Keepsake
Capitolo II
-Perché sento che
diventeremo grandi amici, Liet-
Ed effettivamente, la loro alleanza,
da quel giorno, iniziò
a prosperare sempre di più. Stare insieme, prima sentito
come un obbligo,
divenne a poco a poco un autentico piacere per entrambi, che
cominciarono ad
amare la reciproca compagnia. Da bambini turbolenti, diventarono
ragazzi più o
meno maturi, riuscendo a migliorarsi prestando l’uno le
qualità dell’altro: e
così Toris perse parte della sua timidezza, donando al
contrario un po’ di
calma a quella nazione così vivace e irrefrenabile che era
Feliks. Il lituano,
inoltre, aveva guadagnato diversi centimetri in altezza rispetto
all’amico,
diventando nel frattempo così protettivo nei suoi confronti
che, talvolta, i
nuovi domestici potevano scambiarlo per un parente, un cugino
più vecchio, in
visita nella loro ricca terra.
Tuttavia, un’ombra rimaneva
ancora ostinata sul cuore di
Toris: quella piccola gemma d’ambra che riposava spesso in
una delle tasche dei
pantaloni, di cui, forse, Feliks si era dimenticato, era diventato per
lui una
prova tangibile, un simbolo di quell’amicizia strana, a volte
asimmetrica, che
aveva costruito con Feliks.
Quella
parte un po’
infantile che tutti gli adolescenti si portano dentro abbandonando la
fanciullezza,
gli faceva pesare il fatto di non aver mai contraccambiato quel pegno
di
amicizia, di non essere riuscito a trovare il modo di dimostrare al
polacco
come tenesse a lui, perdonando i suoi numerosi scherzi e le figure che
gli
faceva fare davanti agli ambasciatori stranieri.
Erano principalmente questi i
pensieri che si agitavano
nella testa del lituano quel pomeriggio di primavera, mentre
passeggiava
pigramente per i freschi corridoi della casa di Polonia. Aveva passato
tutto il
giorno cercandolo di qua e di là, ma senza risultato. Con il
passare delle ore,
era cresciuto in lui il nervosismo, attanagliandogli, sotto forma di
mal di
stomaco, l’addome con fitte via via più
lancinanti.
Sperava con tutto il cuore che non si
fosse scordato
dell’incontro con il re cui dovevano presenziare quella sera;
sperava che non
si fosse messo nei pasticci; e sperava anche che sarebbe poi riuscito a
correre, una volta tornato, abbastanza in fretta da sfuggire alla sua
ira
“devastante”.
Inoltre, un’altra cosa
contribuiva ad aumentare il suo tetro
malumore: la sua goccia d’ambra era sparita, svanita
improvvisamente dalle
tasche dei suoi pantaloni che aveva lasciato la sera prima
perfettamente
piegati, sullo sgabello vicino al letto.
Il lituano sollevò gli
occhi nocciola ad una delle tante
finestre che scandivano ritmicamente il corridoio: la sera stava
già scendendo
su Varsavia, tingendo di blu cobalto il cielo rossastro.
“Al diavolo Feliks!”
imprecò mentalmente Toris,
dirigendosi in camera sua: se non era riuscito a trovarlo, doveva
almeno
farcela a vestirsi ed a presentarsi in tempo davanti ai diplomatici, e
–chissà?- magari avrebbe avuto anche tempo di
cercare ancora la pietra
scomparsa.
Mentre si avvicinava alla porta della
camera, sentì dei
tonfi soffocati provenire dal suo interno: il suo cuore
saltò automaticamente
un colpo, mentre la sua mano schizzò ad uno stiletto che
portava ormai da tempo
nascosto in una manica della camicia. Poteva essere Polonia, ma con
tutti quei
sicari a corte la prudenza non poteva mai essere realmente definita
eccessiva.
Sbirciò dalla serratura,
riuscendo a scorgere una chioma
bionda e una casacca verde. Sorridendo, aprì piano piano la
porta, pronto a
balzare alle spalle dell’amico.
Si bloccò, quando si rese
conto di ciò che stava facendo
Polonia: tra le sue mani brillava, mentre l’appoggiava con
cura sul cuscino che
troneggiava sul letto di Toris, la sua ambra.
-Feliks?- lo chiamò
titubante, riaggiustandosi lo stiletto
nella manica.
Il polacco si voltò con un
espressione sorpresa in volto,
sorridendo poi alla vista dell’amico.
-Ciao Liet- disse serafico
–Sai che è tutto il giorno che ti
cerco?-
“Ah, e
così sarei io quello che sparisce misteriosamente”
pensò risentito il ragazzo.
-Si può sapere cosa stai
facendo?- gli chiese irritato,
facendo con il mento un cenno alla pietra tra le sue mani.
–Ah, questa? Volevo farti,
ecco, una sorpresa…ma tu sei
riuscito a rovinare tutto come sempre- rispose divertito il polacco.
-Prego?- domandò Toris,
con l’aria di chi non sta più
capendo nulla.
Polonia si strinse nelle esili
spalle: -Stasera c’era questa
cena così importante…e tu sei sempre
così poco elegante…così ho voluto
montare
la tua ambra in modo da farne una spilla- disse, porgendogli il
gioiello.
E non aveva mentito:
l’ambra era stata incastonata su un
delicato intreccio argentato, fine come merletto. Non aveva un aspetto
effeminato, anzi, era così bella da parere degna di un re,
pensò Toris. La
pietra era poi stata incisa, diventando una sorta di cammeo, ma nessun
volto
umano, come invece andava in moda al tempo, la appesantiva: una fenice,
simbolo
di eternità, era stata intagliata in modo da parer quasi
nascere dall’ambra
stessa, incendiandola con le sue piume di fuoco e donandole il suo
colore.
Quando le sue dita toccarono
titubanti il gioiello, Toris si
sentì quasi tornare quel bambino di dieci anni, quel timido
ragazzino che aveva
accettato la pietra originale.
La rimirò qualche secondo,
poi, cogliendo di sorpresa il
polacco, lo abbracciò, stringendolo al petto con quel
particolare, assoluto
affetto che solo gli amici, quelli veri, provano l’uno per
l’altro.
Con amore, ecco.
-Grazie, Feliks- disse
–Io…grazie-
Polonia sorrise, capendo che in
quella piccola, semplice
parola Toris aveva cercato di concentrare tutti i suoi sentimenti. Era
quello
il suo pegno, il suo stesso cuore.
Come risposta, Feliks avrebbe potuto
fare o dire molte cose:
avrebbe potuto confessargli che, la scelta della pietra, era ricaduta
sull’ambra perché, come quella poteva attirare a
sé piccoli pezzi di pergamena
dopo essere stata fregata contro un panno di lana, così
Toris sembrava poter
esercitare lo stesso potere su di lui. Poteva ricordargli che, in
quello stesso
giorno, anni prima, le sue dita avevano toccato per la prima volta
l’allora
tiepida e liscia superficie della pietra. Oppure, avrebbe potuto
scegliere
un’uscita più alla sua portata, commentando, ad
esempio, la somiglianza
dell’amico con uno degli insetti rimasti intrappolati secoli
prima nell’ambra.
Eppure, quella volta decise di
rimanere semplicemente in
silenzio, ricambiando la stretta del lituano, godendosi il calore che
quell’abbraccio gli aveva infuso nel petto.
Nota dell’autrice
Salve a tutti! Ecco la conclusione della mia fanfiction
(l’unica completa che abbia mai scritto, il che è
di per sé un miracolo!!!).
Non credo che potesse concludersi in modo diverso se non con un
abbraccio tra
queste due nazioni: sono fatta così, e il tema
dell’amicizia mi piace
particolarmente.
Dunque, credo che sia doveroso ora
ringraziare quelle anime
caritatevoli che hanno recensito il primo capitolo: Gilbird (nickname
vagamente ispirato ad un certo pulcino di nostra conoscenza) e Yuri-e-Momoka
(grazie per la recensione molto accurata: mi fa piacere sapere che i
miei
personaggi siano Ic e spero che tu lo abbia pensato anche per questo
capitolo).
Non mi resta che lasciarvi alla
prossima fanfiction. Grazie
per l’attenzione.
Arianna
F. alias Scribak
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