Mistake of twins

di _Pulse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e La festa ***
Capitolo 2: *** Sorella ***
Capitolo 3: *** Scambio d'identità ***
Capitolo 4: *** Primo incontro ***
Capitolo 5: *** Predatori e prede ***
Capitolo 6: *** Benedetta sorellina! ***
Capitolo 7: *** Solo un gioco... ***
Capitolo 8: *** Felicità e sensi di colpa ***
Capitolo 9: *** L'eccezione ***
Capitolo 10: *** Sensazioni ***
Capitolo 11: *** Incontri dal passato. E dal presente ***
Capitolo 12: *** Un salto nel passato ***
Capitolo 13: *** Solo sua (Purtroppo?) ***
Capitolo 14: *** Tranquillità apparente ***
Capitolo 15: *** Il momento di chiudere il sipario ***
Capitolo 16: *** Piombare nell'oscurità ***
Capitolo 17: *** Sucker love ***
Capitolo 18: *** Mai più senza di te ***
Capitolo 19: *** Inutile respingerlo ***
Capitolo 20: *** Novelli sposi ***
Capitolo 21: *** Quando è amore ***
Capitolo 22: *** Inaspettatamente ***
Capitolo 23: *** In galera?! ***
Capitolo 24: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 25: *** Problema risolto, problema che inizia ***
Capitolo 26: *** Passo falso ***
Capitolo 27: *** Dura confessione ***
Capitolo 28: *** Inferno ***
Capitolo 29: *** Sei con me? ***
Capitolo 30: *** Mi rubi l'anima ***
Capitolo 31: *** Giardino di rose ***
Capitolo 32: *** ... Aaron? ***
Capitolo 33: *** Il centro del mondo ***
Capitolo 34: *** La lontananza ***
Capitolo 35: *** La ragione per cui sorrido ***
Capitolo 36: *** Copleanno da dimenticare ***
Capitolo 37: *** Incubi-realtà ***
Capitolo 38: *** Decisione importante ***
Capitolo 39: *** Laika ***
Capitolo 40: *** Piccola sorpresa ***
Capitolo 41: *** Parole non dette ***
Capitolo 42: *** Regalo ***
Capitolo 43: *** Due corpi di una sola anima ***
Capitolo 44: *** Perdita ***
Capitolo 45: *** L’unione fa la forza ***
Capitolo 46: *** La quiete dopo la tempesta ***
Capitolo 47: *** Aiuto, mi vuole parlare! ***
Capitolo 48: *** Margherita ***
Capitolo 49: *** No! O forse sì. ***
Capitolo 50: *** La fine ***



Capitolo 1
*** Prologo e La festa ***


Nota: I Tokio Hotel non ci appartengono e con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare una rappresentazione veritiera del carattere di questi quattro giovincelli, nè offenderli in alcun modo.

Ciao a tutti! :)
Eccola qua, finalmente è arrivato il giorno tanto atteso (più da noi che da voi, fidatevi xD) di introdurvi “Mistake of twins”!
Questa FF è una round, scritta dalle manine di Utopy e dalle mie (Non ci separiamo più ormai!). Essendo una storia scritta a quattro mani, appunto, ci siamo divise i capitoli (alternando, uno io e uno lei, uno io e uno lei e così via...) e per questo motivo le due protagoniste, che conoscerete presto, parlano entrambe in prima persona a turno, un capitolo una e un capitolo l'altra. E' anche comodo, perché si hanno entrambi i punti di vista! ;) (Chi ci conosce già sa che lavoriamo in questo modo).
Bene, detto questo... Ah, possiamo garantirvi che siamo superlegate a questa storia e ne siamo superorgogliose *-* È proprio una bimba per noi, quindi tratte tela con il dovuto rispetto ù.u
Okay, dopo gli atti intimidatori (xD), sfruttiamo il momento introduttivo per ringraziare Layla, Tokietta86 e BigAngel_Datrk che hanno recensito l’ultimo capitolo di “Incastrate”, la nostra prima figlioletta che rimarrà sempre nei nostri cuori. Grazie mille! :D
La foto che vedete qui sotto è un po' la "locandina" di questa FF, l'abbiamo fatta noi e speriamo vi piaccia :)
Ora non possiamo far altro che augurarvi una buona lettura e sperare che sia davvero apprezzata e piacevole, poiché presupponiamo che vi accompagnerà per tutta l’estate, se non di più.
Un Grazie anticipato a tutti, vi amiamo!
Le vostre, Ale&Ary.

   

 

Prologo

 

Aprii lentamente le palpebre, sentendo il sole battere su di esse, e mi guardai intorno. Come se tutto fosse un sogno, mi trovai a socchiudere le labbra, divertita.

“Provaci!? Tuo figlio non conoscerà mai suo padre!”, gridò Ale contro un Tom che sorrideva malefico, le braccia spalancate, tutto bagnato: era appena uscito dall’acqua cristallina.

“Ehi, guarda che mi serve!”, le gridai, ridacchiando, ma non parvero sentirmi, tanto erano presi a giocare come due ragazzini, nonostante non lo fossimo più da un pezzo.

“Dai Ale, è solo un po’ d’acqua!”, continuò Tom, avvicinandosi sempre di più a lei, che invece indietreggiava, fino a quando non si voltò e ridendo iniziò a correre a piedi nudi sulla sabbia.

Sentii un sospiro felice e mi voltai verso la mia sinistra, dove vidi Bill che si stava sedendo al mio fianco, un sorriso rilassato sulle labbra.

“Sono sempre i soliti bambini”, ridacchiò.

“Sì, è vero”, annuii felice. “E quando si sono baciati, ti ricordi?”, ridacchiai.

“Sinceramente non ricordo, io ero impegnato con te.”

“Cavolo se ero ubriaca quella sera!”

In lontananza si sentivano i loro schiamazzi, finalmente Tom era riuscito a prendere Ale fra le braccia e lei stava cercando di liberarsi perché era bagnato. Sorrisi a quella scena e poi tornai a guardare Bill:
“Te lo saresti mai immaginato, tutto questo?”

“Ahm”, corrugò la fronte, guardando l’orizzonte, l’azzurro del cielo e del mare che si fondevano. “No.” Mi guardò e scoppiammo a ridere insieme.

E pensare che, davvero, tutto era iniziato per gioco… mi metteva i brividi.

 

 

Capitolo 1: La festa

 

Mi passai le mani sui fianchi, stirandomi il vestitino nero che indossavo, e mi girai di traverso ammiccando allo specchio: quella sera sarebbe stato davvero uno sballo. Erano mesi che aspettavamo quella festa e finalmente era arrivata. Mancavano giusto poche ore e poi ci saremmo divertite così tanto da dimenticarci pure i nostri nomi.

“Sì Ary, sei bellissima come al solito, hai finito?”, mugugnò una voce che non avrei mai confuso nemmeno fra un milione. Perché era unica. Perché era la mia.

Mi girai e incrociai le braccia al petto, guardandola alzando il sopracciglio.
“Ci vuole tempo per queste cose, Ale! Voglio essere perfetta.”

“È tre ore che sei di fronte a quello specchio! Ha la nausea di te, fra un po’!”

“Beh, allora mi sa che si sentirà male quando vedrà te”, ridacchiai.

“Molto divertente.”

Ale si alzò dal letto sul quale si era spaparanzata aspettandomi e si mise al mio fianco, un sorriso dolce sulle labbra mentre iniziava a pettinarmi i capelli biondo cenere che cadevano lisci sulla schiena.
Io la guardai attraverso lo specchio, soffermandomi sui suoi occhi castani che in confronto ai miei, nonostante fossero identici, erano qualcosa di completamente affascinante.

Guardare lei era come guardare me, eravamo l’una lo specchio dell’altra e ogni volta che ci pensavo mi si riempiva il cuore di gioia, perché solo Dio sapeva quanto mi aveva resa felice facendomi nascere esattamente cinque minuti dopo di lei.
Non potevo nemmeno immaginare una vita senza di lei, la mia gemella, non era proprio possibile. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta, era parte di me e togliermela sarebbe stato come strapparmi il cuore dal petto.

“Hai sentito Andy, alla fine?”, mi chiese distraendomi dai miei pensieri.

“Sì, ha detto che ci saranno anche Bill e Tom”, sogghignai passandomi la lingua sul labbro inferiore.

“Non fare quella faccia, pervertita!”, scoppiò a ridere, contagiandomi. “Tanto non si accorgeranno mai di noi, dai… Loro sono delle star internazionali ormai!”

“E dunque? È solo per divertirci Ale, nulla di serio! Ma ti pare?!”

“Come sempre. Tu ti vuoi divertire e basta. Quando metterai la testa a posto?”

“Ah, ti prego, non fare come mamma!”

“Non sto facendo come mamma… sono solo preoccupata per te!”

Mi girai e la guardai negli occhi, prendendole le spalle fra le mani:
“Preoccupata di cosa?”, sorrisi.

“Non lo so… Prima o poi succederà che ti incastrerai in qualche legame senza volerlo e potresti anche soffrirne…”

“Oh Ale, stai tranquilla! Non succederà mai. Ora aiutami a scegliere le scarpe, siamo in ritardo!”

Ale scosse la testa e mi guardò saltellare a piedi nudi verso la scarpiera, un sorriso da bambina sul viso.
“Non vorrai davvero mettere le All Star, vero?”, chiese ridacchiando; io mi bloccai con la mano su quelle scarpe, colta in flagrante. “Non si intonano per niente con il vestito.”

“Ok, ho capito”, sospirai prendendo degli stivaletti di pelle nera con il tacco.
Me li infilai e dopo un ultimissimo veloce controllo al trucco nero intorno agli occhi, scesimo di sotto, dove trovammo Davide svaccato sul divano a guardare svogliatamente la tv.

Il nostro fratellone. Era più grande di noi di quattro anni: lui ne aveva ventidue e noi ne avevamo appena compiuti diciotto. Finalmente maggiorenni! Quello per noi sarebbe stato l’ultimo anno di liceo e poi ce ne saremmo andate da qualche parte in America, forse a Chicago, o ancora meglio a New York. Sempre se tutto sarebbe andato secondo i piani.

“Non esci stasera, Dave?”, chiesi mentre Ale mi passava il cappotto: eravamo davvero in ritardo!

“No, Marika ha la febbre.”

“Oh, capito. Allora possiamo prendere la tua macchina?”

“Sì, ma voglio che torni intatta, chiaro?”

“Cristallino come la rugiada all’alba!”, alzai i pollici sorridendo.

“State attente bambine, divertitevi!”

“Sì, mamma”, cantilenò Ale, prima di trascinarmi alla porta e di uscire nel buio della sera.

“Guido io!” Mi catapultai al posto del guidatore ed emozionata misi le mani sul volante.

“Ricordi quello che ha detto Dave? La rivuole intatta. E l’ultima volta che ti ho lasciato guidare siamo finite addosso ad un palo della luce dopo nemmeno quattro metri!”

“Dai Ale, non l’avevo visto!”, sfarfallai le ciglia tendendo la mano verso di lei, che si arrese e mi diede le chiavi.

 

***

 

Eravamo arrivate alla festa in perfetto orario, ero stata brava a guidare quella volta: il cofano non si era schiantato contro nessun palo della luce. Ero orgogliosa di me.
Avevamo fatto gli auguri ad Andreas, il festeggiato, che conoscevamo da qualche anno a quella parte ormai, e poi ci eravamo guardate intorno cercando le nostre due prede, ma di loro ancora nessuna traccia.
“Arriveranno, non vi preoccupate!”, ci aveva detto lui ridendo, e io ero davvero impaziente.

Ora, fra suoni, luci, colori, avevo perso di vista mia sorella. Anzi, avevo perso prima la vista che lei: vedevo doppio. Forse avevo sbagliato a prendere tutti quei cocktail di fila nell’attesa. Lei me l’aveva detto… Ma io, cocciuta, non l’avevo ascoltata.
Volevo divertirmi senza essere rimproverata né controllata da nessuno, tantomeno da lei. La mia metà avrebbe dovuto capirmi!

Mi girai di scatto, travolta da un ragazzo alto e dai capelli corvini che gli sparavano sulla testa in una cresta di almeno quaranta centimetri.
“Ehi, stai attento, maleducato!”, strepitai sentendo delle forti fitte alla testa: quella sbornia non sarebbe passata tanto in fretta.

“Scusa, non ti ho vista”, disse il ragazzo, voltandosi verso di me.

Vedevo due volte il suo bel viso androgino, erano addirittura quattro i suoi occhi nocciola contornati da ombretto e matita neri. Sembrava un alieno!
Mi trovai a ridacchiare a quel pensiero: in effetti gli mancavano solo le antennine verdi e sarebbe stato perfetto!
Qualcosa mi diceva però che non veniva da Marte, e dopo averci pensato un po’ su mi resi conto che quello era proprio Bill Kaulitz. Era tutta la sera che cercavo con Ale i due gemelli Kaulitz, senza successo, e quando per un momento avevamo lasciato perdere la nostra caccia il minore si presentava di fronte a me? A saperlo prima!

“Tu sei bella ubriaca, eh?”, ridacchiò.

“Ma va’, che dici?!”

Qualcun altro mi passò accanto e io traballai pericolosamente, ma Bill fece in tempo a sorreggermi per un braccio, aiutandomi a non fare una figuraccia. Ero pure sui tacchi! Colpa di mia sorella.

“Magari un po’ d’aria fresca ti farebbe bene”, ridacchiò di nuovo, portandomi fuori con sé. Che ci trovava di tanto divertente? Mi ero persa forse qualcosa?

Uscimmo fuori dal locale e all’arietta fredda della sera venni percossa da un brivido che mi riportò almeno in parte alla lucidità.

“Conosci Andreas?”, mi chiese appoggiandosi alla parete dietro di sé, le mani in tasca.

“Sì! Dalle superiori! Cioè, quando noi eravamo in prima lo conoscevamo di vista, nei corridoi, al bar… robe così… Poi, a metà della seconda, un suo amico ci ha presentati, in un pub, e siamo diventati amici amici! È stato anche il mio ragazzo per tre… quattro… forse cinque giorni… Quel biondino così carino… Ma eravamo troppo diversi… Impossibile che durasse! E così ci siamo lasciati… Era troppo possessivo… Ma ora siamo ottimi amici! Non vi ha mai parlato di noi? Strano!” Parlavo sempre tanto, ma quando ero ubriaca diventavo proprio logorroica!

“Di voi chi, scusa? Mi sa che ho perso un pezzo.”

“Di me e di mia sorella!”

“Aspetta… Non mi dire che tu e tua sorella siete le gemelle pazze di cui ci parla sempre!”

Corrugai la fronte, poi annuii scoppiando a ridere. “Siamo noi!”, gridai alzando le braccia al cielo. “Ahia, mi gira la testa…”, mugugnai subito dopo e conclusi in bellezza cadendo fra le sue braccia, che per fortuna mi sorressero.
Sollevai il viso verso il suo e sorrisi prima di baciarlo sulle labbra fresche e carnose, prendendolo alla sprovvista.

Bill mugugnò e si allontanò un po’: “Ma che fai?! Non so nemmeno come ti chiami!”

“Arianna. Sì, Arianna”, ridacchiai lasciandogli tanti bacetti asciutti sulla bocca.

“E sei ubriaca!”, continuò prendendomi per le braccia.

“E quindi?”

“E quindi domani non ti ricorderai assolutamente nulla!”

Sogghignai. “Nah… come posso dimenticarmi il tuo bel visino? E poi che ti importa? Non ci pensare ora…” Chiusi gli occhi al contatto con le sue labbra e Bill quella volta ricambiò, forse convinto dalle mie parole, forse notando che era pur sempre un’occasione per divertirsi un po’ senza troppi pensieri.

Portò le mani calde e sulla mia schiena e sorrisi, in un attimo di lucidità, pensando che alla fine ce l’avevo fatta a raggiungere il mio scopo: divertirmi fino a dimenticare il mio nome. Avevo seri dubbi sulla mia identità con tutto quell’alcool nel sangue.

“Ho trovato tua sorella!”, sghignazzò qualcuno all’entrata dal locale, poco distante da noi.

Bill si staccò velocemente e girò il viso verso destra, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce fuor d’acqua, shoccato.

“Ah, eccoti qua!”, tuonò una voce che invece riconobbi all’istante: Ale. Ora capivo il perché dello shock di Bill: si era trovato la mia gemella davanti, senza ricevere prima nessun avvertimento.

Mi girai e la guardai, una nana in confronto al ragazzo che aveva accanto, che una volta messo a fuoco lo identificai come Tom Kaulitz, il fratello del mio divertimento.
“Oh, hai trovato il tuo Kaulitz!”, ridacchiai aggrappandomi di più a Bill per non perdere l’equilibrio.

Ale si irrigidì e mi guardò male arrossendo lievemente sulle guance, mentre il ragazzo al suo fianco tratteneva a stento le risate.
“La festa è finita, sorellina”, disse severa strappandomi dalle braccia di Bill, a cui rivolse un sorriso imbarazzato.

“Ma io mi stavo divertendo!”, piagnucolai mentre mi portava con la forza alla macchina.

Prima che riuscisse a farmi sedere sul sedile del passeggero, ad allacciarmi la cintura e a chiudere la portiera, salutai Tom con la mano, un sorriso malizioso sulle labbra. Poi rivolsi la mia attenzione a Bill, al quale feci segno di chiamarmi portandomi la mano all’orecchio.
Ale scosse la testa e accennò un saluto ai ragazzi, aprì la portiera e senza nemmeno rendersene conto la fece schiantare contro quella della macchina accanto, lasciandole una riga di vernice blu sulla carrozzeria grigio metallizzato.

“Merda”, sbuffò innervosita, poi si mise al mio fianco e sbattè la portiera con un rumore sordo che infastidì i miei timpani in quel momento molto più sensibili del solito.

“Che c’è Ale, non ti sei divertita?”, chiesi con un sorrisetto ebete. Lei borbottò qualcosa infastidita e sgommò via.

 

***

 

Tom si avvicinò al fratello e guardò assieme a lui la macchina delle gemelle allontanarsi e voltare l’angolo scomparendo alla sua vista. Bill, le mani nelle tasche, scosse la testa e ridacchiò.

“Perché ridi?”, gli chiese il maggiore.

“Perché non mi ha dato il suo numero, come faccio a chiamarla?”

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.

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Capitolo 2
*** Sorella ***


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Capitolo 3
*** Scambio d'identità ***


Capitolo 3: Scambio d’identità

 

Non potevo credere di esserci riuscita davvero, di essere riuscita a catturare la mia preda.

“No”, negai con la testa, incredula.

“Oh sì!”, disse Ale.

“I Kaulitz!” Cominciai a ridere istericamente, tirandomi a sedere e guardandola in faccia, con le lacrime agli occhi: ero così orgogliosa di me e del mio operato che mi ero commossa! “Chi ho baciato dei due?”

“Bill”, annuì. “Tom mi si era accollato, però poi è stato lui a trovarti, quindi è stato bravo”, sorrise.

“Non mi dirai che non è successo nulla tra voi, anche perché non ti crederei”, sogghignai, pensando già a cosa potevano aver combinato quei due assieme. Conoscevo mia sorella, sapevo meglio di chiunque altro com’era fatta, ma sperai che la sera precedente la parte di me che era in lei fosse uscita e si fosse scatenata.

“Beh, c’è stato un bacio. Ma è stato lui!”, disse quasi sulla difensiva.

“Ti ha baciata?”, ridacchiai.

“Sì! Ma non mi è piaciuto molto… Mi aspettavo di più da uno come lui”, si mise un dito sotto al mento.

“Io invece non ho ricordi di come sia stato con Bill”, rimuginai.

Cacchio, non avrei proprio dovuto bere così tanto! Ora, oltre ad avere quelle continue fitte alla testa, non ricordavo per niente come fosse stato baciare la mia preda!
Mi passai la lingua sui denti, cercando di ricordare, ma proprio non ci riuscivo: brancolavo nel buio. Accidenti a me e alla mia sbornia!

Da quello che avevo capito, Ale non era stata molto soddisfatta dal bacio con Tom. Il motivo mi era ancora un mistero: Tom era tutto quello che si potesse desiderare! Almeno, per me.
In effetti, conoscendo il curriculum del chitarrista, potevo immaginare il modo scontroso con il quale poteva averla agganciata e con quale subdolo tranello costringerla a baciarlo o a come fosse riuscito magicamente a sedurla.
A mia sorella piacevano i tipi più tranquilli, i tipi come Bill… E, guarda caso, a me quelli violenti come Tom, che andavano subito dritti al nocciolo della questione.

Il mio viso si illuminò e mi girai di scatto mentre l’idea geniale che aveva appena partorito la mia mente prendeva forma e brillava di magnificenza: era assolutamente, diabolicamente geniale!

“Ho avuto un’idea geniale!”, esultai.

“Sentiamo”, sospirò.

“E se noi due… ci scambiassimo?”

“In che senso, scusa?”

“Cioè… Preghiamo Andy di combinare un uscita a sei con i gemelli e Jordin… E poi tu dici di essere Ary e ti accolli a Bill, io dico di essere Ale e mi accollo a Tom. E’ un’idea geniale non trovi? Tanto nessuno sa distinguerci eccetto la nostra famiglia.”

Ale mi guardò come se avessi appena detto chissà quale pazzia. A me sembrava una bella idea! Già pensare al suo svolgimento mi si illuminavano gli occhi ed una scarica di adrenalina mi percorreva da capo a piedi.

“Ma… Ary, non sarebbe giusto”, mormorò incerta. Lei e la sua saggezza!

“Oh, andiamo! E’ solo per divertirsi un po’!”, la incitai. Le schioccai pure uno sguardo dolce che riuscì a scioglierla e a farla cedere.

“Uff… E va bene! In fondo potrebbe essere divertente!”, ridacchiò guardandomi negli occhi.

“Adesso chiamo Andy e vedo cosa si può fare!”, decretai, prendendo il cellulare e digitando il numero. “Oddio sono troppo un genio!”, esultai, portandomi il telefono all’orecchio.
Feci in tempo a guardare Ale scuotere la testa divertita, dopodiché sentii la voce ancora assonnata di Andreas rispondere.
“Alla buon’ora, bell’addormentato!”

“Ary…”, mugugnò. “Che cosa vuoi a quest’ora del mattino?”

“Ciccino… Fatto le ore piccole ieri con Jordin? Bravo, così si fa!”

“Ma ti è già passata la sbornia?”, sbuffò innervosito.

“Sì, per tua immensa sfortuna! Ascoltami, devi farmi un piccolissimo favore!”

“Conosco il tuo modo di intendere un ‘piccolissimo favore’, quindi mi aspetto già il peggio. Spara.”

“Potresti organizzare un’uscita a sei?”

“Un’uscita a sei?”

“Sì! Tu e Jordin, io e Tom e Ale e Bill!”

“Tu e chi e Ale e chi?! Ma ieri sera…”

“Cancella ieri sera! Almeno per adesso. Poi ti spiegherò tutto. Allora, me lo fai questo piccolissimo favore? È una cosa da niente, Andy! Tipregotipregotiprego!”

“Uff, vediamo… Dammi il tempo di chiamare Bill e Tom. Se hanno da fare niente, se no ti richiamo e…”

“Sììììììììììì!”, esultai alzando un braccio al cielo, saltellando sul posto. Ale mi guardò come se fossi impazzita e una fitta alla testa mi fece calmare e risedermi sul divano.

“Ciao Ary, a dopo. E prenditi una tazza di camomilla, ti prego.”

“Ok, grazie Andy! Graziegraziegrazie!”

“Sese, ciao.”

Chiuse la telefonata e io sorrisi a trentadue denti volgendo lo sguardo verso mia sorella, che aspettava in silenzio al mio fianco, con un sorriso consapevole sul viso.

“Te lo devo dire o hai già capito?”, chiesi al settimo cielo.

“Deduco che la sua risposta sia stata un sì”, ridacchiò.

“Sì! Però dipende se loro hanno da fare. Spero proprio di no, non vedo l’ora di attuare la mia idea geniale! Ci sarà da divertirsi, sorella!”, gridai salendo le scale: dovevo iniziare a scegliere i vestiti da mettere!

“Sì, immagino… Vuoi una camomilla?”, mi gridò dal piano di sotto.

“Va bene che sono schizzata, ma anche Andreas mi ha detto di bermi una camomilla! Non serve a niente, ho la pazzia nel DNA!”

“Che bello!”, rise. “Spero che i livelli non aumentino, perché se no mi costringerai a chiuderti in manicomio!”

“E io, se continui così, sarò costretta a chiuderti in un convento!”

Aprii l’armadio e iniziai a gettare sul letto gli indumenti che avrei potuto indossare. Solo dopo aver creato una piccola montagna e aver svuotato metà armadio, mi resi conto che se davvero la mia idea geniale doveva funzionare, io dovevo sembrare in tutto e per tutto Ale e lei doveva sembrare me. Certo, lei era avvantaggiata perché aveva la scusa che io ero ubriaca quella sera, ma io? Lei era perfettamente lucida e mi sarei dovuta un minimo contenere con Tom per non farmi scoprire subito.

“Ale, tu e la tua poca pazzia, accidenti!”, gridai frustrata.

“E ora che hai?!”

“Niente, niente!”

Sentii i suoi passi salire in camera e la vidi sulla soglia della porta con la bocca socchiusa di fronte alla montagna di vestiti sul mio letto.

“Se tu ti fossi lasciata un po’ andare con Tom, a questo punto io non dovrei trattenermi per non farmi scoprire.”

“Cos’è, non avrai mica pensato di saltargli subito addosso!” La guardai portandomi i pugni sui fianchi, come se fosse ovvia la risposta. “Ok, l’hai pensato. Ary, sei impossibile”, ridacchiò scuotendo la testa e tirando fuori dal mucchio qualche vestito.

“Se ci cascano la prima volta abbiamo qualche chance”, dissi sedendomi a gambe incrociate sul suo letto.

“Beh… per Tom perché ti dovresti trattenere? Puoi benissimo dire che avevi la luna storta…”, disse.

“Sorella, sei malefica!”, mi portai una mano sulla fronte. Il suo ragionamento era logico, per quanto tutta quella storia potesse essere logica.

“Non ci voleva molto… Ma non gli saltare addosso, ti prego.”

“Ok, mi conterrò giusto perché ci siete anche tu e Bill. Ale?”

“Sì?”

“Me la fai la camomilla? Mi fa ancora un po’ male la testa…”

Ale sorrise dolcemente e mi tirò una maglietta addosso, che mi finì in testa, facendoci scoppiare a ridere tutte e due.

Scendemmo di sotto e Ale si mise ai fornelli per preparami la camomilla, io accesi la televisione in cucina e mi sedetti al tavolo, infilando il mento fra le braccia.

Venni distratta dal telegiornale – veramente interessante – dalla porta che si aprì all’ingresso e dalla quale fece capolino Davide, una sciarpa blu legata intorno al collo. Rabbrividì e appese sciarpa e cappotto all’appendiabiti, poi si affacciò in cucina per salutarci.

“Ciao sorelline! Fra un freddo cane fuori.”

“Davvero?”, schizzai. Odiavo il freddo, e se davvero fosse stato così non volevo nemmeno immaginare l’appuntamento con i ragazzi. Per fortuna ci sarebbe stato Tom che mi avrebbe donato più che volentieri del calore umano…

“Ary? Ehi, stai leggermente sbavando sul tavolo…”

“Eh? Cosa?”, mi destai dai miei pensieri – bei pensieri – e guardai Ale che se la rideva assieme a Dave, le braccia strette al petto.

“Evito di chiederti a che cosa stavi pensando. La tua camomilla ce l’hai di fronte al naso.”

“Ovviamente pensavo a quanto sia buona la camomilla fatta dalla mia sorellina”, sfarfallai le ciglia.

“Ruffiana”, soffiò sorridendo. “Com’è andata con Marika?”, si rivolse a Dave.

“Bene dai. Siamo andati un po’ in giro, si è già messa alla ricerca del regalo di Natale perfetto, sapete?”

“Sì? Oddio, tra poco è già Natale!”

“Sì. Ale, tu sai cosa voglio sotto l’albero”, sogghignai facendole l’occhiolino.

“Sì, te lo incarto anche se vuoi.”

“No, perderei troppo tempo poi! Mi va bene anche non incartato, stai tranquilla!”

“Ma di chi state parlando?”

“Bravo, è di un chi che stiamo parlando”, annuì Ale.

“Scommetto che c’entra la festa di ieri sera”, alzò le sopracciglia Dave.

“Esatto.”

“Di chi si tratta?”

“Non te lo immagineresti mai.”

“Dai, spara. Quando si parla di Ary, tutto è possibile”, sospirò.

“Bill.”

“Quel Bill? Bill Kaulitz?”

“Sì. Ieri sera era avvinghiata a lui come una cozza allo scoglio!”

“Beh, vorrei vedere te!”, annuii bevendo un sorso del liquido caldo e dolcissimo.

“Ma non vuole lui sotto l’albero. Vuole l’altro ora, Tom”, spiegò Ale.

“Ma Ary!”, mi guardò severamente Dave.

“Che c’è?”, allargai le braccia, ridacchiando. “Io devo fare nuove esperienze! L’amore vero non si trova, se non lo si cerca!”

“Sì, filosofa incompresa. Devi calmare i tuoi spiriti bollenti”, disse Dave – il saggio barbuto che sta sulla montagna.

Annuii distrattamente, la solfa la sapevo già a memoria, e incontrai lo sguardo di Ale che rideva silenziosamente. Ci capivamo solo con uno sguardo, ed era così da una vita. Il nostro legame era ciò di più bello ci fosse al mondo e non avrei mai permesso a niente e a nessuno di rovinarlo. Mai e poi mai.

Il mio cellulare suonò nella tasca del mio pigiamone e lo tirai fuori sperando chi speravo che fosse, ossia Andreas.
“Dimmi che ce l’hai fatta a convincerli e che ora io e Ale abbiamo un appuntamento!”, strillai eccitata.

“Mi dovete un monumento.”

“Sì, lo so! Sulla tua lapide faremo scrivere ‘Ad Andreas, colui che ha reso felici due povere gemelle bisognose di due bei pezzi di ragazzi!’”

“Ma grazie, quanto sei gentile Ary. E pensare che qualche anno fa ero cotto di te!”

“Eh, lo so. Il mio fascino irresistibile… - Tu tu tu tu tu tu... - Andreas? Andreas?!” Alzai lo sguardo su Ale, indignata. “Mi ha chiuso il telefono in faccia!”

Ale e Dave si guardarono e scoppiarono a ridere, io chiusi il cellulare e borbottai qualcosa prima di riportarmi la tazza alle labbra. Me ce ne volevano almeno altre due di camomille! Tutto potevano farmi, ma non chiudermi il telefono in faccia!

“Ma allora ce l’abbiamo l’appuntamento o no?”, chiese Ale.

“Sì. Ma non so dove né quando. Mi ha chiuso il telefono in faccia. In faccia, capito?!”

“Sì Ary, ho capito, calmati!”, ridacchiò. “Ah, guarda. Chiama me.” Tirò fuori dalla tasca il cellulare e rispose: “Sì Andreas, scusala. Sai che quando si parla di queste cose lei… Sì, esatto. Al Melody allora. È quello in centro, giusto? Alle tre. Ok, perfetto. Ci vediamo dopo Andreas, e grazie. Ciao!”

“Al Melody alle tre”, ricapitolai.

“Sì. Perché non provi ad essere un tantino più gentile e a non identificarti sempre come il centro dell’universo?”

“Mi viene spontaneo”, sollevai le spalle, facendo la sostenuta.

“Sei il centro del mio universo, non di quello di tutti”, sorrise dolcemente, facendomi sciogliere il cuore. “Per esempio, il centro dell’universo di Tom penso sia se stesso.”

“Giusto. Ma io lo diventerò, non ti preoccupare. Presto o tardi”, sogghignai.

“Eccola che ricomincia”, sorrise Davide andando in salotto a guardare un po’ di sana televisione spazzatura.

Ormai era confermato: avevamo un appuntamento con Bill e Tom! Non vedevo l’ora. Dovevo tornare su a scegliere cosa mettermi, tenendo conto che fuori faceva un freddo cane e saremmo andate ad uno dei bar più belli nel centro d’Amburgo.
E poi dovevo prepararmi psicologicamente ad essere Ale. Non sarebbe stato molto difficile, ma per assomigliarle dovevo calmare un po’ i miei spiriti bollenti, quello sì.

Una questione fondamentale mi saltò alla mente e fissai Ale, lei ricambiò il mio sguardo, chiedendomi cosa c’era che non andava, e schizzai da Davide: sarebbe stato il mio compagno d’esperimento.

“Dave, Dave, Dave! Aiutami.”

Sobbalzò vedendo il mio faccino di fronte al viso al posto della prosperosa conduttrice della sezione di sport del telegiornale.
“Che cosa c’è?”

“Mi devi aiutare. Chiama Ale, ma con il mio nome.”

“Eh? Non ci capisco niente! Che cosa c’è dentro quella testolina che ti ritrovi? Io sono tuo fratello e spero che almeno ci sia qualcosa, ma… me ne fai dubitare ogni giorno di più!”

“Come sei carino, grazie, anche tu.”
Davide scosse la testa: non avevo ascoltato una parola di quello che mi aveva detto.
“Chiama Ale come se dovessi chiamare me.”

“Non capisco.”

“Oh! Fai quello che faccio io, ok?!” Annuì incerto. “Ary!”, chiamai, rivolgendomi verso la cucina, dove c’era Ale intenta a sciacquare la mia tazza vuota di camomilla. Guardai Davide e lo incitai a copiarmi.

“Ary!”, chiamò incerto. Mi guardò, massaggiandosi le tempie.

“Chiamala di nuovo”, gli sussurrai.

“Ary!”, la chiamò più forte. Ma lei non accennava a girarsi né a rispondere.

“ARY!”, tuonai io marciando verso la cucina e lanciandogli una ciabatta addosso, dopo essermela tolta direttamente dal piede.

“Ahia!”, gridò Ale toccandosi la gamba colpita e guardandomi.

“Perché non rispondevi?!”

“Eh?”

“Io ti chiamavo!”

“Ma no, non è vero. Davide chiamava te.”

“Ma vedi che sei stupida, allora?! Come credi ti chiamerà, Bill?”, alzai un sopracciglio.

“Ary?”, chiese incerta.

“Esatto. Ma se non ti dovessi girare o se non dovessi rispondere, quando ti parla, che figura ci fai?!”

“Giusto, hai ragione. Ma che bisogno c’era di tirarmi una ciabatta addosso?”, si lagnò massaggiandosi il punto colpito.

“Tu non ti giravi!”

“Ed era proprio necessario?!”

“Beh… sì!”

Ale si schiaffò una mano in faccia, esasperata. Prevedeva grossi, giganteschi, enormi guai.

 

***

 

Faceva davvero un freddo cane. E come se non bastasse si era messo persino a nevicare. Peggio di così non poteva andare.
A me piaceva la neve, ma era bella fin quando io me ne stavo in casa al calduccio a guardarla da dietro la finestra. Una volta fuori, al freddo, con le mani, il naso, i piedi e le orecchie congelate, non mi piaceva più di tanto.
Tentai di scacciare via il pensiero del freddo immaginandomi l’appuntamento con i gemelli, vedendomi già stretta fra le braccia di Tom a ricevere un po’ di meritato calore umano.

“Ary? Ary, ma mi stai ascoltando?”

“Eh?”, mi girai e guardai Ale che guidava al mio fianco.

“No, non mi ascoltavi”, ridacchiò. “Dicevo che non c’è nemmeno un buco per parcheggiare, nelle vicinanze del Melody.”

“E con questo?”

“Testolina bacata? Devo parcheggiare qui e poi fino al Melody dobbiamo farcela a piedi.”

“A piedi? Con la neve?! Tu sei impazzita!”

“Bene, allora dovremo dare buca a Bill e Tom. Che peccato…”

“No! Va bene, facciamocela a piedi!”, gridai. Lei sorrise soddisfatta e parcheggiò sul ciglio della strada, poi scese dall’auto e venne ad aprirmi la portiera.

“Prego, principessa.”

Bofonchiai un grazie e scesi dall’auto, rischiando fra l’altro di scivolare su una lastra di ghiaccio che sembrava essersi materializzata lì apposta per me. Per fortuna Ale mi aveva afferrata prima che volassi gambe per aria.

“Incominciamo bene!”, digrignai i denti, mentre lei se la rideva.

Camminammo, possibilmente non sopra le lastre di ghiaccio, per un po’, fiancheggiando le vetrine dei negozi già addobbate in tema natalizio, con lucine, renne, babbi natali e neve finta dappertutto.
Mi piaceva il Natale, mi piacevano le lucine, mi piaceva fare l’albero con Dave e Ale, stare svegli fino al mattino la vigilia e aprire i regali con la mia famiglia. Era in assoluto la mia festa preferita.

Arrivammo di fronte al Melody e ci guardammo negli occhi prima di entrare, ripassando velocemente il piano. Io Ale, lei Ary. La teoria era chiara, la pratica era ancora un dubbio.
Entrammo e una ventata di aria calda mi fece sospirare sollevata. C’era profumo di caffè, che mi invase le narici facendomi sentire subito più rilassata.

In uno dei tavolini più riservati, infondo alla sala, scorsi Bill e Tom che chiacchieravano. Erano semplicemente stupendi, in tutto e per tutto. Focalizzai subito il mio obbiettivo: cappellino blu scuro che gli ombreggiava il viso perfetto in ogni minimo particolare e che gli nascondeva le treccine nere che gli cadevano sulla maglietta blu sopra una bianca; jeans extra-large in grado di contenere tutto quanto senza dare nell’occhio e sorriso incantatore. Mi passai la lingua sulle labbra senza nemmeno accorgermene, una luce da predatrice negli occhi.

“Dai, posso farcela”, sussurrò Ale al mio fianco, prima di essere trascinata da me verso di loro.

“Ciao!”, salutai sorridendo.

“Ciao”, salutarono loro in coro. Ale salutò a malapena, io le tirai una gomitata: doveva essere me o sbaglio? Cos’era tutta quella monotonia?!

“Ciao”, disse più convinta, sorridendo come meglio poteva.

“Ricordatemi chi è Ale e chi Ary”, disse Tom.

“Io sono Ale. Lei è Ary”, annuii guardandola.

“Ok, bene. Sarà un macello riconoscervi, io me lo sento”, ridacchiò Bill.

“Ce lo dicono in molti”, disse nervosamente Ale.

Il suono di un cellulare interruppe quella semi-conversazione: era quello di Tom.
“Ahm… Andreas e Jordin ci hanno dato buca”, annunciò sollevando il viso dallo schermo del suo cellulare piatto con tastiera scorrevole.

“Tanto meglio!”, dissi felice. “Cioè, volevo dire… Che peccato! Però ci arrangeremo lo stesso, vero?”

“Ovviamente”, Tom mi fece un sorriso seducente.

Sentivo già il calore umano pervadermi, mentre mia sorella sembrava più un pezzo di ghiaccio al mio fianco che una cosa viva.

 

___________________________________________________

 

 

Buongiorno a tutti! :)
Allora, questo capitolo riprende ancora il secondo, dalla prospettiva di Ary, e in più vediamo come si stanno preparando per lo scambio d’identità (c’è ancora molto su cui lavorare xD) e una piccola parte dell'incontro con i Kaulitz *-* Il piano geniale di Ary è ufficialmente iniziato! Muahmuahmuah! xD
Comunque u.u Ringraziamo veramente di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo *-* :

stestefy96 : Eh sì, le gemelle hanno baciato i gemelli u.u xD Che cosa combineranno scambiandosi l’identità? Sicuramente nulla di buono xD Grazie per la recensione, alla prossima!

Layla : Tom non cambia mai, ma sai, come ha detto Ale nello scorso capitolo, è più simile di carattere ad Ary. Chissà, magari scambiandosi… xD Sicuramente non è un’idea da sani di mente u.u Ma ci vuole un po’ di pazzia nella vita, no? xD Grazie, alla prossima!

Tokietta86 : Ciao! :) Perché, speravi che Tom cambiasse? O.O Poverina, mi dispiace tanto che tu ti sia illusa :( No, scherzi a parte xDD Rimane sempre lo stesso idiota di sempre xD Per quanto riguarda al suo fiuto incredibile, tanto da riuscire a trovare Ary, potremmo usarlo come cane da tartufo! *-* Okay, non sto tanto bene stasera xD Parlando seriamente, Ary ha avuto un’idea non proprio seria xD Comunque d’ora in poi Ary sarà Ale e Ale sarà Ary, quindi il vero problema non sono i Kaulitz che impazziscono, ma quando e se lo scopriranno xD Cavolo, tu non puoi capire quanto vorrei una sorella gemella identica per fare queste cose! *-* Okay, basta xD Grazie per la recensione, alla prossima! Un bacione!

Charls__ : Sia io che Ale ci finiremo, un giorno, in un centro di igiene mentale, quindi non ti preoccupare xD Staremo in compagnia! xD Siamo contente che anche questa FF ti piaccia, ne siamo molto orgogliose *-* E comunque era “Incastrate”, ma non importa, il concetto è arrivato xDD Grazie mille, un bacio!

____satanic_doll____ : Siamo contente che fra tutte le FF che avresti potuto leggere, tu abbia scelto proprio questa e che ti piaccia :) In effetti volevamo scrivere qualcosa di diverso, speriamo di esserci riuscite! Grazie per la recensione, ciao!

svampy1996 : Grazie! XP

Ringraziamo anche chi ha già messo fra le preferite e le seguite questa FF e chi legge soltanto! ^-^
Alla prossima, vostre
Ale&Ary

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Capitolo 4
*** Primo incontro ***


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Capitolo 5
*** Predatori e prede ***


Capitolo 5: Predatori e prede

 

“Ciao belle ragazze!”

A quell’esclamazione mi girai e vidi Bill e Tom avvicinarsi a noi, dopo essere scesi dalla Cadillac del chitarrista: era una macchina stupenda!

“Ciao!”, salutammo in coro io e Ale.

“Scommetto che Ale è quella con i capelli raccolti”, sorrise malizioso Tom, venendomi incontro. Un brivido mi fece voltare verso mia sorella che aveva aperto la bocca, le lanciai un’occhiata inceneritrice e lei la richiuse: non potevo permettere che il nostro “piano” andasse in fumo!

“Che bravo, come hai fatto?”, ridacchiò lei.

“Ho un fiuto per queste cose!”, sorrise sghembo, guardandomi mentre muoveva sensualmente il piercing al labbro inferiore con la lingua. A morsi glielo avrei strappato! Era troppo eccitante, solo al pensiero.

Bill e Ale si salutarono e io mi avvicinai di più a Tom, toccandogli il braccio per attirare la sua attenzione su di me. Il suo sguardo finalmente – non che mi dispiacesse essere guardata da lui, per carità – si posizionò nel mio e io mi alzai in punta di piedi per lasciargli un bacio sulla guancia, pericolosamente vicino all’angolo della bocca, lasciando molto a desiderare. Feci un sorrisetto malizioso e poi mi girai verso Ale e Bill, che avevano tutta l’aria di essere una coppia di vecchietti che si erano incontrati per caso in un parco.

“Allora, dove ci portate?”, chiesi con voce squillante.

“In un pub, vi piacerà… Ne sono certo”, rispose Tom lanciandomi un’occhiatina eloquente. Qualsiasi cosa si fosse messo in testa, ero pienamente d’accordo con lui!

Sentivo che quella serata sarebbe stata bella il doppio di quella precedente, non ne avevo dubbi.

“Perfetto! Con che macchina si va?”, chiesi unendo le mani di fronte al petto.

“Io propongo… tu vieni con me”, mi prese per il braccio tirandomi sotto la sua ala. “E Bill e Ary vanno con la vostra macchina.”

“Ok, per me va più che bene!”, ridacchiai osservando la mia gemella che per tutta risposta a quella proposta non aveva fatto i salti di gioia. Ma almeno sorrideva, e quel sorriso per me valeva più di tutte le parole del mondo. Se era felice lei, lo ero anch’io.

“Trattamela bene, Tom!”, gli disse prima di avviarsi con Bill, che l’aveva addirittura presa per mano, verso la macchina di Dave che gentilissimo come sempre ci aveva prestato: una Lancia Ypsilon azzurra metallizzata e con il tettuccio nero.

“Come la cosa più preziosa che ho!”, rispose portandomi un braccio intorno alle spalle e accompagnandomi verso quello splendore che era la sua auto.

Sono la cosa più preziosa che hai, al momento”, dissi senza degnarlo di particolari attenzioni.

“Presuntuosa la ragazzina!”, rise.

“No, dico semplicemente come stanno le cose!”, mi unii a lui: aveva una risata così bella e contagiosa che era impossibile non lasciarsi andare.

“Prego, vostra signoria”, mi aprì la portiera e mi fece salire.

Mi misi seduta comodamente sul sedile di pelle chiara e guardai i sedili posteriori, mentre Tom faceva il giro della macchina passandomi davanti. Salì al mio fianco e infilò le chiavi nel cruscotto. Perché tutto quello che faceva era eccitante? Pure accendere il motore!

“Però, è grande questa macchina! Cioè… sapevo che era grande, ma non così tanto!”, dissi indicando dietro con il pollice.

“Sì, l’ho presa apposta!”, fece un sorrisetto.

“Magari più tardi”, feci un gesto con la mano, facendolo ridere.

Ale e Bill ci stavano seguendo dietro, Tom aveva un’espressione rilassata ma allo stesso tempo era concentrato sulla strada. Per un attimo mi persi nell’osservare i suoi lineamenti perfetti e rimasi in silenzio. Erano così rare le volte in cui me ne stavo con la bocca cucita, proprio in quel momento?!
Il problema era che non riuscivo a trovare nulla di cui parlare: avevo esaurito gli argomenti ancora prima che la vera serata iniziasse. Cattivo segno.

Portai il mio sguardo in principio sul parabrezza, poi sul vano portaoggetti di fronte a me. Ero curiosa di sapere cosa ci fosse dentro, così guardai Tom al mio fianco, un sorrisetto angelico sul viso:
“Posso curiosare nel portaoggetti?”

Tom mi guardò con la coda dell’occhio e non poté trattenere una risata. Mi diede il permesso e io, tutta contenta, aprii il mio forziere delle meraviglie. Come prima cosa trovai una scatola di preservativi, a portata di mano.

“Questi non devono mancare mai”, ridacchiai poggiandomeli sulle gambe.

“Ovviamente! Se no sprecherei tante belle opportunità per divertirmi.”

“Lo penso anch’io. Poi, vediamo cos’altro contiene il portaoggetti di Tom Kaulitz…”

“Ma tu guardi in tutti i portaoggetti di tutte le macchine?”

“Quando capita sì. Sono curiosa. E di te soprattutto. Ma vedo che la caccia da già dato i suoi bei frutti”, presi la scatola sorridendo. “Uh, Humanoid! Hai un vostro cd nel portaoggetti, bello!”

“Sì. Mi piace ascoltarmi”, ridacchiò.

“C’è una canzone che preferisci?”, chiesi.

“Ahm… non particolarmente.”

“A me piace un sacco Menschen suchen Menschen. È strepitosa.”

“Davvero?”, corrugò la fronte.

“Sì, perché?”

“Ieri sera mi hai detto che la tua preferita era Alien.”

Oops. Ale.

“Beh, mi piacciono tantissimo tutte e due!”, sollevai le spalle, sorridendo e rimanendo rilassata. Non sarebbe stata una canzone a rovinare tutto!

“Non ti facevo così, sai?”, disse, facendo manovra per parcheggiare.

“Così in che senso?”, chiesi.

“Non lo so… Ieri sera sembravi… diversa. Più sulle tue, ecco.”

“Avevo un po’ di luna storta, tutto qui”, sorrisi apertamente quando si girò verso di me, spegnendo il motore.

“E stasera come va?”, sussurrò avvicinandosi.

“Alla grande, direi.”

“Sai, per non essere interrotto un’altra volta…”

Io e Ale dovevamo fare un bel discorsetto.

“Stupida idiota”, soffiai ridendo prima che le sue labbra intrappolassero le mie in un bacio che riuscì a farmi vedere le stelle. 

Era così passionale, così violento… mi faceva sentire sua solo con un bacio, e non mi era mai successo prima d’ora. Sicuramente il bacio con Bill non doveva essere stato così, perché altrimenti me lo sarei di certo ricordata, sbornia oppure no.
Ricambiai con la sua stessa voglia, calcolando che se gli avessi lanciato il sassolino e poi me lo fossi andata a riprendere lo avrei tenuto sulle spine ancora per un po’ e mi sarei fatta desiderare. Lui stesso avrebbe desiderato la sua predatrice.

Senza farmi notare aprii la portiera alle mie spalle e con uno scatto felino scivolai fuori dalla vettura, lasciandolo con un palmo di naso sporto sul sedile del passeggero. Risi coprendomi la bocca e gli chiusi la portiera in faccia, avviandomi verso Bill e Ale che erano appena scesi dall’auto.
Bastò un’occhiata con Ale per capire che mi ero già messa all’opera per assuefare la mia dolce e tenera preda, infatti alzò un sopracciglio scettica, ma sorrise.

“Ehi Ale, Tom?”, chiese Bill non vedendolo al mio fianco.

“Oh, adesso arriva. Ah, eccolo!”, mi girai e stesi un ampio sorriso. “Ti eri perso?”, gli chiesi ridacchiando. Mi gettò un’occhiatina e ci fece segno di entrare nel locale.

L’Andros. Già il nome mi ispirava. E infatti era davvero un bel posto, con tante luci colorate che illuminavano la pista, musica decente, ragazzi carini fino alla nausea e un piano bar piuttosto ben fornito. Ma quella sera non dovevo e non volevo ubriacarmi, avevo altro a cui pensare!

Tom mi prese per mano e mi portò con lui fino al piano superiore, l’area vip, controllata da un paio di bodyguard che appena videro i nostri accompagnatori ci fecero passare.
Se il piano inferiore era bello, quello superiore era fantastico. C’erano tanti divanetti colorati intorno a dei tavolini di vetro e c’era persino un barman a nostra completa disposizione. Amavo quel posto.

“Dio, è il paradiso”, sospirai. Tom si girò e mi guardò soddisfatto.

“Sapevo che ti sarebbe piaciuto”, mi sussurrò all’orecchio prendendomi per i fianchi. “Ma adesso troviamo un angolino e finiamo ciò che abbiamo iniziato e che tu hai interrotto. Di nuovo.”
Mi strinse più forte a sé, io schioccai la lingua e mi liberai dalla sua presa, sorridendo furbescamente.

Non così in fretta, Tomi…
“Io in realtà ora ho voglia di ballare.”

“Ballare?”, chiese.

“Sì, ballare. Ti sorprende tanto?”

“No, ma pensavo…”

“Tranquillo, se non vuoi ballare tu vado a cercarmi qualcun altro.”

Ale, già seduta su un divanetto a parlare con Bill, mi guardò e io le feci un rapido occhiolino.

“Allora?”, chiesi alzando un sopracciglio.

Tom fece uno strano sogghigno, mi prese per il polso e mi trascinò di nuovo giù, ma non ci fermammo alla pista da ballo, andammo oltre, fino ad arrivare di nuovo all’uscita.

“Ma dove cavolo…?”, non feci in tempo a finire la frase che mi prese fra le braccia e mi baciò impetuosamente sulla bocca, spingendomi fino ad andare a sbattere contro la portiera della sua Cadillac, nel parcheggio.

Sogghignò e mi alzò il viso prendendomi il mento fra le dita, mi baciò una volta sul collo e poi con voce roca e sensuale mi sussurrò all’orecchio: “Qui sono io che detto le regole, piccola.”

“Allora sarà una lunga battaglia”, ribattei soddisfatta, quando sentii il clic delle portiere che venivano aperte dal telecomando e Tom spingermi dentro l’abitacolo, sui sedili posteriori.

 

 

***

 

 

La scuola non era mai stata la mia passione. Ero sempre stata una casinista sin dall’asilo, coinvolgendo fra l’altro la mia povera gemella innocente, sempre tranquilla e diligente. Possibile che in certi aspetti fossimo così opposte? Certo, non era una secchiona né tantomeno spendeva ore sui libri, però il suo rendimento era dieci volte superiore al mio. Forse perché stava sempre attenta in classe – se glielo permettevo – e perché il suo curriculum da “brava studentessa” la metteva in buona luce con i professori. Lei era la gemella brava, io quella cattiva.

Cattivo è sinonimo di sexy, pensai girandomi una ciocca di capelli fra le dita.

“Vedo che sorride, signorina Wienecke. La soddisfa l’argomento?”, mi chiese il professore di letteratura, proprio la mia materia preferita. A dire la verità era l’unica che mi piacesse, amante della scrittura e dei libri, anche se non sembrava.

Guardai la lavagna, rendendomi conto che stavamo parlando del Ciclo Bretone nel genere cortese-cavalleresco. Ero un po’ distratta quel giorno. Completamente distratta. Continuavo a pensare a Tom e a tutto il resto… quanto mi piaceva! La serata precedente era stata fantastica, non vedevo l’ora di rivederlo. E quello era stato solo il primo round.

“Sì, è molto interessante pensare a come nel Medioevo la concezione dell’amore fosse diversa rispetto a come ce l’abbiamo noi adesso”, sorrisi.

“Leccaculo”, mi sussurrò all’orecchio Ale, sorridendo, una volta che il professore, soddisfatto, si fosse girato di nuovo verso la lavagna riprendendo a spiegare.

“Una volta tanto, lasciami prendere il tuo posto”, sogghignai, beccandomi un pugno sulla spalla.

“Magari, se prendessi appunti, invece di stare sulle tue nuvolette”, continuò, tornando a scrivere sul suo quaderno.

“Ok, va bene…”, sbuffai tirando fuori il raccoglitore ad anelli dalla mia borsa a tracolla.

Lo aprii e nella sezione di letteratura c’erano tre fogli messi in croce, scritti solo nella facciata davanti. Se c’era mia sorella che prendeva appunti, perché dovevo farlo anch’io? Lasciai perdere e mi concentrai sulla lavagna.

“Ale, ma non ti fa ridere uno che si chiama ‘Cretino di troia’?”, sghignazzai poggiando la testa sulle braccia.

“Si chiama Chretien de Troyes”, disse, anche se non riusciva a nascondere quel sorriso divertito che le era scomparso sulle labbra. “Ed è uno degli autori più importanti del periodo, stupida. Mi dai una mano, visto che non fai un fico secco? Dettami.”

“Ok…”, guardai la lavagna e iniziai a dettarle: “Concezione dell’Amor Cortese: uno, concezione positiva della donna; due, la donna possiede un cuore gentile, cioè nobile, per natura; tre, la donna è considerata superiore all’uomo. Ovvio, no? La donna è superiore all’uomo!”

“Sì, Ary. Potresti limitarti a dettare, per favore? Se no scrivo anche le tue battute”, ridacchiò.

“Ok, simpatia portami via. Riprendo. L’uomo deve sottomettersi alla donna come un vassallo si sottomette al suo signore, perciò deve essere al suo servizio, deve essere fedele, disinteressato, devoto e pronto ad ogni sacrificio per lei. Cavolo se ha ragione il tuo amico Cretino! Devono sottomettersi, questi stronzi! Mica come adesso!”

“Signorine Wienecke? Avete finito?”, ci rimproverò il professore.

“Scusi prof, stavo discutendo con mia sorella sulla verità di questa concezione dell’amore.”

“Mi fa piacere, ma sono costretto a mandarvi fuori a discutere.”

 

Ale, seduta al mio fianco in corridoio, mi guardò male alzando il sopracciglio e stringendo le braccia al petto.

“Però Tom può dominarmi quanto vuole”, annuii distrattamente.

 

 

_________________________________________

 

Ciao gente! *-*
Le gemelle sono uscite con i gemelli! xD E Ary, quella pazza di Ary, si diverte proprio! xD Gioca come una bambina, ma questa volta ha trovato pane per i suoi denti e non le dispiace affatto… Sembra avere molti punti in comune con il chitarrista, si somigliano davvero tanto, e da lui ha ottenuto ciò che voleva.
Chissà come sarà andata fra Ale e Bill? u-u
Per ora il loro piano sembra funzionare, vedremo come andrà a finire ;)

Ringraziamo chi ha recensito lo scorso capitolo:

stestefy96 : Anche se sono gemelle, hanno preso in maniera molto diversa questo piano xD Per quanto riguarda la serata, invece… per Ary è finita sicuramente bene xD Per Bill e Ale è ancora un mistero u-u Lo scopriremo alla prossima puntata! :) Ciao, grazie!

ShikikoLover : Poveretta, hai ragione xD C’è voluta una ciabattata, la prima volta, per rispondere! xD Chissà se la situazione si risolverà oppure si complicherà ancora di più… u-u xD Speriamo che anche questo capitolo sia stato degno della tua pazienza! :)
P.S.: Allora, in questo momento colei che parla (io xD) è Ary. Ale c’è al prossimo capitolo u-u Comunque è davvero brutto non poter scrivere quando e come si vuole ç__ç Spero che si risolvi presto anche il tuo problema! Ciao, alla prossima!

Tokietta86 : Poverina Ale, davvero, l’idea che ha avuto Ary non le piace poi così tanto… Ary che si diverte un mondo xD Ah beh, se metti Tom e Ary nella stessa stanza stai sicura che combinano qualcosa xDD Beh, sicuramente non saranno contenti di sapere che li hanno ingannati, ma chissà… xD Grazie mille per i complimenti, siamo contente che la storia ti piaccia *-* Alla prossima, un bacione!
P.S.: Ale ti ringrazia u-u xD

Charls__ : Beh, grazie mille! *-* Un bacione grande anche a te!

Layla : Sì, diciamo che Ale non l’ha presa bene come Ary xD Ary e Tom sono romantici a modo loro xD Eh, chissà se lo sapranno mai… xD Grazie, alla prossima!

Ringraziamo anche chi ha letto soltanto e chi ha messo questa FF fra le preferite e le seguite! ;)
Alla prossima! Le vostre,

Ale&Ary

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Capitolo 6
*** Benedetta sorellina! ***


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Capitolo 7
*** Solo un gioco... ***


Capitolo 7: Solo un gioco…

Sentii la porta di casa aprirsi e mi ci fiondai dinnanzi, trovando Ale con un sorriso da ebete sul volto luminoso. Non ci feci molto caso però. Le puntai il dito contro:
“Hai visto? Hai visto che l’ho fatto davvero?”, strillai con un sorriso divertito sulle labbra.

Senza darmi il tempo di capire quello che stesse per fare mi abbracciò stritolandomi fra le braccia, uno dei suoi normali abbracci di quando era veramente felice. Ma… perché? Perché l’avevo lasciata a piedi?

“Sì! E io ti amo per questo!”, strepitò con voce stridula, ridendo.

“Ehi, ma che ti sei fumata?!”, scoppiai a ridere anch’io, guardandola in viso.

“Niente! È tutto perfettamente… normale”, sollevò le mani, estasiata.

“Raccontami quello che è successo! Hai incontrato Bill, lui ti ha dato un passaggio e avete fatto sesso di fronte a casa mentre io ero dentro a ridere su come ti ho lasciato a piedi?”
Mi guardò come se fossi una maniaca, sventolando una mano e dirigendosi in cucina.
“Che c’è?! Stavo scherzando, mamma mia!”, risi girandole intorno: ero troppo curiosa! “Me lo dici, me lo dici, me lo dici? Daiiiiiiii!”

“Te lo direi anche, se ti calmassi!”, gridò prendendomi per le spalle e fermandomi. “La prima parte era giusta: ho incontrato Bill e mi ha dato un passaggio.”

“Niente sesso?”

“Niente sesso. Delusa?”

“Un pochino”, sollevai le spalle, mettendomi seduta sul tavolo.

“Pensi sempre e solo a quello”, brontolò. “Non gira tutto intorno al sesso, sai?”

“Beh, buona parte delle cose sì! Pensa nell’antichità: gli uomini delle caverne facevano sesso per scaldarsi! E poi senza sesso ci estingueremmo!”

“No, senza amore ci estingueremmo. Sono due cose diverse fare sesso tutte le sere per divertimento e fare l’amore per fare un figlio!”

“Sese, va bene”, sventolai la mano. “Vado a fumarmi una sigaretta.”

“Un’altra?”

“Non l’ho finita prima, ma ne è valsa la pena! Ho vinto la scommessa!”, le feci una linguaccia.

“Non avevamo fatto nessuna scommessa!”

“Accetta la sconfitta, sorella!”, risi tirando fuori il pacchetto e l’accendino rosso dalla tasca dei jeans.

“Ah!”, gridò sporgendosi verso il salotto, che stavo attraversando per raggiungere la veranda sul retro del giardino. “Bill mi ha chiesto se volevo uscire, stasera!”

“Uhm, bene, sono contenta per te! Davvero”, sorrisi apertamente: come non potevo essere contenta se lo era mia sorella?

Uscii dalle porte vetrate e mi misi seduta sui gradini di legno scuro della veranda, sotto al portico. Mi accesi la sigaretta e alla prima boccata mi sentii subito più rilassata e mi venne in mente Andreas. Non l’avevo più sentito dopo la mattinata successiva alla festa e non sapevo nemmeno perché ci avesse dato buca all’appuntamento coi gemelli. Certo, non mi era dispiaciuto, ma volevo comunque capire il perché del suo comportamento.

Io e Andreas eravamo stati insieme per una settimana in seconda superiore, poi eravamo subito diventati migliori amici. Lui era il mio confidente ufficiale dopo mia sorella e mio fratello e ci capivamo al volo. Ci dicevamo praticamente tutto, ma avevo pensato che sarebbe stato meglio non dirgli niente dello scambio fra me e Ale perché, essendo anche il migliore amico dei gemelli, avrebbe potuto farsi scappare qualcosa.

Tirai fuori il cellulare e con la sigaretta fra le dita me lo portai all’orecchio.

“Pronto?”

“Andreas!”, gridai appena sentii la sua voce, un po’ flebile fra l’altro, dall’altra parte.

“Ciao Ary. Che c’è?”

“Niente… Volevo solo sapere come stavi.”

“Sto bene.”

“Non è vero, che mi nascondi?”

“Non ho voglia di parlarne. Come va con Tom? Mi ha parlato molto bene di te.”

“Sul serio?”, sogghignai passandomi la lingua fra le labbra. “Che ti ha detto?”

“Qualcosa del tipo che non si dimenticherà facilmente una certa scopata… Dio Ary, ma non ti fai un po’ schifo?”

“Schifo no… perché?”

“Perché manco lo conosci e già ci sei stata!”

“Mi sembri Ale quando fai così.”

“Magari dovresti ascoltarla di più, quella poveretta.”

“A proposito di lei, stasera dovrebbe uscire con Bill.”

“Oh. Sono una bella coppia, in effetti. Ce li vedo bene insieme.”

“Io faccio il tifo per loro! Ti immagini avere Bill per cognato?”

“Sì, significa che potresti scoparti suo fratello quando ti pare e piace.”

“Sì! Cioè… no! Prima di tutto la felicità di Ale, poi la mia.”

“Almeno questo”, ridacchiò. “Quindi è probabile che anche tu esca con Tom?”

“Probabile. Hai voglia di sentire il brivido dello stare dalla mia parte, mio caro amico?”

“No, però voglio sapere che cos’ha ideato la tua testolina diabolica.”

“Niente, volevo solo chiederti come dovrei comportarmi con lui questa sera, se mai dovessi uscirci.”

“Uhm… non lo so… Sono sicuro al cento per cento che gli farebbe piacere avere un bis, visto come me ne parlava. Però credo che sarebbe contento il doppio se ti facessi desiderare.”

“È quello che pensavo anch’io.”

“Perché lui non lo fa capire, ma gli piace conquistare le sue prede.”

“Io sarei la sua… preda?”, risi gettando la testa all’indietro. Feci l’ultimo tiro alla sigaretta e poi la spensi nel portacenere al mio fianco. È lui la mia preda, non sono io la sua…

“Che hai da ridere?”

“Niente Andreas, niente. Dicevamo? Ah sì, allora mi farò desiderare ancora un po’. Tra te e Jordin, invece, come va?”
Lo sentii sospirare e finalmente capii: ecco cos’aveva, ecco perché dopo la festa non si era fatto sentire, ecco perché ci aveva dato buca, ecco perché era così giù di morale…
“Andreas… perché non me ne vuoi parlare? Sai che con me…”

“Non è per te, te lo giuro. So che oltre ad essere un’arrapata che non sa cosa significa amare”, lo sentii sorridere, “sei anche la migliore amica che si possa desiderare.”

“Quindi… non ne vuoi parlare? Vuoi che venga da te?”

“Non ne è successo nulla, a parte che alla festa Jordin si è fatta un altro. Io l’ho vista, abbiamo litigato e ci siamo lasciati.”

“Frena, frena! Jordin si è fatta un altro?!”, sgranai gli occhi incredula. “Ma stiamo parlando della stessa persona? Della stessa Jordin dolce, simpatica e innamorata pazza di te?”

“A quanto pare non lo era così tanto…”

“Oddio… Mi dispiace Andreas! Quindi è per questo che ci avete dato buca! Bill e Tom lo sanno?”

“No, hai l’esclusiva, sei contenta?”

“Non è il momento di scherzare, Andy. So essere seria anch’io, ogni tanto!”

“Ok, ok… No, non lo sanno. Glielo dirò.”

Sentii i passi di mia sorella raggiungermi lì fuori e si mise seduta al mio fianco tenendosi alla mia spalla, poi mi indicò il suo cellulare: c’era Tom che aspettava di parlare con me.

“Andreas, ti chiamo dopo, scusa.”

“Ok, va bene. Anzi… posso venire lì?”, chiese piano.

“Sì, certo! Vieni pure, così ne parliamo meglio, mmh?”

“Ok, allora a dopo. E grazie.”

“Di niente. Ora scappo, ciao!”
Chiusi la chiamata e presi velocemente il cellulare di Ale, me lo portai all’orecchio e con voce squillante salutai chi mi stava attendendo: “Tom! Che sorpresa!”

“La signorina si fa attendere, eh?”

“Sono molto impegnata, io.”

“Hai un po’ di tempo per il sottoscritto, stasera?”

“Ahm… penso di sì. Il programma qual è?”

“Bill e Ale vanno al cinema, visto che domani avete scuola e non potete stare fuori tanto. Potremmo aggiungerci a loro e poi boh, chissà… la mia macchina è sempre a disposizione”, disse malizioso.

“Uhm, allettante. Ok, va bene. Allora ci vediamo stasera.”

“Non vedo l’ora.”

“Anch’io”, risposi trattenendo le risate. Avevo già tutto in testa, programmato in ogni minimo particolare: sarebbe stata un’altra divertentissima serata.
Ridiedi il telefono ad Ale e lei mi guardò alzando il sopracciglio, con fare severo.
“Non ho intenzione di fare sesso con lui”, le spiegai. “Almeno, non questa sera”, ridacchiai, ma venni interrotta dal suono del campanello alla porta. “Vado io, è Andy.”

“Gli è successo qualcosa?”

“Un po’ di casini con Jordin, ti spiegherò.”

Aprii la porta e gli sorrisi appena sollevò lo sguardo da terra incrociando il mio. Senza il bisogno di dire qualcosa, lo abbracciai per il collo e lui mi strinse avvolgendomi le braccia intorno alla schiena, affondando il viso fra i miei capelli.
Sciolto quell’abbraccio carico d’affetto e di solidarietà, salutò Ale e ci misimo seduti sul divano, io appoggiata con la testa alla sua spalla, a guardare un po’ di televisione mentre chiacchieravamo.

“Quindi stasera vedi Tom”, disse ad un certo punto.

“Esatto. E tu vieni con me.”

“Che cosa?! No, non ci penso nemmeno a fare il quinto incomodo!”

“Ma così mi vedi all’opera!”, sogghignai.

“Non voglio vederti all’opera!”, ridacchiò spostandomi da lui con fare scherzoso.

“Devi venire, così pensi ad altro e ti tiri su di morale.”

“Ma mi deprimerò una cifra con te che stai appiccicata a Tom e Bill e Ale che fanno i piccioncini…”

“Oh, ma io non starò appiccicata a Tom…”

“Quell’espressione malefica non mi dice nulla di buono.”

***

“Ciao…”

“Andreas!”, Bill e Tom si girarono contemporaneamente e lo guardarono camminare a braccetto con me, che sorridevo beata sotto lo sguardo un po’ sorpreso e forse deluso di Tom: ero in semplice felpa rossa e jeans neri; gli occhi contornati da un filo di matita nera e mascara.

Deluso, Tom?

“Che ci fai qui?!”, chiese Bill mentre lo abbracciava.

“Ary mi ha praticamente costretto”, disse imbarazzato, portandosi una mano dietro la nuca. 

In un primo momento sudai freddo, visto che mi aveva chiamato Ary… Ma poi pensai che poteva averlo costretto benissimo mia sorella… E inoltre i ragazzi non fecero una piega.

“Ah sì, ciao ragazze!”, salutò solare Bill, ma appena ci guardò gli lessimo negli occhi che era confuso: a causa dell’abbigliamento troppo simile non riusciva a distinguerci.

“Tu sei Ary”, mi indicò Tom con ancora una briciola di speranza, “e lei è Ale.”

“Ritenta, sarai più fortunato!”, trillai ridacchiando. “Io sono Ale, lei è Ary”, dissi senza badare a mia sorella che abbassava lo sguardo e ad Andreas che spalancava gli occhi di fronte a quell’affermazione. Forse solo lui, a parte la nostra famiglia, riusciva a distinguerci perfettamente.
Gli strinsi più forte il braccio, sperando che capisse che non doveva dire niente, e per fortuna chiuse la bocca corrucciato.

“Anche ai migliori capita di sbagliare, no?”, mi sussurrò all’orecchio Tom con un ghigno. 
Feci un sorrisino disinteressato e mi scostai da lui, portando con me Andreas verso la biglietteria, dove già si erano diretti Ale e Bill.

“Che cos’è sta storia, me lo vuoi spiegare?!”, mi sussurrò adirato, rosso in viso. “Vi siete… scambiate!”

“Lo so.”

“Ovvio che lo sai! È una tua stupidissima idea, vero?”

“Non è poi tanto stupida: Tom e Ale non sarebbero andati d’accordo; e ora lei è contenta con Bill.”

“Ma… ma la chiama… Ary!”

“Per lui lei è Ary. Perché la sera della festa io ho baciato lui e lei ha baciato Tom. Invertendoci…”

“Che cazzata, Ary! Se dovessero scoprirlo come reagirai?!”

“Ovviamente mi addosserò tutta la colpa, Ale non c’entra, e non mi importa.”

“Non ti importa?! Ma vuoi spiegare che cosa ti frulla in quella zucca vuota?!”

“Tom è solo un gioco, un bellissimo e stupidissimo gioco. Non conta niente per me.”

“Certo, avrei dovuto immaginarlo”, sbuffò.

Ale si schiarì la voce davanti a noi e si girò un po’ con la testa dicendoci di piantarla o ci avrebbero scoperte davvero, mentre Bill guardava i film sul tabellone e parlava a vuoto.

“Comunque non rovinare tutto, reggi il gioco”, dissi ad Andreas poco prima di sentire le mani di Tom, dietro di me, posarsi sui miei fianchi e il suo corpo appoggiarsi al mio.

“Allora, scelto questo film?”, mi sussurrò carezzevole all’orecchio.

“No, è mia sorella che si intende di film. Lascio scegliere a lei”, risposi secca, senza un filo di malizia nella voce come ero solita fare con lui.

“Mmh, ok”, disse altrettanto distaccato, spostandosi.

Sarà proprio una guerra fra predatori, Tom, sogghignai schioccando la lingua.

***

Il film non era fra i miei generi preferiti, e nemmeno di Ale: Bill doveva averla convinta per forza e lei doveva aver ceduto di fronte ai suoi occhioni da cerbiatto. Chi non avrebbe ceduto? Persino io gli sarei cascata ai piedi! Ma non era il mio tipo ideale.

Io avevo un tipo ideale? Bello, alto, magro, depilato sul petto, grandi doti sessuali e grandi capacità nell’utilizzo di queste doti. Tom aveva tutti quei prerequisiti, ma non ero certa che fosse il tipo giusto per me, di cui innamorarmi. Andreas aveva ragione, non sapevo nemmeno cos’era, l’amore! Quella mi era ancora una dimensione sconosciuta e dubitavo di scoprirla molto presto.
Sarebbe stato molto difficile per una come me legarsi stabilmente ad una persona sola per più di qualche settimana. Le mie relazioni erano durate al massimo due settimane, come poteva benissimo dimostrare Andreas con la nostra che era naufragata dopo una sola settimana. Mi stancavo delle persone, non riuscivo a legarmi così profondamente e pretendevano da me ciò che io non potevo dare loro.
Tom in quel senso era perfetto, perché io non gli avrei chiesto nulla e lui non avrebbe chiesto nulla a me: eravamo liberi e un gioco l’uno per l’altro. E per quanto potesse essere brutto da dire o da pensare, a me piaceva quella situazione.

Ero seduta in mezzo a Tom e ad Andreas, mentre Bill e Ale erano vicini e qualche minuto prima lui aveva azzardato la mossa di prenderle la mano e lei aveva accettato con un ampio sorriso, stringendola a sua volta: erano davvero carini.
Andreas stava chiacchierando a bassa voce con la ragazza minuta e molto carina che gli stava accanto: si stava consolando in fretta dalla rottura con Jordin e questo era quello che si meritava quella troietta da due soldi.
Tom invece sembrava interessato al film quanto me e con la coda dell’occhio lo vidi avvicinarsi al mio viso e spostarmi i capelli dall’orecchio con la mano, delicatamente. Io rimasi a fissare lo schermo, nel frattempo che mi si dipingeva sul viso un sorriso divertito.

“Andiamo fuori?”, mi chiese con voce suadente.

“Non ora, c’è il film!”, risposi trattenendo le risate.

“Come se fosse davvero più interessante di quello che potremmo fare fuori.”

Mi girai verso di lui e lo guardai in viso: era semplicemente perfetto, anche in penombra, e con quel sopracciglio alzato e quel sorriso obliquo era ancora più sexy.
Mi avvicinai lentamente a lui e quando i nostri nasi si sfiorarono sorrisi: “Non sono la tua puttanella, non corro ad ogni tuo comando. Ieri sera è stato un caso.”

“Un caso che stranamente ti è piaciuto, visto come gridavi.” Mi prese la mano e senza schiodare gli occhi dai miei me la portò sulla sua erezione, sotto i jeans larghi, e la tenne lì sotto la sua. “Usciamo?”

Non feci in tempo a rispondere che lo schermo si oscurò indicando la fine del primo tempo e quando si accesero le luci avevo già tirato via la mano e mi ero girata verso Andreas che ancora se la chiacchierava con la moretta.
“Andy io esco un attimo.”

“Ok, fai pure”, disse disinteressato muovendo la mano e facendo sorridere la ragazza. Le sorrisi anch’io scuotendo la testa e mi alzai in piedi contemporaneamente a Tom.

“Dove andate?”, chiese Ale gettandomi un’occhiata severa.

“Fuori a fumare”, dissi sorridendole.

“Fate in fretta”, continuò.

“Più veloci della luce”, sogghignò Tom superandomi e precedendomi fuori.

Lo raggiunsi e uscii fuori dalla porta girevole con una sigaretta penzoloni fra le labbra e l’accendino fra le mani. 
Non riuscii ad accenderla perché Tom me la rubò dalle labbra e se la mise nel pacchetto mezzo vuoto.

“Ehi!”, mi lamentai tentando di riprenderla, lui mise il pacchetto nella tasca del jeans sogghignando e io mi portai le braccia strette al petto, appoggiandomi al muro dietro di me con le spalle.
“Non posso nemmeno più fumare. Quella era l’ultima!”

“Ti fa male.”

“Sì, sì, lo so!”

“Piuttosto fai qualcosa che ti fa bene, no?”, si avvicinò e mi schiacciò di più al muro premendo il suo bacino contro il mio, sfiorandomi il collo e la guancia con il naso, respirando forte.

“E se non mi andasse?”

“Ti convincerei…”

“Persuadimi”, gli sussurrai all’orecchio maliziosamente.

Tom mi guardò negli occhi e mi accarezzò i capelli, sistemandoli dietro le spalle.
“Beh… come posso persuadere te se tu mi persuadi senza nemmeno parlare?”, mi guardò da capo a piedi e viceversa muovendo il piercing al labbro.

“Stai dicendo che sono bella?”

“Sì, ovviamente.”

“Non è vero; so che non lo pensi: ho visto la tua faccia quando sono arrivata. Speravi pure che io fossi Ary per come sono vestita. Ti aspettavi qualcosa di più… sensuale?”

“Non necessariamente. So cosa c’è sotto…”, appoggiò la fronte alla mia e infilò le mani nelle tasche posteriori dei miei jeans, sul sedere.

“Il film dovrebbe già essere ricominciato, andiamo”, dissi scostandomi, ma lui mi riprese fra le braccia e mi baciò prepotentemente sulle labbra, facendomi mancare il respiro.

Era così irresistibile… Dovevo sempre mantenere i nervi saldi quando ero accanto a lui, per non finire come tutte le altre, usate una volta e poi gettate. Se non avessi prestato attenzione mi sarei solo fatta usare a suo piacimento e gli avrei dato la soddisfazione di aver catturato la sua preda e di averla intrappolata in una gabbia d’oro. Io non volevo fare quella fine, e dovevo resistere a non saltargli addosso ogni volta che lo vedevo.

“Ary mi ucciderà se non torno immediatamente”, dissi di nuovo con più decisione, staccandomelo di dosso e guardandolo in quegli occhi castani che mi guardavano speranzosi.

Ma no, stupidi occhi, stasera vi dovete accontentare di quello che avete visto.

Mi liberai dalla sua stretta e rientrai dentro, sentendomi vagamente in colpa, senza un apparente motivo.
Tornai nella sala e il film, come avevo detto, era già rincominciato. Passai davanti alle persone infastidite della mia fila e mi sedetti sulla mia poltroncina rossa, lo sguardo rivolto allo schermo ma con in testa solo quegli occhi…

“Ale… Ale!”

Mi girai alla voce di mia sorella che mi chiamava e vidi il suo sguardo preoccupato. Poi vidi anche quello di Bill, che mi chiese dove fosse andato a finire Tom.
Non risposi a nessuna di quelle domande, almeno non a voce, e sprofondai ancora di più nella poltroncina, una smorfia sulle labbra. Perché mi sentivo così? Mi stavo facendo desiderare, era andato tutto secondo i piani eppure… Non mi ero divertita così tanto come credevo.

Mi voltai verso sinistra e vidi Bill e Ale, che si tenevano per mano. Mi girai verso destra e vidi Andreas e quella moretta. Poi guardai il posto vuoto al mio fianco.

***

Tom, solo fuori dal cinema, tirò fuori il pacchetto di sigarette e guardandone attentamente il contenuto, fra tutte ne spiccava una con un segno lucido intorno al filtro: lucidalabbra. La estrasse desideroso e alzando lo sguardo verso il cielo limpido della notte, punteggiato da stelle e illuminato dal semicerchio perfetto della luna, se la portò alle labbra, sentendone il sapore dolce, più dolce… Era diversa.

 

_______________________________________

 

Buonasera, Leute! *-*
Siamo tornate, siete contente? [Silenzio di tomba] Okay, ce lo meritiamo dopotutto ç_ç Ci avete lentamente abbandonato, ma la speranza è l’ultima a morire e speriamo vivamente che torniate! [Me si mette in ginocchio xD]
Povero Andy, Jordin si è fatta un altro alla festa del suo compleanno e ci è rimasto malissimo ç_ç E le cose per la povera Ary non vanno altrettanto meglio… stanno precipitando! Voleva tanto giocare, ma come mai non si diverte più? Uhm… a voi la soluzione dell’enigma! xD
Per quanto riguarda Bill e Ale, invece… oh *-*
Bene, ringraziamo davvero di cuore chi diligentemente ha recensito lo scorso capitolo:

Charls__ : Ciao cara! *-* Siamo contente che le due coppiette confuse ti piacciano! E, visto che avevamo tanta paura delle tue banane e dei tuoi ananas, abbiamo fatto presto a postare ;) Speriamo ti sia piaciuto anche questo! Grazie mille, alla prossima! Un bacio anche a te!

Tokietta86 : Ciao anche a te! *-* Bill e Tom sono parecchio diversi, sì, come lo sono due gemelline qui! xD Sono coppie perfette così come sono e pensa che prima erano l’inverso… che pasticcio xD
Sì, Tom aspettava il bis (anzi lo pretendeva) e Ary era pronta a farlo stare sulle spine e a divertirsi, ma non è successo. Che succederà ora? u.u
Bill invece è davvero dolcissimo con Ale e le offre i passaggi quando la gemella la lascia a piedi xD Mi sono divertita un mondo facendolo, te lo posso assicurare ahahah xD
Grazie mille per la recensione e per esserci sempre! *-* Speriamo che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Un abbraccio enorme!

Un ringraziamento anche a chi legge soltanto, ci sta u.u :)

Alla prossima! Con affetto,
Ale&Ary

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Capitolo 8
*** Felicità e sensi di colpa ***


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Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

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Capitolo 9
*** L'eccezione ***


Buongiorno a tutti! :D
È passato quasi un mese, ma non siamo morte e ci dispiace tantissimo per essere sparite. Più che altro sono io che sono sparita xD ma non importa u.u Siamo di nuovo qui e questo è il nuovo capitolo! Speriamo vi piaccia! *-*
Ah, già lo dico, la canzone presente in questo capitolo è la bellissima “Running up that hill” cantata dai Placebo e Kate Bush (nell’originale c’è solo Kate Bush, ma io sono una patita dei Placebo xD).
Allora a dopo con i ringraziamenti ufficiali! ;)
Ale&Ary

 

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Capitolo 9: L’eccezione

 

Entrai in casa e mi gettai sul divano, respirando pesantemente e passandomi le mani sul viso.
Perché Tom non passava mai a prendermi a scuola, come faceva invece Bill?

Corrugai la fronte e scossi la testa, dandomi della stupida per i pensieri che facevo. Perché Tom avrebbe voluto venire a prendermi? Io non ero niente per lui e lui non era niente per me. Più semplice e chiaro di così. E poi non avevo bisogno di quello… no, proprio per niente.

Sentii la porta aprirsi e sollevai la testa verso l’entrata, sulla quale c’era Ale, con un espressione un po’ triste. Che fosse successo qualcosa con Bill?

“Allora? Com’è andata?”, scattai in piedi andandole incontro, sorridendo.

“Tutto straordinariamente bene, purtroppo”, sfiatò, sedendosi sul divano.

“In che senso… purtroppo?”

“Ci siamo baciati.”

“E non ti è piaciuto?!”

“Ma no… che vai a pensare! È stato bellissimo, è stato dolce e tenero… Non come Tom”, fece una smorfia. Io abbassai lo sguardo al suono di quel nome. “E a proposito di lui, dobbiamo parlare io e te.”

“Prima dimmi tu che cos’hai. Vi siete baciati, ma non hai una faccia contenta.”

“Infatti, non ce l’ho perché non sono contenta. Ary, questa situazione non mi piace. Te l’ho già detto che è un’idea stupida, insensata ed infantile?”

L’infantile mi mancava.”

“Non scherzare, Ary”, puntò i suoi occhi ardenti nei miei: non era proprio il momento di scherzare. Anzi, sentivo che avremmo potuto anche litigare…

“Non sto scherzando. Non capisco che cosa c’è che non va. Hai baciato Bill, dovresti solo ringraziarmi!”

“Ringraziarti?! Ringraziarti per che cosa?! Perché lui mi chiami Ary?! Perché crede di aver baciato Ary?! Perché crede di star uscendo con Ary?! Ma non capisci che prima o poi ci scopriranno e… Io ci tengo a Bill, non voglio perderlo per sta cazzata!”, gridò arrossendo in viso.

“Va bene”, dissi sollevando le spalle.

Va bene cosa?”

“Va bene, dì tutto a Bill, rovina tutto. Tanto chissene frega di me. L’importante è che sei felice tu con il tuo principe azzurro”, mi alzai seria in volto, lasciandola quasi a bocca aperta, e mi sfilai il pacchetto nuovo di sigarette dalla tasca dei jeans, dirigendomi verso la veranda, quando sentii di nuovo la sua voce.

“Ma che cosa stai dicendo?! Non pensavo quello! E se dicessimo tutto ora, sarebbe meglio anche per te!”

“Sese, certo”, sventolai la mano.

“Ary, ma ascoltami! Oppure se non mi vuoi ascoltare parla tu! Dimmi quello che è successo ieri sera con Tom! Dimmi cosa ti frulla per la testa!”

“Niente”, biascicai prima di chiudermi le porte vetrate alle spalle.

 

***

 

“Ary…”

Guardai Ale sedersi al mio fianco con la coda dell’occhio e stringersi fra le braccia. In effetti faceva freddo, ma ormai mi ero abituata alla temperatura. Era da un po’ che stavo rintanata lì fuori, a pensare. A tutto, a niente.

“Uhm?”

“Mi dispiace per prima…”

Mi girai e la guardai: era a testa bassa, le gambe strette al petto, che si abbracciava da sola. Mi sentii in colpa: lei non doveva scusarsi, la colpa era solo ed unicamente mia, ero io l’ideatrice di quella messa in scena.

“Non hai niente di cui scusarti, Ale. È colpa mia, lo riconosco. Solo che…”

“Ti sei incastrata?”

“NO. So gestire… tutto.”

“Sì”, annuì, poco convinta. “Guarda che non è una cosa brutta essere innamorati, eh.”

“Non sono… innamorata… di Tom”, dissi a denti stretti, stringendo i pugni.

“Perché negare, se nemmeno sai di esserlo?”

“Non lo so perché non so nemmeno cos’è… l’amore”, abbassai lo sguardo. “E non sono sicura di volerlo sapere.”

“Ary, l’amore non è così orribile come lo dipingi.”

“E invece sì… Ho visto come sei stata quando Aaron…”, continuai più a bassa voce, nonostante non ci fosse nessuno ad ascoltarci.

“Aaron non c’entra niente in questa storia”, mi guardò male, una smorfia sul volto. “Qui si sta parlando di te, non di me.” Aspettò una qualsiasi mia risposta, ma non schiodai gli occhi dall’erbetta congelata del giardino: il mio cervello si stava lentamente fondendo. Stavo pensando a troppe cose contemporaneamente e non ci capivo molto. L’amore era anche un argomento troppo difficile su cui pensare!
"Bene. Questo tuo silenzio mi dà da pensare, sai? E sai cosa penso? Vuoi sapere cosa penso? Penso che non crescerai mai se ti ostini a comportarti da bambina, Ary. Ti conosco, ti conosco meglio di me stessa… Per quanto tempo vorrai ancora fare finta di niente?"

“Non sto facendo finta di niente”, dissi fissando i miei pugni stretti e le nocche diventare bianche dallo sforzo.

“Ancora? Ary smettila! Non dire cazzate proprio a me! Io ti conosco!”, gridò prendendomi le mani e facendomi voltare verso di lei, guardandomi negli occhi.

“Allora… allora mi sa che sono io che non mi conosco… Che cosa devo fare?”, mormorai con gli occhi specchiati nei suoi, sentendomi piccola e stupida. Stupida sul serio.

“Magari parlare con Tom?”, roteò gli occhi al cielo, anche se con un sorriso divertito sulle labbra.

Parlare?”

“Non dirmi che non ci hai mai parlato!”, sgranò gli occhi.

“Ehm… ieri sera, forse. E mi sono sentita malissimo… Meglio stare zitti, a questo punto.”

“Io rischio di diventare pazza con te. Fai dei ragionamenti contorti! Prova a… a rilassarti e a stracciare ogni tuo copione. Vai lì da lui disorganizzata, senza piani diabolici per conquistare la preda o cose del genere, ok? Non siete degli animali, ma degli esseri umani, con dei sentimenti! Se davvero lui tiene a te non penserà solo a portarti a letto nella sua macchina. E se non tiene a te, non lasciarti usare.”

Abbassai lo sguardo: lei aveva sempre ragione; peccato che non l’ascoltassi quasi mai. Quella volta però decisi che l’avrei ascoltata, dovevo fidarmi di lei per uscire fuori da quella situazione complicata.

“Grazie”, sussurrai. La guardai di sottecchi e vidi un suo sorriso dolce.

“Vieni qui”, mi disse avvicinandomi a lei e abbracciandomi. Appoggiai la testa alla sua spalla sospirando e quasi non mi mangiai il pelo intorno al suo cappuccio. Lo spostai ridacchiando e ricambiai la stretta, chiudendo gli occhi.

“Rientriamo? Sto gelando”, disse dopo un po’, stringendomi di più a lei. Io annuii sciogliendo l’abbraccio e la seguii all’interno, dove una ventata di aria calda profumata di cioccolata mi fece rilassare: sicuramente opera di mamma.

“A proposito… Ma noi non abbiamo una nota da…”, mormorai guardando Ale al mio fianco, che scocciata annuiva.

“E tutto per colpa tua”, mi ricordò dandomi un coppino.

“Ahia! Siamo maggiorenni, non deve farci le prediche come quando eravamo bambine.”

“Tu sei rimasta bambina, Ary. Non devi appellarti sempre al fatto che hai diciotto anni sulla carta d’identità. Devi averli anche mentalmente, se no non conta.”

Le feci il verso imitando la sua voce e le sue espressioni autoritarie, beccandomi fra l’altro un pugno sulla schiena, a tradimento, mentre prendevo il libretto su cui il carissimo professor Schulz aveva scritto la nota.

“Mamma, abbiamo un regalo di Natale anticipato per te e papà!”, gridai entrando in cucina e ridacchiando.

“Che avete combinato?”, sospirò Anna tirandosi i capelli corti e di un castano tendente al rossiccio dietro le orecchie

“Nulla…”

Mamma mi strappò il libretto dalle mani e si mise a leggere la nota ad alta voce, così che anche Davide, appena entrato, potesse sentire com’erano brave le sue sorelline:
"Gentilissimi signori Wienecke, tengo ad informarvi che le vostre figlie, durante la lezione di matematica, non seguono la spiegazione, dedicandosi anzi ad attività ludiche di altro tipo: quali il lancio di carta e cancelleria varia. E' l'ultimo richiamo, per quanto riguarda la mia materia, la prossima volta non esiterò a mettere loro una nota di demerito nel registro. Distinti saluti, professor Schulz", ci guardò severamente con quegli occhi castani che ci appartenevano e io e Ale ci strinsimo nelle spalle, gettandoci uno sguardo a vicenda.

“È stata colpa sua!”, gridammo assieme, indicandoci. Dopodiché scoppiammo tutti a ridere.

 

***

 

Ero seduta in veranda, al mio solito posto sui grossi gradini di legno; una sigaretta si consumava pigramente fra le mie dita mentre ascoltavo una delle mie canzoni preferite con le cuffie dell’iPod nelle orecchie e guardavo il cielo scuro e freddo della notte, aspettando l’arrivo di Bill e Tom: sarebbero passati a prenderci loro, visto che non sapevamo dove fosse il ristorante perché doveva essere una sorpresa, da quello che aveva detto Bill, e che mamma e papà erano usciti a cena fuori anche loro. Loro non sapevano ancora dei nostri… frequentatori.

 

It doesn’t hurt me
You want to feel, how it feels?
You want to know, know that it doesn’t hurt me?
You want to hear about the deal I’m making
You, you and me

 

[Non mi ferisce
Vuoi sentire, che effetto fa?
Vuoi sapere, sai che non mi ferisce?
Vuoi sentire dell’accordo che sto facendo
Tu, tu ed io]

 

Era una delle mie preferite, nonostante fosse molto riflessiva e con un significato tutto suo da cercare e trovare fra tutte quelle parole non tristi, ma nemmeno felici… una via di mezzo.

Mi piaceva riflettere, dopotutto. Sempre se gli argomenti non erano troppo pungenti, come l’argomento Tom. Ogni volta che Ale mi chiedeva che cosa mi frullasse nella testa quando c’era lui di mezzo io le rispondevo con un bel “Niente”. Schivavo la questione pure con mia sorella gemella, la mia anima… Ero messa parecchio male.

Tom era totalmente fuori dal normale, era riuscito, nel giro di così poco tempo, a farmi fare fin troppi ragionamenti: sul perché mi sentissi così bene al suo fianco, perché mi sentissi il cuore impazzire e lo stomaco, inondato di farfalline, contorcersi. Perché non riuscissi più a pensare razionalmente accanto a lui. Perché non riuscissi mai ad estraniarmi da tutte quelle sensazioni e a pensare che infondo era solo un gioco. Perché non riuscissi più tanto a divertirmi, comportandomi, con lui, come avevo sempre fatto con tutti gli altri. Avevo pure pensato a cosa significasse… amare. Ed era totalmente fuori dal normale.

Mi portai i capelli, divisi in accurati boccoli, su una spalla sola e spensi la sigaretta nel posacenere, quando sentii il campanello suonare e Ale gridare un: “Vado io!” per poi precipitarsi con grazia alla porta.

Io rimasi ferma lì, stretta nelle braccia e piegata in avanti, con il sangue che circolava a velocità folle nelle vene a causa della tensione: non avevo copione, non sapevo come sarebbe finita e cosa avrei fatto. Forse Ale aveva ragione, non dovevo pensare a niente e lasciarmi trasportare da quello che sentivo… E se mi fossi fatta del male?

Sentii le voci dei ragazzi all’interno e sentii chiaramente Tom chiedere ad Ale dove fossi. Dopodiché sentii dei passi avvicinarsi sempre di più e la porta finestra aprirsi, così chiusi gli occhi, trattenendo il respiro, il cuore che scoppiava nella cassa toracica.
Smise di camminare e un istante dopo sentii due mani calde infilarsi dentro il colletto del mio giubbino aperto e poggiarsi sulle mie spalle.

“Ehi”, mormorò. Io alzai lo sguardo all’indietro e lo vidi: bello come sempre, un cappellino di lana nera sulla testa e un sorriso dolce dipinto su quelle labbra che avevo avuto il piacere di baciare più di una volta. Ma era stato così… statico, senza sentimenti…

“Ciao Tom”, sussurrai tornando a guardare il giardino di fronte a me.

“C’è qualcosa che non va?”, mi chiese sorprendendomi, sedendosi al mio fianco. Appena sentii il suo corpo sfiorare il mio un brivido mi percorse la spina dorsale e mi strinsi nelle spalle, irrigidendomi. Che mi stava succedendo?
“Hai freddo?”, mi chiese ancora.

“No, io…” Ma non feci in tempo a dire altro, perché mi strinse fra le braccia, appoggiando il mento alla mia testa. Avevo l’orecchio premuto direttamente sul suo petto, fra il giubbino slacciato, al caldo, e sentivo il suo cuore battere a velocità… notevole. Sembrava andare alla pari con il mio, e non era poco.

“Niente, solo… pensavo”, sussurrai chiudendo gli occhi e godendomi appieno quel momento: il suo calore, il suo profumo, le sue braccia protettive intorno alla mia schiena.

“A che cosa? Sembri giù di morale.”

“No… Ho solo avuto una piccola discussione con… Ary, prima. Ma abbiamo già risolto.”

“E perché avete discusso?”

“Per il mio… ehm… comportamento con il sesso apposto.”

“Per me, dunque.”

“No!”, mi allontanai allarmata, agitando le mani. Sentivo anche le guance bollirmi… Che fossi arrossita? “Cioè… Io sono grande, faccio quello che mi pare”, continuai a bassa voce, riappoggiandomi al suo petto con la fronte.

“Mi… mi dispiace per quello che ho detto a tua sorella al cinema, quando sono tornato. E per come mi sono comportato in generale.”

Sgranai di colpo gli occhi, ma rimasi nascosta contro il suo petto, fino a quando un sorriso non mi illuminò il viso. Era nato naturalmente, senza comandi… era un sorriso vero. Come pochi ne facevo, come pochi ne offrivo.
“Non ti devi dispiace di niente. È anche colpa mia, potevo pensarci di più, prima di fare qualsiasi cosa.”

“Te ne sei pentita?”

“No, pentita no. Però… potevo riflettere meglio sulle conseguenze. Prevederle, ecco.” Anche se sarebbe stato comunque inutile…

“Io non ti capisco, ci rinuncio”, sbuffò sorridendo, passandomi, quasi affettuosamente, una mano fra i capelli.

Io gli sorrisi e il mio sguardo si incatenò nel suo, spazzando via tutto il resto: tutte le preoccupazioni, tutta l’ansia, tutti i rumori e le cose reali intorno a noi. Sentivo solo il mio cuore battere a raffica, il suo respiro sopra al mio e i miei occhi nei suoi.

Alzò la mano lentamente e io lo guardai sbigottita quando la sentii sfiorarmi la guancia con una delicatezza che non aveva mai usato. Era tutto un sogno, vero?
Oppure un incubo.
Che cosa stava facendo? Perché mi trattava in quel modo… capre di farmi sentire l’unica al mondo? Perché? Perché? Era proprio quello che non volevo.

Mentre nella mia testa c’era uno scontro di pensieri, sentii il suo respiro caldo sempre più vicino e accennai un sorriso imbarazzato sentendo le sue labbra sfiorare le mie. Mancava ormai poco: desideravo quel bacio, lo volevo con tutte le mie forze, ma non sarei mai riuscita a portarlo a termine da sola, come avrei fatto sicuramente se fosse stato tutto a posto. Ma, evidentemente, c’era qualcosa che non andava, perché non riuscivo a muovermi. Ero paralizzata.

Sentimmo la porta vetrata aprirsi e ci allontanammo di scatto l’uno dall’altra, guardando quasi spaventati verso l’entrata al salotto.

“Ragazzi, ehm… scusate”, disse Ale stringendosi le mani. Bill era dietro di lei che sbirciava. “Andiamo?”

“Sì, andiamo”, annuii frettolosamente, alzandomi e infilando le mani in tasca, passando a testa bassa accanto ad Ale, che mi guardò apprensiva: probabilmente aveva già capito tutto, quando io non  avevo capito un bel niente.

 

***

 

Per la prima volta in vita mia mi ero sentita tremendamente in imbarazzo in macchina con Tom. Ale e Bill erano andati con la nostra. Non avevo fiatato per tutto il tempo e non avevo fatto altro che guardare fuori dal finestrino per non incontrare i suoi occhi, quegli occhi che… mi mettevano in agitazione.

Ora avevo paura di lui, perché se davvero Ale aveva ragione, se mi stavo innamorando veramente… sarebbe stato un bel casino.
Io non volevo innamorarmi, perché in amore si soffriva e basta. E per quando Ale potesse tentare di convincermi che fosse il contrario la maggior parte del tempo, beh… non ci avrei creduto, fin quando non avrei visto che aveva ragione.

Ma se non ci provo non lo saprò mai…, sbuffai guardando dentro il mio piatto.

Il posto era carino, sconosciuto e riservato, ed era uno di quei ristoranti in cui le cose da mangiare venivano cucinate in una grande cucina “all’aperto”, nel centro della sala da pranzo, da cui si poteva vedere come lavorassero gli chef e i cuochi prima che i piatti venissero serviti a tavola.
Nonostante tutto però, non riuscivo a schiodarmi dalla testa quei pensieri e rilassarmi e godermi la serata. Come si era comportato prima Tom mi aveva confusa, parecchio confusa; non sapevo più che pensare.

Bill e Ale erano la coppietta felice che un pochino invidiavo, perché io non sarei mai riuscita a legarmi ad una persona veramente, come faceva Ale. Il motivo era semplice: la paura di soffrire. Io avevo sempre fatto soffrire, non avevo mai sofferto io. Ma prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui si sarebbero invertiti i ruoli e sentivo che quel giorno era pericolosamente vicino.

“Che hai? È tutta la sera che sei strana”, sbottò Tom ad un certo punto della cena, attirando su di noi anche gli sguardi di Ale e Bill che fino ad allora aveva chiacchierato tranquillamente, sorridendosi.

“Non ho niente”, balbettai, preoccupata.

“Sì, certo. Non hai quasi mai parlato, te ne stai ferma lì, a pensare ai cavoli tuoi. Cioè… io mi sento trascurato!”

“Scusami”, abbassai lo sguardo.

“Eh?”

“Cioè… Scusami un corno! Non posso avere i cazzi miei?!”, reagii, sentendomi uno schifo completo.

“Se sapevi che avevi i cazzi tuoi non uscivi con me, a questo punto! Mi sarei divertito di più a casa con Gustav! Venivano Bill e Ary e fine della storia! Non che dici di sì per poi stare zitta!”

“Ma…”, fronteggiai un po’ il suo sguardo ardente, poi cedetti e ringhiai frustrata, prendendo il mio giubbino e uscendo fuori, senza aggiungere altro né voltarmi indietro, nemmeno per Ale. Lei avrebbe capito. E poi non volevo rovinarle la serata, avevo già fatto abbastanza.

Arrivata nel parcheggio, mi resi conto che non potevo muovermi da lì: le chiavi della macchina ce le aveva Ale e di ritornare dentro non ne avevo la minima intenzione. Sbuffai, innervosita da tutta la situazione, e mi appoggiai al cofano freddo della Ypsilon, le mani sul viso.
Mi stavo complicando solo la vita, pensando a tutte quelle cazzate sull’amore! Perché io non ero innamorata di Tom, non lo ero.

“Ale!”

Non lo sono.

“Ale, mi vuoi spiegare che cosa cazzo c’è che non va?!”

Non lo sono.

“Ale…”, mi prese per le spalle e mi guardò negli occhi, sembrava dispiaciuto.

Io ricambiai lo sguardo e lo presi per la nuca, avvicinandolo alle mie labbra. Lo baciai con foga, stringendogli forte le braccia intorno al collo. Ci staccammo solo per riprendere fiato e ossigeno, necessario per la nostra sopravvivenza.

“Casa mia è libera, fino a quando Ary non torna con Bill”, gli sussurrai all’orecchio.

Non lo sono, mi convinsi, cacciando giù quel nodo enorme che mi si era formato in gola.

 

***

 

Guardavo il soffitto, le mani unite sul ventre, mentre lo sentivo rivestirsi nella penombra della stanza mia e di Ale. Sarebbe tornata a momenti, doveva muoversi ad andarsene.

“Ale?”

Mi girai verso di lui: lo vidi in piedi al mio fianco, che mi guardava. Aveva uno sguardo strano, come se si sentisse in colpa. Ma non ci pensai, non riuscivo a pensare a niente in quel momento, insultandomi da sola per quello che avevo fatto: avevo ceduto, avevo ceduto proprio come una fessa, e le conseguenze erano che mi sentivo una merda di troietta.

“Tutto bene?”

Annuii distrattamente, con occhi vacui. Avevo una gran voglia di piangere, ma io piangevo solo ed esclusivamente per le cose più importanti, ed erano pochissime, tra cui Ale e la mia famiglia. Tom non poteva essere diventato già così importante…

“Allora io vado”, disse chinandosi su di me e scostandomi i capelli dalla fronte con le dita, dandomi un bacio a fior di labbra: il bacio più bello di tutta la serata. Anzi, il quasi-bacio sulla veranda era stato il più bello in assoluto.

“Ci sentiamo.” Si avviò alla porta e con la mano sulla maniglia, si girò e mi guardò: “Ale?”

“Sì?”, chiesi a bassa voce.

“Me lo fai un sorriso?”

Ci provai, ci misi tutta me stessa, ma non seppi mai come mi venne: se solo una smorfia o un sorriso accettabile. L’importante era che gliene avesse fatto comparire uno a lui, su quelle sue labbra stupende e perfette.

Uscì dalla mia camera e lo sentii trottare giù dalle scale e chiudersi la porta alle spalle. Io mi rivestii, infilandomi dentro il mio pigiama azzurro, e andai alla finestra, sbirciando da dietro la tenda chiara. Lo guardai incrociare Ale sul vialetto e rispondere a qualche sua domanda, si salutarono e ognuno andò per la sua strada: Ale entrò in casa, Tom salì sulla sua auto e schizzò via, veloce come si era infilato fra le coperte del mio letto.

Mi trascinai di nuovo in quel nostro piccolo nido malmesso ed instabile e mi rannicchiai su un fianco, in posizione fetale, stringendo forte gli occhi, fra le coperte calde che profumavano di lui e che mi facevano salire il magone in gola, senza un perché preciso.

“Ary!”, gridò Ale infuriata, camminando a passo di marcia verso il mio letto e scuotendomi con violenza.

“Che cosa c’è?!”, gridai a mia volta.

“Ho incontrato Tom.”

“Mi fa piacere”, mormorai rigirandomi ed infilandomi le cuffie dell’iPod, che avevo preso dal comodino con una mano.

“Ary…”, mormorò non toccandomi più, come ferita.

“Ho sonno, e domani c’è anche scuola. Buona notte Ale”, dissi prima di chiudere gli occhi, di rannicchiarmi di più sotto le coperte e di deglutire forte, sentendomi male il doppio rispetto a prima. Lei non c’entrava niente, assolutamente niente…

C’era ancora la canzone di quella sera, e non mi fece stare meglio.

 

And if I only could
make a deal with God,
get him to swap our places,
be running up that road,
be running up that hill,
be running up that building
If I only could, oh…

[E se solo potessi
fare un patto con Dio,
convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina,
salirei di corsa quell’edificio
Se solo potessi, oh…]

 

_____________________________________________

 

 

Tokietta86 : Ciao cara! Come al solito grazie, i tuoi elogi ci fanno perdere la testa xD
Sì, ormai si è capito che Bill e Ale sono la coppia sdolcinata del quartetto xD A volte fanno venire il diabete u.u No, scherzo xD
No, Ale e Tom non sono come cane e gatto o.o Vedrai che cambierai opinione presto xD
Uhm, Tom geloso? (Hai la vista bionica, oppure i super sensi, ma ciò che dici ha sempre un fondo di verità… magari siamo noi prevedibili, boh xD).
Tutte e due si stanno accorgendo che la messa in scena non può andare avanti ancora per molto, ma chi lo sa u.u Come reagiranno i gemelli? Ah, bella domanda! xD Dovrai aspettare per capirlo (a meno che non capirai anche questo prima del previsto ù.u xDD)
Grazie mille! *-* Un abbraccio enorme, al prossimo capitolo!

Charls__ : Ciao! ^-^ Ahahah i due bradipi xD Poveretti!
È vero Ale è quella che ci sta soffrendo di più, ma anche Ary non se la passa benissimo, no? :-s
A noi gli ananas e le banane piacciono! ù_ù xDD
Speriamo che la tua pazienza sia stata ricompensata e che la tua curiosità un po’ placata… Ma ti vogliamo sempre così! ;)
Un abbraccio grande anche a te, alla prossima!

iLARose : Ciao! Siamo contente che ti piaccia! *-*
Bill è molto dolce, è vero. Quel cucciolo :D
Mmh… come vanno le cose tra Ary e Tom? xD
Un bacio, alla prossima!

Grazie anche a chi ha letto soltanto! :) Un bacio, alla prossima!
Vostre, Ale&Ary

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Capitolo 10
*** Sensazioni ***


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Capitolo 11
*** Incontri dal passato. E dal presente ***


Capitolo 11: Incontri dal passato. E dal presente

 

Odiavo quella situazione, con tutte le mie forze. Per quello che mi ronzava continuamente nella testa stavo trascurando mia sorella, sentivo che la stavo facendo soffrire. Ma non riuscivo proprio a fare come se non stesse accadendo niente. Qualcosa stava accendo, questo era certo; dovevo solo capire che cosa, e perché. Che fosse davvero causa di Tom?

“Mi sa che vuole te”, sussurrò Ale, dandomi una leggera gomitata sul fianco.

Alzai la testa e guardai davanti a me: Tom si stava avvicinando con il suo passo impacciato e allo stesso tempo elegante. Che ci faceva lì? Avrei voluto sparire, diventare invisibile, fuggire oppure nascondermi. Ma ormai era lì, che ci guardava.

“Ciao ragazze!”, cinguettò; io abbassai il capo, pensando alla sera prima, alla mia stupidità, serrando i pugni, senza ricambiare il saluto.

“Ciao Tom. Io vado, eh. Mi raccomando”, disse Ale guardandoci e poi incominciò ad avviarsi verso l’Audi di Bill.

Realizzai di non averla nemmeno salutata quando ormai era troppo tardi: era già entrata nell’auto e stava chiacchierando con il cantante.
Tutta colpa di Tom!

“Che ci fai qui?”, chiesi fredda, distaccata, mantenendo le distanze.

Oltre che a riversare tutta la mia rabbia repressa su di lui, pensai che non potevo rischiare che diventasse davvero importante; dovevo mettere assolutamente dei paletti fra noi, o sarebbe stata la fine per me: sarei passata velocemente dalla parte di quella che soffriva, e non ne avevo assolutamente l’intenzione.

“Sono… sono venuto a prenderti a scuola”, rispose tranquillamente, anche se era confuso dal mio comportamento scazzato.

“Con la macchina di tuo fratello”, sollevai un sopracciglio, portandomi una mano sul fianco.

“Beh… tanto ce l’hai tu la macchina”, sorrise.

“Senti, non è proprio giornata, ok?”

“Ok! Ma non vedo il motivo perché mi devi trattare così! Io ho pensato di fare una cosa carina, venendo! Ary ha detto a Bill, che l’ha detto a me, che anche tu volevi che ti venissi a prendere…”, ghignò.

“Cazzate”, arrossii di botto: più sgamabile di così!

Mi girai e mi incamminai velocemente verso la Ypsilon, senza degnarlo di un altro sguardo, anche se sentivo una strana sensazione pungere all’altezza del petto. Mi stavo per infilare in macchina, al posto del guidatore, quando sentii una mano fermarmi per il braccio e farmi tornare indietro.

“Posso sapere che ti ho fatto di male, in questi due minuti, per meritarmi questo trattamento da zerbino, cortesemente?”, disse tra i denti, tentando di mantenere la calma, ma la sua presa sul mio braccio era forte, e lasciava intendere quanto in realtà fosse arrabbiato.

“Niente”, sollevai le spalle. “Ora mi lasci, che mi fai male?”

Mi lasciò e sfruttò il momento in cui io mi massaggiai il braccio per infilarsi al mio posto nell’abitacolo, costringendomi a fare il giro e a mettermi nel posto del passeggero. Era la mia macchina ed io ero il passeggero, pazzesco!

Sbattei la portiera e mi misi a braccia incrociate, cupa in volto, sprofondata nel sedile, dopo avergli passato le chiavi. La situazione mi stava scappando via dalle mani, da burattinaia stavo diventando il burattino. Non mi piaceva per niente.

“Che problema hai?”, sbuffò esasperato, partendo sgommando e facendomi appiattire al sedile dallo spavento.

“Tu sei il mio problema, Tom!”, gridai.

“Ah, sarei io il tuo problema? Ieri sera non sembravo un problema, e l’altra sera ancora nemmeno!”

“Allora sei tu che hai dei problemi, qui, non io.”

“Illuminami.”

“Che cosa credi ci sia tra noi?”
Lo guardai e lo vidi corrugare la fronte e boccheggiare per un attimo, poi serrare e leccarsi quelle labbra che d’impulso mi fecero correre il cuore e far venire una voglia irrefrenabile di baciarle.

“Ma che c’entra questo?”, chiese.

“C’entra. E se… se non mi dai una risposta ora… io ti lascio a piedi”, dissi a fatica, deglutendo: volevo quella risposta, volevo che mi rispondesse, ma ne avevo anche paura.

“Puoi farlo a tua sorella, non a me. Non lo faresti mai”, fece un sorrisetto presuntuoso e pieno di sé; io mi puntai le braccia al petto e sospirai: stava guidando lui comunque. Ed ero condannata a non avere una risposta.

Tanto è solo sesso, solo puro e sanissimo sesso, mi convinsi per l’ennesima volta, mettendo da parte il mio cuore che gridava che forse non era proprio così.

Lui sorrise felice, tornando a guardare la strada, concentrato. “Dove andiamo?”, mi chiese.

“A casa mia, chiedo troppo?”

“No, a me va benissimo”, sorrise.

“Intendevo che io andavo a casa mia, tu alla tua.”

“E mi lasci a piedi?”

“Esattamente. Te l’ho detto che l’avrei fatto.”

“Sei scorretta.”

“Sì, lo so, grazie”, sogghignai, girandomi fra le dita una ciocca di capelli biondi.

“Allora… ti devo portare seriamente a casa?”

“Sì, grazie.”

“Io in verità volevo passare un po’ di tempo con te…”

“Io non ne ho di tempo, sono una ragazza impegnata”, sventolai una mano, guardandomi le unghie dell’altra.

“Immagino…”, borbottò.

“Dico sul serio! Quest’anno ho la maturità e sarebbe utile che io iniziassi a studiare, cosa che non ho mai fatto seriamente. E poi dopo devo andare in piscina.” Ovviamente la prima era una scusa bella e buona: studiare non era un verbo presente nel mio vocabolario. Ma la seconda era vera al cento e uno per cento.
Nuotavo da quando ero bambina, quella passione era nata subito in me, come un fiume in piena restando in tema d’acqua, al contrario di Ale, che si era rivolta verso qualcosa di più tranquillo dopo essere finita in acqua con l’accappatoio, spinta da un ragazzino più grande. Io ero stata lì lì per picchiarlo, ma mamma mi aveva trascinata via appena in tempo, mentre Ale piangeva fra le sue braccia.

“In piscina?”, chiese ridacchiando. “Fai nuoto?”

“Che ci trovi di tanto divertente?”

“Nulla, mia cara Alessandra. Ehi… ma non è un nome tedesco, questo”, corrugò la fronte.

“Mr Arguzia, te ne sei accorto adesso?”

“Beh… sì”, scoppiò a ridere. Chissà in che modo, riuscì a strapparmi una risatina pure a me. Era semplicemente fuori dal normale, unico nel suo genere. Anche per questo mi faceva paura.

“Nostra madre è italiana, papà è tedesco. Per questo sia io, che Ary, che nostro fratello, abbiamo nomi italiani.”

“Oh, capisco… Siamo arrivati.”

Di già? Mi schiaffeggiai mentalmente per quel pensiero e annuii a Tom che mi guardava, prima di scendere dalla vettura ed incamminarmi verso il parco proprio di fronte a casa.

“Ehi tu, Miss Intelligenza, stai andando dalla parte sbagliata”, mi fece notare Tom, indicando la villetta alla sua sinistra.

“Nah, sei tu che pensi che io voglia entrare in casa.”

“Brutta stronza, mica devi studiare?”, ridacchiò.

“Non ne ho voglia”, sorrisi e mi girai, lui mi raggiunse e mi affiancò.

 

***

 

Era una strana sensazione camminare al suo fianco in quel parco poco frequentato, in un viale ricoperto di foglie che andavano dall’arancione al marroncino, i rami spogli degli alberi che si stendevano verso il cielo coperto. Mi dava un senso di tranquillità ma anche di agitazione, perché era come se fossimo soli in mezzo al niente. Senza difese, senza copioni, guidati solo dall’istinto e dalle emozioni che più di una volta con lui mi avevano trascinata a sbagliare tutto.

Possibile che fossi così instabile, accanto a Tom? Tutta la mia sicurezza andava a farsi fottere e questo mi spaventava, fra tutte le mie altre paranoie. Forse dovevo darmi davvero una calmata, come mi aveva detto Ale. Ma era più forte di me!

“Che silenzio…”, mormorò lui, guardando in alto. “Che hai fatto oggi a scuola?”

“Nulla di interessante”, sollevai le spalle. “E tu che hai fatto oggi?”

“Uhm… ho dormito fino a quando Bill non mi ha svegliato per chiedermi se volevo venire con lui a prendervi.”

“Cioè… tu ti sei alzato… per me?”, balbettai, rossa.

“Ormai mi aveva svegliato”, mi sorrise, un sorriso così dolce capace quasi di sciogliermi.

“Oh… ehm… è stato molto carino da parte tua, comunque”, mi strinsi nelle spalle, nascondendo il mento e la bocca nel colletto del cappotto chiaro.

“Di nulla…”, sussurrò, le mani nelle grandi tasche dei jeans.

Era tutto così… imbarazzante! Non riuscivo nemmeno a parlarci: ogni argomento che mi veniva in mente mi sembrava stupido così lasciavo perdere. Per questo ero stranamente silenziosa e rinchiusa in me stessa. Che stessi cambiando, stando con lui?

“Comunque… quella domanda che mi hai fatto prima… Che cosa c’è tra noi…”, incominciò incerto, gesticolando con le mani. Io lo guardavo con il cuore in gola, intimidita da qualsiasi altra parola che potesse uscire dalla sua bocca. “Penso che… ci sia qualcosa.”

“Qualcosa?”, ripetei. Lui annuì. “Fino a qui ci ero arrivata anch’io, non credi?”

“Mah, chi può dirlo! L’idiozia è una malattia contagiosa!”, ridacchiò, beccandosi un mio pugno sul braccio.

“L’avrò presa da te, no?!”

“Lo escludo! Io sono troppo intelligente!”

“L’importante è crederci!”, risi spensieratamente, assieme a lui. Guardai l’orologio al mio polso e trattenni il fiato: ero in ritardo! “Tom, sono in ritardo! Io devo andare in piscina!”, esclamai, facendo retrofront e camminando a passo spedito verso casa, anche se avrei voluto stare con lui ancora un po’.

“Ma allora ci vai sul serio in piscina?”

“Ancora! Sì ti ho detto!”

“Io pensavo che scherzassi! Però saresti sexy in costume!”

“Non mi immaginare in costume, Tom! Guarda che so leggerti nella testa, sei prevedibile!”

“Accidenti, come farò ora!”, rise. “Dai, muoviti.”

Presi le chiavi e aprii la macchina, lui quella volta si mise al posto del passeggero.

“E poi come credi di tornare a casa?”, gli chiesi corrugando la fronte.

“Quando torni a casa tu.”

“Cioè… stai lì a guardarmi mentre nuoto?”

“Qualche problema?”

“Beh… sì!”, gridai, il fiato corto e il viso paonazzo. Stava superando ogni limite! “Io odio le persone che mi stanno troppo addosso, ok? Mi devi lasciare stare! Devi lasciarmi respirare! Perché tu non puoi…” Mi tappò la bocca con un bacio mozzafiato.

Addio a tutti i paletti che avevo tentato di costruire: non erano durati nemmeno mezzo secondo.

 

***

 

Scesi dalla macchina e recuperai dal bagagliaio il borsone che avevo preparato la sera prima; Tom chiuse la portiera con un colpo sordo e io, innervosita dal fatto che fosse riuscito a convincermi a restare almeno un po’, chiusi gli occhi sospirando e portandomi la borsa sulla spalla.

Non badai a lui, che si guardava intorno come un bambino sperduto, e andai dritta verso l’entrata del centro sportivo, passando accanto ad un gruppo di ragazzi seduti sui loro motorini, che appena notai.

“Ehi, dolcezza! Non si usa più salutare?”

Mi girai e notai che Gunter mi salutava con la mano, con aria da sbruffone pallone gonfiato qual era, mentre i suoi compari se la ridacchiavano.

“Ciao”, borbottai.

“Che hai cucciola, sei triste? Vieni qui, ci pensa Gunter a consolarti!”

“Ne faccio volentieri a meno, grazie”, feci un sorrisetto.

Gunter, capelli biondo scuri in una cresta punk sulla testa e occhi nocciola-verdi, oltre che ad essere il fratello minore di Aaron, era stato anche il mio ragazzo qualche anno prima, ma io l’avevo fatta finire presto come mio solito. Lui però non sembrava essersi arreso e ogni volta che ci incontravamo ci provava, facendo il malizioso e tutto il resto, tanto da farmi venire il mal di stomaco.

“Ehi, tutto a posto?”, mi chiese Tom infilando la mano nella mia e guardando la banda di fronte a sé. Gunter fece un grugnito di disapprovazione, ma non disse niente. Il solito codardo.

“No, va tutto bene”, dissi, continuando per la mia strada.

“Chi erano?”, chiese Tom con una strana scintilla negli occhi.

“Non ti interessa.”

“Perché, te li sei fatti tutti?”, berciò, facendomi saltare i nervi e liberare con la forza dalla sua mano che stringeva ancora la mia. Mi allontanai più velocemente, lasciandolo indietro. Fu costretto a correre per raggiungermi.

“Ale, dai! Non te la prendere, stavo scherzando!”

“Sese”, biascicai entrando nella struttura della piscina e lasciando che la porta vetrata gli si chiudesse in faccia. Lui la aprì mantenendo la calma e mi affiancò quando stavo passando il tesserino per convalidare la mia presenza.

“Ora te ne vai?”, gli chiesi.

“Vuoi che me ne vada sul serio?”, mi guardò negli occhi. Io fui costretta a fuggirgli, deglutendo.

“Sì”, mormorai.

“Ok, va bene.”

Annuii sollevata e gli feci un piccolo sorriso: forse c’era qualche speranza che non mi innamorassi di lui, se non era già troppo tardi.

“Posso chiederti un piccolissimo favore, prima?”

“Sentiamo”, sospirai paziente.

“Me lo dai un bacio?”

Rimasi vagamente sorpresa alla richiesta, infatti mi si dischiusero le labbra e gli occhi si spalancarono.

“Dopo quello che hai detto prima, non te lo meriteresti”, dissi alzando il naso all’insù, facendo l’offesa.

“Dai, lo so che me lo vuoi dare…”, mi sussurrò sorridendo, stringendomi le braccia attorno ai fianchi e sfiorando il mio naso con il suo.

No, non voglio.

Sì, lo voglio.

No, non voglio.

Tom annullò la distanza e premette delicatamente le labbra sulle mie, poi si scostò.

“Tutto qui?”, chiesi. Lui sollevò le spalle e si sistemò la visiera del cappellino, regalandomi un ulteriore sorriso.

“Che ti aspettavi? Ci sentiamo”, mi salutò con un cenno del capo e uscì dalla struttura, lasciandomi frastornata.

E tutto questo, come lo devo interpretare?

 

***

 

Uscii dall’impianto e una ventata d’aria gelida mi punse il viso, facendomi rabbrividire. Il sole era già tramontato e mentre camminavo verso la macchina, non potei fare altro che pensare a Tom, a come si era comportato qualche ora prima, e ad Ale. Chissà com’era andata con Bill.

Con lei volevo e dovevo chiarire, almeno con lei. Lei era l’unica che potesse aiutarmi in quella situazione… E senza di lei mi sentivo semplicemente incompleta.

Gettai il borsone nel bagagliaio e feci il giro dell’auto a testa bassa, immersa nei miei pensieri, quando mi scontrai contro qualcosa… o qualcuno.

“Ehi, chi si rivede.”

Alzai la testa a quella voce presuntuosa e due occhi nocciola-verdi erano lì fermi, maliziosi, che aspettavano i miei.

“Gunter, ancora tu. Che cosa vuoi?”, chiesi stancamente, tentando di spostarlo dalla mia portiera, ma era impassibile.

“Sai che cosa voglio… te.”

“Per favore, smettila. Non stiamo più insieme, tu non mi interessi.”

“Sei solo una stronza, una lurida puttana”, mi sibilò in faccia.

“Sì, e anche se fosse? Lasciami passare.”

“Se no?”, sogghignò, guardandosi intorno.

Seguii la sua traiettoria e notai che non c’era nessuno in giro, sembrava fatto apposta, e i suoi compagni erano disposti più o meno a cerchio intorno alla mia auto, lontani, nascosti da altre auto e dagli alberi. Ero circondata.

Tornai a guardarlo in viso e notai il ghigno quasi perverso che si era impadronito delle sue labbra. Lì capii tutto, lì capii che se non mi fossi inventata qualcosa, sarebbe finita male. Con lui avevo fatto la stronza, e da stronzo si sarebbe vendicato.

“Che cosa vuoi fare?”, chiesi impaurita, arretrando di qualche passo.

“Niente, dolcezza, niente… Non ti farò del male, non ti preoccupare…”, disse a bassa voce, prendendomi per i fianchi e strattonandomi forte a lui, incastrandomi fra il suo corpo e il fianco dell’auto.

“No, ti prego, Gunter, no”, tentai di calmarlo, passandogli le mani sulle guance.

“Cosa no? Sì…”, mormorò baciandomi il collo mentre io tentavo in ogni modo di dimenarmi, ma invano: ero bloccata. Mi misi ad urlare, ricevendo solo un forte schiaffo sulla guancia.

“Stai zitta, stai zitta, puttana.”

“No, ti prego, lasciami stare!”, gridai con tutte le mie forze, scalciando e tirando pugni a caso.

“Stai ferma, stronza!”, mi fece picchiare il fianco contro lo specchietto, che si ruppe.

Mi scappò un urlo di dolore e caddi a terra, poi sentii Gunter gridare contro qualcun altro che si era scagliato addosso a lui e i suoi amici lo raggiungevano per aiutarlo.

Riuscii a distinguere, tra il grande bordello che stava venendo fuori, Tom, che si picchiava con Gunter. Mi faceva male il fianco, ma per fortuna non perdevo sangue né niente: era solo la botta.

“Brutto figlio di quella santissima troia, non ti azzardare mai più a toccarla, ok?!”, gridò Tom dandogli un pugno sull’occhio, al quale i suoi compagni risposero iniziando a colpirlo nello stomaco. Erano sette contro uno, cazzo! E io non potevo fare un bel niente.

Se ne aggiunse un ottavo, dai capelli scuri e mossi, la carnagione scura e gli occhi neri: Aaron, l’avrei riconosciuto fra un milione. Ma non difese il fratello, bensì aiutò Tom a scrollarsi di dosso quei nanerottoli.

“Fermatevi tutti!”, gridò con voce potente, mettendo magicamente fine a quella rissa: Gunter e compagni da una parte, Tom dall’altra e io e Aaron in mezzo, che ci guardavamo storditi.

“Tu, fila a casa, questa non la passi liscia”, disse severo al fratello minore, puntandogli il dito contro. “Non devi nemmeno più pensare a lei, chiaro?” Quello sì che mi sorprese: che mi avesse scambiato per Ale? No, impossibile. “Voi, pure voi, a casa. O vi sputtano davanti a tutti i vostri genitori.”

Gunter guardò astioso il fratello, passandosi una manica sul labbro sanguinante, e senza aggiungere altro salì in sella al suo motorino e schizzò via assieme ai suoi compari, spaventati fino alla morte dalle minacce di Aaron.

Accantonai per un attimo l’astio per lui, per tutto quello che aveva fatto passare a mia sorella, e pensai che senza di lui sia io che Tom saremmo stati letteralmente fregati.

“Ehi, tutto bene?”, mi chiese dolce Tom, passandomi una mano sulla guancia arrossata a causa dello schiaffo di Gunter.

“No, no che non va tutto bene”, mormorai nascondendo il viso nel suo petto, stringendolo forte mentre calde lacrime di puro spavento mi rigavano il viso.

Anche Aaron si avvicinò e sentii la sua grande mano accarezzarmi la testa, mentre si presentava a Tom, senza dire che era stato l’ex storico di mia sorella eccetera, solo: “Io sono Aaron”.

“Mi dispiace per quello che è successo”, continuò, mentre Tom mi prendeva fra le braccia e mi coricava sul sedile del passeggero.

“Anche a me. Ma vedi di tenere d’occhio tuo fratello, perché se lo becco ancora che le ronza intorno io non so che fine potrebbe fare.”

“Sicuro, non accadrà più.” Aaron si affacciò al finestrino e mi rivolse un timido saluto, che appena sentii a causa dello stato di shock in cui ero, poi Tom partì nel buio della sera, stringendomi forte la mano per calmare i miei singhiozzi asciutti.

“Ale, ci sono io qui, è tutto finito…”

“No, non è finito! E se dovesse accadere di nuovo?! E se Gunter…”, scoppiai di nuovo a piangere, la gola mi faceva male, mi bruciava a respirare.

“Shhhh, piccola…”, mi fece appoggiare al suo petto, io soffocai i singhiozzi nella sua felpa e strinsi i pugni.

“Perché sei rimasto qui, Tom?”, chiesi sottovoce, fra i fremiti.

“Non ci pensare adesso, non è quello che conta. Ti sei fatta male?” Si fermò di fronte alla nostra villetta e si girò meglio verso di me. Io mi nascosi ancora di più dentro di lui, stringendolo forte, e lui ricambiò la stretta.

“Piccola, stai vibrando…”

“È il cellulare”, singhiozzai. “Non voglio rispondere, voglio solo stare qui con te…”

“Ok, va bene”, mi baciò fra i capelli e dopo un po’ mi costrinse ad uscire e ad entrare in casa, mi fece stendere sul divano e lo vidi appena sollevarsi dal mio corpo tremante, attanagliato al suo, per prendere il cellulare.

“Bill, ciao. Sì, è successo un po’ un casino. Una specie di rissa… Ary è lì con te? Venite subito qui, muovetevi.” Chiuse la chiamata e mi strinse forte a sé, respirando sul mio collo.

“Grazie Tom…”, sussurrai.

“E di che cosa? Nessuno può farti del male… E solo io posso chiamarti stronza”, tentò di alleggerire l’atmosfera, e ci riuscii perché mi nacque un sorriso fra le lacrime.

Mi diede un piccolissimo bacio sulle labbra e poi nascosi il viso nell’incavo della sua spalla, nel buio della casa.

___________________________________

Buonasera gente! xD
Siamo tornate e dai, questa volta siamo state puntuali u.u
Ebbene, abbiamo capito che cosa è successo ad Ary e cosa quindi è successo ad Ale, che ha sentito che era successo qualcosa. Cose gemellari sìsì u.u xD E' entrato in scena un nuovo non troppo nuovo (è già stato citato ;D): Aaron. E adesso che accadrà? Bah xD
Speriamo con tutto il nostro cuoricino che vi sia piaciuto *o*

iLARose
: Ciao! Eh sì, Ale non la dà al vento come sua sorella, anche se il vento sono Bill e Tom Kaulitz *Q* xDD E' una ragazza seria dai e poi c'è la questione dello scambio d'identità che punge... u.u
Che cos'è successo ad Ary, eh u.u (Ah, ARy è con la "R" xD) Poverina, non se lo meritava, anche se non si comportata benissimo nemmeno lei... Non voglio dire troppo xD
Grazie davvero :D Alla prossima, un bacio!

_t_o_k_i_e_t_t_a_
: Speri che i gemelli scoprano la verità? Strano, sei la prima che lo dice così apertamente xD Non so, chissà che reazione potrebbero avere xD Ma comunque non è ancora successo u.u Ma i guai non mancano! :)
Grazie mille, alla prossima!

Charls__
: Siamo state proprio graziate, allora! o.o xD Dai ma noi siamo due ragazzuole così carine e simpatiche, non puoi volerci davvero male *.* xD
Eh, Ale povera santa e Ary povera... u.u xD Hai visto che le è successo? ç_ç Menomale che c'era Tomi <3
Grazie mille! Baci :3

Tokietta86
: Ciao cara! *u* Grazie infinite come al solito *si inchina* :D
Esatto, credo che la pugnalata sia l'espressione giusta, povera Ale D: Però Bill è davvero un signore e ha capito, anche se non ha capito proprio un fico xD Mah non so, nessun può sapere che cosa accadrà quando i gemelli scopriranno di questo inganno u_u (Io lo so, pappappero xP ahahahahah xDD)
Eh eh, stavolta la tua sfera magica a ciccato, yeeeeee! *esulta ballando e cantando* xD Anche se sicuramente sarebbe stato meglio per lei che accadessero una delle cose che tu hai "previsto" D:
Speriamo che l'attesa sia stata ricompensata! :D
Grazie, grazie, grazie! *-* Un abbraccione, alla prossima!

Ringraziamo anche chi ha semplicemente letto e chi ha messo questa storia fra le preferite e le seguite.
E' importante per noi, questa la riteniamo la nostra migliore creazione (finora u.u ... xD)!
Grazie davvero di cuore *_______*
Ciao!
Ale&Ary

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Capitolo 12
*** Un salto nel passato ***


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Capitolo 13
*** Solo sua (Purtroppo?) ***


Capitolo 13: Solo sua ( Purtroppo? )

 

Sentii la porta aprirsi e per l’ennesima volta sollevai con spavento la testa dal cuscino, Tom mi passò una mano sulla testa ridacchiando, spingendomi di nuovo giù, dicendomi che era solo Ale. Cioè… che era solo Ary.

La guardai osservarci per un attimo in silenzio, lo sguardo vacuo, persa in altri pensieri, forse in altri ricordi. Qualunque cosa avesse, c’entrava Aaron; ne ero più che sicura.
Si soffermò su Bill e poi marciò verso la cucina, dove si chiuse come aveva fatto Davide poco prima, sbattendosi la porta alle spalle.

Bill si alzò dalla poltrona e provò a raggiungerla, ma io lo fermai per il polso e lo feci quasi sedere in braccio a Tom, che lo spostò dalla sua traiettoria.

“Che c’è?”, mi chiese Bill, quasi arrabbiato.

“Lasciala stare, ora.”

“Ma… ma…”, balbettò.

“Fidati di me, è meglio se la lasci stare.”

“Ok”, sospirò arrendevole, chiudendo gli occhi.

Sentii la macchina di mamma parcheggiare all’interno del vialetto e sgranai gli occhi, ricordandomi che non sapeva nulla di Bill e Tom e che se mi avesse salutata con il mio vero nome sarebbe stato un vero casino.

“Dovete andarvene via da qui!”, gridai alzandomi di scatto, provocandomi una fitta al fianco.

“Che cosa? Perché?”, chiese Bill confuso, mentre lo spingevo assieme a Tom verso l’uscita sul retro, passando per la veranda.

“I nostri genitori sono piuttosto… apprensivi con noi e non sanno di voi. Quindi è meglio se ve ne andate, e subito!”, continuai.

Bill sbuffò infastidito, biascicando di salutargli mia sorella, e Tom mi prese per le mani e si girò verso di me. Stavo tremando, lì fuori faceva un freddo cane e non avevo nemmeno il giubbino addosso. Mi abbracciò delicatamente e affondai il viso nella sua spalla, stringendogli forte i pugni sulla schiena.

“Grazie… di tutto, Tom”, sussurrai.

“Dovevo, piccola. Tu sei solo mia”, mi sussurrò all’orecchio, facendomi arrossire come un peperone. Mi sorrise sistemandomi un ciuffo dietro l’orecchio e mi baciò sulle labbra, prima di raggiungere il vialetto e di chiudersi il cancelletto, ricoperto da rete verde, alle spalle.

Rimasi lì imbambolata a guardare quel cancelletto chiuso per diversi minuti, non sentendo minimamente il freddo che mi entrava nelle ossa, rossa in viso, pensando e ripensando a quelle parole.

Io sono solo sua…
Io sono solo sua…
Io sono solo sua…
Io sono solo sua.

“Io sono solo sua!”, gridai, alzando le braccia al cielo buio, con una voglia matta di ballare, di cantare e di ridere fino a farmi venir male alla pancia dalla felicità.
Perché ero così felice? Non me lo chiesi nemmeno, troppo immersa nella gioia del momento.

“Di chi sei tu, tesoro?”, chiese mamma sbigottita, comparendo dietro di me.

“Di… di nessuno!”, gridai muovendo le mani di fronte al petto, arrossendo di nuovo.

“Uhm, ok”, sollevò le spalle, sorridendomi. “Ora però entra dentro, sei anche senza giubbino! Prima che ti prendi qualcosa.”

“Ok mamma.”

La seguii all’interno e vidi che Ale e Davide stavano parlando, preparando la cena, e c’era già un buon odorino, anche se sentivo lo stomaco in subbuglio e la fame pari a zero. Erano successe troppe cose quel giorno, dovevo riassemblare tutti i pezzi e fare ordine, ma non prima di una bella dormita.

Mi avvicinai ad Ale e le misi le mani fredde intorno all’orecchio destro: “Ti saluta Bill”, le sussurrai. Vidi un debole sorriso comparire sulle sue labbra e mi convinsi che doveva essere successo qualcosa con Aaron. “Dopo mi spieghi?” Annuì con la testa, donandomi un sorriso un po’ più dolce.

“Allora ragazze, com’è andata la giornata?”, chiese mamma, mentre preparava la tavola.

“Ahm… bene”, rispose Ale; io abbassai lo sguardo, sentendomi girare la testa.

“È successo qualcosa, tesoro?”, mamma mi guardò preoccupata.

“No, no… Solo che sono stanca”, annuii, beccandomi un’occhiataccia da Dave, che però non era già più arrabbiato con me, glielo leggevo in faccia: non riusciva a fare l’arrabbiato con nessuna delle due. “Sì, penso che… che andrò a dormire”, continuai, uscendo dalla cucina con una mano sulla fronte e salendo le scale.

Mi stavo infilando il pigiama, quando Ale mi raggiunse in camera e mi sorrise, mettendosi sotto le coperte del suo letto e invitandomi a raggiungerla. Sorrisi di rimando e mi accucciai al suo fianco, sentendomi al sicuro da ogni pericolo e completa. Era una sensazione, quella, che avevo ogni qualvolta le stessi accanto. Era magico.

“Che è successo con Aaron?”, chiesi dopo un po’, al caldo.

“Mi ha dato i soldi per riparare lo specchietto.”

“E basta?”

“No… Mi ha chiesto se qualche volta possiamo vederci. E mi ha detto che… che mi ama…”

“Oh Ale… Non dovevi andare, non me ne frega niente dei soldi… Non dovevi andare”, la abbracciai, lasciando che si rifugiasse con il viso nel mio petto, nascondendo le lacrime che le graffiavano le guance.

Le posai un bacio fra i capelli, inspirando tutto il loro profumo. Mi sentivo così bene fra le sue braccia, mi sentivo così male sentendola così sofferente per un ricordo del passato. Ed era tutta colpa mia, o almeno la buona parte.
“Mi dispiace per tutto quello che ho combinato, Ale. È colpa mia se ora stai così. Ed è colpa mia se siamo in questa situazione di scambi d’identità con Bill e Tom. Una situazione di merda.”

“Di pupù”, ridacchiò.

“Ok, come vuoi tu”, sorrisi. “E mi dispiace anche per come mi sto comportando con te in questo periodo… Si vede che qualcosa sta cambiando dentro me, ma non so nemmeno io cosa. Tom mi fa pensare cose strane.”

“Del tipo?”, tirò su col naso, guardandomi negli occhi.

“Non so, mi fa sembrare possibile che io possa stare dietro ad una persona per tanto tempo e non solo per… sesso.”

“Oddio, questo sì che è strano!”, ridacchiò.

“Lo so, e mi preoccupa”, sospirai. “Ora ho veramente tanto sonno, ho la testa che mi scoppia.”

“Dormi allora, io sarò qui al tuo risveglio.”

“Sì, e queste battute copiate da New Moon?”

Ridemmo piano insieme, in simbiosi come non lo eravamo state per troppo tempo, e dopo un po’, cullata dal suo abbraccio, mi addormentai.

 

***

 

La lezione di matematica non stimolava molto la mia attenzione, così avevo preso il mio iPod e badando a non farmi scoprire dal prof Schulz, mi ero messa ad ascoltare la musica, la testa nascosta fra le braccia sul banco.

 

So many people I’ve annoyed
I have to find a middle way, a better way of giving
So I haven’t given up
But all my choices, my good luck
Appeared to go and get me stuck in an open prison
Now I am trying to break free
Be in an state of empathy
Find the true and inner me
Eradicate the schism

No-one can take it away from me
And no-one can tear it apart
Because a heart that hurts is a heart that works

 

[Ho infastidito così tanta gente
Ho dovuto trovare una via di mezzo, un modo migliore per dare
Così non ho ceduto
Ma tutte le mie scelte, la mia buona sorte
Sono apparse per andare e lasciarmi inguaiato in una prigione aperta
Ora sto provando a liberarmi
Ad essere in uno stato di vuoto
A sradicare lo scisma

 Nessuno può portarlo via da me
E nessuno può strapparlo in disparte
Perché un cuore che ferisce è un cuore che lavora]

 

I giorni passavano lentamente, e più si andava avanti con quella messa in scena e più tutto mi sembrava ridicolo, stupido e difficile.

Gunter si era persino scusato, il giorno dopo il fatto, e io lo avevo perdonato seduta stante, anche perché fare l’arrabbiata con lui non sarebbe servito a niente.

L’Ary stronza, senza cuore con le persone a cui non teneva davvero, quella che pensava che dopotutto amare non sarebbe servito a niente, che era una perdita di tempo, un rischio inutile da correre, e che credeva fermamente che Brian Molko avesse ragione a dire, in quella canzone, che “Un cuore che ferisce è un cuore che lavora”, non la riconoscevo più. Stava scomparendo, dando spazio ad una Ary più semplice, con i piedi per terra e più sensibile a ciò che le accadeva intorno.
E quei cambiamenti un po’ mi facevano piacere, un po’ mi inquietavano perché mostrando le proprie debolezze in giro si rischiava di essere bersagli facili. Perché quando si offriva il proprio cuore, avevo imparato osservando mia sorella, si rischiava di riaverlo indietro messo maluccio.
Non ero ancora sicura di voler provare quel rischio, non ero ancora sicura di niente, nemmeno di quello che provavo io in quel momento.

“Cos’è, t’è tornata la Placebo-mania?”, ridacchiò Ale, sfilandosi la cuffia che mi aveva rubato dall’orecchio e lasciandomela in mano.

“Sì, in effetti sono diversi giorni che ascolto solo loro.”

“Non so come fai, io non capisco nulla dei loro testi.”

“Io invece ci vivo, nei loro testi. A volte sembrano che mi leggano dentro”, sospirai.

“Devi giocare a fare l’investigatore per capire che messaggio si cela dietro una canzone!”

“Se no che senso ha?”, sorrisi. “Ascoltare una canzone deve farti ragionare, secondo me. Se non ti porta a ragionare, non è una canzone degna di essere ascoltata.”

“Adesso mi diventi pure filosofa”, borbottò, quando la campanella decretò la fine di quella lunghissima giornata di lezione.
“Ah, non so se te l’ho detto, ma oggi Bill viene a pranzo da noi”, mi disse salendo in macchina, accanto a me. “È per questo che non è venuto a prendermi.”

“Oh, capisco. Grazie per avermi avvisata in anticipo.”

“Beh, a dirla tutta te l’ho detto in anticipo: te l’ho detto ora!”

“Grazie tante davvero.”

“E Tom?”, mi chiese.

“E io cosa vuoi che ne sappia?”, sbottai infastidita.
Pensare a lui mi infastidiva, mi infastidiva anche solo sentir pronunciare il suo nome, perché da quella sera non si era più fatto vivo e io non avevo la minima intenzione di cercarlo solo perché… sì, perché mi mancava. Io dovevo dimostrare ancora un briciolo di dignità, dovevo dimostrargli che non avevo bisogno di lui. Quando in realtà… beh, non era proprio così.

“Non vi sentite, scusa?”, chiese sorpresa, spalancando gli occhi.

“Perché dovremmo?”, sollevai le spalle, finta indifferente.

Lei ovviamente se n’era accorta che sotto quell’atteggiamento da dura c’era la sua piccola sorellina che si sentiva mancare l’ossigeno nei polmoni senza sentirlo, toccarlo, respirarlo; ma non disse niente, corrugò solo la fronte, borbottando qualcosa di incomprensibile.

Arrivammo di fronte a casa e vedemmo che appoggiato al cofano della sua auto c’era già Bill, perfetto e sorridente, che ci salutava con la mano.

“È in anticipo! Che bello!”, esultò Ale emozionata, scendendo dall’auto e donandogli un caloroso abbraccio.

Io scesi con calma, sospirando, e con un sorriso amaro sul viso constatai che Tom non era con lui: figurarsi se veniva a pranzare da me! Magari se gli avessi detto che si pranzava sul letto sarebbe venuto, chissà. 
Scossi la testa scrollandomi di dosso tutta la rabbia, la frustrazione e anche un po’ di tristezza, e sorrisi a Bill, baciandolo sulla guancia.

“Ciao Bill! Come va?”

“Ciao Ale! Bene, bene! Tu? Come va il fianco?”

“Bene, sta passando. Per il resto tutto bene, grazie.” 
Guardai Bill e Ale scambiarsi uno sguardo dolce e una fitta al petto mi travolse, perché io tutto quello non l’avevo e chissà se mai l’avrei avuto. 
“Io… io inizio ad andare dentro, ho bisogno di nicotina”, dissi appena, facendo un gesto con la mano e avviandomi a passo spedito all’interno. Mi chiusi la porta alle spalle e sospirai, poi salii le scale due a due.

Avevo fumato l’ultima sigaretta all’intervallo e mi ero dimenticata di comprare il pacchetto nuovo, per fortuna ne tenevo uno di scorta nel cassetto del mio comodino, se no non avrei mai retto le ore successive assieme a Bill e Ale che sembravano già una coppia di fatto. E io la povera sfigata senza ragazzo.

Mi immaginai fra qualche anno e mi rividi come la zitella della famiglia, con Bill e Ale sposati e con dei marmocchi intorno e Tom pure, magari con una modella tutte curve sicuramente migliore di me, che saltava pure i cerchi di fuoco a letto.
Rabbrividii a quelle immagini, convincendomi che era proprio di nicotina che avevo bisogno. 

Presi una sigaretta dal pacchetto, recuperai l’accendino nella tasca dei jeans e prima di uscire mi fermai di fronte all’acquarietto aperto dove stavano le nostre due tartarughine d’acqua a cui avevamo dato i nostri nomi: Ale e Ary. Solo che erano così simili che me le confondevo sempre. Un po’ come noi, uguali ma diverse.

Sospirai e gli diedi un po’ di cibo, velocemente loro nuotarono verso di esso, muovendo le zampette e grattando il vetro con gli artigli affilati, avvicinandosi al mio dito. Sorrisi e poi lo allontanai; le guardai come incantata mangiare e poi andare ognuna sulla propria roccia, ferme immobili.

Anche io avevo fatto come loro: mi ero mossa velocemente per raggiungere ciò che volevo, poi avevo trovato un appoggio stabile e mi ci ero fermata, avevo trovato la mia roccia, senza la quale ora non sapevo come avrei fatto. Probabilmente sarei stata sbattuta da qualche parte, sarei affogata, perché avevo dimenticato come si faceva a nuotare senza di lui…

Scossi per l’ennesima volta il capo e scesi le scale galoppando, sentii Bill e Ale ridere in cucina e li superai senza guardarli, mi avrebbe fatto solo male; andai dritta in veranda e nemmeno il tempo di portarmi la sigaretta alle labbra che qualcuno mi prese il braccio e mi attirò a sé, in un bacio che mi levò il respiro.

“Tom!”, gridai appena riuscii a staccarmi dalle sue labbra, gettandogli le braccia al collo.

“Buongiorno, piccola”, mi illuminò la giornata con un solo stupendo sorriso.

“Che ci fai qui? Credevo non fossi venuto!”

“In realtà sono venuto e mi sono nascosto qui, volevo farti una sorpresa.”

“Sono così contenta di vederti”, sospirai appoggiando il viso alla sua spalla e sorridendo.

“Davvero?”

“Certo.” Respirai il suo profumo e poi lo attirai in un altro bacio: della nicotina potevo farne a meno, se avevo la mia droga preferita a disposizione.

Gli posai le mani sul collo e sentii che aveva addosso una delle sue sciarpe, così corrugando la fronte le feci scivolare all’interno, a contatto con la sua pelle calda, e lui improvvisamente mi prese le mani, allontanandomi, ma feci in tempo a vedere il succhiotto che aveva sotto l’orecchio destro, che mi mandò letteralmente in bestia dentro.

“Ok, va bene”, mormorai, staccandomi con la forza e andando a sedermi sul mio gradino, accendendomi rapidamente la sigaretta e respirando a pieni polmoni il fumo per i primi due tiri. Mi sentii subito più rilassata, ma la mia coscienza non faceva altro che ricordarmi il perché non si fosse fatto più sentire dopo quella sera: era impegnato con le altre!
Ma che pretendevo? Noi due non stavamo insieme, il nostro era solo un rapporto di sesso. Era un divertimento reciproco e basta. Perché mi arrabbiavo tanto?

“Ale, ti sei arrabbiata?”, mi chiese come un bambino piccolo pentito, sedendosi al mio fianco. Io sollevai le spalle, indifferente, lasciando che il fumo si disperdesse nell’aria.

“Perché dovrei? Tanto è solo sesso, fra noi, no?”

“No”, rispose subito, prendendomi per mano.

“No cosa, Tom?!”, gridai, ritraendola di scatto. La sua espressione, da quasi pentito, passò velocemente ad incazzata e mi rispose per le rime, come mi meritavo infondo.

“Che cosa vuoi, insomma?! Noi non stiamo insieme, l’hai detto tu adesso! È solo sesso! Non sei mia madre e nessun altro, non puoi dirmi quello che devo o non devo fare!”

“Giusto, hai ragione. Proprio ragione”, annuii, guardando di fronte a me, seria più che mai.

Lo sentii sospirare pesantemente, trattenendo qualche insulto, e mi prese il mento fra le dita, voltandomi verso di lui e facendo incastrare i nostri sguardi.
“Le altre non sono niente, in confronto a te, credevo l’avessi capito ormai.”

“Me l’hai mai detto?”

“Te lo sto dicendo ora. E credimi, se te lo dico un motivo ci sarà.” 

Annuii appena, scettica, e lasciai che le nostre labbra si unissero in un nuovo bacio, anche se scottava.
Che soddisfazione, sono la sua “preferita” fra chissà quante altre…

Mi staccai con un grande nodo in gola e gli accarezzai la guancia, poi spensi la cicca nel portacenere e mi alzai:
“Ho fame, andiamo a mangiare, dai.” E senza aspettarlo entrai in casa, mi misi seduta al tavolo e sorrisi a Bill e Ale, seduti di fronte a me.

“Successo qualcosa?”, mi chiese Bill, lo sguardo di traverso.

“Assolutamente niente”, sorrisi, mentre Tom si sedeva al mio fianco con un’espressione indecifrabile sul volto. “Che si mangia di buono?”

 

Because a heart that hurts is a heart that works

 

____________________________

 

Buoooonasera gente :)
Questo capitolo non è niente male, no? ;) Succedono un sacco di cose, soprattutto fra Ary e Tom. Certo che con quei due non si capisce mai niente u.u Un giorno Tom dice che è solo sua, il giorno dopo si fa trovare con un succhiotto… insomma, decides! xD
Ale e Bill, invece… ah, lasciamo perdere, mi fanno venire sempre il diabete u.u (Sono così teneri e coccolosiiiii *.*) xD
Ah, la canzone che ho scelto di usare in questo capitolo è “Bright lights”, dei Placebo. Amo questa canzone <3 (E la traduzione l’ho fatta io, come in tutte le altre che ho inserito negli altri capitoli xDD)
Speriamo caldamente che questo capitolo vi sia piaciuto *w*

Ringraziamo di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:

_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Ciao! No, Davide non ha usato il nome vero con i gemelli, almeno non mi pare ò.ò xD Comunque sì, povera Ale, ma guarda chi ha accanto ora… se fossi in lei mi cancellerei proprio dalla memoria Aaron xD
Comunque siamo in due a postare, quindi ci farebbe piacere che dicessi “postate” xD Grazie mille *.* Alla prossima!

Charls__ : Ciao! xD Oh sì, anche noi ti amiamo *___* e ti ringraziamo di cuore per tutti i bei aggettivi che hai usato *O* Guarda che io e Ale lo aspettiamo davvero il frutteto eh u.u xD
Grazie davvero *w* Alla prossima, un bacio!

iLARose : Ciao! :) Sì, Aaron è scritto giusto xD Ci fa piacere che tu ti stia ritrovando in Ale, è bello quando succede, vuol dire che siamo brave *.* Boh, chissà… Aaron o Bill? xD Staremo a vedere!
Tra Ary e Tom invece è più semplice, devono solo scegliersi a vicenda, ma visto che il quoziente intellettivo di entrambi sommato non raggiunge un livello nella norma, è molto più complicato xD
Un bacio, alla prossima! :D

Tokietta86 : Ciao carissima! *-* Ale e Ary hanno chiarito, per forza :D Davide si è arrabbiato, ma ci voleva… che sia la volta buona che Ary apra gli occhi sui suoi comportamenti non proprio corretti nei confronti dei sentimenti altrui u.u Ma fra loro non c’è nemmeno bisogno di chiarimenti, è il suo fratellone :) Si era solo preoccupato infondo u.u
Tom versione infermiera con reggicalze e tacchi a spillo… uhm sì xD Nelle FF scopriamo sempre dei suoi lati nascosti u.u xDD
Gunter è stato stupido, davvero. Ma Ary, stranamente, lo ha perdonato subito, anche se si è spaventata un sacco. Per quanto riguarda Ale… eh, chissà u.u Bill o Aaron? Beh forse in questo capitolo si è già capito qualcosa xD Bill è il favorito, yeaaah *w* xDD
Grazie mille, di cuore <3 Alla prossima, un abbraccio enorme! *.*

Ringraziamo anche chi ha letto soltanto! :D
A presto!

Ale&Ary

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Capitolo 14
*** Tranquillità apparente ***


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Capitolo 15
*** Il momento di chiudere il sipario ***


Capitolo 15: Il momento di chiudere il sipario

 

Guardando il soffitto bianco della mia camera, pensavo e ripensavo alla sera precedente.

Prima di tutto, uscita dal centro sportivo, avevo trovato Tom nel parcheggio ad aspettarmi. Nessuna battutina, nessun sorrisetto malizioso. E, strano ma vero, mi aveva fatto piacere.
Poi c’era stata quella cena: era stato diverso, avevo visto Tom da un’altra prospettiva. E quando mi aveva presa per mano… Non avevo mai fatto caso a quanto fosse bello un gesto come quello prima d’allora. Forse perché era bello solo se c’entrava Tom.

Mi rigirai nel letto con le cuffie dell’iPod nelle orecchie e sorrisi stiracchiandomi, poi sospirai stancamente, pensando che se quella sera ero stata felice, era stata solo un’illusione perché non avevamo ancora risolto il problema che da quasi un mese avvolgeva tutti e quattro: i nostri nomi.

Saltai giù dal letto e scesi le scale velocemente, trovando Ale seduta sul divano a guardare un po’ di televisione, scanalando annoiata.

“Ehi Ale”, la salutai. “Parliamo un po’?”

“Wow, e tu chi sei, che ne hai fatto di Ary?”, ridacchiò; io le lanciai un cuscino in testa, per poi portarmelo al petto. “Io vorrei sapere una cosa, a proposito di ieri sera.”

“Che cosa?”

“Mi ha… sorpreso il tuo comportamento, sai? Sembravi… diversa. Penso tu stia cambiando, per Tom, anche se lui non te l’ha chiesto esplicitamente e nemmeno se lo aspetta.”

“Io… io non… Davvero?”, corrugai la fronte; lei annuì sorridendo. “Credi che… che provi qualcosa per me, lui?”, abbassai lo sguardo, arrossendo. Lo sollevai solo quando non sentii una risposta dopo due minuti di silenzio. La vidi pensierosa, le labbra arricciate. “Ale?”

“Ti sta solo usando. Chissà con quante altre va quando non vi vedete”, lanciò la bomba ferma, guardandomi negli occhi.

Sentivo che non lo pensava sul serio, sentivo che c’era qualcosa sotto, che quelle parole erano state pronunciate con il preciso scopo di scuotermi un po’. Ma mi fecero soffrire comunque.
Alle cuffie del mio iPod passò, come se fosse fatto apposta, una canzone che mi fece sprofondare ancora di più delle parole di Ale.

 

Well, hey, hey baby, it's never too late,
pretty soon you won't remember a thing
and I'll be distant, the stars reminiscing
your heart's been wasted on me

You've never been so used as I'm using you, abusing you
My little decoy
Don't look so blue, you should've seen right through
I'm using you, my little decoy
My little decoy

[Beh, hey, hey piccola, non è mai troppo tardi,
presto non ti ricorderai più niente
e io sarò distante, una stella abbandonata ai ricordi
di come il tuo cuore è stato sprecato con me

Non sei mai stata così usata come ti sto usando io, abusando di te
 Mia piccola esca

Non essere così triste, avresti dovuto capirlo
che ti sto usando, mia piccola esca
Mia piccola esca]

Quelle parole mi ferirono con violenza, senza pietà mi dilaniarono il cuore, e fui costretta ad abbassare lo sguardo. Avevo una voglia matta di piangere, ma io non piangevo, perché io non piangevo mai…
Una lacrima mi scivolò sulla guancia e mi scappò un singhiozzo che mi portò immediatamente a coprire la bocca con le mani, sollevando lo sguardo su Ale che aveva annuito debolmente come se avesse capito tutto quanto.

“Ary… Non piangere…”

“Tutto quello che hai detto è vero”, mormorai. “Hai perfettamente ragione su tutto. Ma non riesco a dirgli di no perché… perché io…”

“Ti sei innamorata di Tom.”

“Non lo so… Non voglio innamorarmi, Ale!”, strepitai gettandole le braccia al collo e soffocando i singhiozzi sul suo collo. “Non voglio, non voglio, non voglio!”

“Ary, calmati! Io non…”

“Voglio mettere fine a tutto questo, per quanto male possa farmi! Sono stufa, sono stufa marcia di essere la sua troietta, sono stufa di essere una tra chissà quante, sono stufa del fatto che mi chiami con il tuo nome!”

“A proposito di questa ultima cosa, sai che te l’ho sempre detto io”, mi guardò severa, allontanandomi da lei.

“Scusami Ale, lo so, ho sbagliato tutto, ma devi aiutarmi!”, gridai, cercando di non sentire la canzone che invadeva ancora i miei timpani. Mi guardò profondamente negli occhi e poi si girò verso la porta, doveva essere suonato il campanello.

“Ora devo andare”, mi disse passandomi una mano sulla spalla.

Io, ad occhi sgranati, rimasi ferma lì, dandole le spalle e senza salutarla quando la sentii uscire dalla porta con Bill. Anche lui mi aveva salutato, ma non ci avevo fatto proprio caso.
Sentii due grandi mani scivolare sul mio bacino e mi girai di scatto, spaventata, trovandomi di fronte il viso di Tom, che sorrideva con quella scintilla che conoscevo bene negli occhi.

“T-Tom… Che ci fai qui?”, balbettai.

“Sono venuto a salutarti, ti dispiace?”, mi sussurrò all’orecchio libero dall’auricolare che era scivolato via, prima di lasciarmi una scia di baci sul collo e sulla mandibola, prendendomi in braccio e portandomi al piano superiore.

Perché mamma e papà erano a cena fuori? Perché Davide era uscito con Marika? Perché Ale era uscita con Bill e aveva permesso a Tom di entrare? Credeva che mi sarei ribellata? O almeno lo sperava? Come si sbagliava… Non ne sarei mai stata in grado.

Come un peso morto mi lasciai gettare sul letto, guardai il soffitto fin troppo bianco e mi lasciai spogliare velocemente, senza obbiettare.
Come avrei voluto gridare “No!”, come avrei voluto. Se solo ne fossi stata capace…

“Ehi piccola, c’è qualcosa che non va?”, sussurrò passandomi le mani fra i capelli, baciandomi avidamente le labbra.

“Assolutamente niente”, mormorai atona.

“Sei sicura?”

“Sì, ti ho detto di sì.”

“Ok”, Tom annuì, anche se non aveva più quella scintilla negli occhi. 
“Mi sei mancata”, mi sussurrò e iniziò a spingere dentro di me, ansimando; io inarcai appena la schiena, mordendomi le labbra, trattenendo quelle lacrime che non avrebbero fatto altro che tagliarmi in pezzettini ancora più piccoli ed insignificanti il cuore.

 

I'm not sorry at all
Oh, no (Not sorry, oh, not sorry) No
I won't be sorry at all
Oh, no (Not sorry, oh, not sorry) No
I'd do it over again

Don't look so blue, my little decoy
You should've seen right through, my little decoy
You've never been so used, my little decoy
As I'm using you, my little decoy

 

[Non sono per niente dispiaciuto
Oh, no (Per niente dispiaciuto, oh,  per niente dispiaciuto) No
Non sarò dispiaciuto
Oh, no (Per niente dispiaciuto, oh, per niente dispiaciuto) No
Lo rifarei di nuovo

Non essere così triste, mia piccola esca
Avresti dovuto capirlo, mia piccola esca
Non sei mai stata così usata, mia piccola esca
Ti sto usando, mia piccola esca]

 

***

 

“Dai, vado a casa a cambiarmi e…”

“No, ora non andare”, lo ristesi sul letto, guardandolo implorante, come se riuscisse a leggere i miei pensieri.
Ti ho dato quello che volevi, ora dammi tu quello che voglio io. E io voglio solo che tu stia qui, che tu mi dia l’impressione di essere un minimo importante per te…

“Ma devo, Ale.”

“No, non devi, se non vuoi…”, gli accarezzai sensualmente l’interno coscia con il ginocchio. Ero disposta a tutto, anche a vendermi, pur di farlo restare ancora un po’: avevo troppo bisogno di lui.

“Tu sì che sai come prendermi…”, sospirò leggermente, sorridendo.

“La devo prendere come una dichiarazione di amore profondo ed infinito?”, riuscii persino a scherzare.

“Oh sì… Ti sposerei ora, su due piedi…”, sussurrò girandomi sotto di lui con un sorriso furbetto che conoscevo bene ormai e che, nonostante tutto, mi faceva impazzire – in male e in bene.

“Questo mi onora…”, soffiai prima di gettare la testa all’indietro, permettendogli così di mordermi sul collo lasciandomi tracce rosse al suo passaggio.

Gli circondai il bacino con le gambe e gli graffiai la schiena con le unghie, stringendolo a me: non ne avevo mai abbastanza di lui, com’era possibile? Era peggio di una droga. E anche se mi faceva male averlo solo in quel modo, ne avevo comunque troppo bisogno per farne a meno, che io lo volessi oppure no.

“E diresti di sì…”, mi sussurrò all’orecchio: il suo respiro caldo ed eccitato mi fece sussultare. “Ale?”

Una morsa allo stomaco mi impedì di respirare per qualche secondo, pensando che: uno, mi aveva chiesto se, se lui mi avesse chiesto di sposarlo, avrei accettato. E due, mi aveva chiamata Ale, come lui credeva mi chiamassi. Ero stufa di mentire, volevo che mi chiamasse per il mio nome, volevo che lo sussurrasse, volevo che lo gridasse all’apice del piacere.

“Mi scappa la pipì”, dissi frettolosamente prima di levarmelo di dosso e correre in bagno, chiudendomici dentro con due giri di chiave. Mi lasciai scivolare sul legno della porta e mi misi seduta per terra, sentendo il freddo del pavimento sulla mia pelle calda, che profumava ancora di noi.
Nascosi il viso fra le braccia, le gambe strette al petto, e trassi un respiro profondo. Tutto mi stava sfuggendo dalle mani, anzi mi era già sfuggito tutto: ero innamorata di Tom, questo lo avevo capito. E ci stavo pure soffrendo come un cane. Stavo malissimo…

Delle lacrime mi punsero gli occhi, ma le ricacciai indietro quando sentii bussare alla porta. Sobbalzai e alzai la testa di scatto, tirando una testata sulla porta.
“Ahio, che male!”, mi massaggiai la nuca, chiudendo gli occhi.

“Ale, tutto bene?”, chiese Tom.

“Sìsì, tutto ok. Ahio…”

“Io vado…”

“Ok, ciao.”

“Non mi saluti?”

“Ho detto ciao.”

“È successo qualcosa?”

Ci mancava solo Tom versione Sherlock Holmes.

“No, non è successo niente.”

“Sicura?”

“Sì! Ora hai detto che devi andare, vai! Ciao.”

“Ma perché ti comporti così, cazzo!”, gridò, sbattendo i pugni più forte sulla porta. Lo sentii sospirare, io trattenni le lacrime coprendomi il viso con le mani. “Ti passo a prendere dopo, che andiamo in un nuovo locale. Con Ary e Bill siamo d’accordo che ci raggiungono lì”, disse a bassa voce, come ferito.

“Ok.”

“Ciao”, mormorò.

Sentii i suoi passi allontanarsi e la porta sbattere alle sue spalle. Sospirai e mi presi la testa fra le mani, scoppiando definitivamente a piangere.

 

***

 

“Bene, basta. È giunto il momento di chiudere il sipario”, dissi, stringendo convulsamente il mio cocktail fra le mani, guardando Tom accerchiato da altre tre ragazze. Una era persino seduta al suo fianco sul divanetto (aveva subito preso il mio posto quando me n’ero andata sofferente e bisognosa d’alcool) e gli passava le unghie sul petto fino agli addominali, ridacchiando come un’oca.
Lui non sembrava darci peso, ma perché non la cacciava?!

“Ary… sei sicura?”, mi chiese Ale, al mio fianco.

“Sì, questa storia è durata fin troppo e io sono stufa. Mi sto solo… facendo del male. Meglio chiuderla qui, una volta per tutte. Sì”, annuii, ricacciando indietro le lacrime. Anche solo pensare un giorno senza lui mi faceva male, ma non potevo continuare in quel modo.

“Ok, allora… vai. Vuoi che venga con te?”

“Sì, perché… dobbiamo porre fine anche a questo cambio d’identità.”

“Vuoi fare tutto stasera?”, sollevò le sopracciglia, sorpresa.

“Sì, una volta per tutte Ale. Sei con me?”

Annuì sorridendo, anche se un po’ di paura gliela leggevo negli occhi, mi prese la mano e ci avvicinammo a Tom e a Bill. Presi un lungo respiro e senza badare a quelle ragazze che mi guardavano ostili, dissi:
“Bill, Tom, potete venire un attimo fuori? Vi dobbiamo parlare.”

I gemelli si scambiarono un’occhiata corrugando la fronte e poi annuirono, alzandosi.

Mi avviai all’uscita del locale, preparandomi mentalmente il discorso che dovevo fare. Ma non avevo la più pallida idea di cosa dire! Era peggio di un’interrogazione di matematica.

“Allora, che dovete dirci?”, chiese Tom.

“Non ti preoccupare, le oche non scappano”, berciai, guardandolo acida. “E quello che dobbiamo dirvi è che… uno, tra me e te, Tom, è finita. Qualsiasi cosa ci sia tra noi, non importa, è finita. Non voglio più… più avere a che fare con te. Sei uno stronzo menefreghista che ha pensato solo a scoparmi senza mai capire quanto in realtà io soffrissi”, chiusi gli occhi, respirando velocemente, mentre sentivo una voragine aprirsi dentro il mio petto e la mano di Ale stringere forte la mia.

 

You don’t want to hurt me,
but see how deep the bullet lies
Unaware that I’m tearing you asunder
There’s a thunder in our hearts, baby

So much hate for the ones we love?
Tell me, we both matter, don’t we?
You, you and me
You and me, won’t be unhappy

 

[Non vuoi ferirmi,
ma vedi la pallottola quanto giace in profondità
Inconsapevole che ti sto facendo a pezzi
C’è un tuono nei nostri cuori, tesoro

Così tanto odio per coloro che amiamo?
Dimmi, entrambi ci interessiamo, vero?
Tu, tu e io
Tu e io, non saremo infelici]

 

“Che cosa?!”, gridò Tom, ma io feci un gesto con la mano, facendolo tacere.

“Stai zitto, perché questa è solo una delle due cose che dobbiamo dirvi. La seconda riguarda tutti e quattro, ed è la cosa più difficile, quindi non mi interrompere. Parto subito dicendo che è stata un’idea mia, Ale non c’entra niente.”

Ale?”, chiese Bill, confuso. “Vorrai dire Ary”, indicò mia sorella.

“No, Ale. Io sono Ary, in realtà. E lei è Ale. Io sono quella che ti ha baciato alla festa, Bill, quella ubriaca. Lei è quella che ha baciato Tom. Aspettate, non dite niente! Ci siamo scambiate, è questo quello che abbiamo fatto. Ma è stata tutta un’idea mia, all’inizio era solo un gioco, ma poi… Bill non essere arrabbiato con lei, non c’entra niente!”, quasi lo supplicai, ma dalla sua faccia capii che erano suppliche inutili. Ale abbassò la testa, mollando la presa dalla mia mano.

“Che cosa avete fatto, scusa?!”, gridò ancora Tom.

“Hai capito bene cos’hanno fatto, non fare l’idiota come tuo solito”, disse Bill più serio che mai. “Penso che abbiate finito, giusto? O avete qualcos’altro da dirci?”, ci guardò male.

“No, è tutto”, mormorai, sentendomi uno schifo.

“Bene. È tutto.” Si girò e rientrò dentro, Tom rimase lì ancora qualche secondo a guardarci e poi scosse la testa, sbuffando, e lo seguì all’interno.

“Mi dispiace, Ale”, singhiozzai. “Mi dispiace da morire.”

Alzò lo sguardo su di me e mi prese la mano, portandomi con lei verso l’auto. “Andiamo a casa, non abbiamo nessun motivo per rimanere qui”, mormorò.

 

And if I only could
make a deal with God
and get him to swap our places,
be running up that road,
be running up that hill,
be running up that building
If I only could, oh…

 

[E se solo potessi
fare un patto con Dio
e convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina,
salirei di corsa quel edificio
Se solo potessi, oh…]


***

 

“Ci hanno mentito e presi in giro per tutto questo tempo, Bill!”, gridò stringendo le mani intorno al suo bicchiere.

Aveva cacciato via le tre ochette che gli avevano solo dato fastidio tutta la sera, stranamente, ed ora erano seduti loro due su un divanetto a parlare di quello che era appena successo, della confessione.

“Ti rendi conto?!”

“Meglio di te! E io che pensavo che tra me e Ary… Cioè che Ale… Non ci capisco un cazzo! Però, ecco… Scambiandosi loro hanno creato delle coppie sicuramente più durature”, rifletté Bill.

“Cos’è, adesso sei dalla loro parte?”, gridò.

“No! Però stavo solo pensando che… Io e Ary… Quella che mi ha baciato ubriaca alla festa di Andreas… Quella che è stata con te fin’ora spacciandosi per Ale…”

“Quella più arrapata.”

“Esatto, quella… Io e lei non saremmo mai riusciti ad arrivare a questo punto. Come tu ed Ale non sareste mai potuti stare assieme. Scambiandosi hanno creato un puzzle più giusto, diciamo. All’inizio era solo un gioco per loro, sì, ma poi si sono accorte che è nato qualcosa di più e hanno confessato tutto.”

Qualcosa di più?”, chiese deglutendo.

“Sì. Dai, si vedeva lontano un miglio che quella che veniva a letto con te, dovrebbe essere Ary ora, se non sbaglio, era innamorata di te!”

Innamorata?”

“Tom, ma sei deficiente o cosa?! Sì! E anche tu provi qualcosa per lei, dì la verità.”

“E anche se fosse? Quello che hanno fatto è imperdonabile.”

Imperdonabile?”, si sentì mancare il respiro. “Io… io non posso non vedere più…”

“Tu sei cotto, fratello.”

“Lo so”, sospirò massaggiandosi le tempie. “Già mi manca… E dillo, dillo che anche Ary già ti manca!”

“Bill, ma che cazzo vuoi?!”, gridò paonazzo in viso.

“Voglio che tu capisca che sei cotto anche tu! Anche se questo non è proprio il momento migliore per capirlo, visto quello che è successo…”

“Giusto. Meglio lasciar perdere direttamente.”

“Beh… ti ha lasciato.”

“Come ha fatto a lasciarmi se… se tra noi non c’era niente, oltre il sesso?”

“Sai che non c’era solo quello, Tom. Non sei mai stato così dietro ad una ragazza come hai fatto con lei. Accetta l’evidenza, una volta tanto.”

“Adesso ti verso il contenuto di questo cazzo di bicchiere in testa se continui, ok?!”

“Ok”, abbassò lo sguardo, in silenzio.

 

“Come on baby, c’mon, c’mon darling,
let me steal this moment from you now
Come on angel, c’mon, c’mon, darling,
let’s exchange the experience”

Oh…
And if I only could
make a deal with God
and get him to swap our places,
Be running up that road,
Be running up that hill
No problems

 

[“Dai tesoro, dai, dai tesoro,
lasciami rubare questo momento da te adesso
Dai angelo, dai, dai, tesoro,
scambiamo l’esperienza”

Oh…
E se solo potessi
fare un patto con Dio
e convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina
Senza problemi]

 

 

_____________________________________

 

Ciao a tutti! *w*
Allora, premettiamo subito una cosa che non vi farà piacere: il pc di Ale ci ha abbandonati ancora .__. Quindi da parte sua ci sarà qualche ritardo, perdonatela, non è colpa sua ç__ç
Ora pensiamo al capitolo. Che ve ne pare? *o* Speriamo davvero che vi sia piaciuto…
Finalmente è arrivata l'ora della verità, il capitolo tanto atteso! E ci teniamo che sia venuto bene xDLe canzoni che ho usato sono la bellissima “Decoy” dei Paramore e - ritorna - la strepitosa "Running up that hill" dei Placebo feat Kate Bush - e non sarà l'ultima volta che la vedrete! - *w* 

Ringraziamo di cuore le persone che hanno recensito lo scorso capitolo:

Charls__ : Sei stata la prima, sì *w* I babbuini ambulanti sarebbero Ary e Tom? ù-ù *inizia a prendere un ananas* e noi saremmo delle babbunine ancora di più? ò.ò *ne prende tre, uno anche per Ale u-u* Comunque siamo contente che ti piacciano ù-ù xD
Ahm… io (Ary) non ho facebook xDD Però se vuoi ho twitter, msn, netlog… quello che preferisci xD Ale mi ha detto di dirti che ti contatterà al più presto per darti il suo nome e cognome u.u
Certo, viva le banane *Q* xDD Grazie mille davvero, baci! <3

iLARose : Ciao! :) Uhm, può darsi che si stessero sciogliendo, ma hai visto che è successo adesso, no? :( Come si risolverà - se si risolverà - la situazione? u-u Boh xD Grazie, un bacio!

_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Ciao! Grazie mille! :D A quanto pare le tue speranze sono state esaudite! xD Come ti è sembrato? *w* Certo, Dave a piedi ù-ù xD Dici che Ale pensi ad Aaron? Mah, vedremo… Baci, alla prossima!

Tokietta86 : Ciao cara! :D Insomma, alla fin della fiera gliel'hanno detto, eh? xD Adios amicizia fra Tom e Ale, adios relazione fra Ary e Tom, adios quella di Bill e Ale! ç_ç O forse no? ù-ù Che dice la tua sfera magica? xD Beh sì, Bill alla fine è stato più comprensivo, a mente fredda, ma quello che hanno combinato le gemelle è comunque grave, quindi... Mah u.u Sì ormai l'hanno capito tutti che Tom è cotto di Ary, tranne lui e quella deficiente che ci scopava xDD Bah, staremo a vedere se le perdoneranno e, se lo faranno, chi sarà il primo a farsi avanti: Bill o Tom? u-u O nessuno dei due, ovviamente xD
Grazie mille, davvero *w* Alla prossima, un abbraccio enorme!!

Ma u-u ringraziamo anche chi ha letto soltanto e chi ha inserito questa FF fra le preferite/seguite/preferite :D
Grazie davvero a tutti, alla prossima!
Ale&Ary

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Capitolo 16
*** Piombare nell'oscurità ***


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Capitolo 17
*** Sucker love ***


Capitolo 17: Sucker love

 

Avevo avuto ragione, su tutto.

Io l’avevo sempre detto che innamorarsi era una follia, una cosa per masochisti. Eppure, mi ero lasciata andare con la persona forse più sconsigliata del mondo ed ora soffrivo in silenzio come non avevo mai fatto prima.

Avevo permesso a quel gioco iniziale di trasformarsi sotto i miei occhi, non avevo fatto assolutamente nulla per fermarlo a tempo debito, l’avevo guardato crescere, cambiare, diventare un qualcosa che alla fine, per quanto bello potesse essere, mi era esploso addosso riducendomi il cuore in inutile cenere che sicuramente non sarebbe stata fertile.

Avrei vissuto per l’eternità con quella ferita profonda in mezzo al petto e tutto per colpa mia, per la mia stupidità, per la mia fiducia in qualcosa che non sarebbe mai esistito. Avevo creduto in qualcosa che era solo una mia fantasia, avevo creduto nel niente.

 

Sucker love is heaven sent
You pucker up, our passion's spent
My heart’s a tart, your body's rent
My body's broken, yours is spent

 

[L’amore dei cretini è mandato dal cielo
Tu ti raggrinzisci, la nostra passione si consuma
Il mio cuore è una sgualdrina, il tuo corpo è in affitto
Il mio corpo è rotto, il tuo è esaurito]


Quanto tempo era che guardavo le tartarughine nell’acquario, estraniata dal resto del mondo e anche da quello che succedeva in quella casa, con le cuffie dell’iPod nelle orecchie?

Il mio iPod… il mio unico compagno di sofferenze, anche se era più lui che tutto il resto a farmi del male con le sue canzoni che ogni volta capitavano a fagiolo per mettere ulteriormente il dito nella piaga.

Passavo ore ed ore con la sua unica compagnia, sdraiata sul mio letto a testa in giù, lo sguardo rivolto alla porta bianca, sperando nell’apparizione di qualcuno che non sarebbe mai arrivato, oppure al soffitto altrettanto bianco, credendo che almeno qualcuno ci fosse lassù a vegliare e a ridere sulle nostre patetiche sofferenze di comuni mortali.

 

Carve your name into my arm
Instead of stressed, I lie here charmed
Cuz there's nothing else to do,
every me and every you

 

[Incidi il tuo nome sul mio braccio
Invece di essere stressato, riposo qui incantato
Perché non c’è nient’altro da fare,
ogni me ed ogni te]

 

“Perché ti comporti così?”, mormorai stuzzicando il guscio della tartarughina che aveva nascosto la testa nell’incavatura di una roccia e aveva tirato dentro le zampette: erano giorni che stava lì, immobile, uscendo solo per mangiare un boccone.  

Presi il barattolino del mangime e lo agitai di fianco al vetro, in modo che lo sentisse, ma non ebbe nessuna reazione. Aprii la scatoletta e gettai nell’acqua un po’ di gamberetti, ma nemmeno quella volta funzionò a tirarla fuori da lì, infatti arrivò subito l’altra a mangiare anche la sua porzione.

Sospirai e mi arresi, portandomi le braccia strette al petto e rimuginando sul suo comportamento. Improvvisamente, come se avessi avuto un’illuminazione divina, mi resi conto che io facevo esattamente quello che faceva lei: mi nascondevo in camera mia, chiusa nel mio guscio come se avessi paura del mondo esterno e di soffrire ancora, la musica nelle orecchie, mangiando e parlando poco. Persino con Ale… mi ero allontanata persino da lei, anche se non mi aveva fatto nulla e la causa del mio dolore ero solo ed esclusivamente io.

Mi stavo comportando come se io fossi stata l’unica vittima di una situazione della quale non facevo parte, invece di starle accanto e di dimostrarle il mio appoggio, per quanto potesse essere stabile.

“Che vogliamo fare?”, domandai a bassa voce, passandomi le mani dietro la nuca e chiudendo gli occhi espirando.

 

Sucker love, a box I choose
No other box I choose to use
Another love I would abuse,
No circumstances could excuse

 

[Amore dei cretini, una scatola che scelgo
Non scelgo un'altra scatola da usare
Un altro amore di cui abuserei,
nessuna circostanza potrebbe scusarlo]

 

Sentii il mio cellulare, anche quello in quei giorni sembrava morto come mi sentivo io dentro, e mi girai sorpresa. Lo presi fra le mani e lessi il messaggio che mi era appena arrivato:

 

Ciao Ary, come stai? Ti passo a prendere io e andiamo in piscina assieme?

 

Gunter. Dopo quella volta si era subito mostrato pentito, mi aveva chiesto scusa così tante volte che non ricordavo nemmeno il numero, e si era rivelato molto gentile e veramente… attratto ed interessato a me, non solo per sesso. Che si fosse innamorato?

Potevo guarire se fossi stata assieme ad una persona che teneva davvero a me? Quella ferita si sarebbe almeno un minimo cicatrizzata? E poi, avrei avuto il coraggio di usare Gunter per guarirmi, senza badare minimamente ai suoi sentimenti?

Forse prima l’avrei fatto, ma ora… ora ero cambiata, che lo volessi o no. Toccata dall’amore e dal dolore provocato da esso, ero diventata un’altra persona.

Sospirai, scuotendo la testa.

 

Mi dispiace, ma è meglio di no… Non so nemmeno se vengo. Ci vediamo.

 

Sucker love is known to swing
Prone to cling and waste these things
Pucker up for heavens sake
There's never been so much at stake

 

[L'amore dei cretini si sa che oscilla
Incline a consumarsi e sciupare queste cose
Tu ti raggrinzisci per l’amor di Dio
Non è mai stata così alta la posta in gioco]

 

Mi misi seduta in ginocchio sul bordo del letto, lo sguardo perso fuori dalla finestra, il cellulare ancora stretto fra le mani. Stava nevicando.

Guardai in veranda e una fitta al cuore mi colpì pensando che quello era un po’ il luogo di ritrovo mio e di Tom, dove ci eravamo messi a fumare, a ridere, a scherzare…

Mi mancava, e tanto. Ogni volta che ripensavo a quella sera, a quello che gli avevo detto, mi maledicevo, perché non avrei mai immaginato di soffrire così tanto. Però, d’altra parte, non potevo continuare a stargli dietro senza ottenere mai nulla in cambio.

Ma forse le mie aspettative, i miei desideri, erano troppo alte e lui non era in grado di soddisfarle. In quel caso era stato sicuramente meglio finirla lì, nonostante il vuoto che sentivo dentro, nonostante le lacrime nascoste agli occhi di tutti che mi avevano graffiata il volto, nonostante i singhiozzi che mi avevano tolto il respiro.

Quella del nome era stata solo una scusa per mettere ordine dentro di me, per capire se davvero provavo qualcosa per lui, e avevo scoperto che sì, provavo davvero qualcosa per lui. Ed era qualcosa di importante, qualcosa che non avevo mai provato prima. Che fosse amore vero e proprio, ancora non lo sapevo.

Quello che sapevo era che stavo lentamente andando a fondo senza di lui, lo volevo di nuovo con me, di nuovo mio; volevo poterlo stringere, baciare, insultare; volevo poter gridare e sussurrare il suo nome; volevo poter ridere e scherzare ancora, perché senza di lui sembrava tutto finto, anche un semplice sorriso, senza significato.

 

I know I'm selfish, I'm unkind
Sucker love I always find,
someone to bruise and leave behind
All alone in space and time
There's nothing here but what here's, here's mine
Something borrowed, something blue
Every me and every you

 

[So di essere egoista, sono scortese
Trovo sempre l’amore dei cretini,
qualcuno da ferire e lasciarmi dietro
Tutto solo nello spazio e nel tempo
Non c’è niente qui ma quel che c’è, qui è mio
Qualcosa preso in prestito, qualcosa di triste
Ogni me ed ogni te]

 

Guardai il cellulare fra le mie mani che avevano iniziato a tremare quando quel pensiero si era formato come la nebbiolina fine del mattino nella mia testa, e deglutendo cercai in rubrica il suo numero, gli occhi che pizzicavano.

Perché volevo continuare a farmi del male? Ero malata d’amore, ecco perché.

Chiusi gli occhi, feci un respiro profondo e schiacciai il tastino verde, quello delle chiamate. Lo stavo facendo sul serio… Lo stavo facendo sul serio…

Nel giro di tre secondi desiderai che mi rispondesse, che non mi rispondesse, che mi rispondesse e che non mi rispondesse. Ma quando, dopo vari minuti di silenzio dall’altra parte, scattò la segreteria telefonica mi venne solo voglia di gettarmi sotto un TIR: la verità era che volevo che mi rispondesse, volevo sentire la sua voce un’ultima volta…

Mi lasciai cadere all’indietro come un peso morto, soffocando un singhiozzo, e cercai il numero di Bill e senza pensarci un momento di più, con quel dolore dentro che si era trasformato in rabbia irrazionale, lo chiamai, portandomi il cellulare all’orecchio e asciugandomi la lacrima che mi era scivolata sulla tempia.

Aspettai una ventina di infiniti secondi e poi sentii la voce un po’ sorpresa e ancora rancorosa di Bill rispondermi.

“Ary?”

“Sì”, tremolai, improvvisamente senza parole da dire: tutto si era volatilizzato nella mia testa.

“Che… che cosa vuoi?”, berciò facendomi anche lui più male del previsto.

- Bill! Ale… cioè volevo dire Ary, mi ha chiamato mentre ero in bagno! Che cosa devo fare?! - sentii la sua voce, la sua splendida voce, fuori campo e un grande magone mi salì in gola, così grande che mi mancò il respiro per qualche secondo, fino a quando non buttai giù senza aggiungere altro, scoppiando a piangere con il viso soffocato nella trapunta che tenevo stretta fra i pugni.

Quanto mi mancava… Quanto mi faceva male… Quanto lo volevo… Quanto tentavo inutilmente di odiarlo per quello che era riuscito a farmi, per come mi aveva ridotta…

 

In the shape of things to come
Too much poison come undone
Cuz there's nothing else to do,
every me and every you.

[Nella forma delle cose che verranno
Viene liberato troppo veleno
Perché non c’è nient’altro da fare,
ogni me ed ogni te]

Sentii la porta aprirsi e sfregai il viso contro la coperta, sperando inutilmente di celare quelle lacrime e di regolarizzare il mio respiro agitato.

“Ary”, mormorò Andreas con gli occhi sgranati: non mi aveva mai vista piangere. Mai. “Che… che cosa ti è successo?”

“L’amore fa schifo!”, gridai, rituffando la testa nel materasso.

Lo sentii avvicinarsi e sedersi al mio fianco, poi si appoggiò alla mia schiena con la guancia, massaggiandomela con una mano.

“No, non fa schifo. Dipende da che prospettiva lo guardi.”

“L’unica prospettiva che vedo io fa schifo!”

“Sì, in questo momento è così ma… pensa a quanto eri felice quando diciamo… tutto andava bene. Se ora ti senti male è perché ti mancano quei momenti. E per riaverli indietro c’è un unico modo: tentare di recuperare ciò che si è perduto, per quanto possa risultare difficile ed impossibile. Non bisogna mai arrendersi, Ary. E prima o poi tutti i nostri sforzi verranno ripagati, questo è poco ma sicuro.”

Mi girai e lo guardai, lui mi sorrise e mi fece un buffetto sulla guancia, abbracciandomi e stringendomi forte al suo petto.

“Hai per caso fatto sesso con Selene?”, chiesi. (Selene era la moretta che aveva incontrato al cinema, ossia la sua nuova ragazza da qualche settimana. Strana la vita.)

“Sì, perché?”, mi guardò stranito; io feci un sorrisetto, che per quanto mi fossi sforzata era risultato comunque amaro, tirando su col naso.

“Ora si spiega perché sei così dolce e coccoloso.”

“Mi aspettavo di meglio da te.” Abbassai lo sguardo, passandomi le mani sulle guance. “Ma è già un inizio.”

“Grazie Andreas”, mormorai stretta di nuovo fra le sue braccia.

“E di cosa? Forza, ti accompagno io in piscina.”

“Ok. Andiamo a piedi però.”

“A piedi? Tu odi andare a piedi quando fa freddo!”

“Ho voglia di camminare”, feci spallucce, alzandomi e passando di fronte alla finestra, fuori dalla quale nevicava ancora.

Tanto non lo sento più il freddo, Andreas. È uguale a quello che sento dentro da quando Lui non c’è più…

 

Every me and every you

 

_____________________________________

 

 

Buonasera a tutti! Eccovi, come promesso, il nuovo capitolo (:
E’ un altro capitoletto un po’ così… deprimente ç_ç Però abbiamo visto tutto dalla parte di Ary. Direi che è la messa peggio fra le due xD Chissà se si riusciranno a risolvere le cose! D:
La canzone che ho usato è “Every me and every you” dei mitici Placebo u.u
Speriamo veramente che vi sia piaciuto e vi ringraziamo di cuore per averci aspettato ed aver commentato lo scorso capitolo *w*

_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Scusaci per il ritardo, davvero ç_ç Questa volta però abbiamo fatto presto (;
Siamo contente che ti sia piaciuto il capitolo ** Sì, Ale e Ary sono molto tristi e Bill e Tom chissà… staremo a vedere! xD Grazie mille, alla prossima!

iLARose : Eh beh, insomma, un po’ grave è u.u Vedremo se riusciranno a perdonarle (:
Grazie mille per la recensione, un bacio!

Charls__ : Oddio, mi dispiace, poverino o.o spero che si riprenda presto (:
Beh, tutto è possibile e noi non ci facciamo intimidire dalle tue minacce ù-ù xD
Grazie mille per la recensione e alla prossima, un bacione! :D

Tokietta86 : Ciao cara! *-* Sono certa che ti riprenderai e tornerai ad azzeccarle tutte xD Quando Ale gli ha detto di essere innamorata di lui si è tipo pietrificato, infatti è ancora lì col cellulare all’orecchio u.u Nooo, scherzo xD Beh, non se lo aspettava, questo è certo (:
La povera Ale è messa maluccio, ma anche Ary non scherza niente! Uhm, vedremo se Tom tornerà da lei oppure se sarà lei ad andare da lui… è proprio un bel quesito xD
Ci vorrebbe proprio un’altra “idea geniale” di Ary per far pace, ma in questo periodo non è in vena ç_ç
Grazie mille *WW* Alla prossima, un abbraccione! (:

Stellina_Batuffolo : Ciao! ** Siamo contente di avere una nuova lettrice e che la storia ti piaccia tanto da averla messa in preferite! :D
Siamo felicissime che tu abbia detto che ha trasmesso davvero tanto, vuol dire che abbiamo fatto bene il nostro lavoro *u*  Grazie mille davvero, alla prossima, un bacio!

 

Grazie anche a tutte le persone che hanno letto soltanto (;
Alla prossima, vostre
Ale&Ary

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Capitolo 18
*** Mai più senza di te ***


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Capitolo 19
*** Inutile respingerlo ***


Capitolo 19: Inutile respingerlo

 

“Ragazzi, alla prossima!”, gridò l’allenatore mentre tutti uscivano dall’acqua, gocciolando dappertutto sul pavimento.

Raggiunsi le mie ciabatte togliendomi la cuffia e gli occhialini e frizionandomi i capelli con la mano non impegnata a prendere l’accappatoio blu dall’appendino.

Mi ci avvolsi dentro e trassi un respiro profondo massaggiandomi le spalle e chiudendo gli occhi: ero esausta. Per fortuna a casa mi aspettava il mio letto caldo in cui mi sarei intrufolata senza problemi, anche un po’ egoisticamente.

“Ehi Ary.”

Mi girai e vidi Gunter sorridermi, avvolto nel suo accappatoio bianco.

“Ciao”, biascicai.

“Tutto bene?”

“Sì.” No che non va tutto bene, Cristo! Annuii a testa bassa, come ero abituata a fare da una settimana ed un giorno precisi.

Una settimana e un giorno senza di lui… Una settimana e un giorno senza i suoi baci, le sue carezze, senza la sua voce, senza la sua risata, senza il suo sorriso, senza i suoi occhi… Quegli occhi in cui avrei voluto più e più volte annegare.

“Ti va bene? Eh?”, Gunter mi punzecchiò la spalla, corrugando la fronte.

“Cosa? Scusa, mi sono distratta”, dissi, guardandolo in viso per la prima volta.

“Ho… notato! Ti ho chiesto solo se qualche volta, beh… ti andava di uscire con me.”

Accusai il colpo in silenzio, senza nessuna reazione esterna, quando dentro si stava scatenando il putiferio. Trassi un respiro profondo e sorrisi debolmente, posandogli la mano sul braccio.

“Gunter… io sono innamorata di un altro ragazzo, mi dispiace. Io ti voglio bene ma… non saresti mai potuto essere più di un amico per me, scusami.”

L’avevo detto, finalmente l’avevo accettato, per quanto facesse male. Abbassai lo sguardo mormorando un’altra volta “Scusa” e sgattaiolai all’interno dello spogliatoio femminile. Andai alle docce, appesi l’accappatoio e mi gettai sotto il getto d’acqua bollente.

Mi accarezzai la pelle, sentendo quel corpo freddo e vuoto senza qualcuno che lo coccolasse, che lo cercasse, che lo desiderasse. Senza lui…

Mi lasciai cullare da quel calore apparente e quando rimasi da sola nel locale mi coprii il viso con le mani e soffocai un grido che bruciava in gola assieme alle lacrime nei miei occhi stanchi.

Quella giornata non voleva più finire, ma dovevo tenere duro ancora per un po’. Ancora un po’ e poi avrei chiuso gli occhi fino al mattino dopo.

Mi chiusi rapidamente in uno dei tanti spogliatoi liberi con un giro di chiave e mi abbandonai alla panchina, appoggiandomi con le spalle al muro e chiudendo gli occhi alla luce al neon appesa al soffitto. Mi feci forza e con un altro sospiro mi vestii, mi infilai le scarpe, raccolsi i capelli in una coda perché non avevo voglia di asciugarli ed uscii da lì.

L’aria fredda dell’inverno mi frustò il viso e mi misi il cappuccio sopra la testa. Mi sedetti su un panettone giallo, aspettando chissà cosa o chissà chi, lì al freddo, e presi l’iPod dalla tasca del giubbino, infilandomi le cuffie nelle orecchie.

Appena lo accesi ancora quella canzone, quella che mi tormentava da quando lo conoscevo, la stessa che ogni volta, con la stessa intensità, mi faceva male al cuore.

 

And if I only could
make a deal with God
and I’d get him to swap our places,
be running up that road,
be running up that hill,
‘no problems

“If I only could, be running up that hill”

[E se solo potessi
fare un patto con Dio
e convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina,
nessun problema

“Se solo potessi, salirei di corsa quella collina”]

 

Lasciai scivolare una lacrima sulla guancia fredda e tirai su col naso, stringendo forte i pugni sulle gambe, una voglia assurda di gridare a tutti quanto facesse male amare qualcuno che non ti avrebbe mai amato. E quanto volessi scappare via da lì, lontano, e provare a dimenticare.

Sentii una mano calda sfiorarmi il mento e aprii gli occhi umidi, trovandomi di fronte il viso preoccupato di Tom.

“Ehi”, disse piano, sorridendomi un po’ imbarazzato.

“Ti prego, basta… Basta! Ho capito, ho sbagliato tutto, lo so! Me ne sono resa conto troppo tardi, lo so perfettamente e mi maledico per tutto quello che ho fatto! Ma basta, ti prego, basta! Non voglio più soffrire, non voglio più stare male, non voglio più immaginarmelo dovunque!”, gridai tenendomi le mani sulla testa, mentre calde lacrime mi segnavano il viso.

“Ary…”

Sgranai gli occhi quando sentii il mio nome, quando percepii due forti braccia stringermi forte a sé e il mio viso premuto sulla sua spalla.

“Tom”, singhiozzai, stringendolo forte.

“Sì, sono qui.”

Mentre pronunciava quelle semplici parole che per intere notti avevo sognato e pregato che uscissero dalle sue labbra perfette e fatte apposta per essere baciate, come se fosse uno scherzo del destino, al mio iPod passò una canzone che sicuramente ci aveva ficcato dentro Ale, la mia gemellina, la stessa che doveva essere l’artefice di tutto quello.

 

Sono qui per farti credere ai miracoli
sono qui per sovvertire i pronostici
L’amore è una marea, come distrugge crea
e tu non puoi respingermi,
lo sanno anche gli angeli

 

Quello era un miracolo, un vero miracolo per una come me che aveva creduto fino alla fine che non sarebbe mai successa una cosa del genere, che lui non sarebbe più tornato. E invece era successo, una fine che mi ero immaginata era stata sconvolta da un colpo di scena clamoroso.

In quel momento, stretta fra le sue braccia, di nuovo avvolta in quel calore che mi faceva sentire semplicemente bene, capii le parole di Andreas: come l’amore poteva distruggere, poteva creare e bisognava solo guardarlo dalla prospettiva giusta.

Forse c’era qualche speranza, forse c’era la possibilità che potesse funzionare, che dalle ceneri del mio cuore potesse rinascere qualcosa, se lui fosse rimasto al mio fianco.

Sciolse l’abbraccio dopo attimi infiniti e mi sorrise, accarezzandomi le guance con i pollici.

“Si gela qui, cazzo!”, gridò scoppiando a ridere, coinvolgendomi fra le lacrime.

Grazie a lui potevo di nuovo ridere, potevo di nuovo sorridere, potevo di nuovo scherzare, potevo di nuovo essere felice, potevo di nuovo… vivere.

“Mi sei mancato tantissimo, Tom”, sussurrai, tirando su col naso ghiacciato.

“Anche tu, Ary”, sorrise facendomi l’occhiolino.

Non avrei mai pensato che il mio nome pronunciato dalle sue labbra verso di me mi facesse sentire come se avessi le ali al cuore. Era così semplicemente… stupendo.

“Ripetilo”, mormorai chiudendo gli occhi.

“Ary.”

“Ancora…”

“Ary.”

Sentii il suo respiro sopra il mio e sorrisi, aprendo gli occhi e incontrando i suoi sorridenti.

“Di nuovo…”

“Ary”, soffiò prima di annullare la distanza, donandomi un bacio così dolce ed innocente che ebbi la fottuta paura che quello fosse solo uno dei miei sogni e che da un momento all’altro mi sarei svegliata nel mio letto, lo sguardo rivolto al soffitto e le lacrime che mi pungevano gli occhi.

Lo strinsi di più a me, allacciandogli le braccia intorno al collo, e mi allontanai dalle sue labbra, sfiorandogli il naso con il mio, ad occhi chiusi.

“Mi dispiace per tutto quello che ho combinato, Tom. Io… io proprio non credevo di… di potermi affezionare a te in questo modo. Anche se non è una motivazione giusta la mia, perché di principio non avrei dovuto ingannarti. Comunque… mi dispiace da morire e… ti voglio tanto bene”, deglutii, alzando gli occhi nei suoi, avvampando sulle guance.

“Te l’ho mai detto che sei bellissima quando fai la bambina e quando arrossisci?”, sorrise dolcemente, levandomi un ciuffo dalla fronte.

“No”, mormorai scuotendo la testa.

“Beh, la verità è che l’ho sempre pensato. Ti voglio bene anch’io, Ary, che io lo voglia o no.”

Sorrisi stringendomi nelle spalle, imbarazzata, e Tom mi baciò ancora a stampo, due o tre volte, poi mi prese la mano fredda nella sua bollente e mi fece alzare da quel panettone giallo.

Un fiocco di neve mi cadde sulla guancia e alzai lo sguardo al cielo bianco, incominciando a ridere da sola, aprendo le braccia con un sorriso a trentadue denti sul viso.

“E ora perché ridi?”, mi chiese.

“Perché sono felice.” E sento che rinascerò.

Ricambiò il sorriso e mi fece salire in macchina, io tirai fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e ridacchiai scrivendo un messaggio ad Ale.

 

Lo sai che ti amo, vero sorellina?

  

Lo rimisi in tasca e sorrisi quando Tom salii in auto al mio fianco, mettendo in moto con lo stesso sorriso sulle labbra. Per la prima volta, capii quanto un sorriso potesse cambiare la vita.

 

***

 

“Tom! Io e te facciamo i conti dopo!”, gli sibilai in faccia, tirandolo in casa.

“Uh, questo mi piace”, si leccò le labbra tentando di baciarmi, ma io mi spostai, ricominciando a gridargli contro.

“Ti avevo detto che sarebbe stato alle otto e tu mi hai fatto prendere un colpo!”

“Ma… sono solo cinque minuti in ritardo!”

“No, non dovevi essere nemmeno…”

“Sono andato a prendere questa”, mi disse dolce, porgendomi una rosa rossa.

“Davvero?”, sollevai il sopracciglio, scettica, quando vidi dietro di lui Bill con un mazzo di rose identiche per Ale.

“Sì, perché?! Non ti fidi?!”, sgranò gli occhi, indicandosi indignato.

Ale comparve al mio fianco e mi sorrise prima di dare un bacio fugace a Bill e prendergli il mazzo dalle mani, invitandolo ad entrare.

“È il pensiero che conta”, mi sussurrò all’orecchio ridacchiando.

Confrontai la mia rosa con il mazzo che aveva lei e sorrisi guardando il viso dolce e un tantino imbarazzato di Tom. Sollevai le spalle e gli schioccai un bacio sulle labbra, abbracciandolo.

“Grazie Tomi!”, squittii ridacchiando.

Erano ormai passati tre mesi dal giorno della nostra riconciliazione generale e io e Tom, quasi un mese prima, avevamo finalmente deciso di metterci insieme ufficialmente. Era stata una decisione molto riflettuta perché né io né lui volevamo ripetere quella brutta esperienza della sofferenza, ma alla fine avevamo scelto di provarci, perché se non ci avessimo provato non avremmo mai saputo che cosa ci attendeva.

Quella sera Tom era stato invitato dai miei genitori a cena ed eravamo entrambi emozionati e nervosi sotto le nostre facciate da idioti. Ciò che sentivo per lui aumentava giorno dopo giorno, le cose diventavano sempre più serie, ma mai come lo erano diventate fra Bill e Ale… che se prima mi sembravano una coppietta vera e propria, ora mi sembravano due novelli sposini con tanto di fede al dito.

Era una situazione strana un po’ per tutti, ma stavo iniziando ad abituarmi a quel rapporto stabile ed ero felice dei miei cambiamenti. Ops, pardon… dei nostri cambiamenti. In effetti anche Tom era cambiato tanto da quando avevamo messo la testa “a posto”, e io l’avevo notato per prima, dai suoi atteggiamenti nei miei confronti, dai suoi sguardi, dai suoi baci, da come solo mi parlava… Era cambiato, ed ogni volta che stavo con lui mi sentivo completa e voluta per ciò che ero, sesso o meno.

Mi prese per i fianchi e approfondì il bacio di prima con espressione spensierata, entrando e chiudendosi la porta alle spalle con un piede.

“Abbi la decenza di aspettare, Tom!”, risi staccandomi e pizzicandogli la guancia. “Ora devi superare il difficilissimo test…”

“Oh già, il test”, disse prendendomi la mano e seguendomi in cucina, dopo aver fatto un respiro profondo, dove trovammo già papà, mamma, Davide, Marika e Bill e Ale, stretti in un abbraccio. Ci fecero ok con i pollici e io sorrisi, guardando Tom al mio fianco.

“Famiglia”, annunciai schiarendomi la voce. “Lui è Tom, il mio… ragazzo”, sospirai soddisfatta.

Un coro di applausi, di gridolini vari di Marika, Ale e persino di mamma e di “Finalmente!” si levò nella piccola cucina e Davide ridendo stappò la bottiglia di spumante. Il tappo schizzò in alto e beccò in pieno la lampadina del lampadario, che si ruppe con un rumore sordo, lasciandoci completamente al buio.

“Oh wow, fantastico. Secondo te ho fatto una buona impressione?”, si sentì Tom sussurrarmi, nel silenzio generale.

“Io penso di sì”, scoppiai a ridere, trascinandomi dietro tutti gli altri.

“Vado a prendere un’altra lampadina”, disse Davide, il danno, alzandosi dalla tavola già apparecchiata e camminando al buio.

“Ehi, stai attento!”, gridò Marika ridacchiando.

“Scusa!”

“Ahia, Dave! Mi hai pestato il piede!”, gridò Ale.

“Scusa!”

“Dave!”, gridai.

“Che c’è, che ho fatto a te?!”

“Sono dietro di te, comunque”, ridacchiai.

“Stupida di una sorella”, bofonchiò dandomi un colpetto sulla testa prima di avviarsi.

“Ragazzi, perché non andiamo in salotto, intanto che aspettiamo che arrivi la luce dal cielo?”, chiese mamma.

“Ottima idea”, disse Marika.

Uscimmo tutti dalla cucina e ci riunimmo in salotto: io e Tom seduti vicini sul divano, che ci tenevamo la mano, mamma e papà nell’altro divano, Marika seduta sul bracciolo della poltrona di Dave e Ale e Bill…

“Un momento, ma Ale e Bill dove sono finiti?”, chiesi guardandomi intorno.

Incontrai lo sguardo sbarazzino di Tom e ridacchiai prendendo la torcia che c’era nel cassetto del tavolino e tornando con lui in cucina, senza fare rumore per non interrompere i due piccioncini.

Accesi di scatto la luce puntandogliela in faccia e li vidimo intenti a baciarsi, l’uno aggrappato all’altra.

“Beccati!”, gridammo assieme, scoppiando a ridere.

“Siete due idioti!”, gridò Bill colpendo a casaccio il fratello.

“Ahia, Bill mi hai graffiato!”, gridò Tom tentando di ricambiare la cortesia, ma dandomi solo una gomitata sulla tetta sinistra.

“Ahia!”, gridai.

“Cos’era quella cosa morbida?”, chiese Tom.

“La mia povera tetta, se non ti dispiace!”, gridai.

“Scusa!”, scoppiò a ridere assieme ad Ale e a Bill.

“Non c’è niente di divertente, idiota!”

“Ma che cosa sta succedendo qui?”, chiese Davide alle nostre spalle, puntandoci addosso un’altra torcia. “Sapete che in cucina non si fanno le cose sconce come le orge fra gemelli?”

“Dave!”, gridammo io e Ale in coro, rosse d’imbarazzo.

“E ora tutti fuori, devo sistemare la lampadina!”, ci cacciò.

Tornammo in salotto tutti un po’ scassati: Tom con una mano sulla guancia graffiata dall’unghia di Bill, io con una mano sulla tetta colpita dal gomito di Tom, Bill e Ale con gli occhi piccoli per il colpo improvviso con la luce e Bill anche con il labbro inferiore un po’ gonfio probabilmente a causa di un morso spaventato di Ale quando li avevamo sorpresi.

“Ma che avete fatto, siete andati in guerra?”, chiese mamma guardandoci uno per uno.

“È colpa sua!”, gridammo insieme, indicandoci a vicenda, prima di scoppiare di nuovo a ridere.

“Chissà se riusciremo a fare questa cena”, mi chiesi parlando a bassa voce con Ale, che dissentì ridacchiando.

Ma era anche per questo amavo la mia famiglia e amavo Tom, anche se non avevo ancora trovato il coraggio di dirglielo. Lo guardai e gli strinsi la mano nella mia, sorridendo.

“Che c’è?”, mi chiese.

“Assolutamente niente”, lo baciai sulla guancia, pensando che avevamo ancora tutto il tempo che volevamo davanti e che non c’era assolutamente nessuna fretta: quelle due parole potevano aspettare.

 

____________________________________

 

 

Eccoci qui, il primo dell’anno, a postare! Che figataaaaa *-* Oggi è l’1/1/11, bellissimo!
Ma a parte questo, esultiamo per questo nuovo capitolo colmo di gioia, di fiori ed amore *w* Ma non è nemmeno troppo sdolcinato u.u xD
Speriamo che postando oggi sia di buon auspicio per l’anno nuovo xD
Le canzoni che abbiamo usato in questo capitolo sono due: la prima è l'ormai familiare Runnin' up that hill, dei Placebo e Kate Bush; la seconda, invece, è Superstiti, di Raf *-*

Ringraziamo chi diligentemente ha recensito lo scorso capitolo :DD

Holly94 : Abbastanza presto? :) Grazie mille!

Charls__ : Sai cosa, sei tu quella veramente malefica u.u Come ti permetti a scrivere un fucsia? ò-ò Niente da dire sul colore, anche se non è uno dei miei preferiti, ma la prima volta mi sono spaventata! Non farlo mai più u_u Ti sta bene che Fiocco ti ha zampettato in testa u_u xD

Che bello, siamo tutte euforiche *-* Ahahah, ti abbiamo lasciato così sospesa nel 2010, adesso è 2011 e hai un nuovo capitolo, non è bellissimo? *-* Un bacione grandissimo anche a te! <3

_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Siamo contente di averti resa così felice :D E ti ringraziamo tantissimo per i complimenti! Alla prossima, baci!

iLARose : Scene così le vediamo tutti i giorni u.u xDD Siamo felici che ti sia piaciuto, soprattutto che sia stata di tuo gradimento la scena di Ale e Bill xD Tom e Ary non hanno dato una festa, erano impegnati anche loro a pensare al loro futuro insieme *-* Grazie, grazie mille! Alla prossima!

Tokietta86 : Ciao cara! Bello, eh, l’effetto sorpresa *-* Ale ha agito per conto della sorella e chissà, forse proprio Tom ha chiamato Bill, ma questo non lo sapremo ;) Finalmente c’è stato quello che doveva esserci stato molto prima e Bill e Ale si sono accoppiati u.u XD
Ale e Tom sono bellissimi, mi piacciono tanto anche a me! *-* Per quanto riguarda la faccia di Ary quando si è trovata davanti Tom… Beh, ci dirai nella prossima recensione xD Ovviamente speriamo che ti sia piaciuta! :D Grazie mille di cuore, alla prossima, un abbraccio!

Ringraziamo anche chi ha letto soltanto e approfittiamo per farvi gli auguri di buon anno più sinceri, perché ve lo meritate :D Buon 2011! *-*
E noi ci rivediamo fra un po’, col prossimo capitolo! ;D
Vostre, Ale&Ary

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Capitolo 20
*** Novelli sposi ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

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Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

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Capitolo 21
*** Quando è amore ***


Capitolo 21: Quando è amore

 

Poggiai il mio bicchiere sul tavolino e sorrisi a Tom che mi aveva attirata a sé in un abbraccio, per poi baciarmi sulle labbra con una mano fra i miei capelli. Sorrise e si allontanò quel minimo necessario per guardarmi negli occhi.

“Che… che cosa c’è?”, gli chiesi, arricciando il naso.

“Niente, che cosa ci dovrebbe essere?”, mi stuzzicò ancora le labbra: sapeva che mi piacevano tantissimo quei mezzi baci, perché aumentavano sempre di più la mia voglia di averli.

“Non so… E’ tutta la sera che ti comporti in modo strano… Più strano del solito”, sorrisi accarezzandogli una treccina sulla spalla.

“Ma non c’è niente…”

“Sei sicuro?”, gli sussurrai all’orecchio con tono malizioso: lui cedette in un sospiro e mi prese le mani fra le sue, tornando a guardarmi negli occhi.

“Ok, hai vinto… Solo che… Beh, io ho conosciuto i tuoi, giusto?”

“Sì, e con questo?”, alzai il sopracciglio, con fare indagatore: avevo uno strano presentimento.

“Pensavo che… ecco…”

“Cosa?”

“Mi lasci parlare?!”, sbottò, arrossendo lievemente sulle guance. 

Io serrai le labbra, il cuore che sembrava voler scoppiare nella cassa toracica: che cosa aveva in mente, quel pazzo? Non prevedevo nulla di buono.
Vidi con la coda dell’occhio Bill sogghignare e trattenere una risata girandosi verso Ale che sembrava mezz’addormentata al suo fianco. Lui ne sapeva qualcosa, ne ero certa, e gliel’avrei fatta pagare per tutta l’ansia che mi stava provocando quel momento.

“Pensavo che, magari… potresti… venire a conoscere…”
Deglutii rumorosamente, tanto che lui abbassò lo sguardo sulle mie mani che stringevano convulsamente le sue, in preda all’ansia e anche un po’ al panico…
“Mia mamma”, concluse trafiggendomi con una delle sue occhiate dolci e un sorriso altrettanto adorabile, da cucciolo.

“Ah… ehm… uh… gne”, balbettai abbassando lo sguardo, rossa d’imbarazzo.

Bill scoppiò definitivamente a ridere, tenendosi la pancia, e Ale si risvegliò improvvisamente dal suo stordimento da alcool, dopodiché agguantò il mio moijto abbandonato sul tavolo e se lo portò alle labbra prima che io potessi dire o fare niente, ancora troppo sconvolta da quella proposta.

Io… avrei conosciuto la mamma di Tom? Non mi sentivo affatto pronta per una cosa del genere.
Ci avevamo messo due mesi per metterci insieme, almeno qualche settimana di preparazione me la doveva concedere!

“Ary, allora?”, mi chiese, punzecchiandomi il braccio.

“Ecco, io… non so…”

“Qual è il problema?”, inarcò le sopracciglia, sospirando.

“Nessun problema, solo che…” Mi guardò intensamente, mettendomi in soggezione e facendomi crollare una volta per tutte: “E se non dovessi piacerle?”

“E perché non dovresti?”

“Che ne so io!”

“La mia sorellina è una fifona!”, gridò stridula Ale, battendo i piedi per terra ed iniziando a ridere come una cretina da sola, accasciandosi su Bill. Se su di me l’alcool aveva strani effetti, su Ale erano peggiori il triplo.

“Sei ubriaca marcia, Ale”, scossi la testa.

“E con quèstooooo? Io sono la più grande, io decido qui!”, sventolò un dito in aria, imbronciandosi.

“Non credevo che l’alcool avesse quest’effetto su di lei”, disse Tom sorpreso, sebbene stesse morendo dalla voglia di ridere di fronte a quello spettacolo comico.

“Tom, tu sei un cretino!”, gridò Bill, reggendo la sua ragazza.

“Ma che ho fatto?!”

“L’hai sfidata a bere! E non dire di no, perché è vero!”

“Ok, ma non credevo…”

“Sese, ok. Ormai il danno è fatto”, gli rivolse un’occhiataccia e si alzò prendendo Ale, traballante, sottobraccio. “Andiamo a casa”, le sussurrò all’orecchio.

“A casa mia o a casa tua?”, chiese un po’ confusa.

“A casa tua, Ale.”

“Ci sono i miei genitori, non si può fare!”

Mi spalmai la mano in faccia, sorprendendomi di quanto potesse diventare stupida e simile a me con l’alcool nel sangue.

Bill la fece salire in macchina, sui sedili posteriori, e si mise seduto accanto a lei, lasciando che si appoggiasse alla sua spalla e che cadesse in un dormiveglia agitato.

Tom mi trattenne al di fuori della vettura e mi guardò negli occhi: “Non credere che io me ne dimentichi, sai?”, mi disse sogghignando, prima di fare il giro e di mettersi al posto del guidatore.

“Perché proprio a me?”, piagnucolai a bassa voce prima di entrare anch’io in macchina.

 

***

 

“Devo fermarmi a fare benzina”, disse Tom.

“Proprio adesso?”, sbuffai guardando fuori dal finestrino.

“Sì, cara. Ti dispiace?”, sogghignò; io borbottai qualcosa di incomprensibile, girandomi a guardare la mia gemella che pareva addormentata con la testa sulle gambe di Bill, che le accarezzava docilmente i capelli.

Ci fermammo in una stazione di servizio e Tom scese dall’Audi e nemmeno il tempo per prendere in mano la pompa che gli si avvicinò una ragazza abbastanza robusta che gli chiese qualcosa, sorridendo in un modo che mi infastidì parecchio.

“E quella troia cosa vuole?”, borbottai a bassa voce prima di scendere dall’auto, nonostante un’occhiata esplicita da parte di Bill di lasciar perdere. Ma io, ovviamente, non lo ascoltai. Avevo scoperto, in quei mesi, di essere molto ma molto gelosa di Tom.

“Ehi”, dissi con tono duro, avvicinandomi al mio uomo e avvolgendogli il braccio con le mani. “Tutto bene?”, guardai prima lui e poi la ragazza che gli stava di fronte, l’espressione corrucciata che si trasformò in fretta di odio puro.

“No, non va tutto bene, se lui continua a portarsi a letto le puttanelle come te”, rispose la tizia, schioccandomi un’occhiata da rivale.

“Punto uno, lui fa quello che vuole; punto due, ritira tutto ciò che hai detto sul mio conto oppure ti deformo quella faccia di merda che ti ritrovi”, risposi avvicinandomi.

“Che cos’è che fai, puttanella?”, sogghignò ancora, spintonandomi.

“Che cazzo fai?!”, sbottò Tom allontanandola immediatamente da me con espressione furente.

“Lascia stare la mia sorellina!”, gridò una voce stridula che riconobbi subito come quella di Ale, appena uscita dalla macchina assieme a Bill che la sorreggeva, e guardava male la tizia di fronte a noi.

“Infatti, non provare nemmeno a toccarla”, sibilò Tom a denti stretti.

“La situazione si sta riscaldando qui.”

“Oh no, e adesso chi cazzo rompe ancora?!”, gridai girandomi e trovandomi di fronte ad altre tre ragazze, che dovevano fare un gruppo assieme alla tizia grassa.

“Buonasera”, mi salutò una, prima che le sue due compagne si dirigessero verso Bill e Ale, ancora vicini all’Audi.

“Oh, ma che cavolo volete?!”, gridai. “Avete beccato proprio la serata sbagliata, mi dispiace!”

“Questa poi me la spieghi”, disse Tom, ma io non ci badai, troppo impegnata a fulminare con lo sguardo quella che mi si parava davanti.

Voi due, che cosa volete da loro.”

“Si dia il caso che siamo le loro ragazze!”, gridò Ale liberandosi dalla stretta di Bill e avvicinandosi ad una delle tizie vicine a lei, traballando un po’ e puntandole il dito contro.

“Oh sì, certo. Da quando, da questa sera?”

“Voi non sapete nulla, nulla!”, gridò ancora Ale, beccandosi solo uno spintone da una di loro. Bill la prese al volo prima che cadesse a terra e la fece risedere in macchina nonostante si dimenasse, e si parò davanti a quelle due ragazze con uno sguardo così arrabbiato che faticai a riconoscerlo.

“Anche tu Ary, vai in macchina”, mi ordinò Tom, fermo.

“Te lo scordi! Non possono insultarmi così gratuitamente!”

“Ti ho detto di andare in macchina!”, ringhiò guardandomi male. 

Ferita da quello sguardo e da quel tono, abbassai gli occhi e mi avviai verso l’auto, quando mi sentii strattonare da una di quelle ragazze.
Tom si mise in mezzo e la spinse tanto forte da farla cadere a terra, poi mi prese il braccio e mi ficcò in macchina di fianco ad Ale, nei sedili posteriori.
Lo guardai ad occhi sgranati e mi strinsi forte ad Ale, nascondendo il viso fra i suoi capelli profumati, con gli occhi che mi pizzicavano.
Lei era fortunata, la mattina dopo non avrebbe ricordato quasi nulla…

Poco dopo Tom si mise al volante, cupo in viso, e scambiò ancora qualche parole con la prima ragazza: “Puoi scommetterci che non finirà qui.” Una volta che anche Bill si fosse allacciato la cintura, sgommò via facendo sobbalzare Ale.

Il tempo non sembrava passare mai in quell’auto, dove un pesante silenzio regnava sovrano e l’amaro ricordo di un sorriso per quella serata che avevamo passato assieme prima che loro partissero per un giro in Spagna era ormai lontanissimo.
Mi sentivo soffocare lì dentro, mentre le immagini e le parole rabbiose di Tom mi rimbombavano nella testa facendomi in qualche modo soffrire. Non si era mai comportato così… Mi veniva la pelle d’oca solo a ripensarci.

Quando arrivammo di fronte alla nostra villetta sospirai sollevata ed uscii in fretta fuori dall’auto, tenendo sotto braccio una Ale che mugugnava lamentandosi per il mal di testa.

“Lascia, la porto io dentro”, disse piano Bill.

“Ma va', no, lascia stare.”

“Ary, non mi contraddire”, ridacchiò rubandomela dalle braccia e lasciandomi lì da sola con Tom.

Abbassai subito lo sguardo quando incontrai il suo, mi girai appoggiandomi al muretto che recintava il nostro giardino e mi ci misi seduta sopra, tirando fuori dalla tasca della giacchetta il pacchetto di sigarette e infilandomene una fra le labbra.
Mi tastai le tasche in cerca dell’accendino, quando sentii Tom avvicinarsi e sporgersi in avanti fino a far incontrare la sua sigaretta accesa con la mia.
Inevitabilmente si incontrarono anche i nostri sguardi e mi fece un’amarezza unica vedere quei suoi occhi di solito così pieni di vita, spenti e dispiaciuti. Come si poteva resistere alla potenza di quello sguardo magnetico e non sentirne le emozioni che ne derivavano?
Si scostò lentamente e fece il primo tiro, lasciò che il fumo si espandesse in alto tirando indietro la testa e mettendo in bella mostra il suo collo e la curva perfetta che faceva il suo pomo d’Adamo. Quanto mi piaceva baciarlo in quella zona…

I suoi occhi ancora mi catturarono e non mi accorsi nemmeno che si era avvicinato a tal punto da essere fra le mie gambe.
“Mi dispiace per come mi sono comportato prima”, mi sfiorò lo zigomo con il pollice. “Non volevo risponderti così e tantomeno ferirti…”

“Mi hai fatto paura”, mormorai.

“Scusami piccola… Ho esagerato. Ma lo sai che quando ti toccano io impazzisco… perché io ti… ti…”, sospirò, “ti voglio bene”, sorrise dolce.

“Anche io Tomi”, ricambiai donandogli un soffice bacio sulla bocca.

“Perdonato?”, sfarfallò le ciglia.

“Potrei mai essere arrabbiata con te? Faccio solo finta, non ce la faccio ad arrabbiarmi veramente… è più forte di me. O sei tu che hai poteri sovrannaturali.”

“La seconda”, mormorò malizioso portando le mani infondo alla mia schiena, stringendomi a sé, e baciandomi sulle labbra dolcemente e lentamente, assaporando tutto di quel bacio, ogni minimo particolare, perché il mattino dopo sarebbero partiti e per una settimana non ci saremmo visti.

“Mi dispiace salutarti così”, ridacchiai.

“È il pensiero che conta…”

“Porco!”, gli tirai uno schiaffo sul braccio, appoggiandomi al suo petto con la testa.

“Perché, sei o non sei la mia ragazza?”

“Sì, certo che lo sono!”, esultai alzando di scatto la testa e colpendolo sul mento.

“Ahia!”, mugugnò portandosi una mano sul punto colpito.

“Scusa Tom!”, lo guardai preoccupata. “Ti ho fatto tanto male?”

“Sai che se avevo la lingua fra i denti me la tagliavo?”

“Oddio, che schifo! Non dire queste cose, mi fanno impressione!”, ridacchiai abbracciandolo. “Scusami, non era mia intenzione.”

“Ci mancherebbe altro”, bofonchiò sorridendo e baciandomi fra i capelli. “Pensaci a… a quella cosa”, disse.

“A quale cosa?”, ribattei nervosa. Ancora con la storia di sua madre…

“Sai a cosa mi riferisco.”

“Ok, va bene, ci penserò”, sospirai arrendevole.

Mi accarezzò il viso con le mani e mi baciò di nuovo, prima che Bill uscisse di casa e interrompesse tutto. Come noi eravamo i guastafeste per Ale e Bill, lui lo era per noi due, ovviamente.

“Ale è già a letto, si è addormentata subito.”

“Ok, grazie Bill”, sorrisi e scesi dal muretto strusciandomi apposta su Tom che si morse da solo la lingua fra i denti, spalmandosi una mano in faccia mentre io me la ridevo.

“Sei proprio perfida!”, mi additò.

“Lo so”, gli feci una linguaccia.

“Appena torno vedi, brutta stronza.”

“Sese”, ridacchiai sventolando una mano e baciando Bill sulla guancia, augurandogli buon viaggio e una buona permanenza in Spagna.

“Divertitevi, mi raccomando”, dissi al finestrino. “Ma non troppo, Tom. E sai che cosa intendo.”

“Tranquilla piccola!”, la sua risata argentina mi sciolse il cuore. “Come tu sei solo mia, io sono solo tuo”, mi fece l’occhiolino e tirò su il finestrino ridacchiando guardando la mia espressione sorpresa e commossa. Bill mi salutò con la mano e poi si allontanarono nella notte.

 

***

 

Nothing's missing

[Non manca niente]

 

Erano passate ormai due settimane e avevo avuto gli esiti degli esami per il debito di matematica che, senza sapere minimamente come, ero riuscita a superare, aiutata magari da chissà quale santo misericordioso.
Appena avevo visto il tabellone avevo controllato e ricontrollato prima di convincermi che io, proprio io, ero riuscita a passarlo. Mi ero sorpresa anch’io, oltre che i professori! E mi ero vantata di essere “un genio” con Tom, ricordandomi che l’ultima volta che mi ero definita così avevo formulato quell’idea idiota dello scambio d’identità. Avevo ritirato subito tutto, appena mi era venuto in mente.

I Tokio Hotel già da una settimana erano tornati ad Amburgo, ma ero riuscita a schivare abilmente il discorso ogni volta che Tom iniziava a parlare dell’ipotetico incontro con sua madre, anche se sapevo che non avrei potuto scappare per sempre e quel giorno sarebbe arrivato prima o poi.
Speravo tanto poi, che prima.
Non sapevo per quale stupida ragione, ma avevo una maledetta paura di sua madre, il che era di per sé insensato perché da come me ne parlavano, sia Tom e gli altri che Andreas, che la conosceva bene, era una donna simpaticissima, solare e molto aperta a tutto.
Nonostante ciò, avevo paura di non piacerle, di non venire accettata e di conseguenza di essere solo un peso per Tom. E quella era l’ultima cosa che volessi al mondo. Non volevo perderlo… di nuovo. Mai e poi mai avrei permesso che accadesse.

“Oh, questo è il pezzo più bello!”, gridai da sola mettendomi in piedi sul mio letto sfatto e unendo le mani davanti alla bocca a mo’ di microfono, iniziando a cantare a squarciagola le parole di quella canzone facendo una specie di balletto in soli slip e reggiseno.

 

How do I know when it's love?
I can't tell you, but it lasts forever
When it's love
It'll last forever
When it's love

 

[Come posso sapere quand’è amore?
Non posso dirtelo, ma dura per sempre
Quando è amore
Durerà per sempre
Quando è amore]

 

La porta si aprì all’improvviso e comparve di fronte a me Tom, che mi guardò dall’alto verso il basso e viceversa per un paio di volte, un sorriso divertito sulle labbra. Io mi immobilizzai com’ero, le gambe divaricate, un pugno di fronte alla bocca aperta, un’espressione sconcertata sul viso e un braccio che tendeva verso l’alto.

You and I”, mormorai a bocca aperta, arrossendo di vergogna.

“Wow”, scoppiò a ridere avvicinandosi e prendendomi sulla sua spalla a tradimento, iniziando a girare su sé stesso.

“Tom, mettimi giù! Tom! Mi viene da vomitare!”

Mi fece cadere sul letto ridendo e si sistemò meglio sopra di me, togliendosi le scarpe e tirandosi su le coperte. Mi baciò il collo e salì fino alle labbra, accarezzandomi i fianchi e la pancia.

“Bella quella performance…”, mi sussurrò sorridente.

“Vuoi il bis?”, lo stuzzicai.

“Magari più tardi…”, fece scivolare una mano sull’interno coscia e sogghignò.

“Stupido maniaco!”, mi dimenai tirandogli accidentalmente una ginocchiata.

“Ahia!”, gridò cadendo con la testa sul mio petto.

“Scusa Tom!”

“Ma perché mi fai sempre male…”, piagnucolò. “Se non potrò avere figli e le mie prestazioni caleranno sarà solo ed esclusivamente colpa tua!”

“Non lo faccio apposta, scusa!”, scoppiai a ridere.

“Adesso mi serve un massaggio però”, si leccò le labbra, muovendo il piercing sul labbro.

“Te lo scordi!”, mi dimenai sotto di lui, facendo la stupida. Lui si aggiunse a me e mi bloccò i polsi con le mani, avvicinandosi tanto al mio viso da poter sentire le sue labbra sfiorare le mie e il suo respiro caldo unirsi al mio.

“Forse sarebbe il caso che ti preparassi, cantante incompresa”, sussurrò fondendo i suoi occhi nei miei.

“Dove andiamo?”, chiesi felice, come una bambina curiosa.

“Da mamma, ovviamente. E non ammetto repliche questa volta, fifona.”

_______________________________

 

Buona sera a tutti! *-*
Nuovo capitolo, nuovi problemi! xD Mi sembra ovvio u.u
Che tenero Tom che ha chiesto ad Ary di conoscere la sua mamma *w* E lei ovviamente è stupida e ha una paura matta xD Ale lasciamo perdere, si è presa una sbronza colossale ù.ù E giusto per concludere, ciò che più spaventa tutte noi (o almeno credo): le stalker. Ebbene, non potevano mancare! D: Io e la mia collega abbiamo cercato di “riportare” ciò che è successo realmente a Tom, infilandoci però Bill e le due gemelle xD Staremo a vedere che cosa succederà ora D:
Ah, la canzone inserita in questo capitolo (e che Ary si appresta molto bene a cantare xD) si intitola “When is love” ed è dei Van Halen *-* (Bene per chi li conosce, male per chi no ù.ù xDD)
Speriamo con tutto il cuore che vi sia piaciuto e ringraziamo chi ha letto, ma chi soprattutto ha recensito lo scorso capitolo! *-*

Holly94 : Ahahah xD Belli Davide e Marika, vero? ** Comunque siamo in due xD E speriamo che ti sia piaciuto anche questo capitolo! :) Grazie!

iLARose : Un concentrato di dolcezza pura xD Ah no, Bill è più malizioso di quanto sembri all’apparenza u.u Per fortuna né Bill né Ale hanno ballato nudi sui tavoli, anche se lei si è presa una bella sbronza xD Quindi il povero Tom è rimasto a secco, anche se non sembra avere occhi che per Ary *-* Grazie mille, alla prossima!

Charls__ : Dove cavolo la prendiamo la foto del matrimonio? ò.ò Bah tu sei tutta fusa u.u xDDD Guarda, speriamo tanto di non averti fatto aspettare troppo, zia Charlie u.u xD Speriamo che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento! *-* Un bacio! <3

_t_o_k_i_e_t_t_a_ : XD Beh, contente che ti sia piaciuto! ;) Grazie, alla prossima!

Veri_995 : Ahahah no, Bill e Ale non c’entravano niente e Ale non è nemmeno incinta xD Beh però è vero, sarebbero proprio la coppia perfetta per il matrimonio e i bimbi ** Sì, pensa anche a Tom e Ary, quei due scapestrati u.u xD Grazie mille, davvero! :) Alla prossima!

Tokietta86 : Ciao! :D Non ti preoccupare xD Sì, Ale si è presa cura di lui e a Bill è piaciuto, no? xD Ale e Tom sono molto amici, è vero :) Chissà se nascerà lo stesso tipo di rapporto con Bill e Ary… ancora non se n’è parlato, ma forse… chissà xD Ary la romanticona mi fa stranissimo xD Me la immagino sempre come l’Ary dell’inizio della storia, io! E invece da quando sta con Tom si è sciolta ** Dave si sposa e dovrai vedere quelle due al matrimonio, altroché xD
Ale si è ubriacata proprio per questo, per non darla vinta a Tom, quell’idiota xD Bill si è arrabbiato, ma non lo picchia. Hanno già rischiato con le stalker ç_ç Ora chissà che succederà… bah xD Grazie mille, un abbraccio forte, alla prossima! *___*

_MINA_ : Grazie mille! **

 

Alla prossima ;D
Un bacio, vostre
Ale&Ary

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Capitolo 22
*** Inaspettatamente ***


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Capitolo 23
*** In galera?! ***


Capitolo 23: In galera?!

 

Era tutto in bianco e nero a parte il mio completo elegante rosso e il colore bordeaux del rossetto. Avevo i capelli raccolti sulla nuca e lo sguardo spento, mentre seguivo quella guardia lungo un corridoio che non sembrava finire mai.
Arrivammo di fronte ad una delle tante celle e gli occhi iniziarono a pizzicarmi quando lo vidi in quella tuta da carcerato che non gli stava per niente bene, il viso scavato e le guance ricoperte da barba ispida. Ma era sempre lui, era sempre il mio Tom…

“Piccola…”, mormorò alzandosi dal letto in penombra e avvicinandosi alle sbarre.

“Tom”, singhiozzai avvicinando la mano per accarezzargli la guancia, ma lui si ritrasse, un’espressione improvvisamente furiosa sul volto, come quella sera, che mi fece paura.

“Non azzardarti a toccarmi, è solo colpa tua se io sono finito qui dentro!”

“Ma… Tom… io…”, balbettai senza badare alle lacrime che mi scorrevano sulle guance.

“Perché sei venuta? Vattene, io non voglio più vederti. Mai più.”

 

Gridai con tutto il fiato che avevo in gola e aprendo gli occhi mi resi conto di essere seduta sul letto di Tom, le coperte sulle gambe e il sole timido del mattino in faccia.

“Piccola… che cos’è successo?”, mugugnò al mio fianco, guardandomi preoccupato.

“Tom! Oddio Tom! Sei ancora qui, stai bene! Non hai la barba!”, mi gettai fra le sue braccia rannicchiandomi contro il suo petto e stringendolo con tutte le mie forze.

“Ma che cosa…”, mormorò guardandomi confuso. “Mi vuoi spiegare?”

“Solo io posso metterti le manette, nessun altro”, scossi violentemente la testa, sfregando il viso contro la sua pelle calda.

“Non sto capendo niente”, si arrese gettando la testa sul cuscino e iniziando ad accarezzarmi i capelli sulla nuca.

“Se ti dovesse succedere qualcosa non me lo perdonerei mai, è tutta colpa mia!”, continuai, persa nei miei deliri.

“Eccola che ricomincia… Piccola, stai tranquilla, non mi succederà niente e non è nemmeno colpa tua. Non devi nemmeno pensarci.”

“E io ci penso invece! Mi sento così in colpa… Ma se non vorrai vedermi mai più io… io lo accetterò, mi prenderò le mie responsabilità e…”

“Ma la vuoi finire?!”, mi prese il viso fra le mani e mi guardò negli occhi. “Smettila”, sussurrò prima di baciarmi con foga sulle labbra, rotolandosi sopra di me.

“Dovrebbero metterti in galera solo ed esclusivamente perché riesci sempre a distrarmi in questo modo. Sei scorretto.”

“Galera?”, corrugò la fronte. “Allora è questo che hai sognato? Che io ero in galera?”, ridacchiò.

“Non c’è niente da ridere, Tom Kaulitz! Mi sono spaventata a morte. E indossavo un completo elegante che non metterei mai e poi mai!”

“Sei sempre la solita stupida”, scosse lievemente la testa facendo sfiorare i nostri nasi. “Ma è anche per questo che ti voglio bene.”

Sorrisi e lo abbracciai posando le mani sulla sua schiena perfetta, scendendo fino a sentire l’elastico dei pantaloni che indossava.
“Perché hai i pantaloni?”, chiesi.

“Perché ieri mi sono addormentato con i pantaloni. Mi hai sfinito con tutte le tue paranoie”, sogghignò.

“Ancora che ci scherzi?!”, gli tirai uno schiaffo sul braccio, mettendo il broncio.

“Come sei tenera quando fai così, sembri una bambina! La mia bambina…”, mi posò un bacio sulla fronte, poi si scostò e scese dal letto.

“Dove vai?”, chiesi tirandomi a sedere.

“Ricordi che tua sorella ieri aveva un febbrone da cavallo? Vado a vedere come sta, no?”

“Oh già, Ale!”, gridai raggiungendolo di corsa e superandolo, diretta verso la camera di Bill, dove la trovai ancora sotto le coperte e con Bill accanto che la guardava perso nei suoi pensieri mentre le accarezzava i capelli.

“Sorellina! Come stai?”, chiesi avvicinandomi a gattoni e spostando Bill, facendola ridacchiare.

“Sto meglio rispetto a ieri.”

“Mmh, menomale”, sorrisi. “Ho fatto un incubo bruttissimo, lo sai?”

“Ossia?”, scambiò uno sguardo con Tom che scuoteva la testa sorridendo.

“Tom indossava un’orrenda tuta da carcerato, aveva la barba ed era in una cella!”

“Oh, wow”, scoppiò a ridere. “E per quanto è riuscito a resistere senza sesso?”

“Ora che ci penso… Hai ragione! In prigione mi tradivi con la cuoca!”, gridai raggiungendolo e tirandogli pugni a casaccio sul petto, per poi abbracciarlo d’impeto.
Quanto gli volevo bene era impossibile da spiegare a parole…

 

***

 

Era un orario abbastanza insolito per fare colazione, però ci eravamo messi comunque a tavola assieme a Gustav. Ale, avvolta in una copertina, stava sorseggiando una tazza di thè bollente con il miele.

“Sembri nonna”, ridacchiai guardandola di sottecchi.

“Grazie, molto gentile”, borbottò.

“Ma sei comunque una vecchietta bellissima”, aggiunsi.

“Devo raccontare a tutti come ti riduci tu quando stai male? Ti fai direttamente portare tutto a letto e sei servita e riverita dalla mattina alla sera.”

“È giusto così”, annuii. “Giusto Tom? Eh?”

Sollevò le spalle, girando il cucchiaino nella propria tazza di caffè.

“Che cosa c’è?”, chiesi.

“Ti ricordi che giorno è?”

“Figurati se si ricorda lei che giorno è oggi”, ridacchiò Ale portandosi la tazza alle labbra, guardando Tom.

“Oddio, che giorno è?”, chiesi. “Non è il mio compleanno, non è l’anniversario della mia prima volta, non è il giorno della fine del mondo… Non è il tuo compleanno, ne sono sicura”, contai sulle dita. Ale scosse la testa, arrendevole: non sarei mai cambiata.

“Oggi è passato esattamente un mese da quando ci siamo messi insieme”, mi illuminò Tom, visto che non ci sarei mai arrivata da sola.

Boccheggiai per diversi minuti, incapace di dire o di fare qualsiasi cosa. Come avevo fatto a dimenticarmelo!?

“Che caso disperato”, disse Ale a Bill. “Non me le dimentico queste cose, io”, annuì ad occhi chiusi.

“Ti riferisci a qualcuno in particolare?”, ribattei stringendo gli occhi a due fessure.

“No, nessuno.”

“Scusami Tomi!”, mi girai verso di lui e lo travolsi in un abbraccio che lo fece quasi cadere dalla sedia. “Scusascusascusascusascusascusa!”

“Non importa dai”, ridacchiò. Lo guardai negli occhi e lo baciai sulle labbra.

“Lo sai che ti voglio tanto tanto tanto bene… E che sono una smemorata”, mi passai la mano sul collo.

“Lo è anche lui, e mi sorprende che si sia ricordato una cosa del genere”, disse Bill. “Deve tenerci tanto, vero Tom?”

Lui fece finta di non sentire, arrossendo sulle guance, quando la porta dell’appartamento si spalancò e comparve Sabine, la ragazza di Georg, accompagnata proprio da lui.

“Buongiorno a tutti!”, gridò alzando le braccia al cielo. 
“Ciao Tom”, saltellò da lui e lo abbracciò per il collo scostandomi bruscamente e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia.

“Ciao Sabine”, mugugnò lui passandosi di nascosto il polso sulla guancia.

La guardai con odio mentre faceva il giro del tavolo per salutare tutti.

Già dal primo giorno in cui ci eravamo viste l’avevo presa in antipatia perché avevo scoperto che aveva avuto un mezzo flirt con Tom e che ancora qualcosa per lui c’era, nonostante lui non fosse per niente attirato da quella ragazza con i capelli neri e gli occhi scuri; poi era fondamentalmente antipatica, egoista sotto quella faccia da ragazza gentile e disponibile, sfrontata e piena di sé.
Anche ad Ale non stava particolarmente simpatica, ma tentava di sopportarla, quando io più e più volte avevo manifestato il mio disappunto verso di lei. Ci eravamo scannate una volta, e da quel giorno ero stata ben attenta a non andare a casa dei ragazzi quando c’era anche lei per non ferire i sentimenti di Georg, un mio amico.    
Lei, d’altro canto, non aveva mai smesso di lanciarmi frecciatine provocatorie che sfidavano di molto la mia scarsa pazienza. Ci detestavamo, quello era chiaro a tutti ormai.

“Io vado a fumare”, annunciai alzandomi dal tavolo in fretta e furia.

“Ecco vai, brava”, mi sorrise angelica indicandomi di andare fuori, per mettersi subito accanto a Tom che guardò il fratello preoccupato. “Comunque ti fa male fumare, sai? Rovina la pelle e fa diventare i denti gialli, se ti interessa”, sollevò le spalle prima di girarsi verso il mio ragazzo.

Quanto avrei voluto prenderla per i capelli e trascinarla su e giù per le scale!

“Sì, lo so che fa male, ma io faccio quello che mi pare e piace. Non sei mia madre né nessun altro a cui devo sottostare”, risposi sfilando una sigaretta dal pacchetto e infilandomela fra le labbra, schioccandole un sorriso brillante.

“Infatti si è visto. Per colpa tua ora Tom dovrà andare in tribunale”, rispose con tanto di occhiata fulminante.

La sigaretta mi cadde dalle labbra in un momento di stupore e scossi la testa raccogliendola da terra. Non le risposi, un po’ per non aumentare la tensione che già si respirava, e poi anche perché mi sentivo già maledettamente in colpa di mio e ci mancava solo lei che infilava il dito nella piaga.
Mi girai senza aggiungere altro, il naso che mi pizzicava assieme agli occhi, e mi chiusi la porta vetrata che portava in terrazza alle spalle. Mi accesi la sigaretta e mi misi seduta di traverso sul parapetto, lasciandomi baciare dal sole di quella mattina di primavera e traendo lunghi respiri per sbollire la rabbia che mi correva nelle vene.

“Ma Georg ha i paraocchi, per caso?!”, sbottai in un momento in cui il nervoso aveva raggiunto il suo livello massimo, stringendo il filtro della sigaretta fra le dita prima di gettarlo nel portacenere.

“Ah boh.”

Mi girai spaventata e guardai Tom al mio fianco, che mi sorrideva dolce. Mi avvolse con le braccia e mi fece scendere da lì, andò a sedersi su una sedia di plastica bianca e mi accoccolai contro il suo petto, la testa sotto il suo mento.

“Devi lasciarla perdere quella”, mi disse accarezzandomi la schiena.

“Non ce la faccio, mi fa venire il nervoso! Se prima o poi le metto le mani addosso vi prego fermatemi, se no ci finisco io in galera. Per omicidio.”

Tom ridacchiò e mi posò l’ennesimo bacio fra i capelli, respirando profondamente. “Andiamo a fare una passeggiata?”, mi chiese. “Così ti svaghi un po’.”

“Fin dove sei disposto ad arrivare?”, ridacchiai.

“Fino al centro commerciale”, sospirò sorridendomi.

 

***

 

“Siamo tornati!”, gridò Tom entrando nell’appartamento e trovando sei teste e dodici occhi puntati su di noi.

Incontrai subito lo sguardo di Ale che sorrideva e le mostrai il piccolo portachiavi con un orsetto di peluche che mi aveva regalato Tom dopo averlo trovato in uno di quei contenitori di sorprese nei quali si doveva infilare la moneta e vedere che cosa usciva. Avrei preferito l’anellino di plastica che avevo visto in una delle scatolette, ma anche quello era bellissimo perché l’espressione imbarazzata con il quale me l’aveva dato mi aveva resa la ragazza più felice della terra.

“Con calma, eh”, disse duro David, puntandosi le mani sui fianchi. “Dopo quello che è successo hai ancora il coraggio di uscire senza guardie del corpo?”

“Con Ary non c’è pericolo”, ridacchiò.

“Non scherzare Tom, qui la questione è seria. Quella ragazza ti ha denunciato e quasi sicuramente finirai in tribunale e nel peggiore dei casi rischi cinque anni di reclusione.”

“Cinque anni?! Ma non ho fatto niente! L’ho soltanto spinta!”, gridò indicandosi. “E lei per prima ha spinto Ary!”

“Io ti credo Tom, ma le telecamere hanno ripreso solo te che spingevi lei, dunque non ci sono le prove per testimoniare che sia stata lei a cominciare e che la tua si stata legittima difesa.”

“Io posso testimoniare!”, dissi.

“Ary…”, disse David.

“Chi vuoi che creda ad una come te?”, disse Sabine.

“Ah, senti! Mi hai proprio stufata, tu! Tagliati quella lingua biforcuta che ti ritrovi e non ti intromettere in questa storia, non ne hai alcun diritto!”, gridai.

“Io mi intrometto eccome, invece!”, ribatté alzandosi dal divano. “Perché se tu non ci fossi stata e non avessi fatto la bambinetta, a questo punto Tom non sarebbe in questo casino!”

“Come se non mi sentissi già in colpa di mio!”, gridai con gli occhi velati da fastidiose lacrime di nervosismo. Quanto non la sopportavo!

“La volete smettere?”, si intromise Tom dividendoci. “Ora dobbiamo parlare di questa cosa in pace, quindi o la piantate o ve ne andate”, ci minacciò.

“È lei che se ne deve andare”, disse Sabine incrociando le braccia al petto. “Io sono qui da molto più tempo di te, bambina.”

“Ma che cavolo c’entra?!”, stava davvero superando il limite, mi tremavano le mani da quanto volevo prenderla a schiaffi.

“Dai Ary, vieni su di sopra con me che mi sta tornando il mal di testa”, disse Ale alzandosi dal divano e prendendomi per il braccio appena in tempo: ancora un secondo di fronte a quell’antipatica e le avrei fatto una plastica facciale gratuita, tanto che alla fine mi avrebbe persino ringraziata.

Seguii la mia gemella al piano superiore e pensai che se qualche ora prima ero riuscita a rilassarmi e a tranquillizzarmi con Tom, ora sentivo il doppio dei sensi di colpa. Tutto a causa di quella stronza!

“La odio, la odio, la odio”, borbottai gettandomi sul letto di Tom e agitando le gambe con il cuscino premuto sulla faccia.

 

______________________________________

 

 

Buonasera gente! Siamo tornate! *w*
Non vedevate l'ora, eh? u_u XD
Quindi... capitolo un po' così, mi rendo conto che non succede nulla di eclatante, a parte la strabiliante rappresentazione di Ale da nonnetta xDD Ah, e anche del sogno di Ary! xD Io e Ale ci siamo fatte un sacco di risate a causa sua (sopratto della parte di Tom e la cuoca xD), me lo ricordo come se fosse ieri *-*
Poi, c'è da dire anche che Ary e Sabine proprio non si sopportano ò.ò E' da tenere d'occhio quella lì u_u Ma non posso dirvi altro XD
Speriamo vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto come è piaciuto a noi e che lasciate una recensione per farcelo sapere! :D

Grazie mille alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo:

Holly94: Sì, Ale e Bill sono carinissimi :)

Veri_995: No, non è proprio una bella cosa Tom in cella... Ary sta già diventando pazza xD (Nella pubblicità per gli animali negli zoo però era... *Q* Okay basta u.u). Uhm... chissà, il caro Bill cosa nasconde xD Mannò dai, ha detto la verità xDD Grazie, alla prossima! :)

_t_o_k_i_e_t_t_a_: Don't worry ;) Grazie mille per i complimenti!! Alla prossima!

Charls__: (Cioè, l'altra volta fuxia, adesso verde shocking? ò-ò Tu mi vuoi male *parla Ary* xDD)
Ah sì, potrestri ucciderci, ma saggiamente non lo fai perchè se no non sapresti la conclusione di questa FF *-* E poi anche perchè un po' di bene ce lo vuoi, di' la verità ù.ù Adesso però abbiamo fatto presto, no? :D
Ahahahah le sgonfi le zinne X°D Da me non c'è niente da sgonfiare D: 
Un bacio anche a te, alla prossima e grazieee!! *w* 

_MINA_: Grazie! ;)

Tokietta86:  Ciao cara! :D Beh meglio in ritardo che niente xD
Tom non è riuscito proprio a rassicurarla... diciamo che l'ha distratta a modo suo xD e poi quella è pazza, è da lasciar stare quando ha i suoi deliri ù.ù soprattutto se ci si mette pure quella cretina di Sabine che ce la mette tutta per innervosirla è_é Bah, staremo a vedere!! :)
Nah, Tom non lo dice ad Ary, è troppo legato ai suoi capelli u_u xDD
Grazie mille *w* Un abbraccio enorme anche a te, alla prossima!!

Grazie anche a chi ha letto soltanto! ;)

Un bacio enorme, vostre
Ale&Ary

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Capitolo 24
*** Vecchie conoscenze ***


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Capitolo 25
*** Problema risolto, problema che inizia ***


Capitolo 25: Problema risolto, problema che inizia

 

“Ehi Ary!”

“Ciao Gunter”, sorrisi sistemandomi la borsa sulla spalla.

“Come va?”

“Tutto bene, e tu? Te la sei trovata la ragazza?”

“Ehm… ancora no. Però mi va bene anche così! Tua sorella?”

“Oh, anche lei tutto bene. Tra un paio di giorni fa sei mesi con il suo ragazzo, sono contentissima. Pensa se diventa mio cognato! Non voglio nemmeno immaginarlo, sarebbe bellissimo!”

“Sono contento per lei”, sorrise mentre camminavamo vicini verso l’uscita del campo sportivo.

“E tuo fratello invece?”, chiesi deglutendo. Sapevo che era ancora innamorato di lei, ne ero più che certa, ma lei ormai era di Bill…

“Sempre il solito cocciuto”, sospirò. “Spero gli passi, si sta solo facendo del male.”

“Oh, sì…”

Avevo sempre voluto bene ad Aaron, quando stava insieme ad Ale. Quando l’aveva fatta soffrire in quel modo però l’avevo odiato con ogni fibra del mio corpo, ma mi sentivo riconoscente verso di lui in quanto quella sera mi aveva protetta nonostante tutto: senza di lui io e Tom ce la saremmo dovuta vedere brutta.

Vidi la macchina di Tom nel parcheggio, lui fuori che mi aspettava, sorridendo.

Amavo il suo sorriso, lo amavo quando nasceva solo ed esclusivamente per me e amavo che nascesse nonostante tutto il casino che gli stava succedendo alle spalle. Amavo come riuscisse semplicemente a farlo nascere.
La verità era che forse amavo Tom, ma che non avevo ancora il coraggio di dirglielo? Molto probabilmente sì. E per lui, per ora, era lo stesso, quindi non mi dovevo preoccupare troppo. Quella situazione in fondo non mi dispiaceva, dovevo ancora del tutto abituarmi a quel legame stabile.
Come Bill e Ale tra qualche giorno anche per noi sarebbe arrivato il momento di festeggiare… Ormai erano tre mesi che stavamo assieme e più ci pensavo più mi convincevo che magari non tutte le follie dovevano essere dannose.
Sfiorai l’orsacchiotto che mi aveva regalato lui, attaccato alla cerniera della borsa, e sorrisi felice. Sì, con lui ero felice, felice davvero, felice come non lo ero mai stata con un ragazzo.

“Ora io devo andare, ci sentiamo”, lo salutai con la mano prima di trotterellare da Tom che mi accolse a braccia aperte, togliendomi il fiato in un bacio.

“Buonasera”, mormorai guardandolo negli occhi.

“Buonasera a lei… Che voleva quello?”

“Allora sei geloso!”, ridacchiai portandomi la mano sulla bocca.

“Ovvio che sono geloso!”, si imbronciò; io gli punzecchiai le guance con le dita, sfregando il naso contro il suo.

“Adesso sai che cosa provo quando vedo Sabine ronzarti intorno.”

“Devi lasciarla perdere quella lì.”

“Lo so, ma non è così semplice! Certe volte vorrei… Guarda, meglio che non parlo, potrei traumatizzarti.”

“Addirittura?”, ridacchiò attirandomi di nuovo alle sue labbra.

“Sì, addirittura. Ora che si fa?”

“Che cosa vorresti fare? Ti porto a casa, no?”

“Ma dai, Tom! Perché invece non andiamo da qualche parte a bere qualcosa? Potrebbe venirmi un calo di zuccheri…”, sussurrai.

“Te li faccio recuperare io gli zuccheri!”, tentò di afferrarmi, ma io mi divincolai dalla sua stretta e ridendo mi infilai in macchina. Lui mi raggiunse e mi baciò la fronte prima di mettere in moto verso il Melody.

 

***

 

“Quanta gente…”, dissi appena entrati nel locale, guardandomi intorno in cerca di un tavolino libero. “Là infondo ce n’è uno.”

Presi Tom per mano e lo scortai infondo alla sala, dove c’erano i tavolini divisi da separé in pelle rosso fuoco e al posto delle sedie c’erano delle panche ricoperte sempre dallo stesso tessuto.

Mentre aspettavamo che qualcuno venisse a prendere le nostre ordinazioni, vidi entrare nel locale Sabine con Perrine, la ragazza francese che ci aveva dato fastidio assieme al suo gruppo di delinquenti e che aveva denunciato Tom. Che ci facevano quelle due insieme?

“Abbiamo preso il due per uno…”, sibilai seguendole con lo sguardo senza farmi notare.

“Di che cosa stai parlando, scusa?”, mi chiese Tom, io lo guardai e gli tappai la bocca andandomi a sedere di fianco a lui mentre le due si mettevano nel tavolino prima del nostro, senza essersi minimamente accorte della nostra presenza. Inoltre, se stavamo in silenzio riuscivamo persino a sentirle parlare.

“Sta andando tutto secondo i piani, una meraviglia”, ridacchiò come un’oca Sabine.

“Sì, è vero. Hai sempre avuto ragione, la tua idea è stata geniale. Così io e le mie amiche ci siamo riscattate per la delusione che ci hanno provocato, e tu ti sei potuta vendicare su quella puttanella bionda.”

Tom mi guardò sgranando gli occhi e io gli feci segno di rimanere in silenzio portandomi un dito sulle labbra, mentre gli prendevo il cellulare dalla tasca del jeans ed iniziavo a registrare, sperando con tutta me stessa che si sentisse.

“Il secondo punto è ancora da vedere”, disse Sabine con voce rabbiosa. “Tom non ha ancora lasciato quella sgualdrina da due soldi. Dovevate fare in modo che si lasciassero, dovevate darle una lezione! Erano questi gli accordi! Voi vi sareste prese quello che volevate, io mi sarei presa ciò che voglio, ossia Tom. Non posso sopportare che sia di quella lì!”

“Mi dispiace, ma lui l’ha difesa a spada tratta e non abbiamo potuto fare altro!”

“Tutte scuse, Perrine. Se vinciamo la causa il massimo che otterremo saranno insulsi soldi e ci guadagnerete solo voi, perché lui non la vuole lasciare! Quella stupida troietta.”

Finalmente avrei potuto prenderla per i capelli, insultarla e farle tutto quello che volevo! Avevo tutte le ragioni per farlo: mi aveva insultata, aveva combinato lei tutto quel casino e in più aveva pure preso in giro Georg per tutto quel tempo solo per fregarmi il ragazzo!

Mi alzai di scatto e la prima cosa che vidi fu l’espressione quasi terrorizzata di Perrine.

“Perché fai quella faccia?”, chiese Sabine col tono di una che stesse parlando con una cretina, quando invece non sapeva che era lei la stupida.

La presi direttamente per i capelli e glieli tirai così tanto che ebbi quasi paura di staccarle la testa, mentre gridava e si dimenava lanciandomi insulti ed improperi che non stavano né in cielo né in terra, e io me la ridevo come un’assatanata.

“Ti sta bene, brutta troia!”, gridai, ma proprio sul più bello Tom mi scrollò dai suoi poveri capelli e lei ebbe il privilegio di guardare il mio sorrisetto strafottente e soddisfatto. “Ora non ridi più, eh? Ti abbiamo scoperto, stronza! E non sarà Tom a pagare per qualcosa che non ha fatto, ma sarai tu!”, gridai ancora, puntandole il dito conto al viso.

“Brutta…”, fece per scagliarsi contro di me, ma Tom la prese saldamente per le braccia e la guardò negli occhi, il viso serio.

“Perché l’hai fatto?”, le chiese a bassa voce, in modo tale che potessimo sentire solo noi tre, gli occhi tristi. “Perché?”

“Io…”, scosse la testa, gli occhi velati dalle lacrime.

“Questo va oltre, è oltre, Sabine. Non lo capisci da sola che hai esagerato? Tu per me non potrai mai essere nulla, mi dispiace. Devi accettarlo, che tu lo voglia o no. Quello che hai fatto va oltre ogni limite, è da veri stupidi. E tu non sei stupida… Eppure, comportandoti così mi hai fatto capire che hai voluto esserlo. Mi dispiace perché tutto questo è successo per colpa mia, ma non potrò mai perdonarti per quello che hai tentato di fare ad Ary e per come hai bellamente preso in giro Georg per tutto questo tempo. E ora… ti chiedo solo di pensarci su, di farti un esame di coscienza e di fare ciò che è giusto: costituirti, ritirare la denuncia e risolvere tutto questo. E se non lo farai con le buone…”, si avvicinò ancora di più al suo viso, “farò in modo che tu non abbia più una vita”, sibilò pieno di rancore.

La mia vendetta si compì quando la vidi correre fuori dal locale in lacrime con la sua amichetta, ma mi sentii anche in colpa e a disagio senza volerlo coscientemente: non volevo abbassarmi ai suoi livelli, non volevo rinfacciarle di avere qualcosa che lei voleva e che non avrebbe mai avuto, perché non ero così infame, perché un cuore ce l’avevo anch’io lasciando perdere la rabbia del momento.

“Andiamo via da qui, dai”, mi disse Tom prendendomi per il braccio e trascinandomi via sotto gli occhi di tutti: non sarei mai più entrata in quel locale dopo la scenata che avevo fatto, accecata dall’ira.

Salimmo in macchina e calò un silenzio tombale, dopo un po’ lui si girò verso di me ed io verso di lui.

“Tutto bene?”, balbettai.

“Mi sento uno schifo.”

“Anch’io.”

“Perché?”

“Perché noi non siamo cattivi, Tom. Ma a fare sempre i buoni a volte ci si perde e basta. E questo era l’unico modo per farle capire che ha sbagliato, hai fatto bene”, gli accarezzai la guancia.

“Speriamo finisca tutto bene.”

“Sì, davvero. Dai…”, mi avvicinai e gli lasciai un timido bacio sulle labbra. “Andiamo a casa.”

 

***

 

“L’amore fa schifo”, mugugnò al mio orecchio, lamentandosi.

“Mmh, come mai non mi è nuova?”, ridacchiai girandomi verso di lui. Andreas tirò fuori il labbrino e aprì le braccia, in cerca di affetto e conforto. Sospirai e lo abbracciai, dandogli leggere pacche sulla schiena. “Anima in pena che non sei altro, se sapevi di essere in questo stato non venivi. È un matrimonio, accidenti! È amore nero su bianco!”

“Lo so”, piagnucolò. “Però l’amore fa schifo.”

“Dai, non dire così… Dipende da che prospettiva lo guardi”, sogghignai.

“Stronza, non mi copiare le battute.”

Lui e Selene si erano lasciati da poco e si era convinto a venire lo stesso al matrimonio di Davide e Marika per non dare buca all’ultimo momento, nonostante non fosse proprio dell’umore giusto per affrontare una giornata così all’insegna dell’amore come quella.

Era stata una cerimonia favolosa, con tutto e di più, un vero matrimonio da favola che era persino riuscito a farmi immaginare un mio possibile matrimonio con Tom. Mi erano venuti i brividi e avevo subito pensato ad altro, aiutata anche da Andreas che si era accovacciato su di me per non guardare e non sentire il fatidico e allo stesso tempo commovente “Sì” di una Marika quasi in lacrime.

Ora eravamo tutti al ristorante, riuniti intorno ad un lungo tavolo immacolato o quasi, visto che i nostri cuginetti avevano già versato Coca Cola ed acqua dappertutto sulla tovaglia. Ma era bello anche così, perché si respirava davvero quel calore familiare che mi faceva sentire bene.
E vedere mio fratello con la sua sposa ancora avvolta nel vestito bianco che io personalmente, assieme ad Ale, le avevo consigliato, così felice e con quel sorriso sulle labbra… mi faceva venir voglia di piangere dalla gioia.

“Oh su, se ce l’ho fatta io a mettermi a posto un giorno ce la farai anche tu”, sventolai la mano. “Ora mi lasci mangiare?”

“Grazie dell’interessamento, davvero”, mugugnò tornando sul suo piatto mentre io tornavo sul mio.

“Peccato non ci siano anche i ragazzi, però”, disse Ale all’altro mio fianco, vestita di tutto punto e con il tovagliolo sulle gambe: era veramente bellissima, non c’era da discutere su questo.

Tutto si era risolto per il meglio per Tom, infatti Sabine qualche giorno dopo il nostro ultimo incontro aveva detto tutta la verità e aveva costretto le sue amiche a ritirare la denuncia. Dunque non c’era stato nessun processo e tutti i fari che erano puntati sul chitarrista della band più famosa della Germania si erano rivolti altrove, lasciandoci finalmente respirare.
Quando era stato confermato l’annullamento di tutte le pratiche per il processo avevo fatto i salti di gioia e avevamo festeggiato alla grande. E il nostro modo di festeggiare era assolutamente il mio preferito…
Inoltre, non avrei mai più visto la faccia irritante di Sabine, non l’avrei più vista ronzare intorno a Tom, perché ovviamente Georg l’aveva lasciata subito dopo che era saltata fuori la verità.

“Già, sarebbe stato sicuramente più divertente. Chissà Tom come si sarebbe vestito”, ridacchiai.

“Dove sono andati, in America?”, chiese Andreas corrugando la fronte. “Correggetemi se sbaglio.”

“Sì, sono andati a New York, Los Angeles… Avevano dei concerti”, annuì Ale sorridendo.

“Beati loro! Se Tom non mi porta qualcosa di bello giuro che… che gli tolgo il sesso per un mese!”

“Poverino! Ecco perché poi va con le cuoche!”, Ale scoppiò a ridere mentre sulla mia faccia calava un’espressione rabbiosa.

“Prendi pure per il culo?!” Ma poco dopo scoppiai a ridere anch’io, riuscendo persino a coinvolgere Andreas.

“Dave, dovresti sposarti più spesso!”, gridai in modo tale che le mie parole raggiungessero le sue orecchie.

“E perché?”, mi chiese divertito.

“Perché si mangia bene ai matrimoni!”, feci un sorriso gigante.

“Stai dicendo che cucino male?”, alzò un sopracciglio mamma.

“No, certo che no!”, negai con le mani di fronte al petto, ridacchiando. “Non volevo certo dire questo! La tua cucina è sacrosanta, mamma.”

“Ah, mi sembrava!”, rise e si girò verso i due novelli sposi che sarebbero andati presto in luna di miele in una località ancora segreta.

“Ale, ci facciamo una foto? Trovo che oggi siamo veramente belle”, annuii tirando fuori il cellulare dalla borsetta che avevo sulle gambe.

“No, Ary! Non mi piacciono le foto, dai…”

“Una, una, una, una!”

“Uff… ok.”

Sorrisi vittoriosa e mi sistemai meglio vicino a lei, appoggiando la testa alla sua e tirando fuori la lingua quando lei sorrideva semplicemente, quel sorriso che per quanto semplice potesse essere riusciva sempre a scaldarmi e farmi sorridere il cuore talmente era bello.
Riguardai la foto appena scattata e sorrisi abbracciando e baciando sulla guancia la mia sorellina, pensando che mai sarebbe potuta finire fra noi, unite da qualcosa di più, di unico al mondo.

 

***

 

Bill, subito dopo il concerto di quella sera, aveva ritrovato il suo cellulare pieno di chiamate perse di un’unica persona: Kristel.
Aveva tentato di ignorarle, di passare oltre, ma anche in hotel aveva sentito solo ed esclusivamente la suoneria andare a vuoto, mentre lui girava per la stanza con le mani nei capelli.
Aveva deciso saggiamente di spegnerlo, ma poi aveva pensato ad Ale, che si sarebbe sicuramente preoccupata se non l’avesse chiamata come faceva sempre, e così aveva mandato giù quel groppo che aveva in gola e le aveva telefonato, tentando di fare il naturale e di dimostrarsi tranquillo e rilassato, cose che non era per niente.

Era stufo di sentire Kristel, ne aveva quasi la nausea, e non ce la faceva più a tenere nascosto tutto quello ad Ale: ogni volta che sentiva quella voce che non amava gli saliva il nervoso e il più delle volte trattava la vecchia amica con freddezza e nervosismo.
E quando invece sentiva quella che amava si sentiva uno schifoso bugiardo e un… traditore. Subito dopo ogni conversazione i sensi di colpa quasi lo divoravano e non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a resistere.

Sì, lui era un traditore bello e buono. Quando lui e Kristel si erano visti, quell’unica volta, lei lo aveva baciato e lui prontamente le aveva detto che era felicemente fidanzato. Lei si era scusata e gli era pure sembrata felice per lui, ma allora perché continuava a tempestarlo di telefonate e di messaggi da quella volta? Si sentiva in gabbia, si sentiva… sporco.
Aveva una fottuta paura di perdere Ale per quel suo comportamento sbagliato, ne era perfettamente consapevole che era sbagliato, e voleva che quella storia una volta per tutte finisse. Solo che continuava a rimandare, senza un perché preciso.

Guardò per l’ennesima volta il suo cellulare che vibrava e si illuminava sul letto, il nome di Kristel che lampeggiava insistente sul display. Lo prese sbuffando e pigiò il tastino verde, portandoselo all’orecchio.

___________________________________

 

Buonaseraaa!! :D
Capitolo interessante, non trovate? xD Insomma, molto intenso, soprattutto perchè Ary e Tom hanno scoperto quello che c'era sotto l'aggressione delle stalker! Sabine, esatto, proprio lei u.u Ve l'avevamo detto di tenerla d'occhio quella, ed infatti c'era lei dietro tutto quanto, solo perchè, poveretta, è stata conquistata dal nostro bel Tom e per lui è andata oltre, come ha voluto dire proprio lui :) Quello che ha fatto è sbagliatissimo e non si discute - ha preso per il culo anche Georg per un sacco di tempo giusto per stare vicino al chitarrista - , però diciamo che l'ha fatto per qualcosa, qualcuno, a cui teneva in un certo senso u.u
Ma comunque, non ce ne frega niente, perchè lei è la cattiva della storia e ci interessa che Ary se la sia levata dai piedi una volta per tutte! *w* Oh yeah :D
L'altro fatto saliente, è sicuramente il comportamento di Bill con Kristel. Ebbene, si sono baciati, o meglio lei è saltata addosso a lui, ma la sostanza non cambia di molto... lui si sente un traditore, lei non fa altro che assillarlo, lui sta impazzendo e vorrebbe dire tutto ad Ale, ma come fa? D: Bah, staremo a vedere che cosa succederà! ;D

Ringraziamo di cuore Holly94, Charls__ , Lullaabys, Marty483, _t_o_k_i_e_t_t_a_, Tokietta86 e _MINA_ che hanno recensito lo scorso capitolo *-* (Non riesco a ringraziarvi tutte, non ho tempo, perdonatemi D:) 
Ringraziamo anche chi ha letto soltanto! ;)

Alla prossima! Vostre,
Ale&Ary

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Capitolo 26
*** Passo falso ***


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Capitolo 27
*** Dura confessione ***


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Capitolo 28
*** Inferno ***


Capitolo 28: Inferno

Un brivido mi attraversò da capo a piedi e mi staccai da Tom mettendogli le mani sul petto.

“Che c’è?”, mi chiese lasciandomi una scia di morbidi baci sul collo e sul mento.

“Muoviti a riportarmi a casa.”
 
“Perché?”, corrugò la fronte, guardandomi negli occhi.
 
“Sento che sta succedendo qualcosa. E non è qualcosa di bello.”
 
“Ale?”
 
Annuii preoccupata, mi girai sul sedile e feci appena in tempo ad allacciarmi la cintura che Tom sgommò verso casa mia, dove Ale, guarda caso, si trovava sola con Bill. Che cosa cavolo stava succedendo?
Avevo sentito quel brivido, così intenso e potente, una volta sola: quando Ale aveva fatto un incidente in motorino con uno scemo della sua classe. Io sapevo già che era successo qualcosa quando avevano chiamato i nostri genitori dall’ospedale. Loro non avevano voluto credere alla mia “premonizione”, nonostante io mi volessi strappare i capelli, e quando avevano chiamato io li avevo mandati a cagare con un semplice “Ve l’avevo detto!”.
 
Arrivammo a casa e sicura come se avessi un navigatore satellitare impostato verso Ale, uscii in veranda, trovandomi davanti Bill e Ale che sembravano essere in rotta di collisione. Con gravi danni per entrambi.
 
“… Magari non sono abbastanza per te, ma… Io… Io non credevo di meritarmi questo”, la sentii appena pronunciare quelle parole. Con dolore e… disperazione.
 
Tom si schiarì la voce al mio fianco e Ale si girò: era pallida come un lenzuolo, quasi terrorizzata. Una fitta al cuore si fece sentire vedendola così. Che cos’era successo?!
 
“Ehm… Ragazzi, cosa sta succedendo?”, chiese Tom come se mi avesse letto nel pensiero.
 
“Già Bill, cosa sta succedendo?”, chiese Ale a Bill, distrutta.
Dopodiché si voltò e cominciò a camminare velocemente verso casa, trattenendo a stento le lacrime che premevano per scivolare sulle sue guance pallide. Bill non fece niente per fermarla, assolutamente niente. Aveva solo abbassato la testa, colpevole.

Mi passò accanto, facendo scontrare le nostre spalle.
 
“Ale…”, mormorai con la preoccupazione fin dentro le ossa, fermandola per un braccio e guardandola in viso.
 
“Scusami”, mormorò prima di liberarsi e di scappare dentro casa, senza voltarsi più indietro.

 
***
 

“Scusami”. Quella parola, detta con la sua voce di solito sempre piena di vita e invece solo piena di disperazione, mi martellava nella testa e mi sentivo come se un pugnale mi infilzasse lentamente il cuore, facendomi patire le pene dell’inferno. O, se c’era, qualcosa di peggiore.
Di cosa si scusava? Non era lei che si doveva scusare. Per niente. Sapevo che lei non aveva nessuna colpa, ne ero certa. E, ovviamente, gli innocenti sono quelli che soffrono sempre di più. Non si meritava nulla del genere, e non doveva scusarsi con me, la sua gemella, quella che la capiva meglio di tutti in quel momento.
 
La guardai distrattamente correre su per le scale e sparire al piano superiore, lasciandomi con un macigno al posto del petto, lì di fianco a Tom, che aveva stretto la mia mano nella sua.
Il mio sguardo lentamente si posò su Bill e la reazione probabilmente temuta da Tom scattò nella mia testa: marciai verso di lui urlando, strepitando e piangendo con tanto di singhiozzi. Stavo impazzendo, e non mi importava più nulla, nemmeno se mi avessero considerata una pazza isterica da rinchiudere in un manicomio. Se non lo facevano in quel momento non l’avrebbero fatto mai più.
 
“Che cosa hai fatto?! Che cosa le hai fatto?! Che cosa cazzo le hai fatto, stronzo!?!”
 
Riuscii soltanto ad assestargli qualche pugno scoordinato sul petto, fuori di me, prima che Tom riuscisse ad allontanarmi da lui stringendomi forte al suo petto, così forte che quasi non riuscii più a respirare.
Avevo la testa che mi scoppiava, sentivo il cuore a pezzi e mi mancava l’aria, nonostante fossimo all’aperto. Mi mancava l’ossigeno portato dal sorriso di Ale, e con Bill di fronte agli occhi sarebbe stato ancora più difficile recuperarlo.
 
“Vai via da qui, vai via Bill!”, gridai scostando Tom con violenza. “Non voglio vederti!”
 
Guardai il pezzo di legno privo di vita in piedi davanti al dondolo con occhi pieni di disprezzo: per quanto gli volessi bene – il mio cognatino – in quel momento mi trovai ad odiarlo con ogni fibra del mio corpo insignificante senza l’anima serena della mia gemella. Lui era la causa di tutto quello, lui doveva pagarne le conseguenze.
 
“Ti ho detto di andare via, sei sordo!?!”, gridai più forte, ma Tom mi prese per le spalle e mi spinse all’interno, mi fece sedere sul divano e mi avvolse le spalle con un braccio, appoggiandomi a lui.
Scoppiai di nuovo a piangere, coprendomi il viso appoggiato al suo petto con le braccia a soffocarvi i singhiozzi.
 
“Piccola…”, sussurrò accarezzandomi i capelli.
 
Piccola niente, lasciami stare pure tu”, mugugnai allontanandomi ed incastrando la testa fra le ginocchia, un cuscino stretto al petto, iniziando a dondolarmi avanti ed indietro tremando.
 
“Vado a parlare con Bill allora…”, mormorò dispiaciuto, passandomi affettuosamente una mano tra i capelli. Mi scostai deglutendo, lui sospirò e si avviò verso il giardino dove doveva ancora esserci Bill. Solo a pensare quel nome mi veniva da urlare, così soffocai un grido frustrato nel cuscino.
 
Nessuno poteva far del male ad Ale. Dovevano passare sopra il mio cadavere. Ma quella volta era successo tutto sotto il mio naso e io non avevo fatto proprio niente per impedirlo. Mi sentivo così in colpa… Volevo starle accanto, volevo cullarla fra le mie braccia, volevo che sorridesse di nuovo. Volevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, purché non soffrisse più. E l’avrei fatto sicuramente.
Mi alzai senza forze e salii le scale, arrivai di fronte alla nostra camera con le orecchie ovattate, nelle quali mi rimbombavano prepotenti i battiti del mio cuore ferito ed incompleto senza quello di Ale.
 
Bussai piano alla porta con il cuore in gola.
“Ale?”, sussurrai, le lacrime agli occhi. Come supponevo non mi rispose, la sentii solo piangere in un angolo della stanza. Era così vicina eppure così irraggiungibile…
“Ale quando… quando mi vorrai io ci sono. Sempre, lo sai. Chiamami e io volo”, continuai con un tono di voce in meno.
 
Abbassai la testa e tirai su col naso, dopodiché tornai in salotto e mi sdraiai sul divano, ripresi il cuscino e lo strinsi al petto, chiudendo gli occhi a quelle lacrime ardenti che mi bruciavano le guance.
Rimasi per un po’ ad ascoltare i rumori intorno a me: il ticchettio dell’orologio che inesorabilmente, secondo per secondo, segnava il passare del tempo, appeso alla parete; e le parole, che non riuscivo a distinguere perché ero troppo lontana, che Tom continuava a dire al gemello.
Parlava, parlava, parlava… e Bill non diceva niente.
 
Mi sfuggì un ultimo singhiozzo e poi mi addormentai di sasso, esausta dal tumulto di emozioni, sia mie che di mia sorella, che si facevano la guerra dentro di me.
 

***
 
 
“Ary? Ary…”
 
Mi svegliai accarezzata dalla sua voce calda che mi sussurrava all’orecchio il mio nome, mentre con la mano mi spostava delicatamente i capelli dalle guance ancora calde e rosse, come ogni volta dopo aver smesso di piangere.
Per quanto avevo dormito? E Ale? Da quel che vidi sul tavolino, ossia patatine e Coca Cola, Tom aveva probabilmente provveduto da sé alla sua cena.
 
“Che ore sono?”, chiesi con voce roca, girandomi a pancia in su.
 
“Quasi le sette”, mi donò un bacio soffice sulle labbra che mi fece bene.
 
“Ale?” Ma nonostante tutto, il dolore che sentivo dentro al petto pensando a come stesse il mio alter ego mi faceva ancora mancare il respiro.
 
“È ancora chiusa in camera sua”, sospirò.
 
“Uhm”, alzai lo sguardo al soffitto, prima di scoppiare di nuovo a piangere di punto in bianco.
 
“Ehi… Sh-sh-sh”, si sdraiò al mio fianco e mi strinse forte, accogliendo le mie infinite lacrime sulla sua maglietta oversize. “Calmati, piccola.”
 
“Scusami per prima Tom”, mugugnai fra i singhiozzi. “Ma sento tutto quello che sta provando Ale e… tu mi capisci, vero?”
 
“Sì, ti capisco perfettamente. E infatti mi sento in colpa come Bill.”
 
“A proposito di lui…”, tirai su col naso, passandomi le mani sul viso. “Dov’è?”
 
“L’ho accompagnato a casa. Io volevo aspettare che ti svegliassi.”
 
“E… come sta?”
 
“Sta male”, abbassò lo sguardo. “Sperava che confessando tutto Ale sarebbe stata più… comprensiva, ma si è solo illuso.”
 
“Magari bastasse solo questo, Tom, per farsi perdonare. Magari bastasse confessare e ammettere i propri errori. Magari.”
 
Tom mi guardò negli occhi e annuì leggermente, poi si avvicinò a me e mi baciò a stampo sulle labbra, chiudendo gli occhi.
“Ti amo”, sussurrò accarezzandomi lo zigomo con il pollice, le guance leggermente arrossate e gli occhi lucidi.
 
“Non ho bisogno di sentirmi dire queste cose, Tom. Prima o poi sistemeranno tutto”, dissi.
 
“No, sto dicendo sul serio”, mormorò. “Ora vado.”
 
Corrugai la fronte boccheggiando incredula, mentre lui si alzava e quasi correndo si precipitava a prendere la giacca e si chiudeva la porta di casa alle spalle.
 
Mi aveva detto… cosa? Quel giorno rischiavo davvero di uscire pazza.
 
Mi alzai dal divano con un’emicrania degna di nota e salii le scale lentamente, una mano sulla fronte. Mi fermai di fronte alla porta e ascoltai attentamente il religioso silenzio in cui era ancora avvolta la casa, il viso rivolto verso il basso. Alzai il pugno e feci per colpire il legno della porta, ma le mie nocche colpirono qualcosa di più morbido e caldo.
 
“Ahia, cretina!”, gridò Ale con voce nasale. “Perché mi bussi in fronte?!”
 
“Scusa!”, saltai tirando subito indietro la mano. “Non ne combino mai una giusta”, mormorai.
 
Ale mi fece un debole sorriso – un po’ di ossigeno – e mi attirò a sé in un forte abbraccio, nascondendo il viso nell’incavo della mia spalla.
In poco tempo sentii una sensazione di bagnato sulla pelle del collo e strinsi pugni sulla sua schiena, cullandola un po’ a destra e un po’ a sinistra.
 
“Ci sono qui io, Ale”, mormorai facendola entrare in stanza e chiudendo la porta alle mie spalle.
 
Siamo due corpi di una sola anima
Ridere e piangere è comunque vivere
Con te dividere l'inferno e il paradiso

 
__________________________________________
 
Buonaseraaaa ;)

Allora, come vi ha già anticipato la mia collega, questo capitolo e il prossimo sono stati scritti da me :)
Infatti, avete letto cose che sapevate già, solo dal punto di vista di Ary. Poveretta, essendo la gemella di Ale sente tutto e... sì beh, io credo che sia questo che si provi in queste situazioni e soprattutto credo che accada così, fra i gemelli. (Se qualche lettrice ha una sorella o un fratello gemello me lo dica se non è così xD).
A parte questo, c'è un'altra cosa di cui parlare: che ha detto Tom a Ary?! *o* Sono troppo emozionata pure io per scrivere due parole in croce, cavoli xD E quella cretina di Ary che non ha detto un tubo?! o.o Staremo a vedere nel prossimo capitolo che cosa succederà ;)
La canzone in questo capitolo è Lacrime e fragole di Raf! *w*

Ringraziamo di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:

LisaHeiligTk : Grazie mille per la recensione! Speriamo che sia arrivato abbastanza presto questo capitolo nuovo e che ti sia piaciuto allo stesso modo! ;)

_MINA_ : Ci fa molto piacere :) Grazie!!

Charls__
: Eh beh, se no non ci sarebbe stato il colpo di scena se Bill non ci andava xD
Me lo immagino proprio il tuo cricetino °-° Speriamo che non si sia arrabbiato, anche perchè abbiamo fatto in fretta a postare u.u Lo sventramento alla prossima xD Grazie di cuore!! <3 Un bacio!

_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Uhm, chissà se faranno pace u.u Staremo a vedere ;) Grazie mille, alla prossima!

Un grazie anche a chi ha soltanto letto e a tutti gli altri :)
Un abbraccio, alla prossima! Vostre,

Ale&Ary

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Capitolo 29
*** Sei con me? ***


Capitolo 29: Sei con me?
 
Strinsi un po’ di più Ale a me e respirai profondamente fra i suoi capelli, chiudendo gli occhi. Le posai un bacio sulla tempia e l’ascoltai piangere e respirare faticosamente, scossa da forti singhiozzi.
 
Come aveva osato Bill tradirla? Come aveva semplicemente potuto? In quel momento avrei voluto ritirare tutto quello che gli avevo sempre detto su quanto fossi felice del fatto che fosse con Ale perché lei era al settimo cielo con lui, tutto quello che avevo sempre pensato su di lui e sul ragazzo serio e dolcissimo che era con mia sorella. Avrei voluto rimangiarmi tutto quanto, ma non era possibile.
 
Sentivo il dolore di Ale, ne avrei percepito l’intensità a chilometri di distanza, e la rabbia cresceva, mentre la testa scoppiava, divisa fra quello e ciò che mi aveva detto Tom, quelle due parole che erano riuscite, dette nel momento meno opportuno, a sconvolgermi completamente.

Sospirai e appoggiai la testa al cuscino, accarezzandole la nuca avvicinandomi di più al suo corpo rannicchiato e tentando di proteggerlo modellando il mio alla sua forma.
 
“Ale…”, sussurrai.
 
“Mmh?”, tirò su col naso, alzando appena gli occhi per guardarmi in viso.
 
“Io non ti farò mai una cosa del genere.”
 
“Niente twincest, ti prego.”
 
Sorrisi appena e le accarezzai la guancia arrossata con il dito: “Ma ti pare?! Dicevo nel senso che non ti tradirei mai, e sai che io sono sempre qui per te, se lo vorrai.”
 
“Avanti, sputa il rospo: che è successo?”, si passò distrattamente le mani sul viso per asciugare quelle lacrime che l’avevano graffiato senza pietà.
 
“Non è successo niente, dai”, mormorai nascondendo il viso ai suoi occhi ancora gonfi di pianto nel calore della sua pelle.
 
Come potevo dirle una cosa del genere, dopo tutto quello che le era successo?
Anche se quelle due parole non ricambiate mi stavano divorando il cuore, non potevo parlargliene proprio ora, avrei rischiato di farle ancora più male. E io stessa non sapevo che cosa fare.
Le immagini di quel momento mi vorticavano in testa senza ritegno, facendomi soffrire come un cane. Non avevo detto niente quando lui… Mi sentivo uno schifo.
 
Mi sentii pizzicare sulla pancia e mi scostai trattenendo le risate, sapeva che mi dava fastidio e mi faceva il solletico, quella maledetta!
 
“Dimmelo, dai!”
 
“Uff, quanto rompi quando ti ci metti”, sbuffai scostando le lenzuola e infilandomici dentro, lei mi seguì corrugando la fronte e non aveva tutti i torti, visto che era pieno agosto.
 
“Allora?”, chiese.
 
“Prima è successa una cosa. Una cosa che… non mi aspettavo.”
 
“Sarebbe?”
 
“Tom, ecco… Tom mi ha… ha detto che…”
 
“Che ti ama?”
 
“Sì! Come fai a saperlo?!”, sgranai gli occhi.
 
“Era da un po’ che voleva dirtelo, me l’aveva detto”, annuì abbassando lo sguardo vacuo.
 
“Ale io… perché hai voluto saperlo a tutti i costi?!”, mi morsi la lingua, stringendo i pugni.
 
“Perché sei la mia gemella, e voglio sapere ciò che ti succede”, mi fece un debole sorriso. “E tu che hai fatto quando te l’ha detto?”
 
“Beh io… non ho fatto niente”, sospirai.
 
“Niente? Niente niente?”
 
“Niente niente niente”, scossi la testa, vergognandomi di me stessa. “L’ho guardato scappare via a bocca aperta, senza riuscire a dire nemmeno una lettera dell’alfabeto.”
 
“Ma anche tu lo ami…”
 
“Io… Sì… Forse… Non lo so”, mi massaggiai le tempie con le dita, chiudendo gli occhi, quando mi sentii trascinare in un abbraccio caldo.
 
“Sì che lo ami, Ary, te lo dico io. L’unica cosa che devi fare ora è dirglielo anche tu, quando… quando sarai pronta, ovviamente.”
 
La guardai e le accarezzai i capelli, scostandoglieli dalla fronte, prima di stringerla forte a me, tentando di curare il possibile, di completare quella parte che mancava in lei, di occupare quel vuoto in mezzo al suo petto, di riscaldare il freddo che sentiva dentro. Almeno una minima parte.
 

***

 
“Ciao Andreas”, sospirai entrando in camera sua, chiudendomi la porta alle spalle.
 
“Ciao Ary!”, mugugnò con la bocca piena di patatine.
 
Appena alzai la testa rimasi scioccata dal disordine che c’era in quella stanza: vestiti ovunque, oggetti sparsi per tutto il pavimento, briciole di popcorn e patatine, bottiglie vuote di Red Bull… Lui era sdraiato sul suo letto sfatto, in boxer azzurro shocking, un pacchetto di patatine al formaggio accanto, il joystick della play station fra le mani e gli occhi che non si staccavano manco a morire dallo schermo della televisione.
Si vedeva proprio che era tornato un single.
 
“Ehi, uomo libero e disimpegnato da qualsiasi dovere”, calciai via un paio di boxer, un po’ schifata. “Come ti va la vita?”
 
“Una meraviglia! Tu?”
 
“Uno schifo.” Sprofondai sul letto accanto a lui, appoggiando la testa alla sua spalla.
 
“Perché, che è successo?”
 
“Come se i tuoi migliori amici non ti abbiano già detto tutto”, sbuffai muovendo la mano.
 
“In realtà non mi hanno detto proprio niente, i miei due migliori amici”, disse girandosi verso di me e guardandomi negli occhi, lasciando perdere il videogioco. “Successo qualcosa di grave?”
 
“A parte che Bill ha tradito Ale e che da due settimane lei è diventata un vegetale come me quando avevo litigato con Tom quella famosa volta… E che Tom mi ha detto che mi ama, io non ho detto nulla e ancora non ho affrontato la questione… Nulla di grave”, sollevai le spalle, guardando un punto non definito di fronte a me.
 
“Una cosa per volta, aspetta. Bill ha tradito Ale? Come? Quando? Con chi? Perché?”
 
“Sì, fatti raccontare da lui, è il tuo migliore amico”, incrociai le braccia al petto. “Vorrei rasargli i capelli a zero, per non dire di peggio.”
 
“Bill non è tipo da queste cose, davvero. E se è davvero successo, se lo conosco bene ora si sentirà malissimo e…”
 
“Non me ne importa come sta Bill! Lui è la causa del dolore di mia sorella, e sai che io non posso sopportarlo! Lui ha fatto la cazzata, lui deve pagare ora.”
 
“Su questo hai ragione”, sospirò. “Però…”
 
“Non ci sono però Andreas, e se ne hai non è un problema mio.”
 
“Ok. Con te ragionare a volte è inutile, dovrei saperlo. La seconda cosa era che Tom ti ha detto che ti ama?”
 
“Esattamente.”
 
“E tu non hai detto niente?”
 
“Esattamente.”
 
“Potevi semplicemente dire anch’io”, sollevò le spalle prendendo di nuovo il joystick fra le mani e concentrando la sua attenzione sulla tv, quando io lo guardavo a bocca aperta. Glielo strappai dalle mani e lo lanciai dall’altra parte del letto, furiosa in volto.
 
“Ma che fai?! Almeno metti in pausa!”
 
“No, Andreas! Sono più importante io o quello stupido gioco?!” Rimase in silenzio guardandomi negli occhi ed io annuii. “Se solo ci fossi riuscita l’avrei fatto, se solo sapessi con certezza che lo amo anch’io l’avrei fatto, ma evidentemente non è così!”
 
“Non è così difficile da capire se ami una persona, eh. E tu ami Tom, te lo dico io.”
 
“Ha detto così anche Ale. Tu lo sai, lei lo sa… Possibile che io sia l’unica cretina, per altro l’unica interessata, a non saperlo?!”
 
“Prova a dirlo, avanti.”
 
“Eh?”
 
“Prova a dire: Io amo Tom.”
 
“Ma… No!”, gridai rossa in viso.
 
“Perché no? È così!”
 
“Non puoi saperlo!”
 
“Allora non ti interessa se va a letto con un’altra vero? Si chiama… Mary.”
 
“EH?!”
 
“Sìsì, proprio così.”
 
“No! Non può essere vero! Tom è solo ed esclusivamente mio! Io lo amo, nessuna può…” Mi bloccai improvvisamente guardando il sogghigno che si era disteso sulle labbra di Andreas, con una scintilla da furbo negli occhi, e riesaminai tutte le parole che mi erano uscite dalla bocca, fino a quando… “Ho detto che lo amo… Ho detto che lo amo!”, gridai saltando in piedi sul letto e ridendo con le braccia in aria.
 
“Sì, esatto. Visto? Non era così difficile”, sorrise.
 
“Grazie Andy!”, urlai saltandogli addosso e stritolandolo in un abbraccio. Poi lo guardai in viso, tornando seria e con gli occhi tristi: “Ma Mary esiste davvero?”
 
Mi tirò un coppino affettuoso e scoppiò a ridere, io sorrisi serena.
 

***
 
 
Mentre tornavo a casa, mamma mi aveva chiamata e mi aveva detto di andare a fare la spesa. Avevo tentato di convincere Ale, per telefono, a venire con me, ma non c’era stato nulla da fare. Così mi ero avviata da sola verso il centro commerciale.
Odiavo girare per quei posti da sola, mi sentivo piccola ed indifesa fra tutta quella gente.
 
Camminai per un po’ fra gli enormi corridoi, senza la minima voglia di andare a prendere ciò che serviva, fino a quando non vidi un negozio di fotografia e all’interno scorsi la figura di Aaron, che aveva fatto della sua passione un lavoro, che trafficava con un cavalletto di una macchina fotografica davvero enorme in vetrina.
 
Lo guardai per un attimo, pensando che se davvero lui era ancora innamorato di lei allora lei avrebbe potuto riprovarci, visto che con Bill ora come ora non voleva tornarci. Magari Ale sarebbe riuscita a dimenticarlo, magari sarebbe riuscita a superare quel dolore e ricominciare a vivere.
E se davvero volevo che questo accadesse, dovevo fare qualcosa io. Ma come?
Beh, un’idea in proposito ce l’avevo, ma se non sarebbe stata la cosa giusta? Se le cose non sarebbero andate come dovevano? Se sarebbe stato un disastro e tutto il mio lavoro per aiutarla a “guarire” vano e ancora più distruttore?
 
Dovevo parlarne con qualcuno. Dovevo parlare con qualcuno, ora che ci pensavo. E fra una cosa e l’altra avrei spiegato anche questo mio piano che poi tanto sbagliato non era… Per Ale avrei fatto qualsiasi cosa, perché non ce la facevo più a vederla così priva di vita: mi mancava l’Ale solare, divertente… la mia gemella, la mia anima.
Senza di lei ero instabile, mi venivano le crisi improvvise e anche io mi sentivo sempre sottotono. La rivolevo indietro, a qualsiasi costo.
 
Mi ripromisi di passare dopo a fare la spesa, ora dovevo parlare con Tom, assolutamente.
 

***

 
Arrivai di fronte alla porta del loro appartamento e ad accogliermi trovai Gustav, che mi avvolse in un abbraccio chiedendomi di Ale. Mancava a tutti, non solo a me.
 
“Tom?”, chiesi dopo un po’ di conversazione anche con Georg.
 
“È di sopra con Bill.”
 
“Ok, vado.”
 
Salii le scale con le mani che prudevano, le strinsi l’una nell’altra e quando arrivai davanti alla camera di Bill chiusi gli occhi, trassi un respiro profondo e battei i pugno sul legno lucido, resistendo alla voglia di buttarla giù a calci dalla rabbia.
 
“Chi è?”, chiese quella voce diventata quasi insopportabile alle mie orecchie.
 
“Tom, esci da lì”, dissi atona, senza badare a Bill che aveva risposto.
 
Sentii dei passi e poco dopo vidi Tom al mio cospetto, lo sguardo serio. Dietro di lui, seduto sul letto, le gambe strette al petto, c’era Bill: il volto pallido, le guance arrossate e gli occhi lucidi.
Una morsa mi attanagliò il cuore vedendolo così triste, ma fu solo per pochi secondi.
 
“Ciao”, mi salutò Tom sorridendomi lievemente.
 
“Ciao”, ricambiai il sorriso, rivolgendolo anche a Bill in modo tale che si sentisse in colpa fin dentro alle ossa: il mio sorriso era pressoché identico a quello di Ale… E lui ovviamente sapeva che non c’era da tempo sulle sue labbra.

“Ti dovrei parlare”, sussurrai.
 
“Di che si tratta?”
 
“Da soli… se non ti dispiace.”
 
“Ok”, sospirò, uscendo dopo aver rivolto un’occhiata al gemello, che annuì.
 
Scendemmo di sotto ed uscimmo in terrazza perché lui aveva voglia di fumarsi una sigaretta. Me ne offrì una sotto il sole del pomeriggio e me l’accese; feci il primo tiro e mi appoggiai al parapetto con le braccia, lui mi imitò.
 
“Che c’è?”, mi chiese avvicinando la spalla alla mia e dandogli lievi colpetti sorridendo.
 
“Niente…”
 
“Non è vero, bugiarda”, ridacchiò baciandomi la tempia.
 
“C’è che… pensavo… Sì, tu… Quella sera…”
 
“Ary, non ti ho chiesto di sposarmi, ho detto solo quello che pensavo al momento. Io non volevo costringerti a dirlo, io non volevo proprio niente…”
 
“Mi lasci parlare?”, risi guardandolo negli occhi. “Io, credo… Quando me l’hai detto sono rimasta sorpresa… molto sorpresa… piacevolmente sorpresa”, arrossii lievemente. “E mi sono sentita un vero schifo quando te ne sei scappato via senza che io avessi potuto dirti niente…”
 
“Non dovevi, io…” Gli portai due dita sulle labbra.
“Ti ho detto di stare zitto!”
Sorrise e mi baciò la mano, tenendola nella sua.
 
“E io ora… ci ho pensato tanto e grazie all’aiuto di qualcuno”, ridacchiai pensando allo stupido modo con il quale Andreas mi aveva fatto sputare fuori la verità, “ho capito che… ti amo anche io, Tom. Ma non sono ancora pronta al matrimonio, ti avverto!”, gli puntai il dito contro.
 
“Non mi interessa, in questo momento. Matrimonio o meno, sei già mia”, sussurrò ad un soffio dalle mie labbra, guardandomi negli occhi e facendomi arrossire violentemente.
 
Please, don't ever let me be
I only wanna be by your side
Please, don't ever let me be
I only wanna be by your side

Girl, you really got me now
You got me so I don't know what I'm doin', yeah
Oh yeah, you really got me now
Got me so I can't sleep at night
 
[Per favore, non lasciami mai
Io voglio solo essere al tuo fianco
Per favore, non lasciami mai
Io voglio solo essere al tuo fianco
 
Ragazza, tu mi hai veramente adesso
Tu mi hai così tanto che non so cosa sto facendo, sì
Oh sì, tu mi hai veramente adesso
Mi hai così tanto che non posso dormire la notte]
 
Si scostò da quel bacio mozzafiato e mi accarezzò le guance con un sorriso strepitoso sulle labbra.
 
“C’è qualcos’altro, vero?”, disse attirandomi a sé per i fianchi, in un abbraccio di conforto. Io lo strinsi e mi appoggiai al suo petto con la fronte, il suo mento sulla mia nuca.
 
“Sì, Ale…”, mormorai. “Mi sento male a vederla così.”
 
“Mi dispiace, piccola…”
 
“Anche a me, tanto. Ma ho deciso che dobbiamo fare qualcosa, Tom. Sei con me?”
 
“Che cos’hai in mente?”
 
“E se noi… se io… chiedessi ad Aaron di uscire con Ale?”
 
__________________________________
 
Tadada-daaaan xD
Beh dai, stiamo facendo passi avanti. Ary ha detto a Tom che lo ama *-* Grazie ad Andreas xD
E poi le è venuta un'altra delle sue idee geniali, ossia far uscire Ale e Aaron... Secondo voi avrà lo stesso esito dell'altra sua idea geniale? u.u
Staremo a vedere...

Dal prossimo capitolo si torna alla normalità, Ale scriverà il prossimo e poi io, poi lei... insomma, normal xD
Credo di aver detto tutto... ah no! La canzone che ho usato è You really got me dei Van Halen *-*

Ringraziamo di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:

LisaHeiligTk : Ahah xD Infatti, Tom era superimbarazzato! Ary non è che l'ha ignorato, è che lei con queste cose non è per niente brava e non se l'aspettava xD Grazie mille per la recensione *.* Alla prossima!

Charls__ : Eccoti qua, banana ù-ù xD Non sei l'unica, a quel che ne so, a voler avere una gemella! xD
E' vero, loro due sono molto tenere *_______* (D'altronde... u_u ahah xD)
Tom è una continua sorpresa! Siamo contente che ti sia piaciuto *w*
Brava, sei davvero fedele! :) Grazie mille, un bacione!! <3

Tokietta86 : Ciao! Non ti preoccupare, capiamo :) Sì, povera Ale veramente e davvero, se Tom non ci fosse stato Ary avrebbe trasformato Bill in una polpetta, se non in polvere xDD
Diciamo che abbiamo preso spunto, per i comportamenti di Ale e Ary, proprio da quello che hanno sempre detto Bill e Tom sul loro rapporto, sperando che non siano cavolate u.u No, scherzo *-*
Tom struzzo, dici? xD Sì, poverino, era imbarazzato e non so davvero chi se ne intende di più di ste cose tra lui e Ary xD è una bella lotta, sono due incapaci ahah xD
Grazie mille!! Alla prossima, un abbraccione!! :D

_MINA_ : Sì è vero, ne hanno passate un bel po' xD Grazie mille, alla prossima!

E anche chi ha letto soltanto! ;)
Un abbraccio, alla prossima! Vostre,
Ale&Ary

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Capitolo 30
*** Mi rubi l'anima ***


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L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

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Capitolo 31
*** Giardino di rose ***


Capitolo 31: Giardino di rose

 

“Che schifo, ma veramente… che schifo”, dissi gettandomi sul mio letto, sospirando.

Mi sporsi sulle tartarughine, con le quali stavo parlando, un cd dei Paramore in sottofondo.

“È un periodo di cacca, davvero. Cioè… non completamente, però se ci penso mi sale tanta di quella tristezza addosso… Cioè, voglio dire, è piena estate e dove siamo? Tutti sono in vacanza al mare, in montagna, da qualche parte insomma, e noi? Ancora qui, ad Amburgo, a patire un caldo che io personalmente non riesco più a sopportare. Tom mi ha detto di andare in giro in costume, ma poi me lo ha severamente vietato perché sarebbe geloso. È una contraddizione vivente quel ragazzo”, ridacchiai. “Ma che ci vuoi fare, è l’amore.
“Poi sono inchiodata a casa ad aspettare i suoi comodi. Voglio una macchina mia! Voglio un lavoro, così posso comprarmi una macchina ed essere finalmente indipendente. Sempre Tom ha detto che sarei un pericolo pubblico, e non ha tutti i torti… Però vabbè, starò attenta!
“E infine, come se tutto questo non bastasse, Ale sta ancora male per Bill. E ci credo… Ma come cavolo si è permesso di farle una cosa del genere?! Se non gli volessi così inevitabilmente bene lo strozzerei con le mie stesse mani”, sospirai abbassando il capo. “Oggi Ale dovrebbe vedersi con Aaron, sapete? Chissà se poi mi state davvero ascoltando.”

Stuzzicai con un dito la tartarughina sulla roccia e la vidi svegliarsi e muovere le zampette, per poi cadere in acqua e nuotare vicino all’altra, ferma di fianco al vetro.

 

Mi portai il cellulare all’orecchio, guardando Tom con la coda dell’occhio, mentre con le dita mi tracciava dei cerchi sul dorso della mano: sapeva che mi rilassava, ed ero davvero molto nervosa per quello che stavo per fare.

 “Pronto?”

La sua voce calda mi fece salire un groppo in gola, perché era sempre stato il mio secondo fratello maggiore quando stava con Ale e a dirla tutta, un po’ mi mancava… Anche se non potevo perdonarlo per ciò che aveva fatto a mia sorella, non del tutto, questo mai.
Come non sarei riuscita a perdonare del tutto Bill, anche se le cose si fossero sistemate, perché quelle cicatrici sul cuore della mia gemella sarebbero state eterne, incancellabili.

“Pronto, chi parla?”, chiese di nuovo, facendomi tornare su quel pianeta.

“Ah, ehm… Ciao Aaron, sono… sono Ary.”

“Ary? Ciao Ary! Come stai?”

“Sto… sto bene, grazie. Tu?”

“Tutto ok. Come mai questa chiamata?”

“Ehm… ecco, scusami ma… volevo chiederti una cosa.”

“Dimmi.”

“Tu… Io so che tu… sei, insomma… ancora preso da Ale.”

“Eh già”, disse amaramente; lo immaginai mentre accennava appena un sorriso.

“E volevo chiederti se… Visto che lei non sta passando un bel periodo… Se potevi chiederle di uscire, di vedervi, ecco. Così magari si distrae un po’, perché… La verità è che non ce la faccio a vederla così, proprio non ce la faccio, e da sola non so come aiutarla. Tu… potresti?”

“Io… Non lo so, Ary…”

“Ti prego Aaron, ti supplico”, mormorai con gli occhi che mi pizzicavano. “Non farlo per me, fallo per lei…”

Lo sentii sospirare. “Ok, va bene Ary. Glielo chiederò.”

“Grazie Aaron, grazie davvero.”

"Prego. E lo faccio anche per te, comunque. Si sente che non sei in forma”, ridacchiò. “Ora ti devo proprio lasciare, sto lavorando. Ciao!”

“Ciao Aaron, grazie. Ciao.”

Chiusi il cellulare e mi girai verso Tom, che mi guardava sorridendo, la mano stretta nella sua.

“Ho fatto la cosa giusta?”, chiesi a bassa voce.

“Hai fatto ciò hai potuto per aiutarla, ed è sicuramente la cosa più giusta che potevi fare.”

 

“Speriamo che vada tutto bene”, sospirai unendo le mani sulle gambe incrociate. “Perché se non dovesse andare bene non saprei proprio cosa fare. Questa è l’unica cosa che io sono riuscita a fare per aiutarla, spero che funzioni, se no… mi servirebbe proprio un miracolo, anche se normalmente non credo in queste cose: stare ad aspettare qualcosa che forse non arriverà mai è… triste.”

“ARY!”, sentii gridare il mio nome dal piano di sotto, poi i passi veloci di Ale sulle scale, seguita da qualcun altro.

Spalancò la porta e mi fece un piccolo sorriso: anche quello era stato ferito da Bill e ne risentiva tutt’ora con la stessa intensità: non brillava più come una volta…

“Stavi parlando ancora con le tartarughe?”

“Sì, perché, non posso? Almeno loro mi ascoltano e non mi contraddicono”, sogghignai alzando ed abbassando la testa, ad occhi chiusi.

“Stupida, loro non lo fanno perché non possono! E, poverine, sono costrette ad ascoltarti perché non possono andarsene. Ma secondo me un giorno riusciranno a scappare da te.”

“Ma quanto sei simpatica oggi!”

“Buongiorno!”, gridò Tom entrando in camera con un enorme sorriso sul viso.

“Ciao Tomi!”, stesi le braccia verso di lui, non avendo voglia di alzarmi. Lui scosse la testa e si avvicinò a me, venendomi ad abbracciare e a baciare a fior di labbra. “Che ci fai da queste parti?”

“Un giro. Allora oggi è il grande giorno!”, disse girandosi verso Ale.

“Sì, ehm…”, si grattò la nuca, di fronte all’armadio. “Se così si può definire. Ary, cosa mi metto?”, si tirò i capelli sulle spalle, sull’orlo di una crisi di nervosismo.

“Metti quello che vuoi, tanto… è solo un appuntamento così…”

Mi guardò alzando il sopracciglio, un sogghigno sulle labbra: “Dai che muori dalla voglia di agghindarmi come una bambolina.”

“Sinceramente non ne ho tanta voglia, ma… ok!”, zompai in piedi e la raggiunsi all’armadio, tirai fuori una maglietta bianca, un gilet corto grigio e un paio di jeans a pinocchietto. Glieli diedi in mano e tirai fuori dal portagioie un paio di orecchini semplici, con i brillantini bianchi, e le consigliai di raccogliersi i capelli sulla nuca con un fiocchetto e di truccarsi gli occhi con semplice matita nera e ombretto bianco.

“No, il trucco e il fiocchetto te lo scordi”, disse prendendo le scarpe e salutando Tom con la mano per andare a cambiarsi in bagno.

“Uff”, mi lasciai di nuovo cadere sul letto e Tom mi raggiunse, mi strappò un bacio, un altro e poi un altro ancora, fino a quando mi ritrovai sdraiata sotto di lui.

“Che cos’hai?”, mi chiese passandomi una mano fra i capelli. Mi girai una sua treccina fra le dita pensierosa, senza sollevare lo sguardo nel suo.

“Sono tesa.”

“Vuoi un massaggio rilassante?”, sussurrò malizioso al mio orecchio.

“Stupido”, gli tirai un pugno sul braccio, poi lo attirai a me in un abbraccio e lo feci cadere del tutto sul mio corpo, lo strinsi forte a me e respirai a pieni polmoni il suo profumo.
“Ho paura che vada male oggi, fra Ale ed Aaron.”

“Non ti devi preoccupare, piccola. Vedrai che andrà bene.”

“Vorrei poter essere così ottimista, davvero. Se non dovesse andare bene saremo punto a capo ed io non penso di riuscire a resistere ancora senza la vera Ale.”

“Vedrai che si sistemerà tutto”, mi accarezzò il viso e mi baciò la punta del naso, ridacchiando. “Io sono qui, lo sai.”

“Ehm-ehm.”

Qualcuno si schiarì la voce e ci girammo tutti e due verso la porta: Ale, il viso cupo rivolto verso il pavimento. Scostai con violenza Tom e mi alzai, mettendomi le mani in tasca, dispiaciuta per quello che aveva visto e magari anche sentito.

“Stai… stai bene, vestita così”, dissi annuendo. “Vero Tom?”

“Sì, vero”, sorrise mettendosi seduto sul letto.

“Grazie.”

Sentimmo suonare il campanello e lei sobbalzò, mi guardò un po’ preoccupata e poi prese la borsa che aveva lasciato sulla sedia della scrivania.

“Dev’essere lui, vado. Mi raccomando, fate i bravi.”

“Sì, ok”, ridacchiai. “E tu… divertiti.”

Annuì ed uscì dalla camera, la ascoltai scendere le scale e sbattersi la porta alle spalle, poi mi girai verso Tom: “Speriamo in bene, davvero.”

“Ma sì, non ti preoccupare.”

Mi avvicinai all’acquario aperto delle tartarughe e guardai quella ferma accanto al vetro, che galleggiava con gli occhietti chiusi e le zampe immobili.

“Ale mi ha convinto, sai?”, dissi, stuzzicandola senza ottenere nessuna reazione.

“A far cosa?”

“Vado all’università con lei. Università di storia dell’arte.”

“Davvero?”, corrugò la fronte. “Tu odi studiare!”

“Lo so”, mugugnai. “Ma è solo un anno di prova, diciamo. Non sono del tutto convinta.”

“Mi sa che la lasci ancor prima di iniziare”, ridacchiò e mi prese per la vita, appoggiando il mento alla mia spalla e baciandomi leggero sul collo.

“Tom… Sono diversi giorni che questa tartaruga qui non si muove e non mangia.”

Rimanemmo in silenzio per un attimo, ad osservare la tartarughina in questione, mentre l’altra saliva e scendeva impacciata dalla roccia.

“Non è che è…”, disse piano guardandomi negli occhi.

“No, non dire queste cose… è impossibile!”

“Mica tanto impossibile, Ary… Se non mangia e non si muove…”

“No, dai!”, sbattei i piedi a terra, girandomi fra le sue braccia e nascondendo il viso nel suo petto.

“Piccola… So che è brutto da dire, ma… è il ciclo della vita.”

“Non è giusto.”

Mi accarezzò i capelli e mi baciò sulla fronte, poi mi accarezzò il viso con i pollici.

“Vieni a fare un giro con me?”

“Dove andiamo?”

“Devo andare un attimo in studio, David mi deve parlare, boh. Vieni?”

“Sì, prendo un po’ d’aria”, annuì. “Mi cambio e arrivo.”

“Devo andarmene?”

“Sì, grazie.”

“Tutto bene?”

“Sì”, tirai su col naso e presi la tartarughina in mano, accarezzandole la testolina prima che una lacrima mi scendesse sulla guancia.

“Ary…”

“Ti ho detto di andare, per favore.”

Abbassò il capo ed uscì dalla stanza, poi rientrò di colpo, il viso arrabbiato.
“Ho capito che ti dispiace, ma non devi trattarmi come una merda solo perché mi preoccupo!”, gridò.

“Scusa, hai ragione, non l’ho fatto apposta.”

“Ok”, sospirò e mi baciò sulla tempia, poi uscì definitivamente, lasciandomi sola lì.

Mi misi seduta sul letto con la mano gocciolante sopra l’altra e osservai quel piccolo essere privo di vita, pensando che tutto poteva finire da un giorno all’altro, senza preavviso, solo che non si pensava mai a quella possibilità.

Andai in veranda e fra il giardino di rose di mamma, scavai una piccola buca e ci infilai dentro la tartarughina, la guardai, ricordandomi il giorno in cui l’avevo comprata assieme ad Ale, e poi la ricoprii.

“Sei stata una brava ascoltatrice, scusami se a volte ti ho annoiata. Ti voglio bene”, mugugnai alzandomi.

Rientrai in casa, mi lavai velocemente le mani e andai da Tom, che intanto si era seduto al tavolo della cucina. Gli andai alle spalle e feci scivolare le mani sulle sue spalle e sul suo petto, appoggiando la guancia alla sua.

“Mi ami?”, gli chiesi.

“Sì”, sussurrò donandomi un leggero bacio sulle labbra, con le guance lievemente arrossate.

“Anch’io”, sorrisi. “Possiamo andare.”

“Ma non ti sei cambiata”, sollevò il sopracciglio.

“No, non ne avevo voglia. Forza, su, che non ho tempo da perdere.”

 

***

 

Arrivammo allo studio e Tom andò subito da David che lo aspettava nella sala riunioni, io feci un giro lì attorno con il mio bel cartellino al collo, curiosando dappertutto.

La prima volta che ero stata lì, anche con Ale, avevo voluto fare una visita guidata, facendo milioni di domande a tutti, così da farmi detestare a priori.
Però ci eravamo divertiti tanto, pure David alla fine si era divertito, contagiato dalla nostra allegria.

Quei tempi ora sembravano così lontani… Sembravano essere passati secoli dal giorno della festa di Andreas, dallo scambio di nomi e da tutto il resto. E da quando Ale aveva sorriso veramente l’ultima volta… per me era un’eternità.

Mi mancava il suo vero sorriso, mi mancava la sua vera risata, mi mancava la luce vera che aveva negli occhi. Mi mancava, anche se l’avevo sempre accanto a me.

Forse quella volta era diverso, ero calma e tranquilla, anche perché ero in lutto per la mia povera tartarughina sepolta nel giardino sul retro, oltre che per tutto quel casino e per la tensione dovuta all’“appuntamento” fra Ale ed Aaron. Chissà come stava andando…

Girai l’angolo per tornare verso la sala riunioni, sperando che Tom avesse finito, quando mi scontrai contro qualcuno di alto e magro, due caratteristiche che subito mi portarono a pensare ad un’unica persona: Bill.

Sollevai gli occhi e come immaginavo, nonostante tentassi di arrampicarmi sugli specchi e di mettere in dubbio la sua identità, incrociai quelli nocciola di Bill, così identici eppure così diversi da quelli di Tom. Se quelli di Tom mi esprimevano solo dolcezza e malizia, i suoi in quel momento mi facevano solo salire il sangue al cervello, tanto da volerlo prendere a schiaffi.

“Ary”, disse sorpreso, guardandomi in faccia.

“Sì, proprio io”, risposi atona, annuendo.

“Che ci fai da queste parti?”

“Tom.”

“Uhm, capito.”

“Mhm.”

“Ahm… Tutto bene?”

“Sì, tutto ok.”

“Anch’io… più o meno.”

“Mhm.” Finito? Non è proprio giornata, Bill, quindi gira alla larga.

“E… tua sorella, come sta?”

Tua sorella. Adesso è diventata mia sorella. Mi fai ridere”, sbuffai muovendo la mano e proseguendo per la mia strada, facendo scontrare le nostre spalle.

“Ehi. Ehi!”, gridò prendendomi per il braccio e girandomi verso di lui, fulminandomi con lo sguardo, ma non mi faceva paura, per niente. Forse era lui che avrebbe dovuto aver paura di me, ero molto vicina a volergli dare una cinquina.

“Che cosa vuoi ancora? Non ho più niente da dirti”, sbottai.

“Ti ho fatto una domanda, almeno abbi la decenza di rispondermi. Perché se non lo sai sto soffrendo come un cane e anche solo guardarti… mi fa male”, sussurrò con gli occhi velati dalle lacrime, lasciando di colpo la presa sul mio braccio.

“E pensi che Ale fino ad adesso non abbia sofferto come, se non peggio, di te? Comunque sta benissimo, una meraviglia, guarda”, sibilai trucidandolo con lo sguardo.

“Che succede qui?”, chiese Tom affiancandomi e guardando prima me e poi il proprio gemello, un po’ preoccupato.

“Proprio niente. Finito?”

“Sì.”

“Bene, allora puoi accompagnarmi a casa, sono stanca.”

“Ok”, annuì non convinto, guardandomi andare via.
“Successo qualcosa?”, sussurrò al gemello, che scosse la testa e gli fece un piccolo sorriso indicandogli di andare.

Tom sorrise, gli diede un pugno lieve sulla spalla e subito dopo ci passò sopra la mano affettuosamente. Lui ci sarebbe sempre stato per lui, sempre.

 

 

________________________________________

 

Ciao a tuttiiii :D

Allora, che capitolo... non succede nulla di particolarmente rilevante, se non la morte di una delle tartarughine di Ary. Quel pezzo l'ho aggiunto perchè mi è successo davvero e lo dedico alla mia tartarughina :)
Ale è finalmente uscita con Aaron e chissà che cosa succederà...
Intanto Ary è sempre più arrabbiata con Bill, non vuole proprio perdonarlo, e l'appuntamento che ha combinato per sua sorella e Aaron è solo un modo per farla felice. Lei pensa di fare la cosa giusta, anche se ha i suoi dubbi, e non tutti la pensano come lei. Comprendo u.u Staremo a vedere che cosa succederà anche in merito a questo :)
Per quanto riguarda Tom, invece, sta molto vicino ad Ary - sono così belli *.* - e fa lo stesso anche con Ale, senza trascurare però Bill. Insomma, lui sta un po' con tutti, anche se... non posso dirvelo ahah xD

E' arrivato ora il momento dei ringraziamenti!

Charls___ : Ciao! :D Ahahah è vero, Bill è un maledetto, però è così tenero *.* Chissà quando lo capiranno che sono fatti per stare insieme... mah! 
Aaron poveretto che ti ha fatto xD
Grazie mille per la recensione *________* Brava, hai recensito per prima davvero! ahah xD 
Un bacione, alla prossima! <3

_MINA_ : Grazie mille, alla prossima ;D

AleEchelon : Non ti preoccupare, abbiamo capito il tuo problema-disastro e ti perdoniamo u.u
Uhm, il comportamento di Ary va molto a persona. Nel senso, secondo te lei ha fatto una cavolata, secondo me ha fatto bene e per altri sarà ancora diverso... e Ale si è lasciata un po' trascinare dalla cosa e dal dolore, quindi lei è quella con meno colpe :)
Chissà, magari tu hai ragione, forse no... staremo a vedere che succederà tra Bill e Ale e tra Ale e Aaron, soprattutto!
Grazie ancora per la recensione, baci! Alla prossima! :)

Un grazie anche a chi ha letto soltanto ;)
Alla prossima, un abbraccio a tutti! Vostre,
Ale&Ary

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Capitolo 32
*** ... Aaron? ***


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Capitolo 33
*** Il centro del mondo ***


Capitolo 33: Il centro del mondo

 

Suonarono alla porta, per l’ennesima volta. Sbuffai sonoramente e spensi la sigaretta nel portacenere, quasi con rabbia.

“Ti chiamo dopo Andreas, ok? Vedi di uscire un po’ e di trovarti un’altra ragazza, mi stai facendo esaurire con le tue lagne.”

“Oh, grazie, tu sì che sei di conforto.”

“Faccio del mio meglio tesoro, a più tardi.”

“Ok, ciao stronza.”

Chiusi la chiamata ed entrai nel salotto passando per le porte vetrate. Vidi mia madre già alla porta, di fronte ad un Bill che, come al solito, chiedeva di Ale.

Non ne potevo più di vederlo gironzolare da quelle parti. Oddio, ero contenta perché non si arrendesse, ma stava diventando un po’ eccessivo, come un’ossessione, soprattutto dopo quella volta in cui Ale gli aveva detto chiaramente, anche se le lacrime l’avevano tradita, che non sarebbe più potuta tornare con lui.

“Ale non c’è”, dissi.

Lui sollevò lo sguardo su di me e mi guardò male, poi tornò su mia madre, che mi guardava corrugando la fronte: sì, Ale era al piano superiore, ma era ovvio che non lo volesse vedere.

“È uscita poco fa”, annuii stringendomi nelle spalle. Mamma mi resse il gioco, fortunatamente, e tornò in cucina, sapendo di quella situazione delicata. Bill invece si avvicinò a me, lo sguardo infuocato.

“È inutile che menti, Ary”, mi prese il mento fra le dita, io lo guardai quasi sprezzante. “So che Ale è in casa. E so che tu non vuoi farmela vedere. E magari hai anche ragione a comportarti così, ma…”

“No, è sicuro che ho ragione”, sibilai dura. “Perché quello che le hai fatto è imperdonabile, per me. E tutto quello che ha sofferto non se lo meritava in nessun modo, ed è solo colpa tua! Non ti permetterò di farle ancora del male.”

“Magari sei tu che le stai facendo del male, comportandoti così.” Si girò e tornò alla porta, lasciandomi basita: che cosa intendeva dire? Io facevo solo quello che ritenevo giusto per aiutarla! “Pensaci. Magari è di me che ha bisogno. Anzi, ne sono certo.”

“Sei solo uno stronzo”, bisbigliai abbassando lo sguardo.

“Salve signora”, salutò mamma in cucina, che rispose appena, prima di chiudersi la porta alle spalle e tornare alla sua Audi parcheggiata di fronte al cancello.  

Soffocai un grido stringendo i pugni lungo i fianchi e sbattendo i piedi a terra, poi salii di sopra annunciandomi con i miei passi pesanti e furenti.

“Ehi, tutto bene?”, mi chiese Ale alzando la testa dal libro che stava leggendo, sdraiata sul suo letto.

“Sì, assolutamente. Lui è stato qui, ancora.”

“Oh”, abbassò lo sguardo e sollevò le spalle, tornando alle parole stampate sulla carta bianca e a giochicchiare nervosamente con il segnalibro.

“Ale…”, sospirai sedendomi al suo fianco e poggiandole una mano sulla schiena. “So che… che io dovrei essere la prima a capirti subito, ma… devo chiederti una cosa, devo chiederti un favore.”

“Sarebbe?”

“Vorrei solo che tu tentassi di… di capire un po’ di più ciò che senti dentro e di scegliere uno dei due in definitiva.” Lo sguardo che ricevetti mi fece rabbrividire e mi diedi della stupida. “Scusa, cancella tutto quello che ho detto, non importa.”

Mi alzai scuotendo la testa e mi gettai sul mio letto, a pancia in giù, lo sguardo rivolto verso l’acquario delle tartarughe in cui ora ce n’era solo una.

“Oggi non esci?”, chiesi debolmente, fissandola con la coda dell’occhio: era persa fra quei milioni di parole, cercando forse un mondo in cui potesse sentirsi meglio.

“No, non ho voglia. E poi mi fa male la pancia: ho il ciclo.”

“Ah, capito. A proposito, anche a me dovevano arrivare in questo periodo, se non sbaglio”, corrugai la fronte, pensierosa.

Mi alzai e raggiunsi il calendario di fianco alla finestra, sopra la scrivania, e controllai.

“Oh cazzo.”

“Cosa?”, sobbalzò Ale.

“Mi sbagliavo: dovevano arrivarmi una settimana fa.”

“Davvero?”, sgranò gli occhi.

“Sì, davvero.”

“Oh merda.”

“Dici che…”, mi portai le mani al ventre, inorridita.

Un bambino? Un bambino ad appena vent’anni? No, mai e poi mai! A me non piacevano nemmeno i bambini, li detestavo! Non erano nelle mie priorità e non lo sarebbero stati per molto, molto tempo. Sempre se non era già troppo tardi…

“No Ale, no! Non voglio!”, gridai portandomi le mani sulla testa: se non avessi tenuto così tanto ai miei capelli li avrei strappati.

“Calmati Ary! Vedrai… vedrai che è solo un ritardo”, mi fece un sorriso rassicurante.

“Speriamo”, sospirai sedendomi mollemente sul letto.

Sentimmo suonare il campanello al piano di sotto e mi ritrovai ad odiare quel suono, indipendentemente da chi fosse: lo sentivo troppo spesso!

Ale si alzò, dopo aver sentito dei passi galoppare sulle scale, e sbirciò fuori dalla porta. Rientrò in camera con la testa e mi disse che era Tom. Io, in preda al panico, pensai che forse era meglio che mi nascondessi, senza pensare ad un motivo preciso: sentivo di doverlo fare e basta.
Avevo paura di una sua reazione a quella notizia? Avevo paura di un suo rifiuto se magari…? Non volevo nemmeno pensarci, quell’ipotesi non la volevo nemmeno considerare lontanamente.

Mi nascosi sotto al letto sotto lo sguardo stupito di Ale e le feci segno di reggermi il gioco, quando si girò e si trovò di fronte Tom in una forma smagliate, un sorriso felice sulle labbra.

“Ciao!”, la salutò con un sonoro bacio sulla guancia. In quel momento di distrazione tirai le coperte verso il basso, così che non mi potesse vedere.
“Ary?”, chiese guardando oltre di lei. “Anna ha detto che era qui.”

“Ahm… ehm… no.”

“E dov’è?”, corrugò la fronte.

“Non so.”

“Come non sai? Non può essere uscita dalla finestra!”

“No, questo no, ma… boh, non so dove sia!”, si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa. “Ora devo andare! Ciao!”, e schizzò via lasciandolo lì sulla soglia.

Lo sentii sospirare e camminare verso il letto, per poi gettarcisi sopra saltellando. La rete del letto mi sfregò la schiena e mi tappai la bocca con le mani, fin quando non vidi la coperta alzarsi di scatto e il suo viso all’incontrario fissare il mio.
Quella maledetta aveva fatto la spia sul mio nascondiglio super segreto!

“Mi dici che ci fai sotto al letto?”

“Ahm… Niente!” Sollevò il sopracciglio, scettico. “Cioè… stavo guardando se c’erano degli spiccioli qua sotto! Sto raccogliendo più soldi possibili. Per la macchina, sai com’è…”

“Dai, vieni fuori”, mi prese per il braccio e mi trascinò sul pavimento, fino a quando non fui di nuovo alla luce del timido ed ultimo sole della stagione.

Mi alzai da terra tossicchiando e Tom mi levò qualche mucchietto di polvere dai capelli, scuotendo la testa con un sorriso divertito.

“Mi spieghi il perché di questo comportamento? Ti nascondevi da me?”, mi chiese.

“Ho sempre adorato giocare a nascondino! Fin da bambina! Era il mio gioco preferito, dico davvero! Ero sempre la migliore, non mi trovava mai nessuno! E quando toccava a me contare li trovavo subito tutti! Dicevano che avevo una vista… Ma non è questo che vuoi sentire, eh?”, mormorai l’ultima frase, abbassando il capo.

“No”, sorrise. “C’è qualcosa che non va?”

“No, no! Non c’è niente che non va!”

“Sicura?”

“Sì, sicurissima”, annuii tentando di apparire normale, persino sorrisi.

“Ok, diciamo che ti credo”, mi abbracciò e mi baciò sulle labbra, passando il suo sorriso sulle mie. Mi spinse verso il letto e mi ci fece cadere, mi sovrastò delicatamente e mi passò una mano fra i capelli, avvicinandomi il viso al suo.

“Pensavo… E se stasera uscissimo, io e te?”

“Uhm… Mi piace come idea. Dove si va?”

“Segreto”, sussurrò stampandomi un mezzo bacio.

“E cosa mi devo mettere?”

“Quello che preferisci”, sollevò le spalle. “Tanto tu stai bene con tutto.”

Arrossii. “Ok, va bene.”

“Ti passo a prendere più tardi allora.”

“Ah. Credevo rimanessi qui.”

“No, devo andare a prepararmi”, sogghignò e mi stampò un ultimo bacio prima di alzarsi e fare una corsetta fino alla porta. “Ti amo!”, gridò una volta già sulle scale, tanto che quelle due parole che riuscivano a farmi volare il cuore mi arrivarono come un’eco.

Sorrisi e sussurrai un “Anch’io” con lo sguardo rivolto al soffitto, ma quella serenità venne spazzata via presto dal pensiero che forse qualcosa stava nascendo in me. E, se fosse stato così, non lo volevo.

 

***

 

“Divertiti stasera”, disse mogia Ale, apparecchiando la tavola per lei, mamma e papà.

“Sì, sorella.”

“Sei nervosa?”

“Un po’ sì, se devo essere sincera.” Mi sistemai i bottoni neri del vestitino rosso che indossavo, lungo fino a metà coscia e con le maniche nere trasparenti.

“Ma gliel’hai detto… di quella cosa?”

“Ma ti pare?! Come avrei potuto?!”, sgranai gli occhi, immaginandomi la scena e rabbrividendo.

“Ary, prima glielo dici e meglio è, fidati.”

“Ma… ma… Come faccio?!”, piagnucolai.

“Come fai a dirgli che gli vuoi bene.”

“Oh, come se gliel’avessi detto subito.”

“Giusto, hai ragione tu”, ridacchiò. “Vedrai che capirà, ci tiene davvero a te.”

“Sì, lo so, ma…”

Il campanello suonò ed irritata mi girai ed aprii la porta di scatto, fulminando Tom con lo sguardo: “Non azzardarti mai più a suonare il campanello, mi urta!”

“Ok, scusa! Sei già nervosa? Non siamo nemmeno usciti dalla porta!”

“Sì, e se vuoi puoi anche restarci fuori dalla porta!”

“Ma… ma che hai?!”

“Niente!”, disse Ale tappandomi la bocca e sorridendo nervosamente. “È solo un po’ tesa”, gli disse piano, come se io non sentissi, no?!

“Ah”, rise Tom. E solo allora, solo in quel momento, mi accorsi che si era infilato una camicia. Una camicia! Dove cavolo dovevamo andare, se si era messo una camicia?!  

“Tom, tu…”, balbettai indicandola sotto il giubbotto slacciato. “Tu…”

“Oh, non badare a questa. Ero di fretta e ho messo la prima cosa che ho trovato”, disse arrossendo lievemente, portandosi una mano dietro al collo.

Ale fece un sorrisetto strano e mi spinse in avanti, così da farmi finire direttamente fra le sue braccia.
“Buona serata!”, ci gridò prima di chiuderci la porta in faccia.

Sollevai lo sguardo su di lui e sorrisi: “Buonasera”, sussurrai sfiorandogli la bocca con la mia. Fu lui infatti ad approfondire il bacio, stringendomi forte, ancora sulla soglia.

“Piccola…”, mormorò.

“Uhm?”

“Ti amo.”

“Due volte nello stesso giorno è troppo, Tom”, lo rimbeccai, staccandomi ed avviandomi verso la macchina. “Poi mi vizi.”

 

“Dov’è il mio iPod?”

“È rimasto qui, dall’ultima volta”, aprì il portaoggetti di fronte a me e me lo passò, stando comunque attento alla strada.

“Manca tanto ad arrivare?”

“Non molto, ma mettilo comunque”, sorrise.

“Sto iniziando a diventare prevedibile.”

“Solo per me però”, mi strinse la mano sulla mia gamba, facendomi arrossire.

Infilai l’iPod nell’apposita fessura sul cruscotto e l’accesi, feci scorrere un po’ di canzoni fino a quando non trovai una canzone che personalmente adoravo.

“Questa è stupenda, Tomi”, dissi.

Gli accordi duri di chitarra si dispersero nell’abitacolo e una voce calda e potente mi invase i timpani, facendomi sorridere con lo sguardo fuori dal finestrino, sulla strada illuminata dai lampioni e dalla luce della luna e delle stelle in quel cielo chiaro.

“Ahi, è italiana! Non ci capisco niente. Me la traduci?”

“No”, mormorai chiudendo gli occhi. “Non si può tradurre, perderebbe ogni sua bellezza.”

Te la dedico, Tomi…

 

Portami dove non posso arrivare,
dove si smette qualsiasi pudore
Fammi sentire che cosa vuol dire viaggiare leggeri

 

“Allora… cantala.”

“Che cosa?”, scoppiai a ridere. “Io non so cantare, dai. La rovinerei e basta.”

“Ma mi piace sentirti parlare in italiano… È affascinante e anche molto seducente”, sorrise malizioso.

Sei proprio stupido, Tomi, ma ti amo”, dissi in italiano, vedendo comparire un sorriso divertito, gioioso e da bambino sul suo viso, facendomi sciogliere il cuore.

“Ho capitolo solo Tomi”, ridacchiò. “Ma mi è sembrata una frase molto bella. Che hai detto?”

“Non te lo dico”, mormorai.

“Ah, sei scorretta però!”

Ridacchiai e guardai fuori dal finestrino, la sua mano ancora stretta nella mia.  

 

Sei sempre così il centro del mondo,
il primo bengala sparato nel cielo quando mi perdo
Sei sempre così il centro del mondo
Ti prendi il mio tempo, ti prendi il mio spazio, ti prendi il mio meglio

 

Arrivammo al ristorante e scoprii che era veramente carino e riservato, nel quale tutti erano vestiti bene. Per un primo momento mi sentii davvero inadeguata, ma quando Tom mi strinse la mano e mi sussurrò un “Vai benissimo”, come se mi avesse letta nel pensiero, lasciai perdere tutto e fiera di essere al fianco di un ragazzo fantastico come lui, raggiungemmo il nostro tavolo scortati da un cameriere vestito da pinguino.

“Non pensavo davvero che tu… Come mai?”, chiesi divertita, mentre mi spostava la sedia personalmente per farmi sedere.

“Perché, è un reato portarti fuori a cena?”, ridacchiò.

“No, però… mi hai sorpresa.”

“Mi piace sorprendere… mi piace sorprenderti”, sorrise e prese il menù in mano. Io lo imitai, ridacchiando e pensando che uno come lui non l’avrei trovato mai.

La cena si svolse tranquillamente, ridemmo e scherzammo per la maggior parte del tempo, solo verso la fine, dopo aver ordinato il dolce, la scoperta di quel pomeriggio mi pungolò lo stomaco facendomi sobbalzare.
Perché il mio solito tempismo rovinava tutto? Dovevo dirglielo davvero, come mi aveva consigliato Ale? Come l’avrebbe presa? Che avrebbe fatto?

“Tutto bene?”, mi chiese Tom con la testa sulla spalla.

“Sì, ehm… Sigaretta?”, proposi sorridendo nervosamente.

“Andata.”

Ci alzammo e raggiungemmo l’uscita, ci accendemmo le sigarette sotto la luna chiara, al fresco della sera, e dopo il primo tiro pensai che forse dirglielo sarebbe stata la cosa migliore, perché nasconderglielo sperando che non fosse come pensavo e temevo, non aveva nessun senso. Meglio dirglielo e levarmi quel peso dallo stomaco; meglio essere sincera in tutto e per tutto, senza paura, perché se davvero teneva a me, se davvero mi amava come diceva, non mi avrebbe lasciata.

“Come sei pensierosa…”, Tom mi avvolse le spalle con il braccio, sorridendomi.

“Sì, io… dovrei dirti una cosa.”

“Dimmi.”

“Ecco… è una cosa un po’ delicata. E diciamo che ho anche paura…”

“Paura? E perché? Non sarai mica incinta, vero?”, scoppiò a ridere, mentre io abbassavo lo sguardo.

Colpito ed affondato.

“Ary?”, balbettò preoccupato. “Non è così, vero?”

“E anche se fosse?”, chiesi con gli occhi velati dalle lacrime.

“Beh… oddio. È complicato! Ma sei incinta sul serio?”

“No, ho solo un ritardo… Non è detto.”

“Ah. Ehm… Non lo so”, si passò le mani sul viso, sospirando.

“Che cosa vuol dire che non lo sai? Se io aspettassi un figlio da te non lo vorresti?”

“Sì, certo che lo vorrei!”, gridò prendendomi per le spalle e guardandomi negli occhi nonostante il radicale cambiamento di colore che aveva avuto il suo viso. “Però… non siamo un po’ troppo giovani… per un bambino, intendo.”  

“Io sono la prima a dirlo, però… se dovesse succedere? Non sai nemmeno quanta paura ho, Tomi…”

“Oh, su…”, mi abbracciò affondando il mio viso nel suo petto, accarezzandomi i capelli. “Ci sono io con te e… ce la caveremo, in un modo o nell’altro.”

“Quindi non mi lasceresti?”

“Ma no! Come ti vengono in mente queste idiozie?”, mi sollevò il viso e dopo avermi guardata negli occhi per diversi istanti, fece combaciare perfettamente le nostre labbra, in un bacio che mi fece volare il cuore.

“Dai, rientriamo che fa freddo”, disse posandomi una mano sulla schiena e portandomi all’interno.

“Vado un attimo in bagno”, dissi.

“Ok, io torno al tavolo. Non ti scoccia se inizio a mangiare il dolce senza di te, vero?”

“No, ingordo che non sei altro. Ma non toccare il mio, o ti spezzo le braccina!”

“Ok capo”, mi fece l’occhiolino prima di andare, io mi avviai verso i bagni delle signore.

Entrai e, trovandomi da sola, mi guardai allo specchio per un attimo, scoprendo un sorriso sereno sul mio viso. Ce l’avevo fatta, gliel’avevo detto e ora sapevo anche che se un giorno sarebbe successo, lui non mi avrebbe lasciata. Non mi avrebbe lasciata mai. E quella consapevolezza era una delle più meravigliose in assoluto.

Entrai in bagno e…

“AAAAAAAAAAAAAH!”, gridai di gioia vedendo che per ora non avrei avuto un figlio e che era stato solo un semplice ritardo. “Merda, mi sono sporcata!”, sbuffai infastidita. “Ma chissene frega! Devo solo essere contenta!”

Una volta uscita dal bagno, mi sciacquai velocemente le mani e poi feci una corsetta verso Tom, che stava mangiando il suo dolce e ogni tanto rubava qualche forchettata dal mio tiramisù.

“Ehi”, ridacchiò allontanando la posata dal mio piatto e sorridendo innocente.

“Ti ho visto tanto, idiota. Comunque ho un’altra notizia da darti”, saltellai battendo le mani di fronte al viso. “Adesso mi manderai a cagare, me lo sento, ma… ho appena scoperto che non sono incinta: mi sono arrivate!”

“Vai a cagare, Ary!”, gridò ridendo e portandosi una mano sul cuore, sospirando sollevato.

“Felice?”, chiesi sedendomi a allontanandogli il piatto da sotto il naso.

Sollevò le spalle e sorrise. “Mi stavo già abituando all’idea di avere un piccolo Kaulitz per casa, però è meglio tra qualche anno”, ridacchiò.

Sono perfettamente d’accordo con te, ladro di dolci che solo Dio sa quanto amo”, dissi in italiano, facendo una linguaccia alla sua smorfia di confusione mista a curiosità.

Inutile tradurre, sai già tutto.

 

_______________________________________________

Buonasera a tutti, è Ary che vi parla! :D

Allora, questo capitolo è alquanto comico, ma anche dolce secondo il mio punto di vista *-* La reazione di Ary nello scoprire quel suo ritardo, la sua paura di dirlo a Tom e poi quello che lui le ha detto per rassicurarla... bello, no? :) E anche la loro gioia nello scoprire che era solo un ritardo, anche se Tom ha lasciato intendere che gli piacerebbe avere un "piccolo Kaulitz per casa" ;) Sono proprio innamorati persi e due idioti come al solito xD

Per quanto riguarda la situazione tra Bill e Ale, le cose non sono cambiate di molto. Bill non cede, continua a passare a casa loro, ma Ary ogni volta se ne inventa una. Ale continua a soffrire e chissà se le parole di Bill siano vere oppure no: forse è vero che è di lui che Ale ha bisogno per essere felice e che Ary, "proteggendola" da lui, le sta facendo del male? Bah u.u Lo scopriremo solo vivendo! :)

La canzone che ho usato è Il centro del mondo del mitico Ligabue! :) Una canzone che adoro!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e visto che non ho tanto tempo (scusatemi ç-ç) non posso ringraziare ad uno ad uno chi ha recensito lo scorso capitolo, ma nel mio cuore lo faccio! *.* Grazie a _MINA_ , Charls__ e AleEchelon. Grazie di cuore!!

Ringraziamo anche chi ha soltanto letto! :)

Ne approfitto anche per avvisare che io parto per le vacanze (finalmente!), ma ci sarà un inconveniente: non avrò la connessione internet, quindi non potrò postare quando sarà il mio turno ç-ç Ma essendo in due, le cose si risolvono! *.* Vi anticipo che sarà la mia compagna di avventure a postare anche il mio capitolo, se io non farò in tempo a tornare! :D Vedete, pensiamo sempre a voi *.*

Okay, adesso mi dileguo! :D Un bacio a tutti e vi auguro di passare delle buone vacanze!!
Vostre,
Ale&Ary

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Capitolo 34
*** La lontananza ***


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Capitolo 35
*** La ragione per cui sorrido ***


Capitolo 35: La ragione per cui sorrido

 

You know that I’m a crazy bitch
I do what I want when I feel like it
All I wanna do is lose control

 

[Tu sai che sono una folle stronza (puttana)
Faccio quello che voglio quando mi sento così
Tutto quello che voglio è perdere il controllo]

 

“Stai zitta, stupida”, sussurrò ridacchiando, quando io era tutta la sera che ridevo come una cretina: avevo bevuto un po’ troppo… Ma ero ancora lucida! Forse.

Mi prese per le gambe e io lo baciai accarezzandogli le treccine, senza riuscire a smettere di ridere per un attimo, il viso rosso. Tom ricambiò sorridendo e chiuse la porta dell’appartamento con un piede, per poi camminare ad occhi chiusi per il salotto, andando a memoria, fin quando non urtammo il tavolino e cademmo sul divano, io sotto di lui.

Cominciai a ridere più forte, lui mi tappò la bocca baciandomi, riuscivo a malapena a respirare. In casa c’era silenzio, non ci doveva essere nessuno: beh, meglio per noi.

“Sei proprio ubriaca, eh?”, rise spostandomi i capelli arruffati dal viso.

“Però ti stai approfittando di me comunque!”, risposi stridula, accarezzandolo con uno sguardo malizioso negli occhi.

Approfittando non è il termine esatto”, mormorò accarezzandomi i fianchi e la pancia con le mani fredde, scatenandomi mille brividi, mentre mi baciava sul collo. “Tu sei mia, quindi sei sempre consenziente.” Si sarebbe aspettato una mia risposta, era così sicuro di riceverla che il mio silenzio lo fece preoccupare e si tirò su per guardarmi in viso. “C’è qualcosa che non va? Ho detto qualcosa di sbagliato?”

“No…”, mormorai con sguardo vacuo. “Stavo pensando…”

Tom scosse il capo, sicuro che avrei detto un’altra stronzata elevata all’ennesima potenza a causa dell’alcol, ma lo sorpresi ancora una volta dicendo, con un barlume di lucidità nella voce: “Ti ricordi com’ero all’inizio? Cioè… tu mi prendevi e mi facevi tutto quello che volevi, io non ti dicevo mai di no… Insomma, ero una grandissima puttana!”

Tom strabuzzò gli occhi e ci mancò poco che si strozzasse con la sua stessa saliva, mentre il suo viso prendeva colore: si vergognava al posto mio! “Non dire queste cose, non è vero!”

“Non è vero? Beh, allora forse sei stato fortunato a conoscermi nell’ultimo periodo della mia puttanaggine”.

“Ary sei sbronza, ti inventi pure i vocaboli…”, sbuffò.

“Anzi no!”, esclamai con un’espressione che mostrava la mia nuova sorprendente, quasi geniale, constatazione. “Non mi hai conosciuta nell’ultimo periodo della mia…”

“Crescita umana”, parlò al posto mio, io sventolai una mano e lo lasciai fare, stavo per arrivare al momento forse più serio della mia vita, eccetto qualche altro raro frangente.

“Tu. Hai fatto tutto tu. Sei stato tu a cambiarmi, a rendermi una persona migliore, dalla schifosa stronza puttana che ero. Tu mi hai cambiato la vita… mi hai fatto capire cos’è l’amore. Tu, tu, tu! Tu mi hai fatto sorridere davvero… Da quando siamo insieme sorrido sempre col cuore… Io ti amo Tomi, ti amo come non ho mai amato nessun altro, ti amo come il sugo ama la pasta e viceversa…”

Tom mi guardò attentamente e si lasciò scappare un sorrisino divertito, anche se sotto sotto le mie parole lo avevano commosso. “Se non fosse stato per quest’ultima similitudine, sarebbe stato un discorso perfetto.”

“Non fare lo stronzo, dai, è una cosa seria!”, gridai tentando di contenermi, il che, nelle mie condizioni, era piuttosto difficile.

“Lo so, ho capito, anche io ti amo tanto, ma potremmo finire ciò che abbiamo iniziato e poi fare gli stucchevoli?” 

Mi imbronciai e gli tirai un pizzicotto sul braccio. “Adesso sei tu che mi tratti da puttana?!”

“Beh in questo momento non mi dispiacerebbe, sai? Le ragazze quando bevono non dovrebbero atteggiarsi in questo modo?”, fece il finto meditabondo, con un sorriso da presa per il culo stampato in faccia, ma io non riuscii a cogliere quella sfumatura, convinta che pensasse davvero quelle cose, e mi imbronciai ancora di più, mordendomi le labbra.

Tom, accorgendosene, mi sorrise dolcemente e mi accarezzò le guance, sfregando la punta del naso contro la mia. “Non so quanto ti ricorderai domani mattina di ciò che sto per dirti, però voglio dirtelo lo stesso, piccola: se tu eri la puttana, io ero il puttaniere; noi ci siamo trovati e ci siamo cambiati a vicenda, entrambi abbiamo capito che cos’è l’amore vero, quindi non è solo merito mio… ma anche tuo. E ti amo come non ho mai amato nessun’altra, stronza.” Quella luce nei suoi occhi e quel sorriso… erano puro sinonimo di amore. Peccato che nel suo DNA non ci fosse tutto quello spazio per la sdolcinatezza, infatti ci tenne a precisare, ridacchiando: “Questo però non vuol dire che dobbiamo rinunciare a del sano sesso tra puttana e puttaniere!”

Io sorrisi e lo attirai a me, facendo scontrare le nostre bocche fameliche desiderose l’una dell’altra.

 

You stole my heart and you’re the one to blame

 And that’s why I smile
It’s been a while, since every day and everything has felt this right
And now, you turn it all around,
and suddenly, you’re all I need, the reason why
I smile

 

[Mi hai rubato il cuore e sei l’unico da incolpare

Ed è per questo che sorrido
È da un po’che tutti i giorni ed ogni cosa hanno sentito questa correttezza
E ora, tu cambi tutto intorno,
e successivamente, sei tutto quello di cui ho bisogno, la ragione per cui
sorrido]

 

All’improvviso sentimmo dei rumori provenire dal piano superiore. Io non ci badai, anzi proprio me ne sarei fregata se non fosse stato per Tom, che corrugò la fronte e si sollevò da me, nonostante io mi tenessi aggrappata alla sua felpa come se stessi per cadere da un dirupo.

“Vieni, alcolizzata”, mi prese per la mano, nonostante i miei mugugni per il cerchio alla testa che stava iniziando a farsi sentire e soprattutto per la voglia di concludere finalmente ciò che avevamo iniziato, e mi condusse con lui verso la stanza di Bill, nella quale entrò senza bussare.

“Oh madre natura che bel lavoro che hai fatto!”, gridai vedendo Bill mezzo nudo sul letto. Tom mi tirò un pugno e Bill si ricoprì velocemente, arrossendo.

“Ehi, giù le mani e gli occhi, sai?!”, gridò una voce stridula. Ci misi un po’ a focalizzare la figura sdraiata al suo fianco, ma quando ci riuscii mi sorpresi di fronte ad una Ale rossa in viso.

“Ale!”, sbottai scoppiando di nuovo a ridere, indicandola. “Hai fatto pace con Bill!”

“Ma che cosa ti sei bevuta?”, mi chiese, però guardando Tom, che mosse la mano trattenendo le risate.

“Tooooooomiiiii! Mi fa male la testa! E voglio fare la puttana con te!”, mi lagnai aggrappandomi alla sua felpa.

Lui si irrigidì un poco e diventò persino rosso di fronte a Bill e Ale, per questo si affrettò a tirar fuori dalla tasca dei jeans il suo pacchetto di sigarette, che mi schiaffò in mano dicendo: “Accontentati di queste”, per poi cacciarmi quasi fuori dalla porta.

Con un sorriso a trentadue denti e abbastanza ebete sulle labbra, felice della soluzione che aveva trovato ed in un mondo tutto mio sempre a causa dell’alcol, saltellai fuori in terrazza e mi accesi una sigaretta, sedendomi con le spalle al parapetto.

Un momento… Ale era a letto con Bill? Quando ero uscita di casa lei stava ancora con Aaron! Che cos’era successo in quelle due ore scarse? Mi ero persa qualcosa.

Sospirai passandomi una mano sulla fronte e mi ritrovai a ridacchiare, pensando alle coincidenze della vita: era destino che quei due si fossero ritrovati! E chissà, magari io l’avevo sempre sperato, nonostante l’incazzatura con Bill per come aveva trattato Ale in quei due mesi.

“Ehi.”

Sollevai la testa e vidi Bill di fronte a me, quella volta vestito. Mi coprii la bocca ridacchiando, gli occhi che iniziavano a lacrimare e la testa che mi sembrava una bomba ad orologeria pronta a scoppiare da un momento all’altro.

“Ogni volta che ti vedrò ora mi verrai in mente mezzo nudo, facci l’abitudine”, dissi. Bill sorrise e si mise seduto al mio fianco, sfilando una sigaretta dal pacchetto di suo fratello ed accendendosela.

“Ti fa male!”, gridai stridula. Mi lanciò un’occhiata eloquente e io sollevai le spalle: “Fatti tuoi”, mugugnai, “Io te l’ho detto.”

“Era da tanto che non ti preoccupavi per me”, annuì pensieroso, facendo il primo tiro.

“È da tanto che non ci parliamo civilmente… e mi dispiace.”

“Avevi le tue buone ragioni, infondo. Anche se ti ho detestata in questo ultimo periodo.”

“Posso capirti. Andreas mi detesta da quando ci conosciamo”, ridacchiai. “Ma mi vuole bene comunque.”

“Anche io ti voglio bene comunque.”

Mi girai verso di lui e lo guardai stranita: “Davvero?”

“No, per finta”, roteò gli occhi al cielo, attirandomi in un mezzo abbraccio, visto che una mano aveva la sigaretta accesa.

“Però posso confermare che tu e Tom non siete poi così tanto diversi”, rimuginai.

“Ancora che pensi a quello?! Ho capito che mi preferisci nudo, però… un po’ di contegno!”, scoppiò a ridere, trascinandomi con lui.

“Davvero Bill… Mi dispiace per come mi sono comportata con te in questi due mesi, ma… Ale è stata veramente male e sai quanto io tenga a lei e quanto io… avrei voluto rasarti a zero. Tu puoi capire, anche tu hai un gemello…”

“Sì, ti capisco perfettamente, e io ho esagerato molte volte. Non potevo pretendere che mi accogliessi a braccia aperte, ma anche io soffrivo e il tuo comportamento mi mandava in bestia. Mi perdoni?”

“Solo se mi perdoni tu.”

“Allora siamo a posto”, sorrise dolce e mi fece un buffetto sulla guancia. “Ti voglio bene piccolina.”

“Anche io, piccolino.”

Noi due, d’altronde, eravamo i piccolini in fatto di gemelli, essendo i secondi geniti, e ogni tanto ci chiamavamo così, quando eravamo dell’umore giusto per fare i dolci e i coccolosi.

Spense la sigaretta nel posacenere accanto a noi e si alzò, mi salutò con la mano e ritornò dentro, mi ricordai troppo tardi di chiedergli cos’era successo con Ale e perché lei si era ritrovata nel suo letto.

Anche la mia sigaretta si era consumata velocemente fra le mie dita e la misi nel portacenere, quando sentii le porte vetrate aprirsi e la figura di Ale mi comparve davanti, un sorriso finalmente vero e felice sul suo volto di nuovo luminoso, come i suoi occhi luccicanti alla luce della luna.

“Buonasera”, mi salutò sedendosi al mio fianco e fregando una sigaretta dal pacchetto del povero Tom: tutti andavano a scrocco da lui!

“Ma che cos’è, un confessionale?”, ridacchiai. Poi feci la stupida, chiudendo gli occhi e unendo le mani sul ventre: “Dimmi tutti i tuoi peccati, cara Ale. Partendo da quello che hai combinato con il Kaulitz di nome Bill”, sfarfallai le ciglia.

“Se, proprio tu la suora? Un minuto fa hai detto che volevi fare la puttana con Tom!”, scoppiò a ridere: una risata vera che mi riscaldò il cuore in un nanosecondo. “Comunque… Io e Bill siamo di nuovo insieme.”

“L’avevo capito, sai?”

“Senti, non fare la saccente, tanto non lo sei. E soprattutto sei ancora ubriaca.”

“Non sono ubriaca”, singhiozzai senza farlo apposta, e mi portai la mano sulla bocca.

“Sì che sei ubriaca, ma su di te l’alcol non ha sempre gli stessi effetti”, sorrise. “Aaron mi ha lasciata andare da Bill, alla fine.”

“Davvero?”

“Sì.”

“Ti deve volere proprio tanto bene”, annuii. “Sì, per lasciarti andare da un altro, nonostante l’amore che prova per te… Sì. L’avrei fatto anche io, comunque.”

“Dici sul serio?”

“Io rinuncerei a tutto per te, Ale, dovresti saperlo”, la guardai negli occhi. “Persino al sesso.”

“Oh, mi sento onorata”, ridacchiò con gli occhi lucidi, come i miei. “Vieni qui”, soffiò prima di stringermi in un forte abbraccio. “Ti voglio un mondo di bene, sorellina.”

“Io te ne voglio di più, come un buco nero.”

“Che schifo!”

“Guarda che invece è bello… perché è infinito. Se tu non sei poetica, non è colpa mia.”

“Stasera sei più stupida del solito, te ne sei accorta?”

“Sarà l’alcol”, ridacchiai.

“Ma lo sai che tra un po’ è il nostro compleanno?”, disse dopo attimi eterni e così belli, che non avrei voluto finissero mai, di silenzio, nei quali c’eravamo solo io e lei, stretta l’una nelle braccia dell’altra: un anima in due corpi.

 

“Daglielo.”

“No.”

“DAGLIELO.”

Sospirai e guardai il pacchetto fra le sue mani, poi lo presi e me lo misi in borsa, senza guardarlo nemmeno: non volevo sapere che cosa ci fosse dentro.

“E fagli gli auguri”, mi minacciò con uno sguardo omicida.

“Contaci”, bofonchiai.

“DEVI farlo.”

“Ma perché Ale?! Se davvero vuoi fargli gli auguri, chiamalo tu!”, gridai rossa di rabbia: perché si ostinava a stargli dietro?!

Abbassò lo sguardo, ferita, e si sedette sul letto, concedendosi un sospiro afflitto. Io la guardai, sentendomi il cuore scoppiare nella cassa toracica e lo stomaco divorato dai sensi di colpa: perché non me ne stavo mai zitta? Io e la mia maledetta boccaccia non collegata al neurone.

“Scusa, non volevo”, sussurrai.

“Niente Ary… Infondo hai ragione, mi sto solo facendo del male…”, si alzò e scese di sotto, io la seguii da lontano, sentendomi profondamente la causa del suo umore ancora caduto in una fase di tristezza assoluta.

Cazzo!

La guardai sedersi sul divano ed accendere la tv; la guardai scanalare senza interesse, lo sguardo vacuo e la testa chissà in quali pensieri, in quali ricordi… sicuramente ricordi in cui lui c’era.

Sentii il campanello suonare e con una voglia pari a zero di andare all’appartamento per festeggiare il compleanno di Tom ed inevitabilmente anche quello di Bill, aprii la porta, trovandomi di fronte il mio ragazzo che sorrideva felice.

“Ciao!”, mi salutò stampandomi un bacio sulle labbra a cui io non reagii più di tanto.

“Io vado”, mormorai guardando Ale.

“Ciao Ary, divertiti”, mi sorrise, ma quel sorriso mi fece ancora più male, perché era spudoratamente falso, fatto con l’unico scopo di non preoccuparmi, nonostante mi facesse solo più male.

“Sicura di non voler venire?”, le domandò Tom mogio. “Mi farebbe piace se tu…”

“No”, rispose decisa, anche se io capii solo con uno sguardo quanta fatica avesse fatto per pronunciare quel semplice monosillabo. “E ora andate o farete tardi”, ci liquidò.

Uscimmo e ci mettemmo seduti in macchina, dopo qualche minuto di insopportabile silenzio Tom mi prese per la nuca e mi baciò impetuosamente sulle labbra, facendomi mugugnare dalla sorpresa e dalla confusione.

“Che ti prende?”, chiesi appena riuscii a scostarmi.

“Niente, solo… non riuscirei mai a sopportare di vederti stare come Ale.”

“Ah, tu”, mugugnai. “E io pensi che ci riesca? Dai, muoviamoci.”

“Non ti farò mai stare così, te lo giuro sulla mia stessa vita.”

Lo guardai attentamente e gli sorrisi, gli donai un soffice bacio sulle labbra e poi partì, diretto verso l’appartamento, attraversando le vie mediamente trafficate di Amburgo.

Una volta entrati ed accolti da Georg e Gustav, solari e sorridenti, notai Bill seduto sul divano, la stessa posizione di Ale e perfino la sua stessa espressione triste e spaesata, tanto da farmi aprire il cuore in due.

“Perché mi guardi così?”

Scossi la testa e mi accorsi del suo sguardo serio su di me, io ricambiai quasi sprezzante e tirai fuori dalla borsa il pacchettino che mi aveva dato Ale. Glielo porsi senza l’ombra di un sorriso sul viso e lui lo prese, guardandomi confuso.

“È per me?”

“No, per Babbo Natale”, bofonchiai. “Auguri.” Solo per te, Ale.

“Ahm… grazie!”, disse, ma io mi ero già infilata in cucina, dove avevo trovato Georg e Gustav.

 

“Almeno il tuo compleanno lo passerai con lui…”, sussurrai fra i suoi capelli, pensando al compleanno di Bill e Tom di qualche mese prima, al quale Ale non era venuta perché erano ancora nella fase “litigati”.

“Già”, mi sorrise.

“Sei felice?”

“Tanto.”

“Bene, questo è l’importante”, le feci un occhiolino mezzo storpio, colpa dell’alcol, del sonno, dell’aria fredda… di un po’ di cose insomma. “Se sei felice tu, lo sono anch’io.”

“Lo so”, mi sussurrò baciandomi più volte la guancia.

“Ehi, avete intenzione di congelarvi qui fuori oppure entrate dentro?”, chiese Tom spuntando fuori dalle porte vetrate con la testa. “Che poi, che avrete mai da dirvi a quest’ora di notte?” Dietro di lui riuscii a scorgere Bill, al quale sorrisi gioiosa: non potevo essere ancora arrabbiata con lui, ora che era proprio lui la causa della ritrovata felicità di mia sorella. 

“Parlavamo del nostro compleanno”, disse Ale ridacchiando.

“Il vostro compleanno? Mancano ancora quindici giorni!”

“E dunque? Noi ci portiamo avanti”, annuì.  

“Sì, tanto il mio neurone si è già ghiacciolato ormai”, mugugnai, passandomi una mano sulla fronte.

“Si è già… cosa?”, ridacchiò Tom. “Ghiacciolato? Dai su, vieni dentro prima che peggiori, che già non stai messa bene.”

“Ehi, queste offese gratuite?”

Mi trascinò di peso all’interno e vidi Bill e Ale abbracciarsi e ridacchiare, prima di baciarsi a stampo sulle labbra.

“Che cariniiiiiiiii”, strillai battendo le mani, prima di bloccarmi del tutto e di coprirmi la bocca con le mani.

“Che hai?”, mi chiese Tom guardandomi preoccupato.

“Mi viene da vomitare.”

 

_________________________________________

 

Ciao a tutti!
Sono appena tornata dalle vacanze e sono già stanca ._. Però sono tornata giusto in tempo per postare il mio capitolo di questa round che pare piacervi ogni giorno di più, soprattutto visto che Bill e Ale sono finalmente tornati insieme :) Ma saranno finiti i guai? Bah, chissà u.u
La canzone bellissima che ho usato in questo capitolo, qualcuna di voi l’avrà sicuramente riconosciuta, è Smile di Avril Lavigne. Piuttosto azzeccata per Ary e Tom, non trovate? ;)

Non ho il tempo materiale né la forza per ringraziarvi una per una, vi dico solo che siete fantastiche e che i vostri commenti ci fanno sempre felicissime *.* Ringraziamo, dunque, _MINA_ , AleEchelonTH e Charls__ . Grazie, grazie di cuore!!

Alla prossima, vostre
Ale&Ary

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Capitolo 36
*** Copleanno da dimenticare ***


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Capitolo 37
*** Incubi-realtà ***


Capitolo 37: Incubi-realtà

 

Mia sorella, che rompicapo a volte. Soprattutto in quel momento, non riuscivo a capirla. Perché mi aveva aggredita così? Io… non avevo fatto nulla di male!

In macchina eravamo distanti, non lo eravamo mai state così tanto, e il suo sguardo glaciale mi faceva sentire uno schifo ogni volta che incontrava il mio. Perché si comportava così?

Avevo uno strano presentimento, una morsa che mi si era attanagliata allo stomaco, che persino mi faceva inumidire gli occhi talmente era forte. Il mio cuore era pieno di inspiegabile ansia, l’ossigeno riusciva a malapena a raggiungere i miei polmoni, sotto quell’espressione rilassata che tentavo di dare.

Che sarebbe successo? Perché avevo tanta… paura? Era quello il termine giusto, e sicuramente quello era il compleanno peggiore della mia vita. Avrei voluto passarlo solo con i miei amici, il mio ragazzo e la persona più importante della mia vita, ma… proprio lei aveva riposto quella speranza in una scatola con tanto di lucchetti e catene. Perché?

Arrivammo di fronte alla nostra villetta, dopo quel viaggio passato in silenzio, vissuto di sguardi e di parole ferme in gola, strozzate. Scendemmo dall’auto e appena entrati in casa trovammo i nostri genitori sul divano, che guardavano la televisione, da bravi vecchietti.

“Che ci fate già qui?”, chiese mamma sorpresa, sollevando la testa dal petto di papà.

“Un imprevisto”, disse Ale a denti stretti, incamminandosi verso la veranda e facendoci segno di seguirla.

Mamma e papà non dissero altro, ci guardarono solamente andare fuori, in quel silenzio opprimente che aumentava di molto la mia già insostenibile ansia. Sembravamo dei condannati a morte che si dirigevano al patibolo, o almeno io mi sentivo così. Mi sarebbe tanto servito un pacchetto di sigarette, ma non ce l’avevo dietro per mia immensa sfortuna.

Ale chiuse di scatto le porte vetrate e si voltò verso di me, un’espressione rabbiosa in volto. Il mio cuore fece una capriola e indietreggiai di un passo, incontrando il fianco di Tom, al quale mi aggrappai, intimidita dalla mia stessa gemella.

La mia paura non era tanta, era immensa, era incalcolabile… e non ne sapevo il motivo. L’unica cosa che sapevo con certezza era che tremavo da capo a piedi e che sarebbe successo qualcosa da cui non sarei uscita tanto facilmente.

“Ale, ci vuoi spiegare perché siamo qui?”, chiese Tom mettendomi un braccio intorno alle spalle, come per rassicurarmi, ma inutilmente.

“Non fare finta di non sapere niente, Tom!”, gli puntò il dito contro, i suoi occhi sempre più accesi di rabbia.

“Ma… non sto capendo niente. Che ti prende?!”

Lui era confuso quanto me, solo che io avevo già un’idea del perché del suo comportamento secondo il mio punto di vista eccessivo… Era finito tutto per il meglio, perché si ostinava a pensare al passato e a darmi delle colpe che infondo non avevo, visto che avevo agito per il suo stesso bene?

“Mi prende che la tua ragazza è stato uno dei motivi per cui io e Bill siamo rimasti lontani per così tanto tempo!”, gridò e mi mancò il respiro. Come mi aveva chiamata?

“Cosa?!”, gridò a sua volta Bill, confuso.

“Ma che cosa stai dicendo?! Ary non ha fatto nulla di male, che io sappia”, mi difese Tom, avanzando di un passo.

Nulla di male?! Chiamare Aaron e pregarlo di chiedermi un appuntamento lo chiami nulla di male?!”

“Ary…”, sussurrò Bill, gli occhi sgranati dall’incredulità.

“Io… Io l’ho fatto solo per il tuo bene, te l’ho detto!”, mi feci forza, smettendo di nascondermi dietro Tom, perché io non dovevo avere paura di niente e nessuno, tantomeno della mia gemella: io avevo la coscienza pulita, sapevo di non aver fatto nulla di male, ma anzi mi ero solo preoccupata per lei.
“Tu avresti fatto la stessa identica cosa per me, se mi avessi vista nello stato in cui eri tu!”, continuai.

Forse. Ma te ne avrei parlato! Non avrei fatto le cose di nascosto!”

“Ary perché l'hai fatto? E tutte le cose che mi hai detto quella sera? Io…”, balbettò Bill, più confuso di prima.

“Ti ho detto quelle cose perché le penso, sul serio! Io ti voglio bene davvero, ma… quando Ale stava male, ho accantonato tutto il resto, non riuscivo a sopportare che fosse in quello stato per colpa tua… e così io… io ho pensato che chiamando Aaron… avrebbe potuto ricominciare! Non volevo di certo rovinarti la vita, Bill…”

Gli occhi iniziavano a pizzicarmi, assieme al naso, e mi passai una mano sul viso, facendo un respiro profondo mentre la stretta allo stomaco si stringeva e l’aria era sempre più rara. Sentivo che mi stava scivolando via tutto dalle mani, il mio tutto…

Tu… Tu hai tentato di portarmela via la vita! E io questo non te lo posso perdonare!”, gridò, squarciandomi in due il petto.

“No! No Bill, non è così!”, gridai, ma non mi ascoltò nemmeno, si scagliò subito contro il fratello:

“Tom! Tu lo sapevi?!”

“Sì, lo sapevo, ma…”

Ma un cazzo. Mi hai consolato… Mi hai detto che si sarebbe aggiustato tutto. E tu sapevi quello che aveva fatto lei! Quanto sei ipocrita Tom!”, gridò andandogli incontro, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso, gli occhi infuocati nei suoi.

“Vacci piano con le parole, fratellino!”, gli sibilò in faccia. “Io ti ho consolato perché sei mio fratello! E quello che ha fatto Ary non c’entra, perché lei ha fatto quello che ha fatto perché tiene a sua sorella, ha fatto ciò che poteva, ciò che ogni sorella avrebbe fatto.”

“Non me ne fotte un bel niente. Ha tentato di separarci definitivamente e tu! tu gliel'hai lasciato fare! Lei avrà voluto giocare a fare la brava sorella, ma tu?!”

“Fate coppia perfetta”, aggiunse Ale incrociando le braccia al petto.

Guardai impaurita Bill e Tom che si scrutavano, cupi in volto, poi il mio sguardo cadde su Ale, rigida di fronte a me, che mi guardava arrabbiata, anzi incazzata nera. Quello sguardo glaciale quasi mi uccise, ma non mi tirai indietro, lo affrontai rischiando il tutto e per tutto.

“Ary come hai potuto…”, ringhiò.

“Ale, mettiti in testa una volta per tutte che io non volevo farti soffrire, volevo solo aiutarti!”, risposi a tono, nonostante mi facesse sempre più male.

“Tu non me l'hai detto! Hai creduto di aiutarmi ma non è stato così! In quel periodo avrei fatto tutto quello che mi avresti detto e tu lo sapevi bene questo! Com'era? Io non ti tradirei mai Ale.”

“E infatti io…” Non l’ho mai fatto…

“Ti prego, risparmiati! Ne ho abbastanza!”, sbraitò sbattendo i piedi a terra, proprio come faceva da bambina…

Improvvisamente tutti i nostri giorni passati assieme, le risate, i sorrisi, i pianti… mi passarono davanti, con il forte presentimento di perderli, di perdere lei, per sempre.

Le porte vetrate si aprirono di scatto e i nostri genitori fecero la loro comparsa, preoccupati in viso.

“Cosa sta succedendo qui? Perché urlate?”, chiese mamma.

“Per niente”, bofonchiò Ale. “Tutto tempo sprecato tanto.” Prese Bill per il braccio e se lo trascinò dentro.

Chiusi gli occhi a quelle parole che come lame affilate mi avevano infilzato il cuore: da quando io ero tempo sprecato per lei? E nonostante le lacrime premessero per uscire e rigarmi il viso, le ricacciai indietro e la rincorsi, quando la vidi mentre afferrava il cappotto e si avviava verso la porta d’ingresso.

“Dove vai?”, le chiesi senza riconoscere la mia voce, roca e già rotta da quei singhiozzi che non sarei riuscita a strozzare in gola ancora per molto.

“Da Bill”, rispose secca, evitando il mio sguardo. Lo prese per il braccio e salutò a malapena i nostri genitori, poi si sbattè la porta alle spalle. Io chiusi gli occhi portandomi i pugni sul viso e strinsi i denti, rantolando.

“Che cos’è successo?”, chiese papà, più confuso che mai.

Non risposi, semplicemente mi voltai e, scontrandomi pure con Tom, corsi di sopra in camera mia e mi ci chiusi dentro. Mi gettai sul letto e mi rannicchiai su me stessa, sentendo uno strano freddo farsi spazio dentro di me, sentendo come se la mia anima stesse scivolando via dal mio corpo, lasciandomi in balia delle tenebre. Dov’era la mia luce? Perché se n’era andata?

“È tutta colpa mia”, mugugnai stringendomi di più nel mio stesso abbraccio. “Tutta mia…”

“No, piccola.”

Sobbalzai alla voce di Tom e mi girai verso di lui, che si era messo seduto al mio fianco, il viso serio.

“E invece sì!”, gridai sull’orlo di una crisi nervosa, gettandogli le braccia al collo e scoppiando a piangere.

“Non piangere Ary…”

“Io faccio quello che mi pare”, singhiozzai, stringendo forte i pugni sulla sua schiena.

Lui mi coccolò e mi rassicurò fra le sue braccia, io non lo ascoltai nemmeno per un secondo, fino a quando non mi addormentai in un sonno agitato nel quale una voce uguale alla sua mi continuava a ripetere che era colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia.
Mi svegliai gridando, la fronte imperlata di sudore e il cuore che batteva impazzito ed affaticato, essendo solo una parte: l’altra parte era lontana, nonostante fosse così vicina… vicina eppure irraggiungibile. Che fosse dovuto a quello, il freddo che sentivo dentro? Alla sua assenza.

“Che cosa c’è?”, chiese Tom aprendo a fatica gli occhi e focalizzandomi seduta al suo fianco.

Mi gettai su di lui e lo strinsi forte, lo baciai impetuosamente sulle labbra, tentai di spogliarlo in fretta, senza lasciargli il tempo di capire che cosa stessi facendo.

“Ary…”, mormorò prendendomi per le mani. “Che combini?”

“Sfiniscimi, Tom”, gli sussurrai con le lacrime agli occhi e la voce strozzata.

Lui mi strinse a sé e negò con la testa, io scoppiai di nuovo a piangere accoccolandomi fra le sue braccia, arrivando alla conclusione che il calore che mi dava lei non sarebbe mai potuto essere rimpiazzato da niente, ed io non potevo farci assolutamente niente.

 

***

 

Il tempo passava lento ed inesorabile senza lei. E il bello era che lei c’era sempre, era sempre al mio fianco, ma non più come prima. Se mi stava vicina per caso, non sentivo più quel calore dentro, e non ci rivolgevamo più una singola parola, nemmeno uno sguardo. Se ci incontravamo per casa ci evitavamo, io abbassavo lo sguardo, lei andava dritta per la sua strada a testa alta, fiera come una leonessa.

Solo Dio sapeva quanto avevo sofferto realmente in quel lungo mese… Solo Lui.
Dietro ogni sorriso, dietro ogni risata, la consapevolezza di non poter più dividere con lei ogni cosa, di non sentirla sempre con me.

Vent’anni di vita insieme, inseparabili, si erano volatilizzati proprio la sera del nostro compleanno. Mi ero ritrovata da avere tutto a non avere niente. Certo, avevo ancora Tom, e grazie a lui ancora riuscivo ad andare avanti, ma… non era la stessa cosa, senza di lei, senza la mia gemella, senza la mia anima, senza quella parte di me vitale ed insostituibile.
Senza di essa mi sentivo persa, mi sentivo un niente, peggio di uno sputo per strada, mi sentivo… non mi sentivo più, come se avessi un formicolio sparso per tutto il corpo, a causa del quale ero diventata insensibile a tutto, tranne che al dolore morale e a Tom.

Senza di lui… non avrei saputo da che parte cominciare. Grazie a lui avevo ripreso in mano le redini della mia vita dopo un’intera settimana di semimutismo e di agonia. Ma quello a cui ero arrivata, quello che avevo ottenuto, non era ancora vivere. E non avrei mai raggiunto quella situazione, senza prima aver riavuto indietro la mia vita.

Mi ero ritirata dall’università, dicendo ai miei che non riuscivo a stare al passo con le lezioni, che studiare non era mai stato il mio forte, quando la vera ragione di quell’abbandono era che era stata proprio Ale a convincermi ad andarci, quindi… che senso aveva, ora che ad Ale non importava più niente di me? Per chi dovevo continuare? Per chi dovevo vivere?

 

“Per me”, sussurrò Tom, seduto in veranda di fianco a me, a fumare una sigaretta, in una delle tante serate vuote, una tra le sempre più frequenti senza di lei in casa.

“Scusami.”

“Di cosa?”

“Per come mi sto comportando. Con te, con tutti… ma non ce la faccio già più senza di lei…”

“Oh piccola”, mormorò fra i miei capelli, abbracciandomi e asciugandomi con il pollice una lacrima che mi era sfuggita sulla guancia: una fra le tante.

 

Così, mi ero cercata un lavoro, pensando che magari distraendomi sarei riuscita a riprendermi almeno una minima parte della mia vita. Ma non era stato proprio così, perché i lavori in giro erano pochi e a causa della mia uscita scarsa dalla maturità quelli che trovavo declinavano gentilmente la mia richiesta e offrivano il posto ad altri.
Mi ero quasi arresa, quando Tom mi aveva messo in mano un giornale sul quale c’erano gli annunci dei lavori.

 

“Li ho già provati tutti, Tom”, sospirai guardando tutte le crocette rosse segnate accanto ad ogni offerta.

“Questo no”, mi indicò.

“Ma non mi prenderanno mai!”

“Staremo a vedere.”

 

Qualche giorno dopo mi aveva accompagnata all’ufficio in macchina, io ero entrata, avevo fatto il mio colloquio ed eccomi qui, a disegnare delle stupide vignette per ragazzine, che tra l’altro sarebbero finite in ultima pagina. Però mi pagavano bene e questo era l’importante, oltre al fatto che disegnando tutti i miei problemi e la malinconia si volatilizzavano, liberandomi la mente per quelle poche ore. E poi se volevo potevo anche lavorare a casa, ma vista la situazione preferivo uscire.

“Che ci fai ancora qui?”, mi chiese il capo che passava di lì, appoggiandosi con la mano alla scrivania. “Dovresti essere a casa da un pezzo.”

“Lo so”, mugugnai. “Non posso restare ancora un po’?”

“No. E anche se restassi, non te li pago gli straordinari”, sollevò le spalle, allontanandosi con la sua tazza di caffè in mano.

Però non mi sarebbe dispiaciuto avere un capo un po’ più simpatico.

Non si può avere tutto dalla vita, Ary… mi disse quella vocina, quella che si presupponeva fosse la mia coscienza, che come al solito scacciai subito perché aveva la sua voce.

Possibile che mi mancasse così tanto che mi immaginavo la voce della mia coscienza con la sua? La risposta era sicuramente sì.

Uscii dall’ufficio e mi strinsi nel cappotto al freddo invernale della Germania, anche se non sentivo più il freddo come un tempo: era più o meno lo stesso che sentivo ogni giorno, anche in luoghi chiusi e ben riscaldati.

Il cielo era bianco e le strade già coperte di neve e ghiaccio, la prospettiva di andare da sola a casa non mi allettava, però non avevo la macchina e Tom non poteva venirmi a prendere perché era impegnato con la band, precisamente in Francia.

La band… Da quando c’era stata quella litigata, un mese prima, il rapporto di Bill e Tom si era come spezzato in due, proprio come il mio e quello di Ale, poiché il primo si era schierato con la sua ragazza e Tom con me, ovviamente.
E io come al solito mi sentivo la causa di tutto: era colpa mia se Tom non parlava più con Bill e viceversa… Se non avessi messo un dito fra Ale e Bill, se avessi lasciato perdere quella mia assurda idea di chiamare Aaron, pensando di fare solo qualcosa per aiutare mia sorella, a questo punto io non sarei stata lì e tutta quella freddezza nei rapporti fraterni non ci sarebbe stata.
Se Tom e Bill non fossero stati così intelligenti da non mettere in repentaglio i Tokio Hotel per il loro litigio, mi sarei accollata anche la colpa di aver distrutto il gruppo amato da milioni e milioni di ragazzine in tutto il mondo.

 

“Se io e Bill abbiamo litigato non è certo colpa tua”, mi accarezzò i capelli, lasciandomi caldi baci sul collo.

“Dai Tom, per favore… Siamo realisti: la causa di tutto questo sono io e non ho scusanti. Credevo di fare qualcosa di buono e di utile per mia sorella, quando invece ho solo scatenato la terza guerra mondiale, di cui io sono la vinta.”

“Ti ripeto che non è così, non sei tu che hai sbagliato, ma lei e Bill. Tu l’hai fatto per lei, lei non l’ha capito e non ha nemmeno apprezzato il gesto.”

“Tom, ti prego basta, non ho più voglia di pensarci”, mormorai girandomi nel piumone e rannicchiandomi, dandogli le spalle. Lui mi abbracciò e si poggiò con la fronte alla mia schiena, dove mi lasciò una scia di baci sulla spina dorsale.

“Comunque sia, io sono dalla tua parte.”

 

Camminai per un po’ sotto i candidi fiocchi di neve che erano iniziati a cadere giù dal cielo, il cappuccio con il pelo bianco sulla testa, la borsa a tracolla sulla spalla, fino a quando non arrivai a casa e sulla soglia non venni investita da una ventata d’aria calda che profumava di cioccolata.
Sorrisi appena pensando a mamma, ma quando entrai in cucina vidi solo Ale ai fornelli, che mi guardò con la coda dell’occhio senza accennare nemmeno un saluto.

“Ciao”, soffiai sorpresa: di solito era sempre da Bill, sempre più spesso, ad ogni ora del giorno e della notte; ormai era una rarità vederla a casa.
“Che… che fai?”

“Adesso sei diventata pure cieca”, borbottò versandosi una tazza di cioccolata e girandosi verso la piccola televisione sul mobile e incrociando un braccio al petto.

Abbassai lo sguardo e me ne versai anch’io una tazza, in silenzio. Mi misi affianco a lei a sorseggiarla, senza sfiorarla, con quel nodo in gola che a malapena mi faceva respirare.
“Senti Ale, io…”, tentai di dirle, con le ultime scarse speranze che mi erano rimaste per instaurare un dialogo con lei, ma non feci in tempo ad aggiungere altro che sbuffò e se ne andò in salotto, dove si mise seduta sul divano e accese la tv alzando il volume per non sentirmi.

Persino la irritavo, ora. Tanto valeva che se ne andasse, no? No… non avrei mai voluto che si allontanasse anche fisicamente da me, perché allora… allora avrei sofferto il doppio.

Il mio cellulare vibrò nella tasca dei jeans, lo estrassi sospirando, immaginando chi fosse, e mi scappò un sorriso leggendo ciò che mi aveva scritto Tom:

 

Buongiorno piccola! Lo so, è un po’ tardi per il buongiorno, ma mi sono svegliato ora! Io lavoro, mica come te che fai gli scarabocchi! Come stai? Un po’ mi manchi, solo un po’ però! Scherzo. Ti amo.

 

Come vuoi che stia, Tom?

“Ehi sorellina!”

Vidi entrare Davide in cucina e un sorriso sorpreso si fece spazio sulle mie labbra: “Dave! Quanto tempo che non ci vediamo! Che ci fai qui?”

“Sono venuto a trovarvi!”

Lo abbracciai di slancio, avvolgendogli le braccia al collo.

“Ho ancora il cappotto addosso, sono freddo ghiacciato!” Io sollevai le spalle, incurante: mi era mancato tanto il mio fratellone. Almeno avevo ancora lui…
“Non ti lamenti più per il freddo? Allora è vero…”

“Cosa?”, sollevai lo sguardo.

“Che siete… cambiate. Mamma mi ha detto che sono successi un po’ di casini e sono venuto a controllare.”

“Ah”, abbassai lo sguardo, scostandomi.

“Mi racconti la storia?”

“È lunga e… e ora non mi va, scusa”, gracchiai prima di correre in camera mia, dove scoppiai a piangere come una fontana affondando il viso nel cuscino, testimone di molte notti passate in lacrime, testimone di sonni agitati e di incubi che purtroppo erano la realtà.

 

_________________________________________

 

Buonasera! :) Siete sparite più o meno tutte, ma speriamo che torniate presto, perchè è così triste non leggere le vostre recensioni! D:
Facciamo schifo? Va bene, scrivetelo pure xD Però non sparite nel nulla come risucchiate da buchi neri, ci fate soffrire ç_ç

Comunque sia, pensando al capitolo, è piuttosto triste per quanto riguarda il punto di vista di Ary. Chissà se anche la sua cara gemellina se la passa male come lei oppure è del tutto indifferente alla questione. Secondo voi? Ha fatto bene a comportarsi così? Era proprio necessaria questa discussione, questo allontanamento... che tra l'altro ha messo in mezzo anche Bill e Tom? Sono proprio curiosa di saperlo e penso anche la mia collega ;)

Ringraziamo tanto _MINA_ per la sua recensione e speriamo davvero, oltre che vi sia piaciuto questo capitolo, che ritorniate numerose come un tempo! Ci mancate :C

Alla prossima, vostre
Ale&Ary

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Capitolo 38
*** Decisione importante ***


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Capitolo 39
*** Laika ***


Capitolo 39: Laika

 

No, no, no, no!

Mi chiusi la porta alle spalle, con un rumore sordo, e dopo attimi di silenzio, nei quali riuscii solo a sentire il mio respiro affannato e sempre più difficoltoso, come se fossi sulla cima di una montagna senza bombola d’ossigeno, i miei occhi iniziarono a lacrimare e sentii un dolore sempre più forte farsi spazio in mezzo al mio petto, assieme ai singhiozzi che mi salivano in gola bruciando.

Perché mi stava facendo tutto quello? Perché non capiva quanto mi stava facendo male? Perché ci ostinavamo a farci del male? Perché tutto quello ancora continuava?

Scivolai a terra, scossa dai tremiti, la schiena contro la porta, le mani sul viso.

“Dio… perché? Perché?”

Lei se ne sarebbe andata. Lei sarebbe andata via, quella camera non sarebbe più stata nostra, ma solo mia… Sarebbe andata a vivere con Bill, colui che me la stava strappando dalle mani. Sarebbe stata felice e se lo era lei… avrei dovuto esserlo pure io, ma… sentivo di stare solo male, sentivo di voler gridare che no, non ero d’accordo, sentivo di dovermi inginocchiare di fronte a lei chiedendole perdono; ma sapevo non l’avrei mai fatto veramente: avrei preferito come al solito scappare.

Sentii il cellulare vibrare nella tasca della felpa che indossavo, non avevo voglia di parlare con nessuno in quel momento, ma era Tom… Non volevo perdere anche lui, l’unico che mi era rimasto eccetto Dave e Andreas.

“Tomi”, singhiozzai con il cellulare all’orecchio.

“Piccola! Perché piangi?”

“Lei… Loro… Non voglio…”

“Ah, te l’hanno detto. Stai tranquilla, arrivo subito.”

“Cosa… Dove andiamo?”

“Stai da me stanotte.”

“No, Tom, io… voglio stare qui.”

“Non puoi stare chiusa nella tua camera solo perché ci sono loro, cazzo!”

“Scusa”, singhiozzai più forte, nascondendo il viso fra le braccia.

“No, scusa tu”, mormorò. “Dai, sto arrivando. Ti aspetto sul retro.”

Annuii come se potesse vedermi e chiusi la chiamata, mi rimisi il cellulare in tasca e aspettai che mi calmassi un attimo, poi mi alzai e ficcai nella borsa a tracolla un cambio e una maglietta pulita, pensando che ero proprio una vigliacca e Tom aveva ragione: io avevo paura di uscire da quella stanza, avevo paura di incontrare i loro sguardi, avevo paura del suo… poiché l’unico capace di farmi sanguinare.

Trascorsi un po’ di tempo cercando nervosamente il mio iPod, senza il quale non riuscivo più a vivere, e quando lo trovai, infognato sotto le coperte, invece di metterlo in borsa mi infilai una cuffia nell’orecchio destro e lo accesi, immergendomi nelle canzoni dei Placebo.

Era tanto che non li ascoltavo… da quando io e Tom ci eravamo messi insieme e il periodo buio era terminato. Ora il periodo buio stava ricominciando, anzi era già ricominciato, e avevo come l’impressione, una bruttissima impressione, che non sarebbe finito tanto presto.

Sentii un clacson e mi affacciai alla finestra che dava sul retro, grazie al quale riuscivo a vedere anche la veranda deserta, e vidi la macchina di Tom parcheggiata di fronte al cancelletto, lui che mi faceva un segno con la mano, il viso serio.

Mi girai, feci un respiro profondo e presi la borsa a tracolla dal letto, me la misi in spalla e uscii dalla stanza. Sulle scale, sentendo le voci di Ale e Bill, sentii un nodo in gola e mi coprii la testa con il cappuccio, tentando di ricacciare indietro le lacrime che mi rigavano il viso silenziosamente.

Non sollevai lo sguardo neppure alla fine della rampa delle scale, fino a quando non mi scontrai contro qualcuno che purtroppo per me, era Ale. Fui costretta ad alzare lo sguardo e mi passai le mani velocemente le mani sul viso al suo sguardo inespressivo, trattenendo il respiro.

“E adesso che farai?”

Risposi: “Io… non so.”

 

Quel tuo sguardo poi lo interpretai come un addio
Senza chiedere perché, da te mi allontanai,
ma ignoravo che in fondo non sarebbe mai finita

 

Un nuovo clacson mi fece sobbalzare e senza guardare nessun altro corsi fuori, attraversai la veranda e il giardino e mi fiondai in macchina.

Mi allacciai la cintura e mentre respiravo profondamente mi scappò un singhiozzo strozzato, Tom mi prese fra le sue braccia e mi strinse forte a sé, baciandomi più volte la testa e tentando di rassicurarmi, ma ero inconsolabile. Senza la mia gemella non ero nessuno… Come avrei fatto senza di lei? Che avrei fatto?

Mi portò in appartamento e quando fui nella sua stanza, al buio, mi girai verso di lui, appoggiato ancora alla porta, e lo fissai, provando a pensare che avevo ancora lui, e nessuno me l’avrebbe portato via.

Lo guardai avvicinarsi lentamente, lo guardai mentre posava le mani sui miei fianchi e chiusi gli occhi al contatto delle sue labbra sulla mia pelle e la mia bocca.

Mi lasciai spogliare lentamente, con estrema dolcezza mi fece sdraiare sul letto e mi coccolò e mi accarezzò per un po’, ci coprì con le coperte ed entrò in me, facendomi dimenticare tutto: c’era solo lui, esclusivamente lui, la sua pelle, i suoi occhi, la sua bocca, i suoi sospiri al mio orecchio.

Per quella notte riuscii a scappare, grazie a lui, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare tutto… senza fuggire.

 

***

 

Aprii gli occhi e guardai Tom dormire tutto storto, appoggiato con il viso al mio petto, un braccio intorno alla mia vita e i piedi fuori dal letto.

Sorrisi appena e gli accarezzai le treccine sulla testa e sparse sulla schiena, amandolo incondizionatamente. Gli stampai un bacio sulla guancia e mi misi seduta sul bordo del letto, stiracchiando le braccia verso l’alto e sbadigliando.

Sospirai abbassando la testa e chiudendo gli occhi, trovandomi di fronte l’immagine di Ale che sorrideva.

Erano passati solo pochi giorni da quando me n’ero scappata di casa in quel modo, e la situazione non era né migliorata né peggiorata, era sempre la stessa.

In quei giorni sarebbe andata da Bill e il trasloco era già in atto: la sua parte di stanza era già quasi completamente vuota e se mi guardavo intorno mi veniva così tanta malinconia da scoppiare a piangere, ma avevo promesso a Tom che non mi sarei lasciata scappare più una lacrima.

Presi il cellulare fra le mani e cercai quella foto che avevo scattato al matrimonio di Davide. Quando la trovai la osservai per diversi secondi, incantata da quel sorriso che non vedevo più splendere per me, incantata da quell’allegria che non respiravo più dal giorno del nostro compleanno. Mi mancava anche il suo profumo, quel profumo di vita…

“Piccola?”, mugugnò prendendomi per i fianchi e cercando di sbirciare ciò che stavo guardando, ma io chiusi con un gesto il cellulare e lo misi sul comodino, poi mi passai le mani sul viso.

“Buongiorno”, sospirai.

“Che cosa c’è?”

“Niente, ho solo fame e tra poco devo andare a lavoro. Andiamo a fare colazione?”

“Ok. Dammi una mano, credo di essermi incastrato nelle coperte.” Ridacchiai e lo aiutai ad uscire dal groviglio. Quando si fu liberato però, mi prese per la vita e mi rigettò sul letto, facendomi il solletico.

 

Teso, ero a pezzi ma un sorriso in superficie
nascondeva i segni d’ogni cicatrice

 

“Perché siamo venuti qui?”, mi chiese Tom ridendo, lasciandosi trascinare all’interno di un bar non molto distante dal mio ufficio.

“Perché è carino!”, risposi. “E il personale mi conosce”, gli feci l’occhiolino indicandogli Gunter che si dava da fare lavando tazzine, cucchiaini, piattini e quant’altro dietro il bancone, dentro un grembiule nero.

“Va' a sederti, ordino io”, gli sorrisi. Lui annuì e si mise ad un tavolo libero, sistemandosi gli occhiali da sole sul viso.

Io mi avvicinai al bancone, di fronte a Gunter, senza farmi notare.
“Ciao!”, gridai. Lui sobbalzò e gli scappò di mano la tazzina, ma per fortuna la riprese.

“Ary!”, gridò sorpreso.

“Gunter! Quanto tempo, eh? Come ti vanno le cose?”

“Bene”, mormorò abbassando lo sguardo.

“Qualcosa non va?”

“Io… no, niente.”

“Adesso hai iniziato, dimmi.”

“A te come vanno le cose?”

“Beh… vanno.”

“Mi dispiace.”

“E di cosa?”

“È colpa mia se tu e Ale avete litigato…”

“Ma no, che dici”, ridacchiai, ma lui non rispose. “Gunter? Che intendi dire?”

“Che le ho detto io che tu avevi chiesto ad Aaron di chiederle un appuntamento, la sera del vostro compleanno.”

“Tu… che cosa?”, balbettai, incredula e con il sangue che mi saliva velocemente al cervello.

“Ary, mi dispiace da morire! Con voi ho sempre sbagliato tutto: con te sono stato sempre cattivo, quando in realtà ti voglio più bene di quello che posso volertene, e ora ho combinato questo macello. Non sai quanto mi senta in colpa… davvero.” Mi guardò implorante, con gli occhi che trasudavano dispiacere.

“Gunter…”, guardai di lato, gli occhi pieni di lacrime. “Le tue scuse non mi servono, ora che… che lei non c’è più. Grazie per tutto quello che hai combinato, grazie.”

“Tutto ok?”, chiese Tom avvicinandosi e guardando prima lui e poi me.

“Sì, tutto ok”, annuii prendendolo per il braccio e portandolo di nuovo al tavolo, senza rivolgere più uno sguardo a Gunter.

“Che voleva?”, mi chiese tenendomi le mani.

“Niente Tom…”, sorrisi, mettendoci tutta me stessa. “Niente.”

“Sicura?”, inarcò il sopracciglio.

“Sì, ti ho detto di sì!”, gli baciai una mano.

Ordinammo un caffè per lui, un cappuccino per me e due brioche ripiene al cioccolato: quella mattina ne avevo bisogno: chissene frega della linea.

“Sai cosa, Tom?”, dissi girando la schiuma macchiata di cacao del mio cappuccino.

“Cosa?”

“Non ho per niente voglia di andare al lavoro, oggi.”

“Te la vuoi bigiare?”, sorrise divertito, una strana luce negli occhi.

“Magari”, sospirai. “Dove si va?”, chiesi emozionata.

“Ho un'idea.”

 

 

“Ma che posto è questo?”, chiesi sollevando lo sguardo sull’edificio grigio che mi si mostrava davanti.

“Vieni e vedrai.”

Lo seguii all’interno e una signora, con la quale aveva parlato Tom, ci accompagnò in un'altra stanza, dalla quale, già dall’esterno, si sentivano dei cani abbaiare.

“È un canile”, gridai con gli occhi che mi luccicavano quando la signora aprì la porta e ci fece entrare.

“Sì, e questi cani sono per la maggior parte stati abbandonati, quindi… scegli quello che vuoi.”

“Ma stai scherzando?”, mi coprii la bocca con le mani, guardandomi intorno.

“No, è il mio regalo per… questi dieci mesi insieme.”

“Ecco, me ne sono dimenticata ancora!”, sospirai scuotendo la testa.

“Beh, lo sappiamo che sei un caso perso!”, ridacchiò, stampandomi un bacio sulle labbra.

“No, Tom… come posso scegliere? Sono tutti così belli!”, esclamai guardandoli uno per uno, i loro visetti imploranti e i loro occhietti dolci, così bisognosi di cure e di amore. “Se potessi li prenderei tutti”, sospirai.

Poi lo vidi, i nostri sguardi si incontrarono e come per magia me ne innamorai. Mi inginocchiai di fronte a lui e gli accarezzai il muso, così tenero che mi ricordò… Ale. Lui era il mio cucciolo.

“Quella è una yorkie-terrier”, disse la signora alle mie spalle, sorridendo. “Molto tenera e bisognosa di attenzioni.”

Quella?”, chiesi.

“Sì, è una femmina.”

“Oh mio Dio… Tomi, è lei…”

“Lei chi?”

“No… nessuno. Comunque ho deciso, voglio lei.”

La signora mi sorrise e tirò fuori la piccolina, che iniziò ad agitarsi e ad abbaiare chiedendo di me. La presi fra le braccia e mi lasciai leccare la faccia con piacere: uno spiraglio di felicità si fece spazio nel mio petto e risi, guardando Tom e dicendogli un grazie in labbiale.

“Sono contento se sei contenta tu”, mi disse accarezzandomi i capelli. “Hai idea di come la chiamerai?”

“Uhm… che ne dici di Laika?”

“Laika? Laika… è un bel nome!” Sorrise e la prese fra le mani: era ancora così piccola! “Ciao Laika!”

Gli abbaiò contro e io risi, riprendendola tra le mie braccia, dove evidentemente voleva stare.

“Proprio come la padrona”, bofonchiò Tom facendomi sorridere. “Ma so che sotto la scorza dura mi ama, basta solo scioglierla!”

 

Mi accompagnò a casa dopo essere passati a comprare tutto il necessario per Laika e di fronte al vialetto, di fianco alla macchina aperta, vedemmo Bill e Ale che ridevano mentre si passavano le ultime scatole. Mancavano poche ore ormai… e lei se ne sarebbe andata di casa.

Guardai la piccola Laika seduta sulle mie gambe e sorrisi, passandogli una mano sul pelo marroncino e nero, quando i suoi occhioni neri mi fissavano luccicanti.

“Ti voglio tanto bene, piccola”, le sussurrai.

“Amore a prima vista”, disse Tom provando ad accarezzarla, ma rischiò solamente l’amputazione di un dito.

“E non è stata la stessa cosa con te, Tom”, ridacchiai.

Sollevai lo sguardo fuori dal parabrezza e incrociai il suo sguardo, che mi fece deglutire rumorosamente quel magone che mi si era formato in gola.

“Non ci pensare, Ary”, mi disse lui, passandomi una mano sulla guancia.

“Come faccio a non pensarci… Lei è la mia metà…”

“Lo so, piccola, lo so, ma…”

Il mio cellulare si mise a vibrare sul cruscotto e lo presi; rimasi sbigottita leggendo il nome di chi mi stava chiamando, e rimasi a fissare il display per diversi minuti.

“Chi è?”, mi chiese Tom.

“Aaron…”

“Rispondi, no?”

Annuii debolmente e mi portai il cellulare all’orecchio: “Pronto?”

“Ary, ciao. Sono in ospedale.”

“In ospedale? E che ci fai in ospedale?!”

“Gunter…”

“Gunter? L’ho visto poco tempo fa, al bar! Che cosa gli è successo?!”

“Beh… se vieni qui ti spiego meglio, ok?”

“Ok, arriviamo subito!”

 

_______________________________________________

 

Buonasera fanciulle :D

Capitolo non proprio serenissimo, vista la batosta che si è presa Ary... Vi immaginavate una reazione del genere? Tom non è stato in grado di consolarla subito, appena è successo, ma solo la sua presenza è stata una cosa molto importante per Ary. Anche se, prima o poi dovrà farcela da sola ed affrontare tutto quanto. Ce la farà mai? Chi lo sa u.u Tom però ha fatto anche un'altra cosa per tirare Ary su di morale (e per i loro 10 mesi insieme, eh!): le ha regalato una cagnolina! *-* Laika!!! (Abbiamo una foto e se cliccate QUI potete vederla coi vostri occhi *-*)

E, infine, Ary è venuta a sapere del casino che ha combinato Gunter, quel "povero" ragazzo che ne combina sempre una e finisce sempre nei guai, in qualche modo! E' una calamita alle disgrazie quel ragazzo v.v Che gli sarà successo questa volta?! Beh, vi basta continuare a leggere e a seguirci per scoprirlo u.u Quindi non ci dovete abbandonare, è chiaro! xD

La canzone che abbiamo scelto per questo capitolo è Infinito di Raf. E ci sta un fracco, oltre ad essere bellissima! *-*

Ringrazio velocemente (mi sono dilungata troppo sopra xD) _MINA_ e Charls__ le due sante che non mancano mai, mai mai. Grazie ragazze! :D
Un grazie anche a chi legge soltanto ;)

Un bacio, alla prossima! Vostre,
Ale&Ary

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Capitolo 40
*** Piccola sorpresa ***


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Capitolo 41
*** Parole non dette ***


Capitolo 41: Parole non dette

 

“Tu… tu puoi stare qui”, la misi sul vecchio letto di Ale, sotto lo sguardo di Tom. La fissai scodinzolare e guardarmi con quel suo musetto tenero per un istante.

“Tanto… tanto lei non c’è più”, sollevai le spalle, tentando di fare un sorriso.

Ma le lacrime erano più potenti e in un attimo scossi la testa, presi Laika e la misi per terra.

“No, no… è meglio se stai qui”, annuii.

Lei però non mi ascoltò, saltò di nuovo sul letto e ci si sdraiò sopra, mettendosi a pancia in su e abbaiando con la lingua di fuori per ricevere le coccole.

“No! Non salire su quel letto!”, gridai tirandola giù. “Piuttosto vai sul mio! Ma non sul… suo”, dissi con voce strozzata, quel magone in gola che non mi faceva quasi respirare.

 

“Come sta?”, chiesi appena vidi Ale e Bill raggiungerci nella sala d’aspetto, alzandomi in piedi. Lei mi fulminò con lo sguardo, facendomi rabbrividire.

“Finiscila di scaricare le tue colpe sulle spalle degli altri, Arianna”, mi sibilò in faccia e mi guardò malissimo, tanto da farmi sentire il mio cuore strizzato e graffiato.

Tom si avvicinò affiancandomi, tentando di parlare, ma lei lo interruppe subito bruscamente.

“Stanne fuori Tom! E’ una cosa tra me e lei, non ti devi impicciare.”

La guardò in cagnesco, ma per uno strano motivo richiuse la bocca, sospirando pesantemente e gettando un’occhiata ostile anche a Bill, di fianco a lei, che non fu certo da meno.

“Io, che ho fatto adesso?”, mormorai con quella poca voce che mi era rimasta, quasi esasperata.

Scosse la testa, prendendo la mano di Bill e correndo quasi fuori dall’ospedale, senza rispondermi: la peggior cosa che potesse farmi.

La guardai per qualche secondo ancora, poi mi ritrovai a guardare il pavimento lucido della sala d’aspetto. Sentii il braccio di Tom infilarsi fra le mie spalle e attirarmi a sé in un abbraccio di conforto, io chiusi gli occhi e strinsi forte la sua felpa, quando sentimmo la voce di Aaron e ci voltammo verso di lui.

“Voi… non entrate?”, chiese indicando la stanza di Gunter.

“Sì, arriviamo”, annuii scostandomi e raggiungendolo.

Prima di entrare in camera di Gunter mi passai un braccio sugli occhi umidi ed arrossati e tentai di stamparmi in faccia un sorriso, ma fu tutto completamente inutile, infatti se ne accorse al primo sguardo e si tirò su meglio sul letto, guardandomi preoccupato.

“Ary…”

“Ciao Gunter”, mi avvicinai e un po’ impacciata lo avvolsi in un abbraccio, lui però mi fece allontanare quasi subito.

“Meglio… meglio di no”, mormorò abbassando lo sguardo.

Con la coda dell’occhio vidi Tom con i pugni stretti lungo i fianchi e il viso rosso di gelosia, ma non era solo per quello che mi aveva spostata… lo sentivo che c’era dell’altro sotto.

Mi misi seduta al suo fianco e gli presi la mano fra le mie, accarezzandola soprappensiero. Se solo ripensavo alle sue parole… Erano ognuna come una pugnalata.

“Come stai?”, chiesi alzando la testa e guardandolo.

“Sto bene, non mi sono fatto niente”, balbettò guardando le mie mani e la sua; io le tolsi e le tenni unite sulle gambe, sentendomi inutile.

Volevo sparire, volevo uscire da quell’incubo, volevo svegliarmi e trovare mia sorella dormire placidamente nel letto accanto al mio, volevo vederla sorridere di nuovo per me… La rivolevo indietro, ad ogni costo.

“E tu, come stai?”

Sollevai le spalle, sospirando. “Senti Gunter, io… Mi dispiace.”

“Per cosa?”

“Per… per tutto.”

“Non ti preoccupare, passerà prima o poi”, disse abbassando la testa.

“Immagino che tu abbia raccontato ad Ale quello che è successo stamattina al bar, vero?” Annuì lievemente. “Anche per questo volevo scusarmi.” Mi guardò confuso, corrugando la fronte. “Sì, la verità è che non è colpa tua se è successo quello che è successo, ma in quel momento… non ho riflettuto e ti ho detto quelle cose. Bene, scusami… io non intendevo renderti colpevole. La colpa, se c’è, è mia… tu non c’entri niente.”

“Però… se io fossi stato zitto, quella sera…”

“Prima o poi l’avrebbe saputo comunque, tranquillo”, sventolai la mano, alzandomi dalla sedia e infilandomi una mano in tasca. “Guarisci presto, ok?”

“Ok. Anche tu.”

La vedo molto dura…

 

“Ary…”, disse Tom avvicinandosi di un passo.

“Tom, io rischio di impazzire, non posso continuare così!”, gridai portandomi le mani sulla testa. Lui sospirò e mi abbracciò, posando la guancia sulla mia testa.

“E il bello è che in tutto questo tempo non ho fatto altro che pensare a me, quando… quando anche tu sei nella mia stessa situazione.” Lo guardai negli occhi. “Non è così?”

Deglutì e infilò le mani fra i miei capelli, baciandomi impetuosamente sulle labbra. Mi spinse verso il letto sfatto e mi sovrastò, senza staccare per un attimo le sue labbra fameliche dalle mie.

“No, Tom… Tom”, lo spostai e mi misi seduta sul letto. “Il sesso non è il modo giusto per affrontare i problemi. Parliamone.”

“Non c’è niente da dire”, rispose duramente, prendendomi per le braccia e gettandomi di nuovo con la testa sul cuscino. “E ora stai zitta, stronza.”

Io non ebbi più modo di oppormi, seduto in ginocchio su di me si spogliò velocemente, mi spogliò con la stessa rapidità e non mi coccolò, non mi baciò dappertutto, non si prese cura di me come faceva sempre, entrò in me con una spinta secca, che mi fece gemere anche un po’ di dolore. E non solo dolore fisico.

Mi stava usando. Mi stava usando per non pensare a Bill, a quanto gli mancasse, a quanto lo rivolesse accanto a sé, a quanto quella situazione gli stava facendo del male.
E io sapendolo, come una stupida non mi ero opposta più di una volta, lo avevo lasciato fare, facendogli probabilmente ancora più male.

Non c’era sentimento nei suoi gesti meccanici, nelle sue spinte rabbiose e frenetiche, nei suoi sospiri, nei suoi occhi velati da un sottile strato di lacrime. Non c’era sentimento, non quella volta.
Quando raggiunse l’orgasmo e si lasciò cadere sfinito sopra di me, il viso premuto contro il mio collo, gli accarezzai le treccine sparse sulle sue spalle perfette e appoggiai delicatamente le labbra sulla sua guancia, stringendolo forte.

“Ti amo Tom, ti amo…”, mormorai sospirando, e sentii un liquido caldo scivolarmi sul collo: lacrime. “Non piangere amore…”

“Scusami…”, singhiozzò.

“Non importa Tomi, dai…”

“Scusami…”, continuò, stringendomi fortissimo a lui. “Sono stato un’idiota, uno stronzo… Non volevo piccola…”

“Dai… Non mi è dispiaciuto fare un po’ di sesso selvaggio con te.”

“Ma che…”, ridacchiò. “Sei proprio una stupida.”

“Scherzi a parte… Lo so che non volevi, Tom. Stai tranquillo, non sono arrabbiata con te, non posso, perché ti capisco. E io sono stata la stronza, per tutto questo tempo: ho pensato solo ed esclusivamente a me, piangendo sempre sulla tua spalla, senza pensare che anche tu qualche volta avevi bisogno di piangere sulla mia. Mi perdoni, amore?”

Annuì sorridendomi debolmente e mi baciò a stampo sulle labbra, nel quale sentii il sapore delle sue lacrime salate che gli scorrevano sulle guance. Gliele asciugai con le mani e lo nascosi ancora su di me, accarezzandogli la nuca e la schiena, cullandolo.

“Mi manca tanto”, mormorò sulla mia spalla.

“Lo so, Tomi… lo so. Manca anche a me tantissimo. E se non fossi stata così stupida…”

“Non è colpa tua, Ary… smettila di dire queste fesserie. Ho sonno.”

“Dormi allora, io sto qui.”

Chiuse gli occhi e cullato dal mio abbraccio dopo un po’ si addormentò; io rimasi per qualche minuto a guardarlo, accarezzandogli la guancia, poi chiusi gli occhi anch’io.

“Sempre”, bisbigliai prima di raggiungerlo nel mondo dei sogni.

 

***

 

Aprì gli occhi infreddolito e scoprì che il piumone era per la maggior parte giù dal letto.
Guardò Ary sdraiata al suo fianco, a pancia in giù, i pugni stretti accanto al viso, che dormiva beatamente, un’espressione quasi serena.
La coprì con il piumone e le accarezzò la guancia sistemandole i capelli dietro l’orecchio, la baciò piano sulla fronte e si mise seduto sul bordo del letto, le spalle ricurve in avanti.

Si sentiva una merda per quello che aveva fatto alla sua piccola, per come l’aveva usata senza ritegno… Il tutto per non pensare al suo gemello.
Il suo gemello… La sua metà, quella parte di lui più adulta, più intelligente, senza la quale a volte si sentiva perso, inutile.
Era così distante, eppure così vicino… Non riusciva più a captare i suoi pensieri, come se un muro li avesse divisi: un muro freddo, un muro difficile da buttar giù.

Si rivestì e si ricordò di Laika: dove si era cacciata quella cagnolina? Corrugò la fronte e si guardò intorno nella stanza, senza trovarla.

“Laika?”, la chiamò piano, per non svegliare la sua ragazza: era così carina quando dormiva… “Laika, dove sei finita?”

Cercò sotto la scrivania, dietro le tende, poi si accovacciò a terra e sollevò il piumone che cadeva a terra coprendo il sottoletto di Ale.

“Laika! Che ci fai lì sotto?” La tirò fuori prendendola fra le mani e la guardò negli occhi. “Sei piena di polvere”, ridacchiò togliendone qualche mucchietto dalla sua testolina pelosa.
“Sei proprio come lei…”, si girò verso Ary e la guardò, ricordandosi di quando si era nascosta sotto il letto, fra la polvere.

Laika gli abbaiò in faccia e lui se l’allontanò dal viso, tendendo le braccia.

“Shhh! Can che abbaia non morde… quindi siete proprio identiche. Bellissime uguali.” Sorrise e la mise accanto a lei, dove si accucciò appoggiandosi alla sua schiena nuda con il muso.
“Stalle vicina durante la mia assenza”, le raccomandò, prima di baciare Ary sulla tempia e di uscire dalla stanza.

“Ciao Tom!”, lo salutò Anna dalla cucina. “Dove corri?”

“Correre? Io non corro mai!”, ridacchiò nervosamente.

“Vieni qui allora”, sorrise tirando da sotto il tavolo la sedia, indicandogli di sedersi. Tom sospirò e imbarazzato entrò in cucina, scoprendo che c’era seduto Fabian dall’altra parte del tavolo.

Non va affatto bene questa cosa…

“Buonasera”, salutò schiarendosi la voce. Si mise seduto tavolo e unì le mani sul tavolo, guardandosi intorno: che cosa volevano? Non si sentiva affatto tranquillo.

“Allora, Tom”, disse Fabian togliendosi il giornale dal viso e guardandolo in faccia, mettendolo un po’ in soggezione. “Tutto bene?”

“Ahm… sì, va.”

“Tu sai perché Ale e Ary hanno litigato, non si parlano e Ale se ne va a vivere con Bill?”

“Oddio”, sgranò gli occhi. “Una domanda alla volta?”

“Tom, fai il serio.”

“Ehm… è complicato”, si passò una mano sul collo: se lo sentiva che sarebbe successo qualcosa! Quella situazione era davvero scomoda, e lui non era dell’umore giusto per parlarne. Perché Ary non si svegliava e non lo veniva a salvare?

“Abbiamo tempo”, annuì aspettando.

“Davvero, sono io che non ne ho di tempo”, si passò le mani sulla fronte, esausto.

Quella giornata era una delle peggiori di quei mesi, e non ne poteva più: avrebbe voluto staccare la spina da tutto e respirare, ma non era ancora giunto il momento. Quindi doveva solo aspettare la sera per poi andare a dormire.

“Non fa niente, Tom… forse non è il momento…”, disse Anna passandogli una mano sulla spalla.

Per fortuna! Quasi non ne parlo con Ary, figurarsi con i suoi genitori!

“Allora parliamo di un’altra cosa”, disse Fabian tornando alla carica.

“Cosa?”, una scintilla di preoccupazione e di ansia gli brillò negli occhi.

“Sappiamo che tu e Ary… Insomma…”

“Siete intimi, ormai”, concluse Anna al posto suo.

“Ahm… sì, da un po’ ormai.”

“Non voglio sapere questo!”, chiuse gli occhi Fabian, quasi inorridito. “Volevo solo dirti di stare attento a quello che fai”, gli puntò il dito contro, stringendo gli occhi a due fessure.

“Intende dire che dovete fare sesso sicuro”, annuì Anna rassicurandolo. Lei era la traduttrice personale del marito.

“Sì, io uso sempre il…”

“Risparmiati! Puoi andare ora”, disse sventolando la mano e riprendendo il suo giornale.

“Ok”, sospirò. “Salve”, salutò.

“Ciao Tom!”, salutò solare Anna, con quel sorriso che gli ricordò subito Ary e… Ale.

Scosse la testa e uscì dalla veranda, come era solito fare. Salì in macchina e ripensando a quello strano interrogatorio ridacchiò e mise in moto. Lo rilassava guidare, gli sgombrava la mente, ma quella volta non funzionò molto bene perché gli venne in mente Ale, tutte le loro chiacchierate, i giorni passati a ridere con lei, i sorrisi, gli scherzi, gli insulti…

Gli mancava. Anche lei, come il suo gemello, gli mancava da morire. Ma non sarebbe tornato indietro, non dopo aver visto tutto quello che aveva fatto ad Ary. Quando voleva era senza scrupoli, e l’aveva vista: nonostante sapesse che la faceva soffrire, non si era mai risparmiata e l’aveva sempre trattata male, come se non gliene importasse più niente.
Ma era davvero così?

Arrivò all’appartamento con tutti quei pensieri che gli frullavano in testa e stava per infilare le chiavi nella toppa, quando la porta gli si aprì davanti e si trovò di fronte Bill, con una scatola in mano.

“Beh, ti sposti o hai deciso di stare lì impalato per il resto della tua vita?”, chiese Bill con astio; Tom abbassò lo sguardo e si spostò di lato.
Quello non era il suo gemello, non era il suo Billie… Chi era diventato? O… chi era di fronte lui?

Ogni singola parola che gli rivolgeva senza il suo sorriso, senza quella luce negli occhi per il suo fratellone che lo aveva protetto da bambino e si prendeva tutte le sgridate al posto suo, per cui avrebbe fatto di tutto, per cui avrebbe dato persino la vita… era una spina nel cuore, dolorosa ed impossibile da togliere.

“E così…”, disse, anche se il fratello aveva già chiamato l’ascensore e gli dava le spalle. “… vai.”

“Già.”

“Bill, io… Tu…”

Bill sbuffò innervosito ed entrò nell’ascensore, pigiò il tasto per il piano terra e lo guardò per l’ultima volta con sguardo severo.
“Ciao Tom.”

Le porte si chiusero di scatto come si chiusero gli occhi di Tom, mentre mormorava: “Mi mancherai.”

Entrò in casa e trovò Gustav e Georg in salotto: probabilmente avevano salutato il cantante anche loro.

“Ciao”, mugugnò lasciando le chiavi nella ciotolina e togliendosi la giacca, che appoggiò all’appendiabiti. Bill gli diceva sempre di appenderla lì, ma lui non lo faceva mai…

“L’hai incontrato?”

“Sì.”

“E…?”

“E niente Gustav. E niente”, sospirò. “Sono stanco, vado a dormire.”

“Ma sono le sei del pomeriggio!”

Forse non doveva aspettare la sera per porre fine a quella pesante giornata.
Salii le scale senza rispondere, si chiuse in camera e si gettò sul letto, affondando la testa nel cuscino. Ciò che aveva sempre pensato, ma che non aveva mai accettato, si trovò a confermarlo in quel momento, mentre calde lacrime gli scivolavano sul viso: non era Bill quello debole, ma era lui senza il gemello al suo fianco.

 

***

 

Accesi il computer e sospirai, guardando la mia foto personale su msn: la stessa che avevo come sfondo sul cellulare, io e Ale al matrimonio di Davide.
Vidi una finestra aprirsi ed illuminarsi ad intermittenza sul computer: Andreas mi aveva contattata.

 

Ciao Ary!! Era da tanto che non ti connettevi!

 

Ciao Andreas. Sì, lo so…

 

Non sei andata al lavoro oggi?

 

No, non avevo voglia.

 

Ti farai licenziare così.

 

Meglio. Odio quello stupido lavoro. Odio il mio stupido capo. Odio i miei stupidi colleghi.

 

Dillo, dai: in questo periodo odi tutto e tutti…

 

No, non odio te. E nemmeno Tom. E Laika.

 

“Cucciola? Cucciola, dove sei? Laika?”, la chiamai girandomi sulla sedia girevole.

Uscì fuori da sotto il letto e le sorrisi indicandole di venire sulle mie gambe, lei mi corse incontro scodinzolando e si appoggiò con le zampette alle mie ginocchia, abbaiando di felicità.

“Ma quanto sei bella, eh? Quanto?!”, le grattai le orecchie, coccolandola. Lei mi faceva ancora sorridere assieme a Tom… ora loro due erano le mie uniche fonti di serenità.

Sentii un trillo provenire dal computer e sbuffai prendendo Laika in braccio e girandomi verso lo schermo. Era stato Andreas, nonostante sapesse quanto mi urtassero quei suoni.

 

Menomale!

Ehi, ci sei ancora?

Ehiiiiiiiii

 

Sì, ci sono ancora!

 

Non rispondevi più!

Alla fine Ale è andata a vivere con Bill veramente?

 

Sì… Ormai sono tre settimane che non la vedo.

 

Mi dispiace Ary…

 

Passerà. Ora devo andare, mi sa che è arrivato Tom

 

Scrissi, dando un’occhiata fuori dalla finestra: come avevo previsto, Tom aveva appena parcheggiato la Cadillac e stava entrando dal cancelletto del giardino in veranda.

 

Jjjhhihihgijklkj,kjk,mkmj

 

E questa ultima parte che vuol dire? xD

 

Niente, è stata Laika.

 

“Piccola peste, non si fa!”, la sgridai, per poi tornare a farle le coccole: non potevo arrabbiarmi con lei, era così dolce ed indifesa!

 

Ah, ok! xD Ciao Ary, salutamelo.

 

Va bene, ciao!

 

Sentii qualcuno bussare alla porta e sorrisi girandomi verso di essa, accarezzando il pelo morbido di Laika.

“Da quando bussi?”, ridacchiai, ma mi fermai quando vidi la testa di Davide fare capolino nella stanza.

“Da sempre, credo”, aggrottò le sopracciglia, un’espressione divertita sul viso. “Se non lo facevo mi ammazzavi!”

“Ciao Dave! Scusa, pensavo fossi Tom!” Mi alzai, lasciai Laika sul letto e lo abbracciai, cingendogli il collo con le braccia.

“Ciao sorellina”, mi fece un buffetto sulla testa. “Come stai?”

Sollevai le spalle e raggiunsi il mio piccolo amore sul letto, mettendomi a gambe incrociate.

“Tu? Marika sta bene?”

“Sì, stiamo bene. Ascolta… sono passato per chiederti se volevi venire a fare un giro con me, ma se c’è Tom…”

“Un giro dove?”

“Volevo andare a prendere qualcosa per Ale”, sorrise gioioso.

“Non è il suo compleanno”, corrugai a fronte.

“Sì, lo so. Intendevo per il bambino!”

A quelle parole il mio cervello andò in tilt e non mi accorsi nemmeno che Tom era arrivato e si trovava alle spalle di Davide, che lo guardava a bocca aperta.

“Che bambino?!”, gridò Tom dopo essersi ripreso.

“Il… il bambino di Ale e Bill… Lei è incinta. Non… non ve l’hanno detto?”, chiese balbettando.

“No”, scossi la testa con le lacrime agli occhi, che nemmeno Laika con le sue effusioni riuscii a fermare. “Non me l’ha detto.”

 

______________________________________

 

Buongiorno! :)
Il fatto che siate più o meno tutte sparite non è affatto confortante e ci dispiace davvero molto, perché in parte è anche colpa nostra che siamo sempre prese da mille cose, in particolare dalla scuola… ah, siamo umane anche noi, sì, ormai avete scoperto il nostro segreto D: Quindi, dai… tornate! *w*

Per il resto che dire, questo capitolo vede un aspetto che ancora non era stato considerato: il punto di vista di Tom in tutta questa situazione complicata! Anche lui soffre la mancanza del suo gemello ed è la cosa più quasi più importante del capitolo… Quasi, perché la cosa più importante e scioccante è il fatto che Ale (!) è incinta e non ha detto nulla alla sorella… D:

Che ne pensate? Aspettiamo i vostri pareri sulla situation u_u
Ringraziamo di cuore _MINA_ che ha commentato lo scorso capitolo e poi ovviamente tutti quelli che hanno letto ;)
Un bacio, alla prossima (presto)!
Ale&Ary

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Capitolo 42
*** Regalo ***


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Capitolo 43
*** Due corpi di una sola anima ***


Capitolo 43: Due corpi di una sola anima

 

“Tom”, dissi seria, così seria che quasi mi sorpresi.

“Che c’è?”, mi accarezzò il collo con un dito, sorridendo.

“Io devo andare.”

“Dove?”, corrugò la fronte.

“Io… io devo andare da lei!”

“Che cosa?! No!”

“Sì, sì! Io… io devo andare da lei, non capisci?!”

“No, non capisco!”

“Provaci!” 
Mi alzai di scatto dal letto e mi rivestii in fretta, sentendo una bruttissima sensazione pesarmi sullo stomaco e pungermi il cuore come se lo stessero stuzzicando con un ago: era quasi insopportabile.

“Non ci riesco comunque!”, gridò di rimando, raggiungendomi e prendendomi per il braccio, così forte che quasi mi fece male. “Perché vuoi andare?”

“Perché io devo! Devo!”

“Sembri una pazza, ti vuoi calmare con questo devo?! Tu non devi fare proprio niente!”

“Sì, io devo! E lo voglio!”, lo guardai negli occhi a mo’ di sfida, infilandomi la maglietta, tra l’altro all’incontrario – maledizione. Doveva solo provarci a mettersi contro di me!

“Non ti lascerò andare, sappilo”, disse fra i denti, stringendo gli occhi.

“E cosa vorresti fare, eh? Tenermi qui con la forza?”

“Potrebbe essere un’idea, se con le buone non funziona.”

“Io devo andare Tom, sento che è successo qualcosa, e tu non puoi impedirmelo!”

“Oh sì invece che posso!”, mi prese per i polsi e mi spinse sul letto, posizionandosi sopra il mio stomaco e bloccandomi.

“Tom, levati subito”, ringhiai a bassa voce.

“Se no che fai?”

“Mi metto ad urlare.”

“Avanti”, disse spavaldo. Sogghignai e al contrario di quanto credesse, mi misi sul serio ad urlare.

“Aaaaaaah! Aiutooooo! Tom mi vuole stuprareeee! Aiutooooo! Papààààà! Mammaaaaaaa! Aiutooooo!”

“Ma che, sei impazzita?!”, gridò Tom bordeaux, tentando di coprirmi la bocca con la mano, ma io lo morsi.

“Aiutoooooooo! Vi prego aiutatemi!”, continuai con tutto il fiato che avevo in gola, fino a quando papà non aprì la porta di scatto, con in mano una scopa, e la puntò verso Tom.

“Scendi da mia figlia!”, gridò. Tom, sempre più imbarazzato, mi guardò truce e scese, io riuscii a respirare meglio e schizzai verso la porta.

“Grazie papà, mi hai levato un peso dallo stomaco”, gli baciai la guancia frettolosamente, prendendo il cellulare ed infilandomelo in tasca.

“Che devo fare di lui?”, mi chiese.

“Quello che vuoi. Ma non è una pignatta, abbassa quella scopa.”

Papà grugnì e la abbassò, poi ci ripensò e gliela lasciò fra le mani.

“Che cosa ci dovrei fare con questa?”, chiese Tom, guardandola.

“Pulisci il giardino: ci sono petali di fiori di ciliegio dappertutto. Dovevo farlo io, ma tu ti offri volentieri, vero?”, inarcò le sopracciglia, sorridendo bonario.

Io ridacchiai e salutai Tom con la mano, ricevendo un’altra occhiata truce da parte sua e una minaccia: “Quando torni te la faccio passare io la voglia di ridere”, detta in labbiale.

“Non mi spaventi per niente, amore mio! Pulisci bene e occupati anche di Laika!”, mi raccomandai, prima di schizzare di sotto, punta da un’altra scarica di quella fastidiosissima ansia che mi veniva solo quando succedeva qualcosa ad Ale: era inconfondibile.

Non sentii nemmeno la sua risposta, ero già uscita di casa e probabilmente avevo già aperto la mia auto nuova con il piccolo telecomando. 
Alla fine ce l’avevo fatta: mi ero comprata la macchina, certo con qualche aiutino da parte dei miei genitori, ma in quei mesi avevo lavorato sodo a disegnare fumetti e ogni tanto andavo ad aiutare Aaron nel suo negozio di fotografia, con la mia bella faccia di bronzo, nonostante mi facesse male vederlo e pensare a tutto il casino che avevo combinato. Ma d’altronde avevo bisogno di soldi ed ero soddisfatta ora che vedevo la mia macchinina e mi sentivo finalmente libera ed indipendente.

Diedi gas e mi infilai fra il traffico pomeridiano d’Amburgo. Tamburellavo le dita sul volante, aspettando.

Andiamo, ti prego, andiamo!, pregavo mentre la mia preoccupazione per Ale aumentava. Nonostante la situazione che c’era fra noi. Nonostante il nostro rapporto magico ed indistruttibile non si potesse più definire tale. Nonostante tutto la sentivo dentro di me ora più che mai, e la pienezza che sentivo dentro il mio cuore assieme a quella sensazione fastidiosa mi rendeva… felice, in minima parte. Non ne sapevo bene il motivo, ma era così e basta.

In quei mesi, quei cinque mesi in cui l’avevo sentita così infinitamente distante, durante i quali avrei preferito segretamente morire al posto di continuare a vivere in quell’agonia, era stato difficile stare a galla senza di lei. Me ne rendevo conto solo ora che mi soffermavo a pensarci, imbottigliata nel traffico, cercando disperatamente di raggiungerla più in fretta possibile.

Certo, avevo avuto Tom, Laika, a volte persino Aaron che mi rassicurava e mi diceva che tutto si sarebbe messo a posto presto, ma quelle erano solo parole, parole che mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall’altro, senza sostare nemmeno un secondo nella mia scatola cranica, che sentivo sempre più pesante, per non illudermi e non farmi altro male.

Quelle persone (e quel cane), per quanto fossero state importanti e per quanto mi avessero aiutata, avevano solo reso migliore l’aspetto esteriore di me, quello che si vedeva dal di fuori, senza toccare minimamente ciò che mi si era distrutto dentro; a quello non sarebbe mai arrivato nessuno, nessuno sarebbe stato in grado di ricostruire ciò che si era spezzato, nessuno tranne… tranne la causa di tutto quel dolore, ossia Ale: lei sarebbe stata l’unica in grado di risistemare tutto.

Erano stati mesi duri d’affrontare, erano stati duri anche solo da immaginare, eppure ero lì, grazie a qualche miracolo o forse semplicemente grazie al fatto che ancora non ero pronta per lasciare lì da sola mia sorella: le volevo ancora troppo bene per farle una cosa del genere. Noi saremmo state insieme per sempre, nel bene o nel male.

“Cazzo!”, sbraitai, tirando un pugno al volante e appoggiando la testa al sedile: perché quel semaforo ci metteva un’eternità a diventare verde?!

Era stato difficile soprattutto sapere che Ale era rimasta incinta e saperlo così, detto per sbaglio dal proprio fratello maggiore, scoprendo che ce l’avevano nascosto: tutti lo sapevano e noi no. Perché? Beh, il perché non ce l’avevano mai detto, ma per me era talmente ovvio… Non volevano. E magari facevano bene. Tom invece, testardo, si era arrabbiato tantissimo, prendendosela così tanto che mi ero costretta a non ascoltarlo più dopo un po’.

Ancora più difficile era stato mettermi da parte, sapendolo. Accettare la sua scelta di farci stare fuori da quel momento, di non internarci in quell’allegria e quell’affetto che solo la maternità poteva portare.

Non avevo mai pensato a mia sorella come mamma, ma ora ce la vedevo benissimo in quei panni: con il suo bambino in braccio, un sorriso dolce sulle labbra e quella luce negli occhi mentre lo guardava, lo accarezzava teneramente e lo cullava cantandogli la ninna nanna.
E non avevo mai immaginato che potesse essere così: avrei soltanto voluto starle accanto, fare parte di quella felicità, sentirla un po’ anche mia, vederla contenta, accontentare le sue voglie anche in piena notte, confortarla quando si sarebbe sentita male, e invece… invece no, non avevo fatto nulla di tutto quello e non mi era nemmeno concesso di fare.

Nemmeno quell’anno ero riuscita a godermi pienamente il Natale, quella festa che adoravo e che solitamente passavo con la mia famiglia e con la mia gemella in particolare, sorridendo tutto il tempo e sentendomi felice davvero.

 

“È due anni che non passo un Natale decente, Tom”, mormorai appoggiando il viso sulla sua spalla.

“Due anni?”

“Beh, l’anno scorso ero un automa perché tu eri arrabbiato con me per quella storia là… E quest’anno… non c’è lei”, sospirai.

“Ma ci sono io”, sorrise accarezzandomi i capelli.

“Lo so che ci sei tu, e te ne sono grata, ma… non è la stessa cosa. Mi dispiace.”

“Capisco…”

“Sì, lo so”, lo strinsi fra le braccia e gli accarezzai la testa, quando Laika si infilò fra noi scodinzolando e mostrandoci il suo regalo di Natale – un osso di gomma – che teneva fra i denti con un fiocchettino rosso appiccicato sopra.

“Non è ancora ora di aprire i regali, birbantella”, le dissi accarezzandola, un lieve sorriso sulle labbra. 

 

Era stato parecchio triste anche quando Tom si era messo d’accordo con Bill per far sì che nemmeno ci incontrassimo: a pranzo io e Tom eravamo stati da Simone e a cena dai miei genitori, invece Bill e Ale avevano fatto l’opposto. Non ci eravamo fatti nemmeno gli auguri.

 

“Tom, questa situazione è assurda! Devi chiarire con tuo fratello.”

“Mamma, non ti ci mettere pure tu. Non voglio chiarire con Bill, è un ottuso senza cervello.”

“Certo. Come se non ti mancasse, eh?”

“Che c’entra adesso che mi manca?”

“Non dovrebbe essere abbastanza? Il fatto che ti manchi, vuol dire che ci tieni e che non è che non vuoi, è che non puoi, perché sei impedito dal tuo orgoglio che ti rovinerà, se continui così!”

“Dovrei chiedergli scusa? Non lo farò mai, non sono io che devo scusarmi! Né io, né Ary dobbiamo; non abbiamo colpe, anche se Ary si sta convincendo del contrario.”

“Forse lei è più matura di te e sta riesaminando la situazione, dandosi delle colpe.”

“No, mamma. Lei si sta dando delle colpe perché non ce la fa più, perché non trova altri colpevoli. Non so come spiegarti, e comunque non mi va di parlare di questo adesso.”

“Tom, ti stai sbagliando comportandoti così.”

Tom sbuffò e uscì dalla cucina, raggiungendomi in salotto, dove io ero intenta a guardare delle foto dei piccoli gemelli Kaulitz sparse su un mobiletto, ma avevo anche sentito tutto, rimanendo pietrificata sul posto.

Mi avvolse la vita con le braccia e mi sollevò da terra giocosamente, baciandomi la tempia. Come poteva giocare, dopo quello che gli aveva detto sua madre? Mistero. Ma lui era fatto così, era forte, e quando avrei pagato per essere come lui almeno un po’.

 

E guardare gli occhi dei miei genitori tristi in quel giorno che doveva essere sinonimo di gioia allo stato puro, sentire il silenzio che ogni tanto calava sulla tavola e Laika che abbaiava nell’angolo per tentare di risolvere la situazione senza successo, l’imbarazzo che si creava per ogni minima cosa, era stato come un colpo al cuore.

Sicuramente il peggior Natale della mia vita.

Finalmente il semaforo diventò verde e la situazione migliorò in quanto le automobili davanti a me avanzarono, ma quando arrivai di fronte alle strisce pedonali mi fermai (beccandomi pure qualche clacson da parte di qualche automobilista contrariato che io ovviamente non ascoltai), colpita dai rimorsi e da un crampo al cuore, per far passare una madre con il proprio bambino che non doveva avere più di un anno, stretto al petto, mentre il padre la teneva stretta per il fianco.
Il ragazzo mi fece un gesto di ringraziamento con la mano e la ragazza mi sorrise, per poi sussurrare qualcosa al suo bambino che aveva aperto gli occhietti sulla sua spalla.

Qualche mese prima l’avevo vista passare con Bill, mentre andavo al lavoro: passeggiavano nel parco, mano nella mano, ridevano, e ogni tanto lui le accarezzava la pancia già gonfia, con lo sguardo pieno d’amore.

Mi ero sentita così male… che avrei tanto voluto mollare lì la macchina e correre da loro per poter fare anch’io quel gesto, timidamente, fino a quando non sarei scoppiata a piangere di fronte a lei.
Ovviamente non l’avevo fatto: ero rimasta in macchina, nascosta dietro degli occhiali da sole scuri, a guardare quella scena come se loro fossero in una bolla di felicità che al mio solo tocco si sarebbe infranta. E io non volevo che la bolla di mia sorella scoppiasse, almeno lei doveva essere felice, se non lo potevo essere io. Ero felice io se era felice lei, dopotutto, anche se era maledettamente facile da dire e difficile da mettere in pratica.

Alzai la mano rigida, senza nemmeno provare a tirare un sorriso, lo sguardo perso e la testa ancora in quei ricordi e in quelle immagini di quell’imminente futuro che però… mi lasciava uno strano sapore in bocca.
Che Ale avesse litigato con Bill? Era quella la causa della strana sensazione che sentivo?

Sgranai gli occhi e strinsi il volante fra le mani, alzai lo sguardo e vidi il semaforo ritornare rosso.

“Merda”, mormorai abbassando la testa sul volante, quasi volessi prenderlo a testate.

Se davvero fosse successo qualcosa con Bill… Non avrei proprio saputo come comportarmi.
E se invece mi stavo sbagliando? Se invece quella sensazione che sentivo non era niente di tutto quello? Se fossi arrivata a casa di Ale e l’avessi vista sorridente accanto a Bill, seduta sul divano mentre lui ascoltava dentro la sua pancia, che figura ci avrei fatto?

“Scusa, pensavo che avessi litigato con Bill. Ora esco definitivamente dalla tua vita.”

Però… però quella sensazione era forte, era troppo forte per essere un errore; troppo insistente e mano a mano che passava il tempo la sentivo sempre di più, come se mi stesse entrando dentro un dolore così forte da farmi male al cuore.

Sentii un clacson suonare insistente, ma non ci badai: con la coda dell’occhio avevo visto che era ancora rosso. Ma quel clacson continuava, pensavo che fosse solo nella mia testa a quel punto, ma alzai ugualmente lo sguardo e di fronte a me, nella corsia opposta, dall’altra parte dell’incrocio, vidi me stessa in una macchina che mi ricordò molto quella di Bill.
Stavo sognando? Che ci facevo in quella macchina, se ero nella mia? E perché piangevo? E perché suonavo il clacson, guardandomi?

Sentii come un lampo attraversarmi la testa e mi resi conto che non stavo sognando, che quella non ero io, bensì la mia gemella, Ale. Lei era lì, mi suonava, e piangeva.
Scesi in fretta dall’auto, la lasciai lì senza pensarci minimamente, nonostante le grida degli automobilisti dietro di me: il semaforo era diventato verde.

Vidi Ale scendere dalla sua macchina e venirmi incontro, attraversando le strisce passandosi le mani sulle guance. Corsi per l’ultimo tratto che ci divideva e quando arrivai di fronte a lei, con gli occhi che mi pizzicavano e il cuore che batteva all’impazzata, il fiato corto, non seppi più che dire.
Eppure, avevo così tanto da dire… Avrei voluto inginocchiarmi e chiederle perdono in tutte le lingue che conoscevo, facendo di tutto, finché potesse tornare a volermi bene come prima.
Solo che non mi venne, non ci riuscii; forse a causa di quel dolore che leggevo nei suoi occhi, che sentivo diventare sempre più mio.

“Ary…”, mormorò.

“Sono qui, Ale, sono qui”, dissi avvicinandomi ancora di un passo e aprendo le braccia, avvolgendole timidamente intorno alla sua vita.

“Ary, Ary, Ary…”, singhiozzò, stringendomi così forte che per un attimo non riuscii più a respirare, affondando il viso nell’incavo della mia spalla.

“Ci sono io ora, Ale. E non ti lascerò andare via ancora, te lo prometto”, tentai di rassicurarla passandole una mano fra i capelli sulla nuca, stringendola a me, sentendo il suo profumo e la vita che lentamente rientrava nel mio corpo, facendomi sentire… come in Paradiso, nonostante tutto.

“Ary, lui… lui non c’è più… non c’è più…”

Mi unii a lei in quel pianto, stringendola ancora di più, con tutte le mie forze.
Non ci fu bisogno di altre parole, non erano necessarie.

 

Siamo due corpi di una sola anima,
ridere e piangere è comunque vivere
Con te dividere l'inferno e il paradiso

 

______________________________________

 

Buongiorno a tutti! :D
Bene, ehm... capitolo interessante, no? Molto triste, ma anche molto felice perché le due gemelle si sono ritrovate :) Secondo voi chi è che non c'è più? Lo scoprirete solo nella prossima puntata! *-* Nel frattempo lasciate un commentino qui e fateci sentire che ci siete ancora, perchè ci stiamo demoralizzando u_u Okay no, è esagerato, però ci farebbe tanto piacere :)
Ringraziamo dunque _MINA_ che ha recensito lo scorso capitolo e poi anche tutti quelli che leggono soltanto, ovvero le lettrici in punta di piedi come le chiama la mia compare ;)
Ah, la canzone è di Raf e si intitola, uhm… Lacrime e fragole. Bellissima! :) (E ci tengo a precisare che non ho messo i due colori - il rosso e l'azzurro - a caso... Chi l'ha capito alzi la mano! ahahah :D)

Credo di aver detto abbastanza cavolate anche per oggi, aspettiamo i vostri apprezzamenti o magari qualche critica ;)
Alla prossima, baci!
Ale&Ary

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Capitolo 44
*** Perdita ***


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Capitolo 45
*** L’unione fa la forza ***


È estateeeeee! :D Ma per me è Ale è qualcosa di molto di più… è anche il periodo della maturità questo! Ebbene sì, ieri abbiamo svolto la prima prova scritta e oggi la seconda! (Se a qualcuno dovesse interessare xD, io – Ary – ho fatto il saggio breve sul labirinto e, frequentando un indirizzo turistico, ho fatto lingua straniera, inglese, per la seconda prova!)

Wow, siamo già al 45° capitolo… vi rendete conto che tra 5 capitoli anche questa FF sarà finita?! E’ durata un’eternità, davvero (anche per colpa dei nostri ritardi), ma come vorrei che non finisse mai! :’)

Per le recensioni allo scorso capitolo, ringraziamo di cuore:
Yellow_ : Wow, sono commossa! :’) Siamo davvero felici che questa storia ti sia piaciuta nonostante tu non sia una fan dei TH, e che tu l’abbia considerata come un’originale! Credo sia davvero uno dei più bei complimenti che qualcuno possa ricevere! *-* Grazie mille davvero per tutti i complimenti, ne siamo onorate! :) Alla prossima, un bacio!
P.S. La possiamo vedere tutte e due la recensione, non ti preoccupare ;)
sere_96 : Cioè fammi capire… non hai dormito tutta la notte per poter leggere per intero la fanfiction? Sei una pazza! o.o In senso buono, ovviamente! *w*
Siamo contentissime che ti sia piaciuta! Chissà se le cose tra Tom e Bill si sistemeranno… staremo a vedere! ;) Un bacio, alla prossima!

Ringraziamo tantissimo anche chi legge soltanto e non smette mai di seguirci :)
Speriamo che questo capitolo sia di vostro gradimento! Buona lettura a tutti!
Ale&Ary

 

_______________________________

 

 

Capitolo 45: L’unione fa la forza

 

Non potevo crederci, eppure era la realtà e non potevo fare praticamente niente contro il dolore di mia sorella che ora era anche mio perché finalmente era di nuovo con me e niente e nessuno ci avrebbe più divise.

Questo è poco, ma sicuro.

“E’ tutta colpa mia, lo so… Non avrei dovuto intromettermi tra te e Bill, avrei dovuto pensare ai fattacci miei, così ci saremmo risparmiate questi mesi lontane!”, dissi per la centesima volta, incapace ancora di porre fine alla questione. Lei doveva perdonarmi, o sarei rimasta con quel rimorso in eterno.

“Ary, basta. Qua nessuno ha ragione e nessuno ha torto. Abbiamo sbagliato tutti, ognuno ha la sua dose di colpa, non solo tu”, ripeté quasi annoiata, stringendomi di più a sé e facendomi sentire di nuovo completa, dopo troppo tempo in cui ero rimasta divisa in due a lottare per rimanere a galla.

“Ti voglio bene Ale, mi dispiace, mi dispiace per tutto”, biascicai, baciandole una guancia.

“Ancora? Basta sorellina. Ti voglio bene anche io, nemmeno ti immagini quanto”, mormorò con la voce incrinata.

Odiavo sentirla così, lo odiavo con tutte le mie forze ma… non c’era più nulla da fare ormai, che lo volessi disperatamente oppure no.
Non riuscivo nemmeno ad immaginare come ci si sentisse, improvvisamente svuotate e private di quella gioia immensa e di quell’amore che portava quel piccolo esserino che un giorno prima aveva dentro di sé e il giorno dopo… puff, sparito. Era assurdo: per quanto la natura fosse bella, poteva anche essere dolorosa se ti si contorceva contro.
E anche per Bill non doveva essere facile, non solo per Ale, perché erano in due ad aver perso il loro piccolo “tutto”, non solo lei che immaginavo si sentisse maledettamente in colpa – anche se non era affatto sua, la colpa – per non aver protetto meglio il loro futuro all’interno di sé.

“Bill… Come sta?”, chiesi titubante.

“Lui… Insomma, non sta tanto bene. E’… Triste, mortificato”, scosse la testa, guardando in basso. “Lo volevamo così tanto quel bambino”, farfugliò ancora, stringendo i pugni sulla mia schiena.

“Lo so, lo so… Io, mi dispiace Ale…”, mormorai, non trovando parole migliori. “Ora però… Dobbiamo risolvere la situazione anche tra lui e Tom, deve finire questa guerra fredda.” Scossi la testa, facendole un buffetto sulla guancia.

“Hai ragione, solo questo riuscirà a portare un po’ di allegria”, sussurrò.

Quel litigio doveva assolutamente finire, e solo noi due ormai avevamo il potere di farlo.

 

***

 

“Respira Ary, respira”, chiusi gli occhi, rilassandomi. “Sei triste, sei triste, sei triste.” Mi guardai nello specchietto retrovisore e mi portai le mani su quel sorriso che proprio era tutto il contrario della tristezza, me lo stropicciai cercando di affogare tutta la gioia che provavo dentro, senza che si potesse vedere dall’esterno, ma era veramente difficile.
Avere di nuovo accanto Ale, la mia gemella, la mia parte mancante fino a poco tempo prima, mi faceva sentire come in Paradiso.

Scesi dalla macchina ed entrai in casa, esercitandomi ancora a nascondere quel sorriso che se solo Tom l’avesse visto, avrebbe capito tutto e probabilmente si sarebbe arrabbiato. Certo, lui voleva solo il mio bene, solo che non credeva che tornare da Ale dopo tutta quella fatica mi avrebbe aiutata. Quanto si sbagliava…

Sentii Laika abbaiare in veranda e la raggiunsi, mi lasciai leccare sulla guancia da quel cosino peloso e le feci qualche carezza, per poi alzare lo sguardo su Tom che stava ancora portando i petali del ciliegio in un angolo con la scopa, visibilmente irritato.

“Sei tornata finalmente”, mugugnò.

“Sì, ti sono mancata?”, chiesi sorridendo, ma mi ricordai della maschera e lo affievolii. Mi avvicinai a lui e gli avvolsi la vita con le braccia, tentando di baciarlo, ma lui si spostò, serrando le labbra. “E dai non fare l’offeso adesso…”

“Non sto facendo l’offeso! Mi hai lasciato qui a pulire il giardino!”

“Sei un giardiniere molto sexy”, gli sussurrai all’orecchio.

“Non mi convincerai così! Questa volta no!”

“Daiiiiii!”, gridai, saltandogli con le braccia al collo.

“Ary levati!”, urlò, anche se tratteneva le risate. “Guarda che ti faccio male, eh?”

“Non lo faresti mai”, gli mordicchiai il lobo, ridacchiando. Tom tentò di liberarsi dalla mia stretta d’acciaio, quando perse l’equilibrio e finimmo fra i petali rosa che aveva appena finito di ammucchiare, spargendoli di nuovo dappertutto.

“Guarda cos’hai fatto! Ci avevo messo un’eternità!”, piagnucolò. “Tuo padre mi fucila!”

“Ti proteggo io”, gli accarezzai i cornrows, guardandolo negli occhi. Tom si levò la maschera d’arrabbiato, che non era, e infilò le mani fra i miei capelli sciolti, baciandomi sulle labbra con dolcezza.

“Com’è andata?”, mi chiese dopo un po’ di romantiche effusioni, sotto lo sguardo attento di Laika che scodinzolava sotto la veranda. Mi passò una mano sulla guancia, guardandomi attentamente. Mi morsi le labbra, in ansia. “Sembri… star meglio. O è solo una mia impressione?”

“La seconda che hai detto”, annuii frettolosamente. “È andata come sempre. Ale non vuole più avere niente a che fare con me…”

Avevamo deciso di non dirgli niente della nostra riappacificazione, né a Bill né a Tom, perché sicuramente sarebbe stato meglio provare a convincerli a far pace tra loro senza mettere in mezzo noi due.

“Te l’avevo detto che era tutto tempo sprecato”, mi abbracciò e mi passò le mani sulla schiena, facendomi appoggiare la guancia al suo petto.

“Tom…”

“Uhm?”

“Penso che sia inutile che tu e Bill continuate a non parlavi per causa nostra. Io e Ale abbiamo le nostre ragioni, ma voi… non c’entrate in questa storia… Perché non –”

“No”, disse duro. “Che cosa stai dicendo?! Certo che c’entriamo in questa storia!”

“Tom, ti prego… Devi far pace con Bill! Almeno tu, sii felice. Perché non lo sei senza di lui, io lo sento!”

“Ary, smettila di dire cavolate! Io non tornerò da Bill, mettitelo in testa!”

“Allora è vero quello che diceva tua mamma!”, gridai, guardandolo negli occhi. “È solo una questione di orgoglio!”

“Ma che… che orgoglio e orgoglio!”, ribatté, spostandomi ed alzandosi. “Che cosa ti passa per la testa?! Se non lo faccio è perché ho dei motivi! E io non voglio chiedere scusa quando non ho di che scusarmi!”

“Tom, ma non capisci?! Lui ti manca come tu manchi a lui! Sta male senza te, proprio come tu stai male senza lui! Prova a mettere da parte l’orgoglio una buona volta e –”

“Che ne sai tu che lui sta male?”, unì le braccia al petto, guardandomi intensamente negli occhi.

“A qualche importanza come io lo sappia?”

“Beh, sì! Sai com’è, non sentiamo né lui né Ale da tantissimo tempo!”

“Beh… Io… Me l’ha detto Andreas!”

Avrei voluto mordermi la lingua in quel momento, odiavo mentirgli! Ma che altro avrei potuto dirgli? Non potevo certo dirgli che avevo rivisto Ale, che eravamo tornate sorelle gemelle più unite di prima e che lei e Bill avevano perso il loro bambino… Forse però era la cosa migliore da fare, magari l’avrebbe fatto ragionare di più e sarebbe tornato da lui…

“No Tom, ascolta non –”, tentai di rimediare, ma ormai il danno era fatto.

“Non voglio sentire nient’altro”, fece un cenno con la mano, abbassando lo sguardo. “Io me ne torno a casa.”

“Tom, aspetta un attimo, ascoltami!”, lo presi per la maglia, guardandolo in faccia.

“Senti… adesso non ho più voglia di parlarne, ok? Sono stanco e se non ti dispiace, voglio andare a casa”, sospirò.

“Ok, va bene, non ne parliamo più ora, ma resta qui”, lo supplicai, stringendolo.

“Va bene, ma solo per un altro po’”, si arrese, sorridendomi e dandomi un soffice bacio sulle labbra a cui non ricambiai minimamente, presa da nuovi sensi di colpa.

Perché riesco sempre ad incasinare tutto?!

 

- Ale -

 

Spensi il motore della macchina, appoggiando la testa al sedile e passandomi una mano sugli occhi. Avevo fatto pace con Ary! Eravamo tornate di nuovo noi, di nuovo insieme. Non avrei potuto chiedere di meglio. Era tutto quello che aspettavo da tempo.

Però la mia pancia rimaneva comunque vuota e fredda, e quel buco nero che mi sentivo nello stomaco sarebbe rimasto incolmabile.

Sentii il naso pizzicare e gli occhi inumidirsi così presi un bel respiro profondo, lasciando uscire l’aria dalle mie labbra in uno sbuffo sofferente.

Dovevo entrare in casa e mentire a Bill, dirgli che non avevo trovato Ary e non parlargli invece della nostra riappacificazione. Sarebbe stato sicuramente meglio così, per il momento..

Per prima cosa dovevamo trovare il modo di sistemare le cose anche tra Tom e Bill.. E, soprattutto, avremmo dovuto sostenerci a vicenda. Quella perdita era stata devastante.

“Ale, ho provato a chiamarti ma avevi lasciato il cellulare a casa! Mi stavo preoccupando!” Mi aggredì quasi Bill non appena misi piede in casa. Tuttavia, nel suo sguardo, non riuscii a leggere la rabbia che invece avrebbe voluto dare a vedere, ci vedevo solo il dolore e la tristezza immensa di quel qualcosa che, io lo sapevo, si ostinava ad ignorare per sentirsi meglio. Lo sapevo perché lo provavo, ma nonostante tutto non sarei mai riuscita a fare finta di niente per stare meno male.

“Scusa, hai ragione.” Lo vidi mordersi un labbro, abbassare il capo e scuotere la testa in un gesto debole e quasi sofferto.

“Non è niente, com’è andata?” Cambiò di scorso, sospirando, mantenendo comunque le distanze da me, chissà per quale motivo.

“Non è andata.. Era fuori insieme a Tom.” Deglutii evitando il suo sguardo e appoggiando le chiavi della macchina nella ciotolina blu notte.

“E’ meglio così, lo sai anche tu..” Si avvicinò titubante, stringendomi le spalle con le sue mani e guardandomi incerto negli occhi.

“No Bill! Non è affatto meglio così! Io sto male, tu stai male, Ary sta male e Tom sta male! Stiamo tutti male. Se solo tu e tuo fratello, almeno voi due, vi sforzaste di rimettere le cose a posto.. Io..”

“Dovrei andare da lui e chiedergli scusa strisciando ai suoi piedi? E’ questo che dovrei fare?” Alzò la voce, mollando bruscamente la presa dal mio corpo e riducendo gli occhi a fessure.

“No Bill! Ma almeno trovare un punto d’incontro, solo questo!” Tentai di spiegarmi meglio, nonostante sentissi il fiato mancarmi. Ero terribilmente stanca, i dolori alla pancia non erano del tutto cessati ed ero moralmente a terra. L’ultima cosa che mi ci voleva era quella stupida discussione con lui, dopo quello che stavamo passando non capivo perché dovessimo sprecare il nostro tempo a discutere invece che a starci vicini a vicenda.

“Te lo puoi scordare Ale! Non sarò io a tornare da lui dopo quello che mi ha fatto!” Abbaiò, alzando il tono di due ottave, rischiando di perforarmi un timpano.

“Il tuo è solo orgoglio Bill. Perché non ammetti a te stesso che ti manca?” Mormorai, intimidita da quel suo lato che conoscevo, ma che non mi piaceva nemmeno un po’. Non lo aveva mai usato con me, tra l’altro.

“Non devo ammettere proprio niente! Ale smettila! Non tornerò da lui, ficcatelo in testa! Mi ha consolato sapendo quello che tua sorella aveva fatto, non la sopporto l’ipocrisia e tu lo sai bene. Lui è stato ipocrita con me, quindi è lui che deve tornare!” Sbraitò furente, il suo autocontrollo gli stava scivolando di mano e non capivo da cosa dipendesse quella sua sfuriata.

“Bill, calmati.” Boccheggiai, ma lui parve non degnarmi minimamente d’attenzione, persistendo a rimanere con le braccia rigide lungo i fianchi e le mani serrate a pugno. “Io, vorrei solo che tutto tornasse alla normalità, sono stati mesi duri.. Per tutti quanti e..”

“Smettila una buona volta di fare la paladina della giustizia! Se tu vuoi fare pace con tua sorella non sarò di certo io a impedirtelo, ma tra me e Tom stanne fuori!” Mi ringhiava contro, non lo riconoscevo più. Che tutto dipendesse dal bambino che avevamo perso? Che fosse dovuto a quello il suo comportamento così feroce?

“Bill, cosa ti prende?” Bisbigliai, sentendo le lacrime cedere. “Perché fai così? E’ un momento delicato, me ne rendo conto.. Ma non lo è solo per te, sto male anche io.” Sussurrai, strizzando gli occhi.

“E’ per il bambino?” Abbassò la voce, non abbandonando però il suo tono di voce aggressivo. “Ne facciamo quanti altri ne vuoi di figli, non ti preoccupare!” Sibilò. Quello era troppo.

Non me ne accorsi minimamente, ma mi ritrovai con la mano ferma a mezz’aria e il viso di Bill inclinato di lato, verso destra. Gliene avevo mollato uno, di schiaffo, ma avevo le mani che mi tremavano e se solo non lo avessi amato così tanto lo avrei gonfiato.

“Sei uno stronzo!” Mi avventai su di lui, spingendolo per il petto e facendolo indietreggiare di qualche passo. “Come puoi dirmi una cosa del genere!” Singhiozzai, non riuscendo a calmarmi. Lui sembrava essersi risvegliato, mi guardava allibito e con un’espressione costernata in volto, ma in quel momento non sortì in me alcun tipo di pietà. “Vaffanculo! Vaffanculo!” Urlai, passandomi un braccio sugli occhi e correndo in camera nostra, sbattendomi la porta del bagno comunicante alle spalle, talmente forte che la parete sembrò tremare.

Tirai un calcio al muro tanto forte da farmi un male atroce al piede. Mi appoggiai con la fronte al marmo freddo gelido, scossa dai singulti che tentavo di soffocare.

Perché mi aveva detto quelle cose? Perché si stava comportando così?

Il cellulare mi vibrò nella tasca dei jeans, lo sfilai svogliatamente, pronta già a lasciarlo squillare a vuoto, ma non appena vidi il nome di mia sorella sulla schermata non potei non risponderle.

“Ary..” Mormorai nel ricevitore.

“Ehi Ale, che hai?”

“Ho litigato con Bill..” Tirai su col naso, sedendomi sul bordo della vasca da bagno e scuotendo la testa, costringendomi a scacciare dalla mia mente le cose brutte che mi aveva appena detto.

“Cosa? Perché?”

“Lasciamo stare, domani ti spiego. Perché domani ci vediamo, vero?”

“Ovviamente si. Ah, eh.. Ale. Credo di aver combinato un mezzo casino.” Sussurrò. “Me ne sono uscita fuori con la frase ‘Anche Bill sta male’ e per pararmi il fondoschiena gli ho detto che era stato Andreas a riferirmelo.. Solo che, insomma.. Pensavo che dicendogli la verità sarebbe stato tutto più semplice. Volevo solo parlarne con te, prima.”

“Ary, davvero.. Possiamo parlarne domani? In questo momento non ce la faccio a ragionare.” Mi lasciai scappare un singhiozzo.

“Allora facciamo che domani ci vediamo al Melody alle nove e trenta di mattina, d’accordo? Se hai bisogno di me chiamami, anche a notte fonda, io ci sono lo sai. Ti voglio bene sorellina.”

“Grazie, te ne voglio tanto anche io.” Sospirai a tratti, avendo il fiatone. “E mi sei mancata, da morire.”

“Anche tu, non sai quanto.” Con un debole sorriso conclusi la chiamata, infilandomelo nuovamente nella tasca del cellulare e accostando l’orecchio alla porta di legno, cercando di captare qualsiasi rumore che si sentisse nella camera da letto.

Niente, forse Bill era rimasto giù, nonostante fosse tardi.

Abbassai piano la maniglia, gettando un occhiata al letto. Era vuoto.

Mi avvicinai in punta di piedi, svestendomi velocemente e infilandomi la camicia da notte, per poi rannicchiarmi sotto le coperte, le gambe strette al petto.

L’ultimo pensiero, prima di cadere addormentata, andò al mio bambino. Al mio bambino che non avrei mai potuto conoscere.

 

***

 

Bill andava avanti e indietro dal salotto alla cucina da ormai un’ora, preda dei sensi di colpa che lentamente lo stavano divorando. Non avrebbe mai voluto farle del male, ma lui quella boccaccia non era mai stato capace di chiudersela.

L’aveva ferita, di questo ne era consapevole, e la cosa più assurda era che ne era pienamente cosciente quando le aveva sibilato in faccia quell’ultima cattiveria che l’aveva fatta scattare.

“Ne facciamo quanti altri ne vuoi di figli, non ti preoccupare!” Da dove gli era uscita quella frase non lo sapeva nemmeno lui.

L’aveva visto il suo viso accartocciarci in un'espressione sofferente, non appena quelle parole velenose gli erano uscite dalla bocca. Non aveva fatto una piega nemmeno quando la sua mano lo aveva colpito con forza sulla guancia, sapeva di meritarsi quello schiaffo e di meritarsene molti altri ancora.

Si prese la testa tra le mani. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di rincorrerla, di seguirla sulle scale e di implorare il suo perdono.

Ora però doveva essere in camera, tanto valeva provarci.

Arrivò con passo strascicato nella loro camera da letto, aprì la porta e si appoggiò con una spalla allo stipite, guardando la sua ragazza dormire in quell’enorme letto, accoccolata in posizione fetale proprio sul bordo del materasso.. Quasi volesse allontanarsi il più possibile dall’altra parte di letto. Quella di Bill.

Osservò i suoi lineamenti dolci, il suo visetto pallido che anche nel sonno sembrava stropicciato in una smorfia di dolore.

Con passo felpato si avvicino a lei, infilandosi nel letto e facendole una carezza sulla testa.

 

***

 

Sbattei piano le palpebre, sentendo il tocco inconfondibile di Bill accarezzarmi i capelli. Mi girai verso di lui, guardandolo atona.

“Scusa, non volevo svegliarti.” Mormorò e, nonostante tutto, fui immensamente felice di ritrovare la solita nota dolce e tenera nella sua voce prima così dure e irriconoscibile.

Non risposi, stetti in silenzio a guardarlo.

Ci stavamo fissando intensamente forse da qualche minuto quando ad un certo punto, trovai la forza e il coraggio, forse ancora intimorita da come si era comportato prima, per aprire bocca e porre fine a quello strano silenzio.

“Perché mi hai detto quelle cose?” Bisbigliai, la voce rotta.

Chinò il capo sospirando, guardandosi la maglietta scucita che aveva ancora addosso. Non sapeva come rispondere, non avrebbe voluto ferirla ma sapeva di averlo fatto nel profondo. Aveva toccato il loro bambino, un tasto molto più che dolente, anche se non avrebbe voluto farlo.

“E’ colpa mia, tutto questo.” Cominciò, abbassando la voce ancora di più. “Ti ho lasciata sola troppi pomeriggi, troppe mattine… Troppi giorni interi. Il bambino era troppo piccolo perché tu eri troppo stanca e troppo stressata” Si fermò, guardando il muro davanti a lui, mentre una lacrima gli rigava la guancia. “Mi sono comportato come uno stronzo, io questo lo so. Ne sono consapevole! Ma.. Amore mio, se ho fatto così non è stato perché volevo ferirti.. Io sono solo.. Arrabbiato con me stesso. Avrei dovuto stare di più con te, il lavoro poteva aspettare. E invece, per colpa mia..” Le parole gli morirono in gola, si girò verso di me, guardandomi implorante.

“Sono stato uno stronzo, insensibile.. Tutto quello che vuoi! Ma io ti amo, e amavo il nostro bambino. Lo amavo così tanto Ale..” Biascicò.

“Non è colpa tua.” Piagnucolai, cercando conforto nelle sue braccia, stringendolo a me più che potevo, crogiolandomi nel calore che mi donava il suo corpo. “Era tutta la situazione. Con Ary, con Tom.. Tutto un insieme di cose.”

“A proposito di quello. Io ho pensato che, potrei provare a parlarci con Tom. Ma non lo so, non ti prometto niente.” Scosse la testa, sorridendomi debolmente, mentre io lo guardavo appoggiata al suo petto.

“Va bene amore.” Bisbigliai. “Ti amo.”

“Ti amo anche io.” Mi baciò, sorridendo sulle mie labbra e accarezzandomi la schiena. “Pace?”

“Se ti spogli potrei farci un pensierino.” Sorrisi, baciandolo ancora.

“Oh, allora non c’è problema.” Ridacchiò, spostandomi sotto di lui e guadandomi dall’alto, sfilandosi la maglietta.

E fu sentendo il suo petto sfregare contro il mio, che capii che io e lui avremmo superato anche quel dolore. Saremmo riusciti a combattere tutto, stando insieme.

 

“Please don’t let me go,
I desperately need you”

 [Per favore non lasciarmi andare,
ho disperatamente bisogno di te]

(Meteor shower di Owl City)

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Capitolo 46
*** La quiete dopo la tempesta ***


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Capitolo 47
*** Aiuto, mi vuole parlare! ***


Capitolo 47: Aiuto, mi vuole parlare!

 

Mi rigirai nel letto e mi strinsi di più al corpo caldo affianco al mio, quello di Tom. Aprii gli occhi lentamente e lo guardai, passandogli un dito sulla guancia, senza svegliarlo.

Quei mesi erano passati velocemente, ma li avevo vissuti fino in fondo, attimo dopo attimo, con la consapevolezza che senza Ale tutto sarebbe stato senza senso e quel tempo sprecato.
Eravamo state lontane così tanto, che se ci ripensavo mi maledicevo da sola: come avevamo potuto essere così stupide? Come avevo potuto lasciarla andare via, soprattutto?
Era passato ormai un anno, da quello stupido litigio, eppure a volte tornavo a pensarci come se fosse accaduto solo ieri, ricordandomi tutto fin troppo perfettamente.

“Ehi, piccola”, mugugnò Tom girandosi ed abbracciandomi, senza aprire gli occhi.

“Uhm?”, mormorai, assorta nei miei pensieri, accarezzandogli distrattamente le treccine che gli scendevano sulla schiena.

“Ma oggi non dovevi andare con Ale in ospedale per l’ecografia?”

Sgranai gli occhi. “Ale. Ospedale. Ecografia. Cazzo!” mi tolsi in fretta le coperte di dosso e saltai giù dal letto, tanto velocemente che quasi non mi ribaltai inciampando in Laika che mi abbaiò contro spaventata, come a rimproverarmi.
“Cazzo, cazzo, cazzo! Sono in un ritardo stratosferico! Ale sarà furiosa! Senza contare che essendo incinta le sue emozioni sono amplificate! Sarà una bestia!”

Tom ridacchiò, stropicciandosi gli occhi, poi si portò le braccia dietro la testa.
“Se non ci fossi io.”

“Sì, davvero Tom, se non ci fossi tu!”, mi abbottonai i jeans e andai accanto a lui per stampagli un bacio sulle labbra. “Grazie.”

Lui mi prese per le braccia e mi trattenne, approfondendo sempre di più il bacio, nonostante le mie proteste. Gli tirai uno schiaffo sul braccio, riuscendo a liberarmi; lui sogghignò.

“Devo scappare! Ma dove l’ho messo il cellulare? Accidentaccio.”

“Qua”, Tom me lo passò e io gli feci l’occhiolino, ringraziandolo. “Quando torni dobbiamo parlare.”

“Di cosa?”

“Di… di una cosa… a cui pensavo.”

“Cioè?”, corrugai la fronte, incuriosita.

“Guarda che sei in ritardo, sbrigati!”, mi lanciò il cuscino dietro, ma riuscii a vedere le sue guance prendere colore: che cos’aveva di tanto imbarazzante da dirmi?

Saltai in macchina e raggiunsi Ale a casa sua.

“Finalmente la signorina si è decisa a muovere quelle chiappe secche che si ritrova!”, mi gridò subito, appena varcai la soglia di quella casa.

Bill si era appena svegliato e probabilmente, visto la sua faccia, si era dovuto subire una Ale arrabbiata ed irritata per il mio ritardo. Ridacchiai salutandolo con la mano e lui spalancò gli occhi, toccandosi la fronte con due dita.

“Vi ho visti!”, gli punto il dito contro Ale, rossa. “Non sono una pazza, sono solo incinta!”, scoppiò a ridere, felice come una pasqua.

Quando ci aveva annunciato di essere ancora incinta era scoppiata a piangere dalla felicità, nonostante avesse un po’ di timore di perdere nuovamente il bambino. Quella volta però era diverso, perché c’eravamo io e Tom; tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Quel bambino era tutto ciò che lei e Bill desideravano e io avrei fatto di tutto quello che era in mia facoltà per far sì che l’avessero, anche prestare il mio utero e convivere con le smagliature se necessario!

Io e Bill ormai eravamo tornati i soliti “piccoli” di sempre, legati come due fratelli, e mi ero seriamente emozionata quando avevo sentito le sue braccia stringermi forte a sé, quella volta al parco. Era stato così bello, tanto da meritare un pianto di cui non mi ero minimamente pentita, né mi ero sentita stupida a quelle lacrime.

“Allora, andiamo?”, mi chiese Ale.

“Sì, certo!”

“Tom?”, mi chiese Bill mentre si accingeva a bere il proprio caffèlatte.

“Sì è alzato giusto dieci minuti fa, quindi”, ridacchiai. “Vi raggiungiamo in studio?”

“Sì, siamo lì. Ah, ehm…”, mi fece segno di avvicinarmi con il dito, sogghignando; io titubante lo raggiunsi, ad un passo da lui. “Ti ha accennato che ti deve parlare?”

“Ah, sì, prima e di corsa. Tu sai di cosa?”, mi portai le mani sui fianchi, imitandolo sollevando il sopracciglio.

“Assolutamente no!”, ridacchiò ancora, assieme ad Ale, che si coprì la bocca.

Tutti lo sanno e io no! pensai furibonda, ma feci finta di credergli.
“Uhm, vabbè”, sollevai le spalle indifferente, raggiungendo Ale alla porta. “Ciao piccolo, a dopo!”, lo salutai con la mano, senza girarmi.

“Trattamela bene!”, mi raccomandò prima che Ale si chiudesse la porta alle spalle e mi raggiungesse alla macchina.

Appena salì la guardai stringendo gli occhi in due fessure: “Dimmelo.”

“Ho la bocca cucita”, mi fece una linguaccia, si girò e guardò fuori dal finestrino, un sorrisetto vincitore sulle labbra.

“Ti odio quando fai così”, bofonchiai, mettendo in moto.

 

***

 

Ricordavo l’emozione che avevo sentito nascermi nel cuore quando avevo varcato per la prima volta le porte dell’ospedale per assistere ad un’ecografia di Ale, quando avevo visto per la prima volta quel cosino minuscolo nella sua pancia… Avevo iniziato a saltellare dalla gioia, facendomi prendere per scema dal dottore e facendo sorridere mia sorella.

Mi resi conto, guardando mia sorella stendersi sul lettino e tirarsi su la maglietta, mettendo in bella mostra il suo pancione gonfio quasi quanto il suo cuore lo era di amore per quella creatura che avrebbe dato alla luce di lì a poco, che l’emozione era sempre la stessa, anche se era passato tanto tempo dalla prima volta.
Però non riuscivo a godermi appieno il momento perché non riuscivo a togliermi dalla testa quella domanda: che cosa doveva dirmi Tom di tanto importante? E perché Ale e Bill lo sapevano? Che ne avesse parlato con loro? Se era così, voleva dire che era una cosa veramente importante!

Sto iniziando a preoccuparmi.

“Signorina, si sente bene?”, sentii qualcuno toccarmi la spalla e vidi il viso del dottore che mi osservava, come Ale al mio fianco, a cui stringevo convulsamente la mano, come se ci fossi io su quel lettino.

“È diventata improvvisamente pallida, è tutto ok?”, continuò il dottore, guardandomi meglio.

“Sìsì, tutto bene! Stavo solo pensando!”, ridacchiai nervosamente, per poi guardare il pavimento, meditabonda.

“Lei è proprio strana, sa?”, disse il dottore, ma io non lo ascoltai nemmeno, troppo occupata a farmi tutte quelle domande senza trovare nemmeno una risposta.

“Tutto procede bene, come dovrebbe procedere”, sorrise rassicurante il dottore, guardando il monitor: era una cosa così bella! Era una femminuccia, io lo sapevo, me l’ero fatto dire – ero troppo curiosa – visto che Bill e Ale non volevano sapere nulla.

“Ne è sicuro?”, chiese Ale.

“Sì”, annuì.

“Non ti preoccupare, va tutto bene”, le dissi anch’io, accarezzandole la mano. “Guarda che coso carino”, mormorai, ascoltando il cuore che batteva all’interno di Ale.

“Sì, non vedo l’ora di vederlo”, ridacchiò con le lacrime agli occhi.

Poco dopo si rivestì e salutammo il dottore, poi uscimmo dall’ospedale e salimmo in macchina, dirette verso lo studio di registrazione, dove si trovavano Bill e Tom.

“Sai, mi chiedevo una cosa…”, esordì Ale, arrotolandosi una ciocca di capelli fra le dita, un sorrisetto che mi fece quasi paura. “Anzi, volevo sapere il tuo parere a riguardo, anche se so già in parte come la pensi.”

“Mi stai facendo venire l’ansia, sbrigati.”

“Beh, e se Bill mi chiedesse di sposarlo?”

Boccheggiai, sorpresa, cercando le parole adatte da usare. “Te l’ha chiesto?”

“No! Ho detto se me lo chiedesse.”

“Oh, beh, credo… credo che sarei felice per te. Io sono felice se sei felice tu, lo sai.”

“E faresti la damigella d’onore?”

“Ovviamente”, bofonchiai stringendo il volante.

“Davvero?”, sghignazzò.

“Se mi compri un abito decente che posso sfruttare anche fuori da una chiesa o dovunque ci si sposi e per altre occasioni, potresti convincermi.”

“Non capisco, non ho mai capito: perché sei così contraria al matrimonio? Guarda che è una cosa bella! È l’unione di due persone –”

“Sì, l’unione di due persone scritto nero su bianco e con un anello al dito! Dimmi che cosa cambia essere sposati o no. Non basta appartenersi, amarsi?! Perché bisogna formalizzare anche una cosa così bella e naturale come l’amore?”

“Perché… perché sì! Non c’è un motivo specifico!”

“Vedi? E poi non devo promettere a nessuno di amare per sempre una persona, perché con il matrimonio si fa questo, no? Si promette di amare sempre una persona, nel bene e nel male e tutte quelle cose lì. Perché? Io quella promessa la devo fare solo a me stessa e alla persona che amo, a nessun altro!”

“Quindi se Tom ti chiedesse di sposarlo tu gli diresti tutte queste cose, quindi no?”

Arrivammo di fronte allo studio e fermai l’auto, gli occhi sgranati e il mento che mi cadeva sulle gambe: “Ma che domande sono queste, si può sapere?!”, gridai, rossa di rabbia.

“Era una semplice domanda, non ti scaldare”, sorrise angelica. “E comunque non mi hai risposto.”

“Io… io non lo so, accidenti! No! Gli direi di no, ecco!”, unii le braccia al petto, imbronciata e parecchio confusa. Era bastato un nome, Tom, unito ad una sciocca parola, matrimonio, a cui non avevo mai creduto in vita mia, per farmi cambiare idea e confondermi in quel modo?

“Certo”, ridacchiò Ale aprendo la portiera e scendendo giù, tenendosi alla maniglia.

Sollevai lo sguardo sul parabrezza, gli occhi spalancati e la bocca aperta, quando pensai che forse quello che doveva dirmi Tom era…
“Oh. Cazzo.” Aprii la mia portiera e chiusi la macchina. “Ale, aspettami!”, gridai raggiungendola di corsa.

 

***

 

“Ciao ragazzi!”, salutò radiosa Ale, facendo praticamente irruzione nello studio nel quale stavano registrando.

“No, cioè!”, gridò Tom, esasperato, togliendosi le grandi cuffie con una mano e tenendo la chitarra che aveva in grembo con l’altra. “Tutto il lavoro di una mattinata buttato nel cesso così?!”

“La tecnologia fa miracoli, Tom”, rise David da dietro il vetro oscuro.

“Scusate, stavate…”, disse Ale, coprendosi la bocca per non scoppiare a ridere.

“Eh già!”, rispose Georg scoppiando a ridere, assieme a Bill e Gustav.

“Cos’hai, sei nervoso Tom?”, chiese Ale, portandosi le braccia strette al petto, sopra il pancione.

Sobbalzai a quelle parole e feci un gesto con la mano, a mo’ di saluto, comparendo di fianco ad Ale.

“Ah, ci sei anche tu Ary! Da chi ti nascondevi?”, ridacchiò Bill.

“Da nessuno”, tirai un sorriso, mordendomi la lingua per non sputare veleno gratuito: quei due mi stavano davvero facendo arrabbiare, con quei loro comportamenti infantili!

Incrociai lo sguardo di Tom e lo distolsi quasi subito, colpita dalle parole di Ale come se mi stessero tirando dei pugni in testa.
Il matrimonio? Io e Tom? Tom ed io? Ma perché, perché?! Lui non è sempre stato contrario al matrimonio prima dei sessant’anni o qualcosa di simile?! Perché mi sta facendo questo?!

“Ary?”, sentii la sua voce chiamarmi e rabbrividii, ma alzai comunque lo sguardo. “Tutto bene?” Sospirai ed annuii, contenta che non mi avesse chiesto di parlargli: dovevo evitare in tutti i modi di iniziare l’argomento! Ma forse cantavo vittoria troppo presto… Infatti, tornò all’attacco:
“Ary ti… ti dispiace se parliamo?”, mi chiese, passandosi una mano sul collo. Io mi aggrappai al braccio di Ale, impaurita.

“Mica ti mangia!”, disse Gustav, io non lo sentii nemmeno.

“Aiuto”, esalai all’orecchio di Ale, nel momento in cui Tom si alzò e si girò per mettere via la chitarra.

“Su, dovete solo parlare!”, mi sussurrò di rimando, accarezzandomi una guancia in modo rassicurante. Io deglutii rumorosamente, tanto che anche Bill sentì e scoppiò a ridere.

“Zitto tu!”, berciai, indicandolo. Tom si girò e ci guardò confuso, Bill si coprì la bocca con la mano, indicandogli di andare e di non badare a lui.

“Com’è andata l’ecografia?”, chiese ad Ale, sospirando con le lacrime agli occhi dal troppo ridere.

“Bene! Tutto procede”, sorrise. “Speriamo in bene.”

“Vedrai che andrà tutto bene!”, dicemmo tutti in coro, ormai avevamo una sincronia quasi perfetta, facendo sorridere Ale.

“Vado un attimo in bagno”, disse.

“Vuoi che ti accompagni, sorellina?”, gridai, guardandola supplichevole e minacciandola che se non diceva di sì…

“Nah, mica devi parlare con Tom?”, sogghignò, avviandosi verso i bagni.

“Io la odio, la odio”, mormorai, prima di girarmi e di trovarmi di fronte a Tom, che mi guardava con quei suoi due occhioni a cui non sapevo resistere.

Stai tranquilla Ary, stai tranquilla… Magari non deve parlarti di matrimonio, magari Ale diceva così per dire! Tutto qui! Ti stai facendo mille film per niente, rilassati!
Sì, devo rilassarmi
, mi dissi sorridendogli.

“Pronta?”, mi chiese prendendomi per mano.

“Sì”, presi un respiro profondo. “Dove andiamo?”

“In un posto dove possiamo parlare da soli, senza che nessuno ci senta.”

“Ok, va bene”, sospirai lievemente, senza farmi sentire: ero così nervosa che mi sudavano le mani! Sperai con tutte le mie forze che Tom non se ne accorgesse, o sarebbe stato ancora più imbarazzante spiegare il perché del mio nervosismo!

Andammo nella stanza mixer, quella oltre il vetro scuro: era una stanza buia, con le soli luci dei tastini colorati e quella delle lampade al neon della stanza insonorizzata dall’altra parte.
Era la mia stanza preferita, anche se erano rare le volte in cui mi ci facevano entrare, essendo riservata solo al personale. Ma Tom ormai era del mestiere – avrebbe potuto avere pure una carriera come manager e produttore un giorno! – e quindi David ci sorrise e ci lasciò un po’ da soli.
Dall’altra parte del vetro vidi Bill, Georg e Gustav che stavano chiacchierando fra di loro, senza sapere minimamente che noi potevamo guardarli: noi vedevamo loro, ma loro non vedevano noi. Stupendo.

“Beh, di cosa dobbiamo parlare?”, chiesi tenendo le mani umide sulle ginocchia, una volta accomodati su due poltroncine di tessuto sintetico rosso.

“È una cosa un po’ delicata”, mi prese una mano fra le sue, tenendo la testa rivolta al pavimento.

Deglutii, appoggiando il gomito dell’altro braccio sul tavolino, schiacciando per sbaglio un tasto. Lo levai subito, senza farmi notare, anche perché Tom non se n’era minimamente accorto.

“Io, ecco… è tanto ormai che ci conosciamo, no?”, ridacchiò. “Ho pensato tanto in questo ultimo periodo, a come ci siamo sostenuti a vicenda in ogni situazione, a quanto tu sia diventata importante, speciale ed unica per me… E io mi chiedevo se… ecco se…”

No, ti prego, no! Tipregotipregotipregotipregotiprego, non dirlo! lo supplicai mentalmente, socchiudendo gli occhi, quando con la coda dell’occhio vidi Bill, Georg e Gustav farsi sempre più vicini al vetro, le orecchie ben aperte.

“Tom, scusa se ti interrompo ma credo di aver azionato qualche pulsante a mia insaputa”, balbettai, indicandogli i ragazzi che ancora un po’ si appiattivano al vetro.

“Cazzo, Ary!”, gridò rosso di vergogna, schiacciando un pulsante che fece spegnere una lucetta rossa. “Quello era il pulsante che si accende per far sì che da questa stanza si possa interagire con l’altra”, mi spiegò, serrando le mascelle.

“Quindi…”

“Hanno sentito tutto, sì.”

“Ops”, ridacchiai nervosamente.

“Posso continuare, ora?”, mi chiese, facendo un lungo respiro. Cosa potevo dirgli, di no? Annuii incerta, lui fece lo stesso, quella volta però rincominciò a parlare guardandomi negli occhi.
“Ary, tu… So che non te lo saresti mai aspettato da uno come me, ma penso di essere cambiato in questi mesi, con te, e volevo chiederti se…”, infilò la mano nella tasca dei jeans, io sudai freddo, sgranando gli occhi.

Un guizzo improvviso mi fece sobbalzare sulla sedia, assieme ad un brivido.
“Ale non è ancora tornata dal bagno?”, chiesi in ansia, sentendomi il fiato mancare.

“No, ma… questo che c’entra?!”

“Sento che è successo qualcosa, Tom!”

“Non è vero! È tutto il pomeriggio che sei strana, come se stessi tentando di evitarmi! Non vuoi parlare con me?!”

“No, ma cosa…” Ok, sì, hai ragione, ma non è il momento adatto per litigare questo! “Sento che è successo qualcosa ad Ale, ok?! Vado a vedere cosa”, esclamai alzandomi, decisa, ma Tom mi prese la mano e mi fece risedere.

“Se ti fa stare più tranquilla vado io! Tu non ti muovere da qui, chiaro?”, mi guardò furente negli occhi, prima di sbattersi la porta alle spalle.

Perfetto!, sospirai, affondando nella sedia con le mani sulla faccia.  

__________________________________________

Buonasera, è Ary che vi parla! :)
Questa volta abbiamo fatto in fretta e spero che questo capitolo - piuttosto corto, lo ammetto, ma ormai siamo alle battute finali, che volete farci.... siamo perfide fino al midollo e vogliamo farvi morire d'ansia xD 
Coooomunque, Ary ha qualche problema mentale, oltre che con Tom ahah xD Questo non significa necessariamente che anche io sia ridotta così, ma la verità è che io sono davvero così paranoica, quindi.... lasciamo perdere, è meglio u.u
Speriamo vi sia piaciuto e niente, se avrete anche solo 2 minuti da dedicarci con una recensione noi ne saremo più che felici! *^*
Ringraziamo infinitamente
Yellow_ e Alice_Schafer , le quali hanno recensito lo scorso capitolo, ci hanno riempite di complimenti e hanno atteso per tutto questo tempo - due sante, in pratica u.u E poi anche chi legge soltanto e chi ha messo questa FF tra le preferite/seguite/ricordate ;)

Vi lovviamo so much u.u Alla prossima! :)
Ale&Ary

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Capitolo 48
*** Margherita ***


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Capitolo 49
*** No! O forse sì. ***


Capitolo 49: No! O forse sì.

 

Era un fagottino, un cosino così piccolo e tenero che mi veniva voglia di mangiarmelo! Ma ripensandoci, no, che schifo! Non ero una cannibale, almeno non ancora, e non avrei per niente al mondo mangiato la mia nipotina, tutto il piccolo mondo di Ale e Bill... non dopo tutta la fatica che avevano fatto per averla!
Però avrei potuto benissimo rubarla, a tempo determinato si intende, e le avrei impartito delle vere e proprie lezioni di stile, le avrei insegnato a truccarsi come si deve (anche se aveva già suo padre non mi importava), l’avrei riempita di vestiti e… Sarei stata una zia perfetta!

Un bambino con Tom? mi chiesi fissandomi l’addome.
Sì, ci manca solo questa, sospirai sedendomi sul bordo della vasca per iniziare a pettinarmi i capelli.
Però, ora che ci pensavo… Era diecimila volte meglio un bambino che il matrimonio!

“Oh sì”, annuii, prima di alzarmi e di vestirmi velocemente, diretta verso l’ospedale.

In macchina non feci altro che ripetermi: “Andrà tutto bene, Ary! Andrà tutto a meraviglia, Ary! Sii positiva, serena e rilassata! E fai finta di niente, mi raccomando, magari si dimentica! Se, magari. Beh, comuuuunque, non ti preoccupare! È di Tom che si tratta! Appunto. Ah, ci rinuncio.” O qualcosa di simile.

Arrivai all’ospedale sentendomi una cretina, con tutte quelle auto-rassicurazioni, e mi venne una mezza idea di dire ad un dottore – con tutta la sincerità e la franchezza di cui disponevo – di farmi ricoverare in una camera d’isolamento perché non volevo che il mio ragazzo mi chiedesse di sposarlo, ma mi resi conto che invece di chiudermi in quella stanza, mi avrebbero sicuramente rinchiusa in un manicomio, soprattutto perché quel ragazzo era Tom Kaulitz.

Potrebbe essere un’idea… rimuginai, portandomi una mano sul mento, un sorrisetto sulle labbra.
- Ma smettila di fare la cretina, una buona volta! Sei solo una fifona con delle stupide paranoie! mi rimbeccò la mia coscienza che aveva assunto la voce di Ale.
Ehi, occhio a come parli, sai?

“Ary?” Mi girai di scatto e vidi Bill, che mi fissava con un sopracciglio alzato.

“Oh, ciao!”, lo salutai con la mano, saltellando da lui.

“Tutto bene?”

“Sì, perché?”

“No, così… facevi delle facce strane.”

“Stavo solo parlando con la mia coscienza”, sollevai le spalle.

Ridacchiò, trattenendosi dallo scoppiarmi a ridere sguaiatamente in faccia: “Certo che tu e Tom vi siete proprio trovati.”

“Sì, infatti”, annuii, abbassando lo sguardo.

“Lui è ancora intenzionato a chiederti quella cosa, eh. Preparati”, mi diede una pacca amorevole sul braccio, con gli occhi che gli brillavano. “Diventeresti mia cognata!”

“Se”, feci una smorfia.

“Mi spieghi cos’hai contro al matrimonio?”

“Ma che ne so”, sbuffai. “Ci ho pensato così tanto che ho finito per confondermi da sola. Non c’è un vero e proprio motivo, Bill. Sono tanti motivi che mi hanno fatto pensare che il matrimonio non è per forza essenziale nella vita di due persone!”

“Sì, sono d’accordo con te.”

“Oh, finalmente”, sospirai. “Però c’è dell’altro, non è così?”

“Sì”, sorrise. “Tom ti ama, ti ama alla follia e non mi sarei mai aspettato questo da lui, ma si vede che tu l’hai cambiato e…”

“Non poteva restare com’era? Mannaggia a me”, borbottai, ma lui non badò a me e sorrise divertito, continuando il suo discorso da saggio.

“Vuole solo consolidare il vostro rapporto, vuole una certezza in più perché senza di te sarebbe perso, perso come un bambino a Disney World.”

“Oh”, mi passai una mano sulla nuca, riflettendoci. “Bella metafora.”

“Grazie. Ti è arrivato il concetto?”

“Sì, mi è arrivato, ma questo non cambia le carte: io, soggetto; non, negazione; voglio sposare, predicato verbale; nessuno, complemento oggetto. Ti è arrivato il concetto?”

“Non sapevo andassi così bene in grammatica”, sogghignò.

“Vaghi ricordi”, ridacchiai. “Basta parlare di questo però. Dov’è la luce dei miei occhi?”

“La stavo per richiedere, Ale vorrà sicuramente vederla: è come una droga.”

“Posso capirvi… Anche a me manca già.”

Vedemmo, aldilà del vetro, l’infermiera riportare Margherita nella stanza delle culle e poi uscire in corridoio, sorridendo maliziosamente porgendogli la sua bambina.

“Il ragazzo qui è fidanzato ed è padre, se permette.”

“Ma… lei non dovrebbe essere a letto?”, berciò contro di me l’infermiera, irritata.

“La scusi, ora la riporto subito in stanza. Andiamo, tesoro”, ridacchiò Bill prendendomi per le spalle e portandomi via.

“Non provare mai più a scambiarmi con mia sorella, l’ultima volta che l’abbiamo fatto sai cos’è successo”, lo minacciai, puntandogli il dito contro.

Lui scoppiò a ridere piano, guardando la sua bambina con gli occhi brillanti, e un sorriso dolce si impadronì anche delle mie labbra: nonostante fosse un esserino così piccolo, riusciva ad emanare calore e tranquillità nell’animo di chi la guardava, come una magia.

Beh, lo sanno tutti che i bambini in fondo sono magici.

Entrai in stanza, dopo Bill, e chiusi la porta alle mie spalle, sentendo subito la voce di Ale che richiamava a sé la propria piccola.

“Mi sei mancata così tanto, amore”, le sussurrò, una volta che fu fra le sue braccia. “Oh, ciao Ary”, mi salutò con un sorrisetto, facendo girare anche Tom, il quale mi guardò da capo a piedi, quasi sofferente.

Vedi, tutta sofferenza inutile! Tom, dimenticati il matrimonio, ti scongiuro! Non complichiamoci la vita per niente! pensai, guardandolo allo stesso modo.

“Scusami!”, mi disse, alzandosi in piedi e allargando le braccia; io sobbalzai spaventata.

“Scusa di che cosa?”, balbettai.

“Scusami se voglio solo… solo…”

“Bravo, non lo dire.”

“No, io lo devo dire! Mi va bene anche un rifiuto, ma…”

“Io non voglio rifiutare!”, arrossii di botto, facendo ridacchiare i neogenitori.

“E allora?”, si avvicinò, cingendomi i fianchi con le mani. Fissai il mazzo di fiori sul comodino di Ale, oltre la sua spalla, e sospirai prima di incrociare il suo sguardo liquido.

Avevo paura di finire come quei fiori, che noi due e il nostro rapporto finissero come quei fiori: i primi giorni erano belli, con un buonissimo profumo e senza esitare li compravi, ma dopo qualche giorno, senza che tu potessi accorgertene, si imbruttivano, perdevano tutto ciò che avevano di bello e che ti avevano portato a prenderli e alla fine dovevi buttarli. Non volevo che a me e a Tom succedesse lo stesso: il matrimonio, fra i tanti difetti, aveva quello di irrigidire un rapporto, di chiuderlo in delle gabbie, di porre fine alla passione fra i due partner… di renderlo diverso.

“Ary?”

Alzai lo sguardo e incontrai quello di Tom, con la coda dell’occhio vidi che anche Ale e Bill erano attenti alla nostra conversazione, trascurando persino Margherita, poverina.

Che faccio, accidentaccio?
- La persona matura?
Spina nel fianco! Una coscienza un po’ più carina, no, eh? C’erano i saldi quel giorno?
- Probabilmente! Ascolta, potresti almeno parlarne con Tom, no? Forse, ok… sono sicura che non la trovi un’idea allettante, però potrebbe funzionare! Lui capirebbe!
- Ah, taci! Adesso mi invento un mal di pancia potente e scappo in bagno!

Mi portai le mani sul ventre, pronta a piegarmi in due e correre via abbordando quella scusa, quando mi resi conto, fissando gli occhi di Tom, che scappare era pressoché inutile, perché facendo così ero solo io che rovinavo tutto: mi stavo facendo del male da sola.

“Parliamone”, mormorai, prendendo una sedia e sedendomi, le gambe accavallate e le braccia strette al petto, il viso serio.

“Oddio. Quella faccia non promette nulla di buono”, commentò Bill, ma non lo ascoltai nemmeno. Guardai Tom prendere un’altra sedia e sedersi al mio fianco, teso come una corda si violino.
“Sono convenuta che continuare ad evitare il discorso non porta a nulla di buono”, annuii. “D’altronde, ho una fifa matta di iniziarlo, dunque, a te la prima mossa.”

- Codarda! Non cambierai mai!, ridacchiò l’Ale dentro di me.
Zitta!

“Ahm… ok. Io non volevo fare nulla di male, solo… sentirti mia in un altro modo.”

“Non è necessario Tom, io sono tua sempre!”

“Questo lo so, ma…”

Ma un cavolo! Io non sono pronta per questo! Prima di questo potresti chiedermi di venire a vivere con te, come ha fatto Bill, potremmo anche avere un figlio insieme, che ne so!” Guardai i suoi occhi sgranarsi e il suo pomo d’Adamo fare su e giù nella sua gola, ma continuai. “Magari poi ti accorgerai che... che il… quello non serve! Non serve per essere felici, Tom”, mormorai l’ultima frase, prendendogli le mani nelle mie e guardandolo intensamente negli occhi. “Io ti amo Tom, con tutta me stessa.”

“Siamo in due qui, siamo una coppia per questo, non le prendi solo tu le decisioni, che cacchio! E se tu non vuoi sposarti per quale cavolo di motivo che prima o poi mi dirai – oh sì che me lo dirai – tu non puoi decidere anche per me! Io ti voglio sposare Ary, sul serio! Non ho mai voluto tanto fare una pazzia in vita mia, perché so che è una pazzia per la quale ne vale la pena. Quindi…”

Lo guardai terrorizzata, mentre infilava la mano in tasca e tirava fuori una scatolina blu; si girò meglio verso di me e mi prese la mano: “Ary, tu…”

“LALALALALALALA”, mi tappai le orecchie, chiusi gli occhi e scossi la testa, cantando. Tom mi guardò scioccato e poi si girò verso Bill ed Ale, che mi guardavano altrettanto perplessi ma divertiti.

“Ary, Ary ti prego…”, Tom mi levò le mani dalle orecchie e il suo sguardo ferito mi fece tappare la bocca. Sospirò ed abbassò la testa.

“Tom, ma tu… lo vuoi così tanto?”, sussurrai, alzandogli il viso. Lui annuì e si passò una manica sugli occhi, con fare distratto, come per non dare a vedere che aveva voglia di piangere. “Non voglio che tu stai male per colpa mia…”

“E allora dì di sì!”

“Sì.”

“Che hai detto?”

“Sì”, mi morsi il labbro, sentendomi improvvisamente più leggera.

“Stai parlando sul serio?”

“Sì. Sì, sì, sì, sì! SI’!”

Mi abbracciò di slancio e mi baciò una quantità infinita di volte sulle labbra, a stampo, facendo di me una marmellata contro lo schienale della sedia. Bill e Ale si guardarono inteneriti e poi guardarono Margherita, sul quale volto compariva un minuscolo sorriso.

“Tom! Tom, ti prego, Tom!”, tentai di divincolarmi, a corto di ossigeno.

“Sì?”, sfarfallò le ciglia, guardandomi da vicinissimo.

“Io avrei una condizione, però.” Forse più di una… Dettagli!

“Sentivo che c’era l’inganno”, sbuffò, rimettendosi sulla sedia, a braccia incrociate. “Quale sarebbe, sentiamo?”

“Voglio ancora fare sesso almeno quattro volte a settimana, se non cinque perché quando saremo marito e moglie avrò bisogno di molte più attenzioni”, contai sul pollice.

“Questo sarà fatto!”, sorrise raggiante, tornando alla carica, ma lo fermai ad un palmo dal mio viso.

“Non voglio fare la schiava in casa: i mestieri te li ficchi dove puoi benissimo immaginare da solo! Io voglio fare la donna viziata che va a fare la manicure e la pedicure settimanali a spese tue”, gli puntai il dito contro.

“Sto pensando di ritirare tutto”, disse, per poi negare e stamparmi un bacio sul naso.

“E poi… beh una casa tutta nostra è ovvio, no?”

“Ovvio, sì.”

“Voglio… voglio che il nostro rapporto non si rovini mai e che non si deteriori, che le cose non siano scontate, solo perché siamo sposati”, mi pizzicarono gli occhi. “Voglio che tu sia come sei adesso, scemo e divertente, ma anche romantico se vuoi.”

Tom sorrise dolce e mi passò una mano sulla guancia: “Altro?”

“Sì, un’ultima cosa.” Feci un grande respiro, guardando Bill e Ale, che si insospettirono subito. “Ci sposeremo quando si sposeranno loro due. Insieme. Come dobbiamo sempre essere.”

Tom mi guardò negli occhi e poi si girò verso i due interessati; io avevo le guance arrossate e sorridevo imbarazzata dietro di lui. Li indicò e prese fiato prima di parlare, ma mantenne un tono pacato, per non spaventare la piccola Margherita che probabilmente si era addormentata fra le braccia della mamma.

“Muovetevi a sposarvi, o ve la farò pagare!”

“Non vedo perché tu abbia così tanta fretta”, mi imbronciai.

“Perché così David mi lascerebbe fare una vacanza! Ho programmato che la luna di miele deve durare almeno un mese, di solo relax, sole, mare e taaaanto, taaaanto, taaaanto sesso selvaggio!”

“Dio Tom, ti detesto”, bofonchiai, prima di alzarmi e di uscire dalla stanza, ridacchiando sotto i baffi, mentre sentivo che mi correva dietro.

 

***

 

“Non cambieranno mai eh?”, chiese Bill dolcemente, fissando la sua famiglia in tutto il suo spettacolo.

“No, proprio mai”, ridacchiò Ale. “Meglio così.”

Accarezzò la pelle morbida e delicata di Margherita con un dito e poi sollevò lo sguardo, la fronte corrugata.
“Ma non ho capito… Quindi io e te ci dobbiamo sposare?”

“Se vuoi Bill, io non ti metto pressioni… Certo che sì, cretino!”

“È una richiesta ufficiale?”

Ale scosse la testa e lo prese per la nuca, avvicinando il proprio viso al suo e stampandogli un bacio sulle labbra: “Menomale che nemmeno tu cambierai mai.”

 

 ___________________________________________

Buonasera gente! :)
Questa volta devo anche io delle scuse perchè sì, "posta Ary allora farà presto" e blablabla, ma tra tutte le cose che ho da fare non ho mai trovato un attimo di tempo. Ora però siamo qui e... come vi è sembrato il capitolo? *-* Siamo alle battute finali ormai e Ary ha ceduto... sposerà Tom! Alle sue condizioni però xD
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e ci dovremo salutare, dopo mesi e mesi e mesi (tantissimi mesi, cavolo D:)! Speriamo che questo intanto vi sia piaciuto e in ogni caso ci facciate sapere qualcosina ;)
Ringraziamo Alice_Schafer per la recensione allo scorso capitolo e niente, come sempre, vi vogliamo tanto bene, grazie! :DDD

Alla prossima!
Ale&Ary

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Capitolo 50
*** La fine ***


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