Yawë.

di blackpearl_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 001. ***
Capitolo 2: *** 002. ***



Capitolo 1
*** 001. ***


Prologo*


C’è sempre speranza.

Anche quando il buio ci ammanta fra le sue strette spire, annebbiandoci la vista e impedendoci di scorgerla fra le nuvole che coprono l’orizzonte.
Ma lei, proprio come il sole, è lì sopra, lontana ma splendente.
Sempre presente sotto la coltre di nubi.
C’è sempre speranza.



Sembrava giorno.
Le fiamme che lambivano le case, gli animali e le persone illuminavano la notte conferendole un aspetto folle, inumano. Urla di bambini, donne e uomini riempivano il silenzio facendo rabbrividire chiunque le sentisse, ma nessuno era corso da loro per offrire aiuto. Nei paesi vicini i genitori tenevano stretti i figli tremanti, chiudendo gli occhi e pregando che finisse.
Eppure le grida continuavano.
L’intero villaggio bruciava fra le fiamme, e i suoi abitanti con lui. Chi correva chiamando per nome l’amata, chi correva in una ricerca disperata dei figli, chi correva per salvarsi. Fra di loro, centinaia di soldati dall’armatura nera e scarlatta trucidavano chiunque capitasse loro a tiro.
La luna fissava impassibile, dall’alto, quella distruzione.
Una ragazza, come tante altre, correva a perdifiato, urlando il nome del padre, buttando lo sguardo tutto intorno, cercando di evitare i soldati e i suoi stessi compaesani, ormai diventati più bestie che esseri umani. Lacrime le scendevano lungo la guancia candida e il collo a cigno, cerchiandole gli occhi e facendola rassomigliare ad uno spettro vagante.
-Padre! Padre!- urlava, correndo senza badare al lungo vestito verde che la intralciava.
Ed infine, lo vide. Steso sulle macerie di una casa che, un tempo, era stata una delle più belle del villaggio. Il suo colorito pallido stonava con gli accesi colori del fuoco e delle armature nemiche. Lo sguardo della ragazza scivolò sul suo petto, dove una grossa trave di legno spuntava insanguinata.
La ragazza sentì la testa girare, il mondo farsi sfocato e il cuore rallentare i suoi battiti. Fece per correre verso di lui, quando un’ombra scarlatta passò proprio sulla sua testa, alimentando quelle fiamme che stavano consumando tutto. Il mostro atterrò poco lontano da lei, spostando le macerie con un semplice movimento della lunga coda squamata. L’uomo sulla sua groppa voltò la testa a destra e a sinistra, contemplando quello scempio. La ragazza sentì una rabbia mai provata invaderla da dentro e, con la vista offuscata dalle lacrime, si slanciò in avanti verso il mostro. Non le importava più di morire. La prospettiva delle lunghe zanne acuminate del mostro era molto più allettante di una vita passata a ricordare quell’episodio terrificante.
Fu come guardarsi dall’esterno. Si vide correre urlando verso lui, verso il mostro che cavalcava il mostro, con in mano nient’altro che un pugnale spuntato raccattato chissà dove, nel ca0s. L’uomo voltò la testa protetta dall’elmo in tempo per vederla avanzare verso di lui con un’espressione folle. Scese con tutta calma, venendole incontro con la lunga lama , dello stesso colore del suo mostro, che toccava il terreno scuro, bruciato. Non l’aveva neanche sguainata.
La ragazza si buttò su di lui con la forza della disperazione e della rabbia, provando ad attaccarlo in qualsiasi modo, brandendo il pugnale alla ceca. Fu semplice per il cavaliere afferrarle la mano e torcerla in modo che quello le scivolasse dalle dita.
La ragazza allora, singhiozzando dal dolore, cercò di liberarsi prendendo a pugni il suo nemico, abbassando il capo per non dover guardare in quegli occhi dannati. L’uomo non si oppose, ricevendo pacatamente i suoi colpi.
Poi, presa dalla stanchezza e dal dolore, la fanciulla alzò lo sguardo, incrociando i propri occhi azzurrissimi con quelli neri del suo nemico. Fu un attimo, e svenne fra le sue braccia.
L’uomo l’afferrò prima che toccasse terra, tenendola dolcemente come tenesse un bambino. Ne esplorò a lungo il volto rigato dallo sporco e dalle lacrime, spostandole, con un dito guantato, una ciocca di capelli scuri che le era scesa a coprirle la fronte. L’alzò con delicatezza e, con il suo corpo, salì sul drago ponendola davanti a sé e circondandola con le braccia per impedirle di cadere.
Infine, il mostro aprì le lunghe ali rosse e spiccò il volo, allontanandosi insieme alla ragazza e al suo cavaliere da quella devastazione.
E il villaggio precipitò nel silenzio. Un silenzio carico di morte.


Un lampo di luce le offuscò la vista mentre, con uno scatto repentino, si sollevava a sedere urlando a pieni polmoni. Immagini sfocate e voci lontane, come sentite dalla fine di un lungo tunnel, la circondavano, ma la ragazza, con in mente solo le fiamme e la distruzione, non ascoltava niente.
Era consapevole solo dei ricordi e del suo cuore che, rinchiuso nel suo petto come in una gabbia, batteva all’impazzata. Due mani fresche le circondarono il viso, posandole sulla fronte una pezza bagnata. La ragazza chiuse gli occhi con un inconsapevole sospiro di sollievo.

-Ha la febbre molto alta, mio signore- sentì debolmente una voce femminile, preoccupata.

-Ma ha superato la notte, no?- rispose, invece, un tono di voce maschile, più lontano.

-Si, ha un sistema immunitario molto forte. Bisogna aspettare solo che passi- continuò la voce femminile e la ragazza si sentì stendere.

Ma non voleva più stare ferma. Si sentiva bruciare e la cosa la spingeva ad agitarsi e a gemere. Le stesse mani fresche di prima le accarezzavano una guancia e le passavano la pezzuola ovunque.

-Morti. Tutti morti- parlava lei, con gli occhi strizzati e la gola che le bruciava.

-Cosa..?-

-Tutti!- urlò la ragazza improvvisamente, facendo trasalire la guaritrice –Tutti- ripeté con un singhiozzo.

-Non si può fare niente per calmarla un po’? Se continua così ci attirerà addosso tutte le guardie del palazzo- commentò tranquilla la voce maschile, adesso vicina come quella femminile.

-Si, certo, però è rischioso nella sua situazione..-

-Non importa, lo faccia. Nessuno deve sapere che lei è qui.-

La ragazza sentì passi che si allontanavano ed una porta che si chiudeva. Tutto era confuso, distorto dal fuoco della febbre che la bruciava da dentro. Un sospiro, mani che le trafficavano intorno ed una lieve puntura al braccio. Per la prima volta la ragazza riuscì ad aprire gli occhi gonfi e lucidi. Aprì la bocca per parlare, ma le sfuggirono solo fugaci suoni incomprensibili. Il volto che aleggiava sopra di lei le sorrise gentile, dolce.

-Povera piccola.. adesso dormi-

-..adesso dormi, piccola mia. Domani è un nuovo giorno-

Un uomo che salutava la figlia con un bacio sulla fronte per la buonanotte.

-Dormi- le ingiunse di nuovo la guaritrice

E lei scivolò nel sonno.


*


Quando aprì di nuovo gli occhi, la fanciulla sentiva la mente molto più sgombra e lucida. Sbatté le palpebre lentamente, cercando di evitare che un fascio di luce, proveniente da chissà dove, le ferisse gli occhi.
Mosse incerta la mano destra, provando a sgranchirsi le dita e qualcuno le prese, fermandole. La ragazza si bloccò, all’erta.

-Buongiorno. Come ci sentiamo?- la salutò una voce.

La conosceva. Era la stessa che l’aveva assistita e guidata in quei giorni pervasi di follia, in preda alla febbre. La ragazza alzò lo sguardo su di lei, incrociando due occhi verde bosco, contornati da sottili rughe di espressione. La guaritrice che le stava davanti, con espressione dolce e corti capelli neri che le circondavano il viso, poteva avere al massimo una ventina d’anni eppure la sua aria matura la faceva sembrare più grande. Indossava un lungo camice bianco, candido, che le feriva la vista per il suo riverbero alla luce del sole. La guaritrice se ne accorse e si spostò all’ombra.

-Temevamo non ce l’avresti fatta, sai?- le disse, spostandole da vicino alcuni strumenti che la fanciulla non riconobbe

-Quanto tempo..?- provò a dire la ragazza con voce roca

-Da quanto tempo sei qui?- la aiutò l’altra –Cinque giorni-

-Cinque giorni?!- ci mise qualche secondo a ricordare a rendersi conto della situazione.

Scattò a sedere come qualche giorno prima, con gli occhi azzurrissimi sgranati.

-Il mio villaggio, le fiamme, mio padre! O mio dio..- mormorò, alzando una mano a spostarsi i capelli dalla fronte.

Sentiva il suo corpo così estraneo. Che stranezza.
Il tono della guaritrice si tinse di incertezza.

-Si, beh, di questo parleremo dopo. Piuttosto, come ti chiami?-

La fanciulla ci mise qualche minuto a ricordare, a scavare nella propria memoria. Le sembrava tutto estraneo, incomprensibile ed alieno. Come se stesse vivendo la vita di un’altra. Anche il suo nome lo sentiva lontano e vicino insieme.

-Earine..-disse, guardandosi intorno con circospezione.

Si trovava in una vasta camera da letto, dai muri di un beige molto chiaro che brillava al contatto con il sole. A destra stazionava un letto singolo, con le coperte accuratamente rimboccate e il cuscino pulito. In un angolo Earine poteva scorgere una grande scrivania piena zeppa di libri e pergamene, di un legno chiaro che s’intonava con il colore dei muri. Di chiunque fosse la camera, doveva essere una persona amante della cultura, vista anche la piccola libreria rasente al muro del lato sinistro, proprio affianco ad una finestra spalancata sul giardino sottostante. Nel complesso era una camera davvero molto bella, luminosa. Proprio com’era la sua.

-E’ un nome bellissimo, mia signora- commentò allegramente la guaritrice

Earine la guardò stranita. Nessuno l’aveva mai chiamata “mia signora”.

-Ha un qualche significato particolare?- chiese cordialmente la donna, muovendosi di qua e di là per far ordine.

Earine era stesa su di una piccola branda costruita per necessità, posta in un angolo remoto della camera, lontana dalla finestra e dal letto e soprattutto lontana dalla porta.

-Ehm, dovrebbe significare “del mare” o “marino”. Qualcosa del genere- fece lei, continuando a guardarsi intorno con sospetto.

Dove si trovava? L’ultima cosa che ricordava era.. un paio di occhi scuri, neri, che la fissavano imperscrutabili da sotto un elmo scarlatto. Earine scosse la testa, sentendosela subito martellare da un forte mal di testa.

-Cos’è successo? Dove mi trovo?- chiese ansiosa, fissando la guaritrice

Quella, come prima, rispose con lo stesso tono incerto –Dovrai aspettare il ritorno del mio signore..-

-Io non voglio aspettare proprio nessuno!- sbottò la fanciulla, scendendo dalla branda.

Quello che non aveva messo in conto era la debolezza del suo corpo dopo la febbre. Barcollò subito, reggendosi al muro per non cadere, ma non si fece fermare ed avanzò decisa verso la porta. Voleva, doveva, capirci qualcosa. La guaritrice, dopo aver fatto un esclamazione sorpresa, accorse da lei cercando di frenarla.

-Mia signora, ti prego, aspetta-

Earine la scostò con un gesto deciso e, sebbene più debole di lei, riuscì ad allontanarla. Passò accanto alla finestra e fece in tempo a scorgere un ampio giardino, del verde più brillante che avesse mai visto, e una grande diramazione di edifici che si estendevano fino all’orizzonte. Earine si bloccò a guardarlo, sorpresa. Essendo vissuta per tutta la vita –diciannove anni- in un piccolo paesino sperduto vicino a Dras-Leona, Earine non conosceva le vastità delle città capitali o la folla delle strade maestre di Uru’baen e Gil’ead. Perciò non potè che fermarsi ad osservare quello spettacolo maestoso e spaventoso insieme con la bocca socchiusa e gli occhi luccicanti.
Dietro di sé sentì la guaritrice avvicinarsi, approfittando della sua distrazione. Earine si voltò nuovamente per fronteggiare la donna che, nella mano, aveva uno strano strumento a cilindro con la punta acuminata. Decisamente qualche oggetto per somministrare dei liquidi. Quando Earine si rese conto che la guaritrice voleva sedarla era troppo tardi: era già scattata verso di lei. Con un movimento agile afferrò il polso della donna rigirandolo verso il basso per farle mollare la presa. Quella, per tutta risposta, le assestò una gomitata al fianco, facendole vedere le stelle. Lasciò andare il braccio della donna, portandosi una mano al fianco.
Non poteva far altro che farsi sedare, era troppo debole per lottare. Ma, proprio mentre la donna avanzava verso di lei con quello strano oggetto sormontato da un ago, una spada dalla lama rosso sangue comparve dal nulla, puntandosi non su di lei, ma sulla guaritrice.
Quella, tremando da capo a piedi, poggiò l’oggetto da una parte, alzando le mani. Earine voltò il viso, per vedere chi fosse il suo salvatore. Un ragazzo alto, ben piantato, era entrato mentre le due stavano lottando, perciò entrambe non se n’erano accorte. Aveva un fisico asciutto, tonico, che era possibile vedere sotto la semplice tunica che indossava e dai muscoli del braccio abbronzato che stringeva la spada. Aveva lunghi capelli neri che, in sintonia con gli occhi, gli donavano una bellezza tenebrosa. Il suo viso celava segreti che Earine non riusciva ad identificare.

-Mi pare che la nostra ospite si sia ripresa- commentò il ragazzo con voce pacata

La guaritrice annuì frettolosamente, rigirandosi fra le mani il bordo della tunica bianca. Era terrorizzata.
L’uomo la guardò per qualche altro istante, poi abbassò la spada e le indicò la porta con un cenno del capo. La donna si avviò talmente in fretta che Earine capì che, se avesse potuto, avrebbe corso. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Earine si rese conto di essere addossata alla finestra, semi-seduta sul suo davanzale. Si aggiustò tenendo d’occhio il ragazzo che, buttata la spada sul letto, si dirigeva con calma verso la scrivania.
Sotto lo sguardo perforante della ragazza, quello prese una bottiglia di vino dal terzo cassetto in basso ed un paio di bicchieri da una mensola. Versò il vino mostrando le spalle alla ragazza, sicuro che non avrebbe tentato m0sse di alcun tipo. Una volta finito, si girò nuovamente verso di lei ed avanzò per porgerle il bicchiere.
Ma, a pochi passi da lui, la ragazza si perse in quegli occhi nero pece, riconoscendoli. Si alzò molto lentamente, presa dallo sconcerto e dalla sorpresa.

-Tu..- mormorò, fissandolo

Quello allora si fermò, ricambiando il suo sguardo con un’occhiata fredda.

-Tu!- urlò Earine, lanciandosi sul ragazzo.

Lui posò i bicchieri con una velocità sovraumana, per impedire che si rompessero, e si alzò appena in tempo per accogliere la fanciulla fra le braccia e bloccarle i polsi proprio come aveva fatto quella sera di cinque giorni fa. A differenza di quel giorno, però, Earine era molto più debole, reduce dalla febbre, e non poteva far molto contro di lui. Nonostante questo continuò a lottare e a dibattersi come una forsennata, costringendo il ragazzo e voltarla e a stringerle le braccia dietro la schiena. Le scappò un gemito di dolore.

-Che diavolo stai facendo?- le chiese il ragazzo all’orecchio.

-Cerco di ucciderti- rispose Earine roca, continuando a dibattersi.

Stanco di quella lotta, il ragazzo la prese e la sbatté contro un muro, costringendole la mani in una presa ferrea e inchiodandola con i suoi occhi nerissimi. Earine alzò la testa, fiera.

-Ti consiglio di smetterla se non vuoi morire sul serio- la minacciò lui, le labbra ad un soffio dalle sue

Ma Earine non si lasciò intimorire –Che n’è stato del mio villaggio?-

Il ragazzo la lasciò andare di colpo e la ragazza scivolò lungo il muro, massaggiandosi le braccia dove –era sicura- sarebbero spuntati presto alcuni lividi. Ma, tutto sommato, poteva ritenersi fortunata di non aver riportato ferite più gravi.

-E’ stato raso al suolo- le rispose lui con un tono leggero come se stesse commentando il tempo.

Una sottile ruga di dolore solcò la fronte della ragazza che, però, decise di non far intravedere al ragazzo la sua debolezza. Perciò ricacciò indietro le lacrime e ingoiò i singhiozzi, trattenendosi dal tremare. Le ci volle un notevole sforzo per farlo, soprattutto se nel frattempo le immagini della sua casa, del padre sorridente, di Bart il barista, suo amico da tempo immemore, dei suoi boschi e della vallata vicina, la assalivano.

-Ma.. perché?- domanda stupida. Sapeva già la risposta.

E infatti il ragazzo le lanciò uno sguardo sospettoso e stranito.

-Per i vostri contatti con i Varden. Se l’Impero non riesce a mantenere l’ordine all’interno, come farà a farlo all’esterno?-

-Forse non dovrebbe farlo- ironizzò la ragazza –Sappiamo tutti che Galbatorix è..- ma prima che potesse rispondere la ragazza si ritrovò l’altro ad un centimetro dal viso, con un’espressione mortalmente seria.

-Sentimi un po’, ragazzina- iniziò, prendendola per la gola –Non so neanche io cosa mi abbia spinto a salvarti, in mezzo a tutta quella gente, ma adesso sei qui, okay? Non posso mandarti via perché ci sono quelle fottutissime guardie che seguono ogni mia mossa, e non voglio ucciderti. Le spie di Galbatorix sono ovunque e lui stesso può sentire ogni parola anche quando non te l’aspetti. Se scoprisse che ti ho lasciata vivere, quando i suoi ordini erano di sterminare l’intera popolazione, mi punirà. E una volta che avrà finito, io punirò te. Sono stato chiaro?-

Ormai Earine non respirava più e il suo viso iniziava a tendere al viola. Senza aspettare risposta, allora, il ragazzo la mollò alzandosi e avvicinandosi alla scrivania. Afferrò un mantello e se lo chiuse intorno alle spalle e sotto la gola. Rinfoderò la spada nella sua guaina e si avvicinò alla porta, afferrandone la maniglia.

-Esco. Tu rimani qui e non aprire a nessuno- le ingiunse, senza neanche girarsi, poi uscì e si chiuse la porta alle spalle.

Earine si ritrovò improvvisamente sola, con il respiro ancora scellerato e la gola che le faceva male per la presa del ragazzo.
In che casino mi sono cacciata? Pensò, disperata.


*


Quando il ragazzo rientrò il camera, trovò Earine accovacciata sulla branda con il viso nascosto tra le ginocchia ed il pranzo, portato dalla guaritrice, deposto in un angolo insieme alla cena, intatto. Chiuse la porta e si fermò ad osservarla, ben conscio del fatto che la ragazza stava aspettando una sua qualsiasi mossa. Aveva avuto modo di scambiare solo poche parole con quella ragazza, eppure già la trovava insopportabile. Perché diavolo l’aveva salvata?
Eppure, mentre guardava i suoi lunghi capelli di un castano molto scuro, mossi, e il suo viso candido nascosto fra le braccia, il ragazzo poteva risentire quello strano presentimento che l’aveva pervaso appena l’aveva vista corrergli incontro, con un’espressione folle.
Scrollando le spalle, avanzò, incurante di quella presenza silenziosa, voltandosi di spalle e lasciandosi cadere il mantello sulle spalle. Afferrò una tinozza vicina, colma d’acqua e, dopo essersi sfilato camicia e pantaloni, si sciacquò con cura, lavandosi dallo sporco. Poi, pulito, s’infilò il completo composto da una semplice tunica e un pantalone, pronto per andare a dormire. Fece per scostare le coperte quando la sua voce lo raggiunse.

-Come ti chiami?- era tanto flebile che il ragazzo, seppur con un udito finissimo, quasi non la sentì.

-Murtagh- rispose voltandosi a guardarla

Aveva alzato il viso ed adesso lo guardava con occhi cerchiati di rosso, spiritati un po’ per le lacrime trattenute un po’ per la febbre. Era, inoltre, mortalmente pallida.

-Murtagh.. quel Murtagh?- gli chiese

-Ne conosci altri?- commentò freddamente lui, sedendosi di botto sul letto e lasciandosi andare ad un sospiro di stanchezza.

Earine, dall’altro lato della stanza, piegò la testa da un lato, pensierosa.

-Sai cosa diceva mio padre di te?-

Lui la guardò senza dir niente, ma lei lo prese per un tacito invito a continuare.

-Che sei schiavo del tuo stesso destino- continuò a lei, con voce sommessa –Imbrigliato in cose più grandi di te che non riesci a controllare. Non un carnefice, una vittima-

Murtagh continuò a non rispondere, fissandola con sguardo perforante ed indagatore. Non aveva il diritto di dire certe cose, gli richiamavano alla mente le parole di una persona a lui familiare..

-Però sai che ti dico? Io non sono d’accordo-

Lo sguardo della ragazza adesso bruciava di determinazione e ira.

-Per fare certi atti ci vuole consapevolezza. Non si possono uccidere degli innocenti a quel modo senza essere in qualche modo accondiscendenti. Tu sei un assassino- la ragazza pronunciò le ultime parole con determinata lentezza, come a voler far comprendere meglio il concetto al suo interlocutore.

Murtagh si infilò sotto le coperte, ignorandola, e spegnendo la luce nel piccolo lume accanto al letto con una parola dell’Antica Lingua.

-Buonanotte- disse e si rigirò dall’altro lato.

Eppure, nel silenzio della notte, Murtagh quasi riusciva a sentire il sordo dolore martellare nel petto della ragazza.

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Ehssì, gentile pubblico, mi sono anche data ad Eragon ùù che volete fare, sono una persona dalle molte passioni ** ma andiamo al dunque. Pochi giorni fa stavo girovagando per la cartella video di mio padre e.. sorpresa! Eragon il film. Attirata nuovamente da draghi e simili, me lo sono visto, tutto, poi in camera ho riafferrato il libro e me lo sono riletto. Poi ho ri-iniziato Eldest e.. eccoci qui xD ritorno di fiamma!
Devo dire di aver letto parecchie Fic su Eragon, e davvero non mi aspettavo certi lavori davvero molto belli. Che dire, spero solo di essere alla vostra altezza ragazzi ç-ç sappiate da adesso che aggiornerò settimalmente e, in caso di problemi o simili, posterò per poi la prima parte con il dovuto avviso.
Che altro c'è da aggiungere? Ah si, un grazie a chi commenta e a chi legge, come sempre. Siete il nutrimento degli scrittori <3
Si comincia <3

Amaerize: Grazie inanizutto per i complimenti, di certo sono graditi ** si, non ho mai scritto prologhi così corti, però questa volta ho voluto mandare un messaggio diverso dal solito. Più misterioso, ma al tempo stesso evidente. Prendetelo come una voce fuori campo della protagonista <3 Grazie ancora!
Baci

honeyS: Eccoti allora il primo effettivo capitolo *___* sono felice che ti abbia intrigata, era proprio il suo scopo <3 grazie mille per i complimenti!
Besos

-Vì

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Capitolo 2
*** 002. ***


Rinchiusa*


Quando Earine si svegliò, il mattino dopo, lo fece con un forte mal di testa. Si mise a sedere portandosi una mano alla testa e cercando di massaggiarsi le tempie, con una smorfia di dolore sul viso. Non poteva neanche beare di alcuni istanti di incoscienza, come il mattino prima, perché i ricordi si svegliarono insieme a lei. Con un sospiro si guardò intorno, pronta a distinguere la scura sagoma di Murtagh ma, al suo posto, intravide un vassoio contente una brocca di latte e un piattino pieno di pane imburrato.

La sua espressione si addolcì. Doveva essere stata sicuramente Marie. Così si chiamava la guaritrice che aveva assalito il giorno prima, visto che lei aveva cercato di sedarla. Quando Murtagh se n’era andato, lasciandola sola, Marie aveva ritenuto sicuro ritornare da lei per portarle il pranzo e le sue scuse. Earine le aveva accettate, ricambiandole e cercando di instaurare un qualche contatto con lei, per scoprire qualcosa in più su dove si trovava.
All’inizio la guaritrice era restia a dirle qualsiasi cosa ma, con l’astuzia, la ragazza aveva spostato il discorso su di lei, apprendendo così non solo la sua storia, ma anche le abitudini del castello. Alla fine aveva capito, con un brivido, di non poter trovarsi che nel palazzo del re Galbatorix.
Marie, così sapeva, era una ragazza ventitrèenne impegnata dai genitori tanti anni prima per potersi salvare da alcuni debiti che non permettevano loro di vivere. Così, dalla semplice età di sedici anni, Marie viveva presso la corte del re, facendo l’unica cosa per cui era naturalmente portata: la guaritrice. Particolarmente abile fra erbe e medicinali, Marie si era subito distinta dopo aver salvato da morte certa un ufficiale molto vicino al re che, dopo quest’episodio, l’aveva voluta incontrare. La guaritrice le raccontò di quegli occhi scuri, insondabili e maligni, che l’avevano studiata per tutto il tempo del colloquio. Alla fine, con suo profondo sollievo, il re le aveva affidato il ruolo di guaritrice in pianta stabile.
Amava lavorare lì, le aveva ammesso un po’ imbarazzata, perché c’erano molti modi per approfondire la propria cultura e per mettere alla prova le proprie abilità.
Earine le aveva chiesto, poi, come conosceva quel ragazzo misterioso e come si chiamava. La guaritrice le aveva risposto che avrebbe saputo il suo nome quando lui l’avrebbe ritenuto opportuno, però le raccontò del loro incontro. Murtagh, una sera, era ritornato gravemente ferito dalla sua prima battaglia contro l’Esercito Oppositore –come venivano chiamate lì le truppe dei Varden e del Surda- e Marie era l’unica guaritrice disponibile a curarlo. Da quel momento i due erano entrati in stretto contatto e Marie poteva ormai definirsi una delle sue persone più fidate.
“E’ per questo che mi chiamata quando ti ha portata qui” le aveva detto, un po’ orgogliosa.
La vita a palazzo incominciava presto, capì, intorno alle sei del mattino, ma se non si poteva vantare un lavoro allora la vita a palazzo poteva rivelarsi molto rilassante. Più che rilassante Earine si sentiva come in gabbia.
Non poteva uscire, gliel’avevano raccomandato più volte, né farsi sentire. Doveva essere invisibile. Se non avesse avuto la certezza che l’avrebbero uccisa, Earine si sarebbe fatta vedere per sfregio al suo “salvatore”.
Più ripensava a lui, più sentiva di odiarlo. Per la sua fredda arroganza, per la sua superficialità e.. per aver ucciso suo padre e i suoi compaesani. Quando ci pensava veniva assalita dalla rabbia e dalla tristezza. Ma, pensava, così poteva lavorare dall’interno per vendicarsi. Era un’occasione d’oro da non sprecare.
Intanto, però, doveva ristabilirsi. E in fretta.
Così, a malincuore, scese dalla branda e si accoccolò davanti al vassoio, sfiorando con la punta di un dito il bordo gelido della tazza ricolma di latte.

-Questa sarebbe la mia colazione, papà?- la sua voce era piena di scetticismo, mentre indicava quella piccola ciotola di
ceramica.

-Certo- aveva ribattuto lui, offeso –Perché, che ha che non va?-

-No, niente a parte il fatto che.. non so cosa sia questa poltiglia bianca- scherzò un’Earine undicenne

-E’ latte, bambina mia, un derivato delle pecore- le aveva spiegato il padre, avvicinandosi per poterle accarezzare i corti capelli scompigliati.

-E.. si mangia?- aveva chiesto lei, guardando la tazza con estremo sospetto.

Lui aveva riso di gusto.

Earine la prese con un gesto deciso e se la portò alle labbra, permettendo al caldo liquido all’interno di scenderle lungo la gola, riscaldandola. La ragazza si passò una mano sulla pelle del collo, guardandosi per un attimo nel lontano specchio posto vicino al letto di Murtagh. Si stavano formando i lividi con la forma delle sue dita, e già adesso spiccavano verdastri contro la pelle perlacea. Qualche giorno e sarebbero diventati rossi, poi viola e infine neri, poi sarebbero scomparsi. Earine sospirò alzando gli occhi al cielo.
Si sarebbe dovuta trovare qualcosa da fare per non impazzire.
Dopo aver spazzolato tutto per bene –ne aveva bisogno per ristabilirsi- Earine si alzò trattenendo uno sbadiglio e si avvicinò allo specchio dove, ai suoi piedi, aveva scorto una grande ciotola ricolma d’acqua di rose con una pezzuola accanto. Sembrava aspettasse lei.
Così la ragazza si tolse con cautela la camicia larga che indossava, tendendo i muscoli indolenziti con una smorfia. Immerse la pezza nell’acqua profumata poggiandosela sulla pelle di una spalla e accorgendosi che anche quella, come il latte, era piacevolmente calda. Si lavò approssimativamente –niente a che vedere con un bel bagno nel fiume- ma, quando finì, Earine si annusò la pelle, sentendola emanare un piacevole aroma di rosa.
Soddisfatta si girò e andò a prendere da sotto al letto il completo che le aveva lasciato Marie il giorno prima. Aprì con delicatezza tutti i vestiti e li guardò con circospezione. Era un completo maschile, da combattimento.
Pantaloni stretti, neri, stivali e top –che, notò, le lasciava le spalle scoperte- dello stesso colore. Giustacuore in cuoio.
Se li rigirò fra le mani per parecchio poi, preferendoli a quella specie di camicia informe madida di sudore dei giorni precedenti, li indossò con una scrollata di spalle. Erano molto più comodi dei vestiti a cui era abitata e, una volta infilati i pantaloni, Earine sentì uno strano senso di protezione.
Dandosi della sciocca la ragazza fece per piegare con cura la veste quando qualcuno bussò. Si bloccò come poco prima, con le orecchie tese e i muscoli immobili. Non un solo rumore.

-Earine, sono Marie. Puoi aprirmi?- sentì la voce della guaritrice fuori la porta.

Dopo un sospiro di sollievo, la ragazza si avviò alla porta con passo veloce per aprire a Marie. La guaritrice la salutò con un bel sorriso aperto.

-Buongiorno, cara. Come ti senti?- le chiese premurosa, entrando e posando sul letto un fagotto voluminoso.

-Molto meglio- le rispose Earine, seguendola e guardando il pacco –cos’è?-

-Una cosa che il mio signore mi ha chiesto di portarti in mattinata- le spiegò la guaritrice, afferrando i lembi del fagotto e districandoli l’uno dall’altro.

Earine era sempre più curiosa, tanto che si sporse per poter vedere l’oggetto appena fosse sbucato dalla stoffa. Quando vide cos’era rimase a bocca aperta.
Una spada.

-Murtagh ci tiene, inoltre, a dirti che da oggi stesso prenderai lezioni di scherma da lui- le riferì Marie, prendendo la lunga e affilata spada fra le mani e rigirandosela.

Era molto bella, ma anche semplice. Era sottile, ad una mano e mezza, argentea e dalla punta leggermente ricurva verso il basso. La guardia era incrociata, con una decorazione dorata e il manico era di robusto legno. Earine tese la mano per prenderla, e scoprì con delusione che, nonostante le apparenze, era molto pesante. Dovette abbassare il gomito in una posizione scomoda per poterla tenere meglio in mano.

-Accidenti..- le scappò

Marie la guardò con apprensione –Ho cercato di dire a Murtagh che era presto, ma..- scosse la testa

Earine si alzò, mulinandola a destra e a sinistra per saggiarne l’elasticità. Quasi nulla. Corrugò la fronte. Imparare a combattere era stata un’idea eccellente –perché non ci aveva pensato prima?- ma farlo con quella spada e il giorno dopo esser guarita dalla febbre era.. pazzia.

-Quando il tuo signore ritiene più giusto darmi lezione?- chiese con un tono di voce venato di ironia

-Adesso-

Le due donne si girarono verso la porta, dove sostava una figura alta e ammantata di nero. Murtagh.

-Adesso?- ripetè lei sorpresa

-Si- ribadì il ragazzo, continuando a rimanere fuori dalla porta –A quest’ora poca gente gironzola per il palazzo-

-Ma..- provò a dire Marie

-Niente ma- tagliò corto Murtagh –Andiamo-

E, detto questo, scomparve dietro un angolo, dando chiaramente l’impressione di dar per scontato che la ragazza lo seguisse. Marie ed Earine si scambiarono uno sguardo.


*


Erano ormai ben dieci minuti che Earine e Murtagh camminavano fra i corridoi del palazzo, e la ragazza si sentiva impazzire. Tutti i corridoi erano uguali, stesso colore dell’intonaco, stesse posizioni delle fiaccole, stesso numero di stanze per fila. Stessa aria pesante e quasi tinta di rossiccio. Earine era stata fatta coprire con un mantello scuro, precedentemente servito per avvolgere la spada che le pendeva al fianco, per poter camminare indisturbata senza esser riconosciuta. Forse da sola non avrebbe goduto di tale anonimato, ma sicuramente insieme a Murtagh nessuno poteva fermarla e chiederle qualcosa.
Stava iniziando a stancarsi quando finalmente raggiunsero la loro destinazione. Murtagh varcò il grande ingresso di fretta, facendole un cenno per assicurarsi che lei facesse altrettanto.
Fu così che lei camminò deliberatamente lenta.
Con un sospiro di impazienza il ragazzo la raggiunse, afferrandola per un braccio e trascinandola dentro, per poi chiudere la porta a chiave.

-Ahi- si lamentò la fanciulla, più per dargli fastidio che per effettivo dolore.

Lui la ignorò, superandola per andare ad accendere le fiaccole appese sul muro con la magia. La ragazza, intanto, girò su sé stessa per poter ammirare la vasta sala da tutte le angolazioni. A differenza dei lunghi e stretti corridoi del palazzo, le pareti della sala non erano bordeaux, ma di un giallo molto chiaro che si avvicinava al crema.
Non vi erano finestre, ma nella parte in fondo alla sala v’erano appese centinaia di armi di tutti i tipi. Earine si avvicinò, con la bocca spalancata per lo stupore.
A destra, si potevano ammirare archi di tutte le grandezze e fogge, da quelli più lavorati –sicuramente elfici- a quelli più semplici ma, all’apparenza almeno, letali. A sinistra, invece, v’erano appese mazze, asce e pugnali, i più belli che Earine avesse mai visto. Al centro invece c’erano le spade.
Centinaia, migliaia, di spade magnifiche, di tutti i colori e tipi. Erano disposte per colore e grandezza, il che, da lontano, le faceva rassomigliare ad una grande scala di colori. La fanciulla era affascinata.

-Belle, vero?- sobbalzò quando si accorse di Murtagh, immobile e silenzioso al suo fianco

Fece qualche passo per distanziarsi da lui –Si-

Per un attimo i suoi occhi azzurrissimi si scontrarono con quell’oceano di tenebra del suo sguardo, poi il ragazzo si voltò ritornando al centro della sala.

-Perché mi dai lezione?- gli chiese la ragazza, seguendolo e posizionandosi proprio di fronte a lui

-Perché si- fu la sua risposta –Sfodera la tua spada-

-E se non volessi farlo?- domandò lei ironicamente, incrociando le braccia.

Lui sfoderò la sua e il lampo vermiglio della lama si rifletté negli occhi azzurro cielo di Earine.

-Allora morirai- replicò freddamente Murtagh, scattando in avanti con la lama testa verso di lei.

Fu per un soffio che Earine scansò quell’arma micidiale diretta al suo viso, e subito dopo la ragazza capì che il suo odiato salvatore stava facendo sul serio. Quindi, piena di riluttanza, sguainò la lucida ed argentea spada datale da Marie solo quella mattina, rigirandosela in mano e sentendo la sua pesantezza. Nulla rivelarono gli occhi del suo nemico, ma Earine poteva quasi toccare la sua soddisfazione.
Si girarono intorno, senza perdersi d’occhio, e sempre più Earine si sentiva stupida e a disagio. Lei non era quel genere di persona, lei non combatteva, né odiava quel qualcuno con tanta intensità. Per la prima volta la fanciulla sospettò che Earine fosse morta sotto le macerie della sua casa, accanto al padre, e quella che adesso si muoveva e viveva era solo una mera copia.
Murtagh spezzò i suoi pensieri tentando un semplice affondo diretto al suo stomaco. La ragazza parò senza pensarci due volte ma, appena la sua lama si scontrò con quella rosso sangue del ragazzo, il polso le diede una fitta lancinante, dovuta allo sforzo che Earine impiegava nel contrastare Murtagh. Quando quest’ultimo si spostò, abbandonando l’attacco, Earine riprese fiato con affanno.

-Mai concentrare tutta la forza in un sol punto- l’ammonì Murtagh –Prova a tenere la lama di piatto e ad affidare a lei il compito di contrastare la forza dell’avversario. Riproviamo- e ripartì all’attacco senza aspettare un cenno della fanciulla.

Quelle furono per lei le ore più lunghe ed impegnative che avesse mai passato in tutta la sua vita. Se reggere, inizialmente, la spada era faticoso, dopo dieci minuti diventò straziante. Le dita erano ormai insensibili, a furia di stringerle sul manico, e il polso era gonfio per la forza che ci voleva per sollevarla ogni volta. La sua schiena e le sue spalle non erano allenate a combattimenti o a lotte, ma più che altro al lavaggio dei panni e alla preparazione del pane, e per questo l’abbandonavano nel momento del maggior bisogno.
Murtagh, dal canto suo, era implacabile. Da quando l’allenamento era iniziato i suoi occhi erano velati di una concentrazione che –ne era certa- lei non avrebbe dissipato neanche con una lama puntata alla gola. Si muoveva con la rapidità degli elfi e la precisione degli spadaccini più bravi. Un mix micidiale.
Eppure con lei era sempre molto paziente e perseverante. Se una sequenza non le riusciva gliela faceva ripetere mille volte per fissarla bene ed una in più per non perdere la mano, senza mai rimproverarla. La sua disponibilità la infastidiva profondamente.
E’ più facile odiare chi ti odia a sua volta pensava.
Ma lei continuava a cercare di innervosirlo, con commenti e azioni ribelli. Ad ogni reazione sua, una vena si gonfiava sul collo del ragazzo. Dopo un’ora abbondante la mente di Earine si scollegò totalmente, lasciando spazio solo ad azione e reazione, senza neanche più rispondere a Murtagh. Un senso di colpa bruciante le invadeva il petto.
Se lei queste cose le avesse imparate prima, se si fosse impegnata prima ad afferrare una spada, forse suo padre..
Venne interrotta dalla lama dell’avversario che, superata la sua guardia, le graffiò il braccio. Earine fece un balzo all’indietro, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore e di sorpresa.

-Mai distrarsi- giunse il commento di Murtagh

Earine scattò –Non sono un soldato, diamin..-

-Io voglio che tu diventi quello!- gridò il ragazzo, sovrastando il resto delle sue parole.

Earine allora tenne a freno la lingua, scoccandogli un’occhiata di puro odio. Con un sospiro Murtagh si passò una mano fra i capelli nero pece, fissando vacuo il muro. Poi, dopo un attimo che le sembrò infinito, rinfoderò la spada.

-Per oggi basta-

-Ti ringrazio-non potè trattenersi dal dire lei con una vena di ironia nella voce.

Murtagh le lanciò un’occhiataccia, ma non le disse niente. Che stesse iniziando ad abituarsi alle sue frecciatine?

-Rimettiti questo- le lanciò il suo mantello, caduto prima per terra –E ritorna in camera. Non farti assolutamente vedere- le disse, calcando l’ultima frase.

Earine corrugò la fronte –Non vieni con me?-

Non che desiderasse la sua compagnia, ma camminare da sola per quei corridoi era.. inquietante. E poi ogni guardia di ronda l’avrebbe potuta fermare per chiederle chi era e dove stava andando.

-No, devo andare da Castigo- rispose noncurante il ragazzo,  lanciando un’ultima occhiata all’arazzo delle armi.

Castigo. Il mostro rosso.
Earine si sentì irrigidire e la vista colorarsi di un colore scarlatto, simile a quello delle squame del mostro alato. Andava a trovare il compagno assassino, ovvio.

-Vai a trovare il mostro- commentò inacidita la ragazza, fissandolo con gli occhi azzurri perforanti.

Murtagh avanzò verso di lei con espressione minacciosa –Puoi anche insultare me, ragazzina, ma non puoi farlo con il mio drago-

La fanciulla scoppiò in una fredda risata senza gioia –Oh, scusami, forse non l’avrei dovuto chiamare mostro. Meglio abominio-

Murtagh ringhiò –era assurdo, ma fu proprio quello il rumore- e le si lanciò contro. La ragazza riuscì a schivarlo e, seppur con le gambe e le braccia doloranti, riuscì a raggiungere la porta. Sentiva dietro di se il respiro pesante di Murtagh, e per la prima volta si rese conto che, se l’avesse voluta uccidere, non avrebbe avuto nemmeno una chance. L’aveva fatto arrabbiare come una sciocca, ma il dolore per la perdita del padre e del villaggio ancora le risuonava sordo nel petto e nella mente.
Aprì la porta senza guardarsi indietro e si infilò in uno dei corridoi laterali, girando gli angoli appena poteva per disorientare il ragazzo. Poteva sentire i suoi passi dietro di sé ma, dopo aver svoltato parecchi corridoi, si ritrovò sola nel più perfetto silenzio. Si girò a destra e a sinistra, ma tutto intorno a lei era del più perfetto bordeaux. Sembrava che tutta la sua vita si fosse tinta di rosso.
Allora ritornò sui suoi passi e girò nel corridoio a destra e poi in quello a sinistra, prima di rendersi conto di aver sbagliato strada. Disperata corse alla cieca, mentre muri sempre uguali le sbarravano la strada. Poi, come un’ancora di salvezza, Earine si ritrovò in un vicolo ceco dove torreggiava una grande porta in ottone. Inclinò leggermente la testa, avvicinandosi cauta. Sfiorò con la punta delle dita le rifiniture d’oro.
Non dovrei entrare si disse.
Accostò l’orecchio al muro e non le sembrò che qualcuno parlasse o si muovesse, all’interno. Così, non sapendo cos’altro fare, entrò. Rimase a bocca aperta.
Quella sala era una delle più vaste che avesse mai visto, ed una delle più eleganti. Dal soffitto pendevano tre lampadari in cristallo, che riflettevano la luce del sole sul muro color panna. Uno era azzurro, un altro rosso chiaro e l’ultimo color smeraldo. Il pavimento era in marmo color salmone, con incise sopra strani linee azzurre, rosse e verdi che si contorcevano e si univano fra loro. Le vetrate erano gigantesche, allungate, simili a quelle che Earine aveva visto molte volte nelle chiese. Al centro assoluto della sala stava uno strano leggio in legno. Earine attraversò cautamente la sala, sentendosi intimorita ed affascinata da quanto la circondava. Più si avvicinava al leggio più si rendeva conto che era una sorta di appoggio per qualcosa di tondo.
Si accostò e posò una mano sul freddo e liscio legno scuro, color ebano. Sopra di esso c’era qualcosa ricoperto da un sottile panno bianco, e la fanciulla per un attimo si chiese se scostarlo o meno.
Piena di incertezza passò la mano sotto il panno, sfiorando l’oggetto che vi era sotto. Era liscio al tatto, quasi scivoloso. Dopo un ultimo istante di indecisione, Earine scostò il velo.



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Muahuahuah, sono o non sono perfida?
Dovrete aspettare il prossimo capitolo per sapere cosa ha scoperto Earine e questo a cosa la porterà *sorriso malefico* ma se vi spremete un po' le meningi, suppongo possiate arrivarci anche voi. Forse alcuni penseranno "diavolo, siamo già a questo punto della storia?". Beh, si, anche perchè volevo dare l'impressione che il tempo corresse contro il tempo, come è successo un po' ad Eragon d'altronde. Spero che non lo giudichiate troppo esagerato, comunque çç 
A parte questo, il solito ringraziamento a chi legge e soprattutto a chi recensisce. Vi adoro <3
Al prossimo capitolo!

honeyS: Ti ringrazio tantissimo *-* spero che questo capitolo ti sia piaciuto <3 Sono contenta di riuscire a coinvolgere i lettori, è proprio l'obiettivo che ogni scrittore si prefigge *-* Grazie ancora!
Baci

Amaerize: Ahah xD fa il cattivino xD Nono, si dev'essere più gentili con le signore uu ma d'altronde è tutto preso dal giuramento per Galby e i problemi con il fratellastro ùù Ti ringrazio *-* fa sempre piacere che i propri capitoli sono piaciuti a qualcuno <3 spero che questo capitolo ti sia piaciuto come quello prima!
Kisses

-Vì

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