Mistake of twins di _Pulse_ (/viewuser.php?uid=71330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e La festa ***
Capitolo 2: *** Sorella ***
Capitolo 3: *** Scambio d'identità ***
Capitolo 4: *** Primo incontro ***
Capitolo 5: *** Predatori e prede ***
Capitolo 6: *** Benedetta sorellina! ***
Capitolo 7: *** Solo un gioco... ***
Capitolo 8: *** Felicità e sensi di colpa ***
Capitolo 9: *** L'eccezione ***
Capitolo 10: *** Sensazioni ***
Capitolo 11: *** Incontri dal passato. E dal presente ***
Capitolo 12: *** Un salto nel passato ***
Capitolo 13: *** Solo sua (Purtroppo?) ***
Capitolo 14: *** Tranquillità apparente ***
Capitolo 15: *** Il momento di chiudere il sipario ***
Capitolo 16: *** Piombare nell'oscurità ***
Capitolo 17: *** Sucker love ***
Capitolo 18: *** Mai più senza di te ***
Capitolo 19: *** Inutile respingerlo ***
Capitolo 20: *** Novelli sposi ***
Capitolo 21: *** Quando è amore ***
Capitolo 22: *** Inaspettatamente ***
Capitolo 23: *** In galera?! ***
Capitolo 24: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 25: *** Problema risolto, problema che inizia ***
Capitolo 26: *** Passo falso ***
Capitolo 27: *** Dura confessione ***
Capitolo 28: *** Inferno ***
Capitolo 29: *** Sei con me? ***
Capitolo 30: *** Mi rubi l'anima ***
Capitolo 31: *** Giardino di rose ***
Capitolo 32: *** ... Aaron? ***
Capitolo 33: *** Il centro del mondo ***
Capitolo 34: *** La lontananza ***
Capitolo 35: *** La ragione per cui sorrido ***
Capitolo 36: *** Copleanno da dimenticare ***
Capitolo 37: *** Incubi-realtà ***
Capitolo 38: *** Decisione importante ***
Capitolo 39: *** Laika ***
Capitolo 40: *** Piccola sorpresa ***
Capitolo 41: *** Parole non dette ***
Capitolo 42: *** Regalo ***
Capitolo 43: *** Due corpi di una sola anima ***
Capitolo 44: *** Perdita ***
Capitolo 45: *** L’unione fa la forza ***
Capitolo 46: *** La quiete dopo la tempesta ***
Capitolo 47: *** Aiuto, mi vuole parlare! ***
Capitolo 48: *** Margherita ***
Capitolo 49: *** No! O forse sì. ***
Capitolo 50: *** La fine ***
Capitolo 1 *** Prologo e La festa ***
Nota:
I Tokio Hotel non ci appartengono e
con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non
intendiamo dare una rappresentazione veritiera del carattere di questi
quattro
giovincelli, nè offenderli in alcun modo.
Ciao
a tutti! :)
Eccola
qua, finalmente è arrivato il giorno tanto atteso
(più da noi
che da voi, fidatevi xD) di introdurvi “Mistake
of twins”!
Questa
FF è una round, scritta dalle manine di Utopy
e dalle
mie (Non ci separiamo più ormai!). Essendo una storia
scritta a quattro mani,
appunto, ci siamo divise i capitoli (alternando, uno io e uno lei, uno
io e uno
lei e così via...) e per questo motivo le due protagoniste,
che conoscerete
presto, parlano entrambe in prima persona a turno, un capitolo una e un
capitolo l'altra. E' anche comodo, perché si hanno entrambi
i punti di vista!
;) (Chi ci conosce già sa che lavoriamo in questo modo).
Bene, detto questo... Ah, possiamo garantirvi che siamo superlegate a
questa
storia e ne siamo superorgogliose *-* È proprio una bimba
per noi, quindi
tratte tela con il dovuto rispetto ù.u
Okay,
dopo gli atti intimidatori (xD), sfruttiamo il momento
introduttivo per ringraziare Layla,
Tokietta86
e BigAngel_Datrk
che hanno recensito l’ultimo capitolo di “Incastrate”,
la nostra prima
figlioletta che rimarrà sempre nei nostri cuori. Grazie
mille! :D
La foto che vedete qui sotto è un po' la "locandina" di
questa FF,
l'abbiamo fatta noi e speriamo vi piaccia :)
Ora non possiamo far altro che augurarvi una buona lettura e sperare
che sia
davvero apprezzata e piacevole, poiché presupponiamo che vi
accompagnerà per
tutta l’estate, se non di più.
Un
Grazie anticipato a tutti, vi amiamo!
Le
vostre, Ale&Ary.
Prologo
Aprii lentamente le
palpebre, sentendo il sole battere su
di esse, e mi guardai intorno. Come se tutto fosse un sogno, mi trovai
a
socchiudere le labbra, divertita.
“Provaci!? Tuo
figlio non conoscerà mai suo padre!”,
gridò
Ale contro un Tom che sorrideva malefico, le braccia spalancate, tutto
bagnato:
era appena uscito dall’acqua cristallina.
“Ehi, guarda
che mi serve!”, le gridai, ridacchiando, ma
non parvero sentirmi, tanto erano presi a giocare come due ragazzini,
nonostante non lo fossimo più da un pezzo.
“Dai Ale,
è solo un po’ d’acqua!”,
continuò Tom,
avvicinandosi sempre di più a lei, che invece
indietreggiava, fino a quando non
si voltò e ridendo iniziò a correre a piedi nudi
sulla sabbia.
Sentii un sospiro felice
e mi voltai verso la mia sinistra,
dove vidi Bill che si stava sedendo al mio fianco, un sorriso rilassato
sulle
labbra.
“Sono sempre i
soliti bambini”, ridacchiò.
“Sì,
è vero”, annuii felice. “E quando si
sono baciati, ti
ricordi?”, ridacchiai.
“Sinceramente
non ricordo, io ero impegnato con te.”
“Cavolo se ero
ubriaca quella sera!”
In lontananza
si sentivano i loro schiamazzi, finalmente Tom era riuscito
a prendere Ale fra le braccia e lei stava cercando di liberarsi
perché era
bagnato. Sorrisi a quella scena e poi tornai a guardare Bill:
“Te lo saresti mai immaginato, tutto questo?”
“Ahm”,
corrugò la fronte, guardando l’orizzonte,
l’azzurro del cielo e del
mare che si fondevano. “No.” Mi guardò e
scoppiammo a ridere insieme.
E pensare che,
davvero, tutto era iniziato per gioco… mi metteva i brividi.
Capitolo
1: La festa
Mi passai le mani sui
fianchi, stirandomi il vestitino nero
che indossavo, e mi girai di traverso ammiccando allo specchio: quella
sera
sarebbe stato davvero uno sballo. Erano mesi che aspettavamo quella
festa e
finalmente era arrivata. Mancavano giusto poche ore e poi ci saremmo
divertite
così tanto da dimenticarci pure i nostri nomi.
“Sì
Ary, sei bellissima come al solito, hai finito?”,
mugugnò una voce che non avrei mai confuso nemmeno fra un
milione. Perché era
unica. Perché era la mia.
Mi girai e incrociai le
braccia al petto, guardandola
alzando il sopracciglio.
“Ci vuole tempo per queste cose, Ale! Voglio essere
perfetta.”
“È
tre ore che sei di fronte a quello specchio! Ha la
nausea di te, fra un po’!”
“Beh, allora
mi sa che si sentirà male quando vedrà
te”,
ridacchiai.
“Molto
divertente.”
Ale si alzò
dal letto sul quale si era spaparanzata
aspettandomi e si mise al mio fianco, un sorriso dolce sulle labbra
mentre
iniziava a pettinarmi i capelli biondo cenere che cadevano lisci sulla
schiena.
Io la guardai attraverso lo specchio, soffermandomi sui suoi occhi
castani che
in confronto ai miei, nonostante fossero identici, erano qualcosa di
completamente affascinante.
Guardare lei era come
guardare me, eravamo l’una lo
specchio dell’altra e ogni volta che ci pensavo mi si
riempiva il cuore di
gioia, perché solo Dio sapeva quanto mi aveva resa felice
facendomi nascere
esattamente cinque minuti dopo di lei.
Non potevo nemmeno immaginare una vita senza di lei, la mia gemella,
non era
proprio possibile. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta, era
parte di me e
togliermela sarebbe stato come strapparmi il cuore dal petto.
“Hai sentito
Andy, alla fine?”, mi chiese distraendomi dai
miei pensieri.
“Sì,
ha detto che ci saranno anche Bill e Tom”, sogghignai
passandomi la lingua sul labbro inferiore.
“Non fare
quella faccia, pervertita!”, scoppiò a ridere,
contagiandomi. “Tanto non si accorgeranno mai di noi,
dai… Loro sono delle star
internazionali ormai!”
“E dunque?
È solo per divertirci Ale, nulla di serio! Ma ti
pare?!”
“Come sempre.
Tu ti vuoi divertire e basta. Quando metterai
la testa a posto?”
“Ah, ti prego,
non fare come mamma!”
“Non sto
facendo come mamma… sono solo preoccupata per te!”
Mi girai e la guardai
negli occhi, prendendole le spalle
fra le mani:
“Preoccupata di cosa?”, sorrisi.
“Non lo
so… Prima o poi succederà che ti incastrerai in
qualche legame senza volerlo e potresti anche
soffrirne…”
“Oh Ale, stai
tranquilla! Non succederà mai. Ora aiutami a
scegliere le scarpe, siamo in ritardo!”
Ale scosse la testa e mi
guardò saltellare a piedi nudi
verso la scarpiera, un sorriso da bambina sul viso.
“Non vorrai davvero mettere le All Star, vero?”,
chiese ridacchiando; io mi
bloccai con la mano su quelle scarpe, colta in flagrante.
“Non si intonano per
niente con il vestito.”
“Ok, ho
capito”, sospirai prendendo degli stivaletti di pelle
nera con il tacco.
Me li infilai e dopo un ultimissimo veloce controllo al trucco nero
intorno
agli occhi, scesimo di sotto, dove trovammo Davide svaccato sul divano
a
guardare svogliatamente la tv.
Il nostro fratellone.
Era più grande di noi di quattro
anni: lui ne aveva ventidue e noi ne avevamo appena compiuti diciotto.
Finalmente maggiorenni! Quello per noi sarebbe stato l’ultimo
anno di liceo e
poi ce ne saremmo andate da qualche parte in America, forse a Chicago,
o ancora
meglio a New York. Sempre se tutto sarebbe andato secondo i piani.
“Non esci
stasera, Dave?”, chiesi mentre Ale mi passava il
cappotto: eravamo davvero in ritardo!
“No, Marika ha
la febbre.”
“Oh, capito.
Allora possiamo prendere la tua macchina?”
“Sì,
ma voglio che torni intatta, chiaro?”
“Cristallino
come la rugiada all’alba!”, alzai i pollici
sorridendo.
“State attente
bambine, divertitevi!”
“Sì,
mamma”, cantilenò Ale, prima di trascinarmi alla
porta
e di uscire nel buio della sera.
“Guido
io!” Mi catapultai al posto del guidatore ed
emozionata misi le mani sul volante.
“Ricordi
quello che ha detto Dave? La rivuole intatta. E
l’ultima volta che ti ho lasciato guidare siamo finite
addosso ad un palo della
luce dopo nemmeno quattro metri!”
“Dai Ale, non
l’avevo visto!”, sfarfallai le ciglia
tendendo la mano verso di lei, che si arrese e mi diede le chiavi.
***
Eravamo arrivate alla
festa in perfetto orario, ero stata
brava a guidare quella volta: il cofano non si era schiantato contro
nessun
palo della luce. Ero orgogliosa di me.
Avevamo fatto gli auguri ad Andreas, il festeggiato, che conoscevamo da
qualche
anno a quella parte ormai, e poi ci eravamo guardate intorno cercando
le nostre
due prede, ma di loro ancora nessuna traccia.
“Arriveranno, non vi preoccupate!”, ci aveva detto
lui ridendo, e io ero
davvero impaziente.
Ora, fra suoni, luci,
colori, avevo perso di vista mia
sorella. Anzi, avevo perso prima la vista che lei: vedevo doppio. Forse
avevo
sbagliato a prendere tutti quei cocktail di fila nell’attesa.
Lei me l’aveva
detto… Ma io, cocciuta, non l’avevo ascoltata.
Volevo divertirmi senza essere rimproverata né controllata
da nessuno,
tantomeno da lei. La mia metà avrebbe dovuto capirmi!
Mi girai di scatto,
travolta da un ragazzo alto e dai
capelli corvini che gli sparavano sulla testa in una cresta di almeno
quaranta
centimetri.
“Ehi, stai attento, maleducato!”, strepitai
sentendo delle forti fitte alla
testa: quella sbornia non sarebbe passata tanto in fretta.
“Scusa, non ti
ho vista”, disse il ragazzo, voltandosi
verso di me.
Vedevo due volte il suo
bel viso androgino, erano
addirittura quattro i suoi occhi nocciola contornati da ombretto e
matita neri.
Sembrava un alieno!
Mi trovai a ridacchiare a quel pensiero: in effetti gli mancavano solo
le
antennine verdi e sarebbe stato perfetto!
Qualcosa mi diceva però che non veniva da Marte, e dopo
averci pensato un po’
su mi resi conto che quello era proprio Bill Kaulitz. Era tutta la sera
che
cercavo con Ale i due gemelli Kaulitz, senza successo, e quando per un
momento
avevamo lasciato perdere la nostra caccia il minore si presentava di
fronte a
me? A saperlo prima!
“Tu sei bella
ubriaca, eh?”, ridacchiò.
“Ma
va’, che dici?!”
Qualcun altro mi
passò accanto e io traballai
pericolosamente, ma Bill fece in tempo a sorreggermi per un braccio,
aiutandomi
a non fare una figuraccia. Ero pure sui tacchi! Colpa di mia sorella.
“Magari un
po’ d’aria fresca ti farebbe bene”,
ridacchiò di
nuovo, portandomi fuori con sé. Che ci trovava di tanto
divertente? Mi ero
persa forse qualcosa?
Uscimmo fuori dal locale
e all’arietta fredda della sera
venni percossa da un brivido che mi riportò almeno in parte
alla lucidità.
“Conosci
Andreas?”, mi chiese appoggiandosi alla parete
dietro di sé, le mani in tasca.
“Sì!
Dalle superiori! Cioè, quando noi eravamo in prima lo
conoscevamo di vista, nei corridoi, al bar… robe
così… Poi, a metà della
seconda, un suo amico ci ha presentati, in un pub, e siamo diventati
amici
amici! È stato anche il mio ragazzo per tre…
quattro… forse cinque giorni… Quel
biondino così carino… Ma eravamo troppo
diversi… Impossibile che durasse! E
così ci siamo lasciati… Era troppo
possessivo… Ma ora siamo ottimi amici! Non
vi ha mai parlato di noi? Strano!” Parlavo sempre tanto, ma
quando ero ubriaca
diventavo proprio logorroica!
“Di voi chi,
scusa? Mi sa che ho perso un pezzo.”
“Di me e di
mia sorella!”
“Aspetta…
Non mi dire che tu e tua sorella siete le gemelle
pazze di cui ci parla sempre!”
Corrugai la fronte, poi
annuii scoppiando a ridere. “Siamo
noi!”, gridai alzando le braccia al cielo. “Ahia,
mi gira la testa…”, mugugnai
subito dopo e conclusi in bellezza cadendo fra le sue braccia, che per
fortuna
mi sorressero.
Sollevai il viso verso il suo e sorrisi prima di baciarlo sulle labbra
fresche
e carnose, prendendolo alla sprovvista.
Bill mugugnò
e si allontanò un po’: “Ma che fai?! Non
so
nemmeno come ti chiami!”
“Arianna.
Sì, Arianna”, ridacchiai lasciandogli tanti
bacetti asciutti sulla bocca.
“E sei
ubriaca!”, continuò prendendomi per le braccia.
“E
quindi?”
“E quindi
domani non ti ricorderai assolutamente nulla!”
Sogghignai.
“Nah… come posso dimenticarmi il tuo bel
visino? E poi che ti importa? Non ci pensare ora…”
Chiusi gli occhi al contatto
con le sue labbra e Bill quella volta ricambiò, forse
convinto dalle mie
parole, forse notando che era pur sempre un’occasione per
divertirsi un po’
senza troppi pensieri.
Portò le mani
calde e sulla mia schiena e sorrisi, in un
attimo di lucidità, pensando che alla fine ce
l’avevo fatta a raggiungere il
mio scopo: divertirmi fino a dimenticare il mio nome. Avevo seri dubbi
sulla
mia identità con tutto quell’alcool nel sangue.
“Ho trovato
tua sorella!”, sghignazzò qualcuno
all’entrata
dal locale, poco distante da noi.
Bill si
staccò velocemente e girò il viso verso destra,
aprendo e chiudendo la bocca come un pesce fuor d’acqua,
shoccato.
“Ah, eccoti
qua!”, tuonò una voce che invece riconobbi
all’istante: Ale. Ora capivo il perché dello shock
di Bill: si era trovato la
mia gemella davanti, senza ricevere prima nessun avvertimento.
Mi girai e la guardai,
una nana in confronto al ragazzo che
aveva accanto, che una volta messo a fuoco lo identificai come Tom
Kaulitz, il
fratello del mio divertimento.
“Oh, hai trovato il tuo Kaulitz!”, ridacchiai
aggrappandomi di più a Bill per
non perdere l’equilibrio.
Ale si
irrigidì e mi guardò male arrossendo lievemente
sulle guance, mentre il ragazzo al suo fianco tratteneva a stento le
risate.
“La festa è finita, sorellina”, disse
severa strappandomi dalle braccia di
Bill, a cui rivolse un sorriso imbarazzato.
“Ma io mi
stavo divertendo!”, piagnucolai mentre mi portava
con la forza alla macchina.
Prima che riuscisse a
farmi sedere sul sedile del
passeggero, ad allacciarmi la cintura e a chiudere la portiera, salutai
Tom con
la mano, un sorriso malizioso sulle labbra. Poi rivolsi la mia
attenzione a
Bill, al quale feci segno di chiamarmi portandomi la mano
all’orecchio.
Ale scosse la testa e accennò un saluto ai ragazzi,
aprì la portiera e senza
nemmeno rendersene conto la fece schiantare contro quella della
macchina
accanto, lasciandole una riga di vernice blu sulla carrozzeria grigio
metallizzato.
“Merda”,
sbuffò innervosita, poi si mise al mio fianco e
sbattè la portiera con un rumore sordo che
infastidì i miei timpani in quel
momento molto più sensibili del solito.
“Che
c’è Ale, non ti sei divertita?”, chiesi
con un
sorrisetto ebete. Lei borbottò qualcosa infastidita e
sgommò via.
***
Tom si
avvicinò al fratello e guardò assieme a lui la
macchina delle gemelle allontanarsi e voltare l’angolo
scomparendo alla sua
vista. Bill, le mani nelle tasche, scosse la testa e
ridacchiò.
“Perché
ridi?”, gli chiese il maggiore.
“Perché
non mi ha dato il suo numero, come faccio a
chiamarla?”
Si guardarono negli
occhi e scoppiarono a ridere.
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Capitolo 2 *** Sorella ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/529331.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 3 *** Scambio d'identità ***
Capitolo 3: Scambio
d’identità
Non potevo credere di
esserci
riuscita davvero, di essere riuscita a catturare la mia preda.
“No”,
negai con la testa,
incredula.
“Oh
sì!”, disse Ale.
“I
Kaulitz!” Cominciai a ridere
istericamente, tirandomi a sedere e guardandola in faccia, con le
lacrime agli
occhi: ero così orgogliosa di me e del mio operato che mi
ero commossa! “Chi ho
baciato dei due?”
“Bill”,
annuì. “Tom mi si era
accollato, però poi è stato lui a trovarti,
quindi è stato bravo”, sorrise.
“Non mi dirai
che non è successo
nulla tra voi, anche perché non ti crederei”,
sogghignai, pensando già a cosa
potevano aver combinato quei due assieme. Conoscevo mia sorella, sapevo
meglio
di chiunque altro com’era fatta, ma sperai che la sera
precedente la parte di me
che era in lei fosse uscita e si fosse scatenata.
“Beh,
c’è stato un bacio. Ma è
stato lui!”, disse quasi sulla difensiva.
“Ti ha
baciata?”, ridacchiai.
“Sì!
Ma non mi è piaciuto molto…
Mi aspettavo di più da uno come lui”, si mise un
dito sotto al mento.
“Io invece non
ho ricordi di come
sia stato con Bill”, rimuginai.
Cacchio, non avrei
proprio dovuto
bere così tanto! Ora, oltre ad avere quelle continue fitte
alla testa, non
ricordavo per niente come fosse stato baciare la mia preda!
Mi passai la lingua sui denti,
cercando di ricordare, ma proprio non ci riuscivo: brancolavo nel buio.
Accidenti a me e alla mia sbornia!
Da quello che avevo
capito, Ale
non era stata molto soddisfatta dal bacio con Tom. Il motivo mi era
ancora un
mistero: Tom era tutto quello che si potesse desiderare! Almeno, per me.
In effetti, conoscendo il
curriculum del chitarrista, potevo immaginare il modo scontroso con il
quale
poteva averla agganciata e con quale subdolo tranello costringerla a
baciarlo o
a come fosse riuscito magicamente a sedurla.
A mia sorella piacevano i tipi
più tranquilli, i tipi come Bill… E, guarda caso,
a me quelli violenti come
Tom, che andavano subito dritti al nocciolo della questione.
Il mio viso si
illuminò e mi
girai di scatto mentre l’idea geniale che aveva appena
partorito la mia mente
prendeva forma e brillava di magnificenza: era assolutamente,
diabolicamente
geniale!
“Ho avuto
un’idea geniale!”,
esultai.
“Sentiamo”,
sospirò.
“E se noi
due… ci scambiassimo?”
“In che senso,
scusa?”
“Cioè…
Preghiamo Andy di
combinare un uscita a sei con i gemelli e Jordin… E poi tu
dici di essere Ary e
ti accolli a Bill, io dico di essere Ale e mi accollo a Tom.
E’ un’idea geniale
non trovi? Tanto nessuno sa distinguerci eccetto la nostra
famiglia.”
Ale mi guardò
come se avessi
appena detto chissà quale pazzia. A me sembrava una bella
idea! Già pensare al
suo svolgimento mi si illuminavano gli occhi ed una scarica di
adrenalina mi
percorreva da capo a piedi.
“Ma…
Ary, non sarebbe giusto”,
mormorò incerta. Lei e la sua saggezza!
“Oh, andiamo!
E’ solo per
divertirsi un po’!”, la incitai. Le schioccai pure
uno sguardo dolce che riuscì
a scioglierla e a farla cedere.
“Uff…
E va bene! In fondo
potrebbe essere divertente!”, ridacchiò
guardandomi negli occhi.
“Adesso chiamo
Andy e vedo cosa
si può fare!”, decretai, prendendo il cellulare e
digitando il numero. “Oddio
sono troppo un genio!”, esultai, portandomi il telefono
all’orecchio.
Feci in tempo a guardare Ale
scuotere la testa divertita, dopodiché sentii la voce ancora
assonnata di
Andreas rispondere.
“Alla buon’ora,
bell’addormentato!”
“Ary…”,
mugugnò. “Che cosa vuoi a
quest’ora del mattino?”
“Ciccino…
Fatto le ore piccole
ieri con Jordin? Bravo, così si fa!”
“Ma ti
è già passata la
sbornia?”, sbuffò innervosito.
“Sì,
per tua immensa sfortuna!
Ascoltami, devi farmi un piccolissimo favore!”
“Conosco il
tuo modo di intendere
un ‘piccolissimo favore’, quindi mi aspetto
già il peggio. Spara.”
“Potresti
organizzare un’uscita a
sei?”
“Un’uscita
a sei?”
“Sì!
Tu e Jordin, io e Tom e Ale
e Bill!”
“Tu e chi e
Ale e chi?! Ma ieri
sera…”
“Cancella ieri
sera! Almeno per
adesso. Poi ti spiegherò tutto. Allora, me lo fai questo
piccolissimo favore? È
una cosa da niente, Andy! Tipregotipregotiprego!”
“Uff,
vediamo… Dammi il tempo di
chiamare Bill e Tom. Se hanno da fare niente, se no ti richiamo
e…”
“Sììììììììììì!”,
esultai alzando
un braccio al cielo, saltellando sul posto. Ale mi guardò
come se fossi
impazzita e una fitta alla testa mi fece calmare e risedermi sul divano.
“Ciao Ary, a
dopo. E prenditi una
tazza di camomilla, ti prego.”
“Ok, grazie
Andy!
Graziegraziegrazie!”
“Sese,
ciao.”
Chiuse la telefonata e
io sorrisi
a trentadue denti volgendo lo sguardo verso mia sorella, che aspettava
in
silenzio al mio fianco, con un sorriso consapevole sul viso.
“Te lo devo
dire o hai già
capito?”, chiesi al settimo cielo.
“Deduco che la
sua risposta sia
stata un sì”, ridacchiò.
“Sì!
Però dipende se loro hanno
da fare. Spero proprio di no, non vedo l’ora di attuare la
mia idea geniale! Ci
sarà da divertirsi, sorella!”, gridai salendo le
scale: dovevo iniziare a
scegliere i vestiti da mettere!
“Sì,
immagino… Vuoi una
camomilla?”, mi gridò dal piano di sotto.
“Va bene che
sono schizzata, ma
anche Andreas mi ha detto di bermi una camomilla! Non serve a niente,
ho la
pazzia nel DNA!”
“Che
bello!”, rise. “Spero che i
livelli non aumentino, perché se no mi costringerai a
chiuderti in manicomio!”
“E io, se
continui così, sarò
costretta a chiuderti in un convento!”
Aprii
l’armadio e iniziai a
gettare sul letto gli indumenti che avrei potuto indossare. Solo dopo
aver
creato una piccola montagna e aver svuotato metà armadio, mi
resi conto che se
davvero la mia idea geniale doveva funzionare, io dovevo sembrare in
tutto e
per tutto Ale e lei doveva sembrare me. Certo, lei era avvantaggiata
perché
aveva la scusa che io ero ubriaca quella sera, ma io? Lei era
perfettamente
lucida e mi sarei dovuta un minimo contenere con Tom per non farmi
scoprire
subito.
“Ale, tu e la
tua poca pazzia,
accidenti!”, gridai frustrata.
“E ora che
hai?!”
“Niente,
niente!”
Sentii i suoi passi
salire in
camera e la vidi sulla soglia della porta con la bocca socchiusa di
fronte alla
montagna di vestiti sul mio letto.
“Se tu ti
fossi lasciata un po’
andare con Tom, a questo punto io non dovrei trattenermi per non farmi
scoprire.”
“Cos’è,
non avrai mica pensato di
saltargli subito addosso!” La guardai portandomi i pugni sui
fianchi, come se
fosse ovvia la risposta. “Ok, l’hai pensato. Ary,
sei impossibile”, ridacchiò
scuotendo la testa e tirando fuori dal mucchio qualche vestito.
“Se ci cascano
la prima volta
abbiamo qualche chance”, dissi sedendomi a gambe incrociate
sul suo letto.
“Beh…
per Tom perché ti dovresti
trattenere? Puoi benissimo dire che avevi la luna
storta…”, disse.
“Sorella, sei
malefica!”, mi
portai una mano sulla fronte. Il suo ragionamento era logico, per
quanto tutta
quella storia potesse essere logica.
“Non ci voleva
molto… Ma non gli
saltare addosso, ti prego.”
“Ok, mi
conterrò giusto perché ci
siete anche tu e Bill. Ale?”
“Sì?”
“Me la fai la
camomilla? Mi fa
ancora un po’ male la testa…”
Ale sorrise dolcemente e
mi tirò
una maglietta addosso, che mi finì in testa, facendoci
scoppiare a ridere tutte
e due.
Scendemmo di sotto e Ale
si mise ai
fornelli per preparami la camomilla, io accesi la televisione in cucina
e mi
sedetti al tavolo, infilando il mento fra le braccia.
Venni distratta dal
telegiornale
– veramente interessante – dalla porta che si
aprì all’ingresso e dalla quale
fece capolino Davide, una sciarpa blu legata intorno al collo.
Rabbrividì e
appese sciarpa e cappotto all’appendiabiti, poi si
affacciò in cucina per
salutarci.
“Ciao
sorelline! Fra un freddo
cane fuori.”
“Davvero?”,
schizzai. Odiavo il
freddo, e se davvero fosse stato così non volevo nemmeno
immaginare
l’appuntamento con i ragazzi. Per fortuna ci sarebbe stato
Tom che mi avrebbe
donato più che volentieri del calore umano…
“Ary? Ehi,
stai leggermente
sbavando sul tavolo…”
“Eh?
Cosa?”, mi destai dai miei
pensieri – bei pensieri – e guardai Ale che se la
rideva assieme a Dave, le
braccia strette al petto.
“Evito di
chiederti a che cosa
stavi pensando. La tua camomilla ce l’hai di fronte al
naso.”
“Ovviamente
pensavo a quanto sia
buona la camomilla fatta dalla mia sorellina”, sfarfallai le
ciglia.
“Ruffiana”,
soffiò sorridendo.
“Com’è andata con Marika?”, si
rivolse a Dave.
“Bene dai.
Siamo andati un po’ in
giro, si è già messa alla ricerca del regalo di
Natale perfetto, sapete?”
“Sì?
Oddio, tra poco è già
Natale!”
“Sì.
Ale, tu sai cosa voglio
sotto l’albero”, sogghignai facendole
l’occhiolino.
“Sì,
te lo incarto anche se
vuoi.”
“No, perderei
troppo tempo poi!
Mi va bene anche non incartato, stai tranquilla!”
“Ma di chi
state parlando?”
“Bravo,
è di un chi
che stiamo parlando”, annuì Ale.
“Scommetto che
c’entra la festa
di ieri sera”, alzò le sopracciglia Dave.
“Esatto.”
“Di chi si
tratta?”
“Non te lo
immagineresti mai.”
“Dai, spara.
Quando si parla di
Ary, tutto è possibile”, sospirò.
“Bill.”
“Quel Bill?
Bill Kaulitz?”
“Sì.
Ieri sera era avvinghiata a
lui come una cozza allo scoglio!”
“Beh, vorrei
vedere te!”, annuii
bevendo un sorso del liquido caldo e dolcissimo.
“Ma non vuole
lui sotto l’albero.
Vuole l’altro ora, Tom”, spiegò Ale.
“Ma
Ary!”, mi guardò severamente
Dave.
“Che
c’è?”, allargai le braccia,
ridacchiando. “Io devo fare nuove esperienze!
L’amore vero non si trova, se non
lo si cerca!”
“Sì,
filosofa incompresa. Devi
calmare i tuoi spiriti bollenti”, disse Dave – il
saggio barbuto che sta sulla
montagna.
Annuii distrattamente,
la solfa
la sapevo già a memoria, e incontrai lo sguardo di Ale che
rideva
silenziosamente. Ci capivamo solo con uno sguardo, ed era
così da una vita. Il
nostro legame era ciò di più bello ci fosse al
mondo e non avrei mai permesso a
niente e a nessuno di rovinarlo. Mai e poi mai.
Il mio cellulare
suonò nella
tasca del mio pigiamone e lo tirai fuori sperando chi speravo che
fosse, ossia
Andreas.
“Dimmi che ce l’hai fatta a
convincerli e che ora io e Ale abbiamo un appuntamento!”,
strillai eccitata.
“Mi dovete un
monumento.”
“Sì,
lo so! Sulla tua lapide
faremo scrivere ‘Ad Andreas, colui che ha reso felici due
povere gemelle
bisognose di due bei pezzi di ragazzi!’”
“Ma grazie,
quanto sei gentile
Ary. E pensare che qualche anno fa ero cotto di te!”
“Eh, lo so. Il
mio fascino
irresistibile… - Tu tu tu tu tu tu... - Andreas?
Andreas?!” Alzai lo sguardo su
Ale, indignata. “Mi ha chiuso il telefono in
faccia!”
Ale e Dave si guardarono
e
scoppiarono a ridere, io chiusi il cellulare e borbottai qualcosa prima
di
riportarmi la tazza alle labbra. Me ce ne volevano almeno altre due di
camomille! Tutto potevano farmi, ma non chiudermi il telefono in faccia!
“Ma allora ce
l’abbiamo
l’appuntamento o no?”, chiese Ale.
“Sì.
Ma non so dove né quando. Mi
ha chiuso il telefono in faccia. In faccia, capito?!”
“Sì
Ary, ho capito, calmati!”,
ridacchiò. “Ah, guarda. Chiama me.”
Tirò fuori dalla tasca il cellulare e
rispose: “Sì Andreas, scusala. Sai che quando si
parla di queste cose lei… Sì,
esatto. Al Melody allora. È quello in centro, giusto? Alle
tre. Ok, perfetto.
Ci vediamo dopo Andreas, e grazie. Ciao!”
“Al Melody
alle tre”,
ricapitolai.
“Sì.
Perché non provi ad essere
un tantino più gentile e a non identificarti sempre come il
centro
dell’universo?”
“Mi viene
spontaneo”, sollevai le
spalle, facendo la sostenuta.
“Sei il centro
del mio
universo, non di quello di tutti”,
sorrise dolcemente, facendomi sciogliere il cuore. “Per
esempio, il centro dell’universo
di Tom penso sia se stesso.”
“Giusto. Ma io
lo diventerò, non
ti preoccupare. Presto o tardi”, sogghignai.
“Eccola che
ricomincia”, sorrise
Davide andando in salotto a guardare un po’ di sana
televisione spazzatura.
Ormai era confermato:
avevamo un
appuntamento con Bill e Tom! Non vedevo l’ora. Dovevo tornare
su a scegliere
cosa mettermi, tenendo conto che fuori faceva un freddo cane e saremmo
andate
ad uno dei bar più belli nel centro d’Amburgo.
E poi dovevo prepararmi
psicologicamente ad essere Ale. Non sarebbe stato molto difficile, ma
per
assomigliarle dovevo calmare un po’ i miei spiriti bollenti,
quello sì.
Una questione
fondamentale mi
saltò alla mente e fissai Ale, lei ricambiò il
mio sguardo, chiedendomi cosa
c’era che non andava, e schizzai da Davide: sarebbe stato il
mio compagno
d’esperimento.
“Dave, Dave,
Dave! Aiutami.”
Sobbalzò
vedendo il mio faccino
di fronte al viso al posto della prosperosa conduttrice della sezione
di sport
del telegiornale.
“Che cosa c’è?”
“Mi devi
aiutare. Chiama Ale, ma
con il mio nome.”
“Eh? Non ci
capisco niente! Che
cosa c’è dentro quella testolina che ti ritrovi?
Io sono tuo fratello e spero
che almeno ci sia qualcosa, ma… me ne fai dubitare ogni
giorno di più!”
“Come sei
carino, grazie, anche
tu.”
Davide scosse la testa: non avevo
ascoltato una parola di quello che mi aveva detto.
“Chiama Ale come se dovessi
chiamare me.”
“Non
capisco.”
“Oh! Fai
quello che faccio io,
ok?!” Annuì incerto. “Ary!”,
chiamai, rivolgendomi verso la cucina, dove c’era
Ale intenta a sciacquare la mia tazza vuota di camomilla. Guardai
Davide e lo
incitai a copiarmi.
“Ary!”,
chiamò incerto. Mi
guardò, massaggiandosi le tempie.
“Chiamala di
nuovo”, gli
sussurrai.
“Ary!”,
la chiamò più forte. Ma
lei non accennava a girarsi né a rispondere.
“ARY!”,
tuonai io marciando verso
la cucina e lanciandogli una ciabatta addosso, dopo essermela tolta
direttamente dal piede.
“Ahia!”,
gridò Ale toccandosi la
gamba colpita e guardandomi.
“Perché
non rispondevi?!”
“Eh?”
“Io ti
chiamavo!”
“Ma no, non
è vero. Davide
chiamava te.”
“Ma vedi che
sei stupida,
allora?! Come credi ti chiamerà, Bill?”, alzai un
sopracciglio.
“Ary?”,
chiese incerta.
“Esatto. Ma se
non ti dovessi
girare o se non dovessi rispondere, quando ti parla, che figura ci
fai?!”
“Giusto, hai
ragione. Ma che
bisogno c’era di tirarmi una ciabatta addosso?”, si
lagnò massaggiandosi il
punto colpito.
“Tu non ti
giravi!”
“Ed era
proprio necessario?!”
“Beh…
sì!”
Ale si
schiaffò una mano in
faccia, esasperata. Prevedeva grossi, giganteschi, enormi guai.
***
Faceva davvero un freddo
cane. E
come se non bastasse si era messo persino a nevicare. Peggio di
così non poteva
andare.
A me piaceva la neve, ma era
bella fin quando io me ne stavo in casa al calduccio a guardarla da
dietro la
finestra. Una volta fuori, al freddo, con le mani, il naso, i piedi e
le
orecchie congelate, non mi piaceva più di tanto.
Tentai di scacciare via il
pensiero del freddo immaginandomi l’appuntamento con i
gemelli, vedendomi già
stretta fra le braccia di Tom a ricevere un po’ di meritato
calore umano.
“Ary? Ary, ma
mi stai
ascoltando?”
“Eh?”,
mi girai e guardai Ale che
guidava al mio fianco.
“No, non mi
ascoltavi”,
ridacchiò. “Dicevo che non
c’è nemmeno un buco per parcheggiare, nelle
vicinanze del Melody.”
“E con
questo?”
“Testolina
bacata? Devo
parcheggiare qui e poi fino al Melody dobbiamo farcela a
piedi.”
“A piedi? Con
la neve?! Tu sei
impazzita!”
“Bene, allora
dovremo dare buca a
Bill e Tom. Che peccato…”
“No! Va bene,
facciamocela a
piedi!”, gridai. Lei sorrise soddisfatta e
parcheggiò sul ciglio della strada,
poi scese dall’auto e venne ad aprirmi la portiera.
“Prego,
principessa.”
Bofonchiai un grazie e
scesi
dall’auto, rischiando fra l’altro di scivolare su
una lastra di ghiaccio che
sembrava essersi materializzata lì apposta per me. Per
fortuna Ale mi aveva
afferrata prima che volassi gambe per aria.
“Incominciamo
bene!”, digrignai i
denti, mentre lei se la rideva.
Camminammo,
possibilmente non
sopra le lastre di ghiaccio, per un po’, fiancheggiando le
vetrine dei negozi
già addobbate in tema natalizio, con lucine, renne, babbi
natali e neve finta
dappertutto.
Mi piaceva il Natale, mi
piacevano le lucine, mi piaceva fare l’albero con Dave e Ale,
stare svegli fino
al mattino la vigilia e aprire i regali con la mia famiglia. Era in
assoluto la
mia festa preferita.
Arrivammo di fronte al
Melody e
ci guardammo negli occhi prima di entrare, ripassando velocemente il
piano. Io
Ale, lei Ary. La teoria era chiara, la pratica era ancora un dubbio.
Entrammo e una ventata di aria
calda mi fece sospirare sollevata. C’era profumo di
caffè, che mi invase le
narici facendomi sentire subito più rilassata.
In uno dei tavolini
più
riservati, infondo alla sala, scorsi Bill e Tom che chiacchieravano.
Erano
semplicemente stupendi, in tutto e per tutto. Focalizzai subito il mio
obbiettivo: cappellino blu scuro che gli ombreggiava il viso perfetto
in ogni
minimo particolare e che gli nascondeva le treccine nere che gli
cadevano sulla
maglietta blu sopra una bianca; jeans extra-large in grado di contenere
tutto
quanto senza dare nell’occhio e sorriso incantatore. Mi
passai la lingua sulle
labbra senza nemmeno accorgermene, una luce da predatrice negli occhi.
“Dai, posso
farcela”, sussurrò
Ale al mio fianco, prima di essere trascinata da me verso di loro.
“Ciao!”,
salutai sorridendo.
“Ciao”,
salutarono loro in coro.
Ale salutò a malapena, io le tirai una gomitata: doveva
essere me o sbaglio?
Cos’era tutta quella monotonia?!
“Ciao”,
disse più convinta,
sorridendo come meglio poteva.
“Ricordatemi
chi è Ale e chi
Ary”, disse Tom.
“Io sono Ale.
Lei è Ary”, annuii
guardandola.
“Ok, bene.
Sarà un macello
riconoscervi, io me lo sento”, ridacchiò Bill.
“Ce lo dicono
in molti”, disse
nervosamente Ale.
Il suono di un cellulare
interruppe quella semi-conversazione: era quello di Tom.
“Ahm… Andreas e Jordin ci hanno
dato buca”, annunciò sollevando il viso dallo
schermo del suo cellulare piatto
con tastiera scorrevole.
“Tanto
meglio!”, dissi felice.
“Cioè, volevo dire… Che peccato!
Però ci arrangeremo lo stesso, vero?”
“Ovviamente”,
Tom mi fece un
sorriso seducente.
Sentivo già
il calore umano
pervadermi, mentre mia sorella sembrava più un pezzo di
ghiaccio al mio fianco
che una cosa viva.
___________________________________________________
Buongiorno a tutti! :)
Allora, questo capitolo riprende
ancora il secondo, dalla prospettiva di Ary, e in più
vediamo come si stanno
preparando per lo scambio d’identità
(c’è ancora molto su cui lavorare xD) e una
piccola parte dell'incontro con i Kaulitz *-* Il piano geniale di Ary
è ufficialmente iniziato! Muahmuahmuah! xD
Comunque u.u Ringraziamo veramente
di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo *-* :
stestefy96
: Eh sì, le gemelle hanno baciato i gemelli u.u xD Che
cosa combineranno scambiandosi l’identità?
Sicuramente nulla di buono xD Grazie
per la recensione, alla prossima!
Layla
: Tom non cambia mai, ma sai, come ha detto Ale nello scorso
capitolo, è più simile di carattere ad Ary.
Chissà, magari scambiandosi… xD
Sicuramente non è un’idea da sani di mente u.u Ma
ci vuole un po’ di pazzia
nella vita, no? xD Grazie, alla prossima!
Tokietta86
: Ciao! :) Perché, speravi che Tom cambiasse? O.O
Poverina, mi dispiace tanto che tu ti sia illusa :( No, scherzi a parte
xDD
Rimane sempre lo stesso idiota di sempre xD Per quanto riguarda al suo
fiuto
incredibile, tanto da riuscire a trovare Ary, potremmo usarlo come cane
da
tartufo! *-* Okay, non sto tanto bene stasera xD Parlando seriamente,
Ary ha
avuto un’idea non proprio seria xD Comunque d’ora
in poi Ary sarà Ale e Ale
sarà Ary, quindi il vero problema non sono i Kaulitz che
impazziscono, ma
quando e se lo scopriranno xD Cavolo, tu non puoi capire quanto vorrei
una
sorella gemella identica per fare queste cose! *-* Okay, basta xD
Grazie per la
recensione, alla prossima! Un bacione!
Charls__
: Sia io che Ale ci finiremo, un giorno, in un centro di
igiene mentale, quindi non ti preoccupare xD Staremo in compagnia! xD
Siamo
contente che anche questa FF ti piaccia, ne siamo molto orgogliose *-*
E
comunque era “Incastrate”, ma non importa, il
concetto è arrivato xDD Grazie
mille, un bacio!
____satanic_doll____
: Siamo contente che fra tutte le FF che
avresti potuto leggere, tu abbia scelto proprio questa e che ti piaccia
:) In
effetti volevamo scrivere qualcosa di diverso, speriamo di esserci
riuscite!
Grazie per la recensione, ciao!
svampy1996
: Grazie! XP
Ringraziamo anche chi ha
già
messo fra le preferite e le seguite questa FF e chi legge soltanto! ^-^
Alla prossima, vostre
Ale&Ary
|
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Capitolo 4 *** Primo incontro ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/538680.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 5 *** Predatori e prede ***
Capitolo 5: Predatori
e prede
“Ciao belle
ragazze!”
A
quell’esclamazione mi girai e
vidi Bill e Tom avvicinarsi a noi, dopo essere scesi dalla Cadillac del
chitarrista: era una macchina stupenda!
“Ciao!”,
salutammo in coro io e
Ale.
“Scommetto che
Ale è quella con i
capelli raccolti”, sorrise malizioso Tom, venendomi incontro.
Un brivido mi
fece voltare verso mia sorella che aveva aperto la bocca, le lanciai
un’occhiata inceneritrice e lei la richiuse: non potevo
permettere che il
nostro “piano” andasse in fumo!
“Che bravo,
come hai fatto?”,
ridacchiò lei.
“Ho un fiuto
per queste cose!”, sorrise
sghembo, guardandomi mentre muoveva sensualmente il piercing al labbro
inferiore con la lingua. A morsi glielo avrei strappato! Era troppo
eccitante,
solo al pensiero.
Bill e Ale si salutarono
e io mi
avvicinai di più a Tom, toccandogli il braccio per attirare
la sua attenzione
su di me. Il suo sguardo finalmente – non che mi dispiacesse
essere guardata da
lui, per carità – si posizionò nel mio
e io mi alzai in punta di piedi per
lasciargli un bacio sulla guancia, pericolosamente vicino
all’angolo della
bocca, lasciando molto a desiderare. Feci un sorrisetto malizioso e poi
mi
girai verso Ale e Bill, che avevano tutta l’aria di essere
una coppia di
vecchietti che si erano incontrati per caso in un parco.
“Allora, dove
ci portate?”,
chiesi con voce squillante.
“In un pub, vi
piacerà… Ne sono
certo”, rispose Tom lanciandomi un’occhiatina
eloquente. Qualsiasi cosa si
fosse messo in testa, ero pienamente d’accordo con lui!
Sentivo che quella
serata sarebbe
stata bella il doppio di quella precedente, non ne avevo dubbi.
“Perfetto! Con
che macchina si
va?”, chiesi unendo le mani di fronte al petto.
“Io
propongo… tu vieni con me”,
mi prese per il braccio tirandomi sotto la sua ala. “E Bill e
Ary vanno con la
vostra macchina.”
“Ok, per me va
più che bene!”,
ridacchiai osservando la mia gemella che per tutta risposta a quella
proposta
non aveva fatto i salti di gioia. Ma almeno sorrideva, e quel sorriso
per me
valeva più di tutte le parole del mondo. Se era felice lei,
lo ero anch’io.
“Trattamela
bene, Tom!”, gli
disse prima di avviarsi con Bill, che l’aveva addirittura
presa per mano, verso
la macchina di Dave che gentilissimo come sempre ci aveva prestato: una
Lancia
Ypsilon azzurra metallizzata e con il tettuccio nero.
“Come la cosa
più preziosa che
ho!”, rispose portandomi un braccio intorno alle spalle e
accompagnandomi verso
quello splendore che era la sua auto.
“Sono
la cosa più preziosa che hai, al momento”, dissi
senza
degnarlo di particolari attenzioni.
“Presuntuosa
la ragazzina!”,
rise.
“No, dico
semplicemente come
stanno le cose!”, mi unii a lui: aveva una risata
così bella e contagiosa che
era impossibile non lasciarsi andare.
“Prego, vostra
signoria”, mi aprì
la portiera e mi fece salire.
Mi misi seduta
comodamente sul
sedile di pelle chiara e guardai i sedili posteriori, mentre Tom faceva
il giro
della macchina passandomi davanti. Salì al mio fianco e
infilò le chiavi nel
cruscotto. Perché tutto quello che faceva era eccitante?
Pure accendere il
motore!
“Però,
è grande questa macchina!
Cioè… sapevo che era grande, ma non
così tanto!”, dissi indicando dietro con il
pollice.
“Sì,
l’ho presa apposta!”, fece
un sorrisetto.
“Magari
più tardi”, feci un gesto
con la mano, facendolo ridere.
Ale e Bill ci stavano
seguendo
dietro, Tom aveva un’espressione rilassata ma allo stesso
tempo era concentrato
sulla strada. Per un attimo mi persi nell’osservare i suoi
lineamenti perfetti
e rimasi in silenzio. Erano così rare le volte in cui me ne
stavo con la bocca
cucita, proprio in quel momento?!
Il problema era che non riuscivo
a trovare nulla di cui parlare: avevo esaurito gli argomenti ancora
prima che
la vera serata iniziasse. Cattivo segno.
Portai il mio sguardo in
principio sul parabrezza, poi sul vano portaoggetti di fronte a me. Ero
curiosa
di sapere cosa ci fosse dentro, così guardai Tom al mio
fianco, un sorrisetto
angelico sul viso:
“Posso curiosare nel
portaoggetti?”
Tom mi guardò
con la coda
dell’occhio e non poté trattenere una risata. Mi
diede il permesso e io, tutta
contenta, aprii il mio forziere delle meraviglie. Come prima cosa
trovai una
scatola di preservativi, a portata di mano.
“Questi non
devono mancare mai”,
ridacchiai poggiandomeli sulle gambe.
“Ovviamente!
Se no sprecherei
tante belle opportunità per divertirmi.”
“Lo penso
anch’io. Poi, vediamo
cos’altro contiene il portaoggetti di Tom
Kaulitz…”
“Ma tu guardi
in tutti i
portaoggetti di tutte le macchine?”
“Quando capita
sì. Sono curiosa.
E di te soprattutto. Ma vedo che la caccia da già dato i
suoi bei frutti”,
presi la scatola sorridendo. “Uh, Humanoid!
Hai un vostro cd nel portaoggetti, bello!”
“Sì.
Mi piace ascoltarmi”,
ridacchiò.
“C’è
una canzone che
preferisci?”, chiesi.
“Ahm…
non particolarmente.”
“A me piace un
sacco Menschen
suchen Menschen. È
strepitosa.”
“Davvero?”,
corrugò la fronte.
“Sì,
perché?”
“Ieri sera mi
hai detto che la
tua preferita era Alien.”
Oops. Ale.
“Beh, mi
piacciono tantissimo
tutte e due!”, sollevai le spalle, sorridendo e rimanendo
rilassata. Non
sarebbe stata una canzone a rovinare tutto!
“Non ti facevo
così, sai?”,
disse, facendo manovra per parcheggiare.
“Così
in che senso?”, chiesi.
“Non lo
so… Ieri sera sembravi…
diversa. Più sulle tue, ecco.”
“Avevo un
po’ di luna storta, tutto
qui”, sorrisi apertamente quando si girò verso di
me, spegnendo il motore.
“E stasera
come va?”, sussurrò
avvicinandosi.
“Alla grande,
direi.”
“Sai, per non
essere interrotto
un’altra volta…”
Io e Ale dovevamo fare
un bel
discorsetto.
“Stupida
idiota”, soffiai ridendo
prima che le sue labbra intrappolassero le mie in un bacio che
riuscì a farmi
vedere le stelle.
Era così
passionale, così violento… mi faceva sentire sua
solo con un bacio, e non mi era mai successo prima d’ora.
Sicuramente il bacio
con Bill non doveva essere stato così, perché
altrimenti me lo sarei di certo
ricordata, sbornia oppure no.
Ricambiai con la sua stessa
voglia, calcolando che se gli avessi lanciato il sassolino e poi me lo
fossi
andata a riprendere lo avrei tenuto sulle spine ancora per un
po’ e mi sarei
fatta desiderare. Lui stesso avrebbe desiderato la sua predatrice.
Senza farmi notare aprii
la
portiera alle mie spalle e con uno scatto felino scivolai fuori dalla
vettura,
lasciandolo con un palmo di naso sporto sul sedile del passeggero. Risi
coprendomi la bocca e gli chiusi la portiera in faccia, avviandomi
verso Bill e
Ale che erano appena scesi dall’auto.
Bastò un’occhiata con Ale per
capire che mi ero già messa all’opera per
assuefare la mia dolce e tenera
preda, infatti alzò un sopracciglio scettica, ma sorrise.
“Ehi Ale,
Tom?”, chiese Bill non
vedendolo al mio fianco.
“Oh, adesso
arriva. Ah, eccolo!”,
mi girai e stesi un ampio sorriso. “Ti eri perso?”,
gli chiesi ridacchiando. Mi
gettò un’occhiatina e ci fece segno di entrare nel
locale.
L’Andros.
Già il nome mi
ispirava. E infatti era davvero un bel posto, con tante luci colorate
che
illuminavano la pista, musica decente, ragazzi carini fino alla nausea
e un
piano bar piuttosto ben fornito. Ma quella sera non dovevo e non volevo
ubriacarmi, avevo altro a cui pensare!
Tom mi prese per mano e
mi portò
con lui fino al piano superiore, l’area vip, controllata da
un paio di
bodyguard che appena videro i nostri accompagnatori ci fecero passare.
Se il piano inferiore era bello,
quello superiore era fantastico. C’erano tanti divanetti
colorati intorno a dei
tavolini di vetro e c’era persino un barman a nostra completa
disposizione.
Amavo quel posto.
“Dio,
è il paradiso”, sospirai.
Tom si girò e mi guardò soddisfatto.
“Sapevo che ti
sarebbe piaciuto”,
mi sussurrò all’orecchio prendendomi per i
fianchi. “Ma adesso troviamo un
angolino e finiamo ciò che abbiamo iniziato e che tu hai
interrotto. Di nuovo.”
Mi strinse più forte a sé, io
schioccai la lingua e mi liberai dalla sua presa, sorridendo
furbescamente.
Non così in fretta,
Tomi…
“Io in realtà ora ho voglia di
ballare.”
“Ballare?”,
chiese.
“Sì,
ballare. Ti sorprende
tanto?”
“No, ma
pensavo…”
“Tranquillo,
se non vuoi ballare
tu vado a cercarmi qualcun altro.”
Ale, già
seduta su un divanetto a
parlare con Bill, mi guardò e io le feci un rapido
occhiolino.
“Allora?”,
chiesi alzando un
sopracciglio.
Tom fece uno strano
sogghigno, mi
prese per il polso e mi trascinò di nuovo giù, ma
non ci fermammo alla pista da
ballo, andammo oltre, fino ad arrivare di nuovo all’uscita.
“Ma dove
cavolo…?”, non feci in
tempo a finire la frase che mi prese fra le braccia e mi
baciò impetuosamente
sulla bocca, spingendomi fino ad andare a sbattere contro la portiera
della sua
Cadillac, nel parcheggio.
Sogghignò e
mi alzò il viso
prendendomi il mento fra le dita, mi baciò una volta sul
collo e poi con voce
roca e sensuale mi sussurrò all’orecchio:
“Qui sono io che detto le regole,
piccola.”
“Allora
sarà una lunga
battaglia”, ribattei soddisfatta, quando sentii il clic delle
portiere che
venivano aperte dal telecomando e Tom spingermi dentro
l’abitacolo, sui sedili
posteriori.
***
La scuola non era mai
stata la
mia passione. Ero sempre stata una casinista sin dall’asilo,
coinvolgendo fra
l’altro la mia povera gemella innocente, sempre tranquilla e
diligente.
Possibile che in certi aspetti fossimo così opposte? Certo,
non era una
secchiona né tantomeno spendeva ore sui libri,
però il suo rendimento era dieci
volte superiore al mio. Forse perché stava sempre attenta in
classe – se glielo
permettevo – e perché il suo curriculum da
“brava studentessa” la metteva in
buona luce con i professori. Lei era la gemella brava, io quella
cattiva.
Cattivo è sinonimo di sexy,
pensai girandomi una ciocca di capelli
fra le dita.
“Vedo che
sorride, signorina
Wienecke. La soddisfa l’argomento?”, mi chiese il
professore di letteratura,
proprio la mia materia preferita. A dire la verità era
l’unica che mi piacesse,
amante della scrittura e dei libri, anche se non sembrava.
Guardai la lavagna,
rendendomi
conto che stavamo parlando del Ciclo Bretone nel genere
cortese-cavalleresco.
Ero un po’ distratta quel giorno. Completamente distratta.
Continuavo a pensare
a Tom e a tutto il resto… quanto mi piaceva! La serata
precedente era stata
fantastica, non vedevo l’ora di rivederlo. E quello era stato
solo il primo
round.
“Sì,
è molto interessante pensare
a come nel Medioevo la concezione dell’amore fosse diversa
rispetto a come ce
l’abbiamo noi adesso”, sorrisi.
“Leccaculo”,
mi sussurrò all’orecchio
Ale, sorridendo, una volta che il professore, soddisfatto, si fosse
girato di
nuovo verso la lavagna riprendendo a spiegare.
“Una volta
tanto, lasciami
prendere il tuo posto”, sogghignai, beccandomi un pugno sulla
spalla.
“Magari, se
prendessi appunti,
invece di stare sulle tue nuvolette”, continuò,
tornando a scrivere sul suo
quaderno.
“Ok, va
bene…”, sbuffai tirando
fuori il raccoglitore ad anelli dalla mia borsa a tracolla.
Lo aprii e nella sezione
di
letteratura c’erano tre fogli messi in croce, scritti solo
nella facciata
davanti. Se c’era mia sorella che prendeva appunti,
perché dovevo farlo
anch’io? Lasciai perdere e mi concentrai sulla lavagna.
“Ale, ma non
ti fa ridere uno che
si chiama ‘Cretino di troia’?”,
sghignazzai poggiando la testa sulle braccia.
“Si chiama
Chretien de Troyes”,
disse, anche se non riusciva a nascondere quel sorriso divertito che le
era
scomparso sulle labbra. “Ed è uno degli autori
più importanti del periodo,
stupida. Mi dai una mano, visto che non fai un fico secco?
Dettami.”
“Ok…”,
guardai la lavagna e iniziai a
dettarle: “Concezione
dell’Amor Cortese:
uno, concezione positiva della donna; due, la donna possiede un cuore
gentile,
cioè nobile, per natura; tre, la donna è
considerata superiore all’uomo. Ovvio,
no? La donna è
superiore all’uomo!”
“Sì,
Ary. Potresti limitarti a
dettare, per favore? Se no scrivo anche le tue battute”,
ridacchiò.
“Ok, simpatia
portami via.
Riprendo. L’uomo
deve sottomettersi alla
donna come un vassallo si sottomette al suo signore, perciò
deve essere al suo
servizio, deve essere fedele, disinteressato, devoto e pronto ad ogni
sacrificio per lei. Cavolo se
ha ragione il tuo amico Cretino! Devono
sottomettersi, questi stronzi! Mica come adesso!”
“Signorine
Wienecke? Avete
finito?”, ci rimproverò il professore.
“Scusi prof,
stavo discutendo con
mia sorella sulla verità di questa concezione
dell’amore.”
“Mi fa
piacere, ma sono costretto
a mandarvi fuori a discutere.”
Ale, seduta al mio
fianco in
corridoio, mi guardò male alzando il sopracciglio e
stringendo le braccia al
petto.
“Però
Tom può dominarmi quanto
vuole”, annuii distrattamente.
_________________________________________
Ciao gente! *-*
Le gemelle sono uscite con i
gemelli! xD E Ary, quella pazza di Ary, si diverte proprio! xD Gioca
come una
bambina, ma questa volta ha trovato pane per i suoi denti e non le
dispiace
affatto… Sembra avere molti punti in comune con il
chitarrista, si somigliano
davvero tanto, e da lui ha ottenuto ciò che voleva.
Chissà come sarà andata fra Ale e
Bill? u-u
Per ora il loro piano sembra
funzionare, vedremo come andrà a finire ;)
Ringraziamo chi ha
recensito lo
scorso capitolo:
stestefy96
: Anche se sono gemelle, hanno preso in maniera molto
diversa questo piano xD Per quanto riguarda la serata,
invece… per Ary è finita
sicuramente bene xD Per Bill e Ale è ancora un mistero u-u
Lo scopriremo alla
prossima puntata! :) Ciao, grazie!
ShikikoLover
: Poveretta, hai ragione xD C’è voluta una
ciabattata,
la prima volta, per rispondere! xD Chissà se la situazione
si risolverà oppure
si complicherà ancora di più… u-u xD
Speriamo che anche questo capitolo sia
stato degno della tua pazienza! :)
P.S.: Allora, in questo momento
colei che parla (io xD) è Ary. Ale c’è
al prossimo capitolo u-u Comunque è
davvero brutto non poter scrivere quando e come si vuole
ç__ç Spero che si
risolvi presto anche il tuo problema! Ciao, alla prossima!
Tokietta86
: Poverina Ale, davvero, l’idea che ha avuto Ary non le
piace poi così tanto… Ary che si diverte un mondo
xD Ah beh, se metti Tom e Ary
nella stessa stanza stai sicura che combinano qualcosa xDD Beh,
sicuramente non
saranno contenti di sapere che li hanno ingannati, ma
chissà… xD Grazie mille
per i complimenti, siamo contente che la storia ti piaccia *-* Alla
prossima,
un bacione!
P.S.: Ale ti ringrazia u-u xD
Charls__ :
Beh, grazie mille! *-* Un bacione grande anche a te!
Layla
: Sì, diciamo che Ale non l’ha presa bene come Ary
xD Ary e
Tom sono romantici a modo loro xD Eh, chissà se lo sapranno
mai… xD Grazie,
alla prossima!
Ringraziamo anche chi ha
letto
soltanto e chi ha messo questa FF fra le preferite e le seguite! ;)
Alla prossima! Le vostre,
Ale&Ary
|
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Capitolo 6 *** Benedetta sorellina! ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/559455.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 7 *** Solo un gioco... ***
Capitolo 7: Solo un
gioco…
Sentii la porta di casa
aprirsi e
mi ci fiondai dinnanzi, trovando Ale con un sorriso da ebete sul volto
luminoso. Non ci feci molto caso però. Le puntai il dito
contro:
“Hai visto? Hai visto che l’ho
fatto davvero?”, strillai con un sorriso divertito sulle
labbra.
Senza darmi il tempo di
capire
quello che stesse per fare mi abbracciò stritolandomi fra le
braccia, uno dei
suoi normali abbracci di quando era veramente felice. Ma…
perché? Perché
l’avevo lasciata a piedi?
“Sì!
E io ti amo per questo!”,
strepitò con voce stridula, ridendo.
“Ehi, ma che
ti sei fumata?!”,
scoppiai a ridere anch’io, guardandola in viso.
“Niente!
È tutto perfettamente…
normale”, sollevò le mani, estasiata.
“Raccontami
quello che è
successo! Hai incontrato Bill, lui ti ha dato un passaggio e avete
fatto sesso
di fronte a casa mentre io ero dentro a ridere su come ti ho lasciato a
piedi?”
Mi guardò come se fossi una
maniaca, sventolando una mano e dirigendosi in cucina.
“Che c’è?! Stavo scherzando,
mamma mia!”, risi girandole intorno: ero troppo curiosa!
“Me lo dici, me lo
dici, me lo dici? Daiiiiiiii!”
“Te lo direi
anche, se ti
calmassi!”, gridò prendendomi per le spalle e
fermandomi. “La prima parte era
giusta: ho incontrato Bill e mi ha dato un passaggio.”
“Niente
sesso?”
“Niente sesso.
Delusa?”
“Un
pochino”, sollevai le spalle,
mettendomi seduta sul tavolo.
“Pensi sempre
e solo a quello”,
brontolò. “Non gira tutto intorno al sesso,
sai?”
“Beh, buona
parte delle cose sì!
Pensa nell’antichità: gli uomini delle caverne
facevano sesso per scaldarsi! E
poi senza sesso ci estingueremmo!”
“No, senza amore
ci estingueremmo. Sono due cose diverse fare sesso tutte le
sere per divertimento e fare l’amore per fare un
figlio!”
“Sese, va
bene”, sventolai la
mano. “Vado a fumarmi una sigaretta.”
“Un’altra?”
“Non
l’ho finita prima, ma ne è
valsa la pena! Ho vinto la scommessa!”, le feci una
linguaccia.
“Non avevamo
fatto nessuna
scommessa!”
“Accetta la
sconfitta, sorella!”,
risi tirando fuori il pacchetto e l’accendino rosso dalla
tasca dei jeans.
“Ah!”,
gridò sporgendosi verso il
salotto, che stavo attraversando per raggiungere la veranda sul retro
del
giardino. “Bill mi ha chiesto se volevo uscire,
stasera!”
“Uhm, bene,
sono contenta per te!
Davvero”, sorrisi apertamente: come non potevo essere
contenta se lo era mia
sorella?
Uscii dalle porte
vetrate e mi
misi seduta sui gradini di legno scuro della veranda, sotto al portico.
Mi
accesi la sigaretta e alla prima boccata mi sentii subito
più rilassata e mi
venne in mente Andreas. Non l’avevo più sentito
dopo la mattinata successiva
alla festa e non sapevo nemmeno perché ci avesse dato buca
all’appuntamento coi
gemelli. Certo, non mi era dispiaciuto, ma volevo comunque capire il
perché del
suo comportamento.
Io e Andreas eravamo
stati
insieme per una settimana in seconda superiore, poi eravamo subito
diventati migliori
amici. Lui era il mio confidente ufficiale dopo mia sorella e mio
fratello e ci
capivamo al volo. Ci dicevamo praticamente tutto, ma avevo pensato che
sarebbe
stato meglio non dirgli niente dello scambio fra me e Ale
perché, essendo anche
il migliore amico dei gemelli, avrebbe potuto farsi scappare qualcosa.
Tirai fuori il cellulare
e con la
sigaretta fra le dita me lo portai all’orecchio.
“Pronto?”
“Andreas!”,
gridai appena sentii
la sua voce, un po’ flebile fra l’altro,
dall’altra parte.
“Ciao Ary. Che
c’è?”
“Niente…
Volevo solo sapere come
stavi.”
“Sto
bene.”
“Non
è vero, che mi nascondi?”
“Non ho voglia
di parlarne. Come
va con Tom? Mi ha parlato molto bene di te.”
“Sul
serio?”, sogghignai
passandomi la lingua fra le labbra. “Che ti ha
detto?”
“Qualcosa del
tipo che non si
dimenticherà facilmente una certa scopata… Dio
Ary, ma non ti fai un po’
schifo?”
“Schifo
no… perché?”
“Perché
manco lo conosci e già ci
sei stata!”
“Mi sembri Ale
quando fai così.”
“Magari
dovresti ascoltarla di
più, quella poveretta.”
“A proposito
di lei, stasera
dovrebbe uscire con Bill.”
“Oh. Sono una
bella coppia, in
effetti. Ce li vedo bene insieme.”
“Io faccio il
tifo per loro! Ti
immagini avere Bill per cognato?”
“Sì,
significa che potresti
scoparti suo fratello quando ti pare e piace.”
“Sì!
Cioè… no! Prima di tutto la
felicità di Ale, poi la mia.”
“Almeno
questo”, ridacchiò.
“Quindi è probabile che anche tu esca con
Tom?”
“Probabile.
Hai voglia di sentire
il brivido dello stare dalla mia parte, mio caro amico?”
“No,
però voglio sapere che
cos’ha ideato la tua testolina diabolica.”
“Niente,
volevo solo chiederti
come dovrei comportarmi con lui questa sera, se mai dovessi
uscirci.”
“Uhm…
non lo so… Sono sicuro al
cento per cento che gli farebbe piacere avere un bis, visto come me ne
parlava.
Però credo che sarebbe contento il doppio se ti facessi
desiderare.”
“È
quello che pensavo anch’io.”
“Perché
lui non lo fa capire, ma
gli piace conquistare le sue prede.”
“Io sarei la
sua… preda?”,
risi gettando la testa
all’indietro. Feci l’ultimo tiro alla sigaretta e
poi la spensi nel portacenere
al mio fianco. È
lui la mia preda, non sono io la sua…
“Che hai da
ridere?”
“Niente
Andreas, niente.
Dicevamo? Ah sì, allora mi farò desiderare ancora
un po’. Tra te e Jordin,
invece, come va?”
Lo sentii sospirare e finalmente
capii: ecco cos’aveva, ecco perché dopo la festa
non si era fatto sentire, ecco
perché ci aveva dato buca, ecco perché era
così giù di morale…
“Andreas… perché non me ne vuoi
parlare? Sai che con me…”
“Non
è per te, te lo giuro. So
che oltre ad essere un’arrapata che non sa cosa significa
amare”, lo sentii
sorridere, “sei anche la migliore amica che si possa
desiderare.”
“Quindi…
non ne vuoi parlare?
Vuoi che venga da te?”
“Non ne
è successo nulla, a parte
che alla festa Jordin si è fatta un altro. Io l’ho
vista, abbiamo litigato e ci
siamo lasciati.”
“Frena, frena!
Jordin si è fatta
un altro?!”, sgranai gli occhi incredula. “Ma
stiamo parlando della stessa
persona? Della stessa Jordin dolce, simpatica e innamorata pazza di
te?”
“A quanto pare
non lo era così
tanto…”
“Oddio…
Mi dispiace Andreas!
Quindi è per questo che ci avete dato buca! Bill e Tom lo
sanno?”
“No, hai
l’esclusiva, sei
contenta?”
“Non
è il momento di scherzare,
Andy. So essere seria anch’io, ogni tanto!”
“Ok,
ok… No, non lo sanno. Glielo
dirò.”
Sentii i passi di mia
sorella
raggiungermi lì fuori e si mise seduta al mio fianco
tenendosi alla mia spalla,
poi mi indicò il suo cellulare: c’era Tom che
aspettava di parlare con me.
“Andreas, ti
chiamo dopo, scusa.”
“Ok, va bene.
Anzi… posso venire
lì?”, chiese piano.
“Sì,
certo! Vieni pure, così ne
parliamo meglio, mmh?”
“Ok, allora a
dopo. E grazie.”
“Di niente.
Ora scappo, ciao!”
Chiusi la chiamata e presi
velocemente il cellulare di Ale, me lo portai all’orecchio e
con voce
squillante salutai chi mi stava attendendo: “Tom! Che
sorpresa!”
“La signorina
si fa attendere,
eh?”
“Sono molto
impegnata, io.”
“Hai un
po’ di tempo per il
sottoscritto, stasera?”
“Ahm…
penso di sì. Il programma
qual è?”
“Bill e Ale
vanno al cinema,
visto che domani avete scuola e non potete stare fuori tanto. Potremmo
aggiungerci a loro e poi boh, chissà… la mia
macchina è sempre a disposizione”,
disse malizioso.
“Uhm,
allettante. Ok, va bene.
Allora ci vediamo stasera.”
“Non vedo
l’ora.”
“Anch’io”,
risposi trattenendo le
risate. Avevo già tutto in testa, programmato in ogni minimo
particolare:
sarebbe stata un’altra divertentissima serata.
Ridiedi il telefono ad Ale e lei
mi guardò alzando il sopracciglio, con fare severo.
“Non ho intenzione di fare sesso
con lui”, le spiegai. “Almeno, non questa
sera”, ridacchiai, ma venni
interrotta dal suono del campanello alla porta. “Vado io,
è Andy.”
“Gli
è successo qualcosa?”
“Un
po’ di casini con Jordin, ti
spiegherò.”
Aprii la porta e gli
sorrisi
appena sollevò lo sguardo da terra incrociando il mio. Senza
il bisogno di dire
qualcosa, lo abbracciai per il collo e lui mi strinse avvolgendomi le
braccia
intorno alla schiena, affondando il viso fra i miei capelli.
Sciolto quell’abbraccio carico
d’affetto e di solidarietà, salutò Ale
e ci misimo seduti sul divano, io
appoggiata con la testa alla sua spalla, a guardare un po’ di
televisione
mentre chiacchieravamo.
“Quindi
stasera vedi Tom”, disse
ad un certo punto.
“Esatto. E tu
vieni con me.”
“Che cosa?!
No, non ci penso
nemmeno a fare il quinto incomodo!”
“Ma
così mi vedi all’opera!”,
sogghignai.
“Non voglio
vederti all’opera!”,
ridacchiò spostandomi da
lui con fare scherzoso.
“Devi venire,
così pensi ad altro
e ti tiri su di morale.”
“Ma mi
deprimerò una cifra con te
che stai appiccicata a Tom e Bill e Ale che fanno i
piccioncini…”
“Oh, ma io non
starò appiccicata
a Tom…”
“Quell’espressione
malefica non
mi dice nulla di buono.”
***
“Ciao…”
“Andreas!”,
Bill e Tom si
girarono contemporaneamente e lo guardarono camminare a braccetto con
me, che
sorridevo beata sotto lo sguardo un po’ sorpreso e forse
deluso di Tom: ero in
semplice felpa rossa e jeans neri; gli occhi contornati da un filo di
matita
nera e mascara.
Deluso, Tom?
“Che ci fai
qui?!”, chiese Bill
mentre lo abbracciava.
“Ary mi ha
praticamente
costretto”, disse imbarazzato, portandosi una mano dietro la
nuca.
In un primo
momento sudai freddo, visto che mi aveva chiamato Ary… Ma
poi pensai che poteva
averlo costretto benissimo mia sorella… E inoltre i ragazzi
non fecero una
piega.
“Ah
sì, ciao ragazze!”, salutò
solare Bill, ma appena ci guardò gli lessimo negli occhi che
era confuso: a
causa dell’abbigliamento troppo simile non riusciva a
distinguerci.
“Tu sei
Ary”, mi indicò Tom con
ancora una briciola di speranza, “e lei è
Ale.”
“Ritenta,
sarai più fortunato!”,
trillai ridacchiando. “Io sono Ale, lei è
Ary”, dissi senza badare a mia
sorella che abbassava lo sguardo e ad Andreas che spalancava gli occhi
di
fronte a quell’affermazione. Forse solo lui, a parte la
nostra famiglia,
riusciva a distinguerci perfettamente.
Gli strinsi più forte il braccio,
sperando che capisse che non doveva dire niente, e per fortuna chiuse
la bocca corrucciato.
“Anche ai
migliori capita di
sbagliare, no?”, mi sussurrò
all’orecchio Tom con un ghigno.
Feci un sorrisino
disinteressato e mi scostai da lui, portando con me Andreas verso la
biglietteria, dove già si erano diretti Ale e Bill.
“Che
cos’è sta storia, me lo vuoi
spiegare?!”, mi sussurrò adirato, rosso in viso.
“Vi siete… scambiate!”
“Lo
so.”
“Ovvio che lo
sai! È una tua
stupidissima idea, vero?”
“Non
è poi tanto stupida: Tom e
Ale non sarebbero andati d’accordo; e ora lei è
contenta con Bill.”
“Ma…
ma la chiama… Ary!”
“Per lui lei
è Ary. Perché la
sera della festa io ho baciato lui e lei ha baciato Tom.
Invertendoci…”
“Che cazzata,
Ary! Se dovessero
scoprirlo come reagirai?!”
“Ovviamente mi
addosserò tutta la
colpa, Ale non c’entra, e non mi importa.”
“Non ti
importa?! Ma vuoi
spiegare che cosa ti frulla in quella zucca vuota?!”
“Tom
è solo un gioco, un
bellissimo e stupidissimo gioco. Non conta niente per me.”
“Certo, avrei
dovuto
immaginarlo”, sbuffò.
Ale si
schiarì la voce davanti a
noi e si girò un po’ con la testa dicendoci di
piantarla o ci avrebbero
scoperte davvero, mentre Bill guardava i film sul tabellone e parlava a
vuoto.
“Comunque non
rovinare tutto,
reggi il gioco”, dissi ad Andreas poco prima di sentire le
mani di Tom, dietro
di me, posarsi sui miei fianchi e il suo corpo appoggiarsi al mio.
“Allora,
scelto questo film?”, mi
sussurrò carezzevole all’orecchio.
“No,
è mia sorella che si intende
di film. Lascio scegliere a lei”, risposi secca, senza un
filo di malizia nella
voce come ero solita fare con lui.
“Mmh,
ok”, disse altrettanto
distaccato, spostandosi.
Sarà proprio una guerra fra
predatori, Tom, sogghignai
schioccando
la lingua.
***
Il film non era fra i
miei generi
preferiti, e nemmeno di Ale: Bill doveva averla convinta per forza e
lei doveva
aver ceduto di fronte ai suoi occhioni da cerbiatto. Chi non avrebbe
ceduto?
Persino io gli sarei cascata ai piedi! Ma non era il mio tipo ideale.
Io avevo un tipo ideale?
Bello,
alto, magro, depilato sul petto, grandi doti sessuali e grandi
capacità nell’utilizzo
di queste doti. Tom aveva tutti quei prerequisiti, ma non ero certa che
fosse
il tipo giusto per me, di cui innamorarmi. Andreas aveva ragione, non
sapevo
nemmeno cos’era, l’amore! Quella mi era ancora una
dimensione sconosciuta e
dubitavo di scoprirla molto presto.
Sarebbe stato molto difficile per
una come me legarsi stabilmente ad una persona sola per più
di qualche
settimana. Le mie relazioni erano durate al massimo due settimane, come
poteva
benissimo dimostrare Andreas con la nostra che era naufragata dopo una
sola
settimana. Mi stancavo delle persone, non riuscivo a legarmi
così profondamente
e pretendevano da me ciò che io non potevo dare loro.
Tom in quel senso era perfetto,
perché io non gli avrei chiesto nulla e lui non avrebbe
chiesto nulla a me:
eravamo liberi e un gioco l’uno per l’altro. E per
quanto potesse essere brutto
da dire o da pensare, a me piaceva quella situazione.
Ero seduta in mezzo a
Tom e ad
Andreas, mentre Bill e Ale erano vicini e qualche minuto prima lui
aveva
azzardato la mossa di prenderle la mano e lei aveva accettato con un
ampio sorriso,
stringendola a sua volta: erano davvero carini.
Andreas stava chiacchierando a
bassa voce con la ragazza minuta e molto carina che gli stava accanto:
si stava
consolando in fretta dalla rottura con Jordin e questo era quello che
si
meritava quella troietta da due soldi.
Tom invece sembrava interessato
al film quanto me e con la coda dell’occhio lo vidi
avvicinarsi al mio viso e
spostarmi i capelli dall’orecchio con la mano, delicatamente.
Io rimasi a
fissare lo schermo, nel frattempo che mi si dipingeva sul viso un
sorriso
divertito.
“Andiamo
fuori?”, mi chiese con
voce suadente.
“Non ora,
c’è il film!”, risposi
trattenendo le risate.
“Come se fosse
davvero più interessante
di quello che potremmo fare fuori.”
Mi girai verso di lui e
lo
guardai in viso: era semplicemente perfetto, anche in penombra, e con
quel
sopracciglio alzato e quel sorriso obliquo era ancora più
sexy.
Mi avvicinai lentamente a lui e
quando i nostri nasi si sfiorarono sorrisi: “Non sono la tua
puttanella, non
corro ad ogni tuo comando. Ieri sera è stato un
caso.”
“Un caso che
stranamente ti è
piaciuto, visto come gridavi.” Mi prese la mano e senza
schiodare gli occhi dai
miei me la portò sulla sua erezione, sotto i jeans larghi, e
la tenne lì sotto
la sua. “Usciamo?”
Non feci in tempo a
rispondere
che lo schermo si oscurò indicando la fine del primo tempo e
quando si accesero
le luci avevo già tirato via la mano e mi ero girata verso
Andreas che ancora
se la chiacchierava con la moretta.
“Andy io esco un attimo.”
“Ok, fai
pure”, disse
disinteressato muovendo la mano e facendo sorridere la ragazza. Le
sorrisi
anch’io scuotendo la testa e mi alzai in piedi
contemporaneamente a Tom.
“Dove
andate?”, chiese Ale
gettandomi un’occhiata severa.
“Fuori a
fumare”, dissi
sorridendole.
“Fate in
fretta”, continuò.
“Più
veloci della luce”,
sogghignò Tom superandomi e precedendomi fuori.
Lo raggiunsi e uscii
fuori dalla
porta girevole con una sigaretta penzoloni fra le labbra e
l’accendino fra le
mani.
Non riuscii ad accenderla perché Tom me la rubò
dalle labbra e se la mise
nel pacchetto mezzo vuoto.
“Ehi!”,
mi lamentai tentando di
riprenderla, lui mise il pacchetto nella tasca del jeans sogghignando e
io mi
portai le braccia strette al petto, appoggiandomi al muro dietro di me
con le
spalle.
“Non posso nemmeno più fumare.
Quella era l’ultima!”
“Ti fa
male.”
“Sì,
sì, lo so!”
“Piuttosto fai
qualcosa che ti fa
bene, no?”, si avvicinò e mi schiacciò
di più al muro premendo il suo bacino
contro il mio, sfiorandomi il collo e la guancia con il naso,
respirando forte.
“E se non mi
andasse?”
“Ti
convincerei…”
“Persuadimi”,
gli sussurrai
all’orecchio maliziosamente.
Tom mi guardò
negli occhi e mi
accarezzò i capelli, sistemandoli dietro le spalle.
“Beh… come posso persuadere te se
tu mi persuadi senza nemmeno parlare?”, mi guardò
da capo a piedi e viceversa
muovendo il piercing al labbro.
“Stai dicendo
che sono bella?”
“Sì,
ovviamente.”
“Non
è vero; so che non lo pensi:
ho visto la tua faccia quando sono arrivata. Speravi pure che io fossi
Ary per
come sono vestita. Ti aspettavi qualcosa di più…
sensuale?”
“Non
necessariamente. So cosa c’è
sotto…”, appoggiò la fronte alla mia e
infilò le mani nelle tasche posteriori
dei miei jeans, sul sedere.
“Il film
dovrebbe già essere
ricominciato, andiamo”, dissi scostandomi, ma lui mi riprese
fra le braccia e
mi baciò prepotentemente sulle labbra, facendomi mancare il
respiro.
Era così
irresistibile… Dovevo
sempre mantenere i nervi saldi quando ero accanto a lui, per non finire
come
tutte le altre, usate una volta e poi gettate. Se non avessi prestato
attenzione mi sarei solo fatta usare a suo piacimento e gli avrei dato
la
soddisfazione di aver catturato la sua preda e di averla intrappolata
in una
gabbia d’oro. Io non volevo fare quella fine, e dovevo
resistere a non
saltargli addosso ogni volta che lo vedevo.
“Ary mi
ucciderà se non torno
immediatamente”, dissi di nuovo con più decisione,
staccandomelo di dosso e
guardandolo in quegli occhi castani che mi guardavano speranzosi.
Ma no, stupidi occhi, stasera vi dovete
accontentare di quello che
avete visto.
Mi liberai dalla sua
stretta e
rientrai dentro, sentendomi vagamente in colpa, senza un apparente
motivo.
Tornai nella sala e il film, come
avevo detto, era già rincominciato. Passai davanti alle
persone infastidite
della mia fila e mi sedetti sulla mia poltroncina rossa, lo sguardo
rivolto
allo schermo ma con in testa solo quegli occhi…
“Ale…
Ale!”
Mi girai alla voce di
mia sorella
che mi chiamava e vidi il suo sguardo preoccupato. Poi vidi anche
quello di
Bill, che mi chiese dove fosse andato a finire Tom.
Non risposi a nessuna di quelle
domande, almeno non a voce, e sprofondai ancora di più nella
poltroncina, una
smorfia sulle labbra. Perché mi sentivo così? Mi
stavo facendo desiderare, era
andato tutto secondo i piani eppure… Non mi ero divertita
così tanto come
credevo.
Mi voltai verso sinistra
e vidi
Bill e Ale, che si tenevano per mano. Mi girai verso destra e vidi
Andreas e
quella moretta. Poi guardai il posto vuoto al mio fianco.
***
Tom, solo fuori dal
cinema, tirò
fuori il pacchetto di sigarette e guardandone attentamente il
contenuto, fra
tutte ne spiccava una con un segno lucido intorno al filtro:
lucidalabbra. La
estrasse desideroso e alzando lo sguardo verso il cielo limpido della
notte,
punteggiato da stelle e illuminato dal semicerchio perfetto della luna,
se la
portò alle labbra, sentendone il sapore dolce,
più dolce… Era diversa.
_______________________________________
Buonasera, Leute! *-*
Siamo tornate, siete contente?
[Silenzio di tomba] Okay, ce lo meritiamo dopotutto
ç_ç Ci avete lentamente
abbandonato, ma la speranza è l’ultima a morire e
speriamo vivamente che
torniate! [Me si mette in ginocchio xD]
Povero Andy, Jordin si è fatta un
altro alla festa del suo compleanno e ci è rimasto malissimo
ç_ç E le cose per
la povera Ary non vanno altrettanto meglio… stanno
precipitando! Voleva tanto
giocare, ma come mai non si diverte più? Uhm… a
voi la soluzione dell’enigma!
xD
Per quanto riguarda Bill e Ale,
invece… oh *-*
Bene, ringraziamo davvero di
cuore chi diligentemente ha recensito lo scorso capitolo:
Charls__
: Ciao cara! *-* Siamo contente che le due coppiette
confuse ti piacciano! E, visto che avevamo tanta paura delle tue banane
e dei
tuoi ananas, abbiamo fatto presto a postare ;) Speriamo ti sia piaciuto
anche
questo! Grazie mille, alla prossima! Un bacio anche a te!
Tokietta86
: Ciao anche a te! *-* Bill e Tom sono parecchio
diversi, sì, come lo sono due gemelline qui! xD Sono coppie
perfette così come
sono e pensa che prima erano l’inverso… che
pasticcio xD
Sì, Tom aspettava il bis (anzi lo
pretendeva) e Ary era pronta a farlo stare sulle spine e a divertirsi,
ma non è
successo. Che succederà ora? u.u
Bill invece è davvero dolcissimo
con Ale e le offre i passaggi quando la gemella la lascia a piedi xD Mi
sono
divertita un mondo facendolo, te lo posso assicurare ahahah xD
Grazie mille per la recensione e
per esserci sempre! *-* Speriamo che anche questo capitolo ti sia
piaciuto! Un
abbraccio enorme!
Un ringraziamento anche
a chi
legge soltanto, ci sta u.u :)
Alla prossima! Con
affetto,
Ale&Ary
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Capitolo 8 *** Felicità e sensi di colpa ***
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L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 9 *** L'eccezione ***
Buongiorno a tutti! :D
È passato quasi un mese, ma non
siamo morte e ci dispiace tantissimo per essere sparite. Più
che altro sono io
che sono sparita xD ma non importa u.u
Siamo di nuovo qui e questo è il nuovo capitolo! Speriamo vi
piaccia! *-*
Ah, già lo dico, la canzone
presente in questo capitolo è la bellissima “Running
up that hill” cantata
dai Placebo e Kate Bush (nell’originale
c’è solo Kate
Bush, ma io sono una patita dei Placebo xD).
Allora a dopo con i
ringraziamenti ufficiali! ;)
Ale&Ary
____________________________________________
Capitolo 9:
L’eccezione
Entrai in casa e mi
gettai sul
divano, respirando pesantemente e passandomi le mani sul viso.
Perché Tom non passava mai a
prendermi a scuola, come faceva invece Bill?
Corrugai la fronte e
scossi la
testa, dandomi della stupida per i pensieri che facevo.
Perché Tom avrebbe
voluto venire a prendermi? Io non ero niente per lui e lui non era
niente per
me. Più semplice e chiaro di così. E poi non
avevo bisogno di quello… no,
proprio per niente.
Sentii la porta aprirsi
e
sollevai la testa verso l’entrata, sulla quale
c’era Ale, con un espressione un
po’ triste. Che fosse successo qualcosa con Bill?
“Allora?
Com’è andata?”, scattai
in piedi andandole incontro, sorridendo.
“Tutto
straordinariamente bene,
purtroppo”, sfiatò, sedendosi sul divano.
“In che
senso… purtroppo?”
“Ci siamo
baciati.”
“E non ti
è piaciuto?!”
“Ma
no… che vai a pensare! È
stato bellissimo, è stato dolce e tenero… Non
come Tom”, fece una smorfia. Io
abbassai lo sguardo al suono di quel nome. “E a proposito di
lui, dobbiamo
parlare io e te.”
“Prima dimmi
tu che cos’hai. Vi
siete baciati, ma non hai una faccia contenta.”
“Infatti, non
ce l’ho perché non
sono contenta. Ary, questa situazione non mi piace. Te l’ho
già detto che è
un’idea stupida, insensata ed infantile?”
“L’infantile
mi mancava.”
“Non
scherzare, Ary”, puntò i
suoi occhi ardenti nei miei: non era proprio il momento di scherzare.
Anzi,
sentivo che avremmo potuto anche litigare…
“Non sto
scherzando. Non capisco
che cosa c’è che non va. Hai baciato Bill,
dovresti solo ringraziarmi!”
“Ringraziarti?!
Ringraziarti per
che cosa?! Perché lui mi chiami Ary?!
Perché crede
di aver baciato Ary?!
Perché crede
di star uscendo con Ary?!
Ma non capisci che prima o poi ci scopriranno e… Io ci tengo
a Bill, non voglio
perderlo per sta cazzata!”, gridò arrossendo in
viso.
“Va
bene”, dissi sollevando le
spalle.
“Va bene
cosa?”
“Va bene,
dì tutto a Bill, rovina
tutto. Tanto chissene frega di me. L’importante è
che sei felice tu con il tuo
principe azzurro”, mi alzai seria in volto, lasciandola quasi
a bocca aperta, e
mi sfilai il pacchetto nuovo di sigarette dalla tasca dei jeans,
dirigendomi
verso la veranda, quando sentii di nuovo la sua voce.
“Ma che cosa
stai dicendo?! Non
pensavo quello! E se dicessimo tutto ora, sarebbe meglio anche per
te!”
“Sese,
certo”, sventolai la mano.
“Ary, ma
ascoltami! Oppure se non
mi vuoi ascoltare parla tu! Dimmi quello che è successo ieri
sera con Tom!
Dimmi cosa ti frulla per la testa!”
“Niente”,
biascicai prima di
chiudermi le porte vetrate alle spalle.
***
“Ary…”
Guardai Ale sedersi al
mio fianco
con la coda dell’occhio e stringersi fra le braccia. In
effetti faceva freddo,
ma ormai mi ero abituata alla temperatura. Era da un po’ che
stavo rintanata lì
fuori, a pensare. A tutto, a niente.
“Uhm?”
“Mi dispiace
per prima…”
Mi girai e la guardai:
era a
testa bassa, le gambe strette al petto, che si abbracciava da sola. Mi
sentii
in colpa: lei non doveva scusarsi, la colpa era solo ed unicamente mia,
ero io
l’ideatrice di quella messa in scena.
“Non hai
niente di cui scusarti,
Ale. È colpa mia, lo riconosco. Solo
che…”
“Ti sei
incastrata?”
“NO. So
gestire… tutto.”
“Sì”,
annuì, poco convinta.
“Guarda che non è una cosa brutta essere
innamorati, eh.”
“Non
sono… innamorata…
di Tom”, dissi a denti stretti, stringendo i pugni.
“Perché
negare, se nemmeno sai di
esserlo?”
“Non lo so
perché non so nemmeno
cos’è… l’amore”,
abbassai lo sguardo.
“E non sono sicura di volerlo sapere.”
“Ary,
l’amore non è così orribile
come lo dipingi.”
“E invece
sì… Ho visto come sei
stata quando Aaron…”, continuai più a
bassa voce, nonostante non ci fosse
nessuno ad ascoltarci.
“Aaron non
c’entra niente in
questa storia”, mi guardò male, una smorfia sul
volto. “Qui si sta parlando di
te, non di me.” Aspettò una qualsiasi mia
risposta, ma non schiodai gli occhi
dall’erbetta congelata del giardino: il mio cervello si stava
lentamente
fondendo. Stavo pensando a troppe cose contemporaneamente e non ci
capivo
molto. L’amore era anche un argomento troppo difficile su cui
pensare!
"Bene.
Questo tuo silenzio mi dà da pensare, sai? E sai cosa penso?
Vuoi sapere cosa penso? Penso che non crescerai mai se ti ostini a
comportarti
da bambina, Ary. Ti conosco, ti conosco meglio di me stessa…
Per quanto tempo
vorrai ancora fare finta di niente?"
“Non sto
facendo finta di
niente”, dissi fissando i miei pugni stretti e le nocche
diventare bianche
dallo sforzo.
“Ancora? Ary smettila! Non dire
cazzate proprio a me! Io
ti conosco!”,
gridò prendendomi le
mani e facendomi voltare verso di lei, guardandomi negli occhi.
“Allora… allora mi sa
che sono io che non mi conosco… Che cosa devo
fare?”, mormorai con gli occhi specchiati nei suoi,
sentendomi piccola e
stupida. Stupida sul serio.
“Magari parlare con
Tom?”, roteò gli occhi al cielo, anche se con un
sorriso divertito sulle labbra.
“Parlare?”
“Non dirmi che non ci hai mai
parlato!”, sgranò gli occhi.
“Ehm… ieri sera, forse.
E mi sono sentita malissimo… Meglio stare zitti,
a questo punto.”
“Io rischio di diventare pazza con
te. Fai dei ragionamenti contorti!
Prova a… a rilassarti e a stracciare ogni tuo copione. Vai
lì da lui
disorganizzata, senza piani diabolici per conquistare la preda o cose
del
genere, ok? Non siete degli animali, ma degli esseri umani, con dei
sentimenti!
Se davvero lui tiene a te non penserà solo a portarti a
letto nella sua
macchina. E se non tiene a te, non lasciarti usare.”
Abbassai lo sguardo: lei aveva sempre
ragione; peccato che non
l’ascoltassi quasi mai. Quella volta però
decisi che l’avrei ascoltata, dovevo
fidarmi di lei per uscire fuori da quella situazione complicata.
“Grazie”, sussurrai. La
guardai di sottecchi e vidi un suo sorriso dolce.
“Vieni qui”, mi disse
avvicinandomi a lei e abbracciandomi. Appoggiai la
testa alla sua spalla sospirando e quasi non mi mangiai il pelo intorno
al suo
cappuccio. Lo spostai ridacchiando e ricambiai la stretta, chiudendo
gli occhi.
“Rientriamo?
Sto gelando”, disse
dopo un po’, stringendomi di più a lei. Io annuii
sciogliendo l’abbraccio e la
seguii all’interno, dove una ventata di aria calda profumata
di cioccolata mi
fece rilassare: sicuramente opera di mamma.
“A
proposito… Ma noi non abbiamo
una nota da…”, mormorai guardando Ale al mio
fianco, che scocciata annuiva.
“E tutto per
colpa tua”, mi
ricordò dandomi un coppino.
“Ahia! Siamo
maggiorenni, non
deve farci le prediche come quando eravamo bambine.”
“Tu sei
rimasta bambina, Ary. Non
devi appellarti sempre al fatto che hai diciotto anni sulla carta
d’identità.
Devi averli anche mentalmente, se no non conta.”
Le feci il verso
imitando la sua
voce e le sue espressioni autoritarie, beccandomi fra l’altro
un pugno sulla
schiena, a tradimento, mentre prendevo il libretto su cui il carissimo
professor Schulz aveva scritto la nota.
“Mamma,
abbiamo un regalo di
Natale anticipato per te e papà!”, gridai entrando
in cucina e ridacchiando.
“Che avete
combinato?”, sospirò Anna
tirandosi i capelli corti e di un castano tendente al rossiccio dietro
le
orecchie
“Nulla…”
Mamma mi
strappò il libretto
dalle mani e si mise a leggere la nota ad alta voce, così
che anche Davide,
appena entrato, potesse sentire com’erano brave le sue
sorelline:
"Gentilissimi signori
Wienecke, tengo ad informarvi che le vostre figlie, durante la lezione
di
matematica, non seguono la spiegazione, dedicandosi anzi ad
attività ludiche di
altro tipo: quali il lancio di carta e cancelleria varia. E' l'ultimo
richiamo,
per quanto riguarda la mia materia, la prossima volta non
esiterò a mettere
loro una nota di demerito nel registro. Distinti saluti, professor
Schulz",
ci guardò severamente con quegli occhi castani che ci
appartenevano e io e Ale
ci strinsimo nelle spalle, gettandoci uno sguardo a vicenda.
“È stata colpa
sua!”, gridammo assieme, indicandoci. Dopodiché
scoppiammo
tutti a ridere.
***
Ero seduta in veranda,
al mio solito
posto sui grossi gradini di legno; una sigaretta si consumava
pigramente fra le
mie dita mentre ascoltavo una delle mie canzoni preferite con le cuffie
dell’iPod nelle orecchie e guardavo il cielo scuro e freddo
della notte,
aspettando l’arrivo di Bill e Tom: sarebbero passati a
prenderci loro, visto
che non sapevamo dove fosse il ristorante perché doveva
essere una sorpresa, da
quello che aveva detto Bill, e che mamma e papà erano usciti
a cena fuori anche
loro. Loro non sapevano ancora dei nostri… frequentatori.
It
doesn’t hurt me
You want to feel, how it feels?
You want to know, know that it doesn’t hurt me?
You want to hear about the deal I’m making
You, you and me
[Non mi
ferisce
Vuoi sentire, che effetto fa?
Vuoi sapere, sai che non mi ferisce?
Vuoi sentire dell’accordo che sto facendo
Tu, tu ed io]
Era una delle mie
preferite,
nonostante fosse molto riflessiva e con un significato tutto suo da
cercare e
trovare fra tutte quelle parole non tristi, ma nemmeno
felici… una via di
mezzo.
Mi piaceva riflettere,
dopotutto.
Sempre se gli argomenti non erano troppo pungenti, come
l’argomento Tom.
Ogni volta che Ale mi chiedeva che
cosa mi frullasse nella testa quando c’era lui di mezzo io le
rispondevo con un
bel “Niente”. Schivavo la questione pure con mia
sorella gemella, la mia anima…
Ero messa parecchio male.
Tom era totalmente fuori
dal
normale, era riuscito, nel giro di così poco tempo, a farmi
fare fin troppi
ragionamenti: sul perché mi sentissi così bene al
suo fianco, perché mi
sentissi il cuore impazzire e lo stomaco, inondato di farfalline,
contorcersi.
Perché non riuscissi più a pensare razionalmente
accanto a lui. Perché non
riuscissi mai ad estraniarmi da tutte quelle sensazioni e a pensare che
infondo
era solo un gioco. Perché non riuscissi più tanto
a divertirmi, comportandomi,
con lui, come avevo sempre fatto con tutti gli altri. Avevo pure
pensato a cosa
significasse… amare.
Ed era
totalmente fuori dal normale.
Mi portai i capelli,
divisi in
accurati boccoli, su una spalla sola e spensi la sigaretta nel
posacenere, quando
sentii il campanello suonare e Ale gridare un: “Vado
io!” per poi precipitarsi
con grazia alla porta.
Io rimasi ferma
lì, stretta nelle
braccia e piegata in avanti, con il sangue che circolava a
velocità folle nelle
vene a causa della tensione: non avevo copione, non sapevo come sarebbe
finita
e cosa avrei fatto. Forse Ale aveva ragione, non dovevo pensare a
niente e
lasciarmi trasportare da quello che sentivo… E se mi fossi
fatta del male?
Sentii le voci dei
ragazzi
all’interno e sentii chiaramente Tom chiedere ad Ale dove
fossi. Dopodiché
sentii dei passi avvicinarsi sempre di più e la porta
finestra aprirsi, così
chiusi gli occhi, trattenendo il respiro, il cuore che scoppiava nella
cassa
toracica.
Smise di camminare e un istante
dopo sentii due mani calde infilarsi dentro il colletto del mio
giubbino aperto
e poggiarsi sulle mie spalle.
“Ehi”,
mormorò. Io alzai lo
sguardo all’indietro e lo vidi: bello come sempre, un
cappellino di lana nera
sulla testa e un sorriso dolce dipinto su quelle labbra che avevo avuto
il
piacere di baciare più di una volta. Ma era stato
così… statico, senza
sentimenti…
“Ciao
Tom”, sussurrai tornando a
guardare il giardino di fronte a me.
“C’è
qualcosa che non va?”, mi
chiese sorprendendomi, sedendosi al mio fianco. Appena sentii il suo
corpo
sfiorare il mio un brivido mi percorse la spina dorsale e mi strinsi
nelle
spalle, irrigidendomi. Che mi stava succedendo?
“Hai freddo?”, mi chiese ancora.
“No,
io…” Ma non feci in tempo a
dire altro, perché mi strinse fra le braccia, appoggiando il
mento alla mia
testa. Avevo l’orecchio premuto direttamente sul suo petto,
fra il giubbino
slacciato, al caldo, e sentivo il suo cuore battere a
velocità… notevole.
Sembrava andare alla pari con il mio, e non era poco.
“Niente,
solo… pensavo”,
sussurrai chiudendo gli occhi e godendomi appieno quel momento: il suo
calore,
il suo profumo, le sue braccia protettive intorno alla mia schiena.
“A che cosa?
Sembri giù di
morale.”
“No…
Ho solo avuto una piccola
discussione con… Ary, prima. Ma abbiamo già
risolto.”
“E
perché avete discusso?”
“Per il
mio… ehm… comportamento
con il sesso apposto.”
“Per me,
dunque.”
“No!”,
mi allontanai allarmata,
agitando le mani. Sentivo anche le guance bollirmi… Che
fossi arrossita? “Cioè…
Io sono grande, faccio quello che mi pare”, continuai a bassa
voce,
riappoggiandomi al suo petto con la fronte.
“Mi…
mi dispiace per quello che
ho detto a tua sorella al cinema, quando sono tornato. E per come mi
sono
comportato in generale.”
Sgranai di colpo gli
occhi, ma
rimasi nascosta contro il suo petto, fino a quando un sorriso non mi
illuminò
il viso. Era nato naturalmente, senza comandi… era un
sorriso vero. Come pochi
ne facevo, come pochi ne offrivo.
“Non ti devi dispiace di niente.
È anche colpa mia, potevo pensarci di più, prima
di fare qualsiasi cosa.”
“Te ne sei
pentita?”
“No, pentita
no. Però… potevo
riflettere meglio sulle conseguenze. Prevederle, ecco.” Anche se sarebbe stato comunque
inutile…
“Io non ti
capisco, ci rinuncio”,
sbuffò sorridendo, passandomi, quasi affettuosamente, una
mano fra i capelli.
Io gli sorrisi e il mio
sguardo
si incatenò nel suo, spazzando via tutto il resto: tutte le
preoccupazioni,
tutta l’ansia, tutti i rumori e le cose reali intorno a noi.
Sentivo solo il
mio cuore battere a raffica, il suo respiro sopra al mio e i miei occhi
nei
suoi.
Alzò la mano
lentamente e io lo
guardai sbigottita quando la sentii sfiorarmi la guancia con una
delicatezza
che non aveva mai usato. Era tutto un sogno, vero?
Oppure un incubo.
Che cosa stava facendo? Perché mi
trattava in quel modo… capre di farmi sentire
l’unica al mondo? Perché? Perché?
Era proprio quello che non
volevo.
Mentre nella mia testa
c’era uno
scontro di pensieri, sentii il suo respiro caldo sempre più
vicino e accennai un
sorriso imbarazzato sentendo le sue labbra sfiorare le mie. Mancava
ormai poco:
desideravo quel bacio, lo volevo con tutte le mie forze, ma non sarei
mai
riuscita a portarlo a termine da sola, come avrei fatto sicuramente se
fosse
stato tutto a posto. Ma, evidentemente, c’era qualcosa che
non andava, perché
non riuscivo a muovermi. Ero paralizzata.
Sentimmo la porta
vetrata aprirsi
e ci allontanammo di scatto l’uno dall’altra,
guardando quasi spaventati verso
l’entrata al salotto.
“Ragazzi,
ehm… scusate”, disse
Ale stringendosi le mani. Bill era dietro di lei che sbirciava.
“Andiamo?”
“Sì,
andiamo”, annuii
frettolosamente, alzandomi e infilando le mani in tasca, passando a
testa bassa
accanto ad Ale, che mi guardò apprensiva: probabilmente
aveva già capito tutto,
quando io non
avevo capito un bel
niente.
***
Per la prima volta in
vita mia mi
ero sentita tremendamente in imbarazzo in macchina con Tom. Ale e Bill
erano andati
con la nostra. Non avevo fiatato per tutto il tempo e non avevo fatto
altro che
guardare fuori dal finestrino per non incontrare i suoi occhi, quegli
occhi
che… mi mettevano in agitazione.
Ora avevo paura di lui,
perché se
davvero Ale aveva ragione, se mi stavo innamorando
veramente… sarebbe stato un
bel casino.
Io non volevo innamorarmi, perché
in amore si soffriva e basta. E per quando Ale potesse tentare di
convincermi
che fosse il contrario la maggior parte del tempo, beh… non
ci avrei creduto,
fin quando non avrei visto che aveva ragione.
Ma se non ci provo non lo saprò
mai…, sbuffai
guardando dentro il
mio piatto.
Il posto era carino,
sconosciuto
e riservato, ed era uno di quei ristoranti in cui le cose da mangiare
venivano
cucinate in una grande cucina
“all’aperto”, nel centro della sala da
pranzo, da
cui si poteva vedere come lavorassero gli chef e i cuochi prima che i
piatti
venissero serviti a tavola.
Nonostante tutto però, non
riuscivo a schiodarmi dalla testa quei pensieri e rilassarmi e godermi
la
serata. Come si era comportato prima Tom mi aveva confusa, parecchio
confusa; non
sapevo più che pensare.
Bill e Ale erano la
coppietta
felice che un pochino invidiavo, perché io non sarei mai
riuscita a legarmi ad
una persona veramente, come faceva Ale. Il motivo era semplice: la
paura di
soffrire. Io avevo sempre fatto
soffrire, non avevo mai sofferto io. Ma prima o poi sarebbe arrivato il
giorno
in cui si sarebbero invertiti i ruoli e sentivo che quel giorno era
pericolosamente vicino.
“Che hai?
È tutta la sera che sei
strana”, sbottò Tom ad un certo punto della cena,
attirando su di noi anche gli
sguardi di Ale e Bill che fino ad allora aveva chiacchierato
tranquillamente, sorridendosi.
“Non ho
niente”, balbettai,
preoccupata.
“Sì,
certo. Non hai quasi mai
parlato, te ne stai ferma lì, a pensare ai cavoli tuoi.
Cioè… io mi sento
trascurato!”
“Scusami”,
abbassai lo sguardo.
“Eh?”
“Cioè…
Scusami
un corno! Non posso avere i cazzi miei?!”, reagii,
sentendomi uno schifo completo.
“Se sapevi che
avevi i cazzi tuoi
non uscivi con me, a questo punto! Mi sarei divertito di più
a casa con Gustav!
Venivano Bill e Ary e fine della storia! Non che dici di sì
per poi stare
zitta!”
“Ma…”,
fronteggiai un po’ il suo
sguardo ardente, poi cedetti e ringhiai frustrata, prendendo il mio
giubbino e
uscendo fuori, senza aggiungere altro né voltarmi indietro,
nemmeno per Ale.
Lei avrebbe capito. E poi non volevo rovinarle la serata, avevo
già fatto
abbastanza.
Arrivata nel parcheggio,
mi resi
conto che non potevo muovermi da lì: le chiavi della
macchina ce le aveva Ale e
di ritornare dentro non ne avevo la minima intenzione. Sbuffai,
innervosita da
tutta la situazione, e mi appoggiai al cofano freddo della Ypsilon, le
mani sul
viso.
Mi stavo complicando solo la
vita, pensando a tutte quelle cazzate sull’amore!
Perché io non ero innamorata
di Tom, non lo ero.
“Ale!”
Non lo sono.
“Ale, mi vuoi
spiegare che cosa
cazzo c’è che non va?!”
Non lo sono.
“Ale…”,
mi prese per le spalle e
mi guardò negli occhi, sembrava dispiaciuto.
Io ricambiai lo sguardo
e lo
presi per la nuca, avvicinandolo alle mie labbra. Lo baciai con foga,
stringendogli
forte le braccia intorno al collo. Ci staccammo solo per riprendere
fiato e
ossigeno, necessario per la nostra sopravvivenza.
“Casa mia
è libera, fino a quando
Ary non torna con Bill”, gli sussurrai all’orecchio.
Non lo sono,
mi convinsi, cacciando giù quel nodo enorme che mi si
era formato in gola.
***
Guardavo il soffitto, le
mani
unite sul ventre, mentre lo sentivo rivestirsi nella penombra della
stanza mia
e di Ale. Sarebbe tornata a momenti, doveva muoversi ad andarsene.
“Ale?”
Mi girai verso di lui:
lo vidi in
piedi al mio fianco, che mi guardava. Aveva uno sguardo strano, come se
si
sentisse in colpa. Ma non ci pensai, non riuscivo a pensare a niente in
quel
momento, insultandomi da sola per quello che avevo fatto: avevo ceduto,
avevo
ceduto proprio come una fessa, e le conseguenze erano che mi sentivo
una merda
di troietta.
“Tutto
bene?”
Annuii distrattamente,
con occhi
vacui. Avevo una gran voglia di piangere, ma io piangevo solo ed
esclusivamente
per le cose più importanti, ed erano pochissime, tra cui Ale
e la mia famiglia.
Tom non poteva essere diventato già così
importante…
“Allora io
vado”, disse
chinandosi su di me e scostandomi i capelli dalla fronte con le dita,
dandomi
un bacio a fior di labbra: il bacio più bello di tutta la
serata. Anzi, il
quasi-bacio sulla veranda era stato il più bello in assoluto.
“Ci
sentiamo.” Si avviò alla
porta e con la mano sulla maniglia, si girò e mi
guardò: “Ale?”
“Sì?”,
chiesi a bassa voce.
“Me lo fai un
sorriso?”
Ci provai, ci misi tutta
me
stessa, ma non seppi mai come mi venne: se solo una smorfia o un
sorriso
accettabile. L’importante era che gliene avesse fatto
comparire uno a lui, su
quelle sue labbra stupende e perfette.
Uscì dalla
mia camera e lo sentii
trottare giù dalle scale e chiudersi la porta alle spalle.
Io mi rivestii,
infilandomi dentro il mio pigiama azzurro, e andai alla finestra,
sbirciando da
dietro la tenda chiara. Lo guardai incrociare Ale sul vialetto e
rispondere a
qualche sua domanda, si salutarono e ognuno andò per la sua
strada: Ale entrò
in casa, Tom salì sulla sua auto e schizzò via,
veloce come si era infilato fra
le coperte del mio letto.
Mi trascinai di nuovo in
quel nostro
piccolo nido malmesso ed instabile e mi rannicchiai su un fianco, in
posizione
fetale, stringendo forte gli occhi, fra le coperte calde che
profumavano di lui
e che mi facevano salire il magone in gola, senza un perché
preciso.
“Ary!”,
gridò Ale infuriata, camminando
a passo di marcia verso il mio letto e scuotendomi con violenza.
“Che cosa
c’è?!”, gridai a mia
volta.
“Ho incontrato
Tom.”
“Mi fa
piacere”, mormorai
rigirandomi ed infilandomi le cuffie dell’iPod, che avevo
preso dal comodino
con una mano.
“Ary…”,
mormorò non toccandomi
più, come ferita.
“Ho sonno, e
domani c’è anche
scuola. Buona notte Ale”, dissi prima di chiudere gli occhi,
di rannicchiarmi
di più sotto le coperte e di deglutire forte, sentendomi
male il doppio
rispetto a prima. Lei non c’entrava niente, assolutamente
niente…
C’era ancora
la canzone di quella
sera, e non mi fece stare meglio.
And if I only
could
make a deal with God,
get him to swap our places,
be running up that road,
be running up that hill,
be running up that building
If I only could, oh…
[E se
solo potessi
fare un patto con Dio,
convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina,
salirei di corsa quell’edificio
Se solo potessi, oh…]
_____________________________________________
Tokietta86
: Ciao cara! Come al solito grazie, i tuoi elogi ci
fanno perdere la testa xD
Sì, ormai si è capito che Bill e
Ale sono la coppia sdolcinata del quartetto xD A volte fanno venire il
diabete
u.u No, scherzo xD
No, Ale e Tom non sono come cane
e gatto o.o Vedrai che cambierai opinione presto xD
Uhm, Tom geloso? (Hai la vista
bionica, oppure i super sensi, ma ciò che dici ha sempre un
fondo di verità…
magari siamo noi prevedibili, boh xD).
Tutte e due si stanno accorgendo
che la messa in scena non può andare avanti ancora per
molto, ma chi lo sa u.u
Come reagiranno i gemelli? Ah, bella domanda! xD Dovrai aspettare per
capirlo
(a meno che non capirai anche questo prima del previsto ù.u
xDD)
Grazie mille! *-* Un abbraccio
enorme, al prossimo capitolo!
Charls__
: Ciao! ^-^ Ahahah i due bradipi xD Poveretti!
È vero Ale è quella che ci sta
soffrendo di più, ma anche Ary non se la passa benissimo,
no? :-s
A noi gli ananas e le banane
piacciono! ù_ù xDD
Speriamo che la tua pazienza sia
stata ricompensata e che la tua curiosità un po’
placata… Ma ti vogliamo sempre
così! ;)
Un abbraccio grande anche a te,
alla prossima!
iLARose
: Ciao! Siamo contente che ti piaccia! *-*
Bill è molto dolce, è vero. Quel
cucciolo :D
Mmh… come vanno le cose tra Ary e
Tom? xD
Un bacio, alla prossima!
Grazie
anche a chi ha letto
soltanto! :) Un bacio, alla prossima!
Vostre, Ale&Ary
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Capitolo 10 *** Sensazioni ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/584547.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 11 *** Incontri dal passato. E dal presente ***
Capitolo 11: Incontri dal passato. E dal
presente
Odiavo quella
situazione, con
tutte le mie forze. Per quello che mi ronzava continuamente nella testa
stavo
trascurando mia sorella, sentivo che la stavo facendo soffrire. Ma non
riuscivo
proprio a fare come se non stesse accadendo niente. Qualcosa stava
accendo,
questo era certo; dovevo solo capire che
cosa, e perché. Che
fosse davvero causa di Tom?
“Mi sa che
vuole te”, sussurrò
Ale, dandomi una leggera gomitata sul fianco.
Alzai la testa e guardai
davanti
a me: Tom si stava avvicinando con il suo passo impacciato e allo
stesso tempo
elegante. Che ci faceva lì? Avrei voluto sparire, diventare
invisibile, fuggire
oppure nascondermi. Ma ormai era lì, che ci guardava.
“Ciao
ragazze!”, cinguettò; io
abbassai il capo, pensando alla sera prima, alla mia
stupidità, serrando i
pugni, senza ricambiare il saluto.
“Ciao Tom. Io
vado, eh. Mi
raccomando”, disse Ale guardandoci e poi
incominciò ad avviarsi verso l’Audi di
Bill.
Realizzai di non averla
nemmeno
salutata quando ormai era troppo tardi: era già entrata
nell’auto e stava
chiacchierando con il cantante.
Tutta colpa di Tom!
“Che ci fai
qui?”, chiesi fredda,
distaccata, mantenendo le distanze.
Oltre che a riversare
tutta la
mia rabbia repressa su di lui, pensai che non potevo rischiare che
diventasse
davvero importante; dovevo mettere assolutamente dei paletti fra noi, o
sarebbe
stata la fine per me: sarei passata velocemente dalla parte di quella
che
soffriva, e non ne avevo assolutamente l’intenzione.
“Sono…
sono venuto a prenderti a
scuola”, rispose tranquillamente, anche se era confuso dal
mio comportamento
scazzato.
“Con la
macchina di tuo fratello”,
sollevai un sopracciglio, portandomi una mano sul fianco.
“Beh…
tanto ce l’hai tu la
macchina”, sorrise.
“Senti, non
è proprio giornata,
ok?”
“Ok! Ma non
vedo il motivo perché
mi devi trattare così! Io ho pensato di fare una cosa carina,
venendo! Ary ha detto a Bill, che l’ha detto a me, che
anche tu volevi che ti venissi a prendere…”,
ghignò.
“Cazzate”,
arrossii di botto: più
sgamabile di così!
Mi girai e mi incamminai
velocemente verso la Ypsilon,
senza degnarlo di un altro sguardo, anche se sentivo una strana
sensazione
pungere all’altezza del petto. Mi stavo per infilare in
macchina, al posto del
guidatore, quando sentii una mano fermarmi per il braccio e farmi
tornare
indietro.
“Posso sapere
che ti ho fatto di
male, in questi due minuti, per meritarmi questo trattamento da
zerbino,
cortesemente?”, disse tra i denti, tentando di mantenere la
calma, ma la sua presa
sul mio braccio era forte, e lasciava intendere quanto in
realtà fosse
arrabbiato.
“Niente”,
sollevai le spalle.
“Ora mi lasci, che mi fai male?”
Mi lasciò e
sfruttò il momento in
cui io mi massaggiai il braccio per infilarsi al mio posto
nell’abitacolo,
costringendomi a fare il giro e a mettermi nel posto del passeggero.
Era la mia
macchina ed io ero il passeggero, pazzesco!
Sbattei la portiera e mi
misi a
braccia incrociate, cupa in volto, sprofondata nel sedile, dopo avergli
passato
le chiavi. La situazione mi stava scappando via dalle mani, da
burattinaia
stavo diventando il burattino. Non mi piaceva per niente.
“Che problema
hai?”, sbuffò
esasperato, partendo sgommando e facendomi appiattire al sedile dallo
spavento.
“Tu sei il mio
problema, Tom!”,
gridai.
“Ah, sarei io il
tuo problema? Ieri sera non sembravo un problema, e l’altra
sera ancora nemmeno!”
“Allora sei tu
che hai dei
problemi, qui, non io.”
“Illuminami.”
“Che cosa
credi ci sia tra noi?”
Lo guardai e lo vidi corrugare la
fronte e boccheggiare per un attimo, poi serrare e leccarsi quelle
labbra che
d’impulso mi fecero correre il cuore e far venire una voglia
irrefrenabile di
baciarle.
“Ma che
c’entra questo?”, chiese.
“C’entra.
E se… se non mi dai una
risposta ora… io ti lascio a piedi”, dissi a
fatica, deglutendo: volevo quella
risposta, volevo che mi rispondesse, ma ne avevo anche paura.
“Puoi farlo a
tua sorella, non a
me. Non lo faresti mai”, fece un sorrisetto presuntuoso e
pieno di sé; io mi
puntai le braccia al petto e sospirai: stava guidando lui comunque. Ed
ero
condannata a non avere una risposta.
Tanto è solo sesso, solo puro e
sanissimo sesso, mi convinsi per
l’ennesima volta, mettendo da parte il mio cuore che gridava
che forse non era
proprio così.
Lui sorrise felice,
tornando a
guardare la strada, concentrato. “Dove andiamo?”,
mi chiese.
“A casa mia,
chiedo troppo?”
“No, a me va
benissimo”, sorrise.
“Intendevo che
io andavo a casa
mia, tu alla tua.”
“E mi lasci a
piedi?”
“Esattamente.
Te l’ho detto che
l’avrei fatto.”
“Sei
scorretta.”
“Sì,
lo so, grazie”, sogghignai,
girandomi fra le dita una ciocca di capelli biondi.
“Allora…
ti devo portare
seriamente a casa?”
“Sì,
grazie.”
“Io in
verità volevo passare un
po’ di tempo con te…”
“Io non ne ho
di tempo, sono una
ragazza impegnata”, sventolai una mano, guardandomi le unghie
dell’altra.
“Immagino…”,
borbottò.
“Dico sul
serio! Quest’anno ho la
maturità e sarebbe utile che io iniziassi a studiare, cosa
che non ho mai fatto
seriamente. E poi dopo devo andare in piscina.” Ovviamente la
prima era una
scusa bella e buona: studiare non era un verbo presente nel mio
vocabolario. Ma
la seconda era vera al cento e uno per cento.
Nuotavo da quando ero bambina,
quella passione era nata subito in me, come un fiume in piena restando
in tema
d’acqua, al contrario di Ale, che si era rivolta verso
qualcosa di più
tranquillo dopo essere finita in acqua con l’accappatoio,
spinta da un
ragazzino più grande. Io ero stata lì
lì per picchiarlo, ma mamma mi aveva
trascinata via appena in tempo, mentre Ale piangeva fra le sue braccia.
“In
piscina?”, chiese
ridacchiando. “Fai nuoto?”
“Che ci trovi
di tanto
divertente?”
“Nulla, mia
cara Alessandra. Ehi…
ma non è un nome tedesco, questo”,
corrugò la fronte.
“Mr Arguzia,
te ne sei accorto
adesso?”
“Beh…
sì”, scoppiò a ridere.
Chissà
in che modo, riuscì a strapparmi una risatina pure a me. Era
semplicemente
fuori dal normale, unico nel suo genere. Anche per questo mi faceva
paura.
“Nostra madre
è italiana, papà è
tedesco. Per questo sia io, che Ary, che nostro fratello, abbiamo nomi
italiani.”
“Oh,
capisco… Siamo arrivati.”
Di già?
Mi schiaffeggiai mentalmente per quel pensiero e annuii a
Tom che mi guardava, prima di scendere dalla vettura ed incamminarmi
verso il
parco proprio di fronte a casa.
“Ehi tu, Miss
Intelligenza, stai
andando dalla parte sbagliata”, mi fece notare Tom, indicando
la villetta alla
sua sinistra.
“Nah, sei tu
che pensi che io
voglia entrare in casa.”
“Brutta
stronza, mica devi
studiare?”, ridacchiò.
“Non ne ho
voglia”, sorrisi e mi
girai, lui mi raggiunse e mi affiancò.
***
Era una strana
sensazione
camminare al suo fianco in quel parco poco frequentato, in un viale
ricoperto
di foglie che andavano dall’arancione al marroncino, i rami
spogli degli alberi
che si stendevano verso il cielo coperto. Mi dava un senso di
tranquillità ma
anche di agitazione, perché era come se fossimo soli in
mezzo al niente. Senza
difese, senza copioni, guidati solo dall’istinto e dalle
emozioni che più di
una volta con lui mi avevano trascinata a sbagliare tutto.
Possibile che fossi
così
instabile, accanto a Tom? Tutta la mia sicurezza andava a farsi fottere
e
questo mi spaventava, fra tutte le mie altre paranoie. Forse dovevo
darmi
davvero una calmata, come mi aveva detto Ale. Ma era più
forte di me!
“Che
silenzio…”, mormorò lui,
guardando in alto. “Che hai fatto oggi a scuola?”
“Nulla di
interessante”, sollevai
le spalle. “E tu che hai fatto oggi?”
“Uhm…
ho dormito fino a quando
Bill non mi ha svegliato per chiedermi se volevo venire con lui a
prendervi.”
“Cioè…
tu ti sei alzato… per
me?”, balbettai, rossa.
“Ormai mi
aveva svegliato”, mi
sorrise, un sorriso così dolce capace quasi di sciogliermi.
“Oh…
ehm… è stato molto carino da
parte tua, comunque”, mi strinsi nelle spalle, nascondendo il
mento e la bocca
nel colletto del cappotto chiaro.
“Di
nulla…”, sussurrò, le mani
nelle grandi tasche dei jeans.
Era tutto
così… imbarazzante! Non
riuscivo nemmeno a parlarci: ogni argomento che mi veniva in mente mi
sembrava
stupido così lasciavo perdere. Per questo ero stranamente
silenziosa e
rinchiusa in me stessa. Che stessi cambiando,
stando con lui?
“Comunque…
quella domanda che mi
hai fatto prima… Che cosa c’è tra
noi…”, incominciò incerto, gesticolando
con
le mani. Io lo guardavo con il cuore in gola, intimidita da qualsiasi
altra
parola che potesse uscire dalla sua bocca. “Penso
che… ci sia qualcosa.”
“Qualcosa?”,
ripetei. Lui annuì.
“Fino a qui ci ero arrivata anch’io, non
credi?”
“Mah, chi
può dirlo! L’idiozia è
una malattia contagiosa!”, ridacchiò, beccandosi
un mio pugno sul braccio.
“L’avrò
presa da te, no?!”
“Lo escludo!
Io sono troppo
intelligente!”
“L’importante
è crederci!”, risi
spensieratamente, assieme a lui. Guardai l’orologio al mio
polso e trattenni il
fiato: ero in ritardo! “Tom, sono in ritardo! Io devo andare
in piscina!”,
esclamai, facendo retrofront e camminando a passo spedito verso casa,
anche se
avrei voluto stare con lui ancora un po’.
“Ma allora ci
vai sul serio in
piscina?”
“Ancora!
Sì ti ho detto!”
“Io pensavo
che scherzassi! Però
saresti sexy in costume!”
“Non mi
immaginare in costume,
Tom! Guarda che so leggerti nella testa, sei prevedibile!”
“Accidenti,
come farò ora!”,
rise. “Dai, muoviti.”
Presi le chiavi e aprii
la
macchina, lui quella volta si mise al posto del passeggero.
“E poi come
credi di tornare a
casa?”, gli chiesi corrugando la fronte.
“Quando torni
a casa tu.”
“Cioè…
stai lì a guardarmi mentre
nuoto?”
“Qualche
problema?”
“Beh…
sì!”, gridai, il fiato
corto e il viso paonazzo. Stava superando ogni limite! “Io
odio le persone che
mi stanno troppo addosso, ok? Mi devi lasciare stare! Devi lasciarmi
respirare!
Perché tu non puoi…” Mi
tappò la bocca con un bacio mozzafiato.
Addio a tutti i paletti
che avevo
tentato di costruire: non erano durati nemmeno mezzo secondo.
***
Scesi dalla macchina e
recuperai
dal bagagliaio il borsone che avevo preparato la sera prima; Tom chiuse
la
portiera con un colpo sordo e io, innervosita dal fatto che fosse
riuscito a
convincermi a restare almeno un po’, chiusi gli occhi
sospirando e portandomi
la borsa sulla spalla.
Non badai a lui, che si
guardava
intorno come un bambino sperduto, e andai dritta verso
l’entrata del centro
sportivo, passando accanto ad un gruppo di ragazzi seduti sui loro
motorini,
che appena notai.
“Ehi,
dolcezza! Non si usa più
salutare?”
Mi girai e notai che
Gunter mi
salutava con la mano, con aria da sbruffone pallone gonfiato qual era,
mentre i
suoi compari se la ridacchiavano.
“Ciao”,
borbottai.
“Che hai
cucciola, sei triste?
Vieni qui, ci pensa Gunter a consolarti!”
“Ne faccio
volentieri a meno,
grazie”, feci un sorrisetto.
Gunter, capelli biondo
scuri in
una cresta punk sulla testa e occhi nocciola-verdi, oltre che ad essere
il
fratello minore di Aaron, era stato anche il mio ragazzo qualche anno
prima, ma
io l’avevo fatta finire presto come mio solito. Lui
però non sembrava essersi
arreso e ogni volta che ci incontravamo ci provava, facendo il
malizioso e
tutto il resto, tanto da farmi venire il mal di stomaco.
“Ehi, tutto a
posto?”, mi chiese
Tom infilando la mano nella mia e guardando la banda di fronte a
sé. Gunter
fece un grugnito di disapprovazione, ma non disse niente. Il solito
codardo.
“No, va tutto
bene”, dissi,
continuando per la mia strada.
“Chi
erano?”, chiese Tom con una
strana scintilla negli occhi.
“Non ti
interessa.”
“Perché,
te li sei fatti tutti?”,
berciò, facendomi saltare i nervi e liberare con la forza
dalla sua mano che
stringeva ancora la mia. Mi allontanai più velocemente,
lasciandolo indietro.
Fu costretto a correre per raggiungermi.
“Ale, dai! Non
te la prendere,
stavo scherzando!”
“Sese”,
biascicai entrando nella
struttura della piscina e lasciando che la porta vetrata gli si
chiudesse in
faccia. Lui la aprì mantenendo la calma e mi
affiancò quando stavo passando il
tesserino per convalidare la mia presenza.
“Ora te ne
vai?”, gli chiesi.
“Vuoi che me
ne vada sul serio?”,
mi guardò negli occhi. Io fui costretta a fuggirgli,
deglutendo.
“Sì”,
mormorai.
“Ok, va
bene.”
Annuii sollevata e gli
feci un
piccolo sorriso: forse c’era qualche speranza che non mi
innamorassi di lui, se
non era già troppo tardi.
“Posso
chiederti un piccolissimo
favore, prima?”
“Sentiamo”,
sospirai paziente.
“Me lo dai un
bacio?”
Rimasi vagamente
sorpresa alla
richiesta, infatti mi si dischiusero le labbra e gli occhi si
spalancarono.
“Dopo quello
che hai detto prima,
non te lo meriteresti”, dissi alzando il naso
all’insù, facendo l’offesa.
“Dai, lo so
che me lo vuoi
dare…”, mi sussurrò sorridendo,
stringendomi le braccia attorno ai fianchi e
sfiorando il mio naso con il suo.
No, non voglio.
Sì, lo voglio.
No, non voglio.
Tom annullò
la distanza e
premette delicatamente le labbra sulle mie, poi si scostò.
“Tutto
qui?”, chiesi. Lui sollevò
le spalle e si sistemò la visiera del cappellino,
regalandomi un ulteriore
sorriso.
“Che ti
aspettavi? Ci sentiamo”,
mi salutò con un cenno del capo e uscì dalla
struttura, lasciandomi
frastornata.
E tutto questo, come lo devo interpretare?
***
Uscii
dall’impianto e una ventata
d’aria gelida mi punse il viso, facendomi rabbrividire. Il
sole era già tramontato
e mentre camminavo verso la macchina, non potei fare altro che pensare
a Tom, a
come si era comportato qualche ora prima, e ad Ale. Chissà
com’era andata con
Bill.
Con lei volevo e dovevo
chiarire,
almeno con lei. Lei era l’unica che potesse aiutarmi in
quella situazione… E
senza di lei mi sentivo semplicemente incompleta.
Gettai il borsone nel
bagagliaio
e feci il giro dell’auto a testa bassa, immersa nei miei
pensieri, quando mi
scontrai contro qualcosa… o qualcuno.
“Ehi, chi si
rivede.”
Alzai la testa a quella
voce
presuntuosa e due occhi nocciola-verdi erano lì fermi,
maliziosi, che
aspettavano i miei.
“Gunter,
ancora tu. Che cosa
vuoi?”, chiesi stancamente, tentando di spostarlo dalla mia
portiera, ma era
impassibile.
“Sai che cosa
voglio… te.”
“Per favore,
smettila. Non stiamo
più insieme, tu non mi interessi.”
“Sei solo una
stronza, una lurida
puttana”, mi sibilò in faccia.
“Sì,
e anche se fosse? Lasciami
passare.”
“Se
no?”, sogghignò, guardandosi
intorno.
Seguii la sua
traiettoria e notai
che non c’era nessuno in giro, sembrava fatto apposta, e i
suoi compagni erano
disposti più o meno a cerchio intorno alla mia auto,
lontani, nascosti da altre
auto e dagli alberi. Ero circondata.
Tornai a guardarlo in
viso e
notai il ghigno quasi perverso che si era impadronito delle sue labbra.
Lì
capii tutto, lì capii che se non mi fossi inventata
qualcosa, sarebbe finita
male. Con lui avevo fatto la stronza, e da stronzo si sarebbe vendicato.
“Che cosa vuoi
fare?”, chiesi
impaurita, arretrando di qualche passo.
“Niente,
dolcezza, niente… Non ti
farò del male, non ti preoccupare…”,
disse a bassa voce, prendendomi per i
fianchi e strattonandomi forte a lui, incastrandomi fra il suo corpo e
il
fianco dell’auto.
“No, ti prego,
Gunter, no”,
tentai di calmarlo, passandogli le mani sulle guance.
“Cosa no?
Sì…”, mormorò
baciandomi il collo mentre io tentavo in ogni modo di dimenarmi, ma
invano: ero
bloccata. Mi misi ad urlare, ricevendo solo un forte schiaffo sulla
guancia.
“Stai zitta,
stai zitta,
puttana.”
“No, ti prego,
lasciami stare!”,
gridai con tutte le mie forze, scalciando e tirando pugni a caso.
“Stai ferma,
stronza!”, mi fece
picchiare il fianco contro lo specchietto, che si ruppe.
Mi scappò un
urlo di dolore e
caddi a terra, poi sentii Gunter gridare contro qualcun altro che si
era
scagliato addosso a lui e i suoi amici lo raggiungevano per aiutarlo.
Riuscii a distinguere,
tra il
grande bordello che stava venendo fuori, Tom, che si picchiava con
Gunter. Mi
faceva male il fianco, ma per fortuna non perdevo sangue né
niente: era solo la
botta.
“Brutto figlio
di quella
santissima troia, non ti azzardare mai più a toccarla,
ok?!”, gridò Tom
dandogli un pugno sull’occhio, al quale i suoi compagni
risposero iniziando a
colpirlo nello stomaco. Erano sette contro uno, cazzo! E io non potevo
fare un
bel niente.
Se ne aggiunse un
ottavo, dai
capelli scuri e mossi, la carnagione scura e gli occhi neri: Aaron,
l’avrei
riconosciuto fra un milione. Ma non difese il fratello,
bensì aiutò Tom a
scrollarsi di dosso quei nanerottoli.
“Fermatevi
tutti!”, gridò con
voce potente, mettendo magicamente fine a quella rissa: Gunter e
compagni da
una parte, Tom dall’altra e io e Aaron in mezzo, che ci
guardavamo storditi.
“Tu, fila a
casa, questa non la
passi liscia”, disse severo al fratello minore, puntandogli
il dito contro.
“Non devi nemmeno più pensare a lei,
chiaro?” Quello sì che mi sorprese: che mi
avesse scambiato per Ale? No, impossibile. “Voi, pure voi, a
casa. O vi
sputtano davanti a tutti i vostri genitori.”
Gunter guardò
astioso il
fratello, passandosi una manica sul labbro sanguinante, e senza
aggiungere
altro salì in sella al suo motorino e schizzò via
assieme ai suoi compari,
spaventati fino alla morte dalle minacce di Aaron.
Accantonai per un attimo
l’astio
per lui, per tutto quello che aveva fatto passare a mia sorella, e
pensai che
senza di lui sia io che Tom saremmo stati letteralmente fregati.
“Ehi, tutto
bene?”, mi chiese
dolce Tom, passandomi una mano sulla guancia arrossata a causa dello
schiaffo
di Gunter.
“No, no che
non va tutto bene”,
mormorai nascondendo il viso nel suo petto, stringendolo forte mentre
calde
lacrime di puro spavento mi rigavano il viso.
Anche Aaron si
avvicinò e sentii
la sua grande mano accarezzarmi la testa, mentre si presentava a Tom,
senza
dire che era stato l’ex storico di mia sorella eccetera,
solo: “Io sono Aaron”.
“Mi dispiace
per quello che è
successo”, continuò, mentre Tom mi prendeva fra le
braccia e mi coricava sul
sedile del passeggero.
“Anche a me.
Ma vedi di tenere
d’occhio tuo fratello, perché se lo becco ancora
che le ronza intorno io non so
che fine potrebbe fare.”
“Sicuro, non
accadrà più.” Aaron
si affacciò al finestrino e mi rivolse un timido saluto, che
appena sentii a
causa dello stato di shock in cui ero, poi Tom partì nel
buio della sera,
stringendomi forte la mano per calmare i miei singhiozzi asciutti.
“Ale, ci sono
io qui, è tutto
finito…”
“No, non
è finito! E se dovesse
accadere di nuovo?! E se Gunter…”, scoppiai di
nuovo a piangere, la gola mi
faceva male, mi bruciava a respirare.
“Shhhh,
piccola…”, mi fece
appoggiare al suo petto, io soffocai i singhiozzi nella sua felpa e
strinsi i
pugni.
“Perché
sei rimasto qui, Tom?”,
chiesi sottovoce, fra i fremiti.
“Non ci
pensare adesso, non è
quello che conta. Ti sei fatta male?” Si fermò di
fronte alla nostra villetta e
si girò meglio verso di me. Io mi nascosi ancora di
più dentro di lui,
stringendolo forte, e lui ricambiò la stretta.
“Piccola, stai
vibrando…”
“È
il cellulare”, singhiozzai.
“Non voglio rispondere, voglio solo stare qui con
te…”
“Ok, va
bene”, mi baciò fra i
capelli e dopo un po’ mi costrinse ad uscire e ad entrare in
casa, mi fece
stendere sul divano e lo vidi appena sollevarsi dal mio corpo tremante,
attanagliato al suo, per prendere il cellulare.
“Bill, ciao.
Sì, è successo un
po’ un casino. Una specie di rissa… Ary
è lì con te? Venite subito qui,
muovetevi.” Chiuse la chiamata e mi strinse forte a
sé, respirando sul mio
collo.
“Grazie
Tom…”, sussurrai.
“E di che
cosa? Nessuno può farti
del male… E solo io posso chiamarti stronza”,
tentò di alleggerire l’atmosfera,
e ci riuscii perché mi nacque un sorriso fra le lacrime.
Mi diede un piccolissimo
bacio
sulle labbra e poi nascosi il viso nell’incavo della sua
spalla, nel buio della
casa.
___________________________________
Buonasera gente! xD
Siamo tornate e dai, questa volta siamo state puntuali u.u
Ebbene, abbiamo capito che cosa è successo ad Ary e cosa
quindi è successo ad
Ale, che ha sentito che era successo qualcosa. Cose gemellari
sìsì u.u xD E'
entrato in scena un nuovo non troppo nuovo (è già
stato citato ;D): Aaron. E
adesso che accadrà? Bah xD
Speriamo con tutto il nostro cuoricino che vi sia piaciuto *o*
iLARose : Ciao! Eh
sì, Ale non la dà al vento come sua sorella,
anche se il
vento sono Bill e Tom Kaulitz *Q* xDD E' una ragazza seria dai e poi
c'è la
questione dello scambio d'identità che punge... u.u
Che cos'è successo ad Ary, eh u.u (Ah, ARy è con
la "R" xD) Poverina,
non se lo meritava, anche se non si comportata benissimo nemmeno lei...
Non
voglio dire troppo xD
Grazie davvero :D Alla prossima, un bacio!
_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Speri che i
gemelli scoprano la verità? Strano, sei la
prima che lo dice così apertamente xD Non so,
chissà che reazione potrebbero
avere xD Ma comunque non è ancora successo u.u Ma i guai non
mancano! :)
Grazie mille, alla prossima!
Charls__ : Siamo state proprio
graziate, allora! o.o xD Dai ma noi siamo
due ragazzuole così carine e simpatiche, non puoi volerci
davvero male *.* xD
Eh, Ale povera santa e Ary povera... u.u xD Hai visto che le
è successo? ç_ç
Menomale che c'era Tomi <3
Grazie mille! Baci :3
Tokietta86 : Ciao cara! *u*
Grazie infinite come al solito *si inchina* :D
Esatto, credo che la pugnalata sia l'espressione giusta, povera Ale D:
Però
Bill è davvero un signore e ha capito, anche se non ha
capito proprio un fico
xD Mah non so, nessun può sapere che cosa accadrà
quando i gemelli scopriranno
di questo inganno u_u (Io lo so, pappappero xP ahahahahah xDD)
Eh eh, stavolta la tua sfera magica a ciccato,
yeeeeee! *esulta ballando e
cantando* xD Anche se sicuramente sarebbe stato meglio per lei che
accadessero
una delle cose che tu hai "previsto" D:
Speriamo che l'attesa sia stata ricompensata! :D
Grazie, grazie, grazie! *-* Un abbraccione, alla prossima!
Ringraziamo anche chi ha semplicemente letto e chi ha messo questa
storia fra
le preferite e le seguite.
E' importante per noi, questa la riteniamo la nostra migliore creazione
(finora
u.u ... xD)!
Grazie davvero di cuore *_______*
Ciao!
Ale&Ary
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Capitolo 12 *** Un salto nel passato ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/587858.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 13 *** Solo sua (Purtroppo?) ***
Capitolo 13: Solo sua
( Purtroppo? )
Sentii la porta aprirsi
e per
l’ennesima volta sollevai con spavento la testa dal cuscino,
Tom mi passò una
mano sulla testa ridacchiando, spingendomi di nuovo giù,
dicendomi che era solo
Ale. Cioè… che era solo Ary.
La guardai osservarci
per un
attimo in silenzio, lo sguardo vacuo, persa in altri pensieri, forse in
altri
ricordi. Qualunque cosa avesse, c’entrava Aaron; ne ero
più che sicura.
Si soffermò su Bill e poi marciò
verso la cucina, dove si chiuse come aveva fatto Davide poco prima,
sbattendosi
la porta alle spalle.
Bill si alzò
dalla poltrona e
provò a raggiungerla, ma io lo fermai per il polso e lo feci
quasi sedere in
braccio a Tom, che lo spostò dalla sua traiettoria.
“Che
c’è?”, mi chiese Bill, quasi
arrabbiato.
“Lasciala
stare, ora.”
“Ma…
ma…”, balbettò.
“Fidati di me,
è meglio se la
lasci stare.”
“Ok”,
sospirò arrendevole,
chiudendo gli occhi.
Sentii la macchina di
mamma
parcheggiare all’interno del vialetto e sgranai gli occhi,
ricordandomi che non
sapeva nulla di Bill e Tom e che se mi avesse salutata con il mio vero
nome sarebbe stato un vero
casino.
“Dovete
andarvene via da qui!”,
gridai alzandomi di scatto, provocandomi una fitta al fianco.
“Che cosa?
Perché?”, chiese Bill
confuso, mentre lo spingevo assieme a Tom verso l’uscita sul
retro, passando
per la veranda.
“I nostri
genitori sono
piuttosto… apprensivi con noi e non sanno di voi. Quindi
è meglio se ve ne
andate, e subito!”, continuai.
Bill sbuffò
infastidito,
biascicando di salutargli mia sorella, e Tom mi prese per le mani e si
girò
verso di me. Stavo tremando, lì fuori faceva un freddo cane
e non avevo nemmeno
il giubbino addosso. Mi abbracciò delicatamente e affondai
il viso nella sua
spalla, stringendogli forte i pugni sulla schiena.
“Grazie…
di tutto, Tom”,
sussurrai.
“Dovevo,
piccola. Tu sei solo
mia”, mi sussurrò all’orecchio,
facendomi arrossire come un peperone. Mi
sorrise sistemandomi un ciuffo dietro l’orecchio e mi
baciò sulle labbra, prima
di raggiungere il vialetto e di chiudersi il cancelletto, ricoperto da
rete
verde, alle spalle.
Rimasi lì
imbambolata a guardare
quel cancelletto chiuso per diversi minuti, non sentendo minimamente il
freddo
che mi entrava nelle ossa, rossa in viso, pensando e ripensando a
quelle
parole.
Io sono solo sua…
Io sono solo sua…
Io sono solo sua…
Io sono solo sua.
“Io sono solo
sua!”, gridai,
alzando le braccia al cielo buio, con una voglia matta di ballare, di
cantare e
di ridere fino a farmi venir male alla pancia dalla felicità.
Perché ero così felice? Non me lo
chiesi nemmeno, troppo immersa nella gioia del momento.
“Di chi sei
tu, tesoro?”, chiese
mamma sbigottita, comparendo dietro di me.
“Di…
di nessuno!”, gridai
muovendo le mani di fronte al petto, arrossendo di nuovo.
“Uhm,
ok”, sollevò le spalle,
sorridendomi. “Ora però entra dentro, sei anche
senza giubbino! Prima che ti
prendi qualcosa.”
“Ok
mamma.”
La seguii
all’interno e vidi che
Ale e Davide stavano parlando, preparando la cena, e c’era
già un buon odorino,
anche se sentivo lo stomaco in subbuglio e la fame pari a zero. Erano
successe
troppe cose quel giorno, dovevo riassemblare tutti i pezzi e fare
ordine, ma
non prima di una bella dormita.
Mi avvicinai ad Ale e le
misi le
mani fredde intorno all’orecchio destro: “Ti saluta
Bill”, le sussurrai. Vidi
un debole sorriso comparire sulle sue labbra e mi convinsi che doveva
essere
successo qualcosa con Aaron. “Dopo mi spieghi?”
Annuì con la testa, donandomi
un sorriso un po’ più dolce.
“Allora
ragazze, com’è andata la
giornata?”, chiese mamma, mentre preparava la tavola.
“Ahm…
bene”, rispose Ale; io
abbassai lo sguardo, sentendomi girare la testa.
“È
successo qualcosa, tesoro?”,
mamma mi guardò preoccupata.
“No,
no… Solo che sono stanca”,
annuii, beccandomi un’occhiataccia da Dave, che
però non era già più arrabbiato
con me, glielo leggevo in faccia: non riusciva a fare
l’arrabbiato con nessuna
delle due. “Sì, penso che… che
andrò a dormire”, continuai, uscendo dalla
cucina con una mano sulla fronte e salendo le scale.
Mi stavo infilando il
pigiama,
quando Ale mi raggiunse in camera e mi sorrise, mettendosi sotto le
coperte del
suo letto e invitandomi a raggiungerla. Sorrisi di rimando e mi
accucciai al
suo fianco, sentendomi al sicuro da ogni pericolo e completa. Era una
sensazione, quella, che avevo ogni qualvolta le stessi accanto. Era
magico.
“Che
è successo con Aaron?”,
chiesi dopo un po’, al caldo.
“Mi ha dato i
soldi per riparare
lo specchietto.”
“E
basta?”
“No…
Mi ha chiesto se qualche
volta possiamo vederci. E mi ha detto che… che mi
ama…”
“Oh
Ale… Non dovevi andare, non
me ne frega niente dei soldi… Non dovevi andare”,
la abbracciai, lasciando che
si rifugiasse con il viso nel mio petto, nascondendo le lacrime che le
graffiavano le guance.
Le posai un bacio fra i
capelli,
inspirando tutto il loro profumo. Mi sentivo così bene fra
le sue braccia, mi
sentivo così male sentendola così sofferente per
un ricordo del passato. Ed era
tutta colpa mia, o almeno la buona parte.
“Mi dispiace per tutto quello che
ho combinato, Ale. È colpa mia se ora stai così.
Ed è colpa mia se siamo in
questa situazione di scambi d’identità con Bill e
Tom. Una situazione di
merda.”
“Di
pupù”, ridacchiò.
“Ok, come vuoi
tu”, sorrisi. “E
mi dispiace anche per come mi sto comportando con te in questo
periodo… Si vede
che qualcosa sta cambiando dentro me, ma non so nemmeno io cosa. Tom mi
fa
pensare cose strane.”
“Del
tipo?”, tirò su col naso,
guardandomi negli occhi.
“Non so, mi fa
sembrare possibile
che io possa stare dietro ad una persona per tanto tempo e non solo
per…
sesso.”
“Oddio, questo
sì che è strano!”,
ridacchiò.
“Lo so, e mi
preoccupa”,
sospirai. “Ora ho veramente tanto sonno, ho la testa che mi
scoppia.”
“Dormi allora,
io sarò qui al tuo
risveglio.”
“Sì,
e queste battute copiate da
New
Moon?”
Ridemmo piano insieme,
in simbiosi
come non lo eravamo state per troppo tempo, e dopo un po’,
cullata dal suo
abbraccio, mi addormentai.
***
La lezione di matematica
non
stimolava molto la mia attenzione, così avevo preso il mio
iPod e badando a non
farmi scoprire dal prof Schulz, mi ero messa ad ascoltare la musica, la
testa
nascosta fra le braccia sul banco.
So many
people I’ve annoyed
I have to find a middle way, a better
way of giving
So I haven’t given up
But all my choices, my good luck
Appeared to go and get me stuck in an
open prison
Now I am trying to break free
Be in an state of empathy
Find the true and inner me
Eradicate the schism
No-one
can take it away from me
And no-one can tear it apart
Because a heart that hurts is a heart
that works
[Ho
infastidito così tanta gente
Ho dovuto
trovare una via di mezzo, un modo migliore per dare
Così non
ho ceduto
Ma tutte
le mie scelte, la mia buona sorte
Sono apparse
per andare e lasciarmi inguaiato in una prigione aperta
Ora sto
provando a liberarmi
Ad essere
in uno stato di vuoto
A
sradicare lo scisma
Nessuno
può portarlo via da me
E nessuno
può strapparlo in disparte
Perché un
cuore che ferisce è un cuore che lavora]
I giorni passavano
lentamente, e
più si andava avanti con quella messa in scena e
più tutto mi sembrava
ridicolo, stupido e difficile.
Gunter si era persino
scusato, il
giorno dopo il fatto, e io lo avevo perdonato seduta stante, anche
perché fare
l’arrabbiata con lui non sarebbe servito a niente.
L’Ary stronza,
senza cuore con le
persone a cui non teneva davvero, quella che pensava che dopotutto
amare non
sarebbe servito a niente, che era una perdita di tempo, un rischio
inutile da
correre, e che credeva fermamente che Brian Molko avesse ragione a
dire, in
quella canzone, che “Un
cuore che ferisce
è un cuore che lavora”,
non la riconoscevo più. Stava scomparendo, dando
spazio ad una Ary più semplice, con i piedi per terra e
più sensibile a ciò che
le accadeva intorno.
E quei cambiamenti un po’ mi
facevano piacere, un po’ mi inquietavano perché
mostrando le proprie debolezze
in giro si rischiava di essere bersagli facili. Perché
quando si offriva il
proprio cuore, avevo imparato osservando mia sorella, si rischiava di
riaverlo
indietro messo maluccio.
Non ero ancora sicura di voler
provare quel rischio, non ero ancora sicura di niente, nemmeno di
quello che
provavo io in quel momento.
“Cos’è,
t’è tornata la Placebo-mania?”,
ridacchiò Ale, sfilandosi la cuffia che mi aveva rubato
dall’orecchio e
lasciandomela in mano.
“Sì,
in effetti sono diversi
giorni che ascolto solo loro.”
“Non so come
fai, io non capisco
nulla dei loro testi.”
“Io invece ci
vivo, nei loro
testi. A volte sembrano che mi leggano dentro”, sospirai.
“Devi giocare
a fare
l’investigatore per capire che messaggio si cela dietro una
canzone!”
“Se no che
senso ha?”, sorrisi.
“Ascoltare una canzone deve farti ragionare, secondo me. Se
non ti porta a
ragionare, non è una canzone degna di essere
ascoltata.”
“Adesso mi
diventi pure
filosofa”, borbottò, quando la campanella
decretò la fine di quella lunghissima
giornata di lezione.
“Ah, non so se te l’ho detto, ma
oggi Bill viene a pranzo da noi”, mi disse salendo in
macchina, accanto a me.
“È per questo che non è venuto a
prendermi.”
“Oh, capisco.
Grazie per avermi
avvisata in anticipo.”
“Beh, a dirla
tutta te l’ho detto
in anticipo: te l’ho detto ora!”
“Grazie tante
davvero.”
“E
Tom?”, mi chiese.
“E io cosa
vuoi che ne sappia?”,
sbottai infastidita.
Pensare a lui mi infastidiva, mi
infastidiva anche solo sentir pronunciare il suo nome,
perché da quella sera
non si era più fatto vivo e io non avevo la minima
intenzione di cercarlo solo
perché… sì, perché mi
mancava. Io dovevo dimostrare ancora un briciolo di
dignità, dovevo dimostrargli che non avevo bisogno di lui.
Quando in realtà…
beh, non era proprio così.
“Non vi
sentite, scusa?”, chiese
sorpresa, spalancando gli occhi.
“Perché
dovremmo?”, sollevai le
spalle, finta indifferente.
Lei ovviamente se
n’era accorta
che sotto quell’atteggiamento da dura c’era la sua
piccola sorellina che si
sentiva mancare l’ossigeno nei polmoni senza sentirlo,
toccarlo, respirarlo; ma
non disse niente, corrugò solo la fronte, borbottando
qualcosa di
incomprensibile.
Arrivammo di fronte a
casa e
vedemmo che appoggiato al cofano della sua auto c’era
già Bill, perfetto e sorridente,
che ci salutava con la mano.
“È
in anticipo! Che bello!”,
esultò Ale emozionata, scendendo dall’auto e
donandogli un caloroso abbraccio.
Io scesi con calma,
sospirando, e
con un sorriso amaro sul viso constatai che Tom non era con lui:
figurarsi se
veniva a pranzare da me! Magari se gli avessi detto che si pranzava sul
letto
sarebbe venuto, chissà.
Scossi la testa scrollandomi di dosso tutta la rabbia,
la frustrazione e anche un po’ di tristezza, e sorrisi a
Bill, baciandolo sulla
guancia.
“Ciao Bill!
Come va?”
“Ciao Ale!
Bene, bene! Tu? Come
va il fianco?”
“Bene, sta
passando. Per il resto
tutto bene, grazie.”
Guardai Bill e Ale scambiarsi uno sguardo dolce e una
fitta al petto mi travolse, perché io tutto quello non
l’avevo e chissà se mai
l’avrei avuto.
“Io… io inizio ad andare dentro, ho bisogno di
nicotina”, dissi
appena, facendo un gesto con la mano e avviandomi a passo spedito
all’interno.
Mi chiusi la porta alle spalle e sospirai, poi salii le scale due a due.
Avevo fumato
l’ultima sigaretta
all’intervallo e mi ero dimenticata di comprare il pacchetto
nuovo, per fortuna
ne tenevo uno di scorta nel cassetto del mio comodino, se no non avrei
mai
retto le ore successive assieme a Bill e Ale che sembravano
già una coppia di
fatto. E io la povera sfigata senza ragazzo.
Mi immaginai fra qualche
anno e
mi rividi come la zitella della famiglia, con Bill e Ale sposati e con
dei
marmocchi intorno e Tom pure, magari con una modella tutte curve
sicuramente
migliore di me, che saltava pure i cerchi di fuoco a letto.
Rabbrividii a quelle immagini,
convincendomi che era proprio di nicotina che avevo bisogno.
Presi una
sigaretta dal pacchetto, recuperai l’accendino nella tasca
dei jeans e prima di
uscire mi fermai di fronte all’acquarietto aperto dove
stavano le nostre due
tartarughine d’acqua a cui avevamo dato i nostri nomi: Ale e
Ary. Solo che
erano così simili che me le confondevo sempre. Un
po’ come noi, uguali ma
diverse.
Sospirai e gli diedi un
po’ di
cibo, velocemente loro nuotarono verso di esso, muovendo le zampette e
grattando il vetro con gli artigli affilati, avvicinandosi al mio dito.
Sorrisi
e poi lo allontanai; le guardai come incantata mangiare e poi andare
ognuna
sulla propria roccia, ferme immobili.
Anche io avevo fatto
come loro:
mi ero mossa velocemente per raggiungere ciò che volevo, poi
avevo trovato un
appoggio stabile e mi ci ero fermata, avevo trovato la mia roccia,
senza la
quale ora non sapevo come avrei fatto. Probabilmente sarei stata
sbattuta da
qualche parte, sarei affogata, perché avevo dimenticato come
si faceva a
nuotare senza di lui…
Scossi per
l’ennesima volta il
capo e scesi le scale galoppando, sentii Bill e Ale ridere in cucina e
li
superai senza guardarli, mi avrebbe fatto solo male; andai dritta in
veranda e
nemmeno il tempo di portarmi la sigaretta alle labbra che qualcuno mi
prese il
braccio e mi attirò a sé, in un bacio che mi
levò il respiro.
“Tom!”,
gridai appena riuscii a
staccarmi dalle sue labbra, gettandogli le braccia al collo.
“Buongiorno,
piccola”, mi
illuminò la giornata con un solo stupendo sorriso.
“Che ci fai
qui? Credevo non
fossi venuto!”
“In
realtà sono venuto e mi sono
nascosto qui, volevo farti una sorpresa.”
“Sono
così contenta di vederti”,
sospirai appoggiando il viso alla sua spalla e sorridendo.
“Davvero?”
“Certo.”
Respirai il suo profumo
e poi lo attirai in un altro bacio: della nicotina potevo farne a meno,
se
avevo la mia droga preferita a disposizione.
Gli posai le mani sul
collo e
sentii che aveva addosso una delle sue sciarpe, così
corrugando la fronte le
feci scivolare all’interno, a contatto con la sua pelle
calda, e lui
improvvisamente mi prese le mani, allontanandomi, ma feci in tempo a
vedere il
succhiotto che aveva sotto l’orecchio destro, che mi
mandò letteralmente in
bestia dentro.
“Ok, va
bene”, mormorai,
staccandomi con la forza e andando a sedermi sul mio gradino,
accendendomi
rapidamente la sigaretta e respirando a pieni polmoni il fumo per i
primi due
tiri. Mi sentii subito più rilassata, ma la mia coscienza
non faceva altro che
ricordarmi il perché non si fosse fatto più
sentire dopo quella sera: era
impegnato con le altre!
Ma che pretendevo? Noi due non
stavamo insieme, il nostro era solo un rapporto di sesso. Era un
divertimento
reciproco e basta. Perché mi arrabbiavo tanto?
“Ale, ti sei
arrabbiata?”, mi
chiese come un bambino piccolo pentito, sedendosi al mio fianco. Io
sollevai le
spalle, indifferente, lasciando che il fumo si disperdesse
nell’aria.
“Perché
dovrei? Tanto è solo
sesso, fra noi, no?”
“No”,
rispose subito, prendendomi
per mano.
“No cosa,
Tom?!”, gridai,
ritraendola di scatto. La sua espressione, da quasi pentito,
passò velocemente
ad incazzata e mi rispose per le rime, come mi meritavo infondo.
“Che cosa
vuoi, insomma?! Noi non
stiamo insieme, l’hai detto tu adesso! È solo
sesso! Non sei mia madre e nessun
altro, non puoi dirmi quello che devo o non devo fare!”
“Giusto, hai
ragione. Proprio
ragione”, annuii, guardando di fronte a me, seria
più che mai.
Lo sentii sospirare
pesantemente,
trattenendo qualche insulto, e mi prese il mento fra le dita,
voltandomi verso
di lui e facendo incastrare i nostri sguardi.
“Le altre non sono niente, in
confronto a te, credevo l’avessi capito ormai.”
“Me
l’hai mai detto?”
“Te lo sto
dicendo ora. E
credimi, se te lo dico un motivo ci
sarà.”
Annuii appena, scettica,
e lasciai
che le nostre labbra si unissero in un nuovo bacio, anche se scottava.
Che
soddisfazione, sono la sua “preferita” fra
chissà quante altre…
Mi staccai con un grande
nodo in
gola e gli accarezzai la guancia, poi spensi la cicca nel portacenere e
mi
alzai:
“Ho fame, andiamo a mangiare,
dai.” E senza aspettarlo entrai in casa, mi misi seduta al
tavolo e sorrisi a
Bill e Ale, seduti di fronte a me.
“Successo
qualcosa?”, mi chiese
Bill, lo sguardo di traverso.
“Assolutamente
niente”, sorrisi,
mentre Tom si sedeva al mio fianco con un’espressione
indecifrabile sul volto.
“Che si mangia di buono?”
Because a
heart that hurts is a heart
that works
____________________________
Buoooonasera
gente :)
Questo capitolo non è niente
male, no? ;) Succedono un sacco di cose, soprattutto fra Ary e Tom.
Certo che
con quei due non si capisce mai niente u.u Un giorno Tom dice che
è solo sua,
il giorno dopo si fa trovare con un succhiotto… insomma,
decides! xD
Ale e Bill, invece… ah, lasciamo
perdere, mi fanno venire sempre il diabete u.u (Sono così
teneri e
coccolosiiiii *.*) xD
Ah, la canzone che ho scelto di
usare in questo capitolo è “Bright lights”,
dei Placebo.
Amo questa canzone <3
(E la traduzione l’ho fatta io, come in tutte le altre che ho
inserito negli
altri capitoli xDD)
Speriamo caldamente che questo
capitolo vi sia piaciuto *w*
Ringraziamo
di cuore chi ha
recensito lo scorso capitolo:
_t_o_k_i_e_t_t_a_
: Ciao! No, Davide non ha usato il
nome vero con i gemelli, almeno non mi pare ò.ò
xD Comunque sì, povera Ale, ma
guarda chi ha accanto ora… se fossi in lei mi cancellerei
proprio dalla memoria
Aaron xD
Comunque siamo in due a postare, quindi ci farebbe piacere che dicessi
“postate”
xD Grazie mille *.* Alla prossima!
Charls__ : Ciao! xD Oh sì, anche noi ti
amiamo *___* e
ti ringraziamo di cuore per tutti i bei aggettivi che hai usato *O*
Guarda che
io e Ale lo aspettiamo davvero il frutteto eh u.u xD
Grazie davvero *w* Alla prossima, un bacio!
iLARose : Ciao! :) Sì, Aaron
è scritto giusto
xD Ci fa piacere che tu ti stia ritrovando in Ale, è bello
quando succede, vuol
dire che siamo brave *.* Boh, chissà… Aaron o
Bill? xD Staremo a vedere!
Tra Ary e Tom invece è più semplice, devono solo
scegliersi a vicenda, ma
visto che il quoziente intellettivo di entrambi sommato non raggiunge
un
livello nella norma, è molto più complicato xD
Un bacio, alla prossima! :D
Tokietta86 : Ciao carissima! *-*
Ale e Ary hanno chiarito, per forza :D Davide si è
arrabbiato, ma ci
voleva… che sia la volta buona che Ary apra gli occhi sui
suoi comportamenti
non proprio corretti nei confronti dei sentimenti altrui u.u Ma fra
loro non c’è
nemmeno bisogno di chiarimenti, è il suo fratellone :) Si
era solo preoccupato
infondo u.u
Tom versione infermiera con reggicalze e tacchi a spillo…
uhm sì xD Nelle
FF scopriamo sempre dei suoi lati nascosti u.u xDD
Gunter è stato stupido, davvero. Ma Ary, stranamente, lo ha
perdonato subito, anche se si è
spaventata un sacco. Per quanto
riguarda Ale… eh, chissà u.u Bill o Aaron? Beh
forse in questo capitolo si è già capito qualcosa
xD Bill è il favorito, yeaaah
*w* xDD
Grazie mille, di cuore <3 Alla prossima, un abbraccio enorme! *.*
Ringraziamo
anche chi ha letto soltanto! :D
A presto!
Ale&Ary
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Capitolo 14 *** Tranquillità apparente ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/591205.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 15 *** Il momento di chiudere il sipario ***
Capitolo 15: Il
momento di chiudere il sipario
Guardando il soffitto
bianco
della mia camera, pensavo e ripensavo alla sera precedente.
Prima di tutto, uscita
dal centro
sportivo, avevo trovato Tom nel parcheggio ad aspettarmi. Nessuna
battutina,
nessun sorrisetto malizioso. E, strano ma vero, mi aveva fatto piacere.
Poi c’era stata quella cena: era
stato diverso, avevo visto Tom da un’altra prospettiva. E
quando mi aveva presa
per mano… Non avevo mai fatto caso a quanto fosse bello un
gesto come quello prima
d’allora. Forse perché era bello solo se
c’entrava Tom.
Mi rigirai nel letto con
le
cuffie dell’iPod nelle orecchie e sorrisi stiracchiandomi,
poi sospirai
stancamente, pensando che se quella sera ero stata felice, era stata
solo
un’illusione perché non avevamo ancora risolto il
problema che da quasi un mese
avvolgeva tutti e quattro: i nostri nomi.
Saltai giù
dal letto e scesi le
scale velocemente, trovando Ale seduta sul divano a guardare un
po’ di
televisione, scanalando annoiata.
“Ehi
Ale”, la salutai. “Parliamo
un po’?”
“Wow, e tu chi
sei, che ne hai
fatto di Ary?”, ridacchiò; io le lanciai un
cuscino in testa, per poi
portarmelo al petto. “Io vorrei sapere una cosa, a proposito
di ieri sera.”
“Che
cosa?”
“Mi
ha… sorpreso il tuo
comportamento, sai? Sembravi… diversa. Penso tu stia
cambiando, per Tom, anche
se lui non te l’ha chiesto esplicitamente e nemmeno se lo
aspetta.”
“Io…
io non… Davvero?”, corrugai
la fronte; lei annuì sorridendo. “Credi
che… che provi qualcosa per me, lui?”,
abbassai lo sguardo, arrossendo. Lo sollevai solo quando non sentii una
risposta dopo due minuti di silenzio. La vidi pensierosa, le labbra
arricciate.
“Ale?”
“Ti sta solo
usando. Chissà con
quante altre va quando non vi vedete”, lanciò la
bomba ferma, guardandomi negli
occhi.
Sentivo che non lo
pensava sul
serio, sentivo che c’era qualcosa sotto, che quelle parole
erano state
pronunciate con il preciso scopo di scuotermi un po’. Ma mi
fecero soffrire comunque.
Alle cuffie del mio iPod passò,
come se fosse fatto apposta, una canzone che mi fece sprofondare ancora
di più
delle parole di Ale.
Well, hey,
hey baby, it's never too
late,
pretty soon you won't remember a
thing
and I'll be distant, the stars reminiscing
your heart's been wasted on me
You've never been so used as I'm using you, abusing you
My little decoy
Don't look so blue, you should've seen right through
I'm using you, my little decoy
My little decoy
[Beh,
hey, hey piccola, non è mai troppo tardi,
presto non ti ricorderai più niente
e io sarò distante, una stella abbandonata ai ricordi
di come il tuo cuore è stato sprecato con me
Non sei mai stata così usata come ti sto usando io, abusando
di te
Mia
piccola esca
Non
essere così triste, avresti dovuto capirlo
che ti sto usando, mia piccola esca
Mia piccola esca]
Quelle parole mi
ferirono con
violenza, senza pietà mi dilaniarono il cuore, e fui
costretta ad abbassare lo
sguardo. Avevo una voglia matta di piangere, ma io non piangevo,
perché io non
piangevo mai…
Una lacrima mi scivolò sulla
guancia e mi scappò un singhiozzo che mi portò
immediatamente a coprire la
bocca con le mani, sollevando lo sguardo su Ale che aveva annuito
debolmente
come se avesse capito tutto quanto.
“Ary…
Non piangere…”
“Tutto quello
che hai detto è
vero”, mormorai. “Hai perfettamente ragione su
tutto. Ma non riesco a dirgli di
no perché… perché
io…”
“Ti sei
innamorata di Tom.”
“Non lo
so… Non voglio
innamorarmi, Ale!”, strepitai gettandole le braccia al collo
e soffocando i
singhiozzi sul suo collo. “Non voglio, non voglio, non
voglio!”
“Ary, calmati!
Io non…”
“Voglio
mettere fine a tutto
questo, per quanto male possa farmi! Sono stufa, sono stufa marcia di
essere la
sua troietta, sono stufa di essere una tra chissà quante,
sono stufa del fatto
che mi chiami con il tuo nome!”
“A proposito
di questa ultima
cosa, sai che te l’ho sempre detto io”, mi
guardò severa, allontanandomi da
lei.
“Scusami Ale,
lo so, ho sbagliato
tutto, ma devi aiutarmi!”, gridai, cercando di non sentire la
canzone che
invadeva ancora i miei timpani. Mi guardò profondamente
negli occhi e poi si
girò verso la porta, doveva essere suonato il campanello.
“Ora devo
andare”, mi disse
passandomi una mano sulla spalla.
Io, ad occhi sgranati,
rimasi
ferma lì, dandole le spalle e senza salutarla quando la
sentii uscire dalla
porta con Bill. Anche lui mi aveva salutato, ma non ci avevo fatto
proprio
caso.
Sentii due grandi mani scivolare
sul mio bacino e mi girai di scatto, spaventata, trovandomi di fronte
il viso
di Tom, che sorrideva con quella scintilla che conoscevo bene negli
occhi.
“T-Tom…
Che ci fai qui?”,
balbettai.
“Sono venuto a
salutarti, ti
dispiace?”, mi sussurrò all’orecchio
libero dall’auricolare che era scivolato
via, prima di lasciarmi una scia di baci sul collo e sulla mandibola,
prendendomi in braccio e portandomi al piano superiore.
Perché mamma
e papà erano a cena
fuori? Perché Davide era uscito con Marika?
Perché Ale era uscita con Bill e
aveva permesso a Tom di entrare? Credeva che mi sarei ribellata? O
almeno lo
sperava? Come si sbagliava… Non ne sarei mai stata in grado.
Come un peso morto mi
lasciai
gettare sul letto, guardai il soffitto fin troppo bianco e mi lasciai
spogliare
velocemente, senza obbiettare.
Come avrei voluto gridare “No!”,
come avrei voluto. Se solo ne fossi stata capace…
“Ehi piccola,
c’è qualcosa che
non va?”, sussurrò passandomi le mani fra i
capelli, baciandomi avidamente le
labbra.
“Assolutamente
niente”, mormorai
atona.
“Sei
sicura?”
“Sì,
ti ho detto di sì.”
“Ok”,
Tom annuì, anche se non
aveva più quella scintilla negli occhi.
“Mi sei mancata”, mi sussurrò e
iniziò
a spingere dentro di me, ansimando; io inarcai appena la schiena,
mordendomi le
labbra, trattenendo quelle lacrime che non avrebbero fatto altro che
tagliarmi
in pezzettini ancora più piccoli ed insignificanti il cuore.
I'm not sorry
at all
Oh, no (Not sorry, oh, not sorry) No
I won't be sorry at all
Oh, no (Not sorry, oh, not sorry) No
I'd do it over again
Don't look so blue, my little decoy
You should've seen right through, my little decoy
You've never been so used, my little decoy
As I'm using you, my little decoy
[Non sono
per niente dispiaciuto
Oh, no (Per niente dispiaciuto, oh, per
niente dispiaciuto) No
Non sarò dispiaciuto
Oh, no (Per niente dispiaciuto, oh, per niente dispiaciuto) No
Lo rifarei di nuovo
Non essere così triste, mia piccola esca
Avresti dovuto capirlo, mia piccola esca
Non sei mai stata così usata, mia piccola esca
Ti sto usando, mia piccola esca]
***
“Dai, vado a
casa a cambiarmi e…”
“No, ora non
andare”, lo ristesi
sul letto, guardandolo implorante, come se riuscisse a leggere i miei
pensieri.
Ti ho dato
quello che volevi, ora dammi tu quello che voglio io. E io
voglio solo che tu stia qui, che tu mi dia l’impressione di
essere un minimo
importante per te…
“Ma devo,
Ale.”
“No, non devi,
se non vuoi…”, gli
accarezzai sensualmente l’interno coscia con il ginocchio.
Ero disposta a
tutto, anche a vendermi, pur di farlo restare ancora un po’:
avevo troppo
bisogno di lui.
“Tu
sì che sai come prendermi…”,
sospirò leggermente, sorridendo.
“La devo
prendere come una
dichiarazione di amore profondo ed infinito?”, riuscii
persino a scherzare.
“Oh
sì… Ti sposerei ora, su due
piedi…”, sussurrò girandomi sotto di
lui con un sorriso furbetto che conoscevo
bene ormai e che, nonostante tutto, mi faceva impazzire – in
male e in bene.
“Questo mi
onora…”, soffiai prima
di gettare la testa all’indietro, permettendogli
così di mordermi sul collo
lasciandomi tracce rosse al suo passaggio.
Gli circondai il bacino
con le
gambe e gli graffiai la schiena con le unghie, stringendolo a me: non
ne avevo
mai abbastanza di lui, com’era possibile? Era peggio di una
droga. E anche se
mi faceva male averlo solo
in quel
modo, ne avevo comunque troppo bisogno per farne a meno, che io lo
volessi
oppure no.
“E diresti di
sì…”, mi sussurrò
all’orecchio: il suo respiro caldo ed eccitato mi fece
sussultare. “Ale?”
Una morsa allo stomaco
mi impedì
di respirare per qualche secondo, pensando che: uno, mi aveva chiesto
se, se lui
mi avesse chiesto di sposarlo, avrei accettato. E due, mi aveva
chiamata
Ale,
come lui credeva mi chiamassi. Ero stufa di mentire, volevo che mi
chiamasse per il mio nome, volevo che lo sussurrasse, volevo che lo
gridasse
all’apice del piacere.
“Mi scappa la
pipì”, dissi
frettolosamente prima di levarmelo di dosso e correre in bagno,
chiudendomici
dentro con due giri di chiave. Mi lasciai scivolare sul legno della
porta e mi
misi seduta per terra, sentendo il freddo del pavimento sulla mia pelle
calda,
che profumava ancora di noi.
Nascosi il viso fra le braccia,
le gambe strette al petto, e trassi un respiro profondo. Tutto mi stava
sfuggendo dalle mani, anzi mi era già sfuggito tutto: ero
innamorata di Tom,
questo lo avevo capito. E ci stavo pure soffrendo come un cane. Stavo
malissimo…
Delle lacrime mi punsero
gli
occhi, ma le ricacciai indietro quando sentii bussare alla porta.
Sobbalzai e
alzai la testa di scatto, tirando una testata sulla porta.
“Ahio, che male!”, mi massaggiai
la nuca, chiudendo gli occhi.
“Ale, tutto
bene?”, chiese Tom.
“Sìsì,
tutto ok. Ahio…”
“Io
vado…”
“Ok,
ciao.”
“Non mi
saluti?”
“Ho detto
ciao.”
“È
successo qualcosa?”
Ci mancava solo Tom versione Sherlock
Holmes.
“No, non
è successo niente.”
“Sicura?”
“Sì!
Ora hai detto che devi
andare, vai! Ciao.”
“Ma
perché ti comporti così, cazzo!”,
gridò, sbattendo i pugni più forte sulla porta.
Lo sentii sospirare, io trattenni le
lacrime coprendomi il viso con le mani. “Ti passo a prendere
dopo, che andiamo
in un nuovo locale. Con Ary e Bill siamo d’accordo che ci
raggiungono lì”,
disse a bassa voce, come ferito.
“Ok.”
“Ciao”,
mormorò.
Sentii i suoi passi
allontanarsi
e la porta sbattere alle sue spalle. Sospirai e mi presi la testa fra
le mani,
scoppiando definitivamente a piangere.
***
“Bene, basta.
È giunto il momento
di chiudere il sipario”, dissi, stringendo convulsamente il
mio cocktail fra le
mani, guardando Tom accerchiato da altre tre ragazze. Una era persino
seduta al
suo fianco sul divanetto (aveva subito preso il mio posto quando me
n’ero
andata sofferente e bisognosa d’alcool) e gli passava le
unghie sul petto fino
agli addominali, ridacchiando come un’oca.
Lui non sembrava darci peso, ma
perché non la cacciava?!
“Ary…
sei sicura?”, mi chiese
Ale, al mio fianco.
“Sì,
questa storia è durata fin
troppo e io sono stufa. Mi sto solo… facendo del male.
Meglio chiuderla qui,
una volta per tutte. Sì”, annuii, ricacciando
indietro le lacrime. Anche solo
pensare un giorno senza lui mi faceva male, ma non potevo continuare in
quel
modo.
“Ok,
allora… vai. Vuoi che venga
con te?”
“Sì,
perché… dobbiamo porre fine
anche a questo cambio d’identità.”
“Vuoi fare
tutto stasera?”,
sollevò le sopracciglia, sorpresa.
“Sì,
una volta per tutte Ale. Sei
con me?”
Annuì
sorridendo, anche se un po’
di paura gliela leggevo negli occhi, mi prese la mano e ci avvicinammo
a Tom e
a Bill. Presi un lungo respiro e senza badare a quelle ragazze che mi
guardavano ostili, dissi:
“Bill, Tom, potete venire un
attimo fuori? Vi dobbiamo parlare.”
I gemelli si scambiarono
un’occhiata corrugando la fronte e poi annuirono, alzandosi.
Mi avviai
all’uscita del locale,
preparandomi mentalmente il discorso che dovevo fare. Ma non avevo la
più
pallida idea di cosa dire! Era peggio di un’interrogazione di
matematica.
“Allora, che
dovete dirci?”,
chiese Tom.
“Non ti
preoccupare, le oche non
scappano”, berciai, guardandolo acida. “E quello
che dobbiamo dirvi è che… uno,
tra me e te, Tom, è finita. Qualsiasi cosa ci sia tra noi,
non importa, è
finita. Non voglio più… più avere a
che fare con te. Sei uno stronzo
menefreghista che ha pensato solo a scoparmi senza mai capire quanto in
realtà
io soffrissi”, chiusi gli occhi, respirando velocemente,
mentre sentivo una
voragine aprirsi dentro il mio petto e la mano di Ale stringere forte
la mia.
You
don’t want to hurt me,
but see how deep the bullet lies
Unaware that I’m tearing you asunder
There’s a thunder in our hearts, baby
So much hate for the ones we love?
Tell me, we both matter, don’t we?
You, you and me
You and me, won’t be unhappy
[Non vuoi
ferirmi,
ma vedi la pallottola quanto giace in profondità
Inconsapevole che ti sto facendo a pezzi
C’è un tuono nei nostri cuori, tesoro
Così tanto odio per coloro che amiamo?
Dimmi, entrambi ci interessiamo, vero?
Tu, tu e io
Tu e io, non saremo infelici]
“Che
cosa?!”, gridò Tom, ma io
feci un gesto con la mano, facendolo tacere.
“Stai zitto,
perché questa è solo
una delle due cose che dobbiamo dirvi. La seconda riguarda tutti e
quattro, ed
è la cosa più difficile, quindi non mi
interrompere. Parto subito dicendo che è
stata un’idea mia, Ale non c’entra
niente.”
“Ale?”,
chiese Bill, confuso. “Vorrai dire Ary”,
indicò mia sorella.
“No, Ale. Io
sono Ary, in realtà.
E lei è Ale. Io sono quella che ti ha baciato alla festa,
Bill, quella ubriaca.
Lei è quella che ha baciato Tom. Aspettate, non dite niente!
Ci siamo
scambiate, è questo quello che abbiamo fatto. Ma
è stata tutta un’idea mia, all’inizio
era solo un gioco, ma poi… Bill non essere arrabbiato con
lei, non c’entra
niente!”, quasi lo supplicai, ma dalla sua faccia capii che
erano suppliche
inutili. Ale abbassò la testa, mollando la presa dalla mia
mano.
“Che cosa
avete fatto, scusa?!”,
gridò ancora Tom.
“Hai capito
bene cos’hanno fatto,
non fare l’idiota come tuo solito”, disse Bill
più serio che mai. “Penso che
abbiate finito, giusto? O avete qualcos’altro da
dirci?”, ci guardò male.
“No,
è tutto”, mormorai,
sentendomi uno schifo.
“Bene.
È tutto.” Si girò e
rientrò dentro, Tom rimase lì ancora qualche
secondo a guardarci e poi scosse la
testa, sbuffando, e lo seguì all’interno.
“Mi dispiace,
Ale”, singhiozzai.
“Mi dispiace da morire.”
Alzò lo
sguardo su di me e mi
prese la mano, portandomi con lei verso l’auto.
“Andiamo a casa, non abbiamo
nessun motivo per rimanere qui”, mormorò.
And if I only
could
make a deal with God
and get him to swap our places,
be running up that road,
be running up that hill,
be running up that building
If I only could, oh…
[E se
solo potessi
fare un patto con Dio
e convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina,
salirei di corsa quel edificio
Se solo potessi, oh…]
***
“Ci hanno
mentito e presi in giro
per tutto questo tempo, Bill!”, gridò stringendo
le mani intorno al suo
bicchiere.
Aveva cacciato via le
tre ochette
che gli avevano solo dato fastidio tutta la sera, stranamente, ed ora
erano
seduti loro due su un divanetto a parlare di quello che era appena
successo, della confessione.
“Ti rendi
conto?!”
“Meglio di te!
E io che pensavo
che tra me e Ary… Cioè che Ale… Non ci
capisco un cazzo! Però, ecco…
Scambiandosi loro hanno creato delle coppie sicuramente più
durature”,
rifletté Bill.
“Cos’è,
adesso sei dalla loro
parte?”, gridò.
“No!
Però stavo solo pensando
che… Io e Ary… Quella che mi ha baciato ubriaca
alla festa di Andreas… Quella
che è stata con te fin’ora spacciandosi per
Ale…”
“Quella
più arrapata.”
“Esatto,
quella… Io e lei non
saremmo mai riusciti ad arrivare a questo punto. Come tu ed Ale non
sareste mai
potuti stare assieme. Scambiandosi hanno creato un puzzle
più giusto, diciamo.
All’inizio era solo un gioco per loro, sì, ma poi
si sono accorte che è nato
qualcosa di più e hanno confessato tutto.”
“Qualcosa di più?”,
chiese deglutendo.
“Sì.
Dai, si vedeva lontano un
miglio che quella che veniva a letto con te, dovrebbe essere Ary ora,
se non
sbaglio, era innamorata di te!”
“Innamorata?”
“Tom, ma sei
deficiente o cosa?!
Sì! E anche tu provi qualcosa per lei, dì la
verità.”
“E anche se
fosse? Quello che
hanno fatto è imperdonabile.”
“Imperdonabile?”,
si sentì mancare il respiro. “Io… io
non posso non
vedere più…”
“Tu sei cotto,
fratello.”
“Lo
so”, sospirò massaggiandosi
le tempie. “Già mi manca… E dillo,
dillo che anche Ary già ti manca!”
“Bill, ma che
cazzo vuoi?!”,
gridò paonazzo in viso.
“Voglio che tu
capisca che sei
cotto anche tu! Anche se questo non è proprio il momento
migliore per capirlo,
visto quello che è successo…”
“Giusto.
Meglio lasciar perdere
direttamente.”
“Beh…
ti ha lasciato.”
“Come ha fatto
a lasciarmi se… se
tra noi non c’era niente, oltre il sesso?”
“Sai che non
c’era solo quello,
Tom. Non sei mai stato così dietro ad una ragazza come hai
fatto con lei.
Accetta l’evidenza, una volta tanto.”
“Adesso ti
verso il contenuto di
questo cazzo di bicchiere in testa se continui, ok?!”
“Ok”,
abbassò lo sguardo, in
silenzio.
“Come
on baby, c’mon, c’mon darling,
let me steal this moment from you now
Come on angel, c’mon, c’mon, darling,
let’s exchange the experience”
Oh…
And if I only could
make a deal with God
and get him to swap our places,
Be running up that road,
Be running up that hill
No problems
[“Dai
tesoro, dai, dai tesoro,
lasciami rubare questo momento da te adesso
Dai angelo, dai, dai, tesoro,
scambiamo l’esperienza”
Oh…
E se solo potessi
fare un patto con Dio
e convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina
Senza problemi]
_____________________________________
Ciao
a tutti! *w*
Allora, premettiamo subito una cosa che non vi farà piacere:
il pc di Ale ci ha abbandonati ancora .__. Quindi da parte sua ci
sarà qualche
ritardo, perdonatela, non è colpa sua
ç__ç
Ora pensiamo al capitolo. Che ve ne pare? *o* Speriamo
davvero che vi sia piaciuto…
Finalmente è arrivata l'ora della verità, il
capitolo tanto atteso! E ci teniamo che sia venuto bene xDLe
canzoni che ho usato sono la bellissima “Decoy”
dei Paramore
e - ritorna - la strepitosa "Running up that hill"
dei Placebo
feat Kate Bush - e non
sarà l'ultima volta che la vedrete! - *w*
Ringraziamo
di cuore le persone che hanno recensito lo
scorso capitolo:
Charls__
: Sei
stata la prima, sì *w* I babbuini ambulanti sarebbero Ary e
Tom? ù-ù *inizia a
prendere un ananas* e noi saremmo delle babbunine ancora di
più? ò.ò *ne prende
tre, uno anche per Ale u-u* Comunque siamo contente che ti piacciano
ù-ù xD
Ahm… io (Ary) non ho facebook xDD Però se vuoi ho
twitter,
msn, netlog… quello che preferisci xD Ale mi ha detto di
dirti che ti
contatterà al più presto per darti il suo nome e
cognome u.u
Certo, viva le banane *Q* xDD Grazie mille davvero, baci!
<3
iLARose
: Ciao! :)
Uhm, può darsi che si stessero sciogliendo, ma hai visto che
è successo adesso,
no? :( Come si risolverà - se
si risolverà - la situazione? u-u Boh xD Grazie, un bacio!
_t_o_k_i_e_t_t_a_ :
Ciao! Grazie mille! :D A quanto pare le tue speranze sono state
esaudite! xD Come ti è sembrato? *w* Certo, Dave a piedi
ù-ù xD Dici che Ale pensi ad Aaron? Mah,
vedremo…
Baci, alla prossima!
Tokietta86
: Ciao cara! :D Insomma, alla fin della fiera gliel'hanno detto, eh? xD
Adios amicizia fra Tom e Ale, adios relazione fra Ary e Tom, adios
quella di Bill e Ale! ç_ç O forse no?
ù-ù Che dice la tua sfera magica? xD Beh
sì, Bill alla fine è stato più
comprensivo, a mente fredda, ma quello che hanno combinato le gemelle
è comunque grave, quindi... Mah u.u Sì ormai
l'hanno capito tutti che Tom è cotto di Ary, tranne lui e
quella deficiente che ci scopava xDD Bah, staremo a vedere se le
perdoneranno e, se lo faranno, chi sarà il primo a farsi
avanti: Bill o Tom? u-u O nessuno dei due, ovviamente xD
Grazie mille, davvero *w* Alla prossima, un abbraccio enorme!!
Ma u-u
ringraziamo anche chi ha letto soltanto e chi ha
inserito questa FF fra le preferite/seguite/preferite :D
Grazie davvero a tutti, alla prossima!
Ale&Ary
|
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Capitolo 16 *** Piombare nell'oscurità ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/612676.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 17 *** Sucker love ***
Capitolo 17: Sucker
love
Avevo avuto ragione, su
tutto.
Io l’avevo
sempre detto che
innamorarsi era una follia, una cosa per masochisti. Eppure, mi ero
lasciata
andare con la persona forse più sconsigliata del mondo ed
ora soffrivo in
silenzio come non avevo mai fatto prima.
Avevo permesso a quel
gioco
iniziale di trasformarsi sotto i miei occhi, non avevo fatto
assolutamente
nulla per fermarlo a tempo debito, l’avevo guardato crescere,
cambiare,
diventare un qualcosa che alla fine, per quanto bello potesse essere,
mi era
esploso addosso riducendomi il cuore in inutile cenere che sicuramente
non
sarebbe stata fertile.
Avrei vissuto per
l’eternità con
quella ferita profonda in mezzo al petto e tutto per colpa mia, per la
mia
stupidità, per la mia fiducia in qualcosa che non sarebbe
mai esistito. Avevo
creduto in qualcosa che era solo una mia fantasia, avevo creduto nel
niente.
Sucker love
is heaven sent
You pucker up, our passion's spent
My heart’s a tart, your body's rent
My body's broken, yours is spent
[L’amore
dei cretini è mandato dal cielo
Tu ti raggrinzisci, la nostra passione si consuma
Il mio cuore è una sgualdrina, il tuo corpo è in
affitto
Il mio corpo è rotto, il tuo è esaurito]
Quanto tempo era che
guardavo le
tartarughine nell’acquario, estraniata dal resto del mondo e
anche da quello
che succedeva in quella casa, con le cuffie dell’iPod nelle
orecchie?
Il mio iPod…
il mio unico
compagno di sofferenze, anche se era più lui che tutto il
resto a farmi del
male con le sue canzoni che ogni volta capitavano a fagiolo per mettere
ulteriormente il dito nella piaga.
Passavo ore ed ore con
la sua
unica compagnia, sdraiata sul mio letto a testa in giù, lo
sguardo rivolto alla
porta bianca, sperando nell’apparizione di qualcuno che non
sarebbe mai arrivato,
oppure al soffitto altrettanto bianco, credendo che almeno qualcuno ci
fosse
lassù a vegliare e a ridere sulle nostre patetiche
sofferenze di comuni
mortali.
Carve your
name into my arm
Instead of stressed, I lie here charmed
Cuz there's nothing else to do,
every me and every you
[Incidi
il tuo nome sul mio braccio
Invece di essere stressato, riposo qui incantato
Perché non c’è nient’altro da
fare,
ogni me ed ogni te]
“Perché
ti comporti così?”,
mormorai stuzzicando il guscio della tartarughina che aveva nascosto la
testa
nell’incavatura di una roccia e aveva tirato dentro le
zampette: erano giorni
che stava lì, immobile, uscendo solo per mangiare un
boccone.
Presi il barattolino del
mangime
e lo agitai di fianco al vetro, in modo che lo sentisse, ma non ebbe
nessuna
reazione. Aprii la scatoletta e gettai nell’acqua un
po’ di gamberetti, ma nemmeno
quella volta funzionò a tirarla fuori da lì,
infatti arrivò subito l’altra a
mangiare anche la sua porzione.
Sospirai e mi arresi,
portandomi
le braccia strette al petto e rimuginando sul suo comportamento.
Improvvisamente,
come se avessi avuto un’illuminazione divina, mi resi conto
che io facevo
esattamente quello che faceva lei: mi nascondevo in camera mia, chiusa
nel mio
guscio come se avessi paura del mondo esterno e di soffrire ancora, la
musica
nelle orecchie, mangiando e parlando poco. Persino con Ale…
mi ero allontanata
persino da lei, anche se non mi aveva fatto nulla e la causa del mio
dolore ero
solo ed esclusivamente io.
Mi stavo comportando
come se io
fossi stata l’unica vittima di una situazione della quale non
facevo parte,
invece di starle accanto e di dimostrarle il mio appoggio, per quanto
potesse
essere stabile.
“Che vogliamo
fare?”, domandai a
bassa voce, passandomi le mani dietro la nuca e chiudendo gli occhi
espirando.
Sucker love,
a box I choose
No other box I choose to use
Another love I would abuse,
No circumstances could excuse
[Amore
dei cretini, una scatola che scelgo
Non scelgo un'altra scatola da usare
Un altro amore di cui abuserei,
nessuna circostanza potrebbe scusarlo]
Sentii il mio cellulare,
anche
quello in quei giorni sembrava morto come mi sentivo io dentro, e mi
girai
sorpresa. Lo presi fra le mani e lessi il messaggio che mi era appena
arrivato:
Ciao
Ary, come stai? Ti passo a prendere io e andiamo in
piscina assieme?
Gunter. Dopo quella
volta si era
subito mostrato pentito, mi aveva chiesto scusa così tante
volte che non
ricordavo nemmeno il numero, e si era rivelato molto gentile e
veramente…
attratto ed interessato a me, non solo per sesso. Che si fosse
innamorato?
Potevo guarire se fossi
stata
assieme ad una persona che teneva davvero a me? Quella ferita si
sarebbe almeno
un minimo cicatrizzata? E poi, avrei avuto il coraggio di usare Gunter
per guarirmi,
senza badare minimamente ai suoi sentimenti?
Forse prima
l’avrei fatto, ma
ora… ora ero cambiata, che lo volessi o no. Toccata
dall’amore e dal dolore
provocato da esso, ero diventata un’altra persona.
Sospirai, scuotendo la
testa.
Mi
dispiace, ma è meglio di no… Non so nemmeno se
vengo.
Ci vediamo.
Sucker love
is known to swing
Prone to cling and waste these things
Pucker up for heavens sake
There's never been so much at stake
[L'amore
dei cretini si sa che oscilla
Incline a consumarsi e sciupare queste cose
Tu ti raggrinzisci per l’amor di Dio
Non è mai stata così alta la posta in gioco]
Mi misi seduta in
ginocchio sul
bordo del letto, lo sguardo perso fuori dalla finestra, il cellulare
ancora
stretto fra le mani. Stava nevicando.
Guardai in veranda e una
fitta al
cuore mi colpì pensando che quello era un po’ il
luogo di ritrovo mio e di Tom,
dove ci eravamo messi a fumare, a ridere, a scherzare…
Mi mancava, e tanto.
Ogni volta
che ripensavo a quella sera, a quello che gli avevo detto, mi
maledicevo,
perché non avrei mai immaginato di soffrire così
tanto. Però, d’altra parte,
non potevo continuare a stargli dietro senza ottenere mai nulla in
cambio.
Ma forse le mie
aspettative, i
miei desideri, erano troppo alte e lui non era in grado di soddisfarle.
In quel
caso era stato sicuramente meglio finirla lì, nonostante il
vuoto che sentivo
dentro, nonostante le lacrime nascoste agli occhi di tutti che mi
avevano
graffiata il volto, nonostante i singhiozzi che mi avevano tolto il
respiro.
Quella del nome era
stata solo
una scusa per mettere ordine dentro di me, per capire se davvero
provavo
qualcosa per lui, e avevo scoperto che sì, provavo davvero
qualcosa per lui. Ed
era qualcosa di importante, qualcosa che non avevo mai provato prima.
Che fosse
amore vero e proprio, ancora non lo sapevo.
Quello che sapevo era
che stavo
lentamente andando a fondo senza di lui, lo volevo di nuovo con me, di
nuovo
mio; volevo poterlo stringere, baciare, insultare; volevo poter gridare
e
sussurrare il suo nome; volevo poter ridere e scherzare ancora,
perché senza di
lui sembrava tutto finto, anche un semplice sorriso, senza significato.
I know I'm
selfish, I'm unkind
Sucker love I always find,
someone to bruise and leave behind
All alone in space and time
There's nothing here but what here's, here's mine
Something borrowed, something blue
Every me and every you
[So di
essere egoista, sono scortese
Trovo sempre l’amore dei cretini,
qualcuno da ferire e lasciarmi dietro
Tutto solo nello spazio e nel tempo
Non c’è niente qui ma quel che
c’è, qui è mio
Qualcosa preso in prestito, qualcosa di triste
Ogni me ed ogni te]
Guardai il cellulare fra
le mie
mani che avevano iniziato a tremare quando quel pensiero si era formato
come la
nebbiolina fine del mattino nella mia testa, e deglutendo cercai in
rubrica il
suo numero, gli occhi che pizzicavano.
Perché volevo
continuare a farmi
del male? Ero malata d’amore, ecco perché.
Chiusi gli occhi, feci
un respiro
profondo e schiacciai il tastino verde, quello delle chiamate. Lo stavo
facendo
sul serio… Lo stavo facendo sul serio…
Nel giro di tre secondi
desiderai
che mi rispondesse, che non mi rispondesse, che mi rispondesse e che
non mi
rispondesse. Ma quando, dopo vari minuti di silenzio
dall’altra parte, scattò
la segreteria telefonica mi venne solo voglia di gettarmi sotto un TIR:
la
verità era che volevo che mi rispondesse, volevo sentire la
sua voce un’ultima
volta…
Mi lasciai cadere
all’indietro
come un peso morto, soffocando un singhiozzo, e cercai il numero di
Bill e
senza pensarci un momento di più, con quel dolore dentro che
si era trasformato
in rabbia irrazionale, lo chiamai, portandomi il cellulare
all’orecchio e
asciugandomi la lacrima che mi era scivolata sulla tempia.
Aspettai una ventina di
infiniti
secondi e poi sentii la voce un po’ sorpresa e ancora
rancorosa di Bill
rispondermi.
“Ary?”
“Sì”,
tremolai, improvvisamente
senza parole da dire: tutto si era volatilizzato nella mia testa.
“Che…
che cosa vuoi?”, berciò
facendomi anche lui più male del previsto.
- Bill! Ale…
cioè volevo dire Ary,
mi ha chiamato mentre ero in bagno!
Che cosa devo fare?! - sentii la sua voce, la sua splendida voce, fuori
campo e
un grande magone mi salì in gola, così grande che
mi mancò il respiro per
qualche secondo, fino a quando non buttai giù senza
aggiungere altro,
scoppiando a piangere con il viso soffocato nella trapunta che tenevo
stretta
fra i pugni.
Quanto mi
mancava… Quanto mi
faceva male… Quanto lo volevo… Quanto tentavo
inutilmente di odiarlo per quello
che era riuscito a farmi, per come mi aveva ridotta…
In the shape
of things to come
Too much poison come undone
Cuz there's nothing else to do,
every me and every you.
[Nella
forma delle cose che verranno
Viene liberato troppo veleno
Perché non c’è nient’altro da
fare,
ogni me ed ogni te]
Sentii la porta aprirsi
e sfregai
il viso contro la coperta, sperando inutilmente di celare quelle
lacrime e di
regolarizzare il mio respiro agitato.
“Ary”,
mormorò Andreas con gli
occhi sgranati: non mi aveva mai vista piangere. Mai.
“Che… che cosa ti è
successo?”
“L’amore
fa schifo!”, gridai,
rituffando la testa nel materasso.
Lo sentii avvicinarsi e
sedersi
al mio fianco, poi si appoggiò alla mia schiena con la
guancia,
massaggiandomela con una mano.
“No, non fa
schifo. Dipende da
che prospettiva lo guardi.”
“L’unica
prospettiva che vedo io
fa schifo!”
“Sì,
in questo momento è così ma…
pensa a quanto eri felice quando diciamo… tutto andava bene.
Se ora ti senti
male è perché ti mancano quei momenti. E per
riaverli indietro c’è un unico
modo: tentare di recuperare ciò che si è perduto,
per quanto possa risultare
difficile ed impossibile. Non bisogna mai arrendersi, Ary. E prima o
poi tutti
i nostri sforzi verranno ripagati, questo è poco ma
sicuro.”
Mi girai e lo guardai,
lui mi
sorrise e mi fece un buffetto sulla guancia, abbracciandomi e
stringendomi
forte al suo petto.
“Hai per caso
fatto sesso con
Selene?”, chiesi. (Selene era la moretta che aveva incontrato
al cinema, ossia
la sua nuova ragazza da qualche settimana. Strana la vita.)
“Sì,
perché?”, mi guardò
stranito; io feci un sorrisetto, che per quanto mi fossi sforzata era
risultato
comunque amaro, tirando su col naso.
“Ora si spiega
perché sei così
dolce e coccoloso.”
“Mi aspettavo
di meglio da te.”
Abbassai lo sguardo, passandomi le mani sulle guance. “Ma
è già un inizio.”
“Grazie
Andreas”, mormorai
stretta di nuovo fra le sue braccia.
“E di cosa?
Forza, ti accompagno
io in piscina.”
“Ok. Andiamo a
piedi però.”
“A piedi? Tu
odi andare a piedi
quando fa freddo!”
“Ho voglia di
camminare”, feci
spallucce, alzandomi e passando di fronte alla finestra, fuori dalla
quale
nevicava ancora.
Tanto non lo sento più il freddo,
Andreas. È uguale a quello che sento
dentro da quando Lui non c’è
più…
Every me and
every you
_____________________________________
Buonasera a tutti!
Eccovi, come
promesso, il nuovo capitolo (:
E’ un altro capitoletto un po’
così… deprimente ç_ç
Però abbiamo visto tutto dalla parte di Ary. Direi che
è
la messa peggio fra le due xD Chissà se si riusciranno a
risolvere le cose! D:
La canzone che ho usato è “Every me and every you”
dei mitici Placebo
u.u
Speriamo veramente che vi sia
piaciuto e vi ringraziamo di cuore per averci aspettato ed aver
commentato lo
scorso capitolo *w*
_t_o_k_i_e_t_t_a_ :
Scusaci per il ritardo, davvero ç_ç Questa
volta però abbiamo fatto presto (;
Siamo contente che ti sia
piaciuto il capitolo ** Sì, Ale e Ary sono molto tristi e
Bill e Tom chissà…
staremo a vedere! xD Grazie mille, alla prossima!
iLARose
: Eh beh, insomma, un po’ grave è u.u Vedremo se
riusciranno a perdonarle (:
Grazie mille per la recensione,
un bacio!
Charls__
: Oddio, mi dispiace, poverino o.o spero che si riprenda
presto (:
Beh, tutto è possibile e noi non
ci facciamo intimidire dalle tue minacce ù-ù xD
Grazie mille per la recensione e
alla prossima, un bacione! :D
Tokietta86
: Ciao cara! *-* Sono certa che ti riprenderai e
tornerai ad azzeccarle tutte xD Quando Ale gli ha detto di essere
innamorata di
lui si è tipo pietrificato, infatti è ancora
lì col cellulare all’orecchio u.u
Nooo, scherzo xD Beh, non se lo aspettava, questo è certo (:
La povera Ale è messa maluccio,
ma anche Ary non scherza niente! Uhm, vedremo se Tom tornerà
da lei oppure se
sarà lei ad andare da lui… è proprio
un bel quesito xD
Ci vorrebbe proprio un’altra “idea
geniale” di Ary per far pace, ma in questo periodo non
è in vena ç_ç
Grazie mille *WW* Alla prossima,
un abbraccione! (:
Stellina_Batuffolo
: Ciao! ** Siamo contente di avere una nuova
lettrice e che la storia ti piaccia tanto da averla messa in preferite!
:D
Siamo felicissime che tu abbia
detto che ha trasmesso davvero tanto, vuol dire che abbiamo fatto bene
il
nostro lavoro *u*
Grazie mille davvero,
alla prossima, un bacio!
Grazie anche a tutte le
persone
che hanno letto soltanto (;
Alla prossima, vostre
Ale&Ary
|
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Capitolo 18 *** Mai più senza di te ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/625785.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 19 *** Inutile respingerlo ***
Capitolo 19: Inutile
respingerlo
“Ragazzi, alla
prossima!”, gridò
l’allenatore mentre tutti uscivano dall’acqua,
gocciolando dappertutto sul
pavimento.
Raggiunsi le mie
ciabatte
togliendomi la cuffia e gli occhialini e frizionandomi i capelli con la
mano non
impegnata a prendere l’accappatoio blu
dall’appendino.
Mi ci avvolsi dentro e
trassi un
respiro profondo massaggiandomi le spalle e chiudendo gli occhi: ero
esausta.
Per fortuna a casa mi aspettava il mio letto caldo in cui mi sarei
intrufolata
senza problemi, anche un po’ egoisticamente.
“Ehi
Ary.”
Mi girai e vidi Gunter
sorridermi, avvolto nel suo accappatoio bianco.
“Ciao”,
biascicai.
“Tutto
bene?”
“Sì.”
No che non va
tutto bene, Cristo! Annuii a
testa bassa, come ero
abituata a fare da una settimana ed un giorno precisi.
Una settimana e un
giorno senza
di lui… Una settimana e un giorno senza i suoi baci, le sue
carezze, senza la
sua voce, senza la sua risata, senza il suo sorriso, senza i suoi
occhi… Quegli
occhi in cui avrei voluto più e più volte
annegare.
“Ti va bene?
Eh?”, Gunter mi
punzecchiò la spalla, corrugando la fronte.
“Cosa? Scusa,
mi sono distratta”,
dissi, guardandolo in viso per la prima volta.
“Ho…
notato! Ti ho chiesto solo
se qualche volta, beh… ti andava di uscire con me.”
Accusai il colpo in
silenzio,
senza nessuna reazione esterna, quando dentro si stava scatenando il
putiferio.
Trassi un respiro profondo e sorrisi debolmente, posandogli la mano sul
braccio.
“Gunter…
io sono innamorata di un
altro ragazzo, mi dispiace. Io ti voglio bene ma… non
saresti mai potuto essere
più di un amico per me, scusami.”
L’avevo detto,
finalmente l’avevo
accettato, per quanto facesse male. Abbassai lo sguardo mormorando
un’altra
volta “Scusa” e sgattaiolai all’interno
dello spogliatoio femminile. Andai alle
docce, appesi l’accappatoio e mi gettai sotto il getto
d’acqua bollente.
Mi accarezzai la pelle,
sentendo
quel corpo freddo e vuoto senza qualcuno che lo coccolasse, che lo
cercasse,
che lo desiderasse. Senza lui…
Mi lasciai cullare da
quel calore
apparente e quando rimasi da sola nel locale mi coprii il viso con le
mani e
soffocai un grido che bruciava in gola assieme alle lacrime nei miei
occhi
stanchi.
Quella giornata non
voleva più
finire, ma dovevo tenere duro ancora per un po’. Ancora un
po’ e poi avrei
chiuso gli occhi fino al mattino dopo.
Mi chiusi rapidamente in
uno dei
tanti spogliatoi liberi con un giro di chiave e mi abbandonai alla
panchina,
appoggiandomi con le spalle al muro e chiudendo gli occhi alla luce al
neon
appesa al soffitto. Mi feci forza e con un altro sospiro mi vestii, mi
infilai
le scarpe, raccolsi i capelli in una coda perché non avevo
voglia di asciugarli
ed uscii da lì.
L’aria fredda
dell’inverno mi
frustò il viso e mi misi il cappuccio sopra la testa. Mi
sedetti su un
panettone giallo, aspettando chissà cosa o chissà
chi, lì al freddo, e presi
l’iPod dalla tasca del giubbino, infilandomi le cuffie nelle
orecchie.
Appena lo accesi ancora
quella
canzone, quella che mi tormentava da quando lo conoscevo, la stessa che
ogni
volta, con la stessa intensità, mi faceva male al cuore.
And if I only
could
make a deal with God
and I’d get him to swap our places,
be running up that road,
be running up that hill,
‘no problems
“If I only could, be running up that hill”
[E se solo
potessi
fare un patto con Dio
e convincerlo a scambiarci di posto,
salirei di corsa quella strada,
salirei di corsa quella collina,
nessun problema
“Se solo potessi, salirei di corsa quella collina”]
Lasciai scivolare una
lacrima
sulla guancia fredda e tirai su col naso, stringendo forte i pugni
sulle gambe,
una voglia assurda di gridare a tutti quanto facesse male amare
qualcuno che
non ti avrebbe mai amato. E quanto volessi scappare via da
lì, lontano, e
provare a dimenticare.
Sentii una mano calda
sfiorarmi
il mento e aprii gli occhi umidi, trovandomi di fronte il viso
preoccupato di
Tom.
“Ehi”,
disse piano, sorridendomi
un po’ imbarazzato.
“Ti prego,
basta… Basta! Ho
capito, ho sbagliato tutto, lo so! Me ne sono resa conto troppo tardi,
lo so
perfettamente e mi maledico per tutto quello che ho fatto! Ma basta, ti
prego,
basta! Non voglio più soffrire, non voglio più
stare male, non voglio più
immaginarmelo dovunque!”, gridai tenendomi le mani sulla
testa, mentre calde
lacrime mi segnavano il viso.
“Ary…”
Sgranai gli occhi quando
sentii
il mio nome, quando percepii due forti braccia stringermi forte a
sé e il mio
viso premuto sulla sua spalla.
“Tom”,
singhiozzai, stringendolo
forte.
“Sì,
sono qui.”
Mentre pronunciava
quelle
semplici parole che per intere notti avevo sognato e pregato che
uscissero
dalle sue labbra perfette e fatte apposta per essere baciate, come se
fosse uno
scherzo del destino, al mio iPod passò una canzone che
sicuramente ci aveva
ficcato dentro Ale, la mia gemellina, la stessa che doveva essere
l’artefice di
tutto quello.
Sono qui
per farti credere ai miracoli
sono qui per sovvertire i pronostici
L’amore è una marea, come distrugge crea
e tu non puoi respingermi,
lo sanno anche gli angeli
Quello era un miracolo,
un vero
miracolo per una come me che aveva creduto fino alla fine che non
sarebbe mai
successa una cosa del genere, che lui non sarebbe più
tornato. E invece era
successo, una fine che mi ero immaginata era stata sconvolta da un
colpo di
scena clamoroso.
In quel momento, stretta
fra le
sue braccia, di nuovo avvolta in quel calore che mi faceva sentire
semplicemente bene, capii le parole di Andreas: come l’amore
poteva
distruggere, poteva creare e bisognava solo guardarlo dalla prospettiva
giusta.
Forse c’era
qualche speranza,
forse c’era la possibilità che potesse funzionare,
che dalle ceneri del mio
cuore potesse rinascere qualcosa, se lui fosse rimasto al mio fianco.
Sciolse
l’abbraccio dopo attimi
infiniti e mi sorrise, accarezzandomi le guance con i pollici.
“Si gela qui,
cazzo!”, gridò
scoppiando a ridere, coinvolgendomi fra le lacrime.
Grazie a lui potevo di
nuovo
ridere, potevo di nuovo sorridere, potevo di nuovo scherzare, potevo di
nuovo
essere felice, potevo di nuovo… vivere.
“Mi sei
mancato tantissimo, Tom”,
sussurrai, tirando su col naso ghiacciato.
“Anche tu, Ary”,
sorrise facendomi l’occhiolino.
Non avrei mai pensato
che il mio
nome pronunciato dalle sue labbra verso di me mi facesse sentire come
se avessi
le ali al cuore. Era così semplicemente… stupendo.
“Ripetilo”,
mormorai chiudendo
gli occhi.
“Ary.”
“Ancora…”
“Ary.”
Sentii il suo respiro
sopra il
mio e sorrisi, aprendo gli occhi e incontrando i suoi sorridenti.
“Di
nuovo…”
“Ary”,
soffiò prima di annullare
la distanza, donandomi un bacio così dolce ed innocente che
ebbi la fottuta
paura che quello fosse solo uno dei miei sogni e che da un momento
all’altro mi
sarei svegliata nel mio letto, lo sguardo rivolto al soffitto e le
lacrime che
mi pungevano gli occhi.
Lo strinsi di
più a me,
allacciandogli le braccia intorno al collo, e mi allontanai dalle sue
labbra,
sfiorandogli il naso con il mio, ad occhi chiusi.
“Mi dispiace
per tutto quello che
ho combinato, Tom. Io… io proprio non credevo di…
di potermi affezionare a te
in questo modo. Anche se non è una motivazione giusta la
mia, perché di
principio non avrei dovuto ingannarti. Comunque… mi dispiace
da morire e… ti
voglio tanto bene”, deglutii, alzando gli occhi nei suoi,
avvampando sulle
guance.
“Te
l’ho mai detto che sei
bellissima quando fai la bambina e quando arrossisci?”,
sorrise dolcemente,
levandomi un ciuffo dalla fronte.
“No”,
mormorai scuotendo la
testa.
“Beh, la
verità è che l’ho sempre
pensato. Ti voglio bene anch’io, Ary, che io lo voglia o
no.”
Sorrisi stringendomi
nelle
spalle, imbarazzata, e Tom mi baciò ancora a stampo, due o
tre volte, poi mi
prese la mano fredda nella sua bollente e mi fece alzare da quel
panettone
giallo.
Un fiocco di neve mi
cadde sulla
guancia e alzai lo sguardo al cielo bianco, incominciando a ridere da
sola,
aprendo le braccia con un sorriso a trentadue denti sul viso.
“E ora
perché ridi?”, mi chiese.
“Perché
sono felice.” E
sento che rinascerò.
Ricambiò il
sorriso e mi fece
salire in macchina, io tirai fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e
ridacchiai scrivendo un messaggio ad Ale.
Lo sai
che ti amo, vero sorellina?
Lo rimisi in tasca e
sorrisi
quando Tom salii in auto al mio fianco, mettendo in moto con lo stesso
sorriso
sulle labbra. Per la prima volta, capii quanto un sorriso potesse
cambiare la
vita.
***
“Tom! Io e te
facciamo i conti
dopo!”, gli sibilai in faccia, tirandolo in casa.
“Uh, questo mi
piace”, si leccò
le labbra tentando di baciarmi, ma io mi spostai, ricominciando a
gridargli
contro.
“Ti avevo
detto che sarebbe stato
alle otto e tu mi hai fatto prendere un colpo!”
“Ma…
sono solo cinque minuti in
ritardo!”
“No, non
dovevi essere nemmeno…”
“Sono andato a
prendere questa”,
mi disse dolce, porgendomi una rosa rossa.
“Davvero?”,
sollevai il
sopracciglio, scettica, quando vidi dietro di lui Bill con un mazzo di
rose identiche
per Ale.
“Sì,
perché?! Non ti fidi?!”,
sgranò gli occhi, indicandosi indignato.
Ale comparve al mio
fianco e mi
sorrise prima di dare un bacio fugace a Bill e prendergli il mazzo
dalle mani,
invitandolo ad entrare.
“È
il pensiero che conta”, mi
sussurrò all’orecchio ridacchiando.
Confrontai la mia rosa
con il
mazzo che aveva lei e sorrisi guardando il viso dolce e un tantino
imbarazzato
di Tom. Sollevai le spalle e gli schioccai un bacio sulle labbra,
abbracciandolo.
“Grazie
Tomi!”, squittii
ridacchiando.
Erano ormai passati tre
mesi dal
giorno della nostra riconciliazione generale e io e Tom, quasi un mese
prima,
avevamo finalmente deciso di metterci insieme ufficialmente. Era stata
una
decisione molto riflettuta perché né io
né lui volevamo ripetere quella brutta
esperienza della sofferenza, ma alla fine avevamo scelto di provarci,
perché se
non ci avessimo provato non avremmo mai saputo che cosa ci attendeva.
Quella sera Tom era
stato
invitato dai miei genitori a cena ed eravamo entrambi emozionati e
nervosi
sotto le nostre facciate da idioti. Ciò che sentivo per lui
aumentava giorno
dopo giorno, le cose diventavano sempre più serie, ma mai
come lo erano
diventate fra Bill e Ale… che se prima mi sembravano una
coppietta vera e propria,
ora mi sembravano due novelli sposini con tanto di fede al dito.
Era una situazione
strana un po’
per tutti, ma stavo iniziando ad abituarmi a quel rapporto stabile ed
ero
felice dei miei cambiamenti. Ops, pardon… dei nostri
cambiamenti. In effetti anche Tom era cambiato tanto da
quando avevamo messo la testa “a posto”, e io
l’avevo notato per prima, dai
suoi atteggiamenti nei miei confronti, dai suoi sguardi, dai suoi baci,
da come
solo mi parlava… Era cambiato, ed ogni volta che stavo con
lui mi sentivo
completa e voluta per ciò che ero, sesso o meno.
Mi prese per i fianchi e
approfondì il bacio di prima con espressione spensierata,
entrando e
chiudendosi la porta alle spalle con un piede.
“Abbi la
decenza di aspettare,
Tom!”, risi staccandomi e pizzicandogli la guancia.
“Ora devi superare il
difficilissimo test…”
“Oh
già, il test”, disse
prendendomi la mano e seguendomi in cucina, dopo aver fatto un respiro
profondo, dove trovammo già papà, mamma, Davide,
Marika e Bill e Ale, stretti
in un abbraccio. Ci fecero ok con i pollici e io sorrisi, guardando Tom
al mio
fianco.
“Famiglia”,
annunciai
schiarendomi la voce. “Lui è Tom, il
mio… ragazzo”, sospirai soddisfatta.
Un coro di applausi, di
gridolini
vari di Marika, Ale e persino di mamma e di
“Finalmente!” si levò nella piccola
cucina e Davide ridendo stappò la bottiglia di spumante. Il
tappo schizzò in alto
e beccò in pieno la lampadina del lampadario, che si ruppe
con un rumore sordo,
lasciandoci completamente al buio.
“Oh wow,
fantastico. Secondo te ho
fatto una buona impressione?”, si sentì Tom
sussurrarmi, nel silenzio generale.
“Io penso di
sì”, scoppiai a
ridere, trascinandomi dietro tutti gli altri.
“Vado a
prendere un’altra
lampadina”, disse Davide, il danno, alzandosi dalla tavola
già apparecchiata e
camminando al buio.
“Ehi, stai
attento!”, gridò
Marika ridacchiando.
“Scusa!”
“Ahia, Dave!
Mi hai pestato il
piede!”, gridò Ale.
“Scusa!”
“Dave!”,
gridai.
“Che
c’è, che ho fatto a te?!”
“Sono dietro
di te, comunque”,
ridacchiai.
“Stupida di
una sorella”,
bofonchiò dandomi un colpetto sulla testa prima di avviarsi.
“Ragazzi,
perché non andiamo in
salotto, intanto che aspettiamo che arrivi la luce dal
cielo?”, chiese mamma.
“Ottima
idea”, disse Marika.
Uscimmo tutti dalla
cucina e ci
riunimmo in salotto: io e Tom seduti vicini sul divano, che ci tenevamo
la
mano, mamma e papà nell’altro divano, Marika
seduta sul bracciolo della
poltrona di Dave e Ale e Bill…
“Un momento,
ma Ale e Bill dove
sono finiti?”, chiesi guardandomi intorno.
Incontrai lo sguardo
sbarazzino
di Tom e ridacchiai prendendo la torcia che c’era nel
cassetto del tavolino e
tornando con lui in cucina, senza fare rumore per non interrompere i
due
piccioncini.
Accesi di scatto la luce
puntandogliela in faccia e li vidimo intenti a baciarsi,
l’uno aggrappato
all’altra.
“Beccati!”,
gridammo assieme,
scoppiando a ridere.
“Siete due
idioti!”, gridò Bill
colpendo a casaccio il fratello.
“Ahia, Bill mi
hai graffiato!”,
gridò Tom tentando di ricambiare la cortesia, ma dandomi
solo una gomitata sulla
tetta sinistra.
“Ahia!”,
gridai.
“Cos’era
quella cosa morbida?”,
chiese Tom.
“La mia povera
tetta, se non ti
dispiace!”, gridai.
“Scusa!”,
scoppiò a ridere
assieme ad Ale e a Bill.
“Non
c’è niente di divertente,
idiota!”
“Ma che cosa
sta succedendo qui?”,
chiese Davide alle nostre spalle, puntandoci addosso un’altra
torcia. “Sapete
che in cucina non si fanno le cose sconce come le orge fra
gemelli?”
“Dave!”,
gridammo io e Ale in
coro, rosse d’imbarazzo.
“E ora tutti
fuori, devo
sistemare la lampadina!”, ci cacciò.
Tornammo in salotto
tutti un po’
scassati: Tom con una mano sulla guancia graffiata
dall’unghia di Bill, io con
una mano sulla tetta colpita dal gomito di Tom, Bill e Ale con gli
occhi
piccoli per il colpo improvviso con la luce e Bill anche con il labbro
inferiore un po’ gonfio probabilmente a causa di un morso
spaventato di Ale
quando li avevamo sorpresi.
“Ma che avete
fatto, siete andati
in guerra?”, chiese mamma guardandoci uno per uno.
“È
colpa sua!”, gridammo insieme,
indicandoci a vicenda, prima di scoppiare di nuovo a ridere.
“Chissà
se riusciremo a fare
questa cena”, mi chiesi parlando a bassa voce con Ale, che
dissentì
ridacchiando.
Ma era anche per questo
amavo la
mia famiglia e amavo Tom, anche se non avevo ancora trovato il coraggio
di
dirglielo. Lo guardai e gli strinsi la mano nella mia, sorridendo.
“Che
c’è?”, mi chiese.
“Assolutamente
niente”, lo baciai
sulla guancia, pensando che avevamo ancora tutto il tempo che volevamo
davanti
e che non c’era assolutamente nessuna fretta: quelle due
parole potevano
aspettare.
____________________________________
Eccoci qui, il primo
dell’anno, a
postare! Che figataaaaa *-* Oggi è l’1/1/11,
bellissimo!
Ma a parte questo, esultiamo per
questo nuovo capitolo colmo di gioia, di fiori ed amore *w* Ma non
è nemmeno
troppo sdolcinato u.u xD
Speriamo che postando oggi sia di
buon auspicio per l’anno nuovo xD
Le canzoni che abbiamo usato in questo capitolo sono due: la prima
è l'ormai familiare Runnin' up that hill,
dei Placebo
e Kate Bush;
la seconda, invece, è Superstiti,
di Raf
*-*
Ringraziamo chi
diligentemente ha
recensito lo scorso capitolo :DD
Holly94 : Abbastanza
presto? :) Grazie mille!
Charls__ : Sai cosa, sei tu quella veramente
malefica
u.u Come ti permetti a scrivere un fucsia? ò-ò
Niente da dire sul colore, anche
se non è uno dei miei preferiti, ma la prima volta mi sono
spaventata! Non
farlo mai più u_u Ti sta bene che Fiocco ti ha zampettato in
testa u_u xD
Che bello, siamo tutte euforiche *-* Ahahah,
ti abbiamo lasciato così
sospesa nel 2010, adesso è 2011 e hai un nuovo capitolo, non
è bellissimo? *-*
Un bacione grandissimo anche a te! <3
_t_o_k_i_e_t_t_a_ : Siamo contente di averti resa
così felice
:D E ti ringraziamo tantissimo per i complimenti! Alla prossima, baci!
iLARose : Scene così le vediamo tutti i
giorni u.u
xDD Siamo felici che ti sia piaciuto, soprattutto che sia stata di tuo
gradimento la scena di Ale e Bill xD Tom e Ary non hanno dato una
festa, erano
impegnati anche loro a pensare al loro futuro insieme *-* Grazie,
grazie mille!
Alla prossima!
Tokietta86 : Ciao cara! Bello, eh, l’effetto
sorpresa
*-* Ale ha agito per conto della sorella e chissà, forse
proprio Tom ha
chiamato Bill, ma questo non lo sapremo ;) Finalmente
c’è stato quello che
doveva esserci stato molto prima e Bill e Ale si sono accoppiati u.u XD
Ale e Tom sono bellissimi, mi piacciono tanto anche a me! *-* Per
quanto
riguarda la faccia di Ary quando si è trovata davanti
Tom… Beh, ci dirai nella
prossima recensione xD Ovviamente speriamo che ti sia piaciuta! :D
Grazie mille
di cuore, alla prossima, un abbraccio!
Ringraziamo
anche chi ha letto soltanto e approfittiamo per farvi gli
auguri di buon anno più sinceri, perché ve lo
meritate :D Buon 2011! *-*
E noi ci rivediamo fra un po’, col prossimo capitolo! ;D
Vostre, Ale&Ary
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Capitolo 20 *** Novelli sposi ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/638125.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 21 *** Quando è amore ***
Capitolo
21: Quando è amore
Poggiai il mio bicchiere sul
tavolino e sorrisi a Tom che mi aveva attirata a sé in un
abbraccio, per poi baciarmi sulle labbra con una mano fra i miei
capelli. Sorrise e si allontanò quel minimo necessario per
guardarmi negli occhi.
“Che… che cosa
c’è?”, gli chiesi, arricciando il naso.
“Niente, che cosa ci
dovrebbe essere?”, mi stuzzicò ancora le labbra:
sapeva che mi piacevano tantissimo quei mezzi baci, perché
aumentavano sempre di più la mia voglia di averli.
“Non so…
E’ tutta la sera che ti comporti in modo strano… Più
strano del solito”,
sorrisi accarezzandogli una treccina sulla spalla.
“Ma non
c’è niente…”
“Sei sicuro?”,
gli sussurrai all’orecchio con tono malizioso: lui cedette in
un sospiro e mi prese le mani fra le sue, tornando a guardarmi negli
occhi.
“Ok, hai
vinto… Solo che… Beh, io ho conosciuto i tuoi,
giusto?”
“Sì, e con
questo?”, alzai il sopracciglio, con fare indagatore: avevo
uno strano presentimento.
“Pensavo che…
ecco…”
“Cosa?”
“Mi lasci
parlare?!”, sbottò, arrossendo lievemente sulle
guance.
Io serrai le labbra, il cuore che
sembrava voler scoppiare nella cassa toracica: che cosa aveva in mente,
quel pazzo? Non prevedevo nulla di buono.
Vidi con la coda dell’occhio Bill sogghignare e trattenere
una risata girandosi verso Ale che sembrava mezz’addormentata
al suo fianco. Lui ne sapeva qualcosa, ne ero certa, e
gliel’avrei fatta pagare per tutta l’ansia che mi
stava provocando quel momento.
“Pensavo che,
magari… potresti… venire a
conoscere…”
Deglutii rumorosamente, tanto che lui abbassò lo sguardo
sulle mie mani che stringevano convulsamente le sue, in preda
all’ansia e anche un po’ al panico…
“Mia mamma”, concluse trafiggendomi con una delle
sue occhiate dolci e un sorriso altrettanto adorabile, da cucciolo.
“Ah…
ehm… uh… gne”, balbettai abbassando lo
sguardo, rossa d’imbarazzo.
Bill scoppiò
definitivamente a ridere, tenendosi la pancia, e Ale si
risvegliò improvvisamente dal suo stordimento da alcool,
dopodiché agguantò il mio moijto abbandonato sul
tavolo e se lo portò alle labbra prima che io potessi dire o
fare niente, ancora troppo sconvolta da quella proposta.
Io… avrei conosciuto la
mamma di Tom? Non mi sentivo affatto pronta per una cosa del genere.
Ci avevamo messo due mesi per metterci insieme, almeno qualche
settimana di preparazione me la doveva concedere!
“Ary, allora?”,
mi chiese, punzecchiandomi il braccio.
“Ecco, io… non
so…”
“Qual è il
problema?”, inarcò le sopracciglia, sospirando.
“Nessun problema, solo
che…” Mi guardò intensamente,
mettendomi in soggezione e facendomi crollare una volta per tutte:
“E se non dovessi piacerle?”
“E perché non
dovresti?”
“Che ne so io!”
“La mia sorellina
è una fifona!”, gridò stridula Ale,
battendo i piedi per terra ed iniziando a ridere come una cretina da
sola, accasciandosi su Bill. Se su di me l’alcool aveva
strani effetti, su Ale erano peggiori il triplo.
“Sei ubriaca marcia,
Ale”, scossi la testa.
“E con
quèstooooo? Io sono la più grande, io decido
qui!”, sventolò un dito in aria, imbronciandosi.
“Non credevo che
l’alcool avesse quest’effetto su di lei”,
disse Tom sorpreso, sebbene stesse morendo dalla voglia di ridere di
fronte a quello spettacolo comico.
“Tom, tu sei un
cretino!”, gridò Bill, reggendo la sua ragazza.
“Ma che ho
fatto?!”
“L’hai sfidata
a bere! E non dire di no, perché è
vero!”
“Ok, ma non
credevo…”
“Sese, ok. Ormai il danno
è fatto”, gli rivolse un’occhiataccia e
si alzò prendendo Ale, traballante, sottobraccio.
“Andiamo a casa”, le sussurrò
all’orecchio.
“A casa mia o a casa
tua?”, chiese un po’ confusa.
“A casa tua,
Ale.”
“Ci sono i miei genitori,
non si può fare!”
Mi spalmai la mano in faccia,
sorprendendomi di quanto potesse diventare stupida e simile a me con
l’alcool nel sangue.
Bill la fece salire in macchina,
sui sedili posteriori, e si mise seduto accanto a lei, lasciando che si
appoggiasse alla sua spalla e che cadesse in un dormiveglia agitato.
Tom mi trattenne al di fuori della
vettura e mi guardò negli occhi: “Non credere che
io me ne dimentichi, sai?”, mi disse sogghignando, prima di
fare il giro e di mettersi al posto del guidatore.
“Perché
proprio a me?”, piagnucolai a bassa voce prima di entrare
anch’io in macchina.
***
“Devo fermarmi a fare
benzina”, disse Tom.
“Proprio
adesso?”, sbuffai guardando fuori dal finestrino.
“Sì, cara. Ti
dispiace?”, sogghignò; io borbottai qualcosa di
incomprensibile, girandomi a guardare la mia gemella che pareva
addormentata con la testa sulle gambe di Bill, che le accarezzava
docilmente i capelli.
Ci fermammo in una stazione di
servizio e Tom scese dall’Audi e nemmeno il tempo per
prendere in mano la pompa che gli si avvicinò una ragazza
abbastanza robusta che gli chiese qualcosa, sorridendo in un modo che
mi infastidì parecchio.
“E quella troia cosa
vuole?”, borbottai a bassa voce prima di scendere
dall’auto, nonostante un’occhiata esplicita da
parte di Bill di lasciar perdere. Ma io, ovviamente, non lo ascoltai.
Avevo scoperto, in quei mesi, di essere molto ma molto gelosa di Tom.
“Ehi”, dissi
con tono duro, avvicinandomi al mio uomo e avvolgendogli il braccio con
le mani. “Tutto bene?”, guardai prima lui e poi la
ragazza che gli stava di fronte, l’espressione corrucciata
che si trasformò in fretta di odio puro.
“No, non va tutto bene,
se lui continua a portarsi a letto le puttanelle come te”,
rispose la tizia, schioccandomi un’occhiata da rivale.
“Punto uno, lui fa quello
che vuole; punto due, ritira tutto ciò che hai detto sul mio
conto oppure ti deformo quella faccia di merda che ti
ritrovi”, risposi avvicinandomi.
“Che
cos’è che fai, puttanella?”,
sogghignò ancora, spintonandomi.
“Che cazzo
fai?!”, sbottò Tom allontanandola immediatamente
da me con espressione furente.
“Lascia stare la mia
sorellina!”, gridò una voce stridula che riconobbi
subito come quella di Ale, appena uscita dalla macchina assieme a Bill
che la sorreggeva, e guardava male la tizia di fronte a noi.
“Infatti, non provare
nemmeno a toccarla”, sibilò Tom a denti stretti.
“La situazione si sta
riscaldando qui.”
“Oh no, e adesso chi
cazzo rompe ancora?!”, gridai girandomi e trovandomi di
fronte ad altre tre ragazze, che dovevano fare un gruppo assieme alla
tizia grassa.
“Buonasera”, mi
salutò una, prima che le sue due compagne si dirigessero
verso Bill e Ale, ancora vicini all’Audi.
“Oh, ma che cavolo
volete?!”, gridai. “Avete beccato proprio la serata
sbagliata, mi dispiace!”
“Questa poi me la
spieghi”, disse Tom, ma io non ci badai, troppo impegnata a
fulminare con lo sguardo quella che mi si parava davanti.
“Voi due,
che cosa volete da loro.”
“Si dia il caso che siamo
le loro ragazze!”, gridò Ale liberandosi dalla
stretta di Bill e avvicinandosi ad una delle tizie vicine a lei,
traballando un po’ e puntandole il dito contro.
“Oh sì, certo.
Da quando, da questa sera?”
“Voi non sapete nulla,
nulla!”, gridò ancora Ale, beccandosi solo uno
spintone da una di loro. Bill la prese al volo prima che cadesse a
terra e la fece risedere in macchina nonostante si dimenasse, e si
parò davanti a quelle due ragazze con uno sguardo
così arrabbiato che faticai a riconoscerlo.
“Anche tu Ary, vai in
macchina”, mi ordinò Tom, fermo.
“Te lo scordi! Non
possono insultarmi così gratuitamente!”
“Ti ho detto di andare in
macchina!”, ringhiò guardandomi male.
Ferita da quello sguardo e da quel
tono, abbassai gli occhi e mi avviai verso l’auto, quando mi
sentii strattonare da una di quelle ragazze.
Tom si mise in mezzo e la spinse tanto forte da farla cadere a terra,
poi mi prese il braccio e mi ficcò in macchina di fianco ad
Ale, nei sedili posteriori.
Lo guardai ad occhi sgranati e mi strinsi forte ad Ale, nascondendo il
viso fra i suoi capelli profumati, con gli occhi che mi pizzicavano.
Lei era fortunata, la mattina dopo non avrebbe ricordato quasi
nulla…
Poco dopo Tom si mise al volante,
cupo in viso, e scambiò ancora qualche parole con la prima
ragazza: “Puoi scommetterci che non finirà
qui.” Una volta che anche Bill si fosse allacciato la
cintura, sgommò via facendo sobbalzare Ale.
Il tempo non sembrava passare mai
in quell’auto, dove un pesante silenzio regnava sovrano e
l’amaro ricordo di un sorriso per quella serata che avevamo
passato assieme prima che loro partissero per un giro in Spagna era
ormai lontanissimo.
Mi sentivo soffocare lì dentro, mentre le immagini e le
parole rabbiose di Tom mi rimbombavano nella testa facendomi in qualche
modo soffrire. Non si era mai comportato così… Mi
veniva la pelle d’oca solo a ripensarci.
Quando arrivammo di fronte alla
nostra villetta sospirai sollevata ed uscii in fretta fuori
dall’auto, tenendo sotto braccio una Ale che mugugnava
lamentandosi per il mal di testa.
“Lascia, la porto io
dentro”, disse piano Bill.
“Ma va', no, lascia
stare.”
“Ary, non mi
contraddire”, ridacchiò rubandomela dalle braccia
e lasciandomi lì da sola con Tom.
Abbassai subito lo sguardo quando
incontrai il suo, mi girai appoggiandomi al muretto che recintava il
nostro giardino e mi ci misi seduta sopra, tirando fuori dalla tasca
della giacchetta il pacchetto di sigarette e infilandomene una fra le
labbra.
Mi tastai le tasche in cerca dell’accendino, quando sentii
Tom avvicinarsi e sporgersi in avanti fino a far incontrare la sua
sigaretta accesa con la mia.
Inevitabilmente si incontrarono anche i nostri sguardi e mi fece
un’amarezza unica vedere quei suoi occhi di solito
così pieni di vita, spenti e dispiaciuti. Come si poteva
resistere alla potenza di quello sguardo magnetico e non sentirne le
emozioni che ne derivavano?
Si scostò lentamente e fece il primo tiro, lasciò
che il fumo si espandesse in alto tirando indietro la testa e mettendo
in bella mostra il suo collo e la curva perfetta che faceva il suo pomo
d’Adamo. Quanto mi piaceva baciarlo in quella zona…
I suoi occhi ancora mi catturarono
e non mi accorsi nemmeno che si era avvicinato a tal punto da essere
fra le mie gambe.
“Mi dispiace per come mi sono comportato prima”, mi
sfiorò lo zigomo con il pollice. “Non volevo
risponderti così e tantomeno ferirti…”
“Mi hai fatto
paura”, mormorai.
“Scusami
piccola… Ho esagerato. Ma lo sai che quando ti toccano io
impazzisco… perché io ti…
ti…”, sospirò, “ti voglio
bene”, sorrise dolce.
“Anche io
Tomi”, ricambiai donandogli un soffice bacio sulla bocca.
“Perdonato?”,
sfarfallò le ciglia.
“Potrei mai essere
arrabbiata con te? Faccio solo finta, non ce la faccio ad arrabbiarmi
veramente… è più forte di me. O sei tu
che hai poteri sovrannaturali.”
“La seconda”,
mormorò malizioso portando le mani infondo alla mia schiena,
stringendomi a sé, e baciandomi sulle labbra dolcemente e
lentamente, assaporando tutto di quel bacio, ogni minimo particolare,
perché il mattino dopo sarebbero partiti e per una settimana
non ci saremmo visti.
“Mi dispiace salutarti
così”, ridacchiai.
“È il pensiero
che conta…”
“Porco!”, gli
tirai uno schiaffo sul braccio, appoggiandomi al suo petto con la testa.
“Perché, sei o
non sei la mia ragazza?”
“Sì, certo che
lo sono!”, esultai alzando di scatto la testa e colpendolo
sul mento.
“Ahia!”,
mugugnò portandosi una mano sul punto colpito.
“Scusa Tom!”,
lo guardai preoccupata. “Ti ho fatto tanto male?”
“Sai che se avevo la
lingua fra i denti me la tagliavo?”
“Oddio, che schifo! Non
dire queste cose, mi fanno impressione!”, ridacchiai
abbracciandolo. “Scusami, non era mia intenzione.”
“Ci mancherebbe
altro”, bofonchiò sorridendo e baciandomi fra i
capelli. “Pensaci a… a quella cosa”,
disse.
“A quale
cosa?”, ribattei nervosa. Ancora
con la storia di sua madre…
“Sai a cosa mi
riferisco.”
“Ok, va bene, ci
penserò”, sospirai arrendevole.
Mi accarezzò il viso con
le mani e mi baciò di nuovo, prima che Bill uscisse di casa
e interrompesse tutto. Come noi eravamo i guastafeste per Ale e Bill,
lui lo era per noi due, ovviamente.
“Ale è
già a letto, si è addormentata subito.”
“Ok, grazie
Bill”, sorrisi e scesi dal muretto strusciandomi apposta su
Tom che si morse da solo la lingua fra i denti, spalmandosi una mano in
faccia mentre io me la ridevo.
“Sei proprio
perfida!”, mi additò.
“Lo so”, gli
feci una linguaccia.
“Appena torno vedi,
brutta stronza.”
“Sese”,
ridacchiai sventolando una mano e baciando Bill sulla guancia,
augurandogli buon viaggio e una buona permanenza in Spagna.
“Divertitevi, mi
raccomando”, dissi al finestrino. “Ma non troppo,
Tom. E sai che cosa intendo.”
“Tranquilla
piccola!”, la sua risata argentina mi sciolse il cuore.
“Come tu sei solo mia, io sono solo tuo”, mi fece
l’occhiolino e tirò su il finestrino ridacchiando
guardando la mia espressione sorpresa e commossa. Bill mi
salutò con la mano e poi si allontanarono nella notte.
***
Nothing's
missing
[Non manca niente]
Erano passate ormai due settimane e
avevo avuto gli esiti degli esami per il debito di matematica che,
senza sapere minimamente come, ero riuscita a superare, aiutata magari
da chissà quale santo misericordioso.
Appena avevo visto il tabellone avevo controllato e ricontrollato prima
di convincermi che io, proprio io, ero riuscita a passarlo. Mi ero
sorpresa anch’io, oltre che i professori! E mi ero vantata di
essere “un genio” con Tom, ricordandomi che
l’ultima volta che mi ero definita così avevo
formulato quell’idea idiota dello scambio
d’identità. Avevo ritirato subito tutto, appena mi
era venuto in mente.
I Tokio Hotel già da una
settimana erano tornati ad Amburgo, ma ero riuscita a schivare
abilmente il discorso ogni volta che Tom iniziava a parlare
dell’ipotetico incontro con sua madre, anche se sapevo che
non avrei potuto scappare per sempre e quel giorno sarebbe arrivato
prima o poi.
Speravo tanto poi,
che prima.
Non sapevo per quale stupida ragione, ma avevo una maledetta paura di
sua madre, il che era di per sé insensato perché
da come me ne parlavano, sia Tom e gli altri che Andreas, che la
conosceva bene, era una donna simpaticissima, solare e molto aperta a
tutto.
Nonostante ciò, avevo paura di non piacerle, di non venire
accettata e di conseguenza di essere solo un peso per Tom. E quella era
l’ultima cosa che volessi al mondo. Non volevo
perderlo… di nuovo.
Mai e poi mai avrei permesso che accadesse.
“Oh, questo è
il pezzo più bello!”, gridai da sola mettendomi in
piedi sul mio letto sfatto e unendo le mani davanti alla bocca a
mo’ di microfono, iniziando a cantare a squarciagola le
parole di quella canzone facendo una specie di balletto in soli slip e
reggiseno.
How do I know
when it's love?
I can't tell you, but it lasts forever
When it's love
It'll last forever
When it's love
[Come posso sapere
quand’è amore?
Non posso dirtelo, ma dura per sempre
Quando è amore
Durerà per sempre
Quando è amore]
La porta si aprì
all’improvviso e comparve di fronte a me Tom, che mi
guardò dall’alto verso il basso e viceversa per un
paio di volte, un sorriso divertito sulle labbra. Io mi immobilizzai
com’ero, le gambe divaricate, un pugno di fronte alla bocca
aperta, un’espressione sconcertata sul viso e un braccio che
tendeva verso l’alto.
“You
and I”, mormorai a
bocca aperta, arrossendo di vergogna.
“Wow”,
scoppiò a ridere avvicinandosi e prendendomi sulla sua
spalla a tradimento, iniziando a girare su sé stesso.
“Tom, mettimi
giù! Tom! Mi viene da vomitare!”
Mi fece cadere sul letto ridendo e
si sistemò meglio sopra di me, togliendosi le scarpe e
tirandosi su le coperte. Mi baciò il collo e salì
fino alle labbra, accarezzandomi i fianchi e la pancia.
“Bella quella
performance…”, mi sussurrò sorridente.
“Vuoi il bis?”,
lo stuzzicai.
“Magari più
tardi…”, fece scivolare una mano
sull’interno coscia e sogghignò.
“Stupido
maniaco!”, mi dimenai tirandogli accidentalmente una
ginocchiata.
“Ahia!”,
gridò cadendo con la testa sul mio petto.
“Scusa Tom!”
“Ma perché mi
fai sempre male…”, piagnucolò.
“Se non potrò avere figli e le mie prestazioni
caleranno sarà solo ed esclusivamente colpa tua!”
“Non lo faccio apposta,
scusa!”, scoppiai a ridere.
“Adesso mi serve un
massaggio però”, si leccò le labbra,
muovendo il piercing sul labbro.
“Te lo
scordi!”, mi dimenai sotto di lui, facendo la stupida. Lui si
aggiunse a me e mi bloccò i polsi con le mani, avvicinandosi
tanto al mio viso da poter sentire le sue labbra sfiorare le mie e il
suo respiro caldo unirsi al mio.
“Forse sarebbe il caso
che ti preparassi, cantante incompresa”, sussurrò
fondendo i suoi occhi nei miei.
“Dove
andiamo?”, chiesi felice, come una bambina curiosa.
“Da mamma, ovviamente. E
non ammetto repliche questa volta, fifona.”
_______________________________
Buona sera
a tutti! *-*
Nuovo capitolo, nuovi problemi! xD Mi sembra ovvio u.u
Che tenero Tom che ha chiesto ad Ary di conoscere la sua mamma *w* E
lei ovviamente è stupida e ha una paura matta xD Ale
lasciamo perdere, si è presa una sbronza colossale
ù.ù E giusto per concludere, ciò che
più spaventa tutte noi (o almeno credo): le stalker. Ebbene,
non potevano mancare! D: Io e la mia collega abbiamo cercato di
“riportare” ciò che è
successo realmente a Tom, infilandoci però Bill e le due
gemelle xD Staremo a vedere che cosa succederà ora D:
Ah, la canzone inserita in questo capitolo (e che Ary si appresta molto
bene a cantare xD) si intitola “When
is love” ed
è dei Van Halen
*-* (Bene per chi li conosce, male per chi no ù.ù
xDD)
Speriamo con tutto il cuore che vi sia piaciuto e ringraziamo chi ha
letto, ma chi soprattutto ha recensito lo scorso capitolo! *-*
Holly94
: Ahahah xD Belli Davide e Marika, vero? ** Comunque siamo in due xD E
speriamo che ti sia piaciuto anche questo capitolo! :) Grazie!
iLARose
: Un concentrato di dolcezza pura xD Ah no, Bill è
più malizioso di quanto sembri all’apparenza u.u
Per fortuna né Bill né Ale hanno ballato nudi sui
tavoli, anche se lei si è presa una bella sbronza xD Quindi
il povero Tom è rimasto a secco, anche se non sembra avere
occhi che per Ary *-* Grazie mille, alla prossima!
Charls__
: Dove cavolo la prendiamo la foto del matrimonio?
ò.ò Bah tu sei tutta fusa u.u xDDD Guarda,
speriamo tanto di non averti fatto aspettare troppo, zia Charlie u.u xD
Speriamo che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento! *-* Un
bacio! <3
_t_o_k_i_e_t_t_a_
: XD Beh, contente che ti sia
piaciuto! ;) Grazie, alla prossima!
Veri_995
: Ahahah no, Bill e Ale non c’entravano niente e Ale non
è nemmeno incinta xD Beh però è vero,
sarebbero proprio la coppia perfetta per il matrimonio e i bimbi **
Sì, pensa anche a Tom e Ary, quei due scapestrati u.u xD
Grazie mille, davvero! :) Alla prossima!
Tokietta86
: Ciao! :D Non ti preoccupare xD Sì, Ale si è
presa cura di lui e a Bill è piaciuto, no? xD Ale e Tom sono
molto amici, è vero :) Chissà se
nascerà lo stesso tipo di rapporto con Bill e
Ary… ancora non se n’è parlato, ma
forse… chissà xD Ary la romanticona mi fa
stranissimo xD Me la immagino sempre come l’Ary
dell’inizio della storia, io! E invece da quando sta con Tom
si è sciolta ** Dave si sposa e dovrai vedere quelle due al
matrimonio, altroché xD
Ale si è ubriacata proprio per questo, per non darla vinta a
Tom, quell’idiota xD Bill si è arrabbiato, ma non
lo picchia. Hanno già rischiato con le stalker
ç_ç Ora chissà che
succederà… bah xD Grazie mille, un abbraccio
forte, alla prossima! *___*
_MINA_
: Grazie mille! **
Alla prossima ;D
Un bacio, vostre
Ale&Ary
|
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Capitolo 22 *** Inaspettatamente ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/665167.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 23 *** In galera?! ***
Capitolo
23: In galera?!
Era tutto in bianco e nero a parte
il mio completo elegante rosso e il colore bordeaux del rossetto. Avevo
i capelli raccolti sulla nuca e lo sguardo spento, mentre seguivo
quella guardia lungo un corridoio che non sembrava finire mai.
Arrivammo di fronte ad una delle tante celle e gli occhi iniziarono a
pizzicarmi quando lo vidi in quella tuta da carcerato che non gli stava
per niente bene, il viso scavato e le guance ricoperte da barba ispida.
Ma era sempre lui, era sempre il mio Tom…
“Piccola…”,
mormorò alzandosi dal letto in penombra e avvicinandosi alle
sbarre.
“Tom”,
singhiozzai avvicinando la mano per accarezzargli la guancia, ma lui si
ritrasse, un’espressione improvvisamente furiosa sul volto,
come quella sera, che mi fece paura.
“Non azzardarti a
toccarmi, è solo colpa tua se io sono finito qui
dentro!”
“Ma…
Tom… io…”, balbettai senza badare alle
lacrime che mi scorrevano sulle guance.
“Perché sei
venuta? Vattene, io non voglio più vederti. Mai
più.”
Gridai con tutto il fiato che avevo
in gola e aprendo gli occhi mi resi conto di essere seduta sul letto di
Tom, le coperte sulle gambe e il sole timido del mattino in faccia.
“Piccola… che
cos’è successo?”, mugugnò al
mio fianco, guardandomi preoccupato.
“Tom! Oddio Tom! Sei
ancora qui, stai bene! Non hai la barba!”, mi gettai fra le
sue braccia rannicchiandomi contro il suo petto e stringendolo con
tutte le mie forze.
“Ma che
cosa…”, mormorò guardandomi confuso.
“Mi vuoi spiegare?”
“Solo io posso metterti
le manette, nessun altro”, scossi violentemente la testa,
sfregando il viso contro la sua pelle calda.
“Non sto capendo
niente”, si arrese gettando la testa sul cuscino e iniziando
ad accarezzarmi i capelli sulla nuca.
“Se ti dovesse succedere
qualcosa non me lo perdonerei mai, è tutta colpa
mia!”, continuai, persa nei miei deliri.
“Eccola che
ricomincia… Piccola, stai tranquilla, non mi
succederà niente e non è nemmeno colpa tua. Non
devi nemmeno pensarci.”
“E io ci penso invece! Mi
sento così in colpa… Ma se non vorrai vedermi mai
più io… io lo accetterò, mi
prenderò le mie responsabilità
e…”
“Ma la vuoi
finire?!”, mi prese il viso fra le mani e mi
guardò negli occhi. “Smettila”,
sussurrò prima di baciarmi con foga sulle labbra,
rotolandosi sopra di me.
“Dovrebbero metterti in
galera solo ed esclusivamente perché riesci sempre a
distrarmi in questo modo. Sei scorretto.”
“Galera?”,
corrugò la fronte. “Allora è questo che
hai sognato? Che io ero in galera?”, ridacchiò.
“Non
c’è niente da ridere, Tom Kaulitz! Mi sono
spaventata a morte. E indossavo un completo elegante che non metterei
mai e poi mai!”
“Sei sempre la solita
stupida”, scosse lievemente la testa facendo sfiorare i
nostri nasi. “Ma è anche per questo che ti voglio
bene.”
Sorrisi e lo abbracciai posando le
mani sulla sua schiena perfetta, scendendo fino a sentire
l’elastico dei pantaloni che indossava.
“Perché hai i pantaloni?”, chiesi.
“Perché ieri
mi sono addormentato con i pantaloni. Mi hai sfinito con tutte le tue
paranoie”, sogghignò.
“Ancora che ci
scherzi?!”, gli tirai uno schiaffo sul braccio, mettendo il
broncio.
“Come sei tenera quando
fai così, sembri una bambina! La mia
bambina…”, mi posò un bacio sulla
fronte, poi si scostò e scese dal letto.
“Dove vai?”,
chiesi tirandomi a sedere.
“Ricordi che tua sorella
ieri aveva un febbrone da cavallo? Vado a vedere come sta,
no?”
“Oh già,
Ale!”, gridai raggiungendolo di corsa e superandolo, diretta
verso la camera di Bill, dove la trovai ancora sotto le coperte e con
Bill accanto che la guardava perso nei suoi pensieri mentre le
accarezzava i capelli.
“Sorellina! Come
stai?”, chiesi avvicinandomi a gattoni e spostando Bill,
facendola ridacchiare.
“Sto meglio rispetto a
ieri.”
“Mmh,
menomale”, sorrisi. “Ho fatto un incubo
bruttissimo, lo sai?”
“Ossia?”,
scambiò uno sguardo con Tom che scuoteva la testa sorridendo.
“Tom indossava
un’orrenda tuta da carcerato, aveva la barba ed era in una
cella!”
“Oh, wow”,
scoppiò a ridere. “E per quanto è
riuscito a resistere senza sesso?”
“Ora che ci
penso… Hai ragione! In prigione mi tradivi con la
cuoca!”, gridai raggiungendolo e tirandogli pugni a casaccio
sul petto, per poi abbracciarlo d’impeto.
Quanto gli volevo bene era impossibile da spiegare a parole…
***
Era un orario abbastanza insolito
per fare colazione, però ci eravamo messi comunque a tavola
assieme a Gustav. Ale, avvolta in una copertina, stava sorseggiando una
tazza di thè bollente con il miele.
“Sembri nonna”,
ridacchiai guardandola di sottecchi.
“Grazie, molto
gentile”, borbottò.
“Ma sei comunque una
vecchietta bellissima”, aggiunsi.
“Devo raccontare a tutti
come ti riduci tu quando stai male? Ti fai direttamente portare tutto a
letto e sei servita e riverita dalla mattina alla sera.”
“È giusto
così”, annuii. “Giusto Tom?
Eh?”
Sollevò le spalle,
girando il cucchiaino nella propria tazza di caffè.
“Che cosa
c’è?”, chiesi.
“Ti ricordi che giorno
è?”
“Figurati se si ricorda
lei che giorno è oggi”, ridacchiò Ale
portandosi la tazza alle labbra, guardando Tom.
“Oddio, che giorno
è?”, chiesi. “Non è il mio
compleanno, non è l’anniversario della mia prima
volta, non è il giorno della fine del mondo… Non
è il tuo compleanno, ne sono sicura”, contai sulle
dita. Ale scosse la testa, arrendevole: non sarei mai cambiata.
“Oggi è
passato esattamente un mese da quando ci siamo messi
insieme”, mi illuminò Tom, visto che non ci sarei
mai arrivata da sola.
Boccheggiai per diversi minuti,
incapace di dire o di fare qualsiasi cosa. Come avevo fatto a
dimenticarmelo!?
“Che caso
disperato”, disse Ale a Bill. “Non me le dimentico
queste cose, io”,
annuì ad occhi chiusi.
“Ti riferisci a qualcuno
in particolare?”, ribattei stringendo gli occhi a due fessure.
“No, nessuno.”
“Scusami
Tomi!”, mi girai verso di lui e lo travolsi in un abbraccio
che lo fece quasi cadere dalla sedia.
“Scusascusascusascusascusascusa!”
“Non importa
dai”, ridacchiò. Lo guardai negli occhi e lo
baciai sulle labbra.
“Lo sai che ti voglio
tanto tanto tanto bene… E che sono una smemorata”,
mi passai la mano sul collo.
“Lo è anche
lui, e mi sorprende che si sia ricordato una cosa del
genere”, disse Bill. “Deve tenerci tanto, vero
Tom?”
Lui fece finta di non sentire,
arrossendo sulle guance, quando la porta dell’appartamento si
spalancò e comparve Sabine, la ragazza di Georg,
accompagnata proprio da lui.
“Buongiorno a
tutti!”, gridò alzando le braccia al
cielo.
“Ciao Tom”, saltellò da lui e lo
abbracciò per il collo scostandomi bruscamente e
stampandogli un sonoro bacio sulla guancia.
“Ciao Sabine”,
mugugnò lui passandosi di nascosto il polso sulla guancia.
La guardai con odio mentre faceva
il giro del tavolo per salutare tutti.
Già dal primo giorno in
cui ci eravamo viste l’avevo presa in antipatia
perché avevo scoperto che aveva avuto un mezzo flirt con Tom
e che ancora qualcosa per lui c’era, nonostante lui non fosse
per niente attirato da quella ragazza con i capelli neri e gli occhi
scuri; poi era fondamentalmente antipatica, egoista sotto quella faccia
da ragazza gentile e disponibile, sfrontata e piena di sé.
Anche ad Ale non stava particolarmente simpatica, ma tentava di
sopportarla, quando io più e più volte avevo
manifestato il mio disappunto verso di lei. Ci eravamo scannate una
volta, e da quel giorno ero stata ben attenta a non andare a casa dei
ragazzi quando c’era anche lei per non ferire i sentimenti di
Georg, un mio amico.
Lei, d’altro canto, non aveva mai smesso di lanciarmi
frecciatine provocatorie che sfidavano di molto la mia scarsa pazienza.
Ci detestavamo, quello era chiaro a tutti ormai.
“Io vado a
fumare”, annunciai alzandomi dal tavolo in fretta e furia.
“Ecco vai,
brava”, mi sorrise angelica indicandomi di andare fuori, per
mettersi subito accanto a Tom che guardò il fratello
preoccupato. “Comunque ti fa male fumare, sai? Rovina la
pelle e fa diventare i denti gialli, se ti interessa”,
sollevò le spalle prima di girarsi verso il mio ragazzo.
Quanto avrei voluto prenderla per i
capelli e trascinarla su e giù per le scale!
“Sì, lo so che
fa male, ma io faccio quello che mi pare e piace. Non sei mia madre
né nessun altro a cui devo sottostare”, risposi
sfilando una sigaretta dal pacchetto e infilandomela fra le labbra,
schioccandole un sorriso brillante.
“Infatti si è
visto. Per colpa tua ora Tom dovrà andare in
tribunale”, rispose con tanto di occhiata fulminante.
La sigaretta mi cadde dalle labbra
in un momento di stupore e scossi la testa raccogliendola da terra. Non
le risposi, un po’ per non aumentare la tensione che
già si respirava, e poi anche perché mi sentivo
già maledettamente in colpa di mio e ci mancava solo lei che
infilava il dito nella piaga.
Mi girai senza aggiungere altro, il naso che mi pizzicava assieme agli
occhi, e mi chiusi la porta vetrata che portava in terrazza alle
spalle. Mi accesi la sigaretta e mi misi seduta di traverso sul
parapetto, lasciandomi baciare dal sole di quella mattina di primavera
e traendo lunghi respiri per sbollire la rabbia che mi correva nelle
vene.
“Ma Georg ha i paraocchi,
per caso?!”, sbottai in un momento in cui il nervoso aveva
raggiunto il suo livello massimo, stringendo il filtro della sigaretta
fra le dita prima di gettarlo nel portacenere.
“Ah boh.”
Mi girai spaventata e guardai Tom
al mio fianco, che mi sorrideva dolce. Mi avvolse con le braccia e mi
fece scendere da lì, andò a sedersi su una sedia
di plastica bianca e mi accoccolai contro il suo petto, la testa sotto
il suo mento.
“Devi lasciarla perdere
quella”, mi disse accarezzandomi la schiena.
“Non ce la faccio, mi fa
venire il nervoso! Se prima o poi le metto le mani addosso vi prego
fermatemi, se no ci finisco io in galera. Per omicidio.”
Tom ridacchiò e mi
posò l’ennesimo bacio fra i capelli, respirando
profondamente. “Andiamo a fare una passeggiata?”,
mi chiese. “Così ti svaghi un
po’.”
“Fin dove sei disposto ad
arrivare?”, ridacchiai.
“Fino al centro
commerciale”, sospirò sorridendomi.
***
“Siamo
tornati!”, gridò Tom entrando
nell’appartamento e trovando sei teste e dodici occhi puntati
su di noi.
Incontrai subito lo sguardo di Ale
che sorrideva e le mostrai il piccolo portachiavi con un orsetto di
peluche che mi aveva regalato Tom dopo averlo trovato in uno di quei
contenitori di sorprese nei quali si doveva infilare la moneta e vedere
che cosa usciva. Avrei preferito l’anellino di plastica che
avevo visto in una delle scatolette, ma anche quello era bellissimo
perché l’espressione imbarazzata con il quale me
l’aveva dato mi aveva resa la ragazza più felice
della terra.
“Con calma,
eh”, disse duro David, puntandosi le mani sui fianchi.
“Dopo quello che è successo hai ancora il coraggio
di uscire senza guardie del corpo?”
“Con Ary non
c’è pericolo”, ridacchiò.
“Non scherzare Tom, qui
la questione è seria. Quella ragazza ti ha denunciato e
quasi sicuramente finirai in tribunale e nel peggiore dei casi rischi
cinque anni di reclusione.”
“Cinque anni?! Ma non ho
fatto niente! L’ho soltanto spinta!”,
gridò indicandosi. “E lei per prima ha spinto
Ary!”
“Io ti credo Tom, ma le
telecamere hanno ripreso solo te che spingevi lei, dunque non ci sono
le prove per testimoniare che sia stata lei a cominciare e che la tua
si stata legittima difesa.”
“Io posso
testimoniare!”, dissi.
“Ary…”,
disse David.
“Chi vuoi che creda ad
una come te?”, disse Sabine.
“Ah, senti! Mi hai
proprio stufata, tu! Tagliati quella lingua biforcuta che ti ritrovi e
non ti intromettere in questa storia, non ne hai alcun
diritto!”, gridai.
“Io mi intrometto eccome,
invece!”, ribatté alzandosi dal divano.
“Perché se tu non ci fossi stata e non avessi
fatto la bambinetta, a questo punto Tom non sarebbe in questo
casino!”
“Come se non mi sentissi
già in colpa di mio!”, gridai con gli occhi velati
da fastidiose lacrime di nervosismo. Quanto non la sopportavo!
“La volete
smettere?”, si intromise Tom dividendoci. “Ora
dobbiamo parlare di questa cosa in pace, quindi o la piantate o ve ne
andate”, ci minacciò.
“È lei che se
ne deve andare”, disse Sabine incrociando le braccia al
petto. “Io sono qui da molto più tempo di te,
bambina.”
“Ma che cavolo
c’entra?!”, stava davvero superando il limite, mi
tremavano le mani da quanto volevo prenderla a schiaffi.
“Dai Ary, vieni su di
sopra con me che mi sta tornando il mal di testa”, disse Ale
alzandosi dal divano e prendendomi per il braccio appena in tempo:
ancora un secondo di fronte a quell’antipatica e le avrei
fatto una plastica facciale gratuita, tanto che alla fine mi avrebbe
persino ringraziata.
Seguii la mia gemella al piano
superiore e pensai che se qualche ora prima ero riuscita a rilassarmi e
a tranquillizzarmi con Tom, ora sentivo il doppio dei sensi di colpa.
Tutto a causa di quella stronza!
“La odio, la odio, la
odio”, borbottai gettandomi sul letto di Tom e agitando le
gambe con il cuscino premuto sulla faccia.
______________________________________
Buonasera gente! Siamo tornate! *w*
Non vedevate l'ora, eh? u_u XD
Quindi... capitolo un po' così, mi rendo conto che non
succede nulla di eclatante, a parte la strabiliante rappresentazione di
Ale da nonnetta xDD Ah, e anche del sogno di Ary! xD Io e Ale ci siamo
fatte un sacco di risate a causa sua (sopratto della parte di Tom e la
cuoca xD), me lo ricordo come se fosse ieri *-*
Poi, c'è da dire anche che Ary e Sabine proprio non si
sopportano ò.ò E' da tenere d'occhio quella
lì u_u Ma non posso dirvi altro XD
Speriamo vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto come
è piaciuto a noi e che lasciate una recensione per farcelo
sapere! :D
Grazie mille alle persone che hanno
recensito lo scorso capitolo:
Holly94:
Sì, Ale e Bill sono carinissimi :)
Veri_995:
No, non è proprio una bella cosa Tom in cella... Ary sta
già diventando pazza xD (Nella pubblicità per gli
animali negli zoo però era... *Q* Okay basta u.u). Uhm...
chissà, il caro Bill cosa nasconde xD Mannò dai,
ha detto la verità xDD Grazie, alla prossima! :)
_t_o_k_i_e_t_t_a_:
Don't worry ;) Grazie mille per i complimenti!! Alla prossima!
Charls__:
(Cioè, l'altra volta fuxia, adesso verde shocking?
ò-ò Tu mi vuoi male *parla Ary* xDD)
Ah sì, potrestri ucciderci, ma saggiamente non lo fai
perchè se no non sapresti la conclusione di questa FF *-* E
poi anche perchè un po' di bene ce lo vuoi, di' la
verità ù.ù Adesso però
abbiamo fatto presto, no? :D
Ahahahah le sgonfi le zinne X°D Da me non c'è niente
da sgonfiare D:
Un bacio anche a te, alla prossima e grazieee!! *w*
_MINA_:
Grazie! ;)
Tokietta86:
Ciao cara! :D Beh meglio in ritardo che niente xD
Tom non è riuscito proprio a rassicurarla... diciamo che
l'ha distratta a modo suo xD e poi quella è pazza,
è da lasciar stare quando ha i suoi deliri
ù.ù soprattutto se ci si mette pure quella
cretina di Sabine che ce la mette tutta per innervosirla
è_é Bah, staremo a vedere!! :)
Nah, Tom non lo dice ad Ary, è troppo legato ai suoi capelli
u_u xDD
Grazie mille *w* Un abbraccio enorme anche a te, alla prossima!!
Grazie anche a chi ha letto
soltanto! ;)
Un bacio enorme, vostre
Ale&Ary
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Capitolo 24 *** Vecchie conoscenze ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/683640.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 25 *** Problema risolto, problema che inizia ***
Capitolo
25: Problema risolto, problema che inizia
“Ehi Ary!”
“Ciao Gunter”,
sorrisi sistemandomi la borsa sulla spalla.
“Come va?”
“Tutto bene, e tu? Te la
sei trovata la ragazza?”
“Ehm… ancora
no. Però mi va bene anche così! Tua
sorella?”
“Oh, anche lei tutto
bene. Tra un paio di giorni fa sei mesi con il suo ragazzo, sono
contentissima. Pensa se diventa mio cognato! Non voglio nemmeno
immaginarlo, sarebbe bellissimo!”
“Sono contento per
lei”, sorrise mentre camminavamo vicini verso
l’uscita del campo sportivo.
“E tuo fratello
invece?”, chiesi deglutendo. Sapevo che era ancora innamorato
di lei, ne ero più che certa, ma lei ormai era di
Bill…
“Sempre il solito
cocciuto”, sospirò. “Spero gli passi, si
sta solo facendo del male.”
“Oh,
sì…”
Avevo sempre voluto bene ad Aaron,
quando stava insieme ad Ale. Quando l’aveva fatta soffrire in
quel modo però l’avevo odiato con ogni fibra del
mio corpo, ma mi sentivo riconoscente verso di lui in quanto quella
sera mi aveva protetta nonostante tutto: senza di lui io e Tom ce la
saremmo dovuta vedere brutta.
Vidi la macchina di Tom nel
parcheggio, lui fuori che mi aspettava, sorridendo.
Amavo il suo sorriso, lo amavo
quando nasceva solo ed esclusivamente per me e amavo che nascesse
nonostante tutto il casino che gli stava succedendo alle spalle. Amavo
come riuscisse semplicemente a farlo nascere.
La verità era che forse amavo Tom, ma che non avevo ancora
il coraggio di dirglielo? Molto probabilmente sì. E per lui,
per ora, era lo stesso, quindi non mi dovevo preoccupare troppo. Quella
situazione in fondo non mi dispiaceva, dovevo ancora del tutto
abituarmi a quel legame stabile.
Come Bill e Ale tra qualche giorno anche per noi sarebbe arrivato il
momento di festeggiare… Ormai erano tre mesi che stavamo
assieme e più ci pensavo più mi convincevo che
magari non tutte le follie dovevano essere dannose.
Sfiorai l’orsacchiotto che mi aveva regalato lui, attaccato
alla cerniera della borsa, e sorrisi felice. Sì, con lui ero
felice, felice davvero, felice come non lo ero mai stata con un
ragazzo.
“Ora io devo andare, ci
sentiamo”, lo salutai con la mano prima di trotterellare da
Tom che mi accolse a braccia aperte, togliendomi il fiato in un bacio.
“Buonasera”,
mormorai guardandolo negli occhi.
“Buonasera a
lei… Che voleva quello?”
“Allora sei
geloso!”, ridacchiai portandomi la mano sulla bocca.
“Ovvio che sono
geloso!”, si imbronciò; io gli punzecchiai le
guance con le dita, sfregando il naso contro il suo.
“Adesso sai che cosa
provo quando vedo Sabine ronzarti intorno.”
“Devi lasciarla perdere
quella lì.”
“Lo so, ma non
è così semplice! Certe volte vorrei…
Guarda, meglio che non parlo, potrei traumatizzarti.”
“Addirittura?”,
ridacchiò attirandomi di nuovo alle sue labbra.
“Sì,
addirittura. Ora che si fa?”
“Che cosa vorresti fare?
Ti porto a casa, no?”
“Ma dai, Tom!
Perché invece non andiamo da qualche parte a bere qualcosa?
Potrebbe venirmi un calo di zuccheri…”, sussurrai.
“Te li faccio recuperare
io gli zuccheri!”, tentò di afferrarmi, ma io mi
divincolai dalla sua stretta e ridendo mi infilai in macchina. Lui mi
raggiunse e mi baciò la fronte prima di mettere in moto
verso il Melody.
***
“Quanta
gente…”, dissi appena entrati nel locale,
guardandomi intorno in cerca di un tavolino libero.
“Là infondo ce n’è
uno.”
Presi Tom per mano e lo scortai
infondo alla sala, dove c’erano i tavolini divisi da
separé in pelle rosso fuoco e al posto delle sedie
c’erano delle panche ricoperte sempre dallo stesso tessuto.
Mentre aspettavamo che qualcuno
venisse a prendere le nostre ordinazioni, vidi entrare nel locale
Sabine con Perrine, la ragazza francese che ci aveva dato fastidio
assieme al suo gruppo di delinquenti e che aveva denunciato Tom. Che ci
facevano quelle due insieme?
“Abbiamo preso il due per
uno…”, sibilai seguendole con lo sguardo senza
farmi notare.
“Di che cosa stai
parlando, scusa?”, mi chiese Tom, io lo guardai e gli tappai
la bocca andandomi a sedere di fianco a lui mentre le due si mettevano
nel tavolino prima del nostro, senza essersi minimamente accorte della
nostra presenza. Inoltre, se stavamo in silenzio riuscivamo persino a
sentirle parlare.
“Sta andando tutto
secondo i piani, una meraviglia”, ridacchiò come
un’oca Sabine.
“Sì,
è vero. Hai sempre avuto ragione, la tua idea è
stata geniale. Così io e le mie amiche ci siamo riscattate
per la delusione che ci hanno provocato, e tu ti sei potuta vendicare
su quella puttanella bionda.”
Tom mi guardò sgranando
gli occhi e io gli feci segno di rimanere in silenzio portandomi un
dito sulle labbra, mentre gli prendevo il cellulare dalla tasca del
jeans ed iniziavo a registrare, sperando con tutta me stessa che si
sentisse.
“Il secondo punto
è ancora da vedere”, disse Sabine con voce
rabbiosa. “Tom non ha ancora lasciato quella sgualdrina da
due soldi. Dovevate fare in modo che si lasciassero, dovevate darle una
lezione! Erano questi gli accordi! Voi vi sareste prese quello che
volevate, io mi sarei presa ciò che voglio, ossia Tom. Non
posso sopportare che sia di quella lì!”
“Mi dispiace, ma lui
l’ha difesa a spada tratta e non abbiamo potuto fare
altro!”
“Tutte scuse, Perrine. Se
vinciamo la causa il massimo che otterremo saranno insulsi soldi e ci
guadagnerete solo voi, perché lui non la vuole lasciare!
Quella stupida troietta.”
Finalmente avrei potuto prenderla
per i capelli, insultarla e farle tutto quello che volevo! Avevo tutte
le ragioni per farlo: mi aveva insultata, aveva combinato lei tutto
quel casino e in più aveva pure preso in giro Georg per
tutto quel tempo solo per fregarmi il ragazzo!
Mi alzai di scatto e la prima cosa
che vidi fu l’espressione quasi terrorizzata di Perrine.
“Perché fai
quella faccia?”, chiese Sabine col tono di una che stesse
parlando con una cretina, quando invece non sapeva che era lei la
stupida.
La presi direttamente per i capelli
e glieli tirai così tanto che ebbi quasi paura di staccarle
la testa, mentre gridava e si dimenava lanciandomi insulti ed improperi
che non stavano né in cielo né in terra, e io me
la ridevo come un’assatanata.
“Ti sta bene, brutta
troia!”, gridai, ma proprio sul più bello Tom mi
scrollò dai suoi poveri capelli e lei ebbe il privilegio di
guardare il mio sorrisetto strafottente e soddisfatto. “Ora
non ridi più, eh? Ti abbiamo scoperto, stronza! E non
sarà Tom a pagare per qualcosa che non ha fatto, ma sarai
tu!”, gridai ancora, puntandole il dito conto al viso.
“Brutta…”,
fece per scagliarsi contro di me, ma Tom la prese saldamente per le
braccia e la guardò negli occhi, il viso serio.
“Perché
l’hai fatto?”, le chiese a bassa voce, in modo tale
che potessimo sentire solo noi tre, gli occhi tristi.
“Perché?”
“Io…”,
scosse la testa, gli occhi velati dalle lacrime.
“Questo va oltre,
è oltre, Sabine. Non lo capisci da sola che hai esagerato?
Tu per me non potrai mai essere nulla, mi dispiace. Devi accettarlo,
che tu lo voglia o no. Quello che hai fatto va oltre ogni limite,
è da veri stupidi. E tu non sei stupida… Eppure,
comportandoti così mi hai fatto capire che hai
voluto esserlo. Mi dispiace
perché tutto questo è successo per colpa mia, ma
non potrò mai perdonarti per quello che hai tentato di fare
ad Ary e per come hai bellamente preso in giro Georg per tutto questo
tempo. E ora… ti chiedo solo di pensarci su, di farti un
esame di coscienza e di fare ciò che è giusto:
costituirti, ritirare la denuncia e risolvere tutto questo. E se non lo
farai con le buone…”, si avvicinò
ancora di più al suo viso, “farò in
modo che tu non abbia più una vita”,
sibilò pieno di rancore.
La mia vendetta si compì
quando la vidi correre fuori dal locale in lacrime con la sua
amichetta, ma mi sentii anche in colpa e a disagio senza volerlo
coscientemente: non volevo abbassarmi ai suoi livelli, non volevo
rinfacciarle di avere qualcosa che lei voleva e che non avrebbe mai
avuto, perché non ero così infame,
perché un cuore ce l’avevo anch’io
lasciando perdere la rabbia del momento.
“Andiamo via da qui,
dai”, mi disse Tom prendendomi per il braccio e trascinandomi
via sotto gli occhi di tutti: non sarei mai più entrata in
quel locale dopo la scenata che avevo fatto, accecata
dall’ira.
Salimmo in macchina e
calò un silenzio tombale, dopo un po’ lui si
girò verso di me ed io verso di lui.
“Tutto bene?”,
balbettai.
“Mi sento uno
schifo.”
“Anch’io.”
“Perché?”
“Perché noi
non siamo cattivi, Tom. Ma a fare sempre i buoni a volte ci si perde e
basta. E questo era l’unico modo per farle capire che ha
sbagliato, hai fatto bene”, gli accarezzai la guancia.
“Speriamo finisca tutto
bene.”
“Sì, davvero.
Dai…”, mi avvicinai e gli lasciai un timido bacio
sulle labbra. “Andiamo a casa.”
***
“L’amore fa
schifo”, mugugnò al mio orecchio, lamentandosi.
“Mmh, come mai non mi
è nuova?”, ridacchiai girandomi verso di lui.
Andreas tirò fuori il labbrino e aprì le braccia,
in cerca di affetto e conforto. Sospirai e lo abbracciai, dandogli
leggere pacche sulla schiena. “Anima in pena che non sei
altro, se sapevi di essere in questo stato non venivi. È un
matrimonio, accidenti! È amore nero su bianco!”
“Lo so”,
piagnucolò. “Però l’amore fa
schifo.”
“Dai, non dire
così… Dipende
da che prospettiva lo guardi”,
sogghignai.
“Stronza, non mi copiare
le battute.”
Lui e Selene si erano lasciati da
poco e si era convinto a venire lo stesso al matrimonio di Davide e
Marika per non dare buca all’ultimo momento, nonostante non
fosse proprio dell’umore giusto per affrontare una giornata
così all’insegna dell’amore come quella.
Era stata una cerimonia favolosa,
con tutto e di più, un vero matrimonio da favola che era
persino riuscito a farmi immaginare un mio possibile matrimonio con
Tom. Mi erano venuti i brividi e avevo subito pensato ad altro, aiutata
anche da Andreas che si era accovacciato su di me per non guardare e
non sentire il fatidico e allo stesso tempo commovente
“Sì” di una Marika quasi in lacrime.
Ora eravamo tutti al ristorante,
riuniti intorno ad un lungo tavolo immacolato o quasi, visto che i
nostri cuginetti avevano già versato Coca Cola ed acqua
dappertutto sulla tovaglia. Ma era bello anche così,
perché si respirava davvero quel calore familiare che mi
faceva sentire bene.
E vedere mio fratello con la sua sposa ancora avvolta nel vestito
bianco che io personalmente, assieme ad Ale, le avevo consigliato,
così felice e con quel sorriso sulle labbra… mi
faceva venir voglia di piangere dalla gioia.
“Oh su, se ce
l’ho fatta io a mettermi a posto un giorno ce la farai anche
tu”, sventolai la mano. “Ora mi lasci
mangiare?”
“Grazie
dell’interessamento, davvero”, mugugnò
tornando sul suo piatto mentre io tornavo sul mio.
“Peccato non ci siano
anche i ragazzi, però”, disse Ale
all’altro mio fianco, vestita di tutto punto e con il
tovagliolo sulle gambe: era veramente bellissima, non c’era
da discutere su questo.
Tutto si era risolto per il meglio
per Tom, infatti Sabine qualche giorno dopo il nostro ultimo incontro
aveva detto tutta la verità e aveva costretto le sue amiche
a ritirare la denuncia. Dunque non c’era stato nessun
processo e tutti i fari che erano puntati sul chitarrista della band
più famosa della Germania si erano rivolti altrove,
lasciandoci finalmente respirare.
Quando era stato confermato l’annullamento di tutte le
pratiche per il processo avevo fatto i salti di gioia e avevamo
festeggiato alla grande. E il nostro modo di festeggiare era
assolutamente il mio preferito…
Inoltre, non avrei mai più visto la faccia irritante di
Sabine, non l’avrei più vista ronzare intorno a
Tom, perché ovviamente Georg l’aveva lasciata
subito dopo che era saltata fuori la verità.
“Già, sarebbe
stato sicuramente più divertente. Chissà Tom come
si sarebbe vestito”, ridacchiai.
“Dove sono andati, in
America?”, chiese Andreas corrugando la fronte.
“Correggetemi se sbaglio.”
“Sì, sono
andati a New York, Los Angeles… Avevano dei
concerti”, annuì Ale sorridendo.
“Beati loro! Se Tom non
mi porta qualcosa di bello giuro che… che gli tolgo il sesso
per un mese!”
“Poverino! Ecco
perché poi va con le cuoche!”, Ale
scoppiò a ridere mentre sulla mia faccia calava
un’espressione rabbiosa.
“Prendi pure per il
culo?!” Ma poco dopo scoppiai a ridere anch’io,
riuscendo persino a coinvolgere Andreas.
“Dave, dovresti sposarti
più spesso!”, gridai in modo tale che le mie
parole raggiungessero le sue orecchie.
“E
perché?”, mi chiese divertito.
“Perché si
mangia bene ai matrimoni!”, feci un sorriso gigante.
“Stai dicendo che cucino
male?”, alzò un sopracciglio mamma.
“No, certo che
no!”, negai con le mani di fronte al petto, ridacchiando.
“Non volevo certo dire questo! La tua cucina è
sacrosanta, mamma.”
“Ah, mi
sembrava!”, rise e si girò verso i due novelli
sposi che sarebbero andati presto in luna di miele in una
località ancora segreta.
“Ale, ci facciamo una
foto? Trovo che oggi siamo veramente belle”, annuii tirando
fuori il cellulare dalla borsetta che avevo sulle gambe.
“No, Ary! Non mi
piacciono le foto, dai…”
“Una, una, una,
una!”
“Uff…
ok.”
Sorrisi vittoriosa e mi sistemai
meglio vicino a lei, appoggiando la testa alla sua e tirando fuori la
lingua quando lei sorrideva semplicemente, quel sorriso che per quanto
semplice potesse essere riusciva sempre a scaldarmi e farmi sorridere
il cuore talmente era bello.
Riguardai la foto appena scattata e sorrisi abbracciando e baciando
sulla guancia la mia sorellina, pensando che mai sarebbe potuta finire
fra noi, unite da qualcosa di più, di unico al mondo.
***
Bill, subito dopo il concerto di
quella sera, aveva ritrovato il suo cellulare pieno di chiamate perse
di un’unica persona: Kristel.
Aveva tentato di ignorarle, di passare oltre, ma anche in hotel aveva
sentito solo ed esclusivamente la suoneria andare a vuoto, mentre lui
girava per la stanza con le mani nei capelli.
Aveva deciso saggiamente di spegnerlo, ma poi aveva pensato ad Ale, che
si sarebbe sicuramente preoccupata se non l’avesse chiamata
come faceva sempre, e così aveva mandato giù quel
groppo che aveva in gola e le aveva telefonato, tentando di fare il
naturale e di dimostrarsi tranquillo e rilassato, cose che non era per
niente.
Era stufo di sentire Kristel, ne
aveva quasi la nausea, e non ce la faceva più a tenere
nascosto tutto quello ad Ale: ogni volta che sentiva quella voce che
non amava gli saliva il nervoso e il più delle volte
trattava la vecchia amica con freddezza e nervosismo.
E quando invece sentiva quella che amava si sentiva uno schifoso
bugiardo e un… traditore. Subito dopo ogni conversazione i
sensi di colpa quasi lo divoravano e non sapeva per quanto ancora
sarebbe riuscito a resistere.
Sì, lui era un traditore
bello e buono. Quando lui e Kristel si erano visti,
quell’unica volta, lei lo aveva baciato e lui prontamente le
aveva detto che era felicemente fidanzato. Lei si era scusata e gli era
pure sembrata felice per lui, ma allora perché continuava a
tempestarlo di telefonate e di messaggi da quella volta? Si sentiva in
gabbia, si sentiva… sporco.
Aveva una fottuta paura di perdere Ale per quel suo comportamento
sbagliato, ne era perfettamente consapevole che era sbagliato, e voleva
che quella storia una volta per tutte finisse. Solo che continuava a
rimandare, senza un perché preciso.
Guardò per
l’ennesima volta il suo cellulare che vibrava e si illuminava
sul letto, il nome di Kristel che lampeggiava insistente sul display.
Lo prese sbuffando e pigiò il tastino verde, portandoselo
all’orecchio.
___________________________________
Buonaseraaa!! :D
Capitolo interessante, non trovate? xD Insomma, molto intenso,
soprattutto perchè Ary e Tom hanno scoperto quello che c'era
sotto l'aggressione delle stalker! Sabine, esatto, proprio lei u.u Ve
l'avevamo detto di tenerla d'occhio quella, ed infatti c'era lei dietro
tutto quanto, solo perchè, poveretta, è stata
conquistata dal nostro bel Tom e per lui è andata oltre,
come ha voluto dire proprio lui :) Quello che ha fatto è
sbagliatissimo e non si discute - ha preso per il culo anche Georg per
un sacco di tempo giusto per stare vicino al chitarrista - ,
però diciamo che l'ha fatto per qualcosa, qualcuno, a cui
teneva in un certo senso u.u
Ma comunque, non ce ne frega niente, perchè lei è
la cattiva della storia e ci interessa che Ary se la sia levata dai
piedi una volta per tutte! *w* Oh yeah :D
L'altro fatto saliente, è sicuramente il comportamento di
Bill con Kristel. Ebbene, si sono baciati, o meglio lei è
saltata addosso a lui, ma la sostanza non cambia di molto... lui si
sente un traditore, lei non fa altro che assillarlo, lui sta impazzendo
e vorrebbe dire tutto ad Ale, ma come fa? D: Bah, staremo a vedere che
cosa succederà! ;D
Ringraziamo di cuore Holly94,
Charls__
, Lullaabys,
Marty483,
_t_o_k_i_e_t_t_a_,
Tokietta86
e _MINA_
che hanno recensito lo scorso capitolo *-* (Non riesco a ringraziarvi
tutte, non ho tempo, perdonatemi D:)
Ringraziamo anche chi ha letto soltanto! ;)
Alla prossima! Vostre,
Ale&Ary
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Capitolo 26 *** Passo falso ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
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L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 27 *** Dura confessione ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
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L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 28 *** Inferno ***
Capitolo
28: Inferno
Un
brivido mi attraversò da capo a piedi e mi staccai da Tom
mettendogli le mani sul petto.
“Che c’è?”, mi chiese
lasciandomi una scia di morbidi baci sul collo e sul mento.
“Muoviti a riportarmi a casa.”
“Perché?”, corrugò la fronte,
guardandomi negli occhi.
“Sento che sta succedendo qualcosa. E non è
qualcosa di bello.”
“Ale?”
Annuii preoccupata, mi girai sul sedile e feci appena in tempo ad
allacciarmi la cintura che Tom sgommò verso casa mia, dove
Ale, guarda caso, si trovava sola con Bill. Che cosa cavolo stava
succedendo?
Avevo sentito quel brivido, così intenso e potente, una
volta sola: quando Ale aveva fatto un incidente in motorino con uno
scemo della sua classe. Io sapevo già che era successo
qualcosa quando avevano chiamato i nostri genitori
dall’ospedale. Loro non avevano voluto credere alla mia
“premonizione”, nonostante io mi volessi strappare
i capelli, e quando avevano chiamato io li avevo mandati a cagare con
un semplice “Ve l’avevo detto!”.
Arrivammo a casa e sicura come se avessi un navigatore satellitare
impostato verso Ale, uscii in veranda, trovandomi davanti Bill e Ale
che sembravano essere in rotta di collisione. Con gravi danni per
entrambi.
“… Magari non sono abbastanza per te,
ma… Io… Io non credevo di meritarmi questo”,
la sentii appena pronunciare quelle parole. Con dolore e…
disperazione.
Tom si schiarì la voce al mio fianco e Ale si
girò: era pallida come un lenzuolo, quasi terrorizzata. Una
fitta al cuore si fece sentire vedendola così. Che
cos’era successo?!
“Ehm… Ragazzi, cosa sta succedendo?”,
chiese Tom come se mi avesse letto nel pensiero.
“Già Bill, cosa sta succedendo?”, chiese
Ale a Bill, distrutta.
Dopodiché
si voltò e cominciò a camminare velocemente verso
casa, trattenendo a stento le lacrime che premevano per scivolare sulle
sue guance pallide. Bill non fece niente per fermarla, assolutamente
niente. Aveva solo abbassato la testa, colpevole.
Mi passò accanto, facendo scontrare le nostre spalle.
“Ale…”, mormorai con la preoccupazione
fin dentro le ossa, fermandola per un braccio e guardandola in viso.
“Scusami”, mormorò prima di liberarsi e
di scappare dentro casa, senza voltarsi più indietro.
***
“Scusami”. Quella parola, detta con la sua voce di
solito sempre piena di vita e invece solo piena di disperazione, mi
martellava nella testa e mi sentivo come se un pugnale mi infilzasse
lentamente il cuore, facendomi patire le pene dell’inferno.
O, se c’era, qualcosa di peggiore.
Di
cosa si scusava? Non era lei che si doveva scusare. Per niente. Sapevo
che lei non aveva nessuna colpa, ne ero certa. E, ovviamente, gli
innocenti sono quelli che soffrono sempre di più. Non si
meritava nulla del genere, e non doveva scusarsi con me, la sua
gemella, quella che la capiva meglio di tutti in quel momento.
La guardai distrattamente correre su per le scale e sparire al piano
superiore, lasciandomi con un macigno al posto del petto, lì
di fianco a Tom, che aveva stretto la mia mano nella sua.
Il
mio sguardo lentamente si posò su Bill e la reazione
probabilmente temuta da Tom scattò nella mia testa: marciai
verso di lui urlando, strepitando e piangendo con tanto di singhiozzi.
Stavo impazzendo, e non mi importava più nulla, nemmeno se
mi avessero considerata una pazza isterica da rinchiudere in un
manicomio. Se non lo facevano in quel momento non l’avrebbero
fatto mai più.
“Che cosa hai fatto?! Che cosa le hai fatto?! Che cosa cazzo
le hai fatto, stronzo!?!”
Riuscii soltanto ad assestargli qualche pugno scoordinato sul petto,
fuori di me, prima che Tom riuscisse ad allontanarmi da lui
stringendomi forte al suo petto, così forte che quasi non
riuscii più a respirare.
Avevo
la testa che mi scoppiava, sentivo il cuore a pezzi e mi mancava
l’aria, nonostante fossimo all’aperto. Mi mancava
l’ossigeno portato dal sorriso di Ale, e con Bill di fronte
agli occhi sarebbe stato ancora più difficile recuperarlo.
“Vai via da qui, vai via Bill!”, gridai scostando
Tom con violenza. “Non voglio vederti!”
Guardai il pezzo di legno privo di vita in piedi davanti al dondolo con
occhi pieni di disprezzo: per quanto gli volessi bene – il
mio cognatino – in quel momento mi trovai ad odiarlo con ogni
fibra del mio corpo insignificante senza l’anima serena della
mia gemella. Lui era la causa di tutto quello, lui doveva pagarne le
conseguenze.
“Ti ho detto di andare via, sei sordo!?!”, gridai
più forte, ma Tom mi prese per le spalle e mi spinse
all’interno, mi fece sedere sul divano e mi avvolse le spalle
con un braccio, appoggiandomi a lui.
Scoppiai
di nuovo a piangere, coprendomi il viso appoggiato al suo petto con le
braccia a soffocarvi i singhiozzi.
“Piccola…”, sussurrò
accarezzandomi i capelli.
“Piccola
niente, lasciami stare pure tu”, mugugnai allontanandomi ed
incastrando la testa fra le ginocchia, un cuscino stretto al petto,
iniziando a dondolarmi avanti ed indietro tremando.
“Vado a parlare con Bill allora…”,
mormorò dispiaciuto, passandomi affettuosamente una mano tra
i capelli. Mi scostai deglutendo, lui sospirò e si
avviò verso il giardino dove doveva ancora esserci Bill.
Solo a pensare quel nome mi veniva da urlare, così soffocai
un grido frustrato nel cuscino.
Nessuno poteva far del male ad Ale. Dovevano passare sopra il mio
cadavere. Ma quella volta era successo tutto sotto il mio naso e io non
avevo fatto proprio niente per impedirlo. Mi sentivo così in
colpa… Volevo starle accanto, volevo cullarla fra le mie
braccia, volevo che sorridesse di nuovo. Volevo fare qualcosa,
qualsiasi cosa, purché non soffrisse più. E
l’avrei fatto sicuramente.
Mi
alzai senza forze e salii le scale, arrivai di fronte alla nostra
camera con le orecchie ovattate, nelle quali mi rimbombavano prepotenti
i battiti del mio cuore ferito ed incompleto senza quello di Ale.
Bussai piano alla porta con il cuore in gola.
“Ale?”, sussurrai, le lacrime agli occhi. Come
supponevo non mi rispose, la sentii solo piangere in un angolo della
stanza. Era così vicina eppure così
irraggiungibile…
“Ale quando… quando mi vorrai io ci sono. Sempre,
lo sai. Chiamami e io volo”, continuai con un tono di voce in
meno.
Abbassai la testa e tirai su col naso, dopodiché tornai in
salotto e mi sdraiai sul divano, ripresi il cuscino e lo strinsi al
petto, chiudendo gli occhi a quelle lacrime ardenti che mi bruciavano
le guance.
Rimasi per un po’ ad ascoltare i rumori intorno a me: il
ticchettio dell’orologio che inesorabilmente, secondo per
secondo, segnava il passare del tempo, appeso alla parete; e le parole,
che non riuscivo a distinguere perché ero troppo lontana,
che Tom continuava a dire al gemello.
Parlava, parlava, parlava… e Bill non diceva niente.
Mi sfuggì un ultimo singhiozzo e poi mi addormentai di
sasso, esausta dal tumulto di emozioni, sia mie che di mia sorella, che
si facevano la guerra dentro di me.
***
“Ary? Ary…”
Mi svegliai accarezzata dalla sua voce calda che mi sussurrava
all’orecchio il mio nome, mentre con la mano mi spostava
delicatamente i capelli dalle guance ancora calde e rosse, come ogni
volta dopo aver smesso di piangere.
Per
quanto avevo dormito? E Ale? Da quel che vidi sul tavolino, ossia
patatine e Coca Cola, Tom aveva probabilmente provveduto da
sé alla sua cena.
“Che ore sono?”, chiesi con voce roca, girandomi a
pancia in su.
“Quasi le sette”, mi donò un bacio
soffice sulle labbra che mi fece bene.
“Ale?” Ma nonostante tutto, il dolore che sentivo
dentro al petto pensando a come stesse il mio alter ego mi faceva
ancora mancare il respiro.
“È ancora chiusa in camera sua”,
sospirò.
“Uhm”, alzai lo sguardo al soffitto, prima di
scoppiare di nuovo a piangere di punto in bianco.
“Ehi… Sh-sh-sh”, si sdraiò al
mio fianco e mi strinse forte, accogliendo le mie infinite lacrime
sulla sua maglietta oversize. “Calmati, piccola.”
“Scusami per prima Tom”, mugugnai fra i singhiozzi.
“Ma sento tutto quello che sta provando Ale e… tu
mi capisci, vero?”
“Sì, ti capisco perfettamente. E infatti mi sento
in colpa come Bill.”
“A proposito di lui…”, tirai su col
naso, passandomi le mani sul viso.
“Dov’è?”
“L’ho accompagnato a casa. Io volevo aspettare che
ti svegliassi.”
“E… come sta?”
“Sta male”, abbassò lo sguardo.
“Sperava che confessando tutto Ale sarebbe stata
più… comprensiva, ma si è solo
illuso.”
“Magari bastasse solo questo, Tom, per farsi perdonare.
Magari bastasse confessare e ammettere i propri errori.
Magari.”
Tom mi guardò negli occhi e annuì leggermente,
poi si avvicinò a me e mi baciò a stampo sulle
labbra, chiudendo gli occhi.
“Ti amo”, sussurrò accarezzandomi lo
zigomo con il pollice, le guance leggermente arrossate e gli occhi
lucidi.
“Non ho bisogno di sentirmi dire queste cose, Tom. Prima o
poi sistemeranno tutto”, dissi.
“No, sto dicendo sul serio”, mormorò.
“Ora vado.”
Corrugai la fronte boccheggiando incredula, mentre lui si alzava e
quasi correndo si precipitava a prendere la giacca e si chiudeva la
porta di casa alle spalle.
Mi aveva detto… cosa? Quel giorno rischiavo davvero di
uscire pazza.
Mi alzai dal divano con un’emicrania degna di nota e salii le
scale lentamente, una mano sulla fronte. Mi fermai di fronte alla porta
e ascoltai attentamente il religioso silenzio in cui era ancora avvolta
la casa, il viso rivolto verso il basso. Alzai il pugno e feci per
colpire il legno della porta, ma le mie nocche colpirono qualcosa di
più morbido e caldo.
“Ahia, cretina!”, gridò Ale con voce
nasale. “Perché mi bussi in fronte?!”
“Scusa!”, saltai tirando subito indietro la mano.
“Non ne combino mai una giusta”, mormorai.
Ale mi fece un debole sorriso – un po’ di ossigeno
– e mi attirò a sé in un forte
abbraccio, nascondendo il viso nell’incavo della mia spalla.
In poco tempo sentii una sensazione di bagnato sulla pelle del collo e
strinsi pugni sulla sua schiena, cullandola un po’ a destra e
un po’ a sinistra.
“Ci sono qui io, Ale”, mormorai facendola entrare
in stanza e chiudendo la porta alle mie spalle.
Siamo due corpi di una sola anima
Ridere e piangere
è comunque vivere
Con te dividere l'inferno e il
paradiso
__________________________________________
Buonaseraaaa ;)
Allora, come vi ha già anticipato la mia collega, questo
capitolo e il prossimo sono stati scritti da me :)
Infatti, avete letto cose che sapevate già, solo dal punto
di vista di Ary. Poveretta, essendo la gemella di Ale sente tutto e...
sì beh, io credo che sia questo che si provi in queste
situazioni e soprattutto credo che accada così, fra i
gemelli. (Se qualche lettrice ha una sorella o un fratello gemello me
lo dica se non è così xD).
A parte questo, c'è un'altra cosa di cui parlare: che ha
detto Tom a Ary?! *o* Sono troppo emozionata pure io per scrivere due
parole in croce, cavoli xD E quella cretina di Ary che non ha detto un
tubo?! o.o Staremo a vedere nel prossimo capitolo che cosa
succederà ;)
La canzone in questo capitolo è Lacrime e fragole
di Raf!
*w*
Ringraziamo di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:
LisaHeiligTk
: Grazie mille per la recensione! Speriamo che sia arrivato abbastanza
presto questo capitolo nuovo e che ti sia piaciuto allo stesso modo! ;)
_MINA_
: Ci fa molto piacere :)
Grazie!!
Charls__ : Eh beh, se no non
ci sarebbe stato il colpo di scena se Bill non ci andava xD
Me lo immagino proprio il tuo cricetino °-° Speriamo
che non si sia arrabbiato, anche perchè abbiamo fatto in
fretta a postare u.u Lo sventramento alla prossima xD Grazie di cuore!!
<3 Un bacio!
_t_o_k_i_e_t_t_a_
: Uhm, chissà se
faranno pace u.u Staremo a vedere ;) Grazie mille, alla prossima!
Un grazie anche a chi ha soltanto letto e a tutti gli altri :)
Un abbraccio, alla prossima! Vostre,
Ale&Ary
|
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Capitolo 29 *** Sei con me? ***
Capitolo 29: Sei con me?
Strinsi un po’ di più Ale a me e respirai
profondamente fra i suoi capelli, chiudendo gli occhi. Le posai un
bacio sulla tempia e l’ascoltai piangere e respirare
faticosamente, scossa da forti singhiozzi.
Come aveva osato Bill tradirla? Come aveva semplicemente potuto? In
quel momento avrei voluto ritirare tutto quello che gli avevo sempre
detto su quanto fossi felice del fatto che fosse con Ale
perché lei era al settimo cielo con lui, tutto quello che
avevo sempre pensato su di lui e sul ragazzo serio e dolcissimo che era
con mia sorella. Avrei voluto rimangiarmi tutto quanto, ma non era
possibile.
Sentivo il dolore di Ale, ne avrei percepito
l’intensità a chilometri di distanza, e la rabbia
cresceva, mentre la testa scoppiava, divisa fra quello e ciò
che mi aveva detto Tom, quelle due parole che erano riuscite, dette nel
momento meno opportuno, a sconvolgermi completamente.
Sospirai e appoggiai la testa al cuscino, accarezzandole la nuca
avvicinandomi di più al suo corpo rannicchiato e tentando di
proteggerlo modellando il mio alla sua forma.
“Ale…”, sussurrai.
“Mmh?”, tirò su col naso, alzando appena
gli occhi per guardarmi in viso.
“Io non ti farò mai una cosa del
genere.”
“Niente twincest, ti prego.”
Sorrisi appena e le accarezzai la guancia arrossata con il dito:
“Ma ti pare?! Dicevo nel senso che non ti tradirei mai, e sai
che io sono sempre qui per te, se lo vorrai.”
“Avanti, sputa il rospo: che è
successo?”, si passò distrattamente le mani sul
viso per asciugare quelle lacrime che l’avevano graffiato
senza pietà.
“Non è successo niente, dai”, mormorai
nascondendo il viso ai suoi occhi ancora gonfi di pianto nel calore
della sua pelle.
Come potevo dirle una cosa del genere, dopo tutto quello che le era
successo?
Anche se quelle due parole non ricambiate mi stavano divorando il
cuore, non potevo parlargliene proprio ora, avrei rischiato di farle
ancora più male. E io stessa non sapevo che cosa fare.
Le immagini di quel momento mi vorticavano in testa senza ritegno,
facendomi soffrire come un cane. Non avevo detto niente quando
lui… Mi sentivo uno schifo.
Mi sentii pizzicare sulla pancia e mi scostai trattenendo le risate,
sapeva che mi dava fastidio e mi faceva il solletico, quella maledetta!
“Dimmelo, dai!”
“Uff, quanto rompi quando ti ci metti”, sbuffai
scostando le lenzuola e infilandomici dentro, lei mi seguì
corrugando la fronte e non aveva tutti i torti, visto che era pieno
agosto.
“Allora?”, chiese.
“Prima è successa una cosa. Una cosa
che… non mi aspettavo.”
“Sarebbe?”
“Tom, ecco… Tom mi ha… ha detto
che…”
“Che ti ama?”
“Sì! Come fai a saperlo?!”, sgranai gli
occhi.
“Era da un po’ che voleva dirtelo, me
l’aveva detto”, annuì abbassando lo
sguardo vacuo.
“Ale io… perché hai voluto saperlo a
tutti i costi?!”, mi morsi la lingua, stringendo i pugni.
“Perché sei la mia gemella, e voglio sapere
ciò che ti succede”, mi fece un debole sorriso.
“E tu che hai fatto quando te l’ha
detto?”
“Beh io… non ho fatto niente”, sospirai.
“Niente? Niente niente?”
“Niente niente niente”, scossi la testa,
vergognandomi di me stessa. “L’ho guardato scappare
via a bocca aperta, senza riuscire a dire nemmeno una lettera
dell’alfabeto.”
“Ma anche tu lo ami…”
“Io… Sì… Forse…
Non lo so”, mi massaggiai le tempie con le dita, chiudendo
gli occhi, quando mi sentii trascinare in un abbraccio caldo.
“Sì che lo ami, Ary, te lo dico io.
L’unica cosa che devi fare ora è dirglielo anche
tu, quando… quando sarai pronta, ovviamente.”
La guardai e le accarezzai i capelli, scostandoglieli dalla fronte,
prima di stringerla forte a me, tentando di curare il possibile, di
completare quella parte che mancava in lei, di occupare quel vuoto in
mezzo al suo petto, di riscaldare il freddo che sentiva dentro. Almeno
una minima parte.
***
“Ciao Andreas”, sospirai entrando in camera sua,
chiudendomi la porta alle spalle.
“Ciao Ary!”, mugugnò con la bocca piena
di patatine.
Appena alzai la testa rimasi scioccata dal disordine che
c’era in quella stanza: vestiti ovunque, oggetti sparsi per
tutto il pavimento, briciole di popcorn e patatine, bottiglie vuote di
Red Bull… Lui era sdraiato sul suo letto sfatto, in boxer
azzurro shocking, un pacchetto di patatine al formaggio accanto, il
joystick della play station fra le mani e gli occhi che non si
staccavano manco a morire dallo schermo della televisione.
Si vedeva proprio che era tornato un single.
“Ehi, uomo libero e disimpegnato da qualsiasi
dovere”, calciai via un paio di boxer, un po’
schifata. “Come ti va la vita?”
“Una meraviglia! Tu?”
“Uno schifo.” Sprofondai sul letto accanto a lui,
appoggiando la testa alla sua spalla.
“Perché, che è successo?”
“Come se i tuoi migliori amici non ti abbiano già
detto tutto”, sbuffai muovendo la mano.
“In realtà non mi hanno detto proprio niente, i
miei due migliori amici”,
disse girandosi verso di me e guardandomi negli occhi, lasciando
perdere il videogioco. “Successo qualcosa di
grave?”
“A parte che Bill ha tradito Ale e che da due settimane lei
è diventata un vegetale come me quando avevo litigato con
Tom quella famosa volta… E che Tom mi ha detto che mi ama,
io non ho detto nulla e ancora non ho affrontato la
questione… Nulla di grave”, sollevai le spalle,
guardando un punto non definito di fronte a me.
“Una cosa per volta, aspetta. Bill ha tradito Ale? Come?
Quando? Con chi? Perché?”
“Sì, fatti raccontare da lui, è il tuo
migliore amico”, incrociai le braccia al petto.
“Vorrei rasargli i capelli a zero, per non dire di
peggio.”
“Bill non è tipo da queste cose, davvero. E se
è davvero successo, se lo conosco bene ora si
sentirà malissimo e…”
“Non me ne importa come sta Bill! Lui è la causa
del dolore di mia sorella, e sai che io non posso sopportarlo! Lui ha
fatto la cazzata, lui deve pagare ora.”
“Su questo hai ragione”, sospirò.
“Però…”
“Non ci sono però Andreas, e se ne hai non
è un problema mio.”
“Ok. Con te ragionare a volte è inutile, dovrei
saperlo. La seconda cosa era che Tom ti ha detto che ti ama?”
“Esattamente.”
“E tu non hai detto niente?”
“Esattamente.”
“Potevi semplicemente dire anch’io”,
sollevò le spalle prendendo di nuovo il joystick fra le mani
e concentrando la sua attenzione sulla tv, quando io lo guardavo a
bocca aperta. Glielo strappai dalle mani e lo lanciai
dall’altra parte del letto, furiosa in volto.
“Ma che fai?! Almeno metti in pausa!”
“No, Andreas! Sono più importante io o quello
stupido gioco?!” Rimase in silenzio guardandomi negli occhi
ed io annuii. “Se solo ci fossi riuscita l’avrei
fatto, se solo sapessi con certezza che lo amo anch’io
l’avrei fatto, ma evidentemente non è
così!”
“Non è così difficile da capire se ami
una persona, eh. E tu ami Tom, te lo dico io.”
“Ha detto così anche Ale. Tu lo sai, lei lo
sa… Possibile che io sia l’unica cretina, per
altro l’unica interessata, a non saperlo?!”
“Prova a dirlo, avanti.”
“Eh?”
“Prova a dire: Io
amo Tom.”
“Ma… No!”, gridai rossa in viso.
“Perché no? È
così!”
“Non puoi saperlo!”
“Allora non ti interessa se va a letto con un’altra
vero? Si chiama… Mary.”
“EH?!”
“Sìsì, proprio
così.”
“No! Non può essere vero! Tom è solo ed
esclusivamente mio! Io lo amo, nessuna
può…” Mi bloccai improvvisamente
guardando il sogghigno che si era disteso sulle labbra di Andreas, con
una scintilla da furbo negli occhi, e riesaminai tutte le parole che mi
erano uscite dalla bocca, fino a quando… “Ho detto
che lo amo… Ho detto che lo amo!”, gridai saltando
in piedi sul letto e ridendo con le braccia in aria.
“Sì, esatto. Visto? Non era così
difficile”, sorrise.
“Grazie Andy!”, urlai saltandogli addosso e
stritolandolo in un abbraccio. Poi lo guardai in viso, tornando seria e
con gli occhi tristi: “Ma Mary esiste davvero?”
Mi tirò un coppino affettuoso e scoppiò a ridere,
io sorrisi serena.
***
Mentre tornavo a casa, mamma mi aveva chiamata e mi aveva detto di
andare a fare la spesa. Avevo tentato di convincere Ale, per telefono,
a venire con me, ma non c’era stato nulla da fare.
Così mi ero avviata da sola verso il centro commerciale.
Odiavo
girare per quei posti da sola, mi sentivo piccola ed indifesa fra tutta
quella gente.
Camminai per un po’ fra gli enormi corridoi, senza la minima
voglia di andare a prendere ciò che serviva, fino a quando
non vidi un negozio di fotografia e all’interno scorsi la
figura di Aaron, che aveva fatto della sua passione un lavoro, che
trafficava con un cavalletto di una macchina fotografica davvero enorme
in vetrina.
Lo guardai per un attimo, pensando che se davvero lui era ancora
innamorato di lei allora lei avrebbe potuto riprovarci, visto che con
Bill ora come ora non voleva tornarci. Magari Ale sarebbe riuscita a
dimenticarlo, magari sarebbe riuscita a superare quel dolore e
ricominciare a vivere.
E se davvero volevo che questo accadesse, dovevo fare qualcosa io. Ma
come?
Beh,
un’idea in proposito ce l’avevo, ma se non sarebbe
stata la cosa giusta? Se le cose non sarebbero andate come dovevano? Se
sarebbe stato un disastro e tutto il mio lavoro per aiutarla a
“guarire” vano e ancora più distruttore?
Dovevo parlarne con qualcuno. Dovevo parlare
con qualcuno, ora che ci pensavo. E fra una cosa e l’altra
avrei spiegato anche questo mio piano che poi tanto sbagliato non
era… Per Ale avrei fatto qualsiasi cosa, perché
non ce la facevo più a vederla così priva di
vita: mi mancava l’Ale solare, divertente… la mia
gemella, la mia anima.
Senza di lei ero instabile, mi venivano le crisi improvvise e anche io
mi sentivo sempre sottotono. La rivolevo indietro, a qualsiasi costo.
Mi ripromisi di passare dopo a fare la spesa, ora dovevo parlare con
Tom, assolutamente.
***
Arrivai di fronte alla porta del loro appartamento e ad accogliermi
trovai Gustav, che mi avvolse in un abbraccio chiedendomi di Ale.
Mancava a tutti, non solo a me.
“Tom?”, chiesi dopo un po’ di
conversazione anche con Georg.
“È di sopra con Bill.”
“Ok, vado.”
Salii le scale con le mani che prudevano, le strinsi l’una
nell’altra e quando arrivai davanti alla camera di Bill
chiusi gli occhi, trassi un respiro profondo e battei i pugno sul legno
lucido, resistendo alla voglia di buttarla giù a calci dalla
rabbia.
“Chi è?”, chiese quella voce diventata
quasi insopportabile alle mie orecchie.
“Tom, esci da lì”, dissi atona, senza
badare a Bill che aveva risposto.
Sentii dei passi e poco dopo vidi Tom al mio cospetto, lo sguardo
serio. Dietro di lui, seduto sul letto, le gambe strette al petto,
c’era Bill: il volto pallido, le guance arrossate e gli occhi
lucidi.
Una morsa mi attanagliò il cuore vedendolo così
triste, ma fu solo per pochi secondi.
“Ciao”, mi salutò Tom sorridendomi
lievemente.
“Ciao”, ricambiai il sorriso, rivolgendolo anche a
Bill in modo tale che si sentisse in colpa fin dentro alle ossa: il mio
sorriso era pressoché identico a quello di Ale… E
lui ovviamente sapeva che non c’era da tempo sulle sue
labbra.
“Ti dovrei
parlare”, sussurrai.
“Di che si tratta?”
“Da soli… se non ti dispiace.”
“Ok”, sospirò, uscendo dopo aver rivolto
un’occhiata al gemello, che annuì.
Scendemmo di sotto ed uscimmo in terrazza perché lui aveva
voglia di fumarsi una sigaretta. Me ne offrì una sotto il
sole del pomeriggio e me l’accese; feci il primo tiro e mi
appoggiai al parapetto con le braccia, lui mi imitò.
“Che c’è?”, mi chiese
avvicinando la spalla alla mia e dandogli lievi colpetti sorridendo.
“Niente…”
“Non è vero, bugiarda”,
ridacchiò baciandomi la tempia.
“C’è che… pensavo…
Sì, tu… Quella sera…”
“Ary, non ti ho chiesto di sposarmi, ho detto solo quello che
pensavo al momento. Io non volevo costringerti a dirlo, io non volevo
proprio niente…”
“Mi lasci parlare?”, risi guardandolo negli occhi.
“Io, credo… Quando me l’hai detto sono
rimasta sorpresa… molto sorpresa… piacevolmente
sorpresa”, arrossii lievemente. “E mi sono sentita
un vero schifo quando te ne sei scappato via senza che io avessi potuto
dirti niente…”
“Non dovevi, io…” Gli portai due dita
sulle labbra.
“Ti ho detto di stare zitto!”
Sorrise e mi baciò la mano, tenendola nella sua.
“E io ora… ci ho pensato tanto e grazie
all’aiuto di qualcuno”, ridacchiai pensando allo
stupido modo con il quale Andreas mi aveva fatto sputare fuori la
verità, “ho capito che… ti amo anche
io, Tom. Ma non sono ancora pronta al matrimonio, ti
avverto!”, gli puntai il dito contro.
“Non mi interessa, in questo momento. Matrimonio o meno, sei
già mia”, sussurrò ad un soffio dalle
mie labbra, guardandomi negli occhi e facendomi arrossire
violentemente.
Please, don't
ever let me be
I only wanna
be by your side
Please, don't
ever let me be
I only wanna
be by your side
Girl, you
really got me now
You got me so
I don't know what I'm doin', yeah
Oh yeah, you
really got me now
Got me so I
can't sleep at night
[Per favore, non lasciami mai
Io voglio solo essere al tuo
fianco
Per favore, non lasciami mai
Io voglio solo essere al tuo
fianco
Ragazza, tu mi hai veramente
adesso
Tu mi hai così tanto
che non so cosa sto facendo, sì
Oh sì, tu mi hai
veramente adesso
Mi hai così tanto che
non posso dormire la notte]
Si scostò da quel bacio mozzafiato e mi accarezzò
le guance con un sorriso strepitoso sulle labbra.
“C’è qualcos’altro,
vero?”, disse attirandomi a sé per i fianchi, in
un abbraccio di conforto. Io lo strinsi e mi appoggiai al suo petto con
la fronte, il suo mento sulla mia nuca.
“Sì, Ale…”, mormorai.
“Mi sento male a vederla così.”
“Mi dispiace, piccola…”
“Anche a me, tanto. Ma ho deciso che dobbiamo fare qualcosa,
Tom. Sei con me?”
“Che cos’hai in mente?”
“E se noi… se io… chiedessi ad Aaron di
uscire con Ale?”
__________________________________
Tadada-daaaan xD
Beh dai, stiamo facendo passi avanti. Ary ha detto a Tom che lo ama *-*
Grazie ad Andreas xD
E poi le è venuta un'altra delle sue idee geniali, ossia far
uscire Ale e Aaron... Secondo voi avrà lo stesso esito
dell'altra sua idea geniale? u.u
Staremo a vedere...
Dal prossimo capitolo si torna alla normalità, Ale
scriverà il prossimo e poi io, poi lei... insomma, normal xD
Credo di aver detto tutto... ah no! La canzone che ho usato
è You really got me
dei Van
Halen *-*
Ringraziamo di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:
LisaHeiligTk
: Ahah xD Infatti, Tom era superimbarazzato! Ary non è che
l'ha ignorato, è che lei con queste cose non è
per niente brava e non se l'aspettava xD Grazie mille per la recensione
*.* Alla prossima!
Charls__
: Eccoti qua, banana ù-ù xD Non sei l'unica, a
quel che ne so, a voler avere una gemella! xD
E' vero, loro due sono molto tenere *_______* (D'altronde... u_u ahah
xD)
Tom è una continua sorpresa! Siamo contente che ti sia
piaciuto *w*
Brava, sei davvero fedele! :) Grazie mille, un bacione!! <3
Tokietta86
: Ciao! Non ti preoccupare,
capiamo :) Sì, povera Ale veramente e davvero, se Tom non ci
fosse stato Ary avrebbe trasformato Bill in una polpetta, se non in
polvere xDD
Diciamo che abbiamo preso spunto, per i comportamenti di Ale e Ary,
proprio da quello che hanno sempre detto Bill e Tom sul loro rapporto,
sperando che non siano cavolate u.u No, scherzo *-*
Tom struzzo, dici? xD Sì, poverino, era imbarazzato e non so
davvero chi se ne intende di più di ste cose tra lui e Ary
xD è una bella lotta, sono due incapaci ahah xD
Grazie mille!! Alla prossima, un abbraccione!! :D
_MINA_
: Sì è vero, ne hanno passate un bel po' xD
Grazie mille, alla prossima!
E anche chi ha letto soltanto! ;)
Un abbraccio, alla prossima! Vostre,
Ale&Ary
|
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Capitolo 30 *** Mi rubi l'anima ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/750316.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 31 *** Giardino di rose ***
Capitolo 31: Giardino
di rose
“Che schifo,
ma veramente… che
schifo”, dissi gettandomi sul mio letto, sospirando.
Mi
sporsi sulle tartarughine, con
le quali stavo parlando, un cd dei Paramore in sottofondo.
“È
un periodo di cacca, davvero.
Cioè… non completamente, però se ci
penso mi sale tanta di quella tristezza
addosso… Cioè, voglio dire, è piena
estate e dove siamo? Tutti sono in vacanza
al mare, in montagna, da qualche parte insomma, e noi? Ancora qui, ad
Amburgo,
a patire un caldo che io personalmente non riesco più a
sopportare. Tom mi ha
detto di andare in giro in costume, ma poi me lo ha severamente vietato
perché
sarebbe geloso. È una contraddizione vivente quel
ragazzo”, ridacchiai. “Ma che
ci vuoi fare, è l’amore.
“Poi sono inchiodata a casa ad
aspettare i suoi comodi. Voglio una macchina mia! Voglio un lavoro,
così posso
comprarmi una macchina ed essere finalmente indipendente. Sempre Tom ha
detto
che sarei un pericolo pubblico, e non ha tutti i torti…
Però vabbè, starò
attenta!
“E infine, come se tutto questo
non bastasse, Ale sta ancora male per Bill. E ci credo… Ma
come cavolo si è
permesso di farle una cosa del genere?! Se non gli volessi
così inevitabilmente
bene lo strozzerei con le mie stesse mani”, sospirai
abbassando il capo. “Oggi Ale
dovrebbe vedersi con Aaron, sapete? Chissà se poi mi state
davvero ascoltando.”
Stuzzicai
con un dito la
tartarughina sulla roccia e la vidi svegliarsi e muovere le zampette,
per poi
cadere in acqua e nuotare vicino all’altra, ferma di fianco
al vetro.
Mi portai il cellulare
all’orecchio, guardando Tom con la coda
dell’occhio, mentre con le dita mi tracciava dei cerchi sul
dorso della mano:
sapeva che mi rilassava, ed ero davvero molto nervosa per quello che
stavo per
fare.
“Pronto?”
La
sua voce calda mi fece salire un groppo in gola, perché era
sempre
stato il mio secondo fratello maggiore quando stava con Ale e a dirla
tutta, un
po’ mi mancava… Anche se non potevo perdonarlo per
ciò che aveva fatto a mia
sorella, non del tutto, questo mai.
Come non sarei riuscita a perdonare del tutto Bill, anche se le cose si
fossero sistemate, perché quelle cicatrici sul cuore della
mia gemella
sarebbero state eterne, incancellabili.
“Pronto,
chi parla?”, chiese di nuovo, facendomi tornare su quel
pianeta.
“Ah,
ehm… Ciao Aaron, sono… sono Ary.”
“Ary? Ciao
Ary! Come stai?”
“Sto…
sto bene, grazie. Tu?”
“Tutto
ok. Come mai questa chiamata?”
“Ehm…
ecco, scusami ma… volevo chiederti una cosa.”
“Dimmi.”
“Tu…
Io so che tu… sei, insomma… ancora preso da
Ale.”
“Eh
già”, disse amaramente; lo immaginai mentre
accennava appena un
sorriso.
“E
volevo chiederti se… Visto che lei non sta passando un bel
periodo…
Se potevi chiederle di uscire, di vedervi, ecco. Così magari
si distrae un po’,
perché… La verità è che non
ce la faccio a vederla così, proprio non ce la
faccio, e da sola non so come aiutarla. Tu…
potresti?”
“Io…
Non lo so, Ary…”
“Ti
prego Aaron, ti supplico”, mormorai con gli occhi che mi
pizzicavano. “Non farlo per me, fallo per
lei…”
Lo
sentii sospirare. “Ok, va bene Ary. Glielo
chiederò.”
“Grazie
Aaron, grazie davvero.”
"Prego.
E lo faccio anche per te, comunque. Si sente che non sei in
forma”, ridacchiò. “Ora ti devo proprio
lasciare, sto lavorando. Ciao!”
“Ciao
Aaron, grazie. Ciao.”
Chiusi
il cellulare e mi girai verso Tom, che mi guardava sorridendo,
la mano stretta nella sua.
“Ho
fatto la cosa giusta?”, chiesi a bassa voce.
“Hai
fatto ciò hai potuto per aiutarla, ed è
sicuramente la cosa più
giusta che potevi fare.”
“Speriamo che
vada tutto bene”,
sospirai unendo le mani sulle gambe incrociate.
“Perché se non dovesse andare
bene non saprei proprio cosa fare. Questa è
l’unica cosa che io sono riuscita a
fare per aiutarla, spero che funzioni, se no… mi servirebbe
proprio un
miracolo, anche se normalmente non credo in queste cose: stare ad
aspettare
qualcosa che forse non arriverà mai è…
triste.”
“ARY!”,
sentii gridare il mio
nome dal piano di sotto, poi i passi veloci di Ale sulle scale, seguita
da
qualcun altro.
Spalancò la
porta e mi fece un
piccolo sorriso: anche quello era stato ferito da Bill e ne risentiva
tutt’ora
con la stessa intensità: non brillava più come
una volta…
“Stavi
parlando ancora con le
tartarughe?”
“Sì,
perché, non posso? Almeno
loro mi ascoltano e non mi contraddicono”, sogghignai alzando
ed abbassando la
testa, ad occhi chiusi.
“Stupida,
loro non lo fanno
perché non
possono!
E, poverine, sono costrette ad ascoltarti perché non
possono andarsene. Ma secondo me un giorno riusciranno a scappare da
te.”
“Ma
quanto sei simpatica oggi!”
“Buongiorno!”,
gridò Tom entrando
in camera con un enorme sorriso sul viso.
“Ciao
Tomi!”, stesi le braccia
verso di lui, non avendo voglia di alzarmi. Lui scosse la testa e si
avvicinò a
me, venendomi ad abbracciare e a baciare a fior di labbra.
“Che ci fai da
queste parti?”
“Un
giro. Allora oggi è il grande
giorno!”, disse girandosi verso Ale.
“Sì,
ehm…”, si grattò la nuca, di
fronte all’armadio. “Se così si
può definire. Ary, cosa mi metto?”, si
tirò i
capelli sulle spalle, sull’orlo di una crisi di nervosismo.
“Metti
quello che vuoi, tanto… è
solo un appuntamento così…”
Mi
guardò alzando il
sopracciglio, un sogghigno sulle labbra: “Dai che muori dalla
voglia di
agghindarmi come una bambolina.”
“Sinceramente
non ne ho tanta
voglia, ma… ok!”, zompai in piedi e la raggiunsi
all’armadio, tirai fuori una
maglietta bianca, un gilet corto grigio e un paio di jeans a
pinocchietto.
Glieli diedi in mano e tirai fuori dal portagioie un paio di orecchini
semplici, con i brillantini bianchi, e le consigliai di raccogliersi i
capelli
sulla nuca con un fiocchetto e di truccarsi gli occhi con semplice
matita nera
e ombretto bianco.
“No,
il trucco e il fiocchetto te
lo scordi”, disse prendendo le scarpe e salutando Tom con la
mano per andare a
cambiarsi in bagno.
“Uff”,
mi lasciai di nuovo cadere
sul letto e Tom mi raggiunse, mi strappò un bacio, un altro
e poi un altro
ancora, fino a quando mi ritrovai sdraiata sotto di lui.
“Che
cos’hai?”, mi chiese
passandomi una mano fra i capelli. Mi girai una sua treccina fra le
dita
pensierosa, senza sollevare lo sguardo nel suo.
“Sono
tesa.”
“Vuoi
un massaggio rilassante?”,
sussurrò malizioso al mio orecchio.
“Stupido”,
gli tirai un pugno sul
braccio, poi lo attirai a me in un abbraccio e lo feci cadere del tutto
sul mio
corpo, lo strinsi forte a me e respirai a pieni polmoni il suo profumo.
“Ho paura che vada male oggi, fra
Ale ed Aaron.”
“Non
ti devi preoccupare,
piccola. Vedrai che andrà bene.”
“Vorrei
poter essere così
ottimista, davvero. Se non dovesse andare bene saremo punto a capo ed
io non
penso di riuscire a resistere ancora senza la vera Ale.”
“Vedrai
che si sistemerà tutto”,
mi accarezzò il viso e mi baciò la punta del
naso, ridacchiando. “Io sono qui,
lo sai.”
“Ehm-ehm.”
Qualcuno si
schiarì la voce e ci
girammo tutti e due verso la porta: Ale, il viso cupo rivolto verso il
pavimento. Scostai con violenza Tom e mi alzai, mettendomi le mani in
tasca,
dispiaciuta per quello che aveva visto e magari anche sentito.
“Stai…
stai bene, vestita così”,
dissi annuendo. “Vero Tom?”
“Sì,
vero”, sorrise mettendosi
seduto sul letto.
“Grazie.”
Sentimmo
suonare il campanello e
lei sobbalzò, mi guardò un po’
preoccupata e poi prese la borsa che aveva
lasciato sulla sedia della scrivania.
“Dev’essere
lui, vado. Mi raccomando,
fate i bravi.”
“Sì,
ok”, ridacchiai. “E tu…
divertiti.”
Annuì
ed uscì dalla camera, la
ascoltai scendere le scale e sbattersi la porta alle spalle, poi mi
girai verso
Tom: “Speriamo in bene, davvero.”
“Ma
sì, non ti preoccupare.”
Mi
avvicinai all’acquario aperto
delle tartarughe e guardai quella ferma accanto al vetro, che
galleggiava con
gli occhietti chiusi e le zampe immobili.
“Ale
mi ha convinto, sai?”,
dissi, stuzzicandola senza ottenere nessuna reazione.
“A
far cosa?”
“Vado
all’università con lei.
Università di storia dell’arte.”
“Davvero?”,
corrugò la fronte.
“Tu odi studiare!”
“Lo
so”, mugugnai. “Ma è solo un
anno di prova, diciamo. Non sono del tutto convinta.”
“Mi
sa che la lasci ancor prima
di iniziare”, ridacchiò e mi prese per la vita,
appoggiando il mento alla mia
spalla e baciandomi leggero sul collo.
“Tom…
Sono diversi giorni che
questa tartaruga qui non si muove e non mangia.”
Rimanemmo
in silenzio per un
attimo, ad osservare la tartarughina in questione, mentre
l’altra saliva e
scendeva impacciata dalla roccia.
“Non
è che è…”, disse piano
guardandomi negli occhi.
“No,
non dire queste cose… è
impossibile!”
“Mica
tanto impossibile, Ary… Se
non mangia e non si muove…”
“No,
dai!”, sbattei i piedi a
terra, girandomi fra le sue braccia e nascondendo il viso nel suo petto.
“Piccola…
So che è brutto da
dire, ma… è il ciclo della vita.”
“Non
è giusto.”
Mi
accarezzò i capelli e mi baciò
sulla fronte, poi mi accarezzò il viso con i pollici.
“Vieni
a fare un giro con me?”
“Dove
andiamo?”
“Devo
andare un attimo in studio,
David mi deve parlare, boh. Vieni?”
“Sì,
prendo un po’ d’aria”,
annuì. “Mi cambio e arrivo.”
“Devo
andarmene?”
“Sì,
grazie.”
“Tutto
bene?”
“Sì”,
tirai su col naso e presi
la tartarughina in mano, accarezzandole la testolina prima che una
lacrima mi
scendesse sulla guancia.
“Ary…”
“Ti
ho detto di andare, per
favore.”
Abbassò
il capo ed uscì dalla
stanza, poi rientrò di colpo, il viso arrabbiato.
“Ho capito che ti dispiace, ma
non devi trattarmi come una merda solo perché mi
preoccupo!”, gridò.
“Scusa,
hai ragione, non l’ho
fatto apposta.”
“Ok”,
sospirò e mi baciò sulla
tempia, poi uscì definitivamente, lasciandomi sola
lì.
Mi
misi seduta sul letto con la
mano gocciolante sopra l’altra e osservai quel piccolo essere
privo di vita,
pensando che tutto poteva finire da un giorno all’altro,
senza preavviso, solo
che non si pensava mai a quella possibilità.
Andai
in veranda e fra il
giardino di rose di mamma, scavai una piccola buca e ci infilai dentro
la
tartarughina, la guardai, ricordandomi il giorno in cui
l’avevo comprata
assieme ad Ale, e poi la ricoprii.
“Sei
stata una brava
ascoltatrice, scusami se a volte ti ho annoiata. Ti voglio
bene”, mugugnai
alzandomi.
Rientrai
in casa, mi lavai
velocemente le mani e andai da Tom, che intanto si era seduto al tavolo
della
cucina. Gli andai alle spalle e feci scivolare le mani sulle sue spalle
e sul
suo petto, appoggiando la guancia alla sua.
“Mi
ami?”, gli chiesi.
“Sì”,
sussurrò donandomi un
leggero bacio sulle labbra, con le guance lievemente arrossate.
“Anch’io”,
sorrisi. “Possiamo
andare.”
“Ma
non ti sei cambiata”, sollevò
il sopracciglio.
“No,
non ne avevo voglia. Forza,
su, che non ho tempo da perdere.”
***
Arrivammo allo studio e
Tom andò
subito da David che lo aspettava nella sala riunioni, io feci un giro
lì
attorno con il mio bel cartellino al collo, curiosando dappertutto.
La
prima volta che ero stata lì,
anche con Ale, avevo voluto fare una visita guidata, facendo milioni di
domande
a tutti, così da farmi detestare a priori.
Però ci eravamo divertiti tanto,
pure David alla fine si era divertito, contagiato dalla nostra allegria.
Quei
tempi ora sembravano così
lontani… Sembravano essere passati secoli dal giorno della
festa di Andreas,
dallo scambio di nomi e da tutto il resto. E da quando Ale aveva
sorriso
veramente l’ultima volta… per me era
un’eternità.
Mi
mancava il suo vero sorriso,
mi mancava la sua vera risata, mi mancava la luce vera che aveva negli
occhi.
Mi mancava, anche se l’avevo sempre accanto a me.
Forse
quella volta era diverso, ero
calma e tranquilla, anche perché ero in lutto per la mia
povera tartarughina
sepolta nel giardino sul retro, oltre che per tutto quel casino e per
la
tensione dovuta all’“appuntamento” fra
Ale ed Aaron. Chissà come stava andando…
Girai
l’angolo per tornare verso
la sala riunioni, sperando che Tom avesse finito, quando mi scontrai
contro
qualcuno di alto e magro, due caratteristiche che subito mi portarono a
pensare
ad un’unica persona: Bill.
Sollevai
gli occhi e come
immaginavo, nonostante tentassi di arrampicarmi sugli specchi e di
mettere in
dubbio la sua identità, incrociai quelli nocciola di Bill,
così identici eppure
così diversi da quelli di Tom. Se quelli di Tom mi
esprimevano solo dolcezza e
malizia, i suoi in quel momento mi facevano solo salire il sangue al
cervello,
tanto da volerlo prendere a schiaffi.
“Ary”,
disse sorpreso,
guardandomi in faccia.
“Sì,
proprio io”, risposi atona,
annuendo.
“Che
ci fai da queste parti?”
“Tom.”
“Uhm,
capito.”
“Mhm.”
“Ahm…
Tutto bene?”
“Sì,
tutto ok.”
“Anch’io…
più o meno.”
“Mhm.”
Finito? Non
è proprio giornata, Bill, quindi gira alla larga.
“E…
tua sorella, come sta?”
“Tua sorella.
Adesso è diventata mia
sorella. Mi fai
ridere”, sbuffai muovendo la mano e proseguendo per la mia
strada, facendo scontrare le nostre spalle.
“Ehi.
Ehi!”, gridò prendendomi
per il braccio e girandomi verso di lui, fulminandomi con lo sguardo,
ma non mi
faceva paura, per niente. Forse era lui che avrebbe dovuto aver paura
di me,
ero molto vicina a volergli dare una cinquina.
“Che
cosa vuoi ancora? Non ho più
niente da dirti”, sbottai.
“Ti
ho fatto una domanda, almeno
abbi la decenza di rispondermi. Perché se non lo sai sto
soffrendo come un cane
e anche solo guardarti… mi fa male”,
sussurrò con gli occhi velati dalle
lacrime, lasciando di colpo la presa sul mio braccio.
“E
pensi che Ale fino ad adesso
non abbia sofferto come, se non peggio, di te? Comunque sta benissimo,
una
meraviglia, guarda”, sibilai trucidandolo con lo sguardo.
“Che
succede qui?”, chiese Tom
affiancandomi e guardando prima me e poi il proprio gemello, un
po’
preoccupato.
“Proprio
niente. Finito?”
“Sì.”
“Bene,
allora puoi accompagnarmi
a casa, sono stanca.”
“Ok”,
annuì non convinto,
guardandomi andare via.
“Successo qualcosa?”, sussurrò al
gemello, che scosse la testa e gli fece un piccolo sorriso indicandogli
di
andare.
Tom
sorrise, gli diede un pugno
lieve sulla spalla e subito dopo ci passò sopra la mano
affettuosamente. Lui ci
sarebbe sempre stato per lui, sempre.
________________________________________
Ciao a tuttiiii :D
Allora, che capitolo...
non succede nulla di particolarmente rilevante, se non la morte di una
delle tartarughine di Ary. Quel pezzo l'ho aggiunto perchè
mi è successo davvero e lo dedico alla mia tartarughina :)
Ale è finalmente uscita con Aaron e chissà che
cosa succederà...
Intanto Ary è sempre più arrabbiata con Bill, non
vuole proprio perdonarlo, e l'appuntamento che ha combinato per sua
sorella e Aaron è solo un modo per farla felice. Lei pensa
di fare la cosa giusta, anche se ha i suoi dubbi, e non tutti la
pensano come lei. Comprendo u.u Staremo a vedere che cosa
succederà anche in merito a questo :)
Per quanto riguarda Tom, invece, sta molto vicino ad Ary - sono
così belli *.* - e fa lo stesso anche con Ale, senza
trascurare però Bill. Insomma, lui sta un po' con tutti,
anche se... non posso dirvelo ahah xD
E' arrivato ora il
momento dei ringraziamenti!
Charls___ :
Ciao! :D Ahahah è vero, Bill è un maledetto,
però è così tenero *.*
Chissà quando lo capiranno che sono fatti per stare
insieme... mah!
Aaron poveretto che ti ha fatto xD
Grazie mille per la recensione *________* Brava, hai recensito per
prima davvero! ahah xD
Un bacione, alla prossima! <3
_MINA_ :
Grazie mille, alla prossima ;D
AleEchelon :
Non ti preoccupare, abbiamo capito il tuo problema-disastro e ti
perdoniamo u.u
Uhm, il comportamento di Ary va molto a persona. Nel senso, secondo te
lei ha fatto una cavolata, secondo me ha fatto bene e per altri
sarà ancora diverso... e Ale si è lasciata un po'
trascinare dalla cosa e dal dolore, quindi lei è quella con
meno colpe :)
Chissà, magari tu hai ragione, forse no... staremo a vedere
che succederà tra Bill e Ale e tra Ale e Aaron, soprattutto!
Grazie ancora per la recensione, baci! Alla prossima! :)
Un grazie anche a chi ha letto soltanto ;)
Alla prossima, un abbraccio a tutti! Vostre,
Ale&Ary
|
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Capitolo 32 *** ... Aaron? ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/768467.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 33 *** Il centro del mondo ***
Capitolo 33: Il
centro del mondo
Suonarono alla porta,
per
l’ennesima volta. Sbuffai sonoramente e spensi la sigaretta
nel portacenere,
quasi con rabbia.
“Ti chiamo
dopo Andreas, ok? Vedi
di uscire un po’ e di trovarti un’altra ragazza, mi
stai facendo esaurire con
le tue lagne.”
“Oh, grazie,
tu sì che sei di
conforto.”
“Faccio del
mio meglio tesoro, a
più tardi.”
“Ok, ciao
stronza.”
Chiusi la chiamata ed
entrai nel
salotto passando per le porte vetrate. Vidi mia madre già
alla porta, di fronte
ad un Bill che, come al solito, chiedeva di Ale.
Non ne potevo
più di vederlo
gironzolare da quelle parti. Oddio, ero contenta perché non
si arrendesse, ma
stava diventando un po’ eccessivo, come
un’ossessione, soprattutto dopo quella
volta in cui Ale gli aveva detto chiaramente, anche se le lacrime
l’avevano
tradita, che non sarebbe più potuta tornare con lui.
“Ale non
c’è”, dissi.
Lui sollevò
lo sguardo su di me e
mi guardò male, poi tornò su mia madre, che mi
guardava corrugando la fronte:
sì, Ale era al piano superiore, ma era ovvio che non lo
volesse vedere.
“È
uscita poco fa”, annuii
stringendomi nelle spalle. Mamma mi resse il gioco, fortunatamente, e
tornò in
cucina, sapendo di quella situazione delicata. Bill invece si
avvicinò a me, lo
sguardo infuocato.
“È
inutile che menti, Ary”, mi
prese il mento fra le dita, io lo guardai quasi sprezzante.
“So che Ale è in
casa. E so che tu non vuoi farmela vedere. E magari hai anche ragione a
comportarti così, ma…”
“No, è sicuro
che ho ragione”, sibilai dura. “Perché
quello che le hai
fatto è imperdonabile, per me. E tutto quello che ha
sofferto non se lo
meritava in nessun modo, ed è solo colpa tua! Non ti
permetterò di farle ancora
del male.”
“Magari sei tu
che le stai
facendo del male, comportandoti così.” Si
girò e tornò alla porta, lasciandomi
basita: che cosa intendeva dire? Io facevo solo quello che ritenevo
giusto per
aiutarla! “Pensaci. Magari è di me che ha bisogno.
Anzi, ne sono certo.”
“Sei solo uno
stronzo”,
bisbigliai abbassando lo sguardo.
“Salve
signora”, salutò mamma in
cucina, che rispose appena, prima di chiudersi la porta alle spalle e
tornare
alla sua Audi parcheggiata di fronte al cancello.
Soffocai un grido
stringendo i
pugni lungo i fianchi e sbattendo i piedi a terra, poi salii di sopra
annunciandomi con i miei passi pesanti e furenti.
“Ehi, tutto
bene?”, mi chiese Ale
alzando la testa dal libro che stava leggendo, sdraiata sul suo letto.
“Sì,
assolutamente. Lui
è stato qui, ancora.”
“Oh”,
abbassò lo sguardo e
sollevò le spalle, tornando alle parole stampate sulla carta
bianca e a
giochicchiare nervosamente con il segnalibro.
“Ale…”,
sospirai sedendomi al suo
fianco e poggiandole una mano sulla schiena. “So
che… che io dovrei essere la
prima a capirti subito, ma… devo chiederti una cosa, devo
chiederti un favore.”
“Sarebbe?”
“Vorrei solo
che tu tentassi di…
di capire un po’ di più ciò che senti
dentro e di scegliere uno dei due in
definitiva.” Lo sguardo che ricevetti mi fece rabbrividire e
mi diedi della
stupida. “Scusa, cancella tutto quello che ho detto, non
importa.”
Mi alzai scuotendo la
testa e mi
gettai sul mio letto, a pancia in giù, lo sguardo rivolto
verso l’acquario
delle tartarughe in cui ora ce n’era solo una.
“Oggi non
esci?”, chiesi
debolmente, fissandola con la coda dell’occhio: era persa fra
quei milioni di
parole, cercando forse un mondo in cui potesse sentirsi meglio.
“No, non ho
voglia. E poi mi fa
male la pancia: ho il ciclo.”
“Ah, capito. A
proposito, anche a
me dovevano arrivare in questo periodo, se non sbaglio”,
corrugai la fronte,
pensierosa.
Mi alzai e raggiunsi il
calendario di fianco alla finestra, sopra la scrivania, e controllai.
“Oh
cazzo.”
“Cosa?”,
sobbalzò Ale.
“Mi sbagliavo:
dovevano arrivarmi
una settimana fa.”
“Davvero?”,
sgranò gli occhi.
“Sì,
davvero.”
“Oh
merda.”
“Dici
che…”, mi portai le mani al
ventre, inorridita.
Un bambino? Un bambino
ad appena
vent’anni? No, mai e poi mai! A me non piacevano nemmeno i
bambini, li
detestavo! Non erano nelle mie priorità e non lo sarebbero
stati per molto,
molto tempo. Sempre se non era già troppo tardi…
“No Ale, no!
Non voglio!”, gridai
portandomi le mani sulla testa: se non avessi tenuto così
tanto ai miei capelli
li avrei strappati.
“Calmati Ary!
Vedrai… vedrai che
è solo un ritardo”, mi fece un sorriso
rassicurante.
“Speriamo”,
sospirai sedendomi
mollemente sul letto.
Sentimmo suonare il
campanello al
piano di sotto e mi ritrovai ad odiare quel suono, indipendentemente da
chi
fosse: lo sentivo troppo spesso!
Ale si alzò,
dopo aver sentito
dei passi galoppare sulle scale, e sbirciò fuori dalla
porta. Rientrò in camera
con la testa e mi disse che era Tom. Io, in preda al panico, pensai che
forse
era meglio che mi nascondessi, senza pensare ad un motivo preciso:
sentivo di
doverlo fare e basta.
Avevo paura di una sua reazione a
quella notizia? Avevo paura di un suo rifiuto se magari…?
Non volevo nemmeno
pensarci, quell’ipotesi non la volevo nemmeno considerare
lontanamente.
Mi nascosi sotto al
letto sotto
lo sguardo stupito di Ale e le feci segno di reggermi il gioco, quando
si girò
e si trovò di fronte Tom in una forma smagliate, un sorriso
felice sulle
labbra.
“Ciao!”,
la salutò con un sonoro
bacio sulla guancia. In quel momento di distrazione tirai le coperte
verso il
basso, così che non mi potesse vedere.
“Ary?”, chiese guardando oltre di
lei. “Anna ha detto che era qui.”
“Ahm…
ehm… no.”
“E
dov’è?”, corrugò la fronte.
“Non
so.”
“Come non sai?
Non può essere
uscita dalla finestra!”
“No, questo
no, ma… boh, non so
dove sia!”, si avvicinò al suo orecchio e gli
sussurrò qualcosa. “Ora devo
andare! Ciao!”, e schizzò via lasciandolo
lì sulla soglia.
Lo sentii sospirare e
camminare
verso il letto, per poi gettarcisi sopra saltellando. La rete del letto
mi
sfregò la schiena e mi tappai la bocca con le mani, fin
quando non vidi la
coperta alzarsi di scatto e il suo viso all’incontrario
fissare il mio.
Quella maledetta aveva fatto la
spia sul mio nascondiglio super segreto!
“Mi dici che
ci fai sotto al
letto?”
“Ahm…
Niente!” Sollevò il
sopracciglio, scettico. “Cioè… stavo
guardando se c’erano degli spiccioli qua
sotto! Sto raccogliendo più soldi possibili. Per la
macchina, sai com’è…”
“Dai, vieni
fuori”, mi prese per
il braccio e mi trascinò sul pavimento, fino a quando non
fui di nuovo alla
luce del timido ed ultimo sole della stagione.
Mi alzai da terra
tossicchiando e
Tom mi levò qualche mucchietto di polvere dai capelli,
scuotendo la testa con
un sorriso divertito.
“Mi spieghi il
perché di questo
comportamento? Ti nascondevi da me?”, mi chiese.
“Ho sempre
adorato giocare a
nascondino! Fin da bambina! Era il mio gioco preferito, dico davvero!
Ero
sempre la migliore, non mi trovava mai nessuno! E quando toccava a me
contare
li trovavo subito tutti! Dicevano che avevo una vista… Ma
non è questo che vuoi
sentire, eh?”, mormorai l’ultima frase, abbassando
il capo.
“No”,
sorrise. “C’è qualcosa che
non va?”
“No, no! Non
c’è niente che non
va!”
“Sicura?”
“Sì,
sicurissima”, annuii
tentando di apparire normale, persino sorrisi.
“Ok, diciamo
che ti credo”, mi
abbracciò e mi baciò sulle labbra, passando il
suo sorriso sulle mie. Mi spinse
verso il letto e mi ci fece cadere, mi sovrastò
delicatamente e mi passò una
mano fra i capelli, avvicinandomi il viso al suo.
“Pensavo…
E se stasera uscissimo,
io e te?”
“Uhm…
Mi piace come idea. Dove si
va?”
“Segreto”,
sussurrò stampandomi
un mezzo bacio.
“E cosa mi
devo mettere?”
“Quello che
preferisci”, sollevò
le spalle. “Tanto tu stai bene con tutto.”
Arrossii. “Ok,
va bene.”
“Ti passo a
prendere più tardi
allora.”
“Ah. Credevo
rimanessi qui.”
“No, devo
andare a prepararmi”,
sogghignò e mi stampò un ultimo bacio prima di
alzarsi e fare una corsetta fino
alla porta. “Ti amo!”, gridò una volta
già sulle scale, tanto che quelle due
parole che riuscivano a farmi volare il cuore mi arrivarono come
un’eco.
Sorrisi e sussurrai un
“Anch’io”
con lo sguardo rivolto al soffitto, ma quella serenità venne
spazzata via
presto dal pensiero che forse
qualcosa stava nascendo in me. E, se fosse stato così, non
lo volevo.
***
“Divertiti
stasera”, disse mogia
Ale, apparecchiando la tavola per lei, mamma e papà.
“Sì,
sorella.”
“Sei
nervosa?”
“Un
po’ sì, se devo essere
sincera.” Mi sistemai i bottoni neri del vestitino rosso che
indossavo, lungo
fino a metà coscia e con le maniche nere trasparenti.
“Ma
gliel’hai detto… di quella
cosa?”
“Ma ti pare?!
Come avrei
potuto?!”, sgranai gli occhi, immaginandomi la scena e
rabbrividendo.
“Ary, prima
glielo dici e meglio
è, fidati.”
“Ma…
ma… Come faccio?!”,
piagnucolai.
“Come fai a
dirgli che gli vuoi
bene.”
“Oh, come se
gliel’avessi detto
subito.”
“Giusto, hai
ragione tu”,
ridacchiò. “Vedrai che capirà, ci tiene
davvero a te.”
“Sì,
lo so, ma…”
Il campanello
suonò ed irritata
mi girai ed aprii la porta di scatto, fulminando Tom con lo sguardo:
“Non
azzardarti mai più a suonare il campanello, mi
urta!”
“Ok, scusa!
Sei già nervosa? Non
siamo nemmeno usciti dalla porta!”
“Sì,
e se vuoi puoi anche
restarci fuori dalla porta!”
“Ma…
ma che hai?!”
“Niente!”,
disse Ale tappandomi
la bocca e sorridendo nervosamente. “È solo un
po’ tesa”, gli disse piano, come
se io non sentissi, no?!
“Ah”,
rise Tom. E solo allora,
solo in quel momento, mi accorsi che si era infilato una camicia. Una
camicia!
Dove cavolo dovevamo andare, se si era messo una camicia?!
“Tom,
tu…”, balbettai indicandola
sotto il giubbotto slacciato. “Tu…”
“Oh, non
badare a questa. Ero di
fretta e ho messo la prima cosa che ho trovato”, disse
arrossendo lievemente,
portandosi una mano dietro al collo.
Ale fece un sorrisetto
strano e
mi spinse in avanti, così da farmi finire direttamente fra
le sue braccia.
“Buona serata!”, ci gridò prima
di chiuderci la porta in faccia.
Sollevai lo sguardo su
di lui e
sorrisi: “Buonasera”, sussurrai sfiorandogli la
bocca con la mia. Fu lui
infatti ad approfondire il bacio, stringendomi forte, ancora sulla
soglia.
“Piccola…”,
mormorò.
“Uhm?”
“Ti
amo.”
“Due volte
nello stesso giorno è
troppo, Tom”, lo rimbeccai, staccandomi ed avviandomi verso
la macchina. “Poi
mi vizi.”
“Dov’è
il mio iPod?”
“È
rimasto qui, dall’ultima
volta”, aprì il portaoggetti di fronte a me e me
lo passò, stando comunque
attento alla strada.
“Manca tanto
ad arrivare?”
“Non molto, ma
mettilo comunque”,
sorrise.
“Sto iniziando
a diventare
prevedibile.”
“Solo per me
però”, mi strinse la
mano sulla mia gamba, facendomi arrossire.
Infilai l’iPod
nell’apposita
fessura sul cruscotto e l’accesi, feci scorrere un
po’ di canzoni fino a quando
non trovai una canzone che personalmente adoravo.
“Questa
è stupenda, Tomi”, dissi.
Gli accordi duri di
chitarra si
dispersero nell’abitacolo e una voce calda e potente mi
invase i timpani,
facendomi sorridere con lo sguardo fuori dal finestrino, sulla strada
illuminata dai lampioni e dalla luce della luna e delle stelle in quel
cielo
chiaro.
“Ahi,
è italiana! Non ci capisco
niente. Me la traduci?”
“No”,
mormorai chiudendo gli
occhi. “Non si può tradurre, perderebbe ogni sua
bellezza.”
Te la dedico, Tomi…
Portami
dove non posso arrivare,
dove si smette qualsiasi pudore
Fammi sentire che cosa vuol dire viaggiare leggeri
“Allora…
cantala.”
“Che
cosa?”, scoppiai a ridere.
“Io non so cantare, dai. La rovinerei e basta.”
“Ma mi piace
sentirti parlare in
italiano… È affascinante e anche molto
seducente”, sorrise malizioso.
“Sei proprio stupido, Tomi, ma ti amo”,
dissi in italiano, vedendo
comparire un sorriso divertito, gioioso e da bambino sul suo viso,
facendomi
sciogliere il cuore.
“Ho capitolo
solo Tomi”,
ridacchiò. “Ma mi è sembrata una
frase molto bella. Che hai detto?”
“Non te lo
dico”, mormorai.
“Ah, sei
scorretta però!”
Ridacchiai e guardai
fuori dal
finestrino, la sua mano ancora stretta nella mia.
Sei sempre
così il centro del mondo,
il primo bengala sparato nel cielo quando mi perdo
Sei sempre così il centro del mondo
Ti prendi il mio tempo, ti prendi il mio spazio, ti prendi il mio meglio
Arrivammo al ristorante
e scoprii
che era veramente carino e riservato, nel quale tutti erano vestiti
bene. Per
un primo momento mi sentii davvero inadeguata, ma quando Tom mi strinse
la mano
e mi sussurrò un “Vai benissimo”, come
se mi avesse letta nel pensiero, lasciai
perdere tutto e fiera di essere al fianco di un ragazzo fantastico come
lui,
raggiungemmo il nostro tavolo scortati da un cameriere vestito da
pinguino.
“Non pensavo
davvero che tu… Come
mai?”, chiesi divertita, mentre mi spostava la sedia
personalmente per farmi
sedere.
“Perché,
è un reato portarti
fuori a cena?”, ridacchiò.
“No,
però… mi hai sorpresa.”
“Mi piace
sorprendere… mi piace
sorprenderti”, sorrise e prese il menù in mano. Io
lo imitai, ridacchiando e
pensando che uno come lui non l’avrei trovato mai.
La cena si svolse
tranquillamente, ridemmo e scherzammo per la maggior parte del tempo,
solo
verso la fine, dopo aver ordinato il dolce, la scoperta di quel
pomeriggio mi
pungolò lo stomaco facendomi sobbalzare.
Perché il mio solito tempismo
rovinava tutto? Dovevo dirglielo davvero, come mi aveva consigliato
Ale? Come
l’avrebbe presa? Che avrebbe fatto?
“Tutto
bene?”, mi chiese Tom con
la testa sulla spalla.
“Sì,
ehm… Sigaretta?”, proposi
sorridendo nervosamente.
“Andata.”
Ci alzammo e
raggiungemmo
l’uscita, ci accendemmo le sigarette sotto la luna chiara, al
fresco della
sera, e dopo il primo tiro pensai che forse dirglielo sarebbe stata la
cosa
migliore, perché nasconderglielo sperando che non fosse come
pensavo e temevo,
non aveva nessun senso. Meglio dirglielo e levarmi quel peso dallo
stomaco;
meglio essere sincera in tutto e per tutto, senza paura,
perché se davvero
teneva a me, se davvero mi amava come diceva, non mi avrebbe lasciata.
“Come sei
pensierosa…”, Tom mi
avvolse le spalle con il braccio, sorridendomi.
“Sì,
io… dovrei dirti una cosa.”
“Dimmi.”
“Ecco…
è una cosa un po’
delicata. E diciamo che ho anche paura…”
“Paura? E
perché? Non sarai mica
incinta, vero?”, scoppiò a ridere, mentre io
abbassavo lo sguardo.
Colpito ed affondato.
“Ary?”,
balbettò preoccupato.
“Non è così, vero?”
“E anche se
fosse?”, chiesi con
gli occhi velati dalle lacrime.
“Beh…
oddio. È complicato! Ma sei
incinta sul serio?”
“No, ho solo
un ritardo… Non è
detto.”
“Ah.
Ehm… Non lo so”, si passò le
mani sul viso, sospirando.
“Che cosa vuol
dire che non lo
sai? Se io aspettassi un figlio da te non lo vorresti?”
“Sì,
certo che lo vorrei!”, gridò
prendendomi per le spalle e guardandomi negli occhi nonostante il
radicale
cambiamento di colore che aveva avuto il suo viso.
“Però… non siamo un po’
troppo giovani… per un bambino, intendo.”
“Io sono la
prima a dirlo, però…
se dovesse succedere? Non sai nemmeno quanta paura ho,
Tomi…”
“Oh,
su…”, mi abbracciò
affondando il mio viso nel suo petto, accarezzandomi i capelli.
“Ci sono io con
te e… ce la caveremo, in un modo o
nell’altro.”
“Quindi non mi
lasceresti?”
“Ma no! Come
ti vengono in mente
queste idiozie?”, mi sollevò il viso e dopo avermi
guardata negli occhi per
diversi istanti, fece combaciare perfettamente le nostre labbra, in un
bacio
che mi fece volare il cuore.
“Dai,
rientriamo che fa freddo”,
disse posandomi una mano sulla schiena e portandomi
all’interno.
“Vado un
attimo in bagno”, dissi.
“Ok, io torno
al tavolo. Non ti
scoccia se inizio a mangiare il dolce senza di te, vero?”
“No, ingordo
che non sei altro.
Ma non toccare il mio, o ti spezzo le braccina!”
“Ok
capo”, mi fece l’occhiolino
prima di andare, io mi avviai verso i bagni delle signore.
Entrai e, trovandomi da
sola, mi
guardai allo specchio per un attimo, scoprendo un sorriso sereno sul
mio viso.
Ce l’avevo fatta, gliel’avevo detto e ora sapevo
anche che se un giorno sarebbe
successo, lui non mi avrebbe lasciata. Non mi avrebbe lasciata mai. E
quella
consapevolezza era una delle più meravigliose in assoluto.
Entrai in bagno
e…
“AAAAAAAAAAAAAH!”,
gridai di
gioia vedendo che per ora non avrei avuto un figlio e che era stato
solo un
semplice ritardo. “Merda, mi sono sporcata!”,
sbuffai infastidita. “Ma chissene
frega! Devo solo essere contenta!”
Una volta uscita dal
bagno, mi
sciacquai velocemente le mani e poi feci una corsetta verso Tom, che
stava
mangiando il suo dolce e ogni tanto rubava qualche forchettata dal mio
tiramisù.
“Ehi”,
ridacchiò allontanando la
posata dal mio piatto e sorridendo innocente.
“Ti ho visto
tanto, idiota.
Comunque ho un’altra notizia da darti”, saltellai
battendo le mani di fronte al
viso. “Adesso mi manderai a cagare, me lo sento,
ma… ho appena scoperto che non
sono incinta: mi sono arrivate!”
“Vai a cagare,
Ary!”, gridò
ridendo e portandosi una mano sul cuore, sospirando sollevato.
“Felice?”,
chiesi sedendomi a
allontanandogli il piatto da sotto il naso.
Sollevò le
spalle e sorrise. “Mi
stavo già abituando all’idea di avere un piccolo
Kaulitz per casa, però è
meglio tra qualche anno”, ridacchiò.
“Sono perfettamente d’accordo con
te, ladro di dolci che solo Dio sa
quanto amo”, dissi in
italiano, facendo una linguaccia alla sua smorfia di
confusione mista a curiosità.
Inutile tradurre, sai già tutto.
_______________________________________________
Buonasera
a tutti, è Ary che vi parla! :D
Allora,
questo capitolo è alquanto comico, ma anche dolce secondo il
mio punto di vista *-* La reazione di Ary nello scoprire quel suo
ritardo, la sua paura di dirlo a Tom e poi quello che lui le ha detto
per rassicurarla... bello, no? :) E anche la loro gioia nello scoprire
che era solo un ritardo, anche se Tom ha lasciato intendere che gli
piacerebbe avere un "piccolo Kaulitz per casa" ;) Sono proprio
innamorati persi e due idioti come al solito xD
Per
quanto riguarda la situazione tra Bill e Ale, le cose non sono cambiate
di molto. Bill non cede, continua a passare a casa loro, ma Ary ogni
volta se ne inventa una. Ale continua a soffrire e chissà se
le parole di Bill siano vere oppure no: forse è vero che
è di lui che Ale ha bisogno per essere felice e che Ary,
"proteggendola" da lui, le sta facendo del male? Bah u.u Lo scopriremo
solo vivendo! :)
La
canzone che ho usato è Il centro del mondo del
mitico Ligabue! :) Una canzone che adoro!
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto e visto che non ho tanto tempo
(scusatemi ç-ç) non posso ringraziare ad uno ad
uno chi ha recensito lo scorso capitolo, ma nel mio cuore lo faccio!
*.* Grazie a _MINA_ ,
Charls__
e AleEchelon.
Grazie di cuore!!
Ringraziamo
anche chi ha soltanto letto! :)
Ne
approfitto anche per avvisare che io parto per le vacanze
(finalmente!), ma ci sarà un inconveniente: non
avrò la connessione internet, quindi non potrò
postare quando sarà il mio turno ç-ç
Ma essendo in due, le cose si risolvono! *.* Vi anticipo che
sarà la mia compagna di avventure a postare anche il mio
capitolo, se io non farò in tempo a tornare! :D Vedete,
pensiamo sempre a voi *.*
Okay,
adesso mi dileguo! :D Un bacio a tutti e vi auguro di passare delle
buone vacanze!!
Vostre,
Ale&Ary
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Capitolo 34 *** La lontananza ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/784352.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 35 *** La ragione per cui sorrido ***
Capitolo 35: La
ragione per cui sorrido
You know that
I’m a crazy bitch
I do what I want when I feel like it
All I wanna do is lose control
[Tu sai
che sono una folle stronza (puttana)
Faccio
quello che voglio quando mi sento così
Tutto
quello che voglio è perdere il controllo]
“Stai zitta,
stupida”, sussurrò
ridacchiando, quando io era tutta la sera che ridevo come una cretina:
avevo
bevuto un po’ troppo… Ma ero ancora lucida! Forse.
Mi prese per le gambe e
io lo
baciai accarezzandogli le treccine, senza riuscire a smettere di ridere
per un
attimo, il viso rosso. Tom ricambiò sorridendo e chiuse la
porta
dell’appartamento con un piede, per poi camminare ad occhi
chiusi per il
salotto, andando a memoria, fin quando non urtammo il tavolino e
cademmo sul divano,
io sotto di lui.
Cominciai a ridere
più forte, lui
mi tappò la bocca baciandomi, riuscivo a malapena a
respirare. In casa c’era
silenzio, non ci doveva essere nessuno: beh, meglio per noi.
“Sei proprio
ubriaca, eh?”, rise
spostandomi i capelli arruffati dal viso.
“Però
ti stai approfittando di me
comunque!”, risposi stridula, accarezzandolo con uno sguardo
malizioso negli
occhi.
“Approfittando
non è il termine esatto”, mormorò
accarezzandomi i
fianchi e la pancia con le mani fredde, scatenandomi mille brividi,
mentre mi
baciava sul collo. “Tu sei mia, quindi sei sempre
consenziente.” Si sarebbe
aspettato una mia risposta, era così sicuro di riceverla che
il mio silenzio lo
fece preoccupare e si tirò su per guardarmi in viso.
“C’è qualcosa che non va?
Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No…”,
mormorai con sguardo
vacuo. “Stavo pensando…”
Tom scosse il capo,
sicuro che
avrei detto un’altra stronzata elevata all’ennesima
potenza a causa dell’alcol,
ma lo sorpresi ancora una volta dicendo, con un barlume di
lucidità nella voce:
“Ti ricordi com’ero all’inizio?
Cioè… tu mi prendevi e mi facevi tutto quello
che volevi, io non ti dicevo mai di no… Insomma, ero una
grandissima puttana!”
Tom strabuzzò
gli occhi e ci
mancò poco che si strozzasse con la sua stessa saliva,
mentre il suo viso
prendeva colore: si vergognava al posto mio! “Non dire queste
cose, non è
vero!”
“Non
è vero? Beh, allora forse
sei stato fortunato a conoscermi nell’ultimo periodo della
mia puttanaggine”.
“Ary sei
sbronza, ti inventi pure
i vocaboli…”, sbuffò.
“Anzi
no!”, esclamai con
un’espressione che mostrava la mia nuova sorprendente, quasi
geniale, constatazione.
“Non mi hai conosciuta nell’ultimo periodo della
mia…”
“Crescita
umana”, parlò al posto
mio, io sventolai una mano e lo lasciai fare, stavo per arrivare al
momento
forse più serio della mia vita, eccetto qualche altro raro
frangente.
“Tu. Hai fatto
tutto tu.
Sei stato tu a cambiarmi, a rendermi
una persona migliore, dalla schifosa stronza puttana che ero. Tu mi hai
cambiato la vita… mi hai fatto capire
cos’è l’amore. Tu, tu, tu! Tu mi hai
fatto sorridere davvero… Da quando siamo insieme sorrido
sempre col cuore… Io
ti amo Tomi, ti amo come non ho mai amato nessun altro, ti amo come il
sugo ama
la pasta e viceversa…”
Tom mi guardò
attentamente e si
lasciò scappare un sorrisino divertito, anche se sotto sotto
le mie parole lo
avevano commosso. “Se non fosse stato per
quest’ultima similitudine, sarebbe
stato un discorso perfetto.”
“Non fare lo
stronzo, dai, è una
cosa seria!”, gridai tentando di contenermi, il che, nelle
mie condizioni, era
piuttosto difficile.
“Lo so, ho
capito, anche io ti
amo tanto, ma potremmo finire ciò che abbiamo iniziato e poi
fare gli stucchevoli?”
Mi imbronciai e gli
tirai un
pizzicotto sul braccio. “Adesso sei tu che mi tratti da
puttana?!”
“Beh in questo
momento non mi
dispiacerebbe, sai? Le ragazze quando bevono non dovrebbero atteggiarsi
in
questo modo?”, fece il finto meditabondo, con un sorriso da
presa per il culo
stampato in faccia, ma io non riuscii a cogliere quella sfumatura,
convinta che
pensasse davvero quelle cose, e mi imbronciai ancora di più,
mordendomi le
labbra.
Tom, accorgendosene, mi
sorrise
dolcemente e mi accarezzò le guance, sfregando la punta del
naso contro la mia.
“Non so quanto ti ricorderai domani mattina di ciò
che sto per dirti, però
voglio dirtelo lo stesso, piccola: se tu eri la puttana, io ero il
puttaniere;
noi ci siamo trovati e ci siamo cambiati a vicenda, entrambi abbiamo
capito che
cos’è l’amore vero, quindi non
è solo merito mio… ma anche tuo. E ti amo come
non ho mai amato nessun’altra, stronza.” Quella
luce nei suoi occhi e quel
sorriso… erano puro sinonimo di amore. Peccato che nel suo
DNA non ci fosse
tutto quello spazio per la sdolcinatezza, infatti ci tenne a precisare,
ridacchiando: “Questo però non vuol dire che
dobbiamo rinunciare a del sano
sesso tra puttana e puttaniere!”
Io sorrisi e lo attirai
a me,
facendo scontrare le nostre bocche fameliche desiderose l’una
dell’altra.
You stole my
heart and you’re the one
to blame
And
that’s why I smile
It’s been a while, since every day
and everything has felt this right
And now, you turn it all around,
and suddenly, you’re all I need, the
reason why
I smile
[Mi hai
rubato il cuore e sei l’unico da incolpare
Ed è per
questo che sorrido
È da un
po’che tutti i giorni ed ogni cosa hanno sentito questa
correttezza
E ora, tu
cambi tutto intorno,
e
successivamente, sei tutto quello di cui ho bisogno, la ragione per cui
sorrido]
All’improvviso
sentimmo dei
rumori provenire dal piano superiore. Io non ci badai, anzi proprio me
ne sarei
fregata se non fosse stato per Tom, che corrugò la fronte e
si sollevò da me,
nonostante io mi tenessi aggrappata alla sua felpa come se stessi per
cadere da
un dirupo.
“Vieni,
alcolizzata”, mi prese
per la mano, nonostante i miei mugugni per il cerchio alla testa che
stava
iniziando a farsi sentire e soprattutto per la voglia di concludere
finalmente
ciò che avevamo iniziato, e mi condusse con lui verso la
stanza di Bill, nella
quale entrò senza bussare.
“Oh madre
natura che bel lavoro
che hai fatto!”, gridai vedendo Bill mezzo nudo sul letto.
Tom mi tirò un pugno
e Bill si ricoprì velocemente, arrossendo.
“Ehi,
giù le mani e gli occhi,
sai?!”, gridò una voce stridula. Ci misi un
po’ a focalizzare la figura
sdraiata al suo fianco, ma quando ci riuscii mi sorpresi di fronte ad
una Ale
rossa in viso.
“Ale!”,
sbottai scoppiando di
nuovo a ridere, indicandola. “Hai fatto pace con
Bill!”
“Ma che cosa
ti sei bevuta?”, mi
chiese, però guardando Tom, che mosse la mano trattenendo le
risate.
“Tooooooomiiiii!
Mi fa male la
testa! E voglio fare la puttana con te!”, mi lagnai
aggrappandomi alla sua
felpa.
Lui si
irrigidì un poco e diventò
persino rosso di fronte a Bill e Ale, per questo si affrettò
a tirar fuori
dalla tasca dei jeans il suo pacchetto di sigarette, che mi
schiaffò in mano
dicendo: “Accontentati di queste”, per poi
cacciarmi quasi fuori dalla porta.
Con un sorriso a
trentadue denti
e abbastanza ebete sulle labbra, felice della soluzione che aveva
trovato ed in
un mondo tutto mio sempre a causa dell’alcol, saltellai fuori
in terrazza e mi
accesi una sigaretta, sedendomi con le spalle al parapetto.
Un momento…
Ale era a letto con
Bill? Quando ero uscita di casa lei stava ancora con Aaron! Che
cos’era
successo in quelle due ore scarse? Mi ero persa qualcosa.
Sospirai passandomi una
mano
sulla fronte e mi ritrovai a ridacchiare, pensando alle coincidenze
della vita:
era destino che quei due si fossero ritrovati! E chissà,
magari io l’avevo
sempre sperato, nonostante l’incazzatura con Bill per come
aveva trattato Ale
in quei due mesi.
“Ehi.”
Sollevai la testa e vidi
Bill di
fronte a me, quella volta vestito. Mi coprii la bocca ridacchiando, gli
occhi
che iniziavano a lacrimare e la testa che mi sembrava una bomba ad
orologeria
pronta a scoppiare da un momento all’altro.
“Ogni volta
che ti vedrò ora mi
verrai in mente mezzo nudo, facci l’abitudine”,
dissi. Bill sorrise e si mise
seduto al mio fianco, sfilando una sigaretta dal pacchetto di suo
fratello ed
accendendosela.
“Ti fa
male!”, gridai stridula.
Mi lanciò un’occhiata eloquente e io sollevai le
spalle: “Fatti tuoi”,
mugugnai, “Io te l’ho detto.”
“Era da tanto
che non ti
preoccupavi per me”, annuì pensieroso, facendo il
primo tiro.
“È
da tanto che non ci parliamo
civilmente… e mi dispiace.”
“Avevi le tue
buone ragioni,
infondo. Anche se ti ho detestata in questo ultimo periodo.”
“Posso
capirti. Andreas mi
detesta da quando ci conosciamo”, ridacchiai. “Ma
mi vuole bene comunque.”
“Anche io ti
voglio bene
comunque.”
Mi girai verso di lui e
lo
guardai stranita: “Davvero?”
“No, per
finta”, roteò gli occhi
al cielo, attirandomi in un mezzo abbraccio, visto che una mano aveva
la
sigaretta accesa.
“Però
posso confermare che tu e
Tom non siete poi così tanto diversi”, rimuginai.
“Ancora che
pensi a quello?! Ho
capito che mi preferisci nudo, però… un
po’ di contegno!”, scoppiò a ridere,
trascinandomi con lui.
“Davvero
Bill… Mi dispiace per
come mi sono comportata con te in questi due mesi, ma… Ale
è stata veramente
male e sai quanto io tenga a lei e quanto io… avrei voluto
rasarti a zero. Tu
puoi capire, anche tu hai un gemello…”
“Sì,
ti capisco perfettamente, e
io ho esagerato molte volte. Non potevo pretendere che mi accogliessi a
braccia
aperte, ma anche io soffrivo e il tuo comportamento mi mandava in
bestia. Mi
perdoni?”
“Solo se mi
perdoni tu.”
“Allora siamo
a posto”, sorrise
dolce e mi fece un buffetto sulla guancia. “Ti voglio bene
piccolina.”
“Anche io,
piccolino.”
Noi due,
d’altronde, eravamo i
piccolini in fatto di gemelli, essendo i secondi geniti, e ogni tanto
ci
chiamavamo così, quando eravamo dell’umore giusto
per fare i dolci e i
coccolosi.
Spense la sigaretta nel
posacenere accanto a noi e si alzò, mi salutò con
la mano e ritornò dentro, mi
ricordai troppo tardi di chiedergli cos’era successo con Ale
e perché lei si
era ritrovata nel suo letto.
Anche la mia sigaretta
si era
consumata velocemente fra le mie dita e la misi nel portacenere, quando
sentii
le porte vetrate aprirsi e la figura di Ale mi comparve davanti, un
sorriso
finalmente vero
e felice sul suo
volto di nuovo luminoso, come i suoi occhi luccicanti alla luce della
luna.
“Buonasera”,
mi salutò sedendosi
al mio fianco e fregando una sigaretta dal pacchetto del povero Tom:
tutti
andavano a scrocco da lui!
“Ma che
cos’è, un
confessionale?”, ridacchiai. Poi feci la stupida, chiudendo
gli occhi e unendo
le mani sul ventre: “Dimmi tutti i tuoi peccati, cara Ale.
Partendo da quello
che hai combinato con il Kaulitz di nome Bill”, sfarfallai le
ciglia.
“Se, proprio
tu la suora? Un
minuto fa hai detto che volevi fare la puttana con Tom!”,
scoppiò a ridere: una
risata vera
che mi riscaldò il cuore
in un nanosecondo. “Comunque… Io e Bill siamo di
nuovo insieme.”
“L’avevo
capito, sai?”
“Senti, non
fare la saccente,
tanto non lo sei. E soprattutto sei ancora ubriaca.”
“Non sono
ubriaca”, singhiozzai
senza farlo apposta, e mi portai la mano sulla bocca.
“Sì
che sei ubriaca, ma su di te
l’alcol non ha sempre gli stessi effetti”, sorrise.
“Aaron mi ha lasciata
andare da Bill, alla fine.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Ti deve
volere proprio tanto
bene”, annuii. “Sì, per lasciarti andare
da un altro, nonostante l’amore che
prova per te… Sì. L’avrei fatto anche
io, comunque.”
“Dici sul
serio?”
“Io rinuncerei
a tutto per te,
Ale, dovresti saperlo”, la guardai negli occhi.
“Persino al sesso.”
“Oh, mi sento
onorata”, ridacchiò
con gli occhi lucidi, come i miei. “Vieni qui”,
soffiò prima di stringermi in
un forte abbraccio. “Ti voglio un mondo di bene,
sorellina.”
“Io te ne
voglio di più, come un
buco nero.”
“Che
schifo!”
“Guarda che
invece è bello…
perché è infinito. Se tu non sei poetica, non
è colpa mia.”
“Stasera sei
più stupida del
solito, te ne sei accorta?”
“Sarà
l’alcol”, ridacchiai.
“Ma lo sai che
tra un po’ è il
nostro compleanno?”, disse dopo attimi eterni e
così belli, che non avrei
voluto finissero mai, di silenzio, nei quali c’eravamo solo
io e lei, stretta
l’una nelle braccia dell’altra: un anima in due
corpi.
“Daglielo.”
“No.”
“DAGLIELO.”
Sospirai e guardai il pacchetto fra le sue
mani, poi lo presi e me lo
misi in borsa, senza guardarlo nemmeno: non volevo sapere che cosa ci
fosse
dentro.
“E fagli gli auguri”, mi
minacciò con uno sguardo omicida.
“Contaci”, bofonchiai.
“DEVI farlo.”
“Ma perché Ale?! Se
davvero vuoi fargli gli auguri, chiamalo tu!”,
gridai rossa di rabbia: perché si ostinava a stargli dietro?!
Abbassò lo sguardo, ferita, e si
sedette sul letto, concedendosi un
sospiro afflitto. Io la guardai, sentendomi il cuore scoppiare nella
cassa
toracica e lo stomaco divorato dai sensi di colpa: perché
non me ne stavo mai
zitta? Io e la mia maledetta boccaccia non collegata al neurone.
“Scusa, non volevo”,
sussurrai.
“Niente Ary… Infondo
hai ragione, mi sto solo facendo del male…”, si
alzò e scese di sotto, io la seguii da lontano, sentendomi
profondamente la
causa del suo umore ancora caduto in una fase di tristezza assoluta.
Cazzo!
La guardai sedersi sul divano ed accendere
la tv; la guardai scanalare
senza interesse, lo sguardo vacuo e la testa chissà in quali
pensieri, in quali
ricordi… sicuramente ricordi in cui lui c’era.
Sentii il campanello suonare e con una
voglia pari a zero di andare
all’appartamento per festeggiare il compleanno di Tom ed
inevitabilmente anche
quello di Bill, aprii la porta, trovandomi di fronte il mio ragazzo che
sorrideva felice.
“Ciao!”, mi
salutò stampandomi un bacio sulle labbra a cui io non
reagii più di tanto.
“Io vado”, mormorai
guardando Ale.
“Ciao Ary, divertiti”,
mi sorrise, ma quel sorriso mi fece ancora più
male, perché era spudoratamente falso, fatto con
l’unico scopo di non
preoccuparmi, nonostante mi facesse solo più male.
“Sicura di non voler
venire?”, le domandò Tom mogio. “Mi
farebbe piace
se tu…”
“No”, rispose decisa,
anche se io capii solo con uno sguardo quanta fatica
avesse fatto per pronunciare quel semplice monosillabo. “E
ora andate o farete
tardi”, ci liquidò.
Uscimmo e ci mettemmo seduti in macchina,
dopo qualche minuto di
insopportabile silenzio Tom mi prese per la nuca e mi baciò
impetuosamente
sulle labbra, facendomi mugugnare dalla sorpresa e dalla confusione.
“Che ti prende?”, chiesi
appena riuscii a scostarmi.
“Niente, solo… non
riuscirei mai a sopportare di vederti stare come
Ale.”
“Ah, tu”, mugugnai.
“E io pensi che ci riesca? Dai, muoviamoci.”
“Non ti farò mai stare
così, te lo giuro sulla mia stessa vita.”
Lo guardai attentamente e gli sorrisi, gli
donai un soffice bacio sulle
labbra e poi partì, diretto verso l’appartamento,
attraversando le vie
mediamente trafficate di Amburgo.
Una volta entrati ed accolti da Georg e
Gustav, solari e sorridenti,
notai Bill seduto sul divano, la stessa posizione di Ale e perfino la
sua
stessa espressione triste e spaesata, tanto da farmi aprire il cuore in
due.
“Perché mi guardi
così?”
Scossi la testa e mi accorsi del suo sguardo
serio su di me, io
ricambiai quasi sprezzante e tirai fuori dalla borsa il pacchettino che
mi
aveva dato Ale. Glielo porsi senza l’ombra di un sorriso sul
viso e lui lo
prese, guardandomi confuso.
“È per me?”
“No, per Babbo Natale”,
bofonchiai. “Auguri.” Solo
per te, Ale.
“Ahm…
grazie!”, disse, ma io mi ero già infilata in
cucina, dove avevo
trovato Georg e Gustav.
“Almeno il tuo
compleanno lo
passerai con lui…”, sussurrai fra i suoi capelli,
pensando al compleanno di
Bill e Tom di qualche mese prima, al quale Ale non era venuta
perché erano
ancora nella fase “litigati”.
“Già”,
mi sorrise.
“Sei
felice?”
“Tanto.”
“Bene, questo
è l’importante”, le
feci un occhiolino mezzo storpio, colpa dell’alcol, del
sonno, dell’aria
fredda… di un po’ di cose insomma. “Se
sei felice tu, lo sono anch’io.”
“Lo
so”, mi sussurrò baciandomi
più volte la guancia.
“Ehi, avete
intenzione di
congelarvi qui fuori oppure entrate dentro?”, chiese Tom
spuntando fuori dalle
porte vetrate con la testa. “Che poi, che avrete mai da dirvi
a quest’ora di
notte?” Dietro di lui riuscii a scorgere Bill, al quale
sorrisi gioiosa: non
potevo essere ancora arrabbiata con lui, ora che era proprio lui la
causa della
ritrovata felicità di mia sorella.
“Parlavamo del
nostro
compleanno”, disse Ale ridacchiando.
“Il vostro
compleanno? Mancano
ancora quindici giorni!”
“E dunque? Noi
ci portiamo
avanti”, annuì.
“Sì,
tanto il mio neurone si è già ghiacciolato
ormai”,
mugugnai, passandomi una mano sulla fronte.
“Si
è già… cosa?”,
ridacchiò Tom. “Ghiacciolato?
Dai su, vieni dentro prima che peggiori, che già non
stai messa bene.”
“Ehi,
queste offese gratuite?”
Mi
trascinò di peso all’interno e vidi Bill e Ale
abbracciarsi e ridacchiare, prima di baciarsi a stampo sulle labbra.
“Che
cariniiiiiiiii”, strillai battendo le mani, prima di
bloccarmi del tutto e di coprirmi la bocca con le mani.
“Che
hai?”, mi chiese Tom guardandomi preoccupato.
“Mi
viene da vomitare.”
_________________________________________
Ciao a tutti!
Sono appena tornata dalle vacanze
e sono già stanca ._. Però sono tornata giusto in
tempo per postare il mio
capitolo di questa round che pare piacervi ogni giorno di
più, soprattutto
visto che Bill e Ale sono finalmente tornati insieme :) Ma saranno
finiti i
guai? Bah, chissà u.u
La canzone bellissima che ho
usato in questo capitolo, qualcuna di voi l’avrà
sicuramente riconosciuta, è Smile
di Avril Lavigne. Piuttosto
azzeccata per Ary e Tom, non trovate? ;)
Non ho il tempo
materiale né la
forza per ringraziarvi una per una, vi dico solo che siete fantastiche
e che i
vostri commenti ci fanno sempre felicissime *.* Ringraziamo, dunque, _MINA_
, AleEchelonTH
e Charls__
. Grazie, grazie di cuore!!
Alla prossima, vostre
Ale&Ary
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Capitolo 36 *** Copleanno da dimenticare ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/823922.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 37 *** Incubi-realtà ***
Capitolo 37: Incubi-realtà
Mia sorella, che
rompicapo a
volte. Soprattutto in quel momento, non riuscivo a capirla.
Perché mi aveva
aggredita così? Io… non avevo fatto nulla di male!
In macchina eravamo
distanti, non
lo eravamo mai state così tanto, e il suo sguardo glaciale
mi faceva sentire
uno schifo ogni volta che incontrava il mio. Perché si
comportava così?
Avevo uno strano
presentimento,
una morsa che mi si era attanagliata allo stomaco, che persino mi
faceva
inumidire gli occhi talmente era forte. Il mio cuore era pieno di
inspiegabile
ansia, l’ossigeno riusciva a malapena a raggiungere i miei
polmoni, sotto
quell’espressione rilassata che tentavo di dare.
Che sarebbe successo?
Perché
avevo tanta… paura?
Era quello il
termine giusto, e sicuramente quello era il compleanno peggiore della
mia vita.
Avrei voluto passarlo solo con i miei amici, il mio ragazzo e la
persona più
importante della mia vita, ma… proprio lei aveva riposto
quella speranza in una
scatola con tanto di lucchetti e catene. Perché?
Arrivammo di fronte alla
nostra
villetta, dopo quel viaggio passato in silenzio, vissuto di sguardi e
di parole
ferme in gola, strozzate. Scendemmo dall’auto e appena
entrati in casa trovammo
i nostri genitori sul divano, che guardavano la televisione, da bravi
vecchietti.
“Che ci fate
già qui?”, chiese
mamma sorpresa, sollevando la testa dal petto di papà.
“Un
imprevisto”, disse Ale a
denti stretti, incamminandosi verso la veranda e facendoci segno di
seguirla.
Mamma e papà
non dissero altro,
ci guardarono solamente andare fuori, in quel silenzio opprimente che
aumentava
di molto la mia già insostenibile ansia. Sembravamo dei
condannati a morte che
si dirigevano al patibolo, o almeno io mi sentivo così. Mi
sarebbe tanto
servito un pacchetto di sigarette, ma non ce l’avevo dietro
per mia immensa
sfortuna.
Ale chiuse di scatto le
porte
vetrate e si voltò verso di me, un’espressione
rabbiosa in volto. Il mio cuore
fece una capriola e indietreggiai di un passo, incontrando il fianco di
Tom, al
quale mi aggrappai, intimidita dalla mia stessa gemella.
La mia paura non era
tanta, era
immensa, era incalcolabile… e non ne sapevo il motivo.
L’unica cosa che sapevo
con certezza era che tremavo da capo a piedi e che sarebbe successo
qualcosa da
cui non sarei uscita tanto facilmente.
“Ale, ci vuoi
spiegare perché
siamo qui?”, chiese Tom mettendomi un braccio intorno alle
spalle, come per
rassicurarmi, ma inutilmente.
“Non fare
finta di non sapere
niente, Tom!”, gli puntò il dito contro, i suoi
occhi sempre più accesi di rabbia.
“Ma…
non sto capendo
niente. Che ti prende?!”
Lui era confuso quanto
me, solo
che io avevo già un’idea del perché
del suo comportamento secondo il mio punto di vista
eccessivo… Era finito tutto
per il meglio, perché si ostinava a pensare al passato e a
darmi delle colpe
che infondo non avevo, visto che avevo agito per il suo stesso bene?
“Mi prende che
la tua ragazza
è stato uno dei motivi per
cui io e Bill siamo rimasti lontani per così tanto
tempo!”, gridò e mi mancò il
respiro. Come mi aveva chiamata?
“Cosa?!”,
gridò a sua volta Bill,
confuso.
“Ma che cosa
stai dicendo?! Ary
non ha fatto nulla di male, che io sappia”, mi difese Tom,
avanzando di un
passo.
“Nulla di male?!
Chiamare Aaron e pregarlo di chiedermi un
appuntamento lo chiami nulla
di male?!”
“Ary…”,
sussurrò Bill, gli occhi
sgranati dall’incredulità.
“Io…
Io l’ho fatto solo per il
tuo bene, te l’ho detto!”, mi feci forza, smettendo
di nascondermi dietro Tom,
perché io non dovevo avere paura di niente e nessuno,
tantomeno della mia gemella:
io avevo la coscienza pulita, sapevo di non aver fatto nulla di male,
ma anzi
mi ero solo preoccupata per lei.
“Tu avresti fatto la stessa
identica cosa per me, se mi avessi vista nello stato in cui eri
tu!”,
continuai.
“Forse. Ma te
ne avrei parlato! Non avrei fatto le cose di nascosto!”
“Ary perché l'hai
fatto? E tutte le cose che mi hai detto quella sera?
Io…”,
balbettò Bill, più confuso di prima.
“Ti ho detto
quelle cose perché
le penso, sul serio! Io ti voglio bene davvero, ma… quando
Ale stava male, ho
accantonato tutto il resto, non riuscivo a sopportare che fosse in
quello stato
per colpa tua… e così io… io ho
pensato che chiamando Aaron… avrebbe potuto
ricominciare! Non volevo di certo rovinarti la vita,
Bill…”
Gli occhi iniziavano a
pizzicarmi,
assieme al naso, e mi passai una mano sul viso, facendo un respiro
profondo
mentre la stretta allo stomaco si stringeva e l’aria era
sempre più rara.
Sentivo che mi stava scivolando via tutto dalle mani, il mio
tutto…
“Tu… Tu hai
tentato di portarmela via la vita! E io questo non te lo posso
perdonare!”,
gridò, squarciandomi in due il petto.
“No! No Bill,
non è così!”, gridai, ma non mi
ascoltò nemmeno, si scagliò subito contro il
fratello:
“Tom! Tu lo
sapevi?!”
“Sì,
lo sapevo, ma…”
“Ma un cazzo. Mi hai consolato… Mi
hai detto che
si sarebbe aggiustato tutto. E tu sapevi quello che aveva fatto lei!
Quanto sei
ipocrita Tom!”, gridò andandogli incontro,
fermandosi a pochi centimetri dal
suo viso, gli occhi infuocati nei suoi.
“Vacci piano con le parole,
fratellino!”, gli sibilò in faccia. “Io
ti ho
consolato perché sei mio fratello! E quello che ha fatto Ary
non c’entra,
perché lei ha fatto quello che ha fatto perché
tiene a sua sorella, ha fatto
ciò che poteva, ciò che ogni sorella avrebbe
fatto.”
“Non me ne fotte un bel niente. Ha
tentato di separarci definitivamente e
tu!
tu
gliel'hai lasciato fare! Lei avrà voluto giocare a fare la
brava
sorella, ma tu?!”
“Fate coppia perfetta”,
aggiunse Ale incrociando le braccia al petto.
Guardai impaurita Bill e
Tom che
si scrutavano, cupi in volto, poi il mio sguardo cadde su Ale, rigida
di fronte
a me, che mi guardava arrabbiata, anzi incazzata nera. Quello sguardo
glaciale
quasi mi uccise, ma non mi tirai indietro, lo affrontai rischiando il
tutto e
per tutto.
“Ary come hai
potuto…”, ringhiò.
“Ale, mettiti
in testa una volta
per tutte che io non volevo farti soffrire, volevo solo
aiutarti!”, risposi a
tono, nonostante mi facesse sempre più male.
“Tu non me
l'hai detto! Hai creduto di aiutarmi ma non è stato
così! In quel periodo avrei
fatto tutto quello che mi avresti detto e tu lo sapevi bene questo!
Com'era? Io
non ti tradirei mai Ale.”
“E infatti
io…”
Non l’ho mai fatto…
“Ti prego,
risparmiati! Ne ho abbastanza!”, sbraitò sbattendo
i piedi a terra, proprio
come faceva da bambina…
Improvvisamente tutti i nostri giorni
passati assieme, le risate, i
sorrisi, i pianti… mi passarono davanti, con il forte
presentimento di
perderli, di perdere lei,
per sempre.
Le porte vetrate si aprirono di scatto e i
nostri genitori fecero la loro
comparsa, preoccupati in viso.
“Cosa sta succedendo qui?
Perché urlate?”, chiese mamma.
“Per niente”,
bofonchiò Ale. “Tutto tempo sprecato
tanto.” Prese Bill per
il braccio e se lo trascinò dentro.
Chiusi gli occhi a quelle parole che come
lame affilate mi avevano
infilzato il cuore: da quando io
ero
tempo sprecato per lei? E nonostante le lacrime premessero per uscire e
rigarmi
il viso, le ricacciai indietro e la rincorsi, quando la vidi mentre
afferrava
il cappotto e si avviava verso la porta d’ingresso.
“Dove vai?”, le chiesi
senza riconoscere la mia voce, roca e già rotta da
quei singhiozzi che non sarei riuscita a strozzare in gola ancora per
molto.
“Da Bill”, rispose
secca, evitando il mio sguardo. Lo prese per il
braccio e salutò a malapena i nostri genitori, poi si
sbattè la porta alle
spalle. Io chiusi gli occhi portandomi i pugni sul viso e strinsi i
denti,
rantolando.
“Che
cos’è successo?”, chiese
papà, più confuso che mai.
Non risposi,
semplicemente mi
voltai e, scontrandomi pure con Tom, corsi di sopra in camera mia e mi
ci
chiusi dentro. Mi gettai sul letto e mi rannicchiai su me stessa,
sentendo uno
strano freddo farsi spazio dentro di me, sentendo come se la mia anima
stesse
scivolando via dal mio corpo, lasciandomi in balia delle tenebre.
Dov’era la
mia luce? Perché se n’era andata?
“È
tutta colpa mia”, mugugnai
stringendomi di più nel mio stesso abbraccio.
“Tutta mia…”
“No,
piccola.”
Sobbalzai alla voce di
Tom e mi
girai verso di lui, che si era messo seduto al mio fianco, il viso
serio.
“E invece
sì!”, gridai sull’orlo
di una crisi nervosa, gettandogli le braccia al collo e scoppiando a
piangere.
“Non piangere
Ary…”
“Io faccio
quello che mi pare”,
singhiozzai, stringendo forte i pugni sulla sua schiena.
Lui mi
coccolò e mi rassicurò fra
le sue braccia, io non lo ascoltai nemmeno per un secondo, fino a
quando non mi
addormentai in un sonno agitato nel quale una voce uguale alla sua
mi continuava a ripetere che era
colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia.
Mi svegliai gridando, la fronte
imperlata di sudore e il cuore che batteva impazzito ed affaticato,
essendo
solo una parte: l’altra parte era lontana, nonostante fosse
così vicina… vicina
eppure irraggiungibile. Che fosse dovuto a quello, il freddo che
sentivo
dentro? Alla sua
assenza.
“Che cosa
c’è?”, chiese Tom
aprendo a fatica gli occhi e focalizzandomi seduta al suo fianco.
Mi gettai su di lui e lo
strinsi
forte, lo baciai impetuosamente sulle labbra, tentai di spogliarlo in
fretta,
senza lasciargli il tempo di capire che cosa stessi facendo.
“Ary…”,
mormorò prendendomi per
le mani. “Che combini?”
“Sfiniscimi,
Tom”, gli sussurrai
con le lacrime agli occhi e la voce strozzata.
Lui mi strinse a
sé e negò con la
testa, io scoppiai di nuovo a piangere accoccolandomi fra le sue
braccia,
arrivando alla conclusione che il calore che mi dava lei
non sarebbe mai potuto essere rimpiazzato da niente,
ed io non potevo farci
assolutamente niente.
***
Il tempo passava lento
ed
inesorabile senza lei. E il bello era che lei c’era sempre,
era sempre al mio
fianco, ma non più come prima. Se mi stava vicina per caso,
non sentivo più
quel calore dentro, e non ci rivolgevamo più una singola
parola, nemmeno uno
sguardo. Se ci incontravamo per casa ci evitavamo, io abbassavo lo
sguardo, lei
andava dritta per la sua strada a testa alta, fiera come una leonessa.
Solo Dio sapeva quanto
avevo
sofferto realmente in quel lungo mese… Solo Lui.
Dietro ogni sorriso, dietro ogni
risata, la consapevolezza di non poter più dividere con lei
ogni cosa, di non
sentirla sempre con me.
Vent’anni di
vita insieme,
inseparabili, si erano volatilizzati proprio la sera del nostro
compleanno. Mi
ero ritrovata da avere tutto a non avere niente. Certo, avevo ancora
Tom, e
grazie a lui ancora riuscivo ad andare avanti, ma… non era
la stessa cosa,
senza di lei, senza la mia gemella, senza la mia anima, senza quella
parte di
me vitale ed insostituibile.
Senza di essa mi sentivo persa,
mi sentivo un niente, peggio di uno sputo per strada, mi
sentivo… non mi
sentivo più, come se avessi un formicolio sparso per tutto
il corpo, a causa
del quale ero diventata insensibile a tutto, tranne che al dolore
morale e a
Tom.
Senza di lui…
non avrei saputo da
che parte cominciare. Grazie a lui avevo ripreso in mano le redini
della mia
vita dopo un’intera settimana di semimutismo e di agonia. Ma
quello a cui ero
arrivata, quello che avevo ottenuto, non era ancora vivere.
E non avrei mai raggiunto quella situazione, senza prima
aver riavuto indietro la mia vita.
Mi ero ritirata
dall’università,
dicendo ai miei che non riuscivo a stare al passo con le lezioni, che
studiare
non era mai stato il mio forte, quando la vera ragione di
quell’abbandono era
che era stata proprio Ale a convincermi ad andarci, quindi…
che senso aveva,
ora che ad Ale non importava più niente di me? Per chi
dovevo continuare? Per
chi dovevo vivere?
“Per me”,
sussurrò Tom, seduto in veranda di fianco a me, a fumare una
sigaretta, in una delle tante serate vuote, una tra le sempre
più frequenti
senza di lei in casa.
“Scusami.”
“Di cosa?”
“Per come mi sto comportando. Con
te, con tutti… ma non ce la faccio
già più senza di lei…”
“Oh piccola”,
mormorò fra i miei capelli, abbracciandomi e asciugandomi
con il pollice una lacrima che mi era sfuggita sulla guancia: una fra
le tante.
Così, mi ero
cercata un lavoro,
pensando che magari distraendomi sarei riuscita a riprendermi almeno
una minima
parte della mia vita. Ma non era stato proprio così,
perché i lavori in giro
erano pochi e a causa della mia uscita scarsa dalla maturità
quelli che trovavo
declinavano gentilmente la mia richiesta e offrivano il posto ad altri.
Mi ero quasi arresa, quando Tom
mi aveva messo in mano un giornale sul quale c’erano gli
annunci dei lavori.
“Li ho già provati
tutti, Tom”, sospirai guardando tutte le crocette
rosse segnate accanto ad ogni offerta.
“Questo no”, mi
indicò.
“Ma non mi prenderanno
mai!”
“Staremo a vedere.”
Qualche giorno dopo mi
aveva
accompagnata all’ufficio in macchina, io ero entrata, avevo
fatto il mio
colloquio ed eccomi qui, a disegnare delle stupide vignette per
ragazzine, che
tra l’altro sarebbero finite in ultima pagina.
Però mi pagavano bene e questo
era l’importante, oltre al fatto che disegnando tutti i miei
problemi e la
malinconia si volatilizzavano, liberandomi la mente per quelle poche
ore. E poi
se volevo potevo anche lavorare a casa, ma vista la situazione
preferivo
uscire.
“Che ci fai
ancora qui?”, mi
chiese il capo che passava di lì, appoggiandosi con la mano
alla scrivania.
“Dovresti essere a casa da un pezzo.”
“Lo
so”, mugugnai. “Non posso
restare ancora un po’?”
“No. E anche
se restassi, non te
li pago gli straordinari”, sollevò le spalle,
allontanandosi con la sua tazza
di caffè in mano.
Però non mi
sarebbe dispiaciuto
avere un capo un po’ più simpatico.
Non si può avere tutto dalla
vita, Ary… mi disse
quella vocina,
quella che si presupponeva fosse la mia coscienza, che come al solito
scacciai
subito perché aveva la sua
voce.
Possibile che mi
mancasse così
tanto che mi immaginavo la voce della mia coscienza con la sua? La
risposta era
sicuramente sì.
Uscii
dall’ufficio e mi strinsi
nel cappotto al freddo invernale della Germania, anche se non sentivo
più il
freddo come un tempo: era più o meno lo stesso che sentivo
ogni giorno, anche
in luoghi chiusi e ben riscaldati.
Il cielo era bianco e le
strade
già coperte di neve e ghiaccio, la prospettiva di andare da
sola a casa non mi
allettava, però non avevo la macchina e Tom non poteva
venirmi a prendere
perché era impegnato con la band, precisamente in Francia.
La band… Da
quando c’era stata
quella litigata, un mese prima, il rapporto di Bill e Tom si era come
spezzato
in due, proprio come il mio e quello di Ale, poiché il primo
si era schierato
con la sua ragazza e Tom con me, ovviamente.
E io come al solito mi sentivo la
causa di tutto: era colpa mia se Tom non parlava più con
Bill e viceversa… Se
non avessi messo un dito fra Ale e Bill, se avessi lasciato perdere
quella mia
assurda idea di chiamare Aaron, pensando di fare solo qualcosa per
aiutare mia
sorella, a questo punto io non sarei stata lì e tutta quella
freddezza nei
rapporti fraterni non ci sarebbe stata.
Se Tom e Bill non fossero stati
così intelligenti da non mettere in repentaglio i Tokio
Hotel per il loro
litigio, mi sarei accollata anche la colpa di aver distrutto il gruppo
amato da
milioni e milioni di ragazzine in tutto il mondo.
“Se io e Bill abbiamo litigato non
è certo colpa tua”, mi accarezzò i
capelli, lasciandomi caldi baci sul collo.
“Dai Tom, per favore…
Siamo realisti: la causa di tutto questo sono io
e non ho scusanti. Credevo di fare qualcosa di buono e di utile per mia
sorella, quando invece ho solo scatenato la terza guerra mondiale, di
cui io
sono la vinta.”
“Ti ripeto che non è
così, non sei tu che hai sbagliato, ma lei e Bill.
Tu l’hai fatto per lei, lei non l’ha
capito e non ha nemmeno apprezzato il gesto.”
“Tom, ti prego basta, non ho
più voglia di pensarci”, mormorai
girandomi nel piumone e rannicchiandomi, dandogli le spalle. Lui mi
abbracciò e
si poggiò con la fronte alla mia schiena, dove mi
lasciò una scia di baci sulla
spina dorsale.
“Comunque sia, io sono dalla tua
parte.”
Camminai per un
po’ sotto i
candidi fiocchi di neve che erano iniziati a cadere giù dal
cielo, il cappuccio
con il pelo bianco sulla testa, la borsa a tracolla sulla spalla, fino
a quando
non arrivai a casa e sulla soglia non venni investita da una ventata
d’aria
calda che profumava di cioccolata.
Sorrisi appena pensando a mamma,
ma quando entrai in cucina vidi solo Ale ai fornelli, che mi
guardò con la coda
dell’occhio senza accennare nemmeno un saluto.
“Ciao”,
soffiai sorpresa: di
solito era sempre da Bill, sempre più spesso, ad ogni ora
del giorno e della
notte; ormai era una rarità vederla a casa.
“Che… che fai?”
“Adesso sei
diventata pure
cieca”, borbottò versandosi una tazza di
cioccolata e girandosi verso la
piccola televisione sul mobile e incrociando un braccio al petto.
Abbassai lo sguardo e me
ne
versai anch’io una tazza, in silenzio. Mi misi affianco a lei
a sorseggiarla,
senza sfiorarla, con quel nodo in gola che a malapena mi faceva
respirare.
“Senti Ale, io…”, tentai di
dirle, con le ultime scarse speranze che mi erano rimaste per
instaurare un
dialogo con lei, ma non feci in tempo ad aggiungere altro che
sbuffò e se ne
andò in salotto, dove si mise seduta sul divano e accese la
tv alzando il
volume per non sentirmi.
Persino la irritavo,
ora. Tanto
valeva che se ne andasse, no? No… non avrei mai voluto che
si allontanasse
anche fisicamente da me, perché allora… allora
avrei sofferto il doppio.
Il mio cellulare
vibrò nella
tasca dei jeans, lo estrassi sospirando, immaginando chi fosse, e mi
scappò un
sorriso leggendo ciò che mi aveva scritto Tom:
Buongiorno piccola! Lo so,
è un po’
tardi per il buongiorno, ma mi sono svegliato ora! Io lavoro, mica come
te che fai
gli scarabocchi! Come stai? Un po’ mi manchi, solo un
po’ però! Scherzo. Ti
amo.
Come vuoi che stia, Tom?
“Ehi
sorellina!”
Vidi entrare Davide in
cucina e
un sorriso sorpreso si fece spazio sulle mie labbra: “Dave!
Quanto tempo che
non ci vediamo! Che ci fai qui?”
“Sono venuto a
trovarvi!”
Lo abbracciai di
slancio,
avvolgendogli le braccia al collo.
“Ho ancora il
cappotto addosso,
sono freddo ghiacciato!” Io sollevai le spalle, incurante: mi
era mancato tanto
il mio fratellone. Almeno avevo ancora lui…
“Non ti lamenti più per il
freddo? Allora è vero…”
“Cosa?”,
sollevai lo sguardo.
“Che
siete… cambiate. Mamma mi ha
detto che sono successi un po’ di casini e sono venuto a
controllare.”
“Ah”,
abbassai lo sguardo,
scostandomi.
“Mi racconti
la storia?”
“È
lunga e… e ora non mi va,
scusa”, gracchiai prima di correre in camera mia, dove
scoppiai a piangere come
una fontana affondando il viso nel cuscino, testimone di molte notti
passate in
lacrime, testimone di sonni agitati e di incubi che purtroppo erano la
realtà.
_________________________________________
Buonasera! :) Siete
sparite più o meno tutte, ma speriamo che torniate presto,
perchè è così triste non leggere le
vostre recensioni! D:
Facciamo schifo? Va bene, scrivetelo pure xD Però non
sparite nel nulla come risucchiate da buchi neri, ci fate soffrire
ç_ç
Comunque sia, pensando
al capitolo, è piuttosto triste per quanto riguarda il punto
di vista di Ary. Chissà se anche la sua cara gemellina se la
passa male come lei oppure è del tutto indifferente alla
questione. Secondo voi? Ha fatto bene a comportarsi così?
Era proprio necessaria questa discussione, questo allontanamento... che
tra l'altro ha messo in mezzo anche Bill e Tom? Sono proprio curiosa di
saperlo e penso anche la mia collega ;)
Ringraziamo
tanto _MINA_
per la sua recensione e
speriamo davvero, oltre che vi sia piaciuto questo capitolo, che
ritorniate numerose come un tempo! Ci mancate :C
Alla prossima, vostre
Ale&Ary
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Capitolo 38 *** Decisione importante ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/840657.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 39 *** Laika ***
Capitolo 39: Laika
No, no, no, no!
Mi chiusi la porta alle
spalle,
con un rumore sordo, e dopo attimi di silenzio, nei quali riuscii solo
a
sentire il mio respiro affannato e sempre più difficoltoso,
come se fossi sulla
cima di una montagna senza bombola d’ossigeno, i miei occhi
iniziarono a
lacrimare e sentii un dolore sempre più forte farsi spazio
in mezzo al mio
petto, assieme ai singhiozzi che mi salivano in gola bruciando.
Perché mi
stava facendo tutto
quello? Perché non capiva quanto mi stava facendo male?
Perché ci ostinavamo a
farci del male? Perché tutto quello ancora continuava?
Scivolai a terra, scossa
dai
tremiti, la schiena contro la porta, le mani sul viso.
“Dio…
perché? Perché?”
Lei se ne sarebbe
andata. Lei
sarebbe andata via, quella camera non sarebbe più stata nostra,
ma solo mia… Sarebbe andata a vivere con Bill, colui che me
la stava strappando dalle mani. Sarebbe stata felice e se lo era
lei… avrei
dovuto esserlo pure io, ma… sentivo di stare solo male,
sentivo di voler
gridare che no, non ero d’accordo, sentivo di dovermi
inginocchiare di fronte a
lei chiedendole perdono; ma sapevo non l’avrei mai fatto
veramente: avrei
preferito come al solito scappare.
Sentii il cellulare
vibrare nella
tasca della felpa che indossavo, non avevo voglia di parlare con
nessuno in
quel momento, ma era Tom… Non volevo perdere anche lui,
l’unico che mi era
rimasto eccetto Dave e Andreas.
“Tomi”,
singhiozzai con il
cellulare all’orecchio.
“Piccola!
Perché piangi?”
“Lei…
Loro… Non voglio…”
“Ah, te
l’hanno detto. Stai
tranquilla, arrivo subito.”
“Cosa…
Dove andiamo?”
“Stai da me
stanotte.”
“No, Tom,
io… voglio stare qui.”
“Non puoi
stare chiusa nella tua
camera solo perché ci sono loro, cazzo!”
“Scusa”,
singhiozzai più forte,
nascondendo il viso fra le braccia.
“No, scusa
tu”, mormorò. “Dai,
sto arrivando. Ti aspetto sul retro.”
Annuii come se potesse
vedermi e
chiusi la chiamata, mi rimisi il cellulare in tasca e aspettai che mi
calmassi
un attimo, poi mi alzai e ficcai nella borsa a tracolla un cambio e una
maglietta
pulita, pensando che ero proprio una vigliacca e Tom aveva ragione: io
avevo
paura di uscire da quella stanza, avevo paura di incontrare i loro
sguardi,
avevo paura del suo…
poiché l’unico
capace di farmi sanguinare.
Trascorsi un
po’ di tempo cercando
nervosamente il mio iPod, senza il quale non riuscivo più a
vivere, e quando lo
trovai, infognato sotto le coperte, invece di metterlo in borsa mi
infilai una
cuffia nell’orecchio destro e lo accesi, immergendomi nelle
canzoni dei
Placebo.
Era tanto che non li
ascoltavo…
da quando io e Tom ci eravamo messi insieme e il periodo buio era
terminato.
Ora il periodo buio stava ricominciando, anzi era già
ricominciato, e avevo
come l’impressione, una bruttissima impressione, che non
sarebbe finito tanto
presto.
Sentii un clacson e mi
affacciai
alla finestra che dava sul retro, grazie al quale riuscivo a vedere
anche la
veranda deserta, e vidi la macchina di Tom parcheggiata di fronte al
cancelletto, lui che mi faceva un segno con la mano, il viso serio.
Mi girai, feci un
respiro
profondo e presi la borsa a tracolla dal letto, me la misi in spalla e
uscii
dalla stanza. Sulle scale, sentendo le voci di Ale e Bill, sentii un
nodo in
gola e mi coprii la testa con il cappuccio, tentando di ricacciare
indietro le
lacrime che mi rigavano il viso silenziosamente.
Non sollevai lo sguardo
neppure
alla fine della rampa delle scale, fino a quando non mi scontrai contro
qualcuno che purtroppo per me, era Ale. Fui costretta ad alzare lo
sguardo e mi
passai le mani velocemente le mani sul viso al suo sguardo
inespressivo,
trattenendo il respiro.
“E adesso che
farai?”
Risposi:
“Io… non so.”
Quel tuo
sguardo poi lo interpretai come un addio
Senza chiedere perché, da te mi allontanai,
ma ignoravo che in fondo non sarebbe mai finita
Un nuovo clacson mi fece
sobbalzare e senza guardare nessun altro corsi fuori, attraversai la
veranda e
il giardino e mi fiondai in macchina.
Mi allacciai la cintura
e mentre
respiravo profondamente mi scappò un singhiozzo strozzato,
Tom mi prese fra le
sue braccia e mi strinse forte a sé, baciandomi
più volte la testa e tentando
di rassicurarmi, ma ero inconsolabile. Senza la mia gemella non ero
nessuno…
Come avrei fatto senza di lei? Che avrei fatto?
Mi portò in
appartamento e quando
fui nella sua stanza, al buio, mi girai verso di lui, appoggiato ancora
alla
porta, e lo fissai, provando a pensare che avevo ancora lui, e nessuno
me
l’avrebbe portato via.
Lo guardai avvicinarsi
lentamente, lo guardai mentre posava le mani sui miei fianchi e chiusi
gli occhi
al contatto delle sue labbra sulla mia pelle e la mia bocca.
Mi lasciai spogliare
lentamente,
con estrema dolcezza mi fece sdraiare sul letto e mi coccolò
e mi accarezzò per
un po’, ci coprì con le coperte ed
entrò in me, facendomi dimenticare tutto:
c’era solo lui, esclusivamente lui, la sua pelle, i suoi
occhi, la sua bocca, i
suoi sospiri al mio orecchio.
Per quella notte riuscii
a
scappare, grazie a lui, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto
affrontare
tutto… senza fuggire.
***
Aprii gli occhi e
guardai Tom
dormire tutto storto, appoggiato con il viso al mio petto, un braccio
intorno
alla mia vita e i piedi fuori dal letto.
Sorrisi appena e gli
accarezzai
le treccine sulla testa e sparse sulla schiena, amandolo
incondizionatamente.
Gli stampai un bacio sulla guancia e mi misi seduta sul bordo del
letto,
stiracchiando le braccia verso l’alto e sbadigliando.
Sospirai abbassando la
testa e
chiudendo gli occhi, trovandomi di fronte l’immagine di Ale
che sorrideva.
Erano passati solo pochi
giorni da
quando me n’ero scappata di casa in quel modo, e la
situazione non era né
migliorata né peggiorata, era sempre la stessa.
In quei giorni sarebbe
andata da
Bill e il trasloco era già in atto: la sua parte di stanza
era già quasi
completamente vuota e se mi guardavo intorno mi veniva così
tanta malinconia da
scoppiare a piangere, ma avevo promesso a Tom che non mi sarei lasciata
scappare più una lacrima.
Presi il cellulare fra
le mani e
cercai quella foto che avevo scattato al matrimonio di Davide. Quando
la trovai
la osservai per diversi secondi, incantata da quel sorriso che non
vedevo più
splendere per me, incantata da quell’allegria che non
respiravo più dal giorno
del nostro compleanno. Mi mancava anche il suo profumo, quel profumo di
vita…
“Piccola?”,
mugugnò prendendomi
per i fianchi e cercando di sbirciare ciò che stavo
guardando, ma io chiusi con
un gesto il cellulare e lo misi sul comodino, poi mi passai le mani sul
viso.
“Buongiorno”,
sospirai.
“Che cosa
c’è?”
“Niente, ho
solo fame e tra poco
devo andare a lavoro. Andiamo a fare colazione?”
“Ok. Dammi una
mano, credo di
essermi incastrato nelle coperte.” Ridacchiai e lo aiutai ad
uscire dal
groviglio. Quando si fu liberato però, mi prese per la vita
e mi rigettò sul
letto, facendomi il solletico.
Teso, ero
a pezzi ma un sorriso in superficie
nascondeva i segni d’ogni cicatrice
“Perché
siamo venuti qui?”, mi
chiese Tom ridendo, lasciandosi trascinare all’interno di un
bar non molto
distante dal mio ufficio.
“Perché
è carino!”, risposi. “E
il personale mi conosce”, gli feci l’occhiolino
indicandogli Gunter che si dava
da fare lavando tazzine, cucchiaini, piattini e quant’altro
dietro il bancone,
dentro un grembiule nero.
“Va' a
sederti, ordino io”, gli
sorrisi. Lui annuì e si mise ad un tavolo libero,
sistemandosi gli occhiali da
sole sul viso.
Io mi avvicinai al
bancone, di
fronte a Gunter, senza farmi notare.
“Ciao!”, gridai. Lui sobbalzò e
gli scappò di mano la tazzina, ma per fortuna la riprese.
“Ary!”,
gridò sorpreso.
“Gunter!
Quanto tempo, eh? Come
ti vanno le cose?”
“Bene”,
mormorò abbassando lo
sguardo.
“Qualcosa non
va?”
“Io…
no, niente.”
“Adesso hai
iniziato, dimmi.”
“A te come
vanno le cose?”
“Beh…
vanno.”
“Mi
dispiace.”
“E di
cosa?”
“È
colpa mia se tu e Ale avete
litigato…”
“Ma no, che
dici”, ridacchiai, ma
lui non rispose. “Gunter? Che intendi dire?”
“Che le ho
detto io che tu avevi
chiesto ad Aaron di chiederle un appuntamento, la sera del vostro
compleanno.”
“Tu…
che cosa?”, balbettai,
incredula e con il sangue che mi saliva velocemente al cervello.
“Ary, mi
dispiace da morire! Con
voi ho sempre sbagliato tutto: con te sono stato sempre cattivo, quando
in
realtà ti voglio più bene di quello che posso
volertene, e ora ho combinato
questo macello. Non sai quanto mi senta in colpa…
davvero.” Mi guardò
implorante, con gli occhi che trasudavano dispiacere.
“Gunter…”,
guardai di lato, gli
occhi pieni di lacrime. “Le tue scuse non mi servono, ora
che… che lei non c’è
più. Grazie per tutto quello che hai combinato,
grazie.”
“Tutto
ok?”, chiese Tom
avvicinandosi e guardando prima lui e poi me.
“Sì,
tutto ok”, annuii
prendendolo per il braccio e portandolo di nuovo al tavolo, senza
rivolgere più
uno sguardo a Gunter.
“Che
voleva?”, mi chiese
tenendomi le mani.
“Niente
Tom…”, sorrisi,
mettendoci tutta me stessa. “Niente.”
“Sicura?”,
inarcò il
sopracciglio.
“Sì,
ti ho detto di sì!”, gli
baciai una mano.
Ordinammo un
caffè per lui, un
cappuccino per me e due brioche ripiene al cioccolato: quella mattina
ne avevo
bisogno: chissene frega della linea.
“Sai cosa,
Tom?”, dissi girando
la schiuma macchiata di cacao del mio cappuccino.
“Cosa?”
“Non ho per
niente voglia di
andare al lavoro, oggi.”
“Te la vuoi
bigiare?”, sorrise
divertito, una strana luce negli occhi.
“Magari”,
sospirai. “Dove si
va?”, chiesi emozionata.
“Ho un'idea.”
“Ma che posto
è questo?”, chiesi
sollevando lo sguardo sull’edificio grigio che mi si mostrava
davanti.
“Vieni e
vedrai.”
Lo seguii
all’interno e una
signora, con la quale aveva parlato Tom, ci accompagnò in
un'altra stanza,
dalla quale, già dall’esterno, si sentivano dei
cani abbaiare.
“È
un canile”, gridai con gli
occhi che mi luccicavano quando la signora aprì la porta e
ci fece entrare.
“Sì,
e questi cani sono per la
maggior parte stati abbandonati, quindi… scegli quello che
vuoi.”
“Ma stai
scherzando?”, mi coprii
la bocca con le mani, guardandomi intorno.
“No,
è il mio regalo per… questi
dieci mesi insieme.”
“Ecco, me ne
sono dimenticata
ancora!”, sospirai scuotendo la testa.
“Beh, lo
sappiamo che sei un caso
perso!”, ridacchiò, stampandomi un bacio sulle
labbra.
“No,
Tom… come posso scegliere?
Sono tutti così belli!”, esclamai guardandoli uno
per uno, i loro visetti
imploranti e i loro occhietti dolci, così bisognosi di cure
e di amore. “Se
potessi li prenderei tutti”, sospirai.
Poi lo vidi, i nostri
sguardi si
incontrarono e come per magia me ne innamorai. Mi inginocchiai di
fronte a lui
e gli accarezzai il muso, così tenero che mi
ricordò… Ale. Lui era il mio
cucciolo.
“Quella
è una yorkie-terrier”,
disse la signora alle mie spalle, sorridendo. “Molto tenera e
bisognosa di
attenzioni.”
“Quella?”,
chiesi.
“Sì,
è una femmina.”
“Oh mio
Dio… Tomi, è lei…”
“Lei
chi?”
“No…
nessuno. Comunque ho deciso,
voglio lei.”
La signora mi sorrise e
tirò
fuori la piccolina, che iniziò ad agitarsi e ad abbaiare
chiedendo di me. La
presi fra le braccia e mi lasciai leccare la faccia con piacere: uno
spiraglio
di felicità si fece spazio nel mio petto e risi, guardando
Tom e dicendogli un
grazie in labbiale.
“Sono contento
se sei contenta
tu”, mi disse accarezzandomi i capelli. “Hai idea
di come la chiamerai?”
“Uhm…
che ne dici di Laika?”
“Laika?
Laika… è un bel nome!”
Sorrise e la prese fra le mani: era ancora così piccola!
“Ciao Laika!”
Gli abbaiò
contro e io risi,
riprendendola tra le mie braccia, dove evidentemente voleva stare.
“Proprio come
la padrona”,
bofonchiò Tom facendomi sorridere. “Ma so che
sotto la scorza dura mi ama,
basta solo scioglierla!”
Mi accompagnò
a casa dopo essere
passati a comprare tutto il necessario per Laika e di fronte al
vialetto, di
fianco alla macchina aperta, vedemmo Bill e Ale che ridevano mentre si
passavano
le ultime scatole. Mancavano poche ore ormai… e lei se ne
sarebbe andata di
casa.
Guardai la piccola Laika
seduta
sulle mie gambe e sorrisi, passandogli una mano sul pelo marroncino e
nero,
quando i suoi occhioni neri mi fissavano luccicanti.
“Ti voglio
tanto bene, piccola”,
le sussurrai.
“Amore a prima
vista”, disse Tom
provando ad accarezzarla, ma rischiò solamente
l’amputazione di un dito.
“E non
è stata la stessa cosa con
te, Tom”, ridacchiai.
Sollevai lo sguardo
fuori dal
parabrezza e incrociai il suo
sguardo, che mi fece deglutire rumorosamente quel magone che mi si era
formato
in gola.
“Non ci
pensare, Ary”, mi disse
lui, passandomi una mano sulla guancia.
“Come faccio a
non pensarci… Lei
è la mia metà…”
“Lo so,
piccola, lo so, ma…”
Il mio cellulare si mise
a
vibrare sul cruscotto e lo presi; rimasi sbigottita leggendo il nome di
chi mi
stava chiamando, e rimasi a fissare il display per diversi minuti.
“Chi
è?”, mi chiese Tom.
“Aaron…”
“Rispondi,
no?”
Annuii debolmente e mi
portai il
cellulare all’orecchio: “Pronto?”
“Ary, ciao.
Sono in ospedale.”
“In ospedale?
E che ci fai in
ospedale?!”
“Gunter…”
“Gunter?
L’ho visto poco tempo
fa, al bar! Che cosa gli è successo?!”
“Beh…
se vieni qui ti spiego
meglio, ok?”
“Ok, arriviamo
subito!”
_______________________________________________
Buonasera
fanciulle :D
Capitolo
non proprio serenissimo, vista la batosta che si è presa
Ary... Vi immaginavate una reazione del genere? Tom non è
stato in grado di consolarla subito, appena è successo, ma
solo la sua presenza è stata una cosa molto importante per
Ary. Anche se, prima o poi dovrà farcela da sola ed
affrontare tutto quanto. Ce la farà mai? Chi lo sa u.u Tom
però ha fatto anche un'altra cosa per tirare Ary su di
morale (e per i loro 10 mesi insieme, eh!): le ha regalato una
cagnolina! *-* Laika!!! (Abbiamo una foto e se cliccate QUI
potete vederla coi vostri occhi *-*)
E,
infine, Ary è venuta a sapere del casino che ha combinato
Gunter, quel "povero" ragazzo che ne combina sempre una e finisce
sempre nei guai, in qualche modo! E' una calamita alle disgrazie quel
ragazzo v.v Che gli sarà successo questa volta?! Beh, vi
basta continuare a leggere e a seguirci per scoprirlo u.u Quindi non ci
dovete abbandonare, è chiaro! xD
La
canzone che abbiamo scelto per questo capitolo è Infinito
di Raf. E ci sta un fracco, oltre ad essere bellissima! *-*
Ringrazio
velocemente (mi sono dilungata troppo sopra xD) _MINA_ e
Charls__
le due sante che non mancano
mai, mai mai. Grazie ragazze! :D
Un grazie anche a chi legge soltanto ;)
Un
bacio, alla prossima! Vostre,
Ale&Ary
|
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Capitolo 40 *** Piccola sorpresa ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/904093.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 41 *** Parole non dette ***
Capitolo 41: Parole
non dette
“Tu…
tu puoi stare qui”, la misi
sul vecchio letto di Ale, sotto lo sguardo di Tom. La fissai
scodinzolare e
guardarmi con quel suo musetto tenero per un istante.
“Tanto…
tanto lei non c’è più”,
sollevai le spalle, tentando di fare un sorriso.
Ma le lacrime erano
più potenti e
in un attimo scossi la testa, presi Laika e la misi per terra.
“No,
no… è meglio se stai qui”,
annuii.
Lei però non
mi ascoltò, saltò di
nuovo sul letto e ci si sdraiò sopra, mettendosi a pancia in
su e abbaiando con
la lingua di fuori per ricevere le coccole.
“No! Non
salire su quel letto!”,
gridai tirandola giù. “Piuttosto vai sul mio! Ma
non sul… suo”,
dissi con voce strozzata, quel magone in gola che non mi
faceva quasi respirare.
“Come sta?”, chiesi
appena vidi Ale e Bill raggiungerci nella sala
d’aspetto, alzandomi in piedi. Lei mi fulminò con
lo sguardo, facendomi
rabbrividire.
“Finiscila di scaricare le tue
colpe sulle spalle degli altri, Arianna”,
mi sibilò in faccia e mi guardò malissimo, tanto
da farmi sentire il mio cuore
strizzato e graffiato.
Tom si avvicinò affiancandomi,
tentando di parlare, ma lei lo
interruppe subito bruscamente.
“Stanne fuori Tom! E’
una cosa tra me e lei, non ti devi impicciare.”
La guardò in cagnesco, ma per uno
strano motivo richiuse la bocca,
sospirando pesantemente e gettando un’occhiata ostile anche a
Bill, di fianco a
lei, che non fu certo da meno.
“Io, che ho fatto
adesso?”, mormorai con quella poca voce che mi era
rimasta, quasi esasperata.
Scosse la testa, prendendo la mano di Bill e
correndo quasi fuori dall’ospedale,
senza rispondermi: la peggior cosa che potesse farmi.
La guardai per qualche secondo ancora, poi
mi ritrovai a guardare il
pavimento lucido della sala d’aspetto. Sentii il braccio di
Tom infilarsi fra
le mie spalle e attirarmi a sé in un abbraccio di conforto,
io chiusi gli occhi
e strinsi forte la sua felpa, quando sentimmo la voce di Aaron e ci
voltammo
verso di lui.
“Voi… non
entrate?”, chiese indicando la stanza di Gunter.
“Sì,
arriviamo”, annuii scostandomi e raggiungendolo.
Prima di entrare in camera di Gunter mi
passai un braccio sugli occhi
umidi ed arrossati e tentai di stamparmi in faccia un sorriso, ma fu
tutto
completamente inutile, infatti se ne accorse al primo sguardo e si
tirò su
meglio sul letto, guardandomi preoccupato.
“Ary…”
“Ciao Gunter”, mi
avvicinai e un po’ impacciata lo avvolsi in un
abbraccio, lui però mi fece allontanare quasi subito.
“Meglio… meglio di
no”, mormorò abbassando lo sguardo.
Con la coda dell’occhio vidi Tom
con i pugni stretti lungo i fianchi e
il viso rosso di gelosia, ma non era solo per quello che mi aveva
spostata… lo
sentivo che c’era dell’altro sotto.
Mi misi seduta al suo fianco e gli presi la
mano fra le mie,
accarezzandola soprappensiero. Se solo ripensavo alle sue
parole… Erano ognuna
come una pugnalata.
“Come stai?”, chiesi
alzando la testa e guardandolo.
“Sto bene, non mi sono fatto
niente”, balbettò guardando le mie mani e
la sua; io le tolsi e le tenni unite sulle gambe, sentendomi inutile.
Volevo sparire, volevo uscire da
quell’incubo, volevo svegliarmi e
trovare mia sorella dormire placidamente nel letto accanto al mio,
volevo
vederla sorridere di nuovo per me… La rivolevo indietro, ad
ogni costo.
“E tu, come stai?”
Sollevai le spalle, sospirando.
“Senti Gunter, io… Mi dispiace.”
“Per cosa?”
“Per… per
tutto.”
“Non ti preoccupare,
passerà prima o poi”, disse abbassando la testa.
“Immagino che tu abbia raccontato
ad Ale quello che è successo
stamattina al bar, vero?” Annuì lievemente.
“Anche per questo volevo scusarmi.”
Mi guardò confuso, corrugando la fronte.
“Sì, la verità è che non
è colpa tua
se è successo quello che è successo, ma in quel
momento… non ho riflettuto e ti
ho detto quelle cose. Bene, scusami… io non intendevo
renderti colpevole. La
colpa, se c’è, è mia… tu non
c’entri niente.”
“Però… se io
fossi stato zitto, quella sera…”
“Prima o poi l’avrebbe
saputo comunque, tranquillo”, sventolai la mano,
alzandomi dalla sedia e infilandomi una mano in tasca.
“Guarisci presto, ok?”
“Ok. Anche tu.”
La vedo molto dura…
“Ary…”,
disse Tom avvicinandosi
di un passo.
“Tom, io
rischio di impazzire,
non posso continuare così!”, gridai portandomi le
mani sulla testa. Lui sospirò
e mi abbracciò, posando la guancia sulla mia testa.
“E il bello
è che in tutto questo
tempo non ho fatto altro che pensare a me, quando… quando
anche tu sei nella
mia stessa situazione.” Lo guardai negli occhi.
“Non è così?”
Deglutì e
infilò le mani fra i
miei capelli, baciandomi impetuosamente sulle labbra. Mi spinse verso
il letto
sfatto e mi sovrastò, senza staccare per un attimo le sue
labbra fameliche
dalle mie.
“No,
Tom… Tom”, lo spostai e mi
misi seduta sul letto. “Il sesso non è il modo
giusto per affrontare i
problemi. Parliamone.”
“Non
c’è niente da dire”, rispose
duramente, prendendomi per le braccia e gettandomi di nuovo con la
testa sul
cuscino. “E ora stai zitta, stronza.”
Io non ebbi
più modo di oppormi,
seduto in ginocchio su di me si spogliò velocemente, mi
spogliò con la stessa
rapidità e non mi coccolò, non mi
baciò dappertutto, non si prese cura di me
come faceva sempre, entrò in me con una spinta secca, che mi
fece gemere anche
un po’ di dolore. E non solo dolore fisico.
Mi stava usando. Mi
stava usando
per non pensare a Bill, a quanto gli mancasse, a quanto lo rivolesse
accanto a
sé, a quanto quella situazione gli stava facendo del male.
E io sapendolo, come una stupida
non mi ero opposta più di una volta, lo avevo lasciato fare,
facendogli
probabilmente ancora più male.
Non c’era
sentimento nei suoi
gesti meccanici, nelle sue spinte rabbiose e frenetiche, nei suoi
sospiri, nei
suoi occhi velati da un sottile strato di lacrime. Non c’era
sentimento, non
quella volta.
Quando raggiunse l’orgasmo e si
lasciò cadere sfinito sopra di me, il viso premuto contro il
mio collo, gli
accarezzai le treccine sparse sulle sue spalle perfette e appoggiai
delicatamente le labbra sulla sua guancia, stringendolo forte.
“Ti amo Tom,
ti amo…”, mormorai
sospirando, e sentii un liquido caldo scivolarmi sul collo: lacrime.
“Non piangere
amore…”
“Scusami…”,
singhiozzò.
“Non importa
Tomi, dai…”
“Scusami…”,
continuò,
stringendomi fortissimo a lui. “Sono stato
un’idiota, uno stronzo… Non volevo
piccola…”
“Dai…
Non mi è dispiaciuto fare
un po’ di sesso selvaggio con te.”
“Ma
che…”, ridacchiò. “Sei
proprio una stupida.”
“Scherzi a
parte… Lo so che non
volevi, Tom. Stai tranquillo, non sono arrabbiata con te, non posso,
perché ti
capisco. E io sono stata la stronza, per tutto questo tempo: ho pensato
solo ed
esclusivamente a me, piangendo sempre sulla tua spalla, senza pensare
che anche
tu qualche volta avevi bisogno di piangere sulla mia. Mi perdoni,
amore?”
Annuì
sorridendomi debolmente e
mi baciò a stampo sulle labbra, nel quale sentii il sapore
delle sue lacrime
salate che gli scorrevano sulle guance. Gliele asciugai con le mani e
lo
nascosi ancora su di me, accarezzandogli la nuca e la schiena,
cullandolo.
“Mi manca
tanto”, mormorò sulla
mia spalla.
“Lo so,
Tomi… lo so. Manca anche
a me tantissimo. E se non fossi stata così
stupida…”
“Non
è colpa tua, Ary… smettila
di dire queste fesserie. Ho sonno.”
“Dormi allora,
io sto qui.”
Chiuse gli occhi e
cullato dal
mio abbraccio dopo un po’ si addormentò; io rimasi
per qualche minuto a
guardarlo, accarezzandogli la guancia, poi chiusi gli occhi
anch’io.
“Sempre”,
bisbigliai prima di
raggiungerlo nel mondo dei sogni.
***
Aprì gli
occhi infreddolito e
scoprì che il piumone era per la maggior parte
giù dal letto.
Guardò Ary sdraiata al suo
fianco, a pancia in giù, i pugni stretti accanto al viso,
che dormiva beatamente,
un’espressione quasi serena.
La coprì con il piumone e le
accarezzò la guancia sistemandole i capelli dietro
l’orecchio, la baciò piano
sulla fronte e si mise seduto sul bordo del letto, le spalle ricurve in
avanti.
Si sentiva una merda per
quello
che aveva fatto alla sua piccola, per come l’aveva usata
senza ritegno… Il
tutto per non pensare al suo gemello.
Il suo gemello… La sua metà,
quella parte di lui più adulta, più intelligente,
senza la quale a volte si
sentiva perso, inutile.
Era così distante, eppure così
vicino… Non riusciva più a captare i suoi
pensieri, come se un muro li avesse
divisi: un muro freddo, un muro difficile da buttar giù.
Si rivestì e
si ricordò di Laika:
dove si era cacciata quella cagnolina? Corrugò la fronte e
si guardò intorno
nella stanza, senza trovarla.
“Laika?”,
la chiamò piano, per
non svegliare la sua ragazza: era così carina quando
dormiva… “Laika, dove sei
finita?”
Cercò sotto
la scrivania, dietro
le tende, poi si accovacciò a terra e sollevò il
piumone che cadeva a terra
coprendo il sottoletto di Ale.
“Laika! Che ci
fai lì sotto?” La
tirò fuori prendendola fra le mani e la guardò
negli occhi. “Sei piena di
polvere”, ridacchiò togliendone qualche mucchietto
dalla sua testolina pelosa.
“Sei proprio come lei…”, si
girò
verso Ary e la guardò, ricordandosi di quando si era
nascosta sotto il letto,
fra la polvere.
Laika gli
abbaiò in faccia e lui
se l’allontanò dal viso, tendendo le braccia.
“Shhh! Can che abbaia non morde…
quindi siete proprio identiche.
Bellissime uguali.” Sorrise e la mise accanto a lei, dove si
accucciò
appoggiandosi alla sua schiena nuda con il muso.
“Stalle vicina durante la mia
assenza”, le raccomandò, prima di baciare Ary
sulla tempia e di uscire dalla
stanza.
“Ciao
Tom!”, lo salutò Anna dalla
cucina. “Dove corri?”
“Correre? Io
non corro mai!”,
ridacchiò nervosamente.
“Vieni qui
allora”, sorrise
tirando da sotto il tavolo la sedia, indicandogli di sedersi. Tom
sospirò e
imbarazzato entrò in cucina, scoprendo che c’era
seduto Fabian dall’altra parte
del tavolo.
Non va affatto bene questa cosa…
“Buonasera”,
salutò schiarendosi
la voce. Si mise seduto tavolo e unì le mani sul tavolo,
guardandosi intorno:
che cosa volevano? Non si sentiva affatto tranquillo.
“Allora,
Tom”, disse Fabian
togliendosi il giornale dal viso e guardandolo in faccia, mettendolo un
po’ in
soggezione. “Tutto bene?”
“Ahm…
sì, va.”
“Tu sai
perché Ale e Ary hanno
litigato, non si parlano e Ale se ne va a vivere con Bill?”
“Oddio”,
sgranò gli occhi. “Una
domanda alla volta?”
“Tom, fai il
serio.”
“Ehm…
è complicato”, si passò una
mano sul collo: se lo sentiva che sarebbe successo qualcosa! Quella
situazione
era davvero scomoda, e lui non era dell’umore giusto per
parlarne. Perché Ary
non si svegliava e non lo veniva a salvare?
“Abbiamo
tempo”, annuì
aspettando.
“Davvero, sono
io che non ne ho
di tempo”, si passò le mani sulla fronte, esausto.
Quella giornata era una
delle
peggiori di quei mesi, e non ne poteva più: avrebbe voluto
staccare la spina da
tutto e respirare, ma non era ancora giunto il momento. Quindi doveva
solo
aspettare la sera per poi andare a dormire.
“Non fa
niente, Tom… forse non è
il momento…”, disse Anna passandogli una mano
sulla spalla.
Per fortuna! Quasi non ne parlo con Ary,
figurarsi con i suoi genitori!
“Allora
parliamo di un’altra
cosa”, disse Fabian tornando alla carica.
“Cosa?”,
una scintilla di
preoccupazione e di ansia gli brillò negli occhi.
“Sappiamo che
tu e Ary… Insomma…”
“Siete intimi,
ormai”, concluse
Anna al posto suo.
“Ahm…
sì, da un po’ ormai.”
“Non voglio
sapere questo!”,
chiuse gli occhi Fabian, quasi inorridito. “Volevo solo dirti
di stare attento
a quello che fai”, gli puntò il dito contro,
stringendo gli occhi a due
fessure.
“Intende dire
che dovete fare
sesso sicuro”, annuì Anna rassicurandolo. Lei era
la traduttrice personale del
marito.
“Sì,
io uso sempre il…”
“Risparmiati!
Puoi andare ora”,
disse sventolando la mano e riprendendo il suo giornale.
“Ok”,
sospirò. “Salve”, salutò.
“Ciao
Tom!”, salutò solare Anna,
con quel sorriso che gli ricordò subito Ary e…
Ale.
Scosse la testa e
uscì dalla
veranda, come era solito fare. Salì in macchina e ripensando
a quello strano
interrogatorio ridacchiò e mise in moto. Lo rilassava
guidare, gli sgombrava la
mente, ma quella volta non funzionò molto bene
perché gli venne in mente Ale,
tutte le loro chiacchierate, i giorni passati a ridere con lei, i
sorrisi, gli
scherzi, gli insulti…
Gli mancava. Anche lei,
come il
suo gemello, gli mancava da morire. Ma non sarebbe tornato indietro,
non dopo
aver visto tutto quello che aveva fatto ad Ary. Quando voleva era senza
scrupoli, e l’aveva vista: nonostante sapesse che la faceva
soffrire, non si
era mai risparmiata e l’aveva sempre trattata male, come se
non gliene
importasse più niente.
Ma era davvero così?
Arrivò
all’appartamento con tutti
quei pensieri che gli frullavano in testa e stava per infilare le
chiavi nella
toppa, quando la porta gli si aprì davanti e si
trovò di fronte Bill, con una
scatola in mano.
“Beh, ti
sposti o hai deciso di
stare lì impalato per il resto della tua vita?”,
chiese Bill con astio; Tom
abbassò lo sguardo e si spostò di lato.
Quello non era il suo gemello,
non era il suo Billie… Chi era diventato? O… chi
era di fronte lui?
Ogni singola parola che
gli
rivolgeva senza il suo sorriso, senza quella luce negli occhi per il
suo
fratellone che lo aveva protetto da bambino e si prendeva tutte le
sgridate al
posto suo, per cui avrebbe fatto di tutto, per cui avrebbe dato persino
la
vita… era una spina nel cuore, dolorosa ed impossibile da
togliere.
“E
così…”, disse, anche se il
fratello aveva già chiamato l’ascensore e gli dava
le spalle. “… vai.”
“Già.”
“Bill,
io… Tu…”
Bill sbuffò
innervosito ed entrò
nell’ascensore, pigiò il tasto per il piano terra
e lo guardò per l’ultima volta
con sguardo severo.
“Ciao Tom.”
Le porte si chiusero di
scatto
come si chiusero gli occhi di Tom, mentre mormorava: “Mi
mancherai.”
Entrò in casa
e trovò Gustav e
Georg in salotto: probabilmente avevano salutato il cantante anche loro.
“Ciao”,
mugugnò lasciando le
chiavi nella ciotolina e togliendosi la giacca, che appoggiò
all’appendiabiti.
Bill gli diceva sempre di appenderla lì, ma lui non lo
faceva mai…
“L’hai
incontrato?”
“Sì.”
“E…?”
“E niente
Gustav. E niente”,
sospirò. “Sono stanco, vado a dormire.”
“Ma sono le
sei del pomeriggio!”
Forse non doveva
aspettare la
sera per porre fine a quella pesante giornata.
Salii le scale senza rispondere,
si chiuse in camera e si gettò sul letto, affondando la
testa nel cuscino. Ciò
che aveva sempre pensato, ma che non aveva mai accettato, si
trovò a
confermarlo in quel momento, mentre calde lacrime gli scivolavano sul
viso: non
era Bill quello debole, ma era lui senza il gemello al suo fianco.
***
Accesi il computer e
sospirai,
guardando la mia foto personale su msn: la stessa che avevo come sfondo
sul
cellulare, io e Ale al matrimonio di Davide.
Vidi una finestra aprirsi ed
illuminarsi ad intermittenza sul computer: Andreas mi aveva contattata.
Ciao Ary!! Era
da tanto che non ti
connettevi!
Ciao Andreas.
Sì, lo so…
Non sei andata
al lavoro oggi?
No, non avevo
voglia.
Ti farai
licenziare così.
Meglio. Odio
quello stupido lavoro. Odio
il mio stupido capo. Odio i miei stupidi colleghi.
Dillo, dai: in
questo periodo odi tutto
e tutti…
No, non odio
te. E nemmeno Tom. E Laika.
“Cucciola? Cucciola, dove sei?
Laika?”, la chiamai girandomi sulla sedia
girevole.
Uscì fuori da sotto il letto e le
sorrisi indicandole di venire sulle mie
gambe, lei mi corse incontro scodinzolando e si appoggiò con
le zampette alle
mie ginocchia, abbaiando di felicità.
“Ma quanto sei bella, eh?
Quanto?!”, le grattai le orecchie,
coccolandola. Lei mi faceva ancora sorridere assieme a Tom…
ora loro due erano
le mie uniche fonti di serenità.
Sentii un trillo provenire dal computer e
sbuffai prendendo Laika in
braccio e girandomi verso lo schermo. Era stato Andreas, nonostante
sapesse
quanto mi urtassero quei suoni.
Menomale!
Ehi, ci sei
ancora?
Ehiiiiiiiii
Sì,
ci sono ancora!
Non rispondevi
più!
Alla fine Ale
è andata a vivere con Bill
veramente?
Sì…
Ormai sono tre settimane che non la
vedo.
Mi dispiace
Ary…
Passerà.
Ora devo andare, mi sa che è
arrivato Tom
Scrissi, dando un’occhiata fuori
dalla finestra: come avevo previsto, Tom
aveva appena parcheggiato la Cadillac
e stava entrando dal cancelletto del giardino in
veranda.
Jjjhhihihgijklkj,kjk,mkmj
E questa
ultima parte che vuol dire? xD
Niente,
è stata Laika.
“Piccola peste, non si
fa!”, la sgridai, per poi tornare a farle le
coccole: non potevo arrabbiarmi con lei, era così dolce ed
indifesa!
Ah, ok! xD
Ciao Ary, salutamelo.
Va bene, ciao!
Sentii qualcuno bussare alla porta e sorrisi
girandomi verso di essa,
accarezzando il pelo morbido di Laika.
“Da quando bussi?”,
ridacchiai, ma mi fermai quando vidi la testa di
Davide fare capolino nella stanza.
“Da sempre, credo”,
aggrottò le sopracciglia, un’espressione divertita
sul viso. “Se non lo facevo mi ammazzavi!”
“Ciao Dave! Scusa, pensavo fossi
Tom!” Mi alzai, lasciai Laika sul letto
e lo abbracciai, cingendogli il collo con le braccia.
“Ciao sorellina”, mi
fece un buffetto sulla testa. “Come stai?”
Sollevai le spalle e raggiunsi il mio
piccolo amore sul letto, mettendomi
a gambe incrociate.
“Tu? Marika sta bene?”
“Sì, stiamo bene.
Ascolta… sono passato per chiederti se volevi venire a
fare un giro con me, ma se c’è
Tom…”
“Un giro dove?”
“Volevo andare a prendere qualcosa
per Ale”, sorrise gioioso.
“Non è il suo
compleanno”, corrugai a fronte.
“Sì, lo so. Intendevo
per il bambino!”
A quelle parole il mio cervello
andò in tilt e non mi accorsi nemmeno che
Tom era arrivato e si trovava alle spalle di Davide, che lo guardava a
bocca
aperta.
“Che bambino?!”,
gridò Tom dopo essersi ripreso.
“Il… il bambino di Ale
e Bill… Lei è incinta. Non… non ve
l’hanno
detto?”, chiese balbettando.
“No”, scossi la testa
con le lacrime agli occhi, che nemmeno Laika con le
sue effusioni riuscii a fermare. “Non me l’ha
detto.”
______________________________________
Buongiorno! :)
Il fatto che siate più o meno tutte sparite non è
affatto confortante e
ci dispiace davvero molto, perché in parte è
anche colpa nostra che siamo
sempre prese da mille cose, in particolare dalla scuola… ah,
siamo umane anche
noi, sì, ormai avete scoperto il nostro segreto D: Quindi,
dai… tornate! *w*
Per il resto che dire, questo
capitolo vede un aspetto che ancora non era stato considerato: il punto
di
vista di Tom in tutta questa situazione complicata! Anche lui soffre la
mancanza del suo gemello ed è la cosa più quasi
più importante del capitolo…
Quasi, perché la cosa più importante e scioccante
è il fatto che Ale (!) è
incinta e non ha detto nulla alla sorella… D:
Che ne pensate?
Aspettiamo i
vostri pareri sulla situation u_u
Ringraziamo di cuore _MINA_
che ha commentato lo scorso
capitolo e poi ovviamente tutti quelli che hanno letto ;)
Un bacio, alla prossima (presto)!
Ale&Ary
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Capitolo 42 *** Regalo ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/963350.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 43 *** Due corpi di una sola anima ***
Capitolo 43: Due
corpi di una sola anima
“Tom”,
dissi seria, così seria
che quasi mi sorpresi.
“Che
c’è?”, mi accarezzò il collo
con un dito, sorridendo.
“Io devo
andare.”
“Dove?”,
corrugò la fronte.
“Io…
io devo andare da lei!”
“Che cosa?!
No!”
“Sì,
sì! Io… io devo andare da
lei, non capisci?!”
“No, non
capisco!”
“Provaci!”
Mi alzai di scatto dal
letto e mi rivestii in fretta, sentendo una bruttissima sensazione
pesarmi
sullo stomaco e pungermi il cuore come se lo stessero stuzzicando con
un ago:
era quasi insopportabile.
“Non ci riesco
comunque!”, gridò
di rimando, raggiungendomi e prendendomi per il braccio,
così forte che quasi
mi fece male. “Perché vuoi andare?”
“Perché
io devo! Devo!”
“Sembri una
pazza, ti vuoi
calmare con questo devo?!
Tu non devi
fare proprio niente!”
“Sì,
io devo! E lo voglio!”, lo
guardai negli occhi a mo’ di sfida, infilandomi la maglietta,
tra l’altro
all’incontrario – maledizione. Doveva solo provarci
a mettersi contro di me!
“Non ti
lascerò andare, sappilo”,
disse fra i denti, stringendo gli occhi.
“E cosa
vorresti fare, eh?
Tenermi qui con la forza?”
“Potrebbe
essere un’idea, se con
le buone non funziona.”
“Io devo
andare Tom, sento che è
successo qualcosa, e tu non puoi impedirmelo!”
“Oh
sì invece che posso!”, mi
prese per i polsi e mi spinse sul letto, posizionandosi sopra il mio
stomaco e
bloccandomi.
“Tom, levati
subito”, ringhiai a
bassa voce.
“Se no che
fai?”
“Mi metto ad
urlare.”
“Avanti”,
disse spavaldo.
Sogghignai e al contrario di quanto credesse, mi misi sul serio ad
urlare.
“Aaaaaaah!
Aiutooooo! Tom mi
vuole stuprareeee! Aiutooooo!
Papààààà!
Mammaaaaaaa! Aiutooooo!”
“Ma che, sei
impazzita?!”, gridò
Tom bordeaux, tentando di coprirmi la bocca con la mano, ma io lo morsi.
“Aiutoooooooo!
Vi prego
aiutatemi!”, continuai con tutto il fiato che avevo in gola,
fino a quando papà
non aprì la porta di scatto, con in mano una scopa, e la
puntò verso Tom.
“Scendi da mia
figlia!”, gridò.
Tom, sempre più imbarazzato, mi guardò truce e
scese, io riuscii a respirare
meglio e schizzai verso la porta.
“Grazie
papà, mi hai levato un
peso dallo stomaco”, gli baciai la guancia frettolosamente,
prendendo il
cellulare ed infilandomelo in tasca.
“Che devo fare
di lui?”, mi
chiese.
“Quello che
vuoi. Ma non è una
pignatta, abbassa quella scopa.”
Papà
grugnì e la abbassò, poi ci
ripensò e gliela lasciò fra le mani.
“Che cosa ci
dovrei fare con
questa?”, chiese Tom, guardandola.
“Pulisci il
giardino: ci sono
petali di fiori di ciliegio dappertutto. Dovevo farlo io, ma tu ti
offri
volentieri, vero?”, inarcò le sopracciglia,
sorridendo bonario.
Io ridacchiai e salutai
Tom con
la mano, ricevendo un’altra occhiata truce da parte sua e una
minaccia: “Quando
torni te la faccio passare io la voglia di ridere”, detta in
labbiale.
“Non mi
spaventi per niente,
amore mio! Pulisci bene e occupati anche di Laika!”, mi
raccomandai, prima di
schizzare di sotto, punta da un’altra scarica di quella
fastidiosissima ansia
che mi veniva solo quando succedeva qualcosa ad Ale: era inconfondibile.
Non sentii nemmeno la
sua
risposta, ero già uscita di casa e probabilmente avevo
già aperto la mia auto
nuova con il piccolo telecomando.
Alla fine ce l’avevo fatta: mi ero comprata
la macchina, certo con qualche aiutino da parte dei miei genitori, ma
in quei
mesi avevo lavorato sodo a disegnare fumetti e ogni tanto andavo ad
aiutare
Aaron nel suo negozio di fotografia, con la mia bella faccia di bronzo,
nonostante mi facesse male vederlo e pensare a tutto il casino che
avevo
combinato. Ma d’altronde avevo bisogno di soldi ed ero
soddisfatta ora che
vedevo la mia macchinina e mi sentivo finalmente libera ed indipendente.
Diedi gas e mi infilai
fra il
traffico pomeridiano d’Amburgo. Tamburellavo le dita sul
volante, aspettando.
Andiamo, ti prego, andiamo!,
pregavo mentre la mia preoccupazione
per Ale aumentava. Nonostante la situazione che c’era fra
noi. Nonostante il
nostro rapporto magico ed indistruttibile non si potesse più
definire tale.
Nonostante tutto la sentivo dentro di me ora più che mai, e
la pienezza che
sentivo dentro il mio cuore assieme a quella sensazione fastidiosa mi
rendeva…
felice, in minima parte. Non ne sapevo bene il motivo, ma era
così e basta.
In quei mesi, quei
cinque mesi in
cui l’avevo sentita così infinitamente distante,
durante i quali avrei preferito
segretamente morire al posto di continuare a vivere in
quell’agonia, era stato
difficile stare a galla senza di lei. Me ne rendevo conto solo ora che
mi
soffermavo a pensarci, imbottigliata nel traffico, cercando
disperatamente di
raggiungerla più in fretta possibile.
Certo, avevo avuto Tom,
Laika, a
volte persino Aaron che mi rassicurava e mi diceva che tutto si sarebbe
messo a
posto presto, ma quelle erano solo parole, parole che mi entravano da
un
orecchio e mi uscivano dall’altro, senza sostare nemmeno un
secondo nella mia
scatola cranica, che sentivo sempre più pesante, per non
illudermi e non farmi
altro male.
Quelle persone (e quel
cane), per
quanto fossero state importanti e per quanto mi avessero aiutata,
avevano solo
reso migliore l’aspetto esteriore di me, quello che si vedeva
dal di fuori,
senza toccare minimamente ciò che mi si era distrutto
dentro; a quello non
sarebbe mai arrivato nessuno, nessuno sarebbe stato in grado di
ricostruire ciò
che si era spezzato, nessuno tranne… tranne la causa di
tutto quel dolore,
ossia Ale: lei sarebbe stata l’unica in grado di risistemare
tutto.
Erano stati mesi duri
d’affrontare, erano stati duri anche solo da immaginare,
eppure ero lì, grazie
a qualche miracolo o forse semplicemente grazie al fatto che ancora non
ero
pronta per lasciare lì da sola mia sorella: le volevo ancora
troppo bene per
farle una cosa del genere. Noi saremmo state insieme per sempre, nel
bene o nel
male.
“Cazzo!”,
sbraitai, tirando un
pugno al volante e appoggiando la testa al sedile: perché
quel semaforo ci
metteva un’eternità a diventare verde?!
Era stato difficile
soprattutto
sapere che Ale era rimasta incinta e saperlo così, detto per
sbaglio dal
proprio fratello maggiore, scoprendo che ce l’avevano
nascosto: tutti lo
sapevano e noi no. Perché? Beh, il perché non ce
l’avevano mai detto, ma per me
era talmente ovvio… Non volevano. E magari facevano bene.
Tom invece, testardo,
si era arrabbiato tantissimo, prendendosela così tanto che
mi ero costretta a
non ascoltarlo più dopo un po’.
Ancora più
difficile era stato
mettermi da parte, sapendolo. Accettare la sua scelta di farci stare
fuori da
quel momento, di non internarci in quell’allegria e
quell’affetto che solo la
maternità poteva portare.
Non avevo mai pensato a
mia
sorella come mamma, ma ora ce la vedevo benissimo in quei panni: con il
suo
bambino in braccio, un sorriso dolce sulle labbra e quella luce negli
occhi
mentre lo guardava, lo accarezzava teneramente e lo cullava cantandogli
la
ninna nanna.
E non avevo mai immaginato che
potesse essere così: avrei soltanto voluto starle accanto,
fare parte di quella
felicità, sentirla un po’ anche mia, vederla
contenta, accontentare le sue
voglie anche in piena notte, confortarla quando si sarebbe sentita
male, e
invece… invece no, non avevo fatto nulla di tutto quello e
non mi era nemmeno concesso
di fare.
Nemmeno
quell’anno ero riuscita a
godermi pienamente il Natale, quella festa che adoravo e che
solitamente
passavo con la mia famiglia e con la mia gemella in particolare,
sorridendo
tutto il tempo e sentendomi felice davvero.
“È due anni che non
passo un Natale decente, Tom”, mormorai appoggiando
il viso sulla sua spalla.
“Due anni?”
“Beh, l’anno scorso ero
un automa perché tu eri arrabbiato con me per
quella storia là… E
quest’anno… non c’è
lei”, sospirai.
“Ma ci sono io”, sorrise
accarezzandomi i capelli.
“Lo so che ci sei tu, e te ne sono
grata, ma… non è la stessa cosa. Mi
dispiace.”
“Capisco…”
“Sì, lo so”,
lo strinsi fra le braccia e gli accarezzai la testa,
quando Laika si infilò fra noi scodinzolando e mostrandoci
il suo regalo di
Natale – un osso di gomma – che teneva fra i denti
con un fiocchettino rosso
appiccicato sopra.
“Non è ancora ora di
aprire i regali, birbantella”, le dissi
accarezzandola, un lieve sorriso sulle labbra.
Era stato parecchio
triste anche
quando Tom si era messo d’accordo con Bill per far
sì che nemmeno ci
incontrassimo: a pranzo io e Tom eravamo stati da Simone e a cena dai
miei
genitori, invece Bill e Ale avevano fatto l’opposto. Non ci
eravamo fatti nemmeno
gli auguri.
“Tom, questa situazione
è assurda! Devi chiarire con tuo fratello.”
“Mamma, non ti ci mettere pure tu.
Non voglio chiarire con Bill, è un
ottuso senza cervello.”
“Certo. Come se non ti mancasse,
eh?”
“Che c’entra adesso che
mi manca?”
“Non dovrebbe essere abbastanza?
Il fatto che ti manchi, vuol dire che
ci tieni e che non è che non vuoi, è che non
puoi, perché sei impedito dal tuo
orgoglio che ti rovinerà, se continui
così!”
“Dovrei chiedergli scusa? Non lo
farò mai, non sono io che devo
scusarmi! Né io, né Ary dobbiamo; non abbiamo
colpe, anche se Ary si sta
convincendo del contrario.”
“Forse lei è
più matura di te e sta riesaminando la situazione, dandosi
delle colpe.”
“No, mamma. Lei si sta dando delle
colpe perché non ce la fa più,
perché non trova altri colpevoli. Non so come spiegarti, e
comunque non mi va
di parlare di questo adesso.”
“Tom, ti stai sbagliando
comportandoti così.”
Tom sbuffò e uscì
dalla cucina, raggiungendomi in salotto, dove io ero
intenta a guardare delle foto dei piccoli gemelli Kaulitz sparse su un
mobiletto, ma avevo anche sentito tutto, rimanendo pietrificata sul
posto.
Mi avvolse la vita con le braccia e mi
sollevò da terra giocosamente,
baciandomi la tempia. Come poteva giocare, dopo quello che gli aveva
detto sua
madre? Mistero. Ma lui era fatto così, era forte, e quando
avrei pagato per
essere come lui almeno un po’.
E guardare gli occhi dei
miei
genitori tristi in quel giorno che doveva essere sinonimo di gioia allo
stato
puro, sentire il silenzio che ogni tanto calava sulla tavola e Laika
che
abbaiava nell’angolo per tentare di risolvere la situazione
senza successo,
l’imbarazzo che si creava per ogni minima cosa, era stato
come un colpo al
cuore.
Sicuramente il peggior
Natale
della mia vita.
Finalmente il semaforo
diventò
verde e la situazione migliorò in quanto le automobili
davanti a me avanzarono,
ma quando arrivai di fronte alle strisce pedonali mi fermai (beccandomi
pure
qualche clacson da parte di qualche automobilista contrariato che io
ovviamente
non ascoltai), colpita dai rimorsi e da un crampo al cuore, per far
passare una
madre con il proprio bambino che non doveva avere più di un
anno, stretto al
petto, mentre il padre la teneva stretta per il fianco.
Il ragazzo mi fece un gesto di ringraziamento
con la mano e la ragazza mi sorrise, per poi sussurrare qualcosa al suo
bambino
che aveva aperto gli occhietti sulla sua spalla.
Qualche mese prima
l’avevo vista
passare con Bill, mentre andavo al lavoro: passeggiavano nel parco,
mano nella
mano, ridevano, e ogni tanto lui le accarezzava la pancia
già gonfia, con lo
sguardo pieno d’amore.
Mi ero sentita
così male… che
avrei tanto voluto mollare lì la macchina e correre da loro
per poter fare
anch’io quel gesto, timidamente, fino a quando non sarei
scoppiata a piangere
di fronte a lei.
Ovviamente non l’avevo fatto: ero
rimasta in macchina, nascosta dietro degli occhiali da sole scuri, a
guardare
quella scena come se loro fossero in una bolla di felicità
che al mio solo
tocco si sarebbe infranta. E io non volevo che la bolla di mia sorella
scoppiasse, almeno lei doveva essere felice, se non lo potevo essere
io. Ero
felice io se era felice lei, dopotutto, anche se era maledettamente
facile da
dire e difficile da mettere in pratica.
Alzai la mano rigida,
senza
nemmeno provare a tirare un sorriso, lo sguardo perso e la testa ancora
in quei ricordi e in quelle immagini di quell’imminente
futuro che però… mi
lasciava uno strano sapore in bocca.
Che Ale avesse litigato con Bill?
Era quella la causa della strana sensazione che sentivo?
Sgranai gli occhi e
strinsi il
volante fra le mani, alzai lo sguardo e vidi il semaforo ritornare
rosso.
“Merda”,
mormorai abbassando la
testa sul volante, quasi volessi prenderlo a testate.
Se davvero fosse
successo
qualcosa con Bill… Non avrei proprio saputo come comportarmi.
E se invece mi stavo sbagliando?
Se invece quella sensazione che sentivo non era niente di tutto quello?
Se
fossi arrivata a casa di Ale e l’avessi vista sorridente
accanto a Bill, seduta
sul divano mentre lui ascoltava dentro la sua pancia, che figura ci
avrei
fatto?
“Scusa, pensavo che avessi
litigato con Bill. Ora esco definitivamente
dalla tua vita.”
Però…
però quella sensazione era
forte, era troppo forte per essere un errore; troppo insistente e mano
a mano
che passava il tempo la sentivo sempre di più, come se mi
stesse entrando
dentro un dolore così forte da farmi male al cuore.
Sentii un clacson
suonare
insistente, ma non ci badai: con la coda dell’occhio avevo
visto che era ancora
rosso. Ma quel clacson continuava, pensavo che fosse solo nella mia
testa a
quel punto, ma alzai ugualmente lo sguardo e di fronte a me, nella
corsia
opposta, dall’altra parte dell’incrocio, vidi me
stessa in una macchina che mi
ricordò molto quella di Bill.
Stavo sognando? Che ci facevo in
quella macchina, se ero nella mia? E perché piangevo? E
perché suonavo il
clacson, guardandomi?
Sentii come un lampo
attraversarmi la testa e mi resi conto che non stavo sognando, che
quella non
ero io, bensì la mia gemella, Ale. Lei era lì, mi
suonava, e piangeva.
Scesi in fretta dall’auto, la
lasciai lì senza pensarci minimamente, nonostante le grida
degli automobilisti
dietro di me: il semaforo era diventato verde.
Vidi Ale scendere dalla
sua
macchina e venirmi incontro, attraversando le strisce passandosi le
mani sulle
guance. Corsi per l’ultimo tratto che ci divideva e quando
arrivai di fronte a
lei, con gli occhi che mi pizzicavano e il cuore che batteva
all’impazzata, il
fiato corto, non seppi più che dire.
Eppure, avevo così tanto da dire…
Avrei voluto inginocchiarmi e chiederle perdono in tutte le lingue che
conoscevo, facendo di tutto, finché potesse tornare a
volermi bene come prima.
Solo che non mi venne, non ci
riuscii; forse a causa di quel dolore che leggevo nei suoi occhi, che
sentivo
diventare sempre più mio.
“Ary…”,
mormorò.
“Sono qui,
Ale, sono qui”, dissi
avvicinandomi ancora di un passo e aprendo le braccia, avvolgendole
timidamente
intorno alla sua vita.
“Ary, Ary,
Ary…”, singhiozzò,
stringendomi così forte che per un attimo non riuscii
più a respirare,
affondando il viso nell’incavo della mia spalla.
“Ci sono io
ora, Ale. E non ti
lascerò andare via ancora, te lo prometto”, tentai
di rassicurarla passandole
una mano fra i capelli sulla nuca, stringendola a me, sentendo il suo
profumo e
la vita che lentamente rientrava nel mio corpo, facendomi
sentire… come in
Paradiso, nonostante tutto.
“Ary,
lui… lui non c’è
più… non
c’è più…”
Mi unii a lei in quel
pianto,
stringendola ancora di più, con tutte le mie forze.
Non ci fu bisogno di altre
parole, non erano necessarie.
Siamo due
corpi di una sola anima,
ridere e piangere
è comunque vivere
Con te dividere l'inferno e il paradiso
______________________________________
Buongiorno a tutti! :D
Bene, ehm... capitolo interessante, no? Molto triste, ma anche molto
felice perché le due gemelle si sono ritrovate :) Secondo
voi chi è che non c'è più? Lo
scoprirete solo nella prossima puntata! *-* Nel frattempo lasciate un
commentino qui e fateci sentire che ci siete ancora, perchè
ci stiamo demoralizzando u_u Okay no, è esagerato,
però ci farebbe tanto piacere :)
Ringraziamo dunque _MINA_
che ha recensito lo scorso capitolo e poi anche tutti quelli che
leggono soltanto, ovvero le lettrici
in punta di piedi come le
chiama la mia compare ;)
Ah, la canzone è di Raf e si
intitola, uhm… Lacrime
e fragole. Bellissima!
:) (E ci tengo a precisare che non ho messo i due colori - il rosso e
l'azzurro - a caso... Chi l'ha capito alzi la mano! ahahah :D)
Credo di aver detto
abbastanza cavolate anche per oggi, aspettiamo i vostri apprezzamenti o
magari qualche critica ;)
Alla prossima, baci!
Ale&Ary
|
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Capitolo 44 *** Perdita ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/1074647.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 45 *** L’unione fa la forza ***
È estateeeeee!
:D
Ma per me è Ale è qualcosa di molto di
più… è anche il periodo della
maturità
questo! Ebbene sì, ieri abbiamo svolto la prima prova
scritta e oggi la
seconda! (Se a qualcuno dovesse interessare xD, io – Ary
– ho fatto il saggio
breve sul labirinto e, frequentando un indirizzo turistico, ho fatto
lingua
straniera, inglese, per la seconda prova!)
Wow,
siamo già al 45° capitolo… vi rendete
conto che tra 5
capitoli anche questa FF sarà finita?! E’ durata
un’eternità, davvero (anche
per colpa dei nostri ritardi), ma come vorrei che non finisse mai!
:’)
Per le
recensioni allo scorso capitolo, ringraziamo di cuore:
Yellow_
: Wow,
sono commossa! :’) Siamo davvero felici che questa storia ti
sia piaciuta
nonostante tu non sia una fan dei TH, e che tu l’abbia
considerata come un’originale!
Credo sia davvero uno dei più bei complimenti che qualcuno
possa ricevere! *-* Grazie
mille davvero per tutti i complimenti, ne siamo onorate! :) Alla
prossima, un
bacio!
P.S. La possiamo vedere tutte e due la recensione, non ti
preoccupare ;)
sere_96
: Cioè
fammi capire… non hai dormito tutta la notte per poter
leggere per intero
la fanfiction? Sei una pazza! o.o
In senso buono, ovviamente! *w*
Siamo contentissime che ti sia piaciuta! Chissà se le cose
tra Tom e Bill si sistemeranno… staremo a vedere! ;) Un
bacio, alla prossima!
Ringraziamo
tantissimo anche chi legge soltanto e non smette
mai di seguirci :)
Speriamo che questo capitolo sia di vostro gradimento! Buona lettura a tutti!
Ale&Ary
_______________________________
Capitolo 45: L’unione
fa la forza
Non potevo crederci,
eppure era
la realtà e non potevo fare praticamente niente contro il
dolore di mia sorella
che ora era anche mio perché finalmente era di nuovo con me
e niente e nessuno
ci avrebbe più divise.
Questo è poco, ma sicuro.
“E’
tutta colpa mia, lo so… Non
avrei dovuto intromettermi tra te e Bill, avrei dovuto pensare ai
fattacci
miei, così ci saremmo risparmiate questi mesi
lontane!”, dissi per la centesima
volta, incapace ancora di porre fine alla questione. Lei doveva
perdonarmi, o
sarei rimasta con quel rimorso in eterno.
“Ary, basta.
Qua nessuno ha
ragione e nessuno ha torto. Abbiamo sbagliato tutti, ognuno ha la sua
dose di
colpa, non solo tu”, ripeté quasi annoiata,
stringendomi di più a sé e
facendomi sentire di nuovo completa, dopo troppo tempo in cui ero
rimasta
divisa in due a lottare per rimanere a galla.
“Ti voglio
bene Ale, mi dispiace,
mi dispiace per tutto”, biascicai, baciandole una guancia.
“Ancora? Basta
sorellina. Ti
voglio bene anche io, nemmeno ti immagini quanto”,
mormorò con la voce
incrinata.
Odiavo sentirla
così, lo odiavo
con tutte le mie forze ma… non c’era
più nulla da fare ormai, che lo volessi
disperatamente oppure no.
Non riuscivo nemmeno ad
immaginare come ci si sentisse, improvvisamente svuotate e private di
quella
gioia immensa e di quell’amore che portava quel piccolo
esserino che un giorno
prima aveva dentro di sé e il giorno dopo… puff,
sparito. Era assurdo: per
quanto la natura fosse bella, poteva anche essere dolorosa se ti si
contorceva
contro.
E anche per Bill non doveva
essere facile, non solo per Ale, perché erano in due ad aver
perso il loro
piccolo “tutto”, non solo lei che immaginavo si
sentisse maledettamente in
colpa – anche se non era affatto sua, la colpa –
per non aver protetto meglio
il loro futuro all’interno di sé.
“Bill…
Come sta?”, chiesi
titubante.
“Lui…
Insomma, non sta tanto
bene. E’… Triste, mortificato”, scosse
la testa, guardando in basso. “Lo volevamo
così tanto quel bambino”, farfugliò
ancora, stringendo i pugni sulla mia
schiena.
“Lo so, lo
so… Io, mi dispiace
Ale…”, mormorai, non trovando parole migliori.
“Ora però… Dobbiamo risolvere la
situazione anche tra lui e Tom, deve finire questa guerra
fredda.” Scossi la
testa, facendole un buffetto sulla guancia.
“Hai ragione,
solo questo riuscirà
a portare un po’ di allegria”, sussurrò.
Quel litigio doveva
assolutamente
finire, e solo noi due ormai avevamo il potere di farlo.
***
“Respira Ary,
respira”, chiusi
gli occhi, rilassandomi. “Sei triste, sei triste, sei
triste.” Mi guardai nello
specchietto retrovisore e mi portai le mani su quel sorriso che proprio
era
tutto il contrario della tristezza, me lo stropicciai cercando di
affogare
tutta la gioia che provavo dentro, senza che si potesse vedere
dall’esterno, ma
era veramente difficile.
Avere di nuovo accanto Ale, la
mia gemella, la mia parte mancante fino a poco tempo prima, mi faceva
sentire
come in Paradiso.
Scesi dalla macchina ed
entrai in
casa, esercitandomi ancora a nascondere quel sorriso che se solo Tom
l’avesse
visto, avrebbe capito tutto e probabilmente si sarebbe arrabbiato.
Certo, lui
voleva solo il mio bene, solo che non credeva che tornare da Ale dopo
tutta
quella fatica mi avrebbe aiutata. Quanto si sbagliava…
Sentii Laika abbaiare in
veranda
e la raggiunsi, mi lasciai leccare sulla guancia da quel cosino peloso
e le
feci qualche carezza, per poi alzare lo sguardo su Tom che stava ancora
portando i petali del ciliegio in un angolo con la scopa, visibilmente
irritato.
“Sei tornata
finalmente”,
mugugnò.
“Sì,
ti sono mancata?”, chiesi
sorridendo, ma mi ricordai della maschera e lo affievolii. Mi avvicinai
a lui e
gli avvolsi la vita con le braccia, tentando di baciarlo, ma lui si
spostò,
serrando le labbra. “E dai non fare l’offeso
adesso…”
“Non sto
facendo l’offeso!
Mi hai lasciato qui a pulire
il giardino!”
“Sei un
giardiniere molto sexy”,
gli sussurrai all’orecchio.
“Non mi
convincerai così! Questa
volta no!”
“Daiiiiii!”,
gridai, saltandogli
con le braccia al collo.
“Ary
levati!”, urlò, anche se
tratteneva le risate. “Guarda che ti faccio male,
eh?”
“Non lo
faresti mai”, gli
mordicchiai il lobo, ridacchiando. Tom tentò di liberarsi
dalla mia stretta
d’acciaio, quando perse l’equilibrio e finimmo fra
i petali rosa che aveva
appena finito di ammucchiare, spargendoli di nuovo dappertutto.
“Guarda
cos’hai fatto! Ci avevo
messo un’eternità!”,
piagnucolò. “Tuo padre mi fucila!”
“Ti proteggo
io”, gli accarezzai
i cornrows, guardandolo negli occhi. Tom si levò la maschera
d’arrabbiato, che
non era, e infilò le mani fra i miei capelli sciolti,
baciandomi sulle labbra
con dolcezza.
“Com’è
andata?”, mi chiese dopo
un po’ di romantiche effusioni, sotto lo sguardo attento di
Laika che
scodinzolava sotto la veranda. Mi passò una mano sulla
guancia, guardandomi
attentamente. Mi morsi le labbra, in ansia.
“Sembri… star meglio. O è solo una
mia impressione?”
“La seconda
che hai detto”,
annuii frettolosamente. “È andata come sempre. Ale
non vuole più avere niente a
che fare con me…”
Avevamo deciso di non
dirgli
niente della nostra riappacificazione, né a Bill
né a Tom, perché sicuramente
sarebbe stato meglio provare a convincerli a far pace tra loro senza
mettere in
mezzo noi due.
“Te
l’avevo detto che era tutto
tempo sprecato”, mi abbracciò e mi
passò le mani sulla schiena, facendomi
appoggiare la guancia al suo petto.
“Tom…”
“Uhm?”
“Penso che sia
inutile che tu e
Bill continuate a non parlavi per causa nostra. Io e Ale abbiamo le
nostre
ragioni, ma voi… non c’entrate in questa
storia… Perché non –”
“No”,
disse duro. “Che cosa stai
dicendo?! Certo che c’entriamo in questa storia!”
“Tom, ti
prego… Devi far pace con
Bill! Almeno tu, sii felice. Perché non lo sei senza di lui,
io lo sento!”
“Ary, smettila
di dire cavolate!
Io non tornerò da Bill, mettitelo in testa!”
“Allora
è vero quello che diceva
tua mamma!”, gridai, guardandolo negli occhi.
“È solo una questione di
orgoglio!”
“Ma
che… che orgoglio e
orgoglio!”, ribatté, spostandomi ed alzandosi.
“Che cosa ti passa per la
testa?! Se non lo faccio è perché ho dei motivi!
E io non voglio chiedere scusa
quando non ho di che scusarmi!”
“Tom, ma non
capisci?! Lui ti
manca come tu manchi a lui! Sta male senza te, proprio come tu stai
male senza
lui! Prova a mettere da parte l’orgoglio una buona volta e
–”
“Che ne sai tu
che lui sta
male?”, unì le braccia al petto, guardandomi
intensamente negli occhi.
“A qualche
importanza come io lo
sappia?”
“Beh,
sì! Sai com’è, non sentiamo
né lui né Ale da tantissimo tempo!”
“Beh…
Io… Me l’ha detto Andreas!”
Avrei voluto mordermi la
lingua
in quel momento, odiavo mentirgli! Ma che altro avrei potuto dirgli?
Non potevo
certo dirgli che avevo rivisto Ale, che eravamo tornate sorelle gemelle
più
unite di prima e che lei e Bill avevano perso il loro
bambino… Forse però era
la cosa migliore da fare, magari l’avrebbe fatto ragionare di
più e sarebbe
tornato da lui…
“No Tom,
ascolta non –”, tentai
di rimediare, ma ormai il danno era fatto.
“Non voglio
sentire nient’altro”,
fece un cenno con la mano, abbassando lo sguardo. “Io me ne
torno a casa.”
“Tom, aspetta
un attimo,
ascoltami!”, lo presi per la maglia, guardandolo in faccia.
“Senti…
adesso non ho più voglia
di parlarne, ok? Sono stanco e se non ti dispiace, voglio andare a
casa”,
sospirò.
“Ok, va bene,
non ne parliamo più
ora, ma resta qui”, lo supplicai, stringendolo.
“Va bene, ma
solo per un altro
po’”, si arrese, sorridendomi e dandomi un soffice
bacio sulle labbra a cui non
ricambiai minimamente, presa da nuovi sensi di colpa.
Perché riesco sempre ad
incasinare tutto?!
- Ale -
Spensi
il motore della macchina,
appoggiando la testa al sedile e passandomi una mano sugli occhi. Avevo
fatto
pace con Ary! Eravamo tornate di nuovo noi,
di nuovo insieme. Non avrei potuto chiedere di meglio. Era tutto quello
che
aspettavo da tempo.
Però la mia
pancia rimaneva
comunque vuota e fredda, e quel buco nero che mi sentivo nello stomaco
sarebbe
rimasto incolmabile.
Sentii il naso pizzicare
e gli
occhi inumidirsi così presi un bel respiro profondo,
lasciando uscire l’aria
dalle mie labbra in uno sbuffo sofferente.
Dovevo entrare in casa e
mentire
a Bill, dirgli che non avevo trovato Ary e non parlargli invece della
nostra
riappacificazione. Sarebbe stato sicuramente meglio così,
per il momento..
Per prima cosa dovevamo
trovare
il modo di sistemare le cose anche tra Tom e Bill.. E, soprattutto,
avremmo
dovuto sostenerci a vicenda. Quella perdita era stata devastante.
“Ale, ho
provato a chiamarti ma
avevi lasciato il cellulare a casa! Mi stavo preoccupando!”
Mi aggredì quasi
Bill non appena misi piede in casa. Tuttavia, nel suo sguardo, non
riuscii a
leggere la rabbia che invece avrebbe voluto dare a vedere, ci vedevo
solo il
dolore e la tristezza immensa di quel qualcosa che, io lo sapevo, si
ostinava
ad ignorare per sentirsi meglio. Lo sapevo perché lo
provavo, ma nonostante
tutto non sarei mai riuscita a fare finta di niente per stare meno male.
“Scusa, hai
ragione.” Lo vidi
mordersi un labbro, abbassare il capo e scuotere la testa in un gesto
debole e
quasi sofferto.
“Non
è niente, com’è andata?”
Cambiò
di scorso, sospirando, mantenendo comunque le distanze da me,
chissà per quale
motivo.
“Non
è andata.. Era fuori insieme
a Tom.” Deglutii evitando il suo sguardo e appoggiando le
chiavi della macchina
nella ciotolina blu notte.
“E’
meglio così, lo sai anche
tu..” Si avvicinò titubante, stringendomi le
spalle con le sue mani e
guardandomi incerto negli occhi.
“No Bill! Non
è affatto meglio
così! Io sto male, tu stai male, Ary sta male e Tom sta
male! Stiamo tutti
male. Se solo tu e tuo fratello, almeno voi due, vi sforzaste di
rimettere le
cose a posto.. Io..”
“Dovrei andare
da lui e
chiedergli scusa strisciando ai suoi piedi? E’ questo che
dovrei fare?” Alzò la
voce, mollando bruscamente la presa dal mio corpo e riducendo gli occhi
a
fessure.
“No Bill! Ma
almeno trovare un
punto d’incontro, solo questo!” Tentai di spiegarmi
meglio, nonostante sentissi
il fiato mancarmi. Ero terribilmente stanca, i dolori alla pancia non
erano del
tutto cessati ed ero moralmente a terra. L’ultima cosa che mi
ci voleva era
quella stupida discussione con lui, dopo quello che stavamo passando
non capivo
perché dovessimo sprecare il nostro tempo a discutere invece
che a starci
vicini a vicenda.
“Te lo puoi
scordare Ale! Non
sarò io a tornare da lui dopo quello che mi ha
fatto!” Abbaiò, alzando il tono
di due ottave, rischiando di perforarmi un timpano.
“Il tuo
è solo orgoglio Bill.
Perché non ammetti a te stesso che ti manca?”
Mormorai, intimidita da quel suo
lato che conoscevo, ma che non mi piaceva nemmeno un po’. Non
lo aveva mai
usato con me, tra l’altro.
“Non devo
ammettere proprio
niente! Ale smettila! Non tornerò da lui, ficcatelo in
testa! Mi ha consolato
sapendo quello che tua sorella aveva fatto, non la sopporto
l’ipocrisia e tu lo
sai bene. Lui è stato ipocrita con me, quindi è
lui che deve tornare!” Sbraitò
furente, il suo autocontrollo gli stava scivolando di mano e non capivo
da cosa
dipendesse quella sua sfuriata.
“Bill,
calmati.” Boccheggiai, ma
lui parve non degnarmi minimamente d’attenzione, persistendo
a rimanere con le
braccia rigide lungo i fianchi e le mani serrate a pugno.
“Io, vorrei solo che
tutto tornasse alla normalità, sono stati mesi duri.. Per
tutti quanti e..”
“Smettila una
buona volta di fare
la paladina della giustizia! Se tu vuoi fare pace con tua sorella non
sarò di
certo io a impedirtelo, ma tra me e Tom stanne fuori!” Mi
ringhiava contro, non
lo riconoscevo più. Che tutto dipendesse dal bambino che
avevamo perso? Che
fosse dovuto a quello il suo comportamento così feroce?
“Bill, cosa ti
prende?”
Bisbigliai, sentendo le lacrime cedere. “Perché
fai così? E’ un momento
delicato, me ne rendo conto.. Ma non lo è solo per te, sto
male anche io.”
Sussurrai, strizzando gli occhi.
“E’
per il bambino?” Abbassò la
voce, non abbandonando però il suo tono di voce aggressivo.
“Ne facciamo quanti
altri ne vuoi di figli, non ti preoccupare!”
Sibilò. Quello era troppo.
Non me ne accorsi
minimamente, ma
mi ritrovai con la mano ferma a mezz’aria e il viso di Bill
inclinato di lato,
verso destra. Gliene avevo mollato uno, di schiaffo, ma avevo le mani
che mi
tremavano e se solo non lo avessi amato così tanto lo avrei
gonfiato.
“Sei uno
stronzo!” Mi avventai su
di lui, spingendolo per il petto e facendolo indietreggiare di qualche
passo.
“Come puoi dirmi una cosa del genere!” Singhiozzai,
non riuscendo a calmarmi.
Lui sembrava essersi risvegliato, mi guardava allibito e con
un’espressione
costernata in volto, ma in quel momento non sortì in me
alcun tipo di pietà.
“Vaffanculo! Vaffanculo!” Urlai, passandomi un
braccio sugli occhi e correndo
in camera nostra, sbattendomi la porta del bagno comunicante alle
spalle,
talmente forte che la parete sembrò tremare.
Tirai un calcio al muro
tanto
forte da farmi un male atroce al piede. Mi appoggiai con la fronte al
marmo
freddo gelido, scossa dai singulti che tentavo di soffocare.
Perché mi
aveva detto quelle
cose? Perché si stava comportando così?
Il cellulare mi
vibrò nella tasca
dei jeans, lo sfilai svogliatamente, pronta già a lasciarlo
squillare a vuoto,
ma non appena vidi il nome di mia sorella sulla schermata non potei non
risponderle.
“Ary..”
Mormorai nel ricevitore.
“Ehi Ale, che
hai?”
“Ho litigato
con Bill..” Tirai su
col naso, sedendomi sul bordo della vasca da bagno e scuotendo la
testa,
costringendomi a scacciare dalla mia mente le cose brutte che mi aveva
appena
detto.
“Cosa?
Perché?”
“Lasciamo
stare, domani ti
spiego. Perché domani ci vediamo, vero?”
“Ovviamente
si. Ah, eh.. Ale.
Credo di aver combinato un mezzo casino.”
Sussurrò. “Me ne sono uscita fuori
con la frase ‘Anche Bill sta male’ e per pararmi il
fondoschiena gli ho detto
che era stato Andreas a riferirmelo.. Solo che, insomma.. Pensavo che
dicendogli la verità sarebbe stato tutto più
semplice. Volevo solo parlarne con
te, prima.”
“Ary,
davvero.. Possiamo parlarne
domani? In questo momento non ce la faccio a ragionare.” Mi
lasciai scappare un
singhiozzo.
“Allora
facciamo che domani ci
vediamo al Melody alle nove e trenta di mattina, d’accordo?
Se hai bisogno di
me chiamami, anche a notte fonda, io ci sono lo sai. Ti voglio bene
sorellina.”
“Grazie, te ne
voglio tanto anche
io.” Sospirai a tratti, avendo il fiatone. “E mi
sei mancata, da morire.”
“Anche tu, non
sai quanto.” Con
un debole sorriso conclusi la chiamata, infilandomelo nuovamente nella
tasca
del cellulare e accostando l’orecchio alla porta di legno,
cercando di captare
qualsiasi rumore che si sentisse nella camera da letto.
Niente, forse Bill era
rimasto
giù, nonostante fosse tardi.
Abbassai piano la
maniglia,
gettando un occhiata al letto. Era vuoto.
Mi avvicinai in punta di
piedi,
svestendomi velocemente e infilandomi la camicia da notte, per poi
rannicchiarmi sotto le coperte, le gambe strette al petto.
L’ultimo
pensiero, prima di
cadere addormentata, andò al mio bambino. Al mio bambino che
non avrei mai
potuto conoscere.
***
Bill andava avanti e
indietro dal
salotto alla cucina da ormai un’ora, preda dei sensi di colpa
che lentamente lo
stavano divorando. Non avrebbe mai voluto farle del male, ma lui quella
boccaccia non era mai stato capace di chiudersela.
L’aveva
ferita, di questo ne era
consapevole, e la cosa più assurda era che ne era pienamente
cosciente quando
le aveva sibilato in faccia quell’ultima cattiveria che
l’aveva fatta scattare.
“Ne facciamo
quanti altri ne vuoi
di figli, non ti preoccupare!” Da dove gli era uscita quella
frase non lo
sapeva nemmeno lui.
L’aveva visto
il suo viso
accartocciarci in un'espressione
sofferente, non appena quelle parole velenose
gli erano uscite dalla bocca. Non aveva fatto una piega nemmeno quando
la sua mano
lo aveva colpito con forza sulla guancia, sapeva di meritarsi quello
schiaffo e
di meritarsene molti altri ancora.
Si prese la testa tra le
mani.
Non aveva avuto nemmeno il coraggio di rincorrerla, di seguirla sulle
scale e
di implorare il suo perdono.
Ora però
doveva essere in camera,
tanto valeva provarci.
Arrivò con
passo strascicato
nella loro camera da letto, aprì la porta e si
appoggiò con una spalla allo
stipite, guardando la sua ragazza dormire in quell’enorme
letto, accoccolata in
posizione fetale proprio sul bordo del materasso.. Quasi volesse
allontanarsi
il più possibile dall’altra parte di letto. Quella
di Bill.
Osservò i
suoi lineamenti dolci,
il suo visetto pallido che anche nel sonno sembrava stropicciato in una
smorfia
di dolore.
Con passo felpato si
avvicino a
lei, infilandosi nel letto e facendole una carezza sulla testa.
***
Sbattei piano le
palpebre,
sentendo il tocco inconfondibile di Bill accarezzarmi i capelli. Mi
girai verso
di lui, guardandolo atona.
“Scusa, non
volevo svegliarti.”
Mormorò e, nonostante tutto, fui immensamente felice di
ritrovare la solita
nota dolce e tenera nella sua voce prima così dure e
irriconoscibile.
Non risposi, stetti in
silenzio a
guardarlo.
Ci stavamo fissando
intensamente
forse da qualche minuto quando ad un certo punto, trovai la forza e il
coraggio, forse ancora intimorita da come si era comportato prima, per
aprire
bocca e porre fine a quello strano silenzio.
“Perché
mi hai detto quelle
cose?” Bisbigliai, la voce rotta.
Chinò il capo
sospirando,
guardandosi la maglietta scucita che aveva ancora addosso. Non sapeva
come
rispondere, non avrebbe voluto ferirla ma sapeva di averlo fatto nel
profondo.
Aveva toccato il loro bambino, un tasto molto più che
dolente, anche se non
avrebbe voluto farlo.
“E’
colpa mia, tutto questo.”
Cominciò, abbassando la voce ancora di più.
“Ti ho lasciata sola troppi
pomeriggi, troppe mattine… Troppi giorni interi. Il bambino
era troppo piccolo
perché tu eri troppo stanca e troppo stressata” Si
fermò, guardando il muro davanti
a lui, mentre una lacrima gli rigava la guancia. “Mi sono
comportato come uno
stronzo, io questo lo so. Ne sono consapevole! Ma.. Amore mio, se ho
fatto così
non è stato perché volevo ferirti.. Io sono
solo.. Arrabbiato con me stesso.
Avrei dovuto stare di più con te, il lavoro poteva
aspettare. E invece, per
colpa mia..” Le parole gli morirono in gola, si
girò verso di me, guardandomi
implorante.
“Sono stato
uno stronzo,
insensibile.. Tutto quello che vuoi! Ma io ti amo, e amavo il nostro
bambino. Lo
amavo così tanto Ale..” Biascicò.
“Non
è colpa tua.” Piagnucolai,
cercando conforto nelle sue braccia, stringendolo a me più
che potevo,
crogiolandomi nel calore che mi donava il suo corpo. “Era
tutta la situazione.
Con Ary, con Tom.. Tutto un insieme di cose.”
“A proposito
di quello. Io ho
pensato che, potrei provare a parlarci con Tom. Ma non lo so, non ti
prometto
niente.” Scosse la testa, sorridendomi debolmente, mentre io
lo guardavo
appoggiata al suo petto.
“Va bene
amore.” Bisbigliai. “Ti
amo.”
“Ti amo anche
io.” Mi baciò,
sorridendo sulle mie labbra e accarezzandomi la schiena.
“Pace?”
“Se ti spogli
potrei farci un
pensierino.” Sorrisi, baciandolo ancora.
“Oh, allora
non c’è problema.”
Ridacchiò, spostandomi sotto di lui e guadandomi
dall’alto, sfilandosi la
maglietta.
E fu sentendo il suo
petto
sfregare contro il mio, che capii che io
e lui avremmo superato anche
quel dolore. Saremmo riusciti a combattere
tutto, stando insieme.
“Please
don’t let me go,
I desperately need you”
[Per
favore non lasciarmi andare,
ho disperatamente
bisogno di te]
(Meteor
shower di Owl City)
|
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Capitolo 46 *** La quiete dopo la tempesta ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
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L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
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Capitolo 47 *** Aiuto, mi vuole parlare! ***
Capitolo
47: Aiuto, mi vuole parlare!
Mi rigirai nel letto e mi strinsi
di più al corpo caldo affianco al mio, quello di Tom. Aprii
gli occhi lentamente e lo guardai, passandogli un dito sulla guancia,
senza svegliarlo.
Quei mesi erano passati
velocemente, ma li avevo vissuti fino in fondo, attimo dopo attimo, con
la consapevolezza che senza Ale tutto sarebbe stato senza senso e quel
tempo sprecato.
Eravamo state lontane così tanto, che se ci ripensavo mi
maledicevo da sola: come avevamo potuto essere così stupide?
Come avevo potuto lasciarla andare via, soprattutto?
Era passato ormai un anno, da quello stupido litigio, eppure a volte
tornavo a pensarci come se fosse accaduto solo ieri, ricordandomi tutto
fin troppo perfettamente.
“Ehi, piccola”,
mugugnò Tom girandosi ed abbracciandomi, senza aprire gli
occhi.
“Uhm?”,
mormorai, assorta nei miei pensieri, accarezzandogli distrattamente le
treccine che gli scendevano sulla schiena.
“Ma oggi non dovevi
andare con Ale in ospedale per l’ecografia?”
Sgranai gli occhi. “Ale.
Ospedale. Ecografia. Cazzo!” mi tolsi in fretta le coperte di
dosso e saltai giù dal letto, tanto velocemente che quasi
non mi ribaltai inciampando in Laika che mi abbaiò contro
spaventata, come a rimproverarmi.
“Cazzo, cazzo, cazzo! Sono in un ritardo stratosferico! Ale
sarà furiosa! Senza contare che essendo incinta le sue
emozioni sono amplificate! Sarà una bestia!”
Tom ridacchiò,
stropicciandosi gli occhi, poi si portò le braccia dietro la
testa.
“Se non ci fossi io.”
“Sì, davvero
Tom, se non ci fossi tu!”, mi abbottonai i jeans e andai
accanto a lui per stampagli un bacio sulle labbra.
“Grazie.”
Lui mi prese per le braccia e mi
trattenne, approfondendo sempre di più il bacio, nonostante
le mie proteste. Gli tirai uno schiaffo sul braccio, riuscendo a
liberarmi; lui sogghignò.
“Devo scappare! Ma dove
l’ho messo il cellulare? Accidentaccio.”
“Qua”, Tom me
lo passò e io gli feci l’occhiolino,
ringraziandolo. “Quando torni dobbiamo parlare.”
“Di cosa?”
“Di… di una
cosa… a cui pensavo.”
“Cioè?”,
corrugai la fronte, incuriosita.
“Guarda che sei in
ritardo, sbrigati!”, mi lanciò il cuscino dietro,
ma riuscii a vedere le sue guance prendere colore: che
cos’aveva di tanto imbarazzante da dirmi?
Saltai in macchina e raggiunsi Ale
a casa sua.
“Finalmente la signorina
si è decisa a muovere quelle chiappe secche che si
ritrova!”, mi gridò subito, appena varcai la
soglia di quella casa.
Bill si era appena svegliato e
probabilmente, visto la sua faccia, si era dovuto subire una Ale
arrabbiata ed irritata per il mio ritardo. Ridacchiai salutandolo con
la mano e lui spalancò gli occhi, toccandosi la fronte con
due dita.
“Vi ho visti!”,
gli punto il dito contro Ale, rossa. “Non sono una pazza,
sono solo incinta!”, scoppiò a ridere, felice come
una pasqua.
Quando ci aveva annunciato di
essere ancora incinta era scoppiata a piangere dalla
felicità, nonostante avesse un po’ di timore di
perdere nuovamente il bambino. Quella volta però era
diverso, perché c’eravamo io e Tom; tutto sarebbe
andato per il verso giusto.
Quel bambino era tutto ciò che lei e Bill desideravano e io
avrei fatto di tutto quello che era in mia facoltà per far
sì che l’avessero, anche prestare il mio utero e
convivere con le smagliature se necessario!
Io e Bill ormai eravamo tornati i
soliti “piccoli” di sempre, legati come due
fratelli, e mi ero seriamente emozionata quando avevo sentito le sue
braccia stringermi forte a sé, quella volta al parco. Era
stato così bello, tanto da meritare un pianto di cui non mi
ero minimamente pentita, né mi ero sentita stupida a quelle
lacrime.
“Allora,
andiamo?”, mi chiese Ale.
“Sì,
certo!”
“Tom?”, mi
chiese Bill mentre si accingeva a bere il proprio caffèlatte.
“Sì
è alzato giusto dieci minuti fa, quindi”,
ridacchiai. “Vi raggiungiamo in studio?”
“Sì, siamo
lì. Ah, ehm…”, mi fece segno di
avvicinarmi con il dito, sogghignando; io titubante lo raggiunsi, ad un
passo da lui. “Ti ha accennato che ti deve parlare?”
“Ah, sì, prima
e di corsa. Tu sai di cosa?”, mi portai le mani sui fianchi,
imitandolo sollevando il sopracciglio.
“Assolutamente
no!”, ridacchiò ancora, assieme ad Ale, che si
coprì la bocca.
Tutti
lo sanno e io no! pensai
furibonda, ma feci finta di credergli.
“Uhm, vabbè”, sollevai le spalle
indifferente, raggiungendo Ale alla porta. “Ciao piccolo, a
dopo!”, lo salutai con la mano, senza girarmi.
“Trattamela
bene!”, mi raccomandò prima che Ale si chiudesse
la porta alle spalle e mi raggiungesse alla macchina.
Appena salì la guardai
stringendo gli occhi in due fessure: “Dimmelo.”
“Ho la bocca
cucita”, mi fece una linguaccia, si girò e
guardò fuori dal finestrino, un sorrisetto vincitore sulle
labbra.
“Ti odio quando fai
così”, bofonchiai, mettendo in moto.
***
Ricordavo l’emozione che
avevo sentito nascermi nel cuore quando avevo varcato per la prima
volta le porte dell’ospedale per assistere ad
un’ecografia di Ale, quando avevo visto per la prima volta
quel cosino minuscolo nella sua pancia… Avevo iniziato a
saltellare dalla gioia, facendomi prendere per scema dal dottore e
facendo sorridere mia sorella.
Mi resi conto, guardando mia
sorella stendersi sul lettino e tirarsi su la maglietta, mettendo in
bella mostra il suo pancione gonfio quasi quanto il suo cuore lo era di
amore per quella creatura che avrebbe dato alla luce di lì a
poco, che l’emozione era sempre la stessa, anche se era
passato tanto tempo dalla prima volta.
Però non riuscivo a godermi appieno il momento
perché non riuscivo a togliermi dalla testa quella domanda:
che cosa doveva dirmi Tom di tanto importante? E perché Ale
e Bill lo sapevano? Che ne avesse parlato con loro? Se era
così, voleva dire che era una cosa veramente importante!
Sto
iniziando a preoccuparmi.
“Signorina, si sente
bene?”, sentii qualcuno toccarmi la spalla e vidi il viso del
dottore che mi osservava, come Ale al mio fianco, a cui stringevo
convulsamente la mano, come se ci fossi io su quel lettino.
“È diventata
improvvisamente pallida, è tutto ok?”,
continuò il dottore, guardandomi meglio.
“Sìsì,
tutto bene! Stavo solo pensando!”, ridacchiai nervosamente,
per poi guardare il pavimento, meditabonda.
“Lei è proprio
strana, sa?”, disse il dottore, ma io non lo ascoltai
nemmeno, troppo occupata a farmi tutte quelle domande senza trovare
nemmeno una risposta.
“Tutto procede bene, come
dovrebbe procedere”, sorrise rassicurante il dottore,
guardando il monitor: era una cosa così bella! Era una
femminuccia, io lo sapevo, me l’ero fatto dire –
ero troppo curiosa – visto che Bill e Ale non volevano sapere
nulla.
“Ne è
sicuro?”, chiese Ale.
“Sì”,
annuì.
“Non ti preoccupare, va
tutto bene”, le dissi anch’io, accarezzandole la
mano. “Guarda che coso carino”, mormorai,
ascoltando il cuore che batteva all’interno di Ale.
“Sì, non vedo
l’ora di vederlo”, ridacchiò con le
lacrime agli occhi.
Poco dopo si rivestì e
salutammo il dottore, poi uscimmo dall’ospedale e salimmo in
macchina, dirette verso lo studio di registrazione, dove si trovavano
Bill e Tom.
“Sai, mi chiedevo una
cosa…”, esordì Ale, arrotolandosi una
ciocca di capelli fra le dita, un sorrisetto che mi fece quasi paura.
“Anzi, volevo sapere il tuo parere a riguardo, anche se so
già in parte come la pensi.”
“Mi stai facendo venire
l’ansia, sbrigati.”
“Beh, e se Bill mi
chiedesse di sposarlo?”
Boccheggiai, sorpresa, cercando le
parole adatte da usare. “Te l’ha chiesto?”
“No! Ho detto se
me lo chiedesse.”
“Oh, beh,
credo… credo che sarei felice per te. Io sono felice se sei
felice tu, lo sai.”
“E faresti la damigella
d’onore?”
“Ovviamente”,
bofonchiai stringendo il volante.
“Davvero?”,
sghignazzò.
“Se mi compri un abito
decente che posso sfruttare anche fuori da una chiesa o dovunque ci si
sposi e per altre occasioni, potresti convincermi.”
“Non capisco, non ho mai
capito: perché sei così contraria al matrimonio?
Guarda che è una cosa bella! È l’unione
di due persone –”
“Sì,
l’unione di due persone scritto nero su bianco e con un
anello al dito! Dimmi che cosa cambia essere sposati o no. Non basta
appartenersi, amarsi?! Perché bisogna formalizzare anche una
cosa così bella e naturale come l’amore?”
“Perché…
perché sì! Non c’è un motivo
specifico!”
“Vedi? E poi non devo
promettere a nessuno di amare per sempre una persona, perché
con il matrimonio si fa questo, no? Si promette di amare sempre una
persona, nel bene e nel male e tutte quelle cose lì.
Perché? Io quella promessa la devo fare solo a me stessa e
alla persona che amo, a nessun altro!”
“Quindi se Tom ti
chiedesse di sposarlo tu gli diresti tutte queste cose, quindi
no?”
Arrivammo di fronte allo studio e
fermai l’auto, gli occhi sgranati e il mento che mi cadeva
sulle gambe: “Ma che domande sono queste, si può
sapere?!”, gridai, rossa di rabbia.
“Era una semplice
domanda, non ti scaldare”, sorrise angelica. “E
comunque non mi hai risposto.”
“Io… io non lo
so, accidenti! No! Gli direi di no, ecco!”, unii le braccia
al petto, imbronciata e parecchio confusa. Era bastato un nome, Tom,
unito ad una sciocca parola, matrimonio, a cui non avevo mai creduto in
vita mia, per farmi cambiare idea e confondermi in quel modo?
“Certo”,
ridacchiò Ale aprendo la portiera e scendendo
giù, tenendosi alla maniglia.
Sollevai lo sguardo sul parabrezza,
gli occhi spalancati e la bocca aperta, quando pensai che forse quello
che doveva dirmi Tom era…
“Oh. Cazzo.” Aprii la mia portiera e chiusi la
macchina. “Ale, aspettami!”, gridai raggiungendola
di corsa.
***
“Ciao
ragazzi!”, salutò radiosa Ale, facendo
praticamente irruzione nello studio nel quale stavano registrando.
“No,
cioè!”, gridò Tom, esasperato,
togliendosi le grandi cuffie con una mano e tenendo la chitarra che
aveva in grembo con l’altra. “Tutto il lavoro di
una mattinata buttato nel cesso così?!”
“La tecnologia fa
miracoli, Tom”, rise David da dietro il vetro oscuro.
“Scusate,
stavate…”, disse Ale, coprendosi la bocca per non
scoppiare a ridere.
“Eh
già!”, rispose Georg scoppiando a ridere, assieme
a Bill e Gustav.
“Cos’hai, sei
nervoso Tom?”, chiese Ale, portandosi le braccia strette al
petto, sopra il pancione.
Sobbalzai a quelle parole e feci un
gesto con la mano, a mo’ di saluto, comparendo di fianco ad
Ale.
“Ah, ci sei anche tu Ary!
Da chi ti nascondevi?”, ridacchiò Bill.
“Da nessuno”,
tirai un sorriso, mordendomi la lingua per non sputare veleno gratuito:
quei due mi stavano davvero facendo arrabbiare, con quei loro
comportamenti infantili!
Incrociai lo sguardo di Tom e lo
distolsi quasi subito, colpita dalle parole di Ale come se mi stessero
tirando dei pugni in testa.
Il matrimonio? Io e Tom? Tom ed
io? Ma perché, perché?!
Lui non è sempre stato contrario al matrimonio prima dei
sessant’anni o qualcosa di simile?! Perché mi sta
facendo questo?!
“Ary?”, sentii
la sua voce chiamarmi e rabbrividii, ma alzai comunque lo sguardo.
“Tutto bene?” Sospirai ed annuii, contenta che non
mi avesse chiesto di parlargli: dovevo evitare in tutti i modi di
iniziare l’argomento! Ma forse cantavo vittoria troppo
presto… Infatti, tornò all’attacco:
“Ary ti… ti dispiace se parliamo?”, mi
chiese, passandosi una mano sul collo. Io mi aggrappai al braccio di
Ale, impaurita.
“Mica ti
mangia!”, disse Gustav, io non lo sentii nemmeno.
“Aiuto”, esalai
all’orecchio di Ale, nel momento in cui Tom si
alzò e si girò per mettere via la chitarra.
“Su, dovete solo
parlare!”, mi sussurrò di rimando, accarezzandomi
una guancia in modo rassicurante. Io deglutii rumorosamente, tanto che
anche Bill sentì e scoppiò a ridere.
“Zitto tu!”,
berciai, indicandolo. Tom si girò e ci guardò
confuso, Bill si coprì la bocca con la mano, indicandogli di
andare e di non badare a lui.
“Com’è
andata l’ecografia?”, chiese ad Ale, sospirando con
le lacrime agli occhi dal troppo ridere.
“Bene! Tutto
procede”, sorrise. “Speriamo in bene.”
“Vedrai che
andrà tutto bene!”, dicemmo tutti in coro, ormai
avevamo una sincronia quasi perfetta, facendo sorridere Ale.
“Vado un attimo in
bagno”, disse.
“Vuoi che ti accompagni,
sorellina?”, gridai, guardandola supplichevole e
minacciandola che se non diceva di sì…
“Nah, mica devi parlare
con Tom?”, sogghignò, avviandosi verso i bagni.
“Io la odio, la
odio”, mormorai, prima di girarmi e di trovarmi di fronte a
Tom, che mi guardava con quei suoi due occhioni a cui non sapevo
resistere.
Stai
tranquilla Ary, stai tranquilla… Magari non deve parlarti di
matrimonio, magari Ale diceva così per dire! Tutto qui! Ti
stai facendo mille film per niente, rilassati!
Sì, devo rilassarmi,
mi dissi sorridendogli.
“Pronta?”, mi
chiese prendendomi per mano.
“Sì”,
presi un respiro profondo. “Dove andiamo?”
“In un posto dove
possiamo parlare da soli, senza che nessuno ci senta.”
“Ok, va bene”,
sospirai lievemente, senza farmi sentire: ero così nervosa
che mi sudavano le mani! Sperai con tutte le mie forze che Tom non se
ne accorgesse, o sarebbe stato ancora più imbarazzante
spiegare il perché
del mio nervosismo!
Andammo nella stanza mixer, quella
oltre il vetro scuro: era una stanza buia, con le soli luci dei tastini
colorati e quella delle lampade al neon della stanza insonorizzata
dall’altra parte.
Era la mia stanza preferita, anche se erano rare le volte in cui mi ci
facevano entrare, essendo riservata solo al personale. Ma Tom ormai era
del mestiere – avrebbe potuto avere pure una carriera come
manager e produttore un giorno! – e quindi David ci sorrise e
ci lasciò un po’ da soli.
Dall’altra parte del vetro vidi Bill, Georg e Gustav che
stavano chiacchierando fra di loro, senza sapere minimamente che noi
potevamo guardarli: noi vedevamo loro, ma loro non vedevano noi.
Stupendo.
“Beh, di cosa dobbiamo
parlare?”, chiesi tenendo le mani umide sulle ginocchia, una
volta accomodati su due poltroncine di tessuto sintetico rosso.
“È una cosa un
po’ delicata”, mi prese una mano fra le sue,
tenendo la testa rivolta al pavimento.
Deglutii, appoggiando il gomito
dell’altro braccio sul tavolino, schiacciando per sbaglio un
tasto. Lo levai subito, senza farmi notare, anche perché Tom
non se n’era minimamente accorto.
“Io, ecco…
è tanto ormai che ci conosciamo, no?”,
ridacchiò. “Ho pensato tanto in questo ultimo
periodo, a come ci siamo sostenuti a vicenda in ogni situazione, a
quanto tu sia diventata importante, speciale ed unica per
me… E io mi chiedevo se… ecco
se…”
No,
ti prego, no! Tipregotipregotipregotipregotiprego, non dirlo!
lo supplicai mentalmente, socchiudendo gli occhi, quando con la coda
dell’occhio vidi Bill, Georg e Gustav farsi sempre
più vicini al vetro, le orecchie ben aperte.
“Tom, scusa se ti
interrompo ma credo di aver azionato qualche pulsante a mia
insaputa”, balbettai, indicandogli i ragazzi che ancora un
po’ si appiattivano al vetro.
“Cazzo, Ary!”,
gridò rosso di vergogna, schiacciando un pulsante che fece
spegnere una lucetta rossa. “Quello era il pulsante che si
accende per far sì che da questa stanza si possa interagire
con l’altra”, mi spiegò, serrando le
mascelle.
“Quindi…”
“Hanno sentito tutto,
sì.”
“Ops”,
ridacchiai nervosamente.
“Posso continuare,
ora?”, mi chiese, facendo un lungo respiro. Cosa potevo
dirgli, di no? Annuii incerta, lui fece lo stesso, quella volta
però rincominciò a parlare guardandomi negli
occhi.
“Ary, tu… So che non te lo saresti mai aspettato
da uno come me, ma penso di essere cambiato in questi mesi, con te, e
volevo chiederti se…”, infilò la mano
nella tasca dei jeans, io sudai freddo, sgranando gli occhi.
Un guizzo improvviso mi fece
sobbalzare sulla sedia, assieme ad un brivido.
“Ale non è ancora tornata dal bagno?”,
chiesi in ansia, sentendomi il fiato mancare.
“No, ma…
questo che c’entra?!”
“Sento che è
successo qualcosa, Tom!”
“Non è vero!
È tutto il pomeriggio che sei strana, come se stessi
tentando di evitarmi! Non vuoi parlare con me?!”
“No, ma
cosa…” Ok,
sì, hai ragione, ma non è il momento adatto per
litigare questo!
“Sento che è successo qualcosa ad Ale, ok?! Vado a
vedere cosa”, esclamai alzandomi, decisa, ma Tom mi prese la
mano e mi fece risedere.
“Se ti fa stare
più tranquilla vado io! Tu non ti muovere da qui,
chiaro?”, mi guardò furente negli occhi, prima di
sbattersi la porta alle spalle.
Perfetto!,
sospirai, affondando nella sedia con le mani sulla faccia.
__________________________________________
Buonasera,
è Ary che vi parla! :)
Questa volta abbiamo fatto in fretta e spero che questo capitolo -
piuttosto corto, lo ammetto, ma ormai siamo alle battute finali, che
volete farci.... siamo perfide fino al midollo e vogliamo farvi morire
d'ansia xD
Coooomunque, Ary ha qualche problema mentale, oltre che con Tom ahah xD
Questo non significa necessariamente che anche io sia
ridotta così, ma la verità è che io
sono davvero così paranoica, quindi.... lasciamo perdere,
è meglio u.u
Speriamo vi sia piaciuto e niente, se avrete anche solo 2 minuti da
dedicarci con una recensione noi ne saremo più che felici!
*^*
Ringraziamo infinitamente Yellow_ e Alice_Schafer
, le quali hanno recensito lo scorso capitolo, ci hanno riempite di
complimenti e hanno atteso per tutto questo tempo - due sante, in
pratica u.u E poi anche chi legge soltanto e chi ha messo questa FF tra
le preferite/seguite/ricordate ;)
Vi
lovviamo so much u.u Alla prossima! :)
Ale&Ary
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Capitolo 48 *** Margherita ***
Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.
Segnala il problema cliccando qui. Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella. La storia con indirizzo 'stories/_P/_Pulse_/1719603.txt' non e' visibile.
L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare. Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.
|
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Capitolo 49 *** No! O forse sì. ***
Capitolo 49: No! O forse
sì.
Era
un fagottino, un cosino così piccolo e tenero che mi veniva
voglia di mangiarmelo! Ma ripensandoci, no, che schifo! Non ero una
cannibale, almeno non ancora, e non avrei per niente al mondo mangiato
la mia nipotina, tutto il piccolo mondo di Ale e Bill... non dopo tutta
la fatica che avevano fatto per averla!
Però avrei potuto benissimo rubarla, a tempo determinato si
intende, e le avrei impartito delle vere e proprie lezioni di stile, le
avrei insegnato a truccarsi come si deve (anche se aveva già
suo padre non mi importava), l’avrei riempita di vestiti
e… Sarei stata una zia perfetta!
Un
bambino con Tom? mi chiesi fissandomi l’addome.
Sì, ci manca solo questa, sospirai
sedendomi sul bordo della vasca per iniziare a pettinarmi i capelli.
Però, ora che ci pensavo… Era diecimila volte
meglio un bambino che il matrimonio!
“Oh
sì”, annuii, prima di alzarmi e di vestirmi
velocemente, diretta verso l’ospedale.
In
macchina non feci altro che ripetermi: “Andrà
tutto bene, Ary! Andrà tutto a meraviglia, Ary! Sii
positiva, serena e rilassata! E fai finta di niente, mi raccomando,
magari si dimentica! Se, magari. Beh, comuuuunque,
non ti preoccupare! È di Tom che si tratta! Appunto.
Ah, ci rinuncio.” O qualcosa di simile.
Arrivai
all’ospedale sentendomi una cretina, con tutte quelle
auto-rassicurazioni, e mi venne una mezza idea di dire ad un dottore
– con tutta la sincerità e la franchezza di cui
disponevo – di farmi ricoverare in una camera
d’isolamento perché non volevo che il mio ragazzo
mi chiedesse di sposarlo, ma mi resi conto che invece di chiudermi in
quella stanza, mi avrebbero sicuramente rinchiusa in un manicomio,
soprattutto perché quel ragazzo era Tom
Kaulitz.
Potrebbe
essere un’idea… rimuginai, portandomi
una mano sul mento, un sorrisetto sulle labbra.
- Ma smettila di fare la cretina, una buona volta! Sei solo
una fifona con delle stupide paranoie! mi rimbeccò
la mia coscienza che aveva assunto la voce di Ale.
Ehi, occhio a come parli, sai?
“Ary?”
Mi girai di scatto e vidi Bill, che mi fissava con un sopracciglio
alzato.
“Oh,
ciao!”, lo salutai con la mano, saltellando da lui.
“Tutto
bene?”
“Sì,
perché?”
“No,
così… facevi delle facce strane.”
“Stavo
solo parlando con la mia coscienza”, sollevai le spalle.
Ridacchiò,
trattenendosi dallo scoppiarmi a ridere sguaiatamente in faccia:
“Certo che tu e Tom vi siete proprio trovati.”
“Sì,
infatti”, annuii, abbassando lo sguardo.
“Lui
è ancora intenzionato a chiederti quella cosa, eh.
Preparati”, mi diede una pacca amorevole sul braccio, con gli
occhi che gli brillavano. “Diventeresti mia
cognata!”
“Se”,
feci una smorfia.
“Mi
spieghi cos’hai contro al matrimonio?”
“Ma
che ne so”, sbuffai. “Ci ho pensato così
tanto che ho finito per confondermi da sola. Non
c’è un vero e proprio motivo, Bill. Sono tanti
motivi che mi hanno fatto pensare che il matrimonio non è
per forza essenziale nella vita di due persone!”
“Sì,
sono d’accordo con te.”
“Oh,
finalmente”, sospirai. “Però
c’è dell’altro, non è
così?”
“Sì”,
sorrise. “Tom ti ama, ti ama alla follia e non mi sarei mai
aspettato questo da lui, ma si vede che tu l’hai cambiato
e…”
“Non
poteva restare com’era? Mannaggia a me”, borbottai,
ma lui non badò a me e sorrise divertito, continuando il suo
discorso da saggio.
“Vuole
solo consolidare il vostro rapporto, vuole una certezza in
più perché senza di te sarebbe perso, perso come
un bambino a Disney World.”
“Oh”,
mi passai una mano sulla nuca, riflettendoci. “Bella
metafora.”
“Grazie.
Ti è arrivato il concetto?”
“Sì,
mi è arrivato, ma questo non cambia le carte: io, soggetto;
non, negazione; voglio sposare, predicato verbale; nessuno, complemento
oggetto. Ti è arrivato il concetto?”
“Non
sapevo andassi così bene in grammatica”,
sogghignò.
“Vaghi
ricordi”, ridacchiai. “Basta parlare di questo
però. Dov’è la luce dei miei
occhi?”
“La
stavo per richiedere, Ale vorrà sicuramente vederla:
è come una droga.”
“Posso
capirvi… Anche a me manca già.”
Vedemmo,
aldilà del vetro, l’infermiera riportare
Margherita nella stanza delle culle e poi uscire in corridoio,
sorridendo maliziosamente porgendogli la sua bambina.
“Il
ragazzo qui è fidanzato ed è padre, se
permette.”
“Ma…
lei non dovrebbe essere a letto?”, berciò contro
di me l’infermiera, irritata.
“La
scusi, ora la riporto subito in stanza. Andiamo, tesoro”,
ridacchiò Bill prendendomi per le spalle e portandomi via.
“Non
provare mai più a scambiarmi con mia sorella,
l’ultima volta che l’abbiamo fatto sai
cos’è successo”, lo minacciai,
puntandogli il dito contro.
Lui
scoppiò a ridere piano, guardando la sua bambina con gli
occhi brillanti, e un sorriso dolce si impadronì anche delle
mie labbra: nonostante fosse un esserino così piccolo,
riusciva ad emanare calore e tranquillità
nell’animo di chi la guardava, come una magia.
Beh,
lo sanno tutti che i bambini in fondo sono magici.
Entrai
in stanza, dopo Bill, e chiusi la porta alle mie spalle, sentendo
subito la voce di Ale che richiamava a sé la propria piccola.
“Mi
sei mancata così tanto, amore”, le
sussurrò, una volta che fu fra le sue braccia.
“Oh, ciao Ary”, mi salutò con un
sorrisetto, facendo girare anche Tom, il quale mi guardò da
capo a piedi, quasi sofferente.
Vedi,
tutta sofferenza inutile! Tom, dimenticati il matrimonio, ti scongiuro!
Non complichiamoci la vita per niente! pensai, guardandolo
allo stesso modo.
“Scusami!”,
mi disse, alzandosi in piedi e allargando le braccia; io sobbalzai
spaventata.
“Scusa
di che cosa?”, balbettai.
“Scusami
se voglio solo… solo…”
“Bravo,
non lo dire.”
“No,
io lo devo dire! Mi va bene anche un rifiuto, ma…”
“Io
non voglio rifiutare!”, arrossii di botto, facendo
ridacchiare i neogenitori.
“E
allora?”, si avvicinò, cingendomi i fianchi con le
mani. Fissai il mazzo di fiori sul comodino di Ale, oltre la sua
spalla, e sospirai prima di incrociare il suo sguardo liquido.
Avevo
paura di finire come quei fiori, che noi due e il nostro rapporto
finissero come quei fiori: i primi giorni erano belli, con un
buonissimo profumo e senza esitare li compravi, ma dopo qualche giorno,
senza che tu potessi accorgertene, si imbruttivano, perdevano tutto
ciò che avevano di bello e che ti avevano portato a
prenderli e alla fine dovevi buttarli. Non volevo che a me e a Tom
succedesse lo stesso: il matrimonio, fra i tanti difetti, aveva quello
di irrigidire un rapporto, di chiuderlo in delle gabbie, di porre fine
alla passione fra i due partner… di renderlo diverso.
“Ary?”
Alzai
lo sguardo e incontrai quello di Tom, con la coda dell’occhio
vidi che anche Ale e Bill erano attenti alla nostra conversazione,
trascurando persino Margherita, poverina.
Che
faccio, accidentaccio?
- La persona matura?
Spina nel fianco! Una coscienza un po’ più carina,
no, eh? C’erano i saldi quel giorno?
- Probabilmente! Ascolta, potresti almeno parlarne con Tom, no? Forse,
ok… sono sicura che non la trovi un’idea
allettante, però potrebbe funzionare! Lui capirebbe!
- Ah, taci! Adesso mi invento un mal di pancia potente e scappo in
bagno!
Mi
portai le mani sul ventre, pronta a piegarmi in due e correre via
abbordando quella scusa, quando mi resi conto, fissando gli occhi di
Tom, che scappare era pressoché inutile, perché
facendo così ero solo io che rovinavo tutto: mi stavo
facendo del male da sola.
“Parliamone”,
mormorai, prendendo una sedia e sedendomi, le gambe accavallate e le
braccia strette al petto, il viso serio.
“Oddio.
Quella faccia non promette nulla di buono”,
commentò Bill, ma non lo ascoltai nemmeno. Guardai Tom
prendere un’altra sedia e sedersi al mio fianco, teso come
una corda si violino.
“Sono convenuta che continuare ad evitare il discorso non
porta a nulla di buono”, annuii.
“D’altronde, ho una fifa matta di iniziarlo,
dunque, a te la prima mossa.”
-
Codarda! Non cambierai mai!, ridacchiò
l’Ale dentro di me.
Zitta!
“Ahm…
ok. Io non volevo fare nulla di male, solo… sentirti mia in
un altro modo.”
“Non
è necessario Tom, io sono tua sempre!”
“Questo
lo so, ma…”
“Ma
un cavolo! Io non sono pronta per questo! Prima di questo potresti
chiedermi di venire a vivere con te, come ha fatto Bill, potremmo anche
avere un figlio insieme, che ne so!” Guardai i suoi occhi
sgranarsi e il suo pomo d’Adamo fare su e giù
nella sua gola, ma continuai. “Magari poi ti accorgerai
che... che il… quello non serve! Non
serve per essere felici, Tom”, mormorai l’ultima
frase, prendendogli le mani nelle mie e guardandolo intensamente negli
occhi. “Io ti amo Tom, con tutta me stessa.”
“Siamo
in due qui, siamo una coppia per questo, non le prendi solo tu le
decisioni, che cacchio! E se tu non vuoi sposarti per quale cavolo di
motivo che prima o poi mi dirai – oh sì che me lo
dirai – tu non puoi decidere anche per me! Io ti voglio
sposare Ary, sul serio! Non ho mai voluto tanto fare una pazzia in vita
mia, perché so che è una pazzia per la quale ne
vale la pena. Quindi…”
Lo
guardai terrorizzata, mentre infilava la mano in tasca e tirava fuori
una scatolina blu; si girò meglio verso di me e mi prese la
mano: “Ary, tu…”
“LALALALALALALA”,
mi tappai le orecchie, chiusi gli occhi e scossi la testa, cantando.
Tom mi guardò scioccato e poi si girò verso Bill
ed Ale, che mi guardavano altrettanto perplessi ma divertiti.
“Ary,
Ary ti prego…”, Tom mi levò le mani
dalle orecchie e il suo sguardo ferito mi fece tappare la bocca.
Sospirò ed abbassò la testa.
“Tom,
ma tu… lo vuoi così tanto?”, sussurrai,
alzandogli il viso. Lui annuì e si passò una
manica sugli occhi, con fare distratto, come per non dare a vedere che
aveva voglia di piangere. “Non voglio che tu stai male per
colpa mia…”
“E
allora dì di sì!”
“Sì.”
“Che
hai detto?”
“Sì”,
mi morsi il labbro, sentendomi improvvisamente più leggera.
“Stai
parlando sul serio?”
“Sì.
Sì, sì, sì, sì!
SI’!”
Mi
abbracciò di slancio e mi baciò una
quantità infinita di volte sulle labbra, a stampo, facendo
di me una marmellata contro lo schienale della sedia. Bill e Ale si
guardarono inteneriti e poi guardarono Margherita, sul quale volto
compariva un minuscolo sorriso.
“Tom!
Tom, ti prego, Tom!”, tentai di divincolarmi, a corto di
ossigeno.
“Sì?”,
sfarfallò le ciglia, guardandomi da vicinissimo.
“Io
avrei una condizione, però.” Forse
più di una… Dettagli!
“Sentivo
che c’era l’inganno”, sbuffò,
rimettendosi sulla sedia, a braccia incrociate. “Quale
sarebbe, sentiamo?”
“Voglio
ancora fare sesso almeno quattro volte a settimana, se non cinque
perché quando saremo marito e moglie avrò bisogno
di molte più attenzioni”, contai sul pollice.
“Questo
sarà fatto!”, sorrise raggiante, tornando alla
carica, ma lo fermai ad un palmo dal mio viso.
“Non
voglio fare la schiava in casa: i mestieri te li ficchi dove puoi
benissimo immaginare da solo! Io voglio fare la donna viziata che va a
fare la manicure e la pedicure settimanali a spese tue”, gli
puntai il dito contro.
“Sto
pensando di ritirare tutto”, disse, per poi negare e
stamparmi un bacio sul naso.
“E
poi… beh una casa tutta nostra è ovvio,
no?”
“Ovvio,
sì.”
“Voglio…
voglio che il nostro rapporto non si rovini mai e che non si deteriori,
che le cose non siano scontate, solo perché siamo
sposati”, mi pizzicarono gli occhi. “Voglio che tu
sia come sei adesso, scemo e divertente, ma anche romantico se
vuoi.”
Tom
sorrise dolce e mi passò una mano sulla guancia:
“Altro?”
“Sì,
un’ultima cosa.” Feci un grande respiro, guardando
Bill e Ale, che si insospettirono subito. “Ci sposeremo
quando si sposeranno loro due. Insieme. Come dobbiamo sempre
essere.”
Tom
mi guardò negli occhi e poi si girò verso i due
interessati; io avevo le guance arrossate e sorridevo imbarazzata
dietro di lui. Li indicò e prese fiato prima di parlare, ma
mantenne un tono pacato, per non spaventare la piccola Margherita che
probabilmente si era addormentata fra le braccia della mamma.
“Muovetevi
a sposarvi, o ve la farò pagare!”
“Non
vedo perché tu abbia così tanta
fretta”, mi imbronciai.
“Perché
così David mi lascerebbe fare una vacanza! Ho programmato
che la luna di miele deve durare almeno un mese, di solo relax, sole,
mare e taaaanto, taaaanto, taaaanto sesso selvaggio!”
“Dio
Tom, ti detesto”, bofonchiai, prima di alzarmi e di uscire
dalla stanza, ridacchiando sotto i baffi, mentre sentivo che mi correva
dietro.
***
“Non
cambieranno mai eh?”, chiese Bill dolcemente, fissando la sua
famiglia in tutto il suo spettacolo.
“No,
proprio mai”, ridacchiò Ale. “Meglio
così.”
Accarezzò
la pelle morbida e delicata di Margherita con un dito e poi
sollevò lo sguardo, la fronte corrugata.
“Ma non ho capito… Quindi io e te ci dobbiamo
sposare?”
“Se
vuoi Bill, io non ti metto pressioni… Certo che
sì, cretino!”
“È
una richiesta ufficiale?”
Ale
scosse la testa e lo prese per la nuca, avvicinando il proprio viso al
suo e stampandogli un bacio sulle labbra: “Menomale che
nemmeno tu cambierai mai.”
___________________________________________
Buonasera gente! :)
Questa volta devo anche io delle scuse perchè sì,
"posta Ary allora farà presto" e blablabla, ma tra tutte le
cose che ho da fare non ho mai trovato un attimo di tempo. Ora
però siamo qui e... come vi è sembrato il
capitolo? *-* Siamo alle battute finali ormai e Ary ha ceduto...
sposerà Tom! Alle sue condizioni però xD
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e ci dovremo salutare,
dopo mesi e mesi e mesi (tantissimi mesi, cavolo D:)! Speriamo che
questo intanto vi sia piaciuto e in ogni caso ci facciate sapere
qualcosina ;)
Ringraziamo Alice_Schafer
per la recensione allo scorso capitolo e niente, come sempre, vi
vogliamo tanto bene, grazie! :DDD
Alla prossima!
Ale&Ary
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Capitolo 50 *** La fine ***
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