Everything to gain di _Pulse_ (/viewuser.php?uid=71330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Go forwards ***
Capitolo 2: *** New life, after... ***
Capitolo 3: *** Afraid of love ***
Capitolo 4: *** Good dreams ***
Capitolo 5: *** Jole's past and Souls ***
Capitolo 6: *** Cry in Paradise ***
Capitolo 7: *** Bodies at the party (Part I) ***
Capitolo 8: *** Bodies at the party (Part II) ***
Capitolo 9: *** Goodbye and Hello ***
Capitolo 10: *** Insecurities ***
Capitolo 11: *** Reactions ***
Capitolo 12: *** Hugs ***
Capitolo 13: *** Not infallible ***
Capitolo 14: *** Ghost's heart ***
Capitolo 15: *** Whose fault is it? ***
Capitolo 16: *** Lively and dead ***
Capitolo 17: *** Cold - Control ***
Capitolo 18: *** I love you ***
Capitolo 19: *** Physically and mentally (Part I) ***
Capitolo 20: *** Physically and mentally (Part II) ***
Capitolo 21: *** Give life to someone else ***
Capitolo 22: *** Release ***
Capitolo 23: *** I'll never let you go ***
Capitolo 24: *** Epilogo: Morale della favola ***
Capitolo 1 *** Go forwards ***
Buona sera a tutti!
Avevo detto che avrei postato questo sequel a breve ed
eccolo qui, in pasto ai leoni! xD
Spero vi piaccia, davvero *-* In questo momento ho la pelle
d’oca perché riprendere Franky è
un’emozione davvero indescrivibile: come già
sapete, mi sono affezionata tantissimo a lui e ci tengo, per questo
motivo
oltre che ad essere felice ed emozionata, sono anche un po’
in angoscia.
Il motivo è semplice: non voglio deludere le aspettative!
Non voglio rovinare Nothing
to lose, quindi spero
vivamente di aver fatto un buon lavoro e che lo apprezziate :D
Questo primo capitolo è un po’
d’introduzione: è un po’ un
modo per riambientarci nella storia, ecco.
Bene, direi che ho detto tutto per ora. Le altre novità le
scoprirete man mano, non c’è nessuna fretta! State
tranquilli u.u
Voglio ringraziare brevemente
chi ha recensito l’ultimo
capitolo di Nothing,
ossia Big
Angel_Dark, PhaNtoMriDerJK,
Gemi_Black,
Isis 88 e
quella stupenda persona, Utopy,
l'oracolo ( xD ) che come al solito è riuscita a far
stringere il mio cuore
di pietra e a farmi commuovere ( Ti voglio troppo bene, è
questa la verità! *-*
Grazie di tutto ©
). Sostienimi sempre, mi raccomando! *-*
Inoltre, ringrazio ancora chi ha messo questa FF fra le
preferite e le seguite e chi è sempre stato accanto a me
leggendo solamente.
Vi ringrazio davvero di cuore, non so come altro spiegarmi;
ci vorrebbe un capitolo intero solo per ringraziarvi tutti e questo mi
rende
orgogliosa *-* Mi raccomando, state sempre con me!
Ora vi lascio davvero xD Buona lettura! ;D Con affetto,
vostra _Pulse_
____________________________________________
Ad
Ales
1. Go forwards
[Di sotto]
«Non puoi andartene Franky, non
puoi! Come farò senza di te? Come
farò?!»
«Piccola, io sarò sempre al tuo fianco,
ok?»
«Franky… Franky no…»
Si svegliò di
soprassalto nella
notte e si trovò a stringersi le gambe al petto,
appoggiata con la schiena
alla testata del letto.
«Franky»,
mormorò cercando inutilmente di trattenere le lacrime.
«Franky…»
Un singhiozzo le
scappò dalle
labbra, poi un altro, e un altro ancora, fino a trovarsi accasciata sul
cuscino, scossa dai fremiti.
Perché se
n’era andato? Perché?
Quella mattina si era
svegliata
presto, tormentata da quel sogno che la perseguitava incessantemente da
molte
notti ormai, e come un automa aveva fatto colazione con sua mamma,
l’aveva accompagnata
al lavoro e poi era andata a scuola.
Senza di lui tutto era
diventato
così grigio e spento dentro di lei e intorno a lei che a
volte dubitava
fortemente della sua esistenza, del motivo per il quale lei era
lì, da sola, e
non con lui.
Durante le lezioni che
trascorrevano lentamente, aveva ricevuto un messaggio di Tom, il quale
le
chiedeva se quel pomeriggio voleva passare da loro, per cambiare un
po’ aria.
Lei aveva accettato, senza nemmeno pensarci: quei due strambi gemelli,
assieme
ai loro amici, riuscivano ancora a regalarle dei sorrisi, quei sorrisi
simili a
quelli che Franky le aveva confessato più volte di amare.
«Zoe»,
la richiamò Susan,
guardandola apprensiva.
«Scusi
prof»,
mormorò tornando al
libro di letteratura di fronte ai propri occhi, ma ciò che
vide furono solo le
scritte disordinate lasciate in matita sul bordo della pagina: era la
sua
scrittura, l’avrebbe riconosciuta fra un milione…
Ciao Zoe!
Non possiamo
parlare, altrimenti
chi la sente la
nuova fidanzatina
di zio David!
Non ti fa strano? xD
Nemmeno un pochino?
Beh, ora meglio se
torniamo a seguire.
Ti amo piccola!
Sempre.
Chiuse gli
occhi come ad evitare di vedere, ma sapeva che era tutto inutile: la
sua
immagine era impressa molto bene nella sua testa oltre che a caldo nel
suo cuore
graffiato e che soffriva di solitudine, nonostante fosse sempre in
mezzo a
tanta gente che le voleva bene. Chiuse gli occhi come a proteggersi dal
dolore,
al buio dietro le palpebre. Una scarna protezione, inefficace.
Non poteva
cercare di non pensarci e allo stesso tempo non poteva dimenticarlo,
questo
mai. Era destinata a soffrire per sempre? Perché a
ricordarlo con un sorriso
ancora non ci riusciva.
Il suono della
campana la fece tornare al mondo reale di colpo e il segno che vedesse
appannato voleva dire che aveva gli occhi lucidi.
Ficcò in
fretta
e furia il libro, il quaderno e l’astuccio nello zaino e
schizzò fuori da
quella prigione, fino a quando non sentì la voce di Susan
dietro di lei e
dovette fermarsi in mezzo al corridoio, fra gli studenti che parlavano
tra di
loro, ridevano e scherzavano senza accorgersi minimamente della sua
presenza.
«Zoe, tutto
bene?», le chiese con un velo di compassione negli occhi. Lei
non voleva far
pena a nessuno, non voleva compassione, ma non poteva di certo
costringere le
persone a non intristirsi: non erano affari suoi.
«Sì,
sto bene.»
Spudoratamente falsa.
«Chi ti
accompagna a casa?»
«Tom. Non si
preoccupi, sto bene davvero.» Spudoratamente falsa
un’altra volta.
«Ok, va bene.
Allora ci vediamo domani.»
«Sì,
a domani»,
salutò mogia con un movimento della mano, per poi girarsi e
incamminarsi più
veloce di prima verso l’uscita, con una maledetta voglia di
piangere che represse
velocemente dentro di sé.
La relazione
fra David e Susan andava a gonfie vele, lui dopo un periodo di
semi-mutismo
aveva rincominciato a respirare e la causa di questa veloce ripresa era
soprattutto Susan, che capiva e condivideva il suo dolore e lo
sosteneva ogni
giorno con il suo amore. Zoe chi aveva a sostenerla, chi le dava amore?
Raggiunse
finalmente il cortile e trovò una delle molteplici e
plausibili risposte alla
domanda. Corse verso l’Audi che conosceva ormai bene e si
fiondò fra quelle
braccia forti che l’accolsero senza esitazioni: lui era una
delle poche persone
che aveva al proprio fianco e che riusciva a farla sentire se non bene,
qualcosa di molto simile.
«Ciao Sea.»
Sea,
uno dei tanti soprannomi che le
aveva affibbiato Tom per gioco e che alla fine le era rimasto,
perché era vero,
i suoi occhi erano azzurri come il mare.
«Ciao
Tom.»
Si infilarono
in macchina e rimasero un attimo in silenzio a fissarsi, poi Tom diede
gas al
motore e Zoe infilò un cd nel lettore, come
d’abitudine.
«Com’è
andata a
scuola?»
«Come vuoi che
sia andata?», si appoggiò al finestrino freddo con
la testa, concentrandosi
sulla strada che scorreva silenziosa sotto le quattro ruote.
Le piaceva
andare in auto con Tom, sapeva guidare così bene che era
anche più
rilassante di un massaggio. Poi era sciolto, sicuro di ogni sua
mossa… era
bello anche da guardare.
«Sai che non
ci
voglio più andare.»
«Oh no, tu ci
vai bella mia.»
«Perché
dovrei?
Non capisco niente, ho preso più insufficienze in questo
periodo che in tutta
la mia vita…»
«E la colpa di
chi è?»
«Non
è colpa
mia se… se…»
«Non scaricare
le colpe su Franky, Zoe», disse duro, stringendo saldamente
le mani intorno al
volante.
«Cosa ne vuoi
capire tu», mormorò lei girandosi di nuovo verso
il finestrino.
«Credi che non
sappia cosa vuol dire? Lo pensi davvero? Non sto male quanto te, questo
no,
però sto male anch’io, cazzo! Ma non per questo mi
arrendo, io combatto, io –»
«Io non ce la
faccio Tom, io non sono abbastanza forte!»
Un silenzio
pesante e carico di malinconia scese su di loro e Tom in uno scatto
d’ira
spense il lettore cd con un pugno, grugnendo.
Arrivarono
all’appartamento dei ragazzi e il primo a scendere
dall’auto fu proprio lui,
che fece il giro e aprì la portiera ad una Zoe di nuovo cupa
e seria, che lo
aggirò e si incamminò da sola per le scale; lui
invece prese l’ascensore.
Si incontrarono
di fronte alla porta, Tom si fermò a cercare le chiavi di
casa ed incrociò il
suo sguardo: vide la stanchezza in quegli specchi azzurri, una
stanchezza
dovuta al dolore della perdita, una stanchezza compresa da tutti. Zoe
lo
abbracciò d’impeto e nascose il viso e le occhiaie
nel suo petto, stringendo i
pugni sulla sua schiena. Poi ebbe la forza di staccarsi e di
ricomporsi,
guardandolo in viso.
«Scusa»,
mormorò.
«Scusa di
cosa?
È stata una giornata pesante per tutti e due, non ti
preoccupare», sorrise e le
fece un buffetto sulla guancia, per poi aprire la porta e trovare il
salotto
insolitamente deserto.
«Dove sono i
ragazzi?», chiese Zoe con la fronte increspata.
«Georg e
Gustav
sono usciti, mi pare. Ma non mi ricordo dove sono andati.» Si
tolse la giacca e
la lanciò sul divano.
«E
Bill?»
«Magari
è di sopra.»
«Vado a
controllare?»
«Vai in
missione segreta, dai. Io
intanto preparo qualcosa di caldo», sorrise.
Zoe annuì e
si avviò verso le
scale che portavano al piano superiore, dove si trovava la camera di
Bill.
***
Tom andò in
cucina e si mise ai
fornelli per preparare tre tazze di cioccolata calda.
In quel momento avrebbe
tanto
preferito non pensare a niente, ma, anche se fosse sua precisa
volontà, non
riusciva a schiodarsi dall’immagine sorridente di Franky,
quel ragazzino
rompiscatole con cui già dal primo giorno si era sempre
scontrato.
Erano sei mesi che non
c’era più,
le loro vite erano andate avanti, come non poteva essere altrimenti, ma
c’erano
giorni in cui si sentiva fermo, sentiva la sua vita ferma in un punto e
non
sembravano esserci speranze per il suo regolare svolgimento, per la sua
normale
continuità.
Se lui stava
così, non voleva
nemmeno pensare come potesse stare Zoe, quella piccola ragazzina per la
quale
Franky aveva lottato, difendendola da tutto e da tutti, tentando in
ogni modo
di farla sempre sorridere, fino alla fine, fino all’ultimo
respiro.
Perché ora
che non c’era più
aveva quella maledetta voglia di vederlo, di litigarci, di prenderlo in
giro e
di ridere e scherzare assieme a lui? Proprio come prima.
Avevano iniziato
decisamente con
il piede sbagliato, loro due, ma con il tempo in lui aveva visto non
solo un
quindicenne arrogante e chiuso in se stesso, ma anche la
figura di un amico, un
amico vero, come pochi ce n’erano stati nella sua vita. Un
migliore amico. Un
fratello minore.
Nemmeno Franky aveva
accettato di
buon grado di trasferirsi da loro, all’inizio, ma dopo
essersi abituato li
aveva sempre sostenuti, li aveva incoraggiati prendendoli in giro, li
aveva
fatti sorridere quando le cose sembravano andare male, mettendo
se stesso
sempre all’ultimo posto, con il sorriso sempre accesso sulle
labbra, un sorriso
che ora come ora faceva male ricordare.
Ricordare,
perché non lo
avrebbero più visto di nuovo.
Avrebbe tanto voluto
fare qualcosa
per lui ora, avrebbe tanto voluto dirgli semplicemente grazie per
quello che
aveva fatto, e si sentiva in colpa per averlo lasciato andare via da
loro in
quel modo che poteva essere evitato.
Se magari fossero stati
più
attenti ai primi sintomi, se fossero intervenuti prima, magari lui
sarebbe
stato ancora fra loro…
Ma era tardi ormai, e
piangere
non serviva a niente, lo sapeva bene.
Nonostante tutto non
riuscì ad
impedire ad una lacrima di lasciare un solco sulla sua guancia.
***
Pioveva, in quel giorno
di giugno.
Bill era sempre stato un tipo solare e pieno di vita, ma quel giorno si
identificava bene con la pioggia, anche se lui non sarebbe mai riuscito
a
lavarsi di dosso la malinconia che lo assaliva ogniqualvolta pensasse a
Franky.
Gli mancava. Tanto.
Appoggiò la
testa al vetro freddo
della sua finestra e chiuse gli occhi, stringendo fra le mani quello
skate
rotto a metà, rimasto sempre in camera sua per
chissà quale motivo.
Com’era
possibile che quel
ragazzino che ne aveva passate di cotte e di crude nella sua giovane
vita,
avesse avuto pure la sfortuna di prendersi il cancro e di morire
così,
lasciando la ragazza che amava e che finalmente lo ricambiava?
Non riusciva ancora a
credere che
fosse successo davvero… Ma doveva farsene una ragione:
Franky era morto e non
sarebbe più tornato da loro.
Abbassò lo
sguardo e fissò con
gli occhi colmi di lacrime le parti divise dell’oggetto forse
più caro a lui,
l’oggetto che riusciva a ricordarglielo maggiormente, che lo
rappresentava in
tutto e per tutto: nonostante Franky sapesse che era spezzato ormai,
non
l’aveva mai buttato, proprio come aveva fatto col suo corpo
quando aveva
scoperto che gli si stava ritorcendo contro. Aveva lottato fino alla
fine,
facendo vedere a tutti chi era il vero Franky, una delle persone
più belle che
avesse mai conosciuto, con la sua schiettezza e la sua voglia di
vivere, anche
contro al suo stesso destino; forte e testardo, tanto quanto il suo
gemello,
con il quale si era sempre stuzzicato.
Quanto gli
mancava assistere ai loro battibecchi…
Continuare a pensarci e
piangere
però, non li avrebbe aiutati, li avrebbe fatti sentire solo
peggio.
Bill aveva sempre
creduto ad una
vita dopo la morte e sperava ardentemente, ora più che mai,
di aver ragione,
perché non poteva immaginare una fine netta per lui, sarebbe
stato ingiusto.
Voleva che fosse felice,
ovunque
lui si trovasse in quel momento.
Qualcuno
bussò alla sua porta,
riscuotendolo dai suoi pensieri, e si passò un braccio sugli
occhi prima di
biascicare un «avanti».
Immaginava chi potesse
essere,
quindi cercò di farsi trovare il più presentabile
possibile, anche se era
un’impresa davvero ardua, se non addirittura impossibile.
«Ehi»,
sussurrò con un
piccolissimo sorriso che a stento riusciva a vivere sulle sue labbra
rosse.
«Ciao
Zoe.»
Zoe era stata la
migliore amica
di una vita di Franky e successivamente anche la sua ragazza, lo era
tutt’ora,
e non riusciva nemmeno ad immaginare come potesse essersi sentita o
come si
sentisse ricordando ogni volta che la persona che amava si era
rifiutata di
prendere quelle maledette medicine ed era morta fra le sue braccia.
I capelli neri come la
pece le
ricadevano mossi sulla schiena e gli occhi azzurri come il mare limpido
erano
velati dalla stessa malinconia che avvolgeva un po’ tutti
quel giorno. Erano
sei mesi esatti che non c’era più…
Stretta in quella
maglietta nera
a collo alto, con quelle borse sotto gli occhi, come al solito
contornati da
matita e ombretto nero, e il viso pallido e stanco, sembrava ancora
più fragile
di quanto in realtà non lo fosse già.
Fra loro non era stata
simpatia a
prima vista, con le sue frecciatine sulla sua identità
sessuale, ma dopo averla
conosciuta meglio l’aveva trovata subito amabile e aveva
capito come Franky
potesse essersi affezionato e alla fine anche innamorato
così tanto di lei.
Vederla in quelle
condizioni per
lui in quel momento era doloroso quasi quanto la scomparsa
dell’amico, perché
le voleva bene.
Chiedere come stavano
era
stupido, visto che erano nella stessa situazione, e Bill non sapeva
come
avviare una conversazione con lei.
«Che…
che fai qui tutto solo?», gli
chiese piano lei, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, gettando
una
rapida occhiata distratta allo skate rotto che teneva sulle gambe, come
se non
le si fosse aperta una ferita vedendolo.
«Niente»,
lo appoggiò piano a
terra. «Guardavo la pioggia.»
«In effetti
è rilassante…»
«Sì»,
mormorò tornando a fissare
la pioggia fitta che da quella notte non cessava di cadere dal cielo
coperto di
nuvole.
«Questa
sarà la mia prima estate senza
di lui», mormorò Zoe senza nemmeno rendersene
conto. Si accorse di aver parlato
e non di aver pensato fra sé e sé, solo quando
sentì gli occhi tristi di Bill
puntati sulla sua figura, in piedi di fronte a lui.
Abbassò lo
sguardo e lo stesso
fece Bill, prima di alzarsi e di raggiungerla a passo incerto. Zoe
alzò il viso
e dal suo metro e sessanta guardò il metro e novanta di
fronte a sé, dicendogli
che un abbraccio era proprio quello di cui aveva bisogno.
Bill la
abbracciò dopo aver avuto
il suo permesso, il tutto in silenzio, e la strinse a sé
avvolgendole la
schiena con le lunghe braccia, facendole nascondere il viso nel proprio
petto e
posandole un bacio fra i capelli profumati.
La
tranquillità che provava
quando era accanto a lei era… inspiegabile.
Dopo qualche minuto di
religioso
silenzio, stretti l’uno nelle braccia dell’altro,
Zoe si schiarì la voce alzò
gli occhi, incontrando quelli nocciola di Bill.
«Meglio se
andiamo giù da Tom, che ne dici?»
Bill annuì e
le prese la mano,
lasciandosi alle spalle la pioggia e lo skate di un passato che sentiva
anche
fin troppo lontano, ma incancellabile.
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Capitolo 2 *** New life, after... ***
2. New life, after…
[Di sopra]
«La scuola mi
perseguita!», gridò
piano passandosi le mani sui capelli scuri a spazzola.
«Già la odiavo di sotto,
non credevo di dover stare sui libri anche qui!»
Erano sei mesi esatti
che lo
ripeteva, ma non ne era mai stanco.
«Anche in
Paradiso si studia, mio
caro Franky», sorrise Kenzie, seduta alla sua destra.
«E soprattutto
tu, che hai scelto
di diventare un angelo custode. È una delle mansioni
più difficili», aggiunse
Norbert, alla sua sinistra.
«Lo so
ragazzi, lo so!», si
grattò la testa e rificcò il libro nello zaino.
Kenzie aveva lunghi
capelli color
biondo platino, così chiari da sembrare quasi bianchi,
sempre scompigliati con
stile sulla testa, una frangia laterale che ogni tanto le cadeva sugli
occhi
chiari contornati sempre da matita ed ombretto nero, e il perenne
rossetto
bordeaux sulle labbra piene. Era davvero bella, con i suoi vestiti
vaporosi
bianchi e neri, anche sexy a dirla tutta, ma non era decisamente il suo
tipo.
Norbert invece aveva i
capelli
scuri e gli occhi castani, alto e slanciato, ed era palese che fosse
cotto di
lei: Franky se n’era accorto immediatamente.
Era subito diventato
loro amico
perché erano stati gli unici in quella scuola ad accoglierlo
con il sorriso
sulle labbra e poi perché avevano molto in comune, a partire
dalla causa delle
loro morti: il cancro.
Come Franky
l’aveva avuto allo
stomaco, Norbert l’aveva avuto al cervello e Kenzie ai
polmoni.
Lei aveva avuto la
fortuna di
riuscire a fare un po’ di chemioterapia, ma era stata
pressoché inutile e aveva
solo illuso la sua famiglia, infatti poco tempo dopo era morta. Kenzie
in
confidenza gli aveva rivelato che era rimasta sollevata quando arrivata
in
Paradiso aveva riavuto i propri adorati capelli. Franky aveva riso,
capaci di
ridere delle loro morti, anche se avevano lasciato in sospeso molte
cose di
sotto.
Se pensava al modo con
cui lui
aveva lasciato tutti, non volendo più prendere le medicine
che per qualche ora
ancora lo avrebbero tenuto lì, si sentiva un po’
in colpa, perché aveva visto
come tutti avevano sofferto, soprattutto Zoe. Non avrebbe mai voluto
farla
soffrire, ma lui non poteva più stare lì, non si
sentiva più parte di quel
mondo, e aveva preferito andarsene con dignità, sorridendo.
Ma Zoe gli mancava, come
gli
mancavano Bill, Tom, Gustav, Georg e suo zio, e voleva vederli ancora,
voleva
stargli accanto tutti i giorni e, per quanto avrebbe potuto, aiutarli
nelle difficoltà.
E quelle erano tutte mansioni che poteva compiere solo un angelo
custode, che
per quanto fosse difficile ed impegnativo diventarlo, per loro, per lei,
lo avrebbe fatto.
«Franky, se
non te ne sei accorto
è suonata da un pezzo», gli disse Kenzie
picchiettando le unghie laccate di rosso
scuro sulla sua spalla.
«Ah,
sì, arrivo», si alzò e
raggiunsero Norbert che li aspettava alla porta dell’aula.
«Ti eri perso
ancora a pensare a
Zoe?», gli chiese l’amico, camminando nel corridoio
gremito di studenti.
«Già»,
annuì abbassando il capo.
Kenzie represse un
grugnito e
strinse i pugni, innervosita dall’argomento: era gelosa di
Zoe, questo era
chiaro a tutti e due; quello che non era chiaro ancora a Franky era se
non le
piacesse Zoe oppure se si fosse presa una cotta per lui. Sperava tanto
la
prima, perché per lui Kenzie non era altro che
un’amica.
«Ti
manca?», gli chiese ancora.
«Tu non puoi
immaginare quanto.»
Kenzie sbattè
l’anta del suo
armadietto e si avviò verso l’uscita, senza
salutarli.
«Io non la
capisco», disse Norbert scuotendo la testa. «Che
problemi
ha?»
«Non lei, ma
io avrò dei problemi
se continua così», spiegò Franky,
demoralizzato.
L'amico lo
guardò accigliato, mentre faceva un gesto con la mano e si
avviavai verso l’ufficio del
preside.
«Ed ora dove
vai?», gli chiese
alzando le braccia.
«Devo parlare
con il grande capo», Franky gli sorrise. «Ci
sentiamo
dopo!»
Norbert gli sorrise e
mostrò i
pollici, raggiungendo Kenzie che era sicuro li stesse aspettando, anche
se
irritata. Lei non aveva nessuno oltre loro due –
non come Norbert che
aveva
diversi amici lì dentro, –
quindi doveva tenerseli
stretti,
nonostante a volte
volesse strozzarli entrambi.
Bussò sul
legno bianco della
grande porta al piano superiore, sulla quale c’era inciso a
caratteri dorati il
nome del preside, e una voce potente e allo stesso tempo rassicurante
gli diede
il permesso di entrare.
«Buon giorno
San Pietro», salutò
pimpante Franky, chiudendosi la porta alle spalle.
Esatto, il preside della
scuola
era proprio San Pietro, colui che aveva le chiavi del Paradiso.
Tutti gli angeli
minorenni
dovevano andare a scuola appena arrivati – chi più
e chi meno, proprio come se
riprendessero da dove avevano lasciato – quindi quello era il
suo vero posto,
attraverso il quale cresceva tutti i nuovi angeli e li rendeva liberi
dalla
vita precedente al Paradiso. Solo gli angeli custodi mantenevano
intatta la
loro memoria, e Franky era uno di quelli che non voleva dimenticare la
sua
vita, anche se era finita troppo presto.
L’ufficio era
molto spazioso e
luminoso, c’era un’ampia finestra che dava sul
giardino della scuola, provvisto
di una grande fontana d’argento al centro, e
l’arredamento era bianco e
raffinato.
«Franky,
figliolo!», si girò, le
mani unite sotto la pancia, un sorriso bonario sul viso e una grande
chiave
dorata appesa al collo. Ovviamente quella non era la vera chiave del
Paradiso,
era solo una chiave simbolica! Non sarebbe stato molto furbo portarsi
appresso
una chiave di tale valore!
«Accomodati
pure!»
Franky si mise seduto su
una
comodissima poltrona bianca e notò una cartellina aperta
sulla scrivania: senza
farlo apposta scorse la foto del volto di sua madre graffettata
nell’angolo.
«Mamma»,
mormorò.
San Pietro con un gesto
fulmineo
chiuse la cartelletta e la infilò fra le altre nel cassetto,
che chiuse a
chiave.
Franky
sollevò lo sguardo su di
lui: «Era mia mamma.»
«Sì,
figliolo.»
«Perché
aveva la sua cartella
aperta? Perché la stava riguardando? Credevo fosse un caso
archiviato, ormai!»
«Lo so,
Franky. Dovevo solo
controllare dei dati, il computer è andato di nuovo in
palla», sorrise dando
una pacca al computer bianco accanto a sé: in effetti non
era un guru delle
tecnologie.
«Non mi
può dire proprio niente,
su di lei?», quasi lo supplicò.
«No, mi
dispiace Franky», sospirò
sedendosi sulla poltrona dietro la scrivania, serio in volto.
«Sai quali sono
le regole.»
«Sì,
le so», abbassò il capo. «Io
volevo solo sapere come mai non ha scelto di diventare un angelo
custode, ecco.»
«Perché
aveva raggiunto il limite
di età, ricordi? Gli angeli custodi devono avere meno di
trent’anni quando sono
eletti perché dentro si ha ancora quell’energia
vitale in grado di sostenere un
compito del genere… Ma non l’avete fatto con il
professor Schulz?», chiese con
un sorriso furbetto.
«Sì,
ehm… devo essermi
addormentato.»
«Di
nuovo?»
«Di
nuovo», rise leggermente fra
un sospiro.
«Ah Franky,
cosa devo fare con
te? Sei ancora sicuro della tua scelta di diventare un angelo custode?
Devo per
caso ricordarti che oltre a dover studiare ed impegnarti molto
– cosa che non
stai facendo per niente in questo momento, e siamo già agli
sgoccioli, tra tre
settimane avrai gli esami – essere angeli custodi non vuol
dire solo stare
assieme alle persone a cui vogliamo bene? Ma vegliarle,
curarle… senza
divertirsi come se si fosse vivi?»
«Sì,
sì,
queste cose ormai le so a memoria! Prometto che mi
impegnerò, lo giuro.»
«Non devi
prometterlo a me, devi
fare ciò che vuoi, devi prometterlo a te stesso, se
è proprio quello che
desideri.»
«Io lo
desidero, con tutte le mie
forze; solo che stare attento alle lezioni non è proprio il
mio forte.»
San Pietro sorrise
bonario e si
girò appena per tornare a contemplare il giardino ora invaso
da studenti.
«E non
può nemmeno dirmi in chi
si è rincarnata?», chiese piano Franky,
all’ultima spiaggia ormai. «Solo… solo
per vederla una volta.»
«Non posso
Franky. Mi dispiace.»
San Pietro
sospirò afflitto
quando Franky abbassò lo sguardo dispiaciuto, un sorriso
amaro sulle labbra:
lui era il suo pupillo, passavano ore a chiacchierare e amavano ognuno
la
compagnia dell’altro, e non riusciva proprio a vederlo
triste. Purtroppo però
quella volta non poteva farci niente: sapeva quanto Franky fosse legato
alla
sua mamma, ma le regole erano regole e dovevano essere rispettate da
tutti,
anche in un luogo benevolo e pacifico come il Paradiso.
«Non fino a
quando non diventerai
un angelo custode», aggiunse sorridendo. Franky
alzò il viso e speranzoso
ricambiò. «Sei venuto qui per qualche motivo in
particolare?»
«Beh,
ecco… mi chiedevo… So di
essere un ingrato», abbassò lo sguardo.
«Lei crede così tanto in me, io non
faccio mai niente per renderla orgoglioso, in più non studio
mai abbastanza e
non sono mai attento in classe… però volevo
chiederle comunque se poteva
firmarmi un permesso per…»
«Ecco
qua», glielo porse
sorridendo, gli occhi luccicanti.
«È
troppo buono con me», prese il
foglietto di carta gialla, ricambiando il sorriso, pieno di gratitudine.
«Forse. Ma
riconoscere i propri
sbagli e soprattutto esprimermeli è stato un gesto che mi ha
reso molto
orgoglioso di te, Franky», lo rassicurò.
«So che ce la farai, ho fiducia in te.
E ora vai a trovare i tuoi amici.»
«Grazie.
Davvero, grazie mille.»
San Pietro gli fece
l’occhiolino
e Franky si chiuse la porta alle spalle, stringendo fra le mani quel
foglio
firmato da San Pietro in persona. Quando sarebbe passato ai controlli
avrebbe
dovuto aspettare mezz’ora prima che decretassero che quella
firma era autentica
e non un falso.
Sospettosi pure in Paradiso, bah!
***
«Eccoti
finalmente! Dov’eri
finito?!», gridò Kenzie alzandosi dalla panchina e
andandogli incontro con
passi felini, la borsa di pelle nera che le sfiorava il fianco.
«Sono andato
a parlare con San Pietro.»
«Un altro
permesso?», chiese
guardandolo stretto nella sua mano, un po’ infastidita.
«Esattamente»,
Franky le rivolse un sorriso aperto,
superandola.
Si sentiva un
po’ stronzo a
trattarla così, ma nel suo cuore non c’era posto
per lei se avesse voluto
essere più di una semplice amica: quel posto era
già riservato ad un’unica
ragazza, Zoe.
Kenzie
borbottò qualcosa
stringendo i denti e lo seguì, mentre si avviava assieme a
Norbert verso
l’Ufficio di Collegamento, chiamato così per la
sua funzione, ossia quella di
collegare il Paradiso con il mondo dei vivi.
«Tu non hai
mai nessuno a cui far
visita?», le chiese Franky, guardandola con la coda
dell’occhio.
«No»,
voltò il viso offesa e
strinse le braccia al petto.
«E la tua
famiglia?», chiese
allora Norbert.
«Non ho voglia
di vederli: non
glien’è mai importato nulla di me, hanno pianto
solo al mio funerale, poi la
loro vita è ricominciata normalmente»,
sollevò le spalle.
«Ok, come
vuoi. Tu vieni con me, Nor?»
«No amico,
grazie. Domani abbiamo
una verifica importante, ci sono tre capitoli sugli Intrappolati da
studiare,
ricordi?», sogghignò. Franky si portò
una mano alla fronte, chiudendo gli
occhi.
«Me
n’ero dimenticato! Grazie per
avermelo detto! Allora forse è meglio se scappo, eh? Ciao
ragazzi, a domani!»,
gridò con una mano alzata, correndo via.
«Ciao
Franky!», lo salutò
Norbert; Kenzie fece una smorfia e biascicò qualcosa di
molto simile ad un
saluto: gli era andata bene!
Franky scosse la testa
con un
sorriso sulle labbra, sorridendo per non disperarsi: già le
cose erano
complicate, ci mancava solo Kenzie per incasinare tutto maggiormente.
Arrivò
all’Ufficio di
Collegamento e trasse un respiro di sollievo: era un semplice
venerdì, quindi
non c’era molta coda come nei giorni festivi.
Franky si mise dietro ad
una
ragazza grassottella e aspettò il suo turno con il permesso
stretto fra le
mani, facendosi beatamente i cavoli suoi, quando una discussione lo
distrasse e
lo portò a voltare lo sguardo in avanti.
«Il permesso,
signorina», chiese
Miguel, un’agente celeste ormai suo amico, in divisa bianca e
blu, un
cappellino calato sul viso che lasciava solo intravedere i suoi capelli
biondi.
«Ehm…»,
balbettò la ragazza,
tastandosi le tasche del giubbino chiaro e quelle dei jeans.
«Ce l’avevo!»
«Sì,
certo. Ragazzina, non
abbiamo tempo da perdere qui, mi dispiace. Hai il permesso o non ce
l’hai?»
«Io…
io ce l’avevo!», gridò con
le lacrime agli occhi, mentre Miguel la prendeva per le spalle e le
faceva fare
retrofront, permettendo così alla fila di scorrere.
Un ascensore si
riempì e sparì di
sotto; il prossimo sarebbe stato quello che avrebbe preso anche Franky.
Guardò la
ragazza, che tirava su
col naso, asciugandosi il viso dalle lacrime ribelli che le erano
scivolate
lungo le guance, e improvvisamente gli venne in mente Zoe e non
poté lasciarla
andare via così, non poteva.
«Ehi»,
le disse prendendola per
il polso.
«Sì?»,
mormorò la ragazza, alzando
lo sguardo e incrociando gli occhi d’oro liquido –
davvero belli – con quelli
di Franky.
«Senti…»,
Franky guardò il
proprio permesso e poi le fece un sorriso. «Tu ce
l’avevi davvero?»
«Sì
che ce l’avevo! Ma non sono
mai stata molto ordinata…», arrossì.
«Per questa
volta puoi venire con
me, dai.»
«Dici sul
serio?», i suoi occhi
si illuminarono.
«Sì,
dico sul serio.»
«Oddio,
grazie!», gli strinse le
braccia intorno al collo, felice.
Franky
ridacchiò, solleticato in
viso dai suoi corti capelli color miele, rendendosi conto che non
sapeva
nemmeno il nome di quella ragazza; eppure gli era sembrato naturale
aiutarla in
quel momento. Che sentisse già dentro di sé
l’influenza dello spirito dell’angelo
custode?
«Ehm-ehm»,
si
schiarì la voce Miguel, ridacchiando. «Tocca a
voi.»
La ragazza si
staccò di scatto da
Franky, imbarazzata, e le sue guance presero immediatamente colore,
diventando rosse
come ciliegie.
L’agente
celeste si lasciò scappare un sorrisino
e fece l’occhiolino a Franky, che lo spinse sulla
spalla scuotendo
la testa: che aveva capito?!
Salirono
sull’ascensore di vetro
e quando le porte si chiusero iniziarono a scendere fra le nuvole.
Ovviamente
sarebbero stati comunque invisibili, nessun umano sarebbe stato
in grado
di vederli o di vedere un ascensore scendere dal cielo.
«A proposito,
come ti chiami?»,
le chiese Franky, mentre aspettavano di arrivare a destinazione.
«Oh,
è vero!
Io mi chiamo Jole Krüger, molto piacere. Ti sono infinitamente
grata, davvero.»
«Non ti
preoccupare, per me è
stato un piacere. Io mi chiamo Franky, comunque. È la prima
volta che scendi?»
«Sì»,
sussurrò abbassando lo
sguardo, fissandosi i piedi.
«Ok. E chi vai
a trovare?»
«T…
una persona», balbettò,
correggendosi immediatamente.
Franky rimase in
silenzio per
tutto il resto del tragitto, senza sapere che altro chiedere, visto che
lei
sembrava così timida e riservata. Ma forse era solo
morta da poco e
doveva ancora accettare tutto quello, e parlarne per la prima volta con
uno
sconosciuto non doveva essere proprio il massimo.
Semplicemente
rispettò il suo
silenzio, pensando a Zoe, che avrebbe rivisto di lì a poco.
____________________________________
‘Giorno,
gente!
Ho il
raffreddore, accidenti, e mi sento abbastanza intontita, ma non potevo
non
lasciarvi il capitolo di Franky! *-* Finalmente il mio bimbo torna in
scena! Ora
siamo in Paradiso ( [Di sopra] xD ) e accanto a lui ci sono dei nuovi
personaggi che mi piacciono tanto e che spero piacciano anche a voi u.u
Anche questo,
come il capitolo precedente, è un po’ da
introduzione ^-^
Fatemi
sapere in tanti che ne pensate, mi raccomando!
Ringrazio,
per le recensioni allo scorso capitolo:
Deeper_and_Deeper: Grazie mille! (:
Utopy:
Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa *-* Grazie, danke, mercì! Sono
contentissima che tu ti
sia innamorata di QUESTA storia, davvero davverissimo! *-* Franky,
però, è MIO
U.U XD Se ti è piaciuto tanto lo scorso capitolo, poss ben
sperare che questo
ti sia piaciuto il doppio, vero? u.u Sono una ragazza con poche
preteseeeeeee
*ç* Grazie, davvero! Ti voglio tantissimissimo bene,
ranocchietta MIA!! La Storia
è TUA xD
Isis 88: Yeah,
in questo capitolo Franky torna! ;D Spero ti sia piaciuto! Grazie
mille, alla
prossima!
eleonor483:
Sono contenta di essere riuscita ad incanalare bene in voi le
sensazioni dei
ragazzi ^-^ Grazie mille, baci!
Poi non
posso non ringraziare quelle persone che hanno già messo
questa storia fra le
preferite e le seguite, mi fa tantissimissimissimo piacere! *-*
Grazie a
tutti, anche a chi legge soltanto, alla prossima! Con affetto, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 3 *** Afraid of love ***
3. Afraid
of love
[Di sotto]
Zoe grattò la
ceramica della
propria tazza di cioccolata calda con le unghie, lo sguardo basso e
sfuggente,
immersa in mille e più pensieri.
Bill la
osservò di sottecchi,
chiedendosi se fra i suoi pensieri ci fosse Franky, la causa di tutto
il dolore
che aveva provato in quel mesi, la causa di tutte le lacrime che
aveva
versato, anche addosso a loro.
Sospirò
leggermente e il gemello
lo guardò interrogativo, come fece poco dopo anche la stessa
Zoe, che fece un
sorrisetto da bambina, dolce e tenero, che gli sciolse il cuore
all’istante.
«Possiamo
andare?», chiese.
«Sì,
andiamo», annuì Tom
prendendo anche la sua tazza vuota e poggiandola nel lavandino.
«Bill non stare
lì imbambolato, dobbiamo andare.»
Bill scosse
la testa e si girò sulla sedia, lo guardò in viso
accigliato: «E dove?»
«Andiamo a
trovare Franky», gli
disse piano Zoe, passandogli una mano sulle spalle.
A quel contatto lui
rabbrividì,
ogni suoi singola terminazione nervosa lo avvertì che
qualcosa stava cambiando
in lui: qualcosa nel suo cuore stava cambiando per lei, per quella
ragazzina. O
era già cambiato. O era sempre stato così.
Poteva essere benissimo
una sua
impressione, poteva aver frainteso tutto, però era
già un po’ di tempo che si
sentiva strano quando si trovava accanto a lei, che sentiva quei
brividi ogni
volta che si sfioravano, che sentiva un nodo salirgli in gola quando si
parlavano, che nel suo stomaco si libravano milioni di farfalline nate
chissà
come e perché.
Tutti quei sintomi
avevano
un’unica risposta, lui la sapeva, e bene anche, ma quella era
Zoe… e non poteva
stare con lei. Era solo una ragazzina! O forse, che fosse piccola, non
era la
causa principale della sua reticenza a quel sentimento.
Si alzò e le
rivolse un sorriso,
poi andò di sopra a cambiarsi, senza pensarci ancora. Era
così strana quella
situazione che se ci pensava gli veniva il mal di testa e un grande
senso di
colpa gli attanagliava il cuore: come poteva essersi innamorato di Zoe,
la
ragazza di Franky?
«Bill, non
metterci tre ore!»,
gli gridò Tom dal piano inferiore; Bill gli fece il verso
con una smorfia.
***
Tom sospirò
sprofondando nel divano
e le indicò di venire a sedersi al suo fianco. Zoe si
lasciò avvolgere le
spalle dal suo braccio, sorridendogli e appoggiando la testa al suo
petto.
Stava bene lì
con lui, in quel
momento. Di solito quando era con lui non pensava quasi mai a Franky e
le
pareva pure che tutto fosse normale, che non fosse mai accaduto niente
di tutto
quello che invece in realtà era successo. Quel giorno
però faceva davvero
fatica ad accantonare il passato dal presente, non ci riusciva proprio,
ma lì
fra le sue braccia si sentiva sicura e soprattutto non più
sola.
«Novità?»,
le chiese piano,
mentre con una mano le accarezzava i capelli.
«Niente di
che», rispose con
un’alzatina di spalle.
«Sicura? Credo
di conoscerti
abbastanza bene ormai da capire quando succede qualcosa oppure no. Ne
vuoi parlare?»,
la guardò in viso, spostandole i capelli dalla spalla
sinistra.
«No, solo
che…», abbassò lo
sguardo, torturandosi le mani. «Forse Heinz viene a stare da
noi, ecco.»
«Il compagno
di tua mamma?»
«Esattamente»,
sospirò. «Tom, non
ti sembra un po’ troppo presto? Insomma… sono solo
cinque mesi che si
frequentano…»
Tom sorrise piano,
sollevandole
il viso e guardandola negli occhi azzurri: «Tua mamma ti
sembra felice?»
«Sì,
ma…»
Tom in silenzio chiuse
gli occhi,
le mise un dito sulle labbra, poi li riaprì e
continuò: «E tu non sei felice se
lei lo è?»
«Sì»,
sospirò. «Tu hai ragione,
io ho torto, come sempre.»
«Io non detto
questo…»
Ma Zoe era
già partita, non
poteva fermarla, né farsi ascoltare in alcun modo: quando
faceva così era tale
e quale a Bill, accidenti!
«Io non sono
ancora pronta ad un
altro uomo nella mia vita. Cioè, un altro uomo
come… nel senso di… padre. E non
voglio che mia mamma soffra, se dovesse andare male. È
davvero troppo presto!
Io non voglio che venga a stare da noi, no. Però tu hai
ragione, sì, perché se
lei è felice non dovrei metterle i bastoni fra le ruote ed
essere così egoista.
Solo che…»
Zoe non
riuscì a finire, travolta
da un abbraccio di Tom, che la strinse forte al suo petto, appoggiando
il mento
alla sua testa: si sentì infinitamente piccola in confronto
a lui, in quel
momento, tanto che strinse i pugni sulla sua schiena e chiuse gli occhi.
«Dici che
forse ho solo paura?»,
sussurrò, il viso premuto contro la sua maglietta.
«Non so che fare… E tu mi
stai soffocando», ridacchiò.
«Scusa»,
Tom rise e sciolse
l’abbraccio, la prese per le spalle e la guardò
negli occhi. «Credo sia normale
avere queste paure. Quello che puoi fare è vedere cosa
sceglie tua madre,
magari parlarne con lei, da sole…»
«Non ti facevo
così saggio,
Kaulitz», sogghignò. Uno spiraglio della vecchia
Zoe, di quella solare e
felice, si fece spazio nell’oscurità e lo fece
sorridere: avrebbe voluto vederla
sempre così, però non era possibile.
«Tu mi
sottovaluti», le sussurrò
malizioso all’orecchio, facendola ridacchiare.
Qualcuno si
schiarì la voce alle
loro spalle: non poteva che essere Bill, l’unico in quella
casa oltre a loro
due. Si staccarono velocemente l’uno dall’altro e
lo guardarono leggermente
imbarazzati; Zoe diventò persino rossa sulle guance.
«Possiamo
andare», borbottò Bill
avviandosi verso l’uscita, infilandosi gli occhiali sul viso.
Tom e Zoe si guardarono
corrugando la fronte e poi sollevarono le spalle all’unisono,
sorridendo.
***
Non era stato carino da
parte
loro aspettare che se ne andasse di sopra a prepararsi per scambiarsi
quelle
effusioni! Se dovevano, potevano benissimo farlo di fronte a lui,
tanto… tanto
non era geloso. No, non era geloso. Non era geloso, giusto?
E allora
perché quando li aveva
visti abbracciati un’improvvisa fitta all’altezza
del petto gli aveva fatto
salire il sangue al cervello? E perché per tutto il viaggio
in macchina non
aveva rivolto la parola a nessuno dei due, mantenendo
quell’espressione
imbronciata?
Avrebbe dovuto parlarne
con Tom,
anche se, come ben sapeva, non era da lui dargli dritte in amore.
Proprio lui
che di amore non ne sapeva un fico secco! Però
l’avrebbe fatto. Forse il giorno
seguente, forse fra vent’anni, ma lo avrebbe fatto.
Scesero dall'auto
in
silenzio e Zoe rimase ferma di fronte al grande cancello del cimitero
stretta
nelle spalle, gli occhi lucidi. Poi fece un respiro profondo e fece
qualche
passo, ma poco prima di entrare si ricordò dei fiori. Si
girò e guardò i
gemelli:
«Dobbiamo…
cambiare i fiori?»
Uscì
più come
una domanda che come un’affermazione, infatti Bill e Tom
annuirono e la
scortarono dal fiorista all’altro lato della strada. Per Zoe
quella sarebbe
stata la prima volta in sei mesi: dopo il suo funerale non era mai
andata a
trovarlo, non ne aveva mai avuta la forza.
Restarono diversi minuti
in
silenzio a guardare i diversi mazzi già pronti, sotto lo
sguardo della signora
dai capelli grigi che si occupava del banchetto, e alla fine Tom, visto
che Zoe
non ne aveva la più pallida idea, prese il solito mazzo di
fiori bianchi.
«Grazie e
arrivederci», li salutò
la signora con un sorriso.
Bill
rabbrividì: come poteva
sorridere e vivere con i soldi di persone che compravano fiori da
lasciare
sulle tombe dei defunti?
Poi guardò Zoe,
ancora ferma lì, che
sfiorava con le dita una rosa rossa, lo sguardo spento perso
chissà dove.
«Se vuoi puoi
prenderla, tesoro»,
le disse l’anziana, stringendole la mano. Zoe fece un debole
sorriso e la prese
dal vaso, se la portò al petto come se fosse la cosa
più cara che avesse e li
raggiunse.
Camminarono in silenzio
sotto la
pioggia fine, ascoltando il rumore dei loro passi sulla ghiaia, fra
tutte
quelle lapidi di marmo o di semplice granito.
Zoe si guardava intorno,
il cuore
stretto in una morsa d’acciaio: aveva paura di rivederlo,
aveva paura di tutto
in quel momento. Non sapeva se ce l’avrebbe fatta, anche per
questo aveva
voluto che ci fossero anche Bill e Tom. Si sarebbe poggiata su di loro,
se le
forze accumulate in sei mesi non fossero bastate.
Non le piaceva
appoggiarsi sempre
a loro per le proprie difficoltà, ma non poteva fare
altrimenti: non aveva
nessun altro e da sola non poteva farcela. Era un ostacolo ancora
troppo grande
da superare quello di camminare con le sue gambe, di soffrire da sola.
Tom si fermò
di fronte alla tomba
di Franky e Zoe ebbe un tuffo al cuore rivedendo quel sorriso
immortalato nella
fotografia incastonata nel marmo bianco e protetta dal vetro.
Le sue labbra tremarono
e non
riuscì ad arrestare le lacrime che iniziarono a scorrerle
lentamente lungo le
guance. Fu un pianto silenzioso però, un pianto che da
troppo tempo era sempre
stato solo rumoroso alle sue orecchie. Quella volta invece no, era
silenzioso,
dolce, triste, era un pianto che liberò quasi del tutto il
suo cuore da ogni
peso.
Non si
appoggiò né a Bill né a
Tom, rimase lì di fronte al sorriso e agli occhi verdi di
Franky, immobile, la
rosa stretta fra le mani. Non aveva spine, esattamente come lei in quei
mesi:
senza alcuna difesa, una facile preda del dolore e della malinconia.
«A Franky non
piacciono nemmeno i
fiori», disse con un mezzo sorriso guardando Tom mentre
levava quelli vecchi
per mettere quelli nuovi.
«Lo
immaginavo.»
Zoe si
inginocchiò all’altezza
della foto e la sfiorò con le dita, asciugando il vetro
dalle gocce di pioggia.
Quanto le
mancava… Troppo. Lo voleva
di nuovo accanto a sé, voleva che non fosse mai andato via.
Voleva che il
destino non gliel’avesse strappato dalle braccia. Voleva
poterlo stringere
ancora, voleva poterlo baciare, voleva poter fare ancora
l’amore con lui. Lo
voleva e basta.
Appoggiò la
rosa rossa sotto la
foto, come segno del suo passaggio, e sorrise alzandosi.
Ti amo, Franky. Ti amo e non
smetterò mai di farlo,
pensò prima di prendere
il braccio di Bill e di tornare alla macchina di Tom.
***
«Perfetto,
mamma è a cena con
Heinz», sbuffò Zoe nei sedili posteriori della
Cadillac.
«Se vuoi puoi
restare a cena da
noi, allora», propose Tom.
«Sì,
grazie. Non ho voglia di
stare a casa da sola, sinceramente. Per te va bene, Bill?»
Bill guardava
distrattamente
fuori dal finestrino, sul suo pianeta, e non aveva sentito niente di
tutto
quello che si erano detti lei e suo fratello.
«Ehi,
Bill!», lo chiamò il
gemello, schioccandogli le dita nell’orecchio. Bill
sobbalzò e si girò verso di
lui, lo sguardo interrogativo. «Zoe ha chiesto se per te va
bene se resta a
cena da noi.»
«Ah!
Sì, certo che per me va bene»,
le sorrise. Zoe ricambiò abbassando lo sguardo, arrossendo
leggermente sulle
guance.
Arrivarono
all’appartamento e Zoe
si lasciò cullare anche dalle braccia di Georg e Gustav, poi
ritrovò la borsa a
tracolla abbandonata nel salotto, la prese e si mise sul tavolino a
fare degli
stupidissimi esercizi di matematica che sicuramente non avrebbero mai
avuto
un’utilità nella sua vita e che non
l’avrebbero comunque aiutata a cancellare
il debito che presumeva già d’avere.
Tom in un primo momento
si era
messo a guardare la tv sul divano, facendole compagnia con la propria
presenza,
poi aveva pensato bene di andare a farsi una doccia.
«Vai vai, se
no poi puzzi», rise
Zoe, dandogli una pacca sulla gamba.
«Io non puzzo
mai», le fece una
linguaccia, scontrandosi con il gemello che più serio di
così non poteva
essere.
«Che
hai?», gli chiese.
«Io e te
dobbiamo parlare,
muoviti», Bill lo prese per il colletto della felpa e lo
trascinò al piano superiore
insieme a lui.
Lo portò in
bagno e si chiuse la
porta alle spalle, facendo un giro di chiave. Tom lo guardò
un po’ spaventato,
portandosi le mani di fronte al petto.
«Bill, io ti
voglio bene, ma non in questo modo!»
«Ma che cosa
hai capito, idiota?!
Non ho detto che ti voglio stuprare, ma che dobbiamo parlare. Mi
sembrano due
concetti ben diversi fra loro!»
«E di cosa
dobbiamo parlare?»
Bill fece un respiro
profondo,
sentendosi uno stupido megagalattico: doveva essere proprio cotto se
arrivava a
quei livelli!
«Tu e
Zoe…»
«Sì?
Io e Zoe cosa?»
«Ma vedi?! In
questi momenti la
telepatia fra gemelli dove va a finire?!»
«Stai tentando
di chiedermi, in
un modo alquanto assurdo e con reazioni da prima donna isterica, se tra
me e
Zoe c’è qualcosa di più di una semplice
amicizia?»
«Oh,
alleluia!»
«No! Ma come
ti è saltato in
mente?»
«Beh, sai, mi
salta in mente se
vi vedo per il novanta per cento del tempo abbracciati, o a sorridervi
e a
lanciarvi le occhiatine oppure a comportarvi come se foste una
coppietta
felice!»
Non aveva più
fiato e aveva gli
occhi sgranati, Tom stentava a riconoscerlo: che cosa gli stava
prendendo? Che
fosse…
«Aspetta un
attimo, per favore»,
il chitarrista chiuse gli occhi, portandosi le mani alle tempie,
massaggiandosele. «Allora, per prima cosa: io e Zoe siamo
solo ed unicamente
amici. Secondo: non è che tu sei geloso?»
«Geloso?!
Geloso, io?!
Ma va’, che vai a pensare?!»,
ridacchiò nervosamente.
«Sei geloso
marcio. Ti sei preso una cotta per Zoe? Da quando?!»
«No,
io… Non lo so!», si prese la
testa fra le mani, sedendosi sul bordo della vasca. «Non ci
capisco più niente,
Tomi!»
Tom sospirò
roteando gli occhi al
soffitto, sperando che quella storia non finisse per creare ulteriori
casini
nella vita di Zoe, e si mise seduto di fianco a lui.
«Bill, non ho
la più pallida idea
di cosa dirti.»
«Certo, come
al solito sei molto
d’aiuto», bofonchiò.
«Però
almeno sono sincero»,
sollevò le spalle. «E sono sempre al tuo
fianco.»
Bill sollevò
lo sguardo e
sorrise: il suo fratellone, il solo ed unico. Gli gettò le
braccia al collo in
uno dei suoi abbracci stritolatori:
«Grazie
Tomi.»
***
«Dai, la pasta
non era tanto
male!», rise Zoe sistemando i piatti nella lavastoviglie,
aiutata da Bill.
Chissà come mai si era offerto per aiutarla… Di
solito lui non faceva mai niente!
«No, era
solamente… disgustosa!
Se volevi avvelenarci ci sei quasi riuscita!»,
gridò Tom dal salotto, dove si
era spaparanzato sul divano, di fronte alla tv, accanto a Georg, mentre
Gustav
era andato a farsi una doccia.
«Faceva
così schifo?», chiese allora
a Bill, che ridacchiò sollevando lo sguardo sul suo viso.
«Era
leggermente incollata ed
insipida…»
«Immangiabile!»,
gridò ancora
Tom.
«Stai zitto,
Tom! Uffi, io che
volevo fare una cosa carina… ho combinato il solito
disastro.»
«Dai Zoe,
è il pensiero che
conta.»
«E il mio
apparato digerente a
risentirne!»
«Se hai
così tanti problemi, Tom,
vai a cagare!»
«Penso ci
andrò!», rise.
«Strano
però», disse Bill
appoggiandosi al piano della cucina.
«Che
cosa?», chiese Zoe spingendo
dentro il cestello e chiudendo la lavastoviglie.
«Di solito le
ragazze sanno cucinare.»
«Io sono
negata, davvero. Ogni
volta che Franky veniva a casa mia cucinava sempre
lui…», la sua voce era
diminuita sempre di più, fino a diventare un sussurro
udibile a stento da Bill,
che era al suo fianco.
«Sembra
passato così tanto tempo»,
disse ancora, sollevando lo sguardo su di lui, incerto sul da farsi.
«E ne
è passato, di tempo.»
«Già…»
Fra loro cadde un
pesante
silenzio e si sentì soltanto la televisione accesa in
salotto, pure Tom si era
azzittito. Bill si schiarì la voce e Zoe sospirò
stringendosi nelle spalle.
«Forse
è
meglio che torni a casa, domani è un altro giorno di
scuola…»
«Ok, ti
accompagno io», si offrì
lui, uscendo dalla cucina per andare a mettersi le scarpe di sopra.
Zoe andò in
salotto e vide Tom
con gli occhi chiusi sul divano. Che si fosse addormentato per davvero?
Gli
passò una mano di fronte al viso e ridacchiando dedusse che
sì, si era
addormentato veramente. Sorrise addolcita, fissando la sua espressione
serena.
Lui era un po’
il fratello
maggiore che non aveva mai avuto, quello che la proteggeva e la
rassicurava,
quello da cui andare quando c’erano dei problemi e quando
aveva bisogno di
parlare.
Si chinò su
di lui e gli diede un
bacio sulla fronte, accarezzandogli le treccine.
«Ti voglio
bene, Kaulitz»,
sussurrò sorridendo.
«Ehi? Non
vorrei dire, ma ci sono
anch’io qui», disse Georg aprendo le braccia per
farsi notare; Zoe arrossì di
colpo e si coprì la bocca con le mani per non svegliare Tom.
«Scusa.
È ovvio che voglio bene
anche a te.»
Poco dopo Bill fece la
sua
comparsa nel salotto e la vide accanto alla porta, pronta per andare,
con la
borsa a tracolla sulla spalla. Gli sorrise appena lo vide e Bill venne
percosso
da un brivido, poi la raggiunse.
«Ciao
Georg!», salutò Zoe
ridacchiando.
«Ciao, buona
notte!»
Scesero nei garage
sotterranei
del palazzo, si infilarono nella macchina di Bill e uscirono nel buio
della
notte, fra le strade poco affollate di Amburgo, diretti verso casa di
Zoe,
nella zona periferica della città.
Passarono più
o meno tutto il
viaggio in silenzio: Bill perché non sapeva cosa dire, Zoe
perché si soffermava
a guardare fuori dal finestrino la luna che nel suo spettacolo recitava
col suo
sipario di nuvole che leggere la coprivano e la rivelavano grazie al
vento.
Quando finalmente
arrivarono
sotto casa sua, Zoe si girò verso Bill e gli sorrise:
«Grazie.»
«E di che
cosa?»
«Per essermi
stati vicini oggi. È
stato… piuttosto difficile, ma ce l’ho fatta,
grazie a voi. E poi grazie a te,
per avermi accompagnata a casa.»
«Non devi
ringraziarci», ricambiò
il sorriso.
Avvicinò la
mano al suo viso e le
sfiorò la guancia con le nocche, poi si avvicinò
a lei e respirando il suo
profumo le posò un bacio sulla guancia, morendo dalla voglia
di baciarla sulle
labbra. Ma non poteva, non ancora.
Zoe arrossì e
sorrise fugacemente
uscendo dall’abitacolo, lo salutò con la mano e si
chiuse il portone alle
spalle.
Si sentiva tutto un
fremito, era
corsa su per le scale con uno strano sorriso sulle labbra e quando si
era trovata
nel silenzio della casa – sua madre doveva già
essere andata a dormire – non ne
aveva fatto un dramma. Non sapeva cosa le succedeva, ma non era una
bella
sensazione.
Si
chiuse in camera sua,
si
infilò fra le coperte e si coprì il viso fino
agli occhi, che iniziarono a
lacrimarle. Di tristezza, di malinconia… ma anche di gioia,
perché Bill con un
semplice e stupidissimo bacio sulla guancia le aveva fatto sentire le
farfalle
nello stomaco.
Lacrime di colpevolezza.
Erano passati solo sei
mesi dalla
scomparsa di Franky e non poteva pensare già ad un altro
ragazzo, che fra
l’altro era… Bill.
Quello che prima di
conoscerlo
odiava profondamente e prendeva in giro insieme a Franky. Quello che
assieme a
suo fratello Tom riusciva a farla sorridere. Quello che era uno dei
suoi più
cari amici…
Si
raggomitolò sotto le coperte e
spense la luce, chiedendosi se mai avrebbe avuto una giornata normale,
senza
accumulare casini su casini.
________________________________________
Buongiorno gente! *-*
Oggi
sono di buon umore, anche se la neve qui a Milano ci
seppellirà tutti xD
Bene,
bene, siamo al terzo capitolo e siamo tornati di sotto! Ancora per un
po’ sarà
così, con “di sopra” e “di
sotto”, abbiate pazienza xD
Okay, spero
vi sia piaciuto e fatemi sapere in tanti che cosa ne pensate! ;D
Ringrazio
le persone che hanno lasciato una recensione allo scorso capitolo:
Utopy:
Credo che questo capitolo ti abbia sconvolto i piani, anche se te
l’ho detto
subito che non saremmo stati “di sopra” xD Beh,
spero che anche questo ti sia
piaciuto però! Non ne dubito, visto che ami questa storia
*_________________*
Nel
prossimo capitolo però ti prometto che ci sarà
Jole e che Franky incontrerà Tom
u.u Parola d’onore! :D
Grazie
mille di tutto *-* Ti voglio tantissimo bene fatina, davvero assai
tanto! ©
Isis 88:
Ciao! ^-^ Beh, però San Pietro ( Amo quell’uomo
*ç* ) ha detto “fino a quando
non diventerai un angelo custode…” xD
Oddio,
adoro quando le persone si fanno i film e me li raccontano *____*
Grazie
davvero, mi hai fatta molto felice scrivendomelo!
Eppoi,
eppoi, eppoi... Sì, sicuramente sarà un perfetto
angelo custode, ne vedremo
delle belle! Sono contenta che ti piaccia come abbia descritto le cose,
a volte
mi vengono i lampi di genio *-*
Grazie!
Buon viaggio e buona permanenza a Londra! Baci ^-^
freency:
Ciao cara! *-* Grazie mille davvero, mi fa tantissimo piacere che le
mie storie
ti siano piaciute e anche io trovo che Nothing sia una delle migliori,
ne vado
fiera ;D Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, a presto!
Ringrazio
inoltre tutte le persone che hanno messo questa storia fra le preferite
e le
seguite e chi legge soltanto (: Grazie di cuore!
Al
prossimo mercoledì! Con affetto, vostra
_Pulse_
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Capitolo 4 *** Good dreams ***
4. Good
dreams
[Di sotto]
«Dove
siamo?», chiese spaventata
Jole quando l’ascensore di vetro si bloccò
improvvisamente e le sue porte si
aprirono, mostrando loro una delle navate laterali di una chiesa,
all’ombra
rispetto a quella centrale.
«È
la chiesetta del cimitero,
tranquilla», le sorrise facendole strada lungo la navata
illuminata solamente
dai ceri accesi.
«Ma non ci
possono vedere?», si
guardò intorno, soffermandosi sulle persone sedute sulle
panche che pregavano
sotto la luce delle grandi finestre colorate, rivolte al crocefisso.
«No, siamo
invisibili. E non ci possono nemmeno sentir parlare.»
«Oh,
ok.»
Uscirono
all’aperto e le loro
strade si divisero: Jole lo salutò ringraziandolo,
dicendogli che da lì in poi
si sarebbe arrangiata, e si allontanò, sparendo alla sua
vista; Franky invece
si incamminò fra le tombe, guardandosi i piedi e non
sentendo il rumore dei
propri passi.
Arrivò di
fronte alla propria
lapide e un sorriso gli illuminò il viso: «Mi
hanno cambiato i fiori…» Non gli
erano mai piaciuti, a dire la verità, però gli
faceva piacere il pensiero.
Notò la rosa
rossa appoggiata
sotto la sua foto e corrugò la fronte avvicinandosi e
sfiorandola con le dita,
fin quando non sentì le lacrime pungergli gli occhi pensando
che doveva essere
passata di lì anche Zoe, e quella rosa ne era la prova.
Quanto gli mancava la
sua
piccolina che profumava di fragola e che amava più di ogni
altra cosa al mondo,
sia terreno che ultraterreno.
Sorrise pensandola e si
incamminò
verso casa sua, passando per le strade affollate del centro. Era una
strana
sensazione quella di non essere né visto né
sentito da nessuno, però da un lato
era anche positivo: a Bill e a Tom avrebbe fatto sicuramente comodo,
visto le
orde di ragazzine che si trovavano sempre appresso se mettevano anche
solo un
piede fuori casa.
Una volta arrivato,
rimase a
fissare immobile il suo condominio: lo ricordava bene, e ricordava
altrettanto
bene tutto quello che avevano passato insieme, dal primo
all’ultimo giorno.
Con un po’ di
malinconia
raggiunse il suo piano facendo le scale, proprio come se ancora fosse
in vita, e
attraversò la porta, trovando la casa vuota e silenziosa.
Probabilmente era da
Bill e Tom, come spesso era successo in quel periodo: era felice che
tra loro
si fosse instaurato un così bel rapporto ed era contento del
sostegno che si
stavano dando l’un l’altro. Però aveva
notato qualcosa di strano in Bill,
qualcosa che lo rendeva sia sereno che a disagio. Ma non era il momento
per
pensarci.
Si mise seduto sul letto
di Zoe e
avvicinò il cuscino al viso, aspirandone il profumo dolce:
per lui non era più
come quando era vivo, gli odori li sentiva attutiti, ma quello era
l’unico
svantaggio dell’essere un angelo. Per il resto, poteva
volare, leggere nella
mente delle persone quando e come voleva, non invecchiava...
sostanzialmente
una figata, rispetto a quando era malato.
Si guardò
intorno e fece un
sorriso amaro, sospirando: c’era anche da dire
però, che avrebbe pagato oro per
tornare da Zoe come un tempo, per sentirla sua, per coccolarla, per
rassicurarla; non era la stessa cosa, però non si poteva
lamentare più di
tanto.
Quando sarebbe diventato
un angelo
custode tutto sarebbe stato più semplice. Doveva solo
superare quegli stupidi
esami.
Sentì la
porta di casa aprirsi e
si sporse sul corridoio per accertarsi che fosse Zoe, ma vide sua madre
con Heinz,
che si baciavano impetuosamente.
«Oh-oh, qui
è meglio filarsela»,
ridacchiò ad alta voce, tanto non lo potevano sentire!
«O vedrò cose che non
dovrei vedere.»
Rientrò in
camera e il suo
sguardo venne catturato dal diario di pelle nera che spuntava fuori dal
cassetto del comodino.
Corrugò la fronte
e guardandosi intorno lo prese fra le mani, titubante: era la cosa
migliore da
fare, sbirciare in un oggetto tanto privato?
Sentì i primi
gemiti provenire
dall’altra stanza e si affrettò ad uscire dalla
finestra, borbottando che
potevano aspettare ancora un attimo. Era contento per la mamma di Zoe,
aveva il
diritto di rifarsi una vita con un uomo che l’amava, ma Zoe
non si era ancora
abituata all’idea di avere un nuovo padre e un po’
la poteva capire.
Si mise seduto sul
davanzale,
appoggiato al vetro freddo, e guardò il diario fra le sue
mani: la tentazione
c’era, però... avrebbe potuto benissimo tenerlo
lì chiuso, senza guardarlo.
Però ormai era lì... Fece un grande respiro
profondo e lo aprì, pentendosene quasi
subito, ma ormai i suoi occhi scorrevano sulle parole, sulle righe,
sulle
pagine
quasi autonomamente, senza che lui lo volesse.
È
solo un incubo, domani mi sveglierò e tutto sarà
finito, sparito…
No,
invece, no… NO, NO, NO!
Franky…
Te ne sei andato davvero. Mi hai lasciato davvero… Per
sempre.
In
questo momento vorrei solo raggiungerti, però… ho
paura. Non so come tu abbia
potuto sorridere, sei troppo forte, lo sei sempre stato.
Già
mi manchi, mi manchi da impazzire.
Ti
amo, ti amo, ti amo. Ti amerò sempre.
Chiuse di scatto il
diario e si
portò una mano sul viso, ricacciando indietro le lacrime.
Non aveva mai detto che
andarsene
fosse stato bello, anzi… Quando si era trovato in una stanza
irradiata da una
forte luce aveva pensato a Zoe e a tutte quelle persone che aveva
lasciato
dall’altra parte, sentendosi maledettamente in colpa.
Già si sentiva
nostalgico, avrebbe voluto tornare, ma… non era possibile.
Una donna bellissima e
gentile –
una delle tante segretarie addette all’accoglienza
– lo aveva accompagnato fino
alla “città” e la sua vita era in
qualche modo rincominciata come sulla Terra,
con la scuola e dei nuovi amici, Norbert e Kenzie, anche se era
sostanzialmente
diverso senza tutte quelle persone che aveva amato, che ancora amava e
che
aveva lasciato.
Si era cercato di
consolare
sperando di poter rincontrare sua madre, ma si era trovato di fronte ad
una
realtà che non avrebbe mai immaginato: tutti gli angeli, se
non volevano
diventare angeli custodi, si reincarnavano, e non aveva fatto in tempo
a salutarla
perché era già rinata in un nuovo corpo, partendo
esattamente da zero sulla
Terra.
Il giorno del suo
funerale aveva
avuto il permesso di scendere e di assistere alla cerimonia: quella era
stata
la prima volta in cui aveva rivisto Zoe e tutte le persone a lui care
piangere
per lui di fronte alla sua tomba. Persino Tom si era lasciato scappare
una
lacrima e non se lo era ancora del tutto perdonato – anche
per quella lacrima,
e per tutte le altre versate, aveva deciso di diventare un angelo
custode per poter
stare accanto a tutti loro.
Ricordava bene il
momento in cui
non era più riuscito a resistere e aveva parlato a Zoe. Non
sapeva né come né
perché, ma in quel momento ne era stato inspiegabilmente in
grado ed era stato
bello quanto doloroso, perché aveva letto negli occhi di Zoe
una sofferenza che
non aveva mai visto e che non avrebbe mai voluto vedere. E la causa era
lui,
solo ed esclusivamente lui.
Sentì il
colpo sordo della porta
della camera di Zoe che veniva chiusa e si voltò: scorse
proprio lei che si
guardò intorno spaesata e poi si spogliò
velocemente, gettandosi sul letto,
sotto le coperte. Franky entrò senza far rumore –
anche perché non ne sarebbe
stato comunque in grado – e rimise a posto il diario nel
cassetto del comodino,
poi si avvicinò alla ragazza che aveva amato e che amava e
si accorse che sotto
le coperte stava piangendo, per qualche motivo a lui sconosciuto.
Si mise sdraiato accanto
a lei
con un sorriso amaro sulle labbra e abbracciò quel fagotto
singhiozzante sotto
le coperte, la strinse forte ma ovviamente lei non lo sentì,
come lui non sentì
la stessa sensazione di quando era vivo. Ma continuare a lamentarsi era
inutile.
Rimase lì
accanto a lei in
silenzio fin quando non si addormentò, ad ascoltare i
battiti del suo cuore e
il suo respiro; aspettò anche che sua madre tornasse a letto
dopo una capatina
in bagno, poi si alzò di malavoglia e la osservò
intensamente, lasciando che un
sorriso nascesse sulle sue labbra a quella innocenza. Si
chinò su di lei e le
baciò titubante le labbra: a quel contatto mille brividi gli
percorsero la
schiena e si sentì esattamente come sei mesi prima; inoltre
vide nella propria
testa un pensiero che tormentava Zoe, un bacio sulla guancia che le
aveva dato
Bill sorridendo.
Si scostò,
aprì gli occhi e si
passò le dita sulle labbra, scuotendo la testa, divertito.
E così era questo il problema?
Era per lui che piangevi?
Un improvviso moto di
irritazione
a quel pensiero lo fece muovere più velocemente nella notte
e corse all’appartamento
dei ragazzi. Anche quello lo ricordava bene e con nostalgia,
c’erano troppe
cose che ricordando lo facevano sorridere e gli mancavano quei tempi, i
litigi
con Tom… Ma per quello aveva scoperto che c’era
rimedio.
Raggiunse subito la
camera di
Bill e si ritrovò spiazzato perché lo
trovò sveglio, seduto al davanzale della
finestra, lo sguardo perso nella notte scura. Lo osservò
attentamente e unì le
braccia al petto quando lo vide sospirare ed abbassare lo sguardo. Se
solo
fosse stato vivo, quante gliene avrebbe dette! Sapeva che Bill quando
voleva
era forte come un leone, ma a volte si lasciava sopraffare da stupide
paure che
lo bloccavano.
Si avvicinò
lentamente e si mise
seduto al suo fianco, posò una mano sulla sua e chiuse gli
occhi alle prime
immagini e ai primi pensieri che si fecero spazio nella sua testa: Bill
che
mangiava una pasta non condita, insipida e appiccicosa; Bill che
sorrideva a
Zoe; Bill che aiutava Zoe a caricare la lavastoviglie; Bill che
accompagnava
Zoe a casa e la baciava sulla guancia. La maggior parte delle immagini
erano
concentrate su Zoe e a Franky questo fece male, anche se sapeva che lei
non
poteva più essere sua come un tempo né tantomeno
poteva evitarle di vivere e di
amare di nuovo, se era Bill che voleva. Ma era questo che non
capiva… Perché Bill
era tanto tormentato? Aveva paura di un rifiuto oppure…
Aveva paura di “ferire”
lo stesso Franky?
Scosse la testa e
aprì gli occhi
spezzando quel contatto e portandosi la mano nella tasca della felpa,
insieme
all’altra. Guardò ancora Bill per un istante, poi
si alzò e con la testa ancora
piena di quelle immagini andò nella stanza accanto, dove
trovò Tom che dormiva
scomposto e scoperto nel suo letto matrimoniale. La sua espressione si
rilassò
di fronte a quella tenerezza e si mise sdraiato accanto a lui,
lentamente gli
avvolse un braccio intorno alla vita e fece scontrare le loro fronti,
poi
sorrise creando un sogno. Se era scarso nella teoria, nella pratica era
imbattibile.
Tom si guardò intorno confuso,
chiedendosi dove fosse finito così
all’improvviso e perché: di solito non faceva quel
genere di sogni!
Probabilmente era in un ristorante, visti i
tavoli rotondi ricoperti da
candide tovaglie bianche e con al centro dei candelabri con tanto di
candele
accese; però era un ristorante deserto, c’era solo
lui nel tavolo più
appartato, in un angolo.
Un cameriere sorridente e vestito come un
pinguino si avvicinò a lui:
«Le vostre ordinazioni, signori?», chiese, reggendo
una block notes e una
penna.
«Ahm… Io voglio una
coppa di gelato al cioccolato e fiordilatte, è un
sacco che non lo mangio!»
Tom si girò di scatto, incredulo,
gli occhi sgranati, e notò che
davanti a sé c’era qualcuno, il cui viso
però era nascosto dal menù. Ma la
voce… Quella voce…
Lo tirò giù,
sbattendolo sul tavolo, e rimase senza fiato alla visione
di Franky che gli sorrise e agitò una mano in segno di
saluto.
«Ciao Kaulitz, è molto
che non ci si vede, vero?»
«Fr-Franky»,
balbettò con gli occhi che iniziavano a pizzicargli.
«Sì, proprio io. Che
c’è di strano?»
«Beh, direi
tut–»
«Scusi se la interrompo, ma la sua
ordinazione?», chiese il cameriere,
cortesemente.
«Lo stesso che ha preso
lui», soffiò, per poi rivolgere subito lo sguardo
sul ragazzino di fronte a sé che era rimasto uguale per
tutto quel tempo, che
come nulla fosse giocherellava con il bicchiere.
Il cameriere si allontanò e
Franky si illuminò, guardandolo negli occhi
e sporgendosi sul tavolo, tanto che Tom si spaventò e
automaticamente si
ritrasse.
«Che c’è, ti
faccio paura adesso?», si imbronciò, portando le
braccia
strette al petto.
«No, è che…
Che ci faccio qui? Che ci fai tu qui?»
«È un sogno Thomas,
dovresti saperlo tu!», sogghignò. «Non
ti fa
piacere vedermi?»
«Sì, ma…
Smettila di farmi queste domande! Sei tu che devi rispondere a
me, non il contrario!»
«Io ti ho risposto, mi
pare», sollevò le spalle. «Cosa vorresti
chiedere che non sai già?»
«Beh… Per
esempio… Ora, dove sei? Nel senso…»,
farfugliò agitato,
gesticolando: «Dove…
“abiti”?»
«Tom»,
sospirò. «Io sono dove tu credi che io sia,
perché sono sempre
con voi, in un modo o nell’altro. E comunque dove
“abito” è un’informazione
riservata», ridacchiò.
«Hai pure il coraggio di prendermi
in giro?», sbattè un pugno sul
tavolo, facendo tremare le bottiglie d’acqua e di birra.
«Oh, Tom! Ma mi dici qual
è il tuo problema? Scherzavo sulla mia morte
e non andava bene, ora sono morto e hai la fortuna di farmi partecipare
ad un
tuo sogno e non va bene?! Se vuoi che sparisca per sempre
dimmelo!»
«Non è… non
è quello che volevo dire», abbassò lo
sguardo e nello
stesso istante le due coppe di gelato arrivarono di fronte a loro,
portate
dallo stesso cameriere di prima.
«Buon appetito»,
augurò per poi sparire di nuovo.
Franky si gettò subito sul
cioccolato e Tom lo guardò mangiare
avidamente in silenzio, cercando di trattenere una risata quando vide
che si
stava sporcando tutto come un bambino.
«Mi manchi tanto, sai? Ci
manchi tanto.»
«Anche voi mi mancate tantissimo,
lo sai», sospirò passandosi un
tovagliolo sulle labbra. «Raccontami, come vanno le
cose?»
«Vanno»,
sentenziò indeciso, stringendosi le mani sotto al tavolo.
«Zoe, invece?»
«Tira avanti.»
«Proprio ti sprechi a parlare,
eh… Cazzo, è un sogno! Hai il concetto
di sogno? Se non vuoi che sia un incubo, vedi di stamparti un cazzo di
sorriso
in faccia, altrimenti lo diventerà: mi verrai a fare
compagnia per mano del
sottoscritto. Chiaro?», fece un sorrisetto sfrontato, al
quale Tom rispose con
una smorfia, anche se divertita.
«Non cambi mai,
ragazzino.»
«Nemmeno tu. E deve essere sempre
così.»
«Sai… Forse dovrei
dirti una cosa, anche se è un sogno e so che domani
mattina, quando mi sveglierò, mi sentirò un
completo deficiente, ma… No,
lasciamo perdere.»
«Dai, non mi lanciare il sassolino
per poi riprendertelo! Adesso me lo
dici!» Era quello il punto a cui aveva la massima urgenza
d’arrivare, voleva
sapere se i suoi sospetti erano esatti. Non importava se avrebbe fatto
male o
meno, lui doveva sapere ed essere contento se…
Perché indietro non si poteva
tornare.
«Beh, ecco… Bill e
Zoe… Cioè… Bill…»
Tom continuava a balbettare, si sentiva un
bambinetto stupido,
soprattutto perché non riusciva a dire quella cosa a Franky,
che oltretutto era solo un sogno!
Aveva forse paura di una sua reazione? Di
vedere il velo di tristezza,
di malinconia e di nostalgia che si aspettava calare sul suo viso?
Aveva forse
paura di aver tradito la promessa che gli aveva fatto, non proteggendo
Zoe come
avrebbe dovuto?
«Mi dispiace, Franky. Forse avrei
dovuto starle più vicino, fare che
questo non accadesse, ma…»
«Tom, guardami.»
Tom sollevò il viso e
incontrò il volto sereno di Franky: fu come una
pugnalata in pieno petto, nonostante dovesse solo essere felice se lui
ora
stava bene, anche se era perdutamente ed infinitamente lontano da
loro…
«Che cosa cavolo stai dicendo,
posso saperlo? Proteggerla non vuol dire
soffocarla, chiuderla in una stanza e far sì che non si
faccia del male. Io ti
ho chiesto di prenderti cura di Zoe e fino ad adesso sei stato
impeccabile,
come sono certo che lo sarai anche in futuro. La colpa non è
tua, se lei
ricomincia a vivere… con un altro ragazzo. È
quello che voglio anch’io, te lo
giuro; anche se mi fa un po’ male, è giusto
così.»
Calò uno strano silenzio, anche
imbarazzante, e Franky vide aprirsi una
crepa sul soffitto che non gli piacque per niente. L’unica
spiegazione a quel
fenomeno non gli piacque per niente. Che qualcuno stesse cercando di
entrare
nel sogno dall’esterno, di distruggerlo?
Tom non pareva essersene accorto, in quanto
era girato di spalle, e
Franky mantenne la calma, deglutendo diverse volte.
Calma Franky,
calma… Ci deve
essere una soluzione, ok?
«Franky…», la
voce di Tom uscì in un sussurro, ma Franky la udì
benissimo grazie ai sensi in allerta.
«Che cosa
c’è, Tom?», chiese cercando di essere il
più normale
possibile, nonostante fosse preoccupato e alla ricerca della soluzione
efficace
e più immediata.
«Com’è…
com’è morire?»
Rimase spiazzato alla domanda, poi si
sciolse in un naturale sorriso:
da Tom poteva aspettarsi di tutto, l’aveva capito negli
ultimi mesi della sua
vita. Poteva essere l’idiota e lo sbruffone del gruppo quanto
voleva, ma era
capace di essere davvero un amico, dolce e anche sensibile. Se solo lo
desiderava,
se solo qualcosa o qualcuno gli stava a cuore.
«Non saprei come spiegartelo, Tom.
Non è una sensazione molto piacevole,
perché ovviamente nessuno vorrebbe morire…
Però le signorine dell’accoglienza
sono tutte molto carine.»
«Le… signorine
dell’accoglienza?»,
sgranò gli occhi.
Ops, si maledì mentalmente Franky,
ridacchiando. «Scherzavo, Kaulitz!
Credo che non si possa spiegare a parole, non capiresti… Non
è bello da dire,
ma finché non si prova sulla propria pelle non si
può capire.»
«Uhm… Ok»,
annuì sconsolato.
Franky sollevò lo sguardo sulla
crepa e scoprì che si stava espandendo
a vista d’occhio, ormai era arrivata quasi fino sopra alle
loro teste. Doveva
fare qualcosa, subito.
«Ora devo andare Tom»,
disse frettolosamente, alzandosi in piedi.
«Cosa, perché? E dove
vai?» Lo imitò, seguendolo quando gli
passò
accanto.
Franky si girò, preoccupato che
potesse vedere la
crepa scura, e lo
guardò severamente.
«Questo sogno deve finire,
Tom.»
«No, non voglio!»
«Non posso restare per
sempre!»
Lui assunse un’espressione
arrabbiata e lo abbracciò prendendolo alla
sprovvista, stringendolo forte fra le braccia e appoggiando il mento
alla sua
testa: «Resta Franky, resta», mormorò
sull’orlo del pianto.
Franky sospirò afflitto e
guardò la crepa che continuava imperterrita
ad ingrandirsi sotto il suo sguardo, provocandogli una strana
sensazione di
malessere.
«Mi dispiace Tom, devo andare.
Stammi bene, ok?», gli sussurrò prima di
chiudere gli occhi e di svanire lentamente fra le sue braccia.
L’ultima parola
che sentì, prima di uscire dal sogno che iniziava a
deformarsi, fu il suo nome,
gridato ripetutamente da una voce… ferita.
Riaprì gli
occhi infastidito, teso
come una corda di violino, e scattò seduto sul letto,
trovandosi di fronte
Jole.
«E tu che ci
fai qui?», sollevò
il sopracciglio, indagatore: che avesse cercato davvero lei di
irrompere nel
sogno?
Jole non rispose, lo
sguardo
spiritato fisso sul viso inespressivo di Tom, che probabilmente stava
ancora
sognando.
Una smorfia di rabbia le
contrasse
il viso chiaro e Franky reagì di riflesso, proteggendo Tom
dalle sue unghie che
si erano improvvisamente allungate e che erano pericolosamente vicine
al suo petto.
La spinse via con forza
e si
guardarono in cagnesco, poi lei si gettò addosso a lui
mostrando i denti,
aggrappandosi al suo collo con le mani. Franky la spinse contro al muro
e le
fece sbattere la schiena, fin quando lei non sogghignò e
perse consistenza,
finendo dall’altra parte del muro e colpendolo di sorpresa
con uno schiaffo in
viso.
Quella non era Jole, la
ragazza
timida e riservata di quel pomeriggio. Non poteva essere davvero lei,
c’era
qualcosa che non andava! Che cosa le stava succedendo?
Comunque, non poteva
lasciare che
facesse del male a Tom e inoltre stava iniziando a dargli noia.
«Io non mi
batto con le ragazze,
ma tu mi hai stufato!», la prese per le spalle e le
tirò una testata, facendola
svenire fra le sue braccia.
«Testa
dura», mugugnò
portandosela sulla spalla e trascinandola via da lì, prima
che si svegliasse e
avesse un altro raptus.
Uscì dalla
finestra e saltò nel
bel mezzo del giardino. Appoggiò Jole fra l’erba
fresca della notte e la guardò
dall’alto, portandosi le mani sui fianchi.
Chissà che
cosa le era preso. E
poi, perché era così arrabbiata con Tom? La
conosceva? Che le aveva fatto?
Si
inginocchiò ad osservarla
meglio e vide una macchia scura sulla pelle diafana, sul petto, che
pian piano
si ritirò sotto la camicetta.
Non aveva mai visto
nulla del
genere: magari se avesse studiato un po’ di più la
teoria, invece di
focalizzare tutta la sua attenzione sulla pratica, avrebbe saputo
qualcosa di
più.
Non poteva lasciarla
lì a vagare
sul mondo dei vivi, doveva tenerla d’occhio anche solo per
evitare che
attaccasse di nuovo Tom; così non poté far altro
che sedersi non molto distante
da lei, sui gradini all’entrata del palazzo, ed aspettare che
si svegliasse.
Si passò le
mani sul viso e
respirò profondamente, pensando alla chiacchierata con Tom.
Si erano incontrati
in sogno già altre volte, ma Franky era stato ben attento a
non fargli
ricordare nulla la mattina dopo, al risveglio. Quella volta invece non
ne aveva
avuto il tempo: chissà come si sarebbe sentito il
chitarrista, sicuramente non
sarebbe andato in giro saltellando, soprattutto visto il loro saluto
brusco.
I sensi di colpa
– a volte anche
ingiustificati – erano ormai all’ordine del giorno
per lui, perché qualunque
cosa facesse o non facesse, era causa di dolore per tutte le persone
che gli
volevano bene. Aveva imparato a convivere con queste sgradevoli
sensazioni, ma
a volte era troppo, davvero troppo da sopportare. Era anche per quel
motivo che
la maggior parte degli angeli decidevano di reincarnarsi, quando non
diventavano
dei custodi.
Pensò alle
parole incerte di Tom
che comunque avevano confermato i suoi sospetti: Bill si era preso una
cotta
per Zoe, chissà da quanto, e lei molto probabilmente si
sentiva insicura e allo
stesso tempo contraccambiava perché era debole e aveva
bisogno di qualcuno con
cui ricominciare.
Ora che ne era sicuro,
che cosa
sentiva? Aveva una maledetta voglia di piangere, perché dopo
tutta la fatica
che aveva fatto per conquistarla, per farla sua, aveva passato la
maggior parte
del tempo a star male; non si era goduto pienamente il loro tempo,
già scarso.
Non solo lui era stato strappato via da lei, ma lei era stata strappata
via da
lui, separati da qualcosa di più forte e di incontrastabile.
Con il tempo aveva anche
imparato
ad accettare che quello era il suo destino, ma non era per niente
semplice.
Nulla era semplice, una volta presi alla sprovvista dalla morte,
soprattutto
perché dopo di essa c’era ancora qualcosa.
Comunque, non voleva che
Zoe
stesse male e che fosse infelice; anche se si sentiva demoralizzato e
triste,
doveva sforzarsi ed essere contento per lei, perché non
voleva nulla di più che
la sua felicità. E se Bill fosse
stato in grado di farla
sorridere sempre,
gliene sarebbe stato infinitamente grato.
Alzò il viso
e vide Jole svegliarsi,
aprire gli occhi lentamente e guardarsi intorno, tirandosi
immediatamente
seduta, allarmata.
«Ti sei
calmata?», chiese Franky
unendo le mani, i gomiti sulle ginocchia.
«Che
cos’è
successo, che ci faccio qui?»
«Ci siamo
picchiati, in poche
parole. E io ti ho fatta svenire con una testata», le
spiegò sogghignando,
mentre lei si portava una mano alla fronte dolorante. «Hai la
testa dura.»
«Simpatico…
Ma perché ci siamo picchiati?»
«Non te lo
ricordi davvero?» In
effetti, doveva aspettarselo: in quel momento non era lei, era una
persona
completamente diversa… come se la parte cattiva di lei
avesse preso il
sopravvento su quella buona.
Jole scosse la testa,
dispiaciuta. Franky si alzò e le porse la mano, lei sorrise
debolmente e la
prese, si alzò da terra e lo guardò in viso,
biascicando un timido «grazie»
arrossendo sulle guance.
No, decisamente quella
con la
quale si era battuto non era la vera Jole: era la sua parte malvagia
che chissà
come mai aveva preso il sopravvento. Avrebbe davvero fatto meglio a
seguire le
lezioni, invece di giocherellare o di pensare a cosa stessero facendo i
suoi
amici al piano inferiore.
A proposito di lezioni e
di
scuola…
«La
verifica!», gridò
terrorizzato, schiaffandosi una mano sulla fronte.
«Che…
che verifica?», chiese Jole.
«Domani ho una
verifica
importantissima, se non prendo un bel voto sono fritto!
Vieni», la prese per
mano e se la trascinò dietro.
«Ma…
Dove andiamo?»
«Di sopra!
Devo ancora studiare!»
___________________________________________
Oh oh
oh, iniziamo ad entrare nel vivo della vicenda! xD
Spero vi
sia piaciuto, è uno dei miei preferiti per ora *-*
Vorrei tanto
sapere che ne pensate di Jole, se vi ricorda qualcuno che è
comparso molto
fugacemente in Nothing
to lose e… Secondo
voi perché ce l’ha con Tom? Ipotizzate! xD Vorrei
sapere da voi, vorrei
scoprire che ne pensate *-* Io per queste cose schizzo, mi piace quando
le
persone si fanno i film xD
Bene,
ringrazio già tutti in anticipo perché so che mi
farete felice ;D
Ma la
parte indiscutibilmente migliore è quella del sogno, in cui
Franky si incontra
con Tom, vero? xD Beh, lascio decidere voi! Io passo a ringraziare le
persone
che hanno recensito lo scorso capitolo:
Utopy:
Buongiorno xD Tu in questo momento sei a Roma, sei partita ieri e
quando
leggerai queste cose sarai di nuovo con me *-* Non vedo
l’ora, cacchio -.-“
Sono felice per te, ma sono fondamentalmente egoista e ti vorrei sempre
con me
xD Mi manchi un macello bordello :’(
Comunque
sia, questo capitolo l’hai letto prima di partire
perché te l’ho passato e so
già quello che pensi, ma ovviamente la tua recensione non
può mancare u.u Sii
ligia al dovere, al tuo ritorno xD
Grazie
di tutto! Ti voglio tantissimissimo bene, Mond! Da impazzire *-*
Tokietta86:
Grazie mille! Sono contenta che ti piaccia questa storia! In effetti
Bill è
molto tenero *ç* Grazie!
Isis 88: Hello!
:) Ben tornata! Anche io devo andare in England quest’estate
con la scuola,
sono emozionatissima *-*
Tornando
a parlare del capitolo xD Sarà un bel casino, sul serio o.o
Non voglio
anticipare nulla però xD Staremo a vedere. Poverino il
cervellino di Zoe e
poveri i suoi neuroni xD
David…
David l’ho dimenticato >////< No, scherzo! Ci
sarà anche lui, prima o
poi! Quando si calmeranno un po’ le acque u.u Non ti
preoccupare!
Tom come
fratello maggiore mi esce sempre dolce dolcissimo *-* Speriamo sia
così anche
nella realtà xD Ma vedrai che cosa combinerà,
anzi che cos’ha combinato…
*Risata malefica xD*
Alla
prossima, baci e grazie!
Ringrazio
tantissimo anche chi ha messo questa FF fra le preferite, le seguite e
le
ricordate!
E poi
anche chi legge soltanto! Grazie davvero di cuore!
Al
prossimo capitolo, con affetto vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 5 *** Jole's past and Souls ***
5. Jole’s past and Souls
[Di sopra]
«Mi dai un bacio?»
Un bacio. Chiedeva solo
quello,
un bacio. Un bacio che mai aveva avuto.
Gliel’aveva
chiesto molte volte,
alla fine di ogni notte di passione, quasi supplicandolo senza darlo a
vedere.
Il suo cuore lo implorava, perché ne aveva bisogno,
perché era intrappolato in
quel gioco in cui non si divertiva più.
All’inizio era
stato così, era
tutto un gioco, ma poi qualcosa era cambiato e lentamente si era
trasformato
in… non sapeva nemmeno lei come, in amore.
Amore incondizionato.
Era stanca di fare solo
la
groupie, voleva qualcosa di più da lui, qualcosa che sapeva
anche lei sarebbe
stato difficile se non impossibile ottenere.
«Io ti riempio di baci»,
le aveva sussurrato, posandole un bacio
sul collo, distruggendola.
Un bacio sulle labbra.
Voleva solo ed unicamente un bacio sulle labbra. Non
l’aveva mai avuto. E non lo avrebbe più potuto
avere.
Gli aveva chiesto
più volte se
potevano vedersi anche al di fuori di una camera da letto, ma la sua
risposta
era sempre stato un «No» deciso. Solo una volta le
aveva dato quella falsa
speranza.
Gli aveva mandato
l’ennesimo
messaggio, ormai senza speranze, solo per forza di abitudine, e poco
dopo,
incredula, aveva letto la sua risposta, il cuore che le batteva
impazzito in
mezzo al petto:
Ci
vediamo tra mezz’ora al bar del centro commerciale.
Ci aveva messo un sacco
a
prepararsi, ma poi aveva optato per un paio di jeans e una felpa blu,
per
estraniarsi sempre di più da quell’immagine errata
che aveva dato di sé per
mostrarsi più grande, forte e matura, sentendosi
però una bambina disorientata.
Era arrivata
lì in orario e si
era seduta ad uno dei tavolini all’interno, di fianco alla
vetrata dalla quale
poteva vedere le vetrine dei negozi di fronte a sé,
aspettandolo con il cuore
in fibrillazione.
I minuti non sembravano
passare
mai, erano ore; lei aveva ordinato una birra, poi un’altra.
Era passata
mezz’ora, ma di lui nemmeno l’ombra.
Quando stava per
abbandonare la
testa al tavolino, dandosi della stupida per la sua
ingenuità, l’aveva visto
passare attraverso la vetrata: era assieme ad una ragazzina mora, occhi
azzurri
mozzafiato, minuta e con i lineamenti del viso dolci. E che
sorriso…
Le teneva
un braccio intorno alle spalle e anche lui aveva le labbra incurvate
all’insù,
che per lei erano sempre state troppo lontane, irraggiungibili.
Una rabbia
insormontabile le aveva
fatto ribollire il sangue nelle vene, ma non era riuscita a muovere un
muscolo, guardandolo mentre il suo sguardo si posava lentamente su di
lei e poi
tornava a
sorridere alla moretta che gli stava parlando.
L’aveva visto
andare via con le
lacrime agli occhi, il cuore che le si disintegrava in mezzo al petto.
Poi
aveva pagato le sue birre e se n’era andata, lo sguardo basso
e le ceneri del
suo insignificante cuore che volavano via all’arietta fredda
della sera.
[I was betrayed
There is no fate
An open sore
I'm in too deep
I can't believe anymore
Will you take what's left of me
Reanimate my trust in fate]
Si era rifugiata in un
supermercato non molto lontano da casa sua che stava per chiudere e
aveva preso
un pacchetto di caramelle gommose, giusto per prendere qualcosa. Aveva
pagato ed
era uscita di nuovo nel buio, senza una meta.
Aveva camminato tanto,
forse per
un ora, mangiucchiando le caramelle, l’una dopo
l’altra, ricordando a stento
quand’era stata l’ultima volta che
l’aveva fatto.
Una volta di fronte al
palazzo in
cui viveva, aveva fatto un respiro profondo, aveva fatto le scale a
piedi e
aveva aperto la porta dell’appartamento con le sue chiavi,
trovando la
semioscurità e un silenzio che la fece tremare sul posto.
«Papà»,
mormorò, appoggiandosi alla porta con le spalle, gli occhi
che
iniziavano ad abituarsi al buio.
Sentì puzza di alcool e non fece
in tempo a capire quello che stava
succedendo che uno schiaffo la colpì in pieno viso,
facendola cadere a terra
talmente era stato forte ed inaspettato.
«Dove sei stata,
troietta?!»
«Papà, ti
prego…», singhiozzò.
«Dove, dimmi dove sei
stata!», gridò più forte, dandole un
calcio nello
stomaco.
Gemette di dolore, rannicchiandosi su
se stessa e non riuscendo ad
impedire alle lacrime di graffiarle il viso. Tentò di
rialzarsi e di scappare
in camera sua, ma una serie infinita di calci le tolsero il fiato: ogni
colpo
era come morire, avrebbe tanto preferito che tutto finisse, piuttosto
che
continuare a soffrire in quel modo…
«Sei proprio una troia come tua
madre, non c’è niente da fare!»
La prese per i polsi e lei tentò
di liberarsi, urlando e dimenandosi,
graffiandolo e mordendogli la mano che le coprì la bocca con
forza.
«Puttana!» Le avvolse le
mani intorno al collo, stringendo sempre più
forte.
Quella era la fine? Uccisa da suo padre,
alcolizzato e drogato?
Infondo… che cosa aveva da
perdere? Nella sua vita tutto era andato
storto da quando sua madre se n’era andata, e quando
finalmente aveva creduto di
trovare il suo punto di riferimento, anche questo l’aveva
abbandonata,
lasciandola da sola in quel mondo ostile.
Troppi sogni infranti, troppi dolori, troppe
perdite.
Che senso aveva stare ancora lì,
se l’amore della sua vita aveva
preferito una ragazzina a lei?
Aveva aspettato una vita intera, sperando
nel domani nonostante tutto,
lottando, difendendosi, provandoci… Attendendo quella luce
che alla fine era
arrivata con lui.
Lui era stato la sua luce, il suo
sole… ma ora, che si era spento di
fronte ai suoi occhi, che senso aveva ancora la sua vita? Non aveva
più nulla
per cui vivere, per cui lottare; non aveva più nulla in cui
credere, in cui
sperare… Era troppo ferita per rialzarsi e ricominciare da
capo. Era arrivata
al limite, al suo punto di non ritorno. Tutto quello non lo poteva
più
sopportare, non più.
Era inutile stare lì, respirare
ancora, lasciar battere ancora il suo
cuore lacerato. Era inutile e nessuno
avrebbe
sentito la sua
mancanza.
Era quella la sua fine? Sarebbe svanita per
sempre, con come ultimo
pensiero il suo viso perfetto?
[Angel in
disguise - you save my soul,
but you make my heart go blind
My devils rage inside - just can't let go,
‘cause it feels so right
You make my heart go blind]
Improvvisamente, quando ormai credeva di
passare a miglior vita – poco,
ma sicuro – la lasciò e cadde a terra, non retta
dalle gambe. Le faceva male
respirare, la gola era in fiamme e gli occhi fuori dalle orbite.
Quel mostro che aveva assunto le sembianze
del suo dolce papà grugnì
qualcosa e si mise di nuovo in salotto a guardare la tv come se nulla
fosse,
mentre lei ancora era sdraiata a terra, dolorante e con a malapena la
forza di
respirare.
Passarono minuti, forse ore prima che
riuscisse ad alzarsi e,
appoggiandosi al muro, a raggiungere il bagno. Prese un barattolino
nell’armadio e camminò lentamente verso la sua
camera, nella quale si chiuse a
chiave, scossa da un tremito.
Si abbandonò sul davanzale della
finestra, con una smorfia di dolore
sul viso ad ogni movimento, e guardò la città
silenziosa, illuminata e così
eterna… Poi il suo sguardo si posò sul
barattolino che stringeva fra le mani
tremanti.
[The city
sleeps in empty streets
No glam of hope - godforsaken
There's no escape
I'm so afraid of being cold
Just to cope with society
Reanimate my trust in fate]
Forse… forse era sbagliato
gettare al vento una base sulla quale ancora
qualcosa poteva essere costruito. Chissà come sarebbe stata,
la morte: forse
avrebbe trovato finalmente la pace che tanto aveva cercato, la fine di
quell’agonia… Sicuramente sarebbe stato meglio di
vivere in quel modo.
Eppure, quella vita non se l’era
scelta lei… Non aveva voluto lei che
sua madre se ne andasse, scatenando una forte depressione nel padre che
aveva
iniziato a bere e a drogarsi e a picchiare la figlia. Quelle erano le
conseguenze di una vita che lei non avrebbe voluto, che aveva cercato
di
cambiare, senza risultato.
Nessuno aveva mai capito quello che viveva,
nessuno si era mai
interessato a ciò che le succedeva, nessuno le aveva mai
chiesto dei lividi che
ogni tanto le comparivano sul corpo.
Nemmeno lui, nemmeno il suo sole si era mai
accorto di nulla. Nessuno
avrebbe pianto per lei, nemmeno lui.
Nemmeno lui sarebbe stato in grado, ora, di
fermare quel meccanismo che
nella sua testa era già iniziato e finito. Ormai lei era
già morta.
[There is no
fate, we've been betrayed
Can you ease my mind?
I'm blind with rage
Reanimate my trust in fate
Search deep down inside and heal the pain
Angel
in
disguise…]
Era bastata qualche
pillola di
troppo e puff, tutto era finito come per magia, senza che nemmeno se ne
accorgesse.
Jole si alzò
da quella panchina
su cui si era fermata a riflettere sulla sua vita passata –
quel grande
fardello che le appesantiva il cuore – di cui ricordava
ancora tutto perfettamente,
e iniziò a camminare fra le strade del centro,
l’ombra di un sorriso sul suo
viso chiaro e malinconico.
La sera precedente era
stata per
la prima volta fra i vivi, grazie a quel ragazzino, Franky, tanto dolce
e
simpatico, che l’aveva aiutata senza nemmeno conoscerla. Era
stata molto
colpita dal suo comportamento, mai nessuno era stato così
gentile con lei…
Era passata a vedere che
fine
avesse fatto suo padre e aveva scoperto che era finito in carcere, da
cui non
sarebbe uscito presto, con l’accusa di tentato omicidio.
Poi era andata a trovare
Tom, ma
di lui non ricordava assolutamente nulla: le uniche cose che le erano
rimaste
impresse erano il suo viso addormentato che avrebbe contemplato in
silenzio per
ore, e il prato su cui si era ritrovata aprendo gli occhi ed
incontrando subito
il viso gentile di Franky, che le aveva spiegato in modo molto confuso
quello
che le era successo.
Voleva parlare con lui,
capire
perché aveva quel buco nella memoria: forse lui avrebbe
saputo darle delle
risposte che da sola non poteva avere. E inoltre… aveva
voglia di rivederlo.
***
Era esausto.
Quella notte era stato
sui libri
per diverse ore, subito dopo essere tornato di sopra con Jole, ma ne
era valsa
la pena: era sicuro di aver fatto un compito da dieci e lode. E poi era
stato
semplice memorizzare le informazioni, perché
l’argomento da studiare erano gli
Intrappolati, che da sempre avevano attirato la sua attenzione.
Erano esseri ancora
legati alla
propria vita, incapaci di potersi reincarnare o di trasformarsi in
angeli
custodi. Non erano nemmeno angeli normali: erano semplici anime
bloccate
all’interno del corpo ferito, traumatizzato, che ancora non
aveva trovato la
pace, l’equilibrio esatto per lasciarsi alle spalle la
vecchia vita e passare
ad una nuova, ripartendo da zero.
Erano spinti dalla
voglia di
rivedere la causa del loro dolore, inconsapevoli di avere delle
reazioni
violente, come se si volessero vendicare, mettendo a rischio la salute
delle
persone vive, senza poi ricordarsi assolutamente nulla di quello che
avevano
appena fatto.
In base ai tipi di
dolori subiti,
inoltre, comparivano segni evidenti che manifestavano queste
sofferenze, in
diverse
parti del corpo.
Quella notte, studiando
tutte
quelle cose sul libro di testo che odorava ancora di inchiostro, Franky
si era
reso conto che Jole aveva tutte le caratteristiche necessarie ad essere
un’Intrappolata.
Insomma, quella sera
aveva
cercato di fare del male a Tom, aveva lottato con tutte le sue forze e
quando
lui era riuscito a metterla fuori combattimento, al suo risveglio non
si
ricordava nulla. E in più aveva visto con i suoi occhi
quella macchia scura
sulla sua pelle, prima evidente e poi invisibile sul petto.
«Franky?
Franky, stai bene?»
Scosse il capo e
guardò Kenzie
che, insieme a Norbert, lo fissava preoccupata. Fece un sorriso ed
annuì con la
testa.
«Sto bene,
sì. Ho solo bisogno di
parlare con San Pietro.»
«Ancora?»,
alzò il sopracciglio,
scocciata. «Questa volta per cosa?»
«Devo
chiedergli… una cosa»,
sollevò le spalle.
«Come
vuoi», bofonchiò.
«Dai Kenzie,
se vuoi oggi
pomeriggio usciamo io e te! Tanto domani è domenica, non
bisogna studiare»,
disse Norbert, lo sguardo illuminato da una scintilla di speranza.
«Che ne
dici?»
La campanella
suonò e la ragazza
si alzò di scatto, mettendosi la borsa nera a tracolla sulla
spalla: «Non mi
va», mugugnò e uscì fuori
dall’aula.
Norbert
abbassò lo sguardo ferito
e Franky sorrise di conforto, mettendogli una mano sulla spalla:
«Amico, posso
darti un consiglio? Non arrenderti mai.»
«Franky…
lei è cotta di te, non
posso farci niente», disse, prima di alzarsi anche lui e di
andarsene
accennando un saluto con la mano, lasciandogli l’amaro in
bocca.
***
Ci mancava solo che mi sentissi in colpa per
Kenzie e Norbert,
sbuffò sistemandosi lo zaino su una spalla, salendo le scale
lentamente.
Aveva tante cose da dire
a San
Pietro, voleva discutere di Jole e soprattutto trovare un modo per
tenerla
d’occhio e…
Un momento.
Si fermò in mezzo alle scale, la mano stretta intorno
al corrimano. Gli
Intrappolati non hanno
bisogno dei permessi per scendere di sotto, sono autonomi da questo
punto di
vista, eppure… eppure Jole non lo sapeva.
Spalancò gli
occhi, capendo
finalmente tutto, e corse su per le scale, rischiando anche di
scontrarsi con
la simpatica segretaria di San Pietro che gli raccomandò di
non andare così
veloce, se non voleva farsi “male”.
Simpatica,
pensò con un sorrisetto sulle labbra, mentre continuava
la sua corsa. Ma
perché mai non ho preso
l’ascensore?!
«Ah!
Franky!»
Si fermò e
guardò giù dalla
scalinata, dove c’era ancora la segretaria:
«Sì, dimmi.»
«Se stai
cercando San Pietro non
è nel suo ufficio.»
«Oh. E dove
posso trovarlo?»
«Beh,
ecco… in questo momento è
veramente impegnato…», tentennò.
«Ti prego, ho
un assoluto bisogno
di parlare con lui! È importante!», fece gli occhi
dolci, talmente fremeva. Era
quasi certo di aver capito tutto, ma aveva proprio bisogno di
consultarlo.
«Ok»,
sospirò arrendevole. «È
all’ultimo piano.»
«All’ultimo
piano? Ma l’ultimo
piano è…»
«L’Ufficio
delle Rinascite, sì»,
sorrise.
«Non ci sono
mai stato prima, può
entrare solo il personale autorizzato, sei sicura
che…»
«Dì
alla guardia che devi
consegnare questo documento a San Pietro con la massima urgenza. Se ti
fa
qualche altra domanda, digli che ti ho mandato io», gli fece
l’occhiolino e gli
diede un foglio intestato con lo stemma del Paradiso.
«Grazie Betty,
io ti amo!», le
gridò pieno di gratitudine, iniziando a correre di nuovo su
per le scale; lei
ridacchiò e scosse la testa.
Franky arrivò
di fronte alle
grandi porte dell’Ufficio delle Rinascite eccitato, tanto da
non sentire
nemmeno la gola che gli andava in fiamme.
Non era mai stato in
quell’Ufficio e ora ne avrebbe avuto l’onore.
Avrebbe davvero visto le anime
delle persone scendere di nuovo sulla Terra per ricominciare a vivere
in un
nuovo corpo e l’idea lo elettrizzava tantissimo: era sempre
stato un suo sogno
sapere com’erano fatte le anime ed ora era ad un passo dallo
scoprirlo.
«Ehi
ragazzino, dove credi di
andare?», chiese la guardia, sollevando il capellino blu e
rivelando un viso a
Franky familiare.
«Miguel!»
«Franky»,
sorrise.
«Che ci fai
qui? Credevo
lavorassi solo all’Ufficio di Collegamento!»
«E invece no,
oggi ho il turno
qui.»
«Oh, wow.
Comunque, devo
passare.»
«Hai il
permesso per entrare
qui?», chiese stupito.
«Sì»,
rispose pieno d’orgoglio,
mostrandogli il foglio che gli aveva dato la segretaria.
«Devo dare a San
Pietro questo documento, è urgente.»
«Che fortuna
sfacciata che hai
Franky», sorrise divertito. «E così
vedrai anche questa stanza, eh?»
«Non vedo
l’ora. Posso andare?»
«Sì.»
Prese il mazzo di chiavi
che teneva attaccato alla cinta e ne infilò una nella
serratura della grande
porta, l’aprì e fece segno a Franky di entrare,
che sorrise entusiasta.
L’aria
sembrava quasi rarefatta e
c’era una strana nebbiolina che rendeva l’atmosfera
più misteriosa. Franky fece
qualche passo all’interno, quando la porta si chiuse dietro
di lui con un tonfo
e sobbalzò dallo spavento.
«E tu che ci
fai qui?»
Si girò di
scatto all’udire una
voce femminile e vide una ragazza, doveva essere la segretaria di
quell’Ufficio, che lo guardava insospettita.
«Sono Franky.
Devo consegnare
questo documento a San Pietro, è qui?»
«Se ti hanno
detto di venire qui,
evidentemente lo è», gli strappò il
foglio dalle mani e lo guardò infilandosi
gli occhiali sottili sul naso; Franky fece una smorfia:
perché doveva beccare proprio
quella antipatica?
«Posso
consegnarglielo io», gli
disse dopo qualche secondo.
«Ehm…
No», rispose prendendolo di
nuovo e portandoselo al petto, provocando forse una reazione isterica
in quella
ragazza, che diventò rosso porpora in viso.
«Cosa?! E
perché no?!»
«Ehm…
Ahm… Devo consegnarlo io a
San Pietro! L’incarico è stato dato a
me!» Non poteva farsi buttare fuori,
proprio ora che era ad un passo da vedere le anime senza veli!
«Che cosa
succede qui?», la voce
potente e allo stesso tempo rassicurante di San Pietro fece la sua
comparsa e
Franky trasse un sospiro di sollievo.
Sono salvo!
«Questo
ragazzino pretende di
volerLe dare –», incominciò la
segretaria, ma venne interrotta e quella volta
non poté obbiettare.
«Franky! Che
bella sorpresa! Sei
riuscito ad infiltrarti pure qui, eh?», sorrise.
«Sì,
gliel’avevo detto che ce
l’avrei fatta! Posso restare?»
«Ma
certo!»
«Ma,
signore…», balbettò la
segretaria, parecchio innervosita.
«Non ti
preoccupare, a lui ci
penso io», la rassicurò. «Torna pure ai
tuoi registri, le anime non vanno e
vengono da sole.»
«Sì,
signore», mormorò e se ne
andò, ma non prima di aver lanciato un’occhiata
astiosa a Franky, che non la calcolò
nemmeno.
«Uff,
grazie», sussurrò lui al
suo salvatore. «Avevo paura che mi sbattesse fuori.»
«Sono arrivato
proprio in tempo,
eh? Forza, ti faccio fare un giro turistico, tanto ormai sei
qui.»
Franky trattenne la
gioia per non
farsi cacciare fuori davvero e lo seguì saltellando, felice
come un bambino a
Natale, curiosando in giro e rimanendo sempre più
affascinato.
La sua voglia di sapere
era
pressoché infinita, ogni cosa che vedeva aveva bisogno di
una spiegazione e San
Pietro era contento di poter rispondere a quelle domande. Credeva molto
in lui,
era un allievo eccezionale, diverso da quelli che normalmente
frequentavano
l’accademia… Aveva qualcosa in più,
forse aveva preso la morte da un lato più
positivo, forse non era a conoscenza nemmeno lui di che cosa avesse, ma
sicuramente
aveva un cuore grande, pieno d’amore, degno di ogni angelo
custode che si
rispettasse.
«Wow»,
soffiò Franky incredulo
quando arrivarono di fronte a delle grandi celle che contenevano le
anime e a
dei… «Cannoni. Sono dei cannoni!», li
indicò eccitato.
«Sì»,
rise San Pietro. «Possiamo
chiamarli così, anche se sono un po’
più speciali.»
«Oddio,
è… è pazzesco!», quasi
gli brillavano gli occhi.
San Pietro si
avvicinò alla
corsia che portava al primo cannone e prese fra le mani
un’anima, delicato come
se fosse di cristallo.
«Franky, vuoi
provare a tenerne
una in mano?», gli chiese sorridente.
«Cosa? Davvero
posso?», si
indicò, guardandosi intorno.
«Sì,
vieni dai.» Franky si
avvicinò e unì le mani così da formare
una conca, San Pietro con delicatezza
gli passò l’anima e lui rimase estasiato a
contemplare quella palla di luce
azzurrina: era una sensazione strana quella di avere fra le mani la
parte
fondamentale di un essere umano, ciò che lo rendeva tale.
«È
tiepida», sussurrò guardando
l’anziano di fronte a sé, gli occhi lucidi
dall’emozione.
«Sì,
è il calore che senti dentro
normalmente.»
«È
magnifica, davvero.» La posò
assieme alle altre e guardò un operaio raccoglierla ed
infilarla nella fessura
del cannone.
«Aspetta»,
gli disse San Pietro.
L’operaio si fermò e lo guardò
incuriosito mentre si avvicinava alla macchina,
lui si girò verso Franky e gli fece segno di avvicinarsi.
«Con questi
cannoni, come li hai
chiamati tu, si spediscono le anime sulla Terra e loro viaggiano
invisibili nel
cielo finché non trovano il corpo al quale sono destinate,
un corpo nuovo che
deve ancora nascere.»
«E quanto
tempo hanno per trovare
il corpo?»
«Nove mesi,
ovviamente.»
«Non ci credo.
Vuol dire che i
bambini nella pancia della mamma non hanno
un’anima?»
«Uhm…
non è proprio così»,
rifletté. «Te la metto semplicemente: quando un
bambino è nella pancia della
mamma condivide anche l’anima della mamma, fin quando non
arriva la sua.»
«Cavolo.
È… è assurdo.»
«Quante cose
stai imparando, eh?»
«Magari
fossero tutte così, le lezioni!
Sarei il migliore dell’accademia, può
giurarci.»
«Dai,
genietto. Vuoi augurare
buon viaggio a quest’anima?»
«Mi
sta… mi sta dicendo che posso
spararla sulla Terra?»
«Sì»,
annuì. «Ho tentato solo di
dirlo in un modo più carino.»
Franky si
avvicinò al cannone e
sotto la supervisione dell’operaio e di San Pietro
posò la mano sulla maniglia
e con un colpo secco la tirò giù, poi si
spiaccicò contro il piccolo oblò:
l’anima
attraversò in un lampo lo strato di nuvole e scomparve alla
sua vista.
Buon viaggio, anima.
«Come ti
senti, Franky?», chiese
San Pietro.
«Mi
sento… mi sento importante, e
felice.»
«Mi fa
piacere», sorrise bonario.
«Abbiamo visto tutto qui, possiamo andare. Ho da fare un
sacco di cose!»
«No, aspetti
San Pietro!», lo
fermò Franky con il cuore che batteva
all’impazzata: si era quasi dimenticato
il vero motivo per il quale era andato da lui! Doveva assolutamente
chiedergli
di Jole per sapere se era davvero un’Intrappolata e in quel
caso che cosa
doveva fare per proteggere Tom da lei. «Io ero venuto da lei
anche perché le
devo parlare.»
«Di cosa,
figliolo?»
«Credo di aver
conosciuto
un’Intrappolata.»
«Vieni,
andiamo nel mio studio,
questo non è il luogo adatto per parlarne», disse
risoluto, per poi
incamminarsi; Franky lo seguì in silenzio, facendo un
sorrisino all’operaio che
li guardava confusi.
***
«Ricapitolando:
tu hai
portato con te sulla Terra un’Intrappolata.»
«Non sapevo
che lo fosse! Come
potevo immaginarlo?!»
«Ok, va
bene», San Pietro annuì. «Vi siete
separati e poi, mentre eri dal tuo amico Tom, ha cercato di entrare nel
sogno
che avevi creato.»
«Esatto.»
«Tu
l’hai fermata appena in tempo
e hai avuto uno scontro con lei, che era fuori di
sé.»
«Sì,
l’ho messa K.O. e quando si
è ripresa non ricordava assolutamente nulla di quello che
era successo. E aveva
anche una strana macchia scura sul petto, gliel’ho vista
prima che svanisse.»
«Mmm»,
mugugnò passandosi una
mano sul mento. «Sì, non c’è
dubbio, deve essere per forza un’Intrappolata.»
«Non posso
fare delle ricerche
nel database per sapere come è morta, la sua situazione
familiare, il perché ce
l’abbia così tanto con Tom…? Qualsiasi
cosa! Da quello che ho capito bisogna
risalire all’origine del dolore che ha intrappolato la sua
anima nel corpo, per
liberarla.»
«Sì,
tu hai ragione, ma sai che
non potrei fartelo fare: sono informazioni riservate e degli
Intrappolati se ne
occupa un altro Ufficio.»
«Credo che lei
non sappia che
cosa sia veramente.»
«È
vero! Se l’avesse saputo non
avrebbe nemmeno pensato di cercare un permesso per scendere di
sotto!»
«Esattamente»,
Franky sospirò. «Che si
fa ora?»
«Non
saprei», rispose
meditabondo il Santo.
«Se Jole
scopre che è
un’Intrappolata e che può scendere di sotto tutte
le volte che vuole, potrebbe
anche fare del male a Tom senza rendersene conto e io… io
non voglio! La prego
San Pietro, si tratta del mio migliore amico, non posso sopportare di
sapere e
di starmene con le mani in mano!»
San Pietro lo
guardò intensamente
negli occhi e vide quella luce che distingueva gli angeli normali da
quelli
custodi: Franky dentro di sé lo era già, ne aveva
tutte le qualità – ottime
qualità – aveva solo bisogno dell’atto
scritto che lo metteva nero su bianco e il
Santo non poteva esserne più orgoglioso. Gli sorrise e si
alzò dalla poltrona,
indicandola a Franky, che non se lo fece ripetere due volte e si
fiondò al
computer.
«Jole…
Jole Krüger, sì ecco.»
Trovò la sua scheda personale e anche San Pietro si
chinò per leggere. Scritta
in tre pagine e mezza c’era tutta la sua vita, fra cui la
scomparsa di sua
madre, il padre che aveva iniziato a bere, a drogarsi e a diventare
violento
con lei, ma non c’era nulla che indicava un legame fra lei e
Tom.
Accidenti! E adesso come faccio?!
«Ma…
si è suicidata», mormorò
leggendo le ultime righe della sua biografia.
«Sì»,
constatò San Pietro. Si accorse
dello sguardo insistente di Franky solo dopo qualche minuto e
sospirò: «Stai
per chiedermi perché non è
all’Inferno?»
«Già.
Io ho sempre saputo che i
suicidi finissero lì!»
«È
luogo comune, pensare ciò. È
vero che togliersi la vita è rinunciare a ciò che
di più prezioso ci è stato
dato, ma come si dice… si torna tutti alle origini, prima o
poi.»
«Mi sta
dicendo che… che tutte le
anime alla fine tornano qui?»
«Eccome, mio
caro Franky.»
«Non
è possibile! Anche quelle di
tutte le persone cattive?»
«Sì,
Franky. Nessun’anima è
cattiva di natura, lo diventa. E tornando qui, ricomincia tutto
daccapo. Certo,
le anime che hanno subito un ingente flusso di malignità
fanno un percorso di
purificazione, come… come gli alcolisti e i drogati per
disintossicarsi. Ma tornano
sempre qui.»
«E
quindi… l’Inferno non esiste!»
«No, non
esiste.»
***
Sospirò e
abbassò lo sguardo,
osservandosi i piedi. Possibile che non gliene andasse bene una?
Già quando
era viva non era
riuscita a stare con il ragazzo che le piaceva, per un motivo o per un
altro:
lei era destinata a fare la modella, l’attrice, a diventare
una stella… Non
aveva tempo per quelle cose, perché quando sarebbe diventata
famosa avrebbe
avuto tutto ciò che voleva. Per questo nessuno si era mai
preoccupato della sua
salute, fino a quando una tac fatta per caso, dopo un incidente in
motorino,
aveva rivelato una vasta e compatta massa nel polmone destro.
Nonostante le varie
chemio, nulla
aveva impedito a quel male annidato nel suo corpo, proprio in
ciò su cui tutti
avevano sempre puntato l’attenzione e che doveva essere il
suo passaporto per
il successo, di portarla via da tutti loro, di porre fine alla sua vita
ancora
troppo giovane.
Ora, che si era presa
una cotta
per Franky, anche lui sembrava irraggiungibile, quella volta
perché lui era fedele
a quella Zoe… Solo a pensare il nome di quella smorfiosetta
le veniva il
voltastomaco.
Non poteva credere che
preferisse
quella a lei… Che cos’aveva Zoe di più
in confronto a lei? Che avesse qualcosa
di sbagliato lei? Sì… forse era lei che era
sbagliata…
«Ehi,
scusa.»
«Mmh?»,
si girò e guardò una
ragazza dai capelli biondi e gli occhi dorati, che doveva avere giusto
qualche
anno in più di lei, venirle incontro, chiedendosi chi fosse
e che cosa volesse
da lei; non l’aveva mai vista prima.
«Non
è che per caso conosci un
ragazzo di nome Franky?»
Kenzie si
immobilizzò e alzò il
sopracciglio, insospettita. Come faceva a conoscere Franky? E
soprattutto… che
cosa voleva da lui?
«Perché
vorresti saperlo?», le
chiese con un’espressione dura in volto.
«Beh,
ecco… Io devo parlare con
lui. Lo conosci?»
«Sì,
lo conosco.»
«E sai anche
dove posso
trovarlo?» Una strana luce si fece spazio in quegli occhi
davvero belli e provò
una sensazione di fastidio puro. Perché doveva lasciarla
andare da lui? Già
c’era quella Zoe a metterle i bastoni fra le ruote, ora pure
quella?!
«In
realtà non ho idea di dove
possa –», iniziò con gli occhi chiusi,
il naso rivolto all’insù, quando la voce
del diretto interessato la interruppe bruscamente, facendo crollare
ogni sua
certezza.
«Jole!»,
gridò correndole
incontro con un sorriso. «Che ci fai da queste
parti?»
«Ciao
Franky!», ricambiò il saluto,
illuminandosi in viso. «Devo parlarti, hai da fare?»
«No, nulla di
particolare. Andiamo
a fare una passeggiata, ti va?»
«Perché
no?»
Franky si
girò e fece un cenno
con la mano a Kenzie, dicendo: «Ci
vediamo!».
Kenzie
non rispose, sollevò
soltanto la mano, gli occhi tristi per la consapevolezza di non poter
mai
ricevere quello che desiderava davvero: un po’
d’amore.
______________________________
Buongiorno!
^-^ Come state? Io abbastanza bene, anche se questa settimana,
ovviamente,
siamo sommersi da una montagna di verifiche -.-“ Beh,
passerà xD Spero o.o
Che ne
pensate di questo capitolo? Anche questo è uno dei miei
preferiti! Non solo
perché si sono scoperte diverse cose sul conto di Jole, a
partire dal suo
passato con Tom e la sua morte tragica – povera ragazza, non
si merita tutto
ciò xD – ma anche perché si parla
dell’Ufficio delle Rinascite! *-* È in un
assoluto una delle parti che preferisco!
Tutto
quello che ho scritto riguardo a questo è frutto della mia
fantasia (taaaanta
fantasia xD); non so se poi è realmente
così… ma lo spero tanto! *ç* Io mi
immagino che sia così, la vita dopo la morte; e che non ci
sia l’inferno u.u
Voi che
ne pensate? Se volete dirmelo basta lasciare una recensione e
scriverlo! ;)
La
canzone che ho usato in questo capitolo è Angel
in disguise, dei Cinema
Bizzarre. E poi… poi basta xD Spero che vi sia
piaciuto! :D
Ringrazio
le persone che hanno recensito la scorsa volta:
Isis 88:
Ciao! ^-^ Eh sì, Franky sa quello che è meglio
per Zoe e per tutti, ma sarà un po' più
complicato u.u
Jole? XD Questa è la sua storia e vedremo che cos'ha
combinato!
Tom ha fatto bene, ma anche fatto un casino allucinante xD Vedremo, la
storia è ancora lunga *-*
Spero che anche questo ti sia piaciuto, alla prossima!
PS: Sì, vado a Milano con la mia Utopy! *-* Cavolo Padova
è dopodomaniii! Divertiti! :D
Tokietta86:
Ciao! Sì, le cose si sistemeranno ma ci vorrà un
bel po' di tempo u.u Comunque Franky è molto maturo, si *-*
Waa, ti ricordi di leiii *-* Sono super orgogliosa! E wow, mi hai anche
sorpresa perchè ci hai quasi azzeccato o.o Anche se non era
incinta e poi beh c'è la variabile del suo papà
violento u.u Ma per il resto, hai azzeccato tutto *-* Era
così prevedibile? xD Adesso bisogna solo aspettare per
vedere che cosa succederà!
Spero che anche questo capitolo ti sia poaciuto, grazie per la
recensione e i complimenti!
Utopy:
Aleeeeeeeeees *-* Oggi sono uscita prima perchè non c'era
inglese u.u E sono qui xD
Ebbene, sono strafelice che ami questa storia! Quasi più del
sogno? o.o Wow. xD Sono contenta davvero *-*
Franky è miooooo e tira le testate ;D Ti ha sorpresa Jole
che è diventata cattiva? xD E questo è solo
l'iniziooo! Sì, tu sai tutto! Spero che qualche sorpresa
però ci sarà comunque!
Ti voglio tantissimo bene Mooond! <3 Tua, Sonne *-*
E poi
anche tutte quelle che hanno messo questa storia fra le preferite, le
seguite e
le ricordate. E infine anche chi legge soltanto! Grazie di cuore!
Alla
prossima, con affetto vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 6 *** Cry in Paradise ***
6. Cry in Paradise
[Di sopra]
«Allora, come
mai tanta urgenza
di vedermi?», le chiese portando le mani dietro la testa,
stiracchiandosi sulla
panchina in mezzo al parco in cui si erano seduti per chiacchierare.
«Volevo
chiederti se hai scoperto
qualcosa di più rispetto a quello che mi è
successo ieri, ecco», Jole si morse il
labbro, come se fosse imbarazzata.
«Sì,
credo di sapere cosa ti è
successo», sospirò.
Non sapeva se era la
cosa giusta
da fare, dirle chi era e che cosa poteva fare incoscientemente, ma
sperava che
fosse abbastanza intelligente da evitare di fare azioni avventate, una
volta
scoperta la verità. Voleva provare a fidarsi di lei, sperare
che facesse ciò
che le avesse raccomandato di fare.
«E…
puoi dirmelo?», chiese con gli
occhi pieni di brillante speranza.
«Sì,
Jole, posso, ma tu devi
promettermi che mi ascolterai bene e che tu mantenga il controllo,
ok?»
Annuì, anche
se confusa, e si
girò meglio verso di lui. Franky fece un respiro profondo e
iniziò a parlare,
cambiando idea all’ultimo secondo:
«Perché non inizi tu a raccontarmi? Come
facevi a conoscere Tom?»
«Ok, te lo
racconto se vuoi»,
sollevò le spalle, ma lui era pronto a scommettere che non
fosse affatto facile
per lei, soprattutto ora che sapeva della sua vita conclusa in maniera
tragica.
«Ho conosciuto
Tom alla fine di
un concerto, uno dei tanti. Mi ha sorteggiata fra altre ragazze,
basandosi
puramente sul mio aspetto, e mi ha portato in camera sua. Puoi
immaginarti
quello che è accaduto, non mi perdo in
particolari», sventolò la mano,
sorridendo debolmente. «Dopo quella notte ce ne sono state
altre, sono arrivata
a rinunciare a tutto il resto per seguirlo e per ottenere semplice
sesso,
quando… quando non mi bastava più»,
abbassò lo sguardo e si prese le mani l’una
dentro l’altra, facendo una lunga pausa.
No, è impossibile che lei
sia… pensò
Franky, destandosi subito da
quel pensiero assurdo che gli era venuto in mente.
«Me
n’ero accorta che ogni volta
che mi toccava, che mi guardava e vedevo quella scintilla di malizia
nei suoi
occhi, non sentivo più niente, solo una grande tristezza nel
cuore. Volevo di
più da lui, mi ero innamorata. Solo che… tu lo
devi conoscere sicuramente
meglio di me, lui non è tipo da ragazza fissa e…
io pur di non perderlo mi
facevo usare proprio come una bambola, soffrendo in silenzio.»
Man mano che parlava,
che
raccontava la sua “storia” con Tom, Franky sentiva
crescere dentro di sé una
preoccupazione che gli avviluppò il petto, rendendogli
difficile pure la
normale respirazione. Come un presentimento.
Ma non poteva davvero
essere lei,
sarebbe stato assurdo incontrarsi lì! Ma a volte il destino,
lui lo sapeva
bene, poteva sorprendere anche nei modi più impensabili.
«Ho chiesto
molte volte a Tom se
ci potevamo vedere, anche solo per chiacchierare, non pensavo di
chiedere
chissà cosa, ma lui…», si interruppe e
Franky osservò una lacrima di malinconia
scivolare sulla sua guancia e fermarsi sul mento, ma nonostante tutto
lei alzò
il viso e continuò, fiera come una leonessa.
Deve avere una forza incredibile questa
ragazza, anche se ne ha passate
così tante…
«Lui ha sempre
rifiutato,
inventandosi scuse su scuse. Una volta…»,
ridacchiò, tirando su col naso. «Pensa
che una volta mi ha persino detto che doveva andare a prendere due
ragazzini a
scuola. Pazzesco.»
Dio Tom, io ti ucciderei, se potessi!
Strinse i denti, facendo un
mezzo sorriso. Se fosse andata avanti così per molto, se gli
avesse raccontato
ancora qualcosa che l’aveva fatta soffrire, si promise che
l’avrebbe fatta
pagare a Kaulitz, perché lei non si meritava di certo un
trattamento del
genere.
«Però
poi, un giorno, gli ho
mandato l’ennesima richiesta e lui stranamente
accettò. Solo ora mi rendo conto
della mia ingenuità», si portò una mano
sulla fronte, china in avanti. «Ci
eravamo dati appuntamento al bar del centro commerciale, io sono
arrivata prima
di lui, dopo essermi fatta mille seghe mentali
sull’abbigliamento, e mi sono
messa ad aspettarlo. Con lui ho imparato che la pazienza non
è mai troppa, che
sperare e continuare a credere in ciò che si vuole dava i
suoi frutti, ma è
stata… è stata tutta un’illusione. Si
è presentato con una ragazza minuta,
mora, gli occhi azzurri, e non è nemmeno entrato; mi ha
guardata al di là del
vetro, stando abbracciato a lei ridendo, ed è andato via,
come se nulla fosse.
Quella è stata la fine, il chiaro segno che ha distrutto in
un attimo tutti i
castelli in aria che mi ero fatta per quasi un anno.»
No… Tom, dimmi che non
l’hai fatto davvero…
Franky era sconvolto,
non poteva
credere che Tom, il suo migliore amico, fosse arrivato a quello, eppure
ora era
certo che Jole fosse la ragazza che lui non aveva mai voluto.
L’aveva fatta
soffrire ingiustamente, l’aveva illusa, l’aveva
usata e poi buttata, senza
pensare minimamente ai suoi sentimenti.
Non avrebbe mai
immaginato che
Tom potesse essere così: sapeva che era un po’
stronzo con le ragazze, ma… ma
non così tanto! Quello che aveva fatto era imperdonabile e
riusciva a capire
Jole, se la colpa del suo stato da Intrappolata era causa sua. Le dava
persino
ragione, cavolo! E il modo in cui l’aveva
scaricata…
«Scusa»,
disse con gli occhi
sgranati, resosi conto che c’era qualcosa che non aveva
afferrato bene
dell’ultimo incontro. «Era con una ragazza minuta,
mora e gli occhi azzurri?»
«E con un
sorriso capace di sciogliere
il cuore a chiunque, sì», sospirò.
«Non posso biasimarlo se ha scelto lei
invece che me, infondo –»
«NO! NO,
CAZZO, NO!», gridò
balzando in piedi e portandosi le mani nei capelli.
ZOE! ZOE! ZOE! ZOE! ZOE! ZOE! TOM HA USATO
ZOE PER SCARICARE JOLE!
«Ehi, che ti
prende?», chiese
Jole preoccupata, posandogli una mano sulla spalla e cercando di
calmarlo, ma
era una furia.
«Lasciami
stare, lasciami
stare!», gridò.
«Ma…
ma almeno spiegami!»
«No,
adesso… adesso no», si
spostò bruscamente e non fece aggiungere altro alla ragazza,
si girò e iniziò a
correre per quel parco, senza curarsi della gente che lo guardava.
Perché pur
essendo in Paradiso,
c’era ancora qualcuno che sapeva piangere.
***
Bussò alla
porta, tanto per farsi
del male, ma non udì nessuna risposta. Era già
buio fuori, doveva essere
tornato da un pezzo dall’uscita improvvisata con quella
ragazza di nome Jole; o
almeno, lo sperava. Però era strano che nemmeno Norbert ci
fosse in stanza,
visto che la luce che proveniva da sotto la porta dimostrava che era
accesa.
Incuriosita,
tirò giù la maniglia
e sbirciò all’interno: vide Franky steso sul
letto, rivolto verso il soffitto,
le guance rosse e gli occhi lucidi, un’espressione devastata
in viso; sembrava
che avesse addirittura pianto.
«Franky.
Franky, che ti è
successo?», chiese piano Kenzie, raggiungendolo e sedendosi
accanto a lui,
accarezzandogli una guancia bollente.
«Kenzie…»
«Sì,
sono qui», accennò un
sorriso, cercando di nascondere l’ansia che la stava
lentamente divorando. Che
cosa poteva essere successo? Chi era stato a ridurlo in quello stato?
Forse
quella Jole?
«Ti va
di… di stare un po’ qui
con me?»
«C-Certo»,
miagolò addolcita.
Franky le fece un
po’ di spazio e
lei si mise sdraiata al suo fianco, ma non riuscì a
distogliere lo sguardo dal
profilo del suo viso. Era a dir poco perfetto, l’avrebbe
osservato per ore in
silenzio.
Sospirò e
timorosa avvolse un
braccio intorno al suo petto, appoggiandosi con la testa alla sua
spalla.
Franky le posò una mano sulla schiena e la
massaggiò lentamente, lo sguardo
vacuo ancora rivolto al soffitto.
Era in Paradiso, ora
più che mai,
e sorrise beata. Poi però si ricordò che la
persona accanto a lei era Franky,
il ragazzo che all’esterno pareva tutt’altro che
serio, ma che in realtà aveva
giurato eterna fedeltà alla sua Zoe e che poteva anche
essere che si fosse
lasciato andare un po’ di più quella sera
perché era sconvolto, fragile e aveva
bisogno del sostegno di qualcuno e quel qualcuno era proprio lei, in
assenza di
Norbert.
A proposito…
«Dov’è Norbert?»
«Abbiamo avuto
una mezza
discussione, prima; non so dove sia.»
«È
a causa sua che stai male?»
«No…
No, no, lui non c’entra
niente.»
«Perché
avete litigato?»
«Per…
per te, Kenzie.»
Per la prima volta la
guardò
negli occhi e Kenzie si sentì mancare un battito: erano
così tristi e spenti...
Avrebbe pestato a sangue la persona che gli stava facendo del male!
«Per me?
In che senso?»
«Beh»,
sospirò Franky, «dovresti essere
a conoscenza del fatto che è cotto di te dalla prima volta
che vi siete visti.»
«Sì,
lo so», distolse lo sguardo,
arrossendo.
«Però
tu ti sei presa una cotta
per me, si è creato un triangolo che non mi piace per niente
e Norbert ci sta
male.»
«Solo Norbert?
E io? Io non ci
sto male?!», gridò d’impeto, senza
pensarci.
«Kenzie…
So che stai soffrendo anche
tu, ma… devi fartene una ragione, ok? Io amo Zoe, la amo con
tutto il cuore e
non potrei mai stare con un’altra ragazza. Ho deciso di
diventare un angelo
custode per starle accanto anche dopo la morte e… e comunque
fra noi non
potrebbe funzionare, mi dispiace. Da quello che so tu ti rincarnerai,
dopo
l’esame.»
«Sì,
lo so», mormorò abbassando
lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime. «Ma al cuore, seppure
apparentemente
vivo, non si comanda, dovresti saperlo.»
«Eccome se lo
so, Kenzie», le
sorrise e le accarezzò la guancia, spazzando via la lacrima
che lentamente
tracciava un solco su di essa. «Mi sono innamorato della mia
migliore amica,
vuoi che non lo sappia? Però so anche che noi due non
avremmo speranze,
davvero; tanto vale lasciar perdere da subito, perché non
voglio che tu soffra
inutilmente. E non voglio che soffra anche Norbert.»
«Mi stai
già facendo soffrire,
Franky», singhiozzò nascondendo il viso nel suo
petto, stringendolo forte a sé.
«Mi dispiace,
davvero.»
Forse il suo destino era
proprio
quello di non trovare mai l’amore, o comunque di trovarlo
nella persona
sbagliata; forse ciò che doveva fare, la cosa migliore per
lei, era proprio
ricominciare tutto daccapo, sperando in una vita migliore, magari in un
corpo
che non sarebbe stato sfruttato. Voleva solo essere una ragazza
normale, con un
ragazzo normale che amava e che l’amava. Non desiderava
altro.
«Non importa
Franky, questo…
questo l’ho sempre saputo, infondo. Ma sentirselo dire
è tutta un’altra cosa,
non credevo facesse così male.»
«Posso
immaginarlo, mi dispiace
davvero tanto. Sei una delle più belle persone che abbia mai
conosciuto, bella
in tutti i sensi, non solo fisicamente», le spostò
la frangia dagli occhi e si
lasciò scappare un sorriso che contagiò la
ragazza. «Penso che faresti meglio a
chiarire anche con Norbert, sai?»
«Lo penso
anch’io, solo che non
ho mai trovato la forza di farlo. So bene come ci si sente ad essere
rifiutati
e non voglio che lui –»
«Sono sicuro
che capirà e che
apprezzerà il fatto che tu finalmente gliel’abbia
detto. Credi davvero che non
l’abbia capito da solo?», sorrise.
«Forza, andiamo a cercarlo.»
«Va
bene», ricambiò il sorriso e
si alzò dal letto, lo prese per mano ed uscirono insieme
dalla stanza.
Una strana pace la stava
avvolgendo e riscaldando, come se tutto avesse improvvisamente preso la
piega
giusta, nonostante il rifiuto che sostanzialmente non era proprio
ciò per cui
avrebbe fatto i salti di gioia. Ma era giusto così, lo
sapeva e ora che era
tutto ben chiaro nella sua mente, era come se si fosse liberata di un
peso,
anche se ovviamente un po’ di malinconia c’era.
«Grazie
Franky», gli disse a
bassa voce, arrossendo.
«E di che
cosa? Grazie a te per
essermi stata accanto, avevo bisogno di qualcuno e tu ti sei rivelata
di grande
importanza.»
«Vuoi dirmi
ciò che è successo?»
«In
pratica», sospirò, «ho
scoperto una cosa che non avrei mai voluto scoprire, perché
ora mi sento preso
in giro, tradito, da una delle persone più importanti della
mia vita: il mio
migliore amico.»
«E si tratta
di quella Jole?»,
alzò il sopracciglio.
«Esatto. Lei
è un’Intrappolata,
sai?»
«Un’Intrappolata,
davvero?
Cavolo, che cosa le è successo? Oh… Credi che
c’entri il tuo migliore amico?»
«Ne ho il
forte sospetto. Ma non
è questo che mi preoccupa maggiormente, è
che… lui ha usato Zoe, per scaricare
questa ragazza e ora non so…»
«Dici che se
Jole vedesse Zoe,
tenterebbe di farle del male?»
«È
questo che mi terrorizza»,
abbassò lo sguardo, nonostante tenesse i pugni stretti con
forza come se fosse
arrabbiato.
«Vedrai
Franky, andrà tutto bene»,
gli sorrise incoraggiante. «Sono certa che le cose si
sistemeranno, sì.»
«Lo spero
anch’io.»
Si voltarono
contemporaneamente
verso destra all’avvicinarsi di un’ombra e sotto la
luce dei fari che
illuminavano la fontana nel giardino della scuola comparve Norbert, il
viso
stanco e rassegnato, come se fosse arrivato alla conclusione di un
problema che
non vedeva di per sé molte soluzioni, soprattutto positive.
«Norbert»,
esclamò sorpresa
Kenzie, togliendo subito la mano da quella calda di Franky.
«Kenzie,
Franky», fece un cenno
col capo e poi li superò e raggiunse l’entrata del
dormitorio, quando Kenzie si
girò e lo chiamò, fermandolo.
«Norbert,
possiamo parlare?»
Il ragazzo
annuì cedendo ad un
po’ di quella tensione, portandosela in volto, e mentre
Kenzie lo raggiungeva
all’interno, qualcuno corse verso Franky e lo prese per il
polso.
«Jole!»
«Franky,
finalmente! Io e te
dobbiamo parlare, ancora. Che cosa ti è successo oggi, posso
saperlo?!»
Franky guardò
Kenzie per
un’ultima volta, i loro sguardi si incontrarono e si fecero
un debole sorriso,
poi ognuno prese la propria strada, dividendosi.
«Hai ragione
Jole, ti devo delle
spiegazioni», la prese per il braccio e la portò
con sé a fare un’altra
passeggiata.
***
«Allora, di
cosa dobbiamo parlare?»,
chiese Norbert stringendosi le mani l’una dentro
l’altra, i gomiti sulle ginocchia
e il viso rivolto verso il basso per non cedere di fronte agli occhi
stupendi
della ragazza per cui avrebbe fatto follie.
«Non fare
finta di non saperlo,
Nor», sospirò malinconica e si appoggiò
con la testa alla sua spalla. «Dobbiamo
parlare di noi.»
«Non
c’è mai stato un noi,
Kenzie.»
«Però
tu avresti voluto. Sono…
sono solo io la stupida, qui. Mi dispiace tanto di averti fatto
soffrire.»
«Si dice che
l’amore è cieco», mormorò.
«E sai
perché lo è? Perché non
riesce a vedere chi glielo sta dimostrando, non riesce a riconoscere
chi sta
veramente donando altro amore gratuitamente. È questo che fa
più male, Nor, e
mi dispiace da morire.»
«Non
è colpa tua, Kenzie,
davvero. Sono cose che succedono e comunque fra noi non avrebbe
funzionato: manca
poco ormai agli esami ed entrambi ci reincarneremo, le nostre strade si
divideranno per sempre e separarci avrebbe fatto molto più
male, fidati; già lo
farà così, pensa se io e te…»
«Ehi, mai dire
mai», gli sorrise
dandogli una spallata amichevole. Norbert la guardò
incuriosito
e non poté non
sorridere quando lei lo abbracciò d’impeto e lo
strinse forte a sé.
«Chi lo sa,
magari ci rivedremo
nella prossima vita», mormorò passandogli una mano
sulla nuca. «E anche se non
ci riconosceremo…»
«Sentirò
un brivido percorrermi
la schiena», concluse lui per lei, prendendole il viso fra le
mani e
stampandole un delicato bacio sulla fronte, carico di affetto e allo
stesso
tempo di malinconia, perché suonava maledettamente di addio.
«Ti voglio
tanto bene, Nor», gli
disse, gli occhi lucidi. «Grazie per il tuo amore, io ne sono
onorata.»
«Non devi
ringraziarmi per
questo. Ti voglio tanto bene anch’io, tu non sai quanto, e
non mi pento di
quello che ho provato, sono contento di averti conosciuta. Grazie a te
per
esserci stata.»
«Spero che
nella prossima vita
troverai il tuo vero amore, lo spero con tutto il cuore, te lo
meriti.» Le
sfuggì una lacrima dalle ciglia e Norbert sorrise,
raccogliendola con il dito.
Spero sia tu, il mio vero amore, Kenzie.
Farò di tutto per non
dimenticarti, per trovarti di nuovo, ovunque tu sarai.
«Mai dire mai. Chi lo sa, magari
ci rivedremo nella prossima vita.»
***
«Scusa se mi
sono comportato in
quel modo, oggi, ma… è complicato da
spiegare.»
«C’entra
con qualcosa che ho
detto io?»
«Sì,
c’entra.»
Si misero seduti sulla
panchina e
Jole lo guardò: era arrivato il momento di spiegarle che
cosa le era successo
quella sera, non poteva più aspettare.
«Jole, vale
sempre quello che ti
ho detto oggi pomeriggio, ok? Devi stare calma e ascoltarmi molto
attentamente.»
«Sì,
sì, ho capito!»
«Bene.»
Franky fece un respiro profondo
e avvolse le spalle della ragazza con un braccio, gli occhi socchiusi.
«Tu sei
un’Intrappolata, Jole.»
«Un…
un’Intrappolata? E che
cosa…?»
«La tua anima
è intrappolata nel
tuo corpo, incapace di liberarsi della tua vita passata e di
reincarnarsi.»
«Ma…
ma perché?» Aveva gli occhi
lucidi, come al solito era diversa e sola. O forse no.
«Credo che sia
a causa della tua
morte tragica, di ciò che hai dovuto subire da tuo padre da
quando eri una
bambina e… e anche da Tom, probabilmente. Il tuo corpo
è così ferito da non
riuscire a liberare l’anima che contiene.»
«Io…
Tom non ha colpe, no…»
Franky la
guardò e fece un
sorriso amaro, accarezzandole i capelli. Nonostante fosse molto
probabile che
un po’ di colpa ce l’avesse anche lui,
perché era stato il suo amore più grande
e l’aveva usata e poi buttata in quel modo, ferendola, lei
continuava a
difenderlo. Era ancora innamorata di lui e avrebbe fatto di tutto per
non
renderlo colpevole.
«Può
anche essere che io mi
sbagli e che Tom non abbia colpe, però…
perché avresti tentato di fargli del
male, l’altra sera?»
Alzò il viso
pallido e lo guardò
con occhi sgranati, incredula: «Che cos’ho fatto?
Davvero io ho… ho tentato di
fargli del male?»
«Sì,
purtroppo», annuì con il
capo. «Ma non eri cosciente di ciò che facevi,
perché la tua parte ferita ha
preso il sopravvento. Succede a tutti gli Intrappolati, credimi. Per
questo…
per questo vorrei chiederti di non andare più di sotto,
perché se lo vedessi
tenteresti di nuovo di…»
«Dubito che io
riesca a trovare
un altro permesso a breve, comunque», abbassò il
capo, sconsolata.
«Ecco,
Jole… In realtà gli
Intrappolati non hanno bisogno di permessi per scendere di sotto. Tu
non lo
sapevi perché non eri a conoscenza di esserlo, ora lo sai e
ti pregherei di
stare attenta. Io te l’ho detto perché…
perché mi fido di te, so che non andrai
giù, visto che non vuoi fare del male a Tom, vero?»
«Certo,
io… io non permetterei
mai a nessuno di fare del male a Tom, tantomeno a me stessa. Grazie per
avermelo detto, Franky. E grazie per la fiducia che hai riposto in
me»,
sussurrò abbracciandolo. «Sei forse la prima
persona che lo fa, non ti
deluderò.»
«Lo spero
tanto Jole, lo spero
tanto.»
____________________________________
Buonasera a tutti!
Scusate il
ritardo xD C’è chi capirà xD
Capitolino piuttosto
malinconico,
come i vecchi tempi. Direi che ormai il puzzle è completo,
in quanto l’identità
di Jole è stata svelata completamente. La reazione di Franky
però è stata
abbastanza infelice e vedremo che cosa accadrà nei prossimi
capitoli u.u
Si è anche venuto a sapere di
Kenzie e Norbert e io personalmente adoro questi due, anche se loro non
hanno
potuto assaporare per niente un lieto fine. Hanno solo la speranza di
potersi
rincontrare e di ritrovarsi, un giorno.
Mi sento molto filosofica stasera
xD
Fatemi sapere se vi è piaciuto,
mi raccomando! Fatevi sentire, voi che avete amato “Nothing
to lose” perché io
non vi sento ù.u
Ringrazio le persone che
hanno
recensito lo scorso capitolo:
Isis 88:
Ciao! Allora, com’è stato il concerto? *-* Io non
vedo l’ora!
Grazie mille per i complimenti e per la recensione, sono contenta che
ti
piaccia! La mia fantasia credo sia un essere a parte che ogni tanto
prende il
sopravvento xD E’ molto felice anche lei, se la mettiamo
così! :D Ciao, alla
prossima!
Tokietta86:
Franky è molto saggio, nonostante tutto ciò che
ha
passato u.u Jole si comporterà come verrà spinta
a comportarsi, chissà se ce la
farà a mettere a tacere la parte cattiva di lei e a
perdonare Tomi. Grazie
mille, alla prossima!
Utopy:
Sono contenta che ti piaccia, è anche uno dei miei
preferiti! *-* Io credo o almeno spero che sia proprio così,
cavolo sarebbe
bellissimo e io diventerei un angelo custode, penso u.u
No, non ci avrei mai creduto. Sono
quasi commossa *-* Ti voglio tantissimo bene, Mond! Grazie mille e di
tutto.
<3
E ringrazio anche tutte
le
persone che leggono soltanto! ;D
Grazie a tutti, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 7 *** Bodies at the party (Part I) ***
7. Bodies at the party
(Part I)
[Di sotto]
Aprì gli
occhi e sobbalzò quando
vide l’ora sulla sveglia: era in ritardo! Tom sarebbe passato
a prenderla fra
pochissimo!
Si alzò in
fretta e furia, si
diede una lavata veloce e si infilò le prime cose che
trovò nell’armadio: dei
semplici jeans chiari e una maglietta viola.
La scuola era finita,
finalmente
libera, e quello appena iniziato era il giorno dei tabelloni che
avrebbero stabilito la
sua promozione
o la sua bocciatura, nel peggiore dei casi. Sperava di essere
soltanto rimandata
a settembre, non le andava di ripetere un intero anno!
Corse in cucina e prese
dal
tavolo due biscotti al cioccolato che trangugiò con un
po’ di caffèlatte che le
aveva preparato sua madre, che ora la stava guardando con un sorriso
divertito
sulle labbra.
«Sei in
ritardo?», le chiese.
«Giusto un
po’», bofonchiò a
bocca piena. «Tom dovrebbe arrivare esattamente fra tre
minuti.»
«Uhm, capisco.
Poi ti fermi da
loro?»
«Non so, tu
che fai?»
«Heinz
dovrebbe venire qui a
pranzo, volevo… volevo che ci fossi pure tu, per una
volta.»
Zoe quasi non si
strozzò e
dovette bere un altro po’ dì caffèlatte
caldo, sedendosi al tavolo.
L’idea di
pranzare assieme a lui
non le piaceva affatto, però si ricordò del
discorso fatto con Tom qualche
tempo prima: non aveva ancora parlato con sua madre e forse era
arrivato il
momento di farlo, di ascoltarla e di aprirsi
all’opportunità che quell’uomo
entrasse nella sua quotidianità e in quella casa,
soprattutto.
«Va bene, se
ti fa piacere ci
sarò», sorrise, anche se sembrava un po’
una forzatura: doveva accontentarsi ed
apprezzare lo sforzo!
«Davvero? Oh
tesoro, grazie!», la
abbracciò e le diede un bacio sulla testa, appoggiandola al
suo grembo.
«Mamma…»
«Dimmi, che
cosa c’è?»
«Tu sei
felice, con lui?»
«Sì,
credo di esserlo», le
accarezzò il viso, guardandola negli occhi. «Ma se
per te è ancora troppo
presto vedertelo sempre intorno, possiamo sempre aspettare. So che non
è
facile, però io sto bene con lui, è il primo uomo
che è riuscito a farmi sentire
di nuovo bene, di nuovo donna, dopo tuo padre.»
«Io sono
felice se lo sei tu»,
sussurrò stringendola forte, trattenendo le lacrime. Anche
lei avrebbe trovato
un uomo capace di farla sentire di nuovo bene, dopo Franky?
Solo l’idea la
terrorizzava,
Franky era ancora così vivido nella sua mente e nel suo
cuore che non avrebbe
voluto che fosse rimpiazzato da nessuno, ma forse era normale; anche
sua mamma
aveva aspettato tanto prima di ricominciare, aveva dovuto aspettare di
avere la
forza necessaria e lei ancora non la possedeva.
«Grazie
tesoro.»
Suonarono al campanello
e
sobbalzarono, poi Zoe zampettò alla porta e
l’aprì, trovandosi di fronte un Tom
sorridente che la prese fra le braccia e le fece fare un giro a
mezz’aria.
«Ciao Tom, che
hai, sei felice?»,
gli chiese ridacchiando, di nuovo con i piedi per terra.
«Sì,
sono felice di vederti, era
un po’ che non ci vedevamo. Da quella volta in cui ti sei
fermata a mangiare da
noi, vero?»
«Vero»,
gli sorrise e Tom si sporse
all’interno per salutare la signora Wickert che stava
sistemando il tavolo.
«Ciao Tom,
come stai?»
«Tutto bene,
grazie! E lei?»
«Non
c’è male», gli sorrise e
sparì in cucina.
«Possiamo
andare?», gli chiese
Zoe, prendendogli le braccia forti fra le mani.
«Sei
così ansiosa di sapere che
sei stata bocciata?», sogghignò, beccandosi un
pugno sul petto.
«Non dirlo
nemmeno per scherzo!
Non posso essere stata bocciata, rischierei la fucilazione!»
«Brava!»,
concordò sua mamma.
«Ecco, visto?
Forza, muoviamoci.»
Zoe prese il cellulare e
le
chiavi di casa e uscì con Tom dopo aver salutato sua mamma.
Scesero le scale e
lei vide subito la macchina di Tom parcheggiata lì di
fronte, aprì convinta la
portiera del sedile del passeggero, ma si trovò a sgranare
gli occhi:
«Bill!»,
sobbalzò, cercando
inutilmente una via di fuga da quella situazione che non si era per
niente
aspettata.
«Ciao Zoe,
tutto bene?»
«Sì,
tutto ok. Ma che ci fai
qui?»
«Stamattina mi
sono svegliato
presto e così sono venuto con Tom. Non ti dispiace,
vero?»
«No, certo che
no…», sorrise
nervosamente e si infilò nei sedili posteriori, poi
portò lo sguardo fuori dal
finestrino per non incontrare più quello di Bill. Si sentiva
soffocare quando
lo guardava, per qualche strano motivo.
«Ehi, che
cos’è questo silenzio?»,
chiese Tom mettendo in moto. «Avete perso la
lingua?»
«No»,
ridacchiò Zoe, anche se si
sentiva parecchio agitata.
Che fosse proprio colpa
di Bill?
Non era una bella sensazione quella che provava, avrebbe voluto
scappare,
eppure c’era qualcosa che la faceva rimanere incollata con il
sedere a quel
sedile, come se si sentisse bene ma allo stesso tempo male.
Dal giorno in cui si era
fermata
a mangiare da loro non li aveva più visti, si era solamente
tenuta in contatto
con Tom tramite sms e si era finalmente resa conto di ciò
che lui fosse
diventato ormai per lei: il suo migliore amico, con il quale poteva
confidarsi
liberamente, senza alcun tipo di vergogna. Però non sarebbe
mai stato come con
Franky, lui era unico… Sapeva di non poter più
avere un migliore amico come
lui, Tom era qualcosa che si avvicinava, ma non l’avrebbe
né raggiunto né
tantomeno superato.
Con Bill invece era
diverso. Bill
era diverso. Era sempre stato
quello che le stava più antipatico, ma Franky era riuscito a
farglielo
apprezzare e ora si trovava nell’imbarazzante situazione di
dire che era
diventato una delle persone a cui teneva di più, quella a
cui teneva di più
dopo Tom, ormai di vitale importanza nella sua quotidianità.
Però
l’ultima volta che si erano
visti c’era stato quel bacio sulla guancia che su di lei
aveva avuto la
disarmante potenza di uno vero e proprio sulle labbra. Che si fosse
presa una
cotta per lui?
La stessa sensazione di
soffocamento le bloccò la gola e tirò
giù il finestrino, sporgendo fuori il
viso.
«Zoe! Chiudi
il finestrino, è
accesa l’aria condizionata!», gridò Tom.
«Ok»,
mormorò con gli occhi
bassi, pigiando il bottoncino e rimanendo incantata a fissare il vetro
che
saliva fino a chiuderla lì dentro, come si era chiusa
intorno a lei quella
bolla di tristezza alla morte di Franky.
«Che cosa ti
prende Zoe, sei
diventata troppo silenziosa», riprese Tom dolcemente, stando
concentrato con lo
sguardo sulla strada. «È successo
qualcosa?»
«No, sono solo
un po’ agitata.»
«Non penso sia
per la scuola»,
ridacchiò, contagiandola. «Di che si tratta?
Parlane con il tuo Tomi.»
«Perché
il mio Tomi
non si fa i fatti suoi, ogni tanto?», si sporse fra i
due sedili e sobbalzò quando si trovò troppo
vicina al viso di Bill, così si
voltò subito verso Tom, arrossendo violentemente sulle
guance; lui se ne
accorse, la guardò titubante, ma non disse niente.
«Ho parlato
con mamma, prima che
tu arrivassi», si schiarì la voce.
«E che vi
siete dette?»
«Abbiamo
parlato di lei e di
Heinz, le ho chiesto se è felice e lei ha risposto di
sì e… e oggi lui viene a
pranzo da noi.»
«Ah, ecco
perché sei agitata»,
annuì comprensivo.
«Vedrai che
andrà tutto bene, non
ti preoccupare», disse Bill, sorridente.
«All’inizio sarà un po’
strano, visto
che per te è la prima volta, ma sarà una buona
occasione per parlare con lui e
cercare di capire se anche lui sta bene con tua mamma.»
«Sì,
forse avete ragione. Grazie
ragazzi.»
«Prego!»,
incorarono in coro,
sorridendosi.
«Ora dovresti
sentirti agitata il
doppio, però», Tom fece l’ultima manovra
di parcheggio e poi si girò verso Zoe:
«Arrivati!»
«Grazie Tom,
come sei di
conforto! Meglio se mi aspettate qui, tanto torno subito.»
Zoe scese
dall’auto e si
incamminò verso l’entrata della scuola, Bill e Tom
la osservarono oltre il
parabrezza e poi si guardarono negli occhi.
«Tom!»,
piagnucolò Bill,
prendendolo per la maglia. «Perché si comporta
così con me, che cosa le ho
fatto?! Non mi dire che le hai detto che io…»,
serrò la mascella e strinse gli
occhi, trucidandolo con lo sguardo.
«No, non le ho
detto niente!»,
gridò muovendo le mani di fronte al petto, allarmato.
«E mi stavo chiedendo
anch’io perché si comporta così con te
nei paraggi… Quello che mi viene in
mente è solo una cosa, se la conosco bene.»
«Ossia?»
«Non
è che magari anche lei prova
qualcosa per te?»
Il silenzio
calò fra i due e Tom sentì
di aver fatto un grosso sbaglio nel rivelare al proprio gemello
ciò che era
solo un sospetto campato in aria.
«VAI E
AGISCI!», gli gridò
infatti, aprendogli la portiera e spingendolo giù
dall’auto, al sole mattutino.
Tom si guardò
intorno. Era decisamente
rischioso infiltrarsi in un posto colmo di ragazze che avrebbero potuto
riconoscerlo, ma a Bill non doveva interessare, visto che gli fece
segno di
andare e di muoversi.
Perché
non me ne sto zitto
qualche volta? Rischierei meno la vita!
***
La reazione che aveva
avuto era
stata di puro imbarazzo, non si era mai sentita così con
Bill! Perché in quel
periodo tutto le faceva pensare ad un’ipotetica cotta per il
ragazzo più amato
e bramato dalle ragazzine di tutto il mondo? Lui non era che un amico
per lei,
non poteva nemmeno immaginarselo come qualcosa di più!
Peccato che pensassi così anche
di Franky…
La sua immagine le
graffiò il
cuore e dovette fare un respiro profondo per controllarsi: non poteva
cedere,
non lì davanti a tutti. Avrebbe tanto voluto chiedergli che
cosa doveva fare,
se gli avrebbe dato fastidio che lei si frequentasse così
presto con un altro
ragazzo… Lo avrebbe voluto avere semplicemente al suo
fianco, cosicché tutti
quei casini non sarebbero nemmeno esistiti.
Sollevò lo
sguardo sul tabellone
e cercò il suo nome fra tutti quelli dei suoi compagni di
classe. Era una delle
ultime e incrociò le dita percorrendo la sua riga,
desolatamente bianca, fino
alla fine, dove lesse che era stata rimandata a settembre.
«Sia
ringraziato il cielo!», gridò
alzando le braccia, fregandosene che ci fosse altra gente intorno a lei.
«Promossa?»,
bisbigliò una voce
non molto distante da lei, una voce che associò subito a
quella di Tom.
Si voltò di
scatto e dietro il
cespuglio vide proprio lui, mascherato con cappellino nero e occhiali
da sole
sul viso, un sorrisetto sulle labbra. Lo raggiunse senza farsi vedere e
si
nascose meglio trascinandolo con sé, guardandolo severamente
negli occhi:
«Sbaglio o ti
avevo detto di
aspettarmi in macchina?!», disse con voce strozzata.
«Sì,
lo so!»
«E allora che
ci fai qui?»,
sollevò il sopracciglio e Tom balbettò qualcosa,
insicuro, fino a incrociare le
braccia al petto. «No, dimmi che non ti ha mandato
Bill!»
«Esatto, mi ha
mandato lui contro
la mia volontà!», mugugnò.
«Perché!?»
«Perché…
Perché tu ti sei
comportata in quel modo, prima? Se n’è accorto
pure lui che c’era qualcosa che
non andava!»
«Eh?»,
sgranò gli occhi. «Io… Io
non lo so, Tom! È… è tutto
così confuso!»
«Ok, calmati
Sea», le accarezzò
le guance e la sorrise. «Non è che tu…
ti sei presa una cotta per Bill?»
«Che cosa? Tom
come puoi dire una
cosa del genere?»
«Beh, io
pensavo…»
«Non pensare,
tanto non ci
riesci», berciò scostandosi
dall’abbraccio e incamminandosi di nuovo verso
l’auto, sconcertata. Come aveva fatto a capirlo, ad intuire
che forse quello
che provava per Bill stava cambiando? E soprattutto, era veramente
così?
«Zoe, Zoe
aspetta!», la prese per
il braccio e la guardò negli occhi, poi la strinse forte a
sé.
Ho promesso a
Franky di proteggerti e lo
farò. Nessuno ti farà del
male, nessuno.
«Ehi!»
Si voltarono
contemporaneamente
verso l’Audi e videro Bill accanto alla portiera aperta,
occhiali da sole e un
debole sorriso sul viso.
«Tom…
Bill non si è preso una
cotta per me, vero?», gli chiese piano, stanca
psicologicamente oltre che
fisicamente.
«Penso che tu
ti possa rispondere
anche da sola», sospirò e la trascinò
con sé alla macchina.
«Com’è
andata?», chiese Bill ad
una Zoe disorientata, gli occhi spenti e il viso rivolto verso il
basso. «Non
mi dire che sei stata bocciata!»
«No, rimandata
a settembre. Nei
prossimi giorni dovrò andare a vedere su cosa prepararmi per
l’esame», provò a
sorridere, ma le venne una smorfia. «Ora andiamo, devo
prepararmi per il pranzo
con Heinz.»
«Sì,
andiamo», sbuffò Tom con un
grande peso nel petto.
Forse sarebbe stato
più
complicato del previsto mantenere quella promessa, ma ce
l’avrebbe comunque
messa tutta. Non poteva fallire.
***
«Ciao tesoro,
sei tornata! Com’è
andata?»
«Sono stata
rimandata a
settembre», sospirò gettandosi sul divano.
«Beh, meglio
che essere bocciata»,
disse passandole una mano fra i capelli. «Ti ho preparato le
patatine fritte,
sai?»
«Grazie,
mamma», sorrise
abbracciandola, appoggiandosi al suo petto con la testa.
«Ma non
è tutto, vero? C’è
qualcos’altro
che ti preoccupa.»
«Sì»,
sospirò. «Non ti si può
nascondere niente.»
«Conosco bene
mia figlia», le
stampò un bacio sulla fronte, massaggiandole il braccio.
«Vuoi parlarne con
me?»
«Credo…
Anzi so che un ragazzo si
è preso una cotta per me.»
«Oh. E tu
ricambi?»
«Non ne sono
sicura», le si
inumidirono gli occhi e alzò il viso, incontrando
l’espressione
tranquillizzante di sua madre. «E anche se fosse, io non
penso di potercela
fare ancora. Franky…
Io vorrei
ricominciare, ma non posso fargli questo… Mamma, cosa devo
fare? Mi
sento male ogni volta che vedo quel ragazzo…»
«Oh
tesoro…», la strinse forte a
sé e soffocò i suoi singhiozzi contro la spalla,
accarezzandole i capelli sulla
nuca. «Io ti capisco bene, è normale quello che
senti, però… sai che Franky
vorrebbe che tu fossi solo felice, non vorrebbe mai vederti piangere,
perciò
asciugati le lacrime e sii forte. Prenditi tutto il tempo che vuoi con
questo
ragazzo, se ti interessa davvero.»
«È
Bill, mamma.»
La donna rimase in
silenzio e
tutto si congelò, fino a quando non venne distratta dal
campanello e ancora un
po’ frastornata dalla dichiarazione si alzò e
andò alla porta; l’aprì e si
trovò di fronte Heinz che l’abbracciò e
proprio come aveva fatto Tom con Zoe
qualche tempo prima, le fece fare un giro a mezz’aria dopo
averle dato un mazzo
di fiori.
«Ciao
Zoe», la salutò l’uomo, con
un sorriso caldo e rassicurante.
«Ciao»,
ricambiò, poi si alzò:
«Vado a lavarmi le mani!» E corse in bagno, dove ci
si chiuse con un sospiro.
Si sciacquò
le mani e anche il
viso, rendendosi conto che quel giorno non si era per niente truccata,
era
uscita allo scoperto senza nessuna protezione e questo non accadeva da
molto
tempo ormai. Sia Bill che Tom l’avevano vista
così, nuda, e non avevano detto
niente. Forse non ne aveva più bisogno, perché
non aveva più nulla da cui
proteggersi, non aveva più nulla che valesse la pena di
proteggere.
***
«Bill, ti
prego smettila, mi stai
facendo impazzire.»
«Ma…
ma non posso crederci!
Gliel’hai detto! Adesso quando la vedrò
saprò che lei sa e mi sentirò
tremendamente in imbarazzo! Doveva rimanere una cosa fra me e te,
Tom!»
«Senti,
guardami bene negli occhi
e capiscimi: lei è ancora scossa, è debole, ha
bisogno di punti fermi e se io
non gliel’avessi detto, se gliel’avessi nascosto,
avrei tradito la sua fiducia.
Inoltre, ho una promessa mantenere e andrò anche contro di
te, se necessario.»
«La promessa
che hai fatto a
Franky?»
«Esatto»,
si portò la sigaretta
alle labbra e sbuffò il fumo nell’aria,
intossicando involontariamente il povero
Gustav che stava sparecchiando. «Non voglio che Zoe stia
male, non ancora.
Quindi, vedi di regolarti; un pugno in faccia non te lo toglie
nessuno»,
sogghignò mostrando la mano.
«Georg,
passami la padella!»,
gridò Bill a mò di sfida, finendo con ridere
insieme a Tom. «Zoe sa della festa
di questa sera?»
«Sì,
gliene ho parlato un po’ di
tempo fa. Non dirmi che vuoi invitarla! Hai appena detto che ti
sentiresti in
imbarazzo blablabla e ora le vuoi chiedere se vuole venire ad una
festa?! Sei
impossibile, Bill; rinuncio a capirti.»
«Non la invito
io, infatti»,
sollevò il sopracciglio e Tom si schiaffò una
mano in faccia.
In che casino mi sono ficcato?
***
«Sono piena
come un uovo», disse
portandosi le mani sulla pancia, un sorriso soddisfatto sulle labbra.
«Idem. Come al
solito sei una
cuoca eccezionale», aggiunse Heinz, portandosi la mano di sua
mamma alle
labbra, facendola sorridere.
Zoe guardò
quella scena
sorridendo, arrivando alla conclusione che non era stato affatto un
brutto
pranzo: aveva sentito come del calore provenire da
quell’uomo, riusciva a
rassicurarla e la faceva sentire a proprio agio. Forse sua madre aveva
ragione,
forse era proprio quello giusto con il quale ricominciare.
«Zoe, il tuo
cellulare sta
suonando», la avvertì lei, stretta fra le braccia
dell’uomo.
«Oh
sì, non me n’ero accorta!»,
lo estrasse dalla tasca dei jeans e lesse sul display il nome di Tom.
«Scusate.» Si alzò e andò in
camera, dove si chiuse dentro e si gettò sul
letto, a pancia in su.
«Pronto!»,
rispose.
«Alleluia!
Stavo per mettere giù.
Cavolo, perché non hai risposto un po’
più tardi?», biascicò
quell’ultima
frase, tanto che a stento Zoe riuscì a capire.
«Scusa, ero di
là con Heinz e
mamma. Perché non dovevo rispondere?»
«Storia
lunga.»
«Raccontamela,
tanto paghi tu», ridacchiò.
«In poche
parole Bill mi ha
chiesto di chiederti se volevi venire con noi alla festa di stasera. Te
ne
avevo parlato, ti ricordi?»
«Ah
sì, mi ricordo! Te l’ha
chiesto Bill?», si morsicò il labbro in preda al
nervosismo.
«Sì.
Tu vuoi venire?»
«Mi aiuterai,
vero?»
«Certo. Ti
aiuterò a far cosa?»
Sospirò e si
girò a pancia in
giù, attorcigliando intorno al dito una ciocca di capelli
neri: «Sei senza
speranze, Tomi. Io credo di non essere ancora pronta ad una nuova
storia,
soprattutto con Bill; è un mio caro amico, non voglio che
soffra a causa mia e
quindi…»
«Devo fare in
modo che non vi
troviate da soli?»
«Bravo!»
«Ma
perché non glielo dici
direttamente? Sarebbe la soluzione migliore e poi sono sicuro che lui
capirebbe. Da quello che so è cotto come una pera e ti
aspetterebbe.»
«Non voglio
che aspetti proprio
me, rinunciando magari ad altre persone… Capisci? Io non
sono pronta, Tom, e
lui deve avere la sua vita.»
«Ecco, quando
glielo dirai però
non essere così dura, lui è sensibile, lo
sai.»
«No caro, io
non glielo dirò! Mi
dispiacerebbe troppo vederlo deluso e poi non sono dell’umore
giusto.»
«Uffa
però. Non voglio fare da
Cupido per l’eternità!»
«Spero che
questa situazione si
risolvi prima
dell’eternità!»
«Lo spero
anch’io. Quindi,
vieni?»
«Va bene,
vengo. Mi passi a
prendere tu però, vero?»
«Certo.»
«E senza
sorprese di nome Bill
nel sedile accanto al tuo!»
«Ok,
d’accordo», ridacchiò. «Ah,
com’è andata con Heinz?»
«Molto bene,
sai? Non me lo
aspettavo. Mi sembra un tipo a posto, è dolce con
mamma.»
«Visto, te
l’avevo detto io!» Lo
immaginò sorridere trionfante e ridacchiò.
«Non avevi motivo di essere agitata.»
«Mi dispiace
deluderti, Tom, ma
quello che mi ha detto di non preoccuparmi è stato
Bill.»
«Ma io la
pensavo esattamente
come lui. Oh-oh, a proposito, sta sclerando perché mi sono
chiuso in bagno per
parlarti. Ha scoperto che tu sai che è cotto di te, a
proposito.»
«Oddio, ma tu
tenere la bocca
chiusa no, eh?»
«Eh, farebbe
comodo anche a me,
ma non ci riesco! Dai, vado prima che butti giù la porta. Ci
vediamo stasera
Zoe, ti voglio bene!»
«Anche io te
ne voglio tanto,
davvero. A stasera, Tomi.» Pose fine alla chiamata e
gettò la faccia in mezzo
al cuscino, chiuse gli occhi e cadde in un sonno tranquillo, con il
sorriso
sulle labbra. Ma era solo una tranquillità apparente,
perché sapeva che quella
sera sarebbe stata ancora più agitata.
____________________________________
Buonasera a tutti!
Questo capitolo, questa prima
parte, non è un granché, ma visto che dovevo per
forza dividerla dalla seconda,
dovete accontentarvi xD
Il prossimo (la seconda parte) sarà meglio, ve lo
giuro! U_U
Ringrazio infinitamente:
Isis 88:
Sono sicura che mi divertirò tanto anch’io! *-*
Sono contentissima che ti
piaccia, spero che anche questo non sia troppo male xD
Kenzie e Norbert sono veramente
belli, ma il destino è crudele a volte e vedremo se si
rincontreranno!
Franky gli farà una bella
ramanzina, appena potrà, stanne certa u.u Ma essendo suo
migliore amico… sì,
certo che lo perdonerà :)
Tokietta86:
Sì, quei due erano proprio carini; vedremo se ce la
faranno a ricongiungersi nella nuova vita ;)
Franky si è davvero arrabbiato,
ma questo è niente rispetto a quello che
succederà in seguito xD Ma come avete
già detto, lo perdonerà!
Sono contenta che ti piaccia! *-*
Un bacio, alla prossima!
Utopy:
Non ho voglia di ringraziarti, la prossima volta u.u
XD Sto scherzandooooo! Ci sei
rimasta male, eh? Dai, ammettilo su u.u
Ritornando alle cose serie,
grazie Mond! *-*
Beh, sì anche io tifavo per
Kenzie e Norbert, ma devono ricominciare… e io sfascio le
coppie xD
Jole è una delle mie preferite
assai, mi piace la lotta interiore che ha, anche se non credo di
riuscire a
spiegarla bene. Bah, vedremo xD
Non osare farlo, Alessandra o_o
Piuttosto non dormo e non mi faccio la doccia ù.u XD
Ti voglio tantissimissimo bene
anch’io, Mond! *-* <3
E ringrazio anche chi ha
letto
soltanto! Grazie mille a tutti!
Alla prossima, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 8 *** Bodies at the party (Part II) ***
8. Bodies at the party
(Part II)
[Di sotto]
«Vai ad una
festa?»
«Sì
mamma, con Tom, Georg, Gustav
e… e Bill.»
«A proposito
di quest’ultimo…»,
si mise seduta sul letto e la guardò, posando la testa sulla
spalla. «Mi sembra
un bravo ragazzo, è sempre stato dolce, premuroso, e penso
che tenga davvero a
te. Però non so, non è un po’ troppo
grande?»
«L’età
è l’ultima cosa che mi
preoccupa, mamma», sospirò. «Dove cavolo
ho ficcato i pantacollant neri?»
«Nell’ultimo
cassetto. Fai quello
che ti senti, Zoe. Ma se davvero tiene a te, aspetterà e
capirà.»
«Dovrei
davvero dirglielo?»
«Certo! Se no
lo faresti
aspettare per niente!»
«Va bene,
magari… magari glielo
dirò.»
Il cellulare di Zoe
suonò sul
letto e sua madre, che era più vicina, lo prese fra le mani
e lo guardò
incuriosita: «Ti è arrivato un messaggio da
Tom.»
«Sarà
già giù, corro!» Prese il
cellulare, lo ficcò nella borsetta nera di pelle e diede un
bacio a sua madre,
poi schizzò fuori dalla stanza.
«Mi
raccomando, non tornare
tardi!»
«Ok! Non
aspettarmi in piedi,
però! Ciao mamma!», la salutò prima di
chiudersi la porta alle spalle e di
fiondarsi giù dalle scale tentando di non ammazzarsi, visto
che aveva infilato ai
piedi degli stivaletti di pelle nera con i tacchi.
Tom mi farà la solita ramanzina!
«Sempre in ritardo! Che cosa sono io,
il tuo taxi?!»
Sorrise al pensiero del
suo
tenero Tomi, ma quel sorriso svanì presto quando vide Bill
appoggiato al cofano
della sua macchina, sovrappensiero.
Oh mio Dio. Tirò
fuori il cellulare e lesse il messaggio che le
aveva inviato Tom pochi minuti prima, le ginocchia che le tremavano.
So che
mi ucciderai, ne sono consapevole! Ma Bill ha
insistito così tanto che non ho potuto non cedere! Sai che
quando ci si mette è
capace di tutto! Mi dispiace Zoe, davvero! Ci vediamo alla festa, io ho
accompagnato Georg e Gustav. Ti voglio tanto bene!
Tom Kaulitz,
serrò la mascella, mettendo via il cellulare e
avanzando con una finta sicurezza verso Bill. Hai appena decretato la tua fine.
~ ~
~
Avrebbe dovuto impiegare
ogni
minuto del suo tempo a studiare per l’esame, ma non aveva
saputo resistere. Era
da un po’ che non vedeva Zoe e ne sentiva assolutamente la
necessità, se non
l’avesse vista non sarebbe riuscito più a
concentrarsi.
Franky raggiunse il suo
palazzo e
vide qualcosa, qualcuno, che lo paralizzò sul posto, il
cuore che batteva
velocissimo: Bill era appoggiato al cofano della sua macchina e
sorridente
guardava Zoe venire verso di lui, che ricambiava debolmente.
Lei era bellissima:
indossava un
vestitino giallo sotto una larga camicia nera a maniche corte; aveva i
capelli
sciolti sulle spalle e la mollettina con il fiore giallo alla quale era
tanto
affezionata che le teneva ferma la frangia di lato; gli occhi
già magnifici
contornati da matita e ombretto nero come suo solito; e quel sorriso,
purché
fosse appena accennato, era come sempre in grado di mozzargli il fiato.
Quella
volta però fu quasi una pugnalata, perché era
rivolto ad un altro.
Scosse la testa e
andò verso di
loro, si fermò a guardarli mentre si scambiavano i
convenevoli più imbarazzati
del solito e quando entrambi furono dentro l’abitacolo,
seduti nei sedili
anteriori, lui saltò sul tetto dell’auto e si mise
a gambe incrociate, pronto a
scoprire dove dovessero andare tutti e due.
Si fece forza e si
consolò con
l’aria fresca della sera che lo trapassava piacevolmente
mentre l’auto
sfrecciava per le vie illuminate di Amburgo.
Aveva sempre sognato di
fare un
viaggio sul tettuccio di un’automobile, ora però
non riusciva a goderselo
appieno a causa di quella strana malinconia che gli invadeva il petto.
~ ~
~
Sei finito Tom, preparati alla tua fine! pensò
piena di rabbia Zoe,
seduta accanto a Bill.
C’era molto
silenzio e nessuno
dei due accennava a voler dire qualcosa, era come se ci fosse una
lastra di
vetro fra di loro, e la cosa si stava facendo parecchio imbarazzante.
Zoe
avrebbe voluto dire qualcosa, ma che cosa? Era in un vicolo cieco.
«Ahm…
Tom mi ha detto che è
andato bene il pranzo con Heinz», disse Bill incerto, senza
distogliere lo
sguardo dalla strada.
«Sì»,
si schiarì la voce Zoe. «È
andato tutto bene.»
«Sono
contento», sorrise e lei si
sentì sciogliere e allo stesso tempo congelare sul posto:
era talmente strano
che non riusciva nemmeno a distinguere le sue emozioni!
«Senti Bill,
io… Non ti dispiace
se uccido Tom, vero?»
«Ucciderlo?
Che ha fatto di
male?»
«In teoria
niente, in pratica…
Cioè, lui cerca di fare quello che può, ma la
verità è che… dobbiamo
risolvercela io e te.»
«Non so di
cosa tu stia
parlando», disse meccanicamente, allarmato.
Tom,
sarò io ad ucciderti, stanne
certo! È tutta colpa tua!
«Sì,
nemmeno io so di che cosa
sto parlando», sussurrò Zoe abbassando lo sguardo
sulle sue mani. Almeno ci
aveva provato.
Arrivarono alla festa e
la prima
cosa che fecero fu cercare Tom fra tutto quel casino, quando lo
individuarono
lo puntarono, ma non si resero minimamente conto che stessero
camminando
vicini, talmente erano assorti nei loro piani di vendetta e di torture
varie.
«Ehi
ragazzi!», ridacchiò nervoso
il chitarrista, trovandoseli di fronte. «Tutto bene?
Com’è andato il viaggio?»
«Una
meraviglia!», gridarono in
coro, accorgendosi della presenza dell’altro, arrossendo
violentemente.
Bill si
allontanò e raggiunse
Georg e Gustav, lasciando Tom in pasto a Zoe, che sembrava
tutt’altro che
amichevole.
«Wow, sei
molto carina stasera!
Stile un po’ Ape Maia,
però…», tentò di entrare
nelle sue grazie, ma lei non
abboccò.
«Tom, non ho
per niente voglia di
scherzare, ok? Tu… tu mi hai lasciata da sola in macchina
con Bill! Non puoi
capire quanto sia stato imbarazzante!»
«Lo so, mi
dispiace tanto! Ma sai
com’è Bill! Era certo di fare un figurone, invece
scommetto che non ha nemmeno
detto una parola.»
«No, abbiamo
parlato un po’: di
Heinz.»
«Oh,
è già qualcosa però!»
«E poi quando
gli ho chiesto se
potevo ucciderti, mi ha chiesto il motivo e stavo per dirgli tutto, che
non
sono pronta ad avere una nuova storia, ma lui sai cos’ha
detto?! Ha detto che
non sapeva di quello di cui stavo parlando!»,
gridò aprendo le braccia, gli
occhi sgranati che iniziavano a pizzicarle. «Io non ce la
faccio Tom, voglio
già tornare a casa.»
«Mi dispiace
tanto Zoe, io…»
«No, non
è colpa tua Tom. Solo
che è complicato e ho bisogno di tempo. Ti va di ballare un
po’ con me?»
«Ma
certo!», sorrise brillante,
posandole una mano sulla schiena e conducendola verso la pista da
ballo. «Solo
se mi prometti che non mi uccidi.»
«Non ti
uccido, promesso»,
sorrise.
~ ~
~
Una festa?
Camminò fra
la folla e raggiunse
il piano superiore del locale, si appoggiò alla ringhiera
con i gomiti e guardò
dall’alto la pista da ballo, individuando subito Zoe con il
suo abitino giallo
che ballava un lento con Tom, le braccia avvolte intorno al suo collo e
viso
appoggiato alla sua spalla.
Il suo sguardo si
soffermò più
del dovuto su Tom e dovette distoglierlo perché se no lui si
sarebbe sentito
osservato e avrebbe alzato lo sguardo, incontrando ovviamente il vuoto,
ma per
Franky sarebbe stata una tortura incrociare i suoi occhi dopo quello
che aveva
scoperto.
Aveva sempre visto Tom
come una
bella persona, a volte l’aveva pure preso come modello, ma
ora… ora era sceso di
molto nella sua classifica, l’aveva deluso con il suo
comportamento codardo e
anche traditore, perché era questo che aveva fatto: aveva
tradito la sua
fiducia, involontariamente ma l’aveva fatto. Non avrebbe mai
immaginato che
proprio lui, il suo migliore amico, potesse fare una cosa
così a Zoe che ora
rischiava quasi quanto lui se Jole fosse di nuovo scesa di sotto.
Tom l’aveva
messa in pericolo,
lei che non c’entrava niente in quella storia,
l’aveva usata per risolvere
nella maniera più veloce e menefreghista un suo problema che
ora era come
minimo quintuplicato di gravità. E lei sicuramente non ne
sapeva nulla.
Tom, non riuscirò a perdonarti
facilmente. Tu… tu mi avevi fatto una
promessa! Se le dovesse succedere qualcosa… Ti rovinerei con
le mie stesse
mani.
~ ~
~
La strinse a
sé e appoggiò la
guancia alla sua testa, facendola sbuffare divertita. Sapeva che le
dava
fastidio perché la faceva sentire bassa, ma le piaceva
bisticciare con lei e
poi farci pace.
«Tooo-om»,
sospirò tirandogli una
treccina a tradimento.
«Ok, ok, va
bene! Lascia,
lascia!»
Zoe sorrise soddisfatta
e lo
guardò negli occhi, sentendosi a casa; poi dietro di lui
vide Bill che la stava
osservando con la coda dell’occhio, mentre Georg e Gustav,
con un cocktail in
mano, chiacchieravano sopra la musica.
«Che
c’è?», le chiese lui,
accorgendosi della tristezza che si era fatta spazio nei suoi occhi.
«Bill mi sta
guardando.»
«E che cosa
c’è di male? Ti ha
sempre guardato anche prima.»
«Non fare lo
stupido, Tom. Come
mi guarda ora è diverso da come mi guardava
prima.»
«E a te che
importa?»
«Come a me che
importa?! Ma cosa
ti sei bevuto prima che arrivassi?! È uno dei migliori
amici, è ovvio che mi
importa!»
«Se fosse solo
uno dei tuoi
migliori amici glielo diresti chiaro e tondo che non vuoi avere una
storia con
lui. Io penso che tu… che tu qualcosa provi, solo
che… che non lo vuoi
ammettere, ecco.»
«E per quale
motivo non dovrei
ammettere una cosa del genere, eh?!»
«Perchè…
perché non vuoi che
Franky venga sostituito da un altro. Credo.»
«Tom…
Tom stai zitto, ti prego.
Tappati quella fogna che ti trovi al posto della bocca una volta per
tutte! Non
capisci un cazzo, non capisci un cazzo di niente!»,
gridò non riuscendo a
trattenere le lacrime, spingendolo con forza liberandosi
dall’abbraccio e
correndo via da lui, lontana dalla pista da ballo.
«Zoe»,
mormorò mortificato,
maledicendosi da solo. Possibile che quando si trattasse di sentimenti,
sbagliasse sempre, in ogni stramaledetto caso?!
«Ehi,
cos’è successo?», chiese
Bill comparendo alle sue spalle.
«Credo di aver
litigato con Zoe.»
«Perché?»
«Per
te.»
~ ~
~
Ci mancava solo questa, cavolo!
Seguì con
attenzione quello che
sembrava proprio un litigio fra Tom e Zoe, senza riuscire a sentire
quello che
si stavano dicendo a causa della musica troppo alta, e
guardò la ragazza
correre via da lui, facendosi spazio fra la folla, le lacrime che le
rigavano
le guance.
Che qualcuno la segua, cazzo!
Perché se ne stanno tutti con le mani in
mano?
Guardò Bill
preoccupato parlare
con Tom e poi tornare da Gustav e Georg ai divanetti, mentre il
chitarrista di
passava le mani sulle treccine, frustrato, per poi venire circondato da
tre
ragazze che sensualmente iniziarono a ballargli intorno.
E lui ovviamente non rifiuta, come al solito
preferisce scappare dai
problemi!
Tornò con lo
sguardo a Bill,
sembrava pensieroso, seduto sul divanetto, lo sguardo basso. Franky
voleva che
facesse qualcosa per Zoe, ma dall’altra parte non voleva che
fosse proprio lui
a sistemare le cose.
Ok, sono geloso, ma è normale! No?
Sospirò e
saltò giù dalla
ringhiera, cadendo direttamente nella pista da ballo sulle gambe, come
un gatto
che cade sempre sulle quattro zampe senza farsi niente.
Non dovette nemmeno
farsi spazio,
passò direttamente fra tutte le persone che ballando
intralciavano il suo
cammino, indisturbato, e raggiunse la sua piccola, seduta su uno degli
sgabelli
del bancone illuminato da poche luci colorate. Stava ordinando un
alcolico,
cosa che non avrebbe dovuto fare e che non avrebbe mai fatto se ci
fosse stato
qualcuno con lei.
«L’alcol
non risolve le cose,
piccola. E sai che non lo reggi», le sussurrò
all’orecchio, proprio come se
fosse la voce della sua coscienza, posandole una mano sulla schiena, ma
lei non
ascoltò la vocina che si infiltrò nella sua testa
e iniziò a bere, anche se
titubante.
«Piccola non
farlo, ti prego…» ritentò,
ma la sua mente sembrava così
stanca di tutto che non lo volle ascoltare, anche se sapeva che la cosa
giusta
da fare era proprio smettere, lasciare giù quel bicchiere e
andare a chiedere a
Gustav o a Georg uno strappo per ritornare a casa. Continuava soltanto
a bere,
come un automa, senza pensare alle conseguenze molto più che
negative che si
sarebbero susseguite l’una dopo l’altra.
Franky non
riuscì ad estraniarsi
dalla sua mente e venne travolto dai suoi pensieri, così
potenti che gli fecero
chiudere gli occhi. Stava pensando esattamente ad un ricordo, a quel
ricordo,
che lo ferì come poche cose da quando era salito in Paradiso
lo avevano fatto
soffrire: il loro primo incontro.
«Secondo me non ci
riesci.»
Zoe alzò il capo e scese dallo
skate, rischiando anche di inciampare.
Si portò le mani sui fianchi come se nulla fosse e lo
guardò negli occhi con
una scintilla d’orgoglio nei propri: «Franklin, non
sapevo che facessi skate.»
«È la mia passione,
fare skate! E comunque non chiamarmi così, chiamami
solo Franky.»
«Ok, Franky», fece un
sorriso. «Magari io non ci riuscirò,
però ci
proverò comunque! Non mi arrendo.»
«Mi piace la tua
tenacia», ricambiò il sorriso, avvicinandosi.
«Zoe.»
«Che ne dici, se tu sei
più bravo di me potresti darmi una mano!»
«Non ci guadagnerei niente,
ma… sono un cavaliere, infondo.»
«Oh, ne sono veramente
onorata!» E risero insieme per la prima volta.
Il ricordo si
interruppe,
sopraffatto da una sensazione sgradevole che gli fece aprire gli occhi:
Zoe era
pallida, tanto che sobbalzò e si guardò intorno.
Tom era ancora a ballare con
le sue oche, Bill era ancora in quella fase di depressione e Gustav e
Georg non
sapevano nemmeno quello che era successo.
Cazzo, adesso che si fa?
Sentì la
mente di Zoe farsi
sempre più distante e meno accessibile ai suoi flussi e
infatti la ragazza si
alzò e corse verso i bagni. Lui la seguì di
corsa, entrò senza dare importanza al fatto
che fosse il bagno delle ragazze – tanto non lo vedeva
nessuno – e vide Zoe
piegarsi su un cesso e tirare su tutto ciò che aveva dentro.
Era uno spettacolo
pietoso e per la prima volta capì quanto fosse ridicolo far
soffrire così il
proprio corpo, mutilandolo e rendendolo incapace di difendersi da ogni
attacco.
Si chinò
accanto a lei e la
guardò per qualche secondo, poi si rese conto che lui non
poteva proprio fare
niente a causa del suo stato; doveva chiamare qualcuno di vivo e vegeto
che
potesse aiutarla, ma chi?
Lasciò in
sospeso la domanda e
corse fuori dal bagno, raggiunse di nuovo la pista da ballo e la prima
persona
che gli venne in mente fu Tom, ma si trovò a dirsi di no,
perché non poteva
davvero manipolare il suo corpo ora come ora: gli faceva schifo entrare
in lui
dopo aver scoperto ciò che aveva fatto e ciò che
stava nascondendo a Zoe e a se
stesso. Possibile che non si fosse reso conto della gravità
del suo gesto?
Però… potrebbe essere
l’occasione per vedere nella sua testa se si
ricorda di Jole e di quello che ha fatto, usando Zoe per trarre dei
vantaggi
per se stesso. Voglio proprio sapere che cosa pensa.
Si avvicinò a
malincuore e lo
guardò ballare con quelle ragazze con una smorfia sul viso,
gli mise una mano
sulla spalla ed entrò nella sua testa: c’era un
casino che non avrebbe mai
immaginato, ogni ricordo era accavallato l’uno
sull’altro, tranne quelli dei
suoi compagni di band, quelli in cui c’era suo fratello
gemello Bill e quelli
in cui c’erano Franky e Zoe: quelli, stranamente, erano in
ordine; per il
resto, caos. Cercò di trovare degli appigli con Jole,
cercando il bar del
centro commerciale, qualche notte passata con lei, ma sembrava
essersela
proprio dimenticata, come tutte le altre ragazze che erano entrate ed
uscite
dalla sua vita.
Si scostò
bruscamente da Tom,
ancora più deluso, per non arrivare ad odiarlo, e si decise
che l’unica persona
che poteva aiutare Zoe in quel momento era proprio Bill. Doveva farlo,
anche se
gli sarebbe costata molta fatica.
Si avvicinò
al frontman e una
volta di fronte a lui fece un respiro profondo, svuotò la
mente e sperò che
funzionasse e che non commettesse errori, anche perché
sarebbe stata la prima
volta per lui: non era mai entrato in un corpo di un vivo davvero, se
qualcosa
fosse andato storto c’era anche la possibilità di
intaccare la sua anima, di
sconvolgerla, e non voleva che accadesse; non doveva sbagliare,
perciò aveva
bisogno di concentrazione. Inoltre, una volta dentro di lui non doveva
permettere che i suoi pensieri si mescolassero con quelli di Bill,
doveva
essere distaccato, come se non fosse lì; doveva far
combaciare tutto
perfettamente e mantenere i nervi saldi mentre lo controllava.
Quando si
sentì pronto si girò e
si mise seduto esattamente su di lui, lasciando che il suo spirito
entrasse nel corpo di Bill, fondendosi magicamente alla sua anima.
Prese possesso delle
sue
articolazioni, dei suoi muscoli e si sentì un
tutt’uno con lui. Per fortuna era
andato tutto bene.
~ ~
~
Era da un po’
che era seduto lì a
pensare. Aveva visto quello che era successo tra Tom e Zoe,
l’aveva vista
scappare via, ma non aveva avuto il coraggio di andare da lei dopo aver
saputo
che avevano litigato proprio a causa sua e dei suoi stupidi sentimenti.
Perché si era
preso una cotta
proprio per lei? Era così complicato!
Sentì un
brivido percorrergli la
schiena e si alzò di scatto dal divanetto, un po’
traballante, pensando che
doveva assolutamente andare a cercare Zoe: era sparita da troppo tempo,
dove si
era cacciata?
«Ehi Bill,
tutto bene?», gli
chiese Gustav e si girò verso di lui.
«Sì,
tutto ok», fece un sorriso
sforzato. «Avete visto dov’è andata
Zoe?»
«Prima era al
bancone del bar.»
«Vado a
cercarla.»
Si incamminò
fra la folla e vide
suo fratello ballare circondato da delle ragazze: un moto di
irritazione lo
percosse, ma non ne capì perfettamente il motivo. Non era il
momento di
pensarci su, doveva raggiungere Zoe!
Qualcosa lo spinse a
pensare che
si fosse rifugiata in bagno e senza pensarci un attimo di
più vi fece irruzione,
trovandolo fortunatamente deserto. La stessa sensazione di prima lo
fece andare
sicuro alla porta in mezzo, l’aprì e vide Zoe
china sul water, che rimetteva.
«Zoe»,
si avvicinò a lei e le
tirò indietro i capelli tenendole la fronte.
«Bill, che ci
fai tu qui? È il
bagno delle ragazze», biascicò quando i conati di
vomito cessarono.
«Non importa.
Come ti senti?»
«Uno
schifo.»
«Forza, tirati
su», la prese per
il braccio e la strinse a sé, sorreggendola fino al
lavandino, dove le sciacquò
la bocca, dicendole di fare dei respiri profondi.
«Grazie Bill,
grazie», soffiò
avvolgendogli le braccia intorno alla vita, appoggiandosi a lui senza
forze.
«Non mi devi
ringraziare,
piccola.»
Zoe alzò di
scatto la testa e lo
guardò con occhi stanchi e lucidi:
«Come… come mi hai chiamato? Sai che non
puoi chiamarmi in quel modo…»
«Scusami,
io… non l’ho fatto
apposta. Mi dispiace. Dai, ti accompagno a casa, è inutile
stare qui.»
Zoe
acconsentì debolmente e si
lasciò portare fuori. Il casino della gente che ballava e
della musica le
rimbombò nella testa che già le faceva un male
cane, come se contenesse un nido
di vespe, e chiuse gli occhi, portandosi una mano sulla fronte.
Tom si
avvicinò a loro
preoccupato, liberandosi da quelle ragazze che l’avevano
trattenuto più a lungo
del previsto, e Bill sentì lo stesso moto di irritazione che
lo aveva travolto
prima, facendogli assumere un’espressione burbera.
«Ma che
è successo a Zoe?»,
chiese il chitarrista.
«Quello che
non doveva succedere,
ok?! Sei un coglione, Tom!», gridò con tutto il
fiato che aveva in gola, ma
quelle parole… quelle parole non le aveva pensate lui!
Né si sentiva così
arrabbiato con Tom, perché allora…?
Improvvisamente gli
mancò il
respiro e sentì un altro brivido percorrergli la schiena,
quella volta però
molto più violentemente, e sentì una strana
sensazione, come se il suo corpo
fosse di nuovo suo, solo suo; persino la rabbia nei confronti di Tom
svanì e si
sentì come più leggero e semplicemente
preoccupato per Zoe.
Che cosa mi è successo?
~ ~
~
Respirò
velocemente e corse fuori
dal locale senza guardare in faccia nessuno, poi si lasciò
cadere sull’erba
fresca, sotto il cielo scuro, senza più forze, e chiuse gli
occhi.
Era stato più
difficile del
previsto estraniarsi dalla mente di Bill, aveva visto tutto, aveva
sentito ogni
suo pensiero, aveva vissuto dentro di lui e ora non aveva
più segreti. Era
stata un’esperienza traumatizzante, ancora doveva riprendersi
da tutte quelle
sensazioni, quei pensieri e quei ricordi che lo avevano travolto
inaspettatamente.
Non era riuscito neppure
a
mantenere del tutto il controllo di se stesso, infatti aveva
fatto sentire a
Bill sensazioni che se fosse stato pienamente lui non avrebbe sentito,
come
l’irritazione verso Tom e l’amore fin troppo vasto
per Zoe, tanto da chiamarla piccola
come aveva sempre fatto lui.
Si sentiva debole, senza
più
forze, ma si tirò sui gomiti e guardò Bill
accompagnare alla macchina l’inerme
Zoe, che si lasciò mettere la cintura di sicurezza senza
obbiettare. Con gli occhi seguì Bill
mentre entrava in auto e metteva in moto, poi si lasciò
cadere di
nuovo a terra con un
sospiro. Aveva fatto la cosa giusta, lasciandola sola con lui?
Beh, meglio lui
che altri, dopotutto,
cercò di consolarsi.
~ ~
~
Non riusciva davvero a
capire che
cosa gli fosse preso. Perché aveva chiamato così
Zoe? Sapeva che nessuno doveva
chiamarla piccola
perché era sempre
stato Franky a chiamarla in quel modo, eppure gli era uscito naturale,
facendo
una figuraccia. E poi, perché aveva provato irritazione
vedendo suo fratello Tom? Non aveva fatto nulla di così
esageratamente
sbagliato, se Zoe si era sentita male non era colpa sua,
però gli era venuto
allo stesso modo spontaneo insultarlo con quella ferocia, lasciandolo
di
stucco.
Non sembrava io, in quel momento! rifletté,
ma ogni spiegazione che
gli veniva in mente non poteva essere considerata logica, quindi
lasciò perdere
e si concentrò sulla Zoe immobile, sdraiata scomposta sul
sedile al suo fianco,
la testa appoggiata al finestrino.
«Zoe»,
la chiamò piano e lei
mugugnò qualcosa, aprendo a fatica gli occhi.
«Come stai?»
«Sono a pezzi
e mi fa malissimo
la testa», biascicò.
«Mi
dispiace.»
«Non
è colpa tua, Bill.»
«Sì
invece che lo è. È tutta
colpa mia. Non voglio farti del
male, Zoe. E… e non voglio metterti fretta, ok?»
Non sapeva perché le stava
parlando di quelle cose proprio in quel momento, forse
perché credeva che il
mattino seguente non si sarebbe ricordata nulla.
«Io… io mi sono preso una
cotta per te, una bella tosta anche, ma so che hai bisogno di tempo, lo
capisco; sono disposto ad aspettare, anche tutta la vita se necessario,
l’importante è che tu sia felice e non ti senta
obbligata a stare con me.»
Zoe, in silenzio, lo
guardò e
fece un debole sorriso posando la mano sulla sua.
«Grazie,
Bill», mormorò prima di
voltarsi di nuovo verso il finestrino, gli occhi chiusi e
l’espressione del
viso un po’ più serena.
_____________________________________
Buongiorno gente! ^_____^
Ooooh *-* Questo
capitolo è uno
dei miei preferiti! Sicuramente meglio del precedente xD
Si è suddiviso fra i Tokio e Zoe
e Franky, spero si sia capito xD Spero si sia capito anche di quando
Franky
entra nel corpo di Bill e quello che succede, perché un
conto è avere le cose
chiare in testa, uno scriverle xD Dai, spero nelle vostre
capacità intuitive ;D
Ringrazio di cuore
queste tre
sante che commentano sempre *-*
Isis 88
: Ciao! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia
piaciuto, spero anche questo! ^-^
Sì in effetti la situazione è
moooolto intricata. Bill e Zoe si sono “parlati” e
come risultato volevano
uccidere il povero Tom xDD
Uhm, il triangolo Zoe-Bill-Franky
darà qualche problemino, vedremo se davvero riusciranno a
trovare un equilibrio…
Grazie mille, alla prossima,
baci!
Tokietta86
: No, non è per niente facile e non lo sarà
ancora per
tanto tempo. Vedremo che cosa combineranno xD Tom cupido xDD Io me lo
immagino,
con il pannolone e le freccette X°°°D Oh mein
Gott sto sclerando xD
Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto! *-*
Grazie ancora per aver votato il
Future per il concorso! *-* Grazie anche per la recensione, alla
prossima,
baci!
Utopy
: Tu sei già santa per me xD Heliiiiiiig *-* Mamma mia
questi
giorni con te sono stati bellissimi ma già lo sai xD
Soprattutto il concerto! *Q*
Non me lo dimenticherò mai assai mai ù.u
Okay, tornando al capitolo,
questo l’hai già avuto un po’ in
anteprima, no? Non mi ricordo più bene che
cosa hai letto e cosa no xD Le parti che ti ho chiesto io
vabbè, sì, il resto
non so xD So che odi Zoe, ma non è facile con Frankyyy,
pensa se accadesse a te
u.u Però vabbè, se la odi più di Ary e
lei scala in seconda posizione sono
strafelice *-* (Vorrei che non le odiassi entrambe, però mi
accontento xD) Tom
la bocca larga xD San Pietro è the best xDD
Cavolo, mercoledì scorso
mancavano 4 giorni, ora siamo qui e boh xD Che strano, che triste.
Però ce la
faremo fino a giugno, best! *-* Dai dai! Ti voglio tantissimo bene
Mond, ma
tanto tanto tantissimo! *_______* <3
E
poi ringrazio anche tutte
quelle persone che non recensiscono ma che leggono sempre!
Grazie a tutti! Alla prossima,
vostra
_Pulse_
PS: Ah, mi stavo per
dimenticare!
Da oggi in poi aggiornerò anche di venerdì, oltre
che di mercoledì, perché per
qualcuno una volta alla settimana era troppo poco e quindi è
riuscita a
convincermi xD Spero che tutti riescano a seguire comunque ^__^ Ciaooo!
|
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Capitolo 9 *** Goodbye and Hello ***
9. Goodbye and Hello
Finì di
parlare e fece un respiro
profondo, come se fosse stato in apnea per tutto quel tempo, poi
guardò i
professori di fronte a sé che come dei giudici stavano
soppesando il suo esame,
guardandosi negli occhi a vicenda e bisbigliando fra loro.
Franky era seduto
proprio di
fronte a San Pietro, che lo guardava intensamente negli occhi, un
sorriso
rassicurante sulle labbra, come se volesse dirgli: «Non ti
preoccupare, andrà
tutto bene.»
Era agitato fino
all’inverosimile, stava sudando! Voleva sapere se era passato
o meno, in
fretta, o sarebbe svenuto dall’ansia.
Il professor Schulz si
schiarì la
voce e si alzò, si sistemò la cravatta e Franky
sobbalzò sulla sedia: era
arrivato il momento!
«Franklin
Weigel, hai superato
l’esame e da oggi sei ufficialmente un angelo
custode.»
«Oddio,
sì! Ce l’ho fatta!»,
gridò alzandosi in piedi con le braccia stese verso
l’alto, felice come una
pasqua. Dietro di lui anche Kenzie e Norbert avevano iniziato a gridare
saltellando, abbracciandosi.
«Sempre se San
Pietro è
d’accordo!», aggiunse il prof, guardando il Santo
al suo fianco. Egli si alzò e
cadde un pesante silenzio che fece azzittire pure la gioia
incontenibile di
Franky, l’angelo custode.
«Ovvio che
sono d’accordo!»,
gridò aprendo le braccia, scoppiando a ridere.
Franky fece un sospiro
di
sollievo e lo ringraziò con lo sguardo, poi corse dai suoi
amici, unendosi a
loro in quel balletto improvvisato, godendosi quel momento di pura
felicità.
***
«Oddio, sono
bellissime», disse
Kenzie estasiata, sfiorando le piume candide con la punta delle dita.
Franky annuì
e si guardò allo
specchio, girandosi di spalle per osservare meglio le grandi ali
bianche che
come per magia gli erano cresciute sulla schiena quando aveva firmato
la sua
“Carta d’Angelo Custode”, sulla quale
c’era anche scritto il nome della persona
che adesso lo possedeva e che in realtà l’aveva
sempre posseduto: Zoe Wickert.
«Sei
emozionato?», gli chiese
lei, abbracciandolo da dietro goffamente proprio a causa di quelle ali.
«Voi non
potete capire quanto»,
ridacchiò con le guance rosso porpora.
Ancora non poteva
credere di
avercela fatta, era troppo incredibile per pensarlo! Ce
l’aveva fatta! Il
giorno seguente avrebbe lasciato il Paradiso e sarebbe tornato sulla
Terra
sotto forma di angelo custode, sarebbe stato visibile alla sua protetta
e ad
alcune persone speciali. Avrebbe avuto l’importante compito
di proteggere la sua
piccola, ma ce l’avrebbe fatta pure quella volta: aveva
superato cose peggiori
nella sua vita! E poi avrebbe potuto di nuovo abbracciarla, sostenerla,
però…
avrebbe fatto male all’inizio, lo sapeva; insieme avrebbero
superato pure
quello, loro erano forti.
«Hai pensato a
come glielo dirai?»,
gli chiese, gettandosi sul suo letto, i gomiti che la sorreggevano.
«In che
senso?», corrugò la
fronte.
«Ma come? Non
ti sei posto il
problema di come la prenderà? Insomma, vedere una persona
che dovrebbe essere
morta e sepolta apparire di fronte ai propri occhi, dicendo:
“Ciao, sono il tuo
angelo custode!” non è cosa da tutti i giorni!
Potrebbe rimanerci
traumatizzata!»
«Cavolo
Kenzie, hai ragione!»
La ragazza
schioccò la lingua
indicandosi, dandosi mille arie di fronte a Norbert, che le diede un
colpetto
con la spalla.
«E se non
dovesse prendermi sul
serio? Se credesse di essere diventata pazza? Oddio, è un
problema!»
«Magari
dovresti prepararla
entrando in un sogno e spiegandole le cose con cautela»,
ipotizzò Norbert,
sollevando le spalle.
«Non lo
so… Non sono mai andato a
trovarla in sogno, sarebbe anche quello traumatico e se dopo mi vede
anche da
sveglia potrebbe anche svenire.»
«Uff, bel
casino», sbuffò Kenzie.
«Beh, troverai sicuramente una soluzione, ne sono
certa!»
«Grazie
Kenzie, molto d’aiuto
come al solito», fece un sorrisetto e si mise seduto sul
bordo del letto,
venendo subito raggiunto da lei a sinistra e da lui a destra.
Sorridenti gli
posarono una mano sulla spalla e Norbert gli porse una bottiglia di
birra, che
Franky prese sorridendo.
«E queste da
dove le hai tirate
fuori?», gli chiese Kenzie, ridacchiando.
«Dalla borsa
di Mary Poppins,
ovviamente», fece l’occhiolino e
l’attirò a sé, baciandola sulla testa,
sorridendo.
Franky guardò
i suoi amici ridere
e scherzare con le loro birre in mano e gli venne spontaneo sorridere.
Avvicinò
la bottiglia alle labbra, ma Norbert lo fermò:
«Dobbiamo
brindare!»
«A
cosa?»
«Franky!»,
aprì le braccia
Kenzie, un sorriso divertito e allo stesso tempo indignato sulle
labbra. «Sei
diventato un angelo custode! È una cosa da festeggiare! E
poi… domani mattina
partirai.»
«Partirò
dopo di voi, non vi
preoccupate», sorrise rassicurante e si avvicinò a
loro, porgendo il collo
della propria bottiglia. «Non vi dimenticherò mai
ragazzi, alla nostra.»
«Alla
nostra!»
Il rumore del vetro
tintinnò
nella stanza, sopraffatto presto dalle loro voci emozionate e dalle
loro risate
che quella notte non sarebbero andate a dormire presto.
***
«Pronti?»,
chiese San Pietro
uscendo con la testa dalla saletta. «È il vostro
turno.» Fece un sorriso
rassicurante e Franky lo imitò, guardando i suoi amici che
si stringevano forte
la mano, fissandosi negli occhi.
«Siamo
pronti», disse Norbert,
trascinandosi dietro Kenzie.
Franky li
seguì ed entrò nella
saletta, si mise accanto a San Pietro e vide i ragazzi avvicinarsi a
due cabine
di vetro trasparente, irradiate da una forte luce rosata. Lui le
chiamava
scherzosamente Cabine Risucchia Anime, ma in realtà facevano
il contrario,
perché “risucchiavano”, "lavavano" via
il corpo dall’anima, rendendola libera e
priva dei ricordi che la tenevano legata all’organismo in cui
aveva vissuto.
«Vi siete
già salutati, è tutto a
posto, possiamo cominciare?», chiese un operaio con dei
grossi guanti di
cotone, già dietro dei sofisticati computer.
«Sì»,
tremolò Kenzie con le
labbra increspate, gli occhi gonfi pieni di lacrime.
«Baby»,
disse intenerito Franky,
avvicinandosi e prendendola fra le braccia. Norbert trattenne le
lacrime e con
un piccolo sorriso si unì all’abbraccio,
stringendo forte i due.
«Mi mancherete
tantissimo
ragazzi, anche se non me ne ricorderò affatto»,
disse Kenzie fra i singhiozzi. «Siete
stati importantissimi, siete stati i migliori amici che abbia mai
avuto,
davvero. Promettetemi che questa non è la fine.»
«Non
è la fine», sussurrò Norbert
accarezzandole i capelli sulla nuca.
«Vi
verrò a trovare, anche se
sarete solo dei neonati», ridacchiò Franky.
«Ve lo prometto.»
«Franky, non
ci deludere»,
sorrise Kenzie, asciugandosi il viso dalle lacrime e tirando su col
naso. «Sei
il nostro orgoglio, svolgi al meglio il tuo compito.»
«Certo. Vi
auguro una vita
felice, ragazzi. Alla prossima.»
Si sorrisero e poi, con
il cuore
più leggero, Kenzie e Norbert entrarono nelle cabine,
tenendosi la mano fino all’ultimo.
Le porte si chiusero di fronte a loro e lei fece un sorrisetto
salutando con la
mano, prima che la sua figura venisse lentamente irradiata da quella
luce.
Venne come assorbita e rimase solo la sua anima, una sfera azzurrina,
agli
occhi di Franky più bella di quelle che aveva visto con San
Pietro, che
galleggiava nell’aria come quella di Norbert, altrettanto
luminosa e ricca di
fascino.
Le porte si aprirono di
nuovo e
San Pietro gli porse dei guanti, indicando con il capo di andare;
Franky gli
sorrise, se li infilò e raggiunse l’operaio che
aveva già fra le mani l’anima
di Norbert. Prese quella di Kenzie fra le sue e la osservò
estasiato, la luce
proveniente da essa che si rifletteva nelle sue iridi verdi.
Seguì l’operaio ai
cannoni che le avrebbero rispedite sulla Terra e prima di metterla
nell’apposito spazio, la guardò con tenerezza e
posò un delicatissimo bacio
sulla superficie liscia, sentendo un piacevole tepore sulle labbra, poi
la
lasciò andare.
Buona fortuna, Kenzie… Mi
mancherai. E mi mancherai anche tu, Norbert. Siete
stati davvero fantastici, grazie di tutto. Non mi
dimenticherò mai di
voi, mai.
Sospirò
sereno e si girò verso
San Pietro, che gli aveva messo una mano sulla spalla.
«E tu sei
pronto, Franky?»
«Sì,
sono pronto», sorrise annuendo.
E si avviò
con San Pietro, che lo
scortò fino all’Ufficio di Collegamento.
«Anche gli
angeli custodi passano
da qui, per tornare sulla Terra?», chiese Franky incuriosito.
«Ovviamente,
però… per una via
secondaria», sorrise e lo spinse verso una porta che per lui
era sempre rimasta
un mistero.
Quando entrarono, rimase
senza
parole, incredulo: «Oh mio Dio.»
Di fronte a lui si
trovava una
lunga ed alta stanza, circondata solo da finestre che permettevano di
vedere un
bellissimo parco, come se fosse una serra. Era molto illuminata,
c’era un via
vai continuo di gente, fra personale ed angeli, e tanto trambusto. Ma
era
qualcosa di magnifico, perché su ogni viso c’era
un sorriso ad illuminarne
l’espressione e Franky si sentì invaso da una
tranquillità senza paragoni. Ai
lati c’erano due file di camerini, con tende color porpora,
dotati di grandi
specchi nei quali ci si poteva riflettere interamente per avere una
visione più
completa.
Sembrava tanto uno di quei negozi
che vendevano vestiti da spose, nei quali c’era il sarto a
disposizione che
girava intorno al povero mal capitato, solo che l’armonia che
vi si respirava
era incomparabile: tutti erano
complici, contenti del proprio lavoro e dei propri vestiti bianchi e
lucenti.
«Benvenuto
nella…»
«Stanza dei
Manichini», concluse
Franky per San Pietro, che sospirò divertito.
«Possibile che
tu debba cambiare
sempre i nomi alle stanze?»
«Beh, i miei
nomi sono più
originali!»
«Va bene, come
vuoi», rise. «Ti
accompagno dalla ragazza che si occuperà di te,
dai.»
«Che
cosa?», gridò inorridito.
«Anche io dovrò mettermi uno di quei vestiti
eleganti?!» Non aveva pensato a
quel particolare, avvolto in quella serenità, solo in quel
momento si rendeva
conto della gravità della situazione.
«Certo Franky,
questa è la divisa
da angeli custodi! Forza, su!»
No, non voglio!
pensò disperato, ma non poté opporsi e venne
trascinato di fronte ad una ragazza che senza nemmeno presentarsi,
sorridendo,
lo squadrò da capo a piedi e gli porse un completo
– giacca e pantaloni – di
seta bianca. Franky prese fra le mani l’ometto al quale era
appeso tutto e
seguì la sarta che gli indicò un camerino libero,
entrò e si guardò allo
specchio, poi sospirando iniziò a cambiarsi, mentre lei lo
aspettava fuori.
«Tutto a
posto?», gli chiese dopo
un po’.
«Sì,
ho quasi finito.»
«La taglia
è quella giusta?»
«Perfetta. E
pensare che mi hai
solo guardato! Come hai fatto?»
«Ho molta
esperienza, ormai»,
ridacchiò. «Sei emozionato? Per il tuo ritorno
sulla Terra, intendo.»
«Sì,
tantissimo. Ma è proprio
necessaria questa divisa?»
«Sì,
Franky!», tuonò la voce di
San Pietro e la ragazza rise di nuovo. «Ti fa entrare nel
personaggio!»
«Divertente»,
bofonchiò.
Finì di
mettersi la giacca e si
guardò allo specchio critico, sistemandosi i polsi.
Dopotutto non era tanto
male, se sotto teneva quella maglietta celeste, se si metteva un
cappellino dei
suoi sulla testa e teneva le sue scarpe della DC bianche: poteva dire
di stare
anche bene!
«Hai
finito?»
«Sì,
ho finito», tirò di lato la
tenda e fece un giro su se stesso, sorridendo
innocentemente. «Che ve ne pare?»
«Sei veramente
bello», disse la
ragazza, sistemandogli il bavero, compiaciuta. «Sembri fatto
apposta per questo
completo, ti calza a pennello!»
«Grazie»,
tossicchiò vagamente
imbarazzato, passandosi una mano sulla nuca. «Ora, che si
fa?»
«Ora niente,
ti accompagno»,
disse San Pietro. «È arrivato il momento di
andare.»
«Ok.»
Si girò verso la ragazza
che l’aveva vestito e la salutò con un cenno della
mano, al quale lei ricambiò
affettuosamente, poi seguì San Pietro.
«Hai
tutto?»
«Sì»,
rispose tastandosi le
tasche. «La Carta
d’Angelo Custode ce l’ho, la cosa più
importante; gli altri documenti… Sì,
penso di avere tutto.»
«Il Cellulare
Celeste te l’hanno
dato?»
«Il…
il Cellulare Celeste?»
San Pietro chiese ad una
delle
segretarie e ne ottenne subito uno, che porse a Franky con il sorriso
sulle
labbra: «Con questo puoi metterti in contatto con le persone
che sono ancora in
Paradiso», si avvicinò al suo orecchio e
bisbigliò: «Ho già salvato il mio
numero in rubrica.»
«Grazie,
è bellissimo!» Era
argentato, con il touch screen
e una bellissima antennina con una piccola aureola dorata
all’estremità.
«Mi fa piacere
che ti piaccia.
Per qualunque cosa, Franky… non esitare a contattarmi,
ok?»
«Ehi,
ma… si è commosso!», indicò
il viso del Santo, meravigliato.
«Shhhh!»,
gli tappò la bocca
allarmato, guardandosi intorno, ma Franky si liberò e lo
abbracciò dolcemente.
Era stato come un padre per lui, non avrebbe mai smesso di ringraziarlo
abbastanza.
«Grazie per
tutto quello che ha
fatto, davvero. Grazie.»
«Grazie a te,
Franky. Ho imparato
molte cose, osservandoti. E volevo dirti che sono orgoglioso di te. Vai
e fai
ciò che devi, non deludermi.»
«Non lo
farò, può starne certo»,
lo guardò negli occhi e sorrise.
«Mi
raccomando, non fare nulla
d’avventato!», gli gridò quando ormai
era già arrivato di fronte l’ascensore
che stava per scendere.
«Non si
preoccupi!», lo salutò
con la mano, ma si fermò quando vide Jole corrergli incontro
e travolgerlo in
un abbraccio stretto.
«Franky!»
Aveva il fiatone,
doveva aver corso per un bel pezzo. «Franky, scusami, mi sono
addormentata!
Volevo dirti, prima che tu partissi… Grazie», gli
sorrise. «Grazie davvero per
tutto quello che hai fatto.»
«Noi ci
rivedremo, Jole! Non ti
preoccupare! Non ho intenzione di lasciarti qui, voglio provare a
liberarti. Ci
metteremo in contatto, magari con il Cellulare Celeste.»
«Il Cellulare
Celeste? Io non ne
ho uno…»
San Pietro la raggiunse
e glielo
porse, lei lo guardò con gli occhi brillanti e se lo strinse
al petto,
raggiante.
«Beh, ora ce
l’hai», ridacchiò
Franky. «Farò di tutto, davvero. Insieme ce la
faremo.»
«Ok, Franky.
Fai buon viaggio e
sii forte.»
«Grazie.»
L’abbracciò
ancora e poi entrò
nell’ascensore: non poteva più aspettare. Si
appoggiò alla vetrata e accennò un
saluto con la mano, quando le porte si chiusero e cominciò a
scendere fra le
nuvole candide, verso la città.
E la sua avventura come
angelo
custode ebbe realmente inizio.
***
Entrò nella
camera che conosceva
fin troppo bene, ansioso, e sobbalzò all’udire un
cane abbaiare. Alzò lo
sguardo e vide Ariel balzare giù dal letto e corrergli
incontro, portando le
zampette corte sulle sue gambe.
«Ariel»,
sussurrò perplesso,
mentre un sorriso si faceva spazio sul suo viso, cancellando ogni tipo
di
preoccupazione per quel breve attimo. «Quanto tempo
è passato, Ariel! Che ci
fai qui?»
La cagnolina di Zoe, una
bassottina cicciottella e non eccessivamente lunga, con il pelo di un
marrone
caldo, abbaiò ancora e quando Franky si abbassò
gli leccò il viso, mostrando
tutto l’affetto che da sempre gli aveva riservato. Era
così tenera, affettuosa…
tanto che era impossibile non volerle bene.
Era sorpreso di vederla,
ma
d’altro canto doveva aspettarselo: il suo posto era
lì, accanto alla sua
padroncina che aveva lasciato troppo presto a causa di un incidente fin
troppo
banale per essere vero.
Si sdraiò sul
letto con la
cucciola ed incominciò ad accarezzarla distrattamente sul
dorso, chiedendosi
perché non era mai riuscito a vederla prima. Probabilmente
quella di vedere gli
altri angeli custodi o pseudo era una facoltà che si poteva
ottenere soltanto
diventando uno di loro.
Si perse fra mille
pensieri,
soffermandosi sul fatto che era lì e tra poco avrebbe
rivisto Zoe, la sua piccola…
Come avrebbe fatto a spiegarle che lui era un angelo custode?
Kenzie aveva ragione, accidenti! Non mi sono
mai posto il problema, ma
come posso fare a farmi credere “reale” da Zoe?
È un vero problema,
sbuffò
e si portò le mani sotto il mento. Magari
potrei… Nah, sarebbe ancora peggio. E se… No!
Come cavolo posso fare?
Sentì la
porta della camera
aprirsi e rimase paralizzato sul letto, anche il suo cuore
d’angelo cessò di
battere.
In casa non
c’era nessuno, la
mamma di Zoe era uscita con Heinz e il silenzio che l’avvolse
lo fece
rabbrividire. Quando riuscì ad alzare il viso, fu una fitta
al cuore incontrare
quello sguardo terrorizzato che lo fissava. Si alzò di
scatto, facendo scendere
anche Ariel – invisibile – che non
fiatò. Zoe seguì attentamente ogni suo
movimento: fu in quell’istante che Franky comprese che
riusciva già a vederlo.
«Zoe»,
soffiò, facendo un passo
indietro, anche se la sua mente gli diceva di avanzare.
Lei scosse la testa e
strabuzzò
gli occhi gonfi di pianto, poi iniziò ad urlare,
accasciandosi a terra,
rannicchiandosi con le gambe strette al petto.
L’angelo non
riuscì a muovere il
muscolo, era troppo scosso dalla sua reazione più che
prevedibile, ma
immaginarla e vederla con i propri occhi non era assolutamente la
stessa cosa:
si sentiva un mostro, qualcuno di cui avere terrore.
Era una sensazione
straziante
quella che si faceva spazio nel suo cuore, tanto che iniziò
a piangere in
silenzio. Zoe, la ragazza che aveva amato e che amava ancora, stava
gridando di
paura perché riusciva a vederlo. Si sentiva un essere
immondo, ma doveva essere
forte, doveva capirla, doveva cercare di rassicurarla, ma
cavolo… cavolo quanto
era difficile!
Le grida cessarono,
Franky se ne
accorse quando sentì solo i propri singhiozzi.
Alzò il viso e guardò quello di
Zoe, ancora a terra, rannicchiata come se volesse proteggersi,
stravolta.
«Zoe»,
riprese, anche se la gola
gli andava in fiamme e non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi,
talmente
si sentiva male. Infondo le stava di nuovo parlando, dopo tutto quel
tempo, e
non era così bello come se lo aspettava: si sentiva
così infinitamente in
colpa, così… fuori luogo… Nessuno lo
aveva preparato a questo, nessuno.
Che fosse proprio il
primo
incontro con il proprio protetto a stabilire la forza di un angelo
custode? Che
fosse quella, la vera prova? Il vero esame?
«So…
so che sembra impossibile
che io sia qui, so come ti senti, sto provando anche io quello che stai
provando tu, ma… come posso dirtelo, se non in questo modo?
Io sono qui, io
sono vero, io… io sono il tuo angelo custode, Zoe.
Sai», sorrise, tirando su
col naso. «Tutte le volte in cui ci siamo fermati a parlare,
a chiederci come
sarebbe stato dopo la morte… beh, c’è
questo dopo la morte. Ho studiato, ho
persino dato degli esami per essere qui ora, per diventare un angelo
custode.
Per essere il tuo
angelo custode.
«Non sei
pazza, Zoe, te lo posso
assicurare. Cerca… cerca di vedere la cosa dal mio punto di
vista, per un
attimo, ok? È abbastanza complicato anche per me, farmi
credere “reale” e non sintomo
di pazzia», fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi per
schiarirsi le
idee. «Ho pensato alla tua reazione, questa
reazione, solo ieri e non ho avuto il tempo di pensare ad un modo per
dirti
tutto questo che non ti avrebbe traumatizzata e, infatti, hai visto
quali sono
stati i risultati. Se non hai perso la voce ti faccio i miei
complimenti»,
ridacchiò. Lentamente tutto si stava schiarendo, come
l’espressione di Zoe si
stava ammorbidendo.
«Io…
io posso darti tutto il
tempo che vuoi per accettare la mia esistenza, non deve essere per
niente una
cosa facile, posso capirlo benissimo. È comprensibile, se
fosse capitato a me
penso avrei reagito allo stesso tuo modo. Però, voglio dirti
una cosa, prima…
Posso avvicinarmi?», le chiese, piegando il viso leggermente
verso destra, un
sorriso rassicurante sulle labbra. Zoe esitò, ma
annuì con il capo. Franky,
cautamente, fece qualche passo verso di lei e una volta al suo cospetto
si
inginocchiò e la guardò negli occhi:
«Non puoi
capire quanto mi sei
mancata, quanto ho avuto paura di non poterti più vedere
all’inizio, quanto ho
sudato per arrivare fino a qui, quanta gioia ho provato quando ho
superato
l’esame e sono diventato un angelo custode. Ho fatto tutto
questo per te, solo
per te, piccola. Ti amo, ti amo e ti amo», concluse e la sua
voce ormai era un
sussurro: non era stato facile quel discorso, ma ce l’aveva
fatta e
sinceramente pensava peggio.
Sollevò il
viso verso di lei e
non si azzardò a sfiorarla, anche se avrebbe tanto voluto;
la guardò soltanto negli
occhi, riuscendo perfettamente a specchiarsi in quelle iridi azzurre da
togliere il fiato.
«Vuoi che ti
lasci da sola per un
po’?», le chiese con immensa fatica e un nodo
stretto in gola.
Zoe parve soppesare le
sue
parole, fino a quando un debole sorriso piegò le sue labbra
all’insù e Franky
si sentì morire per la seconda volta talmente era bella.
«Non voglio
che mi lasci mai più,
Franky, mai più», sussurrò,
avvicinandosi lentamente. «Magari sarò anche pazza
a credere che tu sia veramente qui, ma quando mai non lo sono stata? Ho
la
pazzia nel sangue, dovresti saperlo. Se essere pazzi è
l’unico modo che ho per
averti, sono contenta di esserlo. Ti prego, non andartene
più.»
«Non me ne
andrò, non me ne andrò
mai più», tirò fuori dalla tasca dei
jeans di seta bianca la sua Carta d’Angelo
Custode e gliela mostrò; lei con la mano che tremava la
prese e la osservò.
«C’è…
c’è il mio nome, qui.»
«Sì,
Zoe. Questa è… è la mia
nuova carta d’identità, ecco. E
c’è il tuo nome perché io sono il tuo
angelo
custode, ti appartengo, e per questo non potrò mai
più lasciarti. È come… come
se fossimo uniti da un filo indistruttibile.»
«Oh
Franky», nuove lacrime
sgorgarono dai suoi occhi, ma erano diverse da quelle precedenti: erano
arrendevoli, di sollievo, di gioia. «Posso
toccarti?»
«Certo che
puoi. Ora
puoi.»
Zoe avvicinò
le dita al suo viso
e gli sfiorò lo zigomo, lentamente. A quel contatto
l’angelo chiuse gli occhi,
era una sensazione fin troppo piacevole poter essere di nuovo toccato
da lei,
eppure non si mosse: anche un solo movimento avventato e avrebbe potuto
spaventarla di nuovo.
Si lasciò
sfiorare per un po’,
completamente immobile, fin quando lei non si gettò
letteralmente fra le sue
braccia e lo strinse forte, tanto da togliergli il respiro.
«Stringimi
Franky, stringimi», lo
supplicò, il fiato mozzato dai singhiozzi.
Non se lo fece ripetere
due volte
e la strinse, affondando il viso nei suoi capelli, respirando il loro
profumo
inconfondibile. Sentì le sue mani stringere intorno alla sua
schiena e sorrise
quando iniziò a tastarla incuriosita.
«Ma che
cos’hai sulla schiena?»,
gli chiese, come aveva previsto.
«Sicura di
volerlo scoprire già
adesso? Non vorrei che avessi un sovraccarico di emozioni.»
«Franky!»,
lo guardò indignata e
la riconobbe: quella era la sua Zoe, quella!
«E va
bene», si alzò e fece un
respiro profondo. Cercò la sua totale attenzione e una volta
ottenuta distese
le ali in tutta la loro lunghezza, trovando l’espressione
estasiata di una
bambina sul volto della sua piccola.
«Allora, ti
piacciono?», le
chiese immaginando già la sua risposta.
«Sono
magnifiche!», gridò
alzandosi ed osservandole da più vicino, poi
tornò a contemplare il suo viso.
«Franky,
allora tu… tu sei il mio
angelo custode.»
«Esatto.»
«E…
e quindi…»
«Ho la
capacità di leggere nel pensiero,
so che cosa stai pensando», sorrise, facendola arrossire.
«Zoe, noi non
possiamo più stare insieme. Io sono qui per starti accanto,
per proteggerti,
non perché sono tornato da un viaggio e possiamo riprendere
da dove abbiamo
lasciato. Mi dispiace. Mi dispiace quanto te, te lo giuro. Purtroppo,
essere
angeli custodi non significa resuscitare.»
«Ho
capito», annuì sconsolata. «Devo
accontentarmi.»
«Credo non si
possa fare
altrimenti.»
Si guardarono complici e
si
abbracciarono di nuovo, quella volta delicatamente. Franky
appoggiò il mento
alla sua testa e la cullò fra le sue braccia, avvolgendole
attorno anche le ali
calde.
Chiusero gli occhi e
sentirono
una sensazione strana, una specie di pace, che li portò a
credere di essere
entrambi in Paradiso per un attimo. Di nuovo insieme.
__________________________________________
Buongiorno!
Che strano salutarvi qui due volte a settimana xD
Beh,
contenti voi, sono contenta anch’io *-*
Bene,
okay. Questo capitolo è uno dei miei preferiti (Okay, dovrei
dire che ce ne
sono pochi che non lo sono, però vabbè xD Li amo
tuttiiii :D), soprattutto perché
Franky torna da Zoe! Certo, la sua reazione è stata quella
che è stata, ma
infondo chi non avrebbe reagito così? xD Solo i pazzi come
la sottoscritta,
direi u.u Comunque, spero vi sia piaciuto! *-*
Ringrazio
con tutto il cuore le mie predilette che commentano sempre:
Utopy
Isis 88
Tokietta86
Vi
ringrazio davvero di cuore, ci siete sempre e mi sostenete tantissimo!
*_____*
Chissà
tutte le altre persone che leggevano Franky e che ogni tanto
commentavano, che
fine hanno fatto xD Se ci siete, fate un fischio! xD Dai, anche se non
recensite vi voglio bene lo stesso!
Grazie a
tutti, un bacio a mercoledì! Vostra,
_Pulse_
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Capitolo 10 *** Insecurities ***
10. Insecurities
Si svegliò,
ma
decise di non
aprire gli occhi, godendosi la sensazione paradisiaca delle sue ali
calde sulla
pelle. Si lasciò scappare un sorriso rasserenato girandosi
verso di lui e
avvicinando la fronte al suo petto caldo.
Non poteva ancora
credere che lui
fosse lì di nuovo con lei, era talmente assurdo,
così oltre ogni scienza…
Voleva la conferma che lui fosse reale e di non essere pazza; per
questo aveva
deciso di convincerlo a farsi vedere anche da Gustav, Georg, Tom e
Bill: se
anche loro l’avessero visto non avrebbe avuto più
nulla di cui temere! Anche se
si sentiva un po’ in colpa per non riuscire a credere
ciecamente alla sua
parola.
Però,
insomma… Franky, un angelo
custode! Chiunque avrebbe avuto quella reazione trovandosi di fronte ad
una persona
che doveva essere morta, ma ripensandoci non poteva non sentirsi una
stupida.
«Ehi, sei
sveglia», soffiò lui
contro la sua guancia. Una scarica elettrica la percosse a quel respiro
fresco
e aprì gli occhi, perdendosi di nuovo in quelli verdi di
Franky.
«Tu non puoi
capire quanto mi sei
mancato. Ma sei davvero… un angelo?»
«Zoe, che
altro potrei essere?
Sai che sono morto. E ti dico che non sei pazza. Ti prego, fidati di
me. Credi
in me. È… è brutto non essere creduti,
soprattutto se la persona di fronte a te
è quella che hai sempre amato e che ami.»
«Scusami,
Franky», mormorò e
accarezzò una piuma candita con le dita, lo sguardo basso.
Non aveva più il
coraggio di guardarlo in viso, si sentiva in colpa per la sua scarsa
fiducia,
però… «Cerca di metterti nei miei
panni…»
«So
esattamente tutto quello che
senti, posso capirti benissimo.»
«Hai detto che
sai leggere nel
pensiero, ieri. È vero?», alzò il
sopracciglio, vagamente preoccupata. Tutto…
Tutto quello che pensava, lui lo percepiva? Sapeva anche di quello che
era
successo con Bill nell’ultimo periodo? Sbiancò.
«Beh,
Zoe… Io posso decidere se
sentire i pensieri della gente oppure no. Non mi piace molto frugare
nella
testa delle persone e quindi non lo faccio quasi mai,
però… quando c’è il
contatto avviene quasi naturalmente e, anche se non voglio, a volte i
pensieri
sono così vividi che mi travolgono. Capisci? Stanotte per
esempio ho sognato
con te.»
«Davvero?»
In quel momento il
sogno che aveva fatto quella notte le sfuggiva, forse non se lo
ricordava
proprio. «Che cos’ho sognato?»
Franky
arricciò il
naso e guardò il
soffitto bianco, portandosi le mani dietro la nuca. «Hai
sognato…»,
chiuse gli occhi, ritrovandosi davanti le immagini di quel sogno che
glieli
fece pizzicare. «Il tuo compleanno,
quando…» La sua voce si incrinò e Zoe
si
rannicchiò ancora di più contro il suo petto.
«Mi dispiace,
Franky», biascicò
mentre le lacrime le rigavano il viso silenziosamente.
«Non
è colpa tua, Zoe; non
dispiacerti. Dopotutto, i sogni sono desideri
inconsci…»
«Non
è poi così inconscio, lo
sanno tutti che darei qualsiasi cosa per averti di nuovo.»
Le sfiorò il
viso con la mano e
Zoe sussultò, alzando lo sguardo su di lui; ad accoglierla
un sorriso dolce,
che nascondeva bene un’amarezza profonda.
«Piccola, tu
mi hai ora. Sono qui
per restare.»
Sapeva che non era la
stessa
cosa, ma doveva accontentarsi. O forse no? Forse era normale avere un
angelo
custode. O lei era l’unica a possederne uno?
«No, non sei
di certo l’unica»,
le sorrise. «Solo che non ne eri a conoscenza.»
«Non leggermi
nel pensiero, è
irritante!»
«Non
è vero, ogni tanto ha i suoi
vantaggi.» A
volte no…
Quanto sapeva Franky? La
possibilità che sapesse di Bill e di tutto quel casino la
rendeva inquieta ed
ansiosa. Che cosa avrebbe pensato di lei? E di lui?
«Ma se non
vuoi che ti legga nel
pensiero mi impegnerò per non farlo, anche
se…» Nei suoi occhi scintillò
l’ombra di un dubbio.
«Anche
se?», lo incalzò lei,
nonostante sentisse uno strano groppo in gola.
«Sta arrivando
tua mamma»,
mormorò e perse consistenza, il suo corpo si
schiarì tanto che anche Zoe faticò
a vederlo, e sentì la sua mano sfiorare le lenzuola,
trapassandolo, solleticata
da una piacevole arietta fresca. Che fosse il suo corpo evanescente a
provocarla?
La porta si
aprì dopo il leggero
bussare e Zoe guardò sua madre: era sorridente, felice; lei,
più che altro, era
terrorizzata che potesse vedere l’angelo al suo fianco.
«Tesoro, sei
sveglia. Tutto
bene?» Doveva avere proprio un’espressione
spaventata e nervosa.
«S-sì,
tutto bene», balbettò,
annuendo.
«È
pronta la colazione.»
«Ok,
grazie.» Ricambiò il sorriso
che sua mamma le aveva rivolto prima di uscire e poi si girò
verso Franky,
tranquillo e rilassato, completamente a proprio agio.
«Ehi, come mai
quella faccia?
Sembra che hai visto un fantasma!», sghignazzò
della propria battuta e Zoe gli
diede un colpo sul braccio, sentendolo:
era tornato corporeo.
«Tua mamma non
può vedermi, stai
tranquilla», le sorrise rassicurante. «Sono poche
le persone, scelte da me, che
hanno l’onore di vedermi.»
«Certo che non
sei cambiato per
niente», ridacchiò e lo abbracciò.
«Ti farai vedere dai ragazzi? Sarebbero
felicissimi.»
«Sarebbero
felici loro, oppure lo
saresti tu, sapendo con certezza di non essere l’unica pazza
capace di vedermi?»,
sollevò il sopracciglio, canzonatorio, e Zoe
sbuffò. Si alzò e raggiunse la
scrivania, alla quale si appoggiò, stringendo le braccia al
petto.
«Ah, cavolo,
non mi sento più
l’ala», si lamentò Franky, muovendola
come se se la stesse stiracchiando. «Ci
hai dormito sopra tutta la notte, sai?»
«Mi
dispiace», bofonchiò, ma non
perse la sua aria offesa.
«Dai Zoe, non
essere arrabbiata»,
si alzò e la raggiunse, poi sbattè le ali di
fronte a lei, per sgranchirsele
ancora un po’, e il vento leggero provocato da esse le
scompigliò i capelli;
lei si morse un sorriso e lo guardò di sottecchi: come
poteva essere arrabbiata
con lui?
«Io non
è che non voglio vederli,
è che… non è un po’ troppo
presto? Per me, non per te… Cioè, solo ieri sono
venuto da te e tu hai fatto quella scenata che ancora mi mette i
brividi se ci
penso...», sospirò. «È stato
orribile, mi sentivo un mostro.»
«Scusami
Franky, io non volevo»,
soffiò avvolgendogli le braccia intorno al collo.
«Perdonami.»
«Non
è stata colpa tua, infondo…
Non potevi sapere che sarei tornato, ecco.»
«Penso che i
ragazzi siano un po’
più intelligenti di me, almeno lo spero», gli
sorrise e gli accarezzò la
guancia; rapita dalla sua pelle perfetta passò le dita sulle
sue labbra e fremette,
avvicinandosi con le proprie, ma Franky la trattenne con gli occhi
adombrati da
un velo di tristezza.
«Non si
può», sussurrò e fu
peggio di una pugnalata per Zoe, che si ritrasse e abbassò
lo sguardo
mortificata.
Franky fece un debole
sorriso,
cercando di tirarla su di morale, ma era un’impresa ardua:
anche lui sentiva
quel dolore profondo nel petto, nella consapevolezza di non poterla
più avere.
«Se vuoi vengo
dai ragazzi, penso
di aver passato di peggio», le fece l’occhiolino e
Zoe annuì, anche se poco
convinta.
Franky avrebbe fatto di
tutto per
lei, anche sopportare le reazioni di altre quattro persone insieme. In
più, era
profondamente preoccupato da due in particolare: quelle di Bill e Tom.
Come
avrebbe fatto a guardarli in faccia? Con il primo l’ovvio
problema era la cotta
che si era preso per Zoe, ma sapeva che con il tempo avrebbe pure
potuto
superarlo; con Tom invece era ancora più complesso: lui non
solo l’aveva deluso
comportandosi da stronzo con Jole, ma aveva anche immischiato Zoe, che
non
c’entrava niente, usandola senza che lei se ne accorgesse per
lo scopo che
aveva raggiunto egregiamente.
«Dai,
andiamo», disse Zoe
prendendolo per mano.
«Zoe, non puoi
tenermi per mano»,
la fermò, guardando divertito la sua espressione confusa.
«Beh, di solito tu
non prendi per mano il vuoto! Che direbbe tua madre? Mi raccomando, non
guardarmi e soprattutto non parlarmi di fronte ad altre persone che non
mi
vedono, altrimenti sarai presa pazza sul serio»,
ridacchiò e Zoe arricciò le
labbra, prima di uscire dalla sua stanza in silenzio, seguita da Franky
e da
Ariel che si strusciava contro le gambe di quest’ultimo. Al
contrario di lui,
Ariel era invisibile anche per Zoe.
Si mise seduta al tavolo
a fare
colazione, chiacchierando tranquillamente con sua madre, resistendo
alla
tentazione di girarsi e di guardare la figura di Franky che la
osservava stando
seduto sul piccolo davanzale della finestra, le ali quasi interamente
nascoste
dietro la schiena.
Chissà se
sapeva volare. Chissà
com’era volare nel cielo senza essere visti da nessuno. Anche
lei avrebbe
voluto provare, ma se avesse iniziato probabilmente non si sarebbe
più fermata
e sarebbe fuggita da tutti i casini, da tutte le
responsabilità, da tutte le
paure.
«Mamma,
stasera posso dormire dai
ragazzi?», chiese cambiando discorso, la bocca mezza piena di
cereali e caffèlatte.
«Ti ricordi
che giorno è, vero?»,
inarcò le sopracciglia.
«Ah,
già!», si sbattè una mano
sulla fronte. «Oggi Heinz trasloca qui!»
Ora le cose con Heinz
andavano
decisamente meglio, Zoe aveva capito che sua madre lo amava davvero e
che lui
la ricambiava. E anche a lei piaceva, era simpatico e le faceva piacere
vedere
come riempisse la sua mamma di attenzioni. Non aveva più
motivo di essere
ostile nei suoi confronti e stare in case separate ormai aveva poco
senso.
«Esattamente.
Vuoi andare da loro
lo stesso?»
«Sì,
così non vi intralcio
troppo», le fece l’occhiolino e sua mamma
arrossì di colpo, come ogni tanto
capitava anche alla figlia. Si girò e iniziò a
sciacquare le tazze nel
lavandino.
«Va bene,
allora vai.»
«Grazie
mamma!», le stampò un
bacio sulla guancia e poi corse in camera sua per preparare la borsa, consapevole
che Franky l’avrebbe subito raggiunta.
Non aveva ancora chiesto il
permesso
ai ragazzi, ma non ci sarebbe stato problema: come sempre lei era la
benvenuta
a qualsiasi ora del giorno e della notte.
«Perché
le hai chiesto se potevi
dormire da loro?», berciò aspramente una voce alle
sue spalle, anche se si
sforzava di mantenere un tono calmo e pacato.
«Che cosa
c’è che non va,
Franky?» Lo osservò attentamente e vide quasi una
scintilla d’ira nei suoi
occhi, oltre al suo viso contratto in una smorfia e le sue mani strette
a pugno
così forte da avere le nocche chiare.
«Lasciamo
perdere», sbuffò a
mezza voce, gettandosi sul letto.
«Tu…
tu sai di Bill, non è
così?», chiese Zoe con il cuore in gola. Franky
sollevò lo sguardo su di lei e
annuì tristemente.
Cosa doveva fare,
mentirle? Non
sarebbe servito a niente, prima o poi sarebbe venuto tutto a galla. E
poi
voleva fare un discorsetto a Bill: lei era pur sempre la sua
Zoe e doveva essere trattata bene! Se anche solo avesse avuto
l’idea di farla soffrire gli avrebbe fatto patire le pene
dell’inferno. L’avrebbe
creato lui apposta, l’Inferno!
«Quanto
sai?», vacillò, gli occhi
sgranati dalla sorpresa e dalla paura.
«So tutto,
Zoe.»
«Tutto»,
mormorò, lo sguardo vacuo. Lo sollevò su Franky e
si gettò
fra le sue braccia, stringendolo così forte da sentire il
limite della sua
consistenza e quell’arietta fresca accarezzarle ancora la
pelle. «Mi dispiace,
ti giuro che io…»
«Non hai nulla
di cui giustificarti,
piccola», le sorrise e le sfiorò la guancia.
«Io voglio che tu sia felice, non
voglio nient’altro. Se è Bill ciò che
vuoi, sarò il primo a sostenerti. Solo
che mi serve un po’ di tempo, tutto qui.»
«Anche a me
serve tempo, Franky.»
«Hai tutto il
tempo che vuoi»,
sussurrò e le accarezzò la schiena e i capelli,
poi la baciò sulla fronte.
Sorridente, guardò i pozzi azzurri di cui non avrebbe mai
fatto a meno:
«Allora, andiamo?»
Uscirono di casa e in
silenzio si
incamminarono verso la fermata dell’autobus, visto che
l’appartamento dei Tokio
Hotel era abbastanza lontano dalla zona periferica d’Amburgo.
Era un silenzio strano
quello da
cui erano avvolti, carico di tensione ma anche di semplice malinconia.
Per
entrambi. Era un silenzio che stringeva il cuore, che mozzava il
respiro, che
rendeva insicuri.
Salirono
sul’autobus e Zoe si
mise seduta accanto al finestrino, Franky si mise al suo fianco.
Incerto
posò una mano sulla sua e la sentì tremare;
lentamente le accarezzò il braccio,
fino ad arrivare alla guancia, che nonostante l’avesse
sfiorata appena si
infuocò. Abbozzò un sorriso e fu più
forte di lui, percepì i suoi pensieri e li
fece propri.
“Chissà
che reazioni avranno
Bill, Tom, Gustav e Georg vedendolo…
“Chissà
che cosa pensa davvero di
me, Franky. Lui può leggere nel mio pensiero, ma io
no… Potrebbe anche pensare
che sono una poco di buono che va con il primo che capita, anche
se… Bill non è
il primo che capita, anzi è quello che non doveva
capitare…”
Un sospiro e Franky
cercò di
scostarsi da quei pensieri che gli graffiavano il petto. Per un
po’ ci riuscì,
perché Zoe aveva smesso di pensare: semplicemente guardava
l’asfalto scorrere
sotto le grandi ruote, il paesaggio di palazzi e negozi, una coppia di
ragazzi
che camminavano sul marciapiede tenendosi la mano… Ed ecco
di nuovo l’onda che
lo travolse.
“Franky
è di nuovo qui con me,
non ci posso credere. Magari sono pazza. Chissà se i ragazzi
riusciranno a
vederlo. Beh, loro sono pazzi sempre e comunque.” Un sorriso
tenue. “E se non
dovessero vederlo, che farò?
“Oh,
Franky… Mi stai ascoltando,
in questo momento? Perché la tua mano non si allontana dalla
mia guancia? È
come se stessi prendendo fuoco…” Un’occhiata
fugace e la certezza di essere ascoltata. Un sospiro rassegnato. “Franky,
mi dispiace tantissimo. Ti
chiedo scusa ora, per quello che dirò. O meglio, quello che
penserò.
Mi
chiedo… Perché sei venuto? Perché
proprio
ora? È tutto così complicato, avendoti di nuovo
qui… Non voglio farti del male,
non voglio far del male a Bill, non voglio far del male a
me…”
[Ma pur
avendoti qui,
ti
sentirei distante]
“Zoe, mi
senti?”, pensò piano,
sperando che la sua tecnica di trasmissione del pensiero fosse
migliorata e non
ci fossero più quegli strani ronzii come quando si
esercitava con Norbert.
Lei sobbalzò,
ma non distolse lo
sguardo dal finestrino, anche se era tentata e con la coda
dell’occhio ogni
tanto cercava di guardarlo.
“Sì,
ti sento.”
“Ho sentito
tutto quello che hai
pensato, scusami; mi hai travolto. L’unica cosa che posso
dirti è davvero di
non pensare a me. Come ti ho già detto, io voglio solo la
tua felicità.”
“E la tua
felicità, Franky?” Anche
nei suoi pensieri la sua voce era incrinata, ben accompagnata dalla sua
espressione triste e dagli occhi lucidi.
“La mia
felicità, Zoe, è saperti
felice. Questo mi basta. Se potessi, provvederei io stesso alla tua
felicità,
ma… siamo due entità distinte, adesso: tu sei
ancora viva, io sono un angelo;
non possiamo unirci, lo sai. Sono venuto per aiutarti, sono qui per
sostenerti,
non farei mai nulla che possa ferirti. Se vorrai, mi farò
anche da parte. Se è
questo che desideri.”
[Siamo
figli di mondi diversi,
una sola
memoria
che
cancella e disegna distratta la stessa storia]
“Non voglio
che tu te ne vada. Mai
più, Franky”, sussurrò mentalmente e si
girò verso di lui, rannicchiandosi sul
sedile come poté senza dare sospetti. Chiuse gli occhi e
Franky l’abbracciò,
affondando il viso nei suoi capelli, cercando il più
possibile di respirare il
loro profumo che in lui era solo un ricordo sfuocato.
“Dobbiamo
scendere”, pensò Zoe e
lui la lasciò, le posò le mani sulle spalle e la
seguì giù dall’autobus, che
ripartì immediatamente, lasciandoli sotto al sole di
quell’estate che fino a
pochi giorni prima le era sembrata una delle più fredde e vuote
in assoluto.
Raggiunsero il
condominio dei TH
in quell’ormai normale silenzio, Franky però le
aveva preso la mano dicendole
di non ricambiare la stretta. Mentre lei citofonava ai ragazzi,
l’angelo sentì
il suo cellulare celeste suonare nella tasca dei suoi pantaloni.
«Che
cos’è?», chiese Zoe a bassa
voce, dopo essersi guardata intorno per accertarsi che non ci fosse
nessuno.
«Oh»,
sorrise e lo prese fra le
dita. «Il mio cellulare speciale. Ti spiegherò.
Perché intanto non vai a
parlare con i ragazzi? A prepararli,
ecco. Io arrivo subito.» Sorrise rassicurante e Zoe
annuì, entrò nel portone e
ingenuamente lo lasciò aperto per lui: ancora non sapeva che
non aveva più
barriere.
Guardò il
cellulare che suonava
nella sua mano e fece un respiro profondo, poi rispose:
«Jole?»
***
Le mani le tremavano, il
cuore le
galoppava nel petto, la testa era infastidita da un cerchio che si
stava sempre
più stringendo. Non sapeva in che modo avrebbe preparato i
ragazzi all’incontro
con Franky, ma doveva almeno provarci. Ormai accanto a lui si sentiva
al
sicuro, forte, quasi indistruttibile. Chissà chi lo cercava
a quel cellulare
speciale. Un altro angelo?
«Zoe!»
Quasi
inciampò sull’ultimo
gradino per alzare lo sguardo verso la voce che l’aveva
chiamata. Si aggrappò
al corrimano e sospirò, passandosi le mani sui jeans una
volta sul
pianerottolo.
«Dimmi,
Tom.»
«Che
sorpresa!», l’abbracciò di
slancio e quasi non la soffocò. In quelle ore era stata
abituata all’abbraccio
soffice, inconsistente, ma altrettanto profondo e caloroso di Franky;
il suo le
sembrò una mossa di soffocamento.
«Stavo per
chiamarti io, sai?
Domani partiamo e…»
«Partite?»,
sobbalzò a quella
parola e sollevò lo sguardo sul suo viso: «E dove
andate?»
«America,
baby», ammiccò e le
fece un buffetto sulla guancia.
«E quanto
starete via?»
«Non
più di due settimane.»
«Due
settimane… Due settimane!», Zoe
sgranò gli occhi rendendosi conto che sarebbe stata quindici
giorni da sola. O
quasi. «E quando
avevate intenzione di
dirmelo, eh?!», gridò isterica.
«Beh,
adesso!»
«Uffa»,
bofonchiò ed entrò
nell’appartamento, dove trovò Georg, Gustav e
Bill, sparpagliati per il
salotto: era una visione insolita, a quell’ora del mattino;
sembrava che tutti
si fossero alzati apposta per lei. Per loro.
«Buongiorno»,
mormorò mentre
l’ansia la montava e le faceva tremare le mani. Se lei era
ridotta in quello
stato, non voleva nemmeno immaginare come potesse stare Franky!
«Ciao
Zoe», risposero i ragazzi
quasi in coro, soffermandosi sul suo viso chiaro, libero da ogni
traccia di
trucco nero, arrossato dalle lacrime, ma allo stesso tempo sereno,
anche se con
un accenno di preoccupazione negli occhi.
«Tutto
bene?», le chiese Georg.
«Sì,
tutto ok», sorrise e posò la
borsa sul tavolo, facendole fare un tonfo. «Mi fermo da voi
stanotte, sapete?»
«Non lo
sapevamo», disse Gustav.
«Beh, ora lo
sapete. È di moda
sapere le cose all’ultimo minuto.»
«Tom»,
lo fulminò Bill,
socchiudendo gli occhi. «Sbaglio o dovevi dirglielo
già tre giorni fa?»
«Sì,
ma…», si portò una mano sul
collo, ridacchiando nervosamente. Ma non ci volle molto prima che si
arrendesse: «Non volevo dirglielo, non volevo che fosse
triste.»
Zoe si girò
verso di lui e
sorrise dolcemente, stringendolo in un abbraccio. «Grazie
Tomi, non dovevi
preoccuparti per me.» Lo baciò fugacemente sulla
guancia e lo portò con sé sul
divano, accanto a Bill e Gustav. Lo fece sedere e si mise sulle sue
gambe,
avvolta dal suo braccio, pronta per iniziare il suo discorso.
«Devo parlarvi
di una cosa,
ragazzi.»
Georg spense la
televisione. In
un attimo tutti puntarono la loro attenzione e la loro
curiosità su di lei, che
si sentì fastidiosamente al centro.
«Beh, chi di
voi crede alla vita
dopo la morte?» Li spiazzò, se ne accorse dalle
loro bocche che si erano
dischiuse e dai loro occhi che si erano ingranditi. Solo Bill, come
aveva
immaginato, alzò la mano lentamente; poi a sorpresa si
aggiunse Tom, che
biascicò: «Lo spero.»
«E agli angeli
custodi, ci
credete?», deglutì, forse un po’ troppo
rumorosamente. Voleva dimostrarsi
calma, ma non era facile di fronte ad un argomentazione che sembrava
così
assurda.
«Ma che cavolo
ti prende, Zoe?»,
sbottò Tom prendendola fra le braccia e guardandola negli
occhi.
«Voi…
voi non mi crederete pazza
se vi dico che Franky è qui ed è il mio angelo
custode, vero?»
***
«Ciao Franky!
Come stai? Tutto
bene con la tua protetta? Come l’ha presa?»
«Ehi, una
domanda alla volta!»,
la fermò con il sorriso sulle labbra. «Sto bene e
con la mia protetta è tutto
ok, ora. Anche se ha avuto la reazione che avrebbero avuto tutti. Ora
sono da
Tom e gli altri, vuole avere la conferma che io esista
sul serio.»
«Da…
Tom?», la sua voce si
incrinò e Franky si fece serio, sedendosi sugli scalini che
portavano al
portone, il mento sulla mano.
«Sì.
Non mi fa molto piacere
vederlo, dopo tutto quello che è successo,
però… è quello che vuole Zoe e io la
voglio accontentare.»
«Capisco. A
proposito di lui,
credi… credi che potrei venire giù a trovarlo,
qualche volta?»
«Jole,
io… io penso che sia
meglio di no, non prima di… di essere guarita,
ecco.»
«Franky, io ho
bisogno di vederlo!»
«Lo so, lo
so… e mi dispiace.»
L’ascoltò
singhiozzare per un po’
al ricevitore, poi sentì un brivido attraversargli la
schiena, il cui
significato gli era fin troppo chiaro: Zoe aveva detto ai ragazzi di
lui e loro
non dovevano averla presa molto bene, visto che riusciva a percepire la
sua
pelle d’oca.
«Ne parliamo
dopo un’altra volta,
ok? Adesso devo scappare.»
«Ok,
Franky», tirò su col naso. «Sono
contenta per te, comunque. Buona fortuna con i ragazzi.»
«Grazie, Jole.
Grazie.»
Chiuse rapidamente la
chiamata,
sentendosi leggermente in colpa, e sollevò lo sguardo sulla
terrazza dei
ragazzi, qualche piano più su. Sbattè le ali e le
osservò mentre si sentiva
sollevare da terra: era la prima volta che volava, si sentiva
stranamente
euforico, nonostante non fosse proprio il momento. Raggiunta la
terrazza ci
saltò su e guardò all’interno del
salotto: Tom era davanti a Zoe e le stringeva
forte il polso, gridandole contro; nell’espressione della
ragazza poteva
leggere tutta la sofferenza, oltre che quella sensazione insopportabile
di non
sentirsi creduti dalle persone che da sempre si erano ritenute
così importanti.
Franky strinse i pugni e
accecato
dalla rabbia attraversò le porte finestre e prese Tom per le
spalle, lo scrollò
dalla Zoe inerte e lo fece ricadere seduto sul divano.
«Ehi, va tutto
bene piccola?», le
chiese piano, accarezzandole il viso.
«Franky, non
mi credono… Ma tu ci
sei, vero?» Aveva persino iniziato a piangere. Tutta colpa di
quello stupido di
Tom! Gli rivolse un’occhiata truce e per la prima volta si
rese conto di ciò
che aveva provocato: Tom per primo aveva gli occhi sgranati, anche se
velati da
uno strato di lacrime che li rendeva lucidi, incredulo, e la bocca
spalancata;
Bill era pressoché identico, Gustav sembrava controllarsi un
po’ di più e Georg
era rigido, confuso, come se fosse andato in coma. Ma in quel momento
non
importava, c’era solo Zoe ai suoi occhi.
«Sì,
piccola, io ci sono
davvero.»
«No, tu non
esisti», mormorò Tom,
scuotendo la testa.
«Vuoi la prova
della mia esistenza,
Kaulitz?», tuonò di rabbia, prendendo con la mano
il centro tavola e tirandolo
giù: il vaso di fiori si schiantò a terra e si
ruppe in mille pezzi
rumorosamente. «Cos’è stato a farlo
cadere, il vento? Eh? Mi sono stancato, ok?
Gli angeli custodi esistono, sì, come esistono i fantasmi,
come esiste la vita
dopo la morte. E il fatto che io sia un angelo, non vuol dire che sia
sempre
caro e buono. Sono incazzato nero! Non ti azzardare mai più
a toccarla, Kaulitz»,
sibilò l’ultima frase, facendo tremare anche Zoe.
«No,
lui… lui non ha fatto niente
di male», tentò di dire, ma lui non la fece finire.
«No Zoe, sei
tu che non sai
quello che ha fatto.» Non disse altro, solo si
avvicinò ai ragazzi e li guardò
uno per uno in faccia, come se li stesse giudicando.
Bill non resse e svenne
sul
divano, accasciandosi su Tom, che sobbalzò. Georg scosse la
testa e si alzò,
aggirò l’angelo e si diresse verso la porta.
«Dove vai,
Georg?», gli chiese
Gustav con poca voce.
«Scusate,
penso che andrò a
prendere una boccata d’aria. Fuori. Da solo»,
mormorò e poi uscì, senza
voltarsi indietro.
Gustav
sospirò e guardò Tom,
ancora con gli occhi sbarrati, sconvolto da tutto quello che era
successo in
pochi attimi, in un mutismo che gli fece gelare il sangue nelle vene.
Franky si prese la testa
fra le
mani e rantolò, trattenendo dentro di sé tutta
quella rabbia che non gli si
addiceva di natura, ora più che mai.
«E tu, dove
vai?», gli chiese Zoe
tentando di prendergli la mano, ma le sfuggì.
«Ho bisogno di
un po’ d’aria
anch’io, ok?»
«Starai qui
nei paraggi?»
«Sì.
Anche se fossi dall’altra
parte del mondo sentirei se tu avessi bisogno del mio aiuto, non ti
preoccupare», le fece un debole sorriso e poi
sparì oltre le porte finestre,
spiccando il volo verso l’alto cielo azzurro, fra le nuvole.
[Cosa
può significare, sentirsi piccolo?
Quando
se il più grande sogno è il più grande
incubo?]
Si sentiva affogare,
senza
ossigeno, perso dentro di sé, in quei mille dubbi che lo
assalirono
contemporaneamente. Le lacrime scesero incontrollate sul suo viso,
bruciandolo
a contatto con il vento freddo di quell’altitudine, mentre si
poneva nuovamente
quelle domande a cui aveva dovuto rispondere già quando era
di sopra, prima di
decidere che cosa fare del suo stato: se diventare ciò che
era diventato oppure
ricominciare tutto daccapo. Quella volta era stato così
semplice rispondere,
così automatico… Perché ora aveva
tutte quelle insicurezze che sembravano fin
troppo a dei ripensamenti?
Che fosse davvero quella
la prova
di ogni angelo custode? Sopportare le reazioni delle persone care,
ricevere i
colpi, subire in silenzio e sentirsi comunque al posto giusto?
E se non ce
l’avesse fatta, se
non fosse riuscito a sopportare, a reagire? Il suo sogno più
grande si sarebbe
davvero trasformato in un incubo?
Ho fatto la scelta giusta diventando un
angelo custode? È stata la
scelta migliore? D’altronde, pure Zoe mi ha chiesto
perché fossi tornato,
perché avessi scelto quest’opzione. Forse ho solo
complicato ulteriormente la
vita a tutti, quando… quando volevo solo aiutarli e stargli
accanto.
Mi sono impegnato tanto per arrivare qui, ho
dato tutto quello che
potevo dare… E cosa ho ottenuto? Persone che gridano
terrorizzate vedendomi,
che rinnegano la mia esistenza, che pensano siano diventate pazze. Ho
ottenuto
insicurezze, più che ingratitudine.
Se è questa la prova,
è davvero troppo difficile. Non so se ce la farò.
Non lo so, non lo so…
«Franky,
non ci deludere. Sei il
nostro orgoglio, svolgi al meglio il
tuo compito.»
Kenzie… Norbert…
«Vai
e fai ciò che
devi, non deludermi.»
San Pietro…
«Fai
buon viaggio e sii
forte.»
Jole…
I sorrisi di tutte
quelle persone
che credevano in lui lo fecero calmare e si fermò in mezzo
alle nubi fresche.
Si appoggiò ad una di essere con le gambe a penzoloni nel
vuoto e guardò un
aereo passare sotto di lui. Gli scappò un sorriso,
asciugandosi le lacrime.
Aveva lottato per avere
tutto
quello, non poteva arrendersi alla prima difficoltà. Lui non
se la sarebbe
svignata, non avrebbe rinunciato così facilmente; avrebbe
affrontato ogni
problema ed era sicuro che li avrebbe risolti, uno dopo
l’altro.
Per quelle persone che
credevano
in lui.
Per quelle che ancora
non lo
facevano ma che l’avrebbero fatto, prima o poi.
______________________________
Buongiorno
a tutti! ^-^
Uh uh,
questo capitolo è tosto xD Zoe ha convinto Franky a farsi
vedere anche dai
ragazzi, ma loro non sono stati molto meglio di lei in quanto
reazioni… Vedremo
meglio nel prossimo capitolo ;)
La
canzone che ho usato è Ti scatterò una
foto, di Tiziano Ferro.
Spero
che vi sia piaciuto! *-*
Grazie
davvero di cuore a chi commenta sempre e mi rende taaaanto taaaanto
felice,
ossia Utopy
(I love you sooooooo
much u.u genietta xD), Tokietta86
e Isis 88
(Come vedi Franky è stato visto
anche dagli altri xD E per David non ti preoccupare,
arriverà anche lui xD Per
sua madre, invece… più avanti anche lei xD)
Grazie, grazie, grazie!
Grazie
anche a chi ha solo letto e a chi ha messo questa storia fra le
preferite, le
seguite e le ricordate! *-*
Ciao a
tutti, a venerdì! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 11 *** Reactions ***
11. Reactions
[Spend
all your time waiting
for that second chance,
for a break that would make it okay
There's
always one reason
to feel not good enough
and it's hard at the end of the day]
~ Zoe ~
Bene, ho ottenuto ciò che volevo:
la conferma che Franky è davvero di
nuovo fra noi, sottoforma di angelo custode. Il mio, angelo custode.
Guardò
sconsolata il pezzi di
vetro trasparente del vaso che proprio lui aveva frantumato a terra in
uno scatto
d’ira e
sospirò.
Non posso nemmeno immaginare come si sia
sentito quando Tom, proprio il
suo migliore amico, gli ha detto che non esiste. Solo ora posso capire,
perché
anche io ho provato la stessa sensazione quando ho chiesto ai ragazzi
se mi
avessero creduta pazza se gli avessi detto che Franky era di nuovo qui.
È stato un duro colpo, e ora
chissà dove si è cacciato. Ha spiccato il
volo da un’ora ormai e non l’ho ancora visto da
nessuna parte. Che abbia la
facoltà di essere invisibile anche a me? Che sia
così arrabbiato da non volermi
più vedere?
Si lasciò
sfuggire un nuovo
sospiro con lo sguardo perso fuori dalla finestra e una forte
malinconia le
schiacciò il petto.
Una mano calda si
posò sul suo
braccio e sollevò lo sguardo su Gustav, che le sorrideva
dolcemente porgendole
uno straccio. Tentò di ricambiare e si mise con lui a pulire
per terra e a
raccogliere i cocci di ciò che tutti avevano sempre
desiderato: Franky di nuovo
al loro fianco.
~ Gustav ~
Questa situazione è strana, quasi
impossibile. Tutti ci speravamo,
avremmo fatto appello a qualsiasi cosa per avere ciò che
adesso c’è, però
nessuno ci credeva davvero. Credevamo superficialmente e questo
è il risultato:
ci è stato dato e noi l’abbiamo infranto. Che sia
tutto perduto?
Osservò Zoe
in mezzo al salotto,
immersa nei suoi pensieri, con lo sguardo puntato sui pezzi di vetro a
terra,
fra l’acqua e i fiori che si erano un po’
appassiti. Alzò il viso e guardò
verso la finestra, forse stava sperando che Franky tornasse.
Tornerà oppure no? Non
dev’essere stato bello quello che gli abbiamo
fatto. Se io fossi stato al suo posto e i miei migliori amici avessero
dubitato
della mia esistenza avrei reagito esattamente come lui, andandomene
prima di
dire cose che non pensavo sul serio.
Andò nel
ripostiglio e prese uno
strofinaccio per asciugare il pavimento e scopa e paletta per
raccogliere i
cocci di vetro. Raggiunse Zoe e le posò una mano sul
braccio, cercando di
essere rassicurante con un sorriso. La ragazza ricambiò
incerta e si
inginocchiò con lo straccio, mentre lui depositava il vaso
frantumato sulla
paletta di plastica, facendo attenzione a non tagliarsi.
«Credi
tornerà?», gli chiese Zoe a
bassa voce, nonostante non ci fosse nessun altro nei paraggi. Non
alzò il viso,
continuò soltanto ad impregnare lo straccio
d’acqua, i capelli neri che le
coprivano gli occhi.
«Tu che
credi?»
«Deve tornare.
Mi ha promesso che
è qui per restare, per non lasciarmi mai
più.»
«Allora
tornerà, diamogli un po’
di tempo.»
Serve a lui,
come serve a noi per
metabolizzare questa spiazzante
realtà.
«Hai
ragione.»
~ Georg ~
Tutto ciò è assurdo,
impossibile, da pazzi. Si vedono solo nei film di
fantascienza, queste cose! Non può essere vero!
Però… lo abbiamo visto tutti,
vuol dire che siamo tutti pazzi?
Qualcosa non tornava e
Georg era
parecchio scocciato. Non riusciva ad accettare la presenza di un angelo
custode
fra loro, non riusciva a crederlo possibile, eppure sarebbe stato il
primo a
pregare che una cosa del genere potesse accadere.
Il confine fra i
desideri e la
realtà poteva essere molto sottile e altrettanto sottile era
il confine fra un
desiderio esaudibile e piacevole alla sua realizzazione e un desiderio
ritenuto
oltre ogni immaginazione, quindi scioccante.
Non ho idea di che pensare: se esiste, vuol
dire che tutto ciò che è
impossibile potrebbe esistere; se è solo frutto della nostra
immaginazione,
eccessivamente sviluppata per il dolore della perdita che tutti
sentiamo, siamo
tutti da ricoverare.
Ma cosa voleva sperare?
Fra le
due, quale voleva che fosse l’opzione veritiera?
Ciò che, anche un po’
ingenuamente e infantilmente, avrebbe voluto credere possibile? Senza
pensarci
due volte, la prima. E lo sapeva.
Bisogna buttare giù il muro della
razionalità in questa situazione, o
non ne verremo mai a capo.
Sospirò e si
convinse di quelle
parole, un piccolo sorriso si fece spazio fra le sue labbra increspate
e si
alzò dal gradino sul quale si era seduto qualche ora prima
per riflettere.
~ Bill ~
Franky è qui? Franky è
un angelo custode?
Riaprì gli
occhi con quelle
domande in testa e il ricordo della figura del suo amico che si
stagliava nel
salotto, l’espressione del viso dura e arrabbiata, ma anche
ferita e delusa.
Un magone gli
mozzò il respiro e
si tirò su, scoprendo di essere nella sua stanza: qualcuno
doveva averlo
spostato.
Sono svenuto, esattamente come una
femminuccia, sospirò
e si passò
le mani sulla faccia.
Ma questo
è l’ultimo
dei problemi. Franky è qui… Chissà se
è a
conoscenza di me e Zoe. Se lo fosse, che farò?
Gli tremarono le mani e
dovette
stringere i pungi per calmarsi. Era come se tutto gli stesse scivolando
via e
come se si sentisse colpevole di un reato che non avrebbe mai voluto
commettere.
Che cosa poteva farci però, se si era preso
un’assurda cotta per la sua
ragazza?
Ora quella non era
più
l’assurdità numero uno della sua classifica, era
scesa direttamente al secondo
posto quando aveva visto Franky attraversare le porte finestre e
togliere di
dosso Tom dalla sua Zoe. Da come l’aveva protetta, persino
dal suo migliore
amico, doveva ancora essere innamorato di lei.
Come farò? Che cosa
succederà ora? Come la prenderà Franky? Si
arrabbierà?
Iniziò a
disperarsi, quando gli
venne in mente il gemello. Chissà che fine aveva fatto e
come l’aveva presa
lui. Tom aveva sofferto più di tutti, dopo Zoe, e vedere di
nuovo la causa del
suo dolore doveva averlo sconvolto parecchio.
Si alzò e
raggiunse la sua camera lentamente, rimuginando ancora su quella strana
situazione da film
nella quale
si erano trovati tutti catapultati.
Ma se Franky è un angelo, vuol
dire che ce ne sono altri… E noi non lo
sapevamo! Chissà se ci sono altre persone che conosciamo che
nascondono questo
segreto, quello di avere un angelo custode…
Si sporse nella camera
di Tom e lo
vide
seduto ai piedi del letto, le ginocchia strette al petto e la testa fra
le
braccia. Per un attimo trattenne il respiro, immobilizzandosi sul
posto: non lo
vedeva così triste, così fragile ed indifeso da
moltissimo tempo… Era come
ritornare al passato, quel passato che da sempre avevano cercato di
cancellare.
Tom era forte, ma anche
lui aveva
dei limiti e una volta raggiunti e superati, sapeva persino essere
più debole
di lui. Avrebbe tanto voluto sostenerlo, ma che cosa poteva fare?
~ Tom ~
«… Mi sono stancato,
ok? Gli angeli custodi esistono, sì, come esistono
i fantasmi, come esiste la vita dopo la morte. E il fatto che io sia un
angelo
non vuol dire che sia sempre caro e buono. Sono incazzato nero! Non ti
azzardare mai più a toccarla, Kaulitz.»
Gli aveva sibilato in
faccia, con
un'espressione talmente adirata che aveva sentito un crack in mezzo al
petto,
come se realmente
gli si fosse
spezzato il cuore. Zoe aveva provato persino a difenderlo, era stata
carina,
però sentiva che infondo si meritava quel trattamento. Non
sapeva che cosa
aveva fatto, oltre alla sfuriata che le aveva riservato quando aveva
iniziato a
“blaterare” sulla presenza di Franky sottoforma di
angelo custode, ma sentiva
di meritarselo. Infondo Franky stesso aveva detto a Zoe che era lei a
non
sapere che cos’aveva fatto. A che cosa si riferiva? Che
cos’aveva fatto di così
male, tanto da non poterla più nemmeno toccare?
Franky, mi dispiace…
soffiò nella sua testa, come se lo potesse
sentire.
Non ne era certo, ma
magari
poteva anche essere che leggesse nel pensiero; non si sarebbe
impressionato.
Difficilmente, d’ora in avanti, si sarebbe impressionato per
qualcosa. Aveva
visto il suo migliore amico dopo la sua morte, aveva scoperto che era
l’angelo
custode di Zoe… Che cosa poteva esserci di più
impressionante?
Sfregò il
braccio sugli occhi per
spazzare via le lacrime che premevano per scivolare via dal suo
controllo e gettò
l’ennesima maglietta nella prima valigia aperta sul suo
letto.
Non sapeva cosa fare
né come
comportarsi. Franky sembrava molto arrabbiato con lui, ferito, deluso
da un
comportamento scorretto che doveva aver tenuto senza che se ne rendesse
conto.
Avrebbe voluto chiedergli che cosa avesse fatto, il perché
della sua rabbia nei
suoi confronti, ma ora come ora non aveva nemmeno il coraggio di
guardarlo in
faccia. I motivi erano sostanzialmente due: il fatto che fosse un
angelo, per
quanto fosse bello che fosse di nuovo con loro, lo sconcertava. Non
aveva mai
creduto fortemente a quelle cose, doveva abituarsi e anche se era con
loro, non
era e non sarebbe mai stata la stessa cosa… Il secondo
motivo era più semplice:
lui aveva fatto una promessa a Franky, prima della sua morte, e venire
a
sapere, da lui, che non era riuscito a mantenerla, lo aveva fatto a
pezzi.
Franky, mi dispiace tantissimo…
Io… io non volevo… si
lasciò
sfuggire un singhiozzo e lasciò perdere le valigie, si mise
seduto per terra,
la schiena appoggiata al bordo del letto, nascondendo il viso e le
lacrime fra
le braccia.
Si sentiva un bambino
stupido,
non era da lui piangere, ma non sapeva che altro fare in quel momento.
Aveva
bisogno di qualcuno, di conforto, ma in chi doveva andarlo a cercare?
Chi lo
avrebbe ancora voluto, dopo il gesto imperdonabile che aveva fatto,
dicendo a
Franky che non esisteva, nonostante lo vedesse con i propri occhi?
«Tomi…»
Alzò lo
sguardo, sorpreso, e vide
Bill sulla porta, comprensivo come solo un fratello poteva essere, un
leggero
sorriso sulle labbra. Si avvicinò e si mise seduto al suo
fianco, gli avvolse
le spalle con un braccio e lo attirò a sé,
stringendolo forte.
Certo, chi potrebbe volermi sempre e
comunque se non Bill, il mio
tenero fratellino?
Un sorriso appena
accennato si
fece spazio sul suo viso, fra le lacrime che scendevano silenziose a
rigargli
le guance e a bagnare la maglia di Bill.
«Sai che ti
voglio bene, vero?»,
singhiozzò stringendo i pugni sulla sua schiena.
«E anche se non te lo dico
spesso, lo penso sempre?»
«Certo che lo
so, Tomi. Ti voglio
bene anch’io.»
Grazie. Grazie di starmi accanto ogni
giorno; tu ci sei sempre, in ogni
attimo della mia vita e non riuscirei mai ad esprimere a parole tutta
la
gratitudine che ti dovrei. Grazie per starmi accanto nelle
difficoltà. Grazie
per conoscermi così bene. Grazie di tutto.
~ Franky ~
«Ok, la mia
reazione è stata un
tantino esagerata.»
«Giusto un
tantino, eh?»,
ridacchiò San Pietro dall’altra parte del
ricevitore.
«Oh su, non mi
dica che lei non
avrebbe perso le staffe! Anche perché non ci
crederei.»
«Di certo io
non avrei gridato
come un pazzo e non avrei fatto a pezzi un vaso.»
«Io non sono
un santo e mi capita
sclerare, va bene?», sospirò e osservò
delle nuvole spostarsi sotto di lui
grazie alla forza del vento. «È stato
così… doloroso, trovarmi di fronte alle
persone per le quali mi sono sempre impegnato, per le quali ho lottato
per
essere qui e poterle aiutare, e ricevere in cambio solo espressioni
terrorizzate ed incredule. È stata più dura di
quanto immaginassi.»
«È
una cosa che succede sempre,
Franky.»
«Perché
non mi avete avvertito?
Avrei potuto… che ne so, prepararmi! Invece sono arrivato
qui e tutto mi è
piombato addosso all’improvviso. Mi sono sentito…
un mostro!»
«Sai, non sono
cose che si dicono
queste. Perché sono delle specie di prove, non so se
capisci. Se un angelo
custode, dopo aver ricevuto questo bel trattamento si abbatte e
rinuncia, è
ancora in tempo per reincarnarsi in un altro corpo; se invece rimane
dell’idea
che questa è la sua strada, tanto meglio! È una
sicurezza in più. Tu… tu non vuoi
rinunciare, vero?»
«Certo che no!
Dopo tutta la
fatica che ho fatto… figurarsi! Io sono convinto di
ciò che sto facendo. Credo
serva ancora un po’ di tempo ai ragazzi, ecco. È
stata dura, ma non per questo
voglio rinunciare.»
«L’ho
sempre detto che sei
destinato a fare l’angelo custode.»
Franky sorrise e
pensò che aveva
perfettamente ragione: non avrebbe potuto fare altro, non si sarebbe
trovato
altrettanto bene in panni diversi da quelli che indossava ora.
«Piuttosto,
come va di sopra?»,
cambiò argomento.
«Tutto
noiosamente normale senza
te nei dintorni.»
«Sentite la
mia mancanza, eh?»,
sogghignò.
«Sì,
la sentiamo tutti.»
«E Jole, come
sta?», si incupì. «Prima
mi ha chiamato, mi ha chiesto se era andato tutto bene con Zoe
e… voleva sapere
se poteva venire a trovarmi; io le ho detto di no, non mi sembra il
caso, anche
se ora sa di essere un’Intrappolata. Ma non posso
impedirglielo per sempre… Che
cosa devo fare? Come faccio a liberarla?»
«Franky,
è complicato… Un
Intrappolato deve essere liberato dalla causa del suo
stato…»
«Jole deve
essere liberata da
Tom?», fece una smorfia e si morse l’interno della
guancia, nervoso.
«Sì.
Jole deve riuscire a
perdonarlo, per essere di nuovo libera. Quindi arriverà per
forza il momento
del loro incontro, sì.»
«Bel
casino», sbuffò.
«Sono sicuro
che le cose si
sistemeranno. Un po’ per volta.»
«Lo spero
anch’io.»
Terminò la
conversazione e
sistemò il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Devo riuscire a sistemare le cose. Sono
venuto qui per facilitare le
cose, non per complicarle. Si prospetta un’estate difficile e
con tanti
problemi da risolvere.
Un brivido gli
attraversò la
schiena e sentì distintamente i pensieri di Zoe nella testa.
Lo stava cercando,
lo stava chiamando, ma non aveva veramente
bisogno di lui. Franky represse il desiderio incondizionato di starle
accanto e
si lasciò cadere sulla nuvola soffice: sembrava cotone, era
bello stare lì e
guardare il cielo limpido, a pensare. Zoe poteva aspettare ancora un
po’; ora
come ora non era indispensabile la sua presenza.
***
Che disastro.
Si guardò
intorno e vide solo
volti impacciati e ancora un po’ sconvolti, silenziosi e
presi dalle loro
riflessioni tanto da non accorgersi di quello che gli succedeva
intorno. Era
stato Franky, la sua presenza, a scatenare tutto quello?
Li ha mandati in crisi.
Ci ha
mandati in crisi.
Catturò lo
sguardo di Gustav,
l’unico che sembrava non essere stato colpito nel profondo
dalla situazione e
che era riuscito ad accettarla, più o meno, cercando di
trovarvi conforto, ma
venne interrotta dalla voce ancora spezzata di Tom, che posò
la forchetta nel
piatto di pasta ancora intoccato e si alzò.
«Dove
vai?», gli chiese Bill come
se lo stesse abbandonando.
«Di sopra. Non
ho molta fame,
scusate.»
Zoe lo guardò
salire le scale
lentamente, le mani sul collo e le spalle incurvate in avanti,
profondamente
demoralizzato, e sospirò. Non voleva starsene con le mani in
mano, non dopo
tutto l’aiuto che le aveva dato senza mai chiedere nulla in
cambio. Ma cosa
poteva fare per tirargli su il morale?
«Scusate anche
me, vado a vedere
se è tutto ok», disse alzandosi e zampettando
velocemente sulle scale.
Raggiunse la camera del
chitarrista e non bussò nemmeno, ci si fiondò
diretta e quasi non cadde
inciampando su una valigia. Qualcuno l’aveva presa al volo
prima della caduta e
quel qualcuno era Tom, che appena incrociò il suo sguardo si
staccò e si
allontanò, portando le mani in tasca, come se volesse
nasconderle, come se
fossero le armi di un delitto.
«Tom…»,
lo chiamò piano,
scavalcando la valigia con attenzione.
Lui non
l’ascoltò, riprese a
gonfiare a casaccio un borsone, gettandoci dentro cose che parevano
essere
pescate per puro caso dall’armadio. Zoe sapeva che stava
facendo tutto quello
non perché aveva voglia, ma perché voleva
distrarsi e pensare a qualcosa che
non c’entrasse con Franky.
«Ti prego Tom,
fermati», tentò di
nuovo, prendendogli il braccio.
Tom si scostò
come se scottasse e
con un velo di paura e di malinconia negli occhi si
allontanò ancora un po’,
finendo seduto sul bordo del letto, il viso rivolto verso il pavimento.
«Tom,
non… Io non voglio che tu
non mi tocchi più, ok? Quello che ha detto
Franky… cancellalo dalla testa. Tu
per me non hai fatto nulla di sbagliato, non so cosa pensi lui
né so perché ti
abbia detto quelle cose, ma non può decidere per me; anche
se è il mio angelo
custode, non ha questo diritto, quindi… mi vuoi
abbracciare?», aprì le braccia
e Tom le prese le mani, la trascinò sul letto e la strinse
forte a sé,
iniziando a singhiozzare contro la sua spalla.
«Tomi,
calmati…», sussurrò
massaggiandogli la schiena, senza sottrarsi però dal suo
abbracciò che le
toglieva il fiato.
«Come faccio a
calmarmi…»,
singhiozzò. «Franky è sparito,
l’ho trattato da schifo e come se non bastasse è
incazzato con me, ma non so perché…»
«Franky
tornerà, non ti
preoccupare», gli accarezzò le treccine ispide e
lo baciò sulla fronte. Era
come un bambino in quel momento, bisognoso di rassicurazioni, di
conforto… Dal
fratellone che era diventato per lei, si era trasformato
temporaneamente nel
fratellino minore, da proteggere e coccolare per fargli passare la
paura.
«Secondo te
è arrabbiato con me?»,
le chiese piano, il viso arrossato dalle lacrime che Zoe
asciugò delicatamente
con le dita. «Forse perché ho lasciato che
accadesse quello che sta succedendo
fra te e Bill?»
«No…
E poi non saresti stato in
grado di far nulla comunque, è successo e basta…
Franky lo sa, di me e Bill.»
«E che ne
pensa?»
«È
felice se lo sono io,
ovviamente», sbuffò divertita e lo strinse ancora
a sé, accucciandosi sotto il
suo mento. «Sai com’è fatto.»
«E se fosse
proprio per questo,
invece? Se fosse arrabbiato con me perché non voleva che
nascesse qualcosa fra
te e Bill? Sono un’idiota… Gli avevo fatto una
promessa e non sono nemmeno
stato in grado di mantenerla…»
«Che
promessa?», sollevò il viso
e lo guardò interrogativa.
«Prima che se
ne andasse… gli ho
promesso che mi sarei preso cura di te, che ti avrei protetta e che ti
avrei
sempre fatta sorridere…»
«Quindi
l’hai fatto per lui?»,
sgranò gli occhi, irrigidendosi fra le sue braccia.
«Non l’hai fatto perché volevi
farlo?»
«No, Zoe, non
fraintendermi pure
tu. Io l’avrei fatto comunque, anche se non
l’avessi promesso a Franky… Io ti
voglio un bene dell’anima, sei… sei come una
sorellina per me, non permetterei
a nessuno di farti del male.»
Lei sorrise e gli
donò un altro
bacio sulla fronte: «Ti voglio tantissimo bene
anch’io, Tomi. Grazie per
essermi stato vicino per tutto questo tempo. Vedrai che le cose con
Franky si
sistemeranno, non ho dubbi.»
«Lo spero
tanto.»
«Posso stare
qui con te,
stanotte?», gli chiese stringendosi a lui e chiudendo gli
occhi.
«Certo che
puoi», accennò un
sorriso e tirò su col naso, accarezzandole i capelli. «Per me non c’è nessun problema.»
«Nemmeno per
Franky, se lo voglio
io», mormorò Zoe prima di abbandonarsi al sonno.
Tom la guardò
con un pizzico di
malinconia negli occhi, ascoltò il suo respiro diventare
pesante e poi si
abbandonò al suo fianco, chiudendo gli occhi ed imponendosi
di dormire. Non era
così facile ed immediato come credeva, le domande e le
preoccupazioni che gli
frullavano per la testa erano troppe e decisamente complicate per poter
arrivare ad una conclusione e tranquillizzarsi.
Sospirò e
accarezzò il viso di
Zoe, soffermandosi sulla guancia rosata, lasciandosi scappare un
sorriso. Quella
ragazzina fatta tutta a modo suo ne aveva passate tante, ma era forte.
Era
entrata nel suo cuore improvvisamente, aveva legato con lei come non
aveva mai
fatto con una ragazza, aveva visto in lei un’amica vera, una
delle quali
potersi sempre fidare; doveva avere qualcosa di diverso dalle altre,
perché
altrimenti lui non si sarebbe nemmeno accorto della sua presenza.
Ricordò tutti
i momenti passati
con lei, sia quelli felici a ridere e a scherzare, sia quelli tristi e
dolorosi, come la scoperta della malattia di Franky, la sua
morte… Ogni ricordo
aveva una sua importanza e Tom si rilassò, arrivando
all’unica conclusione che
forse non era lei ad avere bisogno di lui, ma l’esatto
contrario. E finché
l’avesse avuta al suo fianco, nulla avrebbe potuto
spaventarlo davvero.
Però, Franky…
Ricordò con un brivido di paura la sua espressione
dura. Sarebbe riuscito a superare anche lui, a chiarire, grazie alla
sola
presenza di Zoe?
Dove sei? Mi
dispiace… Mi manchi.
[I need some
distraction,
oh beautiful release
Memory seeps from my veins,
let me be empty
and weightless and maybe
I'll find some peace tonight]
~ ~
~
Sentì un
altro brivido
attraversargli la schiena e aprì gli occhi: era qualcosa
d’indefinito, quel
richiamo non aveva un emittente preciso; sembrava molto la
volontà di tante
persone mescolate insieme. Sapeva chi facesse parte di quel gruppo, ma
riuscì a
distinguere un picco di malinconia in un pensiero in particolare, che
avrebbe
riconosciuto fra milioni: Tom.
È l’ultimo che vorrei
sentire invocare il mio nome,
pensò
d’istinto, ma riflettendo quella situazione rendeva
malinconico anche lui. Era
il suo migliore amico… che però l’aveva
deluso profondamente. Come si sarebbe
dovuto comportare? Avrebbe tanto voluto che tutto quel casino non fosse
mai successo,
così da poter tornare tranquillamente da lui e abbracciarlo,
ma… purtroppo era
andata così e non era in grado nemmeno lui di cambiare il
corso degli eventi.
Si sollevò
dalla nuvola su cui si
era fermato per riflettere e rimase ad osservare dall'alto la
città
illuminata nel buio
della notte: tutto sembrava così piccolo
e dava anche l’impressione
di precarietà e di continua mutazione, quando lui ormai era
un essere
superiore, un angelo, una creatura celeste immutabile, immortale e
capace di
volare, oltre che di fare tanti altri giochetti divertenti.
Ora basta perdere tempo, ci sono persone che
hanno bisogno di me e non
mi tiro indietro di fronte alle difficoltà.
Spiccò il
volo e scese in
picchiata sulla città, lasciando che il vento fresco
diventasse parte di lui.
~ ~ ~
Banchi di nuvole nere
oscurarono
lo spicchio di luna che aveva cominciato a fissare quando aveva capito
che non
sarebbe riuscito ad addormentarsi molto presto.
La finestra era aperta,
c’è un
piacevole venticello fresco quella sera d’estate e
respirò a pieni polmoni,
cercando di stendere i nervi che sentiva a pezzi.
L’intensità
del vento aumentò un
poco e un’ombra scura ed ampia coprì anche quella
poca luce lunare che entrava
nella stanza. Tom socchiuse gli occhi, fingendo di dormire, per
continuare a
sbirciare senza essere scoperto.
L’ombra si
aggrappò alla grondaia
che c’era sopra la finestra e si dondolò
all’interno, atterrando sul pavimento senza
fare il minimo rumore. Solo allora Tom riuscì a vederlo in
viso: era Franky,
nel suo completo di seta bianca, ed aveva le ali ancora spalancate.
Una fitta al cuore lo
colpì
quando quegli occhi verdi scintillanti che non erano mai stati
così belli lo
osservarono severi, mentre si portava le mani sui fianchi e schioccava
la
lingua contro il palato di fronte a quella scena. Poi però
un velo di
malinconia si fece spazio sul suo viso e si avvicinò al
letto, guardò Zoe
stretta a lui e successivamente portò l’attenzione
su Tom, che continuò a far
finta di niente, sudando freddo per la paura di essere scoperto.
Franky, Franky mi dispiace da morire,
qualsiasi cosa abbia fatto!
pensò senza nemmeno rendersene conto, aumentando la presa
intorno alla vita di
Zoe e muovendo impercettibilmente le palpebre.
Franky
sospirò, si sdraiò in
mezzo a loro e gli prese Zoe dalle braccia, dandogli le spalle,
facendogli
spalancare gli occhi e la bocca, stupito. Tanto ormai era certo che si
fosse
accorto del suo patetico tentativo di sembrare addormentato, non aveva
senso
continuare.
Tom rimase a fissare la
sua
schiena ricoperta da quelle ali maestosamente grandi,
avvicinò la mano alle
piume candide e le sfiorò con la punta delle dita, ma a quel
punto si contrassero
come se avesse fatto qualcosa di male e si allontanò,
ferito.
Sentì Franky
sospirare ancora e
lo guardò mentre avvolgeva
le ali intorno al corpo di Zoe, la quale subito sorrise serena,
accoccolandosi in quella sensazione piacevole. Infine
mormorò:
«Dormi,
Kaulitz.»
E a quelle parole, anche
se dette
in tono neutro e piatto, Tom chiuse gli occhi e si lasciò
andare al sonno che
finalmente calò su di lui.
[… In
the arms of an angel]
__________________________________
Buongiorno a tutti! :)
Ecco nello specifico le
reazioni
di tutti, compresa quella di Franky trovandosi di fronte a queste
espressioni
terrorizzate xD L’ultima parte è quella che
preferisco *-*
La canzone che ho usato è Angel
(xD) di Sarah McLachlan.
Spero vi sia piaciuto e ringrazio
di cuore Utopy
e Tokietta86
che hanno votato questa
storia per il concorso “Storie con migliori personaggi
originali” *-* Per chi
volesse votare Franky, Zoe, Jole e tutti gli altri originalssss, vi
ricordo che
la prima sessione di voti finirà il 30 di questo mese! ^-^
Grazie mille anche a Isis
88, Tokietta86
e Utopy
per
le recensioni allo scorso capitolo :D Infine, ringrazio chi legge
soltanto e
chi ha inserito questa ff nelle seguite, nelle preferite o nelle storie
da
ricordare ^-^
Al prossimo
mercoledì, un bacio! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 12 *** Hugs ***
12. Hugs
Aprì
lentamente gli occhi,
infastidita dalla luce del sole che entrava dalla finestra, e non fece
in tempo
a proteggersi con la mano che un ammasso di piume bianche le fece ombra
sul
viso.
«Franky»,
mugugnò Zoe sorridente,
girandosi verso di lui e accoccolandosi contro il suo petto, cercando
di
abbracciarlo più forte che poteva senza attraversarlo.
«Buongiorno,
piccola», le
sussurrò all’orecchio, sfiorandole i capelli sulla
tempia. «Dormito bene?»
Annuì e lo
guardò negli occhi
felice, quando la sua attenzione si posò sulla parte di
letto sfatta e vuota
oltre di lui. «Dov’è Tom?»,
sobbalzò preoccupata.
«Ahm…»,
Franky arricciò il naso e
corrugò la fronte, come se lo stesse cercando mentalmente.
«In questo momento
sta aiutando a sistemare le valige nell’auto che li
porterà all’aeroporto.»
«Menomale»,
sospirò sollevata. «Pensavo
se ne fosse andato senza salutarmi.»
«Non lo
farebbe mai, lo sai», le
sorrise cercando di rassicurarla, ma Zoe notò una traccia di
falsità fra le sue
labbra, oltre che di malinconia.
«Non dovevi
scappare via così,
ieri. Ci è rimasto parecchio male.»
«Lo so, ho
visto quello che è
successo», rispose serio. «Ma, fidati, quello che
c’è stato più male di tutti
sono io. Prova te a fare di tutto per tornare, credendo di rendere le
persone
felici, e sentirti dire che non esisti mentre vieni guardato con
terrore, manco
fossi un mostro.»
«Mi dispiace
Franky», mormorò. «Ma
la nostra è stata una reazione involontaria. Non capita
tutti i giorni di
vedere un angelo custode.»
«Già.»
Guardò fuori dalla
finestra, poi un sorriso si fece spazio sul suo viso serio.
«Però ora sono di
nuovo qui e sono pronto ad affrontare tutto il terrore dei vostri
occhi»,
ridacchiò.
«Stupido»,
gli tirò un colpo sul
braccio, sapendo di non potergli fare niente. «Sai che
dovresti fare,
piuttosto? Parlare con Tom.»
«In questo
momento non ho nulla
da dirgli.» Di nuovo quell’espressione seria e
dura.
«Mi spieghi
per quale motivo ce
l’hai così tanto con lui?»,
sbuffò innervosita. «Che ti ha fatto?!»
«Meglio che tu
non lo sappia»,
sventolò la mano come per scacciare una mosca e si mise
seduto sul letto,
ripiegando le ali dietro la schiena.
«Grazie.
Dicendo così è ovvio che
voglio saperlo, ora!»
«E io non te
lo dico lo stesso»,
le fece una linguaccia e Zoe ricambiò, imbronciandosi.
«C’è
almeno un motivo valido?»
«Sì,
non lo tratterei in questo
modo se non ci fosse», sospirò. «Ora
è meglio se scendi, altrimenti partiranno
veramente senza salutarti.»
«Ok.»
Fece un grande respiro
profondo e saltò giù dal letto. Quella nuova
giornata non si prospettava un
granché, come le due settimane che avrebbe dovuto passare
senza di loro, ma
doveva farsi forza perché ora… ora aveva Franky
al suo fianco. Lo guardò per
qualche secondo e un sorriso sereno le illuminò il viso come
mai da quando se
n’era andato le era successo veramente.
«Beh…
Io sono felice che tu sia
qui, nonostante…», arrossì mordendosi
il labbro. «La mia espressione
terrorizzata.»
«Lo so, Zoe.
Grazie», le regalò
uno dei suoi sorrisi migliori e le mancò un battito: era
così vicino, eppure
così lontano…
Scese di sotto
lentamente,
gradino dopo gradino sentiva l’ansia aumentare mentre si
avvicinava al vociare
di Bill e Gustav che probabilmente stavano ancora facendo colazione.
Era
un’ansia improvvisa e strana perché dopotutto non
era preoccupata per sé, bensì
per Franky che avrebbe dovuto affrontare nuovamente i ragazzi; e per
loro per
lo stesso motivo.
Rabbrividì
quando si accorse che
gli scalini erano finiti ed era in salotto. Bill alzò lo
sguardo luminoso su di
lei e poi saettò alle sue spalle, dove c’era
Franky. Nello stesso momento la
porta d’ingresso si aprì ed entrarono Tom e Georg:
gli occhi del primo
incontrarono subito quelli dell’angelo e fu costretto ad
abbassarli subito. Zoe
guardò Franky e dalla sua espressione indagatoria e severa
capì il motivo della
chiusura a riccio di Tom.
«Smettila!»,
gli gridò a mezza
voce per non attirare l’attenzione, ma accadde proprio il
contrario a sua
insaputa. Gli diede un pizzicotto sul braccio, lui
sghignazzò guardandola
sbuffare: «Non c’è gusto nel picchiarti,
non senti niente!»
«Questo
è un graaande vantaggio»,
la placcò scherzosamente e cominciò a farle il
solletico, al quale scoppiò a
ridere alleggerendo l’atmosfera tesa che si era creata.
La lasciò
respirare e le avvolse
le ali intorno alla schiena, cullandola nel suo abbraccio.
Appoggiò il mento
alla sua testa e ne approfittò per guardare i ragazzi,
ancora un po’ irrigiditi
dalla sua presenza. Incontrò gli occhi di Bill e lui quasi
non cadde dalla
sedia, talmente era intenso il suo sguardo.
“Noi due
dobbiamo parlare, a
proposito di lei”, gli comunicò Franky mentalmente
e quella volta Bill rischiò
davvero di cadere sentendo la sua voce nella testa, tanto che dovette
aggrapparsi al tavolo.
«Tutto
bene?», gli chiese Gustav
sollevando il sopracciglio; Bill si affrettò ad annuire e
Franky ridacchiò,
stampando un bacio fra i capelli di Zoe.
«La macchina
è pronta», disse
flebilmente Tom, passandosi una mano sul collo, nervoso.
«Che aria
tesa, accidenti», pensò
Zoe ad alta voce, liberandosi dall’abbraccio di Franky e
portandosi le mani sui
fianchi.
«Vuoi
risolvere la situazione?»,
le chiese lui, divertito.
«Assolutamente
sì! Non posso
sopportare di vederli così.» Rivolse la sua
attenzione sui ragazzi e stirò un
sorriso, prendendo Franky per mano e trascinandolo dietro di lei.
«Che cosa vuoi
fare, pazza?», le
chiese ancora, quella volta più preoccupato.
«Non li hai
ancora salutati per
bene! Salutali!»
«Ehm…
Ciao ragazzi, è bello
rivedervi», stiracchiò un sorriso.
«Non sei per
niente convincente!»,
lo riproverò. «Perché non li abbracci
come hai fatto con me?»
«A quale
scopo?», incrociò le
braccia al petto, arricciando il naso.
«Beh…
può darsi che sentendoti,
si rilasserebbero e si
abituerebbero più in fretta alla tua presenza!»
«Non posso
farlo se loro non
vogliono.»
«Loro
vogliono! Vero?» Si girò e
fissò le espressioni titubanti dei Tokio Hotel.
«Gli hai letto nella mente?»,
strinse gli occhi rivolgendosi di nuovo all’angelo.
«I loro
pensieri sono arrivati
così nitidi che non ho potuto non ascoltarli»,
sollevò le spalle. «Sono ancora
spaventati, hanno ancora paura di me, forse è
meglio…» Si interruppe e si girò
verso Bill, scattato in piedi e con le braccia tese verso di lui.
«Visto, Bill
vuole abbracciarti»,
annuì Zoe indicandolo.
«E non provare
a… leggermi nel
pensiero», lo minacciò il cantante, anche se a
fatica e con
poca voce.
«E tu non
pensare a niente», gli
sorrise Franky, dimentico per un attimo del triangolo che si era creato
con
Zoe. Lui
era Bill, il suo amico infantile e tanto primadonna, e, cosa
più importante,
gli era mancato.
Si avvicinò
d’un passo e lo
abbracciò, posando il viso sul suo petto, nel quale il cuore
aveva preso a
correre velocissimo. Si era quasi lasciato andare al piacere di
quell’abbraccio
fraterno quando sentì Zoe prendergli un’ala e
cercare di avvolgerla intorno
alla schiena del cantante.
«Lascia stare
le mie ali», disse
sbattendola e scompigliandole i capelli.
«Ok, scusa!
Quanto sei permaloso!»
«Sono nuove di
zecca, ci tengo!»
Zoe incrociò
le braccia al petto
e Bill sciolse l’abbraccio, rosso in viso e con un piccolo
sorriso che gli
curvava le labbra all’insù.
«Com’è
stato?», gli chiese Zoe
piena di curiosità.
«Bello…»,
balbettò, abbassando lo
sguardo. «Grazie Franky.»
«P-Prego, non
c’è di che.»
«Chi
è il prossimo?», sbattè le
mani emozionata, saltellando sul posto. Ma il suono di un clacson
distrusse
ogni sua aspettativa.
«Ehm…
dobbiamo andare o…
perderemo l’aereo», disse Georg.
«Uffa, che
peccato», sbuffò Zoe. «Beh,
quando tornerete!», esclamò illuminandosi di nuovo.
«Sei sempre la
solita», sorrise
Franky passandole una mano sulla testa.
Li accompagnarono alla
macchina
che li aspettava nel parcheggio e rimasero diversi secondi a guardarsi,
senza proferir
parola.
«Divertitevi»,
spezzò il silenzio
Zoe, che gettò le braccia al collo di Tom. «E
tornate presto, mi raccomando.»
Lui annuì e si lasciò baciare a stampo sulla
guancia, come gli altri tre. Poi
tornò fra le braccia di Franky, che sorrise accennando un
saluto con la mano.
“Tanto
è probabile che verrò a
trovarvi” gli disse mentalmente, facendoli sobbalzare tutti e
quattro.
Lei se ne accorse e lo
guardò
truce: «Gli hai parlato con il pensiero? Non devi nascondermi
niente! Che cosa
gli hai detto?»
«Uff, mi ero
quasi dimenticato di
quanto sei capace di rompere quando ti ci metti»,
ridacchiò accusando un colpo
sul braccio. «Gli ho semplicemente detto che è
probabile che andrò a trovarli
in America, per spiegargli un po’ di cose visto che non ne
abbiamo avuto il
tempo qui. Voglio parlare un po’ con loro da solo.»
«Ah,
capisco… E come farai ad
andare fino a là?»
«Non mi hanno
dato le ali solo
per abbracciarti e fartici dormire sopra»,
sogghignò.
«Cioè,
volerai? Ma è tanta
strada!», sgranò gli occhi, incredula.
«Diciamo che
il mio tachimetro
arriva fino alla velocità della luce.»
«Non ci credo!
Puoi volare alla
velocità della luce?!»
«Sì.
Però c’è un piccolo
inconveniente, quando si viaggia a questa velocità di notte:
si creano dei
fasci di luce, molto simili a quelli delle stelle cadenti, e molte
volte
vengono confusi proprio con queste; sono le stelle cadenti fuori
stagione… Per
fortuna nessuno pensa: “Oh, un angelo che vola alla
velocità della luce!”,
quindi non ci sono pericoli», ridacchiò.
«Fantastico…
E quanto ci
metteresti a fare il giro del mondo?»
«Non ho mai
provato, te lo farò
sapere se ti interessa.»
«Sì
che mi interessa! Wow, voglio
sapere tutto! Dev’essere una gran figata essere un
angelo.»
«Sì,
ha… ha i suoi aspetti
positivi», abbassò lo sguardo, un velo di
tristezza negli occhi; e anche Zoe si
intristì, rendendosi conto della grande cavolata che aveva
detto. Lui era
morto…
«Non
importa», si riprese Franky e
sorrise. «Ora è davvero meglio se
andate», disse ai ragazzi. «Ci vediamo.»
«Sì,
ci vediamo», mormorò Tom
prima di infilarsi nell’abitacolo insieme ai suoi compagni.
«Fate buon
viaggio!», gridò Zoe
agitando le braccia quando la macchina partì lasciandoli
dietro di sé.
Tom fece in tempo a
salutarla con
un cenno di mano e poi si girò verso il gemello, di fianco a
lui.
«Tu ci
credi?», gli chiese, gli
occhi gonfi di pianto.
«Non posso non
crederci. E tu ci
credi, Tomi?»
«Con tutte le
mie forze.»
***
«Franky?»
«Dimmi.»
«Dove sei
stato, per tutto questo
tempo?»
«Tu dove credi
che sia stato?»,
la guardò sorridente e le sfiorò la guancia con
la mano.
«Non
so», sospirò e guardò il
cielo azzurro, le mani dietro la nuca.
Erano sdraiati in mezzo
ad un
prato verde, nel parco in cui andavano sempre a fare le passeggiate i
primi
tempi della loro amicizia. C’erano parecchi bambini che
giocavano sulle
altalene, sugli scivoli e nelle buche di sabbia, e si sentivano i loro
schiamazzi
da lontano. Si respirava un’aria fresca, pulita, di
nuovo… Tutto era così
tranquillo e rilassante che Zoe si sarebbe facilmente addormentata
sotto i
raggi del sole e i tocchi delicati di Franky.
«In
Paradiso?», ipotizzò,
corrugando la fronte.
«Brava, hai
indovinato.»
«Davvero? Il
Paradiso esiste?»,
si tirò sui gomiti e lo guardò sorpresa.
«Certo che
esiste. E non è poi
tanto diverso da qui.»
«Puoi
raccontarmi?»
«No, mi
dispiace, non posso
raccontarti niente…» Sarebbe troppo
facile sapere ciò che c’è dopo la
morte.
«Ah»,
abbassò il viso e Franky le
spostò i capelli dagli occhi, sorridendole dolce.
«Ma hai incontrato altre
persone?»
«Certo che ho
incontrato altre
persone.»
«Per
esempio… tua madre?»
«No, purtroppo
lei… no, non l’ho
incontrata.»
«E…
e avresti potuto incontrare
anche mio papà?», lo guardò in viso e
le sfuggì una lacrima che le rigò la
guancia. «Perché posso vedere te e lui
no?»
«Piccola,
io… io sono il tuo
angelo custode», si strinse nelle spalle. «E ho
deciso di farmi vedere da te;
avrei anche potuto starti accanto a tua insaputa.»
«Quindi…
papà potrebbe essere il
mio angelo custode a mia insaputa?»
«Se lo fosse,
lo vedrei…»,
rispose sconfortato. Non gli piaceva vederla triste, era il peggior
dolore che
un angelo potesse sopportare. «E si può avere solo
un angelo custode. Se tu
avessi avuto tuo papà, io non avrei potuto sceglierti come
protetta.»
«E chi avresti
scelto, se io avessi
già avuto un angelo custode?», sollevò
il sopracciglio, incuriosita. Franky
strabuzzò gli occhi: quella domanda l’aveva colto
alla sprovvista e si trovò a
boccheggiare.
Chi avrebbe scelto, se
lei avesse
già avuto un angelo custode? Avrebbe scelto di reincarnarsi
oppure avrebbe
scelto un’altra persona? La risposta ce l’aveva,
era sulla punta della sua
lingua, ma dirla ad alta voce avrebbe provocato un’altra
ferita, perché ora
come ora, avrebbe tanto voluto che non fosse proprio quella…
«Credo…
credo che avrei scelto
Tom», sospirò.
«Se solo mi
dicessi che cosa
cavolo ha combinato quella testa di cocco, potrei aiutarti a chiarire
con lui…»
Avvicinò la mano al suo viso per accarezzarglielo, ma Franky
si alzò in piedi e
guardò il cielo, infilandosi le mani nelle tasche.
«Devo fare
alcune commissioni»,
disse. «Ti dispiace se vado?»
«Quando
torni?», Zoe si aggrappò al
suo braccio e si tirò su, guardandolo ansiosa.
«Torno
presto.» Le sorrise e le
stampò un bacio sulla fronte. «Non ti
preoccupare.» Lei annuì e Franky spiccò
il volo, sparendo in fretta fra un banco di nuvole soffici e bianche.
***
«Franky! Che
sorpresa!», si alzò
dalla scrivania e gli andò incontro, lo abbracciò
stringendolo forte a sé.
«Salve, San
Pietro. Sono felice
di rivederla. Come sta?»
«Molto bene! E
tu?»
«Anche io.
Diciamo che le cose si
sono stabilizzate un minimo.»
«Sono contento
per te. Come mai
da queste parti?» Si mise di nuovo seduto sulla poltrona
dietro la scrivania,
illuminata dal sole che entrava dalla finestra, e Franky si sedette di
fronte a
lui, appoggiandosi allo schienale.
«Volevo
chiederle alcune cose. E
poi mi dovrebbe fare un favore.»
«Che tipo di
favore?», sollevò il
sopracciglio, incuriosito.
«Visto…
visto che in qualche modo
devo liberare Jole e che l’unica persona in grado di salvarla
da se stessa è
chi ha provocato il suo stato, pensavo di parlarne con il diretto
interessato.»
«Che cosa?
Vuoi dirlo a Tom?»,
il Santo strabuzzò gli occhi. «Potrebbe rimanerne
scioccato, Franky!»
«Sono disposto
a rischiare. Lui è
forte, lo conosco, e… insieme potremmo farcela a salvare
Jole», rispose serio e
deciso.
«Ma da quello
che so ora non sei
molto benevolo con lui. Sei arrabbiato per quello che ha fatto, saresti
in
grado di mettere da parte questo rancore pur di salvare Jole?»
«Sì,
sarei disposto.»
«Da te me lo
sarei aspettato»,
sorrise annuendo. «Ok, quindi?»
«Quindi…
vorrei la copia dei
documenti di Jole, così da mostrargli delle prove e
spiegargli meglio ciò che è
successo.»
«Sì,
si può fare. Ora ti stampo
il suo fascicolo.»
«Bene. E poi
volevo chiederle…»,
abbassò lo sguardo, imbarazzato.
«Che
cosa?», lo incalzò,
corrugando la fronte.
«Ricorda di
quando mi ha detto
che quando sarei diventato un angelo custode mi avrebbe permesso di
“incontrare” mia madre… Beh, ora lo sono
e mi chiedevo se… se si poteva davvero
fare, ecco», concluse a fatica, prendendo fiato e sollevando
gli occhi
speranzosi, che incontrarono quelli buoni e dolci del santo.
«Certo che si
può fare. Altro?»
«Ah,
sì!»
«La mia era
una domanda retorica»,
ridacchiò. «Dì pure.»
«Volevo sapere
anche di Kenzie e
di Norbert, se è possibile. E poi anche di
un’altra persona che dovrebbe
essersi già reincarnata da tempo.»
«Kenzie e
Norbert hanno trovato i
loro nuovi corpi e se vuoi puoi andare a trovarli, ma non sono ancora
nati. Per
l’altra persona, invece, di chi si tratta?»
«Del padre di
Zoe.»
«Sai che lei
non deve sapere la
sua identità, non puoi diglielo.»
«Non glielo
dirò. È solo per… per
farglielo vedere un’ultima volta, a sua insaputa.»
***
Per prima cosa, voglio indagare un
po’ su Jole.
Sfogliò il
fascicolo appena
stampato da San Pietro, nelle sue mani, e non fece caso a dove andava,
infatti
si scontrò contro qualcosa, o meglio, contro qualcuno.
«Franky!»
Alzò il viso all’udire
il suo nome pronunciato da quella voce familiare e incrociò
gli occhi d’oro
liquido del motivo principale della sua visita in Paradiso.
«Jole!»
Si lasciò abbracciare
forte e ricambiò, infilando le schede nella tasca interna
della sua giacca.
«Come mai
quassù?», gli chiese
raggiante, gli occhi brillanti.
«Avevo delle
questioni da
sbrigare con San Pietro.»
«Ah»,
sillabò delusa; i suoi
occhi, come si erano accesi all’ipotesi che fosse andato a
prenderla per
portarla di nuovo giù, si spensero quando capì
che non era sua intenzione.
Almeno non ancora.
«Mi dispiace,
Jole», scosse la
testa e le posò una mano sulla spalla, ma lei si
scostò quasi con rabbia.
«Perché
non mi vuoi portare con
te?! Io devo vederlo, ne ho bisogno! Non resisto più! So
controllarmi, so che
posso farcela! Ti prego Franky, dammi una
possibilità!»
Franky fece finta di
soppesare le
sue parole, ma la sua decisione l’aveva già presa
ed era inequivocabile: era
troppo rischioso far incontrare Jole e Tom, che oltretutto non ne era
ancora a
conoscenza. Anche se tutta la sua parte irrazionale avrebbe tanto
voluto che
Jole gli
desse una lezione.
«Mi dispiace
Jole, ancora non
posso portarti con me, anche se vorrei. Mi dispiace tanto.»
Lei sospirò
pesantemente e annuì
con le lacrime agli occhi, poi si girò accennando un sorriso
che lo ferì in
pieno petto e si allontanò da lui a passo svelto, sparendo
presto alla sua
vista.
Sospirò anche
lui e decise che
era meglio tornare di sotto, se non voleva metterci troppo nelle sue
investigazioni.
***
«Eccoti! Ci
hai messo un bel po’!»
«Sì,
scusa Zoe», sorrise e le accarezzò
i capelli con un movimento veloce, poi si mise seduto sul davanzale
della
finestra, con le gambe a penzoloni nel vuoto.
«Che
guardi?», si sporse al suo
fianco e seguì la traiettoria del suo sguardo, fino a
trovare il cielo azzurro
mischiato al rosa del tramonto e il sole infuocato
all’orizzonte. «Oh.»
«Questo mi
è mancato, sai?»,
sorrise sereno, gli occhi verdi che riflettevano l’oro del
sole creando una
sfumatura semplicemente spettacolare. Zoe non l’aveva mai
visto così bello e
una strana malinconia le assalì il petto.
«Non hai mai
visto un tramonto,
in Paradiso?», gli chiese senza riuscire a staccare gli occhi
dalla sua
espressione beata.
«No. E poi non
sarebbe la stessa
cosa, non credi?»
«Non so,
io…»
«Lascia
perdere, hai ragione, non
puoi capire», sorrise. «Ora vieni con me, devo
farti conoscere una persona.»
«Una
persona?»
Non fece in tempo a dire
altro
che Franky la prese fra le braccia e spiccò il volo. Zoe in
un primo momento
non riuscì a capire quello che stava succedendo, ma quando
capì che i suoi
piedi non stavano più toccando terra guardò
giù e vide la città dall’alto,
illuminata dalla luce del tramonto.
[Komm und hilf
mir fliegen
Leih mir deine Flügel
Tausch sie gegen die Welt,
gegen alles was die dich hält
Ich tausch sie heute Nacht,
gegen alles was ich hab]
«Sto…
stiamo volando!», gridò
cercando di guardare Franky, che sorrise. Aumentò la presa
sulle sue braccia e
rimase incantata a fissare il paesaggio che scorreva sotto di lei a
velocità
sostenuta, mentre il vento le scompigliava i capelli e le frustava il
viso ad
ogni colpo d’ali del suo angelo.
Stava volando davvero,
non era un
sogno. Riusciva a percepire tutte le sensazioni nitidamente, ma non era
in
grado di descriverle a parole talmente erano vivide dentro di lei. Si
sentiva
libera e felice, capace di tutto.
«È
meraviglioso», mormorò senza
fiato.
«Sono contento
che ti piaccia. E
che tu non soffra di mal d’aria; sarebbe stato un bel
casino», scoppiò a ridere
e Zoe con lui.
«Ma non ci
possono vedere?», gli
chiese dopo un po’. Si era pure dimenticata del
perché stessero volando, non
importava più sapere la loro destinazione; avrebbe dato di
tutto pur di non
smettere mai, le sarebbe piaciuto volare per sempre, senza toccare mai
terra.
«No, in questo
momento sei
invisibile. Ti pare che ti avrei lasciata visibile?! Saresti finita su
tutti i
telegiornali del mondo!»
«In
effetti…»
Iniziarono a perdere
quota e ad
avvicinarsi al terreno e Zoe avrebbe tanto voluto opporsi,
l’altitudine stava
diventando una droga, ma si trattenne. Una volta di nuovo con i piedi
per
terra, stretta fra le sue braccia, si guardò intorno, non
riconoscendo quel
parco giochi per bambini quasi vuoto: c’era solo una mamma
ancora, seduta sulla
panchina, che rideva coprendosi gli occhi ridenti dal sole, guardando
il suo
“bambino” andare su e giù per il quadro
svedese.
«Mamma, sono
bravo, vero?»
«Sì
tesoro, sei bravissimo!»
Zoe si girò
verso Franky e guardò
la sua espressione sorridente, non riuscendo a decifrare il
perché fossero lì: «Dove
siamo?», si decise allora a chiedergli.
«Siamo
semplicemente dall’altra
parte della città e lui è la persona che volevo
farti conoscere.» Indicò il
ragazzino dai capelli ricci e neri e gli occhi azzurri, che doveva
avere al
massimo tredici anni. Zoe provò a cercare nella sua memoria
la sua figura, ma
non l’aveva davvero mai visto prima!
«E chi
è, scusa?»
«Tuo
padre», le sussurrò
all’orecchio e Zoe sobbalzò, girandosi di scatto
con gli occhi spalancati.
«Cos’hai
detto?»
«Cosa?»,
la fissò
interrogativamente. «Stavo per dirti che ho conosciuto il
padre di quel
bambino, in Paradiso», mentì sorridente,
passandole delicatamente le mani sulle
guance e rilassandola.
«Che dici,
andiamo a casa? Tua
mamma si preoccuperà, se non ti vedrà.»
«Ok»,
annuì assorta e si lasciò
prendere da Franky, che la strinse forte al petto prima di agitare
elegantemente le sue grandi ali e sollevarsi da terra. Si
girò un’ultima volta
verso il parco e dall’alto guardò il ragazzino
correre dalla sua mamma e
abbracciarla forte.
Non si accorse nemmeno
del sorriso
che le era nato fra le labbra.
***
«Penso che
andrò dai ragazzi,
questa sera stessa», disse Franky con tono calmo e pacato,
passandole una mano fra i
capelli. Zoe annuì con la testa e gli avvolse la vita con un
braccio.
«Prima
chiarite meglio è, sì.»
«Già.
Sarà dura parlare con Bill…
Sai che devo parlargli di te, no?»
«Sì…
Quando capirà che tu sai
tutto come minimo sverrà, come quando ti ha visto per la
prima volta», sorrise
divertita. Non aveva la forza necessaria per una risata, era stata una
giornata
fin troppo intensa e il sonno le faceva chiudere gli occhi.
«Probabile»,
ridacchiò. «Tu sei
d’accordo, se ci parlo?»
«Sì,
è più una cosa vostra che
una cosa mia ora… Io ho capito che non posso più
averti e penso che adesso che
sei qui, posso anche provare a ricominciare. Non sono certa che Bill
sia la
persona giusta, però voglio provarci»,
sbadigliò; a Franky scappò un sorriso.
«Forse
è meglio se dormi, eh
piccola? Ne parliamo domani», la baciò sulla
fronte e rimase in quella
posizione per diversi istanti, troppo felice per riuscire a separarsi
da quella
sensazione.
«Chiarisci
anche con Tom, mi
raccomando. Non sopporto di vedervi così.» Furono
le sue ultime parole
sussurrate prima che Franky la facesse cadere nel mondo dei sogni, solo
bei
sogni.
«Buonanotte,
amore mio», le sussurrò
carezzevole all’orecchio.
Aspettò la
mattina senza riuscire
a dormire molto e poi la baciò delicato sulla fronte.
Scivolò via dal suo
abbraccio e portò un piede sul davanzale della finestra,
guardò ancora
all’interno: Ariel, che era rimasta silenziosamente
accucciata ai piedi della
sua padroncina, appoggiò il viso sul suo ventre e la
accarezzò con una zampa.
«Stai tu con
lei, mi raccomando»,
le sorrise e uscì dalla finestra, diretto verso il cielo e
poi verso occidente.
[Erzähl
mir alle Lügen
Mach es so, dass ich es glaub
Sonst krieg ich keine Luft mehr
und diese Stille macht mich taub
Nur graue Mauern und kein Licht
Alles hier ist ohne mich]
Quella precedente, era
stata una
giornata davvero intensa e nel breve – per lui –
tragitto fra Germania e
America, che lo costrinse anche a sorvolare l’Oceano
Atlantico e ad
attraversare ben nove fusi orari, ripensò a ciò
che aveva scoperto e a chi
aveva “rivisto”.
Subito dopo aver
incontrato Jole
e averci quasi litigato, era sceso di nuovo di sotto ed era andato a
visitare,
come se fosse quasi un giro turistico, tutti i posti in cui lei aveva a
lungo
vissuto: l’appartamento che condivideva con suo padre da
quando sua madre se
n’era andata; la scuola che aveva abbandonato presto; la
camera d’hotel che
vedeva protagonisti lei e Tom durante i loro incontri puramente
focalizzati sul
sesso… Era riuscito a vedere tutta la vita di Jole sfiorando
gli oggetti
abbandonati: ovunque lei era stata, c’era rimasto un
pezzettino di lei.
Aveva scoperto che suo
padre era
stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio, per aver
indotto al suicidio
la figlia, per averla molestata per anni e per detenzione e uso di
droga. Non
sarebbe uscito di prigione tanto presto, anzi non ci sarebbe proprio
uscito se
non fosse stato per uno strano malore che, indagando, l’aveva
ricondotto
proprio al giorno in cui Jole era scesa per la prima volta fra i vivi.
Così, dopo
aver trapelato le
informazioni che gli servivano entrando nel corpo di una delle guardie
carcerarie, era andato all’ospedale, dove tutt’ora
si trovava il padre di Jole:
un uomo dal viso segnato, gli occhi grandi e scuri – opposti
a quelli della
figlia, i capelli brizzolati. Stando al suo capezzale, ascoltando il
suo
respiro rauco, aveva percepito una strana aura maligna che aveva
collegato
subito a quella di Jole; ne ebbe pienamente conferma quando
sfiorò il petto
dell’uomo ed apparvero dei graffi, altrimenti invisibili,
profondi sulla pelle,
neri come la pece.
Sobbalzò, quando l’uomo
aprì di scatto gli occhi ed iniziò ad agitarsi
nel letto, come in preda a delle convulsioni, e a piangere, guaendo:
«Mi
dispiace, mi dispiace tanto! Io non volevo, te lo giuro! Non mi
perdonerò mai
per quello che ho fatto!»
Riuscì a capire solo quelle
parole del lungo e confuso discorso che
farfugliò fino a quando degli infermieri fecero irruzione
nella stanza e gli
somministrarono della morfina, sotto gli effetti della quale si
calmò e tornò a
dormire pesantemente.
«È giorni che continua
a dire così… Che si sia pentito dei suoi reati
solo ora?», chiese un infermiere all’altro, ignari
che ad ascoltare la loro
conversazione ci fosse Franky.
«È molto strano, in
effetti. Così, di punto in bianco? Potrebbe anche
essere impazzito, succede in carcere, soprattutto ai tossici
più deboli.»
«Sì, potrebbe
essere.»
Franky fece ancora un passo verso
l’uomo e appoggiò la mano tremante
sulla sua fronte, delicatamente; chiuse gli occhi e si immerse nella
sua mente,
cercando di trovare qualcosa che lo riconducesse direttamente a Jole e
a ciò
che gli avesse fatto. Riuscì ad individuare il ricordo, ma
era tutto così
confuso… Distinse benissimo il viso adirato di Jole, i suoi
occhi solitamente
così docili iniettati di sangue e le sue unghie che
graffiavano il suo torace
senza però farlo sanguinare, facendolo solo gridare di
dolore.
Sbalzò fuori da quelle immagini e
respirò velocemente, sedendosi sulla
sedia lì accanto. Gli infermieri erano usciti dalla stanza e
nemmeno se n’era
accorto, talmente era concentrato. Il cuore gli batteva a mille e in
quel
momento più che mai capì che, per quanto potesse
avercela con Tom, non poteva
lasciare che Jole lo riducesse in quelle condizioni. L’uomo
inerme steso sul
letto di fronte a lui stava patendo una pena, inflitta dalla stessa
Intrappolata; stava soffrendo ogni suo cattivo gesto con un rimorso
quasi vivo
dentro di sé, capace di accartocciargli l’anima,
strappandogli urla di dolore
disumane come se fosse impazzito.
Se non fosse stato per lui, quella notte,
Tom avrebbe sofferto
esattamente come il padre di Jole.
No, non posso permettere che questo accada.
Aumentò la
velocità, infrangendo
ogni barriera acustica, raggiungendo pienamente i livelli di quella
della luce,
e sorrise al pensiero di qualcuno laggiù che, guardando il
cielo nelle ultime
ore di buio, lo avrebbe scambiato per una stella cadente e avrebbe
espresso un
desiderio.
Come il desiderio di
vedere sua
madre un’ultima volta, la sua cara mamma a cui era stata
strappata la vita
con violenza e senza un perché preciso.
«Susan?»
«Sì, dimmi.»
La ragazza, che lui conosceva bene, si avvicinò alla
sorella con uno straccio in mano e la guardò, mentre teneva
per le manine la
bambina, che non doveva avere più di un anno, che appena
accennò un sorriso
sciolse il cuore ad entrambe.
Franky era lo spettatore silenzioso,
sorridente e con gli occhi lucidi
nel vedere la sua mamma di nuovo felice ed amata.
«Prima ha fatto qualche
passo!», le disse raggiante. «Provo a lasciarla
andare ancora?»
«Sì, dai!»
Susan si mise seduta sul divano e
guardò la bambina cercare
l’equilibrio sui propri piedini, una volta che la madre le
aveva lasciato le
mani. Fece qualche timido passo, poi cadde sul tappeto morbido con il
sedere,
riprendendo a giocare come se nulla fosse. Le due donne si misero a
ridere e
Franky accennò una risata, piegandosi sulle ginocchia e
sfiorando con le dita
la guancia rosata e paffuta della bimba.
«Ciao, mamma»,
mormorò e una lacrima gli sfuggì
dall’occhio, quando la
piccola si girò verso di lui inconsciamente, mostrando i
dentini davanti.
Franky ridacchiò e le accarezzò dolcemente la
testa, che poi sfiorò anche con
le labbra. «Ti voglio tanto bene, davvero tanto.»
«Allora Susan, adesso devi andare
da David?»
Al nome di suo zio sobbalzò e
guardò la sua ex-prof e sua sorella, che
chiacchieravano tranquillamente.
«Ah già, è
vero! Me ne stavo quasi per dimenticare! Menomale che ci sei
tu, sorellina! Oggi dobbiamo andare a fare shopping!»,
batté le mani di fronte
al viso, entusiasta.
«Povero quell’uomo, lo
farai esaurire.»
«Nah, mi ama!»,
allargò le braccia e rise ancora.
Franky sorrise amaro. Nonostante lo volesse
tanto, sapeva di non poter
farsi vedere da lui a causa della sua età troppo avanzata
per credere fino in
fondo all’esistenza di esseri come lui. Ma poi, pensandoci
bene, sarebbe stato
meglio se lui non si fosse fatto vedere: suo zio aveva superato da
relativamente poco la sua scomparsa, gli avrebbe fatto solo male
rivederlo, e
non voleva che ciò accadesse. Sarebbe comunque passato a
trovarlo, prima o poi.
«Sono già in ritardo,
scappo!», esordì Susan tirandolo fuori dai suoi
pensieri. Si alzò, acchiappò la giacca e
salutò la nipotina e la sorella, poi
uscì di casa lasciandolo con l’amaro in bocca.
«Prenditi cura di zio
David», mormorò.
Oppure come il desiderio
di
rivedere due dei più cari amici che avesse mai avuto e che
stavano per
rincominciare a vivere. Insieme, come avrebbero voluto.
Sorrise di fronte all’espressione
serena della futura mamma e scosse la
testa, pensando a come fosse pazzesco tutto quello. Kenzie e Norbert si
erano
promessi di ritrovarsi un giorno, di nuovo sulla Terra, e invece
avrebbero
avuto ancora di più: sarebbero nati insieme, uniti da un
legame speciale ed
indivisibile. Fratelli gemelli.
Si avvicinò alla ragazza seduta
sul divano, accoccolata al neomarito
che sorrideva accarezzandole il braccio mentre guardavano la
televisione. Posò
una mano sulla pancia già evidente e la
accarezzò:
«Vi verrò a trovare fra
qualche mese, ok? Sono contentissimo per voi,
alla fine vi siete ritrovati. Statemi bene e siate felici, io sto
facendo come
mi avete detto: non mi arrendo e non vi deluderò,
farò del mio meglio.»
Un aereo fin troppo
vicino a lui
lo fece tornare al presente e si scansò, soffermandosi a
guardare il cielo buio
di Los Angeles, oscurato dalla molteplicità di luci della
città che quasi sembrava
protendersi verso di lui grazie ai grattacieli e i palazzoni che si
stagliavano
a poca distanza l’uno dall’altro. E non molto
lontano da tutto quel centro
megaurbanizzato, c’era la costa. Era una fortissima
contrapposizione,
natura-cemento, ma il paesaggio che ne veniva fuori gli piaceva.
Si decise a muoversi e
in qualche
minuto raggiunse l’hotel in cui pernottavano i ragazzi.
Percepì le aure di
Gustav e di Georg e capì che il secondo era già a
letto che se la ronfava, anche
se non era poi così tardi. Quindi decise di andare dal calmo
e riflessivo
Gustav, prima di affrontare i gemelli. Più tardi li
incontrava, meglio era; ma
sapeva di non poter rimandare per sempre, prima o poi, che lo volesse o
no,
sarebbe arrivato il momento e non sapeva nemmeno lui come avrebbe
fatto.
Entrò nella
stanza senza
annunciare la propria presenza e guardò il batterista tirare
indietro le
lenzuola del letto, sospirando pensieroso. Franky capì che
era in pensiero per
lui, oltre che per i gemelli che quel giorno si erano comportati in
modo più
strano del solito.
«Non
c’è bisogno che ti preoccupi,
Gus. Tutto si sistemerà, vedrai», disse
sorridendo, facendolo sussultare dallo
spavento.
«Franky»,
si ricompose
immediatamente. «Avresti potuto anche avvisare.»
«Se avessi
bussato alla porta ti
avrei fatto fare la figura del cretino, non pensi? Avresti aperto al
niente e
magari qualcuno ti avrebbe persino visto salutarmi»,
ridacchiò, pensando alla
scena; Gustav si lasciò scappare un sorriso: infondo non
aveva tutti i torti.
«Sei venuto
presto», constatò,
invitandolo ad accomodarsi dove preferiva. Franky si mise seduto sulla
poltrona
accanto alla finestra, dalla quale riusciva a vedere il mare che
rifletteva i
deboli raggi della luna.
«Sì,
ho pensato che… prima risolvo
le cose, meglio è per tutti; evito di fondermi il cervello,
di far preoccupare
Zoe e di far soffrire gli scemi di là», rispose
massaggiandosi le tempie.
«Soffrire?»,
inarcò il sopracciglio.
«Sì,
per quanto mi costa dirlo,
sto facendo soffrire Tom e Bill con il mio comportamento, malgrado la
colpa ce
l’abbiano loro.»
«Ne vuoi
parlare?»
«Meglio
parlarne prima con loro,
penso sia più giusto», sorrise. «Grazie
comunque.»
«Prego.
Allora… come vanno le
cose?», chiese titubante.
«Vanno
piuttosto bene, diciamo
che ormai avete superato la fase: “Oddio, Franky è
un angelo!”. Quindi vanno
molto meglio, sì.»
«Mi dispiace
per quello che è
successo ieri, solo che…»
«Non serve che
ti scusi, infondo…
dovevo saperlo, solo che pensarlo è viverlo sono due cose
completamente
distinte. Non avrei mai immaginato che potesse fare così
male.» Abbassò il
viso, il ricordo delle loro espressioni ancora lo feriva. «Ma
ora è tutto
passato.» Si alzò dalla poltrona e
incrociò le braccia al petto, guardando
fuori dalla finestra. «A voi, come vanno le cose?»
«Bene. Abbiamo
finito il tour da
qualche mese… sì, tutto bene diciamo. Ora siamo
in pausa, a parte questi viaggi
intercontinentali. Ma siamo più tranquilli.»
«Mi fa
piacere. E… zio David,
come sta? Non sono ancora passato a trovarlo, non ho avuto
tempo», un velo di
malinconia si fece spazio nei suoi occhi e Gustav si
avvicinò a lui, portando lentamente
la mano sulla sua spalla.
«Posso?»,
gli chiese,
imbarazzato.
«Certo che
puoi», ridacchiò. «Anzi,
devi.»
Gustav prima gli
posò la mano
sulla spalla a mo’ di conforto, poi si lasciò
trascinare dal suo sorriso
incoraggiante e lo abbracciò, tenendolo più
stretto che poteva a sé.
«Ne ho davvero
bisogno, in questo
momento», mormorò Franky. «Penso che tu
sappia che Bill si è preso una
colossale cotta per Zoe…»
«Non ne avevo
la certezza, ma avevo
intuito qualcosa», annuì.
«Ah. E quindi,
beh… io devo
parlare con lui, perché ora ci sono e… insomma,
è complicato.»
«E con
Tom?»
«Tom…
ha combinato un bel casino»,
sospirò amareggiato. «E appunto per questo,
sarà meglio che vada.» Lo guardò
negli occhi e gli rivolse un sorriso: «Grazie per
l’abbraccio.»
«Di niente.
È bello riaverti fra
noi.»
«Ne sono
felice, se siete felici
voi.»
Lo salutò con
un gesto di mano e
gli augurò la buona notte, poi uscì dalla stanza
e camminò per i corridoi
deserti fino ad arrivare alla stanza di Tom. Rimase a fissare il legno
bianco
della porta e digrignò i denti, sentendo provenire dei
gemiti dietro di essa.
Non gli serviva nemmeno vedere, per capire quello che stava succedendo.
«Non perdi
tempo, Kaulitz. Come
al solito», sbuffò innervosito e fece dietrofront,
stringendo i pugni lungo i
fianchi, trattenendosi per non trapassare la porta e rovinare la festa.
La
chiacchierata con Gustav non aveva dato i suoi frutti, visto che era
già nero;
e un angelo arrabbiato, oltre che essere paradossale, non era un bello
spettacolo.
Marciò a
passo spedito verso la
camera dell’altro gemello e non fece complimenti prima di
entrare, ma ne pagò
le conseguenze.
«Oh mio
Dio!», gridò coprendosi
gli occhi con un braccio.
«Franky!»,
gridò spaventato Bill,
prendendo l’asciugamano e avvolgendoselo intorno alla vita in
fretta e furia,
rosso d’imbarazzo. «Avvisare no, eh?!»
«Scusa gallina
spennacchiata, ma
che ne sapevo che eri andato a farti la doccia?!»
«Non hai dei
sensori speciali?
Qualsiasi cosa!», farfugliò stridulo gesticolando
con le braccia in aria.
«Ho tutto,
tranne che sensori per
rilevare se sei vestito o meno!», fece una smorfia che fece
sorridere Bill,
mentre si infilava di nuovo in bagno per vestirsi.
«Peccato!»,
si girò e gli fece
una linguaccia, prima di chiudere la porta. «Sarebbe stato
molto utile!»
«Vedo che ti
sei ripreso bene da
ieri e da stamattina!», disse Franky appoggiandosi alla
parete con
la spalla, di
fianco alla porta del bagno.
«Sì,
ehm… più o meno…»,
balbettò.
«Bill, non
sforzarti di fare come
se tutto questo fosse normale: non lo è e non lo
sarà più, quindi… sii
naturale, non aver paura di mostrare le tue debolezze oppure le tue
paure, come
hai sempre fatto», sospirò passandosi una mano sul
viso.
«È
che… sono nervoso e tutto mi
sembra così assurdo che…»
«Ci farai
l’abitudine, anche se
non sarà facile.»
«Zoe si
è abituata subito, però…»
«No, anche lei
cerca di
mascherare ciò che ha dentro. Ma è inutile,
ragazzi, io sento e vedo tutto.
Siete così dolcemente ridicoli…»,
ridacchiò e guardò Bill uscire dal bagno
vestito, con i capelli ancora bagnati pettinati all’indietro
sulla testa.
«Sai, ti
preferivo prima», gli
disse indicando la pettinatura. «Così
sembri… snob! Ecco», incrociò le
braccia
al petto. «E che vuol dire che ti metti i costumi di scena?
Per non parlare
della sfilata che hai fatto! Giuro, è stato
orribile», scosse la testa, come
per scacciare quelle immagini, poi si lanciò sul letto, dove
si sdraiò
comodamente con le spalle appoggiate alla testata.
«Come fai a
sapere tutte queste
cose?», sgranò gli occhi, avvicinandosi
rigidamente al bordo del letto e
sedendocisi.
«Io
c’ero, Bill», sorrise
dolcemente. «Sono sempre stato al vostro fianco, solo che voi
non lo sapevate.»
«Sul
serio?»
«Sì,
sul serio. Non mi sono perso
un attimo della vostra vita e non potete nemmeno immaginare che strazio
sia
stato essere solo lo spettatore, senza potervi parlare direttamente
oppure
farmi vedere. Adesso è tutto diverso.»
«Già»,
annuì assorto. «Radicalmente
diverso. Quindi tu sai anche –»
«So ogni cosa
Bill», chiuse gli
occhi, traendo un respiro profondo. «Anche che tu ti sei
preso
una cotta per Zoe.
È di questo che dovevamo parlare, no?»
«Sì…»,
deglutì rumorosamente. Era
così nervoso che aveva persino iniziato a sudare, nonostante
avesse appena
finito di fare la doccia! Franky avvertì la sua tensione e
gli diede una pacca
sulla spalla.
«Sono contento
che Zoe ricominci
con te, posso fidarmi. Giusto?» Bill annuì con la
testa, la bocca asciutta.
L’angelo sollevò le spalle: «Allora non
c’è nessun problema. Certo… a me fa un
certo effetto e se penso che se mi fa effetto ora, chissà
che cosa mi farà
quando…» Diventarono rossi entrambi e Franky gli
tirò un pugno sul braccio,
scandalizzato: «Sei andato direttamente a pensare a
quello!»
«Scusa
Franky!», cercò di
difendersi il cantante, annaspante. «E poi tu non puoi
leggermi nella testa!»
«Lo
farò», strinse gli occhi,
minaccioso: «Stai pur certo che lo farò sempre.
Lei è la mia piccola, non ti
permetterò di farle del male… Non anche
tu.» Abbassò lo sguardo e si adombrò,
Bill corrugò la fronte notando il suo improvviso sbalzo
d’umore e rimase
parecchio impressionato quando, subito dopo, alzò il viso
con l’accenno di un
sorriso sulle labbra. «Prenditi cura di lei e guardati le
spalle, io sarò
sempre lì a controllarti.»
«Sempre?»
«Sempre.»
«Sempre
sempre?»
«Sempre
sempre», sorrise beffardo
e scoppiò a ridere all’espressione terrorizzata di
Bill, che una volta resosi
conto che era uno scherzo, si tranquillizzò e si
lasciò trasportare.
«Abbraccio?»,
chiese allora,
stendendo le lunghe braccia verso l’angelo, che sorrise e
annuì avvicinandosi. Lo
accontentò anche avvolgendogli le ali intorno alla schiena e
sorrise vedendo il
suo viso e i suoi occhi felici. «Grazie, Franky.»
«E di che
cosa? È andata meglio
di quanto pensassi!», si alzò e si
stiracchiò le ali, sbadigliando. Bill lo
osservò da capo a piedi e notò
l’inusuale vestito elegante che indossava, tanto
che sghignazzò coprendosi la bocca con la mano.
«E ora che hai
da ridere?», gli
chiese guardandosi, quando ci arrivò si portò le
mani ai fianchi scocciato;
Bill non riuscì più a trattenersi e si
lasciò andare in una risata che gli
gonfiò i polmoni e gli fece lacrimare gli occhi,
rasserenandolo.
«Non
c’è niente da ridere! È la
mia divisa!»
«Divisa?
Oddio Franky, è strano vederti così elegante!
Però stai
bene, devo ammetterlo», disse a fatica, riprendendo fiato.
«Sì,
grazie Bill. Vogliamo
parlare di te? Quando hai iniziato andavi a fare i concerti in
maglietta e
jeans, ora ti vesti da robot! Non è che il sistema ha
intaccato anche te? E le
vostre belle parole, quelle in cui dicevate che non volevate farvi
comandare da
nessuno, dove sono finite?»
Si guardarono in
silenzio per
diversi istanti, poi Bill fece un ampio sorriso: «Io non sono
cambiato e noi
non ci stiamo facendo comandare, ho solo voluto mettermi quei vestiti.
È stata
una mia scelta, non un’imposizione.»
«Oh,
beh… ottima scelta, direi.
Visto che ti fanno anche cadere», si prese il mento nella
mano e ridacchiò
quando Bill diventò paonazzo. «Quante risate mi
sono fatto! Volevo prenderti
per il culo fino a star male, ma per tua enorme fortuna non potevi
vedermi.»
«Per tua
enorme fortuna, perché ti avrei fatto passare una pessima
serata!», schizzò, con il solo risultato di far
divertire Franky. «E poi io non
sono l’unico ad essere caduto in quel tour! Anche Tom ha
rischiato una volta!»
«Ah
sì, è vero… Tom…»
Franky
abbassò il viso e quella malinconia nei suoi occhi
colpì ancora Bill, che si
sentì in colpa: aveva detto qualcosa di sbagliato? In
effetti, ora che ci
pensava, Franky era stato duro con lui, manteneva le distanze, era
freddo… Che
fosse cambiato qualcosa nel loro rapporto?
«Non ti
preoccupare, le cose si
sistemeranno. Spero», gli rispose ancor prima che potesse
formulare la domanda.
Lo guardò severamente, ma non poté rimproverarlo,
solo si alzò e lo strinse in
un abbraccio, al quale lui ricambiò
sorridente.
«Ora
è meglio se vado da lui,
devo parlargli», mormorò staccandosi e donandogli
uno sguardo riconoscente.
«Prima…
ehm… insomma, penso sia
libero ora…», Bill arrossì passandosi
una
mano sul collo.
«Sì,
me ne sono accorto che aveva
compagnia», l'angelo roteò gli occhi al cielo,
quasi
schifato. «Spero abbia finito, se
no pongo io fine alla serata», annuì stringendo un
pugno, poi lo salutò con la
mano ed uscì dalla stanza, lasciandolo un po’
sbigottito, ma tutto sommato
sereno.
***
Era da un po’
che fissava il
soffitto bianco, mezzo scoperto, con le braccia dietro la testa. Il
silenzio
che aleggiava in quella stanza non gli piaceva, soprattutto dopo aver
sentito
gridare quella ragazza mora che ora dormiva al suo fianco.
Chiuse gli occhi e la
prima cosa
che gli venne in mente fu il viso di Franky, le sue ali, il suo sguardo
acceso…
Lui era di nuovo lì, fra loro, ed era un angelo custode.
Inoltre, era
arrabbiato con lui. Quella situazione di gelo fra loro lo faceva
soffrire, così
aveva cercato di non pensarci troppo e di distrarsi quella sera:
l’unico buon
diversivo era stata quella ragazza, ma non si sentiva in colpa per
averla
usata, infondo i suoi problemi erano molto al di sopra dei normali
problemi!
Sospirò e si
alzò, tanto non
sarebbe riuscito comunque a dormire quella notte. Andò in
bagno e ci si chiuse
dentro, si chinò sul lavandino e si sciacquò il
viso con l’acqua fredda, poi lo
sollevò e guardò la propria immagine riflessa
nello specchio. Sobbalzò quando
vide anche quella di Franky, dietro di sé, appoggiato con le
spalle alla parete
e le braccia incrociate al petto.
«Franky»,
sussurrò; sentì un
guizzo nello stomaco e l’ansia salire: che ci faceva
lì? Aveva detto che
sarebbe andato a trovarli, ma… così presto? Non
era per niente preparato.
«Mi hai fatto
spaventare»,
balbettò. Franky lo guardò dall’alto
verso il basso e a Tom parve di vedere una
punta di disgusto nel suo sguardo, tanto che cercò di
distrarlo, di deviare la
sua attenzione, parlando nervosamente: «Che ci fai da queste
parti? Pensavo ci
venissi a trovare fra qualche giorno… E perché
hai quella faccia seria?» Non
ottenne nessuna risposta, solo quello sguardo tagliente che fu come una
pugnalata in mezzo al petto. «Ok, ho capito che sei
arrabbiato con me… Mi vuoi
spiegare il motivo, almeno? Mi vuoi spiegare che cos’ho
fatto? È per questo che
sei qui?»
L’angelo non
rispose per
l’ennesima volta, solo si staccò dal muro e si
avvicinò a lui, facendolo
arretrare istintivamente di un passo.
«Franky…
che cos’hai?», chiese
ancora, preoccupato, ma in risposta ricevette solo un forte schiaffo
sulla
guancia, che gli fece voltare il viso e venire le lacrime agli occhi.
«Questo
è ciò che comunemente si
chiama schiaffo
morale»,
mormorò lui,
aprendo bocca per la prima volta.
«Ma…
ma… perché?», balbettò il
chitarrista, guardandolo negli occhi, nonostante le lacrime premessero
per
uscire.
«Perché
ora più che mai mi sono
reso conto che sei un coglione.»
«Che
cosa… Perché?»
«La smetti di
chiedere perché
e ragioni?! Ah già, dimenticavo
che non ne sei capace», ringhiò.
«Franky, ti
prego, illuminami!»,
aprì le braccia. «Perché non ci sto
capendo un cazzo!»
«Quanto tempo
credi di poter
continuare così, portandoti a letto una ragazza diversa ogni
sera?!»
Tom socchiuse le labbra:
era
davvero quello che aveva spinto Franky a schiaffeggiarlo?
«No, non
è per questo», rispose,
come se gli avesse letto nel pensiero, ed era proprio quello che aveva
fatto. «Ma
c’entra. Cosa speri di ottenere, comportandoti in questo
modo, eh? Cosa speri
di trovare?»
«Insomma,
Franky», sorrise
nervosamente, ma lui lo interruppe bruscamente e non gli permise di
finire la
frase:
«Tu non sai
quante opportunità
hai sprecato. Tu non sai… quante persone stupende hai
lasciato andare, perché
ti interessava solo il sesso! Oppure perché lo usavi come
distrazione o come
svago quando ti sentivi annoiato! Tom, non so se te ne rendi conto,
ma…
lasciamo perdere, va’. A volte parlare con te è
come parlare ad un muro»,
sbuffò muovendo una mano. «Sai chi ho conosciuto
in Paradiso?»
«Chi?»,
chiese portandosi le mani
sui fianchi: stava iniziando a spazientirsi.
«Una ragazza
che conosci bene:
Jole.»
«Jole?»,
Tom corrugò la fronte. «Scusa,
ma non conosco nessuna ragazza con questo nome.»
Franky trattenne un urlo
frustrato, ma in compenso si tolse lo sfizio di tirargli un altro
schiaffo che
gli arrossò il viso.
«Franky!»,
si portò la mano sulla
guancia, sbalordito: non lo aveva mai visto così e non se lo
sarebbe mai immaginato,
nemmeno nelle sue fantasie più ardite.
Lui tirò
fuori dalla tasca
interna della giacca di seta bianca una cartelletta chiara e gliela
schiaffò
fra le mani.
«La conoscevi»,
gli disse stizzito. Tom deglutì innaturalmente a quelle
parole che gli fecero venire i brividi e aprì la cartellina:
gli
mancò un battito alla visione della
fotografia di quella ragazza sorridente e dagli occhi dorati.
«Ti
è tornata la memoria?», gli
chiese l'angelo,
mentre Tom leggeva le parole una dopo l’altra,
sentendosi sempre più
male.
«Non…
non è colpa mia», mormorò
spaventato. «Non lo è…»
«No,
Tom», rispose Franky morbido,
con un pizzico di comprensione. «Però…
Tu eri tutto ciò che ancora aveva; tu
avevi il potere di farla sorridere… Era innamorata davvero
di te, ti amava nonostante
i tuoi atteggiamenti, nonostante le facessi del male, nonostante non
fosse
corrisposta da te. Ora invece… è
un’Intrappolata.»
«Cioè?»,
balbettò. Aveva paura di
fare quella domanda e aveva paura di sapere la risposta.
«Come faccio a
spiegartelo senza
dirti cose che non potresti sapere?», si portò le
mani sulla testa e chiuse gli
occhi, respirando lentamente. E il cuore di Tom prese a battere
impazzito,
quando li riaprì e incontrò i suoi senza alcuna
traccia di disprezzo, né di
odio. Quella neutralità un tempo gli avrebbe dato i nervi,
aveva sempre
preferito essere bianco oppure nero, odiato oppure amato, piuttosto che
grigio
o non essere considerato, ma quella volta gli fece bene, fu una ferita
in meno,
un po’ di ossigeno ai suoi polmoni affaticati.
«La sua anima
è intrappolata
all’interno del suo corpo e non può tornare
a… vivere, perché è ancora afflitta
dal dolore che ha subito nella sua vita. In poche parole è
questo essere degli
Intrappolati, ma tu non dovresti nemmeno saperlo.»
«E…
e cosa bisogna fare per liberarsi?»,
il groppo che gli si era formato in gola gli rendeva difficoltoso anche
il solo
parlare.
«Bella
domanda, ma ti ho già
detto troppo per oggi: devo dosare il carico di informazioni, o
potresti anche
uscirci pazzo. Succedono tante di quelle cose di sopra che non te le
immagineresti mai.»
Tom rimase in silenzio e
si mise
seduto sul bordo della vasca, sovrappensiero: in effetti, era
già sconvolto a
causa di quello che sapeva; figurarsi se gli avesse detto altro.
«Ma quello che
mi ha spinto a
schiaffeggiarti non è questo», riprese Franky,
guardandolo ancora più duramente
di prima. «Sono veramente deluso dal tuo comportamento, Tom.
Jole era la
ragazza che ti voleva incontrare, vero? Quella di cui mi avevi
parlato.»
«Sì,
ma… ma io non credevo…»,
quasi singhiozzò, la gola che bruciava insieme agli occhi,
che sfregò.
«Non importa
quello che credevi,
ora non importa più. Non puoi fare nulla o quasi per
rimediare alla sua
scomparsa, ok? Fammi finire il discorso una volta per tutte, poi puoi
pure
tornare dalla tua ragazza di là.» Fece un respiro
profondo e annuì deciso. «Tu,
invece di affrontarla personalmente, hai preferito… hai
preferito mettere in
mezzo Zoe! Hai usato lei per non dire a quella ragazza che non la
volevi più
intorno, ti rendi conto?!»
Si ricordò di
quel pomeriggio
passato con Zoe al centro commerciale, la passeggiata di fronte a quel
bar e
gli occhi pieni di tristezza di quella ragazza, Jole, quando lo aveva
visto
stretto a lei, sorridente.
«Per questo,
Tom, io… io non ti
perdono.»
«Che
cosa?», sfiatò guardandolo
negli occhi. «Tu… Tu non puoi non
perdonarmi!»
«Finché
le cose non si
sistemeranno, dubito che io e te avremo lo stesso rapporto
che… avevamo. Sarà
solo una tregua, perché ho promesso a Jole che
l’avrei aiutata. E io le
promesse le mantengo.»
«No,
Franky», sgranò gli occhi,
ormai stracolmi di lacrime, e si alzò, cercando di
afferrarlo, ma la sua figura
sparì e si trovò con della stupidissima aria nel
pugno chiuso.
«NO!»,
scoppiò in un pianto quasi
isterico, che lo portò persino a tirare calci e pugni alla
parete, a gettare a
terra tutto ciò che c’era sulle mensole e a
spaccare con un pugno lo specchio
di fronte a sé, tagliandosi. Si guardò in quei
frammenti e vide la sua immagine,
in quel momento ripugnante, della quale si vergognava come mai prima,
divisa in
tanti pezzi, come ora lo era il suo cuore, lacerato da quelle parole,
da
quell’ingenuo sbaglio, dal passato.
«Tom, what’s going
on here?», chiese la
ragazza irrompendo nel bagno e rimanendo senza fiato di fronte a quello
spettacolo. «Tom, what have you done?»
«Please, go
away», singhiozzò
muovendo la mano, coprendosi il viso ormai rigato dalle lacrime che lo
sfregiavano senza pietà. «And
I’m sorry for what I’ve done, forgive
me…»
«Forgive
you? What have you done?
I can’t understand.»
«Please,
go!», gridò rauco,
marciandole contro e chiudendola fuori dal bagno.
Sentì a
malapena la ragazza che
si rivestiva e usciva dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
Tom non
riuscì più a soffocare i
singhiozzi, scivolò sul legno della porta e strinse le gambe
al petto. Osservò
il sangue che colava sulla sua mano, bruciando, ma non era niente in
confronto
a ciò che sentiva dentro in quel momento: una ferita fin
troppo grande da poter
medicare.
Non poteva aver perso
un’altra
volta Franky, non poteva essere vero… Non poteva! Era tutta
colpa sua,
maledettamente colpa sua. Se non fosse stato così
codardo… Sarebbe andato tutto
in un altro modo, tutto.
Sentì una
piacevole sensazione di
calore sulla mano tagliata e vide quella evanescente di Franky;
sollevò il viso
ed incontrò il suo, disteso e rilassato.
«Che cosa fai,
sei impazzito?»,
lo rimproverò, ma fu quasi amorevole, mentre magicamente il
taglio si
cicatrizzava e si richiudeva sotto i suoi occhi ormai abituati a quel
genere di
sorprese. «Tu devi suonare, come fai con la mano
tagliata?»
«Franky…
Mi dispiace tanto»,
disse flebilmente, abbassando lo sguardo, pieno di vergogna.
«Guarirà»,
rispose come se non
avesse inteso il significato delle sue scuse.
«Non per
questo…»
Sospirò.
«Non è con me che ti
devi scusare, infondo. E anche se questa è una tregua e non
sarei dovuto
tornare, ti voglio troppo bene per lasciarti solo in un momento del
genere.»
«Non mi merito
tutto questo, non
me lo merito.»
«Già,
non te lo meriti.» Gli
sollevò il viso per poterlo guardare negli occhi e gli
accennò un sorriso. «Ma
insieme possiamo farcela, non è tutto perduto. Mi sei
mancato, sai Thomas?»
«Anche tu mi
sei mancato. Troppo.»
Lo abbracciò
di slancio,
continuando a piangere su di lui, e sentì anche lui la
sensazione delle sue ali
che lo circondavano in quel modo così protettivo e dolce,
tanto che si sentì
quasi sollevato. Ma non poteva esserlo del tutto, non dopo quello che
aveva
saputo su Jole… Sarebbe ancora riuscito a dormire, sapendo
di essere un
assassino?
«Non lo sei,
Tom. Non lo sei»,
gli sussurrò all’orecchio e uno strano sonno lo
pervase. Lottò contro le
palpebre che si chiudevano contro la sua volontà,
tirò su col naso e strinse
ancora di più la presa sulle braccia di Franky, mugugnando.
«Dormi, ne hai
bisogno… Thomas.»
Si lasciò
andare al buio, che in
modo suadente lo invitava, con l’immagine sfuocata del viso
di Franky acceso da
un minuscolo sorriso all’angolo delle labbra.
[Ich find mich
hier nicht wieder,
erkenn mich selbst nicht mehr
Komm und zieh mich raus hier,
ich gib alles däfur her
Ich hab Fernweh
und will züruck
Entfern mich immer weiter,
mit jedem Augenblick]
_____________________________________________
Buongiorno a tutti! :)
Questo è uno dei capitoli che
preferisco, assieme al prossimo *-* L’ho intitolato
“Hugs” – Abbracci –
perché
credo che sia la parola chiave, ciò che un abbraccio
può fare è sempre magico,
a volte vale più di mille parole…
Si scoprono un sacco di cose che
fin’ora sono state tenute nascoste, tra cui anche le nuove
vite della mamma di
Franky, del papà di Zoe e quella che ancora deve cominciare
sul serio di
Norbert e Kenzie che, alla fine, si sono ritrovati… Per non
parlare della situazione del papà di Jole!
È un po’ lunghetto, ma spero che
non sia stato troppo pesante e che vi sia piaciuto come piace a me! ;)
La canzone che ho usato è Hilf mir fliegen,
dei Tokio Hotel: credo
sia perfetta.
Ora non voglio dilungarmi troppo,
ho già detto tutto quello che dovevo dire, voglio solo
ringraziare le persone
che hanno recensito lo scorso capitolo, ossia:
Tokietta86
: Ciao! Grazie mille, gentilissima come al solito *-* Le
reazioni dei ragazzi sono state tutte diverse, come hai detto tu, ma
Tom ci ha
sofferto particolarmente. Jole andrà a trovarlo,
sì… presto xD Quando Zoe
scoprirà di essere stata usata, uhm… vedremo come
la prenderà xD Anche per il
triangolo Bill-Zoe-Franky sarà un bel casino, ma prima o poi
tutto si
sistemerà! :) La parte finale è quella che
preferisco, dello scorso capitolo!
Grazie mille, alla prossima, baci!
Isis 88 :
Tom ha sempre
fatto tanto il duro, ma è arrivato il momento per lui di
crescere un po’, di
capire che provare dei sentimenti, soffrire e piangere per qualcuno a
cui si
vuole davvero bene non è da bambini né da
deboli… Sono contenta che ti sia
piaciuto! :) Spero che anche questo sia di tuo gradimento. Grazie
mille, alla
prossima, baci.
Sarah92
: Ciao. Ho letto le tue recensioni e diciamo che mi sono
sentita sia felice che delusa: la prima è stata tutto
sommato bella, mi hai
fatto un sacco di complimenti, ma anche qualche critica costruttiva che
sempre
serve. Nella seconda, invece, mi ha fatto un po’ effetto
sentirmi dire che non
dovevo continuare Nothing,
ecc. Mi ha
toccato profondamente, perché io sono molto legata a Franky,
a Zoe e a tutti
gli altri e mi sembrava un bel modo per continuare quella ff che, per
quanto io
l’abbia amata e sia stata una mia decisione farla finire
così, non volevo che
finisse. Insomma, tutto ha una fine, però non ci sono
riuscita a separarmene e
l’unico modo che ho trovato per continuarla è
stato questo. Detto ciò, non
posso che dispiacermene, ma non sei l’unica persona che segue
questa storia e
so che a molti piace e ci si sono affezionati; è la tua
opinione e la rispetto,
ma penso di saper bene che cosa fare, senza pensarci nemmeno tanto: la
continuerò, senza ombra di dubbio. Per me, per le persone
già citate e per –
chissà, io lo spero sempre – altre che
arriveranno. Ti ringrazio comunque per
il tempo che hai dedicato a questa ff e per esserti affezionata a Nothing.
Utopy
: Ciao Mondddddd *-* Quanto tempo che non ci sentiamo, eh? xD
Spero che questo capitolo ti tiri un po’ su di morale dalla
brutta giornata,
anche se non è dei più felici u.u Grazie per
tutto! Ti voglio tantissimo bene assaiii,
tua Sonne.
E anche chi ha inserito
questa
storia fra le preferite, le seguite, le ricordate e chi legge soltanto!
^-^
Grazie di cuore a tutti, a
venerdì! Vostra,
_Pulse_
Momento
spam xD
Vi ricordo che potete ancora
votare – fino al 30 aprile! – questa storia, o
meglio i suoi personaggi, per il
concorso ‘Storia
coi migliori personaggi
originali’!
È semplice, basta cliccare il link sotto il nome del
capitolo!
Grazie a tutti per il supporto *-*
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Capitolo 13 *** Not infallible ***
13. Not infallible
Strinse i pugni e
soffocò un
grido nel cuscino. Senza riuscire ad arrestarle, alcune lacrime le
tracciarono
il viso e si trovò a singhiozzare, completamente indifesa e
disarmata.
Aveva
ricevuti molti «No» nella
sua vita, non ne aveva mai fatto un dramma vero e proprio, si limitava
ad
incassare i colpi e a soffrire in silenzio, ma… non si era
mai sentita così
prigioniera di se stessa. Cercava di resistere alla voglia
irrefrenabile di
vederlo, di combatterla, di dire lei «No» per una
volta: non voleva assecondare
la parte cattiva di lei, sapeva che se avesse ceduto anche solo un
momento ne
avrebbe approfittato e avrebbe fatto di lei tutto quello che voleva.
Inoltre,
sapeva che, lasciandosi controllare, non si sarebbe resa conto del male
che
avrebbe potuto causare a Tom.
«Tom»,
singhiozzò, stringendo
ancora più forte il cuscino sotto la sua faccia.
«Tom, Tom, Tom… Non voglio
farti del male, eppure…»
Si
alzò di scatto dal letto,
seppure rigida, e passò di fronte allo specchio, di fronte
al quale non si
fermò: non voleva vedersi debole, non voleva vedere quella
parte di lei che
odiava, non voleva vedere quegli occhi rossi… Aveva fallito.
«Io
devo
vederti.»
***
Aprì gli
occhi e venne travolto
dalle immagini e dalle parole della serata precedente, grazie alle
quali si
rese conto per la seconda dura volta di ciò che aveva fatto:
non era stato solo
un brutto sogno, bensì la realtà.
Sentì una
sgradevole sensazione
salirgli su per la gola, così intensa che dovette alzarsi e
caracollare in
bagno, dove si piegò a vomitare tutto ciò che
aveva ingerito ventiquattr’ore
prima.
«Ehi Tom,
tutto ok?», gli chiese
Franky, nascondendo magistralmente la nota d’ansia che
traspariva dalla sua
voce. Si inginocchiò al suo fianco e gli fece aria con
un’ala, mentre gli
teneva la fronte con la mano.
«Ti pare che
sia tutto ok?»,
sfiatò, passandosi un braccio sugli occhi, che iniziavano a
pizzicargli, e non
togliendolo più: odiava farsi vedere debole, nonostante al
suo fianco ci fosse
solo Franky, un angelo che poteva comprendere benissimo ogni suo stato
d’animo.
«Ho ucciso una
persona, come…
come potrebbe essere tutto ok?», gli sfuggì un
singulto che gli fece male alla
gola. «La colpa è mia, solo mia. Sono un
assassino! Uno schifosissimo
assassino.»
«No, Tom tu
non sei un assassino;
non l’hai uccisa tu, non ne hai nessuna colpa», gli
disse prendendogli la
spalla, ma Tom reagì istericamente e gridò,
spostandosi da lui e premendosi
forte le mani sulle orecchie, scuotendo la testa. Lacrime ardenti gli
bruciavano il viso stanco e pallido.
«Tom, ti
prego, non fare così»,
cercò di calmarlo, avvicinandosi, ma tutto ciò
che ottenne furono altre grida
disperate, insieme a singhiozzi che gli laceravano il petto.
«Tom, ti
scongiuro!», gridò più
forte di lui, afferrandogli le spalle. Il chitarrista si
ammutolì, piangendo in
silenzio, le labbra arricciate in una smorfia. Si lasciò
scuotere senza
protestare: sembrava l’involucro vuoto di un qualcosa che lo
aveva abbandonato,
ormai da buttare.
«Tom,
ascoltami bene», riprese
serio Franky, cercando di guardarlo in faccia. Gli tirò su
il mento e guardò le
sue guance irritate dal sale delle lacrime, i suoi occhi chiusi con
forza. «Apri
gli occhi, guardami.» Tom rimase immobile per qualche
secondo, un pesante
silenzio li avvolse, poi si decise a fare come gli aveva detto: li
aprì piano,
spaventato, e ricambiò il suo sguardo vergognosamente.
San Pietro aveva ragione, quando diceva che
sarebbe potuto impazzire…
Bisogna davvero prenderlo con le pinze, non dev’essere per
niente facile.
«Ti posso
assicurare che la colpa
non è tua, se lei è morta. La tua unica colpa
è di non esserle stato accanto
anche quel pizzico in più, di non aver fatto qualche domanda
in più, di non
averla ascoltata anche un secondo in più. È stata
lei a decidere di morire. Tu
avresti potuto fare qualcosa, è vero, ma… ormai
non si può fare più niente. Non
si torna indietro e il passato, purtroppo, è incancellabile.
Ora, se vuoi
davvero riscattarti, farti perdonare e perdonare te stesso,
l’unica cosa che
puoi fare è aiutarmi… aiutarla.
Solo
tu puoi farlo. Solo tu puoi liberarla e tu… vuoi farlo, non
è così?» Non attese
la sua risposta affermativa, l’aveva già letta nei
suoi pensieri. «E allora
alzati, sii forte, stare a piangere è inutile e, inoltre,
è disdicevole per Tom
Kaulitz», accennò un sorriso e si tirò
su, porgendogli la mano.
Tom tirò su
col naso e, anche se
incerto, l’afferrò.
Per quanto si potesse
sentire
inutile e colpevole e desideroso di crogiolarsi nella sua vergogna, nel
suo
dolore, doveva aiutarla. Doveva farlo, doveva provarci e doveva anche
riuscirci, ma da solo… da solo non ce l’avrebbe
mai fatta. Aveva bisogno di tutto
l’aiuto possibile. Oltre tutto, come aveva detto Franky,
piangere non avrebbe
migliorato la situazione.
«Un’altra
cosa, Tom…»
Alzò lo
sguardo e lo osservò:
rimase quasi folgorato dal bel sorriso che Franky gli stava rivolgendo,
quando
ancora
le loro mani erano unite.
«Jole non
è arrabbiata con te.
Cioè… sì, però…
Uff, è troppo complicato da spiegarti ora.
Comunque… Nonostante
tu non l’abbia mai corrisposta, lei ancora ti ama»,
piegò la testa di lato,
angelico.
«Dimmi che
cosa devo fare per
aiutarla», tremolò, gli occhi rossi e di nuovo
lucidi.
«Ti
spiegherò tutto dopo, con più
calma. Io devo fare una telefonata. Tu intanto cerca di rilassarti e
non ti
preoccupare, ci sono io al tuo fianco e ci resterò fin
quando tu lo vorrai,
sempre se Zoe me lo permetterà», gli fece
l’occhiolino e gli diede una pacca
sulla spalla. «Hai un aspetto pessimo, lasciatelo dire. Ti
consiglio di farti
una doccia. Se mi cerchi, sono in camera di Bill.»
«Ok»,
soffiò guardandolo aprire
la porta del bagno, come se davvero per lui fosse necessario.
«Franky.»
L’angelo si girò e lo guardò
incuriosito. «Grazie. Grazie di tutto.»
«Prego,
Kaulitz», ridacchiò. Alzò
la mano in segno di saluto e sparì.
***
Entrò nella
camera di Bill e lo
trovò ancora addormentato, le lenzuola stropicciate che
toccavano terra.
Sembrava un bambino, con quell’espressione beata!
Sogghignò e
andò in bagno, prese
un asciugamano e lo inzuppò d’acqua gelata, poi
tornò in camera, senza badare
alle gocce sulla moquette. Diventò invisibile e
iniziò a muoverlo in aria, verso
Bill, che solo dopo qualche secondo si accorse degli schizzi
d’acqua che lo
bagnavano.
Questo aprì
gli occhi infastidito
e confuso e si guardò intorno per capire quello che
succedeva. Stava per
tornare a dormire, dandosi dello stupido. Non
può piovere in camera!
si era detto, quando si accorse di un piccolo
particolare: un asciugamano zuppo d’acqua galleggiava
nell’aria ed era proprio
quello che lo stava schizzando. Sgranò gli occhi e si
portò le mani alla bocca,
impaurito. Avrebbe voluto gridare, ma che figura ci avrebbe fatto se
fosse
stato solo frutto della sua fantasia per il mancato riposo di quei
giorni?
«Un
asciugamano fantasma!», gridò
a mezza voce, agitandosi, incerto sul da farsi.
Una risata argentina lo
destò dai
suoi pensieri e lo fece sobbalzare. Girò il viso proprio
verso l’asciugamano e
si strinse le gambe al petto: che fosse anche un asciugamano parlante!?
La figura di Franky
apparve
lentamente, dalla testa ai piedi, facendo scattare in Bill un moto di
rabbia ma
anche di vergogna: come aveva fatto a non pensarci prima?!
«Oh mio
Dio!», si piegò in due
dalle risate, le lacrime agli occhi. «È stato
divertentissimo, tu non puoi
capire!»
«Molto
divertente, Franky», bofonchiò offeso, incrociando
le braccia
al petto.
«Scusa Bill,
non prendertela»,
disse facendo un passo in avanti, tenendosi la pancia con una mano e
tentando
di trattenere le risa, il viso arrossato. «Ma è
stato più forte di me! È una
vita che volevo farlo! E ne è valsa veramente la pena,
avresti dovuto vederti!»
Bill tentò di
resistere, ma i
suoi occhi ridenti e le sue labbra che si arricciarono in un sorriso
contro la
sua volontà lo tradirono. Guardò Franky e
scoppiò a ridere, stendendosi di
nuovo sul letto con le braccia aperte.
«Come mai qui
a quest’ora?», gli
chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Ahm…
Devo chiederti un favore.»
«Che tipo di
favore?», si tirò
sui gomiti e sollevò il sopracciglio.
«Niente di
che, dovresti solo
chiamare Zoe», si stampò un sorriso a trentadue
denti sul viso.
«Chiamare…
Zoe?», Bill diventò bordeaux,
gli occhi leggermente sgranati dalla sorpresa. «Alla faccia
del Niente di
che!»
«Su, che
sarà mai!», sbuffò,
sedendosi al suo fianco. «Devi solo dirle che io mi fermo qui
ancora per un po’!
Anzi, è quasi un giorno che sono sparito…
Là dovrebbero essere le cinque di
pomeriggio!»
«Giusto, il
fuso orario. Va bene,
se insisti tanto la chiamo.»
«Oh,
sarà un enorme sforzo per
te! Anche a te fa piacere sentirla, è inutile che fingi con
me. Ti ho detto che
fino ad un certo punto non mi dà fastidio, non devi
trattenerti.»
«Ok, come
preferisci.» Saltò giù
dal letto e corse alla sua borsa, dalla quale estrasse il cellulare.
Digitò
freneticamente il numero di Zoe e se lo portò
all’orecchio, guardato da un
Franky divertito e con un sorriso che sapeva tanto di amaro sul volto.
«Pronto,
Bill!», rispose
squillante Zoe.
«Ciao! Come
stai?»
«Tutto bene!
Tu, ti sei appena
svegliato, immagino!»
«Sì,
mi ha svegliato Franky!
Quello stupido…», lo guardò e rise in
silenzio. «Anzi, ha voluto che ti
chiamassi perché dice che starà qui ancora per un
po’.»
«Nessun
problema!», la vide quasi
sorridere e quella sua risposta fece insospettire entrambi, che
corrugarono la
fronte all’unisono.
«Come mai sei
così felice?»
«Sono anche io
qui!»
«In…
in che senso sei anche tu
qui?», sgranò gli occhi e Franky
schizzò in piedi, una luce strana negli occhi.
«David doveva
raggiungervi, così
mi ha chiesto se volevo venire e io ho detto di sì,
ovviamente! Visto che
quest’estate non andrò in vacanza, almeno posso
passare qualche giorno a Los
Angeles con voi!», spiegò euforica.
«Siamo partiti stamattina.»
«Oh, wow!
È una figata!»,
sorrise. Stava per dire a Zoe di aspettare un attimo perché
doveva spiegare a
Franky, ma lui mosse la mano, sussurrando che aveva già
sentito.
«Chiedile se
dovete andarla a prendere
all’aeroporto, no?», aggiunse.
«Ah,
sì. Zoe, dobbiamo venirti a
prendere all’aeroporto?»
«Ahm…
no, David dice di no.
Grazie comunque. Allora ci vediamo tra poco!»
«Va bene, a
tra poco!», la salutò
e pose fine alla chiamata, tornando con lo sguardo su Franky,
pensieroso e con
lo sguardo assorto rivolto verso la finestra.
«Qualcosa non
va?», gli chiese
titubante.
«No, niente.
Solo che dovrò
rivedere zio David e… non sarà facile.»
«Già,
chissà che reazione avrà lui
vedendoti di nuovo», disse meditabondo, una mano sul mento.
«Non
avrà nessuna reazione»,
rispose risoluto, tanto che Bill si sentì quasi ferito,
oltre che smarrito: che
cosa voleva dire con quelle parole?
«Vuol dire che
non mi vedrà di
nuovo.»
«Come?»,
strabuzzò gli occhi.
Aveva sentito bene?
«È
meglio così, Bill, fidati»,
annuì, anche se intristito.
«Non ci posso
credere! Lui è tuo
zio, lui… lui ha sofferto tanto, quando… Insomma,
perché non dovresti farti
vedere?!»
«Prova a
immaginare, Bill», Franky gli
schioccò un’occhiataccia. «Non dico che
sia vecchio, ma ha una certa età ed è
regola che una persona, più va avanti con gli anni,
più smette di credere alle
cose impossibili. Perché i bambini hanno tanta fantasia? I
bambini credono,
sono ingenui. Crescendo, si perde questa ingenuità
e…»
«Vuoi dire che
le persone più
adulte non possono vederti?»
«Esatto,
è così, per quanto possa
sembrare triste. Voi ancora siete giovani, è per questo che
siete riusciti a
vedermi e un po’ di quel lato bambinesco
c’è ancora dentro di voi, soprattutto
dentro di te», sorrise. «Ma è un altro
discorso. Quello che voglio dire, è che…
anche se riuscisse a vedermi, non riuscirebbe ad accettare la mia
esistenza,
oltre al fatto che starebbe male.»
«Io non sono
d’accordo. Chi ha
inventato questa stupida regola dell’età? Si
è tutti un po’ bambini e se le
cose si vogliono, ci si può credere!»
«Bill, sei
troppo per i lieto
fine, tu. Fidati di me, è meglio che non mi veda.
Sarà meglio per tutti.» Bill
provò a ribattere ancora una volta, ma l’angelo lo
precedette: «Non provarci
nemmeno. La mia decisione l’ho già presa ed
è irremovibile, ok? Ora basta
discutere di questo, tra un po’ arriveranno e vorrei che
foste presentabili.
Almeno voi.»
«Va
bene», sospirò spazientito,
prendendo dei vestiti dalla valigia aperta per terra. «Ma
sappi che io…»
«Non sei
d’accordo, sì, ok, ho
capito! Quanto sei testardo!», gridò portandosi le
mani ai fianchi. Poi un
sorriso sereno gli illuminò il volto:
«È bello essere di nuovo a casa.»
***
«Ragazzi!»,
gridò Zoe aprendo le
braccia e correndo verso di loro, il borsone che le sbatteva sul fianco
rallentandola. Saltò in braccio a Georg e Gustav che ebbero
la prontezza di
prenderla al volo e rise, portando un po’ di aria fresca nel
clima di tensione
che si respirava.
«Mi siete
mancati tanto!»,
continuò, passando a salutare Bill con un abbraccio e lo
stesso fece con Tom,
avvolgendogli le braccia introno al collo e baciandogli la guancia, in
punta di
piedi.
Notò il suo
viso pallido e
stanco, i suoi occhi velati da uno strato di malinconia, erano come
spenti, e capì
che doveva essere per forza successo qualcosa nelle ore in cui erano
stati
distanti. Si voltò verso Franky, silenzioso al fianco del
chitarrista, e stava
per chiedergli che cosa fosse successo, ma lui
l’azzittì con un gesto della
mano, che poi si portò alla bocca in segno di silenzio.
“Che cosa hai
combinato,
Franky?”, gli chiese la ragazza col pensiero, mentre David
scambiava i convenevoli
con i Tokio Hotel.
“Niente, ho
solo parlato con
Tom”, rispose l’angelo sollevando le spalle.
“Cavolo!
È messo peggio di prima!
Che cosa vi siete detti?”
“Ti
spiegherò, ora non è il
momento.”
“Ah, a
proposito, perché dovrei
stare zitta?”
“Perché
David non può vedermi e
ti prenderebbe per pazza, se parlassi con me come se fosse tutto
normale.”
“Non
può vederti? In che senso?”
«Zoe, che cosa
stai fissando?»,
chiese proprio lui, portandole una mano sulla spalla per girarla e
guardarla
negli occhi.
«No,
niente», fece un sorriso
forzato e si strinse di nuovo a Tom, che la cullò fra le sue
braccia,
continuando però a tenere lo sguardo basso, come se si
vergognasse.
Franky fece un respiro
profondo,
mentre i ragazzi parlavano con David per far sembrare tutto normale,
proprio
come se lui non ci fosse, e si avvicinò a suo zio. Ad ogni
passo che diminuiva
la distanza tra loro sentiva aumentare quel groppo in gola.
Era una strana
sensazione sapere
di poter essere visti da alcune persone e da altre no, anche se
l’affetto era
lo stesso per entrambe. Forse Bill aveva ragione, forse doveva
provarci, ma… ne
valeva davvero la pena? E se non fosse andata come doveva? Era talmente
strana
ed angosciosa, quella situazione, che stava seriamente pensando che
forse era
stato meglio essere visto ed essere temuto, piuttosto che non essere
visto,
come se non esistesse.
Ad un passo da lui,
trattenne le
lacrime e lo guardò sorridere ai ragazzi che invece lo
stavano facendo
nervosamente, riuscendo a capire lo stato d’animo di Franky.
Gli appoggiò una
mano sul braccio e poi non resistette: lo abbracciò per un
fianco, stringendolo
forte senza essere percepito, lasciando che qualche lacrima sfuggisse
al suo
controllo.
“Ne vale
davvero la pena, Franky?
Ti stai facendo del male e ne faresti anche a lui, se sapesse che sei
tu a non
volerti far vedere. Di che hai paura?”, pensò in
tono canzonatorio Bill: ormai
sapeva che Franky era sempre collegato alle loro teste, sapeva che
l’avrebbe
sentito.
“Ne abbiamo
già parlato, non
continuare ad insistere!”, tuonò, staccandosi ed
asciugandosi le lacrime dal
viso.
«Ok, come
vuoi», sbuffò a mezza
voce, muovendo la mano.
«Davvero Bill
mi accompagneresti
a vedere l’arena nella quale suonerete stasera?
Grazie!», esclamò David
contento; Franky sghignazzò indicandolo.
“Ti sta
bene!”
“Ma stai
zitto”, pensò irritato,
reprimendo la voglia di gridarglielo in faccia.
Dopo aver salutato gli
altri, David
si portò via Bill, d’umore nero per ciò
che era riuscito a combinargli Franky
in una sola mattinata. Gustav, Georg, Tom, Zoe e Franky si guardarono
negli
occhi, indecisi se parlare ad alta voce oppure no.
«Che ne dite
di fare una passeggiata
sulla spiaggia?», chiese Gustav. «Tanto non abbiamo
nient’altro da fare.»
«Per te va
bene, Zoe?», le chiese
il bassista.
«Sì!
È un’idea fantastica! Vado a
mettermi qualcosa d’adatto e arrivo subito!»,
sorrise solare e corse su per le
scale con il borsone al seguito.
Franky la
guardò con
un’espressione serena in volto e poi si girò verso
Tom, ancora incupito. Gli
posò una mano sulla spalla e incrociò il proprio
sguardo con il suo: «Come va?»
Lui alzò le
spalle, muovendo la
testa sconsolato: sembrava proprio giù di morale, forse un
po’ di sole e
dell’aria fresca erano giusto quello di cui aveva bisogno per
distrarsi e
pensare ad altro.
***
«L’acqua
è calda!», esclamò
correndo verso di loro, sorridente. «Chi viene con me a fare
il bagno?» Li guardò
tutti in faccia e dovette arrendersi all’idea che nessuno
sarebbe andato con
lei: Gustav e Georg erano sdraiati sulla sabbia con gli occhiali da
sole sul
viso, Tom era in una fase depressiva che la preoccupava alquanto e
Franky… beh,
Franky era la sua ombra ormai, ovunque andava Tom, lui lo seguiva in
silenzio.
Si mise seduta al suo
fianco,
dalla parte opposta a Franky, e si appoggiò alla sua spalla
con la testa,
sospirando: «Mi spiegate che cos’è
successo?»
Tom guardò
l’angelo, in cerca di
una risposta. Lui sollevò le spalle, facendogli intendere
che la scelta era
sua, se dirglielo oppure no. Era pronto per farlo? Per ammettere i suoi
errori
e accettarne le conseguenze? Sapeva che probabilmente Zoe non si
sarebbe
arrabbiata, però… quella paura gli graffiava il
petto come poche cose nella sua
vita avevano fatto.
«Niente, sono
solo parecchio
stanco», mugugnò.
«Certo Tom,
come se non lo
capissi che mi stai mentendo. Che mi nascondete?»
«Non ne vuole
parlare ora,
lascialo stare», lo difese Franky, appoggiando i gomiti alla
sabbia e chiudendo
gli occhi al sole splendente. Zoe ne rimase sorpresa, tanto che
dischiuse la
bocca.
«Prima eri
incazzatissimo con
lui, non volevi nemmeno parlarci; ora avete parlato, lui è
depresso e tu lo
difendi? Dovete assolutamente raccontarmi tutto.»
«Non ora Zoe,
non è il momento»,
strinse gli occhi, ponendo fine alla discussione.
«Che palle, ti
senti tanto
superiore ora che sei un angelo?», non riuscì a
resistere ed iniziò a diventare
rossa, come sempre quand’era arrabbiata.
«Superiore?
Non dire fesserie, Zoe.»
«E allora
perché nascondermi le
cose?!»
«Non ti stiamo
nascondendo
niente, ok? Ti abbiamo solo detto che non è né il
momento né il luogo adatto,
tutto qui! Io,
superiore»,
sbuffò. «Non so se ti rendi conto che io sono
morto.
Sembra che io sia tornato da una vacanza e tutto sia tornato come
prima. Ma no,
Zoe. Sarei stato più felice se fosse stato
così.»
«Sai che non
volevo dire questo»,
soffiò con gli occhi lucidi.
Franky ebbe un sussulto:
forse
aveva esagerato, non doveva dire quelle cose. Zoe sapeva bene che era
morto,
aveva sofferto tantissimo, e si comportava così solo
perché odiava quando le si
tenevano nascoste le cose; in più, doveva ancora abituarsi
all’idea di riaverlo
lì, e non sapeva bene come comportarsi.
«Scusa Zoe,
non volevo dire
quello che ho detto. Mi sono lasciato trascinare, perché
sono molto stanco
anch’io. Sono stati giorni intensi, ma tutto si
risolverà per il meglio»,
sorrise allungandosi per accarezzarle una guancia con il pollice.
«E lo stesso
vale per te, Tom», gli diede un pugno sulla spalla.
«Pensa a rilassarti, ne hai
parecchio bisogno.»
«Io…
io non so se ce la faccio…»,
mormorò. Franky si accinse a rispondere, ma un rumore sordo
in lontananza lo
fece scattare in piedi.
«Che
è successo?», chiese Georg
sollevando il viso, come Gustav, nel chiasso delle persone che si
giravano
verso gli edifici subito dopo la spiaggia.
«Quello
è fumo, no?», chiese Zoe
coprendosi gli occhi infastiditi dal sole con una mano, per osservare
meglio la
nuvola nera che saliva lenta verso il cielo limpido.
«Si direbbe
proprio di sì»,
constatò Gustav e tutti si girarono verso Franky, che
tratteneva il respiro,
gli occhi spalancati e il corpo rigido.
«Che
cos’è successo?», chiese
Tom.
«C’è
stata un’esplosione, un
incendio in… in un hotel, sì è proprio
un hotel.» I suoi occhi ripresero
vivacità, come se fossero stati scollegati per un attimo, e
li guardò in viso: «Un
angelo ha lanciato una richiesta d’aiuto, io devo
andare.»
«Che cosa? No,
Franky, è
pericoloso!», tentò di fermarlo Zoe, ma lui non
l’ascoltò e fece di testa sua.
In un attimo aprì le ali e schizzò in direzione
dell’hotel, più veloce che poté.
Arrivò di
fronte all’edificio,
alto ma non troppo, e vide un nugolo di folla composta dalla gente
fatta
evacuare dall’hotel e dai passanti: alcune persone piangevano
e si disperavano
per i familiari intrappolati fra le fiamme che prendevano almeno gli
ultimi tre
piani; alcune gridavano; alcune chiamavano casa per spiegare
l’accaduto.
Arrivarono anche due camion dei pompieri a sirene spiegate, insieme ad
alcune
vetture di polizia, alle quali si affiancò poco
più tardi il furgone della CNN,
arrivata a documentarsi per mandare la notizia nel notiziario del primo
pomeriggio.
«Ehi!»
Si girò di scatto e si
trovò di fronte ad un altro angelo, ansioso in volto. Era
lui che aveva
lanciato la richiesta d’aiuto?
«Sì,
sono io!», rispose ancor
prima che potesse fargli la domanda. Franky annuì, avrebbe
dovuto saperlo che
anche lui sapeva leggere nel pensiero. «La mia protetta
è intrappolata in quest’edificio,
ma ci sono troppe persone in pericolo! Ho bisogno del tuo aiuto, o
sarà una
strage.»
«Va bene,
certo», rispose senza
esitazioni.
La sua vita ormai era
proteggere
le persone, non poteva starsene con le mani in mano di fronte ad una
simile quantità
di innocenti che stavano rischiando la vita, non l’avrebbe
mai sopportato.
L’angelo
annuì e corse verso i
pompieri che stavano per intervenire, entrò in uno di essi e
Franky fece lo
stesso. Una volta preso pienamente possesso del nuovo corpo, fece un
respiro
profondo e seguì il compagno che era già entrato.
Riusciva a sentire ogni suo
pensiero, erano più che altro d’ansia, quasi
irrazionali; provava sensazioni
forti, tanto che intaccarono anche lui: essere preoccupati per il
proprio
protetto era orribile, soprattutto sapendo di avere poco tempo per
salvarlo. La
paura di perderlo, di fallire, era enorme, quasi insopportabile, e
dovette
sforzarsi per isolarsi dai suoi pensieri e non provare le stesse
opprimenti
emozioni.
Salì le scale
di corsa, l’ossigeno
era sempre più raro man mano che avanzava e faceva caldo: il
fuoco gli bruciava
la gola e sentiva rivoli di sudore scendergli sulla fronte e sulla
schiena. Si
fece forza, resistendo nella sua tuta, e spinse l’uomo ad
andare avanti,
cercando gente fra le mura che cadevano a pezzi per l’azione
del fuoco e il
fumo che si stava sempre di più addensando, togliendogli il
respiro.
«Forza, ce la
posso fare», si
disse e scoprì che la sua voce era grave, tanto che rimase
sorpreso dal
cambiamento per un attimo.
“L’hai
trovata?”, gli chiese
mentalmente l’angelo, sempre più preoccupato.
“No, qui non
c’è nessuno,
accidenti! Tu come sei messo?”
“Niente.
Continuiamo a cercare!”
Franky annuì
e continuò ad
ispezionare il piano, tossendo ad ogni sbuffo di calore provocato dalla
caduta
di parti di muro. Sentì dei deboli segni vitali al di
là di una porta e l’aprì
con un colpo sordo, trovando la stanza ancora più torrida
del normale. Stesa a
terra c’era una donna, non era la protetta
dell’altro angelo, ma era una vita
che poteva essere ancora salvata.
“Ho trovato
qualcuno!”, gli
comunicò.
“La
bambina?”
“Qui non
c’è.”
Si avvicinò
alla donna e la tirò
su, sussurrandole parole di conforto anche se dubitava riuscisse a
sentirlo: «Tieni
duro, ce la farai.»
La prese fra le braccia,
ringraziando Dio di essere entrato in un pompiere con una tale forza di
resistenza, e uscì fuori da quella stanza per un pelo:
ancora un secondo e
sarebbe rimasto bloccato nella camera a causa degli stipiti della porta
che
erano caduti in un boato bloccandone l’accesso.
“Ehi,
l’hai trovata?” provò
ancora a chiedere mentre continuava a scendere cautamente le scale.
Non ricevette alcuna
risposta e un
brivido gli attraversò la schiena, obbligandolo a fermarsi e
a fissare un’altra
porta che prima aveva superato perché non aveva sentito
provenire dall’interno
nessun segno vitale. Guardò la donna fra le sue braccia e
dovette prendere una
decisione che non avrebbe mai voluto trovarsi ad affrontare: rischiare
la vita
di quella donna per salvarne un’altra oppure salvarla e
lasciare l’altra vita,
ancora più debole, alla sua fine?
Con un grugnito
sfondò la porta prendendola
a calci e perquisì la stanza con lo sguardo, fino a quando
non vide un bambino
che non doveva avere più di dieci anni, abbracciato alla sua
mamma. Corse in
loro soccorso ma con una grande tristezza nel cuore scoprì
che per la donna non
c’era più niente da fare: era stata schiacciata da
una parte di soffitto che
era caduta; aveva protetto il figlio sacrificando la propria vita, come
avrebbe
fatto ogni madre.
Prese il bambino e lo
appoggiò al
corpo dell’altra donna, li tirò su con fatica ma
ci riuscì. Doveva farcela,
anche se il tempo era contro di lui e anche i suoi polmoni iniziavano
ad
arrancare, assieme alla sua vista sempre più offuscata.
Provò a
ricontattare l’angelo, ma
non ebbe, per l’ennesima volta, nessuna risposta, tanto che
temette per la vita
del pompiere che aveva posseduto.
Strinse i denti e con un
ultimo
sforzo raggiunse i piani in cui l’incendio non si era ancora
espanso, dove un
gruppo di paramedici intervenì ed iniziò ad
occuparsi dei
due sopravvissuti
per strapparli alla morte.
Franky era esausto, non
aveva mai
vissuto così intensamente tante emozioni e non vedeva
l’ora di chiudere gli
occhi e di risposarsi un po’.
«Ce
l’hai fatta! Sei stato
grande, hai fatto un miracolo», disse una voce, mise a fuoco
il viso sporco di
fronte a lui e capì che si trattava di un altro pompiere che
gli stava facendo
i complimenti, mentre un altro lo stava sorreggendo, aiutandolo a
camminare.
«La donna e il
bambino si
riprenderanno. Ora è meglio se ti riposi,
però.»
Annuì e fece
appena in tempo a
tirarsi fuori dal corpo del pompiere, che chiuse gli occhi sopraffatto
dalla
fatica. L’angelo barcollò al fianco dei tre
pompieri e guardò l’uomo in cui era
entrato respirare ossigeno puro e riprendere colore in viso, anche se
non
accennava ad aprire gli occhi.
Franky se li
strofinò: si sentiva
stanco, ma non come quando si trovava nel suo corpo. Ora che era solo
ed
esclusivamente se stesso, sentiva solo la stanchezza di aver
dovuto possedere
un corpo per così tanto tempo, oltre che la normale
stanchezza psicologica.
Sentì un urlo
straziante di cui
nessun altro parve accorgersi e si girò di scatto verso
sinistra. Ciò che vide
lo ferì nel profondo, gli si strinse un nodo in gola,
iniziarono a bruciargli
gli occhi e non ebbe la forza di muovere un muscolo per diversi
istanti. Rimase
fermo immobile a guardare l’angelo che aveva cercato
disperatamente la sua
protetta fra le fiamme, piegato su una bambina dai capelli ricci, un
visetto
dolce e sporco di cenere, ma pallido. I paramedici scossero la testa,
decretando la sua morte, e si allontanarono: non c'era più
niente da fare per
lei, li aveva abbandonati.
«No! Non
può essere vero! No, ti
prego!», continuò a gridare l’angelo,
piangendo lacrime taglienti, stringendo
convulsamente le braccia della piccola.
Franky allora si
riscosse e andò
da lui, si inginocchiò al suo fianco e gli tolse le mani dal
suo gracile corpo,
con delicatezza gli prese la testa e la fece appoggiare alla sua
spalla:
«Nemmeno noi
angeli siamo
infallibili.»
[I know that
nothing lasts forever,
we journey once, then no more never]
***
Erano tutti nella stanza
di Bill,
non a caso la più grande, che guardavano il notiziario della
sera. Ormai la
notizia dell’esplosione aveva fatto il giro di tutti i
telegiornali americani e
la stima dei danni e dei morti, soprattutto, era altissima.
Era stato intervistato
anche il
pompiere che aveva posseduto Franky, che era riuscito a salvare la vita
di una
donna e di un bambino di nove anni, ed era stato chiamato molte volte
“angelo”,
manco a farlo apposta, perché aveva fatto un vero e proprio
miracolo.
«Cavolo,
Franky. È pazzesco»,
mormorò Bill, guardando le immagini dell’hotel per
metà raso al suolo dalle fiamme.
«Sì,
ma hai rischiato grosso! Mi
hai fatto preoccupare tantissimo!», gridò Zoe,
girandosi e osservando la
schiena alla quale erano saldate le ali di Franky, seduto sul parapetto
della
terrazza, lo sguardo vacuo rivolto verso la città
sottostante al cielo blu della
notte.
Zoe chiuse la bocca,
amareggiata,
e guardò Tom alzarsi e raggiungerlo, chiudendosi le porte a
vetro alle spalle,
in modo tale che gli altri non sentissero. Si appoggiò con
le braccia al
muretto e guardò il suo profilo illuminato dalla luce della
luna: era spento,
pensieroso e malinconico.
«Non ti rendi
conto di tutte le
vite che si spengono ingiustamente fino a quando non te le ritrovi di
fronte.
Io potevo salvare altre persone. Troppa gente innocente è
morta e io sono qui,
macchiato del loro sangue», disse senza distogliere lo
sguardo dall’orizzonte,
mentre dai suoi occhi scendevano tiepide lacrime che gli rigavano le
guance. «Avrei
potuto fare qualcosa.»
«Sì,
forse avresti potuto»,
mormorò Tom stringendo il collo nelle spalle. Franky si
voltò a guardarlo, le
labbra strette, e lui incatenò lo sguardo con il suo:
«Però ormai non si può
fare più niente. Non si torna indietro e il passato,
purtroppo, è
incancellabile. Non è colpa tua se quelle persone sono
morte, tu hai fatto del
tuo meglio. Sii forte, stare a piangere è inutile e,
inoltre, è disdicevole per
Franky Weigel», fece un sorriso per ricambiare quello appena
accennato di
Franky, che scosse la testa, e gli asciugò una lacrima
passandoci il dito
sopra. «Non ti preoccupare, ci sono io al tuo fianco e ci
resterò fin quando tu
lo vorrai», concluse il discorso, molto simile a quello che
gli aveva fatto
l’angelo quella mattina.
«Tom.»
«Uhm?»
«Grazie.
Grazie di tutto.»
«Prego,
Franky», ridacchiò
alzando il viso verso le stelle e gli diede una leggera spallata contro
il
braccio, contagiandolo.
[No, I don't
want an eternal life
No, just let me be by your side
All the way]
_________________________________________
Buondì a
tutti! ^-^
Capitolino
un po’, come dire… pesante, ma dovevo scriverlo.
È stato frutto di un
ispirazione improvvisa e mi piace molto *-* Spero che sia lo stesso
anche per
voi!
La
canzone che ho usato è All the way,
di Kerli, ed è stata la mia colonna sonora
mentre scrivevo. Mi sono persino commossa ç_ç
Vabbè,
questo non importa a nessuno xD Passiamo ai ringraziamenti!
Utopy : Tu
e le tue fantasie xDD Sono contenta che ti sia piaciuto *-* e come
vedi, sono
qui a postare il seguito. Non so quando tu abbia capito che questo
è quel
capitolo, ma spero che tu l’abbia
letto tutto. Ti voglio tantissimissimo bene anch’io, Mond!
*-* Tua, Sonne.
Isis 88 :
Sono strafelice che tu sia riuscita a leggere questo capitolo e che ti
sia
piaciuto! Fai pure con calma, questa volta hai tempo fino a
mercoledì xD Mi fa “piacere”
che ti sia commossa!
Grazie mille, alla prossima, bacio!
Layla :
Ciao! Quando ho visto la tua recensione ci sono rimasta senza parole,
ma mi ha
fatto veramente piacere che tu abbia letto questa storia e che la trovi
carina
^^
La scelta di Franky di diventare un angelo custode è davvero
molto
coraggiosa, non è e non sarà facile per lui stare
con Zoe e vederla con qualcun
altro…
Sì, forse Zoe ce la farà a fare qualche passo
verso Bill, prima o poi xD
La storia di Jole è una delle cose che preferisco, anche se
amo tutta la storia
in generale xD Lei ha qualcosa in più e con
l’aiuto di Franky e dello stesso
Tom ce la farà ^^
Sì, il rapporto fra Franky e Tom sarà sempre lo
stesso, non
può cambiare anche se Franky è arrabbiato con
lui… davvero non ce la fa, sono
due calamite quelli xD
Grazie mille per la recensione, alla prossima!
Tokietta86
: Ciao! Grazie mille *-* L’idea dei gemelli è
l’unica cosa che mi è venuta in
mente anche perché farli ritrovare da grandi sarebbe stato
davvero complicato,
anche se Franky ci sarebbe riuscito in un modo o nell’altro
;) Essere gemelli è
ancora più bello, secondo me.
Per quanto riguarda Jole, invece, è davvero molto
pericolosa ma lei è del tutto incosciente in quei momenti e
vedremo che cosa
combinerà con Tom… Franky è davvero il
suo salvavita in questo momento.
Oddio,
il chiarimento fra Tom e Franky è stato difficile da
scrivere, soprattutto perché
anche io continuavo a piangere scrivendolo xD Però posso
dire che sì, ce la
farà *-*
Grazie mille per tutti i complimenti, un bacio!
Ringrazio
di cuore anche chi legge soltanto e chi ha messo questa ff fra le
preferite, le
seguite e le ricordate! *-*
A
mercoledì, baci! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 14 *** Ghost's heart ***
14. Ghost’s heart
Nell’appartamento
dei Tokio Hotel
c’era silenzio, fin troppo.
«Qui non
c’è nessuno», mormorò,
guardandosi intorno nella stanza.
Respirò il
suo profumo prendendo
il cuscino fra le mani e per un attimo ritrovò la pace, ma
all’improvviso lo
scaraventò contro il muro: lo guardò scivolare a
terra pietrificata, le mani
che le tremavano, sotto il controllo dell’altra lei.
Cercò di riprendersele, ma
prima che potesse riuscirci un moto d’ira le fece bollire il
sangue nelle vene
ed avanzare verso la finestra, nonostante cercasse di opporsi.
«Dove sei,
Tom?», chiese a bassa
voce, le lacrime che le rigavano il viso. «Ho bisogno di te,
aiutami…»
La parte cattiva ebbe
per un
attimo il sopravvento e la fece saltare giù, gridando con
voce rauca e
rabbiosa: «Dove sei, codardo!»
[I'm going
away for a while,
but I'll be back don't try and follow me,
'cause I'll return as soon as possible]
***
L’aria che si
respirava non era
delle più rilassate. Per una serie di motivi, tra cui anche
il concerto di
quella sera. Ma quello era l’ultimo, il meno angosciante.
Erano successe cose
ben più sconvolgenti, in quei tre giorni che sembravano
settimane, talmente
erano stati intensi e stancanti.
«Franky?»,
bisbigliò Zoe,
guardandolo con la coda dell’occhio di tanto in tanto. Lui
ricambiò lo sguardo,
accendendosi: si stava annoiando anche lui, di fronte a quel mortorio!
Bill andava avanti e
indietro per
il camerino, agitato; Tom era ricaduto in quella fase di mutismo e di
depressione dalla quale non stentava a volersi riprendere; Georg era
sdraiato
scomposto sul divanetto, sul quale stava schiacciando un pisolino come
tutte le
volte in cui si sentiva nervoso; e Gustav era l’unico ancora
sano, ma isolato
nel suo mondo, che faceva stretching ascoltando la musica con delle
grandi
cuffie.
«Fai qualcosa,
ti scongiuro!»,
spalancò le braccia, attirando l’attenzione su di
sé: Gustav si coprì la bocca
con la mano per nascondere un sorriso divertito, Bill invece rimase ad
osservarla a lungo, finché Franky non tossicchiò,
nonostante si fosse
ripromesso di non mettersi in mezzo a quei due. Doveva mandare via
quella
maledetta gelosia ogni volta che gli si presentava come calore nelle
vene, ma
era più forte di lui!
Bill arrossì
impercettibilmente e
andò a sedersi accanto a Tom, che nemmeno sollevò
lo sguardo: fissava un punto
indefinito del pavimento, spento, come se lo tenesse in vita soltanto
la
consapevolezza di non poter lasciare lì il gemello e la sua
band. Era per loro
che respirava in quel momento, oltre che per Zoe. Però, poi,
sapeva che lo
faceva per un altro motivo: voleva vivere, voleva farlo e voleva
aiutare Jole,
quella ragazza che per colpa sua, anche per colpa sua, aveva deciso di
porre
fine alla sua esistenza.
«Cosa dovrei
fare, intrattenerli
ballando il tiptap?», le chiese con tanto d’occhi,
poi incrociò le braccia al
petto. «Fai come se non esistessi, non sono venuto qui per
occuparmi di
tirargli su il morale.»
«E
perché sei qui, allora?»,
pronunciò quelle parole aspra, quasi come se fosse una sfida.
«Per
proteggere te.»
«Beh, non ho
bisogno di essere
protetta», sventolò la mano, dandogli le spalle.
«Puoi pure tornare da dove sei
venuto.»
Franky la
scrutò attentamente e
scoppiò in una risatina sommessa, che fece alterare ancora
di più la ragazza,
che lo trucidò con lo sguardo.
«E ora che hai
da ridere?»
«Non sai che
cosa ho letto nella
tua testolina… “Oh Franky, non crederci, non
crederci! Non è vero! Non
riuscirei a vivere nella consapevolezza di averti perso per la seconda
volta!”», sogghignò, imitando la sua
voce, riducendo a stridula la propria. Zoe
diventò bordeaux e si alzò in piedi, correndo da
lui con intenzioni tutt’altro
che amichevoli.
«Punto primo,
ti avevo già detto
di non leggermi nella mente!» Cercò di pizzicarlo,
ma l’angelo le bloccò i
polsi, con espressione molto divertita: per lui era uno spasso, farla
arrabbiare! Gli era sempre piaciuto anche prima, stuzzicarla e poi fare
pace
con lei in quattro e quattr’otto, dopo un quasi incontro di
lotta libera.
«Punto due,
dovevi dire i miei
pensieri proprio ad alta voce?!»
«Mi piace
vantarmi», ridacchiò.
«Quanto sei
stupido! Anche se sei
un angelo, il tuo quoziente intellettivo non è aumentato di
una virgola!»
«Può
darsi…», sogghignò e guardò
oltre la sua spalla, vide una bottiglietta d’acqua sul tavolo
e con un balzo fu
accanto ad esso, la prese e l’aprì, gettandone un
po’ contro a Zoe, che rimase
impalata lì, con la bocca aperta e gli occhi socchiusi
mentre l’acqua le
scivolava sulla faccia sciogliendole il trucco nero.
«Però tu sei una piccola
ingrata», concluse la frase.
«Franklin
Weigel», ringhiò, rossa
di rabbia. «Questa me la paghi.»
«Oh-oh, si
è arrabbiata sul serio»,
mormorò, ma lo prese come un divertimento aggiuntivo e si
lasciò prendere la
bottiglietta d’acqua dalle mani, incominciando a correre per
tutto il camerino,
distraendo i ragazzi, ai quali spuntò un sorriso sulle
labbra. Persino a Tom,
perso nei rimpianti di quella che non poteva nemmeno essere definita
una
storia.
«Franky,
fermati!», gridò Zoe,
furiosa. Lui si fermò, ma sparì improvvisamente,
salutandola con la mano. «E
ora dove ti sei cacciato!? Vieni fuori!»
«Sono
qui!», gridò comparendo
dietro di lei.
Zoe si girò
di scatto e gli tirò
l’acqua, ma purtroppo non ebbe l’effetto
desiderato, infatti non bagnò Franky,
lo trapassò e bagnò Tom, seduto sul divanetto
alle sue spalle. Tutti rimasero
con il fiato sospeso, anche Franky, che si girò e
guardò il suo viso che
gocciolava sulla maglietta bianca.
«Scusa, mi
dispiace!», gridò
stridula Zoe, mortificata. Tom alzò la testa e al contrario
di quello che si
aspettavano tutti, scoppiò a ridere, sorprendendoli
felicemente.
«Non
è niente, anzi… mi serviva
proprio», disse, lanciando un’occhiatina a Franky,
impietrito. «Te, tutto
bene?»
«Non…
non tanto», soffiò prima di
sparire di nuovo alla loro vista.
Si guardarono in faccia
e poi Tom
si alzò sospirando, sussurrando un: «Ci penso
io», prima di uscire dalla stanza
alla ricerca dell’angelo.
“Franky, dove
ti sei cacciato?”,
provò a chiedergli con la mente, mentre percorreva i
corridoi del backstage
dell’arena. Mentre si avvicinava al palco, sentiva le grida
aumentare sempre di
più e l’adrenalina con esse, ma senza chitarra al
collo si sentiva un po’ nudo,
fuori posto. Stava andando lì, davanti a tutte quelle
persone, ma perché? Che
cos’aveva da offrire, senza il suo strumento?
Chissà se davvero le fan
avrebbero apprezzato solo
la sua
presenza, se l’effetto sarebbe stato lo stesso con o senza
chitarra. Ogni tanto
si faceva quelle domande, e ogni volta che ci pensava gli veniva il
voltastomaco, sapendo che per la maggior parte di quelle non avrebbe
avuto
importanza se lui non avesse suonato.
“Vuoi che ti
faccio da navigatore
satellitare?” Venne sbalzato fuori dai suoi pensieri dalla
voce scorbutica di
Franky che gli rimbombò nella testa, assieme alle voci
ancora più amplificate
delle fan.
“Potrei sempre
vantarmi di avere
un navigatore satellitare incorporato nella testa!”
“Figo,
mmh.”
Arrivò nella
prossimità del palco
e seduto su un flight case nero vide l’angelo, lo sguardo
perso sulle ragazze
in fibrillazione che attendevano i loro beniamini appoggiate alle
transenne,
gridando come delle pazze e incorando delle canzoni con gli starlight
in mano.
«Eccoti»,
gli disse, sedendosi al
suo fianco. «Che cosa ti è preso?»
«Niente»,
bofonchiò, senza
rivolgergli uno sguardo.
«Però
non vale che tu puoi
leggerci nel pensiero e noi no», incrociò le
braccia al petto, imbronciato, e
Franky accennò un sorriso, che si spense quasi subito,
quando iniziò a parlare.
«Il fatto
è che, giocando con
Zoe, mi ero quasi dimenticato di essere… ciò che
sono; mi sono lasciato
trasportare e me ne sono dimenticato», sospirò.
«Ormai dovrei esserci abituato,
ma in situazioni come queste è difficile. Mi dispiace per la
lavata», accennò
la sua faccia e la sua maglietta ancora umida.
«Non devi
scusarti, lascia stare.
E poi non devi fartene una colpa, se ogni tanto ti capita di dimenticarti
di essere… così. Sei fin
troppo bravo, secondo me. Già essere qui, con noi,
è sintomo di grande forza e
tu… tu sei sempre stato forte.»
«Come sei
profondo questa sera. Mi
sorprendi, Kaulitz», stiracchiò un sorriso e si
passò una mano sulla testa, fra
i capelli a spazzola.
«So esserlo
anch’io, ogni tanto»,
ricambiò.
«Sai, un
po’ cambiato ti trovo,
ora che ci faccio caso», Franky arricciò il naso,
osservandolo.
«Dici?»,
Tom guardò in basso,
muovendo le gambe avanti e indietro.
«Già.
Il dolore fa crescere,
oltre che far male. Sembri più consapevole dei limiti, della
forza e della
determinazione che uno ha. Mi sbaglio?»
«No, non ti
sbagli. Ho iniziato a
guardare in modo diverso i comportamenti delle persone, a riflettere su
cose
che prima non avrei nemmeno considerato. E poi, Zoe… oh, lei
mi ha insegnato
tanto: ho visto come ha sofferto e come in certi momenti riuscisse a
nascondere
così bene tutto, tanto che a volte me ne dimenticavo
anch’io.»
«Sì,
sei cresciuto Kaulitz»,
annuì, assorto. «E penso che il concetto di
“tregua”, tra noi, non possa
esistere. Dal modo in cui ci parliamo, dal modo in cui ostinatamente ti
difendo
da tutti e da tutto… no, il mio non è un
atteggiamento di semplice “tregua”.»
«Infondo noi
siamo tipi da o
tutto o niente», sollevò le spalle e lo
guardò con la coda dell’occhio, senza
trovare corrispondenza, solo il suo profilo steso dall’ombra
di un sorriso.
«Il fatto
è che ti odio così
tanto da amarti», ridacchiò l’angelo,
passandosi una mano sul viso, come
rassegnato, facendo sorridere anche il chitarrista.
«Però
in quei due schiaffi ci hai
dato dentro, eh?»
«Ti sono
rimasti i segni per due
giorni!», si lasciò andare in una risata e Tom con
lui. Gli piaceva come si era
alleggerita l’atmosfera, non sentiva nemmeno la normale ansia
pre-concerto.
«Jole mi ha
chiesto di te, un po’
di tempo fa», esordì Franky, distruggendo quella
pace apparente che si era
creata.
È durata poco, ma ne è
valsa la pena, si disse Tom
sospirando.
«Mi ha chiesto
anche se poteva
venirti a trovare.»
«E tu, che le
hai detto?», gli
chiese con il cuore in gola.
«Le ho detto
che è troppo
pericoloso, per il momento.»
«Pericoloso?»,
si spaventò tanto che quasi non cadde, ma Franky lo
prese per il braccio ed evitò che si rompesse
l’osso del collo.
«Tutto bene,
Tom?», chiese David
che l’aveva visto barcollare mentre controllava gli ultimi
effetti speciali con
i tecnici.
«Sì,
tutto ok», fece un sorriso
tirato e tornò a guardare l’angelo al suo fianco,
che scosse la testa.
«Purtroppo,
gli Intrappolati sono
definiti tali a causa del dolore che sentono dentro e dal quale non
riescono a
liberarsi, quindi se vedono la causa della loro sofferenza…
come posso dire, è
come se si trasformassero, come se andassero fuori di testa. Non
uccidono, ma…
la pena a cui sottopongono le persone, è
tutt’altro che leggera. Io ho visto
come ha ridotto suo padre e…», si interruppe.
Forse non doveva dire certe cose,
Tom era già sconvolto così, non era necessario
che lo facesse preoccupare
ancora di più.
«Che cosa gli
ha fatto?», chiese
con voce spezzata.
«Meglio che tu
non lo sappia,
infondo… Finché ci sarò io, non hai di
che avere paura», gli strinse la spalla
con la mano e, tastando la sua consistenza, fece un sorriso amaro:
«Non è
affatto bello essere trapassati, sai? È…
fastidioso.»
Tom lo guardò
in viso e non fece
in tempo a dire altro, perché i ragazzi si avvicinarono,
Georg con il basso al
collo, pronti per iniziare quel concerto. Lui non si sentiva affatto
preparato,
non dopo quella conversazione, ma era suo dovere, quindi non
obbiettò quando
Zoe gli porse la chitarra timidamente, ancora dispiaciuta per
l’incidente con
l’acqua.
«Non ti
preoccupare Sea, è tutto
a posto», le fece una carezza sulla guancia e si
infilò la chitarra al collo,
sistemandosi il cappellino sulla fronte.
«Tutto
ok?», chiese Gustav
cercando lo sguardo di tutti, che più o meno convinti
annuirono.
Tom, poco prima di
salire sul
palco buio, si avvicinò a Franky e gli disse
nell’orecchio, per sovrastare il
boato che era esploso al loro fianco: «Voglio incontrarla.
Prima è, meglio è. E
poi, con te al mio fianco, non ho di che avere paura», gli
sorrise e poi si
avviò.
Franky rimase sbigottito
dalle
sue parole, mai si sarebbe aspettato una presa di posizione del genere,
non
dopo quello che gli aveva detto e, soprattutto, non dopo quello che
aveva
saputo di aver fatto. Che quegli schiaffi morali gli fossero serviti
davvero e
gli avessero fatto ritrovare il coraggio che gli ricordava come
caratteristica?
«Scusami, per
le cose che ho
detto prima. Non le pensavo sul serio.»
L'angelo si
girò
sorpreso e guardò Zoe, in
piedi di fronte a lui, lo sguardo basso e le mani unite sul ventre,
vergognosa
ed intimidita dai suoi occhi.
«Ti stai
scusando di… niente? Ti
prego Zoe, so che non le pensavi sul serio, l’avevo capito
anche senza leggerti
nel pensiero», sorrise divertito e lei ricambiò
imbarazzata, lasciandosi
accarezzare le guance.
«Beh, non era
difficile da capire»,
si strinse a lui, appoggiando il viso al suo petto, le braccia
appoggiate al
flight case così che i tecnici che andavano avanti ed
indietro dietro le quinte
non notassero nulla di strano nella sua posizione.
I ragazzi stavano
già suonando
dietro di loro e le urla erano capaci di far fischiare i timpani, tanto
che si
guardarono arricciando il naso.
“Meglio
parlarci nel pensiero,
sai?”, disse Franky, accarezzandole la schiena.
“Sì,
forse sì. Se mi mettessi a
gridare per parlare con qualcuno che non c’è mi
prenderebbero per pazza. Anche
se è ancora un po’ strano per me”,
ridacchiò. “Di che dobbiamo parlare?”
“Per
esempio… del fatto che io
abbia parlato a Bill di te, di voi.”
“L’hai
fatto sul serio?”
“Già.”
“Non ci
credo… Tu sei pazzo. E
che ti ha detto?”
“Era molto
insicuro, penso che se
gli avessi detto di starti lontano per un po’ lo avrebbe
fatto.”
“Per un po’?”
“Sì,
per un po’ soltanto, perché…
insomma, è cotto come una pera e prima o poi avrebbe
ceduto.”
“Franky…”
“Dimmi.”
“Mi sento a
disagio a parlare di me e di Bill con te.
Cioè…”
“Figurati a
me. Come dovrei
sentirmi?”
“Ti
dà fastidio, che Bill possa
avere certi pensieri e che tu possa vederli?”, la sua voce
mentale si incrinò.
“Provo a fare
finta di niente,
ma… sono geloso, lo sai e… sì, mi
dà ancora un po’ di fastidio. È
successo
prima, non te ne sei accorta?”
“Ahm…
no. Quando?”
“Lascia
perdere. Comunque dovrò
imparare a controllarmi, prima o poi. Non puoi stare in questa
situazione per
l’eternità, dovrete… parlarvi e
decidere che cosa fare.”
“Io voglio
sapere che cosa ne
pensi tu, proprio
tu, senza contare
il fatto che vuoi solo la mia felicità e quelle cazzate
varie”, si accese
all’improvviso.
“Cazzate varie?
Zoe! Io sono quello che sono, non posso costringerti
a non stare con Bill se è quello che desideri e
l’idea folle che ti sta salendo
in zucca è proprio come ho detto: folle. Noi due non
possiamo stare insieme,
fattene una ragione. E tu non puoi rimanere da sola per
l’eternità per giurarmi
fedeltà. Capisco fossimo sposati, fossimo stati insieme
chissà quanto, però…”
“Stai dicendo
che la nostra
storia non è stata importante? Che non è stata
abbastanza importante da poterti
giurare fedeltà fino alla fine dei miei giorni?! Quanto sei
scemo, Franky.”
“Non ho detto
questo…
Assolutamente no”, sospirò. “La nostra
storia è stata importantissima, è stata
la mia unica vera storia e io ti amo ancora, ma… io
posso
fare un giuramento
di fedeltà, io che non posso più legarmi a
nessuno; tu invece…”, le sollevò il
viso e glielo accarezzò dolcemente, guardandola negli occhi.
“Tu hai una vita
davanti e io voglio che tu la viva, che tu sia felice e che tu stia con
qualcuno. Perché una cosa di te l’ho capita e sono
sicuro di questa: tu non
puoi stare da sola, hai bisogno di qualcuno al tuo fianco.”
“Potrei avere
te, se tu volessi.”
I suoi occhi erano lucidi e Franky asciugò quelle lacrime
prima che cadessero a
rigarle le guance.
“Ancora…
no, Zoe, no. Tu hai
bisogno di qualcuno di vero, di qualcuno che si può prendere
cura di te in
tutti i sensi. Qualcuno di vivo.”
Le
sorrise e le stampò un bacio sulla fronte, lei
tirò su col naso. “Mi prometti
che parlerai con Bill? Se poi tu e solo tu non vorrai stare con lui
è un altro
conto, ma non devi pensare a me. Me lo prometti?”
“Te lo
prometto solo se tu mi
prometti che mi starai sempre accanto, anche quando e se…
con Bill… Hai
capito.”
“Te lo
prometto.” La strinse fra
le braccia e affondò il viso fra i suoi capelli,
respirandone il profumo. «Ti
amo, piccola», le sussurrò ad alta voce e lei
annuì, ma non rispose.
«E ora
godiamoci un po’ questo
concerto, che ne dici?», le sorrise solare e la prese per
mano, conducendola
vicino al palco: dalla loro posizione si vedeva tutto, avevano i posti
migliori
e inoltre non erano ammassati ed erano ben nascosti.
«Sai, ho
sempre voluto fare una
cosa e ora posso farla», le disse, sorridendo. Zoe
ricambiò lo sguardo incerta
e rimase sbigottita quando lo vide raggiungere i ragazzi in mezzo al
palco, che
per poco non si misero a ridere per quell’entrata di scena
fuori programma.
Franky si mise di fronte
al
pubblico, sul bordo del palco, e alzò le braccia sorridendo,
come se volesse
incanalare tutte quell’energia dentro di sé: era
una sensazione strepitosa, da
far tremare le ginocchia.
Un boato lo sorprese e
vide alla
sua sinistra Bill, che cantava Dark
side
of the sun al pubblico ormai in
disibilio; alla sua destra, scoprì Tom, che
si appoggiò a lui con la schiena, sorridendo beffardo.
“Che
idioti”, pensò Franky. “Ma
vi voglio bene.”
***
Un lieve bussare alla
porta lo
fece schizzare in piedi e subito si maledì per il suo
stupido nervosismo. Zoe
non attese la sua risposta ed entrò in camera, richiudendosi
la porta alle sue
spalle senza fare il minimo rumore.
«Ciao»,
sussurrò muovendo la
mano.
«Ciao Zoe.
Perché parli così a
bassa voce? Io sono mezzo sordo!»
Sventolò la
mano come se avesse
detto una castroneria e non valesse nemmeno la pena di sprecare fiato.
Si mise
seduta sul letto, a gambe incrociate, e iniziò ad
arricciarsi una ciocca di
capelli intorno al dito, pensierosa e con un piccolo broncio in viso.
Tom la
fissò per alcuni istanti, ma decise di non impiegare i suoi
neuroni per
scoprire che cosa le frullasse nella testa: tanto non ci sarebbe mai
arrivato
comunque!
«Sai
dov’è finito Franky?», le
chiese allora, grattandosi la testa.
«Mi ha detto
di dirti una cosa»,
Zoe si portò il dito sul mento, gli occhi rivolti al
soffitto e
la fronte
corrugata. «Una cosa importante.»
«Che
cosa?», spalancò gli occhi,
raggiungendola sul letto a gattoni per guardarla in viso da vicino.
«Facciamo un
gioco divertente»,
sogghignò e Tom venne percosso da un brivido: non prometteva
nulla di buono.
«Tu mi dici la
cosa che ti ha
detto di dirmi Franky e poi te ne vai?», tentò
sfarfallando le ciglia.
«No, un gioco
ancora più divertente.»
«Non avevo
dubbi», sospirò e si
lasciò cadere a pancia in giù sul letto.
«Che cos’ha in mente quella testolina
diabolica?»
«Come credi
che la prenderà Bill
se gli dico che sono pronta a ricominciare?», si
appoggiò alle sue spalle e lo
guardò con il labbrino.
«Oh,
è questo quello che ti
preoccupa?» Si girò e Zoe si appoggiò a
lui con la testa sul suo petto,
all’altezza del cuore. Le accarezzò la schiena,
immaginandosi la scena e
rabbrividendo di terrore.
«Ho
paura», mugugnò proprio come
una bambina.
«Ne hai
parlato con Franky?»
«Sì,
prima che salisse sul palco
in cerca della gloria perduta», ridacchiò.
«È stato davvero… emozionante, ho
rischiato seriamente di piangere. Sarei potuta affogare nelle mie
lacrime!»
«Immagino. Non
deve essere
affatto semplice… Ma Bill lo sa, è consapevole di
questo e credo che capirà
ogni cosa che tu sceglierai. Certo, si sfogherà su di me in
entrambi i casi,
però… posso sopportare, fino ad un certo
punto.»
«Quindi credi
che sarà felice?»
«Sicuramente!»,
le sorrise
rassicurante. «Non avere paura, andrà tutto
bene.»
«Ok. Grazie
Tomi», lo abbracciò
stringendosi a lui come se stesse facendo le fusa.
«Sì,
sì, lo so. Ora mi dici che
ti ha detto di dirmi Franky?»
Zoe si mise seduta sulle
ginocchia e sbuffò, tornando a guardare il soffitto:
«Prima
è, meglio è. L’hai detto tu. Vado e
torno, preparati»,
disse
atona, come se fosse una filastrocca imparata a memoria.
«Questo ha detto.»
Tom sgranò
gli occhi e aprì la
bocca, incredulo: «Oh mio Dio.»
«Che
cosa?», chiese lei, curiosa.
«Niente,
è… è una cosa nostra!
Cavolo, non pensavo mi prendesse alla lettera! Accidenti non sono
pronto», si
portò le unghie alla bocca, nervosamente, ma Zoe gliele
allontanò subito.
«Mi vuoi
spiegare che cos’è che
mi nascondete, voi due?!»
«Zoe, non
è per niente il
momento! Vai a parlare con Bill, su!», la spinse
giù dal letto e la trascinò
fuori senza badare alle sue proteste.
«Mi stai
sbattendo fuori?!», gli
gridò, ma Tom le chiuse la porta in faccia sventolando la
mano come aveva fatto
lei poco prima.
Si appoggiò
alla porta e sbuffò,
coprendosi il volto con le mani.
Cazzo. E adesso
che si fa?!
***
«Buonasera»,
salutò Franky
entrando nell’ufficio di San Pietro, che stava sfogliando dei
fascicoli con la sola
luce della lampada sulla scrivania ad illuminare la stanza.
«Franky»,
si levò gli occhiali
dal naso e gli sorrise bonario, indicandogli di sedersi sulla poltrona
di
fronte a lui. «Qual buon vento?»
«Ho parlato
con Tom e diciamo che
l’ha presa piuttosto male, però sembra si stia
riprendendo: ha chiesto di
vederla», spiegò nervosamente, senza sedersi sulla
poltrona, solo appoggiandosi
allo schienale con un braccio.
«Oh, davvero?
Bene, è… è una
bella cosa, dopotutto. Stai attento, Franky. Non sottovalutare la forza
della
parte malvagia, potrebbe prendere il sopravvento in qualsiasi momento e
cogliere di sorpresa te e il tuo amico.»
«Sì,
lo so. Sono parecchio
agitato, infatti.»
«Già,
ho notato. Ma non è solo
per questo, vero?»
«In effetti,
no… Vede, sono
andato a cercarla e ho incontrato anche la psicologa che
l’aveva in cura per
alleviare la presenza della parte malvagia e –»
«Non
è una psicologa, Franky», lo
corresse il santo, consapevole del fatto che non lo avrebbe ascoltato
nemmeno
quella volta. «È un angelo specializzato e
qualificato che –»
«Ha le stesse
funzioni di uno
psicologo, quindi non ha importanza! Quello che conta adesso
è che… Jole è
sparita.»
***
Bussò alla
porta con lo stomaco
in subbuglio: era davvero certa di ciò che stava facendo?
Non era proprio
necessario che ci parlasse ora, però… non le
andava di prolungare oltre quella
che stava diventando un’agonia. Voleva che le cose si
risolvessero, in un modo
o in un altro, più in fretta possibile.
«Avanti.»
Scosse la testa e si
affacciò
all’interno, trovando Bill con un asciugamano appoggiato alle
spalle, i capelli
bagnati e vestito solo dalla cintura in giù: aveva il petto
nudo ed indossava
un paio di pantaloni di una tuta neri che gli cadevano addosso come se
fossero
stati disegnati per lui.
Sono solo un paio di pantaloni!
si rimproverò, ma tutto ciò che
indossava Bill faceva quell’effetto agli occhi, anche un paio
di calzini, per
quanto potesse essere impossibile.
«Ciao»,
lo salutò timidamente,
chiudendosi la porta alle spalle.
«Ciao
Zoe», ricambiò sorridente e
quasi fu un colpo al cervello, tanto che tentennò alla
ricerca delle prossime
parole da pronunciare.
«Come mai
qui?», la precedette
lui, passandosi l’asciugamano fra in capelli neri.
«Ahm…
Siete stati fantastici
stasera, davvero», farfugliò, gesticolando con le
mani.
«Sei venuta
fino a qui per dire
solo questo?», sogghignò e la guardò
con gli occhi brillanti. Zoe arrossì di
colpo e si guardò i piedi, incrociati fra loro.
«E tu hai
deciso di mettermi in
imbarazzo ad ogni costo?», reagì, avanzando a
grandi falcate verso di lui,
facendolo arretrare di un passo: e ora, tutta la sua sicurezza
dov’era finita?
«No»,
balbettò, inarcando il
sopracciglio. «Ma tu non hai ancora risposto alla mia
domanda: come mai qui?»
Zoe abbassò
lo sguardo e fece un
respiro profondo, grazie al quale riuscì ad inalare il suo
profumo dolce che
quasi la inebriò, confondendole le idee: «Ho
parlato con Franky, prima, e…
credo di essere pronta a ricominciare. Prima o poi dovrò
farlo e visto che tu…»
«Stai cercando
di dirmi che mi
userai come cavia, per capire se puoi farcela oppure no?»,
inarcò il
sopracciglio, scettico.
«No,
assolutamente no, Bill»,
scosse la testa. «Dico solo che… potremmo
provarci, insieme. Insomma, tu… tu
non mi passi inosservato, non sei una semplice cavia.»
«Cioè…
provi qualcosa per me
anche tu?»
«Non sapevo
provassi qualcosa per
te stesso», ridacchiò, sollevando lo sguardo. Bill
accennò un sorriso e le sue
guance presero colore.
Diminuì di un
passo la distanza
che li divideva e Zoe avvampò quando sentì le sue
mani posarsi sui suoi fianchi
e il suo respiro sul viso. Ebbe la forza di guardarlo negli occhi e di
spostarsi appena in tempo, schiarendosi la voce e lasciandolo
sbigottito.
«Non corriamo,
ora», mormorò e si
liberò dalla sua stretta. Raggiunse la porta, lo
guardò di sfuggita e poi uscì
in corridoio, dove si passò le mani sul viso, sospirando
stancamente.
Dai, non è andata poi tanto male,
si disse mentre tornava in stanza
da Tom per aggiornarlo. Dovrò
solo
trovare il coraggio di fare qualche passo, se ho detto di non correre.
***
[See, I'm
trying to find my place,
but it might not be here where I feel safe
We all learn to make mistakes]
Spense la TV di fronte a
lui e
lanciò il telecomando dall’altra parte del letto,
sbuffando. Si stava annoiando
e l’ansia saliva di minuto in minuto. Dove si era cacciato
Franky? Era ormai da
un po’ che era andato via, sarebbe dovuto essere
già lì da un pezzo!
Un rumore lo distrasse
dal suo
malcontento e aggrottò la fronte, rizzando le orecchie,
mentre un brivido gli correva
su per la schiena immobilizzandolo sul posto.
«Franky, sei
tu?», sussurrò.
Il silenzio che ottenne
in
risposta lo fece alzare in piedi e guardarsi intorno: gli sembrava di
essere in
un film dell’orrore, nel punto di massima tensione in cui
spuntava il killer
dietro la sua vittima per farla a pezzi.
Si girò di
scatto a quel pensiero
e sospirò quando non vide nessuno, ma un altro rumore
più forte lo fece voltare
di nuovo dall’altra parte e vide una figura evanescente
accanto alla finestra
fino ad un attimo prima chiusa. I capelli biondo miele spostati dal
vento
leggero, gli occhi castani-gialli velati da uno strato di malinconia,
il viso
magro e delicato… La riconobbe e si spaventò,
deglutendo nervosamente.
Jole era lì,
di fronte a lui, e
lo guardava, ma non sembrava pericolosa, tutt’altro: sembrava
così docile ed
indifesa, tanto che provò a dire qualcosa, forse delle
scuse, forse delle
rassicurazioni, forse delle parole di conforto. Di fatto
aprì la bocca, ma non
uscì alcun suono perché lei lo interruppe sul
nascere.
«Tom»,
mormorò con la voce
spezzata, iniziando a piangere e a tremare.
«Aiuto…»
Il chitarrista si
sentì
soffocare, accorgendosi di non sapere assolutamente che cosa fare: non
sapeva
come aiutare quella ragazza, non sapeva niente; aveva solo quel magone
in gola
che gli rendeva difficile pure respirare.
Si rese conto che era
rigida,
come se stesse lottando con se stessa, come se stesse provando a
resistere a
qualcosa che era evidentemente più forte di lei e che voleva
prendere il
sopravvento. Ma lei ne era consapevole, era per quello che piangeva.
La porta si
aprì all’improvviso
ed entrò l’ignara Zoe, che iniziò
subito a parlare a Tom in tono concitato,
senza accorgersi di Jole.
«Non
è il momento, Zoe», disse
Tom cercando di mandarla via, spaventato a causa dello sguardo che il
fantasma
le stava rivolgendo, ma lei, cocciuta, non si mosse, anzi si
arrabbiò:
«Mi sono
stufata Tom! Dimmi
subito che cosa sta succedendo!»
Lui inspirò
irritato e la girò,
mostrandole la ragazza di fronte a loro. La mora rimase senza fiato e
si
aggrappò al suo braccio, gli occhi della bionda invece
presero una sfumatura
rossastra che lo pietrificò sul posto: doveva aver
riconosciuto la ragazza che
gli stava accanto.
“Franky, dove
cavolo sei finito!?”,
gridò il chitarrista nella sua testa, pregando
disperatamente un suo aiuto.
«Mi dispiace,
Tom», disse Jole
con voce grave e a quel punto ringhiò prendendosi la testa
fra le mani: la
trasformazione stava avvenendo sotto i suoi occhi e una volta assunto
quell’aspetto feroce, con tanto di unghie lunghe ed affilate
e l’agilità di un
felino, balzò verso di loro.
Tom con una prontezza di
riflessi
che non si sarebbe mai aspettato prese Zoe fra le braccia e la difese
con il
proprio corpo, trascinandola con sé accovacciata ai piedi
del letto, poi chiuse
gli occhi, pronto a ricevere il colpo.
«NO!»,
gridò la voce che avrebbe
riconosciuto fra un milione e si sentì un tonfo, poi un
grido frustrato che lo
fece girare: Franky era piombato addosso a Jole e si stavano azzuffando
sul
pavimento della camera, e lui sembrava avere la meglio.
«Jole! Jole,
ti prego, torna in
te!», le urlò in faccia, ma lei lo
colpì in viso con un sonoro schiaffo,
dimenandosi. L’angelo non si arrese: «Cerca di
riprendere il controllo! Fallo
per me! Tu non vuoi che quella prenda il possesso di te! Non vuoi che
faccia
del male a Tom, vero?! Combatti Jole, combatti! So che puoi
farcela!»
La ragazza
gridò ma parve più un
grido umano, mentre piangeva travolta da quelle che davano
l’impressione di
essere delle convulsioni d’agonia. Franky continuò
ad incoraggiarla,
accarezzandole le guance e sorridendo nonostante alcune lacrime gli
rigassero
il viso.
Tom abbassò
lo sguardo e vide gli
artigli di Jole conficcati nelle sue braccia, dalle quali usciva un
liquido
argenteo che gli scivolava sulle mani come rivoli d’acqua.
Sangue? Un conato
gli salì su per la gola ma si trattenne, girandosi verso Zoe
che guardava la
scena scioccata, gli occhi gonfi e lucidi.
L’abbracciò e nascose il suo viso
nel petto, stringendola forte.
«Forza Jole,
ce l’hai quasi
fatta! Cacciala infondo alla tua mente, lontana, lontana…
Dove non riuscirà più
ad intaccare i tuoi pensieri e i tuoi
sentimenti. Perché tu
lo ami, mi hai
detto che non permetteresti mai a nessuno di fargli del
male… Lotta con te
stessa, con quella parte che non vuoi», le disse ancora
Franky con voce bassa,
respirando lentamente, le palpebre che gli si chiudevano a causa
dell’enorme
perdita di quel liquido. «Tu lo ami, tu ami
Tom…», mormorò e la ragazza chiuse
gli occhi, come se si fosse addormentata all’udire una dolce
ninnananna. I suoi
lineamenti si stesero e i suoi artigli si ritirarono, solo allora
Franky cadde
accanto a lei, senza più forze.
Tom andò da
lui a quattro zampe,
gli occhi umidi, e si avvicinò alle sue labbra che si
muovevano per sentire che
cosa volesse dire: «L’hai protetta. Bravo,
Thomas.» Poi chiuse gli occhi, vinto
dalla stanchezza.
Il chitarrista si
voltò verso Zoe
e la guardò, la raggiunse e si lasciò abbracciare
forte, lasciando sfogare su di
sé lacrime che più di tutte lo ferirono. Quando
si fu calmata, l’appoggiò sul
letto e quasi immediatamente si addormentò; accanto a lei
sistemò Franky e si
fermò a fissare Jole, sdraiata a terra, il viso pallido e
steso in una maschera
di neutralità. Cautamente si mise seduto a gambe incrociate
al suo fianco e la
osservò per minuti, forse per ore, fino a quando il sonno
non si impossessò
anche di lui e si rannicchiò al suo fianco, non dando peso
alla superficie dura
che gli avrebbe fatto da letto. Sentiva che per un po’ quello
sarebbe stato
semplicemente il suo posto.
[But now I'm told that this life
and pain is just a simple compromise
So we can get what we want out of it]
__________________________________________
Buoooongiornoooo :)
Giornata uggiosa qui a Milano
(Diluvia, in verità ò.ò), sto tempo mi
contagia, infatti sono un po’ fiacca u.u
A parte questo, sto bene e sono qui a postare only for youuu *-*
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto, è uno dei miei preferitiii *Q* Franky ha parlato
con Zoe e l’ha quasi
convinta a scegliere il nostro Billie, ha parlato anche con Tom e hanno
discusso su Jole, che è riuscita a scovare Tom e ha fatto il
casino che ha
fatto, ma il nostro angioletto ha salvato la situazione, anche se ci ha
rimesso
un pochino. Un sacco di cose, insomma!
La canzone che ho usato è Misguided ghosts,
dei Paramore.
Ringrazio di cuore le persone che
hanno recensito lo scorso capitolo:
Isis 88
: Ciao! Non ti preoccupare per David, gli ho riservato
qualcosa di veramente speciale :D
Più che altro, per stare con i
Tokio Hotel, deve essere pazzo totalmente u.u xD
Sono contenta che ti sia piaciuta
la parte dell’asciugamano fantasma, piace tanto anche a me!
Noooo, Jole non c’entraaaa xDDD
Hanno fatto del loro meglio, sì u.u
Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto, alla prossima, baci! :)
Layla
: David, vedremo… xD
In effetti, Jole è preoccupante,
ora come ora, ma c’è Franky che sistema sempre
tutto!
Grazie, alla prossima!
Tokietta86
: La scena dell’asciugamano fantasma è bellissima,
sono
fiera di me, a volte non riesco a credere che abbia scritto io certe
cose xDD
Sì, Franky ha bisogno di pensarci
prima di decidere se vedere suo zio David o no…
Franky e Tom sono molto legati
assaii, li amo, perché si confortano sempre e comunque a
vicenda *-*
Grazie mille, alla prossima! Un
bacio!
Utopy
: Sono contenta che tu lo abbia letto tutto, mi fa tantissimo
piacere *-* La mia fedeleeeeeeeeeeeee *-*
JODI? Si chiama JOLE
ahahahahahahahahah xDD Però sì, è un
bel problema, anzi lo è stato! Però per
fortuna c’era Franky, neeee *ç* Il mio bimbo!
Lo consoli tu Tom? xD Solo la
parte sopra u.u
Grazie mille, trottolina! Ti
voglio tantissimissimo bene, Mond! *____* Tua, Sonne.
E tutte quelle che hanno
letto
soltanto, grazie milleeee ;)
A venerdì! Con affetto, vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 15 *** Whose fault is it? ***
15. Whose fault is it?
Se non riusciva a
sentire il
dolore inferto dai vivi, quello inferto dai morti lo sentiva fin troppo
bene e
bruciava sulla pelle come fuoco vivo.
Alzò lo
sguardo dai buchetti
provocati dalle ferite già cicatrizzate e dal bagno
guardò Tom e Zoe stesi sul
letto matrimoniale, che dormivano tranquillamente, anche se lui aveva
il viso
stropicciato in una smorfia.
Quando Franky si era
svegliato lo
aveva trovato steso per terra, accanto a Jole che tutt’ora
dormiva, e senza la
minima fatica lo aveva portato sul letto: prima di lasciarlo
così alla portata
dell’Intrappolata doveva essere sicuro che riuscisse a
controllarsi quel tanto
che bastava per non fargli del male.
La raggiunse senza fare
rumore e
la trovò vigile, ma immobile: cercava di guardarsi intorno
senza muovere altro
a parte gli occhi aperti. Sembrava spaventata e confusa, esattamente
come la
prima volta in cui era stata assalita dalla parte cattiva di lei, ma al
contrario di quello che si sarebbe aspettato Franky, era cosciente di
essersi
trasformata e furono le sue parole a confermarlo.
«Mi dispiace,
mi dispiace tanto
qualsiasi cosa abbia fatto. Ho ferito qualcuno?», chiese con
la voce rotta da
singhiozzi silenziosi, mentre le lacrime le rigavano il viso.
«Non ti
preoccupare, Jole», le
sorrise e le accarezzò la guancia con il pollice, asciugando
le lacrime. «Non
hai ferito nessuno.»
«E quei segni
cosa sono?», indicò
i buchi che aveva sulle maniche della giacca e le tirò su,
scoprendo le
cicatrici sulla sua pelle. «Oh Franky…»
«Shhh, non ti
preoccupare, è
tutto finito», le sussurrò e le posò un
bacio sulla fronte prima di metterla
seduta e di stringerla forte a sé, rassicurandola.
La sentì
irrigidirsi e ne capì
subito il motivo: il suo sguardo aveva trovato il corpo di Tom ancora
addormentato steso sul letto, rannicchiato come un bambino, accanto a
Zoe che
si era da poco spostata sotto il suo mento per trovare conforto.
«Mi dispiace
così tanto»,
singhiozzò più forte, e la sua presa su di lui si
rilassò: stava riuscendo a
cacciare la parte malvagia di lei lontana, come aveva fatto la sera
prima.
«Sei
perdonata, Jole», le
massaggiò la schiena. «E io sono superorgoglioso
di te: sei stata bravissima
ieri sera, davvero. Ora come va? Come ti senti?» La prese per
le spalle e la
guardò in viso con l’accenno di un sorriso sulle
labbra.
«La sento, sta
cercando di uscire
ma credo di essere più forte, in questo momento. Per favore,
portami via da
qui, non voglio che…»
«Sì,
forse è meglio.»
La prese per mano e la
scortò
alla finestra, la fece andare per prima e poi guardò
all’interno per l’ultima
volta: vide Tom aprire lentamente gli occhi e fissarlo per qualche
istante,
cercando di stiracchiare un sorriso, che però prese una
piega amara. Franky lo
salutò con un cenno della mano e poi saltò,
all’inseguimento di Jole che si era
già avviata.
***
Aprì gli
occhi e vide Franky appoggiato
alla finestra che lo guardava. Non capì subito
perché fosse lì, ma poi si
accorse della mancanza di Jole e allora tentò di
stiracchiare un sorriso per
ringraziarlo, ma pensando alla sera precedente e a ciò che
aveva dovuto subire
per colpa sua non ci riuscì molto bene. Una sensazione di
disagio e di profonda
vergogna, oltre che di tristezza, lo avvolsero e guardò
sparire Franky nel
cielo illuminato dal sole del mattino dopo un cenno della mano nella
sua
direzione.
Si girò con
un sospiro sofferente
per il mal di schiena, causato dalle poche ore che aveva passato sul
pavimento,
e vide Zoe appiccicata a lui, rannicchiata in posizione fetale come a
trarre
conforto e sicurezza da se stessa. Non sapeva come l’aveva
presa, ma doveva
essere stato un brutto colpo vedere quella ragazza così
arrabbiata con lui che
aveva lottato e aveva ferito Franky per proteggerlo.
Le accarezzò
i capelli
soprappensiero e la sentì mugugnare, poi lei
sollevò le palpebre e lo osservò
per una frazione di secondo, fin quando i ricordi della sera precedente
non si
fecero spazio nella sua testa facendola spaventare e scattare seduta
sul letto
in direzione del punto in cui era avvenuto lo scontro tra ultraterreni.
«Dov’è
Franky?», chiese con il
fiatone, gli occhi che iniziavano ad inumidirsi. «E quella
ragazza? Chi era?
Che cosa voleva da te?»
Erano decisamente troppe
domande,
ma forse era il caso che Zoe sapesse. Era arrivato il momento.
«Ti ricordi di
quella ragazza che
continuava a mandarmi i messaggi, chiedendomi di uscire con
lei… Io le ho
sempre detto di no… E quella volta in cui siamo andati al
centro commerciale?
Beh anche lei era lì, ci ha visti insieme e ha pensato
che… Insomma, io le
avevo detto che ci saremmo visti e ho portato dietro te
cosicché capisse che
non volevo avere nulla a che fare con lei…»
«In poche
parole mi hai usata per
levartela dalle scatole?», sibilò incredula, gli
occhi colmi di lacrime.
«Io…
io…»
«Che cosa le
è successo?»
«Lei…
lei, ecco… Suo padre era un
tipo violento e quella sera stessa si è…
suicidata», abbassò lo sguardo,
stringendo i pugni sulle gambe. «Scusami.»
«Non servono a
niente le tue
scuse e poi non devi scusarti con me.» Era fredda e Tom si
sentì morire quando
tentò di accarezzarle la guancia e lei cacciò via
la sua mano con uno schiaffo.
Zoe scese di scatto dal
letto,
corse verso la porta ed uscì in mezzo al corridoio
sbattendosela rumorosamente
alle spalle, lasciandolo ferito e con la mano ancora a
mezz’aria.
Corse disperatamente
verso la
camera di Bill, infondo al corridoio che in quel momento le sembrava
infinitamente lungo. Aveva la vista appannata a causa delle lacrime e
si passò
un braccio sugli occhi, tirando su col naso.
Era scossa ed era
spaventata, non
sapeva dove fossero finiti Franky e quella ragazza, né cosa
sarebbe successo da
lì in avanti. Era quello il segreto che lui e Franky le
tenevano nascosto, il
motivo della depressione del chitarrista. Ora lo sapeva e poteva capire
perché
avessero aspettato a dirglielo.
Bussò
freneticamente alla porta e
Bill le aprì con una faccia molto assonnata, segno che si
era appena svegliato.
Quando la vide con il viso rigato dalle lacrime però
spalancò gli occhi e
l’avvolse con le braccia, facendola entrare nella sua stanza.
«Va tutto
bene, va tutto bene»,
le sussurrò all’orecchio ripetutamente e Zoe
sperò con tutte le sue forze che
fosse vero.
***
«Avrei dovuto
darti ascolto,
starmene di sopra e continuare la terapia ancora per un po’,
ma… è stato più
forte di me, è stata lei
a spingermi»,
si guardò i piedi, delusa dal suo stesso comportamento.
«Non fartene
una colpa, prima o
poi saresti dovuta scendere comunque. E poi io stesso ero venuto a
prenderti
ieri sera, ma tu eri già scesa da un pezzo.»
«Davvero sei
salito per
prendermi?», Jole lo guardò stupita e
l’angelo annuì, sorridendo.
«Ho parlato di
te a Tom e voleva
vederti. È molto dispiaciuto per quello che ha fatto, te lo
posso assicurare.»
«Hai parlato
di me a… Quindi lui
mi ha riconosciuta?»
«Sì,
ti ha riconosciuta», le posò
una mano sulla spalla e la guardò sorridere in direzione del
mare che brillava
sotto i raggi del sole. «Ora, che hai intenzione di
fare?»
«Vorrei
parlare con lui, ma non
sono sicura di riuscire a farcela.»
«Ci
sarò io con te.»
Jole si voltò
e gli sorrise:
adorava quel ragazzino e ora capiva perché fosse diventato
migliore amico di
Tom; era impossibile non volergli bene ed essere un angelo custode
doveva
essere proprio la sua vocazione, ciò a cui era sempre andato
incontro
inconsapevolmente.
«E se non
dovessi farcela, se
dovessi cedere? Non voglio farmi vedere in quello stato, non voglio
farti
ancora del male.»
«Ehi»,
Franky
le sollevò il viso
prendendole il mento fra le dita e la guardò negli occhi.
«Non saprai mai se
sei riuscita a sconfiggerla, se non provi a guardarlo negli
occhi.»
«Hai ragione,
io voglio saperlo,
però…», accarezzò le ferite
sulle sue braccia, «non me lo perdonerei mai, se
dovesse succedere di nuovo.»
«Non
succederà, ne sono sicuro.»
Si alzò in piedi e le porse la mano, il viso illuminato dal
sole e un sorriso
angelico sulle labbra. «Forza, andiamo.»
Jole
l’afferrò e ricambiò il
sorriso. Doveva farcela quella volta, non poteva fallire. E non avrebbe
fallito, se accanto a sé avesse avuto Franky.
***
«Scusa se sono
piombata qui così
all’improvviso senza spiegarti niente»,
Zoe tirò su col naso e si stropicciò gli
occhi. Bill l’abbracciò da un lato e le
baciò la testa, ridacchiando.
«E
perché avresti dovuto
spiegarmi qualcosa? Non mi interessa ciò che è
successo, io voglio solo vederti
sorridere.»
«Grazie
Bill», gli sorrise. «Sicuro
di non voler sapere che cos’è successo?»
«Uhm»,
si morse il labbro.
«La
curiosità ti sta uccidendo»,
ridacchiò e lo spinse a sdraiarsi sul letto, poi si
appoggiò al suo petto e si
lasciò accarezzare i capelli con movimenti dolci e
rilassanti, tanto che chiuse
gli occhi.
«Scusami per ieri sera», gli
disse senza guardarlo in viso, disegnando con l'indice cerchi
immaginari sulla sua
maglietta
nera. «Credo che bisognerà
andare a passo di lumaca, mi dispiace.»
«Non ti devi
scusare e capisco,
non mi dispiacerà andare a passo di lumaca:
l’importante è andare, no?»
«Sì»,
sorrise.
«Ma…
ma Franky, che cosa ti ha
detto di preciso?», corrugò la fronte.
«Perché
vorresti saperlo?», si
girò verso di lui, una scintilla divertita negli occhi. Bill
rimase in
silenzio, le guance rosso porpora, e nel silenzio che si era creato si
sentì il
borbottio del suo stomaco. Zoe scoppiò a ridere e lui si
coprì il viso con il
cuscino.
«Andiamo a
fare colazione?», gli
chiese asciugandosi gli angoli degli occhi.
«Muoviti,
dai.»
Scesero di sotto e nella
sala
ristorante trovarono Tom, Georg e Gustav che facevano colazione. Appena
il
chitarrista alzò lo sguardo ed incontrò quello di
Zoe scattò in piedi e la
guardò implorante, ma lei sbuffò e
incrociò le braccia al petto.
«Oh, ora ho
capito che cos’è
successo: hai litigato con Tom», disse Bill, annuendo.
In realtà le cose sono un
po’ più complicate…
pensò Zoe sospirando e
una maschera di malinconia si fece spazio sul suo viso mentre si sedeva
di
fronte a lui senza proferirgli parola.
«Zoe, ti
prego, perdonami!», si
sentì solo la sua voce in tutta la stanza e i pochi presenti
– due cameriere
che pulivano gli altri tavoli e l’uomo che stava alle porte
girevoli nella hall
che stava bevendo un caffè – si girarono verso il
loro tavolo, ma Tom non ci
badò e continuò, prendendole le mani.
«Lo so, sono stato un completo idiota, lo
riconosco e mi sono assunto tutte le mie colpe… Come credi
che stia io, sapendo
che quella ragazza…»
Zoe lo
osservò per la prima volta
e lo vide ricadere sulla panca con il viso affranto, le mani strette in
pugni
tremanti. Non voleva vederlo in quello stato,
però…
«Franky,
quando
è venuto e mi ha
raccontato di averla conosciuta, mi ha fatto capire i miei errori; sono
dispiaciuto, farei di tutto per cambiare le cose, ma… non si
può. Io mi sento
un assassino», sussurrò l’ultima parola.
«E non voglio che tu sia arrabbiata
con me, non potrei sopportarlo. Ho bisogno del tuo aiuto, di tutto
l’aiuto
possibile. Ti prego, Zoe.»
«Credo di
essermi perso qualcosa»,
disse Georg a nome anche di Gustav e Bill che ci avevano capito ben
poco.
Zoe, gli occhi puntati
in quelli
del chitarrista, si morse il labbro pensierosa, poi parlò,
spezzando quel clima
di gelo che si era creato: «Tom, io… io non credo
di essere arrabbiata con te,
solo… solo che è un periodo un po’ di
cacca, te ne sei reso conto? Insomma...
Franky che ritorna, il tuo caro fratellino», gli rivolse
un’occhiata e sorrise
divertita, «adesso questa ragazza… E voglio sapere
dove cavolo è finito quello
che dovrebbe essere il mio
angelo
custode. Passa più tempo con te che con me a
momenti!»
«Credevo
avessi scoperto il mio
amore segreto per Kaulitz.»
Zoe si girò
di
scatto e si trovò di
fronte a Franky che teneva la ragazza della sera precedente per un
polso, ma in
quel momento non sembrava pericolosa. Lui sorrideva sbarazzino, con una
punta
di malizia negli occhi.
«Amore segreto per Kaulitz?»,
chiese la ragazza con cipiglio
sorpreso, le labbra arricciate per non farsi scappare una risata.
«Storia lunga,
ti racconterò un
giorno», mosse la mano e tornò a guardare i
ragazzi che si guardavano a
vicenda: Zoe e Tom erano spaventati e cercavano di allontanarsi
più che
potevano da quella biondina tanto innocua quanto pericolosa.
«Ragazzi, lei
è Jole, per la
cronaca», la presentò Franky indicandola e lei
fece un segno di saluto con la
mano, sorridendo. «Jole, loro sono Bill, Georg, Gustav e poi
ci sono Tom e Zoe
che conosci già.»
L’Intrappolata
incontrò gli occhi
di Tom e aumentò la presa sul polso di Franky, che le
accarezzò la mano
rassicurante.
«Tutto ok?
Riesci a controllarti?
Vuoi che ti porti fuori?», le chiese.
«No,
io…», deglutì chiudendo gli
occhi e poi li riaprì, il volto steso e rilassato.
«Sto bene.»
«Ok,
bene», esclamò contento. «Non
esitare a dirmi se non ce la fai più, eh.» La
ragazza annuì, riconoscente. «Allora,
ci fate un po’ di spazio o dobbiamo stare in piedi?»
Georg e Bill si fecero
più in là
sulle panche e Franky si mise accanto al bassista, Jole affianco a
Bill, così
da poter vedere in viso l’angelo a cui doveva tutto: dubitava
che senza il suo
supporto e la sua determinazione sarebbe riuscita a controllarsi
così
velocemente.
«Allora, che
mi sono perso?»,
chiese Franky incrociando le braccia sul tavolo.
«Niente di
particolare», sollevò
le spalle Zoe e lui si morse il labbro dopo aver sbirciato nella sua
testa.
«Infatti,
nulla di particolare»,
borbottò. «Hai avuto una discussione con Tom e poi
ti sei rifugiata da Bill.»
«Sapevo che mi
avresti guardato
nella testa, ti ho servito le scene migliori su un piatto
d’argento», sfarfallò
le ciglia.
«Che
stronza», ridacchiò e guardò
Jole, che aveva lo sguardo basso sulle sue mani. Con la coda
dell’occhio vide
il motivo del suo isolamento: Tom la stava fissando con insistenza e
non
sembrava voler smettere.
«Jole»,
Franky richiamò la sua
attenzione e lei lo guardò timidamente, non riuscendo a
resistere alla
tentazione di catturare lo sguardo di Tom.
«Dimmi»,
si riscosse, cercando di
ignorarlo. Ma era così difficile… Sentiva i suoi
occhi su di sé ed era una
sensazione completamente nuova, perché non erano bramosi del
suo corpo né
disprezzanti, solo… dispiaciuti e tristi. Non voleva che lo
fosse per causa
sua, ma sentiva di non essere ancora pronta per stargli più
vicina.
«Hai avuto
l’onore di conoscere
la mia…», Franky incespicò, ma il
dubbio era lecito: come doveva chiamare ora
Zoe? «Quand’ero in vita era la mia ragazza, ora non
saprei come definirla, è
complicato…», gettò
un’occhiata a Bill. «Comunque, lei è
Zoe.»
«Oh. Davvero
è stata la tua
ragazza?», sollevò il sopracciglio, confusa.
«Sì»,
sospirò. «Solo che c’è
stato un piccolo equivoco.»
«Che tipo di
equivoco?», sentì le
mani pruderle e le mise fra le gambe, resistendo alla parte malvagia
che
premeva per uscire.
«So che non
è proprio il momento
adatto, ma non posso permettere che tu le faccia del male,
quindi… Lei non è
mai stata la ragazza di Tom e quando tu li hai visti
insieme… lui sapeva che tu
avresti pensato che fossero insieme. Ma la verità
è…»
«Era tutta una
farsa per dirmi
che non voleva vedersi con me?», fece una smorfia, buttando
giù quel groppo in
gola.
«Sì.»
Si voltò
verso quella voce piena
di sensi di colpa ed incontrò ancora quel nocciola che la
uccise per la seconda
volta.
«Lei non
c’entra niente, non
sapeva nemmeno quello che stavo facendo, te lo posso assicurare. Sono
stato un
codardo e mi dispiace… Jole.» Tom aveva gli occhi
lucidi, non l’aveva mai visto
così.
La bionda rimase
pietrificata sul
posto e si scollegò per un attimo da tutto: la rivelazione
era stato un colpo
al cuore, sapere di essersi ammazzata quasi per un equivoco non era
stato
carino. Si sentì tanto piccola e tanto sprovveduta e si
dimenticò pure di
convivere con uno spicchio di lei molto arrabbiato, che
sfruttò l’occasione e
cercò di sopraffarla nel suo momento di debolezza e di
distrazione. Le sue mani
iniziarono a tremare con violenza e iniziò a vedere rosso,
ma con la parte
razionale che ancora aveva riuscì ad alzarsi e a correre via
prima che la scena
della sera precedente si ripetesse di fronte a degli innocenti.
«Bella mossa,
Kaulitz», si
complimentò Franky sospirando, dopo che Jole fosse uscita
dall’hotel in fretta
e furia. «Perché gliel’hai detto in
questo modo?»
«Prima o poi
avrei dovuto
dirglielo comunque.»
«Franky.»
Si girò verso
Zoe e la fissò,
cercando di decifrare i suoi pensieri, ma non ci riuscì, era
come se avesse
eretto un muro contro di lui, in modo tale che non potesse frugare
nella sua
testa.
«Che cosa
c’è?», chiese
spazientito.
«Perché
le stai così dietro? Ti
ha ferito.
E infondo non è un
problema tuo!»
«E dovrei
lasciare Tom da solo ad
affrontare questo problema? E poi, il problema
è una mia amica e ho tutte le intenzioni di questo mondo di
aiutarla.»
«Ok, come
vuoi.»
«Non ti
preoccupare, mi racconti
dopo di ciò che hai provato quando hai parlato con Bill. Non
vedo l’ora»,
sbattè le mani sul tavolo e corse fuori, schizzando nel
cielo una volta
all’aria aperta.
«Che
situazione del cazzo»,
sibilò Zoe. Si alzò e marciò verso le
scale che portavano alle stanze, quando
sentì una mano posarsi sulla sua spalla per fermarla: Bill.
«Dove
vai?»
«In
camera», si liberò dalla sua
stretta e corse su per le scale, lui tornò al tavolo dagli
amici, sconsolato.
Sentiva di non essersi
comportata
affatto bene né con Franky né con Bill, ma la sua
posizione non le aveva
concesso di fare altro: lei era gelosa, gelosa allo stato puro a causa
di
quella Jole che non solo l’aveva ferito, ma che stava
riuscendo a
strapparglielo via perché bisognosa d’aiuto. E lei
non aveva bisogno di aiuto?!
E Franky, non ha bisogno d’aiuto? berciò
la sua coscienza,
facendola immobilizzare con la chiave elettronica della propria camera
d’hotel
in mano.
In effetti, da quando
era
arrivato non avevano fatto altro che trattarlo male e gli avevano
affidato
tutti i loro problemi, come se fosse un mago, non ringraziandolo mai
abbastanza
per essere di nuovo al loro fianco. In più, ora lei si
comportava così per
della stupida gelosia, quando doveva essere lui il più
geloso, fino a prova
contraria.
Entrò in
camera e ci si chiuse
dentro, poi scivolò sul legno della porta e si strinse le
gambe al petto.
«È
proprio una situazione del
cazzo», sbuffò e affondò la testa fra
le braccia.
***
«Finalmente ti
ho trovata», Franky
sospirò e si mise seduto accanto a lei, avvolgendole le
spalle con un braccio. «Tutto
ok?»
«Sì,
ora va meglio», Jole fece un
grande respiro profondo e gli sorrise. «Ma il modo in cui mi
guardava…»
«Ehi,
è tutto ok.»
«Ora che si
fa?», chiese
titubante. «Tu… tu non hai una bella cera,
è successo qualcosa? Con Zoe,
magari.»
«No, non
è successo niente», si
massaggiò gli occhi. «Sono solo molto
stanco.»
«Sei sicuro?
Puoi parlare
tranquillamente con me.»
«Beh…
Bill si è preso una cotta
per Zoe e sembra che lei a volte pretendi la mia attenzione per
raccontarmi di
lui, ma… non capisce che ci sto male? Per me non
è semplice, accettare che lei
possa essere di proprietà di qualcun altro.»
«Ah. Posso
capirti…», annuì
pensierosa. «Sono sicura che risolverete, un compromesso si
trova sempre.»
«Sì,
lo spero.» Guardò il cielo e
si perse ad osservare le nuvole bianche e gonfie, tanto da sembrare di
zucchero
filato. «È strano... da quando sono morto non
faccio altro che sperare.»
«Noi non
sappiamo come andrà a
finire, non possiamo fare altro che sperare.»
«Tu in che
cosa speri, Jole?»
«Spero…
spero di poter perdonare
Tom, anche se in cuor mio l’ho già fatto; spero di
riuscire a liberarmi di
questa parassita che mi ritrovo dentro e spero… spero di
ricominciare una nuova
vita. Una migliore di quella che ho già vissuto.»
Franky le sorrise.
«Per questo
non serve sperare: la tua prossima vita sarà sicuramente
migliore, ci
scommetto.»
«Grazie,
è molto bello sentirselo
dire. Spero davvero sia così.»
«Jole?»
«Sì?»
«Che ne
diresti di provare
ancora? Tom ora è da solo nella sua stanza, se dovessi
perdere il controllo ci
sarei io e…»
«Sì.»
«Sì
cosa?», le chiese corrugando
la fronte. Capì quando vide il suo sorriso ampio sulle
labbra.
Si alzarono in volo
entrambi, lui
agitando le sue grandi ali e lei solo con quel potere naturale, e
arrivarono di
nuovo all’hotel. Franky percepì i pensieri di Zoe
e strinse i denti, celando
quel dolore che gli stava nascendo in mezzo al petto.
«Tutto
bene?», gli chiese Jole e
lui annuì, indicandole di andare per prima.
Si intrufolarono
furtivamente, ma
con grazia, nella stanza del chitarrista, passando per la finestra, e
lui
sobbalzò quando li vide di fronte a sé. Non li
aspettava.
«Ehi»,
salutò nervosamente. «Come
va?»
«Tutto a
meraviglia», risposte
l’angelo atono. Jole gli massaggiò il braccio e
gli sorrise.
«Posso…
posso parlare con lui da
sola?», gli chiese, forse un po’ titubante.
«Sempre… sempre se tu vuoi, Tom»,
aggiunse in fretta.
«Sì,
ahm… Certo!» Tentava di
nascondere il nervosismo, si capiva anche senza leggere i suoi pensieri
agitati
ed ansiosi.
«Ok,
allora… allora io sto qui
nei paraggi», disse Franky indicando la finestra.
«Se avete bisogno… Ok.» Annuì
ed uscì, lasciandoli soli.
Risentì i
pensieri di Zoe e non
riuscì più a resistere. Volò fino alla
sua camera e sbirciò da dietro la
finestra: era seduta a gambe incrociate sul letto, la testa appoggiata
al palmo
della mano, meditabonda. Sbuffò e, visto che la finestra era
chiusa, attraversò
il vetro, per poi sedersi al suo fianco, spalleggiandola.
«Che
vuoi?», mugugnò lei, senza
rivolgergli uno sguardo.
L’angelo le
prese il mento fra le
dita e le voltò il capo, per potersi immergere in
quell’azzurro mozzafiato. «Voglio… o
meglio, non voglio che tu sia arrabbiata con me, ecco
tutto.»
«Non sono
arrabbiata con te»,
sbuffò e cadde fra le sue braccia, un leggero broncio sul
viso. «È tutta la
situazione, capisci? Ci sono rimasta male.»
«Per come ti
ho risposto prima? Scusami,
io –»
«No, non per
quello. Per… per
Jole.» Abbassò lo sguardo.
«Per
Jole?», corrugò la fronte,
confuso. «Oh no, non dirmi che sei
gelosa…»
«Ecco, appunto.»
«Zoe, il
più geloso dovrei essere
io qui! Tu… tu e Bill potete… Insomma avreste
potuto benissimo... mentre io… Hai
capito. Jole non è niente per me, è solo una mia
amica e lei è fottutamente
innamorata di Tom.»
«Non hai
capito quello che voglio
dire, Franky.» Si girò verso di lui con gli occhi
stracolmi di lacrime e gli
accarezzò le guance. «Anche io sono fottutamente
innamorata, di te però. E non
potrò mai sopportare che tu mi rimanga fedele per sempre
mentre io…
ricomincerò, se non con Bill, con qualcun altro.
È un dolore che non posso
sopportare. Ma d’altra parte, se tu stessi con
un’altra del tuo stesso… stato…
io sarei gelosa fino ad impazzire. Franky»,
singhiozzò e strinse nei pugni la
sua felpa. «Ti amo, ti amo e ti amo, come posso…?
Io mi odio, Franky. In
qualsiasi caso.»
«Zoe,
tu… tu non devi sentirti
così», le asciugò le lacrime.
«Non voglio stare con nessun altra ragazza, io
amo solo te. E so che anche tu ami me, però…
però non è giusto perché io non
esisto, agli occhi degli altri. Forse… forse sarebbe stato
meglio se io ti
fossi stato vicino senza farmi vedere, sarebbe stato più
semplice e tu non
avresti sofferto così tanto. Noi
non avremmo sofferto così tanto. Ma io sono
stato troppo egoista, volevo vederti, volevo poterti parlare,
volevo… cose che
non avrei più dovuto avere.»
«Franky, non
piangere pure tu, ti
prego…»
«Prometto che
affogherò ogni mia
gelosia, ti starò accanto sempre, come potrò. Mi
potrai parlare di Bill o di
tutti gli altri ragazzi che ti piaceranno senza problemi, io ti
ascolterò,
anche se farà male e –»
«Shhh, basta,
ho capito», annuì
Zoe, un dito sulle sue labbra fresche. «E io
proverò a ricominciare e a non
farti soffrire troppo, sarò… delicata. Voglio
aiutarti, Franky, non farti
soffrire. Tu non sei il nostro mago, tu sei solo il mio angelo custode,
non
puoi risolvere tutti i problemi.»
«Se ti stai
riferendo a Jole, non
è un problema. Anzi, è… è
molto importante, ora come ora. È un’amica che mi
ha
aiutato a superare certe situazioni…»
Sorrise dolcemente e gli
passò
una mano fra i capelli. «Non parlo di Jole. Ho capito quello
che senti. Ora…
dormi un po’, sei esausto.»
«Sì,
forse… Però no, non posso:
Jole sta parlando con Tom e se succede qualcosa…»
«Jole
è da sola con Tom?», un
brivido le percosse la schiena al pensiero del suo amico attaccato da
quella
belva dagli occhi rossi.
«Jole non
è un mostro, Zoe. È
solo ferita, tutto qui. Sta lottando contro il dolore e ne
verrà a capo
sicuramente. Non devi preoccuparti, è molto
forte», sbadigliò e si avvicinò il
cuscino. «Forse è meglio se mi riposo un
po’, svegliami se hai bisogno di me»,
mormorò e chiuse gli occhi.
Zoe si
rilassò e si mise accanto
a lui, sotto la sua ala. Rimase ad osservare i suoi lineamenti, ogni
piccolo
particolare, sorridendo serena, ma anche con una punta di amarezza:
sapeva che
non sarebbe più stato suo come lo era prima, ma lo sentiva
dentro, era radicato
nella profondità del suo cuore e mai niente e nessuno lo
avrebbe sradicato.
Però, alcuni germogli, accanto a
lui, stavano crescendo. Non avrebbero raggiunto la sua
maestosità, di forte albero
dal grande tronco e con le fronde fitte, ma sarebbero riusciti
ugualmente a
portare un po’ di quella dolcezza e di quell’amore
che le aveva donato quella
fonte inesauribile prima di loro.
***
Tom non sapeva cosa
fare, era
completamente paralizzato da quella presenza che lo guardava per
qualche
secondo e poi si guardava attorno, come imbarazzata.
Jole si mise le mani
nelle tasche
e con la coda dell’occhio lo osservò per
l’ennesima volta, senza riuscire ad
aprire bocca. Aveva così tante cose da dirgli,
eppure… non ci riusciva.
Esattamente come quando era viva, lui era ad un passo ma in
realtà era fin
troppo lontano anche solo per pensare di raggiungerlo.
«Tu…
sai leggere nel pensiero?»
Si girò
sorpresa e incrociò il
suo sguardo: due occhi nocciola che in apparenza non avevano nulla di
particolare, ma così profondi da togliere il respiro. Anche
il suo di fantasma.
«Io…
No, è un trucchetto che
sanno fare solo gli angeli e poche altre eccezioni»,
annuì concentrata,
fissando il pavimento.
«Come vi siete
conosciuti tu e
Franky?», le chiese allora, sentendosi un pochino
più rilassato, sedendosi sul
bordo del letto.
Il ghiaccio iniziava a
sciogliersi, ma era presto per dire che si trovava a suo agio. Non
sapeva
nemmeno se sarebbe mai stato a suo agio con lei, non dopo quello che
aveva
scoperto di aver fatto, coscientemente o meno che fosse.
«È
stata una vera fortuna
conoscerlo, credo che senza di lui mi sarei odiata fino alla vera fine
dei miei
giorni. Forse senza di lui non sarei nemmeno qui a parlarti
più o meno
tranquillamente», ridacchiò.
Guardarla e sentirla
parlare era
rilassante, era… bello. Solo ora Tom si rese conto di come
la sua voce fosse
melodiosa all’udito e la sua risata argentina, nonostante la
punta di
malinconia che l’accompagnava. E
capì
anche come potesse essere, forse in un modo assurdo, bello ascoltarla,
sentire
la sua voce. Sarebbe stato ore, avrebbe passato ore intere a non fare
altro, se
solo avesse saputo… se non fosse stato… Se.
«Avevo…»,
si passò una mano sul
collo e la sua pelle evanescente prese colore sulle guance.
«Avevo la mezza
idea di venirti a trovare, quel giorno. Ero riuscita ad ottenere un
permesso
per venire e tutto quanto, solo che… l’ho perso.
Non sono mai stata ordinata,
ma sono contenta che sia andata così: se non
l’avessi perso, non avrei
incontrato Franky. Stavo per tornare a casa, arrabbiata con me stessa,
quando
lui mi ha fermato e con mia grande sorpresa mi ha fatta scendere con
lui. Non
so perché l’abbia fatto, è un ragazzino
molto altruista, farebbe davvero di
tutto per voi, per Zoe, per te…», sorrise
addolcita, nei suoi occhi dorati
brillò una luce che lì per lì il
chitarrista non riuscì ad associare ad
un’emozione.
«Sta di fatto che quella sera
sono venuta a casa vostra e ti ho guardato dormire»,
continuò lei e abbassò lo
sguardo. «Per fortuna c’era Franky con te, in quel
momento. Se non ci fosse
stato, non so che cosa ti avrei fatto e non lo voglio nemmeno
sapere.» Strinse
forte i pugni lungo i fianchi e tirò su col naso, senza
alzare lo sguardo.
Tom era incredulo e allo
stesso
tempo addolorato. Franky era già stato da lui? E Jole pure?
Quanto tempo prima?
E cos’era successo? Aveva rischiato così tanto? Ma
vedere Jole così realmente
dispiaciuta, non poteva scatenare in lui rabbia, né rancore.
Era praticamente
impossibile essere arrabbiati con lei, non perché in quel
momento si sentisse in
colpa per quello che le era successo, ma perché era
così vera, così bella,
così… lei.
«È
stata la prima volta in cui mi
sono “trasformata” e la prima in cui ho lottato
contro Franky. Sì, quella che
avete visto tu e Zoe non era la prima volta; lui ti aveva
già difeso da me e io
mi sento così in colpa per avergli fatto del male e per aver
tentato di farne a
te…»
«N-Non
è colpa tua, infondo»,
disse Tom con voce roca. Lei alzò il viso e
scoprì le lacrime, che si asciugò
distrattamente con i palmi delle mani. «Franky mi ha spiegato
che cosa sei ed è
come se ci fosse una parte cattiva dentro di te, che salta fuori quando
mi
rivede, giusto?»
«Sì,
condivido il mio corpo con
una vera parassita. Io la odio con tutte le mie forze e sto cercando di
liberarmene, ma lei è sempre pronta a sfruttare i miei
momenti di debolezza.
Come stamattina, ci mancava solo che mi trasformassi di fronte a Bill,
Georg e
Gustav, che non hanno fatto niente», sospirò.
«Quella non
sei tu e quindi non
devi fartene una colpa.»
«La colpa
è mia, Tom!», gridò e
si avvicinò a lui, facendolo scattare indietro sul letto.
«Scusa, non volevo
farti spaventare», mormorò e tornò sui
suoi passi, accanto alla finestra.
Restò in
silenzio per qualche
minuto, lo sguardo perso sulla spiaggia che si intravedeva fra i
grattacieli,
che con le loro enormi vetrate riflettevano la luce del sole, e le
palme.
L’acqua del mare era tutto un luccichio che però
si univa perfettamente
all’azzurro del cielo terso, invaso da uno stormo di gabbiani
bianchi.
«La colpa
è mia perché sono io
che sono debole, che non riesco a liberarmene e a far sì che
riesca a
sopraffarmi ogni volta.» Parlò a bassa voce, non
rivolgendogli uno sguardo.
Incrociò le braccia al petto e si appoggiò al
muro accanto alla finestra con
una spalla.
«No, invece.
La colpa non è tua,
Jole.»
Tom si alzò
dal letto e timoroso
fece qualche passo verso di lei. Jole lo guardò incredula,
stava davvero
avvicinandosi? Le si formò un groppo in gola quando, ad un
passo da lei,
precisamente dall’altra parte della finestra, lui la
guardò negli occhi e ci
lesse tutta la sofferenza e la colpa per qualcosa che non voleva gli
fosse
addossato.
«La vera colpa
di tutto questo è
mia, Jole. Se io non fossi stato così tanto…
stupido e menefreghista, mi sarei
accorto di ciò che in realtà sei: una ragazza
meravigliosa che non si meritava
quello che ha dovuto subire. È colpa mia se ora sei
arrabbiata, se quell’altra
te ti dà non pochi problemi, se sei costretta a combatterla
ogni momento.» Si
passò una mano sugli occhi lucidi. «Sono stato un
vero stronzo, eh? Io non
volevo che accadesse tutto questo e mi dispiace, mi dispiace da morire
e non mi
perdonerò, finché tu non sarai di nuovo solamente
tu.»
«Tom…»
La sua voce era debole,
spezzata, in balia di quei singhiozzi che le si bloccavano in gola
mentre le
lacrime scendevano fin troppo liberamente sulle sue guance.
«La colpa non è
affatto tua, non devi sentirti in dovere di…»
«Non prendermi
in giro, ti prego.
Non prendere in giro nemmeno te stessa. Sai che la colpa, almeno una
parte, è
mia.» Aveva gli occhi ardenti e battaglieri, come se li
ricordava bene. «Se ti
avessi ascoltata anche un solo minuto in più, se avessi
capito tutto quello che
nascondevi, se avessi capito cosa… provavi, se non fossi
stato così
maledettamente cieco! Il mio non è un dovere. Voglio
aiutarti, voglio farlo con
tutte le mie forze, perché tu non ti meriti tutto questo e,
te l’ho detto, non
mi perdonerò mai se non ti aiuterò ad uscire da
questa situazione a cui anche
io ti ho costretta. Hai capito?»
Jole annuì
muovendo il capo, le
labbra contratte in una smorfia: avrebbe voluto gridare, gridare che
non voleva
che si riducesse così per lei, che stesse male per lei, che
piangesse per lei.
L’amore che provava per lui era ancora così
profondo, così vivo dentro di lei…
Non avrebbe mai potuto lasciarlo andare, era l’unica forza
che ancora le
permetteva di lottare contro la sua parte malvagia.
«Bene.»
Tom stiracchiò un sorriso
e avvicinò le dita alla guancia del fantasma, lentamente e
con cautela, sotto
lo sguardo della stessa che non voleva schiodare gli occhi dai suoi,
ora più
non tanto sicuri.
La sua pelle, al
contrario di
quella di Franky, era gelata e al tocco sembrava ancora più
fievole. La sfiorò
con la punta delle dita, cogliendo le lacrime, e un sorriso amaro si
fece spazio
sul suo viso.
Possibile che fosse
stato così
stupido da permettere che accadesse una cosa del genere? Se avesse
potuto
tornare indietro nel tempo avrebbe fatto molto diversamente, ma visto
che non
si poteva, almeno doveva fare qualcosa per aiutarla a guarire dal
dolore che le
attanagliava il cuore in maniera così subdola e fine,
così forte e così
impercettibile.
«Scusa»,
soffiò Jole tremante,
prima di fuggire lanciandosi giù dalla finestra.
Tom si sporse per vedere
che fine
avesse fatto, ma non vide altro che palazzi, cielo azzurro e automobili
che
passavano nella strada sotto di lui. Era scomparsa. Scomparsa come le
lacrime
sulle sue dita, delle quali erano rimasti solo riflessi argentati che
alla luce
del sole brillavano come diamanti.
Avevano molto lavoro da
fare,
molto ancora di cui parlare, ma sapeva che con un po’ di
fatica ce l’avrebbero
fatta. Insieme. Sarebbe riuscito a donarle di nuovo la sua bellezza,
paragonabile a quella dei giochi di colore sulla sua mano, e la luce
che
aveva sempre avuto negli occhi e nel sorriso che non era mai riuscito
ad
apprezzare pienamente come ora.
_______________________________________
Buon pomeriggio, gente!
^-^
Allora… che dire di questo capitolo? Ahm…
forse è l’unico fin ora che non mi piace tanto xD
Lo trovo un po’ troppo
meccanico e poco scorrevole, ma a voi il giudizio finale!
La traduzione del titolo è "Di chi è la colpa?"
per chi non fosse una cima in inglese xD
Jole ce la sta mettendo tutta, ma
per lei è ancora difficile stare vicina a Tom e infatti si
è visto, è un
continuo scappare. Tom, dal canto suo, non ha molta paura di lei ora e
vorrebbe
stare con lei sempre più tempo, mettendola a dura prova.
Riusciranno a trovare
un equilibrio?
Tom ha spiegato a Zoe in poche
parole quello che è successo quel famoso giorno al centro
commerciale e lei
l’ha presa… uhm, nemmeno tanto male, ha altro a
cui pensare xD Tra cui anche la
sua gelosia infondata per Jole, alla quale Franky sembra
così attaccato. In
effetti lo è, ma non perché ne è
innamorato.
Okay, basta, finisco qui se no è
la fine xD
Ringrazio le persone che hanno
commentato lo scorso capitolo:
_lile_
: Ciao! Il fatto che tu abbia deciso di evadere dalla tua
“routine”
e recensire mi fa davvero superfelice, grazie! *-* Sono contenta che ti
piaccia,
grazie mille davvero!
Isis 88 :
La scena in cui Franky sale sul palco è una delle mie
favorite! Solo all’idea che tutta la gente che guarda non lo
vede ma lui c’è mi
da i brividi.
Jole, poverina, è solo la vittima
della situazione :( Si rimetterà prestissimo!
Sì, chi va piano va sano e va
lontano! si dice da me xD Bill e Zoe ce la faranno, in un modo o
nell’altro!
Grazie a te per la recensione,
baci!
Tokietta86
: E chi non vorrebbe un amico come Tom? *ç* Tom, come
hai detto tu, sicuramente si sarebbe comportato in modo diverso se
avesse
saputo di combinare tutto questo macello, e c’è
anche da contare che non ha mai
conosciuto “veramente” Jole, quindi non ha mai
potuto affezionarsi sul serio, perché
di Jole ci si può solo affezionare! *-* È uno dei
miei personaggi preferiti non
a caso :)
Grazie mille per la recensione,
alla prossima! Un abbraccio!
Utopy
: Il sangue argentato è una figata, assolutamente *-*
Sì perché
all’inizio lo avevo messo normale, solo che no, è
un angelo, che fa, va in giro
ancora con il sangue rosso normale? ù.u
Tifiamo per Zoe/Bill, ne hanno
bisogno! xD Io non ho capito bene che cosa intendi, ma comunque ho
già
modificato da qualche parte xD
Sono contenta che ti sia
piaciuto, ovviamente *-* Spero che anche questo sia di tuo gradimento,
my best!
Ti voglio tantissimissimo bene assai, Mond! <3 Tua, Sonne.
E ringrazio anche chi
legge
soltanto e tutte le persone che mi sostengono ogni momento, tra cui la
stessa Utopy!
Grazie trottolina! *-* E poi un
ringraziamento anche a Sarah, la mia compagna di tram che mi sopporta
sempre,
soprattutto alle otto di mattina, quando la mia parlantina è
già attiva u.u
Grazie e auguri, Sarah! (Anche se non leggerai mai questa cosa xD).
Bene, penso di aver finito sul
serio! Grazie a tutti quanti! Al prossimo mercoledì, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 16 *** Lively and dead ***
16. Lively and dead
[You fly
with angel’s wings
You’ve got my blood in your veins
And your eyes see everything
and they shine like diamond rings]
«Quindi tu puoi scendere ogni volta che vuoi,
fino alla fine del mondo?»,
chiese Gustav, concentrato per seguire il ragionamento.
Erano
sull’aereo che li avrebbe
riportati in Germania. Dopo i primi giorni turbolenti passati a Los
Angeles,
tutto pian piano si era stabilizzato. Ognuno cercava di fare la propria
parte,
coesistendo l’uno con l’altro, che fosse vivo o
meno.
Tom
aveva preso confidenza con
Jole, ma non troppa, visto che lei ogni tanto doveva allontanarsi e
distrarsi
per non essere sopraffatta dalla sua parte malvagia. Guardarlo,
soprattutto
negli occhi, per lei significava indebolire le sue difese e dar campo
d’azione
alla rivale che abitava dentro di lei. Pian piano stava imparando a
gestirsi,
ma doveva ancora allenarsi parecchio per assopire del tutto la scomoda
presenza.
Toccarlo e lasciarsi toccare erano tutt’altro paio di
maniche: era ancora più
difficoltoso, perché erano azioni che la distraevano ancora
di più da quella
battaglia interiore.
Zoe
– divisa fra quell’amore
definito e che purtroppo non poteva continuare ad esistere e quello
nuovo e
fresco che stava appena assaporando, guardandolo da lontano –
stava
chiacchierando, due sedili avanti, con Bill, che sorrideva sincero.
(Per lui
era già tanto avere la sua attenzione, quando lei sorrideva
andava in estasi).
Georg,
davanti a lui, dormiva e
Gustav, per non disturbarlo e lasciargli più spazio, era
scalato nell’ultima
fila, accanto a Franky. Il batterista non aveva resistito
all’idea allettante
di proporgli molti quesiti che sin dal primo giorno lo avevano
catturato e che
erano rimasti irrisolti.
Così,
cellulare all’orecchio,
Gustav faceva finta di parlare con sua sorella per non attirare
l’attenzione di
David, Susan e tutti gli altri pochi passeggeri che non erano in grado
di
vedere l’angelo.
«In
teoria, da quando si
diventa angeli custodi non si dovrebbe più
salire», ridacchiò. «Bisogna sempre
stare con il proprio protetto. Solo in casi particolari si risale in
Paradiso.
Fin quando avrò da proteggere Zoe, non la lascerò
un attimo.»
«Ma…
scusa Franky, ma non ha
senso.»
«Eh
già, molte cose non hanno
senso, amico mio.»
«No,
non ha senso davvero
perché sarebbe come se tu non fossi mai…
morto», mormorò l’ultima parola,
incerto anche sulla sua pronuncia. «Che senso ha morire se
poi puoi stare
sempre con noi? E anche con Zoe… potresti tornare con lei.
Non capisco.»
Franky
si passò una mano
intorno al mento e sulla bocca, cercando di mandar via
l’amarezza dal suo
sorriso. «Vedi, Gustav… Ci sono delle regole da
rispettare, dei limiti. Io non
posso stare con Zoe perché sono un angelo, e il fatto di
esserlo già evidenza
il mio stato di non
più vivo. Sai
cosa, io ho deciso di farmi vedere. Molti angeli custodi non si fanno
vedere,
proprio per non dare questa falsa idea e per non soffrire…
ci si coinvolge
troppo emotivamente e a volte si dimentica, come hai detto tu, di
essere morti.
Non è facile, per me, stare qui con voi come se nulla fosse
e allo stesso tempo
sapere di essere morto e di non poter più stare con Zoe,
soprattutto. Almeno,
non in quel
modo. Ma è questa la
prova per un angelo custode, no?»
«Sì,
ma non ha senso morire,
allora, se poi si ha questa scelta, no? È come…
come essere ancora vivi»,
ribadii imperterrito.
«Sembra
di essere ancora vivi, ma non sarà mai come la vita reale.
È
solo un’apparenza. Il mio scopo è proteggere Zoe,
non posso far finta di non essere
morto. È una sensazione strana, che non mi abbandona mai: io
ho sofferto, in
realtà non molto, quando me ne sono andato e so che questa
non è vita vera.»
Lo
guardò e capì che era ancora
indeciso: aveva un’idea totalmente diversa di quello che
c’era dopo la morte da
quello che c’era in realtà e non era facile
incanalare come verità tutte le
cose che stava dicendo. Forse era troppo complicato, per una persona
ancora
viva e che non aveva provato direttamente le sensazioni e le esperienze
che
invece aveva vissuto Franky.
«Boh,
io non capisco. Tu sei
comunque qui, con noi, come se non ci avessi mai abbandonati.
Io… boh…»,
sospirò e guardò fuori dal finestrino. Se
avessero continuato così, ne sarebbe
uscito matto.
«Continua,
non ti mangio mica»,
disse Franky sorridente.
«Che
senso ha parlare, hai già
visto il resto della frase nella mia testa?», lo
guardò eloquente e si lasciò
scappare una risata quando vide il suo broncio e le sue braccia
incrociate al
petto: in quel momento gli ricordò molto Tom quando si
rendeva conto di essere
stato colto nel segno. «Io, all’inizio, pensavo che
tu dovessi concludere una
specie di… missione, qui sulla Terra. Tipo, che ne so, far
tornare felice Zoe…
qualsiasi cosa! E che poi avresti continuato a proteggerla
dall’alto,
altrimenti… mi sembra uguale alla vita che avevi prima, a
parte per le cose
carnali e roba varia. Lo è, teoricamente.»
«Quello che dici è giusto, Gustav. Se
la questione si guarda da
questo punto di vista, sì, la mia è una missione
e la devo compiere.» Abbassò
lo sguardo, malinconico, e il batterista capì di aver
toccato un tasto dolente.
«E
quando la tua missione
finirà, te ne andrai, non è
così?», chiese allora, cercando di utilizzare un
tono per quanto più poteva delicato e comprensivo.
«No, non me ne
andrò. Solo…
non riuscirete più a vedermi,
ecco. Sarò con voi sempre e comunque.»
«Sarai
invisibile ai nostri
occhi?»
«Esattamente.»
«E
se per caso qualcuno ti
viene addosso, ti sentirebbe?»
Franky
non rispose. Cadde un
religioso silenzio che Gustav interpretò come dissenso: era
un «no» in piena
regola, quello, e non doveva essere telepatico per capirlo.
«Però,
insomma… è prematuro
morire a sedici anni appena compiuti, no?», disse Franky un
po’ troppo ad alta
voce, tanto che Zoe si girò impercettibilmente verso di lui,
preoccupata.
Nei
suoi occhi, anche se
nascosti alla sua vista, era sicura che ci fosse dell’ira,
come se quello che
gli fosse successo fosse stata un’ingiustizia. Ed era
così, infondo. Che
ragione aveva di morire un ragazzo di sedici anni che aveva appena
trovato
l’amore della sua vita e degli amici con i quali condividere
ogni giorno?
«Mi
merito un po’ di tempo in
più con i miei amici, no?» Il suo tono di voce
tornò normale, forse ancora più
basso per farsi sentire solo dal biondo, e le sue labbra si curvarono
all’insù
in un sorriso appena accennato. «Alcuni direbbero che il mio
è egoismo e io
concordo con loro: sono un fottuto egoista, perché,
nonostante qualcuno abbia
voluto così, ho deciso di prendermi ciò che non
sarebbe più dovuto
appartenermi: un po’ di tempo con i miei amici, la mia
Zoe… Anzi, direi che ho
deciso di farmi vedere solo per lei, perché il mio egoismo
mi ha portato a
volere di nuovo i suoi abbracci, la sua voce nei timpani e i suoi occhi
nei
miei.»
«Quella
dell’egoista è l’ultima
caratteristica che ti avrei dato. Forse nemmeno l’avrei
considerata,
onestamente», rifletté Gustav, solare.
«Quindi… se tu sei qui è solo
perché sei
l’angelo custode di Zoe? E quando Zoe…
insomma…»
«Quando
Zoe non ci sarà più? Che
cosa farò io? Beh, è facile.» Si
sistemò sul sedile, le mani sui braccioli e il
capo sul poggiatesta morbido. Concluse la risposta ad occhi chiusi:
«“Morirò”
con lei, perché il mio compito è
finito.»
Sgranò
gli occhi. «Che intendi
con morirò?
Tu…»
«Sì,
sono già morto e bla bla
bla. Vorrei rispondere alla tua domanda, ma sono informazioni riservate
di cui
non posso parlare con le persone ancora vive.» Fece un
occhiolino e si
risistemò comodo sul proprio sedile. Non aveva mai pensato
seriamente a ciò che
avrebbe fatto al termine del suo “lavoro”, ma aveva
già le idee chiare: sarebbe
tornato in Paradiso, avrebbe liberato la sua anima da ogni ricordo di
quella
vita, breve ma intensa, e ne avrebbe incominciata una nuova, in un
nuovo corpo.
Gustav sorrise,
scuotendo
leggermente la testa e infilando il cellulare nella tasca dei jeans:
quella
conversazione era finita. E bene. Si infilò le cuffie nelle
orecchie e si
immerse nel suo mondo, lo sguardo perso fra le nuvole che
attraversavano.
Franky, gli occhi ancora
chiusi,
si sintonizzò, proprio come se fosse una radio, sul canale
di Tom e Jole,
qualche posto più avanti. Lei era seduta sul sedile accanto
a lui, tenuto vuoto
apposta dal chitarrista; ogni tanto incrociava il suo sguardo caldo e
arrossiva, ritornando a guardarsi le ginocchia strette al petto ed
avvolte
dalle braccia.
Tom non sapeva come
comunicare
con lei, visto che non sapeva nemmeno leggere nel pensiero. Il loro era
un
dialogo silenzioso, fatto di parole non dette e mezzi sguardi, di
imbarazzi e
di emozioni contrastanti che soprattutto dentro Jole si facevano
sentire.
Nei sedili accanto erano
seduti
suo zio David e Susan. Lei stava parlando e David la ascoltava
sorridente. L’argomento
le faceva sorridere il cuore e Franky catturò subito i suoi
pensieri, vedendoci
giusto: stava raccontando della sua nipotina. Si sentì
subito rincuorato,
quando udì che era sana come un pesce e che soprattutto era
amata e felice. La
sua mamma se lo meritava.
“Come mai quel
sorrisino ebete?”
Si voltò
verso Zoe che lo
osservava con occhi ridenti dalla fessura fra i sedili e le fece una
linguaccia.
Il suo sguardo schizzò di nuovo verso David quando
percepì i suoi pensieri. I
suoi folli pensieri.
«Sta
scherzando?!», gridò senza
nemmeno accorgersene, alzandosi in piedi e attirando
l’attenzione di tutti
quelli che lo vedevano, che con nonchalance si erano girati verso di
lui,
incuriositi. Persino Georg si era svegliato dal suo letargo.
“Che
è successo?”, chiese Bill
ansioso.
“Che cosa hai
sentito?”, ci mise
del suo Zoe.
“Dentro a
quale testa hai frugato
stavolta?”, aggiunse Jole, divertita.
«Ragazzi,
qualsiasi cosa io vi
dica, state calmi, ok?», li avvertì, muovendo le
mani come se volesse calmare
una folla che senza badare a lui continuava a fare baccano.
«Zio David vuole
chiedere a Susan di sposarlo. Ora. Su questo aereo.»
Tom e Gustav rimasero a
bocca
aperta, sorpresi; Georg si grattò la testa e dopo una
scrollatina di spalle
stiracchiò un sorriso, mormorando un «Viva gli
sposi», per poi riappoggiarsi
allo schienale e chiudere di nuovo gli occhi; Bill e Zoe si guardarono
a bocche
spalancate, gli occhi brillanti, pronti ad esprimere tutta la loro
gioia e la
loro emozione in gridolini e cose varie; Jole, di fronte a tutte quelle
reazioni diverse, si coprì la bocca con la mano e rise;
mentre Franky si
spalmava una mano sulla faccia, sconsolato, dicendosi che se
l’era cercata.
Tutti, chi prima chi
dopo, si
girarono verso la coppia, le orecchie ben tese e gli occhi ben aperti
per non
perdersi nemmeno una sillaba, un battito di ciglia, della
dichiarazione.
David, sentendosi un
tantino
osservato, si guardò alle spalle e vide cinque paia di occhi
puntati su di sé,
accompagnati da espressioni più o meno bramose di sapere
ciò che ancora
stava solo pensando.
«Che avete da
guardare tutti
così?», chiese nervosamente.
«Niente,
niente! Fai quello che
devi fare, non badare a noi!», rispose frettolosamente Bill
anche per Zoe, che
gli sorrise complice.
«Siete dei
mostri! Come…?» Era
incredulo, come facevano a sapere… Non aveva ancora aperto
bocca e tantomeno lo
aveva detto a qualcuno!
«Ehm-ehm»,
si schiarì la voce
Bill, indicandogli di girarsi senza aggiungere altro.
Al manager non rimase
altro che
dargli retta, nonostante l’assurdità della
situazione. Si trovò di fronte a due
grandi occhi grigio-verdi, curiosi e pieni di vita, belli.
Arrossì, sentendosi
un bambino delle elementari di fronte alla bambina più bella
della classe e per
la quale si era preso una folle cotta.
«Che cosa
succede, amore?», gli
chiese Susan, sfiorandogli il mento con un dito per incastrare meglio
il suo
verde con il proprio, mescolandoli, fondendoli in un unico incredibile
colore.
Si schiarì la
voce. Che ci
fossero preoccupanti spettatori o meno, era arrivato il momento. Le
prese le
mani e fece un lungo respiro profondo prima di attaccare con la
parlantina:
«Quanto tempo
è che ci
conosciamo, Susan? Otto mesi, forse nove… Sei sempre stata
tu a tenere il
conto, sai che io non sono bravo. Sta di fatto che è un bel
po’ di tempo, forse
non abbastanza… ma ho capito che con la
razionalità si fa ben poco, devo usare
il cuore se voglio raggiungere i traguardi che mi sono prefissato. Devo
prendere la mia decisione come un atto di volontà e non come
un atto
programmato, un qualcosa su cui si deve riflettere. Non
c’è bisogno di pensieri
e riflessioni, in certi casi. Se due persone si amano è
giusto che vivano la
loro vita insieme, insieme davvero. Ti offro tutto quello che ho e
tutto quello
che sono, ti prometto di amarti nello stesso modo ogni giorno. E so che
senza
di te, difficilmente sarei qui, ora. Tu, ancor prima di conoscermi a
fondo come
ora mi conosci, mi hai dato tutto, senza pretendere nulla in cambio.
Non me lo
sono dimenticato e mai lo farò. Ringrazierò
sempre Franky e la sua pessima
situazione scolastica, perché grazie a lui ho potuto
incontrarti ed intrecciare
il mio cammino al tuo. Susan», le prese le mani nelle sue e
la vide arrossire
violentemente sulle guance, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Mi vuoi
sposare?»
«La mia
situazione scolastica non
era poi così
pessima», sbuffò Franky
alzando gli occhi al cielo, ma con un sorriso intenerito sul viso. Era
contento
se era contento suo zio, proprio l’unico che ce
l’aveva fatta senza di lui.
Zoe ridacchiò
alla sua frase,
asciugandosi le lacrime di commozione che le erano scese
incontrollabili sulle
guance: anche lei avrebbe voluto una dichiarazione di matrimonio
così! Era
stata così bella, così intensa,
così… vera! Doveva essere il sogno di tutte le
donne. A quel pensiero si girò verso Jole, il fantasma con
cui non aveva ancora
avuto la possibilità di parlare, e la colse con il capo
chino, le mani strette
l’una dentro l’altra. Poi vide una cosa che la
destabilizzò del tutto, nel
silenzio e nell’attesa della fatidica risposta: Tom,
timidamente e con cautela,
come se fosse di cristallo, le avvolse un braccio intorno alle spalle e
con
l’altra mano le sollevò il viso, poi le sorrise,
facendole incurvare le labbra
all’insù a sua volta.
«Sì,
certo che voglio.» Fu la
timida risposta di Susan, che sorrise in quel modo semplice ma che allo
stesso
tempo toglieva il respiro, quando lui le infilò
l’anello al dito, prima di
baciarla sulle labbra.
Bill si mise a gridare
di
felicità, saltellando sul sedile, fregandosene altamente
delle altre persone,
più che altro imprenditori in giacca e cravatta di ritorno
da congressi di
lavoro in America. Nello stesso momento tutti si misero ad applaudire e
qualcuno si mise a fischiare, Zoe, che era anche più
contenta del cantante ma che
aveva un minimo di contegno.
«Che hai Tom,
un crampo?», gli
chiese David.
L’interpellato
corrugò la fronte.
«No, perché?»
«Come lo
spieghi quel braccio
alzato a mezz’aria?»
Lui non vedeva Jole, se
n’era
quasi dimenticato. «Oh.» Lo tolse e fece un debole
sorriso al fantasma, che
sorrise solare per quegli attimi di paradiso che le aveva donato senza
saperlo.
Ognuno fece i propri
auguri ai
due futuri sposini e in poco tempo fu servito lo champagne a bordo, da
una
hostess che non perse tempo ad adocchiare Tom, dal quale
però non venne per
nulla ricambiata: sembrava come perso a guardare fuori dal finestrino,
ma in
realtà tra lui ed esso c’era Jole, ad insaputa di
chi non poteva vederla, e,
con un espressione da ebete, si era come incantato sul suo viso, sul
profilo
del suo naso, sulla morbida curva che faceva la sua bocca, sulle ciglia
lunghe
che le accarezzavano le guance quando chiudeva le palpebre…
Venne improvvisamente
risvegliato
da lei, che gli passò una mano di fronte agli occhi e
ridacchiò, dicendogli che
andava da Franky. Non le rispose, ma in compenso non ne perse un
movimento,
affascinato: si alzò con leggerezza e raggiunse
l’angelo, seduto da solo
nell’ultima fila, lo sguardo spento rivolto verso Gustav,
Georg, Bill e Zoe che
stavano intorno a David e Susan a fare complimenti, a ridere e a
scherzare. Si
mise seduta sul bracciolo del sedile e gli passò una mano
sui capelli, con
tenerezza.
Franky
sospirò, facendo cadere le
spalle una volta rilasciata l’aria dai polmoni.
«È in questi momenti, in cui
non posso condividere la gioia delle persone a me care, che mi ricordo
che sono
davvero morto.»
Lei sorrise e nel
momento in cui
Franky la guardò negli occhi, ringraziandola per le parole
silenziose e di
conforto che gli aveva rivolto e avvolgendole la vita con un braccio,
Tom e Zoe
si girarono, punti nel vivo. Sentendo i loro pensieri di pura e folle
gelosia
per due parti così diverse eppure così
maledettamente simili nel provare
quell’amore devoto ed infinito per quelle stesse persone che
li stavano
guardando imbronciati, Franky alzò il viso e
ridacchiò scuotendo la testa e
contagiando Jole.
“Pazzi. Sono
completamente pazzi”,
le trasmise mentalmente.
“Sì.
Ed è per questo li amiamo.”
[You’re
my Sunday
Make my Monday come alive
Just like Tuesday
You’re a new day that wakes me up
Wednesday’s raining
Thursday’s yearning
Friday nights
Then it all ends at the weekend
You’re my star]
A causa del fuso orario,
il cielo
che stavano attraversando in quel momento era illuminato dalla luce
calda del
tramonto, le nuvole avevano una sfumatura rosea e man mano che le
fendevano,
andavano sempre di più verso il buio della notte.
Zoe sbuffò e
si girò per
l’ennesima volta sul sedile. «Quanto manca? Mi sto
annoiando!»
«Manca ancora
poco, resisti.»
Bill posò la mano sulla sua, senza nemmeno rendersene conto,
e lei arrossì
violentemente, guardandolo in viso. «Che
c’è?»
“La mano,
cretino”, gli suggerì
Franky e Bill subito la levò, sorridendo nervosamente.
«Scusa»,
le disse.
«Non ti
preoccupare», bisbigliò
lei e tornò a guardare fuori dal piccolo oblò.
Nel suo stomaco si
libravano
milioni di farfalline e non poteva ancora credere di essere arrossita
così
palesemente di fronte a lui, quando con loro c’era anche
Franky che, ne era
certa, doveva aver visto tutto quanto. Si girò verso di lui
e lo osservò: aveva
gli occhi chiusi, la testa appoggiata accanto al suo finestrino, ma non
stava
dormendo, le piccole increspature sulla sua fronte indicavano che era
sempre
collegato ai loro pensieri. Vide nascere un sorriso sulle sue labbra e
capì che
stava sentendo proprio i suoi, di pensieri.
“Ehi, tutto
bene?”, gli chiese,
incerta.
“Certo,
perché me lo chiedi?”
“Per quello
che ha fatto Bill…”
“Che ha fatto
Bill?”
“Non far finta
di non saperlo,
dai!”
“Non so di
cosa tu stia parlando.
Piuttosto, sei rimasta sorpresa quando Tom ha abbracciato
Jole?”
“Sì,
un po’. È strano. La
settimana scorsa voleva fargli del male, adesso vanno così
d’accordo…”
“Se Jole non
fosse forte, la sua
parte malvagia emergerebbe e lei cercherebbe ancora di attaccare Tom.
Jole fa
molta fatica a tenere imprigionata l’altra lei, deve sempre
stare attenta
quando sta accanto a lui, non è una passeggiata.”
Zoe la guardò
sorridere a delle
parole di Tom, pronunciate a bassa voce. “Non sembra si stia
sforzando.”
“È
molto brava a nascondere
tutto, vero?”
Si rabbuiò.
“Anche tu, nascondi
una battaglia interiore?”
“Tu che ne
pensi?”
La battaglia in cui
stava
lottando Franky era molto diversa da quella di Jole, non doveva
preoccuparsi di
poter far male a qualcuno (O forse sì?), ma era altrettanto
ardua e anche
dolorosa: lui voleva Zoe, la voleva con tutte le sue forze, ma sapeva
di non
poterla avere; la amava, ma non poteva più amarla come
voleva lui, e doveva
lasciare campo libero a Bill, perché così era
giusto, ma non era per niente
facile.
Per un istante
incrociò gli occhi
azzurri di Zoe e poi lei si girò, come se potesse davvero
riuscire a celare i
pensieri che le vorticavano nella testa: momenti di loro, momenti in
cui si
erano vissuti, amati, desiderati così ardentemente da far
battere il cuore
tanto forte da far male.
Improvvisamente,
sentì una
presenza molto particolare e dei pensieri tutt’altro che
normali: irradiavano
amore, amore infinito ed indissolubile, come quello che sentiva lui.
Non erano
pensieri concepibili da una mente umana, viva.
I suoi occhi schizzarono
nell’abitacolo alla ricerca di un suo simile e quando lo
trovò rimase sorpreso,
quasi sconcertato. L’angelo che irradiava quei pensieri dalla
potenza
prorompente era una ragazza ed era appena comparsa sull’apice
dello schienale
occupato da uno degli imprenditori in giacca e cravatta: un uomo
piuttosto
giovane, i capelli neri e gli occhi scuri, che stava lavorando al
computer
portatile come se non si fosse accorto della presenza che gli stava
accarezzando amorevolmente la guancia; Franky, però, era a
conoscenza che lui
in realtà sentiva benissimo l’angelo, sapeva che
era arrivata ed era sollevato:
le era mancata.
«Scusa se ho
tardato tanto», gli
disse con voce celestiale, donandogli un bacio fra i capelli.
“Non fa
niente, sono contento che
tu sia qui ora”, le disse mentalmente l’uomo. Se
Franky non avesse sentito
direttamente i suoi pensieri non avrebbe mai capito che le stava
parlando;
doveva essere piuttosto esperto per non dare il minimo sospetto,
chissà da
quanto tempo comunicava in quel modo con il suo angelo custode.
Franky si
alzò e le andò
incontro, sorridendo impacciato. Era la prima volta che incontrava un
suo
simile del gentil sesso, che inoltre si faceva vedere dal suo protetto.
Era
curioso ed impaziente di parlare con lei, di porle i suoi interrogativi
e i
suoi dubbi, di essere in qualche modo confortato, sapendo di non essere
l’unico
a vivere quelle sensazioni contrastanti nel suo essere.
«Non sono
certa di poter essere
all’altezza delle tue aspettative, ma ci
proverò», disse l’angelo, che aveva
letto
ogni suo pensiero mentre si avvicinava.
«Chissà,
magari sarai più che
all’altezza delle mie aspettative», rispose Franky,
solare. Le porse la mano: «Il
mio nome è Franky, è davvero un piacere e
una… sorpresa, lo ammetto,
conoscerti.»
«Steffi,
piacere mio. Oh beh, è
sempre una sorpresa incontrare un angelo! Soprattutto su un aereo con
così
pochi passeggeri», sorrise, ricambiando la stretta.
“Con chi stai
parlando, amore?”,
chiese l’uomo a cui stava accarezzando la guancia, senza
distogliere lo sguardo
dallo schermo di fronte a sé.
«Con un altro
angelo, si chiama
Franky.»
“Piacere di
conoscerti, Franky”,
accennò un sorriso.
“Piacere
mio.”
Steffi gli sorrise e
passò ad
accarezzargli i capelli, amorevole. «Vuoi che ti racconti la
mia storia,
Franky?»
«Mi piacerebbe
molto.»
«Ma con chi
sta parlando?»,
sbuffò innervosita Zoe, guardando Franky accanto al sedile
di un uomo che
sembrava non essersi accorto di nulla. Visto che lei non vedeva il suo
interlocutore, era ovvio che non fosse una persona viva: che fosse un
altro
angelo custode? Magari quell’uomo ne aveva uno e forse non
era vero che non si
era accorto di nulla, forse stava solo fingendo per non dare
nell’occhio…
«Sta parlando
con un angelo»,
rispose alla sua domanda Jole.
«Tu riesci a
vederlo?», le chiese
Tom.
«Eccome! E ti
assicuro che è una lei»,
ridacchiò.
«E
com’è, bella?», chiese ancora
il chitarrista, peggiorando la situazione dell’equilibrio
già precario di Zoe.
«Secondo il
mio parere sì: ha i
capelli lunghi e lisci, castani, gli occhi chiari e quella divisa
bianca mette
in risalto ogni sua curva. Veramente sexy, diresti tu», lo
indicò ridendo e,
strano ma vero, lo fece arrossire.
Zoe divenne rossa come
un
peperone, forse di gelosia. Di fatto, non le piaceva che Franky
parlasse con
una ragazza che di sicuro, essendo un angelo, era bellissima, senza che
lei
potesse vederla. Si sentiva fuori dalla sua vita ed era una sensazione
orrenda.
«Che cosa si
stanno dicendo?»,
chiese lei, stringendo i pugni sulle gambe.
«Gli sta
raccontando com’è…
morta.»
«Faceva molto
freddo quella sera.
Lucas, l’amore della mia vita, era venuto a prendermi per
andare ad una festa.
Ero molto contenta e su di giri, era da tanto che aspettavo quella
serata e se
ora ci ripenso mi viene da ridere, perché la
fatalità… Io lavoravo, avevo
appena iniziato ad affiancare uno stilista, la mia famiglia era
normale, avevo
un fidanzato che mi amava, ero felice. Quella sera la mia intera vita
si è
distrutta, tutti i miei sogni, i miei o meglio i nostri
progetti… dovevamo sposarci, l’estate
successiva.»
Una lacrima
scivolò lentamente
sulla guancia dell’uomo all’udire il doloroso
ricordo, raccontato in prima
persona dalla ragazza che amava e che non c’era
più.
«È
successo tutto in un attimo,
un incidente davvero banale, Franky. Il conducente dell’altra
auto, quella che
ci è venuta addosso a folle velocità, era ubriaco
e… l’impatto è stato
terribile, io non ce l’ho fatta, ma ringrazio Dio che almeno
Lucas sia
sopravvissuto. Non ce l’avrei fatta, se anche
lui…» Gli asciugò la lacrima,
raccogliendola sull’indice, e la osservò,
malinconica.
«Anche mia
madre è morta in
questo modo», disse Franky, passandole una mano sul braccio,
cercando di essere
di conforto.
«E lei che
cos’ha fatto?»
“Si
è reincarnata in un altro
corpo”, le parlò passando alla modalità
nel pensiero perché non voleva che Zoe,
Tom e gli altri sentissero. Erano, anche quelle, informazioni riservate.
«Come mai tu
hai deciso di
diventare un angelo custode e di essere visibile al tuo protetto,
soprattutto?»
Steffi sorrise.
«Per le tue
stesse motivazioni. Ma io, oltre che per egoismo»,
sottolineò la parola, accennando una risata,
«l’ho fatto anche perché ero
troppo codarda per incominciare una nuova vita. Sono ancora troppo
attaccata
alla mia, per liberarmene. E poi, avevo visto che Lucas aveva bisogno
di me,
quaggiù.»
“Non
è stato facile per me,
quando lei se n’è andata”, gli
spiegò il ragazzo, con espressione neutra. “Mia
madre è morta quando io ero molto piccolo e i rapporti con
mio padre non sono
mai stati buoni: lui voleva a tutti i costi che seguissi le sue orme,
che
prendessi il suo posto a dirigere le diverse aziende che ha in tutto il
mondo,
ma io non volevo. Quando Steffi è morta però, ero
disperato e malleabile.
Lui ha giocato d’astuzia e
mi ha convinto. Ora sono qui, ma come quando c’era Steffi e
adesso che c’è
sotto forma di mio angelo custode, so che questa non è la
mia vita. Non sono
felice, vivo e basta, senza trovare il coraggio di cambiare, di
ribellarmi. Non
so perché ti sto dicendo tutte queste cose, scusami se ti
sto annoiando.”
“No, non mi
annoia affatto”, lo
rassicurò Franky. “La ringrazio per avermi
raccontato tutto questo.”
Steffi gli
posò una mano sulla
spalla e gli sorrise: «La tua protetta è un
tantino gelosa o sbaglio?»
Franky si
girò verso Zoe e
scoppiò a ridere, scuotendo la testa: non sarebbe mai
cambiata, la sua piccola.
La guardò stringersi le braccia al petto, imbronciata, e non
rivolgergli più lo
sguardo.
«Sì,
è parecchio stupida»,
rispose. «Sai, c’è una cosa che volevo
chiederti in particolare.»
«Dimmi, ti
ascolto.»
“Ecco…
Io penso che lei debba
rifarsi una vita, senza pensare a me, solo che è cocciuta e
come vedi ha queste
strane reazioni, come la gelosia e cose varie… Io sono
promesso a lei e lo sa,
però… So che non è semplice, facendomi
vedere non l’aiuto di certo a
dimenticarmi… Io mi sento in mezzo ad una tempesta, una
tempesta di sentimenti,
perché io la amo e sono geloso se la penso con qualcun
altro, ma dall’altra
parte sono il primo a dire che deve rifarsi una vita e che io mi devo
mettere
da parte. Tu, con Lucas, che cosa hai fatto?”,
sospirò.
Era stato difficile
spiegarle
quel concetto, erano sensazioni fin troppo personali e profonde per
raccontarle
decentemente, quello era il meglio che poteva fare. Sapeva che da solo
non
poteva farcela, aveva bisogno del parere di qualcuno nella sua stessa
situazione.
«Perfetto,
adesso ritorna a
parlare col pensiero», borbottò Zoe, furiosa.
«C’è qualcosa dal quale mi devi
tenere all’oscuro?»
Franky sbuffò
e allo stesso tempo
rise, poi si girò verso di lei e scrollò le
spalle: «Sì, e allora? Sono…»
«Informazioni riservate»,
incorarono Zoe, Bill, Tom e Jole, con gli
occhi rivolti al cielo. Si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere,
senza
accorgersi dello sguardo preoccupato di David.
«Il fuso
orario fa strani scherzi»,
concluse il manager, per poi girarsi verso la sua futura sposa e
sorriderle.
Steffi, divertita,
rispose alla
sua domanda dopo aver riordinato le idee: «Capisco bene che
cosa senti, sono
sensazioni che ho provato e che tutt’ora provo. Sai, anche io
ho insistito
tanto per convincere Lucas a rifarsi una vita, ma ancora non ci sono
riuscita.»
Lucas sorrise vittorioso. «Quando sarà il momento,
non dico che mi
dimenticherà, ma riuscirà ad essere felice
insieme ad un’altra. E io gli starò
accanto in qualsiasi caso, sarò felice della sua
felicità, anche se ovviamente
non sarà facile. È la nostra… vita,
Franky, dobbiamo accettarla con i suoi
pregi e difetti.»
Franky annuì,
rincuorato. Non era
né il primo né l’ultimo a vivere quella
situazione delicata e sapendo di non
essere il solo, si sentì sollevato, per quanto poco
altruista potesse essere.
«Grazie mille
per il tuo tempo,
Steffi», la ringraziò per l’ennesima
volta. Lei lo abbracciò, scatenando tutti
quei folli pensieri nella mente di Zoe, che si aggrappò
più saldamente al
braccio di Bill.
«Non
c’è di che Franky, è stato
bello parlare con te.»
«Auguro a te e
a Lucas tutto il
bene di questo mondo.»
«Anche a te, a
Zoe e ai tuoi
amici. Stammi bene, ok?»
«Ok.»
Sorrise e la guardò andare
via con Lucas, poi raggiunse i ragazzi nella loro macchina dai vetri
oscurati.
“Tu non entri,
Franky?”, gli
chiese mentalmente Georg, esitando con la portiera aperta nonostante
non
dovesse più entrare nessuno secondo David.
«No, io salgo
sul tetto!»,
rispose l’angelo, ilare.
Il bassista rimase
sbigottito,
come Gustav al suo fianco; invece Jole sorrise e lo raggiunse. Chiuse
la
portiera e salì con lui sul tettuccio della macchina, a
gambe incrociate, il
viso beato e i capelli scompigliati dal vento. Era una bella sensazione
e
Franky per la prima volta se la godette pienamente, senza pensieri
preoccupanti
per la testa.
Arrivarono sotto il
grande
palazzone nel quale c’era l’appartamento dei Tokio
Hotel e Jole e Franky si
scrutarono per diversi istanti, sotto gli sguardi di Tom e Zoe, ai
quali
prudevano le mani. Zoe era comprensibile, aveva sempre quel pizzico di
gelosia
che le pungeva il cuore, ma… Tom? Tom era geloso di Jole?
Franky non poteva
crederci! Non l’aveva guardata per mesi, l’aveva
sempre e solo sfruttata ed ora,
solo perché era un fantasma e lui era in parte colpevole del
suo stato, era
così protettivo? O forse… Se si era innamorato di
una persona ormai morta, dopo
due sole settimane, era veramente stupido! Aveva avuto la
possibilità quando
era viva… ma era troppo facile, no?
«Ridicoli,
ecco cosa siete»,
ridacchiò Franky, guardandoli eloquente.
«Ehi!»,
gridarono assieme, per
poi fissarsi e tirarsi uno schiaffo sul braccio a vicenda.
«Jole, che
fai?», le chiese
allora l’angelo.
«Io…
Non lo so… Tu che dici?»
Aveva lo sguardo basso, sfuggente, e i piedi incrociati l’uno
con l’altro.
Si passò una
mano sul mento,
pensieroso. «Penso che tu possa farcela»,
decretò con un sorriso. «Sei forte
Jole, la presenza dentro di te si è molto indebolita
rispetto all’inizio, non
la sento quasi più. Se quello che vuoi è rimanere
con Tom, sei libera di farlo.»
Il chitarrista trattenne
il
fiato: era di quello allora che stavano discutendo! Si voltò
verso Jole e le
prese la mano, stringendola nella sua. La ragazza alzò il
viso e sorrise lievemente,
annuendo.
«Ok,
allora», Franky batté le
mani. «Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi.»
Jole zampettò
da lui e gli
avvolse le braccia intorno al collo, stampandogli un bacio sulla
guancia,
scherzosamente. «Grazie Franky, sei unico!»
Arrossì
impercettibilmente. «Ahm,
grazie.»
Zoe, i pugni stretti
tanto forte
da farsi male, andò da Bill e lo abbracciò,
sperando di scatenare in Franky la
stessa gelosia che la faceva diventare rossa. Il cantante fu sorpreso,
ma
felice per la dimostrazione d’affetto, e ricambiò.
“Sempre
più ridicola”, la
beffeggiò il suo angelo custode e lei grugnì
qualcosa di incomprensibile,
staccandosi.
«Ciao ragazzi,
grazie per la
vacanza!», li salutò con la mano.
«Grazie Bill», aggiunse suadente,
stampandogli un bacio sulla guancia.
«Forza
Zoe, andiamo», roteò gli occhi al cielo
Franky. «Si sta facendo tardi, non vorrei che tua madre si
preoccupasse.»
“Allora ti ho
ingelosito!”,
esultò silenziosamente, girandosi e sogghignando.
“Non mi hai
ingelosito, ma se ti
fa piacere credilo pure”, ridacchiò.
«Non voglio
fare tutta la strada
a piedi!», si impuntò allora, come una bambina.
Era una ripicca, ne era certo.
«Su, non
frignare e muoviti.»
Mosse il braccio per incitarla, ma lei non mosse un muscolo e
incrociò persino
le braccia al petto. «Non ti porterò a casa
volando», l’avvertì serio.
«Perché
no?», sbattè i piedi a
terra, le braccia lungo i fianchi.
Bill, Georg, Tom, Gustav
e Jole
erano gli spettatori di quel litigio e si stavano divertendo molto,
nella
consapevolezza che quei due non sarebbero mai cambiati.
Franky si
guardò
intorno, nella via buia
illuminata solo dai lampioni. «Qualcuno potrebbe vederti
scomparire nel nulla;
non è prudente.»
«Da quando sei
così rispettoso
delle regole?», lo prese in giro, portandosi le mani ai
fianchi. «Non mi sarai
diventato un angioletto modello!»
«Dai Zoe, non
fare storie,
andiamo a casa.»
«Mi porti a
casa volando?»,
chiese ancora ed unì le mani a mo’ di preghiera di
fronte al viso. «Ti prego.»
Franky sbuffò
e si massaggiò le
meningi, esasperato. Quando Zoe si convinceva di qualcosa era
più che
determinata, cercare di farle cambiare idea era inutile, solo una
perdita di
tempo.
«Forza, vieni
qui, mostriciattolo»,
sbuffò aprendo le braccia. Lei saltellò
felice e ci si tuffò, salutò con
la mano i ragazzi e poi come per magia scomparve di fronte ai
loro occhi.
«Guarda che
facce sconvolte, è
fighissimo!», gridò Zoe.
«Ciao ragazzi,
buonanotte»,
ridacchiò Franky prima di aprire le ali e di sparire nel
cielo blu della notte.
«Wow»,
mormorò Bill, lo sguardo
ancora rivolto verso l’alto. «Anche tu sei capace
di far diventare invisibili
le persone, Jole?» Ci furono lunghi istanti di silenzio, non
ricevendo alcuna
risposta si guardò intorno e si accorse che erano
già tutti andati dentro al
palazzo.
«Ehi, non
lasciatemi qui da solo!»,
gridò correndo da loro.
Prese per un pelo
l’ascensore e
notò che mancava qualcuno.
«Dov’è Jole?»
«Ha
preferito… le scale»,
tossicchiò Tom, alzando lo sguardo.
«Che cosa
nascondi?»
«C’è
poco spazio e stare così a
contatto con me avrebbe finito per… distrarla
troppo.»
«Mi spieghi
come funziona?»
«Sì,
anche io voglio saperlo»,
disse Georg, incuriosito.
«Beh…
La parte malvagia che abita
nel suo corpo è molto, molto incazzata con me e se Jole non
sta attenta
rischierebbe di farsi sopraffare e quindi potrebbe farmi del male. In
questo
momento lei sta cercando di imprigionare questo suo alter ego nella sua
mente,
in modo tale da liberarsi e… Ma ci riuscirà solo
con il mio aiuto, sono io che
devo farmi perdonare dalla sua parte malvagia.»
«Che cosa
complicata.»
«Parla quello
che si è preso la
cotta del secolo per la ragazza di un angelo.»
«Beh almeno
lei è viva.»
«Non sei per
niente divertente,
Bill», lo fulminò con lo sguardo e, appena si
aprirono le porte, uscì cupo e
andò dritto verso la porta del loro appartamento, dove li
aspettava Jole,
serena.
«È
successo qualcosa?», gli
chiese quando lo vide così di cattivo umore.
«No,
niente», stiracchiò un
sorriso e la fece entrare per prima.
Jole si
guardò intorno,
ricordando a malapena il luogo in cui era: ci era stata solo una volta,
con
Tom, ma non aveva potuto vedere quasi niente.
Le fece sbattere la schiena contro la porta
d’ingresso e la morse sul
collo cercando le chiavi nelle tasche della giacca. Quando le
trovò, l’aprì e
si trovarono nel bel mezzo del salotto: c’era un tavolo al
centro, di fronte
una televisione e alla parete, in parallelo alle porte finestre che
davano
sulla terrazza, c’era un ampio divano.
Non fece in tempo a dare un giudizio al
resto dell’arredamento, Tom
l’aveva già presa fra le braccia e stretta a
sé con prepotenza. La sollevò da
terra, riprendendo a baciarla sui lembi di pelle che il vestitino nero
che
indossava lasciavano scoperti; Jole si aggrappò a lui
portando le braccia
intorno al suo collo e le gambe intorno alla sua schiena.
Salirono le scale che portavano alle camere
da letto e il chitarrista
la lasciò andare a terra, lei barcollò per la
sorpresa e l’alcool che aveva
ingerito poco prima, perse anche una scarpa dal tacco fucsia, ma non ci
badò
molto. Si tolse anche l’altra, lasciandole in mezzo al
corridoio, e Tom pensò
al suo giubbottino di pelle, che cadde a terra con un suono soffice.
Entrò nella stanza insieme a lui
come tutte le altre volte…
«Jole?»
Sbattè le
palpebre, ritrovandosi
di nuovo nel salotto illuminato, sotto forma di fantasma. Di fianco a
lei c’era
Tom, che la guardava preoccupato, sventolando una mano davanti al suo
viso per
farla riprendere.
«È
tutto ok, Jole?»
«Sì,
mi ero solo… persa nei miei
pensieri», sorrise e si guardò intorno:
c’erano solo loro due. Per quanto tempo
era rimasta imbambolata, intrappolata in quel ricordo doloroso quanto
lontano?
Sembrava scorsa una vita da quella sera e dopotutto era
così, la sua vita era
finita da un pezzo…
«Dove sono
andati a finire gli
altri?», chiese.
«Sono
già andati a letto, ti
hanno persino dato la buonanotte, ma tu non ti sei accorta di niente.
Posso
sapere a che cosa stavi pensando?»
Sollevò il
sopracciglio e si
coprì la bocca per non scoppiare a ridergli in faccia.
«Niente che tu non
sappia.»
«Che
cosa…?» Si guardò intorno e
un flash gli ricordò di quella sera: era stata la prima
volta che l’aveva
portata lì. La prima ed unica volta.
Un tonfo fuori dalla porta, come se qualcuno
fosse caduto, lo svegliò e
aprì gli occhi, trovandosi di fronte il viso di quella
ragazza, Jole – doveva
essere quello il suo nome, se non ricordava male – che si
spaventò e si
ritrasse, coprendosi con il lenzuolo.
«Che ci fai ancora
qui?», le chiese con voce roca, tirandosi sui
gomiti. «Lo sai che non voglio…»
«Sì, lo so, scusami,
scusami!», farfugliò raccogliendo i suoi vestiti e
rivestendosi, dandogli le spalle. «Mi dispiace.»
«Hai intenzione di scusarti ancora
per molto? Sbrigati e vattene.»
Sbadigliò e si risdraiò, rinvigorendo il cuscino
e girandolo dalla parte fresca
sotto la sua testa. «Ah, sei stata tu prima a fare quel
rumore?»
«No, veniva da fuori»,
gli rispose. Si alzò, raggiunse la porta e si
girò un’ultima volta per salutarlo, come sempre,
quando sobbalzò vedendolo così
vicino.
«Che
c’è?», mugugnò passandosi una
mano sul viso. «Guardo che cosa è
stato a fare quel rumore.»
«Mmh», annuì
la ragazza ed uscì in corridoio, prese i suoi tacchi e se
li infilò; fece lo stesso con il giubbottino di pelle e poi
si girò verso il
chitarrista, che si stava dirigendo verso il bagno –
nonostante la luce fosse
spenta, si sentivano dei rumori – nel corridoio buio.
«Tom?», lo chiamò. Lui si
girò e la guardò, leggermente infastidito.
«Ciao», lo
salutò a bassa voce. Abbassò gli occhi e poi se
ne andò,
silenziosa come era entrata nella sua vita.
Quel giorno Tom non
poteva
nemmeno immaginare quello che sarebbe successo, né aveva
risposto al suo
saluto, quel «Ciao» che in realtà doveva
essere un «Addio», perché quella era
stata l’ultima volta in cui avevano sentito l’uno
la voce dell’altra, prima che
lei…
«Sembra
passato così tanto tempo…»,
disse Jole, risvegliandolo da quel ricordo che lo aveva trascinato
lontano,
lontanissimo da lì.
Si passò una
mano sul collo,
senza trovare la forza di guardarla negli occhi. «Mi dispiace
da morire.»
«Stai
tranquillo», gli sorrise e
fece qualche passo nel salotto, poi si avviò verso le scale
e le salì
lentamente. Tom la seguì, incuriosito: e ora cosa voleva
fare?
Di fronte alla porta
della sua
camera, si fermò e fissò il legno bianco con
occhi vacui. Il chitarrista la
raggiunse e l’aprì, dandole il permesso
d’entrare. Jole fece qualche passo
all’interno e fece una rapida ispezione con lo sguardo, poi
sorrise.
«Come mai
sorridi?», le chiese.
«Perché
è tutto come allora.»
«E sei
contenta?»
«Sì,
vuol dire che in un certo
senso sei lo stesso ragazzo di cui…»,
arrossì e si portò una mano sulle labbra,
gli occhi preoccupati. Aveva parlato fin troppo.
«Io spero
vivamente di essere
cambiato da allora, in meglio. Sapere di essere lo stesso stronzo
menefreghista
che ti ha fatto solo soffrire mi dà la nausea.» Si
gettò sul letto e si sistemò
il cuscino dietro le spalle, appoggiate alla testata.
«Non mi hai
fatta solo
soffrire», lo corresse e si
avvicinò; sfiorò il copriletto con le dita e si
lasciò cadere seduta sul
materasso, dandogli la schiena. «Anche se non sembra, mi hai
donato emozioni
che mai nessuno mi aveva fatto provare prima. Sei il ragazzo che mi ha
resa
donna e…»
«Come, mi
avevi detto –!»
«Ho
mentito», ridacchiò. «Mi hai
fatta sentire desiderata come mai nessuno aveva fatto; certo, si
è trasformato
in un desiderio perverso, però…
all’inizio era bello, sapere che tu chiamavi
me, vivere nella consapevolezza che non c’era nessun altra
per te. Poi vabbè,
le cose sono andate come sono andate… Mi hai fatta
innamorare e per quanto
possa avermi fatto male, è stata l’emozione
più bella che abbia mai provato. Ho
capito che cosa si prova ad avere tutte quelle farfalline impazzite
nello
stomaco; ho capito che cosa vuol dire sentirsi bruciare ad un semplice
sguardo,
un tocco; ho capito quanto un cuore può battere forte; ho
capito quanto
migliore e buona possa diventare una persona innamorata, ma anche
ingenua e
sensibile. Insomma, Tom, senza di te…»
Due forti braccia le
avvolsero
delicatamente la vita e sentì il suo respiro caldo sulla
nuca. Si irrigidì, ma
non poté non sorridere a quel gesto infinitamente dolce.
«Resta con me,
stanotte», le
sussurrò e milioni di brividi, esattamente come se fosse
ancora in vita, le
attraversarono la spina dorsale.
«Non credo sia
una buona idea. È
rischioso, lo sai.»
«Ti
prego.»
Sapeva che non era la
cosa giusta
da fare, che se la parte malvagia fosse sfuggita al suo controllo e
avesse
fatto del male a Tom non se lo sarebbe mai perdonata, ma…
come poteva realmente
resistere a lui, al ragazzo per cui avrebbe persino venduto
l’anima – tutto ciò
che le restava a parte i ricordi – ?
«Posso farti
una domanda, prima?»,
gli chiese. Non aspettò una risposta, prima di continuare:
«Tu lo fai… sei così
dolce e tutto quanto, solo perché io sono un
fantasma?»
La girò fra
le sue braccia e la
costrinse a guardarlo negli occhi, calore puro che emanava solo
sincerità: «Certo
che no, io… è complicato da spiegare,
è una cosa che sento dentro e che non
riesco a…»
«Va bene
così», sorrise. «Grazie.»
Si stese accanto a lui,
rannicchiata contro il suo petto così caldo in confronto
alla sua pelle fredda,
si perse nel nocciola caldo dei suoi occhi e quando lui
l’abbracciò con
tenerezza capì di aver fatto la scelta giusta,
perché non c’era niente come la
paradisiaca sensazione di stare fra le sue braccia e sentirsi inondare
da quel
calore, sentirsi desiderata e anche un pizzico amata. Inoltre, la sua
parte
malvagia si era assopita magicamente, senza che lei avesse fatto nulla,
facendole godere ancora di più quel momento. Che lo avesse
perdonato? Che
quell’abbraccio avesse fatto breccia così in
profondità, tanto da raggiungere e
rasserenare pure lei? Non lo sapeva, ma era contenta che fosse
così.
«A volte
vorrei poterti leggere
nel pensiero», le disse Tom a bassa voce, spostandole un
ciuffo biondo miele
dalla fronte e portandolo dietro l’orecchio.
Accennò una
risata, chiudendo gli
occhi. «Finiresti per annoiarti a morte, penso sempre alle
solite cose.» Per
esempio che ti amo ancora, come il primo
giorno. «Mi chiedevo
soltanto se dovevo proprio morire, per avere anche
solo una minima parte di tutto questo.»
«No.»
Tom la strinse un po’ più
forte, sentendo il suo freddo penetrargli fin dentro le ossa. Non
importava. Fece
per aggiungere qualcos’altro, ma Jole gli posò un
dito sulle labbra.
«Ora dormi,
Tom.»
«Non ho sonno,
tre ore fa era
solo mezzogiorno a Los Angeles!»
«Buonanotte,
Tomi», sussurrò e
gli posò un bacio sulla fronte.
All’improvviso
le sue palpebre si
fecero pesanti, tanto che non riuscì a tenere gli occhi
aperti, e sprofondò nel
mondo dei sogni.
Jole sorrise,
soddisfatta del
proprio operato, e gli accarezzò il viso con la punta delle
dita. Vide la sua
pelle ricoprirsi di leggeri brividi e si alzò, prese una
coperta e gliela mise
addosso: nonostante fosse piena estate, stando accanto a lei rischiava
seriamente di congelare. Ritornò al suo fianco e lo
osservò, forse per tutta la
notte, vegliando in silenzio sul suo sonno, gli occhi pieni
d’amore.
[It’s
a thrill to see your
imagination
Just watching you is an education
What’s in your mind is my fascination
It blows my mind and sets my heart a racing]
«Grazie ancora
per aver avuto
pietà delle mie povere gambe», gli disse Zoe e gli
stampò un bacio sulla
guancia, ridacchiando. «Saluto mamma ed Heinz e poi ti
aspetto in camera, ok?»
«Ok»,
annuì e la guardò entrare
nell’appartamento e chiudersi la porta alle spalle.
Sentì la voce
emozionata della
signora Wickert accogliere la figlia dopo due settimane di lontananza.
Udì
anche la voce di Heinz, il compagno di sua madre, salutarla
affettuosamente.
Era contento che tutto si fosse sistemato e che lei avesse una nuova
figura
paterna nella sua vita, ne aveva proprio bisogno.
Franky si
lasciò trasportare dai
pensieri e pensò a suo padre, quell’uomo che non
poteva essere definito tale
perché non l’aveva nemmeno mai voluto conoscere.
Era una figura totalmente
sconosciuta a lui, sapeva che cosa voleva dire averne uno solo grazie a
suo zio
David, che aveva ricoperto quel ruolo nell’ultima parte della
sua vita. Ora
aveva la possibilità di conoscerlo, ma… non ne
aveva molta voglia. Dopotutto
non sarebbe cambiato niente: l’avrebbe visto, avrebbe capito
che faccia avesse
l’uomo che aveva fatto soffrire in quel modo sua madre e poi
se ne sarebbe
andato. Non era molto utile.
Sentì un
rumore alla sua sinistra
e vide le due ragazzine, amiche per la pelle, vicine di casa di Zoe, la
biondina e la moretta che avevano anche avuto l’occasione di
conoscere Tom in
un bar.
Si fermarono sul
pianerottolo e
lo fissarono sorridendo, le mani sui fianchi, così convinte
che Franky dubitò
di essere invisibile ai loro occhi. Riuscivano a vederlo?
Perché? C’era
qualcosa che non andava.
«Non ti
preoccupare Franky, è
tutto a posto. Noi due non siamo esseri umani, siamo angeli,
esattamente come
te», gli spiegò la mora.
«Ma…
ma come, io quando ero vivo vi
vedevo! Com’è possibile?»
«Spieghi
tu?», chiese la moretta
alla bionda, che annuì, anche se non sembrava entusiasta.
«Perchè
sempre a me i compiti più
disdicevoli?», borbottò, avvicinandosi a lui.
Gli spiegarono che loro
erano
angeli ancora più speciali, inviati sulla Terra per aiutare
e confortare gli
angeli custodi insicuri sulla loro decisione o che non volevano
più esserlo;
gli Intrappolati che una volta che si erano resi conto di quello che
avevano fatto
avrebbero preferito la morte della loro anima, pur di levarsi di dosso
quelle
colpe; e tutti gli esseri non vivi che avevano bisogno del loro aiuto.
Avevano
sembianze umane e si inserivano nella comunità solo per non
destare sospetti ed
agire indisturbate.
«Inoltre»,
disse la ragazza
bionda, «noi abbiamo un potere esclusivo, ossia quello di
vedere nel futuro.»
«Non
è che proprio vediamo nel
futuro, possiamo vederlo solo se la persona che ci sta di fronte
morirà… come
dire, in tempi brevi, ecco, e possiamo prevedere quello che
deciderà di fare una
volta in Paradiso.»
«Cioè,
voi… sapevate tutto di me?»,
chiese incredulo.
«Noi abbiamo
visto il tuo cancro,
Franky, già dalla prima volta in cui ci siamo
incontrati», la biondina sorrise,
posandogli una mano sulla spalla. «E abbiamo visto che
saresti diventato
l’angelo custode di Zoe.»
«Non potevi
fare scelta più
azzeccata, stanne certo.»
«Non so, ora
come ora mi trovo in
una situazione difficile», si passò una mano sul
collo, indeciso se parlarne o
meno con quegli angeli “psicologi”. Non gli erano
mai piaciuti, gli psicologi.
«Noi
conosciamo le tue
preoccupazioni», disse la mora, con un tono di voce
rassicurante. «E quello che
possiamo dirti è che questa è la tua strada e
questi sono i problemi che dovrai
affrontare. Non sappiamo se ci riuscirai o meno, però ci
proverai. Noi crediamo
in te come mai abbiamo fatto, sei un angelo custode molto speciale, in
qualche
strano modo.»
«Beh,
grazie», ridacchiò Franky,
lusingato.
«Ricordati che
il tuo compito è
quello di proteggere Zoe. Che senso avrebbe, se le togliessi la
felicità per
quello che tu chiami egoismo?
Che
senso avrebbe se, prima di tutto, non la proteggi da te stesso e dai
tuoi
desideri che non possono più avverarsi?»
Entrò in
camera di Zoe scosso, ma
con la certezza che quelle parole che si insinuava lentamente nel suo
cervello
fossero giuste. Forse era solo merito degli strani poteri di quei due
angeli,
ma gli credeva e gli dava pienamente ragione: prima di proteggere Zoe
dal resto
del mondo, doveva prima proteggerla da se stesso e dai suoi desideri
che non
sarebbero mai stati esauditi.
La luce era accesa, Zoe
era
sdraiata sul letto e mentre lo aspettava si era addormentata. Sorrise
ammorbidito dalla sua espressione tenera, da bambina. Le
sfiorò la guancia con
la punta delle dita e si disse che per quanto fosse ardua quella sfida,
ce l’avrebbe
fatta: per lei avrebbe fatto di tutto, persino morire una seconda volta.
Spense la luce e si mise
seduto
alla scrivania, a vegliare in silenzio sul suo sonno.
[You’re
my Sunday
Make my Monday come alive
Just like Tuesday
You’re a new day that wakes me up
Wednesday’s raining
Thursday’s yearning
Friday nights
Then it all ends at the weekend
You’re my star
Yes,
you are]
_______________________________________
Buona sera! :)
Questo è
indubbiamente uno dei miei capitoli preferiti e forse il mio preferito
in
assoluto, ma è difficile stabilirlo, io non sono obbiettiva!
;)
Sono
successe un bel po’ di cose, tra cui una dettagliata
spiegazione e una piccola
anticipazione su ciò che fa, i suoi compiti, e che
farà Franky in un prossimo
futuro. David ha chiesto a Susan di sposarlo *ç* Franky ha
conosciuto e ha
parlato con un altro angelo custode con le sue stesse
“caratteristiche”, ha
scoperto anche ciò che nascondevano le due vicine di casa di
Zoe, e per finire
in bellezza fra Jole e Tom le cose vanno meglio e io li trovo
infinitamente
dolci! *-*
La
canzone che ho usato in questo capitolo, e che consiglio vivamente di
andare ad
ascoltare, è You’re
my star, degli Stereophonics
(che a quanto pare piacciono molto anche a Bill xD).
Ringrazio
Utopy,
per avermi ispirato gran
parte del dialogo iniziale fra Franky e Gustav e per avermi aiutata
nella
richiesta di matrimonio di David: la maggior parte delle parole sono
sue. Sei the
best, beibi ♥
Notare
bene xD: Quei tacchi fucsia, quel
giubbottino bianco e quel tonfo, simile ad una caduta, (nei ricordi di
Jole e
Tom) non vi suonano familiari? xD (Per chi è smemorato come
me, vedere capitolo
numero 7 di Nothing
to lose!) Ebbene
sì, erano di Jole quei tacchi e quel giubbottino bianco; e
la caduta è proprio
di Franky. Erano così vicini! Com’è
piccolo il mondo xD
Bene, ho
detto tutto, passo ai ringraziamenti:
_lile_ :
Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, anche a me Tom e
Jole
piacciono tanto *-* Grazie mille, alla prossima!
Tokietta86
: Oh, che bello, sei partita con i viaggi mentali! *ç*
Sì, penso anche io che
sarebbe bello se Jole potesse tornare in vita, ma è troppo
bello per essere
vero… ç_ç La situazione di gelosie,
amori, fra quel trio lì la porterò avanti
ancora per un po’, tremate, perché non
è ancora finita qui xD
Grazie
mille per la recensione, sono davvero contenta che lo scorso capitolo
ti sia
piaciuto, spero che questo non sia da meno! ;) Alla prossima, un bacio!
Isis 88 :
E’ un bel casino assai xD Però è vero,
le cose stanno migliorando, ma non
lasciamoci ingannare troppo… Jole è stata davvero
brava, sìsì u.u Grazie per la
recensione, alla prossima, baci!
Utopy :
Wow, recensione superveloce o.o Bella comunque *-* Grazie per aver
rischiato la
vita! xD Sono contenta che ti sia piaciuto e uhm… Zoe e
l’indecisione xD Si
deve buttare su Bill u.u Ci sentiamo dopo allora (ho fame u.u), ti
voglio
tantissimissimo beneeee! Un bacio grande grandissimo! Tua, Sonne.
Ringrazio
anche chi ha letto soltanto!
A
venerdì. Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 17 *** Cold - Control ***
17. Cold – Control
Allungò il
braccio alla sua
ricerca e sentì le coperte fredde, fin troppo fredde: doveva
essersi alzata da
poco. Aprì lentamente gli occhi e si tirò su a
sedere per perlustrare la
stanza, alla sua ricerca. Sentì delle voci e dei rumori
provenire dal piano
inferiore e capì che forse lui era l’ultimo, il
bell’addormentato di turno.
Si alzò e
dopo aver fatto una
capatina in bagno per lavarsi il viso, ancora piuttosto gonfio di
sonno, scese
di sotto e spuntò in salotto, deserto. Tutte le voci, tra
cui distinse anche la
sua,
si concentravano in cucina.
«Ma i tuoi
genitori?», chiese
Bill e Jole rispose:
«Mia madre se
n’è andata da casa
quando avevo quindici anni, non amava più papà e
non so che fine abbia fatto,
parlando sinceramente. E mio padre invece dovrebbe essere in
carcere.»
«In
realtà», intervenne Franky –
C’era persino lui! – «Ora
si trova in
ospedale.»
«In
ospedale?»
Jole sobbalzò
di spavento quando
l’angelo le mostrò ciò che aveva visto
quando era andato da lui a reperire
informazioni sul conto dell’Intrappolata.
«Io…
io non…», balbettò lei, gli
occhi lucidi.
«Credo che
l’unica in grado di
liberarlo sia tu, Jole. Quella che gli Intrappolati infliggono
è una pena,
dolorosissima, dalla quale si può essere assolti solo
dall’Intrappolato che
l’ha inflitta.»
«Che
pena?», chiese allora Zoe.
C’erano proprio tutti, a quel punto. Franky non le rispose e
si sporse verso la
porta, dove c’era Tom, che ascoltava senza fiatare.
«Ciao
Thomas», lo salutò muovendo
le dita della mano. «Ti sei svegliato? Jole, ci sei andata
pesante ieri sera,
eh?»
«Aveva bisogno
di dormire», annuì
la ragazza, sorridendogli.
«Sei stata tu
allora a farmi
cadere come un sasso!», le puntò un dito contro,
scherzosamente.
Jole era seduta sul
ripiano della
cucina, gli occhi sbarazzini e un sorriso da bambina, i capelli
raccolti sulla
nuca, anche se alcune ciocche ribelli le sfioravano le guance. Si era
anche
cambiata: indossava un paio di pantaloncini corti, in jeans, e una
maglietta
blu piuttosto larga per il suo fisico asciutto, che si stringeva sulla
vita. Franky
era appoggiato accanto alla finestra, oltre la quale ogni tanto
osservava il
panorama della città, le braccia strette al petto e un
sorriso sereno che non
vedeva da tempo. Bill, Georg, Gustav e Zoe, invece, erano seduti al
tavolo
della cucina, sul quale c’era di tutto per la colazione. Si
accorse che la
maggior parte delle cose erano le sue preferite e arricciò
il naso.
«Chi ha
preparato la colazione?»,
chiese, indicando il tavolo.
«Io!»,
rispose entusiasta Jole,
alzando una mano, che trapassò il mobile sopra la sua testa.
La ritrasse,
ridacchiando insieme a Franky.
«Perché
l’hai fatto?» Il suo tono
di voce era duro, simile a quello di un rimprovero. Si portò
le mani sui
fianchi e la guardò, in attesa di una risposta.
Zoe si
schiarì la voce. «Ehm…
Bill, Gustav, Georg, Franky, potete venire un attimo con me di
là?» Sentiva che
Tom voleva parlare da solo con Jole, anche se non pensava arrivasse
addirittura
ad un litigio; però c’era quella tensione
nell’aria.
I ragazzi, anche se
titubanti,
seguirono Zoe in salotto, che tentò di distrarli accendendo
la TV,
sintonizzandola su Mtv. Purtroppo con Franky non funzionò:
era collegato con il
pensiero alle menti dei due, per capire che cosa stesse succedendo.
Jole abbassò
lo sguardo, ferita. «Scusa,
io… pensavo di aver fatto una cosa carina.»
«Sì,
lo è, ma…» Tom si avvicinò e
arrivò a pochi centimetri da lei, tanto da poterle sfiorare
le ginocchia con i
fianchi. La guardò fisso negli occhi, sollevandole il viso
chiaro. «Io non mi
merito questo trattamento, lo sai. Se fai tutto questo per me mi fai
sentire
solo… più merda di quello che mi
sento.»
«Non
l’ho fatto solo per te, non
sei l’unico che abita questa casa», gli disse, ma
il suo tentativo fu patetico.
Non era mai stata capace di mentire e si maledì per questo.
«Ti ho
trattata sempre da schifo,
perché tu invece sei così buona con
me?», sussurrò e le sfiorò le gambe
nude
con la punta delle dita. Sentì il suo cuore di fantasma
partire in quarta e
sorrise amaro, fissando quegli occhi dorati con i propri.
Le gote della bionda
presero
colore. «La conosci la risposta.»
Diminuì
ancora la distanza fra
loro e le accarezzò le gambe fino ad arrivare ai fianchi.
Lei era rigida, la
testa appoggiata al legno del mobile: cercava di andare indietro ad
ogni
centimetro che lui otteneva, ma se avesse continuato così si
sarebbe trovata
direttamente con la testa nella credenza.
Tom si
avvicinò ancora un po’ e
si passò la lingua fra le labbra, incerto se farlo o meno:
come sarebbe stato
baciare un fantasma? Lui la voleva, la voleva come mai aveva fatto
prima e
anche il suo cuore da vivo batteva furiosamente, il suo respiro era
leggermente
più veloce e nonostante il freddo di Jole sentiva la propria
temperatura interna
superare i quaranta gradi centigradi.
Mancava ormai
pochissimo, sentiva
il suo respiro gelato sulle labbra, e all’ultimo Jole
voltò il viso, chiudendo
gli occhi e portando le mani sulle sue spalle, come se volesse
spingerlo via da
sé ma in realtà non volesse farlo. «Non
si può.» Fu il suo sussurro, appena
udibile.
«Scusa»,
mormorò Tom allontanandosi,
imbarazzato fino all’inverosimile.
Qualcuno dietro di loro
si
schiarì la voce e si voltarono: Franky era appoggiato allo
stipite della porta,
il sopracciglio alzato. Da quanto tempo era lì a guardarli?
Le sue parole, stizzite,
rimbombarono nella testa del chitarrista: “Vedi di non
innamorarti di un
fantasma.”
«Non mi sto
innamorando»,
balbettò, nervoso, con un tono che doveva essere offeso, ma
che non produsse
l’effetto desiderato.
«Ti ho solo
detto di stare
attento, noi non siamo vivi.»
«E dai Franky,
lascialo stare»,
sbuffò Jole, tenendo saldamente le mani al ripiano, cercando
di non pensare al
tremore che le stava percuotendo lievemente.
«Gli ho detto
solo come stanno le
cose», scrollò le spalle e non riuscì
nemmeno a vedere Jole che saltò verso di
lui: si ritrovò direttamente con la schiena a terra e lei
addosso.
«Ti ho detto
di lasciarlo stare!»
Un’occhiata
gli fece capire che
cosa era successo: Jole si era trasformata, con tanto di occhi rossi e
unghie
lunghe. Ma… perché? Non riuscì a darsi
una risposta, troppo impegnato a
schivare i colpi che l’Intrappolata cercava di infliggergli,
spostando la testa
a destra e a sinistra.
Riuscì a
liberarsi facendo leva
con i piedi sul suo stomaco. Jole volò per aria e con una
capriola sul
pavimento si rialzò in piedi, ai piedi delle scale, in
posizione di difesa,
rannicchiata su se stessa.
«Che cosa sta
succedendo?!»,
chiese Zoe spaventata, allontanandosi sempre di più sul
divano: quella scena
l’aveva già vista, era come un déjà-vu.
«Non lo so,
allontanatevi!», fece
in tempo a gridare Franky, prima che Jole tornasse
all’attacco.
Erano velocissimi. Tom,
ancora in
cucina, non riusciva a distinguere cosa fosse di uno e cosa
dell’altro; erano
tanto veloci da fondersi in immagini sfuocate ed evanescenti.
«Jole, ma che
cosa diavolo ti
prende?», chiese Franky con il fiato corto, evitando
l’ennesimo colpo che però
gli graffiò la guancia.
«Lascia stare
Tom!»
«Cioè
tu… lo stai difendendo da
me?»
Sorpreso, perse il tempo
e Jole
ne approfittò: fu un colpo secco, deciso e soprattutto
preciso. Tutto si fermò,
il silenzio fu l’unico rumore udibile, oltre ad uno strano
fischio che stava
facendo scoppiare la testa a Franky. Era appoggiato a lei, la guancia
sulla sua
spalla, le sue unghie conficcate nel ventre, dal quale colava liquido
argentato. Quando si ritirarono con un suono quasi metallico, lui cadde
a terra
con un tonfo, privo di sensi, la maglietta squarciata e macchiata del
suo
sangue.
«NO!»,
gridò Zoe con tutto il
fiato che aveva in gola, iniziando a piangere. Corse al suo capezzale,
liberandosi dalla stretta di Bill, e si chinò su di lui: gli
accarezzò le
guance, farfugliando cose senza senso. Alzò il viso verso la
Jole tornata
normale, pietrificata sul posto, gli occhi spalancati e pieni di
terrore, e la
guardò truce.
«Ti odio. TI
ODIO!», urlò e
stringendo a sé il corpo di Franky continuò:
«Vattene via! VATTENE DA QUI!»
Jole non riusciva a
crederci. Si
guardò le mani, ancora sporche, e iniziò a
tremare, non di rabbia, ma di
disgusto. Sentì l’impellente voglia di vomitare,
ma sapeva che era solo una
sensazione impulsiva: lei non ne era in grado. Si portò
quelle stesse mani
sulla testa e si rannicchiò a terra, cominciando ad urlare
tutto il suo dolore
per ciò che aveva fatto, ciò che aveva
permesso di fare al suo alter
ego che aveva preso totalmente il controllo
di lei, schiacciandola nel suo stesso corpo.
Sapeva perché
l’aveva fatto: la
lei malvagia sapeva che ferire Franky l’avrebbe fatta
soffrire e quale miglior
vendetta, se Jole l’aveva ferita non permettendo a Tom di
baciarla? Era una
lotta fra affetti.
Qualcuno la prese per le
spalle e
la tirò su, Tom, che cercò di calmarla
abbracciandola, ma lei si liberò
continuando a gridare e a piangere, poi scappò via,
lanciandosi giù dalla
finestra.
«Sarai
contento ora», singhiozzò
Zoe, guardando il chitarrista e la sua maglietta sporca
d’argento. «Ora che la tua
amichetta fantasma ha… ha… oh mio Dio.»
Non riuscì più a parlare, si strinse
soltanto contro Franky, tremando mentre le lacrime le sfregiavano il
viso.
***
Si svegliò
dopo qualche ora. Era
steso sul divano, sotto una coperta, e qualcuno gli aveva fasciato
l’addome con
delle garze umide. Provò a girarsi, ma accanto a
sé, compressa nel poco spazio
che lui lasciava libero, c’era Zoe, che lo abbracciava
delicatamente.
«Ti sei
svegliato», mugugnò
sollevata, stropicciandosi gli occhi. «Non sai che paura che
mi sono presa,
pensavo…»
Franky sorrise
divertito.
«Ehi,
rilassati. Io non posso morire, ricordi? È
un’esperienza che ho già vissuto.»
«Non sei
divertente. Mi sono
spaventata da morire!»
«Mi
dispiace», le accarezzò la
guancia e si mise seduto.
«Non
sforzarti!», lo rimproverò e
tentò di farlo sdraiare di nuovo, ma lui rise e si sciolse
le bende: al posto
delle profonde ferite, c’erano solo quattro piccoli segnetti
bianchi.
«Vedi? Sono
cicatrici, sto bene!
Guarisco in fretta.»
«Wow»,
soffiò e lo guardò
rivestirsi. «Ahm, Bill ti ha lasciato lì una sua
maglietta. La tua è più che
bucata.»
«Oh,
grazie.» La prese e se la
infilò: era una maglietta bianca, semplice, che si abbinava
perfettamente al
resto della sua divisa di seta. «A proposito, dove sono tutti
gli altri?»
«Noi siamo
qui!», disse Bill
uscendo dalla cucina con una punta d’ansia negli occhi,
seguito subito da
Gustav e Georg che sorridevano.
A Franky bastarono tre
secondi
per capire il perché di quell’agitazione: Bill
aveva intenzione di chiedere a
Zoe un appuntamento, in modo tale da iniziare quello che a malapena era
incominciato.
“Trattamela
bene, mi raccomando”,
gli disse nel pensiero e il frontman annuì, sorridendo.
«Di che
confabulate voi due?»,
chiese Zoe mettendosi in mezzo.
«Niente,
niente», ridacchiò
Franky. «Grazie per la maglia, Bill.»
«Prego, non
c’è di che. Come
stai?»
«Bene, adesso.
È stato molto
impressionante?»
«Sì,
abbastanza», rispose Georg. «Soprattutto
quando sei caduto a terra come un sacco di patate, senza sensi, con
quei buchi
nella pancia.»
«Sembrava la
scena di un film»,
constatò Gustav, facendolo sorridere.
«E Tom,
dov’è?»
Zoe abbassò
lo sguardo sulle sue
mani intrecciate. «Di sopra, si è chiuso in camera
e non sembra voglia uscirci
presto.»
«Mmh,
parlerò con lui più tardi.
E Jole, dov’è finita?»
Zoe scattò e
gli tirò uno
schiaffo, cieca dalla rabbia. Franky accusò il colpo e
chiuse gli occhi,
respirando pesantemente con il naso per non perdere anche lui le staffe.
«Jole
dov’è?», ripropose la
domanda e una nuova sberla lo colpì, solo
sull’altra guancia. Altro respiro
profondo. «Ho chiesto: dov’è
Jole?» Quella volta le bloccò la mano in tempo,
senza nemmeno aprire gli occhi. Quando li aprì
fissò quelli di Zoe, colmi di
lacrime.
«Scusami,
Franky, ma come puoi
cercarla, dopo quello che ti ha fatto?», gli chiese, il
respiro spezzato.
«La colpa non
è di Jole,
non era lei in quel momento.
Quella che ci sta più male in questo momento è
lei e devo assolutamente raggiungerla,
prima che faccia qualche cazzata di cui si potrebbe pentire.»
«Stai
attento», mormorò e Franky
sorrise, la prese per la nuca e la baciò sulla fronte,
abbracciandola per un
istante.
«Ci vediamo
dopo!», salutò
pimpante e si lanciò di testa dalla finestra, scese in
picchiata sulla strada e
ad un soffio dal cemento risalì a tutta velocità,
perdendosi nelle nuvole che
abitavano a fiotti il cielo azzurro.
***
Era rannicchiato nella
sua parte
di letto, come quando da bambino sentiva i litigi dei suoi genitori. Il
viso
era senza un’espressione vera e propria, solo le lacrime che
stavano scivolando
dai suoi occhi gonfi e arrossati manifestavano ciò che
sentiva dentro:
sofferenza, tristezza, sensi di colpa.
Non poteva smettere di
incolparsi
per ciò che era successo, per la ferita che Jole aveva
inflitto a Franky senza
un motivo apparentemente logico, come la sua trasformazione inaspettata.
L’angelo aveva
ricevuto il colpo
dopo essere stato sorpreso dal fatto che Jole stesse difendendo
Tom. Quella volta si era trasformata per proteggerlo,
non per attaccarlo, e la cosa era parecchio strana e tutto
fuorché prevedibile.
Forse l’alter ego di Jole non era solo ciò che
loro credevano, un’essenza
puramente malvagia molto rancorosa nei suoi confronti, ma un essere
assestante,
che condivideva con Jole lo stesso corpo: un essere capace anche di
amare,
oltre che di ferire. Poteva essere definita come la parte istintiva di
Jole,
quella che agiva senza riflettere minimamente.
In ogni caso era lui,
Tom, il
perno attorno al quale ruotavano quella presenza e Jole. Che fossero
due esseri
inscindibili, che però dovevano trovare un equilibrio? Non
lo sapeva, ma si
sentiva maledettamente in colpa. Oltre per quello che era successo a
Franky,
anche per la fuga e le urla disperate di Jole.
Chissà ora
dov’era finita, se
stava bene…
Soffocò un
urlo frustrato nel
cuscino e lo strinse talmente forte fra i pugni da farsi male alle
nocche.
***
Bussò alla
porta
dell’appartamento accanto a quello dove abitava Zoe e la
ragazzina bionda gli
aprì la porta, già consapevole di tutto quello
che era successo.
«Dove credi
sia andata?», gli
chiese infatti.
«Non ne ho la
minima idea, ma ho
assolutamente bisogno del vostro aiuto.»
«Certo»,
annuì. «Alexandra,
muoviti!»
«Si chiama
Alexandra, la mora?»,
chiese Franky.
«Sì,
io invece mi chiamo Ariadne.»
«Wow,
finalmente so i vostri
nomi.»
La ragazza sorrise e
venne
affiancata dalla sua amica, che si sistemò la maglietta sui
fianchi. «Pronta?»
«Pronta. Dove
andiamo?», sollevò
lo sguardo sull’angelo.
«Pensavo mi
avreste aiutato voi!»
«Dai, ci penso
io.» Ariadne si
portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi,
concentrandosi. Dopo qualche
istante, li riaprì: «Si trova al suo vecchio
domicilio e sta cercando in tutti
i modi di togliersi la vita. Dobbiamo muoverci.»
Uscirono fuori dal
palazzo e con
le ali spiegate raggiunsero il cielo, che nel frattempo aveva preso una
sfumatura scura, quasi violacea. Si preannunciava un temporale estivo
molto
forte, vista l’elettricità che si respirava
nell’aria.
Volavano a
velocità sostenuta,
sotto di loro il paesaggio era una massa di grigio sfuocato ed
indefinito, con
qualche picco di colore ogni tanto, quando passavano sopra alla
campagna.
«Togliersi la
vita? Com’è
possibile?», chiese Franky ad un tratto, ripensando alle loro
parole.
«Inteso come
uccidere l’anima»,
gli spiegò Alexandra.
«E come si
fa?»
Ariadne
arricciò il naso,
infastidita. «Questo tipo di suicidio non è
ammesso, per questo è necessario
sapere la tecnica esatta.»
«È
un procedimento molto
complicato e doloroso: si
deve proprio
voler non più vivere, rifiutando ciò che ci rende
capaci di fare tutto quello
che facciamo a tal punto da espellere l’anima dal corpo. Non
viene mai
spiegato, soprattutto agli Intrappolati, che sono così
fragili.»
«Qualcuno ci
è mai riuscito? Ad
espellere l’anima.»
«Sì,
qualcuno sì», rispose la
biondina e questo fece aumentare a tutti la velocità.
Raggiunsero il
palazzone, nella
zona periferica della città, in cui c’era il
vecchio appartamento che Jole
aveva abitato insieme al padre. Entrarono senza troppi complimenti e
sentirono
dei gemiti soffocati al piano superiore. Trovarono Jole stesa sul
pavimento,
nella sua ex camera, ferita su tutto il corpo, con tagli e abrasioni di
ogni
genere: ce la stava proprio mettendo tutta per farsi fuori, doveva
voler morire
con tutte le sue forze. Infondo, l’aveva fatto una volta,
poteva farlo di
nuovo.
«Jole!»,
gridò Franky
raggiungendola e accarezzandole le guance. «Che cosa fai,
stupida? Sto bene!»
Lei tentò di parlare, ma tossì e un rivolo di
liquido argentato le scivolò
fuori dalla bocca. «Sono qui Jole, sono qui.»
«Non voglio
più stare qui, Franky»,
mormorò a bassa voce. «Non sono nemmeno capace di
far tacere la voce nella mia
testa. Fa male. Tanto male. Ti prego falla smettere, falla
smettere!»
Franky guardò
disperato le due
ragazze dietro di lui, che gli fecero segno di spostarsi. Lui si fece
da parte
e loro presero il suo posto accanto all’Intrappolata,
chiusero gli occhi e si
strinsero le mani, mentre le altre due libere erano aperte sopra il
corpo
sofferente di Jole ed irradiavano una strana luce biancastra.
Fuori aveva iniziato a
diluviare,
l’odore della pioggia entrava dalla finestra insieme alla
luce dei fulmini e ai
rombi dei tuoni. Il silenzio che divideva un rombo dirompente da un
altro era
un silenzio assassino, rotto solo dal rumore della pioggia che batteva
forte
sulle strade, sui tetti delle case e dei palazzi, sugli ombrelli delle
persone
che si rifugiavano negli edifici, sui tettucci delle macchine che erano
in coda
all’incrocio sempre trafficato, fino nell’acqua del
fiume Elba e nel Mare del
Nord, dove acqua salata e acqua dolce si mescolavano l’una
con l’altra in una
lotta furiosa come quella che stava vivendo Jole, divisa fra due
entità che
volevano due cose diverse dallo stesso corpo.
Alexandra e Ariadne
abbassarono
le mani sopra il corpo di Jole e respirarono stancamente, ma non
lasciarono la
presa sulla mano dell’altra: erano sempre strette, unite,
come per confortarsi
a vicenda.
Franky, di fronte a
quella scena
che sapeva tanto di sconfitta, non riuscì ad impedire ad una
lacrima di
scivolare lungo la sua guancia. Cadde sulle ginocchia e strinse i pugni
sul
pavimento, sbattendoli ogni tanto, mormorando: «Non doveva
succedere, non
doveva… Perché, perché?!»
I due angeli si alzarono
e
abbassarono il capo di fronte a quello scempio, poi si voltarono verso
Franky. «Ci
dispiace tanto. Abbiamo fatto tutto il possibile.»
Stavano per andarsene,
scosse e
fortemente demoralizzate, quando un sussurro appena percettibile le
fece
voltare di scatto. Franky aveva alzato la testa e aveva raggiunto a
gattoni la
ragazza, portandole una mano sulla guancia.
«Tom…»,
mormorò ancora Jole, il
viso storpiato in una morsa di dolore.
«Sì,
Jole, sì. Tom sta bene, ti
porto da lui, ma tu resisti, ok?», le rispose concitato,
spostandole i capelli
dal viso. Si girò verso le due ragazze e accennò
un sorriso strafottente: «Volete
stare impalate lì per molto o mi volete aiutare?»
***
Oggi è proprio una brutta
giornata.
Lo era già, ancor prima che
scendesse giù quest’acquazzone.
Chissà Franky dove si
è cacciato, quell’idiota.
Sospirò e
lasciò andare la tenda,
che con grazia ricoprì il vetro, punteggiato da goccioline
di pioggia, dietro
il quale si era scatenato un temporale estivo in piena regola.
Sentì dei
passi leggeri alle sue
spalle e con la coda dell’occhio riconobbe la figura di Bill,
che in poco tempo
l’affiancò a guardare il cielo livido.
«Sei
preoccupata per Franky?», le
chiese a bassa voce.
«Inutile
dirlo», sorrise. «A
volte è così cocciuto… Da quando
è diventato un angelo è ancora più
altruista:
vuole aiutare sempre tutti. Deve imparare che ci sono cose
più importanti di
altre e capire che non può fare tutto, soprattutto. Non
sempre le cose vanno
come si vorrebbe.»
Ridacchiò e
sorrise beffardo. «Come
sei profonda oggi pomeriggio.»
«Sfotti?»,
sollevò il
sopracciglio e scherzosamente gli tirò uno schiaffo sul
braccio, poi si
accoccolò contro il suo petto, stringendosi nelle spalle,
l’orecchio sul suo cuore
che batteva.
«Sai, il cuore
di Franky non
batte come il nostro», gli disse soprapensiero.
«È più lento e si sente di
meno. Il tuo sembra una locomotiva ora.»
«Sei tu che mi
fai questo
effetto.»
Si guardarono negli
occhi e Zoe
accennò un sorriso. «Lo prendo come un
complimento?»
«Prendilo come
vuoi», scrollò le
spalle, ricambiando. «Zoe, mi chiedevo…»
Capì quello
che voleva chiederle
e cambiò subito argomento, nascondendosi di nuovo nel suo
petto per non farsi
vedere in faccia: era certa di essere bordeaux. «Sono anche
preoccupata per
Tom. Ho paura di essere stata troppo dura con lui, che non
c’entrava niente.»
Bill sospirò,
capendo a che gioco
stava giocando. «Sicuramente non sarà arrabbiato
con te. Ora posso chiederti –
?»
«E se invece
lo fosse?» Fece
finta di essere preoccupata.
Bill la prese per le
braccia,
l’allontanò da sé e la
guardò negli occhi con la maschera da persona seria sul
volto: «La smetti e mi fai parlare? Al massimo dici di no,
non è che finisce il
mondo.»
«Ma io ci
voglio uscire con te!»,
farfugliò, muovendo nervosamente le mani di fronte al petto.
Corrugò la
fronte, senza riuscire
a nascondere un sorrisino di pura felicità: sarebbe uscita
con lui! «E allora
cosa c’è che non va?»
«È
che ancora mi devo abituare
all’idea e… ho paura.»
«Paura di
cosa? Non ti mangio
mica!» La riaccolse fra le braccia e le posò un
bacio sulla testa, fra i
capelli.
«Franky che
cosa dirà, come la
prenderà? Lui dice sempre che è contento se lo
sono io, ma sono certa che ci
soffre sotto sotto. E poi… se tra noi non dovesse
funzionare? Io non voglio
perderti anche come amico.»
«Non mi
perderai, te lo giuro.»
Le accarezzò i capelli, con tenerezza. «Per quanto
riguarda Franky, invece…
Sarà difficile, ma lui è forte e
arriverà ad essere veramente felice per te se
lo sarai tu…»
«Ehi, sei
arrossito», gli fece
notare, sfiorandogli una guancia bollente.
«Sì,
beh…»
«Quanto darei
per sapere a cosa
stai pensando!» Fece un sorrisino malizioso che lo
mandò ancora di più nel
pallone e poi lo baciò sulla guancia, quando,
all’improvviso, dalle porte
finestre entrò Franky, perfettamente asciutto nonostante il
diluvio che si era
scatenato fuori.
«Mi dispiace
interrompere il
momento romantico, ma sono un po’ di fretta»,
sorrise strafottente. Fra le
braccia aveva Jole, ferita e senza sensi, e dietro di lui
c’erano due
ragazzine, le vicine di casa di Zoe, che sorrisero guardandola.
«Loro?»,
chiese sbalordita,
guardando prima Franky e poi le due. «Come… Loro
non sono umane?»
«No, sono due
angeli speciali, ma
ora non c’è tempo per le spiegazioni. Dove la
porto?», chiese al cantante.
«In camera
tua», balbettò
indicando le scale.
«La camera
degli ospiti è
diventata mia?
E da quando?»,
sorrise. «Comunque va bene, grazie.» Lui e il suo
gruppo salirono sulle scale e
Bill e Zoe non poterono far altro che seguirlo, insieme a Gustav e
Georg che si
unirono a quello che somigliava tanto ad un pellegrinaggio.
Poggiò la
ragazza sul letto e la
osservò, poi si voltò verso il gruppo dei vivi:
«Per favore, portate degli
asciugamani bagnati e poi…»
«Tom»,
disse flebilmente
l’Intrappolata, stringendo i pugni intorno al copriletto, gli
occhi chiusi e il
viso contratto come se fosse sotto tortura.
«…
chiamate Tom», concluse
l’angelo con un sospiro, per poi tornare a guardarla con
espressione
malinconica.
Gustav e Georg si
diressero verso
il bagno, Bill andò dal fratello, invece Zoe rimase
lì con lui e gli altri due
angeli che aveva sempre creduto fossero due semplici ragazzine umane.
Questa
cosa la sconvolgeva, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare.
«Franky, noi
andiamo», dissero le
due contemporaneamente, come se avessero letto nel pensiero a Zoe, che
le
ringraziò con un mezzo sorriso. Loro ricambiarono
fugacemente e uscirono dalla
finestra, sotto l’acquazzone.
Franky si mise seduto su
una
sedia, al capezzale del fantasma, le mani sotto il mento che reggevano
la
testa, gli occhi puntati sulla sua mano tremante. Zoe si
avvicinò e gli passò
una mano sulla testa, che poi baciò appoggiandola al suo
ventre.
«Si
riprenderà», gli sussurrò
massaggiandogli le spalle.
«Sei piuttosto
benevola, visto che tu la odi.»
Si imbronciò.
«Non è vero che la
odio.» Lui la guardò sollevando le sopracciglia e
ridacchiò, lei dovette
cedere. «Ok, forse un pochino. Ma non per questo devo dire
che non ce la farà,
giusto? Ti ferirei.»
«Uhm.
Sentiamo, che cosa vuoi
dirmi d’altro che potrebbe ferirmi?»
«Potresti, per
una volta, non
leggermi nel pensiero e lasciarmi i miei tempi, grazie?» Era
scocciata e se
fossero stati soli e non di fianco ad un fantasma in pessime
condizioni, non
gli avrebbe risparmiato una bella litigata con tanto di urla e
di
oggetti tirati addosso, che lo avrebbero trapassato.
Franky
sollevò le mani, finto
innocente; poi si chiuse la bocca come se avesse chiuso una cerniera.
«Bill mi ha
chiesto di uscire.»
Pausa di silenzio. «E io ho detto di
sì.» Pausa di silenzio. «Ora puoi
parlare.»
«Ok»,
sorrise sbarazzino. «Però
non saprei che dirti, comunque.»
Roteò gli
occhi al cielo,
spazientita. Doveva proprio dirgli tutto lei! «Tu che ne
pensi?»
Scrollò le
spalle. «Non penso a
niente in particolare.»
«Sei
contento?»
«Dovrei essere
contento io? Ha
chiesto a te di uscire, non a me. Sono contento per te, se lo sei
tu.»
«Uhm…
Sicuro?»
«Sicurissimo.»
Georg e Gustav li
interruppero
entrando nella stanza con gli asciugamani e una bacinella contente
dell’acqua
fresca, con i quali Franky iniziò subito a bagnare
delicatamente le ferite di
Jole, pulendole e facendo sì che si potessero cicatrizzare
più velocemente.
Poco dopo arrivò anche Bill, solo.
«Dov’è
Tom?»
«Non sono
nemmeno riuscito a
farmi aprire la porta», rispose demoralizzato.
L’angelo
sbuffò forte col naso. «Vado
io. Zoe, puoi sostituirmi per qualche minuto?»
«Sì,
ma perché è così importante
la presenza di Tom?»
«Quelle sono
ferite dalle quali
massimo massimo, noi non più vivi, riusciamo a guarire in
dieci minuti nemmeno.
Il fatto è che è lei a non voler guarire.
Sentendolo vicino, magari cambierà
idea.»
Bill, Zoe, Gustav e
Georg si
voltarono verso il fantasma, gli occhi spalancati dallo stupore:
avevano di
fronte a loro un essere che stava cercando il suicidio, il dolore, che
stava
facendo di tutto per non guarire, che rifiutava tutto ciò
che le rimaneva, la
sua anima.
Franky uscì
dalla stanza e
camminò a passo svelto verso quella di Tom, la seconda del
corridoio, non molto
lontana dalla rampa delle scale. Bussò un paio di volte e,
visto che non
ottenne alcuna risposta, si sentì autorizzato ad entrare.
Chi tace acconsente, no?
Lo vide rannicchiato sul
letto,
le spalle rivolte alla porta, lo sguardo perso fuori dalla finestra.
Gli andò
accanto e schioccò la lingua, deluso.
«Certo che ti
sei rammollito
parecchio, eh Kaulitz? Da quando piangi come un bambino?»
«È
inutile Franky, puoi usare
tutte le tecniche vuoi, ma non uscirò da qui.»
«Questo
è quello che dici tu.
Tutte le tecniche che voglio, eh? Ok, te la sei cercata.» Lo
prese per la
maglietta e lo fece cadere a terra, poi si chinò e gli prese
i piedi, iniziando
a trascinarlo verso la porta.
«Franky,
fermati!», gridò Tom
dimenandosi, ma non riuscì a liberarsi dalla sua presa
ferrea.
Sorrise vittorioso.
«Sono
diventato più forte, non trovi? Su, non fare la
femminuccia.»
Il chitarrista si
arrese,
incrociò le braccia al petto e si lasciò
trasportare così per tutto il
corridoio, come se Franky avesse deciso di pulire il pavimento con una
tecnica
del tutto innovativa.
«Lo spazzolone
chitarrista,
carina questa! Forse era ancora meglio quando avevi i rasta: saresti
stato perfetto
per fare il Moccio Kaulitz! Sono troppo simpatico, vero?»
«Come un
riccio nelle mutande»,
borbottò lui e l’angelo si lasciò
andare ad una fragorosa risata, per poi
spegnersi, come se avesse schiacciato l’interruttore
apposito, una volta di
fronte alla camera degli ospiti, dentro la quale c’erano
tutti gli altri,
compresa Jole che si dimenava sofferente, stringendo i denti, spingendo
la
testa all’indietro e graffiando il copriletto con le unghie.
«Tom, che ci
fai per terra?», gli
chiese Gustav.
«Se Franky mi
lasciasse i piedi,
mi alzerei!», lo indicò eloquente e
l’angelo glieli lasciò, lui però non
era
pronto e quindi sbatterono forte sul pavimento, facendolo mugugnare di
dolore.
«Tu hai detto
che dovevo
lasciarti i piedi», scrollò le spalle e si
affrettò a raggiungere Zoe, fin
troppo impacciata nei movimenti. «Dammi, faccio
io.» Le prese gli asciugamani
bagnati dalle mani e li posò delicatamente sulla pelle di
Jole. «Bene, ora che
il signorino ci ha degnati della sua presenza, gli altri possono
andare. Forza,
non c’è niente da vedere, fuori dalle
scatole.»
«Io posso
restare?», chiese Zoe.
«No, vai via
anche tu.»
«Ok»,
bofonchiò e chiuse la fila,
composta dagli altri componenti della band. Nella stanza rimasero solo
Tom,
Franky e Jole.
«Che cosa le
è successo?»,
mormorò il chitarrista e all’udire la sua voce il
fantasma calmò di un poco le sue
convulsioni.
«Tom, continua
a parlare», gli
disse Franky.
«Che cosa?
Scusa, ti ho fatto una
domanda! Perché è ridotta in questo stato? Chi
è che le ha fatto del male?»
Il corpo di Jole si
rilassava
sempre di più, la voce di Tom aveva lo stesso effetto della
morfina. «Bravissimo,
continua così. Toccala.»
«Eh?!»
Franky sbuffò
irritato e gli
prese la mano, la schiaffò in quella di Jole e lei la
strinse lievemente,
tranquillizzandosi definitivamente, tanto che riuscì persino
ad aprire gli
occhi, anche se sul suo viso aleggiava ancora una leggera smorfia di
dolore.
«Tom»,
mormorò. «Tom, fa tanto
male.»
«Che cosa? Che
cosa ti fa male?»,
le chiese, spostandole i capelli dal viso, sul quale iniziarono a
scivolare
delle lacrime. «Jole, dimmi dove.»
«Tutto, fa
male tutto… E quella
voce nella testa… È lei, ti prego falla
smettere», singhiozzò. «Non ce la
faccio più, non ce la faccio più.»
«Che cosa
vuole? Che cosa vuole
la voce nella tua testa?»
Il corpo di Jole si
inarcò
bruscamente, come se fosse appena stato sottoposto ad una scarica
elettrica. «Un
bacio.» Furono le labbra di Jole a parlare, ma la voce non
era la sua: era più
roca, più arrabbiata; era la sua parte malvagia.
«Che cosa devo
fare?!» Tom guardò
Franky disperato, in cerca d’aiuto. La vista gli si
appannò e le lacrime si
condensarono talmente tanto nei suoi occhi che caddero sulla pelle
gelata e
tremante di Jole.
«Non ne ho
idea!», rispose
l’angelo. In quel momento le convulsioni ripresero, ancora
più violente di
quelle precedenti, e si udì urlo soffocato, ma micidiale.
Un bacio. Un bacio. Perché chiede
un bacio? si chiese Franky
frenetico. Un flash gli attraversò la mente: una volta aveva
visto, nei
pensieri, o meglio nei ricordi di Jole, quella richiesta! Aveva chiesto
a Tom un
bacio, un bacio che mai aveva ricevuto. Che fosse quella la chiave per
liberarla, l’ossessione della sua parte malvagia?
«Assecondala!»,
urlò, sperando
ardentemente nella sua teoria.
Tom annuì,
incerto, ma d’altronde
non aveva altra scelta se non quella. Si sporse su Jole e le prese il
viso fra
le mani, le accarezzò le guance, fece un respiro profondo
poi premette le
labbra contro le sue, sperando con tutte le sue forze che funzionasse.
Quel bacio, prima rigido
e
statico, si sciolse lentamente in qualcosa che andava oltre la
tenerezza. Il
corpo di Jole iniziò a guarire in fretta, le ferite si
cicatrizzarono; le
convulsioni smisero di tormentarlo e Franky avrebbe giurato che si
fosse
addormentata, se non fosse stato per la sua mano che si era sollevata
lentamente e aveva accarezzato la guancia di Tom, con
l’eleganza e la
delicatezza di una farfalla. Le labbra di Jole si muovevano lente
insieme a
quelle di Tom e l’angelo, anche in quel caso spettatore
silenzioso, riusciva a
malapena a distinguerle: erano così unite, così
perfette insieme! Due pezzi
dello stesso puzzle che in quel momento si stavano completando a
vicenda.
Allora è vero che un bacio cambia
la vita. Che un bacio può anche
ridonare la vita. Se Tom l’avesse baciata prima, magari, si
sarebbe reso conto
che era lei la ragazza della sua vita, quella di cui innamorarsi
davvero e con
la quale passare tutta la vita.
Ma volte si è troppo ciechi per
cogliere ciò che la vita ci lascia
davanti. Noi guardiamo e passiamo avanti, forse per ambizione, forse
per
distrazione, forse per paura di un futuro già scritto.
Dio, che stupido l’essere
umano.
Dopo attimi che erano
sembrate
ore, sospese ed eterne, Tom si scostò dolcemente e la
guardò: il suo viso era
rilassato e sereno, c’era persino l’ombra di un
sorriso sulle sue labbra. Le
sfiorò la guancia e le sistemò una ciocca di
capelli biondi dietro l’orecchio,
sentendosi al posto giusto e al momento giusto. Però la
tensione e l’ansia
antecedenti lo travolsero: non riuscì a reggersi in piedi e
cadde seduto a
terra, accanto a Franky, scivolato sul pavimento con un sorriso ebete
stampato
in faccia.
«Ce
l’hai fatta», sussurrò,
incredulo.
«Ce
l’ho fatta. Già.» Tom
appoggiò la testa alla parete e respirò
velocemente.
«Com’è
baciare un fantasma?»
«Freddo.»
Si guardarono negli
occhi e scoppiarono
a ridere, nell’euforia e nella loro poca lucidità
dovuta alla stanchezza,
abbracciandosi.
___________________________________
Buon pomeriggio! :)
Allora, che dire… questo capitolo
è un po’ pesantino, ma alla fine pare che si sia
risolto tutto per il meglio. Che
per Jole sia davvero tutto finito? Speriamo!
Passo molto velocemente ai
ringraziamenti perché non mi viene in mente
nient’altro da dire xD
_lile_
: Non si è capito che ti piacciono Tom e Jole xD Non ti
preoccupare, piacciono anche a me da morire e se Tom non fosse stato
così
stupido… Bah, lasciamo perdere! :( In questo capitolo
succede quello che
succede e voglio proprio sapere che ne pensi *-* Spero che ti sia
piaciuto,
visto che è molto centrato su questi due. Grazie mille per
la recensione, alla
prossima! Baci.
Isis 88
: Georg dormiva xDD La richiesta di David è stata
bellissima, sì *-* Jole in questo capitolo è un
po’ caduta, ma non l’ha fatto
apposta, la sua parte cattiva è balzata fuori
all’improvviso :( Ah Zoe deve
preoccuparti molto xD Adesso lei e Bill devono uscire e vedremo che
accadrà xD
Ariadne e Alexandra? Magie xD Grazie a te, a mercoledì! Baci.
Layla
: Zoe si deciderà con chi stare, si spera xD Tom e Jole sono
proprio belli, ma impossibili! Tutte a loro capitano xD Grazie per la
recensione, alla prossima! :)
Tokietta86
: E a chi non piacciono Tom e Jole? *-* Penso di essere
veramente meschina a farveli piacere così tanto, ma lasciamo
stare xD Ora si
svilupperà anche la storia fra Bill e Zoe, andiamo nel vivo,
ma già che Bill le
ha chiesto di uscire è un passo avanti! Sono contenta che ti
sia piaciuto lo
scorso capitolo e spero che questo non sia da meno! *-* Grazie mille
per le tue
recensioni sempre presenti, mi fanno un sacco di piacere! A
mercoledì, baci!
Utopy
: Sei una genietta assai, non posso nasconderlo *-* Gustale e
Frankanna xD “Frankanna” mi ricorda Anna Frank o_O
XD Beh, a parte questo u.u
Questo capitolo mi sembra che tu l’avevi già letto
in parte quando eri da me,
no? E’ successo il patatrack! Ma tutto sembra essersi
sistemato, ora vedremo xD
Dai, Bill le ha chiesto di uscire, è un passo avanti xD Ti
voglio tantissimo
bene anch’io Mond, grazie per la recensione xD SMACK *-* Tua,
Sonne.
Ringrazio anche chi
legge
soltanto!
A mercoledì! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 18 *** I love you ***
18. I love you
Fece un giro su se
stessa,
ridendo, poi si portò le mani sui fianchi e
guardò Tom e Georg seduti di fronte
a lei, sul divano, che le fecero un’approfondita ispezione
con lo sguardo.
«Allora, come
sto?», chiese lei.
«Benissimo!»,
rispose Georg,
estasiato. Tom lo guardò un po’ di traverso, ma
quando incrociò lo sguardo
liquido di Jole sorrise dolcemente:
«Potrebbe mai
starti male
qualcosa?»
Arrossì
impercettibilmente,
abbassando la testa. «Grazie.»
«Prova
questo!» Georg le allungò
uno dei giornali di moda di Bill e le mostrò un abito da
sera blu notte, con il
corpetto a cuore.
«Ok»,
annuì e, dopo averlo
memorizzato, chiuse gli occhi e si concentrò, fino a quando
non le comparve
addosso. Si guardò e si stirò il tessuto lucido
sul ventre, sorridendo. «Non è
decisamente il mio genere», ridacchiò.
«Che ne pensate?»
Georg aveva la bocca
aperta, come
Tom, rimasto completamente senza fiato. Ma come sempre, come ogni volta
che gli
sembrava di essere nella più totale delle
normalità, una vocina fastidiosa,
alquanto pungente, lo stuzzicò ripetendogli che lei era
morta e non
poteva
essere una situazione normale. Inoltre, la malinconia gli
riempì gli
occhi,
ricordandogli che era morta anche… per lui.
«Ehi Tom,
tutto ok?», gli chiese
Jole, abbassandosi un poco sulle ginocchia per vederlo dritto negli
occhi.
«Sì,
tutto a posto», stiracchiò
un sorriso per non farla preoccupare. «È che sono
senza parole, sei stupenda.»
«Ahm…
grazie», mormorò, gli occhi
brillanti. Si sistemò una ciocca dietro
l’orecchio, guardando di sottecchi il
chitarrista, che fece un sorrisetto e le indicò di
avvicinarsi. Lei fece
qualche passo e lui la prese per i fianchi, ridendo se la fece cadere
addosso e
l’abbracciò, stringendola più che
poteva al petto e nascondendo il viso contro
il suo collo.
Georg si alzò
e se ne andò in
cucina per lasciarli da soli, non gli andava di fare il terzo incomodo.
Jole lo
guardò di sfuggita e sorrise, poi si lasciò
cullare da quell’abbraccio e chiuse
gli occhi.
«Sto
gelando», Tom rabbrividì,
facendola ridacchiare. «Però… non
voglio lasciarti.»
Jole si
irrigidì a quelle parole,
presa alla sprovvista da una stretta al cuore, e per fortuna
arrivò Franky che
spezzò quel clima di tensione che si era creato dentro di
lei.
Entrò dalla
finestra solo con la
testa, ridacchiando: «Scusate, posso disturbare?»
Jole sorrise e si
alzò di scatto,
lasciando Tom vagamente sbigottito. «Non ti preoccupare,
vieni!»
Franky entrò
del tutto in salotto
e una volta con i piedi per terra si stiracchiò, alzando le
braccia al
soffitto, e sbadigliò.
«Come mai da
queste parti solo
soletto? Zoe dov’è?», chiese
Tom,
incrociando le braccia al petto,
infastidito.
Ma dico, arriva
sempre al momento sbagliato!
E poi Jole, perché ha approfittato
subito del momento per alzarsi, come se non volesse stare un
po’ da sola con
me? Che nervi. Sempre colpa sua.
Franky lo
guardò sgranando
leggermente gli occhi e il chitarrista si maledì:
perché aveva pensato quelle
cose!? Si tirò uno schiaffo sulla fronte e
scivolò sul divano, come se potesse
davvero scomparire fra le molle.
L’angelo,
ancora un po’
scioccato, scosse la testa al richiamo di Jole, e provò a
sorriderle: «Zoe sta
studiando con un’amica di sua madre, che fa la professoressa.
Deve prepararsi
per gli esami: ha da recuperare il debito d’inglese e quello
di matematica. Io
mi stavo annoiando e così sono venuto qui.» Si
schiarì la voce e si passò una
mano sul collo. «Bill dov’è?»
«Di sopra, te
lo vado a chiamare
se vuoi!» Tom schizzò in piedi e si
girò verso le scale, ma Franky con
velocità impressionante si piazzò davanti a lui e
sorrise bonario.
«Non
ce n'è bisogno, Kaulitz.» Poi,
parlandogli nel pensiero, aggiunse: “E non cercare di fuggire
da questa
situazione imbarazzante, non passerà facilmente. Ti stai
quasi innamorando di
una fantasma, è grave, soprattutto ora
che…”
«Ehi, di che
parlate voi due?»
Jole aveva la fronte corrugata, le mani sui fianchi: una posizione che
gli
ricordò molto Zoe.
«Niente»,
rispose l’angelo. I
lineamenti del suo viso si distesero. «Posso scambiare due
parole con te, Jole?»
Schioccò un’occhiata a Tom. «Da
soli?»
«Ahm…
sì, certo.» Il fantasma si
avviò verso il terrazzo e Franky la seguì, senza
aggiungere altro.
“No, no!
Aspetta, devi finire la
frase!”, gridò Tom mentalmente, ma Franky non lo
calcolò minimamente, preferì
lasciarlo nell’ansia, e si chiuse la porte vetrate alle
spalle.
Cazzo!
«È
successo qualcosa?»
«No, non ti
preoccupare, non è
successo niente.» Sorrise e si mise seduto sul davanzale, lei
lo imitò.
«E allora che
cosa devi dirmi?»
«Come stai,
Jole?»
«Io
sto… sto bene, perché?»
«Intendevo, la
parte cattiva di
te. L’hai più sentita, da quella volta?»
«No,
mai», confermò Jole, decisa.
«Niente di
niente?»
«Assolutamente
niente. Mi sento
sola in questo corpo, per la prima volta. La mia mente è
solo mia, sento
pensieri solo miei; niente più tremori, niente
più lotte. Nulla più assoluto.
Da quando Tom mi ha…»
«Baciata»,
disse Franky per lei,
con un sorriso sulle labbra. Lei ricambiò appena: non era
ancora in grado di
parlare di quel momento, se lo ricordava a malapena, tanto era stata
forte
l’altra presenza dentro di lei. E poi si sentiva in imbarazzo.
Erano passati alcuni
giorni
dall’episodio, Jole si era del tutto ripresa dalle ferite, ma
ancora si sentiva
in colpa per quello che aveva inflitto a Franky, infatti non aveva
più parlato
con Zoe, né lei aveva manifestato il desiderio di
comunicare. Era un silenzio
che le faceva male, soprattutto perché aveva già
i suoi sensi di colpa che la
ferivano.
Con Tom invece si era
instaurato
un legame ancora più forte, oltre che di natura diversa.
Jole non voleva che
accadesse, che lui si sentisse attratto da lei, perché
sapeva che, un giorno…
Abbassò lo
sguardo. «Sì, da
allora non l’ho più sentita.
È… sparita.»
«Sai che vuol
dire, vero?» Franky
la guardò e lei annuì, senza ricambiare lo
sguardo. «Sono stato di sopra,
stamattina, prima di venire qui. Ho chiesto a San Pietro che cosa
succederà,
gli ho parlato di te, della tua
“guarigione”…»
«E che ti ha
detto?» Fu quasi un
sussurro. Non voleva lasciare la Terra, non dopo aver conquistato quel
posticino a cui aveva tanto ambito da viva, accanto a Tom. Non voleva
lasciare lui.
«Mi ha
spiegato che, prima di
fare diagnosi affrettate, dovrai sottoporti a delle specie di esami che
confermeranno o smentiranno la tua guarigione e, nel caso tu non sia
davvero
più un’Intrappolata, potrai decidere che fare
della tua “vita”.»
«Potrei
scegliere se reincarnarmi
oppure diventare angelo custode… quelle cose
lì?»
«Sì.»
Rimasero in silenzio per
qualche
minuto, Jole si perse fra i suoi pensieri e Franky non provò
nemmeno a seguirne
il flusso, le posò un dito sotto al mento e le
sollevò il viso per guardarla
negli occhi:
«So cosa vuol
dire, ho vissuto
mesi nella consapevolezza che prima o poi me ne sarei andato, senza
volerlo
realmente. Il fatto è che anche tu dovrai andartene, a meno
che tu non scelga
di diventare un angelo custode come me. Jole, devi parlarne con Tom,
anche se
fa male, anche se non vorresti andartene, anche se non vorresti
lasciarlo.»
«Lo so,
Franky, lo so. Ma se non
dovessi farcela?» Una lacrima le scivolò lungo la
guancia, seguita a ruota da
un’altra.
«Ce la devi fare,
Jole. Se lasci che si
affezioni ancora di più,
lasciarti gli farà ancora più male, come ne
farà a te, dovendo lasciare tutto
ciò che hai desiderato.»
«Hai ragione.
Sarebbe una
sofferenza ulteriore per entrambi. Ma è
così… difficile…»
«Se vuoi
possiamo parlargliene
insieme.»
«Grazie
Franky, ma… forse è
meglio se me ne occupo io, da sola.»
«Ok,
però se hai bisogno di aiuto
sappi che io ci sono», le fece l’occhiolino e lei
rise. «Ora è meglio se
torniamo da Tom, mi sta insultando più o meno
mezz’ora.»
Rientrarono dentro e
trovarono
Tom intento a fare un po’ di zapping, annoiato, svaccato sul
divano.
«Guarda
Franky, questo ti
assomiglia.» Indicò un ragazzino, un certo Justin
Bieber, che stava “cantando”
e si stava “muovendo” nel suo nuovo video musicale.
A Franky venne naturalmente
un’espressione di puro disgusto sul viso.
«Scusami, in che cosa
mi assomiglia, precisamente?»
«Precisamente
in niente», ridacchiò beffardo.
«Però mi ricorda te.»
«Che schifo,
è un bambino che
puzza ancora di latte», bofonchiò e
provò ad imitare qualche sua mossa di
quello che molto probabilmente quel tizio definiva un ballo.
«Tanto che se vedi
una foto di lui da piccolo è uguale ad adesso!»,
sogghignò, prima di gettarsi
accanto al chitarrista.
«Di che avete
parlato?», chiese
lui, incrociando le braccia al petto.
«Niente di
che, non ti
preoccupare», disse Jole, poi si sedette sulle sue gambe e lo
strinse forte a
sé, anche se era parecchio impacciata ed imbarazzata.
Dopo questa, eccome se mi preoccupo,
pensò Tom, ma non l’allontanò
da sé, anzi le massaggiò la schiena con le mani,
cercando di riscaldarla, ma era
inutile: il suo freddo era penetrante.
Il campanello
trillò e Georg uscì
dalla cucina, guardò il trio spaparanzato in salotto e
alzò una mano,
sorridendo: «Tranquilli, ci pensa Georg!»
«Grazie,
Hagen!», incorarono
tutti e tre, per poi sghignazzare alla sua smorfia.
Aprì la porta
ed entrarono
Gustav, Bill e Zoe; gli ultimi due, stravolti, si tenevano a braccetto.
«Zoe, che ci
fai qui?», chiese
Franky sorpreso. Lei si staccò frettolosamente dal cantante,
come se avesse
commesso un reato, si ficcò le mani nelle tasche e
stiracchiò un sorriso.
«Ho appena
finito di studiare
matematica. Stavo venendo qui e ho incontrato Bill e Gustav, che mi
hanno dato
uno strappo.»
«E tu Bill,
come mai così
afflitto?», chiese Jole.
«David ci ha
confermato che
domani abbiamo quel concerto là, organizzato dagli sponsor.
Non ce la posso
fare!», sbuffò e si lasciò cadere sul
divano, dal quale si dovette alzare
Franky per non essere schiacciato. «E tu come mai hai quel
vestito addosso?»,
corrugò il sopracciglio.
Jole si
guardò e si accorse di
essere ancora in abito da sera, l’ultimo che aveva provato in
quella specie di
sfilata. Arrossì d’imbarazzo, coprendosi e
levandosi da Tom, che aveva la bella
vista, e lui scoppiò a ridere, portandosi un braccio sugli
occhi.
«Non
c’è niente da ridere,
idiota!», gridò lei, concentrandosi per tornare
con i suoi abiti, ma non fece
in tempo, perché lui scattò in avanti e la prese
per la vita, prendendosela
sulla spalla e portandosela in giro come un sacco di patate.
«Tom, lasciami
giù! Ti prego!»,
cercò di liberarsi, ma lui rideva e non aveva alcuna
intenzione di lasciarla
andare, anche perché non pesava niente ed era abbastanza
facile tenerla. «Non
costringermi a farlo.»
«Fare
cosa?», le chiese.
«Questo.»
Jole sparì dalle sue
braccia e comparve seduta in mezzo al tavolo, a gambe incrociate.
Addosso aveva
di nuovo i pantaloncini corti e la maglietta.
«Sai
teletrasportarti!», esclamò
meravigliato. «Non lo sapevo!»
«Adesso lo
sai. Ora, mi fai
rispondere alla domanda di Bill? Poverino, è lì
da mezz’ora che aspetta. Volevi
sapere perché indossavo quel vestito?»
«Sì,
è abbastanza insolito.»
«Prima ci
siamo messi a giocare a
fare le sfilate», spiegò Tom.
«Cioè, non io… ci mancherebbe altro!
Jole
guardava gli abiti sulle riviste e se li copiava addosso.»
«Wow, che
figata!» Bill aveva gli
occhi brillanti. «Puoi indossare tutti i vestiti che vuoi,
senza nemmeno
andarli a comprare! È… è…
meraviglioso! Voglio anche io questo potere!»
«Sì,
però la parte più bella non
l’ha fatta.» Il gemello si imbronciò,
con tanto di labbrino.
«TOM! ERA LA
SEZIONE D’INTIMO!»,
urlò Jole scandalizzata, coprendosi il viso con le mani.
Tutti scoppiarono a
ridere,
Franky compreso, anche se con minor vigore: guardandoli insieme, si
accorse che
non sarebbe stato facile dividerli; il chitarrista, ne era certo,
avrebbe fatto
carte false per tenerla lì con sé. Ormai, lui,
era totalmente andato:
nonostante gli avvertimenti, nonostante sapesse che non doveva,
nonostante
cercasse di rinnegarlo a tutti, persino a se stesso, si era innamorato.
«Tom non
cambia mai, fattene una
ragione», disse Zoe scuotendo la testa, un sorriso divertito
sulle labbra.
«Arriva lei,
che si è fatta mettere
il debito in inglese! Sei un’ignorante!», le
gridò scherzosamente, per poi
prendere in spalla pure lei, con un po’ più di
difficoltà.
«Come se tu
fossi più tanto più
bravo di me! Idiot!»
«I’m
the best!»
«Don’t
say…
cazzate! Your
head is full of… segatura! You don’t
have a… cervello! You think with
your… your…»
«Zona
inguinale», disse Bill.
Ci fu un momento di
silenzio e poi tutti scoppiarono a ridere; Jole
si mise seduta di fianco all’angelo, sorridente.
“Tutto
ok?”, gli chiese.
“Sì,
pensavo soltanto.”
“A che
cosa?”
“Anche io,
prima o poi, dovrò
lasciare Zoe.”
“Ce la
faremo?”
“Spero tanto
di sì.”
“Anche
io.”
Sospirarono
contemporaneamente,
ma nessuno se ne accorse, troppo immersi in quell’aria che
profumava vagamente
di serenità.
***
Sospirò e
alzò lo sguardo verso
il cielo ancora chiaro, punteggiato dalle prime stelle. Era fuggita da
Tom un
po’ di tempo prima, non sapeva precisamente da quanto tempo
era seduta lì fuori
a pensare, ma non era mai fuggita mentalmente da lui: era il centro
intorno al
quale tutti i suoi pensieri ruotavano ed era improbabile che
cambiassero asse.
«Ehm…
ciao.»
Si girò di
scatto, sorpresa, e
guardò Zoe con le mani nelle tasche, lo sguardo rivolto
verso il pavimento.
Sembrava… intimidita.
«Ciao»,
sussurrò Jole. Non se lo
aspettava. «Posso aiutarti?»
«Sì,
perdonandomi.» Fece un
respiro profondo e continuò da sé, avvicinandosi
un po’ di più alla ragazza,
seduta di sbieco sul muretto: «Non ti ho mai vista di buon
occhio, prima per
una ragione, poi per un’altra… Insomma, non mi sei
mai piaciuta, ma erano tutti
giudizi da bambina stupida, superficiali. Volevo scusarmi, per il mio
comportamento a volte scontroso. Ho capito la tua situazione, Franky mi
ha
spiegato più volte come stavano le cose, ma non ho mai
voluto dargli retta sul
serio. Questa sera, quando ti ho vista giocare con Tom, ho capito che
lui tiene
tanto a te e così… visto che io tengo tanto a
lui, volevo chiederti scusa,
tutto qui.»
Jole sorrise, addolcita.
«Non hai
di che scusarti, davvero. Tutte le tue reazioni erano comprensibili e
le colpe
sono anche mie, sai. Avrei dovuto stare più attenta, avrei
dovuto… riflettere,
prima di commettere certi errori che adesso sto pagando sulla mia
pelle.»
«Come…»
«Sì,
io… insomma, anche per
quello l’ho fatta finita. Pensavo che non avesse
più senso, se lui aveva
un’altra e non volesse più vedermi. Invece era
tutto un equivoco e io mi sento
tanto stupida… A quest’ora, se fossi stata
più intelligente, avrei ancora una
vita, avrei potuto fare… che ne so. Avevo tanti sogni, ma li
ho buttati tutti
via. Franky mi ha fatto capire molte cose, mi è stato tanto
vicino, sei
fortunata.»
«Sì,
lo so», mosse il piede
avanti e indietro, sfregandolo sul pavimento. «Mi dispiace,
per l’equivoco.»
«Non ti
preoccupare.»
«Potremmo…
sì, pensavo… potremmo
anche essere amiche, io e te.»
«Mi farebbe
tanto piacere, Zoe.»
Sorrise commossa. «Meglio tardi che mai.»
La mora
sollevò la testa di
scatto e la guardò per la prima volta negli occhi,
accorgendosi della loro luce
al chiarore del sole che ancora tardava a tramontare nonostante
avessero già
finito di cenare da un pezzo. «Tardi?» Un nodo le
serrò la gola, quasi non
riuscì a pronunciare quell’unica parola.
Jole sospirò
afflitta, tornando a
guardare il sole all’orizzonte. «Non è
che abbia tutto questo tempo ancora.»
«In…
in che senso?» Una lieve
preoccupazione iniziò ad insediarsi dentro di lei,
all’altezza del cuore, che
le fece venire i brividi, come uno spiffero gelido intrufolatosi da
sotto la
porta. Che anche Franky avesse un limite di tempo? Seppure con fatica,
riuscì a
concludere la domanda: «Te ne devi andare?»
«Sì»,
annuì dispiaciuta. «Non
devo andarmene subito, però…»
«Quando?»
«Forse fra
qualche giorno, non lo
so con precisione. Franky mi accompagna.»
Zoe, spinta da un moto
di
malinconia, trasmessa da quegli occhi tanto belli quanto espressivi, si
avvicinò ancora un po’ e
l’abbracciò, poggiando il viso al suo braccio.
«Mi
dispiace di essere arrivata così in ritardo, non
pensavo…»
«Non fa
niente, l’importante è
che ci siamo chiarite, no?», le accarezzò i
capelli.
«L’hai
già detto a Tom?»
«No, devo
ancora farlo. Non so
assolutamente come. E ho paura. E… e non voglio
lasciarlo.»
«Ci verrai a
trovare, giusto? Non
è un addio.»
«No, prima
di… fare qualsiasi
cosa, verrò a salutarvi per bene.»
«Ok»,
tirò su col naso.
«Ehi.»
La voce di Franky si fece
spazio nel silenzio e si voltarono verso di lui, alle porte finestre,
che
sorrideva: doveva aver ascoltato tutta la conversazione.
«Zoe, andiamo? Si sta
facendo tardi.»
«Sì,
adesso arrivo.» Si voltò
verso Jole e le sorrise lievemente: «Buona fortuna con Tom,
poi fammi sapere,
mi raccomando.»
«Va
bene», annuì serena.
«Buonanotte.»
«Anche a
te.»
Franky le fece
l’occhiolino,
felice per quella pacificazione, e la salutò con un cenno
della mano, poi
rientrò nel salotto con Zoe, tenendole un braccio intorno
alle spalle. Era
contento che quelle due si fossero finalmente parlate, era ora!
«Sei
contento?», gli chiese la
sua ex, guardandolo.
«Molto.»
Ridacchiò.
«Non si era capito.»
«Andate?»,
chiese Bill, lanciando
il telecomando sul divano ed alzandosi, stirandosi la maglietta sul
petto.
«Sì.
Grazie per la serata.»
«Prego»,
ricambiò il sorriso. «Prima
che tu vada, Zoe… Possiamo parlare un attimo?»
Il frontman e la ragazza
guardarono Franky, che stava guardando con totale indifferenza il
soffitto, le
mani nelle tasche dei pantaloni. Quando si accorse dei loro sguardi,
sbuffò e
se tornò fuori, da Jole, ancora seduta sul parapetto, le
gambe a penzoloni nel
vuoto.
«Mica dovevi
andare via con Zoe?»,
gli chiese ridendo.
«Sì,
solo che Bill voleva
chiederle quando voleva uscire con lui e mi hanno fatto andare
via.»
«E li stai
ascoltando?»
«No»,
sbuffò e si sedette al suo
fianco.
«Questa cosa
mi sorprende. Come
mai?»
«Non voglio
più mettermi in mezzo
fra loro, creerei solo casini. Piuttosto, hai intenzione di dirlo
stasera a
Tom?»
«Sì,
penso di sì… Ho paura.»
«Non ti
preoccupare, dai. In
qualche modo capirà.» Le massaggiò il
braccio. «Io direi di partire la mattina
dopo il concerto di domani. Così hai più tempo
per salutare tutti e…»
«Va
benissimo.» Sorrise. «Grazie
Franky.»
«Non mi devi
ringraziare, non ho
fatto nulla di speciale.» Scrollò le spalle e
saltò giù dal muretto, quando
nello stesso istante Zoe uscì fuori per chiamarlo, con un
sorrisetto sulle
labbra.
«Ciao Jole, ci
vediamo domani!»
La salutò e poi, finalmente, si diressero verso casa di Zoe,
camminando
lentamente.
«Allora?»,
zampettò la ragazza,
guardandolo in viso curiosa.
«Che
cosa?», chiese Franky, come
se non sapesse ciò che stava aspettando con impazienza.
«Non mi chiedi
niente?»
Ridacchiò e
chiese, atono: «Cosa
ti ha detto Bill?»
«Quanto
interesse!» Fece la finta
offesa, ma dopo tre secondi nemmeno incominciò a parlare,
senza che Franky
aggiungesse altro. «Alla fine usciamo dopodomani, visto che
domani c’è il
concerto. Oh mio Dio, sono emozionata. Non mi ha voluto dire niente,
è una
sorpresa. Tu sai che cos’ha in testa?»
«No,
niente», sogghignò.
«Non
è vero, tu lo sai! Ti prego,
dimmelo!», lo strattonò per un braccio,
scatenandogli
una risata fragorosa.
«Non te lo
direi nemmeno se mi
pregassi in ginocchio. Dai Zoe, devi aspettare solo qualche
giorno.»
«Uff,
ok», incrociò le braccia al
petto. Franky le sorrise e le avvolse le spalle con un braccio, poi le
stampò
un bacio sulla testa.
«Sono molto
contento per te, sai?»
«Mi fa
piacere», sospirò.
«E sono anche
contento per come
hai saputo sistemare le cose con Jole. Credevo di doverti fare un altro
discorsetto, ma mi hai preceduto e hai fatto tutto da sola! Sono
orgoglioso di
te, piccola.»
Sorrise fiera, rizzando
le
spalle. «Grazie. Lo trovavo giusto, Jole è una
brava ragazza. Non si meritava
tutto quello che le è successo.»
«Già,
proprio no.»
«Ma come mai
se ne deve andare?»
Deglutì rumorosamente, in ansia: non voleva ricevere una
risposta, temendola,
ma d’altra parte la voleva perché doveva capirci
chiaro in tutta quella
vicenda, visto che ci era in mezzo.
«Diciamo che
deve fare degli
esami per vedere se effettivamente la parte malvagia dentro di lei
è sparita.»
«Quindi
tornerà, giusto?»
«Sì,
tornerà.» Sorrise debolmente
e Zoe sentì un sapore amaro in bocca, tanto che
abbassò gli occhi.
Arrivarono a casa e la
ragazza salutò
sua madre ed Heinz, poi disse che andava a dormire perché
era stanca e il
giorno dopo avrebbe avuto molto da fare, tra cui anche sostenere i
ragazzi per
il concerto. Gli augurò la buonanotte e andò in
bagno, dove si infilò il
pigiama e si lavò i denti, senza pensare a niente in
particolare, poi raggiunse
Franky, già seduto sul letto, lo sguardo perso fuori dalla
finestra, dalla
quale i deboli raggi della luna entravano ad illuminare la stanza buia.
In silenzio si
accucciò al suo
fianco e, appoggiata con il viso alla sua spalla, contro il suo collo,
chiuse
gli occhi. Franky sorrise quando sentì le sue labbra
sfiorargli la pelle, e le
avvolse la schiena con un’ala.
«La
verità è che anche tu, come
Jole, prima o poi te ne andrai, vero?», mormorò.
Com’era
perspicace la sua
piccola. Forse lo conosceva solo troppo bene, tanto che non riusciva
più a
nasconderle niente. Riusciva a leggergli dentro senza alcuna
difficoltà. E dire
che non era nemmeno telepatica.
Franky
accennò un sorriso e le
baciò la fronte: «Preoccupiamoci del presente. Al
futuro ci penseremo.»
Zoe, in un improvviso
dormiveglia
causato sicuramente da qualche potere di Franky, capì che
dietro la sua
risposta c’era un «Sì», che
non la rasserenò per niente. Ma la sua magia era
più forte: scacciò ogni pensiero e le fece
chiudere gli occhi.
***
Rimase lì da
sola a pensare
ancora per un po’ e quando fu pronta, salì al
piano di sopra, dove doveva
esserci Tom. Salendo le scale, però, si rese conto di non
essere per niente
preparata: quel piccolo discorso che si era costruita in precedenza era
svanito
nel nulla, avvolto dalla nebbia; andava lì solo con cosa
doveva dirgli, senza sapere come
farlo.
Bussò alla
porta, guardandosi i
piedi, e quando vide quelli di Tom ridacchiò e
sollevò il viso. «Ciao.»
«Ciao,
perché hai bussato?»
«Io…
dobbiamo parlare.»
«Ok.»
Annuì titubante e la fece
entrare, poi chiuse la porta. «È qualcosa di
brutto?»
«Dipende dai
punti di vista.»
Si mise seduta sul
letto, il
cuscino fra le braccia e le gambe incrociate per il nervosismo.
Guardò il
ragazzo di fronte a sé e ne rimase quasi incantata: non si
era accorta che
addosso aveva solo dei miseri pantaloncini neri! Lo guardò
per diversi istanti,
rapita dai suoi addominali scolpiti, poi distolse lo sguardo,
imbarazzata.
«La cosa
inizia a preoccuparmi.
In effetti è da quando è arrivato Franky che sei
strana.»
«Sì,
insomma… è che lui mi ha
ricordato che dovevo dirti questa cosa. È un po’
complicato, quindi se cerchi
di non distrarmi è meglio.» La guardò
interrogativo. «Mettiti una maglietta!»
«Oh»,
sogghignò e se ne infilò
una bianca, larga, che nascose tutto quel bendiddio. Si mise sdraiato
accanto a
lei e la tirò giù con sé,
appoggiandosela al petto. «Così va
meglio?»
«Sì,
grazie», mormorò la bionda.
Iniziò a
giocherellare con un
lembo della maglia, senza sapere da dove cominciare. Si mordicchiava il
labbro,
nervosa. Non sapeva come avrebbe reagito: se non l’avesse
presa bene cosa
avrebbe fatto? L’avrebbe consolato? Si sarebbe arrabbiata?
Avrebbe fatto di
tutto per renderlo felice, per accontentarlo?
«Jole»,
le prese il viso fra le
mani e la guardò negli occhi, serio come poche volte
l’aveva visto. «Mi stai
facendo preoccupare. Mi spieghi che cosa c’è che
non va?»
«Tom,
io… come faccio a
spiegartelo, è così difficile!» Si
tirò su, si coprì il viso con le mani e un
singhiozzo le sfuggì dalle labbra, seguito da un altro.
«Ehi,
shhhh.» La prese fra le
braccia e la cullò, stringendola forte al suo petto, per
cercare di calmarla. «Non
piangere, ci sono qui io. Dimmi quello che non va, lo risolviamo
insieme!»
«Il problema
sono io!»
«Che
significa? Non ci sto
capendo niente!»
Lo guardò
negli occhi, nonostante
le lacrime continuassero a rigarle il viso. «Io devo tornare
in Paradiso e per
un po’ di tempo non ci vedremo.»
Tom rimase senza fiato
all’udire
quelle parole. Certo, non era un dramma, sarebbe stato solo un
po’ di tempo,
non l’eternità, ma chi gli assicurava che un
giorno non sarebbe dovuta andare
via per sempre? C’era anche quello, dietro al significato di
quella frase
struggente. Era nascosto, impercettibile, ma altrettanto insidioso e
tagliente.
Aumentò la
presa intorno al suo
corpo freddo, tanto che la sentì quasi sfuggire.
«No, non puoi andartene!»
«Sapevo che
avresti reagito così»,
singhiozzò e gli accarezzò le guance,
freneticamente. «Non sarà per sempre, ok?
Solo… solo per un po’, fino a
quando…»
«E poi, dopo
che sarai salita su?
Che cosa succederà? Tornerai?»
«Sì,
certo che tornerò! Però… non
potrò fare su e giù per sempre,
arriverà il momento in cui… Non andiamo troppo
avanti, manca tantissimo tempo ancora.»
«Ma tu te ne
andrai, Jole! Te ne andrai e
io non voglio che tu mi
lasci!»
«Tom»,
sussurrò. «Tom, è solo per
poco e verrò a trovarti appena potrò, ok?
È inutile fasciarsi la testa ora,
ancor prima di essersela rotta.»
Il chitarrista scosse la
testa e
affondò il viso fra i suoi capelli, stringendola forte. Lei
ricambiò la
stretta, confortata da quel calore, e gli massaggiò la
schiena.
«Quando
partirai?», le chiese
dopo un po’ di silenzio. Un silenzio bello, pieno di parole
che nessuno dei due
però era ancora in grado di pronunciare all’altro.
«Dopodomani.
Non mi perderei mai
il vostro concerto.»
«Suonerò
per te, allora.»
Si guardarono negli
occhi e Jole
sorrise, sfiorandogli il collo con le dita.
«Grazie.» Si avvicinò per baciarlo
sulla fronte, ma lui si scostò, allarmato.
«Non ci
provare nemmeno! Non
voglio addormentarmi ora!»
«Non volevo
farti addormentare»,
incrociò le braccia al petto, offesa. Era così
tenera quando si imbronciava,
tanto che Tom si sentì in colpa per non averle dato fiducia.
«Ah,
allora… allora puoi», disse
frettolosamente e lei sorrise smagliante, gli prese il viso fra le mani
e lo
baciò con delicatezza sulla fronte, restando lì
vicina a lui per qualche
istante. Tom ricambiò il sorriso e sbuffò
innervosito, prima di cadere steso
sul cuscino, addormentato.
***
I ragazzi, nervosi
quanto
emozionati, come sempre, si infilarono gli auricolari nelle orecchie e
sorrisero a Zoe, poi salirono sul palco, pronti per incominciare quel
concerto
fuori stagione. Gli sponsor avevano insistito tanto e David,
ammorbidito dalla
sua bella e dai preparativi per il matrimonio, aveva ceduto. Nonostante
tutto i
fans accorsi erano molti e ora se ne stavano lì trepidanti
ad aspettare
le loro rockstar, gridando e agitando gli starlight nel buio che era
sceso
sulla
sala.
Cominciarono con Noise
e pian piano la tensione scemò,
mentre ogni tanto con lo sguardo fissavano il soffitto, sorridendo.
Avevano due
spettatori speciali quella sera: Franky e Jole erano appollaiati ai
tralicci dei
riflettori, che osservavano lo spettacolo dall’alto,
l’ultimo prima della
partenza del fantasma.
Tom stava dando il
massimo, come
aveva promesso stava suonando per lei, ogni nota era per lei. Bill era
in
ottima forma, al contrario dei suoi pronostici se la stava cavando alla
grande.
Gustav era carico e Georg pure, muovendosi sul palco persino
più del solito,
con la stessa frequenza del chitarrista esagitato.
«È
magnifico», mormorò Jole, gli
occhi brillanti. «Mai visto un concerto migliore di questo. E
io ne ho visti
tanti, posso giurarlo.»
«È
il loro modo per salutarti»,
le spiegò Franky, solare.
«Non potevano
farlo in un modo
migliore.» Anche se in quel momento era felice, non
poté impedire ad un sorriso
amaro di comparire sulle sue labbra. «Non so se puoi capirmi,
ma mi sento
davvero contraria alla partenza.»
«Ti sei
affezionata molto a loro,
è ovvio che non vuoi lasciarli. Soprattutto Tom.»
Sospirò.
«Già.»
Franky posò
lo sguardo sul palco
e sorrise vedendo i ragazzi esibirsi in una versione acustica di Humanoid,
seduti sugli sgabelli al
centro del palco. La voce di Bill era un concentrato di pura emozione;
Tom, con
la chitarra in grembo e gli occhi socchiusi, era un piacere per gli
occhi, ma
anche per le orecchie.
«Ce la farai,
Jole. Ne hai passate ben di
peggiori.»
«Sentirò
molta nostalgia, lo so.»
Calò di nuovo
il silenzio fra
loro e alla fine della canzone le fans si misero a gridare,
così forte da
riuscire ad infastidire i loro uditi fini. Poi Bill introdusse la
canzone
successiva e Tom incrociò lo sguardo dell’angelo,
con un sorriso che nascondeva
anche una punta di amarezza: Phantomrider,
la sua canzone per eccellenza, anzi la canzone che ora apparteneva
anche a
Jole, per ovvi motivi.
«Oh mio Dio,
amo questa canzone»,
Jole si portò le mani al petto, commossa. «E ora
la capisco ancora di più, sai?»
«Sì,
lo so», ridacchiò. «Mi
concedi questo ballo?»
«Che
cosa?» Stupita, si voltò
verso di lui, che con sguardo sbarazzino la prese per mano e la
trascinò con sé
in mezzo al palco, illuminato da poche luci soffuse.
La folla di fronte a
loro
sembrava sospesa, per un attimo aveva smesso persino di respirare.
Forse era
solo una sensazione, ma quando Jole si girò verso i ragazzi,
seduti sugli
sgabelli, che stavano già suonando quella canzone
commovente, sentì il proprio
cuore di fantasma esplodere.
Tom aveva lo sguardo
chino sulla
propria chitarra acustica, della quale pizzicava le corde con dolcezza;
Bill
sorrideva, cantando; Georg anche, concentrato sulle note; e Gustav
semplicemente
dettò il ritmo, che si unì perfettamente a quello
dei battiti del suo cuore.
Franky le sorrise e
lì, di fronte
a tutti – anche se a vederli erano ben in pochi, tra cui
anche Zoe, dietro le
quinte, che aveva le lacrime agli occhi per l’emozione del
momento – la strinse
a sé e iniziò a ballarci un lento, dirigendosi
sempre di più verso la
passerella al centro della fossa.
«Tu sei pazzo,
Franky», mormorò
Jole, con la voce che le tremava.
«Lo so, che ci
posso fare?»,
sospirò e le accarezzò i capelli. «So
che questo non è un addio, però… sai
Jole, forse non te ne sei resa conto, ma sei stata veramente
importante. È
stata davvero una fortuna incontrarti. E pensare che se tu non avessi
perso il
permesso per scendere non ti avrei mai conosciuta… O meglio,
sì, però… Mi hai
aiutato tanto, in certi momenti, e penso che un grazie non sia
sufficiente,
davvero. Non sono mai stato bravo con le parole, ma almeno volevo
provarci. Grazie
mille di tutto.»
«Franky…
Tu che ringrazi me?
Questo è il colmo. Sono io che ti devo tutto. Senza di te
non sarei qui, ora.
Non starei bene. Forse avrei commesso un’altra delle mie
cavolate. Tu sei un
angelo, uno vero. E ti voglio un bene dell’anima, lo
giuro.»
«Anche io ti
voglio bene, Jole.»
«Tornerò
a trovarvi presto.»
«Promettilo.»
«Lo
prometto.»
[Hey!
I’m here with you
I am here, here
Leave me alone
Phantom rider
Always die on their own]
Soffocò
quelle poche lacrime che le
tracciarono il viso contro la sua spalla e tirò su col naso
alle ultime note
che si espandevano nell’arena facendo tremare i cuori di
tutti i presenti, in
un attimo in cui il tempo sembrò svanire per Tom e Jole, che
si guardarono
negli occhi sorridendo impacciati ed imbarazzati.
***
«Siete stati
davvero magnifici
stasera, ci potete giurare!»
«Grazie»,
rispose Bill con un
sorriso a trentadue denti sul viso. «È stato molto
emozionante vederti ballare
con Franky.»
«Già»,
ridacchiò Tom, malizioso,
rivolgendosi all’angelo. «Se quello può
essere definito ballare.»
«Adesso cosa
fate?», chiese
Georg.
«Io direi di
portare a casa
questo sacco di patate», sorrise fissando Zoe, appoggiata a
lui con la guancia
sulla sua spalla, addormentata. Aveva fatto tutto lei, quella volta
Franky non
c’entrava. Era davvero molto stanca, era stata una giornata
piena di emozioni e
il concerto ne era stato la conclusione. «E poi domani
mattina…»
«Già,
domani mattina…», riprese
Jole, ma nemmeno lei riuscì a concludere quella frase che
faceva tanto male.
Incrociò per un attimo lo sguardo di Tom e lo vide abbassare
gli occhi,
sospirando.
«Ma…
torni, vero?», chiese Bill,
preoccupato.
«Sì,
certo che torno», rispose
dolce.
L’automobile
si fermò sotto il
palazzo dei Tokio Hotel e una volta scesi, ripartì,
lasciandoli nell’oscurità
di quella notte silenziosa.
«Bene, allora
io… vado», disse
Franky prendendo Zoe, in un dormiveglia, fra le braccia e rendendola
invisibile. «Ci vediamo domattina, Jole.»
«Sì»,
abbassò lo sguardo. «Buonanotte.»
«Anche a te.
Ciao ragazzi,
buonanotte.» Non aspettò la loro risposta, solo
guardò Tom di sfuggita, poi
aprì le ali e schizzò in cielo, diretto verso la
casa di Zoe.
Anche gli altri
tornarono a casa
e si diradarono quasi subito, infatti ognuno si chiuse nella propria
camera.
Tom e Jole, dunque, si ritrovarono soli in quella del chitarrista, che
prese la
sua Gibson e si mise a comporre una melodia, seduto sul letto. Jole, al
suo
fianco, rimase ad osservarlo in silenzio, fino a quando lui non
sospirò e
lasciò perdere, cercando conforto nelle sue braccia fredde
ma accoglienti e
rassicuranti.
Infilò una mano tremante sotto
la sua maglia e sfiorò la sua pelle gelida, mentre con il
naso
tracciava il profilo del
suo collo. Il fantasma si irrigidì quando
percepì il suo respiro accelerare
assieme ai battiti del suo cuore. Tom la strinse ancora un
po’ di più a sé, poi
incominciò a baciarle il collo lievemente, con calma e con
tenerezza.
«Tom, che cosa
stai facendo?»,
gli chiese, spaventata.
Non si degnò
nemmeno di
risponderle, le accarezzò la schiena e le levò la
maglietta con un gesto secco,
allora Jole si tirò indietro, coprendosi con un braccio.
«Jole…»
Implorante.
«Tom.»
Seria.
«Jole…»
Ancora più implorante.
«Tom.»
Ancora più seria. Non gli
permise di pronunciare ancora una volta il suo nome, lo precedette:
«Non… non
si può!»
«E chi lo
dice?», sbottò,
innervosito. La prese di nuovo fra le braccia e provò a
baciarla sulle labbra,
ma lei gli sfuggì ancora e si teletrasportò
dall’altra parte del letto, alle
sue spalle.
«Un
po’ di logica, lo dice! Sono
un fantasma, cazzo!», gridò, con i lucciconi sotto
gli occhi. Tom non l’aveva
mai vista così, si sentì profondamente scottato,
tanto che si tirò indietro, in
colpa.
«Tom»,
pronunciò il suo nome
lentamente, socchiudendo gli occhi per non cedere, stringendo le mani
sulle
gambe. «Non sai quanta fatica mi costi, essere qui
e… e non poterti avere come
avrei potuto da viva, ma il punto è proprio questo: io non
sono più viva. Io
sono morta. Ti rendi conto che il mio corpo è in una bara,
sotterrato sotto una
lapide e qualche metro di terra, in un cimitero? Non ti fa…
impressione, stare
qui a baciare qualcuno che in realtà non dovrebbe esistere,
qualcuno che è
legato ad un corpo ormai morto?» Persino lei aveva ribrezzo.
«No.»
Alzò di
scatto lo sguardo e trovò
quello concentrato di Tom, così intenso da metterla in seria
soggezione. «No?»
«No»,
ripeté convinto. Incatenò
gli occhi con quelli di Jole e si avvicinò, prendendole le
mani fredde nelle
sue grandi e calde: «No, perché io non…
non mi sono… innamorato di quel corpo,
ma di te. Te. Fantasma, essenza, spirito che tu sia…
È di te che mi sono
innamorato.»
«Tu non puoi
esserti innamorato
di me», balbettò in un sussurro, gli occhi
stracolmi di lacrime.
«E
perché no? Che teoria vuoi
tirar fuori, ora? Non posso innamorarmi di chi voglio, quando cavolo mi
pare?»
Si alterò, il suo viso si arrossò un poco, ma il
suo sguardo caldo e sincero
rimase lo stesso.
«Non sto
dicendo questo, sto
dicendo soltanto che è… assurdo. Non potevi
innamorarti prima?! Ho voglia di
picchiarti!»
«Anche io ho
voglia di picchiarmi»,
mormorò. «Sono così arrabbiato con me
stesso per tutto quello che sono riuscito
a combinare che… e ora pretendo pure che tu ricambi. Un
coglione, ecco cosa
sono.»
Jole gli prese il viso
fra le
mani e accennò un sorriso: «Che cosa ti fa pensare
che io non ricambi?»
«Per esempio
il fatto che… ecco…»,
si passò una mano sul collo, imbarazzato.
«Che non
voglio lasciarmi
baciare? Che non voglio stare con te?»
«Uhm»,
annuì.
«Domani io
parto, Tom… sarebbe
tutto più difficile, sarebbe decisamente più
difficile lasciarci se… e poi non
lo faccio perché non voglio», rise, «lo
faccio perché davvero non si può. Oltre
ad essere contro natura, è…
impossibile.» Tom la guardò interrogativo, anche
un
po’ curioso, e lei gli porse il palmo aperto della mano.
«Metti un dito in
mezzo al mio palmo.» Il ragazzo posò
l’indice sulla sua mano, come gli aveva di
detto di fare. Lei sorrise amara e chiuse gli occhi:
«Spingi.»
«Devo
spingere?»
«Sì,
spingi.»
Tom deglutì e
non le pose altri
interrogativi, solo eseguì l’ordine e
ciò che ottenne fu il suo dito in mezzo
al palmo di Jole: la trapassava! Lo tirò indietro,
rabbrividendo: se era fredda
fuori,
dentro
era ghiacciata!
«Ora…
hai capito perché non si
può?», gli chiese a fatica, rossa.
«Sì,
ho capito.» Attimo di
silenzio, poi mugugnò: «Potevi dirmelo
prima.»
Jole spalancò
le braccia,
incredula. Tom le fissò il seno, lei si fece spuntare
addosso una maglietta
viola. «Credevo ci arrivassi!», concluse, con tanto
d’occhi.
«Mai dire mai
con me», ridacchiò.
«Però i baci… quelli li senti!
Perché non vuoi che ti baci sulle labbra?»
«Oh,
questo… questo è un po’ più
difficile da spiegare.»
«Ci provi?
Prometto di
impegnarmi!»
Jole sorrise divertita:
il suo
Tom, non sarebbe mai cambiato… «È una
questione di principio, penso. Non mi hai
mai voluta baciare da viva, perché dovresti da
morta?»
«Quando eri
viva, non ero
innamorato di te.»
«La smetti di
dire che sei
innamorato di me?! Mi fai stare solo più male!»
«Scusa.»
«Non
importa», sospirò. «La fissa
del bacio mi ricorda la mia parte cattiva, era la sua ossessione,
perché da
viva lo avevo desiderato tanto. Ora che lei non abita più il
mio corpo – così
sembra – non voglio… perché…
perché so che non riuscirei più a farne a meno.
Ecco, l’ho detto. Sono stata innamorata di te una volta, lo
sono ancora in
verità, non voglio che accada di nuovo e in
realtà non volevo che tutto questo
accadesse a te…»
«Non puoi
impedire che io –», si
interruppe, le dita di Jole gli sfiorarono le labbra, un sorriso amaro
sul
viso.
«Penso che tu
debba dormire, ora»,
gli sussurrò. «È molto tardi.»
«Non ci
pensare nemmeno! Ieri
sera mi hai fottuto, ma oggi no.» Si mise seduto a gambe
incrociate sul letto,
deciso. «Dormi tu, se sei stanca.»
«Non
è indispensabile che io
dorma. Il mio sonno è eterno…»
«Non voglio
sprecare i miei
ultimi momenti con te dormendo», le confidò,
languido. «E posso amarti anche
senza baciarti e senza… hai capito. Vieni qui.»
Jole si
infilò fra le sue braccia
calde e posò l’orecchio sul suo petto,
all’altezza del cuore. Si fermò ad
ascoltarne i battiti e sorrise, rilassata: era meglio di una
ninnananna, la più
bella che avesse mai udito.
«Lui batte per
te», le sussurrò
con le labbra sui suoi capelli biondi.
«Spero che non
ne soffra, quando
sarò lontana.»
«Un
pochino.»
E quando me ne andrò per sempre,
soffrirà di più?
Non poté non
chiederselo e una lacrima le scivolò sulla guancia,
sentendosi così colpevole.
Strinse il lembo della sua maglietta fra i pugni e tirò su
col naso. Tom si
accorse delle sue lacrime ma non le chiese niente, la strinse un
po’ più forte
e le accarezzò i capelli, sfiorandoli con le labbra ogni
tanto.
«Ti amo,
Tom», mormorò. «Non
smetterò mai.»
Lui sorrise e la fece
sdraiare al
suo fianco, poi spense la luce. Si guardarono per diversi istanti in
silenzio,
fino a quando lei sorrise e si accoccolò contro il suo
petto, chiudendo gli
occhi.
«Sei
bellissima, non l’avevo mai
notato prima», le sussurrò, sfiorandole la guancia
con la punta delle dita,
sistemando un ciuffo di capelli biondi dietro l’orecchio. Il
suo sorriso si era
allargato, accarezzò l’angolo delle sue labbra
chiare.
«Grazie, anche
tu.» Ridacchiò e
decise di stuzzicarlo un po’, d’altronde erano gli
ultimi attimi che passavano
insieme: quella notte era solo loro. «A volte mi chiedo come
tu faccia a
convivere con la tua straordinaria bellezza, sai?»
Un sorrisetto fiero e
molto,
molto poco modesto si impadronì del suo viso: «Non
per vantarmi, ma posso
tranquillamente dire che se non andassi in giro con i bodyguards verrei
stuprato ogni cinque minuti.»
Jole gli
accarezzò la guancia,
con una vocetta preoccupata e consolatrice: «Povero il mio
Tomi… Dev’essere una
bella rogna, eh?»
Lui annuì,
con il labbrino: «Sì.
Non è mica facile essere così belli.»
Si guardarono negli
occhi e
scoppiarono a ridere contemporaneamente, stringendosi in un abbraccio
affettuoso.
«Non voglio
che vai via», mugugnò
ancora Tom.
«Su, non fare
il bambino… Torno
presto, prometto.»
«Va
bene.»
Sorrise e si mise di
nuovo con la
testa sul cuscino. Rimase a fissarla per minuti, forse per ore, fino a
quando
capì che si era addormentata sotto le sue carezze. Era
così dolce ed indifesa,
avrebbe voluto svegliarla e farci l’amore – non
sesso – ma non era possibile e
la sua spiegazione con il palmo della mano e il suo dito era stata
più che
esplicita; era stata anche imbarazzante, ora che ci ripensava.
Sembrava ieri quando
l’aveva
rincontrata, invece erano passate intere settimane e il loro rapporto,
prima
freddo e statico, quasi forzato, si era sciolto, stretto in un modo che
Tom non
avrebbe mai immaginato. E poi lui aveva capito, anche grazie a Franky,
che si
era innamorato. Si sentiva così stupido, dopo tutto quello
che aveva combinato…
E Jole aveva ragione, quando gli aveva detto che poteva innamorarsi
prima.
Eccome.
La guardò e
si accorse che si era
girata, nel sonno. Chissà se stava sognando qualcosa, se
magari stava sognando
proprio lui. Chissà. Si tirò sul gomito per
vederla in viso, grazie alla luce
della luna, e le spostò i capelli dalla guancia. La sua
pelle era fredda,
chiara, ed era così bella che a Tom si strinse il petto:
come aveva potuto
farle così del male? Ora, solo ora se ne pentiva davvero. E
non voleva che
partisse, che lo lasciasse. Se solo pensava che dal giorno dopo non
l’avrebbe
più vista ne sentiva già la mancanza. Ormai
faceva parte della quotidianità,
era una parte di lui… Era la ragazza di cui si sarebbe
volentieri innamorato e
della quale, beh, lo era, per quanto assurdo potesse essere. Il bello
era che
era un amore impossibile, come se Amore si fosse messo contro di lui:
ora che
aveva capito cosa voleva, che era disposto a lasciar perdere tutte le
altre per
una sola ed unica ragazza, non gliela voleva dare, perché
era già stata
strappata via a Vita, da Morte.
Sospirò e si
mise in ginocchio,
la guardò dall’alto, intenerito. Poi gli venne
un’idea e saltò giù dal letto,
prese il cellulare e azionò la fotocamera, inquadrando il
suo viso perfetto.
Scattò la foto e soddisfatto andò a guardarla, ma
ne rimase deluso: si vedeva
solo il cuscino, senza nemmeno l’impronta della sua testa;
era invisibile agli
occhi della tecnologia e a tutti quegli occhi umani che non erano in
grado di
vederla. Si sentì speciale, ma allo stesso tempo
sbuffò, non avrebbe avuto
altro che i ricordi per rivederla mentre era di sopra.
«Mi sarebbe
piaciuto fare un
calendario», mormorò la ragazza, sorridendo.
«Era una bella
idea», piagnucolò
Tom e si mise di nuovo al suo fianco. Lei
l’abbracciò teneramente, donandogli
un bacetto sulla gola.
«Solo per te,
però», concluse,
dolce.
Lui sorrise, poi chiuse
gli occhi
e si lasciò trasportare dalla sua magia che lo
accompagnò verso il mondo dei
sogni. Prima di addormentarsi, riuscì a sentire la sua voce
sussurrargli ancora
una volta: «Ti amo», poi silenzio.
***
Il sole
dell’alba sorgeva
all’orizzonte e Franky sorrise, si stiracchiò le
braccia e le ali, sbadigliando
all’arietta frizzante, poi si sciolse le gambe con due
piegamenti. Era il
grande giorno, ma prima voleva fare una cosa che da molto tempo
desiderava
fare.
Si piegò
sulle ginocchia e una
volta accovacciato, guardò all’interno della
cameretta di Zoe: lei era sdraiata
sul letto, con il solo lenzuolo addosso che le sfiorava la pelle
chiara; Ariel,
lo spirito della sua cagnolina, era accucciata ai suoi piedi, un occhio
aperto
a guardarlo e un’espressione che somigliava tanto ad un
sorriso. Le fece
l’occhiolino e poi schizzò in aria, nel cielo
ancora chiarissimo.
L’aria lo
trapassò e con un
brivido scoppiò a ridere, poi diede via al timer
dell’orologio che aveva al
polso. Incominciò il suo viaggio intorno alla Terra alla
velocità della luce e
in pochissimo tempo sorvolò tutti i luoghi attraversati
dall’Equatore: dal Gabon,
in Africa, all’Oceano Indiano, all’Indonesia,
all’Oceano Pacifico, all’Ecuador
e la Colombia, in America Centrale, all’Oceano Atlantico fin
ad arrivare di
nuovo nel punto esatto in cui era partito. Ci mise più tempo
a mettere fine al
timer che a fare l’intero giro, infatti sbuffò
scocciato e tornò da Zoe, con i
capelli appiccicati al viso arrossato, soffrendo un caldo pauroso per
gli
sbalzi di temperature e i diversi climi che aveva attraversato in
nemmeno un
secondo.
Entrò nella
camera con un leggero
fiatone e trovò Zoe che si stava stiracchiando,
stropicciandosi gli occhi con i
pugni chiusi, mugugnando versetti che lo fecero sorridere.
«Torna a
dormire, è l’alba», le
disse.
Zoe scrollò
le spalle e si tirò
sui gomiti, lo osservò e corrugò la fronte. Pure
i suoi pensieri erano
strascicati, appena svegli, tanto che Franky rise.
«Non sono
andato a fare jogging
per tutta la Germania», escluse la sua ipotesi campata in
aria. «Ho solo fatto
il giro della Terra, per saperti dire quanto ci avrei messo alla
velocità della
luce.» Gli occhi della ragazza si riempirono di
curiosità, ma non provò nemmeno
a parlare: quella mattina il fatto che Franky sapesse leggere nel
pensiero era
alquanto utile.
«Ebbene, ci ho
messo meno, molto
meno di un secondo. Te lo giuro, una delusione! Avrei potuto farlo
altre sei
volte, prima di arrivare ad un secondo intero!», scosse la
testa,
demoralizzato. Zoe aveva gli occhi sgranati, ma dopo un po’
sbadigliò e ricadde
con la testa sul cuscino, salutandolo con la mano.
«Buongiorno,
ne?», ridacchiò e la
baciò sulla fronte, accarezzandole i capelli; lei sorrise.
«Vado ad
accompagnare Jole di sopra, poi torno, ok?»
Lei annuì e
provò a parlare, con
voce roca, ma lui le posò un dito sulle labbra e
sogghignò: «Io
ti amo. Tu
devi uscire con Bill.»
Zoe sbuffò e
si coprì la faccia
con il cuscino, Franky ridacchiò e si portò una
mano fra i capelli sudati,
andando alla finestra. Un ultimo sguardo e poi via, nel cielo ancora
opaco.
Arrivò a casa
Tokio Hotel e
raggiunse subito la finestra della stanza di Tom. La trovò
socchiusa, sbirciò
al suo interno e vide Jole seduta sul letto, che osservava Tom
addormentato al
suo fianco, accarezzandogli una treccina nera soprappensiero.
«Ehi»,
la chiamò a bassa voce.
Lei si voltò di scatto e gli sorrise, nonostante la lacrima
che le brillava
sulla guancia.
«Arrivo»,
gli disse.
«Puoi fare
pure con calma, io ero
solo venuto…», tentò di spiegarle, ma
lei scosse la testa.
«Adesso
arrivo.»
Si alzò, ma
lo sguardo era ancora
fisso sul corpo addormentato di Tom, del suo Tom; sembrava lo stesse
accarezzando con il pensiero e forse era proprio ciò che
stava facendo, lo
stava salutando, magari dicendogli che lo amava. Franky non lo sapeva,
non se
la sentiva di guardare nella sua mente in quel momento, era un momento
troppo
personale per poterlo sbirciare così spudoratamente.
Si asciugò la
lacrima e tirò su
col naso, poi accennò un sorriso, salendo sul davanzale
della finestra. Chiuse
gli occhi e si lasciò sfuggire un singhiozzo, uno solo.
Strinse i denti e stese
la mano verso
Franky, che la prese e la strinse forte, incoraggiandola.
Si voltò
ancora verso il ragazzo
che amava e non poté non ammorbidirsi: «A presto,
Tomi. Ti amo tanto.»
L’angelo, in
silenzio, attese che
avesse finito e poi la seguì, volando dietro di lei, verso
il sole che brillava
chiaro dietro i palazzoni della città.
_________________________________
Buon pomeriggio a tutti
:)
Un altro capitolino riservato
prevalentemente a Tom e Jole, eh? (Mi sono innamorata di quei due
quanto voi, eggià
xD) Sono davvero adorabili, ma Tom… come dire xD pretende un
po’ troppo da
quella poveretta! >//////< Purtroppo come coppia non
andrebbero lontano,
appartengono a due mondi diversi e si è proprio notato in
questo capitolo, poiché
Jole torna in Paradiso :’(
Nel prossimo capitolo vedremo in
scena Bill e Zoe, finalmente escono insieme! *-* Vedremo come
andrà a finire la
situazione xD Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! *___*
La canzone che ho usato è, l’avrete
riconosciuta, la bellissima Phantomrider,
dei Tokio Hotel. È stata la colonna sonora di Nothing
e anche qui non poteva
mancare :D
Ah! Io AMO Justin
Bieber, nessuno si prenda male xD Oh, non so come possa essere
successo, ma quel ragazzino mi ha conquistata *-* E dopo tante, tante,
taaaante discussioni con la mia carissima (La diretta interessata lo sa
xD) ho deciso di farlo entrare pure qui *-* E poi Franky ci assomiglia
a lui, secondo come me lo immagino io! :D
Ringrazio di cuore chi
ha
recensito lo scorso capitolo:
_lile_
: Le ff deprimenti sono il mio forte! xD No, comunque… per
Tom e Jole non è ancora finita, li vedremo ancora insieme
e… bah, chissà…
Grazie per la recensione, spero anche
che questo capitolo ti sia piaciuto! :)
Utopy
: Non so mai se essere contenta o felice quando i tuoi
livelli di odio raggiungono o superano quelli di Ary xD Comunque! *-*
Ci siamo nonii
xDD Very special, oh yeah u.u
Il bacio tra Tom e Jole è
stupendissimo, lo riconosco u.u (Me la tiro sese xD) Sono contenta di
aver
sedotto il tuo impianto lacrimario (Esiste? ò.ò
Bah xDD)
Tutta la cosa che hai detto tu
delle cose che fanno quelle cose e devo cambiare quella cosa, il
prossimo
capitolo xD Dai, devi aspettare solo fino a venerdì! *-*
Fino ad allora, spero
che questo ti sia piaciuto altrettanto e… uhm… Ti
voglio tantissimo bene Mond! *-*
Tua fooooorrrrreeeeevvvvveeeeerrrrrrr Sonne u.u *-*
Layla
: Eh sì, l’amore fa fare strane cose! XD Purtroppo
Jole è
dovuta tornare di sopra, ma tornerà, come promesso :)
Grazie, alla prossima!
Tokietta86
: Tom è molto, molto sulla buona strada per essere
davvero innamorato xD Però cavolo, poteva pensarci prima
quella testa di
vitello, no? ò.ò
Ancora un po’ per assistere all’uscita
di Bill e Zoe, il prossimo capitolo! *-*
Il bacio fra Tom e Jole *ç* Mi è
piaciuto un sacco anche a me! xDD
Lei se n’è andata :’( Hai pianto?
xD Ah, la reazione di Tom la vediamo nel prossimo capitolo xD Per
quanto
riguarda sempre la partenza di Jole, arriverà il momento
anche per liberare il
suo papà, stai tranquilla.
Grazie mille per tutti i
complimenti, alla prossima! Un bacio!
Inoltre, ringrazio tutte
le
persone che leggono solamente e che hanno inserito questa ff fra le
preferite/seguite. Grazie! ^-^
A venerdì, un bacio! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 19 *** Physically and mentally (Part I) ***
19. Physically and
mentally (Part I)
Sbadigliò
rumorosamente e allungò
il braccio, trovando la debole consistenza di un corpo al quale si
avvicinò,
rasserenato. Solo dopo qualche secondo si accorse che era tiepido e non
freddo
come lo ricordava, allora aprì gli occhi e trattenne un urlo
frustrato, quando
vide il ghigno sul volto di Franky.
«Buongiorno,
amore mio.» L’angelo
lo prese in giro con una voce zuccherosa e lui si staccò
bruscamente, ma
facendolo perse il senso dello spazio e cadde a terra in un tonfo.
«Ti sei fatto
male?», gli chiese.
«Io ti odio,
Franky», piagnucolò Tom,
poi posò la guancia sul pavimento freddo: la sensazione che
provò gli ricordò
quella che avvertiva quando stava abbracciato a Jole e fu come un colpo
al
cuore, notandone l’assenza.
Si alzò in
piedi di scatto, anche
se traballante per via della poca lucidità dovuta al
risveglio fin troppo
recente, e con gli occhi che pizzicavano si sporse verso
l’angelo, sdraiato con
le ali dietro la schiena e le mani unite dietro il capo.
«Dov’è?»
La sua voce era un
sussurro spezzato e gli tremava il labbro, proprio come un bambino
sull’orlo di
un pianto. Franky non rispose, solo distolse lo sguardo e il suo viso
perse
ogni traccia d’allegria. Ma a quel punto, non aveva bisogno
di una risposta,
era fin troppo chiaro.
«Perché
se n’è andata senza
salutarmi?!», gridò disperato, le lacrime che gli
sfregiavano il viso, ormai
incontrollabili.
«Mi ha detto
che vi eravate già
salutati a sufficienza ieri sera», rispose pacato.
«È
vero, ma… cazzo!» Si gettò sul
letto e soffocò i singulti nel cuscino che in poco tempo
diventò umido, bagnato
da quel fiume inarrestabile d’acqua salata.
Franky gli
passò una mano sulle
spalle, per confortarlo. «Ci sarebbe stata ancora
più male, se tu fossi stato
sveglio al momento della sua partenza», gli
confidò.
«Non
è giusto», replicò
strascicato, tirando su col naso.
«Sai quante
cose sono ingiuste in
questo mondo? Eppure vanno così e non ci si può
fare niente. Io capisco come ti
senti, fin troppo bene, ma… se Jole fosse qui e ti vedesse
in questo stato ne
resterebbe delusa. Anzi, conoscendola si sentirebbe in colpa. Assurda
quella
ragazza. Io la vedo molto bene come angelo custode», si
passò una mano sul
mento, pensieroso.
Cadde uno strano
silenzio, che
nessuno dei due violò: Franky, a gambe incrociate, stava
osservando il
soffitto, immaginandosi Jole nella divisa di angelo custode, pronta a
proteggere Tom in qualsiasi circostanza; il chitarrista, dal canto suo,
si
passò le mani sul viso arrossato per asciugarsi le lacrime,
poi si voltò verso
l’angelo, che osservò per interminabili istanti.
«No»,
sospirò Franky scuotendo la
testa. «È forte, ma a tutto
c’è un limite.»
«Che cosa stai
farneticando?»,
gli chiese, confuso. «Jole non sarebbe in grado di fare
l’angelo custode?»
«Già.»
Annuì. «Sarebbe
efficientissima, non ho alcun dubbio su questo; avrebbe dato la vita
persino da
viva, per te, ma… credo che non possa reggere questo
compito, è troppo
impegnativo: starti vicino ogni giorno, per proteggerti…
finirebbe per allontanarti
da tutti per averti tutto per sé, non so se rendo
l’idea. Come se io
proteggessi Zoe da Bill, perché sono geloso. Quando si
è angeli custodi,
bisogna pensare solo al proprio compito e svolgerlo al meglio senza
mettere in
mezzo i propri sentimenti e credo che Jole non ne sarebbe in grado.
L’amore che
prova per te è… pff… indescrivibile!
Mai sentito un amore così potente. Pensa
che quando entravo nella sua testa pensavo di amarti sul serio
pure io!» Strappò una risata a Tom, che
abbassò lo
sguardo.
«Allora, quale
credi che sia la
sua vocazione?»,
gli chiese e Franky
assunse di nuovo quell’aria meditabonda e concentrata.
«Non vedo
molte altre opzioni,
per lei, se non…», lo guardò negli
occhi e sorrise; Tom scrollò le spalle,
chiedendogli cosa non andava con lo sguardo. «Nulla, solo che
non posso
parlarti di questa cosa: è un’informazione
riservata.»
«Non puoi
dirmi dove vanno a
finire gli spiriti, se non scelgono di diventare angeli custodi o altri
angeli
“speciali”?», chiese scettico.
«Sì,
il concetto è questo.»
«Perché,
è così traumatico?»
«No,
semplicemente non si può
dire ciò che c’è dopo la morte alle
persone vive. Già che voi sappiate che si
può diventare angeli custodi è tanto.»
Con un balzo scese giù dal letto e si
stiracchiò; Tom, ancora perplesso, si lasciò
cadere con la testa sul cuscino.
«Perlomeno, ti
ha detto qualcosa?»,
gli chiese sconfortato.
«No, non mi ha
detto nulla.»
Sorpreso, si
voltò di scatto e lo
guardò negli occhi: «E non hai nemmeno frugato
nella sua testa per sapere che
cosa pensava?»
«No»,
scosse la testa deciso. «So
quando posso e quando no, non sono così insensibile. Quello
che pensava in quel
momento era solo suo, non potevo mettermi in mezzo.»
«Capisco…»
Poi domandò ancora,
malinconico: «Cosa credi starà facendo,
ora?»
«Non ne ho
idea, l’ho
accompagnata di sopra e subito il suo angelo
“psicologo” l’ha presa
per
portarla a fare gli esami necessari in quello che io chiamo ospedale,
perché è
molto simile… pavimenti lindi, un profumo strano, gli angeli
“infermieri” e
“dottori”…»
«È
proprio come qui.» I suoi
occhi brillarono di curiosità e si mise in posizione
d’ascolto,
con i gomiti sul materasso,
ma allora Franky
ghignò e schioccò la lingua contro il palato.
«Se speri di
ottenere altre
informazioni, dovrai prima imparare a leggermi nel pensiero.»
«Non
vale», sbuffò. «Almeno…
almeno puoi dirmi se lei starà bene?»
«Certo che
starà bene! Gli
ospedali del Paradiso sono i più efficienti che abbia mai
visto e poi ho i miei
contatti e farò in modo che possa venirti a trovare
il più presto possibile», gli
fece l’occhiolino e Tom sorrise. «Certo,
sentirà la tua mancanza, ma quando
tornerà sarà ancora più bello
condividere del tempo con lei, non credi?»
«Sì…
Franky?»
«Uhm?»
«Sei un
angelo, in tutti i sensi»,
sorrise smagliante e Franky ricambiò, orgoglioso.
«Lo so.
E… sì.»
«Sì
cosa?», arricciò il naso.
«Ho risposto
alla domanda che mi
avresti posto all’incirca adesso»,
sghignazzò e Tom scosse la testa, ma non
poté non sorridere: Franky era unico nel suo genere e
proprio per questo gli volevano
tutti così bene, compreso lui.
Scesero al piano
inferiore e
trovarono tutti già svegli, a fare colazione seduti intorno
al tavolo della
cucina.
«Buongiorno»,
salutò l’angelo e i
ragazzi gli rivolsero delle occhiate di sfuggita, mezze addormentate,
tra cui
una di Bill, particolarmente infastidita, che mugugnò
qualcosa di indefinito; e
poi Tom, che sbuffò e prese posto accanto al gemello. Per
loro non doveva
essere una bella giornata, evidentemente.
«Jole
è partita?», chiese mogio
Georg, stropicciandosi gli occhi. Guardandolo, a Franky
scappò da sorridere:
aveva un nodo gigante in testa, non dei capelli!
«Sì»,
rispose atono Tom,
abbassando lo sguardo sulla propria tazza di latte e cereali, della
quale non
aveva ancora mangiato un boccone: non doveva avere neppure fame.
«E non mi ha
nemmeno salutato», concluse con una smorfia.
L’angelo roteò gli occhi al
soffitto e sbuffò con il naso.
«Non
ricominciare, Kaulitz. Te
l’ho già spiegato. E poi ha ragione lei, vi siete
salutati abbastanza ieri
sera.»
Tom lasciò
giù il cucchiaino ed
incrociò le braccia al petto, incupendosi:
«Perché non hai frugato nella sua
testa e invece nella mia sì?»
«Al tuo
piccolo ed unico neurone
sperduto non dà fastidio un po’ di compagnia, ogni
tanto», ridacchiò, ma il
chitarrista non colse la battuta e continuò nel suo
atteggiamento, in modo così
convinto che costrinse Franky a ritornare sui propri passi e a cedere:
«Ok,
l’ho fatto perché ero curioso, ecco
tutto.»
Tom accennò
un
sorriso. «Finalmente
un po’ di sincerità.»
«Però,
dirle che ti sei
innamorato di lei… potevi evitarlo», lo
informò e a quelle parole Tom rischiò
di strozzarsi con il boccone che aveva appena messo in bocca, mentre
tutti gli
sguardi si erano puntati su di lui, incerti ed increduli.
Bill gli diede qualche
colpetto
sulla schiena e lui ricominciò a respirare correttamente,
riprendendo il suo
normale colorito da quel rosso porpora che aveva assunto.
Guardò l’angelo in
cagnesco e sibilò: «Grazie tante. Menomale che hai
detto che non sei
insensibile. Hai sparato ai quattro venti che io –»
«Non ci voleva
un genio per
capire che ti sei innamorato di lei», lo smentì
Bill, facendolo voltare
preoccupato.
«Già»,
concordò Georg, annuendo.
A quel punto, osservò il batterista e quando lo vide annuire
con quel sorriso
bonario e comprensivo sul volto, sprofondò nella sedia:
tutti avevano capito
che si era innamorato prima di lui, com’era possibile?!
«Oh
sì che è possibile», disse
Franky. «Mi ricorda tanto quando qualcuno,
e sottolineo qualcuno,
mi ha
torturato per giorni interi, dicendomi che ero l’unico che
non si era accorto
di essermi innamorato della mia migliore amica»,
sollevò le sopracciglia
eloquente e divertito allo stesso tempo.
«Lì
era diverso, era… così ovvio!»,
Tom spalancò le braccia, alzando il tono della voce, intanto
che
le sue guance
riprendevano colore.
«È
stato ovvio anche fra te e
Jole, solo tu non l’avevi ancora capito.» Bill,
saccente, lo indicò con il
cucchiaino.
«Tu fatti gli
affari tuoi, che
hai le tue gatte da pelare!», gli rispose con
un’isteria nella voce molto simile
a quella che raggiungeva il frontman, imbronciandosi. Il gemello si
ammutolì e
tornò alla sua tazza di latte e cereali.
«Uh,
è vero», sogghignò Franky.
«Il
grande giorno è oggi, Bill. Teso?»
«Abbastanza»,
mormorò,
vergognoso.
«Anche Zoe
è nelle tue stesse
condizioni. Non ti preoccupare, andrà tutto bene, ne sono
certo.»
Tom lo
osservò attentamente:
nonostante fosse ancora innamorato pazzo di Zoe, la sua protetta, era
in grado
di sorridere – seppure con una punta di amarezza, –
di parlare tranquillamente
con Bill dell’appuntamento, persino di rassicurarlo. Era in
grado di farsi da
parte, anche se faceva male, e in quel momento più che mai
comprese le sue
parole: Jole non sarebbe stata in grado di comportarsi in modo
così neutrale e
così disinteressato come faceva Franky, mai; non avrebbe
sopportato l’idea che
lui potesse appartenere ad un’altra; non sarebbe riuscita ad
affogare dentro di
sé quel dolore.
«Hai
già in mente dove portarla?»,
chiese Franky al cantante, sinceramente curioso.
«In
realtà… no», sospirò e si
massaggiò le tempie. «Non ne ho la più
pallida idea.»
«Lei adora il
sushi. Le sarebbe
piaciuto andare in quel ristorante giapponese... come si chiama?
Matsumi,
se non mi sbaglio.»
«Quello in
centro?», chiese Georg
e l'angelo annuì.
«Sì,
ma io sono vegetariano», gli
ricordò Bill. «C’è il sushi
per vegetariani?»
«Sì,
credo di sì. Comunque io e
lei non siamo mai riusciti ad andarci perché con i miei
problemi… Insomma,
potresti portarla lì!», sorrise, cercando di
mandare via la tristezza dai suoi
occhi.
«Grazie
Franky», ricambiò
docilmente.
«Prego.»
Abbassò lo sguardo e si
mise seduto sul ripiano in marmo della cucina, muovendo le gambe avanti
ed
indietro.
Franky
sospirò e nello stesso
istante trillò il campanello, Gustav si alzò e
andò ad aprire, trovandosi di
fronte Zoe.
«Ciao»,
lo salutò con un sorriso
lei. «Disturbo?»
«No, siamo
tutti svegli.» La fece
entrare e la scortò in cucina, dove diede il buongiorno con
un movimento della
mano, poi si fiondò da Tom, che la guardò
preoccupato.
«Ho bisogno di
te», piagnucolò.
«Di
me?», si indicò. «A che posso
servirti io, alle nove e mezza di mattina?»
Avvolse le mani intorno
al suo
orecchio e gli sussurrò qualcosa, Franky sorrise
perché aveva sentito, e scese
giù dal ripiano della cucina. Gli aveva chiesto se poteva
darle una mano per
l’appuntamento di quella sera.
«Buona
fortuna, Tom», gli augurò
alzando la mano.
Con un sospiro si
lasciò cadere
nel divano e chiuse gli occhi, incrociando le braccia al petto. Cadde
in sonno
leggero, attraverso il quale riuscì a sentire spezzettoni di
pensieri e di stati
d’animo delle persone che gli passavano accanto senza fare
rumore per non
svegliarlo. Ovviamente, Bill e Zoe erano i possessori di quelli
più ansiosi ed
ossessionati da vestiti, trucchi e il frontman aveva persino paura che
il sushi
si animasse e lo mangiasse. In quel momento doveva aver borbottato
«Che idiota»
nel sonno, perché sentì Gustav ridacchiare al suo
fianco.
Tom, invece, era rimasto
chiuso in se
stesso per tutto il tempo in cui l’angelo si era assopito.
Solo quando era
ormai impaziente di andare, si avvicinò e Franky
percepì i suoi pensieri
nostalgici verso Jole, e si immaginava persino la loro visita imminente
alla
sua lapide.
Franky
mugugnò e si
stropicciò gli
occhi, ancor prima che Tom lo toccasse sulla spalla per svegliarlo.
Quando lo
focalizzò di fronte a sé, vide che sorrideva
divertito.
«Possibile che
tu legga nel
pensiero degli altri persino dormendo?», gli chiese e non
attese alcuna
risposta, andò verso l’ingresso e prese le chiavi
dell’auto, salutò di
sfuggita, senza dare il tempo a nessuno di chiedergli dove andasse, e
si chiuse
la porta dell’appartamento alle spalle.
Sorrise e con la massima
della
calma si stiracchiò, poi si alzò e si diresse
verso la portafinestra. Sentì la
voce di Zoe chiamarlo, ma non si girò, chiuse gli occhi e
continuò.
«Franky,
fermati!», gli disse e
lo prese per le braccia, lo scosse per fargli aprire gli occhi, ma fu
inutile. «Che
cos’hai, guardami! Dove andate tu e Tom?»
«Perché
dovrei dirtelo io, se non
te l’ha detto lui? Se vorrà dirtelo, te lo
dirà lui stesso», rispose e si
liberò dalla sua stretta. «E per quanto riguarda
me, sto bene. Divertiti
stasera.»
«Ti brucia,
non è così?», tremò e
Bill, dietro di loro, si pietrificò. Franky sorrise amaro e
raggiunse la terrazza
e salì sul parapetto, poi si girò e la
guardò: «Brucerei se ti vedessi
infelice, ma non è così. A dopo!»
Salutò con la mano e poi si lasciò cadere
all’indietro.
Cadde sdraiato sui
sedili
posteriori della Cadillac, dopo aver attraversato il tetto, e Tom fece
sgommare
gli pneumatici sull’asfalto, borbottando: «Alla
buon’ora.» Franky si portò le
mani dietro la testa e chiuse gli occhi, l’ombra di un
sorriso sulle labbra.
Il viaggio fino al
cimitero fu
breve ed accompagnato dal silenzio, rotto solamente dalle dita che Tom
tamburellava sul volante in preda al nervosismo. Si fermarono a
comprare dei
fiori, un mazzo di gerbere bianche e rosa, decisi dal chitarrista, e
poi si
addentrarono fra le lapidi.
Franky si mise le mani
in tasca e
sorrise, tanto da indispettire Tom, che gli chiese il
perché. L’angelo scrollò
le spalle.
«Mi piace
camminare qui.»
«Sul
serio?», fece una smorfia. «A
me mette tanta di quell’angoscia…»
«Perché
tu sei vivo. Io non lo
sono più e sapere che tutte queste persone sono sopra le
nostre teste oppure
sparse per il mondo come angeli custodi e simili mi rende felice. Si ha
una
visione diversa della morte, sai? E poi mi piace anche
perché non c’è molta
gente e quindi la mia mente non è sovraffollata di pensieri.
Quando cammino per
strada capita che venga investito da pensieri diversissimi allo stesso
tempo ed
è una cosa irritante.»
«Mmh,
sarà.»
Arrivarono di fronte
alla tomba
di Jole e Tom sistemò i fiori nell’apposito vaso,
poi accese il cero spento e,
rimanendo inginocchiato, osservò la foto che la ritraeva
sorridente. Non ci
volle molto prima che i suoi occhi iniziassero a pizzicare, ma un
sorriso tenue
alleggerì quella maschera di tristezza. Sfiorò il
vetro in cui era incastonata
la foto e sentì la mano di Franky posarsi sulla sua spalla.
«Non ti senti
meglio, sapendo che
lei in realtà è lassù e che la sua
vita non è finita del tutto, sepolta sotto
questa terra? La sua anima, è ancora viva e io la trovo una
grande
consolazione.»
«Sì,
forse hai ragione», gli
rispose e si alzò da terra, senza distogliere lo sguardo da
quello ambrato
nella foto.
Ritornarono
all’auto nel
parcheggio e Franky si mise seduto accanto a lui, sul sedile del
passeggero.
Portò lo sguardo fuori dal finestrino e rimase in silenzio
per la maggior parte
del tempo, fino a quando non fu Tom a parlare:
«Forse hai
ragione, sul fatto che
Jole non possa diventare un angelo custode.» Franky
annuì distrattamente,
mentre il paesaggio scorreva al suo fianco, e lo lasciò
continuare: «Ho visto
come ti sei comportato stamattina con Bill… Gli hai pure
dato un consiglio su
dove portare Zoe! Io se fossi stato in te non l’avrei mai
fatto. Però… non sono
sicuro che tu sia così forte come dici. Cioè, lo
sei, ma sotto ci stai male,
non è così?»
Franky
sospirò, malinconico. «È
ovvio che è così, Tom. Ma che cosa ci posso fare,
devo per forza farmi da
parte, è l’unica cosa che posso fare, oltre ad
assicurarmi la felicità di Zoe.
Tanto vale aiutare Bill a conquistarla e farla finita in fretta,
no?»
«Che cosa
intendi dire con farla
finita in fretta?»,
gli si
sgranarono gli occhi dalla preoccupazione e dovette deglutire un bel
po’ di
saliva.
«Niente,
lascia perdere»,
mormorò.
«Franky,
tu… tu una volta resa
felice Zoe… tu te ne andrai, non è
così?»
L’angelo non
rispose, lo stesso
sorriso amaro di poco prima fece tutto. Allora Tom si sentì
ancora più stretto
in quella morsa d’angoscia: avrebbe dovuto ascoltarlo,
lasciar perdere, ma
ovviamente aveva fatto di testa sua e ora sapeva che, prima o poi,
Franky se ne
sarebbe andato finita quella “missione”.
«Sai
perché le persone anziane
sono più propense ad andarsene con il sorriso sulle labbra,
Tom?», gli chiese
tutto d’un tratto.
Il ragazzo si
ripeté la domanda
nella testa, parcheggiando la Cadillac nel garage, e poi spense il
motore,
guardando di fronte a sé. Nella penombra,
mormorò: «Perché?»
«Perché
dopo una vita vissuta
intensamente, dopo aver conosciuto tante persone, sanno che
è ora di andare e
vivono gli ultimi attimi nella speranza che qualcuno che hanno
incrociato nel
loro cammino li ricorderà e non piangerà la loro
morte, bensì sorriderà al loro
pensiero. Io me ne sono andato sorridendo, perché sapevo che
voi vi saresti
ricordati di me e speravo che avreste superato la cosa e che un giorno
avreste
sorriso, pensandomi. La presenza fisica, Tom, non è
essenziale. Un ricordo,
abbinato ad un sorriso, è dieci volte meglio di un
abbraccio, di un bacio… Non
sto impazzendo, ti posso giurare che è davvero
così perché l’ho vissuto. Voi
volete tanto la mia presenza fisica, ma anche adesso…
è qualcosa che non c’è,
voi riuscite a vedermi così chiaramente perché
vivete del mio ricordo… Quando
me ne andrò non dovete pensare: “Oddio, Franky non
c’è” solo perché non mi
vedete; dovete sorridere, perché io sarò sempre
lì con voi, non vi lascerò mai
veramente. Sarò sempre lì, nei vostri cuori,
nelle vostre menti, e vi
proteggerò, vi cullerò nelle notti insonni, vi
darò la determinazione di andare
avanti nei giorni in cui tutto sembra andare storto. E la mia presenza
fisica
non sarà necessaria, te lo posso giurare.» Si
girò verso di lui e sorrise,
facendo un lungo respiro profondo: «Credo che sia proprio ora
di andare, Zoe ha
assolutamente bisogno di te. Ah, ricordati, nero.»
Strabuzzò gli
occhi, confuso. «Nero?»
«Tu ricordati
il colore nero»,
gli fece l’occhiolino e poi scese dalla macchina
attraversando direttamente la
portiera.
Tom lo raggiunse e lo
fermò, poi
lo abbracciò. «Grazie, Franky.»
«Non fare lo
sdolcinato, Kaulitz,
non ti si addice per niente», sbuffò ma al
contempo sorrise, felice di averlo
come amico.
Presero
l’ascensore ed entrarono
nell’appartamento sorridenti, ma durò poco
perché prima Bill e poi Zoe si
fiondarono addosso ai due con ferocia, tutt’altro che
amichevoli.
«Dove siete
andati?!»
«Perché?!»
«VOGLIAMO
SAPERE TUTTO!»
Tom e Franky si
guardarono e poi
scoppiarono a ridere, facendo innervosire ancora di più i
due.
«Forza, tu
vieni con me», decretò
Zoe prendendo Tom per un braccio e trascinandoselo fuori
dall’appartamento,
senza badare minimamente alle sue domande/proteste. «Zitto,
devi aiutarmi a
prepararmi per stasera e non hai alcun diritto di opporti!»
Bill invece
posò lo sguardo
sull’angelo custode e sorrise in un modo che lo fece
rabbrividire: non
prometteva proprio nulla di buono.
«Allora tu
aiuterai me.»
***
«Me lo sento,
sarà un disastro
completo», sbuffò Zoe sedendosi sul letto, con
addosso solo slip e reggiseno
neri.
«Perché?»,
chiese Tom con il suo
stesso tono sconfortato, facendo un giro completo sulla sedia girevole
della
scrivania.
«Perché…
perché boh, non lo so!
Sono nervosa, Tomi.»
«Sono certo
che andrà tutto bene,
Bill è molto bravo a capire le persone e stai tranquilla che
ti capisce
benissimo.»
«Uhm,
ok.» Si alzò e andò
all’armadio, dal quale tirò fuori due ometti con
due vestiti diversi, uno viola
e uno nero. Glieli mostrò e sorrise: «Questo o
questo?»
Tom
ridacchiò, ricordandosi di
Franky, e indicò con la testa quello a destra:
«Nero.»
***
Guardò le due
diverse opzioni di
capi d’abbigliamento stese sul letto di fronte a
sé e si portò le mani sui
fianchi, terribilmente indeciso. Il primo completo era formato da
maglietta bianca,
con disegni neri e rossi, pantaloni neri con cintura di borchie, anfibi
e come
accessori un collarino e un braccialetto con altre borchie. Il secondo,
invece,
comprendeva una maglietta viola, un paio di jeans neri, le semplici
scarpe da
tennis bianche e nere, e una semplice collana argentata al collo.
«Uffa»,
sbuffò nervoso e sbattè i
piedi a terra. A guardarlo c’era Franky, appoggiato con la
spalla alla
finestra, e dalla sua espressione doveva essere abbastanza divertito.
«Aiutami!»
«Maglia
viola», sbuffò e poi
sventolò la mano: «Ti fai troppe
paranoie.»
«Io?! Non puoi
capire come posso
sentirmi. Ok, forse sì, però… Dentro
di me c’è una tempesta!»
«Rilassati,
andrà tutto bene!»
«Vorrei avere
la tua calma.» Si
sedette sul letto e tenne il viso fra le mani, sconsolato.
«Se fossi come te
sarebbe tutto più facile.»
«Vuoi
l’impossibile», ridacchiò,
con gli occhi rivolti al soffitto.
«Se tu potessi
entrare dentro di
me…»
L’angelo si
pietrificò sul posto
e lo guardò con gli occhi sgranati. «No.»
«Però
sei entrato nel corpo di
quel pompiere!», lo indicò, rialzandosi in fretta,
emozionato.
«Non
è la stessa cosa! Si
trattava di salvare delle vite!»
«Potresti
salvare la mia! Mi
potresti aiutare!»
«Una volta
dentro di te basta e
avanza.»
«Dentro di me?»,
chiese sia sorpreso che confuso, indicandosi.
Franky sgranò
ancora di più gli
occhi e si spalmò una mano sulla faccia, mordendosi la
lingua: aveva fatto una
grande, grandissima cazzata.
«Tu sei
già entrato dentro di me?!»,
gridò Bill, indicandolo con l’indice smaltato di
nero e
bianco. «Dimmi quando, dove,
come e perché!»
Franky
sospirò e si mise seduto
sulla scrivania: «Quando ancora non ero un angelo custode, ma
semplicemente un
fantasma. Alla festa in cui Zoe si è ubriacata. Entrando
dentro te? Perché lei
si stava ubriacando, è finita in bagno a vomitare e visto
che da solo non
potevo fare niente perché non potevate né vedermi
né sentirmi, sono entrato
dentro di te e tu sei andato ad aiutarla.»
«Oh.»
Chiuse la bocca, pensieroso,
poi si rianimò: «Ecco perché
l’ho chiamata piccola!
E perché ho provato irritazione vedendo Tom!»
«Sì,
in quei momenti mi sono un
po’ imposto sui tuoi pensieri…», si
passò una mano sul collo, imbarazzato. «E
l’hai pure insultato, ricordi? Ero ancora arrabbiato con
lui.»
«Sì,
sì, mi ricordo! Cavolo…»
«Non intendo
entrare dentro di te
una seconda volta», disse deciso, incrociando le braccia al
petto: sarebbe stato irremovibile.
«Ma
perché?!», Bill piagnucolò e si
aggrappò alle sue spalle.
«Perché…
per prima cosa non
voglio mettermi in mezzo fra te e Zoe. E poi si spendono un sacco di
energie
per controllare un corpo, non è una passeggiata!»
«Tu non dovrai
controllare
il mio corpo!», si affrettò
a spiegare; Franky sorrise alla sua espressione inorridita.
«Dovrai solo convivere
con me e ogni tanto potresti
consigliarmi che dire, che fare… Come se fossi la mia
coscienza! Dovrai solo
startene in un angolino della mia testa, per il resto faccio
io!»
I suoi occhi brillavano
dall’emozione di attuare quel piano che per molti versi era
perfetto, per altri
un po’ meno… Franky era indeciso, non se la
sentiva di partecipare in diretta
al loro appuntamento stando tra l’altro nel corpo di Bill,
nel quale
confluivano pensieri non suoi che avrebbero finito sicuramente per
farlo
ingelosire; non sapeva se avrebbe retto anche quello…
«Ti
prego», cinguettò il frontman
con gli occhi grandi e da cerbiatto, ai quali nemmeno lui
riuscì a dire di no.
«Al
diavolo!»
***
Suonarono al campanello
e Zoe
sobbalzò sul letto, emettendo un gridolino soffocato.
«È lui», gracchiò a Tom,
cercando convulsamente la sua mano per trascinarselo dietro. Si
sistemò il
vestito nero sulle gambe e si schiarì la voce, cercando di
mascherare tutta
l’agitazione con un’espressione tranquilla e
rilassata, poi aprì la porta,
trovandosi di fronte Bill che si guardava le scarpe.
“Non dovevo
mettermi quelle da
ginnastica, sono orribili!”
“Smettila con
le tue paranoie e
guarda avanti, cretino”, tuonò la voce di Franky
nella sua testa.
“Cazzo, sto
stretto qui dentro
con te!”, borbottò ancora, ma Bill non lo
ascoltò e sollevò lo sguardo su Zoe,
bellissima come sempre, forse anche più del solito:
indossava un vestitino che
le arrivava alle ginocchia, nero, con una fascia stretta intorno al
seno, senza
spalline; gli occhi erano truccati con matita e ombretto nero in modo
tale da
far risaltare ancora di più quei diamanti azzurri; i capelli
erano a boccoli
sulle spalle chiare e il ciuffo che di solito le copriva
metà viso era tenuto
indietro grazie ad una mollettina con un fiocco nero; ai piedi delle
scarpe col
tacco nero.
«Wow»,
soffiò rapito. «Sei
bellissima.»
«Grazie»,
rispose arrossendo
sulle guance e sfuggì al suo sguardo portandolo su Tom,
impalato accanto a lei.
«Bene,
potete… anzi, possiamo
perché non devo stare qui…
Insomma, muovetevi», li incitò ad uscire con un
gesto della mano. Zoe salutò
all’interno e sua madre accorse alla porta, augurandole di
divertirsi e di non
fare troppo tardi.
«Sarà
fatto, è in buone mani»,
disse Franky con la voce di Bill, agitando la mano verso la signora
Wickert.
Zoe lo guardò
titubante,
riconoscendo quel modo di salutare, finché Bill non le
sorrise forzato e lei
scosse la testa, mandando via tutti quei sospetti infondati. Una volta
alle
macchine Tom si diresse verso la propria e poco prima di entrare si
appoggiò
alla portiera e si rivolse al gemello: «Franky è a
casa?»
Lì per
lì non seppe cosa dire,
poi Franky gli suggerì di inventare una scusa.
«No, non c’è, è
andato… Non so
dov’è andato, mi ha detto che aveva da
fare.»
Tom sentì fin
troppo bene l’odore
di quella bugia ma lasciò correre. «Divertitevi,
mi raccomando», li salutò ed
entrò in auto, uscì in fretta dal parcheggio e
sparì poco dopo.
Bill aprì la
portiera a Zoe e lei
salì, lievemente imbarazzata, poi lui fece il giro e si mise
al volante.
“Figata! Non
ho mai guidato!”,
esultò Franky e portò subito le mani di Bill sul
volante e sul cambio, ma il
frontman si irrigidì.
“Metti le mani
a posto, Franky, o
le cose si mettono male!”, lo ammonì e
l’angelo dentro di lui si ritirò più
che
poté, quasi diventò impercettibile.
«Bill? Tutto
bene?», chiese
preoccupata Zoe.
«Sì,
certo, perché?»
«Perché
sei lì da mezz’ora, come
se non sapessi cosa fare. Per prima cosa devi accendere il motore e
poi…»
«So guidare la
mia macchina! Mi
ero solo distratto, tu mi confondi le idee», sorrise furbetto
e Zoe gli lanciò
un’occhiatina divertita.
«Sicuro che
vada tutto bene? Sei
strano.»
«Non sono
strano, sono solo
emozionato.» Accese il motore e uscì dal
parcheggio, diretto verso il centro
d’Amburgo. «È da tanto che aspettavo
questo momento e… finalmente eccoci qui.»
«Eh
già. Eccoci qui», sospirò.
«Dove
mi porti?»
«Al
Matsumi.»
Zoe si voltò
sorpresa: «Il
Matsumi? Il ristorante giapponese in cui fanno il sushi buono, vicino
al
Binnenalster?»
«Esattamente
quello», rispose
raggiante.
«È
una vita che ci volevo andare!
Come facevi a saperlo?» I suoi occhi luminosi si spensero
presto, lasciando
spazio alla malinconia: «Ah, te l’ha detto
Franky…»
Bill si
irrigidì. “Ecco, in
questo caso che devo fare?”, chiese all’angelo
dentro di sé.
“Dille la
verità, no?”
«Beh…
Io non sapevo dove portarti
e così ho chiesto a Franky e lui mi ha dato
quest’idea. Se vuoi possiamo anche
–»
«No»,
sorrise, «va benissimo
così, grazie mille Bill.»
“Grazie mille,
Franky!”
“Prego,
Bill”, ridacchiò.
Arrivarono al ristorante
e un
cameriere li portò al loro tavolo, separato dagli altri
grazie a dei divisori
di plastica gialla ed opaca. Si sedettero e Bill rimase ad osservare le
bacchette di fronte a sé e tutti i piattini nei quali
c’erano già disposte
diverse salse, tra cui primeggiava quella di soia.
“Franky,
c’è un piccolo
problema”, tremolò Bill.
“E quale
sarebbe?”
“Non ci sono
le forchette. E io
non so usare le bacchette!”
“Che incapace.
Ti va bene che le
so usare io!”
“Davvero? Sai,
penso che sia
stata davvero una bella idea farti entrare dentro di me. Certo, mi
sento un po’
compresso, però va beh ne vale la pena!”
“Sì,
sì… Adesso basta parlare… pensare,
o Zoe potrebbe insospettirsi.”
Bill sollevò
la testa e come
aveva previsto Franky, lei lo stava guardando accigliata, anche un
tantino
preoccupata. Si sporse sul tavolo e lo guardò negli occhi,
per essere sicura
che lo sentisse sopra il chiacchiericcio e lo sfrigolio del cibo che
stava
cuocendo nelle cucine perfettamente visibili poiché appena
di fronte
all’entrata.
«Ti senti
bene? Ci sono dei
momenti in cui ti assenti!»
«Sto bene Zoe,
stavo solo
pensando», ridacchiò. «Non sapevo ti
piacesse così tanto il sushi. Come mai
questa passione per il pesce crudo?», fece una smorfia.
«Oh
mamma», si coprì la bocca con
le mani. «Bill, ma tu sei vegetariano! Scusami,
io… non dev’essere bello
mangiare con davanti una persona che mangia ciò che tu non
mangi!»
«Eh?»,
rise. «Stai tranquilla,
non mi da fastidio», la rassicurò. «Sono
solo scelte diverse e bisogna
rispettarle tutte.»
«Ok,
sicuro?»
«Sicuro,
grazie.»
Lo stesso cameriere di
prima,
gentile e disponibile, portò loro i menù e Zoe
andò subito a controllare se
c’erano dei piatti vegetariani e sospirò quando li
trovò: sarebbe stato un bel
casino se non ci fossero stati!
«Comunque,
rispondendo alla tua
domanda», riprese Zoe una volta scelto. «La prima
volta
che ho mangiato il sushi è
stata con mia mamma, qualche anno fa. Me ne sono letteralmente
innamorata,
anche se l’idea di mangiare pesce crudo non sembri molto
allettante. È buono.»
«Devo
chiederti se stai bene?
Balbetti», Bill sogghignò.
«No,
è che mi prende male
parlarti di carne quando tu non la mangi»,
arrossì, abbassando lo sguardo.
“Oh
cavolo”, sbuffò Franky dentro
la sua testa, distraendolo ulteriormente. “Vuoi davvero dirmi
che devo mangiare
solo ed esclusivamente verdure, per di più giapponesi? Bill,
perché sei
diventato vegetariano?”, piagnucolò.
“Che
schifo…”
“Ehi, occhio
come parli”, lo
ammonì. “È il mio corpo e lo nutro come
voglio.”
“Il tuo corpo
sparirà, se non ci
metti un po’ di proteine!”
“Ammutolisciti,
va’.”
E Franky si
ritirò nella sua
testa, lasciandolo solo di nuovo con Zoe, che gli sorrise timidamente,
inclinando la testa sulla spalla, proprio come una bambina.
«Sono contenta
di essere qui con
te, Bill.»
«Anche io sono
contento», riuscì
ad arrossire pure lui, facendola sorridere intenerita.
Il cameriere
andò a ritirare le
ordinazioni e fra una chiacchiera e l’altra, in tutta
tranquillità dopo che il
ghiaccio fu completamente rotto, non si accorsero nemmeno che il tempo
era
volato e avevano già mangiato tutto quello che gli era stato
portato: Bill
aveva mangiato un’insalata di alghe marine, una porzione di
Yaki Udon (la pasta
giapponese) Vegetariano e una Tempura di verdure; Zoe, invece, si era
accontentata di una porzione abbondante di Sashimi Moriawase (sushi
misti) e di
qualche Uramaki, conosciutissime polpette di riso circondate da una
foglia
d’alga, rappresentate spesso nei cartoni giapponesi.
“Mi viene da
vomitare, Bill, ti
prego risparmiami!”, lo supplicò Franky, nauseato,
quando al frontman piaceva
tanto tutto, rispetto ai suoi pronostici non proprio positivi.
“Ti va bene
che sono sazio.”
Si portò le
mani sullo stomaco e
si appoggiò alla sedia. Sorrise soddisfatto a Zoe e lei
ricambiò, quando il
cameriere si presentò di nuovo da loro, sorridente, con un
vassoio su cui
c’erano una bottiglia, due bicchieri e due biscottini dorati.
«I biscotti
della fortuna!», si
ridestò Zoe, saltellando sulla sedia come una bimba, le mani
di fronte al viso
luminoso.
«Ma non sono
cinesi, i biscotti
della fortuna?», chiese Bill.
«Sì,
ma questo ristorante è sia
cinese che giapponese», gli rispose direttamente il
cameriere, posando la roba
sul tavolo e servendo il liquido chiaro nei bicchieri.
«Che
cos’è questo?»
«Mirin, o
più comunemente Sakè
dolce. È un vino molto particolare, perché fatto
con il riso, ma è la bevanda
più diffusa in Giappone», gli spiegò
Zoe. «Ed è buonissimo.»
Bill si portò
il bicchiere vicino
al viso e prima lo annusò, notandone l’aroma quasi
fruttato, poi lo portò alla
bocca e lo scoprì dolce e, al contrario di come pensava
– visto che lo avevano
definito come un vino, analcolico.
«Allora?»,
chiese Zoe con occhi
grandi e brillanti.
«È
buono, mi piace!», sorrise.
“Su questo ti
do ragione, Bill”,
concordò Franky.
«Bene. Allora
ci mancano solo
questi!» Zoe arraffò uno dei due biscotti lasciati
lì dal cameriere e lo ruppe
con i denti, tirò fuori il bigliettino e poi ne
mangiò un pezzo, srotolando la
carta sulla quale c’era scritto il “saggio
consiglio”.
«Che
dice?», chiese curioso.
«Ahm…»,
balbettò. «Prima il tuo.»
“Quando fa
così è tutto dire. Ma
assecondala”, gli suggerì Franky e lui
scrollò le spalle, prese il biscotto, lo
ruppe e ne lesse il contenuto a voce alta:
«Qualcuno ti sta pensando. Ora.»
Guardò Zoe e lei arrossì, poi si
ficcò l’altro pezzo in bocca che
inghiottì a fatica. Bill tossicchiò.
«Bene,
tocca a te.»
«Devo
proprio?», mugugnò e
sospirò al suo sorrisetto, prese il biglietto fra le mani e
si schiarì la voce:
«Non
nascondere l’amore che nasconde te
stessa.»
“'Sti
cazzi”, pensò Franky,
rischiando di far strozzare il cantante.
«Mmh, saggi
questi giapponesi»,
borbottò Bill, mentre un silenzio imbarazzato calava su di
loro.
«Mmm… Che dici,
andiamo a fare una passeggiata?»
«Ok»,
annuì Zoe con un sorriso
impacciato.
Si alzarono e dopo che
Bill ebbe
pagato, da vero cavaliere, uscirono all’arietta fresca della
sera. Zoe si
strinse nel coprispalle a maniche corte e lui ridacchiò,
togliendosi la giacca
di pelle nera e posandogliela sulle spalle.
«Grazie»,
mormorò.
«Prego,
freddolosa.»
«Non sono
freddolosa», ribatté
fiera. «Si era solo alzato un
venticello…»
«Mmh,
sarà», rise.
Camminarono per un
po’ lì nei
dintorni, passando anche per il più vecchio giardino
botanico nel centro
d’Amburgo, il Planten und Blomen,
nel quale si fermarono per un po’ a chiacchierare, seduti su
una panchina sotto
un grande platano che però non impediva loro di guardare le
stelle brillanti
nel cielo.
Franky era quasi
impercettibile
nel corpo di Bill e lui si sentiva bene, c’era una bella
atmosfera e
l’imbarazzo era quasi del tutto svanito, le parole
confluivano veloci come i
sorrisi, sempre più frequenti. Anche Zoe era tranquilla, si
sentiva al posto
giusto e con la persona giusta, non pensava a Franky, anche se qualcosa
le
diceva che non era poi così lontano da loro. Aveva quella
strana sensazione che
la perseguitava.
Da lì si
spostarono ancora un po’
e arrivarono ai pressi del fiume artificiale Binnenalster, si misero
appoggiati
al parapetto del ponte, sotto la luce di un lampione, e rimasero
lì a guardare
l’acqua che fluiva sotto di loro, sempre parlando, sempre
sorridendo.
«Guarda, un
cigno!», disse Zoe,
indicandolo. Al suo passaggio l’acqua tremava e sembrava
tanto che creasse un
varco per lui e per la sua straordinaria bellezza, oltre che eleganza.
Sotto la
luce della luna era ancora più bello. «Non ne
avevo mai visto uno da così
vicino. È straordinario.»
«Straordinario
come sei tu?»,
chiese Bill e lei si girò verso di lui, sorpresa ma allo
stesso tempo felice per
il complimento.
«Io sono
ancora un brutto
anatroccolo, in confronto a te», gli rispose e il cantante
l’abbracciò
dolcemente, stringendosela forte al petto.
Bill la
riaccompagnò a casa e si
fermarono accanto al portone, sotto la flebile ma allo stesso tempo
magnifica luce
della luna.
«È
stata una bella serata»,
sorrise e alzò gli occhi nei suoi. «Grazie,
Bill.»
«Di niente.
Sono contento che ti
sia divertita.»
Rimasero qualche secondo
in
silenzio, guardandosi di sfuggita senza sapere bene che cosa fare.
“Vuoi stare
lì impalato ancora
per molto?”, gli disse Franky e la sua voce irritata stava a
significare che
non vedeva l’ora di uscire dal suo corpo troppo stretto per
entrambi.
“Che cosa
dovrei fare, a questo
punto?”, gli chiese.
“Beh…”,
tentennò e Bill vide
chiaramente, ma solo di sfuggita, il pensiero che aveva concepito: lui
e Zoe
che si baciavano. L’aveva scartato immediatamente, non doveva
essere facile per
Franky concedergli anche quel lusso stando nel suo corpo per giunta,
facendo da
spettatore silenzioso. Aveva sopportato in silenzio fin
troppo.
“Credo che a
questo punto dovresti darle la buona notte e tornartene a casa.
Sì”, concluse,
schiarendosi la voce.
“E se
scegliessi l’opzione che
hai scartato?”
“Fai come
vuoi”, borbottò e si
fece piccolo piccolo nella sua mente, un pensiero quasi impercettibile;
non
l’aveva mai sentito così assente in tutta la
serata, era una bella sensazione
sentire di essere di nuovo, quasi, solo.
Incrociò lo
sguardo di Zoe e le
sorrise avvicinandosi, posando le mani sui suoi fianchi. Lei rimase
sbigottita
di fronte alla sua mossa audace e infatti lo guardò
avvicinarsi lentamente,
pensando freneticamente se spostarsi o meno, fin quando nei suoi occhi
ancora
aperti vide un riflesso verde, grazie alla luce della luna. Un verde
che
conosceva bene, fin troppo bene. Un verde che finalmente la rese sicura
di quel
minuscolo sospetto che si era insinuato nella sua testa fin
dall’inizio di
quella serata. Un verde inconfondibile. Un verde che la
spaventò e che la
eccitò allo stesso tempo.
«Franky
è dentro di te, non è
così?», chiese piano, prendendolo per la nuca e
avvicinandosi di sua spontanea
volontà ad occhi chiusi.
Sia Bill che Franky
erano rimasti
sorpresi alle sue parole, ma come Bill si sentì sprofondare,
Franky si fece
sempre più spazio per arrivare a ciò che
desiderava: un ultimo bacio di Zoe.
Bill si sentì
eclissare nel suo
stesso corpo, divenne lui l’ospite in quel momento
indesiderato, divenne lui lo
spettatore silenzioso; si sentì calpestato ed usato, senza
alcuna considerazione.
I suoi sentimenti, i suoi sentimenti erano stati spazzati via in un
soffio: in
quel momento lui non era importante, lui non esisteva.
Sentì il
proprio corpo
avvicinarsi ancora di più a Zoe e stringerla, poi le sue
labbra incontrare le
sue in un bacio da togliere il fiato. Sentì il suo cuore
perdere un battito e
poi il suo respiro diventare affannato mentre la lingua di Zoe giocava
con il
suo piercing.
Sapeva che tutto quello
non era
per lui e faceva male. Tanto male. Non era lui a comandarsi, era Franky
che lo
stava dominando nonostante cercasse in ogni modo di cacciarlo via da
sé, ma era
troppo potente, troppo preso da quella situazione.
“Basta! Ti
prego, basta,
Franky!”, urlò disperato dentro il suo stesso
corpo, nel quale cercava di
dimenarsi e di farsi spazio. Iniziava a mancargli l’aria.
In quel preciso momento,
alle sue
grida, Franky tornò lucido e si staccò
violentemente da Zoe, che guardò
spaventato e consapevole di aver fatto una cosa bruttissima.
“Io…
Mi dispiace, Bill”,
balbettò, ma sapeva che non sarebbero bastate delle scuse
per essere perdonato.
“Fuori. Esci
fuori da qui!”,
gridò Bill singhiozzando, riprendendo lentamente possesso di
sé: le sue mani,
le sue braccia, i suoi piedi, le sue gambe, il suo cuore, il suo
cervello, la
sua faccia, i suoi occhi, la sua bocca.
Sentì un
brivido percorrergli la
schiena, più intensamente degli altri perché non
era preparato. Quando mancava
ormai poco per dividersi completamente da Franky quasi lo
strappò via e si girò
verso di lui, lo guardò con occhi pieni d’ira e di
delusione, oltre che di
lacrime; si voltò verso Zoe, che aveva gli occhi dispiaciuti
che imploravano
perdono, e guardò anche lei nello stesso modo, solo che una
lacrima lo tradì
scivolandogli sulla guancia.
«Bill»,
tentò di dire lei,
alzando una mano, ma lui scosse la testa e corse all’auto,
chiudendo la
portiera con colpo secco, poi sgommò via.
Zoe guardò
Franky di fronte a sé
e si coprì il volto con le mani, cercando inutilmente di
trattenere quelle
lacrime che sentiva di non poter versare, visto che era stata colpa
loro.
L’angelo l’abbracciò delicatamente,
nascondendo il viso contratto in una
smorfia di disgusto per se stesso fra i suoi capelli.
«Che
cos’abbiamo fatto…?»,
singhiozzò la ragazza. «Io… Io devo
andare da lui, scusa Franky.»
Si liberò dal
suo abbraccio e
corse via, verso l’appartamento dei ragazzi.
L’angelo rimase ad osservarla
fermo immobile fino a quando non scomparve alla sua vista una volta
svoltato
l’angolo. Allora abbassò il capo e subì
il colpo senza lamentarsi, poi entrò
nel palazzo così da non essere più visto
né giudicato dalla luna, la
spettatrice silenziosa per eccellenza.
___________________________
Buon pomeriggio a tutti!
*-*
Ebbene sì, questo è IL capitolo,
quello che immagino attendavate con ansia xD
Tom ha reagito alla partenza di
Jole, è andato a trovarla al cimitero, ma cosa
più importante… Bill e Zoe sono
usciti! O, meglio… Bill, Zoe e Franky…
Sono successi un po’ di casini, eh? >.< Lascio
a voi il compito di
giudicare, se no potrei trattenervi qui per anni, anni ed anni e non
è
assolutamente il caso, fidatevi u.u
Ringrazio chi ha recensito lo
scorso capitolo, ossia:
Utopy
: Èvvero, èvvero, il mondo della Aria andrebbe a
rotoli se
non ci fossi tu u.u
Sono contenta di averti fatta
piangere, era il mio intento, da perfida quale sono *buahbuahbuah xDD*
Per
quanto riguarda Tom e il suo “ti amo”…
uhm, chissà u.u
Scommetto che questo capitolo ora
è il tuo preferito xD Privilegiata ù.ù
xD
Zoe è complicata, lo penso anche
io ahahah xD Beh, comprendiamola, poveretta…
Spero che ti sia piaciuto (xD) Ti
voglio tantissimo bene Mond! Tua, Sonne <3
_lile_ :
Alla fine odio e adorazione vanno a braccetto, no? :D Non
ti preoccupare, Tom e Jole tornano! ;) Grazie mille per la recensione,
alla
prossima!
Isis 88 :
Buona fortuna per gli esami, allora! ;D
Tokietta86
: Ma davvero, dagliela una botta in testa a sto cretino
xD Tom si è innamorato assai alquanto, chissà se
le dirà mai che la ama…
Zoe ha chiarito con Jole e anche
con Franky per quanto riguarda al suo compito sulla Terra…
Ora vediamo come si
sviluppa la situazione qui xD Parecchio incasinata. Il triangolo
no… xD
Naaaah, non ci credo che l’avevi
immaginato come Justin Bieber *-* Sei una maga u.u
Grazie mille per la recensione,
alla prossima! Un abbraccio :)
Ringrazio anche chi ha
letto
soltanto e chi ha messo questa ff fra le preferite/seguite!
A mercoledì, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 20 *** Physically and mentally (Part II) ***
20. Physically and
mentally (Part II)
[Where are
you now,
when nothing's going right
Where are you now
I can't see the light]
La porta si
aprì e subito si
richiuse violentemente, Tom si sporse sul divano per riuscire a vedere
l’ingresso e sobbalzò alla vista del gemello
sconvolto ed in lacrime.
«Bill!»
Corse da lui e gli prese
le spalle fra le mani per guardarlo negli occhi, rossi e gonfi di
pianto. «Che
ti è successo?»
Bill scosse la testa e
singhiozzando cercò di divincolarsi dalla sua presa ferrea,
ma dovette cedere
al suo abbraccio.
«Calmati,
ok?», gli sussurrò Tom
all’orecchio, cercando di tranquillizzarlo, stringendolo a
sé ed
accarezzandogli i capelli sulla nuca. «Ci sono io con
te.»
Il cantante rimase per
un po’ fra
le saldi braccia del fratello, desiderando il silenzio, poi si
asciugò le
lacrime e lo guardò in viso: «Grazie,
Tomi.»
Gli sorrise e gli
accarezzò una
guancia: «Se ne vuoi parlare sono qui.»
Bill annuì e
corse su in camera
sua, sbattendosi la porta alle spalle. Si gettò sul letto e
strozzò i
singhiozzi nel cuscino, stringendolo forte fra le braccia. Non poteva
credere
che fosse successo davvero, che Franky avesse avuto il coraggio di
fargli una
cosa simile: l’aveva usato, aveva usato il suo corpo per
provare ancora la
sensazione di baciare Zoe nonostante non gli fosse più
permesso, nonostante non
toccasse più a lui!
Non riusciva a pensare
razionalmente,
escludeva qualsiasi ipotesi nel quale Franky non aveva tutta la colpa,
era
troppo ferito e troppo arrabbiato per assegnare ad ognuno la propria
parte di
colpevolezza. Rimase soltanto lì a consumare tutte le sue
lacrime, poi guardò
la luna fuori dalla finestra che illuminava una parte del letto.
Il silenzio venne rotto
da una
voce femminile proveniente dal piano di sotto. Bill sapeva di chi era,
l’avrebbe riconosciuta fra un milione.
«Tom, lasciami
stare! Voglio solo
andare da Bill! No, non ti spiego adesso che cos’è
successo, te lo spiegherò,
ma non ora! Non rompere!»
Poi dei passi pesanti
salire le
scale due a due e raggiungere la porta della sua camera, sulla quale
bussò
velocemente prima di entrare senza aspettare alcuna risposta.
«Bill»,
mugugnò e tirò su col
naso, chiudendo la porta alle proprie spalle.
Il cantante si
alzò dal letto e
si passò le mani sul viso per cercare di ristamparsi in
faccia
quell’espressione delusa e arrabbiata, ma non ci
riuscì molto bene. «Che cosa
vuoi?»
«Io…
mi dispiace per quello che è
successo», sussurrò guardando in basso, poi
alzò gli occhi con una punta di
orgoglio a farli brillare: «Perché hai voluto
Franky nel tuo corpo, non hai
immaginato che potesse accadere? E, a parte questo, non hai minimamente
pensato
a come lui potesse sentirsi dentro di te, con tutti i tuoi pensieri su
di me e…
come mi spieghi questa cosa?»
Bill sospirò,
gli occhi
socchiusi: «Avevo paura.»
«Paura?»,
corrugò la fronte. «Di
che cosa?»
«Che ne
so», sbuffò e si avvicinò
a lei, tanto da sentire il suo profumo invadergli i polmoni.
«Avevo paura che
non fossi all’altezza di Franky, tanto da non riuscire a
sostituirlo… Insomma,
le mie solite seghe mentali.»
Zoe sorrise, divertita.
«Hai
detto proprio bene: seghe mentali. Inutili, aggiungerei.»
Bill accennò
un sorriso e diminuì
ancora la distanza fra i loro corpi, le prese il viso con le mani e
catturò le
sue labbra nelle proprie, quasi con prepotenza: voleva che quel bacio
fosse
suo, fosse solo ed esclusivamente per lui. Voleva che Zoe fosse sua, in
quel
momento preciso.
Le portò le
mani sui fianchi,
stringendola a sé, e in poco tempo gliele infilò
sotto il vestitino nero,
glielo levò in una mossa e incastrò le dita fra i
suoi capelli baciandola
ancora sulla bocca, mentre la spingeva verso il letto. Lei ci cadde
sopra e lui
la sovrastò, si tolse la maglia e si occupò del
suo reggiseno, che cadde a
terra.
L’accarezzò,
la baciò e quando
entrò in lei con una spinta secca si sentì
euforico, quasi provò un piacere
perverso pensando a Franky che avrebbe sofferto quando avrebbe scoperto
quello
che stavano facendo. Avrebbe sofferto come aveva sofferto lui,
sentendosi
schiacciato nel suo stesso corpo.
Il ritmo, da frenetico e
possessivo, rallentò e divenne persino dolce, tenero, ma Zoe
non riusciva a
lasciarsi andare: aveva gli occhi stracolmi di lacrime, lottava per non
farle
sgorgare da quelle deboli barriere, e soffocava i gemiti di piacere
contro la
spalla di Bill, come se non si volesse sentire, quando invece lui non
si
vergognava a dimostrarle quanto lo stesse prendendo.
Quando crollò
esausto su di lei,
strusciò il naso contro il suo collo, baciandolo
delicatamente, e Zoe non
riuscì più a resistere: strinse il pugno nei
capelli corvini del cantante e
pianse, stringendolo forte. «Scusami, scusami»,
riusciva solo a farfugliare fra
i singhiozzi.
Bill le
accarezzò il viso e le
baciò la fronte, poi si mise nella sua parte di letto e
l’abbracciò per la
vita, mentre lei gli girò le spalle per non farsi vedere. Si
vergognava delle
sue lacrime, perché ancora non sapeva da che parte stare, se
da quella di
Franky o quella di Bill. O meglio, lo sapeva, ma aveva paura a lasciar
andare
l’altra, quella del passato. Era davvero pronta a fare quel
salto, a
ricominciare? E se non ce l’avesse fatta?
Sentì le
braccia di Bill aumentare
la stretta intorno la sua vita e poi la sua fronte contro la sua
schiena, sulla
quale lasciò una scia di baci. Il frontman soffiò
sulla sua pelle e Zoe si
rilassò, rassicurata, e chiuse gli occhi ancora umidi.
Forse, forse ce
l’avrebbe fatta.
Doveva solo crederci e non avere paura, perché non poteva
avere paura di
niente, se accanto a sé aveva il suo angelo custode e delle
persone come Tom
pronte a correre da lei in qualsiasi situazione.
***
Si svegliò e
si stropicciò gli
occhi, sfregandosi la pelle arrossata dalle lacrime della sera
precedente.
Allungò la mano nel letto, ma non trovò nessuno
accanto a sé. Sbuffò e si tirò
seduta sul letto, con il magone in gola quando rivisse tutto quello che
era
successo la notte prima.
Si alzò e
trovò dei vestiti
puliti ai piedi del letto, li guardò e se li
portò al viso: il profumo di Bill
era inconfondibile e ne erano impressi. Se li infilò e poi
scese al piano
inferiore timidamente. Scorse Tom in cucina, girato verso i fornelli,
che
parlava a bassa voce con qualcuno. Si avvicinò e si
appoggiò alla porta: Bill
era seduto al tavolo, ancora mezzo addormentato.
«Buongiorno»,
la salutò Tom con
un sorriso obliquo sulle labbra. Il cantante si voltò e
sorrise a sua volta,
con tenerezza. «Dormito bene?»
«Uhm»,
scrollò le spalle,
sedendosi a capotavola.
«Caffè?»,
le chiese allora il
chitarrista.
«Sì,
un pochino. Grazie.»
«Prego.»
Calò il
silenzio e Zoe capì che
era a causa sua, o meglio per quello che era successo fra lei e Bill
che c’era
quell’aria tesa ed imbarazzata. Tom si schiarì la
voce e fu l’unico rumore
udibile in quei minuti in cui lei si sentiva soffocare.
«Che fine ha
fatto Franky?» Sia
Bill che Zoe rischiarono di strozzarsi e lo guardarono con gli occhi
spalancati. «Che c’è, che ho detto di
male?»
«Niente»,
mugugnò il gemello. «Comunque
non ho idea di dove sia.»
Lo sguardo di Tom,
così, si
spostò su di lei, che rispose allo stesso modo, alzando le
spalle afflitta.
«Menomale che
ero io quello nella
situazione complicata», borbottò.
«Piuttosto,
Gustav e Georg?»,
chiese Bill.
«Per quel che
ne so, dormono.»
«Uhm.»
Zoe finì il
proprio caffè e si
appoggiò allo schienale della sedia, sospirando.
«Forse dovrei chiamarlo,
forse…» Lo sguardo glaciale di Bill la fece
ammutolire.
«Ciao»,
mormorò una voce alle
loro spalle e tutti si voltarono verso la finestra, davanti alla quale
stava
Franky, lo sguardo basso e dispiaciuto. «Sono…
sono solo passato per scusarmi
con Bill per quello che –» Si interruppe
bruscamente e guardò il cantante con
gli occhi sgranati, che pian piano si inumidirono di lacrime mano a
mano che il
flusso dei suoi pensieri raggiungeva la sua mente.
La spinse sul letto e la
sovrastò, Zoe lo strinse a sé e sorrise quando
la spogliò ed entrò in lei. Gemeva di piacere, lo
incitava, gridava il suo nome
e sorrideva. Erano una cosa sola e sembrava che niente e nessuno poteva
dividerli.
«Bill, ti amo»,
sfiatò quando vennero insieme. Il ragazzo si
accoccolò
su di lei e si lasciò accarezzare i capelli. Zoe
continuò: «A che mi serve un
angelo custode, quando ho te?»
Franky scosse la testa a
quelle
parole che gli inflissero il colpo di grazia e cercò di
scollegarsi dalla mente
di Bill, ma i suoi pensieri erano troppo potenti, li urlava e nel
contempo
sorrideva. Si raccolse la testa fra le mani e lo guardò
implorante, mentre
tutto si ripeteva per l’ennesima volta, con ancora
più particolari, come se il
suo scopo fosse quello di farlo soffrire.
«Ti prego, ti
prego basta»,
singhiozzò. Era la peggior tortura a cui lo avessero mai
sottoposto.
Zoe si alzò
di scatto e lo affiancò,
cercò di farlo calmare, ma lui la spostò e allora
guardò Bill, osservando molto
attentamente la sua espressione tranquilla e innocente.
«Bill! Bill,
smettila! Qualsiasi
cosa tu stia facendo, finiscila!», gridò
disperata, ma Franky continuava a farfugliare,
sconvolto, fin quando non riuscì più a resistere:
«Devo…
devo andarmene da qui, non
posso… non ce la faccio, non ci riesco!» E
scappò dalla finestra,
allontanandosi nel cielo ad una velocità impressionante.
Zoe si girò
verso Bill, che
sorrise soddisfatto. Marciò verso di lui e lo
guardò negli occhi, seria: «Che
cosa gli hai fatto?»
«Niente, che
io sappia», scrollò
le spalle. «È lui che ha letto i miei
pensieri.»
Sgranò gli
occhi, che si
colmarono di lacrime. «Tu… tu…
l’hai fatto davvero? COME HAI POTUTO?!» Gli
tirò
un ceffone sulla guancia, tanto forte che gli rimasero subito le cinque
dita
rosse stampate sulla pelle candida, e corse al piano di sopra,
raccattò le sue
cose e poi fuggì dall’appartamento, in lacrime.
~ ~
~
«Non esistono
punizioni per gli
angeli, Franky», disse per l'ennesima volta Alexandra,
massaggiandogli la
schiena.
Ariadne era accanto alla
finestra, lo sguardo concentrato e le braccia incrociate al petto.
«IO ho
sbagliato, IO devo essere
punito!», farfugliò, fra i singhiozzi e le lacrime
che continuavano a
graffargli le guance. Tirò su col naso e si
sfregò gli occhi umidi con le mani.
«Potresti
stare con noi, per un
po’», mormorò Ariadne, gli occhi che
ancora perlustravano il tetto della città
fuori dalla finestra. Sia Franky che Alexandra alzarono lo sguardo su
di lei,
con il fiato sospeso. «Giusto il tempo per mettere in ordine
le idee…»
«Non
è una cattiva idea»,
constatò Alexandra, sorridendogli. «Te la senti,
Franky?»
L’angelo
annuì con un cenno del
capo. «Voglio fare qualcosa di utile, qualcosa che, per
quanto possa sembrare
egoista, mi distragga e mi faccia sentire meno colpevole, come se
stessi
scontando la mia pena.»
«Va bene,
saremo spietate»,
ridacchiò.
***
«Tesoro…»
La madre di Zoe si alzò
dal divano ed andò verso la figlia, il viso preoccupato.
«Che fine hai fatto
ieri sera, mi sono preoccupata da morire! Stai bene?»
«Mamma,
lasciami in pace, ok?»
«Ma,
tesoro…»
«Lasciami in
pace», singhiozzò,
poi si divincolò dall’abbraccio della madre e si
chiuse in camera sua, dove
riprese a piangere come una fontana, accasciandosi contro il legno
della porta.
Quando alzò
il viso per
controllare che fosse effettivamente sola nella stanza, si accorse che
sul
proprio cuscino c’era una busta bianca. Gattonò
accanto al letto e l’afferrò,
strappò la carta quasi freneticamente e poi si
tuffò su quelle parole che le
graffiavano il cuore una dopo l’altra, inesorabili ed
inarrestabili.
Zoe,
non pensavo di arrivare
a questo
punto, pensavo di essere più forte, ma mi sbagliavo.
Ho bisogno di un
po’ di tempo per
riflettere, per ritrovare la forza di mettermi da parte e lasciarti
vivere la
tua vita, com’è giusto.
Non incolpare nessuno
della mia
partenza, né te né Bill… Se proprio
devi farlo, incolpa me: sono io che ho
deciso di andarmene per un po’, perché sono
così debole…
Non sono arrabbiato,
né con te né con
Bill, ma un po’ sono rimasto ferito, lo devo ammettere.
Mi dispiace tanto
lasciarti, non sai
quanto. Sarò più vicino di quanto credi, ma, ti
prego, non fare cose di cui
potresti pentirti.
Il tuo angelo custode,
Franky
Zoe respirava in modo
irregolare,
sentiva il cuore scoppiarle nella cassa toracica e piangeva lacrime
pesanti che
nonostante tutto non riusciva a sentire. Non esisteva più
niente, intorno a sé,
non dopo averlo perso per la seconda volta.
Com’era
possibile? L’aveva perso
quand’era morto ed era riuscita a perderlo persino ora, che
doveva stare sempre
con lei perché era il suo angelo custode.
Lasciò cadere
la lettera a terra
e la guardò bruciare di un fuoco fatuo, azzurrino. Non ne
rimasero nemmeno le
ceneri. Zoe si piegò in avanti, la fronte sul pavimento
freddo, stringendosi il
petto con le mani, e gridò tutto il suo dolore.
Gridò il suo nome, fin quando
sua madre non irruppe nella camera con Heinz al seguito, spaventato
quanto lei.
Cercò di calmarla, di rassicurarla cullandola al proprio
petto, ma niente e
nessuno, niente se non il suo ritorno, ne sarebbe stato in grado.
[Can someone
help me find my angel
‘cause every breath I take without, is painful
Please someone, help me find my angel]
~ ~
~
Un brivido gli
attraversò la
schiena e chiuse gli occhi, il cuore invaso dal dolore. Si
fermò in mezzo al
cielo limpido e fra le case vide quella di Zoe. Alexandra
tornò indietro e lo
prese per un braccio:
«So che
vorresti tornare, non
vuoi che soffra, è comprensibile, ma… non puoi
farlo. O tutto quello che stai
facendo sarebbe inutile.»
Franky annuì,
gli occhi colmi di
lacrime, e riprese il suo volo accanto ai due angeli speciali,
sfrecciando fra
le nuvole.
***
Erano parecchi giorni
che non
vedeva né sentiva Zoe. Gli mancava da morire e, assieme a
lei e alla sua
allegria, era sparito pure Franky. Certo, l’angelo lo aveva
avvisato che se ne
sarebbe stato lontano per un po’ – gli aveva
lasciato una lettera che si era
autodistrutta – ma non aveva capito molto bene quello che era
successo. Aveva
cercato di parlarne con Bill, di ricavare almeno le informazioni
essenziali, ma
tutto ciò che aveva ottenuto era stato un litigio di quelli
epocali, un vero
litigio fra gemelli, tanto che Gustav e Georg avevano dovuto
abbandonare
l’appartamento manco si fosse scatenata la terza guerra
mondiale.
Di peggio,
sospirò e guardò il gemello al tavolo della
cucina, che
leggeva una rivista di moda in religioso silenzio.
«Bill?»
Il gemello nemmeno
alzò gli
occhi, mugugnò un «Mmh?» di risposta.
«Sei
arrabbiato con me?», chiese
allora, con gli occhi tristi.
«No»,
scrollò le spalle e strinse
le braccia al petto, appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Ma lo divento,
se inizi di nuovo a fare l’interrogatorio.»
Tom sbuffò e
colpì le gambe con
le mani, spazientito. «Possibile che tu sia così
egoista, tanto da non dirmi
quello che è successo?! Non ci stai soffrendo solo tu, ma
anche Zoe e Franky e,
per quanto mi riguarda, non me ne starò con le mani in mano
come te!» Uscì
dalla cucina a passo spedito, fumante di rabbia, e raccattò
le chiavi della
macchina.
«Sì,
vai ad aiutare l’angelo
custode. Sbaglio o è lui quello che dovrebbe
aiutare?», disse Bill con stizza.
Tom si fermò e chiuse gli occhi, poi marciò di
nuovo verso la cucina, si fermò
sulla soglia e lo squadrò truce.
«E se non
dovesse tornare più, la
penseresti ancora così?! Ringrazia che sia qui,
cretino.»
Dopodiché
uscì di casa e salì in
macchina, diretto verso casa Wickert. Fu la madre di Zoe ad
accoglierlo, il viso
stanco e preoccupato, così felice di vederlo che lo travolse
in un abbraccio.
«Menomale che
sei qui, Tom. Zoe
ha bisogno di te», sfiatò e aggiunse, guardandolo
negli occhi: «Non vuole mangiare,
piange sempre, di notte ha gli incubi e si sveglia urlando…
io non so più che
cosa fare. La trovi in camera sua, è chiusa lì da
giorni.»
«Ci penso
io», si sforzò di fare
un sorriso quantomeno rassicurante e si avviò verso la
camera della ragazza.
Una volta di fronte ad essa, si accostò alla porta e fece un
respiro profondo,
poi bussò:
«Zoe?»
«Tom…
Che cosa vuoi?» La sua voce
era debole e nasale.
«Voglio che
esci da lì.»
«No.»
«Che senso ha
quello che stai
facendo?»
«Non lo so. E
potrei chiederti la
stessa cosa.»
«Non fare la
scema.»
Il silenzio divenne il
protagonista
per diversi minuti. Tom, con lo sguardo rivolto verso il pavimento, si
appoggiò
alla porta con la spalla.
«La presenza
fisica non è
essenziale», disse titubante. Perché Franky era
riuscito a dire tutte quelle
cose con così tanta semplicità?
«È sempre qui con il pensiero e… un
sorriso è
più importante anche di un abbraccio… Insomma, io
non riesco a spiegarlo come
farebbe Franky, ma il succo è che devi uscire da
lì e mostrargli di che pasta
sei fatta, o tutti i suoi sforzi per starti accanto saranno stati
inutili.»
Calò di nuovo
il silenzio e
quando stava per andarsene sconfitto, sentì la porta aprirsi
dall’interno e Zoe
si fiondò fra le sue braccia, affondando il viso nel suo
petto e stringendolo
forte. Tom sospirò e le massaggiò la schiena, poi
le baciò la testa con
delicatezza.
«Che ne pensi
di pizza e film?»,
le chiese. Lei sollevò il viso e, tirando su col naso,
sorrise ed annuì.
Non si cambiò
nemmeno, uscì con
la maglietta e i pantaloni della tuta, struccata, e insieme al suo
migliore
amico andò ad affittare quel film. Avevano optato per New Moon,
ma visto che Tom aveva visto a spizzichi e bocconi il primo
della famosa serie, Twilight,
presero
anche quello sotto l’occhio vigile della commessa che, sicuro
come l’oro, aveva
riconosciuto il chitarrista dei Tokio Hotel, che però non la
calcolò nemmeno,
nonostante fosse una bella ragazza.
«Uh,
vampiri… questi sì che
mordono», commentò maliziosa, guardando Tom negli
occhi.
Zoe, scocciata, si fece
più
vicina a Tom e gli infilò la mano nella tasca posteriore dei
jeans larghissimi;
poi sogghignando rispose: «Io preferisco i
licantropi.»
La ragazza fece una
smorfia e con
la più totale dell’indifferenza, come se davvero
non le avesse dato fastidio il
suo intervento, gli diede i DVD e li salutò.
Una volta fuori Zoe
sorrise,
soddisfatta del suo operato, e guardò Tom di sfuggita prima
di salire in auto.
«Perché
mi hai toccato il culo?»,
le chiese ricambiando lo sguardo, realizzando solo in quel momento
ciò che era
successo.
«Perché
odio le persone così
sfrontate: quella ci stava provando con te e io ero lì
accanto!»
«Ci stava
provando con me?»,
corrugò la fronte.
Zoe spalancò
gli occhi e lo
osservò attentamente mentre usciva dal parcheggio con una
semplice mossa.
Com’era possibile che lui, proprio lui, non si fosse accorto
di quel tentativo
d’abbordaggio così palese?! Forse la spiegazione
era solo una: Jole si era
presa ciò che mai nessuno era riuscito a rubargli e questi
ne erano i
risultati. Si era innamorato... Purtroppo in ritardo.
Un sorriso dispiaciuto si fece
spazio sul viso della moretta:
«Mi dispiace,
Tomi…»
«Di che cosa?
Scusami, ma stasera
non ti capisco proprio», scosse la testa. Gli si leggeva la
confusione negli
occhi.
«Niente,
lascia stare.»
«Mmh.»
Sotto casa Tokio Hotel,
Zoe esitò
prima di scendere dall’auto.
«Qualcosa che
non va?», le chiese
il chitarrista.
«C’è
Bill in casa?» Nella sua
voce si leggeva benissimo quella nota di paura che si rispecchiava pure
negli
occhi azzurri. Tom sorrise e le porse una mano, che lei
afferrò immediatamente.
«Se
c’è, sarà chiuso in camera
sua come sempre. E poi ci sono io a proteggerti, no?», le
fece l’occhiolino e
lei ridacchiò, scendendo dall’auto.
Salirono le scale stando
vicini,
ogni tanto lui giocava a spingerla sul lato e lei ricambiava con colpi
d’anca,
ridendo sommessamente per non dar fastidio agli altri condomini.
Entrarono
nell’appartamento
silenzioso, per enorme sollievo di Zoe, e raggiunsero la camera di Tom
mano
nella mano. Lei si gettò subito sul letto matrimoniale del
chitarrista e si
portò un cuscino sulla faccia, respirandone tutto il dolce
profumo.
«Ti sniffi il
mio cuscino?», le
chiese ridacchiando, poggiando un ginocchio sul materasso, mentre si
portava il
telefono all’orecchio.
«Sì,
hai un buon profumo.»
«Mi fa
piacere», sorrise di
sfuggita prima di concentrarsi nell’ordinare le pizze e fare
lo spelling
l’indirizzo, in un modo così divertente che fece
scoppiare a ridere Zoe, che si
rotolò persino sul letto stringendosi la pancia.
Chiuse la chiamata e la
guardò,
poi si tuffò su di lei per farle il solletico.
«Che cosa c’è da ridere, eh?!»
«No, ti prego
Tom, io non lo
sopporto!» Era rossa in viso, le lacrime agli occhi e il
fiato corto.
«Almeno ridi
per qualcosa, no?»
«Ti
supplico!»
Tom sbuffò e
cadde al suo fianco,
supino. «Giusto perché sono buono.»
«Menomale,
credevo mi scoppiasse
tutto», sorrise abbracciandolo per la vita.
In silenzio
sollevò lo sguardo
sul suo viso e lo trovò sereno, gli occhi chiusi e la fronte
liscia, senza
pensieri, il naso leggermente all’insù e le
labbra, quelle labbra che le
ricordarono fin troppo quelle di Bill. Abbassò gli occhi di
scatto e aumentò un
po’ la stretta del suo abbraccio, mordicchiandosi il labbro
inferiore.
«Ehi, qualcosa
che non va?», le
chiese Tom.
«No,
è tutto… ok.»
Le sollevò il
viso con un dito e
sorrise sghembo: «A chi vuoi darla a bere? Forza,
raccontami.»
«Niente, stavo
pensando che…
somigli tanto a Bill.»
Lui aggrottò
le sopracciglia. «A
parte che siamo fratelli gemelli… Perché ti
è venuto in mente Bill, proprio
ora?» Attese in silenzio una risposta, fino a quando una
vocina si insidiò fra
il filone dei suoi pensieri, rendendo tutto estremamente più
chiaro: c’era
qualcosa che lui non sapeva e che doveva assolutamente sapere, e quello
era il
momento adatto. «Mi racconti cos’è
successo la sera del vostro appuntamento?»
«Ahm…»,
balbettò Zoe. Come poteva
davvero raccontarglielo? Era il suo migliore amico, sì,
ma… Insomma, era lì per
distrarsi, non per pensarci ancora!
«Non vuoi
dirmelo, non puoi? Che
cosa, Zoe?»
«Io…
Ecco è successo che…» Non
seppe più come continuare, davvero non ce la faceva! Alla
fine cedette e
sospirando disse: «Scusa Tom, ma non ho voglia di parlarne,
davvero.»
«Ok, non fa
niente», le sorrise e
le fece un buffetto sulla guancia, che invece di renderla felice la
fece
sentire ancora più male: perché era
così buono con lei? Non si meritava un
amico così. Non si meritava neppure un angelo
custode…
«Me lo dirai
quando sarai
pronta.» Altra pugnalata al cuore, così dolorosa
che stava per dirgli tutto,
quando il campanello al piano di sotto trillò.
«Saranno le
pizze, arrivo
subito!», esclamò Tom e si precipitò
giù: doveva avere proprio una gran fame,
visto che aveva pure rischiato di inciampare nei suoi stessi jeans
caracollando
giù dal letto.
Zoe scosse la testa e si
guardò
intorno per un po’ nella stanza che conosceva bene, poi prese
il DVD di Twilight
e si accinse ad inserire il
dischetto nel lettore, stando di fronte al televisore.
Si rigirò il
telecomando tra le
mani per una decina di secondi, borbottando: «Mmh,
vediamo… Come funzioni, tu?»
C’erano fin troppi tasti rispetto al suo!
Sentì dei
passi avvicinarsi alla
camera e, pensando che fosse Tom di ritorno con le pizze,
uscì per andargli
incontro.
«Tom, come
diavolo funziona
questo coso?», chiese, ma quando sollevò lo
sguardo si trovò di fronte a Bill,
che sollevò il sopracciglio dubbioso. Zoe perse la poca luce
che aveva negli
occhi e una fitta al cuore la fece boccheggiare.
«Ciao»,
la salutò lui.
«C-Ciao.»
«Che…
Non credevo che tu fossi
qui.»
«E
invece…»
Abbassarono entrambi lo
sguardo e
si rintanarono nei loro pensieri. Zoe era ancora arrabbiata con lui per
quello
che aveva fatto a Franky, ma era arrivata alla conclusione che la colpa
non era
solo sua, infondo. Bill, dal canto suo, aveva capito di aver sbagliato,
ma era
a sua volta arrabbiato con Franky per quello che gli aveva fatto e per
essere
sparito in quel modo.
Quanto cavolo ci metti, Tom?!
Zoe stava pregando perché arrivasse
in fretta a tirarla fuori da quella situazione.
«Senti,
Zoe…», incominciò
timidamente Bill, muovendo un piede sul pavimento, poi grattandosi la
nuca. Non
si sentiva colpevole, non era il termine adatto secondo lui, ma non
poteva fare
a meno di volersi scusare con lei per quello che aveva fatto: era
troppo cotto
per sopportare quel silenzio fra loro.
«Mi dispiace
da morire per quello
che è successo», avrebbe voluto dire, ma quelle
parole non uscirono mai dalla
sua bocca, grazie o a causa di Tom che comparve in corridoio con due
cartoni di
pizza fra le mani, sbraitando:
«È
costato di più il trasporto a
domicilio che le pizze!» Si immobilizzò sul posto
quando vide il gemello e
l’amica l’uno di fronte all’altra, gli
occhi spenti rivolti verso di lui.
«Io devo
andare», mormorò Bill
prima di girarsi e di ritornare nella propria stanza, sbattendosi la
porta alle
spalle, così forte che Zoe dovette chiudere gli occhi come
se fosse stato un
colpo di frusta infertole sulla schiena.
Tom non fece in tempo a
chiedere
nulla: Zoe, senza riaprire gli occhi, solo dandogli le spalle, disse:
«Forza
con queste pizze, ho fame. E guardiamoci ‘sti benedetti
film.»
Si misero sul letto e
mangiarono le
loro pizze in silenzio.
Tom lanciava continue occhiate alla ragazza, ma tutto ciò
che trovava era il
desolante ritratto della passività sul suo volto e il
riflesso azzurrognolo della TV nei suoi occhi. Avrebbe voluto chiederle
che cosa fosse successo con
Bill,
se era per causa sua che il fragile castello di carte che aveva
costruito per
difendersi era crollato di nuovo, ma sentiva che non avrebbe cavato
alcun ragno
dal buco.
Quel film non lo
prendeva per
niente, non riusciva nemmeno a capire come potesse essere piaciuto
tanto alle
ragazzine di tutto il globo e persino a suo fratello, entusiasta: ne
aveva
parlato per giorni, dopo averlo visto! Forse era solo la situazione,
non era
proprio il momento adatto per vedere un film, tra l’altro
d’amore. Un amore
alquanto impossibile. Ma lui, di amori impossibili, ne sapeva qualcosa.
Sospirò
malinconico e si appoggiò
alla spalla di Zoe, gli occhi fissi sullo schermo per concentrarsi
almeno
sull’ultima scena – Bella ed Edward alla ballo di
fine anno – che aveva fatto
scoppiare in lacrime suo fratello. Lei lo guardò per un
attimo, poi sorrise
debolmente tornando a guardare lo schermo.
“Edward,
perché mi hai salvata?
Se avessi lasciato diffondere il veleno… adesso sarei come
te.”
“Non sai di
cosa parli. Tu non lo
vorresti.”
“Io voglio te.
Sempre.”
“Io non
metterò mai fine alla tua
vita.”
“Ma sto
già… morendo. Ogni
secondo mi avvicino alla morte, invecchio!”
“Ed
è così che deve essere…”
«Oh mamma
quanto la tira lunga», sbuffò
Tom. «Falla diventare vampira e basta, è quello
che vuole! Sto qui si fa un
sacco di problemi, è complessato!»
Zoe si girò
verso di lui,
lentamente, e lo guardò fisso negli occhi per diversi
istanti, finché lui non
abbassò il braccio che aveva innalzato contro la
televisione, poi scoppiò a
ridere, accasciandosi sul suo petto.
«Sì,
forse è un po’ complessato,
ma se la facesse diventare vampira ora… non ci sarebbe il
seguito, il seguito
del seguito e il seguito del seguito del seguito! Sì, forse
il seguito ci
sarebbe, però…»
«Niente
più money
per la Mayer!», riassunse il
chitarrista con il gesto della mano, ridendo insieme a lei.
«Tom, posso
chiederti una cosa?»,
gli domandò Zoe, diventata improvvisamente seria,
arrotolando il bordo della
maglia del ragazzo fra le dita, quasi intimidita.
«Sì,
dimmi.»
«Non hai
seguito quasi niente del
film… Posso sapere a chi stavi pensando?»
«Chi te lo
dice che è un chi,
ciò a cui stavo pensando?» La
moretta lo guardò eloquente, un sorriso obliquo sulle
labbra, e lui dovette
cedere. «Stavo pensando a… a Jole.»
«Mmh,
immaginavo. Ti manca?»
Un inusuale rossore si
impadronì
del viso di Tom. «Ma… che domanda è
questa?!»
«Una domanda
normalissima»,
scrollò le spalle, incurante. «Ti manca?»
«Uff…
sì, che mi manca, è… ovvio
che mi manchi, no?»
Zoe ricadde con la testa
sul suo
petto e sospirò: «Ci siamo ficcati proprio in una
situazione complicata, eh?
Altro che vampiri complessati… Noi siamo addirittura
innamorati di… morti»,
rabbrividì a quella parola e Tom la strinse di
più al suo petto.
«Ce la faremo,
vedrai», le
sussurrò prima di stamparle un bacio sulla testa.
«E ora vediamoci il seguito,
va’! Sono curioso di sapere che cosa decide quel vampiro
complessato.»
Si guardarono negli
occhi e
risero. Infilarono il secondo DVD nell’apposita fessura e lo
fecero partire,
sedendosi di nuovo l’uno accanto all’altro, stretti
in un abbraccio che sapeva
di vicinanza, supporto e conforto, oltre che di vera amicizia.
In New Moon,
però, qualcosa fra Bella ed Edward era andato storto. O
meglio, fra Bella e Jasper, che aveva tentato alla sua vita a causa di
un po’
di sangue uscito da una ferita provocatale da un taglio con la carta in
cui era
avvolto uno dei tanti regali che le avevano fatto per il compleanno.
Edward era
rimasto molto scosso da quell’episodio e infatti, qualche
giorno dopo
l’accaduto, aveva deciso di andare via perché
riteneva che Bella sarebbe stata
più al sicuro lontana da lui. Sarebbe andato via e non
l’avrebbe più rivisto,
come se non fosse mai esistito. E per un po’ fu
così, fino a quando, una sera,
Bella non immaginò di vedere Edward: era in una situazione
di pericolo e lui le
diceva di non fare nulla di stupido ed era stato allora che aveva
capito che
ogni volta che si metteva a rischio lo vedeva, come una coscienza che
le
consigliava cos’era giusto e cosa sbagliato.
Nello stesso momento,
con Tom
addormentato sulla sua spalla, russando leggermente, Zoe venne percossa
da un
brivido mentre la sua mente concepiva quella che ancora considerava
un’idea
folle. Anche Franky, sparito e chissà quando e se sarebbe
mai tornato, le aveva
detto esplicitamente di non fare cose di cui si sarebbe potuta pentire
e che
comunque lui sarebbe sempre stato vicino a lei. Dunque, seguendo il
ragionamento, se lei si fosse messa in pericolo lui sarebbe subito
intervenuto…
«Non posso
credere di pensare
davvero a queste cose», mormorò a se stessa,
stringendosi di più a Tom. Ma
quella vocina ormai era dentro la sua testa e la voglia di riavere
Franky al
suo fianco troppo forte per essere sovrastata, la stava completamente
risucchiando in un vortice impetuoso che non sembrava volersi fermare.
«No, no,
non posso farlo…» E nonostante non volesse, si
alzò e lasciò tutto così
com’era: il televisore acceso, il DVD nel lettore, la
finestra
socchiusa, Tom che
dormiva scomposto sul letto con la testa semplicemente sul materasso.
Si chiuse la porta alle
spalle
con un tocco soffice e strinse gli occhi per abituarsi al buio e
raggiungere le
scale senza far rumore. Quando ci riuscì, scese e
uscì dall’appartamento.
L’aria quella
sera sembrava più
fredda del solito, tanto che mille brividi le attraversarono il corpo a
velocità folle, accompagnando il suo cuore nel ritmo
furioso. Nella testa solo
le parole che Franky le aveva lasciato nella lettera:
“Sarò più vicino di
quanto credi, ma, ti prego, non fare cose di cui potresti
pentirti”.
Era
certa che se avesse riavuto indietro Franky, non se ne sarebbe pentita,
quindi…
era giusto ciò che stava facendo, no?
Iniziò a
correre insieme ai suoi
brividi, al suo cuore, a quelle parole. Corse nella notte e
arrivò nei pressi
del lago Binnenalster, sul ponte dove aveva passeggiato anche con Bill
e…
Franky dentro Bill… Insomma, la sera in cui avevano mangiato
dell’ottimo sushi
al ristorante giapponese.
Si appoggiò
al parapetto con le
mani, sotto la luce lattiginosa del lampione, e guardò
l’acqua scura sotto di
lei. Non sapeva nuotare, non aveva mai imparato… Franky
aveva tentato di
insegnarle, ma aveva sempre avuto paura dell’acqua, del
mare… Lui avrebbe
realmente saputo e sarebbe accorso in suo aiuto, se avesse deciso di
tuffarsi?
Il cielo sopra la sua
testa era
scuro, punteggiato da poche e rare stelle, nessuna cadente. Nessun
angelo che
volava alla velocità della luce. Perlomeno, quel cielo,
ancora lo
condividevano, lei e Franky.
Deglutì
rumorosamente e chiuse
gli occhi: tremava, e non per il freddo. Si girò e si
coprì il viso con le mani, mormorando: «Che
cosa sto facendo? Che cosa sto facendo, sono completamente
impazzita…»
Si era appena convinta a
tornare
indietro, fra le braccia di Tom a vedere quel film, fortemente
demoralizzata,
quando due ragazzi su un solo motorino e con il casco allacciato dietro
il
collo, si fermarono al lampione di fronte a lei e la guardarono.
«Hai da
accendere?», chiese
quello che era appena sceso dal veicolo, andandole incontro.
L’amico aveva già
la sigaretta penzoloni fra le labbra, una malizia negli occhi che non
le
piaceva per niente. Doveva andare via da lì, lo sentiva
dentro, doveva
andarsene immediatamente.
«Ehi
ragazzina, non sai parlare?
Ti ho chiesto se hai da accendere!», ripeté il
ragazzo che ormai le stava di
fronte. Dal suo alito Zoe capì che aveva bevuto.
«No, mi
dispiace», balbettò, con
i rimasugli della propria voce, e tentò di uscire dalla
traiettoria del ragazzo,
ma lui sogghignò e la prese per il braccio, tenendola
lì con la forza.
«Dove credi di
andare?», le
chiese ad un soffio dal suo viso. «Visto che non posso
fumare, dovrò trovare
qualcos’altro da fare… Tu che proponi?»
«Lasciami! Ti
prego, lasciami
andare!», gridò divincolandosi, ma la sua era una
presa ferrea, tanto da farle
male il braccio fra le sue dita.
Zoe venne spinta sul
parapetto,
incastrata fra esso e il corpo del ragazzo che aveva iniziato ad
infilarle le
mani dappertutto, cercando di baciarla sulle labbra. Lei cercava di
evitarlo in
tutti i modi, grandi lacrime le scivolavano giù dagli occhi
e l’amico del
ragazzo, quello sul motorino, si guardava intorno come se non fosse
lì. Lei voleva
urlare, ma in quel momento la gola le andava in fiamme e non aveva voce
per
farlo. Solo un grande dolore dentro.
Se non fosse stata
così stupida,
se non fosse uscita di casa, se fosse rimasta con Tom a guardare quello
stupido
film, se, se…
Con uno scatto brusco
provò ad
allontanare il ragazzo da lei, ma lui rispose spingendola a sua volta,
non misurando
la propria forza: Zoe si sbilanciò all’indietro
sul parapetto troppo basso e in
un attimo, nel quale non riuscì nemmeno a capire
ciò che stesse succedendo,
sospesa nel vuoto, precipitò giù dal ponte e
cadde nell’acqua gelata del lago
che le frustò la schiena all’impatto.
[Now, who's
gonna pick me up
when I fell down (down)
You left with a part of me
The air is thinning,
it's getting so hard to breathe]
____________________________________________
Hallo, hallo, hallo *-*
Capitolo piuttosto triste, eh? Bill
e
Zoe… uhm xD Franky se n’è andato,
ahimè ç.ç, e Zoe si caccia sempre nei
guai! ò.ò
Chissà come andrà a finire… Bah, voi
che ne dite? xD
Le canzoni che ho usato sono: la
prima è Where
are you now, di Justin
Bieber e la seconda Calling
for my angel,
di Jason Derülo. Sono entrambe molto belle, consiglio a tutti
di andarle ad
ascoltare! ;)
Ora, non perdo altro
tempo e
ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:
Tokietta86
: Io sono più che certa che Bill poteva farcela da solo
ed infatti per colpa sua, ma anche di quel testone di Franky che
l’ha
assecondato, è successo tutto sto putiferio o.o Franky,
inoltre, si è
completamente scordato di Bill e ha baciato Zoe…
l’amore per lei è ancora
forte, nonostante tutto, ma non doveva farlo per nulla al mondo
ç.ç Ora vedremo
come si risolverà la situazione, se si
risolverà…
Grazie mille, grazie per esserci
sempre! A venerdì, un bacio! :)
Utopy
: Beh dai, come hai detto tu una volta, hai lasciato due
recensioni quindi ti è piaciuto di più xD Allora,
allora… Spero di non averti
delusa! ç.ç E che ti sia piaciuto tanto!
(Sì, sei una genia xD)
Grazie infinitamente, anche a me
quella parte è piaciuta tanto! Il mio cuoricino impazziva
*-* Okay, basta xD
Non sono una lagna ù.ù xDD
Ti voglio tantissimissimo bene
Mond! *-* Tua, Sonne!
Solo
dueee ç___ç Dove siete
finite tutte quante?! Vi aspetto, tornate ç__ç
Ringrazio anche chi ha letto
soltanto! Alla prossima!
Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 21 *** Give life to someone else ***
21. Give life to someone else
Tom entrò
trafelato nel pronto
soccorso, con il respiro mozzato che gli bruciava la gola. Chiese
all’infermiera dietro al bancone della reception dove fosse
stata portata Zoe e
lei gli rispose che era al piano superiore, in fondo al corridoio, la
penultima
porta a sinistra. Il chitarrista ringraziò e corse su per le
scale, poi lungo
il rettilineo. Incontrò la signora Wickert e Heinz, seduti
su delle poltroncine
blu di fronte alla sua stanza: lei era scossa, gli occhi gonfi e lucidi
di
pianto; lui la consolava, stringendola forte al suo petto. Poco
più in là vide
suo fratello, il viso stravolto, pallido come un lenzuolo e gli occhi
vacui
puntati sul pavimento.
«Tom»,
singhiozzò lui quando lo
vide. Aveva davvero un pessimo aspetto.
Il maggiore corse da lui
e lo
strinse in un forte abbraccio, sedendosi al suo fianco. Restarono in
silenzio
per minuti che sembrarono ore e poi Bill ebbe la forza di parlare, con
voce
roca, da pianto.
«Dove sono
Georg e Gustav?», gli
chiese.
«Dovrebbero
arrivare a momenti»,
lo rassicurò, senza smettere un momento di massaggiargli la
schiena. «Come sta
Zoe?», chiese, anche se un po’ titubante.
«Hanno detto
che si riprenderà
presto… ora sta dormendo. Mi sono spaventato a morte,
io… io…» Si coprì il viso
con le mani, trattenendo i singhiozzi che gli facevano tremare
convulsamente
la schiena.
Tom si diede
dell’idiota, del
completo idiota. Era tutta colpa sua. Se non si fosse addormentato in
quel
modo… In quel momento, però, era inutile farsi
gli esami di coscienza: voleva
vederla, ne aveva un disperato bisogno, come se dovesse vedere con i
propri
occhi prima di credere alle parole del fratello.
«Deve esserci
stato un angelo con
lei, in quel momento», sentì singhiozzare la mamma
di Zoe e alla parola
“angelo” sia Bill che Tom sobbalzarono, il primo
con un velo di sincera
preoccupazione e l’altro con una strana curiosità.
Franky.
«Si
può entrare?», chiese ancora
Tom, rivolto però ad Heinz, il più lucido di
tutti, lanciando uno sguardo alla
porta della camera in cui Zoe riposava.
«Sì,
sì certo…»
«Grazie.»
Tom guardò
all’interno della
stanza grazie alla piccola finestrella incassata nella porta: Zoe
dormiva
sdraiata sul letto, gli occhi chiusi e una flebo infilata nel braccio.
Nonostante non fosse nelle migliori condizioni, vederla sana e salva
gli fece
tirare un sospiro di sollievo.
Accanto a lei
trovò Franky,
seduto su una sedia al cospetto del letto e con la testa sul suo
grembo. Anche
lui aveva gli occhi chiusi, così aprì piano la
porta e si avvicinò, posò una
mano sulla spalla dell’angelo con un sorriso debole sulle
labbra e senza
nemmeno rendersene conto venne travolto da un pensiero potentissimo,
molto
simile ad un sogno che invece era proprio la realtà, tanto
vivo da fargli
credere di essere lì dentro, nel momento e nella situazione.
Quanto tempo era che volava in mezzo a
quella tormenta? Si sentiva
intorpidito, quel freddo lo avrebbe in poco tempo congelato: ghiacciolo
gusto
angelo.
«Ci siamo quasi!»,
gridò Ariadne e sia Franky che Alexandra aumentarono
la velocità per starle dietro.
L’ennesimo Intrappolato finito fra
i vivi ed impazzito per ciò che si
era reso conto di aver fatto alla persona che aveva sempre amato ma che
alla
fine gli aveva fatto del male.
«Eccolo, è
laggiù!», la ragazza lo indicò,
rifugiato nella grotta di
una montagna, in cui si stava infilzando il torace con le sue stesse
unghie
affilate, gridando di dolore. Erano urla straziate, tanto piene di
dolore che
spingevano istintivamente chiunque potesse sentirle lontano da
lì, talmente
erano insopportabili, ma Alexandra e Ariadne no, loro erano
imperturbabili, era
come se non sentissero quella spessa barriera di sofferenza che li
divideva
dall’Intrappolato.
«Muoviti Franky, non
c’è tempo da perdere!»
Atterrarono di fianco all’essere
pallido, tremante e con gli occhi
iniettati di sangue e cercarono di calmarlo, ma ad ogni parola era un
urlo,
ogni tentativo di avvicinarsi a lui un passo indietro e una nuova
ferita sulla
pelle già mutilata.
«Okay», Alexandra fece
un respiro profondo e poi si gettò addosso a
lui, concludendo con un: «Fermiamolo con la forza!»
Ariadne la seguì senza
esitazioni nella zuffa e Franky rimase pietrificato sul posto, incapace
di
muovere anche solo un muscolo.
«Perché te ne stai
lì impalato, Franky?!», gridò la
biondina. «Dacci
una mano!»
Le aveva già aiutate nei giorni
precedenti, erano riusciti a salvare
molte anime in balia dell’istinto animale, ma quella volta
era diverso,
quell’uomo dagli occhi a mandorla era diverso…
C’era qualcosa nella sua
ferocia, nella sua voglia di morire, che lo faceva tremare di paura. Il
sottile
confine che divideva la vita e la morte in lui era segnato con una sola
parola:
amore. L’amore lo stava portando ad uccidersi,
perché a modo suo aveva “ucciso”
l’anima viva della sua amata che dopo anni di matrimonio lo
aveva tradito, per
noia. Amore non era solo Vita, dunque… ma anche Morte.
«Franky!»,
urlò Alexandra e allora si risvegliò dai suoi
pensieri,
scuotendo il capo, e si unì alla zuffa per salvare
quell’uomo da Morte, perché
senza di lui Amore non sarebbe sopravvissuto, non sarebbe
più riuscito a far
guarire la propria anima, e Vita non sarebbe più tornata.
Era quello, ciò per cui
combattevano gli angeli speciali? Quelli erano
i tre punti fondamentali. O forse era solo il freddo a farlo impazzire.
Quando riuscirono a sedarlo e a farlo
piombare in un sonno guaritore,
Franky si lasciò scivolare sulla pietra dura e
guardò i due angeli seduti più
in là, al di fuori della grotta, con le gambe a penzoloni
nel vuoto. Si
guardavano, ma non parlavano. Franky cercò di sbirciare nei
loro discorsi
silenziosi, ma non ci riuscì. Il fatto era che non si
parlavano nemmeno col
pensiero. Era un linguaggio segreto a lui, sconosciuto. Una lingua
fatta di
sguardi, fin quando non si sorrisero a vicenda e si presero per mano,
tornando
a guardare il cielo bianco dal quale, finalmente, non scendeva
più neve a
seppellire tutto.
«Voi due…»,
balbettò Franky, la fronte corrugata. «Da quanto
vi
conoscete, posso saperlo?»
Si guardarono ancora occhi negli occhi e
risposero simultaneamente,
senza nemmeno consultare un pensiero, un ricordo, solo gli occhi
dell’altra: «Da
sempre.»
«È impossibile
conoscere una persona da sempre», obbiettò,
allargando
le braccia. Alexandra si dipinse un sorriso furbetto sulle labbra.
Ariadne, un
sorriso infinitamente più amorevole, scrollò le
spalle.
Fu in quel preciso istante che Franky
avvertì un brivido potentissimo
attraversargli la spina dorsale ed espandersi in tutto il corpo.
Scattò in
piedi, gli occhi vacui, e si avvicinò ai due angeli.
«Vai da lei»,
mormorarono entrambe e lui non se lo fece ripetere due
volte. Schizzò in alto nel cielo e con gli occhi che gli
bruciavano e il fiato
corto dall’ansia, volò più veloce che
poté per raggiungere la sua protetta che
si trovava in serio pericolo.
Quella stupida,
perché si ficca
sempre nei guai!?
La vide su quel ponte, schiacciata contro il
parapetto e minacciata da
quel ragazzo. Vide anche Bill, correre verso il trio, ma nessuno dei
due fece
in tempo ad intervenire che lei si
sbilanciò all’indietro e cadde
nell’acqua scura del fiume con un rumore che a
lui sembrò quello di un sonoro schiaffo, secco e doloroso.
NO!
Si tuffò nell’acqua
fredda e si guardò intorno alla spasmodica ricerca
del suo amore. Era buio e Franky riusciva a sentire solo il battito
frenetico
del proprio cuore rimbombargli nella testa insieme a quella sensazione
opprimente
che gli squarciava l’anima. Doveva
salvarla, non poteva fallire.
La vide poco distante da lui, svenuta, i
capelli che le galleggiavano
intorno al viso pallido ed inespressivo. La raggiunse velocemente e la
portò
fuori dall’acqua, proprio come se facesse parte della
corrente, lottando per
strapparla via da quella forza che voleva trascinarla con
sé, lontano da tutto
e da tutti. Di nuovo quella linea sottile… Morte e Vita in
battaglia, Amore che
tenta di salvare Vita, invece di abbandonarla a Morte…
La portò sulla sponda ciottolosa
del lago e la guardò con la paura
negli occhi: aveva bevuto troppa acqua, i suoi polmoni ne erano pieni,
la sua
pelle era fredda, le labbra cianotiche, e lui da solo non poteva fare
niente
per aiutarla.
Alzò lo sguardo nel sentire un
cuore battere frenetico, un respiro
accelerato, e incontrò lo sguardo terrorizzato di Bill. No
era solo.
«Ho già chiamato
l’ambulanza», farfugliò Bill, gettando
rapidi occhiate
a Zoe. «I due ragazzi se la sono data a gambe, non ho fatto
in tempo a…»
«Le spiegazioni a
dopo!», lo interruppe bruscamente. La loro situazione
non era delle migliori, ma non si poteva permettere di stare calmo e
usare le
buone maniere – come avrebbe dovuto fare, visto che il casino
era nato da lui.
La vita di Zoe era in pericolo e nulla era più importante.
Bill si inginocchiò accanto al
corpo gelido della ragazza e, dopo un
breve sguardo d’intesa con Franky, tentò di
rianimarla: lui era l’unico in
grado di fare qualcosa di concreto, fra i due. Provò in
tutti i modi a liberarle
i polmoni, a farla respirare di nuovo, ma sembrava completamente
inutile…
L’angelo custode,
sull’orlo della disperazione, con le mani nei
capelli, udì delle sirene in lontananza:
l’ambulanza stava arrivando
finalmente. Strinse convulsamente la mano di Zoe, quella vicina a lui,
e ne baciò
il dorso mentre calde lacrime gli rigavano il viso e farfugliava:
«Piccola,
siamo qui. Siamo qui, resisti. Non ci lasciare, ti
prego…»
Bill rimase con lei
nell’ambulanza, durante la corsa verso l’ospedale.
Franky gli diede il cambio quando delle infermiere gli bloccarono la
strada,
impedendogli di seguire la ragazza nella sala rianimazioni.
Gli strinse forte la mano, con affetto
sincero, e lo guardò negli
occhi: «So che non è il momento migliore, Bill, ma
è giusto che io ti dica che
mi dispiace, mi dispiace da morire per quello che ho fatto. Sono stato
davvero
imperdonabile, non avevo alcun diritto di estraniarti dal tuo corpo,
né di
desiderare qualcosa che non potevo più avere. Tu hai tutta
la ragione di questo
mondo ad essere arrabbiato con me.»
«Sì, in
effetti», balbettò.
Franky accennò un sorriso, anche
se teso. «Tu non hai nessuna colpa,
sei solo la vittima della situazione e sei passato per lo stronzo di
turno. Non
lo trovo giusto. Anche gli angeli commettono degli errori e devono
pagarne le
conseguenze. Spero che tu riesca comunque a perdonarmi.»
«Non sono più
arrabbiato con te. Almeno, non credo di esserlo, non so
se è per via di Zoe in pericolo, della
situazione… non lo so… Hai visto come ci
siamo aiutati, adesso? È stato un vero lavoro di
squadra.»
«Come dovrebbe essere»,
sorrise. «Ora è meglio che vada, ha davvero
bisogno di me.»
«Fai del tuo meglio, Franky.
Salvala», lo supplicò con le lacrime agli
occhi e le immagini della loro notte insieme inondarono la sua mente,
nitide e
vere, senza finzioni: Zoe che si
faceva piccola piccola, che faceva di tutto per non sentirsi gemere di
piacere,
che alla fine aveva pianto, stringendo forte il pugno fra i suoi
capelli e
farfugliando scuse che non sarebbero servite a nessuno.
L’angelo,
a quella visione,
rimase interdetto, ma poi ridacchiò.
«Scusami, se ti ho mostrato la
realtà… modificata, quella volta.»
Ormai
le lacrime rigavano imperterrite il viso candido di Bill.
«Questo è niente, in
confronto a quello che ho fatto a te. Grazie lo
stesso.» Aumentò la presa sulla sua mano e si
fusero insieme: uniti per lei.
Franky chiuse gli occhi e poi li
riaprì, schizzando nella sala in cui,
dopo svariati ed inutili tentativi di rianimazione, le facce
inizialmente
determinate dei medici e delle infermiere si stavano trasformando in
altre
tutt’altro che speranzose.
«Non c’è
più niente da fare», mormorò
un’infermiera, ma il dottore
caricò di nuovo le impugnature del defibrillatore e
ordinò di riprovare. Il
corpo inerme di Zoe si inarcò per l’ennesima
volta, senza risultati.
Franky la raggiunse, squarciato dal dolore,
e si accasciò sul suo
ventre, singhiozzando e farneticando frasi sconnesse fra di loro.
Sollevò il
viso e guardò il tracciato
dell’elettrocardiogramma desolatamente piatto,
allora si fece forza e scivolò sul corpo di Zoe, avvicinando
il viso al suo.
«Tu non puoi lasciare questo
mondo, hai capito? Non puoi, piccola mia»,
sussurrò prima di posare le labbra contro le sue e
stringendola a sé.
Un picco sull’elettrocardiogramma,
dritto verso il cielo, e gli
specializzati che stavano per segnare l’ora del decesso si
riattivarono intorno
a lei. Ripresero con i massaggi cardiaci, le iniettarono nelle vene
nuovi
medicinali e il cuore di Zoe rispose, tanto da riprendere un ritmo
stabile che
infuse una ventata di speranza pura in tutta la stanza.
Franky si scostò delicatamente
dalle sue labbra e fece un piccolo
sorriso, prima di perdere i sensi, stremato. Zoe era ancora
lì, quello era
l’importante.
Tom sgranò
gli occhi e si scostò
bruscamente da Franky, il respiro affannoso come se fosse stato in
apnea per
tutto quel tempo. Aveva visto tutto ciò che era successo con
gli occhi
dell’angelo, era stato come stare nel suo corpo,
sconvolgente…
Guardò Zoe
sul letto, Bill oltre
quella porta e poi di nuovo l’angelo, che dormiva
pesantemente con la testa sul
materasso, immobile, la mano stretta intorno a quella della ragazza,
anch’essa
addormentata.
«Le hai
salvato la vita, le hai donato
la vita…», mormorò il chitarrista
con gli occhi lucidi, poi li strofinò con un braccio e
tirò su col naso.
Franky mosse
impercettibilmente
le palpebre e Tom rimase con il fiato sospeso, fin quando
l’angelo non aprì gli
occhi lentamente, focalizzando l’ambiente intorno a
sé.
«Ehi,
Franky», sussurrò il
chitarrista, portandosi al suo fianco. «Franky, stai
bene?»
«Sì,
sono solo… esausto»,
biascicò con la voce impastata di sonno. Si
scrollò come un cane bagnato, per
darsi una svegliata, ma la stanchezza che provava era di quelle
interiori, come
se parte della sua vita fosse finita dentro Zoe attraverso quel bacio
che
effettivamente le aveva ridato la vita.
«Ho…
ho visto tutto quello che è
successo», disse ancora Tom, incerto, facendo incontrare le
mani di fronte al
petto.
Franky
corrugò la fronte: «E come
hai fatto?»
«Ho appoggiato
la mano sulla tua
spalla e… e ho visto tutto, sono riuscito ad entrare nella
tua testa.»
«Wow»,
si passò le mani sul viso.
«Devo essere veramente distrutto, se sono così
senza difese, tanto che può
leggermi nel pensiero chiunque.»
«Forse…
forse è meglio se ti
riposi un po’, no?»
«Sì,
forse… dopo.» Si voltò verso
Zoe e l’accarezzò con uno sguardo così
carico d’amore e premura che Tom quasi si commosse.
Il labbro di Franky
iniziò a tremare
e i suoi occhi si chiusero, mentre calde lacrime gli rigavano il viso e
i
singhiozzi gli bruciavano la gola. «Ho avuto una maledetta
paura di perderla,
perderla per sempre, Tom… capisci? Mi sono sentito morire
per la seconda volta,
una morte molto più dolorosa e… è
stato orribile. Non dovevo andarmene, dovevo
parlarne prima con Bill, fare la persona matura, ma non lo
sono… Tom, Tom ho
avuto così paura», farfugliò, il
chitarrista si avvicinò a lui e lo abbracciò,
stringendolo forte a lui ed accarezzandogli i capelli.
«Ora
è tutto finito, è tutto
finito, Franky. Calmati.»
Due figure entrarono
dalla
finestra, silenziose come ombre, e Tom sobbalzò dallo
spavento. Erano solo
Alexandra e Ariadne, sorridenti, le mani nelle tasche, simili quanto
diverse,
inseparabili.
«Franky»,
sussurrò Ariadne.
«Vieni con noi, hai bisogno di un po’ di
riposo.» Gli angeli fecero un passo
verso di lui con le braccia stese in avanti, Tom lo strinse di
più a sé.
«No, dove lo
portate?», chiese
indagatore.
«In Paradiso,
giusto per un po’.
Lì si riprenderà più in fretta, quello
che ha fatto per salvare Zoe è molto…
faticoso.»
«Lasciami
andare, Tom», faticò a
dire l’angelo, al quale si chiudevano gli occhi.
Il chitarrista, il cuore
in gola,
lo lasciò nelle mani della mora e della bionda, che lo
portarono fuori dalla
stanza utilizzando di nuovo la finestra. Tom si sporse
all’esterno e guardò il
cielo punteggiato di stelle, quando una brillò
più delle altre per un attimo.
***
«Franky…
Franky…», biascicò Zoe
in un dormiveglia che fece scattare sua madre al suo cospetto. Le
accarezzò i
capelli, spostandoglieli dalla fronte.
«Amore, amore
mio…»
«Franky…»
La signora Wickert
chiuse gli
occhi alle lacrime per quel nome che nel suo cuore bruciava ancora.
«Zoe,
tesoro… Sono la mamma, mi
senti?»
Lentamente
aprì gli occhi e si
guardò intorno, poi fissò sua madre al suo
fianco, che le stringeva la mano e
con l’altra le accarezzava i capelli sulla fronte.
Iniziò a
piangere in silenzio e
mormorò: «Dov’è
Franky?»
«Amore, lui
è… lui è su in
cielo», singhiozzò la donna.
Zoe capì di
star facendo la
domanda sbagliata alla persona sbagliata. «E Tom, Tom
dov’è? Voglio vedere
Tom.»
«Te lo vado a
chiamare subito»,
le stampò un bacio sulla fronte e uscì
frettolosamente dalla stanza. Nel
corridoio tutti gli sguardi si puntarono su di lei e sia Heinz che Tom
che Bill
si alzarono dalle poltroncine, scattando come molle.
«Si
è svegliata», li informò.
«Vuole te, Tom.»
Il ragazzo
annuì ed entrò nella
camera dopo aver abbracciato per qualche secondo la donna. Si chiuse la
porta
alle spalle e si voltò verso Zoe, immobile nel letto, le
guance rigate da
qualche lacrima.
«Brutta
irresponsabile che non
sei altro, sai che adesso siamo in due a non sapere la fine di quello
stupidissimo film? Dovremo rivedercelo!»
Zoe sorrise.
~~~
«Sto bene, sto
bene vi ho detto!
Lasciatemi andare!»
Si liberò
dell’infermiera che le
girava intorno e uscì dalla sua stanza con un accappatoio
verdino addosso. Si
strinse con le braccia e corse al piano di sopra, dove sapeva che era
ricoverato
Franky. Chiese ancora informazioni e raggiunse la sua camera con
un’ultima
corsettina, poi ci si infilò dentro senza farsi notare.
«Buondì»,
salutò Alexandra
agitando la mano, seduta su una sedia bianca, accanto al letto in cui
riposava
l’angelo. Ariadne, invece, era di fronte alla grande finestra
che dava sul giardino.
«Ciao»,
salutò Jole sorpresa. «Non
pensavo voi foste qui.»
Aveva sentito –
voci di
corridoio –
ciò che Franky aveva fatto salvando per un pelo la vita di
Zoe, ma non credeva
che i due angeli speciali fossero con lui.
«Invece»,
ridacchiò la moretta sollevando
le spalle.
«Come
sta?» Jole indicò Franky,
addormentato con la testa sulla spalla, un’espressione
neutrale in viso.
«Si sta
riprendendo, pian piano,
contando che quando l’abbiamo preso noi non riusciva nemmeno
a stare in piedi.»
«È
stato fenomenale, non avevo
mai visto un angelo all’azione», mormorò
Ariadne, gli occhi rivolti fuori dal
vetro. «Ma è stato anche
così… stancante, per lui. Ha donato gran parte
della
sua energia di angelo a Zoe, per strapparla alla morte.»
Jole si
avvicinò al letto silenziosamente
e guardò il viso ancora da bambino del suo amico, gli
sfiorò la guancia con la
punta delle dita e un sorriso amaro le modellò le labbra
quando ripensò a tutto
quello che gli aveva fatto passare e ciò che aveva fatto per
lei gratuitamente,
senza ricevere mai una ricompensa vera e propria. Quella volta era lei
a voler
fare qualcosa per lui, glielo doveva.
«Noi ora
dobbiamo tornare di
sotto, stai tu con lui?», le chiese piano Ariadne.
«Sì,
certo. Andate pure», le
rassicurò con un sorriso e le due uscirono dalla stanza,
lasciandoli soli. Jole
si mise seduta sulla sedia su cui poco prima era stata Alexandra e
accarezzò il
dorso della mano di Franky con la punta delle dita, soprappensiero.
Ammirava ciò
che aveva fatto con
Zoe, come si era comportato. Si chiese se anche lei sarebbe stata in
grado di
sacrificarsi in quel modo per qualcuno e senza nemmeno accorgersene i
suoi
pensieri presero una direzione ormai più che conosciuta:
Tom. Per lui avrebbe
fatto di tutto, persino morire per la seconda volta.
Tom… Aveva
passato giorni
d’inferno rinchiusa in quella stanza al piano di sotto,
così inquietantemente
simile a quella di un ospedale, a sottoporsi ad esami per sapere se era
davvero
libera da quella parte malvagia che aveva abitato il suo corpo
rendendola
un’Intrappolata. Le mancava tantissimo, fin troppo,
più di quanto dovesse
mancarle. Tanto che ancora non riusciva ad immaginarsi il momento in
cui
avrebbe dovuto dirgli addio per sempre. Come avrebbe fatto?
Un nodo le
serrò la gola e in
quell’istante la mano di Franky si mosse impercettibilmente
sotto la sua,
facendole alzare il viso di scatto. Gli occhi svegli di Franky, verdi
come un
prato infinito su cui correre fino a non riuscire più a
respirare, la fecero
sorridere mentre una lacrima le solcava la guancia.
«Ehi»,
gracchiò l’angelo
stringendole la mano, sorridente. «Avresti preferito che non
mi svegliassi,
eh?»
Rise piano.
«No. Piango perché
sono… solo felice di vederti.»
«Anche io sono
felice di vederti,
Jole.»
«Ho saputo
quello che è successo,
volevo dirti che mi dispiace, prima di tutto… E poi volevo
congratularmi con
te, sei stato mitico.»
«Non ho fatto
tutto da solo.
C’era Bill con me», le disse, sorridendo in modo
tenue, ma tanto dolce, come se
si sentisse in debito verso di lui.
Ricambiò e si
mise seduta accanto
a lui sul letto. «Come stai?»
«Meglio. Tu,
come te la passi?»
«Mi
annoio», sollevò le spalle,
gli occhi rivolti al soffitto.
«Ma…
gli esami che dicono?»
Jole sorrise e non
servì nemmeno
parlare. Lo abbracciò, stringendogli le braccia intorno al
collo con
delicatezza, e lo baciò sulla guancia.
***
Quella mattina si
sentiva avvolta
da un bozzolo. Era una sensazione strana, come se a ricoprirla ci
fossero
strati e strati di emozioni che rendevano impossibile o almeno
improbabile
mostrare la vera Zoe al mondo. Ciò che sentiva di
più era il rimorso per essere
stata così stupida nel cercarsi il pericolo solo per riavere
Franky al suo
fianco.
Tom le aveva raccontato
quello
che era successo dopo che lei era caduta in acqua: era quasi affogata,
aveva
rischiato di morire ed era stato un miracolo a salvarla. Anzi due, di
nome Bill
e Franky.
Si erano uniti, anche se
era
successo tutto quel gran casino fra loro, si erano uniti per salvare lei,
come una vera squadra. Bill l’aveva
vista uscire di casa e, preoccupato che potesse finire nei guai,
l’aveva
seguita, fin quando non era caduta nell’acqua fredda del lago
artificiale.
Aveva aiutato Franky a rianimarla e avevano fatto a turni per stare con
lei,
poi Franky aveva fatto il vero e proprio miracolo, donandole parte
della sua
vita. Ora, dentro, aveva un po’ di lui e se ci faceva caso,
lo sentiva sempre
accanto a sé, onnipresente. In quel momento
l’angelo si trovava in Paradiso
perché bisognoso di cure ed era tutta colpa sua,
fondamentalmente. Se non fosse
stata così sciocca…
Era seduta sul letto, le
spalle
alla porta, quando qualcuno bussò leggero e dovette
distogliere lo sguardo
dalla finestra di fronte a sé. Bill entrò e le
fece un debole sorriso,
avvicinandosi.
«Ehi, sei
pronta?»
Guardò la
borsa con i pochi abiti
che sua madre le aveva portato in ospedale, chiusa sul letto.
«Sì.»
«Zoe…»
Le posò una mano sulla
spalla e con l’altra le sollevò il viso, poi la
strinse a sé, fortissimo, come
se si stessero dicendo addio, quando il loro era appena un inizio.
«Mi dispiace
per tutto quello che è successo.»
«Tu non hai
colpe, Bill. Sono
stata io la stupida a fare quella cavolata, se non ci foste stati tu e
Franky…»
Le posò le
dita sulle labbra,
interrompendola, e chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di
sfuggirgli.
«No, non dirlo. Non posso nemmeno pensare che
tu…»
Fu Zoe quella volta a
non
lasciarlo finire di parlare, con un bacio che sorprese entrambi. Un
bacio
dolce, delicato, ma voluto. Si abbracciarono impacciati e Bill le
accarezzò i
capelli, Zoe strinse i pugni sulle sue spalle e si appoggiò
al suo petto caldo.
Quella volta sorrise, rasserenata dalla sua presenza.
«Grazie,
Bill», mormorò. Il
cantante non rispose, bensì sospirò felice.
Tom irruppe nella
stanza,
gridando: «Allora, vi muovete?» Ma quando li vide
abbracciati, stretti l’uno
all’altro come se fossero in un paradiso tutto loro
– non si erano nemmeno
accorti della sua presenza – sbuffò e rivolse gli
occhi al cielo, poi,
sorridendo, chiuse la porta.
***
«Dovrebbero
togliere dal mercato
quel film, induce ad atteggiamenti pericolosi»,
borbottò Tom cercando le chiavi
dell’appartamento nelle grandi tasche.
«Per favore,
possiamo non
parlarne più?», chiese Zoe con un filo di voce.
Il chitarrista la
guardò negli
occhi e la strappò dalle braccia di Bill per stringerla fra
le proprie.
D’altronde era ancora la sua migliore amica! «Sea,
è che mi hai fatto così
preoccupare…»
«Lo so. E mi
dispiace, davvero.»
Gli accarezzò una guancia e tirò su col naso, poi
lo baciò sulla guancia.
«Ok Tom, apro
io», si propose
Gustav con le chiavi già alla mano. Le infilò
nella serratura e la porta si
aprì, Bill catturò di nuovo la mano di Zoe nella
sua e le sorrise, poi
entrarono tutti insieme nell’appartamento, felici di essere
di nuovo a casa.
«Eccoli, sono
arrivati!»,
sentirono gridare una ragazza e Tom scattò subito in
salotto, il cuore che gli
rimbalzava nel petto.
«Shhh! Ecco,
sei sempre la solita
guastafeste! Doveva essere una sorpresa!», la
rimbeccò un’altra voce a cui Zoe
rispose con un brivido.
Tutti raggiunsero il
chitarrista
e si trovarono di fronte a Franky e Jole che bisticciavano sul divano,
proprio
come se non si fossero accorti del loro piccolo pubblico.
«Jole!»,
riuscì finalmente a
gridare Tom e lei si voltò lentamente verso di lui, lo
guardò e con la testa
sulla spalla gli sorrise.
«Ciao,
Tom.»
«Jole, Jole,
Jole!» Corse da lei
e la prese fra le braccia, se la strinse al petto nascondendo il viso
fra i
suoi capelli biondi e ridendo la fece girare su se stessa.
«Mi sei mancata da
impazzire!»
«Taci»,
gli disse solare. «Sono
io l’unica che stava impazzendo, lassù!»
«È
stato tanto brutto?» Le fece
toccare terra con i piedi, ma non la lasciò un attimo: era
ancora stretta fra
la salda e allo stesso tempo delicata presa delle sue braccia.
«Una tortura,
ma…», sorrise
birichina.
«Ma
cosa?»
«Ma ora ho la
certezza che sono
guarita», lo disse quasi commossa, sfiorandogli la guancia
sulla quale era
scivolata una lacrima di gioia pura. «Non farò
più male a nessuno!»
«Jole,
è stupendo!» Gli venne
naturale sporsi per baciarla, ma lei si scostò tossicchiando
e arrossì, tanto
che contagiò anche le guance di Tom, in fiamme.
Zoe, ancora ferma
accanto a Bill,
incrociò lo sguardo di Franky e quando lui le sorrise fu un
colpo al cuore. La
vista le divenne sfuocata e il labbro incominciò a tremarle.
«Oh
no», sbuffò l’angelo. «Ma
cos’è, una malattia? Possibile che tutti quelli
che mi vedono si mettono a
piangere?» Abbassò lo sguardo e poi
scoppiò a ridere. Si alzò e raggiunse la
sua piccola, le asciugò le lacrime con rapidi gesti delle
mani e poi si lasciò
abbracciare.
«Scusa per la
stupidata che ho
fatto, io…», singhiozzò Zoe, tirando su
col naso, il viso contro il suo petto.
«Mi sei mancato da morire e… grazie per avermi
salvata…»
«Ehi,
è il mio dovere tirarti
fuori dai guai, no? Certo, questo era bello grosso, hai rischiato
parecchio», la
guardò severo, poi si addolcì. «E non
ho fatto tutto da solo», aggiunse,
lanciando un sorriso a Bill.
Zoe si
asciugò gli occhi,
tornando a rifugiarsi fra le braccia di Bill, che le posò un
bacio affettuoso
sulla testa. Franky li guardò portandosi le mani sui fianchi
e sorrise, quasi
con orgoglio.
«Finalmente ce
l’avete fatta!»
Altre risate e i diretti
interessati arrossirono, guardandosi di sottecchi con un sorriso
accennato sul
viso e negli occhi un futuro che tutto sommato non era male. Anzi.
_____________________________________
Tadada-dàààààn!
*-*
Okay, ammetto che un po’ corto,
che ci sono parecchi buchi che avrei potuto riempire, che avrei potuto
fare di
meglio… ma nella sua imperfezione, amo questo capitolo! :D
Le cose si sono risolte per il
meglio e si spera che ora fra Bill e Zoe vada tutto per il verso
giusto. Alla
buon ora! xD Non dimentichiamoci però di Alexandra e
Ariadne! Mi è piaciuto tantissimo scrivere di loro due, in
questo capitolo. Sono inseparabili *-*
E niente… spero che vi sia
piaciuto ;)
Ah, ci stiamo avvicinando alla
fine, purtroppo… :’(
Ringrazio chi ha
commentato lo
scorso capitolo, ossia:
Tokietta86
: Beh, Bill ha sbagliato, ma anche Franky e Zoe hanno le
loro belle colpe da farsi perdonare… In questo capitolo si
è risolto tutto,
però! :D Spero che ti sia piaciuto come capitolo! Un bacio,
alla prossima!
freency
: Ciao! :) Innanzitutto, ti ringrazio per i complimenti, mi
fanno davvero piacere! *-* (Come il fatto che tu abbia commentato *-*).
Bill
era frustrato in quel momento, Zoe si sentiva in colpa verso di lui e
insomma,
è successo…
La coppia Tom/Jole la amano tutti
e mi sento un po’ perfida xD Comunque in questo capitolo e in
quelli che
seguiranno ci saranno sempre! *-*
Franky… oh, Franky *___* MIO xD
Grazie mille, alla prossima!
Utopy
: Non puoi odiarmi *-* Spero che questo capitolo ti abbia,
come dire, rabbonita dalla scorsa volta xD E che ti sia piaciuto,
ovviamente! “Voglio
fare una cosa tipo New Moon” xDD Bella, no? xDD (Non Bella
Bella, ma bella
frase x°°D) Oh ma ti muovi a salire su msn o no?
ò.ò Voglio sapere quella
cosaaa! xD
Ti voglio un’infinità di bene,
mia fatina del mondo fatatoo *-* Nonché Mond *-* Tua, Sonne!
<3
E ringrazio anche ci
legge
soltanto! :)
A mercoledì, vi aspetto! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 22 *** Release ***
22. Release
[Sai che
tra poco dovrò dirti addio - angelo mio -
Hai detto tu che se sei qui non è perché sei mio,
ma perché è così
che compirai il volere del tuo Dio... angelo mio.
Al tuo volo io non mi opporrò
Tu
presto volerai e ne morirò
Cercherò
di non scordarti mai... angelo mio]
Franky era seduto sul
divano, lo
sguardo perso fuori dalle porte finestra, il viso chiaro illuminato da
una
tenue luce che lo faceva sembrare ancora più bello. Zoe era
appoggiata con una
mano allo stipite della porta della cucina e lo guardava, immersa nei
suoi
pensieri.
Ci mise un attimo a
ricordare il
loro primo incontro, i momenti in cui si erano sentiti legati da un
legame
indistruttibile, quando erano giunti alla conclusione di essere
migliori amici;
le loro litigate, le ore passate sullo skate, a ridere, a scherzare, a
piangere; i momenti difficili, quelli in cui tutto era sembrato buio,
un
ostacolo insormontabile; le volte in cui le loro mani si era strette
forti, le
loro labbra si erano trovate e l’unica volta in cui i loro
corpi si erano fusi
in uno; infine, il giorno della morte di Franky e quello in cui era
tornato da
lei sottoforma di angelo. Pensò a tutto questo durante un
minuto scarso.
Il tempo passato con lui
– come
ragazzo, almeno – era talmente concentrato, breve, e allo
stesso tempo così
intenso e vissuto da farle venire i brividi. Lo aveva amato, era stata
amata,
si erano amati, e ora tutto era così diverso… ma
non avrebbe mai rinnegato
nulla, nemmeno un secondo di loro, e non lo avrebbe mai dimenticato,
custodito
gelosamente nel suo cuore.
[Non ho
mai avuto rimorsi, amore
e sai... non ne avrò,
E se un giorno vorrai, da me tornerai
per riportarmi più su, su]
Sorrise dolcemente e lo
raggiunse
sul divano, si mise seduta al suo fianco e lo abbracciò,
nascondendo il viso
nell’incavo della sua spalla. Franky le posò un
bacio sulla fronte e le
massaggiò il braccio, ma rimase in silenzio, proprio come se
non avesse sentito
nulla dei suoi pensieri.
Rimase ad osservare il
suo viso,
in quel momento più che mai angelico, e le si strinse il
cuore alla
consapevolezza che prima o poi, presto o tardi, avrebbe dovuto dirgli
addio. Lo
sapeva già da molto tempo, ormai, ma se n’era
quasi dimenticata, visti tutti i
problemi che si erano creati. Ora, a mente lucida, se l'era ricordato.
Con Bill filava tutto
liscio e
non si aspettava di essere così felice; con Franky non era
più come prima,
ovviamente, ma l’affetto che provavano l’uno verso
l’altra non sarebbe mai
scomparso: lui ora era esclusivamente il suo angelo custode, il suo
migliore amico,
il suo fratello gemello.
Le sarebbe mancato
moltissimo, ma
non poteva farlo restare, non ne sarebbe stata in grado né
ora né mai. Avrebbe
vissuto dei ricordi di loro e l’avrebbe sempre sentito vicino
a sé, poiché
parte di lui era dentro al suo corpo. Era legata indissolubilmente a
lui,
niente li avrebbe separati davvero, né la terra
né il cielo.
[Se poi
pensi che non ne vivrò, chiamami ti seguirò
Volevo
io che tu fossi qui, ho chiesto troppo e quindi è andata
così
Un sogno lungo, una notte e poi addio... angelo mio]
«A che cosa
stai pensando, Zoe?»
Jole la distrasse dai
suoi
pensieri e si voltò verso il fantasma, che le sorrideva
incuriosita, stretta fra
le braccia di Tom. Franky trattenne una risata e rispose al posto suo:
«A quanto io
sia incapace a
ballare.» Indicò la tv: c’era un video
musicale in cui tutti ballavano in
sincronia perfetta, sotto la musica di Lady Gaga.
Zoe aggrottò
le sopracciglia e
aprì la bocca per correggerlo, poi capì che lo
aveva fatto apposta: come doveva
andarsene lui, doveva andarsene anche Jole e non voleva che
quell’atmosfera di
apparente tranquillità si frantumasse in mille pezzi.
Annuì al suo
piccolo angelo
altruista e poi si voltò verso Jole e Tom, non completamente
convinti: «Già,
non ha mai imparato! Magari sarebbe anche ora, no?» Lo prese
per il polso e lo
trascinò in piedi con lei. Franky intercettò i
suoi pensieri e sbuffò, roteando
gli occhi al cielo. «Sarò la tua
insegnante!»
Iniziarono a muovere
qualche
passo, ma Franky era davvero un incapace.
«No, non
così!», lo rimproverò
per l’ennesima volta.
Franky
scoppiò a ridere e diede
un colpo d’anca a Zoe, che si appoggiò alla sua
spalla.
«Ho
l’impressione che non riuscirai
mai ad imparare a ballare come si deve», disse, seppur scossa
dai singulti di
riso.
«Non sono
portato, che
pretendi?», tentò di difendersi ed
incrociò le braccia al petto con un broncio
infantile sul viso.
«Dai Jole,
facciamogli vedere noi
come si balla!», disse Tom e Jole non fece in tempo ad
opporsi che era già
contro di lui, in mezzo al salotto. Si muoveva sinuoso intorno a lei,
immobile
come un palo della luce.
«Jole, dai
muoviti un po’!», la
incitò guardandola con gli occhioni, lei cedette e gli prese
le mani, alzandole
all’altezza dei loro petti. Iniziò a scuotere la
testa a destra e sinistra,
provocandolo con qualche colpo di bacino, mordendosi le labbra, su cui
era
comparso un sorriso divertito.
«Vedi, Tom
è ridicolo, ma almeno
ci prova», disse Zoe stringendosi nelle spalle, facendo
scoppiare tutti a
ridere, tranne il diretto interessato che fece una smorfia.
«Come se
Franky potesse davvero
imparare qualcosa da te, che sei peggio di un pezzo di
legno», la prese in giro
con il sopracciglio sollevato.
«Io so ballare
benissimo,
invidioso che non sei altro!»
«Ah
sì? Dimostramelo!» Andò al
computer portatile su cui stava giocando Gustav e glielo
sequestrò, mise su una
canzone da discoteca, molto movimentata, e la guardò in
attesa.
Zoe si guardò
intorno e prese
Bill dal divano, lo tirò su e lo guardò negli
occhi: «Vuoi ballare con me? Sì
che lo vuoi.» Rise ed iniziò a ballare con lui,
utilizzandolo più che altro
come palo da lapdance: molto sensualmente gli girava intorno e lo
sfiorava,
ogni tanto lo guardava maliziosamente negli occhi e Franky
scoppiò a ridere
quando percepì i pensieri di Bill: anche quelli erano
imbarazzati! Si unì a Zoe
e ridendo iniziò a ballare intorno al frontman, assieme a
Jole e a Tom, fino a
quando Bill non capì che lo stavano palesemente prendendo in
giro.
«Ma dico, mi
avete davvero preso
per un palo?!» , strepitò e uscì dal
piccolo cerchio in cui era stato chiuso,
si sistemò i capelli sulla testa, con atteggiamento da
spocchioso, e li guardò
male.
«Idea!»,
esultò la moretta con
gli occhi brillanti, saltellando sul posto.
«Oh»,
sospirò Franky, che aveva
già visto quello che aveva in mente –
letteralmente – e iniziò a portarsi una
mano sul viso, sconfortato.
«Perché
questa sera non andiamo
tutti a ballare? Conosco un locale super appena fuori città
e non ci sono mai
stata! Ci andiamo, ci andiamo?»
Bill, Tom e Jole
guardarono in
altre direzioni come se non avessero sentito niente; il chitarrista
prese
persino a fischiettare. Zoe però andò a colpo
sicuro dal cantante, sapeva che lui
avrebbe ceduto in poco tempo. Lo abbracciò teneramente e lo
guardò negli occhi
con i suoi azzurri e grandi, sfarfallando le ciglia e trasformando la
voce
ormai da donna in quella di una bambina: «Ti prego Bill, ci
andiamo?»
«Solo se me lo
chiedi in inglese»,
le rispose con un sorriso furbo. Gliel’aveva suggerito
Franky, quel ragazzo –
angelo – era un genio!
«Ahm…»,
balbettò Zoe, in evidente
difficoltà. «E dai, Bill!»,
piagnucolò battendo i piedi a terra e allora non
poté
resistere.
«Accidenti a
me!», squittì
chiudendo gli occhi e lei esultò di gioia, saltando in giro
per tutto il
salotto.
Franky, sorridente,
scosse la
testa e si voltò verso Jole, incuriosito dai suoi pensieri.
Sollevò il
sopracciglio e si portò la mano al mento.
“Si potrebbe
provare”, rimuginò
in modo tale che Jole potesse sentirlo. “Ma non ne so molto,
non ti assicuro
che…”
«Non importa,
voglio provarci!»
Bill, Zoe, Tom, Georg e
Gustav
guardarono il fantasma per la sua uscita, poi posarono lo sguardo su
Franky,
pensieroso.
«Potremmo
chiedere aiuto ad
Alexandra e Ariadne, è possibile che loro ne sappiano
più di me. Anzi, è
sicuro», disse infine, sorridendo alla ragazza.
«Tu… sei sicura di volerlo
fare?»
«Sì.
Sì, certo!» Aveva gli occhi
umidi, ma nel cuore una determinazione e una voglia di aiutare il
proprio padre
che solo una figlia poteva avere.
«Scusate,
potete spiegare anche a
noi?», chiese Tom, infastidito.
«Magari
più tardi», soffiò Jole
con l’ombra di un sorriso sul viso, poi prese Franky per mano
e lo trascinò
verso il terrazzo.
«Ehi,
aspettate! Diteci dove
andate, almeno!», gridò Zoe, ma ormai avevano
già spiccato il volo.
Zoe sbuffò e
quando si girò si
trovò ad un soffio dal petto di Bill, che sorridendo
l’abbracciò, avvolgendo le
braccia intorno alla sua schiena.
«Visto che
stasera vuoi andare a
ballare», le disse suadente, «che ne dici se prima
andiamo a mangiare qualcosa?
So che ti piace molto il sushi e c’è un ristorante
giapponese davvero carino in
centro… Ti va?» Ormai la cullava fra le braccia,
come se stessero ballando un
lento. Zoe arricciò le labbra per non scoppiare a ridere e
annuì: quella serata
sarebbe stata loro, loro e basta.
***
Jole si fermò
di fronte alla
camera d’ospedale del padre e le si strinse il cuore quando
lo vide
addormentato sotto le coperte candide, una flebo nel braccio, il viso
sciupato
e la barba incolta. Per lei quella non era una visione nuova, da quando
aveva
iniziato a drogarsi e ad ubriacarsi era ridotto nelle stesse
condizioni, se non
peggio, ma quella volta la colpì in modo diverso e forse
anche in modo più
doloroso, perché lui era lì per colpa sua, era
stata lei a ridurlo così.
«Non ce la
faccio», mormorò con
la voce strozzata e con gli occhi lucidi, lasciandosi cadere su una
delle
poltroncine dietro di sé.
«Jole…»,
disse Franky, accarezzandole
la schiena.
Ariadne
sospirò, stringendosi le
braccia al petto. «Se non sei pronta non fa niente.»
«Sì,
puoi sempre tornare un altro
giorno», aggiunse Alexandra.
«No,
io… io voglio farlo, solo
che… se non dovessi farcela?», chiese, tirando su
col naso.
«Le
insicurezze non fanno altro
che ledere i nostri sogni. Se quello che vuoi è salvare tuo
padre, vai lì
dentro e fallo, Jole.»
La ragazza si
voltò verso Franky
e annuì, stringendogli forte la mano. «Vieni con
me?»
«Certo»,
le sorrise.
Alexandra e Ariadne
seguirono i
due nella stanza dell’uomo e, stando accanto alla porta, li
osservarono mentre
si avvicinavano con cautela al letto dell’uomo.
Jole sfiorò
le lenzuola fino ad
arrivare alla mano calda di suo papà, ruvida e con le vene
rigonfie sul dorso;
chiuse gli occhi quando un brivido le attraversò la schiena.
Franky, al suo fianco e
con una
mano sulla sua spalla, non riuscì ad impedire ai suoi
ricordi di invadere la
propria mente: una Jole bambina che correva contro ad un uomo parecchio
più
giovane e sorridente, che si rifugiava in uno dei suoi morbidi e
affettuosi
abbracci, che rideva con lui, che si lasciava riempire di baci;
l’immagine di
una donna dai lunghi capelli biondi, come i suoi, che preparava da
mangiare e
salutava l’uomo con un bacio a fior di labbra,
nell’aria profumo di felicità…
Poi, improvvisamente, immagini buie, un uomo che puzzava
d’alcool, con gli
occhi cattivi, il dolore delle botte, il dolore del cuore pensando a
quel papà
che non c’era più…
Franky si riscosse e
uscì fuori
da quei pensieri, seppure con fatica, talmente erano intensi, e
osservò Jole
che stringeva i denti, poi suo padre che si dimenava nel letto, gemendo
ogni
tanto.
«Mi dispiace,
mi dispiace papà»,
singhiozzò Jole e una lacrima invisibile cadde sul petto
dell’uomo, dal quale
sparirono i graffi neri.
Il padre di Jole si
rilassò e
dopo alcuni secondi di silenzio aprì gli occhi, si
guardò intorno e parve
sentire la presenza della figlia, pietrificata e con il respiro
mozzato.
«Tutto
bene?», gli chiese Ariadne
facendosi vedere. Alexandra si diede una manata sulla faccia:
perché faceva
sempre di testa sua?
L’uomo la
osservò confuso. «Chi
sei? Io non ti conosco…»
All’udire la
sua voce, Jole
abbassò il capo e strinse i pugni, incominciando a piangere
lacrime che
silenziosamente le rigarono il viso. Franky le posò
nuovamente una mano sulla
spalla.
«Sono
un’amica di sua figlia»,
rispose Ariadne con il sorriso sulle labbra, ormai china sul viso
dell’uomo.
«Vuole dirle qualcosa?»
Il papà di
Jole iniziò a
piangere, ma non era come le altre volte in cui pensava alla figlia,
ora poteva
farlo liberamente, sentendosi meglio ad ogni lacrima. «Era
una ragazza così
carina e gentile… Io sono stato un mostro con lei e mi
dispiace da morire, è
stata colpa mia se… se…» I singhiozzi
lo interruppero e Ariadne si spostò,
guardò Jole e le porse una mano, incoraggiante. Il fantasma
l’afferrò e si
asciugò gli occhi, sporgendosi verso il padre.
«Papà?»,
mormorò. «Papà, mi
senti? Sono io… Jole.»
L’uomo
aprì di scatto gli occhi e
vide la sua figura evanescente di solito impossibile da vedere: grazie
all’aiuto di Ariadne, però, poteva essere vista
per un ultimo addio.
«Jole»,
singhiozzò. «Tesoro…»
«Sì,
sono io, papà», sorrise e
gli accarezzò la fronte.
«Tesoro,
potrai mai perdonarmi?»
«Certo. Certo,
papà, l’ho già
fatto.»
Il padre le sorrise in
quel modo
affettuoso ed infantile che le faceva sempre nascere le ali al cuore e
allungò
la mano verso di lei, timoroso. Prima che potesse toccarla, Jole
guardò Ariadne
e le fece segno di staccarsi da lei; l’angelo
obbedì e la ragazza iniziò a
scomparire agli occhi dell’uomo, serena.
«Devo andare
papà, ti voglio
bene», gli disse piegando la testa di lato.
«Ti voglio
bene anch’io»,
sussurrò lui e in poco tempo si addormentò,
grazie ad un tocco di Ariadne.
«Siamo tornati!», annunciò Franky
entrando in salotto dalle portefinestre,
Jole dietro di lui che gli teneva la mano.
«Finalmente!
Dove siete andati?»,
chiese il chitarrista, sollevando il sopracciglio con fare indagatore.
Franky e Jole si
guardarono e
ridacchiarono, poi lei rispose: «Sono andata a salutare mio
padre per l’ultima
volta.»
Tom si trovò
senza parole, un
nodo stretto in gola. Per
l’ultima volta,
continuava a ripetersi mentalmente, spaventato. Era tanto vicina, la
loro
definitiva separazione?
Franky, sentendo i suoi
pensieri,
aprì la bocca, però poi la chiuse, allargando un
sorriso dolce. Quindi,
pensando che sarebbe stato meglio posticipare il più
possibile quel discorso,
chiese: «Bill e Zoe dove sono finiti?»
«Sono
usciti», rispose Georg.
L’angelo
sobbalzò. «Usciti? E
dove sono andati?»
«Non…
non lo sapevi?», chiese
sorpreso Tom.
«No. Non so
ancora dove sono
andati, qualcuno mi vuole rispondere?»
«Al ristorante
giapponese
dell’altra volta», rispose Gustav.
«Oh,
finalmente», sorrise e si
sedette mollemente sul divano. Si portò le braccia dietro la
testa e chiuse gli
occhi.
«Non…
non sei arrabbiato con
loro?», chiese Tom indeciso.
«Perché
dovrei? Non sono
obbligati a dirmi tutto quello che fanno! Io volevo solo saperlo
così posso
controllare la zona nel caso dovesse succedere qualcosa, ma ne
dubito.»
«Oh. Ok.
Ahm… vado a fare la
doccia.»
«Va
bene», disse Jole,
salutandolo con la mano e sedendosi a gambe incrociate accanto a Franky.
Tom annuì e
salì le scale, Jole
si voltò verso Franky e si accoccolò sotto il suo
braccio: gli voleva un bene
immenso, ormai era un fratellino minore per lei, anche se era stato lui
più
volte ad aiutarla, a proteggerla e a salvarla.
«Grazie»,
le disse Franky in
risposta a quei pensieri.
«Prego, non
c’è di che.» Gli
baciò la guancia e poi tornò con la testa sulla
sua spalla. «Ah, mi dici a che
cosa stava pensando Tom prima?»
«Uhm…»,
arricciò il naso,
fissandola negli occhi. «Pensava a quanto tempo mancasse
prima della vostra
separazione definitiva.»
«Oh.»
Abbassò lo sguardo, mordicchiandosi
il labbro.
«Tu hai deciso
cosa fare, Jole?»
Si guardarono in viso per diversi istanti e Franky lesse la risposta
nei suoi
occhi. Le spostò un ciuffo dal viso e ridacchiò.
«Sarà un bel problema dirlo a
Tom.»
Jole annuì e
nascose le lacrime
contro il suo collo, stringendo tra i pugni i lembi della sua giacca di
seta
bianca. L’angelo le massaggiò la schiena e
sospirò, guardando Gustav e Georg
seduti al tavolo, di fronte a loro, che guardavano la scena senza
fiatare e
senza capire. Gli sorrise e si rilassarono, anche se un po’
di malinconia la si
poteva già benissimo respirare nell’aria.
***
Ridevano. Avevano
passato più o
meno tutta la serata a ridere, di fronte ai piatti che Bill
già conosceva. Zoe
era accanto a lui, che l’aiutava ad usare le bacchette
– senza Franky non ne
era proprio capace – ma era impedito!
«Bill,
impegnati un pochino!»
«Non sono
capace!», piagnucolò e
la osservò con gli occhioni grandi, da cerbiatto, di fronte
ai quali lei
arrossì.
«Forse
è meglio se chiedi delle
forchette», balbettò. Bill annuì e le
accarezzò una guancia rosea,
avvicinandosi lentamente alle sue labbra.
«Prima posso
chiedere una cosa a
te?», le chiese, ad un soffio dal suo viso. Lei
annuì e sorrise. Come risposta
gli bastò, infatti posò la bocca sulla sua e ne
assaporò ogni minimo
particolare, con calma, intento a godersi ogni attimo. Zoe gli
accarezzò il
viso, attirandolo a sé.
Bill
ridacchiò, in modo
soffocato. «Forse non te ne sei accorta, ma ci stanno
guardando tutti.»
Lei si scostò
di un poco e si
guardò intorno, poi gli avvolse le braccia intorno al collo,
sorridendo in modo
malizioso: «Sai che non me ne importa niente? Sei tu il
timido, qui…»
«Pff, io
timido?», le sue guance
presero immediatamente colore.
«Come volevasi
dimostrare»,
ridacchiò lei. «Dai, finiamo qui e poi
andiamocene.»
Bill si fece portare le
posate e
mangiarono in fretta ciò che c’era ancora nei loro
piatti, poi si alzarono e
andarono a pagare. Il cameriere alla cassa li vide e li riconobbe (era
quello
che li aveva serviti la volta precedente), così gli
offrì altri due biscotti
della fortuna. Loro li accettarono e con il sorriso sulle labbra
uscirono dal
ristorante, tenendosi abbracciati. All’aria fresca della
sera, iniziarono a
camminare lungo il marciapiede, verso il lago artificiale che la
ragazza
conosceva bene.
Zoe, senza fermarsi
né staccarsi
da Bill, ruppe il biscotto a metà e ne tirò fuori
il bigliettino, che lesse
velocemente e poi buttò nel cestino.
«Ehi, io
volevo leggerlo!», gridò
il cantante fermandosi.
«Ma per
favore», ridacchiò e gli
tirò un pezzo di biscotto addosso. Bill parve arrabbiarsi e
la rincorse, fino a
quando non riuscì a prenderla, intrappolandola fra le
braccia. La ragazza gli
infilò l’altro pezzo di biscotto il bocca e lui lo
mangiò, poi le baciò la
punta del dito.
«Il tuo
dov’è?», chiese Zoe. Bill
glielo porse e lei lo ruppe, gettò via anche quel
bigliettino e se ne infilò un
pezzo in bocca, l’altro lo porse a Bill, che serrò
le labbra, gli occhi
stretti.
«Perché
hai gettato via pure
quello?», le chiese.
«Perché
non abbiamo bisogno di
consigli saggi, ora come ora. Faccio quello che mi va di fare, non mi
fido dei
giapponesi.»
Bill sorrise e le
fregò dalle
dita il pezzo del biscotto, lo mangiò e una volta
inghiottito si avvicinò al
suo viso, che accarezzò con la punta delle dita.
«Credi che
Franky se la sia
presa, per il fatto che non gli abbiamo detto niente di questa
uscita?», chiese
Zoe.
«Uhm…
secondo me no», le rispose.
«Sei in pensiero per lui?»
«Ma
và, lui sa proteggersi meglio
di me… Pensavo a quanto mi sento bene,
adesso, con te.» Si morse un sorriso, accarezzandogli i
capelli sulla nuca.
«Oh,
Zoe…»
«Ci saremmo
risparmiati tanta
sofferenza, se tu non fossi stato così irrimediabilmente
stupido…»
«Dovrei
farmene una colpa?»
«Sì!»
Si guardarono negli occhi e
scoppiarono a ridere. «Sì, perché io ti
volevo anche se non eri come Franky.
Anzi, appunto perché non lo eri… Eri tu
che mi interessavi.»
Il ragazzo le sorrise
felice e la
baciò sulle labbra, prendendola per la nuca. Fu un bacio
lento e delicato, Zoe
si sentì le ali al cuore e ogni pensiero venne sopraffatto
da uno unico e più
potente: Bill; lui era ovunque nella sua testa, in quel momento. Aveva
scoperto
molte cose sul suo conto, aveva visto il vero Bill all’opera
e non poteva
esserne più soddisfatta di così.
Quando si dissero che
forse era
meglio raggiungere gli altri nel locale in cui si erano dati
appuntamento,
salirono in macchina e si avviarono, fin quando la ragazza non
sospirò e guardò
il cantante.
«Che cosa
c’è?», le chiese,
incuriosito.
«Non ho molta
voglia di ballare,
in realtà.»
«Eh? Ma se sei
stata tu ad
insistere tanto! I ragazzi sono già là, che
cosa…»
«Diamogli
buca.»
La guardò con
la coda dell’occhio
e notò una scintilla di malizia nei suoi occhi, al che
arrossì. «Non è molto
carino.»
«Bill…
io voglio stare solo con
te questa sera.» Era arrossita anche lei, ma era
più che convinta delle sue
parole.
Il cantante
svoltò di colpo e
sgommò verso l’appartamento che per ovvi motivi
era deserto. Fece scendere Zoe
dall’auto e non resistette, già in ascensore
incominciò a baciarla e non smise
fino a quando non furono nella sua camera da letto, al buio.
Zoe stava per togliergli
la
maglietta, dopo essersi tolta la propria, quando lui la
fermò e le disse, con
la fronte appoggiata alla sua e un leggero fiatone: «Aspetta,
aspetta… Sei
sicura di volerlo fare?»
«Non ti sei
fatto problemi la
prima volta, perché adesso…»
«Quale prima
volta? Noi non
abbiamo mai fatto l’amore.»
Zoe sorrise e riprese a
baciarlo,
incastrando le dita fra i suoi capelli neri e trascinandolo con
sé sul letto.
Quando furono più nudi che vestiti, lui la fermò
di nuovo e la guardò negli
occhi, ad un soffio dalle sue labbra.
«E ora che
c’è, Bill?»,
ridacchiò, tanto euforica da sembrare brilla.
«Devo
chiederti una cosa, prima.
Vuoi stare con me? Stare nel senso di… fare
coppia», balbettò, con le guance in
fiamme.
«Ah,
perché, non siamo già una
coppia?»
Risero insieme e quella
notte,
amandosi, raggiunsero il loro Paradiso personale.
***
Franky si
passò le mani sul viso
e incrociò lo sguardo di Jole in pista, che si scatenava a
ritmo di musica
ballando con Tom che con nonchalance schivava tutte le ragazze che gli
si
avvicinavano per continuare a ballare “da
solo”.
“C’è
qualcosa che non va?”,
chiese all’angelo, dopo averlo guardato per qualche istante e
aver capito che
doveva essergli successo qualcosa.
“Bill e Zoe ci
hanno dato buca.”
Il fantasma
capì subito il perché
del suo umore calato così precipitosamente a terra e
andò da lui senza spiegare
niente a Tom, che rimase lì come un cretino, sbigottito. Gli
passò una mano fra
le spalle e gli sorrise incoraggiante, prima di stringerlo forte a
sé.
«Ehi, ma che
è successo?», chiese
Tom a bassa voce, sapendo che anche con la musica alta sarebbero
riusciti a
sentirlo, e si sedette accanto a Jole, che gli rispose:
«Bill e Zoe
non vengono più.»
«Hanno
mangiato sushi avariato?»,
la buttò sul ridere, ma quando vide il viso spento di
Franky, si rese conto che
forse non c’era nulla da ridere e si ammutolì.
«Ho bisogno di
un po’ d’aria
fresca», mugugnò l’angelo e lei
annuì, accompagnandolo fuori dal locale. Tom
intanto andò ad avvertire Georg e Gustav del cambio di
programma.
Franky si
appoggiò al muro con la
schiena e sollevò il viso verso la luna, che glielo
illuminò tanto da far
brillare le lacrime che lente sgorgavano dai suoi occhi. Jole era
lì a
guardarlo, senza proferire parola: sapeva che a volte il silenzio era
la cosa
migliore.
«Oramai tutto
sta giungendo al
termine», soffiò l’angelo con voce roca,
tirando su col naso. «Ci stiamo
avvicinando al capolinea.»
«Che cosa stai
dicendo, Franky?»
Guardò in basso, intrecciando le dita delle mani fra loro.
Sapeva bene di ciò
che stava parlando, invece.
«Evitiamo di
mentire persino a
noi stessi… Tutto si sta sistemando, ognuno sta ritrovando
il proprio equilibrio,
la propria felicità… Ancora poco e non avranno
più bisogno di noi.»
«Franky…»
Le si era formato anche
a lei un nodo in gola, che le faceva male.
«Ce ne dovremo
andare e tutto
finirà qui, perché è giusto
così.» Si voltò per la prima volta
verso di lei e
la guardò intensamente.
«Beh, non
poteva di certo durare
per sempre… Meglio così, no? Hanno il diritto di
essere felici anche senza di
noi.»
«Che
cosa?»
Jole si voltò
di scatto all’udire
quella voce e collegò lo sguardo di Franky alla figura di
Tom che le stava alle
spalle. Le si inumidirono gli occhi, incrociando quelli nocciola del
ragazzo
che amava.
«Tom…»,
farfugliò.
Il chitarrista
abbassò il viso,
affranto, e disse: «Georg e Gustav ci raggiungono
dopo», poi si avviò verso la
propria auto, parcheggiata non molto lontano da lì.
L’angelo e il fantasma lo
seguirono silenziosi, ognuno immersi nei propri pensieri, ma molto
simili fra
loro. L’addio era vicino, tanto da sentirne l’odore
nell’aria.
Franky
preferì andarsene sul
tettuccio dell’auto, Jole si mise seduta sui sedili
posteriori. Tom non osò
parlare con lei fin quando non fu proprio il fantasma a tossicchiare,
cercando
di trovare le parole adatte per spiegargli quello che aveva sentito
poco prima
all’uscita del locale.
«Beh, sapevi
che prima o poi
sarebbe finito tutto.» Le sue parole suonarono dure e severe,
del tutto fuori
dal suo controllo. Anche lei era triste, da morire, e vedere Tom che
non le
rivolgeva la parola per quel motivo, pensando prevalentemente a
sé, la
infastidiva.
«Sì,
lo sapevo.»
«E allora
perché… perché ti
comporti così?»
«Come mi sto
comportando?»
«Ci sto male
anche io, Tom! Che
cosa credi, che sia contenta di andarmene e di non rivederti mai
più?!»
«Lo so che ci
stai male anche
tu.»
«Tom, ti
supplico!», singhiozzò.
«Rispondi con la tua testa, non con la mia. So che la mia
funziona.»
Il ragazzo
accennò un sorriso e
la guardò attraverso lo specchietto retrovisore, i loro
sguardi si incontrarono
e gli si riempirono gli occhi di lacrime. Non poteva davvero credere
che fosse
giunto il momento… era ancora così presto!
«Davvero non
ci rivedremo mai
più?», le chiese con quel groppo in gola. La
ragazza abbassò gli occhi e annuì
con un cenno del capo. «Non ve ne dovete per forza
andare!»
«Ho i miei
dubbi.»
«Sarò
l’uomo più infelice della Terra
se ve andrete. È ovvio che senza di voi non saremo
ugualmente felici!»
Jole alzò il
viso e gli sorrise.
«Io non posso
rimanere con te.»
«Perché
no?!»
«Perché
è contro tutto ciò che ci
ha creati… Io sono morta,
Tom.»
«Fin quando ti
vedrò, tu non sei
morta!», gridò e ormai le lacrime gli scivolavano
sulle guance, nonostante
cercasse di trattenerle.
«Non ce ne
andiamo domani,
possiamo riparlarne con calma un’altra volta. Ora smettila di
piangere, ti
scongiuro.»
«No, no Jole!
Lo vuoi capire che
non puoi lasciarmi?!»
«Ti ho
già lasciato.»
«Quella volta
non ti… non ti
amavo», soffiò, ferito nel profondo.
«Mi dispiace,
Tom.» Riuscì a
mantenere un tono di voce piuttosto calmo, anche se dentro le si stava
scatenando una tempesta.
«Jole, ti
amo», soffiò. Ormai ne
era più che certo, ma non sapeva nemmeno lui
perché glielo stesse dicendo,
forse era solo un modo, un’inutile speranza di riuscire a
convincerla a
restare. Forse perché sentiva che, una volta tanto, aprirsi
era la cosa giusta
da fare. Se non gliel’avesse detto poteva anche essere che se
ne sarebbe
pentito per tutta la vita. Tanto valeva rischiare.
Il fantasma rimase senza
fiato e,
senza scomporsi troppo, si sdraiò sui sedili, dandogli le
spalle, i capelli
biondi che le accarezzavano le spalle e la schiena.
Tom si
asciugò le lacrime e cercò
di ricomporsi, concentrandosi sulla guida. Ma la sua testa era da
tutt’altra
parte.
L’autostrada,
una lunga linea
retta illuminata dai fari della sua auto, non era trafficata, anzi era
fin
troppo deserta per i suoi gusti.
Il buio era
già calato sul giorno
da qualche ora e nel paesaggio si intravedevano diverse zone collinari
e di
montagna, illuminate da scie di luci che le rendevano particolarmente
belle.
Entrarono in galleria e
la coda
dell’occhio gli cadde sulla figura quasi evanescente di
Franky, tanto che
sembrava attraversata dai raggi di luce giallastra, seduto sul sedile
accanto a
lui.
Non
sapeva quando era arrivato, né se era sempre stato con loro,
ma nel vederlo,
così assorto nei suoi pensieri e con lo sguardo perso fuori
dal finestrino, gli
si strinse il cuore e un sottile strato di lacrime si
impadronì nuovamente dei
suoi occhi.
Franky fece un sorrisino
e si
voltò verso di lui: «Qualcosa che non va,
Thomas?»
«Non cambi
mai, eh? Fai sempre
certe domande stupide…» Solo allora si accorse
della sua voce nasale, da
pianto.
Franky
sospirò e gli posò una
mano sulla spalla: «Io non vi lascerò.»
«Sarà
come se tu ci lasciassi.»
«Oh, grazie
per la
considerazione. Ti ho già spiegato tutto, non farmi
ripetere; stasera non sono
per niente ispirato per i discorsi filosofici.»
Tom fece un respiro
profondo, ma
non riusciva a calmarsi. Aveva una domanda, più di tutte le
altre, che gli
frullava prepotentemente nella testa: quando sarebbero andati via?
«Non me ne
andrò», mormorò Franky
sorridente, avvicinando il dito e asciugando apparentemente la lacrima
che era
scappata al chitarrista. «Sono qui. Sarò
qui.»
***
Zoe si
svegliò e sorrise ad un
bacio a fior di labbra. Il sole entrava dalla finestra, lo percepiva
sulla
pelle, ma non sul viso, protetto da un altro. Aprì gli occhi
e trovò proprio
quello di chi immaginava, sorridente e meraviglioso.
«Buongiorno,
principessa», la
salutò dolcemente.
«Buongiorno»,
mugugnò,
stiracchiandosi e circondandogli la vita con nonchalance.
«Sei sveglio da
tanto?»
«Giusto un
po’. Sei bella persino
quando dormi, sai?»
«Sì,
bellissima», ridacchiò.
«Dico sul
serio! La più bella di
tutte.»
«Bill, che hai
mangiato ieri
sera?»
«Quello che
hai mangiato tu.»
«Uff, mi hai
fregata…» Gli
sorrise apertamente e gli prese il viso fra le mani per stampargli un
bacio
sulla bocca. «Sono stata benissimo»,
sussurrò.
«Anche
io.»
«Grazie. Di
tutto.»
Bill la baciò
di nuovo e si sentì
così felice e nel contempo stupido, perché se non
fosse stato così insicuro
quella volta avrebbero davvero sofferto tutti di meno, compreso Franky.
Franky,
chissà dov’era finito.
Aveva paura di incontrarlo, di leggere nei suoi occhi qualsiasi
sfumatura che
lo riconducesse ad una tristezza interiore per aver concesso la sua
piccola a
qualcun altro. Non voleva che fosse arrabbiato con lui,
perché Bill si trovava
nella situazione delicata di essere quel qualcun
altro che si era acciuffato Zoe
prima di tutti. Il loro rapporto era già in
bilico sopra un precipizio, non voleva che uno dei due cadesse, non voleva
che finisse, sapendo soprattutto che il
suo gemello era quasi dipendente da quell’angelo.
«A che cosa
stai pensando?»
La voce della ragazza lo
riscosse
dai suoi pensieri. «Niente, stavo… stavo solo
pensando che ho fame.»
«Andiamo a
fare colazione,
allora!»
Lei si tuffò
sotto le coperte, si
vestì e saltò giù dal letto
zampettando, trascinandoselo dietro tenendolo per
mano. Fecero una capatina in camera di Tom, nella quale Zoe
arraffò una delle
sue tante e larghissime magliette e se la infilò come
camicia
da notte, poi
scesero in salotto, nel quale trovarono solo Franky, sdraiato sul
divano, con
gli occhi chiusi e le mani sul ventre.
Zoe si
avvicinò a lui senza far
rumore e si sedette al suo fianco piegando una gamba sotto
l’altra. Gli sfiorò
la guancia e si rese conto di essere felice davvero, di aver trovato il
suo
equilibrio fra quei due amori, fra lui e Bill. Perché Bill
era il suo futuro,
Franky invece il suo passato, ma ci sarebbe sempre stato nella sua
vita.
L’angelo
cercò di trattenere un
sorriso e Zoe sbuffò, capendo che aveva percepito i suoi
pensieri. «Ma tu non
dormi mai?», gli chiese.
«Sì,
ogni tanto.»
Non era più
triste, aveva
ripensato molto alla reazione che aveva avuto la sera prima e si era
accorto
che era stato un po’ eccessivo. Aveva esagerato,
poiché la felicità di Zoe era
tutto ciò per cui avrebbe sempre lottato e doveva essere
solo contento per lei,
se ora stava bene con se stessa.
«Oh beh, mi fa
piacere.» Si
guardarono negli occhi e poi si abbracciarono, stringendosi forte.
Bill era in piedi in
mezzo al
salotto e si sentiva a disagio. Cercava in tutti i modi di non pensare
alla
serata precedente, ma la sua testa non era d’accordo e
infatti faceva il
contrario. Quando incontrò lo sguardo di Franky,
arrossì e abbassò lo sguardo.
L’angelo
chiuse gli occhi e
sospirò, poi si alzò dal divano e
camminò lentamente verso di lui. Gli arrivò
di fronte e gli alzò il mento per poterlo guardare negli
occhi, dopodiché gli
sorrise e lo strinse in un abbraccio affettuoso.
“Non potrei
mai essere arrabbiato
con te, Bill, tutt’altro… Sono contento se fai
felice Zoe e che tutto si sia
sistemato per il meglio. Trattala bene, mi raccomando”, gli
disse mentalmente e
il cantante assentì con il cuore pieno di gioia.
«Stai
tranquillo», gli rispose a
bassa voce. «Mi prenderò cura di lei come se fosse
la cosa più preziosa della
mia vita.»
«E lo
è. Lo è.»
Si sorrisero e Zoe
tossicchiò,
portandosi il pugno di fronte alla bocca. «Avete finito di
confabulare?», gli
chiese divertita. Li raggiunse e li strinse un abbraccio unico,
sentendosi
davvero al settimo cielo.
«Grazie,
grazie di tutto»,
mormorò con le lacrime agli occhi.
«Non
c’è di che», sussurrò Franky
massaggiandole la schiena con una mano. «Dovere.»
Bill e Zoe ridevano
mentre
facevano colazione, ascoltando Franky che raccontava loro un episodio
divertente della sua vita in Paradiso, dopo la sua morte. Non andava
molto nei
particolari, né aveva fatto esplicitamente il nome di
Norbert e Kenzie, con i
quali aveva sempre passato la maggior parte del tempo. Si
soffermò a pensarli e
si rese conto di quanto quei due gli mancassero.
«E allora
questa ragazza si è
messa di fronte a tutti e ha cercato di teletrasportarsi. Peccato che
sia stato
un completo disastro ed è finita nella fontana!»
«Oh mamma,
davvero?!», scoppiò a
ridere Zoe, tenendosi la pancia. «Questa ragazza era una tua
amica?»
Sospirò e
annuì. «Eccome. Una
delle migliori.»
Zoe corrugò
la fronte e lo guardò
con una punta di interesse in più negli occhi.
«Non dirmi che ti piaceva!»
«No, in
realtà… ero io che
piacevo a lei, ma… è una storia
complicata.» Sarebbe dovuto andare a trovarli,
prima o poi.
«Oh. E
l’altro ragazzo?»
Franky stava riordinando
le idee
per rispondere, quando sentì una macchina entrare nel garage
e percepì i
pensieri di Tom. In effetti era sparito da qualche ora con Georg e
Gustav, ma
perché tutti stavano pensando intensamente alle carote?
Si alzò dal
tavolo, preoccupato
per ciò che tentavano di nascondergli, e iniziò a
camminare in tondo,
massaggiandosi le tempie nervosamente. Cercò di concentrarsi
e capì che con
loro c’era anche un’altra persona, che pensava
anch’essa alle carote. Si voltò
verso Bill e lo guardò negli occhi, in ansia:
«Tu sai dove
sono andati quei tre
idioti che stanno salendo le scale in questo momento?»
«No,
perché?»
«Perché
diamine pensano alle
carote?! Che cosa mi stanno tenendo all’oscuro?!»
Zoe e Bill si
guardarono, con gli
occhi sgranati, e la risposta alle sue confuse domande gli si
presentò di
fronte: Georg, Gustav e Tom erano sorridenti, soprattutto
l’ultimo, e avevano
accanto a loro un ospite che fece venire la pelle d’oca
all’angelo.
«Ragazzi, non
fatemi perdere
tempo, per favore. Ho un sacco di cose da fare e ho promesso a Susan
che sarei
andato con lei per occuparmi della sua nipotina», disse
David, guardando Tom in
particolare, che sorrideva smagliante.
«Non ti
preoccupare, è solo
questione di un minuto.»
Il silenzio
calò nella stanza e
Franky assottigliò gli occhi, già colmi di
lacrime, mentre tutti gli sguardi,
tranne quello confuso di David, si puntarono su di lui.
«Che cosa vedi
lì, David?»,
chiese ancora il chitarrista, indicando il punto in cui c’era
l’angelo.
«Io non vedo
niente, perché? A
che gioco state giocando?!»
«Nessun gioco,
lì… lì c’è
Franky…»
Il manager trattenne il
respiro e
fece un passo indietro, pronto ad andarsene dopo quello scherzo di
cattivo
gusto che gli aveva aperto una profonda ferita in mezzo al petto. Aveva
lottato
tanto per ricominciare dopo la sua scomparsa, si era fatto forza, ma
lui forte
non lo era per niente.
C’era qualcosa
che non andava:
loro non potevano essere davvero così insensibili, per quale
motivo gli stavano
facendo una cosa del genere. Era davvero tutto uno scherzo?
Non aveva mai creduto ai
fantasmi, né agli angeli, ma se questo gli avrebbe permesso
di vedere Franky
un’ultima volta ci avrebbe creduto, avrebbe fatto di
tutto…
Stava appunto per
girarsi, quando
iniziò ad intravedere una figura sfuocata apparire di fronte
ai suoi occhi.
Lentamente assunse delle forme definite, dei lineamenti, e David
riconobbe il
viso di Franky, nervoso e amareggiato, i suoi occhi verdi erano rivolti
al pavimento
e si sollevarono stupiti, quando iniziò a boccheggiare.
«Zio,
tu… tu mi vedi?»
La sua voce fu peggio di
un pugno
nello stomaco e fece un altro passo indietro, con le lacrime che gli
rigavano
le guance. Si voltò e uscì di corsa
dall’appartamento, voltandosi solo una
volta.
Franky si
portò le mani sul viso
e ringhiò frustrato, osservò Tom e gli disse,
incenerendolo
con quegli stessi
occhi che stavano piangendo: «Perché
l’avete fatto?»
Tom aprì la
bocca e allungò una
mano verso di lui, ma l’angelo non gli diede il tempo per
rispondere e scappò
dalla finestra, lasciandosi trasportare dal vento.
_____________________________
Buongiorno
e buona festa della repubblica a tutti! :)
Allora… Uhm, quante cose che sono successe! Già,
già…
Sapete, questo capitolo è uno degli ultimi:
venerdì posterò il penultimo e poi
mercoledì l’ultimo, l’epilogo. Non
sapete quanto mi mancheranno Franky e tutti
gli altri :( Ma, ahimè, le ff come iniziano devono
finire…
Non a caso si stanno tirando le somme: Zoe e Bill sono
ufficialmente una coppia, Jole è riuscita a salvare suo
papà, Tom ha detto questo
sospirato “Ti amo” a Jole e per concludere in
bellezza Tom, Georg e Gustav
hanno avuto la brillante idea di portare a casa, all’insaputa
di Franky (la tecnica
delle carote è the best xD), David, che è
riuscito a vederlo! Purtroppo però
non è andato tutto liscio… Vedremo se le cose si
risolveranno!
La canzone che ho usato per questo capitolo è Angelo mio,
di Tiziano Ferro, che mi ha
consigliato la mia Ales *-* Danke schön *-*
Passo subito ai ringraziamenti:
Tokietta86
: A
chi lo dici, anche a me mancheranno un mondo :( Però sono
contenta che ti
piaccia e che ti sia piaciuto lo scorso capitolo! Zoe e Bill sono
davvero una
bella coppia ^-^ E Tom e Jole sono davvero magnifici: sicuramente Tom
non
commetterà gli stessi errori! Ha imparato la lezione :) Per
quanto riguarda
Franky… non poteva fare cosa migliore, davvero *-* Grazie
mille, alla prossima!
Un bacio!
Utopy
: Hai
visto? u.u Io posso sempre accontentarti ;D Il fatto che ti
mancherà più del
sogno non mi sorprende, se devo dire la verità…
Anche io mi sono affezionata da
morire a Franky e sarà davvero brutto non postarlo
più :( Beh… ma non
fasciamoci la testa prima di essercela rotta! Mancano ancora due
capitoli e
devono succedere ancora un paio di cose belle *-* Dunque, chi
vivrà vedrà! Grazie
mille Mond, ti voglio tantissimo bene anch’io! Tua, Sonne.
marty sweet princess
: La speranza è l’ultima a morire ;)
Vedremo… Grazie per la recensione!
Ringrazio
anche chi ha letto
soltanto e chi sostiene me e questa ff da sempre! Grazie, grazie
davvero! :)
A venerdì, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 23 *** I'll never let you go ***
Oddio, non posso credere
che
siamo arrivati alla fine :( È così…
triste! ç__ç
Franky, Zoe, Bill, Tom, Georg,
Gustav, Jole, David, Susan, Alexandra, Ariadne… e chi
più ne ha più ne metta,
tutti i personaggi secondari, quelli che hanno reso questa storia
davvero
speciale (almeno per me)… mi mancheranno da impazzire!
Non mi dimenticherò mai questa
storia e tutte le persone che l’hanno seguita con le
recensioni e non, mi sono
davvero sentita bene e vi ringrazio dal più profondo del
cuore.
Ora non mi dilungo troppo, visto
che c’è il capitolo che vi aspetta :) Vi auguro
solo una buona lettura! A dopo!
_______________________________________
23. I’ll never let
you go
«Sei sicuro di
non voler
venire?», gli chiese Zoe – vestita di tutto punto e
bellissima – per l’ennesima
volta; Franky annuì senza sollevare lo sguardo dal pavimento
lucido.
«Allora noi
andiamo», disse Tom e
sollevò la mano in segno di saluto, prima di dirigersi con
Gustav, Georg, Bill
e Zoe fuori dall’appartamento.
Jole esitò
accanto all’angelo e
gli sorrise, poi gli stampò un bacio sulla fronte e gli
sussurrò, guardandolo
negli occhi: «Penso che oggi sia la fine.»
«Già,
penso anche io che il
matrimonio sia la fine di…»
«No, io
intendevo proprio…»
«Oh.»
«Ci vediamo
dopo.» Lo salutò e
raggiunse Tom che, con la fronte corrugata, aveva assistito alla scena
stando
sulla soglia. Gli sorrise dolcemente per l’ultima volta, poi
si chiuse la porta
alle spalle, lasciandolo solo.
Franky
sospirò e si passò le mani
sul viso stanco, lasciandosi sprofondare nella morbida pelle del
divano. Fece
scorrere i pensieri nella sua mente, immerso nel silenzio, chiudendo
gli occhi.
Erano passate un paio di
settimane da quell’incontro con suo zio e da allora nessuno
aveva più osato
parlare di David in sua presenza, a parte Tom che poco dopo
l’accaduto lo aveva
tirato da parte e gli aveva chiesto scusa in tutti i modi possibili
immaginabili. Franky l’aveva perdonato, anche
perché in realtà non era mai
stato arrabbiato con lui. Aveva capito che lo aveva fatto cercando di
fare una
cosa bella, ma non ci era riuscito e non si meritava un rimprovero.
Franky si
era sentito solo frustrato, quando aveva visto negli occhi di suo zio
quella
paura che aveva letto anche in quelli degli altri,
all’inizio. Come al solito
era stato terribile.
Nessuno aveva parlato di
lui in
sua presenza e Franky non aveva cercato nei loro pensieri notizie su di
lui.
Non ci aveva nemmeno pensato, non voleva pensarci per non starci male e
solo in
quel momento si rese conto di quanto gli avesse fatto piacere poter
essere
visto da lui. Già il fatto che ci fosse riuscito voleva dire
molto, perché
stava a significare che in minima parte ci credeva. Si sentiva un
po’ in colpa
per non averlo più cercato, ma preferiva stare male lui,
piuttosto che veder
soffrire le persone che amava. Era sempre stato così e lo
sarebbe sempre stato.
Riaprì gli
occhi e si guardò
intorno, trovando desolante l’atmosfera che si respirava. Non
era mai stato in
quell’appartamento da solo e gli sembrava così
triste, senza le persone piene
di vita che lo abitavano… Sembrava un appartamento come
tanti altri, non il
luogo in cui aveva vissuto la parte forse più bella della
sua vita, nonché l’ultima.
Si alzò dal
divano con un sorriso
strascicato sul viso e si passò un braccio sugli occhi
umidi. Tutto stava
giungendo al termine per la seconda volta e percepiva un grande nodo
serrargli
la gola. Era passato tutto così in fretta…
Sembrava ieri il giorno in cui si
era ritrovato catapultato in quello stesso salotto con una valigia al
fianco e
una maledetta voglia di tornare a casa. Presto, però, contro
ogni pronostico,
quella voglia di tornare a casa si era tramutata in una voglia assurda
di non
volersene più andare. Non sapeva nemmeno come, ma si era
legato così saldamente
a Bill, Georg, Gustav, Tom e suo zio che non ne poteva più
fare a meno.
Ne avevano passate tante
insieme,
tra lacrime e sorrisi, tra risate e giorni davvero pessimi. Quando era
morta
sua madre, quando aveva scoperto di avere il cancro, quando si era
innamorato
della sua migliore amica Zoe e aveva lottato per averla…
loro erano sempre
stati lì con lui e lui lì con loro, uniti come
una vera e propria famiglia.
C’erano stati persino quando li aveva lasciati, quella
mattina di dicembre. E
anche dopo la sua morte si erano ritrovati e aveva vissuto momenti
difficili,
oltre che felici, ma insieme avevano sempre risolto ogni problema. Insieme.
Tirò su col
naso e sul mobile
alla parete del salotto scorse una foto, la prese fra le mani e la
osservò,
sorridendo debolmente: erano tutti insieme, stretti in un grande
abbraccio,
immortalati mentre ridevano, seduti sul divano di quello stesso
salotto. Franky
era fra Zoe e Tom, alle loro spalle c’erano Bill, Georg e
Gustav e di lato
Susan, stretta fra le braccia di David. Quella foto era stata scattata
così,
per gioco, dalla mamma di Zoe, quando si erano ritrovati tutti insieme.
Non
ricordava nemmeno più per quale motivo si fossero riuniti,
sapeva solo che era
stata una delle giornate più belle della sua vita da vivo.
Rimise la cornice al suo
posto e
pensò a quante cose fossero cambiate da allora. Un
po’ tutto, pensò, ma c’era
una cosa, una cosa semplicissima quanto intensa, che non era mai
cambiata nel
corso di tutto quel tempo: l’amicizia e l’amore dai
quali erano sempre stati
uniti gli uni all’altri, sin dal principio.
Fu in quel momento che
Franky
capì di star facendo un errore colossale, non volendosi far
vedere da suo zio,
credendo di farlo solo per il suo bene. Si precipitò fuori
dalla finestra e
volò più veloce che poté verso la
chiesa in cui sapeva si sarebbero svolte le
nozze. Suo zio era una delle persone più importanti in
assoluto, non poteva
fargli una cosa del genere, mancando proprio al suo matrimonio.
Entrò in
chiesa e come se nulla
fosse, durante la celebrazione, percorse la navata centrale quasi di
corsa,
verso i due sposi, disposti di fronte al parroco.
«Psst!»,
sussurrò qualcuno e
Franky si voltò, incontrando il volto ilare di Bill, insieme
a quelli di Zoe,
Tom, Georg, Gustav e di Jole, che gli sorridevano e lo incitavano a
raggiungerli.
Franky si
avvicinò agli amici e
vide che c’era un posto libero sulla panca in prima fila,
occupato solamente da
un portafoto d’argento che raffigurava proprio il suo viso.
«Oddio, questa
foto è orribile»,
disse l’angelo e non si accorse nemmeno di aver parlato ad
alta voce, ma David
si voltò verso di lui e lo vide. Rimasero un po’
ad osservarsi, poi il manager
dei Tokio Hotel sorrise commosso e mormorò:
«Sei
venuto.»
Franky annuì.
«Non potevo
mancare. Scusa il ritardo.»
David
ridacchiò e si voltò di
nuovo verso la sua sposa e verso il parroco, che non aveva mai smesso
di
pronunciare la funzione.
Jole avvolse le spalle
di Franky
con un braccio e appoggiò la testa alla sua, contenta; Tom
gli tirò un pugno
sulla spalla e gli fece l’occhiolino, al quale subito
ricambiò.
[There's a
dream that I've been
chasin’
Want so badly for it to be reality
C'è
un sogno che ho inseguito per molto tempo
Ho desiderato tanto che diventasse realtà]
Susan si
voltò e lanciò
all’indietro il bouquet, che finì proprio fra le
braccia di Zoe, che arrossì
d’imbarazzo accanto a Bill, che le posò un bacio
sulle labbra.
Fra gli applausi e i
cori dei
pochi ed intimi invitati, David e Susan tagliarono la maestosa torta
alla
frutta sotto un gazebo bianco, mentre i flash catturavano attimi che
sarebbero
sempre stati racchiusi nelle loro memorie.
Tom si occupò
del taglio della
cravatta di David e il nuovo sposo tolse la giarrettiera a Susan,
timida come
suo solito.
Dopo quella serie
infinita di
impegni, David riuscì a liberarsi un attimo e a raggiungere
Franky, che se ne
stava solo soletto sotto una grande quercia nell’ampio
giardino del ristorante
in cui si erano tutti riuniti per pranzare.
Si mise seduto al suo
fianco e lo
guardò attentamente, analizzò il suo profilo e il
suo sorriso dolce, e con le
lacrime agli occhi, ma il cuore gonfio di gioia, si rese conto che non
era affatto
cambiato, nonostante fosse passato molto tempo dalla sua scomparsa.
«Zio, volevo
scusarmi con te,
prima che tu possa chiedermi qualsiasi altra cosa», disse
Franky e David chiuse
gli occhi, respirando a pieni polmoni: era un sogno sentire di nuovo la
sua voce…
quante volte l’aveva immaginata? Ora quel sogno stava
diventando realtà.
«Io non mi
sono comportato bene
con te: credevo che tu non riuscissi a vedermi e non mi sono mai fatto
avanti
perché non volevo che tu soffrissi… Mi dispiace
tanto.»
«Non hai
niente di cui
dispiacerti, Franky. Per me… per me è importante
che tu sia qui oggi. Mi sei
mancato da morire.»
Lo guardò
negli occhi e David
trattenne il fiato, si lasciò abbracciare e
ricambiò la stretta, facendosi
scappare solo una lacrima.
«Anche tu mi
sei mancato tanto,
davvero.» Si guardarono e si sorrisero, poi Franky gli diede
un pugno
amichevole sulla spalla: «E così alla fine ti sei
sposato, eh? Sono tanto
felice per te.»
«Grazie»,
arrossì. «Per… per
quanto starai?»
«Un tempo per
ogni cosa», gli
rispose, senza lasciare che la serietà delle sue parole
intaccasse il sorriso
che aveva sulle labbra. «Ora è meglio se ritorni
dalla tua sposa, o si chiederà
dove ti sei cacciato.»
David annuì,
si alzò e rientrò
nel ristorante. Nello stesso momento Jole si sporse fuori e gli sorrise
mesta,
dicendogli che era arrivato il momento. Franky annuì e si
alzò, si stirò i
vestiti addosso e fece un respiro profondo, portando lo sguardo sul
cielo
limpido sopra la sua testa.
***
Jole rientrò
nel ristorante dopo
aver parlato silenziosamente con Franky e sorrise a chi era in grado di
vederla.
«Qualcosa non
va?», le chiese Zoe
senza farsi vedere dagli altri ospiti.
Jole scosse la testa,
cercando di
ricacciare indietro le lacrime. Poi, con un filo di voce, disse:
«Potete venire
un attimo fuori?»
Bill, Georg, Gustav, Zoe
e infine
Tom, raggiunsero il fantasma nel giardino del ristorante e la
osservarono:
sotto il sole sembrava ancora più evanescente, quasi
trasparente, e il sorriso debole
che aveva sulle labbra non prometteva nulla di buono, tanto che il
chitarrista
cominciò a sospettare che…
«No, dimmi che
non è vero»,
mormorò e in un attimo le lacrime si impossessarono dei suoi
occhi nocciola.
La ragazza
schioccò la lingua al
palato e non badò al suo piagnucolare, si voltò
verso Zoe e le indicò di
avvicinarsi, aprendo le braccia. La ragazza corse da lei e la strinse
in un
forte abbraccio.
«Jole»,
balbettò Zoe, non
riuscendo a trattenere le lacrime.
«Shhh, non
piangere ti prego», le
sussurrò, massaggiandole la schiena per cercare di
tranquillizzarla.
Bill, Georg e Gustav
guardavano
la scena sbigottiti: loro, al contrario della ragazza e del
chitarrista, non
avevano capito bene quello che stava succedendo e che stava per
accadere.
«Mi dispiace
che il nostro
rapporto d’amicizia sia nato così tardi, sei
davvero una bella persona, Zoe, e…
penso che mi mancherai», concluse Jole e le
accarezzò la testa, accennando un
sorriso.
«Mi mancherai
anche tu», rispose,
poi si spostò per dare il cambio agli altri, anche loro
consapevoli, a quel
punto, che era il momento degli addii.
Jole salutò
Bill, Georg e Gustav,
riservando loro un grande carico di sorrisi, anche se un po’
rovinati dalle
lacrime che non riusciva ad arrestare, e qualche parola
d’elogio e di profonda
gratitudine, oltre che di affetto. Era stata davvero bene con loro, che
l’avevano accolta come una di famiglia, nonostante avesse
causato più danni che
altro. Le avevano voluto bene e per questo gliene era infinitamente
grata. Le
dispiaceva lasciarli, ma non era niente in confronto alla voragine che
sentiva
sotto i piedi ogni volta che il suo pensiero ricadeva
all’addio con Tom, quello
stesso Tom che ora stava di fronte a lei, con lo sguardo implorante e
carico di
preghiere che nessuno avrebbe esaudito.
Ricambiò lo
sguardo e lo prese
per mano, iniziando a camminare verso la maestosa quercia che regnava
nel
giardino come se fosse il suo impero. Si misero seduti
all’ombra, l’uno accanto
all’altra, e rimasero in silenzio per un po’, ad
osservare il cielo terso e il
sole che filtrava fra le fronde dell’albero, mosse da un
leggero vento che
sembrava sussurrare loro antiche canzoni.
«Ho pensato
così tanto a questo
momento, a quello che avrei potuto dirti, ma… ora ho
dimenticato tutto», esordì
Jole, sospirando. «È così difficile
separarmi da te.» Tom non intervenì, rimase
in silenzio ad ascoltarla, e questo le diede la spinta a continuare:
«Ho preso
in considerazione ogni alternativa a me concessa, anche quella di
diventare un
angelo custode», ridacchiò e alzò il
viso verso il cielo. «Assurdo, vero? Ho
sempre detto che avrei fatto di tutto per te, ma questo…
questo no, non posso
farlo. Diventando un angelo custode mi ricorderei per filo e per segno
la vita
d’inferno che ho passato, ma questa non è una cosa
tanto spiacevole, dopotutto;
potrei anche sopportarlo, per te. Il fatto è che…
non sarei in grado di essere
il tuo angelo, e mi dispiace da morire ammetterlo. Non sono forte come
Franky,
non sarei capace di starti accanto e allo stesso tempo di mettermi da
parte
perché tu incominci una nuova vita. Finirei per pensare alla
mia
felicità e non alla tua.»
Tom aprì la
bocca e Jole se ne
accorse, tanto che pose fine momentaneamente al suo monologo. Rimase ad
osservarlo mentre abbassava lo sguardo per raccogliere le idee, facendo
sì che
delle piccole rughe s’impossessassero della sua fronte.
«Questa storia
ha dell’irreale»,
disse infine, a bassa voce. «Tutta quanta. Dal primo momento
all’ultimo.
Angeli, Intrappolati, fantasmi… è un mondo al
quale non avevo mai immaginato, a
cui non credevo, prima di ritrovarmi immerso in questa storia. Ora che
ci
penso, non sembra nemmeno che l’abbia vissuta. È
stato così… normale e
spontaneo. Sono cresciuto molto grazie a questa esperienza
e… Jole, ciò che
renderebbe davvero felice la mia esistenza è saperti felice.
Sul serio.» Le
prese la mano nella sua e l’accarezzò, poi
alzò lo sguardo verso il suo viso,
incontrando quel sorriso che tanto amava.
«E se io ti
promettessi che sarò
felice, tu saresti felice?», gli chiese.
«In
parte», sbuffò. «Averti
sempre con me mi renderebbe felice in maniera assoluta, ma mi sono reso
conto
che non si può. Io la vedo come un’ingiustizia, ma
per te… è ciò che ti meriti,
Jole: ricominciare daccapo ed essere veramente felice, con qualcuno che
ti ami
veramente e dall’inizio, cosa che io non sono stato in grado
di fare.»
Jole sorrise e gli
accarezzò la
guancia, alzandogli il viso per ammirare ancora i suoi occhi nocciola.
Si
soffermò a tracciare i contorni del suo volto
pressoché perfetto, ritrovando quel
calore che lei aveva perso.
«Mi mancherai
moltissimo, Jole.
Tu non sai quanto… mi dispiace», tremò
tenendo gli occhi chiusi per celare le
lacrime. Avrebbe voluto abbracciarla, affondare il viso fra i suoi
capelli,
baciarla, ma tutto ciò che riusciva a fare era distruggersi
lentamente,
arrendendosi al dolore.
«Anche tu mi
mancherai, Tom», gli
sussurrò. «Grazie per tutto quello che hai fatto
per me, ti amo e ti amerò per
sempre, nel profondo del mio cuore.»
Tom aprì gli
occhi e la osservò:
stava piangendo. Le accarezzò le guance con le mani e non
riuscì più a
resistere: l’abbracciò con impeto e allo stesso
tempo con affetto, se la
strinse al petto e nascose il viso fra i suoi capelli profumati.
Sentiva il suo
freddo penetrargli nelle ossa, ma non gli importava minimamente. Non
voleva
lasciarla, era l’ultimo momento che poteva condividere con
lei e non voleva
perdersene nemmeno un secondo.
«Ora…
è meglio che vada», mormorò
Jole e si scostò da lui. Il suo cuore da fantasma le
martellava nel petto e
quanto avrebbe voluto non lasciarlo mai… Sarebbe riuscita a
ricominciare, senza
di lui?
Si guardarono negli
occhi e Tom
si avvicinò al suo viso per baciarla, ma lei si
voltò e le sue labbra si
posarono delicatamente sulla sua guancia.
«Non ti
arrendi mai, eh?»,
ridacchiò lei, riuscendo a strappare un sorriso anche al
chitarrista.
«Prenditi cura
di te», le disse
con il cuore stretto in una morsa e la mente invasa dai ricordi dei
momenti
trascorsi insieme. Sembrava ieri il giorno in cui l’aveva
conosciuta, il giorno
in cui le aveva fatto del male, il giorno in cui l’aveva
rivista sottoforma di
fantasma, il giorno in cui si era innamorato di lei, quando avevano
riso
insieme e avevano pianto… E ora stava per andarsene, per
sempre.
«Anche tu.
Promettimi che sarai
felice.»
«Lo
prometto.»
Jole accennò
un sorriso e poi si
alzò. La gonna del suo vestito bianco ondeggiò al
vento e si sistemò una ciocca
di capelli prima di salutarlo con la mano.
«Addio
Tom», gli sussurrò e
scomparì serena, di fronte ai suoi occhi, senza lasciare la
minima traccia di
sé. Almeno, non una traccia che si potesse vedere con gli
occhi, perché dentro
di lui, nel cuore di Tom, un po’ di lei ci sarebbe sempre
stato: non l’avrebbe
mai dimenticata, poco ma sicuro.
Una lacrima solitaria
gli rigò il
volto e sollevò lo sguardo verso il cielo azzurro:
guardò il sole dell’estate
brillare, ricordandogli per un attimo il suo sorriso, così
vivace, così
allegro, così luminoso…
«Addio,
Jole.»
***
Franky vide Jole
avanzare verso
di lui e quando gli fu di fronte le sorrise e la strinse in un
abbraccio carico
di parole, poi la prese per mano e, in silenzio,
l’accompagnò verso l’Ufficio
delle Rinascite, in cui trovarono anche San Pietro, avvisato poco prima
dall’angelo.
Il santo li accolse con
un
sorriso bonario e Jole fece un respiro profondo, annuendo, e quando le
loro
mani si separarono si guardarono negli occhi con un velo di malinconia,
ma con
un’espressione dolce in viso, che parlava da sola.
Jole entrò
nella cabina di vetro
trasparente e in poco tempo una forte luce la irradiò, fino
a quando non si
affievolì e Franky ebbe la possibilità di
scorgere la sua anima: era forse la
più bella che aveva mai visto, persino più bella
di quella di Kenzie. Si
avvicinò, la prese fra le mani, trovandola piacevolmente
calda al tocco, e la
osservò per diversi istanti.
«Buona
fortuna, Jole. Ci
rivedremo presto, ti voglio tanto bene», le
sussurrò e le donò un bacio, poi la
inserì in uno dei cannoni e la sparò sulla Terra.
La guardò sparire fra le nuvole
candide e poi chiuse gli occhi.
Scese di nuovo sulla
Terra e nel
giardino del ristorante trovò Tom che, nonostante fosse
passato un bel po’ di
tempo dalla loro partenza, non si era mosso da sotto quella quercia.
Aveva il
viso nascosto fra le braccia, appoggiate alle ginocchia, e sembrava
così
fragile ed indifeso…
Si mise silenziosamente
seduto al
suo fianco e rimase ad osservare il sole che oramai donava una
sfumatura rosata
al cielo del pomeriggio.
«Sarà
felice?», gli chiese
improvvisamente, senza alzare lo sguardo.
Franky sorrise e gli
posò una
mano sulla spalla: «Sì, lo
sarà.»
***
«Ehi!»
Tom sobbalzò
e si portò una mano
al cuore, sospirando. «Franky, mi hai fatto
spaventare!», gridò.
«Scusami, ma
avresti dovuto farci
l’abitudine ormai», ridacchiò e gli
strappò un sorriso. «Che ci fai qui tutto
solo?»
Il chitarrista
scrollò le spalle.
«Georg è dalla sua ragazza, Bill e Zoe sono
usciti, come al solito, e Gustav è
andato in palestra.»
«Perché
non sei andato con lui?»,
sollevò il sopracciglio.
«Non ne avevo
voglia», si portò
le mani dietro la testa e chiuse gli occhi, appoggiandosi allo
schienale del
divano, ignorando totalmente la TV accesa su un ridicolo notiziario di
gossip.
«Uhm»,
annuì l’angelo, poi si
lasciò cadere accanto a lui.
Erano passati diversi
giorni da quando
Jole se n’era andata e Tom, esattamente come la prima volta,
era caduto in uno
stato di depressione dalla quale cercava di uscire, senza risultato.
Faceva
finta di niente, sorrideva e rideva, ma era solo una facciata per
nascondere
ciò che provava veramente, perché le aveva
promesso che sarebbe stato felice,
ma… la verità era che non lo era affatto. Gli
mancava, gli mancava troppo e
Franky riusciva a percepire benissimo i suoi stati d’animo.
Dopotutto mancava
anche a lui.
«Non la
vedrò mai più», mormorò
Tom tutto d’un tratto, stringendo i pugni sulle gambe e
serrando la mascella
per non modificare l’espressione del suo viso. Non voleva che
diventasse
triste, affranta…
Franky si
irrigidì e cercò le
parole adatte per confortarlo, ma… che cosa poteva dirgli?
Infondo era vero,
non l’avrebbe più vista per come se la ricordava,
però…
«Forse…
forse posso fare una cosa
per te, Tom.»
Il chitarrista lo
guardò e
trattenne il respiro mentre osservava il sorrisetto che era comparso
sulle
labbra di Franky, con un briciolo di speranza nel cuore: forse non
tutto era
finito.
«Dammi il
tempo di fare una
telefonata», ridacchiò.
«Una
telefonata?», alzò il
sopracciglio e poi sollevò le spalle: inutile sforzarsi
tanto, con Franky era
tutto un mistero ormai.
Tirane fuori una delle tue, ti
prego…
Ok, non pensavo questo però!
«Franky, che
ci facciamo in un
ospedale?», chiese a bassa voce, per non farsi credere pazzo
dagli infermieri e
dalle persone nella sala d’aspetto.
«Godi della
fortuna che hai e abbi
un po’ di pazienza, Kaulitz!»
Passarono diversi minuti
in
silenzio: Franky era comodamente spaparanzato su una sedia libera, gli
occhi
chiusi come se stesse aspettando pazientemente un avvenimento che
l’avrebbe
reso felice; Tom, invece, si guardava intorno e si scervellava per
capire che
cosa avesse in mente, perché l’avesse portato
lì, ma non riusciva proprio ad
arrivarci. Poco tempo prima aveva fatto quella telefonata e poi gli
aveva detto
di accompagnarlo in un posto, che si era rivelato un ospedale.
Già allora aveva
quel sorrisetto stampato in faccia.
«Scusi, ha
bisogno?», gli chiese
un’infermiera, anche abbastanza carina, avvicinandosi a lui.
«Uhm…
no, grazie.»
«E per quale
motivo è qui?»,
sollevò il sopracciglio.
«Ahm…»
Franky…
ora che mi invento?! Vide la
vecchietta lì accanto e si
mise seduto al suo capezzale, senza badare a Franky che se la rideva
come un
matto senza essere sentito da nessuno oltre che da lui. «Sono
qui con mia nonna!», sorrise indicandola, dandole leggere
pacche sulla schiena.
«Oh,
ok», la ragazza sorrise e
tornò al suo posto.
Tom sospirò
sollevato e guardò la
vecchietta che lo osservava in silenzio, annuì e
stiracchiò un sorriso: «Grazie
dell’aiuto», le disse, senza essere minimamente
calcolato.
«Oddio, oddio,
oddio», disse
senza fiato Franky, le lacrime agli occhi e la pancia stretta fra le
mani. «È
stato bellissimo, la cosa più divertente che io abbia visto
da due mesi a
questa parte!»
«Non
c’è niente da ridere,
cretino», bofonchiò. «Posso sapere che
cosa stiamo aspettando?»
Un bip bip
rimbombò nella sala
d’aspetto, fra qualche colpo di tosse, ma solo Tom e Franky
lo sentirono.
Quest’ultimo sorrise e tirò fuori dalla tasca dei
jeans chiari lo speciale
cellulare: «Aspettavamo proprio questo. Forza,
andiamo.»
Tom non fece in tempo a
chiedere
altro che venne preso per il braccio e trascinato lungo i corridoi
dell’ospedale, fino ad arrivare al reparto neonatale, di
fronte al vetro dietro
il quale c’erano tante culle con tanti bambini appena nati
all’interno, che
dormivano beati o che piangevano.
«Bambini.
Uhm», disse Tom. «Ok,
non ci riesco: non capisco.»
«E quando
mai», l’angelo roteò
gli occhi al soffitto e sospirò. «Tom, guarda
quella bambina là.»
Seguì il dito
di Franky e vide
una bambina con pochi capelli biondi, piccolissima e che piangeva
portando i
pugnetti vicino al viso arrossato.
«Mi sembra una
bambina come tutte
le altre, che ha di speciale?»
Sei proprio senza speranze, Kaulitz.
Si appoggiò
alla spalla
dell’amico con il braccio e sorrise, guardandolo:
«Dentro di lei, dentro
quell’esserino minuscolo che è appena venuto al
mondo, c’è l’anima di Jole.»
«L’anima
di… di chi?!», sgranò
gli occhi, incredulo.
«Hai capito
bene, sì. Sai… è un
cerchio senza fine», ridacchiò. «Chi
l’avrebbe mai immaginato.»
«Oddio,
io… io non posso
crederci! Cioè lei è… è
Jole?»
«No, non lo
è; diventerà ciò che
vorrà diventare. E comunque non ci devi credere,
Tom.»
«In che senso?
E perché quel
sorrisino?»
«Non puoi
sapere queste cose,
sono informazioni riservate. Mi dispiace.»
Dopodiché gli tirò un pugnò sul naso
abbastanza forte da farlo cadere a terra nello stesso momento in cui la
porta
accanto si aprì, facendo credere alla ragazza che era appena
uscita di averlo
beccato in pieno.
Franky
ridacchiò e si appoggiò
alla parete per godersi meglio lo spettacolo.
«Oddio,
scusami! Scusami,
scusami, scusami!», gridò la ragazza chinandosi
piano su di lui e tirandogli su
la testa. «Come stai? Tutto bene? Ti ho fatto tanto
male?»
Tom aprì gli
occhi e un po’
confuso si guardò intorno, trovando subito il viso di quella
ragazza di fronte
a sé, che lo guardava leggermente preoccupata.
Una fitta di dolore al
naso lo
fece mugugnare e si chiese dove fosse finito quello scemo di Franky e
perché
fosse in quello che doveva essere proprio un ospedale. Non riusciva a
ricordare
nulla!
«Scusami, mi
dispiace davvero
tanto!», disse ancora la ragazza.
«Che…
che cos’è successo?»,
chiese lui.
«Ho aperto la
porta, ma non
credevo tu stessi passando! Certo, non potevo saperlo, non ho i raggi
x, non
vedo attraverso i muri», ridacchiò nervosamente,
poi tornò a guardare il
ragazzo che credeva di aver buttato a terra. «Scusa, quando
sono nervosa
incomincio a parlare a raffica e sono ridicola. Comunque ti ho tirato
la porta
in faccia.»
«Oh,
ehm…», riuscì a tirarsi
seduto, grazie all’aiuto di quella ragazza, e sorrise
porgendole la mano: «Io
sono Tom.»
«Piacere,
Linda», ricambiò il
sorriso, luminoso e sincero come ne aveva visti ben pochi.
Si alzò e si
guardò intorno, ma
non vide né Franky né qualcosa che gli spiegasse
il perché lui fosse lì.
«Come mai sei
qui? Hai un figlio
anche tu?», chiese curiosa Linda, avvicinandosi al vetro.
«Un…
un figlio?!
No! No, no!», farfugliò agitando le mani di fronte
al
petto, in preda ad una crisi nervosa.
«E allora che
ci fai qui? Questo
è il reparto neonatale.»
Si ricordò
vagamente di una
vecchietta e montò su una scusa per coprire il suo buco di
memoria: «Ero con
mia nonna, credo di essermi perso.»
«Oh,
capisco.»
Guardò il suo
profilo dolce, i
capelli chiari, gli occhi castani: era davvero bella. Si accorse di
essersi
imbambolato solo dopo diversi istanti, allora portò lo
sguardo oltre il vetro.
Chissà che ci faccio qui, bah.
«Tu hai un
figlio?», chiese Tom,
pensando alle parole che gli aveva rivolto in precedenza.
«Sì»,
sorrise commossa. «È quella
bambina con i capelli biondi, che piange, come al solito. È
bellissima anche
quando piange però, vero?»
«Non me ne
intendo molto, ma… sì,
forse hai ragione», annuì, sentendo pulsare la
nuca, come se si stesse
sforzando di cercare di ricordare qualcosa di importante.
«Però…
non ho ancora deciso un
nome», sospirò. «Non ne ho la
più pallida idea.»
Qualcosa
balenò nella testa di
Tom e gli venne spontaneo pensare a quel nome: Jole. Ricordò
quello che era
successo, ma non il motivo per il quale si trovasse in
quell’ospedale. Forse,
semplicemente, non era importante.
«Tu hai
qualche idea?», gli
chiese speranzosa.
«Jole»,
sputò senza esitazione.
«Jole?»,
corrugò la fronte la
ragazza. «Jole… Sì, mi piace!
Sarà Jole, la mia piccola principessa.»
«Sei…
sei troppo giovane per
avere una bambina. Tu…», iniziò
incerto, ma lei capì e fece un sorriso che
risultò amaro.
«Sì,
non è stata voluta, in
effetti.»
«E…
e lui?»
«Non ho la
più pallida idea di
dove sia finito.» Riportò lo sguardo sul vetro e
Tom lo abbassò verso le sue
scarpe. «Ma sai una cosa? Meglio così. Io e Jole
vivremo felici anche senza di
lui», annuì convinta, per poi sorridergli aperta.
«Lo spero per
voi, davvero»,
ricambiò.
«Grazie. Forse
però è meglio se
ti riaccompagno da tua nonna, eh», ridacchiò
prendendolo sotto braccio e
scortandolo lungo il corridoio.
Tom rimase sorpreso, ma
fu una
sensazione piacevole quella che provò in mezzo al petto,
tanto che si lasciò
portare sorridendo, scambiando ancora qualche chiacchiera con quella
ragazza
che il destino gli aveva fatto incontrare.
Il destino di nome
Franky.
«E bravo
Tomi», sospirò felice
l’angelo, girandosi verso il vetro. «Tutto
è bene quel che finisce bene, no?»
Guardò la bambina nella sua culla che aveva finalmente
smesso di piangere e si
era abbandonata al sonno, un piccolo sorriso sul volto.
«E
così, Jole… ho il forte
sospetto che avrai da Tom tutto quello che hai sempre desiderato:
amore.»
***
Si stiracchiò
sul divano e dopo
qualche secondo di ulteriore ed inutile riflessione, si
alzò. Si stiracchiò e
fece un sorriso ai presenti, che ricambiarono con poca convinzione.
«Bene, possiamo andare», disse,
buttando fuori l’aria dai
polmoni.
«Tom non
è ancora arrivato»,
osservò David, aggrappandosi ad una speranza illusoria,
poiché il chitarrista
entrò trafelato nell’appartamento con il fiatone.
«Menomale,
siete ancora qui»,
sospirò sollevato, una mano sul cuore.
«Com’è
andata con Linda e Jole?»,
chiese allegro Franky.
«Bene.»
Un sorriso gli illuminò
il viso, pensando alle sue due nuove donne, ma si spense presto, quando
tornò a
pensare che era arrivato il momento dei saluti persino per lui.
«Sei pronto? Avevo
l’intenzione di
andare», lo informò.
«Sì,
se proprio devi…», mormorò.
«Già,
è proprio necessario?»,
chiese Bill, che teneva Zoe
stretta a sé.
«Insomma, potresti prenderti un
altro po’ di tempo…»
«E fare la
bella statuina nel
salotto», ridacchiò. «No, Bill,
è ora che io vada.»
La discussione
terminò lì e
andarono a recuperare le automobili: Franky salì con Tom,
Bill e Zoe nella
Cadillac del chitarrista, invece Georg e Gustav andarono con David.
Tom sospirò e
si voltò verso
l’angelo: «Dove ti devo portare?»
«Ti faccio io
da navigatore
satellitare», gli fece un sorriso furbo, a cui Tom
ricambiò appena.
Il viaggio trascorse
silenzioso,
almeno all’esterno. All’interno della testa di
ognuno dei suoi compagni di
viaggio, Franky riusciva a sentire milioni di pensieri, a vedere
milioni di
immagini e di ricordi che gli fecero venire le lacrime agli occhi.
Ciò che lo
fece più emozionare fu notare come tutti lo ricordassero
felice, con il sorriso
sulle labbra; non c’era un solo pensiero rivolto ai mesi
della sua malattia,
alle notti in cui stava veramente male. Erano solo ricordi felici,
pieni
d’affetto, e questo gli fu di grande aiuto.
Guardando ognuno di
loro, si rese
finalmente conto che era quello il suo Paradiso: vedere i loro sorrisi,
sentire
le loro risate, guardare il frutto dei loro sforzi e la
felicità riflessa nei
loro occhi… Tutto quello lo faceva sentire più in
Paradiso di quanto non lo
fosse realmente di sopra, lo faceva sentire come se un altro angelo lo
prendesse e lo facesse sentire da Dio. Quando stava con loro, quando
respirava
di loro, quando viveva di loro.
[Cuz baby
when you’re with me
it's like an angel came by and took me to heaven
(It's like you took me to heaven, girl)
Cuz when I stare in your eyes it couldn't be better
(I don't want you to go, oh no)
Perchè
piccola quando sei con me
è come se un angelo venisse e mi portasse in Paradiso
(È come se tu mi portassi in Paradiso, ragazza)
Perchè quando guardo nei tuoi occhi non potrebbe essere
meglio
(Non voglio che tu vada via, oh no)]
«Fermati qui,
Tom.»
«Qui?»
«Sì,
grazie.»
Il chitarrista non
obbiettò oltre
e parcheggiò l’auto a ridosso della parete della
galleria, sotto le luci
giallognole. Franky uscì dalla macchina e accennò
un sorriso quando il vento
che proveniva dalla fine del tunnel lo trapassò
piacevolmente. Sapeva di
salsedine.
Tom, Bill e Zoe lo
raggiunsero e
nello stesso momento suo zio David parcheggiò dietro
l’auto di Tom. Aspettò che
ci fossero tutti, anche Gustav e Georg, prima di fare un passo avanti e
di
girarsi, dando le spalle alla luce.
Zoe rimase senza fiato
quando lo
vide in quel modo, con le ali solleticate dalla brezza e quel sorriso
tenero
sulle labbra. Non riusciva a vederlo bene in viso, la luce dietro di
lui era
impressionante, come se provenisse direttamente dal Paradiso, ma era
certa che
aveva anche lui le lacrime agli occhi.
«E
così, devi andare», mormorò
Tom con il volto basso, scalciando un sassolino verso la sua direzione.
«Andare
è una parola grossa», si strinse le braccia al
petto. «Sarò
sempre con voi, solo che… non mi vedrete.»
«E se avremo
voglia di vederti?»,
chiese Bill tirando su col naso.
Franky si
portò una mano sulla
nuca, pensieroso. «Beh… ci vorrebbe un permesso
speciale, per niente facile da
ottenere… Ma farò il possibile, ve lo
prometto.»
«Oh,
Franky», singhiozzò Zoe
scostandosi da Bill e correndogli in contro, gli saltò in
braccio e lo strinse
forte, nascondendo il viso e le lacrime contro il suo collo.
«Non andare, ti prego.»
«Devo andare,
Zoe…»
«Perché,
perché?!»
«Perché
sei felice, ora, e la mia
presenza qui non è fondamentale.»
Sospirò ridacchiando e le scompigliò i
capelli sulla testa. «Ehi, non dire quello che hai pensato
perché non è vero!
Lo sei eccome, non puoi nasconderlo, né a me né a
te.»
«Ok, mi
arrendo», sorrise
divertita e scese da lui.
Franky le
asciugò le lacrime sulle
guance con le dita e ricambiò, poi guardò Bill
dietro di loro, che sorrideva
commosso e anche un po’ intristito.
«Mi raccomando
mini Kaulitz,
stammi bene e fai felice la mia piccola.»
«Se non la
faccio felice torni
prima?», gli chiese.
Franky per un attimo lo
prese sul
serio, poi udì una risata che tentava di essere repressa fra
le sue labbra e si
lasciò andare ad un sospiro sollevato. «Non devi
nemmeno pensarci», gli puntò
un dito contro, cercando di fare il minaccioso.
Poi fu il turno di suo
zio David,
silenzioso ed immerso nei suoi pensieri.
«Zio?»
L’angelo lo distrasse ed
ottenne la sua attenzione: i loro occhi si incontrarono,
così simili eppure
così diversi. «Sii felice con Susan, è
una ragazza meravigliosa e hai fatto la
cosa forse più saggia della tua vita sposandola.»
«Sì,
lo penso anch’io», gli
disse, aprendo le braccia. Franky ci si fiondò senza
pensarci due volte e lo
strinse forte, il volto premuto contro il suo petto. «Mi
mancherai, ragazzino.»
«Uhm…
avrai altro a cui pensare,
da qui ai prossimi nove mesi… e poi ancora per molto, molto
tempo», sogghignò e
lo guardò negli occhi, brillanti.
«Che cosa stai
tentando dire?»,
balbettò.
«Che,
beh… non dovrei dirtelo, ma
non ce la faccio proprio! Diventerai papà! A breve. Susan
deve ancora scoprirlo
in realtà. Quindi, vedi di fare il sorpreso quando te lo
dirà.»
«Dio»,
soffiò, portandosi una
mano alla bocca.
«Già,
un altro bambino a cui badare
oltre ai quattro qui.»
«Era proprio
quello a cui stavo
pensando!»
Si guardarono e
scoppiarono a
ridere, insieme ai ragazzi che accennarono qualcosina. Tutti tranne
Tom, che
guardava a terra, come se le sue scarpe e i sassolini fossero le cose
più interessanti
del mondo.
«Dov’è
il mio migliore amico?»,
chiese Franky con le mani sui fianchi, la testa appoggiata alla spalla.
Tom sollevò
la testa di scatto e
trattenne un sorrisetto, facendo l’indifferente:
«Perché io sono sempre
l’ultimo che consideri?»
«Perché
mi tengo il meglio per la
fine», rispose l’angelo con semplicità.
Tom si pietrificò sul posto e lo guardò
negli occhi, lasciandosi andare a tutto ciò che provava,
infatti calde lacrime
gli rigarono il viso e corse da lui per stringerlo in un abbraccio fin
troppo
forte.
«Se non vieni
presto te la faccio
pagare», lo minacciò, singhiozzando.
«Ci parli tu
col capo?»
«Io sono Tom
Kaulitz!»
«Oh
sì, il vice di Dio!», scoppiò
a ridere, contagiandolo. «Mi mancherai parecchio, stronzo che
non sei altro.
Per favore, tratta bene Linda e Jole, soprattutto…»
«Certo, puoi
contarci. Stammi
bene, tu.»
«Sì.
Ricordati che ti controllo,
eh.»
«Che
paura», sbuffò e lo strinse
ancora forte.
«Ora
è meglio che vada, non mi
piacciono gli addii troppo lunghi.» Si scostò e
tornò in controluce, guardò la
schiera di persone che gli stava davanti, osservò uno per
uno i volti delle
persone più importanti della sua vita e fece un respiro
profondo, poi si voltò
e incominciò a camminare verso la luce.
«Franky»,
lo chiamò Zoe con la
voce roca, allungando il braccio verso di lui. L’angelo si
fermò e piegò la
testa di lato, in ascolto. «Ti vogliamo bene.»
Ridacchiò.
«Anche io ve ne voglio
tanto. A presto.»
Riprese a camminare
verso la fine
della galleria, contro il vento impregnato di salsedine, fino a quando
le
persone a lui care non sparirono nel buio. Guardò avanti a
sé e sorrise, poi
corse verso la roccia a strapiombo sul mare agitato dal vento,
aprì le braccia
al cielo grigio e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
[Show no fear, don't you worry
‘bout
a thing
I am here, right here
(I'll never let you go)
Don't shed a tear
Whenever you need me I'll be near
I’ll
never let you go
Non mostrare
paura, non preoccuparti di
niente
Io sono qui, proprio qui
(Non ti lascerò mai)
Non far scorrere una lacrima
Ogni volta che avrai bisogno di me sarò vicino
Non ti lascerò mai]
__________________________________
Eccoci di nuovo
qui…
Alcune informazioni di
tipo
tecnico xD Il titolo che ho dato a questo capitolo deriva dal titolo
della
canzone che ho usato, Never
let you go,
di Justin Bieber. È la canzone che mi ha ispirata a scrivere
questo capitolo e
l’ultima scena scritta prende spunto dal video di questa
canzone. Grazie
Justiiiin *-*
Ho preparato la
locandina di
questa FF e con mio grande orgoglio (mi piace davvero tanto, spero
anche a
voi!) ve la mostro: QUI
Riprende molto questo capitolo
finale, ma d’altronde secondo me questo è uno dei
più belli in assoluto ;)
E poi, che dire ancora?
:( Il
prossimo non sarà proprio un capitolo, è
l’epilogo, per me questa storia
finisce qui xD (Chi mi conosce sa che tendo a sottovalutare –
se non di più xD
– i miei ultimi capitoli xD). Dunque… non mi resta
che salutarvi!
Ringrazio ogni singola
persona
che abbia letto, inserito questa FF nelle preferite, nelle seguite e in
quelle
da ricordare; chi ha recensito lo scorso capitolo (Utopy
, Isis
88 , Tokietta86
e Layla.
Vi adoro assai *-*), in anticipo chi
recensirà questo e chi ha recensito almeno una volta durante
tutta questa storia
che ci ha accompagnati e mi ha accompagnata per moltissimo tempo
(più o meno
dieci mesi fra Nothing
ed Everything!
o.o). Spero che i miei pargoli siano stati di
buona compagnia, sono superorgogliosa di loro *-*
Grazie mille davvero,
spero di
rivedervi in qualche altra FF! :D
Con affetto, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 24 *** Epilogo: Morale della favola ***
Eccoci alla
fine… Non è un
granché, come al solito i miei “The end”
sono pessimi, ma spero che sia almeno
accettabile.
La canzone che ho usato è ancora Never let you go,
di Justin Bieber.
I ringraziamenti li ho già fatti
la scorsa volta, quindi non mi dilungo troppo, anche perché
sono a rischio
pianto :’(
Ringrazio Layla, freency, Tokietta86, Isis 88,
Utopy
e tly
per le recensioni allo scorso
capitolo e ringrazio tutti
voi,
tutte le persone che hanno messo questa FF fra le preferite, le seguite
e in
quelle da ricordare, tutte quelle che hanno recensito, tutte quelle
sono
riuscite, con le loro parole, le loro emozioni, i loro sorrisi e le
loro
lacrime (anche quelle, soprattutto quelle), il loro sostegno, a far
vivere
questa storia a me, personalmente, rimarrà sempre nel cuore.
Spero che anche
per voi sia lo stesso. Grazie
davvero.
Spero di rivedervi presto, un
bacio enorme e un abbraccio.
Vostra,
_Pulse_
_________________________________________
24. Epilogo: Morale della favola
Un angelo camminava per le strade
d’Amburgo con il sorriso sulle labbra
e le mani nelle tasche.
Potrebbe essere
l’inizio di una
bella favola, ma la sua,
di favola, è
iniziata moltissimo tempo fa.
Raggiunse una villetta
appena
fuori dal centro urbano, la osservò dall’esterno
– un grande giardino curato,
una bella automobile parcheggiata nel vialetto di fronte al garage
– e
ridacchiò nel sentire una voce e dei pensieri in particolare
che provenivano
dall’interno: non era cambiato per niente.
Un ragazzo
uscì in veranda
tenendo per mano la sua bimba di dieci anni e mezzo, con i capelli
biondi e gli
occhi castani che alla luce del sole prendevano una sfumatura dorata.
(Certo,
non era davvero sua figlia, però le voleva bene come se
fosse sua). Le
sorrideva teneramente e la guardava con gli occhi pieni
d’amore mentre le
raccontava una storia.
«Papà,
ma gli angeli esistono sul
serio?», gli chiese la bambina, incuriosita, alzando il viso
per poterlo
guardare negli occhi.
«Certo che
esistono!», rispose
convinto, nascondendo anche a se stesso quella malinconia che gli aveva
velato
lo sguardo. «Se mamma non fosse un angelo credi che sarebbe
ancora qui a
sopportarmi?»
Linda li raggiunse e
accarezzò i
capelli di nuovo biondi del ragazzo, dandogli un bacio affettuoso sulle
labbra.
«Potrebbe esserci una speranza», gli rispose
divertita.
Entrarono in auto
discutendo
ancora sull’argomento, il ragazzo mise in moto e si
girò con il busto verso i
sedili posteriori per fare la retromarcia, quando rimase senza fiato:
accanto
alla figlia c’era un Franky sorridente, che
incrociò il suo sguardo.
«E dove
vivono, gli angeli?»
Tom la sentì
parlare, ma non capì
quello che la bambina gli aveva chiesto, sempre più
interessata. Boccheggiava
come un pesce fuor d’acqua, incredulo, senza riuscire a fare
altro.
Era passato
così tanto tempo... Aveva sperato, persino pregato,
così ardentemente il suo
ritorno che vedendolo
non ce la faceva a credere che fosse davvero lì.
«In Paradiso,
tesoro», rispose Linda
al suo posto, poi si soffermò a guardare il marito: aveva
gli occhi fissi sul
sedile accanto a Jole, come se ci fosse realmente qualcuno e questo lo
sconvolgesse.
«È
davvero bella», disse Franky a
Tom.
La sua voce gli
sembrò così…
assurdamente familiare, tanto che tutto quel tempo a sperare che
tornasse gli
scivolò addosso, riportando a galla ricordi su ricordi, come
se non li avesse
mai lasciati.
«La tua
vita», aggiunse l’angelo
a scanso di equivoci, anche se il ragazzo in quel momento sembrava del
tutto
incapace di capire quello che stava accadendo intorno a lui.
Tom non fece in tempo a
rispondere che l’angelo scomparve ridendo della sua
espressione più che
frastornata.
Linda, con la fronte
corrugata,
gli portò una mano sulla guancia e lo guardò
negli occhi. «Amore, è tutto ok?»,
gli chiese leggermente preoccupata. Il ragazzo annuì,
stiracchiando un sorriso.
«Allora muoviamoci, altrimenti arriveremo domani da Bill e
Zoe.»
***
Zoe posò
nella culla la loro
meravigliosa bambina, dopo averla fatta addormentare, e Bill
l’abbracciò da
dietro, baciandole delicato la tempia e sfiorandole la fede che portava
all’anulare, identica alla sua. Si sorrisero guardandosi
negli occhi e poi uscirono
dalla stanza da letto per tornare in salotto, dove li stavano
aspettando Georg
e Gustav con le loro relative compagne e David, Susan e Mirko, il loro
bambino
dagli occhi verdi e i capelli neri – somigliava al padre,
perciò anche a Franky
– di quasi un anno più piccolo di Jole.
«Tom non
è ancora arrivato?»,
chiese Zoe, sedendosi sul divano, accanto a Susan.
«Dovrebbe
arrivare a momenti», la
informò Gustav con un sorriso rassicurante.
Era piuttosto in ansia,
non per
lei, ma per Bill: era lui che se la prendeva per quelle cose. Infondo
compiva
solo un mese, non un anno! Ma per lui ogni pretesto era buono per
festeggiare e
trovarsi tutti insieme e, sotto quel punto di vista, aveva ragione.
Qualche minuto dopo il
campanello
trillò e il marito si precipitò alla porta,
attraversando il salotto addobbato
a festa, evitando di inciampare sulla marea di palloncini che aveva
costretto
tutti a gonfiare. Quello che si era divertito di più era
stato Mirko, che ne
aveva sempre uno fra le mani.
«Sempre gli
ultimi, eh?!», gridò
con le mani sui fianchi, verso gli ospiti.
«Scusaci, zio
Bill!», disse
quella vocina adorabile che non poteva essere altro che di Jole.
«Non ti
preoccupare piccolina»,
le sorrise solare baciandole la fronte. «So che
è colpa di quello scellerato del tuo papà!
È sempre colpa sua!»
Proprio mentre lo
nominava,
spuntò dietro Linda e Jole, con un’espressione
tutt’altro che tranquilla sul
viso: sembrava teso, agitato come se stesse trattenendo dentro di
sé qualcosa
molto più grande di lui. Lo guardò negli occhi e
capì che doveva essere
successo per forza qualcosa.
«Tom, che
hai?», gli chiese e lo
face entrare, insieme alle sue due donne. Jole andò subito a
giocare con i
palloncini con il coetaneo, mentre i grandi si riunirono nel salotto,
contagiati dall’ansia del chitarrista.
«Che ne so,
è da prima che è
così!», disse Linda, tenendogli stretto il
braccio.
«Un
attimo», disse Tom, come se
avesse avuto un’illuminazione.
«Dov’è Evelyn?»
«In camera,
l’ho appena fatta
addormentare…», rispose Zoe, la fronte corrugata.
«Perché?»
Tom schizzò
verso la camera in
cui sapeva di trovare la bambina e Bill, Zoe, Georg, Gustav e David lo
seguirono, incuriositi oltre che preoccupati. Il chitarrista
aprì la porta e di
nuovo quel blocco alle vie respiratorie, quando scorse la figura di
Franky,
completo di ali sulla schiena, accanto alla culla della bambina di Zoe
e Bill.
«Franky»,
mormorò Zoe con gli
occhi velati dalle lacrime.
L’angelo si
voltò lentamente e
incrociò il suo sguardo. «Ciao, Zoe.»
La ragazza, ormai donna,
moglie e
mamma, gli corse in contro e lo strinse forte al petto. Rise, notando
che era
diventata più alta di lui, rimasto lo stesso sedicenne di
allora.
«Ehi, io non
invecchio», le
rispose. «Sei
veramente
bellissima, sai?»
«Grazie»,
tirò su col naso,
staccandosi. Franky si voltò verso Evelyn e le
sfiorò la guancia con un dito.
«E
lei… lei è semplicemente
fantastica», commentò a bassa voce, rapito dalla
bellezza di quella bambina
piccolissima.
«Ha preso
tutto dal papà»,
rispose la ragazza, andando a prendere per mano Bill, ancora
pietrificato sulla
soglia assieme a tutti gli altri.
«Nah, sono
certo che avrà i tuoi
occhi.» Sorrise, in quel modo tenero di sempre. Suo.
«Ha dei pensieri così…
puri. Vi vuole un bene immenso.»
Restarono qualche
secondo in
silenzio. Franky contemplò il visetto tondo di Evelyn e
trovò un senso ad
ogni cosa. Sorrise, sinceramente contento per ciò che la sua
piccola donna era riuscita a costruire anche senza il suo aiuto
costante. Sorrise,
perché
era riuscita a crearsi una vita piena di felicità e di
amore. Sorrise, perché
nei suoi ricordi non c’erano più lacrime, solo
sorrisi per i tempi passati.
«Ma dico, sei
scemo?!», spezzò il
silenzio Tom, gli occhi sgranati.
Tutti si voltarono verso
di lui e
lo guardarono truce, dicendogli di abbassare la voce o avrebbe
svegliato la
bambina. Troppo tardi:
Evelyn iniziò a piangere e
l’angelo prontamente infilò
le mani nella culla, la sollevò e se la portò al
petto, guardandola
teneramente.
«Shhh, era
solo il mio stupido
migliore amico», le sussurrò, e come per magia la
bimba si calmò e in poco
tempo si riaddormentò. Franky però non la rimise
nella culla, la tenne stretta
a sé.
«Sono passati
dieci anni, pezzo
di cretino», gli disse allora il chitarrista, controllando il
tono di voce. «Avevi
detto presto!»
«Ho fatto
prima che ho potuto,
davvero.»
«Ci sei
mancato tanto», aggiunse
Bill.
«Io non posso
dire lo stesso,
visto che ero sempre con voi.»
«Per quanto
rimarrai?», chiese
suo zio David.
L’angelo
sospirò e in quel
momento ripose Evelyn nella culla. «In realtà,
devo tornare su fra… un quarto
d’ora esatto.»
«Che cosa,
così poco?!»
«Mi dispiace,
ragazzi», sollevò
le spalle. «Sono passato solo per un saluto.»
«Oh,
bello», borbottò Tom,
cercando di fare il duro, anche se i suoi occhi mentivano a tutti:
erano
arrossati e lucidi. «Dovremo aspettare altri dieci anni per
vederti?»
«Mah, chi lo
sa», ridacchiò. «Vi
voglio bene ragazzi, sono felice per voi, sono orgoglioso di voi. Non
posso
fare altro che dirvi di continuare così.»
Tom scattò in
avanti e lo
travolse con un abbraccio e che sorprese tutti, oltre che il diretto
interessato.
Si staccarono solo dopo attimi interminabili, si guardarono negli occhi
e
sorrisero.
«Sai,
c’è una cosa che ho
capito», gli confessò Tom. «Ed
è questa: l’amicizia, come l’amore, non
muore
mai.»
«Ce
n’è voluto di tempo prima che
lo capissi!», accennò una risata.
«Meglio tardi che mai.»
[Cuz
this life's too long
and this love's too strong
So baby, know for sure that
I'll
never let you go
Perchè
questa vita è così lunga
e questo amore è così forte
Allora piccola, sappi che
non ti lascerò mai]
THE
END
{A te, Ales, a cui ho dedicato tutto questo
e che so non avrai mai un “The End”.
Ti voglio un bene dell’anima.
Tua, sempre, Aria.}
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