Yawë. di blackpearl_ (/viewuser.php?uid=71489)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 001. ***
Capitolo 2: *** 002. ***
Capitolo 1 *** 001. ***
Prologo*
C’è sempre speranza.
Anche quando il buio
ci ammanta fra le sue strette spire, annebbiandoci la vista e
impedendoci di scorgerla fra le nuvole che coprono
l’orizzonte.
Ma lei, proprio come
il sole, è lì sopra, lontana ma splendente.
Sempre presente sotto
la coltre di nubi.
C’è
sempre speranza.
Sembrava
giorno.
Le
fiamme che lambivano le case, gli animali e le persone illuminavano la
notte conferendole un aspetto folle, inumano. Urla di bambini, donne e
uomini riempivano il silenzio facendo rabbrividire chiunque le
sentisse, ma nessuno era corso da loro per offrire aiuto. Nei paesi
vicini i genitori tenevano stretti i figli tremanti, chiudendo gli
occhi e pregando che finisse.
Eppure
le grida continuavano.
L’intero
villaggio bruciava fra le fiamme, e i suoi abitanti con lui. Chi
correva chiamando per nome l’amata, chi correva in una
ricerca disperata dei figli, chi correva per salvarsi. Fra di loro,
centinaia di soldati dall’armatura nera e scarlatta
trucidavano chiunque capitasse loro a tiro.
La
luna fissava impassibile, dall’alto, quella distruzione.
Una
ragazza, come tante altre, correva a perdifiato, urlando il nome del
padre, buttando lo sguardo tutto intorno, cercando di evitare i soldati
e i suoi stessi compaesani, ormai diventati più bestie che
esseri umani. Lacrime le scendevano lungo la guancia candida e il collo
a cigno, cerchiandole gli occhi e facendola rassomigliare ad uno
spettro vagante.
-Padre!
Padre!- urlava, correndo senza badare al lungo vestito verde che la
intralciava.
Ed
infine, lo vide. Steso sulle macerie di una casa che, un tempo, era
stata una delle più belle del villaggio. Il suo colorito
pallido stonava con gli accesi colori del fuoco e delle armature
nemiche. Lo sguardo della ragazza scivolò sul suo petto,
dove una grossa trave di legno spuntava insanguinata.
La
ragazza sentì la testa girare, il mondo farsi sfocato e il
cuore rallentare i suoi battiti. Fece per correre verso di lui, quando
un’ombra scarlatta passò proprio sulla sua testa,
alimentando quelle fiamme che stavano consumando tutto. Il mostro
atterrò poco lontano da lei, spostando le macerie con un
semplice movimento della lunga coda squamata. L’uomo sulla
sua groppa voltò la testa a destra e a sinistra,
contemplando quello scempio. La ragazza sentì una rabbia mai
provata invaderla da dentro e, con la vista offuscata dalle lacrime, si
slanciò in avanti verso il mostro. Non le
importava più di morire. La prospettiva delle lunghe zanne
acuminate del mostro era molto più allettante di una vita
passata a ricordare quell’episodio terrificante.
Fu
come guardarsi dall’esterno. Si vide correre urlando verso
lui, verso il mostro che cavalcava il mostro, con in mano
nient’altro che un pugnale spuntato raccattato
chissà dove, nel ca0s. L’uomo voltò la
testa protetta dall’elmo in tempo per vederla avanzare verso
di lui con un’espressione folle. Scese con tutta calma,
venendole incontro con la lunga lama , dello stesso colore del suo
mostro, che toccava il terreno scuro, bruciato. Non l’aveva
neanche sguainata.
La
ragazza si buttò su di lui con la forza della disperazione e
della rabbia, provando ad attaccarlo in qualsiasi modo, brandendo il
pugnale alla ceca. Fu semplice per il cavaliere afferrarle la mano e
torcerla in modo che quello le scivolasse dalle dita.
La
ragazza allora, singhiozzando dal dolore, cercò di liberarsi
prendendo a pugni il suo nemico, abbassando il capo per non dover
guardare in quegli occhi dannati. L’uomo non si oppose,
ricevendo pacatamente i suoi colpi.
Poi,
presa dalla stanchezza e dal dolore, la fanciulla alzò lo
sguardo, incrociando i propri occhi azzurrissimi con quelli neri del
suo nemico. Fu un attimo, e svenne fra le sue braccia.
L’uomo
l’afferrò prima che toccasse terra, tenendola
dolcemente come tenesse un bambino. Ne esplorò a lungo il
volto rigato dallo sporco e dalle lacrime, spostandole, con un dito
guantato, una ciocca di capelli scuri che le era scesa a coprirle la
fronte. L’alzò con delicatezza e, con il suo
corpo, salì sul drago ponendola davanti a sé e
circondandola con le braccia per impedirle di cadere.
Infine,
il mostro aprì le lunghe ali rosse e spiccò il
volo, allontanandosi insieme alla ragazza e al suo cavaliere da quella
devastazione.
E
il villaggio precipitò nel silenzio. Un silenzio carico di
morte.
Un lampo di luce le
offuscò la vista mentre, con uno scatto repentino, si
sollevava a sedere urlando a pieni polmoni. Immagini sfocate e voci
lontane, come sentite dalla fine di un lungo tunnel, la circondavano,
ma la ragazza, con in mente solo le fiamme e la distruzione, non
ascoltava niente.
Era consapevole solo
dei ricordi e del suo cuore che, rinchiuso nel suo petto come in una
gabbia, batteva all’impazzata. Due mani fresche le
circondarono il viso, posandole sulla fronte una pezza bagnata. La
ragazza chiuse gli occhi con un inconsapevole sospiro di sollievo.
-Ha la febbre molto
alta, mio signore- sentì debolmente una voce femminile,
preoccupata.
-Ma ha superato la
notte, no?- rispose, invece, un tono di voce maschile, più
lontano.
-Si, ha un sistema
immunitario molto forte. Bisogna aspettare solo che passi-
continuò la voce femminile e la ragazza si sentì
stendere.
Ma non voleva
più stare ferma. Si sentiva bruciare e la cosa la spingeva
ad agitarsi e a gemere. Le stesse mani fresche di prima le
accarezzavano una guancia e le passavano la pezzuola ovunque.
-Morti. Tutti morti-
parlava lei, con gli occhi strizzati e la gola che le bruciava.
-Cosa..?-
-Tutti!-
urlò la ragazza improvvisamente, facendo trasalire la
guaritrice –Tutti- ripeté con un singhiozzo.
-Non si può
fare niente per calmarla un po’? Se continua così
ci attirerà addosso tutte le guardie del palazzo-
commentò tranquilla la voce maschile, adesso vicina come
quella femminile.
-Si, certo,
però è rischioso nella sua situazione..-
-Non importa, lo
faccia. Nessuno deve sapere che lei è qui.-
La ragazza
sentì passi che si allontanavano ed una porta che si
chiudeva. Tutto era confuso, distorto dal fuoco della febbre che la
bruciava da dentro. Un sospiro, mani che le trafficavano intorno ed una
lieve puntura al braccio. Per la prima volta la ragazza
riuscì ad aprire gli occhi gonfi e lucidi. Aprì
la bocca per parlare, ma le sfuggirono solo fugaci suoni
incomprensibili. Il volto che aleggiava sopra di lei le sorrise
gentile, dolce.
-Povera piccola..
adesso dormi-
-..adesso dormi,
piccola mia. Domani è un nuovo giorno-
Un uomo che salutava
la figlia con un bacio sulla fronte per la buonanotte.
-Dormi- le ingiunse di
nuovo la guaritrice
E lei
scivolò nel sonno.
*
Quando aprì
di nuovo gli occhi, la fanciulla sentiva la mente molto più
sgombra e lucida. Sbatté le palpebre lentamente, cercando di
evitare che un fascio di luce, proveniente da chissà dove,
le ferisse gli occhi.
Mosse incerta la mano
destra, provando a sgranchirsi le dita e qualcuno le prese, fermandole.
La ragazza si bloccò, all’erta.
-Buongiorno. Come ci
sentiamo?- la salutò una voce.
La conosceva. Era la
stessa che l’aveva assistita e guidata in quei giorni pervasi
di follia, in preda alla febbre. La ragazza alzò lo sguardo
su di lei, incrociando due occhi verde bosco, contornati da sottili
rughe di espressione. La guaritrice che le stava davanti, con
espressione dolce e corti capelli neri che le circondavano il viso,
poteva avere al massimo una ventina d’anni eppure la sua aria
matura la faceva sembrare più grande. Indossava un lungo
camice bianco, candido, che le feriva la vista per il suo riverbero
alla luce del sole. La guaritrice se ne accorse e si spostò
all’ombra.
-Temevamo non ce
l’avresti fatta, sai?- le disse, spostandole da vicino alcuni
strumenti che la fanciulla non riconobbe
-Quanto tempo..?-
provò a dire la ragazza con voce roca
-Da quanto tempo sei
qui?- la aiutò l’altra –Cinque giorni-
-Cinque giorni?!- ci
mise qualche secondo a ricordare a rendersi conto della situazione.
Scattò a
sedere come qualche giorno prima, con gli occhi azzurrissimi sgranati.
-Il mio villaggio, le
fiamme, mio padre! O mio dio..- mormorò, alzando una mano a
spostarsi i capelli dalla fronte.
Sentiva il suo corpo
così estraneo. Che stranezza.
Il tono della
guaritrice si tinse di incertezza.
-Si, beh, di questo
parleremo dopo. Piuttosto, come ti chiami?-
La fanciulla ci mise
qualche minuto a ricordare, a scavare nella propria memoria. Le
sembrava tutto estraneo, incomprensibile ed alieno. Come se stesse
vivendo la vita di un’altra. Anche il suo nome lo sentiva
lontano e vicino insieme.
-Earine..-disse,
guardandosi intorno con circospezione.
Si trovava in una
vasta camera da letto, dai muri di un beige molto chiaro che brillava
al contatto con il sole. A destra stazionava un letto singolo, con le
coperte accuratamente rimboccate e il cuscino pulito. In un angolo
Earine poteva scorgere una grande scrivania piena zeppa di libri e
pergamene, di un legno chiaro che s’intonava con il colore
dei muri. Di chiunque fosse la camera, doveva essere una persona amante
della cultura, vista anche la piccola libreria rasente al muro del lato
sinistro, proprio affianco ad una finestra spalancata sul giardino
sottostante. Nel complesso era una camera davvero molto bella,
luminosa. Proprio com’era la sua.
-E’ un nome
bellissimo, mia signora- commentò allegramente la guaritrice
Earine la
guardò stranita. Nessuno l’aveva mai chiamata
“mia signora”.
-Ha un qualche
significato particolare?- chiese cordialmente la donna, muovendosi di
qua e di là per far ordine.
Earine era stesa su di
una piccola branda costruita per necessità, posta in un
angolo remoto della camera, lontana dalla finestra e dal letto e
soprattutto lontana dalla porta.
-Ehm, dovrebbe
significare “del mare” o
“marino”. Qualcosa del genere- fece lei,
continuando a guardarsi intorno con sospetto.
Dove si trovava?
L’ultima cosa che ricordava era.. un paio di occhi scuri,
neri, che la fissavano imperscrutabili da sotto un elmo scarlatto.
Earine scosse la testa, sentendosela subito martellare da un forte mal
di testa.
-Cos’è
successo? Dove mi trovo?- chiese ansiosa, fissando la guaritrice
Quella, come prima,
rispose con lo stesso tono incerto –Dovrai aspettare il
ritorno del mio signore..-
-Io non voglio
aspettare proprio nessuno!- sbottò la fanciulla, scendendo
dalla branda.
Quello che non aveva
messo in conto era la debolezza del suo corpo dopo la febbre.
Barcollò subito, reggendosi al muro per non cadere, ma non
si fece fermare ed avanzò decisa verso la porta. Voleva,
doveva, capirci qualcosa. La guaritrice, dopo aver fatto un
esclamazione sorpresa, accorse da lei cercando di frenarla.
-Mia signora, ti
prego, aspetta-
Earine la
scostò con un gesto deciso e, sebbene più debole
di lei, riuscì ad allontanarla. Passò accanto
alla finestra e fece in tempo a scorgere un ampio giardino, del verde
più brillante che avesse mai visto, e una grande diramazione
di edifici che si estendevano fino all’orizzonte. Earine si
bloccò a guardarlo, sorpresa. Essendo vissuta per tutta la
vita –diciannove anni- in un piccolo paesino sperduto vicino
a Dras-Leona, Earine non conosceva le vastità delle
città capitali o la folla delle strade maestre di
Uru’baen e Gil’ead. Perciò non
potè che fermarsi ad osservare quello spettacolo maestoso e
spaventoso insieme con la bocca socchiusa e gli occhi luccicanti.
Dietro di
sé sentì la guaritrice avvicinarsi, approfittando
della sua distrazione. Earine si voltò nuovamente per
fronteggiare la donna che, nella mano, aveva uno strano strumento a
cilindro con la punta acuminata. Decisamente qualche oggetto per
somministrare dei liquidi. Quando Earine si rese conto che la
guaritrice voleva sedarla era troppo tardi: era già scattata
verso di lei. Con un movimento agile afferrò il polso della
donna rigirandolo verso il basso per farle mollare la presa. Quella,
per tutta risposta, le assestò una gomitata al fianco,
facendole vedere le stelle. Lasciò andare il braccio della
donna, portandosi una mano al fianco.
Non poteva far altro
che farsi sedare, era troppo debole per lottare. Ma, proprio mentre la
donna avanzava verso di lei con quello strano oggetto sormontato da un
ago, una spada dalla lama rosso sangue comparve dal nulla, puntandosi
non su di lei, ma sulla guaritrice.
Quella, tremando da
capo a piedi, poggiò l’oggetto da una parte,
alzando le mani. Earine voltò il viso, per vedere chi fosse
il suo salvatore. Un ragazzo alto, ben piantato, era entrato mentre le
due stavano lottando, perciò entrambe non se
n’erano accorte. Aveva un fisico asciutto, tonico, che era
possibile vedere sotto la semplice tunica che indossava e dai muscoli
del braccio abbronzato che stringeva la spada. Aveva lunghi capelli
neri che, in sintonia con gli occhi, gli donavano una bellezza
tenebrosa. Il suo viso celava segreti che Earine non riusciva ad
identificare.
-Mi pare che la nostra
ospite si sia ripresa- commentò il ragazzo con voce pacata
La guaritrice
annuì frettolosamente, rigirandosi fra le mani il bordo
della tunica bianca. Era terrorizzata.
L’uomo la
guardò per qualche altro istante, poi abbassò la
spada e le indicò la porta con un cenno del capo. La donna
si avviò talmente in fretta che Earine capì che,
se avesse potuto, avrebbe corso. Quando la porta si chiuse alle sue
spalle, Earine si rese conto di essere addossata alla finestra,
semi-seduta sul suo davanzale. Si aggiustò tenendo
d’occhio il ragazzo che, buttata la spada sul letto, si
dirigeva con calma verso la scrivania.
Sotto lo sguardo
perforante della ragazza, quello prese una bottiglia di vino dal terzo
cassetto in basso ed un paio di bicchieri da una mensola.
Versò il vino mostrando le spalle alla ragazza, sicuro che
non avrebbe tentato m0sse di alcun tipo. Una volta finito, si
girò nuovamente verso di lei ed avanzò per
porgerle il bicchiere.
Ma, a pochi passi da
lui, la ragazza si perse in quegli occhi nero pece, riconoscendoli. Si
alzò molto lentamente, presa dallo sconcerto e dalla
sorpresa.
-Tu..-
mormorò, fissandolo
Quello allora si
fermò, ricambiando il suo sguardo con un’occhiata
fredda.
-Tu!- urlò
Earine, lanciandosi sul ragazzo.
Lui posò i
bicchieri con una velocità sovraumana, per impedire che si
rompessero, e si alzò appena in tempo per accogliere la
fanciulla fra le braccia e bloccarle i polsi proprio come aveva fatto
quella sera di cinque giorni fa. A differenza di quel giorno,
però, Earine era molto più debole, reduce dalla
febbre, e non poteva far molto contro di lui. Nonostante questo
continuò a lottare e a dibattersi come una forsennata,
costringendo il ragazzo e voltarla e a stringerle le braccia dietro la
schiena. Le scappò un gemito di dolore.
-Che diavolo stai
facendo?- le chiese il ragazzo all’orecchio.
-Cerco di ucciderti-
rispose Earine roca, continuando a dibattersi.
Stanco di quella
lotta, il ragazzo la prese e la sbatté contro un muro,
costringendole la mani in una presa ferrea e inchiodandola con i suoi
occhi nerissimi. Earine alzò la testa, fiera.
-Ti consiglio di
smetterla se non vuoi morire sul serio- la minacciò lui, le
labbra ad un soffio dalle sue
Ma Earine non si
lasciò intimorire –Che n’è
stato del mio villaggio?-
Il ragazzo la
lasciò andare di colpo e la ragazza scivolò lungo
il muro, massaggiandosi le braccia dove –era sicura-
sarebbero spuntati presto alcuni lividi. Ma, tutto sommato, poteva
ritenersi fortunata di non aver riportato ferite più gravi.
-E’ stato
raso al suolo- le rispose lui con un tono leggero come se stesse
commentando il tempo.
Una sottile ruga di
dolore solcò la fronte della ragazza che, però,
decise di non far intravedere al ragazzo la sua debolezza.
Perciò ricacciò indietro le lacrime e
ingoiò i singhiozzi, trattenendosi dal tremare. Le ci volle
un notevole sforzo per farlo, soprattutto se nel frattempo le immagini
della sua casa, del padre sorridente, di Bart il barista, suo amico da
tempo immemore, dei suoi boschi e della vallata vicina, la assalivano.
-Ma..
perché?- domanda stupida. Sapeva già la risposta.
E infatti il ragazzo
le lanciò uno sguardo sospettoso e stranito.
-Per i vostri contatti
con i Varden. Se l’Impero non riesce a mantenere
l’ordine all’interno, come farà a farlo
all’esterno?-
-Forse non dovrebbe
farlo- ironizzò la ragazza –Sappiamo tutti che
Galbatorix è..- ma prima che potesse rispondere la ragazza
si ritrovò l’altro ad un centimetro dal viso, con
un’espressione mortalmente seria.
-Sentimi un
po’, ragazzina- iniziò, prendendola per la gola
–Non so neanche io cosa mi abbia spinto a salvarti, in mezzo
a tutta quella gente, ma adesso sei qui, okay? Non posso mandarti via
perché ci sono quelle fottutissime guardie che seguono ogni
mia mossa, e non voglio ucciderti. Le spie di Galbatorix sono ovunque e
lui stesso può sentire ogni parola anche quando non te
l’aspetti. Se scoprisse che ti ho lasciata vivere, quando i
suoi ordini erano di sterminare l’intera popolazione, mi
punirà. E una volta che avrà finito, io
punirò te. Sono stato chiaro?-
Ormai Earine non
respirava più e il suo viso iniziava a tendere al viola.
Senza aspettare risposta, allora, il ragazzo la mollò
alzandosi e avvicinandosi alla scrivania. Afferrò un
mantello e se lo chiuse intorno alle spalle e sotto la gola.
Rinfoderò la spada nella sua guaina e si avvicinò
alla porta, afferrandone la maniglia.
-Esco. Tu rimani qui e
non aprire a nessuno- le ingiunse, senza neanche girarsi, poi
uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Earine si
ritrovò improvvisamente sola, con il respiro ancora
scellerato e la gola che le faceva male per la presa del ragazzo.
In che casino mi sono
cacciata? Pensò, disperata.
*
Quando il ragazzo
rientrò il camera, trovò Earine accovacciata
sulla branda con il viso nascosto tra le ginocchia ed il pranzo,
portato dalla guaritrice, deposto in un angolo insieme alla cena,
intatto. Chiuse la porta e si fermò ad osservarla, ben
conscio del fatto che la ragazza stava aspettando una sua qualsiasi
mossa. Aveva avuto modo di scambiare solo poche parole con quella
ragazza, eppure già la trovava insopportabile.
Perché diavolo l’aveva salvata?
Eppure, mentre
guardava i suoi lunghi capelli di un castano molto scuro, mossi, e il
suo viso candido nascosto fra le braccia, il ragazzo poteva risentire
quello strano presentimento che l’aveva pervaso appena
l’aveva vista corrergli incontro, con
un’espressione folle.
Scrollando le spalle,
avanzò, incurante di quella presenza silenziosa, voltandosi
di spalle e lasciandosi cadere il mantello sulle spalle.
Afferrò una tinozza vicina, colma d’acqua e, dopo
essersi sfilato camicia e pantaloni, si sciacquò con cura,
lavandosi dallo sporco. Poi, pulito, s’infilò il
completo composto da una semplice tunica e un pantalone, pronto per
andare a dormire. Fece per scostare le coperte quando la sua voce lo
raggiunse.
-Come ti chiami?- era
tanto flebile che il ragazzo, seppur con un udito finissimo, quasi non
la sentì.
-Murtagh- rispose
voltandosi a guardarla
Aveva alzato il viso
ed adesso lo guardava con occhi cerchiati di rosso, spiritati un
po’ per le lacrime trattenute un po’ per la febbre.
Era, inoltre, mortalmente pallida.
-Murtagh.. quel
Murtagh?- gli chiese
-Ne conosci altri?-
commentò freddamente lui, sedendosi di botto sul letto e
lasciandosi andare ad un sospiro di stanchezza.
Earine,
dall’altro lato della stanza, piegò la testa da un
lato, pensierosa.
-Sai cosa diceva mio
padre di te?-
Lui la
guardò senza dir niente, ma lei lo prese per un tacito
invito a continuare.
-Che sei schiavo del
tuo stesso destino- continuò a lei, con voce sommessa
–Imbrigliato in cose più grandi di te che non
riesci a controllare. Non un carnefice, una vittima-
Murtagh
continuò a non rispondere, fissandola con sguardo perforante
ed indagatore. Non aveva il diritto di dire certe cose, gli
richiamavano alla mente le parole di una persona a lui familiare..
-Però sai
che ti dico? Io non sono d’accordo-
Lo sguardo della
ragazza adesso bruciava di determinazione e ira.
-Per fare certi atti
ci vuole consapevolezza. Non si possono uccidere degli innocenti a quel
modo senza essere in qualche modo accondiscendenti. Tu sei un
assassino- la ragazza pronunciò le ultime parole con
determinata lentezza, come a voler far comprendere meglio il concetto
al suo interlocutore.
Murtagh si
infilò sotto le coperte, ignorandola, e spegnendo la luce
nel piccolo lume accanto al letto con una parola dell’Antica
Lingua.
-Buonanotte- disse e
si rigirò dall’altro lato.
Eppure, nel silenzio
della notte, Murtagh quasi riusciva a sentire il sordo dolore
martellare nel petto della ragazza.
_______________________________________________
Ehssì, gentile pubblico, mi sono anche data ad Eragon
ùù che volete fare, sono una persona dalle molte
passioni ** ma andiamo al dunque. Pochi giorni fa stavo girovagando per
la cartella video di mio padre e.. sorpresa! Eragon il film. Attirata
nuovamente da draghi e simili, me lo sono visto, tutto, poi in camera
ho riafferrato il libro e me lo sono riletto. Poi ho ri-iniziato Eldest
e.. eccoci qui xD ritorno di fiamma!
Devo dire di aver letto parecchie Fic su Eragon, e davvero non mi
aspettavo certi lavori davvero molto belli. Che dire, spero solo di
essere alla vostra altezza ragazzi ç-ç sappiate
da adesso che aggiornerò settimalmente e, in caso di
problemi o simili, posterò per poi la prima parte con il
dovuto avviso.
Che altro c'è da aggiungere? Ah si, un grazie a chi commenta
e a chi legge, come sempre. Siete il nutrimento degli scrittori
<3
Si comincia <3
Amaerize: Grazie inanizutto per i
complimenti, di certo sono graditi ** si, non ho mai scritto prologhi
così corti, però questa volta ho voluto mandare
un messaggio diverso dal solito. Più misterioso, ma al tempo
stesso evidente. Prendetelo come una voce fuori campo della
protagonista <3 Grazie ancora!
Baci
honeyS: Eccoti allora il primo
effettivo capitolo *___* sono felice che ti abbia intrigata, era
proprio il suo scopo <3 grazie mille per i complimenti!
Besos
-Vì
|
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Capitolo 2 *** 002. ***
Rinchiusa*
Quando Earine si svegliò, il mattino dopo, lo fece con un
forte mal di testa. Si mise a sedere portandosi una mano alla testa e
cercando di massaggiarsi le tempie, con una smorfia di dolore sul viso.
Non poteva neanche beare di alcuni istanti di incoscienza, come il
mattino prima, perché i ricordi si svegliarono insieme a
lei. Con un sospiro si guardò intorno, pronta a distinguere
la scura sagoma di Murtagh ma, al suo posto, intravide un vassoio
contente una brocca di latte e un piattino pieno di pane imburrato.
La sua espressione si
addolcì. Doveva essere stata sicuramente Marie.
Così si chiamava la guaritrice che aveva assalito il giorno
prima, visto che lei aveva cercato di sedarla. Quando Murtagh se
n’era andato, lasciandola sola, Marie aveva ritenuto sicuro
ritornare da lei per portarle il pranzo e le sue scuse. Earine le aveva
accettate, ricambiandole e cercando di instaurare un qualche contatto
con lei, per scoprire qualcosa in più su dove si trovava.
All’inizio
la guaritrice era restia a dirle qualsiasi cosa ma, con
l’astuzia, la ragazza aveva spostato il discorso su di lei,
apprendendo così non solo la sua storia, ma anche le
abitudini del castello. Alla fine aveva capito, con un brivido, di non
poter trovarsi che nel palazzo del re Galbatorix.
Marie, così
sapeva, era una ragazza ventitrèenne impegnata dai genitori
tanti anni prima per potersi salvare da alcuni debiti che non
permettevano loro di vivere. Così, dalla semplice
età di sedici anni, Marie viveva presso la corte del re,
facendo l’unica cosa per cui era naturalmente portata: la
guaritrice. Particolarmente abile fra erbe e medicinali, Marie si era
subito distinta dopo aver salvato da morte certa un ufficiale molto
vicino al re che, dopo quest’episodio, l’aveva
voluta incontrare. La guaritrice le raccontò di quegli occhi
scuri, insondabili e maligni, che l’avevano studiata per
tutto il tempo del colloquio. Alla fine, con suo profondo sollievo, il
re le aveva affidato il ruolo di guaritrice in pianta stabile.
Amava lavorare
lì, le aveva ammesso un po’ imbarazzata,
perché c’erano molti modi per approfondire la
propria cultura e per mettere alla prova le proprie abilità.
Earine le aveva
chiesto, poi, come conosceva quel ragazzo misterioso e come si
chiamava. La guaritrice le aveva risposto che avrebbe saputo il suo
nome quando lui l’avrebbe ritenuto opportuno, però
le raccontò del loro incontro. Murtagh, una sera, era
ritornato gravemente ferito dalla sua prima battaglia contro
l’Esercito Oppositore –come venivano chiamate
lì le truppe dei Varden e del Surda- e Marie era
l’unica guaritrice disponibile a curarlo. Da quel momento i
due erano entrati in stretto contatto e Marie poteva ormai definirsi
una delle sue persone più fidate.
“E’
per questo che mi chiamata quando ti ha portata qui” le aveva
detto, un po’ orgogliosa.
La vita a palazzo
incominciava presto, capì, intorno alle sei del mattino, ma
se non si poteva vantare un lavoro allora la vita a palazzo poteva
rivelarsi molto rilassante. Più che rilassante Earine si
sentiva come in gabbia.
Non poteva uscire,
gliel’avevano raccomandato più volte,
né farsi sentire. Doveva essere invisibile. Se non avesse
avuto la certezza che l’avrebbero uccisa, Earine si sarebbe
fatta vedere per sfregio al suo “salvatore”.
Più
ripensava a lui, più sentiva di odiarlo. Per la sua fredda
arroganza, per la sua superficialità e.. per aver ucciso suo
padre e i suoi compaesani. Quando ci pensava veniva assalita dalla
rabbia e dalla tristezza. Ma, pensava, così poteva lavorare
dall’interno per vendicarsi. Era un’occasione
d’oro da non sprecare.
Intanto,
però, doveva ristabilirsi. E in fretta.
Così, a
malincuore, scese dalla branda e si accoccolò davanti al
vassoio, sfiorando con la punta di un dito il bordo gelido della tazza
ricolma di latte.
-Questa sarebbe la mia
colazione, papà?- la sua voce era piena di scetticismo,
mentre indicava quella piccola ciotola di
ceramica.
-Certo- aveva
ribattuto lui, offeso –Perché, che ha che non va?-
-No, niente a parte il
fatto che.. non so cosa sia questa poltiglia bianca- scherzò
un’Earine undicenne
-E’ latte,
bambina mia, un derivato delle pecore- le aveva spiegato il padre,
avvicinandosi per poterle accarezzare i corti capelli scompigliati.
-E.. si mangia?- aveva
chiesto lei, guardando la tazza con estremo sospetto.
Lui aveva riso di
gusto.
Earine la prese con un
gesto deciso e se la portò alle labbra, permettendo al caldo
liquido all’interno di scenderle lungo la gola,
riscaldandola. La ragazza si passò una mano sulla pelle del
collo, guardandosi per un attimo nel lontano specchio posto vicino al
letto di Murtagh. Si stavano formando i lividi con la forma delle sue
dita, e già adesso spiccavano verdastri contro la pelle
perlacea. Qualche giorno e sarebbero diventati rossi, poi viola e
infine neri, poi sarebbero scomparsi. Earine sospirò alzando
gli occhi al cielo.
Si sarebbe dovuta
trovare qualcosa da fare per non impazzire.
Dopo aver spazzolato
tutto per bene –ne aveva bisogno per ristabilirsi- Earine si
alzò trattenendo uno sbadiglio e si avvicinò allo
specchio dove, ai suoi piedi, aveva scorto una grande ciotola ricolma
d’acqua di rose con una pezzuola accanto. Sembrava aspettasse
lei.
Così la
ragazza si tolse con cautela la camicia larga che indossava, tendendo i
muscoli indolenziti con una smorfia. Immerse la pezza
nell’acqua profumata poggiandosela sulla pelle di una spalla
e accorgendosi che anche quella, come il latte, era piacevolmente
calda. Si lavò approssimativamente –niente a che
vedere con un bel bagno nel fiume- ma, quando finì, Earine
si annusò la pelle, sentendola emanare un piacevole aroma di
rosa.
Soddisfatta si
girò e andò a prendere da sotto al letto il
completo che le aveva lasciato Marie il giorno prima. Aprì
con delicatezza tutti i vestiti e li guardò con
circospezione. Era un completo maschile, da combattimento.
Pantaloni stretti,
neri, stivali e top –che, notò, le lasciava le
spalle scoperte- dello stesso colore. Giustacuore in cuoio.
Se li
rigirò fra le mani per parecchio poi, preferendoli a quella
specie di camicia informe madida di sudore dei giorni precedenti, li
indossò con una scrollata di spalle. Erano molto
più comodi dei vestiti a cui era abitata e, una volta
infilati i pantaloni, Earine sentì uno strano senso di
protezione.
Dandosi della sciocca
la ragazza fece per piegare con cura la veste quando qualcuno
bussò. Si bloccò come poco prima, con le orecchie
tese e i muscoli immobili. Non un solo rumore.
-Earine, sono Marie.
Puoi aprirmi?- sentì la voce della guaritrice fuori la porta.
Dopo un sospiro di
sollievo, la ragazza si avviò alla porta con passo veloce
per aprire a Marie. La guaritrice la salutò con un bel
sorriso aperto.
-Buongiorno, cara.
Come ti senti?- le chiese premurosa, entrando e posando sul letto un
fagotto voluminoso.
-Molto meglio- le
rispose Earine, seguendola e guardando il pacco
–cos’è?-
-Una cosa che il mio
signore mi ha chiesto di portarti in mattinata- le spiegò la
guaritrice, afferrando i lembi del fagotto e districandoli
l’uno dall’altro.
Earine era sempre
più curiosa, tanto che si sporse per poter vedere
l’oggetto appena fosse sbucato dalla stoffa. Quando vide
cos’era rimase a bocca aperta.
Una spada.
-Murtagh ci tiene,
inoltre, a dirti che da oggi stesso prenderai lezioni di scherma da
lui- le riferì Marie, prendendo la lunga e affilata spada
fra le mani e rigirandosela.
Era molto bella, ma
anche semplice. Era sottile, ad una mano e mezza, argentea e dalla
punta leggermente ricurva verso il basso. La guardia era incrociata,
con una decorazione dorata e il manico era di robusto legno. Earine
tese la mano per prenderla, e scoprì con delusione che,
nonostante le apparenze, era molto pesante. Dovette abbassare il gomito
in una posizione scomoda per poterla tenere meglio in mano.
-Accidenti..- le
scappò
Marie la
guardò con apprensione –Ho cercato di dire a
Murtagh che era presto, ma..- scosse la testa
Earine si
alzò, mulinandola a destra e a sinistra per saggiarne
l’elasticità. Quasi nulla. Corrugò la
fronte. Imparare a combattere era stata un’idea eccellente
–perché non ci aveva pensato prima?- ma farlo con
quella spada e il giorno dopo esser guarita dalla febbre era.. pazzia.
-Quando il tuo signore
ritiene più giusto darmi lezione?- chiese con un tono di
voce venato di ironia
-Adesso-
Le due donne si
girarono verso la porta, dove sostava una figura alta e ammantata di
nero. Murtagh.
-Adesso?-
ripetè lei sorpresa
-Si- ribadì
il ragazzo, continuando a rimanere fuori dalla porta –A
quest’ora poca gente gironzola per il palazzo-
-Ma..-
provò a dire Marie
-Niente ma-
tagliò corto Murtagh –Andiamo-
E, detto questo,
scomparve dietro un angolo, dando chiaramente l’impressione
di dar per scontato che la ragazza lo seguisse. Marie ed Earine si
scambiarono uno sguardo.
*
Erano ormai ben dieci
minuti che Earine e Murtagh camminavano fra i corridoi del palazzo, e
la ragazza si sentiva impazzire. Tutti i corridoi erano uguali, stesso
colore dell’intonaco, stesse posizioni delle fiaccole, stesso
numero di stanze per fila. Stessa aria pesante e quasi tinta di
rossiccio. Earine era stata fatta coprire con un mantello scuro,
precedentemente servito per avvolgere la spada che le pendeva al
fianco, per poter camminare indisturbata senza esser riconosciuta.
Forse da sola non avrebbe goduto di tale anonimato, ma sicuramente
insieme a Murtagh nessuno poteva fermarla e chiederle qualcosa.
Stava iniziando a
stancarsi quando finalmente raggiunsero la loro destinazione. Murtagh
varcò il grande ingresso di fretta, facendole un cenno per
assicurarsi che lei facesse altrettanto.
Fu così che
lei camminò deliberatamente lenta.
Con un sospiro di
impazienza il ragazzo la raggiunse, afferrandola per un braccio e
trascinandola dentro, per poi chiudere la porta a chiave.
-Ahi- si
lamentò la fanciulla, più per dargli fastidio che
per effettivo dolore.
Lui la
ignorò, superandola per andare ad accendere le fiaccole
appese sul muro con la magia. La ragazza, intanto, girò su
sé stessa per poter ammirare la vasta sala da tutte le
angolazioni. A differenza dei lunghi e stretti corridoi del palazzo, le
pareti della sala non erano bordeaux, ma di un giallo molto chiaro che
si avvicinava al crema.
Non vi erano finestre,
ma nella parte in fondo alla sala v’erano appese centinaia di
armi di tutti i tipi. Earine si avvicinò, con la bocca
spalancata per lo stupore.
A destra, si potevano
ammirare archi di tutte le grandezze e fogge, da quelli più
lavorati –sicuramente elfici- a quelli più
semplici ma, all’apparenza almeno, letali. A sinistra,
invece, v’erano appese mazze, asce e pugnali, i
più belli che Earine avesse mai visto. Al centro invece
c’erano le spade.
Centinaia, migliaia,
di spade magnifiche, di tutti i colori e tipi. Erano disposte per
colore e grandezza, il che, da lontano, le faceva rassomigliare ad una
grande scala di colori. La fanciulla era affascinata.
-Belle, vero?-
sobbalzò quando si accorse di Murtagh, immobile e silenzioso
al suo fianco
Fece qualche passo per
distanziarsi da lui –Si-
Per un attimo i suoi
occhi azzurrissimi si scontrarono con quell’oceano di tenebra
del suo sguardo, poi il ragazzo si voltò ritornando al
centro della sala.
-Perché mi
dai lezione?- gli chiese la ragazza, seguendolo e posizionandosi
proprio di fronte a lui
-Perché si-
fu la sua risposta –Sfodera la tua spada-
-E se non volessi
farlo?- domandò lei ironicamente, incrociando le braccia.
Lui sfoderò
la sua e il lampo vermiglio della lama si rifletté negli
occhi azzurro cielo di Earine.
-Allora morirai-
replicò freddamente Murtagh, scattando in avanti con la lama
testa verso di lei.
Fu per un soffio che
Earine scansò quell’arma micidiale diretta al suo
viso, e subito dopo la ragazza capì che il suo odiato
salvatore stava facendo sul serio. Quindi, piena di riluttanza,
sguainò la lucida ed argentea spada datale da Marie solo
quella mattina, rigirandosela in mano e sentendo la sua pesantezza.
Nulla rivelarono gli occhi del suo nemico, ma Earine poteva quasi
toccare la sua soddisfazione.
Si girarono intorno,
senza perdersi d’occhio, e sempre più Earine si
sentiva stupida e a disagio. Lei non era quel genere di persona, lei
non combatteva, né odiava quel qualcuno con tanta
intensità. Per la prima volta la fanciulla
sospettò che Earine fosse morta sotto le macerie della sua
casa, accanto al padre, e quella che adesso si muoveva e viveva era
solo una mera copia.
Murtagh
spezzò i suoi pensieri tentando un semplice affondo diretto
al suo stomaco. La ragazza parò senza pensarci due volte ma,
appena la sua lama si scontrò con quella rosso sangue del
ragazzo, il polso le diede una fitta lancinante, dovuta allo sforzo che
Earine impiegava nel contrastare Murtagh. Quando quest’ultimo
si spostò, abbandonando l’attacco, Earine riprese
fiato con affanno.
-Mai concentrare tutta
la forza in un sol punto- l’ammonì Murtagh
–Prova a tenere la lama di piatto e ad affidare a lei il
compito di contrastare la forza dell’avversario. Riproviamo-
e ripartì all’attacco senza aspettare un cenno
della fanciulla.
Quelle furono per lei
le ore più lunghe ed impegnative che avesse mai passato in
tutta la sua vita. Se reggere, inizialmente, la spada era faticoso,
dopo dieci minuti diventò straziante. Le dita erano ormai
insensibili, a furia di stringerle sul manico, e il polso era gonfio
per la forza che ci voleva per sollevarla ogni volta. La sua schiena e
le sue spalle non erano allenate a combattimenti o a lotte, ma
più che altro al lavaggio dei panni e alla preparazione del
pane, e per questo l’abbandonavano nel momento del maggior
bisogno.
Murtagh, dal canto
suo, era implacabile. Da quando l’allenamento era iniziato i
suoi occhi erano velati di una concentrazione che –ne era
certa- lei non avrebbe dissipato neanche con una lama puntata alla
gola. Si muoveva con la rapidità degli elfi e la precisione
degli spadaccini più bravi. Un mix micidiale.
Eppure con lei era
sempre molto paziente e perseverante. Se una sequenza non le riusciva
gliela faceva ripetere mille volte per fissarla bene ed una in
più per non perdere la mano, senza mai rimproverarla. La sua
disponibilità la infastidiva profondamente.
E’
più facile odiare chi ti odia a sua volta pensava.
Ma lei continuava a
cercare di innervosirlo, con commenti e azioni ribelli. Ad ogni
reazione sua, una vena si gonfiava sul collo del ragazzo. Dopo
un’ora abbondante la mente di Earine si scollegò
totalmente, lasciando spazio solo ad azione e reazione, senza neanche
più rispondere a Murtagh. Un senso di colpa bruciante le
invadeva il petto.
Se lei queste cose le
avesse imparate prima, se si fosse impegnata prima ad afferrare una
spada, forse suo padre..
Venne interrotta dalla
lama dell’avversario che, superata la sua guardia, le
graffiò il braccio. Earine fece un balzo
all’indietro, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore e di
sorpresa.
-Mai distrarsi- giunse
il commento di Murtagh
Earine
scattò –Non sono un soldato, diamin..-
-Io voglio che tu
diventi quello!- gridò il ragazzo, sovrastando il resto
delle sue parole.
Earine allora tenne a
freno la lingua, scoccandogli un’occhiata di puro odio. Con
un sospiro Murtagh si passò una mano fra i capelli nero
pece, fissando vacuo il muro. Poi, dopo un attimo che le
sembrò infinito, rinfoderò la spada.
-Per oggi basta-
-Ti ringrazio-non
potè trattenersi dal dire lei con una vena di ironia nella
voce.
Murtagh le
lanciò un’occhiataccia, ma non le disse niente.
Che stesse iniziando ad abituarsi alle sue frecciatine?
-Rimettiti questo- le
lanciò il suo mantello, caduto prima per terra –E
ritorna in camera. Non farti assolutamente vedere- le disse, calcando
l’ultima frase.
Earine
corrugò la fronte –Non vieni con me?-
Non che desiderasse la
sua compagnia, ma camminare da sola per quei corridoi era..
inquietante. E poi ogni guardia di ronda l’avrebbe potuta
fermare per chiederle chi era e dove stava andando.
-No, devo andare da
Castigo- rispose noncurante il ragazzo, lanciando
un’ultima occhiata all’arazzo delle armi.
Castigo. Il mostro
rosso.
Earine si
sentì irrigidire e la vista colorarsi di un colore
scarlatto, simile a quello delle squame del mostro alato. Andava a
trovare il compagno assassino, ovvio.
-Vai a trovare il
mostro- commentò inacidita la ragazza, fissandolo con gli
occhi azzurri perforanti.
Murtagh
avanzò verso di lei con espressione minacciosa
–Puoi anche insultare me, ragazzina, ma non puoi farlo con il
mio drago-
La fanciulla
scoppiò in una fredda risata senza gioia –Oh,
scusami, forse non l’avrei dovuto chiamare mostro. Meglio
abominio-
Murtagh
ringhiò –era assurdo, ma fu proprio quello il
rumore- e le si lanciò contro. La ragazza riuscì
a schivarlo e, seppur con le gambe e le braccia doloranti,
riuscì a raggiungere la porta. Sentiva dietro di se il
respiro pesante di Murtagh, e per la prima volta si rese conto che, se
l’avesse voluta uccidere, non avrebbe avuto nemmeno una
chance. L’aveva fatto arrabbiare come una sciocca, ma il
dolore per la perdita del padre e del villaggio ancora le risuonava
sordo nel petto e nella mente.
Aprì la
porta senza guardarsi indietro e si infilò in uno dei
corridoi laterali, girando gli angoli appena poteva per disorientare il
ragazzo. Poteva sentire i suoi passi dietro di sé ma, dopo
aver svoltato parecchi corridoi, si ritrovò sola nel
più perfetto silenzio. Si girò a destra e a
sinistra, ma tutto intorno a lei era del più perfetto
bordeaux. Sembrava che tutta la sua vita si fosse tinta di rosso.
Allora
ritornò sui suoi passi e girò nel corridoio a
destra e poi in quello a sinistra, prima di rendersi conto di aver
sbagliato strada. Disperata corse alla cieca, mentre muri sempre uguali
le sbarravano la strada. Poi, come un’ancora di salvezza,
Earine si ritrovò in un vicolo ceco dove torreggiava una
grande porta in ottone. Inclinò leggermente la testa,
avvicinandosi cauta. Sfiorò con la punta delle dita le
rifiniture d’oro.
Non dovrei entrare si
disse.
Accostò
l’orecchio al muro e non le sembrò che qualcuno
parlasse o si muovesse, all’interno. Così, non
sapendo cos’altro fare, entrò. Rimase a bocca
aperta.
Quella sala era una
delle più vaste che avesse mai visto, ed una delle
più eleganti. Dal soffitto pendevano tre lampadari in
cristallo, che riflettevano la luce del sole sul muro color panna. Uno
era azzurro, un altro rosso chiaro e l’ultimo color smeraldo.
Il pavimento era in marmo color salmone, con incise sopra strani linee
azzurre, rosse e verdi che si contorcevano e si univano fra loro. Le
vetrate erano gigantesche, allungate, simili a quelle che Earine aveva
visto molte volte nelle chiese. Al centro assoluto della sala stava uno
strano leggio in legno. Earine attraversò cautamente la
sala, sentendosi intimorita ed affascinata da quanto la circondava.
Più si avvicinava al leggio più si rendeva conto
che era una sorta di appoggio per qualcosa di tondo.
Si accostò
e posò una mano sul freddo e liscio legno scuro, color
ebano. Sopra di esso c’era qualcosa ricoperto da un sottile
panno bianco, e la fanciulla per un attimo si chiese se scostarlo o
meno.
Piena di incertezza
passò la mano sotto il panno, sfiorando l’oggetto
che vi era sotto. Era liscio al tatto, quasi scivoloso. Dopo un ultimo
istante di indecisione, Earine scostò il velo.
_________________________________________________________
Muahuahuah, sono o non sono perfida?
Dovrete aspettare il prossimo capitolo per sapere cosa ha scoperto
Earine e questo a cosa la porterà *sorriso malefico* ma se
vi spremete un po' le meningi, suppongo possiate arrivarci anche voi.
Forse alcuni penseranno "diavolo, siamo già a questo punto
della storia?". Beh, si, anche perchè volevo dare
l'impressione che il tempo corresse contro il tempo, come è
successo un po' ad Eragon d'altronde. Spero che non lo giudichiate
troppo esagerato, comunque çç
A parte questo, il solito ringraziamento a chi legge e soprattutto a
chi recensisce. Vi adoro <3
Al prossimo capitolo!
honeyS:
Ti
ringrazio tantissimo *-* spero che questo capitolo ti sia piaciuto
<3 Sono contenta di riuscire a coinvolgere i lettori,
è proprio l'obiettivo che ogni scrittore si prefigge *-*
Grazie ancora!
Baci
Amaerize: Ahah
xD fa il cattivino xD Nono, si dev'essere più gentili con le
signore uu ma d'altronde è tutto preso dal giuramento per
Galby e i problemi con il fratellastro ùù Ti
ringrazio *-* fa sempre piacere che i propri capitoli sono piaciuti a
qualcuno <3 spero che questo capitolo ti sia piaciuto come
quello prima!
Kisses
-Vì
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