Against the fate -

di ___runaway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***



Capitolo 1
*** 01. ***


Accorgersi di aver sbagliato tutto per un’intera vita è un reato?
Ho capito troppo tardi quello che volevo. Ho abbandonato tutto, ho abbandonato lui. Continuo a maledirmi per tutti i miei stupidi pensieri negativi sull’amore. Lui era il mio mondo, la mia esistenza. Lo era sempre stato, non l’avevo mai capito.
Era orribile guardarsi intorno e vedere il vuoto. Tutto senza di lui sembrava inutile e senza senso. A cosa serviva il cielo se non lo potevo guardare con lui? E perché giorno e notte continuavano ad alternarsi, facendo scorrere il tempo, se il mio cuore si era fermato da molto ormai? Le persone parlavano, parole futili, prive di significato. La musica scorreva, muta e silenziosa. I miei pensieri si spegnevano, come una candela in una campana di vetro. Mi mancava l’ossigeno.
Aria, aria, non chiedevo altro. Datemi l’aria. Portatemi da lui.

Leave my door open just a crack
Please take me away from here
Cause I feel like such an insomniac
Please take me away from here
Why do I tire of counting sheep?
Please take me away from here
When I'm far too tired to fall asleep
To ten million fireflies
I'm weird, cause I hate goodbyes
I got misty eyes as they said farewell
But I'll know where several are
If my dreams get real bizarre
Cause I saved a few
And I keep them in a jar.

Avevo i capelli più corti, a caschetto. Per il resto, non ero cambiata di una virgola. A parte l’aria da morta perenne che ormai mi portavo dietro da un anno.
Un anno. Un anno senza lui, i suoi sussurri, la sua immagine. Come avevo resistito? Come avevo fatto a non ascoltare la sua voce per tutto quel tempo?
Mi ero illusa di poterlo trovare, di poterci parlare di nuovo, ancora una volta. Dovevo spiegargli che ero stata una scema, ma che in quel periodo era meglio così. Diciassette anni, minorenne. Non potevo abbandonare tutto per rimanere con lui. Non sapevo se poteva continuare, se sarebbe andata avanti per molto tempo. Ma ormai ne ero certa: avevo commesso lo sbaglio più grande della mia vita. Sì, andarmene era stato un errore immenso. Cosa potevo fare però?
Ora tutto era diverso. Maggiorenne, la testa sulle spalle, il cuore pieno di lui.
“Io vado. Non so quando torno, né se torno” avevo detto poco prima di uscire ai miei genitori. Mia mamma si era messa a ridere, non mi aveva presa nemmeno un po’ sul serio. Ma io non scherzavo: sarei rimasta volentieri in America per tutto il resto della mia vita, con tutta la mia vita. Perché, se non fossi restata là, che senso avrei potuto dare alla mia esistenza?
Sembra stupido: così giovane e già innamorata dell’utopia di poter tornare indietro nel tempo, cambiare le cose, riscrivere la storia. Se fosse così facile, tante azioni nel mondo non sarebbero mai successe. Nessuno avrebbe permesso a Hitler di sterminare tutte quelle persone, nessuno avrebbe fatto sì che un pazzo sparasse al Papa. Nessuno mi avrebbe portato in America. Penso che i miei genitori si siano rimproverati il fatto di avermi regalato quella vacanza per non so quanto tempo: non mi avevano mai visto così triste. Sì, molte volte avevo pianto sull’aereo del ritorno. Ma mai come quella. Non era da me dover prendere un tranquillante per calmare le lacrime ed i singhiozzi; non era da me avere le mani tremanti e spaventarmi da sola per i miei comportamenti. Stavo diventando pazza.

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Capitolo 2
*** 02. ***


Non ricordo più per quante notti non avevo chiuso occhio. Avevo perso la cognizione del tempo, dello spazio. La mia vita, se così si poteva definire, era un’alternanza di vuoto, paura, rimorsi, pensieri, e poi di nuovo vuoto. Il nulla. La mente completamente offuscata. Era vuota ma allo stesso tempo non riuscivo a riempirla con niente che non riguardasse lui.
Così decisi di tentare il tutto per tutto. Prendere o lasciare; vincere o perdere. Non c’erano secondi termini, nessun piano di riserva, nessuna scappatoia. Sapevo dove trovarlo, speravo di trovarlo. Per mesi tentai di convincermi che questa non sarebbe stata la cosa migliore da fare; ma non trovavo prove a sfavore.
Cosa ci avrei guadagnato a non partire? Sarei rimasta in quella condizione orribile, magari avrei smesso anche di studiare. E poi, lentamente, sarei riuscita a fare a meno di mangiare, dormire, bere, respirare. Il mio cuore si sarebbe spento un soffio per volta. Non me ne sarei accorta nemmeno. Ma buttare via diciassette anni non mi sembrava una buona idea.
Partire, quella era l’unica buona idea.
Los Angeles era come me la ricordavo, fortunatamente. Alloggiare allo stesso hotel, girare per le stesse strade, visitare gli stessi posti. Tutto da sola, o meglio, con il grande macigno che mi portavo dietro da un anno.
Passarono giorni interi nei quali non feci altro che cercarlo. Andai allo Starbucks’ dove avevamo fatto colazione, nel negozio dove lo avevo conosciuto e dove aveva sfoderato quel sorriso sghembo che fa impazzire il mondo solo per me.
Le giornate trascorrevano lente; camminavo stanca e sconsolata per le vie della città. Passai davanti ad un negozio di musica dal quale usciva una canzone. Senza volerlo, drizzai le orecchie.

Cause you’re not the only one,
Who’s ever felt this way.
Don’t let the world cave in,
Just tell me that you’ll stay.

Now that the pain is done,
No need to be afraid.
We don’t have time to waste,
Just tell me that you’ll stay.

Era lui, non avevo dubbi. La sua voce così diversa da tutte le altre che, a confronto, non valevano nulla. Aveva fatto una nuova canzone? Bè, ne aveva sicuramente scritte molte in un anno. Solo che io non le avevo mai ascoltate.

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Capitolo 3
*** 03. ***


Entrai in quel negozio senza uno scopo preciso in mente. Volevo solo vedere se c’era qualche nuovo CD dei Jonas Brothers e leggere i titoli delle canzoni. Passai in rassegna tutti gli scaffali dei nuovi arrivi finché non trovai un suo CD.
Who I Am.
Il mio cuore iniziò ad esplodermi nel petto. Allungai una mano per prenderlo: tremava. Con dispiacere, constatai di essere troppo bassa per arrivare a quel ripiano. Mi allungai sulle punte, ma niente da fare. Il mio metro e sessantacinque si faceva sentire, in quei casi.
“Ehi, ciao. Hai bisogno di una mano?” sentii alle mie spalle. Una voce calda. Mi voltai di scatto, un po’ imbarazzata.
“Oh, ehm… Ciao. Bè, in realtà sì” balbettai. Davanti a me avevo un ragazzo alto, molto alto. Capelli biondi e lisci, occhi verdi, tendenti al marrone. Aveva le labbra sottili, gli angoli arricciati verso l’alto in un sorriso. Senza difficoltà, prese quel CD e me lo porse. Lo guardai per qualche secondo, la bocca un po’ dischiusa. Una sua foto in bianco e nero; una chitarra a tracolla, sguardo fisso nell’obiettivo della macchina fotografica. Spento, altrove. Con la punta delle dita lo sfiorai.
“Non sei di qua, vero?” mi domandò quel ragazzo che avevo dimenticato di ringraziare.
“No, sono italiana” borbottai continuando a fissare la copertina del CD.
“E ti piacciono i Jonas” concluse. A quel punto alzai la testa e lo guardai.
“In un certo senso, sì”.
“Piacere, Michael” si presentò.
“Martina” risposi con un sorriso. Passarono attimi di silenzio nei quali lessi i titoli delle canzoni.
“Olive & An Arrow” sussurrai. Il primo locale dove eravamo stati insieme. Ora era una canzone.
Il mio Nicholas ormai è grande, fa pure il solista. Constatazioni amare, quelle.
“Allora che fai, lo prendi?”.
“No, non penso. È… E’ meglio così”.
“Come vuoi”. Riprese il CD e lo mise al suo posto. Lo ringraziai ed uscii dal negozio. Il sole stava per tramontare; una luce rossastra irradiava debolmente la città. Aspettai il bus per un quarto d’ora. Era pieno di gente. Un brusio fastidioso mi entrò nelle orecchie nonostante la musica a tutto volume. Con mio stupore, una delle tante fermate era davanti al ristorante dove passai la sera più bella della mia vita. Per un attimo mi mancò il respiro. Poggiai una mano sul vetro e sbirciai all’interno del locale. Riconobbi il tavolino dove avevamo cenato: era occupato da una persona. Un cameriere le passò vicino; la figura si voltò per chiamarlo. Incrociò i miei occhi. Non ci credo, non ci posso credere. Come faccio a crederci?
Era lui, in carne ed ossa. Forse non mi aveva riconosciuto: distolse subito lo sguardo e scosse la testa passandosi una mano fra i riccioli.
“Nick” sussurrai il suo nome dopo molto tempo. Mi fece una strana sensazione; non ricordavo quanto fosse melodico. Sapevo che non poteva di certo sentirmi.

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Capitolo 4
*** 04. ***


Il bus ripartì; in quell’istante, Nicholas si alzò di scatto dal tavolo e corse verso l’uscita. Cercai di farmi spazio tra la folla per arrivare in fondo al pullman. Si fermò in mezzo alla strada, capendo che era troppo tardi. Una lacrima mi rigò il viso; era di gioia? Oppure di dolore? Sentivo la ferita riaprirsi. Era un dolore sopportabile, senza il quale non potevo stare. Rivederlo mi provocò una scarica di brividi. Un sorriso amaro spuntò sul mio viso. Anche lui era a Los Angeles, mi aveva riconosciuto, sapeva che c’ero. E quello mi bastò per recuperare un pizzico di speranza.
Quella notte dormii serenamente, o forse solo meglio del solito. Avevo trovato un po’ di pace e tranquillità nel suo sguardo.
La mattina seguente, al mio risveglio, trovai fuori dalla porta della mia camera un mazzo di rose rosse ed un bigliettino.
Ti ricordi la prima volta?
Come dimenticarmene? Una rosa rossa, Nicholas fuori dall’hotel ad aspettarmi, una colazione che ci attendeva. Una strana sensazione mi riempì le vene. E se fosse qui fuori? Forse mi sta aspettando. Come la prima volta, come la prima volta. Mi affacciai alla finestra, ma purtroppo non riuscivo a vedere la facciata principale dell’albergo. Mi vestii velocemente: una camicetta ed un paio di shorts a caso. Forse dimenticai pure di pettinarmi. Scesi le scale di corsa, salutai l’uomo alla reception con un ‘Buongiorno’ un po’ troppo entusiastico e mi diressi verso l’uscita. Le mie gambe si bloccarono di colpo. Cosa mi era preso? Avevo paura di una delusione. Era forse l’ennesima illusione nata dalle mie fantasie? No, impossibile. Altrimenti come spiegarsi quelle rose? Spinsi la porta di vetro. L’aria calda mi si fiondò addosso. Detti una rapida occhiata ai lati della strada. I miei occhi si fermarono su un’auto parcheggiata sul ciglio: una Mustang. Quella Mustang. Appoggiato allo sportello del guidatore c’era lui, il mio angelo. Iniziai a corrergli incontro come una stupida. Allargò le braccia per accogliermi. Affondai il viso nel suo petto e mi lasciai stringere. Il suo profumo invase completamente i miei polmoni. Scoppiai a piangere, un pianto liberatorio che buttò fuori tutte le lacrime trattenute fino ad allora. Nicholas mi accarezzava i capelli con la guancia.
“Sei tornata” mormorò. Annuii tremante.
“P-Per sempre” singhiozzai aderendo ancora di più al suo corpo. Mi era mancato troppo, Dio solo sa come avevo fatto a resistere così tanto senza di lui!
“Pensavo non tornassi più” continuò con una nota di dolore.
“Come facevo? Come faccio?” esclamai alzando la testa. Avevo gli occhi gonfi ed arrossati, ma rivederlo così da vicino mi fece bene. Per una volta dopo un anno, stavo veramente bene.
Avvicinò le labbra alle mie. Finalmente riassaporai la sua bocca, che tanto avevo sognato e desiderato. Lo morsi con delicatezza; ridacchiò facendo sfiorare i nostri nasi.

Tell me that you’ll stay
No, tell me
Tell me that you’ll stay.

“Dimmi che rimarrai” sussurrò.
“Sì. Sì, sì, sì!”. Una lacrima tradì la sua espressione perfetta e statuaria. La asciugai con un dito.

L’amore non ha confini, né regole da seguire. Ognuno lo vive a modo suo, ha le sue opportunità, i suoi problemi.
Perché cercare di scappare da qualcosa che ti completa? Che senso ha? Tutte le azioni vengono fatte per una persona speciale, in funzione della sua felicità. Vietandomi lui, è come vietarmi di respirare, di camminare, di mangiare.
Tentare di dimenticarlo era stata l’idea più assurda che potessi avere.

Tell me you love me too
‘Cause I’d rather just be alone
If I know that I can’t have you.

Se è vero che tutto il mondo è determinato e che qualcuno ha già deciso il mio futuro, come avevo potuto pensare di oppormi? Come all’aria appartengono le nuvole e gli uccelli e alla terra le piante ed i fiori, così io appartengo a lui; ogni mia singola cellulare è sua e di nessun altro.
Basta mentire al mio cuore.

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