Uniti nel Destino

di kishal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uniti nel Destino ***
Capitolo 2: *** I Malandrini! ***



Capitolo 1
*** Uniti nel Destino ***


Ho tutto

 

Uniti nel Destino.

 

 

 

 

Ho tutto. Ho una casa bellissima, tanta ricchezza da fare invidia ai più grandi re del mondo, e magia pura a scorrere nelle mie vene.

Ciononostante, non sono felice. Mi sforzo di esserlo, questo devo dirlo: ogni volta mi dico che ci sono tante persone al mondo che muoiono di fame, o a cui comunque mancano perfino le cose necessarie per poter vivere quotidianamente. Eppure, malgrado queste ragioni valide, giuste e morali, non riesco ad essere felice.

 

Forse, perché mi mancano loro, i miei genitori.

Non li ho conosciuti mai, ma il nonno mi parla così tanto di loro che oramai so a memorie tutte le avventure che hanno vissuto, fino al giorno in cui sono morti.

 

Avevano frequentato insieme la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ma in case separate e addirittura avversarie, e avevano passato gran parte di quel periodo a litigare, combinandone di tutti i colori e facendo rizzare i capelli in testa a tutti i professori, perfino al pacato e permissivo Preside Silente; fino a che, all’ennesimo guaio, erano stati cacciati.

 

Ma il Destino aveva fin dall’inizio legato le loro vie, e così ancora una volta, con loro grande rammarico, si ritrovarono a frequentare una scuola privata insieme.

Fu lì che, fra pugni, calci, insulti pungenti e tentativi vari di assassini, s’innamorarono.

Un amore inizialmente molto combattuto, perché entrambi non potevano sopportare l’idea di provare dell’affetto l’uno per l’altra; ma, alla fine, anche le loro spade decaddero, gli scudi posti a protezione dei loro cuori si ruppero, e furono travolti da quel forte sentimento come da un’ondata di tempesta.

 

Fu mia madre ad illuminare la via di mio padre, a fargli capire quale strada fosse giusto che percorresse, e quale, invece, che abbandonasse. Fu grazie a lei che mio padre non divenne Mangiamorte, e fu anche grazie a lei che il mio caro nonno, con cui ora vivo, capì il vero significato della vita, a cui fino ad allora aveva tolto numerosi membri: lui divenne un traditore di Voldemort, e rivelò numerosi suoi piani agli Auror, salvando centinaia di persone innocenti.

Quando il Mostro lo scoprì, la prese sull’ironico: mio nonno mi raccontò, una notte, mentre eravamo seduti presso il camino acceso, che fu richiamato dal Signore Oscuro nella sua grande reggia ombrosa, ove lui gli disse che ‘aveva scoperto che lui prestava un occhio di riguardo al nemico… e che dunque aveva deciso di toglierglielo’.

Fu così che perse l’occhio destro, nascosto ora da una benda nera; e probabilmente avrebbe perso anche la vita, dato che Voldemort non perdonava mai, se non fosse stato per l’arrivo di Harry Potter, che riuscì a portarlo in salvo quasi miracolosamente.

 

Quando io nacqui, mia madre aveva appena diciotto anni, e mio padre diciannove. Si erano sposati quando avevano saputo che lei era incinta, ed erano andati a vivere subito in questa casa.

Nonno dice sempre che quando papà mi vide per la prima volta, cercò in tutti i modi di nascondere la sua felicità con una faccia delusa: infatti aveva sperato fino all’ultimo che il bebè fosse un maschio, che fosse biondo come lui e che avessi gli occhi grigi. E invece si ritrovò in braccio una bambina dai capelli color ambra, gli occhi di uno strano azzurro metallico, e qualche efelide sparsa sugli zigomi.

Trattenne il muso per qualche minuto, poi scoppiò a ridere dalla gioia, tenendomi stretta stretta fra le sue braccia, e quando la mamma gli disse che voleva vedermi, scappò via dicendo che io ero solo sua!

 

Ma tutta l’allegria della famiglia durò ben poco.

Cinque mesi dopo la mia nascita si combatté la battaglia finale contro Voldemort, a cui naturalmente presero parte anche i miei genitori.

Il nonno no: gli fu detto che se andava in battaglia, sarebbe stato ucciso di sicuro per primo, dato che Voldemort ancora fumava di rabbia per non averlo mandato all’altro Mondo dopo che lui l’aveva tradito.

Così rimase in casa, a badare a me e a Benjamin Dorian James, il figlio di Harry Potter e Luna Lovegood, nato un mese prima di me.

 

I cadaveri dei miei genitori furono ritrovati assieme. Non si conosce la dinamica esatta degli avvenimenti che portarono alla loro morte: fatto sta che papà aveva il petto trafitto da una lama, e mamma invece era stata colpita da un Avada Kedavra.

Ma tutto ciò non è importante: ha valore solo il fatto che anche in quell’occasione furono assieme, rimasero vicini fino all’ultimo respiro, e si avviarono l’uno con l’altra verso la strada che li avrebbe condotti al Paradiso.

 

In quella battaglia morirono tante altre persone… fra cui tutti i parenti di mia madre. Del suo numeroso nucleo familiare, rimase vivo solamente il fratello più piccolo, che ora è felicemente sposato con la sua migliore amica fin dai tempi della scuola, Hermione Granger, e insieme hanno ridato vigore al nome della famiglia con sei piccoli marmocchi, tutti maschi, fra cui una coppia di gemelli.

Un mese fa Hermione è venuta al mio maniero, e mi ha riferito di essere di nuovo incinta: questa volta però è sicura che si tratterà di una femmina; mi ha chiesto il permesso di darle il nome di mia madre, e io gliel’ho concesso: sarò lieta di ridare vita, in un modo o nell’altro, a quella splendida persona che era la mia mamma.

 

 

 

 

La ragazza si alzò dal divano dov’era seduta, e in cui fino ad allora era rimasta a pensare guardando il grigio cielo al di fuori delle finestre.

Il giorno dopo sarebbe dovuta tornare ad Hogwarts, e avrebbe iniziato a frequentare il suo settimo anno.

Era dunque giunto il momento di andarli a salutare.

 

Uscì dalla sua stanza, scese le scale e attraversò il lungo corridoio che l’avrebbe condotta alla porta d’ingresso. Prima di uscire, però, si affacciò al salotto, e sorrise nel vedere la scena che le si presentava: il nonno era seduto di fronte al caminetto, con la sua solita aria aristocraticamente superba, e leggeva uno dei tanti libri di cui la sua biblioteca privata era colma.

 

Il vecchio, sentendosi osservato, si voltò, e i suoi occhi grigi incontrarono quelli della nipote, dal colore indefinibile.

“Esci?”

“Sì. Ho paura che presto pioverà, perciò vado a salutarli ora.”

L’uomo assentì. “Mettiti il mantello però, il vento è forte e non penso che ti farebbe piacere arrivare a scuola col raffreddore.” Disse gelidamente, riportando con noncuranza l’attenzione al libro.

 

La ragazza sorrise: il nonno tentava sempre di mostrarsi freddo e distaccato anche con lei, ma si scordava sempre che lei era a conoscenza del suo punto debole.

Così, di punto in bianco, si mise a correre verso di lui, e gli si gettò letteralmente sopra, abbracciandolo stretto stretto e riempiendolo di baci, mentre lui tentava invano di scostarla. Alla fine però anche lui non poté fare a meno di scoppiare a ridere, e godersi il caloroso abbraccio della fanciulla.

 

“Sei come lei.” Le disse poi, guardandola negli occhi e accarezzandole la pelle delicata della guancia.

“No. Lei era bella.”

“Tu lo sei ancora di più… ma non è di ciò che stavo parlando.

Tu hai la sua anima, Gwendolyn Mary. Hai il suo cuore, il suo coraggio, la sua caparbietà.

Sei come lei.”

La ragazza sorrise. “Lo spero. Ti voglio bene nonno.” Disse, scoccandogli un bacio sulla guancia e alzandosi dalle sue gambe.

“Anche io…- assentì l’uomo, mentre lei si dirigeva verso l’uscita- E, ricordati: mettiti il mantello!”

 

 

Quando giunse al piccolo promontorio coperto dal verde prato inglese, si accorse che il vento era ben più forte di quello che sembrava da dentro, e fu felice di aver seguito il consiglio del nonno di indossare il mantello.

 

Guardò davanti a se, e sorrise. La grande stele di marmo bianco si faceva spazio nel grigiore del paesaggio, troneggiando su tutto lo spazio circostante.

Rimase lì, a guardarla, a lungo.

 

Draco Malfoy e Ginevra Weasley.

Insieme per sempre.

 

Citava la scritta.

 

Già, insieme per sempre…. Chissà se, un giorno, anche lei avrebbe trovato qualcuno con cui condividere la sua solitaria esistenza. Qualcuno che sapesse amarla davvero, che sapesse apprezzarla, e che la facesse sentire davvero qualcosa di speciale.

Qualcuno che la risollevasse dal grigiore in cui la sua vita era sempre stata immersa, e che le facesse conoscere lo splendore del mondo circostante… la gioia di vivere.

 

“Vabbè che sei una Malfoy, ma se stai qui in mezzo sono sicuro che l’acquazzone che sta per venire bagnerà pure te.”

 

Ecco. Di una cosa era sicura: certamente colui che le avrebbe fatto scoprire la gioia di vivere non sarebbe stato certamente quell’irritante pallone gonfiato Gryffindor di…

 

“Potter! Che diamine ci fai tu qui?!” Sibilò la ragazza, voltandosi.

Davanti a lei, con i capelli biondicci mossi dal vento, la solita aria tronfia in volto, gli occhi verdi scintillanti di malizia, c’era il giovane Benjamin Dorian James, suo coetaneo, vicino di casa, e acerrimo nemico.

Era ben imbacuccato nel suo mantello nero ricamato con i colori della sua casa, ed in più era protetto da un incantesimo scaldante.

 

“Fino a prova contraria, mia cara Gwen, io vivo a due passi da casa tua. Perciò, dato che non sapeva cosa fare, e dato che ti ho vista uscire di casa nonostante il brutto tempo…”

“…hai deciso di venire a rompermi le palle.” Concluse la frase lei, incrociando le braccia e fissandolo con un sopracciglio alzato mentre si avvicinava.

“Io preferirei dire che sono venuto a farti compagnia.”

“La tua compagnia non è gradita, stupido Gryffindor, e dovresti saperlo bene.”

“Ma mia cara Slytherin, dovresti sapere altrettanto bene che a me piace fare ciò che a te non piace affatto! Allora, pronta per riavermi vicino ventiquattrore su ventiquattro, a partire da domani mattina?” le disse, tutto un sorriso, fermandosi davanti a lei e mettendo le mani dentro le tasche dei pantaloni.

“Sto facendo i salti di gioia…” Fu la sua risposta sarcastica.

“Meglio: così magari riuscirai anche a perdere quei chiletti di troppo che hai preso quest’estate.”

“Non sei riuscito a raccattare un cervello in quei negozietti di seconda mano che frequenti con i tuoi amichetti a Diagon Alley, vero Potter?” Lo fulminò lei, offesa.

Lui fece schioccare la lingua, divertito. “Dopo che ci sei passata te, non ne è rimasto manco uno. Ma vedo che nonostante la scorta di materia grigia che hai fatto, non riesci comunque a mettere in moto nulla in quel cranio!”

“Ti sbagli di grosso, Dorian: nonostante la tua influenza sia a dir poco devastante per qualunque neurone nel raggio di cento chilometri, il mio cervello riesce comunque a funzionare alla perfezione.”

 

Il sorriso sul volto di lui si fece ancora più ampio: adorava battibeccare con Gwen, era la cosa più divertente del mondo, soprattutto perché si finiva sempre con lei che perdeva le staffe!

“Sai, tua madre da piccola aveva una cotta per mio padre!” Disse, dopo essere rimasto in silenzio a fissarla.

“E con ciò?!”

“Magari tu potresti avere ereditato i suoi geni, e fra breve scoprirai di essere pazzamente innamorata del sottoscritto!”

“Grazie al cielo ho ricevuto invece i geni di mio padre… e lui non provava grande simpatia per il tuo!”

 

“Sei venuta qui per salutarli?” Le chiese poi lui, mentre la luce maliziosa spariva dai suoi occhi, e uno sguardo serio si fissava sulla ragazza.

“Come sempre.” Rispose fredda lei, dando le spalle al ragazzo.

“Già, come sempre.” Assentì lui.

 

Come sempre. Come sempre, ogni anno, prima di andare a scuola, lei andava lì e si fermava davanti alla lapide, in un muto saluto pieno d’affetto rivolto a quei genitori che non aveva mai conosciuto.

E, come sempre, ogni anno, puntualmente, lui le era accanto. La conosceva da quando era bambina, e sapeva bene quanto soffrisse per la perdita dei genitori. Sapeva bene che avrebbe voluto piangere amaramente per il triste destino che la sua famiglia aveva avuto, ma che non lo faceva per via di quell’esagerato orgoglio che aveva ereditato dal padre.

 

“Perché sei qui?” Gli domandò lei, senza guardarlo in faccia.

“Perché sono qui?- ripeté lui, fermandosi un po’ a pensare- Non lo so. Forse perché sono sempre stato qui, in questo giorno dell’anno.”

“Sì, lo so. Ma perché?” Chiese ancora lei.

Lui sospirò, dondolandosi un poco sulle gambe. “Perché quando sei qua, soprattutto in questo giorno, sei sempre triste. E non mi piace vederti soffrire.” Confessò molto tranquillamente.

 

Lei provò un tuffo al cuore a quella rivelazione. Si voltò, e guardò Dorian con gli occhi lucidi pieni di stupore.

Lui si avvicinò e, lentamente, le accarezzò la guancia. “Sarà pure una frase stupida e saprà anche un po’ di fatto, ma… loro sono sempre qui, Gwen. Non ti hanno mai abbandonato. Non avrebbero mai potuto lasciarti.”

“Tu dici?” Chiese lei, che si sentiva pericolosamente bruciare gli occhi.

“Ne sono certo. Non si potrebbe mai lasciare incustodito un tesoro prezioso.”

 

Senza pensarci oltre, lasciandosi trasportare da quello sfrenato entusiasmo istintivo che aveva ereditato dalla madre, Gwen si gettò fra le braccia di Dorian, che la avvolsero e la tennero stretta a lungo, mentre fredde e amare gocce di pianto solcavano le guance della ragazza, qua e là cosparse di efelidi.

“Tu che mi dici che non mi vuoi vedere soffrire, io che ti abbraccio… siamo sicuri di non essere vicini alla fine del mondo?!” Ironizzò lei, ridendo fra le lacrime, seguita poi a ruota dal ragazzo.

“Magari, siamo solo vicini ad un nuovo inizio.”

 

Lei scosse la testa. “Non voglio tornare a scuola, Dorian.” Disse, tornando improvvisamente triste.

“Beh, se magari ti sforzassi ad andare d’accordo con qualcuno… non dico con noi Gryffindor, ma almeno con qualche tuo compagno di casa Slytherin… magari i nove mesi di permanenza ad Hogwarts diverrebbero più piacevoli, non trovi?”

 

“Non ci riesco… lo sai.” Brontolò lei.

Ed era vero. Non era mai riuscire a rapportarsi con gli estranei. Tendeva sempre a litigare con tutti, perfino coi suoi compagni di casa.

Quando andava ad Hogwarts il suo animo si riempiva sempre di immensa rabbia, che poi come una bomba scoppiava all’esterno abbattendosi su tutto ciò che la circondava.

Si era sempre chiesta da dove derivasse quel furore… e poi l’aveva capito: non sopportava l’idea che quell’ammasso di pietre avesse avuto, a suo contrario, il privilegio di conoscere i suoi genitori.

Dorian lo sapeva, e sempre a scuola tentava di arginare la sua esplosione incontrollata di sentimenti, ponendosi da schermo agli altri. Ecco perché i loro litigi erano molto frequenti, e più di una volta erano stati richiamati dai professori, nonché dal Preside stesso.

 

“No. Quest’anno sarà diverso, Gwendolyn.” Assentì però lui, sollevandole il viso cosparso di lacrime con una mano.

“Che intendi dire?” Corrugò lei la fronte.

“Quest’anno sarà il nostro anno. Mi affiggo come obiettivo principale quello di farti divertire: e ci riuscirò, puoi scommetterci!” Sorrise raggiante lui.

Lei scosse la testa, scossa da una risata che le veniva dritta dal cuore. “Tu sei un pazzo, Benjamin Dorian James Potter! Sei proprio un pazzo !”

“Oh… vedrai, ti ci abituerai, avendomi perennemente al tuo fianco!” 

 

Mentre la tempesta si avvicinava sempre più, due risate spensierate si sparsero per la desolata landa inglese.

Forse, finalmente, dopo diciotto anni di tormenti, anche l’ultima erede del casato Malfoy aveva scoperto la gioia di vivere, per mano della persona che mai ci si sarebbe immaginati avrebbe ricoperto questo incarico: un Potter.

 

 

 

 

“Dorian?”

“Sì?”

“Grazie.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciaoooooooo!!!!! Eccomi qui, con una piccola oneshot su una coppia che ormai mi ha preso!!!!

Per chi stesse leggendo la mia ff ‘Come cane e gatto!’ stia pure tranquillo: ho preso spunto dalla sua trama, ma gli obiettivi raggiunti con questo racconto sono totalmente differenti da quelli che raggiungerò con l’altro!

Spero che, tuttavia, nonostante la tragicità degli eventi relativi alla coppia, la storia vi sia piaciuta!!!!

Fatemi sapere!!!!

Ciaooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!

 

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Capitolo 2
*** I Malandrini! ***


Gwendolin sospirò amareggiata, semisdraiata scompostamente sul sedile dello scompartimento, nel treno che l’avrebbe condotta n

I Malandrini

 

 

 

 

Gwendolyn sospirò amareggiata, semisdraiata scompostamente sul sedile dello scompartimento nel treno che l’avrebbe condotta verso il luogo che odiava più in tutto il mondo: Hogwarts.

Sperava solo che, per il resto del viaggio, quello scompartimento rimanesse vuoto: non voleva estranei, non voleva scocciature. Non avrebbe sopportato neanche il sentire un altro respiro al suo fianco, figurarsi la vista di un altro essere umano.

Le era anche saltato in mente di fare evanescere la porta dello scompartimento, ma non voleva ripetere l’esperienza dell’anno precedente: quando la McGranitt, in giro per uno dei suoi controlli di routine, aveva scoperto che mancava un ingresso, si era incavolata da matti, e dopo avere fatto saltare in aria la parete, l’aveva tirata via a forza e le aveva fatto una ramanzina colossale fino all’arrivo alla scuola, dove era stata repentinamente condotta nell’ufficio del preside.

La sua amorevole insegnante di trasfigurazione era del parere che ‘un simile, oltraggioso e quanto mai arrogante comportamento’ andasse subito punito con l’espulsione, ma quello spirito pio di Silente aveva preso le parti della ragazza, giustificando i suoi comportamenti come dovuti ad ‘un’acuta fase di nostalgia familiare’. E lei, naturalmente, non si era azzardata ad obiettare: era tutta una vita che soffriva di quel particolare tipo di nostalgia.

 

“Si può sapere a che ora sei partita per arrivare alla stazione? Stamattina alle sette sono passato a casa tua, e tuo nonno mi ha gentilmente sibilato che tu eri via già da un bel po’.” Disse la voce giovanile di un ragazzo, mentre la porta dello scompartimento si apriva e richiudeva dopo il suo ingresso.

Gwen neanche si voltò a guardarlo: rimase esattamente nella stessa posizione in cui era, come se niente fosse avvenuto.

 

Dorian non ci fece caso: sistemò le sue valigie e poi si sedette davanti a lei, guardandola attentamente: aveva tutti i capelli arruffati, due profonde occhiaie in viso, ed un’espressione da funerale.

Senza contare che si era vestita davvero in modo pessimo, con una gonna a ruota che le arrivava fin sotto le ginocchia, stivali larghi con risvolto, un giubbino che a malapena le raggiungeva la vita e una maglietta tipicamente hippy con uno scollo che per poco non le arrivava all’ombelico: un mix tra moda magica e moda babbana davvero orribile.

Ora capiva il malumore del vecchio Lucius: probabilmente aveva tentato di convincere la nipote ad indossare uno dei costosi abiti di sartoria tipicamente magici, ma quella non gli aveva dato minimamente ascolto.

 

“Dormito male?” Chiese dunque, con molta nonchalance.

“Non ho dormito un corno.” Rispose gelida e laconica lei.

Dorian si grattò la testa, scompigliandosi ancor più i capelli biondicci, perennemente arruffati come imponeva il marchio Potter: la giornata incominciava davvero bene… Gwen era già affetta da uno dei suoi momenti di malumore più neri del nero più nero.

“Hai fatto colazione?” Chiese dunque. Chissà che mangiando qualcosa di dolce non le passasse tutta quell’acidità…

“No.”

“Ti porto qualcosa?”

 

“Che ne dici invece di portare il tuo sgradito culo fuori da questo posto, eh Potter?!” Gridò lei con uno scatto di stizza improvviso, mettendosi a sedere bene e puntando i suoi occhi penetranti su quelli del ragazzo.

 

Dorian si trattenne a stento dal mostrarsi irato: odiava quando lei iniziava a parlare male, riusciva perfettamente ad avere la disgustosa rozzezza di uno scaricatore di porto ubriaco fradicio, e questo non le si addiceva affatto.

“Sai, ho notato la signora delle merende prima, nel corridoio: chissà che quest’anno non abbiano inventato anche le gelatine tutti gusti+1 all’essenza di Avada Kedavra…” Rispose dunque, mettendola sull’ironico.

“Che c’è, hai fretta di vedere cosa ti aspetta dopo la tomba? Per quello ti posso aiutare io.”

“Perché tu sei esperta di quello che c’è dopo la tomba, vero?”

 

A quelle parole, Gwen rimase immobile, a fissarlo, per un po’ di tempo. Come si permetteva di dirle una cosa del genere?!

“FUORI! FUORI DI QUI! VATTENE POTTER!

 

“Calmati, Gwendolyn, non ne vale la pena. Calmati.” Disse lui, guardandola duramente. “Sembri una pazza isterica: non è il caso di prenderla così male.

Stiamo solo ritornando a scuola.

Hogwarts è solo una scuola, Gwen… solo una scuola. Cerca di vederla così.”

 

La ragazza scosse la testa un paio di volte, poi si passò una mano sugli occhi in un gesto nervoso. “No…no….” Sussurrò, abbandonandosi sullo schienale e poggiando i piedi sul sedile.

 

Dorian sospirò: forse era riuscito a farla ragionare.

Sentì delle voci in corridoio, e si voltò giusto per vedere il gruppetto dei suoi amici dirigersi allegramente verso una cabina più avanti della loro: fu tentato di raggiungerli, e magari di portare con se anche Gwen, ma non era il caso: ora lei doveva riposare, non era pronta per vedere gente. E lui le sarebbe dovuto rimanere accanto, finché il malessere del fatidico rientro ad Hogwarts non fosse sceso a livelli accettabili e, soprattutto, non pericolosi.

Così fece cenno alla ragazza di sedersi al suo fianco, e lei, anche se un po’ di malavoglia, accettò.

 

Quando, mezz’ora dopo, il treno parti dalla stazione di King’s Cross, Gwendolyn Mary Malfoy era già beatamente addormentata, col capo poggiato sulla spalla del suo improbabile amico.

 

 

 

Sentiva una grande confusione intorno a se. Così, lentamente, aprì gli occhi, sbattendo le lunghe ciglia nere più e più volte per mettere meglio a fuoco ciò che aveva davanti.

O, per essere più precisi, chi aveva davanti. 

Già, perché davanti a lei, ammucchiati l’uno sull’altro, c’erano quattro ragazzi della sua stessa età, che non faticò a riconoscere come alcuni degli scalmanati amici Griffyndor di Dorian.

 

“Ah ah! La vipera si è svegliata!” Disse uno di questi, un ragazzo nero dai lineamenti simpatici e i capelli raccolti in lunghi rasta.

“Shhh… attento che ti morde…” Esclamò il ragazzo pelato appoggiato al finestrino, fingendosi preoccupato. 

“Già, Dorian sei sicuro che non morda?!” Chiese un moretto dal viso furbo e la corporatura longilinea, totalmente stravaccato sul posto davanti al suo.

“Effettivamente la sua fama non è delle migliori.” Commentò infine il bel ragazzo appoggiato sullo stipite della porta, che poteva ben vantare due bellissimi occhi celeste pastello, un viso da dio greco e curati capelli neri.

Tutti insieme, quei tipi, aveva un non so che di poco raccomandabile. Ed effettivamente, come Gwen sapeva bene, era proprio quello l’aggettivo giusto per definirli.

Quando erano insieme combinavano una cavolata dietro l’altra, sciocchezze così grosse che ci si veniva da chiedere come caspita quei tipi avessero fatto a farsele venire in mente: l’ultimo misfatto compiuto l’anno passato era stato costruire con la magia un falso treno, perfettamente uguale all’originale che da Hogsmead arrivava fino a King’s Cross: molti studenti erano rimasti ingannati e vi erano saliti, e si erano accorti del loro errore solamente quando si erano visti partire sotto il naso la vera motrice con tutti i vagoni dietro. Inoltre, poco dopo, l’incanto si era sciolto e i poveri disgraziati si erano letteralmente trovati seduti in mezzo al nulla.

Naturalmente molti genitori avevano protestato, dato che fra questi alunni la maggior parte erano minorenni, ma il preside non aveva comunque potuto punire nessuno perché, nonostante sapesse perfettamente chi aveva combinato il guaio, non ‘erano prove sufficienti a dimostrarlo. E, in fondo… avanti, bisognava pure apprezzare l’incredibile fantasia e allegria di quel nuovo gruppetto di malandrini!

 

“Che ne dite di non farle girare le scatole già da appena svegliata?” Disse saggiamente Dorian, mentre Gwen si scostava dal suo petto e guardava sospettosa gli intrusi.

 

 “Da quanto sono qui?” Chiese con voce piatta la ragazza.

 

“Abbastanza da averti visto dormire per un bel po’!” Disse il neretto.

“E’ strano, quando dormi sembri un angelo!” Esclamò il moro al suo fianco, sorridendo allegramente a Gwen.

“Anche quando è sveglia non è da meno: è la sua lingua che punge come quella di una serpe.” Replicò l’affascinante giovane alla porta.

“Ma lei è una serpe! Diamine, è la serpe più serpe che esista nel covo degli Slytherin! Anche i suoi compagni le stanno alla larga!” Ridacchiò il pelato alla finestra.

 

Dopo quelle ultime uscite, l’umore di Gwen dopo la sorpresa di essersi ritrovata in mezzo ad un branco di pazzi Gryffindor peggiorò sonoramente. “Dorian, tieni davvero a tutti questi idioti qui o posso eliminarli tranquillamente?” Sibilò dunque, poggiando uno sguardo furente su ciascuno di loro.

 

“Oh oh oh, la gatta sta iniziando a tirare fuori le unghie!” Disse il nero.

 

“Sta zitto Rust.” Replicò secco Dorian.

“Soprattutto se ci tieni alla tua lingua…” Aggiunse Gwen. “Che ci fanno questi idioti patentati nel mio scompartimento?” Chiese poi, rivolta all’amico.

“Sono miei amici.” Rispose lui, alzano un sopracciglio in segno ammonitore quando la vide aprire la bocca per replicare certamente qualcosa di poco carino. La ragazza capì e tacque, senza però risparmiargli una delle sue migliori occhiate omicide. “Hai riposato bene?”

“Sì, abbastanza. Quanto manca?”

“Fra mezz’ora arriviamo.”

“Di già?”

 

“Peggio per te che ti sei addormentata come un sasso, angioletto!” Replicò il nero.

 

Senza neanche pensarci molto su, guidata da quell’istinto vendicativo che le era stato trasmesso dal padre e quell’estrema reattività dono invece della madre, Gwen impugnò la bacchetta, che teneva sempre stretta in mano, e lanciò un incantesimo al ragazzo coi rasta.

Pochi istanti dopo il giovanotto si ritrovò a sputare quella che, con grande orrore di tutti, era la sua lunga lingua.

 

Nello scompartimento scoppiò subito un tremendo caos: tutti i ragazzi volevano punire a dovere quella Slytherin sfrontata che si era azzardata di offendere in quel modo il loro amico. Rust, dal canto suo, si limitava a stare seduto nella sua poltrona e studiare con estremo interesse quel pezzo che gli era stato appena staccato dal corpo.

Fu Dorian a rimettere in ordine la situazione, sebbene anche in lui ci fosse una grande voglia di dare un bel pugno in testa alla Malfoy: va bene che era stata provocata, ma come al solito lei aveva esagerato.

 

“Ehi, calmatevi… calmatevi tutti quanti!

STATEVI ZITTI, CAZZO!” Gridò, quando si accorse che nessuno lo stava ad ascoltare. Finalmente il silenzio piombò di nuovo nella stanza, e lui ebbe l’attenzione che richiedeva.

“Se continuate a gridare come un branco di trholl impazziti, quella racchia della McGranitt s’insospettisce e viene a romperci le palle: non sta aspettando altro da quando siamo saliti su questo treno, è già passata di qui una decina di volte per vedere che diamine stavamo facendo!”

 

A quelle parole, qualcuno dei suoi amici sospirò, dandogli ragione, mentre il resto sbuffò seccato, bramando ancora dare una punizione alla nemica che aveva scatenato tutta quella baraonda.

 

“Bene… Adesso: Spoke- disse, rivolgendosi al ragazzo moro dal viso simpatico- accompagna Rust in infermeria, e vedi di fargli riattaccare la lingua.”

“Che diciamo se ci chiedono cosa è successo?” Chiese il moretto. “Che una gatta gli ha strappato la lingua?”

“Bah… inventati quello che vuoi: tanto, qualunque cosa tu dica, l’infermiera avvertirà la McGranitt, che non starà certo a sentire le nostre scuse.”

L’amico assentì e, prendendo per il braccio il neretto che continuava a studiare la sua lingua, uscì dallo scompartimento.

“Bevis e Julius- disse poi, rivolgendosi al pelato e al ragazzo dagli occhi celesti- voi andate ad infilarvi le divise nella vostra cabina e rimaneteci fino all’arrivo ad Hogsmead.”

 

“Sai, potremmo anche offenderci per i tuoi modi scortesi, amico. Sembra quasi che tu tenga di più ad una Slytherin che ai tuoi compagni Gryffindor…” Replicò scherzosamente Bevis, dirigendosi verso la porta con le mani in tasca e una camminata decisa.

“Già… chissà cosa ti deve aver dato la viperetta per farti fare una tale scelta…” Aggiunse Julius, uscendo dalla stanza dopo aver lanciato uno sguardo anche fin troppo eloquente a Gwen. Per sua fortuna però Dorian si sbrigò a chiudere la porta alle loro spalle, perché altrimenti il raggio rosso fuoriuscito dalla bacchetta della ragazza certamente sarebbe andato a segno….

 

“Ti conviene tenerli lontani da me o li ammazzo.”

 

Dorian si voltò, fissando con un sorriso furbo sulle labbra la ragazza furiosa in piedi davanti a lui.

“E dai, non puoi negare però che siano più simpatici dei tuoi compagni di casa!”

Gwen rimase spiazzata da quella frase, a cui tuttavia non riusciva ad obiettare nulla. Poi però mise il broncio e, incrociando le braccia, ne uscì con un: “Sono solo Gryffindor…”

“Sì ma anche io sono Gryffindor, e noi due andiamo d’accordo, no?”

“Pfiu… giusto qualche volta…”

 

Dorian ridacchiò: bene, a quanto pare non tutte le speranze erano perdute: c’era ancora qualche possibilità di fare avvicinare amichevolmente Gwendolyn ai suoi amici. Almeno così non sarebbe stata sola, non avrebbe passato un anno da cani, e avrebbe evitato di sfogare la sua frustrazione su poveri studenti indifesi.

“Inizia a vestirti, io faccio lo stesso in bagno. E vedi magari di risistemarti i capelli, sembri una scopa!” disse il ragazzo, prendendo la sua divisa ed iniziando ad uscire dalla porta.

 

“Dorian!”

“Sì?”

“Spero che non passerai guai per… beh, per la lingua di quel cretino del tuo amico.” Disse tutto d’un fiato la ragazza, evitando di guardarlo negli occhi: stava pubblicamente mostrando il suo dispiacere per un’azione che aveva compiuto volontariamente… e non era da lei.

Il Potter ridacchiò tra se e se, contento di notare quanti cambiamenti riuscisse ad apportare un po’ di sano affetto fraterno in quella ragazza fredda e glaciale.

 “Oh, figurati, ne sono abituato.”

“Bene.” Assentì lei; e, giudicando di essere stata buona anche per troppo tempo, gli chiuse praticamente la porta sul naso e serrò poi subito dopo anche la tendina: non le piaceva mostrare il suo lato gentile troppo a lungo.

 

Benjamin Dorian James, preso alla sprovvista dal suo gesto improvviso, scattò allibito all’indietro… e quando si riprese fu ben lieto di constatare che il suo naso fosse riuscito ad evitare di rimanere incastrato fra la parete e la porta chiusa con tanta delicatezza dall’amica; dopo di che andò tranquillamente, con la sua solita camminata baldanzosa, verso i bagni.

 

 

 

 

Toc toc

 

“Chi è?”

“Sono Dorian. Hai finito?”

“Sì, entra.”

 

Il ragazzo aprì la porta dello scompartimento, da cui era stato lontano un bel quarto d’ora per lasciare modo alla ragazza di prepararsi con tutta calma, come aveva fatto anche lui.

Ciò che trovò davanti però lo lasciò di stucco.

 

“Ma… perché non ti sei messa la divisa?!” Chiese il ragazzo, grattandosi la testa per lo stupore.

“Ho dimenticato la divisa a casa, e così ho indossato uno degli abiti di cui il nonno mi ha fatto riempire tutte le valigie.

E dire che neanche nel Medioevo si vestivano in questo modo!” Esclamò con una punta di stizza Gwen, che indossava un lungo abito di broccato verde e aveva i capelli color ambra legati in un’elegante treccia che le arrivava fino all’estremità della schiena.

“Per Merlino che testa di trholl che hai! Dimenticarsi la divisa di scuola… solo tu potevi fare una cavolata del genere!” Esclamò il ragazzo, piantandosi una mano in fronte.

“Uff… non iniziare a scassare già da adesso Benjamin Dorian James!” Lo avvertì lei, facendo dondolare la sua bacchetta sotto gli occhi del ragazzo.

 

Ma quanto siamo suscettibili!

Avanti, muoviti, siamo quasi arrivati: prendi i tuoi bagagli e iniziamo ad avviarci, che se scendiamo per ultimi ci becchiamo la carrozza peggiore.” Esordì il ragazzo, calando dallo scompartimento sovrastante i sedili le sue due valigie.

 

“Io non salgo con voi.” Disse tranquillamente la ragazza, facendo lo stesso però con l’aiuto della magia.

“Come no? Non fare la solita permalosa Slytherin asociale, Malfoy! Vieni con noi.”

“E’ passata la McGranitt prima, e ha detto che il preside vuole vedermi.”

 

A quelle parole, Dorian si voltò e fissò interrogativamente l’amica. “Hai già combinato qualche casino, a parte tagliare la lingua a Rust?!” Chiese poi.

“No. E poi come avrei fatto?! Sono stata al tuo fianco per tutto il viaggio!”

“Beh… e che ne so. Magari riesci a produrre qualche trasposizione astrale del tuo corpo…”

“Non sparare idiozie.”

“E allora? Perché Silente ti vuole vedere?”

“Non lo so.”

“Bah… Buona Fortuna.”

 

 

 

 

“Immagino che si stia chiedendo perché è qui, signorina Malfoy.”

Furono le prime parole che udì pronunciare dalla voce gentile del preside, entrando nel suo ufficio.

Subito dopo lo vide, mentre giocherellava tranquillamente con la sua fenice, e le accarezzava con dolcezza la testolina rossa.

 

“Buongiorno signor preside. Sì, effettivamente stavo ponendomi questa domanda.” Rispose garbatamente lei, guardandosi intorno con circospezione: quel luogo non le era mai piaciuto. Sentiva tutti gli occhi dei ritratti dei personaggi illustri su di se… tutti uomini che un tempo avevano avuto il privilegio di vedere e parlare personalmente con i suoi genitori. Era gelosa di loro… e contemporaneamente temeva anche il giudizio che essi avrebbero potuto dare su di lei.

Era una degna erede di Ginevra Weasley e Draco Malfoy?

A suo parere, no.

Loro erano due persone splendide, che riuscivano a trasformare in perfezione perfino i loro difetti, talmente erano speciali.

Lei, invece… beh, lei non era nulla. Era un’insulsa ragazzina, odiata da tutti, che non faceva altro che inimicarsi la gente a suon di parole cattive e perfide gesta.

 

“Vi ho fatta venire qui, cara Gwendolyn Mary, per informarvi che siete stata ricoperta dell’incarico di Caposcuola.”

 

La mente di Gwen, che fino ad allora era stata occupata da mille pensieri, si svuotò immediatamente, mentre tutta la sua attenzione andava a catapultarsi sulle parole dell’uomo in piedi davanti a lei, che ora la guardava sorridendo del suo evidente stupore.

“Preside, ma che dice?!” Si lasciò sfuggire lei.

 

Silente ridacchiò liberamente: quanto assomigliava quella fanciulla alla dolce e piccola peste Weasley!

“Questo incarico era stato affidato prima ad una sua compagna Corvonero, che però proprio ieri sera mi ha informato di essere impossibilitata a sottoporsi ad una tale responsabilità dato che, verso metà anno, i suoi genitori cambieranno locazione e lei dovrà frequentare un’altra scuola.

Dunque ho deciso di dare a lei tale compito. Spero che lo voglia accettare.”

 

Gwendolyn era allibita. Non riusciva a trovare un senso nelle parole di Albus Silente perché mai aveva scelto lei?!

“Certo, non rifiuterò mai un tale onore… anche se non riesco a capire il motivo per cui mi è stato dato. Non ho avuto una condotta scintillante negli ultimi sette anni, e penso che gran parte dei miei ‘compagni’ sia d’accordo con me!”

 

L’uomo sorrise, enigmatico, e rimase a fissarla per un po’ in silenzio attraverso i suoi occhiali a mezzaluna. “Un giorno, signorina Malfoy, un giorno non lontano… lo capirà.

Ora vada: la sua stanza è nascosta dietro il quadro di Pandora, al secondo piano. La parola chiave è Speranza.”

 

 

 

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RINGRAZIAMENTI

 

 

Allora: grazie a tutti coloro che hanno avuto la gentilezza di farmi sapere cosa pensano di questa storiella!!!

Ho pubblicato il secondo capitolo per un singolo motivo: siete davvero sicuri che volete che continui questa storia? Vi avverto che è una storia ‘seria’ (per modo di dire….!), che le parti allegre saranno molte poche, e anzi, a causa del carattere melanconico della ragazza, ci saranno assai più parti tristi.

Se vi sta bene di starvi ad impallare leggendo io la continuo… ma altrimenti mollo qua!!!

Senza contare che la aggiornerò abbastanza sporadicamente, perché voglio prima portare a conclusione l’altra mia ff, ‘COME CANE E GATTO!’, ok????

Fatemi sapere, mi raccomando!!!!

E ancora, grazie davvero a tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo: non posso ringraziarvi in maniera appropriata perché non ho tempo… ma mi hanno fatto moooltissimissiiiiiiimo piacere i vostri commenti!!!!

 

Ciauuuuuuuuuuu!!!!

 

                                                                  Kishal!                                     

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