alta di lui, rimasto lo stesso sedicenne di allora.

«Ehi, io non invecchio», le rispose. «Sei veramente bellissima, sai?»

«Grazie», tirò su col naso, staccandosi. Franky si voltò verso Evelyn e le sfiorò la guancia con un dito.

«E lei… lei è semplicemente fantastica», commentò a bassa voce, rapito dalla bellezza di quella bambina piccolissima.

«Ha preso tutto dal papà», rispose la ragazza, andando a prendere per mano Bill, ancora pietrificato sulla soglia assieme a tutti gli altri.

«Nah, sono certo che avrà i tuoi occhi.» Sorrise, in quel modo tenero di sempre. Suo. «Ha dei pensieri così… puri. Vi vuole un bene immenso.»

Restarono qualche secondo in silenzio. Franky contemplò il visetto tondo di Evelyn e trovò un senso ad ogni cosa. Sorrise, sinceramente contento per ciò che la sua piccola donna era riuscita a costruire anche senza il suo aiuto costante. Sorrise, perché era riuscita a crearsi una vita piena di felicità e di amore. Sorrise, perché nei suoi ricordi non c’erano più lacrime, solo sorrisi per i tempi passati.

«Ma dico, sei scemo?!», spezzò il silenzio Tom, gli occhi sgranati.

Tutti si voltarono verso di lui e lo guardarono truce, dicendogli di abbassare la voce o avrebbe svegliato la bambina. Troppo tardi: Evelyn iniziò a piangere e l’angelo prontamente infilò le mani nella culla, la sollevò e se la portò al petto, guardandola teneramente.

«Shhh, era solo il mio stupido migliore amico», le sussurrò, e come per magia la bimba si calmò e in poco tempo si riaddormentò. Franky però non la rimise nella culla, la tenne stretta a sé.

«Sono passati dieci anni, pezzo di cretino», gli disse allora il chitarrista, controllando il tono di voce. «Avevi detto presto

«Ho fatto prima che ho potuto, davvero.»

«Ci sei mancato tanto», aggiunse Bill.

«Io non posso dire lo stesso, visto che ero sempre con voi.»

«Per quanto rimarrai?», chiese suo zio David.

L’angelo sospirò e in quel momento ripose Evelyn nella culla. «In realtà, devo tornare su fra… un quarto d’ora esatto.»

«Che cosa, così poco?!»

«Mi dispiace, ragazzi», sollevò le spalle. «Sono passato solo per un saluto.»

«Oh, bello», borbottò Tom, cercando di fare il duro, anche se i suoi occhi mentivano a tutti: erano arrossati e lucidi. «Dovremo aspettare altri dieci anni per vederti?»

«Mah, chi lo sa», ridacchiò. «Vi voglio bene ragazzi, sono felice per voi, sono orgoglioso di voi. Non posso fare altro che dirvi di continuare così.»

Tom scattò in avanti e lo travolse con un abbraccio e che sorprese tutti, oltre che il diretto interessato. Si staccarono solo dopo attimi interminabili, si guardarono negli occhi e sorrisero.

«Sai, c’è una cosa che ho capito», gli confessò Tom. «Ed è questa: l’amicizia, come l’amore, non muore mai.»

«Ce n’è voluto di tempo prima che lo capissi!», accennò una risata. «Meglio tardi che mai.»

[Cuz this life's too long
and this love's too strong
So baby, know for sure that
I'll never let you go

Perchè questa vita è così lunga
e questo amore è così forte
Allora piccola, sappi che
non ti lascerò mai]

THE END

{A te, Ales, a cui ho dedicato tutto questo
e che so non avrai mai un “The End”.
Ti voglio un bene dell’anima.
Tua, sempre, Aria.}




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