La luce nell'Ombra

di Ekathle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


La luce nell’Ombra

 

Capitolo 1

 

Il rumore del teschio che cadeva giù nello stretto pozzo di pietra risuonò per tutte le cavità buie di Moria e dentro le orecchie il cuore stesso di Pipino così forte che egli credette che fosse arrivata la fine del mondo. Non fece neppure in tempo ad accasciarsi a terra, stordito dalla paura, che fu nuovamente sollevato in piedi da Gandalf;  anche se il buio celava l’espressione del mago, il giovane Hobbit sapeva per certo che non era benevola.
“Idiota di un Tuc! – sibilò Gandalf, attento, pur nella rabbia, a non far rumore- La prossima volta gettati tu in quel pozzo; almeno ci libererai della tua stupidità!”
L’Hobbit non rispose, ma si limitò ad abbassare il capo, contento che la semioscurità nascondesse le lacrime di vergogna che gli cadevano sulle gote. Ancor più degli stupidi, Gandalf detestava i piagnoni, sempre pronti a lacrimare sul latte versato e mai a rimediare al danno.
Per tutto il resto della giornata Pipino se ne stette zitto, in fondo alla fila, ignorando i tentativi di conforto di suo cugino Merry; non c’era nessuna scusante per ciò che aveva commesso, e doveva ringraziare la fortuna se non erano ancora stati scoperti. Tenne le orecchie tese, a cogliere qualsiasi segno di movimenti di armi, ma tutto rimase mortalmente silenzioso.
La compagnia avanzava lentamente lungo i cunicoli bui delle miniere, un tempo così gloriose e splendenti. Della ricchezza dei Nani erano rimaste solo rovine, cumuli di macerie, asce arrugginite e scudi sfasciati. Ogni tanto, il silenzio era rotto da un suono strano, che tutti facevano finta di non sentire, ben sapendo invece chi ne fosse l’autore. Man mano che proseguivano, i ricordi di Gimli il nano divenivano più nitidi, ed egli si sentiva straziare il cuore al ricordo dell’antico potere del suo popolo.
Ad un certo punto, un’esclamazione di gioia fece arrestare la compagnia. Gimli era scattato avanti, verso un raggio di luce che inaspettatamente filtrava da un portone socchiuso poco distante. Con un cigolio, la porta venne aperta e per la prima volta dopo tanti giorni al buio come talpe, i Nove poterono mirare una seppur debole luce del sole, che li fece socchiudere gli occhi da quanto erano ormai disabituati.
La luce veniva da uno spiraglio posto subito sotto il soffitto della grande sala in cui erano entrati, che superava per magnificenza tutte le altre che avevano fino a quel momento attraversato. Sul pavimento vi erano ancora, dentro grossi sacchi di tela grezza, dei mucchi di oro: monete pesanti, impolverate, antiche, risalenti a molto tempo prima. Sulle pareti, alcuni arazzi resistevano ancora, scoloriti e sbiaditi dal tempo, ma intatti. Al centro della sala c’era una monumentale costruzione in pietra, alta quasi come l’intera stanza, che pipino riconobbe come una tomba, e su di essa era posato un libro.
Gimli si avvicinò correndo alla tomba, si mise in ginocchio e cominciò a togliere con la mano le ragnatele e la polvere che coprivano le iscrizioni: non appena la superficie di marmo fu pulita e fu visibile la scritta BALIN FIGLIO DI FUNDIN, l’espressione di Gimli si tramutò in pianto, e il nano si lasciò andare a forti singhiozzi, che risuonarono nella stanza come in una cassa armonica. Gandalf fece per dire qualcosa, ma lo sguardo di Aragorn lo bloccò: del resto, avevano già fatto rumore, e molto più forte di quello. Il mago prese allora in mano il vecchio libro e lesse ciò che vi era scritto
“Racconta l’ultima difesa del popolo di Moria” sospirò volgendosi alla compagnia. “L’ultima battaglia, che si svolse proprio qui, sulla tomba del loro signore Balin. Non dev’essere stata una bella fine. Ascoltate: Abbiamo sbarrato i cancelli e poi Possiamo resistere a lungo, poi le parole sono cancellate e non si riesce a leggere, qui forse è scritto Orribile e Soffrire. Le ultime parole che riesco a discernere sono Non possiamo uscire. Hanno preso il Ponte e il secondo salone. Non possiamo uscire. Tamburi, tamburi negli abissi. Chissà cosa significa. Le ultime parole scarabocchiate sono Stanno arrivando”.
Gandalf posò il libro e spaziò con lo sguardo la vasta sala. In effetti, oltre al massiccio portone d’entrata, non si vedevano altre uscite. Aragorn tastò un muro per tutta la sua lunghezza alla ricerca di un possibile passaggio che fosse loro sfuggito, ma subito si interruppe e fece cenno ai suoi compagni di non muoversi.
Il silenzio era totale. Per un attimo Aragorn pensò, o meglio si augurò, di essersi sbagliato, ma non era così. Un rullo di tamburi, prima quasi impercettibile, poi via via sempre più forte e marcato, salì dalle nere fondamenta della miniera fino alla stanza dove si trovava la Compagnia. Un attimo dopo, ad esso si aggiunse uno scalpiccio di piedi e il suono di voci, non umane, ma simili a acuti stridii di rapaci, che si avvicinavano rapidamente.
“Stanno arrivando!” gridò Gandalf e chiuse di scatto il portone, aiutato da Aragorn e Boromir. Legolas aveva già imbracciato l’arco e aspettava, vigile, con una freccia pronta. I quattro Hobbit si erano radunati attorno alla tomba di Balin, accanto a Gimli che giaceva ancora inginocchiato.
Attesero così per un tempo che parve lunghissimo, immobili eppur pronti a reagire al minimo movimento. Un suono di corni echeggiò per tutta Moria, e il rumore di piedi si fece più vicino e frettoloso.
“Siamo intrappolati! Non possiamo più uscire, proprio come loro molto tempo fa!” gridò Gandalf.
“Aiutateci a tenere chiusa la porta!” urlò Aragorn a Gimli e agli Hobbit, ma mentre diceva ciò essa cedette di colpo, uscendo dai cardini e cadendo a terra. Con urla stridule, gli orchetti entrarono nella sala.
La difesa non si fece trovare impreparata: le frecce degli orchetti si frantumarono inoffensive contro il muro, e i tiratori furono falcidiati con violenza. Poco dopo, il pavimento della sala era ingombro di piccoli cadaveri ripugnanti, mentre la Compagnia, spaventata più che sollevata dalla facilità della prima vittoria, e consapevole che quegli orchetti non costituivano altro che un piccolo drappello di esploratori, si era raggruppata al centro della sala, con le armi in pugno.
“State tutti bene?” domandò Gandalf. Un cenno d’assenso percorse il piccolo gruppo; e difatti, le ferite riportate erano costituite esclusivamente da un taglio su una guancia di Pipino, il quale peraltro sentiva di meritarsi molto di più. I Nove si erano appena ripresi un po’, quando la soglia fu oscurata da una creatura gigantesca, alta più di 3 metri, con la pelle orribilmente butterata, che emanava un olezzo nauseabondo. Il mostro emise un ruggito e fuori tutto tacque. Per un momento esso restò fermo, come indeciso sul da farsi, e poi vibrò un colpo terribile con la rozza lancia che teneva in mano.
La punta colpì Frodo in pieno fianco, e l’Hobbit cadde a terra urlando. Subito Aragorn, Boromir e il piccolo Sam si posero tra lui e il troll, e cominciarono a colpirlo ripetutamente con la spada. Gandalf nel frattempo aveva estratto anch’egli la sua spada Glamdring e, illuminando con il bastone il resto della sala, si era lanciato all’attacco. Accerchiato su più fronti, potendo contare solo sulla sua superiorità fisica, circondato da uomini esperti di combattimenti e resi audaci dalla disperazione, il troll prese, probabilmente l’unica volta in vita sua, una saggia decisione: si trasse indietro e Boromir, scaraventatosi contro la porta, riuscì a chiuderla.
“Fuggiamo, presto,prima che ritorni il Troll!” gridò Gandalf  dirigendosi verso la porta, ormai pronto ad affrontare ogni genere di mostri piuttosto che fare la fine del topo.
Il mago aveva già messo la testa nel corridoio, per controllare che nessun orchetto fosse già arrivato (poiché, dal rumore di passi, molti di loro si stavano muovendo), quando all’improvviso uno degli arazzi della parete sud cadde a terra, e una porta nascosta dietro di esso si aprì.
“Presto, per di qua!” sussurrò una voce dal buio e una mano bianca fece capolino dalla soglia, facendo loro cenno di seguirla. Gli Hobbit si lanciarono di corsa verso quella inaspettata salvezza, ma Aragorn li bloccò di colpo e puntò la spada verso quella figura ignota, seguito da Legolas che tese il suo arco, ma non tirò. Boromir, per una volta, fu d’accordo con Aragorn. “ Uccidilo! E’ un orco, o chissà quale altra diavoleria!”. Gandalf lo fermò e gli fece segno di attendere. Dal corridoio si sentivano provenire voci stridule sempre più forti, e tra esse ne spiccava una decisamente umana, che dava ordini tra la calca generale.  Era chiaro che tra non molto avrebbero dovuto affrontare un nuovo attacco. Frattanto, la mano non si era mossa; nella poca luce della stanza, Aragorn vide che era una mano piccola e umana.
“Forza, usciamo da qui finchè siamo in tempo!” gridò all’improvviso Gandalf, e sospinse la Compagnia verso la misteriosa porticina. Boromir aprì la bocca per protestare, ma la richiuse subito non appena il ruggito del troll echeggiò nuovamente nel corridoio.”
“Era ora!” disse la voce, e cominciò a scendere lungo la scala di pietra. Gandalf passò per primo, e fece luce al resto dei suoi compagni. Tutti si sporsero in avanti per osservare il volto del loro misterioso quanto insperato salvatore, ma la scala, che si avvolgeva in una spirale molto stretta, lo nascose alla loro vista. Di lui si sentivano solo i passi, incredibilmente leggeri, e la voce, che impartiva loro le istruzioni. Nessuno si sentiva tranquillo, ma del resto, quella era la loro unica alternativa: altrimenti, ciò che li aspettava sarebbe stata indubbiamente la morte. La scala si rivelò interminabile. Ad un certo punto il bastone di Gandalf illuminò una stanza piccola e spoglia, sulla cui parete vi erano due aperture: dalla più stretta, poco più di un cunicolo, la voce si fece sentire “Di qua, svelti!”
Quel buco aveva un’aria decisamente poco invitante, per non menzionare il fatto che il rumore di tamburi e di piedi si era fatto molto più intenso: la sensazione comune era che si stessero dirigendo dritti nella bocca del drago, o degli orchetti in questo caso. Aragorn si fece interprete del desiderio di tutti: balzò in avanti, afferrò la mano bianca che sporgeva dalla porta e tirò a sé la figura, puntandole contro la spada con l’altra mano.
“Chi sei? Fatti vedere!” e le strappò via il cappuccio.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

“Quale non fu la loro sorpresa nel constatare che il loro misterioso salvatore era una donna! La luce magica azzurrina illuminò il volto di una donna giovane, dai tratti particolari che Aragorn riconobbe subito come elfici; la pelle era bianchissima e un po’ tirata, per via probabilmente della lunga permanenza lontana dalla luce del sole, e ciò le conferiva un aspetto ancora più fragile ed evanescente. I capelli scuri e lunghi erano tenuti in ordine da un velo, ed ella indossava una veste riccamente decorata con pietre preziose. Un abbigliamento e un aspetto da principessa; perche dunque se ne stava sottoterra come le larve?
La ragazza parve intuire questa domanda. “Non c’è tempo ora; seguitemi e vi spiegherò tutto”. La sua voce, avendone visto il possessore, sembrava ancora più dolce e inoffensiva di prima, tanto che Aragorn lasciò andare il braccio che le stava ancora stringendo con forza. Boromir però fu lesto a riacchiapparla. “Ce lo direte ora, o noi non ci muoviamo di qui, e voi neppure”. Tutti gli altri tacquero, evidentemente combattuti tra la volontà di uscire al più presto dalle miniere evitando gli orchetti e il desiderio di conoscere le mani a cui stavano affidando la loro vita e, cosa ancor più importante, la loro missione.
La ragazza sospirò esasperata e disse in fretta: “Mi chiamo Arwen, sono un’elfa, sono stata rapita molti anni fa e ora servo come sacerdotessa del Balrog. Possiamo andare adesso? Vi dirò tutto in seguito, ve lo prometto. Forza!”
La Compagnia era rimasta ad ascoltare immobile e con il fiato sospeso: di certo una cosa del genere non l’avrebbero mai ritenuta possibile. Gandalf la guardò fisso: “Come avete detto di chiamarvi?”
“Arwen” rispose lei, facendo un’evidente moto di impazienza. Gandalf fece una faccia strana. “Dai, muoviamoci! – continuò lei- Se ho sentito bene, e dopo molti anni che vivo qui sono avvezza a simili rumori, qualcosa di molto più pericoloso degli orchetti è stato risvegliato, giù negli abissi”.
“D’accordo, guidaci” decise Aragorn per tutti, e si affrettarono lungo lo stretto cunicolo. Uscirono in un salone, a livello più alto di dove erano partiti. La ragazza si fermò e comunicò loro la strada che aveva intenzione di prendere.
“Il salone sud è stato bloccato da una frana molto tempo fa, per cui non porta da nessuna parte. Se andassimo a nord, finiremmo dritti nell’armeria, dove immagino che in questo momento Raston stai riorganizzando le forze. Direi che l’unica via percorribile… è quella che passa per il ponte di Khazad-Dum” concluse.
“Khazad-Dum?” Gandalf sembrava dubbioso. “Non c’è davvero altra via? Attraversando il ponte passeremmo nel bel mezzo di quella che fu la piazza principale de regno dei Nani, a suo tempo, uscendo dunque dalla porta principale. Perdonatemi, signorina, ma mi sembra un percorso alquanto rischioso; devo inoltre confessarle che è di importanza vitale per la Terra Di Mezzo che noi, o almeno lui – soggiunse indicando Frodo – riesca a uscire dalle miniere illeso. Vedo dalla vostra espressione incuriosita che vorreste sapere il perché; ma, come ci avete detto voi stessa, questa non è la sede adatta per i racconti”
“Posso dire di conoscere a menadito ogni cavità di queste miniere; del resto, vagare senza metà è stato il mio modo per passare il tempo da quando sono qui; e vi posso assicurare, signore, che quella che vi propongo è l’unica via che vi porterà fuori dalle miniere. A giudicare dal rumore, avete messo in allerta un bel po’ di orchetti, col vostro girovagare, per cui posso immaginare che vogliate andarvene in fretta. Raston di Beltof è molto abile in fatto di strategia militare, e sa organizzare bene gli orchetti”.
“Raston di Beltof?” esclamò confuso Aragorn. “Non sembra certo un nome da orchetto. Quale genere di mostro è?”
Arwen sorrise: “Dite bene infatti: costui è un Umano, l’unico altro essere vivente di razza non orchesca costretto ad abitare nelle viscere della terra, come vermi. Costui è fedele a Sauron, il Signore Oscuro, e gli assicura il dominio sugli orchetti. Non ha il cuore tenero, Raston – e un guizzo di dolore le attraversò i begli occhi blu – per cui non vi risparmierà”. Dall’oscurità giunse lontano un fragore di spade. “Forza, se ci scoprono, ci uccideranno tutti!”
“Khazad-Dum attraversa interamente il Nero Abisso, che le vecchie leggende identificano come la tana del Balrog” insistette Gandalf.
“Ci state portando dritti nelle fauci del nemico, altro che salvarci!” la aggredì Boromir; subito dopo estrasse la spada e, spostata di lato Arwen con uno strattone, si avviò nella direzione opposta a quella indicata.
Arwen scattò in avanti a riprendere Boromir partito in avanti, ma la voce imperiosa di Gandalf fermò entrambi.
“Il Portatore dell’Anello deve decidere. Frodo, spetta a te scegliere la via”
“ Cosa ne può sapere un Hobbit così giovane? E per di più ferito!” insistette Arwen.
In effetti, Frodo aveva l’aria stanca e sofferente, e la sua tunica era macchiata di sangue sul fianco in cui era penetrata la lancia del troll. Tuttavia l’Hobbit si fece forza e dopo un attimo di silenzio disse con voce bassa:
“non voglio correre il rischio di incontrare il Balrog. Boromir, facci strada. In tempi più felici non avrei avuto alcuna esitazione a fidarmi di voi- disse rivolto ad Arwen- ma ora più che mai è necessaria cautela. Vi ringrazio del vostro aiuto fin qui”. E si incamminò a fatica dietro Boromir.
“D’accordo!” sbottò Arwen, ponendosi davanti alla porta in cui erano spariti Frodo e Boromir “Vi sto aiutando non solo perché desidero che usciate vivi da queste miniere, qualunque sia la missione che vi porta qui e che siete liberi di non rivelarmi, ma anche perché io stessa voglio andarmene! Sarei veramente sciocca se mandassi a morte le uniche persone che possono condurmi alla salvezza, non trovate?”
La Compagnia si scambiò sguardi stupiti; effettivamente, nessuno di loro ci aveva pensato.Aragorn fece un passo in avanti verso Arwen, che li fissava in silenzio, ma in quel momento Boromir riapparve e sbuffò sonoramente. “Giacchè conoscete così bene questi orridi cunicoli- disse con tono beffardo- perché aspettare noi per uscire? Avreste potuto farlo da sola molto tempo fa”.
“Perché- ringhiò Arwen- la porta d’uscita è chiusa da un incantesimo, e io non so la soluzione, né riuscirei a forzarla da sola. Voi siete nove, e tra voi c’è un mago, quindi forse la mia speranza di poter uscire assieme a voi è un po’ più ragionevole, non trovate? Se fossi in grado di andarmene da sola, non starei certo qui ad aspettare voi!”. Poi il suo tono di voce divenne malinconico. “Sono qui da molti anni, non saprei dire quanti. Tre? Quattro? Il tempo sembra non scorre mai; è sempre notte, sotto queste volte. L’unica luce che mi è concesso vedere è il fuoco ardente delle fiaccole degli orchetti, e di Raston di Beltof naturalmente. In ogni momento la mia mente va a quella porta, e subito si scontra con il freddo e duro marmo, e con le parole sibilline incise. E penso al sole, agli alberi, allo stormire delle foglie…”
Arwen era caduta in ginocchio, la schiena contro la parete rocciosa. Boromir e Frodo si erano riuniti al gruppo, e ora tutta la Compagnia la fissava.
Aragorn parlò per tutti. Le si avvicinò e la aiutò ad alzarsi e a rimettersi, poi le disse: “Vi faremo uscire, non temete. Ma ora conduceteci all’uscita.”
Arwen gli rivolse un’occhiata riconoscente, e si inoltrò nelle tenebre.

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