New Twilight Saga

di Cristina Black
(/viewuser.php?uid=100990)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 - Velo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 - L'ospite ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 - La Verità ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 - Offuscamento ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 - Ragioni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 - Motivi ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 - Natura ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 - Imprinting ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 - Week End ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Lucchetto ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Bersaglio ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Leggende ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Confessioni ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Esplosione ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Svolta ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Alleanza ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Istruzioni ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Piani ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Simboli ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Intenzioni ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Fuoco e Ghiaccio ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Decisioni ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Promesse e Bugie ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Risposte ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Epilogo, atto I - Luce ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - Epilogo, atto II - Buio ***
Capitolo 27: *** Senza titolo, non finito ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 - Velo ***


(Libro di riferimento: New Moon di Stephenie Meyer)

 

 

    Sapevo come raggiungere lo sterrato che correva vicino alla scogliera, e con qualche difficoltà individuai pure il sentiero che portava allo strapiombo.

    Imboccato quello, badai a ogni bivio e diramazione, ricordando che Jacob voleva condurmi sullo spuntone più basso. Il viottolo, però, serpeggiava verso la cima senza interrompersi. Non avevo tempo di cercare un altro percorso, la tempesta era sempre più vicina. Finalmente sentivo addosso il vento e la pressione delle nubi.

    Quando raggiunsi il punto in cui lo sterrato veniva inghiottito da un precipizio roccioso, le prime gocce mi bagnarono il viso.

Non fu difficile convincermi che non c'era tempo di cercare un'alternativa: volevo saltare dalla cima. Quella era l'immagine che conservavo. Desideravo perdermi in quella lunga caduta, simile a un volo.

    Certo, sarebbe stato il gesto più stupido e irresponsabile mai commesso in vita mia. A quel pensiero, sorrisi. Il dolore era già meno intenso, come se il mio corpo sapesse che entro pochi secondi avrei sentito la voce di Edward...

    Il rumore dell'acqua era molto lontano, più di quando l'avevo sentito tra gli alberi, sul sentiero. Feci una smorfia al pensiero della temperatura gelida dell'acqua. Ma non avevo intenzione di lasciarmi scoraggiare. Il vento soffiava più forte, la pioggia mi colpiva a frustate. Mi avvicinai al ciglio del precipizio con gli occhi fissi sul vuoto davanti a me. Tastai il terreno con i piedi, alla cieca, fino a sfiorare il profilo della roccia.

    Feci un respiro profondo e lo trattenni... in attesa.

    «Bella».

Sospirai e sorrisi.

    Sì? Non risposi ad alta voce, per paura di rovinare la splendida illusione. Sembrava così vero, così vicino. Solo quando udivo quel tono di disapprovazione il ricordo della sua voce era reale, perché la grana vellutata e il tono musicale la rendevano tanto perfetta.

    «Non farlo», implorò.

    Volevi che restassi umana, risposi. Be', guardami.

    «Per favore. Fallo per me».

    Ma non c'è altro modo per averti vicino.

    M’ignorò. «Pensa a Charlie, a Renèe. Pensa a Jacob…». Restai impietrita non appena pronunciò il suo nome.

    Jacob? Pensare a Jacob?

    La pioggia continuò a frustarmi sulla faccia, come fosse una tempesta di minuscole e appuntite scaglie di vetro. La sentivo più intensamente rispetto ad un secondo prima. Nel pronunciare il nome di Jake, percepì una nota di frustrazione, come se avesse perso una battaglia importante. La ferita che mi pulsava nel petto venne sopraffatta da un dolore alla bocca dello stomaco e dai palpiti furiosi del mio cuore.

    Poi una nuova voce fece eco a quella di Edward. Roca, divertita e calda come un raggio di sole a primavera.

   «Eh si Bells, ci sono anch’io, nel caso te ne fossi dimenticata», la voce di Jacob sovrastò quella di Edward, compresi i miei pensieri semi suicidi.

    Quel tono allegro, tipico di Jake, sempre pronto a rilassarmi quando più mi sentivo tesa, era come un anestetico su ogni mia ferita. Il dolore si affievolì insieme alla voce di Edward che uscì dalla mia testa, senza che potessi controllarlo.

    «Fa la cosa giusta Bella», e sparì al soffio del vento, mentre la pioggia si mescolava alle mie lacrime.

    Guardai oltre il ciglio del dirupo e osservai attentamente, per la prima volta, ciò che vedevo sotto i miei piedi: l’immensa stupidità di ciò che stavo facendo, o meglio, di ciò che avevo fatto per settimane. Provai un brivido lungo la schiena che non era di freddo, ma che aveva una definizione ben precisa: coscienza.

    Accadde in un attimo, e mai avrei creduto che potesse succedere, soprattutto perché desideravo ardentemente sentire di nuovo la voce di Edward, rimbombarmi adirata e implorante nel mio cervello.

    Un’altra folata di vento gelido sollevò il fitto e pesante velo che mi copriva gli occhi, mostrandosi in tutta la sua follia e irrazionalità. Dopo mesi, da quando lui mi lasciò, capì tutto, in un istante.

    Come ero arrivata a tanto? Com’è stato possibile non aver capito tutto fin dalla prima volta che lo sentì in quel vicolo a Port Angeles?

    Non avevo alcuna risposta alle mille domande che finalmente mi ponevo. Sentire la voce del mio vampiro, in tutta la sua splendida ira, era per me qualcosa di reale, un obbiettivo da raggiungere a qualunque costo. Ma di reale non aveva niente, lo sapevo ma non lo accettavo.

    E in tutto questo, avevo fatto la cosa più orribile che avessi potuto fare nella mia inutile vita.

    Capì fino in fondo quanto dolore avessi inflitto a coloro che mi volevano bene, senza che mai mi abbandonassero a me stessa, e al dolore che provocai al mio migliore amico.

    Al mio sole personale. La persona più speciale che conoscessi, che più mi capiva e che più mi voleva bene nonostante i miei continui e, più o meno, involontari tentativi di ferirlo.

   «Era ora Bells», sussurrò l’eco di Jake, prima di dissolversi anche lui come Edward. Risposi con una smorfia.

    Ci sarebbe stata ancora speranza per una come me? Sarei potuta di nuovo essere felice ora che finalmente avevo capito quanto futilmente rischiosa era stata la mia esistenza in questi ultimi mesi? Oppure avrei pagato tutto il male che avevo arrecato a me e agli altri, come effettivamente meritavo? Perdere tutto ciò che avevo e che non mi ero resa conto di possedere a piene mani?  

    Aggrottai le sopraciglia, frustrata.

    Ora che il velo della pazzia si era scostato, senza capire esattamente come, vedevo chiaramente le lacrime che mi annebbiavano la vista, mentre sotto di me, a 100 metri d’altezza, le onde dell’oceano si sbattevano contro gli scogli, impetuose, scatenate.

    Mortali.

    Prima che la vertigine s’impadronisse irrimediabilmente di me, spinsi il mio corpo all’indietro di qualche passo, attenta a non inciampare sui miei piedi.

    In quel momento la mia goffaggine mi sarebbe veramente stata fatale, e non ne avevo intenzione, almeno non più. Voltai le spalle alle voci, al rischio, all’adrenalina e al pericolo che, senza che me ne accorgessi, mi stavano rovinando la vita. C’erano altri modi per non soffrire la perdita di Edward, ed erano senz’altro meno stupidi.

    Riuscì ad allontanarmi da quegli scogli appuntiti e da quelle acque inferocite. Mi sentì libera, e nel contempo a pezzi.

    Rendersi conto di ciò che avevo fatto fino ad allora, era il passaporto per i sensi di colpa che si aggrovigliavano dentro di me, in attesa che li rimettessi in ordine. Camminai inciampando ad ogni passo fino ad arrivare al mio Pick-up.

    Anche quello era una traccia di Jacob che mi portavo sempre appresso, senza che ci pensassi mai. Lo aveva messo apposto, ormai tanto tempo fa. Era proprio come lui: affidabile, sicuro e caldo. Il rifugio dai miei problemi, ed anche più di questo.

    La ferita che mi aveva inflitto l’abbandono di Edward, era una puntura di zanzara, rispetto al senso di colpa che provavo nei confronti di Jacob.

    Non tornai a salutare Billy, ne a vedere se era rientrato il figlio lupo dalla caccia a Victoria. L’ultima cosa che volevo era vederlo in faccia, alla luce di tutto. Non ero pronta ad un confronto, nonostante volessi sapere come stava. Se l’avessi perso in uno dei suoi inseguimenti…no, meglio non pensarci, specie se si sta guidando tra le lacrime e sotto un acquazzone.

****************************************************************************************************************************************************************

    Arrivai miracolosamente indenne fino a casa di Charlie, che naturalmente non c’era. Parcheggiai il mio automezzo e spensi il motore. Mi asciugai le lacrime facendo qualche respiro per ricompormi, ed entrai in casa con aria stravolta.

    Ero stanca e demoralizzata.

    Non feci nemmeno un giro di perlustrazione alla ricerca di qualche avviso di Charlie riguardo la sua assenza.

    Puntai dritta sulle scale ed entrai in camera mia, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi buttai sul letto e ricominciai a singhiozzare indisturbata. Era un pianto liberatorio, più che di tristezza, legato alla mia recente presa di coscienza.

    Pensa a Charlie, a Renèe. Aveva detto la sua voce melodiosa prima dell’ultimo nome che in qualche modo mi risvegliò dal torpore.

    Non avevo pensato a nulla e a nessuno, prima di quel desiderio malsano di ascoltare il suono di ciò che non c’era più da tempo. Se mi fossi schiantata su qualche roccia invisibile sotto la superficie dell’acqua? O se fossi annegata, o assiderata per la temperatura insopportabile? Cosa avrei lasciato a Charlie, a Renèe?

    Pensa a Jacob.

Esatto, e cosa avrei lasciato a lui? Si meritavano tutti un gesto del genere? Ma che avevo in testa!? Di sicuro non il cervello! Era a questo che mi portava il mio dolore: a dimenticare le cose importanti, e peggio ancora, a farle soffrire più di quanto stessi soffrendo io. Perdere una figlia non era come perdere il primo amore, benché importante.

    Forse quello che ci avrebbe guadagnato di più sarebbe stato proprio Jacob. Non avrebbe più sofferto per i miei continui rifiuti e i gesti incomprensibili.

    Anzi, avrebbe sofferto ancora di più forse, ma alla fine gli sarebbe passata. Come del resto, passerà anche a me, la voglia di Edward. Non sarà facile, ma forse non impossibile. Pensai al viso di Jacob, come me lo immaginavo quando disse «Ci sono anch’io, nel caso te ne fossi dimenticata».

    Con le sue muscolose braccia conserte, l’aria scherzosa di chi mi sta prendendo in giro e il sorriso abbagliante, rilassante ed anestetizzante.

    Sorrisi, e me ne sorpresi.

    Ma cosa avevo fatto a questo ragazzo? Cosa avevo fatto a tutti? Nonostante Charlie non sia molto espansivo, è una brava persona e si è preso cura di me meglio che poteva. Mia madre, da svampita qual è, è sempre stata la donna più speciale della mia vita. E come li ho ripagati?

    Quei tipacci di Port Angleles potevano farmi del male, con le moto mi sarei potuta schiantare e mettere nei casini Jacob che stava con me. Si sarebbe sentito responsabile della mia morte per tutta la vita. E adesso il salto nel vuoto. Tutto questo aveva l’effetto di una droga: l’allucinazione mi faceva sentire bene, come fosse vicino a me, ma dopo mi sentivo anche peggio.

    La presenza di Jacob non era nociva, non aveva un effetto di breve durata come una sostanza chimica. Soprattutto non faceva del male a nessuno, e mi rendeva felice, in un certo senso. Almeno finchè lo avevo vicino.

    Eppure sono stata capace di speculare sui suoi sentimenti e le sue buone intenzioni, per i miei fini distruttivi. La ferita ricominciò a pulsare, ma stavolta me lo meritavo. La spossatezza di una giornata come quella, cominciò a farsi sentire, e mi addormentai.

    Per la prima volta da chissà quanto tempo, feci un sogno normale. Un semplice vagare tra vecchi ricordi, visioni di Phoenix sotto il sole abbagliante, il volto di mia madre, una casa improvvisata sull'albero, una coperta sbiadita, una parete a specchi ma ogni immagine cancellava del tutto la precedente.

    L'ultima fu anche l'unica che mi rimase impressa. Non aveva senso: era una scenografia, sopra un palco. Una balconata di notte, una luna dipinta in mezzo al cielo. Osservavo la ragazza, in veste da camera, mentre parlava da sola appoggiata al davanzale. Non aveva senso... ma quando lentamente mi sforzai di riprendere conoscenza, pensai a Giulietta.

    Chissà cos'avrebbe fatto se ad allontanare Romeo da lei non fosse stato il divieto dei genitori, ma un semplice calo di interesse. E se poi Rosalina gli si fosse concessa facendogli cambiare idea? Cosa sarebbe accaduto se fosse sparito, anziché sposare Giulietta? In cuor mio sapevo come si sarebbe sentita.

    Non sarebbe tornata alla sua vecchia vita, non del tutto. Di certo non si sarebbe lasciata il passato alle spalle. Anche se fosse sopravvissuta fino a diventare vecchia e grigia, le sarebbe bastato chiudere gli occhi per rivedere il volto di Romeo. Prima o poi se ne sarebbe fatta una ragione.

    Chissà, forse alla fine avrebbe sposato Paride, tanto per placare i suoi e non creare scompiglio. No, probabilmente no. Del resto, di Paride si sapeva molto poco. Era soltanto un personaggio di contorno, un surrogato, una minaccia, una scadenza fissata per forzarle la mano.

    E se Paride fosse stato qualcosa di più? Un amico? Il migliore amico di Giulietta? Se fosse stato l'unico a cui la giovane avesse svelato la devastante storia con Romeo? L'unica persona che la capisse davvero, che la facesse sentire quasi un essere umano? Se fosse stato paziente e gentile? Se si fosse preso cura di lei? Che ne sarebbe stato, se Giulietta avesse capito di non poter sopravvivere senza di lui? E se fosse stato davvero innamorato di lei, desideroso di farla felice?

    E... se Giulietta si fosse innamorata di Paride? Non come di Romeo. Niente a che vedere, certo. Ma abbastanza per desiderare che anche lui fosse felice?

    Spalancai gli occhi sentendo la porta d’ingresso che sbatteva richiudendosi rumorosamente.

    «Bella?». Gridò a malapena Charlie. Il suo tono di voce era strano, sembrava abbattuto. Balzai dal letto, avevo gli occhi che mi bruciavano, li sentivo gonfi. Aprì la porta.

    «Sono qui papà» gracchiai scendendo le scale per andargli incontro.  

    Quando scesi l’ultimo gradino si voltò verso di me. Sussultai. Il tono di voce non era che un debole riflesso del suo viso.

    Era distrutto, a pezzi, completamente atterrito. Ebbi un flash su come poteva essere la sua faccia se avessi deciso di saltare dal precipizio e non fossi più riemersa da quelle acque in tempesta.

    «Cos’è succeso?», domandai preoccupata. Non lo avevo mai visto in quello stato.

    «Harry Clearwater…ha avuto un infarto. Ero all’ospedale fino ad ora con Billy, Sam e Sue Clearwater. Non ce l’ha fatta». Sussurrò a sguardo basso, in tono pieno di cordoglio e dolore.

    Sgranai gli occhi, incredula.

    Harry era il suo migliore amico, si conoscevano da una vita, avevano condiviso tante cose. I suoi occhi tradivano un immenso dolore.

    Mi rallegrai nel non essermi buttata.

    Che ne sarebbe stato di Charlie se avesse perso anche sua figlia insieme al suo migliore amico? Per giunta nello stesso giorno. Dopo tanto tempo, avevo fatto la cosa giusta.

    Nonostante mi sentissi quasi felice di poter abbracciare Charlie ancora una volta, provai una profonda tristezza per ciò che gli era appena capitato.

    Charlie ricambiò il mio gesto spontaneo, stringendomi forte a se. Mi scappò un singhiozzo al pensiero di quanto altro dolore stavo per infliggerli. Avrei rinunciato alle sue rare quanto sincere dimostrazioni di affetto, e non solo sue.

    Avrei rinunciato anche a Jacob. Avrei rinunciato a Paride…anche se provavo talmente tanta confusione e senso di colpa, che non mi sentivo pronta a ritrovarmelo davanti. Diedi un rapido sguardo all’orologio sopra il tavolo.

    «Ti preparo la cena», proposi, sciogliendo l’abbraccio. Non mi ero resa conto che si fosse fatto così tardi.

    «Non ho molta fame», sospirò lui.

    «Nemmeno io. Vorrà dire che ci terremo leggeri», dissi forzando un sorriso ed avviandomi in cucina. Frugai nel frigo scovando un po’ di lattuga e qualche pomodorino. Che cena leggera sarebbe se non ci fosse l’insalata? 

    Tirai fuori un po’ di pane e qualche altra cosa, poggiando tutto sul bancone, dopodichè iniziai ad apparecchiare. Il trillo del telefono mi fece sobbalzare, ma non risposi. Avevo paura che fosse Jacob. Charlie era il più vicino al telefono, per cui gli bastò allungare una mano per prendere la cornetta.

   «Pronto?», rispose cercando di mascherare il suo stato d’animo, senza peraltro riuscirci. «Ah, ciao Jacob».

    Mi si bloccò il respiro. Per poco non mi caddero le posate per terra.

   «Ti ringrazio…è stato…davvero un brutto colpo, per tutti noi. Vuoi parlare con Bella? Un attimo…». Mi allungò il ricevitore e sussurrò «E’ Jacob». 

    Andai quasi in iperventilazione nel fissare quella cornetta, non riuscivo a muovermi. Non ero ancora pronta a sentirlo.

   «Digli che non ci sono», sussurrai agitando le braccia come fosse lontano un chilometro. Charlie alzò un sopraciglio. Si riportò la cornetta all’orecchio con aria confusa.

   «Ehm…ora non c’è. Ti faccio richiamare appena rientra, ok? Ciao Jake», e chiuse il ricevitore, senza levarmi gli occhi di dosso. Arrossì e continuai ad apparecchiare.

   «Avete litigato di nuovo?», domandò.

   «No, ma sono stanca e non ho voglia di chiacchierare». Mentii.

    Charlie fece spallucce, aveva altri pensieri per la testa, così smise d’indagare ed archiviò il caso. Accese la tv sintonizzandola su qualche misterioso programma sportivo e mangiammo in silenzio. Ebbi l’impressione che per tutto il tempo della cena non avesse ascoltato una sola parola dei commentatori sportivi.

    Lo compresi.

Finita la cena sparecchiai e riempì d’acqua calda il lavandino per lavare i piatti. Charlie andò a sedersi sul divano a fissare la tv, o forse il vuoto. Restai a lucidare lo stesso piatto per almeno cinque minuti, persa in mille frasi da dire per scusarmi con lui.

    Glielo dovevo.

    Dopo venti minuti finì e mi avviai verso le scale, passando dietro il divano sul quale stava seduto.

    Mi schiarì la voce e rallentai il passo fino a fermarmi.

   «Char…papà», dissi per attirare la sua attenzione. Si voltò completamente verso di me con aria attenta e un po’ sorpresa.

   «Si tesoro?».

   «Ti chiedo scusa…per il mio comportamento di questi ultimi tempi. Sono stata male, ma sento che sta passando». Abbozzai un sorriso timido. Lui contraccambiò, benevolo.

   «Non devi scusarti Bells, so cosa provi», un velo di malinconia passò velocemente sugli occhi color cioccolato di Charlie. Capì il riferimento a Reneè. «Ma sai, sapere che c’è qualcuno che ti vuole bene, che ti resta vicino e non ti fa sentire solo…beh, aiuta molto. Sai a chi mi riferisco», concluse con un altro velo, ma stavolta di malizia.

    Mi grattai la testa non sapendo da che parte girarmi.

   «Si, ma…se dovesse chiamare non passarmelo. Almeno per un po’, ok? E non chiedermi perché», dissi d’un fiato, lievemente nervosa.

   «Va bene, niente domande», alzò le mani in segno di resa con l’ombra di un sorriso sulla faccia, ed inchiodò di nuovo gli occhi alla tv. Questa volta sembrava che il programma sportivo avesse catturato la sua attenzione.

    Scossi la testa curvando all’insù un angolo delle labbra, ed increspando le sopraciglia fino in camera mia. Chiudendo la porta, feci un sospiro. Ero felice di avergli chiesto scusa, che lui mi capisse e non avesse nemmeno bisogno di perdonarmi.

    Presi la tuta e m’infilai in bagno a lavarmi e cambiarmi. Quando mi guardai allo specchio fu come se non mi fossi osservata per mesi.

    Forse era proprio così.

    Vedevo un paio di occhi castani, cerchiati da una lieve chiazza rossastra, frutto del pianto e della stanchezza. Sembrava mi avessero preso a pugni, eppure erano luminosi e pieni di speranza. Un’emozione che non provavo da un’infinità di tempo…o che forse non avevo mai provato realmente, con raziocinio.

    Mi adoperai per districare il groviglio di nodi irrimediabilmente installati tra i miei capelli e feci una doccia per togliermi una volta per tutte la sensazione di vuoto sotto i piedi. L’acqua era calda e incredibilmente piacevole, non sarei mai uscita da là dentro.

    Era un’ondata di benessere e tranquillità, d’altronde io ho sempre preferito il caldo al freddo. Dimostrazione che stando con Edward, andavo contro me stessa, contro ciò che mi faceva stare bene e mi faceva sentire protetta.

    Pensandoci, le cose peggiori mi sono capitate proprio quando stavo con lui: James che mi considerava un giocattolo commestibile, Victoria che essendo legata a lui, vuole torturami come si fa con gli insetti, ma soprattutto lui, Edward, che era continuamente provato dal suo desiderio naturale di bere il mio sangue.

    Lui fu il primo a volermi uccidere non appena sentì il mio odore incredibilmente delizioso.

    Vissi anche le cose più belle, però. Mi condusse nel mondo delle favole, dove tutto era possibile. La mia vita cambiò drasticamente dal giorno in cui lo vidi per la prima volta in quella mensa un anno fa. Ma se ci penso bene, cosa realmente mi attirò verso di lui e che dominò tutta la nostra storia?

    La mia incontrollabile attrazione fisica, che spesso andava oltre ciò che lui stesso rappresentava. Lo consideravo bello come un dio greco, da star male, ma non riservavo gli stessi commenti per la sua personalità. Elogiavo la sua perfezione fisica, più di tutto il resto.

    D’improvviso mi ricordai ciò che mi disse riguardo le caratteristiche dei vampiri. Attirano le prede con il loro aspetto divino, con il tono vellutato della voce, con il profumo sublime. Che avessi confuso l’amore che provavo per lui, con il semplice cadere nella tela del ragno?

    Ero troppo confusa e stanca per rispondere ad una domanda così difficile. Mi asciugai e mi infilai la tuta sbrindellata che usavo come pigiama. 

    Entrai nel mio letto e mi avvolsi con le coperte fino a far spuntare solo gli occhi. Dopo pochi secondi mi addormentai profondamente.

    Nemmeno adesso sognai il tormento della ricerca senza esito, o il vuoto dell’ambiente che mi circondava. O meglio, c’era buio, ma vedevo i grandi alberi del bosco che si affacciano sulla spiaggia di La Push.

    Avevo fatto un sogno simile tempo fa, in parte. Mi accorsi del rumore delle onde del mare che si lanciavano sugli scogli in lontananza, ma non era dell’ambiente che mi preoccupavo, bensì delle persone che vi erano immerse.

    Alla mia sinistra c’era Edward. Bellissimo come lo ricordavo, con un rivolo indistinto e rossastro che gli colava da un angolo della bocca. Era spaventoso e meraviglioso allo stesso tempo. Allungò un braccio marmoreo verso di me, chiamandomi con un cenno del dito diafano.

   «Vieni da me, Bella». Sul suo volto un’espressione che non riconoscevo. 

    Era sensuale, la sua voce invitante e ipnotizzante, come la musica del pifferaio magico. Feci un passo verso di lui, incantata da quella visione terribilmente straordinaria, ma un’altra voce, profonda e famigliare, mi fermò e mi fece voltare verso la sua fonte.

    Alla mia destra, una montagna di muscoli seminudi e bagnati da una pioggia che non c’era, mi rivolgeva un sorriso che illuminava tutto ciò che lo circondava. Gli occhi neri come la pece, brillanti come due stelle, mi guardavano rassicuranti e amichevoli.

    Jacob protese un braccio offrendomi la mano grande e distesa.

   «Bella, è da me che vuoi venire», disse dolce e gentile.

    Dalla sua parte proveniva una forza che mi attirava come una calamita.

    Feci un passo verso di lui ricambiandogli il sorriso. Di nuovo Edward, statuario e perfetto, m’invitò nella sua direzione con un lento gesto del dito.

    A quel punto mi fermai e guardai entrambi.

    Prima a sinistra, poi a destra, poi di nuovo a sinistra e di nuovo a destra. Il dito bianco e levigato di Edward e la mano bronzea e distesa di Jacob.

    Ed io esattamente nel mezzo, immobile, snervata e incapace di scegliere.  

    Era una situazione a dir poco frustrante, mi accorsi che i muscoli del mio viso si contraevano nel sonno. Tendevo verso Edward, ma non ero sicura di volerci andare, e intanto guardavo la mano aperta ed accogliente di Jacob.

    Emanava un calore talmente intenso che riuscivo a percepirlo, come se mi stesse respirando sul viso. Mi osservava intensamente, studiando la mia espressione in ogni dettaglio, mentre ero completamente indecisa su dove dirigere i piedi. Non sopportai più quella tensione e riaprì gli occhi, stressata.

   «AH!», urlai e mi sollevai d’istinto nel scoprire che non ero sola in camera mia.

   «Sssh! Non urlare o svegli Charlie!».

    Jacob era seduto sulla sponda del mio letto e mi tappava la bocca con quel ferro da stiro acceso che aveva al posto della mano.

    Premere le mie labbra contro il suo palmo fu una sensazione curiosa. Oltre ad avere un profumo buonissimo, la sua pelle era incredibilmente liscia e morbida.

    Arrossì ed ebbi un caldo tremendo.

    Si accorse del mio cambiamento di colore e levò velocemente la mano. 

    Probabilmente pensava che mi stesse ustionando. Sotto shock, guardai l’orologio sul mio comodino, era l’una e cinquanta del mattino.

    Lo inchiodai con lo sguardo.

   «Che diamine ci fai in camera mia a quest’ora!?», domandai indignata da una simile violazione della privacy.

   «Hai mai sentito il detto: se Maometto non va dalla montagna, è la montagna che va da Maometto?», rispose scherzoso, indicando il proprio corpo immenso.

    Mi sentii irritata nel vederlo quando ancora non ero pronta. Ancora di più se penso che era li ad osservarmi da chissà quanto tempo! Senza contare che stavo sognando proprio lui. Presi un lembo delle coperte e me le portai al petto.

   «Non si piomba in camera di una ragazza nel cuore della notte mentre dorme!», lo rimproverai.

    Mi resi conto che ad Edward avevo permesso di fare una cosa assolutamente fuori luogo. Anche lui veniva non una, ma tutte le notti in camera mia, e non lo avevo mai sgridato. Eppure, nonostante il gesto poco corretto, vedere Jacob piombare nella mia stanza mi fece sentire…meglio.

    Scossi la testa e cercai di concentrarmi sulla risposta alla mia domanda, che ovviamente ignorò.

    «Perché non mi hai risposto al telefono? Ho pensato ti fosse successo qualcosa, considerando che quella succiasangue ci è sfuggita per l’ennesima volta!», disse in una nota di frustrazione. Era preoccupato per me, mentre io mi ero persino dimenticata dell’esistenza di Victoria.

    Era l’ultimo dei miei pensieri…manco a dirlo. Sfruttai l’argomento per evitare di rispondere alla domanda legittima.

    «Billy mi ha detto che avevate fiutato le sue tracce, cos’è successo? L’avete trovata?», domandai, sperando che non m’ignorasse di nuovo e puntasse i piedi sulla sua domanda. Jake scosse la testa.

    «Purtroppo no. Stamattina l’avevamo quasi presa. Con la zampa ho sfiorato una ciocca dei suoi capelli rossi, ma con uno scatto si è tuffata dal dirupo e l’abbiamo persa in mare. Hanno un grande vantaggio in acqua rispetto a noi. Sono veloci e letali come gli squali», raccontò accigliato, con lo sguardo nel vuoto e i pugni serrati.

    Victoria si era gettata nell’oceano nel quale stavo per buttarmi anch’io. 

    Rabbrividì.

    «Caspita…me la sarei trovata davanti», esternai involontariamente i miei pensieri immaginandomi un incontro subacqueo con lei. Jacob bloccò i fremiti che gli correvano lungo le braccia ed alzò gli occhi sui miei.

    «Che vuol dire? Ora che ci penso è da stamattina che non riesco a parlarti, che hai combinato?», domandò in tono accusatorio. Aveva capito che ne stavo facendo una delle mie. Fissai il disegno di un fiore rosa sulla piega delle coperte, evitando il più possibile il suo sguardo. Presi fiato e corrugai le sopraciglia.

    «Ecco…avevo voglia di farmi il tuffo che avevamo programmato di fare. Stavo per saltare giù dalla cima più alta. Non sono riuscita a trovare quella che stava più in basso», confessai, concentrandomi su quel disegno a fiori. 

    Sgranò gli occhi neri, incredulo.

    «Sei per caso impazzita Bella? Non hai pensato a Charlie? Non ti sei accorta che stava arrivando un uragano? Potevi farti male accidenti! Dovevi aspettare che ci fossi anch’io! Perché lo hai fatto, si può sapere?». Era sconvolto. Le folte sopraciglia nere alzate e gli occhi sbarrati.

    Non risposi.

    I sensi di colpa cominciarono a riaffiorare senza tregua. Il pensiero di provocare un lutto in famiglia, e di aver usato l’amicizia di Jacob per i miei insani scopi mi fecero un male terribile.

   «Bells…», sussurrò calmandosi e inclinando la testa, cercando di catturare i miei occhi sfuggenti.

    Avevo paura di dirgli quella verità che forse sbagliavo a volergli svelare, solo per metterlo nella condizione più corretta di fare la scelta migliore. Ma se avesse deciso di lasciarmi perdere, cosa avrei fatto? A quel punto sarei tornata in quel precipizio e avrei finito il lavoro. Anzi, avrei sofferto vivendo l’abbandono che più meritavo.

    «Jake, non vorresti saperlo, fidati», cercai di farlo desistere, una cosa che mi è sempre stata difficile. Cocciuto com’è.

    «Non faccio domande quando non m’interessano le risposte», era sulla difensiva.

    «E’ una storia lunga, e mi prenderesti per pazza», insistetti.

    «Il tempo non mi manca, ed è da quando ti conosco che penso che tu sia pazza», rispose con il più Jacobico dei sorrisi, di quelli al quale non resisti e ricambi automaticamente, anche se con una smorfia come nel mio caso. 

    Meritava tutta l’onestà di cui ero capace, e dovevo pagare tutto il male che gli avevo fatto. Presi coraggio e iniziai, la probabilmente, ultima conversazione con il mio sole personale.

    «Ho scoperto che cose come il pericolo, l’adrenalina e il brivido in generale…fanno scattare qualcosa nel mio cervello, o meglio, mi fanno sentire una cosa». Abbassai gli occhi, imbarazzata.

    «Che cosa Bells?».

    Presi un altro po’ d’aria e chiusi gli occhi dicendo mentalmente addio al mio migliore amico.

    «La voce di Edward che mi mette in allerta, come se lui fosse li accanto a me», dissi d’un fiato e sprofondando nell’abisso senza fondo della vergogna. Jake rimase impietrito. Sentivo le fiamme dei suoi occhi trapassare le mie palpebre serrate.

    «La voce di…hai rischiato la vita per…», balbettò in preda ai fremiti di rabbia che a stento riusciva contenere. Tremava tutto il letto. Gli acchiappai il polso e lo fissai negli occhi adirati.

    Avevo una carta da giocare, la carta del cambiamento. Tutto era diverso, il velo della pazzia non mi soggiogava più, e dovevo farglielo capire prima che davvero decidesse che era meglio lasciarmi perdere.

    «Ma ora è diverso, ora ho capito che era tutto sbagliato! Grazie a te», confessai lasciando che il fiume che avevo in testa straripasse. Speravo di calmarlo, e fortunatamente ci riuscì. I tendini del polso che percepivo sotto la mia mano, si bloccarono.

    Chiuse gli occhi e fece un gran respiro, concentrato.

    «Spiegati meglio Bella, dall’inizio». Li riaprì sui miei, e rimase in attesa.  

    Lo accontentai.

    «Per un po’ di mesi sono stata una specie di zombie, cercavo di non pensare a lui, o meglio, cercavo di non pensare e basta. Poi una sera mi sono decisa ad andare al cinema con una mia compagna di classe, e siamo andate a Port Angeles. Lì vidi un gruppo di ragazzi che mi ricordavano persone con cui avevo avuto a che fare l’anno scorso, erano poco raccomandabili per la verità, ma era buio e non capivo se fossero loro oppure no», spiegai attorcigliandomi le dita.

    «Non ti sarai avvicinata per vedere meglio, vero?», domandò lui affilando lo sguardo.

    «Invece si», mormorai.

    Il letto vibrò di nuovo per un secondo, ma feci finta di nulla e andai avanti col mio racconto. «Non so cosa mi spingesse all’inizio, ero solo curiosa di sapere se erano loro. E fu in quel momento che sentì la voce di Edward per la prima volta da quando mi aveva lasciata. Chiara, netta, vellutata e molto arrabbiata». Ricordai le sensazioni che provai e i mille pensieri che vi erano seguiti. «Era come se immaginassi ciò che avrebbe detto se fosse stato li con me, ma impossibilitato a difendermi».

    Jacob tirò fuori la sua espressione cattiva e beffarda, quella che meno sopportavo. «Ed è esattamente così! Lui non c’è, non può difenderti se ti succede qualcosa!» commentò con un ghigno odioso. 

    Dimenticai i sensi di colpa e corrugai la fronte, spazientita da quell’atteggiamento che non lo identificava. «Smettila Jake! Ti ho già detto che è tutto diverso, quindi se vuoi ascoltare il resto chiudi quella bocca, altrimenti te ne puoi andare da dove sei entrato!», minacciai acida, ma me ne pentì subito.

    Ora che era li, e gli stavo raccontando tutta la storia, non volevo che se ne andasse. Non ero sicura che avrei ritrovato la stessa determinazione in un incontro successivo. Jake rilassò il volto e si morse il labbro, dispiaciuto.

   «Scusa…continua», disse facendo cenno con la mano di andare avanti ed abbozzando un sorriso.

    Deglutì senza staccare gli occhi dai suoi, e ripresi il filo del discorso.

   «Dopo quell’episodio cercai di capire che cosa avesse provocato una simile reazione del mio inconscio, e così ho pensato all’adrenalina e al pericolo. Quando mi ha lasciata mi fece promettere di non fare cose stupide o pericolose. In cambio lui sarebbe sparito dalla mia vita, come se non fosse mai esistito», trasalì al ricordo.

    Provai una quantità non indifferente di rabbia per la prima volta. Ero arrabbiata con Edward per avermi lasciata in quel modo, in mezzo al bosco, completamente da sola a sprofondare nel vuoto più totale. Non so cosa sarebbe stato di me se non avessi ricominciato a frequentare Jacob.

    «Magari fosse», mugugnò. Alzai un sopraciglio con fare irritato. Se ne accorse e si chiuse la bocca con una lampo invisibile.

    Sbuffai e continuai le mie spiegazioni, mi stavo avvicinando pericolosamente ad una delle parti più difficili.

    «Così considerai la riproduzione della sua voce come la rottura della promessa. Non avevo idea di come riprovare quelle emozioni, finchè non mi imbattei…nelle due moto».

    Ecco, ci sono arrivata. La parte più brutta.

    Il momento in cui entra in ballo Jacob e la verità di quelle frequentazioni. 

    Calò un silenzio che mi mise i brividi.

    Non mi incitava ad andare avanti, non faceva alcun commento. Si limitava a fissare il pavimento, perso in chissà quali pensieri.

    D’improvviso, senza dire una parola, s’alzò dalla sponda del letto sul quale sedeva e s’avviò nervosamente verso la finestra. Capì che aveva intuito, e che se ne stava andando via, per non tornare più.

    Dovevo fermarlo, non volevo che uscisse dalla mia misera vita, sono troppo egoista per permetterglielo! Le cose erano cambiate, e doveva capirlo prima di prendere una decisione così drastica! Ero disposta ad esternargli i miei pensieri più profondi, pur di dare a me stessa una possibilità di riscattarmi.

    Uscì di corsa dal letto caldo e mi aggrappai al suo braccio roccioso per fermarlo.

    Si voltò di scatto incenerendomi con lo sguardo. Lasciai immediatamente la presa. Era una maschera di dolore, delusione e rabbia. Tremava dalla testa ai piedi.

    «Mi hai usato per immaginarti la voce di quel succiasangue!» trattenne l’urlo a stento. Pensai che Charlie si svegliasse, ma non avevo il tempo di concentrarmi sulla frequenza del suo russare. Dovevo fermare Jacob.

    «Era così, all’inizio, ma non mi aspettavo che la tua presenza mi riportasse in vita in un modo così naturale!» confessai balbettando. Il fuoco nei suoi occhi neri non accennava a spegnersi.

    «E’ stata tutta una bugia tra noi», la sua voce era rotta dalla ferita che gli avevo appena inflitto.

    La più profonda, quella della verità. Una verità che era cambiata, e tutto poteva dire, ma non che gli avessi mentito o che fossi stata disonesta fino a questo punto.

    «No Jake! Tutto quello che ti dicevo e che abbiamo fatto era vero, non ti ho mai mentito! È stato difficile arrivare a capire quello che ho compreso solo adesso!», implorai, e nonostante la verità delle mie parole, avevo l’impressione di arrampicarmi sugli specchi. Che fosse già troppo tardi.

    A quel pensiero singhiozzai. Jake incrociò le braccia, spalancando gli occhi, furioso e con aria di sfida.

    «Bene, allora sorprendimi! Sentiamo questa grande intuizione!».

    Ed aspettò, in piedi vicino alla finestra, pronto a saltar giù se non avessi aperto bocca. Nonostante fossi convinta che dirgli la verità fosse giusto, mi sentii a disagio nel dovergli sbattere in faccia i miei sentimenti, pur di fermarlo.

    Mi metteva in difficoltà, mi costringeva a fare chiarezza in tempi rapidi. Come Charlie, anch’io non parlo volentieri delle mie sensazioni, e non sapevo se avrei trovato le parole giuste per non farlo scappare. Ma non c’era altra via che confessare ciò che provavo e tutt’ora provo per lui, ogni volta che lo guardo in faccia.

    Mi passai la mano tra i capelli e mi strofinai gli occhi. E provai ad aprire il mio cuore.

    «Il fatto che passassi tutto quel tempo con me, che mi stessi vicino nonostante il mio comportamento sconsiderato e i miei continui rifiuti, la tua sola presenza, il tuo sorriso incredibile e persino la tua voce al telefono…erano come un elettroshock per me. Mi sentivo viva quando stavo con te, era come se guarissi tutte le mie ferite senza che nessuno dei due si dovesse sforzare. Di questo mi ero già resa conto, e ora c’è dell’altro», dissi d’un fiato, sentivo le guance roventi.

    Il viso accigliato e ferito di Jacob, si rilassò lievemente.

    «Ma perché devi essere così complicata? Io ti faccio stare bene e lui male, punto. Che altro ti serve per lasciarlo perdere e considerare qualcosa di più sano?», disse come fosse la cosa più ovvia e facile del mondo.

    Incrociai anch’io le braccia, seccata da come si permettesse di minimizzare ciò che Edward era stato per me.

    «So che mi ha lasciata e fatta soffrire, ma non potrò mai dimenticarlo o fare finta che non sia mai esistito. Devi accettarlo, anche se non ti piace».

    Abbassò gli occhi e slacciò le braccia mettendosele sui fianchi modellati, lievemente sconfitto da quella verità che non poteva rinnegare.

    «Ok, hai vinto», sbuffò. «Ora dimmi di questo cambiamento di cui parli tanto e di cui non hai ancora detto niente».

    Ed ecco la seconda parte delle più complicate e delicate.

    «Ora viene la parte più difficile e so che mi fraintenderai, però ormai ti sto dicendo tutto ed è giusto che tu lo sappia. Stamattina, come ti ho detto, volevo tuffarmi dallo strapiombo, per il motivo che sai», dissi annodandomi le dita ghiacciate.

    Un brivido lo scosse. Chiuse gli occhi per concentrarsi e calmarsi.

    Poi li riaprì.

    «Vai avanti», m’incitò.

    Respira Bella, non dimenticartene, pensai. «Come previsto sentì la sua voce parecchio irritata che mi diceva di non farlo, di pensare a Charlie, a Reneè…», ma non mi fece concludere la frase che s’infilò nel discorso.

    «La tua pazzia è più razionale del tuo buon senso», commentò scuotendo la testa e sghignazzando.

    Non mi feci distrarre da quell’espressione divertita di chi ci prova gusto nel prendermi in giro. La stessa che immaginai quando udì anche la sua voce.

    «E di pensare a te», conclusi seria e seccata dal suo ridermi in faccia nel bel mezzo di un discorso serio.

    Di colpo smise di ridacchiare.

    Lentamente, le labbra piene e curvate in un sorriso divertito, divennero una linea netta, e mi guardò in silenzio, bloccato dal sentirsi chiamare in causa. Cominciai ad avere problemi di respirazione ed ebbi paura di andare in iperventilazione, ma cercai in tutti i modi di non darglielo a vedere.

    «Appena pronunciò il tuo nome sentì anche la tua voce che diceva «Eh si Bella, ci sono anch’io, nel caso te ne fossi dimenticata» come se stessi sorridendo nel modo che sai fare solo tu, e li ho capito».

    Istintivamente, indietreggiai e mi strinsi tra le braccia guardando altrove. Stavo aprendo il mio cuore in modo smisurato e il fatto che le parole venissero giù come un fiume in piena mi faceva paura. Era come se avessi aperto un rubinetto che si era rotto. Impossibile richiuderlo.

    Jacob accorciò la distanza, con un passo in avanti più lungo di quello che avevo fatto io all’indietro.

    «Che cosa hai capito Bella? Dimmelo». La sua voce era impaziente, come i suoi occhi svegli, neri e incandescenti. Il calore del suo corpo m’investì come un’onda anomala. Tremai, nervosa e straripante.

    «Che…che ciò che cercavo non era reale e mi faceva solo del male. Che non potevo rischiare la mia vita per una persona che mi aveva lasciata e per il quale non contavo nulla. Far soffrire le persone che sono importanti per me, e…».

    Sospirò spazientito. «”E” cosa Bella? Non girare intorno all’argomento! Dillo!», ordinò tenendomi per le spalle e costringendomi a fissarlo negli occhi. 

    Il suo respiro controllato a fatica e lo sguardo acceso mi fecero sentire le farfalle nello stomaco. Avevo il terrore delle conseguenze di ciò che stavo per dirgli, ma non riuscivo più a trattenere i pensieri dentro la mia testa. 

    «E…non poter più stare con te. Perchè tu sei reale».

    Calò il silenzio per un attimo che mi pareva un’eternità.

    Ero intimorita nel vederlo così concentrato su di me, sembrava che volesse praticare un buco nel mio cervello ed entrarci dentro per frugarlo da cima a fondo, alla ricerca di qualcosa che non avevo detto.

    «Tu mi ami», sentenziò.

    Ecco. Lo sapevo che sarebbe giunto a quella conclusione.

    Chiusi gli occhi e scossi la testa.

    «Jake…» sussurrai. «Non fraintendere ciò che ti ho detto».

    «Non sto fraintendendo niente, so leggere tra le righe, persino meglio di te che le scrivi». Sorrise, come stesse pregustando la vittoria di una battaglia che portava avanti da anni.

    «Jake, io non ho ancora superato l’argomento “Edward” e non mi sento di rischiare qualche altra sofferenza». Quel pensiero mi fece di nuovo bruciare la ferita al petto.

    «Io non ti farò del male, non soffrirai mai a causa mia, non sono come lui», sussurrò gentile.

    A queste parole mi ricordai di un particolare di cui forse si era dimenticato.

    «Mi hai già fatta soffrire, quando sei sparito in seguito alla tua prima trasformazione», gli ricordai, imbarazzata da quella vicinanza e dal calore piacevole che emanava. Cercai un barlume d’incertezza sul suo volto.

    Sorrise, per niente colto in castagna.

    «Già, poi sono tornato scodinzolante perché non mi è possibile starti lontano».

    Avevo già sentito una frase simile, ma non da lui, e non di recente.

    Diceva che gli era difficile starmi lontano anche solo per un attimo. Ora sono passati mesi dall’ultima volta che lo vidi. Quando c’era qualche problema con Jacob e lui spariva, tornava sempre da me, arrabbiato, pentito, o in qualunque altra forma. Ma non mi ha mai abbandonata sul serio. «E poi non ero ancora padrone di me stesso, non potevo raccontarti il mio segreto e rischiare che ti facessi del male», continuò serio.

    Per questo si allontanava. Solo per non procurarmi un danno fisico. E anche in quel caso era tornato a cercarmi, piombando nella mia stanza nel cuore della notte, come adesso.

    Era davvero diverso da Edward. Non si dava mai per vinto, calpestava il proprio orgoglio per chiedermi scusa o perché non gli piaceva come si era troncata la conversazione. Jake era fatto così, era un combattente. In tutti i sensi.

    «E’ vero, sto bene con te, come non lo sono mai stata con alcun essere umano in vita mia, ma…per me sei soprattutto un amico, il mio migliore amico. Edward è stato il mio primo, incredibile amore, ed è ora che vada avanti, ma ho bisogno della tua amicizia, della tua vicinanza e non…di un altro ragazzo» dissi, ma mi tremava la voce.

    Scosse la testa con una smorfia, non lo avevo convinto.

    «Il problema è che non ti senti pronta, soprattutto non vuoi confessare a te stessa quanto ti piaccio», affermò liberandomi dalla sua presa d’acciaio. «Perché io ti piaccio più di tutti, lo hai detto quella sera al cinema, e la volta che ti sei quasi ammazzata con la moto, hai detto che sono, come dire…bello!», ricordò, usando le mie parole contro di me in un sorriso trionfante.

    Lo osservai e lo confrontai con il ricordo del ragazzino impacciato e con meravigliosi capelli lunghi di seta nera. Ora sembrava un uomo fatto e finito. Coraggioso, forte, alto, muscoloso, caldissimo, con il viso più da adulto che da bambino. Era diventato ancora più bello.

    «Che tu sia, come dire, bello non posso negarlo…», indugiai senza volerlo sugli addominali scolpiti e sui pettorali che battevano i miei. Se ne accorse e sorrise compiaciuto. Mi schiarì la voce e tornai sui suoi occhi scintillanti. «Però hai ragione, non sono pronta», conclusi in tutta fretta incrociando le braccia e stringendole al petto.

    Ridivenne serio e mi lanciò un’occhiata provocatoria.

    «Secondo me se ti baciassi capiresti molte cose», buttò lì.

    Sbattei furiosamente le ciglia e rimasi a bocca aperta ad una simile proposta.

    «Certo, capirei che sei un cretino e che non hai capito niente di quello che ti ho detto!». Aveva il terribile vizio d’irritarmi nei momenti meno opportuni. 

    Com’era possibile che mi stesse proponendo una cosa del genere dopo tutto quello che gli avevo confessato? Non poteva essere così tollerante, non era giusto! Non poteva sul serio accettare tutto questo per…amore.

    «Lo pensi davvero?», domandò, come se si riferiesse alle mie domande mentali. Si avvicinanò lentamente senza staccarmi gli occhi di dosso, in uno sguardo talmente intenso che mi costrinse ad indietreggiare ancora. «Bella, sai cosa provo per te. Se tu dici di avermi usato per quella tua stranezza, io ho fatto qualunque stupidaggine solo per stare con te. I momenti vissuti insieme, sono tra le cose più belle che mi siano capitate nella vita». Sussurrava gentile, accarezzandomi il viso incredulo in un modo così dolce che mi fece arrossire.

    Era disposto a perdonarmi per amore. Un amore che non meritavo, ma che mi donava con tutto se stesso. Guardare nel pozzo dei suoi occhi e vedere che persona incredibile avevo davanti, provocò in me delle sensazioni che credevo di aver sepolto per sempre.

    Non mi ero mai sentita così confusa come in quell’istante.

    Mi sentivo come nel sogno di poco fa: immobile ed incapace di scegliere tra sinistra e destra, tra il semplice cenno con un dito, alla grande mano distesa. Tra il ghiaccio e il fuoco.

    Continuava a guardarmi, senza dire niente, forse per paura di rovinare un momento in cui il tempo sembrava essersi fermato. Non era più ferito o arrabbiato, era solo…Jacob.

    Spuntò un timido sorriso sul suo volto sereno, e con il dorso della mano calda, asciugò una lacrima sfuggita al mio controllo.

    «Ora devo tornare da Sam. A presto», sussurrò con uno sguardo intenso. Poi si voltò ed uscì svelto dalla finestra. Restai imbambolata a fissare il vuoto.

    Sempre più confusa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 02 - L'ospite ***


(Libro di riferimento: New Moon di Stephenie Meyer)

 

    I raggi di un pallidissimo sole entrarono dalla finestra aperta della mia stanza. Anche quel pallore era una rarità da queste parti. Naturalmente non avevo chiuso occhio o quasi. Il sogno stressante e la visita notturna di Jacob, avevano scombussolato il mio riposo.

    E i miei pensieri.

    Avevo temuto il peggio, quando gli raccontai la verità. Avrei scommesso che mi avrebbe lasciata al mio destino, che mi avrebbe detto qualcosa come «Arrangiati Bells».  

    Invece ha detto «Ti amo» o quasi. Nonostante tutto, mi ha perdonata.

    Risi di me stessa. Di quanto fossi fortunata e stupida. Scostai le calde e pesanti coperte e uscì dal letto. Mi sentivo molto più rilassata, anche se c’era qualcosa che m’infastidiva.

    L’argomento “Edward”.

    Come l’avrei affrontato d’ora in poi? Provavo ancora qualcosa per lui, non era così facile dimenticarlo. Ma ne ero seriamente intenzionata. Prima o poi avrei pronunciato la parola fine e la mia vita avrebbe continuato a scorrere normalmente.

    Andai a prepararmi i soliti cereali e il cafè per Charlie, come tutte le mattine. Era talmente presto che potevo fare con calma. Me li gustai uno ad uno. Dopo un po’ arrivò Charlie trascinandosi i piedi con un grosso sbadiglio.

    «Buongiorno Bells», disse grattandosi la pancia.

    «’Giorno papà».

    «Hai dormito stanotte?», domandò osservando più da vicino le mie occhiaie.

    «Ehm…ho avuto caldo. Sai, le coperte». Pensa che ha persino un nome e un cognome: Jacob Black. Metaforicamente parlando non era una bugia tanto grossa, infondo.

    «E tu? Hai dormito?», domandai preoccupata.

    «Come un sasso». rispose.

    Mi diede una pacca sulla spalla con una mano e prese il cafè con l’altra. Era ancora fumante e bollente, l’aroma aveva invaso tutta la casa. Probabilmente fu quello ad aver attirato Charlie fino in cucina. Si sedette di fronte a me e tirò un sorso, poi restò a fissarmi.

    «Che c’è?», domandai confusa.

    «Ti vedo diversa Bells. Sembri più rilassata, nonostante le occhiaie», ridacchiò. Aggrottai le sopraciglia ed arrossì. Non sapevo bene cosa rispondere, in effetti c’era più di un motivo, ma non ne potevo dire neanche mezzo.

    «Mmmh», mugugnai abbozzando un sorriso e fissando l’ultimo cereale nella mia tazza.

    «Sei ancora arrabbiata con Jake?», domandò curioso e preoccupato. La sua predilezione per quel licantropo era sconfinata, ma non del tutto incomprensibile.

    «No, e poi te l’ho detto, non ero arrabbiata con lui. Se dovesse chiamare…risponderò», sussurrai imboccandomi con l’ultima cucchiaiata di colazione. Charlie mi fissò meditabondo. Scosse la testa ed alzò le sopraciglia non essendo venuto a capo di niente.

    «Questi ragazzi sono incomprensibili», farfugliò alzandosi dalla sedia. Trattenni una risata.

    «Sono problemi giovanili, niente di strano», ridacchiai alzandomi a mia volta.

    «Ah ah», disse per poi bofonchiare qualcos’altro d’indecifrabile.

    Lavai le due tazze ed andai a lavarmi. Avevo ancora qualche giorno di vacanza prima di riniziare la scuola. Appena Charlie mise in moto la macchina della polizia, salì in camera a fare i compiti che avevo iniziato ieri, prima di recarmi alla scogliera.

    Li finì quasi tutti, mi mancavano solo le ultime due verifiche. Peccato che ogni tanto mi distraessi. Scarabocchiavo sul quaderno, disegnando delle onde e degli alberi che le incorniciavano, e ricordai il sogno.

    Rimuginai su come avevo interpretato le due figure dominanti.

    Edward era pericoloso. Un predatore che mi attirava nella sua trappola usando le doti di vampiro. E mi invitava con un semplice gesto del dito. 

    Invece Jacob era luminoso, sorridente, mi dava sicurezza perché non avevo nulla da temere. Niente di lui mi metteva paura o mi ipnotizzava come faceva Edward. La sua mano era distesa, aperta, come per aiutarmi a rialzarmi da una brutta caduta.

    Increspai le sopraciglia e mi massaggiai la tempia, stressata.

    Perché Edward era così minaccioso? Il mio inconscio aveva capito che non ero poi così sicura al suo fianco come credevo? Eppure non mi aveva mai fatto del male, almeno non lui. Il tentativo di Jasper fu un incidente che nessuno aveva calcolato.

    Non lo aveva fatto apposta. Non era colpa sua se lui è un vampiro e io una goffa ragazzina che si taglia con la carta da regalo davanti ai suoi occhi assetati.

    Se ci fosse stato Jacob al suo posto si sarebbe messo a ridere e mi avrebbe piazzato un cerotto alla bene e meglio, accompagnato da una buona dose di prese in giro.

    Questa era una grossa differenza tra i due.

    A Jake del mio sangue non interessava nulla. Non nel senso che interessava ad Edward o Jasper. Ero l’insetto che si era innamorato della pianta carnivora. Per di più volevo trasformarmi anch’io in una pianta carnivora.

    Diventare un vampiro ormai era un sogno irrealizzabile, e c’erano delle condizioni che lui mi faceva sempre notare e che sistematicamente dimenticavo: Charlie e Renèe. E ora anche Jacob.

    Se fossi diventata un vampiro cosa sarebbe successo? Mi avrebbe dato la caccia? Mi avrebbe uccisa di persona? O avrebbe fatto lo scarica barile con qualche altro fratello del branco perché lo facesse al suo posto?

    Se non ne avesse avuto il coraggio, lo avrei perso per sempre, come minimo. Sarebbe diventato un nemico. Ma significava anche passare l’eternità con Edward al mio fianco.

    L’eternità.

    È un tempo troppo lungo da concepire e capire appieno. Avrei visto tutte le persone più o meno care che avevo, morire uno ad uno, mentre io rimanevo intrappolata nello stesso corpo indistruttibile dal tempo.

    Avrei visto morire Charlie.

    Ebbi un breve arresto cardiaco. La memoria di un vampiro non mi avrebbe permesso di dimenticare il suo ultimo respiro. Sempre se avessi trovato un modo per continuare a vederlo negli anni, senza che lui notasse come non invecchiassi.

    Impossibile.

    Avrei dovuto rinunciare a tante cose, per stare con Edward. Ma ora mi ha lasciata, per cui il problema non si pone più.

   Jacob non comportava alcuna rinuncia, o almeno credo. Non so poi così tanto sulla natura dei licantropi.

   Mi chiedo se esista un modo per diventare come lui. Non cambierebbe nulla, anzi. Il mio compito diverrebbe quello di uccidere Edward e la sua famiglia nel momento in cui verrebbero meno al patto. Uccidere la piccola e tenera Alice.

    Il cuore mancò un altro colpo.

    No, assolutamente esclusa anche questa opzione! Scegliere sembra impossibile.

    Ricominciai a massaggiarmi la tempia.

    Qualcosa bussò sulla porta d’ingresso, come se lanciassero contro delle pietre. Mi alzai e mi trascinai al piano di sotto. Ed aprì la porta.

    Innaturalmente statica e pallida, con i grandi occhi neri fissi sul mio volto, l'ospite restò sull’uscio, immobile, bella da non credere. All'istante mi tremarono le ginocchia, quasi caddi a terra. Poi mi lanciai su di lei.

    «Alice, oh, Alice!», gridai abbracciandola forte. Avevo dimenticato quanto fosse dura; fu come gettarsi di corsa contro una parete di cemento.

    «Bella!». Nella sua voce c'era un curioso misto di sollievo e confusione.

    Mi strinsi a lei, respirando a fondo per godermi il più possibile quel profumo meraviglioso. Non somigliava a nient'altro: non ai fiori, né agli agrumi, né al muschio. Non c'era fragranza al mondo capace di reggere il confronto.

    I miei ricordi non gli rendevano giustizia.

    Non mi resi conto che i respiri si erano trasformati in qualcos'altro. Capii di essere scoppiata a piangere soltanto quando Alice mi trascinò sul divano e mi fece sedere in braccio a lei. Era come raggomitolarsi addosso a una roccia fredda, ma modellata a misura del mio corpo. Mi massaggiò la schiena con delicatezza, in attesa che riprendessi il controllo.

    «Scusa…», farfugliai. «Sono soltanto… felicissima… di rivederti!». 

    «Tranquilla, Bella. Va tutto bene».

    «Sì», risposi tra le lacrime. Per una volta sembrava fosse proprio così. Alice sospirò.

    «Dimenticavo quanto fossi esuberante», disse, critica. La guardai con gli occhi gonfi di lacrime. Il suo collo era rigido, cercava di starmi lontana, le labbra sigillate. Gli occhi erano neri come il carbone.

    «Ah», sospirai e compresi il problema. Aveva sete. E io profumavo di buono. Era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui avevo dovuto badare a certi particolari. «Scusa».

     «È colpa mia. Non vado a caccia da troppo tempo. Non va bene che mi riduca ad avere così sete. Ma ero di fretta». Scrutò il mio viso.

«A proposito, potresti spiegarmi cosa volevi fare ieri mattina in cima ad uno strapiombo?» domandò irritata.

    Quelle parole arrestarono le lacrime e mi fecero rinsavire. Capii subito ciò che doveva essere accaduto, ma non capì il motivo della presenza di Alice.

    La guardai confusa. «Volevo farmi un tuffo dalla scogliera, ma ci ho ripensato. Perché?».

    Affilò lo sguardo, torva. «Perché volevi farti un tuffo nel bel mezzo di un uragano?». Lo scampanellio della sua voce fu quasi assordante, eppure sapevo che si stava trattenendo dal gridare. A quella domanda non sapevo cosa rispondere. Non mi andava di raccontarlo proprio a lei.

    Incerta, tentai di pensare a una scusa che non mi facesse passare per pazza.

    Alice tirò un sospiro liberatorio scuotendo la testa, senza staccarmi gli occhi di dosso. «Non importa. Per chissà quale miracolo ci hai ripensato. “Bella me lo ha promesso”». Lo imitò alla perfezione, come se lo sentissi dalla sua voce. Quella vera. Eppure la mia ferita non mi fece più male del solito. Restai di sasso. «”E non andare a sbirciare nel suo futuro”» aggiunse, imitandolo ancora. «”Abbiamo già fatto abbastanza danni”. Ma il fatto che io non sbirci non significa che non veda» proseguì. «Non ti stavo tenendo d’occhio, Bella, te lo giuro. Il fatto è che mi sento talmente in sintonia con te…e quando avevi deciso di buttarti…Dio, se il mio cuore battesse ancora avrei avuto un infarto! E poi d’un tratto sei sparita!». La sua voce squillante si alzò di un’ottava, mentre le candide mani premevano contro le sue tempie.

    Vederla così sconvolta era insopportabile. Le posai un braccio intorno alle spalle magre e la strinsi a me più che potevo. «Poi sei di nuovo riapparsa e te ne sei andata, ma non ho capito cosa fosse successo. Ho preso il primo volo disponibile e mi sono precipitata a vedere di persona» aggiunse senza prendere fiato.

    «Alice, sono qui e sto bene. Alla fine ho capito che avrei fatto una sciocchezza incredibile» dissi, cercando di tranquillizzarla.

    Alice sollevò la testa di scatto e mi trafisse con lo sguardo. «Come hai fatto a sparire? A cosa stavi pensando? Cosa ti ha fatto cambiare idea? Rispondimi, Bella!» ordinò furiosa.

    Mi si raggelò il sangue nelle vene, e iniziai a balbettare qualcosa.

    «Ho… pensato ad Edward…a Charlie e Renèe. Poi quando ho pensato a Jacob ho lasciato perdere definitivamente. Ecco, è quando ho pensato a lui che ho deciso di non farlo». Arrossì nel rendermi conto di quella verità. Ma le cose non tornavano comunque. «Ma questo non ha alcun senso su come ho fatto a sparire» aggiunsi, confusa. Alice era ancora più sconvolta di me a riguardo. Poi si chinò ad annusarmi la spalla.

    Restai impietrita.

    «No, infatti. Ma…chi è Jacob?» domandò alzando un sopraciglio, perplessa.

    «Lui è il mio migliore amico, più o meno…». Contemporaneamente mi chiesi cosa fosse per me, in realtà.

    Alice annuì, sembrava preoccupata. «Quindi un ragazzo normale, non ha nulla di speciale. Non capisco» scosse la testa, completamente spaesata.

    Per un istante restai senza parole. Era un segreto, o no? E ammesso che lo fosse, a chi dovevo restare fedele? A Jacob o Alice? Mantenere un segreto era troppo difficile. Se Jacob sapeva tutto, perché non parlarne anche con Alice?

    «Be', ecco, lui è una specie di… licantropo», confessai d'un colpo. «I Quileute si trasformano in lupi, in presenza dei vampiri. Conoscono Carlisle da un sacco di tempo. Tu vivevi già con lui?».

    Alice restò a fissarmi a bocca aperta per qualche istante, poi si riprese con un rapido battito di ciglia. «Be', questo di sicuro spiega l'odore», mormorò.

Aggrottò le sopracciglia e corrugò la fronte di porcellana.

    «L'odore?».

    «Hai un odore tremendo», commentò distratta e torva. «Un licantropo? Ne sei sicura?».

    «Eccome», confermai, e trasalii al pensiero di Paul e Jacob che litigavano sulla strada. «Immagino che tu non vivessi con Carlisle, l'ultima volta che ci sono stati i licantropi a Forks».

    «No. Non l'avevo ancora trovato». Restò persa nei propri pensieri. 

    All'improvviso strabuzzò gli occhi e si voltò a guardarmi, spaventata.

    «Il tuo migliore amico è un licantropo?».

    Annuii, rassegnata.

    «Da quanto tempo va avanti?».

    «Non da molto», dissi, sulla difensiva. «Si è trasformato poche settimane fa».

    Mi fulminò con lo sguardo. «Un licantropo giovane? Ancora peggio! Edward aveva ragione: sei una calamita che attira disgrazie. Non dovevi tenerti alla larga dal pericolo?».

    «I licantropi non sono pericolosi», borbottai, stizzita dal suo atteggiamento critico.

    «Finché non perdono la calma». Scosse la testa con un movimento secco. «Sono fatti tuoi, Bella. Chiunque altro sarebbe stato felice della fuga dei vampiri. Tu invece decidi di fartela con il primo mostro che passa».

    Non volevo litigare con Alice, tremavo ancora di gioia al pensiero che fosse lì, in carne e ossa, che potessi toccare la sua pelle di marmo e sentire lo scampanellio della sua voce, ma non aveva capito nulla.

    «No, Alice, i vampiri non se ne sono andati. Non tutti. Questo è il problema.

Se non fosse stato per i licantropi, a questo punto Victoria mi avrebbe già uccisa. Anzi, se non fosse stato per Jake e i suoi amici, Laurent l'avrebbe preceduta, credo, perciò…».

    «Victoria?», sibilò. «Laurent?».

    Annuii, vagamente allarmata dall'espressione dei suoi occhi neri. Indicai il mio petto. «Attiro disgrazie, non dimenticarlo».

    Scosse di nuovo la testa. «Racconta… dall'inizio».

    Saltai l'inizio, per non dirle delle moto né delle voci, ma le raccontai il resto, fino alla disavventura del pomeriggio e al mio, fortunatamente, cambio di programmi. Per giustificare i miei piani, le dissi che mi stavo annoiando. Non gliela diedi a bere, ma preferì non indagare. Poi le raccontai che Jake e il branco avevano fiutato nuove tracce di Victoria e che la stavano cercando.

    Mi ascoltò senza interrompermi. Di tanto in tanto scuoteva la testa e aggrottava le sopracciglia tanto da fare apparire una ruga profonda che ne segnava la pelle marmorea. Non aprì bocca finché non tacqui.

    «La nostra partenza non è stata affatto un bene per te, eh?», mormorò Alice.

    Feci una risata, un suono vagamente isterico. «Non è questo il problema. Non ve ne siete andati per fare un favore a me».

    Alice abbassò lo sguardo per un istante. «Be'… temo di essere stata troppo

impulsiva oggi. Probabilmente avrei dovuto farmi gli affari miei».

    Impallidii all'istante e mi si chiuse lo stomaco. «Non andare, Alice», sussurrai. Strinsi con le dita il colletto della sua camicia bianca e andai in iperventilazione. «Per favore, non lasciarmi».

    Spalancò gli occhi. «Va bene», disse pronunciando ogni parola con lentezza e precisione. «Per oggi non andrò da nessuna parte. Fai un respiro

profondo».

    Cercai di obbedire ma non sentivo più i polmoni.

    Mi guardò in faccia, mentre mi concentravo sulla respirazione. Attese che mi calmassi, prima di parlare di nuovo.

    «Sei conciata male, Bella. Eppure…hai qualcosa negli occhi» mi scrutò attentamente. «Sembri speranzosa. Hai davvero dimenticato Edward».

    Non era una domanda.

    La cosa appariva evidente più a lei che a me. Non avevo ancora fatto chiarezza, ma non mi andava di raccontarle una bugia.

    «Da un lato si», dichiarai a sguardo basso. «Dopo tutto quello che avevamo passato insieme, mi ha lasciata così. Dicendo semplicemente che non mi voleva più. Mi crollò il mondo addosso e ho sofferto in un  modo che non puoi nemmeno immaginare. Non mi accorgevo che, più o meno involontariamente, coinvolgevo le persone a me più care. Soprattutto Jacob. Se non fosse stato per lui io…», mi si ruppe la voce al pensiero di tutto quello che ha fatto per me e di come mi sentivo con lui nonostante lo ferissi. Di quanto lentamente ma inevitabilmente, fosse diventato parte integrante di me. «Se lo conoscessi Alice, è un ragazzo unico al mondo». Parlai senza riflettere. Non volevo che saltasse a conclusioni affrettate.

    Se poi fossero sbagliate, non lo sapevo ancora.

    Alice abbozzò un sorriso, lontano dall’essere allegro. «Capisco». Poi il suo viso divenne accigliato. «Ma non credo che sarebbe felice di conoscermi» concluse cupa. D’improvviso squillò il telefono.

    «Chi può essere?», domandai a me stessa. Presi la mano granitica di Alice e la guidai in cucina assieme a me. Non volevo perderla di vista.

    «Casa Swan» risposi.

    «Ciao Bella».

    «J..Jake…buongiorno», balbettai.

    Alice osservava la mia espressione. Cercai di non badarci.

    Jake rimase in silenzio, sentivo il respiro irregolare. D’un tratto si schiarì la voce e proseguì, titubante. «Senti, ehm…volevo passare da te, vorrei parlarti». Parlarmi? E di cosa? Di ieri notte e di tutto ciò che gli ho detto? Che avesse cambiato idea e si volesse rimangiare tutto? Andai nel panico.

    Alice evidentemente aveva sentito la voce di Jake, perché mi fece cenno di no con la testa.

    «No…no Jake, è meglio di no. Ho trascurato molto casa per stare con te a La Push, ho mille cose da fare, e…e dovresti starmi dietro, non posso. No…». Pregai che se la bevesse, ma le mie capacità di recitazione sono sempre state pessime. Restò di nuovo in silenzio per qualche secondo, poi la sua voce rauca assunse un tono circospetto.

    «C’è qualcuno con te, Bella?» domandò. Aveva capito tutto, mi conosceva troppo bene.

    Alice, spalancò gli occhi e sussurrò a voce bassissima. «Cerca di essere più credibile!».

    «No Jake, sono sola».

    «Non dire cazzate Bella, ho sentito un sussurro! Chi era? La rossa? Un Cullen? Sono tornati?» tuonò. La guardai amareggiata.

    «Solo Alice Cullen…» sospirai sconfitta.

    «Arrivo subito».

    E riappese.

    «Sei una pessima attrice Bella» criticò Alice.

    Con un sospiro, chinai la testa all'indietro e fissai il soffitto. «Sarà un bel problema».

    Alice mi strinse la mano. «Non è entusiasta della mia presenza».

    «Proprio no. Peccato».

    Mi cinse con un braccio. «E ora, cosa facciamo?». Sembrava parlasse da sola. «Cose da fare, fili da riannodare…».

    «Che intenzioni hai?».

    Rispose senza sbilanciarsi. «Non so bene… devo parlarne con Carlisle».

    Voleva già andarsene? Il mio stomaco protestò. «Non puoi rimanere?», la implorai. «Per favore… Soltanto per un po'. Mi sei mancata tanto». La voce mi si spezzò.

    «Se pensi che sia una buona idea». Non sembrava felice.

    «Sì. Puoi stare qui. E Charlie ne sarebbe contento».

    «Ho già una casa, Bella».

    Annuii, delusa ma rassegnata. Lei, in silenzio, mi studiò.

    «Be', lasciami almeno andare a recuperare il bagaglio».

    La abbracciai. «Alice, sei grande!».

    «E penso che mi toccherà anche andare a caccia. Subito», aggiunse esausta.

    «Ops». Feci un passo indietro.

    «Riesci a stare tranquilla per un’altra ora?», chiese, scettica.

    Poi, prima che potessi risponderle, alzò un dito e chiuse gli occhi. Per qualche secondo la sua espressione si fece neutra, rilassata.

    Poi riaprì gli occhi: «Sì, ce la farai. Speriamo sia la volta che  metti un po’ di sale nella zucca». Fece una smorfia, ma continuava a somigliare a un angelo.

    «Tornerai?», chiesi sottovoce.

    «Te lo prometto. Tra un'ora».

   Guardai l'orologio sopra il tavolo della cucina. Lei rise e si chinò, svelta, per baciarmi sulla guancia. Poi sparì.

    Respirai a fondo. Alice sarebbe tornata, lo sapevo. All'istante mi sentii molto meglio. Poi mi rabbuiai.

    Jacob.

    Stava per arrivare. Cosa aveva da dirmi? Come mi sarei comportata nel caso avesse cambiato idea? Non sapevo se sarebbe arrivato in forma di lupo attraverso il bosco, per fare più in fretta, o se invece avrebbe scelto un’altra via. Nel frettempo, sul divano preparai le lenzuola e un vecchio cuscino. Alice non ne aveva bisogno, ma era meglio che Charlie lo vedesse. Badai a non guardare l'orologio. Inutile farmi prendere dal panico: Alice aveva promesso.

    Trasalii al suono del campanello. Era già arrivato. Restai ferma pensando a come giustificare la presenza di un vampiro, ospite in casa mia.

    Il campanello suonò di nuovo: due squilli brevi e impazienti.

    Mi avviai alla porta d’ingresso, respirando profondamente. Cercai di non andare in iperventilazione.

    Aprì.

    Si era fermato a quasi due metri dalla soglia, il naso arricciato in  un'espressione di disgusto, ma il viso era tirato, come una maschera. Non riuscì a ingannarmi: notai il debole tremore delle mani.

    Emanava vibrazioni ostili. Come nell'orrendo pomeriggio in cui aveva scelto di stare con Sam anziché con me; per difendermi lo guardai a testa alta. O almeno ci provai. Le mie emozioni erano in conflitto fra loro.

    Sul ciglio della strada c'era la Golf di Jacob, con Jared alla guida ed Embry sul sedile del passeggero. Questo significava che Jacob aveva avvisato tutti della presenza di Alice. Ma cosa ci facevano loro? Forse avevano paura di lasciarlo venire da solo. Provai tristezza e un certo fastidio. I Cullen erano diversi. Ma probabilmente il problema di fondo era che non erano sicuri che si potesse controllare.

    «Ciao», dissi per spezzare il suo silenzio.

    «Ciao», rispose torvo. Corrugò le labbra, senza avvicinarsi. Con lo sguardo perlustrò la facciata della casa.

    Serrai le mascelle. «Non c'è. Tornerà tra un’oretta».

    Attese qualche istante. «Possiamo parlare per un minuto?».

    «Certo che sì, Jacob. Entra pure». Mi tremava la voce e mi attorcigliavo le dita.

    Lanciò un'occhiata alle sue spalle, verso gli amici in auto. Notai un minuscolo cenno del capo da parte di Embry. Per chissà quale motivo, mi sentii profondamente seccata.

    A passo di marcia, non c'è altro termine per descrivere il modo in cui si mosse, si avvicinò e mi scansò per entrare in casa.

    Prima di chiudere la porta, lanciai un'occhiataccia a Jared ed Embry. I loro sguardi non mi piacevano.

    Jacob era in corridoio, alle mie spalle, e osservava le lenzuola in disordine sul divano che ancora non avevo finito di mettere apposto.

    «Che significa?», domandò perplesso.

    «Alice si fermerà da me. Insceno tutto per Charlie».

    Arricciò di nuovo il naso, come di fronte a un odore sgradevole. «Dov'è la tua amica?».

    «Aveva qualche commissione da fare».

    Prese fiato e le sue dita tremanti si immobilizzarono all'istante. Sul suo volto comparve un'espressione serena.

    «Quanto ha intenzione di restare?».

    «Quanto le pare. È mia ospite».

    «Pensi di riuscire… per favore… a spiegarle di quell'altra Victoria?».

    Impallidii. «Gliene ho già parlato».

    Jacob annuì. «Forse ricordi che in presenza dei Cullen noi siamo costretti a vigilare soltanto sulle nostre terre. Solo a La Push sarai al sicuro. Qui non posso più proteggerti».

    «D'accordo», risposi con un filo di voce. Gettò lo sguardo verso le finestre sul retro. Non aggiunse altro. «Tutto qui?».

     Rispose senza staccare gli occhi dai vetri. «Una cosa ancora».

    Restai in attesa, ma lui non parlava. Cercai di incoraggiarlo. «Cosa?».

    «Ora torneranno anche gli altri?», chiese, sereno e tranquillo. Ricordava le maniere posate di Sam. Jacob gli somigliava sempre di più… chissà perché, la cosa mi preoccupava.

    Fu il mio turno di rispondere tacendo. Mi guardò in faccia, dritto negli occhi.  

    «Be'?», chiese, sforzandosi di nascondere la tensione dietro il viso sereno.

    «No. Non torneranno, che io sappia ».

    Non si scompose. «Va bene. Non ho altro da dire».

    Calò il silenzio, e restammo immobili nelle nostre posizioni. Mentre fissavo un punto nel vuoto mi veniva da piangere. Il mio essere amica di un vampiro, era un grosso problema per lui. 

    D’un tratto intravidi Jacob rilassare la sua postura rigida. «Scusami, Bella», mormorò. «Ma sai, non mi fa impazzire l’idea di uno schifoso succhiasangue in casa tua. Anche se Cullen».

    Sollevai lo sguardo verso il suo. Gli leggevo il disgusto negli occhi. Avrei desiderato spiegargli chi era in realtà Alice, difenderla dalle sue accuse inespresse ma chiare come il sole, eppure qualcosa mi diceva che non era il momento adatto.

    «Lo so…» dissi lasciando sfuggire un singulto.

    «Non preoccupiamoci troppo, va bene? È soltanto in visita, no? Quando se ne andrà, tutto tornerà normale».

    «Non posso essere amica di entrambi?», chiesi senza nascondere nemmeno un briciolo del dolore che provavo.

    Jacob scosse la testa, lentamente. «No, temo di no».

    Singhiozzai e fissai i suoi piedoni. «Ma tu aspetterai, vero? Sarai sempre mio amico, anche se voglio bene ad Alice?».

    Evitai di guardarlo in faccia per non vedere la sua reazione e ci mise un bel po' a rispondere. In effetti non sapevo se volesse restare o lasciarmi predere.

    «Sì, sarò sempre tuo amico», disse torvo. «Non m'importa a chi vuoi bene».

    «Promesso?».

    «Promesso».

    Sorrisi, ma ero frustrata, perciò sembrava più una smorfia. Mi asciugai le lacrime e incrociai il suo sguardo teso. «Sei sicuro…che non devi dirmi altro?», domandai incerta.

    Jake serrò la mascella e sospirò piano. Fissava il pavimento, impacciato. «Ho pensato molto al…nostro ultimo incontro», sussurrò alzando lentamente lo sguardo su di me.

    «Ah», riuscì a dire. «Che hai pensato?». Mi preparai al peggio.

    Mi sarei meritata un cambiamento di idee da parte sua. Speravo comunque che non lo facesse. Che mi sopportasse ancora un po’, finchè non mi sarei sentita pronta per lui. E finchè Alice non se ne fosse andata, ovviamente. Il pensiero mi rabbuiò per un istante. Non volevo che se andasse. Avrei voluto entrambi nella mia vita.

    «Ho pensato, che ti aspetterò. Che sarò paziente e che combatterò fino all’ultima goccia di sangue per averti al mio fianco», sussurrò. Scorsi un lieve rossore colorargli le guance scure. Rimasi a bocca aperta. Colta di sorpresa.   

    «Magari non lo dimenticherai mai, magari non riserverai per me lo stesso amore che hai dato a lui. Me ne basta poco, il tanto di poterti rendere felice. Di tutto il resto non m’importa niente», concluse con un mezzo sorriso timido.

    «Jake ma…dopo…tutto quello che ti ho detto, dopo averti usato tu…», balbettai.

    «Ti ho detto che non m’importa, sei diventata sorda?», il sorriso bianco divenne più ampio fino ad accecarmi, ma i suoi occhi erano palesemente imbarazzati. 

    Lo guardai incredula, non sapendo cosa dire. Riuscì solo a fare un verso strano, simile ad uno sbuffo sconcertato. In quel momento sentì di nuovo la calamita del sogno che mi spingeva verso di lui.

    E se… Era davvero la scelta migliore?

    Ormai non riuscivo a immaginare la mia vita senza Jacob. Rifiutavo anche soltanto di pensarlo. Mi rendevo conto che era diventato un elemento indispensabile alla mia sopravvivenza. E lasciare le cose com'erano… era forse una scelta crudele, come aveva puntualizzato Mike?

    Ricordai di aver desiderato che Jacob fosse mio fratello. Certi nostri abbracci non erano soltanto fraterni. Era una bella sensazione: di calore, conforto, familiarità e sicurezza.

    Tentare di farlo felice era una cattiva scelta? Anche se l'amore che provavo per lui non era che una debole eco di ciò che mi era possibile, sarei potuta essere felice al suo fianco? Avrei potuto amarlo almeno la metà di quanto avevo amato Edward? Avrebbe custodito meglio il mio cuore tra le sue grandi mani ardenti?

    Ricordai il sogno e le due mani che mi chiamavano.

    Ricordai la sua e la sensazione di sicurezza che mi trasmetteva. Forse tutto questo era possibile.

    Il mio respiro salì di una marcia . Ma Edward, malgrado di me gli importasse poco, avrebbe desiderato la mia felicità anche lontana da lui? Non mi era rimasto abbastanza amico da augurarsi una cosa del genere? Pensavo di sì.

   Lo desideravo.

    «Non so cosa dire», sussurrai scuotendo lentamente la testa.

    ««Di solo che ci penserai», suggerì cercando i miei occhi. ««Poi me lo farai sapere appena la tua amica leverà le tende», concluse con una smorfia.

    «Ci penserò».

    Fece un grande sorriso pieno di speranza e felicità, e mi circondò con le sue braccia bronzee. Affondai il viso sul suo petto. Era bello vederlo così.  

    Era il Jacob che conoscevo, quello che forse sarebbe diventato il mio Jacob.

    Sentivo che ero sempre più vicina a raggiungere quell’obbiettivo, e non mi sarei dovuta sforzare più di tanto. Poi mi annusò i capelli e fece una smorfia nauseata.

    «Basta!», esclamai. Alzai gli occhi e lo vidi storcere il naso. «Perché ce l'avete tutti con me? Io non puzzo!».

    Abbozzò un sorriso. «Invece sì… puzzi come loro. Bleah. Troppo dolce. Nauseante. E… ghiacciato. Mi brucia il naso».

    «Davvero?». Strano. Il profumo di Alice era meraviglioso. Per un essere umano, certo. Ripensai alle mie teorie sulla tela del ragno. «Ma perché anche Alice dice che puzzo, allora?».

Il sorriso scomparve. «Ehm… forse neanche il mio odore è buono, per lei. No?».

    «Be', a me sembra che entrambi abbiate un buon profumo». Posai di nuovo la testa sul suo petto. Una volta uscito, mi sarebbe mancato terribilmente.

    Che maledetto rompicapo. Desideravo che anche Alice restasse sempre con me. Mi sarei sentita morire se mi avesse abbandonata, ma com'era possibile restare senza Jake fino a chissà quando? Che casino, pensai.

    «Mi mancherai», sussurrò Jacob, in accordo con i miei pensieri. «In ogni istante. Spero che se ne vada presto».

    «Non deve essere per forza così, Jake».

    Sospirò. «Invece sì, Bella. Tu… le vuoi bene. Perciò è meglio che non mi avvicini. Non sono sicuro di sapermi controllare abbastanza. Sam si infurierebbe se infrangessi il patto e…», il suo tono si fece sarcastico, «non saresti affatto contenta se uccidessi la tua amica».

    A quelle parole, tentai di sciogliere l'abbraccio, ma lui strinse la presa e m'impedì di fuggire. «È inutile negare la verità. Così vanno le cose, Bells».

    «Non mi piace come vanno».

    Jacob liberò un braccio, in modo da prendermi il mento tra le dita e farmi alzare il viso verso il suo. «Già. Quando eravamo umani era più facile, vero?».

    Lo guardai fisso per un attimo eterno. La sua mano bruciava sulla pelle.

    Sapevo che nei miei occhi non c'era altro che tristezza e malinconia: non sopportavo l'idea di doverlo salutare e poco importava che prima o poi ci saremmo rivisti. All'inizio la sua espressione si rifletté nella mia, ma pian piano, mentre restavamo a guardarci negli occhi, cambiò.

    Sciolse l'abbraccio per sfiorarmi la guancia con le dita dell'altra mano. Le sentivo tremare, ma non di rabbia. Premette il palmo sulla guancia e il mio volto rimase intrappolato tra le sue mani ardenti.

    «Bella», sussurrò.

    Io ero impietrita.

    In quell'istante avrei potuto decidere di farlo mio.

    Alice era tornata, temporaneamente, ma ciò non cambiava nulla. Sentivo che il ricordo di Edward si faceva via via più lontano, che faceva sempre più parte del passato. Ma Jacob era il presente. E forse anche il futuro.

    Con gli occhi fissi nei miei, Jacob avvicinò il viso. Ero in preda a delle emozioni indescrivibili. Emozioni che non provavo più da tempo e che superavano di gran lunga l’adrenalina e la voglia di sentire la voce di Edward nella testa.

    Dopo chissà quanto tempo, risentì battere il mio cuore in un modo così frenetico che sembrava volesse spiccare il volo.

    Socchiusi gli occhi, assaporando quella dolce attesa ad ogni suo respiro incerto. Sempre più vicino alle mie labbra.

    Il trillo acuto del telefono ci fece sobbalzare entrambi, ma Jacob non perse lucidità. Senza togliere una mano dal mio viso, allungò l'altra per afferrare la cornetta. Gli occhi scuri non mollavano i miei. L’interruzione sgonfiò le mie emozioni come un palloncino.

    «Casa Swan», disse Jacob con la sua voce rauca, cupa e intensa.

    Qualcuno rispose e Jacob cambiò espressione in un istante. Si irrigidì e mollò la presa. Il suo sguardo era neutro, il volto vuoto, avrei scommesso ciò che restava dei miei miseri risparmi che fosse Alice.

    «Non è in casa», disse minaccioso.

    Un po' più lucida, tesi una mano per chiedergli il telefono.

    «Passamelo, rispondo io», dissi con voce esitante. M’ignorò.

    Dall’altra parte della cornetta calò il silenzio.

    «Allora!?», domandò teso.

    Poi mi sembrò di udire un breve sussurro. D’un tratto, Jacob staccò la cornetta dal suo orecchio e lanciò un'occhiata fulminea alle sue spalle, come se qualcuno lo chiamasse dall'altra stanza. Con uno sguardo stralunato si irrigidì e iniziò a tremare.

    «Dammi quel telefono», approfittai strappandogli la cornetta dalla mano. Lui si allontanò da me, senza staccare gli occhi dalla porta di cucina che si affacciava al salotto e all’ingresso.

    «Pronto, chi è?», domandai. Non rispose nessuno, non sentì nemmeno respirare.

    Jacob era arrivato all’estremo più lontano della cucina rispetto all’entrata, dal quale sbucò Alice con una mano tesa per prendermi la cornetta.

    «Da qua, Bella», mi ordinò fissando Jacob, sulla difensiva. Le passai il telefono, confusa e preoccupata da tutta quella tensione.

    Jacob ed Alice si trovavano a pochi metri di distanza. E al telefono c’era una persona misteriosa con il quale Alice poteva parlare, mentre a me non disse una parola.

    Mi resi conto che poteva essere una sola persona.

    «Pronto Edward», disse Alice rispondendo al telefono. Mi mancò il respiro. Le mie orecchie si riempirono all'improvviso della voce furiosa di Jacob che sibilava una sequela di bestemmie. Sentii il desiderio di rimproverarlo.

    I suoi nuovi amici avevano su di lui una pessima influenza.

    Senza capire come ci fossi arrivata, riaprii gli occhi sul divano, mentre Jacob non smetteva di imprecare. Mi sentivo al centro di un terremoto, col divano che tremava sotto di me.

    «Cosa le hai fatto?», chiese.

    Alice lo ignorò. «Bella? Bella, riprenditi».

    «Stalle lontana», la avvertì Jacob.

    «Calmati, Jacob Black», ordinò Alice. «Non vorrai fare una cosa del genere di fronte a lei».

    «Non penso che avrò problemi a restare concentrato», ribatté, e parve un po' più tranquillo.

    «Alice?», ero quasi senza voce. «Cos'è successo?».

    «Ti sei dimenticata di respirare, Bella», rispose lei facendo gli occhi al cielo.

    Cercai di alzarmi malgrado l'intorpidimento. Mi resi conto che cercavo di restare in equilibrio reggendomi al braccio di Jacob. Era lui a tremare, non il divano.

    «Perché ha chiamato? Cosa gli hai detto? Ti prego Alice, fammi capire!»

    «Rosalie gli ha raccontato della mia visione e del fatto che sei sparita e riapparsa. Si è preoccupato e a chiamato semplicemente perché era impaziente di saperne di più. Pensavo che mi contattasse al cellulare, ma ora ha confessato che voleva…risentire la tua voce», spiegò, guardando Jake alle ultime parole pronunciate. Cupa. Lui ricambiò senza tanti complimenti. «Non so come ho fatto ad arrivare prima che chiudessi la chiamata, Bella», disse puntandomi con i suoi occhi di nuovo ambrati. «Ho visto Edward decidere di chiamare, ma non appena hanno risposto, è sparito dalle mie visioni proprio come è accaduto con te! Ma chi è stato a rispondere?», era angosciata. Mi voltai verso Jake.

    «Io», disse, sdegnato con gli occhi fissi su Alice. Uno spasmo corse lungo la sua schiena e fece tremare anche me.

    Alice lo guardò stralunata. «Tu? Ma…non ti ho visto…non ho visto che parlava con te», balbettò. Scosse la testa facendo vibrare le punte all’insù dei suoi capelli scompigliati, confusa. «Comunque, Bella», riprese voltandosi verso di me. «Io ed Edward dobbiamo parlare di tutta questa faccenda, perciò non posso più restare da te. Devo tornare subito da lui e dalla mia famiglia. Devo parlargli di un sacco di cose, di Victoria e dei licantropi tanto per cominciare», decise alzandosi dal divano ed avviandosi verso l’uscita.

    Mi rizzai vacillante e mi aggrappai a lei poco prima che inciampassi. Jacob mi acchiappò per un braccio e cercò di tirarmi a se per allontanarmi da Alice. Non aveva ancora capito che non mi avrebbe fatto del male.

    «Alice! Alice no, non andare via! Ti prego!», la supplicai con le lacrime agli occhi.

    La sua presenza era un ostacolo tra me e Jacob, ma non volevo lasciarla andare dopo tutto questo tempo senza di lei. Era la mia migliore amica vampira, e mi era mancata infinitamente.

    «Non posso Bella, mi dispiace», sussurrò voltandosi e guardandomi negli occhi, malinconica. «Ti chiamerò per dirti cosa abbiamo deciso di fare. Te lo prometto».

    Stava per darmi un bacio sulla fronte, ma un ruggito proveniente dalla profondità del petto di Jake la immobilizzò prima che fosse troppo vicina. Cercai di liberarmi dalla sua presa d’acciaio, ma fu inutile.

    Alice lo incenerì con lo sguardo. «Volevo solo darle un bacio affettuoso, cane!».

    «Tu non la tocchi, succhiasangue». La voce cupa di Jacob era torva e arrabbiata. «Chi se ne frega del patto».

    Alzai lo sguardo verso di lui, che osservava con disprezzo la mia espressione addolorata.

    «A presto, Bella», mormorò Alice, ed andò via veloce come il vento. A malapena riuscì a vederla sfrecciare. Scoppiai in lacrime.

    Jake lasciò la presa sul mio braccio. «Bella» sussurrò. Lontano da Alice, la rabbia si dissolveva.

    Lo inchiodai con lo sguardo e il viso rigato dalle lacrime. «Non me l’hai lasciata salutare! Voleva darmi solo un bacio! Un’innocentissimo bacio sulla fronte, e non l’hai lasciata fare! Forse era l’ultima volta che l’avrei vista, Jake, e non ci hai lasciate salutare come desideravamo!», gli urlai contro singhiozzando e spingendolo per allontanarlo da me. Non riuscì a smuoverlo di un millimetro. Peggio degli asini.

    « Volevo solo proteggerti, Bella. Come puoi essere così incosciente? Lei è un vampiro! Non puoi fidarti di lei come ti fidi di me! Non mettermi sullo stesso piano!», disse rabbioso.

    «Hai detto che qui non potevi proteggermi!», puntualizzai acida, ignorando tutto il resto.

    La rabbia fece spazio ad un’espressione abbattuta.

    «Giusto», mormorò. Abbassò lo sguardo e mi girò attorno, uscendo anche lui dalla porta. Si fermò un istante e si voltò verso di me. Un velo di malinconia si era steso sul suo volto. «Ma forse non m’importa. Ti proteggerei ovunque, Bella». Mi ridiede le spalle e se ne andò via, camminando a testa bassa.

    Rimasi sulla porta, sconvolta.

    Alice che torna da Edward per raccontargli le ultime novità. Jake che si allontana addolorato per la fiducia smisurata che riponevo in un vampiro, suo nemico.

    I bordi della ferita ricominciarono a bruciare come se ci stessero gettando dell’acido. Chiusi la porta e mi ci accasciai addosso. Guardai le lenzuola disordinate sul divano che stavo preparando per Alice, e mi lasciai andare ad un pianto isterico.

    Ma durò poco.

    Bussarono. Mi asciugai le lacrime e mi alzai in piedi, conscia di non potere fare molto contro gli occhi rossi.

    Sull’uscio mi ritrovai Jacob, imbarazzato e insicuro.

    «Che altro c’è?», domandai seccata. Volevo tornare a piangere.

    «Stavo infrangendo la mia promessa», mormorò.

    Aggrottai le sopraciglia. «Quale?».

    «Che non mi importa a chi vuoi bene. Scusa», rispose imbarazzato.

    Per un attimo la rabbia che provavo nei suoi confronti, sparì. Tirai un sospiro tremolante.

    «Non possiamo continuare a farci del male», mormorai.

    «Lo so», rispose mesto. «Ma è inevitabile». Restammo entrambi in silenzio. Appoggiai la testa sullo stipite della porta con aria depressa.

    «Comunque», disse esitante «spero di rivederti presto, ma non farmi aspettare troppo. Intesi?», abbozzò un sorriso.

    «Cercherò».

    Sorrise poco convinto e s’incamminò di nuovo.

    Non sopportavo quando le conversazioni finivano così. Ero arrabbiata, e avevo ottime ragioni per esserlo. Ma più lo vedevo allontanarsi con quell’aria afflitta e più l’eco del suo dolore stimolava il mio. Probabilmente fu questo a spegnere totalmente la mia rabbia.

    Sbuffai, vinta dal troppo affetto per lui e dal bisogno di rivederlo il prima possibile.

    «Jake», lo chiamai alzando la voce.

    Si voltò di scatto. «Si?».

    «Scuse accettate».

    Il suo viso s’illuminò con un sorriso, contagiandomi senza che potessi oppormi. Si voltò e con una corsa si allontanò.

    E con lui la mia voglia di piangere.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 03 - La Verità ***


Marphy!!! Grazie per la bellissima recensione, e grazie per avermi fatto conoscere questo sito bellissimo!

Andromeda, che piacere rivederti! Mi sei mancata!!

Faffina devi portare pazienza, i capitoli sono un po’ tutti lunghi, e con molte citazioni, proprio perché mi sono basata sulla serie originale. Come ho scritto nell’introduzione, la mia è una versione parallela, e ne è venuto fuori proprio un piccolo romanzo xD. La mia zampa c’è, eccome se c’è!!! Oltre a capitoli totalmente nuovi, ovviamente. Attendo i tuoi pareri, sperando che ti piaccia. Un bacio e di nuovo grazie a tutte!!

 

(Libro di riferimento: New Moon di Stephenie Meyer)

 

    Passarono gli ultimi giorni di vacanza, prima del rientro a scuola. Non avevo ricevuto alcuna notizia da Alice, ne avevo rivisto Jacob.

    In compenso mi aveva chiamata dicendo che era di ronda con gli altri del branco, e che stava rientrando molto tardi e molto stanco.

    Nonostante la sua voce sembrasse quella di uno zombie, mi aveva chiesto se volevo passare ancora un po’ di tempo a La Push. Ci sarei voluta andare, ma avevo lasciato dietro di me una scia di cose da fare, e soprattutto volevo lasciarlo riposare.

    Odiavo Sam, quando faceva così.

    Perché lo costringeva a fare questi turni massacranti? Cosa avrebbe ottenuto da un Jacob assonnato e privo di forze? Scossi la testa indignata.

    Poi pensavo ad Alice. Ogni volta mi sentivo una fitta al petto.

    E ogni volta che pensavo a Jake si attenuava: avevamo rischiato di litigare di nuovo, ma ancora una volta calpestò il suo orgoglio e si scusò. Vederlo di nuovo sull’uscio mi tranquillizzò, nonostante il suo comportamento con la mia amica.

    Lanciai uno sguardo infelice al telefono nell’altra stanza e sospirai. Desideravo solo sentire Alice, d’altronde me lo aveva promesso.

    Quanto ci mettevano a discutere? E cosa dovevano decidere? In ogni caso non sarebbero tornati, tanto meno Edward. Probabilmente non lo avrei mai più rivisto.

    E forse era meglio così. Se volevo raggiungere il mio obbiettivo con Jake, rivedere Edward non mi avrebbe aiutata affatto.

    Intanto continuavo a fare lo stesso sogno. A sinistra vedevo Edward. A destra Jacob. La distanza tra me e loro era sempre la stessa. Perfettamente nel mezzo.

    Ma allora perché mi sembrava di essere più vicina a Jake senza che facessi un passo verso di lui? E perché mi sentissi ancora così indecisa? Cosa mi serviva per avvicinarmi una volta per tutte e prendere quella dannata manona?

    Non riuscivo a trovare risposta. Era come se qualcosa mi bloccasse. Ma cosa? Se lo avessi saputo sarei riuscita ad affrontarlo.

    Forse.

    Dipendeva da cosa fosse.

    Riempì distrattamente la lavatrice con l’ammasso di vestiti miei e di Charlie. In questi giorni era impegnato ad organizzare il funerale di Harry e a fare un po’ di compagnia a Sue e ai figli, Leah e Seth.

    Squillò il telefono e mi precipitai al primo trillo. Attenta a non inciampare nella fretta.

    «Pronto?» domandai speranzosa.

    «Ciao Bella».

    Strabuzzai gli occhi e sul mio viso scoppiò la gioia. L’apparecchio telefonico rendeva la metà della bellezza dei campanelli della sua voce.

    «Alice! Sei tu! Oh scusami per il mio amico, ma sai com’è, non è colpa sua», cercai di giustificare quel comportamento che a me sembrava assurdo.

    «Non preoccuparti Bella, anche se in effetti ha esagerato» criticò.

    «Si, è vero».

    Fece una breve pausa, prima di riprendere. «Senti Bella…ho parlato con tutti di Victoria e…di Jacob Black», pronunciò il suo nome con lieve rammarico. Aveva forse parlato in modo più approfondito di lui ad Edward?

    Sicuramente, anche se non ne aveva bisogno. Lo avrebbe letto nel pensiero, comprese le mie reazioni.

    «Cosa avete deciso?», domandai tentennante.

    «Bè, Victoria è sulle tue tracce…e non mi fiderei troppo dell’autocontrollo dei tuoi amici a quattro zampe…perciò…», disse con la sua voce cristallina e stranamente incerta. Se non si fidavano dei lupi allora…

    «Alice…non sarà che…voi», balbettai in preda a mille emozioni. 

    «Si, Bella. Torniamo a Forks» sentenziò, scandendo lentamente ogni parola. «Tutti», sottolineò.

    Sapeva esattamente che quel “tutti” per me voleva dire semplicemente “Edward”.

    Bene. Lo avrei rivisto presto.

    Mi domando come riuscirò a reggere un incontro con lui. Respirai profondamente e mi concentrai ad occhi chiusi, sull’esempio di Jacob. Funzionò.

    «Quando arriverete?», domandai più lucida.

    «Appena riprenderanno le lezioni».

    «Cioè, domani?».

    «Si».

    Accidenti, così presto? Non avevo molto tempo per prepararmi pscicologicamente!

    «Ok, ehm…non vedo l’ora di rivedere te, Jasper, Emmett…insomma, tutti» dissi con uno strano misto di entusiasmo e paura. Non molto tempo fa desiderai tanto rivederlo, e ora che verrò accontentata…non ero più sicura di volerlo.

    Mi sentì confusa dalla felicità di quella notizia e dal rancore che provavo verso Edward. Mentre non avevo ancora fatto chiarezza sui miei sentimenti per Jake.

    Alice restò in silenzio per qualche secondo. «Si…anche loro non vedono l’ora di rivederti Bella. Sei mancata a tutti noi», fece un’altra pausa, in attesa di un commento che non arrivava. Sospirò, delusa. «Bene, ora che ti ho avvisata, posso dirti “ciao, ci vediamo domani a scuola”», disse, ma non era molto felice: la mia reazione a quel “tutti”, e l’aver evitato di pronunciare il suo nome tra i vampiri che avrei voluto rivedere, non era da ragazza ancora innamorata di suo fratello.

    Era di una ragazza che aveva superato la fase di abbandono ed era andata avanti. In un modo o nell’altro. Ma soprattutto che aveva trovato in qualcun altro, ciò che lui aveva negato: la fiducia.

    «Perfetto, allora a domani Alice. Ciao», conclusi con voce stridula.

    E riappesi.

    Cominciarono a tremarmi le ginocchia. Dovetti appoggiarmi al muro per evitare di cadere sul pavimento. Pensare e rimuginare era una cosa, ma l’agire di fronte ai fatti era un discorso totalmente diverso.

    Cosa avrei fatto una volta trovatami faccia a faccia con lui dopo tutto questo tempo? Dopo che avevo fatto tutte quelle sciocchezze alla ricerca dell’illusione della sua voce?

    Avrei voluto avere Jacob al mio fianco. Sentivo la sua mancanza pesarmi come un macigno sul petto, ma se lo chiamassi ora, quasi certamente mi sfuggirà la notizia del loro ritorno, e lo riferirebbe subito a Sam. Tradirei la fiducia di Alice, se andassi subito a spifferare tutto.

    Ma se decidevo di non avvisarlo si sentirà tradito, dato che per loro è importante sapere quando sarebbero rientrati in città.

    In entrambi i casi, avrei tradito qualcuno. Ma chi ne avrebbe sofferto di più? 

    A parte me, ovviamente. Ci rimettevo comunque.

    Ma infondo, Jake sbagliava a preoccuparsi di loro. I Cullen si sono sempre comportati bene, rispettando il famoso patto. Anche se sarebbero arrivati, erano comunque innocui sia nei miei confronti, che in quelli del resto di Forks.

    Era meglio concentrarsi su Victoria ed evitargli preoccupazioni inutili. Si, non c’era un vero motivo per dirgli una cosa del genere, non era da loro che si sentivano in dovere di difendermi.

    E poi non mi andava di svegliarlo dopo quei turni assurdi. Aveva bisogno di riposare.

    Decisi di lasciarlo dormire e di non chiamare.

    Per distrarmi, finì di fare i compiti e ripassai un paio di argomenti che ancora non mi erano chiari. Domani sarà una giornata particolarmente pesante. Verifica di matematica a parte.

    Charlie rientrò a casa sul tardi, trovando già la cena pronta. Il suo piatto preferito. Ne fu contento, ed era quello che volevo. Lo informai del ritorno dei Cullen.

    Non nascose ne la preoccupazione sul mio stato d’animo, ne l’intolleranza nei confronti di Edward. Naturalmente non resistette a confrontarlo con quel “gran bel bravo ragazzo” di Jacob Black.

    Non obbiettai: aveva ragione.

    Nonostante ciò, la cena proseguì tranquilla.

    Dopo che insistetti per sparecchiare, si diresse al televisore e si lasciò sprofondare sul divano, pieno come un uovo.

    Finito in cucina, mi diressi prima in bagno a lavarmi e cambiarmi, e poi in camera mia. Inforcai le cuffie e ascoltai uno dei CD di Phil.

    Era passato un po’ dall’ultima volta che ascoltai musica.

    Era una rock band molto orecchiabile. Chitarre, batterie ed effetti sonori erano al massimo, ma erano armoniosi e la melodia sembrava che fosse stata ispirata proprio da una musa. Era anche il nome del gruppo.  Lo ascoltai tutto, poi feci le mie scelte per creare la mia scaletta. Ci rientravano quasi tutte. Mi godetti le ultime ore di relativo relax e mi addormentai.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Rifeci ancora lo stesso sogno.

    Era nettamente migliore di quello in cui mi risvegliavo di colpo urlando, non molto tempo fa. Anche Charlie se n’era accorto, e se ne sentiva sollevato. Naturalmente capì subito che il merito andava tutto, o quasi, a Jacob.

    Stavo come sempre nel mezzo, ma stavolta guardavo Edward. Lo fissavo insistentemente, cercavo di riabituarmi ad averlo davanti agli occhi. La sua bellezza era ancora un pugno nello stomaco, ma non c’era nient’altro che quella.

    Poi guardai Jacob, e lì fu tutto diverso. Sempre immerso in una luce calda e rassicurante, con il suo sorriso bianchissimo che contrastava con la carnagione scura. Era una bellezza diversa da quella di Edward, benchè non avesse nulla da invidiargli.

    Senza che me ne accorgessi mi ritrovai vicinissima a lui. La sua mano distesa e protesa verso di me, gli occhi lucidi ed impazienti, il sorriso ancora più ampio, la sua luce calda che mi avvolgeva in un tepore meraviglioso. Era un sogno stare così vicino alla sua fonte.

    Eppure non riuscì ad alzare la mia mano, nonostante impiegassi tutte le mie forze nel costringermi di farlo.

    Perché, perché non la alzi? Urlai a me stessa.

    Perché vuoi ancora aspettarmi. Rispose la voce melodiosa di Edward alle mie spalle.  

    «No! Non è vero!»», gridai sbarrando gli occhi di botto e sedendomi di scatto. Al mio brusco risveglio, trovai due gocce d’ambra incastonate su di un viso bianco come la neve e duro come una roccia. Mi osservano con un misto di dolore e gioia. Il respiro ghiacciato e ansioso, mi fece venire la pelle d’oca all’istante.

    Inginocchiato sul pavimento di fianco al mio letto, immobile, statuario e perfetto come una scultura di Michelangelo, c’era Edward.

    «Bella» sussurrò, nervoso e sollevato, con quella voce che avrebbe incantato gli angeli del paradiso. Niente a che vedere con l’allucinazione da pazza di pochi giorni prima.

    La mia bocca spalancata non emetteva alcun suono.

    Rivederlo prima di quanto mi aspettassi, nella sua solita maniera, dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che era accaduto, m’immobilizzò come se mi avessero trasformata in pietra.

    Mi limitai a guardarlo inebetita.

    Edward si ricompose e capì che non sarei riuscita a spiccicare una parola.

    «Io…», fece un respiro profondo, «ti devo delle scuse. No, certo, ti devo molto, molto di più. Ma devi sapere», le parole iniziarono a scorrere veloci, come quando era agitato, e fui costretta a concentrarmi per capirle tutte, «che non avevo idea. Non mi sono reso conto del disastro che mi ero lasciato alle spalle. Pensavo che qui fossi al sicuro. Non avevo dubbi. E non immaginavo che Victoria», mostrò i denti, pronunciando il suo nome, «sarebbe tornata. Devo ammettere di aver badato molto di più ai pensieri di James che ai suoi, il giorno del nostro incontro. Non ho intuito che avremmo scatenato una reazione simile. Che fossero così legati. E ora capisco perché: si fidava di lui e il pensiero che avrebbe fallito non l'ha mai sfiorata. L'eccesso di sicurezza le offuscava i pensieri e mi ha impedito di percepire quanto fosse profondo il legame tra loro. Non che ci siano scuse per ciò che ti ho inflitto. Quando ho sentito ciò che hai detto ad Alice, ciò che lei stessa ha visto, e quando mi sono reso conto di averti costretta a mettere la tua vita nelle mani di licantropi immaturi e volubili, la cosa peggiore al mondo, esclusa Victoria…». Trasalì e per un secondo gli mancarono le parole. «Sappi che non avevo idea che sarebbe andata così. Sono amareggiato nel profondo[…]. Non c'è modo più miserabile di scusarmi per…». La voce musicale si spezzò. Mi guardava con un dolore inquantificabile.

    «Aspetta», riuscì a dire chiudendomi gli occhi con i polpastrelli, alla ricerca di un po’ di lucidità. Li riaprì scuotendo la testa ed aggrottando le sopraciglia.

    Ci fissammo per qualche istante senza dire una parola.

    Era li, davanti a me. Non era un’immaginazione della mia mente tarata, non era una visione sconvolgente e distorta della sua figura e di ciò che mi rappresentava.

    Era Edward Cullen, in carne e ossa. O meglio, in marmo e barre d’acciaio. Tornato da chissà dove. La cosa che più mi sorprese era l’emozione che provai.

    Mi sentivo…infastidita.

    Mi schiarì la voce. «Edward», pronunciai seria.

    Il suo viso si rilassò lievemente, ma c’era ancora della sofferenza che non riuscivo a spiegarmi, nonostante quella sorta di giustificazione. «Bella?».

    «Cosa ci fai qui?», domandai.

    Sentendo il tono teso della mia domanda smise di respirare e ogni emozione sparì dal suo volto. «Sono…venuto a scusarmi per tutto quello che ti ho fatto. Per averti mentito lasciandoti mesi fa…», lo interruppi.

    «Mentito?». Alzai un sopraciglio, confusa.

    «Si. Sono un bravo bugiardo, Bella. Devo esserlo».

    Restai impietrita, con i muscoli contratti, pronti all'impatto. La faglia che mi attraversava il petto si squarciò e il dolore mi mozzò il respiro.

    Edward mi diede uno strattone, nel tentativo di sciogliere la mia posa rigida. «Lasciami finire! Sono un bravo bugiardo, ma tu mi hai creduto troppo in fretta». Trasalì. «È stato… atroce».

    Restai in silenzio, senza battere ciglio.

    «Quando ti ho detto addio, nella foresta…».

    Non osavo ricordare. Mi sforzavo di restare attaccata al presente.

    «Non ti saresti arresa», sussurrò, «lo sapevo bene. E non volevo farlo perché sapevo che sarei morto anch'io, ma temevo che, se non ti avessi convinta che non ti amavo più, avresti impiegato ancora più tempo a riprendere una vita normale. Speravo che, dimostrandoti di averti dimenticata, tu potessi fare altrettanto».

    «Un taglio netto», mormorai quasi senza muovere le labbra.

    «Esatto. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato così facile! La consideravo un'impresa quasi impossibile. Ero sicuro che intuissi la verità e mi aspettavo di dover mentire a denti stretti per ore prima di insinuare l'ombra del dubbio dentro di te. Ti ho mentito e ti chiedo scusa… scusa per averti ferita, scusa perché è stato un tentativo inutile. Scusa se non ti ho protetta da ciò che sono. Ho mentito perché volevo salvarti e non ha funzionato. Scusami. Ma come hai potuto credermi? Dopo che ti ho ripetuto migliaia di volte che ti amavo, com'è stato possibile che una sola parola frantumasse la tua fiducia in me?».

    Non risposi. Ero troppo sbalordita per elaborare una frase razionale.

    «Lo vedevo nel tuo sguardo, sembravi sinceramente convinta che non ti volessi più. L'idea più assurda e ridicola… come se io potessi mai trovare il modo di esistere senza aver bisogno di te!».

    Ero ancora impietrita. Le sue parole erano incomprensibili, perché impossibili.

    Mi diede un altro strattone, quel poco che bastava a farmi tremare i denti. «Bella», sospirò. «Davvero, cosa pensavi?».

    A quel punto scoppiai a piangere. Le lacrime di tristezza si addensarono e iniziarono a rigarmi le guance.

    «Non è possibile, non posso crederci», farfugliai sconvolta.

    Edward avvicinò il viso freddo, ansioso. «Lo so, Bella, e ti prego, perdonami. Sono qui e ti amo. Ti ho amata sempre e sempre ti amerò. Ho pensato a te, visto il tuo volto nei ricordi, durante ogni minuto di lontananza. Dirti che non ti volevo più è stata una terribile bestemmia».

    Scossi la testa, le lacrime non si fermavano.

    «Non mi credi, eh?», sussurrò, ancora più pallido del solito, tanto che riuscivo a vederlo malgrado la luce fioca. «Come fai a credere a una bugia e non alla verità?».

    La verità.

    L’unica verità in cui credevo, era che mi aveva lasciata. E che avevo sofferto come mai in vita mia. E ora mi viene a dire che lo squarcio che avevo nel petto…si era aperto per una bugia?

    Le lacrime di tristezza si tramutarono in rabbia. Digrignai i denti e lo guardai con espressione ostile. Non lo avevo mai fatto nei suoi confronti.

    Sembravo Jacob al femminile e in formato ridotto. 

    Strabuzzò gli occhi e si allontanò dal mio viso inferocito.

    «Hai una minima idea?», sussurrai rabbiosa. «Hai…una minima idea di quanto io abbia sofferto per tutto questo tempo? Di quanto male ho fatto a me stessa e a chi mi stava vicino? E per cosa?», trattenni a stento la voce mentre pian piano mi avvicinavo minacciosa a lui. «Per una bugia?», sussurrai con voce stridula incenerendolo con gli occhi. «Perché…hai fatto male i conti?», aggiunsi.

    Ero quasi impazzita. 

    Sembrava che i ruoli si fossero invertiti: io il vampiro spaventoso e feroce, mentre lui la povera vittima umana, indifesa e terrorizzata. Ma il vampiro era lui, e io la possibile vittima. Non mi rendevo conto a che livello fosse arrivata la mia follia nel voler sfidare così un vampiro.

    Che da sempre desiderava il mio sangue.

    Gli occhi ambrati di Edward, mi fissavano increduli, e lentamente si allontanò da me. Era completamente colto di sorpresa da una reazione simile da parte mia.

    Come anch’io.

    Non mi sarei mai sognata di comportarmi in quel modo con lui. Vederlo così scioccato mi fece riprendere lucidità e mi sentì mortificata. Anche se avevo tutte le ragioni del mondo dalla mia parte.

    «Scusa, io…scusa Edward», mi coprì il viso con le mani.

    Un’onda fredda mi investì come una folata di vento invernale. Segno che si era avvicinato. Le sue mani ghiacciate mi presero delicatamente i polsi per abbassare le mie, e scoprirmi il viso stralunato e bagnato dalle lacrime. Mi sollevò il mento con un dito, e mi fissò negli occhi.

    Era angosciato in modo disumano.

    «Hai ragione, Bella», mormorò tra i miei singhiozzi. «Nonostante non mi aspettassi una simile reazione, ammetto che me la merito ampiamente. Ho tradito la tua fiducia nei miei confronti…e ora…». Mi accarezzò dolcemente il viso con la punta delle dita. Mi vennero i brividi di freddo, non ero più abituata. Se ne accorse e ritirò la mano. «probabilmente è troppo tardi. Ti ho ferita irreparabilmente. Ti sei davvero lasciata tutto alle spalle, come desideravo? Non contesterò la tua decisione. Perciò non temere la mia reazione, ti prego. Dimmi solo se dopo tutto ciò che ti ho fatto puoi ancora amarmi o no. Puoi?», sussurrò.

    Calò il silenzio per qualche secondo. Non sapevo cosa rispondere. 

    D’improvviso ricordai il sogno.

    Ecco, mi chiamava con un cenno del dito e la voce incantevole. Ero rapita da quei suoi occhi dorati, e non riuscivo a mettere a fuoco il ricordo dell’altra mano. Quella grande, distesa e calda.

    Sicura.

    Cercai di estraniarmi dai suoi occhi intensi e sofferenti, per rimettere a fuoco il viso di Jacob.

    Fu difficilissimo.

    Nella mia mente vedevo una macchia nera con qualcosa di bianco che a poco a poco divenne un sorriso dolce e luminoso. Non riuscì a vedere altro. E non avevo trovato la risposta a quella domanda.

    «Ti prego, rispondi. Per favore». Quel mio silenzio trasformò il suo viso meraviglioso e marmoreo, in una maschera contratta dal dolore. Come se conoscesse la risposta meglio di me.

    «Ora come ora, non sono capace di risponderti», mormorai. Era la verità.

    «Capisco», disse allontanandosi da me con un sospiro.

    Si sedette per terra incrociando le gambe, contemplando il vuoto.«Non ti forzerò la mano, Bella, ma non posso nasconderti ciò che provo. Ti ho lasciata soltanto perché desideravo darti la possibilità di vivere una vita normale, felice, da essere umano. Mi rendevo conto di cosa significasse starti accanto: farti vivere sempre sul filo del rasoio, allontanarti dal tuo mondo, costringerti a rischiare la vita in ogni istante che passavo con te. Perciò ho deciso di provare. Dovevo fare qualcosa e la fuga mi sembrava l'unica possibilità. Se non avessi creduto che era meglio per te, non mi sarei mai imposto di andarmene. Sono fin troppo egoista. Soltanto tu eri più importante dei miei capricci… e dei miei desideri. Ciò che desidero, ciò che voglio, è stare con te e so che non avrò mai più la forza di lasciarti. Ho troppe scuse per rimanere. Ti chiedo solo di pensarci, e nel caso non mi volessi più…», fece una breve pausa. «almeno non escludermi completamente dalla tua vita», aggiunse alzando il volto mortificato sul mio.

    «Non ti manderei mai via dalla mia vita. Mai», risposi sincera e commossa. Sorrise, lievemente rincuorato. Rivederlo sorridere in quel modo, mi fece vacillare sulle mie posizioni. Staccai gli occhi da quella visione celestiale e ripresi il filo del discorso prima che me lo facesse dimenticare. «Ma devo fare chiarezza dentro di me. Nel frattempo…possiamo restare amici. Ma non di più», dissi titubante.

    D’un tratto ebbi un flash. Come l’avrebbe presa Jake?

    Quasi certamente l’avrebbe visto come un pericoloso intruso nella nostra piccola bolla indefinita. Chissà se un giorno sarei riuscita a dargli un nome. Ora che Edward era tornato, sarebbe stato tutto più difficile, come avevo previsto.

    «Grazie», sussurrò sollevato.

    ««Figurati…», mormorai. «Comunque, cos’hai fatto per tutto questo tempo?».

    «Ecco, benché non considerassi affatto pericolosa Victoria, non intendevo fargliela passare liscia… Te l'ho detto, sono stato un vero incapace. L'ho inseguita fino al Texas, ma poi mi sono lasciato ingannare da una pista falsa che portava in Brasile. In realtà, lei era tornata qui», disse contrariato. «E io stavo in un altro continente! E nel frattempo, peggio del mio incubo peggiore…».

    «Eri sulle tracce di Victoria?». Soffocai il grido in gola, alzando di due ottave il poco di voce che mi restava.

    Il ronfo lontano di Charlie s'interruppe, ma riprese subito a ritmo regolare. 

    «Non le ho seguite bene», rispose Edward, che studiava la mia espressione sbalordita con uno sguardo confuso. «Ma stavolta farò di meglio. Presto la smetterà di insozzare l'aria con il suo respiro».

    «Questo è… fuori discussione», dissi d'un fiato. Era una pazzia. Anche se avesse chiesto rinforzi a Emmett o Jasper. Anche se Emmett e Jasper lo avessero aiutato. Ripensai a quando immaginavo Jacob Black a poca distanza dalla sagoma feroce e felina di Victoria. Non potevo tollerare di aggiungere anche Edward, benché fosse molto più resistente del mio migliore

amico mezzo umano.

    «È troppo tardi per lei. L'altra volta ho perso un'occasione, ma ora basta, non dopo che…».

    Lo interruppi un'altra volta, cercando di apparire calma. «Ricorda che hai appena promesso di non andartene. Non credo che ciò sia davvero compatibile con una battuta di caccia in piena regola, sbaglio?».

    Si fece scuro in volto. Dal suo petto sorse un ringhio soffocato. «Manterrò la promessa, Bella. Ma Victoria», e il ringhio si fece più pronunciato, «morirà. Presto».

    «Non lasciamoci prendere dalla fretta», lo incalzai, cercando di nascondere il panico. Anche se non volevo tornare con lui, di certo non desideravo vederlo morto. «Forse non tornerà. Probabilmente il branco di Jake le ha messo paura. Non c'è motivo di andare a cercarla[…]».

    «Giusto…dimenticavo Jacob Black», mormorò abbozzando un sorriso triste. «Alice…mi ha parlato di lui».

    Deglutì. «Cosa ti ha detto esattamente?» domandai con una fitta allo stomaco.

    «Che è diventato un enorme, irascibile ed immaturo cucciolo di lupo», rispose sarcastico. Affilai lo sguardo, indispettita da come aveva osato definire il mio salvatore.

    «Si è preso cura di me quando tu mi hai abbandonata», sibilai affilando lo sguardo. Divenne una statua e il dolore gli offuscò di nuovo gli occhi dorati. Sembrava che lo avessero appena frustato.

    «Hai ragione, perdonami. Ti ho solo riferito il modo in cui l’ha definito Alice. In realtà gli devo molto», aggiunse abbassando gli occhi e corrugando la fronte scolpita nel marmo.

    «Anch’io», aggiunsi lievemente acida.

    «Sei innamorata di lui?», domandò a brucia pelo senza alcuna espressione sul volto perfetto. Trasalì. «Non ho intenzione di fare scenate, sono solo curioso». Restai a bocca aperta mentre il cuore batteva all’impazzata. Innamorata di Jake. Si? No? Forse?

    «Non lo so», confessai alla fine.

    «Sono consapevole che ti senta confusa sull’argomento», aggiunse in uno strano tono amichevole. «Quello che mi preoccupa è che sia un licantropo giovane e insesperto. Devo ammettere però, che il suo autocontrollo nel trovarsi a pochi passi da Alice, mi ha sorpreso molto. So che è inutile scongiurarti di non fidarti dei lupi, visto il tuo precedente fidanzato. È come parlare ad un muro di gomma», aggiunse scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

   «Infatti», replicai seccata incrociando le braccia come una bambina capricciosa. «Nonostante l’inesperienza sa controllarsi molto meglio di te». Almeno il suo primo pensiero  quando mi ha vista, non è stato quello di uccidermi, avrei voluto aggiungere. Ma sarebbe stato troppo.

     Ancora una volta, ringraziai il mio cervello difettoso: l’impossibilità di leggermi nel pensiero era una frustrazione per lui e un’immensa fortuna per me.

    «Non so chi soffra di più nel doversi controllare», rispose mesto. «Descritto in questo modo, sembra quasi che lui sia meno pericoloso di me. Inutile dirti che ovviamente, non è così», aggiunse indifferente. «Comunque, mi toglieresti un’altra curiosità per favore?» domandò sollevando il viso con aria innocente. Sembrava un angelo caduto dal cielo.

    Dovetti concentrarmi.

    «Certo», risposi non tanto tranquilla.

    «Perché quando ti sei svegliata hai gridato “No!Non è vero!”?», domandò imitandomi alla perfezione. «Posso sapere cosa stavi sognando?», aggiunse.

    «Strano che tu me lo chieda…in effetti, stavo sognando te e Jake», confessai. Magari mi avrebbe aiutata a sbrogliare il nodo. Ma forse il nodo era proprio lui. Non c’era di che sorprendersi.

    «Un incubo direi, almeno per quel che mi riguarda», fece il suo sorriso sghembo. Per un secondo restai senza fiato, come in passato. «Se vuoi parlarmene ti ascolto», disse tornando serio e gentile.

    Ripresi conoscenza chiudendo gli occhi e riaprendoli su qualche altro oggetto presente in camera mia. «Ehm…ero vicina a Jacob che aveva la mano distesa, pronta a ricevere la mia, ma nonostante la volessi prendere, non ci sono riuscita. Chiesi il perché a me stessa e tu…», raccontai affievolendo la voce sulle ultime parole.

    «E io cosa?», domandò con curiosità pressante. Evitai di guardarlo.

    «E tu hai risposto dicendo “Perché vuoi ancora aspettarmi”, ma…»

    «Non è vero» concluse lui interrompendomi.

    «Già», dissi a sguardo basso e fissando le mie dita bianche quasi quanto le sue.

    Calò un silenzio di tomba e sentivo i suoi occhi d’oro liquido su di me. Respirai a fatica. Dopo tutto ciò che la sua esistenza aveva significato per me, era finita così. Mai, mai e poi mai avrei immaginato che potesse accadere.

    Eppure è accaduto. Contro ogni aspettativa.

    Anche l’amore più forte non può resistere ai colpi delle bugie e alle sferzate della sofferenza. Non a quella che avevo patito io. Il vizio di rimuovere dalla mia mente le cose spiacevoli, avrebbe dovuto faticare stavolta. Probabilmente i modi gentili e ben educati di Edward gli avrebbero dato una mano.

    Forse un giorno lo avrei perdonato e avrei dimenticato. Ma forse sarebbe già dovuto accadere nel momento in cui l’ho rivisto davanti agli occhi. Ma non è andata così.

    Sospirai sovrapensiero.

    «E’ meglio che vada, ti lascio dormire», disse rialzandosi con estrema lentezza.

    «C’è una verifica di matematica domani», dissi distrattamente tra i mille pensieri che avevo per la testa. «Ci vediamo a scuola».

    Annuì. Il volto di nuovo preso a frustate.

    Era la prima volta che lo mandavo via dalla mia stanza. La Bella di non molto tempo fa, mi avrebbe presa a schiaffi e riempita di calci e pugni. Tanto per iniziare.

    «Allora…buonanotte, Bella», mormorò poco prima di volatilizzarsi dalla finestra senza darmi il tempo di rispondere.

    Presi una grossa boccata d’aria per riempirmi i polmoni e la buttai fuori lentamente. Mi massaggiai le tempie e mi sdraiai tirandomi su le coperte, ormai diventate fredde. Fissai il soffitto meditabonda e socchiusi gli occhi. La tensione si sciolse e mi addormentai. Dopo non molto tempo sognai di nuovo.

    Ancora le onde in lontananza, il fruscio delle foglie degli alberi che si affacciavano sulla spiaggia. E ancora il ghiaccio e il fuoco. Ma stavolta non guardai nessuno dei due.

    Stavo lì, in mezzo a loro, rannicchiata su me stessa fissando il vuoto davanti a me.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 04 - Offuscamento ***


(Libro di riferimento: New Moon di Stephenie Meyer)

 

    La mattina dopo mi svegliai con l’umore sotto i piedi. Il mio sogno snervante non aveva fatto molti progressi, anzi.

    Ero più indecisa di prima.

    La visita di Edward aveva in qualche modo fatto vacillare le mie intenzioni, e non ero abituata ad affrontare situazioni così complicate e delicate. La perfezione della sua bellezza era una tentazione troppo forte per me. Ma non abbastanza da farmi dimenticare il mio migliore amico.

    Mi mancava in modo indescrivibile. Mi sembrava di soffocare senza di lui, era come l’aria pura che ripuliva i polmoni pieni di fumo. Era vitale.

    Mi trascinai in cucina e non finì nemmeno la mia colazione. Charlie si accorse della mia espressione pensierosa.

    «C’è qualcosa che non va, Bells?», domandò preoccupato. Feci spallucce.

    «Niente, mi sono alzata con la luna storta», riassunsi.

    «Ah», disse increspando la fronte. «Non sarà per il ritorno di una certa persona?», storse il naso alla parola persona.

    Acuto, pensai.

    «Forse», mormorai con un tono che voleva dire “si”.

    «Nonostante sia felice per il rientro degli altri Cullen, spero che lui non ti si avvicini più», disse accigliato. Troppo tardi, avrei voluto rispondere. Ma se volevo che non mi murasse la finestra, non avrei dovuto fiatare. Mi limitai ad annuire.

    Tenni il broncio fino ad arrivare a scuola. Non era l’atteggiamento migliore per affrontare una giornata come quella. La prospettiva di rivedere Alice, Jasper ed Emmett, avrebbe dovuto farmi sentire al settimo cielo. Rosalie non era mai stata una mia grande amica, anzi, mi metteva in soggezione, e a dirla tutta, mi faceva un po’ paura. Ma forse, in fondo, mi era mancata anche lei.

    Ciò che mi metteva in difficoltà era la presenza di Edward. Con la sua bellezza mozzafiato, i suoi modi garbati, la sua voce incantevole, e il suo sguardo dorato capace di farmi dimenticare come mi chiamo, metteva in croce il mio rapporto con Jacob e gli altri licantropi scalmanati di La Push.

    Mi sarei dovuta concentrare per non cadere di nuovo nella tela del ragno. Ci sarei dovuta riuscire, ad ogni costo. Dovevo sciogliere il nodo ingarbugliato del dubbio e decidere una volta per tutte. Ma sapevo già che non sarei riuscita a farlo oggi, soprattutto se ancora non avevo visto Jake.

    Ogni volta che pensavo a lui mi sentivo svuotare.

    Volevo rivedere il suo sorriso, riascoltare la sua risata rauca riecheggiare nell’abitacolo del mio Pick-up, sentire la sua mano tremante bruciare sulla mia guancia.

    Sfiorammo il momento in cui il destino di Giulietta sarebbe potuto cambiare. Ma Romeo si era rifatto vivo.

    Arrivai nell’aula per la lezione di biologia, che quasi mi dimenticai che avrei ritrovato Edward nel nostro solito banco.

    E infatti.

    Entrai in classe e lo vidi seduto nello stesso posto in cui tutto cominciò. E in cui per mesi avevo sognato di rivederlo. Mi adocchiò non appena spuntai da dietro lo stipite della porta e mi seguiva con lo sguardo. Sembrava tranquillo.

    Mi avvicinai a occhi bassi, e presi posto di fianco a lui. Pareva di essere tornati indietro nel tempo.

    «Buongiorno Bella», disse gentile.

    «Buongiorno a te», risposi con mezzo sorriso.

    Da un lato ero felice di rivederlo, nonostante tutto quello che mi aveva fatto passare e le sue motivazioni che rasentavano l’immaturità. Come può un vampiro di cento anni, agire come se ne avesse ancora diciasette? Forse il cervello resta bloccato all’età in cui ci si trasforma, non conta che poi dopo vivi per l’eternità.

    In ogni caso, consideravo Edward come uno dei pezzi più importanti della mia vita. Anche se non me la sentivo di tornare con lui, non avrei mai potuto sopportare un altro allontanamento. Specie ora che si era deciso a tornare per non andarsene più. Almeno così diceva.

    Dall’altro lato, la sua presenza mi metteva in ansia. E non solo nei riguardi di ciò che provavo per Jacob.

    Erano nemici giurati.

    Frequentare l’uno richiedeva l’esclusione dell’altro, e io questo non lo volevo. Non volevo rinunciare a Jacob per vedere i Cullen, e non volevo rinunciare ai Cullen per frequentare i licantropi.

    Odiavo questa situazione. E odiavo ancora di più la mia impotenza. Cercai di ricompormi e di non rovinarmi la giornata.

    «Sai, lo staff dell'ospedale ha accolto Carlisle a braccia aperte. Non si sono nemmeno preoccupati di nascondere la soddisfazione nel sapere che Esme si fosse trovata così male a Los Angeles», disse Edward come se mi avesse letto nel pensiero. Tirò fuori il suo sorriso sghembo che tanto adoravo.

    «Già, nessun posto è come Forks», dissi con una smorfia.

    Non parlammo molto fino all’ora della pausa pranzo. Vedevo con la coda dell’occhio, che mi guardava con un velo di frustrazione.

    Arrivati in mensa, Alice ci corse incontro a passo di danza con un sorriso abbagliante, seguita a ruota da Jasper e da Emmett che mi strinse in un abbraccio soffocante e mi fece roteare per due giri. Sembrava di essere alle giostre.  

    Erano felici di rivedermi, come lo ero io. Anche Rosalie si era timidamente avvicinata con un sorriso. La sua eterna bellezza fu un pugno in piena faccia.

    Alice si unì a me ed Edward, mentre gli altri si apprestavano ad occupare i loro soliti posti. Sembrava che tutto fosse tornato alla normalità.

    Tutto tranne me ed Edward.

    Cercai di non pensarci, c’erano altre cose che mi premevano di più.

    «Alice, non per barare ma…come mi è andata la verifica di matematica?», domani lievemente ansiosa. Non ero sicura di aver dato tutte le risposte giuste. Il giorno del diploma era sempre più vicino, e sbagliare adesso significava dover recuperare quando ormai ero agli sgoccioli.

    Alice alzò un sopraciglio. «Da quando vuoi usare le mie capacità per i tuoi loschi fini?».

    «Dai Alice, solo una sbirciatina», implorai. Edward rise.

    «Isabella Marie Swan che mi chiede una cosa del genere. Credevo di aver visto tutto», scosse la testa parlando tra se, ignorandomi completamente.

    «Ok, scusa», mi arresi.

    «E’ andata più che bene», rispose Edward ridendo sotto i baffi. «Me lo ha già detto ieri prevedendo che glielo avresti chiesto», aggiunse divertito. Alzai un sopraciglio e guardai la sua minuscola sorella che ridacchiava.

    «Scusa Bella, avevo voglia di giocare», disse Alice. La sua risata angelica era una musica che non avrei mai smesso di ascoltare.

    «Ah, vi divertite a prendermi in giro eh? Molto divertente», protestai, ma l’avevo già perdonata. Risi anch’io. Un attimo dopo vidi gli occhi di Alice diventare di vetro.

    Faceva così ogni volta che aveva una visione.

    Il sorriso le si appiattì all’improvviso, e gli angoli della bocca s’incurvarono all’ingiù. Anche Edward si fece subito serio. La frustrazione tornò sul suo volto.

    «Bè, se non altro, qualcosa di buono c’è», sussurrò commentando un pensiero silenzioso della sorella veggente.

    Alice si svegliò con uno sbuffo. «Già, peccato però», replicò. Odiavo sentirmi esclusa in quel modo e in mia presenza, specie quando l’oggetto di conversazione ero io.

    «Che succede?».

    Edward sospirò. «Fino a…qualche tempo fa…Alice aveva visto che nel tuo futuro saresti diventata come noi», disse Edward. «Una cosa che per me è inaccettabile e assolutamente fuori discussione», puntualizzò guardandomi con la coda dell’occhio.

    «Lo so, e allora?».

    «Quella visione non ce l’ho più», mormorò Alice imbronciata. Fissava il piatto di patatine che non avrebbe mai toccato. Non mi vedeva più come un vampiro?

    Ovvio, pensai.

    L’unico motivo per il quale avrei sacrificato la mia mortalità, era per stare con lui per sempre.

    Ora che non avevo intenzione di tornare insieme ad Edward, quel desiderio era cambiato.

    Non avevo più motivo di diventare un vampiro. L’insetto non voleva più trasformarsi in una pianta carnivora. Per questo Alice non riusciva a vedermi trasformata. Ma se cambiavo di nuovo idea, mi avrebbe rivista.

    «Tra l’altro ti vedo molto più indistinta del solito, Bella», m’inchiodò con lo sguardo. Trasalì.

    «Perché?».

    «E’ come quando ho visto che volevi tuffarti ma hai cominciato a ripensarci O Quando Edward ti chiamò a casa e rispose il cagnolino».

Aggrottai le sopraciglia. «Si chiama Jacob».

    «Grazie a Dio per una volta ti sei tenuta lontana dai guai», mormorò Edward guardandomi di sottecchi. Ricambiai. «Pare che i licantropi siano una sorta di buco nero, per le sue visioni», aggiunse. Strabuzzai gli occhi e tornai su quel viso da folletto.

    «Non riesci a vedere i lupi Quileute?».

    «Già», rispose affilando lo sguardo. «E con molta probabilità, anche chi decide di averci a che fare in qualche maniera».

    «Ecco perché mi hai vista sparire». Incredibile. Non avrei mai pensato che le visioni di Alice potessero presentare delle crepe.

    La credevo infallibile, come lo credeva il resto della sua famiglia. Lei invece si lamentava del fatto che si fidassero troppo delle sue visioni, perché derivate da decisioni che possono cambiare in qualunque momento.

    Ma questa era una cosa molto diversa. Non poteva vedere Jacob e i suoi amici. E se prendevo una decisione che in qualche modo li riguardasse, automaticamente sparivo anch’io.

    Mi domandai se questo fosse un bene o un male. L’essere un buco nero per Edward aveva i suoi vantaggi, ma esserlo anche per Alice non sapevo cosa potesse significare. Sapevo di essere difettosa, ma non credevo che lo potesse essere anche Jacob.

    «Dimmi a cosa stai pensando per favore», domandò Edward esasperato. Non mi ero accorta che mi stesse fissando.

    «Al significato di tutto ciò, ma non riesco a darmi una risposta».

    «Posso sempre darti un consiglio», disse con la sua voce vellutata. Alzai un sopraciglio in attesa. Sorrise. «Sarebbe meglio che non frequentassi i licantropi. Sono pericolosi, e non voglio che ti facciano del male». Mi fissava con i suoi occhi dorati, lievemente chiazzati di nero.

    Era a pochi centimetri dal mio viso e il suo respiro freddo e profumato mi annebbiava il cervello ad intervalli regolari. Era di una bellezza ineguagliabile, e mi sentivo di nuovo confusa. Non volevo stare con lui, e non volevo stare senza di lui. Un po’ come con Jacob. Solo che nel caso di Edward, i rapporti si erano incrinati in modo molto pesante.

****************************************************************************************************************************************************************

    La pausa pranzo finì, e i fratelli Cullen buttarono nella spazzatura il contenuto dei loro vassoi. Come di rito. Alice raggiunse Jasper e si avviarono verso l’aula d’inglese, mentre io ed Edward ci indirizzammo verso quella di storia.

    Si teneva a distanza. Probabilmente la lontananza dal mio profumo gli stava causando qualche problema. Per tutto il tempo delle ultime ore di lezione, non disse una parola. E non stava nemmeno prestando attenzione. Era immerso nei propri pensieri.

    O forse stava ascoltando quelli degli altri.

    Il suono della campanella troncò la spiegazione del professore di filosofia, rimandando il resto alla prossima lezione. Rimisi apposto le mie cose nello zaino e mi diressi verso il parcheggio insieme ad Edward che restava sempre a distanza e in silenzio.

    Camminava concentrato e scuro in volto. Gli occhi sempre più chiazzati di nero. Decisi di guardarmi intorno.

Lo stavano guardando tutti, bisbigliando tra loro. Prima fra tutte Jessica che confabulava con Eric, Conner, Tyler e Lauren. Anche Mike ci guardava e parlottava con Angela e Ben.

    Capì che Edward stava ascoltando ogni parola e ogni pensiero inespresso che lo riguardava direttamente. E che forse riguardavano anche me e gli otto mesi precedenti.

    Sospirai, pregando che la smettessero. Mi seguì senza fiatare fino al mio Pick-up. Ero pronta ad estrarre le chiavi dalla tasca della giacca, ma avrei voluto dire qualcosa ad Edward. Almeno per distrarlo.

    «Bella», sussurrò. Mi voltai.

    «Dimmi».

    «Mi dispiace di averti dato tutto questo dolore. Ero in buona fede, non avevo idea…». Gli tremava la voce.

    «Stai ascoltando i pensieri dei nostri compagni», la mia non era una domanda. Non poteva essere altrimenti. «Non lo fare, non dargli retta. Ormai è passata», mugugnai.

    «Posso ignorare certe accuse più che meritate, ma le immagini mentali che alcuni di loro rievocano, sono difficili da non vedere…soprattutto quelle di Angela. Eri conciata molto male, quasi non ti riconoscevo». Serrò gli occhi con aria sofferente. Poi li riaprì sui miei. «Vorrei poter tornare indietro nel tempo».

    «Anch’io», sussurrai ad occhi bassi. «Ma non si può fare», sentenziai alzando lo sguardo sul suo. Sospirò rassegnato.

    «Posso almeno accompagnarti a casa? Sai mi sei…mancata molto», disse avvolgendomi con il suo sguardo irresistibile. Alzò una mano verso il mio viso, ma la riabbassò prima di toccarlo, insicuro.

    La vecchia Bella dentro di me, avrebbe voluto immergersi in quel mare tormentato dei suoi occhi, e tornare tra le sue braccia, completamente vinta dall’amore per lui.

    Ma la Bella di oggi era molto diversa.

    Si era fortificata e aveva cominciato a vedere un po’ di luce, dopo l’offuscamento che portava il nome di Edward Cullen. Eppure non riuscì a dirgli di no.

    «Ma certo». Era inutile negare che gli volessi bene. D’altronde ero ancora nel mezzo, tra il fuoco e il ghiaccio. Sapevo che i suoi modi, la sua bellezza e il suo desiderio di venir perdonato, avrebbero addolcito il mio nuovo modo di vederlo.

    Salimmo in macchina, e per rispetto fece guidare me. Mi fissò per tutto il tempo con aria assorta. Chissà a cosa pensava. Riflettei su cosa avrei potuto dire per superare quel momento imbarazzante, e la trovai.

    «Posso farti una domanda?».

    «Solo una? Mi sorprendi Bella», rispose con la sua voce vellutata. Restai concentrata.

    «Come va con…il mio profumo? Ti sei disabituato in tutto questo tempo».

    Sorrise mesto.

    «La lontananza e il dolore che provo nell’averti persa, hanno messo in discussione certe mie priorità», sussurrò. Provai un brivido lungo la schiena, ma non era dovuto al suo respiro ghiacciato. Non volevo che soffrisse, anche se non avevo iniziato io. Si allontanò più che potè, credendo che fosse stato lui a provocare quella vibrazione nel mio corpo.

    «Scusa, ero troppo vicino. Dimenticavo che non sei più abituata». S’accigliò.

    «Bè, ci si può sempre riabituare», dissi abbozzando un sorriso.

    Per un attimo s’illuminò e le chiazze scure nei suoi occhi dorati svanirono. Non aveva sete, era…triste.

    Mi si strinse il cuore per quell’attimo. Cercai di concentrarmi sulla strada.

    D’un tratto mi ricordai che Alice non aveva risposto ad una mia domanda.

    «Senti, mi dici come mai Alice mi vede sfocata?».

    «In realtà, è solo una teoria», scandì ogni parola con gli occhi fissi su di me. «ma è molto probabile che tu stia vivendo un periodo di…confusione sentimentale», disse lievemente seccato.

    Ci aveva azzeccato, naturalmente. Si parlava di Alice.

    «Ah», replicai. Involontariamente strinsi le mani al volante e irrigidì la mia postura. Avevo paura di come avrebbe preso una mia conferma. Forse era a questo che pensava.

    «Ovviamente è proprio così», fu il suo commento alla mia reazione. «In un certo senso mi sento offeso nel ritrovarmi a competere con lui», aggiunse stringendo i denti alla parola lui. «Ma infondo lo capisco, sono stato io a spingerti tra le sue braccia, e come hai detto tu, ti è stato molto vicino».

    «E’ così. E’ diventato molto importante per me, il mio migliore amico».

    «Amico?», alzò un sopraciglio. «Per te Jacob Black, è solo un amico?», domandò scettico, poi scoppiò a ridere, ma non era allegro. «Avanti Bella, se fosse così Alice non ti vedrebbe in modo così disturbato! Come l’immagine trasmessa da un vecchio televisore mal sintonizzato»,  smise di ridacchiare e ridivenne serio. «E’ chiaro che per te è qualcosa di più, e probabilmente quella piccola parte che in qualche modo ti tiene legata a me, non ha intenzione di lasciarti andare tra le sue braccia» aggiunse.

    Inchiodai gli occhi sulla strada, ma non potei fare nulla contro i battiti del mio cuore che mi rimbombavano nel petto.

    Aveva ragione. La Bella dentro di me, quella accecata dall’amore per Edward, era il motivo della mia indecisione.

   Perché vuoi ancora aspettarmi, lo aveva detto Edward nel mio sogno. Quella parte di me, che avevo seppellito da troppo poco tempo, era rimasta ad attendere il suo ritorno.

    E non voleva che qualcuno lo sostituisse. Dentro di me si era scatenata una guerra senza che me ne fossi accorta.

    «E tu che intenzioni hai in proposito?», domandai. Con me stessa avrei fatto i conti dopo. Volevo sapere come pensava di comportarsi.

    «Bè, se fosse per me, non ti permetterei di rivederlo, e non tanto perché spero che tu lo dimentichi. Come ti ho detto prima, è molto pericoloso, ed è molto giovane».

    «Jake non mi farebbe mai del male», ribattei irritata. «L’ho fatto infuriare un’infinità di volte, e ha sempre trovato il modo di calmarsi! È più maturo di quanto pensi, Edward!», lo rimproverai.

    «Non metto in dubbio che tu lo abbia irritato parecchio», disse lievemente divertito. «Ma non tirerei troppo la corda se fossi in te. Non vorrei che si spezzasse quando gli stai troppo vicino», aggiunse più serio.

    «Morale della favola? Mi impedirai di vederlo?», lo inchiodai con lo sguardo, e la mia voce s’alzò di un’ottava in preda al nervosismo e all’assoluto dissenso. Attese un istante prima di rispondere.

    «Forse, ma non oggi», disse accigliandosi e puntando in direzione del bosco. Ero praticamente arrivata nel vialetto di casa di Charlie. Parcheggiai di fianco alla macchina della polizia, segno che era in casa. Guardai Edward ancora innervosita.

    «Ne oggi, ne mai! Non puoi impedirmi di vederlo se ne ho voglia, e lo stesso vale per lui!».

    Con un battito delle lunghe ciglia si voltò a guardarmi. Un sorriso di sfida comparve sul suo volto mozzafiato.

    «Bene, sei stata accontentata. Jacob sa che siamo tornati e mi sta aspettando proprio laggiù», disse Edward indicando il sentiero diritto che divideva il confine buio della foresta.

    Jacob era qui? E come era venuto a conoscenza del ritorno dei Cullen? Io non glielo avevo detto.

    «Come fa a sapere che siete tornati?», domandai confusa.

    «Lo scoprirai», disse sicuro di se nel mentre che scendeva dal mio automezzo. Scesi anch’io e ci avviammo.

    Il cammino fu breve; Jacob ci attendeva a poca distanza dall'inizio del sentiero. Era appoggiato a un tronco ricoperto di muschio, con l'espressione particolarmente tesa[…]. Guardò prima me, poi Edward. […] Era a piedi nudi, leggermente chino in avanti, con i pugni stretti. Sembrava più grosso rispetto all'ultima volta che lo avevo visto. In qualche maniera impossibile, continuava a crescere. Ormai era più alto di Edward.

    Non ci avvicinammo: Edward si fermò non appena lo vide e restò a distanza.

    «Ciao Bells», disse senza entusiasmo. Con gli occhi fissi su quelli di Edward si allontanò dall’albero.

    «Ciao Jake, ma che ci fai qui?».

    «Immagino che ora la mia presenza ti disturbi!», disse rigido spostando lo sguardo severo sul mio. Trasalì, mentre lui continuava a fissarmi in quel modo.

    «No, non è tornata da me», disse Edward spezzando quel momentaneo silenzio. Probabilmente aveva risposto ad un pensiero di Jacob. In un lampo l’espressione di Jake si fece confusa, e riprese a guardare prima lui e poi di nuovo me.

    «È così?», chiese e chiuse subito la bocca, pentito della propria domanda.

    «Già», confermai. Si ricompose e rindossò la sua maschera dura.

    «Bene, è una bella notizia».

    «Jake, come facevi a sapere che i Cullen sono tornati? Io non te l’ho detto». Era chiaro che mi stesse nascondendo qualcosa. Edward affilò lo sguardo e sorrideva maligno. In attesa che Jacob rispondesse.

    «Sam ha saputo della visita della tua amica succhiasangue e del suo ritorno in famiglia per riferire di noi e di quella Victoria. Ha pensato ad un probabile ritorno, e ci ha ordinato di tenere d’occhio la rossa e il loro eventuale arrivo», rispose irrequieto. Strabuzzai gli occhi.

    «Sei andato a raccontarlo a Sam?», gridai. Non potevo crederci.

    «Me lo ha letto nel pensiero quando mi sono trasformato, non ho potuto impedirglielo», precisò.

    «Fa lo stesso! E’ per questo che eri sempre fuori casa? Li stavi tenendo d’occhio? Perché me lo hai tenuto nascosto?», continuavo ad urlare. In quell’istante capii l‘atteggiamento di Edward. Sapeva che mi sarei arrabbiata con Jacob, e non mi ha accennato nulla per non perdersi la mia reazione.

    Colpo basso.

    «Si. Non te l’ho detto perché sapevo che ti saresti arrabbiata», confessò pentito.

    «E perché non voleva darti speranza di un mio ritorno. Molto premuroso da parte sua», concluse Edward sarcastico. Jacob lo inchiodò con uno sguardo d’odio puro.

    «Piantala», sbottò.

    Edward non rispose.

    Jacob fu preso da uno spasmo, dopo il quale strinse forte i denti e i pugni.

    «Bella non esagerava, a proposito delle tue… qualità», disse. «Perciò, immagino che tu sappia già perché sono qui».

    «Sì», confermò Edward con tono morbido. «Però, prima che cominci, vorrei dire una cosa».

    Jacob restò in attesa, stringendo e rilassando le mani, mentre cercava di controllare i brividi che gli percorrevano le braccia.

    «Ti ringrazio», disse Edward, e la sua voce tremava tanto era sincera. «Non esistono parole per dirti quanto ti sia grato. Ti sarò debitore per il resto della mia… esistenza».

    Jacob lo fissò, disorientato, le convulsioni bloccate dalla sorpresa. Scambiò un veloce sguardo con me, ma io ero altrettanto confusa. «Per aver protetto Bella», chiarì Edward con voce mossa e agitata, «quando io… non ho potuto farlo».

    Non dissi nulla. La verità era quella.

    Il viso di Jacob brillò di comprensione per un istante, prima di tornare alla maschera arcigna. «Non l'ho fatto per te».

    «Lo so. Ma ciò non annulla la gratitudine che provo. Pensavo di dovertelo dire. Se mi è concesso di fare qualcosa per te…».

    Jacob sollevò un sopracciglio.

    Edward scosse la testa. «Non è mia prerogativa».

    «E di chi è, allora?», ruggì Jacob.

    Edward abbassò lo sguardo su di me. «Sua. Io imparo alla svelta, Jacob Black, e non ripeto mai lo stesso errore. Finché non sarà lei a dirmi di andare, resterò qui».

    Per un istante annegai nel suo sguardo dorato. Non era difficile ricostruire la parte di conversazione che non avevo sentito. L'unica cosa che Jacob potesse desiderare da Edward era la sua assenza.

    «Nonostante tutto, non ti chiederei mai una cosa del genere», sussurrai con lo sguardo intrecciato a quello di Edward.

    Da Jacob si udì un suono soffocato. Con due battiti di ciglia mi ripresi dall’ipnosi. Guardai Jacob.

    «Jake, è inutile che fai così, ne abbiamo già discusso. Ora mi fai capire cosa sei venuto a fare?», domandai risoluta. Edward mi fissava increspando le sopraciglia.

    Nonostante avesse scatenato tutta la forza del suo sguardo su di me, ero riuscita a distaccarmene e ad elaborare una frase complessa rivolgendomi ad un altro.

    Jacob guardava fisso Edward. «Volevo soltanto ricordare ai tuoi amici succhiasangue alcuni punti fondamentali del patto che hanno deciso di rispettare. Il patto è l'unica cosa che mi impedisce di tagliargli la gola, qui e ora».

    «Non abbiamo dimenticato», disse Edward, nello stesso istante in cui chiesi: «Quali punti?».

    Jacob continuava con le sue occhiatacce a Edward, ma mi rispose: «Il patto è molto chiaro. Se uno qualsiasi di loro morde un essere umano, la tregua è rotta. Morde, non uccide». Infine, guardò verso di me, sprezzante.

    Mi bastò un nulla per capire il senso di quella precisazione, e per ricambiare

il suo sguardo.

    «Non sono affari tuoi», replicai. Ma era stata la vecchia Bella a parlare, senza pensare.

    «E invece, maledizione…», fu tutto ciò che riuscì a esclamare.

    Non immaginavo che la mia risposta affrettata potesse scatenare una reazione così energica. Malgrado l'avvertimento che era venuto a portare, era

all'oscuro di tutto.

    La mia risposta gli provocò altre convulsioni immediate. Premette i pugni contro le tempie, serrò gli occhi e si raggomitolò su se stesso, nel tentativo di controllare gli spasmi. Sotto il colorito bronzeo, il suo volto si fece verdastro.

    «No Jake, non era quello che pensavo!». D’istinto cercai di andargli incontro nel tentativo di rassicurarlo, ma Edward mi afferrò e mi fece scudo con il proprio corpo. «Attenta! Rischia di perdere il controllo», mi avvertì.

    Ma Jacob era quasi tornato in sé, gli tremavano soltanto le braccia. Lanciò a Edward un'occhiata di odio puro. «Ah. Io non oserei mai farle del male».

    Il tono accusatorio nella sua voce non sfuggì né a me né a Edward, dalle cui labbra sorse un sibilo cupo. Jacob reagì stringendo i pugni.

    «Lasciami Edward!», intimai furiosa. Spalancò gli occhi per un istante e il sibilò gli morì in gola.

    «Si è calmato, non c’è bisogno che ti avvicini», sussurrò Edward.

    «Lasciala andare», ringhiò Jacob, di nuovo furioso. «È ciò che vuole!».

    Fece due lunghi passi avanti. Nei suoi occhi si accese una scintilla di impazienza. Sul petto riapparvero tremori e convulsioni. Edward mi cacciò alle proprie spalle, pronto ad affrontare Jacob.

    «Basta!», strillai come una pazza isterica. «Se vi attaccate non vi rivolgerò mai più la parola!», minacciai. I due restarono immobili nelle proprie posizioni e si guardarono in cagnesco. Combattevano con gli occhi.

    «Jake, non ho intenzione di diventare un vampiro!», dissi sgusciando da dietro Edward e mettendomi tra loro.

    Jacob mi lanciò un’occhiata fulminea di assoluto sconcerto. «Come? Ma credevo che…», balbettò.

    Edward continuava a fissarlo guardingo. «Il patto verrà rispettato», sibilò.

    «Mesi fa era il mio più grande desiderio, ma ora le cose sono molto diverse…e ho cambiato idea», confessai imbarazzata. Non mi piaceva questo lato volubile di me, ma non potevo farci nulla. Perché portare avanti un’idea in cui non credevo più?

    Jake si rilassò e tirò un sospiro liberatorio. «Bells, mi hai fatto prendere un colpo!», esclamò sollevato.

    «Comunque, parlando d’altro», lo interruppe Edward. «Appena arrivati ci siamo messi a lavoro. Non abbiamo trovato tracce di Victoria, nella nostra porzione di territorio, e voi?».

    Conobbe la risposta di Jacob prima ancora che la pronunciasse, ma lo lasciò parlare. «L'ultima volta è stato due giorni fa. Le abbiamo lasciato credere di poter penetrare le difese. Abbiamo stretto il cerchio, pronti a intrappolarla…».

    Un brivido glaciale mi corse lungo la schiena.

    «Ma a quel punto è volata via come un pipistrello. Per quanto ne sappiamo, potrebbe aver sentito l'odore della vostra piccola femmina e abbandonato la caccia, per il momento».

    Edward annuì. «Quando tornerà, non sarà più un vostro problema. Noi…».

    «Ha ucciso sul nostro territorio», sibilò Jacob. «È nostra!».

    «No…». Avrei voluto oppormi a entrambi. «vi prego, non voglio rischiare di perdervi in uno dei vostri inseguimenti!», implorai senza nascondere la mia disperazione.

    Immaginare Jacob o Edward, combattere contro Victoria era il mio incubo peggiore. Mi sarei sacrificata volentieri per evitare che facesse del male ad uno solo di loro. Jacob fece gli occhi al cielo.

    «La rossa non è un problema così grande, Bells. Dovresti avere un po’ più di fiducia», aggiunse con un sorriso scherzoso. Ma non fu sufficiente a tranquillizzarmi.

    Scossi la testa e mi strinsi tra le braccia. Quell’immagine non ne voleva sapere di abbandonare la mia mente.

    «Bella», sussurrò Edward che teneva gli occhi fissi su Jake con espressione accigliata. «a Victoria ci penseremo in un altro momento». Lentamente si voltò verso di me, inchiodandomi con il suo sguardo dorato. «perché c’è una domanda che ronza nella testa di Jacob da quando gli hai detto che non saresti diventata un vampiro». Jake commentò con uno sbuffo secco, guardando altrove. Edward lo ignorò. «Ammetto di essere curioso di sentirne la risposta».

    Una domanda da quando gli ho detto che non mi sarei trasformata?

    Aggrottai le sopraciglia. «Sarebbe?».

    «Voglio sapere chi di noi vuoi scegliere», rispose Jacob serrando la mascella e incrociando i miei occhi sbarrati. «Perché non puoi passare il tempo con entrambi. Devi fare una scelta, Bella».

    «Avanti Jacob», lo incoraggiò Edward con un sussurro. «non è tutto qui quello che vuoi sapere».

    Jacob gli lanciò uno sguardo ricolmo di rabbia e imbarazzo. Cominciò a vibrare, ma gli bastò fare un grande respiro e chiudere gli occhi per calmarsi.  «E voglio sapere con chi vuoi…stare», concluse riaprendo gli occhi sui miei.

    Mi bastò un battito del mio cuore per capire il senso di quella frase.

    Mi fissava implorante, come se volesse suggerirmi la risposta. E così pure Edward. Forse sperava che avessi cambiato idea.

    Restai impietrita mentre cercavo una qualche risposta da dargli. Non avevo ancora fatto chiarezza, tutto era successo troppo in fretta e il ritorno di Edward aveva sconbussolato ogni cosa.

    Mi sentì catapultare nel mio sogno ricorrente, ma non stavo immaginando nulla. Erano entrambi li, in carne ed ossa. Alla mia sinistra Edward, alla mia destra Jacob ed io esattamente tra loro.

    Ed entrambi volevano essere scelti.

    A vedere quella scena mi venne quasi un attacco di panico: ero assurdamente indecisa, peggio che nel sogno.

    «Vorrei entrambi nella mia vita», mormorai. «Non voglio rinunciare ad uno per frequentare l’altro…è impensabile», scossi la testa disperata. Mi veniva da piangere. «Non sono in grado di scegliere nessuno dei due, e non voglio che mi impediate di vedere l’altro», conclusi decisa.

    «Mi avrai sempre Bella», disse Edward abbozzando un sorriso.

    «Anche io ci sarò sempre», aggiunse Jacob lanciandogli un’occhiataccia, che Edward ricambiò. «Ma non posso lasciarti in mezzo ai vampiri. Sarei un pazzo se ti lasciassi correre un rischio del genere!».

    «Lo stesso dicasi per i licantropi giovani e irascibili», disse Edward calmo.

    «Entrambi vi sbagliate a preoccuparvi così», li rimproverai. «Ma Jake, io ed Edward non ci vediamo da tanto, vorrei parlare con Alice, rivedere Esme e Carlisle. Ma questo non vuol dire che…», non riuscì a terminare la frase. Ad ogni parola pronunciata con difficoltà, il viso di Jacob si faceva sempre più amareggiato.

    «Ne parleremo un’altra volta. Charlie ha visto la tua auto ma non te. Sta per venire a cercarti», mi avvisò Edward prendendomi la mano per portarmi via. Annuì.

    «Mi mancherai Bells», mormorò Jacob. Gli leggevo il tormento negli occhi scuri.   

    «Jake, non è un addio», cercai di rassicurarlo con un sorriso, mentre il nodo in gola rischiava di soffocarmi.

    «Pregherò che non lo diventi», rispose con un filo di voce.

    Edward ed io ci allontanammo lentamente mentre guardavo dietro di me, verso il mio migliore amico. La sua espressione era contratta dalla disperazione.

    Jacob sollevò una mano verso di me, le dita tese, come se potessero allungarsi tanto da coprire la distanza che ci separava.

    La mia mano cercò la sua, a distanza.

    Come se fossimo collegati, in qualche modo l'eco del suo dolore risuonò dentro di me. Il suo dolore, il mio dolore.

    «Jake…», sussurrai. Avrei voluto abbracciarlo e cancellare la sua espressione disperata.  

    Eravamo già ad una certa distanza, ma riuscì a leggergli le labbra che pronunciavano il mio nome. Mesto e disperato, Jacob ci accompagnava con lo sguardo finchè non lo vidi sparire dietro gli alberi. A quella visione, le mie lacrime non vollero saperne di trattenersi un istante di più.

    «Edward, dimmi cosa sta pensando Jacob», mi rivolsi a lui con il volto sofferente e rigato dalle lacrime.

    «Pensa che nonostante tutto sceglierai me», rispose con un leggero tremolio alla voce. Si voltò a fissarmi con il suo sguardo d’oro liquido, mentre mi cingeva i fianchi e mi portava a casa di Charlie. Gli occhi scintillavano di speranza.

    Avrei voluto essere abbastanza forte da vincere la presa di Edward e correre da Jacob. Ma avremmo riniziato la discussione da capo e sarei giunta alla medesima conclusione. Non sarebbe cambiato nulla.

    Vinta dalla mia stessa impotenza, mi lasciai trascinare verso la figura torva di Charlie che teneva gli occhi infuriati su Edward, pronto a dirgliene di tutti i colori.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 05 - Ragioni ***


Vi ringrazio tantissimo dei vostri commenti ragazze! Ma non disperate, Bella di solito ha un neurone funzionante in più, quando è tra le mie mani ù___ù. Un bacio e buona lettura con altri capitoli!

 

p.s.= perdonate ancora una volta le lunghe parti originali, ma sono necessarie per una maggiore credibilità. Ancora baci!

 

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Da quel giorno passarono diverse settimane, e nel frattempo andavo spesso a trovare i Cullen. La casa, prima vuota e spoglia durante la loro assenza, aveva ripreso vita, come se non se ne fossero mai andati.

    La scuola procedeva bene, e il mio rapporto con Edward era migliorato, ma era comunque rimasto più o meno nello stesso punto. Ed era quello che provavo a spiegare a Jacob via telefono, dato che tra una cosa e l’altra, mi era impossibile andarlo a trovare.

    I Cullen trovavano sempre un modo per trattenermi a casa loro.

    Edward in testa.

    Spesso e volentieri mi portava a fare escursioni nel bosco, mi suonava una melodia al piano, o mi intratteneva in chiacchere insieme ad Alice che stava sempre insieme a noi.

    Tutto questo coincideva nell’esatto momento in cui decidevo di andare a trovare Jacob.

    Non ci misi molto a capire che mi stavano imbrogliando tutti e due.

    Appena Alice mi vedeva sparire in seguito alla mia decisione, Edward le leggeva nel pensiero, ed ecco che improvvisamente gli veniva voglia di portarmi a vedere posti meravigliosi nel bosco, o a farmi ascoltare la sua ultima incantevole melodia al pianoforte o ad intavolare un dibattito sui miei libri preferiti cercando di farmi cambiare preferenze sui personaggi a me più cari.

    Sapeva che erano tutte cose alle quali non resitevo, così finivo per dimenticare i miei propositi, oppure si faceva troppo tardi e dovevo rientrare a casa di Charlie.

    E quando non ero io ad andare dai Cullen, era Edward a venire da me.

    Charlie, dal canto suo, non gli riservava certo un trattamento degno di un ospite. Si impegnava a definire il concetto di "indesiderato" con ogni parola e azione.

    Gli sforzi di Charlie, oltretutto, erano superflui: Edward sapeva esattamente cosa pensava mio padre, senza bisogno di gesti teatrali.

    Fortunatamente non s’infilava più nella mia stanza durante le ore notturne.

    O almeno così credevo.

    Nonostante Edward cercasse in tutti i modi di tenermi lontana da La Push, trovavo sempre un modo per chiamare il mio amico: non appena Charlie, in maniera particolarmente acida, gli faceva presente che fosse già molto tardi, Edward se ne andava senza fare tante storie.

    Quello era il momento in cui approfittavo per contattare Jacob.

    Mi mancava tremendamente.

    Persi il conto di quante volte cercai di convincerlo a venirmi a trovare, e lui  avrebbe pure accettato, se non fosse che Edward mi ronzava sempre intorno “come un avvoltoio su un cadavere”, come lo definiva lui, senza che ci lasciasse un minimo di privacy. Voleva passare il tempo a parlare con me, non a beccarsi con lui.

    Inoltre si era messo in mezzo anche Sam.

    Non voleva che Jacob si avvicinasse ad Edward per non rischiare che la tregua si spezzasse, e se non avesse obbedito, glielo avrebbe impedito con un ordine alpha. Quindi Jacob aveva le mani legate.

    Ovviamente, gli dava parecchio fastidio il fatto che Edward facesse di tutto per tenermi lontana da La Push, e sopratutto da lui. Edward non aveva il permesso di entrare nella loro riserva, perciò se fossi riuscita a superare l’invisibile linea di confine, non si sarebbero corsi tutti questi rischi, e pure Sam sarebbe stato tranquillo. Ma non ci potevo andare.

    In ogni caso, le conversazioni prendevano sempre la stessa piega: litigavamo sulla mia scelta di voler frequentare i Cullen. Poi alla fine l’affetto prevaleva sull’irritazione, e ci ribadivamo quanto mancassimo l’una all’altro, e così ci si sentiva anche nei giorni seguenti.

    Naturalmente Edward non era a conoscenza di tutto questo. Badavo a non farmi scoprire da Charlie, altrimenti glielo avrebbe letto nel pensiero. E ricordavo sempre a Jacob, di pregare Billy perché non andasse a raccontarglielo. Chissà se Edward si sarebbe inventato qualcosa per impedirmi di telefonargli.

    Non ci tenevo a scoprirlo.

    Mentre meditavo, dalla cucina giunse l'odore inconfondibile di qualcosa che cuoceva. In un'altra casa, il fatto che qualcuno stesse cucinando al mio posto non sarebbe stato fonte di panico.

[…] Scesi le scale con un balzo.

    Aprii lo sportello del microonde mentre il vasetto di sugo che Charlie vi aveva infilato terminava il suo primo giro.

    «Dove ho sbagliato?», chiese Charlie.

    «Prima devi togliere il coperchio. Il metallo non va nel microonde».

    Mentre parlavo aprii il vasetto, versai metà del suo contenuto in una ciotola che infilai nel microonde e riposi il vasetto nel frigo; regolai il timer e lo feci partire.

    Mentre mi davo da fare, Charlie assisteva dubbioso. «Almeno gli spaghetti vanno bene?».

    Osservai la pentola sul fornello, la fonte dell'odore che mi aveva messa in guardia. «Ogni tanto va mescolata», dissi a mezza voce. Trovai un cucchiaio e cercai di scomporre la poltiglia compatta che ribolliva sul fondo.

    Charlie sospirò.

    «Cosa stavi combinando?», chiesi.

    Incrociò le braccia e restò a fissare la pioggia che scrosciava fuori dalla finestra. «Non so di cosa tu stia parlando», mugugnò.

    Non riuscivo a capire. Charlie cucinava? E perché quell'aria arcigna? Edward non era ancora arrivato; di solito mio padre riservava quel genere di umore a lui. […]

    «Mi sono persa qualcosa? Da quando spetta a te preparare la cena?», chiesi a Charlie. Punzecchiavo il grumo di pasta che ballonzolava nell'acqua bollente. «O meglio, cercare di prepararla».

    Charlie scrollò le spalle. «Non mi pare che la legge mi vieti di cucinare in casa mia».

    «Se non lo sai tu…», risposi sorridendo e lanciando un'occhiata al suo distintivo appuntato sul giubbotto di pelle.

    «Ah ah. Buona questa». Si levò il giubbotto, come se fosse stato il mio sguardo a ricordargli che ancora lo indossava, e lo ripose sull'appendiabiti riservato al suo equipaggiamento. Il cinturone con la pistola era già a posto: da settimane non sentiva il bisogno di indossarlo, nemmeno in servizio.   

    Nessuna sparizione inquietante aveva più turbato la vita della cittadina di Forks, né c'erano più stati avvistamenti di lupi giganteschi e misteriosi sotto la pioggia incessante che avvolgeva i boschi…

    Scolai gli spaghetti in silenzio, sicura che Charlie avrebbe scelto da solo il momento per espormi le sue preoccupazioni. […]

    Mio padre si sedette a tavola con un grugnito e sfogliò il giornale umido. Pochi secondi dopo schioccò la lingua in segno di disapprovazione.

    «Dovresti smettere di leggere il giornale, papà. Ti innervosisce e basta».

    Ignorò le mie parole e continuò a mugugnare con il quotidiano tra le mani.    

    «Ecco perché nelle città piccole si sta meglio! Ridicolo».

    «Adesso che c'è che non va nelle città grandi?».

    «Seattle si sta candidando a capitale nazionale degli assassini. Cinque casi irrisolti di omicidio nelle ultime due settimane. Vivresti mai in un posto del genere?».

    «Credo che Phoenix si piazzi ancora meglio in classifica, papà. E io ci ho vissuto». E non avevo mai rischiato di restare vittima di un omicidio come dopo aver traslocato nella sua cittadina sicura. […] Tra le mie mani il cucchiaio ebbe un sussulto e fece tremare l'acqua.

    «Be', io nemmeno se mi pagassero», disse Charlie.

    Rinunciai a salvare la cena e la servii così com'era: fui costretta a usare il coltello da carne per tagliare la porzione di spaghetti di Charlie e poi la mia, sotto il suo sguardo rassegnato. Charlie inondò il proprio piatto di sugo e ci si buttò. Io nascosi la mia poltiglia alla stessa maniera e lo imitai, con molto meno entusiasmo. Per qualche istante mangiammo in silenzio. Charlie era ancora impegnato a studiare la cronaca, perciò ripresi la mia copia malconcia di Cime tempestose da dove l'avevo lasciata quel mattino a colazione e cercai di perdermi nell'Inghilterra di fine diciannovesimo secolo in attesa che mio padre parlasse.

    Proprio mentre leggevo del ritorno di Heathcliff, Charlie si schiarì la voce e gettò a terra il giornale.

    «È vero», disse. «C'è un motivo per cui ho deciso di fare questa cosa». Indicò con la forchetta la poltiglia collosa. «Volevo parlarti».

    Riposi il libro; la costa era talmente distrutta che si appiattì sul tavolo. «Bastava chiedere».

    Annuì aggrottando le sopracciglia. «Già. Cercherò di ricordarmelo». […]

    Fece un sospiro. «So che ti stai riappacificando con Edward e che passi tutto il tempo con lui…».

    «Lo passo anche con Alice», ribattei. […] Al contrario di Edward, la sorella era la benvenuta. Nelle sue mani Charlie era come creta.

    «Vero», disse Charlie. «Ma hai altri amici a parte i Cullen, Bella. O meglio, ne avevi».

    I nostri sguardi s'incrociarono per un interminabile istante.

    «Quand'è stata l'ultima volta che hai parlato con Angela Weber?», chiese sfidandomi.

    «Venerdì a pranzo», ribattei pronta.

    Prima del ritorno di Edward, i miei compagni di scuola si erano divisi in due gruppi. Per come la vedevo, le due fazioni rappresentavano il Bene e il Male. Ma anche Noi e Loro poteva andare. I buoni erano Angela, il suo ragazzo Ben Cheney e Mike Newton: i tre erano stati ben disposti a perdonarmi la pazzia a cui mi ero lasciata andare dopo la partenza di Edward. Lauren Mallory era il polo d'attrazione negativo del gruppo dei Loro: fra questi, anche la mia prima amica a Forks, Jessica Stanley, sembrava ben felice di mantenere un comportamento anti-Bella.

    Ricomparso Edward, a scuola la linea di confine si era fatta ancora più netta. […] Malgrado l'avversione spontanea che la maggior parte degli umani provava per i Cullen, ogni giorno a pranzo Angela restava seduta accanto ad Alice.

    Dopo qualche settimana aveva persino iniziato a sentirsi a proprio agio. Era difficile non restare affascinati dai Cullen, a patto di concedere loro la possibilità di affascinare.

    «E Jacob? Da quanto non lo vedi?», chiese Charlie interrompendo i miei pensieri.

    «Bè…da un po’», confessai rabbuiandomi. Charlie affilò lo sguardo.

    «Non sarà che Edward Cullen non vuole che tu lo frequenti?», sembrava più un’accusa che una domanda. La vena sulla sua tempia cominciò a gonfiarsi.

    «No papà», mentii. «tra una cosa e l’altra mi dimentico di andare a trovare Jake, tutto qua. Edward non c’entra nulla, sono io che perdo la cognizione del tempo quando sto con i Cullen», giustificai, accollandomi parte della colpa.

    Charlie fece un sospiro secco. «Spero che sia così, altrimenti se è lui il responsabile, dovrà vedersela con me», disse in tono severo.

    «E’ così, papà», risposi con un sorriso. Quant’era ingenuo mio padre.

    La sua assoluta estraneità alla reale natura di Edward, gli facevano dire cose più grandi di lui. Se avesse saputo che Edward è un vampiro capace di sbriciolarti le ossa con una leggera carezza, si sarebbe ben guardato dal sfidarlo in quel modo.

   «Comunque, l’idea non è esattamente mia…in realtà», aggiunse goffo. «Ho sentito Billy da poco. Dice che Jake non è molto felice. Anzi, rasenta la depressione».

    «Come?», domandai con un misto di preoccupazione e confusione. Ci sentivamo quasi tutti i giorni al telefono. Bè, non che bastasse.

    «Billy dice che a Jake piacerebbe rivederti, ma pensa che Edward te lo voglia impedire», spiegò lanciandomi uno sguardo accusatore. A quelle parole mi venne una fitta allo stomaco. Se non fosse che Edward sarebbe arrivato entro pochi minuti, avrei preso le chiavi del mio pick-up e sarei partita alla volta della casetta rossa del mio migliore amico. Ma non ne avevo il tempo. «Sei davvero sicura che non sia così, Bella?», insistè Charlie.

    Ingoiai il rospo prima che uscisse irrimediabilmente dalla mia bocca. «Si, papà. Edward non c’entra nulla». Charlie mi guardò per un istante interminabile.

    «Ti manca Jake?», domandò di nuovo paterno.

    All'istante sentii un nodo in gola e fui costretta a schiarirla due volte prima di parlare. «Sì, mi manca», ammisi senza staccare gli occhi da terra. «Mi manca parecchio».

    «Allora potresti sforzarti di ricordarti di lui, ogni tanto. Dopotutto Jacob ti è stato molto, molto vicino come amico».

    «Lo so».

    Non potevo dirgli come stavano realmente le cose. Le regole impedivano alle persone normali - gli esseri umani come me e Charlie - di venire a contatto con il mondo clandestino e segreto popolato da miti e mostri che esisteva attorno a noi. Sapevo tutto di quel mondo e la conseguenza era stata una serie di problemi non da poco. Non intendevo trascinare Charlie negli stessi guai.

    «Cercherò di fare il possibile per andare a trovarlo», aggiunsi determinata. Avrei trovato il modo, prima o poi.

     Charlie si rilassò in un sorriso pieno e per un istante dimostrò vent'anni in meno. […]

    Tre colpi secchi alla porta glieli restituì in un istante. Entrambi sapevamo chi fosse. Charlie alzò gli occhi al cielo e io balzai in piedi dalla sedia.

    «Arrivo!», gridai, mentre Charlie mormorò qualcosa che somigliava a un «vattene». Sorrisi, ma lo ignorai e andai ad aprire a Edward, ed eccolo lì.

    Il bellissimo vampiro che mi metteva i bastoni tra le ruote.

    Il tempo non mi aveva resa immune alla perfezione di quel viso ed ero certa che non avrei mai dato per scontato niente del suo aspetto.

    Con lo sguardo ripercorsi i suoi lineamenti pallidi: la mascella quadrata, la curva più morbida delle labbra piene, che in quel momento mostravano un sorriso, la linea diritta del naso, l'angolo netto delle guance, l'arco liscio e marmoreo della fronte, spezzato da un ciuffo di capelli bronzei che la pioggia aveva reso più scuri…

    Gli occhi erano grandi, caldi d'oro liquido, incorniciati da ciglia nere e fitte.

    Qualsiasi modello al mondo avrebbe venduto l'anima per un viso come il suo. Sì, forse il prezzo era proprio quello: un'anima.

    Sbuffai a tanta perfezione che mi faceva sentire sempre più insignificante e lo feci accomodare.

    Charlie si avvicinò, sfoderando il passo pesante con cui esprimeva il consueto fastidio per l'ospite. […]

    «Buonasera, Charlie». Edward era sempre educato e impeccabile, benché Charlie non meritasse tanto.

    Charlie brontolò qualcosa e poi restò fermo a braccia conserte. Da qualche tempo la sua idea di "controllo paterno" era un po' estrema.

    «Ho portato qualche altra domanda d'iscrizione», mi disse Edward sfoderando una busta imbottita strapiena. Sul mignolo portava un rotolo di francobolli a mo' di anello.

    Era questa la scusa per tenermi lontana da La Push, quando veniva a trovarmi a casa. […] Come faceva a trovare sempre nuove scappatoie? Ormai l'anno scolastico era quasi finito.

[…]  Edward rise della mia espressione.

    «Dopo di lei», disse spingendomi verso il tavolo della cucina. Charlie sbuffò e ci seguì, benché non potesse lamentarsi del programma della serata. Non passava giorno senza che mi tormentasse con la necessità di scegliere il college.

    Sparecchiai alla svelta, mentre Edward metteva in ordine una pila  inquietante di moduli. Quando spostai Cime tempestose sul piano della cucina, Edward alzò un sopracciglio. Sapevo cosa stava pensando, ma Charlie lo interruppe prima che potesse commentare.

    «A proposito di college e iscrizioni, Edward», disse mio padre, il tono di voce ancora più burbero - si sforzava di non parlare mai con Edward e, quando vi era costretto, il suo malumore saliva alle stelle, «Hai deciso che istituto frequenterai?».

    Edward sorrise a Charlie e parlò in tono amichevole. «Non ancora. Ho ricevuto qualche risposta positiva, ma ogni opzione resta aperta».

    «Dove ti hanno accettato?», insistette Charlie.

    «Syracuse… Harvard… Dartmouth… e oggi mi è arrivata anche la risposta

positiva dell'Alaska Southeast». […]

    «Harvard? Dartmouth?», borbottò Charlie, incapace di nascondere l'irritazione. «Be', è davvero… qualcosa. Già, ma l'Università dell'Alaska…non dirmi che la prenderai in considerazione, di fronte alla possibilità di frequentare

istituti così prestigiosi. Voglio dire, immagino che tuo padre preferisca che tu…».

    «Carlisle accetta sempre di buon grado le mie scelte», rispose Edward, sereno.

    «Mmm».

    «Anche se me l’avevi consigliata, alla fine non ho fatto la domanda per l’Università dell’Alaska», dissi infilandomi in quella sorta di battibecco.

    «Ah», replicò Edward aggrottando le sopraciglia, perplesso. «Come mai?».

    «Perchè è troppo costosa e troppo lontana. E soprattutto troppo fredda. Preferirei andare in California o in Florida», aggiunsi sognando le palme, la spiaggia e il sole che mi bruciava il viso. Ma non avevo intenzione di andare così lontano. Non mi andava di separarmi dalle cose che avevo costruito e vissuto. Non volevo dimezzarmi ulteriormente le possibilità di frequentare certi miei amici.

    «Bè, tra le domande che ti ho portato, ci sono anche loro», disse torvo.

    Sapevo che avrebbe voluto seguirmi, ma non volevo passare il resto della vita in posti scomodi solo per assecondare il suo desiderio di starmi vicino. Stavo cominciando a pensare anche un po’ a me stessa, e non ci vedevo nulla di male.

    Charlie soffocò un sorriso e mi lanciò uno sguardo d’approvazione. Era orgoglioso del mio comportamento puramente amichevole nei confronti di Edward. Quello che lo irritava era l’atteggiamento assillante che Edward riservava nei miei confronti.

    Nonostante ciò, non riuscivo a dirgli di tornarsene a casa o di non passare a trovarmi. C’era ancora una parte di me saldamente legata a lui. Lo avevo amato troppo, ed era ancora capace di farmi abbassare la guardia e togliermi il respiro con la sua bellezza e i modi d’altri tempi.

    Quelli erano i momenti in cui la vecchia Bella urlava per riemergere dalle profondità dei miei ricordi. Dove l’avevo sepolta.

    «Bene», mormorò Charlie. «Vado a vedere la partita, Bella. Nove e mezza».

    Era l'ordine con cui si congedava, sempre.

    «Certo, papà», e questa era la mia risposta fissa. Tornai al viso di Edward che mi guardava sereno.

    «Sai, Alice avrebbe piacere che tu l’accompagnassi a fare shopping, uno di questi giorni. Penso che ti piacerebbe dare un'occhiata alle luci della città». Mi sorrise.

    Ma Charlie ruggì: «No!», e si fece rosso in viso.

    «Papà? Cosa c'è che non va?».

    Si sforzò di rilassare i lineamenti contratti. «Non voglio che tu vada a Seattle, per il momento».

    «Eh?».

    «Ti ho detto dell'articolo sul giornale: c'è una specie di banda assetata di sangue a Seattle e voglio che tu ne resti lontana, okay?».

    Alzai gli occhi al cielo. «Papà, le probabilità che un fulmine mi colpisca sono più alte di quelle che a Seattle…».

    «No, ha ragione, Charlie», disse Edward, interrompendomi. «Non intendevo

Seattle. In realtà pensavo a Portland. Nemmeno io porterei mai Bella a Seattle. Ci mancherebbe».

    Lo guardai incredula, ma a quel punto aveva afferrato il giornale di Charlie e leggeva la prima pagina con attenzione.

    Probabilmente cercava di placare mio padre. L'idea che il più pericoloso degli esseri umani potesse farmi del male, se al mio fianco c'erano Alice o Edward, era decisamente ridicola.

    Funzionò. Charlie fissò Edward per un secondo ancora, e scrollò le spalle. «D'accordo». Si diresse in salotto a grandi passi, quasi di fretta: forse non voleva perdersi l'inizio della partita.

    Attesi che Charlie accendesse la TV, così che non potesse sentirmi.  «Cosa…», cercai di chiedere.

    «Aspetta», disse Edward senza alzare gli occhi dal giornale. Con lo sguardo fisso sulla pagina mi avvicinò il primo modulo sul tavolo. «Per questo penso che tu possa riciclare le tue tesine. Stesse domande».

    Evidentemente Charlie ci stava ascoltando. Sospirai e iniziai a scrivere le solite informazioni: nome, indirizzo, numero di previdenza sociale…

    Qualche minuto dopo alzai lo sguardo, ma trovai Edward assorto, lo sguardo perso fuori dalla finestra. Tornai al lavoro e per la prima volta notai il nome dell'istituto.

    Feci una smorfia e allontanai i moduli.

    «Bella?».

    «Sii serio, Edward. Dartmouth?».

    Edward sollevò il modulo che avevo appena scartato e lo ripose con delicatezza di fronte a me. «Credo che il New Hampshire ti piacerà», disse. «Per me c'è un programma completo di corsi serali, e per gli appassionati di trekking non mancano le foreste. Ricche di animali selvatici». Sfoderò il sorriso sghembo a cui sapeva che non avrei resistito.

    «Ti concederò di restituirmi i soldi, se proprio ci tieni», promise. «Se vuoi posso chiederti anche gli interessi sul prestito».

    «Come se potessi superare la prova d'ammissione senza imbrogliare clamorosamente. Oppure vuoi dirmi che sarebbe tutto compreso nel prestito? Ci sarà una nuova "sala Cullen" in biblioteca? Uffa. Perché rifacciamo questo discorso?».

    «Ti dispiacerebbe finire di riempire il modulo, per favore, Bella? Per una domanda di ammissione non muore nessuno».

    La mia mascella si contrasse. «Sai una cosa? Penso che non lo farò». Cercai i moduli, decisa ad accartocciarli in una forma che potessi scagliare nella spazzatura, ma non c'erano già più. Per un istante fissai il tavolo vuoto e poi Edward. Sembrava che non si fosse mosso, ma probabilmente la domanda di iscrizione era già al sicuro nella tasca del suo giubbotto.

    «Cosa credi di fare?», chiesi.

    «Sono capace di fare la tua firma persino meglio di te. E il resto l'hai già scritto di tuo pugno».

    «Stai tirando un po' troppo la corda, e lo sai bene». Parlavo a bassa voce, nell'eventualità che Charlie non fosse del tutto perso nella partita. «Ho già ricevuto diverse risposte positive e in posti meno costosi. Come sai mi andrebbe bene anche l’Università di Stato, oppure quella di Vancouver, dove mi hanno già accettata. Non è nemmeno lontana da qui», dissi.

    Quando qualche giorno fa Charlie mi diede la busta, già aperta dalla mano della curiosità, e che dichiarava la mia ammissione, era più che orgoglioso di me.

    «Il tuo talento è sprecato per una insulsa Università di Stato, ugualmente Vancouver. D’altro canto non posso obbligarti a scegliere istituti così lontani, anche se più alla tua altezza», sentenziò. «In ogni caso, ti seguirò», aggiunse con la sua voce vellutata e amorevole. Deglutì.

    «Bene», balbettai. «Allora vada per Vancouver».

    «Come vuoi», replicò insoddisfatto e tornando sul giornale con una smorfia. «Sai, in tutto questo è un bene che tu non voglia più trasfmormarti. A giudicare da quest’articolo, ci sono già abbastanza neonati in giro a far danno», disse tra se a voce bassa, ma non abbastanza per non farsi sentire.

    «Neonati?».

    All'improvviso frustò con il giornale umido il tavolo che ci divideva. Puntò un dito sul titolo in prima pagina:

 

CONTINUA LA SCIA DI OMICIDI

LA POLIZIA: FORSE È UNA BANDA

 

   «E questo cosa c'entra?».

    «I mostri non sono uno scherzo, Bella».

    Fissai di nuovo il titolo e tornai all'espressione contratta di Edward. «È… è colpa di un vampiro?», sussurrai.

    Sorrise serio. La sua voce era bassa e gelida. «Saresti sorpresa, Bella, se ti raccontassi quanto spesso sono quelli della mia razza a riempire di orrore le vostre cronache. Chi sa vedere li riconosce facilmente. A giudicare da queste informazioni, c'è un vampiro appena nato a piede libero, a Seattle. Assetato di sangue, selvaggio, fuori controllo. Come siamo stati tutti».

    Posai di nuovo lo sguardo sul giornale, evitando i suoi occhi.

    «Teniamo d'occhio la situazione da qualche settimana. I segni ci sono tutti: sparizioni improbabili, sempre di notte, cadaveri celati male, assenza di altri indizi… Sì, uno nuovo. E nessuno sembra vegliare l'attività del neofita…». Prese fiato. «Be', non è un problema nostro. Non ci occuperemmo neanche della faccenda, se non fosse così vicino a casa nostra. Te l'ho detto, succede di continuo. La presenza dei mostri implica conseguenze mostruose».

    Cercai di non leggere i nomi sulla pagina, ma risaltavano tra le colonne come fossero scritti in grassetto. Cinque persone la cui vita era terminata, le cui famiglie erano in lutto. Leggere quei nomi era diverso dal pensare in astratto all'omicidio. Maureen Gardiner, Geoffrey Campbell, Grace Razi, Michelle O'Connell, Ronald Albrook. Persone che avevano avuto genitori, figli, amici, animali domestici, lavori, speranze, progetti, ricordi e futuro…

    «Chissà», mormorai. «Magari sarei stata diversa. Non mi avresti permesso di diventare così. Saremmo andati lontani, magari in Antartide».

    Edward sbuffò e spezzò la tensione. «In mezzo ai pinguini. Sai che bello».

    Mi lasciai sfuggire una risata nervosa e per non avere più quei nomi sott'occhio cacciai via il giornale, che cadde sul pavimento con un colpo secco.

    «Comunque», affilò lo sguardo. «Prima che arrivassi vi ho sentiti parlare di Jacob Black. Credevo di essere stato abbastanza chiaro».

    Ricambiai il suo sguardo maldisposto. «Non puoi impedirmi di vederlo per tutta la vita».

    «Sai bene che è fuori discussione che tu frequenti un licantropo senza che nessuno ti protegga, Bella. E se uno di noi entrasse nel loro territorio, infrangeremmo il patto. Vuoi forse che scateniamo una guerra?».

    «Certo che no!».

    «Allora non ha senso continuare a discutere».

[…] Sospirai. Gli strinsi la mano perché non si allontanasse dal mio viso. «Ho bisogno di vedere Jacob».

    Chiuse gli occhi. «No».

    «Guarda che non è pericoloso», dissi implorante. «Ho passato giornate intere a La Push assieme a tutti loro e non è mai successo niente».

    Ma mi tradii: alla fine della frase la mia voce cedette, perché mi resi conto che tra le mie parole c'era una bugia. Non era vero che non fosse mai successo niente.

    Un'immagine mi passò davanti - un enorme lupo grigio rannicchiato e pronto a scattare, che mi mostrava i denti affilati come lame - e mi fece sudare

freddo, portando con sé l'eco di un vecchio spavento.

    Edward sentì il mio cuore accelerare e annuì, come se avessi confessato ad alta voce. «I licantropi sono instabili. Chi gli sta accanto finisce per farsi male. Qualcuno ha rischiato anche la morte».

    Avrei voluto controbattere, ma un'altra immagine me lo impedì. Visualizzai il volto di Emily Young, un tempo bello ma ora rovinato da tre cicatrici scure che le curvavano l'angolo dell'occhio destro e condannavano la sua bocca a una smorfia eterna di dolore e sofferenza.

    Torvo e trionfante, restò in attesa che ritrovassi la voce.

    «Non li conosci», sussurrai.

    «Li conosco meglio di quanto pensi, Bella. L'ultima volta, io c'ero».

    «L'ultima volta?».

    «La nostra strada incrociò quella dei lupi circa settant'anni fa… Ci eravamo appena stabiliti nei pressi di Hoquiam. Fu prima che Alice e Jasper si unissero a noi. Eravamo più numerosi di loro, ma ciò non sarebbe bastato a impedire lo scontro, se non ci fosse stato Carlisle. Riuscì a convincere Ephraim Black che la coesistenza era possibile, e alla fine sancimmo la tregua».

     Il nome del bisnonno di Jacob mi fece trasalire.

    «Pensavamo che la discendenza non fosse andata oltre Ephraim», mormorò Edward; sembrava stesse parlando da solo. «Che il difetto genetico all'origine della mutazione fosse sparito…». Perse le staffe e mi lanciò uno sguardo accusatore. «La tua malasorte sembra non averti abbandonata del tutto, Bella.  Ti rendi conto che la tua attrazione inarrestabile verso tutto ciò che è letale è riuscita addirittura a salvare dall'estinzione un branco di canidi mutanti? Se fosse possibile imbottigliare la tua sfortuna, avremmo tra le mani un'arma di distruzione di massa».

    Ignorai la battuta, scossa com'ero dalla sua deduzione: diceva sul serio? «Ma non sono stata io a riportarli in vita. Non lo sai?».

    «Che cosa?».

    «La mia sfortuna non c'entra nulla. I licantropi sono tornati quando sono riapparsi i vampiri».

    Edward mi fissò, pietrificato dallo stupore.

    «Jacob mi ha raccontato che è stata la presenza della tua famiglia a rimettere tutto in moto. Pensavo già lo sapessi…».

    Mi guardò torvo. «Ne sono proprio convinti?».

    «Edward, considera i fatti. Settant'anni fa, quando siete arrivati, ecco comparire i licantropi. Ora siete tornati, e riecco anche loro. La giudichi una coincidenza?».

    Sbarrò gli occhi e il suo sguardo si rilassò. «Carlisle troverà interessante la tua teoria».

    «Teoria, certo», sbuffai.

    Per un istante restò zitto, lo sguardo perso nella pioggia fuori dalla finestra; forse rifletteva sul fatto che la presenza della sua famiglia avesse trasformato certi indigeni in cani giganti.

    «Interessante, ma non del tutto rilevante», sussurrò poco dopo. «La situazione non cambia».

    La traduzione era molto facile: niente amici licantropi.

    Sapevo di dover portare pazienza, con Edward. Il problema non era la sua razionalità, ma la sua incapacità di capire. Non si rendeva conto di quanto dovessi a Jacob Black  e di quanto gli volessi bene: mi aveva salvato più volte la vita, e solo grazie a lui non ero impazzita.

[…] Andandosene, aveva soltanto cercato di salvarmi, di salvare la mia anima. Non lo ritenevo responsabile delle stupidaggini che avevo commesso in sua assenza. Ma di quanto avessi sofferto per le sue acrobazie mentali che alla fine si erano dissolte come una nuvola di fumo, si. Lo ritenevo responsabile.

    Ugualmente lui.

    Non ero stata io a scegliere la strada della sofferenza. Mi ci aveva buttata lui. È stato codardo a lasciarmi in quel modo per poi rendersi conto che aveva esagerato. Infondo è stato un egoista fin dall’inizio. Sapeva perfettamente che non era possibile un’unione tra noi, ma la sua attrazione per il mio profumo e per l’enigma del mio cervello, lo avevano attirato come il vino per l’alcolista.

    Io poi non ci pensavo nemmeno a respingerlo.

    Ero ossessionata, non pensavo ad altri che a lui. Per Edward diventò più o meno la stessa cosa, finchè non ci innamorammo fino al giorno in cui mi lasciò. La sua assenza e l’ingresso di Jacob nella mia vita, aveva riportato tutto nella giusta prospettiva. Più o meno.

    Mi sentivo troppo legata a lui.

    Non ero ancora in grado di concludere il capitolo Edward Cullen. D’altra parte continuavo a considerare Jacob come nient’altro che il mio migliore amico.

    Vedere più Edward di Jacob, ovviamente non aiutava ad andare oltre quest’amicizia. Probabilmente era su questo che puntava.

    Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Come aveva fatto lui. Magari sperava di ottenere lo stesso risultato con Jake, confidando nella volubilità dei sentimenti umani.

    Mi schiarì la voce e ripresi il filo del discorso.

    «Tutto questo soltanto perché non è sempre umano. Lui mi è stato vicino quando nemmeno io ero più… tanto umana. Tu non sai come mi sono sentita…». Non trovavo le parole.

    Le braccia di Edward erano rigide, stringeva i pugni, i tendini erano contratti. «Se Jacob non mi avesse aiutata… non so cosa avresti trovato al tuo ritorno. Gli devo molto più di tutto questo, Edward».

    Preoccupata, osservai la sua espressione. Teneva gli occhi chiusi e la mascella rigida. «Non mi perdonerò mai di averti abbandonata», sussurrò. «Nemmeno se vivrò altri mille anni».

    Aggrottò le sopraciglia con aria rabbiosa prima di proseguire. «E il pensiero che ti sia legata così tanto a lui a causa dei miei errori…mi fa imbestialire», sibilò a denti stretti.

    «Non è il caso di arrabbiarsi Edward», dissi in tono pacato. Non mi andava di vederlo furioso con se stesso. «Le cose tra noi vanno bene, sono felice che tu adesso sia qui con me e non voglio che te ne vada mai più. Non ho intenzione di escluderti dalla mia vita, te l’ho già detto», dissi con voce tremante dalla sincerità. «Tengo infinitamente a te, perciò non c’è ragione che ti innervosisca con chi mi ha solo aiutata», provai ad abbozzare un sorriso per rassicurarlo. «Infondo anche tu gli devi qualcosa».

    Sospirò e riaprì gli occhi. «E’ vero, ma non posso fare a meno di sentirmi così, Bella. Sei legata a Jacob da un filo che tu stessa non riesci nemmeno a vedere, e che, a quanto pare, non sono capace di tagliare», sussurrò con aria straziata. «Non intendo obbligarti a fare una scelta, ma sul serio preferirei vederti con Mike Newton piuttosto che con un altro mostro pericoloso che può farti del male in qualunque momento».

    Strabuzzai gli occhi e lo guardai con aria sconcertata.

    «Mi hai già proprosto quest’assurdità, Edward! E poi quel filo ci sarà come dici, ma è d’amicizia, un’amicizia molto stretta. Ti ho già detto che è il mio migliore amico, ma non riesco a vederlo seriamente al mio fianco come…qualcos’altro», scossi la testa nervosamente.

    Ammetto che prima che ritornasse, ero intenzionata a trasformare l’amicizia in qualcosa di più. Ma la presenza fissa di Edward al mio fianco stava lentamente demolendo il mio proposito. Era come una leggerissima brezza che minava la stabilità del mio castello di carta.

    «Se sei convinta che lui sia solo un amico, e che al contempo non vuoi che me ne vada, ti dispicerebbe dirmi perchè non vuoi tornare da me?», domandò esasperato.

    «Io…», balbettai. Era una bella domanda.

    «Tu?», incalzò. Negli occhi gli leggevo un’impazienza infinita.

    Presi fiato e cercai di sciogliere il nodo che avevo sullo stomaco.

    «Non mi sento di stare con te, e non mi sento di stare senza di te. Esattamente come con Jacob. Mi costringi a stargli lontano per delle preoccupazioni assurde, e che sono identiche alle sue. Sai benissimo che anche lui non vuole che stia con i vampiri, eppure tu sei qui, e anche tu puoi farmi del male se solo perdessi la concentrazione nel compiere i tuoi gesti. Ma stranamente a lui non posso vederlo, mentre a te vedo tutti i giorni. Non voglio tornare da te perchè non riesco a vederti più come prima, e non posso stare con Jake perchè non riesco a vederlo come qualcosa di più di un amico. Sei soddisfatto adesso?».

    D’un tratto mi prese delicatamente la mano e si avvicinò a me con aria implorante. «Cosa devo fare perchè tu mi veda come prima?», sussurrò.

    Per un attimo smisi di respirare.

    Non aveva mai osato avvicinarsi così tanto al mio viso da quando era ritornato da me. Il calore dei suoi occhi ambrati faceva contrasto con il suo respiro ghiacciato e mi fece venire un brivido lungo la schiena. Benchè se ne fosse accorto, non mi lasciò la mano e non staccò gli occhi dai miei.

    In quel momento persi l’uso della parola e dimenicai la sua domanda.

    «P-puoi ripetere?», balbettai.

    Sorrise compiaciuto. Era riuscito ad abbassare le mie difese contro di lui.    

    «Ti ho chiesto come posso riconquistare il tuo amore, Bella. Perchè io ti amo in un modo che forse non hai mai compreso pienamente». Il suo profumo indescrivibile mise sottosopra il mio cervello, e dovetti combattere per rimettere al suo posto almeno un neurone, necessario per potergli risondere. In tutto quel rapimento, riuscì a trovare un barlume di lucidità.

    «E’ così che non intendi obbligarmi a scegliere?».

    «Mi sforzo di mantenere la parola data, Bella», sussurrava dolce. «Ma sei già al corrente del mio egoismo, e finchè non farai una scelta precisa mi ritengo ancora in grado di sperare che Jacob Black abbia ragione».

    «Ragione riguardo cosa?», chiesi confusa e stordita dalla fragranza del suo profumo inebriante.

    «Riguardo il suo ultimo pensiero, il giorno che ci siamo confrontati», rispose. Sentì la sua mano cingermi un fianco, incurante della presenza di Charlie a pochi metri di distanza.

    «Che nonostante tutto avrei scelto te?», domandai con un filo di voce.

    «Si».

    Restammo a fissarci per qualche secondo, in attesa che la vecchia Bella evadesse dalla prigione e si tuffasse nell’oceano dorato di nome Edward.

    Attesi ancora, ma non successe.

    Edward per contro cominciò a rabbuiarsi alla vista del mio volto sempre meno coinvolto, e lasciò la presa.

    «Scusa, hai ragione, ti sto obbligando e non devo. Perdonami», mormorò.

    «Va tutto bene Edward», risposi distrattamente.

    Sorrise con finta serenità e tornò sulle pagine del giornale che aveva raccolto con un gesto fulmineo.

    Ero diventata troppo forte per lei, ma non abbastanza per lui. Avevo rimosso moltissimo del mio amore per Edward, ma non ero del tutto immune alla sua bellezza e perfezione che spesso mi creavano problemi.

    Perchè?

    Forse la risposta era simile a quella che mi aveva dato lui tempo fa, il giorno che vidi Jacob l’ultima volta.

    Se la parte rimasta legata a lui non mi aveva concesso di scegliere Jacob, era possibile che la parte legata a Jacob, non mi concedesse di tornare insieme ad Edward? Forse era così. Anzi, senza forse.

    Era così.

    In quell’istante, mi resi conto di essere divisa esattamente a metà.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 06 - Motivi ***


(Libro di riferimento: Eclipse)

 

    Il tempo trascorreva lento e inesorabile. Le piogge continuavano a lambire la piccola città di Forks, e a tratti spuntava il sole, facendosi spazio tra la fitta coltre di nubi. Ormai il giorno del diploma era sempre più vicino, e persone come Angela Weber ed Alice Cullen, erano impegnate a spedire gli inviti.

    Si, anche Alice. E non tanto per organizzare la sua ennesima festa di ultra diplomata.

    No.

    La piccola e simpatica vampira veggente, dal viso da folletto e dai modi aggraziati, aveva tutta l’intenzione di organizzare la festa del diploma per la sottoscritta.

    Io odio le feste. D’altronde, l’ultima alla quale partecipai non andò poi tanto bene.

    Ma non era possibile dire di no ad Alice. Era capace di sciogliermi il cuore con un banalissimo broncio.

    Tra me, lei e Anglea, Alice era l’unica ad essere entusiasta di un simile evento. Angela, poverina, era costretta a spedire una caterva d’inviti ad amici e parenti provenienti da chissà dove, trascivendo gli indirizzi sulle buste, rigorosamente a mano. E lo faceva da sola, dato che Ben trovava sempre una scusa per filarsela. Consideravo Angela, più di una semplice compagna di scuola, così mi offrì per andare a casa sua ad aiutarla nei prossimi giorni, in quanto in questo momento sono un tantino occupata.

    Infatti sono appena scesa dall’aereo, e ora sto viaggiando in macchina verso casa di Charlie. Ero andata a trovare Renèe, ma non ero sola sull’aereo.

    Un giorno Edward mi sventagliò sulla faccia due biglietti di andata e ritorno per la Florida, sostenendo che fossero il regalo che mi avevano fatto Carlisle ed Esme il giorno del mio compleanno, e che ancora non avevo utilizzato.

    «Non c’è alcun problema per me, se vuoi intraprendere questo viaggio con Alice», disse Edward con aria indifferente durante una delle sue visite di amichevole controllo.

    «Certo», risposi con voce altalenante.

    «Ovviamente non è per Charlie che preferiresti andare con lei, ormai hai diciotto anni, sei adulta e puoi viaggiare con chi ti più ti aggrada».

    Sentì una nota di sarcasmo in quella sua affermazione. «Che c’entra Charlie?», domandai alzando un sopraciglio. Edward mi guardò con la coda dell’occhio.

    «Bè, non trovo possibile che una persona indipendente come te, si faccia accompagnare da una ragazza solo per tenere buono il padre. Se partissi con me, andrebbe su tutte le furie e saresti costretta a rivendicare la tua maggiore età e litigare con lui, mentre andando con Alice, non ti darebbe noia».

    «Se volessi partire con te non ci sarebbe alcun problema. Ho diciotto anni e faccio quello che voglio, non devo rispondere a lui», replicai a quella provocazione. Cosa voleva insinuare? Che mi facevo sottomettere dall’umore di mio padre?

    «Mmmh, non saprei», disse pensieroso. «Sei così tanto cambiata. Per quel che ne so potresti agire più per il bene suo che secondo quello che vuoi tu».

    «Non mi trovi capace di impormi su mio padre, non è vero?». Cominciavo ad innervosirmi.

    «In due parole, è così», disse fissandomi con aria innocente. Affilai lo sguardo sui suoi occhi ambrati.

    «Edward, mi accompagneresti a trovare Renèe?», domandai a voce alta in modo da farmi sentire da Charlie. Edward allargò le labbra in un sorriso tronfio.

    «Con grande piacere».

    Naturalmente Charlie mi diede del filo da torcere, ma ormai Edward mi aveva sfidata, e non avevo intenzione di perdere davanti ai suoi occhi.

    E così partì con lui. Capì solo dopo che era un trucco per andare insieme.

    Se fosse stato per me, sarei andata con Jacob. Avevo anche provato a fuggire nel cuore della notte, ma al solito la mia sparizione dalle visioni di Alice, aveva giocato contro di me.

    Edward era arrivato a manomettermi il Pick-up, pur di non farmi andare da Jake. Era capace di mozzarmi il fiato, ma anche di farmi venire i nervi a fior di pelle.

    Probabilmente, se fossi andata con Jake, mio padre ne sarebbe stato felicissimo, più che se fossi andata con Alice o Angela.

    E magari mia madre avrebbe notato un atteggiamente diverso da quello che aveva visto in questo fine settimana con Edward.

    Guardai fuori dal finestrino, persa nei miei pensieri.

Restai sorpresa quando la foresta lasciò il posto ai primi edifici, il segnale che eravamo vicini a casa.

    «Che silenzio», osservò Edward. «Hai il mal d'aria?».

    «No, sto bene».

    «Ti è dispiaciuto ripartire?».

    «Più che dispiaciuta sono sollevata, credo».

    Mi guardò di sottecchi. Dirgli di continuare a fissare la strada era vano e, per quanto odiassi ammetterlo, inutile.

    «In un certo senso Renée è molto più… perspicace di Charlie. Mi ha innervosita».

    Edward rise. «Tua madre ha una mente molto interessante. Quasi infantile, ma molto sagace. Vede le cose in modo diverso dagli altri».

    Sagace. Era una buona descrizione di mia madre - quando era attenta. Di solito Renée era talmente sorpresa dalla sua stessa vita da non accorgersi granché del resto. Durante quel fine settimana, però, mi aveva prestato molta attenzione.

    Phil era impegnato - i liceali della squadra di baseball che allenava avevano raggiunto i playoff - e restare sola con me ed Edward aveva permesso a Renée di affilare lo sguardo. Finiti gli abbracci e i gridolini di gioia, aveva iniziato a tenerci d'occhio. E, mentre ci osservava, i suoi grandi occhi blu si erano fatti prima perplessi, poi preoccupati.

    Quella mattina avevamo passeggiato insieme sul lungomare. Voleva mostrarmi le bellezze della sua nuova città, forse sperava ancora che il sole potesse convincermi ad abbandonare Forks. Voleva anche parlare con me a quattr'occhi e non fu difficile trovare il modo. Edward si era inventato una tesina da scrivere: una buona scusa per chiudersi in casa tutto il giorno.

    Tornai con la mente alla nostra conversazione…

    Io e Renée costeggiavamo lente il marciapiede, cercando di restare all'ombra delle poche palme. Malgrado l'orario, il caldo era soffocante. Con l'aria così carica d'umidità, si faceva fatica persino a respirare.

    «Bella?», chiese mia madre, e parlando spostò lo sguardo dalla sabbia alle onde che s'infrangevano leggere sulla riva.

    «Che c'è, mamma?».

    Sospirò, senza guardarmi. «Sono preoccupata…».

    «Cosa c'è che non va?», le chiesi improvvisamente ansiosa. «Posso aiutarti?».

    «Non si tratta di me». Scosse la testa. «Sono preoccupata per te… e per Edward».

    Mentre pronunciava il suo nome tornò a guardarmi, desolata.

    «Ah», farfugliai, fissando lo sguardo su due fanatici del jogging che correvano zuppi di sudore.

    «L’anno scorso sembravate così uniti, e adesso», disse per poi fare una breve pausa prima di proseguire. «non riesco nemmeno a capire cosa ci sia tra di voi».

    «Cosa vuoi dire?», domandai irrigidendomi.

    Aggrottò le sopraciglia volgendo lo sguardo verso il mare. Cercava di trovare le parole adatte. «Il modo in cui ti guarda Edward… è così protettivo. Come se fosse pronto a farti scudo di fronte a una pistola, o qualcosa del genere. È molto coinvolto da te e… molto premuroso. Non è normale, è come se tra voi ci fosse un segreto o qualcosa di simle».

    «Vedi cose che non ci sono, mamma», risposi subito, sforzandomi di mantenere un tono rilassato. Il mio stomaco sussultò. Avevo dimenticato quanto mia madre sapesse osservare. La sua idea semplice del mondo le permetteva di sfrondare il superfluo e mirare dritto alla verità. Non era mai stato un problema, fino a quel momento. Non avevo mai custodito segreti inconfessabili. «C’è altro che non capisci?». 

    «Si, te», disse guardandomi di nuovo con aria dubbiosa. «Nonostante gli stessi vicino, era com se in realtà fossi…lontana. Capisco che ti abbia fatta soffrire, Bella, e mi sorprende che vi frequentiate ancora, ma mi dispiace vederlo così coinvolto da te, mentre tu sembri così distratta», disse lievemente agitata. «A che pensi ogni volta?».

    «A nulla di particolare mamma», era al verità. Non pensai a nulla di speciale durante il mio soggiorno da Renèe. Ero il ritratto della serenità. «Non so perché ti abbia dato quest’impressione, ma sul serio, non avevo nessun pensiero che mi separasse la mente dal corpo», risi delle sue strane preoccupazioni. «Mi stavo solo godendo un piccolo ritono a casa da mia madre».

    Sorrise ed arrossì. «Da quella stupida di tua madre vorrai dire», e rise imbarazzata.

    «Stupida no, bizzarra si».

    Rise ancora, e con un gesto ampio indicò la spiaggia bianca e le acque azzurre.

«Tutto questo non basta a farti tornare dalla tua mamma un po’ matta?».

    Con un gesto teatrale mi passai la mano sulla fronte e feci il gesto di strizzarmi i capelli.

    «All'umidità ci si abitua», mi assicurò.

    «Anche alla pioggia», replicai.

    Mi diede una gomitata giocosa, poi mi riaccompagnò verso l'auto tenendomi per mano.

    A parte le preoccupazioni per me, sembrava felice. Soddisfatta. Guardava ancora Phil con occhi da pesce lesso, il che era confortante. Di certo la sua vita era ricca e appagante. Non avrebbe sentito la mia mancanza più di tanto.

    Le dita ghiacciate di Edward mi accarezzarono la guancia. Alzai lo sguardo, strizzai gli occhi e tornai al presente.

    «Siamo a casa, Bella Addormentata. È ora di svegliarsi».

    Eravamo fermi davanti a casa di Charlie. La luce in veranda era accesa, l'auto della polizia parcheggiata sul vialetto d'ingresso. Esaminai le finestre e dalla tenda tirata del salotto vidi filtrare un raggio di luce gialla che illuminava il prato buio.

    Sospirai. Charlie era pronto all'assalto.

    Probabilmente Edward aveva lo stesso timore, perché aprì la mia portiera con l'espressione rigida e lo sguardo lontano.

    «È grave?», chiesi.

    «Charlie non sarà un problema», mi rassicurò, senza un filo d'ironia nella voce. «Ha sentito la tua mancanza».

    Lo guardai torva e dubbiosa. E allora perché Edward sembrava teso come prima di una battaglia?

    La mia valigia era leggera, ma insistette per portarla in casa. Charlie ci tenne la porta aperta.

    «Bentornata, piccola!», gridò Charlie in tono sorprendentemente sincero. «Com'è Jacksonville?».

    «Umida. E piena d'insetti».

    «Dunque Renée non ti ha convinta a iscriverti all'università laggiù?».

    «Ci ha provato. Ma io l'acqua preferisco berla, non respirarla».

    Gli occhi di Charlie guizzarono involontariamente su Edward. «Tu ti sei trovato bene?».

    «Sì», rispose Edward sereno. «Renée è stata molto ospitale».

    «Mi fa… ehm, piacere. Sono contento che vi siate divertiti». Charlie distolse lo sguardo da Edward e mi tirò a sé per un abbraccio inaspettato.

    «Notevole», gli sussurrai nell'orecchio.

    Scoppiò a ridere. «Mi sei mancata davvero, Bells. Il cibo qui fa schifo quando non ci sei».

    «Ora ci penso io», gli dissi quando mi lasciò andare.

    «Forse è meglio se prima chiami Jacob: mi sta assillando dalle sei di stamattina, si fa vivo ogni cinque minuti. Gli ho promesso che l'avresti chiamato prima ancora di disfare la valigia».

    Non fu necessario guardare Edward per sentire che era impietrito, immobile accanto a me. Ecco la causa di tanta tensione.

    «Jacob vuole parlarmi?».

    In effetti non avevo fatto in tempo ad avvisarlo della mia partenza. Si può dire che il tempo di farmi imbrogliare da Edward per andare insieme, eravamo già sull’aereo. La cosa più strana era che non mi aveva mai chiamato lui a casa. Ero io che alzavo la cornetta perché sapevo quando potevo farlo senza venir beccata in flagranza di reato.

    «Con urgenza, direi. Non mi ha voluto spiegare, ha detto solo che era importante».

    In quel momento squillò il telefono, insistente e stridulo.

    «Eccolo ancora, ci scommetto il prossimo stipendio», brontolò Charlie.

    «Rispondo io». Corsi in cucina, stranamente impaziente.

    Edward mi seguì e Charlie scomparve in salotto. Agguantai il telefono a metà squillo e mi voltai verso la parete per non mostrare il viso. «Pronto?».

    «Sei tornata», disse Jacob.

    Restai sorpresa nello scoprire quanto mi fosse mancata la sua voce. Sono stata via solo pochi giorni, ma era come se non lo sentissi da un secolo o due.

    Senza che la cosa avesse senso, la sua voce familiare e rauca scatenò un'ondata di nostalgia.

    Mille ricordi iniziarono a girare aggrovigliati nella mia mente: una spiaggia di sassi punteggiata di tronchi d'albero, un garage fatto di casotti prefabbricati, bibite calde in una busta di carta, una stanza minuscola con un divano malandato e troppo piccolo. La risata nei suoi occhi neri e profondi, il calore febbricitante della sua grande mano che stringeva la mia, il bagliore dei denti bianchi a contrasto con la pelle scura, il viso disteso in quel sorriso ampio che era sempre stato la chiave di una porta segreta, aperta soltanto per gli spiriti affini.

     Era una specie di nostalgia di casa, il desiderio del luogo e della persona che mi avevano protetta nei momenti più bui.

    Sciolsi il nodo che avevo in gola. «Sì», risposi.

    «Perché non mi hai chiamato?», chiese Jacob.

    Il suo tono arrabbiato mi fece subito drizzare i capelli. «Perché sono in casa da quattro secondi esatti, e quando il telefono ha squillato Charlie mi stava giusto dicendo che avevi chiamato».

    «Ah. Scusa». Sorrisi del suo tono divenuto improvvisamente imbarazzato.

    «Niente. Allora, perché stai tormentando Charlie?», domandai disinvolta, senza curarmi di Edward che mi fissava accigliato.

[…]

    Seguì una breve pausa.

    «Domani vai a scuola?».

    L’entusiasmo sparì ed aggrottai le sopracciglia, incapace di dare un senso alla domanda. «Ovvio che ci vado. Perché non dovrei?».

    «Niente. Ero solo curioso».

    Un'altra pausa.

    «Allora, di cosa volevi parlare, Jake?». Continuavo a non capire perché avesse azzardato a chiamarmi.

    Esitò. «Di niente, credo. Volevo… volevo sentire la tua voce». Poi abbassò il volume della voce, forse per evitare che Edward lo sentisse. Dovetti stirarmi l’orecchio per capirlo. «Non è da molto che non ci sentiamo, ma anche solo un minuto senza litigare con te, è troppo».

    Lo sentì ridere e non potei trattenermi dall’imitarlo.

    «Sì, lo so. Anche per me è così, Jake. Io…».

    Ma non sapevo cosa aggiungere. Forse che avrei voluto uscire in quello stesso istante per andare a La Push. Ma non potevo dirglielo. Ancora meno farlo.

    «Ora devo andare», disse all'improvviso.

    «Cosa?».

    «Ci sentiamo presto, okay?».

    «Ma Jake…».

    Aveva già riattaccato. Restai incredula ad ascoltare il segnale del telefono.

    «Una chiamata breve», bofonchiai.

    «Tutto bene?», chiese Edward, con voce bassa e premurosa.

    Mi voltai lentamente verso di lui. La sua espressione era perfettamente calma. Indecifrabile. Sperai non stesse pensando di tagliare il cavo della linea telefonica, in modo che non mi richiamasse di nuovo.

    «Non lo so. Non ho capito bene cosa volesse». Era assurdo che Jacob avesse tormentato Charlie tutto il giorno soltanto per sapere se sarei andata a scuola. […]

    «Probabilmente sei l'unica che può indovinarlo», disse Edward, stiracchiando la bocca in un sorriso.

    «Chissà», mormorai. Era vero. Conoscevo Jake come le mie tasche. Non era mai stato così difficile immaginare le sue motivazioni.

    Con i pensieri a chilometri di distanza - più di venti, lungo la strada per La Push - passai al setaccio il frigorifero in cerca degli ingredienti per la cena di Charlie.

    Edward si appoggiò al ripiano della cucina; sapevo che i suoi occhi, a distanza, fissavano il mio viso, ma ero troppo assorta per preoccuparmi di cosa ci vedesse.

    Forse la faccenda della scuola era la chiave di tutto. Era l'unica vera domanda che mi aveva fatto Jake. E di sicuro era in cerca di una risposta precisa, a giudicare dall'insistenza con cui aveva tormentato Charlie. Di certo non passava il tempo a tenersi il conto delle mie presenze.

    D’un tratto il cuore cominciò a rimbombarmi nelle orecchie.

    E se…avesse deciso di lasciar perdere l’ostilità e la presenza costante di Edward per presentarsi fuori dalla mia scuola? Con tutta quella gente si sarebbero evitati strani litigi tra vampiro e licantropo.

    Eppure era un grosso rischio per lui. Stava disobbedendo a Sam, rischiava che il divieto di avvicinarsi ad Edward, e quindi a me, diventasse definitivo con un ordine alpha. Inoltre se per un motivo o per l’altro avesse perso le staffe davanti a tutti, cosa sarebbe successo? Forse avrebbe sfruttato la presenza di tutta quella gente come un motivo in più per non andare in escandescenza. Fu l’unica spiegazione che mi venne in mente.

    Nonostante il pericolo di un gesto del genere, sperai con tutta me stessa che fosse quello il significato della sua domanda.

    Non ci vedevamo da tanto di quel tempo…

    Inoltre il sogno non aiutava granchè. Continuavo a vivere la stessa scena, ma ero sempre più vicina ad Edward, e Jacob rientrava a mala pena nel mio campo visivo. Sentivo che se avessi distolto totalmente lo sguardo, non sarei più riuscita a vedere quella figura calda e luminosa, unica fonte di luce nel buio della foresta.

    Avevo paura che sparisse nel nulla.

    Più tempo passavo a rimuginare, e più mi sentivo sorprendere da un’impazienza incontrollabile. Non vedevo l’ora che arrivasse domani. Avevo bisogno di vedere Jacob. Ero rimasta troppo tempo in apnea senza di lui, avevo bisogno di respirare.

   Quasi mi dimenticai della presenza di Edward, che restava appoggiato al ripiano senza dire una parola. Mi guardava di sottecchi. La preoccupazione e la rabbia erano evidenti. Probabilmente aveva capito tutto prima di me, e il battito frenetico del mio cuore mi aveva tradita. Sapeva che io sapevo.

    «Se non hai voglia di preparare da mangiare, posso farmi portare una pizza», suggerì Charlie.

    «No, tutto a posto, sono già all'opera, cinguettai.

    «Okay», rispose. Si appoggiò allo stipite della porta, a braccia incrociate. 

    Sospirai e mi misi al lavoro, cercando di ignorare il mio pubblico.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Già prima che entrassimo nel parcheggio della scuola, cominciai a guardare fuori dal finestrino della Volvo di Edward. Si offriva spesso per accompagnarmi, e ovviamente, quello era uno di quei giorni.

    «Vorrei tanto che rimanessi in macchina, Bella», disse con un filo di nervosismo nella voce morbida.

    Osservai la sua espressione ansiosa. Lo sguardo era distante, come distratto da voci lontane.

    Il battito del mio cuore accelerò, innescato dalla tensione, ma replicai con la dovuta fermezza. Questa volta non mi avrebbe impedito di vederlo. «Non penso proprio».

    «Temevo che avresti risposto così». Parcheggiò al solito posto, e lo notai subito.

     Alto com'era, lo avrei visto svettare in mezzo agli altri studenti anche se non si fosse appoggiato alla moto nera, parcheggiata sfrontatamente sul marciapiede.

    Sentì nascere un sorriso sul mio volto, ma qualcosa in lui me lo spense in un baleno.

    Il volto di Jacob era una maschera tranquilla che conoscevo bene. Era l'espressione che usava quando era deciso a imbrigliare le emozioni, a mantenere il controllo. Somigliava a Sam. Ma Jacob non avrebbe mai potuto conquistare la serenità perfetta irradiata dal capo branco.

    Avevo dimenticato quanto m'infastidisse quell'espressione. Ero riuscita a conoscere Sam piuttosto bene prima del ritorno dei Cullen - tanto da apprezzarlo, persino - ma quando Jacob imitava quello sguardo non potevo fare a meno di stizzirmi. Era il volto di uno sconosciuto. Con quella maschera addosso, non era il mio Jacob.

    «Ieri sera ti sei agitata per i motivi sbagliati», mormorò Edward. «Ti ha chiesto della scuola perché sapeva di potermi trovare dov'eri tu. Cercava un posto sicuro per parlarmi. Un posto con dei testimoni, e non per vedere te, come probabilmente ti auguravi», puntualizzò infastidito.

    Restai impietrita e all’istante mi sentì inghiottire dalla spirale della delusione.

    Dunque la sera precedente avevo frainteso le ragioni di Jacob. Mancanza di informazioni, ecco il problema. Per esempio, perché mai Jacob avrebbe dovuto parlare proprio con Edward?

    «Come ti ho già detto, in macchina non ci resto», dissi slacciandomi goffamente la cintura di sicurezza.

    Edward sospirò tranquillo. «Lo sapevo. Bene, leviamoci questo impiccio».

    Il volto di Jacob s’induriva quando puntava gli occhi infossati su Edward, e si addolciva quando li spostava su di me.

    Era impossibile che volesse parlare solo con Edward.

    Notai altri volti, i miei compagni di scuola. Strabuzzavano gli occhi di fronte al metro e novantacinque del lungo corpo di Jacob, alla muscolatura tutt'altro che usuale per un ragazzo di sedici anni e mezzo. Li vedevo indugiare sulla sua maglietta nera aderente - a maniche corte, nonostante la giornata fosse più fredda della media - sui jeans logori e macchiati di grasso e sulla moto nera e lucida alla quale era appoggiato. Non si soffermavano sul viso: qualcosa nella sua espressione li induceva a deviare lo sguardo.

    Gli avevano creato il vuoto attorno, una bolla di spazio che nessuno osava invadere.

    Con un certo stupore, mi resi conto che Jacob a loro sembrava pericoloso. Che strano.

    Edward si fermò a pochi metri da lui; lo sentivo, non era a suo agio sapendomi così vicina a un licantropo. Si mise davanti a me, in modo da coprirmi per metà. Sbuffai.

    «Ciao Bells», disse rivolgendomi un caldo sorriso. Il mio sogno non gli rendeva giustizia. Ricambiai, felice come non mai.

    «Avresti potuto chiamarci», disse Edward in tono duro come l'acciaio sovrastando il mio «Ciao Jake». 

    «Scusa», gli rispose Jacob, distorcendo il viso in un ghigno. «Non ci sono sanguisughe nella mia rubrica».

    «Mi avresti trovato a casa di Bella, lo sai».

    Jake fece una smorfia e aggrottò le sopracciglia. Non rispose.

    «Non è questo il posto, Jacob. Ne possiamo parlare più tardi?».

    «Certo, come no. Dopo scuola posso sempre fermarmi alla tua cripta».

    Jacob ghignò. «L'orario è un problema?».

    Edward lanciò uno sguardo pungente tutt'attorno e si soffermò sugli altri studenti che si trovavano appena fuori del raggio delle nostre voci. Alcuni erano fermi sul marciapiede, con gli occhi luccicanti d'attesa. Forse speravano che scoppiasse una rissa, tanto per alleviare la noia del lunedì mattina.

    Vidi Tyler Crowley dare di gomito ad Austin Marks, ed entrambi si fermarono a osservare.

    «So già che cosa sei venuto a dire», ricordò Edward a Jacob con voce tanto bassa che persino io feci fatica a distinguerla. «Messaggio ricevuto. Consideraci avvisati».

    Edward mi rivolse uno sguardo fugace e preoccupato.

    «Avvisati?», domandai ingenua. «Di cosa state parlando?».

    «Non gliel'hai detto?», chiese Jacob, con gli occhi spalancati di stupore. «Che c'è, avevi paura che si schierasse con noi?».

    «Piantala Jacob, per favore», disse Edward impassibile.

    «Perché?», lo sfidò Jacob.

    Corrugai la fronte, confusa. «Cos'è che non so? Edward?».

    Inchiodò con lo sguardo Jacob, come se non mi avesse sentito.

    «Jake?».

    Jacob mi rispose alzando un sopraciglio. «Non ti ha raccontato che il suo grande… "fratello" ha passato il confine sabato sera?», domandò sarcastico. Poi i suoi occhi scintillarono di nuovo verso Edward. «Paul era nel pieno diritto di…».

    «Era terra di nessuno!», sibilò Edward.

    «No!».

    Jacob era visibilmente alterato. Gli tremavano le mani. Scosse la testa e respirò a fondo.

    «Emmett e Paul?», sussurrai. Nel branco Paul era il più imprevedibile. Era lui che aveva perso il controllo quel giorno nei boschi… il ricordo del lupo grigio che ringhiava si fece improvvisamente vivo dentro di me. «Cos'è successo? Hanno combattuto?». Il panico rese la mia voce più stridula. «Perché? Paul è ferito?».

    «Non c'è stato nessun combattimento», disse Edward tranquillo, rivolgendosi a me. «Non si è ferito nessuno. Non farti prendere dall'ansia».

    Jacob ci osservava, lo sguardo incredulo. «Non le hai detto un bel niente, vero? Ecco perché l'hai portata via! Per non farle sapere che…».

    «Ora vattene». Edward lo interruppe a metà frase e il suo viso si fece improvvisamente spaventoso. Per un secondo, sembrò un… vampiro. Fulminò Jacob con uno sguardo pieno d'odio e sfacciata cattiveria.

    Jacob alzò le sopracciglia, ma non mosse altro. «Perché non gliel'hai detto?».

    Si guardarono in silenzio per un istante interminabile. Molti studenti si erano raggruppati dietro Tyler e Austin. Vidi Mike accanto a Ben: poggiava una mano sulla sua spalla, come per trattenerlo.

    Nel silenzio assoluto, un'intuizione improvvisa rimise ogni dettaglio al suo posto.

    C'era qualcosa di cui Edward non aveva voluto parlarmi.

    Qualcosa che Jacob non mi avrebbe tenuta nascosta.

    Qualcosa che aveva attirato i Cullen e i lupi nella foresta e li aveva fatti avvicinare pericolosamente.

    Qualcosa che aveva convinto Edward a insistere perché prendessimo l'aereo e ce ne andassimo.

    Qualcosa per il quale Sam aveva deciso di chiudere un occhio sull’avvicinamento di Edward da parte di Jacob.

[…]

    Tuttavia, stavo aspettando proprio quel momento. Lo temevo, ed ero pronta ad affrontarlo, malgrado desiderassi con tutta me stessa che non arrivasse mai. Ma i miei guai non potevano aver fine, vero?

    Sentivo il respiro pesante e affannoso sulle mie labbra, e non riuscivo a fermarlo. Era come se la scuola stesse tremando, come se ci fosse un terremoto, ma sapevo che erano i miei fremiti a provocare quella sensazione.

    «È tornata a cercarmi», dissi con voce strozzata.

    Victoria si sarebbe arresa soltanto dopo avermi uccisa. Avrebbe continuato a ripetere la stessa tattica - finta, fuga, finta, fuga - fino ad aprirsi un varco tra i miei difensori.

    «Va tutto bene», sussurrò Edward. «Va tutto bene. Non le permetterò mai di avvicinarsi, non preoccuparti».

    Poi fulminò Jacob. «Questa risposta è sufficiente alla tua domanda, randagio?».

    «Non credi che Bella abbia diritto di sapere?», lo incalzò Jacob. «È la sua vita».

    Edward abbassò il tono; nemmeno Tyler, che ormai era lontano solo pochi centimetri, riuscì a sentirlo. «Perché dovrebbe essere preoccupata, se non è mai stata in pericolo?».

    «Meglio una preoccupazione che una bugia».

    Cercai di riprendere il controllo, ma avevo gli occhi inondati di lacrime.

    Mi bastava chiuderli per vederla: il volto di Victoria, le labbra che scoprivano i denti, gli occhi rossi accesi dall'ossessione di vendetta; riteneva Edward responsabile della morte di James, il suo amato. Non si sarebbe fermata finché non gli avesse portato via me, il suo amore.

    Benchè non stessimo più insieme, ma questo Victoria non poteva saperlo. Magari non le sarebbe nemmeno interessato.

    Edward mi asciugò le lacrime con la punta delle dita.

    «Credi davvero che tormentarla sia meglio che proteggerla?», mormorò.

    «È più forte di quanto credi», disse Jacob. «E ne ha passate di peggiori».

    Aveva ragione.

    Jacob riponeva molta fiducia nella mia personalità, forse troppa. Al contrario di Edward, a quanto pare. Con tutte quelle bugie, mi faceva pensare che mi sottovalutasse.

    All'improvviso Jacob cambiò espressione e restò a guardare Edward con uno sguardo strano, pensieroso. I suoi occhi si strinsero, come cercasse di risolvere un difficile problema di matematica.

    Sentii Edward rabbrividire. Lo guardai, il suo viso era contratto, preda di un evidente dolore.

    «Molto divertente», disse Jacob ridendo mentre osservava Edward.

    Edward trasalì, ma con un piccolo sforzo si distese. Non riusciva a nascondere del tutto l'agonia nei suoi occhi.

    Strabuzzai gli occhi e passai dalla smorfia di Edward al ghigno di Jacob. «Che cosa gli stai facendo?», domandai.

    «Non è niente, Bella», disse Edward pacato. «Jacob ha soltanto buona memoria, tutto qui».

    Jacob sorrise ed Edward rabbrividì di nuovo. Era come il giorno in cui prestò attenzione ai pensieri dei miei compagni che parlavano del mio periodo buio.

    Avrei messo la mano sul fuoco che lo stesse facendo anche lui.

    «Ho capito cosa stai facendo Jake, adesso smettila!».

    «Certo, se vuoi». Jacob si strinse nelle spalle. «Comunque è soltanto colpa sua se i miei ricordi non gli piacciono».

    Lo guardai, e mi rispose con un sorriso impertinente, come un bambino sorpreso a fare qualcosa che sapeva di non dover fare, da qualcuno che sa che non lo punirà.

    «Il preside sta arrivando a controllare chi è ancora in giro», mormorò Edward. «Andiamo a inglese, Bella, così non ti darà noia».

    «Iperprotettivo, eh?», disse Jacob, rivolgendosi a me. «Non sopporto che ti tenga lontana da me, chissà cosa pensa di ottenere così! Magari crede che standoti attaccato giorno e notte, possa farti dimenticare che sei stata all’ombra di te stessa a causa sua!».

    Lo sguardo di Edward si riempì di rabbia e tese le labbra per scoprire lentamente i denti.

    «Stai esagerando Jake», dissi.

    Jacob mi lanciò uno sguardo intenso. «Bella, non ho mai digerito il modo in cui ti ha trattata e come ti sta trattando ora. Come fai a preferire uno che ti sottovaluta e ti riempie di bugie con la stupida scusa di non darti pensieri?», scosse la testa in segno di disapprovazione. Poi il suo tono ritornò sarcastico. «E poi secondo te mi perdo la soddisfazione di vederlo penare così? Ma neanche per sogno!», rise. «Questa è una vendetta che mi prendo al posto tuo».

    Mi stava irritando seriamente. Capivo le sue motivazioni, ma non aveva il diritto di comportarsi in quel modo.

    «Basta Jake! Stai abusando della mia pazienza!», dissi torva. Jacob smise di ridere e si fece di nuovo serio, mentre Edward lo guardava furioso come non lo era mai stato.

    «Scusa, mi son lasciato prendere la mano. E’ solo che vorrei tanto che tu venissi a trovarmi, dato che Sam non vuole correre rischi se c’è sempre lui con te. Non trovo giusto che lui possa vederti tutti i giorni e io no. Vorrei anch’io averne la nausea di te», sorrise scherzoso. Era tornata l’espressione serena e solare del mio migliore amico Jacob Black.

    «Stupidone», risposi alla sua battuta con una smorfia, trattenendo un risolino e dimenticando l’irritazione di poco prima. Lui, al contrario, sguinzagliò la sua risata rauca.

    «L’unica nausea che provo, è nei tuoi confronti, quadrupede», sibilò Edward a denti stretti. La sua voce era più fredda del ghiaccio.

    Ma Jacob lo ignorò.

    Si chinò in avanti, guardandomi come se il resto del mondo non esistesse. «Non dimenticarti che a La Push ci sono un branco di lupi troppo cresciuti che ti aspettano. Uno in particolare», sussurrò con uno sguardo d’intesa. Ricambiai, senza poter nascondere l’imbarazzo.

    «Per caso, è enorme e ha il pelo bronzeo?», domandai stando al gioco.

    Sorrise.

   «Tombola!».

    Ridemmo, come ai vecchi tempi. Avrei voluto abbracciarlo e sprofondare il viso nel suo petto muscoloso, lasciando che il tepore e le sue lunghe braccia mi avvolgessero come una termocoperta. Mi ero già avvicinata a Jacob senza che me ne fossi accorta.

    A farmelo notare fu la mano di Edward sul mio braccio, che mi bloccava dal fare un altro passo vero di lui.

     Lanciai un'occhiata al suo viso: era calmo, paziente. Poi tornai sul viso di Jake, desolata.

    «Io… be'… non lo so, Jake». Purtroppo Edward, non aveva intenzione di lasciarmi andare da lui.

    Jacob rispose con un sospiro rassegnato. Poi lanciò uno sguardo accusatore su Edward e poi alle nostre spalle.

    «Okay, tutti in classe», risuonò dietro di noi una voce severa. «Si muova, signor Crowley».

    «Torna a scuola, Jake», sussurrai ansiosa non appena riconobbi la voce del preside. Jacob frequentava la scuola dei Quileute e rischiava di ficcarsi nei guai per essere entrato nel nostro complesso.

    Edward mi lasciò andare, tenendomi solo la mano, ma senza smettere di farmi scudo con il suo corpo.

    Il signor Greene si fece strada nel cerchio degli spettatori, con le sopracciglia che premevano sugli occhietti piccoli come nuvole minacciose di  tempesta. «Forse non mi sono spiegato», minacciò. «Punizione per chiunque sarà ancora qui quando torno».

    L'adunata del pubblico si sciolse prima ancora che finisse la frase.

    «Ah, signor Cullen. C'è qualche problema?».

    «Assolutamente no, signor Greene. Stavamo giusto andando in classe».

    «Benissimo. Non mi sembra di conoscere il suo amico». Greene spostò lo sguardo su Jacob. «Lei è un nostro nuovo studente?»,

    Gli occhi di Greene scrutarono Jake e capii che stava arrivando alla stessa conclusione degli altri: pericoloso. Un provocatore.

    «Negativo», rispose Jacob, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra piene.

    «In questo caso, giovanotto, le suggerisco di allontanarsi dalla struttura scolastica immediatamente, prima che chiami la polizia».

    Il sorrisetto di Jacob si spalancò; di sicuro immaginava la scena in cui Charlie veniva ad arrestarlo. Era un sorriso troppo amaro, troppo beffardo per soddisfarmi. Non era il sorriso che mi aspettavo di vedere.

    «Sì, signore», disse Jacob, e schioccò un saluto militare prima di mettersi in sella alla sua moto e avviarla proprio lì sul marciapiede. Il motore ringhiò e gli pneumatici stridettero mentre girava la moto con un gesto aggressivo e sgommava via. In pochi secondi, Jacob sparì.

    Il signor Greene assistette all'esibizione a denti stretti.

    «Signor Cullen, mi aspetto che dica al suo amico di trattenersi dall'entrare di nuovo».

    «Non è un mio amico, signor Greene, ma trasmetterò il suo avviso».

    Il signor Greene strinse le labbra. La media perfetta e l'immacolata carriera scolastica di Edward erano chiaramente un fattore importante nella valutazione dell'incidente. «Bene. Se c'è qualcosa che la preoccupa, sarò lieto di…».

    «Non c'è niente di cui preoccuparsi, signor Greene. Non ci sarà alcun problema».

    «Spero sia vero. Bene, allora. Tornate in classe. Anche lei, signorina Swan».

    Edward annuì e mi trascinò svelto verso l'istituto d'inglese.

    Durante quelle ore di lezione riuscì a storcere in piccola spiegazione ad Edward, circa il pericoloso incontro tra Emmett e Paul.

    Alice aveva visto l’arrivo di Victoria e per precauzione, Edward mi ha convinta a partire in tutta fretta verso la Florida. Jasper ed Emmett erano sulle tracce  della mia cacciatrice e si sono scontrati con il branco di Sam che stava facendo la medesima cosa.

    Se non fosse intervenuto Carlisle a calmare le acque, ci sarebbe stato uno scontro, e questo li ha distratti dal catturare Victoria che si è data nuovamente alla fuga.

    È probabile che l’istinto di sopravvivenza sviluppato all’ennesima potenza sia il suo dono, in un certo senso.

    Da un lato ero sollevata, perché non era successo niente di grave, ma dall’altro lato ero ancora in ansia.

    Sembrava che non ci fosse modo di prendere quella vampira selvaggia.

    I miei pensieri vennero interrotti durante l'ora di algebra - il mio unico corso senza Edward, in quanto mi accorsi del chiacchiericcio che si era scatenato.

    «Io punto sull'indiano gigante», diceva qualcuno.

    Sbirciai e vidi Tyler, Mike, Austin e Ben assorti in una fitta conversazione.

    «Sì», sussurrò Mike. «Hai visto la "taglia" di quel Jacob? Per me è capace di fare Cullen a pezzetti». Mike sembrava compiaciuto all'idea.

    «Non credo», replicò Ben. «Edward ha qualcosa di particolare. È sempre così sicuro di sé. Secondo me se la caverebbe».

    «Sono d'accordo con Ben», commentò Tyler. «Fra l'altro, se quel tipo sistema Edward, di sicuro i suoi enormi fratelli si occuperanno di lui».

    «Siete andati a La Push ultimamente?», chiese Mike. «Io e Lauren siamo stati al mare un paio di settimane fa e, credetemi, gli amici di Jacob sono grandi tanto quanto lui».

    «Ah», disse Tyler. «Peccato che non sia successo niente. Mi sa che non sapremo mai come sarebbe andata a finire».

    «Secondo me non è finita», disse Austin. «Magari riusciremo a vedere il seguito».

    Mike sorrise. «A qualcuno va di scommettere?».

    «Dieci su Jacob», disse Austin tutto d'un fiato.

    «Dieci su Cullen», intervenne Tyler.

    «Dieci su Edward», aggiunse Ben.

    «Jacob», disse Mike.

    «Ehi, ragazzi, voi sapete cosa c'è dietro?», si chiese Austin. «Potrebbe influenzare le puntate».

    «Io forse sì», disse Mike, e mi lanciò un'occhiata, insieme a Ben e Tyler.

    A giudicare dalle espressioni, nessuno di loro si era reso conto che da dove stavo riuscivo a sentirli. Distolsero lo sguardo all'istante e riordinarono i fogli sul banco.

    «Confermo, io punto su Jacob», commentò Mike sotto voce.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 07 - Natura ***


Ragazze, sono felicissima che vi stia piacendo!

Dunque, io tifo Jacob nel modo più assoluto, quindi chiarisco che la storia è JakexBella. Però tenete presente che mi baso sul romanzo originale, quindi il calippo tenta ancora di tenere lontana Bella dal nostro dolce cucciolo luposo *____*. Inoltre non si può negare quanto sia stato importante per Bella. Si è lasciata alle spalle il glitterato (perché gli vuole molto bene, ma non è più coinvolta e innamorata come prima), ma l’ha superato da troppo poco tempo, e la lontananza da Jake le impedisce di trasformare il suo rapporto con lui. E’ confusa, ma solo apparentemente, perché VUOLE Jake, lo cerca, vuole stare con lui ma Edward glielo impedisce in tutti i modi. Che poi è quello che ha fatto nella realtà del romanzo, perché se avete notato preferiva venir rapita da un Jacob in moto davanti alla scuola, che rimaner segregata in casa Cullen. di conseguenza non si capisce perchè abbia scelto Edward >__> Quindi non perdete le speranze, vi invito a continuare a leggere, e capirete anche il significato di quei sogni ^___^. W Jake e buona lettura!

 

p.s.= So che le citazioni sono molte, ma non preoccupatevi, arriveranno anche capitoli nuovi nuovi *___*

 ****************************************************************************************************************************************************************

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

    Era proprio una brutta settimana.

    In sostanza non era cambiato niente. Victoria non aveva rinunciato ai suoi propositi… ma avevo mai davvero sperato che lo facesse? La sua ricomparsa era soltanto la conferma di ciò che già sapevo. Non c'era ragione di farsi prendere dal panico.

    Almeno in teoria. "Niente panico" era più facile a dirsi che a farsi.

    Quasi mi pentii di aver perso interesse nella possibilità di trasformarmi.

    A parte i primi tre giorni passati a bruciare sotto l’effetto del veleno, mi sarei potuta difendere da sola. Avrei evitato di coinvolgere i miei amici più cari in questo pericoloso inseguimento.

    Nonostante fossi al corrente della forza sovrumana che caratterizzava i Cullen e i licantropi, non riuscivo a non preoccuparmi per loro.

    Per contro, i Cullen cercavano in tutti i modi di mettermi l’animo in pace.

    Carlisle mi diceva: «Siamo in sette, Bella. E con Alice dalla nostra parte, non credo che Victoria riuscirà a coglierci impreparati».

    Esme aveva aggiunto: «Tesoro, non permetteremo che ti succeda qualcosa. Lo sai. Cerca di mantenere la calma». Poi mi aveva baciato in fronte.

    Emmett aveva commentato: «Sono felice che Edward non ti abbia uccisa. È tutto molto più divertente quando ci sei tu».

    Rosalie l'aveva fulminato con lo sguardo.

    Alice, alzando gli occhi al cielo, aveva detto: «Mi sento offesa. Non dirmi che sei preoccupata sul serio per questa storia».

   «Se non è una cosa grossa, perché Edward mi ha trascinato in Florida?», avevo ribattuto.

    «Bella, non hai ancora notato che Edward ha una leggerissima tendenza a lasciarsi prendere la mano?».

    Jasper, in silenzio, aveva cancellato il panico e la tensione dal mio corpo, grazie alla sua bizzarra capacità di controllare il clima emotivo. Mi sentii rassicurata e ne approfittai per lasciarmi tranquillizzare.

     Ovviamente, la calma svanì non appena io ed Edward uscimmo dalla stanza.

    L'accordo, dunque, era che mi sarei semplicemente dimenticata del fatto che una vampira scatenata mi stava dando la caccia per uccidermi. Avrei dovuto badare ai fatti miei.

    Ci provai. […]

    Nel complesso, una settimana orribile. E oggi mi sentivo ancora meno tranquilla.

    Edward aveva in programma una gita fuori porta con Emmett e Jasper. Alice non aveva previsto niente di strano per il fine settimana, dunque avevo insistito perché approfittasse per andare a caccia con i suoi fratelli. Sapevo quanto lo annoiava cacciare solo prede facili nelle vicinanze.

    «Vai e divertiti», gli avevo detto. «Ci sono altri quattro vampiri che mi terranno compagnia».

    Perciò mi aspettava un sabato lungo e vuoto, senza nulla che mi distraesse a parte il turno al negozio di articoli sportivi dei Newton. E, ovviamente, le rassicuranti promesse di Alice.

    «Rimarrò a cacciare vicino a casa. Sarò a non più di un quarto d'ora di distanza, in caso di bisogno. Terrò gli occhi aperti per qualunque problema».

    Traduzione: non pensare di fare pazzie solo perché Edward si è allontanato.

    E Alice non aveva niente da invidiare a Edward, quanto a capacità di sabotare il mio pick-up. D’altronde, era già successo che il fratello arrivasse a questo punto.

    Una delle notti in cui avevo provato a fuggire con il mio fido compagno, mi ritrovai Edward nel mio furgoncino. Era immobile, una macchia sbiadita nell'oscurità, solo le sue mani si muovevano mentre armeggiava con un misterioso oggetto nero.

    Senza smettere di guardarlo, parlò.

    «Ha chiamato Alice», sussurrò. «Si è innervosita quando ha visto il tuo futuro sparire di colpo, cinque minuti fa. Perché non riesce a vedere i lupi, sai Te ne eri dimenticata? Quando decidi di mescolare il tuo destino al loro, sparisci anche tu. Capisco che questo possa esserti sfuggito. Ma ti rendi conto che la cosa mi mette un po' in… ansia? Alice ti ha vista sparire, e non riusciva nemmeno a vedere se saresti tornata a casa o no. Il tuo futuro si è perso, come il loro. Non sappiamo perché funzioni così. Forse è una difesa naturale di cui sono dotati».

    Parlava come fosse impegnato in un monologo, senza staccare gli occhi dal pezzo di motore con cui giocherellava. «Non è del tutto probabile, perché io non ho mai avuto problemi a leggere nei loro pensieri. Perlomeno, in quelli dei Black. Secondo Carlisle la ragione sta nel fatto che le loro vite sono scandite dalle trasformazioni. Più che di decisioni, si tratta di reazioni involontarie. Del tutto imprevedibili, in grado di cambiare la loro essenza. Nell'istante in cui passano da una forma all'altra, è come se non esistessero nemmeno. Sfuggono persino al futuro…».

    E così quella notte mi sono buttata la zappa sui piedi da sola.

    Provai a essere ottimista. Dopo il lavoro, avevo in programma di aiutare Angela con gli inviti, il che mi sarebbe servito a distrarmi, dato che non potevo fare nulla di ciò che desideravo. Ormai avevo dato la mia disponiblità per oggi, ma se non avessi avuto quell’impegno, mi sarebbe piaciuto provare ad approfittare dell’assenza di Edward per andare a La Push.

    Chissà se entro il prossimo millennio ricapiterà un’occasione del genere. Ero sempre in attesa di una qualche situazione che mi lasciasse respirare per un solo momento. Il tanto giusto per allontanarmi con aria noncurante e schizzare dentro il mio pick-up per andare dritta da Jacob.

    Ovviamente la mia decisione avrebbe giocato a mio sfavore: Alice mi avrebbe vista sparire appena Edward  mi dava la notizia della sua partenza. A quel punto lo avrebbe avvisato subito e non sarebbe più andato via. Non che la sua presenza mi desse fastidio, anzi, tutt’altro. Mi sentivo al sicuro, protetta. Forse un po’ troppo protetta.

    Esageratamente protetta.

    Quando arrivai dai Newton, Mike spolverava metodico gli scaffali con uno straccio bagnato, mentre sua madre sistemava un nuovo espositore sul bancone. Li beccai nel mezzo di una discussione; non si erano accorti del mio arrivo.

    «Ma Tyler potrà partire solo questa volta», si lamentava Mike. «Avevi detto dopo il diploma…».

    «Devi aspettare e basta», sbottò la madre. «Tu e Tyler troverete qualcos'altro da fare. Non andrai a Seattle finché la polizia non metterà fine a ciò che sta succedendo, qualunque cosa sia. So che Beth Crowley ha detto a Tyler la stessa cosa, dunque non farmi fare la parte della cattiva… Oh, buongiorno, Bella», disse appena si accorse di me, e schiarì subito il tono di voce. «Sei in anticipo».

[…]

    «Non c'era traffico», scherzai mentre afferravo la mia odiosa divisa arancione da sotto il bancone. Mi sorprendeva che la signora Newton fosse preoccupata quanto Charlie dalla faccenda di Seattle. Pensavo che lui esagerasse.

    «Be', ehm…». La signora Newton restò indecisa per un attimo, giocando goffamente con la pila di volantini che stava sistemando vicino alla cassa.

    Mi fermai con un braccio infilato nella divisa. Conoscevo quello sguardo. […]

    «Ti stavo per chiamare», continuò la signora Newton. «Per oggi non prevediamo molto lavoro. Mike e io ce la possiamo cavare, credo. Mi dispiace che ti sia dovuta alzare e venire fin qui…».

    Di solito una coincidenza del genere mi mandava in estasi. Quel giorno però… non troppo.

    «Va bene», sospirai. Le mie spalle crollarono. E ora come occupavo la giornata?

    «Non è giusto, mamma», disse Mike. «Se Bella vuole lavorare…».

    «No, va bene così, signora Newton. Davvero, Mike. Ho gli esami da preparare e un sacco di altre cose…». Non volevo essere il pretesto di una lite familiare, visto che stavano già discutendo.

    «Grazie, Bella. Mike, ti sei dimenticato la quarta fila. Ah, Bella, ti dispiace buttare questi volantini nella spazzatura, mentre esci? Ho detto alla ragazza che li ha lasciati che li avrei messi sul bancone, ma proprio non c'è spazio».

    «Certo, come no». Mi levai la divisa, presi i volantini e mi diressi fuori, sotto la pioggerellina.

    La spazzatura era dietro l'angolo, vicino al parcheggio dei dipendenti. Strascicavo i piedi e scalciavo irritata i sassolini. Ero sul punto di far volare la catasta di foglietti color giallo acceso nel cassonetto, quando l'intestazione in grassetto attirò il mio sguardo. Una parola in particolare catturò la mia attenzione.

    Afferrai il foglio fissando l'immagine sotto la scritta. All'istante sentii un nodo in gola.

 

SALVIAMO IL LUPO DELLA PENISOLA OLIMPICA

 

    Sotto la scritta, un disegno particolareggiato mostrava il lupo di fronte a un abete, con la testa inclinata all'indietro, come se ululasse alla luna. Era un'immagine sconcertante; c'era qualcosa, nell'aria malinconica del lupo, che lo faceva sembrare disperato. Come stesse urlando di dolore.

    In quell’istante decisi di provarci.

    Corsi al mio pick-up, con i volantini ancora ben stretti in mano.

    Avevo quindici minuti, non uno di più. Ma erano sufficienti. Per raggiungere La Push bastava un quarto d'ora e sicuramente avrei passato il confine qualche minuto prima di raggiungere il centro della cittadina. Il mio pick-up prese vita con un rombo, senza alcuna difficoltà.

    Alice non mi avrebbe vista, perché era un'azione che non avevo potuto progettare, se non a mio rischio e pericolo.

    Decidere all'istante, ecco il segreto! Per sfruttarlo a mio vantaggio dovevo muovermi veloce.

    Nella fretta avevo lanciato i volantini umidi, che si erano sparsi ovunque, sul sedile del passeggero: un centinaio di scritte in grassetto, un centinaio di lupi scuri e ululanti che spiccavano sullo sfondo giallo.

    Imboccai a razzo l'autostrada bagnata, azionando i tergicristalli a tutta potenza e ignorando il gemito del vecchio motore. Impossibile persuaderlo ad andare a più di ottanta all'ora; pregai che fosse sufficiente.

    Non avevo idea di dove fosse il confine, ma superate le prime case fuori La Push mi sentii più al sicuro. Dovevo già essere oltre la zona permessa ad Alice.

    L'avrei chiamata da casa di Angela nel pomeriggio, per farle sapere che stavo bene. Non aveva motivo di allarmarsi. Non era il caso che si arrabbiasse con me…Edward si sarebbe infuriato per due, al suo ritorno.

    Il mio furgoncino sbuffò contento grattando una frenata davanti alla casa rossa scolorita che mi era così familiare.

    Mi sentivo così felice nell’esserci finalmente arrivata.

    Quanto tempo avevo passato desiderando di tornarci per stare con Jacob e i suoi amici.

    Soprattutto con Jacob.

    Si era creato un legame così particolare con quel ragazzone muscoloso e febbricitante. Sembrava che l’equilibrio che si era spezzato con Edward, si fosse ricostruito con Jake. Eravamo così in sintonia, ci capivamo così bene. Lui leggeva nella mia anima e io nella sua.

    Non avevo ancora spento il motore e lui era già lì sulla porta, muto e vinto dallo stupore.

    Il motore esalò l'ultimo rombo; nel silenzio improvviso, sentii Jacob ansimare.

    «Bella?».

    «Ciao, Jake!».

    «Bella!», gridò di nuovo e il sorriso che aspettavo gli si distese sul viso come il sole quando si libera delle nuvole. I denti bianchi e lucidi risaltavano sulla pelle ramata. «Non posso crederci!».

    Corse al furgone e quasi mi strappò via dalla portiera aperta. Dopo un attimo stavamo già saltellando su e giù come bambini.

    «Come sei arrivata fin qui?».

    «Sono scappata!».

    «Fantastico!».

    «Ciao, Bella!». Billy si era trascinato da solo sulla porta, per vedere a cosa fosse dovuta tanta eccitazione.

    «Ciao, Billy!».

    Poi rimasi senza fiato: Jacob mi afferrò da dietro in un abbraccio soffocante e mi fece roteare.

    «Che bello vederti qui!».

    «Non… respiro», ansimai.

    Rise e mi lasciò andare.

    «Bentornata, Bella», disse sorridente. Il tono era quello di un "bentornata a casa".

 ****************************************************************************************************************************************************************************************** 

    Iniziammo a camminare, troppo agitati per chiuderci in casa. I passi di Jacob erano lunghi come salti e mi toccò ricordargli più di una volta che le mie gambe non erano lunghe tre metri.

    Camminando accanto a Jake mi sentivo trasformare pian piano in un'altra versione di me, quella che ero stata con lui. Un po' più giovane, un po' meno responsabile. Una che poteva, di tanto in tanto, fare qualche grossa stupidaggine senza alcuna buona ragione.

    Mi sentivo davvero felice, in pace con me stessa e con il resto del mondo.

    Pieni di esuberanza cominciammo a parlare come quando ci sentivamo al telefono, ma faccia a faccia era tutta un’altra cosa: come stavamo, che cosa stavamo combinando, quanto mi ci era voluto e com’ero riuscita a filarmela.

     Quando, esitante, gli dissi del volantino sul lupo, la sua risata poderosa risuonò tra gli alberi.

    Poi però, camminando a passo lento sul retro del negozio, spingendoci verso la spessa boscaglia che circondava il confine di First Beach, toccammo argomenti più spinosi. Affrontammo subito le ragioni della nostra lunga separazione e vidi il volto del mio amico indurirsi in una maschera di amarezza che mi era fin troppo familiare.

    «E allora, come vanno le cose?», mi chiese Jacob, scalciando con forza un pezzo di legno che volò oltre la sabbia e urtò rumorosamente contro le rocce. «Voglio dire… hai cambiato idea? Nel senso, hai deciso di perdonarlo per tutto?».

    Respirai a fondo. «Non so dirti con certezza, Jake. Siamo rimasti in ottimi rapporti, lo sai. Passo molto tempo con lui, e gli voglio molto bene. Gli sono rimasta molto legata, nonostante tutto».

    Il viso di Jacob si contrasse come se avesse appena succhiato un limone.

    «Vorrei che Sam avesse fatto una foto quando ti ha trovato quella notte, lo scorso settembre».

    «Non ha avuto bisogno di fotografie per vedere come stavo. Dimentichi che sa leggere nel pensiero, vede e sente tutto quello che c’è dentro la tua zucca», mi alzai sulle punte per pungolargli la fronte. Riuscì a farlo sorridere.

     «Giusto, non ci avevo pensato. E’ forte!», poi distorse il viso con un ghigno e la sua voce si fece pungente. «La prossima volta farò un resoconto più dettagliato».

    «Jake», sbuffai. «Non c’è bisogno d’infierire così. Lo scorso autunno Edward mi ha lasciato perché secondo lui era meglio che smettessi di frequentare i vampiri. Era convinto che la sua partenza sarebbe stata salutare per me».

    Dato che Jasper aveva cercato di uccidermi. Non osavo immaginare che reazione avrebbe avuto se glielo avessi detto.

    «Però è tornato, no?», mugugnò Jacob. «Peccato che non sia capace di rispettare le decisioni».

    «Vero, ora che mi ci fai pensare non è la prima volta che s’imponeva un certo comportamento e poi faceva tutt’altro».

    Ricordai quando aveva deciso di lasciarmi perdere, e poi invece ha cominciato a starmi continuamente accanto. Mi osservava persino mentre dormivo, per notti intere. Davvero un gentiluomo…«Comunque se ti ricordi, i responsabili del suo ritorno e di quello dei Cullen, sono Victoria e…l’uomo lupo», lo guardai con la coda dell’occhio dalla testa ai piedi e alzando un sopraciglio.

    «Già», disse abbozzando un sorriso e ricambiando l’occhiata. Ma non sembrava allegro.

    Jacob si diresse verso un tronco familiare, enorme: un albero intero, con tanto di radici e tutto il resto, scolorito e arenato nella sabbia: il nostro albero, in un certo senso.

    Si sedette su quella panchina naturale, facendomi segno di sedermi accanto a lui.

    «Quasi quasi mi sento responsabile». Ecco il motivo della poca vivacità.

    Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti. «La vera responsabile sono io, Jake», ammisi. «Non hai mica cercato di buttarti da uno scoglio ed attirato l’attenzione di Alice».

    «L’indovina parassita», corresse a bassa voce. Fissava un mucchietto di sassolini con aria aggrottata.

    «Vuoi che me ne vada?», sbottai infastidita. «Basta solo un altro commento antipatico sui miei amici!».

    La mia era una minaccia a trabocchetto. Non me ne sarei andata ugualmente.

    Finse di chiudersi le labbra con il lucchetto e ne lanciò la chiave invisibile dietro le spalle. Cercai di non ridere, ma non ci riuscii.

    «Seriamente Jake», feci un’altro risolino prima di proseguire. «Se Alice non mi avesse vista sul ciglio del dirupo e non fossi sparita improvvisamente dalle sue visioni, lei non sarebbe mai venuta qui. Non ne aveva motivo».

    Jacob alzò una mano.

    «Non hai diritto d’insultare, non di parlare! Apri quel becco!», risi e gli diedi una gomitata al braccio febbricitante.

    «Ehi, sono un lupo, mica una gallina!», rispose con un ampio sorriso e con un pizzicotto sul fianco che mi fece contorcere in una posizione strana su di un lato. Ridemmo entrambi, poi Jake ridivenne più serio. La tranquillità dominava di nuovo il suo bel viso. «Non ho capito molto di ciò che è successo quella volta. Me lo racconti?»

    «Sì, be', è complicato, quindi stai attento. Tu sai che Alice "vede" le cose».

    Considerai un "sì" il suo sguardo accigliato - i lupi non erano entusiasti del fatto che la leggenda sui poteri soprannaturali dei vampiri fosse vera - e procedetti con il racconto delle sue visioni e di tutto ciò che accadde dopo. Comprese le sue teorie e quelle di Edward.

    «La succhiasangue chiromante non può vederci?», ripeté con il viso fiero e gioioso a un tempo. «Davvero? Ottimo!».

    Serrai i denti e rimanemmo in silenzio, ma gli si leggeva in faccia che era ansioso di sentirmi continuare. Lo fissai finché non capì il proprio errore.

    «Ops!», disse. «Scusami». E si chiuse di nuovo le labbra con il lucchetto.

[…]

    «Ora conosci tutta la storia», conclusi. Naturalmente avevo evitato la parte in cui mi vedeva sfocata a causa dei miei conflitti sentimentali. «Tocca a te parlare. Cosa è successo nel fine settimana in cui sono stata da mia madre?». Sapevo che Jacob mi avrebbe dato più dettagli di Edward. Non temeva di terrorizzarmi. Almeno lui, non mi sottovalutava.

    Si tese in avanti, subito animato. «Embry, Quil e io eravamo di pattuglia sabato sera, i soliti controlli ordinari, quando dal nulla… bam!». Allargò le braccia, imitando un'esplosione. «Un'orma fresca, era lì da non più di quindici minuti. Sam ha voluto che l'aspettassimo, ma io non sapevo che tu fossi partita, né se i tuoi succhiasangue ti stavano controllando o no. Dunque l'abbiamo seguita a tutta velocità, ma prima che potessimo prenderla aveva già superato il confine. Ci siamo sparpagliati lungo la linea, sperando che la superasse di nuovo. È stato frustrante, lo confesso». Agitò la testa e i capelli, che si era fatto ricrescere da quando si era unito al branco, gli cascarono sugli occhi. «Siamo finiti troppo a sud. I Cullen l'hanno inseguita qualche chilometro più a nord, verso di noi. Sarebbe stata una perfetta imboscata se avessimo saputo dove aspettare».

    Scosse la testa con una smorfia. «Da quel momento è diventato rischioso. Sam e gli altri l'hanno raggiunta prima di noi, ma andava su e giù lungo il confine, e tutta la famiglia si trovava proprio dall'altra parte. Quello grosso, come si chiama…».

    «Emmett».

    «Esatto, proprio lui. Le si è scagliato contro, ma quella rossa è veloce! È volato proprio dietro di lei ed è quasi andato a sbattere contro Paul. E Paul… be', sai com'è fatto».

    «Sì».

    «Non ci ha visto più. Non posso biasimarlo, il succhiasangue gigante gli era proprio addosso. È saltato… ehi, non guardarmi così. Il vampiro era nel nostro territorio».

    Provai a ricompormi per farlo andare avanti. Con le mani strette a pugno, affondavo le unghie nei palmi, turbata da quella storia, pur sapendo che si era conclusa bene.

    «Ad ogni modo, Paul ha mancato il colpo, e il gigante è tornato sui suoi passi. Ma allora la, ehm, be', la… bionda…». L'espressione di Jacob era un miscuglio comico di disgusto e ammirazione involontaria, mentre cercava di trovare una parola per descrivere la sorella di Edward.

    «Rosalie».

    «Quello che è. Si è fatta aggressiva, perciò Sam e io siamo tornati ad affiancare Paul. Così il loro capo, e l'altro biondo…».

    «Carlisle e Jasper».

    Mi rivolse uno sguardo esasperato. «Non m'interessa come si chiamano, lo sai. Comunque, Carlisle ha parlato con Sam, cercando di calmare le acque. Ed è stato strano, perché tutti si sono tranquillizzati subito. Era quello lì di cui mi hai già parlato a confonderci le idee. Ma, anche se sapevamo ciò che stava facendo, non potevamo non calmarci».

    «Sì, so come ci si sente».

    «Molto infastiditi, ecco come. Solo che il fastidio lo senti dopo». Scosse la testa con rabbia. «Così, Sam e il vampiro-capo hanno stabilito che Victoria era la priorità, e ci siamo rimessi alle sue calcagna. Carlisle ci ha indicato dove seguire il suo odore, ma lei ha raggiunto le colline a nord del territorio dei Makah, dove per qualche chilometro il confine sfiora la costa. Si è tuffata di nuovo in acqua. Il tipo grosso e quello calmo ci hanno chiesto il permesso di superare il confine per seguirla, ma ovviamente abbiamo risposto di no».

    «Bene. Voglio dire, vi siete comportati da stupidi, ma sono contenta. Emmett non è mai molto accorto. Avrebbe potuto farsi male».

    Jacob grugnì. «Scommetto che il tuo vampiro ti ha raccontato che siamo stati noi ad attaccare senza motivo, e che il suo clan è innocente…».

    «No», lo interruppi. «Edward mi ha raccontato la stessa storia, ma senza tutti questi dettagli».

    Jacob annuì sottovoce e si chinò in avanti per raccogliere una pietra fra i milioni di sassolini ai nostri piedi. Con un lancio distratto, la spedì a oltre cento metri di distanza, verso la baia. «Be', credo che tornerà. Proveremo di nuovo a prenderla».

    Rabbrividii: certo che sarebbe tornata. Edward me l'avrebbe detto? Non ne ero sicura. Dovevo tenere d'occhio Alice, osservare i segnali che preannunciavano che gli eventi si stavano per ripetere…

    Jacob non sembrò notare la mia reazione. Guardava fra le onde con aria pensierosa, le labbra carnose contratte.

    «A cosa pensi?», gli chiesi dopo una lunga pausa silenziosa.

    «A ciò che mi hai detto. A quando la chiromante ti ha visto sul ciglio della scogliera per buttarti di sotto. Ti rendi conto che se mi avessi aspettato, o meglio ancora se non ci fossi proprio andata, la succhiasangue… Alice non ti avrebbe mai vista lassù? Non sarebbe cambiato niente. Magari ora saremmo nel mio garage, come tutti i sabati. Non ci sarebbe nessun vampiro a Forks, e noi due…». Perse la voce, immerso nei pensieri.

[…]

    «Edward sarebbe tornato comunque».

    «Ne sei sicura?», chiese di nuovo bellicoso.

    «La lontananza… non ha fatto bene né a me né a lui».

    Fece per dire qualcosa, qualcosa di rabbioso a giudicare dalla sua espressione, ma si fermò e dopo un bel respiro proseguì.

    «Sai che Sam ce l'ha con te?».

    «Con me?». Mi ci volle un po' per realizzarlo. «Oh, ci credo. È convinto che non sarebbero tornati se non ci fossi stata io».

    «No. Non è per questo».

    «Allora qual è il problema?».

    Jacob si piegò in basso per raccogliere un'altra pietra. Se la rigirò tra le dita; i suoi occhi rimasero inchiodati sul sasso nero, mentre parlava a voce bassa.

    «Quando Sam ha visto… come stavi all'inizio, quando Billy gli ha spiegato della preoccupazione di Charlie perché non ti riprendevi, quando poi hai iniziato a tentare di tuffarti dagli scogli…».

    Cambiai espressione. Per nessuna ragione avrei mai dimenticato quel periodo.

    Gli occhi di Jacob lampeggiarono nei miei. «Pensava che tu fossi l'unica persona al mondo con il suo stesso diritto di odiare i Cullen. Sam si sente… tradito, perché hai permesso loro di tornare nella tua vita come se non ti avessero mai fatto del male».

    Non credetti neanche per un secondo che Sam fosse l'unico a sentirsi in quel modo. «So cos’ha fatto, ma io…»

    «Guarda», m'interruppe Jacob, indicando un'aquila che scendeva in picchiata verso l'oceano da un'altezza incredibile. All'ultimo minuto, riprese il controllo e con i soli artigli, per una frazione di secondo, ruppe la superficie delle onde. Poi volò lontano, sbattendo forte le ali per opporsi al peso del grosso pesce che aveva afferrato.

    «È così dappertutto», disse Jacob con voce improvvisamente distante. «Questa è la natura: preda e cacciatore, il ciclo infinito della vita e della morte».

    Non capivo il senso di quella lezione di biologia; pensai che stesse cercando di cambiare argomento. Ma poi mi guardò con quel sarcasmo nero negli occhi.

    «Non vedrai mai il pesce che cerca di schioccare un bacio all'aquila. Mai». Sorrise beffardo.

    Lo guardai confusa. «Perché dici questo? Io ed Edward non stiamo insieme».

    L’ostilità sparì dai suoi occhi profondi e contrasse la mascella distogliendo lo sguardo dal mio. «Per come stanno andando le cose, non credo che ci vorrà molto».

    «Cosa te lo fa pensare?», domandai abbassando gli occhi sulle mie mani giunte. Jake riprese a fissare il sassolino che aveva tra le dita.

    «Perché ne sei già stata innamorata, altrimenti non avresti sofferto così tanto per lui. Quando sei profondamente innamorato di una persona, prima o poi dimentichi quanto ti ha fatto soffrire. Continuerai ad amarla, nonostante ti ferisca», aggiunse con voce sempre più fioca, come se stesse parlando con se stesso.

    «Non pensi che sarebbe già dovuto accadere?», chiesi cercando i suoi occhi. Fece gli occhi al cielo e si voltò ad osservarmi.

    «Te l’ho detto, è solo questione di tempo. Però non ti nascondo che mi fa piacere tutto questo rifiuto da parte tua», rise.

    «E’ vero, ne sono già stata innamorata. D’altronde, tornando alla tua metafora antipatica del pesce e dell’aquila, il pesce potrebbe sempre provare a baciare quel predatore. Nessuno glielo vieta», dissi in preda a ragionamenti astrusi. «È difficile capire cosa pensano i pesci. In fondo le aquile sono animali molto belli, no?».

    «Tutto qui?». La sua voce si fece improvvisamente più tagliente. «E’ per questo che avevi perso la testa? Per questioni di bellezza?».

    «Non fare lo scemo, Jacob».

    «Sono i soldi, allora?», insistette.

    «Che bello», borbottai alzandomi. «Sono lusingata dall'alta considerazione che hai di me». Gli voltai le spalle e feci per allontanarmi.

    «Ehi, non ti arrabbiare». Mi raggiunse e mi afferrò il polso per costringermi a voltarmi. «Dico sul serio! Sto cercando di capire cosa ti ha spinto ad innamorarti di lui, e sto impazzendo».

    Le sue sopracciglia si unirono in un'espressione di rabbia e nei suoi occhi c'era un'ombra profonda e nera.

    «Io l’ho amato. Non perché sia bello o ricco!», scandii per bene l'ultima parola. «Sarebbe molto meglio se non lo fosse. Il divario fra noi non sarebbe così grande e lui resterebbe la persona più adorabile, generosa, brillante e onesta che abbia mai incontrato». Lasciai sfogare la vecchia Bella dentro di me, ma non ero del tutto convinta delle mie affermazioni.

    Jacob trovò la soluzione al problema.

    «Onesto??», ripetè sbalordito. «Gli onesti dicono le cose come stanno, Bella. Non credo ad un solo aggettivo che gli hai rifilato, ancora meno a questo!».

    «Ok, lo ritiro, ma il resto lo confermo. L’ho amato certo. È così difficile da capire?», risposi.

    «È impossibile».

    «Per favore illuminami allora, Jacob». Lasciai scorrere abbondante il sarcasmo. «Dimmi qual è la ragione più valida per amare una persona. A quanto pare mi sfugge qualcosa».

    «Per esempio, potresti considerare quelli della tua stessa specie. Di solito funziona».

    «Sì, ma pensa che roba!», sbottai. «Mi sa che sarei costretta ad accontentarmi di Mike Newton».

    Jacob esitò, indeciso. Le mie parole l'avevano ferito, ma ero ancora troppo arrabbiata per provare rimorso. Mi lasciò il polso e incrociò le braccia, dandomi le spalle per guardare l'oceano.

    «Io sono umano», mugugnò con voce quasi inesistente.

    «Non sei umano come Mike», continuai senza pietà. «Credi ancora che sia questa l'argomentazione principale?».

    «Non è la stessa cosa». Jacob non distolse lo sguardo dalle onde grigie. «Non è una scelta mia».

    Risi, incredula. «Secondo te Edward l'ha scelto? Non sapeva che cosa gli stesse accadendo, proprio come te. Non ha mica firmato un contratto».

    Jacob scuoteva la testa avanti e indietro a scatti brevi e veloci.

    «Sai, Jacob, sei troppo moralista… visto e considerato che sei un licantropo».

    «Non è la stessa cosa», ribadì inchiodandomi con lo sguardo.

    «Non capisco perché no. Potresti essere un po' più comprensivo verso i Cullen. Non hai idea di quanto siano buoni nel profondo, Jacob».

    Si accigliò ancora di più. «Non dovrebbero esistere. La loro esistenza è contro natura».

    Lo fissai per un istante interminabile, con un sopracciglio sollevato, incredula.

    Ci volle un po' prima che lo notasse.

    «Che c'è?».

    «A proposito di cose contro natura…», suggerii.

    «Bella», disse con voce lenta e diversa. Adulta. All'improvviso sembrava più adulto di me. Come un genitore, o un insegnante. «Ciò che io sono è nato con me. È parte del mio essere, di ciò che è la mia famiglia, di ciò che siamo come tribù. È la ragione per cui siamo ancora qui. A parte questo», mi guardò con i suoi occhi neri impenetrabili, «io sono un essere umano».

    Mi prese la mano e la premette contro il suo petto caldo e febbricitante.

    Attraverso la maglietta, sentivo il battito accelerato del suo cuore.

    Quel gesto, oltre a provocarmi un leggero imbarazzo, mi fece riflettere su ciò che gli avevo appena detto. Il suo cuore batteva, era vivo e nelle sue vene scorreva sangue caldo. Tutto questo aveva abbandonato Edward un secolo fa. Era più contro natura lui di Jacob.

    Ma non volevo dargli la soddisfazione che avesse ragione.

    «Gli esseri umani non sollevano motociclette come fossero giocattoli».

    Accennò un debole sorriso. «Gli esseri umani, quelli normali, scappano dai mostri, Bella. E io non ho mai detto di essere normale. Soltanto umano».

    Stava dicendo che anch’io non sono normale nonostante sia umana? Bè…su questo piano, il suo ragionamento non faceva una piega. Vista così non eravamo molto diversi. Aveva due volte ragione, accidenti.

    Mentre allontanavo la mano dal suo petto mi spuntò un sorriso.

    «Io ti trovo molto umano», concessi. «Per il momento».

    «È proprio come mi sento». Il suo sguardo mi oltrepassò, distante. Si morse con forza il labbro tremante.

    «Oh, Jake», sussurrai cercando la sua mano.

    Ecco perché ero là. Ecco perché ero pronta ad affrontare qualunque accoglienza, al mio rientro. Perché, dietro alla rabbia e al sarcasmo, Jacob soffriva per la nostra separazione. Ormai glielo leggevo negli occhi. Perché mi sentivo colpita dal suo stesso dolore. Jacob era diventato parte di me, ormai era impossibile tornare indietro.

    E non avevo alcuna intenzione di farlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 08 - Imprinting ***


    (Libro di riferimento: Eclipse)

 

    «Charlie ha detto che stavi passando un brutto periodo… Va un po' meglio adesso?». 

    La sua mano calda si chiuse sulla mia. «Un po'», disse senza incrociare il mio sguardo.

    Tornò lentamente al tronco, fissando i sassolini color arcobaleno e tirandomi al suo fianco. Mi sedetti sul nostro albero, mentre lui si accomodava sul terreno bagnato e roccioso. Forse per nascondere più facilmente il viso.

    Mi teneva la mano.

    Cercai di riempire il silenzio. «È passato così tanto tempo da quando sono venuta qui l'ultima volta. Mi sarò persa un sacco di cose. Come stanno Sam ed Emily? Ed Embry? Quil ha…».

    Mi fermai a metà frase quando ricordai che il suo amico Quil era un argomento sensibile.

    «Ah, Quil», sospirò Jacob.

    Dunque era successo. Quil si era unito al branco.

    «Mi dispiace», mormorai.

    Con mia sorpresa, Jacob grugnì. «Non rivolgerti così quando parlerai con lui».

    «Che vuoi dire?».

    «Quil non è in cerca di compassione. Al contrario. È in fermento.  Totalmente entusiasta».

    La cosa non aveva senso per me. Un tempo avevo visto il terrore negli altri lupi, di fronte all'idea che l'amico condividesse il loro destino.

    «Cosa?».

    Jacob inclinò la testa all'indietro per guardarmi. Sorrise e alzò gli occhi al cielo.

    «Quil pensa che sia la cosa più bella che gli sia mai accaduta. In parte perché finalmente conosce la verità. E poi è eccitato all'idea di avere di nuovo con sé i suoi amici, di far parte del "giro"». Jacob grugnì di nuovo. «C'è poco da sorprendersi, credo. Quil è fatto così».

    «Nel senso che è "contento"?».

    «A dir la verità… lo sono quasi tutti», ammise Jacob lentamente. «Ci sono degli innegabili aspetti positivi: la velocità, la libertà, la forza… il senso di famiglia. Sam e io siamo gli unici a sentirne il lato amaro. E Sam ci è passato già da un sacco di tempo. Dunque per ora il piagnucolone sono io». Jacob rise di sé.

    C'erano davvero tante cose che volevo sapere. «Perché tu e Sam siete diversi? E che cosa è successo a Sam? Qual è il suo problema?». Le domande irruppero una dopo l'altra senza spazio per le risposte e Jacob rise di nuovo.

    «È una lunga storia».

    «Anch'io ti ho raccontato la mia. Fra l'altro, non ho alcuna fretta di tornare a casa», dissi, poi feci una smorfia pensando ai guai in cui ormai mi ero cacciata.

    Con un'occhiata, captò il doppio senso delle mie parole. «Si arrabbierà con te?».

    «Sì», confessai. «Detesta quando faccio cose che considera… rischiose».

    «Andare in giro con i licantropi, per esempio».

    «Esatto».

    Jacob scrollò le spalle. «Allora non tornarci. Dormirò sul divano».

    «Grande idea», brontolai. «Così verrà dritto a cercarmi».Però l’idea non era male davvero. Stavo così bene a La Push. Era come stare a casa mia.

    Jacob s'irrigidì, poi fece un sorriso tetro. «Davvero?».

    «Se temesse per la mia incolumità, o qualcosa del genere, penso di sì».

    «La proposta mi sembra sempre più perfetta».

    «Dai, Jake, per favore. Mi irrita veramente».

    «Cosa?».

    «Che voi due siate pronti ad ammazzarvi l'un l'altro», mi lamentai. «Mi fa impazzire. Non potete comportarvi da persone civili?».

    «Lui pronto ad ammazzarmi?», chiese Jacob con un sorriso arcigno, incurante della mia rabbia.

    «Non quanto lo sembri tu!». Mi resi conto che stavo gridando. «Almeno lui è un po' più maturo: sa che fare del male a te sarebbe come farlo a me, quindi non si permetterebbe mai. Ma tu… sembra non te ne importi niente».

    «Sì, è vero», borbottò Jacob. «Di sicuro il pacifista è lui».

    «Uffa!». Liberai la mano e mi allontanai. Mi rannicchiai con le ginocchia strette al petto.

    Fissai lo sguardo verso l'orizzonte, infuriata.

    Jacob restò in silenzio per qualche minuto. Alla fine si alzò e si sedette accanto a me, cingendomi la spalla con il braccio. Lo scrollai via.

    «Scusa», disse tranquillo. «Cercherò di comportarmi bene».

    Non risposi.

    «Vuoi ancora che ti racconti di Sam?», propose.

    Alzai le spalle.

    «Come ti dicevo, è una lunga storia. E molto… strana. Ci sono così tante cose strane in questa nuova vita. Non ho avuto tempo di raccontarti quasi niente. E la storia di Sam… be', non so neanche se sarò in grado di spiegartela bene».

    Le sue parole innescarono la mia curiosità, calmando la mia irritazione. «Ti ascolto», dissi rigida.

    Con la coda dell'occhio vidi la sua guancia atteggiarsi a sorriso.

    «Per Sam è stata molto più dura che per noi. È stato il primo: era solo e non c'era nessuno a spiegargli niente. Il nonno di Sam è morto prima che lui nascesse e il padre non c'è mai stato. Non c'era nessuno che potesse cogliere i segnali. La prima volta che è successo - la prima volta che si è trasformato - pensava di essere impazzito. Gli ci vollero due settimane per calmarsi e ritrasformarsi. Fu prima che tu arrivassi a Forks, quindi non puoi ricordare. La madre di Sam e Leah Clearwater chiamarono la forestale e la polizia per cercarlo. La gente pensò che fosse successo qualcosa, un incidente…».

    «Leah?», chiesi sorpresa. Leah era la figlia di Harry. […]

    La voce di Jacob si fece più grave. «Sì. Leah e Sam erano fidanzati, al liceo. Iniziarono a uscire insieme che lei era solo al primo anno. Quando lui scomparve, lei perse la testa».

    «Ma lui ed Emily…».

    «Ci arriverò; fa parte della storia», rispose.

    In effetti era stupido da parte mia immaginare che Sam non avesse mai amato nessuna prima di Emily. È normale innamorarsi più volte nel corso della vita. Eppure, dopo averlo conosciuto non potevo immaginarlo insieme a nessun'altra. Il modo in cui guardava Emily… Sì, avevo notato qualcosa di simile negli occhi di Edward. Quando guardava me. Peccato che io non ricambiassi come faceva Emily. Almeno non più.

    «Sam tornò», continuò Jacob, «ma non disse a nessuno dov'era stato. Giravano delle voci, perlopiù si diceva che avesse combinato qualcosa di brutto. Poi, un pomeriggio, Sam s'imbatté nel nonno di Quil, il vecchio Quil Ateara, che era passato a trovare la signora Uley. Sam gli strinse la mano. E al vecchio Quil venne un colpo». Jacob si mise a ridere.

    «Perché?».

    Jacob posò la mano sulla mia guancia, girandomi il viso perché lo guardassi: chino verso di me, il volto a pochi centimetri dal mio. Il suo palmo bruciava come se avesse la febbre.

    «Ah, è vero. […]Sam aveva la febbre».

    Jacob rise di nuovo. «Sembrava che avesse lasciato la mano sul fornello acceso».

    Era così vicino che sentivo il suo respiro caldo.

    Arrossì.

    Era da tanto che non provavo certe emozioni. Per un istante mi persi nella notte dei suoi occhi e il mio cuore ricominciò a guizzare. Come il giorno in cui le nostre labbra stavano per sfiorarsi timidamente, durante l’ora di assenza di Alice.

    Deglutì al ricordo.

    Una forza inaspettata dentro di me, come un ordine impartito da una voce sconosciuta, mi spingeva a riprendere quel filo. La calamita aveva aumentato improvvisamente di potenza, ma non potevo lasciarmela sfuggire di mano. Se mi fossi lasciata andare, quando avrei potuto rivederlo? Avrei davvero accolto la sua proposta di restare da lui per non andarmene più. Ma non potevo farlo, sarebbe successo un disastro.

    Il cambio d’espressione di Jake mi fece pensare che si fosse accorto del mio conflitto interiore, ma restò calmo a fissarmi. Mi alzai con naturalezza, per liberarmi il viso, e intrecciai le dita con le sue per non turbarlo. Lui sorrise e si drizzò, la mia falsa disinvoltura non l'aveva ingannato.

    «Così il vecchio Ateara andò dritto dagli altri anziani», proseguì Jacob.

    «Erano gli unici che sapevano ancora, che ricordavano. Il vecchio Quil, Billy e Harry avevano visto i loro nonni trasformarsi. Quando vennero a sapere di Sam, s'incontrarono con lui in segreto e gli spiegarono tutto. Capire gli rese le cose più semplici: non era più solo. Sapevano che non sarebbe stato l'unico a reagire al ritorno dei Cullen», pronunciò il nome con inconsapevole amarezza, «ma nessuno era ancora abbastanza adulto. Così Sam ha aspettato che lo raggiungessimo…».

    «I Cullen non potevano saperlo», sussurrai. «Non immaginavano che i licantropi esistessero ancora. Non sapevano che venire qui vi avrebbe trasformati».

    «Questo non ha impedito che succedesse».

    «Ricordami di non stuzzicare il tuo lato cattivo».

    «Credi che con loro dovrei essere comprensivo come sei tu? Non possiamo essere tutti santi e martiri».

    «Cresci una buona volta, Jacob».

    «Mi piacerebbe», mormorò piano.

    Lo fissai, confusa di fronte alla sua risposta. «In che senso?».

    Jacob sogghignò. «Una di quelle strane cose a cui accennavo».

    «Tu non puoi… crescere?», dissi inespressiva. «Non ci credo. Tu non… invecchi? Mi prendi in giro?».

    «No», disse a mezza voce.

    Mi sentii arrossire. Lacrime di rabbia mi riempirono gli occhi. Dai miei denti uscì un ringhio.

    «Bella? Che ho detto?».

    Ero di nuovo in piedi, con i pugni chiusi e le ossa tremanti. «Tu. Non. Invecchi», ringhiai a denti stretti.

    Jacob mi prese il braccio con delicatezza, cercando di farmi sedere. «Né io né gli altri. Che cos'hai?».

    «Sono io l'unica che dovrà diventare vecchia? Io invecchio ogni schifoso giorno!». Quasi strillai, lanciando le braccia al cielo. Una piccola parte di me si rendeva conto che stavo facendo una scenata alla Charlie, ma il mio lato razionale era ampiamente offuscato da quello irrazionale. «Merda! Che razza di mondo è questo? Dove sta la giustizia?».

    «Non te la prendere, Bella».

    «Zitto, Jacob. Stai zitto! È così ingiusto!».

    «Stai veramente pestando i piedi per questo? Pensavo che le ragazze lo facessero solo in TV».

    Ruggii senza grande effetto.

    «Non è terribile come credi. Siediti e ti spiego».

    «Voglio stare in piedi».

    Alzò gli occhi al cielo. «Okay. Fa' come ti pare. Ma, ascolta, io invecchierò… un giorno».

    «Spiegati».

    Mi fece segno di sedermi sull'albero. Lo fissai arrabbiata per un secondo, poi lo accontentai. La mia collera si era spenta nel momento stesso in cui divampava e mi ero calmata abbastanza da rendermi conto che mi stavo comportando da stupida.

    «Una volta raggiunto l'autocontrollo sufficiente a non…», cominciò Jacob. «Quando riusciamo a non trasformarci per un certo periodo di tempo, ricominciamo a invecchiare. Non è facile». Scosse la testa, improvvisamente dubbioso. «Ci vorrà un bel po' di tempo per imparare a tenere il freno, credo. Nemmeno Sam ci è ancora riuscito. Certo, il fatto che ci sia un enorme clan di vampiri dietro l'angolo non aiuta. Non possiamo permetterci di smettere finché la tribù avrà bisogno di protettori. Non è il caso che tu ci perda la testa, a ogni modo, perché sono già più vecchio di te, almeno fisicamente».

    «In che senso?».

    «Guardami, Bells. Dimostro sedici anni?».

    Diedi un’occhiata al suo corpo enorme, cercando di essere obiettiva. Era certamente molto più alto dei ragazzi della sua età. Il suo braccio era grosso quanto una mia coscia, eppure era tutto ben proporzionato. Era perfettamente armonico.

    Poi lo guardai più attentamente, forse più del dovuto.

    La maglietta, troppo stretta per il suo torace, non riusciva a nascondere la forma perfetta e assurdamente ben definita degli ottuplici addominali. Li rincotai due volte per essere sicura di non aver esagerato. I pettorali arrotondati e pieni, deformavano la scritta bianca stampata sul tessuto. Le spalle larghe e la schiena ampia erano uno scudo contro le calamità naturali più catastrofiche. La linea pronunciata dei dorsali scendeva morbida, sinuosa, restringendosi in una leggera curva sul punto vita, per poi riallargarsi appena sui fianchi scolpiti.

     Sembrava una di quelle figure imponenti della Cappella Sistina. Michelangelo avrebbe venduto l’anima per averlo come modello…

    Nemmeno i Jeans consumati sembravano contenere i lunghi e massicci quadricipi delle sue coscie. Un movimento repentino li avrebbe sicuramente strappati. Se accadesse una cosa del genere, mi metterei a ridere e glieli rammenderei pensando, “lo sapevo che avrebbero fatto questa fine.

    Guardai le braccia per ultime, perché la gelosia era troppa.

    Le maniche corte scoprivano vene, tendini e muscoli di una definizione sorprendere, avvolti da una carnagione ramata che da sempre gli avevo invidiato. La sua pelle era vellutata e tonica, senza alcuna imperfezione. I muscoli sembravano duri come la pietra, tanto erano turgidi.

    Non avevo mai provato a stringerli in un certo modo, non sapevo se sarei riuscita ad affondare le dita sulla sua carne…

    A furia di ammirare ogni dettaglio, mi sentì attratta da tutta quella potenza, bellezza e calore, a cui non avevo mai fatto davvero caso. Fino a quel momento, ero convinta che la perfezione avesse solo un nome.

    Evitai di osservare il suo viso e di incrociare i suoi occhi che avevano preso a guardarmi intensamente. Per tutto il tempo che indugiai sul suo corpo, sentivo il suo sguardo farsi sempre più concentrato, come in attesa di cogliere un qualche segno che tradisse i miei pensieri. Sentivo il mio viso diventare di fuoco, ma cercai di non lasciar trasparire le emozioni che attendeva in silenzio.

     «Direi proprio di no», riuscì finalmente a dire dopo l’accurata radiografia che mi ero sorpresa a fargli.

    Jacob abbozzò un sorriso e riprese il filo del discorso.

    «Per niente. Quando il gene del licantropo s'innesca, ci bastano pochi mesi per raggiungere il massimo della crescita. È uno scatto tremendo, un fulmine». Fece una smorfia. «Fisicamente sono un venticinquenne, più o meno. Per almeno altri sette anni, non dovrai andare in crisi perché sei più vecchia di me».

    Venticinquenne, più o meno. L'idea mi confondeva. Eppure ricordavo quella crescita lampo: era diventato più alto e robusto proprio sotto il mio naso. Ricordavo come fosse cambiato da un giorno all'altro… Scossi la testa, in preda alle vertigini.

    «Allora, volevi sapere di Sam o preferisci continuare la ramanzina per qualcosa che non posso controllare?».

    «Scusa. L'età è un argomento delicato per me. Hai sfiorato un tasto sensibile».

    Jacob affilò lo sguardo. Sveglio com’era, aveva fatto subito l’associazione ragazza-vampiro-eterna giovinezza.

    Mi schiarì la voce e cercai di riprendere da dove l’avevo interrotto. «Dunque, dicevi che dopo aver capito cosa stava succedendo, e parlato con Billy, Harry e il signor Ateara, le cose non sono più state così difficili per Sam. Poi hai detto che il bello doveva ancora venire… Ma perché Sam li odia così tanto? Perché desidera che io li odi?».

    Jacob sospirò. «Questa è davvero la parte più strana».

    «Sono una professionista delle stranezze».

    «Sì, lo so». Sorrise. «Dunque, hai ragione. Sam sapeva cosa stesse accadendo, e tutto era quasi a posto. Tutto sommato la sua vita, be', non era tornata normale. Era migliorata». Poi la sua espressione si tese, come ad anticipare qualcosa di doloroso. «Sam non poteva dire niente a Leah. Non possiamo parlarne con chi non deve sapere. E per lui non era molto sicuro starle accanto. Ma imbrogliò, come ho fatto io con te. Leah era furiosa perché lui non voleva dirle che cosa stava accadendo - dov'era stato, dove passava le  notti, perché fosse sempre così stanco - ma ce la stavano facendo. Si sforzavano. Erano innamorati sul serio».

    «E lei l'ha scoperto? È questo che è successo?».

    Scosse la testa. «No, il problema fu un altro. Un fine settimana, a trovare Leah è passata sua cugina, Emily Young, che abitava nella riserva di Makah».

    Restai senza fiato. «Emily è cugina di Leah?».

    «Di secondo grado. Ma sono molto unite. Da bambine erano come sorelle».

    «È… orribile. Come ha potuto Sam…», mormorai scuotendo la testa.

    «Aspetta a giudicare. Non ti hanno mai parlato… hai mai sentito parlare dell'imprinting?».

    «Imprinting?». Ripetei la parola poco familiare. «No. Che significa?».

    «Una delle stranezze con cui dobbiamo fare i conti. Non succede a tutti. Anzi, è un'eccezione piuttosto rara, non la regola. Fino ad allora Sam aveva sentito tante storie a proposito, le storie che tutti eravamo abituati a considerare leggende. Sapeva dell'imprinting, ma non avrebbe mai immaginato…».

    «Che cos'è?», lo pungolai.

    Gli occhi di Jacob vagarono verso l'oceano. «Sam amava Leah. Ma, appena ha visto Emily, non glien'è importato più nulla. A volte… non sappiamo

esattamente perché… troviamo così le nostre compagne». I suoi occhi tornarono a me in un lampo, e arrossì. «Voglio dire… le nostre anime gemelle».

    Non glien’è importato più nulla. Così…di punto in bianco? Senza un motivo valido? No, non ci credo.

    «In che modo? Con un colpo di fulmine?», ridacchiai.

    Jacob non sorrise. Il suo sguardo nero era contrariato. «Molto più potente. Più assoluto».

    «Scusa», farfugliai. «Stai parlando seriamente, vero?».

    «Sì».

    «Un colpo di fulmine… ancora più potente?». La mia voce suonava dubbiosa e lui se ne accorse.

    «Non è facile da spiegare. Non importa, comunque». Si strinse nelle spalle con aria indifferente. «Volevi sapere cos'è successo a Sam di così tremendo da fargli odiare i vampiri per averlo trasformato, da averlo costretto a odiare se stesso. Ecco cos'è successo. Ha spezzato il cuore di Leah. Ha infranto tutte le promesse che le aveva fatto. Ogni giorno è costretto a subire il suo sguardo d'accusa, senza poterle dare torto».

    All'improvviso smise di parlare, come se avesse detto qualcosa che non voleva.

    «Come si è comportata Emily? Se era così vicina a Leah…». Sam ed Emily erano perfetti insieme, due tessere del puzzle, modellati uno sull'altra in modo esatto. Eppure… come era riuscita Emily a superare la consapevolezza che lui fosse appartenuto a un'altra? A una che poteva quasi chiamare sorella.

    «È stato difficile all'inizio. Ma era ancor più difficile resistere a un tale livello di coinvolgimento e adorazione». Jacob sospirò. «Ma, soprattutto, a lei Sam poteva dire tutto. Le regole non contano più quando trovi la tua metà. Tu sai come si è ferita?».

    «Sì». A Forks dicevano che era stata colpita da un orso, ma io conoscevo il segreto. I licantropi sono volubili, aveva detto Edward. Chi gli sta accanto finisce per farsi male.

    «Bene, ti sembrerà strano, ma più o meno è così che hanno risolto le cose. Sam era talmente terrorizzato e disgustato da se stesso, pieno d'odio per ciò che aveva fatto… Si sarebbe buttato sotto un autobus pur di farla stare meglio. Lo avrebbe fatto in ogni caso, solo per rimorso. Era a pezzi. Poi, chissà come, fu lei a consolare lui, e a quel punto…».

    Jacob non concluse il suo pensiero; la storia, capii, si era fatta troppo personale per condividerla.

    «Povera Emily», sussurrai. «Povero Sam. Povera Leah…».

    «Sì, a Leah è toccata la parte peggiore. È stata coraggiosa. Sarà una delle

damigelle, al loro matrimonio».

    Mentre provavo a dare un senso a tutto, guardai lontano, verso le rocce frastagliate che spuntavano dall'oceano come dita mozzate a sud del golfo.

    Sentivo i suoi occhi che mi fissavano, in attesa che dicessi qualcosa.

    «A te è successo?», domandai infine, senza guardarlo. «Di passare per quella specie di colpo di fulmine?».

    «No», rispose subito. «È successo solo a Sam e Jared».

    Annuii, cercando di dimostrare un interesse moderato. Provai a spiegarmi la reazione di sollievo che provavo.

    Conclusi che ero semplicemente contenta di non essermi sentita dichiarare che c'era qualcosa di mistico, qualche connessione lupésca al quale non potevo oppormi.  La nostra relazione era già abbastanza difficile e confusa. Non mi occorreva un'ulteriore dose di sovrannaturale, oltre a quella con cui già dovevo fare i conti.

    Ma allora perché le parole Non glien’è importato più nulla, continuavano a rimbombarmi nella testa come una schiera di tamburi?

    Jake continuava a guardarmi tranquillo e il suo silenzio sembrò un po' imbarazzato. Il mio sesto senso mi diceva che era meglio che non ascoltassi ciò che stava pensando.

    «E com'è stato per Jared?», domandai per spezzare quella lunga pausa.

    «Nessun dramma, in quel caso. Era la sua compagna di banco da un anno, e non l'aveva mai degnata di uno sguardo. Poi si è trasformato e uno sguardo è bastato per non toglierle più gli occhi di dosso. Kim era felicissima. Era già cotta di lui. Aveva il diario pieno di scritte con il suo nome e il cognome di Jared». Rise beffardo.

    Aggrottai le sopracciglia. «Te l'ha raccontato Jared? Non avrebbe dovuto».

    Jacob si morse le labbra. «Immagino che non dovrei ridere. Ma è divertente».

    «Anime gemelle».

    Sospirò. «Non è stata intenzione di Jared dircelo. Ti ho già parlato di questa cosa, ricordi?».

    «Ah, sì. Vi leggete nel pensiero, ma soltanto quando siete lupi, giusto?».

    «Giusto. Proprio come il tuo succhiasangue». Mi guardò torvo.

    «Edward», precisai.

    «Certo, certo. Per questo conosco così bene lo stato d'animo di Sam. Non ci avrebbe detto nulla, se avesse potuto scegliere. In realtà tutti noi detestiamo questa faccenda». La sua voce si fece amara e roca. «È orribile. Niente privacy, niente segreti. Tutto ciò di cui ti vergogni è lì in bella mostra, sotto gli occhi di tutti». Scrollò le spalle.

    «Sembra orribile», sussurrai.

    «A volte serve, se abbiamo bisogno di coordinarci», ammise a denti stretti, «di tanto in tanto, se capita che un succhiasangue attraversi il nostro territorio. Con Laurent è stato divertente. E se i Cullen non si fossero messi in mezzo sabato scorso…». Gemette. «L'avremmo presa!». Strinse rabbiosamente i pugni.

    Rabbrividii.

    Per quanto mi preoccupassi dell'incolumità di Jasper o Emmett, era niente rispetto al panico che sentivo pensando a Jacob di fronte a Victoria. Emmett e Jasper erano quanto di più vicino all'indistruttibilità potessi immaginare. Jacob era ancora caldo, ancora relativamente umano. Mortale. Pensai a Jacob faccia a faccia con Victoria, a quei capelli luminosi e arruffati sugli strani lineamenti felini…

    Jacob mi guardò con espressione curiosa. «Ma non è sempre così anche per te? Lui non è sempre nella tua mente?».

    «Oh, no. Edward non è mai nella mia mente. Vorrebbe, ma non può».

    L'espressione di Jacob si fece confusa.

    «Non può sentirmi», spiegai, un po' compiaciuta, come ai vecchi tempi. «Sono l'unica che non riesce a sentire. Non sappiamo perché».

    «Strano», disse Jacob.

    «Sì». Il compiacimento sparì. «Forse vuol dire che c'è qualcosa che non va nel mio cervello», ammisi.

    «Sapevo già che c'era qualcosa che non andava, nel tuo cervello», brontolò

Jacob.

    «Grazie».

    Ci guardammo di sottecchi con finta ostilità in silenzio, prima di scoppiare in una breve risata.

    Improvvisamente il sole spuntò fra le nuvole, una sorpresa inaspettata, e il suo riflesso sull'acqua mi costrinse a socchiudere gli occhi. Tutto cambiò colore: le onde grigie divennero blu, gli alberi passarono dall'oliva spento a un giada brillante, e i sassolini iridescenti brillarono come gioielli.

    Gli occhi si adattarono a stento alla nuova luce. Non c'erano rumori a parte lo scrosciare vuoto delle onde che risuonava da ogni lato della baia, l'affilarsi dolce delle pietre l'una contro l'altra sotto i movimenti dell'acqua e le grida dei gabbiani che ci sovrastavano. C'era una grande pace.

    Jacob si avvicinò, appoggiandosi al mio braccio. Era caldissimo. Dopo tutto quel tempo passato con i vampiri dalla pelle ghiacciata, quel tepore era una meraviglia. Purtroppo dopo un minuto, fui costretta a togliermi il giubbotto. Dalla sua gola uscì un breve rumore soddisfatto e appoggiò la guancia sulla mia fronte.

    Sentivo il sole scaldarmi la pelle - ma non era caldo quanto Jacob - e mi chiesi oziosamente quanto ci avrei messo a prendere fuoco. Sorrisi, e con un sospiro chiusi gli occhi come se volessi addormentarmi, appoggiata al grande e febbricitante corpo di Jacob.

    Abbandonai la mente a quella sensazione di quiete, protezione e a qualcosa a cui non riuscivo a dare un nome, ma che mi faceva sentire come dentro una bolla. La sentivo sempre, quando vivevo questi momenti di pace con Jacob. Una bolla che avvolgeva entrambi.

    Avrei voluto che quel momento non finisse mai.

    «A cosa pensi?», mormorò.

    «Al sole», tagliai.

    «Già. È bello».

    «E tu a cosa pensi?», chiesi.

    Ridacchiò. «Ricordavo quel film stupidissimo che mi hai portato a vedere. E a Mike Newton che vomitava dappertutto».

    Risi anch'io, sorpresa di come il tempo avesse cambiato quel ricordo. Una volta ne ero stata tormentata, confusa. Quante cose erano cambiate quella notte… finalmente potevo riderne. Era stata l'ultima sera passata con Jacob prima che lui scoprisse la verità sulle sue origini. L'ultimo ricordo umano. Un ricordo divenuto stranamente piacevole.

    «Mi manca», disse Jacob. «Mi manca com'era tutto più semplice… senza complicazioni. Per fortuna ho una buona memoria». Sospirò.

    Le sue parole avevano innescato i ricordi e lui percepì l'improvvisa tensione

nel mio corpo.

    «Che c'è?», chiese.

    «A proposito dei tuoi bei ricordi…». Mi allontanai per poterlo guardare bene in faccia. Sembrava confuso. «Che ti è saltato in mente lunedì mattina? I tuoi pensieri hanno infastidito Edward». "Infastidito" non era la parola giusta, ma desideravo una risposta e pensai che era meglio non essere troppo severa.

    Il viso di Jacob si illuminò di comprensione e rise. «Stavo solo pensando a te. Non gli ha fatto molto piacere, vero?».

    «Direi proprio di no! Ci ha già pensato l’intera scuola a farglielo sapere».

    Jacob rise, con un filo di amarezza. «Bè come potevo immaginarlo? Inoltre nessuno di loro era presente, la notte che Sam ti trovò: ho visto il tuo aspetto nella sua mente, è come se ci fossi stato anch'io. Quel ricordo lo tormenta ancora, sai. Poi mi sono ricordato di te la prima volta che sei venuta a casa mia. Scommetto che non hai la più pallida idea delle condizioni in cui eri, Bella. Ci sono volute settimane prima che riprendessi un aspetto umano. E mi sono ricordato che ti rannicchiavi sempre, quando cercavi di mantenere la calma…». Jacob trasalì, poi scosse la testa. «È un ricordo doloroso per me, e non era colpa mia. Ho pensato che per lui sarebbe stata più dura. Ho pensato che era il caso di mostrargli cosa aveva combinato».

    Gli lanciai un’occhiataccia. «Jacob, non farlo mai più».

    «Figurati. Non mi divertivo così da mesi».

    Sbuffai spazientita dalla sua testardaggine.

    «Oh, rilassati, Bella. Credi che lo rivedrò presto? Non preoccuparti».

    Mi alzai e mentre mi avviavo mi prese la mano. Cercai di liberarmi. «Jacob, io vado».

    «No, resta ancora un po'», protestò stringendomi la mano. «Mi dispiace. E… okay, non lo farò più. Promesso».

    Sospirai. «Grazie, Jake».

    «Vieni, torniamo a casa mia», disse con entusiasmo.

    «Veramente dovrei andare. Angela Weber mi aspetta, e so che Alice è preoccupata. Non voglio farla stare troppo in pensiero».

    «Ma se sei appena arrivata!».

    «Così sembra». Guardai verso il sole, già alto. Come aveva fatto il tempo a passare tanto in fretta? La risposta era la più ovvia del mondo: quando si sta bene il tempo vola.

    S'incupì. «Chissà quando ci rivedremo», disse con voce spezzata.

    A quelle parole la gola mi si annodò e mi posi la sua stessa domanda. Quando ci saremo rivisti? Con molta probabilità, Edward avrebbe evitato di assentarsi, ed Alice mi avrebbe portata a caccia con se, pur di non perdermi di vista. Non mi avrebbero lasciata più sola. E allora…quando avrei rivisto Jacob?

    Deglutì, cercando di liberarmi la gola dal nodo.

    «Non lo so Jake…prima o poi si ripresenterà qualche altra occasione», risposi con un filo di voce.

    «Il “prima” suona meglio del “poi”». Corrugò le sopraciglia e gli angoli delle labbra piene si incurvarono lievemente all’ingiù. Sembrava la scena di un addio.

    Un altro groppo in gola.

    Attorcigliai le mie dita alle sue e le strinsi più forte che potei, rivolgendogli un sorriso rassicurante. Cercò di ricambiarmi ma gli occorreva uno sforzo troppo grande. «Lo so Jake, anche io preferisco il “prima”».

     Restammo in silenzio e ci guardammo nel profondo degli occhi.

    «Resta con me», sussurrò. Sentì una timida, dolce e morbida carezza del pollice caldo sul dorso della mia mano. Quel tenero gesto involontario, dettato dal desiderio di avermi ancora vicina a se, mi fece sentire le farfalle nello stomaco.

    «Non posso Jake, devo andare», dissi con meno convinzione del necessario.

    «Ti prego Bella», implorò.

    Il suo respiro era irregolare, come se cercasse di trattenere qualcosa che non fosse rabbia o delusione. I suoi occhi erano troppo lucidi per non capire cosa fosse. 

    Dovevo dirgli qualcosa, dovevo distrarlo da quella tristezza che colpiva anche me come il riflesso di uno specchio a misura doppia. Prima di andare volevo vedere il sorriso sul suo volto, non il dolore.

    «Tornerò la prossima volta che lui è via», promisi con un moto impulsivo.  

    «Che lui è via?». Jacob alzò gli occhi al cielo. «Che modo carino di descrivere quello che fa. Disgustosi parassiti».

    Aggrottai le sopraciglia. Ero riuscita a distrarlo, ma la conseguenza aveva finito per irritarmi. «Se non cambi maniere, non torno più!», lo minacciai, cercando di liberarmi la mano. Rifiutò di lasciarmi andare.

    «Sì, non ti arrabbiare», ghignò. «Reazione istintiva».

    «Io cercherò di tornare, ma tu impegnati a comportarti come si deve, okay?».

    Restò in silenzio. Ero stufa di questa guerra tra creature leggendarie. Era la fonte principale delle nostre sofferenze.

    «Ascolta bene. Non m'interessa chi è un vampiro e chi un licantropo. È irrilevante. Tu sei Jacob, lui è Edward, io sono Bella. Il resto non conta».

    Socchiuse gli occhi leggermente. «Ma io sono un licantropo», disse, poco convinto. «E lui è un vampiro», aggiunse con ovvia repulsione.

    «E io sono della Vergine!», gridai esasperata.

    Alzò un sopracciglio, misurando curioso la mia espressione. Infine scrollò le spalle.

    «Se riesci a vederla così…».

    «Ci riesco. E lo faccio».

    «Okay. Soltanto Bella e Jacob. Niente strane Vergini in giro». Mi sorrise, con quel sorriso caldo, familiare, che mi era mancato così tanto. Sentii un sorriso di risposta allargarsi sul mio viso.

    Missione compiuta.

    «Sono così felice di averti rivisto, Jake», confessai di getto prendendogli anche l’altra mano.

    «Anch’io, Bells», e il suo sorriso si allargò. Il suo sguardo era felice e limpido, per una volta libero dall'amarezza rabbiosa. «Più di quanto immagini. Tornerai presto?».

    «Il più presto possibile», promisi.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 09 - Week End ***


Rieccomi qua ragazze ^__^!

Missrikottina, lo so, mi dispiace di aver inserito moltissimi passaggi originali, e non posso nemmeno modificarli perché l’ho già finita di scrivere e molte persone la conoscono così come la leggi :(. Devi avere un po’ di pazienza, magari puoi saltare le parti che conosci a memoria (in corsivo) e leggere quelle scritte da me. Comunque in questo capitolo (come anche nei prossimi capitoli), ne ho riassunti due del libro, ma altre parti erano necessarie ed erano comunque sfruttabili. Inoltre le parti di Jacob non le potevo tagliare ù___ù, sono le parti più belle della saga! Ricordati sempre che la mia è una saga parallela, cioè “come avrebbe scritto la Meyer se Bella avesse fatto un’altra scelta?”. Gli avvenimenti sono quelli, ma Bella è già molto diversa, anche se è un po’ confusa. Già quello mi sembra una modifica piuttosto importante ^__^. E piano piano gli stessi avvenimenti più importanti prenderanno una piega totalmente diversa dall’originale. Posso dirti che il capitolo 14 è praticamente tutto mio, e non solo quello, e lì ci sarà la svolta ^___^. Inoltre metto sempre due capitoli, quindi non arrivi mai in ritardo. Ringrazio dei commenti e vi auguro buona lettura!

 

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

    Sorridevo, mentre percorrevo la strada che mi portava a casa di Angela. Quella fuitina mi aveva fatta sentire libera e spericolata. Ma non appena guardai nello specchietto retrovisore, il sorriso si spense dalle labbra.

    La Volvo argentata di Edward era incollata dietro di me, e vedevo i suoi occhi rabbiosi incenerire il mio riflesso sullo specchietto.

    Ricambiai accigliata.

    Non aveva il diritto di starmi addosso in quel modo, stava oltrepassando ogni limite. E non gli conveniva farmi arrabbiare.

    Pensai di accostare per dirgliene quattro. Ma ero troppo vigliacca per affrontarlo. Speravo di poter guadagnare un po' di tempo per prepararmi…e per avere Charlie accanto come paraurti. Almeno l'avrebbe costretto a non alzare la voce.

    La Volvo mi stava incollata. Tenni gli occhi dritti sulla strada.

    Guidai fino a casa di Angela, e quando parcheggiai nel suo vialetto, vidi la macchina di Edward proseguire a tutta velocità. L’appuntamento con Anglea era diventato il mio paraurti. Per il momento.

    Suonai il campanello e mi accolse Ben, pronto per andare al cinema e lasciare noi signorine a sgobbare. Quando Angela mi mostrò quanti inviti occorresse preparare, mi venne un colpo. Così ci mettemmo subito a lavoro, tra poche chiacchere e piacevoli silenzi.

    «C'è qualcosa che non va?», mi chiese a voce bassa. «Mi sembri… in ansia».

    Sorrisi impacciata. «È così evidente?».

    «Non proprio».

    Forse mentiva per farmi sentire meglio.

    «Non sei costretta a parlarne, se non vuoi», mi rassicurò. «Ma se credi che ti sia d'aiuto, ti ascolto».

    Stavo quasi per dirle "grazie, ma è meglio di no". Erano troppi i segreti che mi ero impegnata a mantenere. Non potevo discutere i miei problemi con un essere umano. Andava contro le regole.

    Tuttavia, con una strana e improvvisa intensità, era proprio ciò che volevo. Volevo parlare con un'amica normale, umana. Volevo lamentarmi un po', come ogni altra ragazza. Volevo che i miei problemi fossero semplici.

    Volevo sentirmi normale, per una volta.

    E poi mi avrebbe fatto bene che qualcuno al di fuori di tutto quel caos licantropo-vampiresco rimettesse le cose nella giusta prospettiva. Qualcuno di imparziale.

    «Va bene, mi farò i fatti miei», promise Angela, sorridendo mentre guardava l'indirizzo sulla sua busta.

    «No», dissi. «Hai ragione. O meglio, più che in ansia sono un po’…infastidita. È… per via di Edward».

    «Che c'è che non va?».

    Era così semplice parlare con Angela. Quando faceva una domanda come quella, sapevo che non era morbosa o in cerca di pettegolezzi come Jessica. Si preoccupava per me.

    «Oh, è arrabbiato con me».

    «Incredibile», disse. «Perché?».

    Sospirai. «Ti ricordi Jacob Black?».

    «Ah», disse.

    «Ecco».

    «È geloso, anche se mi è sembrato di capire che non state più insieme».

    «No, non geloso…». Avrei dovuto stare zitta. Non c'era modo di spiegare come stavano davvero le cose. Eppure volevo continuare a parlare. Non mi ero resa conto di essere così affamata di conversazione umana. «Edward crede che Jacob abbia… una cattiva influenza, credo. Che sia più o meno… pericoloso. Ma la cosa è assolutamente ridicola, Jacob è un bravo ragazzo, e non ha il diritto di separarmi da lui. Specie dopo essersene andato mesi fa», dissi irritata.

    Rimasi sorpresa di fronte ad Angela che scuoteva la testa.

    «Che c'è?».

    «Bella, ho visto come ti guarda Jacob Black. Scommetto che il vero problema è la gelosia. Anche perchè sono convinta che Edward sia ancora molto innamorato di te».

    «Non c'è niente fra me e Jacob», dissi fissando la punta della penna blu. «E comunque, innamorato o no, Edward non ha il diritto di comportarsi così. Non stiamo nemmeno insieme».

    «Bè infondo non hai torto. Comunque forse per te non c’è nulla. Ma per Jacob…».

    Non risposi. Sapevo che Jake voleva più di un’amicizia. Molto di più.

    «Edward è un essere umano, Bella. Reagisce come tutti i ragazzi».

    Feci una smorfia. A quell'affermazione non c'era risposta possibile.

    Mi sfiorò la mano. «Gli passerà».

    «Lo spero. Jake sta passando un brutto periodo. Ha bisogno di me».

    «Tu e Jacob siete molto vicini, vero?».

    «È quasi uno di famiglia», confermai.

    «E a Edward lui non piace. Dev'essere dura. Chissà come reagirebbe Ben…», rimuginò.

    Abbozzai un sorriso. «Forse come tutti i ragazzi».

    Sorrise. «Forse».

    Dopo parlammo del più e del meno, e nel frattempo riuscimmo a finire di trascrivere tutti gli indirizzi sulle buste degli inviti. Quando arrivò Ben, avevamo già finito il lavoro. Salutai Angela che mi ringraziò per tutto, e uscì con le chiavi in mano.

    Saltai inquieta sul pick-up, ma la strada era deserta. Durante il viaggio occhieggiavo ansiosa in tutti gli specchietti, ma non c'era traccia dell'auto argentata.

    Non la trovai neanche davanti a casa. Il che significava che me lo sarei ritrovato nella mia stanza. Non avrebbe aspettato a vederci l’indomani a scuola.

    «Bene», borbottai tra me. «Non mi troverà impreparata».

    Scesi dal mio pick-up e sbattei rumorosamente la portiera. Era un avviso che avrebbe dovuto interpretare come uno schiaffo.

    Come al solito, Charlie era davanti all’ennesima partita, e ovviamente Billy gli aveva spifferato che ero andata a trovare Jacob. Ne fu contento. Io però avevo bisogno di parlare faccia a faccia con un certo vampiro.

    «Vado a studiare», annunciai accigliata salendo le scale.

    «A dopo», rispose Charlie.

    Chiusi con attenzione la porta della stanza, prima di voltarmi a guardare.

    Ovviamente lui era lì. Appoggiato alla parete di fronte a me, nell'ombra, accanto alla finestra aperta. La sua espressione era dura, la postura tesa. Mi fissava silenzioso.

    Lo fissai di rimando e incrociai le braccia, seccata.

    «Ciao», dissi con una smorfia.

    Il suo viso sembrava scolpito nella roccia. Contai fino a cento dentro di me, ma non cambiò espressione.

    «Ehm… guarda un po', sono ancora viva», sciolsi le braccia e le allargai.

    Un ruggito cupo risuonò nel suo petto, senza che cambiasse espressione. «Non si è fatto male nessuno», insistetti scrollando le spalle.

    Si mosse. A occhi chiusi, si chiuse le narici con le dita della mano destra.

    «Bella», sussurrò. «Hai idea di quanto sono stato vicino a superare il confine oggi? A infrangere il patto per venirti a cercare? Sai che conseguenze ci sarebbero state?».

    Accidenti al patto, pensai. Quello era un punto sul quale non potevo controbbattere più di tanto.

    Cercai di difendermi. «Nessuno ti ha chiesto di farlo», risposi acida.

    «Se ti avesse fatto del male…».

    «Basta!», lo interruppi. «Non c'è niente di cui preoccuparsi. Jacob non è pericoloso».

    «Bella». Alzò gli occhi al cielo. «Tu non sei esattamente il miglior giudice per dire che cosa è pericoloso e che cosa non lo è».

    «Di Jake non devo preoccuparmi. E neanche tu! Ficcatelo bene in testa!».

    Serrò i denti. Aveva le mani chiuse a pugno sui fianchi e restava in piedi contro il muro. […]

    Respirai a fondo e attraversai la stanza. Non si mosse quando fui abbastanza vicina da sentire il freddo emanato dal suo corpo.

    «Mi dispiace averti messo in ansia», farfugliai un po’ più calma.

    Con un sospiro si rilassò. […]

    «In ansia è un eufemismo», mormorò. «È stata una giornata molto lunga».

    «Non dovevi venirlo a sapere. Pensavo che sareste tornati più tardi dalla caccia».

    Fissai il suo viso, il suo sguardo sulla difensiva; nella frenesia del momento non l'avevo notato, ma gli occhi erano troppo scuri. Le occhiaie erano profonde e purpuree. Aggrottai le sopracciglia in segno di disapprovazione.   

    «Quando Alice ti ha visto sparire, sono tornato indietro».

    «Non avresti dovuto. Ora dovrai andare via di nuovo». Intensificai lo sguardo.

    «Posso aspettare».

    «È ridicolo. Voglio dire, so che lei non poteva vedermi con Jacob, ma tu avresti dovuto sapere…».

    «Ma non sapevo. E non puoi pretendere che io ti permetta…».

    «Oh, sì che posso», lo interruppi. «È proprio ciò che pretendo…».

    «Non succederà più».

    «Esatto! Perché la prossima volta non reagirai così».

    «Perché non ci sarà una prossima volta».

    «Quando sei tu a dovertene andare me ne faccio una ragione, anche se non mi fa piacere con Victoria in giro».

    «Non è la stessa cosa. Io non rischio la vita».

    «Neanche io».

    «I licantropi rappresentano un rischio».

    «Non sono d'accordo».

    «Non tollero discussioni su questo, Bella».

    «Infatti».

    Stringeva di nuovo i pugni. […]

    Le parole uscirono da sole, senza pensare. «Si tratta davvero della mia sicurezza?».

    «Che vuoi dire?».

    «Non sei…». La teoria di Angela non mi sembrava poi così assurda. «Sai che non devi essere geloso, vero? Non stiamo insieme», affilai lo sguardo.

    «Lo so», rispose serio.

    «E allora perchè ho l’impressione che ci sia qualcosa sotto? Tu hai paura che scelga, non è vero? Hai paura che scelga lui», incrociai di nuovo le braccia e alzai il viso in segno di sfida. «Per questo che fai di tutto per non farmelo vedere, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Come hai fatto tu», dissi tagliente come la lama di un bisturi sulle note di un vecchio pensiero.

    «Non contesterei la tua decisione, Bella, lo sai. Te l’ho detto, temo per la tua incolumità».

    Aggrottai la fronte, sospettosa. «O invece… c'è qualcos'altro? Qualche assurdità tipo vampiri-e-licantropi-nemici-per-sempre? Una lotta a chi ha più testosterone…».

    Contemporaneamente mi domandai se i vampiri avessero testosterone, dato che le attività fisiologiche si erano interrotte. Dei licantropi non avevo bisogno di chiedermelo…

    I suoi occhi s'infiammarono. «Riguarda soltanto te. L'unica cosa che voglio è che tu sia al sicuro», ripetè con voce glaciale.

    Il fuoco nero nei suoi occhi non lasciava spazio ai dubbi.

    «Come vuoi, ma devo dirti una cosa. Per quanto riguarda questa assurdità dei nemici, io non voglio saperne. Sono territorio neutrale. Sono la Svizzera. Mi rifiuto di lasciarmi coinvolgere in dispute territoriali fra creature mitiche. Jacob è uno di famiglia, il mio migliore amico. Il nostro legame è nato quando tu non c’eri, a maggior ragione non hai il diritto di spezzarlo. E non m'interessa se uno è un licantropo e l'altro un vampiro. Se mai scopriremo che Angela è una strega, si unirà alla festa anche lei».

    Mi fissò in silenzio, lo sguardo torvo.

    «Svizzera», ribadii per dare più enfasi.

    Scuro in volto, fece un sospiro. «Bella…», attaccò, poi fece una pausa e arricciò il naso, disgustato.

    «Che c'è ora?».

    «Be'… non ti offendere, ma puzzi di cane», mi disse.

    Poi sorrise impertinente e capii che la schermaglia era finita. Per il momento.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    La battuta di caccia sfumata fu rimandata al venerdì sera quando Edward, Jasper, Emmett e Carlisle si sarebbero diretti verso una riserva in California del Nord che aveva problemi con i puma.

    Sulla questione dei licantropi non avevamo raggiunto nessun accordo, ma non mi sentii in colpa a chiamare Jake […] per fargli sapere che sarei andata di nuovo a trovarlo il sabato seguente.

    Non c'era niente di furtivo. Edward sapeva ciò che sentivo. E se avesse smontato di nuovo il pick-up, avrei chiamato Jacob e mi sarei fatta venire a prendere. Con il benestare di Sam, ovviamente.

     Forks era neutrale, come la Svizzera. Come me.

    Ma quel fine settimana accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata: gli uomini della famiglia Cullen, erano partiti presto per tornare presto, ed Edward aveva comprato Alice con una macchina italiana super veloce, di cui si era innamorata durante un programma televisivo, per tenermi d’occho ogni volta che stava via.

    Peggio di uno psicotico.

    Ma il meglio doveva ancora arrivare.

    Essendo questi gli accordi, ed essendoci rimaste solo le donne a casa Cullen, Alice aveva organizzato un pigiama party fra le loro quattro mura. Ed io ero l’ostaggio, naturalmente. Lo consideravo un rapimento, ed ogni volta che lo dicevo, mugugnando infastidita, Alice non mi contraddiceva.

    Ovviamente fui costretta a disdire l’appuntamento con Jacob per quel sabato.

    «Posso usare il tuo telefono?», le chiesi una volta intrappolata in casa sua.

    «Charlie sa dove sei».

    «Non devo chiamare Charlie», risposi imbronciata. «Temo di dover annullare certi piani».

    «Oh». Ci pensò su. «Non saprei».

    «Alice…», piagnucolai. «Dai!».

    «Okay, okay», disse e svanì dalla stanza. Tornò mezzo secondo dopo con il cellulare in mano.

    «Su questo dettaglio non ha imposto divieti…», borbottò mentre me lo passava.

    Feci il numero di Jacob, nella speranza che non fosse in giro con gli amici proprio quella sera. La fortuna era dalla mia parte: rispose lui.

    «Pronto?».

    «Ciao, Jake, sono io». Alice mi guardò inespressiva per un secondo, poi tornò a sedersi sul divano fra Rosalie ed Esme.

    «Ciao, Bella», disse Jacob improvvisamente cauto. «Che succede?».

    «Niente di bello. Non posso più venire sabato».

    Restò in silenzio per un minuto. «Stupido succhiasangue», mugugnò infine. «Pensavo che sarebbe partito. Quando non c'è hai il divieto di vivere? O ti tiene chiusa dentro una bara?».

    Scoppiai a ridere.

    «Non mi sembra così divertente».

    «Rido solo perché ci sei andato vicino», gli dissi. «Ma sabato sarà di ritorno,

perciò non importa».

    «È rimasto a mangiare qui a Forks, eh?», chiese Jacob sarcastico.

    «No». Mi sforzai di non irritarmi. In fondo ero arrabbiata quasi quanto lui. Anzi, senza quasi. Ero furiosa.

    «Ha anticipato la partenza».

    «Ah. Be', dai, vieni adesso allora», disse con improvviso entusiasmo. «Non è tanto tardi. Oppure vengo io da Charlie. Se lui non c’è, Sam sarà tranquillo, e in ogni caso, sono riuscito a convincerlo. Gli sono piaciuto, quando sono passato alla tua scuola», disse fiero di se.

    «Magari. Non sono da Charlie», dissi con voce amara. «Mi hanno fatta prigioniera, più o meno».

    Rimase in silenzio a rimuginare, poi ruggì. «Veniamo subito a prenderti», promise impassibile, passando automaticamente al plurale.

    Un brivido mi corse lungo la schiena, ma risposi in tono leggero e provocatorio.

    «Prospettiva attraente. Sono stata anche torturata: Alice mi ha dipinto le unghie».

    «Dico sul serio».

    «Non è il caso, anche se mi piacerebbe. Stanno soltanto cercando di tenermi al sicuro».

    Ruggì di nuovo.

    «So che è stupido, ma lo fanno con il cuore».

    «Ma quale cuore!».

    «Scusami per sabato. Ora vado a buttarmi a letto» - divano, corressi mentalmente - «ma ti chiamo presto».

    «Sei sicura che te lo permetteranno?», chiese sarcastico.

    «Non del tutto». Sospirai. «'Notte, Jake».

    «A presto».

    Alice all'improvviso mi fu accanto, con la mano tesa verso il telefono, ma io stavo già facendo il numero. Lei lo vide.

    «Non credo che abbia con sé il cellulare», disse.

    «Lascerò un messaggio».

    Il telefono squillò quattro volte, seguito da un bip. Non c'erano messaggi preregistrati.

    «Edward Cullen», scandii enfatizzando ogni parola. «Sei a un tanto così», benchè non potesse vedermi dal telefono, distesi l’indice e il pollice della mano destra, lasciando una piccola linea d’aria tra le due dita. «dal farti odiare», conclusi rabbiosa.

    Chiusi il telefono con uno schiocco e lo riposi nella mano ansiosa di Alice. «Fatto».

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Quella notte poi, non chiusi praticamente occhio. Lo shock era stato troppo forte. La stanza di Edward, dove avrei dovuto dormire, era stata scombussolata dalla presenza di un letto gigante, con le lenzuola dorate e la struttura in ferro battuto, piazzato al centro della camera.

    Quando lo vidi mi si gelò il sangue.

    Non ebbi né il coraggio né l’umore giusto per dormire su quel mostro, preferivo il divano nero confinato in un angolo. Prima che prendessi sonno, mi venne a trovare l’ultima persona con cui pensassi di parlare.

    Rosalie.

    E quell’incontro fu sconvolgente: aveva deciso di raccontarmi la sua triste storia, di come era diventata vampira, e di come era felice che adesso avessi cambiato idea sul divenirlo anch’io.

    Accadde tutto nel 1933, quando aveva la mia stessa età. Era felice, bella, ricca e superficiale. Si doveva sposare con un certo Royce King II, figlio del banchiere per il quale lavorava il signor Hale, il padre di Rosalie. Un bellissimo giovane, elegante, ricchissimo e ben educato. Sembrava rapito dalla bellezza di Rosalie.

    Già, sembrava.

    Una sera tardi, di ritorno dalla sua amica Vera, che aveva avuto un dolcissimo bambino, fu fermata dal suo promesso sposo e da un gruppo di suoi amici. Tutti ubriachi e disinibiti, incuranti del terrore che incutevano all’indifesa Rosalie. Quello che le fecero fu orribile, e non ebbe la forza di raccontarmelo, ma era abbastanza chiaro.

    Fu Carlisle a trovarla in fin di vita, era quasi troppo tardi, talmente era mal ridotta. Quando iniziò la trasformazione per salvarla, Edward ed Esme erano li con Carlisle.

    «"Cosa ti è saltato in mente, Carlisle?", diceva Edward. "Rosalie Hale?"». Rosalie imitava il tono irritato di Edward alla perfezione. «Non mi andava il modo in cui pronunciava il mio nome, come se in me ci fosse qualcosa che non andava.

    "Non potevo lasciarla morire", rispose Carlisle tranquillo. "Era troppo… troppo orribile, uno scempio tremendo".

    "Lo so", rispose Edward, come se volesse liquidare la faccenda. La cosa m'irritò. Allora ignoravo che lui sapeva tutto ciò che Carlisle aveva visto.

    "Era uno scempio. Non potevo lasciarla lì", ripeté Carlisle in un sussurro.

    "Certo che no", annuì Esme.

    "Con tutta la gente che muore", commentò Edward con voce dura. "A ogni modo, non ti pare sia un po' troppo riconoscibile? I King attraverseranno mari e monti per ritrovarla, anche se nessuno sospetterà di quel maniaco",ruggì. Ero felice che sapessero che il colpevole era Royce. Ancora non capivo che era quasi finita, che stavo diventando più forte e riuscivo a concentrarmi sui loro discorsi. Il dolore iniziava a scivolare via.

    "Cosa ne faremo?", disse Edward con un tono che mi sembrò di disgusto. Carlisle sospirò. "Dipende da lei, ovviamente. Potrebbe volersene andare per conto suo". Gli avevo creduto quanto bastava per sentirmi terrorizzata.

    Sapevo che la mia vita era finita, che non sarei più tornata indietro. Non potevo sopportare il pensiero di rimanere sola… Alla fine il dolore svanì; mi spiegarono di nuovo cos'ero diventata. Questa volta compresi. Sentivo la sete, la pelle dura; vidi i miei brillanti occhi rossi. Superficiale com'ero, quando scorsi la prima volta la mia immagine riflessa nello specchio, mi sentii meglio. A parte gli occhi, ero la cosa più bella che avessi mai visto». Rise tra sé per un attimo. «Ci volle un po' di tempo prima che iniziassi a incolpare la mia bellezza di ciò che era accaduto, perché capissi che era stata una sciagura… per desiderare di essere, non dico brutta, ma normale. Come Vera. Così avrei potuto sposare qualcuno che mi amava, e avere dei bei bambini. Era questo ciò che volevo davvero, in fondo. Non mi sembra di aver chiesto troppo».

    Non avevo idea del perchè, al pronunciare di queste sue ultime parole, pensai istintivamente a Jacob. Forse perché con Edward non avrei mai potuto avere dei figli, se mai un giorno ne avessi voluti. Ma con Jacob…

    «Sai, il mio curriculum è pulito quasi come quello di Carlisle», disse interrompendo i miei strani pensieri.

    «Meglio di Esme. Mille volte meglio di Edward. Non ho mai assaggiato sangue umano», annunciò orgogliosa. Comprese la mia espressione interrogativa: mi stavo chiedendo il perché di quel "quasi".

    «Ho ucciso cinque umani», mi disse in tono compiaciuto. «Se davvero si possono chiamare umani. Ma ho fatto molta attenzione a non succhiarne il sangue. Sapevo che non sarei stata capace di resistere, e non volevo che qualcosa di loro mi restasse dentro. Royce l'ho lasciato per ultimo. Speravo che venisse a sapere della morte dei suoi amici e che capisse cosa lo aspettava. Speravo che la paura potesse peggiorare la sua fine. Credo di esserci riuscita. Si era rifugiato dentro una camera senza finestre, dietro una porta spessa come un forziere, sorvegliato da uomini armati, quando lo presi. Ecco, sette omicidi», si corresse. «Mi ero dimenticata delle guardie. C'è voluto solo un secondo. Forse ho esagerato con la messinscena. Forse è stata un po' infantile. Indossavo un abito da sposa che avevo rubato per l'occasione. Quando mi vide scoppiò a urlare. Urlò parecchio, quella notte. Fu una buona idea lasciarlo per ultimo. Per me diventava più facile controllarmi, se agivo più lentamente…».

    S'interruppe di colpo e mi fissò. «Scusami», disse imbarazzata. «Ti sto spaventando, vero?».

    «Sto bene», mentii.

    In effetti mi aveva spaventata a morte, ma non volevo allarmarla. Ora che le acque si erano calmate con lei, ero ben disposta a sperare che diventassimo amiche. Aveva sofferto tanto.

    Fortunatamente il vero amore arrivò anche per lei. Salvò Emmett dall’attacco mortale di un orso gigante, ora diventato il piatto preferito del suo amato, e chiese il favore a Carlisle di trasformarlo per lei.

    Non si fidava di se stessa.

    Quando vide Emmett, con i suoi riccioli neri, le fossette evidenti e quell’aria innocente le ricordò il bambino della sua vecchia amica Vera. Le ricordò la vita che aveva perso con tutte le sue possibilità. E da quel giorno non si separarono più.

    Dopo che Rose si scusò per l’incursione notturna e per avermi spaventata, si dileguò fuori dalla stanza illuminata solo dalla luce lunare. In una promessa di amicizia.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Il giorno dopo Alice mi accompagnò a scuola. Stizzita, guardai per tutto il tempo fuori dal finestrino. Le ore di sonno arretrato non facevano che aumentare l'irritazione per la prigionia.

    «Stasera andiamo a Olympia, o in giro», promise. «Ci divertiamo, ti va?».

    «Perché non mi chiudi in cantina», suggerii, «e la smetti con questi contentini?».

    Alice si accigliò. «Si riprenderebbe la Porsche. Non sto facendo del mio meglio. Dovresti divertirti».

    «Non è colpa tua», farfugliai. Non potevo crederci, eppure mi sentivo in colpa. «Ci vediamo a pranzo».

    Mi diressi verso l'aula di inglese. Appena sarebbe rientrato Edward gliene avrei dette non quattro, ma otto. Rimasi imbronciata per tutta la prima ora, conscia che un simile atteggiamento non mi aiutava.

    Al suono della campana, mi alzai senza entusiasmo. Mike era lì sulla porta e me la tenne aperta.

    «Edward si dà al trekking, questo fine settimana?», chiese affabile mentre uscivamo, sotto la pioggia leggera.

    «Sì».

    «Ti va di uscire stasera?».

    Come poteva sperarci ancora?

    «Non posso. Ho un pigiama party», mugugnai. Rispose con uno sguardo strano e tentò di decifrare il mio umore.

    «Con chi?».

    La domanda di Mike fu interrotta da un ruggito cupo e potente che veniva dal parcheggio alle nostre spalle.

    Tutti si girarono a guardare increduli mentre la moto nera e rumorosa frenava sgommando sull'asfalto, senza smettere di ringhiare.

    Jacob mi fece un gesto agitato.

    «Corri, Bella!», gridò più forte del rombo del motore.

    Rimasi di sasso per un secondo prima di capire.

    Lanciai un'occhiata a Mike. Sapevo di avere pochi secondi.

    Alice avrebbe avuto il coraggio di riacciuffarmi in pubblico?

    «Mi sentivo molto male e sono andata a casa, okay?», dissi a Mike, la voce piena di frenesia improvvisa.

    «Va bene», bofonchiò.

    Lo ricompensai con un bacetto sulla guancia. «Grazie, Mike. Ti devo un favore!», dissi correndo via.

    Jacob diede giri al motore, sorridente. Saltai in sella e mi strinsi forte a lui. Vidi Alice, impietrita davanti alla mensa, con gli occhi scintillanti di furia, i denti scoperti.

    Le lanciai uno sguardo implorante.

    Poi schizzammo sull'asfalto, così veloci che il mio stomaco non riuscì a starci dietro.

    «Aggrappati», gridò Jacob.

    Nascosi il viso contro la sua schiena mentre accelerava sull'autostrada. Sapevo che avrebbe rallentato solo in prossimità del confine dei Quileute.

    Fino ad allora dovevo solo aggrapparmi forte. Pregai in silenzio e con fervore che Alice non ci seguisse, e che Charlie non mi vedesse…

    Mi accorsi subito che avevamo raggiunto l'area protetta. La moto rallentava e Jacob si raddrizzò scoppiando a ridere. Aprii gli occhi.

    «Ce l'abbiamo fatta», gridò. «Niente male come evasione, eh?».

    «Ottima idea, Jake».

    «Mi sono ricordato di quando hai detto che la sanguisuga veggente non è capace di prevedere le mie azioni. Meno male che non ci hai pensato tu. Non ti avrebbe permesso di andare a scuola».

    «Per questo non l'ho preso in considerazione».

    Sorrise trionfante; «Che cosa vuoi fare oggi?».

    «Tutto!», risposi ridendo. Che gran cosa essere liberi.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Lucchetto ***


In questo capitolo le modifiche/aggiunte sono molto importanti, e noterete che una certa scena avrà un esito completamente diverso dall’originale. Un consiglio: non disperate ^__^. Buona lettura!

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

  

    Finimmo di nuovo sulla spiaggia, a girovagare senza meta. Jacob era ancora tronfio per aver organizzato la mia fuga.

    «Credi che verranno a cercarti?», domandò, quasi speranzoso.

    «No». Ne ero certa. «Ma in compenso stasera saranno furiosi con me».

    Raccolse un sasso e lo lanciò fra le onde.

    «Allora non tornare», insistette.

    «Charlie ne sarebbe molto felice», risposi sarcastica.

    «Scommetto che non gli dispiacerebbe».

    Feci spallucce. Non mi sorprenderei se Jacob avesse ragione[…].La spudorata preferenza di Charlie per i miei amici Quileute era palese. Chissà se avrebbe reagito allo stesso modo sapendo che l'alternativa era fra licantropi e vampiri.

    «E allora, qual è l'ultimo scandalo del branco?», chiesi frivola.

    Jacob si fermò di colpo e mi fissò sconvolto.

    «Che c'è? Era uno scherzo».

    «Ah». Guardò lontano.

    Aspettai che ricominciasse a camminare, ma sembrava perso nei suoi pensieri.

    «C'è davvero qualche scandalo?», insistetti.

    Jacob sogghignò. «Ho dimenticato come si sta se non hai qualcuno accanto

che sa sempre tutto. Conservare uno spazio tranquillo e privato nella mente».

    Per un po' camminammo in silenzio sulla spiaggia di ciottoli.

    «Di che si tratta?», chiesi infine. «Cos'è che tutti nella tua testa già sanno?».

    Esitò per un istante, come se non fosse sicuro di ciò che stava per raccontare. Poi disse: «Anche Quil ha avuto l'imprinting. Con lui fanno tre. Stiamo iniziando a preoccuparci. Forse è più comune di quanto dicono le leggende…». Si voltò verso di me e mi fissò negli occhi senza parlare, con la fronte corrugata per la concentrazione.

    «Cosa stai guardando?», chiesi imbarazzata.

    Sospirò. «Niente».

    Jacob riprese a camminare. Quasi senza pensare allungò il braccio e mi prese per mano. Attraversammo le rocce in silenzio.

    Pensai a come dovevamo apparire, mano nella mano sulla spiaggia – una coppia, certamente - e mi chiesi se avrei dovuto oppormi. Ma con Jacob era sempre stato così… non c'era ragione di agitarsi. Si come no, ma a chi voglio prendere in giro?

    «Perché l'imprinting di Quil è uno scandalo?», chiesi quando fu chiaro che non avrebbe proseguito. «Forse perché è l'ultimo arrivato?».

    «Non c'entra niente».

    «E allora qual è il problema?».

    «È un'altra di quelle leggende. Smetteremo mai di sorprenderci del fatto che sono tutte vere?», mormorò.

    «Me lo vuoi dire? O devo indovinare?».

    «Non indovineresti mai. Allora, come sai, Quil è tornato con noi da poco. Perciò non ha mai frequentato granché la casa di Emily».

    «Anche Quil ha avuto l'imprinting con Emily?», esclamai.

    «No! Ti ho detto che non puoi indovinare. A casa di Emily c'erano le sue due nipoti… e Quil ha conosciuto Claire».

    Tacque. Meditai per qualche istante.

    «Emily non vuole che sua nipote stia con un licantropo? Un ragionamento un po' ipocrita», dissi.

    Ma capivo perché la vedesse così. Pensai alle lunghe cicatrici che le avevano sfregiato il viso e tutto il braccio destro. Sam aveva perso il controllo una volta sola, vicino a lei. Ed era bastata… Avevo visto il dolore negli occhi di Sam mentre guardava ciò che aveva fatto a Emily. Capivo perché lei volesse proteggere sua nipote.

    «Per favore, potresti smettere di tirare a indovinare? Sei fuori strada. A Emily non importa di questo; il fatto è che, be', è un po' troppo presto».

    «In che senso?».

    Jacob mi scrutò. «Prometti di non giudicare, okay?».

    Annuii con cautela.

    «Claire ha due anni», mi disse Jacob.

    Cominciò a piovere. Sbattei le palpebre furiosamente mentre le gocce mi colpivano il viso.

    Jacob aspettò in silenzio. Come sempre, non indossava il giubbotto; la pioggia gli riempiva di schizzi la maglietta nera e gocciolava dai suoi capelli arruffati. Mi guardava negli occhi, impassibile.

    «Quil ha avuto l'imprinting… con una bambina di due anni?», riuscii finalmente a chiedere.

    «Succede». Jacob scrollò le spalle. Si chinò a raccogliere un'altra pietra e la fece volare lungo la baia. «Così dicono le leggende».

    «Ma è una bambina», protestai.

    Il suo sguardo era ironico e cupo. «Quil non invecchierà più», mi ricordò con tono un po' acido. «Gli basterà pazientare qualche decennio».

    «Non… non so cosa dire».

    Cercavo con tutte le mie forze di non essere critica, ma in verità ero inorridita. Da quando avevo scoperto che non erano colpevoli degli omicidi di cui li sospettavo, il comportamento dei licantropi non mi aveva più infastidito.

    «Stai giudicando male», m'accusò. «Te lo leggo negli occhi».

    «Scusa», farfugliai, «è che mi spaventa un po'».

    «Non è come credi; non hai capito niente», Jacob difese l'amico con repentina veemenza. «Ho capito com'è, l'ho visto con i suoi occhi. Non c'è niente di romantico in tutto questo, non per Quil, non adesso». Fece un lungo sospiro, frustrato. «È difficile da descrivere. Non è un colpo di fulmine, davvero. È più… uno spostamento di gravità. Quando vedi lei, all'improvviso non è più la Terra che ti tiene attaccata a sé. È lei. E niente conta più di lei. Sai che per lei faresti qualsiasi cosa, per lei saresti qualsiasi cosa… Diventi tutto ciò di cui ha bisogno, che sia un protettore, un amante, un amico, o un fratello. Quil sarà il migliore, il più bravo fratello maggiore che una bambina abbia mai avuto. Nessun bimbo sul pianeta riceverà più cure e attenzioni di quella piccolina. Quando sarà più grande e avrà bisogno di un amico, lui sarà l'uomo più comprensivo, affidabile e fedele che lei abbia mai conosciuto. E quando lei sarà cresciuta, saranno felici come Emily e Sam». Parlando di Sam, un tono strano, quasi amaro gli tagliò la voce.

    Le sue parole mi diedero i brividi. Come poteva esistere una cosa così assurda? Non poteva essere così improvviso.

    «Claire ha possibilità di scelta?».

    «Certo. Ma perché non dovrebbe sceglierlo, alla fine? Lui sarà la sua perfetta metà. Esisterà soltanto per lei».

    Non capivo perché la cosa mi mettesse in ansia. Da come ne parlava, era un processo inarrestabile, una reazione chimica irreversibile, un punto di non ritorno. E se un giorno fosse successo anche a lui? Se avessi preso la grande mano calda del mio sogno e poco tempo dopo avesse avuto l’imprinting con una sconosciuta?

    Camminammo in silenzio per un attimo, poi mi fermai a lanciare un sasso nell'oceano. Cadde in spiaggia dopo pochi metri. Jacob rise.

    «Non tutti abbiamo forze sovrumane», borbottai. «A te quando credi succederà?» […].

    La sua risposta fu piana e immediata. «Mai». Il mio cuore fece tre battiti in uno, per quanto fu veloce.

    «È un istinto incontrollabile, o no?», chiesi subito ricomposta.

    Rimase in silenzio per un po'. Senza accorgercene avevamo preso tutti e due a camminare lentissimi.

    «In teoria, no», ammise. «Tutto sta nel "vederla", colei che ti dovrebbe essere destinata».

    «E tu pensi che non esista perché non l'hai ancora vista?», domandai scettica. «Jacob, tu hai visto ancora pochissimo del mondo. Persino meno di me».

    «Sì, è vero», disse a voce bassa. All'improvviso mi lanciò uno sguardo penetrante. «Ma non vedrò mai nessun'altra, Bella. Io vedo soltanto te. Anche quando chiudo gli occhi e provo a pensare a qualcos'altro. Chiedi a Quil o Embry. Li sto facendo impazzire».

    Puntai gli occhi sulle pietre.

    Ci eravamo fermati. L'unico suono era quello delle onde che s'infrangevano sulla battigia e copriva anche il rumore della pioggia.

    Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare aria per gonfiare i polmoni e permettermi di respirare.

    No, non doveva dirlo, mi aveva messo troppa ansia addosso! Le sue potevano essere parole gettate al vento, pronunciate nell’ignoranza di un’anima gemella nascosta da qualche parte. Che cercava il suo sguardo senza saperlo. E il giorno che Jacob lo avrebbe trovato, avrebbe dimenticato ogni dichiarazione nei miei confronti. Non potevo permettermi di subire altre voragini. Edward se n’era andato, ma mi amava ancora, e ancora mi ama. Ma Jake non mi avrebbe mai più amata. Non sarei più stata niente, mentre per me sarebbe stato tutto. La colla rinsecchita che teneva insieme i frammenti del mio cuore, non avrebbe resistito ad un colpo simile.

    All’improvviso, questo nuovo lato dei licantropi congelò la mia indecisione.

    «Forse è meglio che io torni a casa», sussurrai.

    «No!», protestò, sorpreso da questa conclusione.

    Lo guardai di nuovo. Ora l’ansia dominava i suoi occhi, come se gliel’avessi trasmessa in quell’istante.

    «Hai tutto il giorno libero, giusto? Il succhiasangue non sarà ancora tornato».

    Gli lanciai un'occhiataccia.

    «Senza offesa», aggiunse rapido.

    «Sì, ho tutto il giorno libero. Però, Jake…».

    Alzò le mani. «Scusa, davvero. Non volevo turbarti…è che…», ma non concluse la frase. Era diventato improvvisamente impacciato e non sapeva dove guardare.

    Meglio.

    Non volevo iniziare un discorso che avrebbe finito per svelargli i miei pensieri. Avevo la sensazione che non sarebbe stata una buona idea.

    Poi il suo volto bronzeo s’accese con un sorriso.

    «Andiamo, Bella. Torniamo a casa e prendiamo le moto. Devi guidare regolarmente se vuoi tenerti allenata». Un cambio d’argomento era quello che ci voleva.

    «Non credo che mi sia permesso».

    «Da chi? Dal succhia…da lui?».

    «Si da lui, lupacchiotto antipatico», risposi, con linguaccia a seguito.

    Ridemmo, e all'istante tornò il Jacob che più mi era mancato, solare e caloroso.

    Pazienza per l’imprinting. Finchè saremmo rimasti solo amici, non ci sarebbero stati problemi. Non ci sarebbero stati cuori spezzati, già mal ridotti in partenza. Decisi di chiudere il lucchetto del mio cuore e di nascondere la chiave dentro la mia anima.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    La pioggia si ammorbidì e si trasformò in nebbiolina.

    «Non lo dirò a nessuno», promise.

    «A parte tutti i tuoi amici».

    Scosse la testa serio e alzò la mano destra. «Prometto che non ci penserò».

    Scoppiai a ridere. «Se mi faccio male, è perché ho inciampato».

    «Come vuoi tu».

    Guidammo le moto sulle stradine secondarie attorno a La Push finché la pioggia non rese tutto troppo fangoso, così Jacob insistette che sarebbe svenuto se non avesse mangiato subito. Quando entrammo in casa, Billy mi salutò senza disagio, come se la mia riapparizione improvvisa significasse soltanto che volevo trascorrere una giornata con il mio amico, senza complicazioni.

    Dopo aver mangiato i panini preparati da Jacob, andammo in garage e lo aiutai a pulire le moto. Non ci andavo da mesi, da quando Edward era tornato, ma non sentii l'atmosfera delle occasioni speciali. Era uno dei tanti pomeriggi in garage.

    «Che bello», commentai mentre Jacob prendeva le bibite calde dalla borsa della spesa. «Questo posto mi è mancato».

    Sorrise, guardando il tetto arrangiato sopra la nostra testa. «Sì, ci credo. Tutto lo splendore del Taj Mahal, senza la fatica e la spesa di un viaggio in India».

    «Al piccolo Taj Mahal di Washington», brindai con la lattina in mano.

    La sfiorò con la sua.

    «Ti ricordi lo scorso San Valentino? Mi sa che è stata l'ultima volta che sei venuta qui. Cioè, l'ultima finché la situazione è rimasta… normale».

    Scoppiai a ridere. «Certo che ricordo. Ti ho promesso una vita intera di schiavitù in cambio di una scatola di cioccolatini. Certe cose non le dimentico, sai?».

    Rise con me. «Giusto. Schiavitù… vediamo un po'. Devo farmi venire una buona idea». Poi sospirò. «Sembrano passati anni. Era un'altra epoca. Più felice».

    Non sapevo se essere d’accordo oppure no. A parte il periodo buio senza Jake, e le mie vergognose peripezie, sono stata bene, e sto ancora bene. Non è poi così tragico essere single. D’altronde c’ero stata per una vita. E poi non ero sola, ero comunque circondata da amici al quale non avrei mai rinunciato per niente al mondo. Benchè il mondo di cui parlavo fosse delle favole.

     Fissai la foresta bagnata, fuori dalla porta. Aveva ricominciato a piovere ma nel piccolo garage faceva caldo, con Jacob accanto. Era confortevole come un caminetto.

    Le sue dita mi sfiorarono la mano. «Le cose sono davvero cambiate».

    «Sì», dissi e allungai il braccio ad accarezzare la ruota posteriore della moto. «Spero che Billy non  dica niente di oggi…». Restai in silenzio, incerta.

    «Non lo farà. Non se la lega al dito come probabilmente avrebbe fatto Charlie. Sei fortunata, sai, posso essere molto dispettoso se voglio», disse prima di ingurgitare il contenuto della lattina mentre mi guardava con la coda dell’occhio.

    Alzai un sopraciglio. «Che vuoi dire?».

    Smise di bere e distorse il viso con un ghigno arrogante.

    «Bè, mi sono immaginato una scena, quando stavamo tenendo d’occhio la zona per vedere se tornavano i Cullen. Ho immaginato che tu saresti caduta come una pera cotta tra le sue braccia, e che lui ti impedisse di vedermi. A quel punto avrei fatto in modo che Charlie ti mettesse in punizione, così almeno non avresti visto nemmeno lui. Saremmo stati pari».

    «Grazie per la pera cotta. E dimmi, Jake, in che modo Charlie mi avrebbe messa in punizione?», domandai incrociando le braccia. Non era difficile immaginarmi la risposta.

    Jacob lanciò un’occhiata eloquente alle due moto accanto a noi.

    Sgranai gli occhi dallo stupore, benchè ci avessi azzeccato. «Ti avrei odiato a morte! E nel tuo bel filmino non hai pensato al dispiacere che avresti dato a Charlie? Speravi gli venisse un infarto come è successo ad Henry Clearwater?».

    Aggrottò le sopraciglia e sussultò, ma non rispose. Certo che non ci aveva pensato. Sbuffai, ringraziando il fato che non fosse andata come si era immaginato.

    «Comunque, perché non lo hai fatto?», domandai curiosa e un po’ seccata.

    «Bè», si morse il labbro ed evitò di guardarmi. «Perché avevi cominciato a dimenticarlo, finalmente. Mi sono ricordato di quando abbiamo parlato nella tua stanza, del perchè non ti fossi buttata. Ho pensato che forse non ti saresti comportata come una pera cotta», disse imbarazzato. Poi incrociò il mio sguardo, e i suoi occhi brillarono nei miei. «Che stessi vagliando altre alternative».

    Restammo in silenzio per un attimo. Ricordai con imbarazzo quella notte, quando gli avevo raccontato la verità e mi aveva perdonata. Poi si schiarì la voce. «Così ti ho risparmiata», sorrise con finta innocenza.

    «Gentile da parte tua», commentai sarcastica. «Hai ragione, sai essere molto dispettoso».

    «Vero, ma non l’ho fatto, perciò rilassati e godiamoci la giornata e le bibite calde. Bevute con te hanno un sapore diverso, lo sapevi?», disse noncurante.

    «Scommetto che somiglia alla pera», brontolai guardandolo di sottecchi. Trattenne una risata.

    «Cotta», precisò con voce profonda. Gli diedi una spinta giocosa e scoppiammo di nuovo a ridere.

    Ricomposti dall’allegria, sorseggiammo dalle lattine. Non c’era imbarazzo in quel silenzio. Sentì Jacob sospirare piano.

    «Che c’è?», domandai.

    «Ho una domanda da farti, o meglio, ne ho diverse, ma preferisco farti questa, per adesso».

    D’istinto m’irrigidì. Certe sue domande scavavano troppo in profondità, stanando cose a cui non facevo caso. O alle quali avevo appena rinunciato.

    «Dimmi».

    Esitò, fissando la lattina che si rigirava tra le mani. «Perché la volta che ci siamo incontrati tutti e tre nel bosco dietro casa tua, hai detto che non erano affari miei se… se lui ti avesse morso?», Alle ultime parole rabbrividì visibilmente.

    «Non lo so», ammisi. «L’ho detto senza pensare. Sul momento mi sono sentita infastidita, sentendo che ti volevi intromettere nelle mie decisioni personali. Non mi piace sentirmi obbligata», risposi scuotendo la testa e corrugando le sopraciglia.

    Restò in silenzio a meditare sulle mie parole.

    «Ricordi poi cosa ti ho detto, vero?», mormorai.

    «Che hai cambiato idea», rispose senza togliere gli occhi dalla lattina con aria poco convinta.

    «Esatto».

    «La tua perenne indecisione mi terrorizza, Bella. Il giorno che tornerai da lui…», gli si spezzò la voce e riniziò con i tremori. Poi mi fulminò con uno sguardo nero. «Se volessi di nuovo fare quella assurdità non credo che potremmo restare amici», disse duro.

    Trasalì. Come temevo, quella scelta sarebbe costata la nostra amicizia.

    «Non accadrà, Jake. Da quando ho cercato di volare, ho capito molte cose. Era un vecchio capriccio, ma non ne ho più intenzione adesso», dissi in tono pacato.

    «Lo auguro ad entrambi. Non riesco ad immaginare niente di peggio che vederti trasformata in una fetida parassita! In una nemica da uccidere!», disse in un moto di rabbia improvvisa. Strinse la lattina in mano come fosse fatta di carta. «Per non parlare delle conseguenze», scosse la testa con un sorriso amaro. « I nostri bisnonni acconsentirono a conservare la pace perché i Cullen avevano giurato di essere diversi, di non essere pericolosi per gli umani. Promisero che non avrebbero mai più ucciso né trasformato nessuno. Se si rimangiassero la parola, il patto non avrebbe più significato. Diventerebbero di nuovo uguali a un qualsiasi altro vampiro. E a quel punto, ovunque siano…se noi li trovassimo…».

    «Ma, Jake, voi non avete già rotto il patto?», domandai intimorita. «Non prevedeva che non avreste dovuto rivelare a nessuno l'esistenza dei vampiri? Tu con me l'hai fatto. Questo non rende più o meno inutile il patto?».

    Jacob non apprezzò la precisazione. Guardò altrove e abbassò il tono di voce. «Sì, ho tradito il patto quando ancora non credevo a queste storie. E sono certo che loro ne sono stati informati. Ma questo non li autorizzerebbe a fare una cosa del genere. Una mano non lava l'altra. Se obiettano a ciò che ho fatto, hanno solo un'alternativa. La stessa alternativa che avremo noi se e quando romperanno il patto: attaccare. Dichiarare guerra». Poi finalmente incrociò il mio sguardo. «Quindi se ci tieni ai tuoi succhiasangue, vedi di ricordartelo», avvertì cupo.

    Rabbrividii. Mi ero resa conto che non avevo compreso pienamente questa faccenda. E più cose sapevo, meno mi piaceva.

    «Un motivo in più per non farlo. Però davvero non capisco le ragioni di tutto quest’odio», scossi la testa con aria afflitta.

    «Le ragioni ci sono, eccome», brontolò.

    Sospirai rassegnata. Guardai l’orologio che portavo al polso, si era fatto un pò tardi. «Jake, è meglio che torni a casa Cullen. Alice sarà già abbastanza preoccupata, non voglio causare ulteriori problemi».

    «Può preoccuparsi quanto vuole, qui sei al sicuro. Dormire sul divano è un sacrificio che compirei volentieri», disse con un sorriso.

    «Per favore Jake, Charlie sa che sto da loro. Sembra una di quelle scuse per passare la notte dal proprio ragazzo invece che dalle amiche».

    Mi accorsi troppo tardi di ciò che avevo appena detto. Arrossì violentemente delle mie stesse parole. Era troppo difficile tenere a bada i propri pensieri in sua presenza.

    «Passata da un’amico gli suonerebbe meglio?», suggerì e mi sorrise a labbra chiuse. Gli occhi neri e profondi scintillavano incapaci di contenere l’emozione. Non erano minimamente intenzionati a nascondermi che la prima prospettiva gli suonasse meglio della seconda.

    Chiusi gli occhi e risi del suo tentativo di tirarmi un tranello giocando sulle parole. «Si». Rise anche lui imbarazzato ed emozionato. «Vedila così: se mi lasci tornare a casa mi darai la possibilità di sgridare Edward per avermi rapita e costretta ad un’evasione pericolosa con un licantropo fuori di testa», promisi allegra, e poteva starne certo che l’avrei fatto.

    O forse no. Alla fine ero riuscita a tornare di nuovo a La Push, in un modo molto divertente per giunta.

    Il viso di Jacob esplose d’entusiasmo. «Potevi dirlo prima? Ti accompagno subito!». Alzai un sopraciglio come per ricordargli qualcosa. «Bè, almeno fino al confine del loro territorio», aggiunse un po’ deluso. Magari avrebbe voluto assistere alla scena. Risi e gli scompigliai i capelli più di quanto lo fossero già.

    «Dai andiamo», esortai.

    Trascinammo le due moto fuori, sotto la pioggia e non appena fummo nel viottolo fangoso, saltammo in sella e accendemmo il motore. La ruota posteriore sputò una cascata di fango verso il garage. Jacob mi affiancò alla mia stessa velocità, vedevo il suo sorriso gioioso nel buio della notte. Eravamo bagnati fradici.

    «Bells, ora devo tornare indietro», gridò per sovrastare il rombo delle moto. «Ti chiamo domani, va bene?».

    «Ok, ‘notte Jake», ma la mia voce non avrebbe mai potuto superare quel chiasso. Jake riuscì a sentirmi lo stesso.

    «Buonanotte Bells», rispose. «Fagli vedere chi sei!», aggiunse ridendo fragorosamente, prima di girare su se stesso per tornare indietro. Feci gli occhi al cielo ed accelerai verso casa Cullen.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Il vento quasi mi faceva gelare la pioggia sulla pelle e a metà strada battevo già i denti. Le moto non erano il trasporto ideale nello Stato di Washington. […] Spinsi la moto fino al cavernoso garage dei Cullen e non fui sorpresa di trovarvi Alice che mi aspettava, appollaiata con grazia sul tettuccio della Porsche, accarezzandone la vernice gialla.

    «Non sono riuscita a guidarla neanche una volta». Sospirò.

    «Bè, se non foste tutti così testardi, l’avresti usata per accompagnarmi fino al confine dei Quileute, anziché costringermi a fuggire su di un ex rottame», obiettai.

    «Ci penserò», disse tranquilla. Poi guardò con apprensione i miei vestiti bagnati.

    «Hai bisogno di una doccia calda», disse balzando  a terra con leggerezza.

    «Sì».

    Contrasse le labbra, osservandomi attentamente. «Sembri tutta intera».

    «Sono tutta intera», corressi.

    Fece un cenno d'assenso, ma il suo sguardo tradiva curiosità. Voleva i dettagli, dato che era come cieca quando mi mescolavo ai lupi.

    «Ti va di andare a Olympia stasera?».

    «No, veramente. Posso tornare a casa?».

    Fece una smorfia.

    «Non preoccuparti, Alice», dissi. «Se per te è più semplice, rimarrò».

    «Grazie», sospirò sollevata.

    Quella sera andai a letto presto e mi accoccolai di nuovo sul divano. Ma non riuscì a prendere subito sonno.

    Ora che ero sola con i miei pensieri,  potevo riflettere circa gli effetti incontrollabili dell’imprinting di cui Jacob mi aveva parlato.

    Dopo quella rivelazione avevo paura che durante il sogno ricorrente, il mio cervello la elaborasse in un modo fin troppo catastrofico. Pensavo che Jake sarebbe sparito completamente dal mio campo visivo e che ovunque mi girassi non lo vedessi più.

    Mi concentrai e cercai di ragionare. Era stupido da parte mia, pensare che un semplice sogno, frutto delle mie incertezze, potesse in qualche modo influenzare la vita reale. Difficilmente avrebbe trovato la sua anima gemella di ritorno in moto, in mezzo al bosco notturno, bagnata dalla pioggia scrosciante e infreddolita. Inoltre sembrava che non la volesse nemmeno trovare.

    Sospirai, pensando a quanto volessi parlare con qualcuno, come era successo con Angela. Mi aveva fatto bene sfogarmi, ne avevo bisogno, con tutte le cose che dovevo tenermi dentro.

    Parlarne con Alice? No, era troppo restia nei confronti dei licantropi, inoltre faceva comunella insieme ad Edward per tenermi lontana da loro. Esme? Forse, ma avrebbe supportato le mie preoccupazioni, nella speranza che tornassi tra le braccia di suo figlio. Charlie non era nemmeno da prendere in considerazione: con lui l’effetto sarebbe stato opposto, era il fondatore del Team Jacob.

    Il pensiero mi fece ridere e mi consentì di addormentarmi.

    Come mi aspettavo, feci lo stesso sogno di sempre. Ma non era come lo avevo immaginato. Fu breve, quasi un lampo, ma evidenzava come fosse cambiato il mio conflitto.

    Edward era lontano, lo vedevo ma era molto più distante del solito. Di fianco a me, ad una distanza nettamente inferiore, Jacob mi guardava con espressione seria. La mano sempre protesa verso di me.

    Ero lontana da Edward ma lo vedevo senza problemi. Stavo vicina a Jacob ma non provai nemmeno ad alzare la mano per toccarlo. Qualcosa me lo impediva. Abbassai gli occhi per capire cosa fosse.

    Le mie braccia erano legate al petto da una catena. Era invisibile, ma sapevo che c’era.

    «Non posso Jake», fu tutto quello che riuscì a dirgli, prima che la scena cambiasse all’improvviso. La successiva visione che ebbi, fu incredibilmente reale. Una lunga e inaspettata conversazione.    

    Mi trovavo esattamente in questa stanza, ma indietro di una notte. Ero in piedi davanti alla finestra e di fronte a me c’era Rosalie, statuaria, perfetta e sorprendentemente amichevole.

    La sensazione che provavo nei suoi confronti era strana. Era come se ci fosse un’intesa, come se lei capisse il mio disagio e in qualche modo potesse aiutarmi. Era solo un sogno, il mio sogno, perciò potevo dire e fare quello che volevo.

    «Cos’hai Bella? Sembri triste», disse Rosalie all’improvviso con la sua voce melodiosa.

    «Si è vero, c’è una cosa che mi preoccupa, ed è strano che tu sia qui. Avrei proprio bisogno di parlarne con qualcuno che non sia troppo di parte», dissi titubante.

    «Certo Bella, dimmi pure», rispose serena.

    «Ecco…tu sai che voglio molto bene ad Edward ma che non sono più innamorata di lui?».

    «Si, lo so. Cerca di accontentarsi del tuo affetto ma non ne è felice», disse imbronciata. «Tuttavia ti capisco bene. So come ci si sente quando si viene traditi» aggiunse comprensiva ma dura.

    «Già, ma non è questo il problema. Il fatto è che…provo qualcosa per un’altra persona», confessai distogliendo il mio sguardo dal suo. «Anche se non so esattamente cosa».

    «Il tuo amico lupo?», domandò. Annuì con la testa. «E qual è il problema? A parte la pericolosità della sua essenza. Lui non ti corrisponde?».

    «Oh no no, lui corrisponde, anzi…sono io che sono come bloccata. Ho molta paura, c’è una cosa che mi spaventa a morte, ma ho bisogno di sentire cosa ne pensi tu, e devi mettere da parte la storia del pericolo. Lui è umano, il suo cuore batte, nelle vene scorre sangue e…».

    «Con lui non saresti costretta a cambiare, e potresti avere una famiglia tutta tua», concluse.

    «Si, il giorno che la volessi almeno».

    Rose fece un respiro e mi guardò con espressione molto seria. «Sarò la più obiettiva possibile, Bella. Cosa ti turba?».

    «L’imprinting», confessai e benchè fosse solo un sogno, mi sentì una stupida nel capire che il problema fosse solo quello.

    Rose alzò le sopraciglia bionde perfette e strinse le labbra.

    «Capisco, è un problema non molto semplice da affrontare. Hai paura di soffrire di nuovo, vero? Hai paura che ti abbandoni peggio di come ha fatto Edward?».

    «Si».

    «Hai considerato che potrebbe non accadere?», domandò. «Che ti stai facendo dei problemi per niente?».

    «Bè, lui non la vorrebbe nemmeno trovare, o meglio è il primo a dire che non gli succederà. Dice che pensa solo a me, che sta facendo impazzire gli altri del branco. Quando dovevate ancora rientrare, aveva detto che avrebbe combattuto fino all’ultima goccia di sangue per avermi al suo fianco». Nel sonno sentì le guance divenire più calde.

    Rosalie sorrise e il suo volto di marmo riflettè il bagliore della luna.

    «Che dolce. Avrei dato qualsiasi cosa per sentirmi dire parole del genere quand’ero in vita».

    Sorrisi imbarazzata. È vero, era bello quello che mi aveva detto. Era sincero. Ed era proprio la sua sincerità che mi terrorizzava.

    «Capisci perché mi spaventa? Come faccio a lasciarmi andare se poi la sua anima gemella aspetta di incrociarlo?», chiesi lievemente agitata. «Ogni sua parola perderebbe di significato, hai idea di quanto male mi farebbe? Non lo reggerei», scossi la testa cercando di trattenere il panico.

    «Bella, l’imprinting è un vincolo magico, un amore artificiale che nasce per questioni legate all’essere un licantropo. Ma voi siete spiriti affini, e il suo amore è nato da se, è sbocciato e cresciuto spontaneamente in maniera naturale con l’andare del tempo. Non è una cosa improvvisa e senza motivo. Non pensare che siano bugie, e non vivere nell’incubo di qualcosa che potrebbe non accadere», disse tenendomi la mano in un impeto di emozioni che controllava a stento.

    Questo confermava che era un sogno. Non era da lei comportarsi così. «Non sono una grande esperta di queste situazioni sentimentali, ma credo che ogni lasciata sia persa. Pensi che non soffriresti ugualmente se lui trovasse ora il suo imprinting? No, io credo di no. E credo anche che ti pentiresti del non aver vissuto anche un solo secondo del suo amore. Ti pentiresti di non avegli detto cosa provi per lui». Restai sconvolta dalle sue parole. La prospettiva di avere dei rimorsi era tutt’altro che simpatica. Ma avevo ancora troppa paura.

    «Ma Rose, quando capiterà mi lascerà. Non voglio soffrire di nuovo», insistetti.

    Rose scosse la testa e mi prese anche l’altra mano.

    «E’ un prezzo che pagheresti comunque, Bella. Hai sofferto anche per Edward, eppure sei riuscita ad andare avanti, lo hai superato ed è passato. Noi ti saremo sempre vicini, Bella, non rimarresti sola come prima», disse guardandomi con gli occhi più sinceri e comprensivi che avessi mai visto. La speranza che cercava di trasmettermi mi feceva venire voglia di allentare la presa sulla chiave…e di provarci.

    Poi la scena cambiò di nuovo, scollegandosi completamente dalla precedente. Ero in spiaggia e al mio fianco c’era Jacob, con la fronte corrugata e lo sguardo concentrato come stamattina. Mi fissava in modo insistente, come se cercasse disperatamente qualcosa nel mio viso. O forse nei miei occhi…

    Quella scena l’avevo vissuta, ma non avevo capito subito cosa stesse facendo. Jacob voleva avere l’imprinting, ma solo con una persona. Stava cercando il meccanismo per farlo scattare.

    Lentamente mi svegliai, senza riaprire gli occhi, e restai in dormiveglia.

    Qualcosa mi diceva che c’era ancora tempo. Ma quanto? Ed era una mia sensazione o ero stata influenzata delle parole di Rosalie nel mio sogno?

    Sicuramente la seconda opzione.

    Non ero disposta a credere che Rose e Jacob avessero ragione. Non c’era nulla di sicuro in quello che dicevano. E io ero talmente codarda che preferivo rifugiarmi nelle mie paure, piuttosto che mettere a repentaglio la fragilità del mio cuore. Inoltre avendo già patito le pene della sofferenza per abbandono, la mia anima si rifiutava di riconsegnarmi la chiave del mio cuore per riaprire il lucchetto.

    No, il mio cuore era al sicuro, lo avevo messo in salvo in anticipo questa volta, e non avevo intenzione di perdere quel vantaggio. Io e Jake, saremmo stati solo amici. Non potevamo permetterci di più.

    Io non potevo permettermi di più.

    Rinunciai al dormiveglia ed aprì gli occhi. Fui immediatamente attirata dalla figura bianca di Edward, seduto comodamente sul letto di fronte a me.

    «Scusa», mormorò così dolcemente che la sua voce sembrava uscire dalla notte. «Non volevo svegliarti».

    «Non preoccuparti», risposi a mezza voce. «non stavo dormendo».

  M'irrigidii in attesa di una sfuriata - sua e mia - ma nell'oscurità della stanza tutto era calmo e tranquillo. […] Non c'era tensione. L'atmosfera era avvolta da un senso di pace, non come la quiete prima della tempesta, ma come una notte chiara, nemmeno sfiorata dall'idea di una tormenta.

    «Ho sentito il tuo messaggio», disse calmo. «Non voglio che tu mi odi».

    «Non ti odio, Edward», replicai mettendomi seduta sul divano. «Però sei esagerato. Voglio solo passare un po’ di tempo con i miei amici di La Push, tutto qui».

    «Lo trovo molto pericolso», brontolò.

    «Adoro il pericolo», insistetti.

    «Lo so». C'era un che di acido nella sua voce; di sicuro aveva visto la moto nel garage. «Ti chiedo scusa. Ho sbagliato. È più facile vedere le cose dalla giusta prospettiva quando tu sei qui al sicuro». Allungò un braccio marmoreo per prendere delicatamente la mia mano. «Quando provo ad allontanarmi perdo un po' la testa. Non credo che andrò di nuovo così distante. Non ne vale la pena».

    Sorrisi. «Non hai trovato neanche un puma?».

    «Sì, alla fine sì. Ma non vale tutta quest'ansia. Mi dispiace di aver chiesto ad Alice di prenderti in ostaggio, comunque. È stata una cattiva idea».

    «Sì».

    «Non lo farò più».

    «Okay», dissi tranquilla.

    Mi sentì meglio, ora che mi aveva chiesto scusa, era sinceramente dispiaciuto. Lo avevo messo in ansia, anche se non c’era niente di programmato, ma anche lui si preoccupava per me. Non l’ha fatto per cattiveria. Il che mi fece dimenticare quanto fossi arrabbiata con lui.

    «Dunque tocca a me?».

    «Che cosa?», la sua voce era confusa.

    «Chiedere scusa».

    «Di che cosa ti devi scusare?».

    «Non sei arrabbiato con me?», chiesi a bruciapelo.

    «No».

    Sembrava sincero. Lo sentii accigliarsi.

    «Non hai visto Alice quando sei tornato?».

    «Sì. Perché?».

    «Le toglierai la Porsche?».

    «Certo che no. È un regalo». Sembrava che lo avessi insultato.

[…]

    «Ma sono andata a La Push».

    «Lo so».

    «E ho saltato la scuola».

    «Anch'io».

    Feci attenzione al tono della sua voce. Mi alzai lentamente dal divano e mi misi a sedere sul letto accanto lui fissandolo negli occhi, cercando di intuirne l'umore. «Da dove viene tutta questa tolleranza?», domandai infine.

    «Ho deciso che hai ragione tu. Il mio problema riguardava più che altro certi… pregiudizi sui licantropi. Cercherò di essere più ragionevole, voglio fidarmi del tuo buon senso. Se tu dici che non c'è pericolo, ti credo».

    «Accidenti».

    «E la cosa più importante: non voglio che questo diventi un ostacolo tra noi».

    Senza pensare ad un gesto così repentino lo abbracciai dalla felicità.

    «Grazie Edward!», sussurrai. Dapprima era rigido, poi ricambiò l’abbraccio stringendomi a sé.

    «Pur di farla felice, signorina Swan», sussurrò gentile al mio orecchio. Sorrisi.

    «Dunque», mormorò con tono indifferente. «Pensi che tornerai presto a La Push?».

    Sciolsi l’abbraccio per studiare la sua reazione.

    «Si, penso di si».

    «Va bene», rispose scrollando le spalle. «Mi organizzerò a dovere. Resterei comunque nelle vicinanze, nel caso litigaste», trattenne un sorriso.

    «Da quello che ho capito, l’unico argomento sul quale possiamo litigare sono i vampiri».

    «Argomento tutt’altro che eludibile», commentò pensieroso. «Si, credo che la mia presenza appena fuori dai loro confini, potrebbe esserti molto utile», aggiunse spalancando il sorriso. I denti riflettevano la luce della luna come fossero di cristallo.

    «Hai intenzione di accompagnarmi e venirmi a riprendere ogni volta?», domandai alzando un sopraciglio.

    «E’ una possibilità», rispose con il suo sorriso sghembo.

    «Va bene, se può farti sentire più tranquillo ci sto».

    «Tranquillo? Non esagerare, Bella. Comunque è sempre meglio che vederti scappare in modi così rocamboleschi».

    Sorrisi e lui ricambiò.

    «Bene, sarai stanca, ti lascio riposare». Fece per alzarsi. Gli posai una mano sulla sua per trattenerlo.

    «Aspetta. C'è qualcos'altro che volevo chiederti».

    «Cosa?».

    «Ieri notte ho parlato con Rosalie…».

    Il suo corpo s'irrigidì di nuovo. «Sì. Quando sono arrivato ci stava pensando. Ti ha turbata molto, vero?».

[…]

    «Mi ha parlato un po'… del periodo che la tua famiglia ha trascorso a Denali».

    Ci fu una piccola pausa; era stato colto di sorpresa. «Sì?».

    «Ha accennato a qualcosa su te… e una comitiva di vampire…».

    Aspettai un lungo momento, ma non rispose.

[…]«Mi ha detto che non hai mostrato alcuna preferenza. Ma io mi chiedevo, ecco, se qualcuna di loro l'avesse fatto. Mostrare una preferenza per te, dico».

    Di nuovo, restò in silenzio.

    «Chi?», chiesi.  «O era più di una?».

    Nessuna risposta. Mi fissava inespressivo, come se stesse ancora aspettando di sentire la domanda.

    «Alice me lo dirà. Vado subito a chiederglielo».

    Cercai di alzarmi, ma la sua mano fredda si strinse sulla mia e mi tirò il braccio, facendomi sedere di nuovo. «È tardi», disse. La sua voce aveva un tono nuovo. Una specie di nervosismo, forse un po' d'imbarazzo. «Inoltre credo che Alice sia uscita…».

[…]

    «Allora perché tu non mi dici niente?».

    «Perché non c'è niente da dire».

    «Chi era?», insistetti.

    Sospirò. «Tanya manifestò un certo interesse. Le feci sapere, in modo molto cortese e da vero gentiluomo, che non lo ricambiavo. Fine della storia».

    Ha rifiutato le avances di una vampira certamente bella oltre ogni limite? Non che la cosa mi dispiacesse, ma era difficile da capire. «Dimmi una cosa. Com'è Tanya?».

    «Come tutti noi. Pelle bianca, occhi dorati», rispose troppo in fretta.

    «E straordinariamente bella».

    Ridacchiò. «Per gli occhi umani sì, suppongo», disse indifferente. «Sai una cosa, però?».

    «Cosa?».

    Avvicinò le labbra al mio orecchio e il suo respiro freddo mi fece il solletico. «Preferisco le brune».

    «Waw, una bionda».

    «Biondo rossiccio. Proprio non è il mio tipo», corresse con una smorfia. «Come mai queste domande?».

    «Curiosità, anche se non mi sorprende che qualcuno abbia provato interesse per te», bellissimo come sei, pensai.

    «La cosa ti infastidisce?», domandò compiaciuto.

    «Forse un po’. Infondo non ho dimenticato che io e te…». M’irrigidì.

    Era stato il periodo più bello della mia vita. Prima di allora non avevo nemmeno mai baciato un ragazzo, o provato emozioni come quelle. Tuttavia ricordavo quanto fosse frustrante baciare Edward. Ogni bacio non durava più di dieci secondi, non era possibile lasciarsi andare e provare la passione che avremmo desiderato entrambi. Certi contatti fisici erano proibiti, un tabù. Era bello baciarlo, mi faceva girare la testa. Ma non si poteva continuare in quel modo, non era giusto. Non è così che deve essere.

    «Nemmeno io. E’ una delle cose che non potrò mai dimenticare», disse interrompendo i miei pensieri con la sua voce vellutata. Mi accarezzò dolcemente il profilo del viso avvolgendomi con i suoi occhi ambrati. Il suo tocco non mi provocava più i brividi di qualche tempo fa, mi ero riabituata, e lui ne era felice. Quello però, fu il primo momento in cui provavo un senso di pace, come se finalmente avessimo raggiunto una tregua. Probabilmente era merito della sua resa. Provavo un certo senso di vittoria, ma anche di speranza. Sarebbe stato bello se anche loro avessero raggiunto un armistizio, una pace tra due persone magnifiche ed importanti come organi vitali.

    Non potevo più negare a me stessa quando tenessi ad Edward.

    Infondo, la sua vicinanza mi aveva convinta a restuirgli gran parte della mia fiducia. Il mio amore per lui si era trasformato in un affetto incontenibile, e vederlo soffrire per quel cambiamento, metteva a dura prova la prigione della vecchia Bella. Quella che gli avrebbe offerto la sua anima in cambio del suo amore.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Bersaglio ***


“Jake non avrà mai l'imprinting con nessun'altra se tu sceglierai lui sei prorpio una stupida”

Ma Missrikottina xD, Bella non lo sa questo, noi si perché abbiamo visto com’era andata scegliendo Edward, ma adesso le cose andranno molto diversamente. Quindi, almeno questo glielo possiamo concedere, dai ù___ù. Ti ringrazio tantissimo de complimenti ^__^, e spero che ti piacciano anche i prossimi due capitoli che posterò.

Hai ragione Fayeforyou, l’imprinting è davvero una cosa assurda, messo li tanto per rendere l’amore di Jacob “precario” rispetto a quello “eterno” di Edward. Che poi precario non lo era, perché come ha detto Missrikottina, se Bella avesse scelto lui, Jake non avrebbe mai avuto l’imprinting e l’avrebbe amata in eterno. Esattamente come Edward, quindi anche Jacob è un personaggio molto romantico, la differenza è che non parla come un vecchietto del 1800, ma non per questo è meno dolce e innamorato di Edward, in più esterna molto più apertamente le proprie emozioni al contrario di Edward che spesso è "indecifrabile e inespressivo". Altri due capitoli in arrivo! Spero ti piacciano ^__^. Bacio!

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Alice mi riportò a casa il mattino dopo, come richiesto dalla messinscena del pigiama party. Non mancava molto al ritorno ufficiale di Edward dalla sua "escursione". Tutte quelle finzioni cominciavano a pesarmi. […]

    Charlie sbirciò dalla finestra di fronte quando mi udì sbattere la portiera.

    Salutò Alice e venne ad aprirmi.

    «Ti sei divertita?», chiese.

    «Sì, è stato bellissimo… una festa fra ragazze».

    Portai dentro la mia roba, mollai tutto ai piedi delle scale e mi diressi in cucina in cerca di qualcosa da mangiare.

    Trovai una scatola di biscotti e me la portai dietro, pensando di mangiarmeli mentre riordinavo le mie cose. Era scomodo farlo con una mano sola, ma avevo fame.

    «Ha chiamato Jacob», disse Charlie spuntando da dietro la porta.

    «Ha lasciato detto qualcosa?».

    «No, solo di richiamarlo appena rientri».

   «Sistemo e lo chiamo. Grazie papà».

    Il bucato era ancora da fare: misi a posto il dentifricio, buttai i vestiti sporchi nella cesta e poi andai a disfare il letto di Charlie. Lasciai le sue lenzuola impilate in cima alle scale e andai a prendere le mie.

    Mi fermai accanto al letto, piegando la testa di lato.

    Dov'era il cuscino? Passai al setaccio la camera. Non c'era. La stanza sembrava stranamente in ordine. Non avevo lasciato la felpa grigia appesa ai piedi del letto? E avrei giurato che c'era un paio di pantaloni sporchi dietro la sedia a dondolo, oltre alla camicetta rossa penzoloni su un bracciolo.

    L'avevo provata due giorni prima ma avevo deciso che era troppo elegante per la scuola…

    Misi a soqquadro quasi tutta la casa, ma non trovai traccia dei miei vestiti.

     M'interruppi quando suonò il campanello. Di sicuro era Edward.

    «La porta», mi informò Charlie dal divano quando gli passai davanti.

    «Non fare sforzi, papà».

    Aprii la porta e la sua espressione mi colpì all’istante. 

    Gli occhi dorati di Edward erano sgranati, le narici aperte, le labbra scoprivano i denti.

    «Edward?». La mia voce uscì stridula e spaventata […]. «Che…».

    Mi mise un dito sulle labbra. «Aspetta due secondi», sussurrò. «Non ti muovere».

    Rimasi impietrita sulla porta e lui… scomparve. Così veloce che Charlie non lo vide neanche passare.

    Prima che potessi contare fino a due, era già tornato. Mi cinse i fianchi con un braccio e mi trascinò rapidamente verso la cucina. I suoi occhi sfrecciarono nella stanza e mi strinse a sé come per proteggermi da qualcosa. Lanciai uno sguardo verso Charlie, che dal divano faceva del suo meglio per ignorarci.

    «Qualcuno è stato qui», mi sussurrò all'orecchio dopo avermi spinta nell'angolo opposto della cucina. La voce era tesa; difficile sentirla sotto i colpi della lavatrice.

    «Ma nessun licantropo…», iniziai.

    «Non uno di loro», m'interruppe subito, scuotendo la testa. «Uno di noi».

    A giudicare dal tono, non intendeva certo uno della sua famiglia.

    Mi sentii impallidire. «Victoria?», mi si strozzò la voce.

    «È una scia che non riconosco».

[…]    «Quando?».

    «Non da tanto: questa mattina presto, mentre Charlie dormiva. Per questo credo siano stati loro. Chiunque fosse, non l'ha toccato, quindi lo scopo doveva essere un altro».

    «Cercavano me».

    Non rispose. Il suo corpo era immobile, una statua.

[…]    Mi sentii svenire. Un vampiro era entrato in casa a cercarmi mentre Charlie dormiva. Mi lasciai prendere dal panico, che mi chiuse la gola.

[…]    «Andiamo», disse Edward con voce bassa e dura.

    «Ma… Charlie!». La paura mi stringeva il petto. Non riuscivo a respirare. Ci pensò per un secondo, poi afferrò il telefono.

    «Emmett», brontolò nella cornetta. Parlò così veloce che non capii le parole. Non impiegò più di mezzo minuto. Fece per spingermi verso la porta.

    «Emmett e Jasper stanno arrivando», sussurrò avvertendo la mia resistenza. «Setacceranno il bosco. Charlie è al sicuro».

    Mi lasciai trascinare, troppo in ansia per pensare con lucidità, […]ed Edward mi portò via prima che Charlie potesse dire una parola.

    «Dove stiamo andando?». Non avevo smesso di sussurrare, anche se eravamo in macchina.

    «A parlare con Alice», rispose a volume normale ma in tono cupo.

    «Credi che abbia visto qualcosa?».

    Fissò la strada torvo. «Forse».

    Non appena arrivammo, Edward lanciò pesanti accuse verso Alice che avrebbe dovuto “vedere” qualcosa. Ma nulla aveva attirato la sua attenzione, perché ne io ne Charlie eravamo in pericolo. Per fortuna le acque si calmarono, ed Edward chiese scusa ad Alice.

    Iniziarono una serie di discussioni e ragionamenti su chi potesse essere stato. Sentì persino rinominare i Volturi, la casata reale che teneva sotto controllo la razza dei vampiri per salvaguardarne l’anonimato. Pensavano che avessero saputo di me in qualche modo e che avessero mandato qualcuno, ma Edward non aveva riconosciuto il loro odore.

    Ci mancava solo che mi scovassero i vampiri più potenti e implacabili che esistessero da mille anni. Con la fortuna che avevo, me lo potevo anche aspettare.

    Emmett spuntò dalla porta della cucina, seguito all'istante da Jasper. «Se ne sono andati da parecchio, da ore», annunciò Emmett, deluso. «Le tracce portavano a est, poi a sud, e sono scomparse su una strada secondaria. C'era una macchina ad aspettare».

    «Che sfortuna…», mugugnò Edward. «Se fosse andato a ovest… be', quei cani ci avrebbero aiutati volentieri».

    Trasalii ed Esme mi accarezzò la spalla.

    Jasper guardò Carlisle. «Nessuno di noi l'ha riconosciuto. Però, guardate». Aveva raccolto qualcosa di verde e spiegazzato. Carlisle lo prese e se lo portò al viso. Mentre cambiava mano, notai che era un ramo di felce spezzato. «Forse tu riconosci il profumo».

    «No», disse Carlisle. «Non è familiare. È qualcuno che non conosco».

    «Forse stiamo osservando le cose dalla parte sbagliata. Forse è soltanto una coincidenza…», cominciò Esme, ma si fermò di fronte alle espressioni incredule degli altri. «Non dico che sia una coincidenza che un estraneo abbia deciso per puro caso di far visita alla casa di Bella. Però potrebbe trattarsi di un semplice curioso. In fondo, è circondata dal nostro odore. Forse si è chiesto perché viviamo così a contatto con lei».

    «Ma allora perché non è venuto direttamente qui, se era solo curioso?», domandò Emmett.

    «Tu l'avresti fatto», disse Esme e sorrise premurosa. «Ma non tutti siamo così diretti. La nostra famiglia è numerosa, lui o lei potrebbe essersi spaventato. Eppure ha risparmiato Charlie. Non può trattarsi di un nemico».

    Un semplice curioso. Come all'inizio erano stati anche James e Victoria? Il pensiero di Victoria mi faceva tremare ma, a quanto pareva, tutti erano convinti che non si trattasse di lei. Non questa volta. Lei seguiva il suo piano ossessivo. Stavolta era qualcun altro, un estraneo.

    Pian piano mi stavo rendendo conto che i vampiri partecipavano alla vita del nostro mondo molto più di quanto pensassi. Quante volte un uomo normale s'imbatteva in loro senza rendersene conto? Quante morti, finite nel dimenticatoio come crimini o incidenti, erano in realtà dovute alla loro sete?

    E pensare che anch’io volevo diventare una potenziale assassina. Nessuno avrebbe avuto giustizia delle mie vittime accidentali. Anche se fosse stata una sola.

    Espressioni diverse accompagnarono le riflessioni dei Cullen. Edward non era convinto della sua teoria, mentre Carlisle desiderava tantissimo che avesse ragione.

    Alice increspò le labbra. «Non credo sia andata così. Il tempismo è stato troppo perfetto… Il visitatore ha badato a non entrare in contatto con nessuno. Come se sapesse che me ne sarei accorta…».

    «Ma come può non essere Victoria?», domandai in preda al panico. «Chi altri poteva entrare proprio nella mia stanza?» Eppure non credevo possibile che quello potessere essere il suo stile di caccia. Non me ne capacitavo.

    «E’ escluso che sia lei, non è il suo odore», ripetè Edward, cupo.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Il ritorno a casa fu silenzioso. Mi sentivo frustrata. […]

    «Non rimarrai sola un secondo», promise Edward mentre mi riaccompagnava da Charlie. «Ci sarà sempre qualcuno con te. Emmett, Alice, Jasper…».

    «È ridicolo. Si annoieranno così tanto che alla fine mi ammazzeranno loro, tanto per avere qualcosa da fare».

    Edward mi guardò cupo. «Molto divertente, Bella».

    Charlie […] notò la tensione fra me ed Edward e la fraintese. Mi guardò compiaciuto mentre gli preparavo la cena.  Edward si allontanò, probabilmente per una breve perlustrazione, ma Charlie attese il suo ritorno per riferirmi alcuni messaggi.

    «Jacob ha richiamato», disse non appena Edward fu in cucina.

    Non avevo avuto il tempo di telefonargli. Ero stata presa da cose più urgenti. «Ah si…lo richiamo domattina». Non volevo parlargli con Charlie di mezzo, attenta a misurare ogni parola per non lasciarmi scappare niente di strano. A  pensarci, provavo invidia per la relazione fra Jacob e Billy. Come dev'essere semplice quando non nascondi dei segreti alla persona con cui vivi.

    «Vuoi che stanotte ti aiuti ad addormentarti?», suggerì Edward appena mio padre si allontanò.

    «Come ai vecchi tempi?», mormorai con mezzo sorriso. Lui contraccambiò.

    «Si se vuoi, ti canto la ninna nanna».

    Ci pensai su qualche secondo. Anche se mi seccava essere un peso per lui, ero troppo spaventata per restare sola. «Mi sentirei più sicura. Grazie Edward», dissi accarezzandogli la mano gelida.

    Quando Edward se ne andò ufficialmente, mi chiesi chi sarebbe rimasto sotto l'acquazzone a tenere d'occhio me e Charlie. Mi sentivo male per Alice, o chiunque fosse, ma anche al sicuro. Tutto sommato, meglio sapere che non ero sola. Ed Edward tornò a tempo di recordper cantarmi la sua ninna nanna, che mi fece cadere in un sonno profondo.

    La mattina dopo, Charlie uscì a pesca con il vicesceriffo Mark prima del mio risveglio. Decisi di sfruttare l'assenza di sorveglianza per chiamare Jake. Naturalmente Edward avrebbe assistito all’intera conversazione, il che m’infastidiva, avrei voluto un po’ di privacy.

    Non avevo guardato l'ora prima di fare il numero. Era un po' presto per chiamare. Temevo di svegliare Billy e Jake, invece qualcuno rispose dopo il secondo squillo; doveva essere attaccato al telefono.

    «Pronto?», disse una voce sbiadita.

    «Jacob?».

   «Bella!», esclamò rianimandosi. «Allora lo hai sgridato? Che faccia ha fatto? Me la sono persa! C’è rimasto male? Finalmente riesco a sentirti! Ogni volta che sparisci mi vien da pensare che ti sia cacciata in qualche pasticcio dei tuoi», rise dopo aver parlato a raffica come fosse una mitragliatrice.

    «Perspicace», replicai con un risata lievemente isterica. L’allegria di Jacob svanì di colpo.

    «Cos’è successo?», domandò colto da un panico improvviso.

    «Ehm…». Non ero sicura di potergliene parlare.

    Edward tese la mano verso il telefono. Lo guardai attentamente. Sembrava

calmo a sufficienza.

    «Bella?», chiese Jacob. Il tono era un misto di preoccupazione e nervosismo.

    Edward sospirò e avvicinò di più la mano.

    «Ti dispiace se ti passo Edward?», chiesi apprensiva. «Vorrebbe parlarti».

    Ci fu una lunga pausa.

    «Okay», acconsentì infine Jacob. «Magari è interessante».

    Passai il telefono a Edward; sperai che potesse leggere l'avvertimento nei miei occhi.

    «Pronto, Jacob», disse Edward, educatissimo.

    Restò in silenzio. Imbarazzata, cercai di indovinare la risposta di Jacob. «Qualcuno è stato qui. Non riconosco l'odore», spiegò Edward. «Il tuo branco ha notato qualcosa di strano?».

    Un'altra pausa. Edward annuì, impassibile.

    «Questo è il punto, Jacob. Non perderò di vista Bella finché questa storia non sarà risolta. Niente di personale…».

    Jacob lo interruppe; riuscivo a sentire il brusio della sua voce dalla cornetta. Qualunque cosa stesse dicendo, il tono era più acceso di prima. Provai senza successo a decifrare le parole.

    «Forse hai ragione», disse Edward, ma Jacob non lo lasciò parlare. Se non altro, nessuno dei due sembrava arrabbiato.

    «Questo è un suggerimento interessante. Anche noi siamo disponibili a rinegoziare. Se Sam è d'accordo».

    Quelle parole accesero in me una speranza improvvisa. Forse la pace che sognavo non era poi così assurda. Assurdo era il contesto entro il quale sarebbe nata. La voce di Jacob ora era più tranquilla. Iniziai a mangiarmi le unghie cercando di leggere l'espressione di Edward.

    «Grazie», rispose.

    Poi Jacob disse qualcosa che riempì di sorpresa l'espressione di Edward.

    «Avevo pensato di andare da solo, a dire il vero», disse in risposta alla domanda inattesa. «E di lasciarla con gli altri».

    La voce di Jacob si fece più alta, sembrava che cercasse di essere più convincente.

    «Proverò a pensarci in modo obiettivo», promise Edward. «Il più obiettivo possibile».

    La pausa successiva fu più breve.

    «Niente male come idea. Quando? No, va bene. Mi piacerebbe seguirne le tracce personalmente, comunque. Dieci minuti… certo», disse Edward. E mi passò il telefono. «Bella?».

    Lo afferrai lentamente, confusa.

    «Di cosa avete discusso?», domandai a Jacob, irritata. Sapevo di essere infantile, ma mi sentivo esclusa.

    «Un armistizio, credo. Ehi, fammi un favore», suggerì Jacob. «Prova a convincere il tuo succhiasangue che il posto più sicuro per te, specialmente quando lui non c'è, è la riserva. Siamo più che capaci di tenere tutto sotto controllo».

    «È questo ciò che hai cercato di dirgli?».

    «Esatto. È l'idea più sensata. Anche Charlie sarebbe al sicuro se venisse qui. Il più al sicuro possibile».

    «Billy si può occupare di lui», annuii. Odiavo l'idea di trascinare Charlie nel mirino che fino a quel momento era stato solo su di me. «Che altro?».

    «Abbiamo rinegoziato alcuni confini, in modo da prendere chiunque si avvicini troppo a Forks. Non sono sicuro che Sam sarà d'accordo, ma finché non arriva terrò d'occhio io la situazione». Ah, era a questo che si riferiva. Speravo in un tipo diverso di negoziato.

    «Che intendi con "terrò d'occhio io la situazione"?».

    «Voglio dire che se avvisti un lupo nei paraggi di casa tua, non sparargli». Risi a quella battuta, benchè ci fosse ben poco da stare allegri.

    «Certo che no. Però cerca di non fare niente di… rischioso».

    «Ma che stupidaggine. So badare a me stesso».

    Sospirai.

    «Ho provato anche a convincerlo a farti venire qui. Ha dei pregiudizi, perciò non lasciarti abbindolare da certe cazzate, okay? Sa quanto me che tu qui sei al sicuro».

    «Me ne ricorderò».

    «A tra poco», disse Jacob.

    «Stai venendo qui?».

    «Sì. Sto venendo a sentire l'odore del visitatore, così potremo seguirlo se tornerà».

    «Jake, non mi piace l'idea che tu ti metta a inseguire…».

    «E dai, Bella!», m'interruppe. Rise e riattaccò.

 *****************************************************************************************************************************************************************

    Era tutto molto puerile. Perché mai Edward doveva andarsene se Jacob stava arrivando? Non era ora di smetterla con queste bambinate?

    «Non è per antagonismo nei suoi confronti, Bella, è soltanto più semplice per entrambi», mi disse Edward sulla porta. «Non mi allontanerò. Sarai al sicuro».

    «Non è questo che mi preoccupa». Sapevo che Jacob era in grado di proteggermi, ma l’idea che fosse ancora “mortale” mi metteva un’ansia incredibile.

    Sorrise, poi una luce maliziosa gli guizzò negli occhi. Mi strinse forte e affondò il viso tra miei capelli. Sentivo il suo respiro freddo gonfiarli a uno a uno e mi venne la pelle d'oca sul collo.

    «A presto», disse, poi scoppiò a ridere, come se avessi appena raccontato una barzelletta.

    «Che c'è?».

    Edward si limitò a sorridere e scomparve fra gli alberi, senza rispondere. Iniziai a pulire la cucina, mugugnando. Prima ancora che riempissi il secchio, il campanello squillò. Era difficile abituarsi a quanto Jacob fosse veloce a piedi. Erano tutti più veloci di me…

    «Entra pure, Jake!», gridai.

    Ero concentrata sulla pila di piatti da immergere nell'acqua insaponata e mi ero dimenticata che Jacob ormai si muoveva come un fantasma. Quando sentii la sua voce alle mie spalle, all'improvviso, sussultai.

    «È davvero il caso di lasciare la porta aperta in quel modo? Oh, scusa…».

    Per la sorpresa mi ero rovesciata addosso l'acqua dei piatti.

    «Quel che mi minaccia non si fermerebbe davanti a una porta chiusa», dissi mentre mi asciugavo la maglietta con uno straccio.

    «Buona osservazione», annuì.

    Mi voltai a guardarlo, con disapprovazione. «Ti riesce così difficile vestirti, Jacob?». Era di nuovo a petto nudo, indossava soltanto un paio di vecchi jeans tagliati al ginocchio. Pensai che forse era talmente orgoglioso dei suoi nuovi muscoli da doverli esibire per forza. Dovevo ammettere che erano impressionanti, ma non avevo mai creduto che fosse così vanitoso. «So che non sei più sensibile al freddo, ma datti una calmata».

    Si passò una mano fra i capelli bagnati che gli coprivano gli occhi.

    «Così è più semplice», spiegò.

    «Che cosa?».

    Sorrise condiscendente. «È già abbastanza noioso dovermi portare dietro i pantaloni, figuriamoci un abbigliamento intero. Non sono mica un mulo da soma…».

    «Che cosa intendi, Jacob?».

    Mi guardava con aria superiore, come se mi sfuggisse qualcosa di ovvio. «I miei vestiti non sono ancora in grado di apparire e scomparire quando mi trasformo, così quando corro sono costretto a portarmeli dietro. Scusa se mi sono tenuto leggero».

    Arrossii. «In effetti non ci avevo pensato», borbottai.

    Rise e indicò una cordicella di pelle nera, sottile come un filo di lana, attorcigliata tre volte sotto il suo polpaccio sinistro come una cavigliera. Non avevo notato neanche che era a piedi nudi. «Non è una questione di moda: fa schifo correre con i jeans in bocca».

    Non sapevo cosa rispondere.

    Lui sorrise. «Ti dà fastidio che sia mezzo nudo?».

    «No», mentii spudoratamente.

    Jacob rise di nuovo e gli voltai le spalle per concentrarmi sui piatti. […]Ero rossa d'imbarazzo per la mia stupidità eper causa sua. La serratura del mio cuore cominciò a sussultare insieme ai miei ormoni addormentati. Strinsi la spugnetta tra le mani per cercare di riprendere il controllo delle mie reazioni.

    «Bene, suppongo che dovrei mettermi al lavoro». Sospirò. «Non voglio dargli neanche una scusa per dire che sono uno scansafatiche».

    «Jacob, non spetta a te…».

    Alzò una mano per interrompermi. «Mi sono offerto volontario. Allora, dov'è più forte l'odore dell'intruso?».

    «In camera mia, credo».

    Affilò lo sguardo. L'idea lo innervosiva, così come aveva innervosito Edward.

    «Faccio in un minuto».

    Strofinai metodica i piatti che avevo in mano. L'unico suono che udivo era quello della spugnetta contro la ceramica. Tesi le orecchie per cercare di udire qualcosa dal piano di sopra, uno scricchiolio del pavimento, lo scatto di una porta. Niente. Mi accorsi che lavavo e rilavavo sempre lo stesso piatto e provai a concentrarmi sui miei gesti.

    «Buh!», disse Jacob, a qualche centimetro da me, e mi spaventò ancora.

    «Uffa, Jake, smettila!».

    «Scusa. Dammi qua». Jacob prese lo straccio e lo passò sulla mia nuova macchia. «Ci penso io. Tu lavi, io sciacquo e asciugo».

    «Ottimo». Gli diedi il piatto.

    «È stato abbastanza facile trovare l'odore. A proposito, la tua stanza puzza. Come mai?»

    «Edward ha cercato di tranquillizzarmi stanotte. Ero un po’ tesa».

    «Ah. Capisco», commentò neutro.

    Per qualche minuto rimanemmo in un silenzio amichevole, io a lavare e lui ad asciugare.

    «Posso chiederti una cosa? Non voglio fare il cretino né niente del genere… sono solo curioso», mi assicurò Jacob.

    Gli passai un altro piatto.  «Va bene. Dimmi».

    Dopo una breve pausa, disse: «Com'era… essere la ragazza di un vampiro, ed ora sua amica?».

    Alzai gli occhi al cielo. «Queste sono due domande, Jake. Nel primo caso, è stato il massimo anche se pieno di problemi, nel secondo è più equilibrato. Almeno per me».

    «Non ti preoccupi mai… non ti mette mai paura?».

    «Mai».

    In silenzio prese una scodella dalle mie mani. Gli sbirciai il viso: era imbronciato, il labbro inferiore sporgeva.

    «Nient'altro?», domandai.

    Arricciò di nuovo il naso. «Be'… mi stavo chiedendo… tu… tu lo baciavi, quando stavate insieme?».

    «Sì».

    Ebbe un fremito. «Ah».

    «Già», mormorai.

    «Non avevi paura delle zanne?».

    Gli colpii il braccio, spruzzandolo con l'acqua dei piatti. «Piantala, Jacob! Sai benissimo che non ha le zanne!».

    «Qualcosa di simile», bofonchiò.

    Serrai i denti e pulii un coltello, con forza decisamente eccessiva, poi glielo passai. Restammo in silenzio, ma sentivo una strana tensione in lui.

    Si girò e rigirò il coltello tra le mani, sotto il getto d'acqua.

    Aveva i muscoli delle braccia tesi e le spalle rigide. Chissà a cosa stava pensando. Scommetto il mio diploma che rimuginava sul fatto che avessi baciato un vampiro.

    «Ahi!», gridò e al suo scatto sobbalzai.

    Il pugno della mano destra si era stretto attorno alla lama del coltello; l'aprì e il coltello cadde nel lavandino. Sul palmo c'era un taglio lungo e profondo. Il sangue gli colava fra le dita e gocciolava sul pavimento.

    «Merda! Che male!», si lamentò. Sentì un brivido lungo la schiena che quasi superava la nausea provocata dalla vista del liquido rosso. Si era fatto male, il suo viso si contrasse dal dolore per pochi secondi, e per qualche motivo non lo sopportavo. Non sopportavo l’idea che si facesse anche solo un graffio. Poi la vista di tutto quel sangue ebbe la meglio.

    Mi girava la testa, avevo lo stomaco sottosopra. Mi aggrappai al ripiano con una mano e mi sforzai di stare in piedi per potermi occupare di lui.

    «Oh no, Jacob! Oh, merda! Tieni, avvolgila con questo!», gli passai lo straccio dei piatti. Lui si allontanò scrollando le spalle.

    «Non è niente Bella, non preoccuparti».

    I contorni della stanza iniziarono a sembrarmi sfocati. Respirai a fondo. «Come "non è niente"? Ti sei affettato la mano!».

    Ignorò lo straccio che gli avevo passato. Mise la mano sotto il rubinetto e fece scorrere l'acqua per lavare la ferita. L'acqua diventò rossa. La testa prese a girarmi più forte.

    «Bella», disse.

    Evitai di guardare la ferita e mi concentrai sul suo viso. Era accigliato, ma calmo.

    «Che c'è?».

    «Sembri sul punto di svenire. Se non la smetti di morderti il labbro tra un po' sanguinerai anche tu… Tranquilla. Respira. Sto bene».

    Inspirai con la bocca e liberai il labbro dalla morsa dei denti. «Ma non fare il coraggioso».

    Alzò gli occhi al cielo.

    «Andiamo. Ti porto al pronto soccorso». Ero più che sicura di poter guidare senza problemi. Perlomeno, la stanza aveva ripreso i suoi contorni.

    «Non è necessario». Jake chiuse l'acqua e mi prese lo straccio dalle mani. Se lo avvolse morbidamente attorno al palmo.

    «Aspetta», protestai. «Fammi dare un'occhiata». Mi aggrappai più salda al ripiano, per tenermi in piedi nel caso in cui la vista della ferita m'intontisse di nuovo.

    «Hai per caso una laurea segreta in medicina?».

    «Dammi solo la possibilità di decidere se è il caso di arrabbiarmi con te pur di portarti all'ospedale!».

    Fece una finta espressione di terrore. «No, arrabbiarti no, ti prego!».

    «Invece sì, se non mi fai vedere la mano».

    Mi rispose esasperato: «Va bene».

    Sciolse la benda improvvisata e, mentre allungavo il braccio per prenderla, posò la mano sulla mia.

    Mi bastarono pochi secondi. Gli girai la mano più volte. Ero sicura che si fosse tagliato. La girai di nuovo; tutto ciò che rimaneva della ferita era una brutta linea rosa spezzata. Mi sentì sollevata, nel vedere che non avesse nulla. Eppure il sangue doveva pur essere uscito da qualche parte, no?

    «Ma stavi sanguinando… tantissimo…».

    Ritirò la mano, con gli occhi fissi e cupi su di me.

    «Guarisco in fretta».

    «Vedo», dissi senza voce.

[…]    Fece un mezzo sorriso e con il pugno si diede un colpo sulla guancia. «Licantropo, ricordi?».

    I suoi occhi mi fissarono per un momento interminabile.

    «Giusto», dissi infine.

    Rise della mia espressione. «Te ne avevo parlato. Ricordi la cicatrice di Paul?».

    Scossi la testa, decisa. «È diverso se ti capita di assistere a tutta la sequenza in diretta».

    Mi chinai per prendere l'ammoniaca dal mobile sotto il lavello. Ne versai un po' su uno straccio e iniziai a lavare il pavimento. L'odore acre fece sparire anche gli ultimi capogiri.

    «Lascia fare a me», disse Jacob.

    «Ci penso io. Tu butta l'altro straccio in lavatrice, ti va?».

    Quando fui certa che il pavimento sapesse solo di ammoniaca, mi alzai e sciacquai anche il lavello. Poi andai alla lavatrice dietro la dispensa e versai una dose anche lì prima di farla partire. Jacob mi guardò con aria di disapprovazione.

    «Ti è venuta qualche mania ossessiva?», mi chiese quando ebbi finito.

[…]    «In questa casa siamo abbastanza sensibili al sangue. Mi capisci, no?».

    «Ah». Arricciò di nuovo il naso.

    «Perché non semplificargli le cose? Quello che fa è già abbastanza duro».

    «Certo, certo. Perché no?».

    Tolsi il tappo e lasciai colare l'acqua sporca dal lavello.

    «Posso chiederti una cosa, Bella?».

    Sospirai.

    «Com'è… essere la migliore amica di un licantropo?».

    La domanda mi prese in contropiede e scoppiai a ridere.

    «Non ti mette mai paura?», insistette.

    «No. Quando il licantropo si comporta bene», puntualizzai, «è il massimo».

    Sorrise e i denti bianchi brillarono contro la pelle ramata. «Grazie, Bella», disse, poi mi prese la mano e mi avvolse in uno dei suoi abbracci stritolanti.

    Prima che potessi reagire, lasciò cadere le braccia e si allontanò.«Bleah», esclamò. «I tuoi capelli puzzano più della stanza».

    «Ah si?», mugugnai. D'un tratto capii perché Edward si era messo a ridere dopo aver respirato il mio odore. Ero circondata da mostri che si facevano i dispetti a vicenda.

    «Uno dei rischi del fare amicizia con i vampiri», disse Jacob scrollando le spalle. «Ti fa puzzare. Un rischio da poco, in confronto».

    Lo fissai. «Sei solo tu che senti la puzza, Jake».

    Sorrise. «A presto, Bells».

    «Te ne vai?».

    «È qui fuori, aspetta soltanto che me ne vada. Lo sento».

    «Ah». Uffa, non vedo mai il mio migliore amico, e adesso lo costringe ad andarsene. Perché Edward non la smette con questa storia dell’ultraprotezione? Non aveva detto che si sarebbe fidato del mio buon senso e mi avrebbe lasciata tranquilla? Sempre che si rimangia la parola.

    «Esco dal retro», disse, poi si fermò. «Aspetta un attimo… ehi, ti andrebbe di venire a La Push stasera? Facciamo una festa attorno al fuoco. Ci sarà Emily, potrai conoscere Kim… e anche Quil vorrebbe vederti. È molto seccato che tu abbia saputo la verità prima di lui».

    Sorrisi all'idea. Immaginai il fastidio di Quil. L'amichetta umana di Jacob che va in giro con i licantropi mentre lui brancola nel buio… Poi sospirai.

    «Non lo so, Jake. Vedi, è un momento un po' particolare…».

    «Andiamo, credi che qualcuno potrebbe mai battere noi… sei tutti insieme?».

    Aveva balbettato la fine della frase, dopo una strana pausa. Mi chiesi se avesse problemi a pronunciare la parola "licantropo", quanto li avevo io con la parola "vampiro".

    I suoi grandi occhi neri mi pregavano, sfacciati.

   «Ok, ok ci sarò», dissi ridendo della sua espressione da cucciolo supplichevole.

    Fece un rumore con la gola. «Sembri troppo sicura. Pensi che ti lascerà andare?», chiese scettico.

    «Credo di si, abbiamo raggiunto un accordo. Dice che si affiderà al mio buon senso», anche se sembrava che si fosse già rimangiato tutto.

    Jacob alzò un sopraciglio e sul volto comparve un sorriso di enorme soddisfazione. Non avevo idea che avesse tutti quei denti. «L’hai strigliato per bene vero? Sono fiero di te», e mi diede due leggere pacche sulla spalla.

    «Mi dispiace, ma non c’è stata alcuna litigata. Ha fatto tutto da solo», replicai con un sorriso di sfida, consapevole di averlo deluso. Jacob s’imbronciò di nuovo e gli crollarono le spalle.

    «Uffa, sei troppo buona Bells, non va mica bene. Ti fidi troppo di lui, e secondo me ti controlla quando credi di essere sola. Non mi sorprenderebbe se per caso alzassi gli occhi verso il soffitto e lo trovassi incollato tipo zanzara ad ascoltare le nostre conversazioni come una vecchia pettegola. Hai controllato che non abbia le ventose sotto le mani?». Parlava con espressione di finto orrore e alzando gli occhi verso il soffitto.

    «Ma Jake, che stai dicendo?», mi veniva da ridere, e la cosa mi infastidiva: non volevo ridere di Edward, non mi sembrava carino.

    «Davvero, per me è come se lo vedessi. Messo li, che ti fissa con quei occhi strani sgranati a palla», mimò gli occhi spalancati con le mani. «Scommetto che appena gli dirai del mio invito, sarai costretta a chiedergli il permesso».     

    «Basta con queste idiozie», tagliai corto spingendogli via il braccio. «È ora che i licantropi se ne vadano a casa!».

    Sorrise. «Ciao, Bells. Mi raccomando, ricordati di chiedere il permesso».

    Sparì dietro la porta prima che trovassi qualcosa da lanciargli contro.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    La lavatrice batté un colpo e si fermò balbettante.

    «Stupida ferraglia», bofonchiai divincolandomi. Spostai lo straccio solitario che l'aveva inceppata e la feci ripartire.

    «Ora che mi ricordo», dissi ad Edward. «potresti chiedere ad Alice cosa ha fatto della mia roba quando mi ha pulito la stanza? Non la trovo più da nessuna parte».

    Mi guardò con espressione confusa. «Alice ha pulito la tua stanza?».

    «Sì, penso di sì. Quando è venuta a prelevare il pigiama, il cuscino e la roba per rapirmi». Gli lanciai un'occhiata torva. «Ha spostato tutto quello che ha trovato in disordine, le magliette, le calze, e non so dove le ha messe».

    Edward mi fissò confuso per un attimo, poi all'improvviso s'irrigidì.

    «Quando ti sei accorta che mancavano?».

    «Quando sono tornata dal finto pigiama party. Perché?».

    «Temo che Alice non abbia preso niente. Né i vestiti né il cuscino. Le cose che mancano… le avevi indossate… toccate… ci avevi dormito?».

    «Sì. Che c'è, Edward?».

    La sua espressione era tesa. «Oggetti con il tuo odore».

    «Ah!».

    Ci guardammo negli occhi per un momento interminabile.

    «Il mio visitatore», balbettai.

    «Stava cercando tracce… indizi. Forse per dimostrare che ti aveva trovato?».

    «Perché?», sussurrai.

    «Non lo so. Ma ti giuro che lo scoprirò, Bella. Te lo giuro».

[…]  Sentii il suo cellulare vibrare. Lo estrasse dalla tasca e diede un'occhiata al numero.  

    «Proprio la persona con cui avevo bisogno di parlare», mormorò, poi rispose. «Carlisle, io…». S'interruppe subito e restò in ascolto, il viso teso per la concentrazione.

«Controllerò. Senti…».

   Gli spiegò degli oggetti scomparsi ma, per quanto capivo, non sembrava che Carlisle potesse darci suggerimenti utili.

    «Forse posso andare…», disse Edward, interrompendosi non appena incrociò i miei occhi. «Forse no. Non far andare Emmett da solo, sai come diventa. Almeno chiedi ad Alice di tenere tutto sotto controllo. Ne parliamo dopo». Spense il telefono. «Dov'è il giornale?», mi chiese.

    «Mmm, non lo so. Perché?».

    «Devo vedere una cosa. Charlie non l'avrà già buttato?».

    «Forse…».

    Edward scomparve.

    Ritornò dopo mezzo secondo, con altre gocce di diamante nei capelli e un giornale bagnato fra le mani. Lo aprì sul tavolo e ne scorse velocemente i titoli. Era chino in avanti, concentrato nella lettura, e sottolineava con un dito i passaggi che lo interessavano di più.

    «Carlisle ha ragione… sì… davvero confuso. Giovane e pazzo? O un aspirante suicida?», bofonchiò.

    Cercai di sbirciare oltre la sua spalla.

    Il titolo del «Seattle Times» diceva: "La scia di omicidi si diffonde - Nessuna pista per la polizia".

[…]    «La situazione peggiora», mormorai.

    Si rabbuiò. «È del tutto fuori controllo. Non può essere il lavoro di un solo vampiro appena nato. Che succede? A quanto pare, chiunque sia non ha mai sentito parlare dei Volturi. È possibile, in effetti. Nessuno che gli abbia spiegato le regole… ma allora, chi è il suo creatore?».

    «Cosa c'entrano i Volturi?», domandai, spiazzata.

    «Spazzano via ciclicamente questo genere di cose, cioè altri immortali che rischiano di farci uscire allo scoperto. Qualche anno fa, ad Atlanta, hanno ripulito un casino simile ma molto meno grave. Interverranno presto, molto presto, se non troviamo un modo per calmare le acque. Preferirei che non arrivassero a Seattle ora. Se sono tanto vicini… potrebbero decidere di farci visita, e se riuscissimo comunque a nasconderti, Aro verrebbe a scoprire di te attraverso il suo potere di leggere la mente con un semplice tocco. Se questo accadesse…». Mi uccideranno, pensai concludendo la frase di Edward.

    Rabbrividii di nuovo. «Che possiamo fare?».

    «Prima di decidere dobbiamo saperne di più. Magari, se potessimo parlare con questi novellini, spiegargli le regole, la cosa si risolverebbe pacificamente». Aggrottò la fronte, poco convinto dell'ipotesi. «Aspetteremo che Alice abbia un'idea di ciò che sta accadendo… Non vogliamo entrare in azione finché non sarà strettamente necessario. Dopotutto, non è nostra responsabilità. Per fortuna abbiamo Jasper», aggiunse, quasi a se stesso. «Se dovremo avere a che fare con dei neonati, ci tornerà utile».

    «Jasper? Perché?».

    «Jasper è una specie di esperto in giovani vampiri».

    «In che senso un esperto?».

    «Chiedilo a lui. È una storia complicata».

    «Che casino», mugugnai.

    «Effettivamente sì. A quanto pare ne stanno accadendo di tutti i colori, in questi giorni». Sospirò. […] «E ora, sbaglio…», continuò con un sorriso ironico, «o hai qualcosa da dirmi?».

    Lo guardai senza capire. «Io?».

    «O forse no». Sorrise. «Non avevi promesso a qualcuno che saresti andata a una specie di serata fra licantropi?».

    «Hai origliato di nuovo?». Inopportunamente ricordai le stupidaggini di Jacob, e mi sentì di nuovo irritata nel voler ridere di Edward.

«Solo un po', verso la fine. E comunque non ho le ventose», disse mostrandomi i palmi delle mani.

    «Lo so», feci gli occhi al cielo. «Devo davvero chiederti il permesso?».

    «Non sono tuo padre, grazie al cielo. Forse dovresti chiedere a Charlie».

    «Charlie dirà di sì, lo sai».

    Lo fissai . […] Era stupido, proprio ora che succedevano cose così preoccupanti e misteriose, voler uscire con una combriccola di ragazzi-lupo grandi e sciocchi. Ma proprio per questo volevo farlo. Volevo lasciarmi alle spalle le minacce di morte, solo per qualche ora… essere la Bella immatura e spericolata che poteva riderci sopra con Jacob, anche solo per un po'. […]

    «Bella», disse Edward, «ti ho detto che sarei stato ragionevole e mi sarei fidato del tuo buon senso. Dicevo sul serio. Se tu ti fidi dei licantropi, non mi preoccupo di loro».

    Restai sorpresa, come la notte precedente.

    «E Jacob ha ragione, quanto meno su una cosa: un branco di licantropi è sufficiente a proteggerti per una sera».

    «Ne sei sicuro?».

    «Certo. Solo…».

     «Vuoi accompagnarmi fino al confine?», domandai ricordando la sua proposta.

    «E magari porta con te un cellulare, così saprò quando venire a prenderti», aggiunse sereno.

    «Perché non posso farmi riaccompagnare da lui?», domandai.

    «E’ una possibilità, ma Alice non ti vede quando sei con i lupi, quindi vorrei poter stare tranquillo. Voglio essere sicuro che tornerai effettivamente a casa. Sana e salva», rispose impassibile.

    «E se volessi fermarmi per una notte?».

    «Bella, se la mia presenza è diventata ingombrante basta dirlo, e io me ne andrò», replicò serio.

    Sbuffai di fronte al suo ricatto. Come minimo si sarebbe portato dietro l’intera famiglia di nuovo. «Non c’è bisogno di essere così drastici, Edward. Non voglio che tu te ne vada. Mi piacerebbe solo che allentassi la tua presa d’acciaio».

    «Non ti sembra che l’abbia allentata abbastanza?».

    «E’ un inizio».

    «Più di questo non posso fare, Bella. Non sei più mia, ma non voglio sprecare tempo inutilmente senza poterti vedere. Forse sono troppo invadente, ma con tutta questa marmaglia che vuole ucciderti, non mi sento di lasciarti sola nemmeno un minuto. Cerca di capirmi, Bella. Almeno questo», disse esasperato. Rimasi a riflettere.

    «Lo fai solo per proteggermi? Non c’è altro?», domandai.

    «Nient’altro», rispose ricomposto e con espressione neutra. «Solo per proteggerti».

    Sospirai e gli credetti.

    «Mi sembra una proposta… molto ragionevole».

    «Perfetto».

 ****************************************************************************************************************************************************************

[…]    Ovviamente Charlie fu ben contento di lasciarmi andare al falò di La Push. Quando chiamai Jacob per dargli la notizia, si abbandonò a un'esultanza sfacciata, tanto entusiasta da accettare tutte le misure di sicurezza di Edward. Gli diedi appuntamento sul confine, alle sei. Decisi di riportargli la moto, era casa sua infondo, così andammo a prenderla a casa di Edward. Sapendo quanto mi piacesse quel mezzo, mi aveva comprato un casco dello stesso colore, ed un cellulare era già pronto in previsione di una simile occasione.

    A circa metà strada girammo l'angolo e trovammo Jacob appoggiato contro un fianco della Volkswagen rossa che aveva rimesso in sesto da solo. L'espressione accuratamente neutrale di Jacob si trasformò in un sorriso quando lo salutai dal sedile.

    Edward parcheggiò la Volvo a circa trenta metri di distanza.

    «Chiamami quando sei pronta per tornare a casa», disse, «e arrivo subito».

    «Non farò tardi», promisi.

    Edward scaricò la moto e il mio nuovo equipaggiamento dalla sua auto.

[…]    Jacob osservò senza un cenno. Il sorriso era sparito, lo sguardo indecifrabile. Strinsi il casco sotto il braccio e lanciai il giubbotto sul sedile.

    «Hai tutto?», chiese Edward.

    «Nessun problema», lo rassicurai. […]

    «Ciao», disse. «Proprio bello quel giubbotto».

[…]    Sentivo il suo sguardo seguirmi mentre spingevo la moto verso l'invisibile linea di confine licantropi-vampiri, per andare da Jacob.

    «Che cos'è questa storia?», chiese Jacob guardingo, scrutando la moto con un'espressione enigmatica.

    «Ho pensato che è meglio riportarla a casa», risposi.

    Meditò sulle mie parole per un istante, poi un sorriso gli distese il volto. Capii con precisione quando entrammo nel territorio dei licantropi perché Jacob saltò giù dall'auto e m'inseguì svelto, accorciando le distanze in tre lunghi passi. Prese la moto, la issò sul cavalletto e mi strinse in un altro fortissimo abbraccio.

    Sentii il motore della Volvo ringhiare e cercai di liberarmi.

    «Smettila Jake!», ansimai senza fiato.

    Rise e mi lasciò andare. Mi voltai a salutare, ma la macchina argentata era già scomparsa lungo la curva.

    «Complimenti», commentai con un filo di acidità nella voce.

    Spalancò gli occhi, falsamente innocente. «Per cosa?».

    «Questi tuoi tentativi di farlo ingelosire mi irritano molto. Si è già sforzato abbastanza di essere carino; meglio per te se la smetti di sfidare la tua buona sorte».

    Rise di nuovo, più forte di prima - dovevo aver detto qualcosa di divertente. Cercai di spiegarmi perché mentre veniva ad aprirmi la portiera della Golf.

    «Bella», disse infine, ancora sogghignante, mentre chiudeva la portiera, «come faccio a sfidare una buona sorte che non ho?».

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Leggende ***


Qui voglio farvi notare una cosa: la reazione di Bella dopo che ha sentito le leggende dei Quileute. Nell’originale secondo me non aveva capito niente perché diceva ad Edward “Saresti dovuto esserci”, senza contare che non aveva capito nemmeno lo sforzo che stava facendo Jacob. Bè, non potevo non metterci la zampa ù__ù. Buona lettura!

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    «Lo mangi o no, quel panino?», chiese Paul a Jacob, con gli occhi fissi sui resti del banchetto che i licantropi avevano appena consumato.

    Jacob si appoggiò alle mie ginocchia e si mise a giocare con un hot dog infilzato nel metallo di una gruccia riadattata a spiedino; le fiamme del falò lambivano la pelle rigonfia del würstel. Sospirò e si massaggiò lo stomaco. Chissà come, era ancora piatto, nonostante avessi perso il conto di quanti panini aveva ingurgitato dopo il decimo. Per non parlare della busta di patatine giganti e della bottiglia di birra da due litri.

    «Credo di sì», disse Jake lentamente. «Sono così sazio che sto per vomitare, ma penso di riuscire a farlo scendere: Non me lo godrò per niente, però». Sospirò di nuovo, triste.

    Paul, che ne aveva mangiati tanti quanti Jacob, strinse i pugni e lo guardò torvo.

    «E dai», Jacob rise. «Sto scherzando, Paul. Ecco qui».

    Buttò in mezzo al cerchio formato da noi lo spiedino fatto in casa. Mi aspettavo che s'infilzasse dritto nella sabbia, ma senza alcuna difficoltà Paul lo afferrò con precisione dal verso giusto.

    A furia di frequentare solo persone con abilità straordinarie rischiavo di farmi venire dei complessi. Ciononostante, scoppiai a ridere.

    «Grazie, fratello», disse Paul, che aveva già superato il breve momento d'ira.

    Il fuoco crepitava e pian piano si abbassò. Le scintille scoppiavano veloci come bolle color arancione brillante sullo sfondo del cielo nero. Non mi ero neppure accorta che il sole era tramontato. Doveva essere tardi, ma non sapevo che ora fosse. Avevo perso completamente il senso del tempo. Stare insieme ai miei amici Quileute era più semplice di quanto mi aspettassi.

    Mentre Jacob e io portavamo la mia moto in garage - e lui aveva ammesso con rammarico che quella del casco era una buona idea, a cui avrebbe dovuto pensare prima - avevo iniziato a preoccuparmi per la serata.

    Chissà, forse i licantropi mi avrebbero considerato una traditrice. Si sarebbero arrabbiati con Jacob per avermi invitata? Avrei rovinato la festa?

    Ma quando spuntai con Jacob dalla foresta e raggiunsi il luogo d'incontro in cima alla scogliera - il fuoco ruggiva già, più luminoso del sole oscurato dalle nuvole - tutto divenne molto semplice e informale.

    «Ehi, ragazza vampiro!», mi aveva salutato squillante Embry. Quil era saltato in piedi per darmi il cinque e baciarmi sulla guancia. Emily mi aveva preso la mano quando ci eravamo sedute sulla pietra fredda accanto a lei e Sam.

    A parte qualche lamento provocatorio, più che altro di Paul, perché si tenesse sottovento la puzza dei succhiasangue, tutti mi trattavano come una di loro. Come se facessi parte della famiglia.

    Non c'erano solo i ragazzi ad attendermi. Anche Billy era lì, con la sedia a rotelle posizionata su quella che sembrava la testa naturale del cerchio. Accanto a lui, su una sdraio pieghevole, c'era l'anziano, bianchissimo nonno di Quil, che si chiamava come lui. Aveva un aspetto fragile e rugoso.

    Al suo fianco Sue Clearwater, la vedova di Harry, l'amico di Charlie, insieme

ai suoi due figli, Leah e Seth, seduti per terra come noi. Vedere i tre mi sorprese: allora dovevano essere al corrente del segreto. Dal modo in cui Billy e il vecchio Quil parlavano con Sue, sembrava che lei avesse rimpiazzato Harry nel consiglio. Questo rendeva automaticamente anche i suoi figli membri della società più segreta di La Push?

    Chissà che cosa terribile doveva essere per Leah sedersi in cerchio di fronte a Sam ed Emily. Il suo viso grazioso non tradiva alcuna emozione, ma non staccava mai lo sguardo dalle fiamme. Ne osservai la perfezione del volto e non potei evitare di confrontarla con il volto sfregiato di Emily.

    Cosa pensava Leah di quelle cicatrici ora che ne conosceva la vera causa? Ai suoi occhi sembrava un atto di giustizia?

    Il piccolo Seth Clearwater non era più così piccolo. Con il suo sorriso ampio e gioioso e il corpo snello e slanciato mi ricordava molto Jacob da ragazzino. La somiglianza mi fece sorridere, e sospirare. Anche Seth era condannato a veder cambiare la sua vita drasticamente, come gli altri ragazzi? Era forse per quel futuro che lui e la sua famiglia si ritrovavano a partecipare alla serata?

    C'era tutto il branco: Sam con la sua Emily, Paul, Embry, Quil e Jared con Kim, la ragazza del suo imprinting.

[…]

    Come la guardava! Era come un cieco che vedeva il sole per la prima volta. Come un collezionista che scopre un Leonardo sconosciuto, come una madre che guarda negli occhi il figlio appena nato.

[…]    La pelle di Kim si faceva più scura quando incontrava lo sguardo di venerazione di Jared; i suoi occhi si abbassavano per l'imbarazzo, ma non le riusciva facile distogliere troppo a lungo l'attenzione da lui.

    Osservandoli, sentii di capire meglio quello che Jacob mi aveva detto dell'imprinting: è difficile resistere a un tale livello di coinvolgimento e adorazione. La chiave del mio cuore fece un altro giro.

    Kim era appoggiata contro il petto di Jared, che la cingeva con un braccio. Chissà come stava al caldo, in quella posizione.

    «Si sta facendo tardi», mormorai a Jacob.

    «Non cominciare», mi sussurrò in risposta, anche se di sicuro almeno metà del gruppo aveva un udito tanto sensibile da sentirci. «La parte migliore sta per arrivare».

    «E cosa sarebbe? Tu che divori una mucca in un solo boccone?».

    Jacob ghignò con il suo riso basso e rauco. «No. Quello è il finale. Non ci siamo incontrati solo per ingozzarci di cibo. Tecnicamente questa è una riunione del consiglio. Per Quil è la prima volta, non ha ancora sentito le nostre storie. Be', le ha sentite, ma oggi per la prima volta saprà che sono vere. Perciò vi starà più attento. Anche per Kim, Seth e Leah è la prima volta».

    «Storie?».

    Ero appoggiata contro una bassa cresta di roccia e Jacob scivolò all'indietro per avvicinarsi. Mi cinse la spalla con il braccio e mi parlò ancora più piano all'orecchio.

    «Quelle che abbiamo sempre pensato fossero leggende», disse. «Le storie su come siamo nati. La prima narra degli spiriti guerrieri».

    Il morbido sussurro di Jacob aveva fatto da introduzione. Attorno al fuoco basso, di colpo l'atmosfera cambiò. Paul ed Embry si alzarono in piedi. Jared prese Kim e la sollevò gentilmente da terra. Emily tirò fuori un quaderno a spirale e una penna, come un'alunna pronta per una lezione importante. Sam, accanto a lei, si mosse quel tanto da guardare nella stessa direzione del vecchio Quil, seduto al suo fianco. E all'improvviso capii che gli anziani del consiglio non erano tre, ma quattro.

    Leah Clearwater, il cui viso era una splendida maschera priva di emozioni, chiuse gli occhi non per stanchezza, ma per concentrarsi. Suo fratello si sporse di più verso gli anziani, entusiasta.

    Il fuoco scoppiettò e un'altra esplosione di scintille brillò nella notte.

    Billy si schiarì la voce e, senza alcun'altra introduzione a parte il sussurro di suo figlio, cominciò a raccontare, con voce ricca e profonda. Le parole uscivano precise, come se le conoscesse a memoria, ma anche con sentimento e un ritmo sottile. Come una poesia recitata dal suo autore.

    Fu un estasi, un totale coinvolgimento mentale ed emotivo, ed insieme una storia terribile, intrisa di morte e dolore. Magia e sacrificio ne erano i capisaldi.   

    Potenti Spiriti guerrieri, capaci di separarsi dal corpo per difendere la propria gente, furono costretti a mutare la loro forma umana in quella animale a causa di un tradimento subito dal capo tribù, Taha Aki, l’ultimo Spirito Supremo.

    Egli venne tradito da Utlapa, che s’impossessò del corpo di Taha Aki per prenderne il posto, uccidendo il proprio e lasciando che l’anima del vero capo tribù, vagasse tra i boschi, disperato. Trovò rifugio nel corpo di un grande e bellissimo lupo, un’azione che cambiò il destino dei Quileute.  

    Quando assistette all’uccisione di uno dei guerrieri più anziani, che aveva capito il tradimento di Utlapa, Taha Aki provò una rabbia e un odio talmente incontebili che iniziò a tremaree, e si ritrasformò in un uomo enorme e fortissimo.  Come lo sono oggi Jacob, Sam, Paul e gli altri .

  Taha Aki riuscì a riprendersi il suo posto ed ordinò ai suoi guerrieri di non avventurarsi più nella terra degli spiriti, dati i rischi al quale si andava incontro. Non invecchiò più, e difendeva le sue terre assumendo la forma del grande e vigoroso lupo. Questo potere venne trasmesso ai suoi figli, e ogni lupo era diverso dall’altro, poiché ognuno ha il suo spirito, e il riflesso della propria persona è unico.

    «Ah, ecco perché Sam è tutto nero», bofonchiò Quil sotto voce, ridendo. «Cuore nero, pelo nero».

    Ero così presa dalla storia che rimasi scossa nel tornare al presente, al cerchio attorno al fuoco morente. E con altrettanto turbamento mi resi conto che attorno al cerchio erano riuniti i pronipoti - di chissà quanti gradi - di Taha Aki. Solo dopo feci caso alla posizione che il mio corpo aveva assunto involontariamente, tanto ero immersa nel racconto.

    Ero allacciata a Jacob.

    Il braccio destro era incollato alla sua schiena e la mano stringeva a pugno un lembo della sua maglietta, mentre la mano sinistra e il mio orecchio erano appoggiati al suo petto come fosse un comodo cuscino. Sentivo il suo cuore battere più velocemente del normale, mentre lui mi avvolgeva con un braccio e giocherellava distrattamente con una ciocca dei miei capelli con la mano libera. La guancia calda era posata sulla mia fronte, e percepivo l’angolo delle labbra morbide e piene sulla pelle.

    La serratura del mio cuore ebbe un breve sussulto, perciò mi affrettai a riprendere una posizione meno coinvolta. Per mezzo secondo Jacob si rifiutò di lasciare che mi allontanassi, ma subito sciolse le braccia e lasciò che mi accostassi semplicemente a lui.

    Evitai di guardarlo per non incrociare i suoi occhi profondi, come l’imbarazzo che provavo in quel momento.

    «E il tuo pelo color cioccolato cosa rappresenta?», sussurrò Sam in risposta a Quil. «Quanto sei dolce?».

    Billy ignorò la schermaglia. «Alcuni dei figli divennero guerrieri insieme a Taha Aki, e non invecchiarono più. Altri, che non amavano la trasformazione, rifiutarono di unirsi al branco degli uomini-lupo. Iniziarono di nuovo a invecchiare e la tribù scoprì che anche gli uomini-lupo sarebbero cresciuti come tutti gli altri, se avessero rinunciato ai loro spiriti. La vita di Taha Aki durò quanto quella di tre uomini. Dopo la morte delle prime due, prese una terza moglie e in lei trovò la compagna migliore per il suo spirito. Aveva amato le altre, ma per lei sentiva qualcosa di diverso. Decise di rinunciare al suo spirito di lupo, per morire insieme a lei. Questo è il racconto di come la magia è giunta fino a noi… ma non è la fine della storia…».

    Poi guardò il vecchio Quil Ateara, che si spostò sulla sedia, raddrizzando le spalle fragili. Billy bevve da una bottiglia d'acqua e si asciugò la fronte. Emily aveva trascritto senza sosta.

    «Quella era la storia degli spiriti guerrieri», cominciò il vecchio Quil con flebile voce tenorile. «Questa è la storia del sacrificio della terza moglie. Molti anni dopo la rinuncia di Taha Aki al proprio spirito di lupo, quando era ormai vecchio, a nord ci furono problemi con la tribù dei Makah. Molte loro giovani erano scomparse e di ciò incolpavano i lupi, verso i quali provavano paura e diffidenza. Quando assumevano le sembianze dell'animale, gli uomini-lupo potevano ancora leggersi nel pensiero, proprio come i loro antenati facevano da spiriti. Sapevano che nessuno di loro era colpevole di quel misfatto. Taha Aki provò a rasserenare il capo Makah, ma la paura era troppa. Taha Aki non voleva trovarsi in guerra. Non aveva più l'età per guidare la sua gente da guerriero. Incaricò il suo figlio-lupo maggiore, Taha Wi, di trovare i veri colpevoli prima che iniziassero le ostilità. Taha Wi guidò gli altri cinque uomini-lupo del suo branco in missione sulle montagne, in cerca di qualche indizio delle Makah scomparse. Trovarono qualcosa di assolutamente nuovo per loro: uno strano, dolce odore nella foresta, che bruciava il naso fino a far male».

    La reazione fu immediata, e  di nuovo mi strinsi al fianco di Jacob. Vidi l'angolo della sua bocca contrarsi divertito e mi cinse con un braccio.

    Da quel viaggio, tornarono indietro solo alcuni di loro per riferire del ritrovamento di alcune tracce di sangue, ma di Taha Wi non si seppe più nulla.

Taha Aki voleva vendicarlo, ma era troppo vecchio e non si trasformava da troppo tempo. In seguito ad un’altra spedizione, solo un figlio tornò indietro vivo, trascinando con se i resti di una creatura che successivamente chiamarono il Freddo o Bevitore di Sangue. Fu difficile anninetarlo, dovettero sfruttare al massimo le loro capacità, ma ci riuscirono. Tempo dopo, nel villaggio comparve la compagna di quella creatura, un’altra Fredda, bellissima, che parlava una lingua sconosciuta.

    Quando l’unico consanguigno di Taha Aki percepì l’odore sgradevole, il panico s’impossessò della tribù. Ne sopravvissero solo due. L’unico figlio di Taha Aki in grado di trasformarsi, Yaha Uta, morì davanti ai suoi occhi e a quelli dei suoi fratelli e della madre, nel tentativo di distruggere quella creatura. La rabbia esplose nel vecchio corpo di Taha Aki, tramutandosi nuovamente in lupo, pronto alla battaglia con la Fredda venuta a vendicare la morte del compagno.

    La terza moglie, avendo visto il figlio morire e il marito in difficoltà, consapevole che i figli fossero troppo giovani per trasformarsi e che sarebbero morti tutti, non esitò a prendere una lama e a conficcarsela nel cuore, confidando in un momento di distrazione che per la Fredda poteva essere fatale. Alla vista della madre morente, due giovani figli provarono una rabbia enorme, capace di dare vita al loro spirito lupo, malgrado fossero solo ragazzi. Insieme al padre, finirono il mostro.

    Da quel giorno la presenza dei Freddi fu rara, e il branco non era molto numeroso. Finchè non arrivò un clan più grande. Nonostante fossero in numero maggiore, vollero trovare un punto d’incontro con i lupi giganti. Gli strani occhi gialli e i modi incredibilmente umani del capo del clan, convinsero Ephraim Black a stipulare il trattato di pace. Tuttavia, la loro presenza richiamava altri Freddi, che a sua volta necessitava di un ampliamento del branco.

    «Perciò, oggi, i figli della nostra tribù portano di nuovo il fardello, e condividono il sacrificio che i loro padri hanno sopportato prima di loro», concluse il vecchio Quil.

    Per un momento interminabile rimase tutto in silenzio. I discendenti della leggenda e della magia si fissarono l'un l'altro attraverso il fuoco con la tristezza negli occhi. Tutti tranne uno.

    «Fardello», schernì a bassa voce. «Secondo me è una figata». Il labbro pieno di Quil si gonfiò in un broncio.

    Dall'altra parte del fuoco morente, Seth Clearwater - gli occhi pieni di adulazione per la fratellanza dei protettori della tribù - annuì il proprio consenso.

    Billy ridacchiò piano e a lungo e la magia sembrò dissolversi nella brace scintillante. All'improvviso era di nuovo un cerchio di amici. Jared tirò un sassolino a Quil e tutti risero del suo spavento. Iniziò un chiacchiericcio sommesso, scherzoso e informale. C’era un’atmosfera così diversa, rispetto a quella più sobria dei Cullen. Per un attimo pensai che il ritratto di una vera famiglia felice, fosse proprio quella dei lupi.

    Gli occhi di Leah Clearwater non si aprirono. Mi parve di vedere qualcosa scintillare per un istante sulla sua guancia, forse una lacrima.

    Né io né Jacob parlammo. Era immobile accanto a me, il respiro tanto profondo e regolare che pensai stesse per addormentarsi.

    La mia mente era lontana mille anni. Non pensavo a Yaha Uta o agli altri lupi, oppure alla bellissima Fredda, che potevo immaginare fin troppo facilmente. No, pensavo a qualcuno che era totalmente al di fuori della magia.

    Cercavo di immaginare il viso della donna senza nome che aveva salvato l'intera tribù, la terza moglie.

    Solo una donna umana, senza doni né poteri speciali. Fisicamente più debole e lenta di qualunque altro mostro della storia. Ma era stata lei la chiave, la soluzione. Aveva salvato il marito, i suoi giovani figli, la tribù.

    Avrei voluto conoscere il suo nome…

    Qualcosa mi scosse il braccio.

    «Forza, Bells», mi disse Jacob all'orecchio. «Siamo arrivati».

    Strizzai gli occhi confusa: il fuoco era sparito. Fissai l'oscurità inaspettata, cercando di dare un senso a ciò che mi circondava. Mi ci volle un po' per capire che non ero più sulla scogliera. Jacob e io eravamo soli. Ancora avvolta dal suo braccio, ma non più seduta per terra.

    Come ero finita nella macchina di Jacob?

    «Oh, merda!», protestai quando capii di essermi addormentata. «Che ore sono? Merda, dov'è quello stupido telefono?», mi toccai le tasche, nel panico.

    «Facile. Non è ancora mezzanotte. L'ho già chiamato io. Guarda, ti sta aspettando lì».

    «Mezzanotte?», ripetei come una stupida, ancora disorientata. Fissai nell'oscurità e […]riconobbi la sagoma della Volvo, trenta metri più avanti. Cercai la maniglia della portiera.

    «Ecco qua», disse Jacob infilandomi qualcosa in mano. Il cellulare.

    «Hai chiamato tu Edward per me?».

    I miei occhi si erano ambientati abbastanza da vedere il bagliore luminoso del sorriso di Jacob. «Ho pensato che se mi comporto in modo carino, potrò passare più tempo con te».

    Nell’ombra guardai nei suoi occhi, senza capire che espressione avessi nel mio viso. Dopo aver sentito tutte quelle storie incredibili, dopo aver compreso il motivo del suo rancore nei confronti dei vampiri, per averlo costretto a perdere la sua normalità di essere umano e passare la vita a combattere, era comunque disposto ad ingoiare il caustico veleno dell’odio per me.

    Solo per vedermi.

    Lo stomaco mi si contorse e la mia anima allentava la presa d’acciaio sulla chiave del mio cuore, i cui cocci erano incollati a mala pena tra loro.

    Quanto teneva a me Jacob? Quanto ancora era disposto a sacrificare per questa stupida e fragile ragazza incapace di ripagare i suoi sforzi? Ricacciai le lacrime di commozione dentro gli occhi con tutta la forza che avevo.

    «Jake», mormorai con voce spezzata. «Con stasera, ho capito le tue ragioni. Se non fossero mai esistiti i vampiri…se ci fosse stato solo Laurent senza Victoria…».

    «Non mi sarei mai trasformato», concluse sereno. Ora che erano tornati i Cullen, chissà quanti altri ragazzi di La Push erano condannati allo stesso destino.

   Con un sospiro annuì ad occhi chiusi. Eppure anche in questo caso c’era il rovescio della medaglia. Forse lo stesso che solo Quil riusciva a vedere.

    «Sai, prendimi pure per pazza, fanatica di film horror o di occultismo ma…la tua capacità di diventare un forte e gigantesco lupo, e di essere così utile alla tua gente…ti rende ancora più speciale di quello che sei sempre stato», confessai. «C’è magia in te ed è bello, o meglio a me piace, e credo che dovresti apprezzare di più la tua condizione».

    Jacob restò immobile, inchiodato al suo sedile con gli occhi fissi sui miei, in silenzio. Probabilmente stava misurando più volte ogni sillaba che avessi pronunciato.

    Il mio respiro si fece corto, come il suo. «Perciò, comportati pure come vuoi, non sarà questo che mi farà passare la voglia di vederti», aggiunsi abbozzando un sorriso.

    «Non so cosa dire, Bells, sono…felice. Per tutto quello che hai detto», la sua voce bassa e rauca tremava, mentre i suoi occhi luccicavano come stelle in una notte limpida. «Comunque insisto, cercherò di comportarmi bene anche se per te non sembra più essere importante. Voglio provare a fare lo stesso gioco del tuo vampiro. Proverò ad essere più ragionevole», disse concludendo con un sorriso affettuoso. Ricambiai mordendomi il labbro inferiore.

    «Grazie, Jake», dissi commossa. «Davvero, grazie. E grazie anche per avermi invitato stanotte. È stato…», le parole mi mancavano. «Caspita. È stato unico».

    «E non hai nemmeno resistito per vedermi mangiare la mucca». Rise. «No, mi fa piacere che tu sia stata bene. È stato… bello, per me. Averti qui».

    Ci fu un movimento nel buio, a distanza. Qualcosa di chiaro si mosse come uno spettro contro gli alberi neri. Camminava inquieto?

    «Be', non è molto paziente, vero?», disse Jacob notando che mi ero distratta. «Vai ora. Ma torna presto, okay?».

    «Certo, Jake», promisi e aprii la portiera scricchiolante. L'aria fredda mi accarezzò le gambe e mi fece rabbrividire.

    «Dormi serena, Bells. Non preoccuparti di niente: ci sarò io a sorvegliarti, stasera».

    Mi fermai, con un piede per terra. «No, Jake. Riposati un po', io starò bene».

    «Certo, certo», disse, ma sembrava più una concessione che un accordo.

    «'Notte, Jake. Grazie».

    «'Notte, Bella», sussurrò mentre mi allontanavo nel buio.

    Edward mi prese sulla linea di confine.

    «Bella», disse con un forte sollievo nella voce; le sue braccia si avvolsero strette attorno a me.

    «Ciao. Scusa se ho fatto così tardi. Mi sono addormentata e…».

    «Lo so. Mi ha già spiegato Jacob». Si diresse alla macchina, e lo seguii, intorpidita e rigida. «Sei stanca? Ti posso portare io».

    «Sto bene».

    «Meglio accompagnarti a casa e metterti a letto. Hai passato una bella serata?».

    «Sì, è stato… davvero stupefacente, Edward. […]Non posso neanche spiegarlo. Il padre di Jake ci ha raccontato le vecchie leggende ed è stato come… come una magia».

    «Me le racconterai, ma dopo un buon sonno».

    «Non sarò in grado», dissi, poi feci un grosso sbadiglio. Edward sogghignò.

    Mi aprì la portiera, mi fece entrare e mi passò la cintura di sicurezza attorno.

Un paio di fari brillarono e ci passarono davanti. Salutai Jacob con un gesto, ma forse non riuscì a vederlo. Mi sentivo come se stessi tornando nel mio squallido e spoglio monolocale, dopo un’estate passata in qualche meta straordinaria in cui mi sentivo rinata. Restai a guardare nostalgica la sagoma della Golf, finchè non sparì dietro la curva del viale alberato.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Quella notte - dopo aver salutato Charlie, che non mi fece tutti i problemi che mi aspettavo, visto che Jacob aveva chiamato anche lui - invece di buttarmi subito a letto restai appoggiata alla finestra aperta. […]L'aria era inaspettatamente fredda, quasi invernale. Sulle scogliere ventose non l'avevo notato affatto; più che del fuoco acceso, forse era stato merito della vicinanza di Jacob.

    Gocce ghiacciate mi schizzarono sul viso mentre la pioggia iniziava a cadere. Era troppo buio per vedere alcunché accanto ai triangoli neri degli abeti che si slanciavano e ondeggiavano al vento. Tesi comunque gli occhi, in cerca di altri profili nella foresta. Una sagoma pallida, che si muoveva come un fantasma nell'oscurità… o magari i contorni scuri di un enorme lupo… i miei occhi erano troppo stanchi.

    Mi trascinai a letto, non avendo visto niente d’interessante tra gli alberi, e crollai appena toccai il cuscino freddo.

    Sognai di essere dentro una tormenta, con il vento che mi frustava i capelli sul viso e mi chiudeva gli occhi. Ero ferma sullo spuntone di roccia di First Beach, cercando di riconoscere le forme che si muovevano veloci e che apparivano offuscate nell'oscurità, sul limitare della costa. All'inizio ci fu soltanto uno scintillio di nero e bianco, che sfrecciavano l'uno verso l'altro e si allontanavano danzando. Poi, come se a un tratto la luna fosse spuntata da dietro le nuvole, vidi tutto.

    Rosalie, con i capelli dorati e bagnati, sciolti e lunghi fino alle ginocchia, si era scagliata contro un enorme lupo, con il pelo del muso maculato d'argento, che riconobbi istintivamente come Billy Black.

    Iniziai a correre, ma mi muovevo con la lentezza frustrante dei sogni. Cercai di urlare che si fermassero, ma il vento spegneva la mia voce e dalla mia bocca non usciva neanche un suono. Agitai le braccia sperando di attirare l'attenzione. Qualcosa mi brillò nella mano destra e a un tratto notai che non era vuota.

    Reggevo una lama lunga e affilata, antica, d'argento, incrostata di sangue secco e nero.

    Rabbrividii lasciando cadere il coltello e i miei occhi si aprirono di scatto nella mia stanza silenziosa e buia. Strofinai gli occhi, mi alzai e andai di nuovo verso la finestra a guardare fuori, sperando di vedere qualcosa di più delle sagome indistinte degli alberi. Non vidi e non udì nulla naturalmente.

    Mentre mi apprestavo a tornare sotto le coperte ancora calde, notai la mia copia sbrindellata di Cime tempestose aperta sul pavimento, […]su una pagina a mo' di segno, come facevo sempre io.

    Mi domandai cosa ci facesse li. Ricordavo di averla lasciata in soggiorno, per di più chiusa.

    La raccolsi, incuriosita da una simile coincidenza, ed accesi la abatjour sul comodino per poter leggere.

    Sulla pagina aperta, tre parole attirarono la mia attenzione; chinai la testa per leggere il paragrafo più da vicino. Era Heathcliff a parlare: conoscevo bene quel passaggio.

 

Ecco la differenza dei nostri sentimenti; se lui fosse stato al posto mio e io al suo, l'avrei odiato di un odio che mi avrebbe avvelenata la vita come fiele, pure non avrei mai levato una mano contro di lui. Mostrati incredula quanto ti pare e piace! Io non l'avrei mai privato della compagnia di Catherine finché ella avesse mostrato di desiderare la sua. Non appena tale desiderio fosse cessato, gli avrei strappato il cuore, e bevuto il sangue! Ma, prima d'allora… oh! tu non mi conosci… prima d'allora sarei morto a goccia a goccia, piuttosto che torcergli un capello!

 

    Le tre parole che avevano catturato la mia attenzione erano «bevuto il sangue».

    Rabbrividii.

    Non so per quale motivo, ma quel monologo mi fece pensare ad Edward, Jacob e me. Come se Edward odiasse a morte Jacob, tanto da volerlo uccidere. A fermarlo, solo la mia volontà di stare in compagnia del mio amico. Ma appena non ne avessi più avuto bisogno, Edward non si sarebbe più fermato. O magari poteva essere il contrario. Jacob che ucciderebbe Edward il giorno in cui non lo vorrò più vedere.

    In entrambi i casi, la volubilità dei miei sentimenti erano l’unico motivo per il quale non si sarebbero ammazzati a vicenda.

    Rabbrividì una seconda volta e chiusi rumorosamente il libro con entrambe le mani. Cercai di scacciare quelle assurde associazioni con il raziocinio: credevo di averlo lasciato nel soggiorno e invece era sul comodino. Sarà caduto, e si era aperto a caso, di sicuro. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Confessioni ***


Marphy, tu mi vuoi morta dall’emozione e dalle risate!!!! Sei eccezionale nel cogliere le sfumature delle mie modifiche, ed è vero, Jake mi fa andare fuori di testa xD!!! Il loro rapporto è stupendo oltre che rarissimo, c’è un’intesa che con il calippo se la sogna! Bella è libera di essere finalmente sè stessa, senza sentirsi in soggezione, nonostante anche Jake abbia dei poteri. Jake sta a metà strada tra i due mondi, anche per questo era perfetto per lei! Ti adoro Marphy, adoro le tue recensioni e le tue battute xD.

 

Miss, i capitoli sono 26 in tutto.

Strano che non ti fosse piaciuta la leggenda in versione estesa dell’originale, io la trovo stupenda *___*.

Dunque, in quella scena, cioè quando Jake la riaccompagna verso il confine dove Edward aspetta Bella, Bella si limita a ringraziarlo per la bella serata, e quando si ricongiunge con Edward, gli dice “Ci saresti dovuto essere”, o qualcosa del genere. Questo fa intendere che Bella non ha capito assolutamente nulla delle leggende dei Quileute, ne del conseguente sforzo disumano che stava facendo Jacob solo per poterla vedere. Come si fa a dire ad un vampiro che avrebbe dovuto assistere alle storie di lupi che ammazzano altri vampiri? Sembra che le abbia prese per storielle raccontate ai nipotini per farli addormentare, e non per fatti “reali” che hanno distrutto la vita di questi poveri ragazzi. Costretti di punto in bianco a rinunciare al proprio futuro per girare a quattro zampe ad uccidere fetidi vampiri e difendere la tribù. Se i Cullen, Lourent e Victoria non fossero tornati, Jake non si sarebbe mai trasformato, non avrebbe rinunciato alla sua vita normale. Bella questo non lo ha capito. Però io si ù___ù, quindi l’ho costretta a ragionare xD.

 

Detto questo, vi lascio ad altri due capitoli! Un bacio e buona lettura ^_^

 *********************************************************************************************************************************************************

(Libro di riferimento: Eclipse) 

 

 

    Il diploma è alle porte. Era già il 4 di giugno, e la scuola era tappezzata da volantini colorati che preannunciavano la tanto attesa cerimonia. Ed Alice era su di giri per i festeggiamenti più per me che per se stessa. Sapeva che mi sarei infuriata se avesse provato a farmi una sorpresa, così ha pensato bene di avvisarmi in anticipo.

    In quei pochi giorni che avevo ancora a disposizione, pensai più che altro a studiare insieme ad Edward, che ovviamente era un ottimo insegnante. Di tanto in tanto sentivo Jacob, ma non avevo tempo per andarlo a trovare, avevo un sacco di roba da studiare per gli esami che incombevano. Lui capiva, e gli sarebbe piaciuto avere la stessa preparazione di Edward per sostituirlo come insegnante.

    Purtroppo Jacob non aveva neppure compiuto diciasette anni, e non era nemmeno di diploma, mentre Edward aveva alle spalle un secolo di studi su ogni possibile argomento. Casomai sarei stata io a dover dare ripetizioni a Jacob.

    Scesi a fare colazione e notai che Charlie era già uscito. Adocchiai il giornale e puntai dritta verso di lui con l’intenzione di fare acquisti. Volevo regalare ad Alice dei biglietti per il concerto dei Tacoma, ma ovviamente non era più una sorpresa. Alice mi aveva già ringraziata quando mi ero persino dimenticata dei miei progetti. Questa sua mania di spiare continuamente le mie decisioni, toglieva il gusto di farle una semplice sorpresa. Mi sarebbe piaciuto stupirla, almeno una volta.

    Alla prossima occasione andrò a sceglierlo insieme a Jacob, era la mia unica possibilità di riuscire nell’impresa.

    Comunque non mi lasciai intimorire da quella piccola sconfitta. Presi il giornale, decisa a sfogliarlo al contrario, dalla sezione degli spettacoli, ma un titolo grande e in evidenza catturò la mia attenzione. […]

 

MORTE E TERRORE A SEATTLE

 

    Lessi tutto l’articolo sotto shock.

    Il numero dei brutali omicidi cresceva ancora, senza sosta e senza che ci fossero tratti comuni tra le vittime. In soli tre mesi le morti erano arrivate a 39. Il serial killer più feroce che avessimo mai conosciuto, uccise 48 persone in 21 anni. E la polizia non era venuta a capo di niente.

Le prove sono contraddittorie, i ritrovamenti raccapriccianti. Una nuova banda di delinquenti o solo un feroce serial killer? Oppure qualcos'altro, che gli inquirenti non hanno ancora preso in considerazione?

Solo una cosa è certa: a Seattle qualcosa di tremendo è in agguato.


    Edward era preoccupato quanto me, se non di più. Aveva il timore che i Volturi arrivassero per mettere ordine nella situazione. Sarebbero stati troppo vicini a noi, e se avessero avuto voglia di far visita al vecchio amico Carlisle, avrebbero saputo di me. Per questo motivo, Alice teneva sotto controllo anche loro, nel caso decidessero di spostarsi.

    Ma c’erano troppe cose che non riusciva a vedere, stava perdendo fiducia in se stessa. Avrei tanto voluto aiutarla, avere una di quelle intuizioni che rimettono tutti i tasselli al loro posto. Ma non avevo idee, ed Edward aveva urgentemente bisogno di parlare con Jasper di questa situazione.   

    Quando arrivammo a casa trovammo Carlisle, Esme e Jasper concentrati sul telegiornale, ma il volume era così basso che non sentivo nulla. Alice era accovacciata sull'ultimo gradino della scala, con il volto tra le mani e un'espressione di sconforto. Mentre entravamo, Emmett arrivò dalla cucina, completamente a suo agio. Emmett non si spaventava di fronte a nulla.

[…]

    Rosalie apparve in cima alle scale e le scese svelta per mettersi al mio fianco e cingermi la vita con il suo braccio freddo. Era diventata molto protettiva nei miei confronti, da quando aveva saputo che volevo restare umana. Era come se in me vedesse se stessa, e il futuro che desiderava avere per se. Ma il futuro che sognava era lontano dalla mia realtà. Avevo rinunciato a Jacob, e non ci pensavo nemmeno a tornare insieme ad Edward.

    Sarei rimasta semplicemente una piccola, sola e fragile umana.

    Carlisle scosse la testa. «Sono preoccupato. Non ci siamo mai intromessi in situazioni del genere prima d'ora. Non sono affari nostri. Non siamo i Volturi».

    «Non voglio che i Volturi siano costretti a intervenire», disse Edward. «Non avremmo abbastanza tempo per reagire». Rose divenne cupa e strinse la presa sui miei fianchi, come per proteggere il più prezioso dei tesori dalle mani di un ladro.

    «E tutti quegli umani indifesi a Seattle», mormorò Esme. «Non è giusto lasciarli morire così».

    «Ah», esclamò Edward all'improvviso, voltando leggermente la testa per guardare Jasper in faccia. «Non ci avevo proprio pensato. Me ne rendo conto adesso. Hai ragione, davvero. Be', questo cambia tutto».

    Non ero l'unica che lo guardava confusa, ma probabilmente ero l'unica a non avere l'aria leggermente annoiata.

    «Forse è meglio se spieghi anche agli altri come stanno le cose», disse Edward a Jasper. «Quale potrebbe essere il loro fine?», domandò, e si mise a camminare su e giù, fissando il pavimento, perso nei suoi pensieri.

    Non mi ero accorta che si era alzata, ma Alice ora era lì, accanto a me dall’altro lato rispetto a Rose.

    «Cosa sta farneticando?», chiese a Jasper. «E tu cosa pensi?».

    Jasper non sembrava apprezzare tutta quell'attenzione. Incerto, ci guardò in faccia uno a uno - perché tutti gli si erano avvicinati, curiosi di sapere cos'avesse da dire. I suoi occhi si fermarono su di me.

    «Sei turbata», mi disse, con la sua voce profonda ma calma.

    Non era una domanda. Jasper conosceva il mio umore.

    «Siamo tutti turbati», borbottò Emmett.

    «Devi sforzarti di essere paziente», gli disse Jasper. «Anche Bella deve sapere con chi abbiamo a che fare». Poi spostò il suo sguardo ambrato sul mio preoccupato.

    «Cosa sai di me, Bella?», domandò.

    Emmett fece un sospiro teatrale e sprofondò nel divano con estrema impazienza. Rosalie lo raggiunse sul divano, e si sedette accanto a lui.

    «Non molto», ammisi.

    Jasper fissò Edward, che alzò gli occhi per incrociare i suoi.

    «No», Edward rispose alla domanda che l'altro aveva solo pensato. «Tu stesso sai perché non gliel'ho mai raccontato. Ma credo che a questo punto ne valga la pena».

    Jasper annuì pensieroso e si rimboccò le maniche del maglione color avorio.

    Lo guardai, attenta e confusa, cercando di capire cosa stesse facendo. Avvicinò il polso al cono di luce della lampadina che gli stava accanto, con un dito seguì il contorno di un segno evidente sulla pelle diafana.

    Mi bastò un istante per capire perché quella forma mi fosse stranamente familiare.

    «Ah», sussurrai. «Jasper, hai una cicatrice identica alla mia».

    Stesi la mano e la mezzaluna argentea apparve più nitida sulla mia pelle più scura della sua, marmorea.

    Jasper sorrise appena. «Ho parecchie cicatrici come questa, Bella».

    Sollevò ancora la manica del maglione per mostrarmi un fitto intreccio di cicatrici a forma di morsi. Quel gesto fece da introduzione alla sua storia di uomo e di vampiro.

    Era un soldato giovane, forte, brillante e carismatico. Quando a suo tempo, schiere di vampiri si davano battaglia per impossessarsi dei territori a più alto indice demografico, Jasper era stato “arruolato” da un trio di vampire. Maria, colei che lo trasformò, gli aveva insegnato tutto e lo aveva preparato alle battaglie per soddisfare la sua sete di conquiste. Insieme collezionavano vittorie e neanche una sconfitta, Jasper era imbattibile.

    Oltre ad essere il suo combattende più forte, era anche impegnato nell’addestramento dei neonati e all’oppressione degli stessi quando questi non servivano più. Per questo era così esperto nella lotta contro i neofiti. Ma Jasper non gradiva più tutto questo, si sentiva depresso e quella esistenza non aveva più significato. Così decise di abbandonare Maria e di mettersi in viaggio alla ricerca di uno scopo.

    Finchè non incontrò Alice e dopo la famiglia Cullen.

    «È una bella storia», dissi.

    Tre paia di occhi controllarono che non fossi impazzita.

    «Intendo l'ultima parte», mi difesi. «Il lieto fine con Alice».

    «Alice ha fatto la differenza», confermò Jasper. «Qui il clima è salutare per me».

    Ma quel momento di sollievo fu solo un intervallo.

    «Un esercito», sussurrò Alice. «Perché non me l'hai detto?».

    Gli altri erano di nuovo assorti, concentrati su Jasper.

    «Ho pensato che stessi interpretando gli indizi in modo sbagliato. In fondo, qual è il motivo? Perché qualcuno dovrebbe creare un esercito a Seattle? Non ci sono precedenti qui, non ci sono faide. Non ha senso neanche dal punto di vista territoriale; nessuno rivendica niente da queste parti. Qualche gruppo nomade passa di qui ogni tanto, ma non c'è nessuno che lotta per questo territorio. Nessuno da cui difenderlo. Mi è già capitato di vedere una situazione del genere. E non c'è altra spiegazione. A Seattle c'è un esercito di vampiri appena nati. Meno di venti, direi. Il problema è che non sono affatto allenati. Chiunque sia stato a trasformarli, li ha soltanto istigati. La situazione peggiorerà di sicuro. E i Volturi interverranno presto. A dire la verità, sono sorpreso che aspettino tanto».

    «Che possiamo fare?», chiese Carlisle.

    «Se vogliamo evitare di coinvolgere i Volturi dobbiamo eliminare i neonati, e dobbiamo farlo subito». L'espressione di Jasper era dura. Ora che conoscevo la sua storia capivo quanto potesse sentirsi turbato. «Vi insegnerò come. Non sarà semplice agire in città. Ai neonati non importa fare le cose di nascosto, a noi sì. Questo ci imporrà dei limiti che loro non hanno. Forse possiamo attirarli con un'esca».

    «Forse non ce ne sarà bisogno». La voce di Edward si fece cupa. «Non viene in mente a nessuno che in questa zona l'unica minaccia che potrebbe spingere qualcuno a creare un esercito… siamo noi?».

    Jasper serrò gli occhi, mentre Carlisle li spalancò, scioccato.

    «Qui vicino c'è anche la famiglia di Tanya», disse Esme, piano, come se non volesse accettare le parole di Edward.

    «I neonati non stanno devastando l'Alaska, Esme. Dobbiamo prendere in considerazione l'idea che noi potremmo essere l'obiettivo».

    «Non ci stanno cercando», insistette Alice. «O forse… non lo sanno. Non ancora».

    «Che c'è?», chiese Edward, curioso e agitato. «A cosa stai pensando?».

    «Barlumi», disse Alice. «Quando cerco di capire cosa sta succedendo, non riesco ad avere un quadro preciso, niente in concreto. Ma sto avendo queste visioni fulminee. Che non sono sufficienti a darmi un'idea precisa. È come se qualcuno stesse cambiando opinione, e passasse da una serie di azioni a un'altra così in fretta da non concedermi una percezione chiara…».

    «Indecisione?», chiese Jasper incredulo.

    «Non lo so…».

    «Non sono indecisi», borbottò Edward. «Lo sanno. O almeno qualcuno sa che non avrai una premonizione chiara finché non prenderanno una decisione. È qualcuno che ci vuole evitare. Sta giocando con i buchi nelle tue visioni».

    «Chi potrebbe saperlo?», sussurrò Alice.

    Jasper interruppe la discussione. «Non possiamo continuare a farci domande, non abbiamo tempo. Dobbiamo agire prima che lo facciano i Volturi. Dobbiamo giocare d’anticipo se non vogliamo che la cosa ci sfugga di mano e che coinvolga tutti noi in una faccenda più grossa», a queste ultime parole mi lanciò uno sguardo preoccupato. Temeva per la mia vita, e forse anche per l’accusa di tradimento per avermi fatta entrare nel loro mondo proibito.

    Tutti si scambiarono sguardi pietrificati dalla tensione.

    «Allora, andiamo», ruggì Emmett. «Che stiamo aspettando?».

    Carlisle ed Edward si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi Edward annuì. «Abbiamo bisogno di te, Jasper, devi spiegarci come fare a distruggerli», disse infine Carlisle. Il tono di voce era duro, ma vidi il terrore nei suoi occhi. Nessuno più di Carlisle odiava la violenza.

    Quest’impresa necessitava di alleati, almeno per velocizzare il lavoro e farlo nel modo pià silenzioso possibile. Carlisle contattò la famiglia di Tanya, ma qualcosa in quella conversazione lo colse di sorpresa. Tanya e la sua famiglia non ci avrebbero aiutati perché Irina, sua sorella, era molto legata a Laurent e lui non era sopravvissuto ai lupi.

    «Non se ne parla nemmeno», disse Carlisle severo. «C'è una tregua in corso. Loro non l'hanno rotta e nemmeno noi. Mi dispiace sapere che…Certo. Ce la caveremo bene anche da soli».

    Riappese senza aspettare la risposta. Continuò a fissare la nebbia.

    «Qual è il problema?», chiese Emmett a Edward.

    «Il legame tra Irina e Laurent era più forte di quanto pensassimo. Ora lei ce l'ha con i lupi perché hanno ucciso lui e salvato Bella. Vuole…». Fece una pausa e mi guardò dall'alto.

    «Vai avanti», dissi, con tutta la calma possibile.

    Mi guardò torvo. «Vuole vendetta. Annientare il branco. Scambierebbero il loro aiuto con la nostra autorizzazione».

    «No!», gridai.

    «Non ti preoccupare», disse con un tono secco. «Carlisle non lo accetterebbe mai». Esitò, poi fece un sospiro. «E nemmeno io. Laurent se l'è cercata», questo fu quasi un ringhio, «e mi sento ancora in debito nei confronti

dei lupi per ciò che hanno fatto».

    «Non va bene», disse Jasper. «È una battaglia alla pari. Siamo più abili a combattere, ma siamo meno di loro. Vinceremo, ma a quale prezzo?». Il suo sguardo teso incrociò Alice per un istante.

    Quando capii cosa intendeva, avrei voluto urlare a squarciagola.

    Avremmo vinto, ma avremmo perso. Qualcuno non sarebbe sopravvissuto.

    Era già troppo tardi. La faccenda era già sfuggita di mano.

 ****************************************************************************************************************************************************************

    Nonostante il mirino della morte fosse ben puntato su di noi, Alice si ostinava ad organizzare la festa per il mio diploma. Nel frattempo i Cullen andavano a caccia il più possibile, in modo da rafforzarsi maggiormente. Più sangue assorbivano, più la forza aumentava. Non avendo trovato altri alleati, potevano contare solo su se stessi.

    Non volevo che mi facessero a turno da babysitter quando gli altri si assentavano, così decisi di andare a La Push, ed Edward non obiettò. Non vedevo Jacob dal giorno del falò, e in tutte quelle preoccupazioni, avevo bisogno di lui. Era l’unico, insieme ai poteri di Jasper, capace di farmi dimenticare i miei problemi. Volevo entrare di nuovo in quella strana bolla indefinita.

    Come al solito, Edward mi accompagnò al confine e Jake stava lì ad aspettarmi sulla sua Golf rossa. Edward aveva uno sguardo concentrato, e parcheggiò sbuffando.

    «Cosa c'è che non va?», chiesi, con la mano sulla portiera.

    Scosse la testa. «Niente». Con gli occhi socchiusi fissò l'altra macchina attraverso il parabrezza. Avevo già visto quello sguardo.

    «Non stai ascoltando quello che dice Jacob, vero?».

    «Non è facile ignorare chi urla».

    «Ah». Ci pensai un attimo. «E cosa urla?», sussurrai.

    «Sono certo che te lo dirà lui stesso», disse Edward sarcastico.

    Avrei insistito volentieri, ma Jacob suonò il clacson, due colpi impazienti. «Che maleducato», borbottò Edward.

    «Jacob è fatto così», dissi, e scattai prima che Jacob rischiasse di far spazientire davvero il vampiro.

    Nel salire sulla vecchia Golf, salutai Edward, che da quella distanza sembrava davvero sconvolto per via del clacson… o dei pensieri di Jacob.

    Ma i miei occhi erano stanchi, forse mi sbagliavo.

    Desideravo che Edward mi seguisse. Desideravo che entrambi scendessero dall'auto, si stringessero la mano e fossero amici: che fossero Edward e Jacob invece che vampiro e licantropo. Era come tenere in mano due calamite potenti e tentare di forzare la natura a cambiare le proprie leggi…

    «Ehi, Bells». La sua voce era allegra, ma stanca. Lo guardai attentamente in volto, mentre ci muovevamo. Guidava più veloce di quanto avrei fatto io, ma più lento di Edward, sulla strada per La Push.

    Jacob era strano, sembrava quasi malato. Aveva le palpebre gonfie e la faccia contratta. Ciocche ispide sparate qua e là gli coprivano parte del viso.

    «Tutto bene, Jake?».

    «Sono solo stanco», cercò di cambiare discorso prima di essere sopraffatto da uno sbadiglio. Poi chiese: «Cosa ti va di fare oggi?».

    Lo guardai per un momento. «Per adesso andiamo semplicemente da te, e stiamo un po' lì», suggerii. Non sembrava in condizione di fare altro. «Le moto possiamo prenderle dopo».

    «Certo, certo», disse e sbadigliò di nuovo.

    La casa di Jacob era stranamente vuota e deserta. Mi resi conto che consideravo Billy una specie di installazione permanente lì dentro.

    «Dov'è tuo padre?».

    «Dai Clearwater. Ci va spesso da quando è morto Harry. Sue si sente molto sola».

    Jacob si sedette sul vecchio divano che era poco più grande di una poltrona e si schiacciò su un lato per farmi posto.

    «Oh. È gentile da parte sua. Povera Sue».

    «Sì… ha qualche problema, al momento…». Ebbe un'incertezza. «Con i figli».

    «Certo, dev'essere difficile per Seth e Leah crescere senza il padre…».

    Annuì, perso nei suoi pensieri. Prese il telecomando e accese la TV quasi senza pensarci. Sbadigliò.

    «Che hai, Jake? Sembri uno zombie».

    «Ho dormito due ore stanotte, e quattro la notte precedente», rispose.

    Stiracchiò lentamente le lunghe braccia e quando le ripiegò sentii le giunture scricchiolare. Stese il braccio sinistro lungo lo schienale della poltrona, alle mie spalle, e lasciò cadere la testa all'indietro, contro il muro, per

riposarsi. «Sono distrutto».

    «Perché non dormi?».

    Fece una smorfia. «Sam fa il difficile. Non si fida dei tuoi succhiasangue. Da due settimane sto facendo doppio turno, finora nessuno mi ha toccato con un dito, ma lui non ne vuole sapere. Perciò per il momento sono da solo».

    «Doppio turno? Per proteggermi? Jake, non va bene! Devi dormire. Io sono al sicuro».

    «Non è un problema». All'improvviso gli occhi gli si fecero più vigili. «Ehi, poi hai scoperto chi è entrato in camera tua? C'è qualche novità?».

    Ignorai la seconda domanda. «No, non abbiamo scoperto niente sullo…sconosciuto che mi ha fatto visita».

    «Allora continuerò a vigilare», disse mentre chiudeva le palpebre.

    «Jake…», iniziai a lamentarmi.

    «Ehi, è il minimo che posso fare… ti ho giurato che sarò tuo schiavo in eterno. A vita».

    «Ma io non voglio uno schiavo!».

    Non aprì gli occhi. «E allora cosa vuoi, Bella?».

    «Voglio il mio amico Jacob. E non lo voglio mezzo morto, né ferito in un tentativo maldestro…».

    Mi zittì. «Vedila così: spero di riuscire a scovare un vampiro da uccidere, va bene?».

    Non risposi. Lui mi guardò, sperando di cogliere una mia reazione.

    «Sto scherzando, Bella».

    Fissai la TV.

    «Allora, hai qualche piano speciale per la settimana prossima? Stai per diplomarti. Grande. È fantastico». Il suo volto era contratto dalla stanchezza, ma riuscì ad abbozzare un sorriso.

    «Be', devo andare a una festa. La mia». Lo dissi con un tono di disgusto. «Alice adora le feste e ha invitato tutta la città a casa sua. Sarà terribile».

    Mentre parlavo spalancò gli occhi e un sorriso alleviò il suo sfinimento. «Non sono stato invitato. Sono offeso», mi punzecchiò.

    «Considerati invitato. In teoria sarebbe la mia festa, dovrei poter invitare chi pare a me».

    «Grazie», rispose sarcastico e richiuse gli occhi.

    «Mi farebbe piacere se venissi», dissi senza sperarci. «Di sicuro riuscirei a sopportarla meglio se ci fosse il mio migliore amico zombie».

    «Certo, certo», borbottò. «Sarebbe davvero… saggio…». La sua voce si affievolì. Un paio di secondi dopo russava già.

    Povero Jacob. Studiai il suo viso, perso nei sogni, e mi piacque molto. Il sonno aveva abbattuto le difese e allontanato le amarezze. Era tornato a essere il mio migliore amico, ciò che era stato fino a che non erano iniziate quelle assurdità da licantropi. Sembrava molto più giovane. Sembrava il mio Jacob.

    Mi rannicchiai sul divano, in attesa del suo risveglio. Speravo che dormisse abbastanza da recuperare un po' del sonno arretrato. Presi il telecomando, ma il mio zapping non servì a nulla. Mi fermai su una trasmissione di cucina, nonostante sapessi, mentre la guardavo, che non mi sarei mai impegnata fino a quel punto per far da mangiare a Charlie. Jacob continuava a russare, un po' più forte. Alzai il volume della TV.

    Ero stranamente rilassata, quasi assonnata. Quella casa mi sembrava più sicura della mia, forse perché là nessuno sarebbe venuto a cercarmi. Mi accoccolai sul divano e decisi di fare anch'io un sonnellino. E l'avrei fatto davvero, se Jacob non avesse russato così forte. Perciò, invece di appisolarmi, lasciai che la mia mente divagasse.

    Gli esami erano finiti, ed era stata una passeggiata. Tranne che per matematica, ma del voto finale m'importava poco. Il liceo ormai era un ricordo.

    Pensai al collage che mi aspettava, a quanto tempo sarei stata via, a quanto quel nuovo mondo mi avrebbe tenuta lontana da casa. Chissà quanti altri cuori spezzerà Edward tra le ragazze universitarie. Tutti quelli che c’erano, anche se speravo che ne trovasse un’altro oltre al mio.

    E chissà se Jacob mi sarebbe venuto a trovare al campus. Ovviamente si. A mio rischio e pericolo, ovvio anche questo. La sua anima gemella poteva nascondersi in mezzo ai libri in biblioteca, o in uno di quei corsi sovraffolati. Sarebbe andato a trovare lei, non più me.

    Mi voltai ad osservarlo sconsolata, ancora addormentato e russante. Allungai lentamente le dita per spostargli i capelli informi e liberargli il viso sognante. Era così dolce, così sereno, così indifeso.

    Ero stata egoista nei suoi confronti in passato, ma in quell’istante toccai il culmine.

    Non volevo che trovasse la sua metà. Non volevo che mi abbandonasse. Non lo avrei sopportato da lui. Sarebbe come non vedere più sorgere il sole, come cadere nel buio perenne di una vita incompleta. Come perdere la mia alternativa.

    Senza pensarci sfiorai la sua guancia bollente, odiando l’imprinting e me stessa. Odiavo l’imprinting perché, per paura, mi aveva costretta a bloccare le mie emozioni sul nascere, e odiavo me stessa perchè non avevo la forza di rischiare. Avevo il coraggio di mettere in pericolo la vita con le moto e con i tuffi, ma non di attentare  alla fragilità del mio cuore.

    Ma allora se non ci fosse stato l’imprinting…a quel punto avrei già scelto?

    Jacob russava e si girò dall'altra parte. Il braccio gli cadde dalla spalliera del divano e m'immobilizzò, incollandomi al suo corpo.

    Santo cielo, quanto pesava! E quanto riscaldava. Iniziai a sudare dopo pochi secondi.

    Provai a scivolare via da quella presa senza svegliarlo, ma fui costretta a spingerlo via e quando sentì il braccio cadere spalancò gli occhi. Balzò in piedi e iniziò a guardarsi intorno, in preda all'ansia.

    «Che è successo?», chiese disorientato.

    «Sono stata io, Jake. Scusa se ti ho svegliato». E ti ringrazio di avere interrotto i miei pensieri, pensai.

    Si girò a guardarmi e sbatté gli occhi confuso. «Che ci fai qui?».

    «Ehi, bell'addormentato!».

    «Oddio! Sono crollato, mi dispiace! Per quanto tempo ho dormito?».

    «Un paio di dimostrazioni del cuoco. Ho perso il conto».

    Si buttò di nuovo sul divano, accanto a me. «Oddio, mi dispiace davvero».

    Gli passai la mano sui capelli, cercando di ravvivare un po' quel disordine selvaggio. «Non devi sentirti in colpa. Sono contenta che sei riuscito a dormire un po'».

    Fece uno sbadiglio e si stiracchiò. «In questi giorni non sono buono a nulla. Non mi meraviglia che Billy non sia mai in casa. Sono di un noioso…».

    «Sei in gamba», lo rassicurai.

    «Su, usciamo. Ho bisogno di fare due passi o crollo di nuovo».

    «Jake, torna a dormire. Sto bene. Chiamo Edward e mi faccio venire a prendere». Nel dirlo, mi tastai le tasche e mi resi conto che erano vuote. «Cavolo, ti devo chiedere in prestito il cellulare, mi sa che il suo l'ho lasciato in macchina». Iniziai a preparare le mie cose.

    «No!», insistette lui, prendendomi per mano. «Ti prego, resta. Non ti vedo mai. Non riesco a credere di avere sprecato tutto questo tempo».

    Mentre parlava mi spinse giù dal divano e poi uscì, abbassando la testa per passare dalla porta. Mentre Jacob dormiva, la temperatura era scesa; l'aria era incredibilmente fredda per questa stagione - forse stava per arrivare una tormenta. Sembrava febbraio, non giugno.

    L'aria invernale svegliò del tutto Jacob, che si mise a camminare su e giù davanti a casa sua, trascinandomi con sé.

    «Sono uno stupido», brontolò tra sé.

    «Che c'è, Jake? Ti sei addormentato». Mi strinsi nelle spalle.

    «Ti volevo parlare. Non riesco a crederci».

    «Parlami ora», dissi.

    Jacob mi fissò per un attimo negli occhi, poi distolse lo sguardo in fretta e si girò verso gli alberi. Quasi sembrava arrossire, ma non era facile dirlo, scura com'era la sua pelle.

    All'improvviso ricordai le parole di Edward a proposito di ciò che Jacob urlava nella sua testa. Iniziai a mordicchiarmi il labbro, mentre il cuore cominciava ad aumentare il suo ritmo.

    «Ascolta», disse Jacob. «Pensavo di farlo in maniera un po' diversa». Sembrava ridere di sé. «Con più calma», aggiunse. «Volevo stare attento ai particolari, ma…», e guardò le nuvole, che si facevano più scure mano a mano che il tempo passava, «ormai sono fuori tempo massimo. Ma ti giuro, non me posso proprio più, se non parlo scoppio».

    Rise di nuovo, nervosamente. Stavamo ancora camminando, piano.

    «A cosa ti riferisci?», domandai, ma avevo voglia di tapparmi le orecchie. La mia anima aveva già capito dove volesse andare a parare. La presa si strinse attorno alla chiave. E piangeva.

    Fece un sospiro profondo. «Ho una cosa da dirti. La sai già… ma credo di dovertela dire in modo chiaro e tondo. Tanto per non lasciare spazio a fraintendimenti».

    Mi fermai di colpo, e lui con me. Liberai la mano dalla sua stretta e incrociai le braccia nell’illusione che bastasse per proteggermi. Non volevo che il mio cuore subisse danni.

    Abbassò le sopracciglia e un'ombra apparve nei suoi occhi profondi. Erano neri come la pece, quando fissarono i miei.

    «Bella, sono innamorato di te», disse con tono fermo e sicuro. «Bella, ti amo. Sono stanco di aspettare che le cose vengano da sole, sono stanco di questa situazione di stallo. Ogni giorno prego che tu non lo veda di nuovo con gli stessi occhi di prima che lui ti lasciasse. Ti amo, ti amo fino a star male, Bella. E voglio che tu scelga me invece che lui».

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Esplosione ***


Eccolo finalmente!!!!!!! Il momento decisivo! Non vi dico cosa provavo quando l’ho scritto…buona lettura!

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Lo fissai per un minuto interminabile, senza parole. Non sapevo cosa dire.

    Notò la mia espressione sbalordita, ma andò avanti deciso.

    «Bella, sono stato paziente fino ad oggi, non ti ho messo fretta, non ti ho detto più nulla che potesse forzarti a prendere una decisione. Ti chiedo scusa della mia pazienza limitata, ma non ce la faccio più ad aspettare che tu ti decida senza che le posizioni siano chiare. Ho pensato che dovessi essere stimolata in qualche direzione, e io voglio diriggerti verso di me. Ti amo con tutto me stesso, Bella e voglio stare con te».

    Il mio corpo era diventato rigido come una statua. I muscoli del torace erano talmente contratti che respiravo a fatica. Jacob mi prese il braccio e mi diede uno scossone.

    «Bella, di qualcosa! Che mi vuoi, o che non vuoi più vedermi o che hai scelto lui. Ma dimmi cosa senti, ti prego. Ho bisogno di sapere una volta per tutte!», insistè.

    «Jake io…io non ho scelto, io…io non posso scegliere», farfugliai mentre il cuore batteva talmente forte da farmi male.

    «Si che puoi scegliere, Bella», disse con voce profonda e stringendomi entrambe le spalle con le mani ardenti. «Puoi scegliere me, se mi vuoi. Non devi far altro che dire “si”»

    «No», mormorai serrando gli occhi. Le sue mani strinsero la presa e nella sua voce colsi una punta di rabbia.

    «Perché no? Dammi almeno mille motivi perché non continui ad insistere!».

    «Non ne ho così tanti. Ma non voglio soffrire come prima, Jake…non ce la farei a sopportarlo. Ricadere di nuovo in quell’abisso», farfugliai. Mi sentì mancare al pensiero di trovarmi di nuovo immersa nel nulla. Fortuna che c’era Jacob a reggermi.

    Sentì una risata rauca uscirgli dal petto.

    «Ma perchè dovrei farti soffrire, Bells? Mica mi chiamo Edward Cullen», poi si fece serio con voce premurosa, per marcare la differenza. «Io sono Jacob Black». Aprì gli occhi sui suoi, e mi accorsi di quanto fosse vicino al mio viso.

    «So come ti chiami», mormorai. «Ma hai il potere di farmi soffrire più di quanto abbia fatto lui».

    Aggrottò le sopraciglia nere, confuso. «E come? Attentando alla tua vita? Lo sai che non mi trasformerei mai se sei vicina a me, Bella. Mi basta sapere che ti ho accanto per trovare l’equilibrio necessario, per mantenere il controllo. L’esperienza di Sam mi ha insegnato parecchio. Ho solo un problema».

    Lasciò la presa sulle mie spalle per prendermi entrambe le mani e portarsele al petto febbricitante, come aveva fatto un’altra volta.  Il suo cuore sembrava impazzito. Più del mio.

    «Succede ogni volta che mi sei accanto, Bells», sussurrò gentile. «Ogni volta che mi sfiori, ogni volta che incroci i miei occhi, ogni volta che mi dici una cosa carina. E’ sempre così, e non smetterà mai di farlo, finchè sei con me. Solo quando te ne vai è come se si spegnesse, o meglio, sparisse dal mio petto, ma io so il perchè», poi con una mano mi levò una ciocca di capelli dal viso e la mise delicatamente dietro l’orecchio. «Perché lo porti via con te».

    Il mio cuore si dibatteva stretto nella morsa della serratura, mentre la mia anima urlava dal dolore.

    La chiave si era fatta incandescente tra le sue mani.

    Scoppiai in lacrime davanti ai suoi occhi. Incapace di contenere la sofferenza del mio conflitto.

    Jacob sorrise affettuosamente e mi asciugò le lacrime che si riformavano senza sosta.

    «Scusa Bella, volevo farti piacere, non farti piangere. Sono un disastro», scosse la testa e rise sommessamente di se. Cercai di calmarmi e di dire qualcosa che non fosse un singhiozzo.

    «Jake, il disastro tra i due sono io. Il problema non è il tuo autocontrollo o la mia preferenza verso Edward». Jacob ridivenne serio e s’accigliò leggermente.

    «Ti prego, non dirmi che vuoi tornare con quel succhiasangue. Non puoi immaginare quanta gelosia e delusione abbia provato, quando mi hai detto che lo avevi baciato! Quando ti ha lasciata in quel modo, sembravi una tossica in astinenza, Bella. Io sarei stato una scelta più sana, fin dall’inizio. Non una droga: io sarei stato l'aria, il sole, e ora sei libera di disintossicarti del tutto. Sarò la tua clinica personale. Ti renderò felice, a qualunque costo».

    «Non è così semplice Jake», mormorai poco convinta. Sapevo che aveva ragione. Quando ero con lui, ero felice.

    «Si che lo è, Bella. Io sono perfetto per te. Non ci dovremo sforzare, mai… sarà immediato, facile come respirare. […]Charlie sarebbe contento se mi scegliessi. Potrei difenderti come fa il tuo vampiro, forse meglio. E ti farei felice, Bella. Ti darei tante cose che lui non può darti. Lui non può toccarti come faccio io. perché ti farebbe del male. Io non ti farei mai del male, Bella, mai. E non ti liberesti di me, nemmeno se piangessi in turco. Ma non sarei il tuo incubo. No. Sarei il tuo sogno, il più bello, lungo tutta la vita. Devi solo volerlo», disse con voce energica.

    «Ci sarà un giorno in cui non sarà più così, Jake. Possibile che non ci arrivi?», domandai esasperata. Come faceva a dimenticarsi di quel particolare? Perché tormentava solo me?

    Lasciò le mie mani e alzò un sopraciglio, confuso. «Arrivare dove?».

    Asciugai irritata la traccia delle ultime lacrime e gli lanciai un’occhiataccia. «Una sola parola: imprinting».

    Jacob sbattè le ciglia nere e vidi nascere un sorriso sulle sue labbra carnose. «Imprinting?», ripetè. «Tu hai paura dell’imprinting? Tutto qui? Sul serio?».

    Rimasi scioccata da tutta quella leggerezza. «Ti pare poco? Secondo te cosa dovrei fare se un giorno me ne torni a casa tutto felice con la notizia “Hei Bells, ho incontrato la mia anima gemella, faccio i bagagli. Addio”, eh? Che dovrei fare secondo te? Mettermi a ridere e risponderti “Bè, è stato bello finchè è durato”?».

    «Te l’ho già detto, non avrò l’imprinting», disse di nuovo serio.

    «Non puoi saperlo, non prevedi il futuro».

    Jacob non rispose subito. Il suo viso si faceva sempre più intenso e i suoi occhi perforarono i miei. «E’ solo questo il problema, Bella?», disse infine con voce profonda. «Perché se è tutto qui, sono pronto a cavarmi gli occhi per farti stare tranquilla».

    «Che schifo, Jake! Non dirlo nemmeno per scherzo!», dissi inorridita e spaventata.

    «Sai che lo farei per te. E un prezzo fin troppo basso per ciò che otterrei. Un affarone, anche se mi mancherebbe il tuo viso», ribattè con un sorriso appena abbozzato.

    Poi sospirò rumorosamente, e colto da impazienza improvvisa, mi prese il viso e mi costrinse a guardarlo dritto negli occhi ardenti. Il suo calore mi avvolgeva come una nuvola di vapore, e il suo volto era nuovamente a pochi centimetri dal mio. «Dimmi, è solo questo il problema? Se non ci fosse l’imprinting, tu mi vorresti?», domandò.

    Mi ero posta la stessa domanda prima che si svegliasse dal suo sonno pesante. Non avevo dato il tempo a me stessa per formulare la risposta. Restai in silenzio a pensare, cercando di mettere da parte il problema e dargli una risposta sensata.

    Ma non ebbi il tempo di farlo.

    Evidentemente il mio silenzio aveva esaurito la sua ultima riserva di pazienza.

    Sentivo le sue mani lievi sul mio volto, e mi ritrovai le sue labbra calde, delicate e sorprendentemente timide sulle mie, in un bacio di una dolcezza infinita. Per un secondo restai impietrita e con gli occhi sbarrati, non sapendo assolutamente cosa fare. Il mio cuore intanto stava impazzendo, e non c’era modo di calmarlo. La chiave incandescente, tremava nelle mie mani.

    Jacob reagì alla mia passività e si fece più deciso.

    Una delle mani che indugiavano delicate sul mio volto, tracciò una linea morbida e rovente dal collo fino alla spalla, scendendo poi lungo il braccio. Prese il polso e se lo portò intorno al suo collo teso, mentre le sue labbra si facevano pian piano più passionali sulle mie. Quando fu certo che non avrei lasciato cadere il braccio, mi liberò il polso e la sua mano si fece strada fino ai miei fianchi. La mano infuocata trovò un lembo di pelle all'altezza della vita e mi costrinse ad avvicinarmi e inarcare il corpo contro il suo.

    Le labbra si fermarono per un istante, e con la bocca seguì il contorno del mio mento, poi esplorò il profilo del collo. Lasciò il mio viso rovente in cerca dell'altro braccio, che voleva stringersi al collo come il primo.

    Poi mi ritrovai le sue braccia attorno ai fianchi e le sue labbra all'orecchio.

    «Ti amo Bella, e ti desidero da impazzire», sussurrò morbido e sensuale.

    Sentii un fremito quando con i denti mi toccò il lobo. Fu sufficiente a farmi riprendere dallo shock e a capire cosa stesse accadendo dentro di me.

    Il mio cuore era letteralmente esploso.

    La serratura che lo teneva al sicuro, si era sbriciolata, e la chiave che teneva in mano la mia anima, non serviva più a nulla.

    La buttai via.

    Era inutile, come i miei tentativi di considerare Jacob come un semplice amico. Il mio cuore, finalmente libero, cantava a squarciagola l’addio della vecchia Bella che la teneva sepolta dentro di se. Persino lei si era resa conto di quanto amasse Jacob.

    «Anch’io ti amo, Jake», sussurrai con le mie labbra vicino al suo orecchio. E nel dirlo mi sentì esplodere anche l’anima.

    Lo amavo.

    Lo avevo sempre amato.

    Per qualche assurdo motivo, non facevo altro che negarlo a me stessa e a lui.

    Jacob si allontanò dal mio lobo per osservarmi sorpreso, e quando vide il mio viso rigato dalle lacrime e stranamente sorridente, non riuscì più a controllarsi.

    Con un sospiro selvaggio e felice oltre ogni limite, riavvicinò la bocca alla mia, le dita affondate nella pelle dei miei fianchi. Ma questa volta ricambiai, vigorosa. Come non avevo mai potuto essere.

    Le mie labbra si muovevano assieme alle sue in una maniera strana e incomprensibile, mai sperimentata prima - perché con Jacob non dovevo stare attenta, e di certo lui non doveva esserlo con me. Con una mano strinsi le dita tra i suoi capelli, per avvicinarlo a me, in un impeto di passione che non avevo mai provato prima di allora.

    Affondai le dita dell’altra mano nei muscoli della sua spalla per avvinghiarmi a lui. Pensavo fossero duri come la pietra, ma avevo dimenticato che era fatto di carne. Non era così morbido, ma nemmeno così duro da impedirmi di sentire la sua pelle vellutata, deformarsi sotto le mie dita.

    Non sapevo dove mettere le mani perché avrei voluto accarezzare ogni centimetro del suo corpo nel medesimo istante. Avrei voluto avere mille mani, tanto lo desideravo in quel momento. E per lui era lo stesso, ma gli riusciva molto meglio che a me.

    Era ovunque. […]

    Non vedevo, non sentivo, non provavo nient'altro che non fosse Jacob.

    Non riuscì più a pensare alla mia preoccupazione che aveva dominato l’ultimo periodo, e che aveva congelato le mie emozioni sul nascere.

    E non volevo nemmeno farlo.

    L’unica cosa che desideravo era che non si fermasse, che non levasse le sue mani dal mio corpo e che lo stringessero ancora più forte. Ero felice di stringere le sue spalle e di sentirle larghe e forti.

    I nostri corpi si erano surriscaldati e stavo per prendere fuoco, ma non me ne importava nulla. Non avevo mai provato tanta libertà di amare in vita mia.

    Mi sorpresi nel scoprire quanto fossi passionale a mia volta. Il suo desiderio era il mio, e più cresceva il suo, più aumentava il mio. Come l’ossigeno che alimenta il fuoco. Ma chi dei due fosse il fuoco e l’ossigeno, non lo sapevo.

    Era uno scambio, uno stimolo ininterrotto in entrambe le direzioni.

    Finalmente capì cosa fosse quella bolla che ci avvolgeva entrambi nei momenti di pace. E persino in questo momento di desiderio incontrollabile.

    Mi resi conto che ciò che avevo intorno poteva anche sparire. Che la morte era libera di prendersi chiunque volesse. Che l’apocalisse arrivasse a distruggere l’intero universo, ma noi saremmo sempre rimasti li.

    Sospesi nella nostra piccola bolla.

    Perché non avevo bisogno di nulla, se non di lui, e lui non aveva bisogno di niente, se non di me.

    L’amore per Jacob si era librato in volo, e finalmente aveva incontrato il suo.

    In quel momento era come se fossimo un'unica persona. La bolla è un’entità unica, e come lei mi sentivo completa solo se comprendeva anche Jacob. Come fosse l’ultimo pezzo del puzzle della mia vita.

    Aveva ragione la Rosalie del mio sogno. Non avrei mai, per niente al mondo, rinunciato ad un solo secondo di felicità insieme a lui. Non avrei mai più rinunciato alle sue labbra straordinariamente morbide, calde e perfettamente modellate sulle mie. Non avrei mai rinunciato alla libertà di condividere le mille sfaccettatute dell’amore con Jacob.

    Il mio Jacob. Finalmente ero pronta a dirlo.

    Le sue mani si facevano sempre più sicure e avide sul mio corpo, e le sue labbra alternavano dolcezza e bramosia cogliendomi continuamente di sorpresa. Ogni istante era diverso, era unico.

    E non si fermava mai.

    Il tempo non aveva più valore ne per me, ne per lui. Era come ritenevo giusto che fosse.

    D’improvviso, le labbra di Jacob si fermarono prima delle mie. Aprii gli occhi e lo trovai che mi fissava meravigliato e festoso. Non mi ero accorta che si era fatto buio pesto. Per quanto tempo eravamo rimasti incollati?

    «Non riesco a crederci», farfugliò emozionato e sorridente, la voce tremante di gioia. «Ci siamo baciati. Tu mi hai baciato e mi hai detto che mi ami».

    Sorrisi imbarazzata da quella verità. «Tu mi hai baciata per primo. Se non lo avessi fatto, io non ti avrei mai baciato», precisai per il gusto di ribattere.

    Rise. «Me ne prendo tutta la responsabilità».

    Sospirai, chiusi gli occhi e abbassai il volto. «Quanto sono stata stupida. Non mi perdonerò mai», mormorai.

    Jake s’irrigidì. Mi sollevò il mento con un dito, e quando riaprì gli occhi lo trovai accigliato.

    «Sei pentita?».

    La sua interpretazione sbagliata mi colse di sorpresa. «No, Jake, sono pentita ma non di quello». Scossi la testa e spiegai con una smorfia. «Sono stata una stupida perché ho sprecato un sacco di tempo ed energie a tenerti sottochiave. A non ammettere quanto fossi innamorata di te», riconobbi.   

    Il suo volto si distese in un ampio sorriso rilassato. «Bè, meglio tardi che mai, Bells», poi mi diede dolci baci a fior di labbra. Mi avvolse tra le sue braccia e mi cullò stretta mentre mi sussurrava all'orecchio. «Il mio cuore è scoppiato e si è ricomposto nello stesso momento».

    «Anch’io mi sono sentita esplodere», sorrisi, divertita e felice di quella coincidenza.

    Subito dopo l’esplosione, i frammenti si erano sigillati tra loro in una saldatura perfetta. Tuttavia un punto era rimasto scoperto. E non era difficile capire perché.

    Mi bastò un battito di ciglia per farmi la fatidica domanda. «E adesso? Cosa faccio adesso? Se avrai l’imprinting io…».

   Sbuffò.  «Bells, se non la pianti vado subito a cavarmi gli occhi. Mi dispiace solo che dopo non sarei un bello spettacolo», disse con una smorfia disgustata e dolorante. Feci gli occhi al cielo.

    «Seriamente Jake, non puoi sottovalutare un problema del genere. Se dovesse capitare per disgrazia, ne soffrirei troppo, ma a te non toccherebbe perchè tu saresti felice».

    «Penso che mi sentirei esattamente come Sam, invece. Lui vive costantemente tra il tormento per Leah e l’estasi per Emily. Non sarebbe una passeggiata nemmeno per me, Bells. Ma non so, è come se lo sapessi, come se lo sentissi dentro di me. Sento che sei la prima e ultima ragazza che amerò così tanto e in questo modo. Per questo l’imprinting non mi spaventa. Sento che la mia anima gemella sei tu, e nessun’altra la fuori», disse sereno.

    Come al solito, le sue sensazioni coincidevano con le mie, anche se avevo fatto di tutto per soffocarle. Questa sintonia non finirà mai di stupirmi. Tuttavia non vi era alcuna certezza che avesse ragione. Nessuno di noi poteva vedere il futuro.

    Nessuno a parte…

    Sciolsi l’abbraccio e guardai Jacob con occhi sgranati. «Devo sentire Alice, subito!». Jake mi guardò confuso.

    «Perché? Lei non mi può vedere, non può sapere se accadrà».

    «Accidenti, hai ragione», dissi portando le mani sulla bocca. Ma doveva esserci un modo, doveva poter vedere se un giorno fossi riapparsa. Se mi avesse rivista in un prossimo fututo, avrebbe significato che non ero più legata a Jacob.

    Che aveva avuto il suo imprinting e mi aveva abbandonata. Se l’avessi saputo, mi sarei preparata, e avrei affrontato la relazione con Jacob in un modo più consapevole.

    «Fa lo stesso, devo chiederglielo. Devo provarci», insistetti determinata.

    «Come vuoi. Peccato che non posso restare, mi sarebbe piaciuto sentire la risposta», disse prendendomi per mano ed avviandoci verso la Golf rossa.

    «Accompagnami a casa di Charlie. Li è terreno neutrale, e poteremo sentirla insieme. Anch’io vorrei che ci fossi, che venissi alla mia dannata festa anche se la casa è piena di vampiri. Vorrei che restassi con me, Jake», proposi nel tono più convincente che potessi. Aprì la portiera e mi fece accomodare.

    «Ti fideresti?», chiese sarcastico.

    «Si, mi fido di te. E so che non tradiresti mai la mia fiducia», risposi convinta.

    Lui mi fissò in silenzio, poi chiuse la portiera e andò a sedersi al posto di guida. Nel mentre che girava attorno alla macchina lo osservavo, era pensieroso ma tranquillo.

    Quando si sedette e sbattè la portiera mi guardò con mezzo sorriso.

    «E’ vero. Non tradirei mai la tua fiducia, non ci riuscirei. Ammetto di avere un motivo in meno per odiarli». Mi accarezzò la guancia e le labbra con le sue dita infuocate. Gli presi la mano e gli baciai le punte delle dita.

    «Significa che la pace è vicina?», domandai speranzosa.

    Jake alzò un sopraciglio e scosse la testa con un ghigno arrogante. «Neanche per sogno».

    Aggrottai le sopraciglia di colpo e scaraventai via la sua mano con un gesto teatrale.

    «Uffa! Sei impossibile».

    Jacob fece gli occhi al cielo.

    «Bells, non ti arrabbiare. Ho un motivo in meno per odiarli perché vuoi me e non lui. Ma non vuol dire che adesso mi berrei una birra insieme a loro. Tra l’altro, il loro boccale sarebbe pieno di sangue, il che se permetti mi farebbe vomitare la mia birra. Non potremo mai essere amici, lo sai anche tu. I motivi che stanno alla base del nostro conflitto, non hanno nulla a che fare con l’amore per la stessa donna. Hai sentito la leggenda, no? Avevi capito le nostre ragioni. Ora te ne sei dimenticata?», domandò agitato.

    «No, non le ho dimenticate», dissi colpita dai ricordi di quella storia meravigliosa e drammatica. «Ma è un peccato. Se voi diventaste amici, sarebbe tutto perfetto».

    «Per me lo è già», sussurrò nel buio. I suoi occhi brillavano nei miei. Arrossì del suo sguardo affascinato.

    «Sbrigati ad accompagnarmi a casa, magari scopro che anche per me è già tutto perfetto». I denti bianchi di Jacob lampeggiarono nel buio della notte.

    «Infatti lo è», disse presuntuoso come al solito. Ingranò la marcia e partì a tutta velocità verso casa di Charlie.

 ***************************************************************************************************************************************************************

    Parcheggiò la vecchia Golf sul vialetto di casa mia, di fianco all’autopattuglia  di Charlie. Scendemmo dalla macchina e mi accompagnò alla porta, ma prima che potessi aprirla le sue mani mi presero per le spalle e mi fecero voltare verso di lui. Mi strinse a se e mi baciò con entusiasmo.

    Sentì di nuovo il calore che montava dal mio corpo. Di nuovo il tempo e lo spazio non avevano più senso. Quando mi lasciò respirare posò la sua fronte contro la mia e la punta del suo naso giocava con il dorso del mio.

    «Lascia che apra io la porta», sussurrò lievemente tremante. Sorrisi e annuì. Slacciò la sua presa e fece per prendere la maniglia quando si bloccò e si mise a sghignazzare.

    «Che c’è?».

    «Charlie. Chissà come reagirà», e riprese a ridere. Arrossì violentemente e brontolai qualcosa d’incomprensibile pure per me.

    Passammo in silenzio per il soggiorno, Charlie era seduto sul divano.

    «Salve, ragazzi», disse e fece per alzarsi. «È un piacere vederti qui, Jake».

    «Ciao, Charlie», Jacob rispose senza pensarci, poi tacque.

    Charlie puntò gli occhi sulla mia mano, le cui dita erano saldamente intrecciate a quelle di Jacob. Guardò meravigliato prima il suo viso raggiante e poi il mio imbarazzato.

    La gioia esplose sfacciatamente sul viso di Charlie.

    «Finalmente vi siete decisi, eh?», e scoppiò a ridere insieme a Jacob, mentre io nascondevo il viso dietro il suo braccio. Ma ridevo, colta anch’io da improvvisa emozione.

    Poi mio padre abbracciò Jacob come fosse un figlio appena rientrato dalla guerra, dandogli numerose pacche sulla schiena.

    «Complimenti Jake! Bella non poteva avere un ragazzo migliore! Sono così felice per voi», disse commosso.

    «Eddai papà, finiscila», protestai, abbandonando il mio nascondiglio e mostrando il viso viola. Mio padre mi sorrise affettuoso e si accostò a me.

    «Scusa piccola, sono solo felice per te».

    Jacob interruppe l’idillio per riportarci con i piedi per terra. «Calma Charlie, ci sono un paio di cose da sistemare e persone con cui chiarirsi», fece una smorfia alla parola persone.

    Gli diedi una gomitata sulle costole. Naturalmente non se ne era nemmeno accorto, e forse mi ero procurata un livido.

    «Ah», disse mio padre per nulla preoccupato. Finalmente non avrebbe più rivisto Edward in casa sua. O almeno così pensava. In effetti non avevo discusso di questo con Jacob. Si sarebbe comportato come i Cullen non facendomi più frequentare i miei amici vampiri?

    Alzai gli occhi alla ricerca del suo volto. «Jake?».

    «Dimmi, amore».

    Mio padre sorrise compiaciuto.

    «Vado a leggermi il giornale di sopra», e ci lasciò da soli.

    Pensai che ogni volta che Jacob sarebbe venuto a casa nostra, Charlie avrebbe svolazzato con quel sorriso malizioso tatuato sulla faccia, e che la sua presenza sarebbe stata pressochè inesistente. Lasciandoci tutta la casa per noi.

    Arrossì violentemente, di nuovo.

    Mi schiarì la voce per riprendere il filo del discorso che dovevo ancora incominciare.

    «Senti…ora che stiamo insieme, cosa intendi fare con certe mie amicizie? Farai come hanno fatto loro?», lo fissai vergognosamente implorante, sperando che leggesse la risposta giusta nei miei occhi.

    Riflettè per qualche secondo.

    «Dipende».

    «Da cosa?».

    «Da lui».

    «Cioè?».

    Sospirò. «So che è ancora innamorato di te, anche se mi sembra assurdo che ti abbia lasciata perché ti amava troppo. La considero una contraddizione assurda. Per di più non sono sicuro che se ne starà al suo posto. Inoltre temo che tu possa cambiare di nuovo idea. Lo hai fatto un sacco di volte ultimamente», affilò lo sguardo sospettoso. Ricambiai.

    «Ti stai paragonando ad Edward? Mi sorprendi Jacob. Sono innamorata di te, non di lui. Edward è diventato solo un amico per me. lo era prima e lo è ancora di più adesso», dissi risoluta.

    Non avevo più dubbi a riguardo.

    La vecchia Bella aveva portato via con se le ultime goccie dell’amore per Edward. Ciò che era rimasto intatto era l’affetto smisurato per lui e la famiglia Cullen.

    L’affetto era il sentimento più sano che potessi provare per loro, e per lo stesso motivo, il sentimento più sano che potevo donare a Jacob era l’amore.

    E io meritavo di essere felice senza dovermi sacrificare per sentirmi accettata.

    Per diventare la nemica dell’uomo che mi ha fatto riscoprire la vita e me stessa. Che non mi ha mai mentito, e che mi tiene lontana dai guai anziché attirarli.

    Quando stavo con Edward, capitavano tutte le disgrazie. Forse era lui che le attirava, non io. Io ci finivo semplicemente in mezzo, perchè ero l’anello debole.

    Ma quando stavo con Jacob niente mi toccava.

    E ora capivo anche il significato di tutti quei sogni.

    «Da quando sono rinsavita, ho sempre saputo in che direzione andare, sai cosa mi bloccava. Un giorno intavoleremo un dibattito su un sogno che faccio spesso, così forse capirai su cosa si basava il mio conflitto. Ci sono tante cose che ti potrei raccontare e che ti leveranno il dubbio dalla tua testolina. Ora voglio sapere se mi terrai lontana da lui come ha fatto Edward o se sfrutterai al massimo l’occasione per dimostrarmi quanto sei diverso», aggiunsi sfidandolo.

    Jacob mi fissò inespressivo, poi mi assalì letteralmente con un bacio che rasentava la violenza. Quando si staccò da me, era acceso dall’eccitazione. «Adoro quando sei così passionale! Ti lascerò tranquilla, ma ad una condizione». Uffa, un altro che detta legge, pensai.

    «Quale?», sospirai ancora scossa da quel bacio.

    «Vorrei stare nei paraggi il più possibile, tanto per controllare che non ti salti addosso come faccio io. Poi alla prima occasione giusta vorrei fare due chiacchere con lui. Per il resto sei libera di fare quello che ti pare. Non sono il tipo che mette catene. Inoltre, hai detto che non vuoi sentirti obbligata. Perciò non ti obbligo».

    Lo osservai meravigliata. «Dici sul serio? Non pensavo fossi tollerante, non con loro almeno».

    «Bè, l’idea di farlo soffrire come ho sofferto io per i suoi inutili divieti, è molto allettante. Ma credo che starebbe peggio vedendo che quando ti bacio, tu ricambi con un’intensità che può solo sognarsi», sghignazzò con vigore.

    La vendetta a cui aspirava era dolce come il miele e velenosa come l’odio. Quando vuole sa essere veramente cattivo.

    «Ecco, c’era la fregatura», mugugnai avviandomi in cucina per prendere il telefono e chiamare Edward. Sapevo che la mia lunga assenza lo stava turbando. Jake mi seguì tenendomi per mano, ancora allegro.

    Avevo l’impressione che fosse deciso a far impazzire Edward.

    Mi resi conto che avrei dovuto penare per fargli capire che non gli conveniva tirare troppo la corda.

    A denti stretti andai al telefono. Chiamai Edward al cellulare.

    «Bella?», rispose al primo squillo. Sembrava più che sollevato: era felicissimo. Sentii il motore della Volvo in sottofondo; era già in macchina. «Hai dimenticato il cellulare… Scusa, ma Jacob ti ha accompagnata a casa?».

    «Sì», mormorai. «Senti, potresti tornare indietro e portare Alice con te? Ho bisogno di vederla. Qui da me».

   Dall’altra parte del telefono scese il silenzio. Sentì le ruote della macchina stridere sull’asfalto come se stessero girando su se stesse. «Certo…la vado a prendere subito. E’ successo qualcosa?», domandò con una leggera tensione.

    Alzai gli occhi su Jacob cercando sostegno nel suo sguardo. Strinse la mia mano e mi avvicinò ancora di più a se.

    «Ho baciato Jacob. E voglio sapere cosa vedrà Alice nel mio futuro».

    In sottofondo, il rombo del motore si fermò di colpo…

    Solo l’eco del mio respiro incerto, spezzava il silenzio che si era creato dall’altro capo della cornetta.

    Pochi secondi dopo, il motore della Volvo si ravviò debolmente ed Edward parlò senza alcuna inflessione nella voce.

    «Bene, hai preso la decisione migliore, Bella. Arriviamo subito. Ci vediamo tra pochi minuti», ed attaccò il telefono.

 **************************************************************************************************************************************************************

    «Bella, sai bene che non ho alcuna visione su di te, quando decidi di mescolare il tuo futuro al loro. Non capisco perché tu mi abbia fatta chiamare», disse Alice a bassa voce per non farsi sentire da Charlie.

    Per evitare che mio padre origliasse, uscimmo fuori in giardino al freddo, ma con Jacob che mi teneva stretta a se, la mia temperatura corporea era perfettamente equilibrata.

    «Lo so Alice, ma ti chiedo di sforzarti. Ho bisogno di sapere se un giorno mi vedrai riapparire, o se sparirò per sempre. Voglio arrivarci preparata», la implorai.

    «Sei sparita da un pezzo, Bella», replicò delusa. Mi guardava come se le avessi appena detto addio. Poi si rianimò irritata. «E la cosa non mi aiuta affatto! Ora non riesco a vedere un bel niente, Bella. Niente!», disse agitata.

    «Calmati Alice, sai anche tu che ha fatto la scelta migliore per se. Non ha colpa se i lupi gettano ombre sulle tue visioni», disse Edward, incredibilmente calmo. Poi si rivolse a me. «Bella, rispetto la tua scelta. E dato che sono un gentiluomo, mi farò da parte, e se vuoi ci vedremo quando più ti aggrada», aggiunse.

    «Ne sarei felice Edward. Sai che ti voglio bene, che voglio bene a tutti voi», risposi abbozzando un sorriso, che lui ricambiò.

    Alice scambiò un veloce sguardo con il fratello e con un sospiro si calmò e ritornò sul mio viso.

    «Scusa Bella, ha ragione Edward. La colpa è di queste bestie, non tua».

    Dalla gola di Jacob provenì un basso e cupo ruggito. Posai una mano sul suo petto e smise all’istante, come se avessi premuto il pulsante “off”.

    «Per quello che ti chiede Bella posso rispondere io per te, succhiasangue. Non la vedrai mai più, perché il mio imprinting non esiste», sibilò Jacob. Poi si rivolse ad Edward con uno sguardo inceneritore. «Il che significa che non la lascerò mai, e non soffrirà mai a causa mia», aggiunse marcando sulla parola mai.

    Edward scosse la testa impassibile. «Non puoi esserne certo».

    «Invece si», insistette Jake con foga. Sentì una scossa provenire dal suo braccio e diffondersi nella mia schiena.

    «Basta! Voi due non avete voce in capitolo! Solo Alice può rispondere! Alice ti prego ti chiedo di fare questo sforzo. Consideralo un regalo per il mio diploma, puoi anche lasciar perdere la festa. Per me questo è più importante!», dissi disperata. Avevo assolutamente bisogno di certezze.

    Ma stranamente la mia curiosità andava via via esaurendosi.

    La sensazione che Jacob e la Rosalie del mio sogno avessero ragione circa l’inesistenza del problema, stava cominciando a diventare una certezza anche per me. Ma finchè non lo sentivo dire da Alice, non ci avrei creduto.

    «La festa non si tocca, Bella», sibilò Alice. «Immagino che il tuo nuovo ragazzo sia invitato. Per me va bene, ma non posso fare quello che mi hai chiesto, non adesso. Mi serve tutta la concentrazione di cui dispongo per vedere così lontano nel tempo. Posso vedere solo ciò che ruota intorno a te, e in questo momento è troppo rischioso. Se Victoria…», sussultai sentendo il suo nome. Mi ero completamente dimenticata di lei e del suo desiderio di vedermi morta. Jacob percepì la mia reazione e mi strinse a se per farmi sentire protetta. «o i neonati, o i Volturi, prendessero una decisione che implica un attacco, io non lo vedrei! Sarei impegnata a vedere il buco nero del tuo futuro senza sapere fino a quanto si estende! Potresti riapparire tra mezz’ora o mai più! Ma intanto non vedrei altro, lo capisci questo?».

    Lo stomaco mi si strinse e dalla mia gola uscì un suono smorzato.

    «Chi sono i Volturi? E questi neonati?», domandò Jacob preso dal panico. Il suo corpo iniziò a vibrare facendo tremare anche me. «C’è qualcosa che dobbiamo sapere? Avete scoperto chi è entrato nella stanza di Bella?». Il plurale rimandò la mia mente a Sam e al resto del branco.

    «Non esattamente, ma abbiamo un piano. In effetti sarebbe meglio che anche voi sapeste che cosa si aggira. Sareste preparati ad affrontarlo, qualora ci fosse la necessità. Venite pure alla festa che si terrà a casa nostra, là potremo discuterne, in parte. Troveremo un angolo dove appartarci senza destare sospetti tra gli invitati», propose Edward pacifico.

    Restai a bocca aperta.

    Pensavo che l’avrebbe presa male, credevo di vedere l’infinito dolore nei suoi occhi, come il giorno in cui non lo perdonai per avermi lasciata. Ma dal suo viso non traspariva alcuna emozione di quelle che mi aspettavo. Non sapevo cosa pensare.

    «Bene, vado a parlarne con Sam. Porterò qualcuno con me per testimoniare», disse Jacob deciso. Da come parlava sembrava che dovesse andare subito, ma non si mosse di un millimetro.

    «Non mi conosci Jacob Black, le tue proccupazioni sono inutili. Ma se preferisci aspettare a quando ce ne andremo, non ci sono problemi», disse Edward alzando le spalle, commentando un pensiero di Jacob.

    «Sai che non mi fido delle sanguisuga. Comunque non ho intenzione di legare Bella al termosifone come avete fatto voi. Inoltre entrambi diamo la caccia agli stessi vampiri, per cui è meglio tenere i contatti. Almeno fino a quando non sarà finita questa storia», disse Jacob. «Poi chissà», aggiunse sarcastico.

    «Significa che è libera di…», disse Alice meravigliata, ma Edward non lasciò che finisse la domanda.

    «Si. Non terrà Bella lontana da noi», disse calmo. «Ma a che prezzo», aggiunse a voce talmente bassa che a mala pena lo sentì.

    Alice saltò di gioia, dimenticando l’irritazione di poco prima. «Si! Così potremo pensare al diploma e alla festa! Domani passerò a portarti un vestito niente male. Vedrai, sarà da “occasione speciale”», disse Alice sorridente e battendo le mani come una bambina. La notizia che Jacob mi avrebbe lasciata libera di frequentarli aveva scacciato la tristezza dai suoi occhi ambrati.

    Fui grata a Jacob, anche se lo faceva per vendetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Svolta ***


Ragazze, siete dolcissime! Non so come esprimere la felicità che sento!

Do pienamente ragione a Marphy circa le forzature della Meyer, scrivere quello che avete letto è stato di una facilità estrema! Ho solo seguito la logica e dato a Bella un po’ di amor proprio. Ecco, forse la Meyer ha potuto forzare perché la tonna non ha molta autostima, il che le ha permesso di perdonare Edward per averle spezzato il cuore, buttando all’aria tutte le belle parole che aveva usato fino alla bugia per mollarla in quel modo barbaro e incosciente (in mezzo al bosco da sola con una vampira che la cercava, e con la consapevolezza che lei è un’attiraguai). O di non prendere nemmeno in cosiderazione l’alternativa che le offriva Jake, perché ha occhi solo per Edduncolo, esiste solo lui e il resto è inchiostro! Una ragazza con i paraocchi e i paraorecchie.

Eppure, come dice Emy_Metallara, si vede lontano un miglio che Bella è cotta di Jake! Solo lei non lo capisce, o meglio, la Meyer cerca in tutti i modi di non farglielo capire, ma alla fine si trova costretta a farle dire la famosa frase: “Temo che sia troppo tardi, Jake. Come facciamo a essere amici se ci amiamo così?”. Alla fine non ci ha potuto fare nulla e l’ha ammesso.

Comunque, è stata una meraviglia riscriverla, per me questa è la saga che avrei voluto leggere e sono al settimo cielo nel sapere che non sono l’unica a pensarla così! Vi ringrazio e vi adoro tutte  *____*. Vi lascio ad altri due capitoli, un super mega bacione!

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse) 

 

 

    Era quasi ora di andare ed ero ancora in tuta da ginnastica. Se non trovavo nulla di più adatto - e al momento non è che avessi tante speranze – sarei andata alla cerimonia con quella.

    Guardavo perplessa i vestiti appesi all’armadio che avevo spalancato.

    La cosa buffa era che sapevo esattamente cosa avrei indossato se  l'avessi avuta: la camicetta rossa che mi avevano rubato.

    «Ma quanto ci mette Alice? Non doveva passare con un vestito da “occasione speciale”?», domandai fra me, irritata.

    «Infatti ce l’ho qui», disse lei all’improvviso.

    Stava elegantemente appoggiata alla finestra aperta, sembrava davvero che fosse lì da sempre.

    «Toc toc», aggiunse con un sorriso.

    «È davvero così difficile bussare e aspettare che qualcuno ti apra la porta?».

    Lanciò una scatola bianca, piatta, sul letto. «Mi piace fare un po’ di scena», replicò allegra.

    Guardai il pacco anonimo con aria circospetta: temevo che Alice avesse esagerato.

    «Ammettilo», disse Alice dando un fugace sguardo all’armadio aperto. «Ti ho salvato la vita».

    «Mi hai salvato la vita», mormorai. «Grazie».

    Alice ricambiò con la sua risata cristallina. Poi senza smettere di sorridere, domandò con sincera curiosità. «Allora, cos’è successo dopo che ce ne siamo andati ieri sera?».

    «Niente di particolare. Jake è andato a parlare con Sam delle ultime notizie, e mi ha detto che verrà alla festa insieme ad altri due componenti del branco», risposi.

    Alice arricciò il naso. «Niente di particolare dici? Dall’odore di cane bagnato che appesta l’aria di questa stanza, non mi sembra proprio», disse guardandomi di sottecchi.

    Accidenti, allora Jacob era stato davvero qui? Al solito io perdevo tempo a dormire…

    Poco prima che andasse ad avvisare Sam e gli altri, gli chiesi se dopo gli andasse di passare qualche minuto nella mia stanza.  

    Jacob alzò un sopraciglio e rise.

     «Hei Bells, ma la discrezione è scappata in vacanza alle Maldive?».

    «Si, mi ha già spedito una cartolina. Credo che non abbia più voglia di tornare a Forks», risposi. Jake scoppiò a ridere, ma in realtà non stavo scherzando.

    Poteva pensare quello che gli pareva, avevo passato fin troppo tempo a sognare la sua presenza accanto a me. E il tempo era fin troppo prezioso per sprecarlo con le buone maniere.

    «D’accordo», proseguì con il suo sorriso abbagliante. «magari faccio un salto per vedere la cartolina e per darti la buonanotte. Ma dopo filerò subito da Billy. Almeno in teoria…». Nell’oscurità ebbi l’impressione che le sue guance divenissero più scure.

    Certo, se non ci fosse stato qualcos’altro a trattenerlo…

    Arrossì, influenzata dai suoi stessi pensieri. Ma alla fine non accadde nulla.

    Purtroppo, il sonno mi impedì di attendere il suo arrivo.

    E sognai.

    Un sogno diverso da tutti quelli che avevo fatto fino a quel momento. E lo ricordavo perfettamente.

    Vedevo Charlie e Renée confusi in uno strano collage assieme a Billy, Sam e La Push. Erano felici e i loro sguardi invecchiati e divertiti, erano rapiti da qualcosa di piccolo, che si muoveva frenetico davanti a loro. Vidi le teste ciondolanti di due bambinetti con i capelli neri che giocavano a rincorrersi nella foresta tanto familiare.

    Poi la scena cambiò lievemente, come se fosse solo passato del tempo da quella visione, e li restai a bocca aperta.

    Vidi me stessa nel riflesso di un’enorme specchio con la cornice dorata. Avevo già visto quello specchio, in un altro sogno che comprendeva Edward e una frase di buon compleanno. Ma non mi spaventai nel vedere i capelli grigi e le rughe sul mio viso, come quella volta.

    Ero invecchiata, ma il mio volto non aveva mai avuto tanta espressività come in quel riflesso. Quell’immagine era radiosa, felice, sembrava persino più giovane di quello che era in realtà. E il suo sorriso era luminoso come quello di Jacob.

    Provai invidia, nonostante quella anziana donna fossi io.

    Dietro di me, in quello stesso riflesso, vidi un lupo enorme e bellissimo, dal lunghissimo pelo di un rosso sbiadito, come fosse invecchiato anche lui.

    D’un tratto l’enorme lupo si avvicinò a me, e il suo muso mi sfiorò delicatamente la fronte rugosa, come per darmi un bacio.

    E forse quella era l’unica parte che non stavo sognando.

    «Bè, forse è venuto a darmi il bacio della buonanotte mentre dormivo. Per questo senti il suo odore, Alice», risposi dopo il mio bel ricordo.

    «Probabile», disse storcendo la bocca. Si schiarì la voce e puntò gli occhi sulla scatola bianca ancora chiusa. «Dai, vedi se ti piace!», disse di nuovo su di giri.

    Aprì la scatola cautamente, pronta all’impatto. Ne tirai fuori un elegante e stranamente sobrio vestito, di una tonalità stupenda di blu.

    «Carino non ti pare? Ho scelto il blu, perché Edward dice che ti dona».

    «E’ bellissimo Alice, grazie», dissi mentre facevo una prova davanti allo specchio.

    «Be', almeno una cosa l'ho indovinata. Non sai quant'è irritante non poter "vedere" le cose come al solito. Mi sento così inutile. Così… normale».

    Nel pronunciare la parola rabbrividì per il disgusto.

    «Chissà che sensazione orrenda. Normale. Santo cielo», dissi guardandola con espressione di finto orrore.

    Rise. «Almeno non ho avuto a che fare con il tuo fastidioso ladro, e adesso devo solo capire cosa mi sfugge a Seattle».

    Quando pronunciò queste parole e unì le due situazioni in un'unica frase, scattò la molla. Il qualcosa che sfuggiva da giorni, la connessione importante che non riuscivo a cogliere, d'un tratto mi apparve chiaro.

    Il vestito blu mi scivolò dalle mani, ma un movimento fulmineo di Alice evitò che cadesse per terra.

    «Che c’è Bella?», domandò confusa. «Non ti piace più?». Sul suo viso apparve la delusione.

    «Alice, non capisci? Sono gli stessi! Quello che è entrato qui a rubare le mie cose e i vampiri di Seattle. Sono insieme!».

    I vestiti le scivolarono di mano e ricaddero nella scatola.

    Alice capì e la sua voce si fece all'improvviso aspra. «Cosa te lo fa pensare?».

    «Ricorda cos'ha detto Edward. C'è qualcuno che usa i buchi nelle tue visioni per impedirti di vedere i neonati. E pensa anche a cos'hai detto tu sul tempismo straordinario: il ladro è stato attento a non entrare in contatto con me, come se sapesse che l'avresti visto. Credo che tu abbia ragione: Alice, lo sapeva. Anche lui ha usato quei buchi. Quante probabilità ci sono che due persone, separatamente, non solo ti conoscano abbastanza da comportarsi così, ma abbiano deciso di farlo nello stesso momento? Non c'è possibilità. È una persona sola. La stessa. Chi sta organizzando l'esercito è venuto anche qui a catturare il mio odore».

    Alice non era abituata a essere colta di sorpresa. S'irrigidì e rimase zitta, talmente a lungo che iniziai a contare i secondi, mentalmente. 

    Restò immobile per due minuti. Poi alzò gli occhi su di me.

    «Hai ragione», disse con voce cupa. «Certo che hai ragione. E se la metti su questo piano…».

    «Edward non ha capito», sussurrai. «Era una prova… per vedere se avrebbe funzionato. Se poteva entrare e uscire indisturbato senza fare niente di prevedibile. Per esempio, provare a uccidermi… E non ha preso le mie cose per dimostrare di avermi trovato. È venuto a prendere il mio odore… per consentire anche agli altri di trovarmi».

    Restò a guardarmi scioccata. Sapeva bene che avevo ragione.

    «Oh, no», balbettò.

    Non mi aspettavo più che le mie emozioni avessero un senso. Al pensiero che qualcuno avesse creato un esercito di vampiri - l'esercito che aveva ucciso barbaramente decine e decine di persone a Seattle - con il chiaro proposito di uccidere me, mi sentii sollevata.

    Da una parte, era scomparsa la sensazione di avere ignorato chissà quale dettaglio importante.

    Ma c'era dell'altro, e non era cosa da poco.

    «Bene», sussurrai, «possiamo rilassarci. Nessuno sta cercando di sterminare i Cullen, in fin dei conti».

    «Se pensi che la situazione sia cambiata, ti sbagli di grosso», disse a denti stretti. «Secondo te Edward ti lascerà morire solo perchè ora stai con Jacob? E’ ovvio che che non lo farà, perciò non è cambiato nulla». A quelle parole rabbrividì. Non avevo preso in considerazione questo fattore.

    «In ogni caso finalmente abbiamo scoperto cosa cercano davvero. Questo ci aiuterà», insistetti.

    «Forse», borbottò, e si mise a camminare su e giù per la stanza.

    Toc, toc. Qualcuno bussò con forza alla porta.

[…]    «Non sei ancora pronta? Faremo tardi!», protestò Charlie, piuttosto teso.

    Quasi come me, era allergico alle occasioni importanti. Nel suo caso il problema era che non amava vestirsi elegante.

    «Dammi un minuto», dissi con voce rauca.

    Restò zitto per mezzo secondo. «Stai piangendo?».

    «No. Sono nervosa. Vattene».

    Lo sentii scendere le scale con passo pesante.

    «Per fortuna Edward non riesce a leggerti nel pensiero. Non farti scappare nulla, mi raccomando. Forse è il caso di tacere anche con il tuo ragazzo. Tra pochi minuti sarà qui, sento il suo odore da chilometri», mormorò Alice arricciando lievemente il naso.

    «Vai, vai!», le urlai subito. Sia Jacob che Edward avrebbero perso le staffe se avessero saputo. 

    Non potevo tenerli all'oscuro ancora per molto, ma la cerimonia della consegna dei diplomi non era certo il momento migliore per vedere le loro reazioni in contemporanea.

    «Mettilo», ordinò Alice, mentre scappava dalla finestra.

    Obbedii e iniziai a vestirmi mezzo imbambolata.

    Avevo pensato di farmi un'acconciatura complicata ma non ne ebbi il tempo, così lasciai i capelli sciolti e anonimi come sempre. Non importava.

    Non mi preoccupai di guardarmi allo specchio, perciò non sapevo come mi stava il vestito di Alice. Mi buttai sulla spalla l'orribile toga gialla di poliestere e scesi le scale di corsa.

    «Sei proprio carina», disse Charlie, con la voce rotta dall'emozione. «Vestiti nuovi?».

    «Sì», borbottai, intenta a concentrarmi. «È un regalo di Alice. Grazie».

    Jacob e Billy arrivarono appena un paio di minuti dopo che Alice se n'era andata.

    Quando mi salutò baciandomi e avvolgendomi tra le sue braccia, sentivo Charlie e Billy ridacchiare e darsi delle pacche qua e là.

   Subito dopo Jacob storse il naso: sentiva l’odore di Alice su di me, ma sapeva già che doveva venirmi a trovare, quindi non fece domande.

    Ero ancora agitata, ma ogni volta che mi sorrideva per cercare di calmarmi, non potevo fare a meno di ricambiare. Sfortunatamente i miei sorrisi erano fin troppo tirati.

    E Jacob mi conosceva meglio delle proprie tasche.

    Ma, finché viaggiammo sull'auto della polizia di Charlie, con Billy che chiaccherava per tutto il tempo, non riuscì a chiedermi nulla.

    Jacob aveva insistito perchè andassimo tutti insieme. Pensava che un genitore avesse il diritto di accompagnare la propria figlia il giorno del suo diploma.

    Charlie era ben contento che la pensasse come lui. Era bello che avessero così tanto rispetto l’uno per l’altro. E un così comune senso della famiglia.

    Ero seduta sul sedile del passeggero di fianco a mio padre, ma spesso mi voltavo per vedere il sorriso solare di Jacob che fungeva da anestetico, come sempre. Il suo riflesso nello specchietto retrovisore, non mi dava la stessa sensazione.

    Jake ovviamente era costretto a star seduto dietro insieme al padre. A tenerci separati c’era una grata dalle fitte maglie d’acciaio verniciate di nero.

    «Mi sento un cane appena acciuffato dall’acchiappanimali», disse Jacob dopo nemmeno due minuti di viaggio.

    L’auto della polizia vibrò dalle risate, spezzando la tensione di quel momento. Era incredibile quel ragazzo.

    Se le mie preoccupazioni fossero state riferite unicamente alla cerimonia per la consegna dei diplomi, la mia risata non sarebbe stata così isterica.

    «Ti leggo negli occhi che c’è qualcosa che non va, peccato che non possiamo parlarne. Comunque come ti senti?», sussurrò Jacob mentre Charlie aiutava Billy a scendere dalla macchina, nel parcheggio della scuola.

    «Nervosa», risposi, e non era affatto una bugia.

    «Sei molto carina. Devo ammettere che la tua amica ha buon gusto, anche se non è esattamente il tuo stile», disse dando un’occhiata al vestito blu.

    «E come dovevo venirci? In tuta da ginnastica?».

    «Scommetto che ci hai pensato», disse ridendo.

    «Mi conosci proprio bene, Jacob Black», replicai abbozzando un sorriso.

    Charlie ci interruppe con un colpo di tosse e una risatina, per abbracciarmi calorosamente.

    «Sei agitata?», mi chiese.

    «Non molto», ammisi.

    «Bella, è un'occasione importante. Hai finito il liceo. Ora ti aspetta il mondo degli adulti. L'università. Andrai a vivere da sola… Non sarai più la mia bambina». Sembrava davvero commosso.

    «Papà», brontolai. «Per favore, non ti mettere a piangere sulla mia spalla».

    «E chi piange?», esclamò. «Non dirmi che non sei elettrizzata».

    «Non so, papà. Penso di non aver ancora realizzato cosa sta succedendo».

    «È bello che Alice abbia organizzato la festa. Hai bisogno di tirarti un po' su».

    «Certo. Ho proprio bisogno di una festa».

    Charlie rise del mio tono di voce e mi abbracciò forte.

    Quando io e Jake entrammo in palestra mano nella mano, Edward venne subito a salutarmi.

    Anche con quella toga orribile era bello come un Dio.

    Ovviamente anche lui notò che ero molto più nervosa del necessario. Mi guardai intorno alla ricerca di sua sorella.

    Alice non c'era. Cosa stava facendo? Voleva saltare la cerimonia della consegna dei diplomi?

    Quando i professori cominciarono a strillare per disporci in ordine alfabetico sulle sedie, Jacob mi baciò con particolare trasporto, davanti agli occhi inespressivi di Edward.

    Gli diedi uno schiaffo sul braccio, nonostante Edward non avesse battuto ciglio. In quel momento dal palco pronunciarono la lettera C, ed Edward ci lasciò con un sorriso di circostanza per prendere posto insieme agli altri.

    «Jake, non fare così», lo rimproverai.

    «Non posso baciare la mia ragazza il giorno del suo diploma? Non vedo perchè», disse divertito.

    Gli lanciai un’occhiataccia.

    Stavo per andare a sedermi al mio posto vicino a Jessica Stanley, ma la mano bollente mi acchiappò per un polso e mi fece voltare.

    «Si, ammetto che volevo farlo ingelosire. Ma ti avrei baciata così anche se non ci fosse stato lui. Sono molto emozionato, sia per noi che per il tuo diploma. Non ho saputo controllarmi. Scusami», sussurrò Jacob impacciato.

    «Va bene, per questa volta ti perdono, ma non tirare troppo la corda», replicai. Mi diede un bacio casto come risposta e mi lasciò andare.

 **************************************************************************************************************************************************************

    In compenso la cerimonia fu rapidissima. Mi sembrò di aver premuto il tasto dell'avanzamento veloce. Iniziarono a chiamarci per la consegna degli attestati.

    D’improvviso, vidi Alice saltellare danzando sul palco per prendere il suo, tutta concentrata. Edward la seguiva con un'espressione confusa, ma per nulla agitato.

    Solo loro due riuscivano a indossare con disinvoltura quelle toghe gialle e sembrare sempre impeccabili. Spiccavano tra la folla, con la loro bellezza e la loro grazia ultraterrene. […]   

    Sentii il preside chiamare il mio nome e mi alzai in piedi, in attesa che la fila davanti a me si muovesse. […]Mi guardai intorno per vedere Jacob e Charlie darsi di gomito e incoraggiarsi a vicenda. Riuscii appena a vedere la testa di Billy accanto a Jake. Feci il possibile per lanciare loro un sorriso forzato.

    Dopo ci fu un putiferio di cappelli in aria, grida e risate. Nella confusione generale allungai il collo, in cerca di Alice.

    «Congratulazioni», mi sussurrò all'orecchio Edward.

    «Ehm, grazie».

    «A quanto pare il nervosismo non è ancora passato», notò.

    «Eh, no».

    «Che problema c'è? La festa? Non sarà così terribile. Ci sarà persino il tuo licantropo», ghignò.

    «Forse hai ragione».

    «Chi stai cercando?».

    Le mie occhiate non erano discrete come credevo. «Alice… dov'è?».

    «Ha ritirato il diploma ed è corsa via. Si comporta in modo strano, prima stava traducendo in arabo l’inno nazionale americano mentalmente. Finito quello, è passata al linguaggio dei segni coreano», disse confuso.

    Non riuscì a contenere la frustrazione, perché sapevo esattamente il motivo del suo comportamento: cercava di depistarlo. E probabilmente il riflesso dello stato d’animo sul mio viso mi tradì.

    «Tu sai cosa sta nascondendo», mi accusò.

    «Certo». Accennai un sorriso. «È un'idea mia».

    Mi guardò confuso. Intanto vidi che Charlie e Jacob si facevano largo tra la folla.

    «Conoscendo Alice», sussurrai in fretta, «ti terrà all'oscuro di tutto fino a dopo la festa. Ma siccome vorrei tanto che la festa venisse cancellata, be', non ti arrabbiare, non ci fare caso, va bene? È sempre meglio sapere più cose possibile. A qualcosa ti servirà».

    «Ma cosa stai dicendo?».

    Vidi la testa di Charlie sparire e riapparire in mezzo alle altre teste, mentre mi cercava. Mi chiamò e fece un cenno con la mano.

    «Ora calmati, okay?».

    Edward annuì, imbronciato.

    Sottovoce, gli spiegai velocemente le mie deduzioni.

    Quando finì, Edward restò impietrito e sconvolto. 

    Come Alice, sapeva che avevo ragione, e che lui non aveva capito nulla. Charlie e Jacob ci raggiunsero facendosi spazio tra la ressa. Charlie mi abbracciò e si complimentò commosso, ma ero concentrata sulle espressioni di Jacob e di Edward.

    Quando Jacob vide il suo volto strabuzzato e il corpo immobile come una statua, s’irrigidì e iniziò a tremare.

    «Stavolta devi dirmi cos’è successo», mi disse mimando con le labbra, dato che Charlie era troppo vicino e lo avrebbe sentito.

    «Bella ha capito tutto. Dovete assolutamente venire alla festa. Devo andare da Alice a chiedere spiegazioni», gli sussurrò Edward rispondendo per me. «Resta con Bella, non lasciarla nemmeno un istante da sola. Poi quando Charlie vi accompagnerà a La Push, li seguirò io con la mia macchina per garantirgli protezione», aggiunse prima di dileguarsi a velocità troppo elevata.

    Andammo tutti e quattro al Lodge, il ristorante preferito di mio padre, ma sia io che Jacob avevamo lo stomaco chiuso. Jacob era nervoso, voleva sapere, ma non poteva chiedere con Charlie davanti, che di tanto in tanto si metteva a chiaccherare con lui.

    Per tutto il tempo, la sua mano infuocata stringeva la mia da sotto il tavolo. Mi sentivo meglio con lui accanto. Ma sapevo che appena ci fossimo separati, l’agitazione sarebbe tornata più forte di prima.

    Dopo la lunga cena, Charlie accompagnò Jacob e Billy a La Push, come aveva detto Edward. Billy ovviamente non sarebbe venuto neanche morto alla festa dai Cullen, e Jacob doveva venirci più tardi con altri due componenti del branco. Ma a Charlie disse semplicemente che aveva una cosa da fare e che sarebbe andato dopo.

    «Hai parlato dell’università con Jacob? Mi dispiace che ora che vi siete finalmente messi insieme, vi dovrete separare», disse Charlie mentre mi accompagnava a casa Cullen.

    «Ehm…no. Non abbiamo affrontato l’argomento. Abbiamo ancora tempo per organizzarci». In effetti non sapevo bene come gestire la cosa.

    «Bè, per fortuna non andrai lontano. Conoscendolo verrà a trovarti tutti i giorni, e magari ti farà compagnia durante qualche noiosissimo corso di letteratura», disse Charlie ridendo sotto i baffi.

    «Già, conoscendolo», mormorai. Ma sul fatto che mi venisse a trovare al campus, non ero d’accordo: troppe ragazze in giro. Sarei andata io a trovarlo a La Push, pur di tenerlo lontano da certi sguardi magici.

    Egoista fino al midollo com’ero.

    La dimora dei vampiri era impossibile da trovare, nonostante Alice avesse disegnato una mappa su tutti gli inviti. Ma quando voltammo l’ultimo angolo, restammo entrambi a bocca aperta.

    Il velluto nero dell'oscurità s'interruppe poco prima del vialetto dei Cullen.

    Qualcuno aveva ricoperto di lucine intermittenti i due alberi affacciati sulla strada. Era impossibile non vederli.

    «Alice», dissi con un tono acido.

    «Caspita», disse Charlie mentre percorrevamo il vialetto. Gli alberi all'entrata non erano gli unici illuminati. Ogni due metri circa una torcia indicava il cammino verso la grande casa bianca. Per tutto il tragitto: cinque chilometri.

    «Quando ci si mette, fa le cose per bene, vero?», borbottò Charlie, stupefatto.

    «Sicuro che non vuoi entrare?».

    «Sicurissimo. Divertiti, piccola».

    «Grazie mille, papà».

    Rideva tra sé quando scesi dall'auto e chiusi la portiera. Lo seguii con lo sguardo mentre se ne andava, con il sorriso sulle labbra. Sospirando salii le scale che mi portavano alla festa. Dovevo tener duro.

    Jake stava per arrivare, e come al solito avevo bisogno di lui per sopravvivere alla serata.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Alleanza ***


(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    «Bella?».

    Sentii la voce morbida di Edward alle mie spalle. Mi voltai e lo vidi salire gli scalini del portico, con la sua solita eleganza, i capelli scompigliati dalla corsa.

    «Ciao Edward. A proposito congratulazioni anche a te, per il tuo millesimo diploma», dissi cercando di restare tranquilla. Rise.

    «Grazie».

    Guardai la porta d’ingresso con una smorfia. Consideravo la festa sempre più inopportuna.

    «Non permetterò che ti succeda nulla. E probabilmente nemmeno il tuo Jacob», sussurrò.

    «Non sono preoccupata per me».

    «Perché non ne sono sorpreso?», borbottò tra sé. Fece un respiro profondo e poi sorrise dolcemente. «Pronta per festeggiare?», domandò.

    Mi tenne la porta, ed entrai con uno sbuffo. Restai basita per un minuto, poi scossi la testa.

    «Incredibile».

    Edward alzò le spalle. «Alice è sempre Alice».

    L'interno di casa Cullen era stato trasformato in una discoteca di quelle che non esistono nella vita reale, ma soltanto in TV.

    «Edward!», gridò Alice da dietro un altoparlante enorme. «Ho bisogno di un consiglio». Gesticolava indicando un mucchio di CD impilati. «Dobbiamo mettere musica conosciuta, o rassicurante? Oppure», e indicò un'altra pila di CD, «educarli a gusti migliori?».

    «Vada per la rassicurante», si raccomandò Edward. «Non è detto che il buon esempio serva a qualcosa...».

    Alice annuì seria e iniziò a buttare i CD educativi in una scatola. Mi accorsi che si era cambiata, indossava pantaloni di pelle rossi e un top di paillette. Le luci intermittenti rosse e viola illuminavano la sua pelle in maniera singolare.

    «Non mi sento abbastanza elegante».

    «Sei perfetta», dissentì Edward.

    «Te la caverai», aggiunse Alice.

    «Grazie», sospirai. «Credete davvero che verrà qualcuno?». Chiunque avrebbe notato il tono di speranza nella mia voce. Alice fece una smorfia.

    «Verranno tutti», rispose Edward. «Muoiono dalla voglia di entrare nella misteriosa casa dei Cullen».

    «Favoloso», mugugnai.  

    «Sei veramente una ragazza in gamba, Bella», disse Jasper spuntato dal nulla. «Noi siamo sette vampiri con esperienza centenaria, ma a te è bastato un nulla per capire cosa ci sfuggiva. Sono sinceramente impressionato», aggiunse con un sorriso amichevole.

    «E’ stata solo un’intuizione, nulla di che. Ho solo preceduto Alice di qualche secondo, ci sarebbe arrivata anche lei», dissi imbarazzata.

    «Jasper teme per la sproporzione tra i numeri. Loro, anche se inesperti sono più di noi», mi disse Edward. Poi si rivolse la fratello con sguardo serio. «Non credo che sarà difficile fare quella cosa di cui abbiamo parlato prima», aggiunse.

    «Lo spero, sarebbe molto utile», replicò Jasper con aria preoccupata.

    «Quale cosa?», domandai confusa, ma il suono del campanello non mi fece avere risposta.

    Sperai fosse Jacob con i suoi amici, ma sfortunatamente erano Jessica, Mike, Tyler, Conner, Samantha…e persino Lauren, che entrò per ultima, con il suo sguardo critico da ficcanaso.

    Erano tutti curiosi e vennero sopraffatti dallo stupore quando si accomodarono nel salone addobbato come per un rave d'alta classe. La stanza non era vuota: tutti i Cullen avevano preso posto, pronti a mettere in scena la loro solita, perfetta farsa umana. Persino io, come loro, avevo la sensazione di recitare.

    Andai a salutare Jess e Mike, nella speranza che l'inquietudine della mia voce passasse per agitazione. Prima che potessi raggiungere gli altri, il campanello suonò di nuovo. Feci entrare Angela e Ben e lasciai la porta aperta, perché Eric e Katie stavano salendo i gradini.

    In maniera incredibilemente naturale, la festa prese piede: tutti assalivano il tavolo da buffet e si agitavano sfrenati al ritmo della musica.

    Ma dov’è Jake? Pensai tra me, mentre salutavo e intrattenevo un minuto di conversazione con la marea d’invitati, come mi aveva consigliato Alice. Stavo avendo difficoltà a respirare.

    Finalmente, il campanello suonò di nuovo. Ormai c’era tutta la scuola a casa Cullen, mancava solo una persona all’appello. L’unico che avessi invitato io.

    Mi catapultai ad aprire la porta per l’ennesima volta, ma con molta più impazienza. Mentre mi facevo largo tra la ressa, vidi Alice immobile, completamente inespressiva, fissare il volto duro e freddo di Edward.

    Aggrottai le sopraciglia confusa, ma quando aprì la porta, apparve il sorriso meraviglioso di Jacob, e non trovai tempo per farmi domande.

    Non lo feci nemmeno entrare che gli saltai al collo e lo abbracciai.

    «Bells, tesoro mio», sospirò immergendo il volto tra i miei capelli, stringendomi forte a se e alzandomi a mezzo metro da terra.

    Ora che finalmente sentivo il suo calore invadere il mio spirito, mi sentivo di nuovo completa, e i polmoni avevano ripreso la loro attività respiratoria regolarmente.

    Era diventato davvero l’aria per me, come aveva detto lui. Ma infondo lo era sempre stato, solo adesso ci prestavo attenzione.

    «Ciao Jake, ti aspettavo. Ci hai messo troppo questa volta», feci notare rimproverandolo scherzosamente. Rise di cuore.

    Mi allontanai dal suo orecchio e cercai le sue labbra infuocate che mi attendevano impazienti per essere baciate. Ancora quella sensazione che il mondo potesse crollare sotto i nostri piedi, senza che ce ne accorgessimo. Era come entrare in un’altra dimensione.

    Come il Paradiso.

    Qualcuno tossì, e un altro si schiarì la voce, poi quello che aveva tossito si mise a ridacchiare. Jacob si scollò a malincuore da me, voltò il viso di tre quarti e li guardò di sottecchi con uno sguardo minaccioso.

    «Ciao Quil. Embry», mormorai imbarazzata. Mi ero dimenticata che non doveva venire da solo.

    «Ciao Bells», risposero in un coretto ridicolissimo e si misero a ridere. Jake fece gli occhi al cielo e scosse la testa, mentre io non trattenni una risata.

    «Per favore entrate, siete più che benvenuti», dissi sorridente.

    Appena pronunciai quelle parole smisero di divertirsi, e istintivamente il loro sguardo si fece teso.

    Jacob mi riposò a terra e la sua espressione serena divenne improvvisamente dura.

    Già, stavano per entrare in una casa piena di vampiri e di loro potenziali vittime.

    «State calmi ragazzi, i Cullen non faranno del male a nessuno», cercai di rassicurarli.

    «Non ci metterei la mano sul fuoco», borbottò Embry.

    «Entro io, appena ci sono novità vi faccio un fischio», disse Jacob ai due ragazzoni. Quil e Embry annuirono contemporaneamente.

    Jacob prese una grossa boccata d’aria fresca ed entrò in casa Cullen.

    Una volta entrati, cercai Alice e gli altri, ma non li trovai. Dov’erano andati? Era successo qualcosa?

    «Ti ho portato un regalo, ho perso un po’ di tempo ad impacchettarlo, per questo sono arrivato tardi. Avrei dovuto farlo prima, scusa». disse Jake con voce alta per sovrastare la musica assordante.

    «Oh Jake non dovevi. Lo sai che non sono per cose come feste, regali…».  

    «Non cominciare Bells», m’interruppe. «L’ho fatto io con le mie mani, e ci ho messo pure parecchio tempo. Per cui accettalo senza troppe storie, per favore».

    Mi prese la mano, la tenne aperta e tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un sacchettino di tessuto a trama larga, coloratissimo, legato con dei cordoncini in pelle. Lo posò sul palmo della mia mano.

    «Che carino, Jake. Grazie!».

    Sbuffò. «Il regalo è dentro, Bella».

    «Ah».

    I nodi mi davano qualche problema.

    Rassegnato, riprese il pacchetto e sciolse il laccio, tirando il cordino giusto. Tenni il palmo teso per prendere il sacchetto, ma lui lo capovolse e rovesciò qualcosa di argenteo sulla mia mano. Degli anelli di metallo tintinnarono, colpendosi l'uno con l'altro.

    «Non ho fatto il braccialetto», ammise. «Soltanto il ciondolo».

    A uno degli estremi del bracciale d'argento era allacciato un piccolo oggetto di legno. Lo presi tra le dita per osservarlo da vicino. La figurina riproduceva con dettagli precisissimi un lupo in miniatura, molto realistico.

    L'aveva intagliato in un legno marrone rossiccio, che richiamava il colore della sua pelle.

    «È bellissimo», sussurrai. «L'hai fatto tu? Come?».

    Si strinse nelle spalle. «Me lo ha insegnato Billy. Lui è più bravo di me».

    «È difficile crederti», mormorai, rigirandomi il piccolo lupo tra le mani.

    «Ti piace davvero?».

    «Sì, è incredibile, Jake».

    Allungai il braccio destro e fissai Jacob, in attesa.

    «Vuoi per caso che te lo metta?», domandò con un sorriso.

    «Jake, ma che domande fai? Mi sembra ovvio!», esclamai sconcertata. Rise, felice come una Pasqua, ed allacciò il gancetto senza problemi, nonostante sembrasse  troppo piccolo per le sue grandi dita. Appena il mio polso fu libero, lo abbracciai di nuovo e mi feci cullare. Mi piaceva da morire quando lo faceva. Mi sentivo una bambina protetta dalle braccia del suo forte papà.

    «Grazie Jake», dissi.

    Ormai ogni preoccupazione era uscita dal mio corpo. Caddi dalle nuvole quando ad un certo punto Jacob domandò.

    «Dove sono i Cullen?».

    «In realtà non lo so, sono spariti. Ho visto Alice immobile come una statua ed Edward la stava fissando preoccupato».

    Comprese e gli si illuminarono gli occhi. «La sensitiva ha avuto una visione».

    «Ora che me ne rendo conto, si. Proprio quando sei arrivato. Forse ci sono novità, ma non ne sono sicura», dissi sovrapensiero. Che stupida a non aver capito subito che Alice aveva “visto” qualcosa.

    «Ha a che fare con il tentativo di nascondermi la tua preoccupazione di stamattina». Non era una domanda, non se n’era dimenticato.

    «E’ probabile».

    Jacob mi fissò per un momento, poi si voltò a cercare i suoi compagni, in piedi accanto alla porta, sulla difensiva e a disagio. Quando colsero la sua espressione, si mossero subito, sfilando agili tra gli invitati come se stessero ballando anche loro. Trenta secondi dopo erano accanto a Jacob e mi sovrastavano.

    «Su, racconta», chiese Jacob.

    Embry e Quil guardarono in faccia prima lui e poi me, perplessi e all'erta.

    Prima che proferissi parola, Quil e Embry arretrarono, e il loro sguardo teso e sulla difensiva fissava un punto dietro le mie spalle.

    «Questo sarebbe il trio di lupi?», domandò Jasper all’improvviso facendomi prendere un colpo.

    «Si, si sente dalla puzza di cane», disse Alice arricciando il naso in un’espressione di disgusto.

    «Ha parlato il cadevere in putrefazione», rispose Jacob con la stessa espressione.

    «Smettetela per favore. Alice che è successo? Cos’hai visto?», domandai innervosita da quel battibecco. Per fortuna c’era una gran baccano e nessuno badava a noi.

    Alice distolse lo sguardo da Jacob e si concentrò su di me. «La decisione è stata presa. Stanno arrivando a Forks e uno di loro stringe la tua camicia rossa».  

    Provai a deglutire.

    Poi Alice si rivolse di nuovo a Jacob. «Bella ha fatto un collegamento tra il ladro dei suoi vestiti e i neo vampiri che stanno massacrando Seattle in questi ultimi mesi. E ha ragione, sono gli stessi. Qualcuno sta radunando un esercito per ucciderla. Potrebbe essere Victoria, ma potrebbero esserci altri che hanno saputo di lei. E ora sono molto vicini», spiegò Alice ai tre Quileute dai visi concentrati.

    «Non possiamo lasciarli avvicinare. Non abbiamo abbastanza forze per proteggere la città», disse Jasper calmo. «Sono più di noi, ma  siamo più preparati a combattere. Purtroppo ci servono alleati per avere maggiori possibilità di vincita, senza rischiare inutili perdite. Per ora è una lotta ad armi pari, ma se osassimo di più…», aggiunse affilando lo sguardo su quello di Jacob.

    «No», disse Jacob, e un mezzo sorriso strano e fiero gli illuminò il viso. «Non sarà ad armi pari. La mia priorità, è di poteggere Bella».

    «Edward contava proprio su questo. Eccellente! », sibilò Alice.

    Impietrita dalla paura, fissai i suoi lineamenti perfetti. Il disgusto aveva ceduto il posto alla gioia.

    Sorrise a Jacob e lui ricambiò.

    «La visione è sparita, ovviamente», gli disse con voce soddisfatta. «È seccante, ma, tutto sommato, va bene così».

    «Dobbiamo coordinarci», disse Jacob. «Non sarà facile per noi. Ma in fondo dovrebbe essere responsabilità nostra».

   «Ora non esageriamo, però abbiamo davvero bisogno di aiuto. Non saremo troppo pignoli».

    «Alt, alt, calma», li interruppi.

    Jacob era chino su Alice, pronta all'azione. Entrambi erano accesi d'entusiasmo, ma con il naso arricciato per l'odore. Mi guardarono impazienti.

    «Coordinarci?», ripetei a denti stretti.

    «Non dirmi che vorresti tenerci lontani da tutto questo».

    «Voi resterete fuori da tutto questo. Tu starai assolutamente fuori da tutto questo, Jake!», dissi in preda ad un panico assurdo.

    «La tua sensitiva non la pensa così».

    Mi rivolsi a lei con espressione disperata. «Alice non me ne volere, ma questa volta non mi importa un fico secco di cosa ne pensi! Jake e gli altri non si faranno ammazzare!»

    Jacob, Quil, ed Embry scoppiarono a ridere.

    «Bella», disse Alice con la sua voce confortante e tranquilla, «divisi, ci uccideranno tutti. Uniti...».

    «Non avremo problemi», concluse Jacob. Quil rise di nuovo.

    «Quanti sono?», chiese Quil impaziente.

    «No!», gridai.

    Alice non mi guardò nemmeno. «Dipende: oggi sono in venti, però stanno diminuendo».

    «Perché?», chiese Jacob, incuriosito.

    «È una storia lunga», disse Alice guardandosi intorno. «E questo non è il posto adatto per raccontarla».

    «Più tardi?», Jacob insistette.

    «Sì», gli rispose Jasper. «Stavamo già pianificando una... riunione strategica. Se volete combattere assieme a noi, avrete bisogno di addestramento».

    I licantropi non furono granché contenti della seconda parte della frase.

    «No!», urlai.

    «Sarà davvero strano», disse Jasper pensieroso. «Non ho mai pensato di combattere insieme a dei licantropi. Non è mai successo prima, sono sicuro».

    «Non c'è dubbio», confermò Jacob. Aveva fretta. «Dobbiamo tornare da Sam. A che ora ci vediamo?».

    «A voi quando va bene?».

    Tutti e tre alzarono gli occhi. «A che ora?», ripeté Jacob.

    «Alle tre in punto?».

    «Dove?».

    «Nella foresta di Hoh, circa tre chilometri a nord della base delle guardie forestali. Se venite da ovest sarete in grado di seguire le nostre scie».

    «Ci saremo».

    Fecero per andarsene.

    «Aspetta, Jake!», urlai. «Per favore! Non farlo!».

    Si fermò e si voltò per sorridermi, mentre Quil ed Embry si dirigevano impazienti verso la porta. «Bells, sono il tuo ragazzo, ed è mio preciso dovere difenderti dai cattivi. Ora vado ad avvisare gli altri, ma tieni la finestra aperta della tua stanza. Devi ancora mostrarmi la cartolina della tua discrezione. O è già tornata dal viaggio alle Maldive?», domandò scherzoso.

    «Te l’ho detto che non ci torna più a Forks, infatti la finestra è già aperta. Ma ti prego, non voglio che rischi la vita…», mi zittì con un bacio.

    «A più tardi, Bells».

    «No!», urlai di nuovo. Il suono di una chitarra elettrica annegò la mia voce.

    Non rispose e corse a raggiungere i suoi amici, che erano già usciti. Impotente, lo guardai svanire nel buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Istruzioni ***


“Non è elegante: suona come "cara Bellina, non ti fila nessuno perchè pensano che sei un'ameba...ovvio che sono qui per gli sbarluccicosi Cullen"”

Marphy!!!! xD Hai troppo ragione! Non ci avevo badato! Alla fine Eddy ha un modo molto elegante di insultare Bella, non ci si accorge subito dei suoi giochetti, se non leggendo molto attentamente e con un filo di malizia! Anche in questo Jake è cuccioloso, perché quando gioca sporco lo fa in maniera TROPPO evidente, si fa fregare dalle emozioni che non riesce a controllare xD. Invece Eddy è freddo, abituato a mentire (lo dice lui stesso), e nasconde sempre le emozioni che lo renderebbero più vivo! E’ snervante! Ma come fa Bella a scegliere uno cui non sa nemmeno decifrare l’espressione e le emozioni? Posando la mano sul cuore di Jake, ti accorgi quando è agitato perché ha il battito accelerato! Servirà a qualcosa un cuore vivo! Eddy si regge solo sul romanticismo, sull’idea di un amore eterno e sull’essere un vampiro (un mostro sexy solo per una questione culturale). Jake invece è pieno di punti di forza! E’ insuperabile ù___ù.

 ***********************************************************************************************************************************************************

“Ma sopratutto mi paice il fatto che non accenna al fatto che i Cullen non debbano combattere quindi farebeb combattere i Cullen e non il branco”

Miss, anche tu hai avuto un’illuminazione che a me era sfuggita xD! E’ vero!!!!! Però vabbè, il branco a differenza dei Cullen rischia maggiormente la vita, e nell’originale aveva già chiesto all’allegra famiglia (eeeeeh! xD) di non combattere. Ma a quel punto chi l’avrebbe difesa? Bella ha proprio tendenze suicide come Eddy! Almeno l’originale ù__ù, la mia ha scelto la vita!

 *********************************************************************************************************************************************************

Emy, il calippo non esprime quasi mai le proprie emozioni, si tiene semrpe tutto dentro per non far preoccupare Bella ù___ù. Ma stai tranquilla che anche lui gioca sporco, e non solo nella mia versione! Solo che è talmente ben nascosto che non ce ne accorgiamo. Io però ho cercato di evidenziarlo, come vedrai.

 *******************************************************************************************************************************************************

Comunque ragazze, sono strafelicissma che vi piaccia la mia versione *___*, e i vostri commenti mi emozionano sempre ^______^. Vi lascio ad altri due capitoli come al solito. Baci, e buona lettura!!!

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    «È stata la festa più lunga della storia», protestai mentre Edward mi riaccompagnò a casa.

   Sembrava d'accordo. «Ormai è finita», disse gentile e perfettamente a suo agio. E non era il solo ad esserlo.

    Tutti i Cullen erano a proprio agio.

    Dopo tante settimane di tensione, la proposta di Jacob aveva riportato la fiducia e l’entusiasmo.

    Caspita, era riuscito ad allietare pure loro.

    La festa era finita in allegria, come una cerimonia in grande stile.

    Ma non per me.

    Ero spaventata - terrorizzata - all'idea che i Cullen e i Quileute combattessero per difendermi.

    Più di tutto, morivo di paura all’idea che Jacob ed Edward lottassero in una battaglia all’ultimo sangue contro una moltitudine di neo vampiri scatenati, senza che potessi conoscerne l’esito. E se avessi perso anche uno solo di loro? Se il ghiaccio si fosse sciolto? O peggio ancora, se il mio sole si fosse spento?

    Combattei contro i miei pensieri per non scoppiare in un pianto isterico. Avevo i nervi a pezzi e a fior di pelle. Non sapevo per quanto tempo ancora sarei riuscita a non urlare. Non potevo permettermi di lasciarli andare da soli, non potevo permettermi di non essere con loro, almeno stanotte. Chissà dove mi avrebbero imprigionata per tenermi al sicuro.

    Sussurrai, per tenere la voce sotto controllo. «Stanotte verrò anch’io». 

    «Bella, sei sfinita».

    «Credi che riuscirei a dormire?».

    Si rabbuiò. «È un esperimento. Non sappiamo se è possibile… cooperare con loro. Non ti voglio fra i piedi».

    «Bè, sai bene che non potrai fermarmi», ribattei seccata dal suo linguaggio offensivo.

    «Perché no?».

    «Jacob», dissi vittoriosa. «Mi porterà lui con se. Non ha paura di coinvolgermi in qualcosa in cui sono già coinvolta».

    Edward increspò le labbra e aggrottò le sopraciglia. «Vi siete proprio trovati. Due incoscienti fatti e finiti», ringhiò.

    «Questo perché non riesci a capirmi Edward. Non capisci come mi sento! Per te è tutto ovvio, non pensi mai al mio stato d’animo, a quanto sono in apprensione!», sbottai. Il mio autocontrollo aveva raggiunto la discrezione alle Maldive. «Credi che sia divertente per me sapere che tu o Jacob o Alice o chiunque altro, potreste non tornare da me quando la battaglia avrà inizio? Già non potrò assistere e vedere con i miei occhi se sopravvivrete o no, per cui non puoi impedirmi di essere presente fino all’ultimo secondo!», aggiunsi in preda all’agitazione.

    Edward non rispose, fissava la strada pensieroso. Solo quando arrivammo al vialetto di Charlie riaprì bocca.

    «Ci vediamo più tardi allora», mormorò rassegnato.

    «Edward, io ti voglio bene. Sono solo preoccupata, e so di essere la responsabile di tutto questo. Ho paura di perdervi», dissi con un filo di voce che si spezzò sull’ultima parola.

    «Si, hai ragione Bella. Non ho mai capito le tue emozioni, sono stato troppo occupato a cercare di gestire le mie. Troppo grandi e sconosciute, per uno che non le ha mai vissute nemmeno quando era in vita. Ti chiedo perdono, e d’ora in poi, farò tutto quello che vuoi per non farti stare in pensiero per me. Non voglio che tu soffra ancora per i miei capricci», sussurrò comprensivo.

    «Grazie. E scusa per lo sfogo di prima, sono un po’ frustrata», ammisi mortificata.

    Edward mi sorrise benevolo. «Non preoccuparti Bella. Per una volta mi hai rivelato i tuoi pensieri più profondi. Sei molto più spontanea adesso che…bè, prima».

    Sono i benefici della disintossicazione, pensai, ma non avevo il cuore ne la convinzione necessaria per dirglielo.

    «Comunque il tuo lupo ti sta aspettando di sopra, e Charlie dorme come un angioletto. Non si accorgerà di voi nemmeno se vi metteste a sparare fuori dalla finestra», disse con il suo sorriso sghembo. Ricambiai e scesi dalla Volvo argentata.

    Entrai in punta di piedi. Charlie era addormentato in soggiorno, traboccava dal divano troppo piccolo e russava così forte che non l'avrei svegliato nemmeno accendendo una sega elettrica.

    Lo scrollai con vigore.

    «Papà! Charlie!».

    Grugnì, a occhi chiusi.

    «Sono tornata. Ti farà male la schiena se continui a dormire qui. Dai, è ora di andare a letto».

    Gli ci volle qualche altro scossone, gli occhi non gli si aprirono del tutto, ma riuscii a farlo alzare dal divano. Lo accompagnai a letto, dove crollò ancora vestito, e riprese a russare.

    Edward aveva pienamente ragione: di sicuro, per un po' non sarebbe venuto a cercarmi.

    Aprì la porta della mia stanza e trovai Jacob stravaccato sul mio letto, senza scarpe, con le lunghe gambe accavallate e le mani dietro la testa.

    Il mio letto era sparito: lo occupava tutto.

    Trattenni una risata, mentre lui mi accolse a braccia aperte con un sorriso caloroso. Illuminava tutta la stanza come un faro nella notte.

    Chiusi velocemente la porta alle mie spalle e mi buttai su di lui che ancora sorridevo.

    Accadde tutto molto in fretta.

    Mi tenne stretto i fianchi con un braccio e con una manovra strana e repentina mi ritrovai sotto di lui. Le sue labbra s’incollarono alle mie e il suo respiro caldo si fece affannato dentro la mia bocca, mentre con la mano mi prese una coscia e la cinse al suo fianco.

    Io non ero da meno.

    Colta dalla stessa euforia, mi avvinghiai a lui anche con l’altra gamba.

    Affondai le dita tra i suoi capelli e lo avvicinai a me con forza, mentre con l’altra mano, strinsi la pelle della schiena attraverso la maglietta.

    Jacob reagì con un sospiro violento.

    La presa sulla mia gamba aumentò d’intensità, mentre il suo respiro mi annebbiava la mente e mi baciava con passione travolgente.

    Sentì le sue dita salire fino alla scollatura a V del vestito blu che ancora indossavo.

    L’allargò e mi scoprì la spalla nuda e pallida.

    Quando poi staccò le labbra dalle mie per tracciare con la punta della lingua, una linea infuocata dal mento, al collo, alla spalla, per poi spostarsi sul petto e darvi un bacio profondo e umido, mi scappò un gemito.

    Arrossì dall’imbarazzo.

    Si fermò e alzò la testa per incontrare i nostri sguardi eccitati.

    «Che accoglienza», sussurrò ansimante e luminoso come un sole di mezzanotte. «Credo che verrò a trovarti più spesso, d’ora in poi».

    Risi imbarazzata, e nascosi il viso nell’incavo del suo collo. Slacciò le mie gambe aggrovigliate sui fianchi e si strinse sul mio lato destro. Con una mano reggeva la propria testa e con l’altra mi sosteneva per evitare che cadessi dal letto diventato minuscolo.

    Sorrideva beato, e i grandi occhi scuri erano accesi dall’entusiasmo.

    «Devo lavarmi e cambiarmi, questa notte verrò con te», azzardai. Jake alzò un sopraciglio.

    «Non ti spaventerebbe vedere i tuoi amici che si battono? Anche se come semplice dimostrazione?», domandò sereno.

    «No», mentì.

    «Certo, certo», rise della mia bugia mal recitata. «Comunque mi sembrava ovvio che dovessi venire, non credevo nemmeno che avresti tirato fuori l’argomento», aggiunse tranquillo.

    Sospirai. «C’è chi non la pensa così».

    «Chi, il tuo ex succhiasangue? Ma per favore, di cos’ha paura? Non siamo così stupidi da metterci ad azzuffarci in una situazione del genere. È ridicolo», disse contrariato. «Magari quando finirà questa collaborazione…», aggiunse come se niente fosse.

    «Jake», sibilai lanciandogli un’occhiataccia nel buio.

    «Oh andiamo, Bells. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Come ho detto non sarà facile, ma ci sono tutti gli elementi per collaborare. Questa storia deve finire una volta per tutte. Dopo…».

    «Lascia perdere il dopo, meglio non pensarci. O meglio, io non devo pensarci. Magari si risolverà tutto con una bella stretta di mano», lo interruppi con le mie fantasie.

    «E una birra al sangue. Bleah!», aggiunse facendo una smorfia nauseata e scuotendo le spalle. Feci gli occhi al cielo.

    Mi lasciò alzare dal letto troppo piccolo per contenere entrambi, presi il maglione e i jeans e andai in bagno a sistemarmi.

    Quando tornai, Jacob guardava un punto indefinito del soffitto con aria pensierosa.

   «A che pensi?», domandai mentre mi avvicinavo alla sponda del letto. Jake fece spallucce.

   «A una cosa che mi passava per la mente. Magari un giorno ne parleremo», replicò sereno ed aprendo le braccia bronzee per accogliermi.

    Non mi feci pregare. Gli andai sopra e mi raggomitolai su di lui.

    «E’ quasi ora», sussurrò mentre mi accarezzava dolcemente i capelli.

    Il suo respiro regolare, il battito un po’ meno regolare del suo cuore e il calore piacevole emanato dal suo corpo, mi facevano venire sonno.

    «Jake, vuoi farmi addormentare?», dissi con uno sbadiglio. «Mi stai facendo rilassare troppo, e invece devo restare agitata per rimanere sveglia», protestai debolmente.

    Il suo petto vibrò di una risata rauca, facendo sobbalzare anche me.

    «Dai, andiamo», disse alzandosi in piedi mentre gli restavo allacciata addosso, come se fossi una protuberanza del suo corpo. Scesi dal suo torace e mi arrampicai sulla schiena.

    Ebbi qualche difficoltà, data la sua altezza: dovetti salire sul letto. Jake fece gli occhi al cielo e si piegò su un ginocchio per farmi salire.

    Una volta ancorata al suo collo, balzò agile fuori dalla mia finestra e corse rapido nel folto della foresta. Correva come se in spalla portasse un semplice zaino semivuoto, anziché me.

    Ad un tratto, Jacob si fermò in mezzo al bosco e mi fece scendere.

    «E’ questo il luogo d’incontro? Non c’è nessuno. Perché ci siamo fermati?», domandai confusa senza dargli il tempo di rispondere. La luce fioca della luna, batteva sui suoi denti bianchi mentre parlava.

    «Bè, devo trasformarmi, altrimenti non arriveremo in tempo. Inoltre non possiamo arrivare tutti in semplice forma umana. Per precauzione. Quindi, ti chiedo il favore di voltarti», rispose.

    «Voltarmi? Perché? Ti ho già visto trasformarti, non mi fai paura», ribattei sempre più confusa. Da quando Jacob si preoccupava di una cosa del genere?

    Rise, lievemente imbarazzato.

    «Buono a sapersi, ma non è per quello che te l’ho chiesto. Io…bè, te ne avevo parlato. Non voglio distruggere i miei vestiti, e per salvarli…devo spogliarmi e legarmeli alla caviglia. Ma non voglio lasciarti sola per nascondermi dietro ai cespugli come Adamo, quindi…girati, per favore», spiegò roteando un dito.

    Sentì il fuoco ustionarmi la faccia.

    «Ah. Certo…scusa», farfugliai e mi voltai rigida come un pezzo di legno per lasciargli un po’ di privacy.

    «Figurati». Rideva, ma la sua voce roca tremava.

    Sentì i suoi vestiti scivolargli di dosso.

    Distinguevo il rumore della maglietta che si sfilava, da quello dei pantaloncini in jeans che si sbottonavano.

    Deglutì faticosamente.

    Cominciai ad andare in iperventilazone, e il cuore mi rimbombava nelle orecchie.

    Speravo che facesse in fretta, prima che il desiderio di ammirare il suo corpo scolpito mi sopraffacesse. Ero troppo debole di fronte alla bellezza soprannaturale di certe creature.

    D’improvviso lanciò la maglietta sulla mia testa come fossi un appendiabiti.

    A quel gesto inaspettato scoppiai a ridere, e lui con me. Entrambi però, avevamo una risata nervosa.

    «Okay, adesso me li allaccio alla caviglia, ancora un po’ di pazienza», disse Jacob. Annuì e riprese la maglietta dalla mia testa.

    Le mie orecchie si allungarono per cogliere il suono del cordoncino di pelle che annodava i vestiti sulla caviglia. Poi più nulla.

    Pensai di udire qualche rumore che indicasse l’avvenuta trasformazione di Jacob, ma non sentì niente.

    Tesi un po’ di più le orecchie.

    Nulla.

    Nessun segnale, di nessun genere. Era come se fossi sola.

    «Fatto?», domandai infine, sentendomi una stupida nel parlare da sola. forse aveva deciso di allontanarsi.

    Cominciai a voltarmi molto lentamente, ma la stretta delle mani di Jacob sulle mie spalle mi immobilizzarono e mi riportarono alla posizione di partenza.

    Sussultai.

    Era ancora umano, sentivo l’intensità del suo calore sulla mia schiena.

    E sapevo che era completamente nudo.

    Al posto del mio cuore c’era una schiera di tamburi.

     «Sai che mi piace?», sussurrò profondo e morbido.

    Le sue labbra che sfioravano il punto tra il lobo e il collo mi provocarono un brivido lungo la schiena.

    «Che cosa?», balbettai.

    «Il tuo cuore, quando batte così forte. Ho un udito particolarmente sensibile. Una cosa da lupi».

    «Ah, ma guarda un pò», brontolai. Il suono impazzito del mio cuore non era un mistero per nessuno, qui a Forks. «Non dovevi…trasformarti?», domandai nervosa. Mi sentivo torturata.

    «Si, ma prima volevo fare una cosa».

    Il cuore schizzò fuori dal mio petto come un proiettile, e non riuscì ad emettere alcun suono. Che intenzioni aveva Jacob?

    Mi prese il viso da dietro per tenermelo alzato, e con il braccio mi fece voltare tenendomi serrata al suo corpo.

    Mi baciò con bramosia.

    Lasciò il mio viso, impegnato a ricambiare quel bacio, ed affondò la mano nei miei capelli, avvicinando la mia testa alla sua. Le labbra di Jacob erano di una morbidezza e di un sapore incredibili, e il respiro caldo mi invadeva il cervello e sconvolgeva i sensi.

    Cominciava a girarmi la testa, e sentì il mio corpo surriscaldarsi e abbandonarsi tra le sue mani.

    Con le dita studiai i muscoli perfetti della schiena forte e ampia, e con uno strano percorso gli accarezzai il petto e gli addominali d’acciaio.

    Sussultò.

    Sotto la mia mano, sentivo la pelle straordinariamente vellutata di Jacob, divenire sempre più rovente. Anche lui si stava surriscaldando.

    Lasciò la mia bocca e prese a baciarmi ansimante il lobo dell’orecchio e il collo con desiderio.

    Inumidiva con le labbra ogni centimetro della mia pelle scoperta.

    Non sentivo più i muscoli del corpo. Ero completamente in balia di Jacob e del piacere che provavo.

    Le mie mani vagavano sul suo corpo, sempre più caldo e contratto ad ogni mio tocco.

    Abbandonò i miei capelli e mi avvicinò la schiena con forza, mentre con l’altra mano esplorava insistentemente ciò che nascondevo sotto il maglione.

    Alcuni punti in particolare, attiravano la sua attenzione.

    Gli occhi si rivoltarono all’indietro. Ero sconvolta, e ormai stavo per perdere i sensi.

    Non volevo più andare da nessuna parte.

    Volevo restare lì con lui, bellissimo, intriso di desiderio, nudo, e volevo esserlo anch’io. I vestiti erano diventati incredibilmente ingombranti, e nonostante il freddo pungente, mi facevano sudare.

    Sapevo che lui non mi avrebbe fermata, a differenza di qualcun altro se fosse stato al suo posto.

    D’un tratto sentì i suoi denti nell’incavo del mio collo, stringere lievemente un lembo di pelle in un morso, tutt’altro che doloroso.

    Ansimai di nuovo.

    Chissà quante volte l’avevo fatto senza nemmeno accorgermene. Forse da quando aveva preso a baciarmi.

    Lasciò delicatamente la pelle, vi diede un bacio carnoso, e con un sospiro tremante tornò al mio viso stravolto, intrappolandolo tra le mani ardenti.

    Non lasciava che il mio sguardo vagasse al di sotto dei suoi occhi, verso mete sconosciute del suo corpo possente.

    Respiravamo affannosamente, come se avessimo partecipato ad una gara di corsa campestre. I suoi occhi erano lucidi e incredibilmente eccitati.

    I miei non erano diversi.

    «Ti amo, Bella», sussurrò.

    «Ti amo anch’io Jake. Tanto», risposi con lo sguardo fisso sul suo.

    Ci perdemmo, l’uno negli occhi dell’altro, per un tempo che sembrava un’eternità, ed insieme troppo breve.

    «Vorrei non dovermi fermare», sussurrò, a denti stretti in accordo con i miei pensieri.

    Contro ogni logica il respiro tornò regolare, come anche il battito dei nostri cuori. Lentamente, riuscimmo a calmarci e a riprendere il controllo della ragione.

    «Anch’io non vorrei», risposi socchiudendo gli occhi. Sospirai. «Ma immagino che dovremmo andare».

    «Purtroppo si», disse frustrato come la mia espressione. «Ora farò qualche passo indietro, poi appena trasformato salimi sul dorso. Ve bene?», disse.

    «Va bene».

    «Reggiti forte mi raccomando. Sono più veloce del tuo ex», disse con un sorriso ampio e fiero.

    «Fantastico», mugugnai per nulla entusiasta. «Spero di non rovinarti la moquette».

    La risata fragorosa di Jacob risuonò nella foresta buia, e mi costrinse a ridargli le spalle per non vederlo svestito.

    «Non sbirciare, ragazza lupo», disse.

    Al mio sbuffo seccato di risposta scoppiò di nuovo a ridere.

    Lo udì allontanarsi di cinque lunghi passi, poi ne seguì un tonfo, come se fosse caduto qualcosa di molto pesante sul terreno erboso.

    Seguì nuovamente un silenzio di tomba.

    Trasalì quando a sorpresa mi abbaiò nell’orecchio.

    «Maledizione Jake, mi hai spaventata!», strillai ad occhi sgranati e voltandomi di scatto. Era enorme, non ricordavo fosse così alto. Il pelo rossiccio e marrone, era più lungo dell’ultima volta che lo avevo visto nei panni del suo alterego.

    Non capì il perché, ma non potevo chiederglielo ora che era un lupo alto come un cavallo.

    Fece un rumore strano e potente con la gola e gli occhi si strinsero, mentre l’enorme petto sussultava, e una fila di denti lunghi, taglienti come bisturi, si spiegarono davanti a me.

    Capì che stava ridendo a crepapelle.

    Non smise nemmeno quando gli diedi un colpo sul muso per avermi spaventata, proprio quel che avrei fatto se fosse stato nelle sue sembianze umane. Lui si scansò e gli uscì un altro latrato di risate che scatenò le mie.

    Poi abbassò le lunghe zampe anteriori per farmi salire, e appena mi aggrappai forte, gridai.

    «Corri Jake!», e con un ruggito entusiasta, sfrecciò in mezzo agli alberi come una saetta.

 **************************************************************************************************************************************************************

    Ci mettemmo un attimo, sembrava di volare a cavalcioni di un missile.

    Durante il viaggio ci fiancheggiarono gli altri grandi lupi. Notai che i miei occhi stavano quasi allo stesso livello di quelli di Sam.

    Erano tutti talmente veloci che non riuscì a distinguerne i colori nell’oscurità, esclusa la macchia nera di Sam che stava sul nostro lato sinistro, e quella grigio scuro di Paul che correva alla nostra destra. Forse mi sbagliavo, ma sembrava che fossero aumentati di numero.

    D’un tratto Jacob rallentò la corsa. Poi l’intero branco di fermò di botto, in un punto imprecisato in mezzo ai grandi alberi.

    «Accidenti», balbettai scombussolata. «Sei davvero più veloce di Edward». Vidi il testone nero di Sam, ruotare per guardarmi con espressione indecifrabile. Dietro di me, udì un ringhio lungo e cupo. Mi voltai e intravidi un lupo più piccolo e con il pelo grigio pallido e ritto come in preda al disgusto, che fissava oltre gli alberi.

    O forse fissava me.

    Quel suono proveniva dal suo petto. Era nuovo, non l’avevo mai visto. Al suo fianco, un lupo più chiaro, forse color sabbia. Sembrava malfermo e scoordinato rispetto agli altri. Era nuovo anche lui. C’erano anche altri tre nuovi acquisti, ma non riuscivo a distinguerne i colori.

    Non mi ero sbagliata, erano davvero aumentati: erano in dieci.

    «Benvenuti», disse una voce vellutata, rassicurante e prudente che avrei riconosciuto tra mille. Era Carlisle.

    Sam puntò di nuovo lo sguardo tra le foglie, dritto davanti a se.

    «Grazie», rispose la voce lontana di Edward in un tono vago e piatto. Capii subito che in realtà era stato Sam a parlare.

    Lentamente, il grande lupo nero avanzò per primo ed entrò nell’ampia radura dietro le enormi felci. A ruota seguimmo io e Jake, Paul e gli altri.

    Mi ci volle un minuto, perché la luna era nascosta dietro le nuvole ed era buio pesto, ma mi resi conto che eravamo nel campo da baseball. Lo stesso posto in cui, più di un anno fa, la mia prima serata allegra con la famiglia Cullen era stata interrotta da James e dal suo clan.

    Quando entrammo, vidi il debole pallore della pelle di Edward, Alice, Jasper, Rosalie, Emmett, Esme e Carlisle. Ci guardavano immobili, come se avessero timore di una qualche reazione istintiva da parte dei lupi giganteschi. Erano tutti a disagio, e un po’ mi ci sentì anch’io, ma per motivi diversi.

    Mi resi conto di quanto mi fossi allontanata dalla loro famiglia. Tutto era diverso: ora stavo con i lupi anziché con i vampiri. Stavo con Jacob, anziché con Edward.

    Ma era quello che volevo. Nonostante gli volessi ancora un bene infinito, non ero disposta a fare uno scambio. Avevo sperimentato sia il ghiaccio che il fuoco, e avevo scelto.

    Avevo scelto il fuoco, da prima che me ne rendessi conto.

    Tuttavia, mi ero dichiarata territorio neutrale, come la Svizzera.

    «Vi prego, qualcuno la faccia scendere da li», disse Esme pietrificata e con i dolci e grandi occhi dorati completamente sgranati. Come tutti gli altri Cullen. Ero ancora a cavalcioni del lupo Jacob, e questo li spaventava a morte.

    Non volevo si preoccupassero, anche se avevo una visuale perfetta da lassù. «Vorrei salutarli, Jake. Fammi scendere, per favore», sussurrai al suo orecchio irsuto e appuntito. Si accucciò in silenzio e scesi, barcollante e con lo stomaco sottosopra. La terra continuava a muoversi sotto i miei piedi. In compenso, vidi i Cullen tirare all’unisono un sospiro di sollievo.

    Esme si mise persino la mano sul petto, come se avesse rischiato un infarto.

    Appena misi piede a terra, Sam prese a fissarmi con i suoi occhi neri e brillanti. Non sembrava contento di ciò che stavo facendo. Prima di avviarmi, gli diedi uno sguardo, e capii come avevo fatto a vederlo dritto negli occhi poco prima: Jacob era alto quasi quanto lui.

    Feci qualche passo verso i Cullen e sentivo gli occhi vigili di tutto il branco su di me.

    Durante tutto il tragitto, udì un lungo gorgoglio preoccupato dietro le mie spalle. Non sapevo a chi appartenesse. Forse a Jacob, ma poteva anche essere Sam, oppure Quil o Embry.

    Non doveva essere piacevole per loro, vedere che un essere umano si avvicinava tranquillamente a un gruppo di sette vampiri.

    «Ciao», mormorai un po’ in imbarazzo.

    «Ciao Bella, ti troviamo molto bene. Scusa, ma ci ha fatto paura vederti in groppa a quel lupo gigantesco», disse Esme, protettiva e amorevole.

    «Ciao Bella», sussurrò Edward con un sorriso. Poi l’espressione cambiò e inchiodò i lupi dietro di me. «Non c’è bisogno che lo dica, Jacob Black», sibilò commentando un pensiero di Jacob.

    Aggrottai le sopraciglia. «Cos’ha detto?».

    «Ha detto che se oso sfiorarti, mi ammazza davanti a tutti», rispose. Trasalì e mi voltai a lanciare un’occhiataccia a Jacob. «Non ha ancora capito che sono un gentiluomo. Forse è un comportamento che si addice di più a lui», aggiunse indignato.

    Dalle fauci di Jacob uscì uno sbuffo seccato.

    «Perdonami Bella, ma devo tradurre i loro pensieri. Puoi tornare dal tuo ragazzo lupo, se vuoi. Ci vediamo appena finiamo», disse Edward con la sua voce calma e vellutata.

    «Va bene, allora a dopo. E per favore…non fatevi male, vi prego», mi raccomandai presa dall’ansia.

    L’intera famiglia Cullen rise sommessamente. «Stai tranquilla mia cara, nessuno si farà un graffio», rassicurò Carlisle.

    Sospirai frustrata e mi riavviai verso il branco.

    Questa volta sentivo gli occhi dei Cullen piantati sulla mia schiena per tutto il tragitto.

    Quando ritornai al fianco di Jacob, Edward parlò con la stessa voce distaccata di prima, riportando le parole di Sam. «Guarderemo e ascolteremo, ma nulla più. È tutto ciò che possiamo chiedere al nostro autocontrollo».

    «È più che sufficiente», rispose Carlisle. «Mio figlio», indicò Jasper, teso e pronto, «ha esperienza in questo campo. Ci insegnerà come lottano i neonati, come possiamo sconfiggerli. Sono sicuro che potrete applicare queste indicazioni al vostro modo di cacciare».

    «Sono diversi da voi?», chiese Sam per bocca di Edward.

    Carlisle annuì. «Sono tutti giovanissimi: hanno giusto un paio di mesi, come vampiri. Sono davvero dei bambini, in un certo senso. Non conoscono la strategia, hanno solo forza bruta. Stasera erano in venti. Dieci per noi e dieci per voi… non dovrebbe essere difficile. Potrebbero diminuire. I neonati si scontrano tra loro di continuo».

    Un mormorio attraversò la fila dei lupi, un brontolio basso e simile a un ringhio, che in qualche modo esprimeva entusiasmo.

    «Siamo in grado di prenderne in consegna anche di più, se necessario», tradusse Edward con un tono meno indifferente.

    Carlisle sorrise. «Vedremo come si mette».

    «Sapete quando e come arriveranno?».

    «Attraverseranno le montagne tra quattro giorni, nella tarda mattinata. Non appena si avvicineranno, Alice ci aiuterà a intercettarli».

    «Grazie delle informazioni. Terremo gli occhi aperti».

    Emisero un sibilo e all'unisono gli occhi si abbassarono verso il suolo. Il silenzio durò per due battiti di cuore, poi Jasper entrò nello spazio che separava i vampiri dai licantropi. Non mi fu difficile vederlo: la sua pelle brillava nel buio come gli occhi dei lupi. Lanciò un'occhiata guardinga verso Edward, che annuì e voltò le spalle ai lupi. Era chiaramente a disagio.

    «Carlisle ha ragione». Jasper parlò solo alla sua famiglia; sembrava cercasse di ignorare gli spettatori dietro di sé. «Si azzuffano come bambini. Le cose più importanti da ricordare sono due: primo, non lasciate che vi stringano tra le braccia e, secondo, non cercate di attaccarli in maniera prevedibile. È ciò che si aspettano. Se vi avvicinate di lato e continuate a muovervi, li confonderete e non reagiranno con prontezza. Emmett?».

    Emmett uscì dalla fila con un sorriso stampato sul volto.

    Jasper indietreggiò verso l'estremità della fila dei nemici alleati. Indicò a Emmett di avvicinarsi.

    «Okay, inizia Emmett. È l'esempio migliore per simulare l'attacco di un neonato».

    Emmett affilò lo sguardo. «Proverò a non romperti nulla», mormorò.

    Jasper sorrise. «Volevo dire che Emmett fa affidamento sulla sua forza fisica. Ha un modo di attaccare molto diretto. I neonati non adotteranno tecniche sottili. Attaccami nella maniera più semplice, Emmett».

    Jasper indietreggiò ancora di qualche passo, in evidente stato di tensione. «Okay, Emmett. Prova a prendermi».

    La lotta simulata che ne seguì fu breve, quasi invisibile e micidiale. Alla fine Emmett si bloccò.

    Jasper lo aveva preso alle spalle, i denti a pochi centimetri dalla sua gola.

    Emmett lanciò un'imprecazione.

    Dai lupi venne un mormorio di approvazione.

    «Da capo», insistette Emmett, stavolta senza sorridere.

    «Tocca a me», protestò Edward. Le mie dita strinsero il lungo pelo fulvo di Jacob.

    «Tra un minuto», disse Jasper con un ghigno. «Prima voglio far vedere una cosa a Bella».

     Fece cenno ad Alice di alzarsi in piedi e io restai a guardare in preda all'ansia.

    «So che sei preoccupata per lei», mi disse mentre Alice avanzava tranquilla nello spiazzo. «Voglio dimostrarti perché non è necessario».

    Sapevo che Jasper non avrebbe mai fatto del male ad Alice, ma non fu semplice vederlo in posizione di attacco di fronte a lei. Alice rimase immobile, lanciò un'occhiata ingenua a Emmett e sorrise tra sé. Jasper si spostò in avanti, poi strisciò alla sua sinistra. Lei chiuse gli occhi.

    Per tutto il tempo pareva di assistere ad un balletto di musica classica. Alice faceva un passo indietro, in avanti o di lato, nello stesso momento in cui Jasper stava per afferrarla. Ecco, era il termine giusto per descrivere Alice: inafferrabile.

    I lupi mormorarono di nuovo. Questa volta sembravano intimoriti.

    Edward mormorò qualcosa divertito, ma ero troppo lontana per sentirlo. Udì solo la parola «Rispettarci».

    A turno, si batterono tutti.

    Nel mentre che l’addestramento andava avanti, mi appoggiai al collo caldo di Jacob. Si voltò ad osservare i miei occhi che faticavano a restare aperti. Stava per accucciarsi di nuovo, ma Jasper attirò la sua attenzione insieme a quella del resto del branco.

    «Domani ci eserciteremo ancora e voi siete invitati ad assistere».

    «Sì», rispose Edward con la voce fredda di Sam. «Ci saremo».

    Edward mi osservava, deluso dalla facilità con cui indugiavo in mezzo a quei lupi enormi. «Il branco pensa che per loro sarebbe importante imparare a riconoscere i nostri odori per non rischiare di confondersi. Se riusciamo a stare fermi, sarà più facile». Aggiunse a voce alta, forse voleva che lo sentissi.

    «Certo», disse Carlisle a Sam. «Come volete».

    Mentre si alzavano, dal branco dei lupi giunse un ringhio rauco e tetro.

    Jacob era l’unico che non ringhiava, non sembrava molto interessato a quella prova, a differenza degli altri.

    La sua attenzione era tutta rivolta a me.

    Mi osservava con i suoi grandi occhi scuri e intelligenti, abbassando l’enorme testa all’altezza del mio volto, per sfiorarmi con il suo nasone. Lo accompagnai, accarezzandogli il pelo fulvo ai lati del muso e sul collo, dove il colore rossiccio sfumava sul marrone.

   Un gorgoglio gli risuonò in gola.

    Era caldo, soffice e al tempo stesso ruvido, una combinazione molto curiosa. D’un tratto, qualcosa nel colore della pelliccia di Jake, mi fece venire un’altra intuizione. La prima era andata bene, magari ci avevo preso di nuovo.

    Spalancai gli occhi, la stanchezza ormai era un ricordo.

    L'oscurità della notte iniziava a svanire. Il sole, ancora ben nascosto dietro le montagne, iniziava a illuminare le nuvole. […]

    A sorpresa, Jacob mi leccò tutta la faccia.

    «Ehi! Jake, che schifo!», dissi. Mi allontanai da lui con un salto e lo colpii sul muso un’altra volta. Abbaiò dalle risate. Mi pulii la faccia con la manica del maglione e non riuscii a trattenermi dal ridere insieme a lui. Cercai di ricompormi per far spazio alla mia proposta. «Jake, ho pensato ad una cosa e magari ci ho azzeccato di nuovo. Forse è il caso di parlarne anche con Edward».

    L’enorme lupo smise quella risata strana ed annuì. Edward si stava già incamminando verso di noi, probabilmente mi aveva sentita. Gli andammo incontro a metà strada, mentre i due non si staccavano gli occhi di dosso.

    Sembrava di stare nel set di un grottesco film western.

    «Di che si tratta?», domandò Edward.

    «Stavo pensando a chi potrebbe avere abbastanza ragioni per creare un esercito di vampiri. O meglio, da quel che sembra, l’unica ragione è quella di uccidermi. E’ escluso che siano i Volturi perché non sanno di me, a meno che qualcuno non gli abbia fatto la spia. Allora chi può essere a conoscenza delle capacità di Alice? Che si è circondato di alleati da mandare in avanscoperta in modo che uno di voi non riconoscesse il suo odore e non destare sospetti? E che soprattutto, vuole che loro riconoscano il mio odore per l’unica ragione possibile, e cioè trovarmi e uccidermi? Se è una sola persona, esperta e motivata a fare tutto questo, chi può essere secondo te?», domandai.

   Non poteva essere nessun’altra persona. Solo lei, poteva aver creato tutti quei vampiri per confonderci ancora di più le idee ed arrivare alla sua vendetta.

    Insistevo, perchè sapevo di aver ragione.

    «Victoria», mormorò Edward concentrato sui miei ragionamenti. Nello stesso momento, Jacob ruggì come se avesse raggiunto la stessa conclusione.

    «Esatto. E’ lei che ha organizzato tutto. Lourent potrebbe aver fatto da anello di collegamento. Avendo vissuto con Tanya e le sorelle, di certo le avrà raccontato dei limiti delle visioni di Alice, che per fiducia gli hanno rivelato», proseguì.

    «E le ha sfruttate a suo vantaggio. Victoria se ne sta seduta dietro le quinte mentre le sue crature scatenano l’inferno. Gli eventuali sopravvisuti li ucciderebbe lei. Ma nel frattempo potremmo subire delle perdite e tu saresti scoperta. Il ladro però non è un dilettante, forse lo ha creato molto prima rispetto agli altri, e lo ha addestrato per quando gli sarebbe servito», continuò Edward pensieroso. «Sì, è plausibile. Comunque dobbiamo essere pronti a tutto finché non ne saremo sicuri. Oggi sei molto perspicace. Incredibile».

    «Grazie», risposi, ma non mi era piaciuta l’ultima parola che aveva usato. Come se di solito fossi una stupida incapace di ragionare.

    «Come ti è venuto in mente?», domandò curioso.

    «Credo di aver inconsciamente sommato tutti gli elementi. Nel senso: il ladro fa parte del gruppo dei neonati, gli ha portato i miei vestiti perché sapessero chi andare a cercare, siete qui per combatterli e non conosco nessun’altro che potrebbe avercela con me. La molla però me l’ha fatta scattare il colore del pelo di Jacob», confessai.

    «Il rosso ti ha ricordato il colore dei suoi capelli», annuì Edward. «Hai fatto molte associazioni. Sei davvero in gamba, Bella», disse con un sorriso di approvazione.

    Jacob si voltò di scatto e corse verso il fitto del bosco, lasciandomi lì con Edward. Intanto il branco era già andato via, probabilmente si erano solo nascosti tra gli alberi, mentre i Cullen confabulavano tra loro nel mezzo della radura.

    Dopo poco, Jacob riapparve in forma umana con solo i pantaloncini addosso e ci raggiunse di corsa. «Io dico che ha ragione, e in ogni caso dobbiamo pensare a come proteggere Bella durante lo scontro. Suggerisco di portarla con Charlie a La Push, li saranno più che al sicuro», propose Jacob deciso, mentre mi cingeva le spalle con un braccio.

    «Ci è già stata troppe volte», disse Edward. «Ha lasciato tracce dappertutto. Alice vede che verranno solo vampiri molto giovani, ma qualcuno li avrà pur creati. C'è qualcuno di esperto, dietro di loro. Chiunque sia, l'attacco potrebbe essere un semplice pretesto per distrarci. Alice vedrà se lui», e fece una pausa per guardarmi, «o lei decide di venire di persona. E quando prenderà la decisione, potremmo essere impegnati e non accorgercene. Forse conta proprio su questo. Non possiamo lasciarla dove sta di solito. Per sicurezza dovremo portarla in un posto in cui non sarà facile trovarla».

    Parlavano come se io non ci fossi.

    Guardavo prima Edward e poi Jacob con aria preoccupata. Lo scontro sarebbe avvenuto tra soli quattro giorni, e ancora non sapevo dove mi sarei nascosta.

    Ma la cosa che più mi angosciava, era che non volevo che loro due vi partecipassero. Volevo che restassero con me, entrambi. Non sopportavo l’idea di perderli in un colpo solo.

    Jacob fece un gesto in direzione del bosco, indicando verso est il profilo svettante dei Monti Olimpici.

    «Allora nascondiamola qui», suggerì. «Ci sono milioni di possibilità…posti che uno di noi può raggiungere in un attimo, se necessario. E con il mio odore mescolato al suo, non troveranno mai la sua scia. Dovrebbero seguire la mia, e non credo che ci entrerebbero volentieri», disse con un sorriso compiaciuto.

    «Questo è poco ma sicuro», commentò Edward arricciando il naso per il cattivo odore che sentiva solo lui. «In effetti, Bella è inavvicinabile. Interessante. Tutto sommato, questa vostra unione sta fornendo parecchi risvolti positivi. Il che mi ha fatto venire un’idea, ma ho bisogno del tuo benestare Jacob».

    «Sarebbe?», domandammo in coro. Edward alzò un sopraciglio e ci guardò perplesso. Nel frattempo, Alice e Jasper si erano avvicinati. Entrambi con il naso arricciato.

    «L’idea funzionerà. Finalmente riesco a vedere qualcosa di positivo, in tutta questa faccenda», disse lei.

    Jacob sbuffò spazientito.

    «Di che si tratta succhiasangue?».

    «Se ripulissimo Bella dal tuo odore, potremmo lasciare due false scie. Una sua e una nostra. Quando i neonati incontreranno quella di Bella, la seguiranno esattamente nel punto in cui vogliamo. Alice ha già visto che andrà così. Quando riconosceranno il nostro odore, si separeranno e cercheranno di attaccarci su due fronti. Metà andrà nella foresta, dove all'improvviso si interrompe la visione…».

    «Esatto!», sibilò Jacob.

    Edward gli sorrise, un vero sorriso cameratesco.

    Mi sentii male. Come potevano essere così eccitati al pensiero dello scontro? Come potevo sopportare che entrambi fossero in pericolo? Non potevo.

    Non avrei potuto.

   «Neanche per idea», disse Edward all'improvviso disgustato.

[…]    «Lo so, lo so», si affrettò a rispondere Jasper. «Non l'ho nemmeno preso in considerazione, non sul serio, almeno».

    Alice gli pestò un piede.

    «Se Bella fosse davvero nella radura», spiegò Jasper, «li farebbe impazzire. Non sarebbero in grado di concentrarsi su nient'altro. Potremmo incastrarli facilmente…».

    Jasper arretrò, sotto lo sguardo di Edward e di Jacob, che aveva intuito dove Jasper volesse andare a parare.

    «Certo, ma sarebbe troppo pericoloso per lei. Era soltanto un'idea passeggera», disse di filato. Però mi guardò con la coda dell'occhio, perso nei

suoi pensieri.

    «No», disse Edward con un tono di voce che non ammetteva repliche.

    «Hai ragione», disse Jasper. Prese Alice per mano e tornò dagli altri. […]    Jacob gli lanciò un'occhiata nauseata.

    «Jasper guarda le cose da una prospettiva strategica», disse Edward in difesa del fratello. «Considera ogni possibilità: è scrupoloso, non cinico».

    Jacob sbuffò.

    Senza rendersene conto si era avvicinato, preso com'era dal progetto.

    Ora distava da Edward solo un metro o due. In mezzo a loro, sentivo la tensione che irradiavano. Era come una corrente elettrica, una carica sgradevole.

    «Hai detto che ti serve il mio benestare. Per cosa esattamente?», domandò Jacob affilando lo sguardo su quello di Edward.

    «Bella deve riprendere il suo odore, che è quello che i neonati riconoscono. Potete restare insieme al massimo domani, ma dopo dovrete per forza separarvi, e dovrà restare con noi. In questo modo il suo odore tornerà normale, e si rimescolerà al nostro. Poi la porterò qui venerdì pomeriggio, per lasciare la falsa scia. Tu ci raggiungerai più tardi, per condurla in un posto che ti dirò. Assolutamente fuori mano, facile da difendere ma difficile da individuare. Io prenderò un'altra strada».

    «Perché devi portarla tu e non qualche altro tuo parente sanguisuga?», domandò Jacob sospettoso.

    «Perché se si tratta di Victoria, lei sa che sono io a starle vicino. Se Lourent non ha fatto in tempo ad avvisarla, penserà ancora che io e lei stiamo insieme», rispose Edward. «Per questo deve essere in grado di associare il mio odore al suo. Non è per altri motivi».

    Jacob aggrottò le sopraciglia e puntò gli occhi scuri e infossati sui miei. «Tu cosa ne pensi Bella?», mi chiese.

    «Se Alice dice che avremo successo, e se posso aiutare in qualche modo, sono disposta a farlo», mormorai.

    Serrò gli occhi frustrato. «Accidenti al non volerti legare al termosifone», brontolò. Poi riaprì gli occhi e cercò di sorridermi. «Per un giorno intero potremmo stare insieme. Ti va di venire a La Push prima di separarci?», domandò.

    Gli sorrisi.

    «Si, certo».

    Ricambiò il sorriso e mi baciò teneramente la fronte, mentre mi stringeva con entrambe le braccia. Poi si rivolse di nuovo ad Edward.

    «E poi? La lasciamo là con un cellulare?», chiese Jacob perplesso.

    «Hai un'idea migliore?», domandò, senza alcuna inflessione nella voce.

    Jacob rispose compiaciuto. «A dir la verità, sì».

    «Oh… complimenti, cane, non c'è male, davvero».

    Jacob si voltò rapido verso di me, per mostrare di volermi coinvolgere nel discorso. «Abbiamo cercato di convincere Seth a restare di guardia con gli altri due giovani. È ancora agli inizi, ma è testardo e cocciuto. Perciò ho pensato a un nuovo compito: farà lui da cellulare».

    Finsi di aver capito ma non ingannai nessuno.

    «Trasformato in lupo, Seth Clearwater resterà in contatto con il branco», disse Edward. «La distanza è un problema?», aggiunse voltandosi verso Jacob.

    «No».

    «Cinquecento chilometri?», chiese Edward. «Impressionante».

    Jacob continuò con il suo tono da bravo ragazzo. «È la distanza massima che abbiamo sperimentato», mi disse. «Ricezione perfetta».

    Annuii distratta. Ero colpita dall'idea che anche il giovane Seth Clearwater fosse già un licantropo e mi era difficile concentrarmi su quanto stessero dicendo. Ripensai al suo sorriso ampio, così simile a quello di Jacob da ragazzino; non poteva avere più di quindici anni, ammesso che li avesse. Il suo entusiasmo, la sera del falò, prese all'improvviso un nuovo significato.  Quello che infondo, mi aspettavo.

    «È una buona idea», ammise Edward riluttante. […]Guarda come ci siamo ridotti… Ci tocca fidarci dei licantropi!».

    «E noi combattiamo con i vampiri invece che contro di loro!», Jacob imitò il tono di disgusto di Edward.

    «Be', voi qualche vampiro di cui occuparvi lo avrete», disse Edward.

   Jacob sorrise. «Siamo qui per questo».

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Piani ***


(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Jacob mi riaccompagnò a casa portandomi in braccio, nel timore che non riuscissi ad aggrapparmi a lui una volta trasformato in lupo. Probabilmente mi addormentai durante il tragitto.

    Mi svegliai nel mio letto, la luce fioca entrava dalla finestra con una strana inclinazione. Sembrava quasi pomeriggio.

    Sbadigliai e mi stiracchiai; le mie dita cercarono lui, ma non trovarono nulla.

    «Jake?», sussurrai.

    La mia mano incontrò qualcosa di caldo e vellutato. La sua.

    «Buongiorno, chiacchierona», mormorò con un sorriso splendente.

    «Buongiorno a te, lupetto», sorrisi. Un momento, come mi aveva chiamata? «Chiaccherona? Oh no…».

    Jacob trattenne una risata.

    «Oh si. Non hai chiuso il becco un attimo. Ero talmente curioso che sarei rimasto a sentirti tutto il giorno. Ma non volevo farmi sorprendere da Charlie e avevo bisogno di dormire. Era impossibile con te che blateravi tutto il tempo», disse divertito.

    «Ho dormito tutto il giorno?». Sbattei gli occhi e poi guardai di nuovo verso la finestra.

    «Non sei abituata a notti come queste, Bells», disse sereno. «In più non ti eri riposata per niente durante tutta la giornata. Eri davvero molto stanca, piccola».

    Mi sedetti sul letto, ma mi girava la testa. La luce entrava nella stanza da ovest. «Caspita».

    «Il tuo stomaco dice che hai fame», disse ascoltando il brontolio provenire dalla mia pancia vuota. «Dato che sono tuo schiavo, voglio prepararti qualcosa. Ti faccio compagnia, tanto io mangio sempre volentieri», propose allegro.

    «Certo», borbottai, stirandomi di nuovo. «Ho bisogno di alzarmi e sgranchirmi le gambe».

    Mi tenne per mano fino in cucina e mi sorvegliò per tutto il tragitto come se stessi per cadere.

    Indicai a Jake dove trovare le brioche da mettere nel fornetto, e nel mentre che scaldavano mi sollevò il mento con un dito.

    «Non hai una bella cera. Sicura che vuoi venire anche stanotte?», domandò.

    «Si, certo. Non sono nemmeno stanca, mi darò una rinfrescata prima che arrivi Charlie».

    Mi fece accomodare e servì la colazione come fosse un cameriere. Al primo morso dato in perfetta sincronia, ci scappò una risata.

    «Sai, è stato molto interessante ascoltare i tuoi discorsi», disse appena ingoiato l’ultimo pezzo di brioche e giocherellando con il lupetto di legno appeso al braccialetto.

    M’irrigidì. «Cos’ho detto?», domandai timorosa.

    «Mi hai nominato un sacco di volte», rispose Jacob con un sorriso dolce. Poi il suo volto cambiò, e mi lanciò un’occhiataccia. «Dopo hai cominciato a farneticare qualcosa tipo: Jake, Edward, dove siete? Jasper, la radura, vi raggiungo», ripetè in tono monocorde.

    «È un'idea di Jasper», dissi.

    Grugnì qualcosa.

    «Voglio rendermi utile. Voglio fare qualcosa», insistetti.

    «No, tu vuoi metterti nei guai. E’ diverso».

    «Jasper pensa di sì. In questo è lui l'esperto».

    Jacob m'inchiodò con lo sguardo. «Bella, tu devi startene nascosta, il giorno dello scontro. Capisci che è troppo pericoloso esporti così in prima persona? A queste simulazioni puoi partecipare tranquillamente, ma non posso lasciarti fare una cosa del genere».

    Incrociai le braccia. «Non avevi detto che non mi avresti legata al termosifone?», domandai cercando di arrampicarmi sulle parole che aveva usato lui.

    «Esatto, perciò non costingermi a farlo adesso», replicò cupo. Poi sbuffò, un po’ più calmo. «Ma perché vorresti farlo? Non dirmi che sei preoccupata», disse sarcastico.

    Strabuzzai gli occhi. «Ah, non dovrei esserlo secondo te?». Jacob fece una smorfia.

    «Che cazzata. Cosa c'è da preoccuparsi?».

    Lo fissai incredula.

    «Ma certo, e perché dovrei esserlo? Infondo sto mandano tutti a morire per colpa mia. Che problema c’è? Anzi, non vedo l’ora!», sbottai isterica.

    Jake scosse la testa e sghignazzò. «Bells, hai sentito i tuoi amici succhiasangue? Quegli affari non hanno una tattica d’attacco, si ammazzano persino tra di loro. Non sorprenderebbe se in queste ore siano diminuiti ancora. Sarà un gioco da ragazzi credimi, e finalmente ci sbarazzeremo di loro e di quella rossa. Dopo tutte le ronde a vuoto che abbiamo fatto, era ora che ci divertissimo come si deve», disse con un sorriso raggiante.

    «Facile dici?», domandai con tutto lo scetticismo di cui disponevo.

    «Si, dico. Ma se invece farai di testa tua, come minimo ti metterai in pericolo, mi costringerai a venirti a cercare, ci farai perdere un sacco di tempo e soprattutto mi perderò tutto il divertimento», rispose contando la successione dei fatti sulle dita della mano bronzea.

    «Seth ha voglia di raggiungervi quanto me, se non di più. Mi accompagnerà lui nel posto giusto», minacciai.

    Jake alzò un sopraciglio e sorrise sicuro di sè. «Basta un ordine, e il gioco è fatto», disse lavandosene le mani.

    Mi stava incastrando. Le carte da giocare erano sempre meno.

    «Allora resta con me, non voglio che tu partecipi allo scontro. Non voglio che tu mi lasci», proposi disperata. Ma sapevo che era una testa dura.

    Jacob s’irrigidì.

    «Stai esagerando Bells. Questo proprio non me lo puoi chiedere», replicò cupo.

    «A me sembra che non posso chiederti niente», brontolai.

   «In parole povere, è così», rispose facendo spallucce. «Non è pericoloso come sembra. Fidati, la stai facendo più grossa di quello che è», ridacchiò.

    Scossi la testa e sbuffai rumorosamente piantando gli occhi sul bordo del tavolo.

    Testa dura.

    «Bells, non preoccuparti così tanto. Davvero, non ce n’è bisogno. Non ci saranno perdite da parte nostra», mormorò fiducioso.

    «Non ce la faccio», insistetti, senza alzare lo sguardo. «Non posso restare ad aspettare, senza sapere se tornerai o no. Come farò a resistere, anche se tornerai presto?».

    Jacob mi avvolse tra le braccia e posò la fronte sulla mia tempia. «Io tornerò, amore mio. Siamo tanti, forti e addestrati. Ti difenderò, e tornerò vittorioso da te. Tornerò dalla mia Bells, e le resterò vicino finchè mi vorrà al suo fianco», sussurrò rassicurante al mio orecchio con il suo respiro caldo.

    «Cioè per tutta la vita?», mormorai. Sospirò un sorriso.

    «Se mi sopporterai, si».

    Mi abbandonai a quel pensiero e cercai le sue labbra.

    Fu un bacio tanto, tanto dolce.

    Non di quelli che mi dava Edward quando doveva abbandonarmi ad una situazione pericolosa, nel periodo in cui stavamo insieme. Avvertivo sempre una certa tensione, come se sapesse che le cose potevano non andare nel modo giusto.

    Ma Jacob era sempre molto fiducioso e positivo, ed era capace di infondermi la sua stessa sicurezza.

    Come avrei potuto anche solo respirare senza di lui? Come avrei potuto vivere senza il mio sole personale?

    In ogni caso, anche se non potevo più andare nella radura come avevo deciso di fare, avrei escogitato qualche altro sistema, pur di rendermi utile.

    «A proposito», disse allontanando le sue labbra dalle mie e fissandomi a pochi centimetri dal mio viso. «Hai  nominato la terza moglie delle nostre leggende. Perchè?».

    Aggrottai le sopraciglia. Non ricordavo di aver fatto di nuovo quel sogno.

    Scrollai le spalle. «Deve avermi colpita molto, e così l’ho sognata», risposi in tono lievemente incerto.

    Restò a fissarmi sospettoso, e prima che potesse aprire bocca per accusarmi, qualcosa attirò la sua attenzione.

    Affilò lo sguardo in direzione della porta d’ingresso.

    «E’ arrivata la chiromante», avvisò arricciando il naso.

    Alice? Che ci faceva qui?  

    Pochi secondi dopo, suonarono alla porta.

    Mi alzai dalla sedia troppo in fretta, e sentivo lo sguardo torvo di Jacob su di me, mentre mi seguiva silenziosamente. Aprì la porta, ed era effettivamente lei.

     «Ciao Bella», disse allegra ed allacciandosi al mio collo con le sue braccia magre. Poi salutò Jacob con una smorfia di disapprovazione.

    «Randagio…».

    «Parassita…», replicò Jacob con lo stesso tono basso e schifato di Alice.

    «Smettetela», dissi lanciando un’occhiata accigliata ad entrambi. «Come mai sei qui? E’ successo qualcosa?», domandai facendola accomodare.

    «Si, sono venuta ad avvisare i tuoi lupi che i neonati sono scesi a diciannove, e ad avvisare Charlie che passerai il fine settimana di nuovo a casa nostra. Devi ripulirti dall’odore di Jacob, ricordi?», spiegò trattenendo una smorfia di disgusto da cattivo odore.

    «Ah si, è vero. Jake ci sono problemi?», gli chiesi.

    «No, è necessario. Non che l’idea mi faccia impazzire, ma fa parte del piano. Non posso mandarlo a monte per così poco», rispose senza troppo entusiasmo. Poi si rivolse ad Alice in tono tranquillo, questa volta. «Edward ha detto che verrete a prenderla venerdì, giusto?».

    «Si, esatto. La tua puzza è molto intensa su di lei, e questo non farebbe cascare i neonati nella nostra trappola. Mi dispiace, ma dovrete separavi fino a quando non dovrai nasconderla dove ti dirà Edward», rispose Alice, tranquilla anche lei. «Comunque una volta nascosta avrà bisogno di compagnia durante la notte, farà molto freddo tra venerdì e sabato».

    «Resterò io con lei. Eviterà che congeli e nasconderemo di nuovo il suo odore. Sarà introvabile», disse con una scintilla di impazienza negli occhi neri. Poi si rivolse nuovamente a me. «Domani mattina ti verrò a prendere e staremo a La Push, poi ti riporterò a casa per la notte. Mi dispiace solo che non potrò restare a vegliare sul tuo sonno», disse Jacob con gli angoli delle labbra piene all’ingiù.

    «Bè, se non altro potrò blaterare in santa pace senza che qualcuno mi ascolti», dissi lanciandogli un’occhiataccia.

    Sorrise e mi diede un bacio sulla fronte, prima che posassi la testa sul suo petto bollente.

    Alice si schiarì la voce, pensando che ci fossimo dimenticati di lei.

    «Vai a prepararti», mi ordinò. «Charlie sarà a casa tra un quarto d'ora, e se ti vede in queste condizioni non ti farà… più uscire».

    Caspita, avevo davvero perso il giorno intero. Mi sentivo sprecata. Però ero contenta di non dover passare le giornate a dormire.

    Dal piano di sopra sentivo Alice e Jacob che confabulavano. Forse stavano mettendo in piedi la scusa per imbrogliare mio padre.

    Quando Charlie rientrò ero presentabile: vestita e pettinata, stavo mettendo in tavola la sua cena.

    Notai la sua aria perplessa, quando osservava Alice e Jake seduti in cucina insieme a noi. Stavano ad una distanza chilometrica, con il naso arricciato e le braccia incrociate. E ogni tanto si lanciavano occhiate furtive.

    Era un peccato che non potessero essere amici, erano così buffi messi a contrasto. Alice era alta quanto una gamba di Jake, ed un suo braccio ne faceva tre di lei.

    Eppure era uno scricciolo indistruttibile e inafferrabile. Erano nemici, ma visti così sembravano una coppia di comici al cabaret.

    «Charlie, credo che vedrai Bella molto difficilmente questo fine settimana», buttò lì Jacob con un sorriso.

    «Ah si? Dove andate di bello?», domandò Charlie, per niente preoccupato all’idea che mi dovessi assentare da casa per stare con il mio ragazzo.

    «Non lontano. Domani staremo a La Push, ma te la riporto a tarda serata», rispose sereno per non preoccupare mio padre.

    «Ah certo, è una bella idea. E il resto del fine settimana?», domandò.

    «Pensavo di invitarla a stare da me», rispose Alice, attirando la sua attenzione. «La mia famiglia vuole andare in escursione, ma io volevo fare qualcosa di diverso. Alla fine dell'anno scolastico andiamo sempre a fare trekking, a mo' di festeggiamento. Quest'anno preferirei darmi allo shopping, ma nessuno , a parte Bella, vuole accompagnarmi. Sono rimasta sola».

    «Anche questa è un’ottima idea. E sono sorpreso da te, Jake. Sono felice che tu non sia uno di quei ragazzi che chiudono in casa le proprie fidanzate, per non farle uscire con i propri amici», disse Charlie entusiasta della vita movimentata della figlia.

    Fidanzata? Quel termine mi fece rabbrividire istintivamente. Parole come fidanzamento e matrimonio, scatenavano in me reazioni troppo negative. Sapevo che la separazione tra Charlie e Reneè e i discorsi anti-matrimonio in giovane età di mia madre, mi avevano influenzata parecchio.

    Alice aggrottò le sopraciglia e si rabbuiò, colpita dalla freccia scagliata involontariamente da Charlie, mentre Jacob fece uno sguardo fiero.

    «Già, so di essere diverso in molte cose», commentò pomposo.

    Charlie sorrise compiaciuto, poi si accorse dell’espressione di Alice.

    «Ho detto qualcosa che non va tesoro?», domandò preoccupato e sporgendosi verso di lei come per confortarla.

    «No, niente Charlie. Adesso torno a casa, la verrò a prendere venerdì mattina presto», disse alzandosi in piedi.

    «Benissimo. Billy stava già organizzando per andare a pesca prima della partita di sabato, di certo non mi annoierò. Dato che devo venire a prendere tuo padre, posso dare uno strappo a Bella, se per voi va bene», suggerì goffo guardando prima me e poi Jacob.

    «Nessun problema, capo Swan», rispose Jacob con uno sei suoi sorrisi sfavillanti.

    «Idem», dissi facendo spallucce. Il viso di mio padre si rilassò.

    «Bene, allora buon divertimento ragazzi», augurò Charlie rivolgendosi anche ad Alice.

    «Grazie Charlie, sono sicura che passerai un bel fine settimana», rispose Alice, allegra. Sicuramente aveva visto che Charlie sarebbe stato benissimo, durante lo scontro.

    Cinque minuti dopo che se n’erano andati, sgattaiolai di sopra con una scusa, e trovai Jacob seduto comodamente sul mio letto.

    Mi avvicinai a lui e mi sedetti sulle sue ginocchia, gli cinsi il collo e gli diedi un bacio sulla fronte calda, mentre lui mi cullava come fossi una bambina.

    «Quand'è l'appuntamento con i Cullen?» , domandai.

    «Tra un'ora».

    «Perché non ti riposi un po’? Anche tu hai bisogno di dormire. Ti presto il mio letto».

    «Grazie, ma non sono un dormiglione come te», precisò divertito. «Sono fresco come una rosa». Sorrisi e affondai il viso nell’incavo del suo collo, tutt’altro che fresco.

    «Jake?», mormorai. «Posso farti una domanda? Non è per prenderti in giro o chissà cosa… "sono solo curiosa"», dissi parafrasando quel che mi aveva detto nella mia cucina… quanto tempo era passato?

    «Certo», ridacchiò, al ricordo.

    «Perché il tuo mantello è così folto, rispetto a quello dei tuoi amici? Sei libero di non rispondere se pensi che sia scortese». Non conoscevo il bon ton dei licantropi.

    «Perché ho i capelli più lunghi», rispose divertito. Se non altro, non si sentiva offeso. Scosse la testa e con i capelli spettinati, che ormai gli arrivavano al mento, mi solleticò la guancia.

    «Ah». Ero sorpresa, ma la risposta aveva senso. Ecco perché tutti si rasavano i capelli, all'inizio, quando entravano a far parte del branco. «E allora perché non li tagli? Ti piace che restino in disordine?».

[…]«Mi stavo facendo crescere i capelli perché… mi sembrava che ti piacessero di più lunghi», rispose esitante.

    «Ah». Mi sentii in imbarazzo. «Be', mi… piacciono sia lunghi che corti, Jake. Sei sempre, come dire, molto bello». Rise e mi strinse forte a sè.

    «Bè, come dire. Grazie». Non trattenni una risata al ricordo di quell’altro episodio.

    «Come dire, prego».

    «Mi fai morire Bells», ridacchiò.

    «Posso farti un’altra domanda?», interrogai divertita.

    «Si vede che sei la figlia di un poliziotto», commentò senza smettere di ridere. «Che vuole sapere, vicesceriffo Swan?».

    «Che programmi hai per domani a La Push?».

    Questa volta non rispose subito e smise di ridere all’istante.

    «Bè», deglutì. «Non so, Paul voleva organizzare un’uscita con gli altri, potremmo unirci a loro, se ti va. Ci saranno anche Kim e la piccola Claire. Poi magari potremmo tuffarci dagli scogli».

    «Ma fa freddo», protestai.

    «Ci sarei io a riscaldarti», sussurrò morbido.

    Le mie guance presero fuoco.

    «Okay. Ehm…e poi?».

    «E poi…», mormorò, stranamente impacciato. «Bè, si vedrà. Ora è meglio andare. Stessa storia di ieri, ma siamo un po’ in ritardo, quindi…».

    «Niente effusioni. Ho capito».

    «Bè, non proprio niente», sussurrò prima di baciarmi. Mi tenne per i fianchi e mi sollevò, mentre si avviava lentamente verso la finestra aperta, senza smettere di farmi girare la testa con le sue labbra infuocate e morbide sulle mie.

 *************************************************************************************************************************************************************

    Quando arrivammo alla radura, ad aspettarci c’era la famiglia Cullen al completo, un lupo grigio un po’ magro e un altro color cioccolato. La luna si era liberata dalle nuvole, e avevo una visione più chiara dei colori. Li riconobbi subito.

    «Ciao Quil, ciao Embry», dissi appena ci fermammo. Annuirono con i loro testoni ed emisero un suono che somigliava ad un saluto. Stranamente c’erano solo loro due del branco di Sam.

    Da lontano salutai i miei amici vampiri, e scesi dalla schiena di Jacob per incontrare Edward a metà strada.

    «Ciao Bella, hai riposato bene?», domandò amichevole.

    «Si, anche troppo. Ho dormito tutto il giorno. Ma dov'è il resto del branco?», chiesi.

    «Non c'è bisogno che vengano tutti. In realtà ne sarebbe bastato uno, ma Sam non si fida abbastanza da mandare Jacob da solo. Lui sarebbe stato disposto a farlo. Quil ed Embry sono i suoi soliti… credo che potrei definirli gregari».

    «Jacob si fida di te».

    Edward annuì. «Si fida del fatto che non lo uccideremo. Però, sì, forse hai ragione».

    «Stanotte ti alleni anche tu?», domandai esitante. […]

    «Aiuterò Jasper quando ce ne sarà bisogno. Vogliamo provare a formare dei gruppi non omogenei e insegnare loro come comportarsi in caso di attacchi multipli».

    Si strinse nelle spalle.

    E una lieve ondata di panico frantumò il mio senso di sicurezza. I neonati erano ancora in maggioranza. Stavo peggiorando la situazione.

    Fissai il prato, provando a nascondere i miei sentimenti.

    Non era il posto giusto dove guardare, impegnata com'ero a mentire a me stessa e a convincermi che tutto sarebbe andato come volevo. Perché non appena distoglievo lo sguardo dai Cullen - dall'immagine dei loro scontri simulati, che nel giro di pochi giorni sarebbero diventati veri e letali - Jacob mi guardava e sorrideva.

    Era lo stesso sorriso lupesco di sempre, con l'espressione di quando era umano.

    Un brivido mi scosse la schiena al pensiero che in qualche modo, fosse più debole dei vampiri. Poteva sanguinare, poteva morire.

    Cercai di scacciare quel pensiero orribile dalla mia mente, prima che mi facesse impazzire davanti ai suoi occhi.

    «Jacob non mi ha detto che sarebbero stati solo in tre. Che strano», mugugnai.

    Edward rise sotto i baffi.

    «Jacob ti nasconde un sacco di cose», disse con un ghigno.

    Mi voltai di scatto verso il suo viso bianco come la neve.

    «Sarebbe?», domandai con un misto di curiosità e sospetto.

    «Ieri notte ho avuto l’occasione di leggere le loro menti. Ci sono cose che non possono dire a nessuno, per esempio, quanti sono. Se Sam dà un ordine, il branco non può ignorarlo. Jacob è stato molto attento, non ha mai pensato niente di proibito in mia presenza. Certo, dopo la notte scorsa è tutto alla luce del sole. […]  Per esempio, hai notato il lupo grigio più piccolo, ieri sera?».  Parlava a voce bassissima, forse per non farsi sentire dal super udito dei lupi.

    «Si, chi era?».

    «Leah Clearwater. Pare che ti conosca», disse con fare da pettegolo.

    Strabuzzai gli occhi. «Leah è un licantropo?», dissi trattenendo a stento l’urlo di stupore.

    Non avevo pensato molto a Leah Clearwater: avevo solo sofferto per la sua perdita di Harry e avevo provato compassione quando Jacob mi aveva raccontato la sua storia, di come lo strano imprinting tra Sam e sua cugina Emily le avesse spezzato il cuore. E adesso lei era parte del branco, sentiva i pensieri di Sam… e le era impossibile nascondere i propri.

    È orribile, aveva detto Jacob. Tutto ciò di cui ti vergogni è lì in bella mostra, sotto gli occhi di tutti.

    «Povera Leah», sussurrai.

    Edward sbuffò. «Non diresti così, se sentissi i suoi pensieri. Basta che lei vada a ripescare vecchie situazioni, con commenti aspri a seguito, che diventa automaticamente un tormento per tutti», spiegò scuotendo al testa. «Comunque ci sono cose che non è obbligato a nascondere. Tipo che lui è il comandante in seconda», buttò lì con aria innocente. «Ma sicuramente lo sapevi già».

    «No, Jake…non me lo ha detto. Perché?», domandai perplessa. E’ strano, pensavo che Jake mi dicesse tutto, ma Edward mi ha fatto scoprire che non era come credevo.

    Contemporaneamente, mi chiesi perché Edward mi stesse dando tutte queste informazioni riservate.

    «Non lo so, chiedilo a lui. Tutti sono tenuti ad obbedirgli come a Sam. È probabile che darà istruzioni precise a Seth, quando dovrà farti da guardia. Sono certo che sa quanto me che tendi a fare sciocchezze», disse guardandomi di sottecchi.

    Feci una smorfia infastidita. Anche lui mi conosceva bene.

    «Vedrò di chiederglielo. Domani passerò tutto il giorno da lui, certamente ne avrò l’occasione».

    Improvvisamente vidi Edward stringere i denti e indurire lo sguardo su Jacob per mezzo secondo. «Si. Avrete parecchie occasioni domani», mormorò. Lo fissai confusa, cosa voleva dire? Non mi diede il tempo di chiederglielo che si calmò, e tornò sul mio viso. «Ora devo andare ad allenarmi. Ci vediamo venerdì. Meglio se ti fai una bella doccia quando rientri da La Push. Alice resterà a proteggere il tuo sonno, non ti devi preoccupare di nulla», proseguì svelto.

    Annuì, e tornai dal lupo Jacob.

    Quando arrivai, mi accarezzò la guancia con il suo nasone. Era felice che fossi tornata da lui. Questo significava che la voce di Edward era stata abbastanza bassa perché non avesse sentito le sue rilvelazioni.

    Non potevo fargli alcuna domanda perché non mi avrebbe potuto rispondere. Edward ha detto che domani avremmo avuto parecchie occasioni, anche se non capivo perché lo avesse detto con quel tono frustrato. Quindi contavo di sfruttarne una per sapere perché facesse tanto il misterioso.

    Mi sedetti. Il suolo era freddo e scomodo, e una brezza leggera soffiò nella radura e mi diede i brividi.

    Jacob si accucciò al mio fianco e premette la pelliccia calda contro di me. Gli sorrisi. Com’era premuroso.

    «Grazie Jake», mormorai.

    Dopo pochi minuti mi appoggiai alla sua schiena ampia. Stavo molto più comoda così.

    Le nuvole attraversavano lentamente il cielo, macchie dense che si illuminavano e si spegnevano incrociando la luna.

    Distratta, iniziai a giocherellare con il pelo del collo di Jacob. Risuonò di nuovo nella sua gola il verso strano, simile a un ruggito lieve, che avevo sentito la sera prima. Era familiare. Era più ruvido, più selvatico delle fusa di un gatto, ma trasmetteva lo stesso senso di appagamento.

    «Sai, non ho mai avuto un cane», dissi. «Ne ho sempre voluto uno, ma Renée è allergica».

    Jacob rise, il suo corpo tremò sotto di me.

    «Proprio non hai paura per sabato?», gli chiesi.

    Girò la testa enorme verso di me e vidi uno dei suoi occhi alzarsi verso il cielo.

    «Vorrei essere altrettanto ottimista».

    Appoggiò la testa alla mia gamba e riprese a ruggire. Mi fece sentire un po' meglio.

    «Ci aspetta una bella escursione, eh?».

    Ruggì di entusiasmo.

    «Può anche darsi che sia un'escursione lunga», lo avvertii. «Edward non giudica le distanze come le persone normali».

    Jacob abbaiò un'altra risata.

    Sprofondai nella sua pelliccia calda e gli appoggiai la testa sul collo,  mentre gli passai le braccia intorno. Era un modo per evitare di guardare quella lotta in mezzo alla radura. La mia fantasia stava viaggiando troppo in fretta e in modo decisamente negativo.

    Nascondere il viso nel pelo folto di Jacob, permise ad una lacrima di rigarmi le guance.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Simboli ***


Vi ringrazio tutte quante! Siete delle lettrici fantastiche, vi adoro tutte ^////^!

************************************************************************************************************************************************************ 

Marphy mi fai morire, lo sai xD e so esattamente come ti senti nel leggere del nostro sexy Jake in mezzo al bosco, senza veli insieme alla tonna dagli ormoni risvegliati *ç*. Però alla fine sei riuscita a fare un’ottima analisi delle sottigliezze della trama, originale e non ^___^.

************************************************************************************************************************************************************ 

Fayeforyou, nel mio finale ho preso solo una frasetta microscopica da BD xD. Non so esattamente come risponderti senza fare anticipazioni, però ti basti sapere che il mio finale, anzi, epilogo, è diviso in due parti e che sarà completamente diverso nonché diametralmente opposto al finale della saga originale (BD compreso). In Eclipse, Jake fugge dopo aver ricevuto l’invito al matrimonio tra Bella ed Edward, e in BD lei diventa una mamma-vampira. E’ charo che il mio finale sarà molto diverso, quindi è difficile dargli una collocazione tra i libri. Non siamo lontani comunque, la mia rivisitazione conta 26 capitoli, e adesso posterò il 19 (che adoro letteralmente) e il 20!

************************************************************************************************************************************************************ 

Miss ma che hai combinato per farti bloccare l’account??? xD

************************************************************************************************************************************************************ 

Ora vi lascio ai capitoli 19 e 20. Un bacio e buona lettura a tutte!!!

************************************************************************************************************************************************************ 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Era tutto pronto.

    Mi ero preparata alla gita di un giorno “da Jacob” e di due giorni "da Alice".

    Charlie si era offerto di accompagnarmi a La Push di buon mattino, in modo da prelevare Billy per una battuta di pesca d'altura, e dopo era prevista una cena da Sue Clearwater. Mi avrebbe riaccompagnata Jacob con la sua Golf a tempo debito.

    Collin e Brady, i due licantropi più giovani, sarebbero rimasti a proteggere il lago in cui sarebbero andati, malgrado fossero ragazzini di appena tredici anni. Tutto sommato, Charlie era più al sicuro di qualsiasi abitante di Forks.

    Presto tutto sarebbe finito, in un modo o nell’altro. Dovevo essere paziente e non rovinarmi la giornata insieme a Jacob. L’avrei rivisto domani, ma in un’occasione meno tranquilla.

    Charlie mi scaricò vicino a casa Black, e mentre lui restò in macchina con il motore acceso, bussai alla sua porta. Mi aprì Billy, e appena mi vide fece un sorriso ampio e luminoso, degno di suo figlio.

    «Ciao Bella! Vieni qui, fatti abbracciare!».

    Il suo comportamento mi lasciò interdetta. Data la situazione, di cui era perfettamente al corrente, quell’allegria mi sembrava incredibilmente fuori luogo.

    Mi chinai per abbracciarlo, e mi strinse forte.

    Quando mi lasciò, notai che teneva la mano ramata nascosta nella manica del giubbotto di pelle.

    «Cos’ha la mano Billy? Ti sei fatto male?».

    «No Bella, ho solo freddo. Non sono bollente come Jacob», rise e mi fece l’occhiolino. Alzai un sopraciglio, di fronte al suo tono fin troppo su di giri.  

    Charlie fece due colpi di clacson e spinsi la sedia a rotelle di Billy fino all’autopattuglia. Quando Charlie lo sistemò sul sedile, mi salutò dal finestrino e si avviarono verso il lago più protetto del mondo.

    Li osservavo allontanarsi, sollevata dal pensiero che almeno loro fossero al sicuro come desideravo. Poi sentì le braccia calde di Jacob, circondarmi da dietro.

    «Ben arrivata, signorina Swan», sussurrò gentile al mio orecchio. Sorrisi, nel sentire ancora una volta la sua voce rauca.

    «La ringrazio per l’ospitalità, signor Black». Mi girò il viso e mi baciò.

    Passammo una bellissima giornata, quasi dimenticai quello che ci aspettava tra poche ore. Uscimmo con Paul, Quil, Claire, Embry e Kim, e per tutto il tempo non facevamo che ridere degli scherzi che si tiravano i licantropi, e delle disavventure sentimentali di Paul.

    Pare che nessuna lo sopportasse.

    Anche la bambina si divertì un mondo, era bellissimo sentirla ridere con la sua vocina deliziosa. Ogni tanto mi dava dei tenerissimi baci sulla guancia e sorrideva dicendomi: «Bea, come tei bea», cercando di dire «Bella, come sei bella». Non avevo mai passato una giornata così divertente e serena in vita mia.

    Al contrario, il pranzo a casa di Jake fu una cosa più intima.

    Puntai i piedi per prepararglielo personalmente, un po’ come aveva fatto lui per la colazione del mattino precedente. Mi aiutò a cucinare, era un ottimo assistente e si era offerto volontario come assaggiatore ufficiale della mia cucina.

    Non so quante cucchiaiate gli diedi sulle nocche per non farlo avvicinare alle pentole.

    Era una scena così piacevole e familiare, sembravamo una coppia di sposini. La cosa strana, era che non mi sentivo affatto a disagio. Veniva tutto da sè, in un modo così naturale.

    Era veramente facile come respirare.

    Dopo pranzo avevamo deciso di farci il famoso tuffo dagli scogli, ma avevamo mangiato parecchio, e sarebbe stato il colmo se fossi morta per semplice congestione anziché per mano di un vampiro assetato di vendetta.

    «Ti va di rilassarci in camera mia? Giuro che stavolta non mi addormento», propose alzando una mano. Risi, ricordando il giorno in cui era crollato nel divano.

    Mi aprì la porta e ci accomodammo nel suo letto a due piazze. Era decisamente meglio del mio misero lettino singolo, almeno ci stavamo tutti e due. Mi raggomitolai sul suo corpo caldo, mentre mi teneva incollata a sè con un braccio e accarezzava il mio con la mano libera.

    Era impossibile non rilassarsi.

    Ecco una delle occasioni sfruttabili di cui parlava Edward.

    «Edward mi ha raccontato una cosa… su di te»

    S'irrigidì. «Probabilmente è una bugia».

    «Ah, davvero? Non sei diventato il vice-capobranco?».

    «Ah. Già», disse rilassandosi.

    «Perché non me ne hai mai parlato?».

    «E perché avrei dovuto? Non è importante».

    «Non so. Perché? È interessante. Come funziona? Com'è possibile che Sam sia diventato il maschio alfa e tu il… beta?».

    Jacob sorrise della mia terminologia inventata. «Sam è stato il primo, è il più vecchio. È logico che sia lui a prendersi la responsabilità».

    Aggrottai le sopracciglia. «Ma allora il secondo non avrebbe dovuto essere Jared o Paul? Si sono trasformati prima di te».

    «Be'… è difficile spiegare», rispose Jacob evasivo.

    «Provaci».

    Fece un sospiro. «Più che altro è questione di discendenza, sai? Una cosa vecchio stile. L'importanza di avere avuto certi nonni, ecco».

    Ricordai la storia raccontata da Jacob, tanto tempo prima, quando né io né lui sapevamo nulla dei licantropi. «Non mi avevi detto che Ephraim Black fu l'ultimo capotribù dei Quileute?».

    «Esatto. Perché lui era il maschio dominante. Sai che, tecnicamente, Sam è il capo dell'intera tribù, adesso?». Rise. «Che tradizioni assurde».

    Ci pensai per un secondo e cercai di ricomporre il puzzle. «Ma hai anche detto che tuo padre era la voce più ascoltata in consiglio, perché era nipote di Ephraim, no?».

    «E allora?».

    «Se è una questione di discendenza… perché il capo non sei tu?».

    Jacob non rispose. Alzai lo sguardo cercando il suo, ma non volle incrociarlo.

    «Jake?».

    «No. Spetta a Sam». […]

    «Perché? Il suo bisnonno era Levi Uley, no? Anche Levi era un alfa?».

    «L'alfa è soltanto uno», rispose automaticamente.

    «E Levi cos'era?».

    «Una specie di beta, immagino». Citò le mie parole con una smorfia. «Come me».

    «Non ha senso».

    «Non importa».

    «Voglio capire».

    Infine Jacob incrociò il mio sguardo confuso e si arrese. «Sì. L'alfa dovrei essere io».

    Sollevai le sopracciglia. «Sam non vuole retrocedere?».

    «Niente affatto. Sono io che non voglio farmi avanti».

    «Perché no?».

    Si rabbuiò, a disagio di fronte alla domanda.

    «Non ne voglio sapere, Bella. Non ho mai accettato che tutto cambiasse. Non volevo diventare un capotribù leggendario. Non volevo fare parte di un branco di licantropi, men che meno diventare la loro guida. Quando Sam mi ha fatto l'offerta, non l'ho accettata».

    Lo fissai, e rimasi a riflettere per qualche secondo.

    «Ma pensavo fossi più felice. Che tutto questo ti andasse bene», sussurrai infine.

[…] «Sì. Non è così male, in fin dei conti. Le cose divertenti non mancano, per esempio la giornata di sabato.  Ma sulle prime è stato come essere arruolato in una guerra di cui ignoravo l'esistenza. Non avevo scelta, capisci? E non c'erano alternative». Scrollò le spalle. «Comunque, per ora ne sono lieto. Così va fatto, e d'altronde potrei fidarmi di qualcun altro al mio posto? Meglio occuparmene di persona».

    Mi sentii inspiegabilmente in soggezione. Il mio ragazzo lupo era molto più adulto di quanto pensassi. Come davanti a Billy la sera del falò, sentii in lui un che di maestoso di cui non avrei mai sospettato.

    «Capo Jacob», sussurrai, sorridendo di quella combinazione di parole.

    Alzò gli occhi al cielo.

    «Ora è il tuo turno», disse punzecchiandomi.

    Aggrottai le sopraciglia. «Per cosa?».

    «Credo che sia arrivato il momento d’intavolare quella famosa discussione sul tuo sogno ricorrente. Sono incredibilmente curioso, di che si tratta?».

    «Ah, quello», mormorai, presa in contropiede. Riaffondai il viso nell’incavo del suo collo per rendermi più facile la confessione, e iniziai a raccontare.

    «E’ un sogno che ha avuto diversi sviluppi, a dir la verità. A seconda del periodo che vivevo, le situazioni mutavano, ma il contesto era sempre lo stesso. Era molto ricorrente, ed è strano che ora non lo faccia più».

    Già, era da un po’ che non facevo più quel sogno. Da quando Jacob mi baciò la prima volta.

    «Interessante, continua», incalzò.

    Deglutì e mi schiarì la voce. Chissà dove ci avrebbe portati, quest’argomento.

    «Di solito mi trovavo nel bosco di La Push, di notte, ma non ero mai da sola. C’eravate tu ed Edward. Lui stava alla mia sinistra e mi invitava a raggiungerlo, mentre tu stavi alla mia destra, e facevi la stessa cosa. La differenza era che Edward era proprio…un vampiro, tipo quelli dei film».

    «Meglio di ciò che è davvero», borbottò Jacob.

    «Smettila. Invece tu eri sorridente, e circondato da una luce che infondeva calore, ed io stavo esattamente nel mezzo. All’inizio ero indecisa, a volte mi sentivo attratta dalla parte di Edward, altre volte dalla tua. Mi porgevi la tua grande mano che mi trasmetteva sicurezza, protezione, lealtà. Finchè una notte non mi ritrovai vicinissima a te, senza che avessi fatto un solo passo con le mie gambe», raccontai.

    «In che occasione è avvenuto questo cambiamento?», domandò curioso. Mi seguiva con attenzione. Ci pensai su.

    «Il giorno che Alice mi avvisò del loro ritorno».

    «Vorresti dire, che il giorno che hai saputo che il tuo succhiasangue sarebbe tornato da te…ti sei avvicinata a me anziché a lui?», domandò incredulo.

    «Si. In un certo senso ero felice che mi avessi perdonata per le mie stupidaggini, e che mi avessi detto che avresti combattuto fino all’ultima goccia di…», non finì la frase.

    Quelle parole, pronunciate in occasione di una battaglia dove avrebbe davvero combattuto per me, mi fece venire i brividi. «Insomma, che avresti fatto di tutto per stare con me», mormorai con un filo di voce.

    Jacob mi strinse forte e mi sollevò il viso. I suoi occhi brillavano. «Bella, calmati. Fai un bel respiro e dimmi cosa è successo dopo».

    Cercai di seguire il suo consiglio e di riprendere il filo del discorso.

    «Il problema era che non riuscivo a prenderti la mano, nonostante mi ordinassi di farlo. Perché io ti volevo bene, mi sentivo legata e attratta da te, ma qualcosa mi bloccava. Poi capì che il mio blocco era proprio Edward. Che una parte di me era ancora legata a lui, in quel periodo. Me l’ero lasciata alle spalle, ma da troppo poco tempo. Poi quando è riapparso nella mia vita, mi sono ritrovata di nuovo in mezzo, indecisa e frustrata come prima», confessai scuotendo la testa.

    «Poi ci sono stati altri cambiamenti?», mi chiese.

    «Si. Tempo dopo, quando mi parlasti dell’imprinting, mi ero talmente spaventata da voler rinunciare a te», mormorai. Jacob aggrottò le sopraciglia ma non lo lasciai parlare. «Ma continuavo a starti vicino, mentre Edward era sempre più lontano. A parte quando mi teneva lontano da La Push, con la scusa dell’imprevedibilità dei licantropi», aggiunsi svelta. Jacob fece gli occhi al cielo e sbuffò, seccato da quel ricordo. «Quindi, già in coscienza ero più vicina a te che ad Edward. Anche se lo frequentavo di più, io volevo averti al mio fianco, solo che non sapevo bene come considerati. Se un amico o qualcosa di più. L’ultimo sogno poi, quello a seguito dell’imprinting, fu il più strano, ma credo di averlo capito».

    Jake mi fissò più rilassato, preso dal mio racconto. «Mi piacciono i tuoi sogni. Rivelano le emozioni che cerchi in tutti i modi di soffocare», osservò.

    Colpita e affondata.

    Feci una smorfia e proseguì. «L’ultima volta sognai che, come al solito, ti stavo vicino, ma eri serio, non più sorridente come sempre. La mano era comunque pronta ad accogliere la mia, e io come al solito non riuscivo ad afferrarla. Forse era per questo che eri serio, era ovvio anche per te che non l’avrei presa, o forse perché il problema riguardava le vostre stranezze di lupi, e quindi te ne sentivi responsabile. In ogni caso sapevo che Edward non c’entrava più nulla. Infatti lui era lontanissimo. Mi sono guardata le mani, e ho visto che erano bloccate da una catena invisibile. Non la vedevo, ma sapevo che c’era. Quella catena penso che fosse…».

    «Paura», m’interruppe sereno.

    «Si. Paura dell’imprinting. Era l’unica cosa che mi impediva di sceglierti», conclusi.

    «Scommetto che sai anche perché era invisibile», replicò, abbozzando un sorriso di sfida.

    «Voglio sentirlo da Alice», dissi sapendo dove volesse andare a parare. «Se ti sbagli ci rimarrò peggio che continuando a credere che prima o poi ti perderò. Lo capisci?».

    Jake fece spallucce. «Okay, vedremo se un giorno la tua amica si degnerà di risponderti».

    Già.

    La volta che glielo avevo chiesto, non era stata molto disponibile. Ma aveva le sue ragioni. Forse quando sarebbe finito tutto, mi avrebbe fatto questo favore.

    Jacob restò in silenzio a meditare, mentre continuava ad accarezzarmi il braccio. Sentivo il suo cuore accelerare.

    «Sai, credo di sapere perché hai smesso di fare quel sogno», disse infine. «Non è difficile da immaginare».

    «Che vuoi saperne tu dei miei sogni?», domandai infastidita.

    «Perché mi hai scelto. Quindi quei sogni non hanno più ragione di esistere. Non sei più indecisa. Solo che hai tralasciato un particolare per niente irrilevante», disse. Il suo cuore non smise di accelerare.

    «Che cosa?».

    Jacob non rispose.

    Mi adagiò sul letto di fianco a lui e si alzò in piedi. Poi fece due passi indietro, per quanto la sua stanzatta lo permettesse. Compresi quel che voleva fare, e il cuore mi battè forte come il suo.

    Con un sorriso sulle labbra, gli occhi luminosi e impazienti, allungò la mano verso di me e la distese.

    Esattamente come nel mio sogno.

    Rimasi impietrita per la sorpresa.

    Aveva ragione. Avevo smesso di fare quel sogno, prima di fare la cosa più importante.

    Dentro di me il mio cuore cantava, e sentivo gli occhi gonfiarsi di lacrime.  

    «Jake», mormorai.

    «Vieni, Bella. Prendi la mia mano», sussurrò.

    Lentamente scesi dal letto e mi avvicinai a lui. Le gambe mi tremavano, mentre cercai di ricacciare le lacrime di commozione che premevano per uscire.

    Ora gli ero vicina, come nel mio sogno.

    Fissai prima i suoi occhi, lucidi, come se le mie emozioni avessero investito anche lui. Il sorriso gli tremava, come anche il suo petto.

    Poi fissai la sua mano ampia, distesa, accogliente.

    Sicura.

    Non c’erano catene che mi bloccavano le mani.

    Non c’erano vampiri che dividevano il mio cuore.

    C’eravamo solo io e Jacob. E il nostro amore appena sbocciato, come il più raro e meravoglioso dei fiori.

    Con un sospiro tremante, le lacrime si liberarono.

    E presi la sua mano.

    Come avrei dovuto fare tanto tempo fa.

    Jacob la strinse e mi tirò a sè, e ci stringemmo in un tenero abbraccio.

    «Grazie, per avermi regalato il mio sogno», singhiozzai, la maglietta inzuppata dalle mie lacrime.

    Mi sollevò il viso e prese a baciarmi, dolcemente e a lungo, mentre mi cullava tra le sue forti braccia. Poi lasciò le mie labbra e mi accarezzò il viso con entrambe le mani, mentre io restavo allacciata ai suoi fianchi ad occhi chiusi.

    Me le avrebbero dovute tagliare, per allontanarmi da lui.

    «Ora realizzeresti tu un mio sogno?», chiese gentile.

    «Se vuoi il mio cuore, è già tuo», risposi senza pensarci. Rise e mi baciò di nuovo.

    Lasciò il mio viso e si liberò facilmente della mia presa per andare ad aprire un cassetto del comodino. Lo osservai confusa mentre si accovacciò per rovistarne l’interno. 

    Quando trovò quello che cercava si alzò in piedi, fece un respiro e si riavvicinò a me. Teneva la mano stretta a pugno, ma quando mi fu abbastanza vicino, la aprì.

    Nel suo palmo bronzeo, risplendeva una piccola fede nuziale. Era vecchia, ma in ottimo stato, come se l’avesse custodita in una teca.

    «Era di mia madre, Sarah. Ce l’ho da quando è morta. È l’oggetto più prezioso che possiedo, l’unico ricordo materiale che ho di lei», confessò. «L’adoravo».

    Sarah Black.

    Non ricordavo il suo viso, ero troppo piccola quando facevo le torte di fango con Jacob, da bambini. Ma una cosa mi aveva colpito di lei. Il suo sorriso. Solare, allegro e meraviglioso.

    Identico a quello di Jacob.

    «Posso vederla?», domandai. Mi sorrise.

    «Certo».

    Presi la fede dalla sua mano e me la rigirai tra le dita. Mi accorsi che c’era un’incisione al suo interno. Cercai di leggerla, ma era un po’ logorata dal tempo.

    «C’è scritto “Ti amerò per sempre”», mormorò Jacob, notando la mia difficoltà.

    «Non credevo che Billy fosse così romantico», osservai piacevolmente sorpresa. Jacob sorrise, poi tirò fuori qualcosa dalla tasca posteriore dei jeans e me la offrì.

    «Ma è la fede di Billy!», esclamai sbalordita.

    Non se la levava mai, infatti era molto più consumata di quella di Sarah.

    «Si, mia madre ha fatto incidere la stessa frase. Gli ho chiesto se me la regalava. Non lo avevo mai visto così felice», disse.

    Sentivo i suoi occhi sul mio viso mentre osservavo la fede di Billy.

    Alzai lo sguardo disorientato verso il suo.

    «Perché gli hai chiesto una cosa del genere?», domandai. Cercai di associare le sue parole al viso raggiante di Billy e alla sua mano nascosta nella manica del giubbotto.

    Continuavo a non trovare un nesso con ciò che stava facendo.

    Jacob mi guardò intensamente, come la sua voce.

    «Mi sono accorto della tua reazione di ieri sera, quando Charlie ha pronunciato la parola fidanzato. E so che a te non piacciono le feste pompose e i regali costosi, mentre preferisci gli oggetti semplici fatti con sentimento e i falò tra amici sulla spiaggia. Non sono una persona che costringe a legarsi a me, non ti chiederò di sposarmi, perché se hai reagito così ad una semplice parola, non oso immaginare che scandalo faresti se solo ci provassi», disse, poi scosse la testa e rise nervosamente sull’ultima considerazione, mentre io lo fissavo a bocca aperta.

    «Perciò ho pensato che se avessi regalato l’oggetto più prezioso che ho a te, che sei la ragazza più preziosa, e magari far finta che tu regalassi l’anello di Billy a me, avremmo fatto una spiecie di unione simbolica. Una cosa dal quale puoi sempre scappare in qualsiasi momento, ma che per me significa quel qualcosa in più. E’ da quando mi sono innamorato di te, che volevo regalarti l’anello di mia madre. Sapere che indossi il suo anello, mi renderebbe il licantropo più felice di questo mondo, per tutta la vita. E adesso vorrei sapere se vorresti accettare questo regalo, allestire questa piccola messa in scena, e soddisfare così il mio desiderio bizzarro», proseguì quasi senza prendere fiato e incredibilmente imbarazzato.

    Restai a fissarlo inebetita per tutto il suo lungo e confuso discorso.

    Non avevo mai pensato ad un matrimonio simbolico. Senza un ricevimento sfarzoso, senza una imbarazzante dichiarazione ufficiale vecchio stile. Senza qualcosa che mi avrebbe terrorizzata fino alla data prescelta.

    Senza sentirmi in dovere di dirlo a Charlie e Reneè.

    La proposta di Jacob mi aveva colta assolutamente impreparata. Mi chiedeva di fare una cosa istantanea, spontanea, una cosa che riguardava solo noi.

   Una cosa che contro ogni aspettativa…mi piaceva.

    «Bells?», mi chiamò Jacob, preoccupato.

    Non risposi.

    «Accidenti, anche una cosa così informale ti traumatizza?».

    Ancora dalla mia bocca non uscì alcun suono.

    Jake sbuffò deluso. «Va bene, ritiro tutto quello che ho detto», disse rabbuiandosi e avvicinando la mano per ritirare l’anello di Sarah dalla mia.

    Strinsi a pugno e non glielo lasciai prendere.

    Jake alzò un sopraciglio, confuso.

    «Scusa», farfugliai. «Stavo solo cercando di capire come sei riuscito a trovare il giusto compromesso, tra l’idea che ho del matrimonio e il modo per farmi accettare ciò che mi chiedi, senza fare storie», dissi incredula.

    Jacob strabuzzò gli occhi.

    «Vuoi dire che…accetti?», balbettò.

    «Si, io…accetto», pronunciai con immensa sorpresa.

    «Tutto? Anche la messa in scena?», domandò con gli occhi fuori dalle orbite e la gioia nel volto ramato.

    «Soprattutto la messa in scena», dissi ancora sotto shock.

    «Oh mio Dio, Bella!», gridò sollevandomi da terra in uno dei suoi abbracci stritolanti e volteggiando per tutta la stanza. Rideva e piangeva dalla gioia.  

    Non lo avevo mai visto così felice.

    Poi, quando smise di esultare, mi riposò a terra e mi permise di asciugargli le lacrime. Sorrideva felice, e sembrava che irradiasse la luce del mio sogno, talmente era intensa la sua gioia. Una gioia contagiosa, perché anch’io mi sentivo felice.

    Poi si schiarì la voce e cercò di ricomporsi strofinandosi la faccia e facendo qualche respiro. Ci demmo alcuni secondi per ritrovare un po’ di serietà, poi mi prese l’anello di Sarah dalle mani e mi diede quello di Billy.

    Chiuse gli occhi, in attesa del momento giusto per dire qualcosa. Poi riaprì gli occhi luminosi e profondi sui miei.

    «Isabella Marie Swan», pronunciò con evidente tremore nella voce. «Vuoi che resti al tuo fianco finchè il tuo amore me lo permetterà?».

    «Si, lo voglio», risposi automaticamente, con voce più tremante della sua.

    Era solo una cosa simbolica, senza alcun valore giuridico o altro. Una cosa che agli occhi degli altri, sarebbe apparsa come insignificante, come uno scambio di anelli tra due ragazzi innamorati.

    Anche la frase che aveva detto, era assolutamente inventata.

    Ma era detta con il cuore, era sincera, realistica e in qualche modo, aveva una certa solennità.

    Alzò l’anello di sua madre e, con gli occhi gonfi di lacrime, lo infilò nel mio dito.

    Calzava a pennello.

    Guardai quel piccolo oggetto dal significato immenso, e gli occhi si inondarono di nuovo di lacrime. Ma mi dovetti trattenere, perché era il mio turno di parlare.

    «Jacob Black», pronunciai con il cuore in gola. «Vuoi che resti al tuo fianco finchè il tuo amore me lo permetterà?», dissi usando le sue parole, come fosse un vero giuramento.

    «Accidenti se lo voglio», disse e scoppiammo in una risata nervosa. Alzai l’anello di suo padre e lo infilai al suo dito.

    Ma non gli entrava.

    «Oh no, Jake». Ridemmo di nuovo.

    Tornò a frugare nel suo comodino e vi estrasse un cordoncino di pelle, simile a quello che portava allacciato sotto il polpaccio. Ci infilò l’anello di Billy a mò di ciondolo e me lo porse, poi si chinò e si fece annodare al collo la collana improvvisata.

    «Così è anche meglio», disse cingendomi i fianchi e trascinandomi sul letto. Ci sdraiammo l’uno di fianco all’altro, e ci guardammo negli occhi mentre proseguì. «Quando mi trasformerò non rischierò di romperlo tra le zampe», disse con un sorriso raggiante.

    «Sia Billy che io potremmo ammazzarti», replicai. Mi sentivo stranamente felice dopo quel matrimonio simbolico. Mi si addiceva molto di più. D’altronde non sono mai stata molto tradizionalista.

    «Si, ma manca ancora una cosa», osservò, ma non mi diede il tempo di chiedere “Cosa?” che mi ritrovai le sue labbra morbide sulle mie.

    Giusto, mancava il bacio. Non poteva essere simbolico anche quello.

    E nemmeno quello poteva essere il semplice bacio tradizionale a fior di labbra.

    Era dolce e delicato, quasi timido. Come il nostro primo bacio.

    Le sue mani mi accarezzavano i fianchi, per poi salire sulla schiena e stringermi forte al suo petto. Sentivo i muscoli caldi contrarsi da sotto la maglietta, al minimo movimento.

    Ma stavolta, fu il mio bacio a cambiare, non il suo.

    Eravamo soli, e lo saremo rimasti ancora per diverse ore.

    Ormai dei tuffi dallo scoglio non m’importava più nulla.

    In quel momento, non volevo far altro che baciare Jacob, nel suo comodo letto, e lasciarmi trasportare dal cuore nella stessa direzione dei miei desideri.

    Sollevai un lembo della sua maglietta, e gli accarezzai la schiena nuda e febbricitante. Sentì la sua presa farsi più forte e le sue labbra più decise.

    Come le mie.

    Andai alla ricerca del bordo dei suoi jeans, e quando lo trovai, feci leva per aprirne il bottone che li chiudeva.

    Il fuoco divampò nel corpo di Jacob, all’istante.

   Ero quasi riuscita a sbottonarlo, ma d’improvviso le sue labbra si fermarono e mi bloccò il polso.

    «Aspetta», farfugliò con il fiato corto.

    «Che c’è?».

    «Scusa, non sono molto pratico…», disse imbarazzato. «ma sai cosa succede se…voglio dire, io sono un uomo e tu una donna, forse dovremmo…però non ho nulla per evitare che tu…bè mi piacerebbe avere una famiglia, ma ora mi sembra un po’…mi capisci?».

    Non trovava le parole, ma intuì cosa volesse dire. Di solito questi discorsi li tiravo in ballo con Reneè.

    «Si, se mi sforzo. Però io non mi sono organizzata. Non dovrebbero essere i ragazzi che si fanno trovare preparati?».

    Jacob arrossì e guardò altrove. «In teoria si. Ma io…Bells, io non ho mai fatto niente del genere, e non pensavo che oggi tu e io…», disse con un filo di voce. Poi si decise ad alzare gli occhi neri e profondi sui miei.

    «Tu…tu lo vuoi?», domandò incerto.

   «Si», risposi imbarazzata. «E…tu?».

    Jacob fece gli occhi al cielo. «Hai davvero bisogno di chiedermelo? Non sono un pezzo di ghiaccio», insinuò.

    «No», sussurrai sensuale. «Tu sei fiamma viva».

    «Ci puoi scommettere», mormorò tenebroso, mentre mi stringeva la coscia con forza. Per un istante pensai che volesse strapparmi i jeans di dosso.

    Poi una strana luce gli illuminò lo sguardo. «Torno subito!», disse scattando giù dal letto.

    «Aspetta Jake», ma sentì già la porta d’ingresso richiudersi.

    Ma dove se n’era andato? Proprio in quel momento?

    Mi ritrovai da sola nel suo letto, mentre sbattevo furiosamente le palpebre con aria incredula.

    Tornò dopo nemmeno cinque minuti di orologio.

    «Emily mi ha dato queste, dice che le puoi tenere», disse imbarazzato. «Scusa, non avevo alternative. Non so niente di queste cose da donne», confessò alzando le spalle e porgendomi una scatolina rettangolare. «Le mie sorelle se ne sono andate prima di insegnarmi certi segreti».

    «Bè, a mali estremi…», mugugnai rossa di vergogna e prendendo la confezione rosa.

    «Come fa una caramellina così piccola a risolvere tutto?», domandò più a sè stesso che a me.

    Scossi la testa imbarazzata. «Non preoccuparti, e non è una caramella è un anti…oh, ma insomma ti decidi a chiudere il becco e a venire qui?», dissi a corto di pazienza ed acchiappandolo per i jeans. Lo tirai verso di me con tutta la forza che avevo.

    Rise e salì sul letto, intento ad impegnare le sue labbra in altro modo.

    Per qualche assurdo motivo era come se non ci fossimo mai interrotti. Nell’istante in cui le nostre labbra si ritrovarono, la passione si riaccese come prima, se non di più.

    Gli sfilai con impazienza la maglietta di dosso, senza che lui me lo impedisse per prendersi cura di me in qualche altra maniera, scoprendo finalmente il suo torace enorme e perfetto.

    La luce del pomeriggio entrava appena da sotto le serrande abbassate, creando una strana e romantica atmosfera.

    Potevo ammirare la sua pelle vellutata e bronzea sotto le mie dita incuriosite, senza che la luce fosse troppo forte da creare imbarazzo.

    Studiavo le curve dei sui muscoli tesi con le dita, mentre seguivo la forma delle labbra piene, morbide e dischiuse con la punta della lingua. Il suo respiro bollente e selvaggio mi entrava nel cervello, e lo rivoltava come un calzino.

    Tremò, quando proseguì a baciare con smania improvvisa il mento, il collo, al quale non resistetti a dare un morso, e tra i suoi pettorali pieni, fino agli  addominali d’acciaio.

    Le sue dita strinsero la mia camicetta come se la volesse ridurre a brandelli, mentre il suo respiro si fece più grosso, e gli scappò un gemito.

    Stavo giocando con il fuoco, ma ero decisa.

    Non avevo cambiato idea.

    Volevo scottarmi.

    Posai la mano all’altezza del cuore, e sentivo il suo petto rimbombare dai battiti impazziti. Sorrisi.

    «Calmati Jake», mormorai.

    «Come faccio a calmarmi se mi fai impazzire, Bella?», ribattè ansimante.

    «Allora la smetto», sussurrai a mò di sfida, e lentamente mi allontanai.

    Come mi aspettavo, con uno scatto mi riavvicinò al suo petto bollente e vibrante.

    «Non dire assurdità, Bells».

    Risi, ma nel suo sguardo non scorsi lo stesso divertimento.

    I suoi occhi neri come la notte e profondi come gli abissi dell’oceano, ardevano nei miei come mai prima di allora.

    Sentivo le scintille bruciarmi la pelle, e il mio cuore batteva veloce come le ali di un colibrì.

    «Sicura che quella caramella funzionerà?», domandò.

    «Non è una cara…», stavo per ribattere, ma mi zittì a metà parola.

    Riprese a baciarmi con desiderio, mentre sbottonava la mia camicetta di cotone. Non avevo bisogno di maglioni quando stavo con lui, e mi ero abituata al calore che irradiava come fosse una stufa regolata al massimo.

    Colsi l’inconfondibile rumore del tessuto strappato. E di un bottone che ruzzolava sul pavimento.

    Quella combinazione di suoni, non fece che aumentare l’irresistibile disiderio di farlo mio.

    Mi ritrovai con solo i jeans addosso, ma presto abbandonai anche quelli.

    Li sfilò con facilità, poi levò i suoi con rapidità incredibile.

    Solo l’intimo poteva dividerci, adesso.

    Mi osservava incantato, mentre io osservavo lui con la medesima espressione.

    «Sei…bellissima, Bells», balbettò accarezzandomi i fianchi.

    «Mai quanto te, Jake», sussurrai rapita.

    Con un sospiro selvaggio si riavvicinò a me, e cominciò ad esplorarmi.

    Le sue mani e le sue labbra bollenti, disegnavano strani ed appassionati ghirigori sul mio corpo nudo.

    Sussultavo e mi inarcavo sotto la sua bocca incandescente, e incredibilmente curiosa di scoprire le mie reazioni.

    Conosceva la mia anima, ma non il mio corpo.

    Ed era  deciso a comprenderlo fino in fondo.

    Mi sentì impazzire ad ogni suo esperimento.

    Quando lo graffiai ansimante sulla schiena, entrambi avevamo perso completamente il controllo di noi stessi.

    Abbandonammo anche gli ultimi indumenti che impedivano di appartenerci l’uno all’altro.

    E Jacob non ebbe più la forza di fermarsi.

    Da quel momento, i nostri corpi, le nostre anime, e il nostro amore divennero un’entità unica e indissolubile.

    Toccammo il cielo con un dito più di una volta, ed era un’estasi sempre diversa e unica.

    Le luci del pomeriggio si affievolirono, e la giornata stava giungendo alla fine.

    Ma sia io che Jacob, non sapevamo più cosa significasse smettere.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Intenzioni ***


(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Come da accordi, Jacob mi riportò a casa a tarda notte. Charlie si era trattenuto da Sue insieme a Billy, quindi sarebbe rientrato più tardi.

    Jacob preferì non entrare in casa per non contaminarla con il suo odore, voleva che mi ripulissi per bene. Ma questo non gli impedì di baciarmi con disinvoltura davanti alla porta.

    «Uffa», mormorai scollandomi dalle sue labbra. «Vorrei che restassi con me, Jake».

    Sorrise.

    «A chi lo dici, non me ne andrei mai più», sospirò e mi accarezzò il viso. «La tua amica ti sta spettando in soggiorno. Resterà lei a proteggerti al mio posto».

    «Non è la stessa cosa», mugugnai. Rise e mi baciò di nuovo prima di andare via.  

    Fu difficile vedere il mio Jacob allontanarsi, dopo quella giornata meravigliosa.

    Ma c’era un piano da seguire.

    Dovevo portare pazienza, ci saremmo rivisti domani pomeriggio. Mi convinsi che non sarei morta, se avessi trattenuto il respiro per un giorno.

    «Eccomi, Alice», dissi entrando in casa ed accendendo la luce.

    «Ah!», trillò lei facendo un balzo all’indietro e coprendosi la bocca e il naso con entrambe le mani. La guardai impietrita. «Dio Santo, Bella! Ma che hai combinato? Puzzi talmente tanto che se potessi vomiterei!», disse con il viso di porcellana contratto per la nausea violenta. Poi si riavvicinò a me con ancora il naso tappato e mi osservò attentamente. «Sei raggiante, Bella. Ma cosa…», sussurrò.

    Arrossì. Cosa ci trovava di raggiante? Ero sempre io…più o meno.

    In effetti mi sembrava di avere le ali di Mercurio ai piedi.

    Scosse la testa e continuò irritata.

    «Hai fatto un bel casino, Bella. Non potevate aspettare a dopo la battaglia? Va subito a farti una doccia, e consuma tutto il flacone di sapone. Non costringermi a venire a lavarti di persona», sibilò.

    Lo aveva capito? Come aveva fatto ad accorgersene?

    Annuì, infastidita da come osasse rovinarmi la giornata più bella del mondo.

    Però aveva ragione. Non avevo pensato minimamente che il mio odore si sarebbe mescolato ancora di più a quello di Jake.

    Ma come avrei potuto pensare ad una qualsiasi cosa in quel momento?

    Presi alla lettera l’ordine “Alpha” di Alice, e consumai tutto il flacone del sapone sotto la doccia.

    «Così va un po’ meglio. Fortuna che non ha voluto che restassi per la notte, altrimenti non ti sarebbero bastate dieci doccie. Ora vai a dormire, resterò a controllare che tutto vada bene. Charlie sta per rientrare, non ti disturberà», disse Alice.

    «Grazie Alice, e mi dispiace…».

    Alice scosse la testa. «Non preoccuparti, Bella. Adesso vai, hai bisogno di riposarti. Domani sarà una giornata molto lunga», rispose con un sorriso.

    Eppure c’era qualcosa che non andava nella sua espressione. Sembrava triste.

    Mi diede un bacio sulla guancia, e lasciò che entrassi in camera mia e mi buttassi sul letto.

    Mi addormentai con difficoltà.

    La mente vagava per conto suo, tra i ricordi intensi di quei momenti magici. Non mi sentivo più me stessa, mi sentivo…come in Paradiso. Come in un sogno, il più bello.

    «Lungo tutta la vita», mormorai tra me, ricordando le parole di Jacob ed osservando l’anello di Sarah Black, nel buio della mia stanza.

    Ebbi ancora più difficoltà ad addormentarmi, quando mi sorpresi a ripensare al corpo di Jacob. Nudo, imponente e inumidito dal sudore.

    Era splendido.

    Era Apollo, il dio del Sole e della luce. Solo più scuro di carnagione. Infondo, se Apollo era il dio del Sole, poteva benissimo essere abbronzato.

    Non potevo credere che il suo corpo immenso, si fosse adattato perfettamente sul mio.

    Bè, più o meno.

    Jacob era alquanto proporzionato…

    Probabilmente il calore, facilitò alcune operazioni, e una volta superato il primo impatto, tutto proseguì nel più perfetto dei modi.

    Un piacere che non avrei potuto paragonare con niente al mondo.

    Ma ciò che mi sorprese, fu l’assoluta scioltezza.

    Mi ero sempre immaginata che la prima volta sarebbe stata accompagnata da un nervosismo incredibile, da timidezza e goffaggine. Invece non provai nulla di tutto questo, nonostante fossimo entrambi inesperti.   

    Soffocai una risata premendo la testa sul cuscino, ripensando a come mi aveva interrotta con il suo discorso sconclusionato, e allo sconosciuto mondo degli anticoncezionali.

    Per lui, almeno.

    «Caramelle», risi tra me.

    Dovevamo imparare molte cose, e avremmo continuato con i nostri interessanti esperimenti.

    C’era solo una cosa che dava qualche problema.

    Il caldo.

    Superò i suoi quarantadue gradi al quale mi ero abituata.

    Avremmo dovuto comprare un condizionatore, per la prossima volta.

    Ripensai alla sua risata e al rossore delle sue guancie: promise che ci avrebbe pensato lui.

    Il mattino dopo, mi svegliò un profumo proveniente dal piano di sotto. Alice era stata così gentile da prepararmi la colazione: un delizioso piatto di uova e pancetta affumicata. Mentre mangiai, fece scivolare sul tavolo una confezione bassa e rettangolare.

    Un’altra. Di questo passo avrei aperto una farmacia.

    «Credo che tu non sia ancora pronta ad avere una bella cucciolata alla tua età. Ma sei tu che decidi», disse osservando il mio sguardo imbarazzato e fisso sulla confezione di pastiglie minuscole.

    «Grazie Alice, ci ho già pensato. Non dovevi disturbarti», dissi. Sperai di non offenderla più di quanto sembrasse già. Alice annuì.

    «Tienile lo stesso. Conosco abbastanza bene la natura umana, ti serviranno. Ora andiamo, ma prima potresti farmi un favore?», chiese.

    «Certo, quale?».

    «Non dire niente a Rosalie. Sarebbe capace di farle sparire dalle tue mani e da tutte le farmacie di Forks, se venisse a sapere che le stai usando», disse storcendo il naso.

 *****************************************************************************************************************************************************************************

   I Cullen tornarono a casa intorno a mezzogiorno. Sembravano tutti molto presi dalla loro missione, il che mi riportò all'enormità di ciò che stava per succedere.

    L'umore di Alice sembrava peggiorato. Forse era colpa della sensazione frustrante di essere normale, perché quando parlò con Edward fu per lamentarsi della collaborazione con i lupi.

    Edward, sembrava tranquillo, il che mi fece credere che Alice non pensò alle mie scelte recenti.

    Ma sapevo che prima o poi avrebbe notato qualcosa, e sarebbe giunto ai medesimi risultati. Mi chiesi se sarebbe riuscito a sopportarlo.

    «Non vedo con esattezza dove sarete, perché oggi pomeriggio partirai assieme al cane. Comunque sia, la tempesta in arrivo sembra piuttosto violenta nella zona in cui vuoi nascondere Bella».

    Edward annuì.

    «In montagna sta per nevicare», lo avvertì.

    «Uffa, anche la neve», mormorai a mezza voce. Era giugno, per la miseria!

    «Prendi una giacca a vento», mi disse Alice. La sua voce mi sorprese, perché non era affatto amichevole. Cercai di leggerne l'espressione, ma si voltò.

    Non capivo se il suo atteggiamento ostile nei miei confronti era dovuto al mio odore, che poteva creare problemi durante lo spargimento delle tracce, o perché mi ero legata ancora di più da Jacob.

    Edward mi ossevava con espressione neutra. Chissà a cosa stava pensando. Cercai di guardarlo in faccia il meno possibile.

    La sua famiglia disponeva di attrezzatura da campeggio più che sufficiente – gli accessori di scena nella sua finzione di umanità - e d'altronde i Cullen erano clienti affezionati dei Newton.

    Edward afferrò un sacco a pelo, una piccola tenda e parecchie confezioni di cibo liofilizzato - sorrise alla vista della smorfia che feci - e infilò tutto in uno zaino da trekking.

    Alice ci raggiunse in garage e restò silenziosa a guardare i preparativi di Edward. Lui fece finta di niente.

    A operazione conclusa, Edward mi passò il suo cellulare. «Per favore, chiama Jacob e digli che lo aspettiamo tra un'ora circa. Sa dove trovarci».

    Jacob non era a casa, ma Billy promise di fare qualche telefonata per rintracciare un altro licantropo che riferisse la richiesta. «Non preoccuparti per Charlie», mi disse Billy. «È tutto sotto controllo, farò il mio dovere».

    «Sì, so che Charlie è al sicuro». Non ero altrettanto ottimista riguardo al mio ragazzo,  ma evitai di precisarlo.

    «Non sai quanto vorrei potermi unire a loro domani», ridacchiò malinconico Billy. «Essere anziani è una pena, Bella».

    Evidentemente la smania di combattere costituiva un tratto costante del cromosoma Y. Erano tutti uguali.

    Volevo ringraziarlo per l’anello, ma mi stavo impegnando a nasconderlo sotto la manica del maglione: non volevo che Edward subisse anche quel colpo.

    «Divertiti con Charlie».

    «Buona fortuna, Bella», rispose. «E… auguralo anche ai, ehm, Cullen da parte mia».

    «Certo», promisi stupita.

    Riferì l’augurio e ci preparammo a partire.

    «Dovete preparare la trappola e l’accampamento prima che arrivi la tormenta», disse Alice rabbuiandosi.  La sua espressione era ansiosa, quasi nervosa. «Non dimenticare la giacca a vento, Bella. Sembra… che farà più freddo della norma».

    «L'ho presa io», la rassicurò Edward.

    «Passa una buona notte», mi disse a mo' di saluto. Abbozzò un sorriso, ma era preoccupata e forse anche un po’ delusa.

    Per raggiungere la radura impiegammo il doppio del solito: Edward effettuò una lunga deviazione per assicurarsi che il mio odore, già abbastanza compromesso, non si avvicinasse al tragitto che avrei percorso assieme a Jacob. Mi portò in braccio mentre sulle spalle, […] c'era lo zaino voluminoso.

    Si fermò al margine settentrionale della radura e mi aiutò ad alzarmi in piedi.

    «Bene. Durante il percorso il tuo odore è tornato invitante come sempre. Cammina un po' verso nord e cerca di toccare tutto ciò che puoi. Alice mi ha dato una descrizione chiara della strada che seguiranno, non impiegheremo molto prima di incrociarla».

    «A nord?».

    Alzò un dito ed indicò la direzione giusta. Il suo viso era ancora una maschera neutra. Una perfetta faccia da poker.

    Vagai nel bosco, mentre la luce accesa e gialla del giorno stranamente estivo restava nella radura alle mie spalle. Forse nelle sue immagini sfocate Alice aveva visto la neve dove non ce n'era. Ci speravo. Il cielo era quasi tutto sereno, malgrado il vento frustasse furioso gli spazi aperti.

    Tra gli alberi c'era più calma, ma anche troppo freddo e, considerato che era giugno, avevo la pelle d'oca nonostante la maglietta a maniche lunghe e il maglione pesante. Camminavo piano, strisciando le dita ovunque: sulla corteccia grezza degli alberi, tra le felci umide, sulle rocce coperte di muschio.

    Edward restava a una ventina di metri da me.

    «Va bene così?», dissi.

    «Perfetto».

    Mi venne un'idea. «E se faccio così?», domandai, prima di infilare le dita tra i capelli e di sfilarne qualcuno. Li sistemai tra le felci.

    «Buona idea, rafforza la scia. Ma non c'è bisogno di strapparsi i capelli, Bella. Andrà tutto bene».

    «C'è qualche jolly che mi posso giocare».

    Continuai a toccare e a posare capelli qua e là, mentre Edward mi seguiva in silenzio.

    «Jacob ti ha spiegato il motivo per cui non ti ha detto che era comandante in seconda?», domandò improvvisamente.

    «Si, ha detto che la riteneva una cosa superfula, mi vien da pensare che addirittura se ne vergognasse. A quanto pare dovrebbe essere lui l’Alpha, ma non ne vuole sapere di guidare il branco. Non gli piace mettere catene», risposi.

    «Catene no, ma fedi nuziali vecchie e logore si», commentò.

    Mi bloccai sotto un albero, e sentì che anche i suoi passi si erano fermati.

    Aveva visto l’anello.

    Dopotutto, era stupido da parte mia, pensare che sarei riuscita a nasconderlo ad un osservatore come lui.

    «Non è come credi», mormorai senza voltarmi.

    «Lo so. Ci stava pensando la seconda notte che ci siamo incontrati nella radura. Io ti avrei chiesto di sposarmi, e in un modo molto più tradizionale, che forse non avresti gradito. Ma di sicuro, non ti avrei dato la stessa notte nuziale che ti ha dato lui».

    Restai a dargli le spalle, nonostante sapessi di averlo a pochi centimetri dietro di me. Sapeva tutto.

    «Sai da cosa me ne sono accorto? E non è stato per niente facile, perché ti ho sempre vista così. Ma adesso è come se fossi esplosa. Se ne sono accorti tutti», mormorò.

    Non risposi, ma lui proseguì.

    «Sei radiosa, Bella. Non ti ho mai vista così felice, così luminosa. Sembra che irradi la stessa luce che irradio io, con la differenza che sei un essere umano».

    «Mi dispiace Edward. Non avevo intenzione di ferirti. Perdonami».

    Edward mi posò una mano gelida sulla spalla e mi fece voltare per guardare la sua espressione addolorata.

    «E’ quel che merito, Bella. Da una parte ne sono incredibilmente sollevato. Ma sono io a doverti chiedere perdono, non il contrario».

    «Per cosa? Per avermi lasciata tempo fa? Ti ho già perdonato», dissi conciliante.

    Edward scosse lentamente la testa.

    «No, questa volta ho fatto di peggio. Ma ormai sono costretto a deporre le armi e mettermi seriamente da parte. Dopo…questo legame, non posso che ammettere…la mia sconfitta. Speravo di poter coprire il sole con i miei ignobili tentativi, volevo essere un’eclissi, ma non ho fatto altro che lasciarlo risplendere. Si è verificata un’eclissi lunare di penombra, dove la luna è talmente illuminata da sembrare un sole. Un sole di mezzanotte. Quello che tu sei sempre stata per me», disse con il viso perfetto deformato dal dolore. Sembrava un uomo arso vivo dalle fiamme.

    «Edward non capisco cosa stai cercando di dire», farfugliai, scombussolata da quel discorso senza senso e dal suo volto spaventoso.

    Edward tolse la mano dalla mia spalla e indietreggiò di un passo.

    Cadde sulle ginocchia. Prostrato, privo di qualsiasi difesa.

    «Ti ho mentito di nuovo, Bella», disse con un filo di voce.

    Non fu l’improvvisa folata di vento gelido, ad irrigidire totalmente il mio corpo, ma le sue parole.

    Incapace di formulare un qualsiasi pensiero, restai in silenzio.

    «Quando ti stavo vicino ogni minuto della giornata, e quando ti tenevo lontana da La Push, non lo facevo solo per proteggerti. Avevo letto della gelosia in un’infinità di libri, visto rappresentato da tutti i film e opere teatrali del mondo, ma non l’avevo mai provata di persona. Ne ero divorato. La protezione era in parte la verità e in parte una scusa. Avevo paura che scegliessi lui, proprio come mi accusavi tu. Ho provato anche ad instillarti il dubbio della poca sincerità di Jacob, quando ti ho raccontato dei suoi segreti, ma nemmeno quello è servito ad allontanarti da lui, per riavvicinarti a me. Il motivo per cui non te l’ha detto, non ha nulla a che vedere con le bugie che ti ho sempre raccontato io. Eppure in tutto questo mi sento incredibilmente sollevato, perché scegliendo lui, mi hai tolto un peso infinito dalla coscienza», disse d’un fiato.

    I suoi occhi erano vuoti, e la pelle era pallida come mai prima di allora.

    «In verità, ero combattuto tra il desiderare che restassi al mio fianco per l’eternità, e ciò che era giusto fare. Volevo e non dovevo permetterti che ti trasformassi, dovevo e non volevo perderti. Non ho mai provato tanto conflitto dentro di me in tutta la mia esistenza. Ora non ho più dubbi riguardo la mia condanna all’inferno, Bella, ammesso o no che io abbia un’anima. Ho fatto del male a tutti, soprattutto a te, e so che non mi perdonerai questa volta. Non posso più continuare quest’esistenza priva di virtù e abbondante di peccati», proseguì con voce incolore e il volto di un cadavere.

    Il cellulare nella tasca della sua giacca, cominciò a trillare furiosamente. Ma Edward non rispose.

    «Aspetta», gridai sconvolta. «Cosa vuoi dire con questo, Edward?».

    Edward, non alzò gli occhi suoi miei. Continuò a fissare il nulla davanti a sè. Il cellulare continuò a suonare come fosse impazzito.

    «Ti avevo detto che me ne sarei andato solo se me lo avresti chiesto. E ora, sono io a chiederti di lasciarmi andare, Bella. Non posso più contaminare questo mondo con la mia presenza. Non andrò in Italia a scatenare l’ira dei Volturi. Rischierei che Aro ti venisse a cercare. Mi farò prendere dalla morte in un altro modo. Quand’ero in vita ero un soldato, ora c’è una battaglia. Combatterò per difenderti, ma mi lascerò uccidere dall’ultimo noenato che risparmierò appositamente per questo. Ci penseranno gli altri a finirlo. Poi quando appiccheranno il fuoco, trascinerò i miei resti tra le fiamme. O magari mi ci potrei buttare direttamente, così non lascerei a loro l’incombenza di doverne uccidere un’altro», rispose, ma sembrava che stesse parlando con sè stesso.

    «No…», farfugliai, ma i trilli insistenti del telefono coprirono la mia voce. «No! No, Edward, non te lo permetterò! No! No, mai!», strillai tra le lacrime.

    Edward posò gli occhi senza vita sui miei e si sforzò di acquisire un’espressione confusa.

    «Prego?».

    «No!», ribadì disperata. «Non ti darò mai quel permesso! Non puoi farmi anche questo, Edward! Hai promesso! Hai promesso che non te ne saresti più andato! Hai promesso che avresti fatto qualunque cosa pur di non farmi stare in pensiero per te! Non ti sarai comportato da gentiluomo, ma sono cose che succedono, e non sei mai venuto meno ad una promessa!».

    Edward sbattè le ciglia e parve rianimarsi, mentre il telefono non smetteva di trillare. «Io…ho promesso», farfugliò.

    Cercai di sorridergli e mi inginocchiai davanti a lui. Ora i suoi occhi ambrati e chiazzati di nero, erano  realmente confusi.

    «Edward, io ti voglio bene», confessai a cuore in mano. «Non mi importa di ciò che hai fatto, e non è vero che non ti perdonerò mai, perché io ti perdono. Perché ti voglio bene, Edward. Voglio bene a te, a Alice, a Rosalie, e a tutti gli altri. E voglio che tu mantenga le tue promesse. Non farmi stare in pena per te».

    Mi guardava come se fosse caduto dalle nuvole. Restò in silenzio per qualche secondo, a bocca aperta.

    «Bella ma…tu non puoi perdonarmi. No…non puoi», disse infine.

    «Si che posso, stupido vampiro», dissi con un sorriso e le lacrime che mi rigavano il viso. «E lo faccio. Tu e Jacob, siete le persone più importanti che ci siano nella mia vita. Non potrei mai sopportare la perdita di uno solo di voi. Mai. Questa volta non ti lascerò fare di testa tua senza protestare».

    In quello stesso istante, il cellulare si ammutolì.

    Edward cominciò a fare uno strano singhiozzo, mentre strizzava gli occhi e il petto sussultava come in preda a delle convulsioni.

    «Non posso credere a ciò che sento, Bella. Non ti rendi conto di che persona tu sia. Detesto essere un vampiro, non mi permette nemmeno di piangere, come vorrei fare in questo momento. Grazie, Bella, grazie. Ti sarò debitore per il resto della mia esistenza, e non interferirò mai più nella tua vita insieme a Jacob. In fondo, gli sono di nuovo debitore», disse. Mi asciugai le lacrime con una mano, mentre mi prese l’altra per baciarla e stringerla tra le sue, come fossi una Santa.

    «Bè, se ti senti in debito, conosco un modo perché tu possa saldarlo. E dopo i tuoi stupidi propositi, è meglio che ti tenga d’occhio», dissi di getto. Forse almeno uno potevo salvarlo.

    «Tutto ciò che vuoi, qualunque cosa, per te».

    «Vorrei che tu restassi con me, domani», proposi. «Non voglio che cambi idea durante la battaglia, e anche se sono con Seth, vorrei che ci fossi anche tu. In realtà vorrei che ci fosse anche Jacob, e che stringeste amicizia, e …».

    «L’amicizia è un pò difficile da ottenere, ma se vuoi che resti con te, lo farò. Infondo, non sarà difficile battere quei neonati, se la caveranno anche senza di me», disse Edward finalmente di nuovo sereno.

    «Grazie, Edward».

    «Sono io che ringrazio te, Bella». Mi sorrise. «Ora è meglio proseguire, tra poco farà buio», propose alzandosi in piedi e offrendomi la mano.

    «Posso chiederti il motivo dell’atteggiamento di Alice? E’ delusa perché ho fatto…», arrossì. Edward rise.

    «No, non era per quello. Anche lei si è accorta dell’anello, e avrebbe voluto un matrimonio tradizionale per poter organizzare la cerimonia secondo i suoi schemi», rispose divertito.

    Scossi la testa e tirai un sospiro di sollievo. «Non si smentisce mai. Scommetto che mi avrebbe terrorizzata».

    Rise di nuovo e riprendemmo a camminare. Nel mentre, Edward prese il cellulare e chiamò Jasper per avvisare che sarebbe rimasto con me. Poi probabilmente, passò il cellulare ad Alice, perché lo sentì dare sommarie giustificazioni per la sua precedente decisione. Ovviamente, era lei che lo chiamava fino ad un minuto fa.

    Mi ci volle un po' per raggiungere il luogo in cui l'esercito dei neonati avrebbe sicuramente incrociato la mia scia, ma Edward non si lasciò spazientire dal mio passo lento.

    Fu costretto a indicarmi la strada del ritorno, per aiutarmi a non deviare. Il bosco mi sembrava tutto uguale.

    Poco prima che raggiungessimo la radura, caddi. Probabilmente fu la vista dello spiazzo aperto di fronte a me a scatenare la fretta e a farmi dimenticare di guardare dove mettevo i piedi. Riuscii a non battere la testa contro un albero, ma un ramo si spezzò sotto la pressione della mia mano sinistra e una scheggia mi ferì il palmo.

    «Ahi! Ecco, fantastico», brontolai.

    «Stai bene?».

    «Sì. Resta dove sei. Sto sanguinando. Un minuto e smette».

    Non mi ascoltò. Mi raggiunse prima ancora che finissi di parlare.

    «Ho un kit di pronto soccorso», disse sfilandosi lo zaino. «Chissà perché, immaginavo che ci sarebbe servito».

    «Non è grave. Posso occuparmene io. Non voglio metterti a disagio».

    «Non sono a disagio», rispose tranquillo. «Ecco, lascia che ti pulisca la ferita».

    «Aspetta un attimo, ho appena avuto un'altra idea».

    Senza guardare il sangue, e respirando con la bocca per evitare strane reazioni dello stomaco, sfregai la mano contro una roccia non lontana.

    «Cosa fai?».

    «Jasper ne andrà pazzo», mormorai tra me. Mi alzai e proseguii verso la radura, strisciando il palmo contro tutto ciò che incontravo. «Scommetto che questo li manderà su di giri». Poi lo guardai e aggiunsi: «Trattieni il respiro».

    «Sto bene. Secondo me stai esagerando».

    «Non ho altra scelta. Voglio fare un buon lavoro. Di sicuro il mio sangue non è compromesso dall’odore di Jacob, così siamo certi che tutto vada come deve andare», dissi. Era tutto ciò che potevo fare, nel mio piccolo.

    Mentre parlavo ci lasciammo alle spalle l'ultimo albero. Feci scorrere la mano ferita tra le felci.

    «Be', ci sei riuscita», mi rassicurò Edward. «I neonati perderanno la testa e Jasper sarà molto soddisfatto del tuo impegno. Adesso fatti curare, la ferita è sporchissima».

    «Lascia fare a me».

    Mi prese la mano e la esaminò sorridendo. «Non è più un problema, sai? Te l’ho detto, sono guarito, e la tua unione con Jacob ha rimesso apposto gli ultimi tasselli di questo complicato puzzle. Niente trasformazione, niente furto di anime da spedire all’inferno per puro egoismo, niente rottura del patto, niente vino per l’alcolista, non devo più fare i conti con i tuoi ormoni, ne con il mio autocontrollo nel farti male o altro. Persino Rosalie ti vuole bene, adesso. E’ davvero incredibile», disse con un sorriso splendente.

    «Davvero incredibile», ripetei meravigliata.

    A quel punto il vento frustò la radura, mi scompigliò i capelli sul viso e mi fece rabbrividire.

    «Bene», disse, e frugò di nuovo nello zaino. «Hai fatto la tua parte». Ne estrasse il mio giubbotto invernale e me lo porse perché me lo infilassi. «La palla passa agli altri. Andiamo in campeggio!».

[…]«Dove troviamo Jacob?», domandai mentre ci avvicinammo verso il lato opposto dello spiazzo.

    «Proprio qui». Indicò gli alberi davanti a noi e proprio in quel momento Jacob spuntò cauto dall'ombra. Portava ancora l’anello di Billy al collo e teneva un giaccone stretto in un pugno, mentre fissava Edward con uno sguardo nero. Notai che le sue braccia tremavano. Ma quando mi guardò, il suo viso e il corpo si rilassarono e mi sorrise.

    «Bells».

    Ricambiai il sorriso e gli andai incontro, mentre teneva aperte le lunghe braccia bronzee.

    «Ciao Jake», sussurrai, accoccolandomi contro il suo petto nudo.

    «Ciao piccola», rispose gentile. Mi diede un bacio sui capelli e mi avvolse tra le sue braccia, calde e sicure.

    Mille ricordi si fecero strada nei miei pensieri. Per fortuna che Edward non riusciva a leggermeli.

    «Sono mortificato, Jacob», disse Edward con un filo di voce. «Ho agito davvero molto male. Ma ti chiederò ugualmente di perdonarmi, nonostante sappia che non hai intenzione di farlo».

    «Ci hai preso, schifoso succhiasangue», sibilò Jacob fulminandolo con lo sguardo.

    Mi allontanai da lui di scatto e lo guardai spaventata.

    «Hai sentito tutto?».

    «Si», mi rispose. «Vi ho seguiti per tutto il tragitto ad una distanza sufficiente a non compromettere la tua scia. Ti avevo promesso che ti lasciavo libera, ma che sarei rimasto nei paraggi per controllare. Il mio udito è molto sviluppato, quindi ho sentito tutto», poi lanciò un’occhiata feroce ad Edward. «Perdonare un parassita, bugiardo e infame non fa parte della mia educazione», sibilò.

    «Non puoi impedirmi di sperarci», ribattè Edward, conciliante.

    Jacob schioccò rumorosamente la lingua e proseguì, ignorando il suo commento. «Dove la porto?».

    Edward estrasse una mappa dalla tasca laterale dello zaino e gliela porse. Jacob l'aprì.

    «Ora siamo qui», disse Edward, allungandosi a indicare il luogo esatto.

    Jacob si ritrasse automaticamente, per poi ricomporsi. Edward finse di non accorgersene.

    «E tu la porti quassù», proseguì Edward, seguendo un sentiero tortuoso, parallelo al profilo dei rilievi sulla mappa. «A poco più di una dozzina di chilometri».

    Jacob annuì secco.

    «A quasi due chilometri da qui dovresti incrociare la mia scia. Seguila e arriverai a destinazione. Hai bisogno della mappa?».

    «Figurati, la conosco meglio di te. Mi orienterò benissimo», rispose  sgarbato.

[…] «Io prendo una strada più lunga», disse Edward. «Ci vediamo tra qualche ora».

    «Ci vediamo», sussurrai.

    Edward svanì tra gli alberi, allontanandosi.

    Quando fu distante, Jacob posò la sua fronte sui miei capelli e sbuffò infastidito.

    «Sei troppo buona, Bells. Non smetterò mai di dirtelo», mormorò. «Se in un’inversione dei ruoli, fossi stato io a minacciarti una caduta sul campo in grande stile, che avresti fatto?».

    «Qualsiasi cosa, lo sai. Ma ti prego, non voglio sentire una cosa del genere da te», dissi rabbrividendo a quelle parole assurde.

    «E cosa vuoi sentirmi dire?», domandò lasciando cadere il giaccone per prendermi il viso e alzarlo in direzione del suo.

    «Solo che mi ami», risposi romantica.

    Sorrise.

    «Ti amo, Bells», e mi baciò dolcemente.

    «Non ho pensato ad altro che a ieri, sai?» , confessò dopo, arrossendo.  «Poi arriva quel fetente a rovinarmi le fantasie! Questa me la pagherà cara», aggiunse a denti stretti.

    «Smettila Jake, per favore. Tu che avresti fatto al suo posto?».

    «Sarei stato più diretto e molto più schietto. Ti avrei tormentata per farti aprire gli occhi», rispose fermo.

    «Già, conoscendo la tua insolenza si. lo avresti fatto», ammisi mentre lui ridacchiava. «Comunque, anch’io ci ho pensato tanto», risposi imbarazzata. «Ma pensarlo non è come farlo davvero», mormorai mentre giocherellavo con il suo anello.

    «Su questo siamo entrambi d’accordo», replicò. Poi lasciò cadere le braccia con un sospiro teatrale e si chinò a raccogliere il giubbotto per infilarselo. «Muoviamoci».

    Risi del suo tono incredibilmente contrariato.

    Mi prese in braccio come fossi una sposa, e iniziò a correre tra gli alberi. Manteneva il passo spedito, una mezza corsa a cui qualsiasi umano allenato avrebbe tenuto testa in pianura… se non fosse stato oberato di un fardello di quasi cinquanta chili.

    «Jake, non correre.  Ti stancherai».

    «Correre non mi stanca», rispose. Il respiro era regolare, ritmato come quello di un maratoneta. «E poi, tra poco farà freddo. Spero che l'accampamento sia pronto prima che arriviamo».

    Tamburellai un dito sull'imbottitura spessa del suo giaccone. «Pensavo che non patissi più il freddo».

    «Infatti. Questo l'ho portato per te, nel caso non fossi equipaggiata».

    Guardò la mia giacca a vento, quasi scocciato di vedermi coperta. «Non mi piace questo tempo. Mi rende nervoso. Ti sei accorta che non abbiamo incontrato neanche un animale?».

    «Ehm, sinceramente no».

    «Lo immaginavo. I vostri sensi sono troppo rozzi».

    Abbozzai. «Anche Alice era preoccupata per la tormenta».

    «Dev'essere qualcosa di grosso, per aver ammutolito la foresta. A maggior ragione devo stare con te nell’accampamento. Altrimenti diventi un ghiacciolo come quel parassita».

    «Dormiremo sul serio?», sussurrai maliziosa.

    Vidi le guance di Jacob imporporarsi, nonostante la pelle ramata. «Dubito, ma sarebbe meglio», replicò.

    Il percorso che imboccò, lontano dai sentieri segnati, si fece sempre più ripido, ma lui non rallentò. Saltava agile di roccia in roccia senza neanche usare le mani. In equilibrio perfetto, quasi come un capriolo.

[…] Per un po' restammo in silenzio; gli unici suoni provenivano dal suo respiro regolare e dal vento che ruggiva sulle nostre teste, tra le cime degli alberi. Di fronte a noi svettava una rupe a strapiombo, di roccia nuda, grigia e scabra. Ne seguimmo la base, che curvava verso l'alto e usciva dalla foresta.

    «Edward non combatterà domani. Un po’ perché non mi fido, è più volubile di me quando ci si mette», dissi, prendendola un po’ alla lontana.

    «Lo so», rispose cupo.

    «D’altro canto, entrambi dite che questa guerra sarà una passeggiata, giusto?».

    Jacob mi guardò di sottecchi. «Giusto. E allora?», domandò, ma aveva già capito dove volessi arrivare.

    «Bè, se lo ha fatto lui…».

    «Non provarci, Bella», m’interruppe. «Andrà tutto liscio, davvero», insistè.

    «Se mi arrabbiassi ti convincerei?».

    Rise come se avessi fatto una battuta divertente.

    «No».

    «Ma sul serio mi stai chiedendo di aspettarti buona e tranquilla mentre tu rischi la vita per me?», domadai incredula.

    «Si», rispose sereno.

    «E tu ti aspetti che resti proprio buona e tranquilla?».

    «Si», ripetè trattenendo un sorriso.

    «Non posso crederci, non ho parole», dissi scuotendo la testa inebetita.

    Rise di nuovo, poi arricciò il naso.

    «Non siamo lontani, sento il suo odore.  Meglio sbrigarsi, prima che si scateni».

[…]Entrambi guardammo il cielo.

    Un muro di nuvole nero violacee giungeva rapido da occidente gettando un'ombra sulla foresta.

    «Mi chiedo cosa farà Edward, stanotte», mormorai sovrapensiero. Di certo ci avrebbe lasciati da soli, ora che sapeva. Non avrebbe voluto essere presente, ma non mi piaceva l’idea di usare la sua tenda come nido d’amore.

    «Se è furbo, resterà nei paraggi per controllare e per usare la telepatia per esigenze di coordinamento. Se ne avrà bisogno, farò io da tramite finchè non verrà a sostituirmi Seth durante la battaglia di domani», rispose.

    La precisazione mi zittì per un secondo. Restai a guardarlo, mentre il timore riaffiorava più forte e improvviso.

    «È davvero impossibile restare anche domani, visto che sarai già qui?», suggerii. «Jake, ti prego, sono disposta ad implorati. Non puoi farmi impazzire così. Come farò se non dovessi tornare? Non posso, io non ce la faccio», continuai esasperata e stringendogli le braccia allacciate al suo collo.

    «Piantala di cercare di trasmettermi la tua ansia, Bella. Anche se volessi, è Sam che decide, è lui il capobranco. Non posso sottrarmi ai suoi ordini, e più siamo, più abbiamo possibilità di batterli, e in fretta. Se tutti ragionassimo come te, non combatterebbe nessuno di noi. Sam resterebbe con Emily, Jared con Kim e così gli altri che hanno qualcuno che li aspetta. Alla fine chi rimarrebbe?», domandò.

    Sbuffai ed affondai il viso nel colletto del suo giubbotto. Sconfitta.

    In quell'istante tra gli alberi si alzò una raffica di vento che sembrava soffiare dal cuore di un ghiacciaio. Il suono secco dei rami spezzati echeggiò dalla montagna. La luce svaniva coperta dalla nuvola grigia che occupava il cielo, ma mi accorsi dei piccoli fiocchi bianchi che svolazzavano sopra di noi.

    Jacob aumentò il passo, senza staccare gli occhi dal terreno. Mi rannicchiai contro il suo petto per proteggermi dall'assalto della neve.

    Pochi minuti dopo, sfrecciò lungo il lato sottovento della cima rocciosa e notammo la piccola tenda annidata e protetta ai piedi della parete. Eravamo attorniati dai fiocchi, ma il vento era talmente forte che non riuscivano nemmeno a posarsi.

    «Perfetto, siete già arrivati. Ci è voluto meno di quanto immaginassi», sospirò Edward.  Passeggiava avanti e indietro nel piccolo spazio aperto di fronte alla tenda.

    Jacob ignorò il suo complimento implicito, e buttò un’occhio alla tenda. «Mi si rizzano i capelli. La tenda è stabile?».

    «È quasi tutt'uno con la roccia».

    «Bene».

    Jacob alzò gli occhi al cielo ormai nero di tempesta, fitto di fiocchi agitati dal vento. Sbuffò dalle narici.

    «Vado a trasformarmi», mi disse. «Devo sentire che succede a casa».

    «Torna presto, Jake», sussurrai ansiosa. Ero già in apnea.

    «Cercherò di fare in fretta, aspettami in tenda. Se hai molto freddo mettiti anche il mio giubbotto», disse premuroso ed avvolgendomi con i suoi occhi scuri e profondi.

    Poi lanciò un’occhiata particolarmente minacciosa ad Edward.

    «Resterò fuori a vigilare. Non la sfiorerò nemmeno con il mio respiro», disse Edward in risposta ad un avvertimento che Jacob aveva solo pensato.

    «Lo spero per il patto», sibilò Jacob.

    Poi mi prese e mi diede un bacio che mi tolse il fiato, come aveva già fatto un’altra volta. Davanti agli occhi di Edward, ovviamente. Prima che potessi rimproverarlo, appese il suo giaccone a un ramo basso e tozzo ed entrò nella foresta tenebrosa in un battibaleno.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Fuoco e Ghiaccio ***


Non so come ringraziarvi dei vostri commenti!! Siete adorabili, non smetterò mai di dirvelo *____*!!!

 

Miss, hai cercato di fare la furbetta xD! Non si fa, non si fa ^_^. Per gli aggiornamenti non ho un metodo preciso, diciamo che cerco di darvi il tempo di leggere i ben due capitoli che solitamente posto insieme. Anche a me fa impazzire il cap. 19 *__*, mi vedevo la scena davanti agli occhi in ogni dettaglio mentre la scrivevo!!! E’ forse il capitolo più dolce, divertente (Jake che non riesce ad esprimersi circa gli anticoncezionali xD), e sensuale di tutta la mia saga! Amo Jake, nei suoi pregi ma ancora di più nei suoi difetti (quando si arrabbia mi fa morire), si può spaziare con il suo personaggio perchè completo, vitale, spontaneo, pieno di emozioni! Per il calippo ti do ragione, faceva pena anche a me, ma sinceramente preferisco che sia lui a soffrire piuttosto che Jake. Se non altro perché ho voluto che Bella scegliesse un futuro migliore per sé, il che non è certo farsi trasformare in un vampiro che si nutre solo di sangue, vivendo un’eternità noiosa, nascosta e che non ti permette di mettere radici da nessuna parte perchè devi sempre spostarti dopo un po’ di anni. Secondo me Bella non ha preso in considerazione molti fattori. L’eternità è un tempo che non si può capire appieno, tanto per citare una mia frase xD. Spero solo che non mi diventi Team Edward, altrimenti cancello tutto e riscrivo da capo xD!!!

 *********************************************************************************************************************************************************

Emy!! Si avrebbe voluto, ma non può perché è antico ed è un campione nel nascondere le proprie emozioni e costringere Bella a dominare le proprie. Oltre al motivo principale che sarebbe quello che la sbriciolerebbe ù___ù. Stare con Edward è una completa e continua rinuncia.

 *********************************************************************************************************************************************************

Kandy, leggerai la scena della tenda proprio adesso!!! Chissà se ti piacerà xD

 *********************************************************************************************************************************************************

Ely, hai pienamente ragione. In un certo senso senza volerlo, ma solo seguendo più o meno la logica dei personaggi, ho reso Edward più accettabile persino per me, che lo avrei fatto sparire da un sacco di tempo xD. Noi lupacchiotte siamo talmente sensibili che rivalutiamo persino uno come il calippo, se solo lo vediamo soffrire come un cane ù___ù. Però la coppia Jake/Bella è davvero stupenda *____*, sono così dolci e veri messi insieme, senza sforzo, senza obblighi o torture! Sono naturali e collegati tra loro. Chissà come lo avrebbe scritto la Meyer, se solo non avesse forzato il suo racconto facendo ricadere la scelta su Edward. Sono felice che vi accontentiate di quello che vi ho scritto io, e ti ringrazio infinitamente della stima e dei complimenti, carissima Ely ^___^.

 **********************************************************************************************************************************************************

Ora vi lascio tutte alla lettura dei successivi due capitoli. Un bacio e un abbraccio!

 

 

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Il vento scosse di nuovo me e la tenda.

    La temperatura stava precipitando. Il gelo penetrava nel sacco a pelo, nella giacca. Ero imbacuccata dalla testa ai piedi, con gli scarponcini da trekking ancora allacciati. Com'era possibile che facesse così freddo? Prima o poi avrebbe dovuto toccare il minimo e risalire, no?

    Jacob era andato via già da un po’, e stavo appena cominciando a battere i denti, nonostante mi fossi infilata anche il suo giubbotto enorme.

    «C-c-che ore s-sono?», domandai con un po’ di difficoltà.

    «Quasi mezzanotte», rispose Edward.

    Come aveva promesso, era rimasto fuori sotto la neve, ma per qualunque necessità, non si era allontanato dall’accampamento. Mi sentiva, anche se sussurravo, intenta com’ero a controllare i fremiti del mio corpo.

    «Che f-f-fine ha fatto J-Jacob? Sto per c-c-congelare», mi lamentai battendo i denti.

    «Sta arrivando, sento i suoi pensieri, e sa che lo sto ascoltando. Ha fatto il giro lungo per non incrociare le scie, ha parlato molto con il branco e Charlie lo ha trattenuto a casa loro. Era un po’ brillo», lo sentì ridere. Bene, Charlie almeno si stava divertendo. «Sarà qui tra pochi secondi», rassicurò.

    Sospirai sollevata. Era la mia unica possibilità per sopravvivere alla notte.

    «Che si m-m-muova», mugugnai mentre non sentivo più le mani.

    Poi udì finalmente la sua voce rauca e insolente in lontananza.

    «Ora puoi andare a farti un giro, succhiasangue».

    «J-Jake, smettila. Mi è rimasto v-v-vicino in tua a-assenza, digli almeno g-g-grazie», lo rimproverai ormai in preda ai brividi.

    «G-g-grazie, succhiasangue», disse prendendo in giro lui e me.

    «Dovere», rispose Edward tranquillo.

    Sentii la cerniera aprirsi velocemente.

    Jacob s'infilò nell'apertura più minuscola che riuscì a sfruttare, mentre il vento artico gli soffiava attorno e qualche fiocco di neve cadeva sul fondo della tenda. Ebbi un fremito così violento da somigliare a una convulsione.

    «Mi sposto per un controllo e per cacciare qualcosa», disse Edward mentre Jake chiudeva la cerniera. «Vi invito a fare come se la tenda fosse vostra. Vi auguro di passare una buonanotte».

    «Bene, è meglio se poi torni e mi riferisci se è tutto apposto o meno», propose Jacob, ignorando tutto il resto.

    Edward rispose dopo un secondo in più del dovuto.

    «Va bene, te lo devo. Cercherò di essere onesto anche con te. A più tardi». Non capì il senso di quella frase. Cosa c’entrava l’onestà con il giro di ricognizione?

    «Ciao piccola, scusa il ritardo», sussurrò Jacob mentre apriva la cerniera del mio sacco a pelo per infilarsi dentro.

    «Era o-o-ora che a-arrivassi», brontolai.

    «Non dirlo a me», mugugnò.

    Stipò il proprio corpo nello spazio minuscolo e fece forza sulla cerniera per chiudersela alle spalle. Le sue braccia si strinsero  attorno a me e mi premevano con decisione contro il suo petto nudo. Il calore era irresistibile, come l'aria dopo un'immersione subacquea prolungata. Ebbe un fremito quando, impaziente, affondai le dita nella sua pelle.

    «Caspita, sei ghiacciata, Bella», si lamentò.

    «Chissà c-c-come mai», balbettai.

    «Cerca di rilassarti», suggerì, mentre l'ennesimo fremito mi scuoteva con violenza. «Ancora due ore e ti sarebbero saltate le dita dei piedi», borbottò.

    «Ma perché E-e-edward ha risposto c-c-così? Cos’hai p-p-pensato?», domandai mentre sentivo il calore del suo corpo contro il mio infreddolito. Jake fece spallucce.

    «Pensavo di approfittare di questa convivenza forzata per farci quattro chiacchere e sentire le sue storielle».

    Gli lanciai un’occhiataccia, mentre il calore calmò le convulsioni facendomi parlare decentemente.

    «Jake, non abusare del suo rimorso. Anche lui è qui per proteggermi, e litigare serve solo ad irritarmi. La cosa si è risolta, mi ha promesso che si farà da parte. E lo farà».

    «Sarà come dici, ma non mi va giù che per colpa sua abbiamo perso tutto questo tempo. Ha cercato di manipolarti, Bella. Te ne rendi conto?».

    Sbuffai e mi rigirai goffamente su me stessa per dargli le spalle. «Se mi avesse lasciata libera, forse non avrei apprezzato le fughe a La Push. So cos’è l’egoismo Jake, e so che spinge le persone a fare di tutto per tenere al tuo fianco la persona che ami. Anch’io ho intenzione di farlo con te», confessai, ma me ne pentii subito. Temevo si arrabbiasse.

    «Che vuoi dire?», domandò curioso.

    Tanto valeva sputare il rospo, prima o poi ne avremmo dovuto parlare.

    «Bè», mormorai titubante. «Mi riferivo al college e all’imprinting».

    «Spiegami cosa c’entrano queste due parole nella stessa frase, perché non hanno senso».

    Approfittai della mia posizione per non guardarlo negli occhi.

    «Fortunata come sono, è probabile che il tuo imprinting si nasconda dietro ogni angolo del campus che frequenterò. E sono egoista perchè non voglio che tu la veda, Jake. Non voglio che tu trovi la tua metà. Voglio che tu resti sempre con me», ammisi.

    «E come pensi di riuscirci? Mi caverai gli occhi prima di partire?».

    «No, sciocco. Pensavo semplicemente di viaggiare io da Vancouver a Forks, anziché far venire te al college a trovarmi. Tu li non ci devi mettere piede. In realtà non voglio che tu metta piede fuori da La Push per nessun motivo».

    «Accidenti, hai proprio paura di perdermi. Fantastico», disse stringendomi e dandomi un bacio sulla guancia. «Ma il tuo ex succhiasangue non verrà con te, vero?», domandò subito sospettoso.

    «Ehm, all’inizio si era deciso di si».

    Jacob grugnì contrariato.

    «In realtà sarebbe molto utile per la preparazione degli esami. Però se devo essere sincera, non ho tutta questa voglia di proseguire gli studi. Devo ancora pensarci bene. Ma non sei arrabbiato con me?», domandai confusa.

    «Perché mi vuoi tutto per te? Ne sono lusingato. Mi salvo pure gli occhi», rispose ridendo. Risi anch’io e voltai il viso per farmi dare un bacio.

    Il sacco a pelo era già caldo e accogliente. Il calore del corpo di Jacob sembrava giungere da ogni parte, forse perché era così immenso. Mi sfilai gli scarponcini e sfregai i piedi contro le sue gambe. Ebbe un sussulto e chinò la testa per premere la guancia calda contro il mio orecchio intorpidito.

    Quella vicinanza fece riaffiorare mille ricordi. Tutti infinitamente piacevoli.

    «Questa temperatura ti andrebbe bene?», sussurrò al mio orecchio. Probabilmente viaggiavamo sulla stessa lunghezza d’onda.

    «Si, è perfetta», sussurrai.

    Udì il suono della cerniera del sacco a pelo che si abbassava: in questo modo c’era molto più spazio. Nonostante l’aria pungente, il calore del corpo immenso di Jacob, continuava a proteggermi dal battere di nuovo i denti.

    «Sai, hai ancora le labbra viola. Anche quelle è bene riscaldarle, non mi piace lasciare il lavoro a metà», commentò. «E poi potremmo riprendere la conversazione sul “pensarlo non è come farlo”», proseguì con voce intensa, mentre allargò il colletto del maglione per baciarmi morbidamente il collo. «Hai ancora di quelle caramelle, vero?», domandò accennando un sorriso.

    Cominciarono i primi capogiri.

    «Ma Jake, nella tenda di Edward? Non è cortese», domandai mentre la voce si perdeva insieme alle mie buone intenzioni.

    «Ci ha invitato a considerarla come nostra. Mi sembra più scortese non accogliere il suo invito», suggerì con tono di finta innocenza.

    Continuava a tracciare morbidi disegni con la punta della lingua, per tutta la lunghezza del collo fino all’orecchio, mentre la sua mano bollente mi accarezzava le gambe.

    Mi morsi il labbro quasi in stato di trans, e mi voltai per cercare le sue.

    «Ma…Jake», cercai di dire mentre tenevo le labbra impegnate. «lo sconsigliano…anche agli sportivi…di fare certe cose…prima di una gara».

    «Io non sono uno sportivo», ribattè mentre mi rigirava per mettermi sotto di lui. «E poi, sono molto più resistente del normale», sussurrò profondo.

    Intuì il doppio senso.

    «Lo so», risposi mentre il cervello andava a raggiungere la discrezione e l’autocontrollo alle Maldive. Non mi stava rimanendo più niente.

    Mentre mi baciava con frenesia, annodai le mie gambe ai suoi fianchi e affondai le dita tra i suoi capelli. Premette il bacino contro il mio, ed ebbe un fremito.

    «Bella», mormorò infiammato.

    Perché dire ancora di no, se lo desideravo in una maniera assurdamente ingestibile? Perché rifutare quel biglietto di sola andata per il Paradiso?

    Non esistevano risposte sensate, a quelle domande, e mi rifiutai di pensare a cosa ci aspettava tra poche ore. Se fosse successo qualcosa, mi sarei perdonata di aver rifiutato ciò che entrambi volevamo?

    Per la prima volta, desiderai che Edward potesse leggere il perdono che gli supplicavo mentalmente, per usare così la sua ospitalità, ma non avevo più motivi per fermarmi. Ne avevo troppi per andare avanti, e regalarci una fetta di Paradiso. Prima dell’inferno.

    Vinta dal suo e dal mio stesso desiderio di appartenerci ancora, le nostre mani vagavano alla ricerca dei bottoni dei jeans.

    Impazienti di toccare insieme il cielo con un dito.

 ********************************************************************************************************************************************************

    «E’ arrivato Seth», bisbigliò Jacob, mentre mi accarezzava dolcemente i capelli e io sorridevo beata. «E il tuo amico non è lontano».

    «Vorrei che gli chiedessi scusa da parte mia, per aver abusato della sua ospitalità», mormorai assonnata.

    Rispose brontolando qualcosa d’incomprensibile.

    Piano piano calò il silenzio, le mie palpebre cedettero e si chiusero, e il mio respiro si fece più lento e regolare.

    «Giusto, piccola, adesso dormi», sussurrò Jacob.

    Sospirai, soddisfatta, già in dormiveglia.

[…] Fuori, il vento urlava instancabile tra gli alberi. I sussulti della tenda rendevano il sonno difficile. I picchetti tremavano, si piegavano all'improvviso e mi ricacciavano dal confine del dormiveglia ogni volta che pensavo di essere sul punto di scivolare nel sonno. Mi sentivo così in pena per il lupo, il ragazzino costretto a restare fuori sotto la neve.

    Vagai con i pensieri, in attesa che il sonno mi trovasse.

    «Allora, ci sono novità?», domandò Jacob a bassa voce.

    «No, tutto tace», rispose Edward fuori dalla tenda.

    Un’altra folata di vento gelido e pressante, riempì il silenzio, ma non durò a lungo.

    «Non è garbato», rimproverò Edward.

    «Lo so, ma non è colpa mia se mi leggi continuamente nel pensiero. Nessuno ti obbliga ad ascoltare», mormorò Jacob, in tono di sfida ma con un velo di imbarazzo. «Esci dalla mia testa».

    «Mi piacerebbe poterlo fare. Non hai idea di quanto siano chiassose le tue fantasie. È come se me le stessi urlando in faccia».

    «Ricordi, non fantasie. E ti assicuro che sono molto realistici, vecchio mio. Comunque, Bella ti chiede scusa per…», ma non concluse la frase.

    «Non c’era bisogno che si scusasse. Ve l’ho offerta sapendo che sarebbe accaduto. Comunque, accetto le sue scuse, perchè so che ci tiene», rispose Edward.

    «Bè, allora…ti ringrazio», mormorò Jacob, di nuovo in imbarazzo. «Da parte sua», aggiunse svelto. Sentì Edward ridere.

    «Prego, Jacob».

    Per un istante fu il silenzio.

    «Sì», rispose Edward a un pensiero inespresso, con un mormorio tanto basso da poterlo cogliere a malapena. «Hai ragione, sono imperdonabile».

    «Lo credo bene. Ma voglio sapere le cose che le hai nascosto, e quali sono le tue intenzioni adesso», ribattè Jacob.

    «Non le ho nascosto niente, le ho detto tutto quello che c’era da dire. Comunque se vuoi saperlo, all’inizio contavo sulla sua indecisione, e a dirla tutta, anche sulla volubilità dei sentimenti umani. Sapevo che ti voleva molto bene, e che non capiva cosa realmente provasse per te. Tu avevi paura che scegliesse me, a furia di starle vicino, e io ho sperato fino all’ultimo che andasse così».

    Ero troppo assonnata per chiedere ai due di smettere di parlare di me come se non ci fossi. La conversazione era diventata quasi un sogno, non ero più tanto certa di essere sveglia.

    Jacob sbuffò irritato, ma lo lasciò parlare.

    «La volevo proteggere, sai bene quanto siete impulsivi, non volevo si facesse male. E intanto speravo di riconquistarla. Riaccendere l’amore che era nato in lei l’anno scorso, e che ho distrutto con le mie mani, andandomene e spezzandole il suo fragile cuore», confessò Edward, in tono frustrato. «Ma lei non ha fatto altro che scappare per andare da te. Era solo questione di tempo, se ne sarebbe resa conto da sola. Infatti le è bastato un bacio per farla crollare, perché ammettesse…».

    «Di essere innamorata di me», sussurrò Jacob interrompendolo.

    «Si. Ti parrà strano, ma in tutto questo mi sento sollevato, e ti sono grato di far parte della sua vita. Prima era ossessionata dall’idea di trasformarsi, e io cercavo di farla desistere perché non voglio condannarla alla mia stessa esistenza, ma contemporanemante, la desideravo per l’eternità. La vostra unione ha rimesso apposto tutto. In fin dei conti, restare al mondo ed assistere alla sua felicità con te, è peggio dell’Inferno», Edward rise sommessamente.

    «Detto così, sembra che lo abbia fatto di proposito», Jacob soffocò una risata. «Ma non ne sarebbe capace. Se lei perdona è perché ha perdonato e basta, ne so qualcosa. È troppo buona».

    «Si hai ragione, ed è per questo che continuerò ad amarla per l’eternità», rispose Edward serio.

    «Questo ci riporta alla cosa più importante», suggerì Jacob.

    «Resterò dietro le quinte, Jacob. Attenderò paziente il giorno che lei si stancherà di te, o tu ti stancherai di lei, o peggio ancora, avrai il tuo imprinting. Ma prima di questo, non muoverò un solo dito contro di te. Voglio che lei sia felice, e non ho intenzione di rifare le stesso errore di mettermi in mezzo. E ci tengo a farmi perdonare anche da te, Jacob. Con te non deve cambiare niente, e può avere tutto ciò che desidera. Sei stato in grado di salvarla da sè stessa. Solo per questo ti sarò debitore per il resto dei miei giorni. Sei la cosa giusta di cui parlavo nel bosco, quella di cui solo adesso sono in grado di lasciarle fare», disse Edward con la voce che gli tremava dalla sincerità.

    Jacob restò in silenzio a meditare.

    «Ti avrò sempre in mezzo ai piedi?», domandò infine.

    «Dipende da Bella», rispose Edward sereno. «L’intenzione è di restare con la mia famiglia a casa nostra, a disposizione di Bella e tua se vorrai, per qualunque necessità. Carlisle si sposterà per andare negli ospedali di qualche altra città dove nessuno lo conosce, ma rimarrà qui anche lui. Bella è la prima che non vuole che ce ne andiamo, e io resterò nell’ombra ad aspettare, ma sarò presente ogni volta che lei lo vorrà. Nasconderemo alla perfezione l’ingresso per arrivare al nostro vialetto, così che nessuno ci si addentri e ci scopra ancora qui, e soprattutto ancora giovani».

    «Credo di averlo visto in qualche film», commentò Jacob. Entrambi risero sommessamente.

    L’allegria fu breve, come il silenzio che la seguì.

    «E se il mio imprinting davvero non esistesse? E se nessuno dei due si stancherà dell’altro? Che farai? Riuscirai ad essere così paziente come dici?», domandò Jacob a raffica.

    «Logico. In cento anni ho imparato a esserlo. Cento anni passati nell'attesa di lei. Ma se proprio nulla vi dividerà, posso solo porre fine alla mia esistenza quando lei morirà».

    A quelle parole, Jacob sussultò.

    «Scusa, non volevo turbare anche te, con questo pensiero. E’ meglio che dormi, domani sarà una giornata pesante», disse Edward rammaricato.

    Jacob sbadigliò piano. «Sei sicuro che non cercherai di uccidermi nel sonno?», domandò di nuovo sarcastico. «Sai, per accelerare i tempi».

    Edward rise.

    «Puoi dormire tranquillamente Jacob, non oserei mai farle una cosa del genere. Il peso sulla coscienza mi schiaccerebbe, e otterrei l’effetto contrario», rispose Edward, ancora divertito.

    Jacob restò in silenzio per un istante e sospirò. «Sì, hai ragione. So che è giusto così. Ma a volte…».

    «A volte sembra un'idea affascinante».

    Jacob affondò la testa nel sacco a pelo per soffocare la propria risata. «Esatto», commentò infine.

    Che strano sogno. Chissà se era il vento incessante a farmi immaginare quei sussurri. Ma il vento urlava, anziché sussurrare.

    «Come ti sei sentito, quando l'hai persa?», chiese Jacob dopo un breve silenzio, e nella sua voce improvvisamente rauca non c'era traccia di ironia.

[…] «Quando ho pensato di essere in grado di lasciarla, è stato… quasi sopportabile. Perché credevo che potesse dimenticarmi, che potesse vivere come se non fossi mai esistito. Per più di sei mesi riuscii a starle lontano, per mantenere la promessa di non interferire mai più con la sua vita. Sembrava che ce la stessi facendo: combattevo, ma sapevo che non avrei vinto, che prima o poi sarei tornato, anche soltanto per vedere come stava. Cercavo di convincermi che ce l'avrei fatta. E se l'avessi trovata ragionevolmente felice… mi illudevo di riuscire ad allontanarmi di nuovo. Era quello che avrei dovuto fare, quando mi ha detto chiaramente che non mi perdonava. Ma sapevo che non sarei più riuscito ad allontanarmi, in più lei non me lo lascia nemmeno fare. Ma chissà, forse è anche grazie al mio tentativo maldestro di abbandonarla, che ha rimesso ordine nei suoi sentimenti. Non ho mai capito come facesse ad essere innamorata di me», mormorò Edward come se stesse parlando con sè stesso.

    «Siamo in due a non capirlo», commentò Jacob, prima di sbadigliare silenziosamente di nuovo.

    «E’ più logico così, che a noi voglia bene e che ami te. Dai tuoi pensieri, so che l’ami quasi quanto me, e anche per come si sente con te, ha più senso che le cose vadano come stiano andando. L’amore non dovrebbe essere complicato e pieno di problemi, un amore difficile non vale la pena di essere vissuto. Ora sembra che risplenda, come il sole sulla mia pelle. L’amore giusto è una cosa bella, valorizza ciò che sei, basta quello a migliorarti. Non c’è cosa più bella che riuscire ad essere in pace con sè stessi. E sembra che piano piano, Bella stia cominciando ad accettarsi. Almeno così credo».

    «Si, lo penso anch’io», sussurrò Jacob.

    «Lo so». A giudicare dalla voce, Edward stava sorridendo.

    «Comunque», proseguì Jacob in tono stranamente titubante. «te ne sei andato perché non volevi trasformarla in una succhiasangue. Hai sempre voluto che restasse umana, più o meno».

    Edward rispose lentamente. «Jacob, dall'istante in cui mi sono reso conto di amarla, ho capito che le possibilità erano quattro. La prima alternativa, la migliore per Bella, sarebbe stata quella di ignorare i miei sentimenti: lasciarmi perdere e andare oltre. Per me non sarebbe cambiato granché, me ne sarei fatta una ragione. Tu credi che io sia una… pietra viva, dura e fredda. È vero. Questa è la nostra natura, ed è molto raro che subisca cambiamenti profondi. Se ciò avviene, com'è stato quando Bella è entrata nella mia vita, il cambiamento è irreversibile. Non si torna indietro…

    La seconda alternativa, quella per cui avevo optato all'inizio, era restarle accanto per tutto il corso della sua esistenza umana. Forse non sarebbe stata felice di sprecare la vita accanto a un essere che non era umano, ma mi sembrava la scelta più semplice. Ero certo che, quando fosse morta, anch'io avrei cercato una maniera per morire. Sessanta, settant'anni… mi sembravano un arco di tempo tanto breve, ma mi resi conto che vivere a stretto contatto con il mio mondo sarebbe stato troppo pericoloso per lei. Sembrava che ogni cosa andasse per il verso sbagliato. O minacciasse di farlo…

    Avevo il terrore che non durasse nemmeno quei sessant'anni, se avessi accompagnato la sua vita umana. Perciò ho scelto la terza opzione.  […] Ho deciso di uscire dal suo mondo, nella speranza di costringerla a scegliere la prima alternativa. Ed ha funzionato, grazie a Dio. E’ assurdo ciò che ho fatto ultimamente, dopo tutto il trambusto che ho combinato per riuscirci. Ma se non ci fossi riuscito, mi restava solo la quarta alternativa. Era ciò che lei desiderava; perlomeno, ciò che pensava di desiderare. Avrei comunque cercato di posticipare, di concederle del tempo perché trovasse un motivo per cambiare idea, ma è troppo… testarda. Lo sai anche tu. Aveva il terrore di invecchiare, ma ora sembra che si sia dimenticata che il suo compleanno cade in settembre…».

[…] «Sai perfettamente quanto mi costi ammetterlo», sussurrò lento Jacob, «ma mi è chiaro che a modo tuo… la ami. Non posso più contestarlo. Mi auguro di riuscire a sopportare questa rivalità».

    «Finchè potrai ancora scegliere di stare con lei, Jacob. Dopo non so cosa potrebbe succedere. Del futuro non so nulla», disse Edward.

    «Qualcuno si, però», suggerì Jacob.

    «Le chiederò nuovamente di farlo, dopo che sarà finito tutto questo. Non riesce a vedere il tuo futuro, nè quello di Bella ora che si è unita a te. Ma ci proverà, qualcosa riusciremo a capirla», rassicurò Edward.

    «Sarei curioso», disse con l’ennesimo sbadiglio. «Anche se sono convinto delle mie teorie. Comunque, grazie per la sincerità. Non che con questo ti perdoni, sia chiaro».

    «Come ti ho già detto, ti sono grato di far parte della sua vita  […]. Era il minimo che potessi fare… Sai, Jacob, se non fosse che siamo nemici giurati e che mi hai rubato la mia unica ragione di vita, penso che mi andresti a genio».

    «Forse, se non fossi un vampiro disgustoso che ha in programma di succhiare la vita alla ragazza che amo appena non mi vorrà più…be', no, nemmeno in quel caso».

    Edward ridacchiò.

    «Buonanotte Jacob, resteremo io e Seth a vigilare», sussurrò conciliante Edward.

    «Non è male che tu sia qui, almeno se Seth guaisce, non sono costretto ad uscire fuori per trasformarmi e sentire cosa dice. E poi Bella ha bisogno di me», disse Jacob rapito dalla sonnolenza.

    «Vedi? Tutto torna. Se poi non facessi certi sogni, mi faresti un grande favore», suggerì Edward.

    Ma Jacob stava già russando.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Decisioni ***


(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Quando il mattino dopo mi svegliai, c'era molta luce e persino dentro la tenda il sole mi faceva male agli occhi. Ed ero sudata, ovviamente, e Jacob russava leggero al mio orecchio, senza sciogliere l'abbraccio. Liberai la testa dal suo petto febbricitante e sentii il mattino freddo pungermi le guance intorpidite. Jacob sospirò nel sonno; inconsciamente strinse la presa.

    Mi sforzai di sollevare la testa e gli occhi quel tanto che bastava…

    «Edward sei ancora li?», domandai con la bocca coperta dal pettorale di Jacob.

    «Si, sono qui. Buongiorno Bella», rispose la sua voce vellutata, oltre la parete della tenda.

    «Buongiorno Edward», risposi imbarazzata.

    Fortunatamente Jacob aveva lasciato la cerniera abbassata, lasciandomi un po’ di manovra, ma le difficoltà non mancavano.

    Con tutta me stessa combattei contro la forza inerte di Jacob.

    Lui borbottò qualcosa, nel sonno profondo, e strinse ancora la presa.

    «Jake svegliati, ti prego», dissi a mezza voce.

    «Hai bisogno di una mano? Se vuoi lo sveglio io», propose Edward, ma il tono che usò non lasciava intendere niente di buono.

    «No. Tenterò di nuovo, sarò più fortunata», mormorai lanciandogli un’occhiataccia che non poteva vedere.

    Sfruttai lo spazio guadagnato dall’apertura della cerniera per allungare una mano verso il suo viso. Non avevo molte alternative, sempre meglio che lasciar fare ad Edward.

    Gli tappai il naso.

    Jacob mi tossì in faccia mezzo soffocato, e riuscì nell’intento di svegliarlo.

    «Avrei preferito un risveglio più brusco», mugugnò Edward a voce bassissima.

    Sospirai.

    «Oh, sei sveglia, Bells. Buongiorno», disse Jacob stiracchiando un sorriso.

    «Si, che ne dici di lasciarmi respirare? Sto morendo di caldo».

    «Scusa», disse con un grosso sbadiglio e sciogliendo la presa.

    «Grazie», replicai con i polmoni finalmente liberi di gonfiarsi. Poi gli presi il viso e gli diedi un bacio sulla fronte. «A proposito, buongiorno anche a te», aggiunsi con un sorriso.

    Sgusciammo fuori dal sacco a pelo e mi sgranchì i muscoli intorpiditi.

    L’aria sembrava più calda di ieri. Per fortuna avevo avuto Jacob accanto per tutta la notte, altrimenti mi sarei ibernata.

    «Hei, succhiasangue», chiamò Jacob uscendo dalla tenda. «Sai per caso quanto manca allo scontro?», chiese stiracchiandosi anche lui e facendo scricchiolare le giunture delle braccia e delle gambe. «Ah, ciao Seth».

    Udì un lieve ruggito e mi decisi ad uscire anch’io dalla tenda.

    C'era meno neve di quanta pensassi dopo la tempesta furiosa della notte precedente. Probabilmente era stata soffiata via, anziché sciogliersi al sole che in quel momento splendeva basso a sudest e sbucava dal manto bianco pizzicandomi gli occhi non ancora abituati alla luce.

    L'aria era rimasta frizzante, ma c'era una calma assoluta e, mano a mano che il sole si alzava, la temperatura tornava ai livelli di stagione.

    Seth Clearwater era raggomitolato su uno spiazzo di aghi di pino asciutti, all'ombra del fitto di un abete, con la testa tra le zampe. La sua pelliccia color sabbia era quasi invisibile sullo sfondo degli aghi morti, ma notai il riflesso della neve nei suoi occhi aperti.

[…]   «Alice ha detto a Sam che dovrebbe essere questione di un'ora, più o meno», rispose Edward, impassibile.

    Stava in piedi a due metri di distanza da noi, ci dava le spalle e guardava lontano, tra gli alberi.

    «Bene», sibilò Jacob con lo sguardo acceso dall’impazienza.

    «Non va bene per niente», ribattei irritata.

    Tra meno di un’ora la battaglia sarebbe iniziata, e Jacob non aveva la minima intenzione di perdersela.

    Edward si voltò di scatto per puntare gli occhi su quelli di Jacob, senza che lui avesse aperto bocca.

    «Invidio la tua possibilità di poterlo fare», sibilò.

    «Allora non ti dispiacerà lasciarci da soli», ribattè Jacob seccato. «Non ho molto tempo, la battaglia sta per cominciare».

    Li guardai entrambi, confusa. «Si può sapere di cosa state parlando?».

    «Vi lascio soli», mormorò Edward. «Torno appena Jacob se ne sarà andato», mi rassicurò, osservando la mia espressione angosciata.

    «Seth, ti dispiace?», domandò Jacob al lupo accucciato. Seth si alzò di scatto sulle sue zampe e si allontanò senza fare storie. Come se sapesse già tutto.

    Osservai Edward ridiscendere la montagna sul quale ci eravamo accampati, affiancato da Seth. Quella incredibile vicinanza mi sorprese.

    Tuttavia, mi rivolsi a Jacob con aria esasperata.

    «Perché lo hai mandato via? Quando ti deciderai a lasciarlo in pace?».

    «Volevo solo parlare con te. C’è una cosa che vorrei dirti e un’altra che sono curioso di sapere», disse tenendomi per i fianchi e chinandosi verso il mio viso. «Non ho avuto il tempo di chiedertelo».

    «E ti sembra il momento?», domandai alzando le sopraciglia, sconcertata.

    «Direi che è perfetto», replicò con un sorriso più abbagliante del sole.

    Scossi la testa in preda alle vertigini. «Okay, da cosa vuoi iniziare?».

    «Dalla domanda», rispose subito.

    Rimasi in attesa di questa benedetta domanda. Chissà cosa voleva sapere di così importante in un momento del genere.

    «Cos’hai sognato dopo che ti ho baciata la prima volta?».

    Domanda facile e incredibilmente insensata.

    «Ho sognato la nostra vita insieme», sussurrai, cercando di capire dove volesse arrivare. «C’erano Charlie, Reneè, Billy e anche Sam, e poi dei bambini con i capelli neri che giocavano a rincorresi nel bosco di La Push. Poi ho visto il mio riflesso nello specchio, ero invecchiata ma molto, molto felice. Dietro di me c’eri tu in forma di lupo, e anche tu sembravi invecchiato. Il tuo manto era più lungo di adesso e di un rosso sbiadito». Mentre raccontavo, le immagini si susseguivano come stessi vedendo un film.

    Ci fu un attimo di silenzio, poi Jacob ridacchiò e scosse la testa incredulo.

    «Caspita, sei veggente come la tua amica Alice».

    «Cioè?».

    «Bè, ti ho detto che un giorno ne avremmo parlato. Era una cosa che mi era venuta in mente quella volta in camera tua».

    Ricordai benissimo. La prima notte della dimostrazione pratica dei Cullen.

    «Ne ho discusso ieri notte con Sam, per sapere se questa mia decisione avrebbe dato qualche problema. C’è stato un battibecco con gli altri del branco, ma alla fine Sam ha calmato le acque. Mi ha dato il suo benestare e ha assicurato che se la sarebbero cavata tutti…», farfugliò.

    «Arriva al dunque Jake. Che stai cercando di dire?».

    Jacob fece un respiro e mi guardò amorevole.

    «Quando tutto questo sarà finito, smetterò di trasformarmi. Voglio costruire una famiglia insieme a te, e più di ogni altra cosa, desidero invecchiare al tuo fianco», confessò d’un fiato.

    Rimasi incantata, spaventata, rapita e sconvolta dalle sue parole.

    «Jake, non è possibile. Tu…tu vuoi rinunciare alla tua immortalità, alla tua giovinezza, al tuo potere per…», non riuscivo a finire la frase.

     I singhiozzi e una fitta allo stomaco me lo impedivano, mentre le lacrime mi annebbiavano la vista.

    «Per stare con te, Bells. Non mi interessano tutte quelle cose, anzi se restassi giovane, sarebbe un problema. Ricordo ancora la tua stupida ossessione sulla differenza d’età», disse facendo gli occhi al cielo.

    «Potrei trasformarmi per il tuo compleanno, magari, se mi ricorderò ancora come si fa. Ti porterei da qualche parte come regalo. Ci sono tantissimi posti meravigliosi che non hai mai visto, te ne mostrerei uno per ogni anno che compirai, e intanto ricomincerei a crescere. Lo avevano detto durante il falò, ricordi? L’importante è non trasformarsi per parecchio tempo, e un anno dovrebbe essere sufficiente», continuò come se stesse parlando del più e del meno.

    «Perché? Perché vuoi rinunciare?», domandai sbalordita.

    «Perché ti amo, ovviamente».

    «Jake, tu vuoi fare la stessa cosa che avrei fatto io per Edward?».

    Jacob sbuffò spazientito.

    «Mi sembra che siano due cose diverse, Bella. Io non scelgo di trasformarmi in una pietra senz’anima perché non sono in grado di accreditarmi. Voglio riprendere la mia normalità. Quella parte di vita cui sono stato costretto a rinunciare per questioni di discendenza. Ma a differenza del tuo vampiro, posso tornare indietro. Posso rinunciare, se voglio, ma devi volerlo anche tu. Se tu non vuoi per qualunque motivo, devi dirmelo. E anche se le tue ragioni avranno senso, cosa di cui dubito, ne discuteremo finchè non ti convincerò», rispose deciso.

    Poi lanciò uno sguardo concentrato verso il cielo, cogliendo qualche segno che a me sfuggiva.

    «Adesso devo andare, sono già in ritardo. Nel frattempo pensaci, più tardi mi farai sapere», disse svelto e dandomi un bacio in fronte.

    Fece per allontanarsi, ma mi scagliai su di lui e mi aggrappai al suo braccio.

    «Aspetta Jake!», strillai tra le lacrime. La mia voce era diventata improvvisamente isterica.

    Il suo discorso non era ancora pronto per essere digerito, ed in questo momento la mia priorità era un’altra. Molto, molto più urgente.

    Edward se n’era andato momentaneamente, e sapevo che sarebbe tornato.

    Ma di Jacob non ne avevo assolutamente idea, ed era sufficiente a sentirmi impazzire, soprattutto dopo ciò che mi aveva detto.

    L’ansia che avevo provato fino a quel momento, era niente in confronto alla paura di questi ultimi istanti.

    Nulla mi garantiva il suo ritorno.

    Come potevo anche solo provare a pensare ad un futuro così lontano, se non sapevo niente di quello più vicino a me? Se il futuro immediato mi spaventava a morte?

    Il terrore mi imprigionò in una morsa d’acciaio, e mi stritolò.

    Jake aveva già trovato una buona ragione per farmi desistere, ma la disperazione incontrollabile mi spinse a fare un altro tentativo.

    «Jake, ti prego, ti scongiuro, non andare! Resta qui, resta con me! Ti prego», gridai implorante.

    Jake mi fissò.

    Un velo di preoccupazione ed esitazione attraversò i suoi occhi. Cercò di ricomporsi subito.

    «Stai tranquilla Bella. Tornerò, te lo prometto».

    «No!», gridai, ma l’urlo mi si spezzò in gola.

    Le gambe mi cedettero ed affondai le ginocchia sulla neve, mentre le mie mani scivolarono lungo il caldo braccio di Jacob e si strinsero nella sua mano.

    Il mio cuore era sul punto di scoppiare di nuovo.

    Mi sentivo come se mi stessero segando in due.

    Jake strinse forte la mia mano e si inginocchiò davanti a me, rivolgendomi un sorriso dei suoi.

    «Torno presto», promise.  «E’ una promessa, Bella».

    Prese il mio viso contratto dal dolore, e mi baciò sulle labbra.

    Ebbi l’orribile sensazione che quello fosse l’ultimo bacio.

    Ma non avevo la forza di ricambiarlo come fosse tale.

    Restai come in stato di shock, a malapena mi accorsi che le sue labbra mi sfiorarono.

    Mi fissò per un breve istante con espressione ansiosa. Dischiuse le labbra come in procinto di dire qualcosa, ma subito si alzò in piedi e mi diede le spalle.

    Lo vidi allontanarsi di corsa, già in preda ai fremiti della trasformazione, mentre io restavo sulle mie ginocchia con una mano immersa nella neve e l’altro braccio teso. Tutto ciò che la mia mano era in grado di afferrare, fu il vuoto dell’aria fredda.

    Lo stesso vuoto che sentivo dentro di me.

    Vederlo sparire in mezzo agli alberi, squarciò il mio cuore, la mia anima e il mio corpo, in due perfette metà.

    Cominciai a singhiozzare, e il mio corpo sussultava come in preda a convulsioni. Immersi anche l’altro braccio nella neve e la testa mi crollò.

    «Jake…torna indietro», balbettai tra le lacrime mentre la voragine nel mio petto minacciava di riaprirsi per non richiudersi mai più.

    Nemmeno la gelida mano di Edward sulla mia spalla, mi aiutò ad uscire da quello stato.

    «Bella, ti aiuteremo io e Seth», sussurrò con la sua voce morbida e rassicurante. Seth guaì come per dargli ragione.

    Alzai il viso verso il suo, cercando di trovare conforto tra le sue parole. «Aiutarmi? Dimmi come, ti prego», implorai.

    Edward sorrise benevolo e spiegò.

    «Seth deve restare in contatto con gli altri del branco, perciò seguirà ogni momento, come se lo stesse vivendo. Io tradurrò i suoi pensieri per te, in modo che tu possa sapere cosa succede istante per istante», spiegò lentamente.

    «Lo faresti?», domandai con un filo di voce e un moto di speranza.

    «Non è poi tanto», rispose.

    «Per me lo è, è vitale. Grazie Edward», dissi mentre mi aiutò ad alzarmi.

    Edward mi portò barcollante a sedermi vicino a Seth, che se ne stava ritto sulle zampe e mi guardava.

    Emetteva un mugolio preoccupato e inclinava la testa da un lato.

    «Gli dispiace vederti così», mi disse Edward. «Sei la ragazza del suo idolo, per cui lo sei un po’ anche tu».

    Seth lo guardò e tossì una risata annuendo con il suo testone.

    «Grazie Seth, non preoccuparti. Sto bene», mentì.

    Mi sedetti vicino a lui per catturarne il calore, ed Edward si accovacciò di fianco a me. Se non altro, mi sentivo protetta.

    Fissai la fede di Sarah, mentre me la rigiravo al dito. Non riuscivo a pensare a nulla, era come se il mio cervello si fosse scollegato.

    «Cosa sta facendo Jacob?», domandai con voce incolore.

    «Si è trasformato. È un po’ deconcentrato, ma Sam lo sta aiutando», rispose Edward, sereno.

    «Ed Alice? Cosa sta facendo?».

    Edward mi sorrise rassicurante. «Sei preoccupata anche per lei. Non devi, lo sai».

    Scossi la testa. «E come faccio? Alice è così piccola», mugugnai.

    Rispose con una risata. «Potrebbe essere un problema… se esistesse qualcuno in grado di prenderla».

    Seth iniziò a mugolare.

    «Cosa c'è che non va?», domandai.

    «È soltanto arrabbiato perché gli tocca stare qui con noi. Sa che il branco l'ha tenuto lontano dall'azione per proteggerlo. Sbava dal desiderio di raggiungerli».

    Alzai il viso, guardando Seth.

    «I neonati sono al termine del sentiero - ha funzionato d'incanto, Jasper è un genio - e hanno agganciato la scia di chi sta nella radura, perciò, come previsto da Alice, si stanno dividendo in due gruppi», mormorò Edward, lo sguardo concentrato su qualcosa, in lontananza. «Sam ci sta guidando a intercettare il gruppo dell'imboscata». Era così concentrato su ciò che stava ascoltando da usare il plurale del branco.

    All'improvviso abbassò lo sguardo su di me. «Respira, Bella».

    Mi sforzai di obbedire alla richiesta.

    Cercai di sintonizzarmi sullo stesso ritmo regolare del respiro di Seth per non andare in iperventilazione.

    «Il primo gruppo è entrato nella radura. Riusciamo a sentire il rumore della battaglia».

    Strinsi i denti.

    Scoppiò in una risata secca. «Riusciamo a sentire Emmett: si sta divertendo».

    Mi sforzai di fare un altro respiro con Seth.

    «Il secondo gruppo si sta preparando… Non ci prestano attenzione, non ci hanno ancora sentiti».

    Edward ruggì.

    «Cosa?», sbottai.

    «Parlano di te». Con uno scatto serrò i denti. «In teoria dovrebbero impedirti di scappare… Bella mossa, Leah! Ehi, è davvero veloce», mormorò approvando. «Uno dei neonati si è accorto della nostra scia e Leah lo ha abbattuto ancora prima che riuscisse a cambiare direzione. Sam la sta aiutando a finirlo. Paul e Jacob ne hanno preso un altro, il resto è sulla difensiva, adesso. Non sanno come comportarsi con noi. Entrambe le schiere fintano l'attacco… No, lasciate che sia Sam a guidare», borbottò. «Separateli: non lasciate che si guardino le spalle a vicenda».

    Seth mugolò.

    «Così va meglio, spingeteli verso la radura», approvò Edward. Senza che se ne accorgesse, il suo corpo si spostava, teso verso le mosse che lui stesso avrebbe voluto fare.

    Lo fissavo con apprensione, affondando le unghie nei palmi delle mie mani.

    L'improvvisa assenza di rumori fu l'unico presagio.

    Il suono profondo e incalzante del respiro di Seth s'interruppe e, ormai in sincrono con lui, me ne accorsi subito.

    Anch'io per paura cessai di respirare quando capii che persino Edward era immobile come un blocco di ghiaccio al mio fianco.

    Oh, no. No. No.

    Chi era stato colpito? I nostri o i suoi? I miei, erano tutti miei. Chi avevo perso?

    Non volevo pensare a nessun nome conosciuto. Ma rimbombavano tutti nelle orecchie, uno sopra l’altro, confusi e chiassosi.

    E uno si distingueva tra tutti.

    Edward si alzò in piedi con uno scatto talmente veloce che non me ne accorsi.

    Il muso di Seth a quindici centimetri dal volto di Edward.

    Si fissarono con concentrazione assoluta per un secondo infinito. Il sole si sbriciolava sulla pelle di Edward e scatenava scintille che danzavano sulla pelliccia di Seth.

    Poi Edward sussurrò con veemenza: «Vai, Seth!».

    L'enorme lupo si voltò e sparì nell'ombra della foresta.

    Erano passati due secondi? Sembravano ore. Ero terrorizzata e nauseata dalla certezza che nella radura qualcosa di orribile fosse accaduto.

        Se non avessi avuto una improvvisa paura di morire, mi sarei sacrificata come la terza moglie. Avrei dato il sangue per salvarli.

    Codarda, pensai.

    Non ero mai stata molto attaccata alla vita, perchè proprio adesso doveva importarmene? Come in quel sogno, anziché sacrificarmi per distrarre la Rosalie terribile ed assetata di sangue dall’attacco al lupo Billy, avevo gettato a terra il pugnale argentato.

    Ma qualcosa l’avrei fatta lo stesso, avrei cercato un modo per potermi ferire, ed attirare l’attenzione senza dover morire.

    Si, questo lo avrei fatto assolutamente!

    Aprii la bocca per chiedere a Edward di portarmici, subito,  […] ma  prima che potessi pronunciare la prima sillaba, mi sentii come sbalzata per aria. […]

    Mi ritrovai con la schiena premuta contro la facciata ruvida dello spuntone di roccia. Edward era di fronte a me, in una posizione che riconobbi subito.

    I miei pensieri si riempirono di sollievo nello stesso momento in cui sentii lo stomaco sprofondare sotto i piedi.

    Avevo frainteso.

    Sollievo: nulla era andato storto nella radura.

    Orrore: il punto critico era vicino.

    Edward manteneva la posizione di difesa - mezzo rannicchiato, le braccia semidistese. […]

    Qualcosa ci stava raggiungendo.

    «Chi?», sussurrai.

    Le parole uscirono dai suoi denti con un ringhio più intenso di quanto mi aspettassi. Troppo intenso. Significava che era davvero troppo tardi per nasconderci.

    Eravamo in trappola, poco importava che qualcuno lo udisse.

    «Victoria», disse sputando la parola, trasformandola in un insulto. «Non è sola. Ha incrociato la mia scia, segue i neonati per assistere: non intende combattere assieme a loro. D'un tratto ha preso la decisione di cercarmi, sicura di trovare anche te. E ha indovinato. Avevi ragione. È sempre Victoria».

    Gli era vicino abbastanza da udirne i pensieri.

    Mi chiesi come avrebbe reagito se le avessimo detto che non ero più insieme ad Edward. Con tutta probabilità, non gliene sarebbe importato nulla.

    Contai mentalmente gli ultimi rintocchi della mia vita, mentre Victoria si stava avvicinando a noi.

    Edward era un bravo combattente, bravo quanto Jasper. Se la compagnia in arrivo non era numerosa, avrebbe potuto lottare per fuggire e tornare dalla sua famiglia. Edward era il più veloce di tutti. Poteva farcela.

    Ero davvero lieta che avesse mandato via Seth. Certo, non c'era nessuno a cui potesse chiedere aiuto. Victoria aveva scelto alla perfezione il momento in cui agire. Se non altro, Seth era al sicuro. Quando pensavo il suo nome, non riuscivo a immaginare il grosso lupo a pelo chiaro ma soltanto il goffo quindicenne.

    Il corpo di Edward scattò con un movimento quasi impercettibile, che mi fece capire dove guardare. Fissai le ombre nere della foresta.

    Fu come vedere i miei incubi che mi venivano incontro per salutarmi.

    Due vampiri affiorarono lenti nella piccola radura in cui ci eravamo accampati, occhi scrutatori a cui non sfuggiva nulla. Scintillavano come diamanti sotto il sole.

    Riuscivo a malapena a fissare il ragazzo biondo […] . I suoi occhi però, di un rosso più acceso di quanto avessi mai visto, non erano in grado di catturare i miei. Benché fosse il più vicino a Edward, il pericolo più immediato, non riuscivo a preoccuparmene.

    Perché al suo fianco, a distanza di qualche metro da lui, Victoria mi fissava.

    I suoi capelli rosso arancio erano più accesi di quanto ricordassi, somigliavano a vampe di fuoco. Non c'era vento, ma la fiamma che le incorniciava il viso sembrava ondeggiare delicatamente, come fosse viva.

   I suoi occhi erano neri per la sete.

  Non sorrideva come faceva nei miei vecchi sogni: teneva le labbra in una linea dritta. C'era un che di felino e spiazzante nella posizione del suo corpo, come una leonessa in attesa di spiccare il balzo in uno spiraglio della vegetazione.

    Il suo sguardo inquieto e selvaggio saltava tra Edward e me, senza soffermarsi mai su di lui per più di mezzo secondo. Non riusciva a staccare gli occhi dal mio volto più a lungo di quanto io riuscissi a ignorare il suo.

    Irradiava una tensione quasi visibile nell'aria. Sentivo il desiderio e la passione che la assediavano e consumavano. Quasi come se potessi leggere nella sua mente, sapevo cosa pensava.

    Aveva quasi raggiunto ciò che desiderava: ciò che da oltre un anno a quella parte era il centro della sua esistenza era adesso vicinissimo.

    La mia morte.

    Il suo piano era tanto ovvio quanto efficace. Il ragazzone biondo avrebbe attaccato Edward. E, nel momento in cui lui sarebbe stato maggiormente distratto, Victoria mi avrebbe finita.

[…]    Il ragazzo biondo guardò Victoria con la coda dell'occhio, in attesa di un ordine.

    Era giovane per tanti motivi. A giudicare dalle sue pupille luccicanti, non era vampiro da molto. Era forte, ma anche incapace. Edward sapeva senz'altro come contrastarlo.

[…]    Victoria indicò Edward e senza parlare ordinò al ragazzo di procedere.

    «Riley», disse Edward in tono dolce e implorante.

    Il biondo restò immobile e strabuzzò gli occhi.

    «Ti sta mentendo, Riley», disse Edward. «Ascoltami. Ti sta mentendo come ha mentito agli altri che muoiono nella radura. Sai bene che ha mentito loro, che ha costretto te a mentire loro, perché non ritornerete a soccorrerli. È tanto difficile credere che abbia mentito anche a te?».

    La confusione s'impossessò del volto di Riley.

    Edward si spostò di lato, pochi centimetri, e Riley compensò automaticamente il movimento assecondandolo.

    «Non ti ama, Riley». La voce morbida di Edward era seducente, quasi ipnotica. «Non ti ha mai amato. Il suo vero amore si chiama James, e tu non sei altro che uno strumento nelle sue mani».

    Al nome di James, una smorfia scoprì il ghigno tra le labbra di Victoria.

    Non staccava gli occhi dai miei.

    Il giovane vampiro lanciò uno sguardo disperato verso di lei, ma Edward continuò a parlargli con voce soave attirando di nuovo la sua attenzione.

    «Sa che ti ucciderò, Riley. Lei vuole che tu muoia, in modo da smetterla con questa commedia. Sì, te ne sei accorto, vero? Hai letto i dubbi nei suoi occhi, sospettato di quel tono falso nelle sue promesse. Non ti ha mai desiderato. Ogni bacio, ogni carezza, era una bugia».

    Edward si mosse di nuovo, qualche centimetro verso il ragazzo, qualche centimetro più lontano da me.

    Victoria puntò lo sguardo verso lo spazio che ci separava. Le sarebbe bastato meno di un secondo per uccidermi… non appena avesse avuto il minimo margine di possibilità.

[…]    «Il bugiardo è lui, Riley», disse Victoria, e restai a bocca spalancata, scioccata dal suono della sua voce. «Ti ho già parlato dei loro trucchetti mentali. Io amo solo te, lo sai».

    La sua voce non era il ruggito felino vigoroso e selvatico che avrei associato

a quel volto e a quel portamento. Era delicata, stridula, un tintinnio infantile da soprano. Il genere di voce che di solito va a braccetto con ricci biondi e chewin-gum rosa. Era assurdo che uscisse dai suoi denti scoperti e scintillanti.

    Riley serrò la mascella e tese le spalle. I suoi occhi si svuotarono della confusione e del sospetto. Di tutti i pensieri. Raccolto, si preparò ad attaccare.

   Il corpo di Victoria sembrava tremare dalla tensione. Le sue dita erano già artigli, in attesa che Edward si allontanasse di un solo centimetro da me.

    Il ringhio non giunse da nessuno di loro. Una sagoma scura e immensa volò al centro dello spiazzo e gettò Riley a terra.

    «No!», strillò Victoria, la sua voce infantile lacerante e incredula.

    A un metro e mezzo da me, un lupo enorme faceva a brandelli il vampiro biondo. Qualcosa di bianco e duro rimbalzò sulla roccia ai miei piedi.

    Me ne allontanai, disgustata.

    Victoria non degnò di uno sguardo il ragazzo al quale aveva appena dichiarato il proprio amore. I suoi occhi erano sempre su di me, pieni di un malessere così feroce da farla sembrare in preda alla confusione.

    «No», ripeté, a denti stretti, mentre Edward le si avvicinava, sbarrandole la strada.

    Riley si era rialzato, sembrava curvo e scoordinato, ma a sorpresa riuscì a mollare un calcio contro la spalla di Seth. Sentii l'osso spezzarsi. Seth si ritrasse e iniziò a camminare in circolo, zoppicante. Riley aveva allungato le braccia, pronto, malgrado l'apparente perdita di un pezzo di mano…

    A pochi metri da quel combattimento, Edward e Victoria danzavano.

    Dal petto di Edward provenì una risata tenebrosa.

    «Se ti dicessi che Bella non è più mia e la considerassi una bugia, faresti un grosso sbaglio. Mia cara Victoria», sibilò.

    Per un istante lessi lo stupore negli occhi assetati della vampira.

    Riprese a guardare me ed Edward con un’ombra di reale confusione.

    «Sta con i lupi adesso. Sapevi che quella è solo una forma che assumono in momenti come questi? In realtà, sono esseri umani, e Bella sta con uno di loro. Non più con me», proseguì Edward.

    Il viso di Victoria si sbilanciò, e spalancò occhi e bocca.

    Ma le bastò meno di un battito del mio cuore per ricomporsi, e la sua voce scampanellò di una risata deliziosa quanto minacciosa.

    «Credi che cambi qualcosa? Tu sei qui insieme a lei, ciò dimostra che c’è ancora un certo legame. A meno che, non ti importi di vederla morire», disse.

    «Certo che mi importa, e so che non cambierà nulla. Volevo solo tenerti informata», disse Edward morbido, come se stesse giocando con lei.

    Victoria smise di ridere, mentre gli occhi intrisi di delusione di Riley la fissavano.

    «Victoria…cosa stai dicendo?», sussurrò il vampiro biondo.

    Victoria serrò i denti, ma non rispose.

    Si era tradita da sola.

    «Ci sei arrivato Riley. Ti ha reso un mostro assetato di sangue per vendicare la morte di colui che amava. Per mandarti a morire e uccidere una semplice umana che non ha alcuna colpa. Se non quella di essere amata da me. Perché sono stato io, ad uccidere il suo James», rivelò Edward, aprofittando del momento.

    Gli occhi di Riley bruciavano di vendetta, gridavano la morte della sua creatrice.

    In quello stesso breve istante la danza s'interruppe bruscamente. Poi tutto accadde in fretta, senza che potessi riordinare la sequenza degli eventi. Cercai di ricostruirla mentalmente.

    Riley si scagliò contro Victoria,     Seth si lanciò in avanti con la forza di una palla d'acciaio, a fauci spalancate sul corpo mutilato di Riley. Victoria si lasciò distrarre dall’improvviso attacco del compagno.

    Ed Edward ne approfittò.

    Con un balzo felino l’acchiappò per le fiamme ardenti dei suoi capelli e la immobilizzò.

    La bocca di Edward le passò sul collo, leggiadra come una carezza. Il chiasso stridulo dell'impresa di Seth copriva ogni altro rumore, perciò non c'era altro suono a sottolineare la violenza di quell'immagine. Sembrava quasi la stesse baciando.

    Eppure, il groviglio di capelli infuocati non era più attaccato al resto del corpo. Le onde inquiete d'arancio caddero a terra e rimbalzarono una volta, prima di rotolare verso gli alberi.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Promesse e Bugie ***


Hai ragione Miss, mi son dimenticata di rispondere a quella domanda, scusa xD. Dunque la risposta purtroppo è no ù___ù, ma c’è un “però”. Avevo iniziato a scrivere una sorta di continuo (che non è nemmeno corretto definirlo così ma non posso spiegarmi meglio, altrimenti rischio lo spoiler xD), ma non l’ho finito. Ufficialmente la mia saga finisce al cap. 26, ma c’è quel mezzo capitolo incompiuto che posterò lo stesso. Comunque ti ringrazio tantissimo dei complimenti, e mi dispiace che per un po’ non potrai leggermi, però in un certo senso sarai fortunata perchè quando rientrerai potrai leggere tutti i capitoli, compreso questo mezzo che ti ho detto ^___^.

 ***********************************************************************************************************************************************************

Ely sai che non te lo so dire? O__o Avevo visto che davano dei punti a chi recensiva con più di 50 parole, ma degli autori non so nulla. Sinceramente non mi frega di accumulare punteggi xD, mi interessa solo che esprimiate il vostro parere riguardo la mia storia ^___^. Mi importa sapere se vi piace, non certo accumulare punteggi che non saprei nemmeno come utilizzare xD. Ringrazio infinitamente anche te per i complimenti, sono felicissima che continuino a piacerti le mie modifiche ^___^. In effetti mi chiedevo perché l’Edward originale non avesse raccontato meglio a Riley come stavano le cose…non gli aveva detto che aveva ucciso James. Tutto il suo discorso avrebbe avuto più senso e magari Riley gli avrebbe creduto. Mah, ennesimo mistero della Meyer ù___ù, che mi è toccato risolvere >___>.

Riguardo la scena dell’addio, l’ho resa bene perchè in quel momento mi sentivo esattamente come lei! L’idea di lasciare che rischiasse la vita, che si facesse del male o che non potesse tornare…immaginarlo davvero se fossi stata in Bella…è un’idea che sul serio mi distruggeva. Anche quando si era affettato la mano con il coltello, ho fatto provare a Bella quello che ho provato io: intolleranza totale al dolore di Jacob. Lo so è assurdo, ma davvero non sopporto di vederlo soffrire. Non ho ancora visto Eclipse al cinema e so che mi verrà voglia di entrare dentro lo schermo per curalo e confortarlo T____T.

 ************************************************************************************************************************************************************

Marphy, come al solito sei attenta ai particolari e ti adoro anche per questo ù___ù. Nell’originale Edward non fa che nascondere le proprie emozioni dietro la famosa “espressione indecifrabile” o “neutra”. Solo in BD si sbilancia quando si apparta insieme a Jacob per proporgli di passare una notte d’amore con Bella “tanto per proceare” come dice Jake (quella parte mi fa morire dalle risate xD). Mi rendo conto che nella mia rivisitazione, Eddy prova più sofferenza di quella che vorrebbe dare a vedere, ma era impossibile pensare che in una situazione del genere, facesse finta di niente pur di non preoccupare Bella. Lei ha scelto un altro, non può non avere rimpianti o non soffrire, ed era troppo stressante anche per me nascondergliele perennemente dietro la sua faccia da poker. Forse è per questo che a qualcuna comincia a piacere, perché mostro le sue emozioni.

 *************************************************************************************************************************************************************

Un bacione a tutte, mie carissime e specialissime lettrici ^___^ e ancora grazie per i vostri complimenti *___*. Vi lascio ad altri due capitoli. Kiss!!

 

(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Mi costrinsi a puntare altrove lo sguardo, impietrito dallo stupore, per non esaminare troppo attentamente l'oggetto ovale avvolto in tentacoli di capelli tremanti e infuocati.

    Edward si era rimesso in moto. Svelto, freddo e assorto, smembrò il corpo decapitato.

    Insieme al lupo Seth, trasportarono i resti semoventi di Riley e Victoria in un cumulo di aghi di pino, rami e foglie secche, per appiccarvi il rogo.

    Il fuoco scatenato soffiava verso il cielo una colonna purpurea e soffocante. Il fumo si avvolgeva lento e denso, quasi più solido della norma; odorava di incenso, un aroma inquietante.

    Era pesante, troppo forte.

    Seth ripeté quel suono ridacchiante, dal profondo del petto.

    Un sorriso spuntò sul volto teso di Edward.

    Edward allungò un braccio, stringendo il pugno. Seth sorrise, mostrando la lunga fila di denti aguzzi, e sfregò il naso contro la mano di Edward.

    «Bel lavoro di squadra», mormorò Edward.

    Seth tossì una risata.

    Poi Edward riprese fiato e si voltò lento verso di me.

    Non capivo la sua espressione. I suoi occhi erano attenti, come fossi un altro nemico… Più che attenti, erano impauriti. Eppure non aveva mostrato alcun timore nell'affrontare Victoria […] . La mia mente era sorpresa, indecisa e inerte come il mio corpo. Lo fissavo sconvolta.

    «Bella», disse con il massimo della soavità, camminandomi incontro con lentezza esagerata, le mani alzate, il palmo rivolto a me. Sconvolta com'ero, mi ricordò la strana immagine di un sospetto che si avvicina al poliziotto per dimostrare di non essere armato…

[…]    «Non avere paura, Bella», mormorò. «Sei salva. Non ti farò del male».

    Quella promessa mi disorientò e non fece che confondermi ulteriormente. Restai a guardarlo come un'imbecille, sforzandomi di capire.

    «Andrà tutto bene, Bella. So che adesso hai paura, ma è finita. Nessuno ti farà del male. Non ti sfiorerò nemmeno. Non ti farò del male», ribadì.

    Sbattei gli occhi, furiosa, e ritrovai la voce. «Si, lo so però…non sono molto abituata a queste scene cruenti. Tu stai bene? Seth, stai bene?», domandai con improvvisa apprensione.

    Nella mia testa rimbombava ancora lo scricchiolio dell’osso di Seth.

    Edward sorrise, lievemente rilassato. «Si, Victoria non ha fatto in tempo a sfiorarmi. Anche Seth sta più che bene. Anzi, pare molto soddisfatto di sé». Poi si rivolse a lui, premuroso. «Dovresti farti curare da Carlisle, altrimenti la spalla si salderà male».

    Seth annuì più volte.

    Era su di giri. Irradiava compiacimento da ogni singolo pelo.  […]    «Gli altri? Jacob? Alice? Esme? Gli altri lupi?».

    «Tutti bene. Anche giù è finito tutto. È andata liscia come ti avevo promesso. Il peggio è stato qui».

    Per un istante lasciai che l'idea mi entrasse bene in testa e si depositasse con calma.

    Improvvisamente, Edward lanciò un'occhiata a Seth, come se lui lo avesse chiamato.

    «Cosa sta facendo?», domandò Edward.

    Seth emise un mugolio ansioso, irrequieto. Mi fece rizzare i peli sulla nuca.

    Per un secondo senza fine tutto fu muto come una tomba.

    Poi Edward esclamò: «No!», e con una mano afferrò di scatto qualcosa di invisibile. «Non farlo!».

    Uno spasmo scosse il corpo di Seth e dai suoi polmoni irruppe un ululato straziante, pieno di dolore.

    In quello stesso momento Edward cadde in ginocchio, la testa stretta tra le mani, il volto corrugato in un'espressione di dolore.

    Lanciai un urlo, sorpresa e terrorizzata, e m'inginocchiai accanto a lui. Feci il tentativo, stupido, di levargli le mani dal volto; le mie, viscide di sudore, scivolavano sulla sua pelle di marmo.

    «Edward! Edward! Cosa succede? Cosa è successo?», strillai nel panico.

    Questa volta era accaduto qualcosa.

    I suoi occhi puntarono su di me; con uno sforzo palese rilassò i denti serrati.

    «Tutto a posto. Andrà tutto bene. È tutto…». S'interruppe ed ebbe un altro fremito.

    «Che succede?», urlai, mentre Seth ululava disperato.

    «Va tutto bene. Andrà tutto per il meglio», sbottò Edward. «Sam… aiutalo!».

    «No! Non è vero! Ormai non mi imbrogli più! Chi è? Dimmelo!», ma i miei occhi erano già inondati di lacrime.

    La sua reazione improvvisa aveva gridato il suo nome a squarciagola.

    Ogni cellula del mio corpo, aveva capito.

    Quando vidi le sue labbra muoversi per rispondere, mi tappai le orecchie e scoprì i denti in una reazione istintiva.

    «Jacob», sussurrò con un filo di voce.

    Un’improvvisa e spaventosa ondata di dolore, m’investì con la forza di un uragano.

    Strizzai gli occhi e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo.

    La voragine si riaprì lacerandomi il petto, mentre il mio grido straziato rimbombò tra gli alberi e la parete rocciosa della montagna.

    «Bella, ti prego, calmati!», disse Edward scosso dalla mia reazione violenta. Mi prese le mani tremanti e le staccò dalla mia faccia con facilità e delicatezza. Tutto il mio corpo tremava come in balia di un terremoto. «E’ solo ferito, non è morto! E’ vivo! Jacob è vivo!».

    Riaprì gli occhi ma vedevo tutto sfocato, e il mio viso era deformato da tormento e sofferenza.

    «Vivo? Jake è…è vivo?», balbettai quasi senza voce. L’avevo sprecata tutta urlando.

    «Si! E’ solo ferito, Bella. Starà bene, sta già guarendo. Carlisle è con lui», mi disse.

    Ricominciai a respirare e rilassai i muscoli della faccia, mentre dondolavo come se volessi svenire. Sapere che il mio Jacob era ancora vivo, fu sufficiente a rimarginare la ferita, che si era riaperta dentro di me.

    Guariva si, ma con estrema e insopportabile lentezza.

    Finchè non lo avessi visto con i miei occhi respirare ancora, la mia lacerazione avrebbe tardato a richiudersi.

    Edward mi tenne ferma prima che crollassi sul manto di neve, e lanciò un’occhiata fulminea all’enorme lupo.

    «Seth!», gridò.

    Seth era rannicchiato, sempre teso e agonizzante, quasi pronto a lanciarsi nella foresta.

    «No!», ordinò Edward. «Tu vai dritto a casa. Subito. Più veloce che puoi!»

    Seth emise un guaito e scosse la grossa testa.

    «Seth, fidati! Porta via Bella con te!», poi si rivolse a me con il volto contratto dall’angoscia. «Bella, Seth deve portarti via. Stanno arrivando i Volturi e non devono assolutamente trovarti!».

    «I Volturi?», ripetei inebetita. «Oddio, i Volturi!», gridai riprendendomi dallo shock.

    Barcollai fino a Seth, ed Edward mi aiutò a salirgli in groppa.

    «Reggiti forte Bella! Seth, corri!», incitò.

    L'enorme lupo guardò negli occhi Edward per un lungo istante, e subito si drizzò e volammo tra gli alberi, scomparendo come fantasmi.

    Mentre sfrecciavamo nella foresta, mi chiedevo cosa sarebbe successo nella radura, ora che erano arrivati i Volturi.

    Non avevo rivisto nemmeno Alice, Esme, Rosalie e gli altri. Non sapevo se stavano bene, o se erano feriti anche loro.

    Non sapevo come avrebbero reagito i Volturi, trovando i Cullen in mezzo a quella carneficina. Come l’avrebbero giustificata, e cosa faranno i lupi appena si avvicineranno?

    Sperai che non si scatenasse su due piedi un’altra guerra.

    Mi sentivo la testa pressata da mille preoccupazioni.

    Ma il pensiero di Jacob, ferito, senza sapere in che condizioni lo avrei trovato e che cosa fosse successo, mi faceva impazzire. Almeno lui, potevo rivederlo.

    Lo squarcio nel mio petto doveva richiudersi in fretta. Non ero più disposta a soffrire in quel modo.

    «Seth, per favore portami da Jacob».

    Seth emise un ruggito ed annuì, aumentando la sua folle corsa verso La Push.

 ************************************************************************************************************************************************

    Arrivammo nei pressi della riserva dei Quileute, e Seth mi fece scendere dalla sua schiena color sabbia. Gli ululati straziati del lupo erano sempre più forti e vicini, cercai di tapparmi le orecchie ma era inutile.

    Ignorarli era impossibile, ascoltarli era insopportabile.

    Jacob soffriva. Io soffrivo l’eco del suo stesso dolore. Ma era vivo, lo era davvero.

    Seth mi lasciò sola e andò a nascondersi tra i cespugli.

    Doveva riprendere le sue sembianze umane, e non poteva farlo davanti a me.

    «Bella, stai bene?», gridò Seth spuntando dal nulla e facendomi prendere un colpo. Anche lui, come gli altri, portava solo un paio di bermuda.

    «Si, Seth, e tu? Sei ferito? La spalla?», mi avvicinai a lui per controllarlo. Sembrava non avesse niente.

    Un altro ululato squarciò l’aria in mille pezzi.

    «E’ Jake. Sam cerca di farlo ritrasformare, ma in quelle condizioni è difficile e doloroso. Io sto bene, nulla di grave. Più tardi mi farò vedere da Carlisle, come ha detto Edward. Ma chi sono i Volturi?», domandò con la sua aria ingenua da ragazzino.

    Era il primo licantropo che chiamava i Cullen con i loro nomi.

    «E’ una lunga storia. Sono molto potenti e governano la vita dei vampiri. Se venissero a sapere che conosco i loro segreti, mi ucciderebbero».

    A quelle parole Seth trasalì.

    «Seth, ora vai a casa. Io devo andare da Jake, devo vederlo. Voglio essere li quando lo ripoteranno», dissi avviandomi a lunghi passi verso la casa rossa sbiadita, stando attenta a non inciampare tra le sporgenze dal suolo erboso.

    «No, vengo con te. Anch’io voglio vederlo. Carlisle ha mandato via il resto del branco perché non avremmo dovuto attaccarli, anche se non c’è alcuna tregua con loro. Ha detto che andrà da lui appena avranno finito nella radura, e mi farò dare una controllatina. Sam gli ha dato il permesso di entrare nella riserva per venirci a curare», ribattè il piccolo Seth.

    Bene, forse non si sarebbe scatenata un’altra battaglia, se i lupi non si fossero trovati faccia a faccia con i Volturi.

    Anche Seth era preoccupato per Jake, lo ammirava e gli somigliava tantissimo.

    «Va bene, andiamo allora», dissi e ci incamminammo fuori dal bosco, mentre il lupo continuava a ululare.

    Fortunatamente non trovammo l’auto della polizia di mio padre, probabilmente non erano ancora rientrati dalla battuta di pesca. Di sicuro gli ululati avevano raggiunto il lago in cui erano andati, e Billy avrà capito. Sarebbero arrivati tra poco, e io mi sarei dovuta nascondere per non farmi scoprire da Charlie.

    In compenso trovai gli altri licantropi, fuori casa di Jacob.

    C’erano tutti, esclusi Sam e Paul.

    «Ragazzi, state tutti bene? Cos’è successo?», domandai in preda all’agitazione. Sembravano tutti in forma smagliante.

    «Tutti bene, a parte Jacob, e se vuoi sapere perché ha metà delle ossa del corpo sbriciolate, chiedilo a Leah», rispose Jared indicando la ragazza appoggiata allo spigolo della facciata di legno rosso.

    Quella rivelazione, calmò un minuscola parte di me. Almeno non aveva perso un braccio o una gamba.

    Osservai il viso duro e bellissimo di Leah, guadare un punto imprecisato dell’orizzonte, con le braccia incrociate e le sopraciglia aggrottate.

    «Leah, ma che ti è saltato in mente?», la rimproverò Seth.

   Leah si voltò di scatto e lo incenerì con i suoi occhi neri come il carbone.

    «Chiudi il becco, moccioso!», sputò.

    Mi avvicinai lentamente a Leah, cercando di mantenere un’aria pacifica, e una certa distanza. Un altro ululato mi fece venire un brivido lungo la schiena.

    Era vicinissimo.

    «Leah, cos’è accaduto? Sta tranquilla non ce l’ho con te. Voglio solo sapere come sono andate le cose».

    Leah continuava ad ignorarmi, ma il suo viso tradiva un’ampio ventaglio di emozioni. Dispiacere, arroganza, rabbia, risentimento, poi di nuovo dispiacere. Ma non rispose.

    «Uno di quei vampiri si è nascosto», spiegò Seth, fissandola con aria di disapprovazione. «E questa sorella stupida che mi ritrovo lo ha attaccato da sola! Jake è dovuto intervenire per aiutarla, ed ecco il risultato! Cosa volevi dimostrare? Che sei forte quanto noi?», domandò Seth con un misto di preoccupazione e rabbia.

    Altrochè se ce l’aveva con lei.

    Improvvisamente gli ululati s’interrupero, e al suo posto udì in lontananza una voce umana gridare un’infinità di imprecazioni.

    Jake era riuscito a ritrasformarsi.

    Leah incenerì di nuovo Seth, mentre le sue braccia ramate e toniche tremavano. «Seth, ti ho detto di stare zitto!», sibilò.

    «Basta voi due!», gridò una voce familiare, richiamando la nostra attenzione.

    Sam e Paul stavano a pochi passi da noi, e trascinavano Jacob sulle spalle.

    Metà del suo corpo era pieno di ecchimosi orribili, il braccio e la gamba rigonfi per le ossa spezzate.

    Mi sentì sbiancare, nel vederlo così malridotto e urlante.

    Cercai di distrarmi dalle sue ferite e mi concentrai su un dettaglio, la cui assenza mi era saltata all’occhio: l’anello di Billy.

    Non era più appeso al suo collo.

    «Carlisle gli ha dato della morfina, ma il calore la consuma in fretta. Dovrà dargliene ancora», spiegò calmo Sam, vedendo i miei occhi angosciati puntati su Jacob.

    «Grazie Sam, per aver dato il permesso a Carlisle. È un ottimo medico, e lo aiuterà a guarire», pronunciai piena di sincera gratitudine, mentre li accompagnai dentro.

    Jake si sforzò di calmare le urla per rivolgersi a me con il viso contratto. Da qualche parte trovò la forza di abbozzare un sorriso.

    «Bells», mormorò a denti stretti. «Hai visto? Ho mantenuto la promessa», disse mentre Sam e Paul lo portarono dentro e lo adagiavano sul letto, prima di lasciarci da soli. Trattenne un altro urlo.

    Combattei contro le lacrime di gioia e tenerezza che volevano scendere con tutta la loro forza, e cercai di stiracchiare un sorriso.

    Ormai la mia ferita si era richiusa appena incrociai di nuovo i suoi occhi.

    «Questo ti sembra il modo di tornare?», ribattei, ma la felicità sminuì il mio rimprovero.

   Jake tossì una risata, poi trattenne un’imprecazione.

    «Bells, ti prego non farmi ridere, altrimenti ci resto secco», disse stringendo i denti e gli occhi.

    Non feci in tempo ad inginocchiarmi ai piedi del letto, che entrò Carlisle. Dietro di lui, Sam lo seguì nella piccola stanza di Jacob, ormai sovraffollata.

    Era calmo, ma il suo sguardo scrutava i movimenti del vampiro con molta attenzione.

    «Bella, mia cara stai bene?», domandò Carlisle con tono gentile e preoccupato. Posò la sua borsa di pelle per terra e si chinò su di me.

    Jacob lo guardò di sottecchi, diffidente e immobile. Lanciava fugaci sguardi a Sam, che teneva tutto sottocontrollo.

    La tensione era palpabile, ma non c’era alcun pericolo. Carlisle era il vampiro più buono del mondo.

    «Si, benissimo. Sono felice che anche tu stia bene, che tutti stiate bene e che tu sia qui».

    «Sono felice di rendermi utile», mi disse Carlisle. Poi si voltò e si rivolse a Sam con infinita riconoscenza nella voce. «Senza il vostro aiuto non ce l’avremmo fatta. Saremo in debito con voi per l’eternità», promise solenne.

    Sam annuì lentamente con il capo, in segno di rispetto e lealtà.

    «Non dimenticheremo questa alleanza. Farà parte della nostra storia, e verrà trasmessa alle future generazioni di licantropi. Tengo comunque a ribadire, che i termini del patto restano indiscutibili», chiarì Sam.

    «Certo, su questo non avevamo dubbi. La mia presenza è solo per comodità temporanea, ed è la cosa migliore in questo momento», replicò fermo Carlisle.

    Intanto Jake sembrava rilassare lentamente il viso, come se si stesse già riprendendo. D’improvviso spalancò gli occhi e incurvò le sopraciglia.

    «Maledizione, l’ho perso!», strillò battendosi sotto il collo con la mano sana. «Accidenti! Porca miseria! Bells, cavolo mi dispiace, ho perso l’anello! Billy mi ammazza!», disse agitato e delirante.

    «Jacob, non ti muovere. Rischi che una costola ti perfori un polmone», lo avvertì Carlisle. Quindi si era rotto anche le costole.

    La testa riprese a girare.

    Jake ributtò la testa sul cuscino, guardandomi con una smorfia in un misto di dolore e dispiacere.

    «Sta calmo Jake, Billy non si arrabbierà con te. Adesso devi stare tranquillo, ci penseremo quando starai meglio», dissi cercando di calmarlo e tenendogli la mano sana.

    Jake sospirò, ma non riuscì a rilassarsi completamente. Le sopraciglia ancora lievemente increspate.

    «Come mai ci avete mandato via? Avete detto che stavano arrivando dei vostri amici», domandò Sam.

    «Nel nostro mondo sono conosciuti come Volturi», spiegò Carlisle mentre si inginocchiava ai piedi del letto di fianco a me e aprendo la borsa. «Vecchi e potenti amici. Non devono sapere che un umano è a conoscenza della nostra esistenza. Ma Bella è salva, non vi dovete preoccupare».

    Poi si rivolse al suo paziente malandato. «Ora devi stare fermo Jacob, hai bisogno di molta morfina. Devo fare delle prove, il tuo calore la brucia in fretta», disse estraendo una decina di fialette, alcuni lacci emostatici ed una siringa.

    Quando Carlisle prese il suo braccio per tenerlo fermo, Jake ebbe un brivido e lo ritrasse d’istinto.

    Sbraitò un imprecazione irripetibile per il dolore.

    «Jake!», lo sgridai. A volte sembrava proprio un bambino capriccioso, e io la mamma che lo rimproverava. «Non si dicono queste cose! Sta fermo e fa come dice Carlisle».

    Jake strinse i denti con un sospiro che somigliava ad un ringhio, e si fece iniettare la bomba anestetica in un braccio.

    «Bells», sussurrò con voce già impastata dall’effetto immediato della morfina.

    «Sono qui, Jake», dissi stringendogli la mano del lato integro ed accarezzandogli i capelli scompigliati.

    «Non andare…via…resta…», borbottò.

    La presa della sua mano sulla mia allentò, chiuse gli occhi prima che potessi rispondere e perse conoscenza.

    «Resto qui, Jake. Resto qui con te», sussurrai baciandogli la mano calda.

    «Si rimetterà presto, Bella. Non devi preoccuparti», rassicurò Carlisle con un dolce sorriso. «Sta guarendo a velocità incredibile, ma purtroppo le ferite sono talmente estese che anche a questo ritmo impiegherà qualche giorno, prima di tornare del tutto sano».  […]

    «Guarirà del tutto?», domandai.

    «Sì, Bella. Non resteranno danni permanenti».

    Feci un respiro profondo.

    «Com’è andata con i Volturi? C’era Aro?».

    Carlisle scosse la testa e si fece serio, mentre Sam rimase in silenzio ad ascoltarci.

   «No, fortunatamente. C’erano cinque delle sue guardie più fidate e temibili. Avevamo lasciato in vita una giovanissima neonata, si era arresa. Jane, una degli assi nella manica di Aro, l’ha interrogata prima di finirla», raccontò Carlisle mentre sistemò le ossa di Jake con strane e agghiaccianti manovre.

    Il rumore delle ossa che si rimettevano apposto, mi dava la nausea.

    Fortuna che non era sveglio, altrimenti lo avrebbe azzannato…

    Il bellissimo volto di marmo, mostrò una piccola ruga sulla fronte argentea. Carlisle era molto addolorato per la sorte della giovane vampira.

    «Jane è rimasta impressionata dal numero di neonati abbattuti. L’assenza dei lupi le hanno fatto credere che li avessimo eliminati noi. La giovane, che si chiamava Bree, ha detto che il loro compito era di distruggerci, per impossessarsi del territorio. Victoria riferì che ci avrebbero trovati se avessero seguito il tuo odore».

    Strabuzzai gli occhi e venni colta dal panico.

    «Bree mi ha nominata? I Volturi sanno di me?», balbettai.

    Speravo che la morte di Victoria avesse segnato la fine dei miei incubi. Ma ovviamente mi sbagliavo. Del resto, si parlava di me.

    «Si. Abbiamo dovuto dire che eri una nostra cara amica, ma ti abbiamo spacciata per morta, e pare che Jane ci abbia creduto. Ma sono sicuro che riferirà ad Aro, Marcus e Caius ogni parola pronunciata. Non sono certo che ci caschino anche loro, ma lo spero dal più profondo del cuore».

    «Cosa gli avete raccontato?».

    Carlisle nel frattempo consumò circa dodici grossi rotoli di bende, fasciando l’enorme corpo fratturato di Jake.

    «Bree ha rivelato che Victoria e Riley erano andati alla vostra ricerca, e che sarebbero tornati dopo per aiutarli. Non sapeva che vi aveva trovati e che con voi c’era anche Seth. Quindi Edward ha potuto improvvisare la bugia. Edward ha detto che Riley era li appositamente per attaccarlo e tenerlo occupato, mentre Victoria ti ha uccisa. Hanno sentito il tuo urlo in lontananza, il che ha fornito una prova abbastanza convincente. Ha pensato che ti stessero uccidendo. Il tuo corpo martoriato giace tra le fiamme vicino al vostro accampamento, per coprire la tua scomparsa. Jane ha creduto ad Edward, si è tranquillizzata nell’apprendere che l’umana che sapeva di noi, era già deceduta», raccontò.

    «Bene, quindi sono morta, e ora sto bruciando insieme a Victoria e Riley. Ottimo bluff», dissi con un misto di incredulità e sollievo.

    «E ottima recita», aggiunse Carlisle con un sorriso.

    Si, Edward era un bravo bugiardo. Per una volta, questa sua capacità aggiuntiva mi aveva salvata senza farmi soffrire.

    Guardai il viso sereno di Jacob, mentre dormiva profondamente, senza provare dolore. Finalmente era tutto finito, nulla ci avrebbe più fatto del male.

    Forse.

    «Ma se non dovessero credere a questa versione? Se pensassero che fosse tutta una messa in scena? Cosa faremo?», domandai.

    Carlisle ci pensò un po’ su, mentre rimetteva apposto i suoi strumenti da lavoro. Sam non si perdeva una parola, mi ero quasi dimenticata della sua costante e vigile presenza.

    «Qualcosa ci verrà in mente. Jane non ti ha mai vista in faccia, e nè lei né le altre guardie più dotate conoscono il tuo odore. Potremmo sfruttarla come una seconda opportunità. Far finta che tu sia una semplice amica, che ci considera normali esseri umani. Se poi Aro verrà di persona a verificare, dovremmo concentrarci ed eliminare la verità dai nostri pensieri. Quella sarebbe l’unica cosa più complessa. In ogni caso avremmo il tempo di prepararci. Alice saprà se e quando prenderanno una simile decisione».

    «State correndo un rischio enorme. Se solo potessi fare qualcosa», dissi. Sembrava che i miei incubi non potessero mai avere fine.

    «Bella, tu hai fatto tantissimo per noi. Purtroppo questo è il nostro mondo, non è colpa tua. Ci occuperemo noi dei Volturi, sempre che si insospettiscano. Jane ha creduto al tuo urlo e alla nostra versione dei fatti, e questo ci da molta speranza», rassicurò Carlisle, posando la mano gelida sulla mia spalla per confortarmi.

    Chiusi gli occhi e sospirai. «Me lo auguro».

    Carlisle mi sorrise e si alzò in piedi prendendo la borsa, mentre Sam indietreggiò uscendo dalla stanza in silenzio. Senza mai dargli le spalle, ovviamente.

    «Jacob restarà incosciente almeno fino a domani. Suo padre e Charlie stanno per rientrare, e di certo non può vedere che guarisce a questi ritmi assurdi. Vuoi restare a vegliare su di lui?», domandò.

    «Si, certo. Resterò finchè non si sveglia», confermai di getto.

    «E Charlie? Lo lascerai da solo?», chiese. Tasto dolente.

    «Già, dimenticavo mio padre», grugnì. «Cercherò di tornare a casa, ma vorrei passare qui più tempo possibile. Mi piacerebbe che mi trovasse quando si riprenderà», dissi. Gli avrebbe fatto piacere, e io non volevo perdermi un suo improvviso risveglio.

    Carlisle sorrise comprensivo.

    «Va bene, come preferisci. Come giustificazione alla tua presenza qui, gli dirò personalmente che Jacob ha avuto un incidente in moto e che siamo rientrati in anticipo perché lo potessi curare. E tu da brava fidanzata premurosa, sei corsa subito da lui», suggerì con uno sguardo d’intesa.

    «Ed Alice mi è talmente amica che me lo ha lasciato fare senza protestare. Non troppo almeno», aggunsi immaginandomi la scena se fosse davvero andata così.

    Risi insieme a Carlisle.

    «Se hai bisogno di noi per qualsiasi cosa, chiamaci. In ogni caso verrò anche domani», disse mentre io e Sam lo accompagnammo fuori.

    «Certo, e vi ringrazio per avermi difesa. Io…vi voglio bene Carlisle, ve ne voglio talmente tanto che…», non trovai le parole, ed ero già in preda ai singhiozzi.

    Carlisle mi accarezzò dolcemente i capelli e mi sorrise.

    «Anche noi te ne vogliamo, Bella. Farai per sempre parte della nostra famiglia, tu per me sei come una figlia», sussurrò lieve. «Anche se il tuo cuore appartiene al lupo ammaccato laggiù», disse ridacchiando ed indicando il piedone allungato di Jacob che spuntava oltre la porta aperta della sua stanza.

    Soffocai un sorriso.

    Salutai Sam e Carlisle, che aveva intenzione di dare uno sguardo anche a Seth, e mi avviai verso la stanza a ricongiungermi con l’altra metà del mio cuore.

    Mi sentivo decisamente più rilassata. Era tutto finito.

    Sarei rimasta accanto al mio Jacob, e avrei chiamato Alice e gli altri per sentire come stavano. Ero grata a tutti loro, soprattutto ad Edward.

    Mi aveva salvata da Victoria e dai Volturi.

    Rubai un minuscolo frammento del mio cuore dalle mani di Jacob, e lo lasciai vagare oltre la soglia e oltre la foresta.

    Oltre i confini dei Quileute.

    Jake non se ne sarebbe accorto, e se lo avessi fatto ragionare, me lo avrebbe concesso. Magari avrebbe perdonato Edward di tutti i suoi errori.

    Con quella speranza, presi una sedia dalla cucina e la portai nella stanza di Jacob.

    Mi sistemai accanto al suo letto e lo osservai mentre russava leggero.

    Nel sonno, il suo viso disteso somigliava ad uno dei due bambini che avevo sognato la notte in cui mi baciò per la prima volta.

    Ricordai la sua decisione sul voler invecchiare con me, e costruire una famiglia insieme.

    Non avevo pensato a quel particolare dettaglio del nostro futuro. Era un passo importante, e l’idea di costringerlo a rinunciare al suo spirito di lupo mi rendeva inquieta.

    Ma forse era più una liberazione, che un castigo.

    Tra le mani, avevo la possibilità di guidarlo e sostenerlo nel riprendere il filo della sua vita e di intrecciarlo ancora di più alla mia. Avrei avuto un ruolo importante, nonostante la mia fragile e pericolosa umanità.

    Sarebbe diventato vecchio e grigio come me.

    Sarebbe morto.

    Sarei riuscita a concedergli di rinunciare alla sua eterna giovinezza, alla sua forza, alla sua splendida forma di lupo, per invecchiare e morire insieme a me? Se non glielo avessi permesso, avrebbe continuato ad amarmi una volta diventata vecchia?

    La stessa domanda che mi ero posta tanto tempo fa, quando avevo l’assurda idea di diventare una vampira.

    Per amore e insicurezza.

    Ma per quanto tempo poteva andare avanti così Jake?

    Prima o poi avrebbe smesso, altrimenti si sarebbe dovuto nascondere dal mondo, che non doveva sapere nulla dei lupi. Avrebbe dovuto condurre la stessa vita di un vampiro isolato, e così anche gli altri del branco.

    Non volevo che accadesse, non a lui.

    Ero persa nei miei pensieri, quando improvvisamente lo sentì borbottare qualcosa.

    Mi chinai e posai piano la testa sul cuscino. Con il viso vicino al suo, cercai di capire cosa stesse dicendo.

    Riprese a borbottare.

    «Bells, la mia piccola Bells», afferrai.

    Socchiusi gli occhi e sorrisi.

    Mi stava sognando.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Risposte ***


(Libro di riferimento: Eclipse)

 

 

    Naturalmente Billy non riuscì ad arrabbiarsi con il figlio, per avergli perso l’anello. Era dispiaciuto, ma l’orgoglio e la felicità di riaverlo a casa vivo e vittorioso, superava ogni amarezza.

    Billy mi aveva ospitata per la notte, con il benestare di Charlie che aveva cenato con noi, e mi offrì il proprio letto mentre lui avrebbe dormito sul divano.

    Non mi sarei mai permessa di fare una cosa simile, così protestai finchè lo convinsi a lasciarlo a me.

    Anche se la stanza di Jacob era accanto al piccolo soggiorno, quella distanza mi pesava. Non riuscivo ad addormentarmi, mi alzavo continuamente per vederlo mentre dormiva.

    Ma la salute di Jake non era la sola cosa che mi teneva sveglia.

    Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo lingue di fuoco e fumi densi dall’odore pesante d’incenso, levarsi minacciose tra gli alberi. E una testa incorniciata di capelli rossi e ondulati che rotolava verso il fondo valle.

    Mi alzai un’altra volta e mi trascinai veso la stanza di Jake.

    Mi accomodai sulla sedia che avevo lasciato accanto al suo letto. Mi sentivo più tranquilla se lo avevo vicino.

    Con il suo respiro regolare e pesante, l’aria indifesa e il calore che emanava, scacciava via tutti i miei orribili ricordi.

    Mi chinai allungando la schiena sulla sponda del letto, e piegai le braccia sotto la mia guancia. Posai la fronte sul suo braccio caldo e appesantito, e caddi in un sonno senza incubi.

    Qualcosa di caldo e leggero mi accarezzò i capelli, risvegliandomi dal mio torpore. Il sole era già alto, ma non era nel cielo, dove splendeva di solito.

    Era dentro questa stanza, davanti ai miei occhi assonnati.

    Il viso frastornato di Jake era scomparso, e al suo posto c’era un sorriso meraviglioso da spezzarmi il cuore.

    Lo baciai, senza nemmeno salutarlo, senza curarmi del disordine dei miei capelli, o dei segni della fede di Sarah e del braccialetto con il lupo di legno sulla guancia.

    «Ben tornato», bisbigliai, posando la fronte sulla sua e accarezzandogli i capelli sulla nuca.

    «Sei rimasta qui», sussurrò morbido e appagato.

    «Si. Quando voglio anch’io mantengo le promesse, Jacob Black», risposi.

    Rise e fece una smorfia indolenzita.

    Mi allontanai subito.

    «Come ti senti? Stai male? Prendo i tuoi tranquillanti», dissi agitata. Peccato che ovunque mettessi le mani, non li trovassi.

    «Sto bene, ho solo un po’ di dolenzia. Magari un po’ stordito», disse toccandosi la testa. Lo faceva con la mano con il braccio fratturato.

    Strabuzzai gli occhi e scattai in piedi.

    Gli presi il polso, che era l’unica parte del braccio che non fosse fasciato, e cercai di riabbassarglielo. Dovetti metterci un bel po’ di forza.

    «Sta fermo, o ti romperai di nuovo!», sbottai.

    Fece gli occhi al cielo, prese il mio braccio e mi fece sedere sul letto. Mi rannicchiai al suo fianco sano.

    «Sai qual è la cosa buffa?», domandò.

    «No, quale?».

   «Quando mi hai implorato in quel modo…bè…stavo quasi per restare li con te. Vederti così disperata per me, mi ha distrutto, ero completamente deconcentrato. Sam ha dovuto impedirmelo con un ordine Alpha, altrimenti stavo già tornando indietro», confessò.

    Rimasi a bocca aperta.

    «E cosa ci trovi di buffo?», domandai.

    «Che lo scontro più importante è stato dove c’eri tu e quel succhiasangue. Ora sarò costretto a ringraziarlo per averti salvata. Roba da matti», disse scuotendo la testa contrariato.

    «Bè, non muore nessuno se lo ringrazi. E poi ci hai aiutati lo stesso. Edward ha detto a Victoria che stavo insieme a te, si è tradita e Riley l’ha distratta attaccandola. È bastato perché Edward ne approfittasse», raccontai.

    «Favoloso, ora si che è tutta un’altra cosa», disse facendo gli occhi al cielo e una smorfia di disapprovazione. «Comunque forse è stato meglio così. Se fossi rimasto, Seth avrebbe dovuto prendere il mio posto, e non so cosa sarebbe successo se fosse intervenuto lui a difendere quella piantagrane della sorella», disse.

    Quel pensiero mi raggelò il sangue. Seth poteva non sopravvivere all’attacco del neonato.

    Avrei voluto prendermela con Sam, per non aver lasciato che Jacob tornasse da me, ma alla fine era stata la mossa migliore.

    Seth doveva essere protetto.

    «Ha avuto lo stesso il suo momento di gloria», mormorai.

    «Lo so. Ci farà la testa a pallone per settimane, lo dovremmo sopprimere noi», commentò ridacchiando.

    All’improvviso il suo stomaco cominciò a brontolare rumorosamente.

    «Hai fame», non era una domanda. Lo avrebbe sentito anche un sordo.

    «Da lupi», sorrise divertito da un modo di dire più che indovinato.

    «Ti preparo la colazione, forse si è svegliato anche Billy», proposi.

    Feci per alzarmi ma il mio polso era bloccato dalla sua mano calda.

    «Billy ha già fatto colazione. C’era persino Charlie, ma quando hanno visto che dormivi vicino a me, se ne sono andati per conto loro con l’orgoglio negli occhi», scosse la testa trattenendo una risata. «Piuttosto, c’è qualcosa di cui dovremmo parlare io e te. Adesso», aggiunse.

    Immaginavo di cosa volesse parlarmi.

    Sospirai e mi risedetti lentamente di fianco a lui. Non lo si poteva rimandare a lungo.

    «Ci ho pensato un pò sopra», mormorai mentre fissavo le nostre mani intrecciate.

    «E allora?», incalzò.

    Presi coraggio e mi decisi ad incrociare il suo volto. La luce d’impazienza e speranza invadevano i suoi occhi scuri, e penetrava nei miei.

    Voleva davvero abbandonare la sua forma di lupo per stare con me.

    Lo desiderava più di ogni altra cosa. Come io desideravo vivere quel sogno, più di ogni altra cosa al mondo.

    Che strano rovescio dei ruoli, pensai. Era come ritrovarsi nei panni di Edward, mentre Jacob era nei miei. Ma c’era una bella differenza, aveva ragione.  

    Per un istante mi mancò il respiro.

    Possibile che Jacob mi amasse quanto io amai Edward tanto tempo fa?

    Era disposto a sacrificare la sua immortalità per me. Per restare al fianco di una piccola e fragile umana.

    Per mettersi al suo pari.

    Ma non era corretto paragonarmi ad Edward.

    Io non avevo mai avuto la forza di lasciare Jacob.

    E sono una semplice umana, con sentimenti umani. Ma qualcosa di magnetico dentro di me, mi riportava sempre da lui.

    Come lui tornava sempre da me, qualunque cosa ci tenesse lontani. E non era mai stata una sua scelta, a differenza di Edward, che sapeva esattamente cosa stesse facendo.

    E ora Jacob mi chiedeva di essere egoista. Di privarlo dei suoi poteri.

    Ero in grado di arrivare a tanto? O il senso di colpa mi avrebbe inseguita per tutta la vita?

    Il senso di colpa per averlo reso come me.

    Dischiusi le mie labbra, rimaste serrate per tutto quel tempo, non sapendo bene cosa avrei detto.

    I suoi occhi la fissavano, per leggerle prima ancora di sentirne il suono.

    «Scusate se vi interrompo», la voce di Carlisle ci fece sobbalzare entrambi nel letto.

    Jake lo fulminò letteralmente con lo sguardo. Nessuno dei due amava le interruzioni.

    «Ciao Carlisle», mormorai.

    «Buongiorno Bella, buongiorno Jacob. Come andiamo? Senti dolore?», domandò.

    Jake fece una smorfia e rispose senza guardarlo in faccia. «Dolore no. Fastidio si», riferendosi chiaramente alla sua presenza.

    Carlisle ignorò il sarcasmo di Jacob.

    «Devo toccarti le ferite per vedere a che punto sono. Non ti muovere», lo avvisò cercando di evitare la reazione del giorno precedente.

    Jake obbedì irritato e a malincuore, mentre il dottor Cullen gli tastava il braccio, la gamba e le costole.

    Continuava a fissarmi, impaziente di riprendere il discorso.

    «Incredibile», mormorò. «Certo che dai molta soddisfazione. Magari tutti i miei pazienti guarissero così in fretta come te», disse divertito.

    «E’ guarito?», domandai stupita.

    «Le ossa sono saldate quasi alla perfezione», mi rispose. «Ma è meglio se non ti trasformi per un po’, altrimenti te le rovini. Inoltre dovrai continuare a portare bende e stampelle, anche se guarirai del tutto», suggerì Carlisle rivolgendosi di nuovo a Jake.

     «Stupidi accessori di scena», mormorò Jacob a denti stretti.

    Carlisle rise, poi si rivolse a me.

    «Bella, ora devo togliergli le fasciature, non sarà un bello spettacolo. Te lo garantisco», disse.

    Trasalì.

    Non avevo il coraggio di rivedere tutte quelle ferite, e se Carlisle diceva che non era un bello spettacolo…

    «Vado a prepararti la colazione», mormorai.

    «Bene. Aspetterò che finisca di mangiare», propose Carlisle con un sorriso affettuoso.

    «Prima finisci, prima te ne vai. Mangerò dopo», rispose duro rivolgendosi al dottore. «Grazie Bells», mi disse riaddolcendo il tono.

    «D’accordo, allora vado fuori. Comportati bene Jake», dissi avviandomi fuori dalla stanza.

    «Certo, certo», brontolò sottovoce. Sentì qualcuno ridacchiare dietro la porta.

    Non mi ero accorta che Quil ed Embry stavano proprio sulla soglia. Probabilmente dovevano tenere d’occhio Carlisle.

    Li salutai e andai fuori a prendere un po’ d’aria fresca e a schiarimi le idee.

    Fuori da casa Black c’era Sam con la schiena appoggiata al muro, in attesa. Mi guardò abbozzando un sorriso. Cercai di ricambiare e mi appoggiai accanto a lui.

    «Jake mi ha detto che ti ha parlato della sua decisione», esordì dopo un breve silenzio. «Cosa ne pensi davvero?».

    Sam guardò lontano, in direzione della spiaggia.

    «Penso che sarebbe una perdita incolmabile per il branco», rispose serio e meditabondo. Le braccia incrociate. «Il vero Alpha dovrebbe essere lui. Non è stato bello, vederlo gettare così la spugna. Ma del resto, l’essere diventato un licantropo, gli ha preso peggio che agli altri. Gli ha sempre reso le cose più difficili. Specie con te», confessò.

    «Già. L’inizio è stato piuttosto burrascoso», mormorai fissando il terriccio cosparso di sporadici ciuffi d’erba davanti ai miei piedi.

    «Colpa mia», replicò, comprendendo cosa volessi dire. «Ma non potevo agire altrimenti. Nessuno doveva sapere, e nessuno doveva farsi male. Jake non se lo sarebbe mai perdonato, se ti fossi fatta anche un solo graffio a causa nostra, o peggio per colpa sua. Ha sofferto moltissimo, quando gli ho imposto di non vederti più. E so che ha tentato di raggirare il mio divieto, vigilando sotto casa tua ed intrufolandosi nella tua stanza per rinfrescarti la memoria».

    I miei occhi scattarono sul suo volto.

    «Lo hai sempre saputo?».

    Sam annuì calmo. «Si. All’inizio ovviamente mi sono arrabbiato molto. Avevo la responsabilità di guidare un branco che si espandeva velocemente, e non volevo che la cosa mi sfuggisse di mano. Il limitato autocontrollo di Paul, era niente rispetto alla testardaggine di Jacob», rise a bassa voce, come se ora non lo irritasse più. «Ma infondo lo capivo. Anch’io raggiravo il segreto, quando stavo ancora con Leah. Solo che io ero più fortunato: non c’era alcun ordine Alpha ad impedirmelo».

    Ci ha pensato l’imprinting ad importi altri ordini, pensai.

    «Comunque, Jake è libero di scegliere la vita che preferisce. L’essere un licantropo rappresenta un vincolo solo se non rinunci al suo spirito. Perdere un combattente come lui, comportarà almeno una o due sostituzioni, per così dire. Ma ce la caveremo, siamo tanti e in ogni caso, è rimasto ancora qualcuno il cui gene non è ancora scattato», aggiunse.

    «Tu lo farai per Emily?», domandai.

    «Si. Non potremo continuare così per l’eternità. I nostri figli ci sostituiranno, come noi abbiamo sostituito i nostri padri», rispose pacato.

    «Anche per oggi ho finito», ci interruppe Carlisle mentre usciva da casa Black con le due guardie del corpo.

    «Bene. L’accompagneremo verso il confine», propose Sam.

    «Certo, ma prima vorrei chiedervi una cortesia se è lecito. Possiamo parlarne in privato?», chiese Carlisle.

    Sam annuì con un ombra di tensione negli occhi. Io mi limitai a guardalo confusa.

    Carlisle e Sam si allontanarono mentre stavano già confabulando. Rimasi li, sperando di riuscire a captare qualcosa, ma parlavano a voce troppo bassa.

    Sam sulle prime sembrava contrariato alle richieste di Carlisle, scuoteva il capo e rispondeva con tono secco.

    Carlisle era conciliante e anche se non capivo cosa stesse dicendo, il tono della sua voce era persuasivo e rassicurante.

    Alla fine Sam sospirò brontolando qualcosa, mentre Carlisle si avvicinava verso di me con un sorriso. Aveva vinto.

    «Edward, Alice e Rosalie vorrebbero farvi visita. Sam mi ha appena dato il permesso. Stanno aspettando poco oltre il confine», rivelò.

    «Oh si, vorrei tanto rivederli!», dissi sorpresa e felice. «Grazie Sam», dissi rivolgendogli un sorriso riconoscente. Sam strinse i denti, ed annuì.

    «Ora credo che il lupo non abbia più intenzione di rimandare la colazione», suggerì Carlisle trattenendo un sorriso.

    Risi.

    Probabilmente lo stomaco di Jacob aveva bombardato i timpani sensibili di Carlisle per tutto il tempo.

    «Vado subito, a presto Carlisle. E grazie».

    Entrai in cucina e mi diedi da fare con il sorriso sulla faccia.

    Frugai nella dispensa e tirai fuori gli ingredienti per una colazione veloce e sostanziosa.

    Cercavo di ripensare alle parole di Sam, e di capire cosa volessi da me stessa. Prima o poi avrebbero smesso tutti, avrebbero messo su famiglia, come avevano fatto i loro padri, ma Jacob non aveva intenzione di aspettare.

    Intanto che finivo di preparare un primo grosso panino imbottito, mi chiesi il perché.

    Fisicamente dimostrava almeno venticinque anni, sembrava comunque più grande di me.

    I compleanni li avrebbe festeggiati ugualmente, fino a rimettersi in pari con il suo aspetto fisico. Diciasette, diciotto, diciannove…ancora nove anni di trasformazioni.

    Nove anni di ronde, di notti in bianco, di sottomissione agli ordini Alpha. Ordini che avrebbe dovuto dare lui, al quale invece era costretto ad obbedire.

    Non sembrava un futuro attraente, visto con i suoi occhi.   

    «Ciao Bella», udì una voce familiare e argentina dietro le mie spalle, tra le mani stringevo un altro grosso panino.

    «Alice! Edward! Rose!», gridai con gioia. Posai goffamente il panino sul tavolo e corsi a stringere Alice con un braccio e Rosalie con l’altro. «Come sono felice di rivedervi! Alice, non sai quanto fossi preoccupata per te! Oh Rose, sono felice di trovarti meravigliosa come sempre!», singhiozzai mentre Rosalie rise, deliziata dalle mie parole.

    Mi sentì avvolta dalle loro braccia, fredde e dure come il marmo. A chiudere l’abbraccio, fu Edward, che ci avvolse tutte e tre da dietro le mie spalle. Il freddo era insopportabile, ma l’eccitazione che provavo era sufficiente a riscaldarmi.

    «Va tutto bene, Bella», sussurrò Alice, amorevole.

    «E’ tutto finito», aggiunse Edward al mio orecchio.

    «Nessuno ti farà più del male, Bella. Ora puoi vivere la tua vita, in pace», concluse Rosalie mentre le loro braccia si sciolsero. Osservai i loro volti marmorei, e mi soffermai su quello di Alice.

    Aveva un sorriso dolce, e improvvisamente mi ricordai dell’ultima espressione che le avevo visto in viso, prima di lasciare la mia scia in giro per il bosco.

    «Alice mi dispiace di averti delusa per il matrimonio, sono sicura che potremmo rimediare con qualche altra occasione», proposi, anche se l’idea non mi andava a genio.

    «Non fa niente Bella, è probabile che resterai umana. Ci sono tanti compleanni da festeggiare», disse allegra.

    Storsi il naso. Non ci avevo pensato.

    «O magari riusciremo a farti cambiare idea sul matrimonio tradizionale», suggerì Rosalie con un sorriso. «Non è così male, te lo dice un’esperta», aggiunse con la sua risata deliziosa.

    Su questo non c’erano dubbi: Rosalie ed Emmett erano campioni di cerimonie nuziali.

    «A proposito di matrimoni anticonformisti», disse Edward. «Come sta Jacob?», domandò con una leggera preoccupazione in volto.

    «Mi dispiace per te, ma sto divinamente», sibilò Jacob spuntando dalla sua stanza. Indossava bermuda e fasciature. «Ah! C’è pure la bionda dal neurone solitario», aggiunse con un sorriso sarcastico e guardando Rosalie.

    «Ecco il sacco di pulci che cercavi, Edward», replicò Rose acida e nauseata.

    «Jake, che stai facendo? Torna subito a letto!», dissi cercando di spingerlo dal lato buono. Ovviamente non lo smossi di un millimetro.

    «No, mi annoio a stare fermo, e non mi fa piacere avere dei succhiasangue in casa», replicò. Poi risploverò la sua maschera nera e la puntò sul volto di Edward. «Cosa siete venuti a fare in casa mia?».

    «Sono venuto a riportarti questo. L’ho trovato nel punto in cui ti sei scontrato con il neonato», rispose Edward, mentre Rosalie lo guardava dall’alto in basso e con il naso tappato.

    Dalle mani granitiche di Edward dondolava il cordoncino di pelle scura, con appeso l’anello di Billy.

    «Cavolo mi hai salvato la vita!», disse Jacob sollevato e senza pensarci. Prese il ciondolo dalle mani di Edward, e se lo allacciò al collo.

    Lo fissai, in attesa che dicesse una certa cosa. Lui mi guardò e capì.

    «Grazie…Edward. Per tutto. Per l’anello e per aver difeso Bella sulla montanga», disse. Il suo tono era serio e sincero. Adulto.

    Sorrisi, orgogliosa di lui.

    «E’ stato un piacere, ma non mi sono divertito quanto te. Troppo facile», rispose Edward storcendo la bocca.

    «Adesso si che mi sento meglio», commentò Jacob con un sorriso soddisfatto.

    Alice si schiarì la voce.

    Si erano tutti dimenticati di lei.

    Tranne me, perché le tenevo la mano e ammiravo il suo viso da folletto che temevo di non rivedere più.

    «Già, anche Alice è venuta per un motivo specifico», introdusse Edward.

    La guardai con un punto interrogativo sulla faccia. Il divertimento sparì dal volto di Jacob, e la fissò serio e concentrato.

    Alice si accorse della mia espressione ed alzò un sopraciglio.

    «Non vuoi più sapere del tuo futuro, Bella?», domandò.

    Strabuzzai gli occhi e il respiro mi si mozzò in gola: mi ero dimenticata della mia richiesta.

    E ora, era giunto il momento della verità. Avrei scoperto se in qualche modo sarei rimasta con Jacob.

    O se un giorno sarei riapparsa perchè lo avevo perso.

    «Sei pronta?», domandò seria.

    Mi aggrappai a Jacob, e lui mi strinse forte come per trasmettermi il suo coraggio.

    «Si», mormorai con il cuore in gola.

    «Potrebbe volerci un pò», avvertì.

    «Aspetterò», risposi di getto.

    Le ginocchia stavano già cominciando a tremare. Jake aumentò la presa e mi sostenne. Lo sentì tremare, ma non di rabbia.

    Era ansioso. Ma non capivo se era agitato per me o perché non era più sicuro delle sue teorie.

    Non lo sapevo e non volevo saperlo.

    «Avanti Alice», sussurrò Edward. «Concentrati».

    Alice fece un bel respiro, arricciando il naso per l’odore, ovviamente, e chiuse gli occhi dorati.

    Mi mordevo il labbro rischiando di sanguinare, mentre le tenevo gli occhi addosso e i minuti passavano.

    Edward la fissava concentrato, cercava di vedere i pensieri della sorella e di capirci qualcosa.

    Rose restava immobile come una statua, con una mano sulla mia spalla.

    Il viso di Alice si faceva via via più frustrato, increspava le sopraciglia e si massaggiava le tempie.

    Passò più di mezz’ora, e ancora non disse una parola.

    Nel frattempo Jacob consumò la sua colazione in piedi e in assoluto silenzio, gli occhi puntanti su di me, poi su di lei, poi su Edward. Cercava anche lui di cogliere qualche segno.

    L’improvvisa risatina di Edward fece sobbalzare me e Jacob sul posto.

    «Alice, ma che fai?», disse. «Bella non può vivere fino a centocinquant’anni! Da vampira si, ma non da umana».

    Alice uscì dallo stato di trance con uno sbuffo, le spalle incurvate come sotto sforzo. Sembrava molto stanca.

    «Cos’ha visto?», domandò Jacob, impaziente.

    «Assolutamente niente», rispose Alice irritata. «Ho sprecato quasi un’ora della mia eternità per vedere il nulla. Mi son spinta talmente lontano che nemmeno me ne sono accorta».

    Restai senza parole, mentre dentro di me accadde qualcosa di inaspettato.

    Niente.

    Come rileggere un libro che ormai sapevo a memoria.

    Conoscevo già la risposta di Alice, lo avevo sempre saputo che non avrebbe visto nulla.

    Che il mio futuro non sarebbe più riapparso nelle sue visioni.

    Quella strana e inspiegabile sensazione, che mi aveva sempre detto che Jacob non mi avrebbe mai abbandonata, aveva ragione. Ed Alice lo aveva confermato, in qualche modo.

    La catena era invisibile…perché non esisteva.

    «Che ti dicevo Bells? Donna di poca fede!», scherzò Jacob stringendomi forte e sollevandomi da terra. Ma dovette posarmi subito a causa di un lieve dolore al braccio destro.

    Vidi Rose trattenere una risata maligna.

    «Aspetta a cantar vittoria, Jacob», disse Edward guardandolo di sottecchi.

    Le sue parole incatenarono la mia felicità inesplosa, ad un palo. Quali alternative c’erano?

    «Alice, guarda nel mio futuro. La cosa peggiore che possa accadere è che un giorno Jacob abbia l’imprinting, e che Bella…non la prenda bene», aggiunse rivolgendosi alla sorella e abbassando il tono della voce sulle ultime parole.

    Jacob bloccò la sua allegria e il suo viso si contrasse.

    A questo non avevo pensato. Non so se fossi arrivata a tanto. Ma era meglio tenerlo in conto.

    Visti i precedenti.

    «Questo dovrebbe essere più facile. Il tuo futuro è decisamente cambiato, Edward», disse Alice.

    «Potrebbe colmare il vuoto delle tue visioni. Se vedi che anch’io un giorno sparirò, sarà per un solo motivo».

    Trasalì.

    Il frammento del mio cuore capì immediatamente cosa intendesse, ma cercai di zittirlo per non ascoltarlo.

    Ricordai la notte passata nell’accampamento, dove la conversazione tra Edward e Jacob, aveva preso le sembianze di uno strano sogno.

    Edward disse che avrebbe posto fine alla sua vita, quando io avrei interrotto la mia.

    Pregai con tutta me stessa che Alice non vedesse niente del genere.

    Alice prese un'altra boccata d’aria, storcendo di nuovo il naso per la puzza, e si concentrò di  nuovo.

    Il suo visino era più rilassato, probabilmente vedeva meglio il futuro dei vampiri.

    Edward riprese a fissarla, con espressione estremamente annoiata, a differenza della mia, terribilmente preoccupata.

    «Quasi quasi ritornerò all’università», commentò dopo un pò. «Almeno avrò qualcosa da fare».

    «Come mai?», domandai incerta.

    «Qualche volta verrai a trovarci, ma abbastanza di rado», spiegò. «Più che altro resteremo a vigilare in difesa del territorio».

    «Niente fughe dal lupo cattivo?», domandò Jacob sarcastico.

    Edward gli lanciò un’occhiataccia.

    «No. Dal suo aspetto, seppur sfocato, pare sia…», ma la fine della frase gli rimase in gola.

    Sgranò gli occhi e si voltò con lentezza esagerata sul viso di Alice, che aveva preso a fissarlo. Rose s’irigidì d’istinto.

    Entrambi avevano un’espressione tra il sorpreso e il confuso.

    «Chi era?», domandò Edward.

    «Non lo so, sembrava…», balbettò Alice.

    «Ma non può essere, è passato troppo tempo. Rincontrolla».

    Alice sbattè le ciglia confusa e richiuse gli occhi.

    Edward la fissò sbalordito, poi scattò i suoi occhi dorati su di me.

    Non ci capì niente.

    «Che succede?», disse Rose a corto di pazienza.

    «Incredibile», farfugliò Edward, ignorando la sorella. «Ti somiglia tantissimo», aggiunse senza staccarmi gli occhi di dosso.

    «Ma chi?», domandai impaziente.

    «Non lo so, ma l’unica spiegazione è che sia…», rispose prima di scrutare il volto di Jacob. «…vostra figlia», mormorò incredulo.

    «Nostra…», balbettai.

    «Figlia?», concluse Jacob meravigliato e preso in contropiede.

    A quelle parole il viso di Rose s’illuminò. Come se Edward avesse parlato a lei.

    «Ha il colore della tua pelle, ma somiglia in maniera impressionante a Bella», spiegò Edward. Poi tornò sul mio volto, ma la sua espressione tradiva un che di felicità. «E la conosceremo», aggiunse con l’ombra di un sorriso sul volto di marmo.

    «Bella avrà dei figli», sussurrò Rosalie, incantata sul  mio viso incredulo e confuso.

    «Si, e ci farà impazzire», disse Alice con la sua risata cristallina. «Ho visto che amerà le feste e lo shopping! Non vedo l’ora!», aggiunse saltellando e sprizzando allegria da tutti i pori.

    «No» sibilò Jacob ad occhi sgranati. Le braccia cominciarono a vibrare, e io con esse. «Non lo permetterò!».

    «A quanto pare qualcuno scapperà dal lupo cattivo», disse Rosalie parafrasando le sue parole pronunciate poco prima.

    «No!», ripetè Jacob furioso.

    «Non le faremo del male», replicò Edward con il viso indurito su quello di Jacob. «Non commetterò gli stessi errori. Non so che ruolo avrà nella nostra esistenza, ma di certo non seguirà le orme di Bella».

    «Non avrà niente a che fare con i succhiasangue», replicò Jacob preso da altri violenti spasmi.

    «Jake», mormorai posandogli una mano sul petto tremante di rabbia, e riprendendomi da quella momentanea sensazione di smarrimento. «Pensavo volessi imparare a controllarti», dissi.

    Jacob bloccò di colpo i fremiti e scattò sui miei occhi, inchiodandomi con lo sguardo.

    «Cos’hai detto?», chiese.

    «Non ti ha ancora risposto?», domandò Edward. «Pensavo ne aveste parlato ieri».

    «Parlato di cosa?», chiese Alice curiosa.

    Jacob continuava a fissarmi mentre Edward si rivolse alla sorella.

    «Jacob vuole rinunciare alla sua capacità di trasformarsi per invecchiare al fianco di Bella», sussurrò Edward.

    «Davvero?», disse Alice spalancando gli occhi dorati su Jacob. Rose lo guardava con un misto di meraviglia e invidia.

    «Si, se lo vuole anche lei», confermò Jacob, in tono deciso.

    «E tu credi di essere sicuro di quello che fai?», domandai nervosa e con il cuore a mille. Era il momento delle risposte.

    «Certo, Bells. Perché pensi che abbia litigato con il resto del branco?», disse Jacob prendendomi il viso tra le mani ardenti.

    «E se avessero bisogno di te? Non voglio condannare altri ragazzi in nome del mio egoismo», dissi.

    «Non sarà la mia scelta ad impedirglielo. Sono già condannati, è solo questione di tempo e di reale necessità», ribattè intenso.

    «E poi ci saremo noi ad aiutare il branco», disse Edward. «Alice lo ha visto, come ti ho detto. Resteremo a vigilare per evitare che altri vampiri si avvicinino da queste parti. In questo modo, limiteremo le trasformazioni. Almeno fino al cambio generazionale, dato che la nostra presenza li richiamerà inevitabilmente».

    «Bè…non è male…come idea», ammise Jacob con una certa difficoltà. «Da dove viene tutta questa gentilezza?», domandò sospettoso.

    «Voglio che Bella viva tranquilla, e che sia felice», spiegò Edward.

    «E io voglio tenerti buono per divertirmi con tua figlia», aggiunse Alice allegra.

    «Io vorrei poterla accudire, come fosse mia», disse Rose, illuminandosi con un misto di emozioni che non avevo mai visto sul suo volto.

    Jacob emise un grugnito.

    «Meglio come fosse la figlia della tua migliore amica, Rose» le suggerì Edward, probabilmente leggendo i pensieri intimidatori di Jacob.

    Jacob e Rose si scambiarono un’occhiataccia.

    Poi Jake ritornò sul mio volto, frustrato dal senso di colpa che cercava in tutti i modi di vincere su tutto il resto.

    «Come vedi, tutti hanno un motivo per aiutarci», sussurrò Jacob con mezzo sorriso. «E non ti abbandonerò perché è chiaro che non avrò l’imprinting. Ma ti conosco troppo bene, e so che t’inventerai qualche assurdità per il gusto di controbbattere».

    «Non mi invento niente», ribattei aggrottando le sopraciglia. «Ma non te ne pentirai un giorno? Guardati adesso!», dissi liberandomi il viso dalle sue mani e indicando il suo corpo dalla testa ai piedi. «Perché vuoi rinunciare alla tua giovinezza? Perché vuoi diventare vecchio e curvo come Quil? Non posso lasciare che tu diventi umano come me», dissi in un eccesso d’ira.

    Ma la mia rabbia sfumò all’istante, come una piccola nuvoletta spazzata via da un vento furioso.

    Avevo sempre disprezzato la mia umanità, ancora prima di incontrare Edward. Quante volte avrei voluto essere invisibile agli occhi del mondo.

    Eppure da quando avevo incontrato Jacob, la mia vita era diventata incredibilmente più sopportabile. Persino bella.

    Mi sentivo viva, come non lo ero mai stata in diciotto anni.

    E nonostante le sue capacità straordinarie, con Jacob non sentivo di non valere niente, come quando mi mettevo al fianco di Edward. Lo ritenevo un ragazzo come me, più o meno, e avevo conosciuto un’altra me stessa che non pensavo esistesse.

    A quel pensiero, una nuova consapevolezza si fece strada dentro di me.

    Come aver tenuto gli occhi chiusi per tanto tempo, ed averli aperti ritrovandomi di fronte qualcosa d’insaspettato.

    La stessa scena, un punto di osservazione diverso che cambiava ogni cosa.

    Ero felice…di essere umana.

    Di accettare me stessa e di non sentirmi inferiore al fianco della persona che amavo.

    Felice di non rinunciare a niente, ed avere tutto. Ma Jacob avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa.

    O forse, lo avrebbe solo riavuto indietro.

    «Preferiresti vedermi giovane e forte mentre tu diventi vecchia? Che tra vent’anni mi spacci per tuo figlio o tuo nipote? Conoscendoti direi di no», disse Jacob, serio. «Io sono sempre stato umano, Bella. E ora voglio riprendermi ciò che il destino mi ha tolto: la normalità. Per te, per me, per i nostri figli. Non voglio dovergli nascondere una verità che sta davanti ai loro occhi, anno dopo anno. Questa condizione rappresenta una rinuncia, non un guadagno. Io so cosa voglio, Bella», disse determinato. «E so che cosa vuoi tu».

    «Oh, Jake», sospirai chiudendo gli occhi.

    Anch’io sapevo quello che volevo.

    Ogni battito del mio cuore lo suggeriva, ogni cellula del mio corpo lo sapeva.

    Jake mi prese le mani, quasi sovrapensiero.

    Per un istante credetti che in quella stanza ci fossimo solo io e lui. Edward, Alice e Rosalie erano rimasti perfettamente immobili e in silenzio.

    Tre magnifiche statue di ghiaccio perpetuo.

    «Allora», sussurrò concentrandosi sui miei occhi. «vorresti che invecchiassi con te? Vorresti…che si avverasse anche quell’altro tuo sogno?», domandò dolce.

    «Dì di si, dì di sì», suggerì Alice a voce bassissima. La ignorai.

    «Il mio sogno», ripetei come un eco della sua voce.

    «Si. Quello dove hai visto il tuo riflesso segnato dal tempo, insieme al lupo dal pelo rosso sbiadito», ricordò. «Dicesti che era molto, molto felice», aggiunse usando le parole che avevo pronunciato quando glielo raccontai.

    «La invidiavo da morire», dissi con quell’immagine confusa davanti agli occhi.

    «Invidiavi te stessa, Bells. Perché sarai così, se mi lascerai invecchiare con te. lo sarai ogni giorno che passerà», disse continuando a sussurrare, come perso in quella mia stessa fantasia.

    «Sì, si, si», ripetè Alice tradendo impazienza nei campanellini della sua voce. Chissà perché era così nervosa. Non mi era mai sembrata molto entusiasta della mia unione con Jacob.

    Edward la guardava di sottecchi scuotendo lentamente la testa, in segno di disapprovazione.

    «E la tua forza? Perderai anche quella?», chiesi continuando ad ignorarla. Mi sarebbe dispiaciuto se avesse abbandonato tutta quella magnificenza.

    Jake alzò un sopraciglio e ci pensò su.

    «Bè non è mai successo che uno di noi decidesse di trasformarsi giusto ogni tanto, per far felice la propria donna dai gusti strani», rispose infine con una smorfia. «Quindi penso che il mio corpo ritorni a livelli più accettabili, ma al di sopra della media. Più o meno come capitò a Taha Aki quando si era ritrasformato dopo tanto tempo».

    «Quindi per il mio compleanno ti trasformerai?», domandai.

    «Come ti avevo proposto», disse allargando il sorriso.

    «Si! Si! Si!», trillò Alice saltellando inspiegabilmente dalla felicità.

    «Sei davvero irritante Alice», mormorò Edward guardandola di sottecchi.

    «Irritante è un pallido eufemismo», commentò Jacob senza staccarmi gli occhi di dosso e tradendo una profonda emozione nella voce. «Vuoi rispondere o devo prendere per buono quel disco rotto della tua amica?».

    «Bè, in effetti lo ha già detto lei. Quindi perchè ripetersi?», dissi cercando di liberarmi dall’obbligo di rispondere in prima persona.

    Jake scosse la testa. «No, io voglio sentirlo da te, non da lei. Voglio un “si” detto dalla tua voce tremante e imbarazzata, non dai suoi fastidiosi campanelli», ribattè.

    Edward e Rose trattennero una risata mentre Alice gli lanciò un’occhiataccia.

    «Si o si, Bells?», chiese Jacob, benchè non avesse molto senso come domanda.

    Risi.

    «Si», sussurrai tremante e imbarazzata come aveva previsto lui.

    «Si!», saltellò di nuovo Alice. «Finalmente! Ora vedo anche Jacob e di nuovo Bella! Come fossero fantasmi e scomparendo più di quanto possa sopportare, ma li vedo!», trillò.

    Io e  Jacob guardammo Alice, entrambi sorpresi.

    «Riesci a vederci?», domandai incredula. Cos’era successo?

    «Si!», scampanellò lei. «Anche se “vedervi” è un termine un po’ forte, data la pessima qualità delle immagini. Ma a quanto pare, quando un lupo decide di rinunciare al suo potere, riprende il controllo del proprio futuro. Ci vorrà un po’, ma un giorno riapparirà, e tu con lui. Perciò è confermato: niente imprinting», spiegò allegra.

    «Non ti sembra di esagerare con tutta questa euforia?», domandò Edward.

    «Mi dispiace Edward, ma sai quanto odi essere cieca», replicò Alice con espressione innocente e ancora su di giri.

    «E’ tutto così…incredibile», farfugliai. «Ogni cosa è cambiata».

    «Ed ogni cosa è tornata al posto giusto», aggiunse Edward. «Ricorda che il futuro può sempre cambiare, Jacob Black», disse rivolgendosi a lui con aria lievemente minacciosa. «Rammentati cosa ti ho detto l’altra notte».

    Jacob lo guardò dall’alto in basso, in tutti i sensi.

    «Trattieni il respiro fino a quel giorno», replicò arrogante.

    «Sarei capace di farlo», sibilò Edward.

    «Ma insomma, la volete piantare di comportarvi come due bambini all’asilo?», sbottai esasperata. «Spero che nei prossimi anni le cose cambino, perché non voglio vedervi litigare per tutta la vita!».

    Jake mi avvolse tra le sue braccia e mi guardò sorridente.

    «Se permetti ho programmi molto più interessanti che bisticciare con i tuoi amici succhiasangue», disse.

    «Me lo auguro», mugugnai. «C’è tanto lavoro da fare».

    «Non è un lavoro, è una strada. La strada per il nostro futuro. Finalmente hai deciso di imboccarla insieme a me», sussurrò dolce.

    «Bene, allora non resta che auguravi buon viaggio», disse Rosalie con l’ombra di un sorriso.

    «Sapete dove trovarci, non fatevi mai problemi per nessun motivo. Per qualunque necessità, noi ci saremo», disse Alice gentile.

    «Per sempre», aggiunse Edward in un sussurro. I suoi occhi dorati sui miei, sembravano dicessero un addio, più che un arrivederci.

    Con questo ci salutammo, con la promessa che presto sarei passata a trovare anche Esme, Emmett e Jasper.

    «Vuoi ripensarci?», domandò Jacob, notanto il velo di tristezza nei miei occhi, quando richiusi la porta. Mi dispiaceva per Edward.

    Mi voltai a guardare l’espressione preoccupata di Jake, senza capire il perché di quella domanda.

    Mi spiaceva per Edward, ma la strada che avrei percorso insieme a Jacob, mi si era srotolata davanti agli occhi. E nonostante cercassi di negarmela, di trovare una buona ragione per impedire a Jacob di arrivare a sacrificare persino i suoi poteri per me, ero intenzionata a percorrerla.

    «Non posso ripensarci, Jake», sussurrai.

    «Perché no, Bells?», chiese accarezzandomi lievemente il viso.

    Sarà un cammino lungo, forse difficile. Ma ce l’avremmo fatta insieme. L’avrei sostenuto, come lui avrebbe sostenuto me quando ne avessi avuto bisogno.

    Come aveva sempre fatto.

    La mia esistenza valeva la pena di essere vissuta, con Jacob al mio fianco.

    D’un tratto, ero ansiosa di iniziare quel cammino mano nella mano con l’altra metà della mia anima.

    Con il mio “si”, gli avevo regalato la tanto desiderata libertà, o come la chiamava lui, la normalità.

    La stessa normalità, con la quale avevo accettato di far pace.

    «Perché ti amo», risposi, prima che mi zittisse con un bacio, e mi riportasse in camera tra le sue braccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Epilogo, atto I - Luce ***


Aurora, ma certo che accetto critiche, però come avrai già capito dal tipo di storia, non sono del tuo stesso parere.

Che l’amore sia irrazionale non ci sono dubbi, ma in tutta sincerità, trovo molto sterile e incomprensibile il modo in cui scarica definitivamente Jacob in Eclipse.

Se il mondo fosse stato il luogo normale che fingeva di essere, io e Jacob saremmo rimasti insieme. E saremmo stati felici. Era la mia anima gemella, in quel mondo, e lo sarebbe rimasto, se a metterlo in ombra non fosse arrivato qualcosa di più forte, di così forte da non poter esistere in un mondo razionale.

Ma che cosa vuol dire O__o? Come se Jacob non appartenesse allo stesso mondo assurdo di Edward! Cavolo, è normale che un ragazzo si trasformi in lupo con l’unica missione di uccidere vampiri? Jacob è solo umano, non normale, come dice lui stesso e come l’ho fatto capire a Bella. La storia della “forza” non ha nessun significato, è una frase buttata li tanto per dare maggior importanza ad Edward, ma non è una giustificazione.

E anche la frase che la Meyer ha fatto dire a Jacob non ha senso, se non con lo scopo di introdurre la scusante di Bella che ho scritto prima:

“«Se il mondo fosse come dovrebbe, se non ci fossero né mostri né magia…».”

Jake, mi dispiace ma stai dicendo una fesseria grande come una casa, perché anche se ti trasformi in lupo, sei in grado di amare e in più difendere Bella da tutti i suoi guai. Che derivino da una vita normale o dall’universo parallelo dei mostri e della magia. Ma come ho detto, era un pretesto per infilare quell’assurdità di giustificazione di Bella.

Il problema è che non ha mai lasciato sfogare l’amore che provava per Jacob. Se lo avesse vissuto come gliel’ho fatto vivere io, lo avrebbe amato tantissimo e sarebbe stata DAVVERO felice. Avrebbe imparato ad accettarsi e a vivere una vita mortale al fianco di una persona meravigliosa come Jacob.

Come avevo scritto nella mia introduzione, volevo offrire una versione parallela alla saga, volevo far vedere cosa sarebbe successo se Bella avesse scelto Jacob in un determinato momento (mettendole anche un po’ di buon senso che non aveva). Ho voluto regalarle ciò che desiderava più di ogni altra cosa, come dice lei stessa. Il risultato è che il loro amore risolve tutti i problemi. Forse la Meyer pensava che un amore troppo felice, troppo perfetto con tutti i problemi che si risolvono con un amore NON sofferto, potesse annoiare. Quindi io ti chiedo, anzi lo chiedo a tutte: per come l’ho scritta io, vi siete annoiate?

Inoltre considero quell’amore di cui parli si molto forte, ma non indistruttibile e soprattutto non totale come la Meyer ci ha fatto credere, tant’è vero che Bella ha trovato uno spazio anche per Jacob. Non mi piace l’amore che ci ha proposto, perché è distruttivo per la protagonista. La costringe ad omologarsi ad Edward, altrimenti le cose non possono funzionare come dovrebbero. E poi Bella dà tanto l’impressione di bramare l’immortalità per il desiderio di restare giovane. Per lei 19 anni sono già troppi, si rifugia nella scusa che diventerebbe più grande di Edward…una stupida dato che sa che Edward è un vecchio di più di 100 anni! Come dice Jake, è un amore malsano, un’ossessione, e credo a tutte le teorie e i dubbi che ho avanzato durante la storia. Bella è caduta nella tela del ragno, e per tutta la saga non fa altro che osannare alla sua bellezza, al suo profumo, al tono della sua voce. Vale a dire, tutte quelle cose che attraggono le prede. E credo che l’affascini il semplice fatto che lui sia un vampiro, culturalmente il mostro più sensuale della storia. Secondo te Edward avrebbe perso tempo con una che non fa altro che pensare a quant’è bello? Forse no, forse si, chi lo sà, la Meyer ha pensato bene di renderla illeggibile e a darci pure un senso in BD. O ancora, se Edward non fosse stato bellissimo, velocissimo, intelligentissimo (ma neanche tanto perchè gli sfuggono un sacco di cose e ne sbaglia altrettante), durissimo, bianchissimo, vampirissimo, Bella lo avrebbe amato in quel modo? Gli sarebbe rimasto solo il romanticismo (fastidioso perché esagerato, mentre Jacob è dolce e romantico senza essere smielato) e una normale intelligenza da diciasettenne.

Nella saga originale, Bella cade ai piedi di Edward quando ritornano dall’Italia, dimenticando tutto quello che ha passato a causa sua, e lasciandogli spezzare ciò che era riuscita a costruire in sua assenza: l’amicizia con Jacob. Tra l’altro, diceva che non poteva vivere senza Edward, che a lui non poteva rinunciare. Bugia immensa, perché seppur lentamente stava riuscendo a sopravvivere e persino a pensare di iniziare una relazione con un altro!!! Invece quando aveva di nuovo Edward al suo fianco, faceva di tutto per andare da Jacob. Allora a chi non poteva rinunicare davvero? Se si fosse presa tempo per riflettere sarebbe stato molto meglio e avrebbe dimostrato di avere più amor proprio. In Eclipse si vede lontano un miglio che è cotta di Jake, come ha osservato un’altra mia lettrice, ma per cecità e ottusità croniche, Bella è l’ultima a capirlo.

L’amore tra Bella ed Edward è grande perché la Meyer ha deciso così, e ha dovuto forzare quella grandezza perché Eclipse portava a Jacob in modo naturale. Cavolo, non faceva che scappare da Edward e dai Cullen per andare da lui! E non solo perché Jacob soffriva, ma perchè ci stava bene, si sentiva a casa e solo con lui riesce a divertirsi, ad essere se stessa e a farsi quattro risate senza sentirsi in soggezione. All’inizio volevo che facesse la scelta proprio quando andava a trovarlo dopo la battaglia, che poi è il momento in cui avrebbe davvero potuto sceglierlo, e lo stava pure per fare secondo me. Ma era già stato stabilito che dovesse restare con Edward, quindi tanti saluti all’ovvietà tirando fuori quella citazione che ti ho scritto all’inizio. L’ho anticipato perché non ne potevo più e sarebbe stato troppo stressante e noioso tenerla indecisa fino a quel momento, inoltre non si sarebbero vissute tutte quelle scene dolcissime che li rendono una coppia bellissima, vivace e invidiabile. Scusa per la risposta lunga quanto un capitolo xD, ma spesso mi lascio prendere la mano.

 ************************************************************************************************************************************************************

Marpy adorata! Mi ha fatto troppo ridere come ti immaginavi la reazione di Jake quando Edward gli ha restituito l’anello xD! Bella disperata piace anche a me! Per una volta tira fuori le emozioni che tenta inutilmente di reprimere sull’esempio del calippo! Tra l’altro, come ho scritto in varie occasioni, mi immaginavo di essere Bella e di vivere quella scena…io non lo so perché mi fa questo effetto, ma non avere la certezza che potesse tornare o no, che potesse morire o farsi del male mi faceva venire l’angoscia che cercavo di far provare a Bella. Forse mi sono legata troppo al personaggio di Jacob ç___ç. Comunque anche le tue supposizioni sulla “licantropia? No grazie” sono esatte, infatti lo dice (il mio) Jake. Ho sfruttato a mio vantaggio quando nell’originale dice che non aveva mai accettato di far parte di un branco di lupi, figuriamoci esserne la guida. Questo mi ha fatto pensare che se avesse avuto l’opportunità, ci avrebbe rinunciato, quindi non ho fatto altro che dargli questa opportunità! Questa saga è piena di regali per tutti xD, persino per i Cullen, dato che è in arrivo la figlia della coppia più bella del mondo!

***********************************************************************************************************************************************************

Ora mie carissime, vi lascio alla lettura degli ultimi due capitoli ufficiali, e al famoso continuo-non continuo della storia tra Jake e Bella, ma che è rimasta interotta perchè non sapevo bene che andamento dargli. Magari un giorno mi verrà qualche idea a riguardo, per adesso sto scrivendo un’altra storia, ambientata a 15 anni di distanza dalla trasformazione di Bella. Sono stata felicissima di avervi come lettrici, e ho adorato ogni vostro commento ^___^, peccato per quelle che ho perso per strada ç___ç, ma spero che rilascino una recensione ora che adesso finisce la mia saga e si sono fatte un’idea più chiara della storia.

Il finale della seconda parte dell’epilogo è il parallelo più ovvio a quello di BD, oltre che il più naturale per una scelta come la sua. Buona lettura a tutte e grazie per avermi seguita e apprezzata!

 ***********************************************************************************************************************************************************  

(Libro di riferimento: Breaking Dawn)

 

 

Jacob Black

 

 

    «Per favore Jake», mi implorò Bella accarezzandomi i capelli che mi ricadevano sul petto. Me li ero fatti ricrescere, come prima di unirmi al branco di Sam.

    «No», replicai seccamente. Ero irremovibile. Più o meno.

    «Lo so che è irrazionale, ma ho un desiderio tremendo di andare a trovarli. E’ una sensazione strana, un’urgenza», insistè.

    «Tu e le tue voglie mi avete stufato. Perchè non vuoi una fetta torta, o un bel piatto di pasta, o fragole con panna? Ti pare normale che una nelle tue condizioni, desideri di passare il tempo con una banda di vampiri?», domandai esasperato ed indicando il suo pancione.

    Bella era incinta e mancava poco al parto.

    Sono passati ben otto anni dal giorno in cui avevo ripreso a crescere, sporadiche trasformazioni a parte, ma lei era la solita testarda di sempre.

    Charlie aveva deciso di trasferirsi da Billy per non restare entrambi da soli - e secondo me anche per stare vicino a Sue Clearwater - lasciandoci la sua casa di Forks. Nel retro avevo messo in piedi una specie di garage che usavo per qualche riparazione istantanea e come magazzino per l’autofficina nel quale lavoravo.

    Guadagnavo molto, tutta Forks veniva da me per il minimo problema. La voce si era sparsa perfino a Port Angeles.

    Bella invece si era assentata appena una settimana fa dal negozio dei Newton, del quale era diventata socia insieme a Mike.

    Da quando aveva saputo che io ero il suo compagno, Mike si era dato decisamente una calmata.

    Gli conveniva.

    «Sai cosa succede se non si soddisfano i desideri delle donne incinte?», chiese affilando lo sguardo sul mio. Anche quando cercava di sfidarmi era irresistibile. «Come pensi che verrà la macchia? Secondo me sarà rosso sangue, e apparirà proprio qui», indicò il collo con il suo ditino pallido.

    Feci gli occhi al cielo, mentre acchiappai il telecomando. «Non esistono le voglie di vampiro».

     Almeno credo, pensai tra me. Non che mi sarebbe piaciuto rischiare sulla pelle dei miei due figli.

    Carlisle aveva scoperto che Bella è incinta di due gemelli.

    “Non ti sarai dato un po’ troppo da fare, Jacob?”, mi aveva domandato scherzosamente il dottor canino.

    La gioia e l’imbarazzo mi avevano impedito di tirare fuori il mio solito sarcasmo, e aveva risposto con una risata nervosa.

    Bella sbuffò infastidita e mise il broncio accarezzandosi la mongolfiera che aveva al posto della pancia.

    «Ci siamo quasi tesorini, lo so che il vostro papà sta per cedere», mormorò al suo grembo. Da sotto il suo dito, affiorò una piccola protuberanza dalla pancia.

    La manina di nostra figlia.

    O almeno così pensavo.

    Se il maschietto era più simile a me, a quest’ora stava mettendo il broncio, irritato all’idea di andare per l’ennesima volta dai Cullen.

    Quindi doveva essere la femminuccia, nonché fotocopia di Bella, ad essere così impaziente.

    In ogni caso…ogni volta che la vedevo, il cuore mi si gonfiava come sul punto di scoppiare. Pensavo di morire.

    Cercai di ricompormi da quella visione straordinaria.

    «Non cominciamo a creare fazioni tipo maschi contro femmine. Io sono già il doppio di voi due messe assieme, e tuo fratello è il mio più grande alleato. Non avete speranze», protestai chinandomi sul pancione della quasi mamma.

    Ovviamente fornendo la rituale dose di carezze quotidiane. Non volevo si arrabbiassero prima ancora di conoscermi.

    «Vuoi farli litigare prima ancora di nascere? Spero che la femminuccia non si ricordi delle tue parole, altrimenti te le rinfaccerà quando imparerà a parlare», sussurrò Bella abbozzando un sorriso ed accarezzando quella minuscola protuberanza. «Avrà un bel caratterino, a detta di Alice».

    «Due rompiscatole, ecco cosa siete», dissi aggrottando le sopraciglia.

    Sconfitto da una bambina che non era ancora nata, e deluso da un figlio poco collaborativo. E Bella aveva imparato a giocare sporco, a furia di stare con me.

    Riposai il telecomando sul tavolino con un grugnito, e presi le chiavi della macchina.

    «Dammi il cinque», la sentì bisbigliare al suo pancione, mentre l’aiutavo ad alzarsi dal divano.

    Trattenni una risata. Assurdo.

    Quando con la solita difficoltà scovammo il sentiero per casa Cullen, sulla soglia c’erano Alice e Rosalie ad aspettarci con aria impaziente.

    Quella piccola succhiasangue non faceva altro che tenerci d’occhio tutto il tempo.

    Minuscola spiona.

    Ma perché non guardava il futuro dell’America invece di farsi i fatti nostri?

    Aiutai Bella a scendere dalla macchina a denti stretti, e ci incamminammo verso di loro. Non mi piaceva andarli a trovare, ma mi piaceva ancora meno lasciare che Bella ci andasse da sola.

    Il mio solito istinto protettivo.

    «Ottimo tempismo!», trillò la veggente correndo verso di noi, seguita dalla bionda. «Certo che se arrivavi cinque minuti prima era meglio!», aggiunse lanciandomi un’occhiataccia.

    Non feci in tempo a chiedere “Ma che cavolo stai blaterando?” che Bella lanciò un’urlo che quasi mi sfondò un timpano, e fece scappare uno stormo di uccelli da un albero del giardino. Si rannicchiò su sè stessa tenendosi la base del grembo enorme.

    «Portiamola dentro», suggerì Rosalie con una scintilla d’impazienza negli occhi color del miele.

    «Non se ne parla! La porto io!», tuonai. Ci mancava solo che me la strappassero dalle mani proprio in quel momento.

    Dalla bocca di Rosalie uscì un sibilo, simile a quello di un serpente a sonagli.

    La ignorai altamente, all’improvviso avevo altro da fare.

    Presi Bella in braccio - accidenti quanto pesava - e la portai dentro di corsa mentre il gigante teneva la porta aperta e il biondo calmo mi teneva sotto controllo come sempre.

    Che bell’ambientino. Non vedevo l’ora di tornarci, pensai sarcastico.

    Quando entrai, notai che il soggiorno era diverso dal solito.

    La grande vetrata era scomparsa: sembrava rivestita di metallo. E avevano tolto di mezzo i mobili.

    Al centro c’era un letto con le sbarre, come quelli degli ospedali. Carlisle ci attendeva di fianco al lettino, mentre Bella continuava a lamentarsi e a contorcersi.

    «Mettila qui, ci penseremo noi a Bella», disse rassicurante.

    «Te l’avevo detto che era un’urgenza, Jake», farfugliò Bella in preda alle doglie mentre la posavo delicatamente sul letto.

    «Si, Alice ti stava per chiamare, poi ha percepito che Jacob aveva deciso di venire qui. Ha visto che oggi avresti dato alla luce i vostri due gemelli», rispose Edward che stava dall’altro lato del lettino. «Sembra che aspettassero di arrivare da noi, per venir fuori», aggiunse con mezzo sorriso.

    «Cosa posso fare?», domandai nervoso e agitato, mentre Carlisle iniettava qualcosa nel braccio di Bella.

    Non potevo lasciarla li da sola, non adesso. Avrebbe perso parecchio sangue, e con tutti quei vampiri non potevo rischiare che perdessero la testa.

    Mi tenni pronto per un’eventuale trasformazione fuori programma.

    «Stai tranquillo Jacob, ci siamo tutti preparati per quest’evento. Soprattutto su quel fronte», commentò Edward in risposta ai miei pensieri.

    «Non vedo come. E non mi interessa saperlo», precisai con una istintiva sensazione di nausea.

    «Jake», mormorò Bella, finalmente un po’ più calma. Probabilmente Carlisle le aveva dato dell’antidolorifico. Tirai un sospiro di sollievo: non sopportavo di vederla sofferente.

    «Dimmi amore, sono qui», dissi chinandomi e prendendole la sua piccola manina pallida. Sperai di infonderle un po’ di forza.

    «Non andare via, ho bisogno di averti vicino», sussurrò con le sopraciglia increspate e la voce lievemente impastata.

    «Me ne vado proprio ora che Miss Universo e Mr. Muscolo si sono decisi ad uscire per la gioia dei loro fans? Tu sei matta da legare, Bells. Lasciatelo dire», replicai contrariato. Bella abbozzò una risata luminosa. Che ricambiai automaticamente.

    Il sorriso sparì, e il viso riprese a contrarsi dal dolore.

    «Iniziano le contrazioni», sussurrò Carlisle toccando la pancia di Bella. «Si, ci hanno proprio aspettati», aggiunse con un sorriso.

    Mi si raggelò il sangue nelle vene. Se avesse aumentato la pressione di quella mano…

    «Jacob», mi richiamò Edward. Sbuffai.

    «Lo so, lo so. Va tutto bene, sono calmo», inspirai. «Dopotutto, in otto anni ho imparato ad esserlo», ammisi.

    A quest’ora sarei stato in preda a violenti spasmi, e me ne sarei dovuto scappare per evitare danni ben peggiori.

    Sono sempre stato bravo a comandare la mia mutazione, ma farlo una volta l’anno per il suo compleanno, richiedeva una certa concentrazione, dato che mi disabituavo. Poi dovevo ricominciare tutto da capo, per continuare a crescere.

    Ma Bella era felice e si divertiva un mondo. Per lei avrei fatto qualunque cosa.

    Dalla stanza erano spariti Emmett e Jasper, mentre Esme, Rosalie ed Alice erano ai piedi del letto, preoccupate e impazienti. Solo Alice sembrava più o meno tranquilla.

    «Ci saranno problemi?», domandai riluttante alla piccola vampira.

    «No nessuno. Sarà un po’ lungo, tutto qui», rivelò.

    Rilassai i muscoli della mandibola.

    Tutto sommato, il suo potere era utile. Almeno in queste occasioni estreme.

    Mi sarei dovuto ricordare più spesso, dell’aiuto che in fondo ci davano.

    Il tempo passava, e Bella non faceva che urlare. I capelli spettinati e appiccicati alla fronte e sulle guance per il sudore, era stanca e nauseata dall’odore di sangue, ma cercava di fare come le diceva Carlisle.

    Mi sentì male, nel vederla così.

    «Fatti forza Jacob, tra poco finirà tutto», disse Esme posando la sua mano gelida sulla mia spalla.

    Non ero più caldo come prima, ma quel contatto mi provocò lo stesso un brivido lungo il braccio.

    «Eccolo!», annunciò Carlisle tra le urla di Bella. Una sua mano teneva la mia, mentre l’altra era aggrappata a quella di Edward.

    Mi allungai verso lo spazio tra Carlisle e le gambe divaricate di Bella, con il cuore che batteva a mille. Esme mi diede un asciugamano morbido e scuro, che sulle prime non capì esattamente perchè me lo avesse dato.

    Sentì il pianto acuto e pressante del neonato che Carlisle teneva tra le mani marmoree.

    Gli occhi mi uscirono dalle orbite.

    Era il maschietto. Il mio piccolo, grande alleato poco collaborativo.

    Un sorriso si spiegò sul mio volto, da un’orecchio all’altro. Credetti di rimanere paralizzato con quella faccia.

    Dio, quanto era bello.

    «Prendilo Jacob, devo pensare a Bella», disse Carlisle porgendomi il bambino coperto di sangue. Ecco perché Esme mi aveva allungato l’asciugamano. Che stupido.

    Esme cominciò a singhiozzare, in balia di emozioni che non provava da chissà quanto tempo. Intravidi Rosalie che fissava il bambino con aria estasiata.

    Se provava ad avvicinarsi, le avrei staccato la testa a morsi.

    «Voglio vederlo!», strillò Bella in preda ad altre contrazioni. Lasciai la presa della mano di Bella, subito sostituita da quella di Rosalie. Ed avvolsi mio figlio nell’asciugamano e tra le braccia.

    Il nostro Mr. Muscolo.

    La gioia che provavo nel vedere che i suoi occhi neri, aperti e inondati di lacrime mi guardavano, era sconfinata come l’orizzonte ampio sull’oceano.

    Mi si era aperto il cuore in tre parti uguali. Due erano già assegnate, mancava la terza.

    «Dopo Bella, adesso c’è la femminuccia. Stai andando bene, continua così!» incitò Carlisle.

    Un altro urlo uscì dalla gola di Bella. Non pensavo avesse tutto quel fiato.

    Altre urla, altre lacrime, altro sangue. Tanto, tanto sangue. Edward aveva ragione, sembrava che avessero avuto abbastanza tempo per prepararsi. Nessuno di loro ostentava difficoltà.

    Non riuscivo a staccare gli occhi dal musetto di mio figlio. La pelle era di un colore tra il mio e quello di Bella, simile all’oro ma più scuro. I capelli finissimi e morbidi, erano castani dai leggeri riflessi rossi, come quelli di Bella. Le labbra piene e gli occhi neri come i miei.

    Mi somigliava molto.

    Poi un pianto diverso, che non proveniva dalla boccuccia piena e rosea di Mr. Muscolo, che tentavo di ripulire dal sangue, uscì dal grembo di Bella ed attirò la mia attenzione.

    Ed eccola. La nostra Miss Universo.

    Meravigliosa, come doveva essere.

    Presi in braccio anche lei, dopo che Carlisle la ripulì, e finalmente assegnai anche l’ultima parte del mio cuore. Piangeva e strillava come un’aquila, stimolando anche il fratellino che si era appena calmato.

    Osservai la mia piccola rompiscatole e restai allibito, da quanto somigliasse a sua madre.

    Poi i suoi occhi tanto familiari fissarono un punto dietro di me, e si calmò.

    Mi voltai con l’espressione frastornata e trovai Edward che le sorrideva.

    «Ha gli occhi di Bella, e il viso a cuore come il suo», sussurrò meravigliato. «I tuoi capelli e il colore ramato della tua pelle. Non credevo possibile che Alice avesse ragione». Poi rise spostando lo sguardo verso l’altro mio braccio. «Lui invece è tutto suo padre», ridacchiò.

    Alzai un sopraciglio e guardai mio figlio che si era di nuovo calmato.

    Fissava Edward con una specie di espressione perplessa, le piccole sopraciglia aggrottate come per dire: e tu, che cosa sei?”

    «Lo sapevo che saresti stato mio alleato», mormorai già fiero di lui.

    Edward si piegò in due dalle risate.

    «Voglio vederli», mugugnò Bella esausta per la fatica immane del parto gemellare.

    Mi chinai su di lei e posai con attenzione i nostri due figli tra le sue deboli braccia. I nostri capolavori.

    «Reneah, Charbill siete bellissimi, anche più dei miei sogni», sussurrò Bella illuminata da un sorriso spettacolare, e guardando estasiata le nostre piccole fotocopie.

    La sorpresa e la curiosità mi costrinsero a distogliere lo sguardo dai nostri bambini e a formulare una domanda.

    «Come li hai chiamati?».

    Bella scattò sui miei occhi e poi li distolse con espressione stanca e imbarazzata.

    «Volevo chiamarli con una combinazione dei nomi più significativi della mia vita. Se per te vanno bene», mormorò.

    «Reneah…Charbill», ripetei alla luce della sua sommaria spiegazione. «Reneè e Sarah…Charlie e Billy», balbettai con voce rotta, gli occhi gonfi dalla meraviglia di sentire il nome di mia madre e mio padre per i miei figli.

    «In realtà avevo pensato a Reneah Rosealice per lei», aggiunse arrossendo.

    «Rosealice?», fecero eco le due vampire. I loro volti erano stupefatti, commossi ed estasiati nel sentire i propri nomi combinati.

    «Si. Alice perché l’ha vista e non vedeva l’ora che arrivasse, e Rose perché l’ha amata persino prima di me», confessò con un sorriso leggero sul volto distrutto dalla fatica. «E perché siete le mie migliori amiche, e vi voglio un bene che non riesco a contenere. Avevo bisogno di distribuirlo, in qualche modo», aggiunse.

    «Bella, io…non so…non so cosa dire», balbettò Alice trattenendo a stento le convulsioni che le provocavano la voglia di piangere. Rose non riusciva a parlare, era preda di quelle stesse convulsioni.

    Bella fece una strana risata e spalancò i suoi meravigliosi occhi color cioccolato. «Ti ho stupita Alice? Non ci credo, ce l’ho fatta!», disse con i capelli appiccicati alla fronte imperlata di sudore.

    Alice non riuscì a replicare, tanto era emozionata. Faceva ampi cenni con la testolina nera e scompigliata, annuendo.

    Era il massimo che poteva a fare in questo momento.

    «Sono nomi bellissimi», dissi a Bella. Rosealice mi piaceva davvero come nome. «E il maschietto? Ha un secondo nome anche lui?», domandai.

    «Si», sussurrò esitante, mentre abbassava gli occhi sulle nostre creature attaccate ai suoi seni. «Edwarlisle», rispose con un filo di voce.

    Entrambi erano presenti, ed entrambi rimasero impietriti.

    «Non merito tanto, Bella», mormorò Edward. «Dopo tutto quello…».

    «Sta zitto», disse Bella cercando di mettere forza nel suo debole tono. «Non hai ancora capito quanto tu sia importante per me, Edward. Carlisle, poi non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo. Lui è come…un secondo padre per me», aggiunse.

    Nonostante si fosse realmente fatto da parte in tutti questi anni, e avessi mitigato parecchio il mio temperamento, mi sentì un po’ geloso nell’apprendere quanto tenesse ad Edward.

    «Grazie, Bella. Non ci aspettavamo che ci avresti legato così alla tua famiglia. Siamo onorati e…molto, molto commossi», disse Carlisle con un sorriso amorevole.

    Come potevo rifiutare che i miei figli avessero quei nomi? Era un modo per ringraziarli, forse.

    «Ma certo Jacob», disse Edward mentre osservava il viso sazio di Charbill. «Assume assolutamente quel significato».

    D’un tratto mi sentì dondolare una ciocca di capelli.

    Charbill cercava di attirare la mia attenzione con i movimenti scoordinati della manina, il suo visino era increspato come se volesse dirmi qualcosa.

    «Mi dispiace piccoletto», gli sussurrai delicato. «Credo che ti terrai il nome di questi gentili succhiasangue», mi trovai costretto a dire. Bella sospirò un sorriso e mi baciò la tempia.

    Charbill fece una specie di smorfia e si portò goffamente la punta dei miei capelli sul nasino. Lo sentì respirare profondamente il mio profumo, ed addormentarsi con ancora i miei capelli stretti nel suo pugnetto paffuto.

    Un gesto incredibile, per un neonato. Qualcosa aveva fatto scattare in lui, la necessità di sforzarsi e compiere un atto così complesso.

    Alzai un sopraciglio, mentre il mio cervello intontito stava già elaborando la sua teoria.

    «E’ probabile», disse Edward. «D’altronde è figlio tuo. Potrebbe aver ereditato il gene del licantropo», disse rivelando un pensiero che avevo iniziato a fare, ma che non avevo i coraggio di concludere.

    Sentiva la puzza di vampiro, come la sentivo io già prima di passare ad una forma diversa da quella umana. Il suo istinto ha guidato il suo corpicino nel cercare un’aroma che non gli pizzicasse il naso.

    Un profumo diverso da quello che invadeva tutta la stanza. Forse era per questo che fissava Edward in quella maniera strana. In lui aveva individuato una fonte di odore fastidioso, mentre a me guardava con semplice curiosità.

    Mio figlio sarebbe diventato un lupo, era una prova innegabile.

    Un giorno lo avrei dovuto guidare nella trasformazione, sicuramente indotta dalla frequentazione con i Cullen.

    Sospirai rumorosamente, in colpa per aver condannato mio figlio al mio stesso destino.

    «Ci sarà da divertirsi parecchio», disse Alice all’improvviso. «Ora dobbiamo pensare a come si potrebbe giustificare a Charlie il lieto evento».

    «Parto in casa, vecchio stile. Ambulanze e linee telefoniche occupate, e Jacob si è rivelato un’ottima ostetrica», suggerì Edward facendo spallucce.

    «Perfetto, Charlie non sospetterà di nulla», disse Alice.

    Erano tutti vicini a noi e chini sui nostri figli, ormai caduti nel mondo dei sogni. Sembravamo immersi tra i ghiacci dell’Alaska.

    «Bene», farfugliò Bella con gli occhi appesantiti dalla stanchezza. «Anche questa è fatta», aggiunse prima di cadere in un sonno pesante e sereno.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 - Epilogo, atto II - Buio ***


    «Buongiorno Bella, come ti senti oggi?», dissi al mio riflesso sorridente dello specchio del bagno. Una miriade di rughe invadevano il mio viso.

    Una miriade di espressioni di un tempo passato nella felicità più completa.

     I miei capelli castani, avevano lasciato spazio ad una folta matassa argentea, soffice e delicata come la panna montata a nuvola.

    «Più vecchia, in verità», mormorai rispondendo a me stessa e puntando una nuova ruga sulla fronte.

    Che ieri non c’era.

    Charbill e Reneah erano diventati adulti e padroni della propria vita, già da parecchio tempo. Ormai eravamo rimasti solo io e Jake, ad occupare la vecchia casa di mio padre.   

    Una casa che aveva vissuto sogni e incubi, gioie e dolori. Fuoco e ghiaccio.

    E negli ultimi settantatre anni, aveva visto anche il sole, splendere dentro ogni sua stanza.

    Mi diedi una rinfrescata e scesi lentamente le scale aggrappandomi alla ringhiera, in direzione della cucina per preparare il cesto del pranzo. Un rito che si ripeteva a cadenza fissa.

    Per ogni mio compleanno.

    La mia schiena e le deboli braccia, mi permisero ancora una volta di portare il pesante cesto fino al piccolo garage, dal quale provenivano rumori di cacciaviti, fiamme ossidriche e altri strumenti infernali che sapeva maneggiare solo lui, con abilità impressionante.

    Aprì il portellone ridipinto di fresco di un colore rosso, simile alla sua vecchia casa di La Push, e vidi le sue spalle larghe e leggermente ricurve, appena coperte dai suoi lunghi capelli ancora sorprendentemente di un lucente nero corvino.

    Nonostante la sua età fosse avanzata quando la mia, meno due anni, si voltò di scatto al suono del portellone che si apriva lentamente.

    I suoi occhi neri e invecchiati incontrarono i miei, e si illuminarono come accadeva ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano.

    Nulla di lui era cambiato ai miei occhi spenti dal tempo, ma felici di averlo trascorso insieme a Jacob.

    Le profonde rughe incorniciavano il suo viso bronzeo, mentre mi sorrideva nel modo che avevo sempre adorato. Dal primo momento che lo avevo reincontrato a diciasette anni sulla spiaggia di La Push.

    Il tempo non ha potuto nulla contro il calore che emanava il suo sorriso e la sua persona.

    Ma d’altronde, il sole non può spegnersi.

    Lasciò cadere a terra i suoi strumenti da lavoro e si avvicinò a me, allungando le sue lunghe braccia ramate, robuste quanto quelle di un quarantenne.

    Erano già calde, pronte per la trasformazione temporanea.

    Il suo trasfigurarsi una volta l’anno, gli permetteva di invecchiare bene, mantenendo una fisico forte e vigoroso, ancora in grado di difendermi e prendersi cura di me.

    Anche se nulla ci aveva toccati, in più di settant’anni di vita insieme.

    Mi prese il cesto e mi diede un bacio sulle labbra grinzose.

    «Tanti auguri per i tuoi mille anni, Bells», disse ridacchiando. La voce rauca e profonda, segnata anch’essa dal tempo.

    Aggrottai le sopraciglia.

    «Sono solo novantuno. Cominci a dare i numeri?», domandai.

    «Quelli li do da quando ti ho conosciuta», rispose con un sorriso.

    «Okay sei perdonato», dissi facendo spallucce, come quando ero giovane.

    Ridemmo sommessamente.

    «Sei pronta per il tuo regalo?», chiese sistemandomi i lunghi capelli bianchi dietro le spalle.

    «Schiena permettendo, si. Oggi dove mi porti?».

    «Che razza di regalo sarebbe se ti dico dove andiamo?», domandò con una smorfia.

    Storsi il naso, scoprendo altre mille rughe sul mio volto pallido.

    «Va bene, ma non correre troppo. Oggi mi sento davvero mille anni addosso», mormorai.

    Sorrise e ci avviammo a piedi verso l’interno del bosco dietro casa.

    Giunti abbastanza lontani da occhi indiscreti, Jake cominciò a spogliarsi ed allacciarsi alla caviglia i suoi abiti vecchi e sporchi di grasso.

    Si trasformò nel grande lupo di sempre, ma il colore del suo manto lunghissimo era di un rosso spento, quasi incolore.

    Si accucciò più che potè, per permettermi di salirgli sul dorso. Sistemai il cesto tra le sue enormi scapole e si avviò ad una passeggiata svelta, tra gli alberi e le grandi felci del bosco.

    Non avevo mai capito come facesse ad orientarsi, ma ritrovarmi in mezzo a quei alberi, mi faceva riaffiorare mille ricordi. Tutti riguardanti la mia vita vissuta a stretto contatto con il mondo soprannaturale.

    Ricordai la prima volta che conobbi Edward Cullen. La strana sensazione che in lui ci fosse qualcosa di diverso, da qualsiasi essere umano che avessi mai incontrato. Il mio amore per lui e la scoperta della sua natura leggendaria di vampiro.

    Ripensai alla vivacità di Alice, alla bellezza mozzafiato di Rosalie e alla sua iniziale ostilità nei miei confronti. Ricordai il volto amorevole e infantile di Esme, il sorriso beffardo di Emmett, l’inquietudine sul volto di Jasper, e la dolcezza e solennità del viso di Carlisle.

    I miei amici vampiri, che avevano dato il via alla mia nuova vita.

    Poi ricordai Jacob, l’amico, la cui anima si intrecciava giorno dopo giorno alla mia. Senza che me ne accorgessi, i miei sentimenti verso questo meraviglioso ragazzo, crescevano e si solidificavano in una bolla che comprendeva solo noi due.

    Rendendomi parte di qualcosa che andava oltre il mio primo desiderio di diventare una Cullen.

    La vita.

    Ricordai quanto l’eco delle sue emozioni vibrasse dentro di me, stimolando le corde delle mie.

    Quanto niente potesse tenerci lontani l’uno dall’altro, sfidando ordini, limiti e segreti. Un magnete più potente di quello tra me ed Edward.

    Jacob non mi aveva abbandonata un solo giorno, anche quando pensavo l’avesse fatto. Se ne stava nascosto, a vigilare sulla mia incolumità, impossibilitato dal disubbidire a Sam.

    Ma era li, se mi fosse successo qualcosa, sarebbe spuntato dall’oscurità del suo nascondiglio e mi avrebbe difesa. Finchè poi riapparve nella mia stanza, nella speranza che io ricordassi da sola la verità che ingenuamente mi aveva rivelato tempo prima.

    Per mantenere la sua promessa di starmi sempre vicino.

    Poi il primo bacio, l’esplosione del mio cuore e del desiderio, sfociato nell’avverarsi del mio sogno ricorrente e di un matrimonio che simboleggiava l’amore stesso.

    La nostra prima volta.

    E la seconda, e la terza…

    Le volte si perdevano nel tempo, fino e oltre la luce emanata dai nostri figli straordinari.

    Reneah Rosealice.

    La mia fotocopia migliorata, che aveva riportato la vita nella famiglia Cullen fin dalla tenera età, scompigliando la loro esistenza altrimenti sobria, e per certi versi vuota e isolata. Edward si era molto affezionato a lei, si divertiva a confondersi in mezzo ai pensieri caotici della testa di Reneah.

    E lei si era innamorata di lui, ovviamente. Soffrivo al pensiero che non fosse corrisposta come desiderava.

    E Charbill Edwarlisle.

    Il maschio Alpha dal pelo dorato con striature marroni sul muso, del nuovo e fortissimo branco di licantropi di La Push e Forks. Presso il quale aveva trovato l’oggetto del suo imprinting.

    Leah Clearwater.

    Rimasta giovane per sfogare una rabbia e un’angoscia repressa, cacciando sporadici vampiri che apparivano qua e là.

    Fino al primo sguardo incrociato con quello di mio figlio Charbill.

    La mia mente vagava tra i ricordi di una vita vissuta al fianco del sole, dell’aria e del fuoco.

    Costante e inesauribile, ad incendiare ogni mia notte.

    Jake continuava con il suo passo regolare e svelto, ancora non sapevo se eravamo vicini alla meta.

    Lentamente il mio corpo si sentiva sempre più stanco, come se ogni anno si depositasse con tutto il suo peso sulla mia schiena affaticata dalla vecchiaia.

    Decisi di fare un breve sonnellino, rannicchiandomi sull’ampio dorso del mio amato lupo. Mi avrebbe svegliata quando fossimo arrivati.

    Il mio corpo rilassato, era sempre più pesante, come se stessi sprofondando sulle mie stesse ossa. Poi Jake rallentò il passo fino a fermarsi. Probabilmente eravamo arrivati, ma non ebbi la forza di muovere un solo muscolo.

    Ero così comoda e al caldo dal suo pelo, tanto lungo da potermici avvolgere come una coperta.

    Sentì il mio corpo depositarsi delicatamente sul manto erboso, ed un naso grande e umido accarezzarmi il volto, dandomi lievi colpetti come per svegliarmi.

    Lasciami riposare, volevo dirgli, ma dalla mia vecchia bocca non uscì alcun suono.

    «Bells, Bells amore svegliati», disse Jacob con una nota di preoccupazione. Si era trasformato, ma non avevo sentito il fruscio degli abiti come se si stesse rivestendo.

    Che aveva da preoccuparsi? Ero solo stanca, stavo riposando per la miseria. D’altronde ho la bellezza di novantuno anni, mica diciotto.

    «Bells», lo sentì dire, ma la sua voce non era solo preoccupata. Sembrava stesse piangendo.

    Perché? Pensava fossi morta? Eppure respiravo ancora, sentivo l’aria fresca e profumata di muschio e pioggia, riempirmi i polmoni.

    No amore, non devi piangere, lasciami solo riprendere. Mi sento così stanca e pesante, volevo dire.

    Ma ancora non ebbi la forza di pronunciare alcuna sillaba. E lui non smetteva di bagnarmi il viso con le sue lacrime.

    Poi sentì dei passi leggeri, come le foglie spazzate via da una lieve brezza, avvicinarsi al mio corpo disteso. Ed una voce diversa, ma che avrei riconosciuto tra mille. L’avevo sentita appena una settimana fa, quando una notte era venuto a farci visita insieme ad Alice e Rosalie.

    Persino Jacob, era diventato più amichevole nei suoi confronti, con il passare degli anni.

    «E’ giunto il momento», annunciò Edward. La sua voce vellutata era bassa e lenta. Scandì ogni parola.

    «Bells. La mia…piccola ragazza lupo», farfugliava Jacob in preda ad una inspiegabile convulsione da pianto isterico.

    Cominciai a preoccuparmi seriamente.

     «Una parte di me rimarrà vuota per l’eternità, e lo stesso per te. Amico mio, ed eterno rivale», disse Edward con un sussurro lontano. «Se non fosse per Reneah, che mi ha sconvolto l’esistenza quasi quanto Bella, ti avrei chiesto di uccidermi, come prevedevo di fare sin dall’inizio. Sarei stato onorato di morire per tua mano».

    Mi si raggelò il sangue nelle vene a quelle sue parole. Perché parlavano di me come se stessi per morire?

    Cosa gli era preso a questi due matti?

    Edward, leggimi il pensiero una buona volta: STO DORMENDO! SONO STANCA!

    «Bella non te lo avrebbe mai permesso, e non mi avrebbe mai perdonato se ti avessi dato retta. E non solo lei», mormorò Jake con la sua voce ancora più roca e profonda.

    Combattei contro il freddo improvviso e l’inerzia del mio corpo vecchio, per trovare un filo di voce e dire qualcosa. Per dire che volevo solo dormire in quel manto soffice e umido.

    Ma le parole di Edward avevano scatenato in me un altro pensiero. Un volto, un animo luminoso e pieno di vita. Una figlia che lo amava.

    «Reneah vi prenderebbe a sassate in testa», farfugliai.

    Sentì un’ondata gelida da un lato, ed una calda dall’altro. Si erano accovacciati, restando in silenzio per cogliere i miei deboli sussurri.

    Feci forza nei muscoli del viso e riuscì ad aprire leggermente gli occhi.

    Vidi il volto di Jacob solcato dalle lacrime, e sorridere una debole risata.

    «Dubito che le nostre teste dure si romperebbero. Semmai le pietre, Bells», rispose.

   Stiracchiai una risata, per quanto i muscoli rigidi del volto me lo permettessero.

    «Edward», sussurrai cercando il suo volto dalla perfezione immortale.

    Edward si avvicinò a me, con il suo solito sorriso sghembo. «Ai miei occhi non sei cambiata di una virgola sai? Sei sempre la stessa ragazza, goffa e attiraguai», disse singhiozzando e ridacchiando.

    Feci una smorfia, ma continuai a sorridergli.

    «Anche tu sei sempre bellissimo, da mozzare il fiato», sussurrai uno dei tanti pensieri che gli avevo tenuto nascosti in gioventù, ed osservando la sua eterna giovinezza. Poi mi voltai con le poche forze che mi restavano.

    Sentivo che mi scivolavano via dalle mani.

    Ritornai sul volto ramato del mio Jacob. Il mio compagno di vita, il mio perenne salvatore.

    Colui che mi aveva salvata e protetta perfino da me stessa. E che ero arrivata ad amare più di quanto avessi amato Edward.

    «Ho sonno. E freddo. Jake, riscaldami per favore», mormorai con voce sempre più lontana dalle mie orecchie.

    Jacob mise un braccio sotto la mia schiena curva e mi sollevò, stringendomi forte al suo petto ramato.

    Ma continuavo a sentire freddo.

    «Sono qui amore mio, non ti lascio al freddo. Resterò io a riscaldarti», rispose con gli occhi inondati di lacrime.

    «Come hai sempre fatto», dissi, ma non ero sicura di averlo detto davvero. Non mi sentivo più.

    Lo vidi annuire con la testa, cercando di sorridere, come solo lui sapeva fare.

    Il suo sorriso, luminoso, caldo e unico al mondo, fu l’ultima immagine che i miei occhi appesantiti videro da quel momento.

    Poi, il buio.

 

 

 

The end

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Senza titolo, non finito ***


    Il sole era appena spuntato da dietro le nuvole bianche, e i suoi raggi erano insolitamente nitidi e luminosi, in questa domenica di settembre.

    La luce filtrava da dietro le tende dorate della nostra camera da letto, mentre il cinguettio degli uccellini accompagnavano il mio risveglio.

    L’aroma di cafè invadeva la stanza come ogni mattina. Forse era proprio questo che mi svegliava, come capitava a Charlie quando ero io a preparare la colazione.

    Più di ventisei anni fa.

    «Buongiorno raggio di luna», sentì sussurrare dolcemente al mio orecchio. La sua voce rauca non mancava mai di salutarmi appena sveglia.

    Mi voltai verso di lui con il solito sorriso appagato sulla faccia, scoprendo le rughe che rendevano il mio viso stranamente più interessante.

    «Buongiorno raggio di sole», rispondevo sempre. Era diventato una specie di rituale. Ma l’ispirazione me la dava lui, ogni mattina.

    Non c’era altro modo di descrivere Jacob, se non paragonandolo al sole.

    Il tempo non ha potuto nulla contro il calore del suo sorriso, nonostante le rughe gli inconriciassero il viso bronzeo.

    Stava li, al mio fianco come da quasi trent’anni, con il gomito sul cuscino e la grande mano che gli reggeva la folta chioma di capelli di seta nera, con qualche timido capello bianco appena accennato. Le lenzuola bianche creavano un invitante contrastro con la pelle ramata del suo petto nudo.

    Nonostante i suoi quarantadue anni suonati e le limitatissime trasformazioni nel lupo dal pelo di un rosso lievemente sbiadito, i suoi pettorali erano ancora in grado di stimolare il mio desiderio. Come tutto il resto del suo corpo.

    Mi morsi il labbro avvicinandomi a lui con aria maliziosa, mentre Jake allargò il sorriso e mi avvolse con l’altro suo braccio.

    «Ma non ti stanchi mai?», mi sussurrò.

    «Senti chi parla», ribattei mentre sentivo la sua mano scivolare sotto le lenzuola e cercare la mia biancheria intima.

    Rise e iniziò a baciarmi e a rigirarmi sotto di lui. Com’era accaduto per tutta la notte.

    Ci eravamo allenati parecchio, in questi anni, e ormai conoscevo i suoi punti deboli, come lui conosceva i miei.

    D’improvviso sentimmo un tonfo provenire dalla mia vecchia stanza. Io e Jacob ci guardammo negli occhi e sospirammo.

    «Reneah», sbuffammo all’unisono. Uscimmo dal letto e ci infilammo qualcosa addosso.

    Aprimmo la porta e vidi la folta chioma di nostra figlia che le copriva le spalle, sdraiata sul letto e avvolta dalle coperte. Innaturalmente immobile, la finestra aperta come al solito.

    D’improvviso la nostra attenzione venne attirata dalla corsa su per le scale di un passo pesante.

    «Ti ho beccata questa volta! T’ho vista arrampicarti sull’albero ed entrare dalla finestra!», sbraitò Charbill irrompendo nella stanza e sovrastandomi con il suo metro e ottantasette. Era un gigante di diciotto anni, dai capelli castani e riflessi rossicci come i miei, gli occhi neri e profondi come quelli di Jacob, e la pelle di una strana tonalità di oro.

    Esageratamente muscoloso e ovviamente licantropo.

    Come si era supposto, Jacob aveva trasmesso il suo gene a nostro figlio, scattato dalla costante presenza dei Cullen. Ma non obbediva ad alcun ordine. Casomai era lui ad impartirne agli altri del suo branco, composto dai figli di Sam, Jared, Seth e gli altri. Era l’erede di Jacob.

    Era il maschio Alpha, dal pelo dorato con striature marroni sul muso e sul dorso.

    E il caso della vita ha voluto che avesse l’imprinting con Leah Clearwater. Infatti lei era rimasta giovane, nella speranza di poter sfogare la sua perenne frustrazione dando la caccia ai pochi vampiri che riuscivano a penetrare le difese dei Cullen.

    «Brutto lupo spelacchiato e spione!», tuonò Reneah voltandosi di scatto ed incenerendolo con lo sguardo. Era ancora vestita da capo a piedi. Non riconobbi nemmeno uno dei capi che indossava.

    Le visioni di Alice di ventisei anni fa, erano incredibilmente verosimili.

    Era identica a me. Ma molto più bella, a parer mio.

    Gli stessi occhi color cioccolato miei e di mio padre, lo stesso viso a forma cuore, lo stesso groviglio di capelli e la stessa testardaggine. Da Jacob, aveva preso il nero corvino della chioma, il sorriso solare, la pelle lievemente ramata e il calore che avvolgeva chiunque entrasse nella sua sfera.

    «Basta ragazzi», disse Jacob. «Avanti, che hai combinato questa volta signorina?», domandò spazientito alla mia fotocopia migliorata.

    Lei aggrottò le sopraciglia. «Sono andata ad una festa, e ho fatto un po’ tardi. Tutto qua», rispose con la sua voce delicata e innocente.

    Charbill brontolò qualcosa d’incomprensibile.

    «A dare spettacolo in una bella casa tra i boschi, inaccessibile dagli esseri umani, giusto?», continuò Jacob con le braccia incrociate.

    Reneah fece spallucce con aria indifferente. «Non ricordo».

    «Come sta Alice?», domandai interrompendo l’interrogatorio.

    Sentì le fiamme degli occhi di Charbill su di me. Da sempre avevo preso le parti di mia figlia per lasciarle frequentare i Cullen. Era un toccasana per loro. Aveva riportato la vita e il calore nella loro famiglia, già dalla tenera età.

    E sospettavo che si fosse presa una cotta per Edward.

    «Divinamente come sempre! Quella vampiretta è la sorella che ho sempre desiderato! Altro che questo zoticone di mi fratello. E Rosy! Il mio modello di bellezza! Alice ha realizzato un paio di modelli che ho disegnato durante l’ora di spagnolo e le stanno d’incanto! Questo vestito invece me lo hanno comprato quando siamo uscite a Seattle! Che meraviglia!», disse tradendosi da sola con ogni parola. Non resisteva a raccontarmi tutto di loro, dato che andava a trovarli molto spesso, ed eravamo complici. «Edward poi si diverte un mondo a leggere i miei pensieri. Dice che in testa ho un vero e proprio caos. Spesso si confonde anche lui», raccontò divertita e con le guance scure lievemente imporporate.

    Ridemmo entrambe, ignorando gli spettatori particolarmente irritati.

    «Papà, non ne posso più di fare da balia a questa stupida. Le ho persino imposto un ordine Alpha ma non ha funzionato. Che devo fare?», domandò esasperato Charbill.

    Anche se non sembrava, voleva un bene incredibile alla sorella. Aveva paura si facesse male.

    Jake scoppiò in una risata fragorosa che mostrava i solchi segnati ai lati della bocca piena. «Ma è ovvio che non ha funzionato, stupido Mr Muscolo! Non è mica un lupo come noi. Più che altro è una bella gatta da pelare, figlio mio», disse posando una mano sulla sua spalla e mordendosi le labbra pensieroso. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=518093