WANTED - I ricercati

di Herm735
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una giornata difficile ***
Capitolo 2: *** Anomalia ***
Capitolo 3: *** Intrusione ***
Capitolo 4: *** La fuga ***
Capitolo 5: *** Esperimenti ***
Capitolo 6: *** La Profezia ***
Capitolo 7: *** L'Ordine ***
Capitolo 8: *** Il numero 12 di Grimmuld Place ***
Capitolo 9: *** Specchi ***
Capitolo 10: *** Il labirinto ***
Capitolo 11: *** Cure mediche ***
Capitolo 12: *** Considerazioni ***
Capitolo 13: *** Brutte notizie ***
Capitolo 14: *** Incantesimi di Invisibilità ***
Capitolo 15: *** La nuova alleanza ***
Capitolo 16: *** Sotto la maschera ***
Capitolo 17: *** La prigione ***
Capitolo 18: *** La Sorgente ***
Capitolo 19: *** Interruzioni ***
Capitolo 20: *** Il cuore di Sirius ***
Capitolo 21: *** Il buio ***
Capitolo 22: *** L'anima di Hermione ***
Capitolo 23: *** Il rifiuto di Harry ***
Capitolo 24: *** La Pozione ***
Capitolo 25: *** In Memoriam ***



Capitolo 1
*** Una giornata difficile ***


Wanted
Parte Prima - I ricercati







Aveva avuto una giornata molto dura.
Ma ormai avere giornate molto dure era entrato a far parte della sua routine.
Quando fu davanti alla porta di casa si guardò intorno, poi apri la porta quel tanto che bastava per permetterle di infilare una mano attraverso la fessura e staccò il nastro adesivo che teneva un pezzo di spago legato al muro. Poi entrò e richiuse la porta. Esaminò lo spago. Era intatto.
Ne aveva legata un'estremità sulla porta e l'altra sul muro. Così facendo si sarebbe accorta se mai qualcuno fosse entrato in casa sua durante la giornata.
Ormai i metodi magici non erano più sicuri. Potevano essere quelli a farti beccare.
L'unico inconveniente era la precisione.
Una volta era rientrata a casa dimenticandosi di staccare un'estremità del filo prima di aprire la porta. Era rimasta una settimana con il dubbio se fosse stata lei a romperlo entrando o se qualcuno fosse sul serio entrato in casa sua.
Ovviamente chiamare la polizia era fuori discussione.
Così si era fatta forza, aveva preso tutte le precauzioni possibili, ed alcune anche inutili, come chiudere tutte le tende e accendere tutte le luci per coprire il lampo, insonorizzare la stanza manualmente, usando dei contenitori per uova da sei lungo tutte le pareti della stanza. E poi si era decisa a pronunciare l'incantesimo.
Nessuno era entrato in casa sua. E nessuno ebbe il minimo sospetto che avesse fatto un incantesimo.
Era paranoica, ecco la verità.
Certo, se loro non avessero continuamente tentato di uccidere la sua gente, forse non lo sarebbe stata.
Tutto ciò che sapeva era che non c'erano dubbi sul fatto che fosse al sicuro, ma voleva tenersi la sua vecchia vita e la sua vecchia casa.
Certo, se anche un giorno o l'altro l'avessero beccata sarebbe sempre potuta scappare con facilità.
Però era affezionata a quel posto.
Preferiva di gran lunga i suoi metodi babbani, anche se di tanto in tanto creavano qualche strano problema.
Ad esempio, per buttare tutti quei contenitori da sei di uova le ci erano voluti tre mesi. Ne buttava solo un paio o al massimo tre al giorno.
Per non farsi beccare.
Ok, si, era diventata paranoica, su questo non c'era il minimo dubbio.
Ma doveva essere pronta a tutto.
Nell'eventualità di dover fare una magia, per mesi aveva messo da parte quei contenitori, rendendosi solo dopo conto che erano totalmente inutili, visto che lei non pronunciava gli incantesimi da quando aveva compiuto sedici anni.
E poi li aveva buttati, rendendosi conto che erano inutili tutte quelle precauzioni se poi le avessero trovato in casa circa duecento scatole per le uova.
Avrebbero capito lo scopo insonorizzante.
E avrebbero di conseguenza capito che l'irruzione era stata senza dubbio utile.
E ne avrebbero schedata un'altra.
Senza contare di tutte le sue impronte che erano in casa sua.
Erano ovunque, ovviamente. Neanche la magia poteva evitarle questo.
Ma assolutamente non poteva permetterlo, perché se mai fosse stata schedata, la sua vita sarebbe finita.
Sarebbe diventata come loro, tutti loro.
Una fuggitiva.
Una prigioniera della sua stessa libertà.
Avrebbe dovuto dire addio a quella casa, a quella città. E non era pronta a farlo. Né mai lo sarebbe stata.
Non la spaventava così tanto l'idea di dover abbandonare tutto, però, quanto in realtà la spaventava l'idea di ritrovarsi con loro due.
Insieme.
Il male ed il bene.
L'odio e l'amore.
Il tradimento e la fiducia.
Colui che aveva dato inizio alla guerra e colui per cui valeva la pena combatterla.
Insieme.
Amici.
A dispetto di ciò che lei diceva.
Nessuno l'aveva ascoltata, quando, cinque anni prima, lo aveva predetto.
Perché nessuno voleva ascoltare una diciottenne. Nemmeno i suoi coetanei.
Però quei cinque anni le avevano fatto bene.
Era diventata migliore. Fredda e calcolatrice.
Come si supponeva che dovesse essere in tempo di guerra una qualsiasi persona volenterosa di sopravvivere.
Si lasciò anche quella sera cadere sulla poltrona con un piatto di maccheroni al formaggio appena scongelati ed accese la televisione.
Ormai era sua abitudine ascoltare ogni sera il notiziario locale per sapere cosa succedeva tutto intorno a lei. Nella parte invisibile della città.
La cronista era una giovane donna babbana sulla trentina. I suoi capelli biondi, probabilmente non naturali, erano impregnati di così tanta lacca da essere evidente anche attraverso lo schermo. I suoi occhi spenti riflettevano il tempo in cui si trovavano. Le sue labbra erano celate sotto del rossetto molto appariscente e il suo abbigliamento non poteva che essere molto formale.
“Buonasera. Iniziamo con i fatti di cronaca. Oggi a Londra sono state schedate e catturate tre persone che vivevano nella stessa casa, due uomini ed una donna. La polizia sospetta che almeno uno dei tre sia in possesso di poteri magici, nonostante nella casa non sia stato rinvenuto alcun oggetto in grado di farli condannare. Tuttavia il fatto che nessuno dei tre abbia opposto resistenza ha fatto sorgere dei dubbi negli agenti, che adesso stanno prendendo in considerazione l'ipotesi di rilasciarli.”
Sulla sua poltrona lei si limitò a scuotere la testa, mentre prendeva un'altra forchettata di maccheroni.
“Sempre a Londra, ma in periferia, oggi ci sono stati due morti.”
Ecco la notizia che ogni sera aspettava. Leggeva i nomi.
Quei nomi che tutto o niente potevano voler dire.
Era successo che li conoscesse, a volte.
Altre volte era successo che il numero era così alto che anche se non li conosceva si sentiva morire. Due? Due era sotto la media. Due era poco. Due era niente.
Ogni sera si sentiva di cinque o sei morti, a volte anche una decina. La metà di solito babbani innocenti che si trovavano nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
E questo le faceva venire i nervi a fior di pelle.
“I due ragazzi sulla ventina sono stati trovati da due agenti mentre cercavano di comprare degli ingredienti magici al mercato nero. I due agenti hanno cercato di arrestarli, quando uno dei due ha estratto la bacchetta. Ovviamente i nostri coraggiosi ragazzi non hanno esitato a sparare. I due maghi, che sono stati dichiarati deceduti dal medico legale intorno alle quattro di questo pomeriggio, sono stati identificati come Dean Thomas e Seamus Finnigan, presenti nell'elenco degli studenti della scuola di Hogwarts, che come ricorderete è stata trovata e chiusa da...”
Spense la televisione all'istante.
“Dio, no...”
Il sangue le si era gelato nelle vene.
Non poteva essere vero.
Dean e Seamus. Dannazione.
Perché diavolo non erano scappati? Perché non si erano smaterializzati?
O perché non evocare uno scudo o...al diavolo!
Avrebbero avuto un milione di modi per vivere.
In tutte quelle morti c'era qualcosa che non la convinceva. Sapeva che c'era qualcosa che ai telegiornali non dicevano, ma cosa?
Come potevo dei semplici soldati essere capaci di uccidere dei maghi?
E non dei semplici maghi.
Erano suoi amici. Suoi coetanei.
Ed erano stati stupidi a scoprirsi in quel modo.
Dannazione.
Posò il piatto nel lavandino e guardò sul tavolo tutti i ritagli di giornale che aveva.
“Dannazione!”
Li scaraventò a terra.
Anche lei si era scoperta.
Ma da allora non lo avrebbe più fatto.
Crollò in ginocchio, mentre qualche lacrima scendeva dai suoi dolci e disperati occhi.
“Dannazione...” sussurrò.
Prese in mano quei ritagli di giornale, sentendosi ferita, violata.
Da quel giorno niente più indizi, niente più prove.
Avrebbe raddoppiato le misure di sicurezza. Avrebbe messo il filo anche alle finestre.
Si odiava. Si odiava per l'attaccamento che aveva verso la vita.
Per l'attaccamento che non poteva evitare di avere.
E da quel momento, si rese conto di quanto per gente come lei la vita fosse fragile.
Ma lei non lo era, no. Avrebbe combattuto per la sua vita.
Fino alla morte stessa.





Ok, questa storia è evidentemente fuori dagli schemi.
C'è un po' di tutto, guerra, amore, amicizia.
Sono ancora molto indecisa, non so se continuarla o meno...quindi, fatemi sapere che ne pensate! A presto!!



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Capitolo 2
*** Anomalia ***


Ecco che inizia l'azione...Buona lettura!




Era colpa sua.
Lo sapeva bene.
Era per questo motivo che ogni sera andava a fare i turni per controllare il perimetro.
Lui era la causa di tutto il male.
“Harry” lo chiamò una voce alle sue spalle.
Si voltò colto di sorpresa.
“Vuoi che venga con te?”
Harry fece segno di no con la testa.
“Torna al campo, Ron. Non puoi lasciarli soli.”
“Ti riferisci a loro due o a tutti gli altri?” chiese il rosso.
“Vai e basta.”
Si voltò e riprese il suo cammino.
Camminò a lungo, senza quasi rendersene conto. Ormai era diventato automatico svolgere il proprio turno ogni sera.
Ogni notte.
Perché da un po' ormai il sonno tardava ad arrivare e spesso lo lasciava pieno di pensieri.
A volte il silenzio lo disturbava più del rumore.
Perché nel silenzio, quando tutto intorno a lui taceva, quando il buio lo avvolgeva, quando nessuno dei suoi sensi era in grado di essere usato, anche se tutti erano all'erta, era in quei momenti che i ricordi lo tenevano sveglio.
I ricordi di lei.
Ogni ricordo di lei.
I suoi occhi, i suoi capelli. Le sue labbra.
E la sua voce.
La sua voce vellutata che tornava a riempire il vuoto dentro di lui, in piena notte, quando non c'erano rumori o suoni o immagini, quando niente interferiva con la sua memoria, e calda e dolce sentiva la sua voce sussurrare quello che voleva sentirle dire.
Quello che aveva detto davvero.
Le promesse che aveva fatto.
E che non aveva poi mantenuto.
“Siamo io e te. Sono parte di te. Come sei parte di me. Sarò con te per sempre.”
Se solo non fosse svenuto in quell'istante, le sue parole avrebbero assunto un diverso significato.
Quelle parole. Le immagini che lo torturavano.
Lui a terra, sanguinante, ferito, vulnerabile.
E lei, sopra di lui. Lei che prometteva di essere con lui per sempre.
Era così pieno di gioia che sarebbe potuto esplodere.
Fino a due giorni dopo.
Quando aveva ripreso conoscenza.
E lei non c'era più. Era andata. Sparita nel nulla.
Nessuno che sapesse dov'era o che l'avesse vista andarsene.
La guerra l'aveva cambiata. O forse aveva cambiato tutti loro tranne lei.
Ecco la verità.
Loro erano cambiati, erano pronti a combattere, a morire. Ma soprattutto erano pronti ad uccidere.
Ad uccidere per la causa in cui credevano.
Lei non lo era. Non lo sarebbe mai stata.
Di tutti loro, Harry era stato il primo. Aveva ucciso tempo prima che scoppiasse la guerra. Aveva ucciso Voldemort. Molto tempo prima. Quasi sei anni prima.
La guerra era venuta dopo.
A causa sua. E di Malfoy.
Forse era questo che lei non gli aveva mai perdonato.
Il fatto di avergli creduto. Di averlo accettato.
E di non aver creduto a lei. Lei che li aveva avvertiti tutti. Lei che aveva predetto tutto.
E prima che tutto iniziasse se n'era andata.
Ma questi ricordi confusi e rabbiosi erano stati prima. Adesso niente contava di tutto ciò. Da quando erano in guerra tutto ciò che contava era vincere. Era rimanere vivi giorno dopo giorno, senza mai mollare.
O almeno provarci.
Si bloccò di colpo, sentendo un rumore dal limitare della foresta che circondava il campo.
Dopo qualche secondo si convinse di esserselo immaginato, quando lo sentì una seconda volta.
Si materializzò alle spalle di colui che aveva prodotto quel rumore.
Gli puntò la bacchetta alla gola e gli tolse la pistola dalle mani, tenendola nella sua mano sinistra.
“Chi sei?”
“La fata turchina.”
Il sarcasmo dell'uomo non gli fece affatto piacere, tanto che lo colpì con una gomitata in faccia, costringendolo ad inginocchiarsi per il dolore.
A giudicare dal sangue doveva come minimo avergli rotto il naso.
“So che sei un soldato. Voglio sapere perché sei qui.”
L'uomo lo guardò.
“Per beccare la tua gente e piantargli una pallottola nel cuore.”
Puntò la bacchetta contro il suo naso.
“Cazzo. Ma tu sei Harry Potter. Guarda un po', vengo per un assaggio e mi trovo di fronte alla cena completa.”
“I tuoi superiori sanno la tua posizione esatta?”
“Che domanda idiota.”
“Allora la semplificherò. Sei uno dei mercenari o uno dei soldati?”
“Fa differenza?”
“Enorme. Differenza tra la vita e la morte.”
“Mercenario.”
“Quindi i tuoi superiori non sanno dove sei, giusto?”
“L'ultima missione che mi hanno dato era a San Francisco. In America.”
“Lo so dov'è San Francisco, idiota.”
“Allora, che mi farai?”
Harry non rispose. Mormorò l'incantesimo per modificare la memoria a fior di labbra, con la bacchetta puntata sul suo naso.
Un lampo rosso uscì dalla sua bacchetta, ma quando toccò l'uomo non successe niente. Il mercenario tremò come se avesse ricevuto una piccola scossa e poi si rialzò in piedi.
Harry lo guardò terrorizzato.
L'uomo lo guardò con un'espressione di vittoria.
“Buh” sussurrò prima di dargli un cazzotto in faccia.
Harry lo schivò e si gettò indietro, lanciandogli un altro incantesimo con la bacchetta.
L'uomo venne nuovamente attraversato da un piccola scarica elettrica che lo fece inginocchiare, ma poi si alzò nuovamente.
“Non mi dire che il grande Harry Potter non l'ha saputo.”
“Ci sono riusciti, è così?”
“Già. E spero che non ti dispiaccia, ma adesso ti farò fuori.”
Il secondo pugno andò a segno, lasciando uno spacco sul labbro inferiore di Harry.
Poi l'uomo si piegò pronto a prendere la sua seconda pistola dalla fondina che portava alla caviglia. Uno sparo riecheggiò nella foresta.

Quando Ron lo vide arrivare gli si gelò il sangue.
Stava percorrendo l'ultimo tratto a piedi, trascinandosi un corpo dietro.
Due uomini gli corsero incontro e lui gli lasciò il cadavere.
“Lasciatelo in San Francisco. Nella zona est, fuori dalla città. Ha un proiettile nello stomaco, quindi nessuno penserà che siamo stati noi.”
Dopo aver dato loro quei pochi e concisi ordini si diresse verso Ron.
“L'hanno trovato.”
“Cosa?”
“Ce l'hanno fatta.”
Una piccola folla delle persona più fidate si era riunita intorno a loro.
“Dobbiamo procurarci più armi. Le tre pistole che ho preso a lui stasera ci basteranno per poco tempo. E poi ci servono munizioni. Ed i prossimi soldati devono essere imprigionati. Dobbiamo avere più informazioni.”
Gli altri maghi, intorno a lui, lo guardarono con aria preoccupata.
“Ma se l'hanno trovato, perché non lo diffondono tra i civili?” chiese una delle donne.
“Non lo so.” Scosse la testa. “Non lo so. Ma lo scoprirò.”
Entrò nella sua tenda, dove si fasciò la mano che si era tagliato per passare tra i rami e si curò la ferita al labbro inferiore.
Gettò le tre pistole che aveva rubato al mercenario sulla sua scrivania.
Era molto più facile quando era la magia ad uccidere al suo posto.
Premere il grilletto di una pistola lo aveva fatto sentire strano. Cattivo. Sporco.
Ma era quello che andava fatto.
Non perché volesse vivere. Il suo attaccamento alla vita era pressoché inesistente.
Ma doveva farlo. Doveva vivere. Per proteggere gli altri.
La sua gente.
Tutta quella gente che faceva affidamento in lui.
Uscì dalla tenda e trovò i suoi consiglieri ad aspettarlo.
In realtà i consiglieri non erano che quelle poche persone di cui si fidava.
“Ron, Luna, dovete finire il turno di guardia intorno all'accampamento. Ginny, raggruppa tutta la gente e nascondila in un posto sicuro, stanotte dormiremo nel capanno grande tutti insieme, nel caso in cui rivelassero tracce di magia e venissero a cercarci.”
Ron, Luna e Ginny si dileguarono.
“Neville, prendi una fiala di sangue del soldato ed isola qualsiasi cosa abbia reso tutto questo possibile.”
Anche Neville si affrettò ad eseguire gli ordini.
“Draco, tu ed io andiamo a prenderci un prigioniero. Abbiamo bisogno di sapere.”
Il biondo annuì, ed insieme si smaterializzarono.





Ecco qua, anche per stavolta è tutto, fatemi sapere se vi piace! :)


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Capitolo 3
*** Intrusione ***


Inizio con il ringraziare tutti coloro che hanno commentato i primi due capitoli, quindi, in ordine cronologico: Jose007, edocast92, elliepotter, Lights, Koe, chandelora, Myosotis, di nuovo Lights, Mr George e luca76.
Oltre a questi ringrazio tutti coloro che hanno messo questa storia tra i seguiti o tra i preferiti e coloro che stanno semplicemente leggendo.
Siete fantastici e siete la ragione per cui scrivo.
Grazie a tutti...Good Read!!





Quei cinque giorni erano stati duri.
Erano morte ventiquattro persone, due delle quali suoi vecchi amici.
Si, decisamente cinque pessimi giorni.
Si fermò davanti ad uno schermo gigante, che trasmetteva un notiziario. La cronista parlava di una partita di baseball o qualcosa del genere, mentre sotto scorrevano i nomi delle vittime del giorno.
Cristo Santo, erano sette. Tre delle quali bambini.
E di quei sette, solo uno era un mago.
Un senso di impotenza la invase, mentre si incamminava verso casa.
Quando arrivò davanti alla porta, la sua vicina la chiamò.
“Allora, come va a lavoro, hai avuto la promozione in cui speravi?”
Scosse la testa, accennando un sorriso carico di tristezza.
“L'ha avuta la mia collega di cui ti avevo parlato.”
“Che stronza, approfittarsi di te così.”
“Già” fu il suo unico commento.
“Bhé, ci vediamo in giro.”
“Certo.”
La vide rientrare in casa.
In quei sei giorni erano morte trentuno persone.
Non le importava della sua stupida promozione.
Si voltò verso la porta del suo appartamento e ci si appoggiò con la fronte per qualche secondo.
“Dio, dammi la forza.”
Assurdo, adesso si metteva anche a pregare Dio.
Dio non esisteva. Ne era sicura.
Perché lui avrebbe potuto impedirlo. Avrebbe potuto salvarli tutti.
Ed invece se ne era rimasto lassù, a guardarli morire.
Colpì la porta con un piccolo pugno.
Estrasse la chiave dalla borsa e la infilò nella toppa.
Fu in quell'istante che il suo sesto senso l'avvertì con un piccolo brivido sulla schiena.
Il suo sesto senso non sbagliava mai.
Decise di ignorarlo e girò la chiave.
Lentamente aprì di poco la porta, stava per mettere una mano dentro, ma non lo fece.
Quello che vide la paralizzò.
Il piccolo filo da pesca trasparente giaceva abbandonato e penzolante, tenuto su dal nastro adesivo, altrettanto trasparente ed invisibile ad occhio nudo, se non si sapeva che fosse lì.
Valutò la possibilità di averlo rotto lei aprendo.
No, non poteva essere.
Era stata attenta.
Dopo l'ultima volta era sempre attenta.
La verità, l'unica accettabile, si fece strada in lei, facendola gelare.
Qualcuno era entrato.
C'erano solo tre cose che poteva fare.
La prima, andarsene e non fare mai più ritorno, in quel momento era la preferibile.
La seconda, uccidere tutti i soldati che si trovavano in casa sua con la propria bacchetta, era impossibile da attuare. Infatti si era così fatta prendere dalla paranoia che per non farsi beccare l'aveva nascosta.
Ovviamente all'interno di casa sua.
Non l'avrebbero trovata, ovvio, ma lei non poteva usarla in quel preciso istante.
La terza, era entrare come se niente fosse, fingersi stupita, e cercare di trattare con loro.
“Tzé, trattare. Questa è un'idea stupida anche per una come me.”
Ok, non trattare.
Però una volta in casa forse sarebbe arrivata alla bacchetta.
O, nel peggiore dei casi, si sarebbe smaterializzata.
Possibilmente, prima che le piantassero una pallottola in mezzo agli occhi.
Cercò di concentrarsi, aiutata dalla forza della disperazione.
Quanti potranno mai essere?
Come minimo due.
E come massimo?
Domanda sbagliata.
Qual'è il numero massimo a cui potrei sopravvivere?
Domanda molto sbagliata.
Prese un profondo respiro, svuotò la mente, e con una leggerissima spinta della mano spalancò la porta, rimanendo fuori dall'appartamento.
Non vedeva nessuno.
Era vuoto.
Con molta lentezza varcò la soglia, chiudendo poi la porta alle sue spalle, guardando un po' in tutte le direzioni, nel tentativo disperato di individuare chiunque si fosse introdotto in casa sua, con la disperata convinzione che ci sarebbe riuscita.
Si guardò intorno senza muovere neanche un muscolo.
Poi all'improvviso comprese che quella era la fine.
Che da lì a poche ore sarebbe stata morta.
Il soldato, o i soldati, l'avrebbero portata in una di quelle buie e tetre sale da autopsia dove sezionavano quelli come lei.
Si vide sul tavolo.
Bianca.
Morta.
No. Non poteva permetterlo.
Lei voleva vivere.
A quel punto aveva altre tre possibilità.
La prima, dirigersi il più in fretta possibile verso il nascondiglio della sua bacchetta, afferrarla e smaterializzarsi.
La seconda, dirigersi nuovamente verso il nascondiglio segreto, prendere la sua bacchetta, e combattere, cercando di sopravvivere.
La terza, rimanere ferma finché non avesse avvertito un qualsiasi rumore che le avesse fatto capire che i soldati erano ancora dentro il suo appartamento.
Ovviamente non fece niente di tutto ciò.
“Se ci sei fatti vedere, bastardo!” Gridò.
Non si mosse niente.
Quindi se n'erano andati?
Perché nessuno le aveva ancora sparato?
Perché non smetteva di chiedersi il motivo per cui ancora non era morta, dannazione!
Con tutto il coraggio che le fu possibile raccogliere in un momento come quello, si decise a fare un passo avanti.
E un altro ancora.
Fino a trovarsi a circa un metro di distanza dalla porta.
Adesso, se in casa ci fosse stato qualcuno, in quel punto esatto era visibile da tutte le stanze della casa.
Se qualcuno avesse voluto spararle, avrebbe potuto farlo tranquillamente.
Sentì un leggero rumore provenire da un'altra stanza.
Poteva essere stato qualsiasi cosa. Poteva non essere niente.
Ma in quel momento capì perché, se qualcuno era in casa sua, con il fucile o la pistola o cosa diavolo era, puntato su di lei, ancora non aveva fatto fuoco e non lo faceva, era perché non potevano ucciderla.
Volevano catturarla.
Imprigionarla e portarla in qualche prigione del governo.
Forse l'avrebbero addirittura consegnata ad uno dei servizi segreti americani, FBI probabilmente. Forse CIA.
Poi l'avrebbero legata ad una sedia.
E torturata.
Aveva sentito parlare di un paio dei loro metodi.
A volte ti facevano attraversare il corpo da duecentocinquanta volt di elettricità. Tanta da ucciderti o da friggerti il cervello. Ma se non morivi o diventavi un vegetale, quello era sicuramente un buon modo per scioglierti la lingua.
E poi c'era quello delle unghie. Quei bastardi lo avevano rubato ai soldati arabi. Aveva sentito dire che tutto ciò che serve è un bastoncino di legno. Te lo infilano tra l'unghia a la carne. E fa male. Fa così male che in due secondi li implorerai di fermarsi e gli dirai tutto quello che sai, anche essendo a conoscenza del fatto che poi ti uccideranno. Perché rispetto al sentire l'unghia staccarsi dalla carne, il sangue scendere, il dolore invaderti, sentire che non sarai mai più in grado di usare quella mano, forse è meglio direttamente morire.
E poi c'era l'altro metodo.
Era quello che la spaventava di più.
Non sapeva come funzionava di preciso.
Ma aveva sentito dire che dopo aver provato quello la vita non era più sopportabile.
Dicevano che era come sentire il proprio sangue andare in fumo.
Era immobile da ormai diversi secondi quando accadde.
Sentì un fruscio provenire dalla poltrona, vide un lenzuolo cadere a terra e di colpo un uomo apparire in mezzo al suo soggiorno, comodamente seduto sulla sua poltrona.
“Tesoro, sono a casa!” le disse piano, un sorriso soddisfatto stampato in volto.
Lei si portò una mano sul cuore, cercando di calmarne il battito impazzito.
Tentò inutilmente di ricominciare a respirare normalmente.
“Credo di aver appena avuto un infarto.”
Fu tutto quello che rispose.





Ebbene sì, questo è il massimo che sono riuscita a fare...spero che vi piaccia e che continuerete a seguire questa ff. Dal prossimo capitolo i colpi di scena non mancheranno e saranno di tutti i tipi...A presto e mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate!!


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Capitolo 4
*** La fuga ***


Salve a tutti. Ecco a voi il nuovo capitolo, buona lettura! ^_^




Quando sentì che il cuore era tornato a battere normalmente abbassò la mano che si era portata al petto.
Quando rialzò lo sguardo lui non era più seduto sulla sua poltrona.
Era successo davvero?
O lo stress e la tensione delle ultime settimane aveva prodotto quella cosa?
Se lui sapeva dove viveva, quella casa non era più sicura.
Si avvicinò alla poltrona e sopra trovò un biglietto.
Senza dubbio quella calligrafia apparteneva a lui.
Una cascata di ricordi la disturbò.
Compiti copiati dalle sue prolisse pergamene. Lettere scritte a un padrino invisibile. Biglietti di auguri scribacchiati in due secondi su un pezzo di pergamena strappata da qualche libro.
Scacciò i pensieri e lesse il biglietto.

Sanno chi vive qui. Ti osservano.
Vogliono arrivare a me.
Scappa.

Chiaro e conciso come al solito.
Dannazione, lei lo sapeva già.
C'era un furgoncino nero che stava sempre fuori dal palazzo in cui lei abitava. La seguivano a lavoro, quando faceva la spesa.
Ma si era convinta che, quando non avessero avuto prove, se ne sarebbero andati.
Ma se davvero sapevano chi era e che tramite lei potevano arrivare a lui, allora non l'avrebbero mai lasciata in pace.
Una parola in particolare l'aveva colpita.

Scappa.

Non torna o vieni con me. Scappa. Salvati. Vivi.
Un invito alla fuga pura e semplice.
Si infilò il biglietto in una tasca dei pantaloni e si diresse verso il bagno.
Con una piccola sbarra di ferro fece leva sulla doccia fino ad alzarla di qualche centimetro. Poi infilò una mano sotto e fece scorrere un pannello che stava sotto di essa, e che in nessun altro modo poteva essere rimosso.
Da lì a passo spedito raggiunse la camera degli ospiti.
Lungo la parete destra, un pezzo del pavimento si era ritirato nell'altra stanza, scoprendo una fessura nel pavimento.
Ci infilò la mano e recuperò la bacchetta.

Ti osservano.

Tornò in bagno e chiuse la fessura di nuovo.
Incredibile quanta forza ci volesse per alzare quella stupida doccia.
Cosa le serviva?
Che domanda stupida, pensò. Niente, non mi serve niente.
Si diresse in camera da letto ed aprì l'armadio.
Non era una sprovveduta, né tanto meno una stupida. Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato. Era preparata materialmente, almeno quanto non lo era moralmente.
Scostò i vestiti appesi a delle stampelle e si trovò davanti un pannello di legno. Sembrava uniforme alla vista, ma al tatto rivelava un piccolo quadrato di superficie removibile. Tolse il piccolo pannello rettangolare spostato rispetto al centro, in basso e a sinistra.
Dietro al pannello dell'armadio c'era un muro di mattoni, come in tutta la camera da letto. Trasse un profondo respiro ed iniziò a dare dei piccoli pugni sui mattoni. Non si ricordava mai quale diavolo era.
Una volta che ebbe trovato quello giusto lo sfilò e con la mano libera prese un borsone a cerniera. Sacchetto dopo sacchetto estrasse tutto quello che aveva riposto all'interno dalla piccola fessura lasciata dal mattone che aveva rimosso.
Contò i sacchetti. Sette. C'era tutto. Fece un incantesimo ed i sette minuscoli sacchetti tornarono alle loro dimensioni reali.
Chiuse il borsone e rimise al loro posto sia il mattone mancante che il pannello, fissando quest'ultimo con la magia, in modo che non fosse più possibile rimuoverlo e facendolo totalmente integrare con il pannello che lo sorreggeva.
Chiuse l'armadio e portò il borsone all'ingresso.
Sospirò.
Si fece coraggio e da tutte le porte e le finestre rimosse manualmente i fili che aveva posto come trappole.
Non doveva lasciare segni.
Non li buttò nella spazzatura, sarebbero potuti essere recuperati. Li infilò nel borsone.
Poi tornò all'ingresso e si guardò attorno.
Tutte le sue foto erano lì. Il diploma, la laurea. Foto babbane ovviamente. Ma comunque tutti i suoi ricordi.
Ma non doveva insospettirli, se era vero che la stavano osservando doveva lasciare tutto come era sempre stato.
Tranne una foto. Una foto che non poteva lasciare lì, in mani di persone che l'avrebbero analizzata e sezionata per scoprire se un tempo era una foto magica.
O distrutta.
No. La prese dalla mensola riponendola nel borsone.
Si accorse che aveva lasciato un segno sul camino che non poteva essere lasciato scoperto. Così afferrò una delle foto sul ripiano del mobile vicino alla cucina e la sostituì, sapendo che sul legno non era rimasto il segno che invece era sul camino.
Si guardò ancora una volta attorno.
Afferrò il suo libro preferito e lo mise nel borsone.
Poi lo chiuse.
Ecco che dentro a quella piccola borsa c'era tutta la sua vita.
Quello che non era riuscita a costruire e quello che da quel momento avrebbe dovuto essere.
Ma non si pentiva delle scelte che aveva fatto.
Perché erano state quelle scelte a portarla fino a lui, e quelle stesse scelte che da lui l'avevano allontanata.
Con il cuore in gola e le lacrime agli occhi si chiuse quella porta alle spalle.
Certo, non c'erano tutte le sue cose, non c'erano mai state, ma era la casa in cui aveva vissuto da quando era cresciuta. Da quando era sola.
E adesso, a 23 anni era sola di nuovo, ma senza neanche una casa.
Con tutta la forza che le era rimasta bussò alla porta della sua vicina, con cui condivideva il pianerottolo.
Lei aprì.
“Ciao. Ma...te ne vai?” chiese vedendo il borsone.
“Si. Si, ma solo per un po' di tempo. Una mia zia che vive a Oxford è molto malata e i miei cugini mi hanno chiesto di andare da lei per un ultimo saluto.”
“Capisco. E quanto ti tratterrai?”
“Oh, spero a lungo. Sono inclusa nel testamento, quindi dovrò rimanere là finché mia zia è in vita.”
Lei annuì.
“Bhé, allora a presto.”
“Certo.”
Con un ultimo sorriso scese le scale e se ne andò dal palazzo.
Il suo cuore si strinse, quando realizzò che non avrebbe mai più rivisto quella dolce ragazza che per cinque anni aveva salutato ogni giorno.
Notò il furgoncino nero qualche centinaio di metri più su.
Eh, si, era proprio cambiata.
Qualche anno indietro non si sarebbe accorta se qualcuno la stava seguendo neanche se se lo fosse trovato davanti agli occhi.
Ma adesso lo riconosceva subito.
Il suo sesto senso era allenato ed infallibile.
Era stata addestrata per quello.
La guerra andava avanti da quattro anni e mezzo. Lei era scappata dai suoi simili cinque anni prima.
Nessuno si era mai chiesto cosa fosse successo durante quei sei mesi.
E a volte la domanda che si era posta molte volte tornava a tormentarla e ad assillarla nei momenti peggiori e nei modi più assurdi.
In sei mesi aveva davvero imparato tutto?
Anche in futuro molte volte se lo sarebbe ancora chiesto.
Erano solo quei sei mesi? O solo dopo quel momento, solo dopo che ebbe lasciato la sua casa, la sua vita, fu davvero in grado di essere esattamente come le era stato chiesto di essere ed insegnato ad essere?
Non seppe mai darsi una risposta.
Ma una cosa è certa. Da quel momento non aveva niente da perdere. E poteva finalmente giocare tutto, senza paura.
Entrò in un centro commerciale molto affollato e dal bagno delle donne si smaterializzò.

Il soldato parlò nella piccola radio.
“Comandante, l'abbiamo persa. È sparita nel nulla.”
“Si è smaterializzata, brutti idioti. Questa è la vostra dannatissima prova. Adesso sparatele a vista quella specie di dardi che vi portate dietro!” fu la risposta del comandante.
“Si, signore.”
Il soldato chiuse la comunicazione, guardando il suo compagno, ancora intento nella ricerca della ragazza.

Entrò dal cancello come se fosse stata lì solo il giorno prima.
Davanti alla porta bussò. Poi, senza attendere risposta, entrò.
“Mia cara, qual buon vento ti porta dalle mie parti e nella mia umile dimora?” chiese l'uomo, che, ne era sicura, la stava aspettando.
“Maestro” lo salutò lei, gettando il borsone ai suoi piedi.
L'uomo sospirò, con un espressione mista tra il soddisfatto, l'impaziente e l'arreso.
“Presumo che questo significa che hai cambiato idea.”
Lei lo fulminò con lo sguardo.
Dannazione, sapeva che un giorno sarebbe tornata, perché diavolo la faceva tanto lunga?
“Sono pronta, adesso.”
Lui sorrise.
“Ovviamente, lo sei.”





Ok, spero vi sia piaciuto...vi aspetto prestissimo con il prossimo!




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Capitolo 5
*** Esperimenti ***


Ed eccomi qua, anche se la ff ha perso seguito io continuo a scrivere, sperando che almeno a qualcuno di voi continui a piacere!! ^_^
Buona lettura!!
Una piccola premessa: il Neville che vedrete è molto Out Of Caracter (si scriverà così? Boooo! xD)





Dopo ore ed ore di fatica riuscirono finalmente a portare l'uomo svenuto dentro una delle tende all'interno del campo.
Lo legarono, stringendo un corda attorno ad entrambe le caviglie e fissandola a un palo. I polsi vennero invece legati a due corde diverse e i capi delle due corde legati a più distanza possibile l'uno dall'altro, in modo che il prigioniero avesse sempre le braccia in tensione e fosse costretto a rimanere sempre in ginocchio.
“E adesso?” chiese Draco.
“Adesso aspettiamo che riprenda conoscenza.”
Uscì dalla tenda e si diresse verso la propria, quando una voce lo chiamò.
“Harry, aspetta. Ho trovato qualcosa.”
Era Neville.
Il moro si voltò e lo seguì all'interno della tenda in cui di solito Neville conduceva i suoi esperimenti di varia natura.
“Oh, attento a quello!” lo ammonì quando passò vicino ad un'enorme boccia contenente dell'acqua in cui era immerso un...
“Cosa diavolo è quello, Neville?” si ritrovò a chiedere.
“Niente, niente di cui preoccuparsi almeno. Avevo quest'idea per...bhé, comunque l'esperimento non è andato a buon fine, quindi...”
Harry era sempre più confuso.
Un'ampolla sulla destra attirò la sua attenzione.
Era piccola e conteneva un denso liquido dorato.
“Ehi, ma è quello che penso?”
Neville annuì.
“Però non credo che sia fatta bene, prima che qualcuno la beva dovrò testarla.”
Neville lo condusse davanti ad un set di fiale contenenti dei liquidi di colori e densità diverse.
“Uno di questi è il siero. Quando scoprirò quale potrò forse risalire all'antidoto.”
Harry annuì. “D'accordo.”
In quel momento la sua attenzione fu catturata da un contenitore alto quasi due metri, ripieno di una stranissima sostanza verdastra.
“Cos'è quello?” chiese.
Neville seguì il suo sguardo.
“Oh, un'altra cosuccia a cui sto lavorando. Vieni, ti faccio vedere.”
Lo condusse davanti a quella specie di capsula.
Fu solo in quel momento che si accorse di qualcosa che prima, dalla distanza a cui stava, non aveva potuto vedere.
Era una specie di bambino, eppure non lo era del tutto. Sembrava umano a prima vista, ma decisamente poco umano se si osservava il luogo in cui stava.
“Che diavolo sarebbe quello?” chiese Harry.
“Per ora nessuno. Volevo prima parlarne con te. Avevo pensato, ecco...”
Sembrava proprio che fosse in imbarazzo, come se dovesse ammettere davanti ad Harry qualche suo oscuro segreto o qualche sua fantasia perversa.
“Parla Neville. Giuro che, di qualsiasi cosa si tratti rimarrà tra noi.”
Il mago sospirò.
“Non ti piacerà, Harry. Questo è poco ma sicuro.”
Harry annuì, mentre i suoi occhi erano ancora rivolti al piccolo essere nella capsula.
“Lo so che non mi piacerà. Non mi piace mai quando scopri qualcosa che potrebbe farci uccidere tutti.”
“Oh, no, no...questo è per salvarti il culo mio caro.”
“E come?” chiese confuso. “Sarà mica una specie di robot killer?” chiese ironico.
Neville sospirò.
“Una specie...” disse, premendo un pulsante che mise in moto un meccanismo all'interno di quella capsula.
“Cosa?” chiese sbalordito Harry.
“Te lo mostro. Mi serve solo...” allungò una mano e strappò due o tre capelli della testa del mago. “...questo.”
Dalla capsula afferrò una specie di chiodo sporgente. Tirandolo, aprì un piccolo contenitore isolato dal resto della capsula.
Ci infilò il capello di Harry e lo spinse nuovamente dentro.
Poi si mise difronte al quadro dei comandi e spinse un altro pulsante, poi afferrò una manovella e la spinse in avanti.
Harry vide l'ago di una siringa fuoriuscire dalla capsula che conteneva il suo capello e spingersi verso il piccolo umano.
Quando Neville spinse di nuovo il pulsante Harry vide la siringa pungere la cosa all'interno della capsula e iniettare qualcosa all'interno.
“Quel piccolo contenitore dove ho messo il tuo capello è un campionatore di DNA. Ha scisso il tuo codice genetico dal capello e lo ha iniettato nel feto.” A questa parola Harry lo guardò in modo strano. “Lascia stare, è una parolona dei babbani usata in campi come questo. Devo dirtelo, Harry. Con questo esperimento ho toccato l'apice della mia immoralità.”
“Tu non hai una moralità, Neville. Lo sappiamo entrambi.”
Non più almeno. Il Neville che aveva conosciuto tanto tempo prima, ai tempi della scuola, non c'era più.
Era un pallido ricordo nella memoria dei suoi amici più cari.
Era un'ombra.
Dopo che aveva visto uccidere la sua fidanzata, Hanna Abbott, davanti ai suoi occhi, tutto quello che voleva era uccidere chi lo aveva fatto e mettere fine alla guerra che li stava decimando. Passava tutto il tempo possibile nel suo laboratorio e a volte metteva a punto pratiche davvero raccapriccianti.
Era addirittura riuscito a ricreare con la magia i metodi di tortura dei babbani.
Era stato atroce vederli usati su un soldato.
Era loro nemico, certo. Ma non meritava quello.
Dicevano che con quella tortura uno poteva sentire il proprio sangue andare in fumo. Harry immaginava che fosse qualcosa di molto peggiore.
“Giusto. Allora diciamo che questo è il massimo dell'atrocità che posso commettere senza che tu mi cacci dal campo.”
Ci fu un silenzio tra i due, mentre Harry iniziava a capire cosa stava succedendo dentro quella capsula.
“Anzi, forse stavolta lo farai. È una cosa contro natura, Harry. Ma può salvarti la vita.” Harry non rispose.
Rimase pietrificato a fissare quella specie di piccolo umano, mentre i suoi capelli crescevano, diventando neri, corvini, le sue palpebre si aprivano, scoprendo i suoi occhi e lasciando intravedere le sue iridi smeraldine, ed una piccola, insignificante, cicatrice, brillava sulla fronte del bambino.
“Che cosa hai fatto?!” sussurrò, mentre qualcosa di indefinibile si faceva largo dentro di lui.
Paura, forse? Possibile.
“Volevo solo vedere fin dove sarebbero potuti arrivare loro. Volevo sapere se fosse teoricamente possibile. E lo era. Così mi sono chiesto, sarà anche possibile da applicare? Certo, con la magia è stato molto più facile, ma anche loro potrebbero riuscirci. Volevo solo...rendermi utile.”
“Lo so.”
Ed era proprio perché lo sapeva che era furioso.
Come poteva punirlo, o cacciarlo dal campo, o qualsiasi altra cosa?
Lui era un genio. Era riuscito a fare quella cosa da solo.
E si chiese se mai un uomo normale potesse riuscirci da solo.
No, certo che no.
Ma dieci di loro?
Cento di loro?
Mille di loro?
Avrebbero potuto riuscirci.
E allora cosa ne sarebbe stato del genere umano?
Sarebbe diventato semplicemente un esercito di cloni?
O avrebbero saputo controllare quel tipo di tecnologia, quelle scoperte?
No. Gli umani non sapevano mantenere il controllo.
Non avevano saputo farlo con le prime armi a fuoco, né con la bomba atomica.
Non avevano saputo farlo con i loro soldi, o con il potere.
Volevano sempre di più.
Non sapevano fermarsi.
E lui?
Sapeva quando era il momento di fermarsi?
“Tra quanto sarà utilizzabile?” chiese.
“Ripassa tra ventiquattro ore. Credo che per allora potrà...”
Harry uscì dalla tenda così in fretta che Neville non riuscì nemmeno a finire la frase.
“Perfetto. Stavolta è incazzato nero.”
Sussurrò tra sé e sé, prima di tornare a concentrarsi sulle dieci fiale che aveva appoggiato su uno dei ripiani.

Harry raggiunse la sua tenda e si distese sul letto.
Era stata una giornata difficile.
Anche se ultimamente aveva solo giornate difficili.
“Harry...”
Una voce gli fece aprire gli occhi e si mise a sedere.
“Dimmi.”
“Abbiamo trovato un gruppo di persone riunite in uno stabile in Scozia. Dovremmo andare a dare un'occhiata, non credi?”
“Babbani o maghi?”
“Se lo sapevo non dicevo persone” rispose lui col suo solito tono secco.
“D'accordo. Ma andremo solo io e te.”
Annuì, pronto ad uscire.
“Ah, Draco...” lo richiamò. “Ovviamente alle mie condizioni.”
Il biondo alzò gli occhi al cielo e annuì scocciato.
Le sue condizioni erano sempre le stesse.
“Se ti dico di nasconderti, tu ti nascondi. Se ti dico di scappare, tu scappi. Se ti dico di lasciarmi indietro e salvarti quel culo da lottatore di sumo che ti ritrovi, tu lo fai.”
“Io ho il culo di un modello, quattr'occhi.”
“Certo. Come no.”
Draco uscì dalla tenda, lasciandolo solo.

Harry non dormì molto quella notte.
Era tormentato dai sensi di colpa, ma allo stesso tempo divorato dalla curiosità.
Così, il giorno dopo, trascorse le ventiquattro ore, tornò da Neville, con l'intenzione di obbligarlo a distruggere ciò che lui stesso aveva creato.




Come premesso Neville è molto OOC, però mi serviva qualcuno con il suo carattere e visto il suo talento in Erbologia, mi sono detta, perché no? Come sempre, spero vi sia piaciuto...a presto ragazzi! Di seguito le risposte alle recensioni:

Lights: grazie mille per le tue recensioni sono felice di sapere che ti piace anche questa mia piccola storia...E mi raccomando, dacci dentro con H2!! :D

Mr George: spero proprio che il nuovo capitolo ti piaccia, aspetto con ansia il seguito della tua fanfiction, che sto continuando a leggere appassionandomi sempre di più!

luca76: I tuoi complimenti mi hanno fatto molto piacere, devo dire che sono felice che questa storia continui a piacerti! ^_^

roxy_xyz: Come avrai visto (spero) ho aggiornato, cercando sempre di non deludere, ma a quanto pare senza riuscirci...A presto, mi auguro! ^ ^

Myosotis: Per adesso sappi solo che pian piano tutte le domande avranno una risposta, ed ogni mistero sarà svelato! ^_^

Harry_Jo: Carissima Erica, se stai leggendo, ti dedico questo capitolo col più sincero affetto, sperando di riuscire a rallegrarti almeno un po'. Spero che adesso un po' di problemi si siano risolti anche per te, e mi dispiace se recentemente non abbiamo avuto occasione di sentirci. Un GRAZIE con tutto il cuore, a te che mi hai fatto tornare a scrivere. Un bacio, Fra.




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Capitolo 6
*** La Profezia ***


Dedico questo capitolo a mia cugina che mi sopporta e legge da sempre tutto quello che scrivo. Grazie mille Pizzy.




Draco era riuscito a scappare.
Già quella di per sé, per quanto lo riguardava, era un'ottima notizia.
Era così che doveva andare.
Sarebbe morto solo, ma combattendo fino alla fine.
O meglio, lo avrebbe fatto, se i suoi aggressori non gli avessero tolto la bacchetta.
Così adesso se ne stava con le mani e i piedi legati ed aspettava.
Ringraziò che Draco fosse scappato. Era un miracolo che lo avesse ascoltato.
Avrebbe potuto sopportare qualsiasi genere di tortura, tranne che la tortura verso un'altra persona.
Verso un innocente.
Una delle figure incappucciate si abbassò il mantello.
“Non siete soldati. Siete maghi, la mia gente. Cosa volete da me?” chiese Harry, mentre sentiva lo spacco sul labbro inferiore ricominciare a sanguinare.
Poi la riconobbe.
La ragazza che si era tolta il cappuccio.
“Pansy Parkinson.”
“Harry Potter.”
Una specie di grugnito uscì dalle sue labbra.
“Che volete? Torturarmi? Uccidermi? Vendicare Voldemort?”
Lei rise, beffarda.
Se nessuno di quei codardi tremava al pronunciare di quel nome, qualcosa di veramente sbagliato stava accadendo da quelle parti.
“Quella è una storia vecchia.”
Prese fiato, scrutò un po' di quei mantelli, riconoscendo, tra i tanti cappucci, Tiger e Goyle. Forse Zabini.
“E allora cosa mi farete?”
Lei sorrise ancora. “Quello che il nostro capo dirà che dobbiamo farti. Se sei ancora in vita è perché nessuno di noi può prendere la decisione di ucciderti.”
“Tranne il vostro capo.”
Lei annuì.
Un brivido percorse la schiena di Harry.
Chiunque fosse il loro capo doveva essere tanto potente da non aver paura di Voldemort, ma anzi, da indurre nei suoi seguaci la consapevolezza che semmai Voldemort fosse rinato, per lui non sarebbe stato un problema.
“Chi è?” chiese Harry incuriosito.
Pansy ancora sorrise.
“Non me ne preoccuperei se fossi in te. Vedrai che ti salverà.”
Il suo cuore accelerava. Silente, forse?
Nessuno aveva più avuto sue notizie dalla morte di Voldemort a quella parte. Da sei lunghi anni. Che l'ES fosse rinato e cambiato?
Un ticchettio lungo il corridoio, dei passi.
Una figura con il cappuccio calato sulla testa entrò, mentre tutti gli altri toglievano i propri, in segno di rispetto.
Harry ci aveva visto giusto. C'erano Tiger, Goyle e Zabini. La Greengrass. Ma c'erano anche Ernie McMillan, Colin Canon e suo fratello, molti Grifondoro, Tassorosso e Corvonero di qualche anno più grandi o più piccoli di lui e di cui non ricordava il nome.
In tutto una ventina solo in quella stanza.
Nel silenzio Pansy parlò.
“Abbiamo Harry Potter.”
“Lo vedo.”
Una voce femminile.
Forse familiare.
Ma senza dubbio non di Silente.
“Cosa dobbiamo farne? Liberarlo?”
La figura incappucciata si voltò verso di lui.
Il battito di Harry aumentò.
Sapeva che si sarebbe salvato, eppure non gli importava tanto quanto lo incuriosiva sapere chi si nascondeva dietro quel cappuccio nero.
La donna sembrò guardarlo dall'oscurità e riflettere per qualche secondo.
“Magari potreste slegarmi tanto per iniziare.”
Pansy lo fulminò con lo sguardo.
“Se fossi in te chiuderei la bocca” sussurrò Zabini alle sue spalle.
“O magari potresti toglierti il cappuccio e farmi vedere il tuo bel viso.”
“Zitto, sta zitto” lo riprese la Parkinson.
Ormai era salvo.
Non aveva più paura. Era tornato a fare lo spavaldo.
La donna ed il suo cappuccio gli voltarono le spalle.
“Pansy, Blaise. Uccidetelo.”
Il sangue gli si congelò nelle vene.
Che sotto quel mantello ci fosse proprio Bellatrix?
Ma no, era sicuro che fosse morta, dannazione!
Narcissa, la moglie di Lucius? No, troppo debole.
Ma allora chi?
“Mia signora, siete sicura?” chiese la Parkinson con un leggero tremolio nella voce. “Ma lui...lui era...il Prescelto.”
“Hai ragione. Lo era.”
Si voltò di nuovo verso la sua gente.
“Ma non dobbiamo dimenticare...” la sua voce risuonò potente e battagliera nella sala. “...che è a causa sua. È colpa sua se ci troviamo qui. Se siamo in guerra.”
Riconosceva le accuse.
“Il Prescelto” disse con un tale disprezzo da fargli tentare di indietreggiare. “Lui ed il suo fedele compagno ci hanno fatto questo!” disse con un ampio gesto delle braccia, indicando tutta la stanza. “Per ogni persona che è morta in guerra, sua è la colpa. Per ogni bambino e per ogni madre che sono stati uccisi, dobbiamo ricordare che lui ne ha versato il sangue!”
E riconosceva anche la voce. Rabbrividì.
“Ricordiamo. E di conseguenza agiremo.”
Harry scattò in avanti per quanto le corde a cui era legato gli permettevano.
“Allora uccidimi. Uccidimi tu.”
Non la vide arrivare, né tanto meno ebbe una pallida idea di come ci fosse riuscita.
Ma improvvisamente sentì una bacchetta puntata contro la sua gola.
“Potrei. E tu nemmeno sapresti cosa è stato. Che è successo. Ma non mi macchierò le mani del tuo sangue.”
Si ritrasse dal contatto con lui e si abbassò il cappuccio.
“Uccidetelo” ripeté.
Due bacchette furono puntate contro di lui.
Gli occhi smeraldini di Harry incontrarono i suoi occhi scuri.
“Non sei lei. Ho sempre creduto di essere io ad essere stato cambiato dalla guerra, ma ora so che sei tu a non essere più la stessa. Non sei lei.”
Lei sorrise appena.
“Ti sbagli. Sei tu che non sei lui. Ma non preoccuparti. Prima o poi arriverò anche a lui.”
Fece un cenno della testa. Un lampo verde uscì dalla bacchetta di Pansy, uccidendolo.
Lentamente tutti uscirono dalla stanza tornando ai loro alloggi.
“Mia signora, di chi ha visto il volto?” chiese Pansy quando rimasero sole.
“Non so il suo nome. Ma tu lo sai. Però l'ho vista in sogno molte volte.”
Pansy fece apparire una pergamena magica.
La donna la sfiorò e sulla carta vennero scritte delle parole.
Una profezia.
“Proteggi questa a costo della vita, Pansy.”
“Finalmente, mia signoria, abbiamo la profezia.”
“Dopo molto tempo le parole mi sono giunte chiare ed ho finalmente potuto scriverla.”
“Mia signora...”
Pansy si congedò. A lei era affidata la profezia. E sapeva esattamente dove nasconderla.
La donna, rimasta sola si guardò intorno.
Nessuno nel castello osava pronunciare il suo nome.
Suo compito era trovare la ragazza della profezia. Adesso aveva finalmente un'immagine del suo volto, ottenuta da ciò che il ragazzo aveva visto.
Si voltò e si incamminò verso la stanza che conteneva il mezzo più veloce per raggiungerla.

I monitor sembravano impazziti.
C'erano almeno cinque luci rosse che lampeggiavano implacabili.
Poi d'un tratto tutto tacque.
“Cosa è stato?” chiese Harry, agitato.
“Credo...” sussurrò Neville a mezza voce. “Credo che lo abbiano ucciso.”
Harry sospirò, un po' di sollievo, un po' perché in fondo era dispiaciuto.
Draco apparve improvvisamente nella stanza.
“Draco!” Harry appoggiò le mani sulle sue spalle. “Hai visto chi erano? Chi li comandava?”
“Erano maghi. E li comandava...”
I suoi occhi si rabbuiarono, si riempirono di lacrime.
“Chi? Chi li comandava?” chiese scuotendolo appena.
“Quando si è tolta il cappuccio...sembrava Ginny. Ma...”
“Ma?” chiese Harry, sconvolto.
“Credo che il tuo clone, credo che lui abbia visto un'altra. Credo abbia visto...lei.”
Harry si congelò.
“Cosa...cosa significa?”
Draco scosse la testa.
“Immagino che ci siano solo tre persone al mondo che possono rispondere a questa domanda. Silente, che è morto. La donna che ho visto, ma dato che ti ha ucciso non penso che sarebbe molto amichevole nei miei o nei tuoi confronti. E poi...”
“Lei. Lei sa tutte le risposte. Lo so.”
Harry sospirò.
“Domani tornerò a casa sua.”

Il giorno seguente tornò nel suo appartamento, ma di lei non c'era traccia.
Era fuggita, come lui stesso le aveva suggerito.





Adesso passo ai vostri commentucci... ^_^
luca76: Grazie mille per i complimenti, e grazie per continuare a seguire la fanfiction!
Harry_Jo: Erica, grazie mille per aver avuto la pazienza di leggere e recensire, spero che lo farai anche con questo capitolo, a presto carissima, un bacio!!
Lights: Smontare le ipotesi è uno dei miei hobby preferiti xD No, scherzi a parte, spero di riuscire a incuriosirti abbastanza da farti continuare a leggere... ^_^
roxy_xyz: Grazie mille per la recensione, spero che la storia continui a piacerti...A presto!!

PS: Come avrete notato, in questo capitolo è stato introdotto un nuovo personaggio, di mia creazione. Sarà importante per l'evolversi della storia, quindi spero vi piaccia. Adesso è davvero tutto, a presto ragazzi.




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Capitolo 7
*** L'Ordine ***


Dedico questo capitolo a TUTTI quelli che hanno recensito questa storia, a TUTTI quelli che hanno questa fanfiction tra i preferiti, le storie da ricordare e le storie seguite. Ed infine , ma non da meno, dedico questo capitolo a TUTTI quelli che hanno semplicemente letto.




Nel bel mezzo della notte un rumore la svegliò, lasciandola stordita.
Si ritrovò seduta sul letto, appoggiata alla testiera, con il battito accelerato, lo sguardo fisso in avanti, attenta a cogliere il minimo movimento.
Era concentrata sul non emettere alcun rumore.
Eppure per quanto si sforzasse non riusciva a capire cosa avesse causato quel suo brusco risveglio.
Rimase ancora immobile, concentrata sui rumori della casa.
Sentiva in lontananza un televisore, probabilmente dei vicini, che si erano addormentati e lo avevano lasciato acceso.
Il rumore di un cane, probabilmente da guardia, che abbaiava e ringhiava verso qualcosa che probabilmente neanche lui riusciva a distinguere nell'oscurità.
Il suono del suo cuore che batteva all'impazzata.
Un leggero russare proveniva da una della stanza all'interno della casa.
Alcune finestre illuminate nelle case affianco riuscivano a rischiarare la sua tetra notte.
Cosa era stato a svegliarla?
Poi, all'improvviso, come se fosse stato appena troppo distante per essere razionalmente percepito e all'improvviso si fosse avvicinato, udì un rumore.
Dei passi rimbombavano sordi nella scalinata all'ingresso.
Alcuni regolari.
Ma c'era uno di loro che non lo faceva nel modo giusto. Quando camminava era strano il rumore che produceva.
Come se fosse zoppo.
E poi altri passi. Passi ancora più strani. Come se chi li produceva fosse a quattro zampe.
Come...come un lupo mannaro.
All'improvviso era più sveglia che mai e stringeva la bacchetta in mano.
Valutò la possibilità di svegliare il suo maestro, ma subito la scartò. Avrebbe rivelato la sua posizione.
Lentamente inspirò e aprì la porta della sua camera senza produrre alcun rumore.
Erano almeno sei. E non erano soldati. Erano Mangiamorte. Ma perché?
Lo avrebbe chiesto a loro, dopo averli legati e imbavagliati tutti.
Fu un attimo.
Lasciò che la porta si aprisse e che tre di loro entrassero.
Il lupo mannaro che camminava prima a quattro zampe si tirò in piedi, e la sua forma si fece stranamente quasi umana.
Poi in un secondo accadde.
Afferrò il primo da dietro e lo tirò a terra, legandolo con un incantesimo e afferrando la sua bacchetta. Afferrò il secondo per il collo e lo gettò contro il muro. Fece volare lontano la sua bacchetta e legò anche lui.
Il lupo mannaro, però, era scomparso.
Sentì il panico premere per espandersi ed impossessarsi di lei, ma non lo avrebbe permesso. Afferrò sia la quarta che la quinta persona, gettandoli a terra e disarmandoli con un unico gesto fluido della mano. Legò anche loro.
La sesta persona, ormai, sapeva di non avere la minima possibilità.
L'afferrò per il colletto del mantello e lo sbatté con forza contro il muro, disarmandolo.
Stava per legarlo quando il lupo mannaro, che le era sfuggito, accese la luce. E c'era solo un dettaglio strano di tutta quella faccenda.
Non era un lupo mannaro.
“Sirius?!” chiese.
“Hermione, mia cara!” rispose lui allargando le braccia. “Cavolo...” esclamò vedendo quattro dei suoi legati e gettati a terra e il suo amico contro il muro, sollevato di dieci centimetri buoni dal pavimento. “Sei stata così veloce che ancora non si sono fatti un'idea precisa di cosa sia successo.”
Sirius rise divertito.
“Hermione, cara, potresti...” chiese l'uomo appiccicato al muro.
“Oh, si, certo. Scusami, Remus.”
Lo lasciò andare e improvvisamente capì che l'animale a quattro zampe era quel furbacchione di Felpato.
E l'uomo che zoppicava, ovviamente, non era un Mangiamorte.
“Professor Moody, tutto bene?”
Lo slegò e il vecchio si rialzò.
“Ragazzina...” la riprese “...Professore chiamaci quel rimbambito del tuo maestro. Io sono solo Alastor.”
“Certo...” rispose lei, trattenendo una risata e passando alla persona successiva. “Oh, mio dio Tonks, sono mortificata.”
La rialzò da terra dopo averla slegata e le osservò la pancia con preoccupazione.
“Non preoccuparti. Il secondogenito di casa Lupin sta alla grande.”
Si sorrisero.
Hermione rivolse il suo sguardo alle altre due persone a terra e rimase pietrificata.
“Scusate, mi dispiace infinitamente. Venga signora Weasley, l'aiuto a rialzarsi!”
Slegò entrambi e li condusse in cucina.
“Mi dispiace così tanto signori Weasley!”
“Hermione” la riprese il signor Weasley con tono molto severo “...quante volte devo ripeterti che è Arthur?” chiese, sorridendo.
In due secondi un'altra figura, alta e snella si unì a loro.
“Ah, vedo che siete arrivati con largo anticipo. Se mi è concesso chiederlo, dove sono Minerva e Severus?”
“Maestro, perché non mi avete detto che sarebbero arrivati? Avrei evitato di...”
“Oh, no!” Sirius rise. “Non preoccuparti, è stato molto divertente.”
“Parla per te!” disse Remus, portandosi una mano a massaggiarsi la gola.
Sirius rise ancora di più.
“Maestro...”
Tutti tacquero immediatamente a quell'appellativo.
“E così, Albus, è lei?”
“Lo è” rispose Silente semplicemente. “Non vi è forse evidente, mio caro Alastor? Voi eravate in sei e lei vi ha disarmato e legato. Se non lei, chi?”
“Ecco, Albus, molti, nel Mondo Magico, si stanno mettendo in agitazione. Ancora questa profezia non è nemmeno stata scritta, secondo quello che dici. E quelli che siamo riusciti a convincere che la profezia esiste, sono convinti che il salvatore debba essere...ecco...lui.”
“Vi ricordo” iniziò Hermione in tono gelido. “Vi ricordo che è a causa sua se tutto è iniziato. Vi ricordo che è colpa sua se ci ritroviamo a fuggire e se tutti i babbani ci danno la caccia.”
Con un gesto secco della bacchetta fece scivolare un pannello, scoprendo una lavagna.
“Questo appare nei bollettini babbani. Nei loro quotidiani.”
Le foto di Silente, Hermione, Remus, Sirius, Harry, Ron, Malfoy, Ginny, Neville, Piton, Moody, dei signori Weasley, apparivano una per pagina, incorniciate da una spessa linea grigia. Sopra le loro teste una scritta brillava in nero.
WANTED.
“A causa loro siamo ricercati. Siamo banditi. Ci sono delle taglie sulle nostre teste. Sulla mia diecimila sterline. Su quella di Silente? Quindicimila. Remus e Sirius, ottomila. I signori Weasley, cinquemila. Ron, Ginny, Draco, ottomila. Harry Potter. Tredicimila.”
Parlando aveva fatto scorrere sotto i loro occhi tutti i volantini.
Ne fece scorrere almeno duecento sotto i loro occhi, di persone che conoscevano e di altre che non avevano mai sentito nominare.
“C'erano Dean e Seamus. Ernie McMillan, i fratelli Canon. E anche lei. Amanda.”
“Lei è colei che farà la profezia” dichiarò Silente.
“E quando, esattamente?” chiese Moody, l'unico che aveva ancora la forza di parlare.
Silente dette un'occhiata all'orologio. “Adesso. Più o meno.”
“Io credo che dovremmo unirci alla resistenza.”
Sirius emise una sola assordante risata all'affermazione di Hermione.
“Noi siamo la resistenza. Non quei ragazzini che pensano solo ad uccidere e fare esperimenti sui cloni. Noi combattiamo nell'ombra, abbiamo infiltrati, agiamo coraggiosamente per proteggere la magia e per farla tornare al suo antico splendore e anonimato. I ragazzini, invece, loro combattono affinché i maghi dominino sui babbani. E a proposito, Harry è convinto che sia tu a comandare l'esercito della Strega” aggiunse indicando con un cenno della testa la foto di Amanda.
“E il signorino Malfoy è convinto che sia Ginny. Ma questo non è mai stato un problema per Amanda. O sbaglio?” chiese Silente.
“Mai” confermò Alastor.
“Le cose stanno così, Hermione” continuò Remus. “Amanda è una strega potentissima, dai poteri quasi indefinibili. Può fare qualsiasi cosa. Qualsiasi. E non sto scherzando.”
Continuò Sirius. “In ogni caso, lei ha messo su un suo personale esercito, composto da tutti gli studenti di Hogwarts che sono stati cacciati quando i babbani hanno chiuso la scuola. Ce ne sono che hanno la tua età ed altri più grandi e più piccoli. Sono in tutto una cinquantina. Tutti disposti a combattere.”
“E poi ci siamo noi del vecchio e caro Ordine. Noi siamo tutti belli in forma per la guerra, se capisci che intendo. Ci siamo armati e informati sui babbani e adesso informeremo te. Anche noi siamo più o meno una cinquantina.”
“E qual'è il mio compito? Per cosa mi avete addestrata fino a questo punto, maestro?”
Silente le sorrise con complicità.
“Tu li guiderai, Hermione.”
La strega sgranò gli occhi. “Cosa?”
“Riunirai sotto il tuo comando l'Ordine e l'esercito di Amanda. E dovrai riuscire ad ottenere l'alleanza di Harry e dei suoi seguaci. Insieme, il nostro esercito, dovrebbe contare come minimo duecento maghi. E non maghi qualunque. I più potenti.”
“Maestro. Voi dovrete guidarci. Voi siete la persona più degna di portare a termine questa guerra. Io posso ottenere l'alleanza di Harry Potter e del suo esercito. Ma come posso da sola ottenere quella di Amanda? Voi dovrete comandarci.”
“Sarà Amanda a trovarci. Sarà lei a venire da te. Lei è l'autrice della profezia.”
Moody, Sirius e Remus si scambiarono degli sguardi alquanto strani.
“Ora, potrei senza dubbio sbagliarmi, ma credo di no. Credi di essere nel giusto e di poter affermare con sicurezza che nella profezia non vi è il nome di Harry. Sono convinto, invece, che la profezia parli di una donna.”
Sirius sorrise sotto i baffi ed Hermione sentì qualcosa dentro di lei andare in frantumi.
“La donna che ho addestrato.”
All'improvviso il respiro le morì in gola e si sentì totalmente impotente davanti a quelle poche persone che in lei riponevano la loro totale e incondizionata fiducia.
“Io? Non posso essere io!”
Sirius sorrise appena, cercando di trattenersi.
“Dopo tutti questi anni ancora non hai imparato la lezione fondamentale, Hermione?” le chiese.
Lei piantò i suoi occhi scuri in quelli altrettanto scuri del mago che le stava difronte.
“Silente non sbaglia mai.”




E adesso i dovuti ringraziamenti.
luca76: Grazie mille per il tuo commento che non manca mai! Davvero un grazie di cuore. Sono felice della tua curiosità, perché da ora in poi ci saranno sempre più interrogativi...Spero che continuerai a seguirmi!!
sonoqui87: Come puoi vedere ho aggiornato presto, spero che continuerai a seguirmi!
roxy_xyz: Ovviamente non svelo subito chi c'è sotto il cappuccio, spero di riuscire ad alimentare la tua curiosità fino al prossimo capitolo, dove questo interrogativo avrà risposta... ; )
Mr George: La curiosità ci vuole, poco ma sicuro!! Spero di essere riuscita a mantenerla accesa per il prossimo capitolo...A presto! PS: ricordati di aggiornare presto con le Drabble!! :D
Harry_Jo: Come promesso ho aggiornato subito, anche se, come avrai notato, ancora non si capisce con precisione chi ci sia sotto il mantello...Al prossimo capitolo (con un po' di risposte xD)!!
Lights: Carissima, i tuoi commenti fanno sempre piacere...A presto! E mi raccomando, non ci far stare in pena e aggiorna H2!!

PS: Susu, fatevi coraggio e recensite!! :)




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Capitolo 8
*** Il numero 12 di Grimmuld Place ***


Come sempre. Non è esattamente come lo volevo. Spero che vi piaccia in ogni caso. Se leggete siete mitici. Ma ho il dubbio che detto da me non conti.
Enjoy it!!






Ormai erano due ore che girava attorno al campo. Ovviamente non c'era alcuna presenza, come Neville gli aveva invece assicurato.
Stanco, sbuffò e si voltò, dirigendosi verso l'entrata dell'accampamento.
Chissà poi come gli era venuto in mente di ascoltare Neville.
Improvvisamente sentì una pressione sulla parte posteriore delle ginocchia, che gli cedettero. Si ritrovò così in ginocchio, con qualcuno che gli stava immobilizzando le gambe e che gli aveva afferrato i capelli, tenendogli la testa all'indietro. Sentì la pressione di una bacchetta puntata contro la propria gola e smise di lottare. Si accorse di non avere più la sua stretta in pugno.
Alzò gli occhi e la vide in mano alla figura che se ne stava in piedi davanti a lui.
“Chi siete?” chiese.
“Ma come, Draco Malfoy, ti sei già dimenticato di me?”
La donna si abbassò il cappuccio e Draco sentì una costante ansia salire quando riconobbe il volto di Ginny.
Ricominciò ad agitarsi sotto la stretta di chi lo teneva immobile.
Si accorse che erano due.
“Calmati Draco.”
Era la voce di Pansy Parkinson.
“Non è la Weasley” gli sussurrò vicino all'orecchio una voce maschile.
Riconobbe all'istante il suo vecchio amico.
“Blaise!”
“Dimmi, Draco Malfoy, perché Harry Potter ha mandato un altro nel mio rifugio?” chiese la strega dal volto uguale a Ginevra.
“Non so di che parli.”
“Sì che lo sai. Non era pozione polisucco, perché dopo morto è rimasto del suo aspetto. E poi in me ha visto lei. Ha visto la strega che io cerco. Dimmi, lei è qui?”
Draco rimase immobile e non parlò.
“In me ognuno vede la cosa che più al mondo desidera, che più di ogni altra cosa al mondo ama. Capisci, adesso, Draco?” chiese ancora la strega.
Draco annuì.
“Ascoltami. Io non voglio farti del male. Né a te, né a Ginny, o a Ron, o a Luna. Voglio solo sapere dove è lei. E prometto che non farò del male soprattutto a lei, che io cerco. Ma adesso dimmi. È qui?” chiese ancora.
“No. Nessuno sa dov'è. Nessuno la vede più da anni, ormai.”
“So che menti. So che Harry Potter l'ha vista meno di sette giorni fa.”
“Sì, è vero. Ma...io non so cosa si sono detti, o cosa sia successo. So solo che lei non è qui. E nemmeno nel suo appartamento. Harry c'è tornato e lei non c'era più.”
La strega davanti a lui rise.
“Così anche il Prescelto le da la caccia. Bene. Sarà più interessante.”
Fece un cenno con la testa e Pansy e Blaise lo lasciarono andare.
“Dà questo messaggio ad Harry Potter, puoi farlo?”
Draco annuì, tenendo lo sguardo fisso sul volto della donna.
“Digli che una profezia è stata fatta. Che solo una persona può salvare il mondo magico. Digli che esiste un nuovo Prescelto. E che Amanda lo sta cercando.”
La donna gettò la bacchetta di Draco ai suoi piedi e poi si dileguò nell'oscurità così in fretta che Draco quasi non se ne accorse.
Pansy e Zabini, invece, furono più lenti.
Ma anche loro sparirono nell'oscurità della notte.
Dopo che se ne furono andati riprese fiato e poi si alzò, pronto ad affrontare una lunga, lunghissima notte.

Quando arrivò al campo tutto era buio attorno all'unica fonte di luce, ovviamente la stanza di Harry.
Entrò senza neanche avvisare il mago già all'interno e si sedette di peso sul letto del mago.
“Era qui. D'ora in poi avrò più fiducia in Neville.”
“Cosa vuol dire che era qui?” chiese Harry alzandosi dalla sedia davanti alla sua scrivania.
“Lei. Dice...dice di chiamarsi Amanda. Ed ha un messaggio per te.”
Il sangue di Harry si congelò.
Fece un segno con la testa, indicando a Draco di proseguire.
“Ha detto che una nuova profezia è stata fatta. E che un nuovo Prescelto è nato. E lei lo sta cercando.”
“Nient'altro?”
“Sì. C'è ancora qualcos'altro” rispose, incerto se proseguire.
“Cosa?” chiese Harry, sempre distaccato.
“Il suo volto...”
Harry attese che continuasse spontaneamente, evitando di forzargli la mano.
“Dice che nel suo volto ognuno vede il volto della persona che più al mondo desidera.”
Harry finalmente capì perché il suo clone aveva visto il suo volto.
Neville gli aveva spiegato che il clone avrebbe, grazie alla magia ovviamente, avuto tutte le caratteristiche psicologiche che aveva Harry al momento in cui si era strappato il capello.
“Ma c'è di più.”
“Ancora? Cosa può esserci di più?”
“Io credo...” temporeggiò. “Credo che stia cercando anche lei” si arrese infine.
“Lei?” chiese Harry, perplesso.
“Hai capito...lei.”
Il moro trasse un profondo respiro e voltò le spalle a Draco.
“Ha detto perché?”
“No.”
La notte, fuori dalla tenda, era fredda e fitta, fatta interamente di oscurità e silenzio.
La notte era vuota. Come lui, del resto.
“All'inizio ho pensato che lei potesse essere nella profezia di cui parlava. Ma poi, ha parlato di un soggetto al maschile, e ho pensato di aver semplicemente capito male.”
Cosa avrebbe fatto?
Non poteva ignorare quei nuovi eventi.
E soprattutto sapeva che Draco da un momento all'altro avrebbe chiesto quali erano gli ordini.
E lui non ne aveva.
“Harry, che facciamo?”
Lui sospirò pesantemente.
Era stanco di quella guerra.
“Niente” rispose semplicemente.
“Niente?” chiese il biondo.
“Niente!” ripeté lui. “Niente, perché non sappiamo dove sia questa Amanda, né dove sia Hermione. Non sappiamo se questa profezia davvero esiste. E non sappiamo come diavolo affrontare quei maledetti soldati. Quindi dimmi, Draco, tu che sei più intelligente e furbo di me, cosa diavolo vorresti fare?”
Il biondo indugiò a lungo, valutando la possibilità che quella fosse una domanda retorica. Poi se ne fregò altamente e decise di rispondere in ogni caso.
“Credo che dovremmo mandare qualcuno a Londra. Nella cara vecchia Diagon Alley. Tanto per vedere se qualcuno sa qualcosa.”
Harry inspirò ancora.
“Sì. Sì, faremo così.”
Si voltò nuovamente a guardare in faccia il compagno.
“Scegli tre persone da portare con te domani stesso.”
“Me ne basta una” rispose ghignando.
“Io non verrò.”
“Intendevo Ginevra” ribatté lui con tono ovvio.
Harry scosse la testa.
“Fai come vuoi. Io non interferirò.”
Draco si voltò per uscire, ma poi ci ripenso e, voltandosi, pose al moro ancora una domanda.
“Perché tu non vieni?”
Harry si passò una mano sugli occhi con fare stremato.
“Qualcuno prima o poi dovrà interrogare il soldato.”
Solo in quel momento Draco ricordò il prigioniero.
“Solo per questo?” chiese ancora.
“No. Non è solo per questo.”
Non ci fu bisogno di dire altro.
Malfoy sapeva che se fosse andato là molte ferite vecchie si sarebbero riaperte.
Avrebbe avuto nostalgia della sua vecchia vita e sarebbe tornato a Grimmuld Place per vedere in che condizioni era.
E lì lo avrebbero beccato. Mangiamorte, forse soldati, forse fuggiaschi o mercenari.
Poco importava.
Grimmuld Place, Godric's Hallow, Hogwarts. Ormai non erano più posti per loro.
Non erano più posti per nessuno.
I ricordi lo dimostravano.
Nessuno di loro avrebbe mai potuto dimenticare ciò che accadde circa quattro anni prima.
Sapevano che c'era una riunione dell'Ordine della Fenice.
Gli avevano gentilmente chiesto di non partecipare, visto che non erano d'accordo con i metodi che proponevano.
Così Harry, Draco, Ron e gli altri, se ne stavano fuori dal numero 12, nascosti in mezzo al boschetto difronte alla casa inesistente.
E, all'improvviso, era successo.
Una bomba babbana era scoppiata davanti ai loro occhi.
Due case erano saltate in aria. Il numero 11 e il numero 13.
Il 12 era semplicemente sparito nel nulla. O almeno, per un po'.
Harry ci era tornato, a suo rischio e pericolo.
Della casa che ricordava non era rimasto quasi niente.
E dei membri dell'Ordine non c'era traccia alcuna.
Morti. Tutti morti. La McGranitt, Sirius, Lupin. Tonks, Moody, i signori Weasley.
Il mondo non era più stato lo stesso.
Da quel giorno avevano creato il campo, avevano salvato più maghi e streghe che potevano, poi avevano formato quel piccolo accampamento dove poter tenere tutti al sicuro.
Silente, invece, lui era sparito più di un anno prima.
Alcuni dicevano che fosse impazzito. Che continuasse a blaterare su un foglio che doveva trovare e qualcuno che doveva addestrare.
Altri dicevano che la vecchiaia colpisce tutti, prima o poi.
Lui però non ci aveva mai creduto.
Pensava semplicemente che il mago, vecchio e stanco, avesse dato retta a Hermione e in previsione della guerra si fosse rintanato in un qualche angolo sperduto del mondo, sfuggendo al dolore della guerra appena scoppiata.
E infondo aveva fatto bene.
Perché, lui lo aveva sperimentato sulla sua pelle, nessuno sopravvive davvero ad una guerra.





Passiamo alle vostre amate recensioni:
sonoqui87: Grazie mille per i complimenti :) Mi raccomando, aggiorna presto anche la tua ficcy che voglio leggerla!! :D
luca76: Ti ringrazio per i tuoi commenti e per seguire ormai la storia fin dall'inizio. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. A presto :)
roxy_xyz: Si, infatti anch'io penso siano morti ingiustamente, quindi eccoli qua vivi e vegeti ;) Alla prossima!
Harry_Jo: Erica cara, ecco il nuovo capitolo, sperando di soddisfare la tua curiosità! A presto, spero che ti piaccia il nuovo cap. E spero che aggiornerai presto!! :)
Mr George: Ovviamente, è sempre un piacere ricevere le tua recensioni, così come lo è leggere le tue storie :) A presto!!

E voi che leggete, mi raccomando, lasciate un commentuzzolo che fa sempre piacere... A presto gente!! :D





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Capitolo 9
*** Specchi ***


Chiuse gli occhi ed inspirò.
Poi si concentrò a fondo, come ogni volta.
Non capiva davvero perché tutti avessero così bisogno di vedere le cose con i loro occhi.
A lei bastava percepirle e le comprendeva.
“Come mi avevate chiesto, mia signora. La profezia è al sicuro.”
Amanda annuì.
“Vi serve altro?” chiese Pansy.
Annuì di nuovo.
“Ho bisogno che tu e Blaise scopriate dov'è il mio vecchio amico. Ho bisogno davvero di farmi una bella chiacchierata con lui.”
Pansy annuì ancora e lasciò la sua signora sola.
Amanda chiuse nuovamente gli occhi e svuotò la mente.
Quando fu pronta tolse il panno che ricopriva quel vecchio specchio che aveva messo nella stanza.
Era magico, ovviamente, fatturato da lei in persona.
Guardò il suo riflesso nello specchio.
L'unico specchio al mondo che le mostrava il suo volto.
Si guardò e notò i particolari del suo volto che tanto la colpivano.
Le labbra sempre uguali. Gli occhi sempre aperti. Le rughe sempre inesistenti.
Alcuni pensano che non invecchiare sia un dono.
Altri credono che sia una maledizione.
Lei lo considerava il suo dovere.
Quello che era, era ciò che aveva scelto di diventare.
Ciò che aveva scelto di essere.
Non aveva mai raccontato a nessuno come aveva ottenuto i suoi poteri. E certo, mai lo avrebbe fatto.
Quello specchio da lei stessa incantato era unico.
Lo Specchio delle Brame, lo chiamava Silente.
Si ricordava del periodo in cui lo aveva tenuto ad Hogwarts. Un giorno glielo restituì, spiegandogli che un mago giovane poteva facilmente perdersi nelle immagini che lo specchio donava.
Quel mago era Harry Potter, solo dopo lo aveva capito. Chissà se avrebbe mai saputo cosa ci aveva visto.
Lei si vedeva giovane. E poi si osservava invecchiare.
Mortale. Come era giusto che fosse.
Eppure quel particolare specchio, ormai lo sapeva bene, spesso ingannava chi lo guardava. E lo rendeva schiavo dei suoi stessi desideri.
Con un gesto della mano lo ricoprì.
Mentre attraversava i corridoi che l'avrebbero portata nelle sue stanze, si imbatté in un altro tipo di specchio.
Uno di quelli babbani. Uno di quelli normali.
Guardò la sua immagine riflessa.
Improvvisamente non era più lei.
Vide l'immagine di un giovane ragazzo dai capelli mori e gli occhi scuri. Sul suo volto una sottile barba gli adornava il volto. Il giovane era bello e in vita fu coraggioso e dal cuore nobile.
Ma come tutti coloro che Amanda aveva conosciuto in vita, ormai da tempo era morto.
La strega ancora una volta, come spesso le accadeva quando si specchiava, si perse in quegli occhi che solo per lei avevano avuto sguardi.
Dopo qualche minuto si incamminò verso la sua camera, dove aprì un vecchio baule.
Da esso estrasse una piccola maschera d'argento, sufficiente a coprire tutta la parte superiore del volto, compresa la fronte e il naso. Lasciando liberi solo la bocca ed il mento.
Poi con fulminea precisione afferrò la bacchetta e la puntò verso la porta.
“Mi scuso, mia signora. Avrei dovuto certamente bussare.”
Sotto lo sguardo attento di Amanda, Blaise chinò la testa e fissò il pavimento.
“Avresti dovuto certamente.”
Abbassando la bacchetta lei si sedette sul letto, lasciando che Blaise le dicesse ciò che era andato fin lì per dirle.
“Mia signora, alle porte del nostro rifugio hanno bussato due viandanti che forse voi vorrete incontrare personalmente.”
La strega si alzò, facendo un passo in direzione del mago.
“Chi sono?”
“Sono vecchie conoscenze, mia signora. Seguitemi. Sono certo che sapevate che sarebbero in questi giorni venuti a bussare alla nostra porta.”
Blaise la precedette fino alla porta d'ingresso.
Due maghi erano entrati e il portone era stato richiuso alle loro spalle.
“Fuori piove, se non ve ne siete accorti, incapaci!” disse l'uomo ad uno dei ragazzi.
“Suvvia, Severus. Cerca di essere gentile per una volta.”
“Severus, Minerva. Siete in largo anticipo rispetto alle mie previsioni.”
“Mia cara, è incredibile quanto tu e Silente vi somigliate.”
La McGranitt scese quelle poche scale che le separavano e abbracciò la strega in modo piuttosto confidenziale.
Piton si avvicinò alle due donne e, quando si furono staccate, prese la mano di Amanda e la baciò con garbo.
“Mia cara, è sempre un piacere vederti.”
“Non avete risposto alla domanda. Perché questo anticipo? Qualcosa è andato storto nei piani di Silente?”
“Niente va mai storto con i piani di Albus, se capisci cosa intendo.”
“Molto bene, Minerva” le due si scambiarono un sorrisetto che Severus non comprese fino in fondo.
“In realtà” prese la parola Piton “gli altri membri dell'Ordine sono già tornati da Silente. Noi siamo rimasti indietro per questa visita di cortesia.”
“E dov'è Silente?” chiese Amanda.
“Mia cara, se Severus lo ha omesso non è certo un caso” rispose la McGranitt.
“E non provare a leggere la mia mente, Amanda. Sai che l'Occlumanzia è la mia arte” osservò distrattamente Piton guardandosi attorno con curiosità.
“L'ho dimenticato solo per un secondo” rispose con garbo Amanda.
“Oh, io non lo so dov'è Albus, quindi leggi pure la mia mente quanto vuoi. Severus me lo ha cancellato con un Oblivius mirato prima di entrare qui.”
Minerva sfoggiò quel sorrisetto furbo e soddisfatto che la caratterizzava.
“Siete stati bravi” ammise Amanda.
Nel frattempo Piton continuava a guardare in giro con curiosità. “Hai messo su proprio un bel piccolo esercito, vero?” chiese con la sua solita voce annoiata.
“Piccolo? Non direi piccolo. Siamo cinquanta, quanti voi dell'Ordine.”
“Noi dell'Ordine, però, non abbiamo ragazzini tra le fila.”
“I miei ragazzi sono in grado di combattere” ribatté lei fiera.
Alle sue spalle le sue guardie del corpo, Pansy e Blaise, si scambiarono un sorrisetto compiaciuto.
“Lo sappiamo, questo” rispose ancora Piton, sempre con il tono di voce annoiato. “Altrimenti non avremmo mai cercato un'alleanza con te.”
Amanda sorrise soddisfatta.
Finalmente erano arrivati dove lei voleva.
“Un'alleanza sembra la soluzione migliore. Saremmo cento in tutto. È un buon numero. Però nella mia visione rifiutavo. Perché?” chiese la strega, carica di curiosità.
Minerva scosse la testa e quando parlò la sua voce era più che altro un sussurro.
“Probabilmente perché se ti allei con noi prima o poi noi concluderemo un patto anche con Harry Potter, e tu dovresti combattere con lui.”
Amanda rise.
“Ecco, questo è esattamente il motivo per cui rifiutavo!”
Finalmente sapeva perché quel patto così conveniente nella sua visione veniva scartato come una delle possibilità future che non si erano poi avverate.
“Proprio tu, Amanda” la riprese Piton “sai i benefici che un patto del genere porterebbe a tutti noi. Devi esserne a conoscenza.”
“E poi...” continuò Minerva “...non abbiamo ancora finito di esporti la nostra offerta.”
Amanda li guardò.
“Perché questo non era nella mia visione?” chiese.
“Perché una serie di eventi molto recenti ci hanno messo nella condizione di poterti offrire più di una semplice alleanza.”
La McGranitt quando voleva poteva essere estremamente convincente.
Lei e Piton si scambiarono una veloce occhiata prima che lei proseguisse.
“Silente dice che esiste una profezia, e che tu ne sei l'artefice. Pare che questa profezia parli di un nuovo Prescelto, colui che ci salverà da questa guerra senza fine. Unisciti a noi, Amanda. E potrai finalmente vedere ciò che ogni notte sogni. Potrai essere tu a portare a termine il suo addestramento come meglio credi. Potrai vedere Silente e parola per parola narrare finalmente a lui la profezia. Unisciti a noi. E la guerra avrà fine.”
Un lampo di trionfò passò per un breve istante negli occhi di Amanda.
“Siamo cento. A cosa serve Harry Potter?”
“Solo nel suo campo altri cento maghi potrebbero unirsi al nostro esercito. Ed immagina coloro che sono nascosti, in un batter d'occhio faranno la fila per combattere a fianco del Bambino che è Sopravvissuto” le ricordò Piton.
“Pensa alle possibilità che questa alleanza offrirebbe alla resistenza. Potremmo finalmente essere in grado di combatterli. Non è questo che anche tu hai sempre voluto fin da quando tutto questo è iniziato?” chiese la McGranitt.
Amanda guardò i due maghi davanti a lei.
Davvero quella sembrava la scelta più sensata.
Minerva continuò nel tentativo di convincerla.
“Non pensare semplicemente alla scelta in sé. Pensa a tutto quello che la scelta comporterebbe. Pensa alle conseguenze. Potremmo finalmente essere liberi, liberi dal dolore che ormai ci accompagna costantemente” la sua voce tremava mentre tentava di farle capire cosa avrebbe significato la fine di quella guerra. “Potremo svegliarci senza più dover sentire che altri maghi hanno perso la vita. Potremo camminare nuovamente liberi per strada. Liberi, senza più essere prigionieri. Senza più essere ricercati.”
Fu in quel momento che una visione di circa un secondo la folgorò.
Un quotidiano babbano. La taglia sulla testa della ragazza quintuplicata. Un esercito pronto a combattere.
Liberi.
Senza più essere i ricercati. Senza essere i banditi.
Sospirando, Amanda si arrese.
Scosse appena la testa verso il basso.
Minerva e Severus si sorrisero.
Era decisamente un sì.





I ringraziamenti: Sonoqui87, luca76, roxy_xyz ed Harry_Jo.
Mi dispiace di non poter entrare nel dettaglio per questa volta, ma sono un po' di corsa, tuttavia ci tenevo a mettere questo capitolo.
Sperando che vi sia piaciuto, io vi saluto. E non dimenticate il commentino ^_^




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Capitolo 10
*** Il labirinto ***


Ok, questo è solo un capitolo di transizione, e non è neanche chissà cosa, quindi...

Buona lettura!




Ad occhi chiusi, Silente era stato chiaro.
“Dovresti essere in grado di farlo ad occhi chiusi.”
E poi le aveva sorriso, buttandola dentro allo sgabuzzino delle scope.
Appena entrata aveva dato un'occhiata all'immenso labirinto che le si stagliava davanti e poi si era bendata gli occhi.
Ad occhi chiusi.
Cercò di visualizzare il percorso che stava seguendo. Con la mano libera dalla bacchetta tastava ogni parete.
Arrivò al primo incrocio e toccò tutti i lati.
Poteva andare a nord, a est, a ovest, o tornare indietro verso sud.
Senza pensarci troppo si diresse verso ovest, solo perché la bacchetta da quel lato la precedeva.
Camminò ancora, tastando entrambe le pareti del labirinto finché si trovò davanti ad un vicolo cieco.
Così tornò all'incrocio, prendendo la strada a est.
Dopo qualche metro di trovò davanti ad un altro incrocio, da cui poteva andare verso sud o continuare a est.
Continuò dritta, fino ad un altro incrocio. Una strada portava a nord e l'altra continuava dritta verso est.
Continuò ad est e dopo pochi passi si trovò davanti ad un vicolo cieco, così tornò all'incrocio precedente andando verso nord. Altro vicolo cieco.
A quel punto di diresse verso l'incrocio ancora precedente, andando verso sud.
Dopo una ventina di metri si trovò davanti ad una piccola statua. Allungò una mano e la toccò.
Aveva la forma di un drago alato di pietra.
Sentì un fruscio e fece appena in tempo a gettarsi a terra, poco prima che il drago sputasse un getto di fuoco nella sua direzione.
Di corsa tornò indietro fino al primo incrocio, puntando a nord.
Dopo almeno trenta o quaranta metri si trovò davanti la strada sbarrata.
Poteva procedere sia a destra che a sinistra.
Optò per la sinistra.
Si trovò in breve ad una svolta ad angolo, che la costrinse a tornare verso sud. Dopo un'altra decina di metri trovò una porta.
La aprì lentamente e poi attese in silenzio che qualcosa accadesse.
Dopo qualche istante sentì il grido di battaglia di un troll di montagna. Lo schiantò con tranquillità ed attese ancora qualche secondo.
Quando le fu chiaro che dentro la stanza non c'era altro, vi entrò e la percorse, esaminandone le pareti e successivamente il centro.
Trovò una piccola coppa posta su un ripiano.
Quando la toccò la coppa le ustionò la mano sinistra, costringendola a fare diversi passi indietro.
Fu una fortuna, visto che la coppa iniziò poi a moltiplicarsi. Ne sentiva cadere due, poi quattro, poi otto sul pavimento.
Corse fuori dalla stanza, conosceva quel trucco e non le piaceva affatto. Non portava mai a niente di buono.
Tornò indietro, svoltò la curva ad angolo e all'incrociò proseguì verso est.
Si era orientata piuttosto bene, fino a quel momento.
Un'altra curva ad angolo la portò verso nord.
Quel labirinto tutto sommato era piuttosto semplice.
Trovò un altro incrocio. Poteva andare ad est, a ovest o a nord.
Rimase immobile.
Poi, sperando di uscire dall'oscurità che l'avvolgeva in pieno giorno dentro quel labirinto che stava attraversando bendata, si incamminò verso ovest.
Quasi cadde quando iniziò una discesa. Non se l'aspettava. In breve si ritrovò davanti a un'altra porta.
Si avvicinò a con le dita tastò la superficie, trovando delle parole incise sulla porta.
ODIO.
Sembrava quella la parola, per quanto lei tentasse di leggervi altro.
Tornò indietro senza aprire la porta e si diresse a est dell'incrocio, dopo poco iniziò una salita che la condusse ad una porta opposta alla prima.
AMORE.
Le cinque lettere erano scritte in rilievo e dalla consistenza al tatto dovevano essere di metallo.
Probabilmente oro.
Ancora tornò indietro e all'incrocio svoltò a nord, incontrando una piccola radura, dove il labirinto si allargava a formare un cerchio.
Proseguì, fino ad incontrare altre tre porte.
PAZIENZA
SAPIENZA
SPERANZA
La consapevolezza la toccò.
Si era dimenticata qualcosa.
Improvvisamente ricordò.
Tornò verso sud, oltrepassando l'incrocio e svoltando alla curva ad angolo verso ovest. Da lì arrivò all'incrocio precedente, dove girò ancora verso sud. Da quel vicolo giunse infine all'incrocio che a memoria stava cercando, e girò ad est.
Al primo incrocio ancora verso sud. Fino a ritrovare il drago.
Con un incantesimo vecchio, che nemmeno ricordava perché Silente le aveva insegnato, animò il drago, che smise di sputare fuoco nel tentativo di ucciderla ed iniziò a parlare.
“A volte la strada in discesa può sembrare la strada più facile da percorrere, così come l'amore il sentimento più facile da provare. La virtù dei saggi la possiede solo chi sa di non averla, mentre la virtù dei nobili di cuore non può che essere perduta durante il lungo tragitto. Ciò che non si deve mai perdere, stavolta, è ciò che va perduto. E la strada più facile non va mai presa.”
Lentamente tornò all'incrocio che conduceva a tutte la cinque porte.
A sinistra l'amore, in avanti la pazienza, la sapienza e la speranza, a destra l'odio.
La strada in discesa può sembrare la strada più facile. La strada in discesa doveva essere percorsa per giungere all'odio.
L'amore il sentimento più facile da provare. L'amore era verso destra.
Alla fine però il drago diceva la strada più facile non va mai presa. Quindi sia l'amore che l'odio venivano scartati.
La virtù dei saggi la possiede solo chi sa di non averla. Un chiaro riferimento alla sapienza. Quindi i saggi sono coloro che sanno di non esserlo. Silente che citava Socrate era davvero troppo anche per lei.
Tuttavia aveva scartato anche la sapienza, perché se qualcuno aprisse la porta, credendo di essere un saggio, automaticamente non lo sarebbe più, secondo il ragionamento di Silente.
La virtù dei nobili di cuore non può che essere perduta durante il lungo tragitto. Questa era la pazienza. Lungo il labirinto andava persa, attraversandolo in fretta come aveva fatto lei, e alla fine andava ritrovata per affrontare quella specie di indovinello. Comunque il drago aveva detto che era perduta lungo il tragitto. Quindi per ipotesi, scartò anche la porta della pazienza.
Ciò che non si deve mai perdere, stavolta, è ciò che va perduto. Questa era facile, la speranza. Quindi se andava perduta poteva essere scartata.
Ma allora non rimaneva niente.
Ci rimuginò sopra, cercando di calmarsi e pensare più lucidamente.
E la strada più facile non va mai presa.
La strada più facile non va presa. La strada.
Non il sentimento più facile non va preso, ma la strada più facile. Quindi la strada più difficile, quella in salita, era quella che portava verso l'amore.
Davvero era così semplice?
Era come sempre per Silente l'amore la risposta a tutto e la via per salvarsi?
Con un sospiro di rassegnazione si diresse verso la porta dell'amore e la varcò.
Se la richiuse alle spalle ed attese.
“Ti prego, dimmi almeno che hai tirato a indovinare” sentì la voce di Sirius pregarla.
Si tolse la benda e vide lui e Remus in piedi accanto a Silente.
“Hai fatto il tragitto bendata e risolto l'indovinello in qualcosa come sei minuti in tutto. Contando anche il tempo per tornare dal drago” continuò Sirius.
“Notevole” fu l'unico commento di Remus.
“Maestro, avevi detto ad occhi bendati.”
Silente la guardò, mentre gli occhi gli brillavano in modo strano.
“Fenomenale. Hai battuto il troll a occhi chiusi, schivato il fuoco del drago, ricordato l'incantesimo per animarlo, percorso tutte le strade del labirinto e tornata qui in meno di venti minuti. Davvero ottimo.”
Hermione si voltò, guardando lo sgabuzzino delle scope tornato al suo aspetto originario. Lei non avrebbe mai saputo fare una magia del genere, che invece Silente poteva fare ad occhi chiusi.
“Perché io?” chiese scoraggiata. “Ci sono un milione di maghi più capaci di me. Perché io?”
Silente fece per parlare, ma lei non glielo permise.
“E non mi dica per il mio cuore e il mio coraggio e perché tutti mi vogliono bene. Queste cose funzionano solo con Harry.”
Scosse la testa e avanzò, superando i tre maghi e lasciandoli ad ammirare la sua impresa, mentre lei si gettava sotto la doccia.
“Suppongo che per oggi l'allenamento sia terminato” disse Lupin, senza riuscire a trattenere un sorrisetto divertito.
“In effetti neanche io ho mai digerito quella storia del cuore e dei sentimenti. Io semplicemente avrei preso Voldemort a pugni in faccia” sussurrò Sirius verso Remus.
Silente fece schioccare la lingua contro il palato. “Sei consapevole del fatto che ti ho sentito, vero?”
“Oh, certo!” rispose Felpato. “Altrimenti che gusto ci sarebbe?” chiese sghignazzando.
Remus sospirò. “Non cambierai mai.”
Silente sorrise.
“Ovviamente ad occhi chiusi era solo un modo di dire, vero Albus?” chiese Sirius.
“A volte Hermione tende a prendere le cose leggermente troppo alla lettera.”
Sirius sorrise.
“Alla faccia del leggermente.”
Silente si voltò verso di loro sorridendogli.
“Pare che abbiamo visite.”
Qualche secondo dopo qualcuno bussò alla porta.
Attraverso la finestra Sirius riuscì ad intravedere due figure vestite di nero ed incappucciate.
“Credo siano loro” annunciò prima di dirigersi ad aprire la porta.





Ok, allora, il prossimo capitolo verrà postato presto. Un grazie a:
Sonoqui87, Luca76, Lights, Roxy_xyz, Mr George.
Siete fantastici ragazzi!!

E non dimenticate di farmi sapere che ne pensate. :D




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Capitolo 11
*** Cure mediche ***






A malincuore entrò nella tenda con un pesante sospiro.
Il soldato era sveglio.
Le sue ginocchia erano sanguinanti e i suoi vestiti logori.
Gli davano da mangiare e da bere. Ogni tanto gli permettevano di stare seduto, ma mai gli slegavano i polsi.
Quella forse era la tortura più atroce.
Dopo l'attesa, ovviamente, e l'incertezza del dubbio.
“Da dove vieni, soldato?”
L'uniforme non lasciava dubbi. Era un soldato.
L'uomo, stanco e disperato, rispose quasi subito.
“Vengo dalla bella Londra. Mi hanno detto che era anche la tua città.”
“Lo era” sussurrò Harry, facendo qualche passo in direzione delle corde a cui l'uomo era legato.
Guardò il suo volto. Era giovane, al massimo poteva avere venticinque anni. Molto probabilmente, però, non ne aveva più di venti.
“Il tuo nome.”
“O'Connel. Reiley.”
“Come sei finito in mezzo alla guerra, Reiley?” chiese a bassa voce Harry.
“Ho detto che vivevo a Londra, ma non ho detto quanta distruzione l'avesse avvolta quando mi sono arruolato. Per colpa vostra. Della vostra gente.”
Harry si inginocchiò davanti al ragazzo.
“La bella Londra, come la chiami tu, era anche la nostra città. Nessuno di noi ha cercato la guerra. Ma che dovremmo fare, soldato O'Connel?”
“Arrendervi.”
“Arrenderci?” chiese Harry tornando in piedi. “Arrenderci e permettervi di portarci nelle vostre prigioni, a subire le vostre torture?”
“Non capisci proprio. Non avrete comunque scelta, alla fine. Il mio è un consiglio. Arrendetevi e qualcuno di voi sarà risparmiato. Non fatelo, e la magia morirà con voi.”
“I babbani non ci arrivano. La magia non morirà mai.”
Il soldato O'Connel rise brevemente e tentò per l'ennesima volta di staccarsi dalle corde, facendo la massima pressione.
“Perché io?” chiese ad un tratto.
“Perché adesso ci cercheranno intorno a Londra, dove tu facevi la ronda. E Londra è molto lontana da qui.”
Il soldato annuì. “Capisco.”
“Cosa sai dirmi del vaccino?” chiese Harry.
Per la prima volta dall'inizio dell'interrogatorio una luce di paura attraversò gli occhi del soldato. Era ammutolito.
“Parlami del vaccino” ripeté Harry.
Ma ancora il soldato O'Connel non accennava a voler emettere il minimo suono che assomigliasse a delle parole di senso compiuto.
“Vedo che hai bisogno di aiuto per ricordare.”
Harry estrasse la bacchetta da una tasca del mantello.
La puntò verso la sua testa.
“Crucio.”
Il soldato urlò.
Le sue urla di supplica riecheggiarono all'interno della tenda e si persero dentro essa, che dal campo esterno era ovviamente insonorizzata.
“Parlami del vaccino” ripeté Harry per la terza volta.
Il soldato scosse forte la testa e si rifiutò.
Harry per la seconda volta ripeté la sua tortura, ed un lampo rosso uscì dalla sua bacchetta. E poi, per la quarta volta, chiese al soldato di parlargli del vaccino.
Ma il soldato, ancora, scosse la testa.
“Dimmi, soldato Reiley, senti il tuo sangue andare in fumo come dicono? Come con le vostre torture? O questo è forse peggiore?” chiese rabbioso il mago.
Il soldato rise. “Questo non è niente. Le nostre torture sono così dolorose, che niente, ti assicuro, niente, mi farebbe mai parlare.”
Harry lo guardò intensamente.
“Allora è una vera fortuna che tu non debba parlare. Legilimens.”
In breve ottenne le informazioni che cercava.
Quando uscì dalla mente del soldato lui lo guardò terrorizzato.
“Anche questo siete in grado di fare?” urlò disperato.
“Ma nessuno dovrà mai saperlo” rispose dispiaciuto Harry.
Dopo un ultimo sguardo agli occhi del soldato un lampo verde uscì dalla sua bacchetta senza che avesse neanche bisogno di pronunciare l'incantesimo.
Lasciò lì il corpo, sapendo che Draco se ne sarebbe occupato al suo ritorno, e andò da Neville.

“Allora, hai trovato qualcosa?” chiese appena entrato nella tenda.
Neville, concentrato com'era su quello che stava facendo, lo ignorò.
“Neville...” lo chiamò allora Harry.
Il mago si voltò.
“Harry...dammi solo un secondo...”
Neville posò sul tavolo la provetta che aveva in mano e la bacchetta, si tolse gli occhiali da laboratorio e si sfilò il camice.
“Per oggi ho finito. Il liquido ha bisogno di riposare, domani lo testerò...”
“Hai trovato il siero?” chiese Harry con un po' di apprensione.
“No, ma forse sono riuscito ad isolare il vaccino.”
Il moro annuì.
Si guardò attorno e notò che la capsula verde era ancora intatta nello studio. Ovviamente niente era al suo interno, ma ciò comunque non riusciva a tranquillizzarlo del tutto.
“Tu, invece, sei riuscito a strappare qualcosa dalle labbra del bel soldato?” chiese ironico Neville. “Nossignore.”
Dal tono serio di Harry, Neville capì cos'era successo.
“Non avevi scelta Harry.”
Passandogli accanto gli dette una pacca sulla spalla e uscì dalla tenda, sapendo che il moro lo avrebbe seguito. E così Harry fece.
“Voglio mostrarti qualcosa.”
Lo seguì fino ad un'altra tenda, quasi ai margini dell'accampamento.
“Salve Lus. Come sta la piccola peste oggi?” chiese Neville alla giovane donna all'interno.
Era bionda, aveva gli occhi scuri. Teneva tra le braccia una bambina che avrà avuto al massimo tre mesi. Probabilmente meno.
“Suo padre è morto. Dei soldati hanno ripulito il palazzo in cui ci nascondevamo insieme ad altri come noi...” disse la ragazza, rispondendo ad una muta domanda di Harry. “Neville ci ha trovato che vagavamo per Londra e ci ha offerto un rifugio sicuro dove nasconderci finché tutta questa storia si sarà calmata.”
Harry sorrise cortesemente, aspettando che Neville visitasse la piccola e facesse un incantesimo per far diminuire la sua tosse.
“Passo di nuovo domani a vedere come sta” disse rivolgendosi alla madre.
Poi, seguito da Harry, uscì dalla tenda e si diresse verso un'altra, dall'altra parte del campo.
“Da quanto sono qui loro due?” chiese Harry.
“Circa otto mesi.”
Harry stava per ribattere, incredulo, quando Neville entrò in un'altra piccola tenda.
Dentro c'erano cinque persone.
“Salve Marta. Dov'è Aaron?”
“Oh, sta aiutando gli altri a riparare il pozzo.”
“Già. Allora, vediamo un po'...” prese tra le mani quella di un ragazzo, probabilmente il figlio di Marta. “Direi che è completamente guarita, tra poco potrai tornare a giocare a baseball, André. La tua testa, Beth, come va?” chiese rivolgendosi alla figlia maggiore della donna.
“Meglio. Grazie. Ed ovviamente per merito tuo.” Gli sorrise.
“I gemelli hanno più avuto quei problemi di asma?” chiese Neville. Due piccoli maschi erano i figli minori della donna. Avevano più o meno sei anni.
“No. Sembra che tu lo abbia risolto.”
Neville le sorrise. “Devo andare Marta. Salutami tanto il caro Aaron.”
Nuovamente Neville uscì dalla tenda, seguito da Harry.
“Loro da quanto sono qui?” chiese.
“Tre anni.”
Harry posò una mano sulla sua spalla bloccandolo.
“Perché non ne sapevo niente?” chiese costernato.
“Non è tuo compito. Tu devi salvarli. Io devo solo guarirli o dar loro un rifugio. Volevo mostrarti cosa stai facendo e per chi. Tu combatti ed uccidi per dare a queste famiglie una nuova casa in cui vivere. Ai bambini un mondo migliore in cui crescere. Lo capisci?”
Harry annuì.
“Per quanto tempo la settimana fai le visite?”
“Vediamo, circa...circa tre ore al giorno. Nel campo vivono quasi cento famiglie. Più della metà sono senza padre. E molti degli anziani e dei bambini sono malati. Le malattie babbane per cui non abbiamo anticorpi ci stanno massacrando. Devo fare tutto il possibile. E anche così ogni tanto qualcuno muore.”
“Adesso...adesso devo andare Neville.”
Si scusò un istante prima di dileguarsi nel nulla.
Neville sospirò ed entrò nella tenda successiva.
“Signora Finksghensen. Come andiamo oggi?”
“Oh, mio caro. Chiamami pure Rose.”
La donna sull'ottantina gli sorrise.
“Signora Finksghensen, sono davvero mortificato, ma anche oggi mi trovo costretto a dover respingere le sue avance.”
La donna gli sorrise maliziosa.
“Infondo chiedo solo un ballo...”
“Non con questa brutta polmonite. Deve prendere le medicine, signora Finksghensen. Se lo ricorda, vero? Tutti i giorni.”
“Le prendo le medicine, figliolo. Ma quando sarò guarita ballerai finalmente con me?”
Neville le sorrise.
“Certo signora Finksghensen.”
Sapeva che alla sua età non era facile sopravvivere alla polmonite e lei ne aveva avuto un brutto attacco. Ma forse un po' di speranza le avrebbe fatto bene.
Uscì dalla sua tenda con un sospiro e tornò alla sua espressione carica di rammarico, sensi di colpa, angoscia e preoccupazione.
Attraversò il campo e quando fu davanti alla tenda dentro cui doveva entrare si fermò, piantandosi in faccia un bel sorriso di quelli convincenti.
“Buongiorno signora Smith. Come stanno i bambini, oggi?”
Anche loro avevano preso la polmonite.




Ecco qua il nuovo capitolo, spero che vi piaccia e vi dico subito che posterò presto il prossimo.
Un grazie di cuore a luca76 che è rimasto l'unico a recensire questa storia. Grazie mille, davvero. I tuoi commenti mi tirano sempre su di morale.

A presto ragazzi!




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Capitolo 12
*** Considerazioni ***







Sirius aprì la porta, lasciandoli entrare.
“Buone notizie” affermò Piton, mentre si toglieva il mantello umido di pioggia.
“Amanda ha accettato l'alleanza così come l'abbiamo proposta. Adesso sii gentile Albus e svelaci di cosa parla questa benedetta profezia che sta producendo tanto rumore.”
“Severus, Minerva.”
Silente li salutò cortesemente, e così anche Remus, dopo di lui.
“Ancora non ho avuto l'onore di leggere la profezia. O di udirla. Ma so per certo che ormai è scritta. E a noi spetta farla avverare.”
“Circolano strane voci” disse Piton, con il suo solito tono di voce strascicato. “Si dice che hai addestrato il nuovo Prescelto. Si parla di lui come del nuovo indiscusso condottiero della resistenza. Sono solo voci? Solo...rumori?” chiese copiando il termine usato dalla McGranitt poco prima.
“No. Non lo sono. Tuttavia suppongo che rimarranno tutti molto delusi dall'apprendere chi è il loro nuovo condottiero.”
Lupin e Sirius si scambiarono uno sguardo complice.
“Intendi tenerci sulle spine, Albus?” chiese Minerva. “Se ho ben capito, loro già sanno.” Aggiunse indicando con un cenno della testa i due Animagus.
“Loro sanno” ripeté Silente in tono affermativo, facendo così evaporare ogni dubbio.
Con un gesto della mano li invitò in cucina e li fece accomodare a tavola.
L'occhio di Piton cadde su alcuni volantini che erano rimasti sul tavolo.
“Che barzelletta. Sulla mia testa solo cinquemila sterline.”
“Sulla mia niente, se può consolarti” rispose la McGranitt, bevendo un sorso della bevanda calda che Silente le aveva offerto.
“Dimmi Severus, hai poi controllato il campo messo su da Harry e i suoi compagni?” chiese Silente in tono allegro.
“Faccio tutto quello che mi chiedi, ovviamente” rispose ancora con il tono strascicante, serpentino, l'unica cosa in lui che non cambiava mai.
“E cosa hai trovato?” lo incitò Silente in tono del tutto colloquiale, come se stessero parlando del più e del meno.
“Sono degli incoscienti, giovani e inesperti. Si sono isolati dal mondo esterno vivendo solo nel campo e catturando qualche soldato di basso rango per ottenere le informazioni base di cui necessitano. Non hanno una minima idea di cosa stia realmente accadendo nel mondo magico. Ma da quello che sono riuscito a capire stavano per mandare qualcuno a raccogliere un po' di novità, non so se mi spiego. Presumo quindi che in breve saprà delle nuova Profezia di cui tutti parlano. E tutti ne parlano perché tu hai diffuso la voce della sua esistenza. E lo hai fatto ancor prima che essa fosse stata effettivamente scritta!”
Silente sorrise compiaciuto.
“Dunque, Harry a breve saprà che c'è qualcuno più potente di lui. E a meno che il suo carattere non sia completamente mutato in questi cinque anni, scommetto che vorrà incontrarlo. E questo lo porterà dritto dritto da noi” spiegò Sirius.
“E quando scoprirà che chi cerca non è con noi, mi chiedo cosa farà” aggiunse la McGranitt.
“Minerva, tu come al solito ci sottovaluti” Remus le sorrise, accattivante.
“Oh, cielo!” esclamò la strega. “È qui?”
“Certo. Quale posto più sicuro?”
Piton roteò gli occhi. “Certo. Quale posto più sicuro che in mezzo a una cinquantina di ricercati?”
“Fidati, Severus, è più al sicuro adesso rispetto a dov'era prima.”
Piton serrò le labbra e trattenne la risposta che stava per rifilargli.
“Albus, dimmi, visto che non hai mai ascoltato questa fantomatica profezia, come puoi essere a conoscenza della sua identità?”
Silente, ancora una volta, sorrise.
“Amanda, la nostra cara amica di vecchia data, quando ancora lavorava ad Hogwarts al posto della professoressa Cooman come nostra collega, ebbe una visione. Una visione molto strana. Una visione su lei che scriveva una profezia su un pezzo di carta e lo affidava alla sua giovane consigliera. E per non compromettere la sua profezia mi mostrò il volto del Prescelto, prima di cancellarlo dalla sua stessa memoria. Il resto della storia è noto. Qualche anno dopo acquistò i suoi poteri e lasciò Hogwarts. Ed io capii che la visione che aveva avuto si sarebbe avverata. Ovviamente non lo dissi mai ad anima viva. Ma qualcun altro aveva già capito. Qualcun altro che in tutti i modi ha cercato di evitare la guerra. Ma che era destinato a combatterla.”
“Che sarebbe questo tale Prescelto di cui parli tanto” chiarì per tutti Piton.
“Esattamente.”
Per un attimo tutto tacque nel profondo silenzio della casa. Fu Silente a rompere nuovamente il silenzio che lui stesso aveva creato.
“E Amanda?” chiese arrivando subito al punto.
“Nel suo rifugio, in Scozia.”
Silente annuì, di quello era già a conoscenza.
“Quando ci raggiungerà per incontrare il volto che tutti i suoi sogni avvolge?” chiese, sempre più misterioso, sempre più criptico.
I due Professori si scambiarono un'occhiata veloce.
“Qui sorge un problema” dichiarò Minerva. “Amanda dice che ha avuto una visione. Dice che il Nuovo Prescelto deve radunare il suo esercito e con loro marciare nella nebbia verso nord, fino il rifugio dove loro si nascondono. Lì i due eserciti si uniranno ed insieme, la resistenza unita sotto un solo capo, marcerà sul campo dei ribelli e li condurrà sotto la sua volontà, preparandosi a una guerra contro i babbani.”
“Immagino che queste siano state le sue parole esatte...” aggiunse Remus sospirando.
“Se mentisse?” chiese Piton, sempre parlando con quel suo modo di fare che sembrava stesse trascinando le parole a terra.
“Non mente. Non mente mai sulle sue visioni” rispose Sirius deciso.
“Va bene” rispose Severus ironico. “Allora diciamo che non ne sa niente di guerra. Se ci presentiamo da Potter senza prima un accordo, loro ci punteranno contro le loro bacchette e daranno fuoco ai cannoni, senza neanche chiedersi chi sia il giovane che conduce un esercito armato dinnanzi al suo campo.”
“E se non fosse un giovane?” chiese Lupin.
“E neanche vecchio!” ci tenne a precisare Sirius. Nessuno rise della sua ironia, ne tanto meno mostrò di aver compreso la battuta.
“Considerate per un momento l'idea che a condurre l'esercito possa essere qualcuno che lui conosce. Considerate l'idea che Amanda abbia ragione, solo per ipotesi. E provate ad immaginare il nostro esercito di cento e forse più persone arrivare davanti al campo. Harry potrebbe respingere una trattativa in privato. Ma come potrebbe davanti alla sua gente negare un'alleanza con l'esercito più grande che loro abbiano mai visto dal vivo?” chiese Silente.
“Sarebbe davvero una Grazia Divina” rispose Minerva. “Se solo potessimo far condurre l'esercito a qualcuno che lui conosce. Ma se lo facessimo, Amanda non accetterà di marciare con noi. Lei vuole che a condurre sia il Prescelto...”
Gli occhi di Silente brillarono, mentre tornava a sfoggiare il suo sorriso sghembo.
“Mia cara Minerva, qualcuno ha forse detto che una possibilità preclude l'altra?”
Lei e Piton si guardarono ancora, di sottecchi, più confusi che mai.
“Considerate l'idea” continuò fiducioso Silente. “Che abbiamo qualcuno. Qualcuno che non è un giovane, ma ha capacità straordinarie. Qualcuno che conosce Harry Potter. Considerate l'idea che tutte queste che ho elencato siano caratteristiche del Nuovo Prescelto di cui la Profezia parla. Provate solo ad immaginare dove un'alleanza di tali proporzioni ci potrebbe portare.”
A lungo nessuno nella stanza osò parlare.
L'alleanza tra le forze magiche di cui si stava parlando sarebbe potuta essere davvero quello di cui avevano bisogno per mettere fine a quella guerra insensata.
Un'alleanza, se davvero Silente diceva la verità, poteva essere la soluzione a tutti i loro problemi e contemporaneamente a moltissimi altri che loro non si erano nemmeno posti.
Se davvero una persona del genere non solo fosse esistita, ma se si fosse trovata in quella stessa casa, proprio in quel preciso momento, avrebbe dato loro qualcosa a cui da molto tempo ormai avevano rinunciato.
La speranza.
Li avrebbe portati a credere di nuovo che avevano una possibilità.
Che avrebbero potuto sconfiggere l'esercito babbano, nonostante le loro potentissime armi e nonostante la loro ultima, terrificante, scoperta.
Il vaccino.
Il vaccino che avevano inventato e che li aveva resi immuni ad alcuni tipi di incantesimi.
Il vaccino che avevano diffuso tra i soldati di rango più alto e che avevano testato su alcuni mercenari.
Quella stessa cura alla magia che non si sognavano nemmeno di diffondere tra i civili.
Troppo rischioso. Qualche mago ficcanaso avrebbe potuto procurarsi una fiala di sangue e fare qualcuno dei loro trucchetti per scoprire come avevano fatto ad inventare una cosa così neanche solo lontanamente immaginabile.
L'alleanza che Silente stava proponendo, se fosse stata realizzabile, gli avrebbe permesso finalmente di arrivare all'armistizio. E forse addirittura di distruggere quei maledetti vaccini che avevano creato.
Li avrebbe resi finalmente liberi.
Non avrebbero più dovuto fuggire.
Niente più nascondigli, nomi falsi, cambi di aspetto.
Niente taglie sulle loro teste. Niente volantini con le loro facce sopra.
Era la speranza che Silente gli stava offrendo.
“Tu hai qualcuno con queste caratteristiche?” chiese la McGranitt.
“Ma domanda ancora più importante, cosa significa che non è un giovane?” chiese stordito Piton.
Ed era quella speranza, che loro stavano, insieme a tutti gli altri, accettando.
Dei passi lungo le scale che conducevano all'ingresso li distrassero.
Qualcuno stava scendendo dal piano superiore.
Prima che il suo volto fosse visibile, riuscirono benissimo a scorgere la sua bacchetta.
Testa in avanti in una perfetta posizione di difesa, preannunciava qualcuno pronto a combattere contro ogni tipo di intruso.
Poi, improvvisamente si bloccò.
Il braccio destro si abbassò, stendendosi lungo un fianco e portandosi dietro la bacchetta che un attimo prima puntava dritto verso la cucina.
Fece ancora qualche passo avanti, finché fu visibile ai loro occhi.
“Professoressa McGranitt. Professor Piton. Che piacere rivedervi.”
Hermione Granger, in pigiama, li guardava sulla soglia della porta di cucina.
“Scusate se vi ho interrotto. Ultimamente sembra che stia diventando mia abitudine svegliarmi nel bel mezzo della notte e dover scendere per controllare a causa di rumori sospetti.”
Un lampo di comprensione attraversò i volti di entrambi i suoi vecchi professori.
“È lei, non è vero?” chiese Piton, rivolto a Silente, ma con gli occhi ancora fissi su di lei.
Un sorrisetto compiaciuto apparve sulla faccia della McGranitt.
“Devo riconoscere, Albus, che forse davvero fare ciò che vuole Amanda è possibile.”




Vorrei ringraziare:

Pecky: Grazie mille per i complimenti e soprattutto grazie per seguire la fanfiction, spero che ti piaccia anche questo capitolo.
roxy_xyz: Tranquilla, ho decisamente in serbo qualcosa per i prossimi...Spero che continuerai a seguirmi, e al pari di luca76 il tuo commento non manca mai. Grazie davvero.
Lights: Sono con un giorno di ritardo, e mi dispiace, ma proprio non sono riuscita a postare ieri. Spero che il capitolo ti piaccia! ^_^
luca76: Ti ringrazio per i tuoi complimenti e per la tua volontà di seguirmi fino alla fine, anche se ti avverto che probabilmente sarà una storia davvero molto lunga. Spero che comunque non ti dispiaccia avermi tra le scatole ancora un po'! :P

Un grazie enorme anche a tutti coloro che stanno seguendo la storia senza commentare, e l'hanno inserita tra le seguite, tra le ricordate o tra le preferite.


Aggiorno presto, promesso. Ciao ragazzi!!


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Capitolo 13
*** Brutte notizie ***







Dopo aver parlato con Neville Harry rientrò nella propria tenda, con l'intenzione di gettarsi sul letto e dormire almeno diciotto ore.
“Salve.”
Una voce lo fece sussultare appena varcò la soglia.
“Draco, mi hai fatto prendere un colpo...”
Il biondo ghignò.
“Siamo stati come volevi tu a fare un giro nella vecchia città dei maghi...”
“E?” chiese Harry apprensivo, sedendosi alla scrivania, visto che Draco aveva già occupato il suo comodo letto.
“Siamo stati da Magie Sinister. Il vecchio ci ha detto delle cose molto interessanti...”
“Per esempio?”
“Per esempio che per distillare il vaccino sono stati aiutati da un paio dei nostri a quanto sembra, perché anche se sono in grado di rilevare la presenza di magia, poco ma sicuro non possono imbottigliarla.”
Harry annuì distrattamente.
“Avevo valutato anche questa possibilità...”
“Ma non è tutto.”
Harry riportò lo sguardo su Draco.
“A quanto pare questa fantomatica Profezia esiste sul serio. E, amico stanne sicuro, non parla di te...”
“Certo, e parla di te, vero?” chiese il moro ironicamente.
“No. Di me di sicuro non parla. Ma forse hai ragione, parla di te. Però potevi avvertirmi almeno dell'operazione...”
“Quale operazione?” chiese confuso l'altro.
“Quella per cambiare sesso. La Profezia parla di una donna, imbranato.”
Harry sospirò.
“Dovevo immaginarlo. È lei. Parla di lei, di Amanda.”
Draco annuì, abbassando lo sguardo.
“Non sono convinto che sia lei.”
Harry lo guardò sprezzante.
“Chi altrimenti?”
Draco alzò le braccia in segno di resa.
“Non ne ho proprio idea, amico. So solo che girano strane voci sul suo conto, su quello che fa, su chi è e sui suoi poteri. E poi quando è venuta qui, forse tu l'avevi dimenticato, ma fidati, io me lo ricordo più che bene, accennò al fatto che voleva trovare la ragazza di cui parla la profezia prima che ci riuscissi tu. Quindi probabilmente si riferiva al fatto che voleva portarla via prima che tu scoprissi di chi parlava la Profezia.”
“Aspetta, solo un secondo. Stai cercando forse di dirmi che credi che la Profezia parli di qualcuno che al momento è all'interno del campo?”
Draco annuì.
“Senti Harry, forse è perché sono suscettibile al riguardo, ma da quello che ci ha detto il caro vecchio Sinister ci sono parecchie coincidenze e la cosa si è fatta un po' strana quando mi ha dato in privato la descrizione della ragazza. Non è sicuro ovviamente che sia attendibile, ma da un po' circola tra i maghi.”
Harry lo incitò a continuare con un gesto della mano.
Draco sospirò.
“Alta, sulla ventina. Molto precoce nell'apprendimento. Sveglia. Conosce Silente di persona. E sappiamo che è al campo.”
Un lampo di comprensione passò sul viso di Harry che si voltò a guardarlo in un misto tra il preoccupato e l'incredulo.
“Pensi che sia lei?”
Draco annuì lentamente.
“Voglio dire, per essere alta è alta. Venti anni compiuti, ha imparato la maggior parte degli incantesimi un anno prima, quando si allenava con voi dell'ES. Conosce Silente dal piccolo incidente del diario. Chi altri potrebbe essere?”
“Luna?” chiese Harry vagliando le possibilità alternative.
Draco scosse la testa. “Troppo bassa.”
“Allora, Romilda?”
“Ti sembra sveglia? Fammi un favore, almeno impegnati amico.”
“Ok, vediamo...Cho?”
“Non è al campo.”
“La sua amica, come diavolo si chiamava?”
“Neanche lei è al campo...”
“Che ne dici di...” lasciò la frase in sospeso.
“Amico, mi prendi per il culo? Sono cinque anni che Hermione non mette piede in questo cazzo di campo!”
“Ok. Va bene. Ma io ho finito le possibilità.”
Draco sospirò. “Perché è lei. Non ci sono altre possibilità.”
“E così...Ginny. Chi l'avrebbe mai detto?”
“Parla per te. Io l'ho sempre saputo che era speciale.”
Harry sorrise. “Buon per te amico.”
Per un po' calò il silenzio tra i due.
“Harry c'è un'altra cosa che abbiamo visto a Diagon Alley. Non è stato facile per nessuno, dovevi vedere Ginny che faccia aveva. Però è la realtà e dobbiamo affrontarla. Lei e Ron non l'hanno presa affatto bene.”
Il sorriso del moro svanì nell'istante in cui vide la faccia serissima di Draco.
Qualcosa dentro di lui vibrò, all'altezza del suo stomaco.
Gli succedeva sempre, quando c'erano cattive notizie.
“Siamo passati davanti a Tiri Vispi Weasley. Sai che la scelta di Fred e George di continuare a tenere il negozio aperto anche durante la guerra non è mai stata raccomandabile. Sapevamo tutti che sarebbe potuto succedere qualche guaio prima o poi.”
“Draco...” odiava quella suspance. Voleva sapere cosa diavolo era successo.
“Tutto l'edificio...È esploso. Saltato in aria con tutto quello che c'era dentro. Di loro due non c'è traccia da nessuna parte...Mi dispiace così tanto, Harry...”
Quel qualcosa che prima era vibrato dentro di lui si spense.
“No, non può essere.”
“Potrebbero essere ancora vivi. Forse sono riusciti a scappare.. forse sono nascosti da qualche parte. Ma di sicuro non riusciranno mai a trovare il campo.”
Harry nel frattempo si era alzato e si era voltato in direzione della tenda, in modo da non dover guardare Draco in faccia. Appoggiò le mani sulla scrivania stringendo il legno fino a farsi sbiancare le nocche.
“La loro famiglia...tutte le loro famiglie...sono andate distrutte. Quella di Luna, quando suo padre è morto. Quella di Ginny e Ron, poco a poco, con la morte dei suoi genitori insieme al resto dell'Ordine e poi dei suoi fratelli. E la tua...”
“Già, quando ho ripudiato i miei genitori e loro di rimando hanno ripudiato me” sussurrò Draco con tono allegro. “A dire la verità io ne vado abbastanza fiero, sai?” chiese sorridendo.
“Ma loro no. Questo è il punto” tentò di spiegargli Harry. “A volte penso che se non avessimo mai fatto quello che abbiamo fatto, se non avessimo mai dato inizio alla guerra, molte vite innocenti sarebbero state risparmiate dall'atrocità della guerra. Dal vedere le sue conseguenze e dallo sperimentarle sulla loro stessa pelle e su quella delle persone a loro più care. A volte penso che sarebbe stato meglio...” sospirò.
Draco lasciò che il silenzio calasse e che Harry portasse a termine le sue riflessioni, prima di parlare di nuovo.
“Ma Ron ha una famiglia, sai? Adesso ha Luna. Ed ha anche la piccola Molly.”
Harry annuì.
La piccola Molly.
Aveva sostituito la signora Weasley con il nome. Ma sarebbe mai riuscita davvero a riparare il dolore di quella perdita?
Harry credeva che non potesse. Che niente potesse.
“E presto anche Ginny avrà una famiglia.”
Harry si voltò di scatto.
Draco gli sorrideva dal basso verso l'alto.
“Le chiederò di sposarmi.”
Harry sorrise e si avvicinò a Draco.
Il biondo scattò in piedi, afferrando la mano che Harry gli porgeva. Si abbracciarono.
“Congratulazioni fratello.”
Quando si separarono Draco indicò con un dito il viso di Harry.
“Asciugati le lacrime femminuccia. Sembra che ti abbiano ucciso quella sottospecie di gallina bianca che chiami Edwige.”
Harry scuotendo la testa ricacciò indietro le lacrime di commozione.
“Non cambierai mai...”
“Grazie a Dio” aggiunse fiero Malfoy.
Di nuovo il silenzio cadde sulla tenda e, mentre Draco si avviò verso l'uscita, Harry potè finalmente mettersi seduto sul letto.
“Sono sicuro che stanno bene. È una cosa che sento dentro. Nelle ossa.”
Draco sorrise. “E quando le tue ossa sentono qualcosa è meglio ascoltarle, vero?”
Dopo aver riso della sua stessa battuta cercò comunque di rassicurare il moro.
“Staranno bene.”
Harry annuì, mentre il biondo usciva.
Fred e George non potevano essere morti.
Con un sospiro si sdraiò sul letto, tentando di scrollarsi di dosso la faticosa giornata che aveva appena affrontato.
Appoggiò la testa sopra le braccia che aveva incrociato sul cuscino.
Era finalmente pronto per le sue diciotto ore di sonno.
E poi un pensiero vago.
Una consapevolezza appena accennata.
Qualcosa che rimase nel suo subconscio.
Qualcosa che avrebbe voluto riuscire a vedere più chiaramente.
Ma nel suo subconscio rimase, perché in quel momento un'altra persona entrò quasi di corsa nella sua tenda.
“Harry, abbiamo un problema.”
Riscuotendosi immediatamente da quella sorta di torpore che precede il sonno sbarrò gli occhi e voltò la testa in direzione del suo ospite.
“Neville.”
Il pensiero di poco prima era sparito. In un battito di ciglia era tornato nei meandri del suo subconscio.
Si alzò sospirando.
E anche quella sera le diciotto ore di sonno di cui aveva bisogno erano rimandate.





Ed ecco i ringraziamenti:

roxy_xyz: Che bello, hai deciso di scrivere!!! Non dimenticare di avvertirmi quando posti, così corro a leggere!! :D
Lights: Come hai visto l'aggiornamento è arrivato presto, spero il capitolo ti sia piaciuto! :)
Pecky: come vedi ho aggiornato presto ;)
luca76: Bene, perché questa sarà veramente lunga...Al prossimo cap!
Knight of Harmony: Innanzitutto ben tornato tra i commentatori! E seconda cosa, ma non meno importante, complimenti per il nuovo nick, è stupendo. Ma questo te l'avevo già detto :P


A presto ragazzi! :)





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Capitolo 14
*** Incantesimi di Invisibilità ***


Eccomi qua con un nuovo capitolo e le mie scuse per l'attesa più prolungata del solito. Quindi vi chiedo scusa e spero che questo capitolo basti per farmi perdonare
Enjoy it! ^_^




Hermione stava seduta al tavolo del soggiorno, fissando per l'ennesima volta quella cartina dell'Inghilterra che ultimamente si era ritrovata a scrutare sempre più spesso ed ogni volta con maggiore ansia.
Proprio non riusciva a capire.
Come avrebbe fatto?
Di certo non poteva viaggiare di notte.
Quando il buio scendeva tutto il Paese si riempiva di mercenari assetati di sangue magico, che non vedevano l'ora di imbattersi in un bell'esercito.
Eppure per arrivare al castello che Silente le aveva indicato avrebbe senza alcun dubbio dovuto attraversare il confine della Scozia.
Far passare l'intero esercito attraverso l'Irlanda era fuori discussione. Sarebbe stata una manovra da pazzi anche per dei maghi.
Ma cosa diavolo avrebbe dovuto fare?
Attraversare il confine scozzese in pieno giorno e con un esercito di circa cinquanta persone, semplicemente sperando di non essere vista?
Quello era illudersi.
Sospirò e sbatté la testa contro la sua stessa mano, giusto un secondo prima di lasciarla cadere sopra uno dei tomi sugli incantesimi di invisibilità che stava consultando.
L'uso di mezzi magici come scope, carrozze con cavalli alati, motociclette volanti o Testral, erano esclusi. A meno che non avessero voluto suicidarsi.
Perfino la semplice smaterializzazione ormai era fuori discussione.
Dunque, il piano era semplice.
Avrebbe bevuto una Pozione Polisucco di durata dodici ore alle cinque del mattino.
Poi sarebbero partiti e arrivati al confine con la Scozia al massimo per le tre del pomeriggio.
In fondo non potevano usare mezzi volanti, ma erano pur sempre maghi.
Avrebbe attraversato il confine e sarebbe finalmente stata in Scozia.
A quel punto in tre ore, salvo imprevisti sarebbe arrivata per il tramonto al castello di Amanda.
E se avessero capito che aveva preso la Polisucco?
Impossibile. Avrebbe tenuto la bacchetta sotto il mantello e fatto un piccolo Imperius al soldato di confine, era convinta che sarebbe filato tutto liscio, da quel punto di vista.
Il suo brillante e perfetto piano aveva solo una piccolissima, minuscola pecca di cui non riusciva a venire a capo.
Dalle cinque di mattina fino a tredici ore dopo tutto l'Ordine sarebbe dovuto essere totalmente invisibile.
Come diavolo avrebbe fatto?
Si passò la mani tra i capelli e rialzò la testa, passando a leggere la pagina successiva del libro Tutti gli Incantesimi e i Metodi Magici per essere Invisibili.
Un incantesimo per far sparire i brufoli. Che cosa patetica e infantile.
Un altro per rendere invisibili gli animali.
Sfogliò ancora pagina e si trovò davanti ad un'immagine surreale, di un mantello rosso ed oro, ricamato. Lo riconobbe immediatamente.
Il primo paragrafo recitava, 'Un oggetto decisamente utile e di origini sconosciute e alquanto misteriose. Su esso esistono molte leggende ma...'
Oh, al diavolo! Lei sapeva perfettamente da dove veniva quel mantello. Era uno dei doni della morte. E la storiella la conosceva a memoria.
Infondo alla pagina di destra una piccola nota catturò la sua attenzione.
'Attualmente posseduto da: Harry James Potter.'
Afferrò il libro e lo scaravento dall'altra parte della stanza. La pagina cambiò.
Rimase a fissare il povero tomo colpevole solo del fatto di recare al suo interno un nome che lei non gradiva steso a terra.
“Hermione...”
Silente l'aveva appena raggiunta.
“Ho sentito un rumore e sono venuto a vedere se è successo qualcosa.”
“No, maestro. Mi dispiace essere una così grande delusione.”
Silente sorrise e la guardò dritta negli occhi, con i suoi due fari azzurri.
“E perché mai dovresti essere una delusione, mia cara?” chiese il vecchio mago.
“Perché non ci riesco...” sospirò esasperata.
Con una mano si portò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, mentre l'altra sorreggeva il peso della sua testa.
“Non riesco a trovare un modo per passare il confine.”
“Oh, ma da quello che so ne hai trovato uno molto efficace.”
“Vedo che il professor Piton è corso subito a fare rapporto come al suo solito” sbuffò.
Silente le sorrise ancora, con il suo solito fare calmo.
“Cosa ti turba così tanto?”
“Mi turba che il mio piano, per riuscire, richiede di far diventare tutti voi invisibili per almeno tredici ore.”
Silente sospirò e si mise lentamente a sedere difronte ad Hermione, che non distoglieva mai lo sguardo dai suoi occhi.
“Vedi, a volte anche ciò che è impossibile diventa possibile, se solo ci impegniamo perché questo accada.”
“Ma come posso farlo accadere?” chiese ancora la giovane strega, esasperata dalla sua ricerca.
“Ed io come potrei mai saperlo?” chiese divertito il mago.
Un breve sorriso comparve sul viso di Hermione, ma quasi subito fu risucchiato dalla sua negatività nell'affrontare quella situazione ridicola.
“È assurdo. Non dovrei essere io a guidare questo esercito. Dannazione, non sono neanche riuscita ad elaborare un piano efficace!”
“Suvvia, avrai fatto qualche progresso oggi pomeriggio!” la incoraggiò Silente.
“Sì. Ho litigato con un libro.”
Una risata sottile e cristallina uscì dalle labbra di Silente.
“Mia cara, spero almeno che alla fine abbia fatto capire al libro che eri tu ad avere ragione!”
“Non proprio...” rispose la bruna con un mezzo sorriso sulle labbra.
Silente, con la stessa lentezza con cui si era seduto si alzò dalla sedia del soggiorno e sospirò ancora eloquentemente.
“Tutto si riduce all'illuminazione, temo. O alla ricerca, in questo caso. E per una buona ricerca ciò che è fondamentale è capire dove cercare, altrimenti si sta solo perdendo tempo.”
Hermione sbuffò.
“Ma come posso riuscire a farcela? Forse dopo che avrò fallito questo compito vi renderete tutti conto finalmente che io non sono colei di cui parla la profezia. Finora niente ha ancora dimostrato che sono io.”
“Ma niente ha dimostrato che non lo sei.”
Silente le strizzò l'occhio.
Era incredibile come quell'uomo riuscisse a darle fiducia in se stessa con una semplice frase composta da otto parole.
“Non è educato lasciare per terra le cose che abbiamo fatto cadere durante il nostro tragitto” le ricordò, allungando la testa e guardando verso il libro caduto a terra.
L'allusione era più che chiara.
Il mago si voltò, facendo un passo verso la porta che conduceva verso il corridoio, ma dopo aver appoggiato una mano sullo stipite della porta si bloccò.
Si voltò nuovamente indietro, incrociando gli occhi di Hermione.
“A volte, capita di trovare la risposta ad una lunga ricerca per puro caso.”
Fu l'ultima cosa che disse, prima di lasciarla sola davanti a tutti quei libri, pronta a continuare quella estenuante ricerca.
Si alzò dalla sedia su cui stava e si diresse verso il libro che aveva gettato a terra.
Si era aperto quasi verso la fine.
Lo prese distrattamente in mano e lo appoggiò sul tavolino.
Poi, per puro caso, si accorse della pagina a cui si era aperto cadendo.
Il titolo del capitolo era 'Come rendere invisibile una persona immobile'.
Ricordava di aver letto qualcosa di simile diversi libri prima.
Aprì un altro dei tomi sopra il tavolino che recava in copertina la scritta 'Il mondo dell'Invisibilità'. E poi più piccolo sotto: 'I cento incantesimi per rendere invisibile tutto il visibile'.
Scorse diversi capitoli leggendo solo i titoli, finché giunse a quello che stava cercando.
Si intitolava 'Come rendere invisibili oggetti in movimento'.
Sembrava che nessuno avesse mai provato a combinare le due cose.
Beh, lei di certo ci avrebbe provato.
Forse, se avesse recitato gli incantesimi di fila, o mescolandone le parole, avrebbe potuto ottenere l'effetto che stava cercando.
Certo, avrebbe dovuto fare qualche esperimento e testare il tutto prima su un oggetto, poi su una sola persona.
E nell'ipotesi in cui avesse funzionato avrebbe provato ad estenderlo su tutti.
O a lanciarlo su ognuno dei membri dell'Ordine e prolungarlo affinché durasse quelle tredici ore che le servivano.
Doveva trovare un modo.
E, come le aveva detto Silente, a volte le scoperte più sensazionali avvengono per puro caso.
Ma era davvero solo casualità?
Si chiese se non fosse stato proprio il suo maestro a far si che quella pagina le apparisse davanti agli occhi.
Si chiese se per caso non fosse possibile che Silente avesse voluto incoraggiarla e farle trovare la soluzione.
Farle credere di essere davvero destinata a qualcosa di grande.
Sorrise al pensiero.
L'aveva forse distratta sedendosi tra lei ad il libro e poi aveva allungato quella sua poderosa mano destra accompagnata dalla bacchetta dietro la schiena e l'aveva puntata verso il pavimento, sicuro di riuscire a centrare il libro?
O, ancora più semplicemente, aveva lanciato l'incantesimo subito prima di uscire dalla stanza?
Non avrebbe mai potuto dimostrarlo, ovviamente.
Ma, in fondo al suo cuore, ne era certa.
Aveva fatto in modo che trovasse quella pagina.
Ma preferì non perdere tempo a rimuginare sul perché.
Si limitò ad accettarlo come un dato di fatto e si mise a lavorare sodo, per ripagarlo della fiducia incondizionata che aveva riposto in lei.
Adesso ne era assolutamente certa.
Ce l'avrebbe fatta.
Perché l'alternativa non era contemplabile. L'alternativa al riuscire era quella di deludere il suo maestro.
E lei non l'avrebbe mai deluso.





Ringrazio roxy_xyz, grazie per continuare a seguirmi e a leggere la mia storia nell'attesa che io possa leggere la tua!
E luca76, per non essersi mai perso un capitolo e avermi sempre incoraggiato.

Grazie anche a tutti voi che in questo momento state leggendo e che mi avete seguito fin qua. Vi ricordo che un commento fa sempre piacere.

A preso, con un nuovo capitolo! ^_^




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Capitolo 15
*** La nuova alleanza ***







Ormai era almeno un'ora che aspettavano.
Tutti loro erano fermi all'esterno del castello diroccato in cui per tutto quel tempo avevano trovato rifugio. In Scozia.
“Mia signora, siete certa che sia oggi?” chiese titubante Blaise.
“Sai che lo sono” rispose fiera Amanda.
Indossava la sua maschera. Aveva quindi il volto coperto ed il cappuccio alzato, solo la bocca era appena visibile.
Lei era qualche passo avanti a tutti gli altri, dietro di lei le sue fedelissime guardie, Pansy e Blaise, che non la lasciavano mai, ovunque andasse.
E, dietro loro tre, gli altri. Il loro esercito.
“Ma...al tramonto?” chiese stavolta Pansy.
“Al tramonto.”
“Non sarebbe stato più saggio per loro affrontare il confine di notte?”
Il confine era il passaggio tra la Bretagna e la Scozia. Difficile da attraversare in pieno giorno.
Impossibile in piena notte.
Ma se sai il posto giusto dove passare, e rimani nell'ombra, puoi davvero farcela.
“Di notte le guardie ed i mercenari si moltiplicano esponenzialmente.”
“Ma in pieno giorno, mia signora...voglio dire, giungeranno davvero qui al tramonto?”
“Vi avrei fatto uscire per nulla?” chiese seccata Amanda.
Pansy e Blaise sapevano di potersi fidare, quindi smisero di porre domande.
“Inoltre, se qualcuno ci vedesse in questo preciso istante, non scorgerebbe che un castello diroccato dei tanti di Scozia che la guerra ha distrutto ed una povera pazza che davanti ad esso parla da sola.”
“E questo non sarebbe un po' sospetto, mia signora?”
Amanda la fulminò con lo sguardo.
“Quando arriveranno dovranno pur vedere qualcuno, no?” rispose al limite della sua già di per sé carente pazienza.
“Come hanno fatto a trovarci?” chiese in un sussurro Blaise.
“Ho detto io la strada a Silente. Quel vecchio rimbambito altrimenti non sarebbe riuscito a trovarci nemmeno se fosse passato da qui per caso.”
Pansy trattenne una risata.
“Non si saranno fatti beccare, vero?” domandò ancora Zabini.
“Blaise, ci hai preso forse per principianti?”
Lui abbassò lo sguardo e scosse la testa.
“Mi scuso, mia signora. Non volevo mancare di rispetto.”
Amanda sorrise.
“Vedrai, quando arriveranno capirai come hanno fatto ad oltrepassare il confine.”
Zabini annuì e si ripromise fermamente di starsene zitto e di osservare soltanto quello che sarebbe successo.
“Ci siamo. Il tramonto è adesso” annunciò Amanda dopo qualche altro minuto.
Avevano atteso a lungo, eppure finalmente quello era il momento in cui tutti i loro sforzi sarebbero stati ripagati.
Per anni si erano nascosti, sperando di riuscire finalmente ad ottenere la profezia, che fino ad allora era rimasta intrappolata nella misteriosa mente di Amanda.
Per anni avevano combattuto, perso, vinto. Per anni la guerra era stata la loro ragione di vita, la loro casa. Per anni.
Ma le cose stavano per cambiare.
Le cose sarebbero andate meglio da quel momento in poi.
Dal momento in cui la profezia si sarebbe finalmente rivelata fondata.
Aspettarono ancora l'arrivo dell'esercito promesso.
Ma l'esercito non arrivò.
Attesero più di un'ora dopo il tramonto, ma dell'Ordine nessuna traccia.
Quando il tramonto era ormai distante un'ora, perfino Amanda aveva perso la speranza.
E ciò la disturbò notevolmente.
Di solito era lei che dava speranza, era lei che la toglieva.
Di solito nessuno poteva permettersi di prendersi gioco di lei.
E chi ci provava, pagava un prezzo così alto che non osava mai più nemmeno azzardarsi a respirare davanti a lei.
Dopo un'ora, quello era il tempo limite della speranza, dopo un'ora dal tramonto, la notte iniziò a scendere sulla Scozia.
Alla fine anche Amanda si arrese.
Si voltò verso le sue guardie del corpo.
“Riconducete tutti all'interno del castello. Una volta nella Sala chiederò scusa a tutti.”
Pansy e Blaise annuirono mortificati.
“Aspettate, ma che...”
A parlare era stato un giovane, parte dell'esercito.
Amanda si voltò. Ma solo per accondiscendenza.
I suoi occhi ormai non brillavano più di alcuna speranza.
C'era però qualcos'altro che brillava.
A circa un chilometro di distanza, una piccola luce si era improvvisamente accesa.
Dopo qualche minuto la distanza che separava il portatore di quella piccola luce dall'esercito di Amanda si era dimezzata.
Adesso era riconoscibile un braccio teso dietro quella luce, che senza ombra di dubbio era una bacchetta.
Attesero qualche altro minuto, ma oltre quella persona non si vedeva niente, solo la notte, che la avvolgeva intorno a quella fioca e minuscola luce, facendola sembrare quasi un'apparizione e non ne mostrava il volto.
Trascorse ancora qualche secondo e in breve ad Amanda fu chiaro il motivo per cui non si vedeva il volto della persona che teneva in mano la bacchetta accesa. Semplicemente perché la puntava verso terra, tentando di illuminare come meglio poteva la strada che la stava conducendo fino a quel castello diroccato.
Quando fu a meno di dieci metri di distanza da lei, la luce si bloccò improvvisamente, facendo agitare le due guardie dietro ad Amanda.
Lentamente, quasi in modo surreale, la bacchetta si alzò, andando ad illuminare il viso di colei che la teneva in mano.
Nell'oscurità che ormai li avvolgeva, finalmente l'esercito riuscì a distinguere i lineamenti di una giovane donna.
I capelli e gli occhi erano scuri alla soffusa luce appena accennata, era alta, ma non eccessivamente, e la sua pelle chiarissima sembrava quasi risplendere alla semplice presenza della luna.
Lentamente alle sue spalle altre fioche luci iniziarono ad apparire, una dopo l'altra.
In breve l'invisibilità che li avvolgeva si dissolse, lasciandoli scoperti davanti agli occhi indagatori dell'intero esercito di Amanda.
Aveva usato lo stesso trucco che aveva usato lei.
Ma non riusciva a spiegarsi come quella giovane strega ne fosse in grado.
La giovane donna li osservò tutti per una manciata di secondi con la bocca schiusa.
Poi, improvvisamente, sorrise.
“Scusate il ritardo. Ci hanno trattenuto al confine.”
Amanda le sorrise di rimando.
Era appena giunta, condotta da una fioca luce e seguita da un intero esercito, la risposta a tutti i problemi che la attanagliavano.
“Benvenuta in Scozia, Hermione Granger.”
Hermione a quelle parole fece un brevissimo inchino con la testa e le spalle.
Con un altro paio di passi si trovò difronte alla strega di cui così tanto le avevano parlato da quando era tornata dal suo maestro.
La strega che tutto può. Ecco come l'aveva descritta Lupin.
“Allora, abbiamo la nostra alleanza?” chiese la bruna, tendendo la mano.
Per un secondo Amanda la fissò immobile.
Poi prese la mano che l'altra le stava offrendo.
“Abbiamo la nostra alleanza.”
Dopo un paio di secondi le loro mani ricaddero parallele ai loro fianchi.
“Ma non mi piace stringere patti con chi poi sul più bello arriva in ritardo” sussurrò Amanda allusiva, con un mezzo sorriso stampato in faccia, che tradiva il tono serio che aveva usato.
In quell'istante l'esercito alle spalle di Amanda si scatenò in un boato.
L'Ordine, invece, costituito da maghi più vecchi ed in qualche modo più esperti, si limitò ad una vaga soddisfazione generale. Si limitarono ad esprimere la loro gioia immensa con dei sorrisi appena accennati, come tutti i veri inglesi sono in grado di fare.
“Allora, mi inviterai dentro il tuo castello?”
“Non è che una reggia un tempo sfarzosa ed ora diroccata, ma sarò lieta dell'onore di averti ospite nella mia dimora. Te e tutto il tuo esercito, come si conviene, naturalmente” le disse Amanda, voltandosi.
Il suo esercitò si allargò a i lati, permettendole di passare e di raggiungere la porta di entrata per prima.
Solo in quel momento Hermione guardò alle sue spalle.
“Pansy Parkinson e Blaise Zabini. È un piacere vedervi.”
Si avvicinò a loro e strinse la mano ad entrambi.
“Notiamo con piacere che i vecchi e piccoli dissapori non ti hanno condizionato quando si è arrivati a stringere quest'alleanza così vitale” le disse Pansy a nome di entrambi.
“Ed io noto con piacere che siete sopravvissuti ai primi cinque anni di guerra. Non sono mai stata così lieta di vedervi.”
Sorrise loro garbatamente, prima di passare avanti.
Molti la salutarono e lei strinse a tutti le mani e parlò con tutti quelli che si ricordavano di lei dai tempi di Hogwarts.
Sorrideva a tutti e per tutti loro aveva parole buone.
Tra le altre persone, un viso conosciuto si fece spazio all'interno del suo campo visivo, pur continuando a rimanere in disparte.
Quando si rese conto di chi era la guardò incrociando il suo sguardo.
“Cho Chang. È un vero piacere rivederti.”
Le tese garbatamente la mano.
Lei però non la strinse, si limitò a guardarla con astio, finché Hermione non riabbassò la sua.
“Suppongo che per ogni alleanza ci sia qualcuno che ne rimane scontento” ammise.
Senza soffermarsi oltre su di lei passò avanti, finendo di stringere ogni mano ed entrando finalmente nel castello, seguita dall'esercito, dalle guardie del corpo, ed infine dall'Ordine.
L'ultima persona ad entrare fu Silente.
Dopo che ebbe varcato la soglia si voltò verso il portone con un sorriso sereno e al tempo stesso ammiccante stampato in faccia.
Guardò velocemente all'esterno, notando solo buio ovunque guardasse.
Era proprio una bella serata.
Una di quelle in cui si vedono molto bene le stelle.
Con un piccolo tonfo chiuse il portone, lasciando che il rumore dello scatto riecheggiasse nella notte, tutto intorno al castello.





Vorrei ringraziare:

luca76, che recensisce sempre. Spero che continuerai a farlo, i tuoi commenti sono sempre apprezzati.
rozy_xyz, anche lei presente per ogni capitolo. Spero di leggere la tua storia presto, quando riusciremo finalmente a metterci in contatto.
CassiopeiaAraBlack, spero che continuerai a leggere e recensire, mi ha fatto piacere sapere che hai apprezzato la fanfiction.
Lights, la tua storia già mi manca. Spero che leggerai e recensirai anche questo capitolo, sono curiosa di sapere che ne pensi.

Mi raccomando, continuate a recensire, anche poche parole fanno sempre un grande piacere. A presto!




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Capitolo 16
*** Sotto la maschera ***


Scusate il ritardo, sono mortificata! In questi giorni ho avuto così tanto da fare che non sono riuscita a trovare un attimo di tempo. In ogni caso, eccomi qua. Prometto che non accadrà di nuovo, grazie a tutti voi che state leggendo.
Buona lettura.





Lentamente la sala gremita di gente si svuotò, man mano che i ragazzi e i membri dell'Ordine andavano a dormire.
Alla fine rimasero solo Amanda e le sue due storiche guardie, che dovevano ancora intrattenere un importante discorso con i pochi rimasti.
A rappresentare l'Ordine c'erano Hermione e i suoi cinque fedeli consiglieri. Coloro che reputava la prima linea dell'esercito di cui era al comando. Silente, Sirius, Remus, Minerva e Severus.
I consiglieri che lei aveva voluto. Coloro che non la lasciavano mai senza una sua scorta personale.
I cinque maghi più potenti che avesse mai conosciuto.
E, forse, i più potenti di tutto il mondo magico.
Ma solo se tra di loro si includeva anche Amanda, la strega che le stava difronte.
“Cosa ti hanno detto di me?” chiese gentilmente la strega vestita di nero.
Gli occhi di Hermione si illuminarono per un breve istante.
“La strega che tutto può. La giustizia ed insieme il giustiziere.”
Sì. Era Amanda a decidere la punizione adeguata per i trasgressori, e lei stessa a metterla in atto.
Era la mano che reggeva il coltello ed il coltello stesso.
“Tuttavia sembra che nessuno sappia l'origine dei tuoi poteri.”
Amanda la osservò, sempre più curiosa di scoprire se fosse davvero lei la ragazza di cui la profezia parlava.
Aveva sempre pensato che, in qualche modo, quando se la fosse trovata davanti l'avrebbe riconosciuta immediatamente.
Pensava che l'avrebbe sentito dentro di sé.
Ma in quel momento non sentiva niente.
Poteva essere come del resto non essere lei.
“E del mio aspetto cosa ti hanno detto?” chiese ancora la strega.
“Non potresti leggerlo nel mio pensiero?” chiese di rimando Hermione, incuriosita sempre di più dalle capacità che Amanda le stava tenendo nascoste.
“Potrei” si limitò a rispondere Amanda enigmaticamente.
Hermione, saggiamente, decise di rispondere, senza doverla obbligare a cercare le risposte che voleva negli angoli della sua mente.
“Mi hanno detto che nessuno parla del tuo aspetto. Mi hanno detto che avresti indossato una maschera e mi hanno raccomandato di non chiederti di toglierla. Su questo sembravano essere tutti d'accordo.”
Amanda sorrise.
“Eppure vorresti vedere.”
La sua era una semplice constatazione.
Anche Hermione sorrise.
Sirius, il più protettivo, senza farsi sentire da Hermione, si fece avanti, mettendosi un paio di passi dietro di lei.
Amanda, lentamente, si tolse il cappuccio del lungo mantello nero che le arrivava fino alle caviglie, lasciando scoperti i suoi capelli.
Hermione notò subito che erano molto corti per appartenere ad una donna. Il suo sorriso sparì immediatamente quando si rese conto a chi appartenevano quei capelli. Erano neri come la notte e non avevano un verso ben preciso, ma sembravano più che altro lasciati cadere ai lati della testa in modo del tutto casuale.
Con una lentezza quasi dolorosa per l'impazienza della bruna, lentamente si sfilò anche la maschera.
Hermione indietreggiò di un passo per la sorpresa.
Si ritrovò contro il petto di Sirius che la tenne ferma per le spalle, in previsione di ciò che stava sicuramente per fare.
Infatti, lei, scattò in avanti di colpo.
“È uno scherzo?” chiese con rabbia.
“No. Non lo è” rispose la persona davanti a lei.
Hermione si divincolò insistentemente, cercando di sfuggire alla salda presa che Sirius aveva su di lei, senza riuscirci.
“Allora cos'è? Uno dei tuoi poteri? Non puoi...che ne so...spegnerlo?” chiese Hermione, in un misto di emozioni tra il disperato e il furente.
“Non è un potere. Non esattamente. Diciamo che è...” si bloccò, nel tentativo di trovare le parole appropriate “...una maledizione. Uno dei tanti prezzi da pagare per essere, beh...me.”
Hermione scosse la testa.
Quando lo aveva rivisto, nel suo appartamento, era stato un attimo.
Aveva visto la sua faccia di sfuggita, ma poi lui era sparito di nuovo e non aveva avuto il tempo di osservarlo con più calma.
Ma in quel momento si trovava davanti a lui, immobile.
Poteva osservare a fondo tutti i suoi dettagli più nascosti.
Poteva finalmente guardare quegli occhi del colore dello smeraldo puro e vedervi riflessi i suoi, senza l'ostacolo delle lenti che il vero Harry portava.
Sentì una fitta acuta al centro dello stomaco vedendolo.
E poi, quando si rese conto che non era davvero lui, sentì qualcosa cadere, ad un migliaio di chilometri in profondità, dentro di lei.
Si sentì come pochi secondi prima. Di nuovo libera dal peso della sua presenza.
“Come funziona?” chiese in un sussurro.
“In me, ognuno vede la persona che più di ogni altra al mondo ama.”
Incredibilmente, quelle parole la trafissero come mille lame che le penetravano al centro del cuore.
Non perché credesse che Amanda le stesse in qualche modo mentendo. Ma perché sapeva che diceva la verità.
Eppure la forza di quella frase la lasciò senza fiato per diversi secondi.
La persona che più di ogni altra al mondo amava, riflessa in Amanda.
Ed era lui.
Anche dopo tutto quel tempo, continuava ad essere lui.
Anche dopo cinque anni.
Si liberò dalla presa di Sirius, voltandosi verso gli altri.
“Chi vedete?” chiese.
Remus fece un passo avanti. “Hermione, non tutti sono disposti ad ammettere chi...”
“Chi vedi Remus?” chiese irremovibile.
“Lo sai. Io vedo Ninfadora.”
Si voltò verso Amanda. “Dice il vero?”
La strega annuì.
“Perché nessuno mi ha minimamente avvertito?” chiese, nervosa.
“Perché alcuni di noi, credevano che avresti potuto rifiutarti di incontrarla. Altri credevano che non fossi pronta a rivedere il volto che ti sarebbe apparso ed avevamo preferito lasciare che non lo vedessi mai, in Amanda.”
Infatti era difficile.
Ammettere di vedere lui.
Hermione stava per riprendere a parlare, quando dei colpi al portone li distrassero.
Qualcuno bussava.
Pansy e Blaise si scambiarono un'occhiata, entrambi estrassero la bacchetta e si fecero avanti.
Anche Hermione afferrò la propria e con un cenno della mano sinistra invitò i suoi cinque consiglieri a fare lo stesso.
Essi obbedirono mestamente.
Nel frattempo Amanda si riportò sul viso la maschera incantata magicamente per aderirle perfettamente al viso e si rialzò il cappuccio.
Quando le due guardie del corpo furono davanti al portone entrambi mossero le bacchette contemporaneamente, ma in direzioni opposte.
Lentamente le porte iniziarono ad aprirsi.
Dal buio della notte emersero due figure alte e snelle.
Erano incappucciate e i lunghi mantelli che arrivavano fino alle loro caviglie lasciavano presupporre che si trattasse di due maghi.
I due si fecero avanti e il portone si richiuse alle loro spalle.
Amanda si voltò verso Hermione, indicando la sua bacchetta con un cenno della testa.
Lei la ritrasse, riponendola in una tasca ed invitando i cinque alle sue spalle a fare lo stesso.
“Il nostro castello ha assoluta protezione. Nessuno entra o esce senza che io lo veda arrivare o scomparire. Le mie visioni sono a dir poco frequenti, e di una precisione millimetrica.”
Hermione l'ascoltò, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalle due figure.
Da sotto uno dei due cappucci arrivò una voce.
“Blaise ci ha detto che una delle nostre sorelline adottive è da queste parti.”
Le due figure si sfilarono i cappucci, rivelando due facce identiche.
“Oh mio Dio” sussurrò Hermione.
Con le lacrime agli occhi corse loro incontro, abbracciandoli entrambi di slancio.
“Anche noi siamo contenti di vederti, Hermione” le disse ridendo George.
Fred e George Weasley.
Loro due che, quando i suoi genitori erano morti , prima che Harry sconfiggesse Voldemort, le avevano assicurato che avrebbe sempre avuto una famiglia.
Loro due che le avevano creduto, mentre Harry, Ron e Ginny non lo avevano fatto.
Loro due che, insieme a molte altre cose, la guerra gli aveva strappato.
Ma adesso erano lì.
“Fred e George erano fuori per una missione” le disse Amanda, quando tornò a guardarla. “Fred, George, lei è la nostra nuova guida.”
Loro due risero.
“Cosa, lei? La piccola so-tutto-io?” chiese Fred.
“No, non può essere lei. A malapena riesce a guidare una scopa!” affermò George.
Lei li colpì entrambi con un piccolo pugno sui bracci.
“Andate. Blaise e Pansy vi metteranno al corrente sugli ultimi sviluppi. Hermione, gradirei molto se riuscissi a congedare i tuoi consiglieri. Ho bisogno di intrattenere un discorso in privato con te” le comunicò.
Sirius e Remus, senza neanche attendere ordini, si dileguarono in altre stanza del castello, seguiti dalle due guardie del corpo e dai gemelli.
“Pansy e Blaise vi mostreranno le vostre stanze” disse Amanda a Minerva e Severus, considerando quelle poche parole come un congedo.
Silente, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, andò verso Amanda.
Le prese delicatamente una mano, portandosela alle labbra e baciandola.
“A domani, mia cara.”
“Albus, è un piacere poterti finalmente rivedere.”
Silente le sorrise, con quel suo solito sorriso semplice ma accattivante e lasciò le due donne sole.
Hermione, sospirando, si rivolse ad Amanda.
“Hai la mia completa attenzione.”
Amanda però non parve sentirla.
Iniziò a passeggiare distrattamente per la stanza fino a fermarsi davanti ad un oggetto molto grande e coperto da uno spesso telo.
Con forza lo strappò.
“Lo riconosci, Hermione?” chiese gentilmente.
Lei annuì. “Lo specchio delle brame.”
“La storia che stai per sentire è una storia che quasi nessuno conosce e che non dovrai mai rivelare ad anima viva. Sto per raccontarti qualcosa di incredibilmente prezioso e pretendo la tua totale attenzione. Sto per raccontarti come ho ottenuto i miei poteri.”




Ringrazio Lights, l'unica che ancora non ha mollato ^_^ È un piacere saperti ancora a leggere questa storia.

A presto, ragazzi, prometto che non ci saranno altri ritardi, i capitoli verranno messi ogni tre-quattro giorni, spero, se riuscirò a continuare a scrivere.

Ciao! E mi raccomando, lasciate un commentino, che fanno sempre piacere :P

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Capitolo 17
*** La prigione ***


Eccomi qua, vi avverto che il capitolo che state per leggere è leggermente diverso dal solito.
Buona lettura!




Sentirono dei passi lungo il corridoio.
Non erano mai felici di sentire dei passi.
Ogni volta che qualcuno andava a trovarli finiva molto male.
Quando sentirono la porta aprirsi il loro cuore iniziò a battere all'impazzata.
Il soldato di guardia all'interno della cella sbarrò la porta.
Dialogò brevemente con il soldato che era di guardia all'esterno e con quello che sembrava essere un loro superiore, almeno a giudicare da come si rivolgeva alle due guardie.
Quando il breve litigio si concluse, all'uomo di rango superiore fu finalmente accordato il permesso di entrare nella stanza a far visita ai due prigionieri.
Li guardò dall'alto in basso.
I due erano seduti a terra, con le mani legate dietro la schiena.
Erano totalmente impotenti senza le loro bacchette.
Il generale afferrò una sedia dall'angolo apposto della stanza a cui loro, a causa delle catene, non potevano arrivare. La trascinò verso il centro e ci si mise sopra a sedere, a cavalcioni, come in uno di quei vecchi film sul West.
Li guardò a turno.
“Allora. Facciamo un riepilogo. Loro vi hanno beccato per strada, al mercato nero. Vi hanno legati e disarmati. Ovviamente voi non avete potuto nulla contro di loro, visto che non sapevate che i soldati sono immuni alla magia. Poi vi hanno portato qui, legato come animali e lasciato a soffrire la fame per giorni. Infine, non contenti, vi hanno torturato. Per quante volte esattamente? Sette se non sbaglio...” si rispose da solo. “Ma questo non bastava, no. Certo che no. Vi hanno dichiarato morti. Così che le vostre famiglie vi piangano e che i vostri compagni tremino. E sapete perché lo hanno fatto?” fece una pausa, per far crescere in loro l'ansia.
Non sapeva, però, che ormai non provavano più niente, da circa dopo la quarta volta che li avevano torturati.
“Lo hanno fatto perché possono” gli spiegò semplicemente. “Loro sono il governo, cazzo. Possono tutto.”
Nessuno dei due interrogati si mosse, né rispose. Nessuno dei due diede il minimo cenno di aver sentito quello che il soldato aveva appena detto.
“Eppure, per voi, sarebbe così semplice” li incoraggiò il soldato.
Continuò per un po' a guardarli a turno, cercando di capire quale dei due fosse il più debole e di conseguenza il più facile da far parlare.
“Tu, come ti chiami?” chiese indicando il ragazzo più a destra.
“Thomas, signore. Sono sicuro che lo sa già, signore. Sono sicuro che qualcuno dei soldati che ci hanno interrogato le altre volte lo avrà scritto nella nostra cartella, signore” rispose calcando molto sulla parola, ogni volta che lo chiamava 'signore'.
“Certo che so i vostri nomi. Dean Thomas, Seamus Finningan. Scuola frequentata, Hogwarts. Età simile a quella di personaggi rilevanti, Harry Potter. Amicizie rilevanti strette nel corso della vostra permanenza ad Hogwarts, Harry Potter, Ronald Weasley e Ginevra Weasley. Devo continuare?”
“No, certo che no. Siamo noi” gli disse ironicamente Seamus, parlandogli per la prima volta.
Il generale si accese una sigaretta.
I due maghi non avevano mai capito il senso di quel vizio tipico di molti babbani, diffuso molto tra i soldati.
Forse era una specie di medicina che alleviava loro lo stress.
“Per voi sarebbe così semplice” ripeté ancora il soldato.
Si alzò lentamente dalla sedia, inspirando una boccata di fumo.
“Confessate di far parte dell'esercito di Harry Potter, diteci dove si trova il suo accampamento, e noi in cambio vi lasceremo liberi. Potrete tornare dalle vostre famiglie, dirgli che è stata una svista dei media e che voi siete ancora felicemente vivi.”
Con un gesto lento ma regolare, riportò la sedia nell'angolo in cui l'aveva presa, rimanendo in piedi davanti ai due prigionieri.
Inspirò ancora del fumo.
“Vi stiamo chiedendo di scegliere. Potete parlare ed essere finalmente liberi da tutte le atrocità della guerra, oppure potete continuare ad essere dei ricercati, dei banditi, finché la guerra non finirà e la vostra gente sarà ormai estinta. Siamo onesti. Voi date una mano a noi e noi diamo una mano a voi, così tutti sono felici.”
Dean e Seamus si guardarono.
“La vita, durante la guerra, è dura. È difficile per tutti.”
Dean parlava a fatica, ma stava provando a fare un discorso coerente, nel tentativo di farsi capire del soldato che aveva davanti.
“Lo è soprattutto per chi combatte. Per chi ogni giorno esce di casa e non sa se quella sera ci tornerà. Non sa se la vedrà di nuovo. È difficile per chi ogni giorno lotta ed ogni giorno, in guerra, vede qualcuno morire. A volte è uno dei nostri, a volte uno dei vostri. Ma è pur sempre un soldato. È uno di noi. Uno che la mattina quando si alza ed esce di casa, sa che quella potrebbe essere l'ultima volta. È uno degli uomini che combatte. E questo va bene. Questo è quello che succede quando si è in guerra.”
Fece un'altra pausa, in cui tentò di riprendere fiato, anche se non gli fu affatto facile, visto che aveva due costole rotte.
“Tuttavia, ci sono giorni ancora peggiori. Giorni in cui i soldati vedono cadere un civile. Uno degli innocenti. E quando accade ci chiediamo sempre, aveva una famiglia? Sapeva che c'era una possibilità, piccola ma reale, che non sarebbe tornato a casa quella sera? Per questo, per quanto sia difficile la guerra per un soldato non è mai difficile quanto lo è per chi non combatte e poi comunque muore. Perché gli innocenti non lo sanno mai davvero. Muoiono senza preavviso, senza aver valutato bene la possibilità che sarebbe potuto accadere proprio a loro. Basta che gente come noi faccia un errore, anche piccolo. Basta poco. E loro muoiono.”
Il soldato davanti a loro riprese tranquillo a fumare.
“Quindi ammettete di essere nell'esercito di Harry Potter?”
“Lo eravamo” rispose Seamus. “Ma non in questa guerra. In quella prima. In quella contro gli altri maghi.”
Il soldato annuì senza convinzione.
“E come mai non avete continuato a combattere?”
Dean rise forte e sarcasticamente.
“Non lo ha capito, soldato? Gliel'ho appena spiegato.”
Lui scosse la testa.
“Si, bel discorso, bello davvero. Però io non c'ho capito un cazzo.”
Seamus sospirò.
“Non siamo nell'esercito di Harry Potter.”
“Ma quanto siete stupidi? Se non siete nel suo esercito mentite e dite di esserci, così vi libereranno, chiaro?” gli chiese il soldato quasi urlando, ormai al limite della pazienza con quei due prigionieri un po' fuori dal comune.
“Ma noi non abbiamo la più pallida idea di dove sia il suo campo!” ribatté Seamus deciso.
“Cazzate!” urlò loro il soldato. “Voi lo sapete eccome. Che vi frega di quel pezzo di merda che non ha neanche tentato di salvarvi? Mandatelo al diavolo e diteci dov'è. Noi troviamo lui e voi siete liberi. Ci serve solo un luogo.”
Seamus si sporse in avanti.
“Noi non lo sappiamo dove cazzo è quel campo. Anzi, per quanto ne sappiamo non esiste un campo!”
Il soldato gettò la sigaretta a terra con un sospiro.
“Non mi restano che le cattive.”
Sospirò, spegnendo la sigaretta con la punta della scarpa.
Si chinò e si tirò su i pantaloni, scoprendo la caviglia sinistra, al cui interno, contenuta in una fondina, c'era una di quelle strane pistole che ogni tanto i soldati usavano con loro durante gli interrogatori.
La estrasse e si avvicinò a Seamus.
“Fai parte dell'esercito di Harry Potter?”
“No.”
Immediatamente il corpo di Seamus fu scosso da una scarica elettrica. Il soldato fermò la pistola sulla sua pelle per almeno cinque secondi.
Quando si allontanò Seamus sentiva che non avrebbe mai più riacquistato la sensibilità nel braccio sinistro.
“Te lo chiederò ancora. Fai parte dell'esercito di Harry Potter?”
“No.”
Altri cinque secondi di scossa sul braccio sinistro.
“Riproviamo un'ultima volta. Fai parte dell'esercito di Harry Potter?”
“No.”
Altri cinque secondi, ma ormai Seamus non era più spaventato. Aveva perso completamente la sensibilità dell'arto e non sentiva che un lieve formicolio.
Probabilmente se non fosse morto avrebbero dovuto amputarglielo.
Il soldato fu più crudele con Dean, a cui premette la pistola prima sul braccio destro, poi sulla gamba sinistra, ed infine sull'altra gamba. Anche le risposte di Dean furono negative.
Il soldato ripose di nuovo il teaser nella fondina e dalla cintura sfilò una specie di coltello. Era strano, a differenza di un normale coltello non aveva una lama fina e tagliente, ma aveva forma a base quadrata che si allungava per terminare in una punta che assomigliava molto a quella di uno scalpello.
Si avvicinò a Seamus.
Lui lo guardò terrorizzato. “No, per favore, quello no!” gridò.
Il soldato gli afferrò una mano.
“Fai parte dell'esercito di Harry Potter?”
“No” Seamus scosse forte la testa.
Sentì immediatamente il metallo freddo penetrare tra la carne e l'unghia del suo indice sinistro.
Un grido disumano riecheggiò nella prigione.
Per tre volte porse la domanda, conficcando quello scalpello nel suo indice, nel medio e nell'anulare. Le prime due unghie si erano completamente staccate.
“Per favore, basta! Per favore...”
Seamus giaceva steso a terra, appoggiato su un fianco. “Se avessi saputo qualcosa lo avrei già detto, ma non so niente!” Stava quasi piangendo, sembrava che si lagnasse. “Lo giuro, lo giuro! Basta...basta, per favore...”
Il soldato gli pestò con la scarpa la mano sinistra, che aveva appena ridotto allo spasmo frenetico con le sue torture.
Seamus gridò in un modo che avrebbe sconvolto qualsiasi uomo.
Ormai non era che dolore e sangue. Non c'era più altro dentro il guscio vuoto che un tempo era un ragazzo felice.
La stessa tortura fu eseguita su Dean, che però riuscì a sopportarla meglio.
Il soldato ripose lo scalpello nella sua cintura.
Si avvicinò alla porta blindata pronto ad uscire.
Aveva capito che quei due non avrebbero mai parlato.
Seamus e Dean si rilassarono leggermente una volta che il soldato fu uscito.
Erano fieri di essere sopravvissuti ad un altro giorno là dentro.




Ringrazio:

namy_love: spero che anche questo capitolo ti piaccia! :D

roxy_xyz: Come vedi ancora l'incontro non c'è, però non avrei mai e poi mai potuto far morire Fred in quel modo insensato...Spero che il capitolo ti sia piaciuto, al prossimo!! :D

Lights: ma no dai, non odiarmi! Come vedi sono stata brava e ho aggiornato presto. Spero di riuscire a aggiornare ancora in pochi giorni, quindi tieniti pronta ^_^


A tutti voi che avete letto, mi raccomando, lasciate un commentino, che fanno sempre piacere...chi di voi scrive sa di cosa parlo!
Alla prossima!!


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Capitolo 18
*** La Sorgente ***


Negli ultimi tre minuti Hermione era rimasta immobile, in completa tensione, ed era ancora convinta di non aver capito bene.
“Vuoi svelarmi la storia di come hai ottenuto i poteri che hai?”
Amanda annuì.
“È una lunga storia. Difficile da raccontare e da comprendere. Inoltre voglio avvertirti che nessuno a parte te ha mai sentito questa storia da me né da nessun altro. E mai nessun altro la sentirà da me o da te. È chiaro?” chiese.
Hermione colse al volo l'allusione abbastanza evidente.
“Manterrò il segreto.”
“Tutte ebbe inizio da un libro. Ero solita leggere molto prima. E in questo libro, trovai il racconto di una strana fonte. In nessun altro libro era mai stata scritta, ed io stessa ho provveduto a distruggere ogni copia del libro in cui era contenuto il racconto.”
Hermione annuì. Fino a quel momento la storia sembrava semplice da seguire.
“Quel racconto narrava di una sorgente, chiamata 'Sorgente della Vita e della Magia'. Parlava di questa fonte, descrivendola come un'entità sovrannaturale ma del tutto inventata. Era un mito, una favola. Tuttavia io avevo da poco imparato che le più grandi menzogne partono dalla realtà, almeno nella maggior parte dei casi.
Così, preso un anno di pausa dall'insegnamento ad Hogwarts mi congedai dal castello, salutando i miei colleghi, decisa più che mai a trovare quella mistica fonte. Il racconto parlava in modo piuttosto vago, ma io ero giovane, intelligente e sapevo leggere bene le Antiche Rune. Riuscii così per molte pagine a decifrare più o meno tirando a indovinare il cammino da compiere. Tutto nacque per caso, perché io non avrei mai creduto di farcela. Per me era solo una pausa dal mio stressante lavoro.
All'epoca non era ancora permesso smaterializzarsi se non in casi eccezionali. Così mi incamminai a piedi e nel giro di una settimana mi ritrovai nel giusto continente.
Da lì, con un po' di senso dell'orientamento, riuscii a trovare il Paese che stavo cercando. Quando ci arrivai, però, nessuno degli abitanti della Capitale aveva mai sentito parlare di una cosa tanto strana come quella che stavo cercando io.
Tuttavia continuai, e dopo due settimane dalla mia partenza, mi ritrovai finalmente nel punto in cui il racconto iniziava.
Da quel momento le cose furono più facili e per circa tre giorni riuscii a procedere senza grandi problemi.
Fatto sta che, arrivata ad un certo punto nel racconto, mi bloccai. Il libro spiegava passo passo come raggiungere la fonte, tranne che per quella pagina che dalla mia copia era stata strappata.
Stavo per rassegnarmi a tornare indietro, quando giunse alle mie orecchie il suono di un lontano fiume che scorreva lento. Decisi di passare da lì per riempire le mie borracce e dissetarmi, prima di intraprendere il viaggio di ritorno verso casa.
Una volta giunta al fiume, però, dall'altra parte di esso scorsi una piccola capanna di legno ed aprii subito il libro, associandola immediatamente alla descrizione che esso ne faceva.
La casa era abbandonata.
Così mi fermai per la notte lì dentro, riposandomi in una delle stanze e convincendomi che era un segno del destino, il fatto che fossi riuscita per caso a trovare la strada giusta anche se dal libro mancavano due pagine.
Dalla capanna abbandonata ripresi il viaggio, dirigendomi, il mattino seguente, verso una piccola montagna che era visibile anche da quella distanza, se si guardava con attenzione.
Scalai la montagna con una testardaggine quasi epica, decisa più che mai a portare a termine il mio viaggio.
Dopo essere giunta fino alla cima, vidi che la pianura di cui il libro parlava non era su di essa, ma ai suoi piedi, dalla parte opposta rispetto a quella da cui ero salita. Così discesi nuovamente la montagna.
Quando finalmente fui nella pianura, la attraversai.
Era immensa e dentro a quel verde sconfinato che si propagava in tutte le direzioni perdersi era estremamente facile.
Quando fui dall'altra parte di nuovo mi accampai per la notte. Invece che in una comoda casa, però, dormii nella mia tenda.
La mattina seguente mi svegliai all'alba e mi incamminai verso il bosco che mi separava dalla mia ormai vicina, o almeno così credevo allora, meta.
Attraversando il bosco più di una volta mi ferii, i rami fitti e secchi mi graffiavano il volto e mi rendevano difficile il passaggio. Ma io non mi arresi e proseguii nel mio cammino. I rami ad ogni passo si facevano più fitti e più duri contro la pelle sul mio viso.
Era arrivata ad un tratto del bosco in cui gli alberi si intrecciavano così fitti che era impossibile pensare di procedere oltre, ma mi feci forza per circa due passi ancora, e al secondo sprofondai nel vuoto e caddi a terra. Non c'erano più alberi intorno a me, ma solo aria. Ero finalmente riuscita ad attraversare il fitto bosco.
Avanzai ancora, e da quel punto in poi le indicazioni nel libro divennero sempre più vaghe e incoerenti.
Il libro parlava di un sentiero in salita, ma il sentiero non esisteva.
Al suo posto, dopo il bosco, mi attendeva uno strapiombo. Ed io ero sul fondo di esso. Davanti a me un muro di terra e sassi impediva il passaggio. Estrassi la bacchetta, ma la magia non aveva effetti in quel luogo.
Quel luogo era protetto. Aveva assaggiato così tanta magia da non essere più scalfito da essa.
Con la bacchetta allora mi procurai il necessario per scalare la parete rocciosa con la sola forza delle mie braccia.
Rischiai di cadere più di una volta, e più di una volta pensai di tornare indietro.
Ma non mi arresi mai.
Alla fine della mia salita in verticale trovai ad attendermi una sorpresa ancora più atroce: un altro strapiombo.
Era alto il doppio del primo, e facendo alcuni veloci calcoli capii a quale altezza mi avrebbe portato. E sapevo che ad un'altezza del genere le temperature sarebbero state di certo intorno allo zero.
Con infinita pazienza e dedizione, scalai anche quella parete e mi ritrovai in cima.
I miei calcoli si rivelarono sbagliati. Le temperature erano molto al di sotto dello zero.
Continuai a camminare, notando che man mano che procedevo il libro recava sempre più imprecisioni.
Andando avanti in salita iniziai a scorgere qualcosa di bianco sul sentiero e capii che più avanti avrei trovato molta neve ad attendermi.
Così mi accampai per la notte in quel punto, dove il terreno era ancora asciutto e potevo rimanere al caldo. Il giorno successivo proseguii per l'unico sentiero percorribile e quando il tramonto calò ancora ero ormai immersa nella neve fino al ginocchio. Mi accampai per la notte e non morii assiderata solo grazie all'aiuto della magia.
Per giorni ancora camminai, incontrando i più pericolosi passaggi, sopra ponti malandati o attraverso boschi sempre più fitti e bui. Inoltre ad attendermi c'erano numerose creature, sempre più rare ed uniche, man mano che mi avvicinavo alla fonte.
Incontrai un Gigante, un Centauro, un branco di Ippogrifi, un laghetto con tre Sirene, un Drago ed infine un Unicorno Bianco, l'animale più puro al mondo.
Da lì a poco doveva certamente esserci la Sorgente che tanto cercavo, pensai.
Riuscendo di volta in volta a sconfiggere o a convincere tutte queste creature a lasciarmi proseguire, arrivai in uno spiazzo dove ormai ogni traccia di neve era prosciugata.
Al suo centro una piccola fontana di pietra sembrava attendermi.
Mi avvicinai, guardando l'acqua scorrere dalla fontana.
Avevo promesso ad ogni creatura, al mio passaggio, che non avrei mai e poi mai, per nessuna ragione al mondo, bevuto da quella fonte.
Tuttavia, quando mi trovai davanti a quell'acqua così chiara a pura, come nessuna acqua sarebbe mai potuta essere, quel liquido così trasparente che sembrava quasi di poter intravedere ogni molecola al suo interno, i miei occhi furono rapiti da tanta bellezza.
Il mio cuore si bloccò nel suo ultimo battito dentro il mio petto.
Ero l'unica ad aver raggiunto la Sorgente della Vita e della Magia. Perfino colui che aveva scritto il libro non aveva parlato delle creature a guardia della Fonte. Né degli strapiombi o della neve. Mi convinsi che chiunque avesse scritto il libro fosse giunto si e no al termine del bosco, e poi fosse fuggito.
Era tuttavia riuscito a scorgere la bellezza, la purezza di quel luogo avvolto nella magia più incontaminata.
Attorno a me tutto era sveglio. Tutto era acceso.
Non sapendo resistere, e sentendo quasi fremere ogni cellula del mio corpo mi avvicinai alla fonte.
Raccolsi in una piccola ampolla un po' di quel liquido e la nascosi in una tasca interna del mio mantello.
Poi mi bloccai.
C'è sempre un momento, quando ci troviamo davanti a una tentazione, c'è sempre un istante preciso in cui abbiamo la libertà di scegliere.
Scegliere se resistervi, o se cedervi.
Ed io non ero abbastanza forte per resistere.
Così alla Sorgente della Vita e della Magia, io bevvi.
E all'improvviso, tutto cambiò.
Intorno a me, certo, ma soprattutto dentro me. Caddi in ginocchio e non riuscii a rialzarmi. Delle immagini, migliaia, forse miliardi, milioni di miliardi, passarono davanti ai miei occhi, rivelandomi i più nascosti ed oscuri segreti all'origine della magia stessa.
E all'improvviso ebbi la conoscenza.
All'improvviso, nel senso più assoluto del termine, io sapevo.
Quando mi rialzai ancora non ero consapevole neanche della quantità di poteri che avevo acquistato.
In quel momento una farfalla mi svolazzò leggera affianco, ed io avvertii, chiaro e nitido, quasi assordante, il rumore del suo battito d'ali.
Gli altri sono convinti che io abbia un dono. Ma io non lo credo. Credo che la mia vita non sia che il prezzo che devo pagare per la mia stupida avidità. Che questa condizione, sospesa tra la vita e la morte, non sia che una punizione.
Fatto sta che da quel momento fui libera, in un certo senso. Libera da ogni limite della magia. Da allora essa e la vita stessa sono in qualche modo parte di me. E da me sono manipolabili. E, francamente, lo trovo ingiusto.
Nessuno dovrebbe avere un tale potere.
Neanche la persona più buona e pura sulla terra.”
Si voltò, finalmente, smettendo di fissare lo specchio e tornando a guardare Hermione negli occhi.
“Neanche tu dovresti” le disse senza mezzi termini.
Raccolse da terra il telo e ricoprì lo specchio.
“Tuttavia, la piccola ampolla di cui ti ho parlato è ancora in mio possesso. E presto, molto presto, è inutile opporti, qualsiasi cosa tu faccia, accadrà, avrai dei poteri straordinari. Non come i miei, ovviamente. Non potrei mai condannare nessuno a quello che subisco io ogni giorno. Ma diventerai molto potente. E comunque non voglio che rinunci a quella parte della mia anima che io non ho più con me.”
Aveva risposto tacitamente al perché non avrebbe permesso che Hermione ottenesse i suoi stessi poteri.
Hermione la guardò scivolare via dalla stanza.
Si trovò davanti allo specchio delle Brame. E non seppe resistere oltre.
Tolse il telo e rivelò la superficie piatta e fredda dell'oggetto magico davanti a lei.




Ho tentato di descrivere al meglio tutto esattamente com'era nella mia testa, e spero di esserci riuscita.
Ringrazio namy_love e roxy_xyz, che continuano a recensire, e prego roxy di aggiornare al più presto, graziando me e Lights :D

A voi altri ricordo che lasciare una recensione fa bene alla salute fisica e morale! :)

A presto, ragazzi!!





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Capitolo 19
*** Interruzioni ***


Harry aveva seguito Neville fuori dalla tenda e si era lasciato condurre fino al centro del campo senza fare domande.
Ma, arrivato al limite della pazienza, lo bloccò, trattenendolo per un braccio e costringendolo a voltarsi verso di lui.
“Che sta succedendo Neville?” chiese irritato.
“Sono vivi.”
Harry lo guardò confuso.
“Chi?”
“Dean e Seamus” spiegò lui come se fosse ovvio di chi stava parlando. “Senti, adesso non c'è tempo di spiegare. Vai a chiamare Draco e venite immediatamente nella mia tenda. Chiama anche Ron.”
Fece qualche passo, ma poi si bloccò e tornò indietro scuotendo la testa.
“No, non chiamare Ron. Lui ha una famiglia. Voi due...voi due basterete.”
Fece qualche altro passo, ma poi tornò di nuovo indietro.
“Tu chiamalo, ok? Poi faremo decidere a lui. Chiamalo.”
Si dileguò in direzione della sua tenda, lasciando Harry immobile, a bocca aperta, che fissava il punto in cui era sparito.

“Sei bellissima, Ginevra.”
Ginny alzò gli occhi, vedendo riflessi nello specchio quelli di Draco.
“Buonasera” gli disse con un piccolo sorriso malizioso stampato sulla faccia.
Era seduta davanti allo specchio e si stava preparando per andare a dormire.
Draco le si avvicinò, posandole le mani sulle spalle e baciandola dolcemente su una guancia da dietro.
Poi, lentamente, controvoglia, si allontanò da lei sedendosi sul loro letto, al centro della tenda che condividevano.
“Qualcosa non va?” chiese Ginny.
Si alzò e si andò a sedere vicino a Draco, prendendogli una mano con dolcezza. Lui a quel toccò rabbrividì leggermente, come gli accadeva ogni volta.
Non c'era abituato.
E non si sarebbe abituato mai.
Essere amato, accudito, abbracciato, per lui era ancora strano, anche dopo tutto quel tempo.
Alla domanda di Ginny si limitò a scuotere la testa, negando.
Le prese entrambe le mani tra le sue.
“Ginny, quello che abbiamo visto oggi, a Diagon Alley...”
“Non c'è bisogno Draco. Davvero, io sto bene...” gli sorrise dolcemente. “Ma grazie per aver tentato.”
Sapeva quanto fosse difficile per Draco tentare di parlare e condividere emozioni con un'altra persona in totale sincerità.
E, vista la sua infanzia e adolescenza, non poteva biasimarlo per quello. Non le importava che non esprimesse bene quello che sentiva. Lei sapeva quanto lui l'amava, e quello bastava ad entrambi.
“Quello che sto cercando di dire, Ginny, è che oggi ho capito una cosa. Ho capito che domani potrei non esserci più. Ma ho capito anche che ciò che voglio, per te, è che tu abbia una famiglia a cui appoggiarti. Io non ho mai avuto una mia famiglia e tu lo sai. Per te voglio che sia diverso...”
Ginny scosse la testa in maniera molto decisa. “Scordatelo Draco. Non rimarrò nelle retrovie, io continuerò a combattere. Voglio essere lì. Voglio stare con te.”
Draco sorrise leggermente amareggiato.
“Sai che non sono d'accordo. Comunque non è quello che intendevo e mi irrita che sia la prima cosa a cui tu abbia pensato.”
Ginny corrugò la fronte.
“E cosa intendevi?”
“Intendevo...” senza lasciarle le mani si inginocchiò ai suoi piedi. “Ginevra, voglio essere la tua famiglia. Sposami.”
Le porse una piccola scatola schiusa. Dentro c'era un piccolo anello grigio almeno quanto le iridi di colui che glielo porgeva.
Ginny lo guardò per diversi secondi, convinta di aver capito male.
Quando si rese conto che Draco non stava scherzando si sporse e lo baciò.
Uno dei loro soliti baci dolci e amari.
Morbidi e ruvidi.
Dolci eppure carichi di passione.
“Sì. Voglio essere a mia volta la tua famiglia.”
Si scambiarono un lungo sguardo. Stavano per baciarsi di nuovo, quando da fuori la tenda qualcuno pronunciò il nome di Draco.
“Draco, esci. Neville ha bisogno di noi per una specie di emergenza. Si, insomma, sai, una di quelle cose alla Neville. Non so spiegarti bene adesso, però devi uscire. Subito.”
Draco maledisse mentalmente Harry per il suo solito tempismo del cavolo.
“Tornerò presto” promise a Ginny.
Le mise al dito l'anello, e poi uscì dalla tenda.

Erano ormai diversi minuti che suo marito aveva smesso di piangere. Anche se il suo non era un vero e proprio pianto. Più che altro piccole gocce gli scorrevano lungo gli zigomi, senza che lui fosse in grado di arrestarle.
Silenziosamente aveva sfogato tutto il suo dolore.
Luna era sdraiata sul letto e Ron era al suo fianco, con la testa appoggiata innocentemente sulla sua spalla.
Lei, dolce come lo era sempre stata, gli accarezzava i capelli con lentezza.
Pian piano si stava riprendendo.
“Sono vivi, Ron.”
Lui alzò la testa di scatto.
“Come fai a dirlo con così tanta sicurezza?” chiese.
“Perché lo so. È una di quelle cose che sento.”
Sospirò e tornò a guardare verso il soffitto, mentre il rosso, con un breve sorriso, chiudeva gli occhi e tornava a bearsi delle sue carezze.
La sua proposta di matrimonio non era stata un granché, ma era stata tipicamente alla Ron, quindi Luna non se n'era lamentata.
Ricordava di averla guardata negli occhi e poi di aver balbettato qualcosa di incomprensibile che assomigliava vagamente ad un “Allora, sì...beh...che dici, noi ci...sai, no? Ci sposiamo?”
E Luna, come al solito, aveva letto nei suoi occhi le parole che avrebbe voluto dirle, ma che non era riuscito a far uscire.
“D'accordo.”
Una risposta così semplice che anche Ron non ebbe difficoltà a comprendere.
E da quel momento in avanti Luna c'era sempre stata. Era sempre stata al suo fianco, come aveva promesso.
Nella gioia, nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte, non lo aveva mai lasciato a dover affrontare la vita da solo.
Perfino in quel momento, in cui lui credeva di aver perso per sempre i suoi fratelli, lei era rimasta lì, a prendersi cura di lui.
“So che non ti piace quando ne parliamo, Ron. Ma Molly e Arthur sarebbero così fieri di te se ti vedessero adesso. Tua madre sarebbe felicissima. Ne sono sicura.”
Ron sorrise tristemente, senza aprire gli occhi.
“Io ti amo, Luna.”
Si abbracciarono e rimasero immobili, cullandosi nel dolce torpore che si trasmettevano a vicenda.
Finché un lento ma costante rumore, li riscosse improvvisamente dal dormiveglia.
“Vado io” disse Ron alzandosi.
La piccola Molly faceva i capricci.
La prese in braccio e la cullò fino a farla smettere di piangere. Poi le cantò una vecchia canzoncina che sua madre gli aveva insegnato.
Quando la piccola riprese sonno la appoggiò sulla sua culla bianca e la lasciò a sonni tranquilli e sogni bellissimi.
Quando tornò nell'altra stanza, però, Luna non era più sola.
Harry stava in piedi davanti alla porta.
“Ron, c'è una cosa che...Neville mi ha, mi ha chiesto di venire qui. So che non è un buon orario, ma dobbiamo proprio andare.”
Ron annuì.
“Dammi solo il tempo di vestirmi.”
Harry uscì e lui andò verso Luna.
“Di solo una parola e dico ad Harry che stavolta non vado.”
Ron sapeva che, per la maggior parte, gli allarmi rossi di Neville non erano che falsi allarmi.
“No, vai. Devo dire che mi sento più tranquilla, quando so che è un falso allarme.”
Sua moglie gli sorrise.
Non gli piaceva quando doveva combattere.
E a lui non piaceva che, ogni volta che combatteva, lei volesse ad ogni costo andare con lui, per tenerlo sotto il suo sguardo vigile.
Però quello era il patto.
Andavano in guerra insieme ed insieme tornavano a casa sani e salvi.
E finché le cose sarebbero rimaste in quel modo, a lui andava più che bene.

Neville li sentì arrivare ancora prima di vederli.
Quando entrarono si alzò di scatto e iniziò a parlare a raffica.
“Dean e Seamus, sono vivi. Li hanno catturati, però se ci sbrighiamo possiamo salvarli. Li torturano, credo, ma sembra che non abbiano ceduto perché...bhé, perché noi siamo ancora vivi.”
“Nevilla, ma cosa...” stava per chiedere Ron, quando fu interrotto da Draco.
“Come fai a sapere che sono vivi?”
Neville si scrutò attorno, probabilmente cercando un modo di eludere la domanda. Quando capì che non l'avrebbe trovato si decise a rispondere.
“Ok, stavo facendo questo esperimento...e loro si sono offerti volontari per aiutarmi, diciamo.”
“Che esperimento?” chiese Harry.
Neville temporeggiò.
“Ho chiesto quale esperimento, Neville.”
“Controllo dei battiti e delle attività cerebrali.”
“Oh, cazzo Neville! E ti è tornato in mente solo adesso?” chiese Harry furioso.
“Sì. Stavo controllando un paio di vecchi esperimenti che volevo provare a rimettere in piedi, quando mi sono capitati sottomano quei due chip. Io credevo non avessero mai funzionato, perché la luce non si spostava mai da verde. Prima però, quando li ho presi in mano, quello di Seamus è come impazzito. Sembrava peggio di una spia antifurto. Ha iniziato a lampeggiare di rosso, segnando più di duecento battiti al minuto e l'attività cerebrale ha raggiunto un picco di dolore quasi inimmaginabile.”
Ron batté un pugno contro un tavolo.
“Dicci dove sono. Andiamo subito.”
“Harry, non credo che sia...”
“Neville. Dicci dove sono. Ho detto che andiamo.”
“D'accordo” alzò le mani in segno di resa, mostrando i palmi. “Permettetemi solo di dirvi un paio di strategie che potreste teoricamente usare...”





Ringrazio Roxy_xyz, Namy_love, e Lights per aver recensito il precedente capitolo.

Detto questo, spero che mi farete sapere che ne pensate. Vi ricordo inoltre che lasciare recensioni fa bene alla salute tua e di chi ti sta intorno.
Sarò buona e aggiornerò presto, fate i bravi e date retta ai vostri genitori, in particolare tu, Roxy, fai la brava!


A presto, gente.





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Capitolo 20
*** Il cuore di Sirius ***


Ok, allora, innanzitutto mi scuso per il ritardo imperdonabile, e poi vi preannuncio che da ora in avanti le cose diventano ancora più complicate, a causa degli sbalzi temporali e spaziali da un capitolo all'altro...Mi auguro che riusciate a capire e a tenere il filo.

Vi comunico anche che ho deciso di dividere la storia in parti, facendone una serie.
Alla conclusione del primo libro, mancano solo cinque capitoli, quindi siamo agli sgoccioli. Buona lettura!





Il Castello - Scozia - La sera prima della notizia

Tolse il telo e rivelò la superficie piatta e fredda dell'oggetto magico davanti a lei.
Era di fronte allo Specchio delle Brame.
Immobile.
Non sapeva se voleva davvero vedere quello che c'era riflesso.
Finché alzò lo sguardo. Ed ogni dubbio sparì, insieme a tutto il resto del mondo.
Un'immagine dallo specchio la scrutava, curiosa.
Era lei. Era semplicemente lei.
Era tutto il resto ad essere diverso.
Non c'era guerra, non c'era disperazione, né odio.
Era la visione di come sarebbe potuta andare se Harry avesse dato ascolto a lei.
Sarebbero potuti vivere in un mondo di pace, dove tutti gli innocenti erano stati risparmiati.
Sarebbero potuti essere ancora insieme, ancora felici.
Ma lei era in un freddo castello di Scozia.
Perché lui non le aveva creduto.
Con uno strattone secco rimise il velo sopra lo specchio.
Si odiava.
Si odiava perché, dopo tutto quello che aveva passato, ancora non riusciva a dimenticarlo.
Si odiava perché odiare lui era impossibile. E così si accontentava di odiare se stessa e di riversare in quell'odio tutta la sua rabbia.
Odiare lui non era comprensibile, non era accettabile. Non era tra le opzioni.
“Ci vuole coraggio.”
Una voce la fece voltare di scatto.
“Sirius. Mi hai fatto prendere un colpo.”
Si portò la mano sinistra sul cuore, tranquillizzandosi subito, e riportò la bacchetta che aveva afferrato con la destra dentro la propria tasca, riuscendo a non farsi vedere da Sirius.
“Non ho mai conosciuto o visto nessuno in grado di farlo.”
“In grado di fare cosa?”
“Di chiuderlo fuori.”
Hermione corrugò la fronte. “Chiudere fuori cosa, Sirius?”
“Il sogno” rispose lui con estrema sincerità.
Fece qualche passo verso lei.
Le sue parole erano poco più che sussurri.
“Il sogno è perfetto, non come la realtà. Il sogno è ciò che ti permette di andare avanti, quando arrivi a un certo punto. Non ho mai visto nessuno capace di prendere un velo e stenderlo sopra il sogno più grande che la sua anima custodisce, come tu hai appena dimostrato di poter fare con estrema facilità.”
Hermione lo guardò avvicinarsi sempre di più a lei, senza però guardarla in viso, ma tenendo gli occhi fissi sullo specchio. O meglio, sul velo che lo copriva.
“C'è però un lato negativo dei sogni, che spesso tralasciamo, con ferma ingenuità. Ciò a cui durante i sogni non pensiamo, è che presto o tardi arriverà l'alba. Aprirà i nostri occhi e ci farà svegliare e il sogno svanirà insieme al sonno. E di esso non ci resterà che un vago ricordo, da tenere segretamente nascosto in fondo al nostro cuore, in compagnia dei nostri segreti più profondi.”
Hermione lo fissò con dispiacere.
“Ed il tempo, spesso, non è amico dei sogni. Il tempo passa troppo veloce, portandoceli via. Porterà via tutto e confessarsi, confessare i propri peccati, diventerà sempre più difficile.”
Sospirò.
Hermione gli appoggiò una mano sulla spalla, con delicatezza. Prontamente, Sirius, ci appoggiò sopra la propria, tenendola stretta nella sua.
“Con Lupin non puoi confessare i tuoi peccati?” chiese la strega.
“Temo che non capirebbe. Non più, almeno. Ma probabilmente non avrebbe capito neanche allora. Remus è una di quelle persone che cercano sempre di farti ragionare. Non sanno mai quando è il momento di stare zitti e di smettere di ragionare con la testa ed iniziare a farlo con il cuore.”
“Ed è molto tempo che tieni con te questo segreto?” chiese ancora lei.
“Moltissimo” lui le sorrise di rimando. “Dio, è passato così tanto tempo che a volte immagino di essermelo sognato. Immagino che fossero altre persone, che non fossimo io e lei ad essere separati per sempre. A volte sogno che lei sia ancora con me. E l'amarezza che quel sogno mi lascia a volte mi distrugge.”
“È lei che hai visto stasera, non è vero? Quando hai guardato Amanda, intendo.”
Sirius annuì distrattamente.
“La strega più brillante della sua età non si smentisce mai, non è vero?”
“Sai, forse potrò sembrarti sentimentale, ma dicono che esista un posto, un posto senza tempo né spazio, dove possiamo finalmente stare con le persone che amiamo. I babbani lo chiamano Paradiso.”
“Non pensavo che credessi nel Paradiso, Hermione.”
“Io non ci credo. Ma...ma Harry ci credeva.”
Un nodo istantaneo le salì in mezzo alla gola quando pronunciò quel nome.
Fino ad allora si era estraniata, chiamandolo Harry Potter, o Il Prescelto, o semplicemente lui.
Ma dire il suo nome e sentirlo per quello che era le costò non poco.
“Lui credeva che un giorno saremmo stati ripagati per quello che abbiamo dovuto sopportare in vita. Lui credeva fermamente che un giorno, da qualche parte, avremmo potuto riavere indietro tutto ciò che avevamo perso nel viaggio.”
“E tu a cosa credi, Hermione?”
Lei sospirò pesantemente.
“Io credo che ciò che io e lui abbiamo perso nel viaggio sia troppo per essere recuperato. Quello che abbiamo perso siamo noi stessi, in un certo senso. La guerra ci ha cambiato. Ci ha fatto crescere, certo. Ma al tempo stesso ci ha fatto smettere di credere alle favole. È questo che vuol dire crescere. Ma se non credi nelle favole, allora, come può esistere il lieto fine?”
Sirius pensò che aveva ragione. Su tutto.
Quello che avevano perso era irrecuperabile. Tuttavia lui ancora sperava.
“Chi hai visto, Sirius?”
Lui non rispose.
Hermione si incamminò verso l'uscita.
“Aspetta...” la richiamò Sirius. “Sia chiaro che dovrà rimanere tra noi.”
Lei sorrise appena e tornò indietro, sedendosi sul pavimento, davanti allo specchio. Sirius la imitò.
“Sai, io l'amavo. E da un giorno all'altro lei morì. Ma era prevedibile in fondo. C'era la guerra a quel tempo e ce ne fu un'altra dopo ed una ce n'è adesso. Si, ecco, non è un bel secolo questo per il mondo magico, no. Comunque, quando se ne andò, io ne fui distrutto. La cosa che più mi faceva stare male era il fatto che lei non lo avrebbe mai saputo. Perché io non avevo mai avuto il coraggio di dirglielo, dirle che l'amavo più di ogni altra cosa al mondo. E tuttavia, che tu ci creda o no, non l'amavo abbastanza. Perché se l'avessi amata abbastanza l'avrei lasciata andare. Invece non potevo, continuavo ad amarla ogni giorno con la stessa forza. Non glielo dissi mai. Mai una parola, mai il minimo cenno all'argomento. Lei era felice, io non chiedevo di meglio.”
Si asciugò una lacrima piccola e troppo veloce che gli era caduta.
“Finché un giorno perse la vita, ed anch'io la lasciai, quando persi lei.”
La giovane strega fu colpita da quelle parole così semplici eppure bellissime.
“Dopo che se ne fu andata davanti e dietro di me, tutto era fatto di soli rimpianti. Se solo le avessi detto quello che provavo, anche se mi avesse rifiutato, io l'avrei saputo. Ma che dico se, era ovvio che lei mi avrebbe rifiutato. Ma a me non importava, e tuttora non mi importa. Volevo solo che sapesse. Che sapesse quanto l'amavo. Così tanto che mi faceva male. Così tanto che ancora oggi mi brucia l'anima.”
Una lacrima scese anche dalla guancia di Hermione, quando si rivide in Sirius. Ma lei pronta l'afferrò, fermandone la caduta.
“Di lei, finché avrò vita, una sola cosa mai e poi mai riuscirò a dimenticare. Qualcosa che anche stasera ho visto in Amanda. I suoi occhi.”
E all'improvviso, quasi come una scossa, Hermione capì.
“Era Lily” sussurrò più a se stessa che a Sirius.
“Harry è tutto suo padre. Ma i suoi occhi...Dio, ogni volta che vedo i suoi occhi sento il cuore che mi sanguina.”
Hermione se lo immaginò.
Un cuore piccolo, pieno delle ferite che la vita gli aveva inferto. Alcune già cicatrizzate, altre che non lo sarebbero state mai. E quel cuore sanguinava per uno squarcio aperto che mai più si sarebbe richiuso.
E capì che quello che vedeva non era il cuore di Sirius.
Era il suo.
Il suo piccolo cuore sanguinava.
“Non chiedermi come. Ma sono sicura che lei lo sa. È una cosa che sento dentro di me. Lo sento nelle mie ossa.”
Il mago la guardò con un po' di scetticismo.
“Lei lo sa, Sirius. In qualche modo l'ha sempre saputo.”
Aveva ancora qualche lacrima agli occhi quando la guardò e le sorrise, riconoscente per aver potuto finalmente confessare a qualcuno i suoi peccati.
“Chi ama davvero, ama per sempre” sussurrò piano Hermione, più a se stessa che a Sirius.
Si alzò dal pavimento freddo e le tese una mano.
Hermione l'afferrò, alzandosi.
Lui le cinse le spalle con un braccio, scortandola fino alla porta della Sala.
“Ti accompagno fino alle tue stanze. Non vorrei che quel vecchio brontolone di Silente domani mi rimproverasse per non aver svolto a dovere il mio compito.”
“Non sia mai!” gli disse Hermione ridendo, e trascinando lui a sua volta in una risata.
Le porse il gomito del braccio rimasto libero quando lo aveva tolto da sopra le sue spalle.
“Signorina Granger” le disse scherzosamente.
Hermione, stando al gioco, prese con una mano il suo braccio.
“Signor Black.”
Risero ancora e si incamminarono verso le stanze della strega.
Quando Sirius ebbe portato a termine il suo compito Hermione si chiuse in camera, stendendosi sul comodo letto.
Fissò il soffitto.
Chissà, forse Harry aveva ragione.
Forse esisteva davvero un posto, fuori dal tempo e dallo spazio, in cui ognuno ritrovava ciò che aveva perso in vita.
Lei aveva perso molto. I suoi genitori, i suoi amici. La sua vita. La pace.
Chissà, forse un giorno avrebbe ritrovato tutto quello che aveva perso.
Forse.
Si immaginò come sarebbe dovuto essere.
Un posto con la sua famiglia, anche le zie e i cugini di quarto grado erano là, e tutti i suoi amici, tutti quelli che aveva conosciuto.
E poi, ovviamente, la cosa che più rimpiangeva di aver perso.
C'era lui.
Come in tutti i suoi sogni.
Si morse forte un labbro, scacciando quei pensieri, e desiderando solo di sprofondare in un sonno senza sogni, che avrebbe cacciato tutti quei pensieri.
Si morse il labbro.
Ma lui non sparì.




Ringrazio con tutto il cuore roxy_xyz, namy_love e Lights.
Grazie, a voi che siete rimaste le uniche a recensire.
Bene, anche per questo capitolo è tutto, mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate...
A presto!



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Capitolo 21
*** Il buio ***


Ragazzi, scusate ancora il ritardo, ma la scuola mi sta davvero facendo impazzire. Spero di riuscire a tenere questo ritmo (ogni 5 giorni) ma più in fretta proprio non riesco...
Spero comunque che il capitolo vi piaccia!




La prigione – Posizione geografica sconosciuta – Il giorno della notizia

Da quanto erano lì?
Giorni.
Mesi.
Anni.
Non lo sapevano.
Non gli importava!
Niente importava.
Volevano solo che qualcuno entrasse e si degnasse finalmente di mostrargli il rispetto minimo di ogni essere umano verso un altro essere umano e li uccidesse con un colpo di pistola.
Almeno sarebbe stato indolore.
Volevano andarsene da quel posto.
Vivi o morti, era uguale per loro.
Sapevano entrambi che non sarebbero mai potuti sopravvivere ad un altro interrogatorio.
La prigione non era niente.
La mancanza di acqua, di cibo e di riposo, non era niente.
Niente in confronto a quello che sarebbe successo se fossero sopravvissuti un giorno in più.
Prima di vederlo lo avrebbero sentito.
Avrebbero sentito i suoi passi, o i loro passi, lungo il corridoio deserto.
Rimbombavano in modo tetro. Cupo. Erano il rumore che per loro preannunciava morte.
C'era un piccolo pezzo di vetro, dentro la loro cella.
Non avevano idea di come ci fosse finito.
Probabilmente qualcuno che era stato lì prima di loro era stato trattato un po' meglio.
Comunque dello specchio che un tempo era stato adesso non rimaneva che una piccola scheggia.
Ci si avvicinò fino a potercisi specchiare.
Solo per ricordarsi quale fosse la sua faccia.
Si riconobbe a malapena.
Aveva gli occhi scavati da profonde occhiaie, era sanguinante e nei punti in cui non lo era aveva comunque delle macchie di sangue rappreso.

Si risvegliò tempo dopo.
Quanto era stato privo di sensi?
Non avrebbe mai saputo dirlo.
Un soldato entrò.
Bisbigliando qualcosa al soldato di guardia all'interno.
Gettò ai due quasi sdraiati a terra una foto, facendola cadere sul pavimento.
Ritraeva una giovane donna, i capelli e gli occhi scuri, l'uniforme di Hogwarts.
“Hermione Granger è morta questo pomeriggio.”
Non disse altro. Non li torturò.
Semplicemente tornò sui suoi passi ed uscì dalla stanza.
Hermione Granger era morta.
Perché glielo avevano detto?
Cortesia?
Non importava.
Adesso lo sapevano.
Hermione era morta.
Seamus si accasciò a terra appoggiandosi su un fianco ed iniziò a piangere silenziosamente, incurante della forza di gravità, che trascinava tutte le sue lacrime sulla parte destra del suo volto.
Dean rimase seduto.
Non pianse. Non aveva più lacrime, lui.
Si era prosciugato.
Erano morti anche loro.
Non ancora, eppure di già.

Ancora una volta era svenuto.
Forse per la fame, per la sete.
Forse perché il suo corpo non riusciva più a rimanere sveglio.
Era alla fine.
Non ne poteva più.
La notizia su Hermione era stata l'ultima goccia.
Adesso anche lui, come il suo compagno di cella, era prosciugato.
Anche lui era vuoto.
Era una bambola di pezza nelle mani di gente più forte e spietata di lui.
Era invisibile, in un mondo di gente invisibile.
Si confondeva tra l'invisibilità degli altri.
Anche la sua fede era crollata.
Sapeva che i suoi compagni non li avrebbero mai salvati.
Non avrebbero mai capito che erano ancora vivi.
Ma, anche se lo avessero saputo, non sarebbero comunque entrati in un carcere di massima sicurezza come quello rischiando le loro vite.
Sia Seamus che Dean lo sapevano.
Oggettivamente, le vite di loro tre erano più importanti delle loro.
Sarebbero morti in quella prigione fredda ed umida, lontano da casa.
Ma con una magra consolazione.
Che un giorno la guerra sarebbe finita.
Un giorno il mondo sarebbe stato libero.
Un giorno.
Ma loro non avrebbero mai visto quel giorno.

Riprese conoscenza ed urlò.
Un dolore lancinante proveniva dal suo braccio sinistro, quello semi-paralizzato.
Dopo qualche minuto che urlava il soldato aprì la porta, scambiando qualche parola con il soldato di guardia all'esterno.
Quest'ultimo annuì, sparendo quando la porta si richiuse.
Dopo pochi istanti la porta si aprì di nuovo, lasciando entrare un medico.
Gli fece un'iniezione.
E Seamus dovette riconoscere di non essere mai stato così felice di perdere i sensi.

Lo svegliarono dei passi lungo il corridoio.
Pregò che non fosse vero.
Non avrebbe mai sopportato un'altra volta le loro torture.
Ascoltò i passi.
Lungo il corridoio camminavano almeno tre persone.
Si sentì morire.
Tutto quel dolore, tutta quella disperazione, non era umana.
Erano ormai solo animali.
Degli animali in gabbia, non partecipi della loro vita, ma solo spettatori delle loro stesse orribili condizioni.
Tentò di mettersi a sedere ed appoggiò la schiena contro il muro.
Sentì delle voci all'esterno, voci che parlavano con il soldato che faceva la guardia fuori dalla loro cella.
Ma non erano le solite voci, i soliti sussurri.
All'improvviso una sparo riecheggiò.
Qualcuno sfondò la porta.
Un altro sparo.
Seamus non aveva neanche la forza per vedere chi era che faceva irruzione in quella tetra prigione dove erano rinchiusi.
Dopo qualche secondo un allarme iniziò a risuonare assordante in tutto l'edificio.
Una luce rossa lampeggiava in lontananza.
Si sentì sollevare, qualcuno lo aveva appoggiato sulle proprie spalle.
Sentì l'impulso di vomitare, allora chiuse gli occhi.
Quando li riaprì vide qualcuno correre dietro l'uomo che lo portava in spalla.
Era un ragazzo biondo. Ed anche lui portava in spalla qualcuno.
“Ron, parti, parti!”
In qualche modo, neanche capì bene come, si ritrovò gettato su una superficie dura.
Erano su una specie di carro o carrozza, perché il mezzo su cui erano si muoveva senza magia, lo sentiva dai continui sballottamenti.
Doveva essere trainato da qualcosa.

Quando si svegliò per l'ennesima volta quel giorno, era su un letto.
E alla sua sinistra anche Dean era finalmente steso su un letto.
“Seamus, ascoltami, tra poco saremo fuori pericolo. Neville ti sistemerà. Aggiusterà tutto. Te lo prometto. Però devi restare sveglio.”
Seamus annuì vagamente.
Ma i suoi occhi ancora si chiusero.
A niente servirono le suppliche di Harry.

C'era qualcosa che doveva assolutamente dire.
Questo il primo pensiero cosciente.
Eppure non riusciva a ricordare cosa.
Harry apparve sopra di lui e lo chiamò più di una volta.
Seamus non proferì parola.
Doveva ricordarsi quella cosa.
Era sicuro che fosse di vitale importanza.
Ma quando stava per ricordare, il buio lo prese di nuovo con se.

“Mancano solo cinque minuti, resisti Seamus. Resisti.”

Ormai perdeva e riprendeva conoscenza sempre più frequentemente.

C'era qualcosa che doveva dire.
Qualcosa di molto importante.
Qualcosa che doveva dire prima di andarsene.
Se solo avesse saputo cosa.

Il carro si fermò. Harry stava per scendere quando si sentì afferrare una manica del mantello che indossava.
Seamus lo guardò intensamente con i suoi occhi.
E poi un sussurro, prima che svenisse ancora.
“Hanno detto che Hermione Granger è morta oggi pomeriggio.”
E di nuovo cadde nel buio.
In attesa che Neville lo aggiustasse.





Bene, adesso sapete quale è la notizia a cui si fa riferimento.
Nei prossimi quattro capitoli avrete qualche risposta, quindi non mollatemi adesso!
Un ringraziamento speciale a Roxy_xyz, Lights e Namy_love che recensiscono ogni mio capitolo.

Un grazie di cuore a tutti voi che leggete...e fatemi sapere che ne pensate! :)





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Capitolo 22
*** L'anima di Hermione ***


Ragazzi, scusate il ritardo, ho avuto degli impegni con la scuola per tutta la settimana, chi di voi ha contatti con me può capirlo, sono sparita anche da msn...Comunque eccomi qua finalmente a postare un nuovo capitolo.
Spero che vi piaccia!





Il Castello - Scozia - Il giorno della notizia, il mattino

Si era svegliato presto. Si svegliava sempre presto, e nessuno era mai alzato a quell'ora di mattina.
Quel giorno, però, qualcuno c'era.
Seduta fuori dal castello ammirava l'alba che trionfante annunciava un nuovo giorno, quasi proclamando la sua vittoria sul tempo, che ancora una volta riusciva a sconfiggere, mostrandosi agli occhi di coloro che pazienti la aspettavano.
“Buongiorno” sussurrò arrivando alle sue spalle.
“Albus...” lo salutò lei velocemente.
Il vecchio mago rifiutò gentilmente, quando lei lo invitò a sedersi al suo fianco.
“Dubito che riuscirei a rialzarmi.”
Le sorrise col suo solito fare tranquillo.
“Andiamo. Dobbiamo preparare la pozione.”
Silente annuì, mentre la strega si alzava.
“Perché non le hai detto che anch'io sono a conoscenza del tuo segreto?” chiese riferendosi a ciò che aveva deciso di rivelare o meno ad Hermione.
“Sono sicura che lo sa. Che lo sente...nelle ossa. È un'espressione che usa spesso, quando si sente qualcosa, vero?” chiese curiosa.
Silente annuì distrattamente, finché realizzò a cosa mirasse la strega.
“Tu credi...credi che abbia dei leggeri poteri di premonizione, è così?” chiese come illuminato. “Ma certo che è così. Vuoi darle la pozione perché i suoi poteri si amplifichino, così che lei possa vedere. Come ho fatto a non capirlo prima!”
Amanda sorrise vagamente.
“Sappi che te lo impedirò. Lo impedirò con tutte le mie forze. Finché io sarò vivo lei non saprà mai cosa l'aspetta.”
“E perché no. Dovrebbe scegliere in fondo.”
“Assolutamente no. Nessuno dovrebbe scegliere. Nessuno.”
“Calmati, Albus. Quando ti agiti la pressione ti schizza alle stelle.”
“Oh, non cercare di distrarmi con malattie babbane, Amanda.”
“Tranquillo. Non ha poteri di premonizione. È solo sesto senso, il suo.”
“Certo, ma sai che con la pozione...” lasciò la frase in sospeso, tanto sapeva che lei aveva capito.
Per un po' non parlarono.
Si incamminarono all'interno del castello e lei lo condusse in una delle stanze dove l'accesso ad una qualsiasi persona che non fosse lei, o che non fosse accompagnata da lei, era negato.
Vi entrarono, riprendendo il discorso.
“Credi che non capirà che lo sapevamo? Credi che non ci odierà se non l'avvertiamo prima? Credi davvero che una volta compiuto il fatto, riuscirà a perdonarci? Io non credo. Nossignore. Ci porterà rancore in eterno.”
“Non essere sciocca, Amanda. Non sono un illuso, so che ci odierà per sempre. Tuttavia solo tacendole una delle conseguenze di ciò che sta per fare riusciremo a salvare la magia, dalla più completa e totale distruzione...”
Amanda sospirò.
“Ascoltami, Albus. Sei sempre stato il più saggio di tutti noi. Quindi a te, e solo a te, spetta questa scelta, visto che sei il suo maestro. Però ti prego, ti imploro di non farlo senza pensarci per bene. Non farlo solo per salvare il resto del mondo dalla guerra. Perché non ne sarà valsa la pena, se poi noi non saremo in pace. Non pensare che sacrificherai semplicemente una persona per salvarne centinaia di migliaia. Pensa a lei. Pensa che lei è Hermione Granger. Sei il suo maestro. La persona di cui lei si fida di più al mondo.”
“Lo so. Ed è per questo che non le permetterò di scegliere. Lei, per tutto il resto della sua vita, odierà me. Ma se rinuncerà e non salverà tutti gli altri, odierà se stessa. E come potrei mai permetterlo?”
Si persero per qualche attimo l'uno negli occhi dell'altra, finché una voce li riportò alla realtà.
“Non devi mentire per me, maestro.”
Dalla porta, Hermione li guardava.
“Non dovreste lasciare la porta aperta durante una conversazione privata.”
“Hermione, sei già in piedi, vedo. Molto mattiniera.”
Hermione annuì appena, ma era più che intenzionata a non lasciar cadere il discorso precedente.
“Maestro, non devi mentire per me.”
Poi si rivolse ad Amanda.
“Silente mi ha parlato della conseguenza a cui vi riferite. Ed io gli ho chiesto che le mie confessioni rimanessero private. Ma suppongo che siano destinate a non esserlo.”
Amanda si incuriosì.
“Albus, dimentico sempre quanto sai mentire bene, quando la situazione lo richiede.”
Silente le sorrise. “Lo prenderò come un complimento.”
“Non lo era affatto” sussurrò Amanda.
“Non intendo tirarmi indietro” disse fiera Hermione.
Amanda riportò su di lei l'attenzione. “Ne sei del tutto certa?” chiese con premura.
Hermione, nuovamente, annuì.
“C'è un luogo, dentro di noi” iniziò Amanda “dove risiedono i nostri sentimenti. Uno spazio indefinito e al tempo stesso illimitato, dentro cui viene descritto il nostro essere. Dentro quel posto chiudiamo insieme a noi stessi la persona che amiamo di più al mondo. È da lì che la magia prende le immagini che poi mostra attraverso me. I babbani la chiamano anima. Io penso si tratti semplicemente di magia. La fonte della magia contenuta in tutti i maghi viene da quel luogo dentro di noi. Se vuoi, potremmo mettere tutti d'accordo, dicendo che la magia è contenuta nella nostra anima. Ed insieme ad essa vi risiede il nostro essere. Chi siamo, la persona che amiamo, le persone che ci amano, e così via. Nel momento in cui berrai la pozione, tutto quel luogo, tutta la tua anima, sarà inondata dalla magia.”
“Niente spazio per l'amore. È chiaro” rispose attenta Hermione. “Lui verrà buttato fuori da quel luogo dentro me.”
“Non lui. Non i ricordi che hai di lui, almeno. Ma ciò che lo rende così speciale, così unico e indimenticabile, quello sì, potrebbe sparire.”
“Potrebbe?” chiese scettica Hermione.
“Sì. C'è la possibilità che lui rimanga. Dipende da una serie di fattori troppo difficili da calcolare. Una goccia in più o in meno di un dato ingrediente potrebbe scombussolare tutto.”
“E come lo sapremo?”
“Suppongo che se mi togliessi la maschera non vedresti più lui riflesso nel mio volto.”
“Diventerò esattamente come te?” chiese ancora.
“Assolutamente no!” affermò Amanda indignata. “Io ho bevuto l'acqua pura. La tua sarà più mirata. Io mi sono totalmente e stupidamente fusa con la magia. Dalla mia anima sono stata spazzata via anche io. Voglio dire, la magia ha tutto di me. Tranne un piccolo pezzo. Un pezzo dove ancora conservo le persone che mi hanno amata e mi amano e...”
“...E lui” concluse Hermione al posto suo. Allo sguardo perplesso di Amanda aggiunse “C'è sempre un lui.”
“In ogni caso, non sappiamo quali effetti potrebbe avere. Lo scopriremo solo quando l'avrai buttata giù.”
“Amanda, è un piacere vedere che nonostante tu sia molto probabilmente la persona più potente del mondo magico, ancora usi questo linguaggio. È rincuorante sapere che, almeno certe cose, non cambiano mai” le disse Silente, in un misto tra il divertito e il rilassato.
Amanda sospirò, scoraggiata.
“Come fate ad essere sicuri che quella pozione non mi ucciderà?” chiese Hermione con la calma più assoluta.
Amanda fece spallucce.
Silente tentò di tranquillizzarla. “Tranquilla, abbiamo un metodo infallibile. Terrò le dita incrociate” rispose con un gran sorriso e mostrando l'indice intrecciato al medio.
“Ovviamente lui scherza. Lo sappiamo perché ho avuto una visione. Ti assicuro che i tuoi poteri erano...” tentò di trovare le parole giuste. “Sensazionali.”
Hermione sgranò leggermente gli occhi.
Poteri sensazionali.
Lei non li voleva. Non li aveva mai voluti.
Ma ciò che voleva era irraggiungibile.
Quella sembrava, tutto sommato, la seconda miglior soluzione.
Se non poteva averlo con sé, lo avrebbe cacciato da quel posto piccolo, ma fondamentale, che si era ritagliato dentro la sua anima.
E dopo?
Senza di lui cosa le sarebbe successo?
Sarebbe finalmente stata libera?
O si sarebbe semplicemente svuotata?
Provò a immaginare come sarebbe stato dopo.
Senza che lui fosse dentro di lei.
Senza che la accompagnasse in ogni attimo come aveva fatto negli ultimi cinque anni.
Da quando si erano conosciuti, dal primo anno, niente era mai riuscito a portarglielo via.
Neanche Voldemort era riuscito a strapparlo da lei.
Ma quella pozione davvero avrebbe potuto.
C'era questa possibilità ed andava affrontata.
Eppure, bevendola, avrebbe salvato tutte le persone innocenti che la guerra avrebbe ucciso da quel momento in poi.
Così capì che non aveva mai riguardato lei.
Era qualcosa di più grande.
Andava oltre la sua scelta. Non era importante se lei davvero volesse cancellare o meno Harry dalla parte più profonda e intima di lei e della propria anima.
La verità era una, semplice e pura.
Non voleva.
Eppure il fatto che non lo volesse non era abbastanza per impedirle di bere quella pozione.
Perché era qualcosa che andava oltre ciò che lei voleva.
Si trattava di centinaia, di migliaia di vite.
Quindi doveva farlo. Anche se non voleva. Anche se il suo cuore la implorava di fermarsi prima che lui non fosse più parte di lei.
E poi, anche se la pozione lo avesse cancellato, niente avrebbe mai potuto portarle via il ricordo di quando profondamente lo aveva amato.
Era parte di lei.

Per tutto il resto della sua vita, non dimenticò mai le parole che le disse Silente quello stesso pomeriggio, poco prima che bevesse la pozione.
Lei lo guardò sperando che percepisse il grazie non detto dallo sguardo nei suoi occhi.
E Silente, serio come poche volte lo aveva visto, si limitò a risponderle in un paio di frasi.
“Non preoccuparti, Hermione. Per ogni segreto, il tempo che passa da quando lo si seppellisce a quando qualcuno lo scopre, è inversamente proporzionale alla sua grandezza. Più il segreto è grande, prima qualcuno lo riporterà in superficie.”
Ma Hermione sapeva che il suo segreto, da quel momento in poi, sarebbe stato al sicuro.
Seppellito nei suoi ricordi e diluito da una pozione che sarebbe penetrata fin dentro la sua anima.
Il suo segreto era seppellito abbastanza in profondità.
Afferrò la fiala contenente la pozione e la fissò.
Il suo segreto era al sicuro.
Perché stava per essere cancellato.




Un ringraziamento doveroso a Roxy e Namy_Lights, che hanno recensito il capitolo precedente.
Ma un ringraziamento speciale va anche a tutti quelli che hanno recensito dall'inizio della storia.
Lights, Knight of Harmony, Harry_Jo, luca76, CassiopeiaAraBlack, Pecky, sonoqui87, Myosotis.
Anche chi ha lasciato una sola recensione, come elliepotter, edocast92, Jose007, Koe, chandelora.

Se state ancora seguendo la storia, mi raccomando, lasciatemi una recensione come segno del vostro passaggio, mi accontento anche di poche parole ^_^

Non fate i pigri e fatemi sapere cosa ne pensate! A presto!!




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Capitolo 23
*** Il rifiuto di Harry ***


Ok, ragazzi. Sono così in ritardo che mi vergogno di me stessa. Purtroppo ho un sacco di impegni, e non ho mai un attimo di tempo e anche quando ho tempo mi metto a leggere e riesco a scrivere poco, quindi ancora, scusatemi. Chiedo perdono per il ritardo semplicemente vergognoso.
Spero che questo capitolo vi piaccia abbastanza da potermi perdonare. Tuttavia ho i miei ragionevoli dubbi...

Non anticipo altro, leggete e saprete!





L'accampamento - Gran Bretagna - Tre giorni dopo la notizia

Lentamente aprì gli occhi.
Quello che vide appena mise a fuoco la stanza lo fece sentire al sicuro. Gli piaceva. Per molti buoni motivi, ma soprattutto perché non era una prigione.
“Quanto tempo sono rimasto svenuto?” chiese mangiandosi qualche lettera qua e là mentre parlava.
Ancora non era nella sua condizione migliore.
Il braccio sinistro gli faceva molto male, aveva almeno un paio di costole rotte, la faccia era indolenzita, a causa dei circa duemila lividi che la attraversavano.
Ed il resto del corpo non era messo meglio.
“Due giorni. E mezzo. Ma non preoccuparti, presto il dolore che senti ovunque passerà. Intanto ho chiuso i tagli, aggiustato le ossa rotte, suturato i polmoni, a proposito, ne avevi uno perforato, come diavolo hai fatto a sopravvivere?”
Neville mosse la mano in aria scacciando quel pensiero.
“Fa niente, lascia stare. Per un po' potresti avere difficoltà a respirare, però tranquillo: è temporaneo. Comunque avevi anche diverse ossa della gamba rotte, una commozione cerebrale e un'altra quarantina di problemi, che io ho già risolto.”
Seamus tentò di mettersi su un fianco.
“Sarà per questo che mi fa così male la testa. Credo che stia per esplodere.”
“Anche quello è temporaneo.”
“Grazie a Dio” fu l'unico commento di Seamus. “Aspetta, hai detto quasi tre giorni?”
Neville annuì distratto, mentre controllava i valori di Seamus attraverso l'uso della magia.
“Neville, devo parlare con Harry. C'è una cosa, una cosa che ci hanno detto quando eravamo chiusi là dentro. Harry deve assolutamente sapere.”
Tentò di alzarsi dal letto, ma Neville gli afferrò le spalle, riconducendole verso il materasso.
“Rilassati, Seamus. Prima cosa, non puoi alzarti. Seconda cosa, credo che tu lo abbia già fatto.”
Lentamente i ricordi riaffiorarono nella sua mente.
Ricordo la foto gettata a terra, ai suoi piedi.
E ricordò mentre tratteneva Harry sul carro.
E poi, mentre glielo diceva.
“Come l'ha presa?”
“Come tutti.”
“E cioè?”
“Cioè male.” Sospirò, stanco. “Prima si è chiuso in se stesso, convincendosi che non poteva essere vero, e poi ha tentato di convincere della stessa cosa anche tutti noi.”
“E adesso?”
“Adesso Draco e Ron sono con lui. Tenteranno di farlo ragionare. Il racconto di Dean non ha lasciato dubbi. Almeno, non a noi. Lui ancora crede che vi abbiano mentito.”
Seamus annuì.
E pregò che Harry riuscisse ad affrontare la realtà.

“Harry, siamo noi.”
I due maghi entrarono con cautela nella tenda del loro migliore amico.
Lui neanche li guardò in faccia. Continuò a fissare il soffitto, sdraiato sul proprio letto.
“Harry, credo sia il caso che ne parliamo.”
“Non c'è niente di cui parlare” rispose secco lui.
“Si che c'è.”
Ron, come sempre, si limitava a contraddirlo.
Spiegargli come stavano le cose era compito di Draco.
“Harry, la verità è che quello che hanno visto Dean e Seamus, deve essere vero per forza.”
“No. No che non deve esserlo.”
Ron e Draco si scambiarono un'occhiata molto eloquente.
Harry si alzò di scatto dal letto con un gesto carico di rabbia e si avvicinò alla scrivania, appoggiandoci le mani sopra.
“Harry, puoi negarlo con noi, se vuoi. Ma prima o poi dovrai affrontarlo.”
“No che non dovrò. Perché lei non è morta.”
“Allora spiegaci cosa cazzo hanno detto a Seamus e Dean!” gli rispose adirato il biondo.
“Io non lo so!” urlò Harry.
Ron e Draco si guardarono di nuovo eloquentemente.
“Li abbiamo salvati, Harry. Adesso però dobbiamo ascoltare quello che hanno loro da dirci, non credi?” chiese calmo il rosso.
Harry scosse la testa.
“Andiamo. Devi ammettere che non ci sono altre spiegazioni. Loro gli hanno mostrato la foto e gli hanno detto che era morta. Perché avrebbero dovuto farlo? Perché mentire su una cosa del genere?”
“Non lo so” ripeté Harry.
“Ascolta, era anche mia amica. Anche io sto male. Luna, Ginny, per tre giorni non hanno fatto che piangere, tentando di non farsi scoprire da noi. E Neville è ancora più pallido di prima. Dean ogni tanto si fa beccare mentre è sovrappensiero, e in quei momenti sembra uno a cui stanno per sparare dritto in mezzo agli occhi. Soffriamo tutti. Però, una volta che inizi ad affrontarlo, poco a poco il dolore diminuisce.”
“Lo so Ron.”
Si voltò verso di loro.
“Ma non c'è niente da affrontare, perché lei non è morta. Io l'ho vista poco tempo fa. Stava bene. Era quella di sempre.”
“Ogni giorno decine di persone muoiono. Ogni giorno degli innocenti vengono presi per strada e ammazzati come animali. Forse era semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. Forse è solo accaduto, Harry. E hai bisogno di accettarlo, se vuoi andare avanti.”
Forse era quello il problema. Se lei non poteva andare avanti, neanche lui lo avrebbe fatto.
“Cavolo, sai cosa abbiamo rischiato a venire a salvare Seamus e Dean senza dire niente? È tanto che Ginevra non mi abbia lasciato e Luna non abbia chiesto il divorzio. E tuttora non ci parlano, perché non le abbiamo avvertite!” intervenne Draco.
La rabbia che dentro Harry era cresciuta poco a poco in quell'istante raggiunse il culmine.
Ed esplose.
“Non vi parlano perché non avete chiesto loro scusa!” urlò.
Con un gesto secco delle braccia gettò a terra con violenza tutto quello che c'era sopra la sua scrivania.
“Non vi parlano perché non vi rendete conto di quanto costi loro attendervi a casa con le mani in mano. Non siete consapevoli di quanto siete fortunati ad avere loro. Loro vi amano, si prendono cura di voi.”
Più parlava, più il tono di voce si abbassava, fino a diventare normale.
“Non vi rendete conto di quanto fanno per voi ogni giorno, semplicemente per essere rimaste al vostro fianco, nonostante la guerra. Ma non importa per quanto le amerete.”
Aveva trascorso con Hermione sette anni ad Hogwarts.
E due dopo, prima che lei fuggisse.
“Non importa per quanto tempo riuscirai a tenere una persona al tuo fianco, perché alla fine se ne andrà. Se ne andrà come hanno fatto tutti gli altri."
La sua rabbia pian piano si trasformò in dolore sordo.
“Ed in nove anni, in nove stupidissimi anni, non sei mai riuscito a dirle che l'amavi più della tua stessa vita. Non le hai mai detto che era per lei che ancora vivevi e che per lei saresti morto. Non glielo hai mai detto e non potrai più farlo.”
I suoi occhi erano appannati.
Senza riuscire più a tenerle dentro, lasciò che le lacrime uscissero.
“Non potrò mai più farlo. Perché lei è morta.”
Ron lo strinse in un abbraccio.
“Sono qui amico. Ti tengo.”
Pianse tutte le lacrime che gli erano rimaste.
Le pianse per lei.
“Hermione è morta.”
Contro la spalla di Ron le parole vennero attutite.
Eppure, per lui, avevano un suono devastante.
Avevano spazzato via ogni cosa con il loro significato.

Due ore dopo tutto era pronto.
Su ordine di Harry avevano radunato tutti i membri del campo.
Stavano davanti a loro tre.
Attesero che tutti fossero presenti quando Harry sussurrò loro qualche parola.
I due si dileguarono, andando a stringere tra le loro braccia le donne della loro vita.
Anche lui avrebbe desiderato poterlo fare.
Eppure, per quanto intensamente lo desiderasse, non avrebbe potuto mai più.
Ricordava di quando, ad Hogwarts, ogni tanto si soffermava a guardarla.
E tutto il resto del mondo spariva.
Esisteva solo lei.
C'erano solo loro.
Il resto del castello era vuoto.
La guardava, e all'improvviso nient'altro contava.
Cercò di immaginare che lei fosse lì.
Cercò di immaginare cosa avrebbe detto al suo posto.
Cosa avrebbe voluto sentire.
Se la immaginò, mentre dal pubblico lo guardava e lo salutava con la mano.
Gli sorrideva.
E a lui bastava, prendeva coraggio anche da uno solo dei suoi sorrisi.
Poi, all'improvviso, ricordò che lei non era tra la folla.
E che non avrebbe mai più visto uno dei suoi sorrisi.
Con la bacchetta amplificò la propria voce.
E citò il più grande mago di tutti i tempi.
“Oggi prendiamo atto di una perdita davvero terribile...”
Era sicuro che Hermione avrebbe apprezzato la citazione da Silente.
“Hermione Granger, è morta.”
Molti, tra il pubblico, sussultarono. Moltissimi iniziarono a bisbigliare e la risposta alle parole di Harry fu immediata.
“Hermione Granger, è stata uccisa. Io...”
Le parole gli si spezzarono in gola, prima che riuscissero ad uscire.
“Io la ricorderò per sempre.”
Anche se era lontano riuscì a scorgere Ron e Draco sorridere vagamente, e forse in silenzio riuscivano anche a piangere.
“E farò modo che non sia morta invano.”
Il giorno dopo sarebbero avvenuti i funerali.
Non sapevano come, dove o con chi fosse morta. Ma nessun altro aveva il diritto di ricordarla più di loro.





Ok, un grazie in particolare a chi recensisce, ed un grazie anche a chi legge.

Un grazie a Roxy, che mi sostiene, mi sprona e mi ricorda sempre che, cavolo, devo aggiornare!

E un grazie a te, proprio te, che stai leggendo. Adesso però scorri un po' più in giù e lascia una piccola recensione, così mi farai felice.

Le vostre recensioni mi ispirano per scrivere. A presto ragazzi, Ciao!!





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Capitolo 24
*** La Pozione ***


Il capitolo è un po' corto, perdonatemi...Buona lettura!





[Nel capitolo precedente...]

Per tutto il resto della sua vita, non dimenticò mai le parole che le disse Silente quello stesso pomeriggio, poco prima che bevesse la pozione.
Lei lo guardò sperando che percepisse il grazie non detto dallo sguardo nei suoi occhi.
E Silente, serio come poche volte lo aveva visto, si limitò a risponderle in un paio di frasi.
“Non preoccuparti, Hermione. Per ogni segreto, il tempo che passa da quando lo si seppellisce a quando qualcuno lo scopre, è inversamente proporzionale alla sua grandezza. Più il segreto è grande, prima qualcuno lo riporterà in superficie.”
Ma Hermione sapeva che il suo segreto, da quel momento in poi, sarebbe stato al sicuro.
Seppellito nei suoi ricordi e diluito da una pozione che sarebbe penetrata fin dentro la sua anima.
Il suo segreto era seppellito abbastanza in profondità.
Afferrò la fiala contenente la pozione e la fissò.
Il suo segreto era al sicuro.
Perché stava per essere cancellato.





Il Castello - Scozia - Il giorno della notizia, il pomeriggio

Guardò ancora la pozione che teneva in mano.
Sembrava acqua.
Però non semplice acqua.
L'acqua più trasparente e limpida presente nell'universo.
Sembrava così pura e incontaminata che berla sembrava un peccato mortale.
Non voleva contaminare quella purezza.
Allo stesso tempo, però, non riusciva quasi a resistere alle tentazione di berla.
Desiderava così tanto assaggiare quel liquido trasparente, per sapere di cosa sapesse la purezza a contatto col suo palato.
Quando finalmente si decise ad assaggiare la pozione, si ritrovò a pensare che probabilmente quello era il sapore di una nuvola.
Era impossibile da descrivere.
Dopo bevuta la pozione, l'effetto fu istantaneo.
La boccetta vuota le cadde di mano, rotolando dietro di lei.
Cadde in ginocchio.
Un milione, anzi, più, molte di più. Un miliardo, o forse di più ancora, furono le immagini che la investirono alla velocità della luce.
Vide una sorgente, fresca e pura.
Vide una collina, desolata e solitaria.
Un monte, dietro cui si nascondeva una luce.
Una luce, dentro cui si nascondeva l'oscurità.
Vide tutto intorno a lei cambiare, nonostante rimanesse uguale.
E poi ancora immagini.
Impossibili da elencare tutte.
Vide acqua, fuoco, erba, fiori, nascondigli, rifugi.
Vide tutto ciò che c'è da vedere.
La testa le sarebbe scoppiata da un momento all'altro.
Ne era sicura.
Sentiva un dolore lancinante ovunque dentro di lei. Tanto da poter quasi essere anche fuori da lei.
E poi, all'improvviso, cessò.
Nell'istante in cui anche le immagini cessarono.
E niente rimase, se non il nulla stesso.
Il suo ultimo pensiero fu Harry, poco prima di vedere soltanto buio.


Il Castello - Scozia - Il giorno della notizia, la sera

Quando aprì lentamente gli occhi sentì subito qualcuno accanto a lei muoversi.
“Cos'è successo?” chiese stordita.
“Sei svenuta” le rispose una voce gentile al suo fianco.
Si alzò lentamente a sedere.
Appena ci riuscì, però, il fiume di immagini riprese, solo che durò molto meno.
Se il primo le aveva fatto pensare ad un fiume in piena quando distrugge gli argini, quel secondo flash le fece pensare a una bottiglia di spumante troppo agitata.
Uno toglie il tappo e...
Non erano molte immagini, ma velocissime attraversarono la sua mente.
Quando la visione si concluse, il suo subconscio già ne conosceva il significato. E lei, automaticamente, lo apprese, come se qualcuno lo stesse spiegando ad un bambino piccolo e lei stesse ascoltando.
Le immagini mostravano chiaramente un evento che sarebbe avvenuto di lì a poco.
“Sirius, aiutami ad alzarmi.”
Si stava ancora tenendo la testa tra le mani, premendo sulle tempie.
Il cambiamento era stato troppo veloce, doveva ancora assimilarlo del tutto.
Sirius obbedì.
Appena fu alzata, Hermione scese verso l'ingresso, dove trovò Blaise e Pansy che guardavano un televisore babbano.
Zabini, accorgendosi degli occhi sgranati di Hermione, si affrettò a darle delle spiegazioni.
“Ci teniamo informati su quello che succede sull'altro fronte.”
Hermione annuì.
In quel momento una giovane donna riprese la parola, passando al servizio successivo.
Era la stessa giovane che aveva annunciato la morte di Seamus e Dean.
“Ed ora passiamo ad annunciare la morte che ha messo in agitazione il così detto mondo magico. Questo pomeriggio è deceduta Hermione Granger, una delle streghe più ricercate. L'ora del decesso va dalle due alle quattro del pomeriggio, quindi solamente poche ore fa. E dalle cinque tutti i media stanno divulgando la notizia, in giornali, telegiornali, perfino tra i prigionieri nelle carceri dello stato. Potrebbe finalmente esserci una svolta nella guerra che da tempo...”
Hermione si voltò e si incamminò all'esterno del castello.
Aveva visto abbastanza.
La sua prima visione era già diventata realtà.
Nel giardino trovò Amanda che parlava con Silente.
“Hai diffuso tu la notizia della mia morte.”
Non era una domanda.
Amanda si voltò verso di lei.
“Sì l'ho fatto. Meno ti cercano e meglio è. Inoltre non potevo permettere che mettessero sulla tua testa una taglia di cinquantamila sterline.”
Hermione pensò che era meglio non ribattere, si limitò a passare alla domanda successiva.
“Ho avuto una visione.”
Lo sguardo di Amanda si fece più attento.
“Quando?”
“Appena ho ripreso conoscenza. Ho visto tutti i media diffondere la notizia della mia morte come se niente fosse. Diffonderla ovunque. E ho improvvisamente avuto come la consapevolezza che...” si morse un labbro, indecisa se continuare a parlare. “Ho avuto la certezza che Harry sapesse. Non so spiegarlo è come se...”
“Se lo avessi sempre saputo.”
Amanda le sorrise, facendole capire che comprendeva. E che era del tutto normale.
“Io ho paura che possa commettere qualche pazzia. Credo che dovremmo muoverci verso il suo accampamento il prima possibile.”
Amanda scosse la testa.
“No. È troppo presto. Il tuo addestramento non è completo. Non sappiamo cosa sei in grado di fare. Non sappiamo come gestire i tuoi poteri né quali siano. Dobbiamo almeno avere una vaga idea dei tuoi limiti. Ed inoltre, non hai ancora letto la profezia.”
Hermione spostò lo sguardo da lei a Silente, e poi nuovamente verso lei.
“Lo farò domani. Domani leggerò la profezia e inizierò l'allenamento. Per stasera voglio solo riposare.”
Si voltò, riprendendo il sentiero da cui era arrivata e che l'avrebbe riportata dentro il castello.
Stanca, si sdraiò sul proprio letto, e poté finalmente dormire.


Il Castello - Scozia - Il giorno della notizia, la notte

Stava tornando nelle proprie stanze, quando qualcosa alle sue spalle catturò la sua attenzione.
Si voltò, facendosi precedere dalla bacchetta.
“Hermione. Mi hai spaventato.”
La giovane strega non rispose, si limitò ad avvicinarsi a lei.
“Amanda, credo che non sia saggio portare a termine il mio addestramento qui al castello. Dovremmo allenarci da un'altra parte. Solo io, tu e Silente. Partiremo domani mattina all'alba e torneremo tra tre giorni al tramonto. Il quarto giorno partiremo.”
Amanda fece un passo verso di lei. Si stavano fronteggiando.
“Cosa ti fa pensare che io sia d'accordo?”
“Supposizioni.”
“Cosa vuol dire, supposizioni?” chiese ancora più curiosa Amanda.
“Vuol dire che, se mi concentro, non ho bisogno che tu sappia che sono entrata. Posso direttamente prendere tutto quello che voglio dalla tua testa. Andare via per tre giorni è una tua idea. Solo che non sapevi se era saggio.”
Si allontanò di un passo.
“Ho già avvertito Silente.”
Fece un breve inchino, che significava molto. Simboleggiava la sottomissione di Hermione ad una strega con più esperienza di lei, nonostante i poteri che aveva acquistato, e che le permettevano di giungere oltre il limite.
Aveva scoperto di poter leggere nella mente senza sforzo, e di poterci riuscire con un po' di sforzo evitando di far sapere al suo ospite della sua visita.
“Credi quindi che sia saggio?” chiese Amanda, mentre Hermione era già a metà del corridoio.
“Non ho detto questo. Ma non intendo starmene qui ad aspettare. Abbiamo bisogno dell'alleanza con Harry Potter per vincere questa guerra, e dobbiamo ottenerla prima che si faccia ammazzare da qualcuno.”
Era tornata ad usare il cognome.
In breve sparì dietro ad un angolo.
C'erano molte cose che voleva sapere.
Per esempio chi avrebbe visto dietro la maschera. Amanda? O Harry era ancora dentro lei?
Iniziò a camminare più veloce per non pensare, quando un pensiero la travolse.
E se davvero la pozione lo avesse raso al suolo?
Camminò ancora più veloce, sempre di più, finché sul suo cammino trovò un ostacolo, a cui andò addosso. Era Sirius.
“Come ti senti, Hermione?”
Lei non tornò indietro, ma rimase vicina a Sirius, che l'abbracciò appena vide la prima lacrima brillare e scendere.
“Mi sento svuotata.”
Sussurrò Hermione, disperata, contro la sua spalla.
Sirius la tenne stretta a sé, lasciandole piangere ogni lacrima che sentiva il dovere di lasciar andare.
Proprio come avrebbe fatto un padre.




Ecco qua. Questo è il penultimo capitolo del Libro Primo...Continuerò a postare mettendo questa storia e la prossima in una serie, e spero che continuerete a seguirmi...Coooomunque...Un ringraziamento a voi che recensite, siete la mia fonte di ispirazione!

Vi aspetto la prossima settimana con l'ultimo capitolo...Fatemi sapere che ne pensate!




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Capitolo 25
*** In Memoriam ***




Here we are.
Non sembra vero, e invece...Venticinquesimo capitolo...
Ultimo capitolo.

Però la storia non è finita! Non è neanche a metà...Quindi che dire...Non smettete di seguirmi, continuate a leggere la parte successiva, che farà parte di una serie insieme a questa storia...

Ringrazio tutti voi che avete recensito, seguito, letto la mia storia. È merito vostro se sono ancora qui a scrivere.

Che altro aggiungere?
Buona lettura. (Lo so, non è originale. Eh.)




L'accampamento - Gran Bretagna - Quattro giorni dopo la notizia

Era seduto, non riusciva a decidersi ad alzarsi.
Era ancora indeciso sul vestito.
Forse proprio per questo pensiero, quando accarezzò la seta nera, un ricordo arrivò a smuovere sangue che non sapeva nemmeno di avere ancora.

La Sala Comune era sempre stata il loro rifugio.
Harry era sdraiato sul divano e Hermione seduta sulla poltrona.
Erano le Vacanze di Natale, e loro due erano tra i pochi Grifondoro rimasti, gli unici del loro anno.
Non ricordava più come allora fossero entrati nel discorso, sapeva solo che nessuno dei due era stato più capace di fermarsi. O forse, semplicemente, nessuno dei due lo voleva.
“Insomma, capisci? Voi uomini rimproverate a noi di sognare il principe azzurro, eppure anche voi parlate di donna ideale, o dello stile di vita che più vi piacerebbe fare...”
“Sì, avevo capito cosa intendessi già alla terza volta in cui hai definito il genere maschile come 'un mare in cui l'ipocrisia dilaga'. Sì, mi sembra fossero quelle le parole esatte.”
Entrambi scoppiarono a ridere.
“Perdonami, Harry. Ti sto ovviamente annoiando. Se vuoi possiamo parlare d'altro.”
Harry rimase in silenzio, per un po'.
“E tu fantastichi sul principe azzurro?” non riuscì a frenarsi.
Hermione alzò gli occhi dal libro.
“Non sono proprio il tipo.”
“Oh, andiamo. Vuoi dire che non ci hai mai ricamato sopra? Voglio dire, tu che entri in chiesa, o nel caso tu sposassi un mago tu che entri in giardino o qualsiasi altro luogo in cui dei babbani non celebrerebbero mai un matrimonio. Sei bella come non lo sei mai stata, è questo che pensano tutti quando ti vedono nel tuo meraviglioso abito bianco. È senza spalline, ti fascia la vita in modo perfetto e dopo le tue caviglie tocca dolcemente terra. Tuo padre ti guarda e sorride, con le lacrime agli occhi, è quasi commosso. Ti prende a braccetto e vorrebbe dirti che non è mai stato così fiero di te, ma se parlasse piangerebbe, quindi rimanda, e forse non riuscirà a dirlo mai più. Dopo aver preso il braccio che ti sta offrendo alzi lo sguardo e lo vedi. Lui. Bello come poche volte ti è sembrato. È lì che ti aspetta sorridendo, nel suo vestito nero...”
“Bianco” sussurrò.
“Cosa?” chiese Harry.
“Lui dovrebbe essere vestito di bianco.”
Harry rise.
“Non c'è niente da ridere. È la mia fantasia. Io scelgo il vestito. L'uomo della mia fantasia ha il cuore così puro che il nero non gli renderebbe giustizia. Merita di essere vestito di bianco. Tutto, completamente, in bianco. Come me.”
Harry la guardò intensamente. Aveva ragione.
L'uomo che avrebbe sposato avrebbe dovuto avere un cuore puro, almeno quanto il suo, ed essere vestito di bianco, proprio come lei.
Annuì prima di proseguire nel suo racconto.
“Allora, lui sta lì, sorridendo, vestito completamente di bianco. Ti guarda. Ed improvvisamente realizza che sarai per sempre sua. E capisce di essere l'uomo più fortunato della terra, perché sta per sposare Hermione Granger. Da quel giorno crederà in Dio. Perché Dio gli ha dato te. E vedrà ogni cosa più bella. E non riuscirà mai più a staccarti gli occhi di dosso.”
Harry si sentì morire.
Avrebbe voluto essere lui.
Perché lui già pensava tutto quello.
“Ok, ci ho pensato, qualche volta” ammise leggermente imbarazzata.
“Oh, andiamo, solo qualche volta?” chiese lui, tornando a ridere.
Lei lo guardò, poi senza dargli una risposta definitiva tornò a leggere.
Sapeva perfettamente che esisteva solo una persona dal cuore così puro da meritare di vestirsi di bianco. Nessun altro al mondo ne era degno.
E lei, oltretutto, non avrebbe voluto che nessun altro lo fosse.
Chiuse gli occhi e lo vide.
Davanti all'altare, mentre la aspettava.
Riaprì gli occhi e quell'immagine sparì.
Harry sarebbe stato decisamente bene vestito completamente di bianco.

Si ritrovò con le lacrime agli occhi, mentre la sua mano ancora accarezzava il vestito di seta nera.
Capì che Hermione non avrebbe mai potuto vedere suo marito vestito di bianco ad aspettarla.
Capì che lui non avrebbe potuto essere quell'uomo.
Quel vestito era orribile.
Nero. Scuro. Come la guerra, come la morte.
Alla fine si decise ad alzarsi e a vestirsi.
Doveva andare ad un funerale.

Non avevano a disposizione un celebrante magico, così decisero di usare Neville.
Aveva celebrato matrimoni e battesimi all'interno del campo.
Quel giorno sarebbe stato lui a celebrare il funerale di Hermione.
Draco guardò nervosamente l'orologio.
Mancavano tre minuti.
Dove diavolo si era cacciato quell'idiota?
Quando ormai pensavano che avesse preferito non andare, lo videro avvicinarsi.
Lo riconobbero, tra la folla.
Perché tra tutti i vestiti neri, il suo dava decisamente nell'occhio.
Indossava dei pantaloni di seta bianchi, una camicia bianca ed infine una giacca ingessata, sempre bianca. Aveva al collo una cravatta, che, come del resto le scarpe, era bianca.
Era completamente bianco.
Forse gli altri non avrebbero capito, pensò, ma Hermione sarebbe impazzita per quel gesto.
Forse si sarebbe addirittura commossa.
Era al suo funerale, e le stava regalando l'uomo che non aveva mai potuto vedere.
Pensò che, se davvero come alcuni credevano, c'era qualcosa dopo, allora Hermione gli avrebbe sorriso dall'alto.
Se la immaginò, mentre cercava di asciugarsi le lacrime, tentando di non far capire che si era commossa.
Draco, Ron, Ginny e Luna lo guardarono.
Luna e Ginny conoscevano la storia. Hermione gli aveva parlato della conversazione molto particolare che aveva avuto tempo prima con Harry.
Draco stava per dire qualcosa, quando si accorse che Ginny, al suo fianco, si era commossa vedendo arrivare Harry vestito in quel modo.
Raccontò velocemente a Draco e a suo fratello perché Harry avesse scelto proprio quell'abbigliamento.
Harry non si sedette.
Rimase in piedi, di lato rispetto al resto dei partecipanti alla cerimonia, guardando Neville celebrare il funerale magico, anche se la bara era vuota.
Quando ebbe finito, pian piano, tutti tornarono alle proprie tende.
Ron e Draco si erano frapposti velocemente tra Harry e la folla, appena la funzione era terminata. Sapevano quanto stava soffrendo, e le condoglianze lo avrebbero solo reso più suscettibile.
Quando tutti se ne furono andati, chiese a Neville di aspettare a spostarla.
“Voglio darle solo un ultimo addio.”
Neville annuì. Lo lasciarono solo dentro la tenda.
“Mi dispiace” sussurrò.
Non riusciva quasi a parlare.
Aveva un nodo in gola che gli impediva quasi di respirare, da quanto era grande.
Avrebbe dovuto piangere e finalmente liberarsene.
Ma si era ripromesso di non farlo.
Aveva promesso di essere forte. Per lei.
“Avrei dovuto avere il coraggio di fare questo discorso quando ancora ero sicuro che mi sentissi. Quando potevi ancora rispondermi.”
Cercò di riprendere fiato lentamente, per non far cadere le lacrime in bilico. Le ributtò indietro.
“Sapevo dov'eri, dove abitavi. Da due anni. Ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Te lo dico adesso, ma non sono sicuro che tu riesca a sentirmi. Non sono sicuro che tu mi veda. Ma se mi ascolti, voglio che tu sappia.”
Per un attimo ebbe come l'impressione che lei fosse in quella stanza con lui.
“Ho tentato. Ci ho provato, davvero ma...”
Lo stava per dire.
Stava finalmente per ammettere ciò che in cinque anni non era mai riuscito a dire. Ciò che non aveva neanche mai compreso davvero nei nove anni precedenti.
“Non riesco a smettere di amarti.”
E fu libero.
Libero dal peso di quelle parole che non riusciva più a tenersi dentro.
Libero dall'impressione che lei fosse lì.
Era come se finalmente fosse riuscito a lasciarla andare.
Ad accettare l'idea che fosse morta.
E non piangere a quel punto gli fu impossibile.

Neville corse dentro la tenda, quasi cadde entrando.
“Harry!” quasi urlò. “Harry, mi spiace disturbarti, ma devi uscire assolutamente.”
Harry alzò gli occhi verso di lui ed annuì. Vide la sua espressione preoccupata.
Si asciugò le lacrime, si dette una ripulita ed uscì.
“Che succede, Neville?”
“Stranieri. Non ho idea di quanti. Sembra uno solo, ma è impossibile da dire.”
Harry raggiunse l'estremità dell'accampamento e vide ciò che Neville intendeva.
Una luce si stava avvicinando.
Era il tramonto. Non si era nemmeno accorto che fosse passato così tanto tempo.
Quando la luce fu più vicina, l'illuminazione dell'accampamento fu sufficiente.
La luce si spense.
La persona che un attimo prima la portava si fece sempre più vicina.
Quando giunse ad una cinquantina di metri, ormai tutto il campo si era radunato alle spalle dei sei che li guidavano. Harry era leggermente più avanti, mentre Neville, e gli altri un passo o due più indietro.
Le loro bacchette si alzarono.
Alle loro spalle ogni singola persona del campo reagiva in modo diverso. Chi si preparava a sua volta a combattere, chi a scappare, chi pregava.
A quel punto, Harry la riconobbe.
Non c'era alcun dubbio su chi fosse la ragazza che poco prima stringeva una bacchetta.
Lentamente, una ad una, delle persone apparvero alle sue spalle. Erano circa un centinaio.
Silente e la strega che Harry sapeva chiamarsi Amanda, erano al suo fianco. Dietro poche guardie del corpo. Riconobbe dietro Silente la McGranitt e Piton, dietro Amanda, Zabini e la Parkinson. E dietro di lei Sirius e Remus.
E, al centro di tutto, lei.
Hermione Granger.




Scusate per il cliffhanger.
Wanted II arriverà presto. Molto presto.
Fate i bravi.


Herm735




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