Ame

di Hika86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 最中 Monaka ***
Capitolo 2: *** むうす Mūsu ***
Capitolo 3: *** たい焼き Taiyaki ***
Capitolo 4: *** 茶アイスクリーム Gelato al te verde ***
Capitolo 5: *** 麦茶 Mugicha ***
Capitolo 6: *** べっこう飴 Bekkō-ame ***
Capitolo 7: *** パナップ Panapp ***
Capitolo 8: *** 花びら餅 Hanabira Mochi [1#] ***
Capitolo 9: *** 花びら餅 Hanabira Mochi [2#] ***
Capitolo 10: *** エクレーア éclair ***
Capitolo 11: *** かき氷 Kakigori ***
Capitolo 12: *** 飴 Ame ***



Capitolo 1
*** 最中 Monaka ***


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

Gli sembrò di emergere da una piscina piena di acqua calda e confortante, quando la sua coscienza prese possesso della mente e si ritrovò improvvisamente catapultato fuori dai suoi sogni, nella realtà del suo corpo mezzo scoperto, steso sul letto di casa sua. Ciò che lo aveva svegliato era stata la voce del fratello che si avvicinava correndo, arrivando dal piano di sotto. «Niisan! Niisan!» chiamava insistente da dietro la porta, mentre un rumore di passi si faceva sempre più vicino. Non rispose, rimanendo immobile, ma tentò di aprire gli occhi: la luce che entrava dai vetri lo infastidì oltre ogni dire e, di tutta risposta, si rannicchiò in posizione fetale coprendosi con la parte di lenzuolo che ancora era rimasta sul letto. «Niiiiiisan» cantilenò quell'altro entrando nella stanza facendo capolino da dietro la porta
«Nfh» grugnì lui da sotto il lenzuolo leggero
«Niisan devi svegliarti, la mamma vuole che vai a fare una commissione per lei»
«Nh» fece ancora in risposta e la porta si richiuse. Rimase lì un po', stava quasi per riaddormentarsi quando un urlo dal piano di sotto lo fece sobbalzare «Acchan! Svegliati!!». Cacciò la testa fuori dalla coperta ed osservò la porta gli occhi ridotti a due fessure carichi di odio «Arrivooo!» urlò di risposta: il potere di una madre. Si mise a sedere controvoglia e si alzò in piedi grattandosi la nuca «Yusuke? Ohi, Yusuke?» lo chiamò a denti stretti mentre si stiracchiava
«Mh? Che c'è?» domandò il ragazzo ricomparendo sulla porta lasciata socchiusa poco prima
«Perchè non puoi andarci tu?»
«Devo andare a scuola, ho gli allenamenti dell'orchestra. A stasera» lo salutò prima di scomparire di nuovo in corridoio. Una volta che si fu ripreso dalla sveglia violenta di sua madre oltrepassò la porta dirigendosi verso il bagno. Mentre si lavava i denti guardava fisso davanti a sé: che lì ci fosse la sua immagine riflessa non sembrava fargli effetto, ancora troppo intontito. Sputò il dentifricio nel lavandino e si sciacquò la bocca, seguita dal viso. Fatto questo tornò in camera e scelse un paio di vestiti dalla valigia. Quando scese al piano inferiore sua madre era in cucina che puliva i piatti della colazione del resto della famiglia. «Buongiorno mamma» salutò con uno sbadiglio
«Acchan, buongiorno. Vieni a salutarmi che sto pulendo e ho le mani piene di schiuma» rise lei attendendo che il figlio venisse a stamparle un bacio sulla guancia «Ti ho lasciato le cose sul tavolo sotto la finestra, dovrebbero essere ancora calde» e infatti sotto la finestra della cucina, sul piccolo tavolino che solitamente usavano come ripiano d'appoggio, stavano le scodelle con la sua colazione ancora leggermente fumante. «Grazie» sorrise sedendosi nell'angolo e prendendo in mano le bacchette per cominciare a sfamarsi «Cosa devo fare?» domandò dopo aver mandato giù il primo boccone di riso
«Io e tuo padre andiamo da amici a cena stasera, volevo portare dei dolci, ma devo pulire ancora la casa se domani arrivano i nonni a trovarci. Quando sei pronto ti spiego dove andare» gli rispose lei
«Mh? Non comprate più i dolci nel solito posto?» chiese lui sorseggiando del brodo di miso
«No, hanno chiuso. Il marito è morto il dicembre scorso» la donna fece una pausa appoggiando un piatto perfettamente sciacquato «Un mese fa la vedova ha riaperto, ma è una bottega più piccola e lavora in proprio senza più alcun contratto con le grandi catene dolciarie»
«Oh, capisco». Finì la sua colazione e andò a recuperare una giacca di jeans e gli occhiali da sole. Quando uscì non potè fare a meno di sorridere allegramente: il cielo era perfettamente sgombro di nuvole ed il sole illuminava ogni cosa donando brillantezza ad ogni colore. L'aria era perfettamente limpida e i rumori che si mischiavano nell'aria erano i tipici rumori di un tranquillo quartiere di Tokyo: i rumori del suo quartiere, quelli della sua infanzia, inconfondibili e familiari come ogni strada e ogni faccia nel vicinato. Gli occhiali da sole erano sul suo naso semplicemente per riparare gli occhi dalla luce e per abitudine forse, non certo perchè la gente intorno a lui non potesse riconoscerlo: sarebbe stato impossibile, lì tutti lo conoscevano da quando era appena nato, alcuni erano stati suoi compagni di scuola o di giochi tra le vie, l'avrebbero riconosciuto anche vestito da clown. Il negozio di dolci non era lontano, ma ci mise tanto ad arrivarci perchè molti in quartiere lo fermavano, gli chiedevano come andassero le cose sul lavoro. Gli amici di famiglia, i commercianti da cui compravano da anni gli mostravano magari qualche articolo ritagliato e conservato con cura. Tutti gli facevano i complimenti e gli auguri: erano diversi da quelli che riceveva sul lavoro, di solito erano parole di circostanza di colleghi, collaboratori o "rivali" nell'ambito, raramente erano sentiti, ed erano anche diversi da quelli dei fan che a volte gli suonavano così impersonali e vuoti, potevano essere indirizzai a lui come a chiunque altro al suo posto. Le parole di quelle persone erano calde di affetto, più o meno forte, di significato, ed erano per lui soltanto: se ci fosse stato qualcun'altro ci sarebbero stati complimenti e auguri forse, ma non come quelli che facevano a lui.
La bottega di dolci artigianali aveva una graziosa scritta dai caratteri sottili in colore rosa antico su sfondo color borgogna. La piccola vetrina era decorata con molta modestia e poco materiale, eppure l'insieme risultava ugualmente elegante e grazioso. Spinse la porta ed un campanello tintinnò avvertendo del suo arrivo. Una signora stava in piedi davanti al bancone in vetro con i dolci in esposizione e un'altra dietro chiacchierava con lei mentre preparava un pacchetto. La loro discussione si interruppe alla sua entrata ed entrambe le donne si girarono verso di lui «Benvenuto» salutò la donna, mentre l'altra cliente gli sorrise semplicemente
«Buongiorno. Cercavo dei dolci» disse in un primo momento, per quanto immaginasse fosse ovvio quel che voleva entrando in una pasticceria tradizionale
«Sicuro, solo un attimo» disse tranquilla quell'altra per poi piegarsi all'indietro e lanciare un'occhiata oltre una porta sulla destra che doveva dare sulla cucina o sul laboratorio «Hanayaka san!!» chiamò ad alta voce
«Siiii?» si sentì rispondere da una vocina oltre quella porta
«Puoi occupartene tu?!»
«Si, arrivo!». Nel frattempo si era avvicinato ai vetri e aveva cominciato a sbirciare i numerosi dolcetti colorati lì esposti senza ascoltare il discorso che le due donne ripresero a fare. «Maestra, la teglia è ancora nel forno, tra una decina di minuti dovrebbero essere tirati fuori»
«Ci penso io allora, grazie. A lei signora» la padrona concluse con l'altra cliente
«Benvenuto, in cosa posso esserti utile?» si sentì chiedere ed alzò lo sguardo dai dolci. Dall'altra parte era spuntata una ragazza, probabilmente della sua stessa età, con i capelli castano chiari raccolti sulla nuca in una crocchia stretta e alcune ciocche libere ad incorniciarle il viso dai tratti morbidi. Indossava una camicia azzurro chiara dalle maniche arrotolate e un grembiule che riprendeva il colori dell'insegna e lo stemma del negozio ricamato in rosa sulla parte destra del petto. Un segno di farina le attraversava la guancia destra ed un paio di occhi castano scuro, luminosi e vivaci, lo osservavano in attesa di una risposta. «Uhm si... ecco, siamo ospiti da amici stasera e volevamo portare qualcosa in dono»
«Sul serio?» domandò stupita lei
«Arrivederci e grazie» salutava intanto la padrona prima di lanciarle un'occhiata di rimprovero «Hanayaka san, limitati al tuo lavoro» le disse
«Si certo, maestra» rispose impacciata «Mi spiace» fece poi rivolta a lui, piegando il capo
«Non importa, non importa» le rispose sorridendo divertito «Suona così strano?»
«Eh? No, insomma...» la commessa attese che la donna entrasse in cucina sparendo dal negozio «Solitamente ai giovani non interessano questo genere di dolci» spiegò infine
«Infatti li vengo a prendere io, ma sono per mia madre» spiegò con sincerità
«Capisco» annuì lei piegandosi sotto il bancone «Per quante persone?» domandò quindi
«Quattro» rispose aggrottando le sopracciglia, temendo per qualche secondo di aver detto qualcosa di sbagliato
«Bene, quattro...» la sentì mormorare per poi tirar fuori una confezione e tornare in piedi davanti a lui «Allora, avevi già in mente cosa prendere?»
«Sinceramente no, non ho avuto istruzioni» scosse il capo, quindi abbassò il capo per guardare i dolci e rialzò gli occhi «Sapresti consigliarmi?»
«Vediamo, hai detto che i tuoi vanno ospiti da amici per cena» riflettè lei guardando a sua volta i dolci «Ci vuole qualcosa di raffinato dato che sono persone adulte riunite a cena. Dev'essere dolce per ammorbidire la serietà di un invito a cena, ma non troppo perchè solitamente le persone di una certa età preferiscono i sapori delicati» spiegò per poi aprire i vetri e chinarsi su un vassoio esposto e tirarlo fuori «Che ne dici di questi monaka*? Sono ancora dei dolci invernali, quelli per la primavera li stiamo preparando giusto oggi e saranno pronti domani, ma l'aria è ancora abbastanza freddina da far sentire poco la nuova stagione. Secondo me andranno benissimo». Li osservò un po', sembravano biscottini semplici, quasi dei wafer «Vuoi assaggiarne uno? I clienti possono farlo» ridacchiò lei
«Tu no?» domandò stupito accettando l'offerta
«Sì che posso, ma devo pagarlo di tasca mia»
«Come dipendente non ti è data la possibilità di fare uno spuntino ogni tanto?»
«No, vedi» spiegò abbassando la voce e piegandosi verso di lui, al di sopra del bancone «La signora deve avere qualche potere speciale. Non so come faccia, ma sa sempre il numero dei dolci esposti»
«Sul serio?» domandò accettando l'assaggio nel frattempo
«Si accogerebbe subito se ne mangiassi uno di nascosto»
«Non te ne fa assaggiare uno dopo che li ha fatti? Tanto per vedere se sono venuti bene» continuò divertito mentre le due cialde del dolce si spezzavano quando le ebbe addentate
«Lei non cucina più ormai, di quello me ne occupo io. Lei al massimo controlla le cotture e si intrattiene con i clienti. Quindi è lei, semmai, ad assaggiare quello che faccio io» scosse il capo riappoggiando il vassoio di dolci dalla sua parte del bancone «Io in ogni caso non assaggio più quello che cucino, so a memoria gli ingredienti e li controllo con cura prima di cominciare a lavorare»
«Un po' come i cuochi dei ristoranti che non assaggiano nemmeno più quel che cucinano?» domandò incuriosito mentre la cialda in bocca sembrava sciogliersi e fondersi con la marmellata di azuki che faceva da ripieno passando inaspettatamente dalla sensazione croccante e leggermente salata del biscotto a quella morbida e dolce dei fagioli. «Esatto, un po' così. E lei è la terribile capochef che non ti fa fare un piatto di pasta per te stesso con gli ingredienti del ristorante, a meno che non li paghi di tasca tua» ridacchiò divertita, seguita da lui subito dopo «Com'è?» domandò quindi vedendo che aveva finito il dolce
«E'... è buono» le disse titubante: lì per lì non sapeva che aggettivo dare a quella sensazione inusuale e piacevole che aveva avuto nel mangiare. «Preferisci sceglierne un altro?» domandò lei tornando seria, subito pronta a pensare ad un'alternativa
«No, no... va bene» si affrettò a dirle
«Sicuro?»
«Si, si... sono sicurissimo. Non mangio spesso dolci quindi non so bene come descriverne il gusto, ma ti assicuro che quel "buono" era... era veramente "buono"». Lei scoppiò a ridere quindi annuì «Va bene, ho capito. Allora ti faccio una confezione con questi?» gli chiese
«Si, grazie» le rispose sorridente. Era come se quella buffa conversazione l'avesse improvvisamente svegliato, come se non avesse realmente aperto gli occhi quella mattina fino a quel momento. La commessa si scusò e scomparì col vassoio nel laboratorio, dicendo che avrebbe preparato il pacchetto.
Rimase da solo nel negozio per qualche secondo finchè non comparve la padrona sulla soglia della porta «Ottima scelta» gli disse
«Scusi?» domandò spiazzato
«I monaka. Sono un'ottima scelta, mio marito li adorava»
«Mh» annuì semplicemente
«Si sente la sua mancanza qui, ma la ragazza è abbastanza utile. E' solo terribilmente maldestra. Dovrebbe vederla quando cucina: precisa e pignola in ogni minima cosa. Non le si può dire nulla quando sta ai fornelli, ma una volta che smette di preparare i dolci ne combina di tutti i colori»
«Maestra, potrebbe evitare con i clienti?» si sentì dire dalla voce sottile della commessa nel laboratorio
«Perchè? E' giovane anche lui e capirà» sospirò la padrona prima che un trillo dalla cucina richiamasse la sua attenzione «Mi occupo io del forno, tu finisci» e lui rimase di nuovo solo, di nuovo per pochi secondi. La ragazza tornò nel negozio con un elegante pacchetto rettangolare, ricoperto di carta viola chiaro, chiuso da un nastro di stoffa viola pastello che fissava due angoli del coperchio in alto e in basso. Un'etichetta lunga, attaccata al centro del pacchetto riportava il nome della pasticceria scritto in una calligrafia elegante, identico in stile e colori all'insegna. «Ecco qui, va bene?» domandò lei porgendoglielo
«Si, suppongo di sì» sinceramente non sapeva dire cosa potesse non andar bene
«Il viola non stona col colore della marmellata ed è come un colore di passaggio dall'inverno alla primavera, mi sembrava adatto» aveva dimenticato quanto ricercato e sofisticato fosse lo stile dei cibi tradizionali, non solo dolci: ormai era abituato a ramen istantanei e serate ad acchiappare piatti al kaiten sushi. «Mi spiace che ancora non ci siano i dolci nuovi» si scusò la commessa mentre gli batteva la scontrino alla cassa
«Non importa, veramente. Questi mi sembrano buonissimi, li mangerei anche in pieno agosto» disse, causando il divertimento della commessa. Rideva in una maniera che forse la veccia padrona non avrebbe mai usato alla sua età: troppo poco contegno, movimenti affatto misurati; eppure non risultava essere una risata volgare o sguaiata. Era una risata di cuore, divertita ed insieme molto femminile. Forse era l'atmosfera ricercata del negozio, ma la commessa pareva esprimere con la sua stessa persona parte di quella semplicità ed eleganza che aveva visto fin dalla vetrina. «Ecco il resto» disse lei porgendogli i soldi
«Tienilo. Sono i soldi giusti per prenderti un dolce che ti va di mangiare» sorrise lui prendendo il pacchetto tra le mani
«Eh? Per me?» domandò quella sgranando gli occhi
«Si, dovrebbero essere giusti, no?»
«Mi hai pagato per lasciarmi il resto esatto per prendere un dolce da sola?» domandò ancora sbalordita
«Magari torno domani per vedere i dolci nuovi» disse evitando di rispondere. Avrebbe anche potuto farlo sul serio, la commessa era proprio carina e il dolce appena mangiato sembrava suggerirgli di farlo.

*I monaka (最中, letteralmente sarebbe "molto nel mezzo", o, più poeticamente, "molto ripieno") sono dei dolci tradizionali giapponesi serviti con il te. Sono costituiti da due sottili e croccanti biscotti di riso, della stessa consistenza della sfoglia di un wafer, con in mezzo della marmellata di fagioli azuki. In altri casi è ripieno di semi di sesamo, nocciole o tortine di riso. In una versione più moderna ci si mette anche il gelato. La forma può essere di qualsiasi tipo. Qualche esempio in foto: uno - due - tre - quattro.




NOTA AL TITOLO: Ame 飴 è la parola giapponese per indicare le semplici caramelle di zucchero giapponesi (tipo queste).
Questa fanfiction, posso dirlo in anticipo, è esclusivamente romantica ed incentrata solo su Aiba.
"Il tuo preferito è Sho e scrivi di Aiba?": sì, arriverà anche quella su Sho, chiaramente, ma dalle poche informazioni che noi fan possiamo avere su Aiba mi sono sempre sentita molto più affine a lui, spesso simile, quindi mi è più facile e immediato pensare a una storia su di lui che non su altri °-°" eheheh (me la prendo comoda XD)
Non sarà una fanfiction "normale", ossia... di solito le fanfiction sono fatte di capitoli che contengono anche più di una scena, che vedono uno svolgersi continuo degli eventi, un dipanarsi di pensieri e sensazioni da parte dei personaggi. Questa fanfiction invece avrà dei capitoli di tipo diverso: ognuno di essi rappresenterà un solo evento, un solo incontro che, come nella vita di tutti noi, può essere più o meno lungo. Alcuni capitoli quindi potranno risultare molto lunghi, altri particolarmente brevi e, soprattutto, sembrerà di saltare un po' da un ramo all'altro dato che nel dettaglio non ci sarà descritto nulla di ciò che avviene tra l'uno e l'altro momento descritto in ogni capitolo.
Sono una sperimentatrice XD Mah... poi magari faccio solo pasticci e scrivo schifezze! Ahahahahahahah!
Spero che chi apprezza Aiba (uuh) ma che anche chi, come me, ha altri preferiti tra gli Arashi, possa trovare piacevole la storia.
ATTENZIONE: Come al solito... se trovate un * vuol dire che c'è una nota a fine capitolo che spiega la/le parola/e

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Capitolo 2
*** むうす Mūsu ***


Due giorni dopo era domenica e il giorno prima, improvvisamente, era scoppiata la primavera in ogni angolo del quartiere: era pieno di fiori sbocciati, i bambini avevano ripreso a giocare nel parco della zona, le ragazze avevano indossato la divisa più leggera e nell'aria si avvertiva quella specie di tensione mista ad eccitazione che accompagna sempre la primavera e la fine dell'anno scolastico, della produzione di un'azienda, un periodo di cambiamenti e novità. Anche per gli Arashi era un momento particolare: le loro personali vacanze primaverili. Non c'era anno che Aiba non le andasse a passare con la famiglia tornando al suo appartamento solo per fare la valigia e tornare nella casa dove tutti lo aspettavano. Adorava quel periodo, lo dedicava all'ozio, ai suoi cari e a qualche uscita con i vecchi amici con cui ancora si sentiva: nient'altro.
Nel pomeriggio uscì a fare una passeggiata in compagnia del fratello, ascoltando tutte le sue novità sull'università «Lo sai che ho trovato la ragazza?»
«Sul serio?»
«Mh! Si chiama Erina, è la direttrice dell'orchestra dell'università»
«Hai capito? Te la intendi col boss sperando che non ti riprenda se non ripassi la parte?» rise Aiba mentre passeggiava per le strade, con le mani affondate nella giacca di jeans
«Niisan! Sono assolutamente leale con lei: durante le attività del club ci comportiamo normalmente per non mettere a disagio gli altri. Solo fuori da scuola mi comporto da fidanzato»
«Ma sentitelo... parli proprio come un uomo!» esclamò arruffandogli i capelli e passandogli il braccio sulle spalle, spingendolo verso di sè mentre camminavano
«Sei tu che mi tratti ancora da fratello minore, niisan» ridacchiò Yusuke passandogli il braccio intorno alla vita, prendendo a camminare in sincrono come due vecchi amici che non si vedono da tempo «Tu piuttosto, quando vuoi deciderti a trovarti una nuova ragazza?» domandò incuriosito «Chissà quante ne avrai a disposizione» sospirò con una punta di invidia
«Yusuke, la quantità non fa la qualità» scosse il capo, atteggiandosi a grande saggio «E poi lo sai bene quanto è impegnata la mia vita: quante donne pensi siano disposte a seguire i miei ritmi? Anzi... a non seguirli dato che il tempo da dedicare ad una famiglia mia sarebbe poco?»
«Mica parlavo di matrimonio!» specificò il fratello arricciando il labbro «Già hai poco tempo per noi. Non ne avresti più se ti sposassi e avessi un figlio tuo»
«Ah! Ti ho capito sai?» esclamò Aiba puntandogli il dito sul naso
«C-cosa?»
«Sei gelooooso!»
«Eeeeh? Non è vero!» esclamò l'altro arrossendo e staccandosi dal fratello per mettersi a camminare ad un metro di distanza da lui
«Sei geloso! Yucchan sei terribilmente carino quando sei geloso del tuo niisan!» diceva l'altro prendendolo in giro e ridendo a più non posso
«Non chiamarmi "Yucchan"! Non sono più un bambino» arricciò il naso quello «E non sono geloso, io lo dicevo per te! Hai già poco tempo e poi.. poi... mamma e papà sentirebbero la tua mancanza più di ora!» ma non c'era verso, il fratello era partito a ridere e avrebbe potuto continuare per i seguenti cinque minuti. Stavolta invece si fermò quasi subito e rimase fermo in mezzo alla strada «Mh? Niisan?» domandò Yusuke girandosi per guardarlo quando lo vide rimanere indietro
«Yusuke, siamo quasi arrivati a casa, diresti alla mamma di preparare una merenda? Io arrivo tra qualche minuto» gli disse rapidamente prima di rimettersi a camminare in tutt'altra direzione «Scusami eh!». Il fratello lo guardò stupito per poi stringersi nelle spalle e annuire. In pochi rapidi passi Aiba raggiunse l'entrata della lavanderia a gettoni e guardò oltre il vetro. Una ragazza dormiva seduta su una sedia, mentre una lavatrice ronzava costantemente facendo il proprio lavoro. La giovane aveva un libro sulle gambe, tenuto aperto dalle mani abbandonate tra le pagine. Era immersa nella luce dl sole pomeridiano e, nonostante questo, sembrava riuscire a dormire senza esserne infastidita. Fece un profondo respiro, come a darsi coraggio, quindi spinse la porta ed entrò facendo il minor rumore possibile. Non l'aveva riconosciuta subito, in un primo momento l'aveva guardata solo perchè gli era sembrata carina, poi però si era reso conto che quel viso gli era familiare, quindi aveva deciso di avvicinarsi. Ora che ce l'aveva davanti aveva capito che era la commessa del negozio di dolci, era stato difficile riconoscerla dato che aveva i capelli sciolti: le scendevano sulle spalle lungo la schiena e le braccia, in morbide onde castane dai riflessi scuri. Il giorno prima, con la crocchia, gli era sembrata più adulta, ma ora sembrava giovane con quei capelli curati tipici delle liceali, dei braccialetti tintinnanti ai polsi, un paio di pinocchietti di jeans e una felpa di Doraemon*. Si accovacciò davanti a lei per sbirciare cosa stesse leggendo: un ricettario, di cosa si stupiva? Lo spavento se lo prese quando la vide improvvisamente sbilanciarsi in avanti, scivolata finalmente in quella fase di sonno profondo in cui il corpo si rilassa completamente e smette di tenersi in equilibrio se non sei sdraiato. Alzò di scatto le mani per afferrarla dalle spalle e bloccarle la caduta, mentre lei apriva di scatto gli occhi, sobbalzando per la perdita d'equilibrio e per l'improvvisa presa di Aiba. Il libro le cadde dalle gambe e lei rimase ad osservarlo per qualche secondo con gli occhi spalancati, mentre alcune ciocche castane scivolavano davanti alle spalle e le dondolavano ai lati del viso, quasi sfiorando quello di lui. Aveva lo stesso profumo che si spande nella cucina dopo aver sfornato una teglia di dolci. «Ecco... tutto bene?» domandò lui lentamente e a bassa voce, erano abbastanza vicini perchè non servisse alzare la voce più del normale. Lei annuì in un primo momento poi si decise a parlare «Si... scusa, mi stavo addormentando» rispose arrossendo lievemente
«Stavi già dormendo, hai solo perso l'equilibrio» le spiegò sorridendo divertito
«Eh? Sul serio?» fece raddrizzando la schiena per non pesare più sulle mani del ragazzo «E' la terza volta che mi succede, va a finire che rovino anche questi vestiti se non sto sveglia» sospirò alzandosi e andando a controllare il lavaggio. Aiba raccolse il libro e tornò in piedi. Lo sbirciò per qualche secondo e vide come alcune ricette fossero piene di appunti presi a matita per correggere i numeri stampati, aggiungere ingredienti, nuovi tempi di cottura o riposo dell'impasto. «Tieni» glielo porse quando la vide ritornare verso la sedia «Ti era caduto. E' così noioso?» domandò divertito
«No, no... è che il sole mi fa sempre addormentare»
«Potresti sederti nella parte all'ombra del negozio» le fece notare indicandole le sedie all'ombra
«Poi ho freddo» ammise nascondendosi il viso dietro al libro «Sembro un po' cretina eh?»
«No, no... ognuno ha le sue stranezze. Io per esempio ogni tanto riprendo a fare qualche pezzo con il sax anche se non dovrei più farlo, e dico sempre a tutti di non fare determinante cose che poi fanno male alla loro salute. Mi contraddico facilmente» le spiegò ridendo di se stesso
«E' vero» annuì lei abbassando il libro «Allora non devo vergognarmi se mi scopri addormentata in lavanderia. Piuttosto» aggiunse subito dopo «Non sei più passato ieri»
«Come?»
«Oh no, scusa... non fraintendere! Sono stata stupida io a pensare di poterti prendere in parola. E' chiaro che ognuno ha le sue cose da fare» si corresse subito dopo lei. Fortunatamente l'imbarazzo venne mitigato dal rumore della lavatrice che aveva finito il ciclo di asciugamento dei panni. «Non credevo ti ricordassi di me» disse poi Aiba, provocando il blocco temporaneo delle attività della ragazza
«Come sarebbe possibile dimenticarsene?» e non aveva tutti i torti: possibile che dopo tutti quegli anni di lavoro con gli Arashi continuasse ancora a considerarsi una persona qualsiasi nella massa? Era chiaro che non era così e che chiunque si sarebbe ricordato che Masaki Aiba era entrato nel suo negozio. Strano che non gli avesse chiesto un autografo, quindi. «Sei stato il primo e unico giovane ad entrare in negozio nelle ultime due settimane, diciamo pure tre» ridacchiò quella cominciando a piegare i panni
«Oh» fece lui semplicemente, colto in contropiede da quella risposta «Non pensavo per quello» disse con un filo di voce, troppo sorpreso per rendersi conto di quel che stava dicendo «Vieni spesso qui a lavare le cose?»
«Ogni tanto. Ancora non ho la lavatrice a casa. Ma... io qui ci metterò un po' se devi andare non c'è problema» gli spiegò indicandogli la pila di vestiti che doveva ripiegare
«Oh beh... non ho molto da fare, posso farti compagnia, se non ti dò fastidio» propose senza pensarci su «Cioè, posso darti una mano se vuoi» tentò di correggere il tiro delle sue parole. La ragazza scosse il capo con un sorriso tranquillo «No grazie, sei gentile ma... preferisco piegarli da me, mi vergognerei un po'» ridacchiò abbassando lo sguardo perdendosi così anche il lieve rossore di Aiba al realizzare la gaffe appena fatta. «Per ringraziarti però puoi prendere uno dei dolci nel sacchetto vicino alla sedia. C'è anche un cucchiaino» gli propose indicandoglielo con il capo. Il ragazzo non si fece pregare oltre e si mise a frugare dove indicato: trovò tantissimi dolcetti morbidi, mousse di vari colori e sapori, ricoperti da una protezione di plastica trasparente ed elegantemente richiusi in confezioni di carta colorata, impreziosite da semplici fiocchi coordinati. «Posso? Sul serio?» domandò prendendone uno e guardandolo alla luce del sole «Sembrano troppo buoni»
«Se una cosa è troppo buona non la mangi?» rise lei
«Eh? No, no, no... ora lo mangio» si affrettò a dire appoggiandosi su una delle lavatrici per cominciare a mangiare «Abiti in zona?» le domandò quindi, per intavolare un discorso
«Si, ma da pochi mesi. Quando ho trovato lavoro nella pasticceria ho preso in affitto un piccolo appartamento vicino al fiume» spiegò mentre continuava a piegare i vestiti
«Nella casa celeste? Quella a due piani?» domandò sorpreso mentre scartava il dolce sollevando la carta che riportava, in caratteri dorati, la scritta "Mūsu" in hiragana invece che in katakana**, dando così alla confezione un'aria più elegante. «Ah, si! Proprio quella! Appena l'ho vista in inverno sembrava malandata e vecchiotta, quindi ho pensato che gli affitti fossero bassi. Lo erano, ma quando è arrivata la primavera gli alberi del giardino sono fioriti tutti e i fiori rosa sono bellissimi vicino all'edificio azzurro per quanto malandato. Il padrone dice di voler ridipingere la facciata entro l'inizio dell'estate, ma non ha abbastanza soldi» Aiba la ascoltava senza dire niente, mentre mangiava la mousse: era incredibilmente morbida, liscia e sapeva di mandarino, ma il sapore era molto delicato, la sua lingua avvertiva leggermente l'aroma del frutto prima che la sua morbida consistenza si sciogliesse in bocca. «Allora qualcuno ha proposto di fare un lavoro tutti insieme» continuava a raccontare lei «Non è una bella idea? Quando andavo all'università mi piaceva pulire il dormitorio insieme agli altri, è un modo per sentirsi parte di un gruppo e migliorare l'armonia con gli altri. Ah però... dato che mi piaceva tanto a volte mi sfruttavano facendomi fare del lavoro in più che non spettava a me fare» ridacchiò «Mi daresti una mano con questo?» gli chiese porgendogli un lenzuolo ampio e difficile da piegare da sola
«Impressionante» osservò Aiba alzandosi dalla sedia vicina alla lavatrice ed avvicinandosi a lei «Parli un sacco»
«Hai ragione! La signora me lo dice sempre che chiacchiero troppo. Ma è l'ultima che può dirmelo dato che lei è una pettegola senza ritegno» spiegò in tono dolce, segno che nonostante tutto quel difetto poteva esserle scusato grazie all'affetto che nutriva per lei «Grazie mille» aggiunse poi quando finirono di piegare il lenzuolo. Mise a posto gli ultimi panni nella sacca di tela, richiudendone la zip, mentre lui finiva il budino e ripiegava la confezione vuota «Mi ha raccontato un sacco di cose: a quanto pare ti conosce da quando eri piccolo»
«Eh? Beh, si... in quartiere ci conosciamo un po' tutti» spiegò, leggermente sgomento, forse spaventato, mentre uscivano dalla lavanderia e prendevano a camminare per la strada «Soprattutto perchè i miei gestivano un ristorante»
«Ah sì, mi ha detto anche questo» annuì lei per poi fermarsi ad un incrocio «Io vado di qui» spiegò accennando alla strada a destra con un cenno del capo «Ci vediamo»
«Mh... ci vediamo» annuì lui guardandola mentre si girava pronta ad avviarsi nella sua direzione. Quando sapeva di lui? Quali cose le aveva raccontato la vecchia pasticciera? «Se ti va, ogni tanto, potrei venire a farti compagnia in negozio. O ti trovi bene tra vecchie signore pettegole?» domandò poi per sdrammatizzare la prima frase che gli era uscita spontaneamente e che era suonata troppo intensa. Lei lo guardò da sopra una spalla «Mh? Sul serio? La signora si arrabbierebbe se tu venissi ogni giorno, ma ogni tanto si può fare» annuì
«Se vuoi ti lascio il mio numero. Quando pensi che sia un momento buono mi mandi una mail*** e se posso ti raggiungo» che cosa stava facendo esattamente? Non riusciva a spiegarselo, ma ad ogni modo la vedeva tanto tranquilla che gli veniva naturale escludere che la ragazza sapesse chi fosse realmente. «Oh si.. ecco» si frugò nelle tasche dei jeans «Va bene, puoi scrivermelo qui» glielo porse perchè vi scrivesse il contatto e rimase in silenzio attendendo che lui glielo riconsegnasse. Osservò quindi lo schermo con il numero salvato e la mail «"Aiba". Ti chiamano tutti così?»
«Si» annuì, leggermente nervoso
«Aiba san, non hai un cognome?» domandò guardandolo in viso
«Puoi chiamarmi solo "Aiba", va benissimo» rispose, eludendo in realtà la vera domanda «Il tuo nome invece?»
«Hanayaka Kokoro»
«Bene quindi...»
«"Hanayaka san", va benissimo» annuì piano lei, piegando il capo, forse sentendosi in colpa**** «Ci sentiamo allora. Ciao ciao!» lo salutò con la mano, rapidamente e si avviò per la propria strada. Rimase a fissarla mentre si allontanava, guardando il lieve ondeggiare dei suoi lunghi capelli lungo la schiena: aveva fatto qualcosa di sbagliato? Si era spinto troppo oltre? Però di farle sapere il suo cognome proprio non se la sentiva e "Aiba san" suonava troppo strano alle sue orecchie che erano abituate a sentire solo "chan" di fianco al suo nome. Quella lieve incomprensione gli lasciò in bocca il lieve retrogusto amaro di un mandarino.

*Doraemon (manga del 1969) in Giappone, al contrario che in Italia, è famosissimo, tanto che nel 2008 è stato nominato "ambasciatore gli anime" nel mondo dal Ministro degli Esteri allo scopo di promuovere la cultura e l'industria dell'animazione all'estero.
**Ci sono due tipi di scrittura sillabica in Giapponese: hiragana e katakana. I segni dei due alfabeti ogni tanto si somigliano, ma la maggior parte sono diversi, in più il primo è realizzato con dei tratti più curvi e morbidi, il secondo è più spigoloso. Per darne un'idea potremmo dire che l'hiragana è il nostro corsivo mentre il katakana è lo stampatello. Quest'ultimo viene usato per le parole di origine straniera come lo è la parola "mousse" (ムース in giapponese), ma dato che la scritta si trova su una confezione di dolci molto raffinata la scritta è messa in hiragana per mantenere l'aspetto tradizionale.
***In Giappone i cellulari sono molto più avanzati che da noi. Non solo fanno chiamate e mandano sms, ma mandano mail, ci guardano la tv, ascoltano la radio, MP3, fanno da chiavi USB e alcuni addirittura sono usati al posto delle tessere magnetiche dei mezzi di trasporto. Gli sms e le mail sono due tipi di messaggi diversi per cui i giapponesi con il loro abbonamento telefonico (non ci sono tessere ricaricabili come da noi) ricevono sia un numero di telefono che una casella mail.
****Aiba si fa chiamare da lei con il nome e senza titolo, il che implica il superamento di certe barriere sociali che tengono distanti due persone, per arrivare a chiamarsi con il solo nome che implia una certa intimità. Kokoro invece non asseconda questa apertura di Aiba e si fa chiamare con il cognome e con il suffisso -san che non indica solo gentilezza verso la persona davanti a sè, ma anche una certa distanza dato che si usa per persone che non si conoscono o a cui si porta rispetto.

EXTRA: per avere un'idea del dolce di questo capitolo QUI

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Capitolo 3
*** たい焼き Taiyaki ***


Kokoro non chiamò nè quel giorno, nè il primo, nè il secondo. Aiba si decise ad uscire dopo pranzo per fare una passeggiata. Si vestì nella maniera meno appariscente, indossò un cappello e inforcò gli occhiali da sole prima di avviarsi verso l'università del fratello: aveva visto la tabella dei suoi orari appesa sul frigorifero e si era deciso ad andare a prenderlo alla fine delle lezioni.
Chiaramente i compagni e le compagne di corso più amici di Yusuke sapevano perfettamente chi fosse suo fratello quindi quando li vide uscire certi lo salutarono rispettosi, mentre alcune persone (fortunatamente poche) si misero in disparte. Erano ragazze che confabulavano tra loro, arrossendo ogni volta che lo fissavano. Si era abituato a queste reazioni dal tempo dei Johnny's Junior, le sue compagne di allora si comportavano così. «Non credevo saresti venuto!» esclamò sorpreso Yusuke
«E invece eccomi qui. Sono un bravo fratellone, vero?» scherzò prima che questi lo presentasse ad alcuni degli amici usciti con lui, quelli che ancora non lo conoscevano. «Molto piacere, sono Masaki Aiba, il fratello di Yusuke. Grazie di prendervi cura di questa testa calda»
«Non hai bisogno di essere così formale» lo guardò lui sconcertato
«Hai ragione, scusa Yucchan!» pronunciò Aiba con voce melensa, segno che lo aveva preso in giro fino a quel momento. Il fratello diventò rosso «Yucchan?» domandò qualche compagno trattenendo a stento le risate
«Quando era piccolo lo chiamavamo sempre così perchè lui chiamava così se stesso!» spiegò Aiba ridendo
«Niisaaaan» piagnucolò quello sentendosi scherzosamente chiamare così dai compagni
«Si chiamava da solo?» domandarono
«Si, si! Andava in giro dicendo "Yucchan ha fame" oppure "Oggi Yucchan non vuole andare all'asilo. Yucchan starà a casa"» spiegava imitando la vocina di un bambino
«Ma perchè sei venuto a prendermi?» sbraitò imbarazzato Yusuke, spintonandolo per allontanarlo dal cancello d'entrata
«A Yucchan piace il natto!» continuava Aiba causando l'ilarità generale dei compagni che, in ogni caso, li seguivano dovendo fare la stessa strada. Si salutarono ad un incrocio vicino alla ferrovia «E' stato un piacere» salutarono alcuni
«Non l'avremmo mai detto, ma tuo fratello è uno simpatico» dissero altri
«E' svitato sul serio, non solo in televisione» e si separarono lasciando soli i due fratelli che presero il treno per tornare verso casa. Per la strada quasi non si parlarono, improvvisamente in silenzio, entrambi fissavano il cielo azzurro intenso, completamente sgombro di nuvole, mentre camminavano distrattamente. «Niisan» si sentì chiamare
«Nh?» domandò senza smettere di stare col naso per aria
«Non ha chiamato eh?» domandò con un sogghigno
«Come lo sai?» domandò sorpreso
«Niisan, sei un libro aperto per me lo sai?» disse quello ridendo per poi avvicinarsi a lui e dargli una gomitata «Quel giorno, quando mi hai detto di tornare a casa, sono rimasto a vedere che combinavi»
«Eeeeh? Davvero?»
«Si, si» rise Yusuke «Non mi sarei mai aspettato di vedere un bacio in diretta» ridacchiò
«Non ci siamo baciati» specificò mettendosi sulla difesa
«Lo so, lo so... se così fosse non saresti in questo stato»
«Quale stato?»
«Sono due giorni che guardi il cellulare come se fosse tutta la tua vita, che la mamma ti chiede qualcosa e la fai in maniera svogliata. Sei insopportabile in questo stato e lei continua a chiedere a me, che non so cosa dire»
«Nostra madre è una esper, l'ho sempre detto» borbottò osservando un uccellino che attraversava il cielo nel suo campo visivo
«No, sei tu che sei scemo. Comunque pensavo che domani è sabato, potremmo andare sul fiume a vedere i ciliegi: sono sbocciati la settimana scorsa e ancora non siamo andati*»
«Oh si, potreste andare» annuì il ragazzo «Però non capisco cosa c'entri con tutto il resto» aggiunse poi, perplesso, abbassando lo sguardo per osservare il fratello
«Non vorrai che andiamo a vederli a mani vuote spero!» sospirò quello «Ci vuole del sake»
«Non puoi ubriacarti davanti ai nostri genitori» gli spiegò lui incrociando le braccia, seriamente
«A parte il fatto che papà si sbronza talmente tanto da ricordare ben poco ogni anno, ma, in ogni caso, dei dolcetti posso mangiarli, o no?» domandò sollevando le sopracciglia «Servono entrambi, voglio portare Erina e presentarla ai nostri genitori e devono essere un po' alticci: potrebbe farmi comodo»
«Sei perfido» lo accusò Aiba, ridendo divertito, seguito a ruota da lui
«Bene, ora vai» lo incità Yusuke
«Eh? Dove?» domandò spiazzato Aiba, fermandosi in mezzo alla strada
«Come dove? Niisan, riprenditi! Va bene lo stordimento amoroso, ma stiamo rasentando l'idiozia!» lo accusò guardandolo con gli occhi spalancati «I dolci!» specificò quindi, vedendo che il fratello continuava a non capire «Valli a prendere, è un'ottima scusa» scosse il capo e gli indicò il negozio, dall'altra parte della strada. Aiba non aveva fatto caso alla strada e si era fatto guidare da lui che l'aveva portato fino a lì «Ci vediamo a casa» lo saluto Yusuke
«Eh? Cos... come? Un attimo! Mi lasci da solo?» domandò allarmato, osservando alternativamente la sua schiena mentre si allontanava e la vetrina decorata di celeste e verde pastello. «Questa è la mia vendetta per prima!» esclamò Yusuke che continuò semplicemente ad andare dritto per la sua strada.
Si ritrovò da solo sul marciapiede dalla parte opposta al negozio e lo osservava come se fosse il cancello dell'inferno: perchè doveva emozionarsi a quel modo? Non era un comportamento da uomo, nè da adulto, se ne rendeva perfettamente conto: solo un ragazzino delle medie avrebbe reagito così dopo aver trovato il coraggio di chiedere il numero alla più carina della scuola, ma non riusciva nemmeno ad autoimporsi di ritrovare la calma e la decenza. Era carina. Per lui lo era. Quando aveva parlato con lei si era sempre sentito bene, pensare di parlarle di nuovo gli faceva provare un'eccitazione che solo un bambino avrebbe avuto davanti all'aspettativa di star per mangiare la sua caramella preferita. Deglutì e prese un profondo respiro prima di avviarsi verso il negozio: non poteva fare così per una che conosceva appena!
Sentì tintinnare il campanello quando aprì la porta ma, nonostante quell'avvertimento, azzardò un "buongiorno" a mezza voce non vedendo nessuno nel locale. Dalla porta comparve la padrona del negozio «Ah! Masaki san, buongiorno!» salutò quella cordiale, raggiungendo il centro del bancone a piccoli passi «Ti ha mandato di nuovo tua madre?» domandò
«Mh? No. No, no» negò, riprendendosi solo dopo qualche secondo dalla delusione ricevuta nel non trovare Kokoro «Volevo farle una sorpresa portandole qualcosa da mangiare per l'hanami. Dovrebbero andare domenica»
«Oh, che quel pensiero! Di solito cosa mangiate all'hanami?»
«Io... sinceramente non lo so» spiegò imbarazzandosi e abbassando lo sguardo sulla vetrinetta del bancone. Molti dolci erano decorati proprio a tema «Come? Non lo sai?»
«Soffro di una forte allergia, quindi la primavera non è esattamente la mia stagione e l'hanami, se posso evitarlo è meglio. E' una tortura per me» spiegò piegando il capo: lui l'hanami preferiva farlo da lontano, come sempre. «Eeeh? Capisco... quindi solo per la tua famiglia eh?»
«Mi scusi» azzardò scrutando di sottecchi l'anziana padrona «Hanayaka san non lavora oggi?»
«Hanayaka san? Si, si» annuì quella con un sorriso «E' solo in pausa, è venuto a trovarla un amico e stanno chiacchierando nel cortile sul retro. Volevi farti consigliare da lei?» insinuò maliziosa la signora
«Come? No, no, no! mi fido dei suoi gusti, lei ha sicuramente molta più esperienza!» disse rapidamente Aiba, gesticolando freneticamente, assalito dal timore di aver offeso quella che era, in realtà, la vera veterana in campo di dolci tradizionali. In quel momento il campanellino della porta tintinnò di nuovo ed entrò una signora «Benvenuta!» salutò la padrona «Facciamo così, pensaci un po' e scegli con calma mentre aspetti. Io mi occupo della cliente, va bene?» domandò al ragazzo facendogli l'occhiolino. Lui fece un sorriso forzato, cercando di superare l'imbarazzo, quindi si mise ad osservare i dolci senza realmente farci caso.
Dovette attendere solo cinque minuti prima che sentisse aprirsi una porta. Alzò lo sguardo per sbirciare verso la cucina e cercare la figura della ragazza che era rientrata. «Hanayaka san, hai finito? C'è del lavoro qui, puoi sbrigarti?» domandò seriamente la padrona mentre finiva di legare il pacchetto dell'altra cliente
«Si» rispose quella. La voce suonò sottile e debole, forse leggermente tremolante. Aiba potè intravedere ben poco dato che la porta era per metà coperta da dei noren** perfettamente intonati al negozio. Gli fu possibile intuire la sagoma della donna in controluce quando passò davanti alla finestra: si stava risistemando i capelli prima di comparire in negozio. Quasi non la riconobbe. Era pallida come un fantasma, alcuni capelli erano ancora fuori posto e non aveva alcun sorriso sulle labbra. «Buongiorno» la salutò sperando di vedere in lei un cambiamento mentre gli rispondeva, ma così non fu
«Masaki san, buongiorno» salutò lei, seriamente, facendo un inchino rispettoso «Mi spiace di averti fatto aspettare. Dimmi tutto» gli disse avvicinandosi al bancone e tenendo lo sguardo basso sui dolci
«Cercavo dei dolci per l'hanami» spiegò brevemente, non riusciva a riprendersi da quella visione strana. Quando la vide piegarsi sulla vetrina e allungarsi per recuperare un vassoio notò un segno scuro sul suo avambraccio. «Ti sei fatta male?» domandò a mezza voce
«Non è nulla, sono spesso poco attenta a quello che faccio fuori dalla cucina» spiegò con un tono di voce che certamente non era scortese, ma che alle sue orecchie suonava distante «Vanno bene dei Taiyaki***? Berrete del sake immagino»
«Eh? Si, credo di sì. Non è che vada pazzo per la birra io» specificò nel timido -e vano- tentativo di intavolare una discussione più articolata
«Vanno benissimo con il sake, sono con il ripieno di azuki. Quanti ne vuoi?» continuò lei
«Otto. Vanno bene otto» le rispose. Lei non aggiunse altro e fece il pacchetto con movimenti precisi, quasi meccanici: venne impeccabile. Glielo consegnò e battè alla cassa il totale «Uhm... stavo pensando...» tentò nuovamente lui «Dato che vivi da sola, vuoi venire con noi a vedere i ciliegi domenica?» probabilmente stava osando troppo con una ragazza che conosceva appena, ma improvvisamente sentiva urgenza di colmare la distanza che quell'atmosfera raggelante aveva aumentato. Si sentiva a disagio perchè in un certo senso aveva davanti una Kokoro diversa da quella che aveva cominciato a conoscere nei giorni precedenti e così sembrava che quel poco che sapeva fosse stato improvvisamente cancellato. «Ti ringrazio, ma ho da fare» rispose lei lasciandogli lo scontrino «Grazie mille»
«Sei sicura? Per noi non c'è problema se si aggiunge una persona in più anche mio fratello ha invitato un'altra persona» evitò di dire che era la fidanzata, prima che lei fraintendesse «E a me farebbe piacere averti con noi»
«Ho un impegno che proprio non posso cancellare» disse ancora lei, chinando il capo in segno di scusa
«Non vuoi mangiare uno dei tuoi dolci senza doverlo pagare?» ridacchiò Aiba
«Masaki san, penso di aver già risposto al tuo invito» disse quella, alzando finalmente gli occhi su di lui «Se non c'è altro ho delle teglie in forno che devo seguire». Non ebbe la forza di replicare a quelle parole raggelanti. Si inchinarono l'uno all'altra quindi ognuno andò nella sua direzione: una la cucina, l'altro la strada di casa.
Cos'era quell'atteggiamento freddo da parte sua? Che modo di comportarsi era? Aveva voluto essere gentile con lei sapendola sola e quello era il trattamento che gli riservava? Arrabbiato e frustrato decise di mangiarsi un taiyaki, anche se non l'aveva comprato per sè, sperando che lo avrebbe tirato su di morale. Era buono, indubbiamente, ma non trovò niente di speciale nel sapore della testa del piccolo dolce-pesce, nè nella marmellata di azuki. Solo scoprì che il ripieno arrivava fino alla coda, cosa rara, e in quel particolare sentì di aver ritrovato un po' di quel tocco speciale che vedeva in Kokoro, ma fu inutile: la frustrazione non se ne andava e il sapore del dolce si guastava. Perchè aveva comprato dei Taiyaki per un hanami? Taiyaki? Non erano per niente adatti!

*Questa pratica è chiamata "hanami" (花見 letteralmente "guardare i fiori"). E' tradizione, in Giappone, recarsi con gli amici, con la famiglia o con i colleghi di lavoro, ad ammirare gli alberi di ciliegio in fiore nel periodo della fioritura (più o meno ad Aprile, contando che il Giappone è un isola molto lunga e che la fioritura a nord arriva molto più tardi rispetto al sud). mentre si ammirano i fiori si beve e si mangia, oltre a chiacchierare, ovvio.
**I noren sono delle tende verticali giapponesi messe alle porte. Esistono di diverse lunghezze e sono usate anche nei locali oltre che in casa.
***I Taiyaki sono un dolce molto famoso in Giappone. Solitamente è a forma di pesce, ripieno di pasta di azuki, ma anche di cioccolata, crema o formaggio. Esistono anche varianti salate (una foto QUI)


Mi piace questo capitolo... comincia ad emergere un lato di Aiba che mi son immaginata io stando ad un po' di notizie su di lui... ma che credo anche sia verosimile XD
So che mi remerò un po' contro, ma credo sia giusto avvisare se c'è qualcuno che legge questa ff: tra 15 giorni parto per Tokyo. Ho dietro il pc e cercherò di capire se la famiglia lì mi lascerà connettere perchè devo usare Skype per sentire la mia famiglia, quindi dovrei riuscire a postare. Il punto è SE riuscirò ad avere tempo per scrivere. Vedrò di preparare in questi ultimi giorni (insieme all'ultimo esame universitario di quest'anno) un po' di capitoli da postare qui e là nel mese di luglio, così non vi abbandono, ma... ecco... torno il 31 Luglio e l'1 riparto per il mare dove sto fino al 31 Agosto. Lì si che temo di non aver connessione. Ma scriverò, quindi al mio ritorno avrete aggiornamenti.
Tutto questo per tranquillizzarvi che, se dovesse succedere che invece non mi vedete aggiornare per Luglio e Agosto, sapete che questa ff non è incompleta, sono io che non ci sono e continuerò al ritorno!

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Capitolo 4
*** 茶アイスクリーム Gelato al te verde ***


「Sei libero dopo pranzo? Io inforno un paio di teglie alle tre: ti va un gelato per quell'ora?」
Ricevette quel messaggio dal nulla. Dopo due giorni che non si sentivano, nè si vedevano. Aiba era rimasto profondamente contrariato dal comportamento di Kokoro e una parte di lui aveva già deciso di dimenticarsela: che cosa gli importava a lui di una squinzia qualsiasi? Era proprio vero: lui poteva averne quante e quando voleva, senza dover stare a preoccuparsi degli sghiribizzi di una donna lunatica come quella.
Aiba era un campione nel mentire a se stesso: non solo appena aveva letto il suo messaggio, oltre a diventare improvvisamente di umore ottimo, si era subito messo a pensare a cosa dirle per non cadere in silenzi imbarazzanti, ma, completamente dimentico dei pensieri ostili avuti per lei in quei giorni, era arrivato ad accettare con se stesso che effettivamente ci stava provando con lei.
Non era tipo da farsi troppi problemi di vestiario, ma tutto sommato aveva deciso ufficialmente di conquistarla quindi poteva permettersi un po' di attenzione alla questione. Dopo quindici minuti passati davanti all'armadio a fissarlo ne passò altri quindici a fissarlo comodamente seduto sul letto: improvvisamente gli sembrava di non avere abbastanza vestiti. Alla fine rinunciò ad impegnarsi e indossò jeans e maglietta. Mise nel portafoglio qualche yen, sufficiente per il gelato e qualche altro eventuale snack, si diede una rassettata allo specchio e scese per mettersi le scarpe. «Acchan!» lo chiamò la madre rimanendo seduta sul divano del salotto
«Sei tu?»
«Si, sto uscendo» le disse mentre allacciava le scarpe
«Ah ecco! Credevo mi avessi detto che dovevi uscire alle tre» sospirò quella
«Mh? Infatti, cioè, alle tre devo essere in un posto» si giustificò
«Oh! Allora devi sbrigarti, sono le tre e cinque adesso»
«Eeeeh? Esco!!» esclamò sgranando gli occhi e lanciandosi fuori di casa di corsa
«Fai attenzione!» fece in tempo a urlargli sua madre in risposta, prima che la porta si chiudesse, e dopo di lei il cancelletto.
Kokoro lo aspettava fuori dal negozio giocherellando con il bordo del grembiule, parte della divisa del negozio. «Eccomi! Eccomi!» esclamò Aiba quando ebbe girato l'angolo, anche se ancora erano distanti. Per quei ultimi metri fece uno sprint finale e accelerò il passo della propria corsa. Arrivò fino a lei frenando appena in tempo, la vide mettere le mani avanti per fermarlo «Scu.. sa... scus... scusa» farfugliò
«Masaki san! Non c'era bisogno che corressi...» disse lei con un filo di voce guardandolo incredula
«Ma non... non volevo far tardi io... scusami» disse che si era quasi del tutto ripreso dalla corsa
«Non importa, non importa» scosse il capo lei «Però ti ringrazio» sorrise abbassando lo sguardo prima di tornare a guardarlo e trattenere a stento le risa
«C... cosa?» domandò lui osservandola spiazzato
«Devi aver corso veramente tanto, sei tutto spettinato» ridacchiò lei indicandogli la testa. Ebbe appena il tempo di vedersi riflesso nella vetrina del negozio: era vero, sembrava aver appena fatto un lancio col paracadute dall'aereo, inoltre era sudatissimo dato che le giornate avevano cominciato a farsi veramente calde. «Ah... io... accidenti» farfugliò: addio ai suoi tentativi di seduzione, se così si potevano chiamare. «Lascia stare, vieni con me. Avrai caldo adesso» accennò lei facendo segno di seguirla. Invece di entrare nel negozio fecero il giro dell'edificio ed entrarono da un cancello di ferro, unico spiraglio in una breve cancellata ricoperta da un'alta e folta siepe dalle foglie scure. Oltre di essa si trovava un piccolo cortile che era il retro del basso edificio tradizionale dove stava il negozio. C'era un tavolo e delle sedie in ferro dipinte di bianco, sotto un glicine completamente sbocciato. «Mah... non sapevo ci fosse un posto simile» balbettò sorpreso, sembrava l'angolo perfetto per un quadro del seicento europeo
«Una piccola porzione del piano terra e tutto il piano di sopra è casa della padrona, questo è il suo giardino. Nell'ultimo anno dice di essere invecchiata troppo per cucinare come faceva prima così si è data al giardinaggio» spiegò Kokoro avvicinandosi ad un lavandino in pietra che sbucava da una parete in cemento, decisamente poco tradizionale e che stonava con il resto dell'edificio, ma si trovava vicino al glicine che con le sue fronde lo nascondeva parzialmente. Aprì il rubinetto e passò le mani sotto l'acqua fredda prima di voltarsi verso di lui e alzare in alto le braccia «Ah! Sei troppo alto» arricciò il labbro interiore
«Scu-scusa» perchè balbettava come un cretino da quando l'aveva vista? Si abbassò lievemente e la vide avvicinare le mani al suo viso. La sentì passargli le mani bagnate tra i capelli, riavviando le ciocche disordinate con le lunga dita affusolate che passavano tra di essi. Sarebbe quasi stata una scena da manga per ragazze se non fosse che lei rideva divertita continuando a parlargli del giardino e dei lavori della signora aiutata dal giardiniere: era veramente chiacchierona. Da alcuni suoi movimenti, con i quali gli si avvicinava di più, potè avvertire se l'odore di biscotti che si portava dietro c'era ancora. Cinque minuti dopo era seduto su una di quelle strane sedie osservando i fiori del glicine. Il profumo dell'albero e i raggi filtrati dai suoi rami sembravano quasi invitarlo ad addormentarsi lì, in quell'istante, ma si fece forza e tenne gli occhi ben aperti. Dopo pochi minuti Kokoro tornò dalla cucina con un asciugamano sul braccio e due coppe di vetro riempite di qualcosa di verde. «Ti ho portato questo per asciugarti» si era sciacquato al lavandino del giardino mentre lei era via, così si era ripreso dalla fatica della corsa «Ed ecco il gelato promesso!»
«Eh?» domandò lui asciugandosi il viso ed osservando le coppe da dietro il panno «Credevo andassimo a comprarlo...» disse sorpreso
«Avresti preferito? E' che ho trovato questa vecchia gelatiera qualche giorno fa e ho voluto provare a vedere come funzionava. Non ho mai fatto gelati in vita mia, ma se ci riesco potrei proporli in negozio» spiegò affondando il cucchiaino nel suo gelato «Ah! Però servirebbe modificare il bancone per tenere in freddo del gelato... accidenti non ci avevo pensato. Non ti piacciono i gelati artigianali?» domandò quindi allungando la mano per portare via il tutto
«No! No, no, no!!» negò con vigore «Va benissimo, sono solo sorpreso. Non me l'aspettavo... di fare da cavia intendo» specificò ridacchiando e prendendo il suo cucchiaino dopo aver messo da parte l'asciugamano
«Messa così sembra che preparo cose velenose» si finse offesa lei
«Beh, ma è la prima volta che lo fai... chissà cosa ci hai mes...» si bloccò dopo aver preso il primo assaggio. Il cucchiaino gli ricadde nella coppetta, fragorosamente, e spalancò gli occhi serrando le labbra. «Cosa?» domandò lei atterrita «Cosa? Masaki san?!» la sentì richiamarlo ad alta voce «Ohddio Masaki san, cos'è successo?». Quando la vide addirittura alzarsi dalla sedia, tutta agitata, non riuscì più a fingersi serio e scoppiò a ridere piegandosi sul tavolo, nascondendo la faccia tra le braccia incrociate. «Maledetto! Ma che scherzo del cavolo!» sbottò lei spintonandolo con una mano e tornando al suo posto «Che odioso, davvero...»
«Ahahahah! Non potevo non farlo! Scusa, ma era perfetto!» spiegò lui cercando di frenare le risate «E ti sei spaventata in maniera perfetta! "ohmmioddio! Masaki san"! Ahahah! Magnifico!»
«Ehi! Non strillo a quel modo!» ribattè quella «Ma guarda... la prossima volta ti metto del gelato al wasabi»
«Accidenti» fece lui serio «Riusciresti a fregarmi perfettamente. Il te verde e il wasabi hanno praticamente lo stesso colore». Per qualche minuto, poi, rimasero in perfetto silenzio, mangiando il gelato. «Ecco... Masaki san» accennò lei dopo un po'
«Nh? Cosa?» domandò rialzando lo sguardo dal cibo
«So che non ci conosciamo da tanto, ma posso chiederti una favore?» domandò a testa bassa
«Certo» annuì, improvvisamente curioso di sapere cosa volesse da lui
«Ecco... domani e dopodomani ho chiesto due giorni liberi» spiegò lei lentamente «Ti avevo detto che il proprietario della casa dove abito voleva sistemarla un po', no? Volevamo ridipingere le mura in questi due giorni, ma non siamo tanti giovani, nè tanti sono gli uomini che possono aiutare, quindi mi è stato chiesto se conoscevo qualcuno che potesse unirsi» spiegò imbarazzata, senza guardarlo in viso «E.. ho pensato a te, ma capisco che probabilmente sei impegnato e...»
«Hai pensato a me?» gli scappò di chiedere
«Uh... si» annuì
«Hanayaka san!» chiamarono dal negozio «Il forno ha uno strano odore e c'è gente in negozio!» era la padrona
«Mmmmh... accidenti!» esclamò lei alzandosi dalla sedia rapidamente «Finisci pure il tuo gelato senza problemi. Mi spiace, speravo di poter fare una pausa decente e invece... non aspettarmi, potrebbe volerci molto. Scusami!» esclamò lei inchinandosi mentre si allontanava per rientrare
«No, figurati... quando ho finito cosa faccio?»
«Lascia tutto qui, rimetto io a posto. Scusami tantissimo!!» unì le mani tra loro fermandosi sulla soglia della porta
«No, no... Hanayaka san: il gelato è buono, grazie. Ci vediamo domani, mandami un messaggio per farmi sapere quando venire» le disse con un sorriso, segno che aveva accettato di aiutarla. La giovane si inchinò profondamente e annuì prima di scomparire all'interno. Rimase da solo nel cortile e si decise a finire rapidamente la sua merenda: non aveva senso starsene lì da solo. Certo era stato un incontro rapidissimo, ma quell'improvvisa richiesta d'aiuto era un'occasione irripetibile. Avrebbe preferito riposarsi, in realtà, ma non poteva buttare così la possibilità di stare per molte ore con Kokoro: era deciso, avrebbe fatto l'imbianchino, del resto in quei casi di fatica lui poteva anche mostrare il fisico senza vergognarsi!

Io immagino che sappiate com'è il gelato al te verde, ma non si sa mai XD QUI


Si sta rivelando difficile questa ff... non per altro ma... sto raccontando il tutto dal punto di vista di Aiba, quindi un punto di vista maschile che io posso solo immaginare. E, giratela come volete, gli uomini sono solitamente meno romantici di noi donne, quindi spesso devo frenarmi o cancellare quello che ho scritto perchè è decisamente troppo femminile.
Ad ogni modo... paf... ero già pronta a tutto questo, però è sempre un po' scoraggiante quando non si riceve nessun feedback da parte dei lettori. Amen, lo sapevo già, lo sapevo già >_<
Andrò avanti lo stesso, scrivo perchè mi piace la ff, non in funzione dei lettori. E poi Aiba chan è.. è Aiba chan *-* Patatosooooo!
Se lo merita, si u.u (straparlo)

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Capitolo 5
*** 麦茶 Mugicha ***


La casa celeste era abbastanza famosa nel quartiere. Era un edificio con vari appartamenti tutti affittati da una grossa casa immobiliare che aveva lasciato tutto in gestione ad un vecchio che, da che Aiba ricordasse, aveva sempre vissuto lì. Già quando era piccolo e andava sul fiume a giocare con gli amici il vecchio era un uomo attempato che aveva sempre vegliato sui loro giochi, d'estate forniva sempre gli attrezzi per la cattura delle cicale e offriva gelati buonissimi direttamente dal suo frigorifero casalingo. Per avere un appartamento nell'edificio non bisognava contattare la casa immobiliare, ma lui, e avevi il posto se ti voleva o meno nel suo condominio. Era tutto molto strano da quelle parti, ogni quartiere probabilmente aveva la sua storia e le sue particolarità, il suo aveva quella e tante altre stranezze.
Quel giorno, dopo tanti anni, avrebbe rivisto quella casa, ricordo della sua infanzia: non passava quasi mai da quelle parti. Era mattina inoltrata e da dietro il muro che circondava la casa sentiva vociare. Quando arrivò al cancello d'entrata infatti vide che lo spiazzo del giardino davanti alla casa era invaso da persone. Gli inquilini più anziani erano seduti ad alcuni tavoli all'ombra degli alberi fioriti, i bambini correvano avanti e indietro, mentre le mamme li riprendevano e chiacchieravano a gruppetti. Gli uomini più giovani erano tutti sulle basse e modeste impalcature montate apposta per il lavoro straordinario di quel giorno. «C'è qualcuno al cancello! Mamma! C'è qualcuno!» strillò uno dei bambini indicando Aiba che si era fermato all'entrata (che era comunque aperta) per guardarsi prima intorno. «Buongiorno!» esclamò una signora dando la mano al bambino e avvicinandosi, poi seguita da qualche giovane amica «Possiamo aiutarti?» domandò con un sorriso
«Oh ma che bel ragazzo» rise una delle giovani donne squadrando Aiba con le altre
«Sicuro! Perchè non ce ne sono di così attraenti da noi?» spettegolarono tra di loro
«Ah! Sei il figlio degli Aiba, vero?» domandò una donna che era da poco uscita dalla casa con un vassoio di bicchieri pieni, doveva avere la stessa età di sua madre
«Ah si, sono io» si inchinò leggermente
«Tua madre mi aveva detto che eri tornato a casa in questi giorni. Non mi riconosci? Sono la madre di Hiro kun» gli disse con un sorriso che accennò le piccole rughe a lato della bocca
«Tachibana san? Proprio non l'ho riconosciuta» spalancò gli occhi lui squadrandola: era la madre di un suo amico d'infanzia e la ricordava come una signora energica, magra e sempre indaffarata. Gli anziani continuavano a chiamarla e le giovani madri insistevano chiedendole se conoscesse davvero il bel ragazzo al cancello. «Sono passati parecchi anni, è normale» annuì dando risposte distratte un po' a tutti prima di avviarsi verso di lui «Come mai da queste parti?»
«Un'amica mi ha detto che imbiancavate la casa e mi ha chiesto di dare una mano, se fossi stato libero» le spiegò oltrepassando il cancello ora che parlava con una persona conosciuta
«Ah, sei l'amico di cui Hanayaka san continuava a parlare?» ridacchiò divertita la signora «Vieni allora, vieni... ti porto da lei!» sembrava divertita dopo aver saputo che lui e la pasticciera si conoscevano. La seguì fino alle impalcature intorno alle quali i bambini avevano preso a correre facendo lo slalom tra i pali che le tenevano in piedi. «Ragazzi, lontani da qui! E' pericoloso!» esclamò Tachibana san prima di rivolgere lo sguardo verso l'alto e cacciare un urlo «Ohi! Lassù!»
«Siiii?» domandò una voce profonda prima che dall'alto comparisse un viso maschile di un uomo maturo «Che succede?»
«Hanayaka san è lì? E' arrivato qualcuno per lei!» spiegò la signora e dopo qualche minuto, dopo un vociare su per le impalcature a due piani e rumore di passi sul metallo delle piattaforme, comparve il viso rotondo della ragazza. «Eccomi!!» urlò con un pennello in mano intinto nella pittura color indaco «Ah! Aiba san! Sei venuto sul serio?»
«Così pare!» urlò lui in risposta. Lei disse qualcosa a qualcuno alle sue spalle che lui, da sotto, non vedeva, quindi camminò per le impalcature e scese le scalette fino a toccare terra. «Grazie per essere venuto» gli disse con un sorriso ampio: sembrava raggiante, quasi più del sole che brillava quel giorno. Indossava una maglietta bianca, corta e stretta sul petto e una salopette di jeans corti, un po' troppo larga per lei. Aveva qualche macchia di tempera sparsa sui vestiti, sulle braccia e sulle gambe. «Sei stata scortese a chiedergli una mano per una cosa che non lo riguarda» la rimproverò Tachibana san «Eh? Ma... pensavo che i nostri uomini avessero bisogno di una mano»
«Non siamo mica vecchi!» esclamarono dai piani alti, ridendo
«Ma nemmeno tanto giovani» borbottò lei incrociando le braccia e sporcandosi il lato della maglietta con il pennello che ancora teneva in mano
«Hanayaka san è premurosa con tutti noi» sospirò la signora «Macchè premurosa!» disse uno sorgendosi. Non era un uomo, era un ragazzino che avrà avuto dodici o tredici anni: troppo grande per giocare con gli altri del condominio e abbastanza grande per aiutare. «Era tutta una scusa per portare il fidanzato con sè» la sbeffeggiò
«Makoto, ti picchio se non la smetti con queste insinuazioni!» lo minacciò lei, diventando paonazza. Aiba rise divertito a quello scambio di battute: sembrava di sentire i discorsi della sua famiglia, solo che allargati a più persone. «Non importa, non importa» la rassicurò lui «Non mi offendo e non sono affermazioni pericolose finchè siamo in questa situazione» spiegò, subito pentendosi: una parte di sè ancora si illudeva di poter tenere nascosta la sua fama a quella ragazza ed era convinta che lei probabilmente ancora non ne sapesse nulla. Kokoro subito si zittì e abbassò lo sguardo «Beh... Aiba chan è un ragazzo previdente» intervenne Tachibana san «Vestito apposta per la tinteggiatura celeste dell'edificio» concluse indicando la mise del ragazzo, consistente in un paio di jeans fino al ginocchio e una maglietta grigia, un po' stropicciata. «Così posso anche rotolarmi nella pittura!» esclamò lui fingendo di rimboccarsi le maniche che quella maglietta non aveva «Mi fai strada, Hanayaka san? Così comincio ad aiutarvi» fece, vedendola ancora muta, forse ancora preda dell'imbarazzo per le parole del ragazzino
«Mh» annuì e sciolse l'incrocio delle braccia avviandosi su per le impalcature.
Le ore che li separavano dal pranzo le passarono lavorando sotto il sole, seduti tutti in cima alle impalcature, con i piedi a penzoloni nel vuoto mentre imbiancavano con pazienza o camminando avanti e indietro con i rulli. Chiacchierando con gli uomini lì in cima (alcuni, come lui, non abitavano lì, ma erano venuti a dare una mano: qualcuno era del vicinato, altri erano amici di inquilini) scoprì la situazione dello stabile. C'erano nove famiglie, per i nove appartamenti dello stabile: uno era occupato da Kokoro che era sola, due appartamenti erano occupati da due coppie anziane, cinque da altrettante famiglie di cui quattro avevano figli e la quinta era in attesa del primo figlio, infatti la futura madre era seduta al fresco con gli anziani. Il nono e ultimo appartamento era vuoto per il momento. «Come mai?» domandò mentre si fermava qualche secondo a bere un sorso d'acqua e chiacchierare con Fumi san, dell'appartamento 06. «Non sappiamo molto, il padrone di casa non ho voluto darci alcun dettaglio. Corre voce che il ragazzo avesse dato fastidio a qualcuno del vicinato e che le proteste fossero arrivate al padrone che lo ha allontanato per evitare guai. Non sappiamo quanto siano vere queste voci» scosse i capo l'uomo riprendendo in mano il rullo «A me è sempre sembrato un ragazzo a posto e ci sarebbe stato utile in questa situazione... che furbastro! Magari se n'è andato di sua volontà per sfuggire al lavoro!» ridacchiò
«Fumi sensei! Hanno bisogno di una mano sul retro, può andare lei?» chiesero altri lavoratori, Fumi san era un professore universitario
«Sicuro! Aiba kun vieni con me?» propose energico, ed entrambi si avviarono con i rulli, camminando lungo le impalcature.
Camminando incrociarono Kokoro che trottava rapidamente trasportando tre secchi ancora chiusi, pieni di pittura. «Hai bisogno di una mano Hanayaka san?» domandò il professore, vedendola carica di quel peso, probabilmente eccessivo per una ragazza sottile come lei «No, no! Ce la faccio! Stanno finendo il colore davanti e gli sto portando i nuovi secchi» rispose scuotendo il capo e sorridendo ad entrambi, tirando dritto nella sua direzione. Aiba la osservò passar loro accanto nello spazio stretto dell'impalcatura e la sbirciò ancora quando li sorpassò, gli fu impossibile resistere all'impulso di guardarle le gambe, scoperte grazie ai pantaloncini corti. «Occhio a non farti beccare da Makoto» ridacchiò l'uomo accanto a lui
«Mh? In che senso?» domandò lui tornando a guardare davanti a sè
«Non lo ammetterebbe mai, ma è chiaro a tutti che il ragazzino si è preso una cotta per la nostra Hanayaka san» «Eh? Davvero?» domandò sorpreso lui, sgranando gli occhi «Ma avranno almeno dieci anni di differenza» riflettè
«Che c'entra? Capita che si rimanga folgorati da una bella ragazza, anche se più grande di noi. Non so quanti anni abbia Hanayaka san di preciso, ma sicuramente ha ben più di dieci anni rispetto a Makoto. Ormai ha smesso di studiare da un pezzo e lavora a tempo pieno da qualche anno» spiegò Fumi sensei «Ad ogni modo se lui ti vede è capace di minacciarti di cavarti gli occhi. La tratta male, ma in realtà è gelosissimo di lei... aaah i giovani!» sospirò questi
«Non dica così, lei mica è vecchio!» rise Masaki: il professore era il papà del bimbo in arrivo, quindi sicuramente non aveva più di quaranta anni; «Comunque Makoto non deve preoccuparsi» disse intingendo il rullo nella pittura e ascoltando le brevi istruzioni di uno degli uomini che dipingeva lì dietro.
«Si? Non ne ero così sicuro dopo aver visto il tuo sguardo» si strinse nelle spalle l'altro
«No, no, si sbaglia!» scosse il capo il ragazzo «Se anche fosse, io e Hanayaka san facciamo vite troppo diverse»
«Ah... è così eh? Capisco» fece l'uomo, concentrato sul suo lavoro con lo sguardo «Si, probabilmente sì. Sono poche le persone che fanno la tua stessa vita del resto. Ma sai... a volte ci si trova più a proprio agio con chi fa qualcosa di totalmente opposto rispetto a noi: se io e mia moglie fossimo simili mi annoierei a morte»
«Di cosa si occupa?»
«E' un'organizzatrice d'eventi per il ministero dei Beni Culturali. Viaggia spesso per curare esibizioni, eventi e spettacoli che promuovano il giappone e la nostra cultura all'estero» spiegò con orgoglio
«Eeeeh? Davvero? Proprio diversa!»
«Vero?» rise quello «Io sono un piccolo topo di biblioteca, appassionato di letteratura giapponese e insegnante di questa materia, detesto viaggiare e mi piacciono i posti tranquilli, avere la mia routine. E' rassicurante sapere che ogni giorno capiteranno le stesse cose, le strade saranno sempre le stesse... non so come faccia lei ad avventurarsi in paesi con vite, persone e usi tanto diversi tra loro!»
«Quindi anche diversi va bene» riflettè Aiba mentre alcune urla provenivano dal davanti della casa
«Sì, anche diversi va bene» annuì Fumi sensei, appoggiando lo strumento di lavoro e passandosi la mano sulla fronte «Stanno chiamando, dev'essere pronto il pranzo. Andiamo» gli diede una pacca sulla schiena e si avviarono.
Il pranzo era un vero e proprio buffet, degno del paradiso, dato che ogni famiglia aveva preparato un piatto diverso per metterlo a disposizione di tutti i lavoratori. Stranamente scoprì che Kokoro, unica tra tutti, non aveva portato nulla per nessuno e, inoltre, non la vide nella piccola folla degli inquilini. «Cosa fai Makoto kun? Ti mangi tutta quella roba insieme?» domandò uno dei bambini vedendo il piatto che il ragazzo stava riempiendo a dismisura
«Ma và! E' per quella scema del piano terra! Se pensa di trovare qualcosa quando si sveglia è proprio stupida!» spiegò quello nascondendo il piatto malamente, dato che ancora cercava di riempirlo
«Che bravo ragazzo Makoto chan!» sospirò un'anziana «La tua ragazza sarà contenta!» e le altre donne risero divertite con lei. Di tutta risposta il giovane arrossì fino alla radice dei capelli e lasciò il piatto stracolmo sul tavolo per scappare via «Basta! Che si arrangi quella!!» sbuffò. Aiba seguì con gli occhi i bambini che si avvicinavano ad uno degli alberi del giardino, portando via il piatto riempito. Lì sotto, effettivamente, Kokoro si era messa sdraiata ed era chiaramente visibile come stesse dormendo profondamente: altro che pasticciera dai modi educati! Stava addirittura sbavando sull'erba! Non potè fare a meno di ridere tra sè e i bambini si accorsero della sua reazione. Ridacchiarono a bassa voce anche loro e gli fecero segno di avvicinarsi. Abbandonando il cibo seguì i loro gesti «Oniisan guarda, la donna dei dolci dorme!» gliela indicarono
«Lasciamola dormire» propose lui mentre, invece, i bambini lo spingevano a sedersi prendendolo per le mani «No, no è divertente, guarda!» spiegò uno prima di alzare una manina e, con indice e pollice, andare chiudere il naso della ragazza. I compagni si misero le mani davanti alla bocca per soffocare le risate mentre seguivano alcuni secondi di silenzio in cui Kokoro non sembrava nemmeno respirare, poi d'improvviso fu scossa da un fremito, mosse le mani davanti a sè, facendo un verso strano e sollevando la testa. Il bambino perse la presa e lei si girò su un fianco: non si era nemmeno svegliata. I bambini se la sghignazzavano tra loro e Aiba non riusciva a non imitarli, un po' contagiato dal loro fare così vivace un po' perché effettivamente era stata comica. Rifecero lo stesso scherzo e lei ancora non si svegliò. Solo al terzo tentativo sembrò recuperare il suo buon senso di adulto «Va bene, adesso lasciamola riposare, sta lavorando per fare bella anche la vostra casa!» spiegò loro che gli si erano appiccicati alla schiena dopo essere scappati ai gesti senza senso della ragazza che tentavano di "soffocare" nel sonno. «Ma era divertente!» piagnucolò un bambino appoggiandosi con il petto alla sua spalla e mettendosi in equilibrio su di essa, per dondolare avanti e indietro
«Facciamole ancora uno scherzo» propose un altro tirandolo per la manica
«Facciamole una coda» asserì una femminuccia sedendoglisi in braccio
«Vada per la coda» annuì il ragazzo «Ci presti un elastico... ehm...»
«Marika» disse la bambina con un sorrisino sdentato, poi tolse un elastichino da quelli che aveva intorno al polso e glielo passò «Facciamolo in alto, in alto» gesticolò
«In alto eh?» domandò allungando le mani e spostando lentamente i ciuffi della frangia della ragazza «Allora proviamo a fare... così.. e poi.. così...» i bambini trattenevano il fiato, per paura che si svegliasse «Poi l'elaaaastico... ecco, Marika-chan, la volevi così?» domandò mostrandole il ciuffo a fontana che aveva realizzato sulla nuca della ragazza, tenendo con un elastico la sua frangia. Cominciarono tutti a ridere e a battere le mani «Che bravo! Oniisan è un parrucchiere!» «Bravissimo! Era così» «E' buffa! E' buffissima!!» e fu la volta in cui Kokoro aprì finalmente gli occhi
«Mh? Cosa?» boffonchiò guardandoli con gli occhi socchiusi «Marika chan, Ryo chan, Akito chan... mai che mi facciate dormire» sospirò «Che è successo stavolta?» domandò mettendosi a sedere. Nessuno rispose, i tre bambini e Aiba erano troppo impegnati a tenere chiuse le labbra e a sforzarsi di rimanere seri. «Beh? Che c'è stavolta? Mi avete scritto qualcosa in faccia?» ancora nessuna risposta. Incrociò le braccia e arricciò il labbro inferiore «Niente più dolcetti la mattina allora»
«E' stato lui!» esclamarono tutti, indicando Aiba e allontanandosene, subito scaricando tutta la colpa davanti al rischio di perdere i dolci di Kokoro
«Eh? Eh? Ma... Cosa? Perchè?» domandò sorpreso lui, improvvisamente libero dal peso dei bambini addosso «Ma sul serio??? Che traditori» si lagnò piegandosi in avanti scoraggiato
«Eeeeh? Aiba san! Ti fai plagiare da loro?» domandò sorpresa lei «Che avete fatto?»
«Ma no io...» fece per difendersi seriamente, ma quando la riguardò in faccia, con quel ciuffo, non riuscì a tenersi serio
«Cosa? Cosa?! Perchè ridi??» domandò sgranando gli occhi «In testa... in testa» riuscì a mugugnare tra le risate. Non riuscì a vedere come reagisse, troppo preso a piegarsi in due dal ridere, solo si rese conto che qualcosa accadeva quando si sentì tirare i capelli «Eh? Ahi, ahi, ahi!!» esclamò rialzando lo sguardo
«"ahia"? Non piagnucolare e prenditi la una punizione!» esclamò la ragazza mentre armeggiava coi suoi capelli «Ecco qui!» esclamò con un sorriso soddisfatto «Ahahahaahah!! Oniisan sei uguale!!» risero i bambini: lei gli aveva fatto lo stesso ciuffetto stupido con un secondo elastico! Le mamme sorrisero al sentire le risate divertite dei bambini e nonostante la riluttanza di Kokoro fecero delle foto a tutto il gruppo, anche quando tutti i bambini si fecero lo stesso ciuffo!

Nel pomeriggio ripresero il lavoro solo pochi di loro, il sole era abbastanza forte per essere primavera e alcuni era meglio che non si affaticassero troppo con quel caldo. Sotto insistenza dei bambini entrambi furono costretti a tenere quell'acconciatura. Per quelle ore tanto difficili si erano lasciati da dipingere le cornici delle finestre della facciata principale che era riparata dall'ombra degli alberi e Aiba ebbe la fortuna di dipingere la finestra a fianco a quella di Kokoro che lo raggiunse quando lui aveva già cominciato il lavoro da un paio di minuti. Gli si sedette vicina, sulla passerella delle impalcature, e gli offrì un bicchiere di plastica «Vuoi?» domandò con un lieve sorriso
«Grazie, da un caldo terrificante qui sotto» annuì accettando l'offerta
«E' perchè il sole picchia sulla passerella di metallo sopra le nostre teste... dev'essere rovente» sospirò lei bevendo e guardando in alto
«Cos'è?»
«Mugicha*, l'ho fatto io» spiegò la ragazza finendo il bicchiere e posandolo da parte prima di intingere il pennello nella tempera e cominciare il lavoro
«Sul serio?» domandò prima di assaggiarlo «Aaah... è inevitabile vero? Per un giapponese questo sarà sempre il sapore dell'estate» e ne assaporò il sapore singolare, dolce e insieme leggermente ruvido. Dava la stessa sensazione che danno le bevande che si è abituati a bere anche calde: è un come un temporaneo smarrimento sensoriale, una volta che si è sentito il gusto e ci si aspetta di percepire anche il calore e invece si sente solo freschezza. «E' buonissimo... credo non ci sia nulla di più dissetante quando fa caldo»
«Ci sai fare con i bambini» disse lei cambiando discorso
«Più o meno» si strinse nelle spalle finendo la bevanda
«A me fanno solo dispetti, tranne quando devono venire a prendere dei dolci: allora usano persino il "san" con me!» scosse il capo, divertita
«A modo loro penso ti vogliano bene» sentenziò Aiba, recuperò il pennello e si rimise al lavoro
«Probabilmente è così» annuì per poi cadere di nuovo nel silenzio per alcuni minuti, continuando a passare il pennello sulle cornici. «Grazie per essere venuto, sinceramente pensavo che non l' avresti mai fatto» disse poi
«Mh? Perchè no?»
«Per essere sincera... pensavo fossi un tipo un po' arrogante» gli spiegò scostandosi i capelli passando la fronte contro il braccio
«Sul serio? Perchè?» chiede sorpreso, forse arrossendo lievemente «Mi spiace, ho fatto qualcosa di sbagliato?» domandò incerto
«No, no! Sono io che dovrei scusarmi, credo di aver avuto alcuni pregiudizi su di te e di aver mal interpretato i tuoi gesti» scosse il capo, girandosi a guardarlo «Sapendo chi sei, cosa sei, come ti considera il mondo... ecco, pensavo fossi arrogante come ci si immagina siano tutte le persone dello spettacolo. Poi dopo la prima ti ho visto altre volte al negozio, il numero sul cellulare...» cominciava a spiegare confusamente «Me l'hai dato con tanta scioltezza e... beh ho pensato male» spiegò confusa, smettendo di dipingere e scostandosi ancora i ciuffi dal viso usando il dorso delle mani
«Il numero?» chiese Aiba, ancora più disorientato
«Si ecco... credevo fosse un po' più difficile avere i numeri di telefono di persone importanti, mentre tu non ti sei fatto alcun problema. Ho pensato che mi avessi dato un numero apposta per.. per le ragazze diciamo. Pensavo...» farfugliò arrossendo ed abbassando lo sguardo «Pensavo ci stessi provando» ammise lentamente «Credevo mi trovassi una "preda" facile, data la tua notorietà»
«Ma non capisco...» si fermò anche lui, osservandola sbalordito «Sembro quel tipo di persona?»
«No!» esclamò lei con convinzione, agitando la mano libera nello spazio tra loro «No assolutamente... infatti ero confusa, non capivo. Sembravi provarci in maniera esplicita, eppure ogni volta eri così gentile che non capivo bene che tipo di persona fossi. Per questo ti ho chiesto di darci una mano»
«Il mio stile di pittura dei muri ti ha chiarito che persona sono?» domandò, e non potè fare a meno di suonare un po' duro nel suo tono di voce. Era stato frainteso per colpa di ciò che era, di quello che rappresentava per gli altri. Era sempre stato così, come aveva potuto pensare che questa volta sarebbe stato diverso? Perchè credeva sempre fosse la volta buona, per poi subire la stessa disillusione dell'occasione precedente? Era chiaro anche a lui che si era preso in giro da solo quando aveva sperato che Kokoro non sapesse chi era lui in realtà, ovviamente sapeva chi era, ma sapendolo si era fatta un'idea precostruita di lui e aveva agito di conseguenza: questo faceva più male del realizzare che si era auto-illuso come uno stupido. Improvvisamente era triste e arrabbiato insieme, gli era completamente passata la voglia di dipingere e divertirsi con gli altri: e dire che era andato lì per muoversi un po' da casa e, doveva ammetterlo, anche per stare con lei. «Posso capire se ora sei arrabbiato, mi dispiace molto. Veramente, mi spiace tantissimo» disse lei chinando capo e busto verso di lui «Ma non ero sicura dell'idea che mi ero fatta di te, per questo ti ho chiesto di venire qui. Speravo di capirti osservando il tuo atteggiamento con gli altri» spiegò spostando lo sguardo sul prato «Questa è brava gente, sanno tirare fuori il meglio delle persone. Mi ha fatto bene conoscerli, speravo che mi aiutassero a capire chi sei»
«Hai capito adesso?» domandò con un sospiro. Rimise il pennello nel barattolo, era seccato «Aiba chan degli Arashi... oppure Masaki Aiba san, il ragazzo che è venuto a comprare i dolci per sua madre?» le chiese. La osservò, con i capelli mossi sciolti sulle spalle, il viso tondo tutto serio e quel ciuffo in testa che stonava con la serietà del momento: stava tremando? «Quindi?» la incoraggiò. Che strani pensieri si erano affollati in quella testa?
«Credo "Masaki Aiba san"...» spiegò con un filo di voce «Perchè sei spontaneo. Ti sei impegnato e ti sei divertito, con tutti, indistintamente. Sei stato sincero quindi. Allora lo sei anche con me e probabilmente io ho frainteso tutti i tuoi atteggiamenti: il fatto che tu sia arrogante e che volessi... beh ho frainteso» ripetè arrossendo e tenendo lo sguardo basso «Non c'era niente di vero, sei stato solo molto amichevole e io, come una scema, ho rovinato tutto. Però...» aggiunse dopo una pausa «Forse sei anche "Aiba chan" degli Arashi»
«Eh? Hanayaka san, che risposta è? Tutte e due? O l'uno o l'altro» le disse abbozzando un sorrisino: sul serio, pensare troppo non le faceva bene! «Sì, lo so! E' solo che...» deglutì a fatica «Non ho proprio idea di come tu sia con gli Arashi, sul lavoro... magari anche quello sei tu»
«Credo mi stia venendo mal di testa, parli troppo: l'ho già detto? Mi stai confondendo le idee» sospirò ancora
«Beh... dato che ormai ho detto tutto sarebbe stupido non ammettere anche questo. Per la verità, non sono una vostra fan, non ascolto molta musica!» disse lei arrossendo «Mi dispiace tantissimo!!» si inchinò profondamente rimanendo piegata. Questo almeno finchè non sentì il ragazzo scoppiare in una grossa risata «Mi hai chiesto scusa? Ahahah!! Sul serio, mi hai chiesto scusa?» ora era lui ad essere piegato in due «Questa devo raccontarla agli altri!!»
«E' così divertente?» domandò lei guardandolo di sbieco
«Asp... aspetta» tentò di dire tra le risate «Appena... appena respiro te lo dico» ma non sembrava esserci verso. Kokoro intinse il dito nel barattolo di vernice e gli fece un segno sulla guancia «Antipatico!» esclamò rimanendo con il dito in aria; Aiba si zittì guardandola con gli occhi sgranati «Io ti regalo la mia sincerità e tu ridi? Se continui ti punirò con un secondo segno»
«Non posso arrendermi» sospirò lui alzando in aria le mani «Sarebbe un disonore, la resa è contraria all'Arashidō**»
«Buffone!» esclamò lei ridendo e facendogli, a tradimento, un secondo segno sull'altra guancia.

Era il tramonto e dato che era primavera il tramonto ormai arrivava ad ora tarda. «Mi spiace tu sia rimasto fino a tardi, sicuro di non voler mangiare qualcosa con noi?» domandava Tachibana san accompagnandolo al cancello. Il cortile era ormai vuoto, rimanevano in giro gli attrezzi che sarebbero stati usati il giorno dopo per continuare a lavorare, ma le persone erano tutte rientrate. «No, non si preoccupi. Mia madre ha già preparato e se li conosco mi stanno anche aspettando. Si immagina se torno e dico che ho già cenato? Mi tireranno le bacchette in testa» rise per poi inchinarsi e avviarsi oltre il cancello. Il cielo si era tinto di arancione e, se si seguivano le sfumature fino all'orizzonte, diventava rosa sempre più cupo, viola e poi blu, là dove il buio attendeva di prendere il sopravvento.
«Aiba san!» si senti richiamare, quando ormai stava arrivando all'angolo. Quando si girò vide Kokoro venirgli incontro, ma non si sorprese: ne aveva già riconosciuto la voce. «Hanayaka san, grazie per l'ottimo lavoro. Ho dimenticato qualcosa?»
«Per oggi... grazie e... scusami» disse lei inchinandosi profondamente quando lo ebbe raggiunto «Spero di non averti offeso troppo»
«Eh? Mmmh... non so» fece, fingendosi impensierito «Ma conosco un modo per cui potresti far perdonare»
«Eh? Sul serio?» chiese lei raddrizzandosi e osservandolo «Quale?»
«Proprio non ti viene in mente?» domandò con un sorriso. Per qualche attimo cadde il silenzio tra loro e dopo qualche secondo si accorse che la ragazza davanti a lui stava arrossendo. «Dolci» suggerì quindi lui, prima di arrossire a sua volta: a cosa aveva pensato?
«Oh! Eh? Oh, si certo!» annuì lei abbassando lo sguardo «Intanto puoi portare questo a casa, per ringraziarti del disturbo e perchè sicuramente ne avrai bisogno dopo il caldo di oggi». Gli lasciò tra le mani un sacchetto di stoffa abbastanza pesante. «Allora, grazie» si inchinò ancora e, quasi con fretta, se ne tornò indietro, verso il cancello. Dentro c'era un termos con un bigliettino: "mugicha".
«A domani!» la salutò ad alta voce sorridendo, prima di girarsi a sua volta e avviarsi verso l'angolo
«A doma... eeh?» fece per rispondere lei «Aiba san?» la sentì domanda sbalordita. Ridacchiò girando l'angolo: si, sarebbe tornato a dare una mano anche il giorno dopo perchè aveva l'impressione che Kokoro avesse frainteso di nuovo tutto. Era vero che non si era montato la testa pensandola una "preda facile", ma era pure vero che ormai aveva intenzione di farle la corte, possibilità che invece lei aveva scartato.

*E' te d'orzo tostato, una delle bevande più popolari in Giappone, bevibile sia freddo che caldo. Ha un sapore simile al caffè tostato, ma non così forse e non contiene caffeina. (come al solito FOTINA esplicativa)
** E' un giodo di parole. Il Bushidō "via del guerriero" è conosciutissimo anche in occidente, era la parola utilizzata per designare il codice d'onore dei samurai: il dō finale corrisponde ad una delle letture del carattere 道 che significa "via", "strada", "cammino", "sentiero". Aiba unisce "Arashi" a "dō", traducibile quindi come "via degli Arashi", come se ci fosse un codice del gruppo.


Sono tornata dal Giappone *_* meraviglioso chiaramente! Il blog che ho tenuto da lì è stato pure seguito dagli amici che mi son stati a leggere e a seguire tutto il mese (fortunatamente sono riuscita a fare un aggiornamento al giorno!). Una bella esperienza quindi, ma di tempo per aggiornare non c'è stato. Vi metto ora questo capitolo e pian piano altri che ho scritto.
Ringrazio nuovamente KIKYOhanamuke per il suo commento splendido. Fortuna che ci sei tu *-* grazie grazie grazie!!
Aiba chan è il mio co-ichiban diciamo, ahahahah!! Impossibile non adorarlo, decisamente! Poi, ora che son passata al ristorante della famiglia, a Chiba, che ho visto coi miei occhi il fratello e che ho parlato con la madre fa un certo effetto scrivere di loro XD devo ammetterlo! ahahah!! Un キス anche a te *-*

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Capitolo 6
*** べっこう飴 Bekkō-ame ***


Il tempo era meraviglioso, esattamente come il giorno prima. Aveva piovuto forte durante la notte e il rumore del fiume davanti alla casa era aumentato, ma da qualche ora il sole era sorto e si era alzato in cielo luminoso e caldo. Come promesso, Aiba era tornato alla casa azzurra e anche quel giorno era arrivato a mattina inoltrata perché nessuno nel condominio si sentisse come se lo stessero sfruttando, men che meno Kokoro che, avendo provato la sua completa sincerità, non aveva più motivo di chiedergli una mano. Ma era proprio ora che doveva definitivamente fare un passo avanti con lei dato che, dopo tutto quel parlare, si era convinta che lui non avesse alcun interesse. Continuava a ripensare al discorso del giorno prima e non poteva fare a meno di maledirsi: lui non era tipo da discorsi perché non era bravo a pensare con tranquillità a tutte le cose da dire, sul momento diceva qualcosa, poi quando ci ripensava si diceva che se avesse detto quella e quell'altra cosa sarebbe stato meglio e avrebbe potuto aggiungere questo e quello. Era uno dei motivi per cui raramente dimostrava a parole il suo affetto, infatti ai ragazzi una volta aveva scritto una lettera perché era il modo più comodo per lui: aveva avuto tempo per riflettere, pensare bene alle parole e agli argomenti. Per i concerti però, quando parlava ai fan, non si preparava nulla in anticipo, questo perché tanto gli veniva sempre da piangere e non riusciva quasi a parlare quindi tanto valeva dire le prime e poche parole che gli venivano in mente prima di soffocare nei singhiozzi. Pensando a quello si bloccò sul cancello della casa: Kokoro sapeva chi era, quindi sapeva anche della sua lacrima facile? Aveva sempre pensato che quel particolare lo rendesse poco virile... ma tutto sommato lei aveva detto di non essere una loro fan, quindi era possibilissimo che non sapesse nulla di quella sua parte troppo tenera.
«Oniichaaaan!!» gridarono i bambini vedendolo all'entrata «Sei venuto anche oggi!!!»
«Ah si, buongiorno» salutò poi facendo un inchino verso le persone che già giravano nel giardino
«Masaki san!» urlarono dall'alto delle impalcature «Abbiamo bisogno di te che sei bello alto, verresti su?!»
«Eccomi! Ci vediamo a pranzo, va bene?» domandò con un sorriso verso i bambini che gli si erano attaccati alle gambe
«A dopo oniichan!» salutarono tutti con un sorrisino, muovendo le mani in contemporanea. Il quadretto formato da loro aveva qualcosa di tenero e di comico allo stesso tempo e si allontanò ridacchiando. Quando arrivò in alto vide quasi tutti concentrati in un punto solo e Kokoro arrampicata precariamente sul cornicione di una finestra «Adesso ci aiuta Masaki san, puoi scendere» dicevano gli uomini, ma lei pareva ostinarsi a cavarsela da sola «Salirai comunque, ma fatti aiutare»
«Posso farcela da sola, non c'è nessun problema. Starò attenta»
«Cosa succede?» domandò lui avvicinandosi, piazzandosi sotto la finestra insieme agli altri
«Sta cercando di arrivare al tetto, dal sottotetto abbiamo visto qualcosa ma non capiamo cosa sia e vorremmo toglierlo»
«Hayanaka san è la più leggera da portare sulle spalle ma nessuno di noi è abbastanza alto o forte per tenerla quindi sta cercando di andarci da sola» spiegarono indicandola mentre continuava a scivolare sul cornicione della finestra che faceva una curva e non dava facile appiglio. «Ci penso io allora» annuì Aiba
«Sentito? Scendi pure» vociarono quelli
«No, no mi manca poco. State tranquilli»
«Ma è pericoloso»
«Hanayaka san, è meglio dare retta a chi è più grande di noi» sospirò Aiba e davanti alla sua testardaggine si decise ad usare quel momento come un'ottima occasione per avere del contatto fisico con lei, cosa che non ricordava di aver avuto spesso. Allungò le braccia per sfiorarle i fianchi «Io ti tengo e tu scendi adesso, va bene? Non fare la cocciuta» la sentì sussultare, eppure non l'aveva nemmeno afferrata! «Ah.. va bene, va bene, scendo. Non c'è bisogno che mi aiuti, ce la faccio» ribatté secca e lui, con delusione, rimise le mani al loro posto. Quando finalmente scese la osservò per qualche secondo: era vestita come il giorno prima ma con i capelli raccolti in una crocchia alta sulla nuca. Doveva ammettere che Kokoro aveva almeno tre o quattro centimetri in meno della bassezza che avrebbe accettato, ma questo non toglieva che per i suoi gusti era una bella ragazza e in più aveva una caratteristica che per lui era terribilmente sexy: l'aveva notato già la prima volta che l'aveva vista, perché aveva una crocchia anche quel giorno, ma aveva un collo bellissimo. Era lungo e la pelle chiara faceva una morbida curva verso le spalle. C'erano persone che si fissavano sulle mani, sulla silhouette o su altre parti più specifiche di una donna, lui si fissava sul collo. Matsujun, per esempio, aveva un bel collo, ma era un uomo e il pomo d'Adamo non lo rendeva sexy quando invece poteva esserlo una donna con quella stessa qualità. Kokoro l'aveva e sembrava piegare il capo come probabilmente facevano le aggraziate dame del periodo Heian o le eleganti geisha del Tokugawa. Forse gli faceva questa impressione anche perchè lavorava in un settore particolare che si rifaceva alle tradizioni giapponesi. «Come? No, non posso farlo» mentre si era perso in quei pensieri gli altri avevano continuato a discutere sul da farsi
«Ma, Hanayaka san, è una cosa facilissima. Perchè ti fai problemi?» domandarono i signori del condominio
«Vado su al posto suo» si intromise Makoto, il ragazzino che già il giorno prima l'aveva presa in giro «Masaki san, puoi portare me?» gli domandò direttamente, guardandolo con sguardo truce
«Eh?» domandò Aiba spiazzato, si era perso il nocciolo della discussione mentre fantasticava sul corpo di Kokoro
«Non se ne parla, sei troppo piccolo. Vado io, vado io... ma lasciateci fare questa cosa e tornate al vostro lavoro, stiamo perdendo fin troppo tempo» sospirò la ragazza facendo segno agli altri di allontanarsi. Solo dopo la ragazza si girò verso di lui «Bene, facciamolo e non pensiamoci più» sospirò avvicinandosi
«Eh?» domandò di nuovo, capiva sempre meno e metà del suo cervello era ancora occupata a fantasticare
«Nessun "eh", Aiba san. Abbassati su» scosse lei il capo mettendogli le mani sulle spalle per spingerlo ad accovacciarsi sulla passerella delle impalcature. Seguì i suoi gesti meccanicamente e realizzò la situazione solo troppo tardi per prepararsi spiritualmente, ossia quando lei gli aveva già girato intorno e gli aveva già passato una gamba sulla spalla. «Puoi... puoi darmi le mani per aiutarmi?» la sentì chiedere
«Ah si, scusa» annuì alzandole in aria. Doveva prenderla sulle spalle per poi alzarsi in piedi e così sollevarla fino a dove riuscivano ad arrivare, lo capiva solo in quel momento. Si presero per le mani e la sentì stringerle mentre ci si appoggiava e staccava l'altro piede da terra sedendosi definitivamente a cavallo delle sue spalle. «Va bene, ora devi alzarti» disse lei
«Puoi lasciarmi le mani? Devo tenermi in equilibrio... però puoi tirarmi i capelli se vuoi» cercò di scherzare, ma non era assolutamente il momento per farlo! Aveva appena finito di fantasticare su di lei che si trovava le sue gambe a pochi centimetri dal viso, non sapeva se esserne felice o terrorizzato dato che la cosa gli stava dando il sangue alla testa mentre in quel momento avrebbe dovuto essere calmo e attento data la pericolosità di ciò che stavano per fare. «Eh? Posso sul serio? Poi non ti lamentare se mi rimane qualche ciocca in mano» rispose lei ridacchiando nervosamente. Con un respiro profondo lasciarono la presa e Aiba distese lentamente le gambe, mantenendo l'equilibrio con le braccia aperte. Face un paio di passi per avvicinarsi al muso e ci si appoggiò con le mani, sollevato nell'averlo vicino a sè: Kokoro non pesava eccessivamente, ma non era comunque uno scherzo portare sulle spalle una persona adulta. «Vedi sul tetto?» domandò lentamente quando la sentì muoversi per aggrapparsi al cornicione e sollevarsi, lasciandogli meno peso addosso
«Si! Si, lo vedo!» esclamò «Ma è un nido, non posso muoverlo. Oltretutto non ci arrivo, dovrei arrampicarmi fino a su»
«Ma non avevano detto che era più vicino al cornicione che al lucernario?» chiese uno dei lavoratori che tornava ad avvicinarsi
«Temo sia a metà strada, comunque non capivano cosa fosse, quindi non potevano nemmeno vedere esattamente dove si trovasse» spiegò Kokoro tornando ad appoggiarsi completamente a lui «Andrebbe a chiedere cosa dobbiamo fare?» domandò gentilmente. Rimasero nuovamente soli, in attesa della consultazione finale e la sentì che appoggiava nuovamente le mani sulla sua testa. «Va tutto bene?» gli chiese «Pensi di poter resistere ancora un po'?»
«Non ho problemi, non sei pesante come pensavo sai?» disse sforzandosi di ridacchiare
«"come pensavi"? Vuoi dire che ti sembro grassa?» domandò tirandogli una ciocca
«Ahi! No, no... non volevo dire quello!» si scusò, subito smettendo di fingere qualsiasi atteggiamento «Volevo dire che non sei una ragazzina e quindi da una donna adulta ci si aspetta un peso maggiore di quello che hai tu»
«Quindi sono vecchia e sembro pesante?» domandò tirandogli un'altra ciocca
«Ahi ahi ahi!! No, no... lo giuro no!» piagnucolò prima di sentirla ridere
«No sul serio, Aiba san, ma tu credi a tutto quello che ti dico?»
«Ehi! Non sei nella posizione di prendermi in giro sai?» ribatté arrossendo più di quanto non fosse già arrossito per via della loro posizione «Mi basta chinarmi un po' in avanti e cadi... e muori» specificò
«Non ti facevo così spietato» osservò lei stupita «Ad ogni modo anche tu non sei nella posizione di minacciarmi. Se io stringo le gambe, ti strozzo» o lo faceva morire di emorragia dal naso
«Se io muoio tu muori, perchè stai sulle mie spalle, se invece muori solo tu, io potrei non seguirti nella tua triste sorte» insistette cercando di darsi un contegno e ringraziando che non poteva vederlo in faccia
«Non direi, carissimo. Se io mi aggrappo al cornicione e ti strozzo allora tu cadi e io no» aveva vinto
«Dobbiamo per forza minacciarci di morte senza motivo?» domandò Aiba con una risatina isterica
«Hai ragione, è che sono nervosa in questa posizione. Non mi sento a mio agio». Chiaramente non era l'unica, ma furono fortunati che il verdetto finale imponeva di lasciare lì il nido e continuare con i lavori: se mai avessero voluto toglierlo avrebbero chiamato qualche specialista, era troppo pericoloso farlo da soli. Kokoro scese dalle sue spalle e si scusò per l'incomodo, dopodichè ripresero il lavoro.
Nelle prime ore completarono il piano superiore e poco prima di pranzo avevano completato due facciate su quattro del piano terra. Lo stupido episodio di quella mattina finì con l'influenzare i pensieri di Aiba per tutto il tempo: erano almeno due anni che non aveva a che fare con donne, nel senso più fisico del termine, e sembrava che al suo cervello fosse bastato un banalissimo input per scatenarsi completamente. Gli fu chiaro da subito come l'atteggiamento di Kokoro fosse cambiato dal giorno prima. Era molto più amichevole, gli parlava di più rispetto al giorno prima, anche perchè si erano ritrovati più spesso a lavorare vicini, e se una parte di sè era chiaramente felice l'altra i sentiva sotto tortura: come poteva evitare di fissarla se ce l'aveva a meno di un metro? E come poteva lamentarsi se quel metro di distanza diminuiva?
Il momento del pranzo gli diede finalmente un po' di tregua, si mescolò tra gli altri condomini, scambiò quattro chiacchiere con Fumi san e la moglie con la quale rimase a chiacchierare sotto un albero. Si chiamava Hiroko ed era una donna interessante, tra un discorso e l'altro finirono a parlare di paesi stranieri: Aiba credeva di essere andato in tanti posti grazie ai tour degli Arashi per l'Asia, ma in confronto ai viaggi di quella donna gli sembrava di non conoscere nemmeno la metà del loro continente, figuriamoci il resto del mondo! Vennero interrotti dai bambini che, finito di mangiare, gli saltarono addosso: due sulle gambe e il piccolo Akito sulla schiena, si divertiva a far dondolare le braccia dalle sue spalle e dargli fastidio cercando di prendergli il naso senza vederlo, mentre gli altri due gli davano indicazioni a voce. «Bambini, non vi sembra di star esagerando con il nostro ospite?» domandò la donna ridacchiando, non è che Aiba si sottraesse a quei giochi, anzi si lasciava infastidire e faceva versi apposta per farli ridere. «Ma oniichan è divertente!»
«Non c'è nessuno di divertente come lui qui»
«Oniichan ce l'hai la fidanzata?» domandò Marika
«Eh? No» il ragazzo strabuzzò gli occhi: che domande erano da parte di una bambina di cinque anni?
«Allora da oggi sono io la tua fidanzata» annunciò con orgoglio «Ti chiamerò Acchan e potrò farti giocare con me quante volte voglio»
«Eeeh?» esclamò Aiba spiazzato
«Non è giusto!» ribattè Ryo «Non puoi tenerlo per te»
«Sarò io la sua fidanzata» annunciò Akito
«Eeeh?» sembrava incapace di articolare frasi superiori ad un'unità vocalica
«Acchan sposiamoci» continuò il bambino parlando in falsetto e stritolandolo al collo
«Che delusione!» esclamò Kokoro che si stava avvicinando con un vassoio in mano «E io che speravo di trovare mio marito in uno di voi due... adesso a chi li dò questi dolci che avevo fatto con tanto amore?» domandò fingendo di guardare il vassoio con aria afflitta
«A me! A me!» strillarono tutti e tre in coro saltando giù dalle gambe di Aiba e dalla schiena, lasciandolo finalmente libero, per raggiungerla e aggrapparsi al grembiule che aveva indossato. «Non ti hanno fatto male vero?» domandò la signora Fumi
«Niente che non sia guaribile nei cinque minuti che impiegheranno per sbafarsi il contenuto del vassoio» replicò massaggiandosi il collo mentre la donna scoppiava a ridere alla sua risposta
«Piaci parecchio, di solito quei tre ci mettono un po' per accettare le persone nuove che entrano nel condominio. Hanayaka san ci ha messo un mese a farsi accettare» spiegò quella
«Sul serio? E dire che ha con sè un'arma potentissima»
«Ma è una ragazza piuttosto seria quindi i bambini non l'hanno sentita subito come una persona a loro affine. Ora giocano con lei, ma dal primo momento è stata catalogata nella categoria "adulti". Non l'hanno mai chiamata "oneesan". Però bisogna ammettere che le è andata bene... con un altro condomino, per esempio, non sono mai andati d'accordo»
«Sul serio?» domandò sorpreso «Chi è?» e lanciò uno sguardo sulla piccola folla di presenti
«Non c'è, è una persona che ora non vive più qui»
«Ah quello dell'appartamento 06!» esclamò ricordandosi vagamente del discorso del giorno prima
«Si lui, con te invece non ci hanno pensato su due volte»
«Il che potrebbe significare che è al loro stesso livello?» domandò Kokoro ridacchiando mentre si avvicinava a loro
«Effettivamente ha certi atteggiamenti infantili» disse con aria vaga la signora
«Come? Ma sul serio?» fece lui sorpreso «Io veramente mi diverto ad assecondarli e basta» spiegò arrossendo: perfetto, se Kokoro non sapeva della sua lacrima facile, adesso aveva quel discorso a sminuire la sua virilità. «Penso che vada bene anche così, essere apprezzati da individui puri come i bambini significa avere uno spirito simile al loro. E' affascinante in un uomo» annuì Fumi san «Non pensi anche tu Hanayaka san?» domandò alla ragazza che sussultò, improvvisamente presa in causa
«Oh beh.. io... sono certa che sia una cosa meravigliosa vista attraverso gli occhi di Fumi san che aspetta un figlio. Sapere che il proprio compagno avrà un buon rapporto con lui la renderà più serena, vero?» sviò abilmente il discorso
«E' vero anche questo»
«Prima che gli altri se li mangino tutti ne ho portati due anche per voi, li ho salvati dal vassoio» spiegò quindi la ragazza porgendo alla donna e al ragazzo due bekkō-ame*. Ringraziarono entrambi e rimasero sotto l'albero a godere del fresco mentre mangiavano quel dessert fatto in casa.
Era infantile lui? Se lo chiese mentre assaggiava il dolce. Pensava che il suo mondo, tanto distante e differente da quello, avesse fatto di lui un uomo fatto e finito. Certi giorni trovava a stento il tempo per respirare tante erano le cose da fare e aveva sempre qualcosa a cui pensare, le giornate pianificate, lavori uno dopo l'altro. Nei primi anni di attività gli era capitato di realizzare come, in confronto agli amici di sempre, lui fosse più maturo: il lavoro con gli Arashi lo aveva costretto a crescere più rapidamente degli altri, a sentire il peso delle responsabilità prima del tempo, a dover comprendere il suo posto in un contesto lavorativo, ciò che dipendeva da lui, l'impegno che doveva metterci, le conseguenze se non lo faceva. Per anni non aveva più avuto la semplice vita che consisteva nell'alzarsi, andare a scuola, scherzare con i compagni, tornare a casa, studiare e dormire. Non aveva mai nemmeno sperimentato una giornata lavorativa che fosse di otto semplici ore in cui fare quello che diceva un capo o prendere un caffè con i colleghi ogni giorno alle dieci di mattina. La sua vita era stata diversa dagli altri ragazzi ed ora era così particolare rispetto a quella di altri uomini che non avrebbe mai creduto possibile di poter essere paragonato a dei bambini che vivevano in un ambiente così rilassato e sereno, lontano da affanni, responsabilità, obblighi ed etichetta. Perchè lui, così diverso, era stato accettato subito come simile e Kokoro, così semplice e normale, aveva fatto fatica?
La caramella si scioglieva lentamente ogni volta che la appoggiava sulla lingua. Era dolce, ma non il dolce forte delle creme o dei dolci confezionati, quello era leggerissimo. Sembrava di mangiare vetro per la consistenza -ma non si poteva vedere attraverso dato che era colorato- mentre sembrava di masticare solo zucchero come sapore. Forse Kokoro era così per lui: sembrava una persona così semplice da poterle guardare attraverso eppure qualcosa annebbiava la vista e rimaneva tutto un mistero, era sempre gentile con lui, ma in qualche modo non sentiva del tutto il sapore delle sue azioni perchè non riusciva a conoscerla meglio e a capirla.

Il pomeriggio ripresero i lavori: alcuni erano ancora sul primo piano dell'impalcatura a dipingere le cornici delle finestre del piano terra, mentre altri erano finalmente con i piedi nell'erba per dipingere l'ultima parte delle due facciate rimanenti. Ancora un metro da terra e avrebbero finito. Tutto quel pensare a pranzo era riuscito a calmare i suoi bollenti spiriti mattutini, quindi riuscì a mettersi a lavorare al fianco di Kokoro senza strani pensieri, ma solo con l'obiettivo di cominciare a conoscerla un po' di più. «Grazie per le bekkō-ame, erano buone» le disse intingendo il pennello nella pittura celeste, avevano un secchio da dividersi loro due mentre coprivano la loro zona
«Ma di che, sono facili da fare. Non ho dovuto nemmeno usare le formine» rispose lei, già intenta a passare la pittura sul muro «Ho scoperto che a quelle tre pesti piacciono di più al naturale: giocano a cercare di capire che forma sia quella venuta fuori»
«Accidenti! Non ho controllato la mia» esclamò causando l'ilarità della ragazza
«Si, è ufficiale: sei come loro» lo additò divertita
«Perchè fai il lavoro che fai, Hanayaka san?» domandò per cambiare discorso, doveva assolutamente evitare argomenti imbarazzanti per sè
«Nh? Intendi i dolci?» lui mugugnò in risposta «Li faceva mia nonna quando ero piccola, come hobby. Ogni volta che la andavo a trovare me ne faceva uno diverso: io mi lamentavo perchè il precedente mi era piaciuto tantissimo e lo rivolevo, poi quando assaggiavo quello nuovo dichiaravo di rivolere quello la volta successiva» spiegò sorridendo tra sè «Quando è morta non ho più mangiato dolci tradizionali fino a quando un giorno non mi è capitato di mangiarne uno ed è stato come risentire in quel sapore tutte le sensazioni familiari di allora: come si chiama? Tipo... momento epifanico»
«Mh, si... ho capito» annuì il ragazzo «Quindi hai deciso di studiare per diventare brava come lei?»
«La nonna non la supera nessuno» affermò con decisione «Però si... sai, era quel momento alla fine della scuola superiore in cui gli alunni si dividono in quelli che sanno cosa fare e quelli che non lo sanno. Di solito questi ultimi sono pochi, ma io ero tra loro. Puoi immaginare lo stress e lo sconforto nel vedere tutti intorno a te che hanno già deciso la strada da seguire mentre tu sei ancora indeciso davanti a milioni di possibilità che non riescono ad interessarti nemmeno un po'?» Aiba non rispose, perlomeno la conosceva a sufficienza per sapere che era una ragazza dai monologhi vivaci «Quando ero piccola andavo sempre da mia nonna a cercare conforto perchè i miei genitori mi avevano educato molto rigidamente e con mia madre non sono mai riuscita ad avere un rapporto di confidenza o complicità nemmeno da adulta. Lei era l'unica parente vicina che mi coccolasse e mi confortasse. Dopo tanti anni, quando sentii di aver ritrovato le sensazioni che mi dava in una cosa così semplice come il sapore di un dolce, fu come essere consolata da lei un'altra volta. Quando decisi che avrei fatto una scuola professionale per imparare la cucina tradizionale non posso dire di aver provato la stessa sicurezza che avevano certi miei compagni, ma sicuramente l'idea di avere finalmente un obiettivo mi consolava»
«Ed eccoti qui» concluse Aiba «Chissà perchè sento che mi sarei dovuto aspettare qualcosa del genere da te» spiegò divertito
«In che senso?»
«Dai proprio l'idea della ragazza con una storia simile alle spalle. E' tutto troppo dolce nella tua vita, ma sei reale?» la prese in giro
«Tsk... spiritoso» si strinse nelle spalle lei «Piuttosto fai attenzione che stai dando delle pennellate storte!» lo accusò puntandogli addosso il pennello
«Ehi! Volevi schizzarmi?» domandò arricciando il labbro «Non provarci sai?»
«Non ci proverò, non abbiamo mica tempera da sprecare così... anche se sarebbe divertente passarti la vernice in faccia. Potrei conciarti come un indiano: chissà come sarebbero contenti Marika, Ryo e Akito» ridacchiò
«Non ci provare, altrimenti non mi si staccano più e non possiamo finire il lavoro» consigliò mettendo le mani avanti
«Allora fallo per me, forza! Loro non ti vedranno mai» lo incitò passando il dito nel pennello «Visto che sembri tanto giocherellone e io tanto seria, vediamo se sai trasmettermi un po' di divertimento, Grande Capo Aibaugh» lo prese in giro avvicinandoglisi per tentare di metterli la tempera in faccia
«No! No, no, no, no, no!» disse lui tentando di tenerla lontana e facendo dei passi indietro. Questo finchè non andò a sbattere contro uno dei tubi di metallo che sostenevano le impalcature. La vide fare uno scatto in avanti con il dito proteso verso di lui, ma quando chiuse gli occhi sentì solo un rumore metallico sopra di sè e quello di un barattolo che cadeva. Quando riaprì gli occhi scoprì che un secchio di vernice appoggiato precariamente sulle loro teste era caduto quando era andato a sbattere, ma si era riversato solamente sulla spalla destra, sul braccio e parte della maglietta di Kokoro, lui che si era fatto indietro era rimasto illeso. «Ah! Hanayaka san, Masaki san!» esclamarono da sopra mentre rimettevano dritto il barattolo per non perdere altro colore «Vi siete sporcati?»
«Punizione divina, augh» le sussurrò lui con un sorriso smagliante
«Tutto bene, tutto bene» sospirò lei verso gli altri «Vado a ripulirmi e torno. Mannaggia a te» aggiunse poi a bassa voce lanciandogli un'occhiataccia. La osservò che si allontanava mentre si scioglieva i capelli, si erano colorate anche alcune ciocche e se non si sbrigava avrebbe dovuto lavare anche pantaloni e scarpe (quella destra perlomeno).
Dopo qualche minuto lo chiamarono a dare una mano alla facciata; richiuse il secchio e portò il pennello con sè. «Masaki san, puoi occuparti tu della cornice della porta? E' alta e non siamo riusciti a farci passare davanti l'impalcatura» spiegò Fumi san
«Nessun problema» annuì tranquillo prima di mettersi al lavoro «La faccio di questo colore?»
«Non so, lei che ne dice Watari san? La rifacciamo dello stesso colore?»
«Starebbe bene uguale alle finestre»
«Ma il padrone di casa non ha detto nulla a riguardo»
«Scusate» vennero interrotti. Un borbottare mesto prese il posto del solito chiacchiericcio del giardino. Davanti a loro c'era un ragazzo poco più basso di Aiba, indossava un paio di jeans grigi e una camicia azzurra. In una mano portava un mazzo di fiori «Sapete dirmi dove possono trovare Hanayaka Kokoro?»
«Ma...» fece per dire Watari san, c'era un timbro di rabbia nella sua voce
«Sei Uchida Hiroyuki, vero?» domandò Fumi san, interrompendo l'altro «Non so cosa ti riporti qui, ma stai attento a quel che fai» lo ammonì severamente «E' ai lavandini sul retro» concluse quindi rispondendo alla sua domanda
«Grazie» rispose quello semplicemente, prima di avviarsi e sparire dietro l'angolo diretto verso il retro della casa. Qualcuno in giardino si agitò «Perchè è tornato fino a qui?» «Se il padrone lo viene a sapere si arrabbia» «E poi cosa vuole da Hanayaka san»
«Chi era?» domandò Aiba, spaesato
«Beh... torniamo al lavoro forza, abbiamo ancora qualche ora e dobbiamo finire» incoraggiò Fumi san prima di allontanarsi
«E' il vecchio inquilino della 06» spiegò a bassa voce Watari san «Pare fosse un tipaccio. Qualcuno l'ha visto intorno al negozio di dolci qualche giorno fa, chissà che affari ha con la ragazza» scosse il capo e tornò al suo lavoro.
Qualcosa gli diceva che quella situazione non era normale: la persona della 06 era stata cacciata per aver dato fastidio a qualcuno del vicinato poco tempo prima, ora si era presentata lì cercando Kokoro e qualcuno l'aveva visto al negozio... quello dove lavorava lei. E qualche giorno prima lei aveva ricevuto una visita di un amico al negozio: l'aveva vista rientrare con le lacrime agli occhi e con un livido sul braccio! Appoggiò il pennello a terra «Posso usare un bagno?» domandò ad alta voce
«C'è quello infondo al corridoio, usalo pure» spiegarono dal giardino. Fece un rapido inchino e si fiondò nella casa, ora doveva trovare un modo per uscire e andare sul retro senza dare nell'occhio, ma fu più facile del previsto: il corridoio del piano terra iniziava con la porta d'ingresso principale e finiva con una porta a vetri. Poteva già sentire le due voci quando afferrò la maniglia «Perchè sei così ostinata?»
«Mi dispiace, vai via per favore» aprì la porta e trovò Kokoro appoggiata al lavandino di pietra con i capelli sciolti e bagnati e la maglietta mezzo fradicia con la tempera azzurra quasi del tutto sparita, ma un po' era colata sui pantaloncini e sulle gambe. Lo sconosciuto stava in piedi davanti a lei con il mazzo di fiori ancora in mano. «Perchè mi respingi? Io penso di poterti fare felice»
«Uchida san, ti prego...»
«Adesso mi chiami addirittura per cognome?» domandò quello con una nota di dolore nella voce
«Si, io... te l'ho già detto l'altro giorno. Non insistere di prego... non accetterò nemmeno i tuoi fiori»
«Ma tu adori i girasoli» si scusò quello
«Ma.. cosa c'entra?» esclamò quella esasperata «Smettila, ti prego, smettila. Non so più cosa dirti» spiegò chiudendo il rubinetto dell'acqua e facendo qualche passo per allontanarsi
«No, aspetta!» esclamò quello prendendola per il braccio. La ragazza reagì con uno scatto immediato per liberarsi, ma fu inutile, era indubbiamente più forte di lei. «Vuoi farmi di nuovo male? Lasciami...» farfugliò cercando di divincolarsi
«Non voglio! Devi stare ad ascoltarmi!» ribattè quello senza mollare la presa, ma per qualche momento le scivolò via per colpa dell'acqua. Riuscì a prenderla per il polso, ma lasciandole così spazio per distanziarlo. «Hanayaka san?» domandò Aiba abbastanza ad alta voce. La vide rialzare lo sguardo che aveva le lacrime agli occhi e uno sguardo a metà tra il disperato e l'impaurito. Richiuse la porta alle sue spalle e si mise tra lei e lo sconosciuto, mettendogli una mano sul polso «Non l'hai sentita? Lasciala andare immediatamente»
«E tu chi sei? Non sono affari tuoi» ribattè quell'altro
«Ti ha detto di lasciarla e io ti dico che se non lo fai subito non risponderò delle mie azioni» lo minacciò a denti stretti, gli era bastato vederla in difficoltà per sentire il sangue ribollirgli nelle vene
«Ma che cosa vuoi?»
«Che la molli, sei sordo?» gli urlò contro stringendo la presa sul suo polso. Spaventato da quell'improvviso scatto lo sconosciuto lasciò la presa e fece un passo indietro «Non metterle mai più le mani addosso»
«Ai...» fece per chiamarlo lei, ma si bloccò prima di dire il suo nome per intero
«Kokoro, ti sei trovata una guardia del corpo?» ridacchiò quello «Perché non vuoi stare a sentirmi?»
«Uchida san, smettila...»
«Perchè tu non ascolti me, imbecille? Ti ho detto di piantarla!» lo aggredì alzando il tono di voce «Non ti vuole, stalle lontano!». Era irriconoscibile persino a se stesso: una piccola parte del suo cervello non si capacitava di cosa stesse succedendo. Ricordava quella sensazione di rabbia incontrollata. Gli era successo poche volte di provarla, ma in quel momento non riusciva a ricordare quando era successo.
Riprese controllo di sè quando si ritrovò addosso Kokoro, fredda per via dell'acqua con cui si era bagnata, che lo teneva fermo, mentre lui sembrava prontissimo a tirare un pugno allo sconosciuto davanti a sè, terrorizzato. «Ah... Hanayaka san?» domandò con un filo di voce
«Fermati... fermati per favore» mormorò quella contro il suo petto «E' un problema mio, devo risolverlo da sola»
«Ma io...» era veramente sul punto di picchiare una persona?
«Ti sei decisa a darmi retta?» domandò quello: si lo avrebbe menato anche ora che era tornato lucido. «No, ora sono io che ho qualcosa da dirti» sospirò la ragazza girandosi verso di lui, ma rimanendo a metà strada per dividerlo da Aiba «Tutto questo è successo per colpa mia, perché non ho saputo risponderti chiaramente tutte le volte che avrei dovuto farlo. Quindi è ora che chiarisca la situazione una volta per tutte.
Uchida san, smettila di inseguirmi. Eravamo amici all'inizio, ma quando hai cominciato a farmi la corte nonostante fosse chiaro che non mi interessassi ho cominciato a non sopportarti. Ho dovuto avvisare il padrone di casa e abbiamo dovuto cacciarti per la tua insistenza. Adesso ti dirò chiaramente che non mi piaci, tra noi non potrà esserci niente e non potremo nemmeno essere amici perché io non voglio più vederti». Il viso del ragazzo si faceva più triste e sconsolato man mano che Kokoro lo rifiutava in quella maniera decisa che non era riuscita ad avere fino a quel giorno «Te lo chiedo per favore: non farti più vedere, nè qui, nè al negozio, nè da altre parti. Non voglio più avere a che fare con te»
«Perchè?» farfugliò quella mestamente
«Mi dispiace, ma sei troppo immaturo e, sinceramente, ho visto di te un lato insistente e maleducato al limite della denuncia che chiaramente non ti rende attraente per me. Se ti farai vedere ancora chiamerò la polizia e puoi stare certo che stavolta lo farò» gli rispose con sicurezza. L'uomo, abbattuto, annuì lentamente, ma alzò la testa pronto a dire qualcos'altro. In quel momento incrociò lo sguardo di Aiba che lo osservava con un misto di odio e ispirazione omicida, quindi richiuse la bocca e si allontanò senza aggiungere nulla, buttando da una parte i fiori. Rimasero in silenzio qualche secondo durante il quale Aiba si sentì quasi deluso, si aspettava una scena strappalacrime come in una qualsiasi storia a fumetti e invece tutto era finito così. Il pugno ci sarebbe stato bene poi. Invece tutto era sfumato come la bekkō-ame di quel pomeriggio che gli si era sciolta sulla lingua in brevissimo tempo lasciando solo il bastoncino: che peccato.
«Ma dico sei impazzito?» domandò lei guardandolo arrabbiata
«Eh? Io... non saprei» rispose a caso, preso alla sprovvista «Ti aveva fatto male un'altra volta vero?»
«Quello è un povero disgraziato, lascialo perdere. Era un problema mio, come ti è saltato in mente di mettermi in mezzo?» voleva solo aiutarla, non capiva perchè si arrabbiasse così «Non fare mai più una cosa del genere, c'è quasi da chiedersi chi sia stato quello dal comportamento più stupido tra tutti e tre!» sospirò strizzandosi la maglietta e riavviandosi i capelli mossi «Andiamo che bisogna finire il lavoro entro poche ore» concluse secca prima di avviarsi per tornare alla pittura.
Era successo ancora, si avvicinava a lei abbastanza da poter avere un po' di confidenza poi accadeva qualcosa che improvvisamente li allontanava. Cos'aveva sbagliato questa volta? Certo l'aver perso quasi il controllo come se avessero toccato qualcosa di sua esclusiva proprietà era stato pericoloso, eccessivo forse, ma era il caso di arrabbiarsi così tanto da parte di Kokoro? O, se proprio voleva arrabbiarsi, non poteva anche ringraziarlo in minima parte per aver preso le sue difese? A quel punto era talmente spiazzato e confuso da non riuscire nemmeno ad arrabbiarsi come la volta precedente.

*Sono caramelle tradizionali giapponesi a base di semplice caramelle. "bekkō" è il colore ambrato, mentre "ame", come abbiamo già visto, è la caramella. Qualche esempio qui - qui


Altro aspetto di Aiba messo in luce *-* è puccioso certo, ma non dimentichiamo che è uomo u.u (non lo dimentico mai io!) e che uomo! coff coff
Lo so, ho fatto passare un po' di tempo... ma del resto ho completato Zakuro (che andava completato =P), ho scritto la oneshot di Kaze (ah.. posso essere fan di una mia stessa ff o non è feirplei? ç_ç) e le drabble di 5x100... oltre ad aver fatto gli esami di settembre! (uno passato con 29 e uno non passato, se a qualcuno interesa XD ahahah!!!)
Ci sentiamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** パナップ Panapp ***


La rabbia arrivò dopo un paio di giorni, quando riuscì a riprendersi dallo stupore e riuscì a ragionare sulla situazione. Era successo di nuovo: sul momento non aveva saputo cosa dire, ma ripensandoci dopo avrebbe potuto dirgliene quattro. Ma forse non l'avrebbe fatto comunque. La volta precedente gli aveva risposto male, ma senza cattiveria: era scossa per l'incontro con quel tizio, che doveva averla aggredita come aveva fatto il giorno prima sul retro della casa, e la sua invadenza l'aveva probabilmente urtata a pochi minuti da quella brutta esperienza, era ancora spaventata dalla reazione esagerata di quell'uomo e si era vergognata di fargli vedere le prove di quello che era successo. Effettivamente lui non poteva capire... era convinto che nessun uomo potesse comprendere quel che passa nel cuore e nella mente di una donna che viene aggredita fisicamente o a parole.
Mentre rifletteva per l'ennesima volta su quei pensieri stava guardando la televisione con il fratello. La cosa che apprezzava in casa sua, e che non accadeva nemmeno con gli altri Arashi, era che quando passava qualche loro pubblicità non veniva fatto alcun commento: che fosse un loro programma o una pubblicità di uno di loro, tutti insieme o sua nello specifico, a casa nessuno faceva nessun commento. Passavano come spot uguali ad altri, mentre con gli altri quattro era facile fare battute o osservazioni, oppure ripetere le battute degli altri facendosi il verso. Quella sera Aiba se ne stava in canottiera e pantaloncini, steso sul divano, mentre Yusuke sottolineava un libro e lanciava occhiate distratte al televisore. Suonò il cellulare del fratello e lui lo osservò leggere la mail e richiudere l'apparecchio senza rispondere. «Ne... Yucchan» lo chiamò piegandosi in avanti per sporgersi dal divano «Come va con la tua ragazza?»
«Abbiamo litigato» dichiarò lapidario
«Oh... capisco»
«Con la tua?» il fratello rigirò la domanda
«Abbiamo litigato» spiegò scrollando le spalle
«Eeeeeh?» esclamò quello lasciando perdere i libri e guardandolo con gli occhi sgranati
«Sssst! Zitto!» disse Aiba allungando le mani verso di lui per tappargli la bocca
«Cosa state combinando voi due?» domandò la madre entrando in salotto in quel momento «Vi ho portato qualcosa per raffreddare questo vostro...» fece una pausa osservandoli, uno svaccato sul divano, l'altro circondato dai cuscini ai piedi del mobile «... spirito focoso. Beh... pazienza» lasciò in mano ai ragazzi due coppette di Panapp* all'uva e alla fragola
«Grazie mà» dissero entrambi in coro, mettendosi a scartare il gelato. Aiba si mise seduto mettendo una gamba alla destra di Yusuke e una alla sinistra, appoggiò il gomito al ginocchio sinistro tenendo in mano la coppetta scartata. «Allora è la tua ragazza?» domandò il fratello alzando un braccio per appoggiare il gomito sul ginocchio destro del fratello: in questo modo entrambe le coppette erano alla stessa altezza e alla portata di entrambi, potevano così continuare a guardare al televisione e mangiare tutti e due i gusti. Era una tecnica raffinata negli anni, non c'era cosa che non avessero spartito da quando erano piccoli. «No, ho risposto d'impulso, ma non è la mia ragazza»
«Ma lei lo sa che ti piace?»
«Ma SHcherFi?» scosse il capo il ragazzo mentre teneva il cucchiaino in bocca «Tu come credi che reagirebbe una persona... tipo, uno che viene preso di mira da dei bulli ma non vuole farlo sapere?»
«E io cosa ne so? La picchiano dei bulli?» domandò spaesato Yusuke
«No, no... vabbè non importa. Credo di aver ficcato il naso in affari che non mi riguardano»
«Tipico»
«Come "tipico"?» domandò indispettito, dandogli il cucchiaino sulla nuca
«Aho! Non puoi negarlo: è tipico tuo! Tendi a preoccuparti sempre tanto per le persone a cui tieni e questo ti porta a superare inconsapevolmente dei limiti che per altri sono invece perfettamente chiari» spiegò il fratello prendendo del gelato dalla sua coppetta «Non lo fai con cattiveria, ma se hai fatto questo errore con lei può darsi che non ti conosca a sufficienza per sapere che pensavi solo di fare qualcosa per lei»
«Forse me lo merito... da quel giorno ho cominciato a viaggiare troppo con la fantasia su di lei e sono già due notti che la sogno» ammise Aiba fissando lo schermo senza realmente vederlo
«Fortuna che abbiamo bagni separati allora» rise divertito il fratello, anche dopo che l'altro gli diede una ginocchiata sulla spalla. «Va bene, va bene... parlando seriamente, non sarebbe più intelligente chiamarla e chiarire?»
«E cosa le dico? "Scusa sai, ma sono abituato a ficcare il naso in affari altrui e non ho potuto non farlo anche con te dato che ti amo", ma ti prego. Sembrano le parole di un ubriaco»
«Infatti solo un ubriaco parlerebbe così» storse il naso l'altro «Basta che le chiedi scusa, poi approfitta per chiacchierare con lei, capire cosa ne pensa di te e bla bla bla... quelle cose lì insomma»
«Ma da quando sei diventato esperto di donne?» domandò lui fissando i capelli scompigliati del fratello che aveva fatto il bagno qualche ora prima, dopo di lui
«Mai... sono assolutamente convinto che le donne sono e saranno sempre un mistero: a volte sembrano la cosa più bella che possa esistere sulla faccia della terra e altre sembrano un branco di demoni che dicono una cosa e ne pensano altre dieci completamente opposte. E tu devi ascoltare quella che ti dicono, ma assolutamente capire che dietro ce ne stanno altre dieci e quali sono!» ficcò il cucchiaino nel gelato alla fragola con rabbia «Che nervi!»
«Afferrato il concetto» sospirò Aiba «Tieni qui, adesso vengo a riprenderla... e non finirla!» gli disse accennando alla sua coppetta di gelato, prima di alzarsi dal divano e recuperare il cellulare dalla tasca
«Dove vai?»
«A svelare a questa donna che alla mia azione corrispondeva un solo significato, ma non quello che crede lei» spiegò prima di salire in camera per cambiarsi.
Kokoro rispose al telefono e tutto sommato la sua voce suonava normale, Aiba le propose di vedersi alla fontana del parco del quartiere e lei accettò senza fare domande. Si mise un paio di jeans leggeri, un polo blu e delle infradito, uscendo poi con un paio di spicci e il solo cellulare. Arrivò con ben 10 minuti d'anticipo e rimase in piedi ad attendere con gli occhi chiusi godendo al massimo del lieve venticello che si era alzato quella sera. Nella mano teneva la sua coppetta e la agitava lentamente guardando i pezzi di gelato ancora solidi nuotare nella parte completamente sciolta, il bianco e l color crema colorarsi con le strisce rosse della crema alla fragola: i tuoi pensieri sembravano un po' così, confusi. Lei arrivò due minuti dopo l'orario stabilito, correndo. «E' molto che aspetti?»
«No, sono appena arrivato» mentì, quella sì che sembrava una scena da fumetto! «Cos'hai lì?» domandò vedendo che portava un pacchetto tra le mani
«Una cosa che volevo farti vedere» annunciò la ragazza con un sorriso raggiante «Quello?» fece ammiccando al bicchiere che gli vedeva in mano
«Panapp sciolto» spiegò ridacchiando
«Che gusto?» chiese avvicinandosi per sbirciare il contenuto
«Fragola» si sedette sul bordo della fontana «Allora cosa volevi farmi vedere?»
«Giusto! Adesso vedi» rise mettendosi al suo fianco e aprendo il pacchetto che poi era una busta da lettere tanto riempita da risultare più voluminosa del normale. C'erano foto al suo interno «Sono quelle scattate quando abbiamo dipinto, ti ho portato quelle in cui ci sei tu... se non lo finisci lo finisco io» aggiunse poi riferendosi al gelato
«Prego» disse porgendole il bicchiere «Smette di piacermi quando diventa liquido e si mischia tutto. Vediamo...» disse poi curioso, chinandosi dalla sua parte per prenderle dalle mani le foto. C'erano delle quelle fatte con gli uomini sulle impalcature, quelle di quando aveva dato una mano a portare e distribuire un vassoio pieno di bicchieri di mugicha -per poco non rovesciava tutto per colpa di Ryo chan gli si era attaccato alla gamba improvvisamente!- e, ovviamente, le foto sue e di Kokoro con la vergognosa pettinatura che si erano fatti a vicenda. «Mi sono divertito un sacco, anche se queste foto devono assolutamente sparire: sono ridicolo con quel codino!» continuava a ridere
«Stai tranquillo, ho controllato io stessa che nessuno tenesse i file di queste foto. Sono in un mini cd dentro la busta se dovessero servire a te» spiegò Kokoro
«Oh... come sei stata scrupolosa» ammise lui senza parole
«Ho solo pensato che non fosse il caso di lasciare in giro troppe foto tue, però di un paio di scatti ho fatto delle copie»
«Si spiega perché mi è sembrato di vederne alcune doppie, credevo di avere le allucinazioni» ridacchiò
«No, è normale. Volevo chiederti se potevamo tenere in condominio quella di gruppo e poi i bambini volevano una copia a testa della nostra foto, tutti e cinque insieme» gli spiegò indicandogliele nel mazzo
«Va bene, non c'è problema» annuì sorridendo, bisognava ammettere che era stata attenta alle richieste e alle esigenze di tutti «Solo se una copia te la tieni anche tu»
«Eh io?» domandò quella stupita
«Non vorrai che tenga un ricordo così vergognoso tutto da solo» la prese in giro «Dobbiamo condividere questo scempio!» l'altra accettò dandogli uno spintone scherzoso, quindi divise le copie dal mazzo di foto che gli avrebbe lasciato. «Sarà ora di tornare, è tardi» annunciò lei alzandosi in piedi con un sospiro
«Puoi darmi ancora cinque minuti del tuo tempo?» domandò lui di getto, mettendosi davanti a lei ed osservandola dritta negli occhi
«Oh.. si certo» annuì Kokoro arrossendo e abbassando lo sguardo per qualche secondo
«Volevo chiederti scusa» cominciò prendendo un respiro profondo. «Mi sono reso conto che sono fatto così ecco... cioè non riesco a non aiutare le persone a cui tengo, quindi finisco con l'immischiarmi in affari che non mi riguardano» cercava di spiegare confusamente, nel tentativo di ricordare le parole usate da Yusuke, in quel momento non riusciva a pensare a parole proprie «E dato che non mi conosci magari ti sembra che...»
«Aiba san» lo interruppe lei alzando una mano, gli appoggiò la busta con le foto sul petto «L'avevo già capito che non avevi agito in cattiva fede» spiegò tenendo lo sguardo basso «Volevi aiutarmi e avrei dovuto ringraziarti, ma non ci sono riuscita. Ero troppo spaventata»
«Posso capirlo, non pensavo esistessero tipi così insistenti» rispose titubante prendendo tra le mani la busta, ma lei ancora non mollava la presa
«No!» esclamò lei interrompendolo di nuovo «Non è quello. Ancora non ci arrivi? Proprio tu?» finalmente lo guardò negli occhi, sembrava di nuovo arrabbiata «Mi ha fatto piacere che ti schierassi dalla mia parte, ma come puoi pensare che mi faccia piacere se alzi le mani su qualcuno?»
«Non ero molto in me in quel momento» si giustificò a bassa voce
«Tu DEVI essere in te, Aiba san. Mi sono arrabbiata per quello, perché non ti sei reso conto del pericolo che stavi correndo. Se una persona così insistente e morbosa avesse scoperto chi eri e se tu gli avessi tirato un pugno, non pensi che avrebbe potuto raccontarlo a qualcuno? Che cosa sarebbe successo allora?». Poteva vederli nella sua testa, i titoli dei maggior giornali scandalistici che annunciavano come Masaki Aiba degli Arashi alzava le mani su un perfetto sconosciuto. Le conseguenze... quelle non riusciva nemmeno ad immaginarle, o non voleva. La ragazza lasciò la presa sulle foto e fece un passo indietro «L'ho capito dalla tua espressione, quando hai alzato il pugno, che non stavi più ragionando su quello che facevi. Per quello ti ho fermato, ho realizzato subito che la situazione stava prendendo una piega troppo brutta, ed è stato grazie a quello che mi sono sbloccata» ammise piegando il capo «Se non mi fossi terrorizzata per colpa della tua reazione esagerata non mi sarei mai decisa a dire ad Uchida la verità, per quanto dolorosa. Era troppo tempo che non riuscivo a respingerlo con decisione per timore di ferirlo, ma non mi rendevo conto che stavo solo peggiorando le cose. Così, prima che le cose peggiorassero ancora ho trovato il coraggio di essere sincera... grazie a te. Ma nonostante tu mi sia stato d'aiuto... devi perdonarmi, non sono riuscita a non arrabbiarmi con te»
«Non importa» rispose con un sospiro «Immagino fosse anche un modo per scaricare la tensione e la paura avuta in quei momenti»
«Non avrei dovuto scaricarla su di te»
«Ma avevi anche una buona ragione. Sono stato uno stupido, persino fino ad oggi non sono riuscito a capire il rischio che ho corso, e dire che dovrei essere il primo ad arrivarci dopo anni che lavoro in questo campo, con precisi comportamenti da tenere. E invece ci è arrivata la prima pittrice di muri del quartiere» scherzò per sdrammatizzare: insomma Kokoro si era comportata così perché aveva pensato a lui, alla sua reputazione. E lui che si era persino arrabbiato con lei, l'innamoramento gli stava dando alla testa! «Stai più attento le prossime volte che vuoi fare a cazzotti con qualcuno» rispose lei per le rime
«Tu vedi di non farti più dei potenziali stalker come spasimanti» la ammonì battendole le foto sulla fronte, per scherzo
«Va bene, va bene. Vedrò di seguire il consiglio della padrona e trovarmi un "bravo fidanzato con la testa sulle spalle"» spiegò facendo il verso della signora della pasticceria. Quelle parole bastarono a fargli drizzare le antenne: un fidanzato? Non se ne parlava proprio. «Ma no, basta un bel corso di autodifesa» le disse mettendo la busta di foto nella tasca dei pantaloni
«Si chiaro, ma vuoi mettere un corso di autodifesa con un fidanzato?» sorrise lei, con una punta di malizia «Ci sono cose che solo un uomo può dare»
«Indubbiamente» a quel punto sembrava che il corso di autodifesa -da lui- sarebbe servito al futuro fidanzato, perché improvvisamente Aiba venne colto dall'ansia: non voleva che Kokoro si mettesse a cercare qualcuno, non voleva che lo trovasse, tutti i suoi sforzi sarebbero stati vanificati nel momento in cui avrebbe cominciato ad uscire con qualcuno, gli prudevano le mani solo a pensarci. «Va bene, ci sentiamo allora» fece lei con un sospiro
«Mh» annuì lui ancora mezzo perso nei suoi pensieri. Non poteva lasciare che accadesse, tutto sommato si stava divertendo, non sapeva bene che direzione stava prendendo quella storia dell'innamoramento, però era divertente, nonostante incomprensioni o agitati sogni notturni (e diurni talvolta). Era qualcosa che spezzava la routine di ogni giorno, che movimentava quelle sue vacanze primaverili, che gli faceva battere il cuore e gli scombussolava lo stomaco e lo faceva sentire vivo. «Buona notte» sorrise lei prima di girare sui tacchi per andarsene. Non ebbe nemmeno il tempo di pensarlo che già lo stava facendo: fece un passo in avanti verso di lei e le afferrò un braccio tirandolo abbastanza perchè lei si girasse verso di sè. Ebbe solo un attimo per vedere la sua espressione stupita da quel suo improvviso richiamo «Co...» si piegò su di lei e chiuse gli occhi baciandola il secondo dopo che si fu girata.
Ci furono dei primi momenti di completa stasi di entrambi, persino lui dovette realizzare che il suo corpo si era mosso decidendo di baciarla alla sprovvista, dopodichè, dato che Kokoro non si era tirata indietro -avrebbe potuto farlo dato che la teneva solo per un braccio- si decise a tentare di passare dal bacio a stampo a qualcosa di più significativo. A sorpresa non incontrò alcun impedimento: non solo lo lasciò libero di baciarla, ma la senti addirittura assecondarlo e rispondere intrecciando la lingua con la sua. Cos'avrebbe dovuto pensare a quel punto? Non lo sapeva nemmeno lui, del resto era stupito quanto lei di star facendo tutto quello. "fragola" fu tutto quello che gli passò per la testa, il sapore del gelato, il sapore di quel bacio inaspettato.
Visto dall'esterno tutto avvenne in una manciata di secondi, al massimo una decina, e il bacio stesso avvenne in maniera confusa, frenetica, lasciando stupiti tutti e due. Si guardarono in faccia, rossi entrambi. «Mh...» mugugnò lei annuendo appena con il capo
«Eheh» ridacchiò quasi istericamente Aiba «Questo era per ringraziarti di avermi portato le foto» tentò di giustificarsi
«Oh, ottimo» tossicchiò lei facendo un passo indietro e lui le lasciò il braccio «A saperlo prima ti portavo altre cose più spesso» farfugliò con un sorrisino stentato stampato in faccia
«Eh già» face spallucce, aveva la stessa espressione idiota che aveva lei «Allora buonanotte eh?»
«Si giusto, buonanotte» disse lei chinando il capo e trattenendo un sorriso, fin troppo raggiante, serrando le labbra e abbassando lo sguardo
«Oh ehm.. non farti strane idee eh?» specificò Aiba, in realtà stava blaterando a caso qualcosa perchè non sapeva assolutamente come concludere quella scena
«No, no... certo che no. Ci sentiamo eh?» rispose Kokoro senza più guardarlo in faccia
«Si, ci sentiamo» fece per poi girarsi anche lui e avviarsi verso casa.
Mentre camminava tentò di recuperare il controllo completo dei suoi pensieri e come prima cosa realizzò quello che aveva appena detto: "per ringraziarti delle foto", "non farti strane idee"? Ma dove aveva lasciato le sinapsi lingua-cervello?

* Panapp è un tipo di gelato della Glico vedere qui


Com'è nata la scena clou di questo capitolo? Non ci crederete ma ma è assolutamente autobiografica XD Parlo esclusivamente della scena del bacio: identica per ambiente, modalità e stronzate dette nei momenti successivi.
Due estati fa, dopo che mi era successa questa cosa, tornavo verso casa mia e una parte era ovviamente al settimo cielo, ma una parte di me non poteva fare a meno di morire dal ridere (e ho riso lungo la strada, giuro) perchè continuavo a pensare "Ma dio bono, questa scena è uscita fuori di uno shoujo manga! Non può essere vera! Un giorno devo ficcarla da qualche parte in qualche storia, è troppo esilarante!". Detto fatto u.u
Al prossimo capitolo tesori

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Capitolo 8
*** 花びら餅 Hanabira Mochi [1#] ***


La maggior parte delle persone pensa che le siano solo le donne a farsi scrupoli, solo loro a pensare a lungo sulle cose fatte e non fatte, dette e non detto. In parte è vero, sicuramente gli uomini si fanno meno problemi, ma questo non significa che non riflettano mai sulle loro azioni; al massimo ci riflettono meno o nella maniera sbagliata, ma lo fanno. Difatti Aiba aveva pensato a quello che aveva fatto. Per essere più precisi però non ci aveva riflettuto subito, aveva passato una notte a ripercorrere i ricordi di quel bacio e a fantasticare pensando a cose del tipo "se non fossi fuggito subito avrei fatto così" o "fossimo stati in casa da soli avrei potuto cosà", poi era arrivata la mattina e allora sì che aveva lasciato da parte le fantasticherie per cominciare a realizzare nel concreto ciò che aveva fatto: conclusione? Era un idiota. O almeno questo era quello che aveva concluso seguendo il filo dei pensieri dal momento in cui aveva aperto gli occhi a quello in cui era rimasto imbambolato, a fissare la ciotola di riso della colazione davanti a sè, con gli occhi persi nel vuoto.
Non erano costantemente pedinati da possibili paparazzi, come delle star di Hollywood, ma c'era sempre l'eventualità di essere beccato da chiunque. Lui aveva fatto una cosa che non violava alcuna regola -nessuno vietava agli Arashi di innamorarsi e avere fidanzate- ma che sicuramente non andava fatta in pubblico. Anche se era sera, anche se era il suo quartiere, dove difficilmente sarebbe stato seguito, non avrebbe dovuto farlo. Punto. Inoltre, le frasi che aveva pronunciato dopo il bacio erano apparentemente senza filo logico, ma se ci pensava bene non era così, c'era una parte cosciente di sè che, seppur in maniera sconnessa, aveva comunicato qualcosa e cioè che in realtà avrebbe dovuto pensarci due volte prima di fare quello che aveva fatto. Ora che però non poteva più riflettere prima di agire, si rendeva conto che quelle frasi forse gli avrebbero salvato la faccia se decideva di fare un passo indietro e doveva pensare seriamente a quell'eventualità. Si divertiva, chiaro, si sentiva più vivo quando il suo cuore batteva in presenza di Kokoro, quando i suoi occhi seguivano i movimenti della ragazza, la linea del suo corpo, gli veniva persino da ridere a vedersi dal fuori, così eccitato come un ragazzino alla prima cotta. Ma poteva permetterselo? Sapeva di essere uno che si affeziona molto alle persone che gli piacevano, il suo cuore si attaccava a loro in maniera quasi disperata, le considerava preziose più di se stesso e più le amava più rimaneva ferito se qualcosa non andava. Un esempio che sentiva tutti i giorni davanti agli occhi era quando veniva sgridato per un ritardo o un lavoro svolto con poca attenzione: sentiva la differenza nel suo cuore quando era un collaboratore chiunque a farlo o quando invece lo facevano Jun o Sho. Deludere loro, nello specifico, era un dolore superiore alla delusione data a chiunque altro. Così come completare un lavoro con i ragazzi gli dava una gioia immensa e completare un drama con altre persone gli dava un senso di soddisfazione certamente appagante, ma inferiore. Poteva quindi permettere la manovrazione dei suoi sentimenti in maniera così profonda ad una persona conosciuta da poco? Gli Arashi non erano sconosciuti, loro potevano farlo, ma lei, per quanto carina e speciale a suo modo, non la conosceva ancora a sufficienza. Aveva quindi fatto un errore gravissimo: quel bacio l'aveva avvicinata e le aveva conferito del potere su di lui; l'aveva capito dalla gioia che gli aveva dato il sorriso di lei. Aveva avvicinato entrambi, lo dimostrava il fato che aveva dubbi. Se non l'avesse fatto forse ora sarebbe stato in grado di mettere la parola "fine" a quel gioco di sentimenti, anche se divertente. Adesso invece era una situazione dalla quale non vedeva vie d'uscita senza evitare di ferirla.
Si stava preparando per andare al conbini, indossava jeans, maglietta e una felpa grigia senza maniche, con il cappuccio: faceva più fresco dei giorni precedenti e alcune nuvole si erano addensate nel cielo minacciando pioggia. «Aiba chan! Non prendi l'ombrello?» domandò la madre comparendo nell'atrio vestita di tutto punto
«Non troviamo più quello verde, no? Papà ne ha uno, Yucchan ha il suo, quindi rimane l'ultimo. Meglio se lo prendi tu» spiegò tirandolo dal portaombrelli all'entrata e porgendoglielo
«Sei sicuro?» domandò mentre posava borsa e giacca da una parte per piegarsi ad indossare le scarpe
«Io devo solo andare e tornare, tu non puoi arrivare bagnata al lavoro. A dopo mà» le lasciò un bacio sulla nuca e uscì con le infradito. Si era alzato il vento nel frattempo e lui allungò il passo mentre si ficcava le mani in tasca: aveva la lista da una parte e il cellulare dall'altra, che vibrò in quel momento「Come stai oggi? So di essere una seccatura, ma avrei bisogno di nuovo del tuo aiuto. Hai da fare dopo cena? Non preoccuparti non devi dipingere niente, ma mi servirebbe un assaggiatore. Hanayaka Kokoro」. L'aveva baciata e firmava con nome e cognome? Forse era un buon segno: non era troppo tardi per tirarsi indietro... sempre che volesse veramente farlo. Con un sospiro a denti stretti uscì dal menù delle mail e digitò rapidamente un numero a memoria, portandosi il telefono all'orecchio ed aspettando la risposta mentre continuava a camminare per la strada. 「Pronto?」
«Buh»
「... chi è?」
«Aiba...»
「Aiba chan! Che diavolo, hai cambiato di nuovo numero?」
«Si»
「Perchè?」
«Così, mi ero stufato del numero di prima. Questo ha un sacco di numeri pari, è più bello»
「Mah! Convinto tu... un giorno mi stuferò di tener traccia dei numeri che cambi」
«Ma tu rispondi ai numeri sconosciuti?»
「E che male c'è? Quando capita è qualcuno che sbaglia numero e non è che appena comincia la conversazione viene proiettata una mia immagine 3D dall'altra parte...」
«Sarebbe figo però!»
「Lasciamo stare... come mai mi chiami? E' raro sentirti quando sei dai tuoi」
«Ne...»
「Mh?」
«...» non riuscì a dire nulla. Si fermò davanti alla porta scorrevole del conbini aspettando che si aprisse, quindi oltrepassò l'entrata e si guardò intorno distratto「Mi devo preoccupare: tu, silenzioso? E' successo qualcosa in famiglia?」
«No, no...» scosse il capo prendendo un cestello e avviandosi verso il bancone della frutta
「Se sospiri c'è qualcosa che ti preoccupa e se mi chiami durante la pausa primaverile significa che stai rimuginando eccessivamente su qualcosa senza venire a capo di niente」
«Ne... ti ricordi com'era innamorarsi?»
「Eh? Beh sì... è passato un po' di tempo. Però penso si possa dire che ogni volta è diverso, no?」
«Si, è vero.. che c'è da ridere?»
「Non pensavo mi avresti chiamato per problemi di cuore!」
«Pensi che possa innamorarmi?» domandò di getto raccogliendo la fratta che gli serviva nel cestello e svoltando l'angolo per passare al reparto successivo «Cioè... andrebbe bene? Non sarebbe pericoloso?»
「Penso che tu ti faccia sempre un sacco di problemi su cose inutili e invece rifletta meno su quelle più importanti」
«Cosa significa?»
「Lascia stare, non importa」
«No, dimmelo!»
「Non c'entra nulla con il discorso attuale...」
«Voglio saperlo comunque»
「Vabbè. A volte sembra che tu sia al lavoro solo per giocare. Noi sappiamo che invece ci tieni e ti impegni sempre senza risparmiarti e che hai semplicemente il dono di mantenere sempre il sorriso e trasmetterlo agli altri, a volte però chi non ti conosce ha una percezione sbagliata di questo tuo atteggiamento: qualcuno può pensare che tu sia poso serio, frivolo e distratto. E il punto è che... non ti preoccupi di questo! Anzi, nemmeno te ne accorgi! Forse invece dovresti. A volte non hai voluto appianare delle incomprensioni coni collaboratori quando sarebbe costato poco farlo dato che l'idea che avevi dato era sbagliata...
Oppure alcune cose le fai un po'... a caso, sì insomma vai ad istinto. Capita che vada bene a tutti e che il tuo istinto ci azzecchi, ma altre volte succede che dobbiamo impuntarci per farti capire che alcune volte bisogna pianificare, analizzare e pensare seriamente alle cose.」
«Capisco...»
「Non fraintendermi Aiba chan... non sono scontento di te, nessuno lo è. Abbiamo concluso benissimo l'anno, il gruppo è carico e tutti ti adoriamo come tu adori noi. Però mi hai fatto una domanda...」
«Si, si, l'avevo intuito»
「Non cambiare Aiba chan, non saresti più tu」
«Grazie» sorrise genuinamente guardando la fila di scatolette davanti a lui: fortuna che non c'era tanta gente a quell'ora. 「Per tornare al discorso principale... con ciò intendevo dire che tu non ti preoccupi di cose serie come queste, ma per cose stupide come "posso amare una persona?" invece fai su le tragedie greche!」
«Vedo che la cosa ti diverte parecchio»
「Perdonami, ma è veramente buffa come cosa. Immagino che il tuo problema potrebbe essere: primo, non riesci ad esprimere i tuoi pensieri come vorresti; secondo, ti sei fatto prendere la mano e hai concesso troppo; oppure, terzo, non sai veramente se concedere il tuo amore incondizionato. Quale delle tre?」
«Penso di aver fatto la combo: parappappà!» canticchiò imitando una musichetta da videogame
「Non finirai mai di stupirmi.
Sai, pensandoci... forse tutti e cinque ci faremmo lo stesso problema, in misura diversa, ma ci porremmo tutti la questione: "e se mi scotto tanto da causare problemi sul lavoro?"」
«E' uno dei problemi... non vorrei mai che succedesse»
「Allo stesso tempo credo che gli altri al mio posto direbbero la stessa cosa: se ci tieni buttati, Aiba chan. Sappiamo quanto tu dia di te stesso alle persone e, di conseguenza, quanto tu possa essere ferito se qualcosa non funziona, ma sai anche che noi siamo sempre con te. Saremo a tuo fianco se succederà e vedrai che ti aiuteremo a riparare alle ferite, a sostenerti sul lavoro senza che nessuno si accorga di nulla」
«Sarei di nuovo un peso...»
「Sei sempre un peso, scemo!」
«Eeeeeeh?!!!»
「Ognuno di noi ha quattro pesi da portarsi appresso, o non saremmo un gruppo, non credi?」
«Si è vero»
「Chi è?」
«Cosa?»
「Non fare il finto tonto: chi è "lei"?」
«Figurati se te lo dico! Nel giro di cinque minuti lo sanno anche gli altri e in due ore siete davanti alla mia porta con la curiosità che vi trasuda da ogni poro»
「Ahahah! Che immagine disgustosa! Sei l'ultimo che può accusarci di essere delle comari, in ogni caso: al posto nostro faresti lo stesso!」
«Bugia!» tentò di difendersi mentre passava al reparto successivo «Oltretutto non c'è niente di sicuro, quindi non ha senso raccontare qualcosa adesso. Ci sentiamo?» tagliò corto rimanendo bloccato all'inizio del corridoio del conbini
「Vuoi mettere giù eh? Vedi di farmi sapere qualcosa a questo punto però! Saresti crudele a non darmi più aggiornamenti sai?」
«Ma se ci vediamo tra tre giorni agli studi?»
「Hai ragione, ormai è ora di tornare al lavoro. Va bene, a lunedì!」
«Ciao!»
Non aveva bisogno di ringraziarlo. Gli Arashi erano amici o forse più che amici, una famiglia? Ogni volta che ci pensava non riusciva a trovare un modo per definirli: loro erano tutto. Per questo doveva ringraziarli ogni minuto che esistevano al suo fianco, ma insieme sapeva che il più delle volte non aveva bisogno di farlo, così come loro non dovevano ringraziare lui tutte le volte: continuare ad essere quello che erano tutti insieme era una ringraziamento sufficiente per ognuno.
Ripose il cellulare in tasca e fece un profondo respiro, avrebbe voluto parlare di più per distrarsi un po', ma inaspettatamente il suo problema era comparso davanti ai suoi occhi. Kokoro, in una tuta sportiva blu notte, osservava attentamente lo scaffale allungando ogni tanto la mano e puntando il dito sui prodotti leggendone l'etichetta. Non si era girata perchè aveva gli auricolari nelle cuffie e non l'aveva sentito. In quella situazione improvvisamente sentiva il forte desiderio di passare oltre facendo finta di non averla vista e quel pensiero era estremamente doloroso se pensava che pochi giorni prima avrebbe fatto carte false per incontrarla per caso a tutte le ore della giornata. Nel corridoio c'era qualcosa che cercava quindi decise di avviarsi facendo finta di nulla e agire a seconda di ciò che capitava. Osservò lo scaffale con il cuore che batteva all'impazzata: era emozionato di averla lì o era terrorizzato di essere visto da lei? Qualsiasi cosa fosse stata svanì quando, avvicinatosi a sufficienza, sentì che canticchiava a bassissima voce, con le labbra chiuse: non poteva sbagliarsi, quella era "Ashita no kyoku"! Ormai arrivato alle sue spalle si voltò a guardarla -stava scegliendo tra diverse farine- e allungò la mano per sfilarle un'auricolare. «Non dicevi che non sei una nostra fan?» domandò trattenendo una risata quando la vide sobbalzare e girarsi con gli occhi sgranati
«Masaki san, mi hai spaventato!»
«Lo so, per questo l'ho fatto» spiegò gongolandosi del riuscito scherzo
«Non lo sono» spiegò riprendendosi l'auricolare dalle sue dita «Mi è solo venuta curiosità e allora sto ascoltando qualcosa»
«Certo, è solo curiosità e infatti sai già a memoria la melodia» sorrise guardandola di sbieco e allungando una mano verso il suo cestello «Te lo porto io»
«Eh? No ma...» riuscì solo a balbettare prima che lui la sollevasse del peso «Lo giuro! E' solo che mi è piaciuta e l'ho ascoltata un numero di volte sufficienti a ricordare la musica: tutto qui» spiegò infine scegliendo uno dei pacchi di farina e aggiungendolo al cestello
«Sei una credulona: ti stavo solo prendendo in giro» ridacchiò «MI prendi quello sul terzo scaffale? Poi ho finito» le indicò con un cenno del capo l'ultima cosa che doveva comprare quindi si avviò alle casse. «Grazie, non faccio che disturbarti» disse Kokoro svuotando il suo cestello a capo chino
«No figurati, mi fa solo... piacere» rispose, titubante per qualche attimo, improvvisamente ricordando di aver dimenticato qualsiasi dubbio e patema d'animo in quei minuti con lei: non poteva ammettersi distrazioni! Pagarono entrambi e arrivarono all'uscita che si era messo a piovere «L'ombrello?» domandò lei aprendo il suo e facendo un passo all'esterno
«Ho il cappuccio» spiegò Aiba alzandoselo sulla testa
«Vuoi scherzare?» domandò la ragazza aggrottando le sopracciglia «Devo comunque passare dalle tue parti per andare a casa mia, andiamo insieme no? Almeno non ti bagni» spiegò accennando al suo ombrello, invitandolo a seguirla al riparo
«No, sto bene così, grazie» rispose secco lui uscendo definitivamente dal conbini e allungando il paso sotto la pioggia. La stava evitando? La stava evitando. Che significato aveva evitarla dopo aver attaccato bottone tra i corridoi del minimarket, averle portato il cestello e averla aiutato a riempire il sacchetto? Pensandoci bene, in due sotto un ombrello era un quadretto piuttosto romantico che non gli sarebbe dispiaciuto, ma che non doveva permettersi. Doveva dare un senso ai suoi atteggiamenti e quindi adottare la linea dura del "tra noi è finita". Arrivato all'angolo rallentò di modo da svoltare e guardare con la coda dell'occhio alle sue spalle, per guardare cos'avesse fatto Kokoro, ma si accorse che non era dietro di lui. Si fermò e si girò a guardare meglio, era ancora sotto l'ombrello davanti al supermercato. I pantaloni della tuta erano un po' troppo lunghi e toccavano terra, così si stavano bagnando lentamente, i capelli, generalmente appena mossi, avevano le punte arricciate dall'umidità e non poteva vedere fin lì ma ne era certo, il suo sguardo era probabilmente uno dei più basiti. C'erano mille modi per parlare ad una persona adulta del fatto che si era fatto prendere la mano quando invece era meglio fermarsi e lui non ne stava usando uno di quello, nè lei si meritava quel suo atteggiamento dato che era Aiba a fare tutto da solo, se ne rendeva conto!
«Vado di fretta» tentò di scusarsi «Ci vediamo dopo cena». Sarebbe andato ad aiutarla come chiesto e avrebbe approfittato di quel faccia a faccia per chiarire la situazione. Ne era convinto.


Questo capitolo è la prima parte perchè sono due momenti, ma dello stesso giorno quindi collegati allo stesso dolce. Aiba mi è sempre sembrato una persona semplice, istintiva, spontanea. Questo tipo di persone, fondamentalmente buone, a volte sono "viziate" da chi li conosce perchè non si debbano trovare in situazioni in cui la loro bontà diventi causa di ansia e problemi per loro stessi, sentendosi inadeguati. Ho semplicemente ipotizzato che gli Arashi facciano un po' così con lui, ma Kokoro non lo conosce quindi questa è la situazione nuda e cruda, davanti alla quale il nostro "viziato" deve fare i conti anche con la sensibilità altrui.
Ah... voglio scrivere la seconda parte *_*

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Capitolo 9
*** 花びら餅 Hanabira Mochi [2#] ***


Aveva preso la sua decisione. Il suo lavoro, la sua stabilità e i suoi amici erano più importanti di una cotta passeggera. Quella sera si sarebbe comportato da amico impeccabile senza avere nessun comportamento strano, ma, anzi, facendo intendere un confine tra loro.
Non cambiò i vestiti di quel pomeriggio dopo averli asciugati. La pioggia cadeva ancora intensamente, quindi rubò l'ombrello a suo fratello e si avviò a passo spedito, evitando le pozzanghere saltellando da una parte all'altra. A metà strada si accorse della scarsa utilità dell'ombrello dato che non pioveva forte, ma il vento soffiava tanto da farla cadere di sbieco, ma ormai era inutile tornare indietro a prendere una mantella: accelerò il passo e arrivò alla casa azzurra che praticamente correva. «Ahi, ahi, ahi... mi sono bagnatooo!!» borbottò tra sè saltellando nel corridoio d'ingresso, scrollando i piedi dall'acqua. La porta si aprì quando stava per allungare la mano e bussare «Aiba san!» esclamò Kokoro comparendo sull'entrata
«Hanayaka san!» riuscì solo a dire lui di rimando «Non avevo ancora suonato, come hai fatto?»
«Fai talmente rumore che ti ho sentito sciacquettare nelle pozzanghere davanti a casa mentre arrivavi» rispose lei ridendo. Masaki rise a sua volta «Ah, scusa, scusa!» fece inchinandosi, mentre saltellava sul posto «Hai un asciugamano?»
«Si, ce l'ho qui» spiegò rivelando che ne aveva già uno in mano e passandoglielo «Ma.. Aiba san stai fermo, non ti serve saltare, schizzi ancora di più» continuò divertita. Masaki si tolse le scarpe e i calzini per asciugarsi i piedi mentre Kokoro metteva da una parte l'ombrello e recuperava un altro asciugamano. «Permessooo» annunciò il ragazzo tenendo le scarpe in mano ed entrando in casa scalzo «Accipicchia! E' piccola!» esclamò osservando l'appartamento. Lo spazio per le scarpe all'ingresso era circa un metro quadrato, con l'appendiabiti e una mensola sulla parete di sinistra, dietro la porta. Poco più avanti una porta doveva dare sul bagno perchè oltre la soglia vedeva delle piastrelle azzurre. Sulla destra c'era un'unica grande stanza divisa in due parti da uno shoji in carta di riso: prima veniva la cucina, un po' strettina ma completa di tutto ciò che serviva e una finestrella che dava sul corridoio d'entrata del palazzo, l'altra parte (grande più della metà del totale della stanza) era un soggiorno col pavimento in tatami, un tavolino basso, cuscini per sedersi. Alcuni mobiletti di plastica e delle mensole portavano diversi libri e oggettini di tanti tipi e una tv nell'angolo. «Ecco, qui» annunciò la ragazza mettendogli un asciugamano sulla testa «Mi spieghi come hai fatto a bagnarti anche i capelli se avevi l’ombrello?» domandò prendendolo in giro e sfregandogli i capelli con il panno
«Oh! Ehi, piano, piano, piano!» esclamò lui piegandosi per sottrarsi alla tortura, lei riusciva a farlo solo perchè si trovava sul gradino della casa, arrivando così più o meno alla sua stessa altezza. Le prese le braccia per fermarla «Sono solo umidiccio, non fradicio!» esclamò muovendo la testa per scrollarsi di dosso l'asciugamano ed osservarla. Se la ritrovò a pochi centimetri dal viso e dopo un primo secondo di spaesamento deglutì e aggrottò le sopracciglia «Posso usare il bagno?» domandò mantenendo un tono neutrale
«Oh, si. Certo!» rispose lei sentendo poi un rumore dalla cucina e distraendosi «Usa tutti gli asciugamani che ti servono. Se vuoi una maglietta di ricambio posso procurartene una» concluse lei lasciandolo fare ed avvicinandosi ai fornelli. Nel bagno si asciugò meglio i piedi e si frizionò per bene i capelli con l'asciugamano risistemandoseli davanti allo specchio anche se erano ancora un po' bagnati sulle punte. «Sarà la stagione delle pioggie in anticipo?» domandò spegnendo la luce
«Com'è possibile? Siamo ancora ad Aprile. Più che anticipo sarebbe uno sconvolgimento» rispose divertita mentre trafficava con una pentola
«Aspettati una nevicata il 25 di Agosto» scherzò lui avvicinandosi e appoggiandosi con la spalla allo shoji, osservando cosa stesse facendo «Allora, di cosa hai bisogno?»
«Lunedì partecipo ad un concorso» esordì lei mescolando dentro la pentola
«Di che tipo?»
«E' un concorso di pasticceria»
«Dovevo immaginarmelo, che domanda stupida» ridacchiò Masaki per poi smettere subito vedendo la sua occhiataccia
«Scusa se sono prevedibile» sbuffò arricciando il labbro inferiore «Ad ogni modo bisogna fare sufficienti porzioni per la giuria e per il pubblico dato che è una mostra-concorso. Questo significa che devo preparare un numero non ben definito di Hanabira Mochi*»
«Fai gli Ichigo Hanabira Mochi? Wow! Mi piacciono un sacco!» esclamò spalancando gli occhi eccitato all'idea di mangiare dell'anko** «Quindi cosa vuoi? Che faccia da assaggiatore?»
«Aiba san» sospirò «Pensavi sul serio che ti avrei fatto fare tutta la strada fin qui solo per assaggiare un Hanabira Mochi?» domandò sollevando le sopracciglia «Dovresti aiutarmi a farli. Pensi di farcela?»
«Eh?» domandò sgranando gli occhi «Io?» si indicò puntandosi il dito al naso «Ma io non so farli»
«E' più facile di quanto tu non creda: io ho preparato gli ingredienti, dobbiamo solo montarli» spiegò lei con voce naturale, aprendo un sacchetto di farina di riso e spargendola sulla tavola «Dentro questa pentola c'è il mochi, in questa l'anko. C'è bisogno di estrema precisione» fece indicandogli i vari contenitori «Ora guarda come faccio io, poi provi a farne uno tu e ti dò una mano, va bene?»
«Oh.. sembra una lezione di cucina come quelle che si vedono in tv» commentò Masaki, concentrato e pronto ad osservare i movimenti della ragazza «Perchè ridi?» chiese subito dopo, stranito
«Perchè è una cosa buffa detta da uno che la tv la fà» commentò passando le mani nella farina e prendendo un pugno di composto per mochi facendone una polpetta.
Con calma mostrò al ragazzo la procedura e gli spiegò qualche trucco, quando lo vide sicuro e pronto lo lasciò cominciare. All'inizio rimasero in silenzio, poi Kokoro si sciacquò le mani e accese lo stereo dal quale cominciò ad uscire semplicemente della musica tradizionale, principalmente pezzi di koto e shamisen. «A questo punto mi sbalordisco che tu abbia una televisione e un lettore MP3» commentò piano Masaki quando la ragazza tornò al tavolo
«Perchè?» domandò lei stranita
«Dolci tradizionali, musica tradizionale, non ascolti i nostri pezzi, fai la spesa al conbini del quartiere e non ti ho mai visto vestita... "alla moda" diciamo. Sembri vivere in un tempo diverso dal nostro» provò a spiegare
«Aiba san, mi dispiace di averti dato quest'impressione» spiegò finendo uno dei daikufu e posandolo nel vassoio che avrebbe usato per trasportare i dolci
«Non devi dispiacerti, lo dicevo in senso buono» spiegò Masaki. Quella situazione lo faceva stare bene: la pioggia fuori picchiettava sull'asfalto e sui vetri con regolarità, la musica era appena un sottofondo che non copriva nessun'altro rumore e passare il tempo a quel modo, concentrandosi su un compito così semplice e tranquillo, lo rilassava. Alzò gli occhi su Kokoro, per sbirciare il suo viso, ma incontrò il suo sguardo quando anche lei cercava di guardare dalla sua parte e tornò di scatto ad osservare le proprie mani mentre stava lavorando: così proprio non andava. Aveva l'impressione che l'atmosfera si stesse riempiendo di un sentore romantico che lui aveva deciso invece di evitare. Doveva finire in fretta e tornare a casa prima che diventasse tardi, prima che gli venisse voglia di passare più tempo in quella casa, con lei. «Per ringraziarti dopo ti offro del sake»
«Hai del sake in casa?»
«Chiaro, quale buon giapponese non ha almeno una bottiglia di sake in casa? In più io posso prendere, con un po' di sconto, quelle della pasticceria che sono di qualità ottima» e come si poteva dire "no" ad una buona bevuta di sake?
«Potremmo berne qualche goccio anche ora?» propose, spinto dall'idea che forse un po' d'alcool lo avrebbe sciolto per portare l'atmosfera da tesa e romantica ad amichevole e brillante. Non che con Kokoro avesse mai trovato difficoltà a parlare, ma dopo quel bacio si rendeva conto di essere lui a stare sulle sue, troppo attento a non strafare coi suoi soliti atteggiamenti sciolti e amichevoli per paura di dare l'idea sbagliata quando quello che si era prefisso era cancellare ciò che aveva fatto lui stesso qualche sera prima. Così invece otteneva l'effetto contrario e rendeva il rapporto tra loro teso e irrisolto proprio a causa di ciò che era successo, eppure non riusciva a sciogliersi.
Era difficile anche dire "no" ad un anticipo di sake, quindi la risposta della ragazza fu affermativa. Tirò fuori la bottiglia e le piccole ciotole piatte del servizio, così avrebbero bevuto piccoli sorsi mentre continuavano a lavorare senza ubriacarsi ed evitando così di sbagliare qualcosa nella preparazione.
Finirono gli Hanabira Mochi solo dopo un paio d'ore: erano tantissimi! Parlarono di tantissime cose: la famiglia di Kokoro, la sua, i loro lavori, i progetti dei futuri CD, le opportunità se avesse vinto il concorso di pasticceria, parlarono di film e dei loro amici. Masaki rimase sconcertato da quanto fossero diversi, da quanto il loro mondo e la loro vita fosse differenziata. Forse era così perchè la maggior parte delle persone che conosceva erano del suo ambiente, perchè gli Arashi erano quelli con cui stava più a contatto, perchè gli altri amici erano conoscenze dell'infanzia che non aveva lasciato andare e le cui vite aveva sempre seguito, pur non potendo sempre partecipare. Erano cresciuti entrambi in famiglie a posto che li avevano amati e avevano sempre voluto il meglio per loro, ma mentre lui aveva pian piano abbandonato gli studi per la sua carriera, Kokoro aveva concentrato le sue energie per svilupparla successivamente. Si stupì quando scoprì che frequentava un numero di amici più alto del suo (cosa che però cercò di non dare a vedere) e che seguiva ciascuno di loro con la stessa attenzione, parlando di ognuno con ammirazione e affetto. Non l'avrebbe mai detto, ecco perchè si era stupito: Kokoro era una ragazza particolare per lui, era avvolta da un'aura giallo tenue che emanava calore, pazienza, tranquillità e che profumava di dolci sfornati (era il suo lavoro, ma aveva notato come tutti i suoi vestiti, forse la sua stessa pelle, profumassero perennemente di dolce), legno (perchè l'aveva spesso incontrata nel negozio che aveva molte parti in legno, o perchè erano vicini a dei parchi: chissà) e tatami appena pulito (l'odore della sua casa, dove stava in quel momento). Scoprire che andava al cinema una volta al mese, che faceva shopping con le amiche e andava a bere in compagnia sembrava stravolgere completamente quell'immagine.
Immergersi nella vita di una nuova persona, prima d'allora sconosciuta, era un viaggio stupefacente. «A cosa stai pensando con quello sguardo perso nel vuoto?»domandò Kokoro dopo averlo lasciato sul divano a riposarsi, lasciandogli sul tavolino il servizio da sake e la bottiglia, mentre lei tornava vicino al tavolo a ritoccare meglio i dolci uno per uno. La casa era piccola e le due stanze comunicanti, quindi potevano parlare tranquillamente anche se non erano seduti vicini. «Che il mondo è proprio vasto e che l'umanità è composta da talmente tante persone che non riesco nemmeno ad immaginarle» rispose lui con sincerità, fissando il piccolo furin che non si muoveva, appeso alla finestra della sala
«Aiba san non dirmi che non reggi l'alcool!» esclamò lei divertita «Che pensieri buffi che fai, quando fin'ora abbiamo parlato di cose banali come telefonate alla famiglia e serate tra amici?»
«Si, ma è vero. In un certo senso è tutto collegato» spiegò gesticolando appena con le mani. Reggeva l'alcool, non aveva nemmeno bevuto troppo, era solo che si era messo a riflettere tanto su di lei e i pensieri erano corsi velocemente da un'idea all'altra... «Io non sapevo nulla di te fino a qualche ora fa e adesso posso dire di conoscerti un po' ed è tutto così diverso dal mio mondo che mi fa riflettere. Cioè, nel mondo ci sono milioni di persone, milioni e miliardi di persone, come posso pensare che la gente abbia una vita poco diversa dalla mia? Ci saranno sicuramente persone che vivono in un mondo talmente diverso che non posso nemmeno immaginarlo, che tu in confronto non fai nulla di così differente rispetto a me. E' tutto... tutto relativo, si» forse l'ultimo sorso di sake aveva cominciato a sortire qualche effetto
«Mi trovi così diversa?» domandò chiudendo contenitori e vassoi, spostando le ciotole vuote nel lavello e sistemando le ultime cose prima di prendere la propria ciotola e sedersi ai piedi del divano, a terra davanti al tavolo. «In confronto ad un tedesco che vive allenandosi per scalare le montagne più alte del mondo direi di no, ma nel nostro piccolo Giappone, sì... sì sei diversa»
«Solo perchè sei un personaggio famoso. Se fossi un ragazzo normale non ci troveresti nulla di strano o diverso nella mia vita» spiegò con quella che a lui parve una punta di fastidio, sul tavolino aveva appoggiato un piattino con due Hanabira Mochi. «Scusa» sospirò scivolando giù dal divano e sedendosi di fianco a lei per terra. Riempì nuovamente le ciotole di sake e le porse la sua «Non era uno "strana" in senso negativo»
«Ah no?» domandò prendendo il sorso che le veniva porto
«No» specificò con decisione, mandando giù il proprio «Intendevo che sei particolare, in senso positivo. Poi so che in realtà è tutto nella norma per te, sono io che non sono "normale" e quindi ti trovo interessante solo perchè è in realtà la mia vita a non essere come le altre» spiegò ridacchiando leggermente, appoggiando la coppa vuota al tavolino
«Mmmh» annuì semplicemente svuotando alla goccia la sua «Quindi sono interessante solo per te, mentre ritieni che per altri sarei una persona noiosa?». A quel punto cominciò seriamente a sudare freddo: in che discorso si era cacciato? Stava veramente dicendo quelle cose? Sembrava la stesse offendendo senza volerlo, oppure era lei che leggeva nelle sua frasi intenzioni che non c'erano affatto? «N-no... ecco io intendevo dire...» provò a farfugliare spostando gli occhi sulla bottiglia, concentrato, nel tentativo di cercare una spiegazione il più chiara possibile del suo discorso, che non fosse fraintendibile. Il suo tentativo venne fermato dalle risate di Kokoro, piegata in due dal divertimento. «Q-qualcosa mi sfugge» ammise Masaki completamente spaesato
«Non ti sfugge nulla» spiegò lei tra una risata e l'altra «Ti stavo solo prendendo in giro, scusa, scusa! E' che sei troppo carino quando cominci a non capire più nulla» era tanto divertita che quasi perse l'equilibrio per il troppo ridere
«Eh?» si ritrovò ad arrossire a quel complimento e cadde il silenzio. Ce n'erano di persone agli studi televisivi, tra le fan, tra i fotografi, le assistenti, truccatrici o anche normali amiche, che gli facevano complimenti anche migliori di quello che gli aveva fatto lei, diciamo pure eccessivi, o più allusivi a volte, eppure nessuno dava quell'effetto ai battiti del suo cuore, alla temperatura corporea e al colore delle sue guance. Kokoro era diversa: se lui lo paragonavano sempre al sole, al centro della festa che riceve e dà attenzione a tutti, lei era sicuramente come la luna, degna di attenzione, ma silenziosa osservatrice, sempre in disparte. Lui faceva tante cose, era sempre in movimento, sempre impegnato, lei invece sembrava sospesa in un mondo di pace e tranquillità, fatto di una placida routine. Era perchè era diversa che se ne sentiva attirato? Era perchè non la conosceva ancora bene che la sua naturale curiosità la rendeva più bella in vista di tutto quello che aveva da scoprire? Non riusciva nemmeno lui a capirsi.
«Oh, senti?» esclamò lei improvvisamente e Masaki sobbalzò, improvvisamente riportato alla realtà dalle sue parole. Si era tanto ripromesso di cancellare ogni traccia di romanticheria dalla loro relazione, ma sembrava in realtà l'unico che se ne preoccupasse. «Ha smesso di piovere, dato che abbiamo finito di lavorare dovresti approfittarne per tornare a casa rapidamente prima che riprenda» spiegò lei «Vado a vedere se le tue cose si sono asciugate». Mangiò rapidamente il Hanabira Mochi con il suo cuore di anko e si alzò in piedi, lasciando il suo fianco per dirigersi verso il bagno. «Mh, s-si» farfugliò appena lui, ancora preda per metà dei suoi pensieri. Si alzò a sua volta per avvicinarsi all'uscita e lei tornò porgendogli i calzini che si erano asciugati nel frattempo. Ringraziò e li indossò prima di rimettere le scarpe mentre lei trafficava ancora in cucina. La vide tornare verso di lui, che ancora si allacciava le scarpe rimanendo in piedi, con un sacchetto di plastica. «Ci ho messo un Hanabira Mochi a testa per la tua famiglia, spero che piacciano»
«Puoi star certa che io e mio fratello faremo a gara per capire qual'è il più grande ed accaparrarcelo. Quasi sicuramente mio padre lo capirà prima di noi e ci fregherà sul tempo» ridacchiò finendo di allacciare le stringhe e raddrizzando la schiena per tornare a guardarla «E' un classico» concluse con un sorriso. Sorrideva ancora quando la vice avvicinarsi al suo viso. Lei non fu frettolosa e rapida come aveva fatto lui, non tentò di coglierlo alla sprovvista, avrebbe avuto tutto il tempo di scostarsi o farsi indietro per evitarla e invece non lo fece. Ebbe quasi l'impressione, una volta capito cosa stava succedendo, di essersi piegato in avanti a sua volta per colmare più velocemente i centimetri che ancora li dividevano. Sentì le sue dita sfiorargli la guancia in una carezza leggera mentre per la seconda volta in pochi giorni si baciavano. Quella modalità così lenta e tranquilla di avvicinarsi sembrava proprio tipica di Kokoro, e quel bacio, come lei, fu rilassato, privo della fretta e dell'urgenza che aveva contraddistinto il suo precedente tentativo. Dimentico di tutti i principi che lo avevano animato da quando aveva messo piede fuori casa -e fino a pochi secondi prima- si lasciò trasportare dai movimenti della ragazza e ascoltò i propri battiti che, dopo un picco d'emozione iniziale, erano tornati normali, influenzati dalla tranquillità che lei sembrava trasmettergli ogni volta che stavano insieme.
Esattamente non avrebbe saputo dire quanto era durato quel contatto, solo che una volta finito rimase senza parole e improvvisamente aveva la mente completamente sgombra di qualsiasi pensiero, al contrario di come era stato durante tutto il resto della serata. «Grazie per avermi aiutato» disse lei a bassa voce. Era arrossita ed era riuscita a sostenere il suo sguardo solo per pochi secondi prima di lasciargli il sacchetto di Hanabira Mochi in mano, insieme all'ombrello. «Buona notte» farfugliò Masaki, come fosse in stato confusionale
«Mh» annuì lei aprendogli la porta «Buona notte». Uscì dall'appartamento, piegò il capo in un ultimo cenno e si avviò lungo il corridoio, ascoltando la porta chiudersi solo una volta che lui fu uscito dall'edificio.
Di nuovo solo con se stesso ancora non riuscì a riprendere controllo dei propri pensieri finchè non fu uscito dal cancello del giardino e non ebbe fatto qualche metro a passo sostenuto: una parte di sé, razionalmente, regolava la sua andatura preoccupata di non riuscire a tornare a casa prima di rischiare di prendere altra acqua. Era sbalordito. A differenza di Sho o Jun, piuttosto sicuri del loro aspetto e del fatto che difficilmente una donna non li avrebbe trovati affascinanti, lui si era sempre sentito incerto come un qualsiasi ragazzo. Non si era mai visto particolarmente attraente o tanto particolare perchè buona parte del sesso femminile lo trovasse sexy o irresistibile. Era sempre stato insicuro di se stesso quando si era innamorato o si era interessato a qualche ragazza. Quando gli succedeva di essere ricambiato, quando gli capitavano cose come quella sera, non gli pareva vero!
Quando si riprese e riuscì a formulare pensieri coerenti si rese conto di quanto era stato stupido. Si era frenato dando ascolto alla parte razionale di sé, ma nel momento decisivo non se n'era fatto niente e aveva agito di puro istinto. Avevano ragione i ragazzi a dire che ragionare con lui era spesso inutile dato che alla fine faceva solo quello che si sentiva in barba a quello che dicevano gli altri. Almeno per quanto riguardava le questioni personali, se si parlava di situazioni che coinvolgevano anche altri a volte agiva d'impulso e capitava che sbagliasse, ma il più delle volte ascoltava prima di tutto anche gli altri e spesso, anzi, si preoccupava anche troppo di quel che pensassero, prendendo a cuore il desiderio di ognuno. Quella però era una faccenda personale e, esattamente come dicevano loro, aveva agito senza ragionare. Ora, a cosa serviva ragionare di nuovo sul suo rapporto con Kokoro se poi con se stesso concludeva che non voleva andare più avanti di così, ma con lei ogni convinzione precedente si sgretolava al tocco delle sue labbra? Quella sera sapeva di anko, dolcissimo anko.
Scosse il capo cercando di distrarsi dai ricordi del bacio di quella sera, ormai era davanti a casa propria. Era il momento di accettare che qualcosa di importante si era instaurato tra di loro, ma anche di capire la portata di quell'importanza. Era libero di innamorarsi certo, l'agenzia non poneva particolari restrizioni alla vita privata degli idol, non dopo tutti quegli anni di lavoro ed esperienza, quando ormai sapevi quali atteggiamenti, luoghi e tipi di persone era meglio evitare. In ogni caso non era un'impresa facile frequentare un personaggio come lui, l'aveva imparato a sue spese nelle sue precedenti relazioni e in quel caso entrambi avrebbero messo in campo emozioni, libertà e pazienza alla ricerca di un equilibrio che concedesse una vita di coppia nonostante il suo lavoro. Ma non era facile, lo sapeva lui, a lei? E lui voleva veramente andare ad impelagarsi nuovamente in una storia d'amore dopo i fallimentari trascorsi? Per quanto gli piacesse Kokoro, ne aveva la forza spirituale e mentale?
Capì che era il momento di chiedere consiglio, ma un consiglio vero, dopo aver raccontato tutto. Rimaneva solo da scegliere quale dei quattro svitati interpellare.

*hanabira mochi, che poi è il titolo del capitolo, è un dolce tradizionale giapponese, chiaramente. Solitamente è un dolce per il nuovo anno, ma va bene anche come dolce per la cerimonia del te. la forma, la disposizione degli ingredienti, tutto è dettato a regola dalla tradizione che vuole che il dolce sia fatto in una particolare maniera. FOTO
**l'anko è una specie di marmellata fatta con gli azuki, i fagioli rossi. E' spesso usata come ripieno per i dolci giapponesi come per esempio o mochi e i famossissimi dorayaki!


A molti giorni di distanza arriva il nuovo capitolo. L'ho un po' scritto e riscritto, girato e rigirato. Sapevo cosa doveva succedere, ma non sapevo come. Non è stata un'impresa facile. Aiba è sempre un personaggio particolare da gestire.
Domani parto per Lucca Comics... aaah sono anni che non vado e torno pure a fare cosplay: sarà divertentissimo! Spero di scrivere presto i prossimi capitoli ora che ho cominciato la nuova ff di Akai Ito >.<
Bacini a tutte *-*

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Capitolo 10
*** エクレーア éclair ***


Aveva cercato informazioni in internet circa la competizione, ma si era fatto aiutare da Yusuke dato che lui e la tecnologia non andavano tanto d'accordo. Non che non sapesse usare un computer, ma aveva sempre trovato un sacco di cose più interessanti da fare piuttosto che starsene davanti ad uno schermo, così non aveva mai sviluppato la capacità e l'intuizione che invece aveva suo fratello: trovò in pochi secondi le informazioni che lui avrebbe cercato per un'ora.
E così eccolo, davanti ad uno degli hotel più lussuosi di centro Tokyo. Una volta sceso dal taxi e fermatosi davanti alle grandi porte a vetri automatiche, sentì tutto il peso di quella decisione. Esattamente per cosa stava facendo tutto quello? Era vestito nella maniera più improbabile dato che aveva lasciato il set di registrazione, fermo per la pausa pranzo, in fretta e furia. Aveva solo un'ora, non aveva un invito per l'evento -se invito serviva- non sapeva il cognome di Kokoro e una volta incontratala non avrebbe saputo che dire.
Con il suo carico di dubbi oltrepassò le porte, che si aprirono silenziose quando si fu avvicinato, e lanciò una prima occhiata alla hall dell'hotel. Dei cartelli colorati riportavano le indicazioni per il salone ricevimenti dove si teneva il concorso di pasticceria, mentre altri dagli austeri caratteri marrone scuro indicavano il salone dove si teneva un torneo di Shoji. Nessuno gli chiese nulla ed arrivò alla sala indisturbato. C'erano tantissimi tavoli ricoperti di vassoi a loro volta pieni dei dolci più svariati e lì per lì gli prese l'angoscia: quei preparati erano meravigliosi! Colorati, decorati a regola d'arte, carichi di creme sembravano richiamare prima gli occhi dello stomaco. Era quel tipo di pasticceria che ti dispiace quasi mangiarla tanto è bella. Improvvisamente si sentì preda dell'angoscia al ricordo degli Hanabira Mochi che erano da qualche parte in quella sala: quanto erano semplici! Il paragone era impossibile e l'immagine dei piccoli mochi, riproduzione semplice ed elegante del simbolo dell'impero giapponese, sbiadiva in confronto allo splendore di tutti gli altri dolci. Come doveva sentirsi Kokoro a confronto con quelle persone? I giudici l'avrebbero giudicata scialba e poco interessante con quella sua aria pacata e quei suoi piccoli dolcetti? A qualcuno l'anko non piaceva nemmeno, quindi quante probabilità c'erano di poter vincere? O di avere almeno un terzo posto?
Deglutì a fatica e avanzò ancora di qualche passo, in direzione del tutto casuale, all'interno del salone. Si bloccò solo quando la vide, fasciata in un kimono celeste dal furi* lungo, e si sentì il cuore in gola. A dispetto dei suoi timori, però, Kokoro sembrava piuttosto tranquilla e scambiava qualche parola con la padrona del negozio al suo fianco -in kimono anche lei, ma con il furi corto**- e un'altra persona davanti al tavolo che sembrava ancora pieno dei piccoli mochi fatti da loro. Ecco che i suoi timori prendevano forma: alcuni tavoli erano per metà svuotati, il suo da quella distanza pareva intatto.
«Vuole assaggiarne uno?» gli chiese improvvisamente una bella donna dietro al tavolo vicino al quale si era inconsapevolmente fermato per osservare Kokoro da lontano «Sono èclair alla crema» disse mentre gli porgeva un piattino con un bignè e un tovagliolino
«Ecle... cosa?» farfugliò lentamente, spiazzato da quell'improvviso intervento
«Èclair, signore» fece lei con uno smagliante sorriso «La crema è una nostra ricetta speciale, dosiamo il limone con un ingrediente... segreto, per rendere il sapore così vellutato» gli spiegò lei civettuola. Masaki si sentiva incapace di articolare qualsiasi parola, quindi chinò solo il capo e prese il piattino: rifiutarlo avrebbe comportato una scusa che non avrebbe potuto pronunciare. Quella continuò a parlargli elencandogli proprietà e ingredienti a cui non era minimamente interessato: doveva averlo scambiato per un visitatore del concorso intenditore di pasticceria, ma non era affatto così, lui i dolci si limitava a mangiarli. I suoi occhi altalenavano dal bignè -decisamente troppo ripieno per i suoi gusti, rischiava di sbrodolare la crema sul piatto ad ogni morso- al viso di Kokoro. Non sorrideva, ma non poteva nemmeno dire di vederla particolarmente abbattuta. Stava per finire il nauseante pasticcino quando la vide guardare nella sua direzione. Per qualche attimo il suo sguardo vagò tra le persone presenti senza attenzione, poi sembrò che la sua attenzione fosse stata catturata da un viso familiare ed era tornata a guardare proprio al tavolo dove stava lui: lo aveva visto e riconosciuto. E stava mangiando i dolci della concorrenza per giunta! Nel panico osservò il tavolo dei bignè: era quasi vuoto. Cosa stava facendo? Appoggiava i suoi rivali invece di dare il buon esempio e andare ad apprezzare gli Hanabira Mochi che avevano preparato con tanto impegno? Stava lì a magiare uno dolce che nemmeno gli piaceva invece di darle una mano?
Si sentì talmente meschino che riconsegnò il piatto vuoto alla donna «Grazie» balbettò interrompendo il suo discorso sulla temperatura adatta del forno. Girò sui tacchi e uscì quasi correndo dalla sala. Si affrettò a fermare un taxi per tornare agli studi e quando sprofondò nel sedile posteriore si fece sfuggire una specie di guaito: il bignè gli si stava rivoltando nello stomaco e quel che era peggio era che non sapeva decidersi se era sembrato più imbecille a presentarsi senza un motivo o a fuggire senza dire nulla non appena lei lo aveva visto. Non aveva ancora chiesto consiglio a nessuno, non aveva risolto nulla nella sua testa ed era andato là completamente allo sbaraglio: per l'ennesima volta, da quando l'aveva baciata di sua iniziativa, si ritrovò a chiedersi cosa diamine stesse facendo.

* il furi è il pezzo di stoffa che scende dalle maniche del kimono (immagine)
** la lunghezza del furi del kimono indica lo "stato civile" della donna. Le ragazze nubili lo portano lungo, una volta sposate o una volta superata una certa età (anche se ancora nubili magari) i kimono sono portati con il furi corto.


Vi ho fatto aspettare parecchio (se stavate effettivamente aspettando XD) e me ne scuso. Ammetto che avevo un vuoto. Solitamente comincio le ff sapendo già la fine, come ho già accennato altre volte, e per Ame non è differente, ma mi capita a volte che -quando sono in dirittura d'arrivo- ci siano complicazioni nel far combaciare la linea che la storia ha preso dall'inizio con il punto d'arrivo pensato prima di cominciare a scrivere.
Ecco oerchè ci ho messo un po', ma ora sto elaborando il tratto finale dallo sviluppo della storia alla sua fine. Si, non manca molto al termine (lo sapete che faccio solo un certo numero di capitoli). Abbiate pazienza e cercherò di concludere nel miglior modo possibile ^^

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Capitolo 11
*** かき氷 Kakigori ***


Alla fine Aiba si era deciso: gli Arashi erano suoi amici e una cosa così importante non avrebbe mai potuto nasconderla a tutti meno che ad uno, per lui sarebbe significato tradire i restanti tre, senza contare che non avrebbe saputo scegliere quell'unico a cui raccontarlo. Questo comunque non significava che si sarebbe messo a fare una conferenza al gruppo spiegando la situazione, voleva, anzi, evitare che i ragazzi si influenzassero tra loro, cosa che poteva capitare se l'avesse fatto. A costo di doversi ripetere quattro volte, raccontò a tutti, uno per uno, quello che era successo fino a quel momento, quello che pensava e quello che temeva. Ohno e Sho erano i più realistici del gruppo, quelli che sembravano avere più di altri i piedi per terra. Masaki però era certo che Ohno non avesse ancora provato ciò che stava provando lui quindi, per quanto realistico e fidato potesse essere il suo consiglio, gli veniva dato sprovvisto dell'elemento sentimentale. Sho, lo conosceva bene, era una persona molto passionale quindi generalmente avrebbe parlato con più cognizione di causa, se non fosse che era anche estremamente geloso dei suoi amici e più volte lo aveva sentito dare consigli distorti dal suo timore di perdere preziosi compagni per colpa di una donna. Nino, nonostante avesse anche lui un profondo attaccamento al gruppo, non aveva mai frenato nessuno di loro e, anzi, era stato sempre il più esposto ai mass media per quanto riguardava le sue love-story. Si era concesso del romanticismo nella sua vita, proprio come lui, ma il suo consiglio era, al contrario, troppo romantico e poco pratico, realistico. Jun gli aveva detto solo che nessuno poteva realmente consigliarlo, era libero di fare come credeva e di dosare le parti della sua vita in equilibrio con i suoi impegni lavorativi, ma dipendeva esclusivamente da lui. E da lei. Queste erano state le parole dell'amico. Tutti, comunque, erano stati concordi su un punto «E' proprio da Aiba, innamorarsi della ragazza della porta accanto».
Insomma, gira che ti rigira non aveva preso nessuna decisione grazie a quei consigli. Non era corretto definirli "inutili", perchè effettivamente in quel tipo di questioni erano solo la sua parola e le sue convinzioni ad aver peso, non quelle degli altri. Lui stesso aveva preso le parole degli altri con un certo distacco sapendo come ne sarebbe stato influenzato: allora a cosa era servito domandare? Di per sè, forse, a niente, ma aveva capito che qualsiasi cosa sarebbe successa i ragazzi sarebbero stati con lui. Come sempre. Consapevole di quel sostegno aveva deciso che prendere una decisione, qualsiasi essa fosse stata, non sarebbe stato tragico.

Erano passate parecchie settimane dalla sua fuga dalla gara. Lei aveva mandato un messaggio di poco conto alcuni giorni dopo e Masaki non aveva mai risposto. In più era tornato al solito tran-tran quotidiano, ossia correva a destra e a manca per i servizi fotografici, le riprese o per l'elaborazione del nuovo album, il che significava che non tornava a casa dalla famiglia da moltissimo tempo. Se avesse voluto avrebbe potuto contattarla, anche vederla: se avesse voluto. Il suo problema era che ancora non si decideva e l'essere continuamente impegnato non lo faceva morire dalla voglia di occupare il suo poco tempo libero con un viaggio fino a Chiba.
Riuscì a tornare a casa solo ad estate già cominciata. Era la metà di Luglio e le date del concerto di quell'anno erano già state pubblicate da due mesi, sarebbe cominciata la campagna pubblicitaria in capo a qualche settimana e nel frattempo avevano praticamente concluso gli appuntamenti principali per la presentazione del nuovo album. Avevano un solo weekend di libertà e potevano trascorrerlo come volevano: non c'era dubbio che lui sarebbe tornato dalla famiglia.
Tornò nella notte di venerdì e dato che arrivò solo dopo il programma radiofonico, in onda alla mezzanotte, c'era solo la madre ad attenderlo sveglia. Indossava ancora i vestiti del lavoro, doveva aver fatto la chiusura quel giorno, e il venerdì come il sabato erano le serate cruciali della vita mondana di Tokyo e dintorni. Aveva delle occhiaie sul viso stanco, ma il sorriso che le illuminò lo sguardo, quando lo vide entrare in casa con lo zaino, sembrò cancellare qualsiasi preoccupazione o fatica. Gli spiaceva tornare così raramente, ma adorava il momento del ritorno: l'improvvisa ondata di amore che lo investiva quando era di nuovo tra le quattro mura dov'era cresciuto era una delle sensazioni che più adorava. Poi, il mattino dopo, Yusuke gli riservava sempre un brusco risveglio -da anni era il suo modo impacciato per mostrargli che era contento di averlo ancora a casa per fargli dispetti- e quando scendeva in cucina trovava la colazione pronta, la madre col grembiule, il padre che faceva zapping in tv per scegliere uno dei programmi del mattino... era la vita quotidiana di una volta. Uno degli unici due rifugi sicuri della sua anima: amava la sua famiglia.
Quella mattina, dopo mangiato, venne spedito al supermercato a comprare alcune cose che mancavano in casa e ci si avviò senza lamentarsi. Yusuke lo accompagnò per un tratto di strada raccontandogli di quello che era successo in università e in famiglia in quei mesi, poi lo salutò e si avviò al lavoro, ossia al ristorante. Masaki finì la spesa in pochissimo tempo e, dato che il sole si era alzato in cielo brillando senza pietà, sentì subito come aveva cominciato a fare seriamente caldo rispetto a quando era entrato nel supermercato. Decise quindi di deviare dalla strada principale e si infilò in una viuzza secondaria. Si comprò una kakigori* ad un banchetto e riprese il cammino senza tornare sui suoi passi ma continuando a zigzagare per le case. Conosceva perfettamente quelle stradine, vi aveva passato tantissimi pomeriggi di luglio e agosto a giocare, da bambino, e a temporeggiare con i compagni, da ragazzo. Negli anni quella deviazione gli aveva fatto guadagnare tempo: tempo per pensare a cosa dire ai suoi quando gli avrebbe fatto leggere la pagella, tempo per finire una granita come quella prima di tornare a casa e farsi scoprire da Yusuke, ancora bambino, che avrebbe fatto i capricci per averne una anche lui, tempo per pensare a risposte da dare a delle ragazze che gli si erano dichiarate nel corso della sua carriera scolastica o per inghiottire un rifiuto ricevuto da altre di loro e poter poi mostrare sempre il sorriso una volta a casa.
L'umidità tipica della stagione delle piogge, che sarebbe cominciata presto, non era ancora arrivata, ma il caldo c'era comunque e dopo il piacevole fresco della kakigori si sentì improvvisamente intontito e stanco: era sicuramente lo sforzo dovuto al lavoro che improvvisamente gli riversava addosso tutto il sonno che gli mancava e il riposo che non si era potuto concedere in quelle settimane. Girò a destra ed entrò nel parco di quartiere guardandosi intorno per cercare una zona d'ombra sotto un albero dove riposarsi qualche minuto. Dopo una breve passeggiata vide la fontana, già accesa, che zampillava acqua nella grande vasca. Gli parve di poter vedere se stesso e Kokoro che guardavano le foto seduti lì in quella serata di primavera. Pensando a quello riprese a riflettere tra sè, mentre riusciva a trovare una fetta di ombra sotto un acero pieno di foglie. Si sedette sull'erba, appoggiando la schiena al tronco e mettendo da una parte il sacchetto del supermercato. Alzò lo sguardo per osservare gli spicchi di azzurro del cielo che apparivano e scomparivano dalle foglie. Lui era come quel cielo per la sua famiglia: era prezioso per loro, loro erano preziosi per lui, eppure appariva e scompariva nella vita di quella casa. Non perchè non li amasse, ma perchè tutto cambia: lui era cresciuto e non era più lo studente che viveva lì e andava a scuola o a giocare nel campetto di baseball lungo il fiume. Ora lavorava, aveva una casa sua, una vita completamente differente dalla sua famiglia, conosceva persone e frequentava amici che i suoi non avrebbero nemmeno saputo esistessero se lui non fosse stato un chiacchierone desideroso di raccontare sempre tutto a tutti loro. Sarebbe stato così ancora per molto, lo sapeva e, in un certo senso, lo voleva, perchè amava il suo lavoro, i ragazzi, quello che faceva per le persone e per se stesso. Non voleva cambiare. Quindi anche per una fidanzata sarebbe stato così: incostante. Le sue ultime storie erano state tutte con persone dell'ambiente quindi era stato naturale per entrambi e forse proprio per quello non era riuscito a costruire nulla di solido che fosse durato. Doveva quindi rimanere solo tutto il tempo in cui sarebbe stato uno degli Arashi? I suoi sentimenti non contavano? Doveva rinunciare a tutto? Socchiuse appena gli occhi quando realizzò che forse era proprio quella situazione che doveva averlo reso freddo in quel tipo di rapporti: finchè era solo per divertirsi andava bene, quando si arrivava al punto in cui era il caso di far evolvere una relazione diventava come quella kakigori. Ghiacciato e immobile.
Riaprì gli occhi di scatto, risvegliato dall'improvviso vibrare del cellulare. Si era addormentato appoggiato alla corteccia dell'albero, con il sacchetto appoggiato al polso destro e il bicchiere della granita in mano. Quando tentò di muoversi per tirar fuori l'apparecchio dalla tasca si rese conto di un peso sulla spalla e girò lo sguardo notando Kokoro al suo fianco, addormentata come lui: doveva essergli scivolata addosso ed esser finita con la testa contro di lui. Si mosse più cautamente per non farle perdere l'equilibrio e rispose all'apparecchio «Pronto? Ah si... si scusa... mi sono addorm... eh, scusa» sorrise impacciato, mentre parlava a mezza voce «Adesso torno» concluse annuendo e chiudendo la conversazione. Doveva essersi appisolato guardando il movimento ipotizzante delle foglie che ondeggiavano sopra di lui, erano venti minuti che lo aspettavano a casa, il che significava che doveva aver ronfato almeno il doppio ed era quindi uscito di casa circa un'ora e mezza prima! Tutto per un po' di tofu, delle carote, una cipolla e un pacco di udon freschi!
Come fosse finita lì la ragazza non lo sapeva proprio. Era certo di essersi addormentato che era ancora da solo e non ricordava minimamente di essersi svegliato per qualche sua parola o movimento. «Hanayaka san?» accennò dopo essersi schiarito la voce. Doveva essersi addormentata da poco perchè si svegliò subito «Mh.. cosa?» domandò stropicciandosi gli occhi
«Niente, ma credo sia ora di andare» spiegò trattenendo una risata
«Oh! Mi sono appisolata?» domandò spalancando gli occhi e raddrizzandosi per guardare l'orologio che aveva al polso «Da dieci minuti... temevo di più» sospirò sollevata. Si alzarono entrambi da terra: era buffa come quando l'aveva trovata a dormire in lavanderia, allora aveva una felpa di Doraemon, quel giorno invece indossava una maglietta di Sazae san**. «Ti piacciono proprio i cartoni di un tempo»
«Co.. ah no!» fece agitando la mano nell'aria davanti a sè «Quando ero al liceo ho fatto un lavoretto part time nel negozio di uno che stampava su tessuti ed era fissato con i cartoni della sua infanzia. Un giorno mi dovette licenziare perchè non aveva più abbastanza soldi per pagare una commessa e infatti la mia ultima paga me la diede in vestiti»
«A te capitano solo cose assurde» osservò mentre si avviò per il parco riprendendo a camminare
«Detto da uno che dormiva sotto un albero di sabato mattina...» fece notare la ragazza con una punta di scherno nella voce
«Ero un po' stanco» si giustificò abbassando lo sguardo: era stato beccato in una situazione stupida e imbarazzante. «Tu piuttosto, come mai eri lì?» tentò di tergiversare
«Passavo di qui e ti ho visto. Mi ero avvicinata per svegliarti e ti ho anche chiamato un paio di volte, ma non hai fatto una piega, allora ho pensato di sedermi un po' anche io prima di riprovare» si fermò davanti alla fontana mentre spiegava «Ma mi hai attaccato il sonno: è colpa tua!»
«Colpa mia? Come potevo? Io dormivo!» ribattè
«Si tua! Mi hai attaccato la stanchezza come un virus, non mi avrai mica attaccato anche la stupidera?» domandò facendo dei passi indietro per allontanarsi come se fosse stato infetto
«Ma sentitela! Tu mi avrai attaccato la dolcite, ultimamente mangio solo dolci e ho preso due chili: se diventerò grasso sarà colpa tua!» le puntò il dito addosso
«Cosa ti indichi! E' impossibile!» disse allungando la mano per fargli abbassare la sua «Manchi da un sacco di tempo e non ci vediamo da secoli, ci sarà stato qualcosa di velenoso nell'ultimo bignè che hai mangiato!» ridacchiò, ma smise praticamente subito notando come Masaki si fosse fatto improvvisamente serio a quelle parole. Per qualche secondo rimasero in silenzio «Ho detto qualcosa che non va?» domandò lei guardando a terra mentre riportava alcune ciocche dietro le orecchie
«No» rispose scuotendo il capo e osservando la fontana «Mi dispiace per quel giorno» si affrettò a dire, ma tutto sommato non sapeva bene di cosa scusarsi o forse lo sapeva, ma il suo atteggiamento era stato tanto insensato e stupido che anche scusarsene sembrava da idioti. «Non penso tu debba scusarti... tutto sommato non hai fatto nulla. Credo» farfugliò, anche lei confusa probabilmente «Mi ha fatto piacere vederti dopo tanto tempo, forse si è fatto tardi sul serio» disse poi annuendo
«Si, ho detto che sarei tornato subito» concordò
«Quanto rimani?» domandò lei di getto
«No, veramente devo anda...»
«Intendo qui, a Chiba»
«Riparto domani sera» rispose allora
«Capisco. Hai ancora cinque minuti?» continuò mettendo le mani nelle tasche dei jeans corti
«Si... penso di sì, se sono cinque»
«Cinque, prometto» assicurò prima di cadere di nuovo nel silenzio. «Aiba san»
«Si?» fece il ragazzo
«Non... non devi rispondere, era un modo per cominciare» fece lei arricciando il naso infastidita
«Oh, giusto! Scusa, scusa» unì le mani tra loro, tenendo ancora il sacchetto, per chiedere perdono. Lei si mise a ridere subito dopo «Nooo, ma così è veramente impossibile parlare con te!» esclamò passandosi una mano sugli occhi mentre ricercava un po' di concentrazione
«Ah, mi spiace! Accidenti, sto continuando a scusarmi. Non voglio passare cinque minuti a scusarmi» riflettè Masaki corrucciato
«Se stai zitto non dovrai farlo e io potrò parlare» gli suggerì con un sorriso
«Si, scu... giusto» annuì e si morse le labbra: che razza di discorsi assurdi! Avrebbe dovuto essere un momento particolare, infondo era veramente tanto che non si vedevano, o avrebbe dovuto essere un momento di tensione dato che sembrava voler fare un discorso serio dopo tutto quello che era successo. Invece si sentiva stranamente rilassato e continuava a scherzare. Era veramente impossibile per lui? Gli veniva naturale come un qualsiasi altro momento. Si divertiva, quando doveva cambiare relazione si agitava un po' e poi, incapace di elaborare i suoi sentimenti in maniera più profonda, si irrigidiva? «In questi giorni ho pensato molto a quello che è successo. Non mi riferisco alla gara, un giorno mi spiegherai che senso aveva quell'occhiata da stupido sbrodolato di crema pasticciera e la successiva fuga, ma non oggi» tagliò corto per non ridere ancora «Mi riferisco a... tutto il resto. E al fatto che non ci siamo visti per molto, che non hai nemmeno risposto alla mail o che non ne hai scritta una tu di tua iniziativa»
«Mi spia...» stava per dire, ma si bloccò quando la vide alzare il braccio e aprire la mano davanti a lui per bloccarlo
«Non devi dire nulla. Ora parlo io» fece seriamente «Mi piaci Aiba san. Inizialmente pensavo fosse solo perchè sei un idol e gli idol... beh sono belli altrimenti non sarebbero tali» provò a spiegarsi con un giro di parole per evitare di dirgli direttamente che lo trovasse bello «Ma sto bene con te, mi diverto e sei una persona piacevole. Sei semplice.. ah però sei anche complesso, quando ti metti a fare tutti quei pensieri globali sulla tua vita collegata alla vita degli altri e cose simili» come fecero a non ridere di nuovo entrambi? Chissà, ma riuscirono a trattenersi «Normalmente, dopo quello che c'è stato tra noi, non avrei aspettato tanto a farmi avanti con la persona che mi piace, ma l'hai ammesso tu stesso che non sei... normale, in senso buono ecco» Masaki annuì «Quindi mi ha preso più tempo e ho pensato che fosse anche giusto rifletterci con attenzione, anche nei tuoi confronti. Voglio dire... per una persona come te, rifiutare o accettare qualcuno saranno entrambe scelte difficili con conseguenze diverse e particolari data la tua posizione. E' giusto avere riguardo per te, no?» domandò aprendo di più gli occhi nell'osservarlo, segno che a quella domanda, seppur retorica, voleva una risposta
«Si, grazie» fece piano
«Ecco, ci ho riflettuto e questo è tutto» concluse riabbassando il braccio
«E' tutto?» domandò stupito
«Sì, è tutto» annuì Kokoro in un sorriso teso. Aveva parlato in tono abbastanza tranquillo, ma doveva essergli costato parecchio coraggio quel discorso «Oh... capisco»
«Cosa ti aspettavi?»
«Non lo so» scosse il capo. Continuava ad sentirsi irrigidito e dentro di sè non capiva cosa si agitasse. Non era teso, ma era emozionato: chi non lo sarebbe stato davanti ad una dichiarazione? «Fai come vuoi, dato il tuo silenzio ultimamente non mi aspetto niente» spiegò Kokoro, senza cattiveria nella voce; tutto sommato pareva rassegnata al rifiuto: abbastanza logico dato che non si era fatto sentire a lungo e dato che si stava dichiarando ad un personaggio famoso che, per definizione, è su tutt'altro pianeta rispetto agli altri ed è, perciò, irraggiungibile. «Ora torniamo a casa, è meglio»
«Va bene, cercherò di farmi sentire» annuì prima di avviarsi: stava chiudendo così la discussione? Senza una risposta? Senza nemmeno un "ci penserò"? Sembrava un vero e proprio rifiuto e anche se non lo era sentiva di non riuscire a comportarsi in maniera differente. Cosa gli gelava i sentmenti? I suoi piedi ripresero a camminare verso casa mentre metà di sè guardava alle sue azioni come se fossero la cosa più stupida e insensata del pianeta. «Oh, Aiba san!» lo richiamò lei prima che Masaki si allontanasse troppo
«Mh?»
«Bentornato» gli disse solo prima di voltarsi e tornare a casa a sua volta. La osservò che si avviava fuori dal parco con un passo apparentemente tranquillo, ma ogni tanto accelerava il passo di scatto tradendo delle forti emozioni dentro di sè: e probabilmente non erano positive. Aiba invece rimase sul posto, come impietrito. Sbattè un paio di volte le palpebre, con un'espressione ebete e stupita in faccia: di punto in bianco, a sorpresa, quel "Bentornato" suonava familiare e gli aveva lasciato una strana sensazione nel cuore. Non riusciva a dare un nome a quell'emozione: il freddo dentro di sè si era improvvisamente sciolto. Si sentiva così tranquillo... dove aveva già sentito quella piacevole sensazione? Quando quella parola gli aveva già fatto quell'effetto?

* kakigori è la granita giapponese. Fondalmentalmente è ghiaccio tritato (così come lo tritano in pezzotti nel sud italia non ghiaccio semi liquido come al nord) con dello sciroppo a vari gusti, ma esistonoa nche varietà più elaborate con pezzi di frutta o anko (fagioli azuki dolci). Qualche foto: QUI - QUI - QUI
** Sazae san è uno dei manga più famosi in giappone. Serializzato dall'aprile 1946 racconta umoristicamente della famiglia della protagonista usandola come specchio per raccontare della società Giapponese del dopoguerra

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Capitolo 12
*** 飴 Ame ***


Se vi va... ho scritto questo capitolo (l'ultimo) ascoltando questa sul Tubo! *O* (by Jae Joong, DBSK)

«Non potrebbe accelerare? Per favore» chiese al tassista. L'uomo si scusò per l'ennesima volta e cercò di andare più veloce che poteva nel traffico serale di Tokyo. Aiba tornò a sedersi irrequieto sul sedile anteriore dell'auto. Cominciò a mordicchiarsi le unghie guardando la città illuminata da tante scritte al neon, oltre il finestrino. Come aveva potuto accorgersene così tardi?

Tutta la sua famiglia si era stranita: era uscito la mattina a fare la spesa, era stato via quasi due ore ed era tornato, dopo essere stato chissà dove, senza dire una parola. Dopodichè aveva passato la domenica chiuso in casa senza mettere mai il naso fuori. Il lunedì era arrivata una vettura dell'agenzia a prelevarlo per riportarlo sul lavoro. Si erano salutati come al solito, anche se con un po' più di trasporto: Agosto sarebbe stato un mese pieno e sarebbe stato difficile trovare il tempo di andarli a trovare, rinunciando semplicemente a buttarsi steso da qualche parte per riposarsi.
Il martedì mattina gli era suonata la sveglia, ma continuava a sentire quella sensazione di stranimento che gli era cresciuta nel cuore da quando aveva salutato Kokoro, quindi aveva spento quel rumorino fastidioso ed era rimasto a rigirarsi sul materasso, madido di sudore. Si concentrò tanto per stare fermo immobile e non sudare ancora che alla fine ricadde addormentato. Ore dopo venne svegliato dal cellulare che suonava. «Pronto?» domandò mezzo addormentato
⎨Dove sei finito Aiba chan?⎬era uno dei loro manager
«Mh? Eh? Sono in camera...» spiegò confuso
⎨Macchè camera! Le riprese di Himitsu cominciano tra un'ora e tu non sei nemmeno sulla strada per gli studi?⎬la sua voce suonava veramente furibonda e Aiba si svegliò all'istante
«No, no... io... stavo per uscire» fece scattando in piedi
⎨Ma chi vuoi prendere in giro? Non riusciresti a dire una bugia credibile nemmeno per un bambino!⎬sospirò quello⎨Ti ho fatto chiamare un taxi, mettiti addosso la prima cosa che trovi e vieni qui!⎬
«Si, si.. arrivo subito!!» rispose prima di chiudere la comunicazione e aprire l'armadio per scegliere qualcosa da mettersi.
Mezz'ora dopo, non sapeva come, era all'ingresso della TBS. Come aveva potuto dimenticarsi delle riprese? Come aveva potuto fare così tardi? Non erano in diretta, ma avrebbe rallentato il lavoro di tutti e gli altri avevano tutti tanti impegni che rischiavano di saltare o slittare per colpa sua, creando così problemi ad altre persone ancora. La sua tabella di marcia andava rispettata o era una reazione a catena continua di impegni che si spostavano d'orario, persone che dovevano attendere, disagi generali: come aveva potuto? La verità era che non aveva nemmeno letto il copione della puntata, stava andando là in ritardo e senza sapere assolutamente cosa lo aspettasse. Mentre stava davanti all'ascensore aspettando che arrivasse saltellava sul posto, impaziente. Cosa stava combinando? Che fine aveva fatto l'impegno che metteva in quello che faceva? Era distratto, certo, ma non a quei livelli. Non al punto di rischiare una puntata disastrosa! Decise di prendere le scale e cominciò a farle salendo i gradini due a due. Aveva quasi le lacrime agli occhi: la cosa veramente frustrante non era essersi comportato in modo sconsiderato sul lavoro, nè essersi comportato in maniera strana con la sua famiglia nell'ultimo weekend che aveva potuto passare con loro quell'estate; quello che gli faceva pizzicare gli occhi era il non capire esattamente a cosa fosse dovuto quello stato di distrazione, di sofferenza quasi. C'entrava Kokoro in qualche modo? Ma come?
Masaki spalancò di scatto la porta del camerino «Scusate.. scusate...» pronunciò col fiatone date le tante scale che aveva fatto «Non ho assolutamente sentito la sveglia, non riuscivo a trovare una taxi disponibile e l'ascensore era sempre occupato» era sinceramente costernato e non sapeva trovare nel suo cervello delle parole adatte. Sentiva solo i battiti del suo cuore impazzito per lo sforzo che gli riempivano l'orecchio, il respiro arrivargli alla gola con difficoltà e quel persistente nodo allo stomaco. «Sono venuto per le scale... scusatemi...» piagnucolò senza muoversi dalla soglia della porta. Quando alzò lo sguardo sui suoi compagni, facendo finalmente attenzione alla loro reazione, li trovò fermi ad ascoltare con attenzione quello che infondo era solo un balbettare confuso di scuse inutili: era un imbecille! Non li vedeva da quattro giorni, solitamente, con così tanti giorni a dividerli da un incontro all'altro, lui era sempre il primo ad arrivare all'incontro, impaziente di rivederli tutti quanti, di scherzare con loro. Cosa gli stava capitando? E loro cos'avrebbero detto? Dentro di sè era terrorizzato dalla possibile reazione di Jun, da una battuta acida di Nino o da un severo rimprovero di Sho. Normalmente avrebbe accettato tutto quello, ma in quel momento pensava sarebbe scoppiato a piangere. Perchè sembrava che rivedere Kokoro avesse rimesso in dubbio tutto quello che aveva nella vita? Forse era quella la sensazione che lo attanagliava: come se tutto fosse stato rimesso in discussione e quindi tutto gli sembrava straordinariamente lontano. Il vuoto intorno a sè lo faceva annaspare, sentiva che non aveva nulla più a cui aggrappassi di certo, sicuro.
Poi...
Poi successe la stessa cosa di pochi giorni prima. I ragazzi gli sorrisero tutti e quattro. «Bentornato» pronunciarono in coro. In quell'attimo ebbe un dejavù: a quella parola spari la stessa sensazione di freddezza e solitudine che si era sciolta davanti al "bentornato" di Kokoro. ma non riuscì subito a focalizzarsi su quella sensazione, in quel momento Masaki passò lo sguardo su di loro: la sua seconda famiglia, i suoi amici più cari che non l'avevano rimproverato come aveva temuto, e sentì tutta la tensione scomparire. Le gambe quasi non lo ressero e si appoggiò allo stipite della porta con un sospiro. «Tutto bene?» chiese Nino che armeggiava con le cose sul tavolo del camerino
«Si, si... tutto a posto» annuì Aiba «Sono solo... felice di vedervi» ma nessuno di loro poteva immaginare "quanto" fosse felice di vederli
«Nemmeno le fan rischiano lo svenimento e succede a lui che ci vede tutti i giorni» sentì Sho che ridacchiava mentre si alzava dalla sedia e gli si avvicinava con un sottile volume tra le mani. «Poggia le tue cose e diamoci da fare, dai» gli disse il ragazzo premendogli i fogli contro il petto: era il copione della puntata con le sue parti. Sho e Nino andarono al trucco, Jun e il Riida andarono velocemente verso il parrucchiere, quel giorno alla fine erano un po' tutti in ritardo, non solo lui. Aiba finalmente si accomodò in camerino. Dato che ancora gli tremavano un po' le mani per lo sforzo emotivo si vestì con calma indossando i vestiti per la trasmissione che i costumisti gli avevano assegnato e si sedette al tavolo per leggere il copione almeno una volta. Solo quando si ritrovò rilassato e fermo sulla sedia riuscì a calmare i suoi pensieri confusi e a fare ordine nelle sensazioni di pochi minuti prima. Era definitivamente un dejavù quello che aveva avuto. Ma sì, era la sensazione che gli Arashi e la sua famiglia gli davano ogni volta che li rivedeva: sicurezza, fiducia, affetto, preoccupazione, l'impressione di avere una relazione preziosa che li univa. A volte la si poteva tradurre proprio in quel momento di incontro, in quella parola così familiare e unica: bentornato. Era quella la sensazione che aveva sciolto la sua insicurezza quel pomeriggio con Kokoro, ma non se n'era accorto ed era rimasto imbambolato come un fesso a guardarle mentre se n andava, dopo aver intascato le risposte che il se stesso insicuro e pasticcione le aveva rifilato. Non poteva lasciare che lei avesse come ultimo ricordo quel dialogo. «Ehi, puoi andare» sentì dire improvvisamente, sobbalzò sulla sedia a quelle parole improvvisamente dette ad alta voce. «Eh?» domandò alzando lo sguardo sulla figura di Sho, comparsa sulla soglia del camerino
«Ho finito col trucco» gli disse l'amico
«Oh si, allora vado» sbattè le palpebre un paio di volte, cercando di riprendersi da quella specie di trance riflessiva in cui era caduto. Chiuse il copione e si alzò ricordando di una seconda voce che aveva udito mentre pensava intensamente «MatsuJun» cominciò per poi fare una pausa e aggrottando le sopracciglia «Lui... lui ha finito due minuti fa ed è andato in studio per parlare col regista» ricordò di dovergli riferire, quindi uscì dal camerino. Ora doveva concentrarsi per fare una buona puntata e non combinare altri disastri, al resto avrebbe pensato subito dopo.

«Manca molto?» chiese piegandosi in avanti per controllare cosa fossero le grandi luci alla fine dell'ampio viale che stavano percorrendo
«No, pochi minuti e siamo arrivati. Devo andare dalla parte degli arrivi?» chiese il guidatore facendo notare, con una strana inflessione della voce, che tutta quella impazienza non era ben gradita
«No, no... le partenze! Mi servono le partenze internazionali» rispose Aiba gesticolando, senza cogliere minimamente il fastidio del tassista. Avrebbe fatto in tempo? Era assurdo: quella era la sua vita reale eppure gli sembrava di star girando una classica scena da drama!

Si lasciò andare sulla sedia del camerino con un sospiro «Voglio fare una doccia» si lamentò «Sono stanco come... come un opossum stanco»
«Opossum?» fece Nino
«Quando si stancano gli opossum?» domandò Ohno, pensieroso, sedendosi al suo fianco, altrettanto stancamente
«Ma poi cosa fanno nella loro vita?» li spalleggiò Sho
«Si stancano» rispose Aiba in un soffio. Prese un asciugamano e se lo mise sulla faccia, alzando lo sguardo verso l'alto e chiudendo gli occhi. «Staaaaancoooo...» mugugnò da sotto il tessuto
«Qualcosa vibra» annunciò Jun guardandosi in giro prima di prendere lo zaino di Masaki «Aiba chan... hai lasciato il cellulare acceso?»
«Ma com'è che c'è gente che riesce a chiamarti? Sono quattro giorni che tento di scriverti, imbecille!» replicò Nino prendendo lo zaino e rovistandoci dentro per trovare il cellulare dell'amico «Guarda! Guarda! Suona! Ma che diavolo...»
«Ho cambiato numero!» annunciò lui prendendo il suo telefonino «Da circa due settimane. Tu non mi hai chiamato quasi mai negli ultimi mesi Nino kun» fece offeso «Quindi non ti ho dato il numero per ripicca»
«No, qualcuno me lo ricordi: è la seconda o la terza volta che lo cambia quest'anno?» sbuffò quello prima di abbassare la voce per lasciar parlare Aiba. «Pronto?»
⎨Niisan?⎬
«Ah! Ciao!» ridacchiò «Che rarità, non mi chiami mai durante la settimana, sei sempre così indaffarato»
⎨Niisan, si può sapere che cosa hai in mente?⎬domandò il fratello dall'altra parte della comunicazione
«In che senso?»
⎨In quanti sensi? Senti, io non sarò ferrato in materia di donne, ma lo vedevo lontano due chilometri che Hanayaka san era profondamente delusa dal non aver avuto tue notizie⎬
«Ma che vai blaterando? Ci siamo incontrati tre giorni fa» rispose strabuzzando gli occhi
⎨Ma non l'hai nemmeno salutata come si deve. Niisan io credevo che ti piacesse, ma alla fine non sono fatti miei, però se non volevi salutarla di persona almeno rispondere a qualcuno dei suoi messaggi...⎬
«Quali messaggi? Salutare? Vuoi spiegarti?»
⎨Non sai niente?⎬domandò sbalordito quello⎨Ma per la miseria! Quando scoprirò la fine della tua idiozia? Sono anni che me lo chiedo. Kokoro parte tra due ore per la Francia⎬
«COSA?» strillò alzandosi di scatto in piedi. Ohno al suo fianco sobbalzò spaventato e tutti gli altri si girarono verso di lui. «Da dove?»
⎨Narita... che domande imbecilli mi fai?⎬
«Prendo il primo taxi disponibile a costo di farmi investire.. mi faccio portare in ambulanza!»
⎨Basta idiozie, sbrigati!⎬. Aiba si scuso con tutti, prese lo zaino ancora aperto e si catapultò fuori dal camerino, fuori dalla sede della TBS con ancora il costume di scena addosso.

Masaki schiaffò in mano al tassista ventimila yen e gli urlò un "tenga il resto" chiudendo rumorosamente la porta e avviandosi di corsa alle porte a vetri dell'entrata di Narita. Si fece strada tra la gente saltellando ogni due per tre per guardare il cartellone della partenze ancora lontano e per guardare le persone, per cercare un viso conosciuto il suo. Non si era nemmeno messo le lenti prima di uscire e catapultarsi alle riprese, il che non era stato un problema durante il programma, ma in quel momento avrebbe voluto tremila decimi per vedere da lontano le partenze invece di dover arrivare fin sotto il tabellone. Yusuke aveva chiamato non appena Kokoro aveva lasciato casa loro: era passata a salutare proprio lui e loro avevano dovuto avvisarla che era tornato a Tokyo per lavoro. A quanto pareva, già qualche settimana prima del loro ultimo incontro, lei gli aveva scritto per avvisarlo della partenza, ma Masaki aveva cambiato numero di cellulare e dato che al tempo la teneva a distanza non le aveva comunicato la cosa. Quei messaggi quindi non gli erano mai arrivati, lui non li aveva mai letti. Strizzando gli occhi lesse il tabellone e registrò nella sua testa il numero del volo per Parigi e il numero del check in, quindi sgomitò tra la gente: doveva essere in partenza un volo molto numeroso perchè faceva difficoltà a passare, ma fortunatamente erano tutti stranieri e nessuno lo riconobbe. «Esukyusumi... sori... sori» farfugliò in inglese finchè non riuscì ad uscire da quella giungla di passeggeri e si mise a correre come un forsennato tra i vari check in. Saltò al volo un cordone per l'ordine delle file e raggiunse quello dell'Air France. Si fermò col fiatone e fece vagare lo sguardo sulle persone in fila, erano pochissime dato che mancavano venti minuti alla chiusura e quaranta all'imbarco. Kokoro non era in fila, il che poteva solo significare che era già al gate e chi non si imbarcava non poteva andare fino a lì. Incredulo si stava guardando intorno spaesato quando la vide che faceva un inchino ad un'addetta dell'aeroporto e si dirigeva verso le scale per scendere ai gate. «Kokoro!» urlò senza alcun ritegno, preda dell'urgenza di fermarla, di farsi notare e bloccare il suo allontanamento. La ragazza alzò la testa e insieme a lei un sacco di altre persone incuriosite: i giapponesi per quel modo di fare veramente poco composto, gli stranieri per aver sentito urlare una parola che alle loro orecchie poteva voler dire "attenti", ma anche "pesce lesso". La vide sgranare gli occhi mentre le andava incontro. «Hai un po' di tempo? Non stanno già imbarcando?» domandò respirando ancora affannosamente quando le fu più vicina
«S-si...» annuì lei confusa, allontanandosi dalle scale mobili e andandogli incontro stringendo una borsa tra le dita «Cosa... come mai sei qui Aiba san?» domandò squadrandolo come se non credesse ai suoi occhi
«Mi ha chiamato Yucchan... mio fratello» si corresse «Ha detto che sei passata da noi»
«Si ma... non dovevi venire fino a qui. Non l'ho fatto perchè ti sentissi in dovere di salutarmi» spiegò abbassando lo sguardo
«No, no... c'è stato un errore. Io ho cambiato numero di telefono, non ho mai ricevuto i tuoi messaggi... io non sapevo che tu dovessi partire» cercò di spiegarsi gesticolando
«Capisco» annuì lentamente «Ma non importa sai. Sei stato comunque abbastanza chiaro e sincero con me. Non c'era bisogno che tu venissi fino a qui» gli disse annuendo ancora, senza guardarlo. Sembrava stesse dicendo quelle cose più a se stessa che a lui «E' tutto un equivoco, ho fatto un pasticcio colossale» biascicò Aiba portandosi una mano agli occhi «Mi potrai mai perdonare? Io ero confuso... ero solo confuso» farfugliò. Se fosse stato chiaro fin dal principio, non con lei ma con se stesso, si sarebbero risparmiati tutti quei mesi di dubbi, avrebbero vissuto più serenamente, lei magari non sarebbe partita per dimenticarlo e lui non sarebbe stato lì sull'orlo delle lacrime. «Perdonami, ma io non ho dubbi su quel che è successo» rispose Kokoro, interdetta «O c'è qualcosa che non so?»
«Non hai dubbi? Io sì, ne avevo una marea. Sono un imbecille!» esclamò liberandosi la vista e guardandola che già stava lacrimando «E' che... ne ho avute di ragazze... cioè non tante, non è facile averle con la vita che faccio, ma le ho avute eh? Solo che... non lo so... era tanto per divertirsi. Insomma amare qualcuno è anche divertente no?»
«Si» rispose Kokoro alzando finalmente gli occhi su di lui, il suo viso perplesso tradiva come stesse cominciando a perdere il filo del discorso strampalato di Aiba. «Però a volte si vuole fare qualcosa di più. Non dico matrimoni, fidanzamenti... solo fare un passo in più: non è solo "stiamo insieme ed è divertente", ma è "stiamo insieme e mi prenderò cura di te"»
«Aiba san... qualcuno ti ha lasciato di nuovo cinque minuti di silenzio per metterti a pensare in maniera seria?» domandò accennando un sorriso, ancora non capiva cosa le volesse dire, ma quelle parole strane ricordavano le riflessioni fatte la sera degli hanabira mochi. «Pure giorni interi» ribattè lui
«Va bene... ma perchè stai piangendo?» domandò guardando come le lacrime avessero cominciato a rotolargli giù per le guance
«Aspetta, aspetta... è semplice, non è complicato e non è strano. Io volevo questo, capisci? C'era un Chibi Masaki che voleva costruire questo rapporto con te, ma intorno c'erano anche tante altre cose: una vita confusa, piena, frenetica, tante persone a cui voglio già bene, che sono già speciali per me» tentò di spiegarsi mettendosi improvvisamente a gesticolare «Chibi Masaki aveva paura: inserire in una vita, piena di cose importanti perfettamente incastrate, una persona che deve essere altrettanto importante non è semplice, è come rimettere in discussione tutti gli ingranaggi costruiti finora. Questo fa paura e per farlo ci vuole qualcosa... qualcosa che ti faccia pensare "va bene, allora facciamolo" perchè ne vale la pena»
«Il fatto che non ci sia stata, Aiba san, non è così drammatico da fare una corsa stile film fino all'aeroporto» osservò la ragazza tirando fuori un fazzoletto e porgendoglielo «Asciugati le lacrime, ci stanno guardando»
«Il punto è questo: ci ho messo un po' di tempo, ma l'ho trovato. Mi spiace di essere stato così lento» spiegò prima di passarsi il fazzoletto sugli occhi «Però sono sbadato, pasticcione, faccio le cose un po' come mi vengono... e allora ci ho messo un po' per impegnarmi. Ma adesso ho qualcosa che mi fa dire "allora facciamolo". Chibi Masaki è pronto a risistemare gli ingranaggi per farci stare anche te» spiegò da dietro la carta. Kokoro si passò una mano tra i capelli, imbarazzata, girò lo sguardo intorno a se prima di fissarlo sulla spalla del ragazzo. Fece per dire qualcosa ma un paio di signore passarono di fianco a loro «Oh ma quello non è...» «Si, sembra anche a me» farfugliarono con il viso che cominciava ad illuminarglisi. La ragazza alzò le braccia per passarle dietro il collo di Masaki e afferrò il cappuccio della sue felpa per metterglielo in testa «Spostiamoci un attimo» gli propose a mezza voce e lo trascinò alle grandi finestre che davano sulle piste d'atterraggio. «Che cosa sarebbe, Aiba san? Puoi dirmelo? Perchè io ho passato giorni a valutare i pro e i contro: e pensi sia stato facile per me?» gli domandò con voce dura «Accettare i propri sentimenti per una persona che probabilmente è al di fuori della mia portata. Aprire il mio cuore ad un ragazzo che, se pure accetterà di stare con me, sarà una presenza incostante, un ragazzo con cui non potrò andare in giro facilmente. Immagino non potrei tenerti per mano, non sarebbe nemmeno il caso di camminare al tuo fianco, figuriamoci andare a mangiare fuori insieme, andare al cinema, uscire con i miei amici, con i tuoi, avere delle foto insieme, fare un viaggio, chiamarti quando ho voglia di sentirti... accettare che altre migliaia di persone ti guardino con degli occhi, avendo dei pensieri che non mi fanno piacere. Ritrovarmi costantemente gelosa delle belle attrici e cantanti che sono mille volte meglio di me, che possono capirti mille volte meglio di me perchè fanno la tua stessa vita... ti sembra facile?» chiese finalmente prendendo fiato
«Mi sembra che anche a te abbiano concesso quindici buoni minuti per pensare troppo» riuscì solo a dire, tirando su col naso da sotto il cappuccio
«Non è facile» disse lei, ignorando la sua battuta «Però l'ho fatto e tu mi hai... anzi no, non mi hai nemmeno respinto chiaramente. Ti sei proprio comportato come se non ti interessasse, mi hai ignorato come ormai facevi da un mese. E questo dopo aver fatto tu il primo passo, non dimentichiamocelo» ribadì incrociando le braccia. Masaki fece un passo avanti e allargò le braccia, con il chiaro desiderio ed intento di stringerla a sè, ma si ricordò subito di non poterlo fare in quel posto: era già un miracolo se nessun turista giapponese lo avesse riconosciuto e fotografato in uno qualsiasi di quei momenti! «Posso prenderti il mignolo?» domandò mostrandole il suo. Con un sospirò lei glielo concesse e lo strinse riabbassando la mano per nasconderlo al meglio. «Potrai perdonarmi? Per favore... non era mia intenzione ferirti. Ero solo... confuso» cercò di spiegarsi parlando a bassa voce «Ma sono venuto qui con delle intenzioni serie e delle idee chiare nella testa» la voce gli tremò nuovamente, sentiva di stare per mettersi a piangere di nuovo «Perciò non partire... per favore» mugolò
«Ho l'imbarco tra cinque minuti» spiegò Kokoro con un sospiro
«Per favore... non puoi piantarmi ora che sono pronto a tutto» la supplicò «Come faccio a stare un anno senza di te? O sono due? Voglio dire: adesso sarei pronto e tu scompari dalla mia vita? Sembra la conclusione del drama più strappalacrime della televisione nazionale!» cercò di ribattere
«Hai preso la febbre in pieno luglio?» domandò la ragazza aggrottando le sopracciglia «Sto via solo quattordici giorni»
«Eh?» fece quello con voce strozzata, sgranando gli occhi
«Oh mamma... tuo fratello non te l'ha spiegato? E' un corso sulla pasticceria francese: dato che per il prossimo mese la padrona ha avviato dei lavori di ristrutturazione al negozio non potremo lavorare, allora ho deciso di usare un po' dei soldi messi da parte per fare un viaggio» spiegò lei con calma «Ho deciso di andare a Parigi perchè, guarda caso, in questo periodo c'era questo corso»
«Ma... ma tu fai dolci tradizionali» osservò perplesso
«Non posso allargare gli orizzonti?» domandò trattenendo a stento una risata «E poi fare qualcosa di sperimentale non mi dispiacerebbe... in più sarebbe bello far conoscere il nostro paese prendendo gli stranieri per lo stomaco, no?»
«Posso baciarti?» domandò con un sorriso che sembrava partigli da un orecchio e arrivare all'altro
«Direi di no» gli rispose lasciando andare anche il suo mignolo «Non è il posto giusto direi» scosse il capo
«E'... è vero» ammise deluso cominciando a sudare sotto quel cappuccio in pieno Giugno
«Fammi una promessa» fece Kokoro girandosi verso le scale mobili «Prenditi del tempo, in queste due settimane, quando puoi, e aiuta Chibi Masaki a sistemare gli ingranaggi. Quando sarò tornata dovrà esserci già un posto per una persona importante in più»
«Va bene» annuì con decisione Masaki
«In cambio io renderò Chibi Kokoro un po' più coraggiosa e pronta a gestire una relazione... particolare. E cercherò di non ingrassare troppo» ridacchiò per poi ringraziare l'addetta dell'aeroporto che l'avvisava che avevano aperto il gate, di affrettarsi a raggiungerlo. «Queste sono per il viaggio, magari ti viene fame» disse Aiba tendendole un pacchetto trasparente. Dentro c'erano tante caramelle di zucchero, tutte colorate e sgargianti. «Ame?» domandò lei «Per sfamarmi in dodici ore di viaggio?»
«I francesi quando hanno un languorino si mangiano le lumache, te lo giuro!» cercò di giustificarsi arrossendo «Non mangiare lumache, ti prego, se hai fame mangia quelle!» l'altra scoppiò a ridere aprendo il sacchetto. Prese in mano due caramelle, una rosa e una verde, quindi gli diede la seconda prima di imboccare le scale mobili. Masaki si sporse oltre il parapetto per guardarla mentre scendeva al piano inferiore, verso i gate. «Ah, sul bigliettino del pacchetto c'è il mio nuovo numero di cellulare. La prossima volta che lo cambio tu e Nino sarete i primi a saperlo!»
«Guarda che ci conto! E rispondi ai miei messaggi adesso!» gli disse alzando lo sguardo e sorridendo mentre mangiava la sua caramella
«Giuro, lo farò!» ridacchiò prima di assaggiare la sua pallina di zucchero colorata di verde.
Quell'ame era dolce, la caratteristica dolcezza dello zucchero: leggera eppure unica, piacevole. Era solo zucchero ma era in quella semplicità che Aiba trovava ciò che riusciva ad apprezzare di quel dolce... in tutte le relazioni importanti della sua vita: nessuna pretesa, solo una coccola. Amore, semplice.


E' stata dura pensare a come ambientare il finale, ma questo è quello che ho maturato in questo periodo di riflessione. Scusatemi l'attesa, ma scrivendo e leggendo il risultato ho pensato che tutto sommato ne è valsa la pena. Mi piace. Sembra un po' finalone da mega storia d'amore eh? poi invece è tutta colpa di Masaki che non aveva capito una cippa XD ahahah patato lui!

Ringraziamenti:
- come sempre a tutte quelle che mi hanno seguito dall'inizio alla fine. Sono abituata a non avere molti commenti alle ff, ma grazie comunque anche per non aver scritto niente XD
- grazie a Google, come al solito... come farei senza di lui? Trovare i dolci e delle foto per farvi capire cosa sono.. come sono... "interunetto banzai"! *alla japanese*
- grazie ad Aiba >__< perchè è il mio co-ichiban, perchè è puccio, perchè lo sento vicino come tipologia di persona e allora non è stato difficile muoverlo. La cosa complessa era renderlo poco donna (quale io sono) e un po' più uomo, per quanto sensiBBilo possa essere.

Altro? Non lo so adesso non mi viene in mente maledizione! >_<
Ho anche postato il decimo capitolo di Akai Ito... si era già capito leggendo l'introduzione di quella ff che il continuo di Ame ci sarà là, vero? Cosa succederà dopo quattordici giorni?*
Vedremo... intanto grazie per aver seguito la primavera di Aiba!! *O*

*Nonostante questo è bene che sappiate che questa ff finisce qui. Questa è la sua fine definitiva XD non saprei come dirlo altrimenti. Il fatto che Akai Ito contenga un continuo è un'altra cosa perchè per leggere quella ff non è indispensabile aver letto questa, quindi da lì si riprende un po' da zero come se nessuno avesse letto niente di Ame.

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